Morire non è nulla; non vivere è spaventoso.

di Bored94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


CAPITOLO 1

Shinpachi lo chiamò per la terza volta, le mani sui fianchi e l'espressione fintamente arrabbiata. «Gin-san, muoviti. Avevi promesso.»

«Io non ricordo di aver promesso proprio nulla» rispose con espressione angelica l'uomo. «Non so di cosa tu stia parlando, Shinpachi.»

«Ah no?» il ragazzino fece un sorrisetto malevolo. «Kagura-chan, pensaci tu.»

La ragazzina cinese si lanciò verso Gintoki con una risata maniacale e lo trascinò di peso verso l'acqua, mentre Shinpachi gli rinfrescava la memoria. «Avevi detto che dopo la missione avremmo approfittato della gentilezza della padrona dell'albergo e ci saremmo concessi una vacanza al mare. Vacanza durante la quale tu avresti dovuto imparare a nuotare.»

«Oh andiamo, Shinpachi. Lo avrò detto così per dire, sarò stato ubriaco. Anzi ero sicuramente ubriaco, guarda. Perché non lasciamo stare, eh? Voi ragazzini sguazzate pure, mentre io- NO, KAGURA, FERMA. NON HO IL SALVAGENTE, KA-» non fece in tempo a terminare la sua supplica che la giovane yato lo lasciò cadere a peso morto, facendolo finire completamente sott'acqua.

«Sei forse impazzita? Stavi cercando di affogarmi?» sbraitò rispuntando in superficie. Shinpachi roteò gli occhi. «Non esagerare, hai detto che un po' riesci a nuotare, anche se male, e poi qui tocca anche Kagura.»

«Ehi! Quattrocchi, stai forse dicendo che sono bassa?» protestò lei.

Gintoki cercò di approfittare del battibecco tra i due per svignarsela, ma loro se ne accorsero e, senza smettere di bisticciare, lo afferrarono ognuno per un braccio e lo trascinarono di nuovo sott'acqua.

Dopo qualche altro tentativo di fuga mal riuscito, il potente samurai, il Demone Bianco, Shiroyasha dei Quattro Re Celesti, la leggenda che aveva combattuto nella guerra contro gli Amanto, dovette soccombere alle insistenze dei due adolescenti e starsene a mollo, cercando di seguire le istruzioni di un anche troppo divertito Shinpachi ed evitare i tuffi a bomba di Kagura che minacciavano di mandarlo a fondo.

Lo lasciarono libero solo dopo un paio di ore e Gin si accasciò sull'asciugamano, sfinito. Quei due mocciosi erano capaci di prosciugarlo di tutte le sue energie. Che razza di terremoti. Continuò ad osservarli mentre si schizzavano e correvano sulla spiaggia, forse avrebbero potuto fare cose del genere un po' più spesso, sembravano divertirsi e non era male cambiare aria ogni tanto.

Kagura e Shinpachi si accorsero di essere osservati e corsero verso Gintoki, per poi buttarsi sull'asciugamano a loro volta.

«Perché sorridi? A cosa stavi pensando?»

Gin scosse la testa. «Niente di che. È una bella giornata, vero?»

 

Passarono qualche altra ora in spiaggia, durante la quale i due ragazzi riuscirono a trascinare Gintoki in una battaglia di gavettoni. Di nuovo asciutti, raccolsero le loro cose e si diressero verso l'albergo. Fu allora che si resero conto che qualcosa non andava, potevano vedere una colonna di fumo alzarsi dalla direzione della loro destinazione ed era troppo per provenire dal falò di una qualche festa. Avvicinandosi si resero conto della situazione: l'edificio era completamente in fiamme. Iniziarono a correre, ma la strada gli venne sbarrata da un uomo che avevano scorto anche nei giorni passati in albergo. Shinpachi ricordò che per qualche motivo gli aveva fatto da subito una cattiva impressione, non gli era piaciuto affatto. Con la coda dell'occhio, si accorse del cenno di Gintoki, afferrò Kagura e insieme corsero verso l'albergo per aiutare gli altri ospiti. Alle loro spalle, sentirono che Gin e il suo avversario avevano iniziato a duellare.

 

Durante il duello Gintoki aveva cercato di trattenersi, non gli interessava uccidere quel tizio, voleva solo che lo lasciasse passare. Quando finalmente era riuscito a tramortirlo, si era girato di nuovo verso l'albergo e aveva potuto vedere che le fiamme avevano preso il sopravvento.

Iniziò a scandagliare i d'intorni con lo sguardo.

Non vedeva Shinpachi e Kagura da nessuna parte.

Un orribile presentimento iniziò a farsi spazio nella sua mente. Stava per mettersi a correre e a chiamarli, quando sentì un dolore improvviso alla gamba: il suo avversario si era ripreso e senza alzarsi da terra lo aveva colpito di taglio all'altezza della coscia. Gin si era girato giusto in tempo per vedere il ronin caricare, aveva scartato di lato e avevano ripreso a combattere.

Il samurai dai capelli d'argento iniziò ad incalzare l'avversario che per la prima volta dopo anni ebbe paura. L'uomo che aveva davanti era molto diverso da quello contro cui aveva combattuto poco prima: l'uomo di prima aveva cercato di liberarsi per poter proseguire la sua corsa, aveva un altro obiettivo, non gli importava di combattere; l'uomo che si trovava davanti in quel momento emanava una gelida furia, il ronin sentiva di non rappresentare altro che un fastidioso ostacolo per lui, qualcosa che andava schiacciato perché si era frapposto fra lui e il suo obiettivo. L'unica cosa che vide prima di morire fu il bagliore delle fiamme riflettersi in modo sinistro negli occhi dell'avversario.

 

Gintoki tornò in sé e osservò il cadavere riverso ai suoi piedi. Scosse la testa e tornò a rivolgere la propria attenzione all'edificio dilaniato dal fuoco, le fiamme erano state quasi estinte, ma non riusciva ancora a vedere i suoi compagni.

Si avvicinò al capannello di persone traumatizzate che erano scampate all'incendio e iniziò a passarle in rassegna con lo sguardo una ad una, mentre lo stesso presentimento di poco prima iniziava a farsi strada strisciante dentro di lui.

«Dove sono?» chiese a bruciapelo alla proprietaria dell'albergo. Lei gli rivolse uno sguardo confuso, dopo un attimo sembrò riconoscerlo e capì chi stava cercando. Gin vide gli occhi della donna riempirsi di orrore e tristezza. Non li aveva visti uscire. Pensava fossero dietro di loro, ma non li aveva visti in mezzo agli altri ospiti fuggiti dall'albergo.

Il samurai si sentì mancare la terra sotto i piedi, lasciò andare la donna e si diresse a passo spedito verso il rudere.

Doveva trovarli.

Forse erano in trappola.

Doveva tirarli fuori da lì.

Loro non potevano...

Qualcuno lo afferrò per un braccio e cercò di fermarlo. L'uomo dai capelli d'argento nemmeno se ne accorse e continuò imperterrito ad avanzare.

Si aggiunsero altre persone, tutte cercavano di fermarlo, cercavano di fargli capire che entrare nell'albergo in quel momento sarebbe stato un suicidio: la struttura era instabile e sarebbe potuto crollare da un momento all'altro. Lo sguardo che Gintoki gli rivolse era così pieno di rabbia e di disperazione che i presenti si trovarono loro malgrado a fare un passo indietro. Si allontanò da loro a tutta velocità ed entrò nell'edificio.

 

***

La signora Otose si trovò a passare una mano tra i capelli argentati dell'uomo. Quando era ricomparso da solo quella mattina e si era diretto nell'appartamento senza proferire parola, si era sentita crollare il mondo addosso. Cosa era mai potuto succedere? Erano solo andati in vacanza qualche giorno. Da quello che le avevano raccontato, l'incarico che era stato loro affidato era molto semplice: i proprietari di un albergo fuori Edo avevano sentito parlare della Yorozuya da un'amica di Otose e li avevano ingaggiati per proteggere la figlia dalle avance di uno stupido bamboccio arricchito. Spaventarlo un po' avrebbe dovuto essere sufficiente per risolvere la situazione, dopo si sarebbero potuti godere una vacanza praticamente gratis. L'idea aveva elettrizzato i ragazzini, che avevano iniziato a fare programmi e piani su piani. Era da secoli che non andavano al mare e la loro eccitazione era palpabile. Gin aveva messo su un'espressione scocciata, lamentandosi del rumore che stavano facendo e minacciandoli di lasciarli a casa, ma Otose poteva vedere chiaramente il sorrisetto divertito che nascondeva ai due ragazzini, completamente incuranti delle sue minacce.

Adesso erano circondati dal silenzio.

Aveva raggiunto Gintoki pochi minuti dopo che era arrivato e lo aveva trovato steso sul divano, un braccio a coprire il viso. Si era seduta accanto alla sua testa ed era rimasta in silenzio. Fu Gintoki stesso a decidersi a parlare e le spiegò ciò che era accaduto con frasi brevi e sintetiche: nell'albergo non aveva trovato altro che qualche corpo reso irriconoscibile dal fuoco. Aveva continuato a cercare, rifiutando di accettare che Shinpachi e Kagura se ne fossero andati così, poi aveva trovato l'ombrello di Kagura, o quello che ne restava, accanto ai cadaveri di due persone. O quello che ne restava.

Otose non fece domande.

Era consapevole dello sforzo che il samurai aveva appena fatto per raccontarle quelle cose, insistere ulteriormente non sarebbe servito a nulla. Anche lei, dopotutto, era sconvolta dallo scoprire che non avrebbe più rivisto quelle due pesti, ma cercò di essere stoica: non era di se stessa che era preoccupata in quel momento.

Era stato allora che aveva iniziato a passare le mani tra i capelli del samurai, cercando di fornire una forma di silenzioso conforto che sapeva non sarebbe mai stata sufficiente. Lo vide irrigidirsi per un attimo, per poi rilassarsi e lasciarla fare. Otose poté scorgere le lacrime dell'uomo nonostante il braccio portato al viso. Fece finta di nulla. Non era nemmeno sicura di cosa avrebbe potuto fare, quel ragazzo orgoglioso e testardo ne aveva già passate talmente tante nei suoi trent'anni di vita, che si era trovata a sperare che finalmente avesse trovato un po' di pace. Quelle due pesti sembravano essere riuscite a fare breccia e Gin le era sembrato molto più felice... adesso anche loro gli erano stati portati via.

***
 

«Gintoki! Apri questa porta! Sono più di due settimane ormai che non fai altro che poltrire. Vieni fuori di lì!»

La vecchia era tornata alla carica. All'inizio lo aveva lasciato in pace, capendo che l'uomo aveva bisogno di elaborare a modo suo ciò che era accaduto. Dopo la prima settimana, non vedendolo reagire, aveva cercato di convincerlo a uscire prima provando a parlargli, poi proponendogli incarichi da svolgere come tuttofare e infine aveva iniziato a urlare pretendendo di ricevere il pagamento per l'affitto.

La porta di Gintoki non si era mai aperta.

Era seguito qualche altro giorno di pace in cui Otose si era limitata a lasciargli del cibo davanti alla porta tre volte al giorno, dopo aver bussato per segnalare la propria presenza. Gin era abbastanza sicuro che non fosse davvero la vecchia a portargli da mangiare tutti i giorni, ma che avesse istruito Tama per assicurarsi che almeno mangiasse.

Quando i piatti erano tornati indietro intonsi per ben tre giorni di fila, Otose aveva deciso che non aveva intenzione di tollerare oltre ed era di nuovo andata ad urlare davanti alla sua porta.

Gintoki stava facendo del suo meglio per ignorarla.

«Gin» il tono di Otose era cambiato improvvisamente. «Capisco ciò che provi. Anche a me mancano quei due ragazzi, ma non è morendo di fame che li riporterai indietro. Ascolta...»

L'uomo si alzò di scatto, afferrò il bokuto e si diresse verso la porta.

Non voleva ascoltare.

Non voleva ascoltare, non voleva parlare, non voleva pensare.

Doveva uscire da quell'appartamento soffocante.

Aprì la porta di scatto, trovandosi davanti lo sguardo stupito della sua padrona di casa.

«Esco. Puoi smettere di preoccuparti, vecchia. Trovati qualcos'altro da fare» non la guardò in faccia, si limitò a chiudersi la porta alle spalle e a precipitarsi giù per le scale.

Doveva allontanarsi da lì.

 

Non avrebbe saputo dire per quanto tempo avesse camminato, si era mosso quasi per inerzia, affidandosi alla necessità di allontanarsi da tutti. Si fermò soltanto quando trovò la bancarella di un ambulante, forse avrebbe potuto bere qualcosa.

 

***

La testa sembrava esplodergli. Si passò una mano tra i capelli e iniziò a massaggiarsi una tempia. Cos'era successo?

Si ricordava di essere uscito di casa e di essersi fermato a un chiosco. Ricordava anche di aver bevuto più sakè del dovuto e che qualcuno lo aveva riaccompagnato a casa, ma non riusciva proprio a ricordare chi. Si mise a sedere e si guardò attorno, accanto al futon c'era un vassoio con la colazione. Chiunque lo avesse riportato a casa, doveva essere passato dalla signora Otose per spiegarle cosa fosse successo, per questo questa volta Tama era arrivata fino in camera sua.

Aveva l'impressione che se si fosse rifiutato di mangiare di nuovo, la cameriera robot avrebbe ricevuto l'ordine di nutrirlo a forza, usando un imbuto se necessario. Sospirò e afferrò la ciotola con la zuppa di miso, terminata la zuppa e il riso, provò ad alzarsi, barcollò fino alla porta di ingresso e lasciò il vassoio all'esterno. Tama sarebbe sicuramente tornata a prenderlo. Ci ripensò e si infilò in bocca un tamagoyaki prima di richiudere la porta e dirigersi verso il salotto.

Si lasciò cadere sul divano e iniziò a sfogliare Jump, ma si addormentò dopo qualche pagina.

 

Al suo risveglio, Gintoki non riuscì subito a capire che momento della giornata fosse. Diede un'occhiata fuori dalla finestra, che fosse mezzogiorno? Pomeriggio forse?

Buttò un'occhiata all'orologio e si accorse che era passata da poco l'ora di pranzo, il nuovo vassoio lasciato da Tama era ancora davanti alla porta.

Finì il riso al curry e diede da mangiare a Sadaharu, che si limitò a guardare la ciotola. Il cane sembrava irrequieto. Nelle ultime due settimane era stata sempre Otose tramite Tama o Catherine a occuparsi del gigantesco animale. Aveva continuato a fare le sue solite passeggiate e a mangiare regolarmente, ma più di una volta Gin lo aveva sorpreso ad annusare dentro all'armadio alla ricerca di Kagura o sdraiato davanti alla porta in attesa che la sua padrona tornasse.

L'uomo dai capelli argentati andò a recuperare il guinzaglio. Non ne poteva più di starsene sdraiato in quell'appartamento, una passeggiata avrebbe fatto bene a entrambi.

***
 

Le passeggiate con Sadaharu diventarono un'abitudine, o quasi. Nei giorni in cui si sentiva meglio, Gintoki si sforzava di occuparsi del grosso cane bianco, passare dal bar della signora Otose o al parco per parlare con Hasegawa. Non aveva ancora rivisto Otae, ma immaginava che anche lei stesse cercando di reagire come possibile alla perdita del fratello. Anche lei dopotutto era rimasta sola. A volte gli era sembrato di intravederla per le strade di Kabuki-chō, diretta al lavoro, ma non aveva avuto ancora il coraggio di avvicinarsi a lei, se Shinpachi era morto era colpa sua.

Era lui che aveva fallito nel proteggerlo.

Non si sarebbe meravigliato se lei l'avesse odiato. Sicuramente non voleva avere nulla a che fare con lui.

 

Poi c'erano i giorni in cui qualsiasi gesto gli sembrava richiedere troppa energia, che fosse lavarsi, mangiare o portare a spasso Sadaharu, in quei giorni uscire dal futon gli sembrava una missione impossibile. Così se ne restava sdraiato sotto le coperte a dormire o a fissare apaticamente il muro, disgustato da se stesso.

***
 

La scuola stava andando a fuoco. La sua casa stava andando a fuoco. Le fiamme divoravano l'edificio, tingendo il cielo di inquietanti sfumature arancio. Stava perdendo tutto. Si trovò a urlare e piangere, sdraiato al suolo, impotente, mentre la scuola scompariva sotto i suoi occhi e veniva sostituita da un albergo, anch'esso in fiamme. L'albergo si stava riducendo lentamente in cenere. La puzza di legna bruciata si mescolava a quella dei corpi delle persone che non erano riuscite a sfuggire al disastro. Gin cercò di muoversi, ma il suo corpo sembrava pesare una tonnellata. Perché non riusciva a muoversi? Doveva tirare fuori Kagura e Shinpachi prima che fosse troppo tardi.

Non poté fare a meno di urlare tutta la sua frustrazione, mentre il calore delle fiamme e quell'odore infernale lo investivano in pieno.

 

Il samurai si svegliò di soprassalto e si sedette di scatto, il battito accelerato e il sudore che gli colava dalla fronte. Il movimento brusco risvegliò fitte di dolore lungo tutto il suo corpo e si portò le mani al visto mentre la testa gli pulsava.

Era la quinta volta di seguito che faceva quel sogno.

Quando il suo respiro si fu di nuovo regolarizzato, Gintoki sollevò la maglia del pigiama per osservare i lividi che si era procurato la sera prima. In quei giorni aveva continuato a giocare d'azzardo e a bere per provare a cancellare quell'incubo dalla sua mente, almeno per qualche ora. Non ricordava bene cosa fosse successo, ma sapeva che aveva fatto a botte con qualcuno la sera prima.

Aveva provocato qualcuno?

O qualcuno aveva provocato lui?

O era per i soldi di una scommessa?

Non riusciva davvero a ricordare, ma sapeva che in quel momento era stato veramente liberatorio poter sfogare la propria rabbia e frustrazione su qualcun altro. Quell'incubo lo stava facendo impazzire, sembrava volergli ricordare il suo fallimento.

Non era riuscito a proteggere nessuno. Che razza di samurai era?

Aveva perso la propria famiglia già una volta e adesso l'aveva persa di nuovo. La sua debolezza era una vergogna.

L'immagine dell'incendio tornò a fare capolino nella sua mente e venne scosso da un conato di vomito, mentre l'odore di carne bruciata usciva dall'incubo per travolgerlo. Si diresse rapidamente verso il bagno e vomitò quel poco che gli era rimasto nello stomaco.

***
 

Si era addormentato sul divano con una copia di Jump appoggiata sulla faccia. Sadaharu lo stava fissando triste da un angolo della stanza. Il grosso cane peloso sembrava non avere ancora capito che la sua padrona non sarebbe tornata, nonostante fossero passate settimane.

O forse l'aveva capito, ma non riusciva a farsene una ragione.

Chissà cosa passava per la testa di quel cane.

Gin si mise seduto, svuotò la bottiglia di sakè che aveva lasciato sul tavolo prima di addormentarsi e uscì di nuovo, determinato a vagare per la città abbastanza a lungo da essere così stanco da sprofondare in un sonno senza sogni.














Note:
Gli headcanon presenti in questa fanfiction sono condivisi con Quasar93 e Magnetic_Ginger, quindi se avete letto (o leggerete, molte sono in wip) più fanfiction nostre e trovate delle somiglianze è normale, siamo d'accordo per riempire a turno i vari missing moments (ci conosciamo irl, quindi nessun plagio all'orizzonte).


Mentre la timeline su cui ci basiamo, ricavata dai riferimenti canon e adattata un pochino è questa (basata sull'età di Gintoki):
- 8 anni Gintoki viene trovato da Shoyo
- 10/11 anni Takasugi e Katsura arrivano alla Shoka Sonjuku
- 16/17 anni Shoyo viene catturato e i ragazzi entrano in guerra
- 21 anni morte di Shoyo, i joi4 si separano, Gintoki si consegna agli Hitotsubashi
- 22 anni Gintoki si stabilisce a Kabuki-cho
- 27 anni incontro con Shinpachi e Kagura
- 30 anni guerra contro l'esercito della liberazione
- 32 anni arco dei due anni dopo
- 34 anni epilogo del manga

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Capitolo 2
*** 2 ***


CAPITOLO 2


«Razza di idiota» sentì mormorare per l'ennesima volta. «Cosa pensavi di fare riducendoti in questo stato?»

Il samurai poteva sentire la preoccupazione nascosta dietro al tono irato della signora Otose. «Appoggiatelo lì» ordinò a Catherine e Tama, dando un calcio a un paio di bottiglie vuote abbandonate sul pavimento. «Catherine, metti un po' a posto questo porcile. Tama, aiutalo a spogliarsi e buttalo nella vasca, mentre cerco delle bende e del disinfettante.»

I riflessi di Gintoki erano troppo rallentati e si rese conto di quello che stava succedendo solo una volta che Tama l'ebbe lasciato cadere nell'acqua. Fu un brusco risveglio: il robot non aveva aspettato che l'acqua raggiungesse una temperatura accettabile e il freddo improvviso aveva risvegliato di colpo l'uomo dai capelli argentati.

«Ma sei impazzita?! Stai cercando di uccidermi?!» urlò sconvolto, aggiungendo acqua calda.

Tama lo osservò per un attimo. «Facoltà mentali e fisiche ripristinate.»

«Ripristinate un cavolo, hai idea di quanto fosse fredda quest'acqua?»

«Devo provvedere io al lavaggio?»

Gin si rintanò nell'angolo più lontano della vasca. «No! Faccio da solo!»

«D'accordo» rispose la ragazza sedendosi su una sedia e continuando a fissarlo.

«...ehi. Ma hai forse intenzione di restartene lì tutto il tempo?»

«Secondo i miei dati, se un umano riporta danni fisici pari ai tuoi ha buone probabilità di perdere i sensi. Sempre secondo i miei dati, non penso che la signora Otose sarebbe soddisfatta del mio lavoro se ti lasciassi affogare nella vasca da bagno.»

Rimasero per un attimo ad osservarsi in silenzio. «Certe cose non vanno fatte in pubblico, mi serve della privacy.»

«Puoi fare ciò che vuoi. Io sono un robot, non nutro nessun tipo di interesse per le funzioni biologiche dei corpi degli umani. Puoi lavarti senza problemi.»

Gintoki continuò a lamentarsi sottovoce per un po', ma finalmente si decise a darsi una pulita dandole la schiena. Una volta terminato, si avvolse un asciugamano attorno alla vita e con un secondo si asciugò rapidamente, provocandosi una smorfia di dolore. Gli faceva male dappertutto e alcune ferite stavano ricominciando a sanguinare. Adesso che si vedeva nudo e pulito, si rendeva conto di quanto fosse disastrosa la situazione: era pieno di grossi lividi viola, tagli ed escoriazioni. Sentiva inoltre un forte dolore all'altezza delle costole e faticava a restare in piedi senza appoggiarsi alla parete. Che si fosse rotto qualcosa? No, aveva combinato di peggio in passato. Il mal di testa lancinante non lo aiutava a gestire la situazione... ma quanto aveva bevuto? Si passò una mano tra i capelli. Era un bernoccolo quello?

Barcollò verso la porta del bagno per tornare in salotto, con Tama alle calcagna. Ringraziò mentalmente che il robot non avesse deciso di caricarselo di nuovo in braccio di peso, aveva ancora un briciolo di dignità da salvaguardare.

Nell'altra stanza Otose lo stava aspettando con un cipiglio severo disegnato sul volto. La vecchia era sul piede di guerra. Gin non poté fare a meno di sentirsi in colpa e in imbarazzo, un po' come quando da bambini si veniva sorpresi a rompere la finestra di un vicino con un pallone o a rubare la frutta da una delle sue piante. Solo che questa volta non si trattava di giochi da bambini e sapeva che la rabbia della padrona di casa non si sarebbe placata facilmente.

Ne ebbe la prova quando, appena sedutosi sul divano, la signora Otose iniziò a disinfettargli le ferite con più veemenza del necessario, strappandogli qualche gemito di dolore.

«Ehi vecchia, potresti andarci un po' più piano!» protestò a un certo punto, cercando di stemperare la tensione. Uno sguardo in tralice dell'amica lo fece ammutolire.

«Hai intenzione di ricominciare tutto da capo? Vuoi tornare ad essere lo stesso stupido incosciente che ho raccolto al cimitero? Bere, giocare d'azzardo, fare a botte... non sei mai stato un modello di comportamento, ma sembravi essere finalmente cresciuto. Mi sembra di essere tornata indietro di otto anni. Hai così fretta di farti ammazzare? Pensi che quei due ragazzi ne sarebbero felici?»

Gintoki non rispose e si limitò a distogliere lo sguardo. Sapeva che la vecchia aveva ragione e sapeva anche quanto gli ci era voluto a uscire da quella spirale autodistruttiva la prima volta, semplicemente non sapeva se aveva la forza di farlo di nuovo.

Aveva deluso tutti per la seconda volta.

Aveva perso la propria famiglia per la seconda volta.

Non era stato capace di proteggere nulla e quel pensiero lo stava divorando dall'interno, giorno dopo giorno.

E poi c'era quell'incubo.

La puzza di carne che bruciava, le urla... ormai aveva paura di chiudere gli occhi la notte, paura di rivedere quelle scene ancora e ancora, come se una volta non fosse stato sufficiente. Il torpore che lo assaliva durante il giorno era sufficiente a svuotarlo di qualsiasi spirito d'iniziativa, ma non riusciva a tenere lontano i pensieri a lungo. Aveva quindi provato a distrarsi con il gioco d'azzardo e l'alcol e per un po' aveva funzionato.

Per un po'.

A un certo punto anche quello aveva smesso di fare effetto e si era ritrovato coinvolto in una rissa, poi un'altra e un'altra. La maggior parte delle volte non era nemmeno lui a iniziare, ma qualcuno che si era offeso per una battuta sarcastica o che aveva perso le staffe per aver perso al gioco o che era semplicemente ubriaco. Gin non iniziava mai, ma di certo non si tirava indietro. Era una valvola di sfogo e allo stesso tempo una punizione.

La sera prima però era andata male: era ubriaco, come sempre nelle ultime sere, per sbaglio aveva urtato un tizio che aveva deciso di prenderla sul personale con il pretesto che “il tizio con la permanente” avesse cercato di derubarlo. Un buttafuori del locale in cui si trovavano si era accorto della tensione crescente e li aveva separati, cacciando fuori il piantagrane.

Gintoki aveva avuto modo di incontrarlo più tardi, uscito dal locale, in una delle stradine buie di Kabuki-chō. Lo avevano assalito in sei, ma il samurai non era tipo da farsi battere così facilmente. Nonostante i fumi dell'alcol, lui e il suo bokuto erano stati in grado di tener testa a quei sei idioti abbastanza a lungo da avvicinarsi a una zona più illuminata del distretto. Peccato che fosse troppo poco troppo tardi, si era accorto troppo lentamente dell'uomo alle sue spalle armato di bottiglia e non era riuscito a evitare il colpo diretto alla propria testa. A causa dell'instabilità data dall'alcol, aveva perso l'equilibrio e un altro dei suoi assalitori ne aveva approfittato per colpirlo a una gamba con un bastone trovato poco lontano, facendolo cadere a terra. Aveva cercato di coprirsi la testa con le braccia, mentre una gragnola di calci lo colpiva all'addome, sulle costole, sulla schiena. Quando finalmente ne aveva avuto abbastanza, aveva afferrato Lago Toya e aveva usato tutta la sua energia e concentrazione per mettere al tappeto i suoi avversari. Si era poi trascinato lungo le strade del distretto, appoggiandosi ai muri degli edifici, fino ad arrivare sulla soglia del bar della signora Otose, dove le sue gambe avevano finalmente ceduto e si era ritrovato riverso al suolo sotto la pioggia, incapace di alzarsi a causa dell'alcol e delle botte. Era stato lì e in quelle condizioni che le tre donne lo avevano trovato. Sul momento si erano limitate a controllare rapidamente che non avesse ferite gravi e a lasciarlo dormire.

Ora era il momento della resa dei conti.

La vecchia aveva ragione a rimproverarlo, ma l'unica cosa che provava in quel momento era un enorme vuoto che non sapeva come affrontare, unito alla consapevolezza di essere lui la causa della morte di due adolescenti il cui unico errore era stato quello di fidarsi di lui.

Lasciarsi andare a quel modo però non era degno di un samurai.

Era il momento di ricominciare a comportarsi come tale.

***

Ricominciare a comportarsi come un samurai.

Che idiota era stato.

Una risata amara gli scivolò sulle labbra mentre osservava lo shihō ancora davanti a sé. La sua mente tornò a quanto era appena accaduto.

Aveva preso la propria decisione.

Era vero ciò che diceva la vecchia Otose, il suo comportamento non era più accettabile. Doveva mettere fine a quella specie di farsa.
 

Si era diretto a passo deciso verso l'armadio. Nonostante fossero passati anni, aveva conservato sia il daishō che il tantō in un cassetto che non veniva mai aperto, sotto strati di vecchi vestiti. Il suo sguardo aveva indugiato per un attimo sulla sua wakizashi, la spada corta che aveva portato a lungo in cintura insieme alla katana, ma si era spostato rapidamente sul tantō. Il pugnale sarebbe stato sufficiente.

Aveva appoggiato il tantō sullo shihō che aveva posizionato nella propria stanza e aveva iniziato a cambiarsi. Aveva indossato degli abiti bianchi e si era seduto davanti al tavolino su cui aveva appoggiato il pugnale.

Era rimasto un attimo in contemplazione.

Si era assicurato che sia la porta dell'appartamento che quella della propria stanza fossero ben chiuse. Anche l'orario era propizio, era uno dei momenti della giornata in cui il bar di Otose contava più avventori e la cena gli era già stata portata, quindi nessuna delle tre donne sarebbe andata da lui quella sera. Negli ultimi giorni non aveva nemmeno visto nessuno dei suoi amici e conoscenti, era abbastanza sicuro che nessuno di loro sarebbe apparso all'improvviso a bussare alla sua porta.

Sospirando, aveva portato il tantō all'altezza del proprio addome, sulla sinistra. Aveva appena iniziato ad incidere la pelle, quando un guaito incredibilmente acuto aveva catturato la sua attenzione e, sollevando lo sguardo, aveva visto la sagoma di Sadaharu dall'altra parte della porta. Gintoki aveva scosso la testa ed era tornato a concentrarsi sul procedimento.

Sadaharu, capendo che il samurai lo stava ignorando, aveva guaito di nuovo e tirato una zampata al fusuma. Che avesse capito ciò che stava accadendo? Forse l'uomo si stava solo autosuggestionando, ma non poteva fare a meno di pensare che Sadaharu lo stesso pregando di non farlo. Aveva già perso la sua padroncina, non voleva perdere qualcun altro.

Quello che un tempo era stato conosciuto come il Demone Bianco aveva riabbassato la testa, ignorando il lamento straziante dell'animale. Nella sua testa si era presentata a tradimento l'immagine del volto sorridente di Kagura e lo sguardo giudicante ma divertito di Shinpachi. Sentì una fitta al petto e un groppo in gola.

Cos'altro avrebbe potuto fare?

Non ce la faceva più a sopportare il dolore, il senso di colpa e il vuoto che i suoi amici avevano lasciato.

Non poteva farcela questa volta.

Non di nuovo.

Aveva affondato di mezzo centimetro la punta del tantō nel proprio ventre ed era stato a quel punto che Sadaharu aveva caricato il fusuma della stanza a testa bassa. Il grosso cane gli si era piantato davanti e aveva iniziato ad annusarlo, come se stesse cercando di capire quale fosse esattamente il problema. Gli fece cadere il pugnale di mano e iniziò ad annusargli il viso, per poi strusciare la grossa testa pelosa contro il suo petto.

Gin aveva lasciato ricadere le braccia lungo i fianchi, ormai svuotato.

 

Il samurai si portò una mano al visto ed emise una risata priva di allegria: non era stato nemmeno in grado di farla finita. Era stato fermato da un cane.

Valeva così poco la sua determinazione?

Come era potuto arrivare fino a quel punto un uomo che sarebbe chiaramente dovuto morire quasi dieci anni prima?

Forse era per questo che era sopravvissuto, non era altro che un codardo, in fondo.

***

«Che cos'hai fatto?!» la storia del suo tentato seppuku si era diffusa alla svelta. Dopo il suo fallimento, Gintoki non aveva rimesso a posto la stanza e si era semplicemente addormentato sul pavimento, appoggiato a un fianco di Sadaharu, che da quella sera sembrava aver deciso di essere il suo guardiano. Il giorno dopo, quando Catherine era entrata nel suo appartamento lamentandosi e sbuffando per essere stata obbligata a fare qualcosa che “avrebbe dovuto fare Tama”, aveva visto lo stato disastroso della porta e della stanza di Gintoki. Inutile dire che Otose aveva capito tutto nell'esatto momento in cui l'ex ladra le aveva raccontato ciò che aveva visto. La vecchia si era precipitata al piano di sopra come una furia e aveva iniziato a picchiarlo con tutto ciò che le era capitato sotto mano. Sadaharu questa volta non aveva mosso nemmeno un muscolo. A quanto sembrava, riteneva che Gin meritasse quella punizione. Sembrava quasi divertito.

L'uomo dai capelli d'argento avrebbe potuto giurare di aver visto un'espressione compiaciuta sul muso dell'animale, come un canino “ben ti sta”.

Gintoki non avrebbe saputo dire in che modo si fosse diffusa la voce, ma in quel momento c'era un Hasegawa particolarmente agitato seduto sul suo divano, intento a fargli un terzo grado.

«Si può sapere che diavolo ti è passato per la testa? Sei forse impazzito?» esordì l'uomo con gli occhiali da sole. Il samurai gli rivolse uno sguardo vacuo e non rispose. L'amico sospirò. «Ascolta, posso solo immaginare quanto questo momento sia difficile per te, ma non puoi...»

«Non sei tu quello che ha tentato più volte di impiccarsi?» lo interruppe l'uomo con i capelli d'argento.

«Beh... sì, ma... sono ancora qui, giusto? Sei stato tu a insegnarmi che c'è sempre qualcosa per cui vale la pena combattere. Non puoi gettare la spugna proprio ora.»

«Gettare la spugna? Per gettare la spugna bisogna avere uno scopo a cui rinunciare. Se non se ne ha uno, non vi si può nemmeno rinunciare. Il tuo scopo è quello di ritrovare un lavoro e riconquistare tua moglie. Il fatto che tu non ci sia ancora riuscito, dipende esclusivamente da te e dalla tua mancanza di impegno. Il mio quale sarebbe? Da tempo ormai i samurai non hanno più uno scopo in questo Paese ed è il momento di prenderne atto, senza aggrapparsi a scuse e giustificazioni per ritardare l'inevitabile.»

Hasegawa scosse la testa. «Non era ciò che intendevo» le parole dell'amico lo avevano ferito, ma non aveva intenzione di recriminare, non era il momento. «So che la tua situazione e la mia non hanno nulla in comune e non posso nemmeno immaginare cosa tu possa provare in questo momento. Ciò che volevo dire è che non è vero che non hai uno scopo. E non è vero che sei rimasto solo, Gintoki. So che non siamo stati presenti quanto avremmo dovuto in questo periodo, ma... hai ancora degli amici là fuori, una famiglia. Non pensi che valga la pena vivere per loro?» concluse alzandosi e dirigendosi verso la porta. «Non fare sciocchezze.»

«Hasegawa...» iniziò Gin rivolto alla sua schiena, senza alzare lo sguardo verso di lui.

Il madao sorrise. «Non ti preoccupare, lo so. Ci vediamo, ok?» si limitò a rispondere prima di andarsene.

 

«Ha ragione, lo sai, vero?» disse una voce alle sue spalle. Qualcuno era entrato in silenzio e aveva atteso fino a quel momento per parlare.

Gin fece un sorriso strafottente. «Da quando sei contrario al seppuku, Nobile Furia?»

L'amico ignorò il tono sarcastico e si fece avanti. «Non sono contrario.»

«Allora cosa c'è? Sei arrabbiato perché non ti ho chiamato come kaishakunin?»

«Non riuscirai a provocarmi, Gintoki. E anche se me lo avessi chiesto, avrei rifiutato» concluse Katsura sedendosi sul divano. Il samurai dai capelli argentati osservò l'amico con malcelata curiosità, non si sarebbe mai aspettato questo genere di risposte da Zura.

Il jōi sorrise, indovinando quali fossero i pensieri di Gin. «Vedi, io comprendo il seppuku quando non si vuole cadere nelle mani del nemico, quando si vuole salvare il proprio onore o quando viene imposto come condanna. Il tuo caso non rientra in nessuna di queste opzioni.»

«Il munenbara è piuttosto comune» rispose l'altro con voce piatta.

Zura sollevò un sopracciglio. «Il suicidio per il senso di rammarico? Gintoki, non sei mai stato il genere di uomo da uccidersi per il dispiacere. Ne ho visti di seppukunin e tu... beh, tu sei l'ultima persona dalla quale mi aspetterei un gesto simile. Specialmente in tempo di pace. E poi... per cosa proveresti rammarico? Li hai forse messi in pericolo di proposito? Hai dato loro incarichi più pericolosi di quanto potessero gestire? Hanno cercato di tirarsi indietro e tu li hai costretti a seguirti od obbedirti? Sei forse scappato, abbandonandoli al loro destino, o hai rifiutato di combattere?»

Il samurai scosse la testa senza sollevare lo sguardo, facendo ondeggiare i capelli mossi.

«No, infatti. Se ti conosco, e dopo tutto questo tempo penso di farlo, credo che tu abbia fatto tutto il possibile per sconfiggere il vostro nemico e proteggerli.»

Il silenzio calò tra i due uomini. Fu Gintoki a romperlo.

«Se non fossero venuti, se li avessi lasciati a casa...»

«Ti avrebbero seguito. Ho avuto l'occasione di conoscerli e quei due ragazzini avevano una dedizione che a volte fatico a scorgere anche tra i miei uomini. Non approverebbero affatto il tuo gesto» fece una pausa e sorrise. «E poi un uomo che conoscevo una volta mi disse di non pensare a finire la mia vita in modo glorioso, ma di pensare invece a vivere fino alla fine in modo glorioso.»

«In modo glorioso, eh? Era proprio un idiota, quel tizio.»

«Già, un vero idiota.»


In quei giorni quelle di Zura e Hasegawa non furono le uniche visite che ricevette. Tutti i suoi amici, da Tsukuyo da parte di Yoshiwara a quella zanzara insistente di Sacchan, passarono a fargli visita. Non che non ci avessero provato in precedenza, ma Gintoki non aveva mai dato loro l'opportunità di parlargli o di incontrarlo. Anche Kondo, Hijikata e Sōgo avevano provato a contattarlo, stavano seguendo una pista che si era incrociata con gli eventi che avevano portato all'incendio dell'albergo in cui si erano trovati Shinpachi, Kagura e Gin, ma l'uomo non era stato in grado di dar loro particolari informazioni.

La visita che lo aveva lasciato maggiormente stupito era stata quella di Otae, era convinto di essere l'ultima persona che lei avrebbe voluto vedere, invece la ragazza sedeva davanti a lui, un sorriso triste disegnato sul volto.

Da quando la conosceva, Otae aveva sorriso quasi sempre.

«Non ti aspettavi di vedervi, vero?»

Gintoki scosse la testa, ancora perplesso.

«Sarei passata prima, ma tutti dicevano che non avrei dovuto perché avresti ripensato a mio fratello e...» la sua voce andò scomparendo, si limitò a rivolgergli uno sguardo eloquente. Tentennò, poi riprese a parlare. «Mi manca, penso tu sia l'unico in grado di capire quanto mi manchi. Credo però che Shinpachi non avrebbe mai voluto che noi smettessimo di vivere le nostre vite. Penso nemmeno Kagura lo avrebbe voluto. So che pensi che ti odi, all'inizio anche io l'ho pensato, ma non è così. Io e Shinpachi siamo cresciuti insieme e conoscevo Kagura. Ho sempre saputo che ti avrebbero seguito ovunque...» fece una pausa e tirò fuori una busta dalla borsa. «Ho trovato queste, ho pensato che ti sarebbe piaciuto vederle.»

All'interno della busta c'erano alcune foto di Shinpachi che si allenava nel dōjō o in piena tenuta da fan di Otsū. Gintoki si trovò suo malgrado a sorridere vedendo una foto di Shinpachi correre come un disperato inseguito da Kagura a cavallo di Sadaharu. Si ricordava quel giorno: erano andati ad allenarsi lungo il fiume e Gin si era stravaccato sull'erba come suo solito, dicendo che Shinpachi avrebbe dovuto allenare i propri riflessi e la propria rapidità. Il sorriso demoniaco di Kagura a quelle parole aveva innescato gli eventi immortalati nella foto.

Rifletté un attimo e poi gli venne un'idea. «Devo farti vedere qualcosa anche io» si limitò a dire, iniziando a frugare dietro all'insegna sopra alla scrivania. Tirò fuori una busta spessa e piena di fotografie e la porse all'amica.

Passarono il pomeriggio così, tra foto e aneddoti divertenti, alla fine Gintoki dovette ammettere con se stesso che in quel momento non faceva così male ripensare a loro.

 

Quelle visite diventarono un'abitudine. Naturalmente nessuno di loro lo andava a trovare ogni giorno, ma aveva ricominciato a uscire con Sadaharu, ad andare al bar di Otose, a fermarsi a parlare con Zura e Hasegawa e ogni tanto riceveva le visite di Tsukuyo e di Otae. La prima gli portava notizie da Yoshiwara e regali da Hinowa, qualche volta era stata accompagnata anche da Seita; con la seconda si ritrovava spesso a parlare di Shinpachi e Kagura e a ricordare le assurdità fatte insieme. Queste azioni gli costavano un certo sforzo, ma aveva deciso di provare a vivere la propria vita nei giorni in cui si sentiva bene.
I giorni no non se n'erano però andati del tutto. C'erano ancora volte in cui non riusciva ad alzarsi dal futon e non poteva fare altro che restarsene steso in camera propria, con il dolore della perdita e i sensi di colpa che lo travolgevano a ondate. In quei giorni, Sadaharu si accucciava accanto a lui e gli restava vicino, cercando di portargli un po' di conforto con la propria compagnia. A volte riceveva visite in quei giorni, all'inizio gli amici e la signora Otose avevano provato a scuoterlo, ma avevano rinunciato velocemente, limitandosi a restare con lui in silenzio.

I giorni no arrivavano all'improvviso, come uno tsunami, e portavano con sé ricordi e pensieri che Gintoki non voleva ascoltare e che non si placavano nemmeno con l'arrivo della notte. La notte, anzi, peggiorava ogni cosa, chiudendo il suo petto in una morsa e mostrandogli ciò che aveva perso. Ciò di cui durante il giorno gli piaceva parlare con Otae, di notte diventava una serie di pensieri assordanti che cercava di annegare nel sakè.

***

Quello era decisamente un giorno no, la sera prima aveva bevuto molto e la sua testa sembrava sul punto di volersi spaccare. Fosse stato per lui sarebbe rimasto raggomitolato su Sadaharu o dentro al futon, ma Otae quel giorno sembrava particolarmente su di giri. Gin si trovò a pensare che lei stava decisamente reagendo molto meglio di lui... forse perché i sensi di colpa non la tenevano sveglia la notte o semplicemente quello era il suo modo di non pensare.

La ragazza aveva chiamato Otose e l'aveva supplicata di convincere Gintoki ad alzarsi e rendersi presentabile, questo aveva portato a un tentativo di assedio assillante da parte della vecchia Otose: prima si era presentata di persona, poi aveva mandato Tama e infine aveva sguinzagliato Catherine, che però aveva desistito velocemente, non interessata a quella gara di testardaggine. Gintoki allora ne aveva approfittato per tornarsene nel futon con già la sua tipica camicia nera addosso, ma con ancora i pantaloni del pigiama. Chissà perché Otae aveva chiamato così eccitata, poi...

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Capitolo 3
*** 3 ***


 

CAPITOLO 3


Shinpachi guardò fuori dal finestrino dell'auto della Shinsengumi. Stavano finalmente tornando a casa! Dopo più di un mese! Non poteva crederci!

«Ehi Kagura-chan! Cosa sarà la prima cosa che farai appena arrivata?»

«Mangiare fino a scoppiare» rispose la ragazzina senza battere ciglio. Shinpachi rise, possibile che l'amica non facesse altro che pensare al cibo?

«Prima dovremo portarvi al quartier generale. Dovrete rilasciare delle dichiarazioni. Dopo vi porteremo a casa Shimura» si limitò a comunicare Hijikata senza disturbarsi a dare ulteriori spiegazioni.

A Kagura la risposta non piacque affatto. «A casa di Shinpachi? Ma io voglio andare a casa mia. Perché devo andare da Shinpachi?»

«Vi spiegherà tutto sua sorella.»

Shinpachi cominciò a sentirsi a disagio. Cosa significava? Hijikata non era mai stato un chiacchierone, ma sembrava voler evitare domande a qualsiasi costo. Cosa stava succedendo? Perché Kagura non poteva tornare direttamente alla Yorozuya?

«È successo qualcosa a Gin-san?» chiese a bruciapelo. Non ricevette risposta. Kagura e Shinpachi esplosero all'unisono.

«Perché non rispondi?» «Cos'è successo?» «Perché ce lo deve spiegare mia sorella? Perché non può farlo lei?» «Perché non posso andare a casa? Dov'è Gin-chan?»

«Basta!» sbraitò. «Siete scomparsi per più di un mese! Cosa pensate che sia successo? Cosa credete che abbiano pensato tutti?»

I due ragazzini ammutolirono, il gelo scese all'interno della vettura mentre assimilavano quanto appena detto da Hijikata.

Erano spariti per più di un mese.

Erano stati talmente euforici all'idea di tornare finalmente a casa che non si erano fermati a pensare alle implicazioni della loro sparizione. Non avevano avuto modo di contattare la loro famiglia. Nessuno sapeva che fine avessero fatto.

L'ultima volta che Gin li aveva visti erano chiusi in un albergo in fiamme.

Un brivido gelido gli corse lungo la spina dorsale.

Li credevano morti.

 

L'attesa per rilasciare la loro dichiarazione stava durando eoni. O almeno così sembrava a loro. Volevano correre a casa a dire a Otae e Gintoki che erano ancora vivi, il loro nervosismo e la loro impazienza erano tangibili, contagiavano persino gli agenti della Shinsengumi che gli orbitavano attorno con finta non-chalance per tenerli d'occhio.

Finalmente Kondo li chiamò.

Shinpachi gettò un'occhiata all'orologio appeso alla parete e rimase di stucco nel vedere che in realtà stavano aspettando da soli dieci minuti.

«D'accodo, ragazzi. Adesso dovete raccontarci tutto» Kondo si accorse della loro impazienza. «So che questo è l'ultimo posto in cui vorreste essere, ma la vostra testimonianza è fondamentale per riuscire finalmente a chiudere questo caso.»

Shinpachi e Kagura iniziarono a raccontare in modo rapido e dettagliato, aggiungendo particolari uno al discorso dell'altro. Prima avessero finito, prima sarebbero stati liberi di andarsene.

Tutto era iniziato ad andare male dopo che avevano riportato la ragazza dalla sua famiglia, dopo che quel bamboccio arricchito che le faceva la posta aveva tentato di rapirla. La missione era praticamente conclusa e si sarebbero potuti godere il resto della vacanza gratuita prima di tornare in città. In albergo però era accaduto qualcosa di strano: un tizio che avevano intravisto altre volte nei giorni precedenti aveva iniziato ad osservarli con insistenza.

Inizialmente Shinpachi aveva solo pensato di essere un po' troppo suscettibile, ma si era accorto che anche Gintoki sembrava molto più cauto.

Lo sconosciuto, li informò Kondo, era un ronin che aveva combattuto nella guerra contro gli Amanto e che aveva iniziato ad usare l'albergo in cui alloggiavano come base per gli incontri con i suoi compagni. L'uomo si era probabilmente allertato perché aveva riconosciuto Gintoki come il Demone Bianco famoso durante la guerra; sapeva che aveva rinunciato a combattere dopo la fine della stessa, inoltre si vociferava che Shiroyasha avesse cambiato bandiera: era stato visto combattere al fianco di Katsura contro il Kihetai e contro alcuni dei suoi membri addirittura al fianco dei cani del bakufu. Il ronin non riusciva a capire da che parte stesse il samurai, ma faceva fatica a credere che si trovasse lì per caso. Si era messo in testa che Gintoki sapesse della loro presenza e fosse lì per rovinare i loro piani.

Gin dal canto suo sperava che non andasse a infastidirli così avrebbe potuto continuare a ignorarlo e godersi la vacanza.

Ovviamente la speranza era stata vana.

Il ronin aveva deciso che Gin era una minaccia e aveva deciso di affrontarlo. Aveva sentito le leggende, ma per qualche motivo era sicuro che fossero solo, per l'appunto, leggende. Nel frattempo i suoi uomini avevano avuto l'ordine di bruciare tutte le prove del loro passaggio in quell'albergo.

I tuttofare si erano accorti delle fiamme tornando dalla spiaggia ed avevano iniziato a correre in direzione dell'edificio, intenzionati a dare una mano durante l'evacuazione, quando il ronin si era parato davanti a loro.

L'uomo aveva iniziato a straparlare e a nulla erano valse le spiegazioni dei tre amici che cercavano di convincerlo che loro non erano lì per lui. Alla fine Gintoki spazientito aveva fatto cenno ai due ragazzi di andare avanti, lui si sarebbe occupato di quel seccatore.

Shinpachi e Kagura avevano raggiunto l'edificio in fiamme e avevano subito iniziato ad aiutare le persone in fuga, si erano poi addentrati nell'albergo per controllare che nessuno fosse rimasto indietro. La scelta si era rivelata più stupida di quanto credessero, dal momento che la struttura dell'edificio aveva iniziato a cedere, sbarrandogli la strada. La poca visibilità, i nuovi ostacoli e il fumo avevano trasformato l'albergo in una trappola mortale, in breve Kagura e Shinpachi avevano finito l'ossigeno ed erano svenuti.

Il giorno dopo si erano risvegliati legati e imbavagliati nella base di quelli che Kondo ora gli aveva svelato essere un gruppo di terroristi, a quanto pareva li avevano portati via attraverso un tunnel al quale si accedeva dalla cantina dell'albergo. Li avevano sentiti discutere animatamente perché il loro capo, che i due amici avevano dedotto essere il ronin che aveva sbarrato loro la strada, sembrava essere scomparso in seguito al suo combattimento con il Demone Bianco. Shinpachi pensò che se il loro capo aveva combattuto con Gintoki probabilmente a quel punto era morto o in mano alla Shinsengumi, ma si guardò bene dal condividerlo con i loro carcerieri. Erano rimasti prigionieri di quegli uomini per più di una settimana, nutriti alla bene e meglio, prima di iniziare a capire quali fossero i loro piani. La proposta che andava per la maggiore era quella di usarli come moneta di scambio per avere indietro il capo, o quanto meno una somma di denaro.

Avevano atteso un'altra settimana per capire quale fosse la routine dei ronin e verso metà della terza erano riusciti a scappare nella notte. Dovevano ammettere che quei terroristi non dovevano essere un granché se due ragazzini, nutriti a pane ed acqua per più di due settimane, erano riusciti a fargliela sotto il naso. Il giovane samurai era riuscito addirittura a recuperare la propria spada di legno, mentre l'ombrello dell'amica sembrava essere rimasto all'albergo, probabilmente era caduto mentre li trasportavano. Kagura e Shinpachi quella notte avevano raggiunto un villaggio che non ricordavano di aver mai visto durante il viaggio di andata con Gintoki, ma erano troppo stanchi e provati per proseguire, così si erano intrufolati in una rimessa ed erano crollati.

Il giorno dopo erano stati trovati dalla padrona di casa, che, impietosita dalle loro condizioni, aveva permesso loro di lavarsi e sfamarsi. Dovette passare qualche giorno prima che Shinpachi e Kagura fossero abbastanza in forma per rendersi conto che avrebbero dovuto trovare il modo di contattare la loro famiglia a Edo e farsi venire a prendere. Purtroppo il villaggio sembrava non essere stato toccato dall'ondata “civilizzatrice” degli Amanto, rendendo impossibili o estremamente difficoltosi i contatti con l'esterno: la copertura telefonica era quasi nulla, internet era solo una vaga chimera e l'ufficio postale possedeva come unico mezzo di trasporto un motorino mezzo sfasciato che minacciava di lasciare a piedi il postino a metà strada tra lì, ovunque lì si trovasse, ed Edo. Erano dovuti passare ancora altri giorni prima che la padrona di casa permettesse ai due adolescenti di mettersi in marcia per tornare a casa. Non erano sicuri di dove si trovassero, così si erano fatti indicare la direzione per la città più vicina. La signora non era affatto d'accordo, ma loro mancavano da casa da ormai più di un mese e non riuscivano più ad aspettare oltre. Era stato durante il loro viaggio di ritorno che avevano incontrato le pattuglie della Shinsengumi che, seguendo una loro pista indipendente, erano finiti a dare la caccia a quegli stessi terroristi che avevano catturato i due amici. Una volta aggiornato Hijikata sugli ultimi avvenimenti, questi li aveva riportati ad Edo per rilasciare una dichiarazione al quartier generale della Shinsengumi, dove si trovavano.

 

Finito il loro racconto e ottenuto il permesso di andare, Shinpachi e Kagura si erano fiondati all'esterno, ma erano stati placcati dal vicecomandante demoniaco che li aveva portati entrambi da Otae, nonostante le rimostranze di una riluttante Kagura.

 

La felicità di Otae nel rivederli vivi e vegeti fece scemare almeno in parte l'irritazione della giovane yato. Aggiornata anche lei riguardo le loro peripezie e dopo che Otae si era stancata di abbracciare Shinpachi fino a stritolarlo, ricevettero il permesso di andare entrambi alla Yorozuya, anche se non capirono l'insistenza di Otae nel voler assolutamente fare una telefonata prima che loro si dirigessero da Gin. L'unica cosa che il ragazzo con gli occhiali era riuscito a capire era che la sorella per qualche motivo era particolarmente irritata dall'esito della chiamata.

«Quell'idiota non risponde» sbuffò la ragazza. «È da quando Hijikata ha chiamato per dire che vi avevano trovato ed eravate al quartier generale che cerchiamo di contattare quel perdigiorno di un samurai, ma non risponde al telefono. Ho chiesto a Otose di controllare che non stesse ancora dormendo, ma niente da fare.»

«Le hai detto che siamo tornati?»

«Sì, ma non l'abbiamo ancora detto a Gintoki... a questo punto è meglio che siate voi ad andare.»

«Sorella...» iniziò Shinpachi titubante. «Per quale motivo siamo stati portati entrambi qui? Perché Kagura-chan non è potuta tornare direttamente alla Yorozuya?»

Otae fece scorrere lo sguardo da uno dall'altra. Nasconderglielo non sarebbe servito a niente, tanto valeva che arrivassero preparati. Sospirò. «Questo mese è stato difficile. Tutti... tutti abbiamo pensato che foste morti. È stata dura farsene una ragione, abituarsi all'idea che non saresti più tornato a casa, che non avresti più criticato la mia cucina, che non avresti più usato il nostro dōjō o... partecipato a quegli assurdi incontri per Otsū. O che non avrei più visto Kagura-chan devastare mezza città in groppa a Sadaharu» Otae rise, ma i due ragazzini potevano vedere i suoi occhi iniziare a inumidirsi. Fece un respiro profondo. «Ma c'era il lavoro, i debiti, i clienti... ho cercato di concentrarmi sui miei impegni e di vivere un giorno alla volta. Ho continuato a uscire di casa per le commissioni, per andare allo Snack Smile e... Oryō e Kyūbei mi hanno aiutata a superare i momenti peggiori, ma...» si fermò un attimo, in cerca delle parole migliori «per Gintoki è stato diverso. Lui... si è isolato. Abbiamo cercato di parlargli, ma ci siamo riusciti solo di recente. Non sta bene, dovete essere pronti.»

Shinpachi restò in silenzio: le allusioni della sorella non gli piacevano affatto, perché era così vaga? Otae non era tipo da girare attorno alle cose. Cosa non gli stava dicendo? Lanciò un'occhiata a Kagura che non sembrava aver colto nulla di allarmante, ma non si stupì più di tanto.

«Sorella, mi dispiace per tutto ciò che hai dovuto passare a causa mia e sono felice che tu abbia potuto contare su Oryō e Kyūbei. Mi farò perdonare» Otae rise. «Sì, dovrai decisamente farti perdonare per essere stato rapito.»

 

Arrivarono davanti al bar della signora Otose quasi di corsa, stavano per lanciarsi su per le scale, quando si sentirono afferrare da dietro per il bavero e una voce roca li apostrofò.

«Ehi mocciosi, dove pensate di andare?»

I ragazzi si girarono di scatto e videro la padrona di casa ferma dietro di loro. Si inchinarono in automatico per scusarsi di quanto avessero fatto preoccupare tutti quanti. Spararono scuse e spiegazioni a raffica, mortificati. La signora Otose rise e li interruppe. «Ho capito, ho capito. Sono felice che stiate bene e siate tornati. Questo posto è stato fin troppo silenzioso nell'ultimo mese. Immagino vogliate correre da quel perdigiorno che vive al piano di sopra» concluse precedendoli ed entrando in casa.

Appena i due ragazzini misero piede in casa ebbero la conferma che qualcosa non andava. L'appartamento era pulito, ma sembrava lasciato a se stesso, alcune cose erano troppo in ordine, era come se chiunque ci vivesse stesse usando le stanze il meno possibile.

Kagura storse il naso. «Shinpachi... non mi piace» il ragazzo con gli occhiali non fece in tempo a risponderle che una montagna di pelo a quattro zampe si avventò su di loro guaendo e saltando come impazzita.

«Sadaharu!» strillò Kagura estasiata, mentre cercavano di alzarsi dopo essere stati travolti in pieno dal cane. «Ti sei preoccupato, vero? Scusa, cucciolo» la ragazzina rise. «Guarda, Shinpachi, scodinzola talmente tanto che gli si staccherà la coda.»

Dopo che furono riusciti a far calmare Sadaharu, si misero alla ricerca di Gintoki. Lo trovarono addormentato nel futon, mezzo vestito e mezzo ancora in pigiama. Provarono ad avvicinarsi e scuoterlo, lo chiamarono un paio di volte, ma l'uomo si limitò a fare una smorfia e si girò dall'altra parte, così facendo una zaffata di alcol colpì in pieno i due adolescenti che si girarono verso Otose.

«Ok, qualcuno ci può spiegare cosa sta succedendo?»

«Perdervi è stato un colpo molto duro, ragazzi. Dovrete tenerlo d'occhio per un po'» si limitò a dire la donna, prese poi un'altra boccata dalla propria sigaretta e li lasciò soli.

«Guarda, Shinpachi» bisbigliò Kagura sollevando leggermene la coperta del futon. Il ragazzo capì subito cosa stava cercando di mostrargli l'amica. La camicia mezza aperta e sollevata lasciava intravedere un numero preoccupante di segni violacei e ferite in fase di guarigione che Shinpachi era sicuro non ci fossero quando lo avevano visto l'ultima volta in spiaggia. L'ombra di un livido era ancora visibile anche su uno zigomo dell'uomo addormentato. Kagura allungò una mano e sfiorò con le dita una delle guance del samurai. «Sei proprio uno stupido, Gin-chan» sussurrò. «Cosa facciamo?»

Shinpachi, che si era alzato da terra poco prima, le passò una coperta e ne sistemò una seconda sul pavimento accanto al futon, per poi sedercisi sopra. «Aspettiamo» si limitò a rispondere, ricacciando giù il groppo che gli si era formato in gola e afferrando una mano di Gintoki.

Kagura annuì e lo imitò.

***

La prima cosa di cui si accorse quando si svegliò era che sentiva un braccio intorpidito. Che Sadaharu si fosse addormentato di nuovo con il muso su di lui? Mosse le dita. Aveva qualcosa in mano?

Improvvisamente si ricordò che gli sembrava di aver sentito del trambusto quella mattina... o avrebbe dovuto dire quel pomeriggio? Ma forse era stato solo l'ennesimo sogno delirante, dopotutto gli era sembrato di sentire le voci di Shinpachi e Kagura e gli era capitato già più volte di sognarli entrare dalla porta della Yorozuya sani e salvi... emise un respiro tremolante. Quando sarebbe finita? Perché doveva continuare a vederli ogni volta che si concedeva di dormire? Non bastava che gli mancassero quando era sveglio?

Finalmente si decise ad aprire gli occhi e mosse la testa. Qualunque cosa fosse appoggiata alla sua spalla sinistra si mosse. «Gin-chan? Sei sveglio?» il suo cuore saltò un battito. Kagura?

Si alzò a sedere di scatto, sollevando le proteste della ragazzina dai capelli rossi, che si era addormentata con la testa sulla sua spalla, e di Shinpachi, che si era addormentato sull'altro lato accanto lui. Entrambi lo stavano tenendo per mano. Chiaramente quello che aveva sentito erano loro, ma com'era possibile? Come potevano essere lì? Come potevano essere vivi? Era forse impazzito e aveva iniziato ad avere allucinazioni?

Sentì che i ragazzini lasciavano andare le sue mani. Shinpachi si alzò per accendere la luce, mentre Kagura brontolava stropicciandosi gli occhi.

«Gin-san?» chiese preoccupato il ragazzo con gli occhiali riavvicinandosi con cautela, come se avesse avuto paura di spaventarlo. L'uomo si alzò in piedi e fece correre lo sguardo da uno all'altra, mentre Kagura lo imitava e si avvicinava a Shinpachi. «Gin-san, stai bene?»

Gintoki mosse qualche passo verso di loro e aprì la bocca, ma non uscì nessun suono. Si avvicinò ancora di più e si trovò a sfiorare i loro visi con le dita.

Erano davvero lì.

Non era qualche allucinazione o sogno.

Erano lì, in quella stanza. Vivi.

Il samurai dai capelli d'argento sentì le gambe cedere e cadde in ginocchio davanti ai due ragazzini. Entrambi, allarmati, si inginocchiarono e iniziarono a parlare concitati spiegando ciò che era accaduto nell'ultimo mese, come erano stati ritrovati dalla Shinsengumi e come sia Kondo che Otae avessero tentato di avvisarlo in tutti i modi quella mattina. Alla fine erano riusciti solo ad avvertire la signora Otose poco prima di arrivare alla Yorozuya, anche la donna aveva scoperto la verità solo una volta che se li era trovati davanti.

«Gin-chan, per favore, dì qualcosa» lo supplicò la giovane yato. «Abbiamo cercato di contattarvi in tutti i modi quando ci siamo liberati, ma non ce l'abbiamo fatta, ci dispiace, noi-»

Gintoki non la lasciò terminare e strinse a sé entrambi, come se avesse avuto paura di vederli scomparire da davanti ai suoi occhi da un momento all'altro.

«Gin-chan... non piangere» mormorò Kagura vedendo le lacrime iniziare a scorrere silenziosamente sulle guance dell'uomo e stringendolo a sua volta. «Stiamo bene.»

Shinpachi fece un sorriso triste e ricambiò l'abbraccio. «Va tutto bene, Gin-san. Siamo qui adesso. Siamo tornati a casa e tutto tornerà a posto.»

 

Non avrebbero saputo dire per quanto tempo fossero rimasti in quella posizione. I ragazzini non avevano cercato di liberarsi, avevano atteso semplicemente che Gintoki si calmasse e si decidesse a lasciarli andare. Nei giorni seguenti non l'avevano perso d'occhio un attimo, obbligandolo a mangiare e a limitare l'alcol e costringendolo a impegnarsi di nuovo con i casi della Yorozuya.

Per il momento, Shinpachi e Kagura avevano deciso di comune accordo di scegliere casi che non li portassero fuori da Edo e che sembrassero abbastanza innocui da non metterli in pericolo, era già abbastanza complicato persuadere Gin a portarli con sé con quel genere di casi, se avessero scelto qualcosa di più rischioso non erano affatto sicuri che sarebbero riusciti a convincerlo a farli partecipare.

Kagura, inoltre, aveva iniziato ad andare in camera di Gin più spesso di quanto facesse prima. Lavorando a lungo a contatto con il samurai, si erano accorti da tempo che di tanto in tanto aveva ancora degli incubi legati alla guerra contro gli Amanto. I primi tempi, quando si accorgevano che iniziava a lamentarsi nel sonno, avevano provato a svegliarlo, ma l'unica cosa che avevano ottenuto era scoprire che dopo un risveglio brusco Gintoki era molto agitato e confuso su dove si trovasse e su che giorno fosse, così avevano smesso, limitandosi ad aspettare che si svegliasse e a distrarlo, tanto erano rumorosi per natura, non era difficile. Di notte Shinpachi si fermava di rado, ma Kagura, quando si accorgeva che l'uomo stava avendo un incubo, era solita intrufolarsi in camera sua e accoccolarsi accanto a lui nel futon, avevano notato che in questo modo si svegliava comunque più tranquillo e sembrava non ricordare gli incubi.

Ovviamente non gli avevano mai parlato di tutto questo, avevano capito cosa stava succedendo mettendo insieme i pezzi, volta dopo volta. Avevano deciso di non chiedergli spiegazioni ed erano abbastanza sicuri che lui si fosse accorto di ciò che stavano facendo, ma non aveva mai commentato. Avevano quindi immaginato che il loro comportamento non lo infastidisse e avevano continuato.

Da quella missione però gli incubi sembravano essersi fatti più frequenti, così i due ragazzini si assicuravano che almeno uno di loro fosse sempre nei paraggi quando Gintoki si addormentava, che fosse giorno o notte. Sapevano che prima o poi sarebbero diminuiti, avrebbero solo dovuto avere un po' di pazienza.

***

«Tu... che cosa hai fatto?» sibilò Shinpachi con un tremito di rabbia nella voce, sconvolto dopo aver scoperto ciò che tutti stavano tenendo nascosto a lui e Kagura da quando erano tornati.

Erano passati dal bar di Otose per salutare e la situazione era degenerata quando Tama, molto tranquillamente, aveva osservato che era una buona cosa che Gintoki non avesse portato a termine il suo tentato seppuku, visto che i ragazzi erano tornati.

Gintoki deglutì sotto lo sguardo sconvolto di Shinpachi e l'orrore negli occhi di Kagura. Sapeva cosa sarebbe successo ora: le avrebbe prese. E ne avrebbe prese tante.

Come se gli avesse letto nel pensiero, il samurai con gli occhiali gli mollò un pugno che lo mandò lungo disteso sul pavimento del locale.

«SEPPUKU?! TE LO DIAMO NOI IL SEPPUKU, BRUTTO IDIOTA!» urlò il ragazzo fuori di sé dalla rabbia e lo afferrò per il bavero del kimono. «Si può sapere cos-» Shinpachi venne interrotto e spostato con violenza da Kagura, che afferrò a sua volta Gintoki. «Si può sapere cosa ti è saltato in mente, stupido samurai con la permanente? Eh?!» strillò la ragazzina, scuotendolo.

Dopo non pochi sforzi, Gin riuscì finalmente a liberarsi e stava per ribattere quando vide l'espressione sui volti dei due ragazzini. Non erano davvero arrabbiati, erano solo incredibilmente spaventati e il samurai si rese conto di quanto avessero dovuto essere preoccupati in quei giorni: erano tornati e lo avevano trovato steso nel futon che puzzava di alcol, con ancora i segni delle risse sul corpo e chiaramente dimagrito, con profonde occhiaie che avevano impiegato giorni a scomparire. Sapeva anche che si erano accorti che gli incubi erano aumentati e stavano facendo del loro meglio per aiutarlo a gestirli senza farglielo pesare o metterlo a disagio. Capì solo in quel momento però che si ritenevano in qualche modo responsabili per ciò che aveva passato.

Si avvicinò a entrambi con cautela. «Mi dispiace» si limitò a dire. Vide gli occhi dei due adolescenti riempirsi di lacrime. Da quanto tempo stavano nascondendo la loro preoccupazione e cercando di essere forti per lui? «Non è stata colpa vostra, ero...» scosse la testa e assunse un'espressione forzatamente svagata.

Shinpachi e Kagura non lo lasciarono finire e lo abbracciarono. «Sei un idiota, Gin-chan» sussurò Kagura senza staccarsi da lui. «Cosa avremmo fatto se tu ci fossi riuscito e noi fossimo tornati? Cosa avrei fatto io? Te l'ho già detto, la vita senza di te non sarebbe divertente, stupido con la faccia da pesce lesso.»

«Ho già visto qualcuno della mia famiglia morire, Gin-san... mio padre, mia madre, Hajime-nii... non voglio che succeda qualcosa anche a te. Per favore, non fare mai più qualcosa di così stupido» mormorò Shinpachi, nascondendo il viso nel suo kimono.

«Ohi ohi, andiamo ragazzi» rispose appoggiando una mano sulla testa di ognuno. «Non è successo nulla. Voi state bene e io sono ancora qui. Mi riprenderò alla svelta, promesso, ci vuole ben altro per mettermi al tappeto. Adesso però dobbiamo festeggiare. L'ultimo che arriva al ristorante paga la cena!» disse scappando all'esterno inseguito da Shinpachi e Kagura che strillavano che così però era proprio sleale.

Otose sorrise da dietro il bancone, finalmente era tornato tutto alla normalità.

«Avanti, ragazze. Tra poco arriveranno i clienti.»

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