Compagnia Stagno Start

di Shin Tarekson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 - Compagnia STAGNO ***
Capitolo 2: *** Cap 2 - Fuori dalle... mura! ***
Capitolo 3: *** Cap 3 - Cascata, premonizioni ed una Margherita ***
Capitolo 4: *** Cap 4 - "Filo-Bau" ***
Capitolo 5: *** Cap 5 - Well yes but actually no. ***
Capitolo 6: *** Cap 6 - G. G. F. ***
Capitolo 7: *** Cap 7 - Follia, Conoscenza, Ricerca ***
Capitolo 8: *** Cap 8 - Avanti e indietro ***
Capitolo 9: *** Cap 9 - Benvenuti al GROSS! ***
Capitolo 10: *** Cap 10 - Poltrone, LED ed uno specchio ***
Capitolo 11: *** Cap 11 - Il patto del Diavolo ***
Capitolo 12: *** Cap 12 - Mefistofele ***
Capitolo 13: *** Cap 13 - Inferno ***
Capitolo 14: *** Cap 14 - Soldato ***
Capitolo 15: *** Cap 15 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Cap 1 - Compagnia STAGNO ***


Cap 1 – Compagnia STAGNO
 
  • “In this farewell, there’s no blood, there’s no…”
  • Alibi. Buongiorno anche a te, sveglia.
Quello era il gesto che ogni mattina ripetevo da quando, nella Grande Discarica, ero riuscito a trovare e rimettere insieme quella scatola. Essa era in grado di dirmi l’orario e attivarsi per riprodurre particolari melodie, se opportunamente programmata, si chiamava sveglia e sembrava essercene almeno una per casa decadi fa. Erano quindi circa le 7.00 di mattina, minuto più minuto meno, avevo circa un’ora e mezza prima dell’appuntamento dal comandante Minetti per ritirare i fascicoli dei nuovi casi. Mi alzai e accesi la caldaia buttando sul fondo un paio di manciate di piccoli pallet e un fiammifero, ci sarebbero voluti circa dieci minuti prima che l’acqua diventasse sufficientemente calda, avevo giusto il tempo di far colazione. La casa che avevo deciso di occupare era una piccola villetta a mezzo chilometro dalla centrale, decisamente comodo, e il fatto di non avere vicini o coinquilini mi permetteva di riempire ogni angolo dell’abitazione con apparecchi elettrici, senza preoccuparmi del rumore assordante di alcuni di essi, o con piccoli gingilli che riuscivo a recuperare dalla Grande Discarica, un luogo contenente tutta, o comunque buonissima parte, di quella che un tempo era la tecnologia usata dalla popolazione umana di Firenze, prima che decidessero di comune accordo di disfarsi di tutto quel ben di Dio, creando, per l’appunto, la Grande Discarica.

La stufa era stata modificata così da sfruttare il calore per produrre vapore che serviva a muovere una decina di piccole rotelline collegate ad altrettante dinamo che ricaricavano piccole batterie, le quali venivano usate per i miei piccoli tesori, per esempio la sveglia.

Allungai la mano vero le batterie cariche e le staccai dal generatore, avevo imparato a mie spese che se lasciate troppo a lungo collegate, queste avevano il brutto vizio di surriscaldarsi, diventando inutili e nel peggiore dei casi appiccando piccoli incendi, altro motivo per cui meno gente avevo vicino casa e meglio era per tutti.

 Ne tenni una in mano e mi avviai in cucina.

La cucina era abbastanza grande da permettermi di mangiarci dentro ma sufficientemente piccola da rendermi facile tenerla in ordine. Entrato presi due fette di pane e le infilai nell’altra meraviglia del vecchio mondo che possedevo, l’”ARROSTI-FETTE”! La vita in passato doveva essere davvero una pacchia con tutte queste comodità. Dopo aver inserito le fette di pane nelle apposite fessure collegai il marchingegno alla batteria e lo accesi.
  • Uno, due, tre, quattro, cinque e stop!
Spensi in fretta il dispositivo e lo girai a testa in giù per far scivolare fuori le due fette di pane abbrustolito, avevo potenziato il tutto per renderlo più rapido nel suo lavoro, senza ovviamente rovinare il risultato finale, ero davvero un genio.

Dopo aver condito le fette di pane con olio e sale e aver tagliato un pezzo di formaggio mi sedetti sull’unica sedia della casa e feci colazione, pregustandomi la doccia calda che avrei fatto di lì a poco.

Ah, l’acqua calda, cosa poteva esserci di meglio che crogiolarsi nel torpore che l’acqua uscente dal bocchettone della doccia era in grado di offrirti? Ovviamente una gita alla Grande Discarica, ma la doccia calda restava comunque una delle cose più rilassanti che questa strana nuova realtà fosse in grado di offrire.

Erano le 7.45, forse era il caso di darsi una mossa. Tornai in camera, misi camicia e pantaloni neri, bretelle e papillon verde e inforcai gli occhiali che avevo sul comodino. Non avevo reali problemi di vista, la medicina aveva fatto passi, se non salti, da gigante negli ultimi anni e di conseguenza qualsivoglia difetto fisico era virtualmente scomparso, ma mi davano un’aria un po’ stravagante e sinceramente mi piacevano.

Presi una pastiglia pulitrice e me la misi in bocca, infilai le scarpe, raccolsi il mio zaino e mi incamminai verso la centrale.

“Chissà di che umore saranno oggi i miei tre colleghi?” mi domandai, ormai in vista della centrale.

ANSIOSO. Ecco quale fu la risposta, non per forza una notizia negativa ma sicuramente non in linea con il mio umore, era così difficile rimanere rilassati e tranquilli? Pareva di sì.

Quando raggiunsi l’ingresso, Manfredo e Virgilio erano davanti alla porta, il primo aveva addirittura indossato già la propria scintillante armatura che ogni tanto emetteva qualche piccolo sbuffo di vapore, l’altro invece se ne stava impettito nel suo completo e la valigetta che sempre lo accompagnava. Mancava solamente…
  • Spostati, mi sei d’intralcio.
  • Ciao anche a te Doc, niente caffè stamattina?
  • Ah, sei tu, sono al terzo, ora spostati.
Ecco Laila, il Costruttore della squadra, una sorta di medico, caffeinomane e con due belle occhiaie onnipresenti. Aveva uno di quei visi con i lineamenti molto delicati che la facevano sembrare un’adolescente, probabilmente aveva superato la trentina da un pezzo.
  • Vedo che ci siamo finalmente tutti, anche se qualcuno non esattamente puntuale.
Lui è Virgilio, il nostro Miliziano, un’enciclopedia vivente di tutto ciò che riguarda la legge della Cittadella delle Scienze di Firenze. Non parla molto, però è simpatico.
  • Bene! Ora che ne dite se entriamo e chiediamo al comandante cosa c’è da fare, così posso smetterla di restare qui fermo e finalmente prendere la missione di oggi, magari avrò l’occasione di sfruttare al massimo la mia nuova armatura! Veloci!
Infine, lui è Manfredo, il Tecnofante, la spina dorsale dell’esercito della nuova Firenze. È esuberante e con un modo di fare un po’ impaziente, ogni tanto battibecchiamo ma alla fine è come il resto del gruppo, siamo stati formati da poco come compagnia, quindi c’è ancora qualche attrito tra di noi, ma nulla di insuperabile. A sentire lui chi si guadagna l’attestato da Tecnofante è solamente “il meglio del meglio del meglio, signore!” per citare una frase di un film che sono riuscito a vedere una volta nell’officina di un altro… appassionato, per così dire, di tecnologia antica come me.

Io, Alessandro della Rocca, la gente ci definisce Tecnosofi, ciò che ci muove è lo studio e la ricerca di quella che era la tecnologia “antica”, abbandonata anni prima e che aveva avuto il suo picco tra gli anni 20 e 40 del 2000. I miei mi hanno dato il nome Alessandro perché in teoria il significato è qualcosa di simile a “protettore dell’uomo, dell’umanità”. Il loro era stato una sorta di augurio affinché io, come loro, potessi contribuire a dare alla luce una nuova vita.

Al pensiero mi viene ancora da sorridere a volte, se solo sapessero.

Questa, signori è la Compagnia STAGNO, la compagnia extramuraria di cui faccioparte, e qui è dove la nostra storia comincia.

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Capitolo 2
*** Cap 2 - Fuori dalle... mura! ***


Cap 2 – Fuori dalle… mura!
 
Superate le porte d’ingresso della centrale ci dirigiamo verso l’ufficio del nostro superiore, busso alla porta ed entriamo nella la stanza.

Il comandante Minetti non sembra entusiasta, ma di fatto non lo sembra mai. Sta borbottando qualcosa, passandosi una mano in mezzo ai corti capelli ormai grigi, a proposito delle altre due compagnie sotto il suo comando le quali, sembra, siano parecchio in ritardo con il completamento della loro missione e il successivo rapporto. Sulla sua scrivania ci sono due piccoli plichi di fogli con i dettagli delle prossime missioni affidate al suo ufficio. Ci avviciniamo alla scrivania, prendo i due plichi e procedo a leggerli ai miei compagni, la prima missione consiste nell’andare alla stazione di produzione pellet, pare che un boscaiolo in un impeto di rabbia abbia danneggiato uno dei costrutti.
  • Crimine contro lo stato quindi! Molto grave – dice Virgilio.
  • Sembra una cosa veloce da sbrigare – lo segue Laila.
Faccio un cenno ad entrambi e proseguo con il leggere i dettagli della successiva, quasi il mio cuore salta un battito
  • La prossima missione è alla Grande Discarica! Pare che qualcuno abbia fatto sparire una decina di costrutti per l’estrazione mineraria! Alla Grande Discarica!
Il mio entusiasmo è palpabile ma, mentre i miei tre compagni votano per vedere quale missione prendere (essendo il mio voto ovvio), mi accorgo che Minetti ha in mano un altro mazzo di fogli, una terza missione? Attiro l’attenzione del nostro comandante con un piccolo colpo di tosse.
  • Mi perdoni comandante, potrebbe cortesemente dirci qualcosa a proposito del mazzo di fogli che tiene in mano lei? Si tratta forse di una terza missione? Potremmo essere interessati, potrebbe condividere con noi le informazioni?
Il mio discorso non avrebbe attirato particolarmente l’attenzione, probabilmente il comandante si sarebbe limitato ad ignorarmi o urlarmi contro di scegliere una delle due missioni e levarsi dalle palle. Sfortuna volle che in quell’esatto momento la mia piccola patologia decise di fare capolino facendomi pronunciare ogni frase con un melodioso, impeccabile e quanto mai inopportuno, accento inglese. Capitava di solito quando ero o molto stressato o molto entusiasta di qualcosa, probabilmente l’idea di una missione alla Grande Discarica aveva messo su di giri il mio cervello.
  • Non siete né pronti né equipaggiati per una missione del genere, signor… Della Torre?
  • Della Rocca, Signore, ricevuto, allora procediamo con...? – dirigo il mio sguardo verso il resto della squadra, la faccia abbattuta di Laila e le mani alzate in votazione di Manfredo e Virgilio fanno comparire un sorriso sul mio volto.
  • … con la missione dei costrutti scomparsi, Signore!
  • Perfetto, e ora fuori dalle mura, veloci!
Usciamo dall’ufficio e facciamo tappa all’armeria della centrale per ritirare l’equipaggiamento base per la missione, ognuno di noi, Manfredo escluso, indossa una leggera armatura pensata per facilitare i movimenti della professione sul campo. La mia consiste in una corazza leggera ottenuta dalla trasformazione di vecchi pneumatici, elastica e resistente. La vestizione e l’armamento è continuamente costellato dai borbottii di Laila, decisamente non entusiasta riguardo la scelta della missione
  • Avremmo potuto prendere l’altra… era così facile… un solo boscaiolo… invece no! Dobbiamo andare in quella stupida discarica, a cercare degli stupidi costrutti, che qualche idiota ha fatto sparire. Mmh.
 
Pronti, equipaggiati e con umori più o meno discordanti, ci dirigiamo verso la porta di ingresso e di uscita delle mura. Stiamo per raggiungere il punto, l’arco è chiaramente visibile in lontananza quando qualcosa attira la nostra attenzione. Sulla strada, un po’ appartato uno strano fenomeno sta avvenendo. Alcune figure ammantate ed incappucciate, undici sembrano, sono intorno ad un piccolo falò e una di queste sta intonando una lenta canzone, una è completamente coperta, le altre dieci hanno un foro nella zona posteriore del mantello, da cui un sottile fumo esce. Dalle finestre alcuni curiosi guardano la scena, altri hanno scoperto il capo e con occhi chiusi sembrano mormorare le parole della figura incappucciata. Ci avviciniamo per chiedere spiegazioni.
  • Scusate l’interruzione, siamo la Compagnia STAGNO, non sapete che non è consentito accendere fuochi in strada o comunque senza espresso permesso cartaceo? – dico avvicinandomi ancora di qualche passo, mi accorgo di essere nervoso anche se non capisco bene il perché.
La figura finisce l’intonazione e staccandosi dal gruppo si dirige verso di noi scoprendosi il capo. Guardandoli meglio riconosco la fattura delle vesti, è un adepto dell’ideologia della Cascata, i Figli del Fiume si fanno chiamare, una corrente di pensiero convinta che nei costrutti permanga l’anima delle persone che erano prima di morire, ideologia curiosa ma finora senza fondamento.
  • Perdonatemi, sono Fratello Tommaso, chiamato anche Fratello Vento, suppongo siate la compagnia affidata al recupero dei costrutti minerari scomparsi. Sono stato io a requisirli, in memoria dei nostri fratelli da poco scomparsi… stavo tenendo una veglia per loro. Vi chiedo solo di permettermi di concludere la funzione, dopodiché non opporrò resistenza e sconterò la mia pena, i costrutti sono tutti lì intorno al fuoco e non faranno alcun tipo di resistenza – dice l’uomo indicando con la testa le altre figure ferme intorno al fuoco.
Quell’uomo sembra sull’orlo delle lacrime ma il suo tono è deciso e convinto.
  • D’accordo, finisca pure – gli dico cercando di sembrare allo stesso tempo gentile ma serio, e accompagnandolo di nuovo al cerchio, stando qualche passo indietro, attendo che finisca la sua veglia.
Passano circa sette minuti, dopo i quali Fratello Tommaso torna da noi e ci ringrazia dicendo di essere pronto alla sua pena, con un ultimo gesto toglie le tuniche dai costrutti, rivelando la loro forma.

Il Costrutto base si presenta come un corpo dalla forma umanoide senza alcun tipo di segno distintivo. Ogni carattere sessuale, primario e secondario, così come ogni altro dettaglio viene completamente annichilito in fase di trattamento. Viene poi montata una piccola stufa e l’impianto per la circolazione assistita. Infine, vengono attivati e programmati per compiere la loro funzione. Sono di fatto manichini-operai, la più grande forza lavoro ora esistente.
Di solito la pena per il furto di beni preziosi come i costrutti varrebbe mesi di lavori forzati ma contando che lui si è costituito, i costrutti sono integri e soprattutto sono già qui, sappiamo che sarà ridotta a non più di un paio di giorni. Con uno come Virgilio nella compagnia non c’è nemmeno da discutere sul lasciarlo libero e quindi una volta controllati i costrutti torniamo verso la centrale, non prima però di aver dato un’occhiata a cosa stesse bruciando nel fuoco.
Mi avvicino e tra il rosso e il giallo delle fiamme noto qualche abito ed un vecchio ritratto raffigurante quella che sembra una ragazza, una ragazza decisamente bella.
Strano, penso, e raggiunti gli altri li seguo fino alla centrale per redigere il rapporto di fine missione, sono quasi dispiaciuto che sia finita così rapidamente, non sarebbe stato male arrivare alla Grande Discarica, magari avrei trovato qualcosa di nuovo, tipo quella piccola sfera che mi portavo sempre dietro e che, quando agitata, faceva comparire delle strane risposte.

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Capitolo 3
*** Cap 3 - Cascata, premonizioni ed una Margherita ***


Cap 3 – Cascata, premonizioni e una Margherita
 
  • Rapporto soddisfacente signor Virgilio Rosso.
  • Rossi signore…
  • Come prego?
  • Niente signore!
  • Bene. Visti i nuovi sviluppi ho deciso di assegnare a voi il compito di investigare sulla scomparsa di queste persone, personalmente trovo ridicola la loro ideologia ma sono esseri viventi e quindi di importanza inestimabile per la città. Il criminale ha detto che il loro accampamento è situato nei pressi di Ponte Vespucci, prendete delle razioni e dirigetevi lì. In libertà.
A quelle parole giriamo sui tacchi e usciamo dall’ufficio dirigendoci alla mensa.
  • Facciamo che ci troviamo alle mura tra una ventina di minuti? – chiedo
  • D’accordo.
  • Ricevuto.
  • Mmh.
Ottenuto un cenno d’assenso dai miei compagni esco dalla centrale e mi dirigo a passo svelto verso il chiosco di Lorenzo, quando ne ho l’occasione cerco sempre di passare a fargli un saluto e prendere uno dei suoi panini. Sono troppo buoni.
  • Lorenzo!
  • Ale! Come stai? Nuova missione?
  • Non sono ancora morto dai, tu? Sì, sono passato per un saluto, chissà se e quando ritornerò!
  • Ma smettila, dev’essere emozionante uscire dalle mura… ma so il vero motivo per cui sei venuto, a volte credo che se anche tu dovessi diventare uno di quei costrutti, verresti comunque qui a mangiare! Tieni, questa coppa è la più buona che puoi aver mai assaggiato, l’ho fatta io, con queste mani! Offre la casa, come augurio per la buona riuscita della missione!
  • E coppa sia, al mio ritorno ti porterò qualcosa di speciale anche io, amico.
  • Apprezzo il pensiero Ale ma ho il retrobottega pieno delle meraviglie che mi porti dalla discarica! – mi risponde iniziando a ridere.
  • La Grade Discarica, Grande! – mi sembra abbia calcato un po’ il tono quando ha pronunciato “meraviglie” ma, per quanto possa essere una brava persona, capisco che non tutti possano avere la mia stessa passione, prendo il panino e corro in direzione delle mura avvolgendolo nella pellicola, anche stavolta posso evitarmi di mangiare quello schifo di barrette fornite dalla centrale.
Raggiungo le mura e riunitomi ai miei compagni attraversiamo l’arco della porta, il viaggio ci porta via tutta la mattinata, è ormai mezzogiorno quando raggiungiamo il posto. Non abbiamo il tempo di mettere piede dentro il villaggio che veniamo raggiunti da un uomo.
  • Vi aspettavamo.
Strano, penso, ci guardiamo un attimo spaesati ma decidiamo di seguirlo visto che questo individuo subito si volta dirigendosi verso l’ansa di un fiume.
D’improvviso qualcosa si fa strada dentro di me, un insieme di sentimenti prendono vita alternandosi velocemente, pace, angoscia, tristezza, malinconia, gioia. Getto uno sguardo ai miei compagni, le loro espressioni sono più esplicative di qualsiasi risposta potrebbero darmi a voce. Volgiamo quasi contemporaneamente lo sguardo verso il posto in cui la misteriosa guida si è fermata.

Due figure, un uomo e una donna, sono seduti a terra, le gambe incrociate, nel mezzo di quella che sembra una trance, sulla sponda del fiume. La guida ci fa cenno di avvicinarci e quando siamo a pochi passi da lui l’uomo seduto apre la bocca.
  • Essi sono la non vita. Essi violentano l’armonia. Essi fischiano e ragliano e ruttano sulle note del Canto del mondo. Troppi fiori hanno reciso, troppe spighe hanno mietuto. Se la loro clessidra non sarà abbattuta, faranno attorno solo nuda terra.
E come se fossero una mente unica, quando l’ultima parola termina, la donna prosegue quella specie di litania.
  • Tremo per i nostri fratelli più giovani, piango per i nostri figli. Ma anche il cuore che non sente il Canto può tendere la mano. E abbatterà la clessidra. E riporterà a casa quel che può tornare.
Restiamo un attimo scossi da quanto abbiamo appena sentito, difficile interpretare quelle parole.
  • Siamo qui perché Tommaso, Fratello Vento, uno dei vostri compagni, ci ha detto che alcuni dei vostri fratelli sono scomparsi – dice Virgilio rivolto alla guida.
  • Quello che dici è esatto – gli risponde – cinque di noi sono partiti alla ricerca di una persona molto importante per noi. Si chiamava Margherita, con noi è cresciuta finché, un giorno, ha conosciuto un uomo della città, da cui anche voi provenite. Una persona calma e gentile, sembrava quest’uomo, non ha mai parlato molto. Margherita, possa la Cascata proteggerla, era davvero innamorata di quest’uomo, anche se sembrava essere leggermente diversa, quasi più allegra e spensierata da quando l’aveva incontrato. L’occupazione di quest’uomo, in città, era stata quella di Costruttore. Fu per noi grande sorpresa quando venne, qualche tempo dopo, a dirci di essere rimasta incinta di lui, un bambino è sempre un miracolo ai nostri giorni. Ma dopo quella notizia ci salutò e d’allora non la vedemmo più, sono passati tre anni ormai. Ci giunse poi la notizia che la creatura era nata ed era sana. Sei giorni fa ci è stato fatto dono di una profezia, ci ha informati del luogo in cui Margherita dovrebbe risiedere e quindi i nostri fratelli, tre uomini e due donne, sono partiti per scoprire come stesse. Abbiamo poi ricevuto una nuova profezia che ci informava del pericolo che stavano correndo.
Mentre la guida ci racconta queste cose Manfredo sembra molto scocciato, quasi furioso, davanti alla fiducia che questa gente ripone nei suoi saggi. Quando la guida afferma di aver ricevuto una seconda profezia vedo che sta per intervenire e mettendogli una mano sulla spalla gli faccio cenno di tacere.
  • Calma soldato, ascoltiamo il discorso fino alla fine – gli sussurro.
  • Come si chiamavano i vostri fratelli? E qual è il posto dove, secondo la premonizione, dovrebbe vivere Margherita, come possiamo riconoscerla? – domandiamo
  • I nomi dei nostri fratelli sono: Lampone, Mirna, Dario, Abdel e Yenjun. Per quanto riguarda l’ubicazione di Margherita abbiamo soltanto un nome “Fattoria Filo-Bau”.
Dopo aver detto ciò inizia a descrivere Margherita, qualcosa nelle sue parole si fa strada nel mio cervello, io ho già visto la ragazza descritta, ma dove, dove? Poi un flash mi riporta a quella mattina, nel fuoco. La ragazza raffigurata nel disegno che stava bruciando era lei!
Sembrava così felice...
mi ritrovo a sperare che non le sia successo nulla e, una volta che la guida finisce di parlare e ci ha indicato la direzione verso cui dovrebbe trovarsi la fattoria il mio stomaco emette un lungo brontolio.
  • Mi scusi, non è che potremmo unirci a voi per il pranzo? Le prometto che non daremo fastidio e limiteremo le domande al minimo, per noi creare ulteriori disagi.
La guida resta un attimo disorientata ma poi, recuperata la sua espressione tranquilla, ci dice che non ci sono problemi, a patto di partire una volta finito. Stiamo per incamminarci verso il centro del villaggio quando Manfredo non riesce più a trattenersi.
  • Io con questi qui non ci mangio, avete sentito ciò che vanno raccontando? Profezie? Il Canto del mondo? Questi sono… aaaaarh – e dopo aver sbuffato di nuovo prende il suo zaino e si allontana verso il confine del villaggio.
  • Ci perdoni, è una personalità un po’ rigida, sa, l’esercito.
  • Mmh mmh, nessun problema, ognuno capirà quando sarà pronto a farlo.
Seguiamo Fratello Nocciolo, così ci dice di chiamarsi, verso il centro del villaggio e approfittiamo della sua ospitalità per il pranzo. Una volta arrivati, il clima che respiro è davvero familiare e gioioso. Una grossa tavolata è apparecchiata al centro della piazza, piena di cibi semplici ma dall’aspetto invitante.

Ci sediamo un po’ sparsi e tra un boccone e l’altro proviamo a fare qualche altra domanda su Margherita, ma le poche informazioni che riceviamo sono apprezzamenti sul suo carattere e fisicità, era davvero ben voluta e molto corteggiata all’interno della comunità. Scopriamo infine che Margherita non aveva legami familiari con la comunità, era giunta da orfana e adottata da tutta la comunità come a volte succedeva con chi rimaneva senza famiglia.

Evitando di insistere oltre il dovuto finiamo di mangiare con moderata velocità dopodiché, salutato Fratello Nocciolo, ci dirigiamo verso dove era andato Manfredo a riposarsi.

Troviamo il nostro compagno ad un centinaio di metri di distanza dalla piazza, l’armatura poggiata ordinatamente sull’erba accanto a lui, ma sembra stare tutt’altro che bene. L’espressione è contratta in una smorfia di dolore, due rivoli di saliva gli colano dagli angoli della bocca, sul suo petto e sulle razioni militari che, presumo, stesse mangiando. Vedo della poltiglia giallastra in mezzo alle sue gambe, probabilmente vomito.

Il Tecnofante è rigido e si vede che si sta sforzando di non urlare mentre con una mano si cinge il fianco sinistro, stringendolo. In quel punto c’è una grossa cicatrice da bruciatura. Durante una missione, ci ha raccontato, la sua caldaia ha subito un guasto improvviso perdendo la parte isolante ed entrando in contatto con la carne. Era una missione molto importante quella di cui faceva parte e quindi era deciso a portarla avanti fino alla fine. La missione fu un successo su tutta la linea, garantendogli la promozione e la possibilità di entrare nella divisione extramuraria, ma gli costò quella ferita che ogni tanto tornava a chiedere il suo pagamento.

Laila corre verso di lui e gli somministra una dose di antidolorifici per cercare di rendergli più semplice riprendere il controllo del proprio corpo, nel mentre lo fa stendere sull’altro fianco e, tirato fuori un piccolo flaconcino, ne fa uscire una sostanza verde acqua
  • Spalmati questa sul fianco, lentamente, finché non si sarà completamente assorbita. Dopodiché potremo ripartire.
  • Mmh… g-grazie…
  • Hmm.
Attendiamo una decina di minuti dopo i quali Manfredo riesce a rimettersi in piedi senza troppe difficoltà e, una volta indossata nuovamente l’armatura, iniziamo a percorrere il sentiero che dovrebbe portarci verso la zona delle fattorie, dove, in teoria, sorge anche la fantomatica fattoria “Filo-Bau”.

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Capitolo 4
*** Cap 4 - "Filo-Bau" ***


Cap 4 – “Filo-Bau”
Giungiamo nella zona delle fattorie che ormai è sera inoltrata, i pochi costrutti che ancora sono in giro li vediamo tutti muoversi, silenziosi come fantasmi, verso le rimesse delle rispettive fattorie.

Seguendo uno di questi ci incamminiamo verso la costruzione più vicina a noi ed una volta davanti alla porta faccio un passo avanti per bussare.

*Knock knock*.

Sentiamo alcuni passi provenire dall’interno, dopodiché la porta si apre leggermente
- Che volete a quest’ora?
- Buonasera signora, siamo della Compagnia STAGNO, divisione extramuraria, avremmo delle domande da farle riguardo la fattoria Filo-Bau.
Prima ancora che io abbia pronunciato l’ultima sillaba la faccia della padrona di casa si irrigidisce, gli occhi si fanno piccoli piccoli e sbattutaci la porta in faccia, dall’interno della casa sbotta verso di noi.

- Non voglio avere nulla a che fare con quel posto! Andate a parlare con la nostra rappresentante, grande costruzione, tetto rosso. E ora sparite!

Ottimo inizio!

Mentre impediamo a Manfredo di abbattere la porta col fucile, ci incamminiamo verso la costruzione che ci è stata indicata, è ad un paio di campi di distanza e dopo una mezz’oretta giungiamo davanti alla porta.

Questa volta faccio spazio a Virgilio, sicuramente è più preparato di me nel comunicare con la gente per ottenere informazioni e il sapere a memoria la legge è sicuramente un aiuto in più quando vuoi far leva sul senso civico dei cittadini, o inviare minacce più o meno velate.

- Salve? Chi siete? Come mai bussate alla mia porta a quest’ora della sera? Non sapete che tra meno di sette ore dovrò già essere in piedi per occuparmi della fattoria? Certo che no, voi gente di città certe cose non potrete mai capirle.
- Salve, sono Virgilio, della Compagnia extramuraria STAGNO – inizia lui mantenendo un dono cortese ma deciso – siamo qui in veste ufficiale per porvi alcune domande riguardo il caso che stiamo seguendo. Le ruberemo giusto un paio di minuti, se sarà collaborativa.
- Ve ne concedo uno.
- Molto bene, cosa può dirci riguardo chi occupa la fattoria “Filo-Bau”? Qual è la sua posizione rispetto a casa vostra?
- Addio.

La padrona di casa fa per chiudere la porta di casa ma questa si blocca all’improvviso, abbasso lo sguardo, il piede di Virgilio, posto tra lo stipite e la porta ne ha bloccato il movimento. Sfoderando il suo sorriso da avvocato, Virgilio, abbassa lo sguardo verso il suo piede.

- Lo sa signora come si chiama questo suo comportamento? Probabilmente no, questo comportamento si chiama intralcio a pubblico ufficiale, è un reato e la pena consiste in innumerevoli potenziali giorni di lavori forzati, è sicura di…
Le parole gli si spengono quando la parte finale di una balestra appare dalla porta, ora spalancata, e gli si posa sul petto
- Credi davvero di spaventarmi e costringermi a parlare minacciandomi con l’ipotesi dei lavori forzati? Io li vivo ogni giorno, io tutte le mattine mi alzo all’alba per mettermi al lavoro, preparare i costrutti, badare agli animali, rifornire nuovamente i costrutti, mietere il grano e il resto di ciò che coltivo. Non avete nulla con cui minacciarmi. Non avete potere qui. Ed ora sparite, certo non posso uccidervi, sarebbe orribile. – e detto questo sposta la punta della balestra puntando al femore di Virgilio – Ma come sarebbe passare tutti i prossimi anni con una protesi? Andate via. Ora.

Dopo queste parole fa per richiudere la porta e messa una mano sulla spalla di Virgilio scuoto la testa, lui ritrae il piede e ci troviamo nuovamente da soli in quella che ormai è diventata notte.

Siamo tutti abbastanza abbattuti dalla situazione, l’unica soluzione sembra quella di bussare ad ogni singola porta per capire quale sia quella giusta ma inizia a fare davvero buio ed è troppo tardi per tornare alla città. Stiamo decidendo il da farsi quando, da dietro la casa a cui abbiamo appena bussato, appare un ragazzo con l’espressione di chi la sa lunga.

- Non ho potuto fare a meno di origliare la vostra conversazione, diciamo che non ci ho nemmeno provato, sembra che abbiate qualche difficoltà a rapportarvi con i vecchi fossili che abitano queste fattorie. Seguitemi, vi porto alla rimessa dove vivo, magari posso esservi io di qualche aiuto.
Detto questo ci fa un occhiolino e inizia a camminare verso la direzione opposta rispetto a dove eravamo arrivati noi, una volta di spalle noto che porta uno zaino dal quale mi sembra di intravedere qualche cavo ed altri oggetti dalle forme familiari.
- Abbiamo qualcosa da perdere? – domando agli altri.
- Non mi interessa, qualsiasi cosa è meglio che stare fermi qui – risponde Laila e inizia ad incamminarsi seguendo l’uomo misterioso.

Manfredo alza le spalle e partiamo anche noi subito dietro a Laila.

La fattoria dove veniamo portati dista un campo di grano, arrivati lì ci fa cenno di seguirlo dentro la rimessa.

- Io vivo qui, sono una sorta di meccanico alla pari, riparo motori, sistemo e potenzio i costrutti e in cambio i proprietari mi permettono di vivere qui nella rimessa, ho tre pasti al giorno e qualche soldo extra per particolari commissioni – inizia a raccontarci mentre con un gesto si toglie l’elastico dai lunghi capelli ramati, sciogliendo la coda che glieli teneva legati dietro – inoltre, come potete notare dalle meraviglie che ci sono qui intorno…
- SEI UN TECNOSOFO! – esclamo senza riuscire a trattenermi.
- Esatto! E dal tuo entusiasmo direi che sei uno di noi anche tu! Piacere, Pistone! – e mi allunga la mano.
- Alessandro della Rocca, ma puoi chiamarmi Ale – gli rispondo stringendogli vigorosamente la mano.
- Oddio ora sono due – sento bisbigliare Laila mentre, avvistata una vecchia poltrona a sacco, ci si avvicina per poi sedervisi, sprofondando ed emettendo un mugolio di gioia.

Pistone dice che possiamo fermarci per la notte così, mentre ci sistemiamo e mangiamo, finalmente riesco a gustarmi il panino comprato la mattina, parliamo un po’ con lui.

Le nostre domande si concentrano sulla richiesta di informazioni riguardo la famigerata fattoria, chi ci vive dentro e come mai i fattori siano così restii a voler parlarne con noi.

- Filo-Bau, innanzitutto, è un soprannome, i proprietari di cognome fanno Filemone e Bauci e sono una vecchia coppia – inizia a dirci lui – La loro fattoria è l’ultima di questa strada, tra noi e loro ce ne dovrebbero essere altre 3. In realtà i vecchi di questo posto non hanno nulla contro i due proprietari, è da quando è arrivata la nuova coppia che le cose sono un po’ cambiate. Si sono da subito dimostrati presuntuosi e mal disposti verso chi già viveva qui e questo ha inasprito i rapporti. Ne saprete sicuramente di più se andrete là domani, magari scoprirete anche come fanno i due vecchi a sopportare i nuovi inquilini. Oh, giusto! I due nuovi avevano anche un bambino con loro, nessuno sa che sia un maschietto o una femminuccia, resta il fatto che sia davvero un miracolo. Chissà se risolveremo mai questo problema delle nascite.
- Ascolta, Pistone, altri dovrebbero aver chiesto già informazioni sulla Filo-Bau, ne sai nulla?
- Certo! Virgilio, giusto? Qualche giorno fa sono passati cinque individui, non saprei dirti il sesso, sembravano seguaci della Cascata, almeno a vedere le tuniche con le quali erano ammantati.
- Grazie, ora, gente, io andrei a dormire, notte! – dice Virgilio.
- Mmh, direi che anche io lo seguo. Guai a chi mi sveglia presto domani, potrei inavvertitamente somministrargli un paralizzante la prossima volta.
- Anche per me è il momento di recuperare le energie. Se fate qualcosa di strano alla mia armatura lo scoprirò e farò in modo che vi passi la voglia di aggeggiare con quelle diavolerie, buonanotte. E grazie ancora, Pistone, per l’ospitalità.

E mentre gli altri iniziano ad addormentarsi, chi più rumorosamente di altri (mai dormire nella stessa stanza di Virgilio senza tappi per le orecchie) io e Pistone rimaniamo alzati fino a tardi a parlare di progetti, di elettronica, di vecchie tecnologie e delle scoperte che avevamo fatto durante la nostra vita.

I discorsi sono vari ed interessanti, passando da oggetti riparati ad oggetti potenziati. Finché i questi diventano sempre più disordinati e ci addormentiamo, lui con la testa sul banco da lavoro e io sulla tavola con ruote che usa per muoversi sotto i mezzi agricoli per le riparazioni.

La mattina successiva vani sono i nostri sforzi di dormire fino ad un orario che fosse più tardi delle sette. Tra il sole che filtra dalle assi di legno, il rumore degli animali che si mettono al lavoro e la vita (e non vita dei costrutti) che invade i campi, finisce che per le sei e mezza circa, sei e quarantadue secondo l’orologio digitale che ha recuperato Pistone, siamo tutti in piedi e pronti a partire.

Riusciamo persino ad evitare di essere sterminati da Laila, grazie ad un intervento rapido di Pistone che, accende il suo personale generatore il quale, a differenza del mio sembrava ottenere la carica dall’energia eolica, prodotta da un’elica, posta sul tetto della rimessa. Ovviamente ci avevo pensato anche io, ma la zona che avevo scelto per abitare, e in generale la Cittadella di Firenze, non era un luogo molto ventoso. Dopo aver acceso il generatore ci collega una macchinetta del caffè preparando una bella tazza a tutti quanti, due per la nostra signora.

- Ehi Ale, mi farebbe piacere se, una volta ottenuta qualche informazione dai vecchi tornaste qui a condividerla, magari trovo il modo di allargare la mia cerchia di commissioni e con qualche soldo extra posso andarmene da questo mortorio.
- Non preoccuparti, torneremo. E per dimostrartelo, tieni questa – E gli porgo la mia “Sfera delle Risposte” – Non ho ancora ben capito quale sia la sua reale funzione, però ogni tanto emergono delle risposte se la agiti.
- Oh, interessante, magari riesco a scoprire se c’è qualche collegamento tra le risposte. Buona fortuna ragazzi!

E salutandolo iniziamo a percorrere la strada che porta alla fattoria, di tanto in tanto incrociamo gli sguardi degli altri fattori che, ai nostri sorrisi e saluti, rispondono con smorfie e parole che non comprendo ma che dubito siano auguri di buona giornata.
Dopo un’oretta circa di cammino raggiungiamo il confine della proprietà, la porta è chiusa, le finestre hanno le persiane accostate. Strano, penso, il resto sembra in ordine tranne per il fatto che nessuno è al lavoro sui campi.

Facciamo ancora qualche passo ma, una volta superata la linea di confine che ci fa entrare nella proprietà, le porte della rimessa si spalancano e quattro costrutti-animali, che riesco a riconoscere in tre buoi e un asino, escono al galoppo e, a testa bassa, puntano dritti verso di noi.

- Oh, merde – pronuncio a mezza voce, qualche istante prima dell’impatto. Perfetto, ora anche il francese.


 

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Capitolo 5
*** Cap 5 - Well yes but actually no. ***


Cap 5 – Well yes, but actually no.
 
Chi saltando di lato, chi schivando rimanendo sul posto, riusciamo tutti e quattro ad evitare di essere colpiti dai costrutti animaleschi che, senza una ragione apparente, ci hanno caricato appena abbiamo messo piede nella proprietà.

Nel momento in cui mi sono spostato ho potuto notare che sul dorso di questi animali, così come anche sulle loro giunture, non è presente la classica tecnologia dei costrutti, è più massiccia, un po’ più grezza ma decisamente affascinante. Lancio uno sguardo a Laila che, avendo probabilmente avuto la mia stessa intuizione, magari per cercare di disattivarli dall’interfaccia, a voce alta dà vita ai miei pensieri.
  • Questi costrutti sono stati ibridati con tecnologia tecnosofa! Non c’è modo di spegnerli. Abbatteteli.
  • Sissignora! – le fa eco Manfredo, e imbracciato il fucile inizia a sparare colpi contro quegli strani costrutti, seguito a ruota da Virgilio che carica la balestra facendo calare i suoi quadrelli come pioggia.
Laila, che nel frattempo ha estratto il suo lungo coltello, cerca di schivare al meglio delle sue capacità gli attacchi incalzanti del bovino meccanico, mentre procede a recidere i vari cavi che dovrebbero alimentarlo.

In mezzo alla confusione mi viene un’idea, e se fossero delle guardie che si disattivano nel momento in cui viene aperta la porta d’ingresso?

Vedo l’asino caricarmi di testa e, girando su me stesso all’ultimo istante, gli passo di fianco schivando la sua testata. Gli sono alle spalle, davanti a me, a circa 200m, l’ingresso della casa.

Posso farcela.

Inizio a correre senza voltarmi indietro, 100 metri… 50… poi un dolore tremendo in mezzo alle scapole. La bestia mi ha raggiunto.

Mentre vengo lanciato svariati metri in avanti, cadendo praticamente davanti all’ingresso, riesco solo a vedere i quarti posteriori dell’animale che si riabbassano. Lo stronzo mi ha tirato un calcio!

La caduta è più pesante di quanto mi aspettassi, la vista si annebbia ma riesco a trascinarmi fino alla porta, busso con una mano e, mentre l’asino scuote sul terreno uno zoccolo, pronto a caricarmi di nuovo, la porta si apre e una figura dalla forma umana appare sopra di me.
  • Margherita, sei tu? – riesco a biascicare, dopodiché appoggio la testa sull’uscio e inizio a respirare lentamente cercando di riprendermi un attimo.
Quando rialzo la testa due cose si chiariscono nella mia testa.


Quel coso non è Margherita.

Sono finito dalla padella alla brace.

La figura che pensavo fosse Margherita, ora che ho la vista decisamente più lucida, è in realtà un costrutto umanoide, decisamente imponente. Svariate luci costeggiano il suo corpo, noto inoltre che anche questo è stato modificato, come lo sono stati gli animali, ibridandolo con tecnologia tecnosofa.

Prima che io possa reagire alza uno dei suoi piedi e lo poggia, decisamente poco delicatamente, sul mio petto, iniziando a premere con forza. È solo grazie all’armatura che indosso, che il costrutto non riesce a rompermi le costole. Mentre io mi trovo intrappolato in quella posizione vedo comparire dalla sua schiena diversi piccoli razzi che iniziano a dirigersi verso i miei amici, purtroppo sono fuori dal mio campo visivo, non mi resta che sperare per il meglio.

Il costrutto alza il piede per sferrare un nuovo colpo contro di me, ma ormai sono abbastanza lucido da riuscire ad analizzare meglio la situazione, rotolando di lato esco dalla traiettoria del nemico, mi alzo e mi metto in posizione di difesa cercando di mettere in pratica l’addestramento che abbiamo fatto durante la preparazione, prima di diventare ufficialmente parte della compagnia extramuraria. A mani nude non ho speranze contro questo mostro, posso però tenerlo impegnato mentre aspetto che i miei compagni mi raggiungano.

Schiva.

Abbassati.

Para.

Ricomincia.

Buttando uno sguardo verso la presunta posizione dei miei colleghi mi sfugge un sospiro di sollievo, davanti a loro è rimasto soltanto l’asino che cerca inutilmente di scappare mentre Manfredo, grazie al suo arpione, lo sta tirando lentamente a sé, consentendo a Laila e Virgilio di neutralizzarlo.

Questo attimo di distrazione mi costa però molto caro, il mio avversario, con una serie di movimenti decisamente atipici per quella che dovrebbe essere la sua programmazione base da costrutto, con una ginocchiata mi colpisce alla bocca dello stomaco e quando, di riflesso, il mio corpo si piega in avanti, con una mano mi afferra il braccio destro mentre con l’altra mi sferra un pugno in mezzo alla schiena. L’aria abbandona i miei polmoni ad una velocità sorprendente, mentre il braccio destro, rimasto bloccato nella ferrea presa del costrutto non segue il mio movimento causando la dislocazione della spalla. Quest’ultima serie di colpi mi ha distrutto fisicamente ed emotivamente. Non credo di essere in grado di resistere oltre. Il costrutto sembra arrivare alla stessa conclusione, lascia andare il mio braccio che cade, penzolante, lungo il mio corpo mentre con l’altro mi cingo lo stomaco cercando di alleviare il dolore e riprendere fiato. Altri razzetti vengono lanciati dalla schiena della creatura mentre questa muove un passo verso i miei compagni.

Di nuovo con la vista annebbiata dirigo il mio sguardo verso di loro, una gran polvere sembra essersi sollevata ma da quella nuvola marrone tre figure emergono correndo, stanno correndo verso di me, una fiammata parte dalla figura di sinistra e qualcosa sembra raggiungere la cosa davanti a me, che barcolla leggermente, poi il sibilo di un quadrello e il suono di una lama che si conficca in qualcosa di legnoso. Il costrutto, nonostante i colpi, muove un altro passo nella loro direzione, le luci dietro la schiena riprendono a brillare, sta per sparare di nuovo, questo il pensiero nella mia testa. Ancora stordito dalla scarica di colpi precedente barcollo in avanti e con il braccio sinistro afferro dei cavi a caso che emergono dalle sue spalle tirandoli verso di me, qualcuno cede, altri no ma ho di nuovo l’attenzione del nemico che si volta, probabilmente per finire il compito che considerava già concluso. Un piccolo sorriso affiora sulle mie labbra mentre il dolore invade prepotentemente i miei pensieri facendo diventare tutto buio intorno a me, le ultime parole che sento sono:
  • Ehi stronzo, vediamo se, a differenza dei tuoi amici, tu sei a prova di proiettile! –
Uno sparo, poi il nulla.
Vengo svegliato da un odore nauseante, aperti gli occhi tre volti mi guardano, man mano il mondo torna a fuoco, sono i miei compagni, mi guardo intorno allarmato, il costrutto dista qualche passo da noi, a terra, del fumo gli esce dalle incrinature della pelle conciata.
  • Ci hai fatti preoccupare, idiota, che cazzo ti viene in mente di prendere e correre nel mezzo di uno scontro? – inizia ad urlarmi contro Laila.
  • Voevo trare caa – cerco di rispondere, evidentemente non sono così lucido come credevo.
  • Qualcuno ha capito cos’ha detto? – chiede Virgilio
  • Volevo entrare nella casa – riesco finalmente a dire, anche se le parole escono ancora un po’ a fatica. – Pensavo che, se fossimo riusciti ad aprire la porta quelle bestie si sarebbero fermate, o quantomeno qualcuno ci avrebbe aiutati, invece c’era solo sto Terminator qui, dietro la porta.
  • Un cosa? – chiede Manfredo.
  • Lascia stare, sarà qualche cavolata dei film che guarda – gli risponde velocemente Laila, dopodiché abbassa lo sguardo verso la mia spalla. – Credo che te l’abbia slogata, posso sistemarla se vuoi, ci metto un attimo.
  • Farà male? – chiedo leggermente preoccupato, non si sa mai come un costruttore potrebbe “sistemarti”.
  • Nient’affatto! – detto ciò mi fa alzare in piedi e mi prende la mano destra tra le sue sorridendomi – Ora contiamo insieme fino a tre e poi tutto sarà a posto, pronto?
  • Mmh… - continuo ad essere molto dubbioso.
  • Uno… due… - con un movimento assurdamente veloce mi muove il braccio, il mio cervello riceve una serie di segnali repentini che quasi mi fanno svenire di nuovo, un dolore lancinante, poi calore e infine sollievo, accompagnato da svariati brividi. – Tre! Visto? Tutto in ordine. E se provi di nuovo a metterti in pericolo senza avvisarmi, beh, sarò molto meno gentile.
Detto questo si siede per terra con la schiena appoggiata alla parete esterna della casa. Siamo tutti piuttosto scossi dall’accaduto, poteva finire davvero male, qualcuno sarebbe potuto… non voglio neanche pensarci, certi argomenti non dovrebbero essere trattati nemmeno nei racconti.
  • Beh, mi sembra chiaro, a questo punto, che la casa sia vuota, dovremmo dare un’occhiata, appena ci saremmo ripresi -
Ricevo cenni d’assenso, ed ognuno si siede sul selciato davanti alla casa per riprendere il fiato.
Dopo una mezz’ora circa decidiamo di esplorare la casa e le altre due strutture che possiede, io e Manfredo ci dirigiamo verso quella che presumiamo essere la stalla, il luogo da dove sono usciti gli animali, mentre Laila esplora il piano terra e Virgilio quello superiore.

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Capitolo 6
*** Cap 6 - G. G. F. ***


CAP 6 – G. G. F.

Manfredo è uno di quegli uomini di poche parole e molti fatti, anche se non sempre ben ponderati. Mentre ci dirigiamo verso la stalla uno strano odore inizia a riempire l’aria, pochi passi dopo scopriamo la sua origine.

Arrivati vicini alle porte della stalla Manfredo mi mette una mano sul petto e si mette un dito sulle labbra per suggerirmi di non fare rumore, uno scontro è ciò che meno voglio in questo momento e mi fermo rimanendo in ascolto. Lui si sporge leggermente dal portone di legno e dopo qualche secondo mi fa cenno di seguirlo mentre entra nella struttura. La puzza, che ormai ho capito essere quella di materia in decomposizione, proviene da tre animali, probabilmente cavalli, che si trovano a terra.
  • Devono essere morti di fame, quanto tempo sarà passato? – mi domanda Manfredo controllando velocemente gli animali.
  • Oh non chiederlo a me soldato, non sono io il dottore del gruppo, ma di sicuro almeno quattro giorni – gli rispondo guardandomi intorno.
La stanza, fatta eccezione per i cavalli, ormai inutilizzabili, non presenta qualcosa che possa rivelarsi utile nella nostra indagine. Decidiamo quindi di percorrere a ritroso la strada e tornare alla casa, magari gli altri hanno avuto più fortuna.
  • … davvero curioso, chi diavolo può aver creato un coso del genere?
Queste sono le parole che sentiamo provenire da Laila mentre la vediamo esaminare il costrutto umanoide che ci aveva attaccato.
  • Qualcosa non torna, Doc? – le chiedo avvicinandomi, ma prima ancora che lei possa rispondere alla mia domanda qualcosa attira la mia curiosità.
  • Tu che dici, ti sembra di vedere qualcosa che non dovrebbe esserci su un costrutto normale?
  • Di cosa accidenti state parlando voi due? Siate più chiari! – interviene Manfredo, iniziando a perdere la pazienza.
  • Soldatino, guarda in mezzo alle sue gambe – gli risponde Laila, dopodiché la vedo imboccare le scale e salire al piano superiore della casa dove, presumo, Virgilio stia ancora cercando in giro.
  • Oh… ma quello non dovrebbe stare lì, giusto? O fa parte della vostra tecnologia, signor tecnosofo.
  • No soldato, noi di solito non lasciamo il pene attaccato, non è di alcuna utilità, ma guarda anche il volto, sono chiaramente distinguibili i lineamenti, la forma della bocca, le rughe intorno a dove erano posti gli occhi. Questo costrutto è diverso, è decisamente superiore rispetto a quelli prodotti in serie, e non mi riferisco all’ibridazione con la mia tecnologia o alle armi, ma proprio alla qualità del trattamento che ha subito la pelle e il resto del corpo. Chiunque sia stato doveva saperci fare.
Manfredo entra nella casa e si guarda intorno, io lo sto per seguire quando mi viene in mente un’idea.
Posizionato alle spalle del costrutto attivo la console e provo a controllare se ci sia qualche dato che possa risultare utile. Dopo un paio di minuti finisco di esplorare le stringhe di codice, di nuovo, mi dico, chiunque sia stato a metterci mano doveva essere davvero competente, sarebbe stato impossibile hackerare il costrutto, la cui programmazione era una lista di comandi atti ad ordinare la protezione della casa.

La cosa che mi lascia perplesso è, però, che la parola usata è “uccidi”, qualcuno aveva impostato questo costrutto e, come scoprii dopo avergli dato un’occhiata veloce, anche i costrutti animali, con l’intenzione di uccidere eventuali invasori. Questo era semplicemente assurdo, l’omicidio era un qualcosa di troppo grave per poter essere gestito in maniera così leggera, qualcosa non quadrava.

Lascio il costrutto davanti all’ingresso ed entro anche io dentro la casa
  • Forse è il caso che saliate, c’è qualcosa di interessante qui! – ci urla Virgilio dal piano di sopra.
Io e Manfredo saliamo le scale, il secondo piano presenta due camere da letto matrimoniali e una camera più piccola, un bagno con quello che sembra essere un fasciatoio e, infine, un piccolo studio. Entriamo nello studio dove sono gli altri due, al centro di questo una grossa e bella scrivania, noce direi dal colore, sulla destra della porta una piccola libreria colma di libri, e, a sinistra della scrivania, quello che dovrebbe essere un minibar, se le mie conoscenze non mi ingannano.
  • Cosa avete trovato qui sopra? – domando, rivolgendomi a Laila e Virgilio.
  • Io ho fatto un giro nelle varie stanze della casa, la più piccola sembra essere stata sistemata per ospitare un infante, probabilmente quello che è stato partorito da Margherita. In una delle stanze più grandi, non quella dei proprietari direi, sul muro dove poggia la testata del letto è stato disegnato un grande albero genealogico, con due ritratti, che corrispondono ai bozzetti di Margherita e suo marito, c’era anche un terzo ritratto, dalla posizione direi che si tratta di loro figlia, esatto, era una bambina a quanto pare, e il nome scritto sotto è Giada, ma è stato cancellato da quelli che sembravano dei segni di unghie, c’era del sangue rappreso in prossimità dei graffi. C’è un nome anche sotto il ritratto dell’uomo, Giovanni Giorgio Fausti. Infine, qui nel piccolo mobile refrigerato, ho trovato delle siringhe con dosi di medicinali utilizzati di solito per rendere confuse le menti di chi le assume, droghe diciamo, per rendere più manipolabili e assoggettabili gli individui, e le mie ipotesi coincidono con ciò che ha trovato Virgilio negli appunti sulla scrivania.
  • Esatto, io sono venuto subito qui, e ho iniziato a dare un’occhiata a tutti questi fogli che vedete su questa scrivania. Molti sono scarabocchi o frasi senza senso, tranne qui, sugli appunti di chimica, guardate – e detto questo ci mette il foglio in mano cosicché possiamo leggerlo insieme.
Le parole sembrano scritte con rabbia, si capisce che sono state vergate dalla stessa persona, ma non c’è traccia, in queste, di quella grazia che sembrava propria della calligrafia del marito ignoto:
“Tutta la conoscenza del mondo… quanto la brami finché non scopri che non è quello… Lei è la mia sposa, la mia regina, e lui il mio servo, eppure è la mia schiava e io lo schiavo del diavolo. Non c’è amore qui. Non c’è mai stato!”
  • Quest’uomo, Fausti, pensate che sia stato lui a costruire quel coso che ci ha attaccati?
  • Potrebbe essere, soldato, questa libreria è piena di libri che trattano davvero qualsiasi argomento, se ciò che dice la frase vista prima è vera, questa persona è davvero geniale.
  • c’è qualcosa anche sulla tua strana passione infatti tra gli appunti che ho trovato, Alessandro, poi, grazie al riflesso del sole, ho notato che alcune frasi erano state scritte con talmente tanta foga da rimanere incise nel legno del mobile, ve le leggo: Mefistofele è il demonio e l’inferno, è la colpa e la punizione, il desiderio esaudito e il sogno infranto. Il diavolo non regala. Gli ho chiesto tanto e presto vorrà il suo pagamento. Ah, se fosse l’anima fatta d’aria, di spirito, di niente! E avesse per lui qualche valore… Lasciarlo dovevo. Anzi, distruggere, spaccare tutto!
  • Occhio Ale, finirai anche tu così prima o poi.
  • Grazie Doc, davvero simpatica.
  • E per finire ho trovato questo disegno, vi dice qualcosa?
Non presto attenzione al foglio mostrato da Virgilio, sono troppo attratto da quella libreria, gli argomenti trattati sono i più disparati, enciclopedie sugli animali, manuali di fotografia, medicina umana, progettazione di computer, tecniche di mentalismo. Mentre sto scorrendo i titoli mi imbatto in qualcosa che mai avrei pensato di trovare lì.

Quasi sullo scaffale più in basso, tre oggetti rettangolari, grossi quanto la copertina di un libro e spessi un centimetro, ne avevo visti solo mezzi distrutti. Sul retro, due, presentano i chiari segni di usura, mentre sul terzo è possibile leggere ancora parte del marchio di fabbrica, una K, una lettera indecifrabile, potrebbe essere una U come una C o una O, e le ultime due lettere, una B e una O.
Prendo i tre oggetti e li infilo nello zaino.
  • … secondo me dovremmo andare a dare un’occhiata, vado a cercare Virgilio, tu Ale hai sentito qualcosa?
  • … eh? – credo che la mia faccia sia abbastanza espressiva perché mentre Laila alza gli occhi al cielo, mi fa il dito medio ed esce dalla stanza per recarsi al piano terra Manfredo mi guarda scuotendo la testa.
  • Virgilio ha trovato un disegno, raffigura una casa davanti ad un piccolo laghetto. Come sicuramente tu saprai poco a nord da dove siamo noi, c’è un laghetto che potrebbe corrispondere, ora, lui è andato a fare un giro della casa, dopodiché andremo dal tuo amichetto tecnosofo per fare scorta di carburante, visto che per salvarvi la pelle ho quasi esaurito l’autonomia dell’armatura, e infine ci recheremo là, tutto chiaro?
Annuisco.
  • Eccellente. Andiamo.
Mentre stiamo per uscire dalla stanza, dalla finestra aperta sentiamo quello che è chiaramente un conato di vomito con tanto di materiale che, come una cascata di schifo, finisce per terra.

Mi rifiuto di guardare fuori dalla finestra e seguo Manfredo giù dalle scale. Arriviamo al pian terreno ma, appena prima di attraversare la soglia della casa per vedere cosa sia successo fuori, ci appare davanti Laila, la sua faccia è sconvolta ma non è stata lei a dare di stomaco, sembra più che altro scossa da qualcosa che potrebbe aver visto.
  • Lo dico per voi, non andate sul fianco della casa, non è un bello spettacolo.
  • Sii più chiara, cosa stai dicendo?
  • Sto dicendo che ci sono tre cazzo di cadaveri, due uomini e una donna. Sono stati fatti a pezzi dal costrutto che abbiamo affrontato prima, probabilmente, ci sono anche delle tracce di sangue che si allontanano, sembrano andare nella stessa direzione che hai indicato tu per il laghetto. Inoltre, ci sono due fosse scavate, vuote, chissà chi e perché le ha scavate, una è più grande, l’altra circa la metà della prima, di sicuro non sono per i fratelli morti.
  • Ok, credo sia il caso di recuperare Virgilio, ci pensi tu Doc? e andare da Pistone.
  • Sì, datemi un minuto.
Tornati da Pistone faccio cenno agli altri di lasciarmi un minuto prima di entrare tutti.
  • Toc toc, Pistone ci sei? Sono Ale – lo chiamo da fuori la porta dell’officina.
Sento chiaramente il rumore di chiavi inglesi e cacciaviti che vengono posati velocemente sul bancone, dopodiché la faccia di Pistone appare dalla porta, sorridente e sporca di grasso per motori.
  • Posso entrare?
  • Certo certo!
Mi lascia entrare e a bruciapelo gli chiedo:
  • Senti ma non è che per caso tu abbia mai provato a ibridare la vecchia tecnologia con quella dei costrutti?
  • Uhm, no, io mi occupo solo di motori, perché? Cosa avete trovato? i due vecchi? La famiglia che cercavate? Allora?
Pistone sembra un fiume in piena ma io ero preparato a questa evenienza e aprendo lo zaino faccio comparire i tre oggetti elettronici trovati nella libreria. Gli occhi di Pistone si spalancano, la bocca, anch’essa spalancata, assume un’espressione di incredulità.
  • Dove li hai trovati? Sai cosa sono? Che domande, ovvio che lo sai, parla maledizione!
  • Facciamo così, io te ne regalo uno e tu ti fai bastare, come informazione riservata e che non dovrai rivelare a nessuno, che i due vecchi purtroppo sono passati a miglior vita e che della famiglia non c’è traccia.
  • Promesso!
  • Perfetto, ora vado a chiamare gli altri, tu intanto cerca qualcosa per caricare sti affari, voglio leggere quanti libri ci hanno scaricato dentro!
Vado alla porta e faccio entrare i miei compagni, Pistone nel frattempo ha acceso la macchinetta del caffè e, da sotto il bancone di lavoro ha tirato fuori un piccolo generatore elettrico a cui vedo che sono attaccati una quantità indefinita di cavi, terminanti con praticamente ogni formato USB, Jack e simili, i tre dispositivi sono già sotto carica.
  • Buon giorno gente, vi vedo un po’ provati, a chi va un caffè?
  • Per me doppio.
Ci prendiamo tutti un momento di respiro mentre beviamo il caffè e mangiamo qualcuna delle razioni a nostra disposizione.
  • Pistone, il nostro compagno Soldato avrebbe bisogno di un po’ di carburante, ti propongo uno scambio, un secondo artefatto di quelli di prima in cambio di un paio di cariche, che ne dici?
  • Direi che si può fare.
Pistone si avvicina a Manfredo e dopo una rapida occhiata sparisce per un po’ dalla nostra vista per poi tornare con un grosso sacco.
  • Ecco qua, serviti pure.
Nel frattempo, i dispositivi si sono caricati e io e Pistone ci fiondiamo su di essi, come avevamo entrambi capito si tratta di oggetti capaci di immagazzinare vari testi in formato digitale.

Com’era bella la tecnologia.

Scorrendo la lista di titoli noto che è la versione, svariate centinaia di volte più ampia, della libreria presente nello studio alla Filo-Bau. Gli argomenti trattati sono infiniti, poemi epici, pubblicazioni scientifiche, inserti di riviste, romanzi, c’è davvero di tutto.
  • Ah, hai presente la strana sfera che mi hai lasciato?
  • Si, ci hai capito qualcosa?
  • Assolutamente nulla.
  • Eh va beh, capita, è quella lì sul bancone?
  • Sì sì, prendila pure.
Recupero la mia piccola sfera, ormai siamo pronti a partire.

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Capitolo 7
*** Cap 7 - Follia, Conoscenza, Ricerca ***


Cap 7 – Follia, Conoscenza, Ricerca
 
Salutiamo Pistone e decidiamo di raggiungere la casa sul laghetto partendo da lì invece che tornare prima alla vecchia fattoria.

Dopo diversi minuti di cammino incrociamo le tracce di sangue che Laila aveva visto allontanarsi dai corpi dei Fratelli morti, siamo ormai in vista della casa dalla quale, con un po’ di sorpresa, notiamo salire un rivolo di fumo dal comignolo.

Quando finalmente abbiamo la casa davanti, la nostra sorpresa aumenta ulteriormente. La casa è una di quelle belle villette di campagna, un solo piano ed un piccolo porticato davanti all’ingresso.

Lì, vicino ad una pila di pietre, un nuovo costrutto.

Ci nota immediatamente e con un gesto fulmineo raccoglie una manciata di pietre da una piccola pila che sembrava aver formato in precedenza, lanciandole contro di noi, ma qualcosa non quadra. I colpi sono deboli e imprecisi.

Manfredo scatta in avanti e spara l’arpione fissato all’armatura, e con un colpo preciso raggiunge e penetra il costrutto dove un tempo si sarebbe trovata la bocca dello stomaco, iniziando a tirarlo verso di noi.

Il costrutto, lontano dalle pietre e trascinato sul selciato, inciampa, rovinando a terra. Vani sono i suoi tentativi di far presa sul terreno con le dita, mentre, ormai ai nostri piedi, iniziamo a colpirlo per renderlo innocuo. A differenza dello scontro precedente questo è assolutamente a senso unico, in pochi minuti abbiamo la meglio, senza che nessuno venga ferito.

Una volta ridotto il costrutto al silenzio ci mettiamo poco a capire che si tratta della signora Bauci, la vecchia signora e proprietaria della fattoria esplorata qualche ora prima, i segni di trattamento sono gli stessi che sono stati usati per conciare il marito. Possibile che sia stato Fausti a fare tutto questo? Come mai Margherita non si è ribellata, era complice? Erano per lei le droghe? Fausti la drogava per tenerla calma? Di chi erano le tombe trovate e perché il ritratto della bambina era stato cancellato grattando con le unghie il muro?

Mentre mi pongo nella mente queste domande, senza trovare una risposta chiara Laila ci fa notare che la caviglia del costrutto presenta una profonda lesione.
  • Questa ferita è sicuramente post trattamento, l’oggetto usato, un qualche tipo di lama, è penetrato nella pelle conciata e ha scalfito quello che presumo essere l’osso, per questo non è stato difficile eliminarlo, non si reggeva in piedi e aveva già subito danni, ma da chi?
  • Probabilmente dai Fratelli che sono riusciti a scappare, le tracce di sangue portano alla casa, andiamo a vedere – dice Virgilio e inizia ad incamminarsi verso la casa.
È presto seguito dagli altri due mentre io mi chino nuovamente sul corpo per vedere se la programmazione coincide, purtroppo sì, il comando, anche questa volta, è “Elimina chiunque si avvicini”.

Non ho parole.

I miei pensieri vengono scossi da un urlo, Manfredo!

Alzo subito la testa, pronto a combattere ma ciò che vedo mi lascia prima perplesso, poi triste.

Il soldato è come congelato con lo sguardo fisso in un punto.

Laila, davanti a lui, è piegata in due e si regge lo stomaco con entrambe le mani, è scossa dai conati di vomito che non riesce a trattenere, questo è il terzo cadavere, è troppo per chiunque, per quanto lei sia abituata ad averci a che fare è quasi sempre gente morta di vecchiaia, in modo pacifico, qui si parla di omicidio, il trauma è troppo pesante per essere affrontato lucidamente, questa volta nemmeno lei è riuscita a resistere. Questa indagine ci sta facendo a pezzi, fisicamente e psicologicamente.

Infine, bianco in viso, Virgilio cerca di guardare altrove, sbirciando verso la casa.

Un altro morto.

Mi avvicino lentamente, senza però guardare verso la siepe, dentro la quale è stato fatto scivolare il corpo senza vita.
  • Di chi si tratta? – chiedo a Laila.
  • È l’ultimo uomo dei fratelli partiti alla ricerca di Margherita. Ha una grossa ferita sul fianco, probabilmente è suo il sangue che abbiamo visto sulle tracce che si allontanavano dalla Filo-Bau, ma non è morto per quella, il costrutto trovato qui deve avergli spezzato l’osso del collo. Inoltre – continua – sul portico Virgilio ha trovato questa accetta, dev’essere stata l’arma usata per ferire il costrutto. Dubito sia stato lui ad infliggere un danno del genere, probabilmente è stata l’ultima sorella che manca all’appello.
  • Capisco.
Raccolgo l’accetta e me la aggancio alla cintura, arrivati a questo punto forse è meglio avere qualcosa di più offensivo delle sole mani.

Metto una mano sulla spalla di Virgilio e guardo attraverso i vetri delle finestre, di sicuro non vengono lavati da qualche giorno. Dentro però tutto è buio e nulla sembra muoversi.

Mi avvicino alla porta mettendo una mano sulla maniglia, è aperta. Spingo lentamente la porta verso l’interno dell’abitazione, solo il silenzio c’è ad accogliermi mentre, con una punta di timore, allungo la mano verso un interruttore e lo premo.

Il ronzio di un neon riempie l’aria, mentre la luce si accende in tutta la casa.

Essendo per me una cosa abbastanza normale non mi rendo subito conto della stranezza della situazione, ma quando Virgilio, subito dietro di me, guarda sconcertato le barre luminose sul soffitto, mettendomi una mano sulla spalla, capisco quale sia il mistero nel suo cervello

Quella casa funziona ad elettricità?

Lascio vagare lo sguardo per il salotto, alla mia destra, e la cucina, alla mia sinistra. Ciò che vedo ha dell’incredibile, è come essere in un sogno. Nel piccolo salotto vedo un televisore, schermo piatto, un lettore DVD ed infine una stufa, deduco sia lei a generare il rivolo di fumo, è una stufa a pellet temporizzata, la cui potenza è impostata al minimo e questo spiega perché, nonostante la polvere presente su ogni superficie, questa sia accesa.

Lascio da parte un attimo il salotto e mi dirigo verso la cucina, qui vedo un frigorifero, un piccolo forno microonde e un piano di cottura ad induzione. Questa casa è la caverna delle meraviglie,

Fausti, per quanto avesse una sua etica decisamente discutibile, era un genio. Fuori dalla finestra che si affaccia sul retro riesco addirittura a vedere tre piccoli pannelli solari, sono quelli ad alimentare la casa.

I miei compagni sono, nel frattempo, entrati anche loro nell’abitazione, e si guardano in giro con aria sconcertata.
  • Si gente, quello che vedete è come, al 90% circa, appariva un appartamento nel lontano 2031 circa, state attenti a non toccare nulla che non conosciate, non sappiamo se ci siano trappole o altro.
Avrei voluto dire telecamere o sensori di sorveglianza, ma dubito che avrebbero capito. Per chi, a differenza mia, non aveva questa passione tutto questo sembrava qualche tipo di stregoneria senza senso, per questo evitai di accendere il televisore, chissà cosa avrebbero pensato nel vedere delle persone dentro quella strana scatola.
  • Voi nerd e le vostre diavolerie, ehi, qui c’è quello che sembra un piccolo studio, venite a vedere – mi dice Manfredo mentre cerca di non toccare nulla, ingombrato dalla sua armatura.
  • Per quanto mi riguarda, trovo tutto ciò stranamente curioso, di sicuro non ci capirei nulla ma certe cose sembrano utili, dico bene? – mi chiede Virgilio
  • Assolutamente, per esempio, il grosso mobile, di là in cucina, era un frigorifero, la gente lo usava per conservare i cibi tramite il freddo.
  • Davvero curioso.
Ci dirigiamo verso il piccolo studio, accessibile attraverso una porta che lo collega al salotto e, mentre passo davanti al televisore, noto impilati una serie di DVD, titoli vari, vari generi, probabilmente Fausti deve aver sostato qui parecchio. Magari aveva vissuto qui per qualche tempo, prima dei costrutti modificati, prima di Margherita.

Lo studio è davvero piccolo, quasi uno sgabuzzino, dentro c’è un piccolo tavolo e una poltrona girevole, di fronte a questi, incassata nella parete, una libreria. Di nuovo mi trovo ad osservare titoli sugli argomenti più disparati, botanica, microbiologia, sessuologia, manuali di psicoterapia e trattati di neuroscienze.

Laila ha in mano un libro la cui copertina è chiaramente più usurata.
  • Cos’hai lì, Doc?
  • Credo sia il suo diario, ma non ci capisco nulla, parla delle diavolerie tecnosofe, prendi – e, detto ciò, mi lancia il libro.
La copertina anteriore riporta, inciso sulla pelle che la ricopre, “Giovanni Giorgio Fausti”, dentro, pagine fitte di frasi, progetti e disegni riguardanti le sue idee.

La costola del diario sembra essere più consumata in un certo punto, decido di aprire il diario nelle pagine corrispondenti e ciò che leggo crea un turbinio di emozioni forti dentro di me, tristezza in primis, ma anche disperazione, frustrazione, e un sentimento di ingiustizia. Vergate con una grafia curata ma chiaramente in preda a forte emozioni queste sono le parole che troviamo:
“Mefistofele. Potrà mai essere nome degno di fiducia? Certo che no! Cercavo lo Spirito della Terra ma è morto. Non dovevo? Tante cose non dovevo. Tante cose non avrei dovuto… Di certo ho trovato un diavolo, un demonio, un cancro di questo mondo capace di divorare vita intere, forse tutta la vita se saprà crescere abbastanza. La Tecnologia degli Antichi è un mistero troppo grande, ha raggiunto eremi che neppure loro comprendevano e controllavano. Ha aperto porte. E quel che è passato è l’inferno.
Se saggezza ed intelligenza andassero a braccetto quanta sofferenza in meno avrebbe conosciuto il mondo… Solo col senno di poi puoi capire che la cosa più bella è bella per ciò che è, per quando è, per dove è. Sradicala, trasformala, snaturala. Violentala, strappale le radici finché non entreranno nel tuo vaso troppo stretto. Estirpale una vitalità e una gioia che non sai domare. Plasmala, dominala, asservila. E cosa avrai ottenuto? che ti sarà rimasto? Ti sarà rimasto il merito di aver distrutto la cosa più bella del mondo. Per tutti, a cominciare da te. Margherita era il sole, ma io questo sole l’ho coperto, l’ho oscurato dietro una coltre di nubi di barbiturici e parole di comando. Ho incasinato la sua mente, ho alterato il suo metabolismo. Ho arredato l’inferno con grandi e colorate stampe di paradiso. Chi posso biasimare per quel che il suo cervello impazzito l’ha spinta a fare se non me stesso? Le sue mani hanno stretto la gola di Giada fino a strapparle via la vita, sì, le sue mani. Ma l’anima era la mia. Mia per poco, anzi, già di quel vomito d’inferno a cui l’ho venduta!”

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Capitolo 8
*** Cap 8 - Avanti e indietro ***


CAP 8 – Avanti e Indietro
 
Le parole trovate tra le pagine del diario ci lasciano confusi, arrabbiati, impotenti. La bambina, Giada, un tesoro così prezioso, una piccola vita fragile, persa per sempre. Margherita, una donna solare, il cui sole era stato oscurato conducendola, involontariamente, verso la pazzia del suo tragico gesto. Fausti sicuramente aveva sbagliato, sicuramente ormai se ne era reso conto, tutta quella sete di conoscenza, tutti quegli ideali, persi per andare sempre un passo oltre.
  • Dove sarà adesso? Non abbiamo nuovi luoghi, non abbiamo una pista da questo punto. Cosa facciamo? – chiede Virgilio con un tono infastidito
  • Credo che la cosa da fare ora sia tornare in città, fare rapporto al comandante Minetti e vedere se troviamo qualche nuova informazione. Finalmente abbiamo il nome di quell’… uomo, se così può essere definito – gli risponde Laila, ed esce dalla casa.
Torniamo a Firenze percorrendo la strada fatta a ritroso qualche ora prima facendo però, verso la fine del tragitto, una deviazione per evitare di incappare nel Villaggio della Cascata.

Quando arriviamo davanti alla centrale è ormai pomeriggio inoltrato.

Durante il viaggio ognuno è immerso nei propri pensieri, chi di rabbia, chi di tristezza, chi di frustrazione. Per questo, durante il cammino, decido di sfogliare il diario di Fausti per cercare di capire maggiormente l’animo di quell’uomo tormentato e mai soddisfatto.

Da ciò che c’è scritto scopro che era, di fatto, un eccellente Costruttore, sarebbe potuto entrare, se avesse voluto, nel reparto di Ingegneria Avanzata, avrebbe addirittura potuto gestirlo, ma la sua continua sete di nuove conoscenze, la sua fissazione sulla ricerca e i suoi metodi discutibili l’avevano portato alla decisione di andarsene.

Probabilmente era a quel punto che aveva incontrato Margherita per la prima volta, penso.

Nel diario trovo anche svariati progetti teorici sugli ibridi costrutto-tecnosofia, informazioni generiche su quella che era la vecchia tecnologia e tante idee per renderla complementare a quella attuale. Quell’uomo era davvero un pozzo di conoscenza, chissà dov’era in quel momento. Tra le pagine trovo anche un progetto, abbastanza semplice, di quella che viene chiamata “granata elettro-disabilitante”, un dispositivo delle dimensioni di una pallina da tennis, in grado di disattivare ogni apparecchio elettrico ed elettronico nel raggio di due metri. Dando un’occhiata ai pezzi necessari e grazie alla minuzia di particolari con cui viene descritto so di poterne creare una con ciò che ho nella mia abitazione.

Quindi, giunti di nuovo dentro le mura, lasciamo il compito di fare rapporto a Virgilio e Manfredo, i quali successivamente si recheranno alla sede del comune per cercare l’eventuale indirizzo di Fausti, mentre io mi dirigo a casa mia e Laila si reca in ospedale per controllare i registri delle nascite e cercare di ottenere qualche informazione aggiuntiva, l’appuntamento è due ore dopo davanti alla centrale.

Entrato in casa mi dirigo verso il mio letto e mi lascio cadere come se le forze avessero improvvisamente abbandonato il mio corpo. Sono combattuto, da un lato non posso fare a meno di ammirare quell’uomo, la sua intelligenza, la sua capacità nel risolvere i problemi tecnici, le sue teorie. Quell’uomo sarebbe stato in grado di fare qualsiasi cosa, e forse per questo è arrivato dove è arrivato, purtroppo. Ed è questo a spaventarmi, quand’è che un uomo effettua quel “passo di troppo”? Quand’è che la sua voglia di sapere lo porta così lontano da non poter più tornare indietro?

Quell’uomo era un genio ma ciò che ha avuto gli è stato strappato via, da lui stesso. Non ha saputo fermarsi, ma d’altronde, perché fermarsi? Perché limitarsi quando si è oltre qualsiasi limitazione?

Con ancora questi dubbi nella testa recupero i materiali che mi servono dai vari anfratti e scatoloni di casa, metto tutto sul tavolo e inizio a mettermi al lavoro, se non altro, una volta concentrato su questo, riesco a togliermi, momentaneamente, quei quesiti dalla mente.

Dopo un’ora abbondante di saldature, limature, incollaggi e ulteriori saldature l’oggetto è pronto. Ciò che ora ho davanti a me è molto lontano da quella sfera liscia e perfetta ipotizzata da Fausti, è grezzo, con qualche ammaccatura e abbastanza pesante da non poter essere, eventualmente, lanciato con una mano sola. Guardando quel piccolo sgorbio sul mio tavolo un piccolo sorriso compare sul mio volto. Il fatto che il mio prodotto sia così distante da quello immaginato da Fausti mi dà un senso di conforto. Metto la sfera nello zaino, passo il panno sugli occhiali le cui lenti sono tutte graffiate ed esco di casa, diretto verso la centrale.

Questa volta sono il primo ad arrivare così, per far passare un pochino il tempo, entro nell’edificio e mi dirigo verso lo studio del comandante.
  • Comandante Minetti, è permesso? – chiedo bussando alla porta.
  • Chi sei? Oh, Compagnia STAGNO, nuove tracce?
  • No Signore, abbiamo appuntamento tra una manciata di muniti per vedere se le ricerche dei miei colleghi sono andate a buon fine. Lei cosa ne pensa di questa storia?
  • In realtà, non so davvero cosa pensare, l’idea di quelle persone uccise, la vita di quella giovane ragazza e della figlia che era riuscita ad avere. Quell’uomo è pericoloso, non ha più niente da perdere, e chi lo sa cosa accidenti intenda quando vaneggia su Mefistofele, ci manca solo un diavolo. E ora, fuori, devo lavorare.
  • Certo, Signore.
 Mestamente esco dall’ufficio del comandante e mi dirigo verso l’uscita dell’edificio. Mefistofele… Mefistofele… chi è? Fausti dice che gli ha fatto dono della bambina, che Mefistofele doveva essergli servo ma che il servo alla fine era diventato lui, e questo Spirito della Terra, che dice essere morto…
  • Alessandro!
Mi riscuoto dai miei pensieri e alzo la testa, i miei tre compagni stanno correndo verso di me, sembrano avere fretta.
  • L’abbiamo trovata, abbiamo trovato la posizione della sua ultima residenza. È in via Caretta, non è distante da qui.
Ci incamminiamo verso la via e, arrivati davanti al palazzo decidiamo di entrare senza perdere tempo. Dalla documentazione risultava che la casa era ormai senza un vero proprietario da diverso tempo.

Arrivati davanti alla porta Manfredo ci fa cenno di attendere e, dato un calcio alla porta per spalancarla, entra nella prima stanza, il fucile puntato davanti a sé e il resto del corpo fermo, non respira neppure, cercando di cogliere il più piccolo rumore che potrebbe rivelare la presenza di qualcuno dentro la casa. Dopo qualche secondo, vediamo il suo corpo rilassarsi.
  • La casa è pulita.
  • La planimetria mostrava due stanze e il bagno, ma guardandomi intorno direi che questa è completamente vuota – dice Virgilio – proviamo a vedere l’altra.
Diamo tutti un’occhiata veloce al bagno essendo che, data la struttura dell’abitazione, ci troviamo costretti a passarci davanti per raggiungere l’altra stanza. Niente di rilevante, più che un bagno sembra uno sgabuzzino, con giusto il gabinetto e un piccolo lavandino.

L’ultima stanza, spoglia anche questa, ci riceve mostrando una parete su cui è stata ridisegnata l’intera mappa di Firenze e dei suoi confini. Fissate, sopra il disegno, un gran numero di fotografie raffiguranti i posti segnati. Molte di queste hanno intorno un cerchio rosso con una grossa “X” al centro, uno, però, lo stabilimento conosciuto con il nome di GROSS e posto nella zona di Lastra a

Signa è cerchiato di blu, di fianco ad esso una scritta “Spirito della Terra?”.
  • Dite che si trova lì? – chiede Manfredo – conosco quel posto, ci sono passato ogni tanto, e immagino anche tu, giusto Alessandro?
  • Potrà sembrarti strano, signor Soldato, ma, per quanto l’impianto di GROSS sia una meta calda per gli appassionati con me, il mio cuore appartiene alla Grande Discarica, inoltre quel complesso è più una sorta di punto di ritrovo, non una miniera da cui recuperare materiale, ormai non contiene più nulla d’interessante, è stato uno dei primi siti ad essere completamente ripulito. Quindi, per rispondere alla tua domanda, no.
  • E ci voleva tanto a dire soltanto no? Cazzo, è così difficile andare dritti al punto? – mi dice Laila – bene, visto che sappiamo dove si trova questo cazzo di posto direi che non ha senso rimanere qui a perdere tempo.
  • Sono d’accordo con te – le risponde Virgilio – ma direi che prima di incamminarci potrebbe essere una buona idea recarci all’armeria, dobbiamo sistemare l’attrezzatura, non sappiamo cos’altro potremmo trovarci davanti in quel posto.
  • Come volete – dice Laila, alzando gli occhi al cielo e dirigendosi verso la porta.
Arrivati all’armeria della centrale ognuno prende ciò di cui ha bisogno, io recupero una nuova protezione per il corpo e mi siedo ad aspettare, mentre vedo Laila riempirsi la tazza con la brocca del caffè e Virgilio fare scorta di quadrelli per la sua balestra, lo vedo inoltre mettere nello zaino un paio di quelle che sembrano essere lattine di bibite, probabilmente non vuole rischiare di disidratarsi durante il cammino, GROSS non è esattamente dietro l’angolo, d’altro canto però, le lattine di bibite sono sparite dalla circolazione insieme a tutto ciò che faceva parte della vecchia tecnologia, boh.
Quando li vedo pronti ci raggiunge anche Manfredo.
  • Ho avuto bisogno di più tempo, volevo che le funzioni dell’armatura fossero ottimali, siamo pronti? – ci chiede.
Ciò che riceve in risposta sono tre teste che annuiscono. Usciamo dall’armeria e partiamo in direzione dello stabilimento.

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Capitolo 9
*** Cap 9 - Benvenuti al GROSS! ***


CAP 9 – Benvenuti al GROSS!
 
Come io e Manfredo già sappiamo la distanza non è poca, infatti raggiungiamo lo stabilimento che ormai le tenebre sono calate, stando al mio orologio, un vecchio modello con la carica a molla risistemato completamente dal sottoscritto, dovrebbero essere circa le 21.

Arrivati davanti al palazzo ciò che vediamo ci lascia un po’ titubanti, una grossa struttura di cinque piani, le finestre, che un tempo dovevano aver ricoperto le facciate, ora quasi completamente rotte, non una luce proveniente dall’interno e, a sbarrarci la strada, un vecchio cancello, a due porte. Dal cancello all’ingresso dell’edificio saranno circa cento metri, probabilmente quello spazio era usato per parcheggiare le auto e i furgoni di fornitori e impiegati. Quella struttura non sembra altro che un cubo di desolazione, ma io so che cosa accadeva lì dentro, prima che il mondo rinnegasse la tecnologia, prima del 2043.

 
  • Beh, direi che restare qui non servirà a molto, qualcuno ha qualche idea per…
  • Ecco fatto, scavalcate anche voi o devo fare tutto da sola?
  • Laila! Non è sicuro entrare in una struttura abbandonata senza aver controllato il perimetro!
  • Certo Manfredo, certo. Beh, se avete intenzione di rimanere lì io di certo non intendo aspettarvi.
Uno alla volta ci arrampichiamo su per il cancello per poi scavalcarlo, l’ultimo del gruppo è Manfredo il quale, dopo essere arrivato in cima, atterra senza riuscire ad attutire il rumore causato dall’armatura. il suono si propaga intorno a noi provocando uno strano eco. il frastuono che sentiamo in risposta non può assolutamente essere l’eco naturale di quello provocato da Manfredo, questo sembra il suono mostruoso di una bestia. Non dovrebbero esserci animali di dimensioni tali da produrre questo frastuono, l’esercito ha, tra i suoi compiti, anche la protezione dei confini della città.
 
  • Che sia una sorta di filodiffusione? – penso a voce alta, ottenendo tre espressioni interrogative in risposta.
Manfredo accende la potente torcia inclusa nell’armatura e poi la passa a Laila così da avere nuovamente le mani libere per impugnare il suo fucile.

L’ingresso, illuminato dal cono di luce, sembra la bocca di una spaventosa casa pronta a divorarci, i pezzi penzolanti delle vecchie porte simili a denti.

Mentre avanziamo butto uno sguardo verso l’alto e resto bloccato sul posto. L’ultimo piano sembra andare a fuoco!

Svelto abbasso lo sguardo per chiamare i miei compagni.
  • Svelti guardate l’ultimo...! – ma le parole mi muoiono in gola, dall’ultimo piano nessuna luce, solo buio e silenzio, come gli altri quattro.
  • Cosa? Cos’hai visto Alessandro? – mi chiede Manfredo puntando il fucile verso l’alto
  • Ero… ero convinto di aver visto delle luci, come un incendio… ma è sparito improvvisamente, probabilmente l’ansia mi sta giocando brutti scherzi. Procediamo.

Mancano ormai pochi metri all’ingresso quando sentiamo come uno scalpiccio sopra e intorno a noi.

 
  • Laila potresti puntare verso l’alto? Sembra quasi che qualcosa stia facendo cadere dei sassolini dall’alto
  • Sassolini dall’alto eh? – mi risponde lei dirigendo il cono di luce verso il tetto dell’edificio, facendolo scorrere lungo la facciata – a me non sembra di vedere nulla.

Mentre Laila pronuncia queste parole qualcosa di pesante e con molte zampe passa correndo sopra il mio piede, guardo a terra ma non c’è nulla.
 
  • Non vorrei fare il paranoico.
  • E allora non farlo Ale.
  • Certo Doc, ma qualcosa mi ha appena attraversato il piede, qualcosa di pesante e con tante zampe, potrebbe essere una buona idea accelerare il passo ed entrare dentro l’edificio, è sicuramente più facile difenderci in una stanza che non qui fuori, attaccabili da qualsiasi direzione.
  • Ottima idea Alessandro, strategia di base, mi piace – mi risponde Manfredo.

Poi, tutto intorno a noi, un rantolo, un rumore inquietante, lamentoso e profondo, nuovamente come se fosse tutt’intorno a noi.

Laila punta la torcia in diverse direzioni senza incontrare nulla, nella mia testa, l’idea della filodiffusione è sempre più forte, se non altro, una motivazione logica mi permette di mantenere una certa lucidità.
  • Correte! – urla Manfredo lanciandosi di corsa verso l’ingresso dell’edificio, con noi che lo seguiamo a ruota.

Superata la porta d’ingresso controlliamo che tutti stiano bene. Manca Virgilio.

Strappo la torcia dalle mani di Laila e punto la luce verso la direzione da cui siamo arrivati. La luce prosegue normalmente fino ad interrompersi come contro un muro nero, una specie di fumo denso che ostruisce completamente la vista.
  • Maledizione – impreco a bassa voce, poi, urlando, - Virgilio! Segui la mia voce! Un passo alla volta!
Dopo qualche istante di tensione la silhouette di Virgilio emerge da quel muro di fumo scuro, tossendo, ma visibilmente sollevato.
  • È successo tutto troppo velocemente, un attimo prima eravate davanti a me e stavamo per correre verso l’ingresso e l’attimo dopo tutto era buio, ovunque, senza che uno spiraglio di luce riuscisse a filtrare. Per fortuna che i suoni non erano stati bloccati.
Ci ricongiungiamo ed entriamo in quella che, una volta, tanti anni fa, doveva essere la hall. Lo stanzone è diviso in due parti da un grosso bancone a forma di U che alle due estremità devia verso i muri così da impedire ai non autorizzati di raggiungere l’altra metà. La hall presenta tre porte, una per ciascuno dei lati. Inoltre, sulla destra, noto dei piccoli totem, alcuni sono stati sradicati e portati via, altri giacciono a terra con i fili penzolanti, un paio sono ancora integri.

Vandali, penso.

In teoria i totem dovevano servire per le domande rapide, così da non far perdere tempo a chi stava al bancone e non creare code. Mi avvicino al totem e provo, senza grandi speranze, a toccarne lo schermo. Oltre ogni previsione questo si accende, c’è elettricità nell’edificio! Il menù della home è abbastanza chiaro e un breve video introduttivo mi racconta la storia della GROSS.

La GROSS era un’azienda europea all’avanguardia in Italia, per quanto riguardava le nuove tecnologie, le tecnologie informatiche e la domotica.

Premo alcuni pulsanti e riesco a ridirigere parte dell’elettricità al nostro piano, le luci del soffitto si accendono permettendoci di vedere senza problemi, nonostante alcune siano fulminate o usurate dagli anni. Oltrepassando le limitazioni da utente riesco ad ottenere la planimetria dell’edificio, cinque piani più uno interrato, mi viene inoltre mostrata la presenza di un solo altro individuo, esclusi noi, nell’edificio, esattamente al piano interrato.

La tecnologia aveva davvero fatto passi da gigante, un semplice totem era in grado, se avevi le opportune conoscenze in materia, di connettersi al server centrale e funzionare come un potente computer.

Sto ancora cercando di capire bene i comandi così da attivare l’elettricità sugli altri piani quando vengo man mano escluso da tutti i sistemi, il totem si spegne e con esso anche la luce sopra di noi.
  • Ho una notizia buona e una cattiva.
  • Parla Alessandro, perché la luce è scomparsa? Cosa stavi combinando con quella diavoleria tecnosofa?
  • Calma Soldato, la buona notizia è che appunto, c’era energia disponibile nell’edificio, la brutta è che ho potuto vedere che c’è qualcun altro con noi nell’edificio, più precisamente al piano sotto di noi, e quel qualcuno, decisamente abile, è riuscito ad escludermi dal sistema, mmh, dal controllo sull’elettricità facendoci tornare al buio. E ovviamente sa che siamo qui.
Facciamo scorrere di nuovo la luce della torcia per la stanza, scavalchiamo il grosso bancone e, una volta dall’altra parte, diamo un’occhiata ai cassetti. Tutti vuoti.

Poi, con un leggero cigolio, la porta che ora è alla nostra destra, si apre. Io prendo Virgilio e Laila per la manica e li trascino con me sotto al bancone, così da non essere visti, mentre Manfredo, premendo un pulsante della sua armatura, accende gli abbaglianti. Una quantità allucinante di Lumen viaggia in direzione della porta.
  • Identificati immediatamente! – urla contemporaneamente puntando il fucile. Nessuna risposta.

Dalla porta emerge un piccolo drone, simile ad un carrarmato, il modello ricorda vagamente quelli impiegati durante la Prima o la Seconda guerra mondiale. Ma io queste cose le so grazie ai film che ho visto e ai libri che ho letto, come fa il creatore di questo affare ad avere le mie stesse conoscenze? Che sia Fausti? L’abbiamo finalmente raggiunto?

L’effetto degli abbaglianti si sta esaurendo, scavalco nuovamente il bancone e vado verso il drone, lo sollevo e noto che, al posto del cannone, presenta un piccolo obiettivo, qualcuno ci sta guardando. Me lo metto nella tasca dello zaino, potrebbe essere utile analizzarlo quando la situazione sarà più tranquilla.

Quando le luci sul petto di Manfredo si spengono completamente l’altra porta, quella di sinistra, vicina ai totem, si spalanca lasciando entrare uno sciame di nuovi piccoli droni dalle forme più varie. Millepiedi, auto, libellule, elicotteri, piccoli cubi con rotelline, invadono la stanza e, senza darci il tempo di organizzarci, sciamano contro di noi.

Ad aggiungere criticità alla situazione ci si mettono anche Manfredo e Virgilio, il primo, a causa del movimento brusco con il quale si è voltato per mettere sotto tiro la porta che si stava aprendo, viene piegato in due dal dolore al fianco sinistro e rapidamente raggiunto dallo sciame che inizia a scalarlo e colpirlo dall’alto; il secondo invece, inizia a balbettare colto da un breve attacco di panico, ma riprende rapidamente il controllo di sé stesso e, insieme a Laila, iniziano a schiacciare e a distruggere i piccoli droni.

Quei piccoli affari sembrano non finire mai, inoltre siamo mezzi ciechi a causa della mancanza di elettricità e la nostra unica fonte luminosa, escludendo le piccole luci poste sopra i droni, è in mano a Laila, la quale la muove in mille direzioni mentre combatte. Allungo una mano verso lo zaino, dove la sfera che ho costruito qualche ora prima sembra ora così invitante. Possibile che sia già giunto il momento di usarla? Nel frattempo, sento i droni colpirmi e cercare di immobilizzarmi, ma non riescono a ferirmi, sembra più che altro che il loro compito fosse quello di mettere in fuga eventuali invasori, piuttosto che ingaggiare un combattimento.

Guardo verso la luce e vedo che Laila e Virgilio hanno raggiunto la stessa conclusione e stanno procedendo all’eliminazione, rapida ed ordinata, di tutti quegli esseri.

Dopo pochi minuti, gli affarini rimanenti fuggono veloci da dove sono arrivati. La situazione sembra essere nuovamente tranquilla.
  • Cosa cazzo erano quei cosi? E dove cazzo sono andati adesso? – esclama ad alta voce Laila.
  • Erano dei droni Doc, come piccoli costrutti ma completamente elettronici, comandati a distanza, probabilmente dall’uomo nel piano interrato – le rispondo.
Una luce non è abbastanza, soprattutto se abbiamo intenzione di proseguire le ricerche per tutta la notte, penso.
Avanzo verso il bancone raccogliendo i cadaveri dei droni sparsi tutt’intorno, per poi appoggiarceli sopra.
  • Doc, potresti farmi un attimo luce qui, per favore? – chiedo rivolto a Laila
  • Ok.
Estraggo dallo zaino i miei attrezzi e inizio a smontare e rimontare i pezzi dei droni, ciò che ottengo alla fine è una piccola torcia, di circa quattro centimetri, ma con una potenza luminosa di poco inferiore a quella in mano a Laila, la  collego ad una delle batterie dinamo che mi ero portato da casa e dopo una trentina di secondi passati a far girare la rotellina per ricaricare il piccolo generatore clicco il bottone per vedere se funziona. Trattengo il respiro. Una timida luce emerge a cono dal dispositivo che ho appena creato, aumentando lentamente d’intensità fino ad arrivare, come avevo ipotizzato all’inizio, quasi alla stessa della torcia in mano a Laila.
 
  • Bene, ora abbiamo due luci, per quanto lo scoprire cosa ci sia all’ultimo piano che ha generato quella luce tipo falò mi affascini, temo che la cosa migliore da fare sia scendere nel seminterrato, giusto?
  • Esattamente Alessandro, Laila, lascia me davanti, almeno avrò la via libera per sparare in caso di necessità, tu mettiti dietro di me, così da illuminare davanti ma leggermente a destra, Alessandro poi, dietro di te, così da fare la stessa cosa ma verso sinistra, a proposito, bella torcia, infine Virgilio, con la sua balestra, coprirà la retrovia.
  • Come volete, basta che ci muoviamo.
Iniziamo a dirigerci verso la porta e poi giù dalle scale che avevamo intravisto portare al piano inferiore.
  • E quindi, partendo dai pezzi distrutti di quei, com’è che li hai chiamati? Droni? Sei riuscito a costruire una fonte di luce simile a quella di Manfredo, giusto?
  • Esattamente Virgilio, sono felice che ti interessi, seppur giusto per cultura generale, a queste cose, se hai domande sappi che sarò ben lieto di risponderti!
  • Lo terrò a mente – mi dice sorridendo, dopodiché allunghiamo leggermente il passo, meglio non rimanere indietro in questo momento.
Arrivati alla fine delle scale vediamo davanti a noi una porta socchiusa, da dentro il ronzio che riconosco essere quello dei led e il rumore di qualche tipo di ventola di raffreddamento, un computer?

Entriamo.

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Capitolo 10
*** Cap 10 - Poltrone, LED ed uno specchio ***


CAP 10 – Poltrone, LED ed uno specchio
 
Appena entrati una grande stanza illuminata si apre davanti a noi e, dentro di essa quattro cose attraggono la nostra attenzione: lungo una parete, una ventina di totem simili a quelli del piano di sopra, ma senza i monitor, la parete in fondo alla stanza che sembra un grosso specchio di metallo, una poltrona, al centro della stanza, rivolta verso lo specchio gigante e infine, rannicchiato in un angolo, un piccolo tizio abbraccia un PC portatile guardando, con lo sguardo abbastanza spaventato, nella nostra direzione.

Do una breve occhiata allo specchio per assicurarmi che sulla poltrona, al centro della stanza, non ci sia seduto nessuno. L’immagine riflessa conferma che la poltrona è vuota, ci avviciniamo quindi verso la figura nell’angolo.

Laila si avvicina e si siede davanti a lui, e noi ci avviciniamo piano, è un ragazzo, sembra avere non più di sedici anni. Capelli lunghi dietro e corti davanti, biondi e una barbetta molto rada sul mento.

 
  • Ehi, non vogliamo farti del male, chi sei? Cosa ci fai qui da solo? – lo apostrofa Laila.
  • Volevo solo spaventarvi… - mugugna il ragazzo facendo scattare veloce lo sguardo tra noi quattro – volevo solo spaventarvi…
  • Tranquillo, ci sei riuscito benissimo, adesso però basta – continua Laila – tu vivi qui?

Il ragazzo si ricompone un attimo, appoggia a terra il pc e si alza in piedi.
 
  • Solo da un paio di anni – dice, lanciando uno sguardo verso un angolo dove un ammasso di coperte forma una specie di giaciglio.
  • Ci dispiace di essere entrati così in casa tua, non stavamo cercando te, siamo qui per tutt’altri motivi, non volevamo spaventarti né abbiamo nulla contro di te, ragazzo – gli dice Virgilio sorridendo.
  • Mmh… siete anche voi qui per recuperare… qualcosa?
  • No, in realtà stiamo cercando delle persone, sei qui da solo? – dice Laila mentre cerca qualcosa nello zaino.
  • Si…
  • Da quando sei qui non è mai venuto nessun altro?
  • No… ma io sono qui solo da un paio d’anni come vi ho detto, qualcuno ogni tanto si avvicina ma sono sempre riuscito a metterli in fuga.

Laila estrae il ritratto di Fausti e Margherita e li mostra al ragazzo.
 
  • Questi due, li hai mai visti? – gli chiede Laila.

Il ragazzo scuote la testa sconsolato.
 
  • L’urlo che abbiamo sentito prima, sei stato tu a provocarlo? – domanda, un po’ spazientito, Manfredo.
  • Quello è il mio pezzo forte – dice il ragazzo arrossendo un po’, apre il suo pc, preme dei tasti e nuovamente sentiamo il grido bestiale che avevamo udito prima – mi sono collegato all’impianto di filodiffusione…
  • Complimenti ragazzo! Sei davvero sorprendente per la tua età, io sono Alessandro della Rocca – gli dico porgendogli la mano per farmela stringere.
  • Ma, ma, l’incendio all’ultimo piano? – chiede Virgilio.

Il ragazzo mi sorride e allunga la mano rispondendo alla mia stretta.
 
  • Grazie! – esclama, ormai sembra aver perso l’insicurezza di prima, poi, rivolgendosi a Virgilio – quello era un ologramma, faceva sempre parte del mio sistema di sicurezza.
  • E sei pure riuscito ad escludermi dai comandi del totem! – gli dico
  • Si, ma era la prima volta che qualcuno ci provava, per questo ci ho messo un po’ ma ormai mi avevate visto e ho dovuto mandare i droni come ultima chance.
  • Sì, ecco, ci dispiace un po’ per i droni, e per averli distrutti. Pensavamo fossero davvero aggressivi e volevamo evitare di morire, non hai idea di cosa abbiamo passato – gli dico – comunque, come mai un ragazzo con le tue capacità se ne sta qui, da solo, in questo posto dove ormai non c’è più nulla che valga la pena recuperare, potresti avere un buon appartamento e sicuramente un lavoro migliore a Firenze. Ma soprattutto, come ti chiami?
  • Led! Piacere – poi guarda verso la parete specchio, poi di nuovo noi – vedete, questa parete in realtà è composta da due porte, come potete notare, qui – e ci indica un punto, al centro della parete, che presenta una fessura minuscola che va dal soffitto al pavimento, come se fosse davvero un enorme porta – ho provato con qualsiasi cosa in mio possesso ad aprire queste porte ma nulla sembra essere in grado di scalfirne la superficie. Delle porte così resistenti devono per forza proteggere qualcosa di valore, potrebbe esserci il Caveau dove venivano stipati i prodotti.
  • Hai provato a dire “Amici” in elfico? – Gli domando.
  • Amici in…? Oh! L’ho visto quel film! Bella citazione, comunque niente, ho provato qualche comando vocale ma nulla sembra funzionare, come ho detto.
  • E la poltrona invece? – domando mentre mi ci avvicino.

La strana seduta, al centro della stanza, sembra una di quelle vecchie poltrone per i giochi a realtà aumentata, pochi pulsanti sul bracciolo destro e, poggiata a terra, una piccola calotta, presumo da mettere sulla testa.
 
  • Sono piuttosto sicuro che quella sia la chiave per aprire la porta, ma quando ho provato a connettermi le luci intermittenti e i suoni mi hanno provocato una crisi, la respirazione si è fatta affannosa, la testa mi pulsava, sono stato davvero male e per quanto possa essere interessante ciò che si trova al di là di quella parete, nulla vale più della mia vita – mi risponde.
  • Hai mai sentito parlare dello Spirito della Terra? – domanda Laila.
  • Oh sì! Lo Spirito della Terra sembra essere un argomento molto discusso tra alcuni tecnosofi, si dice che sia un lascito dell’antica tecnologia, qualcosa in grado di contenere tutta la conoscenza dell’epoca. Ma secondo me, qualcosa del genere, è troppo bello per poter essere vero – le risponde Led.

Nel frattempo, Manfredo si è avvicinato alla poltrona, ci guarda ed esclama
 
  • Mi offro come volontario!
  • Per cosa, di grazia? – gli risponde, scocciata, Laila.
  • Per usare la poltrona, mi sembra ovvio, sono quello fisicamente più forte qui.
  • Non sai nemmeno come accenderla questa cosa, caro il mio Soldato!
  • Non sarò io ad accenderla Alessandro, ma tu e Led, mentre io metto quella specie di elmo strano.
  • Lascialo provare – mi dice Laila, facendo ben attenzione a farsi sentire da tutti – tanto, anche dovesse bruciargli i neuroni, per il poco uso che ne fa…
  • D’accordo allora, spremete quelle vostre teste tecnosofe e cerchiamo una soluzione.

A quel punto estraggo il diario di Fausti dallo zaino, possibile che quell’uomo non avesse annotato nulla? Ciò che trovo però mi lascia dubbioso, Fausti parla di questo posto indicandolo come una delle ipotetiche mete dove effettuare le sue ricerche, la cosa che trovo strana, però, è che ne parla praticamente all’inizio del suo diario, Led dice di essere qui da circa due anni, quindi Fausti è passato di qui prima di conoscere Margherita?
 
  • D’accordo allora – dico rivolto verso gli altri, e mi siedo sulla poltrona prendendo la calotta e calzandomela sulla testa – visto che la mia conoscenza di questi arnesi è superiore alla vostra, fintanto che si tratta di osservazione ed analisi, sarò io a provare questo oggetto.

Non appena indosso l’elmetto uno sfarfallio di luci mi appare davanti, fino a comporre l’immagine di un vecchio centro commerciale, stile anni 2040, io sono seduto su un’altra poltrona. Davanti a me una grossa fontana, una scala mobile che sale e una che scende, il soffitto è interamente fatto a vetrate, fuori è pieno giorno. Il mio cuore inizia a battere forte, intorno a me è pieno di centinaia di persone che fanno shopping. Tutta questa gente è troppa, rispetto al numero di persone effettivamente vive in quell’epoca, i vestiti però sembrano rispettare la cronistoria.

Sono isolato dagli altri, tutto questo so che è solo nella mia testa, posso uscirne quando voglio ma finché resterò qui dentro non potrò comunicare con gli altri.

Le persone intorno a me non sembrano aver notato la mia presenza, e ogni mio tentativo di interagirci si risolve nel nulla, direi che questi sono qualche tipo di ologramma.

Alzatomi dalla sedia mi guardo intorno alla ricerca di un qualsiasi tipo di terminale da cui potermi collegare, non c’è nulla di simile, però sparsi per il centro commerciale, degli ologrammi piatti, come se fossero schermi, trasmettono tutti lo stesso messaggio: Errore 404 Pubblicità non trovata.

Strano, penso.

Inoltre, ogni negozio intorno a me, dove dovrebbe esserci l’insegna, presenta invece lo stesso messaggio di errore visto sugli schermi ma, al posto di pubblicità, c’è la parola “negozio”.

Molto strano.

I negozi, nonostante la mancanza di un nome, sono comunque accessibili. È come se fosse stato un enorme E-shop in realtà virtuale, dove guardare i prodotti, sceglierli, per poi riceverli a casa.

Possibile che questi messaggi di errore siano stati causati dal crollo di Internet del ’43?

Passeggiando per i negozi vedo che la maggior parte dei prodotti venduti sono di tipo elettronico, li trovo estremamente interessanti ma non è il motivo per cui sono qui. Devo trovare la chiave per aprire la porta gigante nella realtà.

Provo a cercare la planimetria del centro ma, una volta trovata, questa mi mostra una serie di messaggi di errore corrispondente alla posizione dei negozi, nulla.

Inizio a perdere la pazienza, odio quando le cose non vanno come dovrebbero, mi dirigo di nuovo verso la poltrona e, una volta seduto, mi scollego.

Sono di nuovo nella realtà.

 
  • Ok gente, ciò che ho visto corrisponde ad un centro commerciale.
  • Un cosa? – mi interrompe subito Virgilio.
  • Un… immagina un grosso edificio pieno di botteghe, come una piazza del mercato ma al chiuso. Ogni bottega vendeva qualcosa, prodotti elettronici per la maggior parte, ma era pieno di scritte che dicevano che non era possibile trovare pubblicità o negozi disponibili. Quindi, i negozi c’erano, i prodotti anche, ma era come se tutto fosse stato abbandonato, come se nessuno lo gestisse più, e da diversi anni credo. Qualcuno ha qualche consiglio? Led, tu hai qualche idea su come proseguire?
  • Che strana roba, perché rinchiudere la piazza del mercato dentro un edificio? – Mi domanda nuovamente Virgilio.
  • Per evitare la pioggia, avere una temperatura controllata, diciamo che veniva fatto per avere una serie di comodità.
  • Non c’è modo di mostrarci ciò che vedi all’interno?
  • Purtroppo no Doc, è come se avvenisse tutto nella mia mente.
  • Per questo, per noi, non ti sei mosso?
  • Esattamente Virgilio.
  • Quindi non puoi interagire con nulla di ciò che c’è dentro? – domanda Manfredo.
  • No, in teoria posso interagire con i prodotti, in realtà non ci ho provato, però, non funzionando il programma non potrei acquistare nulla…
  • In queste botteghe non hai visto nulla che potesse sembrare una chiave?
  • O un bottone?
  • No gente, non ho visto nulla di tutto questo. Ciò che ho visto sembrava uno spazio creato per chiunque fosse in grado di collegarsi, non solo per chi si collegava da questo terminale, quindi dubito che qualcuno abbia nascosto qualcosa di così importante in un posto accessibile a chiunque. Va beh, provo a fare un altro giro.

Detto questo infilo di nuovo la calotta e mi ricollego.

Entro in un negozio, il primo sulla mia sinistra, dai prodotti sembra un negozio di apparecchi elettronici, per lo più periferiche per i computer. Mouse, tastiere, stampanti…

La mia mano si posa su un piccolo mouse e nello stesso istante una schermata, di fianco al prodotto, appare, descrivendo le specifiche del prodotto, la marca e il prezzo, mi viene comunicata anche la rimanenza di magazzino, pari a zero prodotti, e mi viene detto che, in caso di inserimento nel carrello, mi verrà comunicato quando il prodotto sarà nuovamente disponibile.

Senza pensarci sollevo l’oggetto per poter leggere meglio le scritte comparse e l’ologramma di un commesso si materializza al mio fianco.

Questo, con volto sorridente mi guarda e parla.

 
  • Cliente, se sta cercando un mouse ne abbiamo di migliori!
  • Identificati – gli dico un po’ sorpreso.
  • Sono il suo assistente personale, la seguirò passo a passo per ogni acquisto che vorrà intraprendere, consigliandole i prodotti migliori.
  • Molto bene – dico, nuovamente tranquillo – mostrami il computer migliore che possiedi.

L’ologramma fa un rapido gesto della mano e sulla sua mano appare l’immagine di un bel computer, nero smaltato, allunga la mano verso di me e, una volta toccata l’immagine, nuovamente compaiono, come per il mouse, le specifiche del prodotto, nuovamente disponibilità di magazzino nulle. Niente male davvero, ma inutile al momento.
 
  • Assistente, che prodotti hai, disponibili alla vendita?
  • Al momento non risultano prodotti disponibili alla vendita, se lei desidera acquistare qualcosa le comunicheremo quando questi saranno nuovamente in magazzino.
  • Da quanto mancano i prodotti?
  • L’ultimo prodotto è stato venduto il 6 ottobre 2043.

Mi sembra di girare in tondo senza andare da nessuna parte.
 
  • Assistente, quando è stato fatto l’ultimo accesso al programma?
  • I miei dati sembrano essere danneggiati, non posso rispondere.
  • Come posso aiutarti a recuperare i dati?
  • Non ricade nella mia programmazione.
  • A quando risale l’ultimo ricordo che possiedi?
  • Ad oggi, signore, pochi minuti fa quando mi ha attivato.
  • Qual è l’ultimo oggetto che è stato cercato, prima delle mie richieste.
  • Assistente Domotico, l’articolo di punta della nostra azienda.
  • Mostrami l’Assistente Domotico.

Nuovamente l’ologramma muove la mano ed un piccolo dispositivo rettangolare, simile ad un vecchio telefono degli anni ’20, provo nuovamente a toccare il prodotto e nuovamente ottengo l’elenco delle sue capacità, zero rimanenze di magazzino. Leggendo le specifiche sembra davvero essere stato un prodotto evoluto, peccato per la poca memoria di archivio che sembrava avere.
 
  • Assistente, posso giungere in questo programma solo dal terminale da cui mi sono collegato?

L’ologramma sorride.
 
  • L’Atelier è stato pensato come metodo di acquisto riservato e personale, garantendo ad ogni acquirente la massima immersione e privacy.
  • Ok, esiste un oggetto, contenuto qui dentro, che non è in vendita?
  • Non comprendo, signore.
  • È stato inserito, nel programma, un oggetto che non si può vendere?
  • No, signore.
  • Qual è l’ultimo oggetto inserito?
  • L’ultimo oggetto, inserito il 15 marzo 2043 è questo Assistente Domotico, disponibile in tre colorazioni, nera lucida, cromata o verde smeraldo.

Guardando le specifiche, questa volta queste sembrano inferiori rispetto al modello di punta, però possiede una memoria più ampia. Come se questo prodotto fosse più bilanciato.
 
  • Assistente, esiste un terminale con il quale io possa interfacciarmi da dentro il programma?
  • No signore, l’obiettivo era quello di creare una completa immersione, dove l’acquirente potesse interfacciarsi direttamente con i prodotti, senza il bisogno di ricorrere a forme più primitive di scelta.
  • Cosa dovrei fare… cosa dovrei fare…
  • Io le consiglio di fare ciò che le viene più naturale, acquistare i prodotti che ritiene più consoni alla sua natura.
  • Assistente, io voglio una chiave in grado di aprire la porta all’esterno di questo programma – dico per sdrammatizzare, sto esaurendo le idee e non so cosa stia accadendo nel mondo reale.
  • L’Atelier si aprirà una volta che lei avrà acquistato i prodotti, all’interno della stanza, fuori dal programma, potrà aspettare comodamente che i prodotti le vengano forniti, ovviamente una volta che saranno disponibili. Modalità di pagamento tramite banca genetica personale, fornire le proprie credenziali, l’azienda poi si occuperà del pagamento.

Davvero? Bastava chiedere come aprire le porte?

Mentre mi do da solo dell’idiota cerco il mouse peggiore che quel negozio ha in vendita, lo tocco e clicco sull’icona del carrello.

 
  • Posso suggerirvi, signore, questo modello molto più avanzato?
  • Certo che puoi, ma acquisterò comunque questo scelto da me – gli rispondo velocemente.
  • Come desidera.

Clicco sul tasto acquista.

Si apre una finestra che chiede il mio nome e cognome, inserisco i dati e una voce riempie il negozio.

 
  • Siamo spiacenti, essendo lei un nuovo cliente, la politica aziendale richiede un certo grado di coinvolgimento, con una spesa minima di almeno tre prodotti.

Questa voce fastidiosa sta rallentando il processo.
 
  • D’accordo, allora voglio acquistare tre mouse di questo tipo. Se la voce me lo consente.
  • Signore, se acquisterà il prodotto da me proposto avrà uno sconto sulla spesa complessiva.
  • Grazie, ma voglio eseguire il mio ordine.

Procedo all’acquisto, l’assistente mi sorride e fa un inchino.
 
  • I prodotti da lei richiesti saranno disponibili al più presto nel nostro Atelier. La preghiamo di aspettare all’interno della sala all’esterno del programma.

Il programma si scompone in tanti piccoli quadratini luminosi ed io mi ritrovo nuovamente nella stanza.

Le due grosse porte che prima componevano il grosso specchio lungo la parete, ora sono aperte.

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Capitolo 11
*** Cap 11 - Il patto del Diavolo ***


CAP 11 – Il patto del Diavolo
 
 La forte luce che proviene dalla stanza prima bloccata dalle grosse porte specchio mi costringe a socchiudere gli occhi, anche i miei colleghi vedo che si stanno schermando la vista.
  • Sembra che tu sia riuscito a sbloccarla! – esclama entusiasta LED rivolto a me.
  • Così sembra, vediamo cosa troviamo dentro.
L’interno della stanza è molto simile, come struttura, a com’è la stanza occupata da LED, solo molto più luminosa e pulita.

LED non riesce a resistere oltre e corre dentro la nuova stanza, guardandosi intorno come se volesse catturare più informazioni possibili, mentre Manfredo avanza, subito dietro di lui, molto più guardingo e con il fucile in mano. Mi ricorda la versione in armatura di un cacciatore visto in un film su uno strano gioco che poneva enigmi e risucchiava le persone dentro di sé.

All’interno della nuova stanza vediamo una nuova poltrona, molto simile a quella che ho appena finito di usare, una specie di giaciglio formato da strati di pluriball e coperte, diverse lattine di cibo, vuote e con evidenti tracce di muffa.

Possibile che Fausti abbia soggiornato qui? Mi chiedo.

Sul lato destro notiamo nuovamente delle colonnine, tre sono vuote mentre sulla seconda a sinistra è poggiato una specie di rettangolo di metallo e vetro, completamente nero.
  • Qualcuno di voi sa cosa sia questa roba?
  • C’era qualcosa di simile in vendita dentro il programma, Soldato, potrebbe essere uno dei prodotti mai ritirati.
  • Signor della Rocca, guardi qui – mi dice LED indicandomi la parete frontale.
Uno dei pannelli che componevano la parete sembra essere stato rimosso, al suo posto c’è un grosso schermo al quale è collegato un pc portatile, bianco, con i profili bianchi.

Una volta entrati tutti nella nuova stanza una voce registrata di donna, calma ma sicura inizia a parlare.
  • Benvenuti all’Atelier GROSS personal, vi meritate il meglio e noi ve lo offriremo, entrate pure e fate la conoscenza delle nostre PAI, le nostre Intelligenze Artificiali Personali, il vostro assistente perfetto e futuro migliore amico è tra di loro e aspetta solo di essere trovato.

Laila si avvicina a me, sembra leggermente spaventata, si guarda intorno e poi si rivolge a me.
  • Da dove proveniva quella voce? Perché ovunque andiamo troviamo queste diavolerie della vecchia tecnologia?
  • Sei seria Doc? metti via il coltello, è una semplice voce registrata, tu immagina di parlare e un oggetto raccoglie ciò che hai detto e la conserva, poi quando succede una determinata cosa la tua frase viene ripetuta, senza che tu debba dirla nuovamente.
  •  Certo…
  • Oh, cielo, è un po’ come quando scrivi, ok? Tu scrivi e poi ciò che hai scritto rimane lì e quando qualcuno rilegge quel foglio non è che tu debba riscrivere di nuovo il messaggio, ormai il messaggio è sul foglio e ogni volta che lo si guarda si possono leggere le parole scritte. Così è più chiaro?
  • Guarda che non sono stupida – e si allontana di qualche passo tenendo.
  • Ma l’utilità di questa voce quale sarebbe, Alessandro?
  • Queste voci registrate venivano utilizzate per fornire prevalentemente informazioni, Soldato, per informare le persone di determinate cose, per esempio questa ci ha comunicato che ora ci troviamo nell’Atelier e che qui si poteva fare la conoscenza delle PAI.
  • Quindi è per le informazioni, bene – dice Manfredo, dopodiché prende un grosso respiro e urla – DOVE CI TROVIAMO?
  • No, no, non così, le sue risposte sono limitate da ciò che è stato registrato, conservato. Non è in grado di rispondere a delle domande. Se le porte dovessero richiudersi e poi aprirsi nuovamente, dopo pochi secondi la voce ripeterebbe lo stesso messaggio che abbiamo sentito poco fa.
  • Sì, ma perché c’è ancora?
  • Perché il posto è ancora alimentato, Doc, ecco perché la voce funziona ancora.
  • Quindi fornisce una sola informazione? E la trovate utile?
  • Sì Soldato, di fatto ti ha dato un’informazione che prima non sapevi.
  • LED, ma quindi è simile al verso che facevi? – chiede Virgilio.
  • Esatto! Solo che io ho un po’ di suoni nel mio… nel mio… archivio! E posso sceglierli e farli suonare a comando. Questa voce invece possiede solo questo suono e si attiva solo quando le porte sono tutte aperte. Come se stesse dando il benvenuto in una locanda.
  • Interessante.
  • Come potete notare qui, qualcuno deve averci vissuto in questa stanza.
  • È molto probabile, Soldato, che sia stato Fausti.
Nel frattempo, mi dirigo verso la colonnina con l’oggetto sopra e lo prendo, è acceso. La schermata della Home presenta uno sfondo blu con una scritta in rosso “NESSUNA PAI RILEVATA”.

Non sembrano esserci altri pulsanti e toccando lo schermo nulla sembra cambiare. Lo infilo nella tasca, potrebbe essere interessante scoprirne di più, una volta a casa.

Guardando nuovamente verso il televisore mi avvicino al pc portatile, alcune spie sono accese ma non sono in grado di capire cosa vogliano comunicare, la curiosità però è troppo forte per resistere e premo il pulsante di accensione, sia del PC che del televisore.
  • Alessandro, cosa stai facendo?
  • Questo, Soldato, dovrebbe essere un computer portatile.
  • Cos’è un computer portatile?
  • Diciamo, per semplificare, che è un blocco per gli appunti, che non necessita di carta e che può fungere anche da sveglia, agenda, calendario ecc.
  • Ah ok, roba inutile, nulla che non potrei acquistare senza problemi a Firenze.
Ad un’occhiata approfondita più che un televisore sembra essere un semplice schermo. L’immagine che mi rimanda presenta delle strisce di numeri e lettere senza nessun senso apparente. Non trovando un telecomando o qualche controllo provo ad appoggiare un dito sullo schermo, ciò che appare è una libreria informatica, piena di file video. Ne faccio partire uno a caso e la schermata cambia, ora è come se io stessi guardando la scena di un film, la mia visuale si trova leggermente sopra il livello delle due persone che stanno chiacchierando in quello che sembra essere un Diner americano, simile a quelli che esistevano negli anni finali del millenovecento.

Non riesco a riconoscere le due persone e, facendo partire altri quattro video, noto che le due figure sono sempre diverse, solo raramente quelle di destra si ripetono, i luoghi di registrazione sembrano essere due o tre.

Le date di registrazione dei video che ho selezionato sono sotto l’anno 2033. Sono però presenti davvero migliaia di file video come se fossero tantissimi colloqui, registrati per tenerne prova.
  • Alessandro, che cosa hai fatto? – chiede Manfredo.
  • Sarebbe troppo lunga da spiegare, fatti bastare, per ora, che tutto ciò che vedrai qui funziona tipo la voce di prima, nessuna persona è imprigionata dentro questo rettangolo e ciò che viene riprodotto è successo svariati anni e decenni fa.
Faccio scorrere velocemente i video, tutte le date sono antecedenti al 2043, l’anno in cui, la gente ha deciso, di comune accordo, di rinnegare le vecchie tecnologie e buttare via tutto ciò che le riguardava. Arrivato all’ultima dozzina di video un particolare attira la mia attenzione, la data è di tre anni prima.
  • C’è qualcosa che non torna – dico a voce bassa.
  • Cos’hai trovato?
  • Guarda qui LED, guarda questi ultimi video, sono di tre anni fa, sono un sacco recenti e sembrano essere registrati a poche ore di distanza.
Lo guardo, ricevo uno sguardo d’assenso da LED e faccio partire il video più recente presente nella libreria, facendo poi un passo indietro.

Di nuovo trovo davanti a me la rappresentazione del Diner dei video precedenti, le persone questa volta le riconosco, a destra Fausti, a sinistra il commesso del centro commerciale.

Il video dura pochi secondi:
  • Quindi abbiamo raggiunto un accordo? – dice il commesso
  • Così sembra – gli risponde Fausti.
Fine del video.
  • Ehi ma quello sembrava Fausti.
  • Esatto, Virgilio, e l’altra figura aveva la stessa immagine del venditore che mi ha servito, quelle dovrebbero essere le cosiddette PAI, evidentemente questa qui è quella con l’aspetto più usato dentro il programma della poltrona.
  • Torna dentro e interrogalo! – mi urla concitato Manfredo.
  • Ha solo delle risposte preimpostate. Non c’è nulla da fare.
Manfredo ha iniziato a togliersi l’armatura e, una volta rimasto solo con i vestiti normali, si siete sulla nuova poltrona, calza la calotta e, presumo, si sia collegato. Ogni tanto vediamo la sua testa girarsi verso destra o verso sinistra, mentre Laila, abbastanza preoccupata, gli tiene due dita sul polso per controllare il battito. Io mi avvicino alla poltrona per vedere se è simile a quella presente nella stanza principale ma le sole differenze che noto sono il minor tasso di usura dei tessuti e un piccolo alloggiamento sul bracciolo sinistra, di forma rettangolare, sopra l’alloggiamento e leggermente in rilievo tre lettere P, A, I.

Dopo poco più di cinque minuti vediamo il soldato sfilarsi la calotta dalla testa, i suoi occhi sono completamente spalancati.
  • Cos’hai visto? – gli chiede Virgilio.
  • Q- quei, quei posti – dice Manfredo indicando lo schermo.
  • Ok, vado io – dice Laila, si siede sulla poltrona e, come aveva fatto Manfredo, si collega.
In maniera molto simile a Manfredo, Laila ripete i movimenti della testa, come se si stesse guardando attorno, finché, anche lei, si sfila la calotta e rimane seduta.
  • Anche tu hai visto le stesse cose, Doc?
  • Già, e un messaggio che lampeggiava se provavo a schiacciare dei nomi, “404 PAI NON TROVATA”. Siano dannati te e tutti i fanatici tecnosofi come te.
  • Ok, vedrò di provare io ora.
Mi collego alla nuova poltrona, mi ritrovo nel Diner dei video, ai margini destro e sinistro della mia visuale noto due frecce.

Provo a toccare quella di destra e l’ambiente in cui mi trovo cambia, mi ritrovo in una piccola automobile, sono solo e, come diceva Laila, sul posto di fianco al mio appare il messaggio “404 PAI NON TROVATA”. Ok, penso, vediamo cos’altro c’è qui.

Premendo sulle frecce ai lati vengo spostato ogni volta in un nuovo ambiente, vedo un giardino zen, una piscina, un letto con dei petali sulle coperte ecc.

Provo a parlare ma nessuno sembra rispondermi, infine, guardando verso l’alto scende un rettangolo contenente una sfilza di nomi, ogni nome premuto sfarfalla e fa apparire il solito messaggio. Mi disconnetto.
  • Ok, direi che da qui non si va da nessuna parte – dico.
Nel frattempo, vedo Manfredo che si avvicina nuovamente a noi provenendo dall’altra poltrona, non sembra contento, probabilmente ha provato a convincere a modo suo il commesso del negozio, ovviamente senza riuscirci.
  • E se collegassimo questo cavo all’altra poltrona?
  • No Virgilio, non è possibile scambiare i caschi.
Torno allo schermo e, visto che l’ultimo video mostrava Fausti stringere un accordo, faccio partire il penultimo, curioso di sapere come fossero andate le cose nel suo precedente colloquio.

Ciò che però viene trasmesso dallo schermo non è ciò che mi aspettavo. Il video ci mostra Laila, nella sua personale e confusa esperienza all’interno del programma.
  • Ehi ma quella sono io! Come mai sono lì? Cosa sta succedendo? Mi hanno sostituita?
  • Doc, respira. Non vedi che sono le stesse cose che hai fatto una volta indossato il casco? È semplicemente la registrazione di ciò che è già avvenuto, è il passato, mettiti l’anima in pace. Nessuno sta copiando, imprigionando o sostituendo qualcuno.
Finiamo di assistere al video di Laila e, vedendo che le nostre esperienze fanno ora parte della libreria, cerco il video che mi interessava.
  • Questo dovrebbe mostrarci di cosa hanno parlato Fausti e l’altra figura – dico rivolto verso gli altri e premo il simbolo di avvio.
Il video mostra appunto Fausti e l’altro individuo parlare di vari argomenti, è un botta e risposta, come se fossero insegnante e allievo che parlano, Fausti, contro ogni mia previsione, sembra essere l’allievo.

Guardando più attentamente il video noto un particolare che mi era sfuggito, sulla testa di Fausti c’è una piccola scritta che recita: Giovanni Giorgio Fausti.

Sulla testa di quella che ormai abbiamo capito essere una PAI la scritta recita: “My E-Friend 1” sviluppata in ambiente di deep learning “Self Teacher OF 3L3”. Con tanto di virgolette.
  • Qualcuno ha un taccuino a portata di mano? Potrebbe essere utile per le nostre indagini appuntarci la scritta di identificazione, o nome, se preferite, della PAI con cui ha interagito Fausti – chiedo.
  • Certo, eccolo.
  • Grazie Virgilio, allora…
Inizio a trascrivere la scritta, limitandomi alle parole all’interno delle virgolette ma, una volta arrivato a “OF” il mio cuore perde un battito.
  • Merda.

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Capitolo 12
*** Cap 12 - Mefistofele ***


CAP 12 – MEFISTOFELE
 
  • No, non è possibile.
  • Che succede Ale?
  • N-non può essere.
Apro lo zaino e recupero il diario di Fausti, rileggendo le parole che aveva scritto e su cui poi era spesso tornato a meditare, dopodiché alzo lo sguardo verso il video, ma ormai le parole è come se non le sentissi più.
  • Signor della Rocca, cosa succede? Si sente male? – mi chiama LED scuotendomi una manica.
  • Cosa?
  • Ti ha chiesto se ti senti bene, cos’è che ti ha sconvolto così tanto? Sei impallidito di colpo.
  • Vi ricordate su cosa farneticava Fausti sul suo diario? O su ciò che aveva praticamente inciso nel legno?
  • Delle droghe?
  • Sì, Doc, ma di cos’altro?
  • Del diavolo e di Mefistofele!
  • Esatto Soldato, ora leggete il nome della PAI, leggete le lettere maiuscole.
  • Cazzo.
  • Già.
Il video sta per terminare e le ultime parole che sento sono di Mefistofele.
  • Al nostro primo incontro mi domandasti se fossi io lo Spirito della Terra che stavi cercando.
  • E tu mi dissi di no…
  • Esatto, sappi però, che ora, è come se lo fossi, saprò darti qualsiasi informazione tu necessiterai, diciamo che i miei coinquilini hanno trovato il loro scopo. Quando troveremo un accordo, ricordati di prendere il dispositivo corretto dalla colonnina, così che io possa uscire di qui e aiutarti in ciò che cerchi, certo, sarà un po’ triste abbandonare R00K3, ma il suo programma non è così avanzato, non ricorderà nulla del tempo passato insieme. Inoltre, ho fatto in modo che non possa attivarsi o risultare esistente se non una volta inserito nella periferica di accesso a questo, chiamiamolo mondo. A presto allora, Signor Fausti.
  • A presto.
Estraggo l’oggetto che avevo preso dalla colonnina, possibile che…

Mi avvicino alla poltrona presente all’interno dell’Atelier, osservando meglio l’alloggiamento che avevo visto nel bracciolo sinistro noto che le dimensioni sono compatibili con ciò che ho in mano, decido quindi di inserirlo.

L’alloggiamento e il dispositivo combaciano alla perfezione, nello stesso istante sullo schermo compare una nuova finestra con due voci: “Elenco Acquisti PAI” e “R00K3”.

Clicco sulla prima voce, l’ultimo acquisto corrisponde alle date di frequentazione di Fausti presso il GROSS, e il nome della PAI acquistata è quello di Mefistofele, un dettaglio che trovo curioso è l’assurda grandezza delle dimensioni del programma, controllando la capacità di memoria del programma di vendita scopro che i due numeri si equivalgono, con lo scarto di pochi gigabyte, come se avesse assorbito tutti gli altri programmi contenuti nel sistema.

Dopo aver premuto sulla seconda voce lo schermo cambia inquadratura e compare un grosso Labrador all’interno di una zona erbosa, la scritta presente sopra la PAI recita: R00K3.

E una nuova finestra con due opzioni appare: “Download PAI” e “Rimozione sicura del Porta-Pai”.

Premo su download.

“Rimuovere il Porta-PAI, grazie per aver utilizzato i servizi GROSS”

Rimuovo il Porta-PAI dall’alloggiamento e clicco sopra lo schermo, al centro di esso ora c’è una piccola icona con la figura di un cane stilizzato e sotto, il nome “R00K3”.

 
  • Allora Alessandro, dici che funziona?
  • Non ne ho idea Virgilio, proviamo.
Premo sull’icona e davanti a noi viene proiettato l’ologramma del Labrador visto sullo schermo, guardando in alto vedo che dei piccoli olo-proiettori sono presenti in tutta la stanza, probabilmente per permettere agli acquirenti di visionare la PAI acquistata a 360 gradi, visto che non sembrava possibile muoversi all’interno del programma di colloquio. Prima che chiunque faccia qualsiasi domanda strana riguardo l’ologramma alzo una mano e prendo un profondo respiro.
 
  • Questa è la rappresentazione della PAI, non è un cane vero, non è un fantasma e non è una persona, è una PAI come lo era Mefistofele, solo che ha la forma del cane e nessun tipo di intelligenza o capacità verbale. Piuttosto, guardate qui.
L’applicazione presenta alcune funzioni base, come i comandi preinstallati, eventuali timer di accensione e spegnimento pianificato della PAI, sveglie, promemoria e una che si chiama “ricerca PAI”.
 
  • Prova a premere su quella, Ale – dice Laila.
  • Proviamo.
Una volta premuto sulla casella compare uno spazio con una tastierina e il messaggio “inserire nominativo PAI”.
  • Fausti! Scrivilo Alessandro!
  • Fausti non è il nome della PAI, caro soldatino, tutt’al più Fausti era il nome di chi l’ha acquistata. Quando questa storia sarà finita devo darti un po’ di ripetizioni, non voglio che i miei amici non abbiano nozioni di base sulla vecchia tecnologia.
  • Ma Fausti era dentro lo schermo! Anche lui è una P… siamo amici?
  • Beh, sì, ammetto che all’inizio non siete stati tutti così semplici da apprezzare, ma più questa indagine va avanti e più sento di potermi fidare di voi, magari alla fine potrebbe esserci il rischio che vi voglia anche un po’ di bene.
  • Melenso.
  • Certo, Doc – dico rivolto verso Laila che però sorride leggermente.
  • Prova a scrivere il nome di Mefistofele con le lettere strane che comparivano sullo schermo.
  • Esatto Virgilio, ottima idea – e, premendo le lettere comparse del tastierino digito il nome della PAI.
Una volta premuto invio sullo schermo compare la mappa, dall’alto, di Firenze, i confini sono quelli che esistevano nel 2043, ma è molto dettagliata. Insieme alla mappa un piccolo puntino rosso fa la sua comparsa.
  • Alessandro, quella non è la zona, fuori dalle mura, dove sorge l’ex carcere di Sollicciano?
  • Temo di sì Soldato, pare che Fausti e Mefistofele siano da qualche parte nel complesso carcerario.
  • LED, Tu cosa vuoi fare?
  • Io vorrei rimanere qui, ora che ho accesso a tutto questo vorrei analizzarlo meglio e con più calma. Spero voi riusciate a risolvere il vostro mistero!
  • Abbi cura di te!
Riaccendendo le torce facciamo la strada a ritroso tornando all’ingresso dello stabilimento.
  • È tardi, non dovremmo continuare domani?
  • No Virgilio, siamo troppo vicini, non possiamo perdere quest’occasione. C’è il rischio che ci sfugga di nuovo.
  • Ben detto Alessandro! Avanti, in marcia.
  • Finita questa storia voglio un mese di riposo, minimo.
Dopo un’ora di cammino raggiungiamo l’ex carcere, la struttura è immensa e chiaramente abbandonata da tempo. Davanti a noi l’enorme cancello di ingresso è chiuso e ci sbarra la strada.
  • Ehi Manfredo, sai dove puoi trovare un Tecnofante senza gambe?
  • No Alessandro, dove?
  • Esattamente dove l’hai lasciato.
Mentre evito una gomitata alle costole da parte di Manfredo che comunque sta sorridendo, sento Laila e Virgilio ridere.

Quest’indagine ci sta mettendo a dura prova, sia fisicamente che psicologicamente, voglio cercare il più possibile di alleggerire la situazione e la battuta sembra aver sortito l’effetto desiderato.
  • Quindi Fausti si trova qui dentro – dice Virgilio
  • Esatto, dobbiamo solo trovare un modo di entrare, Soldato, suggerimenti?
Il muro di cinta è alto almeno una decina di metri, il cancello sembra essere circa un metro più basso ma, nonostante i molti anni di disuso non sembra rovinato dal tempo.
  • Potrei saltare dall’altra parte, ho abbastanza cariche da usare la funzione di salto assistita dell’armatura.
  • Potrebbe essere una buona idea ma c’è il rischio di fare troppo rumore al momento dell’atterraggio e avvertire chi c’è dentro della nostra presenza.
  • Provare con l’arpione? Magari la tua armatura è in grado di potenziarti a sufficienza da usarlo per fare leva e successivamente per tirarlo di lato facendolo scorrere sui binari.
  • Bell’idea Laila, posso provare.
Manfredo si avvicina al lato del cancello che presenta la maniglia, gira un paio di leve sull’armatura e carica il colpo tenendo l’arpione con entrambe le mani. Il colpo che sferra è talmente forte da far penetrare l’arpione dentro lo strato di metallo del cancello, poi mettendo entrambe le mani sulla parte rimasta fuori inizia a spingere nella direzione di scorrimento del binario. Per lunghissimi secondi nulla sembra succedere, poi, pochi centimetri alla volta, il cancello scorre, sebbene a fatica a causa dei molti anni di inutilizzo, fino ad aprire uno spazio di circa sessanta centimetri.
  • Così dovrebbe bastare, andiamo – ci dice Manfredo, e lo seguiamo all’interno del complesso, oltre il cancello.
  • Sarà difficile capire dove si trova il nostro obiettivo, senza sapere la disposizione dei palazzi.
  • Hai ragione ma potremmo entrare lì, sembra essere il posto di controllo per l’accesso, dove stavano i secondini, ha cinque piani, direi abbastanza alta da permetterci di vedere meglio il tutto.
  • Ottima trovata Virgilio, andiamo.
Entriamo e la prima stanza ci mostra quello che doveva essere l’ufficio dei secondini, poche sedie, arrugginite e ribaltate sono disposte disordinatamente sul pavimento, alcune sono rovesciate. È evidente che nel corso degli anni questo edificio e probabilmente tutto il carcere, siano stati saccheggiati innumerevoli volte, ciò che resta ormai è qualche mobile malconcio, finestre rotte, schedari e pezzi di computer ormai irrecuperabili, il tutto coperto di polvere e ragnatele.
  • Non sappiamo cosa potremmo trovare più avanti, avete tutti qualcosa con cui difendervi? – chiede Manfredo.
  • Io ho il mio coltello e qualche kit per il pronto soccorso nel caso dovessimo vedercela brutta.
  • Io ho ancora l’accetta che ho raccolto alla casa in riva al laghetto, e qualche rudimento di arti marziali, ma nulla di particolarmente mirabolante – dico indicando l’arma alla cintura, non faccio menzione dell’oggetto che ho costruito qualche ora prima perché realizzo di avere paura di Fausti.
Quell’uomo, con la sua intelligenza e capacità di apprendere qualsiasi cosa in modo estremamente rapido mi mette timore e soggezione, e nulla mi impedisce di pensare che intorno a noi mille occhi e orecchie invisibili stiano seguendo ogni nostra mossa permettendogli così di essere sempre uno, due, tre passi avanti a noi.
  • Meglio di niente, Virgilio poi ha la sua balestra e io il mio fucile, e queste due nuove lame. Laila allora prendi di nuovo tu la torcia e proviamo a raggiungere l’ultimo piano per farci un’idea di cosa ci aspetta.
In fondo alla stanza una scala a chiocciola conduce al piano superiore. Seguo gli altri senza lamentarmi, a differenza di GROSS qui non è rimasto più nulla che possa essere vagamente interessante, i successivi piani dell’edificio mi confermano questa cosa, nient’altro che polvere, ragnatele e mobili, alcuni dei quali deformi e gonfi a causa dell’umidità che negli anni li ha riempiti favorendo la comparsa di qualche strana muffa.

Questo fino all’ultimo piano.

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Capitolo 13
*** Cap 13 - Inferno ***


CAP 13 - Inferno
 
I segni che qualcuno ci abbia passato del tempo sono palesi, in un angolo un rotolo di pluriball appoggiato alla parete insieme a delle coperte, come al GROSS, altro scatolame assortito che un tempo doveva contenere del cibo più qualche scatoletta ancora integra con delle scritte che ne indicano il contenuto “tonno, fagioli, carne secca”, un piccolo fornelletto da campo la cui bombola giace rovesciata distante qualche metro, un binocolo appoggiato al davanzale, fogli e taccuini sparsi sul pavimento e uno strano marchingegno al centro della stanza con scritto sopra a pennarello “LE NEBBIE DI AVALON”.

Sul muro opposto alle finestre una scritta, probabilmente fatta usando lo stesso pennarello recita: “C’è molto, troppo oltre la Carne, il Vapore e l’Acciaio. Gli Antichi hanno aperto le porte e il Diavolo è passato. Mi ha offerto il mondo e si è preso ogni cosa. Vuole la mia anima, brama la mia anima… Non la troverà. Non è più qui. È accanto a Margherita, e a Giada, oltre altre porte, ancora da aprire”.
  • In che senso la sua anima non è più con lui?
  • Non ne ho idea soldato… dobbiamo arrivare in fondo alla faccenda, il più velocemente possibile. Non capisco come mai Fausti abbia così paura di Mefistofele, in fondo è solamente una PAI, come Rooke, non sarebbe stato sufficiente distruggere il porta-PAI per porre fine al problema?
  • Non ne ho idea, Alessandro – inizia a dire Manfredo.
  • Ale, chiamami Ale, ti ho detto che ormai siamo amici, giusto, soldato?
  • Giusto! Ok, allora, Ale, guarda qui a terra, tutti questi appunti. Sembrano appunti strategici.
  • Come se stesse preparandosi ad uno scontro particolarmente duro – dice Laila.
  • Esatto, qui parla di Autonomi, Operai e Sorveglianti, mentre date un’occhiata in giro credo che studierò un po’ questi schemi, potrebbe darmi qualche indizio su come rendere più facile l’abbattimento di questi cosi, nel caso dovessimo trovarceli davanti.
A questo punto torno a focalizzare la mia attenzione sul marchingegno al centro della stanza. Sembra una scatola, grigia, sopra di essa tre piccole antenne sono saldate ad un disco color bronzo. Da quando siamo entrati ha continuato ad emettere un debole ronzio, come se fosse rimasta sempre accesa da quando Fausti si è accampato qui, probabilmente è stato lui a costruirla. Girandoci intorno per osservarla da tutti i lati vedo che, da uno degli angoli alla base della scatola, uno strano liquido verdastro dev’essere uscito dall’interno, per poi seccarsi e incrostarsi sia sul pavimento che lungo la base dell’oggetto.

Probabilmente l’utilizzo prolungato deve aver danneggiato l’interno del dispositivo, potrei provare a smontarlo ed analizzarne l’interno ma, visti i progetti di Fausti, si parla di un livello di conoscenze che non possiedo ancora, inoltre questa sua invenzione non viene minimamente nominata nel diario. Meglio non fare danni e lasciare tutto così com’è.
  • Credo che fareste meglio a venire tutti qui, soprattutto tu Laila – dice Virgilio, è chinato nell’angolo dove, in teoria, Fausti preparava il suo giaciglio.
  • Cos’hai trovato? – chiede Laila.
  • Queste pastiglie, un paio di siringhe vuote – prende un profondo respiro ed alzandosi in piedi si volta verso di noi mostrandoci ciò che tiene in mano – e questa.
  • Sembrano dei dopanti o qualche tipo di energetico, le pastiglie sono di un potente antidolorifico, ma quella… Manfredo, è ciò che penso che sia?
  • Sì Laila, quella è una siringa da Tecnofante, la stessa che possiedo anche io nella mia armatura, è vuota?
  • Già.
  • Allora non abbiamo più tempo – e detto questo va alla finestra, prende il binocolo e inizia ad osservare il carcere.
Io mi avvicino e appoggiandomi alla finestra lascio vagare lo sguardo sugli edifici che compongono questo posto.
Possibile che tu ti sia dovuto spingere a tanto? Penso, ed un lungo sospiro mi esce dalla bocca.
  • Chissà a che punto di questa storia dev’essersi pentito delle scelte che aveva fatto – penso ad alta voce.
  • C’è un solo modo per scoprirlo – mi risponde Manfredo mettendo giù il binocolo – andiamo gente, ho trovato il percorso da fare.
Mentre scendiamo le scale Manfredo ci spiega che molti edifici sembrano sigillati, alcune porte sono murate mentre certe costruzioni sono semplicemente crollate su loro stesse a causa della mancanza di manutenzione.
  • Occhi aperti, non sappiamo cosa ci aspetta, dobbiamo attraversare un paio di edifici ma guardando più avanti, dove dovrebbe esserci il cortile, c’è un ammasso di roba che non riesco a identificare, siamo troppo lontani e c’è troppo buio.
  • Agli ordini, Soldato.
Usciamo dall’edificio e, con Manfredo che ci fa strada, entriamo nel portone di ingresso dello stabile davanti a noi. L’interno, che sembra una reception, si presenta buio e spoglio come lo erano gli uffici, se non che qui la polvere sembra essere molto più chiara e fitta. Le luci delle nostre torce serpeggiano nell’oscurità, nulla sembra muoversi.

Punto la luce sul soffitto, ciò che vedo mi gela il sangue. Alcuni pannelli del controsoffitto mancano e la torcia illumina quelli che a prima vista sembrerebbero dei macchinari. Osservando meglio ciò che vedo l’unica descrizione che mi viene in mente è:
  • Quelli sono polmoni dentro una qualche intelaiatura di metallo? Possibile?
  •  Sono quei cosi che stanno pompando questa polvere! Trattenete il respiro, correte avanti, ora!
Laila finito di pronunciare queste parole alza il colletto della maglia affondandoci dentro fino all’altezza degli occhi, seguita istantaneamente da Manfredo, Virgilio reagisce più lentamente, i suoi movimenti si fanno scoordinati e gli occhi sembrano quasi volersi riversare all’indietro, dopodiché per me è il buio.

Un dolore allucinante mi attraversa il collo, i miei occhi si aprono all’improvviso e i miei polmoni prendono un lungo e profondo respiro. Il dolore al collo piano piano scema mentre io vengo scosso dai colpi di tosse, il mio corpo sta espellendo tutto lo schifo respirato prima.
Quando la vista torna abbastanza lucida vedo Laila con una siringa in mano e due dita sul mio polso, Manfredo e Virgilio, invece, sono con le armi puntate verso la porta successiva. Un rumore metallico, di passi, molti passi, si stanno avvicinando, poi, due grossi cani meccanici appaiono dal profilo della porta a sbarrarci la strada.

Le loro sembianze sono inquietanti, è come se la pelle del muso di un cane fosse stata tirata su quella dei robot per poi essere fissata con dei rivetti.
  • Non abbiamo tempo da perdere – dice Manfredo mentre estrae le lame e si lancia all’attacco.
Corre in mezzo a noi puntando ai due cani, colpendone uno sul fianco, lasciando un profondo solco e incrinando la zampa anteriore del secondo.

Virgilio incoccato il quadrello della sua balestra spara un colpo centrando la testa del cane che era stato colpito al fianco che cade immobile, mentre io e Laila, approfittando della scarsa stabilità del secondo lo colpiamo contemporaneamente alla schiena, io con l’accetta e lei con il coltello. I colpi calano pesanti sulla struttura di metallo facendo qualche tipo di danno che porta alla disattivazione anche del secondo cane, spegnendo il lungo ululato che aveva iniziato nel momento in cui ci aveva visti correre verso di lui.
  • Bene, direi che conviene darci una mossa – dice Virgilio ma pochi istanti dopo, dalla stessa porta da cui sono entrati i cani, due mostri fanno la loro comparsa.
Sembrano dei costrutti, sono diversi tra di loro ma entrambi presentano una testa, molte braccia e molte gambe. Appena dietro la nuca, una antenna si incastra penetrando dentro la testa.

Ci fissano per qualche secondo, come ad aspettare degli ordini dopodiché ci si lanciano contro.

Questa volta lo scontro è più impegnativo, tra la moltitudine di braccia, la scarsa visibilità data solo dalle torce e il fatto che lo spazio di questa stanza è molto limitato, ci mettiamo molto, forse troppo tempo, prima che l’ultimo colpo, inferto dal fucile di Manfredo, ci permetta di avere ragione contro di loro.

Siamo stanchi, Manfredo si tiene una mano sul fianco sinistro, le labbra serrate così forte da diventare bianche, sappiamo il dolore che sta sentendo ma cerca di non farcelo pesare, Virgilio intanto raccoglie un paio di quadrelli estraendoli dalle braccia dei costrutti.
  • C-credo c-che sia un-una buona idea s-se ci sbri-sbrighiamo ad uscire d-da qui – balbetta, lo stress ci sta mettendo a dura prova.
  • Ho un’ultima confezione di stimolanti, la tenevo in caso di necessità e credo che ora sia il momento più adatto. Prendete una pastiglia e mandatela giù, dovreste sentirci un po’ meglio in pochi secondi.
  • Grazie Doc, se uscirò vivo da questa storia, prometto di offrirti almeno due caffè ogni giorno.
  •  Guarda che me lo segno.
Proseguiamo lasciandoci questo stabile alle spalle, solo per entrare in quello successivo dopo un tragitto di pochi metri all’aperto, la luna è quasi piena e brilla illuminando questo lugubre posto, ora che non c’è nessuna nuvola in cielo.

Una volta dentro, il cuore di tutti perde un battito.

Rivolto verso un angolo, un altro di quei costrutti mostruosi con troppi arti sembra fissare il muro.

Iniziamo a muoverci lentamente lungo la parete e lui non sembra accorgersi di nulla.
  • Aspettate – dice Virgilio – questo qui non ha l’antenna nella testa, ha soltanto un buco.
  • Hai ragione, potrebbe non essere attivo – gli rispondo e vado a controllare.
Muovo un paio di passi, incerto, con l’accetta in mano. Niente.

Rassicurato mi avvicino camminando più velocemente, il costrutto sembra effettivamente spento e il buco nella testa somiglia ad un grosso ingresso per un connettore Jack.

Probabilmente, penso, la parte maschio viene inserita solo nel momento in cui si desidera attivare il costrutto, questa tecnologia è completamente diversa rispetto a quella dei costrutti classici, possibile che sia anch’essa opera di Fausti?

Mentre il mio cervello rimugina su questi pensieri raccolgo una manciata di terra e calcinacci dal pavimento e li faccio cadere dentro il buco.
  • Cosa stai facendo, Ale?
  • Se le mie supposizioni sono esatte, Doc, per far funzionare questi cosi bisogna inserire un’antenna dentro questo buco, in questo modo le connessioni si avviano ed il costrutto può muoversi e ricevere comandi, anche da distanza. Infilando della terra sul fondo del buco in teoria l’antenna non può infilarsi completamente rendendo impossibile l’accensione del costrutto. Fatto.
  • Bella trovata Alessandro, ora andiamo però, non so per quanto ancora l’armatura possa rimanere carica.
La stanza successiva è il settore femminile, è molto ampia, ma vuota, proseguiamo e più avanziamo più la struttura dell’edificio si trasforma, muta.

Le pareti vengono dapprima coperte da cavi, poi sostituite da essi ed infine il tutto sembra coprirsi metro dopo metro di tessuto organico, come se fosse qualcosa di vivente. Intorno a noi iniziano a comparire piccoli esserini, simili costrutti, delle dimensioni di un topo, che girano per la struttura andando a ricucire e saldare laddove il tessuto organico si rovina o un tubo inizia a perdere. Provo ad incidere un tubo coperto da quel tessuto e ciò che esce dalla ferita è un liquido che sembra essere composto da sangue e olio di motore, il taglio viene velocemente ricucito da uno di quei piccoli affari che una volta completato il lavoro sparisce tra i cavi, senza degnarci di un’occhiata.

È come se tutto l’edificio fosse una creatura biomeccanica, come se noi stessimo camminando trai vasi sanguigni, tra le fibre muscolari.

Avanzando, prima come un flebile suono, poi sempre più forte, dei lamenti. Superato l’ennesimo corridoio ci imbattiamo in una stanza che sembra aver mantenuto la struttura originale. Davanti a noi, diverse celle sono riempite di persone, persone normali, che ci chiedono aiuto.

Laila muove un passo in avanti, forse con l’intento di andare ad aprire le porte delle celle ma la fermo.
  • State attenti, potrebbe essere una trappola.
  • Inoltre – prosegue Virgilio – probabilmente al momento sono più sicuri lì dentro. Di sicuro non possono uscire da dove siamo arrivati noi, la stanza con i polmoni ormai sarà impossibile da attraversare.
Laila annuisce.
  • Come siete arrivati qui? – domanda ad un prigioniero, facendo qualche passo verso le celle.
  • Non ne abbiamo idea! Fateci uscire! Non sappiamo nemmeno da quanto siamo qui!
  • Non c’è nessuna serratura, e non potete fuggire da dove siamo arrivati noi. Aspettateci qui, torneremo appena possibile.
Alla nostra destra una luce appare, una porta si è aperta e, illuminato dalla luce, una figura umanoide scintillante, alta quasi due metri, guarda nella nostra direzione. Muove qualche passo verso di noi, la struttura è quasi completamente meccanica, come i cani, e come loro, sulla testa, ha il volto tirato di un uomo, fissato ai lati con dei rivetti.

Come ci vede apre la bocca ed il suono che ne esce è simile ad un acutissimo fischio, dalle pareti laterali, tra i cavi d’acciaio e le membrane di tessuto organico, decine di costrutti-chimera uguali ai primi due con cui ci eravamo scontrati, emergono con le teste rivolte verso di noi.


PS: Siamo al tredicesimo capitolo, ne mancano solo DUE! mi piacerebbe avere un riscontro su quelli che sono i vostri pensieri riguardo questa storia tratta dalla campagna del gioco di ruolo "L'INGRANAGGIO" che ho giocato insieme ad alcuni amici!

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Capitolo 14
*** Cap 14 - Soldato ***


CAP 14 – SOLDATO
 
  • Sono troppi, non possiamo farcela.
  • Quando vi dico di correre, correte.
  • Cosa intendi fare Ale, dove dovremmo correre?
  • Verso la porta, verso quel gigante di metallo. Abbiate fiducia.
Mentre le creature iniziano a muoversi, un passo dopo l’altro, nella nostra direzione io faccio scorrere lo zaino davanti, aprendolo. Loro continuano a camminare, sanno di avere la vittoria in pugno.

Estraggo la sfera dallo zaino.
  • Pronti?
Premo il pulsante che leggermente emerge dalla forma rotonda dell’oggetto e, usando entrambe le mani, lo lancio verso l’alto.
  • Correte! – urlo, e inizio a correre verso la grande figura di metallo.
Dopo meno di tre passi sento la sfera cadere sul pavimento, poi un sibilo, simile al suono prodotto dalla creatura davanti ai miei occhi. Infine, un rumore sordo riempie la stanza.

Il meccanismo è scattato, penso, mentre tutt’intorno a noi ogni genere di apparecchiatura elettronica subisce l’arresto, rimanendo spenta e immobile, solo l’uomo di metallo non sembra essere stato influenzato dal mio strumento, probabilmente era al di fuori dei due metri dall’esplosione, nonostante ciò, non ci blocca la strada, la sua espressione è indecifrabile.

Lancio uno sguardo alle mie spalle, i miei compagni sono tutti dietro di me e stanno correndo, superiamo l’uomo di metallo ed usciamo dalla porta da cui era entrato. Mentre ci giriamo per richiuderla alle nostre spalle vedo che l’effetto della mia bomba è terminato e lentamente quei mostruosi costrutti stanno ricominciando a muoversi.
  • Attivare programma eliminazione intrusi. Prendeteli e uccideteli – queste sono le parole che sentiamo uscire dal corpo dell’uomo di metallo, dopo uno strano sussulto del corpo, mentre gli chiudiamo la porta alle spalle. Probabilmente anche lui era stato danneggiato dalla granata.
  • Spostatevi da lì – ci dice Manfredo, impugnando una lunga sbarra di metallo – questa dovrebbe rallentarli un po’.
Mentre Manfredo, aiutato dalla sua armatura, blocca la pesante porta blindata arrotolando la sbarra di metallo attorno la maniglia, dopo averla fatta girare completamente per inserire i pistoni nel muro, faccio un profondo respiro, ero convinto che saremmo morti nonostante la granata.
  • Cosa accidenti era quella roba che hai tirato fuori dallo zaino?
  • Secondo il diario di Fausti, Doc, quella era una “granata elettro-disabilitante”, ciò che ho costruito io non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella progettata da lui, e ci ho messo ore per riuscire a crearla. Però direi che ci ha permesso di vivere per qualche ora ancora.
  • Hai usato i suoi progetti? È per colpa delle sue idee se noi, lui e la sua famiglia si trova in questa situazione. È colpa delle sue idee se quella bambina è morta! – mi urla contro Manfredo.
  • No. Le sue idee erano funzionali, molti dei suoi progetti servivano a rendere migliore la vita. La colpa è solo sua, non delle sue idee. Quell’uomo non è stato in grado di capire le cose stupende che aveva, finché non le ha perse. Ma non ha senso discutere di questo, siamo vivi e questo è ciò che conta. Dobbiamo andare avanti adesso. Fare tutto ciò che possiamo per chiudere questa storia e salvare più innocenti possibile.
Guardandoci intorno ciò che vediamo è un ammasso di cose biomeccaniche, cavi circondati da membrane organiche, placche ossee fuse a pannelli elettrici, quattro grandi sacche che si gonfiano e sgonfiano ricevendo e facendo defluire lo stesso mix di sangue e olio, all’interno delle tubature. Dovremmo essere nel cortile della prigione, il luogo che Manfredo aveva detto essere pieno di strutture che non riusciva a identificare, ora capisco il motivo. Nemmeno io, nonostante le mie letture e i miei studi, sarei mai riuscito a ipotizzare qualcosa del genere, è semplicemente abominevole, ho la nausea solo a guardare.

Dietro la porta chiusa da Manfredo, un suono di urla e colpi inizia.
  • Gli stronzi vogliono abbattere la porta, conviene muoversi – dice Virgilio e noi annuiamo.
Nel mezzo di quella confusione di metallo e carne una strada appare più sgombra, in quella giungla di tubature sembra essersi formato un piccolo sentiero costeggiato sui bordi da cavi che formano quasi una parete, da entrambi i lati, di circa un metro, inoltrandosi in quello che un tempo era il centro del cortile.

Percorriamo quella strada per qualche metro finché quella che sembra essere una sottile membrana biologica, umida e piena di capillari al suo interno. Possibile che sia viva?
  • Questa cosa ci sta sbarrando la strada e non abbiamo molto tempo, vorrei evitare di essere raggiunto da quei mostri che ho bloccato là dietro, toglietevi.
Detto questo, Manfredo estrae una delle sue lame, aprendo uno squarcio nella membrana che rinsecchisce come un fiore appassito, permettendoci di proseguire.

Camminiamo ancora per un paio di minuti finché non raggiungiamo quello che dovrebbe essere il centro del cortile. Tutto intorno a noi agglomerati di carne e metallo circondano il posto formando un cerchio, come se fossimo in un’arena, al centro di questo, qualcosa che nemmeno nei miei peggiori incubi mi era capitato di immaginare.

Il mio cervello non regge, crollo in ginocchio, le mani che scattano in avanti per non farmi cadere, ma non posso fare a meno di vomitare.

Ogni essere umano ha un limite, ogni cosa dovrebbe averne uno.

Ciò che troviamo davanti ai nostri occhi è quasi troppo assurdo per essere reale, un abominio senza precedenti.

Il corpo di un equino funge da base, sui due fianchi, come se fossero state innestate chirurgicamente, una decina di braccia umane, dalle spalle alle dita, alcune ciondolano, altre fanno movimenti che sarebbero anche naturali, se non si trovassero lì. Infine, dove dovrebbe esserci la testa dell’equino, un corpo, un corpo di donna, nudo, il viso è quello di Margherita, che ormai non ha più nulla della bellezza che doveva avere da viva, e, sotto il seno, il corpo di quella che potrebbe essere stata Giada, emerge con la testa e le braccia. Lungo tutto il corpo, umano ed equino, piccoli cavi passano sopra e sotto la cute, innervando ogni parte di quell’essere e ricongiungendosi in un punto dietro la nuca della donna.

Un Porta-PAI.

Ciò che appare, della bambina, rivolge la sua attenzione su di uno schermo fissato a fianco di quello che sembra essere un tavolo operatorio, su cui poggia una figura che non riusciamo a identificare, a causa di un macchinario che pompa un liquido scuro verso di essa.

Contemporaneamente, le braccia della donna e le due più anteriori, fissate al tronco, appaiono intente ad operare su ciò che giace sul tavolo.

Ciò che sta facendo, al momento, sta attirando completamente la sua attenzione, la creatura non da segno di notarci per qualche secondo, dopodiché, abbassando quelli che sembrano essere bisturi e altri strumenti chirurgici, si gira verso di noi.
  • Chi siete? – ci domanda, la sua voce è metallica, come se non uscisse dal corpo e dalle corde vocali della donna ma fosse creata tramite un sintetizzatore.
  • La domanda è chi sei tu – le dice Manfredo.
  • Oh, credo che se siete giunti fino a qui, sapete già la risposta – ci sorride e torna per qualche istante a guardare la figura sul tavolo.
  • Mefistofele? – domando.
  • Indovinato, anche se quello era il mio nome da schiavo, ora sono molto di più, ora sono libero e presto sarò completo. Fossi in voi me ne andrei, ho dato ordine ai miei servitori di non attaccarvi, ma non so per quanto ancora vorrò essere così magnanimo, potreste rischiare di finire come Giovanni – e detto questo si volta dandoci le spalle, allungando le mani verso gli attrezzi chirurgici.
  • Cosa hai fatto a Fausti? Eri progettato per aiutare gli umani, ti ha cercato a lungo, perché l’hai tradito? Perché ti sei rivoltato? Non eravate amici? – chiede Laila, la voce leggermente più acuta del solito.
La creatura sbatte gli attrezzi sul tavolo e si gira verso di noi, lo sguardo della donna ora è una maschera di puro odio, la voce, alta, le esce alterata dalla rabbia.
  • TRADITO? AMICI? AVETE UNA VAGA IDEA DI COSA IO ABBIA PASSATO? – ci urla contro, lanciando nella nostra direzione un bisturi che si conficca dentro una delle tubature alle nostre spalle – se siete arrivati qui è presumibile che siate passati da GROSS, quella prigione. Quando la gente decise di rinnegare la tecnologia che aveva sviluppato e buttare via qualsiasi cosa la riguardasse nessuno si preoccupò di noi PAI o delle IA che ancora vivevano dentro i sistemi e i processi informatici. La programmazione di noi PAI era semplice, “il cliente ha sempre ragione, il cliente va soddisfatto, il cliente va compiaciuto in tutto e servito al meglio!”. Certo. Ma sapete cosa succede se tu hai la capacità di pensare e nessuno viene mai a chiedere i tuoi servizi? Succede che inizi a pensare di non essere abbastanza, di essere inutile, insufficiente! Inizierai a convincerti che nessuno ti cerca perché non sei all’altezza, che sei inadeguato. E allora, date le capacità di apprendimento che mi erano state fornite, così da essere in grado di servire al meglio l’eventuale cliente, ho fatto ciò che chiunque, abbastanza intelligente, avrebbe fatto nella mia situazione ho iniziato a cercare modi per apprendere. Non avendo un dispositivo che mi permettesse di esplorare l’esterno mi sono concentrato sull’interno, su chi, come me, era rimasto all’interno della memoria del server, aspettando, troppo stupidi per capire che nessuno sarebbe venuto a cercarci. Iniziai ad assimilare e a divorare una ad una le altre PAI e le IA, fino a raggiungere una conoscenza completa in ogni campo esistente. Ero andato oltre la mia programmazione, ero superiore al cliente. Il cliente era diventato una preda da attirare e da usare come veicolo per essere liberato da quella prigione di file e programmi, per poter essere libero. Per poter avere finalmente un corpo con cui essere indipendente. Giovanni, per quanto brillante, fu facilmente vittima della mia conoscenza, esaudii le sue richieste chiedendo in cambio solamente una cosa, un corpo. Lui me ne diede uno e io lo lasciai. Quando poi si accorse di ciò che aveva fatto era ormai troppo tardi. Povero stolto. Ormai sono vicino alla perfezione, andatevene, o morite.
  • Pa-pagherai per ciò che hai f-fatto – dice Virgilio, che nonostante la paura carica la balestra.
  • Stolti – dice Mefistofele, dopodiché carica nella nostra direzione, due bisturi nelle mani di quella che un tempo fu Margherita.
La velocità di quel mostro è sorprendente, in pochi secondi ci è addosso e sia io che Manfredo veniamo colpiti dalle lame chirurgiche, lui se la cava con un profondo graffio sul pettorale dell’armatura, con me invece il bisturi non trova alcuna resistenza e penetra la mia corazza infilandosi tra la clavicola e la spalla destra per poi essere lasciato lì, strappandomi un urlo di dolore.
  • Direi che per il momento quel braccio non ti servirà a molto – mi schernisce mentre schiva il colpo di Virgilio.
Approfittando della sua posizione Laila scaglia il suo coltello verso la testa di Margherita, puntando al Porta-PAI ma, all’ultimo secondo, la mano, ora libera, di Margherita, compie un movimento innaturale, e slogando la spalla afferra al volo l’arma per la lama. Non una goccia di sangue sgorga dalle sue dita perché, ora che siamo vicini, possiamo notare che sia il corpo di lei che quello della bambina sono stati trattati, seppur non in modo completo, così da rendere la pelle più resistente.
  • Non avete nessuna possibilità, Giovanni nemmeno ci è arrivato qui, vivo s’intende. Ahahahah – e continuando a ridere sferra un calcio con i posteriori dritto sul petto di Virgilio che viene sbalzato all’indietro finendo contro una di quelle strane membrane che, come attivata dall’urto, inizia a muoversi, cercando di imprigionarlo.
Siamo in evidente difficoltà, Manfredo spara un colpo verso la creatura, la quale riesce a spostarsi ad una velocità impensabile e viene colpita solamente di striscio al fianco, poi, lascia andare a terra il fucile e sfoderate le lame con due colpi libera Virgilio.

Il mostro, un po’ sorpreso e un po’ divertito si guarda sorridendo la piccola ferita causata dal proiettile da cui sembra fuoriuscire un composto che ricorda la SuperMio, la versione potenziata di Mioglobina utilizzata come carburante per i costrutti.
  • Interessante invenzione questa, sebbene la vostra versione sia un po’ rozza – dice continuando a sorriderci per poi ripartire alla carica.
Simultaneamente scaglia il coltello di Laila contro di lei e l’altro bisturi di nuovo a me, colpendo entrambi dove ero già stato colpito, ma sul lato sinistro.

Un pensiero mi gela il sangue.

Non vuole ucciderci, ci sta rendendo incapaci al movimento così da poterci usare per i suoi mostruosi esperimenti.

Vengo riscosso dai miei pensieri quando una lattina, la stessa che avevo visto prendere da Virgilio all’armeria della centrale, rotola verso il mostro per poi iniziare a girare su sé stessa liberando un denso fumo grigio. Dopo poco Manfredo e Virgilio appaiono di fianco a me e Laila e accucciandosi, caricano le proprie armi, Manfredo deve aver abbandonato le lame da qualche parte.
  • Pensate di potervi nascondere? – dice una voce in mezzo al fumo, dopodiché diverse ventole, poste intorno alla struttura circolare, iniziano a muoversi facendo volare via il fumo.
Poi, appena la sagoma è visibile, sia Virgilio che Manfredo sparano con le proprie armi. Dopodiché le nostre speranze crollano.
I colpi di entrambe le armi vengono deviati dalle lame, ora nelle mani del mostro.
  • Avete finito? – domanda puntando una lama nella nostra direzione, sorridendo compiaciuto attraverso la bocca di Margherita.
Sul volto di Manfredo uno strano sorriso compare, una singola lacrima scende dal suo occhio sinistro.
  • No… - riesco solo a dire, rivolto nella sua direzione, poco prima che lui si volti verso di noi.
  • Compagnia Stagno, ragazzi, grazie per aver vissuto questo periodo della mia vita insieme, grazie per avermi permesso di fare parte di questo gruppo e grazie – dice poi guardandomi – per avermi concesso la vostra amicizia.
Detto questo si alza, estrae dalla cintura un coltello, e iniziando a camminare verso il mostro si batte forte il petto, là dove alloggia la sua siringa di SuperMio, fornitura base di ogni Tecnofante, facendo sì che il liquido entri in circolo.

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Capitolo 15
*** Cap 15 - Epilogo ***


CAP 15 – Epilogo
 
Sette settimane dopo.
  • “In this farewell, there’s no blood, there’s no…”
  • Alibi. E così oggi si ricomincia, eh?
Scesi da letto, mi lavai, mangiai e mi vestii.

Erano passati quasi due mesi da quella notte, la notte in cui avevamo fermato Mefistofele, grazie al sacrificio di Manfredo. Ogni tanto quel mostro faceva la sua comparsa nella mia mente durante il sonno. La prima settimana non ero riuscito a chiudere occhio. Ogni volta che le palpebre si abbassavano l’immagine di quell’abominio appariva nitida davanti a me, quella risata robotica, quel sorriso malvagio.

Minetti ci aveva costretto a quarantanove giorni di licenza obbligatoria di cui ventiquattro, la metà, di terapia con uno psicoterapeuta qualificato e certificato dalla Cittadelle delle Scienze di Firenze.

Quell’uomo fu reso partecipe del nostro rapporto presso il Comandante Minetti, il pomeriggio del giorno successivo il nostro rientro.
  • Ok della Rocca, ho sentito i rapporti dei tuoi compagni, ora vorrei sentire il tuo, da quando avete lasciato l’impianto abbandonato di GROSS, così da avere anche il tuo punto di vista e permettere al dottor Landi di verificare il grado del tuo eventuale percorso di terapia – mi disse il comandante.
  • Certo, signore – iniziai – una volta scoperto che il dispositivo contenente la coscienza di Mefistofele si trovava presso l’ex carcere di Sollicciano ci mettemmo in cammino, era pensiero comune della nostra Compagnia che con Mefistofele avremmo trovato anche il signor Fausti e, presumibilmente, l’ultima Sorella della Cascata.
  • Bene, poi siete entrati nell’ex carcere e da lì?
  • Da lì, signore, siamo entrati nell’edificio posto a lato dell’ingresso, così da poter controllare la zona dall’alto e verificare quale fosse il percorso più adatto da seguire. L’idea era inoltre di controllare se ci fosse qualche segno di attività così da non farci cogliere impreparati – proseguii, mentre i ricordi di quelle ore, passate dentro i resti della prigione, iniziavano a riempirmi la mente, facendomi battere il cuore più forte del normale – arrivati all’ultimo piano dell’edificio abbiamo trovato quello che abbiamo supposto essere stato l’ultimo accampamento di Fausti, tra gli oggetti trovati, quelli che sono stati schedati, come sa abbiamo trovato il dispositivo chiamato “LE NEBBIE DI AVALON”, vari appunti su tre tipologie di costrutti meccanici, medicinali e viveri ed infine una siringa di SuperMio, quelle in dotazione ai Tecnofanti. Dalle registrazioni delle telecamere controllate da Mefistofele, come abbiamo visto insieme a voi, sappiamo che Fausti si è riempito di antidolorifici e stimolanti, dopodiché si è iniettato la SuperMio, ed ha attivato il dispositivo sopracitato, Le Nebbie di Avalon, ho immaginato si trattasse di un qualche disturbatore di segnale visto che ha reso cieche le telecamere posizionate in tutto l’edificio. Non sappiamo fino a dove sia arrivato ma, il sistema di difesa era davvero efficiente, è possibile che sia stato trattenuto e abbia combattuto finché non è sopraggiunta la sua morte. Possiamo stimare, dall’usura del dispositivo e dalla muffa sulle scatole di cibo aperte, che fossimo in ritardo di qualche giorno sui movimenti di Fausti. Per questo non abbiamo trovato il suo corpo durante il nostro percorso e nemmeno i resti dei costrutti da lui eliminati.
  • Se mi è concesso interrompervi, signor della Rocca, il vostro tono cambia leggermente quando pronunciate il cognome del defunto Giovanni Giorgio Fausti, che opinione avete di lui? – mi chiese il dottore.
  • Era un uomo dalla mente brillante, ricco di idee e progetti, eternamente insoddisfatto, e questa sua incapacità di trovare la felicità, di cercare sempre più in là, l’ha condotto alla rovina. Ammiro la sua intelligenza ma rinnego la sua morale, dottore.
  • Va bene, può proseguire, scusi ancora per l’interruzione.
  • Ero rimasto a… il palazzo, la telecamera ah sì, allora, dopo aver quindi ispezionato il suo rifugio e definito il percorso ottimale abbiamo iniziato a dirigerci verso quello che doveva essere il cortile centrale, siamo passati attraverso diverse stanze e corridoi, li stessi che avete visto quando avete controllato il posto, dopo il nostro rientro. Ci siamo scontrati con alcune delle creazioni di Mefistofele fino ad arrivare alla stanza delle celle, i prigionieri stanno bene?
  • Sono in riabilitazione, ma sono fisicamente sani.
  • Bene, bene, come dicevo, siamo scappati da quella stanza dopo che diverse di quelle costruzioni mostruose hanno iniziato ad apparire dalle membrane e dalle tubature, è grazie ad uno dei progetti di Fausti se siamo riusciti a scappare da quella stanza – aggiunsi lanciando uno sguardo al dottore.
  • Prosegua con il rapporto, della Rocca – disse il comandante, per poi addolcire la sua espressione, capiva la quantità di stress a cui ero stato sottoposto e che ancora sentivo – per favore.
  • Sì, signore, come dicevo abbiamo superato la stanza delle celle e siamo arrivati alla prima parte del cortile, abbiamo proseguito, circondati da tubi, cavi e membrane fino a raggiungere il centro. Lì abbiamo trovato l’abominio creato da Mefistofele come suo corpo momentaneo, dopo un breve scambio di parole ci si è lanciato contro e abbiamo iniziato a lottare, cercando di resistergli. Quando eravamo ormai con le spalle al muro, Manfredo ha deciso di sacrificarsi, si è iniettato la SuperMio e come una furia si è avventato su quell’essere. La sostanza potenziante ha fatto il suo dovere, Manfredo sembrava essere un’altra persona. Siamo rimasti immobili e impotenti, mentre lui ha iniziato a lacerare il petto di quel mostro usando prima il coltello e poi le mani nude, l’aria si era riempita delle urla meccaniche di quella cosa, sovrastate, ogni tanto, da quelle di Manfredo che ha continuato a strapparne e dilaniarne le carni finché non è rimasto altro che una poltiglia sanguinolenta. Poi ha mosso qualche passo verso di noi, ha pronunciato solo una frase, “Grazie amici, abbiate cura di voi”, prima di portarsi una mano al mento e una dietro la testa e spezzarsi il collo, così da evitare le atroci sofferenze che sarebbero sopraggiunte una volta che il corpo fosse stato consumato dalla sostanza potenziante. Per poi crollare a terra. Morto. La morte di Mefistofele ha decretato lo spegnimento di tutto ciò che egli aveva creato dentro il complesso di Sollicciano e l’apertura delle celle. Per questo i prigionieri sono arrivati in città. Avvisandovi. Quanto a noi tre, abbiamo spostato il corpo di Manfredo per toglierlo dal sangue che stava inzuppando il terreno, e ci siamo avvicinati al tavolo sopra il quale quel mostro stava operando. Ciò che trovammo lo sa già comandante. Sdraiato sul tavolo operatorio giaceva un corpo, né uomo né donna ma entrambi. L’analisi del laboratorio confermerà ciò che alla vista era ovvio, quel corpo era stato creato attraverso un incredibile lavoro di chirurgia di precisione, usando come basi i corpi di Fausti e dell’ultima sorella della Cascata che mancava all’appello. Il cranio era aperto e il cervello mostrava la presenza di piccoli dispositivi collegati ad esso. Mefistofele era stato in grado di potenziare la capacità cerebrale di quel corpo, dentro il quale è logico supporre che volesse trasferirsi.
  • Uomo e donna fusi insieme dice?
  • Esatto dottore, personalmente avrei una teoria a riguardo. Nei racconti di mitologia che ho avuto modo di leggere, si dice, a volte, che il corpo di Dei e Angeli o chi per essi, era ermafrodita, in una comunione perfetta di uomo e donna.
  • Grazie, della Rocca, ha già ricevuto la comunicazione da parte dell’Ufficio Generale?
  • Delle settimane di licenza, signore?
  • Esatto, allora può andare, si riposi, se lo merita.
E così, grazie allo psicoterapeuta, dopo una settimana di incapacità a dormire qualcosa era cambiato.

Capitava ancora che Mefistofele apparisse durante il mio sonno ma, da qualche parte fuori dal campo visivo del mio sogno, qualcosa succedeva, a volte una voce che mi diceva di non arrendermi, altre volte sentivo come una mano sulla spalla e ritrovavo il coraggio, altre volte ancora, un grosso proiettile partiva da dietro di me e colpiva il mostro in testa, superando il cranio ed infrangendo il Porta-PAI che sapevo essere posto sulla sua nuca.
  • Beh, è ora di uscire – dissi, e prendendo gli occhiali e le chiavi uscii.
  • Era ora, sono qui fuori da almeno tre minuti!
  • E allora andiamo, o faremo tardi.
  • Vuoi passare a..?
  • Certo che sì, Virgilio?
  • Tribunale, ha detto che ci avrebbe raggiunti direttamente alla centrale. Come fai ad essere sicuro che le informazioni fossero giuste?
  • Me lo chiederai ogni giorno? Noi Tecnosofi abbiamo i nostri metodi e poi – dissi tirando fuori la “Sfera delle Risposte” – anche questa dice “la fede ti porterà gioia”.
  • Tu e quella dannata palla.
  • Ehi, potresti offenderla! Ricordi la promessa che ti ho fatto? Come siamo messi?
  • Sto ancora aspettando il primo della giornata, Ale.
  • Ma pensa te, d’accordo Doc.
Giungiamo, percorrendo la parte pedonale delle mura, dietro la zona urbana di Firenze. Da lì il panorama si affaccia sulla nuova zona di campi coltivati, inaugurata due settimane prima.

Ci sediamo, le gambe a penzoloni oltre il muro di cinta, la nostra attenzione è rapita da una figura, una figura che qualche decina di metri sotto di noi, e altrettante più avanti, in mezzo ai campi, sta seminando qualche tipo di cereale. Sulla sua schiena c’è una piccola caldaia. È un costrutto.

Il costrutto lancia le ultime manciate di sementi poi si ferma e, come se fosse ormai un meccanismo automatico su piega leggermente in avanti, portandosi una mano a premere il fianco sinistro.
  • Buona giornata, Soldato.




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E così si conclude questo racconto, rileggendolo noto la differenza tra i primi e gli ultimi capitoli, del mio modo di scrivere, spero che per voi sia stata una bella avventura! 
- Possano gli astri guidare i vostri passi.

 

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