Bart Prompt Week

di Fauna96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di polline e palme ***
Capitolo 2: *** Qualcuno ricorderà (te) ***
Capitolo 3: *** C'è qualcosa nei McDonald's di notte ***
Capitolo 4: *** L'erede ***
Capitolo 5: *** Il jinn, il ladro e la maga ***
Capitolo 6: *** Compagnia ***
Capitolo 7: *** L'altro ministro ***



Capitolo 1
*** Di polline e palme ***


NdA: ho deciso di mettere qui tutte le storie che ho scritto per questa cosa bellissima che è stata la Bart Prompt Week. Originariamente le ho pubblicate suTumblr in inglese: sono sempre io, tranquilli, che mi traduco anche le storie. Multitasking, sapete com'è.
Questo primo prompt è Springtime; ho ambientato la storia tra L'occhio del Golem e La porta di Tolomeo, quando Nat è ancora vagamente decente. 


Di polline e palme
 

Ah, la primavera! La natura si risveglia, gli uccellini riprendono a cantare, fiori sbocciano per ogni dove…
«Et…. Ciùùùùù!» E il mio padrone si trasformava in una specie di mocio vagante e colante schifezze.
Lo osservai mentre si puliva il naso per quella che era la millesima volta in venti minuti.
«Stai spruzzando i tuoi preziosissimi documenti di saliva e muco, mio signore».
L’occhiataccia che mi mandò forse sarebbe stata più effettiva se non avesse avuto gli occhi gonfi e rossi come un basset hound. «Daci» rantolò.
Gli sorrisi allegramente. «Come dici, scusa? Non pronunci bene, non riesco a capire. Potresti avermi dato qualunque ordine…»
Nathaniel fece un verso frustrate e gettò via la penna. «Lo so. Segondo de, berché non di ho già congedato e basta?»
Be’, sì, in effetti il problema era proprio lì: anche solo pronunciare una formula relativamente semplice come quella di un congedo temporaneo avrebbe potuto provocare conseguenze disastrose.[1] Perciò era bloccato: non poteva darmi ordini, né in realtà osava mostrare la faccia (completa di naso gocciolante) in ufficio; l’unica cosa che gli era rimasta da fare erano le scartoffie. Che, comunque, non gli stavano venendo granché bene, se posso permettermi.
Era una situazione snervante, lo ammetto; per fortuna, aveva a sua disposizione un brillante jinn pieno di risorse che poteva allietarlo con… Abbassai lo sguardo: il grande e potente John Mandrake, il ministro degli Interni più giovane di tutti i tempi, aveva sepolto la testa sulla scrivania e sembrava aspirare a venire soffocato dai propri documenti.
«Ehm» mi avvicinai cautamente. «Sei morto?»
Come risposta, ricevetti un gemito misto a un tirare su col naso. Piuttosto patetico, se volete il mio parere. Roteai gli occhi. «Senti, fatti una camomilla o qualcosa del genere. E poi buttati a letto e smettila di fare queste scene».
Due occhi lacrimosi mi fissarono da sotto in su. «Una… camomilla?»
«Proprio così. Saprai cos’è, spero».
Il ragazzo sapeva perfettamente cosa fosse, ma non aveva idea di come farla. Dopo aver assistito a un pietoso trascinamento in cucina e ad altrettanto pietosi tentativi di far bollire l’acqua,[2] decisi di prendere la faccenda nelle mie mani.
«Sei fortunato» commentai acidamente «che ho avuto diverse carriere. E sei fortunato anche che il povero Akhenaton soffriva anche più di te, quindi dovevo stargli dietro, tenergli la manina e il fazzolettino».
Aggrottò le sopracciglia e soffiò sul liquido bollente. «Aghenadon era egiziano. Gome faceva a soffrire di raffreddore da fieno?»
Alzai le spalle. «Esistono le oasi, sai. Polline di… palme».
Continuò a fissarmi poco convinto. La camomilla, intanto, se la scolò tutta.
 
[1] Disastrose per lui sicuro, ma, sfortunatamente, anche per me. Le formule errate sono imprevedibili: avrebbe potuto farmi materializzare in una tinozza di olio bollente o qualcosa del genere.
[2] Sottolineo, far bollire l’acqua. Di questo passo, non sarebbe neanche più riuscito a mangiare da solo.

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Capitolo 2
*** Qualcuno ricorderà (te) ***


II Prompt: Favourite Line


Qualcuno ricorderà (te)

 
«Sono passati duemilacentoventinove anni da quando è morto Tolomeo» disse. «Aveva quattordici anni. Da allora sono sorti e caduti otto imperi mondiali, e io ancora porto la sua faccia. E tu dici che sono fortunato?»
Kitty non rispose. Dopo un lungo silenzio, chiese: «Perché lo fai? Prendere le sue sembianze, voglio dire».
«Perché l’ho promesso a me stesso. Lo mostro per com’era. Prima che cambiasse».
 

Il primo mago che mi convocò dopo Tolomeo era un romano. Ovviamente. La cosa in sé era abbastanza prevedibile: Roma era in rapidissima ascesa, tutti i maghi con un briciolo di ambizione e potere si stavano radunando lì, cercando di entrare nelle grazie di qualche magistrato o, se ne avevano l’inclinazione, diventare loro stessi magistrati.
Non tirai in lungo quell’incarico; non volevo restare a Roma un minuto più del necessario, volevo solo tornare a casa, dove quantomeno sarei stato libero di ricordare Tolomeo nel vortice infinito dell’Altro Luogo. A lui sarebbe piaciuto.
Naturalmente, dopo quella prima convocazione a Roma ce ne fu una seconda, e una terza, e di nessuna mi ricordo i particolari. Non ero interessato. Roma era caotica e puzzolente come qualunque altra città e ne avevo già abbastanza. Mi mancava il deserto, il sole accecante e il blu limpido del cielo che ti faceva lacrimare gli occhi, il vento secco che mi portava in alto quando da falco volavo lontano…
Il gatto si stiracchiò, senza staccare gli occhi dal suo obiettivo, un tizio ossessionato dall’agricoltura. Sì, insomma, era un magistrato di qualche tipo che stava tentando di migliorare le condizioni di vita per tutti, quindi ovviamente un soggetto pericoloso. Non ero molto interessato alla faccenda: che lo ammazzassero e la facessero finita.[1]
Il gatto è sempre stato una delle forme migliori per compiti di spionaggio nelle città: è versatile, e nessuno ci fa troppo caso. A Roma, poi, i gatti affollano ogni via e ogni foro.
Zampettai dietro la mia preda, la quale sembrava fin troppo spensierata per un uomo che va in giro a fare discorsi pericolosi in Senato.[2]
Le strade erano affollate, come al solito, e brulicavano di bambini e ragazzini che giocavano, si rincorrevano, allungavano le mani. Nessuno badava molto a loro.
Esitai. In fondo, che male c’era? Un ragazzino è pur sempre un ragazzino, ovunque sia. Chiunque sia. Sarebbe stata una forma come le altre, ma… be’. Era l’unica cosa che potevo fare, dopotutto: portare con me la sua immagine, luminosa e giovane come ricordavo lui.
Alle calcagna del tribuno ora non c’era più un gatto, ma un bambino dalla pelle scura, vestito semplicemente, con grandi occhi neri. Incrociò per un attimo il proprio sguardo riflesso in una pozzanghera e, in fretta, distolse gli occhi.
 
[1] In effetti, fu proprio quel che successe. Ops.
[2] Va bene, ogni discorso era pericoloso in Senato, specialmente se riguardava denaro e terra, che, alla fine della fiera, erano la stessa cosa.

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Capitolo 3
*** C'è qualcosa nei McDonald's di notte ***


III Prompt: AU. Ho scelto un Urban Fantasy AU, molto ma molto ispirato da The Witcher, anzi da una versione moderna di The Witcher, in cui si cacciano i mostri nel nostro mondo.

C’è qualcosa nei McDonald’s di notte

 

Kitty sfilò la lama d’argento dallo stomaco del mostro e insieme vennero fuori viscere aggrovigliate e sangue nero con un soddisfacente rumore viscido. Soddisfacente per Kitty, quantomeno: Nathaniel, alle sue spalle stava facendo del suo meglio per non vomitare.
Kitty si voltò verso di lui con uno svolazzo dei lunghi capelli neri. «Quando ti dico di stare lontano, stai. Lontano».
Nathaniel deglutì. Avrebbe volute ribattere che doveva vedere, doveva prendere appunti e, perché no, scattare qualche foto, altrimenti la loro piccolo impresa sarebbe fallita, ma gli artigli dell’incubus gli erano passata troppo vicini alla faccia per protestare. Finché non ricordò che lui aveva previsto con estrema precisione che il mostro in questione fosse un incubus, ma Kitty, no, oh lei non lo ascoltava mai, lei doveva gettarsi nella mischia senza nemmeno discutere con lui delle prove che lui, Nathaniel, aveva faticosamente raccolto e studiato…
Nel tempo che occuparono a riscuotere il pagamento e a cercare un McDonald’s nelle vicinanze, la lite aveva avuto modo di gonfiarsi, caricarsi e infine scemare insieme all’adrenalina. Ora sedevano silenziosi davanti ai vassoi di plastica, Kitty con gli occhi semichiusi e la testa ciondolante, Nathaniel che scorreva in maniera assente la bacheca di Instagram. Quando incontrò l’ennesima foto di Jane Farrar a mollo nella sua piscina, decise che era ora di spegnere il Wi-Fi.
Kitty si riscosse, prese un anello di cipolla di Nathaniel e chiese che ore fossero.
«Le tre e trentacinque. Perché non ti prendi mai anelli di cipolla per te?»
«Perché è solo fritto, Nat. Non fanno bene» Kitty gli sorrise pigramente e Nathaniel roteò gli occhi.
Cadde di nuovo il silenzio, a parte la musica soffusa dalla radio. Nathaniel fece scorrere le pagine del suo bloc-notes, fitte di appunti e disegni.
«Mi hai disegnato di nuovo?» Nathaniel chiuse di botto la copertina, sentendo le guance bruciare.
Kitty rise. «Lo so, che mi disegni mentre combatto. Non capisco cosa ci trovi, ma mi piacerebbe vederne uno, tanto per cambiare».
Nathaniel non osò alzare lo sguardo. «Be’, assumi delle pose molto… plastiche, mentre combatti» Dio, cosa stai dicendo? «Mi servono per far pratica».
«Benissimo, ma posso vedere?»
Nathaniel sbuffò, strappò in fretta una pagina con uno schizzo a carboncino e glielo passò. «Contenta?»
Era vecchio di qualche mese, ormai; mostrava Kitty intenta a liberare la spada da una massa informe, i capelli selvaggi, il viso schizzato di sangue di mostro.
La vera Kitty lo osservò, poi disse: «Sembro molto più epica di quello che sono. Le cervella non danno quell’aura glorificante, macchiano e basta».
Nathaniel si strinse nelle spalle e non disse nulla. Era meglio così.
Lasciò vagare lo sguardo lungo la sala semivuota: un gruppo di ragazzini, forse di ritorno dalla discoteca; un giovane con le cuffie alle orecchie che esaminava con aria critica il proprio hamburger; due infermiere del turno di notte che controllavano l’orologio.
C’era qualcosa di strano.
Nathaniel non era un cacciatore di mostri come Kitty; era uno studioso, sapeva disporre le trappole e conosceva a menadito tutte le debolezze delle loro prede. Certo, non sapeva ucciderle. Non ne era in grado, non lo sarebbe mai stato probabilmente, ma questo non voleva dire che non sapesse riconoscere i segni. E sentiva che qualcosa non andava. Glielo diceva il proprio naso: sentiva, a tratti e leggero, un odore vago di zolfo.
Glielo diceva il proprio battito, improvvisamente accelerato, perché il suo corpo aveva riconosciuto la presenza di un predatore.
«Kitty» sibilò. «Kitty!»
Kitty trasalì, le dita ancora strette sul disegno. «Che c’è?»
Nathaniel fece un vago cenno verso la stanza. «Qualcosa non va» mormorò.
Kitty sbatté le palpebre. Si posò le dita sul polso e Nathaniel la vide contare silenziosamente. Si raddrizzò impercettibilmente. «Chi?»
Nathaniel si strinse nelle spalle. «Escluderei quei ragazzini: sono in gruppo, se anche fosse uno di loro, perché portarli tutti qui?»
«È uno solo» aggiunse Kitty. «Sentiremmo se fossero di più».
«E allora-» Nathaniel si interruppe: le due infermiere se ne stavano andando. Ancora non avevano girato l’angolo che il giovane con le cuffie era in piedi, e poi fuori.
Nathaniel e Kitty aspettarono qualche secondo, poi si gettarono al suo inseguimento. Era importante raggiungerlo senza creargli sospetti, ma altrettanto importante arrivare prima che iniziasse a uccidere…
Kitty era pronta, i sensi all’erta, la mano sulla spada; Nathaniel, più indietro, ripassava mentalmente i vari demoni e i loro punti deboli e…
Si bloccarono. Era scomparso.
Kitty afferrò la manica di Nathaniel e lo avvicinò a sé, il cuore dolorosamente pesante nel petto. Cazzo. Cazzo.
«Avete finite di seguirmi?»
L’istinto di Kitty fu più veloce di qualunque altra cosa: lei scattò in avanti e colpì.
«Ehi! È argento, vacci piano!» La creatura era spuntata dalle tenebre, con un palmo che perdeva sangue incolore, luminoso. «Calma! Siete voi che mi avete aggredito, cosa volete?»
La maggior parte dei mostri non parlava; non era nemmeno senziente, a dir la verità. I demoni, alcuni, sapevano parlare, ma non lo facevano molto; e nemmeno ti fissavano corrucciati, senza attaccarti, mentre tu eri pronto ad affettarli.
«C’è qualcosa di strano» sussurrò Nathaniel all’orecchio di Kitty. Il demone evidentemente lo sentì, perché sbraitò: «Certo che c’è qualcosa di strano! Mi faccio gli affari miei e due ragazzini mi seguono e cercano di ammazzarmi! Dite un po’, siete fatti?»
«È il nostro lavoro» replicò Kitty gelida. «Stavi per uccidere due donne. Noi uccidiamo te».
«Oh, davvero? Vedi due cadaveri da qualche parte? Li ho forse mangiati?» si interruppe. «Be’, potrei averlo fatto, in effetti. Ma sarei coperto di sangue, non credi?»
«Non ho detto che le hai uccise, ho detto che volevi farlo» replicò Kitty, e Nathaniel vide che stava perdendo la pazienza. Quanto a lui, iniziava ad avvertire un certo mal di testa salirgli su per la cervicale.
«Oh oh, e che prove hai?» Kitty lo fissò. Nathaniel avvertì tutta la surrealtà della situazione. Stavano davvero litigando con un demone alle quattro del mattino?
«È quello che fate» tagliò corto.
Il demone alzò un sopracciglio. «Finora di pazzi assassini ci siete solo voi due» Nathaniel ora riusciva a vedergli le zanne, bianche e appuntite. «Sentite, non siamo tutti maniaci assassini. E io non ho alcun interesse nell’uccidere umani. Volevo solo un cavolo di milkshake. E ora stavo andando a casa».
Nathaniel iniziava a chiedersi se in realtà ci fosse qualcosa di strano nei suoi anelli di cipolla. O forse, era meglio smettere di bere bibite zuccherate. Kitty gli stringeva ancora il braccio, ma la lama si era abbassata di qualche centimetro.
«Cosa sei?» mormorò.
Il demone fece una smorfia e si toccò piano il taglio sulla mano. «Non è carino chiedere una cosa del genere! Sentite, perché non torniamo tutti al Mc e maaagari parlare come persone civili?»

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Capitolo 4
*** L'erede ***


IV Prompt: Least favourite character. Ho scelto lui un po' perché volevo provare, un po' perché mi interessava scrivere da un punto di vista esterno la relazione tra Bart e Tolomeo anche se... be', alla fine non è proprio il fulcro della storia. Comunque.


L’erede
 
Era l’unico figlio maschio legittimo, era lui l’erede, su questo non c’erano dubbi. Certo, a meno che qualcuno non prendesse il trono con la forza. Ma quelle cose non avvenivano da tanto, troppo tempo perché il principe Tolomeo se ne preoccupasse.
Finché una, tra le tante voci che bisbigliavano al suo orecchio, non aveva commentato che suo cugino, il più piccolo, quello incapace persino di tendere un arco, ecco, proprio lui sembrava avere interessi pericolosi. Interessi per la magia.
All’inizio, il principe aveva liquidato il tutto con una risata: quel ragazzino, un mago? Un mago pericoloso, per di più? Poco credibile, ridicolo.
Ma era difficile levarsi quel tarlo dalla testa, una volta che aveva preso a scavare.
Iniziò a farlo spiare, ma gli portò poca soddisfazione: tutto quel che suo cugino faceva era andare in biblioteca, parlare con vari studiosi, andare al mercato delle spezie. In quest’ordine. E questo era quanto.
O almeno, lo fu per un po’. Perché divenne difficile ignorare le file di persone che andavano a chiedergli consiglio. A un ragazzino e non a lui, il legittimo erede, il loro principe! Ridicolo! Ma pericoloso, pericoloso, mio signore. Bisogna fare qualcosa, fermarlo, ucciderlo… sussurravano le voci attorno a lui.
Ucciderlo? si domandava il principe. Era pur sempre un bambino. È un mago, è un mago, vuole il potere, se non ora, lasciate passare qualche anno e vedrete, insistevano le voci.
Il principe Tolomeo rimestava il suo vino e pensava. Ascoltava le proprie spie e rimuginava.
Quando incontrava il cugino nei corridoi o nei giardini, lui si inchinava profondamente, e così faceva lo studioso o lo scriba accanto a lui, anche se…
Capitava anche che di notte, quando il principe tornava barcollando nelle proprie stanze, che vedesse una lucerna accesa sul tetto piatto del cugino; e lì vi era appollaiato il ragazzo, a scrivere, o leggere, o guardare per aria… o parlare con la pavoncella che zampettava sul bordo.
Anche da ubriaco e col buio, il principe poteva vedere che era in corso una vera e propria conversazione tra di loro. La pavoncella sbatté le ali; il ragazzo rise.
Con le mani che tremavano, il principe barricò la propria porta. Domani, decise. Domani avrebbe fatto visita al cugino.

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Capitolo 5
*** Il jinn, il ladro e la maga ***


Il jinn, il ladro e la maga
 

V Prompt: Role reversal


Agnes Pole aveva un segreto, uno di quelli che avrebbe potuto ucciderla. Il fatto era che non aveva scelto lei di mantenere questo segreto; era successo e basta.
La facevano semplice a dirti di scordare il nome di nascita; ma per Agnes era stato impossibile. Non che non ci avesse provato: di notte, quando ancora era una bambina, chiudeva gli occhi stringendoli fortissimo e tentava con tutte le forze di espellere quel ricordo: la voce di sua madre che chiamava ‘Kitty’.
Ovviamente, non ce l’aveva fatta; e, altrettanto ovviamente, nessuno lo sapeva, meno di tutti la sua maestra. Dopotutto, era stata proprio lei a impartirle, come prima lezione, di non fidarsi di nessuno; e, sottinteso, nemmeno di lei. Così, Agnes aveva tenuto la bocca sigillata; non aveva mai nemmeno osato pronunciare quel nome proibito a voce alta.
Quando si guardava allo specchio, vedeva Agnes Pole: una giovane donna dai corti capelli scuri e morbidi, lo sguardo acuto, la bocca costantemente piegata in un gradevole sorriso. Non sapeva che aspetto avesse Kitty, se non quello di una bambina sperduta di cinque anni.
La sua rete di sensori prese a trillarle nell’orecchio; un momento dopo, alla finestra si materializzò un piccione. Agnes lo fece entrare e subito prese le sembianze di un giovane uomo in complete grigio e dalle guance pallide.
«Padrona» disse accennando un inchino «credo di averlo trovato».
 
Nathanael era il suo demone fisso da qualche anno, ormai; era stato uno dei primi jinn di una certa potenza che avesse evocato, e all’inizio l’aveva trovato irritante senza una ragione precisa. E davvero non c’era una ragione, perché il demone era preciso, silenzioso e impeccabile. Il sogno di ogni mago.
Ma era anche pignolo, pedante e con una certa astuzia nascosta capace di rivoltare ogni ordine come un calzino, Agnes lo sapeva. Tuttavia era efficiente; e, come diceva sempre la Whitwell, trovare servi efficienti e per di più silenziosi era estremamente raro. Per cui, Agnes lo aveva tenuto e, alla fine, c’erano stati dei vantaggi: tanto per cominciare, imparare a dare ordini concisi e cristallini. Poi, aveva scoperto che Nathanael era un vero pozzo di conoscenza e, se gli facevi le domande giuste, ottenevi tutte le risposte che volevi. Se avesse dovuto descrivere il proprio servo con una parola, Agnes avrebbe usato ‘competente’.
E lo era davvero (beccati questo, Farrar) perché era riuscito a individuare uno dei ladri di manufatti che stava facendo impazzire tutto il dipartimento di Tallow e la polizia.
Agnes, in quanto apprendista del Capo della Sicurezza, era stata piazzata a indagare sulla serie di furti; all’inizio, doveva ammettere che come incarico non le era garbato molto: odiava il lavoro d’ufficio, avrebbe preferito essere buttata in mezzo all’azione. La Whitwell, di fronte alle sue proteste, aveva a malapena alzato un sopracciglio. «Sei ancora un’apprendista, Agnes» aveva ribattuto. «Vedi di non montarti troppo la testa. Sei intelligente e hai talento, ma usa il cervello prima di parlare. Un lavoro d’ufficio, come lo chiami tu, potrebbe farti un gran bene».
Agnes si era morsa la lingua. Così come aveva dovuto fare tutte le volte che aveva incrociato la Farrar e aveva dovuto sopportare un fuoco di fila di frecciatine.
E ora invece… «Davvero un ottimo lavoro, Nathanael» commentò, appoggiata al sedile dell’auto.
Il giovane accanto a lei inclinò il capo. «Grazie, padrona» mormorò, ma Agnes riuscì a cogliere tutta la sorpresa dietro il tono compito. Non era molto comune che Agnes degnasse il proprio demone di qualcosa di più degli ordini, ma era un’occasione particolare. «Se stanotte va tutto bene, ti congederò per un po’».
«Adesso non esageriamo, padrona» il viso del demone era sempre pallido e serio, ma Agnes credette di cogliere un luccichio… divertito? dietro gli occhi gelidi.
Oh, perché no? Se l’era meritato, in fondo. Certo, lei avrebbe dovuto fare a meno del suo servo più fidato, ma si sarebbe trattato di poco tempo. Era perfettamente in grado di badare a se stessa. Sarebbe stato strano, però, non avere l’alta figura allampanata dietro le spalle, silenziosa come un’ombra e altrettanto fedele…
«Ci siamo» mormorò Nathanael. «Vede quell’angolo lì? Ci passa tutte le sere per tornare alla sua… tana. Credo abbia un nascondiglio sotto qualche mattone, perché perde sempre qualche minuto lì. E in quel minuto, è disattento».
Agnes annuì, senza staccare gli occhi dalla strada. Fece un cenno al jinn, e quello scivolò fuori dal finestrino socchiuso come un ricciolo di fumo.
Non dovettero attendere a lungo: una figura si stava avvicinando con passi rapidi, misurati. Si fermò all’angolo, come previsto.
E poi ci fu rumore di lotta, un grido furioso soffocato, poi il bagagliaio si spalancò e qualcosa fu gettato dentro.
 
A Nathanael non piaceva granché rapire ragazzini; ma non gli piaceva nemmeno disobbedire agli rodine e venire punito, per cui non c’erano molte alternative. Per di più, il ragazzino in questione si era dimenato come un’anguilla ed era riuscito ad assestargli un calcio nello stinco con uno scarpone che doveva avere qualcosa di ferro, perché bruciava parecchio.
Lui e la sua padrona l’avevano portato a una vecchia biblioteca abbandonata che avevano usato più volte in diverse occasioni. La signorina Pole guardò il ragazzino ancora svenuto ai suoi piedi. Ad essere sinceri, non c’era molta differenza di età tra la maga e il comune, ma il portamento di lei, i vestiti e tutto quanto facevano sempre sembrare Agnes Pole più grande.
Nathanael la osservò con la coda dell’occhio mentre sembrava ripassare mentalmente cosa chiedere al comune. E probabilmente si ripeteva di essere calma e razionale, una cosa che non sempre era il forte di Agnes Pole, nonostante l’ottima insegnante. Nathanael arricciò appena il naso al pensiero della Whitwell. Vecchio avvoltoio.
Il ragazzo diede un gemito improvviso, e i suoi occhi si spalancarono. Nathanael li vide frugare per la stanza, in cerca di una via di fuga, poi si posarono su di loro.
«Prova a muoverti e il mio demone ti fa a pezzi».
Il ragazzo non si mosse. Poi, inaspettatamente, fece un sorriso abbagliante, splendente sul suo viso scuro.
«Salve» disse.
Be’, non era quella la reazione che Nathanael si era aspettato, francamente. E nemmeno la sua padrona, che strinse le labbra mentre il comune continuava a guardarli da sotto in su.
«Che posso aver fatto per meritare un simile onore? Rapito da una maga?» fece l’occhiolino con aria maliziosa, che poco si addiceva a un ragazzino sporco, raggomitolato per terra.
Nathanael vide chiaramente la pazienza della sua padrona scemare; fossero stati soli, le avrebbe sussurrato di stare calma, tranquilla: era lei ad avere il comando, come sempre.
Ma Agnes strinse appena i pugni e prese un profondo respiro. «Voglio che tu risponda alle mie domande, in fretta» disse. «E forse potrei anche pensare di lasciarti andare».
Il ragazzo fece un verso derisorio. «Certo, signorina maga. E mi dai anche un passaggio fino a casa, vero? Nessuno di noi ci crede, neppure il tuo demone. Mi hai preso, hai vinto. Non so cos’altro vuoi».
«La Resistenza. Voglio i tuoi complici».
Cadde un silenzio… curioso. Il ragazzo tacque, poi si rivolse direttamente a Nathanael: «Gliel’hai detto tu che sono della Resistenza? Perché ho rubato qualche ferraglia? Oh cielo!» e scoppiò a ridere così forte che le pareti rimbombarono. «Mi dispiace, oh potentissima maga» riuscì a farfugliare «ma il tuo demone ha preso un granchio. Io lavoro da solo».
«Quindi ruberesti manufatti magici solo per hobby?» chiese Agnes, la voce pericolosamente dolce. «E solo oggetti magici, mai semplici gioielli?»
«Ah, quello è un mio piccolo segreto, scusa. Comunque, certo, li vendo. Al mercato nero, ma questo sicuramente lo sapete. Sicuramente sapete anche che andranno alla Resistenza o chi per loro. Ma io non ci voglio avere niente a che fare. Lavoro da solo, ve l’ho detto».
Agnes sorrise. «Quindi quei due… il bambino che ti segue dappertutto e quella ragazza così carina… non sono i tuoi complici?»
Un’ombra passò sul viso sfacciato del ragazzo. «No» sillabò. «Loro…»
«Non pensi che vivrebbero meglio fuori da quel vostro buco? Forse quel tuo bambino smetterebbe di tossire così tanto».
Il ragazzo deglutì e fissò entrambi negli occhi. «Senti. Io sono un ladro, è vero. Ma non sono della Resistenza. Puoi promettermi tutto quello che vuoi, ma non posso darti quello che non ho, e non ho né nomi né indirizzi. Se vuoi buttarmi in prigione per furto o dire che sono un terrorista, fallo. È la mia parola contro la tua, no?» I suoi occhi scuri indugiarono su Nathanael. «Oh il demone, certo. Potresti sempre farmi torturare da lui. Allora sicuramente canterei, ma non mi fiderei tropo. Ho sempre avuto una soglia del dolore bassa, sai».
«Padrona» mormorò Nathanael «una parola».
Agnes fece un passo indietro e inclinò il capo verso di lui. Gli occhi acuti del ragazzo continuarono a osservarli.
«Credo che in parte sia sincero. Ma se vende manufatti magici…»
«Ha dei canali d’accesso, sì» Agnes sospirò, e per un attimo parve che la maschera scivolasse giù. «Ero così vicina…»
«Io credo» mormorò Nathanael «che possa essere comprato. Facendo leva su… quei suoi due amici. Comprato, non minacciato».
Agnes strinse i denti. «Cosa dovrei fare? Comprar loro una casa?»
«No» la voce del ragazzo arrivò inaspettata. Doveva avere un udito eccezionale. «No. Ma c’è qualcosa che voglio».




NdA: non è che mi fossi scordata, giuro. Non mi sono scordata neppure delle altre storie, ma finalmente ho un po' più di tempo libero, ecco tutto. Comunque, qualche informazione riguardo questo AU che mi piace un sacco: il nome di Bart qui è Tim (Bar-TIM-aeus... scusate) e conosce la Resistenza (Faquarl) ma non è interessato assolutamente a unirsi a loro: sta bene con Tolomeo e Queezle (che fossero loro era chiaro...?). Per quanto riguarda Kitty/Agnes e Nathanael... eh. Il loro rapporto è molto molto interessante, se mi è concesso dirlo. Potrei tornare da loro, prima o poi.

 

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Capitolo 6
*** Compagnia ***


Compagnia
 


VI Prompt: A dynamic or a pairing



«Sai» disse Queezle, piano «non sono mai stata in guerra sul serio. Scaramucce, certo. Risse. Ma… non in questo modo».
Sotto di noi, oltre le mura di Praga, l’esercito inglese non si vedeva ancora. Ma stavano arrivando.
Spinsi di più la schiena contro quella di Queezle. Tolomeo non era granché alto per un quattordicenne, quindi la fanciulla mi superava di tutta la testa. «Be’, non è che sia molto diverso. Solo… tante risse, tutte insieme». I capelli biondi mi solleticavano le spalle. «Sei preoccupata?»
Fece uno sbuffo ben poco da signora. «Ti prego. Sono perfettamente in grado di badare a me stessa».
Feci uno sbuffo ancora più rumoroso. «Oh, ma sei solo una novellina!»
Mi spintonò con la spalla e si voltò a guardarmi torva. Io le feci un gran sorriso.
«Devo ricordarti chi si è occupato di quel manipolo di spie mentre tu eri troppo occupato a dire al nostro padrone quanto fosse fuori forma? E poi a prenderti la punizione[1]
Alzai gli occhi al cielo. «Non c’è bisogno di rinvangare il dolore passato! E poi, stavi ridendo anche tu».
Roteò gli occhi. «Ovviamente».
Il silenzio che cadde era piacevole, morbido. Non era male avere qualcuno con cui conversare intelligentemente, visto che gran parte dei nostri colleghi era formata da foliot idioti. Queezle era una boccata d’aria fresca in quel tetro castello.[2]
«Posso confessarti una cosa?»
Feci un gesto magnanimo. «Certamente».
«A volte mi manca tutto questo mentre sono nell’Altro Luogo. Non la schiavitù, ovvio, ma… la Terra. È così… affascinante».
«Ha i suoi pregi» convenni, dondolando le gambe giù dalla balaustra.
«Ti invidio».
Mi voltai. La fanciulla mi guardava col capo inclinato, le ciocche bionde che andavano a coprirle il viso. «Hai visto così tanto, fatto così tanto…»
«Non te lo consiglio» borbottai. «È… faticoso».
«Ma ne vale la pena».
Non risposi. Ne valeva davvero la pena? Soffrire, strisciare, rubare, passare da un padrone all’altro, da una guerra all’altra per… poter vedere il cielo stellato di tanto in tanto? Per lasciarsi trasportare dal vento e dal sole?
Queezle premette la spalla contro la mia. «Ora non fare la faccia da vecchio brontolone».
«Ti sembro forse vecchio?» replicai stizzito.
Lei mi fissò. «Sì, quando ti accigli e borbotti a quel modo. Sei vecchio, d’accordo, ma non c’è nessuna ragione per mostrarlo così».
Annaspai, oltraggiato. «Non accetto questo genere di insulti da chi non ha mai combattuto in una vera battaglia».
«Non vale!»
Mi diede una spinta così forte che mi buttò giù dal bordo. Mi lasciai cadere per un attimo, poi mi feci spuntare un paio di ali e svolazzai di nuovo su.
«Queezle! Avresti potuto uccidermi. Ah, non c’è più rispetto per gli anziani».
Lei ridacchiò, gli occhi verdi scintillanti, e mi tirò di nuovo a sedere accanto a sé. «Sei troppo difficile da uccidere. E poi, preferirei aspettare la battaglia. Preferirei avere qualcuno di fidato in mezzo alla mischia con me». Si appoggiò a me.
Era così… giovane alle volte.
«Concordo in pieno» mormorai.
 
[1] Ne era assolutamente valsa la pena.
[2] Non era sempre stato tetro: nel periodo d’oro era splendido anche per un jinn. Avevo raccontato a Queezle delle feste, degli intrighi di corte… si sarebbe divertita anche lei.

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Capitolo 7
*** L'altro ministro ***


L’altro ministro


VII Prompt: Crossover

HP!Crossover: una cosina stupida, dato che non sono affatto pratica nello scrivere crossover. Ma dato che sono entrambi maghi e inglesi, ho pensato di provare. Il titolo è preso da un capitolo omonimo di Harry Potter e il Principe Mezzosangue, quello in cui Caramell va a trovare il Primo Ministro Babbano, appunto. S

 


Il capo Auror Potter fissava il ragazzino davanti a sé, attonito. Ad essere sinceri, erano due i ragazzini davanti a lui, ma uno dei due era palesemente disinteressato della faccenda, oltre che vestito solo con una specie di gonnellino. L’altro, avviluppato in un lungo cappotto nero, si alzò e gli porse la mano. «John Mandrake, ministro degli Affari Interni. Lei è Potter, presumo».
Harry continuò a fissare il ragazzino che l’aveva appena chiamato ‘Potter’. «Dovevo parlare col Primo Ministro Babbano».
«Il signor Deveraux è occupato» replicò Mandrake. «Inoltre, la prego di non utilizzare quel termine».
«Da che pulpito» commentò il ragazzino scuro alle sue spalle. Mandrake gli fece gli occhiacci; il ragazzino gli fece un gran sorriso.
«Dicevo, signor Potter: noi preferiamo chiamare le persone… non dotate, ecco, comuni. Noi siamo maghi, come voi, anche se credo ci siano differenze sostanziali tra di noi».
«È veramente un ministro?» si lasciò scappare Harry, che aveva ascoltato sì e no una parola. Ma guarda te…
Mandrake si impettì; il ragazzino semivestito si mise a ridere apertamente.
«Bartimeus, taci» sibilò Mandrake. «Sì, signor Potter, sono davvero un ministro. E mi sembra anche piuttosto ipocrita che lei debba criticare la mia età, visti i suoi precedenti».
Harry alzò un sopracciglio. «Cosa sa di me?»
«Oh, ho raccolto qualche informazione» l’altro, Bartimeus a quanto pareva, diede in un colpo di tosse esagerato. Mandrake sospirò. «Il mio servo qui presente ha raccolto informazioni» si corresse in tono stanco. «Pare non abbia fatto altro che salvare il mondo da quando aveva un anno di vita, signor Potter».
Harry fissò quel ragazzino pomposo con più attenzione. Cosa diavolo aveva voluto dire con ‘servo’? Avevano sì e no la stessa età…
«Mi pare di capire, signor Potter, che la vostra magia funziona in maniera innata, più o meno come la magia dei dem… degli spiriti».
«Sì» disse Harry, chiedendosi cosa fossero gli spiriti, o meglio, cosa intendesse Mandrake per spiriti. «Noi nasciamo con la magia. Oppure no. E usiamo le bacchette per controllarla». Estrasse la sua. Gli occhi di Mandrake diventarono tondi come biglie, e anche Bartimeus sembrò interessato.
«Posso?»
Dopotutto, perché no? Harry gliela passò. Il ragazzo si rigirò incuriosito la bacchetta tra le dita pallide, poi provò ad agitarla. Non successe niente.
«Ehi, Mandrake! Cosa succede se provo io, secondo te?»
Mandrake fissò Bartimeus: sembrava in conflitto, poi, evidentemente, la curiosità ebbe la meglio. Il ragazzino dalla pelle scura prese la bacchetta e la agitò: una palla di fuoco schizzò fuori dalla punta e andò a incendiare le tende.
Harry scattò in piedi, strappò la bacchetta dalla presa di Bartimeus e spense in fretta il fuoco. Poi si girò a guardarli, sconvolto.
Mandrake tossicchiò. «Credo che i jinn abbiano troppa magia perché venga incanalata».
Bartimeus sogghignò. Harry chiese: «I jinn?»

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