Mr & Mrs Saotome

di TigerEyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Doppia vita ***
Capitolo 2: *** Il matrimonio ***
Capitolo 3: *** Notte di nozze ***
Capitolo 4: *** Luna di Miele - I parte ***
Capitolo 5: *** Luna di Miele - II parte ***
Capitolo 6: *** Carte scoperte ***
Capitolo 7: *** Caccia ***
Capitolo 8: *** Inseguimento ***
Capitolo 9: *** Fino all'ultimo respiro ***



Capitolo 1
*** Doppia vita ***


otoko




I

DOPPIA VITA





Il suono della campanella annunciò la fine di quella noia di lezione e della giornata scolastica. Finalmente il pranzo che il giorno prima Kasumi aveva annunciato di portare a casa Tendo non sarebbe stato più un miraggio: al suo rientro avrebbe trovato un oden fumante ad aspettarlo e lo stomaco mandava vibrati apprezzamenti al solo pensiero. Niente ramen e zuppe istantanee, una volta tanto.
Si voltò a guardare Akane nella speranza che avesse già la cartella in mano, invece quel baobab della fidanzata era in piedi a chiacchierare con Yuka e Sayuri. E sorrideva allegra, come poche volte l’aveva vista fare nei suoi confronti. Da quando Kasumi si era sposata, poi, le cose tra loro erano di colpo peggiorate.
L’ennesima stretta al cuore anticipò le sue falcate verso di lei.
“Ehi, ci vogliamo muovere? Sto morendo di fame”.
Akane gli scoccò un’occhiataccia interrogativa.
“Corri a casa, allora, o hai paura di perderti se non ti accompagno?”.
Quelle galline delle amiche nascosero le risatine dietro pugni chiusi e ridicoli tentativi di tossire.
“Lo dicevo anche per te, visto che corri il rischio di non trovare nulla quando arrivi, ma evidentemente ti sei messa a dieta, brava, magari è la volta buona che perdi peso”.
Per un soffio schivò la sua cartella, che passò rasente sopra la propria testa. A volte la sua velocità lo stupiva. Ok, raramente, in realtà, ma accadeva.
“Ti conviene correre, idiota, se non vuoi che tuo padre lasci te senza nulla da mangiare quando arrivi!”.
Ranma maledì la propria stupidità e si precipitò verso l’uscita, fermandosi solo davanti al proprio armadietto delle scarpe. Allungò una mano, ma si fermò in tempo: qualcuno lo aveva aperto e richiuso a chiave. Non l’avrebbe mai notato se il capello che aveva lasciato incastrato nello sportello non fosse sparito.
“Ehi, Ranma, che hai deciso di fare, alla fine? Aspetti Akane?”, sghignazzò Hiroshi alle sue spalle.
“Sì…”, mentì sovrappensiero senza nemmeno voltarsi, indeciso se aprire o meno quel dannato sportellino.
“Perché fissi l’armadietto? Ti senti bene?”, chiese Daisuke avvicinandosi a sua volta.
“Certo, ci vediamo domani”.
“Che hai tutt’a un tratto?”, lo incalzò Hiroshi. “Sei sicuro che…”.
“Ho detto di sì, andate pure!”.
“Ok, ok, a domani, allora!”, lo salutò l’amico allontanandosi.
“Certo che a volte è proprio strano…”, commentò Daisuke sottovoce, come se non fosse ancora troppo vicino per non udirlo.
Solo quando fu sicuro di essere solo, Ranma si decise ad aprire l’armadietto. Inserì la chiave e la girò, ponendosi con le spalle contro la fila di armadietti adiacente e spalancò di slancio lo sportellino. Nulla. Si affacciò a guardare dentro e all’interno trovò una busta sigillata. Niente mittente, né destinatario.
Si guardò ancora una volta intorno prima di afferrarla e aprirla: dentro, solo un foglio bianco, un accendino e qualche spicciolo. Ranma disse mentalmente addio al pranzo a casa Tendo con un sospiro rassegnato.
Fece in tempo a infilarsela nella casacca, prima che alle voci di Akane e delle sue amiche facessero seguito loro tre in persona, che sbucarono da dietro l’angolo del muro di armadietti.
“Sei ancora qui?”, gli chiese Akane perplessa aprendo il proprio, di armadietto.
“Sì, oggi non vengo a pranzo”, annunciò richiudendo il suo.
“Come sarebbe? Stamattina hai fatto i salti di gioia all’idea del pranzo che Kasumi avrebbe portato e poco fa mi hai messo fretta per tornare a casa!”.
“Lo so, ma non posso: ho preso un impegno con Daisuke e Hiroshi, mangerò un panino”, buttò là mettendosi la chiave in tasca.
“E dove li hai trovati i soldi?”.
“Me li sono fatti prestare da loro… ma poi a te che importa?”, le chiese voltandosi a guardarla. “Ti preoccupi per me, forse?”, azzardò con un sorrisetto sghembo.
“Perché, ti piacerebbe?”, rispose ironica di rimando. “La mia era solo curiosità, se resti a digiuno sono affari tuoi”, aggiunse piccata superandolo senza più degnarlo di uno sguardo, tallonata da Yuka e Sayuri che invece non osavano proprio sollevare gli occhi su di lui.
Bene, ora doveva solo procurarsi qualcosa con cui sfamarsi prima di leggere la lettera, o avrebbe mangiato direttamente la missiva dalla fame.

Dopo salti acrobatici, calci agli stinchi e svenimenti indotti, era riuscito ad arrivare al rivenditore di panini in tempo per prendere l’ultimo alle polpette, correre via, saltare di tetto in tetto e arrivare fino a un piccolo e isolato parco pubblico. Si sedette sotto un albero, ingurgitò il panino con una foga tale che suo padre sarebbe stato fiero di lui fino alle lacrime e finalmente aprì il foglio immacolato. L’avvicinò al naso e immediatamente un aroma inconfondibile invase le narici.
Succo di limone…
Prese l’accendino e pose la fiammella poco sotto al foglio affinché lo illuminasse senza bruciarlo. Magicamente, hiragana, katakana e kanji comparvero come formiche nere sulla superficie bianca.
Ranma lesse con attenzione più volte, ripetendo mentalmente nome e luogo, prima di incenerire il foglio e disperdere le ceneri al vento.


- § -


Akane si gustò l’oden di Kasumi in santa pace, una volta tanto. Raramente Ranma saltava un pranzo o una cena preparata dalla sorella maggiore, a maggior ragione dopo il recente matrimonio col dott. Tofu, ma quando accadeva, l’intera casa sembrava tirare un sospiro di sollievo: niente litigi tra padre e figlio per l’ultimo fungo, uovo sodo o fetta di carota che fosse, niente Shampoo che sfondava il muro di cinta e si abbarbicava a Ranma neanche le fossero spuntati dei tentacoli, niente Mousse che la seguiva a ruota abbarbicandosi però immancabilmente alla sottoscritta, niente Kodachi che svolazzava per il giardino strozzando il suo fidanzato con un nastro, pur di indurlo ad assaggiare un nuovo intruglio soporifero e niente Ukyo che, unica sana di mente, suonava alla porta ogni santo giorno con un okonomiyaki diverso.
“Quasi dimenticavo”, disse suo padre sorseggiando il brodo, “ha chiamato Nabiki, stamattina”.
“Come mai? Tutto bene all’università?”, chiese Akane addentando una fetta di daikon.
“Oh, sì, sì, in realtà ha chiamato per sincerarsi che fossimo viv… che andasse tutto bene qui”.
Akane prese un respiro molto, molto profondo, nello sforzo di non spezzare le bacchette in due.
“Ce la stiamo cavando, no? Le hai detto che sto frequentando una scuola di cucina e che Kasumi viene spesso a portarci da mangiare?”.
“Certo che l’ho fatto! Anche se già nel momento in cui ho risposto al telefono, ho sentito un sospiro di sollievo”.
Il crack delle hashi spezzate di netto riecheggiò nella sala da pranzo.
“Teme che rimaniamo senza ramen istantanei e io vi mandi tutti al pronto soccorso?”.
“Ma cosa dici, ci sono sempre le okonomiyaki di Ukyo, i ramen di Shampoo o le squisite pietanze di Kodachi!”, s’intromise il signor Genma, guadagnandosi un’occhiata omicida da suo padre.
“Lo so che mangereste a sazietà ogni giorno e gratis, grazie a loro, ma si erano praticamente installate in casa nostra, dopo che Kasumi si è sposata, sembravo io l’intrusa!”, sbottò lei ricordando amaramente come fosse dovuto intervenire suo padre per riportare l’ordine e far capire a quelle tre di non presentarsi più in casa loro senza permesso. Si alzò furibonda e andò in cucina a passo di marcia a prendere un altro paio di bacchette. “Di certo Nabiki avrà scommesso che prima o poi vi manderò tutti a fare una lavanda gastrica, me l’immagino il conflitto in atto nel suo cervello perché non sa cosa sperare: se vincere la scommessa o evitare di rimanere orfana anche del padre”, affermò acida sedendosi di nuovo per infilzare un quadratino di tofu.
“Suvvia, si preoccupa solo per la nostra salute, non puoi darle del tutto torto…”, tentò il genitore.
“È troppo chiedere che abbiate solo un po’ di fiducia in me, per una volta?”, sbraitò a zuppa finita e filando di corsa in camera sua.
Chiuse la porta a chiave e aprì un’anta della finestra, quel tanto per lasciar entrare un po’ d’aria. L’attendeva un pomeriggio china sui libri e non voleva perdere altro tempo, ma appena si sedette alla scrivania, un piccione si posò sul davanzale. Akane lo studiò per qualche secondo prima di spalancare l’anta, rassegnata all’inevitabile e notare che aveva qualcosa legato a una zampetta.
Lo prese con delicatezza tra le mani e sfilò il messaggio dalla custodia, prima di lasciarlo volare via.
Srotolò il piccolo pezzo di carta e lesse il contenuto che mandava in fumo i suoi propositi di studio fino a tarda sera. Con un sospiro spazientito accese un incenso e lo bruciò.


- § -


Doveva ammettere che la dimora della famiglia Miyakoji era una favola. Non schifosamente lussuosa come quella dei Kuno, ma non meno estesa e dall’eleganza sobria, soprattutto l’incantevole giardino. Ma più ancora, era sorvegliata da un tale numero di guardie che difficilmente uno spillo sarebbe riuscito a passare.
Ranma cambiò posizione sul ramo per spostare la visuale del mirino telescopico verso il basso, in cerca dell’ingresso principale. Eccolo là, fiancheggiato da due energumeni armati con una lista in mano lunga quanto un papiro. Osservavano un furgoncino in avvicinamento che rallentò sino a fermarsi proprio davanti a loro, sulla fiancata l’insegna di un fioraio. Ne scesero due uomini che aprirono gli sportelli posteriori e ne tirarono fuori ceste di gigli e orchidee, ma appena si presentarono alle guardie, queste pretesero dapprima i documenti, poi uno dei due li perquisì fin quasi a lasciarli in mutande, mentre l’altro li teneva sotto tiro.
Quando finalmente li lasciarono passare, altre guardie li scortarono fino al giardino principale, dove altri addetti stavano sistemando gazebo, tavoli, sedie, fontane, lanterne di carta oleata e naturalmente altri addobbi floreali. Tutti rigorosamente sorvegliati da altre guardie armate. Non riusciva a capire per quale motivo la Tigre Nera lo avesse incaricato di mandare a monte le nozze di Miyakoji Satsuki, ma due cose erano certe: primo, i Miyakoji si aspettavano che qualcuno avrebbe cercato di impedire la cerimonia, secondo, era impensabile per lui intrufolarsi fra gli addetti ai lavori, non c’era tempo per fabbricare documenti falsi, visto che il matrimonio sarebbe stato celebrato la mattina dopo. Doveva tornare a casa e prepararsi a guastare loro la festa quella notte stessa.
Si ritirò ancor di più all’ombra delle fronde e spiccò un salto sul tetto più vicino, poi su quello successivo e quello dopo ancora. Quasi gli dispiaceva rovinare quel bell’allestimento, ma il matrimonio di Miyakoji Satsuki di sicuro era combinato, visto che il futuro marito aveva due volte i suoi anni, un vecchio in pratica, per cui in un certo senso la stava salvando: da quel che era riuscito a scoprire, questa Satsuki era una ragazza timida e riservata, il classico tipo che avrebbe obbedito alla sua famiglia pure se le avesse chiesto di buttarsi tra le fiamme di un rogo, quindi pure con la morte nel cuore si sarebbe sacrificata per il bene dei Miyakoji.
Meglio così, allora, si disse atterrando nel giardino di casa Tendo, anche se non era per impicciarsi degli affari altrui che lui e suo padre venivano pagati. Ma se fosse filato tutto liscio, il suo periodo di prova sarebbe finalmente finito e lui sarebbe stato ingaggiato a tempo pieno dall’organizzazione.
Prima di entrare in casa, si guardò intorno, si sdraiò sul prato e ruotò sulla schiena fino a ritrovarsi sotto il portico che conduceva alla palestra. Sotto poche dita di terra c’era l’attrezzatura di cui aveva bisogno.
Rientrò in casa ben attento a non incrociare nessuno, buttò l’involucro nell’armadio del futon della sua stanza e scese le scale.


Quando udì bussare alla porta, Akane pensò potesse essere Kasumi o magari Nabiki in visita e aprì di slancio. Non si aspettava di ritrovarsi invece Ranma davanti, ne era passato di tempo dall’ultima volta che si era presentato alla sua porta.
“Da quando ti chiudi dentro a chiave? Di cosa hai paura?”, le chiese sornione con un braccio sollevato poggiato contro lo stipite a tenere un quaderno penzoloni, l’altra mano poggiata sull’anca e le caviglie incrociate.
Del tutto spiazzata, Akane indietreggiò di un passo, sbattendo più volte le ciglia come se davanti al naso si fosse parato uno sconosciuto: da quando Ranma era diventato così alto? Come aveva fatto a non accorgersi che mentre lei era rimasta minuta, lui si era fatto ancora più prestante nei due anni e mezzo trascorsi sotto lo stesso tetto? Dove aveva gli occhi e la testa?
Alle varie missioni, forse?
“Allora? Niente risposte sferzanti?”.
E cosa ti rispondo?, avrebbe voluto ribattergli. Che sì, ho paura, ma di me, non di te? Perché quando mi guardi con quella faccia da schiaffi non mi viene più voglia di prenderti a calci come una volta, ma di allungare una mano verso il tuo viso e accarezzarlo per immergermi nell’oceano dei tuoi occhi? Come il sole che tramonta sta facendo in questo momento rendendoli abbaglianti, accidenti?
Distolse lo sguardo concentrandolo sulla parete alla sua sinistra che di colpo divenne molto interessante.
“Spalancare la finestra e farti volare in giardino ti basterebbe come risposta? Cosa vuoi?”, chiese ostentando una noia che non provava per celare l’impennata che aveva preso il cuore.
“Una mano coi compiti”.
“Ancora? Sul serio? Ti do ripetizioni da quando sei arrivato in questa casa, possibile che hai di nuovo bisogno del mio aiuto?”.
“Lo sai che sono carente in matematica e domani abbiamo l’ultima verifica, se non mi aiuti, non la passerò. Non vorrai che ripeta l’anno…”.
Akane chiuse gli occhi e sbuffò.
“D’accordo”, si arrese lasciandolo entrare. “Ma stasera vado al cinema con Yuka e Sayuri, quindi posso dedicarti solo due ore, poi devo prepararmi”.
“Basteranno”, disse accomodandosi sul letto. “Hai una penna?”.
Anche la sua voce era cambiata, più profonda, più adulta. Quando la canzonava diventava perfino roca e a lei provocava dei brividi dalla nuca fino alle natiche. Sempre più spesso non sapeva cosa inventarsi per rispondergli a tono e mascherare così il proprio imbarazzo.
Se lui avesse anche solo intuito che lei era… era… no, si sarebbe sotterrata viva con le sue stesse mani, piuttosto.


Seduta alla scrivania, Akane cercava con tutta la pazienza del mondo di spiegargli nozioni che a lui entravano da un orecchio e uscivano dall’altro. E non perché la matematica la detestasse davvero, visto che in realtà la capiva perfettamente, ma perché non sarebbe riuscito a concentrarsi nemmeno se gli avesse illustrato l’ultima pubblicazione sulle arti marziali: la sua voce dolce e pacata e i suoi gesti – dal modo in cui portava le ciocche dei capelli dietro l’orecchio, al modo in cui tratteneva la matita tra naso e labbro – lo incantavano. Far finta di essere un somaro in quella materia non era più solo una copertura: era diventata l’unica scusa che aveva per andare a trovarla nella sua camera e starle accanto anche solo un po’, senza essere disturbati. Poter ammirare da vicino i suoi occhi splendenti e inebriarsi del suo profumo senza essere frainteso.
Di colpo la immaginò vestita di bianco nel giardino addobbato a festa della famiglia Miyakoji, che sollevava il volto arrossato e gli sorrideva raggiante all’idea di sposarlo. Si diede dell’imbecille e abbassò lo sguardo sul proprio quaderno scarabocchiato affinché lei non si accorgesse che la faccia del grande Saotome Ranma aveva preso fuoco fino alla punta delle orecchie. Che accidenti di pensieri erano quelli? Come gli era venuto in mente?
“Hai capito quello che ho detto? Ranma, hai ascoltato?”.
“Come?”, ribatté lui alzando gli occhi sul suo viso dubbioso. “Ma sì, certo”.
“Allora risolvi questa equazione”, disse scrivendo in fretta sul suo quaderno una serie di incognite.
Non era difficile, ma lui finse di metterci più tempo di quanto fosse necessario e sbagliò volutamente una parentesi.
“No, guarda, qui avresti dovuto scrivere questo…”, gli spiegò piegandosi in avanti e lui, colpito in pieno dal profumo dei suoi capelli, vacillò neanche gli avesse assestato un pugno.
Akane alzò il viso di slancio e se la ritrovò a poche dita dal suo naso. Non così vicina, ma neanche così lontana da non poter annullare la distanza dalle sue labbra, che si schiudevano piene e invitanti. Solo che, con ogni probabilità, non sarebbe riuscito a baciarla nemmeno se la Tigre Nera gliel’avesse ordinato per iscritto come prova suprema di ammissione finale.
Eppure… eppure l’aveva immaginato così tante volte, cosa lo bloccava dopotutto?
E se mi rifiutasse?
Poteva accettare tutto da Akane, insulti, pestaggi, tutto, ma un rifiuto… no, un rifiuto lo avrebbe ucciso.
“Che ore sono?!”.
Fu come essere colpito allo stomaco da un altro pugno, di quelli però che lasciano a terra tramortiti e senza aria nei polmoni.
“Che… cosa?”.
Lei si voltò verso la scrivania e prese in mano la sveglia.
“È tardi, devo andare a prepararmi!”.
“Ma… ma non abbiamo ancora finito!”, protestò, riferendosi a tutt’altro che a una materia scolastica.
“Mi spiace, ma non posso tardare, ti lascio i miei appunti, leggili con attenzione, hai tutta la notte!”, disse via correndo.
L’unica cosa che gli aveva lasciato era l’amaro in bocca, ma la colpa era solo sua, che come al solito si lasciava sfuggire le occasioni. E sul fatto che avesse l’intera notte, beh… per fortuna l’avrebbe passata a fare qualcosa di più interessante.
Si alzò dal letto di Akane e scese in palestra, deciso ad allenarsi un po’, prima di fare uno spuntino e coricarsi con largo anticipo, visto che avrebbe dovuto impostare la sveglia alle due di notte.
Alla fine delle scale incontrò suo padre, appena entrato con le buste della spesa in mano. Gli propose uno scontro nel dojo per ‘scaldarsi’ e il genitore afferrò al volo.
“Intanto va’ avanti, Ranma, ti raggiungo appena ho riempito il frigo”.
In palestra, tra un calcio rotante e un affondo che avrebbe potuto spezzare le assi delle pareti, Ranma mise il padre al corrente della sua prossima missione, ma lui non parve stupito.
“Ho chiesto io alla Tigre Nera di affidarti questo incarico, quando mi è stato sottoposto. So che la dimora dei Miyakoji è sorvegliata giorno e notte da parecchie guardie armate, ma proprio per questo, se riesci nell’impresa, è fatta, ragazzo: passerai alle missioni serie e ai soldi veri".
“È l’unica cosa che t’importa, non è così?”.
“Affatto: voglio anche vederti sistemato”.
“Siamo già sistemati”.
“Non ancora, non definitivamente, ma di questo ne riparleremo dopo la missione”.
Improvvisamente non aveva più voglia di allenarsi e decise di andare a farsi un bagno per lavare via il sudore e i pensieri molesti che avevano fatto di nuovo capolino per tormentarlo. Sapeva di cosa voleva parlargli suo padre, ma lui non era pronto. Non a un rifiuto, perché il problema era sempre lo stesso: un rifiuto da parte di Akane. Scoprire, dopo tutto quel che avevano passato, che lei non lo voleva e non lo avrebbe mai voluto. Il che era altamente probabile, visto come avevano impostato il loro rapporto sin dall’inizio. Come lui, soprattutto, non smetteva di comportarsi con lei: chi avrebbe potuto biasimarla?
Stava per svoltare l’angolo per andare dritto alla stanza da bagno, quando udì un insolito picchiettio di tacchi che scendevano rapidamente le scale. Si volse verso l’ingresso e il sangue nelle vene divenne ghiaccio.
“Dove stai andando?!”, gli scappò squadrandola da capo a piedi prima che Akane potesse aprire la porta. Non era riuscito a impedirselo, appena si era accorto che sotto un corto trench nero spiccavano le gambe quasi nude, se si volevano considerare calze quel velo nero così leggero. Ma soprattutto, da dove spuntavano quegli stivali aderenti, alti fin sopra al ginocchio e con quei tacchi vertiginosi?
“Te l’ho detto, vado al cinema: è una prima visione”.
“Al cinema o a cena fuori? Ti sei perfino truccata! Chi devi incontrare?”.
“Il mio amante segreto!”, lo canzonò lei facendogli una linguaccia mentre tirava giù una palpebra con l’indice premuto sulla guancia.
“Bene, se esiste davvero uno disposto a prendere una bisbetica come te, sarò ben felice di mollarti a lui!”.
“Sai quanti ne trovo meglio di te? Idiota!”, lo insultò subito prima di far scorrere l’anta della porta e uscire di corsa.
Ranma rimase lì impalato a masticare il boccone amaro della gelosia e della frustrazione: se solo non ci fosse stata di mezzo quella dannata missione, l’avrebbe seguita ovunque fosse andata e avrebbe demolito a suon di sberle la faccia di chiunque si fosse avvicinato a lei, fosse anche solo per chiedere l’ora.


- § -


Akane Tendo arrivò puntuale davanti all’ingresso del grattacielo, presentandosi al concierge dell’esclusivissimo hotel come una delle invitate al ricevimento. L’uomo controllò i nomi degli invitati al fidanzamento di Daimonji Sentaro, la cui famiglia aveva affittato per quella sera l’intero ristorante stellato all’ultimo piano. Akane sperò solo che la Fenice Bianca fosse riuscita a inserire in tempo nel computer dell’hotel il falso nome che le avevano affibbiato e fu non senza sforzo che mantenne intatto il sorriso man mano che i secondi passavano senza che una mosca volasse.
“Eccovi qui, signorina Kaneshiro, il vostro nome risulta nell’elenco. Prego, Serge vi accompagnerà fino al ristorante, se volete seguirlo…”.
“Molte grazie”, rispose Akane camminando spedita sui tacchi dietro il porter, finché non incespicò e quasi si storse una caviglia poco prima di mettere piede nell’ascensore. E dire che si era allenata tanto…
Per tutta l’ascesa, Akane inclinò la testa da un lato e dall’altro facendo scrocchiare il collo e attirando l’attenzione di Serge, per quanto il giovane cercasse di non voltarsi a guardarla. Il fatto era che lei odiava quella parte del suo lavoro, ma dalle informazioni stringate che le avevano fornito, questo Sentaro era stato costretto a fidanzarsi con una donna molto più vecchia di lui, per cui in sostanza gli avrebbe fatto un favore. E poi, se fosse andato tutto liscio, lei sarebbe stata promossa finalmente ad agente operativo. E allora sì che avrebbe potuto mantenere la sua famiglia, vista la sempre maggiore scarsità di allievi.
L’altoparlante annunciò che era arrivata al piano attico e Akane uscì dall’ascensore sfilando il trench per mettere in vista un aderente tubino nero da cui sporgeva il rigonfiamento di un cuscino all’altezza della pancia.
Si diresse a passo spedito verso la tavolata degli invitati che stavano brindando a una coppia male assortita come non ne aveva mai viste: lui, giovane ventenne dallo sguardo spento che sembrava in attesa di essere avviato al patibolo, lei dall’età indefinita che rideva sguaiata con due sigarette, una appena accesa fra le dita e l'altra quasi terminata fra le labbra. Forse per quello la pelle sembrava incartapecorita e aveva una ragnatela di rughe intorno alla bocca e agli occhi.
“Sentaro!”, gridò nel mezzo del brindisi gelando i presenti che si erano voltati all’unisono verso di lei. “Come hai potuto farmi questo!”.
Il ragazzo la guardò con tanto d’occhi, brancolando chiaramente nel buio.
“Avevi promesso che mi avresti sposata, dopo quello che c’è stato fra noi!”, urlò mostrando la finta gravidanza a chiunque avesse due pupille. “Come hai potuto?!”, lo schiaffeggiò platealmente.
“Ma io… io…”, balbettò lui portandosi una mano alla guancia offesa, mentre la fidanzata dapprima prese fuoco, poi virò verso il viola melanzana.
“Sentaro! Chi è questa donna?!”, urlarono insieme lei e una vecchia, di certo la nonna.
“Io non… non…”.
“Ti costringerò a prenderti le tue responsabilità, sappilo! Ci rivedremo in tribunale!”, minacciò Akane girando i tacchi e allontanandosi per lasciare dietro di lei un caos inverosimile, in cui a dominare erano le urla sgraziate della fidanzata di Sentaro che annunciava che il matrimonio era annullato.
Akane riprese l’ascensore con la massima calma, uscì dal grattacielo e si avviò verso la metropolitana, ma non prima di gettare in un vicolo la maschera di lattice che le soffocava il viso.
Missione compiuta.


- § -


Di nuovo sullo stesso ramo da cui quel pomeriggio aveva spiato la dimora dei Miyakoji, Ranma studiava interno ed esterno della proprietà col binocolo a infrarossi incorporato nella divisa nera: di notte le guardie che pattugliavano il perimetro erano non meno numerose di quelle che lo sorvegliavano di giorno, c’erano solo degli esseri zannuti che non aveva calcolato: i dobermann.
Si concentrò per mettere in atto la tecnica dell’Umisen-Ken fino a confondersi con l’ambiente circostante e annullare la sua presenza. Solo allora saltò dal ramo per atterrare alle spalle degli energumeni di guardia all’ingresso e colpirli alla base della nuca per farli svenire. Ora non restavano che il resto dei beoti e quelle bestiacce a quattro zampe. Scavalcò il muro di cinta ed entrò nell’edificio, dove il silenzio regnava sovrano. Fece aderire a naso e bocca il respiratore e lanciò il gas soporifero in vari punti della casa, prima di uscire di nuovo in giardino. Aspettando di volta in volta l’occasione giusta, si sbarazzò prima degli uomini-ombra appostati nei cespugli o sugli alberi, quindi delle guardie armate che giravano isolate con un singolo quadrupede a testa. Gli ci volle un po’ di tempo per addormentarli tutti, ma alla fine non rimase nessuno che potesse assistere allo scempio che stava per mettere in atto: per prima cosa, fece a pezzi e accatastò tutto ciò che, dell’allestimento per il ricevimento di nozze, era in legno e potesse prendere fuoco, ma lo fece in modo da creare un’installazione artistica che ricordasse una piramide conica. Chi l’aveva detto che non poteva divertirsi, in missione? Passò quindi a sbriciolare diligentemente una per una tutte le sculture in pietra a bordo del laghetto e disseminate nel giardino, ammucchiando i frammenti attorno alla catasta di legno. Dopodiché sradicò anche i cespugli, che sparpagliò insieme agli addobbi floreali sulla piramide. Mancavano solo le lanterne di carta, a quel punto. Le dispose con cura avvolgendole attorno alla piramide che sembrava diventata, in tutto e per tutto, un albero di Natale di cui lui adesso avrebbe acceso le luci. Peccato che nessuno avrebbe mai ammirato quel capolavoro.
Ranma tirò fuori dalla tasca l’accendino e diede fuoco alla lanterna ai piedi della piramide. Da lì le fiamme si propagarono rapide verso le lanterne successive risalendo la catasta, come se un serpente di fuoco l’avesse avvolta tra le sue spire. In men che non si dica, un gigantesco falò illuminava la notte. Altro che allestimento, non esisteva più nemmeno il giardino: i Miyakoji non sarebbero mai riusciti a mettere tutto in ordine per l’indomani e il matrimonio sarebbe saltato.
Solo quando al suo orecchio giunsero le sirene dei vigili del fuoco in avvicinamento, decise che era ora di tagliare la corda.
Missione compiuta.


- § -


“Come sarebbe a dire? Non puoi parlare sul serio!”.
Akane era indignata e non solo col genitore, perché anche Kasumi si era prestata a quell’inganno e lei stentava a credere che ne fosse capace. Si aspettava certi sotterfugi da Nabiki, non da colei che le aveva fatto praticamente da madre e di cui si fidava ciecamente.
La sorella maggiore entrò in salotto con un vassoio e s’inginocchiò fra loro due col suo solito sorriso rassicurante, porgendo a ognuno una tazza di tè fumante e un piattino con dei dolcetti.
“Mi dispiace, figliola, ma non saresti mai venuta a trovare tua sorella, se avessi saputo il vero motivo di questa visita”.
“Questo è sicuro!”.
“Suvvia, sorellina, è tanto grave? Dopotutto a te piace Ranma, quindi in fondo qual è il problema? Forse reputi sia troppo presto fare questo passo?”.
“No, io reputo non sia affatto il caso! Al di là del fatto che non sono ancora maggiorenne, ma chi vi ha detto che a me Ranma piace? Non mi sembra di aver mai dato quest’impressione! Anzi, non l’ho mai sopportato!”.
“Sorellina…”, sospirò Kasumi prendendole le mani fra le sue. “Sono vissuta in quella casa fino a due mesi fa e ho visto come sia cresciuto e diventato forte il vostro legame, non puoi negare che vi siete dapprima affezionati l’uno all’altra e poi…”.
“E poi niente!”.
“Akane! Non pensavo fossi così ostinata, dopo tutto questo tempo! Pensavo fossi maturata e diventata responsabile!”, la rimproverò suo padre incrociando le braccia al petto. “Sai bene che da sola non puoi mandare avanti la palestra, io ormai ho troppi acciacchi per addestrare gli adulti, ma se Ranma entrerà ufficialmente a far parte della famiglia, potrà prendere il mio posto”.
“Ma perché non posso farlo io?!”.
“Perché tu penserai ai giovani: hai più pazienza e tatto. Ranma è più irruento, ma è un combattente eccezionale che darà lustro alla nostra scuola”.
“Mi stai dicendo che non sono alla sua altezza?!”.
“Papà vuole solo dire che avete due stili di combattimento differenti e due modi di approcciarvi diversi, ma insieme vi completate a vicenda”.
“Forse potremmo completarci a vicenda da un punto di vista marziale, ma i nostri sentimenti? Non li avete messi in conto!”.
“Sì, che l’abbiamo fatto, altrimenti non ti avremmo mai proposto di sposare Ranma”, affermò serena la sorella. “Per quanto tu e lui lo neghiate, abbiamo notato l’attrazione fra voi due e smentirla sarebbe solo sciocco da parte tua, soprattutto nei miei confronti, visto che ti conosco più di chiunque altro. Se non fossi certa che Ranma ti piacesse, sarei la prima a impedire questo matrimonio”.
“Ma… ma… non mi sento pronta! È troppo presto! Perché non aspettare ancora? In questo momento…”.
“Figliola, in questo momento la mia salute sta peggiorando sempre di più: vorrei saperti sistemata al più presto e magari con un erede in cantiere”.
“Papà!”, lo richiamò lei scandalizzata. Non tanto per l’allusione, quanto perché lei e Ranma in due anni e mezzo di fidanzamento non si erano nemmeno mai baciati e pensare di farci addirittura un figlio era semplicemente inconcepibile. Che poi, a pensarci bene, era incredibile che non avesse provato alcuna vergogna a inscenare la recita della sera prima, allora com’era possibile che ancora ne provasse tanta nei confronti del suo fidanzato?
“È inutile, ho deciso: le nozze verranno celebrate al più presto, voglio vederti sposata prima del diploma”.


- § -


“Allora, vuoi spiegarmi perché mi hai portato in mezzo a questo delirio? Ho capito che non vuoi che i Tendo ci ascoltino, però così faccio fatica a sentirti pure io”, considerò Ranma passando accanto a una bancarella di zucchero filato presa d’assalto da un’orda di mocciosi urlanti.
“È arrivato il momento, figliolo”, annunciò greve suo padre, braccia conserte e sguardo assorto.
Ranma si fermò nel mezzo del viavai di famiglie con bambini che mandavano gridolini entusiasti davanti alla gabbia dei panda giganti, tutti immancabilmente con un gelato in una mano, un palloncino nell’altra e una vocetta spaccatimpani come dotazione standard.
“Il momento per fare cosa?”, chiese perplesso.
“Il tuo tirocinio è finito, ti promuoveranno a esecutore professionista, quindi è meglio che ci sistemiamo definitivamente”.
“Siamo già sistemati, mi pare, da ben due anni”, osservò riprendendo a camminare con la speranza di raggiungere un luogo meno affollato che non gli urtasse i nervi.
“Appunto. La palestra dei Tendo è una copertura perfetta, ma solo se sposi Akane. Non potete fare i fidanzati in eterno, lo capisci da te: avete diciotto anni, ormai”.
“Sbaglio o hai vissuto anche tu in quella casa, negli ultimi due anni? Non ti sei accorto che non andiamo affatto d’accordo, io e quel tronco d’acero? Se non abbiamo legato fino adesso, un matrimonio è impensabile”.
“A me sembra che abbiate legato molto, invece, e comunque devi sistemarti e al più presto: ormai avete finito il liceo e l’organizzazione vuole che tu diventi operativo il prima possibile”.
“Ma perché, con tutte le ragazze che ci sono, proprio con quella dovevi fidanzarmi?”.
“Ne abbiamo già parlato, siete promessi l’uno all’altra praticamente dalla nascita. E poi conosci un’altra della tua età, disponibile, che riceverà in eredità una palestra di arti marziali dove puoi allenarti gratis e nascondere ogni ben di dèi in fatto di armi e attrezzatura?”.
Stava per fare il nome di Kodachi Kuno, ma si morse la lingua: quella al massimo poteva candidarsi al Guinness dei primati dei pazzi furiosi. Senza tralasciare il piccolo dettaglio che, pure se fosse stata vagamente normale, non gli avrebbe suscitato alcun interesse. Troppo appiccicosa, troppo adorante. Troppo nauseante. Una ragazza che gli tenesse testa ci voleva a uno come lui, non che svenisse ai suoi piedi. Una come…
“No”.
“Lo vedi che non c’è soluzione? E dire che il tempo per conoscervi bene ve l’abbiamo dato, infatti non ci credo che Akane non ti piaccia nemmeno un po’, guarda che non mi è sfuggito il modo in cui la fissi di nascosto, certe volte…”.
“Fatti sostituire le lenti, allora, ci vedi male”.
“Smettila di fare lo schizzinoso, che qui dobbiamo concludere in fretta la faccenda. A quest’ora Soun avrà già parlato con Akane, quindi non resta che fissare la data del matrimonio e che sia nel giro di poche settimane, sei d’accordo?”.
Ranma si fermò a osservare la ruota panoramica, riflettendo sul proprio karma e chiedendosi cosa accidenti avesse fatto di male per meritare un castigo simile.
Akane Tendo. Bisbetica. Lunatica. Acida. Insofferente. Sempre pronta ad accusarlo di qualunque torto le capitasse a tiro. Sempre sul piede di guerra. Sempre pronta a sfidarlo pur sapendo che non avrebbe mai potuto farcela contro di lui.
Akane Tendo che non si arrendeva mai. Combattiva e altruista come pochi.
Che sorrideva radiosa come solo lei sapeva fare.
Solo, non a lui.
Non sempre, almeno.
Ranma rilasciò un sospiro e chiuse gli occhi.
“E sia”.







Ringrazio come sempre Moira per la betalettura, Tyllici per la consulenza e l'autrice della fanart che fa da copertina per avermi ispirato questa storia, spero di non complicarmi la vita e mantenere i personaggi comunque IC. A voi la parola, alla prossima!

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Capitolo 2
*** Il matrimonio ***


II

IL MATRIMONIO




Akane stava tornando a casa insieme al padre senza capacitarsi di come la situazione fosse precipitata a tal punto.
Fino a due ore prima era ancora fidanzata per modo di dire, adesso si ritrovava a un passo dal matrimonio prima ancora di conseguire il diploma. La cosa peggiore, però, non era quella. Ciò che la faceva star male era qualcosa che lei non aveva fatto: non aveva provato a opporsi con convinzione. Non aveva insistito, non aveva alzato la voce, non aveva incrociato le braccia al petto pronunciando un categorico ‘no’. Aveva ceduto quasi subito, un po’ perché il padre aveva furbescamente coinvolto Kasumi davanti alla cui dolcezza le sue difese si sgretolavano e un po’ perché…
Diede un calcio a un sassolino che rotolò via.
Meglio non indagare sul secondo motivo, ma concentrarsi sul fatto che se anche il signor Genma aveva parlato dello stesso argomento con Ranma, c’era la concreta possibilità che lui, invece, lungi dal cedere ai ricatti, si fosse rifiutato senza se e senza ma di sposarla.
Akane fermò il proprio incedere.
Kamisama…
Era così concentrata sulla sua debolezza nei confronti della propria famiglia, che non si era soffermata a pensare a come Ranma avrebbe reagito a una simile notizia. Di certo l’aveva insultata, se lo figurava col ghigno ironico da schiaffi che sfoggiava ogni qualvolta si preparava a denigrarla, lo conosceva fin troppo bene, ma alla fine… aveva acconsentito? O aveva rifiutato?
E cos’era peggio?
Riprese a camminare quando il padre la chiamò chiedendole di non restare indietro.
Se avesse scoperto che Ranma si era opposto con fermezza mentre lei aveva capitolato, sarebbe sprofondata in una voragine per la vergogna. Ma se il signor Genma lo avesse convinto, significava che loro si sarebbero dovuti sposare davvero e allora di vergogna avrebbe rischiato di morire. Proprio lei, che a differenza delle sue coetanee veniva pagata per compiere missioni che le avrebbero spaventate o fatte arrossire.
“Anche voi di ritorno?”.
Akane alzò il viso alla voce del signor Genma e per prima cosa vide il volto ombroso di Ranma, che fissava l’asfalto neanche il padre gli avesse chiesto di restare donna per tutta la vita. Appena il fidanzato sollevò a sua volta lo sguardo e incrociò il proprio avvampando fino alle orecchie, lei distolse il suo non meno imbarazzata.
“Ci siamo trattenuti da Kasumi più di quanto pensassimo, ma alla fine è stato… proficuo. E voi? Tutto bene?”, chiese suo padre civettuolo.
“A meraviglia!”, rispose giulivo il signor Genma. “Ci facciamo un tè, amico mio? Abbiamo molto di cui discutere!”.
“Prego, dopo di te!”, lo invitò il padre con gesto plateale della mano e Genma lo precedette nel vialetto di casa, lasciandola lì impalata in mezzo alla strada a guardarsi i piedi.
Akane lanciò a Ranma un’occhiata fuggevole, il tempo per notare che era tornato a guardare per terra grattandosi la nuca nel chiaro tentativo di trovare disperatamente qualcosa da dire.
“Tuo padre ti ha…”, dissero all’unisono lanciandosi una sbirciata a vicenda, solo per tornare a guardarsi le scarpe. “Cosa hai rispos…”, s’interruppero sbuffando nel medesimo istante.
“Prima tu”, le disse Ranma.
“No, prima tu”, ribatté Akane.
“Senti, perché non… non ne parliamo in palestra?”.
“Sì, forse è meglio”, concesse entrando in casa quasi di corsa, il cuore che riempiva la testa coi suoi battiti forsennati, ma una volta nel dojo non ebbe il coraggio di voltarsi.
“Va bene, senti, diciamolo insieme”, propose fissando con caparbietà l’altarino di famiglia.
“D’accordo, ma almeno guardami”.
Titubante, Akane si voltò, trovando interessanti il pavimento, le pareti, il soffitto, tutto tranne lui.
Stava tremando. Perché stava tremando? Di cosa aveva paura? Alla fine non era meglio se Ranma si fosse rifiutato di sposarla? Lei sarebbe stata finalmente libera, no?
“Sì!”, sbottarono nello stesso istante, per poi scrutarsi increduli.
“Hai acconsentito?”, si chiesero sbigottiti a vicenda, per poi portarsi lei le mani a coprirsi la bocca, lui tra i capelli mentre le dava le spalle.
“T-tu perché l’hai fatto, Akane?”.
Lei chiuse gli occhi, dandogli le spalle a sua volta.
“Papà ha detto che non posso portare avanti la palestra da sola, che tu sei necessario, perché lui ha troppi malanni per continuare a condurla”.
“Ma tu… tu ti sei opposta?”, chiese esitante senza osare guardarla.
“Certo che l’ho fatto, mi sembra ovvio!”, rispose alzando la voce. “E allora lui me l’ha ordinato: ha detto che non avrei ereditato la palestra se non ti avessi sposato!”.
Lo osservò di sottecchi, pentendosi immediatamente di aver lasciato correre la lingua: mai gli aveva visto uno sguardo così triste da che lo conosceva, tutto il suo viso sembrava sfigurato dalla delusione. Ma fu solo un attimo, perché l’istante successivo sfoggiò un ghigno ironico.
“Beh, c’hai provato, come ho fatto io”.
“Quindi… quindi anche tu ti sei opposto?”.
“Certo che l’ho fatto, figurati”, rispose lui facendo spallucce, “ma papà è stato molto chiaro: se non ti sposo, finiremo a vivere di nuovo per strada, quindi non ho scelta”.
Non piangere.
“Massì, certo, è ovvio…”.
Qualunque cosa, ma non piangere.
“Avremmo dovuto opporci fermamente due anni fa”, constatò amaro Ranma.
“Due e mezzo”, precisò lei senza riuscire a impedirselo.
“Quello che è, comunque adesso è tardi: sono convinti che i nostri litigi siano la dimostrazione che andiamo d’accordo, pensa te… Il fatto è che io non credevo che il nostro fidanzamento fosse una cosa seria, pensavo sarebbe rimasta una fantasia dei nostri padri e che noi, una volta cresciuti, avremmo potuto imporci per poter essere liberi di decidere senza costrizioni”.
“Ho fatto il tuo stesso ragionamento, cosa credi? ‘Non potranno obbligarmi quando sarò maggiorenne, basterà aspettare i ventun’anni’! Invece ci hanno battuti sul tempo…”.
“Già, ci hanno fregato per bene”, ammise Ranma. “Noi non li abbiamo mai presi sul serio, invece nelle loro teste erano serissimi e adesso ci tocca fare questo passo. Va bene, ascolta”, le disse prendendo un bel respiro come a farsi coraggio. “Innanzitutto, se ci sposiamo, siamo obbligati a… a…?”, deglutì, ma sembrava più sul punto di strozzarsi da quanto era paonazzo. “Insomma hai capito!”.
Akane ebbe la certezza che la propria faccia fosse virata verso il lava acceso.
“E io che ne so! Fo-forse sì, altrimenti il matrimonio non sarebbe valido, ma-ma possiamo anche solo far credere di… di… di…”, s’inceppò scuotendo la mano.
“Aver consumato?”.
“Sì, ecco!”, sbottò lei senza il fegato di guardarlo in faccia.
“Va bene, questo è risolto, ma dovremmo cercare di andare maggiormente d’accordo, così che i nostri genitori credano alla nostra bugia”.
“Concordo, che altro proponi?”, lo incalzò per non pensare.
“Di divorziare raggiunta la maggiore età”.
Si girò così di scatto che temette di spezzarsi il collo.
“Pensaci, Akane: se non siamo riusciti ad andare d’accordo in due anni…”.
“Due-e-mezzo”, puntualizzò lei con un sospiro.
“Quello-che-è”, rispose lui facendole il verso. “Se non ci siamo riusciti finora, non credo ci riusciremo nei prossimi tre anni, non credi? Mi hai appena ripreso per una sciocchezza e già sono esasperato, guardami!”.
Lei invece si voltò indignata a fissare la parete di fianco.
“Mio padre si dispererà”.
“Se ne farà una ragione, soprattutto se non ci sarà alcun erede in arrivo”.
“Anche questo è vero”, gli concesse.
“Allora… affare fatto?”, le chiese Ranma tendendole una mano.
“Affare fatto”, la strinse lei con un sospiro pesante. “Ora scusa, ma vado in camera mia a fare i compiti”.
Lo piantò là allontanandosi a passo sempre più svelto fino a correre su per le scale, chiudersi in camera e buttarsi sul letto a piangere.
C’era qualcosa di peggio del rifiuto che, in realtà, era ciò che più aveva temuto: Ranma che acconsentiva a sposarla solo per convenienza. Sapere che lei o un’altra, alla fine, non avrebbe fatto differenza. Anzi, se avesse potuto, era certa che Ranma avrebbe scelto una delle altre. Una che non lo insultava, non lo picchiava e non lo avvelenava.
Affondò la faccia nel cuscino cercando di soffocare i singhiozzi.
Sapeva che avrebbe fatto male. Ma non fino a quel punto.


La lasciò andar via col cuore pesante, incredulo davanti alle proposte che lui stesso aveva avanzato, pur di salvare la faccia. Ma non davanti alla sua reazione. Cos’altro avrebbe dovuto aspettarsi del resto da Akane, dopo tutti gli insulti, i litigi, le umiliazioni, le prese in giro che le aveva rifilato? Che lei potesse sul serio am… ammm… no, figurarsi.
“Avete parlato?”, esordì suo padre arrivandogli alle spalle.
“Sì”, sospirò lui seccato.
“E allora?”.
“Allora, cosa? Ci siamo arresi ai vostri ricatti, non era quello che volevate?”.
“Ma quali ricatti! Se davvero non vi sopportavate, avreste opposto un netto rifiuto entrambi! Suvvia, figliolo, lei ti piace, tu piaci a lei, vedrete che andrà tutto a meraviglia la prima notte di nozze!”, rise sguaiatamente mettendogli una mano sulla spalla. “Già vi immagino seduti l’uno accanto all’altra a osservare la neve che cade da un onsen in mezzo ai monti, le vostre mani che si sfiorano mentre prendete dei dolci da un piattino, il bocciolo di un fiore che cade…”.
Adesso lo ammazzo, lui e le sue fantasie da manga!
“Quasi dimenticavo! La Tigre Nera ti ha reclutato ufficialmente fra i suoi agenti, sei un membro effettivo dell’organizzazione, adesso”.
Ranma frenò il calcio con cui stava per mandare in orbita suo padre.
“L’unica buona notizia della giornata”, commentò mesto.
“Oh no, ne ho un’altra!”.
“Sicuro che non devo sedermi per terra?”.
“Non fare lo scemo, riguarda il vostro matrimonio”.
“Mi siedo per terra”, disse affranto.
“Ma smettila! Soun e io abbiamo deciso che si terrà in una località segreta in un giorno a sorpresa, quindi tenetevi pronti!”.
“Aspetta… cosa? Che storia è questa?! Neanche il tempo di abituarsi all’idea, ci date?”.
“È per evitare che le tue spasimanti rovinino tutto. Quindi mi pare ovvio che tu e Akane dovrete tenere segrete le nozze ai vostri amici, nessuno dovrà saperlo sino a cose fatte”.
“Ma… ma… e per gli abiti? Gli anelli?”.
“Oh, non temere, abbiamo già contattato Nabiki, penserà a tutto lei: noleggio degli abiti tradizionali, cerimonia in un tempio shintoista, anelli d’argento…”.
“Abbiamo davvero abbastanza soldi?”.
“Grazie alla tua ultima impresa, sì. A proposito, hai saputo? Mentre tu mandavi a monte il matrimonio di Miyakoji Satsuki, la sera stessa sono andate a monte anche le nozze di Daimonji Sentaro, non è strano?”.
Ranma increspò la fronte, perplesso.
“In effetti sì…”.
“Comunque anche Soun ha racimolato qualcosa, così abbiamo yen a sufficienza anche per un piccolo rinfresco”.
“Dì la verità: state organizzando tutto in fretta e furia perché temete che ci ripensiamo”.
“Ehm… sì, anche! Ma soprattutto per battere sul tempo ogni possibile congiunzione astrale sfavorevole”.
“Cioè?”.
“La sfiga. Ci aleggia sempre intorno come un tanfo, a noi Saotome, dev’essere una maledizione, o una tara ereditaria…”.
“La mia unica ‘sfiga’ è stata avere te come padre!”, urlò calciandolo via così forte attraverso il tetto che Genma divenne un puntino luminoso nello spazio siderale.
No, la vera ‘sfiga’ era un’altra: sposare la donna che am… amav… ed essere respinto. O di finire come suo padre a volare alla stessa altezza di un aereo passeggeri, se l’avesse sfiorata anche solo per sbaglio.
Così vicina eppure così lontana.
Che situazione assurda.


- § -


Ukyo Kuonji non era il tipo che si arrendeva, soprattutto quando aveva il forte sentore che tra Ranma e Akane le cose fossero precipitate. E il motivo non poteva essere altro che la pessima cucina della fidanzata ufficiale.
Costretta a tenere un profilo basso dopo la ramanzina di Soun Tendo, Ukyo aveva aspettato nell’ombra l’evolversi della situazione, sicura che se le cose stavano andando male fra quei due, col tempo sarebbero andate anche peggio. Si era imposta di osservare da lontano e pazientare. Ed era stata ripagata: se fino a poco tempo prima Ranma e Akane si rivolgevano a mala pena la parola e solo per insultarsi, da un paio di giorni non si guardavano neanche. Certo, sembravano più imbarazzati che arrabbiati e non poteva più nemmeno corrompere Nabiki per sapere cosa fosse accaduto, ma che importava? Era la sua occasione, finalmente.
Quando suonò la campanella della pausa pranzo, fu col batticuore che dopo tanto tempo tentò di attrarre Ranma coi suoi okonomiyaki espressi tirando fuori dal nulla una piastra portatile e tutti gli ingredienti, sicura che il profumo invitante lo avrebbe fatto abboccare all’amo – chissà quanta fame doveva aver patito per colpa di Akane, sembrava così sciupato! Invece, con sua somma sorpresa e disappunto, non la degnò nemmeno di un’occhiata distratta. Stava anzi contando addirittura gli spiccioli, mentre si dirigeva verso il corridoio, per andare a comprarsi evidentemente un panino. E dire che poteva sfamarlo lei e gratis! Era uno scherzo?
“Ranchan!”, lo chiamò sopra le teste dei suoi compagni di classe accalcati attorno a lei. “Vuoi provare una nuova ricetta? L’ho pensata apposta per te!”.
Lui si voltò a guardarla, ma non come avrebbe fatto un ragazzo affamato che non osava sperare in un pasto a scrocco. No, la guardava con indifferenza. Ma il peggio fu che subito dopo cercò Akane con lo sguardo. Akane che, invece, stava fissando proprio lei. Un brivido prese la rincorsa giù per la schiena davanti a quello sguardo gelido, del tutto identico a quello che la minore delle Tendo le aveva riservato quando era stata posseduta dalla bambola maledetta in quel ryokan del cavolo in mezzo alle montagne. Solo che all’epoca non era la vera Akane che aveva affrontato. Adesso invece era lei in persona che le stava lanciando un avvertimento: Ranma è mio, non ti azzardare mai più.
Ukyo sbatté le ciglia allibita diverse volte di fronte a quella presa di posizione, prima di accorgersi che Ranma se n’era andato e che lei stava bruciando l’impasto.
Ranma che la ignorava… Akane che la ‘minacciava’…
Ma che stava succedendo?!


Ranma si sedette sotto un albero a riflettere sul fatto che avrebbe dovuto comportarsi come sempre, come nulla fosse, coi suoi amici e con le altre presunte fidanzate, ma non ci riusciva. Il fidanzamento era diventato di colpo una cosa seria, da un momento all’altro poteva ritrovarsi sposato e far finta di niente per lui era inconcepibile. Come lo era continuare a prendersi gioco delle sue spasimanti. Un vero uomo avrebbe parlato con ognuna di loro, senza lasciarsi impietosire, minacciare, ricattare o ingannare. Ma sia a lui che ad Akane era stato proibito di far parola del matrimonio con chiunque e poteva capirne le motivazioni. Eppure, da quando aveva realizzato che Akane sarebbe diventata sua moglie per davvero, era come se le altre “fidanzate” non esistessero più. Gli era passato persino l’appetito… a lui! E peggio che mai, non riusciva nemmeno più a guardarla, dall’imbarazzo. Ma poi, perché avrebbe dovuto essere imbarazzato? Non sarebbe accaduto nulla fra loro, no? Avevano un accordo! Eppure l’atteggiamento di Akane era strano: nemmeno lei osava guardarlo in faccia, ma non gli era sfuggito il modo in cui lei guardava le altre. Era diventata tutt’a un tratto guardinga, sembrava un cane da difesa pronto a mordere. Soprattutto, a mordere Ukyo. Se al posto della sua amica d’infanzia ci fosse stata Shan Pu, ci avrebbe scommesso la pelliccia di suo padre che la gattina rosa si sarebbe ritrovata completamente tosata.
“Ehilà, tesoruccio!”.
Ranma chiuse gli occhi con un sospiro, maledicendo i kami, Buddha, Amateratsu, altre divinità assortite e se stesso per non essersi seduto su un ramo in mezzo alle fronde, così da essere invisibile al mondo.
“Non mi interessa/sono occupato/lasciami in pace”, rispose lui in automatico alzandosi in piedi senza degnarla di uno sguardo.
“Ma ti ho portato il pranzo!”, insistette Shan Pu parandoglisi davanti col suo abitino corto e succinto nonostante il freddo, un sorriso da un orecchio all’altro e un porta vivande da cui proveniva un aroma delizioso. “Una bella ciotola di ramen con…”.
“Ho detto che non mi interessa, sei sorda?!”, l’aggredì lui che, incredibilmente, non se ne pentì subito dopo.
La cinesina, sorpresa, sbatté più volte le folte ciglia.
“Stai male, per caso? Forse Akane ti ha intossicato e hai ancora lo stomaco sottosopra?”.
Ranma strinse le dita a pugno.
“Fossi in te, eviterei di offenderla, d’ora in poi. E per quanto mi riguarda, sai che ti dico? Mai stato meglio!”, le disse un istante prima di saltare via per raggiungere il tetto della scuola.


Shan Pu, bisnipote di Ke Lun della tribù delle Amazzoni, non era il tipo che si arrendeva. Soprattutto se l’uomo destinato a sposarla faceva il difficile: volente o nolente prima o poi sarebbero convolati a nozze, ma era più divertente se lui opponeva resistenza, la annoiavano quelli che si prostravano ai suoi piedi, come quel papero cecato di Mu Si. Stavolta, però, qualcosa nell’atteggiamento di Ranma l’aveva lasciata basita: per quanto fosse di malumore, non disdegnava mai un pasto gratis, anche se fosse stato già satollo. Cos’aveva combinato stavolta Akane per farlo irritare a tal punto? Forse era venuto il momento di ‘scambiare un’opinione’ con quella imbranata per farle capire una volta per tutte che era ora di togliersi di mezzo e lasciar libero Ranma: non avrebbe mai permesso al suo futuro marito di sposare un’altra, ma sopra ogni cosa, di sposare un’inetta come Akane che lo avrebbe reso solo un infelice.
Pestò un piede per terra per quell’occasione mancata e con un sospiro seccato fece dietro front per tornare alla sua bicicletta. Saltò il muro di cinta della scuola e atterrò sull’asfalto, ben attenta a non rovesciare il brodo ancora caldo del ramen: se faceva in tempo a tornare al Nekohanten prima della chiusura, la nonna avrebbe potuto rivenderlo a un clie…
Ma che è successo alla mia bicicletta?!
Shan Pu rimase inorridita a fissare il palo della luce dall’altra parte della strada, ‘abbracciato’ da un telaio così contorto che le due ruote erano una sovrapposta all’altra. Quella meno deformata stava perfino girando a vuoto, segno che il vandalo aveva operato indisturbato fino a pochi secondi prima.
Ma chi… chi poteva aver fatto una cosa simile? E perché?!


Akane si lavò le mani sotto il getto di acqua fredda del lavandino all’aperto, si rassettò la gonna della divisa scolastica e si ravvivò la frangia, pronta a rientrare in classe, quando un sibilo in avvicinamento la indusse a voltarsi e ad afferrare al volto la freccia che stava per scagliarsi giusto contro la fontanella alle sue spalle. Arrotolato attorno all’asticella, un foglietto bianco. Come accidenti era venuto in mente alla Fenice Bianca di contattarla in quel modo? Chiunque avrebbe potuto notare una cosa del genere in pieno giorno nel giardino della scuola! Ma a ben vedere la pausa pranzo era terminata e in giro non c’era quasi più nessuno. Doveva sbrigarsi.
Aprì il foglietto, ritrovandosi davanti a righe e righe di simboli colorati. Le ci volle qualche minuto per decifrare i nuovi ordini e alla fine non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo, incredula. C’era una sola persona che avrebbe potuto commissionare alla sua organizzazione la distruzione di una serra di gigli bianchi: quell’avanzo di manicomio della Rosa Nera. Ora capiva perché la missione era letteralmente piombata dal cielo in barba alla prudenza: quel fine settimana si sarebbe tenuta un’esposizione floreale all’Ebisu Garden Place.
Come se lei non avesse già abbastanza grattacapi. Ma se la Fenice Bianca ordinava, lei doveva obbedire. E ora che ci pensava, magari la stessa Asuka dai gigli bianchi aveva commissionato alla Fenice di distruggere la serra di rose nere di Kodachi! Sarebbe stato davvero uno spasso se le due nemiche si fossero sabotate a vicenda rivolgendosi senza saperlo alla medesima organizzazione...


- § -


Quando suonò il campanello del gigantesco portale d’accesso, Ranma non aveva dubbi che sarebbe stato quel monumentale idiota di Kuno in persona a dargli il benvenuto, per cui quella missione, in teoria, sarebbe stata una passeggiata, a patto di agire in fretta e non essere beccato dalla sorella non meno pazzoide proprio sul più bello.
“Mia adorata ragazza con il codino!”, tossì una voce dall’interfono, proprio sotto la videocamera. “Sei proprio tu! Oh, mio profumato fiore di gelsomino, ti sono mancato?”.
Coraggio, Ranma, puoi farcela.
Inclinò la testa di lato, come a poggiare la guancia sulle mani giunte, e sfoggiò un sorriso da far invidia a uno spot sui dentifrici.
“Non immagini quanto, mio adorato senpai! Ho saputo che sei stato poco bene e ho pensato di venirti a trovare! Mi fai entrare?”.
“Oh mia adorata, mi piacerebbe, ma non vorrei passarti il mio raffreddore! Capisco che sia dura per te, ma è meglio non vederci, per il momento!”.
Ma porc…
“Oh no, senpai adorato, non dirmi così! Non posso resistere un minuto di più, senza di te! Ti prego, fammi entrare! Non m’importa d’ammalarmi, il nostro amore è più forte di qualsiasi avversità!”, piagnucolò disperata portandosi un fazzoletto ad asciugare una lacrima immaginaria.
Datemi un Oscar, ora!
“Oh, mio candido giglio! Come posso resisterti un secondo di più? Vieni fra le mie braccia!”, strepitò spalancandogli le porte della sua megavilla e precipitandosi lui stesso, mani protese e mocciolo al naso, verso un Ranma più disgustato che mai.
Senpai caro!”, cinguettò Ranma fermando l’impeto del suo spasimante con un piede sprofondato nella faccia, mentre il Tuono Blu del Furinkan tentava ancora disperatamente di raggiungerla con le dita che si aprivano e si chiudevano frenetiche agguantando, però, solo l’aria. “Non è il caso di contatti ravvicinati, non vorrai davvero passarmi il raffreddore! Limitiamoci a camminare fianco a fianco”.
“Hai ragione, mio bocciolo di rosa!”, si riprese lui alla consueta velocità supersonica per tornare uno statuario strafigo. Ma sempre col mocciolo al naso. “Prego, accomodati nella mia umile dimora e fammi compagnia per un tè”.
“Molto volentieri, senpai! Oh, perché mentre fai preparare il tè, non mi mostri la serra di rose nere di tua sorella?”.
“Che insolita curiosità, la tua! Come mai desideri vederla? E comunque è nei recessi del sottosuolo, sorvegliata da serpenti velenosi… mamba neri, per l’esattezza”.
Non so davvero chi sia più sciroccato dei due, certe volte…
“Oh, ti prego, ti prego, ti prego, sono troppo curiosa!”, disse saltellandogli attorno e sfarfallando le ciglia.
“Oh, come posso negarti qualcosa, mia tenera margheritina? Vieni, prendiamo l’ascensore”.
Quando le porte si riaprirono al piano meno cinque, Ranma aveva ancora un pugno calcato in un occhio del senpai, che proprio non riusciva a tenere le mani a posto.
“Che serra immensa…”, commentò Ranma meditabondo avvicinandosi al vetro: all’interno di quella specie di hangar sotterraneo, però, le serpi che strisciavano sul pavimento e sui tavoli sembravano più numerose delle piantine innaffiate da una pioggerella fine spruzzata dall’alto.
“Immagino che la cisterna sia proprio qui accanto”, ipotizzò Ranma fingendo indifferenza.
“Oh certo, è dietro quella porta in fondo al corridoio”, indicò il senpai alla sua sinistra.
“Grazie”, disse Ranma colpendogli con un dito teso un punto sul collo. Il Tuono Blu scivolò a terra svenuto e Ranma corse verso la porta, ma solo una volta là davanti si accorse che era blindata e che era necessaria un’impronta digitale per aprirla. Imprecando, trascinò il senpai fin lì e premette sopra lo scanner prima gli indici, poi i pollici, ma senza cavare un ragno dal buco. Non c’era che un modo per entrare.
Ranma prese a calci lo scanner fino a romperlo e sradicarlo dalla parete, la porta si aprì e mentre l’allarme suonava lui entrò, salì la scaletta fino in cima alla cisterna, aprì la botola e vi gettò dentro venti grosse pastiglie che, a contatto con l’acqua, iniziarono subito a dissolversi con un gran sfrigolio.
Percorse quindi a ritroso il corridoio fermandosi giusto un istante davanti al vetro ad ammirare soddisfatto il suo capolavoro: l’acqua spruzzata dai tubi attaccati al soffitto divenne improvvisamente una candida tintura che scoloriva poco a poco le rose.
Missione compiuta.


- § -


Akane stava cercando di concentrarsi sulle vicende della Seconda Guerra Mondiale, quando qualcuno bussò alla porta facendola sussultare. Il cuore ebbe un’impennata all’idea che Ranma volesse parlare con lei o avesse bisogno di qualcosa e con cautela si voltò, indecisa se farlo entrare o meno.
“S-sì?”, deglutì.
“Sono tuo padre, puoi scendere nella sala da pranzo? Dobbiamo parlare”.
Perché non farlo nella sua stanza, come qualche giorno prima?
“Va bene, arrivo subito!”.
Aveva il sentore che sarebbero stati presenti anche Ranma e il signor Genma e se era vero, significava una cosa sola: i loro genitori avevano deciso la data del matrimonio.
Si fece coraggio e scese dabbasso, trovando gli altri tre inquilini della casa seduti attorno al tavolo come aveva temuto: Genma accanto a suo padre e Ranma di fronte a loro, lo sguardo rivolto al giardino.
“Prego, figliola, siediti”, le fece cenno il padre con la mano.
Akane prese posto accanto a Ranma, più rigida di un manico di scopa, le mani ad artigliare la gonna.
“Bene ragazzi”, esordì il signor Genma, “siamo felici di annunciarvi che Nabiki ha trovato una splendida località dove celebrare le vostre nozze e ha inviato sia a noi che a Kasumi e suo marito i biglietti dei treni. Ci aspetta all’Odakyu Hotel sul Lago Ashi, quindi andate a fare i bagagli perché partiremo domattina molto presto: occorreranno non meno di tre ore per arrivare a destinazione, con tutti i cambi di treno che dovremmo fare”.
“Domattina?!”, la precedette un Ranma allibito. “Ma sei impazzito? Come pretendi che possiamo essere pronti in così poco tempo?!”.
Akane intuì che Ranma non stava parlando della preparazione del viaggio, ma dell’accettazione l’uno dell’altra come marito e moglie, benché non potesse dar torto ai loro genitori: se fosse dipeso da loro due, non sarebbero mai stati pronti, probabilmente. Lei di sicuro avrebbe negato perfino sotto tortura che in realtà di Ranma era in… inn…
“Se ti ordinassi di partire seduta stante per una sessione d’allenamento in mezzo ai monti saresti già con lo zaino in spalla e un piede fuori dalla porta!”.
“È diverso!”, azzardò Ranma battendo un pugno sul tavolo.
“Per niente!”, urlò di rimando Genma alzandosi in piedi e afferrando Ranma per il colletto della casacca. “Tu adesso fili subito in camera nostra a preparare l’occorrente per il viaggio!”.
“Anche tu, Akane”, le disse il padre a occhi chiusi e braccia conserte. Il messaggio era chiaro: è un ordine e non si discute.
Lei si voltò verso Ranma, che si era alzato a sua volta in piedi per contrastare suo padre e si era fermato per scrutarla interrogativo: perché non ti opponi anche tu?, le stavano chiedendo i suoi occhi.
“Devo preparare una valigia grande? O va bene una piccola?”, chiese con un sospiro al genitore.
“Una piccola va benissimo”, le sorrise il padre compiaciuto.
“Akane…”, mormorò Ranma lasciando andare il signor Genma.
“Bene, allora vado”, disse lei accomiatandosi e dirigendosi verso le scale.


Prima che Akane potesse mettere piede sull’ultimo gradino, Ranma le afferrò un polso e la trattenne. Lei, stranamente, non cercò di liberarsi dalla sua presa, ma neppure si voltò.
“P-perché non ti sei rifiutata? Lo sai anche tu che è ancora troppo presto, sono passati solo pochi giorni da quando…”.
“Cosa cambia, Ranma?”, gli chiese con una voce carica di stanchezza. “Abbiamo un accordo, no? Cosa cambia, quindi, se ci sposiamo domani o tra un mese? Tanto non mi toccheresti comunque nemmeno con un dito, giusto?”, gli chiese con un tono ora vibrante di rabbia.
“Certo che no, mi pare ovvio”, la schernì, “chi mai vorrebbe tocc…”.
“Allora smettila di pestare i piedi come un bambino, per una volta!”, si lamentò divincolandosi per correre via.
Niente, non riusciva davvero a capirla. Forse era troppo complicata o lui troppo semplice, ma Akane sarebbe rimasta sempre un mistero: aveva un talento naturale per fraintendere spesso e volentieri quasi tutto ciò che lui faceva o diceva, ma ce l’aveva anche per far sì che gli altri non avessero la più pallida idea di ciò che lei pensava veramente. Eppure, nonostante tutto, in cuor suo sapeva che non la sposava perché gliel’aveva ordinato quel padre disgraziato. No, lo faceva perché la voleva, non aveva più dubbi, ormai. Voleva che Akane fosse sua moglie, voleva condividere la sua vita con lei. Doveva solo trovare il fegato, una volta sposati, di confessarle ciò che provava.
Se non la smetto di insultarla, però, non crederà mai alle mie parole, penserà che voglia burlarmi di lei ancora una volta e finirebbe davvero per odiarmi.
Non l’aveva mai rispettata come fidanzata, era venuto il momento che iniziasse a rispettarla come moglie, se non voleva che al compimento dei ventun’anni Akane chiedesse sul serio il divorzio.
E se dopo averle confessato i miei sentimenti scoprissi che lei non mi ricambia?
Era un’eventualità terrificante che aveva sempre evitato di prendere in considerazione, aggrappandosi alle innumerevoli manifestazioni di gelosia di cui Akane aveva fatto mostra nel corso di quei due anni. Da un po’ di tempo però aveva l’impressione che si fosse stancata di averlo intorno...
No, quel matrimonio era forse l’ultima occasione che aveva per far sì che Akane iniziasse a guardarlo in modo diverso, a sorridergli, non poteva sprecarla.


- § -


Il viaggio in treno era stato sfiancante, nonostante l’avesse trascorso a cercare di dormire per recuperare il sonno perso. Fatica sprecata, perché l’idea che di lì a poche ore sarebbe diventata la moglie di Ranma le aveva messo una tale agitazione addosso, che il petto era diventato un tamburo su cui il cuore scandiva senza pietà i minuti che mancavano al passo fatidico. E lei oscillava tra la veglia, la sudarella, il desiderio di vomitare, la testa che scoppiava, le lacrime che ogni tanto facevano capolino e le risatine nevrotiche. Solo la compagnia rassicurante di Kasumi e il panorama autunnale del lago, una volta giunti a destinazione, mitigarono un poco la sua tensione, ma non ebbe il tempo di ammirare il paesaggio, perché fu dirottata dalla sua famiglia fino al piccolo hotel prenotato da Nabiki proprio in riva al lago medesimo. Ed era anche carino e accogliente, non una bettola come si era aspettata, conoscendo la tirchieria della sorella.
“Benarrivati!”, li accolse Nabiki comodamente seduta nella hall. “Fatto buon viaggio?”.
“Buongiorno, sorellina!”, la salutò Kasumi andandole incontro. “Come stai? Hai visto che bella giornata? Hai avuto proprio un’ottima idea, il lago è splendido!”.
“E non l’hai ancora visto al tramonto… Akane, cos’è quella faccia? Su, muoviti, devi iniziare a prepararti!”.
“Di già?!”.
“Non cominciare a fare storie! Il sole cala presto in questo periodo dell’anno e il tempismo è tutto, andiamo in camera, che abbiamo parecchio lavoro da fare”.
Akane si volse per la prima volta a guardare Ranma, che aveva volutamente ignorato per tutto il viaggio. Stava parlando col dottor Tofu, o meglio, il dottor Tofu gli aveva poggiato una mano su una spalla e sorrideva, cercando forse di rassicurarlo, mentre Ranma aveva lo sguardo perso nel vuoto. Ma proprio in quell’istante si voltò di scatto verso di lei e Akane si rese conto che l’avrebbe rivisto solo di lì a qualche ora con un abito nuziale addosso. Per poco le gambe, già tremolanti, non cedettero.
“Ma ti vuoi muovere?!”, la incitò Nabiki afferrandola per un braccio e trascinandola verso le scale. Da quel momento la sorella non la smise più di parlare, dicendole di scordarsi la tradizionale ‘cerimonia davanti agli dèi’ officiata per Kasumi e Tofu: visto che Akane non aveva avuto il tempo di fare delle prove, Nabiki si era messa d’accordo col sacerdote scintoista del tempio più vicino per un rito abbreviato. Akane, quindi, non doveva preoccuparsi di nulla, Nabiki sarebbe stata sempre al suo fianco per guidarla e in pochi minuti sarebbe tutto finito, neanche il suo matrimonio fosse un intervento in day hospital per rimuovere un neo.
Poi Akane posò gli occhi sullo shiromuku appeso al porta-kimono nella stanza più grande dell’hotel e davanti a tutto quel tripudio di bianco si portò le mani al viso scoppiando in un pianto dirotto.
“Akane, che ti succede?”, le chiese preoccupata Kasumi abbracciandola.
“Non posso! Non posso sposarlo!”.
“Ecco, ci mancava la crisi dell’ultimo minuto…”, commentò irritata Nabiki. “E adesso che ti prende? Che storia è questa?”.
“La mia vita è una menzogna, che razza di moglie sarei? E… e poi… e poi lui non mi ama!”.
Kasumi la strinse a sé ancora più forte carezzandole con dolcezza i capelli, mentre Nabiki alzava gli occhi al cielo e scuoteva la testa.
“Sorellina, guardami”, le disse Kasumi prendendole il viso fra le mani con un sorriso comprensivo. “Ti fidi di me?”.


- § -


L’attesa lo stava uccidendo. L’attesa e quel kimono formale, per lui così insolito e scomodo, senza contare che gli sembrava di vestire i panni di Tatewaki Kuno, conciato a quel modo.
Cercò di concentrarsi sulla superficie placida del lago, sul torii che s’innalzava imponente dall’acqua proprio alla fine del sentiero proteso oltre la riva, sul sole che calava dietro le colline tingendo d’arancio le fronde degli alberi.


Hakone-Jinjya-Heiwa-no-Torii


“Eccola!”, annunciò suo padre esultante.
Il cuore mancò un battito, come se avesse fatto uno zompo dal petto per risalire su fino in gola.
Ranma si volse lentamente verso un’Akane che incedeva accompagnata dal padre, il capo coperto dal wataboushi fino al naso. Null’altro vedeva all’infuori della bocca dipinta di rosso, finché lei non alzò il volto e gli piantò addosso i suoi occhi ambrati.
Il mondo se ne andò all’istante alla malora.
Gli alberi, il sentiero di pietre, Soun Tendo, le sorelle, il cielo, gli uccelli, tutto.
Non esisteva più niente.
Niente all’infuori di lei avvolta nel kimono da sposa, del suo petto che si alzava e si abbassava sempre più velocemente man mano che avanzava incerta, delle sue labbra tremolanti come se avesse voluto dire qualcosa ma fosse rimasta senza voce.
Nulla all’infuori del sole che tramontava nei suoi occhi, quando infine lo raggiunse. E per tutti i kami, era… emozionata? Trepidante? O solo nervosa? Possibile che stesse provando ciò che provava lui? Non riusciva a capirlo, non capiva più niente, non ascoltava più nemmeno la voce del sacerdote, compì ogni gesto del rituale come un burattino, bevve tre volte il saké dalla stessa coppa di Akane come se avesse sempre bevuto alcolici in vita sua, le infilò un anello al dito e lei fece lo stesso con lui, ma ci fece caso a mala pena perché non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e a non pensare quanto splendida fosse, ma soprattutto che adesso la donna che am… sì, ma che diamine, l’amava! Che adesso la donna che lui amava era appena diventata sua moglie!
No, aspetta… come sua moglie? Che stava dicendo il sacerdote? Dovevano pronunciare un giuramento?
Allora era vero… era tutto vero…
Lui si era appena sposato con Akane.
Con. Akane.
Erano sposati sul serio.
E lei stava accennando un sorriso radioso, più abbagliante della luce riflessa sull’acqua. Ciò che lui aveva sempre desiderato vedere. Ma allora era… felice?! Oppure fingeva?
Per tutti i kami…
Avevano fatto un patto, solo che… sarebbe riuscito a rispettarlo?
…e adesso?







Eccoci di nuovo qui e come sempre ringrazio la mia beta Moira per la revisione! La location che ho scelto per il matrimonio esiste davvero, si trova presso Hakone, nota per i numerosi onsen, ma non mancano nemmeno i templi shintoisti, tra cui il Tempio delle Sette Divinità della Fortuna (sic!) – proprio accanto all’Odakyu Hotel – di cui l’Hakone Jinjya Heiwa-no-Torii in foto dovrebbe far parte.
Per quanto riguarda gli abiti da cerimonia, ecco come erano vestiti Ranma e Akane:

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Alla prossima! ^^

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Capitolo 3
*** Notte di nozze ***


III

NOTTE DI NOZZE




Suo padre e suo suocero stavano dando un tale spettacolo, che Ranma avrebbe voluto sprofondare nelle viscere della terra per la vergogna e sbucare all’altro capo del globo.
Ubriachi come mai gli era capitato di vederli, ballavano malfermi sulle gambe e cantavano a squarciagola, tenendo alte le bottigliette di sakè e versandosi il contenuto addosso più che in gola. Il tutto sotto gli occhi imbarazzati di Tofu, perplessi di Kasumi e divertiti di Nabiki.
Va bene, lui e Akane si erano appena sposati e quello era il rinfresco delle loro nozze, divertirsi era lecito, ma la pazienza non era mai stata una sua virtù: ancora qualche minuto e avrebbe dato di matto.
“Fisciolo… figlioscio… fiscioglio…”.
“Che stai blaterando, papà?”.
“Aschpetta…”, biascicò il genitore prendendo un cartello e un pennarello come se avesse le sembianze di un panda, ma tracciando solo grotteschi scarabocchi sul legno mentre ridacchiava insieme a Tendo. “Eccho!”, annunciò esultante mostrando a tutti cosa aveva partorito la sua mente bacata:


SFONDA IL FUTON STANOTTE
E FALLE SFORNARE UN PAIO DI EREDI!
SAI COME SI FA VERO?


Non una mosca si azzardò a volare.
Tofu chinò il capo affranto, schermandosi gli occhi con una mano in un estremo tentativo di rinnegare ciò che era stato costretto a leggere.
Kasumi, pallida come un cencio della sua cucina, era sull’orlo di uno svenimento: se non avesse ripreso subito a respirare, ci sarebbe rimasta secca.
Nabiki, invece, si tappò lesta la bocca con tutt’e due le mani prima che potesse esplodere in una risata fragorosa. Cosa che invece i due debosciati non si trattennero dal fare, ridendo sguaiati fino a rotolare sul tatami.
Paonazzo come nemmeno il bacio di Mikado Senzenin era riuscito a farlo diventare, gettò un’occhiata incredula ad Akane, inginocchiata accanto a lui più immobile di un jizo eppure tremante di rabbia, le dita strette a pugno sul candido shiromuku, specchio di ciò che doveva essere il suo volto traboccante d’ira nascosto sotto l’ampio wataboushi.
Di colpo Ranma realizzò che quel degenerato del padre non aveva soltanto insultato la sua virilità, ma aveva trattato sua moglie come una sorta di incubatrice.
Genma si ritrovò proiettato nello spazio siderale prima ancora che Ranma avesse avuto il tempo di realizzare che era piombato su di lui e gli aveva mollato un pugno.
“Qualcun altro ha intenzione di fare lo spiritoso?”, chiese a mezza bocca, ma nessuno fiatò. “Bene. Akane, andiamocene”, disse risoluto tornando da lei e afferrandola per un polso.
Incredibilmente non oppose resistenza e lo seguì senza fiatare fino all’ascensore, davanti al quale Ranma cercò di ritrovare l’autocontrollo con ampi respiri. Accanto a lui, Akane tremava ancora, ma non osava guardarla.
Quasi si gettò nell’ascensore quando le porte si aprirono, mentre sua moglie entrò col passo pesante di chi sta pianificando morte e distruzione: la sua aura rabbiosa non lasciava dubbi sul fatto che avrebbe ammazzato il primo idiota che avesse azzardato ad aprire bocca, per cui se ne rimase zitto in un angolo.
Fu lei a uscire per prima sul corridoio e a dirigersi a falcate sempre più ampie e furibonde verso quella che doveva essere la loro camera. Meno male che avevano fatto un accordo, altrimenti ci avrebbe rimesso la pelle. In realtà, a ben pensarci, non era del tutto sicuro di essere fuori pericolo…
“Maledizione!”, urlò Akane sfilando il wataboushi dalla testa e scagliandolo con furia contro una parete, mentre lui richiudeva la porta di quella che era una vera e propria suite… luna di miele! Potevano permettersela una suite? Possibile avesse guadagnato abbastanza col suo ultimo incarico? In ogni caso tutto quel rosa su pareti, tende, lampade e tappeti pelosi gli procurò uno spasmo tale che dovette tapparsi la bocca con una mano per non dare di stomaco e poco mancò che vomitasse pure il poco che aveva mangiato, quando posò gli occhi sul letto matrimoniale e la relativa testata a forma di cuore! Solo allora notò che palloncini rossi cuoriformi tappezzavano il soffitto, mentre petali di rose rosse erano sparsi su tutto il pavimento – rosa! – e la trapunta del letto.
Tornò a concentrarsi disperato su Akane, che cercava non meno disperatamente di sfilare il kimono da sposa con mani frementi di rabbia, ma rischiando solo di strapparlo.
“Aspetta, ti aiuto…”, propose senza riflettere nel fare un passo avanti.
“Non ne ho bisogno!”, dichiarò lei. “Ti rendi conto di cosa è appena accaduto?!”.
“Sì e sono davvero mortific…”.
“Quei due non ci lasceranno mai in pace! Vogliono un erede a tutti i costi, no anzi, uno stuolo di piccoli Tendo-Saotome!”, urlò percorrendo la stanza da un angolo all’altro come una tigre in gabbia. “Ci daranno il tormento, ora più che mai! Se la nostra vita era già complicata prima, immagina adesso che pressione ci metteranno! Ci staranno ogni santo giorno col fiato sul collo!”.
Ranma rimase interdetto a fissare Akane con le gote arrossate, il fiato corto e gli occhi che mandavano lampi. Kami, quant’era bella…
Concentrati, idiota, concentrati!
Ripassò mentalmente lo sfogo di… sua moglie e dovette ammettere che non avesse tutti i torti. Di lì a breve i loro genitori avrebbero di sicuro puntato il dito contro di lui perché non si dava abbastanza da fare, o peggio, che non si stava dimostrando abbastanza ‘uomo’, magari dando la colpa alla sua parte femminile, come se essere donna per metà non fosse già una tragedia. Ma non dubitava che se la sarebbero presa anche con Akane, alla fine, accusando anche lei di non impegnarsi a sufficienza, o peggio, di essere sterile. Per lei sarebbe stato insostenibile e continuare quella farsa per anni sarebbe stato impossibile.
Solo che, per lui, quella non era più una farsa.
Non sapeva esattamente da quando, forse nel momento in cui Akane era apparsa sulla riva del lago in kimono da sposa, o forse quando avevano bevuto tre volte il sakè dagli stessi piattini o quando si erano scambiati gli anelli.
Magari quando hai confessato a te stesso di amarla, idiota! L’hai già scordato?
Ah, già… beh, non aveva importanza, in realtà. Contava solo che quella cerimonia li aveva legati per davvero, non come quando avevano fatto finta di essere marito e moglie per ingannare Ucchan. Stavolta Akane era sposata a lui sul serio. Sì, d’accordo, le aveva proposto lui il divorzio raggiunta la maggiore età, convinto che non avrebbe mai funzionato tra loro, adesso però…
Adesso era deciso a mettercela tutta per far decollare quel matrimonio, per quanto difficile potesse essere: convincere Akane di averla sempre amata dopo anni di insulti e umiliazioni sarebbe stato come scalare l’Everest a mani nude, in pieno inverno e con la camicia estiva addosso. Eppure lui sarebbe riuscito a conquistare quella vetta, cascasse il mondo, doveva solo comportarsi al contrario di come aveva fatto finora e mordersi la lingua ogni volta che stava per scappargli un’offesa. Il problema era che spesso manco se ne rendeva conto, di dire qualcosa di offensivo. Anzi, il più delle volte era Akane a travisare completamente ciò che lui diceva o faceva, aveva un talento imbattibile per quello.
“Prendiamo un appartamento in affitto”, buttò là senza rifletterci.
Akane smise di sfilarsi gli strati più pesanti del kimono da sposa.
“Come dici?”, gli chiese sorpresa.
Lui si portò una mano dietro la nuca per grattarsi la chioma.
“Sì, insomma, ci troviamo dei lavoretti e affittiamo un bilocale, anche un monolocale, basta che ce ne andiamo a vivere per conto nostro, che… che… che ne dici?”.
Lei si fermò a riflettere col pesante broccato tra le mani, fasciata solo da una vestaglia leggera stretta in vita che le metteva in risalto le curve.
“Non è una cattiva idea…”.
Qualcuno bussò con vigore alla porta della suite ed entrambi si voltarono all’unisono verso la fonte del rumore, per poi tornare a guardarsi in preda al panico un nanosecondo dopo. Ranma vide passare negli occhi sgranati di Akane lo stesso pensiero che aveva folgorato lui: far credere di andare d’accordo.
Akane si gettò di schiena sul letto in un tripudio di petali e Ranma la seguì a ruota, buttandosi su di lei senza pensarci due volte, una gamba in mezzo alle sue, il torace a schiacciare il suo seno, il viso nell’incavo del collo ad aspirare il suo profumo, mentre Akane, respirando con insolito affanno, non esitava a circondargli la schiena con le braccia per stringerlo a sé, sollevare una gamba per poggiarla sul suo fondoschiena e spingerlo contro il suo ventre.
Ma che fa?!
Una minuscola parte del suo cervello elaborò l’assurdità di quella situazione, considerando come, nel volgere di pochi istanti, avesse azzerato una distanza che durava da due anni: di colpo erano passati dal combattimento corpo a corpo nel dojo – se quello con lei poteva considerarlo tale – al corpo su corpo su un letto a due piazze.
Il resto del suo cervello – ovvero, quasi tutto – se n’era andato semplicemente in tilt.
Oh, kamisama…
Troppo tardi si rese conto di averle agguantato con una mano la gamba con cui lo teneva ‘avvinto’ a sé per sollevarla ancora più in alto.
Ma che sto facendo?! No, no, no!
Di nuovo tre colpi alla porta, più lenti ma più forti di prima.
“Dimmi che ti è spuntata una terza gamba o sei un uomo morto”, sibilò Akane al suo orecchio con un tono che forse voleva essere furente e che invece risuonò allarmato. La sentì perfino deglutire.
“Come no, ti piacerebbe, fianchi da tricheco”, mormorò Ranma contro il suo lobo, prima che una vena sul collo potesse esplodergli. E prima che potesse mordersi la lingua.
“Mi sembra ti piacciano, i fianchi da tricheco…”, ansimò lei a denti stretti al suo orecchio provocandogli dei brividi giù fino alle natiche.
“Si puòòòòòò?”, sentì chiedere dietro di sé da un’ironica Nabiki.
Ranma si staccò da Akane come scottato dal fuoco e balzò a sedere insieme a lei sul bordo del letto neanche avessero una molla sotto di loro.
“Ho interrotto qualcosa? O forse vi ho dato abbastanza tempo da inscenare un finto trasporto amoroso?”, chiese l'aspide chiudendo la porta dietro di sé. Ranma si scoprì incapace di sostenere la faccia soddisfatta di quel serpente a sonagli della neo cognata. Poco ci mancava che vedesse spuntare la coda di un sorcio da quel sorrisetto sardonico.
“Cosa ci fa qui? Che vuoi?”, urlò Akane tenendo ben chiusi i lembi del kimono con tutt’e due le mani, le ginocchia non meno serrate e tremanti.
“Oh nulla, mi ero solo dimenticata di avvisarvi di un paio di cosucce…”.
“Sputa il rospo e vattene”, la minacciò Ranma cercando di sembrare soltanto seccato per l’intrusione e non imbarazzato come mai in vita sua. Il cuore minacciava di sfondare il petto.
“Sì, sì, vi lascio subito alle vostre… ‘effusioni’. Volevo solo informarvi che questa suite costa troppo per trascorrervi più di una notte, per cui tornerete a Nerima insieme a Kasumi e Ono domani pomeriggio e avrete la casa tutta per voi per un intero mese, contenti?”.
“Come sarebbe? E papà, il signor Genma, tu? Che farete?”, chiese Akane basita.
“Noi resteremo qui, naturalmente: papà ha bisogno di cure termali, te ne aveva parlato, no? In pratica i soldi per la vostra luna di miele serviranno a pagare le sue terapie”.
“E a mio padre per buttarsi a corpo morto sui buffet…”, commentò Ranma scuotendo la testa. Ecco perché erano andati a sbattere fin lì per celebrare il matrimonio, altro che evitare le sue spasimanti.
“E qual è la seconda sorpresa di cui volevi metterci a parte, sorellina?”, chiese sarcastica Akane.
“Ecco, a proposito delle spese sostenute per il vostro matrimonio…”.


Nabiki era andata via da un po’, eppure Akane non osava muoversi. Troppo frastornata, stringeva ancora i lembi del kimono con tutt’e due le mani per tenerli accostati davanti al petto, le gambe non meno sigillate.
Le parole di Nabiki rimbalzavano nella sua testa come la pallina di un flipper insieme a quelle che Kasumi aveva pronunciato prima della cerimonia e insieme s’aggrovigliavano alle sensazioni appena provate su quel materasso. Akane finì per sentirsi così confusa da non riuscire a respirare. Doveva riportare l’ordine nella sua mente e riprendere il controllo sulle sue emozioni.
E del mio corpo.
“Accidenti a Nabiki, ci mancava questa…”, sospirò frustrato Ranma accanto a lei. “Ma cosa le dice quella testa? Non si rende conto delle conseguenze?”.
Akane deglutì, cercando di quietare il cuore che batteva ancora furioso.
“Le uniche conseguenze di cui si preoccupa sono i soldi che può ricavare, dovresti saperlo. E comunque non puoi negare che un lato positivo ci sia”.
“Sì, tua sorella è stata chiara su questo. Almeno nessuno si farà venire dei dubbi, quando vedranno i nostri anelli”, le rispose... suo marito rigirandosi quello che gli aveva infilato all’anulare con le dita dell’altra mano. Anche lei non faceva che rigirarsi il suo, sarebbe occorso del tempo per abituarcisi.
“Ma soprattutto… loro, in teoria, dovrebbero smetterla di reclamarti…”.
Sperò che il tono indignato non fosse trapelato abbastanza da far sorgere a Ranma il sospetto che lei fosse gelosa. Lui, stranamente, rimase silenzioso. Di sicuro doveva seccarlo non poco il fatto che ora non sarebbe più stato al centro dell’attenzione, perché nessuna ragazza o presunta fidanzata gli sarebbe più corsa dietro sbavando anche solo per una sua occhiata distratta.
“Bene, ehm… che facciamo, allora?”.
Ogni volta che Ranma apriva bocca o alzava una mano per grattarsi la nuca, Akane s’irrigidiva. Ogni volta che Ranma respirava, lei s’irrigidiva. Era sicura che se… se… suo marito avesse osato allungare una mano nella sua direzione, gli avrebbe mollato un pugno alla cieca, pur di allontanarlo da sé.
Suo marito. Ranma era suo marito. Doveva ripeterselo, di tanto in tanto, per accettare la realtà.

(Sorellina, guardami. Ti fidi di me?
Certo, Kasumi, più di chiunque altro.
Allora puoi credermi se ti dico che Ranma ricambia i tuoi sentimenti.
In quale universo parallelo?
Seriamente, Akane.
Seriamente, Kasumi. Cosa ti fa credere che Ranma possa provare qualcosa per me? Lo deduci dalla quantità di volte che mi ha salvato la vita o tirato fuori dai guai? Non l’ha fatto solo con me: ogni volta che uno dei nostri amici si è trovato nei guai, mai si è tirato indietro. Aiuta persino i suoi avversari! Ryoga, Mousse, Kuno…
Ma non gli brillano gli occhi quando li guarda.
E ci mancherebbe…
E nemmeno quando guarda le altre ‘fidanzate’.
Non pensavo te ne fossi accorta anche tu, sorellona. Dalle retta, Akane, Kasumi dice il vero: anch’io ho visto più di una volta gli occhi di Ranma sbrilluccicare come due dannati faretti al neon quando li posa su di te. A volte così intensamente che non sapevo se mettermi gli occhiali da sole o vomitare…
Nabiki!
Ma è la verità! S’illumina come un falò quando tu appari e la stessa cosa fai tu nei suoi riguardi, sarà per questo che non riuscite mai a guardarvi negli occhi? Temete di accecarvi l’un l’altro?
Ma che idiozie dici! Io distolgo lo sguardo da lui perché non sopporto la sua faccia da schiaffi!
Ma certo! E io sono Paperino! Infilati subito quel kimono e corri a sposarlo, perché dei vostri sospiri, litigi, lacrime, tira e molla non ne può più nessuno!)


In effetti era vero, ma solo quando aveva raggiunto Ranma sulla sponda del lago e se l’era trovato davanti, aveva fatto caso a quanto intensamente la guardasse. Tanto da non distogliere mai lo sguardo da lei. L’aveva trovata… carina? Possibile? Beh, il trucco poteva fare miracoli, non era da escludere, quindi.
Ma non bastava che la trovasse carina davanti al sacerdote per cancellare due anni e mezzo di offese. Di ‘donna priva di fascino’, ‘senza sex appeal’, ‘maschiaccio’, ‘vita larga’, ‘tronco d’acero’, ‘gorilla’, fino al ‘fianchi da tricheco’ che le aveva rivolto solo pochi minuti prima, mentre era sdraiato sopra di lei.
Akane chiuse gli occhi mordendosi il labbro.
Avrebbe voluto scacciare dalla mente il corpo perfetto di Ranma che aderiva quasi completamente al suo, il suo respiro caldo sul collo, la sua mano sulla propria coscia e… e… qualcos’altro che premeva contro di lei, ma non ci riusciva, per quanto si sforzasse. Soprattutto avrebbe voluto scacciare dalla mente la sensazione che l’avrebbe lasciato fare, se Nabiki non fosse entrata.
Ma lasciato fare cosa? Credi davvero che avrebbe continuato, se i colpi alla porta fossero cessati? Si sarebbe comunque staccato da te alla velocità della luce.
Una volta si vedeva carina. Quando tutti i ragazzi della scuola le andavano dietro, addirittura combattevano per lei o contro di lei. Poi era arrivato Ranma col suo camion di insulti e Akane aveva finito per vedersi come lui la dipingeva.
“Akane? Mi ascolti?”.
E alla fine aveva lasciato che il giudizio di Ranma contasse più di quello di chiunque altro.
“Akane?! Sei diventata sorda?”.
Lei trasalì e quasi raccolse le gambe al petto a forza di stringerle una contro l’altra. No, proprio non riusciva a immaginare una qualsiasi intimità con Ranma senza sentirsi giudicata e inadeguata. Mostrarsi a lui era impossibile.
“Eh? Cosa vuoi? Stavo riflettendo!”.
“Sì, l’ho sentito, il rumore di ferraglia…”.
Il pugno scattò da solo, ma Ranma lo bloccò con l’indifferenza di chi è capace di afferrare una mosca al volo, solo che la sua faccia gridava ai quattro venti che avrebbe voluto sotterrarsi.
“Ehm… scu-scusami…”, balbettò suo marito chiudendo gli occhi a forza come se si fosse morso. O si fosse dato mentalmente dell’imbecille. “Non… non dicevo sul serio…”.
Lei ritirò il pugno, ma volse il broncio altrove.
“Sì, come no, lo dici tutte le volte… comunque, atteniamoci al piano”, affermò alzandosi dal letto prima che Ranma potesse vedere le lacrime che pungevano gli angoli degli occhi.
“Dove vai?”.
“In bagno a mettermi il pigiama. E a… ehm… farmi un taglietto”.
“Devi ferirti? E perché?”, chiese lui accigliato, alzandosi in piedi a sua volta.
“Ma come perché? Non lo sai?”.
Non lo sapeva nemmeno lei, fino a poche ore prima, quando sarebbe dovuta uscire da quella stanza in abito nuziale per andare incontro a Ranma e invece era stata colta da un attacco di panico, al pensiero che avrebbe dovuto simulare un matrimonio consumato. Aveva improvvisamente realizzato che non sapeva cosa accadesse di preciso tra un uomo e una donna sotto le coperte, non si era mai documentata per la vergogna e su due piedi si era dovuta rivolgere in fretta e furia a Kasumi, rifiutandosi di varcare la soglia della porta se non avesse risposto prima alle sue domande. Kasumi, grazie agli dèi, aveva interpretato le sue paure come la normale reazione alla prima notte di nozze di una novella sposa e in qualche modo Akane era riuscita a ottenere da una violacea sorella maggiore l’informazione più importante di tutte, ma si era ripromessa di fare ricerche approfondite appena tornata a Nerima.
“Illuminami, avanti, signora ‘so tutto io’”, la sfidò Ranma a braccia conserte e col ghigno da schiaffi che riservava agli avversari.
Akane avvampò: l’aveva messa all’angolo. Maledetto.
“Bene”, disse schiarendosi la voce e assumendo un tono saccente, ma cercando di non guardarlo negli occhi. “Devi sapere che, la prima volta, una ragazza… ecco… lei… insomma… sanguina”.
“Ah, giusto…”, commentò Ranma grattandosi la nuca a disagio. “Me n’ero scordato”.
“Ma come tu… lo sapevi?”.
“Certo, ho studiato attentamente l’anatomia umana per sapere sempre, con precisione, dove colpire”, rivelò serio. “Dove pensavi di farti un taglio?”.
Akane lo fissò per diversi istanti, sorpresa e per niente convinta.
“In un punto non visibile, ovviamente: una coscia, o un polpaccio…”.
“Indossi quasi sempre una gonna, si noterebbe”.
“Allora su un piede”.
“Ah, lascia perdere, me lo faccio io”.
“Affatto!”, rispose lei afferrando il beauty case e il pigiama dalla trolley. “Non ne vedo il motivo! Mi credi così fragile da non potermi fare nemmeno un taglietto?”.
Si chiuse a chiave in bagno e si spogliò, indossò la camicia da notte, aprì il beauty case e ne estrasse un paio di forbicine, un cerotto, un disinfettante e un pezzetto di ovatta. Meno male che portava sempre con sé ciò che davvero contava, non quintali di trucchi, creme e profumi come faceva Nabiki. Afferrò un bicchiere di plastica sul lavandino e si sedette sul gabinetto.
Sollevò una gamba e appoggiò il piede sul bordo di un sanitario che non aveva mai visto, qualche diavoleria importata di sicuro dall’Europa. Ora si trattava di capire dove procurarsi il taglio… forse poco sotto la tibia? Sì, poteva andare.
Akane strinse i denti e procedette a un piccolo taglio orizzontale, raccogliendo anche troppe gocce di sangue nel bicchiere, quindi disinfettò la ferita e vi applicò il cerotto.
Con un sospiro rimise tutto a posto e buttò l’ovatta nel cestino, ma non si alzò dal water, rimirando nello specchio il proprio volto ancora truccato.
Come aveva potuto gettarsi sul letto in quel modo, come se stesse svolgendo una missione? E Ranma, che l’aveva pure assecondata? Sembrava quasi le avesse letto nella mente, ma non era quello il punto: era certa che sarebbe rimasto impalato a fissarla al colmo dell’imbarazzo e avrebbe dovuto convincere un pezzo di marmo a seguirla a ruota, invece si era gettato su di lei con una disinvoltura che non avrebbe mai sospettato, non era da lui…
Si alzò di scatto e riaprì il beauty case in cerca dello struccante per levar via dal viso quella farsa assurda.
Quando riaprì la porta col bicchiere in mano, si ritrovò davanti Ranma in pigiama con un indice sulle labbra nel chiaro segno di fare silenzio, quindi le indicò la porta e lei spalancò occhi e bocca, incredula, nel percepire la presenza di quattro persone oltre l’uscio.
Da non crederci, li stavano origliando!
Ranma usò lo stesso indice per invitarla a seguirlo e sollevando le coperte le indicò un punto del letto, più o meno ad altezza bacino.
Lei increspò la fronte e indicò più volte col suo, di indice, il lato opposto, vicino alla finestra.
Lui la guardò esasperato allargando le braccia, come a volerle dire: ma che importanza ha!
Lei pestò un piede per terra e indicò di nuovo, più volte, l’altro lato del materasso.
Lui guardò nervoso la porta, quindi tornò a fissare lei col chiaro desiderio di prenderla a sculacciate.
D’accordo!, mimò Ranma con le labbra facendosi teatralmente da parte per farla passare, ma di nuovo le indicò dove imbrattare di sangue, stavolta con un impeto che non ammetteva repliche.
Lei invece se la prese con tutta la calma del mondo e tastò bene il punto, prima di inclinare il bicchiere e versare qualche goccia. Guardò il sangue espandersi sul tessuto e si chiese se così potesse andare, prima che Ranma le strappasse il bicchiere di mano e versasse tutto il contenuto, facendo una macchia di dimensioni tali che a guardarla chiunque avrebbe pensato che si fosse tagliata le vene.
Akane portò una mano a coprire gli occhi, scuotendo la testa e desiderando solo prendere a calci Ranma, che nel frattempo era andato in bagno a buttare il bicchiere. Ma fu quando lo vide posizionarsi ai piedi del letto e cominciare a spingerlo con forza, facendo sì che la testata sbattesse ripetutamente contro la parete, che le cascarono le braccia.
Ma che stai facendo?!, mimò lei con la bocca.
Vieni qui a darmi una mano, piuttosto!, le intimò lui col solito indice.
Akane allargò le braccia pensando che fosse impazzito. Ma sperando che sapesse qualcosa che lei ignorava, decise di assecondarlo posizionandosi in piedi accanto a lui e spingendo con le braccia il letto contro la parete.
No! Devi saltarci sopra!, mimò Ranma.
Ma sei scemo?!, gli rispose lei toccandosi una tempia.
Fidati, poi ti spiego!, disse senza un suono.
Akane fece spallucce, salì in piedi sul materasso e cominciò a saltare. Immediatamente le molle iniziarono a cigolare e lei lo trovò così divertente che non riuscì a impedirsi di ridere.
No! No!, si sbracciò Ranma smettendo di spingere il letto. Devi ansimare!
Lei lo guardò stralunata.
Ansimare?!, mimò di rimando. Ma sei sicuro?
Ranma annuì con vigore e riprese a sbattere il letto contro la parete, mentre lei cercava di simulare il fiatone come dopo una lunga corsa. Il suo neo marito le doveva parecchie spiegazioni…
Neo marito che di colpo alzò un braccio facendole segno di fermarsi, mentre fissava concentrato la porta. Akane smise di saltare e rimase in ascolto insieme a lui. Nulla. Non percepiva alcuna presenza, adesso, oltre la soglia.
“Puoi scendere”, le disse buttandosi a sedere sul letto. “Se ne sono andati”.
Lei si sedette accanto a lui.
“Puoi illuminarmi, adesso?”.
Lui si grattò una guancia, in evidente imbarazzo.
“Diversi anni fa, in una delle tante sessioni d’allentamento in mezzo ai boschi con mio padre, una notte una tempesta si è portata via la tenda e a forza di cercare riparo, ci siamo imbattuti in un motel, una vera topaia, ma non potevamo permetterci altro, col poco che avevamo. La cosa peggiore però fu che nella camera accanto alla nostra due amanti ci diedero dentro fin quasi all’alba, non ho chiuso occhio…”.
“Oh… quindi il trambusto che abbiamo appena fatto è quello che hanno fatto loro?”.
“Esatto”.
Akane era comunque perplessa. Kasumi non aveva fatto cenno ad alcun rumore prodotto dal letto, men che mai ad ansiti e comunque non riusciva a capire perché lei avrebbe dovuto avere il fiatone.
“Ma sei sicuro che stavano…”.
“Sì, credimi, stavano!”.
“Ma come fai a dirlo?”.
“Perché lei non gridava ‘aiuto’, ma gemeva ‘ancora’ o ‘se ti fermi ti ammazzo’!”, la canzonò.
Ora sì che era scioccata. E aveva la forte impressione che si stava perdendo la parte più interessante del matrimonio, altro che cerimonia…
“Accidenti, che idiota!”, saltò su lui battendo un pugno sul palmo aperto dell’altra mano.
“Cosa?”.
“I gemiti! Avresti dovuto anche gemere, ma dubito che saresti stata convincente, sei pessima in recitazione…”.
“Senti chi parla!”, ribatté, ma non aveva torto, stavolta. “Oh, insomma, abbiamo fatto tutto quello che potevamo, se ci casca Nabiki, ci cascano tutti”.
“Ti pare poco…”.
“Ora vorrei dormire, sono molto stanca”, affermò alzandosi.
“A chi lo dici…”, fece altrettanto lui.
Si ritrovarono ai lati opposti del letto, ma nessuno dei due osava nemmeno sfiorare il materasso.
“Non-non penserai di dormire con me, vero, Ranma?”.
“Lo penso eccome e non solo perché ora sono tuo… tuo marito, ma perché domattina non possiamo essere colti di sorpresa, ti sei già scordata cos’ha combinato tua sorella?”.
Akane socchiuse gli occhi, affranta. Nabiki, già, se n’era dimenticata… accidenti a lei!
“E va bene, tanto è solo per stanotte, ma rimani comunque nella tua metà del letto e non azzardarti ad allungare le mani!”.
“Come se fossi davvero tentato…”, insinuò lui, prima di vederlo darsi una manata in fronte e sdraiarsi sul materasso dandole la schiena.
Già, certo, come volevasi dimostrare. Che stupida era stata a pensare che un kimono bianco e un po’ di trucco potessero farla vedere sotto una luce diversa, magari attraente…
Tirò su col naso e si sdraiò a sua volta, quasi sul bordo del letto, schiena a Ranma. Tirò la coperta fino al mento e si rannicchiò sperando che la notte passasse in fretta, mentre le lacrime bagnavano il materasso.


Idiota, idiota, idiota! Possibile che non riuscisse mai a frenare la lingua? Ma quanto era stupido? Era così abituato a insultarla, che ormai sembrava non poterne fare a meno. Forse, se l’avesse presa come una sfida… Massì, certo! Che monumentale imbecille, perché non ci aveva pensato prima? Ecco, come doveva prendere quel matrimonio, come una sfida! Doveva sfidare se stesso a non insultare più Akane, a essere più gentile con lei e ad ascoltarla, solo così, forse, Akane avrebbe cominciato ad aprirsi pian piano con lui, non aveva alternative.
Sistemò meglio il cuscino e rilasciò un sospiro.
A proposito di aprirsi… ora che ci pensava, l’iniziativa presa da Akane, quando Nabiki aveva bussato alla porta, era stata decisamente audace per una come lei, mai avrebbe immaginato che fosse capace di una cosa del genere. Per non parlare del modo in cui aveva avvinghiato una gamba attorno al suo fianco per spingerlo contro di sé…
Ehi, tu, là sotto: a cuccia!
Meglio pensare ad altro, o avrebbe passato la notte in bianco. Forse se avesse immaginato di essere ancora nella camera che divideva col padre a casa Tendo e, accanto a lui, il genitore formato panda che russava…
Un decimo di secondo dopo era nel mondo dei sogni.

Quando riemerse da un sonno inquieto, di tre cose fu vagamente consapevole. Di qualcosa che gli solleticava il mento, dell’intorpidimento all’intero corpo – il lato sinistro su cui era sdraiato, in particolare – e del calorifero a cui era abbracciato. Anche se sembrava che fosse il calorifero ad abbracciare lui. I caloriferi avevano le braccia? Questo di sicuro, perché gli stava stritolando il torace.
Ranma sollevò una palpebra, ma non riconobbe la stanza. Allora sollevò a fatica anche l’altra e la nebbia nella sua testa cominciò a diradarsi: massì, certo, la Honeymoon Suite rosa diabete, dove lui e Akane avevano simulato…
A momenti gli caddero gli occhi dalle orbite.
Oh…
Ruotò le pupille verso la chioma bluastra che ronfava contro il suo petto.
…kami…
Akane era abbarbicata a lui come un dannato koala a un tronco di eucalipto. Un koala con la forza di un gorilla che gli aveva circondato anche le braccia privandolo della circolazione sanguigna. Chi affermava che gli uomini erano dei poliponi non aveva mai conosciuto Akane, avrebbe fatto concorrenza a una piovra. E meno male che voleva il lato del letto verso la finestra, ora era tutta dalla sua parte. E senza coperta, che ovviamente aveva scalciato via.
No, meno male che non voleva avere niente a che fare con me, se tanto mi dà tanto forse ho una possibilità con lei.
Sì, ma non in quel momento: se si fosse svegliata, lo avrebbe ridotto a un purè, doveva scrollarsela di dosso prima che…
Calma, Ranma, respira e ragiona: questa posizione è perfetta, visto quello che sta per accadere, l’unico inconveniente è l’intorpidimento agli arti superiori, non ti senti più le braccia, ma ok, puoi resistere un altro po’, basta che Akane non aumenti la pressione, o ti schizzerà il sangue dal naso.
No, il rischio vero era un altro: che il sangue finisse da tutt’altra parte e che a schizzare fosse qualcos’altro...
No, no, no, concentrati!
Era una parola: Akane gli aveva circondato i fianchi con le gambe incrociandole dietro la sua schiena e stringeva a morte pure con quelle. Ma come faceva lei a non avere mezzo corpo intorpidito?
No, maledizione, a cuccia! A cuccia, ho detto!
Invece il sangue stava abbandonando il suo cervello per precipitarsi verso il basso, doveva pensare in fretta a qualcosa di orribile. Serrò le ciglia e si concentrò tanto da gonfiare le vene sul collo.

(Akane sorride in riva al lago mentre il sole tramonta nei suoi occhi)

Orribile, ho detto!

(Akane si butta di schiena sul letto, il kimono leggero che si apre all’altezza delle gambe)

N-no, aspe…

(Lui è sopra di lei senza nemmeno rendersene conto, ha smesso di respirare, ma il suo profumo, la sua pelle nivea e setosa, il suo petto che si alza e si abbassa gli hanno già bruciato le sinapsi)

Ranma spalancò gli occhi, ormai un bagno di sudore.
Così non andava, ma quanto ci mettevano? Se chiudeva gli occhi aveva davanti lei, se li teneva aperti, non riusciva a fare a meno di pensare al suo seno premuto contro il suo torace. Per tacere del bacino…

Oh no, arieccolo… a cuccia, maledetto!

Un momento, anche quella poteva essere considerata una sfida. In un certo senso, Akane lo aveva sfidato a resisterle, non esisteva che perdesse. Ranma sorrise da un orecchio all’altro, mentre cercava di sollevare un poco il braccio destro per far scivolare quello di Akane fino al suo collo. Lei mugugnò, ma non si oppose. Finalmente il formicolio al braccio iniziò a scemare e lui poté tornare pian piano a usarlo, peccato che ora Akane fosse aggrappata al suo collo. Le afferrò delicatamente il polso e iniziò ad allontanare il suo braccio da sé… solo per ritrovarselo attaccato con un brontolio seccato a un fianco a circondargli di nuovo la schiena. Beh, almeno aveva liberato il suo, di braccio. Ora si trattava di capire se voleva sul serio liberare il resto del suo corpo: Akane si stringeva a lui come mai avrebbe fatto se fosse stata cosciente e nel sonno sembrava addirittura sorridere. Stava bene con lui? Possibile? Le scostò la frangia e la sua espressione beata gli tolse il respiro. Quasi senza accorgersene, la circondò a sua volta col braccio libero e la strinse a sé, consapevole che forse non ci sarebbero state altre opportunità di sentirla così vicina.
Poco a poco si rilassò, fissando la finestra senza realmente vederla, mentre carezzava la schiena di sua moglie.
“Akane?”, mormorò.
“…mmnggmn…”.
“Tu mi… mi… mi… mi-mi-mi… mi ami?”.
“…nnngghmmf…”.
Perfetto. Forse non l’avrebbe mai saputo, ma in quel momento non lo reputò così importante. Avrebbe piuttosto dato qualsiasi cosa per svegliarsi abbracciato a lei in quel modo ogni mattina.
I sensi lo avvertirono di un pericolo imminente. Volse la testa di scatto verso la porta e capì che era venuto il momento. Prese un respiro profondo, sentendosi quasi dispiaciuto, ma quando tornò a guardare il volto placido di Akane, il senso di colpa si dissolse come nebbia al sole.
Senza perdere tempo a svegliarla, sapendo come avrebbe reagito a quella posizione, con un colpo di reni la rovesciò sulla schiena ritrovandosi completamente sdraiato sopra di lei, in mezzo alle sue gambe. Akane si svegliò di soprassalto, gli occhi sbarrati, la bocca spalancata che risucchiava il respiro, sul punto di lanciare un urlo spacca timpani.
Non poteva permetterglielo.
Premette le labbra sulle sue senza rifletterci, schiacciandola contro il materasso. Akane, chiaramente dimentica della recita, cercò di respingerlo premendogli le mani sulle spalle e dimenando le gambe, finendo per inarcarsi contro di lui. Ranma le bloccò i polsi ai lati del viso perseverando con una tenacia di cui si stupì e lei…
Lei smise di lottare.
Ranma si staccò incredulo dalla sua bocca dimenticando di respirare, mentre Akane lo fissava scioccata ma tutt’altro che furibonda. Sembrava quasi… speranzosa? Deglutì mentre poco a poco annullava di nuovo la distanza dalle sue labbra.
Fu allora che un boato deflagrò nella stanza.


- § -


Nabiki stava leggendo il giornale comodamente sprofondata in una poltrona della hall dell’hotel, guardando di tanto in tanto l’orologio, quando finalmente tre furie piombarono più agguerrite che mai davanti alla reception spaventando a morte il povero concierge.
Nabiki ripiegò con calma il quotidiano e lo posò sul basso tavolino di fronte a lei, quindi si alzò e raggiunse le tre chiome fluenti, pregustandosi la scena cui avrebbe assistito. E sperando che quei due testoni fossero pronti.
“È inutile che urlate tanto, il portiere non è autorizzato a rivelarvi quale stanza è stata assegnata ad Akane e Ranma”.
Ukyo, Shampoo e Kodachi si voltarono all’unisono.
“Allora diccelo tu!”, le ordinò la spatolona.
“Avanti, Nabiki, non possiamo perdere tempo!”, insistette Shampoo rinsaldando la presa sui suoi bombori.
“Ti daremo altri soldi, tutto quello che vuoi!”, intervenne Kodachi vestita con un abito nuziale funebre mentre mordicchiava affranta un fazzoletto.
“Diecimila yen, a testa”, sorrise Nabiki mostrando il palmo di una mano.
Le tre si affrettarono a pagarla, ma lei contò le banconote prima di sganciare la bomba.
“Honeymoon Suite, ultimo piano, non potete sbagliare. Devo però avvisarvi che…”.
Le tre invasate si precipitarono su per le scale senza lasciarla finire. Peggio per loro, si disse mentre prendeva l’ascensore e arrivava al pianerottolo, giusto in tempo per vederle accapigliarsi su chi arrivava prima davanti alla porta della suite “Luna di Miele”. Che sceme, se solo avessero capito il riferimento…
Shampoo sfondò la porta con un calcio che la mandò letteralmente in frantumi e si gettò all’interno, seguita da Kodachi e Ukyo. E un silenzio di tomba.
Nabiki fece capolino dietro le tre e vide Ranma sopra Akane. Meglio, tra le gambe di Akane. Ma anche se avevano indosso i rispettivi pigiami, la posizione era inequivocabile.
E bravo il mio cognatino, pensò sorridente mentre il suddetto si staccava da Akane e si sedeva sul letto accanto a sua sorella, pallida come un sudario, che afferrava la trapunta e la tirava fino al mento con un singulto strozzato.
“Ma cosa… che significa questo?!”, urlò Shampoo tremante di rabbia. “Voi due… voi due avete…”.
“Ranchan, cosa… cosa stavate facendo…?”, chiese invece la spatolona del tutto incredula.
“Ehm, Ucchan, posso spiegarti!”, disse Ranma agitando le braccia. Idiota.
“Ve lo spiego io”, intervenne Nabiki entrando nella stanza e frapponendosi tra le furie e i neosposi. “I due piccioncini si sono sposati ieri sera. Sì, lo so che vi avevo detto che il matrimonio era fissato per stamattina, ma i nostri genitori hanno deciso all’ultimo secondo che fosse meglio non perdere altro tempo e poi c’era un tramonto stupendo.... Su, ragazzi, mostrate gli anelli”, annunciò trionfante.
“Non bastano due anelli, pensate di fregarmi ancora?!”, sbraitò Ukyo afferrando la coperta e tirandola via. Akane raccolse le gambe al petto e, forse d’istinto, si aggrappò al braccio di Ranma, che si mise invece una mano davanti alla faccia, più rosso di una rapa.
Le facce attonite che fecero le tre ex fidanzate fu impagabile, ma anche la sua non doveva essere da meno. La prova della verginità di Akane – e della virilità di Ranma – era lì, rosso su bianco, nel mezzo del letto. Nabiki si trattenne a fatica dallo scoppiare a ridere, più tardi avrebbe fatto le congratulazioni ai due, tutto a suo tempo, ora era il momento di gustarsi il gelo che era calato nella stanza: le tre esaltate, con gli occhi fissi sulla macchia, sembravano diventate statue di gesso pronte a sgretolarsi.
“Bene”, esordì lei, “qualcuna vuole ancora accampare diritti su mio cognato?”.
Kodachi scoppiò in un pianto dirotto, urlando a Ranma di essere un traditore e scappando via.
Shampoo lasciò scivolare i bombori per terra, farneticando di essere disonorata e di non poter far più ritorno al suo villaggio. O una cosa del genere, mentre con occhi umidi dava le spalle al letto nuziale e a pugni stretti minacciava una vendetta terribile contro i due sposini, prima di scappare via a sua volta.
Ukyo invece era quella che li guardava col volto più triste, forse perché era quella che si sentiva maggiormente tradita: era davvero convinta che Ranma fosse suo, prima di essere di Akane, e con quella profonda delusione negli occhi fissava i due che, invece, non osavano alzare i loro.
“Vi auguro di… di essere infelici come meritate!”, gridò prima di abbandonare la camera.
Nabiki gettò un lungo sguardo nel corridoio, per essere sicura che le tre matte si fossero volatilizzate davvero, prima di rivolgersi alla coppia alle sue spalle.
“I miei complimenti, ragazzi, ottimo lavoro, una recita da applauso”, disse battendo le mani compiaciuta. “Dove ti sei tagliata, esattamente, sorellina? O forse sei stato tu, Ranma, a fornire il sangue?”.
“Nabiki, ma che stai insinuando?”, chiese indignata Akane.
“Io nulla, è il cerotto che parla da sé”.
I due abbassarono lo sguardo sul piccolo nastro rosa attaccato sul lato inferiore della trapunta.
“Nabiki, ti assicuro che questo non…”.
“Vi consiglio di consumare sul serio, ragazzi, prima che i nostri vecchi si accorgano che avete finto. O prima che un uccellino li informi… Vi assicuro che non ve ne pentirete, anzi, vi divertirete”, asserì facendo l’occhiolino, prima di lasciare a testa alta la stanza.


“Lo sapevo che non ci sarebbe cascata”, esalò Ranma rilassandosi contro la testata del letto, mentre lei faceva altrettanto.
“Solo un pazzo potrebbe credere che abbiamo sul serio superato le nostre divergenze dalla sera alla mattina. E lei non è pazza”.
“Beh, almeno possiamo stare sicuri che per ora terrà la bocca chiusa”, osservò lui.
“Sì, ma a che prezzo?”.
“Con quello che ha guadagnato dicendo a quelle tre dove eravamo, forse si sentirà sazia”.
“Ne dubito…”, commentò Akane affranta. “Sono sicura che prima o poi verrà a battere cassa, a meno che noi…”.
Lanciò un’occhiata a Ranma, che fece altrettanto, confermandole col suo sguardo che anche lui era arrivato alla stessa conclusione. Era quello il piano di Nabiki: indurli a consumare sotto la minaccia di dire ai loro genitori che in quella stanza non era accaduto nulla, perché di sicuro non avrebbero potuto permettersi il suo silenzio.
Akane distolse il suo, di sguardo, troppo imbarazzata davanti a ciò che forse l’aspettava. E di cui aveva avuto a mala pena un assaggio.
“Pe-pe-perché mi hai baciata?”.
Ripensare alle labbra di Ranma sulle proprie le procurò una tale vampata che fu tentata di farsi aria con una mano.
“Perché stavi per urlare e non avevo tempo di ricordarti che dovevamo inscenare la parte dei neosposini”.
Massì, certo, che stupida, si disse dandosi una manata in fronte. Era così ovvio. E la cosa peggiore era che lui era sveglio da chissà quanto, pronto all’ingresso di quelle tre pazzoidi, mentre lei dormiva come un sasso… com’era possibile?
No, la cosa peggiore non è che ti sei scordata della messinscena, ma che avresti lasciato che Ranma ti baciasse ancora, perché non ti è dispiaciuto affatto!
Akane balzò dal letto come se scottasse e corse verso il bagno.
“E questo è solo il primo giorno…”, lo sentì commentare.
“Sì, ma almeno per un po’ saremo da soli, sarà più facile”, rispose lei facendo capolino dalla porta.
“Tu dici, eh?”.








Ringrazio come sempre la mia superbeta Moira78 per l'editing, spero che il capitolo vi sia piaciuto ma soprattutto che vi abbia divertito, alla prossima! ^_^
PS: invito fanwriter e lettori a partecipare a N di Nibunnoichi, il gruppo FB dedicato alle ff su Ranma: https://www.facebook.com/groups/181565985371948

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Capitolo 4
*** Luna di Miele - I parte ***


Nel ringraziare come sempre Moira78 per la betalettura e Tyllici per la consulenza, mi scuso per il ritardo con cui pubblico questo capitolo e vi auguro buona lettura (spero)!





IV

LUNA DI MIELE

I parte




Il viaggio in treno fu un incubo.
Erano sposati da un giorno – in teoria in luna di miele – e nello scompartimento a loro riservato da Nabiki erano seduti a una poltrona di distanza l’uno dall’altra. E solo perché Kasumi e Tofu tornavano a Nerima insieme a loro, altrimenti sarebbero stati seduti agli angoli opposti.
Akane guardava disperatamente fuori dal finestrino e pazienza per il torcicollo che le sarebbe venuto, perché non riusciva nemmeno a guardare la sorella seduta di fronte a lei, figuriamoci suo mar… Ranma. Ogni volta che ripensava a quel che era accaduto quella mattina, sprofondava un altro po’ nella poltrona. Se solo avesse avuto P-chan sottomano, almeno avrebbe avuto qualcosa da strizzare fino a farsi passare l’ansia.
Che poi il problema non era la scenata di quelle tre – quella se l’aspettava – no, il problema, anzi, i problemi erano altri e l’attendevano al varco.
Tanto per cominciare, sarebbero rimasti soli in casa per un mese intero e questo significava, prima di tutto, che difficilmente avrebbe potuto ignorare Ranma come si era sempre sforzata di fare e forse nemmeno lui avrebbe più potuto ignorare lei. Ciò si poteva tradurre, quasi inevitabilmente, in un intralcio alle sue missioni, perché suo marito avrebbe potuto accorgersi dei suoi strani movimenti, peggio ancora dei suoi travestimenti e chiederle spiegazioni che lei non voleva dare. Anche se, a pensarci bene, non gli doveva un bel niente.
Invece sì, è tuo marito, ora!
Accidenti. E poi c’era il problema di Nabiki, che aveva indovinato in men che non si dica che loro non avevano… consumato e pretendeva che lo facessero o avrebbe spifferato la verità ai loro genitori, ben sapendo che non potevano permettersi il suo silenzio. Avida ricattatrice che non era altro.

(Vi assicuro che non ve ne pentirete, anzi, vi divertirete)

Se avesse parlato per esperienza personale, lo ignorava, ma Nabiki non apriva mai bocca se non era graniticamente certa di ciò che affermava, quindi doveva concludere che la sua fosse una sorta di indiretta confessione. Se ciò era vero, la situazione era persino paradossale: Nabiki si divertiva con chissà chi senza problemi, mentre lei – pur di entrare a far parte della Fenice Bianca – aveva fatto credere di avere esperienze che erano solo nella sua sfocata immaginazione. E la Fenice Bianca ne aveva approfittato per appiopparle missioni sempre più indecenti e al limite del rischioso. Se invece avesse avuto una esperienza reale – diretta – di ciò che Nabiki aveva suggerito, di certo non si sarebbe più sentita in imbarazzo e sarebbe stata più disinvolta nel fingersi una donna vissuta o nello svolgere finti adescamenti. Sperando che la Fenice Bianca non le chiedesse mai di giacere con qualcuno che avrebbe solo dovuto spiare... Finché era una minorenne, del resto, poteva dirsi al sicuro, ma poi, compiuti i ventun’anni?
Comunque, anche se fosse stata felice – piena di vergogna, sì, ma felice, che diamine! – di… di… consumare il suo matrimonio, rimaneva il terzo e ultimo problema: i sentimenti di Ranma. Nonostante le rassicurazioni di Kasumi, suo marito era così contraddittorio che non sapeva più cosa pensare. Le voleva bene? La sopportava? Dalla sera prima non faceva altro che pensare e ripensare a quel che era accaduto fra loro, o meglio, a ciò che Ranma – incredibile a dirsi – aveva fatto senza esitazione, tra gettarsi per ben due volte su di lei fino addirittura a baciarla, fosse anche solo per finta.
“Akane?”.
Eppure aveva avuto forte l’impressione che stesse per baciarla di nuovo per davvero, prima che quelle tre furie scatenate irrompessero nella stanza…
“Sorellina?”.
Era struccata, spettinata, assonnata, tuttavia lui… possibile? Del resto, ciò che aveva sentito fra le gambe non se l’era sognato!

(Mi sembra ti piacciano, i fianchi da tricheco...)

Allora, forse… forse Ranma non pensava sul serio che lei fosse una donna tubolare*…
“Akane?!”.
“Eh? Oh?”, se ne uscì lei sbattendo sorpresa le ciglia davanti a una Kasumi perplessa.
“Tutto bene? Guardi fuori dal finestrino come se volessi incenerire il paesaggio…”.
“I-io? No-no! Affatto! Ero solo concentrata!”.
“A fare che?”.
“A… ehm… a pensare a tutto quello che ci aspetta a casa, sai, preparare la cena, disfare i bagagli…”.
“Godervi la luna di miele…”, intervenne il dottor Tofu sorridente.
“Sarà un po’ difficile se sarà lei a cucinare”, ribatté Ranma sarcastico.
Il pugno partì da solo, come quando d’estate nel dormiveglia cercava di schiacciare le zanzare contro il muro. Solo che quella faccia di bronzo di suo marito lo evitò con la consueta disinvoltura che le faceva spuntare le vene a croce sulla fronte.
“Suvvia, Ranma, Akane sta imparando, vedrai che presto saprà prepararti degli ottimi piatti”.
“Certo, per spedirmi dritto all’obitorio”.
Stavolta Ranma non riuscì a evitarlo e lei calcò il pugno con estrema soddisfazione in quella faccia da calci in bocca.
“Strano, pensavo che ormai le vostre divergenze si fossero appianate, dopo ieri notte…”, osservò un sempre sorridente ma ora anche confuso dottor Tofu.
Allarme rosso!
Akane afferrò la mano di Ranma fino a spremerla, ma lui fece anche di più: le ghermì una spalla e l’attirò a sé con un sorriso a quarantacinque denti, mentre lei ne approfittava per premergli l’altra mano sul petto e sorridere di rimando fino a farsi venire una paresi.
“Ma certo che abbiamo superato le nostre divergenze!”, rise Ranma nervoso.
“Cosa vi fa pensare il contrario?”, trillò lei dandogli manforte.
Quasi le sembrò di vedere due goccioloni di sudore scivolare dalle tempie di sua sorella e di suo cognato.
“Beh… ehm… non saprei, ragazzi, è che sembrate così… così…”.
“…finti?”, terminò Kasumi per suo marito.
Adesso era lei ad avere un gocciolone formato tanica che scorreva lungo una tempia.
“Mannò, oneechan, cosa dici!”, ribatté Akane con una risata quasi isterica.
“Questo è il nostro modo di andare d’accordo, pensavamo fosse chiaro, ormai!”, la spalleggiò Ranma stringendola di più contro di sé. Akane spalancò gli occhi e si voltò a fissare il suo profilo come folgorata.
“Beh, è un modo un po’ insolito, però in effetti se ormai siete abituati così…”.
“Sì, infatti! È più forte di noi!”, confermò Akane.
“Comunque, che ne dite di cenare da noi prima di tornare a casa?”.
“Un’idea eccellente!”, saltò su Ranma mollando le sue mani per afferrare quelle di Kasumi con occhi adoranti.
Se il treno non avesse iniziato a rallentare, Akane lo avrebbe volentieri preso a sberle.


- § -


La cucina di Kasumi era sempre la cucina di Kasumi. E come se la lauta cena non fosse bastata a saziare la sua pancia e le sue papille, dato che lui e Akane erano in luna di miele e i coniugi Tofu non volevano disturbarli, quella santa donna aveva cucinato tanto di quel cibo, quella sera, da sfamare lui e sua moglie per i prossimi due giorni. Ranma però avrebbe suddiviso tutto quel ben di dio in porzioni, lo avrebbe stipato nel congelatore e avrebbe cercato di consumarlo con parsimonia per tirare avanti il più possibile. Anche se fosse diventato immasticabile. Perché qualsiasi cosa, anche una suola di cuoio, era meglio di ciò che partoriva la fantasia di Akane quando prendeva tra le mani una pentola.
“Sarai soddisfatto, almeno per un po’”, sbottò acida lei facendolo ripiombare sulla terra dalla nuvoletta dorata sulla quale svolazzava con una busta per mano. O meglio, facendolo ripiombare sulla strada fiocamente illuminata dai lampioni che stavano percorrendo per tornare a casa Tendo. A casa sua.
“Altroché”, ribatté lui. “Ma confessa che lo sei anche tu”.
“Io? Che vorresti dire?”, lo squadrò lei malevola.
“Che non dovrai sforzarti di sfornare qualcosa di per lo meno digeribile per i prossimi giorni, mi pare ovvio, così potremmo continuare a calpestare questa terra ancora per un po’…”.
“Giuro che ti strozzerei, se solo non avessi le mani impegnate a reggere due buste! Devo ricordarti che sto frequentando una scuola di cucina? E dammi un po’ fiducia!”.
“Ma io ho fiducia in te! Ho fiducia nel fatto che avvelenerai anche quel povero chef che tenta disperatamente di insegnarti a bollire l’acqua senza squagliare il pentolino”.
“Idiota!”, lo insultò lei tentando di calciarlo e per poco, dovette ammettere, non riuscì a colpirlo in piena faccia. Aveva quasi dell’incredibile…
“Dolce Akane Tendo, non sprecare altre soavi parole per un individuo tanto spregevole!”, se ne uscì un’inconfondibile voce proveniente da un’ombrosa figura appostata a capo chino davanti al portone di casa Tendo, le vesti da kendoka sbatacchiate dal vento. “Oh, Ranma Saotome, come hai potuto traviare un’ingenua fanciulla come Akane, costringendola con l’inganno a contrarre matrimonio così da approfittare del suo candore e violarla nel modo più bieco?!”, declamò Tatewaki Aristocrat Kuno detto il Tuono Blu uscendo dalla penombra e incedendo col bokken tenuto con tutt’e due le mani puntato contro di lui.
“Te ne occupi tu, maritino? Tanto ce l’ha con te…”, sospirò Akane con un sorriso da un orecchio all’altro. Ranma sbuffò sonoramente.
“D’accordo, tu porta il cibo in cucina e aspettami, non buttarlo alla rinfusa nel congelatore come tuo solito!”, rispose mollandole anche le sue buste.
“Che noia che sei…”, borbottò Akane incamminandosi. “Sbrigati, almeno”.
“Dammi cinque secondi”, ribatté lui incamminandosi a sua volta, ma verso il senpai.
“Dannato Saotome, come osi sottovalutarmi? Ti ridurrò in sottili fette di sashimi con la mia giusta ira, ti farò…”.
Ranma afferrò saldamente con una mano la “lama” del bokken puntata contro il suo petto sfoggiando un sorriso da ‘cos’è che vorresti fare?’ e mentre il senpai tentava senza successo di tirarla via, Ranma iniziò a sollevare il babbeo da terra poco per volta senza scalfire il proprio sorriso.
“Lo so che tanto non ti entrerà in quella zucca piena di spifferi, ma ci provo lo stesso: Akane adesso è mia. Se ti avvicini ancora a lei, farò allo spiedo Verdolino e poi dovrai spiegare a quella pazzoide di tua sorella perché ho infilzato la sua lucertola e l’ho messa a rosolare sul teppan di Ucchan. Tutto chiaro?”.
“Come osi minacciare la mia famiglia, Saotome?”, strepitò Tatewaki sgambettando. “Io ti…”.
Ranma lo lanciò alle sue spalle facendolo volare nello spazio siderale. Gli anni passati a farsi proiettare in orbita da Happosai non erano stati vani, dopotutto…
E alé, anche lui era sistemato. Ahhh, finalmente a casa, una casa che poteva dire veramente sua, anche se l’avrebbero lasciata in breve tempo. Ma non gli andava di pensarci, adesso voleva solo buttarsi a ronfare e non pensare a niente fino a domatt…
“P-chan!”.
Eccheccavolo.
Ranma chiuse gli occhi, frustrato. A quanto pareva, quella era la giornata del chiudere i conti con tutti. E va bene, evidentemente era venuta l’ora di sistemare anche il suino.
Percorse il vialetto ed entrò in casa, trovando in cucina il suddetto prosciutto che annaspava contro il petto di Akane.
Sua. Moglie.
Lei, felice, lo stringeva tanto a sé da soffocarlo, ma anziché tentare di liberarsi arrossiva, il maiale.
“Ma guarda chi si rivede…”, sorrise Ranma nel pregustare il momento scrocchiando le mani una alla volta. Ryoga formato insaccato si girò verso di lui emettendo un verso stridulo che avrebbe dovuto sembrare un ringhio e invece pareva gli stessero infilando un termometro dove non batteva il sole.
“Hai visto chi è tornato?”, chiese Akane giuliva mentre Ranma si avvicinava.
“Già, peccato che non si sia fatto vivo prima…”.
“Che vuoi dire?”, domandò lei sulla difensiva, mentre lui si fermava di fianco a loro.
“Che ieri avrebbe potuto portare le fedi al nostro matrimonio, sarebbe stato un paggetto perfetto, non credi?”, dichiarò Ranma rigirandosi la fede all’anulare davanti al muso del prosciutto.
Prosciutto che si pietrificò alla velocità di un asteroide che cade.
“È vero, hai ragione!”, esclamò Akane scostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mostrando così, involontariamente, il proprio anello nuziale.
Il suino si spaccò in più punti e si frantumò, riducendosi a un mucchietto di detriti sul pavimento.
“Oh, cielo! Che ti succede, P-chan?”, si chinò Akane affranta.
“Non è ovvio? È il dispiacere di non esserti stato accanto nel tuo giorno più bello, prendi un po’ d’acqua… fredda, mi raccomando”.
Akane si alzò per correre a riempire un bicchiere, mentre Ranma sollevava un Ryoga esanime per la collottola, la lingua penzoloni di fuori e due crocette al posto degli occhi.
Sssssìììì, che goduria!
“A che ti serve?”, chiese Akane porgendogli il bicchiere d’acqua.
Ranma lo afferrò per infradiciare Ryoga, che si svegliò di soprassalto più imbufalito di un caimano con le emorroidi. Cercò in ogni modo di divincolarsi e di mordergli un dito al tempo stesso, ma ottenne solo di strozzarsi con la sua stessa bandana.
“Ridammelo, non vedi che non vuole essere tenuto da te?”.
Ranma lo lanciò ad Akane, sapendo che Ryoga sarebbe corso via, piuttosto che rimanere un minuto di più in quella casa.
“No, P-chan, aspetta, torna qui! Ma che gli è preso?”.
“Tranquilla, non è andato lontano… ma ho idea che d’ora in poi non dormirà più con te”.
“Perché? Che vuoi dire? Che gli hai fatto?”, gli chiese lei iraconda mentre Ranma si allontanava.
“Nulla”, rispose compiaciuto senza voltarsi. “Ancora…”, aggiunse fra sé.
Tanto sapeva dove si era cacciato.
Aprì la porta dell’antibagno, la richiuse e aprì quella che dava sul bagno vero e proprio, nella cui vasca un prosciuttino nero stava cercando di girare la manopola dell’acqua calda coi denti. Ranma afferrò il manico del soffione, girò la manopola e restituì al maiale la sua forma umana.
“Ranma, maledetto, t’ammazzo!”, urlò lanciandosi contro di lui.
Il quale, per tutta risposta, bloccò il pugno di Ryoga e lo ricacciò nella vasca.
“Akane ti sta cercando, P-chan, devo spalancare la porta?”.
“Non ti azzardare!”.
“Allora zitto e ascolta. I nostri genitori ci hanno imposto il matrimonio in fretta e furia, non potevamo rifiutarci, siamo ancora minorenni. Nabiki ha organizzato tutto in segreto, ci hanno caricato su un treno senza dirci la destinazione, ci hanno vestito e un sacerdote ha celebrato le nozze. Siamo tornati a casa solo poco fa. Questa è la realtà e tu devi accettarla: d’ora in avanti sarò io a dormire con Akane”.
Il cervello minorato di Ryoga stava cercando di dare un senso alle sue parole, lo capì dallo sguardo da ebete che stava sfoggiando. Come capì il momento esatto in cui il messaggio arrivò finalmente forte e chiaro a destinazione: dal tic nervoso a un occhio, preludio a un probabile infarto imminente.
“Quindi tu e Akane avete…”.
“Sì, Akane e io abbiamo…”, mentì lui spudoratamente. Non poteva fare altro, del resto, ma era anche vero che togliere di mezzo Ryoga era ciò che aveva sempre voluto: già era stata dura, in quei due anni, accettare che il maiale ogni tanto dormisse con Akane. Adesso non l’avrebbe tollerato, nemmeno se Ryoga fosse caduto nella sorgente nel microbo affogato.
“Allora non mi resta che…”.
“Esatto, non ti resta che sparire. Puoi tornare quando vuoi, naturalmente, saremmo felici di accoglierti in casa nostra, ma scordati di continuare a essere il suo animaletto domestico”. E qui si avvicinò assottigliando lo sguardo per sfoggiare un sorrisetto sadico. “Perché se cercherai ancora le braccia di Akane, stavolta farò in modo che Shampoo ti faccia diventare sul serio il piatto forte del suo ristorante”.
Ryoga deglutì rumorosamente al ricordo di come fosse finito in padella al Nekohanten rischiando la cotenna.
“E-e va bene, mi arrendo…”, disse con voce vibrante di pathos e lacrime. “Me ne andrò per sempre, Ranma, mi terrò lontano da Akane miglia e miglia, non cercherò più il conforto delle sue carezze, vagherò sperduto per il mondo e prima o poi, ramingo, riuscirò a dimenticare il mio unico e solo…”.
“Sì, sì, sì, come vuoi, ma prima rivestiti. Dove hai lasciato la tua roba?”.


- § -


“Non sono riuscita a trovarlo da nessuna parte”, si lamentò frustrata mentre finiva di sistemare il cibo nel frigo.
“Vedrai che prima o poi tornerà”, commentò annoiato Ranma dietro di lei. “Salta sempre fuori come una moneta falsa”.
“Speriamo”, ribatté Akane lanciandogli un’occhiata di sottecchi mentre si puliva meticolosamente le mani per prendere tempo. “Beh, io qui ho finito, quindi… andrei a dormire”.
“Sì, anch’io”, rispose lui grattandosi la nuca. “È stata una giornata lunga e sono stanco”.
Invece rimase lì impalato a osservare il soffitto. E lei a rigirarsi lo strofinaccio fra le mani.
“Bene, allora vado…”, annunciò poggiando il panno sul ripiano.
“Sì, anch’io, non vedo l’ora di buttarmi sul futon…”, rispose lui sbadigliando nell’infilarsi le mani in tasca. Eppure non si mosse.
Di colpo Akane realizzò che non solo erano soli in casa, ma che soprattutto ci sarebbero rimasti per un mese intero. E come quella sera lontana in cui lei era stata preda del raffreddore e Ranma l’aveva abbracciata ogni volta che le era scappato uno starnuto, le venne la tentazione di vestirsi da kendoka e armarsi di arco e frecce.
“Non è che invece ti ritrovo all’improvviso in camera mia in piena notte, vero?”, le uscì di bocca prima di poterselo impedire. Stupida che non era altro, così gli offriva il fianco, ma che le prendeva?
Ranma, difatti, le lanciò uno dei suoi sguardi boriosi che la ferivano e la urtavano al tempo stesso. Ma la cosa peggiore fu che suo marito non ebbe nemmeno bisogno di proferire parola: bastò il suo ghigno derisorio a farle realizzare quanto suonasse ridicola un’affermazione del genere ora che un paio di fedi dimostravano che, in realtà, avrebbe avuto tutto il diritto di entrare nella sua stanza. E quando Ranma si degnò di aprir bocca, fu come se le avesse letto nel pensiero.
“Anche se abbiamo un anello al dito, resti sempre un maschiaccio privo di sex appeal, quindi sogna, Akane, sogna… buonanotte!”, disse dandole la schiena per uscire dalla cucina.
“E tu un idiota senza speranza!”, gli urlò dietro per correre via, superarlo, salire le scale verso la propria stanza e buttarsi sul letto per prendere a pugni il cuscino tra le lacrime.

(Questo è il nostro modo di andare d’accordo, pensavamo che ormai fosse chiaro!)

Stupido baka!
No, stupida lei, che ci aveva anche creduto! Ma quale andare d’accordo?! Sul serio si era illusa che dopotutto loro avessero comunque un’intesa, sebbene fuori dai canoni? Sì, non era altro che una stupida!
“Muori, ragazza violenta!”.
Akane riuscì per un soffio a evitare il bombori gettandosi sul pavimento e alzandosi in piedi subito dopo in posizione di difesa, le mani protese in avanti, mentre Shampoo, ritta sul suo letto, estraeva la sua arma dal materasso che aveva sfondato. Ma da dove era piovuta? Dal soffitto come Kodachi anni prima?
“Ma sei impazzita?”.
“Non penserai che mi sia bevuta la farsa di stamattina? Ranma non avrebbe mai sposato di sua volontà una come te, lo avete costretto, ammettilo! Ma io lo libererò da questa unione fasulla e me lo riprenderò!”, la minacciò puntandole contro l’altro bombori.
“Non ti conviene sfidarmi, Shampoo, non sono più quella di una volta. Fai ancora in tempo ad andartene sulle tue gambe. Ranma è mio marito, fattene una ragione e cresci, perché non lo lascerò mai a nessuna”.
“Ranma deve sposare me!”, gridò lei saltando giù dal letto. “Non posso tornare in Cina senza di lui al mio fianco, quindi o rinunci al mio futuro marito o stanotte morirai!”.
Akane chiuse le dita a pugno così forte da farle scrocchiare.
“E va bene, gatta morta, adesso basta, mi hai davvero stancato”.
Shampoo le si lanciò contro cercando di colpirla con entrambi i bombori, ma Akane riuscì a pararli con gli avambracci e a respingerli e quando Shampoo tentò di colpirla una seconda volta con uno di quegli arnesi, Akane lo calciò via con un piede facendolo volare contro la finestra che andò in frantumi.
“Akane? Quanto ci vuole a prendere questo cuscino?”, chiese l’inconfondibile voce di Ranma fuori dalla porta. “E cos’è questo baccano?”, chiese poco prima di girare il pomello ed entrare, trovando la camera a soqquadro.
Ailen!”, cinguettò Shampoo mollando il bombori superstite per gettargli le braccia al collo.
Ranma, incredibilmente, la schivò all’ultimo istante e per poco la cinesina non finì contro lo stipite della porta. Se non l’avesse visto coi propri occhi non ci avrebbe creduto.
“Avanti, moglie, hai perso la scommessa, quindi dormirai tu da me, prendi quel benedetto cuscino e fila di sotto”.
Lei sbatté le ciglia senza capire, finché un lampadario non si accese nel cervello: l’ennesima recita a uso e consumo della sua – ormai ex – spasimante, che li guardava con tanto d’occhi senza credere alle sue orecchie.
“D’accordo, marito!”, sbuffò Akane fingendo irritazione e sbattendo un piede per terra per essere più credibile. “Tanto più che Shampoo ha distrutto il mio letto, quindi dormiremo comunque nella tua stanza, d’ora in poi”.
“A proposito, Shampoo: che sia l’ultima volta che attenti alla vita di mia moglie: se tu o la vecchia mummia ci provate di nuovo, rado al suolo il Nekohanten finché a forza di ricostruirlo non vi ridurrete sul lastrico”.
La cinesina guardò alternativamente lei e Ranma pensando forse di essere precipitata in un incubo a occhi aperti.
“Ma… ma allora voi due siete davvero…”, balbettò stravolta.
“Sì, noi due facciamo sul serio, cosa non ti è chiaro di quello che hai visto stamane?”, mentì lui, mentre Akane lo raggiungeva per cingergli la vita e poggiare la testa sulla sua spalla. Sperò solo che nella penombra Shampoo non si accorgesse quanto fosse avvampata.
Per sua fortuna, la cinesina scoppiò in lacrime, si coprì il volto con le mani e saltò dalla finestra. Akane si staccò immediatamente da Ranma, dubitando che le sue parole avessero avuto davvero effetto e che la ragazza dai capelli lavanda o la bisnonna pluricentenaria si sarebbero arrese. E ciò significava che lei non avrebbe mai dovuto abbassare la guardia.
“Che razza di situazione…”, commentò fissando meditabonda i vetri sparsi sulla scrivania. “Comunque non era necessario che intervenissi, me la sarei cavata da sola”, disse rivolta a Ranma senza voltarsi a guardarlo.
“Sì, come no…”, la canzonò lui. “Dai, muoviti”.
“Muoviti?”, chiese volgendosi finalmente verso di lui.
“Certo, dormi da me, non stavo bluffando, prima”.
“Non dire assurdità, posso dormire in camera di Kasumi, o di Nabiki”.
“E rischiare che ci scoprano? Non hai ancora capito che nonostante la nostra recita qualcuno ha dei sospetti?”.
“Temi che Shampoo possa tornare?”.
“Forse lei no, ma Obaba sì, oppure Kodachi… abbiamo degli spasimanti piuttosto accaniti”.
“Parla per te, io non ho pretendenti pazzoidi”.
“E Tatewaki dove lo metti? Chissà per quante ore è rimasto appostato davanti al cancello di casa in attesa che tornassimo per sfidarmi, non oso immaginare cosa partorirà la testa di quella sciroccata di sua sorella per vendicarsi di te…”.
Akane sbuffò.
“Accidenti… E va bene, ma tieni le zampe a posto”, gli intimò mentre scendeva le scale.
“Tienile tu, piuttosto!”, ribatté lui alle sue spalle.
“Che vorresti dire?!”.
“Che durante la notte diventi un boa stritolatore”.
“Io?! Tu vaneggi!”, obiettò lei entrando nella stanza di Ranma e prendendo il materasso del signor Genma dall’armadio per srotolarlo sul tatami accanto a quello del suo fidanz… suo marito.
“Così tanto che stamattina stavo soffocando tra le tue spire!”.
“Ma davvero? E perché non mi hai svegliata subito, invece di aspettare che quelle tre invasate irrompessero nella nostra stanza?!”, lo accusò sbattendo il cuscino sul futon.
“C’ho provato, ma avevo gli arti intorpiditi e tu sembravi in coma! Manco le cozze sono così abbarbicate agli scogli!”.
Lei poggiò le mani sui fianchi in segno di sfida.
“O magari in realtà ti piacevano le mie spire avvinghiate ai tuoi arti, non è così?”, azzardò puntandosi un dito contro. “Dì la verità!”.
“Sicuro, come no! È una meraviglia sentirsi come un agnello che sta per essere ingoiato intero dalle fauci di una serpe coi fianchi di un tricheco!”.
“Come osi! Non sono grassa, io, razza di baka!”, urlò afferrando di nuovo il cuscino per lanciarglielo, pur sapendo che l’avrebbe schivato.
“No, infatti, tu sei tubolare!”, ribatté lui mimando la forma di un tronco.
“E tu hai il cervello di una gallina! Non vedo l’ora di chiedere il divorzio!”. E lì s’illuminò. “Anzi, perché aspettare? Lo chiederò domani stesso!”.
Ranma sgranò gli occhi, di colpo sbiancato.
“Cosa? Ma che stai dicendo?”.
Era un’impressione o il tono sembrava allarmato?
“Hai capito benissimo, non intendo portare avanti questa farsa, non ti sopporto più, questo… matrimonio deve finire, adesso!”, urlò Akane puntando stavolta il dito verso il pavimento. “Vattene pure al diavolo con Shampoo o Ukyo o persino con quella matta da legare di Kodachi, spero che ti strozzi con i suoi nastri!”.
Erano lacrime quelle che pungevano gli angoli degli occhi? No, no, no, non ora, doveva resistere!
A Ranma, invece, caddero le braccia lungo i fianchi, mentre la osservava… incapace di credere a quanto aveva udito? Sembrava addirittura nel panico, da come respirava.
“Non parli sul serio…”.
“Altroché! Sono stufa, sono arrivata al limite, basta! Non avremmo mai dovuto acconsentire a questa buffonata, era ovvio che non avrebbe funzionato, non ci sopportiamo, altro che resistere fino alla maggiore età! È passato solo un giorno e già sono pentita!”.
Ranma continuava a guardarla sbigottito e a lei dava sempre di più l’impressione di un ragazzino spaesato.
“Ma… ma… Io credevo che questo fosse il nostro modo di andare d’accordo…”.
“Ah, certo, lo hai detto anche a Kasumi e Tofu, ma ti sei sbagliato di grosso, se hai pensato davvero una fesseria del genere, ma soprattutto se pensi che io ti permetta di insultarmi in questo modo anche solo un giorno di più! Quindi voglio il divorzio!”.
Aveva il fiato grosso come nemmeno dopo una corsa, mentre Ranma sembrava aver perso il suo. Finché non lo vide stringere una a una le dita a pugno.
“No”.
Un semplice monosillabo che fece piombare il silenzio nella stanza. Fu lei a osservarlo, ora, con tanto d’occhi.
“Cosa hai detto?”.
Ranma deglutì come se un sasso gli ostruisse la gola ma proprio non riuscisse a mandarlo giù.
“Ho… ho detto di… di no”.
La sua voce tremolava o aveva allucinazioni uditive?
“E per quale motivo dovresti essere contrario? Oh, ma certo, perché altrimenti tu e tuo padre vi ritrovereste in mezzo a una strada!”.
“Non è per questo!”, tuonò lui.
“E allora cosa?”.
Se le diceva un’altra volta che era carina come quando aveva cercato di avere la meglio sulla tutina della forza, poteva considerarsi morto.
Ma Ranma chinò il capo e si richiuse a riccio nel suo mutismo. Tipico.
“Bene, se non rispondi, la prima cosa che farò domattina appena alzata sarà…”.
“Io voglio che funzioni!”.
Akane aggrottò la fronte, mentre lui preferiva guardare la parete di fianco e respirare come se gli mancasse il fiato.
“Che cosa dovrebbe funzionare?”, chiese con un sopracciglio inarcato.
Il cretino aveva anche iniziato a sudare copiosamente.
“Il… il… il…”.
“Il?”.
Una vena si gonfiò sulla fronte.
“Il n-nostro m… mmmm… mmmmmmm…”.
Stava cominciando a sudare pure lei.
Materasso? Maglione? Maniscalco? Maiotiprendoacalcisenonparli?! E dillo!
“…matrimonio!”.
Kamisama che parto! Se si trattava di insultarla però non aveva freni, eh? Bene, qui bisognava battere l’acciaio finché era caldo. Akane incrociò le braccia al petto e prese un bel respiro.
“E perché mai? Non sono un maschiaccio privo di sex appeal, incapace perfino di far bollire dell’acqua? Che ci fai con una come me?”.
Ranma strinse i denti e una vena sul collo cominciò a pulsare così forte che temette di vederla esplodere.
“P-perché tu m…. mmmmm… mmmmmmmmmmmmmmmmm…”.
Non è che il suo cervello rischiava di incepparsi? Intanto che lui cercava di articolare qualcosa di sensato lei si guardò dapprima le unghie, poi si ricordò che gli aveva scaraventato contro il proprio cuscino e andò a riprenderselo.
“…mmmmmmmmiiiiiiiiiiiii…”.
Ranma era quasi chino su se stesso per lo forzo che gli stava costando un embolo, ne era sicura: il volto più rosso di una rapa, mancava poco che gli occhi schizzassero fuori dalle orbite.
Vabbè, tanto valeva sdraiarsi sul futon, che qui la cosa andava per le lunghe.
“…iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii…”.
Akane si rimboccò la coperta, tentata di mettersi i tappi nelle orecchie, mentre tamburellava le dita di una mano sul dorso dell’altra in attesa che lui deflagrasse. In realtà, era lei ormai a essere al limite: se non lo fermava, gli sarebbe uscita un’ernia.
“E basta!”, esplose esausta.
“Piaci!”, sbottò Ranma accasciandosi sfinito sul proprio materasso, neanche avesse combattuto per cinque ore di fila. Akane si alzò a sedere mentre Ranma, carponi, tentava di riprendere fiato. Non poteva credere ai propri occhi: erano davvero goccioline di sudore quelle che gli cadevano dalla fronte e dai capelli imbrattando il futon. E loro avrebbero dovuto consumare?! Era una parola! Un’altra domanda scomoda e sarebbe andato in coma, figurarsi fare ben altro! Eppure non poteva demordere.
“Già una volta hai tentato di farmelo credere, perché adesso dovrei darti ascolto?”.
E con questa poteva pure andarsene a dormire, perché tanto gli avrebbe risposto l’indomani.
“P… p… perché…”.
Appunto.
Akane si coricò di nuovo e gli diede le spalle con un buonanotte ricco di foschi presagi.
“Perché è vero!”.
Lei spalancò gli occhi, allibita.
“È sempre stato vero! Io…”.
E si voltò a guardarlo. Possibile? Lei gli piaceva? Stava sognando?
“…non ti ho mai mentito…”.
In effetti, considerò, quando Ranma fingeva era disinvolto fino a superare in ridicolaggine perfino Tatewaki, mentre dire la verità gli costava sempre uno sforzo sovrumano. Peccato che gli insulti che lui le aveva elargito in due anni e mezzo avessero offuscato ciò che aveva davanti agli occhi e ciò che arrivava alle proprie orecchie. Difatti, faticava ancora a crederci.
“Bene, allora… perché, ecco…”. Adesso s’inceppava lei? “Anche a me piacerebbe che… che tra noi…”, annaspò torcendosi le dita mentre fissava con ostinazione la parete di fronte a sé.
“Su… su… su…”.
“Sì, sul serio!”.
Oh kami, aveva confessato! E se l’avesse presa in giro? Che razza di stupida!, si disse coprendosi la faccia con tutt’e due le mani.
Invece Ranma si limitò a sedersi sul materasso. Incredibile ma vero, il suo fidanz… marito rimase in silenzio: niente battute ironiche, niente frecciatine. Forse stava arrossendo come lei.
“Quindi… ehm… che facciamo?”, azzardò a chiederle con un filo di voce. Lo udì perfino deglutire.
“Direi di… dormirci su e domani… Domani ricominciamo da capo”, suggerì lei senza osare guardarlo.
“Mi... mi pare un’ottima idea…”.
Silenzio di tomba.
Era un grillo quello che sentiva fuori dalla finestra?
“Bene, ehm… ci-ci-ci mettiamo a dormire?”, le chiese esitante.
“Sì!”, rispose buttandosi lesta sul futon e dandogli di nuovo la schiena. Dietro di sé udì Ranma fare altrettanto dopo aver spento la luce.


Ok, calma, respira.
Continuava a ripeterselo come una nenia, ma senza risultato: gli occhi restavano sbarrati nel buio pesto.
Cos’era accaduto? Cosa accidenti aveva appena fatto? Era impazzito? Doveva riordinare le idee se non voleva dare di matto, ma tutto ciò che ricordava con chiarezza era quel ‘no’ scaturito dalla gola, il resto era avvolto dalla nebbia. Solo su una cosa non aveva dubbi: Akane era riuscita a metterlo spalle al muro. E lui era andato nel panico. E che accadeva quando andava nel panico? Faceva cose idiote come confessare alla donna che amava ciò che veramente provava per lei. E poi scordarsene. O meglio, scordarsi i particolari fino ad affievolire il ricordo quel tanto da convincersi di esserselo sognato o che non fosse mai accaduto. E poterlo così negare fino alla morte. Solo che stavolta c’era in ballo il suo matrimonio e la tecnica della negazione dell’evidenza a tutti i costi non era un’opzione valida. Non poteva nemmeno rimangiarsi quanto affermato, visto che aveva rischiato di farsi venire un ictus per tirarlo fuori, per cui, in sostanza, era fregato. No, si era fregato, con le sue stesse mani. Ma come poteva immaginare che la situazione sarebbe precipitata a tal punto? Non si aspettava che lei lo mettesse alle strette a quel modo, ma la colpa era sua: aveva sfidato se stesso a non insultare più Akane, a essere più gentile con lei, ad ascoltarla…
E aveva perso.
Anzi, aveva persino rincarato la dose.
Canzonarla era più forte di lui, gli usciva spontaneo come respirare e a nulla erano valsi i ripetuti tentativi di mordersi la lingua o contare fino a dieci. La verità era che detestava le smancerie e amava le schermaglie con lei: Akane gli teneva testa, ribatteva colpo su colpo alle sue battutacce, lo scherniva a sua volta. Akane era una sfida continua che lo esaltava al pari di un combattimento. Almeno finché lui non oltrepassava quel limite oltre il quale iniziavano le lacrime, incredule o di frustrazione. Solo allora si rendeva conto di aver compiuto il passo più lungo della gamba, ma era troppo tardi, perché ogni volta – vuoi per gli insulti coloriti, vuoi per il tono che vi imprimeva, vuoi per la veemenza con cui la derideva – lei finiva per credere alle scemenze che lui partoriva offendendosi a morte. E lui, imbecille, prima si scusava e poi ci ricascava. Poteva essere più idiota? E aveva persino sfidato se stesso a non ricaderci più! Il che la diceva lunga su quanto imbecille fosse. Era proprio vero che la sfida più grande per un artista marziale era contro il proprio ego e lui avrebbe sempre immancabilmente fallito, perché non riusciva nemmeno a controllare la propria bocca. Ma cosa c’era di diverso, in quello che era accaduto la sera prima, rispetto ad altre litigate avute con lei? In due anni di “fidanzamento” lei non era mai esplosa in quel mo…
Ranma spalancò gli occhi.
Non era idiota, era proprio un demente. Akane non era più la sua “fidanzata”, adesso era sua mmmm… mmmoglie e anche se lo era solo sulla carta, esigeva comunque rispetto. Aveva avuto ragione a infuriarsi: se non riusciva a rispettarla nemmeno adesso, tanto valeva divorziare.
Sì, ok, ma ora torniamo al problema principale? Come rimediare al disastro appena avvenuto? Era furioso con se stesso perché non era così che avrebbe voluto dichiararsi ad Akane, senza contare – soprattutto – che era troppo presto! Lui voleva che sua mmm… mmmmm… mmmmmmoglie credesse alle sue parole, non che fosse rosa dai dubbi, per questo aveva intenzione di conquistarla poco per volta sforzandosi di trattarla bene, magari facendole qualche gentilezza di tanto in tanto proprio per dimostrarle che non la prendeva in giro! Invece aveva mandato tutto alla malora per colpa della sua linguaccia che l’aveva esasperata e ora temeva che Akane avrebbe sempre dubitato delle sue intenzioni. Possibile che per salvare capra e cavoli non aveva trovato niente di meglio che confessare come un criminale messo sotto torchio? Era incredibile cosa lei riuscisse a spingerlo a fare, pur di non perderla…
Imbecille, imbecille, imbecille!
Eppure, aveva capito male o Akane aveva a sua volta confessato che non le sarebbe dispiaciuto che quel matrimonio funzionasse?

(Anche a me piacerebbe che… che tra noi…)

Sì, il succo era quello – doveva esserlo – ma la felicità per quella scoperta che in teoria avrebbe reso tutto più facile era offuscata da un problema: come?
Sbadiglio.
Come far funzionare un rapporto in cui marito e moglie aprivano bocca solo per insultarsi? Akane era al limite e lui rischiava seriamente il linciaggio per un nonnulla.
Sbadiglio che a momenti gli slogava la mascella.
No, non bastava sfidare se stesso a non insultarla, ormai era chiaro: doveva assolutamente trovare il modo per andare d’accordo con lei, quindi doveva spremersi le meningi fino a farle sanguinare, doveva a tutti i costi…
Ronf.



Ok, calma, respira.

(P-perché tu mi piaci!)

Calma, come no, era una parola quando quella specie di dichiarazione da parte di suo mar… Ranma le rimbombava in ogni angolo del cervello come un’eco che invece di smorzarsi si amplificava.
Calma, certo, erano solo due anni e mezzo che aspettava un’esternazione del genere, ora come faceva a rimanere calma e lucida e a ragionare? Ma soprattutto, come faceva a crederci?

(È sempre stato vero! Io… non ti ho mai mentito…)

Il cuore voleva fare le capriole per la felicità, ma la mente martoriata dagli insulti continui cui lui l’aveva sottoposta aveva francamente dei dubbi. Dei grossi dubbi.
Era pur vero che quando Ranma mentiva gli compariva in fronte una scritta lampeggiante a caratteri cubitali, difatti era un pessimo baro a carte. Eppure, se davvero lei gli piaceva, significava che in quei due anni e mezzo di convivenza lui aveva sempre mentito spudoratamente. E così bene che lei c’era cascata, credendo come un baccalà a ogni sorta di offesa. Dunque, se fosse stato vero, significava che Ranma aveva preferito farla soffrire piuttosto che ammettere la verità. Bugiardo, falso e pure farabutto.
Quindi era normale, anzi, legittimo che adesso lei avesse dei dubbi. A pensarci bene… e se avesse piuttosto travisato i suoi atteggiamenti? Magari in realtà Ranma era sciolto quando diceva la verità e rischiava di farsi uscire un’ernia per lo sforzo quando doveva mentire. Sì, era probabile: non era possibile altrimenti che gli costasse una fatica immane anche solo dirle che era carina. Del resto, chi ci rimetteva tra loro due se lei avesse chiesto il divorzio? Solo lui. Se non lo avesse minacciato, Ranma non avrebbe mai ammesso che lei gli piaceva, ne era certa. Quindi, stava mentendo.
Oppure no?
Sbadiglio.
Maledizione, non ci stava capendo niente! Sapeva solo che avrebbe voluto credergli con tutta l’anima, lo voleva davvero, gli aveva persino proposto di ricominciare daccapo, l’indomani, ma Ranma aveva capito cosa intendesse? Come se fosse la prima volta che loro due s’incontravano…
Altro sbadiglio fin quasi alle lacrime.
No, che sciocchezza, non si sarebbe mai prestato, ne era certa. E ormai ci voleva un miracolo per andare d’accordo con lui. Che poi, prima ancora, doveva capire se fosse sincero o meno con lei, ma come? Cosa poteva inventarsi per sondare le sue vere intenzioni? Cosa mai avrebbe potut…?
Ronf.







*Nella new edition italiana del manga. Tra l'altro nella vecchia edizione Neverland, relativamente all'episodio della tutina della forza, Ranma dice ad Akane che lei gli piace. In realtà il traduttore si è inventato quella frase, perché nella nuova edizione italiana riveduta e corretta, Ranma dice ad Akane che lei è carina (e per lui è già tantissimo, figurarsi dirle chiaro e tondo che le piace! E infatti gli ho fatto fare uno sforzo ancora più titanico! XDD).

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Capitolo 5
*** Luna di Miele - II parte ***


Nel ringraziare come sempre la beta Moira78 per aver editato questo capitolo, vi auguro buona lettura (spero)!





V

LUNA DI MIELE

II parte





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Ranma si chiese da quanto tempo fosse immobile in quella posizione.
Non che facesse molta differenza, ormai, tanto non aveva chiuso occhio dal momento in cui era stato raggiunto da un cazzotto in piena faccia, a parte qualche sprazzo di dormiveglia che aveva abbandonato al minimo fruscio, quindi peggio di così non credeva potesse andare.
In realtà non era neanche tanto male, doveva solo evitare di muoversi: un’Akane col sonno agitato era normale, un’Akane più violenta del solito invece doveva essere una conseguenza della discussione della sera prima, visto che avevano condiviso il letto della suite ad Hakone senza problemi.
Se avesse potuto, avrebbe scosso almeno la testa, ma persino il collo ormai era bloccato. E comunque, sempre meglio di quella volta che aveva dormito in camera di Akane – sul pavimento, figurarsi – ed era stato così stupido da avvicinarsi a lei: la piovra umana l’aveva abbracciato di slancio quasi soffocandolo in mezzo al suo seno. Se l’avesse fatto anche stavolta, sarebbe morto. Già faceva fatica a tenere a freno quel deficiente là sotto, che si agitava come la coda scodinzolante di un cagnetto festoso.
Ranma sospirò. L’idea che ogni cavolo di notte Akane potesse scambiarlo per un orsacchiotto di pezza e abbarbicarsi a lui come un koala strizzandolo fino a fargli uscire sangue dal naso non lo allettava per niente. Ma vederla dormire beata nel farlo non aveva prezzo, considerò con un sorriso. Però anche lui avrebbe voluto farsi una dormita senza correre pericolo di vita, qui urgeva un discorsetto a sua mmmmm… mmmmmmmmmoglie.
Il sorriso si trasformò in un ghigno.
Perché non subito, visto che la sera prima Akane aveva negato a morte?
Ranma prese un bel respiro, pronto a urlarle un buongiorno che l’avrebbe resa sorda, ma poi si ricordò della forza da oni di Akane: stretto nella sua morsa da anaconda, sarebbe stata capace di spezzargli la schiena in due. Non gli restava che aspettare che lei si svegliasse da sola, oppure…

(Domani ricominciamo da capo)

La circolazione al braccio destro era debole, ma un lieve formicolio gli diceva che non era del tutto intorpidito. Tentò di piegare il gomito e muovere almeno l’indice per fare un leggero solletico ad Akane, che reagì con un mugugno e, grazie ai kami, allentò la presa, seppure di poco. Ma tanto bastò a Ranma per sgusciare fuori da quella trappola con la dovuta cautela, rimettersi in piedi facendo circolare di nuovo il sangue e andare finalmente in bagno: la vescica stava per scoppiargli.



Akane si svegliò al profumo del salmone cotto alla griglia.
Salmone cotto alla griglia?
Spalancò gli occhi e si guardò attorno, riconoscendo la stanza di Ranma e ricordando i particolari della sera prima. Ma lui dov’era? Si alzò a sedere sul futon e si rese conto che il futon non era il suo. Aveva dormito in quello di Ranma? Con… Ranma?! Allora era vero che lo stritolava nel sonno? Avvampò senza poterselo impedire, mani a coprire la faccia non solo perché avrebbe voluto sprofondare per la vergogna, ma perché – peggio ancora – avrebbe dovuto ammettere che lui avesse ragione.
Il profumino invitante fece gemere il suo stomaco, che la supplicò ancora di correre in cucina e divorare quel che aveva preparato Kasumi.
Akane aggrottò la fronte.
Kasumi ormai viveva per conto suo, sciocca che non era altro! Eppure doveva per forza essere lei, evidentemente era passata a portare loro la colazione: non avrebbe mai smesso di preoccuparsi per la sua famiglia, fintanto che lei non avesse imparato a cucinare. Sospirò. Come faceva a confessare a suo padre e alle sue sorelle che non stava facendo passi avanti? Tutto ciò che aveva ottenuto fino a quel momento erano stati solo gli insulti coloriti dello chef.
Si alzò di malavoglia, pronta a incassare le prese in giro di Ranma, quando facendo capolino vide lui in persona ai fornelli, un canovaccio adagiato su una spalla, una mano impegnata a tenere una padella, il bollitore del riso acceso. Sarebbe rimasta lì impalata sulla soglia a guardarlo per ore. Lui e la concentrazione sul suo profilo, la sicurezza con cui maneggiava gli ingredienti neanche fosse un professionista, la treccia che ondeggiava contro la canottiera.
Per ore? Per tutta la vita…
“Hai fame?”.
Akane trasalì, ma si fece coraggio ed entrò in cucina per osservare le ciotole ricolme sul tavolo dietro di lui: una zuppa di miso fumante, un piattino con del daikon tagliato a fette sottili disposte a ventaglio, una ciotolina con della salsa di soia sul fondo e un uovo a parte.
“Confesso di sì”, ammise mogia, rendendosi conto di quanto Ranma fosse irraggiungibile in tutto. E, subito dopo, che lui stava cucinando solo per se stesso.
“Bene”, disse mettendo su un piatto un trancio di salmone, mentre il cuociriso a vapore emetteva dei bip per segnalare che la cottura era terminata. Ranma lo aprì e si riempì una scodella, dopodiché ruppe l’uovo e lo mescolò alla salsa di soia con le bacchette, per poi versare il composto sul riso. Solo allora mise tutte le ciotole su un vassoio e andò in sala da pranzo.
Akane lo seguì, senza sapere se essere più perplessa o furibonda, mentre il suo stomaco emetteva proteste sempre più vibranti.
“Fammi capire”, esordì sedendosi di fronte a lui. “Devo stare qui a guardarti mangiare mentre io digiuno?”.
“Ti piace quello che ho preparato?”, le chiese mentre masticava una fetta di ravanello.
“Mi sembra… delizioso”, concesse deglutendo.
“Vorresti preparare anche tu una colazione così, vero?”.
“Magari…”, riconobbe mordendosi il labbro senza staccare gli occhi dal tamago kake gohan.
“Bene, allora se vorrai mangiare dovrai imparare a cucinare. E io ti insegnerò”, annunciò sorseggiando la zuppa.
Akane alzò gli occhi sgranati su di lui, cercando di dare un senso a quel che era appena uscito da quella bocca in cui Ranma infilò un boccone di salmone: era disposto davvero a insegnare a una irrecuperabile come lei?
“Ti ricordo che io…”.
“Non hai imparato nulla, finora, in quella scuola di cucina, non negarlo. E non è difficile capire il perché: hai detto che in classe siete una ventina e quindi lo chef non può seguirti costantemente per tutta la durata della lezione. E conoscendo il tuo modo di afferrare condimenti a caso senza guardare dove metti le mani, non stupisce che fino a oggi tu non abbia fatto progressi”.
“Io non…!”.
“Sì, invece, ti ho vista!!”, la interruppe puntandole contro le bacchette con cui aveva preso un po’ riso. Anziché ascoltare Kasumi o almeno osservare come cucina, tu arraffi quello che ti capita a tiro senza nemmeno guardarlo creando così degli intrugli disgustosi. E non venirmi a dire che non è vero, perché perfino tu in passato non sei riuscita a mandare giù un solo boccone di quello che hai preparato”.
Akane aprì la bocca e la richiuse, le lacrime che iniziavano a pungere gli angoli degli occhi.
“Per questo adesso mi costringi a vederti mangiare cose che io non sono in grado nemmeno di mettere insieme? Per umiliarmi?”.
“No, scema che non sei altro!”, ribatté lui sbattendo un pugno sul tavolo. “Ieri sera hai proposto di ricominciare da capo, bene, ricominciamo da capo. Da ora in poi, anziché prenderti in giro per le schifezze innominabili che sei capace di creare, ti insegnerò personalmente a cucinare. Se non cucinerai decentemente, non mangerai, semplice. Sei disposta a provare?”.
Akane strinse i pugni che avrebbe voluto affondare in quella faccia di bronzo. Faccia che però era disposta a darle una possibilità e ad avere pazienza con lei.
“D’accordo”, scandì a denti stretti.
“Bene, ma tu... Devi. Ascoltarmi. Senza. Fiatare. Intesi?”.
I morsi della fame ormai erano tali che temette che il suo stomaco avrebbe di lì a poco iniziato a mangiare gli organi tutt’attorno.
“Ci proverò”, disse facendo stavolta scricchiolare i denti.
“Dovrai farlo, altrimenti ti lascio a digiuno”, disse Ranma finendo di spazzolare la sua colazione. “Su, alzati, torniamo in cucina, ora tocca a te”.
“C-come?”.
“Hai capito bene: ora cucinerai tu, ma sotto la mia supervisione”.
“Ma così rischiamo di far tardi a scuola…”.
“Ah, ehm, già… ecco…”, farfugliò Ranma grattandosi la nuca mentre guardava altrove. “C-che ne dici di lasciar perdere la scuola almeno per una settimana? E non solo perché saremo subissati di domande e battutine imbarazzanti appena ci mettiamo piede, ma soprattutto perché, ecco…”. Stava davvero arrossendo? “Noi, insomma, s-siamo in luna di miele…”, deglutì. “A-abbiamo bisogno di un po’ di tempo per… beh, per cercare di cominciare ad andare d’accordo e per co… co… co… co…”.
Coccodè? Cocomero? Cotoletta?
“Conoscerci meglio?”, osò lei.
“Ecco, sì, insomma, p-p-per te va bene?”.
Lei lo fissò con tanto d’occhi. Dov’era finita la sua spavalderia? La sfumatura porpora che aveva assunto il suo viso e quel suo balbettare imbarazzato le instillarono un dubbio.
“S-se però non vuoi perdere le lezioni o non vuoi rimanere sola in casa con me…”.
Adesso si era rattristato, dando evidentemente per scontato un suo rifiuto.
“Forse hai ragione, abbiamo bisogno di tempo per noi, meglio tenersi lontani dalla scuola e da certe… ‘amicizie’ per almeno una settimana”.
Ranma si volse a guardarla stupefatto, ma il lampo di felicità che gli attraversò gli occhi non le sfuggì. Il dubbio era appena diventato certezza. E la certezza la indusse a sorridergli.
“Di-dici davvero?”, chiese speranzoso.
Forse, dopotutto, si era sbagliata.
“Certo, andiamo in cucina? Sto morendo di fame e non vedo l’ora di cominciare!”.
Forse teneva davvero a lei.


- § -


Tre ore, dodici uova, una bottiglietta di soia rovesciata, mezzo salmone, un daikon intero e chicchi di riso sparsi su tutto il pavimento dopo, la colazione era pronta.
Impiattata da schifo, ma pronta.
China sul tavolo, Akane fissava Ranma in cagnesco col fiato corto e un paio di bacchette gocciolanti in mano. Ranma la fissava a sua volta chino e pronto a mordere, le mani aggrappate al ripiano e il respiro non meno affannato.
“Dici… dici che ci sono riuscita?”.
“C’è…”, deglutì lui. “C’è solo un modo per saperlo…”.
Abbassarono entrambi lo sguardo sulla poltiglia di riso, soia e uovo, sul salmone bruciacchiato, sulle fette un po’ spesse e un po’ sottili del ravanello, sulla zuppa di miso il cui brodo sembrava il condimento delle alghe e non viceversa. Non doveva pensare all’aspetto: aveva seguito le direttive di Ranma anche se lui aveva quasi perso la voce a forza di sgolarsi, quindi era impossibile che avesse fallito.
“Hai ragione, devo assaggiare, anche se mi è passata la fame, ormai…”. Akane allungò le bacchette, ma prima che potesse affondarle nel riso Ranma le bloccò il polso.
“No. Se qualcuno deve sentirsi male, quello sarò io”.
Ranma…
Akane lo scrutò stupita al pensiero che suo mar… sì, marito, accidenti, marito volesse sacrificarsi per lei, mentre le toglieva le bacchette di mano e prendeva una porzione di riso, fissandola come se l’avessero condannato a inghiottire del cianuro.
“Sei sicuro di voler…”.
Troppo tardi. Ranma aveva serrato gli occhi e si era messo il riso in bocca, mentre Akane si tappava la sua con una mano, temendo il peggio. Invece lui spalancò le ciglia e masticò. Una volta. Due. Persino Tre.
“Non è male, anzi…”, mormorò stupefatto.
Ranma stava mangiando qualcosa cucinato da lei.
“Vuoi dire… vuoi dire che ce l’ho fatta? Ce l’ho fatta davvero?”.
E lo stava pure apprezzando.
Da non credere.
“N-niente male, te la sei cavata, direi. E dato che non è tossico, lo puoi mangiare”, sentenziò lui restituendole le bacchette. “Sei stata… sì, insomma… s-sei stata b-b-b-brava”, aggiunse avvampando.
Un complimento?
Ranma le aveva fatto davvero un complimento?
Akane era al limite dell’incredulità. Forse fu per quello che si lanciò oltre il tavolino e circondò il collo di suo marito con le braccia, mescolando le lacrime ai grazie mentre lo stringeva a sé e faceva rovesciare la ciotola di riso.
Le ci volle il silenzio di tomba e quella specie di jizo di pietra che stava abbracciando per realizzare quel che aveva appena fatto: Ranma era rimasto così immobile per la sorpresa che nemmeno respirava.
“P-p-pp-ppp-preeee…”.
Oh, kami, si sta inceppando!
Akane cercò di staccarsi con cautela da lui, ma quando gli sfiorò una guancia con la propria e si ritrovò a un soffio dalle sue labbra, si bloccò.
“Io… mi… mi… mi-mi-mi…”.
Bene, si stava inceppando anche lei. D’altronde era impossibile che il cervello non le andasse in tilt davanti ai suoi occhi che la scrutavano con una strana intensità, come se non riuscisse a credere che lei fosse lì, di fronte a lui. Lui che respirava di nuovo con affanno. E guardava ora lei, ora la sua bocca.
Ma che fa, si avvicina?! Oh, kami, ma sta davvero per…
Il frastuono di qualcosa che cadeva al piano di sopra fece fare a entrambi uno zompo tale che si separarono bruscamente fissando il soffitto.
“Che può essere stato?”.
Ad Akane si mozzò il respiro.
“Che stupida!”, rise nervosa. “La finestra della mia camera è rotta, sarà entrato un piccione o una cornacchia, corro a vedere!”.
“Vuoi che ti…”.
“No!”, rispose lei correndo verso le scale senza nemmeno voltarsi.
Spalancò la porta e un piccione stava in effetti esplorando la sua scrivania cosparsa di frammenti di vetro: aveva rovesciato fogli, quaderni e il suo astuccio. Si chiuse la porta alle spalle e con cautela si avvicinò per prenderlo fra le mani e sfilargli il solito foglietto legato a una zampetta, che conteneva anche la foto di un tizio a lei noto. Lesse il messaggio e impallidì.
Oh, no…
Che un ordine del genere prima o poi sarebbe arrivato lo aveva temuto, ma ora come ora proprio non ci voleva. E tuttavia adesso non aveva tempo per pensarci, doveva appostarsi all’ingresso prima che…
“Akaneeee! C’è un corriere per te, scendi subito!”.
Appunto.
Lasciò libero il piccione e corse giù, dove trovò un Ranma incupito con le braccia incrociate al petto e un altro ragazzo che faceva capolino sulla soglia di casa con un pacco fra le mani.
“Che storia è questa?”, le chiese Ranma.
Akane iniziò a sudare freddo.
“Che… che vuoi dire?”.
“Ho detto a questo qui che poteva anche lasciare il pacco a me perché sono tuo marito, ma si è rifiutato, perché ha ricevuto ‘precisi ordini’ di consegnarlo nelle tue mani”.
“Ahhh… ehm… sì, sì, è stata una mia richiesta!”, disse precipitandosi a firmare la ricevuta di avvenuta consegna.
“E come mai? Che hai comprato?”.
“Ma nulla, un… un costume per Halloween!”, improvvisò agguantando la scatola e salutando il corriere. “Manca poco, dopotutto!”.
“E l’hai comprato per posta?”.
“Esatto”.
“E perché non c’è il mittente?”.
Ma perché non ti fai gli affari tuoi?!
“E-e io che ne so! Perché questo interrogatorio?”.
“E tu perché volevi essere certa che nessuno mettesse le mani su quel pacco?”, le chiese avvicinandosi sempre più. Akane strinse istintivamente la scatola al petto.
“Semplice, perché non voglio che nessuno sbirci all’interno: è una sorpresa!”.
Ranma inarcò un sopracciglio.
“Che razza di costume sarebbe che non vuoi…”.
“Te l’ho detto, è una sorpresa! E ora scusami, vado a provarlo, se non mi sta bene devo rimandarlo immediatamente indietro!”, disse fuggendo su per le scale per chiudersi a chiave in camera. Lo sapeva che il lavoro che svolgeva per la Fenice Bianca sarebbe diventato di colpo più complicato, con Ranma fra i piedi tutto il giorno, lo sapeva! Senza il signor Genma con cui disputarsi l’ultima prugna sotto sale, i nemici a sfidarlo e le ex fidanzate a corrergli dietro, Ranma aveva focalizzato l’attenzione su di lei, accidenti a quando gli aveva proposto di ricominciare tutto d’accapo!
Ti ha insegnato a preparare la colazione, ha voluto assaggiarla per primo e ti ha perfino fatto i complimenti! Si sta sforzando per una volta di essere gentile e adesso ti lamenti?!
No, non ne aveva motivo, infatti, era anzi al settimo cielo, ma doveva evitare di insospettirlo: ci mancava solo che si mettesse a seguirla.
Respira, Akane, ora devi concentrarti sul tuo prossimo incarico.
Scartò il pacco con mani febbrili, per poi rimanere inorridita per minuti interi a fissarne il contenuto.
Peggio di quanto avesse temuto.
Rilesse le poche righe sul foglietto arrivato col piccione, come se gli ordini potessero essere cambiati nel frattempo: fingere di lavorare come cameriera in un esclusivo club dall’altra parte di Tokyo dove si sarebbe tenuto un addio al celibato, abbordare il bersaglio e fare in modo di essere immortalati insieme da qualcuno che avrebbe scattato delle foto di nascosto. Ciò significava attirare l’attenzione del soggetto per appartarsi con lui. E il soggetto, ironia della sorte, era di nuovo Daimonji Sentaro. Evidentemente la sua famiglia aveva convinto quell’arpia della fidanzata a non annullare le nozze.
Lasciò cadere il pezzetto di carta sul letto e tirò fuori, disperata, il costume arancione e nero da fatina sexy. Per nulla al mondo Ranma doveva vederla con una roba del genere addosso.



Ranma stava riflettendo sul fatto che Akane non si fosse mai interessata a una festa come Halloween, quando pensò di approfittare dell’assenza di sua mmm… mmmmmm… della sua metà per fare una scappata a scuola, giusto il tempo di controllare il proprio armadietto mentre i suoi compagni erano ancora in classe a seguire le lezioni. Le lasciò un biglietto ricordandole di scongelare una teglia di cibo preparata da Kasumi e uscì.
Appena si accorse che il suo armadietto era stato manomesso sospirò: per una volta avrebbe preferito trovarlo vuoto. Aprì lo sportellino e ne tirò fuori la solita busta, richiuse l’armadietto e si recò al parco più vicino per poterla aprire. Sperò in un incarico semplice e veloce, ma quando lesse le poche righe vergate, si pentì amaramente di essersi spacciato con la Tigre Nera per un consumato conquistatore. Avrebbe evitato, se solo non fosse stato un requisito indispensabile per essere reclutati, quindi c’era da aspettarsi che prima o poi l’organizzazione gli chiedesse di mettere in pratica le sue fantomatiche doti da Dongiovanni. Del resto lui era affascinante da morire, a chi altri la Tigre Nera avrebbe potuto rivolgersi per conquist… no, aspetta, cosa avevano scritto esattamente? Rilesse con maggiore attenzione e sbiancò.
Sedurre?!
No, un momento, come ‘sedurre’? Che significava ‘sedurre’? Che doveva fare, esattamente? Forse la Tigre Nera voleva che convincesse la ragazza a fuggire con lui? Ma dove aveva messo il dizionario?! Si tastò la casacca e poi i pantaloni e in una tasca nascosta tirò fuori un libricino nero. Lo sfogliò e alla voce ‘seduzione’ lesse la terrificante, lapidaria definizione: “processo attraverso il quale una persona induce un’altra a intraprendere una relazione di natura sessuale”.
Il libercolo scivolò via dalle mani pietrificate.
Se… se… se… se… se… che cosa?!
Loro volevano che lui… e chi avrebbe dovuto s-s-s-s-ssssss… inguaiare, poi?!
Recuperò il foglietto prima che volasse via e se l’avvicinò al naso.
Miyakoji Satsuki? Ancora lei?! Ma non aveva mandato a monte il suo matrimonio distruggendo l’allestimento per la festa? Evidentemente la famiglia della ragazza non demordeva e tuttavia qualcuno pur di impedire che la ragazza si sposasse…
No, no, no, non se ne parlava assolutamente! Doveva escogitare un’alternativa per far sì che le nozze fossero annullate, perché a tanto lui non sarebbe mai arrivato, mai!
Anche perché conosceva sì e no la teoria…


- § -


Akane percorse il tragitto fino alla palestra col cuore che batteva direttamente nelle orecchie, ripassando mentalmente la fesseria che doveva raccontare. Non aveva mai dovuto dare troppe spiegazioni alla propria famiglia in merito ai suoi spostamenti, spesso anzi usciva di casa e basta, informando a mala pena Kasumi su dove andasse o con chi s’incontrasse. Dopo che lei e Nabiki si erano trasferite, non si prendeva neppure la briga di avvertire il padre. Adesso però era tutto diverso: non poteva sparire come se nulla fosse, non se voleva evitare di insospettire l’unico al momento a vivere con lei. La cosa peggiore era che l’unico a vivere con lei era proprio Ranma. Sperò solo che la menzogna fosse convincente.
Si fermò sulla soglia del dojo e si affacciò, restando incantata a osservarlo mentre concentrato eseguiva i kata con una scioltezza e una velocità che lei, per quanto si sforzasse, difficilmente avrebbe raggiunto. Da lì a spostare l’attenzione sui muscoli che guizzavano sotto la canotta striminzita il passo fu breve e Akane dovette distogliere lo sguardo se non voleva essere beccata da suo marito a fissarlo un’altra volta come una pera cotta. Con un sospiro si mise a osservare il soffitto con ostinazione, mordendosi il labbro, per poi riflettere sul fatto che, in fin dei conti, Ranma era riuscito a confessarle di piacergli – ancora stentava a crederci – lei invece cos’aveva fatto? Aveva solo ammesso – più o meno – che le sarebbe piaciuto che le cose fra loro funzionassero. Che il loro “matrimonio” funzionasse, anche se negli ultimi due giorni lui era parso con la testa altrove ed era andato ben tre volte a fare la spesa. Col frigo pieno. Allo stesso tempo sembrava avere i nervi a fior di pelle. Doveva ammettere che, dopo quella specie di dichiarazione, Ranma dava l’impressione di volerla tenere a distanza. Si era forse già pentito? Eppure lei stava facendo ogni giorno piccoli progressi in cucina e cercavano di non azzannarsi più del necessario, anche se lui scattava per un nonnulla senza motivo. Non che lei fosse da meno, doveva ammetterlo: era così nervosa all’idea di dover affrontare quella nuova missione, che più di una volta lo aveva trattato in malo modo. Le vecchie abitudini poi erano così radicate, in loro, che ormai era chiaro che non bastava una mezza confessione o una frase gentile ogni tanto per far decollare un rapporto fatto per lo più di silenzi imbarazzanti e fughe precipitose, quando non si trattava di cucinare insieme. Forse era venuto il suo turno di fare un passo avanti.
“Volevi chiedermi qualcosa?”, la sorprese la voce di Ranma facendola trasalire.
Akane abbassò lo sguardo proprio mentre quel maledetto di suo marito – sudato fino a grondare – si sfilava la canotta davanti a lei al massimo del rallenty* possibile. Persino le pareti della palestra iniziarono a trasudare ormoni. Akane risucchiò tutta l’aria che i suoi polmoni riuscirono a contenere prima di diventare paonazza. Troppo tardi serrò le ciglia: sulla retina sarebbe rimasta per sempre impressa la faccia da schiaffi di Ranma che si detergeva i pettorali con un asciugamano mentre la scrutava con un ghigno sornione. Stramaledetto. A qualunque gioco stesse giocando, lei non ci sarebbe cascata. Nossignore.
Si impose di ricordarsi il motivo per cui era lì e immediatamente le passò la voglia di arrossire.
“Nulla”, rispose spalancando gli occhi nei suoi e sfoggiando un sorriso forzatamente ampio.
Non abbassare lo sguardo, non abbassare lo sguardo! “Volevo solo informarti che vado da Yuka a farmi prestare gli appunti delle lezioni che abbiamo saltato e a fare i compiti con lei, così evitiamo di restare indietro, non credo quindi che tornerò per cena, per cui scongela pure uno dei contenitori di Kasumi”, disse senza mai riprendere fiato.
“Ah”, commentò Ranma di colpo rabbuiato smettendo di asciugarsi e scrutandola da capo a piedi. “E quel pacco sottobraccio? Non è quello portato dal corriere?”.
Accidenti, che idiota sono!
Se avesse potuto, Akane si sarebbe data una manata in fronte.
“Sì! Infatti! Ne approfitto per mostrare a Yuka il costume che ho preso per Halloween, mi serve un consiglio”.
Ranma buttò l’asciugamano in un angolo, la fronte sempre increspata.
“Va bene, ma non fare tardi, non è prudente girare di notte”.
Per poco non le cascò la mascella per terra.
Questa è bella, non si era mai preoccupato prima!
“Sei in pensiero per me?”, gli chiese a bruciapelo sfoggiando lei, ora, un sorrisetto subdolo.
“Ma neanche per idea! Perché dovrei preoccuparmi per un… un…”. Ranma chiuse gli occhi e strinse i pugni, prendendo due bei respiri profondi. “P-p-perché non dovrei? S-s-sei mia moglie o no?”.
“Solo per questo? Perché adesso, in teoria, sarei tua moglie?”.
“N-no e lo sai! I-i-io t-t-t-t-t-t-tengo a te…”.
Non era crollato per terra col fiatone, incredibile, stava facendo progressi anche lui.
“Akane, ma tu… ecco… io… io ti… ti… ti…”.
Tintarella? Tintura? Tiroide?
Ranma distolse imbarazzato lo sguardo e Akane capì di colpo cosa stava per chiederle. Solo che lei non sapeva se fosse pronta a rispondere. Non era facile confessare, di punto in bianco, ciò che aveva sempre rigettato come inammissibile e finì con l’abbassare gli occhi sui propri piedi, avvampando come un falò. Iniziava a comprendere perché a Ranma costasse tanta fatica pronunciare poche, semplici sillabe.
“…ti…ti…ti…ti…ti…”.
“Sì, anch’io tengo a te!”, sbottò per poi tapparsi la bocca subito dopo, mentre Ranma la guardava con tanto d’occhi, più incredulo di lei.
“Devo andare, adesso, ci vediamo più tardi!”, si affrettò a dire scappando via, affatto sicura, ora, di voler tornare a casa per affrontare i suoi sentimenti. Peccato che nel farlo quasi inciampò nei suoi stessi piedi e si prese una bella storta alla caviglia.
E due.



Per due giorni aveva seguito ogni mossa di quella Satsuki, piazzando microfoni ovunque, dentro e fuori casa Miyakoji. Forse era ancora presto per ‘colpire’, ma doveva approfittare dell’assenza di Akane, chissà altrimenti quando si sarebbe presentata un’altra occasione per agire indisturbato. Da quando non c’era suo padre a coprirgli le spalle e le sue ‘fidanzate’ avevano smesso, per ora, di ronzargli intorno, doveva fare ancora più attenzione a ciò che faceva o diceva per non insospettire la sua… metà, ma temeva che l’essersi arrovellato giorno e notte su come ‘inguaiare’ la rampolla dei Miyakoji senza davvero approfittarsi di lei avesse finito per insospettire Akane lo stesso. Sapeva che avrebbe dovuto comportarsi come al solito, ma per tutto il tempo in cui aveva cercato di escogitare una soluzione a quella missione, non era nemmeno riuscito a guardarla in faccia: l’idea di s-s-s-s-sssssss… edurre una sconosciuta proprio quando si era appena sposato era semplicemente repellente.
Ammettilo, non ti andrebbe a genio anche se tu e Akane foste ancora fidanzati, perché per te sarebbe comunque come tradirla…
Eppure aveva provato a conquistare platealmente Shampoo, quando aveva preso a odiarlo a causa di quella maledetta spilla della discordia.
Vero, ma quella era solo una sfida, un gioco. Questo invece è lavoro e la Tigre Nera pretende ben più di una dichiarazione fasulla da parte mia...
Ranma si sistemò meglio sul ramo dell’albero, cercando di non pensare a come ad Akane fossero brillati gli occhi quando lo aveva guardato con la spilla indossata dal verso ‘giusto’. Se solo l’avesse fatto ancora, invece di scappare via in quel modo… Comunque aveva confessato che teneva a lui, poteva già considerarla una vittoria, visti i due anni trascorsi praticamente solo a insultarla.
Lasciò andare un sospiro facendo vagare il binocolo in ogni angolo del giardino dei Miyakoji: era incredibile la velocità con cui lo avevano riportato al suo splendore. Giusto in tempo per nozze che non ci sarebbero mai state, dopo quella sera.
Un rumore nell’orecchio lo ridestò dai suoi pensieri e sistemò meglio l’auricolare: la ragazza era appena entrata nella sua stanza. Se avesse seguito la solita routine, avrebbe preso una boccata d’aria sul balcone, prima di coricarsi. Ranma estrasse la cerbottana da una tasca dello zaino e si tenne pronto. Doveva ammettere che era un’artista marziale formidabile, quella Satsuki, oltre a essere molto carina, ma allo stesso tempo era più ingessata di lui quando aveva trascorso una settimana in ospedale, dopo che Akane l’aveva spedito in orbita con un pugno ed era atterrato su un cassonetto aperto. Sempre per colpa di quella stramaledetta spilla.
Stavi quasi per baciarla, grazie a quella spilla…
Strinse così forte il binocolo, al ricordo di quell’occasione mancata, che il vetro s’incrinò.
Concentrati, maledizione!
Riportò di nuovo l’attenzione sul balcone di Satsuki, proprio nel momento in cui la bambola di porcellana, avvolta in una yukata, scostava un’anta e usciva all’aperto. Perfetto. Non le diede nemmeno il tempo di poggiare le mani sulla ringhiera: soffiò nella cerbottana e centrò la giugulare. Satsuki si portò una mano al collo barcollando all’indietro, ma lui riuscì a raggiungerla e a sostenerla, prima che cadesse addormentata sul pavimento.
La trascinò dentro la camera e chiuse l’anta della portafinestra, la sdraiò su un fianco sul futon e la coprì con la trapunta, facendo in modo però che un braccio nudo sporgesse con tutta la spalla. Ora, il travestimento: Ranma fermò il codino sulla nuca con una forcina, indossò una corta parrucca rossa, lenti a contatto rosse e si tolse la casacca restando a petto nudo. Prese dallo zaino una fotocamera e si sdraiò accanto a Satsuki sotto la coperta, le colpì prima un punto sul viso per farla sorridere, poi un altro su una tempia per farle aprire temporaneamente gli occhi. Solo allora passò un braccio sotto il corpo della ragazza sino ad afferrarle una spalla come per cingerla a sé, mentre con l’altro braccio reggeva la macchina fotografica rivolta verso di loro. Poggiò infine la guancia su quella di lei anche se il solo contatto gli faceva ribrezzo e, sorridente a sua volta, attese il conto alla rovescia. Sperò solo che tra la luce lunare e la modalità notturna che aveva impostato, si vedesse abbastanza chiaramente quanto lei fosse ‘felice’ di trascorrere la notte con un perfetto sconosciuto, ma per sicurezza scattò più di una foto.
Il volto radioso di Akane si affacciò di nuovo alla mente e lui si staccò da Satsuki alla velocità della luce. Non doveva temere che la sua ex fidanzata potesse sorprenderlo, eppure essere lì anziché insieme a sua moglie, nella loro casa, gli instillò comunque il dubbio che ciò che aveva appena fatto fosse terribilmente sbagliato. Anche se era per lavoro. Anche se non era accaduto niente di compromettente.
Balzò fuori dal futon con una strana ansia addosso, al limite del batticuore in gola, eppure Akane non era entrata come una furia dalla porta sorprendendolo nel letto di un’altra. E tuttavia dentro di lui era come se l’avesse fatto.
Era come se l’avesse tradita.
Si rivestì in fretta e scappò via, rendendosi conto per la prima volta di come l’unica donna che desiderasse davvero abbracciare e stringere a sé fosse quella bisbetica, goffa e per niente carina di sua moglie.
Ma prima doveva togliersi di dosso l’odore di quella Satsuki con un bel bagno.



Se la maschera di lattice soffocava la faccia, il costume da fatina era praticamente inesistente e Akane iniziava a sentire freddo sulla schiena. Ma ciò che le faceva davvero venire i brividi erano le occhiate degli uomini, giovani e vecchi, a quell’addio al celibato: la squadravano come se le stessero facendo una radiografia, più di uno si era leccato il labbro mentre faceva avanti e indietro con il vassoio delle bevande e molti era già inzuppati di alcool. Non sarebbe passato molto tempo prima che qualcuno di loro allungasse le mani.
Si chiese ancora una volta come mai una famiglia come i Daimonji avesse scelto un club del genere, anziché una più sobria casa da tè dove gli ospiti sarebbero stati intrattenuti da uno stuolo di variopinte ma formali geishe. Ma poi, nel posare l’ennesimo vassoio di birra e sakè su uno dei tavolini, si rese conto che il futuro sposo si era abbarbicato alla povera ragazza uscita dalla torta, naso affondato nella sua scollatura, frignando su quanto fosse sfortunato al punto da spargere lacrime peggio di un idrante. Ricordandosi chi dovesse sposare, non c’era da stupirsi in effetti che la famiglia gli avesse concesso almeno questa particolare distrazione. Peccato che quella lagna umana che era Sentaro mettesse le mani dove non doveva e la ragazza che avrebbe dovuto intrattenerlo fosse quindi sul punto di scaraventarlo lontano da sé con un calcio da giocatore di rugby.
Tranquillo, adesso ti salvo io, di nuovo… E spero per sempre, stavolta!
Akane si precipitò dal festeggiato (?) dribblando mani che sembravano tentacoli, finché un vecchio di mezza età che poteva essere suo padre non l’agguantò per la vita e se la caricò sulle ginocchia farfugliando di mostrargli la latteria, prima di affondare il naso nel suo seno.
Oltraggiata oltre ogni dire da quell’assalto, Akane gli mollò un pugno che lo proiettò oltre la sala riservata tra le risate sguaiate degli amici e si precipitò da Sentaro prima che fosse spedito in orbita, convincendolo a seguirla con la scusa che c’era un’altra sorpresa che lo aspettava in un separé.
Quello le si aggrappò come una cozza alla schiena senza mai smettere un secondo di piagnucolare disperato, infradiciandole il costume ma tentando pure lui di palparla ovunque. Akane si ripromise di fare un bagno appena avesse rimesso piede a casa, un bagno lungo e approfondito per togliersi di dosso l’odore rancido del sudore misto a colonia di poco prezzo, ma più di tutto la sensazione orribile delle mani di quegli uomini su di sé. Quella era la prima e ultima volta che accettava un incarico simile.
“Per di qua”, disse scostando una tenda a denti stretti e spingendo Sentaro all’interno di un’alcova con un enorme letto rotondo ad acqua, per poi colpirlo subito dopo dietro il collo con il profilo della mano. Il ragazzo rimbalzò svenuto sulla trapunta a faccia in giù e lei dovette girarlo di schiena. E – orrore – salirci sopra a cavalcioni.
“Ehi, levati quell’espressione schifata dalla faccia, deve sembrare che lo stai intrattenendo!”, disse il complice – travestito da cassetta della posta (?!) – che sbucò da sotto il letto con una reflex tra le mani.
Con pollici e indici Akane prese titubante le mani di Sentaro come se afferrasse due nauseabondi sacchi dell’immondizia e se le portò sulle gambe.
“Più su!”, disse il fotografo (?) mettendo a fuoco la macchinetta. “E fai la faccia estasiata! Lui con quella bavetta alla bocca è più credibile di te! Sei o no una professionista?”.
Mi viene da vomitare, altro che professionista!
Akane portò ancora più refrattaria le mani ciondoloni di Sentaro più vicino ai fianchi, ma proprio non riuscì a togliersi dal viso il disgusto che provava.
“Avanti, pensa al tuo uomo!”.
L’immagine di Ranma che si toglieva la canottiera e asciugava con lentezza i pettorali si sovrappose di colpo alla faccia da ebete di Sentaro e lei smise di respirare, serrò gli occhi e reclinò la testa all’indietro.
“Brava, così, verranno delle foto perfette!”, gongolò il complice mentre scattava a più non posso.
Ma la mente le giocò un altro, ben peggiore scherzo: sotto di lei non c’era più quel povero disgraziato che stavano incastrando, adesso c’era suo marito e non era per nulla svenuto, anzi, le sorrideva sornione e con le mani risaliva dalle cosce sino ai fianchi e stringeva per attirarla a sé.
Ma che pensieri sto facendo?!
Akane saltò via dal letto come se la coperta avesse preso fuoco.
“Ehi, dove vai? Ho finito, però sarebbe meglio qualche altro scatto, magari con…”.
“Non posso, devo andare!”, gridò recuperando vestiti e cartella e cominciando a correre fuori da quel posto, indossando alla meglio il cappotto e precipitandosi in strada.
Chi schifo, che schifo, che schifo!
Come aveva potuto fare una cosa del genere? Perché non si era rifiutata? Non doveva dimostrare nulla a nessuno! Non avrebbe mai più accettato incarichi simili, ma più! Le uniche mani che avevano il diritto di toccarla erano quelle di Ranma! Quanto avrebbe voluto che lui l’abbracciasse, in quel momento, per scacciare via la sensazione di mani estranee su di lei! E non poteva nemmeno chiederglielo!
Non vedeva l’ora di togliersi di dosso almeno l’odore di quel Sentaro con un bel bagno.



Casa Tendo era stranamente ancora buia, evidentemente Akane non era ancora tornata. Meglio così.
Salì le scale per buttare lo zaino nel suo armadio, quando si ricordò che condivideva la stanza con lei, perciò decise di nasconderlo per il momento sullo scaffale più alto. Si tolse casacca e pantaloni e si precipitò in bagno coi soli boxer addosso, spalancò la porta dell’antibagno e si ritrovò davanti l’ultima scena che avrebbe mai immaginato di vedere.
Un’Akane davanti allo specchio si voltò a bocca spalancata a guardarlo con tanto d’occhi e con un dischetto sporco di trucco in mano.
Un’Akane in lacrime e con indosso un costumino striminzito arancione e nero con due ali da farfalla che metteva in mostra il seno e quasi interamente le gambe.
Ma che accidenti…
Se la faccia di sua… moglie (?) era paonazza, la sua probabilmente virava verso il lava acceso. E non aveva dubbi che sbuffi di fumo stessero uscendo dalle proprie orecchie.
Non sapeva se essere più sorpreso, stordito o imbarazzato.
“Ra… Ranma…”, mormorò lei portando le mani davanti alla bocca e lasciando cadere il dischetto sulle piastrelle insieme a un’altra lacrima.
“Que-que-que-questo sarebbe il costume che hai preso per Halloween?!”, le chiese additandolo. “È uno scherzo? Sei impazzita?”.
“I-io…”, balbettò lei incrociando rapida le braccia davanti al petto.
“Non dirmi che sei andata in giro conciata così! Ma cosa ti dice la testa?!”.
“Ma sei scemo?! Non dire idiozie! Certo che no, non sono stupida! Avevo il cappotto!”.
“E quindi? Vuoi dire che sei comunque uscita da casa di Yuka in questo modo? Che è successo? Perché stavi piangendo?”.
“Ecco, io…”.
Akane abbassò il capo e iniziò a singhiozzare. Un suono che Ranma non sopportava già normalmente, ma quando si trattava di lei gli venivano degli spasmi così forti allo stomaco che l’istinto gli urlava di scappare lontano abbastanza da non udire più quel lamento. Invece, in quell’attimo, l’istinto gli giocò un brutto scherzo, perché gli venne voglia solo di abbracciarla e consolarla, pregando soltanto i kami che non le fosse accaduto qualcosa di orribile, altrimenti avrebbe spaccato tutto.
Si ritrovò a circondarle la vita con le braccia senza nemmeno rendersene conto e a stringerla sempre più man mano che lei si ritrovava a piangere più forte contro il suo petto.
“Ti prego, non giudicarmi male, ti prego!”.
“No-no-no-no-no-no, non lo farò, sta’ tranquilla, ma spiegami cos’è accaduto!”.
“Io… io non credevo che fosse così corto e scollato! Per questo volevo un consiglio su come aggiustarlo, ma poi ho visto che era tardi e sono scapp… sono uscita senza neanche cambiarmi!”.
“Ma perché stavi piangendo quando sono entrato?”.
“P-p-perché… perché sono stata una stupida a comprare qualcosa su un catalogo senza prima provarlo, mi vergogno, non guardarmi!”.
“È una parola, ho già visto tutto…”.
“Cosa?”.
“Niente, niente…”, la rassicurò carezzandole la nuca. “Ma… cos’è questo odore di fumo?”.
“Ah… s-si sente tanto?”, s’irrigidì lei. “Ecco… ehm… il padre di Yuka fuma come una ciminiera, per questo volevo farmi un bagno. Tu, piuttosto, cos’è questo profumo?”, gli chiese lei a sua volta scostandolo da sé per poterlo guardare asciugandosi un occhio.
“Ah, ehm… de-dev’essere della tizia ubriaca che ho soccorso per strada, sì, ecco, me la sono accollata fino alla stazione di polizia più vicina!”, rispose prontamente grattandosi la nuca.
“Sei uscito anche tu, allora…”, osservò lei tirando su col naso.
“S-sì, sono andato a correre un po’ e… ehm… pensavo anch’io di farmi un bagno, adesso…”.
La stava ancora stringendo per la vita. E lei stranamente non si era ritratta, continuando anzi a tenere i palmi premuti contro il suo torace, mentre il silenzio colava dalle mattonelle insieme all’umidità. Che avrebbe dovuto fare, ora? Lei lo fissava con la bocca socchiusa e una sorta di aspettativa nello sguardo lucido ed era così carina col naso rosso…
E vogliamo parlare di questo costumino fin troppo aderente e praticamente inesistente? Meglio di no, vero?
Ranma deglutì, rendendosi conto di quanto la situazione fosse diventata tutt’a un tratto imbarazzante, eppure Akane non era arrossita, sembrava piuttosto che desiderasse ardentemente qualcosa, ma non osasse chiederglielo. Tuttavia, davanti alla propria esitazione, gli occhi di lei iniziarono poco a poco a velarsi di quella che sembrava delusione.
Di colpo gli si parò davanti in tutta la sua chiarezza l’assurdità della situazione: il non riuscire a fare fisicamente passi avanti con la sua fid… sua moglie, ma non avere alcuna difficoltà ad abbracciare una perfetta sconosciuta. Nel suo letto, per giunta. Realizzò così di trovarsi a un bivio: una parte di lui voleva stringere Akane a sé ancora di più, ma l’altra voleva scappare a gambe levate, terrorizzata dal fatto che lei potesse schiaffeggiarlo, o peggio deriderlo, perché la verità era che non esisteva tecnica marziale al mondo che potesse garantirgli di superare quella sfida: essere all’altezza di ciò che lei si meritava.
Ranma fece istintivamente per allontanarsi, distogliendo al tempo stesso lo sguardo per non essere tentato di abbassarlo sulle sue curve, invece Akane – incredibile ma vero – lo trattenne afferrandogli le braccia.
Non andartene, sembrò supplicarlo con lo sguardo che liquefaceva immancabilmente le sue viscere. Ti prego, non farlo.
Ranma deglutì di nuovo avvampando fino alla radice dei capelli, ma dandosi dell’idiota perché, dopotutto, adesso erano sposati. Se voleva davvero far funzionare il loro matrimonio, certi ostacoli andavano superati, prima o poi, non poteva rimandare in eterno, per quanto gli sarebbe piaciuto.
Si fece coraggio e tornò a stringere le mani sudate e tremanti attorno alla vita di Akane, nonostante il principio di tachicardia. Sperò solo di non finire fulminato da un infarto, quando avvicinandosi sempre più al suo viso, lei accennò un sorriso raggiante e socchiuse gli occhi.
È il momento perfetto, voltati e scappa!
No, maledizione, era una sfida come un’altra e doveva vincerla. Non voleva rischiare di perderla solo perché era un indeciso cronico.
Bravo, fatti valere, così finalmente ci diamo dentro!
Eeehhh? E adesso di chi era quella voce nella sua testa?!
Sono io, deficiente, quello là sotto che tieni sempre a cuccia, hai presente? Basta rimandare, sguinzagliami!
No, no, no, no, no, no, doveva fermarlo, altrimenti cos’avrebbe pensato Akane di lui? Che era un maniaco!
“R-Ranma…?”.
Fu la delusione che colse nella sua voce a impedirgli di desistere, anche se gli ci volle quasi un altro minuto di sudore gelido che scendeva lungo le tempie, di raccomandazioni agli antenati, di scongiuri degni di un prete esorcista e di battiti cardiaci così forti da rivaleggiare coi tamburi di un tempio, per chiudere infine la distanza fra la propria bocca tremolante e quella appena schiusa di lei. Ma quando finalmente riuscì nell’impresa, non meno in apnea di Akane e con gli occhi serrati in attesa di un ceffone che non arrivò mai, Ranma si chiese per quale accidenti di motivo non l’avesse fatto prima.
Le labbra di Akane erano così morbide e calde e carnose, che se fossero state ciliegie le avrebbe prese a morsi. E senza pensarci, euforico per aver vinto quella sfida contro se stesso, fu quello che fece: Ranma le catturò fra le proprie e le risucchiò, sentendola emettere un ansito.
Immediatamente si ritrasse col terrore di aver osato troppo, mentre il cretino là sotto si agitava come un cane da caccia che ha fiutato la preda.
Che ho fatto? Che ho fatto? Che ho fatto? Adesso mi ammazza!
Invece Akane lo fissava col fiato corto, sbattendo le ciglia come se fosse incredula.
“N-n-non dovevo, vero? S-s-scu-scusami!”.
“N-non sono arrabbiata, anzi…”, ammise lei estasiata sfiorandosi il labbro inferiore.
“N-no?”.
“Come potrei? Finalmente ho ricevuto un bacio vero!”, trillò felice. “Se ripenso a quello che mi hai dato quando eri gattizzato…”.
Era vero, accidenti a lui: era la seconda volta che la baciava, in realtà, solo che della prima non aveva memoria. Per fortuna. Invece lei, purtroppo, sì. E lui avrebbe dato qualsiasi cosa per cancellare quel ricordo dalla sua mente.
Forse fu per quello che, ancora un po’ titubante, poco a poco si chinò su di lei, che chiuse di nuovo gli occhi, in trepidante attesa. E mettendogli così un’ansia tale, da ritrovarsi di nuovo al punto di partenza: una fontana pietrificata di sudore. Akane lo aveva rassicurato e lui non aveva più bisogno di sfidare se stesso a baciarla. Voleva baciarla. E tuttavia non voleva deluderla.
Fu in quella nuova situazione di stallo che, sorprendentemente, fu Ranma a ritrovarsi le labbra di lei sulle proprie, forse stanca di aspettare che una lumaca come lui si decidesse. E fu sempre lei, stavolta, a catturare le sue labbra. E siccome il grande artista marziale non voleva essere da meno, ricambiò.
E ricambiò.
E ricambiò.
Ancora.
E ancora.
Come se non riuscisse a saziarsi di lei.
Né lei di lui.
Almeno, finché Akane non puntò le mani contro il suo torace e non lo respinse.
“A-aspetta… io… io non mi sento ancora pronta…”.
Solo allora il suo cervello tornò sulla terra e realizzò di aver spinto Akane contro il lavandino. E purtroppo, al tempo stesso, di aver spinto contro di lei qualcos’altro.
“È meglio se ci fermiamo…”, ansimò Akane.
Ranma era lì lì per liquefarsi sul pavimento dalla vergogna.
“Pe-pe-pe-pe-perdonami!”.
Fece un salto così lontano da sua moglie che si ritrovò attaccato alla porta, una mano sulla maniglia, pronto a fuggire.
“N-no, aspetta, non è colpa tua! Sono io che… ecco… forse è il caso che p-p-prima cercassimo di… come dire… conoscerci meglio?”.
Mano ancora sul pomello, Ranma deglutì senza avere il coraggio di guardarla in faccia.
Conoscerci meglio? Due anni di battibecchi, scontri e salvataggi non erano bastati? Ma se lei non se la sentiva ancora, non l’avrebbe certo obbligata, anzi, a ben pensarci aspettare avvicinandosi pian piano l’uno all’altra faceva comodo pure a lui per prendere confidenza con… certe cose, in modo da non sentirsi troppo in imbarazzo quando sarebbe arrivato il momento di…
(sedurre)
“S-sì, c-credo tu abbia ragione!”, rispose scuotendo la testa come se potesse davvero scacciare il ricordo dell’ultima missione.
“A-allora non ti dispiace se stanotte dormo in camera di Nabiki?”.
Veramente sì.
“No, figurati, c-come vuoi…”.
Il silenzio calò di nuovo fra loro come un muro di gelatina.
“Ti dispiace se faccio il bagno per prima? Vorrei proprio togliermi di dosso questo…”.
Ci mancava solo di immaginarsela mentre si sfilava quel costumino.
No, era troppo.
“Sì, fai pure!”, acconsentì con un tono di voce un po’ troppo alto mentre usciva sbattendo la porta, correva verso il giardino e si tuffava nel laghetto raffreddando i bollori.
Almeno, come donna, non era costretto a sentire le proteste del deficiente là sotto.


- § -


Il mattino dopo vennero gli operai a montare la finestra nuova e Akane poté tornare a dormire nella sua stanza. I due giorni successivi all’incontro nel bagno furono per lei – per loro – surreali e imbarazzanti, tra sguardi sfuggenti, rossori improvvisi, balbettii che manco i neonati, baci rubati e fughe precipitose da parte di Ranma. Ranma che, stranamente, scappava sempre in bagno, addirittura in un paio di occasioni si era tuffato nel laghetto. Preoccupata che non stesse bene, alla sua richiesta di spiegazioni lui, nei panni di una lei, aveva semplicemente risposto che moriva di caldo.
A ottobre inoltrato.
Persino fare i compiti insieme era diventata un’impresa titanica: da Yuka c’era passata sul serio – prima di adempiere alla sua missione in quel night club – a farsi prestare gli appunti, mica voleva perdere lezioni preziose! Ma quando aveva proposto a Ranma di leggerli insieme e fare poi gli esercizi, per tutto il tempo sembrava che il pavimento avesse preso fuoco sotto i piedi di suo marito: pareva impaziente di andarsene – forse a fare l’ennesimo bagno? – e c’era voluto tutto il suo autocontrollo per non farlo volare dalla finestra. E solo perché non voleva sostenere di nuovo le spese di riparazione. E come andava a finire ogni volta? Che a forza di stare fianco a fianco, lui nemmeno l’ascoltava più, la fissava e basta. Da lì a lasciarsi baciare il passo era breve. Breve per modo di dire, perché Ranma restava una lumaca, ma ci stavano prendendo gusto e accadeva sempre più spesso, l’imbarazzo che scemava poco a poco fino a lasciarselo alle spalle. Il problema era che di punto in bianco Ranma scappava a gambe levate, lasciandola come un’allocca a guardare il soffitto. Sì, doveva ammettere che anche lei avvampava in quei momenti e arrivava perfino a perdere il controllo del proprio corpo, che sembrava esigere di più, ma di scappare non ci pensava minimamente. Prima o poi avrebbe dovuto seguire suo marito e sincerarsi di persona che non si sentisse male…
Che poi era stata lei ad aver proposto di “conoscersi meglio”, nel senso di trascorrere più tempo insieme e parlare maggiormente di sé, confidarsi segreti, gioie, paure e ricordi. Non che non ci avessero provato, ma il tempo di qualche confidenza e finiva come con i compiti: labbra di lui su quelle di lei. E viceversa. Succedeva soprattutto quando lei sorrideva, chissà perché.
Ora che ci pensava, gli unici momenti in cui riuscivano a guardarsi negli occhi senza abbassare repentinamente lo sguardo o regredire a due bambini che hanno appena imparato a parlare erano quelli che dedicavano alla cucina. Solo che, invece di migliorare, Akane era peggiorata di colpo: prendeva gli ingredienti a casaccio peggio di prima e a nulla valevano le sgridate di Ranma, la sua concentrazione aveva preso definitivamente il volo. Il problema era che invece di guardare gli alimenti che aveva sotto mano, guardava lui. Non come eseguiva una ricetta, proprio lui: il suo profilo, i suoi occhi, la sua bocca. In quei momenti la cucina poteva anche prendere fuoco insieme alla sua faccia, per quel che le interessava. Hai voglia Ranma a schioccare le dita, Akane ci metteva sempre un’eternità a tornare fra le padelle.
Fu con questi pensieri che si mise a sedere sul proprio letto e si stiracchiò, sentendosi di colpo sola nella propria stanza. Aveva preferito dormire lontana da lui per metabolizzare quel che era accaduto fra loro e, soprattutto, non correre troppo, ma adesso ne sentiva la mancanza. Del suo scalciare via la coperta durante la notte, del girarsi e rigirarsi nel futon e perfino del suo russacchiare.
Si alzò e si recò nella stanza di Ranma per comunicargli che aveva deciso di tornare a dormire con lui. No, cioè, non proprio insieme a lui, non doveva fraintendere, solo condividere di nuovo la sua camera. Per ora. Poi… poi chissà, magari, forse, un giorno…
Akane fece scorrere l’anta della porta e si ritrovò davanti agli occhi una scena che la catapultò all’istante ai primi tempi della loro ‘convivenza’: Shampoo abbarbicata a un Ranma che dormiva beato e – apparentemente – ignaro.
Il corpo si mosse da solo e come un automa Akane scese le scale, andò in bagno, riempì d’acqua un secchio e tornò nella stanza di Ranma, dove nulla era cambiato, tranne il fatto che lui aveva cinto quella gatta spelacchiata di Shampoo con un braccio per stringerla a sé.
Bruttoidiotadiunmaledettissimobakaadessotiammazzo.
Sollevò il secchio all’indietro per darsi la spinta giusta a lanciarglielo contro con tutta l’acqua, quando lui aprì bocca nel sonno.
“Akane…”.
Riuscì a frenare il suo impeto un istante prima di lasciarsi sfuggire il manico dalle dita: a quanto pareva, nonostante avesse lasciato che un’estranea s’infilasse nel suo letto, quel deficiente di suo marito era convinto di abbracciare lei, non quel cespuglio lilla di una cinese. Se così era, poteva anche risparmiargli la punizione, per stavolta.
Ma a lei no.
Akane posò il secchio a terra, afferrò Ranma per un orecchio e tirò, sollevandolo fino a svegliarlo.
“Ehi, ma che…? Lasciami, che diamine stai facendo?!”.
“Lo dovrei chiedere io a te!”, urlò lei indicandogli Miss Indecenza 1989.
Shampoo, per tutta risposta, aprì indolente un occhio e tirandosi su a sedere si stiracchiò con un sonoro sbadiglio, mostrando al mondo come mamma l’aveva fatta, attraverso una yukata aperta.
Ranma sbiancò e distolse lo sguardo per puntarlo su di lei, giurando e spergiurando che non c’era stato niente fra loro, lui manco se n’era accorto che la cinese fosse entrata nella sua camera.
“Lo so”, rispose Akane lapidaria: non avrebbe più commesso l’errore di incolparlo ingiustamente. “Ma non posso lasciarti una notte da solo, a quanto pare. Più tardi parleremo, ora fila”.
“Che… che vuoi fare?”.
“Fila, ho detto! Ho delle ‘opinioni da scambiare’ con questa qui”, ruggì prossima a esplodere. “Aspettami in palestra”. Ranma raccattò i suoi vestiti sparsi sul tatami e scappò via. “E tu in piedi, svergognata, e rivestiti, così posso darti la lezione che meriti”.
“Ah, sei tu…”, fece finta di notare Shampoo facendo seguire al commento annoiato un altro sbadiglio. “Arrivi sempre nei momenti meno opportuni, Akane. Perché non te ne torni a dormire e ci lasci in pace? Stanotte Ranma e io abbiamo fatto faville, non so se mi spiego… ah no, non credo che tu lo sappia, visto che dormite in camere separate…”.
“Solo perché sono stata poco bene e temevo di contagiare Ranma, non hai il diritto di entrare in casa nostra e dormire con mio marito!”.
“Dormire? Pensi davvero che ci siamo limitati a questo? Forse l’avrai fatto tu… ammettilo, Akane, il vostro matrimonio è una farsa! Lascia libero Ranma una volta per tutte, non è destinato a te!”.
Akane strinse i pugni fino a far scrocchiare le nocche.



Ranma scese le scale di corsa, s’infilò i pantaloni e la casacca, uscì in giardino e alzò il naso verso la finestra della propria stanza aguzzando l’udito, ma tutto ciò che udì fu lo schianto di qualcosa di metallico che cadeva al suolo o veniva sbattuto contro una parete. Qualche istante dopo, una figura femminile con una lunga chioma sfondò con la schiena i vetri delle ante e atterrò non proprio agilmente sul prato, una mano premuta sul ventre, il volto sofferente. Se vedere Shampoo finire defenestrata era già incredibile, osservare Akane saltare agilmente dalla stessa finestra rotta e posare leggera un piede a terra col viso sfigurato dalla rabbia e i lampi dagli occhi era semplicemente inverosimile. Dovette darsi un pizzicotto per essere sicuro di essere sveglio. Dov’era la sua vera moglie? Durante la notte qualcuno doveva averla rapita e sostituita con un’altra, non c’era altra spiegazione. Quella che scrocchiava le dita di una mano e poi dell’altra pregustando la vittoria non poteva essere la sua Akane.
“Sarò io a ridurre in briciole il Nekohanten, ammasso di lavanda, per tutte le volte che mi hai distrutto la casa, la palestra e il giardino. Sarà un piacere smontare il tuo ristorante pezzo per pezzo, così che tu e tua nonna non abbiate più un posto dove stare e siate costrette a fare fagotto una volta per tutte!”.
Quando si ritrovò a dover bloccare sua moglie afferrandola per la vita, Ranma capì che già alle otto del mattino il colmo per quella giornata era stato raggiunto.
“Ti avevo avvisato, Shampoo”, le urlò cercando di trattenere la sua dolce metà che scalciava come una belva gridando di lasciarla andare.
“È lei che mi ha attaccato, io non ho fatto nien…”.
“Akane e io facciamo sul serio, il nostro matrimonio non è finto. Non sarà perfetto, ma ci amiamo e questa è l’unica cosa che conta!”.
Sua moglie smise di dimenarsi all’istante e solo allora lui realizzò che razza di confessione gli era appena uscita di bocca.
Ora sì che aveva motivo di vaporizzare.
“Voi vi… non è vero, non ci credo!”, tossì Shampoo. “Mi hai abbracciata e stretta a te, quando mi sono intrufolata sotto la tua coperta! E quando ti ho sussurrato all’orecchio che ti amavo e di venire in Cina con me, mi hai risposto ‘anch’io, ovunque tu voglia’!”.
“Credevo fosse Akane, maledizione, la stavo sognando!”.
Sempre peggio.
Come riusciva a darsi la zappa sui piedi lui, nessuno mai. Forse nemmeno raggiungendo il nucleo terrestre sarebbe sprofondato abbastanza da scomparire per sempre.
Ginocchia al suolo e mani a coprire il viso, Shampoo scoppiò a piangere a dirotto e l’istinto di autoconservazione meglio noto come ‘negazione dell’evidenza a tutti i costi’ stava per fargli commettere una sciocchezza enorme: sbracciarsi per rinnegare tutto ciò che aveva ammesso. Se lo avesse fatto, però, non solo Akane lo avrebbe ridotto a un ammasso informe e puzzolente di nattō, ma non avrebbe mai più voluto rivederlo in vita sua. E poi, forse, non era il caso di smetterla di ritrattare sempre fino alla morte quello che era evidente per tutti, ormai? Alla luce degli ultimi giorni, poi…
Shampoo smise di colpo di singhiozzare e alzò il volto dalle mani: se l’odio avesse potuto fulminarli, loro sarebbero stati già ridotti a un cumulo di cenere.
“Me la pagherete”, disse alzandosi. “Tutti e due. Ma soprattutto tu, Akane Tendo!”, gridò saltando via nella sua succinta yukata per i tetti di Nerima. E lasciandoli soli con il loro imbarazzo.
E adesso?
Con cautela Ranma lasciò andare Akane, che tuttavia non si voltò, restando a tremare nell’aria fredda del primo mattino nel suo pigiama di flanella.
“Pensi davvero ciò che hai detto?”.
Lui aprì la bocca, ma la gola era improvvisamente secca.
“C’è almeno un fondo di verità?”.
Ranma fece un passo indietro. E poi un altro. Finché scappare fu tutto ciò che gli rimase e non per raffreddare i bollenti spiriti.
Era lui, stavolta, a non essere ancora pronto.



C’era da aspettarselo, da lui. Avrebbe dovuto esserci abituata, invece faceva male. E il tarlo del dubbio ricominciò a rosicchiare: forse Ranma non stava facendo sul serio, con lei. Forse voleva solo assicurarsi un tetto sopra la testa e stava fingendo di desiderarla. Tutti i baci che si erano dati in quei due giorni… nulla di vero. Eppure, l’intensità con cui la guardava… possibile che fosse fasulla anche quella?
Si buttò a sedere sul letto, desiderando di tornare a dormire e svegliarsi il giorno dopo così da immaginare di aver fatto soltanto un incubo. Invece un ormai noto ticchettio contro il vetro della propria finestra richiamò la sua attenzione. Alzò gli occhi dalle proprie mani e vide il dannato piccione che la fissava di rimando con lo sguardo interrogativo di chi si chiede perché cavolo ci mettesse tanto ad aprire.
Non è possibile, non c’è pace!
Si alzò di malavoglia con un sospiro e aprì un’anta, afferrò il volatile e tolse da una zampa il messaggio arrotolato. Lasciò libero il piccione e si sedette alla scrivania, per nulla tentata di decifrare il prossimo incarico. Srotolò il pezzetto di carta e increspò la fronte: la famiglia Miyakoji richiedeva urgentemente la sua presenza nella sede di rappresentanza dell’organizzazione quel pomeriggio stesso all’ora del tè.
Bene, finalmente avrebbe messo piede nella dimora della Fenice Bianca.



Ranma si lavò e vestì in fretta. Aveva bisogno di allontanarsi il più possibile e di riflettere.
Perché non era ancora pronto? Dopo il matrimonio, dopo aver dormito insieme, dopo essersi perfino baciati… com’era possibile che non fosse ancora pronto a esternare i suoi sentimenti? Non aveva più motivo di vergognarsene, eppure aveva preferito scappare, che confessare. Una parte di lui osava ribattere che era già tanto che non avesse negato con veemenza, ma non era sufficiente e lo sapeva.
Un vero uomo sarebbe rimasto e avrebbe affrontato quelle domande spinose.
Un vero uomo avrebbe risposto con sincerità, non avrebbe accampato scuse.
Era la sua occasione e l’aveva sprecata. E il bello era che non sapeva nemmeno perché.
A quell’ora, naturalmente, Akane stava di certo pensando il peggio di lui e non poteva darle torto. Doveva tornare e scusarsi, ma sapeva bene che non sarebbe bastato, stavolta, per cui doveva darsi il tempo necessario per preparare un discorso serio, perché sarebbe tornato a casa solo per confessarle che sì, era tutto vero ciò che aveva detto a Shampoo, non erano frottole create sul momento solo per levarsela dai piedi.
No, lui… lui l’amava davvero. E desiderava dirglielo. Voleva dirglielo, con tutto se stesso. Ma aveva bisogno di tempo per raccogliere il coraggio di farlo, anche se fosse occorsa l’intera giornata.
Si ritrovò per caso a passare davanti al Furinkan e ne approfittò per controllare il proprio armadietto. Dentro trovò la solita busta sigillata, ma stavolta sul retro c’era scritto ‘urgente’.
Allarmato, Ranma l’aprì sul posto in barba alla prudenza e lesse una richiesta davvero inconsueta: la Tigre Nera lo aspettava quel pomeriggio nella residenza della famiglia Miyakoji.
Ancora?!
L’agenzia non era soddisfatta delle foto che aveva scattato a se stesso e a quella Satsuki? Quale altra missione avevano in mente per lui i Daimonji?







*In realtà la parola rallenty non esiste: è l’errata anglicizzazione del francese ralenti (in inglese slow motion).


Ranma e Akane stanno per incontrarsi nelle rispettive vesti di spie? Se accadesse, quali sarebbero le conseguenze? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, a presto! ^_-

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Capitolo 6
*** Carte scoperte ***


Nel ringraziare come sempre la beta Moira78 per aver editato questo capitolo e Tillyci per la consulenza, vi auguro buona lettura (spero)!





VI

CARTE SCOPERTE






Ranma si stava annoiando a morte.
A dar retta alla capoclan della famiglia Daimonji, quello doveva essere l’incontro epocale tra le due più importanti organizzazioni spionistiche di Nerima, invece lui – dall’alto del solito acero pluricentenario dove ormai avrebbe potuto piantare una tenda in perfetto stile Ryoga – vedeva attraverso il binocolo solo tre vecchiette rattrappite che nel mezzo del parco, sotto un ampio ombrellone, fronteggiavano altre tre vecchiette formato nano da giardino. E tutte e sei mandavano scariche elettriche dagli occhi cercando di fulminarsi a vicenda in un tripudio di scintille con cui rischiavano soltanto di incendiare la tovaglia. Dal modo idiota con cui gesticolavano o ridevano sguaiate, poi, era chiaro che si stavano anche deridendo a vicenda. Mancava tanto così che si tirassero addosso tutto l’occorrente della cerimonia del tè approntato per il grande evento. Che poi aveva scoperto essere in realtà il secondo incontro epocale, visto che il primo, da certe indiscrezioni, aveva quasi scatenato la Terza Guerra Mondiale fra le due famiglie. Non era sicuro di aver ben inteso i frammenti di conversazioni nella residenza dei Daimonji, eppure in qualche modo c’entravano a quanto sembrava quel rintronato di Sentaro e… una scimmia.
“Mi spieghi questa storia della scimmia?”, chiese Ranma a bruciapelo al collega anziano, non appena questi si sdraiò accanto a lui sul gigantesco ramo.
Kotaro tirò fuori il suo binocolo e si mise a studiare la situazione.
“Veramente sarei venuto a darti il cambio…”.
“Sì, ma non c’è fretta. Allora? Vuoi spiegarmi almeno tu cos’è accaduto fra questi due clan? Qui nessuno vuole dirmi niente”.
Il collega emise un sospiro che era per metà uno sbuffo.
“Lo credo bene: l’incontro di un anno fa che avrebbe dovuto sancire l’unione tra i Miyakoji e i Daimonji fu un disastro, ma soprattutto un’onta per i Daimonji”, chiosò Kotaro.
“Unione?! Vuoi dire che i rispettivi eredi avrebbero dovuto convolare a nozze?”.
“Dovevano, esatto: la nonna di Sentaro e quella di Satsuki avevano combinato il matrimonio dei nipoti per ricucire lo scisma che si era creato fra le due scuole di lotta basate sulla cerimonia del tè, ma al banchetto organizzato dalle due famiglie per far incontrare gli eredi, Satsuki mandò al suo posto Sanae, un macaco ammaestrato travestito da geisha. Puoi immaginare l’ira funesta dei Daimonji che, visto l’oltraggio, non potevano che giurare vendetta: dietro loro ordine, ho rapito Sanae e l’ho venduta a un circo. Ma questo ha scatenato una serie di vendette e contro-vendette tra i due clan che proseguono ancora oggi…”.
Lentamente, Ranma si volse scioccato verso il collega.
“Quella ragazza ha osato tanto pur di evitare il matrimonio forzato?”.
Non avrebbe mai creduto che una giovane di una simile levatura sociale potesse escogitare un insulto così esilarante, soprattutto perché gli era parsa vivace come un barattolo di sottaceti. L’aveva sottovalutata, a quanto pareva.
“Ebbene sì, incredibile, vero? Ma non sei tu il fortunato che era stato scelto per sedurla? È carina come si vocifera?”.
Ranma tornò paonazzo a fissare il mondo attraverso il binocolo.
“E-ehm… sssssì, è caruccia, insomma, nulla di che…”.
Di colpo si sentì fortunato: Akane sarà stata pure una bisbetica, ma non si era mai permessa di offendere né lui, né la sua famiglia con un comportamento simile.
No, sono stato fortunato e basta, perché Akane e io alla fine ci siamo…
“Guarda, le tre rappresentanti della famiglia Miyakoji stanno mostrando alle Daimonji le foto che hai scattato quando sei andato a letto con Satsuki”, gli fece notare Kotaro.
Ranma deglutì e sudò freddo, sperando che Ume, Matsu e Take non scoprissero che aveva imbrogliato i Daimonji. Le tre mummiette, tuttavia, negarono energicamente il coinvolgimento del loro clan nello scandalo che aveva colpito Satsuki, mostrando a loro volta delle foto compromettenti di Sentaro mentre se la spassava con una ragazza e accusando i Miyakoji di averlo incastrato.
“A quanto pare le due famiglie hanno avuto la stessa idea per mandare a monte ancora una volta i matrimoni dei rispettivi rampolli”, ridacchiò Kotaro, ma Ranma non gli badò. Stava poco a poco aggrottando la fronte perché qualcosa, in quelle foto, aveva attirato la sua attenzione, anche se il binocolo non era così potente da permettergli di distinguere i particolari.
No, i particolari no, ma i colori sì.
Un lampo arancione e nero lo spinse a cercare di mettere ancor più a fuoco le lenti, ma le immagini che Ume stringeva tra le piccole dita nodose rimanevano sfocate.
Non può essere...
“Ranma, che ti prende? Se stringi un altro po’ quel binocolo, lo frantumi!”.
La voce di Kotaro era diventata di colpo così distante da giungere alle sue orecchie solo come un brusio indistinto.
Lui l’aveva già vista, quella tonalità arancione e nera, ma era chiaramente una coincidenza. Doveva essere una coincidenza, per forza. Anzi, lo era di sicuro, a dispetto dello stomaco che sembrava torcersi come un panno strizzato. Se solo avesse potuto avvicinarsi o avesse avuto un binocolo più potente, si sarebbe tolto ogni dubbio.
Non è possibile! Non può e basta!
“Kotaro, passami il fucile di precisione, svelto!”, gli ordinò mentre le vecchiette sbattevano sul prato le rispettive foto e si alzavano in piedi urlando per mettersi in posa da combattimento.
“Vuoi già narcotizzare le Miyakoji?!”, chiese allarmato il collega obbedendo comunque alla sua richiesta. “Devono ancora iniziare a combattere!”.
Ranma puntò il mirino contro i sei rottweiler in kimono formale che sbavavano insulti e abbaiavano minacce, mentre una giovane cameriera si avvicinava a loro a passo svelto con un vassoio ricolmo di dolci tra le mani. Le bassotte rabbiose tornarono sedute guardandosi in cagnesco e cercando di fregarsi i pasticcini a vicenda a velocità smodata, intanto che la cameriera, inginocchiata, raccoglieva le foto volate ovunque.
Col mirino del fucile Ranma riuscì a distinguere meglio alcuni particolari di quelle istantanee, ma nulla che potesse essere davvero risolutivo. Il dubbio atroce rimaneva a mozzargli il respiro, doveva inventarsi qualcosa per poter vedere da vicino quelle dannate immagini.
È un’assurdità, non ci credo, non ci crederò mai!
Immagini diventate di colpo stranamente interessanti anche per la cameriera.



Con la pelle che sudava copiosa dietro l’ennesima maschera di lattice, Akane fu mandata con uno spintone a servire i dolci a quelle sei invasate prima che si azzuffassero, rischiando di inciampare negli odiosi zori che era stata costretta a indossare, come se il pesante kimono non fosse già di per sé un intralcio. Ma come previsto, le vecchiette si quietarono subito iniziando a litigarsi i dolcetti piuttosto che gli strumenti per la cerimonia del tè.
Approfittando della loro distrazione, iniziò a raccogliere il più in fretta possibile le foto, sparse dappertutto, di lei a cavalcioni su un Sentaro svenuto. Erano così oscene che a stento trattenne un conato, doveva farle sparire, nessun altro doveva vederle e comunque, ora che erano servite allo scopo, poteva anche distruggerle: ne avrebbe fatto un bel falò. Le radunò in una pila e stava per infilarle nella scollatura del kimono quando l’occhio le cadde sulle foto di Satsuki a letto con un ragazzo dagli assurdi capelli rosso fuoco. Concedendo a quegli scatti qualche secondo in più di attenzione, Akane notò che persino gli occhi del bell’imbusto erano scarlatti. Che razza di travestimento ridicolo, era chiaro che il tipo stesse indossando una parrucca e lenti colora…
Akane lasciò cadere le proprie foto in grembo per raccogliere con un lieve tremolio della mano una delle immagini incriminate e studiare meglio il sorrisetto soddisfatto sulla faccia da schiaffi del ragazzo, tracciando con l’indice i contorni del suo viso, la propria bocca che via via si spalancava sempre più.
Questi lineamenti... Non è possibile…
Improvvisamente dimenticò tutto: la missione, le vecchiette che si uccidevano a vicenda a colpi di fulmini dalle orbite, il giardino, il parasole, qualunque cosa.

(Cos’è questo profumo?)

Perché, tutt’a un tratto, il mondo aveva iniziato a vorticare intorno a lei.

(Ah, ehm… de-dev’essere della tizia ubriaca che ho soccorso per strada, sì, ecco, me la sono accollata fino alla stazione di polizia più vicina!)

““No…”, mormorò con un filo di voce. “Non è vero… No, kamisama, non è possibile!”, gridò facendo calare un silenzio tombale tra le presenti.
“Come osi levare la voce e interromperci, maleducata!”, la sgridò una delle rappresentanti della famiglia Daimonji.
“Che razza di gente assume la famiglia Miyakoji, è davvero caduta in basso!”, rise un’altra dietro il ventaglio aperto.
“Credete forse che la vostra servitù sia migliore?”, le interruppe Shika. “Meglio tacere sull’accoglienza che i vostri sottoposti hanno riservato al nostro messaggero!”.
“Cosa pretendi? Chissà quali armi poteva nascondere, dovevamo denudarlo!”.
“Volevate solo rifarvi gli occhi, ammettetelo, zittelle acide che non siete altro!”, la schernì Cho.
“Ha parlato la palpeggiatrice! Credi non sappiamo cos’hai fatto tu al nostro messaggero incaricato di portarvi la risposta?”.
Cho si alzò in piedi furente tirando fuori dal nulla un gigantesco frullino di bambù.
“Ritira quello che hai detto, gatta morta!”.
“Ma stai zitta, che non sai neanche mantenerti in equilibrio!”, ribatté l’avversaria facendola volare in aria con un semplice tovagliolo ripiegato.
Prima che Ino o Shika potessero contrattaccare, qualcosa colpì quest’ultima al collo facendola cadere all’indietro e Akane si ridestò dal suo torpore: sfilandosi lesta il kimono per restare in tenuta da combattimento, si frappose fra le Miyakoji e le Daimonji, pur sapendo di rischiare di diventare lei stessa un bersaglio per colui che stava evidentemente appostato su uno degli alberi oltre il muro di cinta.
Non avrebbe mai immaginato che nella densa nube di putiferio che si scatenò, il cecchino – fasciato di nero dalla testa ai piedi – si sarebbe manifestato in mezzo a sbuffi di tè matcha e mazzate a colpi di mestolo gigante di bambù, anziché rimanere nell’ombra. Ma sembrava anche lui interessato a quelle maledette foto, mentre lei cercava di mettere pace tra le litiganti, perché afferrò un’istantanea che riguardava Sentaro e rimase a fissarla per istanti interminabili.
Possibile che…?
Akane approfittò del fatto che le vecchiette si fossero messe ko a vicenda per tentare di colpire l’intruso distratto con un calcio mirato al collo, invece quello… evitò il suo attacco scansando la testa di lato.
Senza nemmeno guardarla.
Ad Akane sembrò per un istante di precipitare nel proprio dojo, dove un Ranma in sembianze femminili evitava i suoi attacchi con una facilità imbarazzante e saltava con l’agilità di un gatto oltre la sua testa, posandole per giunta pollice e indice sul capo. Cosa che fece anche il suo avversario per oltrepassarla, recuperare le Daimonji e saltare con loro tre sottobraccio oltre il muro che circondava la proprietà.
Non posso crederci… dèi del cielo, non può essere…
Se aveva ancora un briciolo di dubbio, era appena stato fugato.
No… no, no, no, noooo! Questo è un incubo!
No, non era lui, non poteva essere davvero lui, era inconcepibile!
Dietro le palpebre chiuse rivide l’intruso scansare il suo affondo e con un salto superarla come se fosse senza peso. Rivide il sorriso tronfio di un ragazzo che aveva conquistato la sua preda immortalando l’evento con uno scatto rubato.
Akane riaprì gli occhi e la fotografia di lei a cavalcioni su un Sentaro svenuto era lì, ai suoi piedi, ma strappata in due metà.
La realtà iniziò a deformarsi e a vorticare di nuovo, le gambe a farsi di gelatina, il respiro a diventare sempre più concitato, mentre realizzava l'inconcepibile.
Ranma era una spia.
Falso… ipocrita…
Peggio.
Era una spia che lavorava per il nemico.
…bugiardo…
Ed era andato a letto con Miyakoji Satsuki.
E pure traditore!
Senza più un briciolo di fiato, Akane cadde sulle ginocchia all’unisono col mondo che le crollava addosso e una lacrima che abbandonava le ciglia.
Ora sapeva cosa lei rappresentasse davvero per Ranma: solo una copertura.
Nient’altro.
Ranma non l’aveva mai amata.
Chiuse lentamente le dita a pugno fino a farle scrocchiare una a una.
E adesso era un uomo morto.


- § -


Akane che piangeva davanti allo specchio.
Bugiarda!
Akane che si voltava a guardarlo inorridita e mezza nuda gli chiedeva di non giudicarla male.
Falsa!
Akane che gli aveva mentito quella sera e chissà quante altre.
Ipocrita!
Akane che non era ciò che sembrava.
E aveva pure il coraggio di definire Shampoo una gatta morta!
Akane che lo tradiva.
Ranma scivolò su una tegola e perse per un attimo l’equilibrio, prima di spiccare il salto che lo avrebbe portato oltre il muro di cinta della residenza dei Daimonji, nel cui giardino scaraventò le tre mummie ancora svenute.
Lei non mi ha mai… mai…
Scappò prima di essere sorpreso dalla capoclan tornando a saltare di tetto in tetto, senza una meta. Una parte di lui continuava ostinata a sperare che la ragazza della foto non fosse lei, il volto e i capelli erano diversi, dopotutto, come poteva essere davvero lei? Eppure sapeva bene che un volto si può nascondere dietro una maschera e i capelli sotto una parrucca. E solo Akane, del resto, possedeva quelle braccia muscolose. E anche se quella nella foto non fosse stata lei, sua moglie aveva indossato comunque lo stesso costume provocante, quindi quella sera era stata dove non avrebbe mai dovuto essere.
In un night club a intrattenere
(Sentaro)
dei pervertiti.
No, la verità era che la casta e pudica Akane non era né casta, né pudica. Era una bugiarda e lavorava per il nemico, per giunta.
Ma sopra ogni cosa, lo aveva tradito.
Decisamente non avrebbe aspettato i ventun’anni per chiedere il divorzio. Non avrebbe aspettato nemmeno ventiquattr’ore.
Col cuore in gola e il fiato corto, Ranma atterrò quasi senza rendersene conto sul tetto dei Tendo. Alla fine di quell’interminabile giornata le gambe lo avevano riportato comunque a casa. Come se quella fosse mai stata casa sua… Per un istante si sentì come Ryoga, che girovagava a casaccio eppure immancabilmente i piedi lo riportavano sempre dalla donna amata, quasi avesse una bussola interna puntata su Akane anziché sul Nord. Solo adesso cominciava a capire quel suino in miniatura.
Si sedette sulle tegole prendendosi la testa tra le mani, ancora incredulo, ma chiudere gli occhi e darsi dell’imbecille non avrebbe cancellato quello che aveva visto. Come aveva potuto essere così idiota? Come aveva fatto a cascarci? Era stato forse il bisogno disperato di credere che lei fosse davvero diversa dalle altre? Aveva recitato veramente bene la parte dell’ingenua, non c’era che dire, un’autentica attrice… E ora che la vedeva con occhi diversi, tutt’altro che innocente e pura, Ranma non poté fare a meno di pensare che Akane potesse avergli mentito praticamente su tutto.
Due anni di bugie, ecco cos’era stato il loro fidanzamento.
Solo una menzogna.
Invece lui… lui…
Lui non sapeva nemmeno cosa diavolo ci facesse ancora lì. Perché non se n’era andato? L’ultima cosa che voleva era ritrovarsi faccia a faccia con lei, non avrebbe sopportato le sue lacrime bugiarde, né un’altra menzogna dalla sua bocca. Tutto, tranne che affrontare... sua moglie.
Eppure, nonostante il cuore sanguinante continuasse a martellare nelle orecchie, scivolò infine nella propria stanza più silenzioso di un ninja, si spogliò per indossare la solita casacca cinese e dopo aver preso un bel respiro scese le scale, pronto ad accogliere ‘a braccia aperte’ la futura ex signora Saotome. No, non se ne sarebbe andato per sempre da quella casa senza prima sbatterle in faccia tutto ciò che pensava di lei.
La luce accesa in cucina, l’unica stranamente in tutta una casa altrimenti al buio, lo inchiodò in corridoio arrestando perfino il suo respiro, anche perché nessun rumore proveniva da lì. Cosa avrebbe mai dovuto temere lo ignorava, non aveva alcun senso la tensione che aveva iniziato a pervarderlo, eppure non osò mettere piede in quello che era stato il regno di Kasumi: la sensazione di essere in pericolo si tramutò in un brivido alla base della nuca che gli fece rizzare il codino.
Il rumore di una corda che veniva tesa.
Un sibilo.
E solo all’ultimo istante Ranma schivò la freccia che passò davanti al suo naso e si conficcò sulla parete di fianco.
Una trappola, lo sapevo!
Si gettò rapido a terra rotolando fino all’angolo con la cucina.
“Sei tornato, finalmente, traditore!”, lo salutò rabbiosa sua moglie.
Aveva cercato di ucciderlo?
Akane aveva tentato sul serio di farlo fuori?!
Non ci credo, impossibile!
La luce che illuminava le scale e l’ingresso si accese e Ranma realizzò che Akane era sempre stata al piano di sopra: come aveva fatto a celargli la sua presenza? Di cosa era davvero capace quell’imbranata che forse imbranata non era?
“Ma che ti prende, sei impazzita?!".
“Non sono mai stata tanto lucida come oggi: finalmente ho aperto gli occhi!”.
Ranma aggrottò la fronte: Akane aveva a sua volta scoperto che lui conduceva una doppia vita?
La cameriera nella residenza dei Miyakoji… Stava osservando le mie foto, prima che io intervenissi, e mi ha pure attaccato! Possibile che fosse lei?! Allora è vero! Cela il volto dietro una maschera durante una missione!
Akane, nel frattempo, si era avvicinata alla ringhiera e stava di nuovo tendendo l’arco.
“Hai preso un abbaglio e comunque se c’è una traditrice qui sei soltanto tu!”, le gridò senza osare sporgere nemmeno un capello.
“Bugiardo! Ammettilo che hai accettato di sposarmi solo perché volevi la palestra! Ti serviva una copertura per il tuo vero lavoro!”.
Passi felpati che scendevano i gradini.
“No, aspetta, posso spiegarti! All’inizio era così, però poi…”.
“Non voglio sentire le tue bugie pietose!”.
Una freccia si conficcò sulla parete di fronte a lui. Ranma deglutì cercando di mantenere i nervi saldi. Si trattava pur sempre di Akane, non aveva nulla da temere.
“Se volevi davvero farmi fuori, ti bastava cucinare un piatto a caso!”, la derise scivolando lungo il muro contro il quale aveva aderito per entrare in cucina e spegnere la luce.
“Perché, lo avresti assaggiato?”, chiese lei ironica mentre la sentiva scendere gli ultimi gradini.
“Viste le tue prodezze di ieri, no, non avrei rischiato di nuovo la vita!”.
“Lo immaginavo, tesoro, ecco perché ho impugnato un arco!”.
Ranma si acquattò dietro l’isola al centro della cucina e sollevò un braccio per aprire il cassetto delle posate, rovistando fino a trovare quello che cercava. Non voleva farle del male, ma in qualche modo doveva spaventarla per indurla a indietreggiare quel tanto da avere l’occasione per scappare.
“Spero almeno che nel kyudo tu sia migliorata, dall’ultima volta!”.
Una freccia trapassò il bancone da parte a parte proprio sopra la sua testa facendo scaraventare il cassetto aperto per terra in un frastuono di posate che si sparsero ovunque.
“Che ne dici, maritino, sono migliorata abbastanza?!”.
Anche troppo…
“Tanto rimarrai sempre una pippetta, Akane, sei senza speranza!”.
Un’altra freccia stavolta gli sfiorò i capelli.
Ma porc…!
“Ti do la possibilità di andartene sulle tue gambe, maiale che non sei altro, ma non azzardarti a tornare mai più!”.
Allora non voleva davvero ammazzarlo? Finora lo aveva mancato apposta?!
“Maiale a me?!", la schernì. "Ti credevo diversa da tutte le altre, Akane, invece…”.
“Non dirlo… non ti azzardare!”.
“...sei la peggiore!”.
La sentì risucchiare il respiro, prima della deflagrazione.
“Come osi proprio tu?! Due anni e mezzo di menzogne e tradimenti, sei tu a non essere ciò che credevo!”.
“Parla quella che è andata in un night club a strusciarsi addosso ai peggiori pervertiti! In confronto a te Shampoo è vestita in modo decente!”.
Stavolta la freccia penetrò l’isola a destra della sua faccia. Una goccia di sudore scivolò rapida lungo una tempia.
“Non paragonarmi a quella gatta morta!”.
“Almeno lei non fa finta di essere ciò che non è! E comunque non ti ho tradito, io, tu invece…”.
Un’altra freccia trapassò il mobile a sinistra della sua testa.
“So perfettamente dove sei, Ranma, ti conviene smetterla di mentire! Io piuttosto non mi sono strusciata addosso a nessuno, sono loro che…”.
La frase rimase sospesa nell’aria a pesare come un sudario.
“Allora è vero… ti sei lasciata toccare…”.
“No…”, ansimò lei. “Nooo! Sei tu che ti sei portato a letto Miyakoji Satsuki, schifoso!”.
Nel momento stesso in cui Akane scoccò l’ennesima freccia, Ranma uscì dal suo nascondiglio rotolando sul pavimento e lanciando la mannaia in modo da farla roteare fino a conficcarsi nello stipite della porta. Tanto bastò perché Akane si scansasse credendo fosse rivolta contro di lei e lui ne approfittò per lanciarsi nella stanza di Happosai, per poi demolire il muro fra questa e l’ingresso con un pugno. Un’altra freccia sibilò proprio dietro la sua schiena, costringendolo a sfondare anche la porta di casa, saltare sul muro di recinzione e da lì sul tetto della casa di fronte.
L’ultima cosa che vide, gettandosi un’occhiata alle spalle, fu Akane al limite del laghetto illuminata dalla fredda luce dei lampioni: lo sguardo omicida che scorse per un istante nei suoi occhi face impallidire persino quello omicida della bambola maledetta del ryokan Ningyokan.


- § -


Appena Ranma svanì oltre i tetti, Akane crollò in ginocchio sul prato.
Maledetto… tu sia maledetto…
Mani affondate tra i fili d’erba, si lasciò andare a un nuovo pianto dirotto, maledicendo se stessa, non lui. Perché, nonostante tutto, non aveva avuto nemmeno il coraggio di pestarlo fino a ridurlo in fin di vita. La verità era che non voleva neppure vederla quella faccia da schiaffi, cacciarlo di casa costringendolo a scappare a gambe levate da vigliacco quale era le era sembrata l’unica soluzione per non affrontarlo.
Ti odio… ti odio!
Perché se l’avesse guardato anche una volta sola negli occhi…
No, non lo perdonerò mai, mai! Anzi, deve pagarla! E la pagherà cara per avermi ingannato e tradito!
Si passò il dorso della mano sotto il naso e qualcosa di metallico sfiorò le narici. Allontanò la mano da sé e la fede riverberò la luce argentea della luna. Serrò le ciglia senza riuscire a frenare le lacrime, mentre sfilava via l’anello nuziale e con rabbia lo scagliava contro il muro di cinta.
Concentrati, maledizione! Basta piangere, è a te che devi pensare, non a quell'idiota!
Non poteva restare a dormire lì e non solo perché rischiava grosso, ora che la sua identità era stata scoperta. Non riusciva proprio a concepire di rimanere un minuto di più nello stesso luogo in cui aveva condiviso tanti bei momenti con lui, non adesso, almeno. Aveva bisogno di parole di conforto e c’era un solo posto dove poteva trovarle.
Si alzò in piedi anche se le costò una fatica immensa, afferrò l'arco e rientrò in casa. Alla vista delle frecce conficcate sulla parete di fianco alla cucina tentò di arginare un nuovo fiume di lacrime premendo con più forza le ciglia sugli occhi e solo quando fu sicura che la voce non tremasse, scavalcò i detriti lasciati da Ranma all’ingresso, andò al telefono e compose un numero.
Pronto?”.
Ma poi non riuscì nemmeno a rispondere: scoppiò in un altro pianto dirotto e si accasciò sul pavimento.
Akane, sei tu? Che succede?”.
“Ra… Ra… mi ha scoperto!”, singhiozzò prima di premere una mano sulla bocca.
Cosa? Non ho capito!”.
“Ranma… Ranma ha scoperto tutto!”, esplose. “E mi ha detto delle cose orribili!”.
Per tutti i kami… dov’è lui adesso?”.
“È… è scappato… l’ho fatto scappare! Non voglio più vederlo!”, urlò con voce stridula.
Va bene, calmati, ora, vuoi che veniamo lì?”.
“No! Non è sicuro!”.
Perché? Temi possa tornare stanotte? Anche fosse, cosa potrebbe fare?”.
“Lui… è come me! È una spia! E lavora per la Tigre Nera!”.
La cornetta gli restituì solo un silenzio glaciale.
Dèi del cielo… Ma sei sicura? Le probabilità che anche lui sia…”.
“Lo so! Eppure è così, fidatevi!”.
Ma lui sa che noi sappiamo?”.
“N-no, non credo… è stato tutto così improvviso… comunque non penso sospetti di voi…”.
Non si può mai dire… In ogni caso è più sicuro che tu venga da noi, non puoi rimanere lì”.
“G-grazie, arrivo subito!”.
Akane riagganciò, si asciugò le lacrime con il rotolo di carta che trovò in cucina e corse poi su in camera a prendere il minimo indispensabile da infilare in uno zaino. Si precipitò giù per le scale e uscì all’aperto, guardandosi le spalle in continuazione.
Non si era mai sentita tanto vulnerabile, nemmeno quando passava il tempo a schivare gli attacchi improvvisi di Shampoo o Kodachi. Era bruciata. E come tale aveva un’intera organizzazione contro, non solo Ranma.
E Ranma già bastava e avanzava, anche se dubitava le avrebbe mai fatto del male.

(Non si può mai dire…)

E se la Tigre Nera glielo avesse ordinato? Non voleva nemmeno pensarci…
Chiuse il portone osservando con apprensione la strada deserta e appena rischiarata dai lampioni, prima di iniziare a correre col cuore in gola.


- § -


C’era solo un posto dove Ranma poteva trovare asilo, anche se questo significava dover rivelare il motivo per cui era stato cacciato di casa.
Casa…
Quella non era più casa sua, ormai, doveva ficcarselo in testa. E dal momento che era fuggito con solo ciò che aveva indosso, a chi altri poteva chiedere ospitalità? Non ai suoi amici senza dare improbabili spiegazioni che avrebbero alimentato la speranza nelle sue ex spasimanti. Fu quindi nella dimora dei Daimonji che le gambe lo portarono. Non aveva dubbi che lo avrebbero accolto, ma doveva prepararsi all’interrogatorio cui lo avrebbero sottoposto inventandosi una scusa plausibile. Nonostante ciò che Akane gli aveva fatto, non voleva metterla in pericolo. Voleva solo dimenticarla.
Come se fosse facile…
No, non sarebbe stato facile cancellare dalla mente gli ultimi due anni della sua vita con lei, soprattutto gli ultimi giorni con lei, considerò mentre varcava l’ingresso secondario della villa, ma doveva sforzarsi in ogni modo, non aveva altra scelta.
Si era… sì, ora poteva anche ammetterlo almeno con se stesso.
Si era innamorato di un’illusione.
E tuttavia almeno un dubbio doveva toglierselo. Per questo, quando fu accolto dai Daimonji, chiese innanzitutto di poter parlare con Sentaro, questione di vita o di morte, ne andava della sua incolumità. Incolumità che il babbeo rischiava proprio per mano sua, in realtà, ma si astenne dal dirlo.
“Che cosa c’è di tanto urgente a quest’ora, Saotome?”, lo accolse solenne quel legnoso manichino con un ventaglio aperto davanti agli occhi chiusi. “I Miyakoji stanno pianificando di attentare alla mia vita? Devo trasferirmi con urgenza in un luogo più sicuro?”.
Non c’è luogo sulla terra dove potrai nasconderti, se scopro che l’hai toccata…
“Sei del tutto fuori strada. Ho bisogno di sapere esattamente cos’è accaduto la sera del tuo addio al celibato in quel night club”.
“Oh!”, sbottò Sentaro sbattendo sorpreso le ciglia. “E come mai? State cercando di scoprire chi è la spia che mi ha sedotto?”.
S… s… s… ssssssedotto?!
Se non si era tramutato in un jizo di pietra, c’era andato molto vicino: il cuore si era fermato. Per istanti interminabili, ma aveva smesso di percuotere il petto. E anche se aveva ricominciato con cautela, lui era morto lo stesso.
Era morto dentro.
Eppure, nonostante i Miyakoji avessero ordinato ad Akane di fare la stessa cosa che i Daimoji avevano ordinato a lui di fare con Satsuki, Ranma sperò che anche lei avesse finto come aveva fatto lui ingannando la propria organizzazione, ma la faccia compiaciuta di quell’idiota non lasciava presagire nulla di buono e Ranma sentì gelide gocce di sudore scendere giù per la schiena per la prima volta, forse, nella sua vita
Strinse i pugni fino a sbiancare le nocche, pur di impedirsi di colpire Sentaro prima che potesse spiegarsi.
“Vuoi dire che voi avete…”.
“Avevo bevuto molto, ma non potevo certo tirarmi indietro quando quella ragazza mi ha trascinato in un separé e buttato su un letto…”, confessò avvampando e celando quasi del tutto la faccia da imbecille dietro il ventaglio, per lasciar intravedere solo le mezzelune degli occhi rivolti all’insù nel ricordare come se l’era, evidentemente, spassata quella sera. E come se non bastasse, si lasciò sfuggire anche una risatina compiaciuta.
“Sei. Morto. Deficiente".
La propria aura divampò improvvisa e con una tale violenza che Ranma si chiese per un istante fuggevole come mai Sentaro non fosse arso vivo.
“C-come…?".
"Molto. Molto. Morto”.
"In... in che senso…?”.
“Per mano mia!”.
Ranma gli strappò il ventaglio di mano e afferrò l’imbecille per il collo, lo sollevò da terra con un braccio solo e lo sbatté con tale forza contro la parete alle sue spalle da incastrarlo tra le assi di legno.
“Ma… ma… ma che fai?”, piagnucolò l’idiota scalciando disperato le gambe nell’aria mentre la sua faccia da fesso virava verso il porpora. “Guardieeeehhh!”, riuscì a urlare pur annaspando e cercando di allentare le dita che affondavano sempre più nella sua gola.
“La spia con cui sei stato a letto era mia moglie!”, gli urlò in faccia ormai preda dell’ira.
“Che… co…”, mormorò Sentato paonazzo. “N-no…asp…”.
Quattro braccia afferrarono Ranma per le spalle e lo strapparono dal morto che camminava per trascinarlo fuori dalla stanza, mentre Sentaro piombava a terra tenendosi la gola e riprendendo fiato.
“Lasciatemi o ammazzo anche voi!”.
Fu l’ultima cosa che disse prima di essere colpito dietro la nuca e precipitare nell’oblio.


- § -


Avvolta in un plaid davanti a una tazza fumante, Akane fissava il vapore che si levava sinuoso dalla superficie bollente del tè, senza riuscire a impedire alle lacrime di solcare di tanto in tanto le guance. Quella maledetta foto sembrava essersi stampata sulla retina, nient’altro riusciva a vedere, a nient’altro riusciva a pensare. Solo a Ranma che abbracciava Satsuki, lo sguardo di entrambi fisso sull’obiettivo, lui che sorrideva compiaciuto.
Le veniva da vomitare.
“Sono così dispiaciuta, sorellina…”, proferì Kasumi che, seduta accanto a lei, le circondò le spalle con un braccio per stringerla a sé. “Se avessimo intuito o scoperto prima una cosa del genere, non ti avremmo mai convinta a sposarlo”.
Akane chiuse per un momento gli occhi e li riaprì.
“Tranquilla, oneechan”, rispose lei con voce atona senza smettere di osservare il nulla. “Se non avessi voluto davvero sposarlo, non sareste mai riusciti a convincermi a fare un passo del genere”.
“Sono addolorato anch’io”, aggiunse mesto il dottor Tofu mentre lei prendeva infine un sorso di tè. “È veramente assurdo, stento ancora a crederci”.
“Quello a cui io non posso credere, più di tutto, è la facilità con cui mi ha ingannata, come sia riuscito a convincermi di essere ben diverso da ciò che è. Se solo io… io non lo…”.
…amassi!
Come aveva potuto essere così stupida da cascarci? E soprattutto come avrebbe fatto adesso, in nome dei kami, a estirparlo dal cuore?
“Pensi davvero che lui abbia… ehm… fatto ciò che pensi con quella Satsuki? Non potrebbe aver finto come hai fatto tu con Sentaro?”.
Akane sbatté la tazza sul tavolo e un po’ di liquido si sparse sulla superficie.
“Oh andiamo, oneechan! L’ho vista bene quella foto! Satsuki aveva gli occhi aperti, era cosciente, non svenuta come Sentaro! E sorrideva, perfino!”.
Si morse quasi a sangue il labbro inferiore pur di non scoppiare di nuovo in un pianto irrefrenabile, ma dovette alla fine premere tutt’e due le mani sulla bocca pur di impedirselo. Le lacrime, tuttavia, scesero ugualmente.
“Ehm, ecco… In realtà c’è la possibilità che Ranma abbia premuto dei punti sul viso di quella ragazza per farla sorridere e aprire gli occhi, anche se svenuta…”, azzardò Ono.
Per un attimo Akane sperò. Ma poi furibonda riaprì i suoi, di occhi, per guardare il dottore dritto in faccia.
“Mi dispiace ma non credo che un pervertito come lui si sia lasciato scappare un’occasione del genere!”.
“Beh, però potresti chiedere a Satsuki come sono andate le cose, non credi? Così ti toglieresti ogni dubbio”, le suggerì Kasumi.
Sì, era vero, in effetti, perché non ci aveva pensato prima? Ma se poi l’erede dei Miyakoji avesse confermato i suoi timori? E a lei, comunque, cosa importava se lui era andato o meno a letto con un’altra?! Ormai era finita, tra loro, dopo ciò che aveva osato pensare della sua stessa moglie!
Dei colpetti contro il vetro di una finestra attirarono la loro attenzione. Ono si alzò lesto per andare a controllare e aprì un’anta per afferrare un piccione.
“Ha qualcosa legato a una zampetta!”.
Akane si alzò di slancio lasciando cadere la coperta e lo raggiunse, srotolò il messaggio e lesse ad alta voce il contenuto: la Fenice Bianca la convocava con urgenza nella sua sede, doveva raggiungerla seduta stante.
“Ti accompagno”, si offrì il dottore.
“Grazie, ma non ce n’è bisogno”, rispose Akane asciugandosi gli occhi e infilandosi il giacchetto. “Me la caverò da sola come ho sempre fatto”.


- § -


“Sappiamo già ogni cosa, Ranma”, disse con solenne gravità quella ragnatela di rughe che era la nonna di Sentaro quando. “Solo mio nipote ne era all’oscuro. Non hai nulla da dire?”.
Ranma increspò appena la fronte, come se le parole della vecchia giungessero attraverso una parete così spessa da essere incomprensibili.
Dire? È rimasto ancora qualcosa da dire?
Costretto in ginocchio di fronte a lei con le braccia legate dietro la schiena, Ranma permaneva nella più totale immobilità. Non aveva opposto la minima resistenza da quando si era risvegliato, nemmeno mentre lo trascinavano di peso nella sala delle udienze e lo scaraventavano su quel tatami. Perché nel momento in cui, nel riaprire gli occhi, si era ricordato il motivo per il quale si era recato lì, di colpo le forze lo avevano abbandonato: davanti all’evidenza che quella dannata foto non fosse una messinscena, il suo cuore era precipitato al suolo schiantandosi in mille pezzi. E in mille pezzi era andata la sua volontà.
La vecchietta, indifferente al dolore che lo lacerava, lo scrutava frattanto dall’alto della sua pedana neanche fosse un signore della guerra. Il che avrebbe dovuto fargli comprendere quanto grave fosse la situazione, invece non gli importava più di nulla: l’unico pensiero che martellava contro le pareti della sua testa era che Akane si fosse concessa a un altro – un emerito deficiente, per giunta – mentre con lui aveva sempre fatto la ritrosa. Tutta finzione, chiaramente, affinché nessuno sospettasse quale fosse il suo lavoro, men che meno il suo fidanz… marito, che più di tutti doveva crederla un’ingenua.
Che razza di patetico idiota era stato a cascare in una recita simile.
A innamorarmi di qualcuno che non esiste…
“Non vuoi sapere come sappiamo tutto?”, continuò la nonna glaciale. “Tua moglie ha fatto una scenata pietosa, piangendo e urlando davanti al clan Miyakoji, prima di lasciare la loro residenza in tutta fretta. Scenata alla quale Kotaro ha assistito correndo subito dopo a riferirci l’accaduto”.
Ranma chiuse gli occhi e chinò il capo, mentre il cuore batteva quasi speranzoso.
Ha pianto? E perché mai? Per le mie foto con Satsuki?
Non aveva importanza, ormai. L’unica cosa che contava era che il clan Daimonji avesse scoperto tutto e ciò significava una cosa sola.
“Hai sposato una spia, per di più al soldo dei nostri nemici, sai questo che cosa comporta, quindi sai cosa devi fare. Se vuoi guadagnarti di nuovo la nostra fiducia, devi sbarazzarti di lei”.
Ranma sgranò gli occhi e rialzò poco a poco il capo per fissare titubante la vecchia dritta in faccia, come se non avesse bene inteso, la bocca improvvisamente secca.
Eliminare… Akane?! Davvero gli stava chiedendo una cosa simile?!
Tese i muscoli e strinse i pugni, cercando per la prima volta di strappare le corde che tenevano uniti i gomiti dietro la schiena, ma senza riuscirci.
No. Mai.
Era fuori discussione, non avrebbe fatto una cosa del genere nemmeno in un milione di anni, non importava quanto lei lo avesse ingannato. Non poteva.
Non voleva.
“E se mi sfuggisse?”, chiese col fiato corto neanche avesse corso a perdifiato.
“Hai quarantotto ore. Ti conviene avere successo, altrimenti daremo la caccia anche a te, oltre che a lei. Senza considerare che abbiamo trovato tua madre”.
Ranma spalancò talmente tanto gli occhi, stavolta, che non si sarebbe stupito di sentirli cadere e rotolare sulla stuoia immacolata.
Avevano trovato… sua madre?!
Balzò in piedi, attonito e col cuore che batteva come un forsennato minacciando di sfondargli il petto.
“Che cosa… Dite sul serio?!”.
“Ci avevi chiesto di rintracciarla come ricompensa per una delle tue missioni e lo abbiamo fatto. Ora è sotto la nostra custodia e vorrebbe riabbracciarti, ma se non esegui gli ordini, stai pur certo che non la rivedrai mai più”.
Inorridito, Ranma iniziò a respirare come un toro infuriato e strinse i pugni a tal punto da farsi dolere le nocche. Non poteva credere che lo stessero minacciando dopo tutto quello che aveva fatto per loro! Sua madre non dovevano sfiorarla nemmeno con un dito, maledetti, non dovevano azzardarsi! La cercava da una vita, non gli avrebbero impedito proprio ora di rivederla!
“Ti consiglio di controllarti, ragazzo. E di obbedire senza indugi”.
Obbedire? Lui, che non avrebbe mai avuto il coraggio di far del male ad Akane, non importava quanto lo avesse fatto soffrire? Non gli restava che un’unica possibilità.
“E va bene. Sarà fatto”, mentì chinando il capo.
La vecchia sorrise soddisfatta e diede ordine di liberarlo.


- § -


“Bentornata”, la accolse con freddezza la nonna di Satsuki nel suo salotto privato, mentre sorseggiava del tè che aveva fatto portare per sé soltanto.
Inginocchiata a una rispettosa distanza da lei, Akane si prostrò fino a sfiorare il tatami con la fronte, gli occhi serrati.
“Vi chiedo perdono per la mia sfuriata di oggi pomeriggio. Sono stata una sciocca imprudente. Accetterò qualsiasi punizione mi infliggerete”.
La vecchia capoclan rilasciò un sospiro spazientito e posò la tazza di fine porcellana sul piccolo tavolino davanti a lei.
“Alzati. La tua ira è più che comprensibile, ragazza mia, tuttavia non posso tollerare un simile comportamento".
Akane tornò eretta, ma tenne lo sguardo fisso sul tatami.
“Sono davvero mortificata, io…”.
“Ancora meno, però, posso tollerare la tua unione con una spia che, oltretutto, è al soldo proprio dei nostri nemici".
Akane deglutì. Era stata così stupida da compromettere Ranma con la sua scenata e adesso lui ne avrebbe pagato le conseguenze.
E non è ciò che vuoi?!
"E cosa ancora più grave, che ha recato disonore alla mia Satsuki”.
Akane risucchiò il respiro come se venisse tirata per un piede sul fondo di un lago ghiacciato e nel petto il respiro si fece davvero di ghiaccio. Come tutto il suo corpo, di colpo gelido e pietrificato.
Quindi lui… lui davvero…
La stanza prese a ondeggiare così forte attorno a lei che le parve di essere caduta in un mulinello.
…davvero…
E che un esercito di mosconi stesse ronzando impazzito nelle orecchie fino ad assordarla.
…è andato a letto con lei!
“Sarà difficile per mia nipote riabilitarsi agli occhi della famiglia del suo fidanzato, solo un certificato medico potrà attestare la sua innocenza, ma nel frattempo… Ragazza, che ti succede? Stai bene? Ragazza, mi ascolti?!”.
Akane sbatté più volte le ciglia, mentre teneva una mano premuta sul torace e l’altra poggiata sul tatami nel tentativo di riacquistare un respiro regolare senza perdere l’equilibrio.
“Come?! Io… sì… sì, tutto bene”, mentì senza riuscire a impedire alle labbra di tremolare.
“Dicevo… nel frattempo, se vuoi che io torni a riporre fiducia in te e nelle tue capacità, dovrai sbarazzarti di tuo marito”.
Akane artigliò la stoffa della gonna e iniziò a tremare, di rabbia e di dolore.
Ranma non si era fatto scrupoli a portarsi a letto una sconosciuta, anziché fingere come aveva fatto lei. Schifoso traditore bugiardo! Ormai non aveva più dubbi: quel maledetto non aveva fatto altro che prenderla in giro per due anni e mezzo! E lei stupida era cascata nella sua messinscena! Come aveva potuto innamorarsi di un essere così falso e ipocrita, che faceva credere di essere timido e impacciato, quando invece… Sì, era lei la baka, lei, non lui!
Ma sarebbe riuscita davvero a fargli del male? Tante volte lo aveva preso a ceffoni, persino spedito in orbita a calci, ma non aveva mai combattuto seriamente contro di lui. Il problema non era se ne fosse in grado, ma se sarebbe stata capace di arrivare sino in fondo e purtroppo sapeva già quale fosse la risposta.
Poteva anche pestarlo a sangue fino a ridurlo in fin di vita, ma ucciderlo no.
Né ora, né mai.
“Leggo sul tuo viso la riluttanza, ragazza mia, ma non hai altra scelta, se tieni alla tua famiglia…”.
Akane rialzò di colpo il viso, convinta di aver inteso male.
“La mia famiglia? Cosa c’entra la mia famiglia, di cosa state…?”.
“Intendo dire che Kasumi e suo marito, in questo momento, sono nostri graditi… ospiti”.
“Che… cosa?!”, scattò Akane balzando in piedi, dimentica dell’etichetta e del rispetto dovuto alla capoclan.
“È solo per precauzione, mia cara, giusto per essere sicuri che tu porti a compimento questa… missione”, la ammonì la nonna di Satsuki versandosi tranquilla dell’altro tè. “Nessuno torcerà loro un capello, se eseguirai gli ordini”.
“Ma… ma… Non potete farmi questo!”, gemette lei incredula.
“Ah, no? Sul serio?”, ridacchiò ironica la vecchia. “Prendilo come uno stimolo, se mai dovessero venirti ancora degli scrupoli: abbiamo visto in casa tua tante frecce conficcate ovunque, ma nemmeno una goccia di sangue. Ciò significa che ti sei limitata a cacciare via tuo marito, invece sai bene come funziona: hai quarantotto ore, non sprecarle”.
Incapace di ribattere, Akane riuscì a malapena a scuotere il capo incredula, troppo scioccata per pensare a una scappatoia che, comunque, non avrebbe trovato in quel salotto.
“Sei ancora qui?”, le chiese la vecchia sorseggiando il tè senza più guardarla.
Ricacciò perentoria indietro le lacrime e corse fuori dalla stanza senza nemmeno inchinarsi, corse attraverso la dimora dei Miyakoji tra mille imprecazioni e corse infine disperata per le strade deserte e semibuie di Nerima fino a perdere il fiato, solo per ritrovarsi davanti a una casa avvolta nelle tenebre.
“Kasumi! Kasumiiiii!”.
Ma soprattutto, vuota.
Oh no… No!
Inutile cercare disperatamente in ogni singola stanza.
I Miyakoji l’avevano messa con le spalle al muro.

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Capitolo 7
*** Caccia ***


Nel ringraziare come sempre la mia beta Moira78, vi ricordo che sto seguendo a grandi linee la trama del film Mr & Mrs Smith, tenetelo sempre a mente! ^_- Buona lettura (lo spero davvero, stavolta)! ^^;;





VII

CACCIA





Ranma bussò ripetutamente alla porta di Kotaro infischiandosene se avesse svegliato mezzo quartiere, era già tanto che non gliela buttava giù a calci, per cui continuò con sempre maggior violenza finché non udì qualcuno precipitarsi giù da una rampa di scale e avvicinarsi all’ingresso della casa a passo spedito.
“Sì, sono io, imbecille, voglio solo parlarti”.
“Sicuro?”, chiese una voce apprensiva dall’altra parte dello spioncino.
“In realtà avrei una gran voglia di maciullarti la faccia, ma mi servi vivo”.
Kotaro aprì un chiavistello dietro l’altro e si presentò in canottiera e boxer, lo squadrò dalla testa ai piedi, gettò una rapida occhiata in su e in giù lungo la strada deserta appena rischiarata dai lampioni e gli intimò di entrare.
“Che ci fai qui, Saotome? Che ti è saltato in mente?!”.
Ranma lo agguantò per il collo e lo sbatté contro la parete.
“Se tu non avessi riferito alla Tigre Nera che mia moglie è una spia, sta’ certo che ora non sarei nel salotto di casa tua ad appenderti al muro al posto del quadro!”.
La faccia di Kotaro virò dal bordeaux al viola a velocità luce.
“Ma cosa ti aspettavi? Che facessi finta di nulla?”, obiettò lui quasi in apnea. “Dopo che ti sei volatilizzato… le tre Miyakoji hanno torchiato la cameriera… finché tra strepiti e lacrime quella non ha… sputato la verità: che ti aveva riconosciuto! Eri bruciato, lo capisci? A quel punto… era mio dovere riferire ogni particolare… ai Daimoji! Per cui se sei qui per vendicarti… sappi che firmeresti la tua condanna!”.
Ranma strinse un po’ di più le dita attorno alla gola.
“Non tentarmi, idiota, che già mi prudono le mani!”, gli alitò in faccia subito prima di lasciarlo cadere a terra come un sacco di riso. Kotaro si rialzò tossendo anche i polmoni, mentre Ranma si lasciava cadere su un divano con la testa fra le mani. “No, sono qui perché devi ospitarmi almeno per stanotte”.
“Ah beh, nessun problema, allora, puoi dormire lì dove ti trovi”, rispose lui massaggiandosi il collo mentre si rialzava in piedi.
“Qui sul divano? Perché? Non ce l’hai un altro letto?”.
“Kotarooooohhhhh! Che succedeeeeehhhh? Chi si è permesso di disturbare a quest’oraaaaahhhh?!”, gracchiò una cornacchia dal piano di sopra.
“È un collega, mamma! Va’ a dormire!”, urlò Kotaro di rimando.
“Non devi portare il tuo lavoro a casaaaahhhh! Quante volte te lo devo direeeehhhh?!”.
“Va’ a dormire e non rompere, ma'!”.
Ranma lo fissò sbigottito.
“Ma non hai ventiquattr’anni, tu? Perché vivi ancora con tua madre?”.
“Perché è l’unica donna di cui posso fidarmi, ecco perché! Ed è anche il motivo per cui dovrai arrangiarti a dormire sul sofà”.
Ranma lo fulminò esasperato, ma era troppo stanco per ribattere.
“Portami almeno una coperta, allora!”.
Kotaro salì al piano di sopra sbuffando, tornò con un cuscino e una trapunta e glieli lanciò contro.
“Certo che è davvero incredibile…”, commentò mentre Ranma si sfilava di dosso pantaloni e casacca. “Quante probabilità c’erano che anche tua moglie fosse una spia?”.
Lui gettò gli indumenti su una poltrona e si buttò a corpo morto sul divano, sfinito nello spirito più che nel fisico.
“Mi scoppia la testa, se provo a pensarci…”.
“Ah, lo immagino e so anche a cosa stai pensando adesso, è logico: se ti ha mentito su questo, su che altro può averti mentito? Su tutto, in pratica! Abbiamo visto tutt’e due quelle foto, chissà quante volte tua moglie avrà dovuto intrattenere gente losca per cercare di estorcere informazioni, è disgustoso…”.
“Piantala, non voglio pensarci, voglio solo dormire!”, gli urlò contro lanciandogli il cuscino. Kotaro lo afferrò al volo e alzò le mani in segno di resa.
“D’accordo, hai ragione, scusa, mi dispiace, ma non vorrei che tu ti lasciassi influenzare dal fatto che lei è tua moglie, devi mantenere il sangue freddo e pensare che ti ha ingannato per tutto questo tempo, per cui di fatto è un’estranea e questa è una missione come un’altra, tutto qua”.
“Grazie tante, ma così fai montare in me solo la rabbia!”.
Kotaro gli restituì il cuscino.
“Bene, perché la rabbia è proprio quello che ti serve: pensa a lei come a una donna che ti ha solo preso in giro per tutto il tempo e non fallirai”, suggerì Kotaro facendogli l’occhiolino. Ma Ranma scosse la testa.
“Non ci riesco… Non riesco a credere che sia stata solo finzione…”.
“Devi, perché una persona non potrebbe fare questo mestiere se non fosse in grado di simulare alla perfezione, dammi retta: non avere pietà, né rimorso con lei”.
Ranma sospirò e si girò su un fianco a fissare il tavolino di vetro tra lui e le due poltrone.
“Ok, va bene, ho capito, non vuoi parlarne, allora ti auguro la buonanotte, anche se immagino non chiuderai occhio", previde Kotaro spegnando la luce del salotto prima di risalire le scale.
Poteva giurarci che non avrebbe chiuso occhio: l’espressione assassina di Akane, prima che lasciasse per sempre casa Tendo, era rimasta impressa sulle retine come inchiostro indelebile.
Tornò supino e si portò un braccio a coprire gli occhi, ma prima che potesse farlo, la luce di un lampione riverberò sull’anello che portava all’anulare. Rimase a fissarlo per istanti che parvero ore, prima di sollevarsi a sedere, sfilarlo lentamente dal dito, stringerlo nel palmo con forza tale da imprimerselo nella pelle e scagliarlo poi con rabbia dall’altra parte della stanza.


- § -


Akane strizzava il cuscino cercando inutilmente di soffocarvi i singhiozzi.
Non solo quel falso bugiardo traditore di Ranma l’aveva ingannata per due anni e mezzo. Non solo casa sua era devastata. Ma adesso Kasumi e Tofu erano nelle mani della Fenice Bianca e la colpa era soltanto sua. Nel volgere di poche ore il mondo le era franato addosso e lei non riusciva neanche a emergere dai calcinacci che la schiacciavano al suolo.
Chiusasi a chiave nello sgabuzzino dello studio del dottor Tofu dove vi aveva trascinato un futon, non sapeva nemmeno da dove iniziare a raccogliere i cocci della sua vita per risolvere quella disastrosa situazione. L’unica cosa che la confortava era sapere che suo padre e Nabiki erano ancora fuori città e ci sarebbero rimasti per un bel po’, aveva tutto il tempo per sistemare le cose.
Sempre che il signor Genma non sia coinvolto nel lavoro del figlio come io ho coinvolto il dottor Tofu e mia sorella…
Akane sbarrò gli occhi nel buio alzandosi subito dopo a sedere, il fiato che non voleva saperne né di uscire né di entrare dalla bocca spalancata per l’incredulità.
Come aveva fatto a non pensarci prima?! Era logico! Il signor Genma aveva manovrato il figlio come un burattino per tutta la vita, non poteva non sapere che Ranma fosse una spia, anzi, magari lo aveva spinto lui a diventarlo appena giunti a Nerima!
Akane si prese la testa fra le mani dandosi della baka monumentale. L’indomani, alle prime luci dell’alba, doveva per prima cosa telefonare a Nabiki all’Odakyu Hotel per metterla in guardia, a quell’ora di notte non avrebbe risposto nemmeno se l’avesse pagata. O forse sì? Subito dopo sarebbe tornata a casa: doveva setacciarla da cima a fondo per essere sicura che Ranma non vi avesse nascosto delle cimici o delle telecamere e per ripulirla dell’attrezzatura da spionaggio che sicuramente aveva nascosto qua e là.
Si ributtò sul letto e si girò su un fianco, attenta a ogni lieve fruscio proveniente dall’esterno.
Maledetto. L’aveva usata come copertura, lei e casa sua, e non poteva escludere che anche il signor Saotome fosse coinvolto. Anzi, lo dava per scontato. Era stata dei loro padri l’idea di farli fidanzare, loro non si sopportavano, non riuscivano nemmeno a dialogare senza insultarsi, all’inizio.
Akane increspò la fronte allentando la presa sul cuscino.
Ma allora… quando era cominciata la recita di Ranma?

(P-perché tu mi piaci!)

Forse quando quell’idiota aveva iniziato a lavorare per la Tigre Nera? Da quanto in effetti era una loro spia? Avevano sedici anni, quando era piombato nella sua vita come un tornado, la Tigre Nera lo aveva di sicuro sottoposto a un lungo apprendistato, come la Fenice Bianca aveva fatto con lei.
E allora?
E allora questo significava che non doveva essere diventato una spia a tutti gli effetti da molto tempo.

(È sempre stato vero! Io… non ti ho mai mentito…)

Akane si rialzò a sedere, lentamente stavolta, fissando gli scaffali ingombri di libri di medicina tradizionale cinese.
Non le aveva mai mentito, aveva detto, eppure non c’erano dubbi che Ranma lavorasse già per la Tigre Nera quando si erano sposati: la sera che lei era tornata dal night club e in cui lui l’aveva
(baciata)
sorpresa col costume succinto addosso, dov’era stato quel baka? A spassarsela con Satsuki! Durante la loro luna di miele, per giunta, brutto pervertito! Mentre con lei faceva tutto il timido e l’impacciato, come se prima d’allora non avesse mai…

(Ci mette un’eternità anche solo ad avvicinarsi a lei e quando finalmente posa le labbra sulle sue, è talmente imbarazzato da tramutarsi in una statuetta di pietra e andare in apnea)

…dato un bacio in vita sua?

(N-n-non dovevo, vero? S-s-scu-scusami!)

Possibile che Ranma avesse finto con Satsuki come lei aveva finto con Sentaro? Aveva ragione il dottor Tofu e lei aveva travisato le parole della capoclan dei Miyakoji? Era stata troppo precipitosa nel giudicarlo? Se davvero fosse stato un consumato dongiovanni come appariva in quella foto maledetta, non sarebbe scappato a ogni sfiorarsi di labbra per rifugiarsi in bagno o buttarsi nel laghetto della carpa…

(Sono così presi dal bacio che Ranma le fa urtare il lavandino del bagno. Solo allora si accorge di cosa sta spingendo contro di lei… E fa un salto tale da ritrovarsi attaccato alla porta, mano sulla maniglia, pronto a fuggire)

Eppure la mattina dopo le nozze, quando Ukyo, Kodachi e Shampoo avevano fatto irruzione nella honeymoon suite, era stato fin troppo intraprendente e sicuro di sé…

(Si sveglia di soprassalto, gli occhi sbarrati, la bocca spalancata che risucchia il respiro, sul punto di lanciare un urlo spaccatimpani. Ma Ranma glielo impedisce premendole le labbra sulle sue e schiacciandola contro il materasso, arrivando anche a bloccarle i polsi ai lati del viso quando lei, presa alla sprovvista, cerca di respingerlo)

Akane si mise ancora una volta le mani tra i capelli e li scompigliò: era così confusa che non sapeva più cosa pensare. Ma poi, perché perdere tempo e sonno a fare congetture? Restava il fatto che Ranma l’aveva ingannata e, peggio ancora, si era convinto che lei fosse una poco di buono.
Come io ho fatto con lui… Forse, se potessi spiegargli…
Scosse la testa. Ma che spiegazioni e spiegazioni! Ormai il danno era fatto e anche se Ranma non era il tipo senza scrupoli che sarebbe arrivato a disonorare una ragazza, restava in ogni caso un bugiardo approfittatore. E comunque ora era più importante salvare Kasumi, che quella farsa del suo matrimonio.
Akane si ributtò sul futon, tirò la coperta fino al mento e serrò gli occhi con forza.
Doveva restare concentrata sulle prossime mosse per stanare Ranma e affrontarlo da una posizione di vantaggio, questo doveva fare, nient’altro. Eppure, non poté fare a meno di chiedersi cosa sarebbe accaduto nel momento in cui si fosse ritrovata faccia a faccia con lui. No, il problema non era se fosse in grado di affrontarlo – ormai era certa di potergli quanto meno tenere testa, dopo due anni di duri allenamenti in segreto – ma proprio di guardarlo in faccia. Perché se la parte ferita e umiliata di lei desiderava solo maciullargliela, quella faccia, la parte innamorata si chiedeva come avrebbe fatto a dimenticare i suoi baci, le sue occhiate furtive, i suoi rossori improvvisi, i suoi sorrisi da schiaffi, le sue risate in cucina, i suoi scherzi idioti, le sue prese in giro, le sue linguacce. E i suoi sguardi penetranti, che sembravano volerle dire: io per te ci sarò sempre.
Una lacrima traditrice lasciò furtiva le ciglia e Akane si portò il cuscino sulla faccia per soffocare l’ennesimo singhiozzo.


- § -


(“Eccola!”, annuncia suo padre esultante.
Il cuore manca un battito, come se avesse fatto uno zompo dal petto per risalire su fino in gola.
Ranma si volge lentamente verso un’Akane che incede accompagnata da Soun, il capo coperto dal wataboushi fino al naso. Null’altro vede all’infuori della bocca dipinta di rosso, finché lei non alza il volto e gli pianta addosso i suoi occhi ambrati.
Il mondo se ne va all’istante alla malora.
Gli alberi, il sentiero di pietre, Soun Tendo, le sorelle, il cielo, gli uccelli, tutto.
Non esiste più niente.
Niente all’infuori di lei avvolta nel kimono da sposa, del suo petto che si alza e si abbassa sempre più velocemente man mano che avanza incerta, delle sue labbra tremolanti come se volesse dire qualcosa ma è rimasta senza voce.
Nulla all’infuori del sole che tramonta nei suoi occhi, quando infine lo raggiunge. E per tutti i kami, è… emozionata? Trepidante? O solo nervosa? Possibile che stia provando ciò che prova lui? Forse sì, perché sta accennando un sorriso radioso, più abbagliante della luce riflessa sull’acqua. Ciò che lui ha sempre desiderato vedere. Ma allora è… felice?! Oppure sta fingendo?)


Ranma si svegliò di soprassalto e sbatté ripetutamente le ciglia senza riconoscere l’ambiente intorno a sé. Si alzò a sedere di scatto lasciando che la coperta ricadesse sulle gambe e si rese conto di aver dormito su un divano. Ora ricordava: Kotaro lo aveva ospitato per la notte. Si passò le mani sulla faccia, il cuore che ancora percuoteva il petto, e si volse verso la finestra: i primi bagliori dell’alba rischiaravano quello che si preannunciava come un cielo limpido. Sbuffò, ributtandosi per un momento sul sofà, un braccio a coprire il volto.
Non aveva quasi chiuso occhio, ma quel che era peggio era che nei pochi sprazzi di sonno aveva sognato sempre e solo Akane: il giorno del matrimonio era solo l’ultimo di una serie di sogni incentrati sulla loro convivenza. Lei che felice gli gettava le braccia al collo la prima volta che aveva cucinato qualcosa di commestibile, lei che a modo suo gli confessava che avrebbe voluto che le cose tra loro funzionassero, lei che dormiva abbarbicata a lui come un koala sul ramo di un albero.
Scostò la coperta con un gesto stizzito e si prese la testa fra le mani, pregando i kami di cacciare via i ricordi che lo torturavano facendo vacillare la sua determinazione.
A sua madre doveva pensare, solo a sua madre.
Si alzò risoluto in piedi, cercò il bagno e si diede una rapida rinfrescata, prima di rivestirsi, scroccare qualcosa dal frigo di Kotaro e uscire saltando di tetto in tetto in direzione di casa Tendo. Eppure davanti agli occhi la stessa scena si ripeteva immutabile.
Akane che nell’antibagno lo tratteneva afferrandolo per le braccia.
Akane che sembrava supplicarlo con lo sguardo di non andarsene.
Akane che accennava un sorriso raggiante e socchiudeva gli occhi, quando lui tornava a stringerla.
Akane che rimaneva immobile, in attesa che fosse lui a baciarla.
Akane che tratteneva il respiro emozionata quando infine le sfiorava le labbra con le sue.
Akane che poi prendeva l’iniziativa, perché lui è nato sotto il segno della lumaca e lei, benché imbarazzata, era stanca di aspettare che suo marito facesse il primo passo.
Ranma arrivò davanti al cancello dei Tendo che i primi raggi del sole facevano capolino all’orizzonte.
Perché Akane aveva pianto davanti allo specchio, quella sera? Perché in realtà non avrebbe voluto fare ciò che le avevano ordinato? E appena le avevano messo le mani addosso era scappata via tra le lacrime? Forse l’aveva mal giudicata, forse non lo aveva tradito, tuttavia restava il fatto che lo aveva ingannato. E comunque ora c’era l’incolumità di sua madre, in ballo: forse era solo un trucco dei Daimonji, ma se fosse stata sul serio nelle mani della Tigre Nera, non poteva tirarsi indietro.
Prese un bel respiro e si diede una serie di schiaffi al volto.
Concentrati, dannazione, concentrati!
Rimase a studiare la casa dall’esterno per parecchi minuti, facendo tutto il giro dell’isolato, prima di concludere che fosse apparentemente deserta e saltare sul muro di cinta e da lì sul tetto dell’abitazione. Scivolò nella propria stanza come aveva fatto due sere addietro e come aveva temuto la trovò completamente sottosopra: il futon sventrato, il tatami sollevato, le assi del pavimento spostate, gli armadi spalancati, i cassetti della credenza rovesciati e svuotati, la plafoniera staccata dal soffitto.
Akane l’aveva rivoltata come un calzino.
Resistendo all’impulso di precipitarsi al piano di sotto, stavolta fu ben attento a captare ogni rumore e tenere i sensi all’erta. Solo quando fu assolutamente certo di essere solo in casa, decise di scendere le scale, dove le frecce che lei gli aveva scagliato contro erano ancora conficcate nei muri, muta e al contempo tangibile testimonianza della fine del loro matrimonio. Ma alla devastazione in cucina e in corridoio si aggiunse quella nel resto del pian terreno: Akane aveva setacciato ogni angolo della casa e di certo, non contenta, aveva sventrato anche il dojo.
Ranma mise piede nel portico che conduceva alla palestra, si inginocchiò e a testa in giù guardò sotto la passerella sperando nell’insperabile: nessuna buca, gli dèi fossero ringraziati! Si infilò nell’angusto spazio tra il portico e il prato sottostante e scavò fino a recuperare la sacca con la sua attrezzatura.
Per curiosità si affacciò anche nel dojo e come aveva previsto Akane aveva distrutto buona parte delle assi del pavimento e delle pareti pur di trovare qualcosa che non c’era. Si chiese dove fosse andata a cacciarsi a quell’ora del mattino e gli sorse un dubbio.
Tornò in casa e salì la scala tre gradini alla volta, spalancò la porta della camera di Akane e trovò il letto in perfetto ordine. E così quello di Nabiki e quello di Kasumi. Sua moglie non aveva dormito a casa Tendo, quella notte, ma allora dove si era rifugiata? Non nella sede della Fenice Bianca, dato che come spia era bruciata. E di certo aveva evitato di chiedere asilo a persone di sua conoscenza che sarebbero rimaste coinvolte, per cui se escludeva le sue amiche e compagne di scuola, chi rimaneva? A chi Akane si sarebbe rivolta per trovare ospitalità?
Ranma incrociò le braccia al petto, tenendosi il mento con due dita.
E dove, se non nell’unico luogo in tutta Nerima dove sua moglie sarebbe stata accolta a braccia aperte senza nemmeno bisogno di una scusa plausibile? Di sicuro, era anche convinta che lui non si sarebbe mai azzardato ad avvicinarvisi.
Metà della sua faccia si profuse in un sogghigno.
Aspetta e spera…


- § -


Akane stava studiando i rotoli di pergamena e i sacchetti che aveva prelevato dalla cassettiera in camera di Ranma, cercando di capire se in mezzo a quel caos di manufatti che i Saotome si tramandavano da generazioni ci fosse qualcosa che potesse aiutarla a stanare e sopraffare il marito. Era così immersa nella lettura che si ricordò di dover contattare Nabiki solo quando qualcuno suonò al citofono: aveva appeso al cancello un cartello in cui avvisava che lo studio medico sarebbe rimasto chiuso fino a data da destinarsi, quindi chi poteva essere? Il postino?
(Ranma?)
Deglutì suo malgrado e scacciò quel pensiero dandosi della sciocca, si avvicinò all’apparecchio e accese al tempo stesso il monitor per poter guardare in faccia il visitatore: meno male che alla fine aveva convinto Kasumi a installarlo. Ma la telecamera mostrò proprio l’ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere.
Quella grandissima, arrogante, odiosa faccia da schiaffi, con un braccio sollevato appoggiato contro il cancello e un sorrisetto ancora più odioso che si tendeva sornione verso un orecchio. Non ottenendo risposta, il cretino suonò di nuovo. Proprio allora Akane vide una signora passare dietro di lui con un cane, fermarsi, attirare la sua attenzione e indicare col mento la clinica. Akane dovette accendere l’interfono per udire ciò che si stavano dicendo. “…ne è sicura?”.
“Ti dico di sì, ho visto coi miei occhi ieri sera i coniugi Ono che salivano su una macchina scura con dei tipi mai visti vestiti di nero. Pensavo di vederle solo nei film, certe scene…”.
“E il cartello allora chi l’ha messo?”.
“La sorella più piccola della signora Kasumi: l’ho vista uscire dalla clinica quando sono passata qui davanti prima dell’alba con la mia cagnetta”.
“La ringrazio molto”.
“Di nulla”, rispose quella allontanandosi.
Ranma tornò a guardare il citofono avvicinando l’orecchio e poi, sorridendo, alzò lo sguardo sulla telecamera che lo sovrastava.
“Buongiorno, mogliettina, dormito bene? Lo so che hai ascoltato, sento il ronzio dell’apparecchio da qui”.
Il suo cuore ebbe un sussulto.
Akane chiuse gli occhi e strinse le dita a pugno, mentre contava mentalmente fino a dieci, prima di sputare una risposta adeguata.
“Bene, bene, maritino, avrei dovuto immaginarlo che saresti stato tanto stupido da non cogliere l’opportunità che ti ho dato. Meglio così, mi hai risparmiato la fatica di venirti a cercare”.
Lui tese il sorriso ancora di più.
“Per dirmi che lascerai Tokyo per sempre? Brava, risparmi a me la fatica di doverti costringere ad andartene”.
Lei non sorrideva per niente.
“Io non vado da nessuna parte, idiota, sei tu che devi sparire, ma se possibile non da Tokyo: dalla faccia della Terra!”.
Ranma si profuse in una risatina sarcastica.
“Primo e ultimo avvertimento, Akane: fai le valigie e vattene”.
“Falle tu: dopo aver vagabondato, ingannato e truffato insieme a tuo padre per tutta la vita, dovresti esserci abituato a scappare con la coda tra le gambe senza lasciare tracce!”.
Fu Ranma, adesso, ad avere un sussulto, come se avesse ricevuto una secchiata d’acqua gelida in faccia.
Colpito e affondato.
Il sorrisetto arrogante morì all’istante. Ranma tornò eretto, lo sguardo torvo, mentre lei si mordeva l’interno di una guancia, pentita ma non troppo.
“Io non ho mai truffato e ingannato nessuno, è stato mio padre che…”, ribatté lui cercando di giustificarsi. “Argh! E comunque non abbiamo mai fatto nulla di male nei due anni trascorsi in casa vostra!”.
“Due. E. Mezzo”, sottolineò lei esasperata a denti stretti. “E sono anche troppi. Sparisci, traditore, perché io non me vado”.
Lo vide stringere i pugni a sua volta, eppure nello sguardo non brillava quella scintilla di minaccia come quando affrontava Ryoga o Happosai o chiunque altro osasse sfidarlo. Il che la ferì peggio di un insulto: Ranma non la considerava un’avversaria.
“E allora spero che tu sia migliorata almeno un pochino anche nella lotta indiscriminata, non solo nell’arco”.
Akane serrò le ciglia così forte da riuscire, per la prima volta, a ricacciare indietro le lacrime.
“Dove vuoi e quando vuoi, maritino”.
“Davvero? Sei proprio sicura?”.
Lo vide scomparire dallo schermo come se un abile prestigiatore lo avesse fatto evaporare e Akane si allontanò d’istinto dal citofono facendo allarmata un passo indietro, improvvisamente consapevole di aver commesso un errore grosso quanto la Tokyo Tower: lo aveva sfidato nel posto sbagliato al momento sbagliato, avevano già devastato casa sua, non avrebbero ridotto a un cumulo di macerie anche quella del dottor Tofu e di sua sorella, doveva trovare un terreno neutrale e soprattutto a lei più favorevole.
L’allarme perimetrale confermò i suoi timori iniziando a suonare impazzito e Akane corse verso lo stanzino, si chiuse dentro, afferrò tutto quello che poteva buttandolo a casaccio nello zaino, rovesciò il materasso, alzò un angolo del tappetino sottostante, girò la maniglia e sollevò il coperchio della botola.
“Ti sei nascosta nello sgabuzzino? È così che saresti migliorata?”.
Il tono derisorio oltre la porta la fece ribollire di rabbia non meno delle sue parole, ma le diede anche la spinta che le serviva: Akane saltò nel profondo pozzetto a stento sufficiente a far passare lei, impossibile che Ranma potesse seguirla.
A meno che…
Il pensiero fu messo a tacere mentre strusciava rapidamente lungo le pareti e piombava nel cunicolo sottostante, facendo una capriola prima di rialzarsi in piedi, per poi guardare verso l’alto: il boato sopra la sua testa annunciò che Ranma aveva appena sfondato la porta, alcuni frammenti di legno le piovvero perfino sui capelli.
“Ma bene”, le disse canzonatorio quando lo vide affacciarsi sul pozzo, le mani aggrappate ai bordi. “È questo che avresti fatto per migliorare negli ultimi due anni? Mi stupisce che sei riuscita a passarci, coi fianchi da balena che ti ritrovi!”, la provocò, mentre lei tirava fuori la torcia dallo zaino e l’accendeva puntandogliela negli occhi. Ranma, tuttavia, li chiuse giusto il tempo di portarsi una mano davanti al viso per schermare la luce.
“Io almeno ci passo, pallone gonfiato!”.
“Con un po’ d’acqua anch’io, tonta!”.
Accidenti, lo sapevo!
“Ma io sarò già lontana!”, gridò cominciando a correre lungo il tunnel. Tuttavia, appena sentì Ranma allontanarsi – di certo per correre in bagno a raffreddarsi – Akane tornò in fretta sui suoi passi e prese la direzione opposta.


- § -


Ranma perse tempo nel cercare il bagno che non trovava, aprì il rubinetto e si riempì d’acqua fredda le mani a coppa per poi lanciarsela sulla testa, ritrovandosi di colpo almeno venti centimetri più basso e con due meloni che tiravano il tessuto della casacca, quindi si precipitò di nuovo nello stanzino e si calò nel pozzo. Solo che, una volta sceso in quello che riconobbe come un canale di drenaggio delle acque piovane, il rimbombo di passi concitati non sembrava provenire dalla direzione che aveva preso Akane, bensì da quella opposta.
Furba…
Iniziò a correre a perdifiato finché, alla fine del cunicolo, non intravide una figura stagliata contro la luce del giorno un attimo prima che si voltasse verso di lui e poi svanisse nel nulla.
Ranma versione ragazza corse ancora più forte, ma quando si ritrovò all’imboccatura del tunnel era troppo tardi: l’ultima cosa che vide fu Akane che, dall’altra parte del torrente Shakujii, aveva già spiccato un salto dalla ringhiera sulla quale lui camminava sempre in bilico per atterrare sul tetto di un edificio antistante e poi sparire alla vista.
Dannazione!
Ranma tornò infuriato sui propri passi e riemerse dal cunicolo lanciando maledizioni degne di un monaco esorcista. Non riusciva a crederci di essersi lasciato sfuggire Akane, non poteva crederci, non voleva crederci! Sua moglie era in grado di compiere gli stessi salti che compiva lui. E ora che rimembrava, era stata perfino in grado di scaraventare da una finestra nientemeno che una combattente del calibro di Shampoo. Akane si stava rivelando piena di sorprese e arrivato a quel punto una parte di lui era perfino solleticata dall’idea di scoprire cos’altro gli avesse tenuto nascosto. Anzi, cosa avesse in serbo per lui.
Seduto sul bordo del pozzo rilasciò un lungo sospiro, scuotendo la testa e imponendosi di concentrarsi: tanto per cominciare, chi aveva scavato quel cunicolo che metteva la casa in comunicazione con un tunnel di scarico? Se Akane ne era a conoscenza, significava che era stato il dottor Tofu… ma per quale motivo? Proprio per garantire a lei una via di fuga? Allora significava che la sorella maggiore di Akane e suo marito erano a conoscenza della doppia vita di sua moglie e la spalleggiavano. Quindi era altamente probabile che anche quella serpe di Nabiki sapesse la verità, mentre dubitava che il signor Tendo avrebbe permesso alla figlia adorata di svolgere un lavoro che avrebbe potuto alla lunga rivelarsi pericoloso, quindi di certo ne era stato tenuto all’oscuro. Avrebbe dovuto avvertire suo padre? Di sicuro Akane lo aveva fatto o ci aveva provato, ma del resto suo padre sapeva cavarsela da solo: non era quello che riusciva sempre a svignarsela facendo perdere le proprie tracce quando le cose si mettevano male?
Recuperò parte di ciò che Akane gli aveva sottratto e si mise a rovistare tra i pochi effetti personali che aveva lasciato nello stanzino, nella speranza di trovare un indizio su dove potesse essersi diretta: non credeva che avesse ancora molti altri luoghi in cui nascondersi, di certo non avrebbe raggiunto Nabiki e il signor Tendo per non comprometterli e in ogni caso era improbabile che andasse troppo lontano, per cui…
Si ritrovò tra le mani un vecchio biglietto del treno stropicciato e strappato, cercò di distenderlo e una violenta quanto improvvisa contrazione allo stomaco gli mozzò il respiro: risaliva a circa un mese e mezzo prima e la destinazione era leggibile solo per metà, ma lui conosceva fin troppo bene la metà che mancava.
Ryugenzawa.
Le dita si strinsero da sole attorno al pezzo di carta fino a farlo scomparire nel pugno.
Ricordava quel fine settimana: Akane aveva sorpreso tutti dicendo che partiva con le amiche per un weekend di relax mentre era già sulla soglia di casa con lo zaino in spalla, senza dire a nessuno dove fosse diretta per impedire – parole sue – a quel fungo ammuffito di Happosai di seguirla e spiarla. E non era la prima volta, ora che ci rifletteva.
Adesso finalmente sapeva la destinazione: Shinnosuke.
Di nuovo.
Chissà quante altre volte lei era andata a trovarlo a sua insaputa.
Chissà cosa avevano combinato insieme, in quella capanna sperduta nel bosco.
Alle sue spalle.
Maledetta…
Non aveva più dubbi, ormai: Akane non si era mai fatta scrupoli a ingannarlo. Era una traditrice consumata, altro che innocente e pura!
Si alzò in piedi febbricitante di collera e si recò in bagno quasi come un automa, come se il corpo avesse vita propria. Riempì un secchio di plastica con acqua calda e se lo rovesciò in testa riassumendo le sue fattezze.
Lasciò cadere il secchio per terra senza smettere di guardarsi allo specchio del lavandino, le ciocche infradiciate incollate al volto, il respiro sempre più pesante e affannoso.
Sei stato un vero imbecille. Per tutto questo tempo ti ha solo preso in giro. E tu glielo hai permesso…
Il pugno impattò contro il vetro mandandolo in mille pezzi, mentre lui si aggrappava ai bordi del lavabo, il capo chino e gli occhi serrati nel tentativo di trattenere le lacrime.
Due anni passati a fingersi gelosa e invece lo tradiva con quel fesso rintronato. Chissà quante risate si saranno fatti alle sue spalle, lei e quel rimbambito cronico, mentre lui moriva di apprensione per lei.
Non l’avrebbe mai perdonata.
Mai.
Ranma uscì dal bagno a passi rapidi e pesanti con un’idea azzardata in testa, ma del resto le ore scorrevano veloci e lui non aveva altre alternative: doveva correre alla stazione dei treni.


- § -


Akane sbatteva ripetutamente la fronte contro il vetro appannato dandosi della stupida, mentre il paesaggio cambiava davanti ai suoi occhi: a mala pena si rese conto che il treno aveva lasciato l’area urbana per l’entroterra che si vestiva d’autunno.
Cinque, dieci, venti volte colpì il vetro finché non perse il conto. Come aveva potuto essere così stupida da non pensare che la Tigre Nera avesse ordinato a Ranma di fare ciò che la Fenice Bianca aveva ordinato di fare a lei? Peggio ancora, come aveva potuto essere così sciocca da credere che non sarebbe mai venuto a cercarla nello studio del dottor Tofu? E se Kasumi fosse stata in casa? Non voleva neanche pensarci al rischio che sua sorella avrebbe potuto correre per colpa sua, anche se Ranma non le avrebbe mai torto un capello, su questo aveva una certezza granitica. Del resto, non era venuto con l’intenzione di catturare lei, ma di convincerla a lasciare Tokyo, un modo pulito per toglierla di mezzo senza averla sulla coscienza. Proprio ciò che lei avrebbe voluto fare con lui. Ma questo cosa significava? Che in un certo qual modo Ranma tenesse a lei? Forse, dopo due anni e mezzo, si era quantomeno affezionato?
Ancora ti arrovelli su ciò che lui potrebbe o non potrebbe provare per te? Ormai non ha più importanza! Di certo la Tigre Nera gli avrà dato quarantotto ore come la Fenice Bianca ha fatto con te, per cui devi concentrarti esclusivamente sulla missione: catturare Ranma, altro che m’ama o non m’ama!
Sbatté la fronte contro il vetro per l’ennesima volta, gli occhi serrati, i denti affondati nel labbro inferiore.
Era davvero una baka irrecuperabile, ormai poteva solo sperare che Shinnosuke le sarebbe stato d’aiuto, data la sua esperienza nel costruire trappole. Non era forse per questo che aveva lasciato nello sgabuzzino quel vecchio biglietto strappato del treno? Non aveva dubbi che Ranma lo avrebbe trovato e si sarebbe precipitato alla stazione.
Sperando non tragga le conclusioni sbagliate…
Ma certo che le avrebbe tratte! Almeno su questo poteva dire di conoscerlo fin troppo bene. E in fondo proprio su questo contava: se la gelosia nei confronti del suo amico d’infanzia era stata a suo tempo sincera, Ranma sarebbe piombato a Ryugenzawa senza la necessaria freddezza per affrontare la situazione.
Allora meglio così, no?
Sì, ovvio.
Forse.
Può darsi...
Quando arrivò a destinazione, Akane corse dentro la stazione, acquistò un biglietto e uscì sul piazzale antistante dove erano allineate le corriere, tra cui la sua in partenza. Salì in fretta sul pullman e prese posto. Non aveva avuto nemmeno il tempo di avvisare Shinnosuke, ma tanto sarebbe stato inutile: tempo due minuti e si sarebbe scordato della telefonata, meglio avvantaggiarsi recandosi direttamente da lui.
Nabiki!
Akane si diede una manata in fronte: si era scordata di nuovo di avvertire la sorella e adesso non ne avrebbe più avuta l’opportunità, dato che Shinnosuke e suo nonno vivevano isolati dal mondo.
Appena scesa dalla corriera, imboccò il sentiero che si addentrava nel bosco che virava dal giallo all’arancio, al rosso, con qualche spruzzata di verde qua e là. E più il bosco s’infittiva, più Akane s’imbatteva in animali dalle proporzioni smisurate, ma ormai non ci badava nemmeno più: per lei significavano soltanto che la meta era sempre più vicina. A preoccuparla erano più le trappole che Shinnosuke poteva aver piazzato qua e là, che non uno scoiattolo o un picchio fuori taglia, ma ormai lei era in grado di riconoscere i segni lasciati sui tronchi dal suo amico proprio per evitarle. C’era da chiedersi piuttosto se Shinnosuke si ricordasse della sua stessa segnaletica…
La casetta dalle pareti bianche apparve finalmente dietro le fronde di un acero e i ricordi la pugnalarono a tradimento. Rivide se stessa uscire dalla porta per rincorrere il suo amico e porgergli lo spazzolone e le scarpe, perché lui si era scaraventato fuori tenendo la ciotola della colazione in una mano e le bacchette nell’altra. E appena Shinnosuke si era allontanato, Ranma era apparso davanti a lei negando più volte una preoccupazione che invece sprizzava da ogni poro della pelle. Ma poi non le aveva nemmeno dato modo di spiegargli perché si fosse recata in un luogo tanto remoto. E se ripensava allo schiaffo che gli aveva mollato per impedirgli di colpire Shinnosuke, la sua espressione attonita… non l’aveva mai visto tanto sconvolto, era rimasto paralizzato per secondi interminabili, talmente sbigottito che si era persino chiesta lì per lì se stesse ancora respirando. In realtà in quel momento era stata solo la mente di Ranma a essersi paralizzata per l’incredulità: come sempre aveva travisato, pensando che lei preferisse Shinnosuke a lui. Aveva creduto che quel posto avesse rappresentato uno spartiacque nel loro rapporto, soprattutto perché quando erano tornati a casa insieme, lui le aveva teso tremante una mano senza dire una parola e anche se aveva perseverato in un mutismo imbarazzato, la stretta delle sue dita attorno alle proprie era bastata a comunicarle ciò che provava per lei.
O che aveva creduto provasse per lei.
Possibile che avesse finto?
Raggiunse la porta lasciata aperta e si affacciò all’interno, dove il nonno dormiva placido nel suo angoletto e qualcosa bolliva nel pentolone che pendeva sopra l’irori. Akane fece allora il giro della casa e trovò Shinnosuke che tirava l’acqua su dal pozzo. Quando alzò il viso su di lei, s’illuminò più del falò che ardeva dentro casa.
“Io… io ti conosco?”, domandò accigliato. I kami fossero ringraziati, stava migliorando? “Aspetta, non dirmelo!”, la bloccò lasciando ricadere il secchio. “Sì, tu sei… sei… sei…”. L’entusiasmo si sgonfiò più velocemente di un palloncino. “No, non ricordo proprio chi sei”, ammise sconfitto con un sospiro rassegnato.
Con un sorriso indulgente, Akane puntò il dito contro la parete posteriore della casa, sulla quale lui aveva inciso il suo nome con un chiodo proprio per non scordarlo più.
“Mi hai salvato da bambina, ricordi? E insieme a Ranma abbiamo sconfitto Yamata no Orochi”, ripeté per la – forse – quindicesima volta da quando andava a trovarlo ogni due-tre mesi. Già, Ranma aveva rischiato la vita, quella volta, convinto tra l’altro che lei fosse innamorata del suo amico.
“Oh sì, adesso sì!”, confermò Shinnosuke battendo una mano a pugno sul palmo aperto dell’altra. “Ma il tuo addestramento non era finito? Come mai sei qui? Sei venuta per restare?”.
Lei abbassò avvilita lo sguardo sul sentiero, non sapeva se più triste per la speranza che avrebbe di nuovo infranto, o per ciò che stava per rivelargli.
“No, Shinnosuke, ho bisogno del tuo aiuto per… per catturare Ranma”, confessò.
Sopra le loro teste volò a bassa quota un passero gigante che emise un tale ciop baritonale da far tremare la casa.
“Scusa, ho capito bene?”.
“Mi ha scoperta!”, ammise Akane rialzando frustrata gli occhi. “E presto sarà qui…”.
“Ma… ma perché devi addirittura intrappolarlo? Che è successo fra voi?”.
Lei si passò le mani sulle braccia, quando una folata di vento la investì.
“Devo convincere la Fenice Bianca che ho adempiuto alla mia missione: loro… loro vogliono che lo faccia fuori, ma io non ho alcuna intenzione di arrivare a tali estremi. Pensavo quindi di tenere Ranma nascosto quassù per un po’, mentre faccio credere alla mia organizzazione che non rappresenta più una minaccia. Magari, al mio ritorno, potrei anche riuscire a convincerlo a lasciare Tokyo…”.
“Continuo a non capire cosa c’entri lui con…”.
“Anche lui è una spia, Shinnosuke: lavora per la Tigre Nera!”.
L’amico rimase a fissarla basito per un tempo così lungo da credere che si fosse pietrificato. Akane si avvicinò e schioccò le dita davanti al suo viso.
“Scu… scusa, è che mi pare davvero incredibile questa coincidenza, sono… sono senza parole!”.
“Non dirlo a me… Allora, mi aiuterai?”, gli chiese intrecciando le dita davanti a sé nel tipico gesto di preghiera cristiano.
“M-ma certo che ti aiuterò!”, sorrise lui afferrandole le mani con le sue. Akane arrossì e temendo che Shinnosuke s’illudesse per l’ennesima volta, le ritrasse di scatto.
“Ti ringrazio”, disse allontanandosi di un passo, lo sguardo di nuovo al suolo.
“Bene, ehm…”, fece lui grattandosi la nuca. “Non abbiamo tempo da perdere, allora: cos’avevi in mente?”.


- § -


Ranma sapeva bene di non dover poggiare nemmeno un piede in quel dannato sottobosco. Il ricordo delle trappole in cui era caduto molto tempo prima era ancora vivo, ma saltare da un albero all’altro non era così semplice, con quelle bestie giganti che girovagavano indisturbate per la foresta: era già stato inseguito da un lucertolone, preso di mira da una cornacchia e molestato da un procione. Gli mancava solo di imbattersi in un ggggg… ggggggggggggggg-atto selvatico da far impallidire la stazza di Mao Mao Ling e poteva dire addio alla sanità mentale.
Fu quindi appollaiato su un ramo che osservò da lontano la catapecchia di Shinnosuke, apparentemente deserta, mentre un macaco gli spulciava i capelli.
“E sciò, tu, non ce l’ho le pulci!”, sibilò calciandolo via.
Girò tutt’attorno alla baracca, tornò al punto di partenza e attese, finché non vide lo smemorato in persona uscire dalla porta con il consueto spazzolone poggiato contro una spalla. Per un istante tornò indietro nel tempo, a quel maledetto giorno in cui dietro a quello sbadato vide spuntare Akane: lui le aveva chiesto di preparare anche la cena e lei gli aveva domandato speranzosa di rimando se poteva restare in quel posto dimenticato dai kami. Con loro. Per sempre. Gli si era gelato il sangue nell’ascoltare quella conversazione.
Invece stavolta Shinnosuke si limitò a gettare un’occhiata all’interno per salutare il nonno e chiuse la porta.
Ranma tirò suo malgrado un sospiro di sollievo, eppure Akane doveva essere arrivata lì prima di lui, a meno che non avesse preso un abbaglio e lei non lo avesse affatto preceduto. Per cui, a quell’ora, chissà dove poteva essere...
No, qualcosa gli diceva che Akane era lì, nascosta da qualche parte, anzi forse Shinnosuke stava andando proprio da lei. Doveva seguirlo.
Ranma lo tallonò per parecchi minuti, osservandolo addentrarsi in una foresta sempre più fitta, aveva quasi l’impressione di aver già percorso quel sentiero… non era quello che portava alla sorgente della vita?
Shinnosuke di colpo si fermò per guardarsi intorno, come spaesato, si grattò la testa pensoso e poi, come colto da un’illuminazione, batté un pugno sul palmo dell’altra mano. Fu allora che udì un fischio prolungato e subito dopo un corvo fuori misura decise di posarsi proprio dove lui stava appollaiato, cominciando a beccarlo in testa con un accanimento degno della leggendaria fenice. Ranma tentò di calciare via il pennuto proteggendosi al contempo con le braccia, finché stufo marcio si lanciò sul ramo dell’albero di fianco. Fu in quel preciso istante, mentre era a mezz’aria, che qualcosa lo colpì così forte dietro la nuca da farlo precipitare al suolo. Con l’agilità di un felino, si esibì in un avvitamento carpiato per atterrare sulle punte dei piedi, con le quali toccò però non il sottobosco, bensì una X bianca nascosta dalle felci, frantumando così le assi di legno che coprivano una buca.
Oh no… no!
Prima che una familiare pioggia di pietre lo colpisse sulla zucca fino a tramortirlo, Ranma riuscì però a spiccare un salto tale da accovacciarsi sul ramo che aveva pianificato di raggiungere, dove si ritrovò a guardare negli occhi Akane in persona con una fionda in mano, in parte celata dalle fronde dell’albero di fronte. E così lo aveva seguito per tutto il tempo… come diamine aveva fatto a non accorgersene?! Troppo preso a schivare scoiattoli volanti e libellule grosse come elicotteri? Ma l’irritazione per la vittoria sfumata che le donava un’espressione imbufalita lo fece a tal punto gongolare da farlo soprassedere.
“Non te l’aspettavi, eh?”, la irrise tirando gli angoli della bocca con gli indici per farle una linguaccia degna di questo nome. “Ormai non ci casco più!”.


Accidenti di un’accidenti! Era un piano perfetto! Il corvo addestrato, la smemoratezza di Shinnosuke che si poteva cronometrare al secondo una volta lasciata la casetta… Accidenti all’agilità di Ranma! E dire che c’era quasi!
Akane armò di nuovo la fionda sperando di distrarre suo marito abbastanza da impedirgli di voltarsi in tempo per schivare lo spazzolone di Shinnosuke, invece Ranma compì un salto all’indietro e atterrò sulla testa del suo amico, che lei colpiva per sbaglio in piena fronte con un sasso.
Uno Shinnosuke con le girelle al posto degli occhi piombò giù privo di sensi, mentre Ranma saltava come se fosse senza peso su un ramo ancora più alto, riprendendo a ridere a crepapelle al punto da tenersi lo stomaco.
“Era questo il tuo grande piano? Catturarmi usando le trappole di quel rintronato? Nemmeno unendo le vostre forze riuscirete mai…”.
Il cielo si rabbuiò all’improvviso, come se una nube nera si fosse materializzata dal nulla sopra le loro teste. Meno di un secondo dopo, le zampe artigliate di un falco ghermirono Ranma per le spalle e lo sollevarono nell’aria. E per un breve istante, Akane si specchiò nei suoi occhi increduli e terrorizzati, prima che il rapace si portasse sempre più in alto facendo diventare suo marito un puntolino nella volta celeste.
“Akaneeeeeeeeee!”.
Rimasta senza fiato a sbattere più volte le ciglia e ad aprire e chiudere la bocca come un pesce che annaspa fuori dall’acqua, lei si riscosse solo quando lo udì gridare di nuovo il suo nome. Solo allora realizzò con orrore che se il falco avesse lasciato cadere Ranma da quell’altezza, suo marito si sarebbe sfracellato al suolo.
No… lui non può… non può…
Brividi ghiacciati precipitarono giù per la schiena, mentre Akane riempiva con la forza della disperazione i polmoni fin quasi a farsi scoppiare il petto.
…non può lasciarmi!
“Ranmaaaaaaaaaaaaaaaa!”.

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Capitolo 8
*** Inseguimento ***


Ringrazio dal profondo del cuore le mie superbeta Neechin/Tillyci e Moira78 per avermi aiutato come sempre a non scrivere fesserie, grazie infinite ragazze!
Buona lettura (spero) e se trovate dei refusi, segnalatemeli!




VIII

INSEGUIMENTO






“Ranmaaaaaaaaaaaaaaaa! Nooooooo!”.
Tese disperata un braccio e protese la mano, come se così potesse davvero agguantare fra le dita la figura sempre più minuscola di suo marito, inghiottito dal cielo terso.
No… non può farmi questo… non può lasciarmi, quel brutto idiota!
“Aaarrgh, questa non ci voleva!”, imprecò Akane battendo i pugni sulle gambe. Dopo tanta fatica, il maledetto le era sfuggito e adesso chissà quel rapace dove lo stava portando!
L’urlo che Ranma aveva lanciato mentre il falco lo ghermiva le rimbombava nelle orecchie, al punto che non era più sicura se lui stesse gridando davvero il suo nome da lassù o la sua immaginazione le stesse giocando un brutto tiro. Sapeva solo che doveva raggiungerlo, ma inseguire il volatile senza perderlo di vista sarebbe stata un’impresa ardua: il falco era sì enorme, ma spingendosi sempre più in alto sarebbe diventato presto un puntolino infinitesimale.
Sicuramente ha un nido, un nido gigantesco, quindi non sarà difficile rintracciarlo… Ranma non mi sfuggirà di nuovo!
“Ma… tu chi sei?”.
La voce titubante alle sue spalle la indusse a voltarsi e a guardare giù, dove nel mezzo del sottobosco scorse uno Shinnosuke che si massaggiava il bernoccolo sulla fronte mentre osservava lei appollaiata su un ramo. Solo allora si ricordò di non essere sola.
“Sono Akane, Shinnosuke, Akane, ricordi?”.
“Oh, sì… certo!”, s’illuminò lui battendo un pugno sul palmo aperto dell’altra mano.
“Sai dove quel falco sta portando Ranma?”, gli chiese indicando l’enorme uccello visibile ancora per poco.
“Chi sta portando cosa?”.
“Il falco, non lo vedi? Si è appena portato via Ranma e immagino che abbia un nido da qualche parte!”.
“Oh sì, ha due pulcini, il nido è proprio dietro quella cima…”, confermò l’amico indicando a sua volta la vetta più alta tra quelle di fronte a lei. “Ma chi è Ranma?”.
Ad Akane quasi cascarono le braccia.
“Come chi è?! È mio marito!”.
Il ragazzo guardò lei a bocca aperta, guardò verso il cielo e poi tornò su di Akane con quegli occhi sgranati e supplichevoli che chiedevano solo di smentirgli una notizia che si era dimenticata di dargli.
“Tuo... ma… ma come…”.
Akane sospirò, chiuse le ciglia e le riaprì.
“Perdonami, non credevo fosse importante e in questo momento di certo non lo è: dobbiamo catturarlo non appena sfuggirà agli artigli del falco!”.
“Io… non capisco… non volevi liberarti di lui? Quale occasione migliore?”.
La domanda falciò via lo slancio che stava imprimendo nelle gambe e per un attimo Akane esitò.
“Che vorresti dire?”, domandò cauta tornando a guardarlo.
Shinnosuke saltò raggiungendola sul ramo.
“Beh, pensaci bene: Ranma sta per diventare cibo per falchi. I piccoli stanno perdendo le piume da pulcini, tra non molto spiccheranno il primo volo, per cui Ranma è spacciato: non può farcela contro tre falchi di quelle dimensioni spropositate”.
Akane spalancò gli occhi man mano che dentro di lei si faceva strada una possibilità inammissibile. Sì, era l’occasione perfetta per sbarazzarsi di quel traditore, era vero… ma non a costo della sua vita!
“Mi stai dicendo che Ranma… lui potrebbe… potrebbe davvero…”.
“…finire ucciso? A meno che il falco non lo lasci andare affinché si sfracelli sulle rocce, morirà comunque dilaniato nel nido di quel bestione”.
“No…”, mormorò Akane scuotendo la testa. “No, è impossibile!”.
“Akane, mi dispiace, ma…”.
“Devo andare a salvarlo, Shinnosuke, non voglio perderlo!”.
“Come sarebbe… Aspetta! Fermati!”.
Ma Akane si lanciò a capofitto all’inseguimento del rapace, tallonata dal suo amico, saltando da un albero all’altro col cuore che palpitava in gola, terrorizzata all’idea di non fare in tempo a raggiungere il nido.
No, no, no, non voglio neanche pensarci!
“Sei sicuro che lo stia portando al nido, vero?”.
“I falchetti devono fare pratica colpendo il collo delle prede col becco per ucciderle, quindi…”.
“Se così fosse, significherebbe che c’è ancora speranza per lui!”.
Akane non risparmiò le proprie gambe, attingendo a un’energia che non sospettava di avere, pur di non fermarsi. Perché sì, era vero, non voleva perdere quel monumentale cretino. Non prima di avergli dimostrato quanto lei valesse. Non prima che avesse visto coi suoi occhi che lei non era da meno di Shampoo, Ukyo e Kodachi messe insieme. Non prima di aver impresso le proprie nocche in quella faccia da traditore fino a cambiargli i connotati. Perché lei non era inferiore a nessuno, nemmeno a lui. Quindi non poteva morire, non poteva farle questo, doveva resistere almeno fino al suo arrivo! Lei lo avrebbe salvato, stavolta, così poi lo avrebbe pestato fino a ridurlo alla consistenza di una gelatina di fagioli azuki. Perché lei e solo lei aveva il diritto di frantumare le ossa a quel deficiente che non era altro.
“Akane, guarda, eccolo lassù!”, gridò Shinnosuke alle sue spalle e Akane seguì il suo indice che puntava verso una rupe scoscesa, in cima alla quale stava il nido più smisurato che avesse mai visto. Proprio allora notò qualcosa che cadeva dal nido stesso, planando leggero sopra le loro teste: sembrava un pezzo di stoffa con le ali.
Un pezzo di stoffa rosso.
Con alamari gialli.
Akane rimase impietrita a osservare quel tessuto che volteggiava nell’aria grazie alle maniche svolazzanti, tanto che lei istintivamente protese le mani verso il cielo, quasi a voler rassicurare quella che era stata la casacca di Ranma che l’avrebbe afferrata al volo, come se l’involucro che precipitava contenesse ancora il suo padrone. Se lo ritrovò così fra le dita, quando si posò lieve sui palmi: vuoto e a brandelli come il suo cuore. Che aveva smesso di battere.
“N… n…”.
Alzò di nuovo lo sguardo verso l’alto e l’urlo deflagrò nel petto.
“Nooooooooooooooooooooooo!”.
Fece per saltare con l’intenzione di raggiungere quella cima maledetta, perché non era vero, non poteva essere vero, lui doveva essere ancora vivo, magari ferito gravemente, ma vivo. Invece Shinnosuke l’afferrò per le spalle e la costrinse a restare con i piedi per terra.
“Fermati, Akane! Cosa credi di fare? È troppo tardi, ormai!”.
“No, non ci credo! Devo vederlo coi miei occhi o non ci crederò mai!”.
“E cosa vorresti fare? Rischiare di essere fatta a pezzi a tua volta? E per cosa? Per ritrovarti davanti al suo cadavere straziato?”.
E lei a terra cadde sul serio, le ginocchia che sprofondavano tra le foglie umide del sottobosco, a contemplare ciò che rimaneva di colui che era stato per due anni e mezzo il suo fidanzato e per pochi giorni suo marito, che l’aveva presa in giro, fatta ridere, salvata, insultata, rassicurata un’infinità di volte e alla fine anche baciata: una casacca lacerata da profondi squarci, i cordoncini strappati, una manica quasi staccata, l’altra tranciata di netto. Teneva quel relitto d’indumento fra mani tremanti col terrore di vederlo sbriciolarsi da un momento all’altro, se avesse osato anche solo respirare.
Ra… n… ma…
“Akane, io… perdonami, ma ho trovato altri brandelli dei suoi vestiti sparsi qua e là… mi dispiace…”.
Lei alzò esitante lo sguardo, ritrovandosi davanti uno Shinnosuke con frammenti di Ranma tra le dita, rossi come la sua blusa e neri come i suoi pantaloni.
Non può avermi fatto questo… non può…
Chiuse gli occhi, lasciando che una lacrima superasse la prigione delle ciglia e fuggisse via.
“Akane…?”.
L’urlo risalì di nuovo dalle viscere ed esplose così violento da ferirsi la gola, mentre affondava il viso nella casacca di Ranma e piangeva tra le sue pieghe tutte le parole che non aveva mai avuto il coraggio di dirgli.
Brutto cretino… non doveva finire così… perché mi hai lasciata sola…
Sentì una mano sfiorarle la nuca e singhiozzando rialzò il capo: Shinnosuke la guardava mortificato.
“Mi spiace davvero tanto, Akane, il tuo dolore è così straziante che se potessi riportare Ranma indietro lo farei, credimi, pur di non vederti soffrire. Ora però dobbiamo andare: tra un paio d’ore il sole tramonterà e sai bene che è meglio essere alla capanna prima che faccia buio”.
“Sì, lo so, però… non posso, io… io voglio davvero essere sicura che lui… che lui non c’è più…”.
“Vorresti sul serio arrampicarti fin lassù, mentre mamma falco e i suoi pulcini fanno scempio del suo corpo?”, le chiese incredulo l’amico.
A quelle parole, Akane scoppiò in un pianto irrefrenabile e Shinnosuke dovette afferrarla per le braccia per indurla ad alzarsi in piedi.
“Avanti, Akane, reagisci! Devi pensare alla tua famiglia, tua sorella è prigioniera e sta aspettando che tu la liberi!”.
I volti sorridenti di Kasumi e del dottor Tofu le si pararono dinanzi agli occhi e lei trasalì: Shinnosuke aveva ragione, adesso doveva pensare a loro, ancora nelle mani della Fenice Bianca.
“Ma come, tu ricordi il motivo per cui…”.
“Beh, potrò anche dimenticare il tuo nome, ma non te e tutto ciò che ti riguarda…”, le confessò l’amico grattandosi la nuca. “Avanti, muoviamoci, non possiamo restare qui”.
Akane, tuttavia, gettò un’ultima, lunga occhiata al nido appollaiato in cima alla parete di roccia, sperando contro ogni speranza di veder spuntare Ranma, mentre Shinnosuke la esortava a seguirlo. Quel che scorse, invece, fu la lunga coda del falco e lei scosse la testa dandosi della sciocca per essersi voluta illudere.
“Sì… sì, andiamocene, portami via!”.


- § -


Brutto gallinaceo col becco spuntato, giuro che se mi ricapiti a tiro ti spiumo e ti torco il collo!
Finito a testa in giù in mezzo a un intrico di rami e, peggio che mai, più nudo di un verme nudo, Ranma cercava in ogni modo di uscire dalla disastrosa situazione in cui era finito. Assurdo che fosse riuscito a sfuggire alle beccate feroci di quei pulcini troppo cresciuti, ma che non riuscisse a tirarsi fuori da quel groviglio di fronde. Aveva pure sacrificato i suoi vestiti – tutti i suoi vestiti – pur di sfuggire agli assalti di quelle bestiacce pennute. E dopo averli depistati ed essere saltato fuori dal nido che aveva ottenuto? Di ritrovarsi in una situazione perfino peggiore: con gli attributi all’aria nel mezzo di una foresta che pullulava di animali giganti, molti dei quali non proprio amichevoli.
Finalmente, a furia di fare pressione, uno dei rami si spezzò e lui riuscì a divincolarsi quel tanto da liberare le braccia e con esse, poco per volta, il resto del corpo: diversi altri rami infatti, non più in grado di reggere il suo peso, si ruppero contemporaneamente e Ranma si ritrovò a dover atterrare su un letto di foglie scivolose dopo un salto carpiato. Frammenti di legno gli piovvero in testa, ma tutto sommato – a parte graffi e ferite un po’ ovunque – era incredibilmente illeso. Solo molto svestito e fuori di sé per non essersi accorto dell’arrivo del falco alle sue spalle. A sua discolpa – perché non poteva certo essere colpa dei suoi sensi allenati e dei suoi riflessi altamente sviluppati – era stato distratto da quell’impiastro di sua moglie, che aveva creduto sul serio di mettere nel sacco uno come lui. Peggio ancora, con l’aiuto di quello smemorato. Scema. Cretina. In due non facevano un cervello funzionante, erano proprio degni l’uno dell’altra.
Il tarlo della gelosia ricominciò a rodergli le viscere nel momento stesso in cui immaginò ancora una volta quei due soli insieme in mezzo ai boschi. Perché era andata più volte a trovare di nascosto quell’impedito? Che ci trovava in un rintronato simile? Maledetta, soprattutto perché pur di catturare suo marito aveva pensato di chiedere aiuto proprio al suo… amichetto: nemmeno il fegato di affrontarlo con le sue sole forze aveva avuto. Tuttavia, il fatto che Akane gli avesse teso una trappola significava che si era aspettata che lui l’avrebbe seguita e rintracciata. Forse allora il biglietto strappato del treno non era stata una grossolana dimenticanza: sua moglie lo aveva lasciato in bella vista affinché lui la inseguisse, magari accecato dalla gelosia, dato che c’era di mezzo Shinnosuke il Rimbambito, l’unico essere vivente a cui l’acqua della vita aveva ristretto il cervello e sperò anche qualcos’altro.
Cercando di stare attento a dove metteva i piedi – più per non ferirsi con rami secchi, che per evitare le trappole di Mr Rincretinito – Ranma s’imbatté in un cespuglio di felci e ne strappò due lunghi rami per coprirsi davanti e dietro, così da non spaventare anima viva una volta tornato alla civiltà. Sempre che fosse tornato alla civiltà, dato che non sapeva nemmeno dove si trovasse e a ogni passo in avanti che faceva i piedi poggiavano di volta in volta su qualcosa di scivoloso, melmoso o acuminato: invece di camminare saltellava. Doveva sbrigarsi a uscire dal quel posto malefico, pensò mentre dava una vigorosa grattata alla metà sinistra del fondoschiena che stranamente prudeva: presto sarebbe calata la notte e non aveva alcuna intenzione di passarla nel mezzo di un niente gremito di bestie oversize.
E poi dicevano che lui era negato per l’inglese… beccati questo, professoressa Hinako!


- § -


“Sicura di non voler restare qui, stanotte?”, insistette premuroso il nonno di Shinnosuke dal suo futon, tra un colpo di tosse e l’altro, mentre lei ripiegava con cura i vestiti laceri di Ranma compiendo uno sforzo immane per non versare l’ennesimo fiume di lacrime.
Ormai doveva avere gli occhi gonfi come due palle da tennis, perché durante il tragitto di ritorno alla capanna non aveva mai cessato di piangere. Nonostante ciò, lei e Shinnosuke avevano evitato di raccontare a suo nonno cos’era accaduto nei boschi per non turbarlo. Il nonno però non era uno sciocco e aveva intuito dalla sua espressione distrutta che qualcosa di grave era accaduto: per quanto potesse fingere a parole, i suoi occhi l’avrebbero sempre tradita. Non accettava l’idea che Ranma fosse morto in una maniera tanto assurda. Non accettava l’idea che fosse morto prima di potergli confessare ciò che serbava nel cuore. Non accettava l’idea che fosse morto e basta. Non lui, che si era sempre vantato a destra e a manca di non aver mai perso una sfida in vita sua, alimentando l’aura di invincibilità che si era costruito sin dal suo arrivo a Nerima, neanche fosse uno scudo in grado di respingere qualsiasi nemico e garantirgli la vita eterna. Doveva accettare invece il fatto che lui non ci fosse più.
Non ci sarebbe stato mai più.
E lei, ora, doveva pensare unicamente a Kasumi.
“Sì, sono sicura, la ringrazio. La mia missione è conclusa e la mia famiglia ha bisogno di me”, rispose lei inespressiva nel deporre gli abiti di suo marito in un grande fazzoletto quadrato steso sul tatami.
“Akane, ti prego, ascolta mio nonno: anche se ti avvii adesso, la strada è lunga, la corriera sarà quasi certamente già partita quando arriverai alla stazione dei pullman, che farai allora?”, s’intromise l’amico inginocchiandosi di fianco a lei e ponendole una mano su una spalla.
“Dormirò in stazione”, rispose Akane facendo un nodo con gli angoli del fazzoletto. “Vi chiedo perdono, ma non resterò un minuto di più a Ryugenzawa”, affermò decisa riponendo il fagotto nel proprio zaino, prima di alzarsi in piedi. “Devo proprio andare”.
Shinnosuke gettò un’occhiata al nonno, che da sotto la coperta chiuse gli occhi e scosse la testa. Il nipote chinò il capo rassegnato e non osò più guardarla in faccia.
“D’accordo, ragazza, ma sii prudente, mi raccomando”.
“Lo sarò, grazie per l’ospitalità”, salutò Akane con un inchino.
Shinnosuke la sorprese allora alzandosi in piedi di slancio.
“Ti accompagno!”.
La fiammella della speranza era tornata ad ardere nel fondo dei suoi occhi: la morte di Ranma gli aveva dato nuovo vigore, come un vento che riaccendeva le braci ancora incandescenti sotto la cenere.
“No. Non ce n’è bisogno, so cavarmela da sola, ormai. Lo sai”, disse dandogli le spalle e avviandosi verso la porta. Non avrebbe voluto usare un tono tanto freddo, ma Shinnosuke sembrava aver dimenticato il discorsetto che gli aveva fatto tempo addietro. O fingeva di averlo dimenticato, perché la raggiunse sulla soglia per posare le mani su tutt’e due spalle in un estremo tentativo di fermarla.
“Tu… tu non tornerai più, vero? Questo è un addio…”, mormorò.
Lei si voltò a guardarlo, ma subito distolse lo sguardo dai suoi occhi supplichevoli.
“È così, mi dispiace”, confermò fisando con ostinazione la radura davanti alla capanna. “Ti prego, Shinnosuke, dimenticami una volta per tutte”.
“Ma… ma se non tornerai più, almeno permettimi di accompagnarti fino alla corriera, almeno questo! E poi con il corvo che ho ammaestrato faremo di certo in tempo!”.
Akane chiuse gli occhi con un sospiro mesto. Non voleva la compagnia di nessuno, in quel momento, quella di Shinnosuke ancora meno: il suo amico avrebbe senza meno provato a convincerla a tornare, ogni tanto, incapace di arrendersi all’evidenza che non avrebbe mai potuto ricambiarlo. Anche adesso che Ranma non c’era più, perché – adesso lo sapeva – nessuno avrebbe potuto sostituirlo. Tuttavia, almeno quest’ultima gentilezza avrebbe potuto concedergliela.
“E va bene, d’accordo”.


- § -


Quando in lontananza intravide la capanna di quello smemorato, Ranma non seppe dire se essere più contento o frustrato. Da una parte, avrebbe potuto fargliela pagare cara – e se c’era anche Akane, tanto meglio – dall’altra avrebbe preferito imbattersi in un’orda di turisti, piuttosto che farsi vedere nelle condizioni in cui era da quel rintronato e sua moglie (ancora per poco): non solo era ‘vestito’ con nient’altro che due foglie di felce, ma il prurito al fondoschiena se lo stava mangiando vivo – altro che falco e prole – per tacere della sua virilità, che urlava invano di dolore, perché non osava nemmeno controllare in che condizioni fosse. Purtroppo, però, non c’era anima viva in quel dannato bosco a parte Shinnocoso e suo nonno, per cui non aveva alternative: doveva intrufolarsi nella capanna e rubare gli indumenti del suo rivale, se non voleva spaventare chiunque avesse trovato alla stazione dei pullman e finire arrestato.
Si avvicinò furtivo alla casa, ma non percepì altra presenza che quella del vecchietto, che con un po’ di fortuna stava di certo dormendo. Una parte della sua mente si chiese dove fossero Akane e il suo amichetto se non erano lì, ma la respinse sul nascere ed entrò di soppiatto: come aveva previsto, il nonno del rimbambito russava alla grande. Ranma ne approfittò allora per setacciare la stanza e trovò un paio di pantaloni, dei sandali e un happi identico alla casacca cenciosa che indossava sempre il tonto. Anche se l’idea lo ripugnava fino alla punta del codino, s’infilò quegli indumenti, senza tuttavia riuscire a impedire a smorfie di disgusto d’impadronirsi della sua faccia.
“Già di ritorno, nipote?”, tossì il vecchio alle sue spalle, bloccandolo mentre stringeva la casacca in vita.
“Ehm… sì?”, rispose lui tentando di imitare la voce di Shinnocoso.
“Ehi, quando ti è spuntata quella treccia?”.
Accidenti!
Stupido idiota che non era altro, perché non l’aveva nascosta? Ormai era inutile sforzarsi di fingere.
“D’accordo, non sono tuo nipote, vecchio: sono Ranma Saotome, ti ricordi di me?”, gli chiese voltandosi verso di lui.
“Oh, sì, certo che ricordo, cosa ci fai qui?”.
Ecco perché Akane non era venuta a cercarlo… Ma come aveva potuto proprio lei credere che uno come lui non se la sarebbe cavata? Sicuramente era stata convinta da quel cretino con lo spazzolone a desistere dal rintracciarlo dandolo per spacciato.
“Sono venuto per Akane. Di nuovo”, ironizzò lui.
“Ti riferisci alla ragazza di mio nipote?”.
Ranma sentì il proprio corpo assumere all’istante la consistenza di un blocco di pietra e per un attimo il mondo si spense. Niente focolare, niente pareti, niente paravento, nessun vecchietto che lo fissava stranito. Solo il buio nel cuore e nell’anima.
La… lachecosa?!
“Di che. Stai. Parlando?!”, sibilò Ranma tra i denti che cozzavano gli uni contro gli altri.
“Beh, quella ragazza è venuta qui spesso negli ultimi due anni e ogni volta accompagnava mio nipote nei boschi, stavano via ore, anche un’intera giornata, chissà che combinavano quei due, lui l’ha sempre amata!”, confessò il vecchio prima che un attacco di tosse uccidesse sul nascere la sua risata catarrosa.
Ranma chiuse gli occhi quando il mondo, anziché spegnersi di nuovo, iniziò a vorticare e lui dovette stringere con forza i pugni per non soccombere all’ira che si stava mangiando le viscere.
Ecco come stavano le cose.
Esattamente come aveva temuto.
Ma l’avrebbero pagata, oh, se l’avrebbero pagata!
“Stavano… via… per delle ore? Da soli?!”.
La sua espressione inferocita non impensierì tuttavia il vecchietto nel modo che si aspettava.
“Oh, non devi preoccuparti, tornavano sempre senza un graffio! Anche oggi per esempio sono tornati illesi, anzi, Akane ha detto perfino che la sua missione qui era conclusa, non so cosa intendesse, l’ho solo intravista fare un pacchetto prima che se ne andasse”.
“Ah… ha detto proprio così, eh?”. Avrebbe voluto aggiungere un insulto adeguato a quella traditrice consumata, ma si trattenne. “E dove si è diretta?”.
“Shinnosuke l’ha accompagnata a prendere la corriera, aveva molta fretta…”.
Ranma si volse a guardare verso l’uscio: le prime stelle brillavano all’orizzonte, sopra le cime degli alberi.
Fretta, eh? Certo, non vedeva l’ora di intascare il suo premio, la maledetta.
“Bene, allora posso stare tranquillo, se è insieme a lui…”, affermò sarcastico alzandosi in piedi.
“Certamen… ma perché indossi i vestiti di mio nipote?”.
Ranma si avviò verso la porta, infischiandosene se ormai era scesa la sera: doveva raggiungere quei due a qualunque costo. E vendicarsi.
“Perché tanto tuo nipote non ne avrà più bisogno…”, mormorò più a se stesso un istante prima di saltare sulla cima dell’albero più vicino.


- § -


La corriera partì in una nuvola di fumo, portando via con sé ogni speranza.
Eppure Shinnosuke rimase con la mano alzata, come se lei – come si chiamava? – stesse ricambiando il suo saluto attraverso l’ampio vetro posteriore. Invece non riusciva nemmeno a intravedere la sua sagoma, mentre il pullman si allontanava rapido. Che si aspettava, alla fin fine? Per tutto il volo a dorso di corvo si era trincerata dietro un mutismo tale da credere che avesse perso la voce, finché a quel capolinea non lo aveva salutato con un freddo inchino, le mani strette saldamente alle bretelle dello zaino, ringraziandolo per tutto ciò che aveva fatto per lei in quegli anni, ma guardandolo a mala pena negli occhi. Ciò che non aveva visto nel suo sguardo era bastato a fargli comprendere che era venuto il momento di lasciarla andare. Così si era limitato a ricambiare l’inchino, sperando in cuor suo che un giorno le tenebre venissero spazzate via dalla luce che aveva sempre animato quelle splendide iridi dorate.
Un tuono deflagrò proprio sopra la sua testa facendolo trasalire e poco dopo una pioggia scrosciante ma per fortuna breve lo infradiciò dalla testa ai piedi.
“Kraaaaa! Kraaaaaaaaaaaa!”.
Col suo verso il corvo gigante a cui ancora non aveva dato un nome – tanto se lo sarebbe scordato – sembrava volerlo esortare a tornare alla capanna il prima possibile, anziché restare lì come un fesso col braccio ancora sollevato.
“Ma porca la miseriaccia!”.
Shinnosuke aggirò l’ingombrante pennuto e scorse una ragazzina dai capelli fiammanti che si palpava il seno infagottata in abiti troppo grandi per lei: i pantaloni erano scivolati attorno alle caviglie.
“Ehi, ti serve aiuto? Hai perso il pullman?”.
Quella alzò gli occhi su di lui e Shinnosuke per poco non arretrò: mai gli era capitato di vedere uno sguardo più omicida di quello che lei gli rivolse. Un attimo dopo raccolse rapida i pantaloni da terra e se li tirò su fino in vita, ma senza smettere di scorticarlo vivo attraverso le fessure degli occhi.
“Kraaaaaaaaaa!”.
La ragazza spostò le iridi di un blu intenso sul corvo, poi le puntò di nuovo su di lui e il suo sguardo mutò in un battito di ciglia in quello sfarfallante e lacrimoso di una donzella in pericolo.
“Hai proprio ragione, ho perso la corriera, sono arrivata troppo tardi! Come farò adesso? Sono tutta sola in questo posto sperduto, il mio povero nonnino dipende da me, siamo soli al mondo, gli avevo promesso che sarei tornata a casa entro stasera!”, piagnucolò coprendosi il viso con ambo le mani.
“Oh, mi dispiace…”, commentò Shinnosuke comprendendo sin troppo bene la situazione di quella poveretta. “Dove abiti? Forse posso darti un passaggio col mio corvo…”.
Lei abbassò un poco le mani e lo squadrò di sottecchi.
“Vivo a Nerima, la conosci?”, gli chiese lei con la sua vocina disperata ma speranzosa.
Non poteva crederci, che fortunata coincidenza! Avrebbe potuto rivedere comesichiama un’altra volta!
“Sì, certo che la conosco!”, esultò Shinnosuke stringendole di slancio le mani tra le sue. “Ti porterò da tuo nonno in men che non si dica!”.
La ragazzina si ritrasse come disgustata, per poi profondersi in un sorriso che, tuttavia, gli parve parecchio forzato.
“Oh, grazie mille, mio salvatore, te ne sarò eternamente riconoscente!”, lo ringraziò sfarfallando di nuovo le ciglia sugli enormi occhi da cucciolo indifeso, le mani giunte ai lati del viso.
Shinnosuke salì in groppa al corvo e poi tese una mano alla ragazza, ma quella saltò agilmente sedendosi dietro di lui e incrociando le braccia al petto.
“Beh, che aspettiamo?”.
Un po’ perplesso da quei repentini cambiamenti di umore, Shinnosuke si rivolse al suo pennuto, gli parlò amorevolmente carezzandogli le piume sulla testa e poi gli impartì l’ordine di spiccare il volo
“Kraaaaaaa!”, rispose la bestiola dispiegando le ali, mentre Shinnosuke si volgeva a guardare la ragazzina. Ma prima che potesse suggerirle di aggrapparsi a lui per non rischiare di cadere, qualcosa lo colpì in testa così forte da fargli perdere i sensi e l’equilibrio, scivolando nell’incoscienza mentre scivolava al suolo.


“Grazie del passaggio, idiota!”, rise sguaiata Ranko dopo che Shinnosuke, caduto a testa in giù, aveva sbattuto la cocuzza sul selciato della piazzola dei pullman, le mani che facevano inspiegabilmente le corna.
Finalmente se l’era levato di torno, ora poteva allontanarsi in groppa al corvo di quel cretino mentre passava più e più volte le dita aperte sull’happi di quel deficiente per togliersi di dosso la sensazione delle sue mani sulle proprie. Bleah! Non vedeva l’ora di tornare a Nerima, anche solo per strapparsi di dosso quelle vesti e gettarsi in una vasca per lavarne via il puzzo, che schifo! Intanto, però, era fondamentale non perdere di vista la corriera sulla quale stava viaggiando Akane: era certo che quella fedifraga di sua moglie si sarebbe precipitata innanzitutto nella sede della Fenice Bianca a reclamare il suo premio, maledetta! E lui non vedeva l’ora di romperle le uova nel paniere.


- § -


Seduta nell’ultima fila di sedili, le gambe raccolte al petto, la fronte poggiata contro il vetro gelido e il mondo che si appannava a ogni sospiro, Akane stringeva i vestiti di Ranma a sé come se, dentro quegli indumenti impregnati del suo odore, ci fosse ancora lui. Ne aspirò l’aroma e dovette serrare gli occhi per impedire ai ricordi di tracimare oltre la diga delle ciglia. Se solo avesse avuto ancora un’occasione... Una sola, sarebbe bastata. Per spiegargli, per dimostrargli quanto si fosse sbagliato su di lei. Per sentire di nuovo la sua voce, fossero pure insulti e accuse. Per abbracciare altro che un ammasso di brandelli. Per sentire ancora il calore delle sue labbra sulle proprie.
Perché doveva finire così? Perché? Era unicamente colpa sua, tutta colpa sua! Lei aveva fatto in modo che Ranma la inseguisse per intrappolarlo e adesso lui non c’era più… Non lo avrebbe mai perdonato per quel che le aveva fatto, era vero, ma non lo avrebbe mai nemmeno dimenticato, non importava quanti sforzi avrebbe compiuto. Sostituirlo, poi, era impensabile, lo aveva ribadito anche a un disperato Shinnosuke che prima di lasciarla salire sulla corriera le aveva afferrato una mano supplicandola di tornare a trovarlo, un giorno. Forse, col tempo, io potrei… No, Shinnosuke, gli aveva risposto troncando sul nascere ogni speranza, nessuno può prendere il suo posto. Aveva ringraziato ancora una volta con un inchino il suo amico d’infanzia e gli aveva voltato le spalle senza più guardarsi indietro, senza nemmeno accennare un saluto dal finestrino del pullman, mentre lui la seguiva con lo sguardo di un cagnolino che vede il padrone abbandonarlo per sempre in una piazzola semibuia. Eppure era sempre stata chiara: fra loro non poteva esistere nient’altro che un’amicizia, non doveva sperare in nulla di più.
Le prime luci di Tokyo, in lontananza, le suscitarono tutt’altro che gioia: in una sola giornata aveva perso Ranma e un caro amico. E ora che faceva ritorno a casa, non solo avrebbe dovuto comunicare a tutta la famiglia la perdita di… suo marito, ma prima ancora avrebbe dovuto recarsi alla sede della Fenice Bianca per riscattare Kasumi e il dottor Tofu.
La vita di Ranma per la loro.
Chiuse gli occhi con forza e si rannicchiò ancora di più sul sedile, quasi in posizione fetale, mentre una voce registrata annunciava le prossime fermate prima del capolinea: ancora tre soste e avrebbe dovuto scendere sotto una pioggia che si faceva sempre più intensa man mano che si avvicinava al proprio quartiere. Non aveva l’ombrello, ora che le sovveniva, lei che non mancava mai di averne con sé almeno uno pieghevole per riparare Ranma dai temporali improvvisi.
Serrò di nuovo a forza le ciglia sugli occhi e colpì il vetro con la fronte. Una volta. Due. Tre.
Concentrati su Kasumi, accidenti, concentrati su Kasumi! Basta pensare a Ranma e comunque non dimenticare che ti ha tradito e voleva disfarsi di te. Non merita le tue lacrime.
Eppure non poteva fare a meno di piangerlo, perché dietro le palpebre abbassate i due anni e mezzo trascorsi tra battibecchi e sorrisi, litigate e riappacificazioni scivolavano come una valanga lungo i pendii della memoria, arricchendosi sempre più di particolari nella loro folle corsa verso il fondovalle della disperazione.
L’annuncio della sua fermata la strappò a ricordi diventati dolorosi. Akane si asciugò le ciglia, si alzò per afferrare lo zaino e quando il pullman si fermò scese sotto una pioggia battente, avviandosi correndo e saltando di tetto in tetto verso la dimora dei Miyakoji.
Quando giunse al portone della villa protetto da una tettoia e mostrò alle due guardie della sicurezza il contenuto del proprio zaino spiegando il motivo della sua visita, uno dei due gorilla pigiò il tasto dell’interfono alle sue spalle e una videocamera la inquadrò zoomandola, prima che una delle ante del portale venisse aperta a sufficienza da lasciarla passare. Akane corse allora a perdifiato verso l’ingresso principale della residenza, dalla quale proveniva della musica e un allegro chiacchiericcio.
“Mi congratulo con te per il successo della missione, ragazza, ma da qui non puoi passare”, la frenò Shika sotto il portico opponendole il palmo di una manina rugosa. “La famiglia Miyakoji sta festeggiando la ritrovata armonia con la famiglia Nakamura e prendendo nuovi accordi per la data delle nozze tra Satsuki e Keizo, non puoi vedere la capoclan in questo momento!”.
“Ma io devo riscattare mia sorella e mio cognato!”.
“Adesso non è possibile, dovrai aspettare domattina! E comunque non puoi presentarti in queste condizioni!”, disse arricciando disgustata le labbra avvizzite.
“Ho perso mio marito poche ore fa!”, urlò senza alcuna intenzione di contenere la voce. “Cosa volete che m’importi di come sono conciata! Adesso mi restituite mia sorella, o giuro che sfascio tutto!”.
“E cosa ti fa credere che tua sorella e suo marito siano qui?”, mise in dubbio Shika incrociando le braccia al petto.
“Che… cosa?”, balbettò lei flebile dopo alcuni istanti di sbigottimento. “Ma… ma la capoclan ha detto che sono vostri ospiti…”.
“Appunto, ha detto che sono nelle mani della Fenice Bianca, non che li teniamo prigionieri qui nella residenza principale: hai idea di quante residenze secondarie possiede la famiglia Miyakoji?”.
Akane spalancò la bocca e quasi si accasciò sulle assi di legno del portico.
Che stupida era stata… che monumentale stupida…
“Suvvia, non fare quell’espressione afflitta”, continuò Shika con tono di sufficienza. “Dato che hai portato a termine la missione e ti sei precipitata qui nonostante la pioggia, ti consentirò di entrare dall’ingresso posteriore per poterti fare un bagno caldo e cambiarti: oggi è Halloween, per cui la festa di stasera è in maschera. Ti farò preparare un costume, così potrai presentarti come si deve alla capoclan e partecipare alla festa. E poi chissà, magari a fine serata potrebbe perfino concederti di raggiungere la tua famiglia… Avanti, seguimi”.
Rinvigorita da un barlume di speranza, Akane seguì la vecchietta sotto il portico, ma quando si trattò di lasciare lo zaino fuori dalla sala da bagno, Akane faticò a staccarsene, giurando a se stessa che non avrebbe consegnato alla capoclan tutto ciò che aveva recuperato del vestiario di Ranma, qualcosa lo avrebbe trattenuto per sé.
All’uscita del bagno, dopo aver asciugato rapidamente i capelli, trovò abiti da sera in stile anni Venti e le tornò in mente quando Nabiki, mesi prima, le aveva rivelato che il tango stava diventando di moda tra i giovani giapponesi, convincendola a prendere lezioni per non sfigurare con la Fenice Bianca, nel caso glielo avessero richiesto per una missione. Doveva ammetterlo: Nabiki sarebbe stata una spia migliore di lei…
Indossò i collant, l’abito scintillante con le frange che arrivava fino alle ginocchia, le scarpe col tacco e quella specie di cerchietto con la piuma sulla testa: per fortuna aveva già l’acconciatura adatta o sarebbero stati capaci di tagliarle i capelli in fretta e furia. Shika, però, le porse anche una giarrettiera ordinandole di infilarla sui collant perché, dopotutto, era pure sempre una spia e avrebbe potuto tornarle utile. Non riusciva a capire cosa c’entrasse un indumento simile col suo incarico, ma obbedì. E anche se non aveva alcuna voglia di truccarsi, lasciò fare alle cameriere, rendendosi conto solo allora che il fagotto coi vestiti di Ranma era stato posto di fianco al suo zaino.
“Porterai con te gli abiti di tuo marito e li mostrerai alla capoclan quale prova della riuscita della tua missione”, le rispose Shika quando chiese spiegazioni. Akane si alzò allora per aprire l’involto e tra i pochi frammenti di casacca ricomposti prelevò il colletto.
“Almeno questo lasciatemelo”.
“Potrai riprenderti tutto, a breve, noi non ce ne facciamo nulla”, affermò Shika prima di darle la schiena.
Akane rimase per un momento immobile a guardarla allontanarsi, mentre poco a poco fioriva in lei un sentimento nuovo. Avversione. Per quel mondo, quella casa, quelle persone, mentre incedeva dietro la vecchina controvoglia e sempre più disgustata: i brandelli del suo cuore, per i Miyakoji, erano solo spazzatura. E lei non era disposta a perdere un’altra persona amata.
Forse era venuto il momento di mettere fine a quella… collaborazione.


Appollaiato su un ramo, Ranko aveva osservato sua moglie con molta attenzione. Come aveva mostrato ai gorilla sotto la tettoia i propri vestiti strappati affinché la lasciassero passare, la sua folle corsa fino all’ingresso principale della villa dei Miyakoji – dove era stata fermata da una delle vecchiette al soldo della capoclan della Fenice Bianca – e infine il tragitto sotto il portico verso l’ingresso posteriore. Più che comprensibile, visto che dalla residenza provenivano melodie antiquate e i rumori di una festa e lei non era di certo stata invitata. Gli sovvenne solo in quell’istante che quella era la notte di Halloween, la festa quindi doveva essere in maschera. Ottimo.
Comunque non aveva perso tempo, la maledetta, a far ritorno all’ovile: l’unica cosa che le premeva era dimostrare quanto prima ai Miyakoji di averlo tolto di mezzo. Anche lui avrebbe fatto lo stesso, ma lui aveva un motivo valido, almeno. Così adesso non solo lei, ma anche la Fenice Bianca lo avrebbe creduto morto, il che giocava ancora di più a suo favore, visto che voleva introdursi nella villa: con un travestimento sarebbe passato ancora di più inosservato.
Si diresse verso l’ingresso posteriore facendo il giro dell’isolato, constatando così che era aumentata non solo la sorveglianza, ma anche le telecamere e i quattrozampe con le zanne. Dovette attendere parecchio il momento favorevole per saltare sul muro di cinta nell’unico punto cieco della videosorveglianza e da lì sulle tegole del tetto più vicino, ma da quel punto in poi fu tutto in discesa: Ranko si ritrovò infatti nel bagno della villa, saturo di umidità e avvolto nel buio. Akane doveva averlo usato da poco per rendersi presentabile agli occhi della capoclan e lui avrebbe voluto sfruttarlo a sua volta, fradicio e infreddolito com’era, ma si limitò a strapparsi finalmente di dosso quegli abiti orrendi, gettarli in un secchio e spruzzarsi addosso acqua calda, giusto per recuperare il suo vero aspetto. Il tempo di passarsi velocemente un asciugamano sui capelli e uscì da lì, più nudo di un pollo spiumato, usando l’Umisen Ken per intrufolarsi nelle stanze al piano superiore. Sperava di trovare qualcosa di adatto da indossare per la festa, ma in un guardaroba s’imbatté solo in un completo da uomo a righe e alcune maschere bianche riposte su un mobile che celavano appena metà volto. Pazienza, si disse nascondendo il codino sotto il colletto.
Usando di nuovo l’Umisen Ken, scese le scale fino al pianterreno e aprendo una doppia porta fece il suo ingresso trionfale in una grande sala gremita di invitati vestiti in stile anni Venti, tra i quali scorrazzavano camerieri travestiti da pinguini con vassoi colmi di bicchieri o tartine. Nel centro del salone, alcune coppie si esibivano in balli risalenti a sessant’anni prima. Per una volta, doveva ringraziare quel plantigrado di suo padre che lo aveva obbligato a prendere lezioni di ballo perché non si sa mai, figlio mio, potrebbe tornarti utile per la tua professione. Lui aveva creduto fossero lezioni di tango artistico marziale, invece era il tango vero.
Una noia letale.
Afferrò al volo un calice per meglio mimetizzarsi tra gli invitati e finse di sorseggiarlo, mentre scandagliava con lo sguardo l’intera sala alla ricerca di lei, ma stranamente non la vide da nessuna parte. Increspò la fronte. Forse non avrebbe partecipato alla festa? Forse la capoclan la stava ricevendo in disparte? Sgranò gli occhi, si bloccò quasi nel mezzo della sala dandosi dell’imbecille e pian piano si defilò tornando da dove era venuto, deciso a perlustrare le altre stanze del piano terra… appeso al soffitto del corridoio per evitare le guardie di ronda, anche se il completo da uomo non lo agevolava per niente, così come il fatto di dover tenere le scarpe con una mano.
Solo quando udì delle voci sommesse provenire da una stanza, scese di nuovo a terra e, guardando attraverso il buco della serratura, scorse sua moglie di profilo, le mani raccolte in grembo e lo sguardo basso. Immediatamente uccise sul nascere il pensiero che, conciata a quel modo, togliesse il fiato: il vestito anzi le cadeva male, evidenziando i fianchi larghi e il seno piatto. Era ridicola, ecco cos’era. E in ridicolo l’avrebbe messa davanti a tutti, prima di portarla di peso dalla Tigre Nera soffiandola da sotto al naso alla Fenice Bianca.
Lei, frattanto, si era inginocchiata e inchinata quando da un’altra porta aveva fatto il suo ingresso una vecchia bacucca – quasi una fotocopia della nonna di Sentaro – cui un’altra vecchietta stava mostrando qualcosa avvolto in un fazzoletto. Quella che doveva chiaramente essere la nonna di Satsuki scoccò un’occhiata al contenuto del pacco – i propri vestiti cinesi a brandelli – e si complimentò con Akane, che tuttavia a mala pena fece un cenno col capo. Strano. Subito dopo, però, notò sua moglie artigliare la gonna del vestito, mentre sembrava supplicare il clone mal riuscito della nonna di Sentaro, che tuttavia scosse la testa a quella che doveva essere stata una richiesta e con una mano la congedò. Ma Akane, anziché inchinarsi, balzò in piedi coi pugni stretti e osò minacciare la capoclan, o così gli parve: nel momento stesso in cui aveva osato reagire, le tre repliche di Ume, Matsu e Take si erano frapposte brandendo contro Akane giganteschi strumenti per la cerimonia del tè e urlando di allontanarsi.
Sua moglie non chinò nemmeno la testa: diede loro le spalle e avanzò verso la porta a passo da battaglia.
Ranma fece appena in tempo ad aggrapparsi di nuovo alle assi sporgenti del soffitto, prima che le ante venissero spalancate da un’Akane imbufalita che, quasi correndo, si diresse verso la sala dove si teneva il ricevimento.
Perfetto.


Akane spalancò le ante della porta ed entrò come un uragano nella sala dove si stava svolgendo la “festa della riconciliazione”, come i Miyakoji l’avevano definita. Qualche invitato di ambo le famiglie si voltò a guardarla con aria sconcertata o di sufficienza e lei dovette fare buon viso a cattivo gioco ingoiando il magone che stava rischiando di strozzarla.
Maledetta Fenice Bianca. Non solo la capoclan non aveva alcuna intenzione di liberare Kasumi e il dottor Tofu a fine serata, ma aveva anzi intenzione di trattenerli ancora chissà dove finché non avesse avuto la certezza che gli indumenti devastati che le aveva consegnato appartenessero realmente a suo marito.
Dopo tutto ciò che aveva fatto per l’organizzazione, non si fidava di lei per il legame che aveva avuto con Ranma. E adesso la costringeva perfino a partecipare a quella stupida festa per tenerla d’occhio.
Si sedette a un tavolo rotondo defilato da dove una coppia si era appena alzata per andare a ballare e scansando uno dei tanti posaceneri di pesante cristallo si lasciò sfuggire un sospiro affranto. Poteva solo sperare che quello strazio terminasse al più presto, ma la serata era iniziata da poco e lei si ritrovò a contare i minuti che la separavano dalla fine, augurandosi che nessuno la importunasse. Stare da sola era tutto ciò che desiderava, almeno questo dovevano concederglielo.
Neanche il tempo di formulare quel pensiero, mentre si sosteneva disperata la fronte con le mani, che le dita di una vennero afferrate con la rudezza di un gorilla. Akane sollevò il viso spiazzata, ma anziché vedere in faccia chi si era permesso una tale confidenza, vide solo la nuca del maleducato, che la tirò con forza per il braccio senza neanche voltarsi a guardarla, costringendola addirittura ad alzarsi per seguirlo. Ma come si permetteva questo cafone?
“Ehi, lasciami andare! Mi senti? Lasciami subito! Cosa credi di fare?”, ringhiò facendo resistenza senza riuscire tuttavia a liberarsi – incredibile ma vero – da quella morsa. Stava allora per caricare un pugno, infischiandosene del luogo, quando l’orchestra iniziò a suonare le prime note di un tango: il tizio si bloccò al centro della sala, si voltò a fronteggiarla rivelando un’anonima maschera bianca che copriva metà viso e con uno strattone la costrinse ad avvicinarsi a lui. Lei premette d’istinto la mano libera contro la sua giacca cercando di respingerlo, ma l’aspirante suicida si spinse ancora più in là, arrivando a premere una mano contro la propria schiena per costringerla ad aderire al suo torace. Come osava trattarla in modo tanto possessivo, come se fosse un oggetto di sua proprietà?! Voleva Ballare? Benissimo, lo avrebbe fatto ballare lei con un pugno che lo avrebbe spedito in…
“Ti hanno conciata per bene, mogliettina, quel trucco ti rende quasi guardabile”.
Akane spalancò tanto la bocca che per poco con le cadde la mascella nella scollatura e lasciò ricadere il pugno che aveva caricato, mentre… mentre… suo marito sfilava via la maschera e abbassava lo sguardo su di lei, sfoggiando il sorrisetto strafottente che la mandava in bestia e il mare agitato delle sue iridi che la mandava in deliquio. Com’era che si respirava? Lo aveva dimenticato, perché lui… lui era vivo… era vivo! Oh, grazie ai kami, Ranma era vivo e la stava stringendo a sé! Avrebbe voluto saltare di gioia e lasciarsi andare a un pianto liberatorio, invece di stare lì a trattenere le lacrime mentre poggiava la mano libera sulla sua spalla! Che felicità, non l’aveva perso, quell’idiota monumentale era ancora vivo!
“Ti hanno anche insegnato a ballare? Oppure ti muovi sempre come un tricheco spiaggiato?”.
Oh, dèi del cielo, che gioia sentire ancora le sue braccia, il suo respiro, il suo odore, la sua vo…
Eeeehhh? Che sta blaterando?
“Sorpresa, eh?”, le chiese sarcastico lui, mentre lei, seppur rabbuiata, eseguiva come un automa i primi passi di danza, anche se più che guidarla, Ranma la stava strapazzando come una bambola di pezza. Un momento… sapeva ballare? Lui?! “Davvero pensavi che bastasse un mucchietto di piume per mettermi fuori gioco? Sei sempre la solita ingenua”. Il sorriso di Akane si affievolì sempre più, mentre la fronte si aggrottava perplessa. “Ho lanciato i miei vestiti a quelle bestiacce appena sono atterrato in quel dannato nido, così, mentre loro se li litigavano, io sono saltato giù”.
Akane chiuse gli occhi per un istante.
Stupida cretina deficiente. Come aveva potuto essere tanto cieca? Alla vista di quegli indumenti lacerati si era disperata al punto che non si era soffermata nemmeno per un secondo a pensare al fatto che mancasse all’appello un dettaglio fondamentale: il sangue.
Aveva consegnato alla Fenice Bianca solo un mucchio di stracci.
“Scommetto che ti stai dando della stupida cretina deficiente. Beh, è quello che sei, oltre che traditrice consumata”, l’accusò lui stringendole ancora di più con rabbia la mano ostaggio della sua.
“Che cosa?!”, sbottò lei spalancando le ciglia furiosa, mentre con l’altra mano artigliava la spalla di Ranma sperando di trapassarla da parte a parte. “Sei tu il traditore, non io!”.
“Ah sì? Sono stato forse io a fare gite di nascosto a Ryugenzawa per ben due anni? Il nonno di quello scemo ti ha definita la sua ragazza, che facevate in quei boschi da soli, eh? Sei ancora peggio di quel che pensassi”, osò affermare prima di farla volteggiare come una trottola, farle urtare un tavolo e poi strattonarla ancora per il braccio costringendola di nuovo a stargli appiccicata addosso.
“Macheaccidentivaiapensarebruttoimbecille! E io che ho persino versato lacrime per te!”, sibilò pestandogli un piede con un tacco così forte da costringerlo a trattenere un urlo.
“Le immagino, le lacrime di gioia per esserti sbarazzata di me! Smettila, Akane, ormai ti vedo per quella che sei veramente. E voglio più che mai il divorzio”.
Tu vorresti il divorzio? Tuuu?!”.
Brutto pallone gonfiato. Imbecille di un baka con una faccia da calci sui denti. Sì, era stata una stupida cretina deficiente a non aver controllato che fosse morto sul serio. E poi a non averlo ammazzato con le sue stesse mani. Ma poteva ancora rimediare.
“Lo avrai, sta’ tranquillo, stasera stessa!”, ruggì senza smettere di sfidarlo con occhi di brace, mentre la mano aggrappata alla sua spalla si chiudeva a pugno e saettava verso la sua faccia. Ma Ranma gliel’afferrò al volo e torcendole il braccio la costrinse a tenerla dietro la schiena. E questo significò finirgli spalmata addosso.
“Vuoi combattere qui, davanti a tutti, mostrando alla tua organizzazione di essere stata un’imbranata? Guarda che non chiedo di meglio”, la provocò fermandosi di colpo per costringerla a piegarsi all’indietro in un casquè, mentre la mano che un attimo prima le bloccava il polso adesso tastava la schiena in cerca di chissà cosa, per poi spostarsi sui fianchi. Dove si soffermò un po’ troppo.
“Non nascondo armi addosso, pervertito, non ho mai avuto bisogno di farlo!”, protestò tornando eretta e cercando stavolta di colpirlo con un pugno a un fianco, ma Ranma le sollevò una gamba e percorrendo con dita sensuali la calza, le scoprì la coscia fino a rivelare la giarrettiera.
“Ah no? E questo cos’è?”, le chiese sfilando via un cucchiaino per la cerimonia del tè nascosto tra il pizzo, lanciandolo attraverso la sala con due dita neanche fosse una shuriken e infilzando lo schienale di una sedia.
Maledetto. Lui e le sue manacce.
Sicura che anche suo marito nascondesse qualcosa e decisa a non essere da meno, finse di voler continuare a danzare con la gamba avvinta alla sua, ma in realtà tastandogli i pett… lo smoking. Non trovando nulla, lasciò che le facesse fare una piroetta che le permettesse di scivolare poi ai suoi piedi in modo da tastargli per bene anche le gambe. Ma il nulla cosmico trovò, a parte il sorrisetto a mezza bocca e il sopracciglio inarcato sopra l’occhiata di intesa che un Ranma compiaciuto stava lanciando a una coppia di vecchietti, mentre lei gli palpava i fianchi.
Ma brutto cretino deficiente!
Furibonda, lasciò che l’afferrasse per i polsi per rimetterla in piedi e sfidarla a sua volta con uno sguardo penetrante da aggrovigliarle le viscere.
“Non troverai nulla, io non ho bisogno di armi per batterti, Akane. Ma tu tasta pure quanto vuoi, è l’ultima occasione che hai per farlo”, le mormorò divertito a un soffio dal suo viso mentre la danza riprendeva. Era una sua impressione o l’idiota stava sudando? Le sembrava che fosse perfino arrossito, altro che fare lo spavaldo!
Dato che non riusciva a colpirlo, decise di condurre lei le danze prendendo l’iniziativa con dei passi rapidi, decisi e allungati, fino a spingerlo verso un pilastro, contro cui Ranma sbatté la testa.
“Ballo abbastanza bene, per te? Se vuoi, ti do lezioni di danza, maritino…”.
Lui trattenne un insulto e la spinse indietro facendola piroettare finché non urtò un invitato, per poi essere di nuovo strattonata verso di lui. Tentò allora di pestargli di nuovo un piede e poi di mollargli un calcio a uno stinco, ma Ranma dapprima scansò il suo affondo e poi bloccò la sua gamba con la propria, mentre Akane cercava di colpirlo con le dita tese ai punti vitali sul torace, ma ogni volta il deficiente riusciva a bloccarle le dita e ad allontanarle da sé costringendola ad assumere la posa di una ballerina, finché col fondoschiena non urtò un tavolo.
“Sei appena passabile, Akane, come sempre…”, la irrise lui. E lei, di colpo, ne ebbe abbastanza.
Era sollevata che fosse vivo, i kami le erano testimoni, ma non era cambiato nulla, fra loro. Se non altro adesso aveva la possibilità di fargli vedere chi era. Perché nemmeno Akane Tendo si tirava indietro di fronte a una sfida. E qualcuno doveva ancora pagarla molto cara.
“Hai fatto un grosso errore a presentarti qui stasera, avresti dovuto rimanere a Ryugenzawa, perché piuttosto che sopportare un secondo di più la tua vicinanza…”.
“…cosa? Vuoi davvero far sapere a tutti che hai fallito miseramente la missione, maschiaccio?”, la sfidò sicuro di sé a fior di labbra. Quelle labbra che si stavano chinando sulle sue, facendo vacillare la sua determinazione, mentre tastava alla cieca il tavolo alle sue spalle in cerca dell’unica arma disponibile e realmente efficace.
“Esatto!”, gridò afferrando un posacenere di cristallo e colpendolo così forte in testa da farlo volare per tutta la stanza tra gridolini di stupore, finché Ranma non si schiantò contro un muro. Di più: ci rimase incastrato di faccia a testa in giù, le mani che facevano le corna, tra una miriade di crepe che si diramavano tutt’attorno e la gente che scappava inorridita.
La musica cessò di colpo e l’intera sala si fermò ammutolita a guardarli, facendo subito il vuoto attorno a loro, mentre Ranma scivolava lentamente a terra nella stessa posizione in cui aveva incontrato la parete. Ma dato che si trattava di lui, si rialzò in piedi in un battibaleno massaggiandosi l’enorme ficozzo che spuntava dalla vaporosa chioma.
“Ehi! Potevi ammazzarmi con quello, razza di scema!”.
“Impossibile, perché hai la testa vuota, idiota!”.
“Che succede qui?!”, urlò Shika irrompendo nella sala.
“Succede… che mio marito è ancora vivo!”, annunciò Akane tra i mormorii stupiti che presero a serpeggiare tra gli ospiti.
“Allora è come temevamo!”.
“È una faccenda tra me e lui, nessuno intervenga!”, minacciò senza smettere di scorticarlo con gli occhi mentre lanciava via le scarpe, per poi strappare un lato del proprio vestito così da potersi muovere più agilmente. “Ora basta giocare, combatti maritino! Non vedo l’ora di frantumarti quella faccia da traditore!”, lo provocò piegandosi sulle gambe ben distanziate per mettersi in posa da combattimento.
Ranma sfoggiò un sorriso divertito e sfilò via la maschera quasi con indolenza gettandola sul pavimento, mentre le guardie della sicurezza sbucavano dalla folla degli invitati per circondarli, ognuno con un’arma marziale diversa tra le mani, chi il nunchaku, chi il suruchin, chi il tekko, chi i tonfa, chi un paio di sai. Ranma si tolse allora anche la giacca, il farfallino e rimase con la sola camicia, tirandosi su le maniche fino ai gomiti.
“D’accordo, allora”, rispose mettendosi in posa a sua volta. “Attaccatemi pure tutti insieme. Sono pronto”.






Note:
Nunchaku: due brevi bastoni uniti da una catena.
Sai: coppia di punteruoli con sporgenze laterali che ricordano dei pugnali.
Suruchin: catena con due pesi alle estremità.
Tekko: simile al nostro pugno di ferro.
Tonfa: bastoni con impugnatura laterale.


Scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare, sono imperdonabile, lo so, ma lavoro a parte, all'ispirazione non si comanda: o si fa viva o latita, anche quando hai già in testa la scaletta del capitolo. Ringrazio per questo Tillyci che mi ha aiutato a tirar fuori le idee e me ne ha suggerite tante, grazie carissima! E grazie in anticipo a chi vorrà farmi sapere che ne pensa di questo capitolo, alla prossima!

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Capitolo 9
*** Fino all'ultimo respiro ***


Carissimi, scusate l’immenso ritardo con cui aggiorno questa ff, è passato più di un anno dall’ultimo capitolo! Chiedo perdono, ma non voleva proprio saperne di venire fuori questo capitolo 9, ero davvero priva di ispirazione per i combattimenti (invece la parte finale è stata la prima che ho scritto… XDD), ecco perché mi rifaccio viva solo adesso, spero solo che l’attesa sia valsa la pena! Prima di lasciarvi alla lettura, ringrazio come sempre dal profondo del cuore le mie impareggiabili beta Tillyci e Moira, senza di loro sarei persa!


Glossario:
Nunchaku: due brevi bastoni uniti da una catena.
Sai: coppia di punteruoli con sporgenze laterali che ricordano dei pugnali.
San setsu-kon: nunchaku a tre bastoni.
Suruchin: catena con due pesi alle estremità.
Tekko: simile al nostro pugno di ferro.
Tonfa: bastoni con impugnatura laterale.



IX

FINO ALL’ULTIMO RESPIRO






“D’accordo, allora”, rispose Ranma distanziando le ginocchia e protendendo un braccio in avanti, mentre portava l’altro all’altezza del volto. “Attaccatemi pure tutti insieme. Sono pronto”, sorrise beffardo. Sarebbe stato un gioco da ragazzi sbarazzarsi di tutti quei…
“Fermi, non azzardatevi! Ho detto che è una faccenda tra me e lui, nessuno deve intromettersi!”, protestò la sua ancora per poco moglie rivolta alle guardie della sicurezza, che tutt’intorno a loro non si mossero in effetti di un millimetro, limitandosi a brandire contro di lui le armi più disparate.
“Non obbediscono a te”, gracchiò una voce alle spalle di Akane. “Ma se ci tieni tanto, interverranno solo nel caso di un tuo nuovo… fallimento”, spuntò dietro di lei… Shaka? Sheka? Shema? Non ricordava il nome del tapiro, ma chisseneimportava. “Rammenta solo che è la tua ultima possibilità e sai bene a cosa alludo”, la minacciò.
Akane strinse i denti come se tentasse con tutte le sue forze di trattenersi dal saltare alla gola di quella specie di carlino incarognito, anziché alla propria. La stavano ricattando in qualche modo? Fu solo un istante, tuttavia, prima che si voltasse di scatto verso la guardia alla sua destra e le strappasse di mano ciò che impugnava. Un attimo dopo, la catena di un suruchin saettò verso di lui rapida come un fulmine a ciel sereno arrivando a sfiorargli la frangia: se non avesse avuto i riflessi di cui tanto si vantava, non si sarebbe mai inarcato all’indietro in tempo per evitare quell’affondo e il peso metallico all’estremità della lunga catena gli avrebbe aperto un terzo occhio in piena fronte.
Nonostante la sorpresa, Ranma completò la rotazione su se stesso sforbiciando le gambe in aria e, nell’atterrare, sferrò un calcio in piena faccia a una guardia alle sue spalle, così da afferrare al volo il san setsu-kon che l’uomo brandiva e che si lasciò sfuggire dalle dita. Ranma impugnò il nunchaku a tre bastoni con ambo le mani e lo dispiegò per tutta la sua lunghezza tenendolo teso davanti a sé.
Akane continuò a far roteare il suruchin nell’aria senza staccargli l’espressione truce di dosso, apparentemente indifferente alla prodezza di cui lui aveva fatto sfoggio, anche se un lampo di frustrazione rabbuiò ancora di più lo sguardo con cui sua moglie stava cercando di scorticarlo vivo. Una moglie che stentava a riconoscere, rapida negli attacchi e persino capace di maneggiare un’arma che – avrebbe potuto giurare fino a pochi giorni addietro – al massimo avrebbe arrotolato attorno al collo finendo per strozzarsi. Ma anche se quella davanti a lui non era più l’Akane imbranata che conosceva, era comunque impensabile che potesse sostenere contro di lui un combattimento alla pari.
Ha conciato Shampoo per le feste, però…
D’accordo, era leggermente migliorata e allora? Non sarebbe mai stata in grado di impensierire uno come lui, figurarsi...
Akane piroettò su se stessa prima di scagliargli contro l’estremità della catena che aveva fatto roteare nell’aria fino a un attimo prima. Ranma la deviò col nunchaku nello stesso momento in cui Akane, continuando a volteggiare, gli lanciò contro anche l’altra estremità, che lui dirottò all’ultimo istante, rendendosi conto che il primo attacco doveva solo servire a distrarlo. Da quel momento, fu una continua raffica di assalti che Ranma si limitò a schivare, per evitare che la catena di Akane si agganciasse a quella del suo nunchaku, ma con l’ultimo affondo sua moglie spaccò un tavolo in due facendo volare nell’aria piatti di porcellana e bicchieri di cristallo. Fortuna che gli invitati si erano già dati a una fuga precipitosa, o sarebbe stata capace di far prendere il volo anche a loro.
Ranma ne approfittò per attorcigliare il suo nunchaku attorno al suruchin di Akane e strapparglielo dalle mani per lanciarlo dall’altra parte della sala.
Fu allora che lei scagliò lontano le scarpe e artigliando la gonna la strappò con un unico, deciso strattone fino a lasciare le cosce scoperte quasi per intero. Ancora una volta, Akane si mostrava davanti a tutti in abiti succinti e anche se era più che evidente il motivo per cui si era liberata di quello scomodo intralcio, non poté impedirsi di avvampare di rabbia. Un istante prima che lei, con un paio di salti rovesciati all’indietro degni di una ginnasta di loro conoscenza, raggiungesse una delle guardie per strappargli di mano una coppia di sai.
Sa usare anche quelli?!


Quel Ranma era davvero notevole, non c’era che dire. Il solo fatto di essere riuscito a introdursi nella sede della Fenice Bianca per ben tre volte senza essere notato era uno smacco inaccettabile per l’organizzazione. Chi altri poteva essere stato, infatti, a rovinare l’allestimento in giardino per le nozze di Satzuki e poi a introdursi nella camera della ragazza per scattare quelle foto oscene? Che razza di tecnica permetteva di passare più inosservati di un ninja? Sarebbe stato arduo per Akane anche solo tenere testa a un simile professionista, un vero peccato non averlo reclutato tra le loro fila. In ogni caso, che la ragazza riuscisse o meno ad avere la meglio su di lui non aveva importanza: era sufficiente che lo tenesse impegnato e lo sfiancasse, a ridurlo all’impotenza ci avrebbero pensato le altre guardie, quelle appostate tutt’intorno alla residenza e chiamate prontamente a circondarla fino a bloccare ogni uscita e possibile via di fuga. Saotome Ranma non sarebbe andato da nessuna parte, anche se avesse battuto Akane.
E comunque Akane era un osso duro, era evidente che nemmeno il marito immaginasse quanto, da come osservava sbigottito il modo in cui lei faceva roteare i sai tra le mani, quasi fossero dei banali portachiavi, e poi li bloccava puntandoglieli contro e portando un piede in avanti per mettersi in posizione d’attacco, il volto un concentrato di rabbia e determinazione.
Se quel Ranma non imprecò a voce, lo fecero gli occhi che sgranò ancora di più, ma fu un attimo: Shika li vide ridursi a due fessure che soppesavano la situazione con la rapidità di una stella cadente, prima di gettare via il san setsu-kon, compiere uno spettacolare salto in alto all’indietro per atterrare sulla testa di una guardia, sfilargli di mano i sai che anch’essa impugnava e con un altro balzo piombare su Akane. A quanto sembrava la specialità di quel ragazzo era il combattimento aereo e tuttavia voleva uno scontro ad armi pari. Forse per non schiacciare Akane con la sua presunta superiorità? Peggio per lui: la specialità della ragazza era il combattimento ravvicinato in cui poteva dar sfogo a tutta la sua incredibile forza.
Difatti Akane non si lasciò impressionare e anziché attendere passivamente l’attacco, con un ruggito si era già lanciata contro di lui. Le armi d’acciaio cozzarono le une contro le altre con un clangore degno di due katane, ma a far scintille furono i loro occhi, che fissi gli uni in quelli dell’altro si lanciavano lampi incandescenti.
Si respinsero a vicenda e tornarono all’attacco, ma nello scambio serrato di colpi che seguì, in cui nessuno dei due voleva cedere terreno all’altro, Shika notò che le punte dei sai non arrivarono mai a infliggere ferite: le armi di Akane strapparono in più punti la camicia e i pantaloni di Ranma, le armi di Ranma lacerarono qua e là il vestito di Akane, che rimase appeso a una spalla soltanto. Fortuna che respingendosi ancora una volta si distanziarono abbastanza da riprendere fiato. Non ci sarebbe voluto molto, però, prima che a entrambi rimanessero addosso solo brandelli di tessuto.
Shika increspò la fronte. Non riusciva a capire se stessero facendo sul serio, ma non riuscissero a colpirsi a vicenda, oppure non volessero sul serio colpirsi l’un l’altra. In ogni caso, se gli sguardi avessero potuto spogliare, quei due si sarebbero già denudati reciprocamente da un pezzo. Impossibile che a qualcuno sfuggisse, stavolta, il modo in cui gli occhi di quel Ranma stessero percorrendo il corpo di Akane e viceversa.
Era necessario dare alla giovane Tendo una strigliata.


“Ricordati cosa accadrebbe se fallissi di nuovo, Akane…”.
La voce gracchiante di Shika le rammentò il motivo per cui odiava la Fenice Bianca con la medesima intensità con cui ora detestava l’imbecille di fronte a lei.
“Come se potessi scordarlo!”, rispose arrabbiata senza mai distogliere lo sguardo da lui.
Sapeva che sarebbe stato arduo trovare un varco nella guardia di Ranma, anzi, del tutto impensabile, ma sperava che strappandosi la gonna del vestito per muoversi più agilmente avrebbe spiazzato e distratto quel cretino almeno quel poco da consentirle di scalfirlo. Invece niente, la difesa di suo… marito restava impenetrabile. Tutto ciò che era riuscita a ottenere dopo due anni di duri e intensi allenamenti era di arrivargli abbastanza vicino da lacerargli i vestiti. Bel successo. E adesso che cercava di riprender fiato, mentre si studiavano a vicenda girando in tondo, era lei che si stava distraendo, accidenti a Ranma e al suo maledetto fisico scolpito! Ma lo faceva apposta a contrarre bicipiti e pettorali mentre brandiva i sai in posizione di difesa? Evidentemente sì, dal sorrisetto sbieco che incurvava un labbro.
Non pensare alle sue labbra! Non pensare alle sue stramaledette labbra!
Invece quella traditrice della sua mente riavvolse il nastro dei ricordi e si arrestò alla notte in cui Ranma l’aveva baciata nel bagno mentre lei – ancora con quel ridicolo costume arancione addosso – cercava di togliersi disperata il trucco dalla faccia.
Allora sei stupida! E piantala di mangiartelo con gli occhi! Rimani concentrata!
Era una parola: adesso quel deficiente sorrideva sfacciato quasi da un orecchio all’altro. Cos’aveva da ridere, poi? Si era accorto che gli stava facendo una radiografia accurata? La derideva per non essere ancora riuscita a scalfirlo? Credeva di avere già la vittoria in pugno?
Te lo puoi scordare, traditore!
Akane si lanciò in avanti, quasi a testa bassa, e come aveva previsto Ranma preferì evitare il suo attacco spiccando un salto verso l’alto e roteando su se stesso per sorprenderla alle spalle e magari bloccarla. Stavolta però non si sarebbe fatta beffare lasciandogli usare la propria testa come perno: Akane si voltò di scatto e gli lanciò uno dopo l’altro i suoi sai, che si scontrarono a mezz’aria con quelli che lui le aveva lanciato nello stesso momento, mentre lei strappava dalle mani di una delle guardie che ancora li attorniavano ciò a cui davvero mirava: un falcetto dotato di catena.
Ranma atterrò nel medesimo istante in cui lei gli lanciava contro il kama e lui afferrava le prime armi che gli capitarono a tiro dalla guardia alle sue spalle, facendole aderire agli avambracci subito prima che il falcetto si conficcasse in uno dei tonfa branditi da quel monumentale idiota: l’espressione sbalordita che Ranma fece, unita alla goccia di sudore che colò lungo una tempia, fu impagabile.
Con la coda dell’occhio, Akane vide Shika fare un cenno col capo e le guardie si ritirarono, lasciandoli soli.
Adesso era lei a sorridere.


Che mi venga un colpo… Avrebbe potuto prendermi in pieno!
Ride bene chi ride ultimo, avrebbe voluto dire a sua… moglie, ma non era lei a impugnare due armi di legno, a dir poco le meno adatte contro un kama che era arrivato a un soffio dalla sua faccia, prima che Akane lo strattonasse per riprenderne possesso.
Le cose erano due: o la sua ormai ex doveva ancora perfezionare la mira, o non aveva voluto colpirlo di proposito. E in questo caso, se aveva voluto soltanto dargli un’ulteriore dimostrazione di quel che sarebbe stata capace davvero di fare, forse Ranma avrebbe dovuto cominciare a prenderla sul serio. Come se fosse facile, con quel poco di stoffa che le era rimasta addosso. Imbecille lui, che pur di non ferirla si era limitato a stracciarle la veste giusto per farle capire che forse era il caso che si arrendesse, se non voleva continuare a combattere in biancheria intima. Akane invece, da brava testarda fino alla sconsideratezza, aveva perseverato nella lotta finendo col distrarlo, man mano che sempre più lembi di pelle si offrivano ai suoi occhi. Cercò di scacciare dalla mente il ricordo di quel costumino striminzito che metteva tutto in mostra e in risalto, anziché nascondere, proprio come ora le curve di Akane erano ormai fin troppo in evidenza. La sua geniale strategia, alla fine, gli si era ritorta contro.
Lo aveva già detto che era un imbecille?
E adesso che la mogliettina era pure meglio armata di lui, oltre che discinta e ancora più determinata, che gli restava da fare per indurla a capitolare? Se ancora credeva di conoscerla, c’era solo una cosa che poteva sorprendere quella cocciuta abbastanza da distrarla ed era infallibile, dato che funzionava persino con Ryoga nella sua forma femminile, segno di quanto lui fosse affascinante come donna, oltre che come uomo.
Ranma lasciò cadere i tonfa, afferrò gli orli stracciati della propria camicia e la strattonò fino a strapparla del tutto per restare a torso nudo, per poi mettersi in posizione d’attacco facendo guizzare i muscoli. La faccia scioccata di Akane, che lo fissava a bocca aperta e con gli occhi che faticavano a stare nelle orbite, non aveva prezzo. Perfino Shema si godeva lo spettacolo squadrandolo da capo a piedi.
Tiè, guarda bene cosa ti sei persa, perché non lo rivedrai mai più!
Forse lo aveva visto fin troppo bene, perché Akane non solo prese fuoco, ma si lasciò scivolare di mano il falcetto, che cadde sul pavimento di marmo con un tonfo sonoro.
Il rumore la ridestò come da un bel sogno, ma non era certo per quello che a Ranma parve di vedere del fumo uscire dalle orecchie della traditrice, mentre una nube nera si addensava sopra la sua testa: si era fatta cogliere di sorpresa e ora era più infuriata che mai, ma con se stessa. Ottimo. Significava che era troppo concentrata sull’errore commesso, per recuperare in tempo il kama prima che lui si avventasse su di lei.
Era ora di vedere come se la cavava a mani nude.


Che tu sia maledetto, Ranma! No, sono io che sono stupida!
C’era cascata come una cretina, ma insultarsi, ormai, era inutile: non avrebbe fatto in tempo a riprendersi il kama, Ranma era scattato in avanti col suo sorriso sfrontato stampato in faccia che avrebbe tanto volentieri demolito a furia di calci. Non aveva altra scelta che affrontarlo in uno scontro in cui lui restava più agile e veloce di lei. O forse no.
A mali estremi…
Akane afferrò la bretella ancora integra del vestito e la strappò via insieme al corpetto rivelando il bustino sottostante. E il grande artista marziale che era stato quel deficiente di suo marito, come aveva previsto, strabuzzò gli occhi e avvampò fino alla radice dei capelli, addirittura le parve sul punto di voler scappare, ma ormai le era addosso e troppo impegnato a fissare il seno che traboccava dal corsetto per evitare il suo attacco frontale.
“Calcio del tradimento d’amore!”, gridò centrandolo in pieno mento e spedendolo per aria a sfondare di testa un tavolo rotondo che collassò per l’impatto, tra bicchieri e posate che volarono ovunque.
“Allora è così che accalappi i tuoi obiettivi, vero?”, la provocò Ranma emergendo come un fungo dal groviglio di legno e tovaglia con un piatto miracolosamente intatto sopra la testa. “Del resto, a quello serviva il costume provocante con cui ti ho sorpresa in bagno, ammettilo!”.
“Non ti permettere!”, ruggì lei. “E parli proprio tu, poi, che ti scatti perfino delle foto con le ragazze che seduci!”.
“Io non ho sedotto proprio nessuno al contrario di te, che sei arrivata perfino a concederti a quella rapa moscia di Sentaro!”.
Akane risucchiò tanto il respiro che rischiò di far scoppiare i polmoni.
“Io non ho mai fatto nulla del genere, brutto idiota!”.
Si voltò furibonda verso il tavolo alla sua sinistra, lo afferrò per i bordi e lo issò fin sopra la testa, prima di lanciarlo contro quell’ipocrita, bugiardo, traditore di un donnaiolo. E poi corrergli dietro. Così, quando Ranma lo spaccò con un pugno solo, lei sbucò tra le due metà a gamba tesa sul punto di affondare il piede in quella faccia da schiaffi, che invece per un soffio lo evitò scansandosi appena di lato e lasciando che lei sfondasse anzi una vetrata. Akane si ritrovò così proiettata in giardino tra una pioggia di vetri, ma con una piroetta atterrò in piedi e si rimise subito in guardia, cercando di ignorare il freddo pungente e l’erba bagnata attraverso le calze, proprio mentre Ranma sbucava dal finestrone al grido di: “Colpo del serpente!”.
Voleva colpirla con la tecnica che non era riuscito a utilizzare contro la leggendaria fenice? Peggio per lui! Akane contrattaccò bloccando tra i propri palmi la mano sinistra e paralizzandolo così per la sorpresa.
“Ma questa tecnica è mia!”, contestò Ranma prima di cercare di colpirla al collo con l’indice della mano destra, ma Akane riuscì a bloccargli il dito tra indice e medio, mentre stringeva le dita della mano destra attorno al polso sinistro di Ranma.
“E pure questa è mia!”.
“E allora? Osservando s’impara! Piantala di ragliare e beccati ‘sto bernoccolo!”, gridò lei rifilandogli una testata in fronte. Nonostante la botta, però, Ranma non si sbilanciò né svenne, le fece anzi uno sgambetto e lei sarebbe caduta rovinosamente sul prato, se all’ultimo istante non avesse poggiato a terra una mano e al tempo stesso non avesse calciato in faccia quel baka irrecuperabile.
Stavolta sì che riuscì a sbilanciarlo quel tanto da farlo almeno arretrare costringendolo a una posizione di difesa, lei però poggiò un piede su un pezzo di vetro e non riuscì a contenere un grido.
“Akane, cosa…?”.
“Ora basta, voi due, avete fatto anche troppi danni!”, tuonò Shika dalla vetrata rotta. “Andate altrove a concludere il vostro kakutō kekkon, ma non tornare senza la testa di tuo marito, Akane!”, le ordinò schioccando le dita.
“Ehi, ma quale matrimonio marziale!”, protestò Ranma. “Non siamo neppure…”. Le tenebre iniziarono a ringhiare alla loro destra e poi anche alla loro sinistra, oltre le fiaccole accese. “…davvero sposati…”.
Lei e il cretino si guardarono per un istante negli occhi sgranati prendendo coscienza del pericolo.
I dobermann!
Un nanosecondo dopo era tra le braccia di Ranma, che saltò appena in tempo sul muro di cinta, prima che numerose fauci latranti e irte di zanne potessero staccargli un polpaccio. Ma dal muro di cinta il marito dovette poi saltare su un tetto e poi su un altro ancora per evitare rampini, shuriken e pugnali lanciati verso di loro da una moltitudine di ninja appostati nel buio.
“Abbassati! A destra! A sinistra! Salta!”.
Col piede sanguinante e pulsante di dolore, Akane si era inconsciamente aggrappata al collo di Ranma cercando di impedire che venissero colpiti entrambi, prima che fossero troppo lontani per essere raggiunti da tutti quegli attacchi. Solo quando lui si fermò ansante sulla linea di colmo di un’abitazione a due piani, Akane si rese conto di quello che aveva appena fatto e trattenne il respiro, quando Ranma si staccò appena da lei per guardarla negli occhi.
“Akane… stai…”.
“Benissimo!”, fu la sua risposta accompagnata da un pugno sul naso.
Ranma volò giù dal tetto col sangue che sprizzava da una narice, mentre lei ne approfittava per spiccare un salto col piede sano, sperando di tetto in tetto di raggiungere casa prima di quel deficiente e incredibilmente ci riuscì, anche se il dojo Tendo sembrava ormai più un campo di battaglia.
Akane entrò in camera sua ad applicare prima di tutto un cerotto al taglio sotto il piede e poi recuperare ciò che aveva lasciato in cima all’armadio, prima di infilarsi nella camera di Kasumi rischiarata solo dalla luce dei lampioni. Tutto era rimasto immutato dal giorno in cui si era sposata e Akane iniziò frugando nell’armadio della sorella, per poi passare ai cassetti della specchiera, al mobile sotto la finestra, al comodino, perfino allo spazio sotto il letto. Niente.
Ma dove sarà? Dove l’avrà nascosta? Ha detto che l’aveva ricucita!
Si rialzò in piedi frustrata e sforzandosi di sondare le ombre cercò di capire che fine potesse aver fatto la...
“Cercavi questa?”.
Akane si voltò di scatto, mentre la plafoniera al centro del soffitto s’illuminava di colpo. Dietro di lei, appoggiato con una spalla allo stipite della porta e un sorriso beffardo sotto il naso macchiato di rosso, Ranma teneva in equilibrio sulla punta dell’indice una scatola chiusa con un sigillo anti-demone.
“Dov’era?”, gli chiese mentre tastava con la punta delle dita il letto della sorella.
“Kasumi me l’aveva affidata affinché la riportassi a un ‘certo tempio di montagna’ dove papà e io l’avevamo presa, ma ho preferito seppellirla in un angolo del giardino affinché nessun altro potesse indossarla”, le rivelò Ranma spostando lo sguardo sulla scatola che iniziò ad agitarsi. La tuta percepiva forse la sua presenza? “Così pensavi di ricorrere a questo mezzuccio pur di battermi, eh?”, continuò Ranma afferrandone al volo le estremità con tutt’e due le mani. “Beh, dovrai pensare a qualcos’altro!”. E con uno strattone strappò in due il cartone lacerando anche il contenuto, sicché brandelli della Tuta della Forza planarono sul pavimento.
“Già fatto!”, gridò lei afferrando l’arco sul letto e incoccando una freccia, che tuttavia passò attraverso la porta e si conficcò nella parete opposta del corridoio perché l’imbecille si era gettato nel corridoio riuscendo a evitarla per un pelo.
“Le finirai, prima o poi, quelle dannate frecce!”, lo sentì urlare da chissà dove.
Era vero, purtroppo: gliene erano rimaste solo due.
“Anche fosse, le armi per batterti non mi mancano!”, mentì lei intanto che incoccava il penultimo dardo.
“Perché sai bene che a mani nude resti un’incapace!”.
Parla, parla, fammi sapere dove ti nascondi…
“La pensa così anche il tuo naso?”, lo provocò Akane mentre si lanciava nel corridoio deserto con l’arco teso. Lo puntò in direzione della propria stanza, quindi verso le scale, ma di lui nessuna traccia.
“Sì, è d’accordo con me!”, piovve dall’alto la voce di Ranma, mentre l’arco le veniva strappato via dalle mani e spezzato in due. Akane alzò lo sguardo al soffitto in tempo per vedere il maledetto che piombava alle sue spalle insieme ai frammenti del suo kyū.
Akane slanciò indietro una gamba facendo quasi una spaccata in aria, eppure riuscì solo a sfiorargli un ginocchio: il dannato evitò il suo calcio e anzi usò perfino la sua coscia come trampolino per spiccare un salto così da ritrovarsi comunque dietro di lei, che non fece in tempo a voltarsi per colpirlo in pieno stomaco: le mani di Ranma sbucarono inaspettatamente sotto le sue ascelle e…
“Colpo degli artigli del falco che ghermiscono il petto!”.
…stavano palpeggiando… il seno…?
Ranmalestavapalepeggiandoilseno?!
E poi era lei quella che ricorreva ai mezzucci?!
Prima che l’idiota potesse approfittare della sua sorpresa per tramortirla, Akane gli afferrò i polsi per allontanare le sue manacce da sé e poi gli rifilò una testata all’indietro, nuca contro fronte. Solo allora, sentendolo arretrare con un ouch! soffocato, si voltò e al grido di bruttomaniacodeficientechenonseialtro lo colpì con un pugno sotto al mento che lo spedì a penzolare dal soffitto del corridoio, incastrato per metà nel sottotetto.


Sbalordito per la forza da oni dimostrata da Akane – ma conoscendola, di che stupirsi? Lui piuttosto non stava dando il massimo, nello sforzo di renderla inoffensiva senza farle del male – forse era venuto il momento di fare sul serio, basta perdere tempo.
Ranma fece forza sulle braccia e si issò nella soffitta, udendo sotto di sé Akane che correva giù per le scale. Di sicuro era diretta in cucina, se avesse messo le mani sulla mannaia era finita. Prima però di calarsi dallo stesso buco in cui era entrato, si avvide nella penombra di qualcosa di famigliare abbandonato lì chissà da quanto e lo agguantò, si gettò nell’apertura praticata suo malgrado nel solaio e con cautela si avvicinò alla rampa dei gradini, ma non appena mise piede sul secondo scalino respinse col bokken un coltello che volava verso di lui, mandandolo a decorare una parete dell’ingresso, insieme alle frecce rimaste conficcate dal primo assalto di Akane due notti addietro. Era una sua impressione, o il lancio era stato impreciso? Era stanca? O non voleva davvero ferirlo, come lui non voleva ferire lei?
“Stai toccando il fondo, mogliettina, se devi ricorrere ai coltelli da cucina per sperare di fermarmi…”, cercò di stanarla mentre scendeva un altro scalino.
“Userò qualunque mezzo contro di te, maritino: per l’incolumità di Kasumi questo e altro!”.
Ranma increspò la fronte.
Aspè… cosa?
“Come sarebbe a dire? Cosa c’entra tua sorella?”, le chiese fermandosi a metà delle scale.
“La Fenice Bianca la tiene prigioniera insieme al dott. Tofu: la loro liberazione in cambio della tua cattura!”, rispose lei da qualche parte tra la cucina e la stanza di Happosai.
Dunque stavano così le cose: i Miyakoji ricattavano Akane così come i Daimonji ricattavano lui.
“A me quelli della Tigre Nera hanno giurato di aver trovato mia madre, ma non mi permetteranno di vederla finché non ti avrò consegnato a loro”.
Ranma scese qualche altro gradino nel più assoluto silenzio.
“Questo significa che nessuno dei due ha scelta!”, replicò lei sbucando dalla parete sfondata della camera del vecchio e lanciandogli contro un altro coltello.
Ranma deviò con facilità anche quello con la spada di legno e quello dopo e quello dopo ancora, finché con l’ultimo Akane non riuscì a spezzargli il bokken e Ranma si ritrovò a dover saltare a gambe divaricate per evitare un pugno con cui Akane sfondò la parete delle scale. E mentre lui atterrava davanti alla porta d’ingresso, lei ne approfittava per correre al piano superiore. E ora che altro si sarebbe inventata?
Salì gli scalini tre a tre in tempo per vedere la porta della stanza di Nabiki che si chiudeva. Che c’era entrata a fare? Vi aveva nascosto qualcosa?
Machissenefrega, devo mettere fine a questo assurdo combattimento una volta per tutte!
Decise così di sfondare direttamente la porta con un calcio nell’esatto momento in cui la sentì gridare: “Attacco della nuvola di cipria che acceca l’avversario!”. E la vide soffiare su un portacipria aperto un istante prima che una nube lattiginosa penetrasse negli occhi e in gola, costringendolo a tossire fino alle lacrime.
“Attacco… boh, della sciarpa che si avvinghia al nemico!”, contrattaccò lui afferrandone una a caso tra quelle abbandonate sul letto dalla sanguisuga e usandola a mo’ di frusta per avvolgerla attorno alle caviglie di Akane, che perse l’equilibrio e cadde all’indietro sul tappeto. Era la sua occasione. Peccato che sua moglie avesse afferrato al volo un cestino di vimini.
“Attacco dei bigodini della nonna!”.
Cosa?!
Impossibile stabilire come, ma Ranma si ritrovò la folta chioma costellata da piccoli cilindri dai colori sgargianti, roba che se lo avessero visto Ryoga o Mousse, si sarebbe seppellito vivo per il resto dei suoi giorni in una fossa scavata con le sue stesse mani. Da quando era diventata così veloce?!
Akane ne approfittò per mollargli una ginocchiata nello stomaco e alzarsi in piedi, mentre lui si teneva la pancia. La vide afferrare una spazzola dalla toletta di Nabiki e con un colpo di reni si rimise in piedi anch’egli, afferrando un vasetto opaco a caso.
“Attacco della crema da notte che pialla le rughe!”.
“Ehi, quella è mia!”, protestò lei puntandogli un dito contro.
Ranma guardò interrogativa lei e poi il vasetto.
“Hai bisogno di una crema antirughe?!”.
“Ma no, idiota, è una crema illuminate! L’avevo comprata poco prima che ci sposassimo, volevo…”. Con un sospiro chiuse per un istante gli occhi, come pentita, forse cercando anche di trovare il coraggio per confessare chissà quale azione vergognosa. “Volevo iniziare a truccarmi un pochino con l’aiuto di Nabiki per apparire più femminile, così che magari tu… tu mi…”.
“…notassi?”.
Lei annuì distogliendo lo sguardo.
“Che stupida, vero?”, mormorò scuotendo la testa e sbattendo le ciglia nello sforzo di non piangere. “E ora che ci faccio caso… anche la cipria è mia! E anche questa spazzola! Avevo comprato tutta questa roba per… Oh, chissene importa, ormai, continuiamo!”, concluse rimettendosi in posizione d’attacco, determinata a ricominciare.
Lui invece abbassò lo sguardo sul vasetto che teneva in mano. La Fenice Bianca ricattava Akane come la Tigre Nera ricattava lui. Ma avevano davvero ritrovato sua madre? E perché aspettare fino adesso per informarlo? Solo quando avevano scoperto che lui aveva sposato una spia, gli avevano rivelato di tenere “in custodia” colei che tanto aveva cercato. Forse… forse lo stavano solo ingannando per costringerlo a togliere di mezzo Akane.
“Allora? Che stai aspettando?!”.
Ranma la fissò negli occhi mentre richiudeva lentamente il vasetto.
“No”.
“Cosa?!”.
“Dimmi la verità, Akane. La Fenice Bianca ti ha chiesto di farmi fuori?”.
Lo fissò di rimando, perplessa e interrogativa, mentre lui si toglieva uno a uno i bigodini dalla testa.
“Non esplicitamente. La nonna di Satsuki mi ha chiesto di ‘sbarazzarmi’ di te”.
“Le stesse parole che ha usato con me la nonna di Sentaro. Tu come le hai interpretate?”.
Lei lo scrutò dubbiosa, senza ancora accennare ad abbassare le braccia.
“Che dovessi toglierti di mezzo”.
“Anch’io”.
“Ma… non è quello che hai cercato di fare: a casa di Tofu e Kasumi mi hai ordinato piuttosto di lasciare la città…”.
“Anche tu, nonostante ti sentissi tradita da me. Perché?”.
“Beh, perché… non… non…”.
“Perché dopotutto non volevi arrivare a uno scontro con me, così come io non volevo fare del male a te, anche se mi sentivo ugualmente tradito”.
“Eppure eccoci qua!”.
“Già… ma tu non hai mai combattuto sul serio. E nemmeno io”.
“Sì, che l’ho fatto!”, replicò piccata. “Dato che non hai voluto lasciare Nerima, non ho altra scelta che catturarti e consegnarti ai Miyakoji, solo così posso riavere indietro mia sorella!”.
“Esattamente ciò che ho pensato anch’io nei tuoi confronti: catturarti e consegnarti ai Daimonji, per cui…”. Allungò una mano per porgerle il vasetto di crema. “Mi arrendo”.
“Ma che stai dicendo?! E tua madre?”.
“Non sono certo che sia davvero nelle loro mani e comunque… Non ci riesco. È come quando indossavi la Tuta della Forza e io cercavo di batterla… ma senza colpire te, perché non me lo sarei mai perdonato. Quindi colpiscimi pure come allora, non opporrò resistenza”, disse allargando le braccia.
Lei esitò. Il labbro che iniziava a tremare e gli occhi a farsi più lucidi.
“È un trucco? Tu vuoi solo… vuoi solo…”.
“Arrendermi, te l’ho detto. Mi arrendo. Non ho mai avuto davvero intenzione di combattere contro di te, solo di catturarti. Ma non riesco a fare neanche questo”.
“No! Tu non ti sei mai arreso! Perché proprio ora?!”.
“Perché contro di te sono senza forze e senza difese, razza di scema! E poi perché la sola idea di consegnarti a Sentaro…”.
Lei abbassò le braccia, tanto attonita e incredula che la mascella stava per cascarle per terra.
“Non nominare quel babbeo! Accidenti a me e a quando ho accettato di lavorare per la Fenice Bianca! Se ripenso che ho dovuto colpirlo dietro il collo pur di impedirgli di allungare le mani!”.
“Quindi… vuoi dire che…”.
“Che non ti ho mai tradito, baka di un baka!”.
Adesso fu il turno di Ranma di rimanere a bocca spalancata come un merluzzo.
“Su-sul serio…?”.
“Sì, sul serio, brutto cretino!”, urlò sua moglie pestando un piede. “Per quale motivo credi stessi piangendo la sera che mi hai scoperta in bagno con quell’assurdo costumino di Halloween addosso? Perché avevo giurato a me stessa che quella sarebbe stata la prima e ultima volta che avrei fatto da esca per incastrare qualcuno!”.
“Ecco perché in quella foto avevi un’espressione che sembrava…”, rifletté buttando un occhio sul corpetto non meno striminzito di quel costume arancione.
“…disgustata? Che schifo, non farmici ripensare!”, rabbrividì passandosi le mani sulle braccia. Ma così facendo metteva ancora più in evidenza il seno traboccante, tanto che Ranma deglutì e dovette costringersi a trovare estremamente interessante il pavimento.
“Comunque, nemmeno io ti ho tradito…”.
“Lo so. A differenza tua, io l’ho capito”, rivelò Akane risentita incrociando le braccia al petto per coprire la scollatura. E facendolo sudare freddo.
“Come? Quando?”.
“Quando ho strappato la bretella del vestito per rimanere in corsetto: sei avvampato e stavi persino per inciampare, quale dongiovanni si sarebbe imbarazzato e sarebbe diventato di colpo imbranato? E poi, anche se non conosco molto bene Satsuki, non credo che una ragazza come lei si farebbe mai abbindolare da un deficiente come te, non lei…”.
“Ehi!”.
“…ma io sì… a quanto pare…”, ammise mentre lo fissava con bruciante intensità, come se si aspettasse qualcosa da lui, ma non avesse il coraggio di chiederla.
“A-Akane…?”.
“Sì…?”.
“N-non hai mai avuto bisogno di-di questa roba… con me…”, le confessò a sua volta, soppesando il vasetto e poi buttandolo sul letto di Nabiki, senza osare guardare Akane in faccia. Solo per ritrovarsela tra le braccia un nanosecondo dopo, che da brava gorilla gli stritolava il torace tra le lacrime.
Evvai, finalmente ci diamo dentro!
Oh no… di nuovo lui! A cuccia, maledetto!
Non ci penso nemmeno, stavolta no!
Avrebbe voluto ricambiare l’abbraccio di sua moglie, ma già così il suo corpo stava reagendo fin troppo, per cui si sforzò di evitare ulteriori contatti, tenendo le braccia ben distanziate da lei.
Ma che accidenti fai? Stringila a te!
Almeno finché Akane non smise di singhiozzare per alzare gli occhi inumiditi dal pianto su di lui, poggiandogli le mani sul torace e guardandolo come se null’altro esistesse al mondo, prima di protendersi a occhi chiusi verso la sua bocca.
Fu lì che capì che avrebbe perso la prima di molte battaglie.
Contro se stesso.
Addio, sinapsi, vi ho voluto bene…


- § -


Allarme intruso! Allarme intruso! Allarme intruso!”.
Quel dannato apparecchio non faceva altro che gracchiare sempre la stessa frase nell’orecchio, non le restava che procedere a passo svelto lungo la via di casa continuando a monitorare la situazione attraverso le cuffie. Eppure si era raccomandata a quei due maldestri di Akane e del cognato di non entrare nella sua stanza, mentre lei non c’era! Di certo era stata sua sorella a far scattare i sensori di movimento per frugare come una furia nel proprio armadio in cerca di capi di vestiario che lei le aveva preso in prestito, per fortuna che era rientrata prima dal Lago Ashi!
Allarme intruso! Allarme intruso! Allarme intruso!”.
Era ancora lì dentro? Stava rivoltando camera sua come un calzino, per caso? Le aveva sottratto solo un paio di magliette!
Allarme intruso! Allarme intruso! Allarme intruso!”.
Ah, basta! Adesso avrebbe silenziato quel benedetto sensore e avrebbe attivato l’audio per capire cosa Akane stesse combinando.
Nabiki aumentò l’andatura senza distogliere lo sguardo dal piccolo monitor della ricetrasmittente, mentre cercava di ricordare quali tasti le avrebbero permesso di accedere ai microfoni piazzati ai quattro angoli della stanza da letto. Ma quando finalmente l’allarme smise di tartassarle le orecchie, furono ben due le voci che le perforarono i timpani con i loro strepiti.
“Cosa credi di fare?! Non osare puntarmi contro quel… quel coso!”.
“Ma sei scema? E dove accidenti dovrei puntarlo, secondo te?!”.
“Non lo so, non mi interessa, mi fa impressione!”.
“Ti fa impressione?! Ma se ho ancora addosso i boxer!”.
“E allora? Mi fa impressione lo stesso, puntalo altrove!”.
“E che ci dovrei fare, i buchi nei muri? L’appendiabiti?!”.
“Quanto sei idiota! Lo vuoi capire che mi vergogno? Non è facile, per me, anche se siamo sposati!”.
“E pensi che per me lo sia? Ma che vogliamo fare, gli eterni fidanzati nonostante l’anello al dito?”.
“Sì! No! Non lo so!”.
“E va bene, allora tieni pure gli occhi chiusi, se ti impressiona così tanto!”.
Nabiki si bloccò davanti al colabrodo che una volta era stata la sua casa, incapace di credere ai suoni che erano appena stati interpretati dal suo cervello.
No… non è possibile… quei due stanno davvero per…
“Mi stai facendo male, deficiente!”.
“Sei tu che sei rigida come un palo della luce!”.
“Frigida a chi, idiota?!”.
“Ho detto rigida, non frigida, scema!”.
“Ma come faccio a rilassarmi con quel coso puntato proprio ?!”.
“E va bene… dovrò ricorrere a una delle infallibili tecniche segrete della Scuola Saotome!”.
“Cioè? Vuoi farmi un massaggio? Premere uno tsubo per rilassarmi?”.
“Eh… una cosa del genere…”.
Stanno copulando nella MIA stanza?! Magari sul mio letto!
“Perché sei diventato tutto rosso, adesso? Ehi… che intenzioni hai?! Ma cosa stai… oh… uh… oh, kamisama…”.
A Nabiki quasi cascò di mano la ricetrasmittente.
Non che non fosse contenta, però… di tutti i posti dove potevano ruzzolare, ma proprio in camera sua?! Accidenti e adesso? Non poteva rientrare in casa ora, non le restava che rimanere in strada ad aspettare che finissero. Sperando, per Akane, non troppo presto…
Scosse la testa e sbuffò, prendendo dalla borsa una mini lattina di Coca.
“M-m-meglio?”.
Senti come geme, tu che dici, cognatino?
“A-Akane…? Ehi… lasciami la mano… Akane?! Mi serve, lasciala!”.
“Noncipensonemmeno!”, urlò la sorella come se le stessero chiedendo di strapparsi un braccio.
“Mollala, accidenti, ti do un’altra cosa in cambio!”.
“L’altra mano?!”.
Sì, certo, sorella: una mano con un dito solo formato pannocchia…
“Ehm… non proprio…”.
“Allora cosa… ehi, no, aspet… no, ehi, no, no, no… Ouch!”.
Non ci credo: è pure la loro prima volta!
Nabiki tirò la linguetta della lattina con un sorriso a trentacinque denti facendo fuoriuscire la schiuma, la sollevò in aria come per fare un brindisi e ne prese un lungo sorso gongolando.
Benvenuta nel mio mondo, sorellina!
“Oh… dèi… del Cielo… che maleeee! Ma brutto idiota deficiente che non sei altro! Mi hai fatto un male cane!”.
“Scu-scusa! Ti prego non piangere, odio vederti piangere!”.
“Non posso farci niente, mi fa maaaaa… ah… ohhh… oh, per tutti… i kami…”.
“Ehm… m-meglio così?”.
“Ma che fai, rallenti?! Non azzardarti o ti ammazzo! Anzi, aumenta! Ancora!”.
“È una sfida, per caso?”.
“Sì… vediamo… quanto resisti…”.
“E va bene, l’hai voluto tu!”.
Nabiki sputò la coca in faccia a un vecchietto che le passò davanti a bocca aperta e solo allora si accorse che una discreta folla di vicini attempati si era radunata davanti casa in vestaglia, ciabatte e perfino bigodini.
“Nabiki, cara, togliti quelle cuffie, altrimenti non senti niente!”, le suggerì la signora Kabuya da una finestra del primo piano dell’abitazione di fronte.
Lei incredula eseguì, accorgendosi che i gemiti di Akane erano così forti che avrebbe potuto udirli perfino dal Furinkan.
“Ehi, ehi, ehi! Mi spiace, signori e signore, ma devo preservare la dignità di mia sorella! Sono diecimila yen a testa se volete rimanere ad ascoltare!”.
I presenti si affrettarono a lanciare banconote da balconi e finestre o a correre in casa a prendere il portafoglio tornando chi con una sedia pieghevole, chi con un pacchetto di patatine o popcorn, mentre lo show a casa sua continuava senza sosta.
“Il fondoschiena, no! Artigliami… le spalle, le braccia… qualunque cosa ma… quello no… mi prude ancora!”.
“Sì, ma tu non perdere il ritmo…”.
“Ma… stai usando i piedi… per spingermi contro di te?”.
“Beh, visto che… non posso… usare le mani…”.
“E meno male che ti faceva impressione…”.
“Cretino, non farmi ridere!”.
“In effetti preferisco sentirti gemere… Ehi! Che fai?! Sto io sopra!”.
“E chi lo dice?!”.
“Io, perché sono l’uomo!”.
“Allora prova a ribaltarmi, se ci riesci… Ranko!”.
“Ehi, questo è un colpo basso!”.
“No… questo… è un colpo basso…”.
“Oh, kami… a ben pensarci… ho una visuale migliore… da qui…”.
“Ma come… non ero… tubolare? Senza fascino e… sex appeal…?”.
“Ma che mi hai… creduto davvero?”.
“Sì, brutto zotico… Aspetta, ho un’idea… tira su le ginocchia!”.
“Così?”.
“Oh… kami… sìììì!”.
Il rumore di qualcosa che sbatteva ritmicamente contro una parete rischiò di far strozzare Nabiki sul serio, stavolta. Lo stavano facendo sul pavimento?!
“Ahio! Akane, rallenta! Stai spingendo così forte che sbatto la testa contro il muro! Tra un po’ lo sfondo!”.
“Sta’ zitto e metti le mani qui! Anzi, no, qua!”.
“Oh, deciditi, non sono un polpo, ho solo due arti! E rallenta, ho detto!”.
“Ehi, perché ti sollevi, che vuoi fare?!”.
“Evito di farmi venire un bernoccolo!”.
“No, aspet…! Ahia, la schiena!”.
“Ma se ti tengo con una mano! Io mi sono fatto male alle nocche, sempre a lagnarti, stai!”.
“Ma piantala e riprendi subito da dove…”.
“Così?!”.
“Oh… sì… perfetto!”.
“Ahia, le unghie! Non artigliarmi le natiche, accidenti!”.
“Lo faccio per la tua incolumità… se ti fermi… sei morto sul serio… stavolta!”.
“Ah sì? Spero tu abbia ancora fiato, allora!”.
“Pensa al tuo!”.
“Io ne ho da vendere!”.
“E allora spingi di più!”.
“Più di così?! Un altro po’ e ti apro in due!”.
“Sì, kami, fallo!”.
Non poteva crederci: quei due riuscivano a litigare perfino mentre facevano sesso. E nonostante tutto, andavano avanti con una foga da primato olimpico: ne aveva di resistenza, Ranma, eh? Bene, bene…
“Chi scommette che arrivano a dieci minuti?”, urlò Nabiki al pubblico riunito.
“Io dico quindici!”.
“Io pure!”.
“Io invece venti! Era il rumore di una parete sfondata quello o sbaglio?”, le chiese il signor Moroboshi.
Una parete sfondata? Ma che stanno…?
“Ranma, siamo finiti in camera mia! Te l’avevo detto di non farlo in piedi!”.
“È colpa mia se avete le pareti di polistirolo?!”.
“No, ma è colpa tua se ci metti tutta la forza!”.
“Mi hai chiesto tu di spingere di più!”.
“Ma non di fermarti! Riprendi immediatamente!”.
“Ma se non attutivo la caduta ti facevi male!”.
“Sta’ zitto e riprendi!”.
“Sì ma tu lasciami andare i capelli, mi stai strappando il cuoio capelluto!”.
“Allora torno io sopra e non si discute!”.
“Non se ne parla! Sopra ci sto io!”.
“E se mi metto seduta?”.
“Uhm… non è… affatto… male… lo ammetto…”.
“E se adesso… fossi io a dirti… di non mettere le mani… sul mio fondoschiena…?”.
“Aspetta e spera…”.
“No, il collo no, sono sensibile!”.
“Sì, inarcati ancora… Ahio, le unghie!”.
“Ancora? Neanche la schiena posso graffiarti?!”.
“Me l’hai ridotta a coriandoli! Aspetta, proviamo così…”.
“Ma che fai? Perché devo darti le spalle? Oh… kami!”.
“Rilancio a venticinque minuti!”, gridò Nabiki guardando l’orologio.
“Ci sto!”.
“Pure io!”.
“Ecco i miei soldi!”.
Dai, ragazzi, rendetemi fiera di voi!
“Aspetta… mi sta venendo… un crampo, così… torniamo a…”.
“D’accordo… ma sto sopra io… e ti blocco le mani!”.
I gemiti di Akane mutarono quasi all’istante in gridolini sempre più acuti, che sfociarono rapidamente in un crescendo di urla liberatorie a ventitré minuti e trentasette secondi esatti dall’inizio di quell’assurdo amplesso.
Accidenti!
Subito dopo, si udirono i gemiti non meno liberatori di Ranma, che doveva ammetterlo, se l’era cavata per niente male. A confermarlo, alle spalle di Nabiki partì un coro di fischi e applausi con qualche “bravi!” e “ancora!” gridati qua e là.


“Credo di avere una costola incrinata…”, esalò Ranma stramazzando sul pavimento di fianco ad Akane, ansante e sfinito come nemmeno nel più logorante dei combattimenti contro Obaba e Happosai messi insieme. “Così ti faceva impressione, eh? Quello che non sei riuscita a farmi combattendo, sei riuscita a farmelo… ah, lasciamo perdere…”.
“Io non mi sento più le gambe…”, gli confessò Akane, non meno ansante, ridendo sommessamente. “E comunque non lamentarti, poteva andarti peggio se ti fossi fermato un’altra volta…”.
“Mi hai sfidato, pur di vincere me le sarei anche rotte tutte, le costole…”, rise di rimando anche lui.
“Allora ringraziami: se non ti sfidavo, oltre un bacetto tu non andavi!”.
“Lo ammetto, è vero… che ci siamo persi, finora…”.
E tu, là sotto, sei contento, finalmente?
Silenzio di tomba. Ranma increspò la fronte.
Oh, ci sei? Sei morto, per caso?!
“Ma… sono applausi quelli che sento?”, chiese Akane aguzzando l’orecchio mentre a fatica si issava sui gomiti in mezzo a pezzi di cartongesso, le labbra gonfie per i baci, le guance arrossate, i capelli arruffati e gli occhi tanto scintillanti da abbagliare la sua mente. Per tacere di quel che poteva ammirare dal collo in giù. “Sento anche dei fischi…”.
Ranma distolse lo sguardo da lei nella speranza di ritrovare la lucidità che era andata a farsi friggere.
“Li sento anche io, adesso. A chi stanno gridando ‘bravi’?”.
Nell’attimo stesso in cui formulò la domanda, vide la risposta negli occhi increduli di Akane, che si portava tutt’e due le mani a tapparsi la bocca, mentre avvampava fino alla punta dei capelli.
“Non sarà per… Oh no, voglio sotterrarmi!”, disse balzando in piedi per correre a seppellirsi sotto le coperte del proprio letto.
“Ma se ci chiedono di rifarlo di nuovo, non senti?”, ironizzò lui rialzandosi più dolorante della sfida contro Azusa e Mikado, la schiena in fiamme per i graffi elargiti da quell’orango di sua moglie. Male che andava, avrebbe avuto delle cicatrici di cui andare fiero…
“La prossima volta però avvisatemi, così allestisco anche un maxischermo!”, annunciò una voce serpentina in fondo alle scale.
“Nabiki!”, gridarono indignati lui e Akane all’unisono.
“Se non siete presentabili, vestitevi subito e scendete, devastatori che non siete altro: dobbiamo parlare”.









Eccomi di nuovo qui, spero che vi siate divertiti a leggere questo capitolo così come io mi sono divertita a scriverlo: piaciuta la scena di sesso più improbabile nella storia del fandom (spero)? XDD Che accadrà ora? Come risolveranno Ranma e Akane le beghe con le rispettive organizzazioni segrete? Il prossimo capitolo dovrebbe essere quello conclusivo, alla prossima! ^_-

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