Fading Out

di Sheep01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Disclaimer: I personaggi, le ambientazioni e tutti i riferimenti sono di proprietà di Stephen King e Warner Bros. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.


PROLOGO

 

Un appartamento vuoto può portare con sé gli strascichi della vita di chi lo ha vissuto.

Questo percepiva Richie Tozier, in piedi in mezzo alla stanza che ancora per poco sarebbe stato il soggiorno di Mike Hanlon: era pronto a sentir raccontare una storia. Come se le pareti spoglie fossero in procinto di narrargliene una, se solo gliene avessero dato la possibilità.

Era pieno di scatoloni ovunque, stipati lungo le pareti, ricolmi di cose che Mike aveva collezionato per una vita intera. Una vita intera spesa a Derry. Imprigionato a Derry.

Sì, se quelle pareti avessero potuto parlare, avrebbero narrato la vita di un prigioniero, di un'ossessione, il riassunto di una solitudine.

La malinconia permeava tutto, dai muri spogli, agli scaffali vuoti, dal profumo di polvere ormai insito negli angoli più reconditi, Richie poteva percepirla fin nelle ossa. O forse era solo la sua di malinconia, la sua di tristezza ad amplificare la sensazione? In fondo Mike lo aveva rassicurato che i suoi sacrifici erano stati una scelta, non un'imposizione. La sua ossessione solo una ricerca costante della verità. I suoi studi, un pretesto per arrivare a un nuovo livello di conoscenza. Il destino e la volontà lo avevano eletto guardiano di quei ventisette anni, mentre il mostro se ne restava nell'oscurità, dormiente, pronto a risvegliarsi per cacciare di nuovo; pronto a risvegliare gli incubi della città, gli incubi dei Perdenti, a cibarsene.

Eppure Richie riusciva a percepire il suo dolore, la sua frustrazione. E forse, qualcosa che faceva anche più male di quello: la disperata voglia di ricominciare. O cominciare, finalmente, a vivere una vita che non aveva mai avuto la possibilità di assaporare. Il guardiano poteva abbandonare la sua vedetta, una volta per tutte.

 

Si trovò a sfogliare un libro, distrattamente appoggiato sul tavolo del soggiorno, uno dei pochi che ancora non aveva trovato una collocazione negli scatoloni di Mike. The Black Rapids. Uno dei più acclamati romanzi di Bill Denbrough.

«Credo di essere rimasto l'unico a non aver mai letto uno dei libri di Bill.»

«Nemmeno uno? Eppure ne ha scritti parecchi, nemmeno lontanamente tutti eccelsi ma...», commentò Mike, finendo di svuotare l'ennesimo scaffale, sollevando sbuffi di polvere.

«Nemmeno uno. Non sono esattamente un fan del genere. Il suo nome mi ha sempre suggerito qualcosa, ma principalmente ho sempre pensato scrivesse romanzetti horror di serie b. Uno stronzo invasato qualunque, uno di quelli che che vivono in una cripta ad annusare ossa e criticare il mondo esterno attraverso Twitter, capito?»

«Non proprio, Richie, ma... sì, non sono nemmeno il mio genere, in realtà. Ma mi sono sempre tenuto aggiornato su tutto ciò che facevate», tendeva a dimenticare, a volte, che Mike era stato l'unico ad aver sempre sempre mantenuto i ricordi di tutti loro. E il pensiero colpiva sempre molto duramente. «Quello che hai in mano non è nemmeno uno dei peggiori...»

Richie si rigirò il romanzo tra le mani: copertina rigida, grafica con richiami fortemente anni novanta; una prima edizione, senza ombra di dubbio. La foto in bianco e nero, sul retro, di un Bill più giovane, più magro e decisamente con meno capelli grigi in testa. Avrebbe avuto una battuta pronta, se solo avesse avuto Bill a portata d'orecchio.

«Spero vivamente tu abbia evitato i filmati dei miei show, Mikey.»

«Non me ne sono perso uno.»

«Oh, Dio del cielo, perché ti sei sottoposto a una tale tortura?» gli sfuggì una risata, non proprio divertita. Un modo per stemperare il momento d'imbarazzo. Improvvisamente, tutto ciò che aveva fatto prima di tornare a Derry gli sembrava così lontano, ipocrita, imbarazzante. Così poco importante, dopotutto. Gli sforzi per apparire brillante e divertente, in spettacoli che non lo rappresentavano davvero. A recitare testi che nemmeno si era quasi mai preso la briga di scrivere, a cercare la risata facile, sgarbata, volgare. Una menzogna, costruita ad hoc per illudere; mostrarsi sul palco agli occhi di tutti con una maschera. Nessun modo migliore per nascondersi.

«Perché mi mancavate», se ne uscì Mike, stroncando il momento di forzata ilarità. Richie serrò la presa sul romanzo, alzando uno sguardo su di lui, senza sapere esattamente cosa dire, «era un modo per sentirvi vicini, nonostante tutto.»

«E per farlo hai scavato persino negli imbarazzanti esordi della carriera di Richie Tozier. Ti devi essere divertito parecchio alle nostre spalle. Gente di successo e i peggiori insuccessi delle loro carriere...»

«Beverly e Ben non hanno mai avuto niente di imbarazzante da nascondere, a dire il vero.»

«Grazie. Grazie mille, Mike, tu sì che sai come lusingare una persona.»

Mike soffocò una mezza risata, ma non obiettò nulla. Richie lo ringraziò mentalmente per non aver tirato in ballo le carriere di Stan... o Eddie. Per non aver parlato dell'ingombrante, silenzioso elefante nella stanza.

«Puoi tenerlo», disse, indicandolo. Richie lo guardò con aria perplessa, «il libro di Bill, intendo. Avevo intenzione di donarlo alla biblioteca, ma magari è una buona occasione per te per cominciare a rimetterti in pari.»

«Non sono sicuro di volerlo leggere. Tanto amo William, quanto odio, al momento più che mai, tutto ciò che è horror.»

«Puoi tenerlo comunque.»

«Capisco che tu voglia sbarazzartene ma non te lo sei fatto nemmeno autografare. Non posso nemmeno rivenderlo su eBay.»

Mike gli rivolse uno sguardo di rimprovero e Richie si trovò a stringere il libro al petto, involontariamente, come se fosse stata sempre sua intenzione, quella di tenerlo.

«D'accordo. D'accordo, grazie. Per una volta che mi fai un regalo, immagino sarebbe davvero scortese rifiutarlo...»

«Era questo lo spirito, Rich.»

«E dopotutto potrei sempre incorniciare il retro di copertina e mettere Bill sul camino per averlo sempre sott'occhio nelle fredde notti invernali.»

Mike sbuffò l'ennesima risata e Richie lasciò cadere la conversazione senza aggiungere altro sull'argomento.

«E di tutta quest'altra roba che te ne fai? Te ne vuoi sbarazzare davvero?», si ritrovò a chiedere, più per spezzare il silenzio che per un reale interesse sulla sorte dei libri.

«Voglio viaggiare leggero. Potrei non trovare una fissa dimora per molto tempo, quindi...»

«E non ti dispiace... ? C'è praticamente tutta la tua vita, qui dentro.»

Mike si issò in piedi dopo aver sigillato l'ennesimo scatolone. Si guardò attorno come ad abbracciare con lo sguardo tutto ciò che lo circondava.

«La mia vita comincia ora, Richie», gli disse, tornando su di lui con un mesto sorriso, «I ricordi non hanno bisogno di essere ammassati in uno scatolone.»

«Sei sempre stato un gran filosofo, Mikey.»

«Sono un bibliotecario. Ho solo letto troppi libri, parlo per frasi fatte...» gli sorrise, e per un attimo, invogliò Richie a sorridergli a sua volta. Sinceramente. «E tu... ? Hai deciso quando ripartire? La polizia ha i tuoi contatti, per qualsiasi eventualità, non sei più obbligato a restare. Non vedo perché dovresti, in realtà.»

Richie si strinse nella spalle, un gesto stanco e arreso.

«Perché voglio vedere la tua faccia il più a lungo possibile?»

Mike gli si avvicinò, dandogli una pacca sulla spalla.

«Mi vedrai molto più spesso di quanto credi, d'ora in poi, è una promessa.»

Di questo Richie era sicuro. Non era nella posizione per mettere in dubbio la parola di Mike o quella degli altri, se per questo. Avevano promesso di rivedersi e questa volta sapeva che era vero.

«Non ho comunque tutta questa fretta di tornare a Los Angeles», gli confessò, «né tutta questa voglia di sentir berciare il mio manager per aver saltato alcune delle tappe più importanti del tour, senza una spiegazione plausibile. In realtà non sono sicuro di avere ancora una carriera a cui far ritorno.»

«Sono sicuro che ti aspettano a braccia aperte, Richie. Devi solo darti tempo per recuperare le energie.»

Improvvisamente si sentiva così stanco, che non era certo di averne mai avute, di energie.

Perché mentre Mike faceva progetti sul futuro, sulle tappe del vasto mondo pronto ad accoglierlo fuori dai confini della città, Richie si era rinchiuso in una bolla che limitava i suoi spostamenti e che teneva fuori dalla portata di chiunque, le sue emozioni.

Era stato l'unico ad essersi trattenuto a Derry dopo la sconfitta di Pennywise. Gli altri Perdenti si erano lentamente dispersi, uno per uno, per tornare alle loro vecchie vite, alla loro gloriosa quotidianità, con nuove consapevolezze e un nuovo gravoso, tragico bagaglio sulle spalle. Si erano preoccupati, in tutti i modi a loro concessi, di non tornare a dimenticare... augurandosi di non doverlo fare. Richie e Mike si erano assicurati di monitorare la situazione durante la prima traumatica settimana. Ora potevano dire, senza ombra di ragionevole dubbio, che avrebbero superato la crisi dell'ennesimo allontanamento.

Richie si era trattenuto per restare nei paraggi, così come la polizia si era preoccupata facesse.

C'erano ancora dei punti da chiarire sull'indagine riguardante un omicidio.

Un cadavere in biblioteca può essere motivo di discussione e divertimento durante una sessione di Cluedo, ma nella vita reale ci sono diverse questioni legali da affrontare.

Mike aveva aiutato Richie con la testimonianza.

Henry Bowers era un paziente psichiatrico, omicida in fuga. Henry Bowers, ricercato dalla polizia, aveva assalito Mike Hanlon in biblioteca. Richie Tozier era corso in suo aiuto e dopo una serie di colluttazioni, aveva disgraziatamente finito per ucciderlo. Legittima difesa. La polizia non aveva faticato a credere alla deposizione. Richie era stato assolto praticamente ad occhi chiusi, ma gli avevano comunque chiesto di restare disponibile a qualsiasi chiarimento, almeno fino all'archiviazione del caso.
Sì, perché a Henry Bowers era stata anche attribuita la scomparsa e il potenziale omicidio di Edward Kaspbrak. Quella che doveva essere solo una semplice supposizione aveva finito per diventare una vera e propria prova d'accusa, a seguito della denuncia della scomparsa dell'uomo, in circostanze misteriose.

Nessuno dei perdenti aveva obiettato all'ipotesi. E come avrebbero potuto? Confessare di aver abbandonato il cadavere mutilato di Eddie nelle profondità di Derry, dopo aver sconfitto un alieno mutaforma che seminava il panico in città, ogni ventisette anni? Sarebbero finiti tutti in un manicomio criminale e tanti saluti alla ritrovata serenità, alla definitiva vittoria, alla nuova possibile rinascita. Un'occasione fortuita sul caso e l'avevano raccolta al volo. Senza rimpianti. Bowers sarebbe bruciato all'inferno a prescindere.

A Richie non importava granché di quello che la polizia supponesse, sulle spiegazioni più o meno plausibili alla tragedia. L'unica cosa su cui focalizzava tutti i suoi pensieri era la tragica realtà in cui Eddie se ne stava ancora da qualche parte, sotto metri di terra, a condividere la sua perpetua sepoltura con i resti di IT.

A volte il pensiero gli causava un tale malessere fisico da costringerlo a rimettere qualsiasi cosa avesse nello stomaco. A volte non riusciva semplicemente a dormire la notte, fissando l'oscurità e cercando di comprendere, suo malgrado, cosa si potesse provare ad essere costretti a rimanerci intrappolati per sempre, nel buio. Altre, non poteva a far altro che realizzare, di continuo, che non lo avrebbe rivisto mai più. Quello, sì... quello faceva più male di qualsiasi altra cosa.

«Manca anche a me, sai...»

Mike sembrò improvvisamente leggergli nella mente, nel cuore, o semplicemente aveva intuito dove se ne andava, ogni volta che il silenzio si abbatteva su di lui come un velo.

«Già...» rispose solo Richie, trattenendosi dal mentire, dallo sdrammatizzare, affatto sicuro di voler tornare sull'argomento per l'ennesima volta o di prolungarne l'agonia. Di riportare a galla quella bolla di dolore che cercava di sgonfiare ogni qualvolta era in procinto di deflagrare.

Ogni giorno gli sembrava andasse un po' meglio, fino a quando non si trovava di nuovo a pensare a cosa avrebbe potuto fare per impedire quell'orribile, definitivo epilogo.

Se solo quel drammatico giorno avesse interpretato in modo fulmineo quello che le luci gli avevano suggerito. Quello che aveva visto, attraverso l'infinito mistero dei Pozzi Neri. Ma Eddie lo aveva strappato al suo tragico destino troppo presto, troppo rapidamente perché potesse assorbire appieno quello che la sua coscienza sul futuro gli stava rivelando. E poi Eddie era morto. E tutto quello che poteva o doveva fare per impedirlo era evaporato... come i suoi ricordi di bambino, per ventisette anni.

«Finiamo alla svelta, qui Mike», interruppe quel deprimente flusso di pensieri. «Ho intenzione di portarti fuori a cena per l'ultima riunione dei Perdenti rimasti... prima che tu te ne vada, pronto a correre verso il tramonto come un cavaliere solitario.»

Mike annuì e Richie fu grato di non avere altro a cui pensare per le prossime ore.

 

Il giorno successivo Richie aveva improvvisamente deciso di ripartire.

Dopotutto non lo allettava l'idea di restare da solo a Derry, dopo che anche l'ultimo dei suoi amici in città se ne sarebbe andato. Avrebbe lasciato a Mike l'onore di chiudere quel capitolo.

Aveva richiuso per l'ultima volta la porta della stanza che occupava nell'hotel in cui aveva alloggiato, senza riuscire a impedirsi di lanciare un ultimo sguardo a quella che era stata la stanza di Eddie, solo qualche settimana prima. I suoi bagagli erano stati impacchettati e rispediti a New York. A Myra, sua moglie. Una donna che nessuno di loro aveva avuto la possibilità di conoscere e che era stata messa al corrente della scomparsa e del probabile omicidio del marito da una gelida telefonata della polizia locale. Una cosa che non avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico. Sebbene la sorte con lei fosse stata ben più clemente di quella della moglie di Stan. Da ciò che era affiorato da una rapida conversazione, quella povera anima era stata costretta a trovare il marito senza vita, galleggiare in una vasca di sangue, con i polsi tagliati e un'enigmatica, grottesca scritta sulle piastrelle del bagno. Scritta che per lei non avrebbe avuto mai alcun significato, se non quello della definitiva inspiegabile dipartita del suo sposo. Il povero, pacato Stan che non aveva mai dato segni di odiare la sua esistenza al punto di arrivare a un gesto tanto eclatante.

Richie aveva pagato il conto del suo soggiorno e si era spinto di nuovo verso l'appartamento di Mike. Lo aveva salutato con un lungo abbraccio sulla soglia della biblioteca di Derry. Si era di nuovo assicurato che avesse con sé tutti i suoi contatti, così da non avere scuse nel caso non si fosse fatto sentire per troppo tempo. Era montato in macchina, aveva lanciato il libro di Bill sul sedile posteriore, assieme al resto dei suoi bagagli ed era partito.

Ripercorrere di nuovo la strada che lo aveva condotto fin lì, durante una fresca giornata di fine estate sembrò calmarlo in una qualche misura. Il sentimento di terrore con cui era arrivato poche settimane prima era svanito per lasciare spazio a una triste, malinconica e rassegnata amarezza. Ma anche a del sollievo. L'accettazione di non dover avere mai più a che fare con quel posto. Di poterne conservare i ricordi agrodolci, ma di non avere la necessità di mantenerlo come pretesto per poter rivedere i suoi vecchi amici.

Si augurò che anche Mike facesse al più presto il definitivo passo fuori da lì. Se lo augurò con tutto il cuore.

Ma proprio mentre passava di fronte al ponte dei baci sentì la pressione sull'acceleratore diminuire, la frenesia della fuga lentamente svanire e sentì di aver bisogno di fare qualcosa, prima che tutto fosse finito. Finito per davvero.

Fermò la macchina, in preda a una sorta di tornado di ricordi. Una cosa che risaliva a ventisette anni prima, quando non era ancora che un ragazzino che stava riscoprendo i primi turbamenti dell'amore.

Scese dall'autovettura, brandendo un piccolo coltello a serramanico, timoroso di scoprire che dopo tutti quegli anni, la scritta non fosse più lì. Ma quando abbassò lo sguardo sullo steccato in legno che delimitava la boschiva natura selvaggia ai limiti della città, l'incisione c'era ancora. Sbiadita, consumata dal tempo ma ancora lì. Quella R + E che raccontava, più di qualsiasi altra cosa, il rapporto che lo legava a Eddie. Il suo migliore amico. E il ricordo più dolce della sua infanzia. Si prese il tempo per inciderla di nuovo, per rimarcare una promessa. Per consolidare l'esigenza di ricominciare. E di farlo mostrando e dimostrando al mondo chi era davvero. Chi voleva davvero essere da quel giorno in poi. La volontà di smetterla di nascondersi. Di essere finalmente Richie Tozier e non solo Boccaccia.

Accarezzò la scritta con le dita, in un ultimo, definitivo saluto a tutto ciò che era stato. Quella bolla di dolore ancora lì, pulsante, ma che sperava, disperatamente, che prima o poi si sarebbe sgonfiata, lasciandogli la possibilità di respirare di nuovo. Se solo Eddie fosse stato lì, forse gli avrebbe chiesto in prestito quel suo respiratore fatto di acqua e canfora. Se solo Eddie fosse stato lì lo avrebbe rassicurato che avrebbe fatto di tutto per stare bene, da adesso in poi.

Si trovò ad asciugarsi le lacrime senza nemmeno essersi reso conto di aver cominciato a piangere. Non ci era più riuscito dopo il disperato cordoglio alla cava. E aveva sempre avuto paura di farlo per paura di non riuscire più a smettere. Ma ora sentiva che era un bene, che forse era anche quello un modo come un altro per aiutare quella bolla a sgonfiarsi.

Il fruscio che lo costrinse a rinviare la sua afflizione lo fece trasalire tanto da dimenticare per un istante perché diavolo se ne restasse lì, fermo piegato sulle ginocchia, a fissare uno steccato in legno.

«Non sono certo sopravvissuto fino ad oggi per farmi ammazzare da una cazzo di vipera», esclamò a nessuno in particolare, ma con l'onesta intenzione di allontanare qualsiasi cosa gli strisciasse vicino.

Quando la testa di un piccolo rettile sbucò dalle sterpaglie, Richie si rese conto di star osservando niente altro che una piccola tartaruga. Si diede mentalmente dell'idiota per essersi allarmato.

«E tu da dove salti fuori?» una risata nervosa, bloccata in fondo alla gola. La osservò sorpreso mentre si spingeva lentamente verso la strada. Pigramente, come non avesse una sola preoccupazione al mondo se non quella di proseguire verso il suo misterioso obiettivo.

«Non c'è niente di interessante da mangiare lì in mezzo...» sorrise però nel vederla esitare di fronte a un ciuffetto d'erba intrappolato nell'asfalto per poi avventarcisi con le sue fauci sdentate.

«Come non detto...» scosse la testa, divertito, «probabilmente ne sai più tu, di quanto non ne sappia io.»

Si rimise in piedi, meravigliato da quanto le misteriose scelte del regno animale, fossero del tutto incomprensibili agli esseri umani. La osservò ancora per qualche istante, prima di lanciare un'occhiata verso la strada che proseguiva oltre il ponte.

«Dovresti muoverti, prima che qualcuno ti tiri sotto, sai?» le parlò, come se poi potesse davvero capirlo. Richiuse il coltellino a serramanico infilandoselo in tasca, prima di abbassarsi sulla tartaruga in procinto di proseguire.

«Spero tu non te la prenda per il piccolo aiuto», la ammonì, sollevandola tra le mani: la testa del rettile che si ritraeva appena, le zampette che si agitavano nell'aria, «non credo sopporterei l'idea di saperti in pericolo o, che il cielo non voglia, spiaccicata prima di sera.»

La trasportò dalla parte opposta della strada, sperando di aver intuito la sua traiettoria, prima di spingere le braccia oltre lo steccato e abbandonare la tartaruga in mezzo all'erba alta.

«Eccoci qui... ora vedi di tirare dritto. Senza guardarti indietro.»

La vide stiracchiare il collo, restare ferma a fissare il cambio di scenario, prima di proseguire esattamente dove l'erba si faceva più fitta.

«Prego, eh...» la redarguì, scuotendo la testa, restandosene lì, a osservare il suo lento, claudicante passo, mentre l'ultimo ciuffo d'erba si richiudeva su di lei, inghiottendola.

Una chiusura di sipario del tutto inaspettata. Forse l'unico modo con cui Derry gli offriva la possibilità di dirgli addio, con una nota meno dolente.

Richie non si voltò indietro quando salì di nuovo in macchina.

Quando accese il motore e ripartì per percorrere il lungo ponte che portava definitivamente fuori dalla città, per un'ultima volta.

Accelerò quasi, quando finalmente, idealmente, vide la luce alla fine del tunnel.

E fu allora, solo allora che lo avvertì: appena sopra il fragore del motore in accelerazione. Inquieto e flebile come un sussurro all'orecchio.

Un brivido lungo la schiena, il gelo nello stomaco. Una voce che non avrebbe confuso con quella di nessun altro.

«Richie...»

Perse il controllo dell'auto e andò a schiantarsi con una certa violenza contro la parete del tunnel, prima ancora che avesse la possibilità di raggiungerne la fine.

Dal cofano della macchina si alzò del fumo. Nell'abitacolo dell'auto solo il silenzio e il sibilo dell'airbag che andava sgonfiandosi.

«Richie» di nuovo quella voce e poi, il nulla.

 

**

 

Tutto era oscurità.

C'era del dolore e c'era oscurità.

No. C'era stato... del dolore. Ma c'era ancora... oscurità.

I suoi occhi erano aperti, ma non c'era niente da vedere. Nessun riferimento su cui prendere le misure di dove diavolo fosse.

Eppure lo sapeva. O era sicuro di averlo saputo, non molto tempo prima.

Si tastò il viso per capire se fosse ancora solido al tatto. Come se non fosse del tutto sicuro di essere ancora presente, sul piano terreno.

Serrò la presa su qualcosa che stringeva fra le mani.

Una luce esplose nella sua testa, una rivelazione, come un lampo che, per un istante, illuminò i dintorni. Era una giacca, quella che stringeva fra le mani. Era del sangue, quello che sentiva sulle dita. Le eco di grida lontane, come appartenessero a un passato recente, quelle che ancora gli rimbombavano nelle orecchie.

Ma era solo. Solo e improvvisamente spaventato. Il terrore solenne che prese a formicolargli nello stomaco, a serrargli il respiro, a risalire in un esile, roco sussurro sulle sue labbra.

«Richie», disse.

 

 

Continua...

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

 

 

Si era a malapena reso conto di essere stato trascinato fuori dalla macchina e caricato su un'ambulanza.

Aveva a stento compreso le domande dei paramedici, sentito le sirene della polizia o avvertito il pizzicore degli aghi e del respiratore che gli avevano applicato. Ma adesso che si stava risvegliando da quello stato confusionale, la memoria stava tornando e, con lei, l'agitazione che si era portato appresso nel momento dell'incidente.

Aveva perso il controllo dell'auto perché era convinto di aver sentito la voce di qualcuno. Qualcuno che gli era sembrato così vicino da poter essere seduto sul sedile del passeggero. La voce di una persona che doveva essere morta.

Il risveglio di coscienza fu così inaspettato e brutale che si tirò su, dal lettino del pronto soccorso, con una violenza tale da far vibrare l'asta con la flebo che aveva posizionata accanto.

«Che diavolo è tutta questa roba?» esclamò, liberandosi del respiratore, una gamba già a terra, in procinto di rimettersi in piedi.

Un corpulento infermiere gli si fece rapidamente accanto, indeciso se trattenere lui o tutti i macchinari che stavano barcollando attorno al corpo dell'uomo.

«Ma che sta facendo? Per l'amor del cielo, si calmi...»

«Sto cercando di ripassare la coreografia di Zumba. Cosa crede che stia facendo? Sto bene, devo andarmene da qui», ribadì Richie, osservando con disprezzo i cerotti che tenevano assicurato l'ago della flebo, indeciso se strapparsi da solo anche quelli o chiedere aiuto.

«Non può andarsene da qui, ha appena avuto un incidente, ricorda?»

«Ma davvero? Credevo di essere inciampato nei lacci delle scarpe», cercò di rimettersi in piedi, ma la testa prese a girare in modo vorticoso. Fu costretto a rimettersi a sedere e a limitare le sue reazioni per celare l'imbarazzo di quella rapida ricaduta.

«Signor Tozier... ha avuto un leggero trauma cranico, deve restare in osservazione per qualche ora.»

«Oh, per l'amor di Dio... crede che sia la prima volta che cado e mi spacco la testa? No. Non è la prima volta. Mi è successo da bambino e sono sopravvissuto, l'ho fatto da adulto, scivolando nel mio stesso vomito e, oh, ancora una volta, sono sopravvissuto. Non sarà uno stupido incidente d'auto a tenermi inchiodato in un cazzo di ospedale del... dove siamo? Ancora a Derry?»

«Sì, siamo all'ospedale di Derry, nel Maine.»

«So perfettamente dove si trova Derry, ci sono cresciute le mie chiappe in questo schifo di posto», si passò una mano sulla fronte, trovando un cerotto a coprire quelli che probabilmente dovevano essere dei punti. «Senta... non posso restare qui, davvero. Devo... devo...»

Le parole gli morirono in gola perché all'improvviso non era più sicuro di cosa dovesse o potesse fare una volta uscito da lì. La voce che aveva sentito in macchina poteva essere quello che credeva fosse e... quindi? Non vi era posto in cui potesse andare a cercarlo (Dio, nemmeno riusciva a formulare il suo nome, nemmeno per sbaglio, nella sua testa) se non un cumulo di macerie, risucchiate in un buco nero, uno spazio vuoto che una volta aveva ospitato la stamberga di Neibolt Street. Ma poi... l'aveva sentita davvero quella voce o era stata solo una stupida allucinazione? Di quelle alimentate da ricordi troppo vividi? In fondo stava ancora sperimentando un trauma. Un lutto.

«Crede che sia possibile contattare una persona? Ho bisogno che sappia che sono qui, che magari mi venga a prendere», si arrese, rialzando lo sguardo un po' appannato sull'infermiere dall'aria intimidatoria.

Questi sembrò lanciargli uno sguardo sospetto ma non poteva dirlo con certezza, dato che non indossava i suoi occhiali.

«Certo...», lo sentì concordare e si trovò a tirare un semi respiro di sollievo «ma lei se ne resterà tranquillo finché non sarà qui, d'accordo?»

Richie si fece una croce sul cuore: «Parola di lupetto.»

 

Mike era arrivato dopo venti minuti esatti dalla telefonata che gli infermieri gli avevano concesso.

Aveva pazientemente atteso che Richie ottenesse i fogli di rilascio dal pronto soccorso e se lo era caricato in macchina per riportarlo indietro.

«La fuga più breve della storia...» commentò Richie, osservando fuori dal finestrino dell'auto, la città che gli scorreva accanto a ritroso, un altro passo indietro da dove era partito, «sai, Mikey, è la seconda volta che cerco di andarmene da quando sono tornato qui, e la seconda volta che qualcosa mi impedisce di farlo. Buffo, no? Derry mi trattiene con i suoi tentacoli come un cazzo di creatura di Cthulhu.»

«Mi devi ancora una spiegazione su quello che è successo, Richie. Mi è preso un colpo quando mi hanno telefonato dall'ospedale.»

Richie si voltò ad osservarlo. Poteva dirlo dalla sua espressione tesa di quale impatto avesse avuto su di lui quella telefonata. Dopo quello che avevano passato negli ultimi giorni, doveva essere stata una delle ultime notizie che si sarebbe augurato di sentire.

«Mi dispiace...» mormorò in un patetico tentativo di alleviare la sua pena, «ti giuro che c'è molto più che una guida spericolata...»

«Me lo auguro», sapeva che il tono duro dell'amico non era di mero rimprovero, ma dettato dalla preoccupazione. Mike accostò la macchina al marciapiede adiacente la biblioteca e spense il motore.

«Non avevi bevuto, vero?» gli chiese. Diretto e brutale.

«Cosa... ? No! Per chi diavolo mi hai preso?»

Mike si voltò nella sua direzione.

«Scusa. È che ti ho visto in questi ultimi giorni e...»

«No, Cristo Santo, Mike, no... non avevo bevuto», scosse la testa, atterrato da quella terribile supposizione, «n-non ho bevuto, non oggi», gli sembrò appropriato specificare. Non era esattamente un mistero che negli ultimi giorni avesse ecceduto con qualche goccio di troppo. Mike si era dolorosamente reso conto di come Richie stesse affrontando quella difficile situazione. E si era preoccupato, per quanto possibile, di tenerlo lontano dall'alcool, per tutto il tempo in cui gli era stato accanto, prima che quella sua scusa per ottenebrarsi diventasse una vera e propria dipendenza.

«E allora dimmi che cosa è successo...» lo sentì domandare, pregare di concedergli una spiegazione plausibile all'incidente.

Richie sentì la bocca farsi secca, deglutire gli sembrò difficile come avesse la gola rivestita di carta vetrata. Serrò le labbra per un istante, indeciso su come iniziare il discorso senza sembrare un idiota. E Dio, sì, quanto avrebbe pagato per un goccio d'alcool, giusto per concedersi la possibilità di sciogliere la lingua.

«Promettimi di non prendermi per pazzo...» esordì. Così come era semplicissimo per uno come Boccaccia, sparare stronzate a vanvera, tanto era complicato fare un discorso serio, sopratutto se metteva a repentaglio la sua credibilità. Rilasciò un sospiro e si abbandonò sul sedile dell'auto, come a prendere la rincorsa.

«Credo di aver sentito la voce di Eddie», disse, prima di voltarsi in direzione di Mike: le sopracciglia corrucciate, l'espressione seria e valutativa dell'uomo lo spronarono a continuare.

«Prima dello schianto, la voce di Eddie che mi chiamava. Era nitida, Mike. Come se mi fosse seduto accanto. Era la voce di un uomo affaticato. Lo stesso tono...» dovette interrompersi un istante, perché il ricordo gli provocò un subitaneo mal di stomaco, «lo stesso tono che aveva prima di...» non concluse la frase ma fu chiaro per entrambi quello che voleva dire. Prima di morire. La stessa voce affaticata che Eddie aveva usato prima di morire.

«Richie...»

«Non me lo sono immaginato, okay?» si tirò su di nuovo, sulla difensiva, «credo di essere ancora in grado di distinguere le voci nella mia testa da qualcosa che sento... reale. E quella voce era reale. Come lo è la tua, in questo momento.»

L'espressione di Mike restava seria, ma Richie riusciva a leggerci dietro qualcosa che non gli piaceva per nulla.

«D'accordo, Rich...» disse, «mettiamo il caso che fosse, come dici tu, reale

«Lo era, Mike, cazzo, lo era!»

«Eddie è morto, Richie.»

A quella definitiva sentenza, Richie sentì montagli dentro una tale rabbia che faticò a trattenere.

«Grazie tanto Mike, mi serviva questo promemoria per ricordarmelo! Stupido è chi lo stupido fa, mh?» sbottò, sganciandosi la cintura di sicurezza.

«Non volevo... oh, Dio, sto solo cercando di rielaborare, va bene?»

«Non ho bisogno che tu rielabori, ho bisogno che tu mi creda!» esclamò, mentre Mike arretrava appena con il busto come sospinto all'indietro dalla violenza con cui l'uomo stava reagendo.

Richie si bloccò all'improvviso, realizzando l'irragionevolezza dei suoi gesti, delle sue azioni.

«Scusami... » bofonchiò a mezza bocca. Aprì lo sportello dell'auto e caracollò all'esterno, prendendo un'ampia boccata d'aria. Si lasciò accarezzare il viso dalla brezza fresca che preannunciava la fine dell'estate, che scivolava lentamente nell'autunno e cercò di calmare quel suo cuore in assoluto tumulto.

Sentì la portiera di Mike aprirsi e richiudersi a sua volta e di nuovo, quella sensazione di disagio e umiliazione, investirlo come uno schiaffo. Doveva calmarsi. Doveva assolutamente calmarsi.

«Io ti credo, Richie...» lo sentì pronunciare, «sarei un imbecille a non darti nemmeno il beneficio del dubbio, dopo tutto quello che abbiamo passato. Dopo... ventisette anni a cercare e rielaborare informazioni incredibili su un fatto sovrannaturale...»

Richie riaprì gli occhi ritrovandoselo di fronte. Gli occhi inchiodati nei suoi. Mike era sempre stato l'unico a poterlo fare. L'unico a raggiungerlo in altezza.

«Quello che volevo dire è che... qualsiasi cosa sia, quella voce che hai sentito, non può essere davvero Eddie. Non... non la sua forma materiale. Eddie... Eddie non è qui.»

Richie gli fece cenno di non proseguire oltre. Sapeva perfettamente come sarebbe andata a finire quella conversazione. Non c'era alcun bisogno di ribadire che Eddie non c'era più. Che se ne stava sotto una profonda ragnatela di tunnel sotterranei, probabilmente sepolto sotto le macerie. Sicuramente morto. Perché nessuno avrebbe mai potuto sopravvivere a un tale crollo. E se anche fosse davvero stato possibile, dopo tutte quelle settimane, sarebbe comunque morto in qualsiasi altra maniera.

Di stenti, gridando nel buio...

Richie scrollò la testa per liberarsi della terribile immagine.

«Però era lui, Mike. Io so che era lui.»

Mike si ritrovò ad annuire, e stavolta riuscì a leggergli addosso la consapevolezza e la volontà di credergli davvero.

«Quello che non so... quello che non so davvero Mikey, è che cosa possiamo farci con questa informazione.»

L'uomo si strinse appena nelle spalle, l'espressione che si era fatta greve e afflitta come il giorno in cui si erano rivisti. Come se i ventisette anni appena trascorsi gli si fossero abbattuti addosso di nuovo, con violenza, come il peso di un enorme macigno.

E improvvisamente Richie intuì cosa gli stesse girando nella testa: la schiacciante, drammatica consapevolezza che la fuga da Derry, sarebbe stata rimandata per entrambi, di nuovo. Mike, a un passo dalla libertà, costretto a un brusco dietro front.

«Mi dispiace, Mikey...»

«Che diavolo vai dicendo? In questa cosa ci siamo sempre stati dentro tutti insieme. Niente è diverso, ora. Niente. Capiremo che cosa hai sentito. Chi hai sentito e perché...» si preoccupò di fargli entrare in testa, costringendolo a guardarlo, per quanto fosse doloroso farlo, «e se te la senti, per prima cosa torniamo al ponte dove hai avuto l'incidente... e cerchiamo di capire se possiamo cominciare da lì.»

«Quel posto è una maledizione...» si trovò a commentare, con una risata nervosa, passandosi una mano sul viso, «forse non mi sarei dovuto fermare a salvare una cazzo di tartaruga, prima di andarmene.»

Mike sembrò improvvisamente allarmato. Gli occhi che avevano improvvisamente preso a brillare di una luce strana, vivace.

«Che cosa hai detto?»

Richie gli lanciò uno sguardo perplesso.

«... una tartaruga. Ho aiutato una tartaruga ad attraversare la strada prima di...»

«Richie...»

Lo interruppe, come a spronarlo a soffermarsi su ciò che aveva appena detto, ciò che gli aveva inconsapevolmente comunicato.

Il tono della sua voce gli sembrò improvvisamente lontano.

La tartaruga.

Come aveva fatto a non pensarci prima? C'era stata una tartaruga. C'era sempre stata... una tartaruga, sin da quando erano ragazzini. Gliene aveva parlato Bill, gliene aveva parlato Eddie.

Ma era morta, no? O così Bill aveva detto loro. Aveva loro parlato della morte della tartaruga. Della percezione di averla sentita morire.

Richie non aveva mai compreso appieno le sue parole o ciò che era andato blaterando riguardo l'essere protetti da un essere ancora più antico di IT, e a un certo punto della sua esistenza, fino a quel giorno doveva averlo rimosso per qualche oscura ragione; ma adesso, adesso tutto tornava a permeare di nuovi significati gli avvenimenti delle ultime ore.

Mike sembrò leggergli nel pensiero perché lo sgomento che percepì nei suoi occhi, rifletteva indissolubilmente il proprio.

Una tartaruga. Quella benedetta, o maledetta...

 

*

 

… tartaruga.

Il guscio sembrava risplendere di luce propria. Mentre tutto attorno era oscurità e silenzio, quel minuscolo essere che gli era comparso accanto, sembrava sprigionare una forza tutta nuova. Ultraterrena, estranea a un luogo simile.

Se ne sentì vagamente rinfrancato. La paura ancora lì, pronta a lacerarlo a morsi ad ogni tentativo di muoversi o di parlare, ma più sopportabile della disperazione che aveva preso a divorarlo solo qualche minuto, ora... giorno prima.

Non aveva coscienza del tempo trascorso, non la percezione dello spazio. Aveva cercato di concentrarsi su ciò che di concreto riusciva a mettere le mani: il suo viso, il suo ventre, le sue gambe, quella giacca che stringeva fra le dita. E poi sulle cose immateriali ma che sapeva in grado di infondergli forza interiore: il battito del proprio cuore, il sibilo del proprio respiro. Il lento, ritmato gonfiarsi e sgonfiarsi dei polmoni.

Era dunque vivo? O era solo il ricordo di come ci si sentiva a essere vivi? Non riusciva a ricordare nulla. Nemmeno come ci fosse finito in un posto simile. Ma ciò che più gli provocava turbamento era il fatto di non essere in grado di ricordare il proprio nome, né chi fosse, per quanto potesse valere una simile informazione.

Richie.

No, Richie non era il suo nome. Richie era il nome di qualcun altro. Richie era il nome che gli era brillato nella mente nel momento in cui si era accorto di stringere quella giacca fra le mani. Forse l'unico oggetto che lo manteneva ancorato a quella che era stata la sua vita, precedente a quell'incubo oscuro.

Una consapevolezza brutale ma necessaria. Necessaria a compiere il passo successivo. Non voleva restare in quel posto per sempre, non rimanere ingabbiato nell'oscurità di un luogo ignoto, per sempre, con poco meno che una manciata di ricordi.

«Sei qui per aiutarmi... ?» riuscì ad articolare, posando di nuovo lo sguardo sulla minuscola fonte di luce che era la tartaruga. Un cucciolo a giudicare dalle dimensioni, più piccola di una mano. Apparentemente fragile sotto quella corazza di osso duro.

Non seppe perché gli sembrò lecito interrogare un animale sulle sorti del proprio destino, ma seguì semplicemente il flusso suggerito dalla coscienza.

La tartaruga si limitò a osservarlo dal basso verso l'altro, con quella luminescenza del tutto irreale. Poi, come a rispondere al suo quesito, la vide battere i tacchi, voltargli inesorabilmente le spalle, e cominciare a procedere, con passo lento e vacillante, verso un qualsiasi punto nell'oscurità.

«No, a-aspetta...» si trovò a dire, mentre l'angoscia di essere rispedito nel buio prendeva di nuovo il sopravvento. Il terrore che tornava a mordergli le punte delle dita, gli zigomi, lo stomaco.

Fece forza sulle gambe in un tentativo che non aveva ancora sperimentato. Le gambe tremarono malamente prima di cedere sotto lo sforzo in modo incredibilmente scoraggiante.

«Aspetta. Aspetta!» gridò di nuovo. La tartaruga ormai solo un puntino luminoso nell'oscurità. Serrò le labbra, raggranellando i residui di energie che gli restavano. Non provava dolore, quindi perché tutta questa reticenza a rimettersi in piedi? Aveva delle gambe e aveva dei piedi. Gambe e piedi che riusciva a muovere. Gambe e piedi che sapeva potevano correre come il vento, se solo si fosse concesso la possibilità di provare. Si pizzicò i muscoli delle cosce come a risvegliare le terminazioni nervose sopite, se li schiaffeggiò con violenza, cominciando a percepire il dolore. Che poi esplose in una manifestazione d'esultanza, non appena il formicolio che prese a vibrargli dentro lo rassicurò che i muscoli si stavano finalmente risvegliando.

«Ti ho detto di aspettarmi, razza di microscopico stronzetto!», si concesse di dire, mentre si issava con le braccia e finalmente riusciva a mettersi in piedi, traballante e incerto ma pur sempre in posizione eretta.

«Ah!» esclamò, senza sapere che farsene della giacca. Indeciso se lasciarla o meno, si decise infine ad indossarla, rendendosi conto essere almeno due taglie più grosse di quanto avrebbe dovuto. Emanava un profumo familiare, un profumo che non apparteneva certo a quel posto.

Alzò lo sguardo, rendendosi conto che la tartaruga aveva interrotto la sua avanzata. Forse richiamato dai suoi coloriti epiteti.

«Non volevo davvero chiamarti stronzetto... lo sai, vero? Nemmeno microscopico. Non è stato carino» disse solo, poggiando una mano alla parete che avvertì alle sue spalle, per mantenersi dritto finché non avesse recuperato la stabilità.

Quando comprese di potersi reggere sulle gambe senza appigli, fece il primo tentativo. Il primo passo sembrò un'agonia, il secondo fu più facile. Con il terzo, gli sembrò di essere tornato un bambino che compie i suoi primi passi. Il quarto, il quinto e il sesto... non ebbe più bisogno di nessun sostegno.

Si affrettò a tenere dietro la tartaruga, che ricominciò a muoversi, precedendolo verso l'ignoto.

 

*

 

«Bill ha scritto che sarà di ritorno il prima possibile...» disse Mike, offrendo a Richie l'ennesima tazza di caffè nero. Ritornare di nuovo in quell'appartamento gli sembrava il terribile prologo di un déjà-vu.

Avevano contattato gli altri Perdenti per metterli al corrente di quello che era successo. Nessuno sembrava aver preso sottogamba la situazione e se da una parte Richie ne fu sollevato per non essere considerato solo un povero pazzo, vittima di allucinazioni, dall'altro era terrorizzato dal fatto di doversi addentrare nell'ennesimo incubo e di dover coinvolgere nuovamente tutti quanti.

«Non ho alcuna intenzione di costringere nessuno a tornare in questa trappola mortale. Dobbiamo prima capire che diavolo significa tutto questo. Solo allora, forse...»

«Cerchi tu di persuaderlo a rinunciare? Parliamo di Big Bill, sei sicuro?»

«Che cosa sarà mai?» sbottò Richie, ritrovandosi a sventolare una mano che per la foga si era imbrattato di caffè caldo. «Non ho paura di Bill. Abbiamo appurato che sono decisamente più grosso di lui. Sotto diversi punti di vista, se capisci che intendo...»

«No, non capisco che intendi. A meno che tu non ti sia divertito a sbirciare Bill nudo sotto la doccia.»

«Magari...»

«Scusa?» esalò Mike, trattenendo una risata.

Richie scrollò le spalle, apparentemente con noncuranza.

«Lo sai che vi scoperei tutti, dal primo all'ultimo, se solo non foste così pietosamente bigotti.»

«Certo, Richie... certo.»
«Non mi credi? Sapete quanto vi amo.»

«Vi amo anche io, ma non per questo credo sarei disposto a saltarvi addosso in quel modo.»

«Bigotto.»

«Beep-beep, Richie.»

Sorrise. Era da un pezzo che non veniva zittito a quella maniera e nonostante avesse sempre sostenuto di odiarlo, era ciò che più lo divertiva al mondo.

Si portò la tazza alle labbra e bevve un lungo sorso di caffè, sentendosene rinfrancato.

La breve gita al ponte dei baci non aveva portato grosse rivelazioni. A parte la macchia d'olio e l'ammaccatura nel tunnel che la macchina di Richie aveva lasciato come souvenir, dopo l'incidente. Nessuna tartaruga nei paraggi, nessuna voce a sussurrare il suo nome. Eppure, se ci pensava, poteva sentirla così nitida che gli risalivano i brividi lungo tutte le braccia.

«Sei sicuro che non ci sia proprio alcun modo per tornare in quel posto, sotto la casa di Neibolt... ?» si trovò a domandare di nuovo, ben sapendo quale sarebbe stata la risposta.

«Se anche ci fosse, Richie, non ci sarebbe alcun passaggio per arrivarci senza dover scavare... e non a mani nude, per quello che siamo riusciti a vedere.»

Rilasciò piano il fiato e socchiuse gli occhi, in parte arreso, in parte assolutamente frustrato. La parte razionale che gli diceva che non poteva essere vivo. Quella illogica che forse... forse c'era un cazzo di zombie pronto ad essere dissepolto e che comunicava con lui per via telepatica.

«Potremmo provare. Potremmo... non lo so... trovare un'escamotage per far arrivare alla polizia la notizia che Eddie è stato nascosto là sotto. In fondo lo stanno ancora cercando. Appurato che sia stato Bowers o meno...»

«E come, Rich? Come pensi di fare a dare un simile indizio alla polizia? Dopo che ci siamo accordati sul dire loro che non ne sapevamo niente?»

«Una telefonata anonima? Dio, non lo so...»

«E in ogni caso cosa speri di trovare?»

«Non lo so. Io non lo so...», si portò una mano sul viso, il mal di testa pulsante dopo l'incidente che non si era chetato per un solo istante, «il corpo di un uomo che merita una sepoltura come si deve.»

Mike gli si sedette accanto quando si rese conto che Richie aveva silenziosamente cominciato a piangere. Quella dannata bolla di dolore che aveva ripreso lentamente a sgonfiarsi, lasciando uscire quello che si era gelosamente tenuto dentro per tutto quel tempo. Si odiò per questo. Odiò la sua debolezza, il momento di vulnerabilità non richiesto. Odiò ancora di più tutta la frustrazione e il rimpianto di non essere riuscito a trascinarlo fuori da lì. Eddie sarebbe morto lo stesso ma adesso non si sarebbe trovato divorato dai dubbi e delle possibilità che non avevano esplorato.

Sentì la mano di Mike sulla schiena e per un istante fu tentato di scrollarselo di dosso, ma si trovò infine ad accettare quell'attimo di gentilezza ed affetto, forzandosi di non provare vergogna. Si era ripromesso di scacciare la paura di ciò che era, dell'intera gamma dei sentimenti che gli si rimescolavano dentro, di smetterla di indossare patetiche maschere, l'essere stato costretto a rimanere a Derry non poteva e non doveva cambiare le sue risoluzioni.

«Sei stremato, Richie. Dovresti andare a riposarti. Sono sicuro che troveremo un modo per interpretare quello che ti è successo. Ma non adesso, non con la testa così confusa...»

Richie si ritrovò ad annuire ed asciugarsi gli occhi sotto le lenti degli occhiali.

«Potevi dirlo subito che avevi sonno, Mikey-Mike. So che sei uno di quelli che vanno a letto alle nove, poco dopo cena.»

«Nove e mezza, per la precisione», gli sorrise.

«Scommetto sia questo il dettaglio sexy che ti permette di abbordare tutte le donne single di Derry.»

«Precisamente questo.»

Richie sorrise sentendosi improvvisamente esausto. Mike aveva ragione: aveva bisogno di riposare e sperare che il feroce mal di testa lo abbandonasse alla svelta, snebbiandogli i pensieri.

 

*

 

La tartaruga non faceva che proseguire inesorabile. Si ritrovò a ringraziare chiunque l'avesse dotata di zampette tanto corte per permettergli di stargli dietro. Anche se adesso riusciva a reggersi sulle gambe, non era certo di voler sfidare la sua resistenza con un passo molto più veloce di quello.

Lo scenario non era mutato di molto, nonostante gli sembrasse di camminare da ore. Non era stanco come si era atteso fosse. Gli occhi si erano vagamente abituati all'oscurità ma per qualche assurdo motivo non era sicuro di voler perlustrare visivamente i dintorni. Da un lato per paura di perdere di vista la tartaruga, anche solo distraendosi per un un rapido, tragico istante, dall'altro perché gli sembrava ci fosse qualcosa nascosto nell'oscurità che lo stava tenendo d'occhio dacché aveva cominciato il suo lento vagare. Qualcosa di inconsistente, silenzioso ma vigile. Qualcosa che aveva mille occhi e molte coscienze. E mani: dita mobili pronte ad afferrarlo se solo avesse abbassato la guardia. Qualcosa che sussurrava nell'oscurità con voce impercettibile. Una voce a cui aveva cercato di non prestare attenzione. Certo che gli ci sarebbe voluto un attimo per tornare ad essere inghiottito in quel pulsante nulla. Di tornare ad essere niente.

Non voleva tornare ad essere niente. Non ora che aveva appena scoperto di essere... qualcosa. Qualcuno.

Si strinse in quella giacca che sapeva di fumo e acqua profumata.

Qualcosa, in un angolo recondito della mente gli suggeriva: sigarette e acqua di colonia. Un altro tassello del puzzle che trovava la sua misera collocazione.

Nello stesso istante che quel qualcosa faceva click nella sua coscienza anche la tartaruga sembrò crescere di dimensioni. Prendere luce, più di quanta non ne avesse fatta fino a quel momento.

Un passo dopo l'altro, più rapida, più sicura. O era semplicemente lui stesso ad essere più rapido, più sicuro? Era davvero certo che fosse lei a guidare lui... e non viceversa? Improvvisamente aveva capito da che parte doveva proseguire, come se una bussola interiore gli indicasse esattamente la direzione.

I dintorni avevano preso a riflettere quella stessa luce e qualsiasi cosa ci fosse, nascosto nelle ombre, sembrò ritrarsi ancora di più nell'oscurità.

I suoi occhi colsero un vago balugino oltre l'animale. Il buio che andava lentamente disperdendosi, divenendo meno denso, meno opprimente. Le pareti del percorso che si allargavano, prendendo ampio respiro in quello che gli sembrò di riconoscere come un largo tunnel, finché i suoi piedi sprofondarono ad un tratto in quella che gli parve... acqua.

Acqua sui piedi, acqua fino ai polpacci, acqua ai fianchi. Acqua che emanava un nauseabondo odore di...

«Fogna?» esalò, abbassando lo sguardo sui riflessi oleosi di quella sostanza che risvegliò in lui qualcosa di familiare.

«Acque nere...» singhiozzò, trattenendo a malapena un rigurgito disgustato. Ma la sensazione di nausea fu ben presto sostituita da quella di un vago e cieco terrore, quando, tornando a guardare dritto di fronte a sé, si rese conto che la tartaruga e il suo bagliore erano svaniti.

«No...» sussurrò, senza voce, sentendo il respiro venirgli meno, «no, no no, dove sei?» esclamò, rabbrividendo al freddo dell'acqua che gli inzuppava scarpe e calzoni, al freddo che sembrava arrivare sotto forma di vento gelido da qualche parte, poco lontano da lì.

Aumentò il passo, quasi correndo, trascinandosi con foga sempre crescente, lungo il canale ricolmo d'acqua putrida che si sollevava in schizzi più o meno disgustosi ad ogni passo. Seguì l'istinto, di nuovo quella bussola, il panico di venir di nuovo retrocesso alla situazione da cui stava scappando. Tartaruga o meno sarebbe uscito da lì, percorrendo un canale putrido di acque nere, inseguendo il vento gelido.

E infine la vide, quella luce in fondo al tunnel: così come prima era avvolto dall'oscurità, adesso riusciva a percepire la luce o una parvenza di chiarore. Le gambe che adesso si muovevano con una forza che non sapeva nemmeno di possedere; incurante del fiato corto, dei polmoni che reclamavano aria, dell'acqua che sembrava volerlo trascinare di nuovo indietro ad ogni passo. Si oppose con tutto se stesso a qualsiasi cosa lo stesse richiamando al luogo in cui non vi era coscienza; si oppose al seducente sussurro delle anime che lo richiamavano a sé, all'inconsistente tocco dei loro lunghi artigli. Guadagnò l'uscita con un ultimo balzo che lo condusse fuori dal tunnel come se qualcuno o qualcosa ce lo avesse infine spinto, fuori da lì.

Atterrò a peso morto sull'erba alta, la faccia nel fango. Mosse le dita, afferrando terra e pietrisco. Se li passò fra le mani, come ad assicurarsi che fossero reali. Si concesse solo qualche istante, prima di sollevarsi sulle braccia per cercare di rimettersi in piedi.

Il suono di acque correnti nelle vicinanze, il fischio di un uccello notturno, il lontano frinire dei grilli, il vento fresco e profumato della notte.

Quando alzò lo sguardo al cielo lo vide trapuntato di stelle.

Un grido di pura gioia gli esplose dal petto in fiamme.

 

*

 

Richie si svegliò di soprassalto, sbalzato al suolo, giù dal divano letto di Mike.

Il fiato corto come avesse appena corso, la sensazione di piedi bagnati, di pericolo scampato, di vento gelido fra i capelli e un'esplosione di incontenibile ilarità nello stomaco.

Le luci.

C'era parte di ciò che aveva visto nelle luci in quel sogno.

Un tunnel, una tartaruga, acque nere. Eddie.

«I Barren», esalò in un singhiozzo che sembrava una risata.

 

 

Continua...

 

Note:

Intanto grazie a chi si è addentrato in questo mio nuovo, delirante racconto. Era da un po' che volevo scrivere questa storia, solo che dovevo capire come fare. Per chiarezza, come immagino sia già piuttosto ovvio, l'ambientazione e molte delle situazioni descritte, saranno più ispirate a quelle del film che non a quelle del romanzo di King. Mi risulta più semplice sia per determinate dinamiche fra i personaggi e più comodo come ambientazione storica (e francamente mi viene più facile storpiare un film che non il romanzo, che è perfetto così). Detto questo non mancherò di sprofondare le mie manacce anche nella mitologia del romanzo (la Tartaruga), di sviluppare determinate storie anche di quell'universo e di introdurre vergognosamente personaggi che interpellerò da altri romanzi del Re (Danny Torrence?).

Incrociamo le dita.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

 

 

«Siamo qui da quasi due ore, Mike...»

Richie si era lasciato ricadere pesantemente a terra, sulla riva del torrente. La giornata era cupa e il cielo grigio minacciava pioggia imminente. I Barren non gli erano mai sembrati tanto deprimenti.

«Forse dovremmo andarcene», esalò arreso, mentre l'uomo alle sue spalle lo osservava lanciar sassi che andavano a disperdersi nell'acqua.

Forse tutto quello che aveva sognato non era altro che un desiderio, più che una premonizione. Più il tempo passava, più l'entusiasmo della notte precedente lasciava spazio a sentimenti foschi e deprimenti. Era davvero sicuro fossero proprio quello che gli avevano rivelato i Pozzi Neri? Beverly era rimasta vittima della stessa disgrazia, ma era riuscita a prevenire il tragico epilogo per tutti prima che si compisse, non successivamente. Non aveva potuto fare nulla per Stan, né tanto meno per Eddie però; cosa gli faceva anche solo pensare che fosse un suo privilegio mettere una pezza a quell'ingiustizia? E soprattutto, che diavolo aveva pensato di ritrovare ai Barren? Eddie vivo e vegeto, svenuto nelle acque della cava tipo novella Ofelia, prima del suicidio? Assurdo.

Si passò una mano sul viso, prima di decidersi a rimettersi in piedi.

«Basta. Andiamocene», decretò definitivo, stufo di aspettare una rivelazione che evidentemente non aveva alcuna intenzione di giungere.

«Sei sicuro?» lo interrogò Mike, dando uno sguardo rapido al cellulare che stringeva fra le dita.

«Sono sicuro. È evidente che ho preso un abbaglio. Probabilmente non era qui che dovevo venire. Mi spiace di averti costretto a seguirmi.»

Mike sbuffò qualcosa di incomprensibile.

«Non che avessi qualcosa da fare, comunque. Forse devo ricordarti che mi sono licenziato...»

Richie serrò le labbra, senza sapere che farsene di una tale informazione.

«Non me ne sono dimenticato. Come non mi sono dimenticato che non dovresti essere qui... a Derry, intendo. Ma a guidare verso il sole della Florida accompagnato dalla musica di qualcuno dei tuoi cantanti preferiti, che per la cronaca, dopo ventisette anni non so più nemmeno quali siano.»

«Ne abbiamo già parlato, Richie.»

«Dei tuoi cantanti preferiti?»

«No... io...»

«Lo so. Lo so, Mike», lo prevenne, «ma questo non mi impedisce di sentirmi comunque in colpa. Forse mi sono sbagliato... forse mi si è solo fottuto il cervello e questa storia non è che la conferma che dovrei andare in terapia, una volta per tutte.»

«Non è così e lo sai anche tu. Solo perché le cose non si risolvono nel giro di ventiquattro ore non significa che bisogna mollare il colpo. Te lo dice una persona che ha aspettato ventisette anni per capire come risolvere una situazione...»

Richie alzò lo sguardo su di lui. Mike aveva ragione ma questo non lo faceva sentire meglio.

«Non credo di essere pronto ad aspettare altri ventisette anni per capire che sta succedendo. Non ci arriverei sano di mente.»

«Sono sicuro che non sarà così. Comunque...» lo vide sventolare il cellulare, «Ben e Beverly hanno prenotato un volo per Bangor, domani.»

«Stai scherzando? Li avevamo pregati di aspettare!»

«Come avevamo fatto con Bill. Ma non credo ci sia modo di fermare il motore una volta rimesso in moto. Non combatterci, accettalo e basta.» Era della vaga ironia, quella che avvertiva nella sua voce?

«Sai che sono sempre felice di avervi attorno, tipo gatti attaccati ai miei sacri gioielli, ma è come se avessi una zavorra che mi trascina a fondo... che finirà per trascinare a fondo anche voi.»

Mike scrollò le spalle.

«Può darsi, ma abbiamo imparato che insieme possiamo anche dare uno strattone alla zavorra e risalire in superficie.»

Mai metafora gli sembrò più azzeccata. A volte si rendeva conto di quanto volesse bene a Mike, di quanto volesse bene a tutti. E gli faceva male il cuore a pensarci.

«D'accordo filosofo Mike, basta così», alzò le mani, arreso, «potresti uccidermi a furia di massime. Quindi ce ne andremo di qui, prima che tu possa seppellirmi di sapienza. E magari andiamo a fare una colazione come si deve.»

«Ma abbiamo già fatto colazione...» ribatté perplesso.

«Perché non consideri la seconda colazione. Non lo sai che noi Hobbit abbiamo uno stomaco che va soddisfatto costantemente?»

«Mi sembri un po' troppo grosso per essere un Hobbit.»
«Mia madre mi gonfiava di steroidi.»

Mike rise e guardò l'orologio per controllare l'ora.

«Forse Jonas serve ancora i pancakes a quest'ora... che dici?»

Richie fece per rispondere, soddisfatto della soluzione, ma un improvviso formicolio alla base della nuca lo freddò sul posto.

Il vento gli sembrò improvvisamente meno sibilante, il suo suono più pastoso e il freddo che si portava appresso sembrò divenire caldo e profumato. Come se il sole, invece di starsene nascosto sotto strati di nuvole, fosse ora emerso di nuovo e pronto a distribuire il suo calore.

«C'è qualcuno?»

Si voltò di scatto, richiamato da una voce alle sue spalle. Una voce tanto vicina, quanto ovattata. Come soffocata dietro un vetro di plexiglass.

«Chi è là?» domandò, mentre Mike poco distante si faceva improvvisamente vigile.

«Che succede, Richie?»

«Non hai sentito?»

«Cosa? Non ho sentito niente.»

«La voce! La voce, non l'hai sentita?»

Vide l'uomo scuotere la testa e la sua frustrazione si elevò rapidamente.

Percorse a ritroso il tragitto lungo il fiume, fino a raggiungere il tunnel che si erano lasciati alle spalle solo qualche minuto prima.

«Sei qui dentro?» esclamò. La propria voce si diffuse cavernosa, rimbalzando sulle pareti di cemento del grosso tunnel. «Se è uno scherzo non è divertente!»

Restò in ascolto, ma tutto ciò che gli rimandò il vento fu il suono dell'acqua del ruscello alle sue spalle.

«Merda...» sussurrò portandosi una mano al viso. Stava davvero impazzendo? Eppure...

«Io non ci ritorno là dentro... non ci ritorno là dentro!»

Riaprì nuovamente gli occhi. La voce più nitida ora. Riconoscibile.

«Eddie....» esalò, «EDDIE!»

 

*

 

Raccolse un po' d'acqua con le mani e se le passò sul viso per l'ennesima volta. Adesso che la luce del mattino aveva inondato quell'angolo di mondo, poteva dire, senza ombra di ragionevole dubbio, quanto quelle acque non fossero poi così limpide come gli erano sembrate al solo chiarore della luna; ma non gli parve il caso di fare lo schizzinoso, considerato che quella era l'unica risorsa disponibile per evitare di andarsene in giro coperto di fango. E per levarsi di dosso l'odore nauseabondo di fogna e morte, che era sicuro di essersi trascinato appresso dal luogo oscuro da cui era emerso.

Riaprì gli occhi solo per specchiarsi nei rivoli d'acqua che gli scorrevano a pochi centimetri dal naso. Non riusciva a dirlo con certezza, ma quel volto, per la prima volta dopo ore, cominciava a sembrargli familiare. Non un uomo giovane. Non un uomo anziano. Qualcosa che lo collocava in una fascia d'età indefinita. Non particolarmente bello, non particolarmente ripugnante. Nè carne, né pesce. Un volto che non raccontava niente di lui. Non ancora almeno. Come non raccontava niente di lui quell'anello che aveva al dito. Una fede nuziale. Qualcuno lo aspettava, da qualche parte, ma chi? All'interno solo una data. Nessun nome. Se l'era tolta, per paura di perderla e infilata nella tasca dei pantaloni. Il dito aveva una fascia di pelle più pallida in corrispondenza dell'anello. Nessun ricordo. Nessun pensiero felice.

Il sole era alto e caldo nel cielo. Poteva essere primavera inoltrata, come fine estate. La maglia che si era interessato di sciacquare nel torrente giaceva, ora asciutta, al suo fianco. Si preoccupò di tastarla, prima di indossarla nuovamente. Odorava ancora di qualcosa di rugginoso e familiare, ma aveva constatato di non essere ferito, nonostante la sensazione del sangue sulle mani e sulle labbra lo avesse tormentato per tutto il tempo trascorso a piedi, dietro alla tartaruga.

Il tessuto intiepidito dal sole gli restituì una sensazione confortevole sulla pelle. E Dio solo sapeva quanto avesse bisogno di un po' di conforto.

Ancora doveva capire dove diavolo fosse. Il luogo gli sembrava vagamente familiare, ma ovunque posasse lo sguardo non vi era altro che fitta vegetazione, cielo e acqua. Gli sembrò di essere precipitato in un limbo. Un limbo che però non impedì al suo stomaco di brontolare vivacemente, per la mancanza di cibo.

Le persone morte non hanno fame. Fu il primo pensiero che lo colpì. E poi: le persone morte non sentono il sole sulla pelle, non provano stanchezza o dolore, né sentimenti tanto violenti. Passava da momenti di angoscia più profonda a quelli di speranza più limpida con una facilità sconcertante.

Si rimise in piedi, deciso a muoversi da lì, ora che aveva acquisito un'apparenza quantomeno presentabile. Tenne fra le mani la giacca che non aveva abbandonato nemmeno per un istante, prima di guardarsi attorno e decidere infine per una direzione. Seguire l'andamento del fiume non gli parve l'idea più strampalata. Da qualche parte sarebbe arrivato, in ogni caso.

Puntò un'ultima volta lo sguardo verso quel tunnel che teneva ancora spalancate le sue spaventose, minacciose fauci, quando un fruscio alle sue spalle, e un brusio che gli sembrò quello di voci umane lo presero alla sprovvista.

Si voltò di scatto, pronto a veder sbucare qualcuno da un momento all'altro, indeciso se essere eccitato dalla prospettiva o atterrito da qualsiasi cosa si nascondesse nel fitto della vegetazione.

«C'è qualcuno?» riuscì infine ad articolare, guardandosi attorno, stringendo con più forza la presa a quella giacca che sembrava essere l'unico oggetto in grado di calmarlo. Il silenzio calò sulla domanda come se le azioni attorno a lui si fossero improvvisamente cristallizzate.

Serrò le labbra, arretrando appena. Il vento tornò a solleticare le cime degli alberi, come se nulla fosse successo.

Deglutì faticosamente, qualcosa che gli gonfiava il petto con un senso d'angoscia crescente. E poi ancora, la premonizione che qualcosa stesse per accadere, di nuovo.

Un suono cavernoso emerse dalle profondità del tunnel alle sue spalle. Una voce alterata dagli echi di quelle pareti di cemento armato. Una voce amplificata dalla pastosità di quelle acque nere.

«Sei qui dentro?» chiese la voce, con spaventosa, profonda impazienza.

Arretrò atterrito, incespicando sui suoi stessi piedi, riuscendo a mantenersi eretto solo grazie all'appiglio di un grosso tronco d'albero.

«Io non ci ritorno là dentro... non ci ritorno là dentro!» esalò, mentre gli occhi gli si inumidivano di paura e frustrazione. Ma anche di qualcosa che, per il momento, ancora non riusciva a identificare.

«Eddie...», sussurrò la voce. «EDDIE!»

Ma così come il richiamo sapeva essere per lui, le sue gambe presero a correre nella direzione opposta, veloci come il vento.

Eddie. Eddie.

Adesso, sì, adesso riconosceva il proprio nome.

 

*

 

Richie si abbandonò sulla poltroncina del locale. Lo stomaco e la testa ancora in subbuglio. Non era più sicuro di avvertire ancora quella fitta di fame, nonostante di fronte a sé avesse i più gustosi pancakes che avesse mai visto.

«Era così vicino, Mike. Come se fosse a pochi metri di distanza.»

L'uomo annuì comprensivo, di nuovo. Richie non aveva fatto altro che ripetere la stessa tiritera per l'intero tragitto: da quando avevano deciso di abbandonare i Barren, dopo aver constatato che Eddie non era lì, non per davvero.

Eppure Richie era certo di aver sentito la sua presenza, chiara e fisica. Con la sensazione che, se avesse allungato una mano avrebbe quasi potuto toccarlo. E poi, così come era arrivata, quella sensazione, era sparita. Lo aveva sentito allontanarsi, la sua presenza scivolare via come acqua fra le dita.

Che diavolo poteva mai significare?

«Ci credi nei fantasmi, Mike?» domandò, pentendosi dell'affermazione, nel momento stesso in cui gli si era srotolata sulla lingua.

«Faresti prima a chiedere a cosa non credo, ultimamente, Richie.»

Posò i gomiti sul tavolo, il profumo dei pancakes che gli solleticava le narici e che riuscì straordinariamente a ignorare.

«Pensi che fosse la voce di un fantasma, quella che ho sentito?» Lo guardò stringersi nelle spalle e si sentì in dovere di continuare ad alta voce il suo ragionamento. «Se fosse stato uno scherzo di IT lo avresti visto anche tu, non è così? Ma quella vacca spaziale è morta e sepolta, giusto? Insomma, l'abbiamo uccisa, non c'è modo che possa ancora tormentarci con i suoi trucchetti da quattro soldi, no?» e dopotutto, pensò Richie, rivedere Eddie non era certo una delle sue paure più recondite, semmai il contrario.

«Sì, io sono convinto che Pennywise sia morto, ormai.»

«Quindi nemmeno credi possa trattarsi di qualche residuo della sua influenza, se io sento quello che... sento, no?»

«Questo non so dirtelo con certezza. Potrebbe essere qualsiasi cosa. In fondo sei rimasto intrappolato nelle sue luci per... oh, Dio, non saprei nemmeno dire per quanto tempo.»

«Troppo tempo, a prescindere», gli confermò.

«E non credo sia nemmeno un caso se solo tu sei in grado di percepire...»

«Eddie», concluse per lui Richie, per paura che mettesse di nuovo in dubbio l'identità delle sue visioni. Quello non doveva e non poteva più essere messo in discussione. Per la sua sanità mentale, almeno.

«Eddie», confermò Mike.

«Pensi che potrebbe esserci una correlazione?»

Mike annuì dopo un istante di indecisione.

«Un'ipotesi plausibile.»

«Ottimo. Davvero ottimo», Richie batté una mano sul tavolo. «Tutto avrei pensato fuorché quella stronza universale decidesse di lasciarmi in dono poteri sovrannaturali. Avrebbe potuto offrirmi il volo, o la capacità di diventare invisibile, trasformarmi in un macho che lancia martelli o perché no, regalarmi almeno cinque centimetri di cazzo di in più e invece cosa fa? Mi permette di comunicare coi morti. No, aspetta, nemmeno comunicare, nel senso stretto del termine, ma solo di sentirli, di percepirli, senza avere nemmeno la possibilità di parlare effettivamente con loro!» sbottò tutto d'un tratto.

«Richie...»

«Mi calmo, giuro che mi calmo», cercò di rassicurarlo rendendosi conto di quanto avesse alzato la voce, «credevo sarebbe stato tutto più semplice e diretto. Tipo: bam! Rivelazione mistica. Richard Tozier parla coi morti e risolve i misteri del mondo. Il novello santone di Los Angeles! Venghino siori venghino, solo per oggi lo spettacolo più spettrale della storia, dal regno dei morti i vostri cari sono qui!»

«Non mi aspettavo un benvenuto in pompa magna, ma... ti assicuro che sono ancora piuttosto vivo» una voce alle sue spalle lo fece trasalire e per poco non si strappò qualche muscolo del collo, alla velocità in cui si era voltato.

«Big Bill!» esclamò, tornando poi a guardare Mike che non sembrava così sorpreso, «bastardo di un filosofo da biblioteca, lo sapevi?!»

«Potrei aver appreso dell'arrivo di Bill in mattinata e avergli detto dove eravamo per poterci raggiungere...» sorrise, mentre Richie si rimetteva in piedi per abbracciarlo come si deve. Nonostante tutti i suoi cupi propositi di impedire agli altri di tornare a Derry la sorpresa glieli aveva fatti accantonare, per lasciarsi andare al più piacevole degli incontri.

«Non dovresti essere qui.»

«E lasciare a voi soli tutto il divertimento? Giammai.»

Richie lo scosse un po' prima di tirargli un doloroso pugno sulla spalla.

«Il tuo divertimento al momento dovrebbe essere quello di finire il tuo ennesimo libro dal pessimo finale, da trasformare in un'altrettanto pessima serie tv.»

«Posso finire il mio pessimo libro anche qui, anzi di più, dato che potrai chiedere a chi ti scrive le battute di sistemare tutte le parti che non funzionano.»

Richie restò a fissarlo per qualche istante, prima di mettersi a ridere. Qualcosa che non faceva per bene da molto, molto tempo.

«Denbrough ne ha mollata una buona, signore e... signori.»

«A me sembrava pessima», commentò Mike, ma dall'espressione appariva più che divertito.

«Questo la dice lunga sulle percezioni comiche di Boccaccia», aggiunse Bill.

«Voi due insieme non mi mancavate per niente. Per niente, vi dico», li rimbrottò entrambi, prima di rimettersi a sedere e fare spazio a Bill.

«Puoi avere la mia seconda colazione, se vuoi», offrì in uno slancio di generosità pacificatrice.

Bill sorrise.

«Sì, penso sia meglio riempire lo stomaco, prima di ascoltare la tua storia, Richie.»

Rimandare di qualche minuto il momento delle spiegazioni per godersi il calore degli amici ritrovati, sembrò a Richie l'unico modo per poter affrontare di nuovo la questione.

 

*

 

Era certo che la vegetazione cominciasse a diradarsi. Poteva sentire, da lontano, il rumore di qualcosa che gli ricordava il rombo dei motori. Poteva ricordare le macchine, il che gli sembrava un grosso passo avanti, considerata l'assoluta incapacità di ricordare il proprio nome, fino a qualche minuto prima.

Qualsiasi cosa lo avesse richiamato dalle profondità del tunnel sembrava conoscerlo più di quanto lui non conoscesse se stesso. Qualsiasi cosa fosse, in ogni caso, avrebbe dovuto combattere tenacemente per convincerlo a tornare indietro. Un passo avanti all'altro, ecco quale era il suo piano, per il momento. Un passo dopo l'altro era riuscito ad arrivare ben più lontano di quanto avrebbe mai immaginato. Un altro ancora e sarebbe riuscito a vedere la fine di quell'angolo di mondo fatto solo di grovigli di alberi ed erba alta.

La salita si fece più ripida tutto a un tratto e prima che potesse anche solo immaginare cosa ci fosse dietro quello che sembrava uno steccato, lo stava osservando con i propri occhi: una strada. Asfaltata per giunta. Segnale che quel posto era ben lontano dall'essere disabitato o fuori da qualsiasi radar civile.

Si trovò così disorientato tutto a un tratto, dal ritrovare così familiare e al contempo estraneo quel pezzo di mondo. La strada, lo steccato, il tunnel che portava a un centro abitato che si distingueva appena, in lontananza.

«Derry...» sussurrò, come se un suggerimento invisibile gli fosse scivolato sulla lingua, spingendolo a pronunciare quelle parole.

Derry. La città dove era nato. Derry, la città dove aveva passato la sua infanzia.

Ricordi d'estate: il profumo del vento che ti scompiglia i capelli durante lunghe pedalate in bicicletta, la carta stampata di fumetti appena comprati, il sapore proibito di un gelato alla crema, l'odore selvatico di corse a perdifiato. Un tuffo nelle acque gelide. Risate cristalline. Una promessa sancita nel sangue.

Tasselli di un puzzle che non avevano ancora un senso ma che gli scatenarono dentro una malinconia tale da provarne quasi dolore fisico. Uno spasmo che gli contrasse il viso in una smorfia e agguantò dolorosamente lo sterno. Come fosse stato trafitto da una trave incandescente. Strinse a sé quella giacca che sapeva di sigarette e acqua di colonia. Che sapeva di gelato alla crema, di sole caldo sulla pelle, di scarpe maltrattate; che vibrava di voci impostate tutte uguali e si rifletteva in occhiali spessi a fondo di bottiglia... di Richie.

Quella giacca sapeva di Richie.

 

*

 

«Ecco qui... sapevo di averla ancora». Mike aveva recuperato una grossa, vecchia e impolverata rubrica telefonica da uno degli scatoloni che aveva già richiuso, giorni addietro. Si accostò al tavolo e la aprì sollevando piccole spirali di polvere, andando immediatamente a cercare il nome di cui aveva bisogno.

Di ritorno all'appartamento di Mike, Richie e Bill avevano vagamente compreso il delirante racconto che l'uomo aveva fatto loro, a seguito di un improvviso e ascetico ricordo dissepolto dalle pieghe del tempo.

La storia di Dick Hallorann, un vecchio amico di suo padre. Un tizio che, molti anni prima, aveva tratto in salvo un gruppo di uomini che avevano rischiato di essere arsi vivi in un locale, a seguito di un incendio doloso, di stampo razziale. Niente di particolarmente incomprensibile nell'impresa, se non che, Mike aveva rammentato che suo padre soleva sostenere che Hallorann fosse riuscito ad aiutarli grazie a un dono speciale. Un dono sovrannaturale. Un dono chiamato Shining. Prevedendo alcuni degli avvenimenti di quella tragica sera in rapida successione, evitando pericoli.

«Non sono mai stato propenso a crederci davvero», riprese Mike, «e a un certo punto devo aver persino rimosso tutto quanto ma... il signor Halloran doveva avercelo davvero un dono. Riusciva sempre a capire cosa mi passasse per la testa. Quando ero ragazzino e veniva a trovarci... riusciva a dire cose di me che ero certo non avesse mai chiesto ai miei genitori. Da un lato mi faceva paura, dall'altro... mi affascinava.»

Richie scambiò uno sguardo con Bill, non del tutto sicuro di aver capito.

«E pensi che questo suo dono possa essere in qualche modo collegato a quello che succede a me?», domandò passandosi una mano sul viso teso e stanco, «posso dire con assoluta certezza di non essere in grado di prevedere alcun futuro o saprei esattamente come diavolo andrà a finire questa assurda storia. O quantomeno avrei già scommesso sulle partite vincenti per mettere via un bel gruzzolo e passare in santa pace la vecchiaia.»

«Penso che potremmo ricavarci comunque qualcosa. E in ogni caso hai idee migliori?» esalò Mike con vaga esasperazione nella voce.

«Io credo che sia un buon inizio», intervenne Bill a difesa degli sforzi di Mike, «se riusciremo a contattare questo... signor Hallorann. A prescindere da tutto, penso che una consulenza da una simile autorità in materia ci farebbe molto comodo.»

«Non sappiamo nemmeno se sia vera questa cosa», obiettò Richie, senza sapere perché ci tenesse tanto a distanziarsi da qualsiasi soluzione. Forse per paura di veder distrutta ogni speranza, per evitare l'impatto della caduta.

«Se per questo non sappiamo nemmeno se il numero di Hallorann sia ancora attivo, ma... provare non costa nulla», concluse Mike, «che altro abbiamo da perdere?»

Richie alzò su di lui uno sguardo arreso.

Che avevano da perdere? Nulla. Proprio nulla.

«La mia sanità mentale», commentò, guardando Bill che gli aveva appena passato un braccio attorno alle spalle.

Mike recuperò il proprio cellulare e compose il numero prescelto.

Sembrò passare un tempo infinito, e Richie fu propenso a pensare che Mike avrebbe riattaccato, tristemente consapevole del destino della telefonata a vuoto, ma poi il viso di Mike si illuminò e dall'altra parte della cornetta sembrò rispondere qualcuno.

«Buonasera, sono Michael, Michael Hanlon. Probabilmente non ci conosciamo ma... ho ritrovato il numero di Dick Halloran e mi domandavo se...»

La voce di Mike si perse nel niente, mentre chiunque fosse dall'altra parte della cornetta, sembrò prendere la parola e tenerla in pugno per molto tempo.

Richie non riuscì a trattenere una smorfia: una vaga sensazione di nausea prese a risalirgli dallo stomaco. Ma la presa di Bill sembrava farsi sempre più salda, ogni volta che Richie era sul punto di perdere il controllo. In nessun'altra occasione sarebbe mai stato più grato del ritorno di Big Bill. Che fosse lì per lui o per Eddie o per entrambi. Faceva poca differenza.

Mike recuperò un foglio e una penna che dovette provare più volte con qualche scarabocchio, prima che funzionasse a dovere. Infine riuscì a scrivere qualcosa di frettoloso, un appunto, lanciando loro, nel frattempo, uno sguardo fra il perplesso e il sorpreso. Ma sopratutto vivido di quella luce che ormai Richie aveva imparato a riconoscere. Una rivelazione, una scoperta.

«Lei è stata molto gentile, signora. La ringrazio e mi scuso per il disturbo. Buona serata». Mike concluse la telefonata, restando per qualche istante a fissare il telefono, come potesse rivelargli ulteriori dettagli.

Poi, posò su Bill e Richie uno sguardo incredulo.

«Dick Halloran è morto qualche anno fa», disse. Per un istante Richie si sentì sollevato dal peso dell'ansia che lo aveva attanagliato fino a qualche attimo prima. Lo sapeva. Sapeva che sarebbe andata a finire a quel modo. Lo schianto non era stato così tremendo però. Non come si sarebbe aspettato, forse perché aveva tenuto basse le aspettative.

«Suppongo che questo significhi che dobbiamo trovare un'altra soluzione...», esalò solamente, facendo per scrollarsi di dosso il braccio di Bill, improvvisamente infastidito.

«Non ho finito», lo interruppe di nuovo Mike, posando il cellulare e brandendo il foglio scarabocchiato come un'arma invincibile, «il signor Halloran, anni prima di morire, ha lasciato detto alla donna che mi ha risposto al telefono, di passare un messaggio a Mike Hanlon, il giorno in cui avrebbe chiamato questo numero».

Richie avvertì un brivido lungo la schiena e fu certo che fu la stessa sensazione che spinse Bill a mollare la presa e sbiancare in modo tutt'altro che sano.

«Che vuoi dire... ?»

«Che Hallorann sapeva che avrei chiamato», affermò, «che probabilmente sarebbe già passato a miglior vita quando lo avrei fatto. E che sarebbe stato lieto di passarmi il nome di una persona qualificata tanto quanto lui... per le risposte che sto cercando.»

«Q-questo non ha alcun senso. Come faceva a saperlo? Come... ?» balbettò Richie, incredulo anche solo all'idea che davvero potesse esistere una tale energia nel mondo. Una tale energia sprigionata da esseri umani, almeno.

«Questo io non lo so, Richie», concluse Mike, spingendo verso di lui il foglietto che rivelava un numero di telefono e un indirizzo email, «ma credo che Danny Torrance potrà rispondere meglio di me a questa domanda.»

 

Continua...

 

 

Nota: ancora mi sto barcamenando negli spiegoni, ma spero di non annoiare. La storia di Hallorann esiste in IT, mi sono concessa delle licenze poetiche di varia natura, a partire dalle questioni temporali. Per chi non fosse familiare con Shining o Doctor Sleep: Hallorann è il personaggio che aiuta Danny (il figlio di Jack Torrance) a capire e gestire il suo potere sin da bambino.

Ah, per chi se lo stesse chiedendo, se non fosse chiaro, questa storia ospiterà vagonate di Reddie.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

 

Danny Torrance aveva ignorato il suo cellulare per tutta la sera.

O quantomeno per tutta la durata della riunione settimanale degli alcolisti anonimi.

Era l'unico momento della settimana che dedicava a se stesso per davvero. Dopo le interminabili giornate di lavoro, l'unico momento in cui parlare e sfogarsi gli era terapeutico, più che gettarsi sul letto, come faceva il resto della settimana, distrutto dopo un'intera giornata all'ospedale.

Amava il suo lavoro. Lo amava con tutto il cuore. Nonostante molto spesso significasse dover assistere dolcemente le persone che passavano a miglior vita. Grazie a quel suo dono speciale, cercava sempre di assicurarsi che quelle povere, anziane anime, lo facessero nel modo più dolce e rassicurante possibile. Dottor Sonno, così lo chiamavano nell'ambiente, e sebbene non molti, praticamente nessuno, sapessero che possedeva certi poteri che comunicavano direttamente con l'aldilà, era un appellativo che lo rendeva riconoscibile agli occhi di tutto il personale.

«C'era un sacco di gente nuova stasera, eh Doc?»

Doc. Doc era il nome con cui invece lo avevano soprannominato alle riunioni, per via di quel suo lavoro all'ospedale per anziani, senza sapere che prima di chiunque altro, erano stati i suoi genitori a chiamarlo a quel modo, sin da bambino. Che ironia.

Danny si voltò in direzione del vecchio Casey che gli passò una calda tazza di caffè. Un'altra delle cose preferite di quelle riunioni. Una bevanda che non avrebbe fatto danni, non tanti quanti ne avevano fatti alcool o droga. Erano diciotto anni ormai che era sobrio e il caffè non lo avrebbe sostituito con niente altro al mondo (il più delle volte).

«Non so mai se esserne felice o tutto il contrario...» rispose riferendosi alla folla della riunione, ringraziandolo con un cenno del capo.

«Per come la vedo io, è sempre una cosa buona, Doc», sorrise l'uomo prima di rendersi conto che qualcosa si era illuminato nel taschino della camicia di Danny.

«Qualcuno ti sta cercando amico, oppure sei diventato una specie di lucciola vivente.»

Danny posò il bicchiere e recuperò il cellulare, che si era drammaticamente dimenticato di spegnere.

«Ah, diamine... scusami un secondo. È tutta la sera che ricevo chiamate da questo numero. Forse è il caso di rispondere», si congedò senza dare ulteriori spiegazioni.

In realtà aveva capito che qualcosa stava bollendo in pentola. Aveva cercato di ignorare la situazione il più a lungo possibile, sperando di poter rimandare a più tardi qualsiasi magagna stesse per essergli scaricata addosso, ma d'altro canto curioso di risolvere la questione e togliersi il pensiero.

Si assicurò di uscire alla chetichella, di non essere a portata d'orecchio di nessuno, senza nemmeno sapere perché. Istinto. O qualcos'altro che risiedeva in quel suo strano potere. Un paio di persone erano uscite per fumare una sigaretta, due chiacchiere in confidenza; le evitò, andando a cercare solitudine verso il parcheggio.

«Pronto... ?» rispose. Era certo che, ancora un paio di squilli e chiunque lo stesse cercando avrebbe riattaccato, di nuovo. Per quello non si stupì nemmeno quando all'altro capo della cornetta nessuno reagì celermente. Riusciva a sentire il suo respiro però, affettato e sorpreso, come di qualcuno colto sul fatto.

«Parlo con... il signor Torrance?» una voce, finalmente. Non gli sembrava familiare, ma qualcosa gli solleticava un punto dietro alla nuca, suggerendogli che poteva essere riconducibile a qualcosa (a qualcuno Danny, a qualcuno) di conosciuto.

«Se per signor Torrance non intende mio padre, immagino di sì. Sono io. Daniel.»

«Danny...» mormorò meditabondo lo sconosciuto «sì, Daniel Torrance stavo... stavo cercando proprio lei.»

«Potrei sapere con chi sto parlando?» decise di togliere dall'impasse la conversazione. L'uomo gli sembrava titubante, nervoso. Di certo non un promotore di buone notizie.

«Sì, certo, mi scusi. Mi chiamo Michael. Michael Hanlon. Chiamo da Derry, nel Maine.»

Derry.

Il nome della città gli scatenò addosso un brivido repentino, come se qualcuno gli avesse scaricato addosso una brocca d'acqua ghiacciata. Nella testa presero a formarsi delle immagini, rapide e nitide: un tombino, palloncini rossi, occhi gialli nell'oscurità.

«La città dei bambini che gridano...» mormorò, seguendo un'intuizione, una visione, più che un ricordo vero e proprio. Non era mai stato a Derry. Non conosceva Derry, se non di fama. Una triste, tristissima fama. Erano scomparsi inspiegabilmente dei ragazzini in quella città anni addietro. Ricordava la notizia, sui giornali. Ricordava sua madre che cercava di impedirgli di uscire da solo, sebbene già adolescente, nel periodo successivo a quelle sparizioni. La paura che serpeggiava un po' in tutto il New England e New Hampshire in quegli anni.

«Come prego... ?» la voce di Mike dall'altra parte lo riportò alla realtà; al parcheggio, illuminato solo dalle luci dei lampioni.

«Nulla. Stavo solo facendo mente locale, mi perdoni.»

«Si figuri, nessun problema. Stavo dicendo che ho avuto il suo numero da un amico in comune, io credo.»

Un amico in comune. Un amico che immediatamente gli si materializzò nei pensieri, come una fotografia. Un amico con cui aveva parlato per tanto tempo, anche dopo che se n'era andato, per sempre, nel misterioso mondo che stava oltre la vita.

«Dick Hallorann», disse Danny. Un dato di fatto, non una domanda, come avesse atteso da anni una simile telefonata.

Mike si era ammutolito e capì immediatamente di aver dato di nuovo voce ai suoi pensieri.

«Io... s-sì», balbettò l'uomo, preso alla sprovvista dall'intuizione, «Dio, allora deve essere tutto vero.»

Danny sospirò. Poteva quasi immaginare il viso di Mike: un afroamericano sulla quarantina. Gli occhi tristi, il viso segnato dalla preoccupazione. Occhi vigili.

«Se Dick Hallorann le ha dato il mio numero deve essere qualcosa di importante. Qualcosa che riguarda...»

«Lo Shining.»

Come immaginava. Alzò gli occhi al cielo scuro; non si vedevano molte stelle, quella sera. Dannate luci cittadine.

«Non l'avrei cercata se non fosse una questione di estrema importanza, signor Torrance.»

«Posso essere a Derry questo sabato», rispose assorto, gli occhi alle stelle, senza riflettere a lungo sulla questione. Nel momento in cui era stato fatto il nome di Hallorann, tutto era diventato fin troppo chiaro, cristallino. Doveva andare a Derry. Non era quel tipo di persona che prende decisioni improvvise e immotivate, ma aveva ragione di credere che fosse l'unico modo di risolverla con meno danni possibili.

«Oh, ma non pensavo che... è un lungo viaggio per lei, immagino.»

«Non così lungo», lo rassicurò, senza troppi fronzoli, «teniamoci in contatto, mi spiegherà tutto a voce, signor Hanlon.»

«Mi chiami Mike.»

«Solo se tu mi chiami Danny.»

Una nuova fase stava per cominciare.

 

*

 

Beverly si era precipitata nelle braccia di Richie senza quasi dargli il tempo di salutarla come si deve. Ben, alle sue spalle, si limitò ad osservarli con un sorriso triste sulle labbra.

«Ci siamo visti meno di tre settimane fa, Bev», commentò solo, senza però sottrarsi a quella stretta rassicurante. Gli abbracci di Beverly erano così: irruenti e confortanti.

«Non è per quello che ti sto abbracciando», gli sussurrò all'orecchio e Richie avvertì di nuovo quella morsa allo stomaco che non aveva niente a che fare con la sorpresa.

«Non avreste dovuto tornare voi due...» si slacciò dall'abbraccio prima di cedere alla stupida commozione. Doveva essere la vecchiaia, certo che era la vecchiaia, che altro? «Si supponeva che ve la spassaste alla grande, in qualche maestoso cottage in Nebraska. Avete già messo in cantiere un nipotino per la truppa dei Perdenti?»

«Richie...» lo rimproverò Ben, avvicinandolo per abbracciarlo brevemente a sua volta.

«No, dico sul serio...»

«Allora è vero?» intervenne Beverly, interrompendo quel siparietto affatto necessario, guardando alternativamente Richie e poi tutti gli altri all'appello. Vedere di nuovo tutti riuniti sotto lo stesso tetto, che per inciso era il vecchio appartamento di Mike, faceva un certo effetto. Avrebbero dovuto tornare alle loro vite dopo aver sconfitto quel clown di merda, dimenticare quella vicenda, affrontare il lutto ed uscirne migliori. Invece erano ancora tutti lì. Per un motivo o per un altro, di nuovo inchiodati a una realtà che avevano già disperatamente cercato di abbandonare, due volte.

«Se intendi se sia vero che sento le voci: sì, è vero. Se devo andare in terapia? Questo lo diremo se una mattina mi sveglierò con la bava alla bocca, inneggiando a Gozer.»

«Eddie, intendevo. Pensi davvero che si tratti di Eddie?» domandò di nuovo, cercando gli occhi di Richie.

«Non lo penso. Io so che si tratta di Eddie», le confermò con un certo malanimo, «non confonderei la voce di quel ragazzaccio con nessun'altra al mondo.»

«Come pensate che sia possibile? Insomma, lui è...» non concluse la frase, perché non ce n'era bisogno. E se Richie avesse di nuovo sentito la parola morto, associata a Eddie avrebbe seriamente dato di matto. Ora che il filo della speranza gli si era aggrovigliato allo stomaco, avrebbe fatto di tutto per evitare che venisse spezzato di nuovo. Aveva il terrore del contrario, delle devastanti conseguenze dell'ipotesi contraria.

«È quello che stiamo cercando di scoprire», intervenne Mike, emergendo da uno degli angoli oscuri dell'appartamento, «abbiamo contattato una persona che forse potrà aiutarci.»

«Chi?» domandò Ben, mettendosi a sedere su una delle poche sedie libere, slacciandosi la giacca che ancora indossava dal suo arrivo.

«Una specie di veggente, santone, telepatico, sa il cazzo. Mike dice che ci dobbiamo fidare. Spero non creda di poter venire qui a mostrarci spettacoli spiritici, pieni di tavolini che volano a mezz'aria, convinto di spillarci soldi», spiegò Richie con una vena di sarcasmo che Mike non sembrò apprezzare.

«Avresti dovuto parlarci tu e renderti conto personalmente di cosa ci troviamo di fronte, Richie, se non ti fidi delle mie sensazioni.»

«Non ho detto questo, Mike.»

«A me sembra che tu stia dicendo proprio questo, invece», ribatté piccato, la voce vagamente alterata.

«Ragazzi», intervenne Bill, scuotendo la testa, «non mi sembra il caso di discuterne ancora. I perdenti devono restare insieme, non è il caso di litigare. Abbiamo concordato che questa è l'unica alternativa che abbiamo, per il momento. Se questo Torrance si rivelerà una frode, lo rispediremo da dove è arrivato con un calcio nel sedere. Non abbiamo sconfitto un mostruoso clown alieno per farci fregare da un uomo che viene dal New Hampshire, no?»

Mike e Richie osservarono Bill con aria colpevole. Big Bill sapeva sempre come rimettere in asse gli animi.

«Aye, Big Bill... è inaccettabile questa mia mancanza di fede», Richie si portò una mano sul cuore e mandò un bacio in direzione di Mike che scosse la testa, arreso.

«Quindi ora che facciamo?» domandò Beverly più che ansiosa di fare qualcosa, di non restarsene con le mani in mano.

«Aspettiamo sabato e nel frattempo ci sfondiamo di cibo, alcool e giochi di ruolo?»

 

*

 

Eddie aveva appena rimesso piede in città. I dintorni gli erano insolitamente familiari, una sensazione più che altro. Perché se gli avessero chiesto che strada stesse percorrendo o cosa diavolo avrebbe trovato dietro l'angolo, non avrebbe saputo rispondere. Le strade erano quiete, silenziose, per quanto potessero esserlo delle strade di una cittadina di provincia. Sporadiche macchine di passaggio, qualche pedone sui marciapiedi. Un piccolo assembramento di ragazzini al parco al quale si era appena timidamente affacciato. E quella statua enorme di un taglialegna, riconoscibile al centro della piazzola: un colosso di cemento dall'aria bonaria e spaventosa al tempo stesso.

Ci ho passato la mia infanzia in questo posto.

Un altro di quei pensieri inquieti e sporadici. Rapidi come flash di una macchina fotografica.

Si passò una mano sul viso, cercando di schiarirsi le idee. Di capire dove andare e come farlo.

Non aveva riferimenti, non coscienza di ciò che realmente sapeva.

Era sicuro solo di chiamarsi Eddie. Di indossare la giacca di Richie e di essere a Derry. Un misero accumulo di informazioni per avere un vero quadro della situazione.

Se era cresciuto in quel posto però, come avvertiva nelle ossa e nei recessi della sua mente, allora forse qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo. O quantomeno avere informazioni più soddisfacenti che non quelle di tirare a indovinare.

Ma per quanto il suo desiderio di capirci qualcosa fosse sostanzioso, la sola idea di avvicinarsi a qualcuno per chiedere qualcosa lo terrorizzava. Inoltre, a giudicare dagli sguardi assenti delle poche persone che aveva incrociato in quel lasso di tempo, sembrava quasi fossero in grado di guardargli attraverso, come non ci fosse veramente, come fosse solo una presenza incorporea, indegna di attenzione. Non un grosso incoraggiamento al dialogo.

Avrebbe potuto andare alla polizia per denunciare un'amnesia, pensò in rapida successione. Non avrebbe dovuto dare spiegazioni perché di fatto non ne aveva. Avrebbe potuto andare alla polizia, dire di essersi svegliato nei pressi della cava e di non ricordare un accidenti di niente. Avrebbero avviato un'indagine, qualcuno sarebbe venuto a cercarlo, prima o poi.

Si sentì improvvisamente rincuorato dall'ipotesi, dalla possibilità di scaricare su qualcun altro la responsabilità di districare la matassa. Non di meno dall'idea che ancora fosse in grado di pensare con lucidità, in modo pratico, l'amnesia solo un vago inconveniente nell'economia delle cose.

L'unico problema era ricordare dove fosse... la polizia. Forse, dopotutto, avrebbe potuto chiedere a uno di quei passanti dall'aria assente.

Avvicinò un uomo, anziano, sulla settantina. Nemmeno consapevole del perché, sospinto verso di lui, ancora una volta, grazie a uno strampalato istinto. L'uomo stava lanciando delle briciole ai piccioni e mormorava fra sé e sé qualcosa che non riusciva a comprendere. Gli sembrava abbastanza pacifico da poter tentare un approccio.

«Mi scusi...» mormorò, inorridendo appena a come gli era suonata la voce. Roca e poco chiara, come se l'oscurità dal tunnel da cui era uscito se la fosse in parte portata via.

L'uomo non sembrò sentirlo, non immediatamente almeno. Continuava a nutrire i volatili, immerso nel suo mondo. Perciò quando alzò lo sguardo su di lui, dopo un istante che gli sembrò eterno, si sorprese di avere i suoi occhi inchiodati addosso.

«Non di nuovo...» lo sentì dire, lo sguardo seccato, preoccupato, «Sei un altro di quelli, non è così?» allungò una mano come per toccarlo, ma la ritrasse appena prima di poterlo fare. «Certo che sei uno di quelli...»

«Uno di quelli... ?» mormorò Eddie senza capire.

«Uno di quelli, sì. Arrivi anche tu dalle fogne, no?»

«Io non... come fa a saperlo?»

Lo vide scuotere la testa, rassegnato. Passarsi una mano su quel viso smagrito dalle rughe.

«Arrivate tutti da lì. Erano anni che non ne vedevo arrivare così tanti, però. Il giorno della tempesta ne ha vomitati fuori un'armata di voi.»

«Q-quale tempesta... ? V-voi chi?»

L'uomo scosse la testa.

«Ah, giovanotto. Mi piacerebbe poterti dare qualche rassicurazione, ma l'unica cosa che so è che siete un dannato incubo. Alcuni restano. Altri se ne vanno. Preferisco sempre quando se ne vanno.»

Eddie lo osservò smarrito, senza avere la più pallida idea di ciò che gli stava dicendo.

Quando una donna lanciò il suo richiamo, poco distante, non le prestò attenzione. Non fino a quando il vecchio non si rimise faticosamente in piedi, lanciandogli un ultimo, stanco sguardo.

«E dammi retta: faresti bene ad andartene anche tu. Restare intrappolati qui non ti renderà felice. Non rende mai felice nessuno di voi.»

«Q-qui dove? A Derry? Io non capisco...» articolò confuso, incapace di muoversi o chiedere ulteriori informazioni. La donna, nel frattempo, li aveva raggiunti. Doveva essere sulla quarantina. Lunghi capelli ricci, sorriso comprensivo, stessi occhi dell'anziano.

«Scusa il ritardo, papà», la sentì pronunciare, senza che lo degnasse di uno sguardo. «Con chi stavi parlando?» si guardò attorno, come cercando qualcuno, qualcosa, osservando un punto, nella sua direzione, come se non riuscisse davvero a percepirlo. Uno sguardo assente che gli passò attraverso come una stilettata gelida.

«Nessuno, mia cara, nessuno», la rassicurò l'uomo, lanciando a Eddie una rapida occhiata, come a intimarlo a tacere o semplicemente a scusarsi per l'inconveniente.

Non riusciva a vederlo. Quella donna non riusciva a vederlo? Come diavolo era possibile?

Li guardò allontanarsi con la sensazione che qualcuno lo avesse schiaffeggiato. Più confuso di prima. Più terrorizzato di prima.

 

*

 

Richie era uscito per fumare, seduto sulle scale della biblioteca, adesso chiusa al pubblico.

Aveva deciso di smettere, diverso tempo prima. Ma il desiderio di bere era così forte che per reprimerlo preferì soffocarlo con la nicotina. Chiodo schiaccia chiodo, dicono. Anche se era convinto che per tranquillizzarsi avrebbe come minimo dovuto tirare testate al muro o recuperare qualche anestetico per elefanti.

La porta alle sue spalle cigolò sinistra. Richie si voltò, incuriosito, ma non sorpreso di trovarci Beverly.

«Ehi...», disse lei.

«Ehi», la seguì con lo sguardo, fin quando non gli fu accanto. Sembrò esitare un istante, prima di trovare nei suoi occhi tutta l'approvazione che le serviva per sedersi su quegli stessi gradini.

«Ti nascondi per fumare come quando andavamo a scuola?»

«Lo sai come mi piace vivere: pericolosamente», le disse, sorridendo pigramente, allungandole la sigaretta, in un invito alla trasgressione.

La donna accettò l'offerta: raccolse la sigaretta e ne prese un tiro, come non avesse aspettato che quello, per tutta la sera. Richie si ritrovò improvvisamente catapultato indietro nel tempo. Ai giorni di almeno ventisette anni prima. Sigarette condivise ai Barren, dietro le mura della biblioteca, sulle panchine fuori dal cinema.

Venne strappato a quella ventata di ricordi, quando la sentì tossicchiare contrariata, e poi sbuffare una risata. Una di quelle alla Beverly. Una di quelle a cui era impossibile restare indifferenti. Se ripensava a come erano stati tutti, in una qualche misura, innamorati di lei, da ragazzini. Persino lui, che in cuor suo già sapeva di non avere una particolare predilezione per le ragazze. Il fascino è una cosa che che trascende il sesso. Si percepisce, lo si subisce e basta.

«Fanno davvero schifo, lo sai vero?»

«Già... ma è l'unico pacchetto che ho trovato, probabilmente era lì per le emergenze, nel caso ne avessi avuto abbastanza dell'astinenza. Non mi sembrava il caso di fare lo schizzinoso.»

«Stavi cercando di smettere?»

«Sì, ma ora sto cercando di smettere di bere, altrimenti Mikey dà di matto. Non posso smettere di fare troppe cose contemporaneamente, rischio di diventare una brava persona.»

«Logica Tozier alla sua massima potenza», commentò la donna, dandogli una piccola spinta con la spalla, prima di restituirgli la sigaretta.

Se ne restarono lì per qualche istante a contemplare il cielo notturno. Le luci accese al piano di sopra, all'appartamento di Mike e il suono ovattato della musica del suo giradischi, come quello di un dannato hipster di mezza età. Una serata che avrebbe trovato piacevole, non fosse per la ricorrenza. Molto meno terrificante di quella che li aveva riportati a Derry in primo luogo, ma non meno grottesca o inspiegabile.

«Come pensi che stia?» domandò Beverly a un certo punto. La voce non fu che un sussurro, nel silenzio. Un alito caldo sulla pelle.

Richie non trovò nemmeno necessario chiedere a chi si riferisse: scosse la testa, sbuffando un po' di fumo nell'aria tutt'intorno e spegnendo il resto della sigaretta sotto la suola della sua scarpa.

«Oh, benissimo, suppongo. Come può esserlo qualcuno che è stato sepolto vivo», un commento tenebroso che non riuscì comunque a frenare. Per giorni aveva cercato di perdonare a se stesso e agli altri il fatto di aver abbandonato Eddie nella tana di IT, ma per quanto si sforzasse, per quanto avesse cercato logiche giustificazioni alla faccenda, tutta quella rabbia e quella frustrazione erano come un'infezione difficile da debellare. Arduo, se non impossibile non saltare alla gola al primo di coloro tanto folle da riportare a galla l'avvenimento.

«Pensi che non ci sentiamo già sufficientemente in colpa... ?» mormorò Beverly, la voce rotta e indurita, colma di una malsana emozione, «non ho voglia di litigare, Richie.»

«Non volevo litigare, Bev», si affrettò a scusarsi. Si passò una mano sul viso, sollevandosi gli occhiali che sentiva pesantissimi sul naso, «Solo non ho una risposta alla tua domanda», aggiunse rassegnato. «Non lo so come sta Eddie. Non riesco a comunicare con lui, sento solo la sua voce. E messaggi incoerenti, che... Dio, vorrei saper interpretare meglio di così.»

«Forse quell'uomo, quel Torrance, riuscirà a farlo. O insegnarti a farlo.»

«Oh, sì, non vedo l'ora di imparare a comunicare con i trapassati», disse sarcastico, «Oda Mae Brown, stai all'erta, Richie lo spiritista ti darà del filo da torcere! Pensi che sarebbe sconveniente cercare di evocare Patrick Swayze, nel processo, Bev?»

Beverly scosse la testa, vagamente divertita. Gli posò la testa sulla sua spalla, e passò un braccio attorno al suo, accarezzandolo appena, un altro gesto confortante che non credeva di meritare.

«Solo se ti sentissi disposto a essere posseduto dal suo spirito e sollevarmi come faceva con Baby in Dirty Dancing. Era il mio sogno di ragazzina.»

«Buffo di come tu abbia portato all'attenzione questa cosa. Il mio sogno di adolescente era quello di essere posseduto da Shwayze, quando ancora era giovane e bello. Perciò affare fatto, suppongo.»

Beverly rise di nuovo.

«E questo che diavolo vorrebbe dire, Boccaccia?»

«Uh... che sono gay?» si fece scivolare dalle labbra, senza pensarci troppo, decidendo coscientemente di non pensarci troppo. Se trattenne il fiato dopo averlo fatto, questo non fece in tempo a capirlo, perché lo sguardo che Beverly gli aveva puntato addosso catturò tutta la sua attenzione.

«Oh, Richie...» nei suoi occhi, appena illuminati dalla luminescenza dei lampioni, il dubbio che si trattasse solo di uno scherzo, ma la segreta convinzione che non lo fosse affatto.

«Ta-da... ?» ribadì Richie, alzando le mani, facendole ballare di fronte al viso, in un patetico tentativo di sminuire il macigno che aveva appena fatto sgomberare dal suo stomaco, «ma non facciamone una questione di stato, mh?» concluse per chiarire qualsiasi dubbio. Non voleva fraintendimenti, né la possibilità di rimangiarsi tutto. I bei discorsi dei giorni precedenti, la lettera di Stan che predicava loro di non vergognarsi di mostrare chi veramente fossero. Mentire ai suoi amici non aveva alcun senso. Non dopo essersi esposto tanto anche sulla questione della voce di Eddie nelle fognature. Essere gay, riuscire finalmente a parlarne, sembrava una cosa molto più semplice ora, rispetto a tutte le mostruosità che ancora stavano affrontando.

«Ti voglio bene, Richie... dico davvero».

«Avevo detto di non farne una questione di stato, Bevvie.»

«Non è una questione di stato, ti ho sempre voluto bene. A te, agli altri... ogni tanto credo faccia bene sentirselo dire.»

E Richie capì immediatamente cosa significava. Come si era sentito confortato solo qualche settimana prima, del fatto di riavere tutti di nuovo nella sua vita, nonostante il terrore latente, nonostante l'aria di una tragedia imminente. Rivedere i suoi vecchi amici. Ma adesso sto bene, mi sento sollevato a stare con voi. Le sue stesse parole che mai come adesso gli sembravano più veritiere. Averlo detto a Beverly, prima di tutti, era sicuro avrebbe reso molto più facile dirlo anche agli altri. Sapeva che sarebbe andato tutto bene. Ora che aveva smesso di sentirsi così tremendamente solo. Come lo era stato per ventisette anni.

«Spero davvero che tutti voi non stiate riponendo speranze su qualcuno che forse si sta davvero solo immaginando tutto per quanto lo desideri. Pensare di poter parlare ancora con Eddie... voglio dire.»

«Non mettere in dubbio quello sai, Richie. Hai detto di essere sicuro si tratti di Eddie. E noi ti crediamo.»

Richie si voltò a guardarla. Affatto certo di meritare tanta fiducia. Cieca fiducia. Lui aveva aperto la chiamata stavolta, e tutti gli avevano creduto. Tutti erano tornati, nessuno escluso (a parte gli assenti, Richie, non dimenticarti gli assenti. Stan, sopra tutti).

«Non voglio iniettarmi dosi di speranza, prima del tempo. Vorrei solo...» Sentiva su di sé lo sguardo della donna e si sentì improvvisamente così stanco, così tremendamente abbattuto.

«Eddie manca a tutti, ma voi condividevate un legame speciale.»

«Continuate a ripeterlo tutti quanti, che diavolo significa... ?» sbuffò una risata, fra l'amaro e l'imbarazzato.

«Lo sai che significa».

Richie non rispose. Ma lo sapeva, sì. Lo sapeva perfettamente.

 

*

 

Non era sicuro che prendere vantaggio da una situazione tanto assurda fosse una mossa giustificata. Ma di certo più saggia di quanto potesse immaginare. La confusione di quel pomeriggio non aveva impedito allo stomaco di Eddie di protestare vivacemente alla mancanza di cibo.

Per quello, dopo il sinistro incontro con il vecchio che sembrava sapere di ciò che era successo, più di quanto lui stesso potesse anche solo ipotizzare, aveva perseguito i suoi primari istinti di sopravvivenza: trovare qualcosa per riempire lo stomaco, trovare un posto in cui stare.

Era entrato nel primo negozio di alimentari e si era servito a piacimento. L'attimo di panico che aveva preceduto la sua uscita alla chetichella con qualche sandwich e un paio di bottiglie d'acqua era evaporato non appena si era reso conto che no, nemmeno in quell'occasione, qualcuno sembrava aver fatto caso a lui.

Aveva pateticamente cercato di comunicare con altre persone, prima di prendere quella deliberata decisione e ancora una volta il riscontro era stato nullo: sguardi assenti, l'incapacità di farsi sentire. Era invisibile.

Un fantasma, solo un fantasma. Aveva pensato con un certo principio di panico. Un fantasma con un appetito piuttosto consistente. Bisogni primari, prima di tutto.

Si era diretto alla biblioteca con il bottino sottobraccio. Un altro dei luoghi che più di altri gli sembravano familiari. Si era seduto sui gradini all'esterno e aveva preso a scartare il primo sandwich, mentre le ombre della sera avvolgevano i dintorni, rendendoli meno reali. Pochi passanti. Alcuni con i cani sulla strada adiacente. Nessuno si voltava nella sua direzione per guardare.

Prese il primo morso affatto convinto che avrebbe davvero sentito qualcosa, ma più masticava più la sensazione di benessere si espandeva dalle papille gustative, allo stomaco. Una cosa troppo reale per istigarlo a credere di non esistere. Una sensazione fisica, consistente e piena. Un desiderio umano e vivo. Ancora più disperato se rapportato all'illogicità delle circostanze.

Il pensiero del vecchio tornava sporadico e spaventoso. Si rimproverava di non averlo fermato, di non aver insistito, di non aver chiesto spiegazioni su quelle sue criptiche parole. Ma lo sconcerto era stato tale che se lo era lasciato sfuggire.

Cercò ancora una volta di ragionare razionalmente, per quanto la razionalità non gli sembrasse una cosa realistica, in una simile situazione. Sarebbe tornato al parco, il giorno successivo. Non così assurdo pensare che nutrire volatili non fosse solo lo sporadico passatempo di un singolo pomeriggio. Avrebbe cercato di nuovo quell'uomo, lo avrebbe costretto a parlare in modo più chiaro.

Attaccò il secondo sandwich, rendendosi conto che il primo aveva praticamente aperto una voragine, nel suo stomaco. Da quanto non mangiava realmente? Avrebbe detto ventiquattro ore, ma poteva esserne sicuro? Quanto tempo era passato, prima che riuscisse a trovare la sua strada fuori dal tunnel?

Che fine ha fatto la tartaruga?

Inghiottì amaramente l'ennesimo boccone, sentendo qualcosa pizzicare ai lati degli occhi. Serrò le palpebre deciso a non lasciarsi vincere da alcuna inutile emozione. A che sarebbe servito piangere? Piangere non era mai servito a niente.

Solo a farti compatire. A renderti debole, fragile agli occhi occhi degli altri. Tu che così delicato non lo sei mai stato veramente.

Riaprì gli occhi, schiaffeggiato dal suo stesso pensiero. Il fantasma dell'Eddie che era stato lo abbracciava in un'aura inconsistente e ancora troppo nebulosa.

Alzò lo sguardo al cielo scuro, ancora così limpido, straordinariamente terso. Il silenzio che aveva percepito fino a quel momento, adesso vagamente interrotto dagli eco di una musica lontana.

Da qualche finestra di una qualche abitazione nelle vicinanze?

Cercò la fonte con lo sguardo, ma non vi erano poi così tante abitazioni nei dintorni della biblioteca, costruita convenientemente in uno spazio ampio, verde e rilassante.

Posò il resto della sua cena e fece ruotare il busto e la testa, alle sue spalle.

La musica che prendeva via via forza, come arrivasse dalla finestra del piano di sopra.

Da uno degli uffici? Possibile che ci abitasse qualcuno, sopra la biblioteca?

Le luci però erano spente, le finestre sbarrate, la percezione di un edificio disabitato. Eppure la sensazione diventava man mano più concreta. La musica più vivida. Le note di una canzone che non conosceva davvero ma che trasmettevano una certa tranquillità, un senso di comunità.

E poi risate. Risate ovattate.

Si alzò in piedi, incapace di ignorare ancora quel sinistro avvenimento. Scese di un paio di gradini per poter osservare meglio la facciata della biblioteca. La sua immagine o meglio l'ombra sbiadita della sua immagine, riflessa nel vetro della porta d'ingresso.

Poteva riflettersi. Doveva essere un buon segno, quello? Si avvicinò titubante per poter osservare meglio, per avere una visione globale della sua stessa fisicità. Ma più si avvicinava, più rapidamente capì di non sapersi riconoscere in quel corpo, in quel viso.

Nemmeno i vestiti che indossava sembravano gli stessi: spalle larghe, corpo massiccio, capelli scompigliati dal vento. Un paio di occhiali.

Si fermò, inorridito, troppo sconvolto per poter fare un altro passo.

Non era lui l'uomo che stava osservando, riflesso nel vetro. Lo vide muovere le labbra, formulare una parola.

«Eddie... ?» disse una voce.

Preso alla sprovvista arretrò di nuovo e quasi inciampò nell'ultimo gradino, nei suoi stessi piedi.

Che significa? Che diavolo significa?

L'istinto gli suggeriva di scappare, a gambe levate, di nuovo. Gli avvenimenti di quello stesso pomeriggio, invece, lo costrinsero a pensare a un'alternativa.

Non essere vigliacco. Affrontalo.

Sei più coraggioso di quanto pensi.

Il respiro gli si bloccò in gola. Un altro pensiero così intenso e vivido: un ricordo.

Serrò le labbra, e le mani si chiusero a pugno, aggrappandosi ai polsini della giacca che indossava (la giacca di Richie), a qualcosa di concreto, a qualcosa che gli dava coraggio.

Cominciò a salire quei gradini. Uno per volta. Passo dopo passo. Così come aveva fatto durante il percorso in quel maledetto tunnel, seguendo quella maledetta (benedetta) tartaruga.

Sempre più vicino, la sagoma dell'uomo sempre più nitida, più concreta. Così dolorosamente concreta.

Gli stava di fronte ora, incapace di guardarlo direttamente, terrorizzato dall'idea di quello che avrebbe potuto vedere.

«Eddie...» di nuovo quella voce, una supplica liquida, rotta dal pianto.

Sei più coraggioso di quanto pensi.

Eddie rialzò lo sguardo.

 

*

 

Ed Eddie era lì, come fosse solo dall'altra parte della porta d'ingresso della biblioteca. Così nitido e... vivo.

Richie dovette reprimere una smorfia, perché il dolore allo stomaco era diventato così intenso, da costringerlo a ricacciare indietro un conato di vomito.

Beverly era rientrata solo da pochi minuti. Gli aveva lasciato il tempo di schiarirsi le idee in solitudine. Ma era stato solo quando aveva deciso di rientrare a sua volta, di raggiungere i suoi amici, dopo essersi goduto la musica e le loro risate dalla finestra del piano di sopra, che lo aveva visto: Eddie era comparso nel suo campo visivo, attraverso il vetro della porta. Era Eddie non vi era alcun dubbio a riguardo. Stessa postura, stessa corporatura, minuta ma solida. Notò che indossava la sua giacca, quella giacca che aveva usato per tamponare quella maledetta ferita: gli ricadeva enorme sulle spalle. Il pensiero gli provocò un moto d'affetto improvviso e dolorosissimo.

«Eddie... ?» lo richiamò per essere sicuro non si trattasse solo di un'allucinazione. Che in quelle sigarette ci fosse più che della semplice nicotina? In fondo le aveva recuperate dal fondo della sua valigia, in una delle tasche interne che non ispezionava molto spesso. Chissà da quanto tempo erano lì. Chissà chi gliele aveva regalate.

Ma no. Per quanto fosse stanco e inebriato dal fumo quello non poteva essere un sogno. Non un'allucinazione. Riusciva a vederlo, nitido come aveva visto Beverly solo qualche istante prima, seduta al suo fianco.

Fu solo quando lo vide arretrare che sentì un principio di panico montargli dentro, la voce che desiderava richiamarlo, gridare ancora il suo nome, impedirgli di scappare di nuovo; ma il terrore di spaventarlo era ancora più feroce, così tanto che non riuscì a fare null'altro che osservare la scena, mentre il cuore gli rimbombava così forte nel petto da stordirlo.

Non te ne andare. Non te ne andare, ti prego.

Posò una mano sulla superficie della porta, osservando il riflesso dell'uomo fermarsi a mezza strada. Trattenne il fiato quando gli sembrò di percepire la sua esitazione. Riprese a respirare, quando Eddie sembrò ripensarci e decidersi a tornare sui suoi passi, prendendo a risalire quei gradini. Un formicolio alla base del collo, una brivido sulla schiena. Un lato di lui desiderava fuggire, l'altro incapace anche solo di distogliere lo sguardo.

Eddie è morto. Eddie stava camminando verso di lui.

Eddie è ancora sepolto sotto le macerie della casa di Neibolt Street. Eddie aveva appena superato l'ultimo gradino.

Eddie non può essere qui con me. Eddie era esattamente di fronte a lui.

Impossibile decifrare la sua espressione, impossibile percepire il suo viso. Teneva la testa bassa e per un istante Richie ebbe paura di scoprire cosa si nascondesse davvero sotto l'ombra del suo volto.

Il desiderio di avere un contatto però scaraventò il terrore in qualche recesso della sua mente. Non aveva tempo per stronzate del genere. Non aveva più voglia di avere paura. La paura apparteneva a Pennywise. E Pennywise era morto.

«Eddie...» pronunciò di nuovo, senza riuscire a contenere affatto le emozioni che gli si erano scatenate addosso in quegli ultimi istanti. Nemmeno ci provò, a dire il vero. Che lo vedesse, che scorgesse le sue lacrime, non gliene importava un bel niente, non in quel momento.

Eddie rialzò lo sguardo.

I suoi occhi erano enormi, spaesati e tristi come li ricordava. Si sentì così sopraffatto che quasi scoppiò in lacrime. Un pianto che aveva trattenuto per così tanto tempo che se gli avesse permesso di emergere era certo non sarebbe più riuscito a smettere.

Si morse invece il labbro inferiore e allargò le dita della mano su quel vetro, un invito per Eddie a fare altrettanto, a concedergli un contatto, un riconoscimento.

L'uomo non si mosse subito, lo scrutava quasi come se non lo riconoscesse, come si trovasse di fronte un estraneo. Lo stomaco e il petto gli facevano così male che se si fosse trattato di un infarto non avrebbe stentato a crederlo. Lo vide alzare una una mano a sua volta, titubante, lasciarla aderire al vetro, all'altezza della mano che Richie aveva posato proprio lì, solo qualche istante prima. Adesso palmo contro palmo. Non riusciva a sentire il suo calore. Non che si aspettasse di avvertirlo davvero, attraverso il vetro opaco di una stupida porta: e allora perché tanta era la delusione? Dio, quanto avrebbe voluto sentire il calore della sua mano. Rilasciò un sospiro, amareggiato, adirato. Avrebbe voluto dare un pugno al vetro anche solo per sentire qualcosa, per capire se sarebbe servito a qualcosa distruggere quella barriera, ben conscio che probabilmente avrebbe solo fatto sparire quel riflesso, avrebbe fatto sparire Eddie, di nuovo, e non poteva permetterselo. Quel riflesso era tutto ciò che aveva.

Quell'immagine riflessa era tutto ciò... che aveva.

Infine arrivò la sua voce.

«Oddio... Richie», disse.

E il mondo sembrò prendere di nuovo respiro.

 

 

Continua...

 

 

Note: Per chi non fosse avvezzo con il potere di Danny Torrance, e da questo capitolo non fosse proprio chiaro, prometto che verrà spiegato un po' meglio in futuro. Premesso che probabilmente improvviserò su un sacco di cose. Dopotutto si tratta di elementi sovrannaturali, spero siano concesse alcune licenze poetiche. E infine... come promesso, Richie e Eddie.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

 

1989

 

Era un pomeriggio autunnale. I barren erano assolati e mantenevano residui di quell'estate che si era portata via l'infanzia di molti ragazzini a Derry, quell'anno.

Ma l'orrore era terminato e quel posto non faceva più così paura, non a tutti almeno. Ad altri non ne aveva mai fatta veramente.

Eddie si era fatto strada attraverso stradine che solo alcuni di loro conoscevano nel fitto di quelle sterpaglie e, una volta raggiunta la radura dove si era ritrovato per mesi con i suoi amici, trovò Richie inginocchiato sulla riva del fiume. Quel fiume dalle acque sporche che vomitavano il putridume delle fogne cittadine.

«Che stai facendo?» Lo richiamò.

Lo vide trasalire debolmente, prima di barcollare per rimettersi in piedi, drizzare la testa e assumere quella sua postura spavalda.

«Mi faccio bello per tua madre!»

Eddie rilasciò il fiato, scuotendo la testa in segno di esasperazione. Un rituale piuttosto collaudato ormai.

Quando si avvicinò però si rese immediatamente conto che qualcosa non andava proprio. La mano che Richie stava cercando di nascondere era arrossata sulle nocche, e tutt'intorno c'erano tracce di quello che sembrava il patetico tentativo di una fasciatura improvvisata.

«Oddio ma che hai fatto?» gli fu subito accanto, osservando quello sfacelo con sincera preoccupazione.

«Niente che un po' d'acqua non possa lavare via.»

Eddie inorridì al pensiero: «Dimmi che non ti sei lavato la ferita in questa acque schifose!»

«Non è una ferita, è solo un graffio.»

«E poi come diavolo te la sei fasciata? Ma cos'è?» lo raggiunse in pochi passi incerti, sui sassi della riva. Raccolse la sua mano con una certa urgenza, in un gesto piuttosto brusco, vagamente autoritario.

Richie cercò di sottrarsi ma Eddie possedeva una rara forza, quando era determinato a farsi valere.

«Carta igienica?», alzò su di lui uno sguardo quasi indignato. «Hai cercato di fasciarti con la carta igienica?»

«Non c'era altro nel bagno dei ragazzi a scuola, che vuoi? Sarebbe stato strano andare in quello delle ragazze e chiedere in prestito un assorbente.»

«Fai schifo, Richie. Avresti dovuto andare in infermeria. Guarda qui...» non toccò la ferita ma si rese conto che in alcuni punti sembrava profonda, sebbene avesse smesso di sanguinare da un pezzo. La carta igienica però aveva aderito sulla pelle a creare una patina affatto igienica.

«E confessare di aver distrutto lo specchio del bagno dei ragazzi con un pugno? No, grazie.»

«Perché cavolo hai distrutto lo specchio del... oh, lascia perdere, prima sistemiamo questo schifo.» Gli lasciò andare brevemente la mano e aprì quel marsupio che si portava sempre appresso, da qualche anno a quella parte.

«Pensavo te ne fossi sbarazzato, Eds...» commentò Richie, perplesso.

«Non chiamarmi così», puntualizzò prima di tutto, poi avvertì su di sé il suo sguardo sentendosene immediatamente giudicato «Sì, bé, sono tornato a prenderlo. È comodo, che vuoi? Posso metterci un sacco di cose qui dentro...» per darne dimostrazione, estrasse dalla tasca un sacchetto con delle salviette umide.

Recuperò di nuovo la sua mano, senza che Richie avesse chiesto alcuna collaborazione. Senza che, di contro, sollevasse alcuna protesta a riguardo. Dopotutto non era anche quello un rituale collaudato? Come concedere a Eddie di pulire le lenti dei suoi occhiali o di passargli un fazzoletto di carta ogni volta che ne aveva bisogno.

Eddie cercò di essere il più delicato possibile: prima sbarazzandosi della carta igienica disintegrata e poi a ripulire il sangue rappreso attorno alle piccole ferite sulle nocche.

«Perché hai tirato un pugno allo specchio del bagno dei ragazzi?» gli chiese, assorto nel suo lavoro, senza aver affatto dimenticato il punto focale della questione.

Richie poteva imbarcarsi nelle sfide più assurde e spericolate, se stimolato a sufficienza. Non si sarebbe sorpreso di scoprire che qualcuno lo avesse sfidato a farlo e lui non ci avesse messo che un istante a cimentarsi nell'impresa. Il più delle volte finiva in modo disastroso.

«Perché il ragazzo dall'altra parte mi ha provocato», rispose Richie distrattamente, più di quanto si sarebbe atteso. Perché Richie era solito stemperare qualsiasi situazione con battute sferzanti.

«Dall'altra parte di cosa?»

«Dello specchio...», rispose infine e fu solo allora che Eddie rialzò lo sguardo, un po' confuso. A scrutare Richie negli occhi, nascosti dietro le lenti di quei suoi enormi occhiali. Rimasero a fissarsi per qualche istante, la mano di Eddie ancora stretta attorno alla sua, il calore: tiepido e confortevole. Per un momento passò qualcosa di strano negli occhi di Richie e ancora più strano fu quello che capitò allo stomaco di Eddie. Un attimo sospeso che sembrava presagire qualcosa di inaspettato. Un languore che avrebbe richiesto più tempo per essere identificato.

Poi Eddie sembrò ridestarsi dal torpore, perché le labbra di Richie si erano piegate in un mezzo, sardonico sorriso e il gesto indispettito che ne seguì, disintegrò l'attimo così come si era creato.

«Questa è la peggior battuta che tua abbia mai fatto, Boccaccia!», tornò ferocemente sulla sua mano, dimenticando la delicatezza di qualche istante prima, improvvisamente consapevole di quel contatto e ben deciso a sbarazzarsene rapidamente.

«Ahia! Mi fai male. Eddie, sei un bruto! E se fosse stata la mia prima volta?»

«Vai a cagare!» gli rispose, lasciandolo andare una volta per tutte.

«Brucia.»

«Bene. Te lo meriti per essere un completo deficiente», disse, guardandolo osservarsi la mano, sorpreso del risultato. Il senso di colpa dietro l'angolo, «un po' di bruciore è meglio di un'infezione per esserti lavato le mani nei liquami fetidi degli scarichi di Derry.»

«Non sono così fetidi.»

«Abbastanza da prenderci l'epatite.»

«Grazie Dottor Kappa. Le sue consulenze sono sempre così estremamente rassicuranti.»

«Se servono a metterti un po' di sale in zucca allora ben venga il terrorismo.»

Come mai Richie Tozier avesse preso a pugni uno specchio della scuola nel bagno dei ragazzi, Eddie non ebbe modo di scoprirlo mai.

Ma la sensazione di completo smarrimento, nella consapevolezza di star tenendo stretta la sua mano, se la portò appresso a lungo.

 

-

 

2016

 

Attraverso il vetro di quella porta, però, Eddie non riusciva a sentirlo il calore della sua mano.

Richie era appena oltre quel fragile strato di cristallo e non riusciva a sentire il calore della sua mano.

Richie.

Come aveva potuto dimenticare Richie? Come aveva potuto dimenticare Derry, Pennywise, i Perdenti? Che strano scherzo aveva voluto giocargli la sua stessa mente? O era colpa della tartaruga? Ma la tartaruga lo aveva salvato. Lo aveva aiutato ad uscire da quel posto oscuro oltre il tunnel. Non poteva essere colpa della tartaruga.

L'ondata di ricordi lo aveva investito nell'esatto istante in cui aveva guardato Richie negli occhi. Nel momento in cui, finalmente, qualcosa di concreto era riuscito a stuzzicare gli ingranaggi della sua memoria inceppata.

«Io sto uscendo di cervello...» mormorò a se stesso, più che al riflesso dall'altra parte. Lo sguardo fisso alla propria mano che aderiva alla superficie del vetro, che combaciava con quella del suo migliore amico. Ricordava che significava tenere Richie per mano. E quello non ci si avvicinava nemmeno per sbaglio.

«Eddie. Eddie guardami...» rialzò lo sguardo solo per ritrovare quello dell'uomo dall'altra parte, l'immagine un po' confusa ma abbastanza chiara da potergli riconoscere una malsana afflizione «non stai uscendo di cervello.»

«E come lo sai?» disse facendo per allontanare la mano, ma Richie batté sulla superficie in modo abbastanza convincente dal persuaderlo a lasciarcela. Come se servisse poi a qualcosa: continuava a non sentire niente.

«Perché altrimenti significherebbe che sto uscendo di testa anche io.»

Restò ad osservarlo per qualche istante, di nuovo, alla ricerca di un indizio che ciò che stava dicendo fosse vero, che fosse tutto reale e non una stupida proiezione della sua mente, dei suoi desideri.

«Ma quella non sarebbe una novità», gli uscì, prima che potesse frenarlo, prima che potesse realmente pensare a un modo efficace per rassicurare Richie e se stesso che tutto poteva, in qualche modo, essere sotto controllo.

Lo vide sgranare gli occhi e quella sua espressione preoccupata rilassarsi in modo del tutto comico.

«Cristo santo, se avevo dei dubbi che fossi proprio tu Spaghetti, adesso ne ho l'assoluta certezza.»

«Scusami, non so perché l'ho detto», sentì il bisogno di specificare.

«Non ci provare nemmeno a scusarti, Eds, sai esattamente perché lo hai detto.»

«Sì, forse so perché l'ho detto. Ma tu non chiamarmi Eds... lo sai che...»

«Lo odi. Sì, cazzo, lo so che lo odi!» sbuffò una risata sorpresa.

Sì, Richie sembrava sorpreso. Forse un filo troppo entusiasta per uno stupido scambio di battute che non era che una consuetudine. Che Eddie ricordava essere una stupida consuetudine, anche dopo ventisette anni.

«Che... cazzo sta succedendo?» domandò all'improvviso, consapevole, adesso più che mai, dell'assurda situazione in cui si era infilato. Troppe domande a cui non vedeva l'ora di dare finalmente una risposa.

«Speravo potessi dirmelo tu...»

«Una pretesa per uno che fino a cinque minuti fa nemmeno ricordava chi diavolo fossi...»

«Questo sì che è un colpo basso... un po' più in basso di così e avrei avuto un futuro nel coro delle voci bianche.»

«Beep beep...»

Lo guardò sorridere, di nuovo. Cominciava a diventare un po' surreale.

«Dove ti trovi adesso, Eddie? Riesci a raccontarmelo?»

Eddie si guardò attorno, spingendo le dita su quel vetro nel patetico tentativo di cancellare il freddo del vetro che li separava.

«Che significa dove mi trovo? Sono a... Derry», lo guardò, «sono a Derry, sì. Alla biblioteca.»

«Questo non ha alcun senso, cazzo, non ce l'ha...»

«Che vuoi dire?»

«Che sono nello stesso identico posto. Alla porta della biblioteca di Derry. Eppure... non sono lì. E tu non sei qui...»

«Credevo ve ne foste andati. Che mi aveste abbandonato...» si ritrovò a confessare, una paura alla quale ancora non aveva avuto modo di dar voce. Nel momento in cui aveva ricordato, si era chiesto come mai nessuno ancora avesse messo in giro le voci della sua scomparsa. Su Derry sembrava vigere un clima di omertà a riguardo.

«No, Eddie, non... non ti avremmo mai... Cristo Santo. Ricordi cosa è successo?»

«Successo, quando?», si portò la mano libera alla fronte, un principio di mal di testa, forse dovuto al digiuno forzato per troppe ore. Forse alla stanchezza.

«D'accordo, ascoltami Eddie. Guardami un momento», la sua voce insistente, urgente, come se non avessero tutto il tempo del mondo a disposizione, «Raccontami quello che ricordi. Quello che ti è successo nelle ultime ore. Negli ultimi giorni. Più dettagli mi dai, più facile sarà capire come aiutarti.»

Lo guardò negli occhi, di nuovo. E nonostante non potesse ancora percepire il calore della sua mano, gli credette con ogni fibra del suo essere.

Così cominciò a raccontare.

 

*

 

Richie aveva capito solo una cosa, durante il lungo, doloroso monologo di Eddie. Che l'uomo non ricordava nulla dell'affatto trascurabile dettaglio di essere morto. Ricordava Richie, intrappolato nelle luci, ricordava qualcosa di nebuloso riguardante un crollo ma poi il nulla. Il nulla fino alla sua pseudo fuga attraverso un tunnel, guidato da una tartaruga, e gli inquietanti dettagli della sua resurrezione, in una Derry che non sembrava affatto il luogo in cui erano cresciuti.

Cosa significasse, Richie non ne aveva la minima idea. Ma il pensiero che l'aldilà o qualsiasi altro posto in cui Eddie si trovasse assomigliasse a Derry, lo percepiva più come una minaccia d'inferno che la promessa del paradiso.

«Ora voglio sapere cosa sai tu, Richie...»

La domanda arrivò inaspettata, durante le elucubrazioni senza uscita in cui si era infilato. Per tutto il tempo in cui Eddie aveva parlato, non aveva mai scostato la mano. Il vetro ora era caldo, sotto al suo tocco, ma sentì, impellente, il desiderio di interrompere il contatto. Non perché non desiderasse più parlare con Eddie, vedere Eddie, percepire Eddie, ma perché non era certo di essere pronto a raccontargli la sua versione dei fatti. Lo avrebbe distrutto. E vedere Eddie, sconvolto da una realtà che avrebbe turbato chiunque, anche il più insensibile figlio di puttana sulla Terra, era l'ultima cosa che desiderava.

«So che sono a Derry, ma questa è decisamente la nostra Derry. Il posto più malsano dell'universo.»

«Sì, c'è sempre stato qualcosa di malato in questa città, non è così, Rich? Non mi sorprenderei se questo fosse uno degli ultimi scherzi che ci sta giocando.»

Qualcosa di malato.

Qualcosa di demoniaco, sì. Il fatto che Pennywise avesse piantato le sue radici in quelle che sarebbero state le fondamenta della città, doveva essere un dettaglio affatto trascurabile. Eppure... non ci aveva ancora pensato.

«Ma Pennywise è morto, giusto?», lo sentì incalzare. Non avrebbe dovuto sorprendersi se Eddie avesse continuato su quella scia di pensieri. Non gli stava dando alcuna spiegazione.

Annuì distrattamente, serrando appena le labbra.

«Pennywise è morto, sì. Lo abbiamo ucciso. Ci siamo riusciti.»

Non glielo aveva già detto? Non era già corso da lui, con la vittoria in pugno, per metterlo al corrente di aver finalmente sconfitto quella stronza? Ma qualsiasi cosa avesse avuto da dire in quel momento, Eddie non aveva avuto orecchie per poterlo ascoltare. Eddie era morto prima.

Ma aveva il diritto di saperlo ora. E allora perché aveva paura di raccontargli come erano andate le cose?

«Sei stato tu a suggerirci come farlo, come sconfiggerlo», pronunciò a mezza voce, la mano sempre sulla sua ma che adesso si stava richiudendo a pugno, per darsi forza.

«Io?»

«Già... devi ricordarlo, Eddie, perché un momento di simile genialità, nella tua vita, credimi amico mio, sarà difficile da eguagliare.»

«Vaffanculo».

Richie sorrise. Quella patina di normalità in una situazione che di normale non aveva un bel niente. «Non lo ricordo, non ricordo...»

«Provaci. È importante», si detestò per quello che stava facendo: scaricare su Eddie la responsabilità di comprendere. Non trovare le parole per farlo lui stesso.

Lo vide scuotere la testa.

«Cosa non mi stai dicendo, Richie?»

Evitò di guardarlo negli occhi l'ennesima volta. La vergogna nascosta dietro le lenti dei suoi occhiali.

Però abbassò lo sguardo: il petto di Eddie era intatto. Come aveva potuto non notarlo prima? Non vi era traccia di sangue, non sulla maglia, non sulla giacca. Non la traccia di quello squarcio maledetto che aveva sognato ogni notte, che era convinto di sognare ancora, di tanto in tanto, quando si svegliava all'improvviso, trattenendo un grido strozzato, soffocato in gola.

E non vi era nemmeno traccia di quel grosso cerotto che Eddie aveva sul volto per coprire lo sfregio di quello psicopatico di Bowers. Non vi era traccia di alcun taglio, nemmeno un graffio. Solo il volto pallido di Eddie, spaurito e confuso così come lo ricordava, il giorno che lo aveva rivisto alla Giada dell'Oriente.

Cosa non mi stai dicendo, Richie? La cosa più importante: la sofferenza più grande che aveva provato dacché ricordasse.

E se parlandogli della sua stessa morte l'avrebbe resa definitivamente reale? Se quella visione, che ora gli stava di fronte, si fosse trasformata in polvere? Pulviscolo onirico? Se tutto ciò che stava vivendo in quello stesso istante, fosse l'unica occasione concessa dalla tartaruga per dirgli addio?

Non poteva sapere se c'era davvero un modo per riportarlo indietro, dopotutto. Se c'era davvero un posto dal quale... poterlo portare indietro.

«Dimmi che sei reale, Eddie...» gli scivolò dalle labbra, la disperazione improvvisa che gli stringeva lo stomaco.

«Sono reale. Certo che sono reale», la sua mano batté sul vetro, gli sembrò quasi di percepirne l'onda d'urto o forse era solo una suggestione. «Rich, che cosa stai cercando di dirmi? Per favore. Ho il diritto di saperlo.»

Un altro pugno.

«Richie! Dimmi che cosa diavolo è successo! Metti via quelle tue cazzo di premure e dimmi che cosa è successo.»

La nota di panico, Richie riuscì a percepirla eccome; in un modo come un altro, stava solo peggiorando la situazione.

«Richie!»

L'ennesima onda d'urto.

«Che sei morto, Eddie! Tu sei morto!» la voce che gli uscì non fu niente altro che un singulto strozzato. Istigato dalla sua insistenza o meno si pentì immediatamente di come aveva riecheggiato alle sue stesse orecchie.

E quando si rese conto che la mano di Eddie non era più poggiata al vetro, si ritrovò investito di un'ondata di panico non richiesta.

«Eddie. Eddie, guardami», ma Eddie non lo stava più guardando. Si era portato una mano al petto e stringendo le dita alla stoffa della t-shirt sudicia che indossava. Eddie non aveva mai indossato t-shirt sudice, l'immagine così come si presentava era così orribilmente sbagliata.

«Richie...» lo sentì pronunciare con una voce tanto flebile che il richiamo a quel terribile giorno di qualche settimana prima divenne incredibilmente reale.

Non era pronto a vederlo sparire di nuovo, a vederlo morire di nuovo.

«Eddie, ascoltami per l'amor di Dio, guardami e ascoltami», farfugliò con urgenza, «ti riporterò indietro, hai capito? Qualsiasi cosa significhi, in qualsiasi modo, ti riporterò indietro. Guardami!»

Eddie rialzò lo sguardo, ora colmo di dolorosa consapevolezza.

«Dimmi che hai capito. Dimmi che mi credi», la voce di Richie risuonava stonata alle sue stesse orecchie. Era solo un'impressione o gli sembrava di vederlo meno nitidamente?

«Ti prego, Eddie... Spaghetti? Eds...» i suoi occhi erano umidi sotto gli occhiali ma non volle interrogarsi sull'impressione che stava dando di sé in quel momento.

La mano di Eddie si allungò di nuovo sulla sua.

«Ti credo, Richie, certo che ti credo...»

E fu in quell'istante che lo vide svanire.

L'impronta calda della sua mano a sbiadirsi lentamente sul vetro.

 

***

 

Derry era una città sbagliata.

Questa fu la prima impressione che ebbe Danny Torrence, nel momento esatto in cui superava in macchina il cartello di benvenuto della città.

L'atmosfera, l'aria che si respirava. Echi indistinti che portavano brividi di terrore e morte. Echi passati però. Questo Danny poteva dirlo con assoluta certezza. Gli strascichi di un orrore ormai finito, un orrore che avrebbe lasciato impronte perpetue sulla superficie di quel posto e le grida dei bambini a riecheggiare per sempre per chi avesse saputo ascoltarle.

Ma per quanto cercasse di ignorarlo, di certo non poteva negare che avrebbe fatto volentieri dietro front se non avesse avuto l'impressione che incontrare Mike Hanlon fosse l'unica cosa giusta da fare.

Poteva negare questo ultimo favore ad Halloran? Era da tempo che non lo percepiva, ma questo gli sembrava un buon modo per sentirlo vicino ancora una volta.

Fermò la macchina nei pressi di una piazzola, scrutando il navigatore che indicava la strada per la biblioteca. L'indirizzo che Mike gli aveva fornito. Quando rialzò lo sguardo, l'edificio se ne stava proprio lì di fronte, un po' austero e antiquato così come ti saresti aspettato una qualsiasi biblioteca di una città di provincia.

Scese dalla macchina, indeciso se avvisare Mike del suo arrivo o se presentarsi direttamente da lui. Dopotutto lo stava aspettando.

Lo stavano aspettando.

Nessuno gli aveva parlato di un gruppo di persone, ma la cosa gli risultò immediatamente chiara. Le loro immagini confuse gli si materializzarono nella mente ancora prima che potesse concretizzare il pensiero.

«In che razza di storia mi stai trascinando, Dick... ?» mormorò tra sé e sé, avviandosi lungo la strada che conduceva all'ingresso.

Era mattina inoltrata ma la biblioteca non sembrava ancora aperta al pubblico. Alcuni nastri di una scena del crimine della polizia sventagliavano aggrappati ai tronchi di alberi e sulla staccionata, come i fantasmi di una festa terminata da tempo. Derry sembrava essersi macchiata di diversi crimini, alcuni più recenti di altri. Questo sembrava piuttosto fresco. Ma molto meno spaventoso di molti altri che aveva percepito, durante il tragitto per le strade della città.

Fu durante uno di questi terribili pensieri che cinque persone emersero dal retro dell'edificio, camminando fianco a fianco, come una squadra di individui inseparabili.

Danny si fermò a guardarli, affascinato. Percepì un'aura di assoluta forza sprigionare da ognuno di loro, accresciuta da quel senso di unione che ben raramente aveva percepito in un qualsiasi altro gruppo di individui. Si muovevano come un unico essere, cinconfuso di luce. Ne fu sopraffatto per qualche istante. Eppure convinto che quello che percepiva non era che lo strascico di qualcosa che, un tempo, era stato molto più potente di così. Molto più spaventoso. Molto più fatidico.

Riconobbe Mike immediatamente. Perché fu anche il primo a scorgerlo e distaccarsi dal gruppo, disintegrando, in parte, l'aura che aveva riconosciuto poco prima.

In un modo o nell'altro era sicuro di averlo immaginato esattamente così quando gli aveva solo parlato al telefono. Pochi dettagli da aggiustare all'immagine che gli si era dipinta in testa.

«Danny?» lo sentì pronunciare e la sua voce spezzò definitivamente l'incantesimo che lo aveva inchiodato al terreno, frenando il suo passo.

«Mike», gli riconobbe l'azzardo. Gli andò incontro per stringergli la mano, sentendo su di sé lo sguardo curioso di tutti gli altri.

«Non credevo arrivassi tanto presto, stavamo giusto andando a fare colazione...»

«Mi sono svegliato di buon'ora. Posso unirmi a voi, se non è un problema.»

Allungò lo sguardo ai quattro alle sue spalle. Un paio di loro sorridevano, gli altri si limitavano a fissarlo sospetti. Era convinto di doversi, in qualche modo, guadagnare la loro fiducia. In più fu improvvisamente certo che mancasse qualcosa a completare il quadro generale.

«Oh, no, nessun problema. A dire il vero credo sia giusto dirti che siamo tutti coinvolti in questa faccenda. Sarà più facile spiegarti le cose ora che siamo tutti insieme. Loro sono amici miei: Bill, Beverly, Ben e... Richie.»

Richie.

Che lo guardava pallido come un morto con due occhiaie bluastre sotto le lenti degli occhiali.

«Molto piacere. Io sono Danny Torrance», disse nel modo più affabile possibile, e poi d'istinto il suo sguardo scattò oltre, a cercare qualcuno oltre ai cinque del gruppo che si trovava di fronte. Ne percepì l'assenza con forza straordinaria.

«Dobbiamo aspettare qualcun altro?» domandò a Mike, un po' turbato.

«Come prego?»

Nitido come una fotografia gli fu chiaro cosa c'era di sbagliato nell'immagine del gruppo che aveva percepito un attimo prima: una mutilazione.

Quell'essere circonfuso di luce che prendeva vita dall'unione di quei cinque individui, aveva subito una mutilazione.

«Sette», disse, passandosi una mano sulla fronte, «ero convinto foste in sette.»

Il silenzio che seguì la sua bizzarra affermazione fu più eloquente di qualsiasi spiegazione.

 

Continua...

 

 

Nota: un capitolo un po' più corto del previsto. Ma volevo dare spazio all'incontro fra Eddie e Richie, senza diventare troppo prolissa.

E dopo aver introdotto Danny ai Perdenti, nel prossimo capitolo qualche spiegazione in più, promesso.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Doverosa nota iniziale: nel capitolo, presenti possibili spoiler sul finale del romanzo Shining.



CAPITOLO 5
 

Richie non riusciva ad inquadrare quel Torrance.

Non era nemmeno sicuro gli piacesse poi così tanto. Non a una prima impressione almeno: sorridente, pacato, un viso pulito, in qualche modo affascinante. I modi tranquilli di chi ha imparato a camminare lentamente, a prendersi del tempo per riflettere sulle cose.

Trasudava una tale saggezza che a Richie dava vagamente sui nervi.

Era solo a una seconda occhiata che ti rendevi conto che Danny Torrance non esisteva solo in superficie. Dietro quel viso ripulito intravedevi la sregolatezza di giorni andati. Dovevi arrenderti alla tristezza dei suoi occhi. Occhi antichi, più di ciò che i segni del tempo - quelle piccole rughe attorno agli occhi, un ciuffo di capelli grigi fra quelli biondo scuro – sembravano rivelare. Una malinconia di fondo che Richie, nonostante tutto, sapeva riconoscere fin troppo bene.

Si chiese se quella sua apparenza avesse a che fare con i poteri che Mike era sicuro possedesse o se fosse solo frutto di un'esistenza difficile.

«Insomma, che ne dite? Possiamo cominciare a parlare di affari o continuiamo con i convenevoli sul delizioso clima del Maine, in autunno?»

Richie interruppe, nemmeno molto velatamente, un'amichevole conversazione fra Ben e Danny l'intruso. Di che diavolo stessero parlando, Richie non avrebbe saputo dirlo: aveva perso attenzione meno di cinque minuti dopo che erano entrati in quel locale per fare colazione.

Il pensiero era ancora fossilizzato sugli eventi dei giorni precedenti, di una sera in particolare. La sera in cui aveva rivisto Eddie. In cui era riuscito a parlare con Eddie. Le due sere successive aveva disperatamente cercato di ricreare le stesse identiche condizioni e le dinamiche per tentare di ritrovarlo, ma la porta a vetri della biblioteca non aveva fatto altro che rimandargli il suo stesso riflesso. Per quanto lo richiamasse, per quanto desiderasse rivederlo. Si era convinto bastasse quello, evidentemente non era affatto così.

Danny alzò su di lui uno sguardo comprensivo, in qualche modo consapevole. Richie avvertì un brivido scorrergli lungo la spina dorsale.

«Hai ragione», disse solamente, posando la tazza di caffè che aveva consumato da tempo. La cameriera del locale passò di nuovo a riempirgliela, mentre un silenzio statico calava su tutti i presenti.

«Immagino nessuno di voi abbia davvero idea di cosa sia... lo Shining».

Richie apprezzò la rapidità e la franchezza di Torrance. Sembrò voler arrivare direttamente al punto, senza girarci inutilmente attorno. Sembrava.

«Se l'avessimo non saremmo qui a pendere dalle sue labbra, Mister Torrance», non riuscì a fare a meno di commentare, guadagnandosi uno sguardo di rimprovero da parte di Mike e, anche se non presenti nel suo campo visivo, diede per scontato di aver meritato anche quello degli altri.

Danny però sorrise di nuovo. Con quella sua placida calma, quella tranquillità che Richie trovava snervante.

«Bè... lo Shining può presentarsi sotto diverse forme. Alcuni individui riescono a percepirlo in modo più potente di altri. Ma in una qualche misura è un potere che quasi tutti gli esseri umani possiedono», riprese, posando i gomiti al tavolo, guardando uno per uno, cercando di guadagnarsi la loro attenzione.

«Questo non dice niente di consistente sull'argomento», ribatté Richie, non meno ostile dopo quell'esordio.

Danny sorrise di nuovo. Richie sentì l'impulso di prenderlo a pugni.

«Vi è mai capitato di prevedere lo squillo di un telefono, ancora prima che suonasse davvero? O di sapere chi fosse, dall'altra parte della cornetta, ancora prima di rispondere? Avete mai sentito la voce di qualcuno, quando eravate soli in casa? Avete mai avvertito un profumo inaspettato in un luogo dove quel profumo non poteva avere origine? Vi siete mai svegliati, nel bel mezzo della notte, avvertendo un sospiro gelido sul collo, immaginando di non essere affatto soli?», proseguì, «quella sensazione di trovare un oggetto, prenderlo fra le mani e ricordare un evento particolare, o di assistere a un avvenimento, convinti di averlo già vissuto? Molti parlano di coincidenze, altri, più razionali, di una connessione di sinapsi... uno stimolo cerebrale. Quelli come me... lo chiamano Shining.»

Ora sì che aveva l'attenzione di tutti. Persino quella di Richie.

«Appena vi ho visto l'ho percepito, in ognuno di voi. Distillato in piccole dosi, in ognuno di voi. Più brillante quando siete insieme.»

«E questo in che modo dovrebbe aiutarci?», Richie tornò di nuovo al punto.

«Piantala Richie, lascialo parlare», intervenne Mike, posando le mani aperte sul tavolo, con aria infastidita.

«No, ha ragione... sto cercando di arrivare al punto», disse Danny, guardando ora Richie direttamente.

Richie avvertì una strana sensazione. Come se la sua mente si stesse lentamente intorpidendo. La stessa sensazione che si percepisce quando si è in bilico fra sonno e veglia. Con la sola differenza che era sveglio e presente.

'Volevi fare il ventriloquo, Richie, non è così? Sai che ci sono altri modi per parlare senza aprire bocca?'

Richie sentì la voce di Danny nella sua testa. Amplificata, forte e chiara come gli fosse stata sparata a forza in cuffie molto potenti. Le labbra di Danny se ne erano rimaste chiuse, mentre la sua voce lo raggiungeva, rimbalzando fra le pareti della sua mente.

«Come diavolo hai fatto?», esalò tirando appena indietro la sedia, sgomento.

«Fatto cosa?», domandò Beverly, guardando alternativamente Richie e poi Danny.

«A parlare, senza aprire bocca, non lo avete sentito?»

'Loro non possono sentirmi, Richie. Non hanno il potenziale che hai tu. Forse solo la signora Marsh potrebbe unirsi alla nostra conversazione. Anche lei, come te, ha visto le luci.'

«Ma dai!» Richie si era rimesso in piedi, fissando Danny come fosse una specie di mostro disgustoso, «avete sentito che ha detto, lo avete sentito?»

«Di che diavolo stai parlando?», Bill.

«Rimettiti a sedere per l'amor del cielo», Ben.

«È tutto a posto, stavo solo cercando di spiegare a Richie come funziona lo Shining.»

«P-parlandomi nel cervello con il vocione del mago di Oz?»

Una cameriera si era avvicinata al tavolo chiedendo se andasse tutto bene. Mike la liquidò ordinando dell'altra torta di mele. Aveva afferrato Richie per la manica della giacca e invitato a tornarsene seduto e a spiegare loro cosa fosse successo. Danny rispose per lui.

«Telepatia», disse, «precognizione, telecinesi, queste sono solo alcune delle possibilità dello Shining. Conosco una persona che ne possiede di potentissime. Le mie... ho sempre cercato di tenerle a bada», inspirò a fondo, «sono qui perché state cercando di mettervi in contatto con una persona che non c'è più, non è così?»

Richie non dovette nemmeno chiedersi come lo sapesse.

«Nessuna delle capacità che hai elencato sembrano fare al caso nostro però...»

«Perché mettersi in contatto con i morti non è esattamente una delle mie preferite.»

 

*

 

Eddie era tornato al parco di Bassey. Aveva cercato per due giorni consecutivi quell'anziano signore, l'unico nel raggio di chilometri che sembrasse vederlo, percepirlo. Ma dell'uomo non c'era alcuna traccia.

Era rimasto ore seduto su quella panchina, di fronte alla grottesca statua di Bunyan, setacciando con lo sguardo i dintorni, cercando un volto che, anche solo per un istante, gli desse l'impressione di percepirlo, di dirigere verso di lui uno sguardo consapevole. Ma come i giorni precedenti, niente era successo. Sbocconcellava uno snack senza provarne particolare gusto, ripensando alle parole di Richie.

Parole che aveva vissuto e rivissuto di continuo nella sua mente.

Era morto. Durante lo scontro con Pennywise era morto. Non ricordava molto di ciò che era successo, se non vaghe immagini, flash di eventi che lo avevano trascinato (lui e gli altri) in quei tunnel oscuri nelle profondità di Derry. Come in sogno, ricordava nitidamente la sensazione di terrore che lo aveva accompagnato per tutto il tempo. E quella rassicurante di essere in compagnia dei suoi migliori amici. Ricordava di aver parlato loro dello scontro con il lebbroso, giù nel magazzino della farmacia dei Keene, di aver suggerito ai Perdenti come comportarsi con Pennywise, come renderlo debole.

Ricordava la mano di Richie che gli comprimeva il ventre con la stessa giacca che stava ancora indossando. Ricordava vagamente l'indolenzimento e la rassegnazione. Ricordava quella sensazione di calore di aver fatto qualcosa di buono, di coraggioso.

E poi c'era stato solo il buio. Il buio fino a quando non si era risvegliato in quell'anfratto oscuro e aveva visto la tartaruga.

La frustrazione di non avere la più pallida idea di come tornare indietro – se mai sarebbe stato possibile farlo – e quella di non aver più rivisto Richie, sebbene fosse tornato alla biblioteca, a più riprese, in svariati orari, i giorni successivi. Qualcosa, semplicemente, non tornava.

A partire dal fatto che morto, Eddie, non ci si sentisse affatto.

Se tratteneva il respiro gli mancava il fiato, se si tastava il collo, poteva percepire il battito del proprio cuore, se si pizzicava sentiva dolore, se lo stomaco brontolava aveva bisogno di mangiare per evitare che gli scoppiasse una feroce emicrania. Aveva bisogno di dormire, aveva bisogno di usare i bagni pubblici più spesso di quanto gli piacesse ammettere. Di riposare. Di ripararsi dal freddo. Un morto non può avere bisogno di tutte queste cose. Che razza di fregatura sarebbe stata, altrimenti?

Forse sarebbe dovuto tornare alla cava, alla cisterna, a quel tunnel dal quale era sbucato. Avrebbe funzionato ripercorrere la strada al contrario? Ci aveva pensato, continuamente. Ma il solo pensiero di tutte quelle grida, nell'oscurità, di quelle mani che lo sfioravano al passaggio, di non avere alcuna guida, per uscirne, questa volta lo facevano desistere. Chi gli diceva, poi, che una volta tornato indietro avrebbe trovato qualcosa? Forse avrebbe finito per rivivere solo la sua stessa morte.

Doveva parlare con quel vecchio. Doveva capire chi fossero quelle persone che diceva di vedere, quelle che aveva sputato fuori il tunnel, dopo la tempesta.

Ma quale tempesta?

«Quale cazzo di tempesta?» esalò ad alta voce, appallottolando la carta dello snack, lanciandola verso il cestino della spazzatura, poco distante. Non la centrò per poco e si rimise in piedi per raccoglierla, per senso civico più che per paura di essere stato visto. Ma quando rialzò lo sguardo, dopo aver raccolto la carta, un uomo, abbastanza distante da rendere difficile distinguerne i tratti, se ne stava lì, impalato e fisso con lo sguardo rivolto nella sua direzione. Indossava un abito da vecchio professore universitario, un paio di occhiali e un berretto che gli ombreggiava il viso. Poteva dire con assoluta certezza che stesse osservando proprio lui, con una certa insistenza persino.

Si guardò attorno, più per riflesso incondizionato che reale necessità di assicurarsi che non ci fosse qualcun altro, degno dell'attenzione dell'uomo nei dintorni, ma non c'era nulla che lasciasse presupporre la questione.

«Mi scusi... ?» si azzardò allora. Il timore vinto dalla necessità di essere visto, di poter parlare con qualcuno. Di sentirsi un essere umano. Vivo.

L'uomo restò fermo per qualche istante, prima di voltargli le spalle e spostarsi nella direzione opposta al parco. Eddie per un istante si rassegnò a essere ignorato nuovamente, ma quando lo vide voltare lo sguardo, in un chiaro invito a seguirlo, Eddie dimenticò persino la carta dello snack e si affrettò nella sua direzione.

Gli tornò in mente la tartaruga, il modo in cui si era assicurata la seguisse, sebbene non avesse la benché minima possibilità di farglielo capire a voce. Di come Eddie si fosse fidato. Di come, quello stesso istinto, adesso lo stesse spingendo a seguire quell'uomo che finalmente sembrava vederlo.

«Ehi, per favore, si fermi!» gridò quasi, mettendosi a correre quando fu quasi certo di perderlo dietro un cespuglio particolarmente frondoso.

 

*

 

Danny Torrance aveva voluto guardare attraverso la porta in cui Richie aveva dichiarato di aver visto Eddie. Non si era sentito a suo agio a raccontargli tutta la storia, ma era stato costretto a farlo.

Ora che c'era un vero e proprio veggente, paragnosta, vattelappesca a far loro da consulente, non era saggio rimandarlo indietro, per quanto poca simpatia gli stimolasse.

La sorpresa fu quella di scoprire che Danny era riuscito a descrivere Eddie con precisione, sebbene non lo avesse mai visto, mai incontrato. Di averne percepito l'essenza, anche attraverso uno specchio del cazzo. Richie non ci voleva credere ma al contempo voleva disperatamente farlo.

La conferma di non essersi immaginato quell'incontro. Di non aver avuto un'allucinazione.

Era già al secondo pacchetto di sigarette, seduto su una panchina del parco della biblioteca, quando lo vide tornare da una lunga passeggiata attraverso Derry. Una passeggiata che Richie aveva accuratamente evitato, lamentando un'emicrania da urlo, che era riuscito a sedare solo sdraiandosi per un paio d'ore sul divano di Mike con una buona dose di aspirine.

«Cittadina interessante la vostra...», esordì con un sorriso che Richie si sarebbe preoccupato di spegnere con una battuta sferzante se non fosse stato così stanco, di tutto.

«Rapimenti, omicidi, alieni... non ci siamo mai fatti mancare niente», rispose, sfregandosi un occhio con aria distratta.

«Mike mi ha raccontato tutto. Sa molte cose di questo posto, lo ha studiato a lungo.»

«Già... tutte cose che non gli faranno trovare un lavoro dopotutto, ma... materiale da libro horror sicuramente.»

Era evidente che Mike lo avesse messo al corrente di IT. Della storia che la cittadina si era portata appresso. Delle loro disavventure di ragazzini e di scapestrati adulti.

«Vorrei andare alla casa di Neibolt Street», gli disse con aria curiosa, non una domanda, ma una richiesta ben precisa. Una richiesta che non sembrava aver senso d'esistere dato che quella casa... non c'era più.

Richie non riuscì a reprimere la nausea al solo pensiero di quel posto. Aveva accuratamente evitato di tornarci, dopo quello che era successo.

«Spiacente di doverti deludere, ma non credo di poter soddisfare la tua richiesta, non vi sono che macerie in quel posto. Mike non è riuscito a inserire questa informazione nel suo giro turistico, signor Torrance?»

Spense l'ennesima sigaretta sotto la suola delle scarpe, calcando con voluta malizia sul nome Torrance. Anche Richie aveva fatto le sue ricerche. Dopotutto ormai bastava avere un cellulare e una connessione internet funzionante.

Daniel Torrance, figlio di Jack Torrance. Vittima di una tragedia, che risaliva a più di una trentina di anni prima. Il padre scrittore era impazzito mentre faceva il guardiano invernale di un hotel nel Colorado. Aveva tentato di uccidere moglie e figlio ma era morto nell'esplosione dell'hotel stesso, causata da una caldaia malfunzionante. Daniel Torrance lavorava in una casa di cura ora. Ma immaginò che si portasse appresso le conseguenze di una simile tragedia.

«Oh no, Mike è stato esaustivo con le spiegazioni. Mi ha detto che la casa è crollata. Ma credo che dovremmo andare ugualmente insieme in quel posto, se è del mio aiuto che hai davvero bisogno».

Richie serrò le labbra, indeciso se essere più infastidito per la sua aria saccente o per la necessità di dover dipendere da lui. Non avrebbe saputo che farci con quel suo potere, se non indirizzato a dovere. E dopotutto come poteva ancora dubitare di qualcuno che sa leggerti (cazzo ma era successo davvero?) nel pensiero.

«Stiamo per fare una di quelle cose alla Karate Kid? Dove tu sei il maestro Miyagi che mi insegna a mettere la cera e togliere la cera e io Daniel-San? Non sono sicuro di saper rimanere in bilico su una gamba ad osservare il tramonto per ore, però. Forse ti è sfuggito che sono un uomo di mezza età. Ancora prestante, ma sempre di mezza età.»

Danny sorrise come se comprendesse qualcosa che a Richie sfuggiva. E Dio solo sapeva se non ci mise del suo per capire cosa fosse. All'improvviso percepì di nuovo una specie di nebulosa attraversargli i pensieri. Una sensazione che riconobbe solo quando Danny parlò di nuovo.

«So che non sei particolarmente entusiasta di andarci. Ma non c'è nulla di che temere. Non veramente.»

Richie si rimise in piedi, infastidito. Gli puntò un dito contro.

«Tu smettila di frugare nel mio cervello ed io sarò più che entusiasta di fare l'elicottero con l'uccello se servirà a sbarazzarmi di te, una volta che avrò imparato a gestire da solo questa cosa.»

Danny non sembrò particolarmente sconvolto dalle sue dichiarazioni. Al contrario le accolse con un'alzata di spalle.

«Possiamo andare?»

Richie scosse la testa, indeciso se aggiungere qualcosa o meno, ma Danny non sembrava un campione di scoccate. C'era poco materiale con cui lavorare, con uno come lui.

«Muovi il culo e cerca di starmi dietro. Cammino veloce», disse, prima di mettersi in marcia e fargli strada.

 

*

 

Eddie era certo di aver visto l'uomo imboccare una strada adiacente a quella che stava percorrendo, la sensazione di non sapere dove quella caccia all'uomo lo avrebbe portato non era piacevole. Ma per certi versi, molto meno controproducente che restarsene fossilizzato su una panchina del parco per il resto della giornata.

Era convinto che non fosse una buona idea non seguire un flusso, una volta che si era messo in moto.

Un pensiero fisso che gli si era insinuato dentro nel momento in cui aveva visto svoltare quell'uomo in una zona piuttosto familiare: lo stava riportando a Neibolt. Nonostante le strade non fossero proprio identiche a come le ricordava, aveva percepito l'essenza di quel luogo come un richiamo, istintivo e feroce. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto aspettarsi, una volta arrivato. Per quanto ne poteva sapere poteva non esserci alcuna traccia della stamberga che aveva alimentato i suoi incubi di bambino.

Sicuro di non voler tornare nel luogo maledetto dove tutto era cominciato, ma abbastanza certo che, come per tutte le altre volte, seguire l'istinto non sarebbe stata la peggiore delle idee.

La sagoma della casa comparve nel momento esatto in cui Eddie svoltò l'angolo. Sebbene sapesse fosse lì, ritrovarla fu un piccolo shock. Le sensazioni di terrore provate nell'addentrarsi lì dentro da adulto, alla caccia di IT, e poi a ritroso, a quando, da ragazzini, avevano fatto la stessa cosa per stanarlo e Eddie aveva concluso la sua disavventura con un braccio rotto. Per non parlare del suo incontro con quel lebbroso che lo aveva terrorizzato a morte, quando aveva tredici anni.

Tremò vistosamente, fermandosi per un istante a prendere fiato.

L'uomo non era nei paraggi, ma la sensazione di essere osservato o di non essere solo non lo abbandonò per un solo istante.

Le finestre delle abitazioni circostanti lo osservavano, silenti. Un quartiere all'apparenza desolato, abbandonato. Che smentiva quest'immagine sono per la cura dei giardini o delle tendine tirate, dietro alcune finestre aperte. Occhi invisibili.

Un cane abbaiò lontano, riportando Eddie alla realtà.

IT era morto. Di questo era sicuro. Richie glielo aveva confermato, non c'era alcun motivo per non credergli, giusto? E allora cosa stava scatenando l'universo per lasciarlo precipitare nell'ennesimo incubo? Un luogo che era Derry, ma non la sua Derry. Un luogo dove lui era vivo, in un universo dove si presupponeva non lo fosse affatto. Si pentì di non aver visto abbastanza film di fantascienza da ragazzo per riuscire a formulare ipotesi plausibili.

Si passò entrambe le mani sul viso, sfregandole con forza.

Il richiamo della casa di Neibolt ancora vivo, presente. Se era lì che il destino, il fato, lo spirito della tartaruga o quell'uomo misterioso lo stavano guidando, avrebbe seguito la strada. Termine o inizio di qualcosa, almeno avrebbe messo fine a quella impasse mostruosa che gli stava portando via il sonno e le speranze.

Ripercorse la strada che aveva attraversato tutti i giorni da scuola, fino a casa. Tutti i giorni, fino a quando sua madre lo aveva portato via da Derry. Forse l'unica cosa positiva che Sonia aveva fatto per lui.

Si ritrovò a fischiettare un motivetto, per tenersi compagnia, come quando era bambino. Il silenzio del quartiere troppo opprimente e spaventoso per un ragazzino alto un soldo di cacio. Ora troppo inquietante per un uomo che non sapeva se stava per correre incontro a una seconda morte.

Morte. Un altro pensiero buffo.

Era morto. Era quello che aveva detto Richie, no? E se fosse finito in una specie di limbo in cui doveva solo aspettare di trapassare definitivamente a miglior vita?

Certo, lo scenario non era esattamente uno dei migliori. Ironia della sorte il limbo somigliava come alla cittadina della sua infanzia, dei suoi incubi. Davvero divertente.

Il pensiero gli tenne compagnia finché non fu di fronte al cancello della stamberga. Non era poi tanto diversa da come la ricordava. Il tetto era parzialmente crollato e le impalcature sembravano piuttosto fragili. Di certo non un luogo di villeggiatura.

Un posto del genere non avrebbe superato nemmeno il minimo sindacale delle misure di sicurezza e sanitarie vigenti. L'idea della sporcizia, degli insetti e muffe che avrebbe potuto trovarci dentro gli diede il voltastomaco, più dell'idea dell'ignoto che lo aveva richiamato fin lì.

Era molto meglio non ricordare affatto come era vivere nella pelle e nelle fobie di Edward Kaspbrak. Per un po' ci era persino riuscito. Complice un'amnesia nata dal brodo primordiale delle acque mefitiche dei tunnel sotterranei di Derry.

È sempre stato tutto nella tua testa, Eddie caro. Non sei mai stato veramente malato, lo sai, vero?

Cominciava a credere alle voci della sua coscienza.

«Forza, Eddie...» sussurrò allungando la mano sul cancello. Lo spinse appena e il movimento gli rimandò il sonoro cigolio di cardini arrugginiti: un classico. Proprio da film horror.

Percorse il vialetto invaso dalle erbacce, guardandosi attorno solo un paio di volte, per capire se qualcuno stesse osservando la sua bravata e stroncasse i suoi tentativi sul nascere, ma nessuno venne.

Quando fu di fronte alla porta ebbe l'impressione di trovarsi al cospetto di fauci di un mostro, pronto a inghiottirlo con l'inganno.

Rabbrividì ma non si fermò lì.

Nonostante il ricordo di giorni ormai passati o di occhi puntati addosso come una calamita.

Qualsiasi cosa fosse, avrebbe dovuto superarla. Non c'era nessun inganno se non la determinazione di mettere la parola fine a quella storia. Qualsiasi risposta stesse cercando, l'avrebbe trovata solo andando avanti.

Posò la mano sulla maniglia della porta che si aprì non meno rumorosamente del cancello, portandosi dietro alcune ragnatele vecchi di anni e polvere e calcinacci che cercò di evitare cautamente. Una volta spalancata, la casa sembrò volergli ricordare esattamente che significasse disturbarne il sonno durato decenni. L'odore di chiuso e muffa era così forte che per un istante, ne restò stordito.

Ma solo quando fece un passo per entrare, gli occhi semi accecati dalla polvere, sentì qualcosa afferrarlo per un braccio e strattonarlo all'indietro.

Gridò una sola volta con forza, inciampando nei suoi stessi piedi, fino a cadere a terra, per i gradini.

Il rinculo e il dolore della botta gli fece scordare per un istante quello che era appena successo.

Quando ebbe la lucidità sufficiente per accorgersene, si rese conto di non essere più solo.

L'ombra di un uomo gli incombeva addosso e quando alzò lo sguardo, riuscì finalmente a scorgerne il viso.

«Ciao, Eddie...» disse, «è un po' che non ci si vede».

 

*

 

Richie aveva lasciato camminare avanti Danny. Si era acceso un'altra sigaretta, aspirandone furiosamente il fumo, sperando di rilassarsi, ma lo stomaco aveva preso a brontolare in modo ambiguo una volta svoltato l'angolo della via che li avrebbe condotti alle macerie di Neibolt.

Nausea. Quella maledetta nausea. La nicotina non aiutava affatto e gli veniva da vomitare, di nuovo. La conseguenza terribile di quella sua ansia avrebbe dovuto trovare una soluzione, prima o poi.

«Tutto bene?» gli si rivolse Danny, affiancandolo. Doveva essersi accorto di quanto fosse pallido e avesse preso a sudare, nonostante il freddo.

«Alla grande, Doc.»

Danny rallentò il passo, fissandolo stranito per qualche istante.

«Come mi hai chiamato?»

Richie si voltò nella sua direzione, gettando via la sigaretta con una certa urgenza.

«Poco avvezzo ai nomignoli? D'accordo, torniamo al più formale Signor Torrance.»

«Non era quello che intendevo. Doc. È il nome con cui mi chiamano tutti a lavoro. Come mi chiamava mia madre.»

«Bè, non sei un dottore? O qualcosa di simile?»

«Non proprio. Ma... immagino che abbia senso.»

Richie inarcò un sopracciglio. Non era sicuro di aver compreso quello scambio di battute ma una cosa era certa: Doc era un nomignolo che gli si era dipinto nel cervello coma una scritta a caratteri dorati. Un istinto piuttosto limpido. Si chiese se non fosse stato proprio Danny a suggerirglielo. Quella connessione cominciava a fargli paura.

«Ci siamo», disse solo, per sviare l'argomento, indicando con un cenno del capo lo spiazzo di terra dove una volta sorgeva la tenebrosa casa infestata. Ora non v'erano che macerie, circondate da un nastro per tenere a bada i curiosi. Richie si chiese quando e se avrebbero deciso di spianare tutto e dire addio, una volta per tutte, a quel posto maledetto. Magari ci avrebbero costruito una deliziosa casetta medio borghese con tanto di steccato bianco.

Non ci avrebbe abitato nemmeno fosse stato il fottuto castello delle favole.

«Un bella energia non c'è che dire...» disse Danny, piuttosto ambiguamente, ma per quel che ne poteva capire Richie, immaginò ne sentisse le vibrazioni negative o qualsiasi cosa fossero le cose che percepisce un tizio con lo Shining.

Quel posto aveva un effetto negativo anche su di lui dopotutto. A livello emotivo sicuramente. Se ci pensava troppo intensamente si rivedeva di nuovo a gridare il nome di Eddie, imprigionato sotto il crollo. La disperazione di averlo perduto per sempre.

Il dolore ancora fresco. Pulsante.

Cercò di ignorarlo come meglio poté.

«Che siamo venuti qui a fare, me lo spieghi?» gli domandò vagamente esasperato dal silenzio di Danny e dalle sue perlustrazioni in circolo.

«È in questo posto che è morto il tuo amico, no? Quello che hai detto di essere riuscito a contattare.»

Richie trasalì appena alla domanda diretta e brutale.

«È morto sotto chilometri di tunnel sotterranei, questo era solo l'ingresso di quel posto di merda», lo mise al corrente.

«Bè, dato che non possiamo scendere da nessuna parte, immagino che dovremo farci bastare questo.»

Richie affiancò l'uomo, guardandosi attorno.

«Cosa vorresti fare? Una specie di seduta spiritica per richiamare lo spirito di Eddie?»

Danny gli scoccò uno sguardo consapevole.

«Non ne avremo bisogno. So che Eddie è qui.»

Richie strabuzzò gli occhi, dietro le lenti degli occhiali.

«Lo hai... visto?» si guardò attorno, come a cercarlo con lo sguardo, sperando di vederlo comparire così come era successo solo qualche sera prima.

«L'ho percepito. Ho percepito la sua essenza così come era rimasta impressa sul vetro della porta della biblioteca.»

«L'essenza di Eddie rimane impressa sulle cose tipo un adesivo per bambini?»

Danny sorrise appena.

«Qualcosa di simile», disse, raccattando da terra un sasso dalle macerie della casa e passandolo a Richie, «Quando Mike mi ha portato in giro per Derry ho cercato di fare distinzione fra tutte le cose che sentivo in questo posto. Non è stato facile, perché, lasciatelo dire, ma questa città è una cloaca di eventi terrificanti.»

«Ma non mi dire», rispose Richie sarcastico «ma continua, te ne prego, questa suspense mi sta uccidendo.»

«Ho cercato di rincorrere la stessa sensazione che mi ha dato lo specchio della biblioteca, di percepire il tuo amico. E mi sono reso conto che si è lasciato dietro delle scie. Non distinte, non nitide, ma sono riuscito a tracciare un percorso. Che si è fatto più nitido quando siamo finiti in questa via, quando ho toccato queste pietre.»

«Quindi sei già stato qui? Perché diavolo hai voluto portarmici?» sbottò Richie, facendo fatica a respirare quasi, stringendo la mano su quel pezzo di maceria che non capiva perché Danny gli avesse passato.

«Perché sei tu ad aver creato la connessione. Sei tu la chiave per comunicare direttamente con Eddie. Perché quello che percepisco non fa parte di questa realtà, non sta accadendo in questa realtà.»

«Okay, ora non riesco più a seguirti.»

«In verità non è chiaro nemmeno a me ma... è come se ci fossero due realtà distinte. Percepisco le cose che sono successe a Derry, anche anni orsono. Sento le grida dei ragazzini che sono scomparsi, che sono stati uccisi, ventisette anni fa. E quelli che sono spariti ventisette anni prima ancora. Anime aggrappate al nostro mondo. E poi percepisco cose come percepisco il tuo amico. Come si svolgessero a un altro livello. Come se le vedessi attraverso uno specchio.»

Richie aggrottò la fronte.

«Ti prego sii più specifico.»

«Bè, se fossimo in un film di fantascienza direi che Eddie si trova in una... specie di realtà alternativa.»

Richie lo guardò con perplessità.

«Tipo quella di Spock con il pizzetto?»

«Scusa?»

«La tua cultura pop lascia a desiderare se citi la fantascienza e non conosci lo Spock cattivo con il pizzetto», scosse la testa, tornando serio, «io però l'ho visto... morire. Eddie, dico. L'ho visto...»

«E sono convinto che sia successo... qui. Ma che per qualche motivo il tuo amico sia finito in un posto dove invece... non è morto per niente. Un'alternativa alla morte. Una morte in questo universo, per una vita... nell'altro», Danny si massaggiò una tempia, «non so nemmeno io se ha senso quello che sto dicendo. Non mi è davvero mai capitata una cosa simile. Cose più folli, certo, ma così complesse no, mai.»

«Non vedo cosa possa esserci di più folle di una realtà alternativa...»

«Non credo vorresti saperlo davvero», lasciò la frase in sospeso per nulla propenso a parlarne, «quello che voglio dire è che: questa non è una storia di fantasmi. Il tuo amico è vivo. Ma per arrivare a lui non sono la persona più qualificata a farlo. Posso percepirlo, ma non posso pretendere che lui percepisca me. Sei tu ad aver stabilito il contatto. Sei tu a doverti esporre per ristabilirlo.»

«Cosa credi che abbia fatto nei giorni scorsi? Alla porta della biblioteca ci sono tornato tutte le sere, alla stessa ora... eppure di Eddie non ho visto l'ombra.»

«Perché forse lui non era nello stesso posto, per sentire la tua voce...»

Richie ci rifletté un istante. Non aveva pensato, nemmeno per un secondo, che Eddie non fosse lì. Una delle altre cose che gli avrebbe rinfacciato una volta rivisto. Quell'imbecille.

«D'accordo. Posto che tutto questo sia vero, che tu abbia ragione», disse, sistemandosi gli occhiali sul naso, allungandogli di nuovo la pietra, «che cosa dovrei fare adesso, maestro Miyagi?»

Danny si strinse nelle spalle.

«Usa quella pietra come hai usato lo specchio della biblioteca.»

«Eddie è su questa pietra? Interessante. Ciao Eddie, ti vedo un po' rigido.»

Danny scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.

«Usalo come fosse... una connessione fra questo e quell'altro... mondo.»

«Va bene, Doc, come dici tu, Doc...», sospirò Richie, divertito e vagamente esasperato, «poi?»

Danny si strinse nelle spalle: «Che ne dici di chiamarlo e basta?»

A Richie scappò una risata.

«Certo. Come ho fatto a non pensarci prima?»

 

*

 

Eddie indietreggiò, cercando disperatamente di rimettersi in piedi. Ma era come se le sue gambe non ne volessero sapere di ascoltarlo.

«Chi sei?», esalò quando riuscì ad afferrare un gradino e fare forza per rimettersi in piedi.

L'uomo se ne stava lì di fronte, apparentemente poco intenzionato a muovere un passo nella sua direzione. Le mani levate in un gesto di resa, di quelli che sembrano dirti: non ho intenzione di farti del male.

Era lo stesso uomo del parco, poteva riconoscerlo nell'abbigliamento. Un completo che gli ricadeva addosso forse un po' troppo ampio e un berretto che si era levato, mostrando una massa di pallidi capelli ricci.

«Ci conosciamo?»

«Credevo avessi deciso di seguirmi perché mi avevi riconosciuto, Eddie.»

Cercò di studiarne i tratti, gli occhi chiari, stanchi e tristi. Ai lati del viso delle cicatrici che non aveva notato subito. Un viso che gli sembrò improvvisamente così familiare da togliere il respiro.

«Ti ho seguito perché sembravi essere l'unico a vedermi... in quel parco», gli disse.

«Allora non ti stupirai se ti dico che probabilmente era davvero così...»

Eddie seguì con lo sguardo le sue mani che lentamente si abbassavano. I polsi nudi, sotto la camicia che rivelavano due lunghe cicatrici. E fu quel dettaglio, quell'agghiacciante, inutile dettaglio a risvegliare definitivamente la sensazione.

In quel volto, reso spigoloso dall'età, riuscì a riconoscerlo. Dopo ventisette anni.

«S-Stan... ?», mormorò incerto, come una rivelazione che, pronunciata ad alta voce, avrebbe potuto spezzare l'incantesimo.

«È confortante sapere che almeno non hai dimenticato il mio nome», rispose.

Stan l'uomo. Stan uno dei Perdenti. Stan che aveva mancato l'appuntamento a Derry perché si era tagliato i polsi in una vasca da bagno, piuttosto che affrontare di nuovo il terrore di IT. Stan che pensava che senza di lui, i suoi amici sarebbero stati meno vulnerabili.

Stan che doveva essere morto e che invece se ne stava lì, di fronte a lui, con un sorriso stampato in viso, consistente, vivo e apparentemente in buona salute.

Eddie avvertì qualcosa di mostruosamente simile al pianto montargli dentro, nello stomaco, fino a risalirgli su per la gola, inumidirgli gli occhi, ma prima che potesse anche solo realizzare tutte le implicazioni che questa cosa portava con sé, il fatto di essere al cospetto di un altro presunto morto, un tuono irruppe nella sua testa, vivace e reale.

«EDDIE!»

La voce di Richie.

«Eddie, dimmi che mi senti o farò la figura del coglione, qui con il dottor Paranormale.»

Si voltarono entrambi. Stan e Eddie.

Perché Richie, improvvisamente, era lì.

 

Continua...

Note: Spero che tutto quello che ho scritto abbia un senso. Nella mia testa ce l'aveva, quantomeno. Nel caso, fatemelo notare senza problemi e correrò in vostro aiuto.
Sulla questione Shining e le sue potenzialità in parte è davvero così, in parte penso di essermi presa delle libertà sulle capacità di Danny, una licenza poetica ai fini della trama. Alla prossima.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6

 

Richie si era reso conto di non essere più solo non appena aveva sentito Eddie imprecare.
Se c'era qualcosa a cui si poteva associare Eddie era il turpiloquio. Era sempre stato un ragazzino così rispettoso delle regole e delle imposizioni di sua madre che esprimersi in modo volgare era stato il suo primo vero e innocuo atto di ribellione. Influenza o meno di Richie, non era così certo di potersene prendere il merito.

«Ci baci tua madre con quella bocca, Eds?»

'Mia madre è morta... imbecille.'

Richie si ritrovò a sorridere, mentre lo stomaco faceva un verso strano, carico di sollievo. Danny se ne stava in disparte. Non era sicuro che potesse sentirlo anche lui, ma poco gli importava. Quella sottospecie di veggente aveva ragione: Eddie era davvero lì. Cercò di reprimere l'impulso di piangere di nuovo o di vomitare, ancora. Non era felice alla prospettiva di rendersi ridicolo al cospetto di Eddie o di Danny.

Si voltò appena in tempo per cogliere un'ombra, alle sue spalle. E poi il suo intero mondo fremere come scosso da un terremoto. Per un istante si sentì mancare la terra sotto ai piedi. Quello dopo fu come essere atterrato, stordito, dopo un salto nel vuoto. Lo stomaco fece un verso strano, le orecchie fischiarono, assestandosi.

«Ma che cazzo... ?»

«Richie.»

Sobbalzò alzando lo sguardo e Eddie era a un passo. Offuscato, come dietro a un sottile velo di organza, uno strato di nebbia. Dietro di lui si ergeva, imponente, la casa di Neibolt, così come la ricordava, così come compariva ogni dannata volta, nei suoi incubi più oscuri.

«Merda!» indietreggiò, incespicando sui suoi stessi piedi. Fu come viaggiare al rallentatore, in un cubo di gelatina. Tornò a guardare Eddie solo quando fu certo che tutto fosse troppo reale per essere solo un sogno.

«Come diavolo ho fatto a... ? E tu come diavolo sei... ? E...» percorse in pochi istanti la distanza che lo separava da Eddie, ma quando allungò una mano per toccarlo le sue dita non sfiorarono che aria. Dalle sue labbra emerse un gemito di delusione.

«C-che sta succedendo?» disse osservandosi le dita e poi l'atmosfera tutto intorno che sembrava coperta di una patina irreale.

«Non lo so», esalò questi, con occhi così enormi che quasi Richie poteva vedercisi riflesso.

Aveva Eddie a un passo. Questa volta non dietro a uno specchio; eppure, ancora, non poteva toccarlo. Lo stomaco gli fremette di frustrazione.

«Devo essere svenuto, è l'unica soluzione.»

«Se sei svenuto tu, sono svenuto anche io.»

«Se siamo svenuti in due per sognarci a vicenda, siamo proprio alla frutta.»

Non sapeva se ridere o piangere. Richie si voltò per cercare Danny con lo sguardo, per ricevere una spiegazione. Danny che, al contrario di Eddie, sembrava limpido e presente.

«Li vedi anche tu?» gli chiese.

Danny scosse il capo ma lo incalzò a continuare, qualsiasi cosa fosse. E solo allora si rese conto che c'era qualcun altro con loro: un uomo che se ne era rimasto in disparte per tutto il tempo.

«Ho fatto male i conti o qui siamo più di quanti dovremmo essere?»

«Sei... sei Richie, vero?» disse l'uomo facendo un passo nella loro direzione, «non credevo davvero ti avrei rivisto.»

Richie lo scrutò per qualche secondo, una sensazione familiare e improvvisa. La rivelazione arrivò l'istante successivo, senza farsi attendere.

«Non può essere...» esalò, guardando Eddie con aria accusatoria.

Eddie scosse la testa: «Non guardare me, ho scoperto questa cosa poco fa.»

«Stanley?»

L'uomo annuì una sola volta, venendo avanti con passo incerto. Per Richie fu come osservare una fotografia. L'immagine dello Stanley ragazzino poteva sovrapporsi a quella dell'uomo che ora gli stava di fronte, pochi centimetri di differenza in altezza, ma lo stesso viso, la stessa espressione, lo stesso identico modo di muoversi.

«Tutto questo è assurdo...»

Stan sorrise appena, stringendosi nelle spalle.

«Ho smesso da un po' di pensare all'assurdità di questa storia.»

«Da quanto tempo sei... ? Dio, non so nemmeno da dove cominciare». E non lo sapeva davvero. Sentiva le gambe molli, il respiro corto, gli occhi di nuovo umidi, assolutamente contro la sua volontà. Lacrime che faticavano ad esaurirsi, nonostante tutto. L'emozione incontrollabile.

Eddie si spostò di lato, il viso arrossato come quando era ragazzino e la situazione si faceva un po' troppo complicata o incomprensibile. L'eccitazione e l'aspettativa gli accendevano il viso.

«Tu non sei qui con noi, questo riesco a dirlo», disse Stan, alludendo a se stesso e Eddie, «devi essere dall'altra parte, non è così?»

«Dall'altra parte... sì, ovunque sia questa altra parte...» si passò una mano sul viso, un principio di nausea. Il mondo era avvolto da una nebulosa, come fossero rinchiusi in una bolla. Era convinto fosse a causa di quel suo potere. Era riuscito a raggiungere in modo virtuale quel mondo che stava nascosto, sotto la superficie. Quello a specchio di cui gli aveva parlato Danny.

Riaprì gli occhi dopo aver pateticamente cercato di calmarsi, di frenare il tumultuoso battito del proprio cuore. Due dei suoi migliori amici, due delle persone a cui aveva tenuto più di qualsiasi altra cosa al mondo erano lì, a portata di mano. Eppure così dannatamente lontani.

«D'accordo. Non so esattamente per quanto temo durerà questa cosa. Questa connessione, come l'ha chiamata Danny...»

«Chi è Danny?» domandò Eddie, non meno confuso dalla situazione.

«Una lunga storia», tagliò corto Richie, «una persona che sta cercando di aiutarmi a capire come farti...», guardò Stan, «come farvi uscire da lì. E tornare qui.»

«Pensi che si possa fare?» domandò Eddie, speranzoso, i suoi occhi carichi di fiducia, cieca fiducia. Richie se ne sentì sopraffatto. Non voleva nemmeno pensare alla possibilità di non riuscire a riportarli indietro.

«Ne sono sicuro», preferì confermare, piuttosto che tentennare, «ho solo bisogno di un po' della vostra collaborazione.»

Tornò su Stan, «La storia di come Eddie sia finito lì la conosco...» fin troppo bene. Pensò, dolorosamente, «la tua no. O meglio...»

Stan fece una smorfia, alzando gli occhi al cielo.

«Possiamo saltare i convenevoli. Mi pare evidente che sappiamo tutti cosa mi è successo».

Richie si zittì e Eddie abbassò il capo.

«In un modo o nell'altro qualcuno deve aver deciso che non era ancora arrivato il mio momento. Non definitivamente almeno.»

«Tua moglie ci ha detto che...»

«Sì. Sono morto», replicò sbrigativo, in un modo in cui solo Stan riusciva a non renderlo cinico, «E non so come sia possibile che io sia qui, e respiri... ma è quello che è accaduto. Mi sono risvegliato in una fogna. E ho seguito una tartaruga.»

Eddie fece un verso strano e Richie riconobbe nel racconto di Stan la stessa identica dinamica.

«E mi sono ritrovato all'uscita della cisterna. E poi ai Barren. Mi ci è voluto un po' per capire dove fossi, o chi fossi», si umettò le labbra, «ero solo, infreddolito, con un sacco di pensieri oscuri nella testa. E nudo come un verme.»

«Nudo come un verme?»

«Bè, suppongo che chiunque si sia divertito a riportarmi in vita mi abbia ripescato esattamente dov'ero nel momento della mia morte: a mollo in una vasca da bagno.»

«Cristo santo», biascicò Eddie, portandosi una mano alle labbra. Stan gli rivolse uno sguardo comprensivo, ma affatto propenso a lasciarsi andare a stupidi sentimentalismi. Stan sembrava aver accettato quella realtà. Quanto tempo aveva avuto a disposizione, per farlo?

«Mi sono trascinato fino a Derry, nel cuore della notte. Ho cercato un posto dove nascondermi, dei vestiti con cui coprirmi... per poi scoprire che niente di quello che avevo fatto aveva davvero importanza. Nessuno sembrava vedermi o sapere che fossi lì. Ho passato giornate intere a cercare di capire se ero un fantasma, uno zombie; ero convinto di essere impazzito.»

Eddie, poco distante annuì consapevole. Richie non poté far altro che sovrapporre le due storie in maniera immediata.

«E poi cos'è successo?» gli chiese Eddie, più desideroso di sapere di quanto non lo fosse Richie, come se da lui, più che da chiunque altro, dipendesse la responsabilità di uscire da quel posto.

«Ho tentato di tornare indietro...» esalò Stan, inspirando a fondo, come a prendere coraggio per raccontare qualcosa di ben più consistente.

«Per le fogne?» chiese Richie, avanzando di un passo, ancora incredulo ma piuttosto certo di non poter vacillare. Non a un passo dal capire come muoversi.

«Per le fogne» confermò Stan, osservando la casa di Neibolt con preoccupazione, «ma come capirete non è andata esattamente come mi aspettavo».

Il fatto che fosse ancora lì, intrappolato in una Derry che tanto somigliava alla loro, ma che non lo era per niente, era una prova molto più che sufficiente alle sue parole.

«Ci ho pensato anche io di tornare indietro» intervenne Eddie, visibilmente preoccupato, «ma mi è mancato il coraggio di farlo. Quel tunnel è spaventoso. E tutti quelle...»

«... voci», confermò Stan.

Per un istante Richie si sentì come un intruso, qualcuno che sta ascoltando una conversazione al tavolo di fianco al ristorante, senza riuscire a capire del tutto l'argomento in questione.

«Non avevo alternative. O non credevo di averne. Sono tornato ai Barren. Mi sono fatto coraggio. Ho pensato che tornare indietro sarebbe stato un atto di fede, niente di meno di quello fatto per finire in questo posto, seguendo una tartaruga. Quanto difficile avrebbe potuto essere, dopotutto? Un tunnel, oscuro e spaventoso, ma solo un tunnel. Ma appena mi sono affacciato ho sentito l'alito fetido di Derry in quelle cavità oscure. Come una bocca spalancata sull'inferno. E le voci, tutte quelle voci che gridavano... come anime perdute.»

«È questo che credi che siano?» domandò Eddie, «anime perdute?»

«Non lo credo. Penso... di esserne pressoché sicuro dopo quello che mi è successo quando ho tentato di tornare indietro.»

Il volto di Eddie si fece cadaverico, più di quanto già non fosse, a seguito di quella confessione. Richie, dal canto suo, non poteva far altro che sperare che Stan incalzasse con il suo racconto, che gli svelasse che diavolo di impedimento ci fosse al loro naturale ritorno. Perché ebbe come l'impressione che la sua vista riprendesse a vacillare, il mondo attorno a sé a fremere come scosso dalla vibrazione di un tuono lontano.

«Stan, non vorrei interrompere l'enfasi del tuo racconto ma non credo mi sia rimasto molto tempo. Ho bisogno che tu mi dica cosa è successo. Ho bisogno di avere più informazioni possibili, prima che questa... finestra o vattelappesca che si è innescata per parlare con voi, svanisca...»

«Non credo sia possibile tornare indietro» disse allora Stan, saltando qualsiasi altro convenevole, «non per le fogne almeno. Quando ci ho provato ho ripreso a sanguinare» mostrò i polsi, le lunghe cicatrici che lo decoravano macabramente, «quando sono arrivato qui non le avevo. Ho ricordato in seguito le incisioni... che mi ero procurato. E... la vasca piena di...» si interruppe, vinto dall'emozione. L'idea di dover riportare a galla, ad alta voce, il giorno in cui aveva deciso di togliersi la vita troppo doloroso. Gli ci volle qualche istante per riprendersi, ma quando lo fece, la sua voce era di nuovo salda.

«I miei polsi si sono aperti, il sangue ha cominciato a sgorgare copioso. E le voci che ho sentito si sono fatte così intense da divenire assordanti. Ho sentito le forze abbandonarmi. Sono riuscito a tornare indietro prima di restare intrappolato in quel tunnel. Di morirci... di nuovo, lì dentro. Come tutte le anime perdute che gridavano da dentro il tunnel. Tutte le persone che non sono riuscite a uscire da quel tunnel o che ci sono tornate e sono morte nel tentativo... io credo.»

Richie fece scattare immediatamente lo sguardo su Eddie. Aveva gli occhi sgranati, una maschera incredula. Tanto quanto doveva sembrarla la sua. La confessione di Stan che altro poteva voler dire se non che tentare di tornare indietro significava rivivere la propria morte? Se a lui si erano riaperte le ferite ai polsi, Eddie a quale macabro destino sarebbe corso incontro? Avrebbe ripreso a sanguinare? Quella sua ferita si sarebbe riaperta, avrebbe dovuto vomitare sangue come quando Pennywise gli aveva infilato un artiglio nello stomaco, disfacendogli le viscere?

Si sentì male al pensiero. La sola immagine, il solo ricordo, gli procurò un conato di vomito.

E di più, si sentì frustrato al pensiero di non poter afferrare entrambi e trascinarli lì, nella Derry in cui erano cresciuti, nella Derry in cui avevano sconfitto quel mostro di IT; una Derry odiosa, violenta, nauseabonda, ma la stessa Derry che li aveva fatti conoscere.

«Che è successo una volta che sei riuscito a tornare indietro?»

«Le ferite hanno ripreso a rimarginarsi. Non immediatamente, ma più rapide del previsto. Nel giro di un paio di giorni non erano rimaste che due cicatrici bianche. Immagino perché non sono rimasto dentro al tunnel poi così a lungo.»

Richie annuì distrattamente.

E se quello in cui erano finiti fosse l'unico universo a cui Eddie e Stan potessero aspirare pur di restare in vita? Se quelle finestra, quello specchio in cui Richie riusciva a sbirciare non fosse che l'unico modo per poterli rivedere... per sempre?

Dopotutto Danny aveva scelto le parole in modo molto specifico, solo qualche manciata di minuti prima: una morte in questo universo, per una vita... nell'altro.

Il fischio nelle orecchie divenne intenso.

«Richie...» la voce di Eddie lo riscosse dal tornado emotivo di quella pseudo rivelazione «stai scomparendo».

Richie si guardò attorno, osservando i contorni del loro universo farsi meno nitidi.

Di nuovo sentì il mondo fremere come scosso dal tremore di un tuono, la stanchezza che gli si caricava addosso come un manto: il tempo stava per terminare.

«Non sono sicuro di avere ancora tutte le informazioni necessarie...» disse, e improvvisamente sentì il bisogno di rassicurare Eddie. E forse, anche un po' se stesso, «ma riusciremo a capire che sta succedendo e come riportarvi qui».

Guardò Eddie annuire, e Stan, vicino a lui, osservarlo serio e imperturbabile. Se conosceva abbastanza Stan, così come credeva di averlo fatto per la sua intera infanzia, sapeva che gli stava dando la sua placida fiducia. Sentì addosso tutta la responsabilità di quegli assurdi avvenimenti, ma nello stesso istante, guardando i suoi amici divenire inconsistenti, ma pulsanti di vita in un altro luogo, capì che doveva tentare, con tutte le proprie forze.

Allungò una mano, come se potesse toccarli. Quando Eddie fece lo stesso vide le sue dita sfiorare le proprie e passargli attraverso. Lo stomaco gli fece un verso strano.

E poco prima di vederli svanire, fissando a fondo negli occhi di Eddie, seppe che avrebbe fatto di tutto, per potergli stringere ancora la mano.

 

*

 

Eddie sentì il bisogno di mettersi a sedere. Per essere un fantasma – ancora non era poi così convinto di non esserlo – sentiva il proprio corpo reagire alle emozioni in modo fin troppo reale.

«Ti senti bene?» gli domandò Stan, raggiungendolo sui gradini della casa diroccata, sedendogli accanto, dopo aver spazzato via qualche foglia rinsecchita.

«Non direi, no», gli rispose, prendendosi la testa fra le mani, inspirando a fondo. Si sentiva improvvisamente catapultato indietro nel tempo. La difficoltà nel respirare che aveva sempre creduto un attacco d'asma che non era altro che l'avvento di un insensato attacco di panico. Se c'era un momento in cui farsi prendere dal panico, nessuno lo avrebbe biasimato se avesse scelto proprio quello.

«Se avessi seguito l'istinto e fossi tornato ai Barren... per tornare in quel tunnel, avrei fatto proprio una fine di merda, non è così?». Eddie sapeva che non era solo quella la preoccupazione che lo dilaniava. L'aver rivisto Richie, averlo sfiorato di nuovo, averci parlato, molto più a lungo di quanto non avesse fatto l'ultima volta, gli aveva scatenato dentro una tempesta emotiva che ci avrebbe messo molto a smaltire. Per non parlare dell'aver ritrovato Stan.

L'uomo al suo fianco si strinse nelle spalle.

«Non saprei» gli confessò con un sorriso triste, «non sono stato messo al corrente di come tu sia finito qui. Di come tu sia morto. Perché suppongo sia stata quella la tua fine, giusto?»

Eddie rialzò lo sguardo. Un po' inebetito, un po' sorpreso.

Come aveva fatto a non pensarci prima? A meno che Stan non avesse sviluppato delle capacità telepatiche non c'era modo per cui sapesse cosa era successo a Derry dopo la sua morte.

«Cazzo. Cazzo, cazzo!»

Stan scosse la testa reprimendo un sorriso.

«Già, direi che cazzo racchiude in sé tutto ciò che c'è da dire su questa faccenda.»

«No, proprio per un... cazzo! Dio, non ti ho nemmeno chiesto come tu abbia fatto a riconoscermi o capire che fossi qui o...»

«Non sei cambiato poi così tanto, Eddie. Certo, non ero sicuro fossi proprio tu. Ma...»

«Da quanto mi tenevi d'occhio?»

«Dal giorno in cui sei finito al parco di Bassey.»

«Perché non ti sei fatto avanti subito? Ero così... così spiazzato! L'unico che sembrava vedermi era quel vecchio che...»

«Il signor Taylor. Sì.»

«Lo... lo conosci?»

«È stata l'unica persona a rivolgermi la parola dacché siamo finiti qui. Credo che possieda un potere speciale. Per vedere la gente come te e me. Quelli venuti dall'altra parte

A Eddie non sembrò un discorso così campato per aria.

«Sì... mi ha fatto un discorso strano, non sono riuscito a capirlo. Non del tutto.»

«Credo che la gente pensi che sia un po' suonato. Dice di averne visti tanti andare e venire. Da anni. Credo siano le ondate di ragazzini che cadevano nelle grinfie di Pennywise.»
«Ha parlato di una tempesta...»

«Sì, credo che sia la tempesta che ha quasi rischiato di trascinarsi via Derry, poco prima che tu ed io arrivassimo qui. Dice di non aver mai visto tanta gente essere vomitata fuori dal tunnel. Come se qualcosa avesse scosso Derry dalle fondamenta» guardò Eddie, «Pennywise è morto, non è vero?»

Eddie sgranò gli occhi e si ritrovò ad annuire. Stan non sapeva con certezza nemmeno quello, come avrebbe mai potuto? Se ne era andato prima. Realizzò la cosa solo in quel momento. Dopotutto nemmeno lui era riuscito ad assistere alla fine del clown. Ma Richie glielo aveva confermato e di Richie si fidava, più di chiunque altro al mondo.

«Allora è possibile che questa tempesta e questa ondata di anime sia stata scatenata dalla sua morte. O qualcosa... qualcosa del genere», concluse l'uomo. Ma Eddie non lo stava più davvero ascoltando.

«Perché lo hai fatto, Stan? Perché ci hai abbandonati? Avevamo bisogno di te. Avevamo... promesso.»

Lo sguardo di Stan sembrò vacillare per un istante. La sua calma, la sua sicurezza, offuscata da un'ombra terribile. Come non si aspettasse una simile domanda, a bruciapelo.

Eddie riuscì a leggergli addosso il terrore. La disperazione. Come quel giorno in cui, ancora ragazzini, si erano addentrati nelle fognature per andare a cacciare IT per la prima volta.

Allungò una mano e, dopo un istante di esitazione afferrò quella di Stan. La sola possibilità di poterlo fare gli sembrò incredibile. Sentirlo solido e caldo al contatto gli scaldò il cuore. Il primo vero contatto umano dacché aveva ripreso coscienza di sé.

«Ci sei mancato, Stan», si ritrovò a dire, per giustificare la sua mancanza di tatto o solo la sua velata accusa che tale poi non voleva davvero essere. Probabilmente avrebbe lui stesso valutato la possibilità atroce, all'alternativa di tornare a Derry. Sapere che sarebbe finita comunque a quel modo...

«Anche voi mi siete mancati. Non sapete nemmeno quanto» mormorò questi, un sorriso sghembo a illuminargli il viso.

Mike aveva detto loro che Stan era stato il primo a ricordare. Il primo ad essere investito da un'ondata irrefrenabile di ricordi. Forse ne era stato sopraffatto. Forse era quello ad avergli impedito di portare a termine una promessa durata quasi trent'anni. Stan era sempre stato quello più sensibile fra loro, quello più razionale, meno propenso a credere. Ma anche proprio per questo motivo il più soggetto a farsi crollare addosso un mondo intero per aver realizzato quanto potesse essere reale il pericolo.

«Come facevi a sapere che Richie si sarebbe trovato a Neibolt?» gli venne in mente tutto d'un tratto, guardandolo con aria interrogativa.

Stan scrollò le spalle.

«Non lo sapevo. Non sapevo nemmeno fosse Richie a richiamarmi in quel luogo. A volte ho come l'impressione che la città comunichi con me. La città o qualsiasi altra cosa sia. Quando sei arrivato qualcosa mi ha spinto a venirti a cercare al parco. Ed è lì che ti ho trovato. Ma volevo essere assolutamente certo che fossi tu. Magari restare qui per troppo tempo ti fa diventare parte di questo posto. Essere e non essere vivi... forse ha qualcosa a che fare con questa condizione.»

«Mi sta salendo il mal di testa.»

Stan rilasciò la prima vera risata da quando l'aveva rivisto.

«Benvenuto nel mio mondo.»

«No, dico sul serio... è pazzesco. Riusciremo mai a capire come funziona questo posto?»

«Lo spero davvero. Credo che Richie avrà bisogno di una mano. Anche se ancora non mi è chiaro come sia possibile che riesca a comunicare con noi.»

«Credo sia merito delle luci. Dei pozzi neri. Ricordi di come Beverly ci è rimasta intrappolata quando eravamo ragazzini?»

«Beverly, certo che me lo ricordo. Ricordo anche che ci aveva detto di aver intravisto il futuro...»

«Già. Ci sono cose che però non ci ha davvero detto», Eddie non dovette fare uno sforzo per capire che Stan aveva intuito che Beverly sapeva già delle sua morte e che non l'avesse presa sul serio come avrebbe dovuto, «bè, anche Richie ha subito la stessa sorte, quando siamo tornati a prendere quel cazzo di Clown.»

«Catturato dalle luci?»

«Già... poco prima che io...» fece una smorfia, ricordando esattamente quell'istante. Il dolore, lo sconcerto. L'inesorabile accettazione della sua stessa fine. Lo avrebbe rifatto. Oh sì, lo avrebbe rifatto eccome pur di sottrarre Richie all'influenza di quella mostruosità. «Credo che Richie sia rimasto intrappolato il tempo sufficiente per vederci anche lui qualcosa in quelle luci. O per sviluppare non so che abilità speciale. Pennywise gli ha lasciato un regalo. Forse l'unica cosa utile che quel mostro abbia fatto per noi.»

«L'unica sì. Perché non credo ci sia niente di positivo nell'aver incontrato quel mostro.»

Eddie gli rivolse uno sguardo consapevole.

«A parte averci permesso di conoscerci.»

L'unione data dalla determinazione di sconfiggerlo. Un'amicizia che era stata loro sottratta perché troppo forte ed efficace. Una maledizione per permettere a IT di dormire sogni tranquilli, prima di tornare a colpire, ventisette anni dopo, ignaro della loro promessa.

«Non avrà mai un ringraziamento da parte mia, in ogni caso. Anche da morto continua a crearci problemi» si indicò come a rendere evidente la loro situazione.

«Su questo non posso darti torto, Stan... ma sono sicuro che se daremo una mano a Richie riusciremo a uscire da questa situazione.»

«Richie», esalò questi, alzando lo sguardo al cielo, «se mi avessero detto che la mia vita sarebbe dipesa da Boccaccia, un giorno, non ci avrei creduto...»

Eddie sbuffò una risata.

«Per questo ho detto che gli daremo una mano. Non può farcela senza di noi, quel perdente» ma lo disse con tutto l'affetto possibile.

 

*

 

«Stai d-dicendo s-sul serio? S-Stan? Il n-nostro Stan?» Bill aveva ripreso a balbettare. Forse la troppa eccitazione o il solo pensiero di dover, per l'ennesima volta, affrontare qualcosa di sovrannaturale, sembrava riportare in vita quel suo vecchio difetto.

Richie non sapeva dire se fosse una cosa positiva o meno, ma di certo era più familiare di qualsiasi altra cosa fosse stato costretto ad assistere in quegli ultimi giorni.

«Non conosco altri Stan. Non ne ho conosciuti altri in questi anni, quindi sì, direi proprio che è il nostro Stan quello che ho visto. Aveva anche lo stesso ciuffetto idiota. Era proprio Stan.»

Beverly si era portata le mani alle labbra, indecisa se piangere o meno, Ben le aveva passato un braccio attorno alle spalle.

Mike, dalla parte opposta del cortile, non sapeva più come gestire le sue stesse braccia.

«Dunque... da quello che ci hai detto il passaggio dai Barren è escluso. Il fatto di poterlo eliminare dalla liste dai luoghi oscuri da esplorare devo dire che mi rincuora», disse avvicinando Richie per avere una conferma.

«Chi ha detto che sia escluso?» ribatté, guardandolo con aria perplessa.

«Bè, hai detto che tornando indietro Stan ha rischiato di morirci... di nuovo. Insomma.»

«Sì certo. Ma questo non esclude il fatto che non sia una possibilità a prescindere.»

«Sono... confuso.»

«Ding, mettiti in fila Mike!» lo apostrofò prima di voltarsi di nuovo verso Danny, «ancora non ci hai detto che ne pensi di questa cosa, Doc.»

Danny si strinse nelle spalle, con la pacatezza che lo contraddistingueva.

«Credo che, se sia stato possibile finire laggiù, possa e debba esserci un modo anche per tornare indietro», confermò e Richie lo indicò come se avesse appena detto una verità imprescindibile, «hanno entrambi parlato di una tartaruga, i tuoi amici. Tu stesso hai parlato di una tartaruga, il giorno in cui hai sentito la voce di Eddie per la prima volta.»

Richie annuì e incontrò lo sguardo di Mike prima e quello di Bill, poi.

La dannata, benedetta tartaruga. La tartaruga che era morta. E risorta? Oppure... oppure.

«Pensate che un essere antico più dell'universo possa aver lasciato degli eredi, prima della sua fine?» domandò Richie, cercando di rielaborare il suggerimento di Danny.

«Eredi?» domandò Ben.

«Eredi sì, piccole uova. Uova che si sono dischiuse e hanno generato tanti piccoli tartarughini celestiali...»

«In grado di creare infiniti universi», concluse Mike colto da un'improvvisa ispirazione.

La storia di Maturin, che vomita un intero universo. Maturin che muore nel tentativo di creare altre galassie. Storie che avevano sentito dalle stesse labbra di Mike, solo poche settimane prima.

«Un dio tanto potente da creare galassie e universi può aver generato figli altrettanto potenti», incalzò Richie, «gli stessi che hanno creato l'universo in cui Eddie e Stan sono finiti.»

Si voltò a osservare Danny per avere una conferma o un barlume di essa.

Danny che si era tenuto in disparte fino a quel momento, annuì.

«Penso che ci sia solo un modo per scoprirlo», gli occhi di tutti erano adesso su di lui, «ed è quello di cercare un contatto con questa fantomatica... tartaruga.»

 

*
 

Richie non aveva altro modo per scaricare lo stress se non finendo quasi un intero pacchetto di sigarette. Aveva bisogno di dormire, anche. Lo sforzo che aveva fatto per mantenere il contatto con Eddie e Stan lo aveva spossato oltre ogni misura. Gli ci sarebbero volute almeno dieci ore di sonno per smaltire quella stanchezza. Forse tutta la vita per riprendersi davvero da tutto quanto.

Danny aveva deciso di fermarsi a Derry più a lungo del previsto e Richie aveva scoperto di non avere nulla in contrario. Il ragazzo – se così si poteva chiamare un rampante quarantenne – cominciava davvero a stargli simpatico. Inoltre sembrava avere sempre le giuste intuizioni o a dare i corretti suggerimenti per la risoluzione di quell'intricata faccenda.

Lo Shining non doveva essere un dono così inutile, dopotutto.

Le scale di fronte alla biblioteca erano diventate il suo luogo di ritiro preferito. L'appartamento di Mike era davvero troppo affollato. Il fatto che fossero arrivati tutti insieme e che nessuno di loro sembrasse volersi separare, questa volta, aveva portato Mike ad allestire un vero e proprio accampamento nell'appartamento ormai praticamente vuoto. Il letto e il divano letto e qualche branda recuperata per l'occasione. Una in più per Danny.

Spense l'ennesima sigaretta contro uno degli scalini, rilasciando uno sbuffo di fumo nell'aria quando la porta alle sue spalle si aprì. Era così convinto fosse Beverly che vedere Danny fu per lui una sorpresa.

«Mike si chiedeva dove fossi finito» disse.

«Puoi dire a Mike che sto solo cercando di non impregnargli di fumo l'appartamento». Non poteva gestire le paranoie di Mike sui suoi vizi, non quella sera.

Danny sorrise e si infilò le mani nelle tasche.

«Non mi ha mandato lui, se è questo che credi. Sono uscito solo per prendere una boccata d'aria. Serate del genere sono rare, a settembre, nel Maine.»

Richie alzò la testa: sporadiche nuvole e un cielo che, nonostante le luci cittadine, rivelava il suo manto trapuntato di stelle.

«Ti senti romantico, Doc?»

«Se godersi una bella serata è da considerarsi romantico, allora sì» lo vide abbassare lo sguardo al pacchetto che stringeva fra le mani, «Fumavo anche io un pacchetto al giorno...»

Richie alzò di nuovo lo sguardo, sorpreso. Accartocciò fra le mani il pacchetto ormai vuoto.

«Mi spiace, non ne ho più da offrirtene, magari può esserti d'aiuto Bev.»

«Oh no. Non fumo. Non più. Ho smesso, come ho smesso di bere.»

Richie inarcò un sopracciglio.

«Spero tu non abbia rinunciato anche al sesso o comincerò a pensare di trovarmi al cospetto di una specie di entità sovrannaturale, amico.»

Danny rise e gli si sedette accanto.

«Eppure...»

«No, ti prego, non dirmelo!»

Lo sentì ridere più forte.

«No, solo i primi mesi agli alcolisti anonimi», disse stringatamente, «era sconsigliato. Ma ormai sono sobrio da diciotto anni, quindi, sai...» non concluse la frase, sicuro che Richie avrebbe compreso dove andasse a parare il discorso.

«Oh, Dio, scusa, non... lo sapevo.»

«Scusa, perché?» gli chiese l'uomo, stringendosi nelle spalle, «non ho nulla di cui vergognarmi... ora.»

Richie abbassò il capo, stringendo la mano sul pacchetto di sigarette. Per anni aveva valutato la possibilità di andare a uno di quegli incontri, sebbene fosse più che convinto di non aver davvero un problema con l'alcool. Ma in quei giorni rinunciare era stato più difficile del previsto e se ora non aveva le labbra a ventosa su una bottiglia era solo per amore di Mike e delle sue preoccupazioni a riguardo. E sopra tutto il pensiero di dover rimanere lucido per Eddie. E per Stan, naturalmente.

«No, no certo... non volevo dire che... insomma...» si umettò le labbra, «lascia perdere, sono molto, molto stanco.»

«Comprensibile», lo giustificò Danny dopo qualche istante di silenzio. Poteva sentire il suo sguardo su di sé. Per un istante ebbe paura che potesse leggergli addosso il suo timore di essere scoperto. Come se fra simili ci si potesse riconoscere a pelle. Come avesse potuto annusargli addosso la paura di non riuscire a mettere un fermo a quella sua irrefrenabile voglia di bere. O peggio se glielo avesse letto nella mente. Con quel suo potere terrificante e speciale al tempo stesso.

«Stavo pensando a Eddie e Stan», se ne uscì fuori all'improvviso, imbastendo insieme la prima cosa che gli venisse in mente per deviare l'attenzione sul discorso.

«Riguardo a cosa?»

«Bè... per esempio... che stanno facendo, in questo momento? Dove sono... in questo momento. E quando sarà la prossima volta che riuscirò a vederli.»

«Questo immagino dipenderà da te. Ma se è come penso, sarà sempre più semplice entrare in contatto con loro.»

Richie alzò lo sguardo su di lui.

«Tu pensi?»

Lo vide annuire.

«Man mano che prenderai confidenza con il tuo potere, sarà più facile manovrarlo, usarlo.»

«Immagino che per te sia un gioco da ragazzi ormai... hai detto di avere lo Shining da quando eri un... ragazzino, no?»

Danny si fece vagamente serio, prima di annuire un'altra volta.

«In realtà ho cercato di reprimerlo per così tanto tempo che ho dovuto togliere un bel po' di ruggine prima di poterlo usare di nuovo.»

Richie lo fissò per qualche istante e percepì in qualche modo, il suo tormento.

«Come hai fatto a... ?»

«Il modo più rapido ed efficace per smettere di sentire le cose è stordirle. Fino a quando ho avuto Halloran a farmi da mentore sono riuscito a gestire lo Shining, ad ascoltare e domare le voci nella mia testa, ma quando è venuto a mancare non ero che un adolescente che sentiva troppo che aveva troppa paura e non riusciva ad accettarlo. E poi un adulto che invece di affrontare i suoi problemi ci ballava su, completamente strafatto. Ho innaffiato con l'alcool tutto ciò che sentivo, per così tanto tempo, che alla fine le voci sono praticamente sparite...» lo guardò, «ma non è servito granché, quando poi le cose si sono fatte serie di nuovo.»

«Serie come?»

«È una storia un po' lunga Tozier, ma fidati se dico che se sono ancora qui è perché ho dato ascolto allo Shining. E ho smesso di stordirlo inutilmente invece di imparare ad allenarlo.»

«Io sto cercando di imparare a... gestirlo.»

Danny sorrise.

«Lo so ed importante che continui a farlo. Tu e Beverly a dire il vero. E anche tutti gli altri, visto come si sono messe le cose.»

Richie annuì.

«Beverly però non ha ancora capito come mettersi in contatto con Eddie o...»

«Ci riuscirà. Siete tutti legati da un filo invisibile. Riesco a capirlo solo guardandovi.»
«E questo basterà?»

«Se è stato sufficiente a uccidere il mostro che vi ha tormentato sin da bambini, sono sicuro che sia la chiave per affrontare anche questo.»

Richie guardò Danny con uno sguardo carico di riconoscenza. Aveva bisogno di sentire parole di conforto, nemmeno sapeva quanto.

Arrivate da qualcuno che nemmeno conosceva così bene, e che non aveva motivo di infondergli false sperante, gli sembravano anche più importanti.

Getto il pacchetto di sigarette accartocciate verso il cestino della spazzatura, facendo centro.

Gli sembrò di buon auspicio.

 

Continua...

 

Note: Un po' di spiegazioni in questo capitolo. Avevo bisogno di schiarirmi le idee prima di buttarlo giù. Spero di riuscire a scrivere in modo più spedito, nei prossimo giorni.

A presto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

 

Richie non ricordava affatto di essersi alzato dal letto. Non ricordava nemmeno come avesse fatto a vestirsi a uscire di casa e attraversare mezza città.

Si trovava di fronte allo spiazzo che aveva ospitato la casa di Neibolt. Il terreno ancora disordinato, le macerie ancora non del tutto rimosse, a imprigionare ciuffi d'erba ribelli che cercavano il sole.

Tutt'intorno un silenzio irreale.

La città dormiva, così come avrebbe dovuto fare lui, invece di starsene laggiù, nel bel mezzo della notte. Una notte inspiegabilmente luminosa.

Cominciò a pensare di essere diventato sonnambulo quando si rese conto di non provare freddo. Nonostante non indossasse che una camicia che... non aveva più indossato dal giorno in cui Eddie era morto. O scomparso, se voleva indorarsi la pillola con una parola meno mostruosa.

Una camicia di cui non si era liberato, ancora impregnata del suo sangue. Non aveva avuto il coraggio di farlo, come se quel sangue fosse l'unica cosa concreta che gli fosse rimasta di Eddie. Patetico, ma straordinariamente consolatorio.

Abbassò lo sguardo senza ritrovare quelle penose macchie di sangue rappreso, color ruggine. La camicia immacolata, come il giorno in cui l'aveva indossata. Come il giorno prima di essersi infilato nella tana del mostro.

Avvertì un singhiozzo scioccato emergergli dalle labbra, il fiato che faticava a uscire. Quella non era la sua camicia, non poteva esserlo o qualcuno aveva appena commesso l'ultimo errore della sua vita, lavandogliela. Ma il sangue, lo aveva imparato a sue spese, non è una di quelle cose che si eliminano facilmente e la sua camicia, lo ricordava bene, era infagottata in una tasca del suo borsone da viaggio. Quello stesso borsone che se ne restava, inviolato, in un angolo dell'appartamento di Mike.

Rialzò la testa, guardandosi attorno alla ricerca di altri indizi, qualcosa che gli dicesse cosa ci fosse di sbagliato in quella situazione.

E ben presto si rese conto che la notte era luminosa sì, ma non grazie alla luce dei lampioni che irradiavano un bagliore irreale come tutte le cose che gli gravitavano attorno. E le case, persino, sembravano pervase da una luminescenza fittizia, spettrale.

«Che diavolo significa?» sussurrò, rendendosi conto che persino la sua voce risuonava ovattata, affettata, in quell'atmosfera statica. In equilibrio.

Come in equilibrio su due... mondi, realizzò, mentre nella sua mentre si faceva strada un'idea malsana, ma piuttosto plausibile dati gli avvenimenti del tutto straordinari delle ultime ore, degli ultimi giorni.

«Eddie», disse solo una volta, lasciando che la sua voce accarezzasse i dintorni, rimbalzasse sulle case, per le strade.

«Richie», alle sue spalle. Socchiuse gli occhi, in parte confortato dal fatto di aver avuto ragione, in parte frustrato all'idea che probabilmente quello non era che un sogno.

«Non posso nemmeno riposare in santa pace...» esordì, voltandosi, ritrovandolo a pochi passi. Concreto, visibile come il giorno prima, quando lo aveva incontrato assieme a Stan.

Ma se in quell'occasione sapeva di parlare con lui, attraverso un inspiegabile velo fra due mondi, come doveva prendere una cosa simile?

«Stiamo... sognando?» la risposta alle sue domande arrivò rapida e concisa, proprio dalle labbra di Eddie.

«Elementare Watson.»

«Stiamo sognando... entrambi?»

«Immagino di sì, per quanto poco... elementare sia.»

«Ero dall'altra parte della città. Stan mi ha portato nel posto in cui si è sistemato: una casa sfitta vicino alla biblioteca... ed ora sono qui e...» sembrò rendersi conto solo in quel momento della mancanza della villa di Neibolt.

«S-siamo nel mio sogno o nel tuo?»

Richie si strinse nelle spalle: «Magari in quello di entrambi. A quanto pare non riesco a liberarmi di te, nemmeno quando dormo.»

«Potrei dire lo stesso», ma Eddie stava sorridendo ora.

Era strano parlare con lui, ancora più strano farlo sapendo che era un sogno e che riusciva a pilotarlo più di quando riuscisse a fare con i suoi poteri psichici.

«Se funziona come i sogni è molto probabile che domani mattina non ricorderemo un accidenti di niente. Non li ricordo mai i miei di sogni», disse Richie. Mentre con gli incubi, con quelli era molto diverso. Aveva avuto incubi costanti da quando era tornato a Derry. E li ricordava tutti. Tutti quanti.

«Peccato», commentò Eddie, concordando sulla precarietà della propria memoria, «perché stavo per chiederti se avessi parlato agli altri, di quello che è successo lo scorso pomeriggio.»

«Posso raccontartelo ugualmente e sperare per il meglio?»

Eddie si strinse nelle spalle e gli venne incontro, accorciando le distanze. Incredibile come gli sembrasse molto più concreto in sogno di quanto non fosse mai successo durante le precedenti volte che era riuscito a mettersi in contatto con lui. Si chiese se, allungando la mano, avrebbe avuto almeno l'illusione di toccarlo. Il ricordo di come era toccarlo.

Richie gli raccontò tutto quello che si erano detti a casa di Mike. Della tartaruga, della sua presunta progenie. Della possibilità di contattarla di nuovo e Eddie sembrò ragionarci su in modo molto serio.

«Ricordate quella volta che tu e Mike siete finiti in una tenda per la prova del fumo? Quell'antico rituale indiano a cui ci siamo sottoposti. Quella volta che avete avuto la visione di Pennyise che arrivava sulla Terra, milioni di anni fa?»

Richie dovette sforzarsi molto per ricordare, ma improvvisamente qualcosa si sbloccò nella sua memoria. Alcuni ricordi ancora intrappolati fra le pieghe del tempo. Ricordi che It si era preoccupato di nascondere per ventisette anni.

«Piccolo genio che non sei altro!» si illuminò tutto «Come ho fatto a non pensarci prima?»

Eddie gli sorrise.

«Non che sia così sicuro di volerci riprovare, Spaghetti, stavo per soffocare là dentro.»
«Solo tu? Io credevo di morirci, per quello sono uscito...»

«Tu e la tua asma fasulla.»

«Io e i miei attacchi di panico. Questo erano. Solo stupidi, ingiustificati attacchi di panico.»

Richie lo guardò con consapevolezza. Lo aveva sempre sospettato. Forse saputo e dimenticato. E la sua convinzione si era concretizzata il giorno in cui Eddie era morto. Il giorno in cui aveva rinunciato a quel suo respiratore del cazzo.

«Ingiustificati non direi, Eddie...»

Lo vide scuotere la testa, arreso a una evidente realtà.

«Ne ho avuti di continuo, spesso, senza la scusa di Pennywise. Ne ho avuti tanti durante il liceo, il giorno in cui mi sono laureato, quello in cui mi sono sposato, ne ho avuti pochi, costanti, dal giorno in cui è morta mia madre. Ne ho avuto uno prima di venire qui, a Derry.»

«E poi hai affrontato un clown divoratore di bambini senza averne.»

«E sono morto.»

«Eddie...»

«È stato quel che è stato», lo prevenne, «non sto cercando scuse. Solo che ho creduto di essere malato per una vita intera e il giorno in cui ho capito di non esserlo per davvero... è finita.»

A Richie si strinse lo stomaco a quell'affermazione. Poteva dargli torto? No. E nemmeno riusciva a pensare a un modo per consolarlo. Perché era lui stesso inconsolabile. Ancora riluttante a pensare che fosse successo davvero.

«Non è finito un bel niente, Eddie», gli disse, «ci stiamo lavorando, no? Abbiamo occupato casa a Mike, ingaggiato un veggente con i superpoteri, ritrovato Stan, Dio santo, Stan... cercheremo di affumicarci alla ricerca di una tartaruga cosmica... col cazzo che è finita.»

Eddie rialzò su di lui uno sguardo colpevole.

«Lo so. Scusa è che a volte è davvero... davvero difficile credere che questa cosa stia succedendo sul serio», lo sentì respirare e fu certo di avvertire lo spostamento d'aria di quella semplice, all'apparenza insignificante, azione.

«Fallo di nuovo», gli disse, improvvisamente allarmato.

Eddie gli lanciò uno sguardo perplesso.

«Cosa?»
«Sbuffare. Sbuffa di nuovo.»

«Richie... sei impazzito?»

Avrebbe potuto allungare una mano e constatare di persona, ma la paura di sfiorare di nuovo aria era troppo grande per fare un tentativo senza prove.

«Soffiami sulla mano.»
«No? Ma che cazzo? Cos'è, una perversione di cui non ero a conoscenza?»
«Oh, amico mio, il tuo cervello non riuscirebbe a reggerle le mie perversioni. Fallo, forza. Ho bisogno di una prova.»

«No che non lo faccio.»
«Oh, bene, d'accordo. Allora lo faccio io», e così dicendo si avvicinò al suo viso e soffiò quel tanto che bastò a scompigliare appena il ciuffo di capelli che ricadevano a Eddie sulla fronte.

Se ne rimase qualche istante così a fissare lo spostamento, sebbene leggerissimo, come una visione spirituale.

«C-che d-diavolo... ?» sentì sussurrare Eddie, mentre si portava una mano alla fronte, realizzando solo in quel momento la portata di un tale gesto, «mi hai appena... alitato in faccia?»

Ma Richie non fece in tempo a realizzare che quella non era che un'uscita infelice perché l'attimo successivo si ritrovò le sue braccia al collo. E per la prima volta dopo giorni ad averlo solo sperato, riuscì a percepire il calore del suo abbraccio.

Si rese conto di non averlo fatto per anni. Che dal giorno in cui si erano rivisti quasi nemmeno si erano sfiorati. Se non nell'ultimo istante della vita di Eddie.

Gli restituì la stretta, incredulo di poterlo fare davvero. Di sentire il suo corpo solido e pulsante di vita, aderire al proprio. Eddie che era cresciuto ma era rimasto minuto, così piccolo nelle sue braccia.

Come era possibile fare una cosa del genere se si trattava solo di un sogno? Era forse l'idea di poterlo abbracciare, il desiderio o il ricordo di come era stato farlo, a concretizzarne la memoria?

Domande di cui non gli importava davvero una risposta, ora che poteva finalmente sentirlo.

Eddie non da meno sembrava volerlo stritolare tanto si aggrappava a lui come se ne dipendesse della sua vita. E forse in fondo era davvero così.

«Sei sicuro sia solo un sogno, Richie?» la voce di Eddie soffocata dalla stoffa di quella sua camicia.

«Ho paura di sì», rispose a mezza voce, per timore che le sue corde vocali tradissero la sua emozione.

«Sei sicuro che non ricorderemo niente una volta svegli?»

«Non lo so.»

«Perché questo non lo voglio dimenticare».

Richie si rese conto che il suo cuore aveva preso a battere più rapido, che il suo viso si era fatto incandescente.

«Nemmeno io», non gli rimase che confessare.

Avrebbe voluto dirgli tante cose, dichiarargliene altrettante, ma gli sembrava inutile e superfluo accelerare gli eventi. La tenace speranza che avrebbe potuto farlo di persona, una volta giunti al termine di quell'impresa. A lungo, in modo che contasse più di qualche frettolosa frase, pronunciata un sogno.

«Sento la voce di Mike», esalò strozzato, avvertendo uno strappo alla base dello stomaco. La sensazione che il sogno si stesse frantumando e che non potesse fare nulla per trattenerlo.

Sentì la presa di Eddie farsi ancora più tenace, cercando di trattenere brandelli di lui, il più a lungo possibile.

«Ci rivediamo presto», lo sentì pronunciare, mentre il paesaggio tutt'intorno a sé si sgretolava in pulviscolo onirico.

Ad un tratto Eddie non era più nelle sue braccia, improvvisamente le luci sembrarono svanire per lasciar spazio all'oscurità più profonda.

Chiuse gli occhi e quando lì riaprì venne accecato da quello che non poteva essere altro che un raggio di sole piuttosto molesto.

«Richie! Rich...» una mano sulla spalla a scuoterlo in modo piuttosto concreto.

«S-sì. Sono Richie. Che c'è? Cosa?»

«Parlavi nel sonno, stavi stritolando quel cuscino come volessi ucciderlo», Richie lo guardò in viso cogliendo del sollievo, «un altro incubo?»

Richie si mise a sedere sulla branda che stava occupando, Ben e Beverly ancora addormentati, Danny disperso chissà dove, solo Bill, sveglio al tavolo della cucina con una tazza di caffè caldo fra le mani.

«Non lo so. Non credo, non me lo...» sgranò gli occhi, mentre strascichi del sogno si stavano allontanando irreversibilmente, «la prova del fumo!»

Mike quasi si ritrasse all'esclamazione, osservando alternativamente lui e Bill.

«Mike, dobbiamo rifare la prova del fumo. Ha funzionato con Pennywise quando eravamo bambini. Può funzionare ora per trovare la tartaruga.»

«La prova del... ?» lo guardò Mike perplesso per qualche istante, prima che il ricordo, cominciasse a materializzarglisi nella testa, «la prova del fumo! Ma certo!»

«Ma di che diavolo state parlando?» domandò Bill, allargando le braccia.

«Richie ha appena trovato un modo per contattare quella tartaruga del cazzo!»

«Ehi, modera i termini è pur sempre un Dio», lo rimproverò Bill, scioccato «Se lo fai incazzare potremmo ritrovarci catapultati in un universo dove piovono ciambelle».

«Mica male come universo, dove devo firmare?» intervenne Richie, sollevato come nemmeno gli avessero comunicato la formula per la vita eterna.

«Come ti è venuto in mente, Richie? Un'ispirazione onirica?»

Richie si strinse nelle spalle.

«Suppongo? È l'unica cosa che ricordo...» disse. E sebbene la sensazione di un abbraccio fosse ancora viva e presente sulla sua pelle, era ben lontano dal sapere che il suggerimento sul rituale indiano non era certo la cosa più importante di quello stupido sogno.

 

*

 

Eddie si era svegliato al suono dei passi di Stan per la casa. Nella testa, solo gli strascichi di un sogno particolarmente piacevole. Era certo avesse a che fare con Richie, ma non volle indagarne la natura. Deludente anche solo pensare che ultimamente riuscisse a ricordare solo gli incubi.

Si guardò attorno, cercando di abituarsi all'idea di aver dormito in un letto vero e non sulla panchina di un parco o il divanetto di una biblioteca, con l'eterna paura di diventare improvvisamente visibile agli abitanti di quella Derry.

La casa che avevano occupato era arredata in modo provvisorio. I vecchi proprietari avevano lasciato il minimo indispensabile per i nuovi acquirenti, nel caso volessero tenere i mobili e integrarli o liberarsene senza sforzi. C'era da essere grati per il letto e l'arredo spartano della cucina.

Il profumo di caffè accarezzava l'aria e decise di rimettersi in piedi, riscoprendosi di nuovo affamato.

«Ehi...» mormorò con voce ancora impastata dal sonno, dopo aver raggiunto Stan in cucina. Ritrovandolo indaffarato ai fornelli.

«Buongiorno Eddie», gli rispose con un mezzo sorriso. Incredibile come ancora fosse sorpreso di aver finalmente qualcuno con cui parlare. E non di meno qualcuno che aveva creduto morto (che era... morto) non meno di un mese prima.

«Mi domando che scena surreale sarebbe se qualcuno entrasse qui dentro all'improvviso», domandò Eddie, passandosi una mano fra i capelli scompigliati, annusando l'aria che sapeva di toast e uova fritte, «vedrebbero le cose muoversi da sole? Tipo spostate da un... fantasma?» non volle aggiungere che tecnicamente loro potevano esserlo, dei fantasmi.

Stan scrollò le spalle: «Un buon pretesto per tenere alla larga gli avventori. E poter usufruire della casa il più a lungo possibile.»

«Prima dell'arrivo di un esorcista», aggiunse Eddie, divertito.

«Gli esorcisti sono per il demonio. Per i fantasmi ci vuole un medium.»

«E chi chiamerai?».

«Ghostbusters!» canticchiò Stan riempiendo di uova due piatti, prima di porgerne uno a Eddie che stava ridacchiando.

«Grazie. Non dovevi.»

«Ah, non è niente...» disse, andando a sistemarsi al tavolo. Eddie lo seguì «a casa preparo sempre io la colazione. È un'abitudine.»

Eddie lo sbirciò appena, cercando di capire se si fosse reso conto di quello che aveva detto. A casa. Pensare a casa aveva un che di assolutamente pazzesco e forse anche irrilevante a conti fatti. A titolo personale non riusciva a mantenere viva e godibile la realtà in cui aveva vissuto prima di quel trapasso. A quanto pareva per Stan non era così. Forse perché non aveva affrontato Pennywise una seconda volta. Forse perché non aveva dovuto contrastare l'orrore per la seconda volta. La sua vita, il suo corpo, ancora aggrappati alla sua vecchia vita. Eddie alla vecchia vita non ci teneva. Non teneva alla sua casa, ottenuta con immensi sacrifici, non al suo lavoro che non riusciva a gratificarlo, non alla moglie. Myra. Da quanto tempo non pensava a Myra? Un dettaglio che di lui e delle sue priorità poteva dire molto.

«Da quanto sei sposato?» gli chiese, trascinato dal pensiero coniugale. Nelle orecchie ancora i singhiozzi rotti della moglie di Stan, che comunicava loro il suo suicidio, la sera che aveva mancato visita al ristorante.

«Dieci anni, più o meno», gli rispose, passandogli del caffè nero e un tovagliolo, «fidanzati da cinque».

«Quindici anni insieme.»

«Sedici, se conti l'anno in cui ci siamo conosciuti.»

Eddie notò l'espressione quieta e affettuosa sul volto di Stan. Doveva amare molto la moglie. Per quello gli parve ancora più tragico l'averla abbandonata, mettendo fine alla sua vita con un gesto tanto eclatante. Stan sembrò leggergli nel pensiero, quando riprese a parlare.

«Non ero esattamente in me, quel giorno», disse, senza guardarlo in viso. Continuava a imburrare il suo pane tostato, come se lo stesse informando del tempo. Un modo come un altro per deviare l'attenzione dalla sua agitazione, «è come se qualcosa di oscuro si fosse scatenato nel mio cervello. Qualcosa che mi ha spinto a credere che non ci fosse alcuna soluzione. Alcuna via d'uscita.»

Lo guardò posare il pane e posare i gomiti sul tavolo, lo sguardo sempre perso nel vuoto.

«Non ho pensato alle conseguenze. Non al fatto che potesse essere proprio una punizione di Pennywise per aver ricordato. Il suo tentativo di rendervi vulnerabili spezzando il nostro legame, facendo fuori uno di noi. Ci ho ragionato tanto, troppo forse, e questa è l'unica risposta che mi sono dato», finalmente alzò gli occhi, «avevo promesso. Non vi avrei abbandonati. Non avrei mai lasciato Patty. Per quanta paura potessi avere, non lo avrei mai fatto... non in quel modo...»

Eddie annuì, senza sapere esattamente che altro dire.

«Non vedo l'ora di riabbracciarla, sai? Anche se probabilmente sarà traumatico per lei sapere che sono ancora vivo.»

La sua sicurezza nella risoluzione della vicenda, come non fosse altro che uno scomodo, temporaneo inconveniente, destabilizzò un po' Eddie. Lui che di certezze non riusciva a ricavarne nessuna.

«Penso che sia un trauma che sarà disposta ad affrontare...» a nessuno viene data una seconda possibilità del genere. A quanto pare lui e Stan erano l'eccezione che confermava la regola.

Una nuova possibilità. La prospettiva lo atterriva ed elettrizzava al tempo stesso.

Avrebbe potuto redimere ventisette anni di una vita che non gli era mai appartenuta veramente?

«E tu che mi dici? Sei sposato, Eddie? Mi sono appena reso conto di non sapere un accidenti di niente di voi... a parte Bill che fa lo scrittore e... che Richie sembra rimasto lo stesso.»

Eddie sorrise appena, lieto di quel cambio d'argomento, un po' meno di portare Myra sul piatto.

«Sì, sì sono sposato... o ero. Francamente non lo so più.»

«Che significa?»

Eddie fece schioccare la lingua, indeciso se tergiversare ancora o essere sincero. Che aveva da perdere, dopotutto? Stan era stato uno dei suoi migliori amici. E avevano condiviso e stavano condividendo più di qualsiasi cosa avrebbe mai condiviso con Myra.

«Che dopo tutto quello che è successo, dopo essere tornato a Derry e aver ricordato tutto quanto... non sono più così sicuro di voler tornare alla vita di prima. Sconfiggere Pennywise, recuperare un'identità che mi è stata negata per ventisette anni, Stan, io non credo di voler tornare indietro.»

L'uomo gli rivolse un'occhiata seria, ma straordinariamente comprensiva.

«Ho passato tutta la mia vita da adulto a evitare i traumi, proprio come facevo da bambino. Solo che con voi ero riuscito a superarle certe paure, ero riuscito a cambiare. Prendendosi i nostri ricordi IT si è portato via anche tutti i progressi che avevo fatto, grazie a voi o grazie a me stesso, insomma... ho vissuto una vita intera nella paura. E sono così stanco di avere paura.»

Stan lo osservava impassibile, come aspettasse una conclusione.

«Myra, mia moglie, è solo una delle conseguenze delle mie paure di una vita. Qualcosa che non credo di volere se ce ne andremo da qui.»

«Quando...» lo corresse Stan, «quando ce ne andremo da qui.»

Eddie serrò le labbra ma poi, si ritrovò ad annuire: «Quando», confermò.

«Mi sembra il minimo che possiamo fare, visto che ci è stata data una seconda possibilità, Eddie. Vivere le nostre vite liberi dagli incubi. Noi e tutti gli altri... qual è la prima cosa che intendi fare una volta di nuovo a Derry. La nostra Derry?»

Abbracciare Richie, pensò come un riflesso incondizionato, senza doverci ragionare troppo a lungo.

«Distruggere le fogne di Derry?» disse invece ed entrambi scoppiarono a ridere.

«Ora ti prego, raccontami degli altri...» gli chiese Stan.

Eddie lo fece.

 

*

 

Si erano spinti di nuovo in quello che era il rifugio sotterraneo di Ben, Richie e gli altri.

Danny era rimasto piuttosto impressionato dal prodigio architettonico ideato da un ragazzino di soli tredici anni. Le fondamenta sembravano essere più solide di tante catapecchie in cui era vissuto nella maggior parte della sua vita adulta e ci aveva tenuto a metterne al corrente i Perdenti, facendoli ridere, allentando la tensione.

Nessuno di loro sembrava particolarmente felice di rivivere l'esperienza soffocante del rituale indiano, tutti improvvisamente memori di quello che era successo ben ventisette anni prima.

«La sola differenza ora è che esistono gli smarphone», commentò Bill, «in caso di necessità, intendo.»

«All'ospedale di Derry cominceranno a pensare che li abbiamo presi per una struttura di villeggiatura», lo riprese Richie, contando che da quando erano riemersi dalle fogne di Derry erano finiti in massa al pronto soccorso per medicazioni di varia natura.

«Non finirà così, ragazzi, andiamo», intervenne Beverly, «ce la siamo cavata la prima volta.»

«Con polmoni messi meglio di come stanno messi a quarant'anni suonati.» le rispose di nuovo Richie.

«Avresti potuto tenere di più alla tua salute e smettere di fumare per tempo», lo rimbeccò lei di nuovo.

«Ehi, credevo che di Eddie ne bastasse uno! E poi senti chi parla!»

«Volete smetterla voi due?» si frappose bonariamente Ben, «la prima regola resta che chiunque non riesca a respirare, non giochi all'eroe ed esca prima di dover chiedere aiuto a chicchessia.»

Richie annuì indicandolo e facendo una smorfia a Beverly che ancora non aveva smesso di guardarlo in cagnesco.

«Mentre il primo a cui parte il trip, si diverte anche per tutti gli altri». Disse Richie sorridendo a Danny che di quel rituale ci aveva capito poco e niente. Non aveva esitato un istante ad acconsentire di partecipare, però.

«D'accordo, vediamo di darci una mossa...» esalò Mike che si era procurato tutto il necessario per fare un bel po' di fumo in quel buco che una volta era stato il loro santo ritrovo di fanciulli.

Si misero tutti in cerchio attorno a un mucchio di sassi di un falò improvvisato. Avevano estratto chi doveva restare fuori in caso di pericolo e il fato, o chissà che altro, aveva deciso che i predestinati a quell'esperienza fossero Richie, Danny, Beverly e di nuovo Mike. Bill e Ben all'esterno a monitorare la situazione. Smartphone alla mano.

«D'accordo», disse Richie mentre le braci del fuoco spento cominciavano a rilasciare il fumo in larghe, minacciose spirali. Richie avvertì distintamente il sangue scorrergli nelle vene, presente e pulsante come poche altre volte, «it's showtime!»

Il fumo cominciò a riempirgli le narici finché non divenne così ingombrante nei suoi polmoni da costringerlo a tossire alle lacrime.

Sentì la mano di Beverly stringersi alla sua, quella di Danny nella parte opposta. Colpi di tosse sparsi si facevano largo nel silenzio della tana, finché anche quelli non divennero che suoni ovattati, lontani.

Avvertì un tonfo da qualche parte, un movimento che riuscì solo ad associare a una fuga. Passi in corsa, mentre uno spiraglio di luce riempiva la tana rimasta oscura per qualche istante.

Mike se n'è andato, fu il suo unico pensiero razionale, prima di sentire i sensi scomporsi, uno dopo l'altro. La testa in procinto di esplodere per il troppo fumo, i vapori mefitici di quel composto messo a punto per il rituale che si faceva man mano più leggera.

Il momento successivo gli sembrò di non avere più nemmeno bisogno, di respirare.

Le mani intrecciate a quelle di Beverly e Danny.

Quando finalmente riaprì gli occhi si ritrovò in un posto oscuro ma inondato della luce di milioni di stelle, di galassie.

«Dove siamo... finiti?» esalò Beverly, gli occhi enormi, spaventati, il volto livido come se ancora stesse trattenendo il respiro. Richie le strinse più forte la mano.

«Non lasciarmi», la incoraggiò a modo suo, scioccato dalla vastità annichilente in cui erano immersi. Danny, al suo fianco, osservava tutto con placida calma, come fosse abituato ad affrontare, da sempre, luoghi sconosciuti, fuori e dentro la sua mente.

«Cosa dobbiamo fare?» sussurrò Beverly, fluttuando al loro fianco ancora sorpresa ma meno atterrita.

«Aspettiamo...» le rispose Richie, sentendo che qualcosa di grosso stava per avvenire.

Ci fu un tremore lontano. Un suono che si propagava in cerchi concentrici. Richie lo avvertì nella testa, a vibrargli nelle ossa. Deciso a catalizzare su di sè tutta la loro attenzione.

Si aprì uno squarcio nel cielo. I tre alzarono la testa, lasciandosi inondare dal pulviscolo di quella luce azzurra e straordinariamente calda, benevola.

Richie sentì il corpo di Beverly al suo fianco, che si stringeva a lui. Danny ancora teneva la sua mano.

Si sentì fremere di un'emozione scomposta e incomprensibile quando dallo squarcio comparve l'enorme testa di una tartaruga. Tutt'intorno a lei uno sciame di altre piccole tartarughe che venivano verso di loro, nuotando nell'aria, in semi cerchio.

Man mano che si avvicinavano, le tartarughe aprivano altri piccoli squarci nel manto celeste da cui erano circondati. Alcune sparivano attraverso piccoli portali dorati, altre scomparivano, semplicemente disintegrandosi.

«Che cos'è questo?» sussurrò Beverly, affascinata. Richie non aveva una risposta per lei, ammutolito dallo spettacolo di luci che si riflettevano nelle lenti dei suoi occhiali. Ma ce l'aveva Danny.

«La nascita di centinaia di universi», disse solo e Richie seppe che aveva ragione.

I grandi occhi della tartaruga gigantesca erano fissi su di loro. Si chiese se fosse un altro dio o la tartaruga che aveva tentato di aiutarli quando erano ancora ragazzini. Forse era solo l'indizio di come si erano svolte le cose. Così come la visione che lui e Mike avevano avuto, dell'arrivo di IT dallo spazio. Quello era solo un ricordo di ciò che era già accaduto, chissà quanti anni prima.

Si concentrò all'improvviso sul carapace di una piccola tartaruga che sembrava nuotare direttamente verso di loro. Le piccole pinne o zampe, non riusciva a dirlo, che si muovevano nell'aria con un che di delicato e buffo. Si fermò a pochi centimetri da loro, in attesa o forse solo impaziente: gli stavano sbarrando la strada.

«Dobbiamo spostarci?» domandò Richie, mentre Danny scuoteva la testa.

«Ascoltate...» disse solo, e Richie avvertì un brusio che credeva di sentire con le orecchie ma che se ne stava quieto in un angolo nella sua testa.

Sette è il numero...

Sentì scandire le parole da una voce che non era né giovane né anziana. Né maschile, né femminile.

Dovete tornare in sette, come eravate sette all'origine di tutto.

Sette è il numero esatto.

Due gli oggetti.

Due oggetti per i vostri amici scomparsi.

«Quali oggetti?» Richie parlò nella sua testa.

Oggetti che portano con sé una parte di loro. Oggetti che li tengono aggrappati al vostro mondo.

«Non riesco a capire cosa... ?»

«Li riportiamo indietro con questi oggetti?» la voce di Danny anch'essa nella sua testa.

Due oggetti, sette persone. Di questo avete bisogno.

«Eddie e Stan cosa devono fare?» Beverly.
Attraversare il portale nella casa, affrontare il dolore più grande e... credere.

«Tutto qui?» domandò Richie, sarcastico, ma prima di ricevere una risposta la tartaruga riprese a muoversi, esplodendo, letteralmente di fronte a loro.

L'universo si fece incandescente. L'oro, l'argento e il blu della trapunta che li avvolgeva sembrò accartocciarsi su se stessa. La testa enorme, benevola della tartaruga cosmica si ritrasse, lasciando precipitare tutti in un'oscurità senza fine.

Richie sbarrò gli occhi, sentendo i polmoni in fiamme, il fumo tutt'intorno. Beverly stesa al suo fianco, svenuta.

«Fuori!» gridò soffocato Danny, mentre qualcuno apriva la botola sopra le loro teste.

Richie afferrò Beverly per la vita e la costrinse a uscire da lì. Le gambe che cedevano sotto il proprio peso, gli occhi e la testa che sembravano esplodergli dal dolore.

«Tutto bene? Bev!» la voce di Ben, le mani di qualcuno che lo aiutavano a uscire, che lo aiutavano a sedersi a terra che gli facevano aria.

«Che cosa è successo? È servito a qualcosa?» era la voce di Mike o forse di Bill?

«Ho bisogno di un drink», commentò Richie, sentendo la mano di Danny sulla sua spalla.

La risata isterica che ne seguì servì quantomeno a far capire che stavano bene.

 

Continua...

 

Note: mi sono lasciata un attimo trascinare dalle visioni oniriche, mi sembravano un buon modo di far evolvere la trama. A presto!

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8

 

Quando Patricia Uris aveva ricevuto la telefonata di Mike Hanlon, aveva immaginato immediatamente che avesse a che fare con la morte di suo marito. E che in qualche modo fosse associata con gli strani sogni che faceva di frequente.

Nelle settimane successive al suicidio di Stan non aveva fatto altro che essere perseguitata da incubi che avevano a che fare con una tartaruga.

La psicologa che l'aveva presa in cura, per alleviare il dolore e il trauma di una perdita tanto violenta, le aveva dato spiegazioni che non le erano sembrate affatto coerenti con le sue sensazioni.

La telefonata di Hanlon invece sì.

Nel momento in cui le aveva chiesto, senza dare elaborate spiegazioni, di raggiungerli in quel di Derry, la città natia di Stan, Patricia aveva acconsentito con una rapidità piuttosto sconcertante, considerato il modo in cui era sempre stata restia a qualsiasi evento senza programmazione.

Erano state sufficienti poche sbrigative parole per capire che tutto quel subbuglio interiore, quei sogni, quelle visioni, i pensieri che la scuotevano durante tutto l'arco della giornata doveva avere a che fare con qualcosa che aveva radici più profonde di un trauma. E delle vaghe spiegazioni che Stan le aveva dato, riguardo la sua confusa infanzia.

Non di meno, aveva inciso il fatto che Patricia, qualche giorno prima, si era convinta di aver visto proprio Stan, il suo defunto marito, riflesso nello specchio del bagno.

Era appena uscita dalla doccia, dopo una giornata piuttosto complicata (una delle tante da qualche settimana a quella parte), i vapori dell'acqua calda avevano appannato vetri e piastrelle. Aveva sentito una voce, come se qualcuno l'avesse chiamata dal piano di sotto. Una voce maschile che le era sembrata più un'eco distorta prodotta dalla sua stessa fantasia. Sto impazzendo, il suo primo pensiero. Il secondo, prima di uscire dalla doccia: Stan, se sei tu, ti prego, fatti riconoscere. E come se qualcosa di ignoto avesse assecondato il suo desiderio, una sagoma era comparsa accanto al proprio riflesso nello specchio appannato del bagno. Le era sfuggito un singhiozzo scioccato dalle labbra, che l'aveva costretta ad arretrare fino quasi a toccare la parete alle sue spalle, ma poi le si era insinuato il dubbio che forse non le sarebbe convenuto scappare. Che qualsiasi cosa le stesse suggerendo il suo cervello stressato, forse avrebbe solo dovuto esaudire i suoi tormenti, invece che fuggirne.

Si era avvicinata, tremante e nuda, i capelli incollati alla pelle umida delle spalle, del collo. Le gocce di condensa che man mano scivolavano sullo specchio, tracciando linee lucide sul vetro appannato, scoprendo lentamente quell'ombra alle sue spalle. Ne aveva riconosciuto la stazza. Una porzione a rivelare i riccioli castano chiari del marito nei quali sovente passava le dita. Un'altra a svelare l'angolo della bocca che così tante volte aveva baciato. E l'ultima a sbirciare nella profondità dei suoi occhi pacati e tristi dei quali si era innamorata.

Aveva avvicinato, titubante, una mano; l'emozione mal trattenuta, le lacrime che andavano a confondersi con le gocce d'acqua.

«S-Stan...» aveva balbettato a mezza bocca, poggiando la mano sulla superficie dello specchio. Un alito di vento che profumava di caffè stimolò il suo olfatto e un sussurro sembrò rimbombare nella sua testa. Aveva passato la mano sul vetro, rapida come avesse dovuto strappare un cerotto, pronta alla rivelazione. Ma il vetro pulito aveva rimandato solo il triste riflesso dell'accappatoio di Stan ancora appeso al suo posto, accanto alla doccia.

Era scoppiata a piangere come se le avessero, di nuovo, strappato l'anima.

Per quel motivo era partita. Ed era in viaggio verso un luogo che aveva solo sentito nominare. Una cittadina dispersa nel Maine. A raggiungere delle persone delle quali Stan le aveva solo accennato qualche volta, senza avere reali aneddoti da condividere su un'infanzia che sembra essersi persa nel tempo. Persone che aveva sentito per telefono, solo qualche settimana prima, che le chiedevano che fine avesse fatto Stanley Uris. Del perché non li avesse raggiunti a Derry. Quel suo Stan che sembrava dormire in una vasca di acqua e sangue. Quel suo Stan che aveva ricevuto un'inaspettata telefonata da un vecchio amico, e aveva deciso di togliersi la vita, subito dopo.

Troppe domande alle quali non aveva saputo o potuto dare una risposta.

Troppi incubi che sembravano volerle spiegare cose fuori dalla sua portata.

Avrebbe davvero mai potuto sottrarsi a quel gioco del destino?

Patricia Uris doveva sapere.

 

*

 

Richie aveva rovesciato l'intero contenuto del suo borsone da viaggio sul letto. Pochi, essenziali vestiti e null'altro che qualche accessorio da toeletta. Viaggiava sempre leggero, per lavoro. E quel suo approccio minimal se lo portava appresso in qualsiasi altra occasione che richiedesse uno spostamento. Il giorno in cui era partito da Los Angeles, per Derry lo aveva fatto con un solo cambio di vestiti. Con l'idea che la questione, di qualsiasi natura fosse, si sarebbe risolta nel giro di pochi giorni.

Da quando Eddie era morto, però, i giorni si erano tramutati in settimane e un solo cambio di vestiti non era stato più sufficiente a coprire le giornate in cui doveva, in qualche modo, dimostrare di essere una persona presentabile.

Considerato che la camicia che indossava il giorno in cui avevano affrontato IT era l'unica alternativa al cambio rimasto, aveva svaligiato il reparto maschile a basso costo dei grandi magazzini di Bangor e aveva rimpolpato il suo guardaroba. Ma la camicia incriminata, ancora sporca del sangue di Eddie, era rimasta nel suo campionario senza un motivo plausibile per conservarla.

Ma se aveva capito come funzionava ormai quel posto, c'era sempre un motivo alle decisioni apparentemente insensate.

La tartaruga aveva parlato di un oggetto che rappresentasse una parte di Eddie nel loro mondo. Richie era andando in panico all'idea di essersi sbarazzato di tutte le sue valige, di averle rispedite alla moglie a New York ma poi si era ricordato della camicia. La camicia che indossava il giorno in cui Eddie era morto. La camicia impregnata del suo sangue. La camicia che conservava ancora il suo odore, nel momento in cui lo aveva abbracciato per l'ultima volta, prima di abbandonarlo in quel luogo oscuro, prima che le fogne di Derry inghiottissero tutti coloro che erano stati massacrati da IT.

Allungò una mano per afferrare il sacchetto di plastica in cui l'aveva infagottata, conservata, avvertendo un brivido inaspettato a un gesto tanto semplice. Aprire il sacchetto gli rimandò l'olezzo di lurido e morte che sperava si fosse esaurito dopo tutto quel tempo. Strinse le dita sulla stoffa sempre meno goffamente, fino a serrarcele attorno, come un artiglio, sperando forse di poter avvertire l'energia di un oggetto all'apparenza così insignificante. E poi d'improvviso capì che non importava quanto fosse nauseabondo, non appena ebbe fra le mani quella camicia seppe che era l'unico modo per riavere indietro Eddie.

Era una parte di lui, quella che stava stringendo fra le dita.

 

Uscì dall'appartamento di Mike per raggiungere gli altri che si erano assiepati in biblioteca.

Era mattina presto e il nuovo custode non aveva ancora aperto le porte al pubblico.

I Perdenti stavano discutendo fitti fitti quando Beverly alzò la testa e improvvisamente tutti smisero di parlare.

«No ma prego, non incomodatevi per me, continuate pure.»

«Dove eri finito?» si issò Mike, guardandolo, esausto e vagamente accusatorio. Mike non aveva reso facile per niente quella sua avventura. Richie pensò che forse era l'unico modo in cui riusciva a dimostrargli quanto ci tenesse a lui, quello di impedirgli di viaggiare a briglie sciolte.

«In camera mia...» si giustificò, avvicinandoli. Avevano tutti facce pallide e tirate, occhiaie tutt'altro che lusinghiere nemmeno per uno come Ben. L'intera nottata a pensare come risolvere la questione del ritorno di Eddie e Stan. A interpretare le parole della Tartaruga.

«Ho trovato Eddie», disse solo, avvicinando il tavolo da lettura. Alzò la mano, mostrando il suo trofeo senza particolare entusiasmo.

«La t-tua c-camicia... ?» si interrogò Bill. Aveva ripreso a balbettare e la cosa non era incoraggiante come avrebbe dovuto. Stavano tutti regredendo? Era una condizione necessaria per superare quell'ultima prova?

«Con il sangue di Eddie...» sussurrò Mike, intuendo da dove arrivasse tutta quella solennità.

«Pensi che possa bastare questo, Doc?» Richie non si perse in inutili romanticismi. Si rivolse direttamente all'unico vero esperto della situazione. L'unico ad aver avuto a che fare, più di chiunque altro, con rituali magici e morti senzienti.

Gli porse la camicia affinché la guardasse, la stringesse fra le mani, ne facesse qualsiasi cosa avesse intenzione di farne. Lo guardò allungare una mano sulla stoffa e stringerne un brandello, quasi avesse il terrore di osare troppo, come se intuisse la sacralità di quel gesto, la paura di insozzare quel simbolo, la chiave per riavere Eddie. E con sorpresa, Richie assistette a qualcosa che non si sarebbe mai atteso: dopo qualche istante, Danny aveva silenziosamente cominciato a piangere. Non un gesto plateale o improvviso. Non un pianto a dirotto di shock o raccapriccio. Solo le lacrime quiete di cui Danny forse nemmeno si era accorto. Lo vide ritirare la mano e schiarirsi la voce, asciugandosi gli occhi con un gesto secco.

«Basterà», disse solo guardando Richie dritto negli occhi. Non sentiva la sua voce nella testa, questo no, ma intuì quando Danny, adesso, sapesse.

 

«Da quanto tempo?» gli chiese una volta rimasti soli. Una volta che il gruppo aveva decretato una pausa dalle riflessioni da una nottata in bianco.

Richie era uscito all'aria aperta con la scusa di una sigaretta, Danny non si era fatto attendere.

La giornata era di nuovo una di quelle da sole tiepido. Delle foglie che abbandonavano i rami degli alberi, spogliandoli della loro bellezza estiva. L'autunno reclamava la sua presenza.

«La sigaretta? Da quando avevo tredici anni». Danny non dovette nemmeno rispondere a tono per fargli capire che non era quello che intendeva. «Potresti frugarmelo nella testa. Non farei molta resistenza.»

«Preferisco che sia tu a dirmelo. Se hai voglia di farlo.»

Richie si rese conto che non aveva più senso tacerlo. Che forse era una di quelle cose di cui aveva bisogno di parlare da così tanto tempo che ne aveva perso il conto. Una costipazione durata decenni, su una delle cose più sincere e pure che avesse mai provato.

«Non saprei quantificarlo, Doc», sorrise appena, lasciando scivolare a terra un po' di cenere, «ha importanza?» si interrogò lui stesso sulla questione, perché non ci aveva mai pensato davvero.

Da quanto tempo sapeva di essere innamorato di Eddie? Probabilmente da tutta la sua vita. Da tutta la vita che gli era stato concesso di camminare al suo fianco.

Un sentimento che era nato forse lo stesso giorno in cui lo aveva conosciuto, che lo aveva accompagnato e reso consapevole durante tutta la sua adolescenza. Finché non se ne era dimenticato. Per ventisette anni. E quando aveva rivisto Eddie, in quello squallido ristorante, timoroso e imbarazzato, impacciato come tutti gli altri, lo aveva ritrovato in un solo istante. A renderlo incredulo del fatto che Richie Tozier fosse in grado di amare qualcuno con quella forza, quella costanza. Quando per una vita intera aveva creduto di non esserne in grado, che non lo sarebbe stato mai.

«No, non credo che ne abbia, in fondo».

«Era per quello che ti scendevano i lacrimoni, prima? Quando ti sei reso conto di quanto fosse patetica questa situazione?» ironizzò, alzando di nuovo, per un istante, quella stupida barriera di sarcasmo. Odiava mostrarsi vulnerabile, un lato del suo carattere che non riusciva a smussare.

«Non c'è niente di patetico nel dolore, Richie.»

Serrò le labbra, colto in fallo, tornando a concentrarsi su quella sua sigaretta ormai quasi al filtro. Sospirò, socchiuse gli occhi e si sentì infinitamente stanco.

«Ho giurato che avrei onorato la sua morte, cominciando a vivere la mia vita, senza paura», mormorò, lanciando la sigaretta a terra, schiacciandola con il piede. Vide le sue ultime scintille di vita, prima di spegnersi per sempre, «non intendo ritrattare ora. Ma non ti nascondo che sono terrorizzato. Soprattutto all'idea di rivederlo. O di non... rivederlo. Non credo reggerei di nuovo all'ipotesi contraria, sapendo di esserci andato così vicino», deglutì a fatica, passandosi una mano sul viso, «ma ho intenzione di dirglielo. Di dirgli tutto quanto. Di fargli sapere quanto fosse amato. Di quanto ancora lo sia... ? Non so che sto dicendo.»

«Stai dicendo quello che ti suggerisce il cuore, per una volta tanto.»

«Significa che ho perso il mio cinismo, che sono un comico finito?» sbuffò una risata un po' liquida. Il pianto inespresso. Non aveva intenzione di versare più una sola lacrima finché quella storia non sarebbe finita. La averebbe riservate tutte per Eddie. Lo avrebbe inondato di lacrime.

«Pensavo fossi già arrivato al capolinea come artista.»

«Scusa?» latrò una risata incredula.

«Non ti nascondo che ho sbirciato i tuoi spettacoli su youtube», confessò Danny «Amico... il materiale è terribile.»

«Tu quoque...» rispose esageratamente indignato. Ma dopotutto come poteva dargli torto? Danny scoppiò a ridere. «Maledetto farabutto, vatti a fidare degli infermieri medium.»

«Infermiere medium è un nomignolo brutto tanto quanto Dottor Sonno

«Dottor... sonno?»

«Sì, bè. È come mi chiamano in reparto.»

«Perché ti addormenti ovunque?»

«Non proprio... per come aiuto i malati ad addormentarsi, senza soffrire.»

Il sorriso di Richie si placò appena. Quante cose non sapeva di Danny, ancora? Quanto ne sapeva delle infinite possibilità del suo potere. Quante avrebbe avuto la possibilità di scoprire?

«Dio santissimo...», sembrò decidersi a commentare la notizia, ma poi... «e io che pensavo che Boccaccia fosse brutto.»

La tensione venne spezzata rapidamente.

Stavano ancora ridendo di quelle risate a singhiozzo e senza senso, quando un taxi parcheggiò sulla strada accanto al viale per la biblioteca.

Ne osservarono curiosamente scendere una donna che portava con sé solo un borsone.

Quando Richie smise di ridere e riuscì a metterla a fuoco, capì immediatamente che quella non poteva che essere che una sola persona.

«Patricia Uris», disse.

 

*

 

Eddie aveva bisogno di una passeggiata all'aria fresca. La stagione era stata magnanima nei confronti di una regione altrimenti lugubre, in quel particolare periodo dell'anno.

Le foglie cominciavano a ingiallirsi e il cielo era di un blu così intenso da creare un contrasto che riempì Eddie di meraviglia.

Stan gli camminava accanto. Due fantasmi di una consistenza piuttosto concreta per essere davvero ignorati.

«Nessuna intuizione su dove andare oggi?» gli chiese, guardandolo di sottecchi. Sotto sotto speranzoso di potersi riconnettere con Richie. Di capire se fossero arrivati a una qualche conclusione. Perché tutto a un tratto ricordava di aver suggerito a Richie la prova del fumo, quando con Richie non parlava da giorni? Un ricordo che aveva la consistenza di un sogno.

«No, oggi no...» il tono di voce di Stan era rammaricato, forse un po' stanco. Comprensibile considerato il fatto che in quel posto ci era finito da più tempo di lui.

«Pensavo a una cosa...» mormorò Eddie, osservando dei ragazzini che stavano scorrazzando in bici verso la biblioteca, portandosi dietro le loro grida «se tu ed io siamo finiti in questo posto. Se... il vecchio del parco dice di averne visti tanti altri di noi... come... mai solo noi due ci siamo ritrovati?»

Stan sprofondò le mani nelle tasche della giacca.

«Ci ho pensato anche io...» gli confessò, «e non ti nascondo che i primi giorni non ho fatto altro che cercare queste persone. Quelle di cui parlava il vecchio Taylor. Sono giunto alla conclusione che alcuni di loro abbiano cercato di attraversare il tunnel e abbiano fallito. E che gli altri siano... semplicemente... svaniti.»

«Svaniti?» Eddie provò un brivido senza capirne realmente l'origine.

Stan si fermò in mezzo alla strada, stringendosi nelle spalle. Gli diede improvvisamente l'impressione di sapere qualcosa che ancora non aveva avuto modo di rivelargli.

«Penso che si siano arresi al fatto di essere invisibili. E che alla fine siano... svaniti davvero.»

«Come fai a dire una cosa del genere?»

Stan gli rivolse uno sguardo tanto triste che quasi non ebbe bisogno di ricevere una risposta: «Perché ho rischiato che succedesse a me».

«Come? Quando?»

«Dopo il primo tentativo di tornare nel tunnel. Ho passato un paio di giorni a leccarmi le ferite con la sensazione che non sarei mai riuscito di uscire da questa situazione. Ho smesso di mangiare, di uscire all'aria aperta. Sono rimasto giorni seduto in un angolo della casa che ho occupato pregando che... finisse. Ed è stato allora che è successo: stavo scomparendo, la consistenza delle mie mani, delle mie gambe. Potevo vederci attraverso. All'inizio ne sono stato quasi sollevato. Che tutto si esaurisse senza troppo clamore... quando mi sono alzato per guardare allo specchio il risultato della mia apatia, il mio riflesso sbiadito, solo allora mi sono reso conto che non potevo farlo...»

«Perché?»

«Perché ci ho visto Patricia... attraverso quello specchio. Qualcosa mi ha suggerito che forse... forse se ero finito in questo posto doveva esserci una ragione. Se non ero morto o se avevo la possibilità di respirare di nuovo... doveva esserci una ragione. E se avessi, anche solo per una volta, avuto la possibilità di rivedere mia moglie, allora forse valeva la pena... tentare. Qualcosa di diverso.»

«Cristo santo...» sussurrò Eddie. Si chiese se non sarebbe finito nella sua stessa identica situazione se solo non si fossero incontrati o se non avesse rivisto Richie.

Richie... era lui il suo appiglio per l'altro mondo? Perché fra tutti, proprio Richie?

Una domanda che non aveva senso d'esistere dacché ne conosceva, il cuor suo, da tempo, la risposta.

L'aveva compresa a livello inconscio nel momento in cui era tornato a Derry e si era ricordato di lui. L'aveva riconosciuta nel tormento di non potergli stringere la mano.

Quante cose di se stesso aveva dimenticato? Quante ne aveva represse?

Era una sensazione spaventosa. Ma confortante per quanto finalmente riuscisse a riconoscersi.

«Già... non stento a credere che molti di quei bambini finiti nelle grinfie di IT non abbiano avuto la forza o il coraggio necessario per resistere. Si sono semplicemente lasciati sparire. Soli... e terrorizzati.»

La considerazione di Stan fece rabbrividire Eddie. L'immagine di tutti quei bambini che già erano corsi incontro una sorte terribile, ai quali venivano strappate brutalmente le ultime speranze.

«Pensi che anche al fratellino di Bill sia capitata la stessa cosa?»

«Georgie...» disse, come ricordandosi di lui in quello stesso istante, «possibile. Sono passati così tanti anni...»

«Anche se qui il tempo scorre in modo diverso», annunciò, «me ne sono reso conto nelle tempistiche in cui ci siamo incontrati. Potrebbero essere passati giorni o settimane e farebbe poca differenza.»

«A me sembra di stare qui da un secolo. Tenevo il conto dei giorni all'inizio poi ho semplicemente smesso. A che sarebbe servito?»

«Probabilmente a nulla», mormorò Eddie.

Alzò lo sguardo verso il cielo terso di quello strano autunno. Si chiese se dall'altra parte, Richie stesse facendo lo stesso.

 

*

 

Ma dall'altra parte Richie non aveva esattamente il tempo di perdersi nell'immensità del cielo, era impegnato in una conversazione piuttosto complessa con quella che era la moglie di uno dei suoi migliori amici d'infanzia.

Patricia non era affatto come se l'era immaginata. Non tanto visivamente, quanto caratterialmente. Era convinto si trattasse di una pacata casalinga della Georgia, ma a giudicare dal suo atteggiamento pratico e disincantato a tutte le informazioni con cui Mike la stava inondando gli sembrava più un'arcaica guerriera in campo che una dolce mogliettina tutta torte e commissioni.

Non era stato facile farle comprendere il contesto della tragica dipartita di suo marito. Ancor di più, che la causa di ogni male fosse un extraterrestre mutaforma, ingordo di ragazzini. Render poi verosimile il racconto, senza inondarlo di particolari raccapriccianti, sembrava ancora più arduo. La speranza era che non trovasse un pretesto per credere fossero tutti loro un branco di psicopatici in fuga dallo stesso manicomio criminale a cui era stato relegato Bowers.

«Avete idea di come suoni una storia del genere a qualcuno ascolta questa storia per la prima volta in vita sua?»

Richie ne aveva una certa idea, ma volle guardare i suoi amici, uno per uno, per capire se si rendessero conto che la domanda della donna era più che legittima.

«Ce ne rendiamo conto, sì. Ma non c'era nessun altro modo di spiegarla, se non così», disse Mike che non ci aveva girato troppo attorno. Che era andato dritto al punto. Che se l'era raccontata così tante volte che ormai anche il suo stesso animo doveva esserne esausto nell'ascoltarla. Anche ora che l'incubo era terminato, era costretto a ripercorrere, ancora e ancora, lo stesso discorso. Richie si rese conto, per la prima volta, di quando Mike sembrasse stremato. Stupido come si fosse concentrato solo su se stesso in quell'intenso, insensato periodo.

«Un clown», le uscì una risata fra l'amaro e il grottesco, «Stan mi aveva parlato di una serie di incubi che coinvolgevano un clown...» la voce aveva una vaga nota stonata. Come se faticasse a trattenere il pianto. Richie riusciva a riconoscersi fin troppo bene.

«IT...» pronunciò in un soffio e alzò su di loro uno sguardo incomprensibilmente consapevole, «prima di morire ha avuto il tempo di scrivere quelle due lettere, sulle piastrelle del bagno. Con il suo stesso sangue.»

Richie trasalì e il singhiozzo che sfuggì dalle labbra di Beverly resero piuttosto chiara l'immagine che doveva aver suggerito alla donna, la sera della loro rimpatriata di qualche settimana prima, la morte del loro amato Stan.

Patricia li guardò tutti, uno alla volta, come a cercare anche un solo cenno di menzogna nelle parole di Mike. Ma non dovette leggerci niente di simile, poiché abbassò lo sguardo subito dopo passandosi una mano fra i capelli. Qualsiasi fosse la reale o presunta spiegazione a tutte quelle fantasticherie, dovevano crederci davvero tutti i Perdenti e lei non poteva far altro che arrendersi a quella loro convinzione.

«D'accordo... mettiamo anche il caso che vi creda. O che trovi... verosimile... una spiegazione tanto fantasiosa... che dica: okay. Il mondo è impazzito e io ci sono finita dentro con tutte le scarpe. Ma d'altro canto è l'unica spiegazione che mi permetterebbe di dare un senso alla morte di mio marito...» nella sua voce c'era ancora una nota di diffidenza, quella stessa diffidenza che aveva aleggiato nel suo sguardo per tutto il tempo in cui Mike aveva parlato. Ma Richie scorse anche la disperata intenzione di credere. Più che quella di scappare urlando di indignazione o terrore, «Perché sono qui? Perché mi avete... voluta qui?»

La domanda che più di tutte le altre aleggiava dall'inizio di quello strampalato incontro.

Mike aprì la bocca per parlare, ma Danny alzò una mano per frenarlo.

«Credo che tu sappia perché sei qui, Patricia», disse solo. Richie sentì la sua voce fin dentro la sua testa, sebbene avesse parlato a voce alta. Sebbene questa volta volesse essere udito da tutti e non solo da chi possedeva lo Shining. Danny stava parlando a tutti loro ma cercava di arrivare al cuore di Patricia, più che alle sue orecchie.

La donna serrò le labbra che avevano preso a tremare. Gli occhi restavano fissi in quelli dell'uomo, come se stesse avvenendo una conversazione privata, fra i loro pensieri.

«Ho visto Stan, nel riflesso dello specchio, qualche giorno fa...» confessò in un soffio, come una liberazione. La paura che rivelare quel dettaglio la facesse precipitare nella stessa follia del racconto di Mike, «quando mi avete contattata ho sentito come una voce, nella testa, che mi diceva di venire qui. Di incontrarvi. Che questo incontro avrebbe messo fine a tutta questa... disperazione. La voce di quella tartaruga...»

Aveva gli occhi umidi ma non piangeva Patricia.

«E che altro ti ha detto quella voce, nella tua testa?» le domandò Richie, che si era proteso verso di lei, che aveva bisogno di sentirlo dalle sue labbra, senza suggerimenti, che gli permettesse di capire, che in fondo era una di loro. Nel momento in cui si erano trovati tutti nella stessa stanza, aveva sentito una strana scossa d'energia. Ancora non era così esperto da riuscire a coglierne le sfumature ma era certo che se avesse chiesto a Danny se l'avesse sentita anche lui, probabilmente avrebbe ricevuto un assenso, come risposta.

Erano in sette. Sette in tutto, così come aveva detto loro la tartaruga. Sette Perdenti. Sette persone collegate da un filo invisibile, ma tanto potente da creare un'energia inimmaginabile. Un'energia che era arrivata fino ad Atlanta. Che aveva portato a loro il pezzo mancante.

Patty reclinò il capo di lato, rilasciò un sospiro greve.

«Che forse avrei potuto abbracciarlo di nuovo».

Si infilò una mano in tasca. Ne trasse fuori un asciugamano. Di quelli piccoli, minuscoli, per il viso.

Il candore della stoffa era chiazzato di strane macchie color ruggine.

Con le mani tremanti lo passò a Richie.

Non appena le sue dita si strinsero su quell'oggetto all'apparenza insignificante, si sentì inondato da una sensazione sgradevole.

Orrore, raccapriccio, disperazione.

Nella sua mente si susseguirono una serie di immagini e di suoni: piastrelle bianche, gocce d'acqua, occhi vitrei, una scritta sul muro. Un grido. E poi, come in un film, l'inquadratura che si allargava e la scena di una donna che cercava disperatamente di fermare l'emorragia dai polsi squarciati dell'amore della sua vita. Con un asciugamano.

Venne riportato alla realtà dalla chiara, nitida, dolorosa consapevolezza che quello che stava stringendo fra le mani era Stan. Il suo sangue. Le ultime gocce che lo teneva ancora aggrappato a quel mondo. Che forse avrebbe potuto strapparlo dall'altro, quello in cui era stato trascinato.

Si voltò ad osservare gli altri e si rese conto dai loro sguardi che avevano compreso l'importanza di quel feticcio.

Il cerchio era completo.

Due oggetti, sette persone.

«Lo farai Patricia», mormorò.

Ora doveva solo trovare un modo di arrivare a Eddie e dirgli cosa dovevano fare.

 

Continua...

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9

 

Questa volta Richie riuscì a riconoscere il sogno.

La stessa identica atmosfera che aveva permeato la sua precedente incursione onirica. La sola differenza, questa volta, era che se ne stava seduto su una vecchia amaca, in quello che era il vecchio ritrovo dei Perdenti. Un luogo che di certo non si sarebbe dato la pena di raggiungere, a meno che non fosse improvvisamente diventato sonnambulo.

La luce filtrava in un caldo fascio di luce, attraverso la botola sull'esterno. Osservava il pulviscolo solare, che fluttuava nell'aria, e attese.

Non passò molto tempo che si rese conto di non essere più solo. Un'ombra tagliò il fascio di luce e qualcuno prese a scendere la precaria scaletta di legno che conduceva alla tana.

Richie sorrise riconoscendo Eddie. Non aveva alcun dubbio sul fatto che presto o tardi si sarebbe materializzato, di nuovo, nel suo sogno. O viceversa. O entrambi, per quello che poteva valere. Aveva imparato a non ragionare secondo uno schema, ormai. Si affidava a percezioni e istinto; aveva funzionato fino a quel momento, perché cambiare strada?

«Finalmente, pensavo di dover aspettare solo, qui sotto, in mezzo a vermi, terra e muffa...» esordì, rammentando senza indugio il sogno precedente. Pazzesco come lo avesse rapidamente dimenticato. Di tutto quello che era successo, una volta sveglio, non aveva ricordato più nulla. A parte il suggerimento della prova del fumo.

Eddie raggiunse la terraferma con un saltello che sollevò un po' di polvere che se ne stava adagiata sul fondo da chissà quanto tempo. Non lo raggiunse immediatamente, ma si limitò a rispondere al suo commento con un sorriso in controluce che Richie fece fatica a interpretare.

Si rimise in piedi, e i ganci dell'amaca cigolarono sinistramente al suo movimento. L'ultima volta che era stato lì, con gli altri Perdenti, Eddie era ancora vivo. Un brivido gli percorse la schiena e capì che forse non era il caso di tergiversare: aveva delle informazioni da condividere.

«Abbiamo un piano per riportarvi indietro», disse e finalmente Eddie sembrò scuotersi da quell'apatico silenzio, come finalmente anche lui rammentasse.

«La prova del fumo?»

Richie annuì.

«Ha funzionato...» lo sentì pronunciare a mezza bocca, con aria vagamente distante.

«Ha funzionato eccome», gli confermò «anche se le spiegazioni sono state piuttosto fantasiose, ma ne siamo venuti a capo. C'è solo una cosa che tu e Stan dovreste fare...»

Eddie gli puntò addosso uno sguardo preoccupato: «Pensi che mi ricorderò di questa conversazione, una volta sveglio?»

«Cosa? Penso... spero. Insomma, è necessario che lo ricordi.»

«Perché della scorsa non ricordavo più nulla...» lo sentì dire, una sorta di caustica delusione di fondo.

«Nemmeno io... ma...» il ricordo di un abbraccio della sensazione di assoluto conforto nel ritrovare Eddie fra le sue braccia, anche Eddie lo ricordava? Se ne vergognava, forse? «... della prova del fumo me ne sono ricordato. Forse sono queste le cose che contano in questi sogni», preferì concludere, prima di farsi sopraffare dal peso di quel ricordo.

«Dimmi cosa dobbiamo fare», tagliò corto Eddie, apparentemente più contrariato del dovuto, «Non sappiamo quanto tempo ci resti prima del risveglio.»

«La tartaruga ha detto...», cercò di rammentare le parole esatte, «ha detto che dovrete attraversare il portale nella casa, affrontare il dolore più grande e... credere.»

Eddie gli lanciò uno sguardo perplesso.

«E che diavolo significa?»

«Questo non lo so davvero.»

«Avevi parlato di interpretazioni fantasiose, speravo potessi darmi qualcosa con cui lavorare.» gesticolò nella sua direzione.

«Ho fatto la mia parte, ho capito quello che dovevamo fare noi, speravo che l'illuminazione divina colpisse anche te, per la parte che vi riguarda.»
«L'unica cosa che ho capito è che dobbiamo entrare nella casa di Neibolt, cercare di non creparci e sperare di uscirne illesi! Non mi sembra qualcosa su cui poter davvero lavorare, Richie.»

«Perché te la prendi con me? Ti sto solo riportando le parole di una tartaruga spaziale che vomita universi!»

«Confortante!»

«Lo è! Considerato che per arrivarci mi sono quasi affumicato e dovrò portarmi appresso i vostri indumenti sporchi di sangue per aiutarvi a tornare indietro!»

Eddie sembrò sul punto di ribattere ma si fermò all'improvviso, osservandolo con tanto d'occhi.

«I nostri... cosa?»

«I vostri... niente», scosse la testa, pentito di aver dovuto rivelare quel macabro dettaglio, «Senti... so che non è molto, ma...»

«Dove li avete presi i nostri indumenti... sporchi di sangue?»
«Non è importante, Eddie, tanto non lo ricorderesti comunque.»

Lo vide placarsi ma non nascondere quella sua espressione contrariata.

«Se niente di quello che diciamo o facciamo qui è importante, allora tanto vale svegliarsi...»

Richie scosse la testa.

«Non era quello che volevo dire...»

«Però sei così sicuro che ricorderò tutte le informazioni che mi hai dato, e solo quelle. Ma questa potrebbe essere l'ultima volta che ci vediamo... prima che sia... tutto finito, in un modo o nell'altro.»

A Richie si bloccò il respiro in gola. All'eventualità che fosse l'ultima non ci aveva nemmeno pensato.

«Farò in modo di essere lì con voi, quando sarete alla casa di Neibolt, Eddie. Non vi lascerò soli.»
«Nella tua Derry non esiste più nessuna casa a Neibolt. E se usciremo da qualche parte non sarà da lì.»

Richie ci rifletté un istante senza trovare soluzioni.

«... ma Neibolt e i Barren sono collegati da un lungo tunnel che conduce alle fogne.» gli arrivò in aiuto Eddie, «vedi di ricordare questo», sospirò e si portò una mano alla fronte, l'aria esausta di chi non riposa come si deve, da giorni.

«Sarò comunque a Neibolt, Eddie. Sarò con voi, prima che entriate là dentro. Tenterò di ricordare anche questo. Lo prometto.»

Lo guardò sollevare uno sguardo colpevole e annuire.

«Non mi entusiasma rientrare in quel posto. Se è spaventoso anche solo la metà di quel tunnel...»

Richie rammentò il racconto di Stan e dei suoi tentativi di usare proprio il tunnel che lo aveva scaraventato fuori per tornare. Forse non sarebbe andata allo stesso modo. Forse avevano preso la via del ritorno dalla parte sbagliata.

«Verrei a riprendervi io stesso se solo potessi, lo sai questo, vero?» era importante che Eddie lo capisse. Era importante che percepisse che non stava sottovalutando affatto il problema.

Ma Eddie non sembrava preoccupato per quello.

«Hai già fatto abbastanza. Anzi... scusami per essere stato aggressivo.»

«E quando mai non lo sei?» lo prese in giro e gli regalò un sorriso quando Eddie gli restituì uno sguardo contrariato.

«Ero solo... preoccupato, suppongo. Sono giorni che aspettiamo, settimane? Dio, non so più nemmeno quanto tempo è passato da quando sono finito qui.»

«Ho provato a contattarvi ma qualcosa sembra ostacolarci», ci tenne a precisargli, «Doc dice che forse stiamo forzando una situazione già di per sé... complicata. E diventa sempre più difficile trovarti, come abbiamo fatto le prime volte.»

«Doc?» Eddie inarcò un sopracciglio.

«Sì, Danny. Danny Torrence. Il...»

«Il tizio del paranormale che vi sta aiutando», concluse Eddie per lui, ricordando le loro precedenti conversazioni.

Richie si limitò ad annuire. Improvvisamente avrebbe desiderato che si conoscessero. Che Eddie e Danny si incontrassero, finalmente di persona. Danny, forse l'unica persona a cui era riuscito a confessare, in qualche modo, tutto quello che Eddie rappresentava per lui. Non era certo che anche gli altri Perdenti sapessero, ma a essere sinceri, arrivati a quel punto, nemmeno gli importava più. Voleva solo che Eddie tornasse. Che vedessero pure. Che capissero pure.

«Non ti sembra strano che siamo finiti proprio qui stavolta?» Eddie interruppe i suoi pensieri, accantonando le formalità ora, lasciando che il sogno proseguisse senza fretta. Lo guardò avvicinare l'amaca su cui si era ritrovato seduto qualche istante prima.

«Strano? Definisci strano, perché francamente, in questo periodo è più facile elencare le cose normali che quelle... strane.» Eddie si limitò a stringersi nelle spalle. «Magari è solo perché è un posto che conosciamo entrambi, qui a Derry.» si risolse a dire, cercando di sedare qualsiasi dubbio Eddie stesse avendo.

«... o qualcosa che è caro a entrambi», lo guardò sedersi sull'amaca che cigolò appena sotto il suo peso. Constatò che Eddie era esattamente come lo ricordava, come lo aveva visto l'ultima volta. Ancora in vita e in salute. Pallido e stanco ma... vivo. Dio, ancora così vivo e dolorosamente irraggiungibile.

«Io ricordo solo che qui ci passavamo un sacco di tempo per sfuggire a Bowers e la sua squadra di stronzi.»

«Io ricordo molto più di questo.»

Richie si rese conto di aver sminuito l'importanza del loro rifugio. Un luogo in cui potevano sentirsi al sicuro, dove poter essere loro stessi senza paura che qualcuno intervenisse a interrompere il loro idillio fanciullesco. Un luogo di giochi, risate, screzi, ozio e confidenze.

«Ti va di sederti qui con me, finché non... ci svegliamo?» gli chiese Eddie e Richie se ne restò lì impalato come se non avesse davvero capito la domanda.

«Ma se preferisci restare in piedi a fare il palo della luce...» lo sentì ritrattare, tossicchiando appena, in evidente imbarazzo.

«Oh. Se proprio ci tieni, Spaghetti», cercò di sdrammatizzare i toni, «anche se non sono sicuro che questa cosa reggerà il nostro dolce peso.»

«È un sogno, dubito che si possano applicare le normali leggi della fisica, qui.»

Richie fece un gesto di noncuranza e si avvicinò all'amaca aggrappandosi a uno dei ganci, per evitare di lasciarsi andare a peso morto. L'amaca cigolò di nuovo e vacillò con un paio di scossoni, facendo quasi perdere l'equilibrio a entrambi.

«Fa' attenzione!»

«Te lo avevo detto che siamo diventati troppo grossi.»

«Tu sei diventato troppo grosso! Non scaricare su di me la responsabilità!»

«Non sono così grasso!»

«Non ho detto che sei grasso, sei solo massiccio», lo blandì Eddie, assestandosi alla bell'è meglio con una gamba sull'amaca e l'altra a terra. Richie stava dalla parte opposta in una posizione speculare alla sua. Ed ebbe una specie di déjà vu.

«Massiccio, mh? Cos'è, un complimento, Spaghetti?»

«Niente del genere. Solo un dato di fatto.»

«Bè, mi spiace. Solo perché tu non sei cresciuto abbastanza, non significa che...»

«Piantala! Sono cresciuto quello che serve. Sei tu che sei...»

«Massiccio.»

Eddie annuì con un grugnito che divertì Richie più del necessario. Ma la sensazione svanì, quando la consapevolezza che le loro gambe si stavano sfiorando era più reale di qualsiasi sogno avesse mai avuto. Ancora una volta. Avrebbe voluto aggrapparsi a lui per portarselo via, attraverso quello stupido sogno. Avrebbe voluto toccarlo ancora, come l'ultima volta, ma gli mancava il coraggio. Stupido vigliacco.

«Spiegami quella cosa degli indumenti sporchi di sangue.» Eddie riportò a galla l'argomento. Piccolo bastardo, poco incline ad accantonare discussioni in sospeso.

«Non è così importante...»

«Invece lo è. Se è un rituale voglio capire di che si tratta. Non importa se non lo ricorderò, Rich...»

Richie si sistemò stancamente gli occhiali sul naso. Nemmeno nei sogni riusciva a sbarazzarsi dei suoi occhiali.

Il fatto che forse di quella conversazione, di quel momento onirico, non sarebbe rimasto un bel niente, avrebbe dovuto infondergli coraggio. Ma evidentemente era più difficile di quanto pensasse. Sempre così difficile. Dove era finita tutta la risoluzione di diventare una persona più trasparente? Dove i suoi buoni propositi?

«Serviva qualcosa che legasse ancora te e Stan... a questo mondo», cominciò a spiegare, ogni parola una fatica che si spinse ad affrontare, «qualsiasi cosa significasse. Ma abbiamo spedito le tue valige a New York, a tua moglie, disperavamo di trovare qualcosa di tuo. Poi è stato chiaro non era un oggetto, ciò di cui avevamo bisogno. E quando la moglie di Stan, Patty è venuta fino a Derry portando un asciugamano ancora sporca del sangue di suo marito...»

«Patricia Uris è a Derry?» domandò Eddie, piuttosto sorpreso della scoperta.

Richie annuì: «Un'altra cosa che fa parte del rituale. E' impressionante come i pezzi si siamo mossi per finire insieme, senza che facessimo poi molto per arrivarci.»

«Continua...»

«Bè... una volta capito questo, ho immaginato che la mia scelta di usare la mia camicia sporca di sangue fosse... ciò che serviva.» Eddie sembrò confuso, nei primi istanti dopo la confessione. «La camicia che avevo addosso il giorno in cui abbiamo ucciso IT. C'era... c'era anche il tuo sangue lì sopra. Il sangue di quando... insomma, quando sei stato...»

«Oh...» sembrò comprendere, la dolorosa consapevolezza gli accese il viso di vergogna o rabbia o frustrazione, questo Richie non seppe dirlo.

«Bè. È tutto. La spiegazione rapida e indolore.»

Eddie serrò le labbra e lo scrutò a lungo, in silenzio. Tanto che Richie quasi ebbe paura di aver detto qualcosa di tremendamente sbagliato o di averlo offeso in qualche assurdo modo.

«Significa che hai conservato quella camicia... lurida per tutto questo tempo?»

Richie sgranò gli occhi, perché non era esattamente quella la reazione che si aspettava.

«Bè... non avevo comunque più intenzione di indossarla. Giuro.»

«No, ma l'hai conservata.»

«Bè. Sì. Insomma...» oh. «Sì.» concluse, senza tergiversare più.

«Perché?» incalzò Eddie. Cercò di leggerci disgusto o un rimproverò nascosto nella sua voce, nella sua espressione, ma dovette desistere, perché non ne trovò. Sembrava solo curioso, di capire.

«Non lo so. Io...» sospirò, arreso «immagino perché fosse l'unica cosa che mi restava. Di te.» non alzò lo sguardo, non era sicuro di voler cercare ancora qualcosa nell'espressione di Eddie. Il sangue che Eddie aveva sacrificato per lui. Per tutti i Perdenti, era l'unica cosa che gli restava. Forse lo aveva fatto solo perché era destino che lo facesse. Che l'istinto o le decisioni che avevano influenzato le ultime settimane della sua vita fossero solo il frutto alle perverse decisioni di un branco di tartarughe spaziali. Questo non lo sapeva. Ma sapeva di aver conservato quella camicia perché era convinto che fosse l'unica cosa che gli avrebbe ricordato Eddie, per sempre, a prescindere da tutto.

«Richie...»

«Lo so. Lo so, è disgustoso, bla bla bla...» rispose, ancora senza alzare lo sguardo.

«Mi fai spazio?»

Richie alzò la testa un po' confuso, finché non vide Eddie sollevarsi dall'amaca con la chiara intenzione di sdraiarglisi accanto. Quando sentì il peso del suo corpo sul proprio, più che accanto, si scostò quel tanto che bastava per dargli quello spazio che Eddie, volontariamente, gli aveva chiesto. Si rese conto che erano anni che non lo facevano. Stare così, sdraiati uno vicino all'altro, in bilico su quell'amaca, le testa vicine a leggere fitto fitto uno di quei giornaletti sui supereroi.

Ricordava che, anche all'epoca, il cuore gli batteva così forte.

«Comodo?» disse solo, senza alzare troppo la voce. La paura di tradire le sue emozioni.

«Non molto. Hai ragione: siamo troppo grossi per starci comodi.»

«Ah, no. Io sono grosso. Tu sei cresciuto quello che serve...»

Lo sentì ridacchiare appena, la testa poggiata alla sua spalla, una gamba di entrambi a penzoloni giù per quell'amaca che non si sarebbe certo distrutta in uno stupido sogno.

«Pensi che funzionerà?» lo sentì chiedere, la vibrazione della sua voce che gli arrivava distinta, lì, sul proprio torace. Troppo vivida.

«Funzionerà.» gli rispose.

«Pensi che sarò in grado di fare quello che devo?»

«Certo che lo sarai», disse, «hai già dimostrato di essere...»

«Più coraggioso di quello che penso.»

Richie sorrise appena. Il coraggio lo aveva pagato caro, ma era stato fondamentale, per tutti loro.

«Richie...»

«Sì, Eds?»

«Non chiamarmi Eds...»
«Sì, Spaghetti?»

Lo sentì stronfiare qualcosa e di nuovo gli venne da ridere.

«Volevo dirti una cosa ma credo che non lo farò...»

«Ma davvero? Crei la suspense e non la risolvi?»

«Non meriti altro che questo.»

«Sei crudele, Eduardo.»

«Piantala con i soprannomi.»

«Ma sono speciali, tutti per te.»

Lo sentì fare un altro verso strano ma da quella posizione non riusciva a vederlo bene in viso.

«Tutti per me, certo. E anche per Doc.» e quel Doc lo disse con un certo sottile disgusto.

Richie inarcò un sopracciglio.

«Scusa?»

«Doc. Danny Torrence. Deve essere speciale anche lui. Quanti ne hai dati a quel Torrence?»

Richie si scostò appena.

«Eddie Kaspbrak, non starai facendo il geloso, con me?»

«No... ?»

«No?»

«No!» lo vide cercare di rimettersi seduto, ma lo trattene per evitare che lo spostamento fulmineo li facesse caracollare a terra entrambi, alla faccia delle regole della fisica. Le braccia lo avvolsero più del necessario forse, ma lo sentì allentare la resistenza e rilassarsi così, nel suo goffo abbraccio. Il respiro vagamente più affannoso.

Era normale quello che stavano facendo? Era consentito? O era forse concesso in base alle regole oniriche che stavano pilotando quel sogno?

Decise che non gli importava, dopotutto.

«L'unico motivo per cui puoi essere geloso di Doc...» sussurrò così, vicino al suo orecchio, il capo di Eddie poggiato sulla sua clavicola.

«Non sono geloso di...»

«... è perché lui sa qualcosa che ancora tu non sai.» concluse, a occhi chiusi, come se, facendolo, fosse al sicuro, in una bolla di oscurità dove non poteva avere paura. Dove poteva dire quello che voleva, come lo voleva. Come avrebbe sempre voluto. «Ma ti prometto che quando tutto questo sarà finito, ti dirò tutto. Come si deve. Come avrei dovuto fare da un sacco di tempo.»

Sentiva il petto di Eddie alzarsi e abbassarsi, più accelerato del solito. Sperò, pregò di non essere andato troppo oltre, di non averlo spaventato. Non voleva spaventarlo. Voleva solo essere trasparente, cristallino. Così come si era ripromesso di fare. Così come aveva promesso alla memoria... di Eddie.

Lo sentì sospirare, prendere fiato di nuovo e lasciarlo andare ancora, come se stesse facendo uno di quegli strani esercizi di respirazione che faceva da bambino per placare i suoi attacchi di panico, travestiti da asma.

Poi la sua mano andò a finire sopra quella di Richie, e cercò le sue dita, tentativamente, intrecciandole alle sue. Facendo fremere Richie fin nelle viscere.

«Allora aspetterò anch'io», lo sentì mormorare e qualcosa, nel proprio petto esplose di sorpresa e trionfo.

Quando riaprì gli occhi, si rese conto che la luce che filtrava dalla botola si stava affievolendo e così anche la consistenza del corpo di Eddie.

Nel suo subconscio qualcosa gridava: no, non ancora.

Dall'altra parte, qualcosa gli diceva che era ora di svegliarsi.

 

*

 

Quando Eddie aprì gli occhi, l'eco di una frase ancora stava rimbalzando fra le pareti della sua coscienza.

«Attraversare il portale nella casa, affrontare il dolore più grande e... credere», disse a mezza voce.

«Eddie?» la voce di Stan, dall'altra parte della stanza.

Aprì del tutto gli occhi e rimettendosi seduto, ricordò tutto a un tratto dove si trovasse. I residui di un sogno stavano scivolando via, lentamente, lasciandogli addosso sensazioni contrastanti.

Fuori era appena spuntato il giorno.

«Attraversare il portale...» disse, di nuovo, strofinandosi la fronte con una mano, mentre le lenzuola sul divano letto gli scivolavano via dalle gambe. Ricordava che era stato Richie a dirglielo. E che si sarebbero ritrovati a Neibolt. E ricordava...

«Stan...» lo richiamò «Credo di sapere cosa dobbiamo fare.»

L'uomo gli venne incontro, fra le mani una tazza di caffè, fumante.

Non indagò oltre ma annuì, improvvisamente risoluto.

Eddie strinse una mano a pugno, la sensazione di un calore non suo, ancora vivo, e pulsante, sulla sua pelle.

 

Continua...

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