40 anni nel deserto... e nient'altro che lamentele!

di Ciuffettina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** «Perché non torniamo in Egitto?» ***
Capitolo 2: *** «Che è questa roba?» ***
Capitolo 3: *** «Volevate la carne?» ***
Capitolo 4: *** «Adesso decido io!» ***
Capitolo 5: *** «70 vecchietti per me...» ***
Capitolo 6: *** «Vai avanti tu che a noi vien da ridere» ***
Capitolo 7: *** I Dieci Comandamenti ***
Capitolo 8: *** «Io li ammazzo!» ***
Capitolo 9: *** «Ma perché non mi danno retta?» ***
Capitolo 10: *** «Non di nuovo!» ***
Capitolo 11: *** «Ma che ho fatto di male?» ***
Capitolo 12: *** «Se non ce la fai, chiedi aiuto» ***
Capitolo 13: *** «Scusarmi io? Mai!» ***
Capitolo 14: *** «Ma sei un angelo!» ***
Capitolo 15: *** «Contatevi e basta!» ***
Capitolo 16: *** «Lui chi è? Come mai l'hai portato con te? Il suo ruolo mi spieghi qual è?» ***
Capitolo 17: *** «Adesso basta!» ***
Capitolo 18: *** «E ora che facciamo?» ***
Capitolo 19: *** «Mosè... Mosè... Mosè...» ***
Capitolo 20: *** «Ma si sente solo!» ***
Capitolo 21: *** L'asina di Balaam ***
Capitolo 22: *** «Però un metodo ci sarebbe...» ***
Capitolo 23: *** «Contento ora?» ***



Capitolo 1
*** «Perché non torniamo in Egitto?» ***


Michael non avrebbe mai immaginato che da Principe delle milizie celesti (detto anche Arcistratega delle truppe angeliche) sarebbe stato degradato a balia di 60.000 uomini adulti, senza contare le donne e i bambini, mai soddisfatti.
I mugugni erano cominciati subito dopo l’attraversamento del Mar Rosso: gli israeliti avevano appena finito d’intonare un inno di ringraziamento al Signore per aver fatto affogare tutti i soldati egizi, che uno di loro aveva proposto: «Bene, ora possiamo tornarcene in Egitto!»
Che cosa?” aveva pensato l’arcangelo, esterrefatto. “Dopo tutto quello che abbiamo fatto per farli uscire!
«Sì!» aveva strillato un altro. «Dai Mosè, riapri il mare che torniamo indietro!»
Il condottiero aveva farfugliato: «Ma… ma io vi avevo promesso che, passato il mar Rosso, non avreste mai più visto un egizio».
«E allora? Gli egizi sono tutti morti».
«Veramente sono morti soltanto i soldati…» tentò di nuovo Mosè.
«Ah già… Beh ti esentiamo dalla tua promessa, adesso siamo più numerosi noi, riapri il mare».
Michael stava per comparire con la spada sguainata con lo scopo d’insegnare a quegli ingrati che cos’era il rispetto, quando Mosè, alzando il mento, aveva detto: «Io mi dirigo verso la Terra Promessa, chi vuole può pure stare qui fino alla fine dei suoi giorni perché non riaprirò il mare. Chi viene con me?» e si era incamminato, subito seguito dai suoi due fratelli, Aronne e Miriam, e da Giosuè.
Vedendolo così risoluto anche gli altri si erano decisi a seguirlo, pur seguitando a lagnarsi: «Perché ci hai portato nel deserto? Perché non torniamo in Egitto?»
Michael aveva pensato che, dopo la presa di posizione di Mosè, il popolo si sarebbe rassegnato invece no! Lamentele, lamentele, nient’altro che lamentele! In più Gabriel se l’era filata, con la scusa che per i suoi gusti aveva visto troppi morti(1), mentre lui doveva star lì a indicare la via sotto forma di nuvola di polvere e farsi vedere soltanto da Mosè per istruirlo.
Dio aveva destinato al Popolo Eletto la Terra Promessa ma per raggiungerla, invece della via denominata “dei Filistei”, più corta ma pattugliata dalle truppe egizie, avrebbe dovuto percorrere la via più lunga, perciò la prima tappa era stata raggiunta dopo tre giorni di dura marcia sotto il sole percorrendo un’orribile steppa brulicante di serpenti, scorpioni e gechi mentre lui, oltre a fare da guida, doveva anche fare in modo che stessero alla larga dagli umani.
Michael era orgoglioso della missione affidatagli, lui era un bravo figlio obbediente, desideroso di compiacere suo Padre (non come un certo ex arcangelo!), tuttavia avrebbe preferito non avere quel mantra sempre nelle orecchie: «Perché ci hai portato nel deserto? Perché non torniamo in Egitto?» cui si era aggiunto, verso la sera del secondo giorno, «Sarebbe stato meglio perire per mano dell’esercito del Faraone, ora moriremo di sete!» anche se avevano ancora abbastanza scorte.
Avevano già dimenticato che Dio aveva sempre provveduto a loro? Che cos’era quella mancanza di fiducia? Davvero oltraggioso!
Finalmente, la sera del terzo giorno trovarono un’oasi ma l’acqua era talmente amara che chiamarono il posto Mara ovvero “amarezza” e ricominciarono a lamentarsi, alcuni con espressioni piuttosto colorite, che sarebbe stato meglio morire per mano dei soldati egizi.
E Mosè a prendersela con lui come se fosse stata colpa sua, inaudito!
«Colpisci il laghetto col Bastone e l’acqua diventerà dolce» si limitò a dire Michael.
«Sei sicuro?» obbiettò Mosè. «La prima volta che l’ho fatto, l’acqua si era trasformata in sangue, la seconda ne sono uscite delle rane, la terza le zanzare… ah no quelle erano scaturite dalla polvere…»
«Fallo e basta!» esclamò l’arcangelo esasperato, ma Mosè non poteva obbedire e basta, senza contestare qualsiasi cosa gli ordinassero?
L’acqua divenne dolce e, per il momento, i mugugni si acquietarono.
«Se avrete fede in Dio, se ascolterete la Sua voce, se farete ciò che è retto ai Suoi occhi, se presterete orecchio ai Suoi ordini e osserverete tutte le Sue leggi, non vi sarà inflitta alcuna delle punizioni che hanno colpito invece gli Egizi» ricordò Michael a Mosè, in modo che lo riferisse agli israeliti almeno avrebbero smesso di lamentarsi. Fiato sprecato.


Dopo due giorni di marcia arrivarono a Elim, dove c’erano 12 sorgenti e 70 palme.
Ci si sarebbe aspettati che, vedendo l’acqua, gli israeliti sarebbero stati contenti, invece no!
«Che piante striminzite! Perché ci hai fatto uscire dall’Egitto? Perché ci hai portato nel deserto?»
Ma che cosa vogliono? Prima continuavano a pregare per scappare dall’Egitto e ora vogliono tornarci! Ingrati!” Michael cominciò a pensare che forse Uriel non aveva torto a detestare gli umani e che Lucifer aveva fatto bene a… NO! Loro erano stati creati per obbedire a Dio e se Lui aveva deciso che dovevano servire gli umani, ebbene, quello doveva essere.


Dopo una settimana, tempo sufficiente per riposarsi e fare provviste d’acqua, si spostarono nel deserto di Sin e ovviamente gli israeliti riattaccarono a lamentarsi: «Le nostre provviste dureranno solo 31 giorni e poi moriremo di fame! Oh, fossimo morti in Egitto, quando sedevamo davanti a pentole di carne, mangiando pane a sazietà!»
Ma che stanno dicendo? Gli egizi davano loro solo il minimo indispensabile per non farli morir di fame!
Certo che gli umani erano proprio strani! Gli Israeliti si erano portati dietro interi armenti ma, a quanto pareva, non intendevano mangiarne però smaniavano per delle bistecche, veramente assurdo! Questa cosa era da chiarire!
Perciò, quando si esaurirono le scorte e furono giunti nei pressi di Alus, Michael comparve a Mosè mentre era nella sua tenda. «Ho sentito le vostre lamentele riguardo sul fatto di morire di fame. Vorrei farti notare che qui fuori ci sono mandrie di mucche, capre e pecore. Non sono animali impuri, potete mangiarli.»
«Beh ecco…» farfugliò Mosè. «Il fatto è che…» Si bloccò.
«Spiegati» ribadì Michael che già cominciava a perdere la pazienza.
«Nel deserto non ci sono pascoli… insomma già moriranno di fame e se anche noi li mangiassimo arriveremmo nella Terra Promessa senza nemmeno un animale» buttò fuori Mosè tutto d’un fiato.
«Il vostro problema sarà preso in considerazione e risolto» disse Michael prima di sparire, peccato che mentre s’involava verso il Paradiso, sentì uno degli israeliti dire: «Insomma, in Egitto mangiavamo gratis, visto che Dio ci ha obbligato a venire nel deserto, dovrebbe perlomeno pensare Lui al nostro vitto invece di obbligarci a scannare i nostri animali».

*****

1) Vedere "Il passaggio del Mar Rosso"

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Capitolo 2
*** «Che è questa roba?» ***


Ingrati! Gli umani non erano altro che degli ingrati e pure smemorati: avevano davvero dimenticato com’erano trattati in Egitto? E quella mancanza di fede verso Dio? Davvero pensavano che Lui, dopo averli salvati dalla schiavitù, li avrebbe lasciati morire d’inedia nel deserto? Davvero intollerabile!
Potevano benissimo utilizzare le loro mandrie e, una volta nella Terra Promessa, Dio avrebbe fornito loro nuovi animali per ricominciare oppure… a Michael venne in mente che non spettava a lui immaginare o, peggio ancora, suggerire a suo Padre come risolvere i problemi del Popolo Eletto, doveva solo limitarsi a esporGli i fatti e Lui avrebbe trovato la soluzione.

Il giorno dopo piovve una strana sostanza resinosa in piccoli chicchi, gli israeliti cominciarono a chiedersi l’un l’altro “man hu?”, ovvero “che cos’è?”, non osando però toccarla.
Michael comparve a Mosè per dargli le istruzioni per l’uso: «Il popolo dovrà uscire a raccoglierne quotidianamente una razione bastevole per un giorno, non di più; perché questa è una prova per vedere se cammina secondo la legge del Signore oppure no. Solo il sesto giorno potranno raccoglierne il doppio, in quanto il settimo giorno non ne cadrà dal cielo».
Mentre Mosè spiegava agli altri umani che cos’era quella roba e le modalità di raccoglimento, Michael vide qualcuno, che non c’entrava assolutamente col Popolo Eletto, che aveva già iniziato a raccogliere i chicchi e a gustarli allegramente.
«Gabriel! Che cosa stai facendo? Questo cibo è soltanto per gli israeliti!» lo sgridò, non appena lo raggiunse.
«Oh Michi!» replicò il fratello, leccandosi le dita con aria soddisfatta. «Lo sai che devo controllare personalmente ogni cibo destinato agli umani».
«Nessuno ti ha mai affidato una simile mansione» gli disse Michael severamente.
«Me la sono data da solo, che cosa vuoi? Qualcuno doveva pur farlo e, visto che ai Piani Alti non hanno incaricato nessuno, ho deciso di delegare me stesso» replicò con espressione (finto) rassegnata.
Nel frattempo, gli Israeliti (dopo molte esortazioni da parte di Mosè) si erano finalmente decisi ad assaggiare quella che avevano deciso di chiamare “manna”, esclamando, con stupore: «Ma sa di focaccine al miele!»
«Focaccine al miele? Seriamente? Gliel’hai suggerito tu?» domandò l’arcistratega.
«Nominami una cosa, una sola cosa al mondo che sia più buona delle focaccine al miele» rispose Gabriel con un sorriso da un orecchio all’altro.
Ovviamente Michael non poteva nominarne alcuno, visto che l’unico cibo che era stato costretto a ingurgitare era stato disgustoso oltre ogni dire(1). «Gli angeli non mangiano» gli ricordò per l’ennesima volta.
«Solo perché non ne hanno la necessità, non significa che non possano. Se nostro Padre non avesse voluto, non ci avrebbe fornito di papille gustative, ti pare?»
Michael sbuffò mentalmente: per lui (e ovviamente per tutti gli altri angeli) ciò che non era espressamente permesso, era vietato, mentre per Gabriel tutto ciò che non era espressamente vietato, era permesso e, anche in quel caso, aveva la tendenza a cercare cavilli per trovare scappatoie.
Non avrei dovuto permettere che passasse così tanto tempo con Lu… con Satana” pensò, sentendosi vagamente in colpa.
«… così, visto che sono un esperto di cibi umani, Papà ha deciso di domandare a me quale sapore sarebbe piaciuto di più» stava finendo di raccontare Gabriel.
«Adesso che hai svolto il tuo compito, puoi anche smetterla di sottrarre il cibo destinato agli israeliti e occuparti delle tue vere mansioni, tipo…»
«Uffa, sei proprio noioso, lo sai?» lo interruppe il fratello. «Comunque hai ragione, andrò a controllare i miei ornitorinchi.» Allargò le ali e decollò.
Sempre così!” pensò Michael contrariato, sperava di farsi aiutare a tenere a bada quella mandria di umani ma Gabriel era sparito prima che potesse ordinarglielo e, anche stavolta, avrebbe trovato la sua brava scusa per essersi sottratto al suo dovere.

Nonostante le istruzioni di Michael, qualche israelita aveva raccolto una quantità doppia di manna, ritrovandosela il giorno dopo piena di vermi. «Ma che schifo! ‘Sta roba marcisce subito!» e aveva fatto vedere il corpo del reato a tutti, facendoli inorridire.
Se avessero obbedito alle istruzioni, questo non sarebbe accaduto!” pensò l’arcangelo contrariato. “Ma perché si ostinano a fare di testa loro?

Il 6° giorno piovve in quantità doppia, finalmente contenti?
Macché! Quelli che avevano provato a conservarla per il giorno seguente subito rammentarono a tutti gli altri che la manna marciva subito e aggiunsero che avrebbero dovuto buttarla e che c’era solo da sperare che il giorno dopo ne sarebbe piovuta ancora altrimenti avrebbero dovuto patire la fame.
Ma basta!” Michael aveva una gran voglia di comparire con le ali spalancate e la spada sguainata per rinfrescare loro la memoria: avevano già dimenticato tutti i prodigi che Dio aveva compiuto per farli uscire dall’Egitto? Stava per farlo davvero quando pensò che doveva dare agli umani una seconda chance: in fondo era la prima settimana che pioveva la manna e forse loro non avevano ancora ben compreso come funzionasse la faccenda: la manna marciva soltanto se tentavano di conservarla negli altri giorni ma l’indomani l’avrebbero ritrovata nella loro tenda bella fresca, come appena raccolta, e di ciò, Michael ne era sicuro, avrebbero lodato il Signore.

*****

1) Pezzi di capretto bollito nel latte acido vedere “La missione dei tre arcangeli

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Capitolo 3
*** «Volevate la carne?» ***


Il giorno dopo, al posto delle benedizioni che si era aspettato Michael, dall’accampamento degli ebrei salirono delle urla che nulla avevano di umano, sembrava che qualcuno li stesse sventrando con una zappa.
Ma che succede?” pensò preoccupato e si precipitò a vedere che cosa stesse accadendo: serpenti velenosi? Un’invasione di scorpioni nelle tende? Altri soldati egizi?
Niente di tutto ciò: semplicemente gli Israeliti erano usciti dalle loro dimore, non avevano trovato la consueta manna, si erano precipitati nei dintorni a cercarla freneticamente e, avendo costatato che era inutile, avevano cominciato a dare di matto: «Non cadrà mai più! Moriremo di fame! Ma perché non siamo rimasti in Egitto dove almeno mangiavamo a sazietà da pentole colme di carne?» incuranti che era rimasta per ognuno di loro una scorta sufficiente per quel giorno.
Era un’altra prova di fede e, anche questa volta, avevano fallito miseramente.
Michael comparve a Mosè con le ali spalancate, segno che era oltremodo irritato, e disse: «Dio vi ha condotto fuori dall’Egitto, ti ha dato il Bastone per dividere le acque del mare e per addolcire l’acqua dell’oasi di Mara, vi ha mandato la manna e ancora non obbedite ai suoi statuti e precetti? Non potete nemmeno accampare la scusa che vi ha dato troppi ordini perché, dopotutto, vi ha comandato solo di avere fede in Lui e voi non l’avete fatto. Sei il loro comandante e dovresti imporre della disciplina».
Mosè sbottò: «Perché te la prendi con me? Perché mi avete messo addosso il carico di tutto questo popolo? L’ho forse partorito io?»
Fosse stato libero di agire, Michael gli avrebbe insegnato che cos’era l’obbedienza, detto anche timor di Dio, ma si limitò a dirgli di ricordare a quei capoccioni di Israeliti che la manna sarebbe piovuta di nuovo il giorno dopo.
 
 
L’indomani, come promesso, la manna riprese a cadere nelle prime ore del mattino e questo avrebbe dovuto rallegrare gli umani, invece ripresero i mugugni: «Ma basta! Siamo stufi di ‘sta roba! Vogliamo della carne!»
Ai Piani Alti cominciarono ad averne abbastanza delle loro proteste, visto che avevano tutta la carne che volevano, viva e belante, e ancora si lagnavano!
Michael comparve a Mosè: «Non avete fatto altro che lamentarvi: “Chi ci farà mangiare carne? Perché siamo usciti dall’Egitto? Ci stavamo così bene!” Ebbene domani il Signore vi darà la carne e voi la mangerete. Non per un giorno, non per 2, non per 5, non per 10, non per 20 giorni, ma per un mese intero, finché non vi esca dalle narici e vi venga a noia perché, nonostante tutto quello che il Signore ha fatto per voi, non Gli avete dimostrato la benché minima gratitudine». Dopo di che decollò.
Mosè si chiese come l’invio di carne potesse essere un castigo, sarebbe piovuta marcia? O sarebbero stati obbligati a mangiare i loro animali? Attese l’indomani con un bel po’ d’agitazione.
 
 
Il giorno dopo non fu diverso dagli altri: piovve la solita quantità di manna tra i soliti brontolii degli Israeliti, fecero la solita marcia infernale nel deserto di Sin sotto il sole con Michael che indicava la strada sotto forma di nuvola di polvere… insomma la solita routine, perciò Mosè stava cominciando a pensare che la promessa / minaccia dell’arcangelo era stata accantonata.
Fu solo verso sera, quando gli ebrei stavano montando le tende, che si alzò un forte vento, portando uno stormo immenso di quaglie, facendole cadere presso l’accampamento.
Gli uccelli erano talmente storditi che non fu difficile per gli israeliti catturarli.
Per tutta la sera, la notte e il giorno dopo il popolo raccolse le quaglie, nonostante Mosè ricordasse loro che prima sarebbero partiti e prima sarebbero arrivati nella Terra Promessa e che avevano raccolto scorte a sufficienza. Fiato sprecato.
Gli Israeliti fecero una bella grigliata di gruppo fra vari: «Finalmente!» «Era ora!» «Basta con quella fetida manna!»
Stavano ancora masticando tutti allegri, quando furono colpiti da una fortissima indigestione.
Loro non potevano vederlo, ma in un angolo c’era Gabriel, con un sorriso ironico: «Ecco soddisfatta la vostra smania di carne! La mia manna non è fetida, ingrati!»


Dopo qualche giorno di degenza, alcuni Israeliti fecero sapere a Mosè che, nonostante il mal di pancia, volevano ancora le quaglie e il condottiero li rassicurò, un po’ sorpreso, riferendo loro che Dio aveva promesso di farle piovere per un mese.
Quando gli altri seppero che avrebbero mangiato ancora quaglie per un mese, la popolazione si divise in tre fazioni: i più ottimisti sostenevano che, allo scadere del tempo, sarebbero entrati nella Terra Promessa; altri sostenevano che non sarebbero ancora arrivati ma che dopo ci sarebbe stata un’altra prelibatezza e infine, i più pessimisti sostenevano che allo scadere del mese non solo non sarebbero ancora giunti a destinazione, ma che sarebbero tornati a mangiare manna, solo manna, nient’altro che manna (alla faccia di chi sostiene che l’espressione “piovere manna dal cielo” significhi “fortuna improvvisa”.
Comunque Michael era ottimista: sembrava che, tutto sommato, mandare la manna al mattino e le quaglie la sera fosse la formula vincente per accontentare gli umani ma la strada era ancora lunga attraverso il deserto…

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Capitolo 4
*** «Adesso decido io!» ***


Che cosa aveva sperato Michael? Che la manna al mattino e le quaglie alla sera avrebbero finalmente accontentato quella mandria d’insoddisfatti? Povero illuso! Dopo aver smaniato per giorni per avere della carne e avendola finalmente avuta, adesso si erano incaponiti per ottenere aglio e cipolle. Proprio così! Due fetidi ortaggi il cui delicato aroma ricordava a Michael la presenza dei tirapiedi del suo non-più-fratello, in più continuavano a blaterare di meloni, cocomeri, pesci e altri cibi gustati in Egitto, tutti assolutamente gratis… insomma sembrava quasi che Dio avesse fatto loro un enorme dispetto ad averli liberati dalla schiavitù.
Esasperato, Michael volò lontano da quella masnada lagnosa. Si sedette sotto una palma, stringendosi le tempie con le dita. Voleva stare lontano da loro almeno per un po’ perché, essendo un arcangelo, riusciva a sentire tutti i mormorii degli Israeliti, pur non volendolo. Ogni. Singola. Parola.
Era una fortuna che gli umani non avessero quel potere altrimenti Mosè sarebbe diventato pazzo: se si alzava dopo il sorgere del sole, tutti mormoravano: «Ma guarda com’è pigro Mosè». Se si alzava prima: «Hai visto? Mosè si è alzato presto per raccogliere i grani più grossi di manna». Se il condottiero se ne stava per conto suo: «Ma chi si crede di essere Mosè? Il Principe d’Egitto? Troppo nobile per mischiarsi col popolino?» Se parlava con loro: «Hai visto? Mosè vuole fare il populista».
Era chiaro che gli israeliti non avevano alcun rispetto per il loro condottiero e addirittura tre di loro, Kore, Datan e Abiram, insistevano per indire delle primarie ante-litteram per eleggere un nuovo leader che li avrebbe riportati in Egitto o in un qualsiasi altro luogo, molto più vicino, che non fosse questa fantomatica Terra Promessa “dove scorre latte e miele”.
Bisognava trovare un modo che manifestasse a tutti che era Mosè il Prescelto da Dio per guidarli, che loro lo volessero o no.
Se fossi un umano, credo che ora avrei quello che loro chiamano mal di testa” pensò Michael stressato.
Era difficile essere l’arcistratega delle truppe angeliche, essere d’esempio agli altri e perciò doversi mostrare sempre imperturbabile e perfetto: se Uriel avesse avuto una crisi isterica o se Gabriel avesse girato per il Paradiso con le ali arruffate, nessuno ci avrebbe fatto caso ma se fosse successo a lui, tutti avrebbero pensato, come minimo, che l’Apocalisse era imminente inoltre era dolorosamente consapevole che Raphael non vedeva l’ora di fargli i calzari e prendere il suo posto come arcistratega, quindi Michael sapeva che se non si fosse dimostrato all’altezza del compito assegnatogli, il suo “caro” fratellino ne avrebbe approfittato per tentare di spodestarlo. Questo non doveva succedere: se suo Padre l’aveva nominato Principe delle milizie celesti, significava che era lui l’arcangelo giusto per quel ruolo ma c’era sempre il rischio che Raphael organizzasse una seconda rivolta angelica dall’esito incerto.
Beh è ora di rimettersi in marcia” pensò, rialzandosi e volando verso l’accampamento.

Quando la comunità degli Israeliti levò il campo dal deserto di Sin, secondo l’ordine che Dio dava di tappa in tappa, e si accampò dopo una settimana all’oasi di Refidim, nascosta tra le ripide pareti della gola dello Uadi Feiran, si accorse subito che non c’era acqua da bere.
Il popolo protestò contro Mosè: «E la chiami oasi, questa? Dacci l’acqua, subito! Perché ci hai fatti uscire dall’Egitto? Per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?»
Mosè rispose loro: «Perché protestate con me? Abbiate fede e Dio provvederà a noi, come ha sempre fatto».
Dopo che riuscì a buttar fuori dalla sua tenda l’ennesimo contestatore assetato, Mosè invocò l’aiuto di Michael: «Che farò per loro? Ancora un po’ e mi lapideranno!»
L’arcangelo gli disse: «Prendi con te tutto il popolo e va’ alla base dell’Horeb col Bastone e appoggialo su una delle rocce, una qualsiasi, e l’acqua uscirà».
Mosè radunò gli israeliti e spiegò loro come li avrebbe dissetati, semplice, no?
Peccato che loro non riuscirono ad accordarsi: «Mosè, picchia su questa!» «No, batti quest’altra!» «Questa mi sembra più carina!» «Non vedi che è troppo in alto? Ed io come ci arrivo?» «Se batti su due rocce escono due fonti d’acqua?»
«Basta!» urlò Mosè, sbattendo una prima volta il bastone sulla pietra. «Decido io» altra botta, «da dove farvi scaturire l’acqua!» e ce lo sbatté con forza una terza volta, scheggiandolo.
Subito l’acqua schizzò addosso agli israeliti bagnandoli da capo a piedi.
«Complimenti, Mosè, hai deciso di farci annegare?» chiese uno di loro cercando inutilmente di asciugarsi la faccia con la tunica, anch’essa fradicia.
Stavano ancora bevendo, loro e il loro bestiame, quando giunse la notizia che un branco di predoni stava dirigendosi verso di loro…

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Capitolo 5
*** «70 vecchietti per me...» ***


Contro gli Amaleciti (così si chiamavano i briganti, in quanto guidati da un certo Amalek), la soluzione, secondo Michael, sarebbe stata semplice: lui e le sue truppe avrebbero potuto sgominarli in men che non si dica, tuttavia vide in quell’imprevisto l’occasione perfetta per dimostrare a quei capoccioni che era Mosè l’umano giusto a far loro da condottiero e che senza di lui non potevano far niente.
Mentre Giosuè organizzava rapidamente una difesa, Michael comparve a Mosè e gli spiegò come avrebbe dovuto agire: bisognava che andasse sulla collina che sovrastava la pianura e che tenesse il Bastone in alto con entrambe le mani, così facendo gli Israeliti sarebbero stati più forti dei razziatori.
Per fortuna, oltre che a un numero considerevole di bestiame e di gioielli che si erano fatti dare dagli Egizi(1) (davvero utile avere un collier in un deserto!), gli Israeliti si erano portati dietro anche delle armi, in previsione che gli effettivi abitanti della Terra Promessa non sarebbero stati molto entusiasti ad accoglierli nel loro territorio.
Così Mosè, suo fratello Aronne e suo cognato Cur salirono sulla cima del colle.
Dopo le solite frasi di rito: «Era meglio morire in Egitto, quando sedevamo davanti a pentole di carne, mangiando pane a sazietà che essere trafitti in questo deserto!» gli Israeliti cominciarono a combattere.
Finché il loro condottiero tenne le mani sollevate, stringendo il Bastone alle due estremità, erano i più forti, ma dopo qualche ora le lasciò cadere per la stanchezza (i suoi 80 anni cominciavano a farsi sentire) e a quel punto prevalsero gli Amaleciti.
Per correre ai ripari, Aronne e Cur presero una pietra, lo fecero sedere, mentre loro, uno da una parte e l’altro dall’altra, gli tenevano sollevate le mani, reggendole per i polsi.
«Spero che la battaglia finisca presto…» mormorò Mosè, «non ce la faccio più…»
«Di che cosa ti lamenti?» lo rimbeccò Cur. «Siamo noi che ti teniamo sollevate le braccia… a proposito: con tutta l’acqua che hai fatto schizzare, non potevi approfittarne per lavarti le ascelle?»
«Ma ti sembra il caso?» lo sgridò Aronne. «Te le teniamo sollevate noi, non ti preoccupare» disse poi rivolto al fratello.
«Non è questo… È che mi si stanno anchilosando le dita a furia di stringere il bastone» si lagnò Mosè.
«Ci mancava anche questa!» sbuffò Cur. «Non potresti passarlo a qualcun altro?»
«No, Dio mi ha fatto sapere che devo tenerlo solo io».
«Ah beh, se te l’ha fatto sapere Dio in persona…»
 
Finalmente Giosuè riuscì a sconfiggere Amalek e il suo popolo, proprio quando stava tramontando il sole.
Inutile dire che l’aver vinto contro gli Amaleciti grazie allo sforzo fisico di Mosè non aveva impressionato affatto i suoi compatrioti: «Se tu non ci avessi fatto uscire dall’Egitto, questo non sarebbe successo! Che cosa ti ripetevamo sempre? “Lasciaci stare e serviremo gli Egizi, perché è meglio per noi servire in Egitto che morire nel deserto” e tu invece ci hai fatto persino combattere contro dei predoni che volevano le nostre bestie! Nemmeno gli Egizi avevano mai tentato di portarcele via!»
Mosè invece si ricordava benissimo che quando era andato a riferire loro che Dio gli era apparso come un roveto ardente, le frasi che gli avevano ripetuto quegli ingrati erano ben diverse, prima erano tutti un “Mosè, intercedi per noi affinché il Signore ci liberi subito” adesso erano solo un “Ma quanto mai ci hai fatto uscire dall’Egitto?”, fatto sta che andò a dormire con le quaglie sullo stomaco.
 
 
Il mattino dopo, gli andò la manna di traverso: era arrivata sua moglie col proprio padre Ietro, i due figli Gherson ed Elizier e il fratello Obab.
L’anno prima lei avrebbe voluto seguirlo in Egitto coi figli ma lui era riuscito a rimandarla indietro propinandole un panegirico in cui le spiegava che gli sarebbe stata d’ostacolo nella missione impostagli da Dio e ora era riapparsa. “Avrei dovuto ricordare che non abita lontano da qui”. Gli venne in mente che proprio sull’Horeb erano cominciati i suoi guai. “Così imparo ad avvicinarmi ai roveti ardenti”. Sperò che almeno Zippora non gli avrebbe avvelenato la vita come i suoi “carissimi” compagni di viaggio.
Ietro gli disse: «Ho sentito il belare dei vostri animali e ho immaginato che foste voi. Ho saputo quanto Dio ha fatto per Israele e come l’ha fatto uscire dall’Egitto. Vorrei saperne di più».
Mentre Mosè tentava di raccontare al suocero lo svolgimento delle Dieci Piaghe e l’apertura del Mare dei Giunchi(2), vari Israeliti vennero a disturbarlo per ogni cosa: «Mosè, quando arriviamo alla Terra Promessa?», «Mosè, Chelon continua a raccogliere la manna davanti alla mia tenda, potresti dirgli di smetterla?», «Mosè, possiamo depredare i cadaveri degli Amaleciti?», «Mosè, mia moglie è sterile, posso ripudiarla e prendermene un’altra?» e questo continuò per tutto il giorno.
Allora Ietro gli domandò: «Perché vengono tutti da te? Non hai anche un fratello a cui potrebbero rivolgersi?»
Mosè gli rispose: «Il popolo viene da me per consultare Dio. Quando hanno qualche questione, vengono da me e io giudico le vertenze tra l’uno e l’altro e faccio conoscere loro i decreti di Dio e le sue leggi».
Il suocero replicò: «Non va bene quello che fai! Finirai per soccombere, perché il compito è troppo pesante per te; non puoi attendervi da solo. Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e che Dio sia con te! Scegli alcuni uomini retti. Spiega loro i decreti e le leggi; indica loro la via per la quale dovranno camminare e le opere che dovranno compiere. Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà una questione importante, la sottoporranno a te, mentre giudicheranno ogni affare minore. Così ti alleggerirai il peso ed essi lo porteranno con te».
Finalmente qualcuno che avrebbe potuto aiutarlo!
 
 
Il giorno dopo Ietro ritornò nel suo paese, lasciando lì i suoi due figli e i due nipoti.
Mosè nominò settanta anziani ma anche questa decisione diede il via a nuove lamentele: «Perché lui sì ed io no?» «Solo perché uno è anziano non significa che sia migliore di uno giovane!» «Mosè, Palti ha detto che devo fare così, invece Setur asserisce che devo fare cosà, a chi dei due devo dare retta?»
Speriamo di arrivare presto alla Terra Promessa” pensò Mosè esasperato.
 
*****
 
Eccomi qui! Capitolo veramente rognoso a causa dell’identificazione che fanno gli studiosi del monte Sinai col monte Horeb, ma in questo punto della narrazione i nostri eroi non sono ancora arrivati al Sinai, perciò dopo aver consultato un bel po’ di mappe, bibbie e siti, mi sono convinta che l’Horeb sia il nome della catena montuosa e il Sinai una delle cime.
  1. Vera! Non avevano trovato il tempo di far lievitare il pane ma quello per farsi dare i gioielli dagli Egizi sì. Esodo capitolo 12 “[35]Gli Israeliti eseguirono l'ordine di Mosè e si fecero dare dagli Egizi oggetti d'argento e d'oro e vesti. [36]Dio fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egizi, i quali acconsentirono alle loro richieste. Così essi spogliarono gli Egizi. […] [39]Fecero cuocere la pasta che avevano portato dall'Egitto in forma di focacce azzime, perché non era lievitata: erano infatti stati scacciati e non avevano potuto indugiare; neppure si erano procurati provviste per il viaggio.”
  2. Antico nome del Mar Rosso

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Capitolo 6
*** «Vai avanti tu che a noi vien da ridere» ***


Gli Israeliti levarono l’accampamento da Refidim e arrivarono dopo una settimana al deserto del Sinai, dove si accamparono davanti all’omonimo monte, una delle cime della catena montuosa dell’Horeb, proprio dopo tre mesi che erano scappati dall’Egitto.
Proprio sulla cima del Sinai, Dio (cioè Metatron) avrebbe consegnato a Mosè il Suo Decalogo, era un avvenimento importante perciò anche il popolo doveva essere preparato.
Michael comparve a Mosè e gli disse: «Questo annuncerai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto ciò che Dio ha fatto all’Egitto per voi di come ha sempre provveduto ai vostri bisogni. Se vorrete ascoltare i Suoi comandamenti e custodire la Sua alleanza, Lui sarà il vostro Dio e voi sarete il Suo popolo! Camminate sempre sulla strada che Lui vi prescriverà, perché siate felici”. Va’ dal popolo e purificalo oggi e domani: lavino le loro vesti e si tengano pronti per il terzo giorno, perché il Signore scenderà sul monte Sinai alla vista di tutto il popolo. Fisserai per il popolo un limite tutt’attorno, dicendo: “Guardatevi dal salire sul monte e dal toccare le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. Nessuno però dovrà toccare costui: dovrà essere lapidato o ucciso con un tiro di arco. Animale o uomo che sia non dovrà sopravvivere”. Soltanto quando suonerà il corno, potranno salire sul monte».
Mosè, nel frattempo scriveva di corsa tutte quelle frasi perché, per evitare guai e fraintendimenti, voleva essere sicuro di riferire le esatte parole, ci mancava solo che qualche sconsiderato salisse sul monte, venisse fulminato e dessero la colpa a lui per non averli avvertiti in tempo.
Quando Michael partì, Mosè convocò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole, come gli era stato ordinato. Fece purificare il popolo ed essi lavarono le loro vesti. Poi disse al popolo: «Siate pronti in questi tre giorni» e aggiunse «non unitevi a donne» perché, almeno per tre giorni, voleva evitare di avere la solita ansia da prestazione con la moglie Zippora.
Tutto il popolo rispose: «Quanto il Signore ha detto, lo faremo!»
Mosè pensò che fosse stato più facile del previsto ma aveva fatto male i conti: era appena terminato il mese in cui erano state promesse / minacciate le quaglie perciò quando giunse la sera e non piovvero come al solito, cominciarono a lamentarsi: «Dove sono le quaglie? Quando arrivano? Vogliamo le quaglie! Vogliamo le quaglie! Vogliamo le quaglie!»
Mosè cominciò a sgolarsi, ricordando loro che era finito il mese e non ne sarebbero più piovute, tutto inutile.
«Adesso Dio potrebbe far piovere pesci, no?» «Io avrei tanta voglia di cocomeri…» «Sei matto? Ma vuoi mettere un bel pollo arrosto? Dai Mosè, chiedi a Dio di far piovere polli arrosto per un altro mese!»
Mosè si rinchiuse nella sua tenda, dandosi malato.
 
 
Al terzo giorno, sul far del mattino, si sentirono dei tuoni e un suono fortissimo di corno.
Tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da terrore e si precipitò fuori dalle tende per scoprire che cosa stesse succedendo.
Il monte Sinai era tutto fumante e tremante e su di esso c’era una densa nuvola che lanciava fulmini. Il suono del corno diventava sempre più intenso ma nessuno si azzardava a salire.
Michael era perplesso: si era dato un gran da fare per ideare una scenografia degna dell’arrivo di Dio sulla terra (anche se in realtà in cima gli Israeliti avrebbero trovato soltanto il Suo Scriba, opportunamente mascherato) e si era aspettato che si sarebbero precipitati accalcandosi su per il monte nella speranza di vederLo invece niente, se ne stavano lì col naso per aria ma non si decidevano a salire, davvero strano. Comparve a Mosè e gli disse: «Non avete sentito il corno? Ora potete salire ma non accalcatevi, perché potreste farvi male, prima salirai tu e Aronne, poi i settanta anziani che hai nominato, infine il popolo in maniera ordinata».
Mosè obbiettò: «Avevi detto che il popolo non può salire al monte Sinai. Tu stesso ci hai avvertiti: “Guardatevi dal salire sul monte e dal toccare le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. Nessuno però dovrà”… che ho scritto? Peccarlo?? Ah sì toccarlo…»
«Ma solo finché non avrebbero sentito suonare il corno, ora possono salire» lo interruppe Michael.
Mosè ricontrollò i suoi appunti, mentre l’arcangelo sbuffava esasperato. «Credo di non aver scritto quest’ultimo pezzo… Vado a dire al popolo che ora può salire».
E, ovviamente, gli Israeliti furono molto entusiasti all’idea di salire sulla montagna per vedere Dio: «No, senti Mosè, vai tu a parlarGli, noi ti aspettiamo qui».
«Non abbiate timore» insistette Mosè. «Dio è venuto per mettervi alla prova e perché…»
«È inutile che insisti, forse hai capito di nuovo male, noi saliamo e ci rimaniamo secchi, è meglio se vai tu e senti che cos’ha da dirci».
Allora Mosè, dopo aver raccomandato ad Aronne di vegliare sugli Israeliti, salì sulla montagna, seguito soltanto dal fedele Giosuè.

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Capitolo 7
*** I Dieci Comandamenti ***


Mosè iniziò la lunga scalata verso la sommità del Sinai, in compagnia del suo fedele aiutante, Osea, ribattezzato Giosuè. A poche centinaia di metri dalla vetta, raggiunsero una cavità naturale della montagna, cosparsa di acacie.
I tuoni si abbattevano intorno ai picchi frastagliati, rimbalzando sulle pareti della valle in un boato quasi continuo, ma senza pioggia. Un forte vento sibilava nelle feritoie tra le rocce attorno alla cima, perciò Giosuè disse: «Senti Mosè, ti aspetto qui». Si acquattò nel rifugio offerto dalla cavità e non ci fu verso di farlo muovere.
Ai piedi della valle, l’intera congregazione guardava con stupore e non senza qualche difficoltà, poiché la luce sobbalzava di picco in picco in un maestoso balletto di luce.
Quella notte una coltre di nubi nere scese da nord e avvolse la cima del Sinai.
Il mattino dopo tutto era tornato alla calma. Il sole si levò all’orizzonte, inondando la cima del Sinai con la sua luce dorata.
Il popolo accampato ai piedi della montagna, uscì dalle tende e attese il ritorno del suo capo... ma Mosè non fece ritorno dalla Montagna di Dio.
Gli anziani si raccolsero per diversi giorni presso la roccia dove Mosè li aveva pregati di aspettarlo... ma il condottiero di Dio non tornò.
Giosuè rimase nella cava, in attesa di accompagnare il suo signore nella discesa dalla montagna... ma di Mosè non c’era traccia.
Passarono giorni, poi settimane. Ma Mosè non ricomparve.
Il povero Mosè era stato trasformato in uno scribacchino da Metatron (che si teneva nascosto mentre faceva da ventriloquo a una palla di fuoco) il quale, non pago di avergli fatto trovare due pesantissime tavole di pietra da portare giù, aveva pensato bene di illustrargli i comandamenti uno per uno, con l’aggiunta di altre mille prescrizioni, che il povero umano doveva trascrivere, parola per parola: «Non spargerai false dicerie; non aiuterai il colpevole facendo il testimone in favore di un’ingiustizia. Non seguirai la maggioranza per agire male e non deporrai in processo per deviare verso la maggioranza, per falsare la giustizia…»
Michael ascoltava distrattamente, chiedendosi perché lo Scriba di Dio non si fosse limitato a consegnare al povero Mosè le pergamene già scritte, insomma era già un mese che quella storia andava avanti, purtroppo non poteva nemmeno intervenire perché in quel momento Metatron stava impersonando Dio (da un po’ troppo tempo secondo il parere dell’arcistratega) e lui non poteva certo dirgli: «Dacci un taglio e dagli le tue pergamene!» Perciò rimase lì rassegnato sperando che quella farsa finisse presto.
«… Non favorirai nemmeno il povero nel suo processo. Non farai deviare il giudizio del povero, che si rivolge a te nel suo processo, ti terrai lontano da parola menzognera. Non farai morire l’innocente e il giusto, perché Io non assolvo il colpevole. Non accetterai doni, perché esso acceca chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti. Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché siete stati forestieri in Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre??»
Quest’ultima frase era stata pronunciata in maniera talmente strana e il comandamento era così assurdo che Michael capì subito che non l’aveva scritto Metatron e nemmeno suo Padre.
A quanto pareva, Gabriel aveva colpito ancora e l’arcistratega si ripromise di parlare al più presto al suo fratellino per ricordargli che doveva smetterla di scherzare con le cose sacre.
Per fortuna (o sfortuna) lo scriba si riprese subito: «Mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che Io ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in Lui. Se ascolti la sua voce e fai quanto ti dirò, sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari…»
Suo Padre si era ricordato di lui! Michael sorrise fra sé, si mise ancora più dritto e rimase ad ascoltare il resto della pappardella.
 
Nel frattempo…
Dopo 30 giorni, nell’accampamento aveva cominciato a girare un biondino che nessuno si ricordava di aver visto precedentemente che cominciò a sobillare gli Israeliti (come se non lo facessero già da soli) svelando loro che Mosè aveva promesso al faraone Dudimose che loro sarebbero andati nel deserto per tre giorni, avrebbero adorato il loro Dio e che poi sarebbero tornati indietro. «Altro che tre giorni, siamo qui nel deserto da tre mesi! Lo capite? Non so voi, ma a me manca tanto la birra, vi ricordate com’era buona? Insomma Mosè, invece dell’acqua, potrebbe far sgorgare dalla roccia anche della birra, no? E il vino di datteri, ve lo ricordate? Per non parlare dei conigli stufati, meloni, fichi…»
Mai parlare di cibo a una masnada esasperata da due mesi di manna e a cui avevano appena tolto le quaglie, subito si radunarono intorno ad Aronne per sapere se era vero che Mosè aveva detto al faraone che sarebbero rimasti nel deserto solo tre giorni.
«Ma sì… gli avevamo detto così…» rispose, stupito che lo sapessero anche loro. «Però era solo…» voleva spiegare loro che era solo una bugia, piuttosto puerile a ripensarci bene, detta solo per scappare e non dover scatenare ogni volta una nuova piaga; peccato che il faraone fosse testardo ma non stupido e aveva capito subito i loro veri propositi.
Ma gli Israeliti, poco propensi a sentire ulteriori spiegazioni, ricominciarono a dare di matto: «Tre mesi! Siamo qui da tre mesi, quando avremmo potuto rientrare dopo soli tre giorni
«Vi rendete conto?» continuò il biondino. «Abbiamo tradito la fiducia che il faraone aveva riposto in noi, non c’è da stupirsi che sia venuto a riprenderci e Mosè, invece di onorare la sua promessa, ha fatto annegare il suo esercito… ma possiamo ancora tornare, basterà mettersi sotto la protezione della divinità più benevola dell’Egitto e il gioco è fatto!» concluse con un sorriso beffardo.
Detto fatto: gli Israeliti, scartati a priori Anubi il dio sciacallo dei morti e Sobek, il dio coccodrillo del Nilo, e valutati rapidamente i pro e i contro delle restanti divinità egizie, si precipitarono nuovamente da Aronne: «Facci la dea Hathor che cammini alla nostra testa».
Aronne rispose loro: «Forse sarebbe meglio aspettare Mosè…»
«È sparito da un mese e non sappiamo che cosa gli sia successo, facci la dea Hathor!» insistettero.
«Datemi tutti i gioielli che avete» replicò rassegnato.
Hai visto, Padre? Hanno adorato quei cosiddetti dei fino a tre mesi fa e sono pronti a rifarlo e Tu hai persino diviso il mare per loro? Lo vedi o no che questa feccia non merita niente?” pensò il biondino (alias Lucifer) prima di sparire, mentre nessuno lo guardava.
 
 
Nove giorni dopo, la statua di Hathor, abilmente forgiata dai fabbri che, prima della liberazione, avevano “lavorato” nelle miniere di Mofkat, era pronta. Tra le sue corna, c’era un grande disco solare sosteneva 2 alte piume che brillavano al sole. Attorno al collo aveva una catena d’oro dalla quale pendeva il simbolo egizio della vita.
Tutto ciò era al popolo familiare. Ciò che vedevano davanti a sé era tangibile, concreto, confortante, non come il nebuloso, invisibile, terrificante Dio di Mosè. Il popolo si rallegrò di tornare al culto della benevola dea egizia dell’amore e della fertilità e i bagordi proseguirono per tutta la notte.

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Capitolo 8
*** «Io li ammazzo!» ***


Al quarantesimo giorno, Michael sentì un canto provenire dal campo degli Israeliti, chiunque altro avrebbe trovato positivo un fatto del genere ma ormai l’arcangelo era talmente abituato alle infinite lamentele di quegli ingrati che trovò la cosa decisamente strana.
Metatron stava ancora parlando ininterrottamente, godendo di ogni singolo secondo in cui poteva spacciarsi per l’Onnipotente e non si accorgeva di nient’altro che non fosse l’ascolto del suono della propria voce, perciò l’arcangelo, dopo aver messo una mano sulla spalla a Mosè, per dargli la forza di sostenere quella maratona verbale, scese a vedere.
Lo spettacolo che vide lo lasciò, a dir poco, sconvolto.
«Porca vacca!» esclamò l’arcangelo: eh sì, il Popolo Eletto si era fatto un simulacro di Hathor, la dea-mucca egizia, l’aveva messo su un carretto e lo stava spingendo allegramente verso l’Egitto, in più Michael si rese conto che parecchi animali, da loro così strenuamente difesi anche dai propri morsi della fame, erano stati sacrificati in onore di questa cosiddetta dea. Neanche il tempo di girare le ali che gli Israeliti si erano già dati all’idolatria.
«Io li ammazzo! Io li ammazzo!» Michael marciò furiosamente avanti e indietro un paio di volte, con la mano sulla spada. «Vado a chiedere a Metatron che cosa devo fare».
Volò di nuovo sulla cima del Sinai, s’infilò nell’anfratto nel quale si era nascosto lo scriba e rapidamente gli svelò che cosa stavano combinando gli Israeliti.
Allora “Dio” disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo si è pervertito. Si sono fatti un idolo e lo stanno adorando! Questo è un popolo dalla dura cervice. Meriterebbero solo essere sterminati, di te invece farò una grande nazione».
Sterminati? Sì, erano lagnosi e sempre insoddisfatti ma meritavano la morte per quello? Mosè non era d’accordo perciò supplicò: «Signore, hai sempre detto che era il Tuo popolo, perché ora sarebbe mio? Retto o empio che sia, rimane sempre Tuo! Ti prego, abbandona il proposito di far loro del male, altrimenti gli Egizi diranno che li hai fatti uscire dalla loro terra solo per farli morire nel deserto».
Ragionamento ineccepibile, inoltre lo scriba divino, per quanto adorasse spacciarsi per Dio, non poteva fare di testa sua senza prima consultare il vero Onnipotente.
«Riferisci agli Israeliti: “Siete un popolo di dura cervice; se per un momento venissi in mezzo a voi, vi sterminerei”. Ora scendi e poi saprò che cosa dovrò farvi» gli toccò infatti rispondere.
Mosè si affrettò a scendere (per quanto glielo consentiva il peso delle due tavole) e raggiunse Giosuè che lo stava ancora aspettando nella grotta.
Quando arrivarono all’accampamento, non trovarono nessuno ma videro i loro compatrioti un po’ più lontano intenti a cantare e danzare intorno a un simulacro su un carretto.
Per la fretta di raggiungerli, Mosè lasciò cadere a terra le tavole che si ruppero. Raggiunse suo fratello e gli disse: «Ti avevo raccomandato di sorvegliarli, è così che lo fai?»
Aronne rispose: «Non arrabbiarti; sai che questo popolo è inclinato al male. Mi dissero: “Facci un dio, che cammini alla nostra testa, perché non sappiamo che cosa sia capitato a Mosè”. Allora dissi: “Chi ha dell’oro?” Me l’hanno dato, l’ho gettato nel fuoco e ne è uscito questo idolo».
«Cioè vuoi farmi credere che ti sei limitato a gettare nel fuoco l’oro e che, senza che tu facessi nulla, è venuto fuori questo coso? Avresti dovuto rifiutarti! Che ti ha fatto questo popolo, perché tu l’abbia gravato di un peccato così grande?» Senza aspettare risposta stese le mani e, aiutato da Giosuè, spinse la statua giù dal carretto poi gridò agli altri: «Adesso torniamo al monte Sinai!»
Vedendo che il loro idolo era caduto su delle rocce e si era danneggiato, il popolo cominciò a lamentarsi: «Ma perché l’hai fatto? Ci avevamo messo così tanto a costruirlo!»
«Dio ci ha dato le Sue Leggi e ha giurato per sé stesso che saremmo entrati nella Terra Promessa, dove scorre il latte e miele, adesso tornate al monte Sinai con me».
«No!» disse Kore. «In Egitto mangiavamo gratuitamente pesci, cocomeri, meloni, porri, cipolle e aglio. Ora i nostri occhi non vedono altro che questa manna, non verremo con te».
Molti assentirono ma gli appartenenti della tribù di Levi(1) (di cui facevano parte Giosuè, Mosè e i suoi fratelli) si resero invece conto dell’assurdità del tornare in Egitto dopo le dieci piaghe e lo sterminio dell’esercito egizio, e cercarono di farlo capire agli altri, da lì ne nacque un tafferuglio con botte da orbi tra le differenti fazioni.
 
Mentre gli Israeliti se le suonavano di santa ragione, Metatron tornò in Paradiso arrabbiatissimo: secoli di meditazioni e di ripensamenti finiti in polvere solo perché quello stupido di Mosè aveva lasciato cadere le Tavole della Legge. Doveva sfogarsi subito contro qualcuno e, visto che non poteva prendersela con gli umani, decise di scaricare il suo malumore sul suo bersaglio preferito.
«Gabrieeel!!!»
«Eccomi!» disse l’arcangelo comparendo e sedendosi sulla scrivania dello scriba, sbocconcellando un fico. «Perché urli?»
«Scendi subito dalla mia scrivania! Vuoi avere la compiacenza di spiegarmi se questo ti sembra un comandamento divino?» chiese picchiettando col dito il punto della pergamena incriminato ovvero il capretto cotto nel latte.
«Senti, hai mai assaggiato quel piatto? È un vero abominio, indegno di un popolo civile, specialmente se vogliono offrirlo a un divino messaggero quale io sono» esclamò Gabriel, con un brivido di disgusto. «Credimi, Meti, ho fatto un favore all’umanità!»
Ovviamente la sua scusa culinaria non servì a placare l’ira dello scriba divino e l’arcangelo si beccò una bella lavata di capo sul fatto che non doveva permettersi di ficcare il naso tra le sue carte, che le Leggi che Dio stava per dare agli Israeliti erano una cosa seria, che un arcangelo dovrebbe smetterla di fare buffonate… per fortuna Gabriel aveva le ali a prova di ramanzine (specialmente se provenivano da Metatron), perciò, una volta fuori dal suo ufficio, pensò a che altro scherzo poteva fare e soprattutto chi sarebbe stata la vittima designata…

*****
  1. Gli Israeliti erano divisi in 12 tribù in quanto discendenti dei 12 figli di Giacobbe, ribattezzato Israel dopo un incontro di wrestling presumibilmente con Michael. Vedere “Lotta allo Iabbok

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Capitolo 9
*** «Ma perché non mi danno retta?» ***


La cosa che Gabriel trovava più strana non era la strapazzata di Metatron (quella era normale routine, come il sorgere del Sole) ma che lo scriba divino avesse aspettato ben 40 giorni per fargliela, davvero strano. Forse l’aveva fatto apposta per fargli credere di averla sfangata, probabile.
Se fosse stato per lui avrebbe gestito l’operazione “Terra Promessa” in ben altro modo, la faccenda delle piaghe, per esempio… d’accordissimo sui tre giorni di tenebre (che avevano causato delle belle musate contro i muri da parte degli Egizi) e sulle rane (che si erano infilate anche nella biancheria intima appena indossata) ma il resto… incommentabile! Per non parlare della messinscena messa in piedi da Michael e Metatron per far credere che Dio fosse sceso sulla terra. A lui era toccato star lì a suonare il Corno con tutte le sue forze, per che cosa, poi? Per niente, perché gli umani, ovviamente, se n’erano guardati bene dal salire.

«Michi, lanci tuoni, fulmini e saette e davvero ti aspetti che gli Israeliti salgano di corsa sul Sinai?» aveva ridacchiato, quando Michael gli aveva esposto quello che intendeva fare, perciò aveva lanciato la propria idea ed era stato un vero peccato che il suo fratellone non avesse avuto il buonsenso di accettare il suo consiglio.
«Tu non capisci niente di cose sacre» gli aveva detto inorridito.
«Forse, ma conosco gli umani e, secondo me, una bella giornata di sole con la via costellata di begli angeli come Aniel, Anael e altri che invitano a salire sarebbe molto più persuasiva» aveva cercato di spiegare Gabriel.
A quel punto era stato bruscamente richiamato all’ordine e gli era stato ingiunto di suonare quello stramaledetto corno più forte che poteva… col bel risultato che si era poi visto. Dopo di ciò se n’era lavato le mani e aveva solo pensato a riempirsi di fichi e datteri, senza più interessarsi alla faccenda.


Chissà che delusione per Meti che ha potuto pavoneggiarsi solo davanti a Mosè e non a tutto il Popolo Eletto… Popolo Eletto… se fossi in Papà indirei subito delle nuove elezioni… mai visto un popolo più lagnoso e ingrato di quello” pensò.
Stava ancora riflettendo, quando fu raggiunto da Michael, modalità fustigatore. «Gabriel, che cosa ti è saltato in mente di alterare le Leggi di nostro Padre?»
«Ooohhh… ma perché tutti ve la prendete con me oggi?» si lagnò Gabriel. «Ti sei messo d’accordo con Meti? È passato più di un mese».
«Primo, non ho bisogno di mettermi d’accordo con Me-ta-tron per farti notare quanto il tuo comportamento sia stato sconsiderato e infantile. Secondo, non è passato un mese. Ma ti rendi conto che è stata una cosa gravissima? Alterare le Sacre Leggi che nostro Padre ha pensato per gli Israeliti! Sei un arcangelo, non puoi comportarti…»
«Come non è passato un mese? Mi ricordo benissimo che era proprio 40 giorni fa che avevi organizzato un bello spettacolino sul Sinai per la consegna dei Comandamenti e delle Leggi e, non per criticare, ma da quello che ho visto, c’era stata molta più ressa nell’Eden, comunque non capisco…»
«Metatron ha dettato a Mosè le Leggi e solo oggi ci siamo accorti della tua aggiunta» rispose Michael atono. «Speravi che nessuno se ne sarebbe accorto? Tu non puoi…»
«Quindi Mosè ha passato 40 giorni sul Sinai con Metatron che gli dettava…?» Si mise a ridacchiare. «E che cosa ha fatto quel povero umano perché voi lo puniate così crudelmente?» esclamò con aria melodrammatica. «Se nostro Padre avesse mandato questa Piaga a Dudimose, ci saremmo risparmiate le altre nove, credimi!» Volò via senza aspettare il resto del rimprovero, tanto Michael non avrebbe aggiunto nulla di nuovo a quello che gli aveva già detto Metatron.
 
Dio convocò gli arcangeli nella Sala del Trono, con l’immancabile Metatron, per decidere una punizione adeguata al Popolo Eletto.
L’Altissimo si accomodò sul Trono, mentre gli arcangeli si misero in piedi vicino al muro di fronte.
Lo scriba si avvicinò al Trono e si lanciò in una vera e propria invettiva contro gli umani: «Signore del mondo! È un vero e proprio oltraggio nei Tuoi confronti! Quegli umani si sono fatti un idolo e l’hanno adorato» disse con aria inorridita, «nonostante il Tuo Primo Comandamento dica chiaramente: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dall’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine…”»
«Non lo sapevano, quindi non possono aver trasgredito questo Comandamento» disse una voce alle sue spalle.
Metatron si girò per vedere chi dei tre arcangeli aveva osato interromperlo durante la sua requisitoria.
Michael era, come sempre, serio e austero, Raphael aveva la solita espressione arcigna da “Sbrigati che ho di meglio da fare che stare qui a sentirti”, mentre Gabriel stava, come il solito, leccandosi le dita, impiastricciate di miele, veramente disgustoso!
«Che cosa vuol dire “Non lo sapevano”?» domandò Dio, dimenticandosi per un attimo che, in teoria, era onnisciente.
«Signore del mondo» disse Gabriel avvicinandosi lentamente al Trono, «gli Israeliti avrebbero trasgredito il Tuo Comandamento solo se l’avessero conosciuto ma sfortunatamente Mosè è stato trattenuto sul Sinai per 40 giorni e non ha potuto portare subito i Tuoi Comandamenti al Tuo Popolo. Probabilmente se avessero saputo qual era la Tua volontà non avrebbero disubbidito ma così…» Lasciò la frase in sospeso, poi disse agli altri due arcangeli: «Non guardate me! Non sono io la Voce di Dio!»
«È vero!» esclamò Michael, quasi con sorpresa. «Invece di consegnargli le pergamene con le Tue Leggi, gliele ha fatte riscrivere!» Era talmente furioso con quell’ammasso di ingrati che gli era sfuggita la cosa più ovvia: se Metatron non avesse giocato a fare l’Onnipotente per ben 40 giorni, gli Israeliti non si sarebbero macchiati di una colpa così turpe.
«Uscite, voglio parlare con Metatron da solo» ordinò il Signore.
Michael e Raphael si affrettarono a uscire mentre Gabriel si avviò più lentamente, perché sperava di sentire almeno l’inizio dei rimproveri che suo Padre avrebbe indirizzato al “caro” Meti.
Sfortunatamente Dio aspettò che uscisse e che chiudesse la porta.
«Perché avresti trattenuto Mosè sul Sinai per 40 giorni?» domandò l’Eterno allo scriba che aveva iniziato a sudare freddo…

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Capitolo 10
*** «Non di nuovo!» ***


Appena usciti dalla Sala del Trono, Gabriel appoggiò l’orecchio alla porta, nella speranza di sentire qualcosa, mentre Raphael volava via seccatissimo.
«Gabriel!» sibilò Michael. «Che cosa stai facendo?»
«Shhh! Non lo vedi? Sto pelando le cipolle…»
«Nostro Padre non vuole che noi sentiamo, quindi smettila di origliare!»
«Veramente ha detto che voleva parlare con Meti da solo, cioè senza che noi fossimo dentro ma non ci ha vietato di ascoltare da fuori… Accidenti non si sente niente» disse Gabe contrariato.
«Proprio perché il loro colloquio dev’essere privato».
«Beh… visto che non si sente niente è inutile che rimanga» brontolò Gabriel e si voltò per decollare.
«Ti devo ringraziare…» disse Michael.
L’altro aveva già aperto le ali quando si congelò sul posto: mai, mai Michael l’aveva ringraziato per qualcosa. Si girò verso di lui, poi si voltò ostentatamente dietro di sé per un paio di volte, come se si aspettasse di veder sbucare qualche altro angelo. «Stai dicendo a me, Michi?» chiese poi con un’espressione talmente comica che anche il suo fratellone si sarebbe messo a ridere… se solo avesse imparato come si facesse.
Ma perché deve sempre fare il buffone?” pensò Michael, sbuffando mentalmente. «Nostro Padre mi ha nominato angelo protettore degli Israeliti, quindi là dentro avrei dovuto difenderli ma ero talmente arrabbiato con loro che se Lui avesse deciso di punirli o sterminarli, io non avrei fatto niente per impedirlo. Senza il tuo intervento non avrei compreso che in realtà erano innocenti e avrei rischiato… di commettere un errore».
La situazione cominciava a farsi strana: Gabriel era talmente abituato a essere rimproverato da Michael che per un attimo pensò di essere finito in una dimensione parallela. «Guarda che l’ho fatto solo per zittire Meti che stava diventando più logorroico del solito…» buttò lì.
«Ma perché devi sminuire il tuo gesto altruistico? Lo so che l’hai fatto per salvare quegli umani. Forse sei sempre stato migliore di quello che vuoi farci credere ed io non me ne sono mai accorto».
Gabriel, commosso, lo abbracciò con trasporto.
Michael, colto alla sprovvista, rimase piuttosto turbato e s’irrigidì. «Gabriel, ti ho già detto che gli arcangeli non si abbracciano fra di loro» gli disse severamente.
«Oooh, e chi l’ha detto? Papà no di certo, sai cosa? Dovresti imparare a lasciarti un po’ andare e a goderti la vita, insomma non vorrai passare l’eternità come se avessi una spada infilata su…»
«Gabriel! Mollami subito!»
«Va bene, va bene, me ne vado ma tu ripensa a quanto ti ho detto». Lo lasciò andare, aprì le ali e se ne andò.
Lasciarmi andare? Fa presto Gabriel a parlare! Lui non ha la responsabilità di tutti gli angeli del Paradiso sulle spalle!” Gli venne in mente che era l’ora di esercitarsi in vista dello Scontro Finale perciò scese sulla terra per tirare un po’ di fendenti ma quando tentò di estrarre la sua spada dal fodero, riscontrò una certa resistenza. “Non di nuovo!” E invece sì: la guaina era ripiena di pece.
«GABRIEEEL!!!»
 
Qualche ora dopo, Metatron uscì dalla Sala del Trono più sudato di un iceberg finito all’equatore, per fortuna fuori dalla porta non c’era nessuno.
Aveva dovuto sfoderare tutta la sua dialettica per arginare l’ira dell’Onnipotente. Alla fine era riuscito a convincerLo che l’aveva fatto solo per testare la Fede degli Israeliti in Lui e se l’era cavata meglio di molti secoli prima e la responsabilità, quella volta, non era stata nemmeno sua…
 
L’Onnipotente aveva fatto portare davanti al Suo Trono Enoc per affidargli una missione, senonché quello stupido umano (dopo esser quasi finito arrosto per l’immenso fulgore della divina maestà ed essere stato salvato da Salgiel, l’angelo del freddo, che gli aveva fatto scudo con le ali), vedendo che erano tutti in piedi, tranne Dio e Metatron, che stava diligentemente prendendo appunti sull’incontro, aveva detto ereticamente: «Dunque ci sono due dei in cielo!(1)»
A quel punto Dio aveva avuto uno dei Suoi famosi scoppi d’ira e, per dimostrare che lo scriba non era una seconda divinità ma soltanto un angelo, aveva ordinato che venisse colpito 60 volte con una verga impetuosa.
 
Enoc e la sua linguaccia!” pensò Metatron ancora stizzito per aver dovuto subire quell’umiliazione. “Da quando in qua si scrive in piedi? Qualsiasi altro idiota ci sarebbe arrivato!
Per sua fortuna stavolta la sua pena sarebbe stata minore.
«Gli Israeliti vogliono un manufatto che marci alla loro testa?» aveva detto Dio, dopo avergli severamente ricordato che solo Lui può decidere se, quando e come testare la fede degli umani. «Gliene faremo costruire uno e tu dovrai aiutarli, senza i tuoi poteri angelici».
Metatron sperò solo che non fosse qualcosa di troppo complicato.
 
Alla fine del sonda… ehm del pestaggio, l’opzione “Seguiamo Mosè” aveva prevalso (fra vari contusi e feriti) ed erano tornati tutti zoppicando e per nulla felici al monte Sinai.
Nel frattempo Dio aveva preso la Sua insindacabile decisione: fino a quel momento aveva lasciato perdere le varie intemperanze degli Israeliti ma, avendo avuto una Legge ed essendosi loro impegnati a rispettarla (per la precisione si erano impegnati ancor prima di riceverla), da lì in avanti sarebbero stati puniti per ogni più piccola lamentela ma questo gli sventurati non potevano ancora saperlo…

*****

  1. In realtà non fu Enoc a dirlo ma un rabbino, molti secoli dopo, troppi perché potessi infilare la sua storia nella mia raccolta, ma mi piaceva ricordare questa simpatica avventura del nostro scriba preferito 😆 cliccare ---> (Metatron)

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Capitolo 11
*** «Ma che ho fatto di male?» ***


Il giorno dopo Mosè decise di salire sul monte Sinai per capire che aria tirasse.
Ovviamente aria di tempesta. Di nuovo Dio gli ribadì che gli Israeliti avrebbero meritato soltanto di essere annientati, poi gli ingiunse: «Taglia due tavole di pietra come quelle che tu hai rotto e portale in cima al monte domani mattina».
Mosè ebbe quasi un mancamento: si ricordava fin troppo bene di quanto pesassero quei lastroni e l’indomani avrebbe dovuto portarne due simili in cima alla montagna? Stava per chiederGli umilmente se non sarebbe stato più logico aggiustare quelli che involontariamente aveva rotto, insomma per Uno che aveva creato il mondo in sei giorni sarebbe stato una bazzecola aggiustare due tavole di pietra rotte, ma pensò che non fosse il caso di suscitare nuovamente la Sua ira, così l’indomani il povero umano s’inerpicò con due belle lapidi pesantissime sul monte, lasciando Giosuè a guardia degli Israeliti, molto più affidabile e deciso del fratello Aronne.
Neanche il tempo di arrivare in cima col fiatone e con le gambe che facevano “Giacobbe, Giacobbe(1)” e di posarle per terra che Dio cominciò subito a dettargli, oltre ai Dieci Comandamenti, un’altra serie di leggi e precetti da immortalare invece su un mucchio di pergamene che “gentilmente” gli aveva fatto trovare lì.
 
Come la volta precedente, Mosè dovette rimanere per 40 giorni a scrivere sotto dettatura. “Quanto mai mi sono avvicinato a quel roveto ardente!” pensava esasperato tra una frase e l’altra. “Adesso sarei a Moab, bello tranquillo a pascolare pecore o a fare qualsiasi altra cosa avessi voluto!
Alla fine, Dio gli disse: «Ordina agli Israeliti che dovranno costruirMi un santuario e Io abiterò in mezzo a loro. Dovranno anche fare un’arca di legno di acacia: avrà 2,5 cubiti di lunghezza e 1,5 di altezza e larghezza(2). La rivestirai dentro e fuori d’oro puro e le farai intorno un bordo d’oro…»
Mosè notò con stupore che Dio dettava quelle istruzioni con uno strano tono, come se fosse oltremodo seccato dal numero degli oggetti da costruire: un santuario portatile, ricoperto da undici teli, un’arca con coperchio e portantina, un candelabro a sette braccia, coppe e piatti d’oro per l’altare e abiti tempestati di pietre preziose per i sacerdoti. Mentre pensava alla stranezza della cosa e a come convincere i suoi “carissimi” compatrioti a improvvisarsi sarti, orafi, carpentieri e quant’altro, il Signore gli disse che avrebbe pensato a tutto un certo Ooliab, figlio di Achisamach, della tribù di Dan.
Finalmente, quando Dio volle, poté scendere.
Arrivato al campo si rese conto che tutti lo fissavano in maniera strana e vagamente inorridita. «Che cos’altro è successo?» domandò, aspettandosi il peggio.
«Ecco, Mosè…» balbettò Aronne, «non so come dirtelo… ma il tuo volto…»
Mosè non se n’era accorto ma a furia di stare ininterrottamente davanti a una palla di fuoco per 80 giorni (40 prima il fattaccio del vitello d’oro e altri 40 dopo) gli si era abbrustolita la faccia. “Ci mancava anche questa!” pensò irritato. Stufo di essere fissato come un fenomeno da baraccone (anche se non erano ancora stati inventati) si mise un velo sul viso e domandò loro chi fosse Ooliab.
Si fece avanti un piccoletto, cicciotello, coi capelli ricci grigio scuro, la barbetta e l’aria scazzata di chi avrebbe voluto trovarsi a mille miglia da lì (ma quella l’avevano tutti quanti).
Mosè non si ricordava di averlo visto prima, comunque gli spiegò che cosa voleva Dio e gli porse le pergamene in cui erano illustrati i lavori da fare e l’altro, dopo aver assunto, se possibile, un’aria ancora più scazzata, si mise all’opera… o almeno ci provò.
L'Altissimo aveva detto a Mosè che Ooliab era un valido artigiano, pieno di abilità, intelligenza e scienza (e sembrava quasi eccitato mentre ne tesseva le lodi) ma, a giudicare da come aveva fissato perplesso la sega e il martello, come se non li avesse mai visti in vita sua, non si sarebbe detto, in più il fatto che continuava a darsi le martellate sulle dita, non deponeva certo in favore della sua presunta abilità.
Beh, se gli oggetti verranno male, il Signore non potrà prendersela con me” pensò Mosè, “Lui ha scelto Ooliab e mi chiedo proprio perché, non ho mai visto uno più maldestro.
 
Accidenti a Gabriel!” pensò Metatron infuriato dopo l’ennesima martellata finita dove non avrebbe dovuto e ciucciandosi le dita nel vano tentativo di placare quello che gli umani chiamavano “dolore”: l’Immenso aveva stabilito di far costruire agli Israeliti una super arma, a forma di arca di Noè in miniatura, per aiutarli a conquistare la famosa Terra Promessa ma, dopo la soffiata di Gabriel, aveva deciso di punirlo stabilendo che dovesse essere lui, Metatron, a fabbricarla (insieme a tutto il resto) e, come se non bastasse, aveva anche fatto in modo che perdesse i suoi poteri angelici ogni volta che ci lavorava.
Ma che ho fatto di male?” si chiese per l’ennesima volta.
A Metatron non sembrava giusto: lui era uno scriba, non un falegname e quegli attrezzi gli erano del tutto ignoti, inoltre era stato punito soltanto lui, proprio così! Dio, invece di castigare anche quell’arcangelo ribelle per quell’aggiunta sacrilega ai Suoi comandamenti, Si era convinto che, siccome Lui era l’Onnipotente, non solo poteva sanzionare i comportamenti malvagi ma anche quelli che Gli davano fastidio, tipo indossare un abito tessuto con lana e lino o aggiogare insieme un bue e un asino all’aratro(3) e a chi era toccato il compito di riprendere quelle Leggi che erano nate perfette e aggiungerci tutto quanto? Sempre a lui, lo scriba divino, mentre il Signore passeggiava avanti e indietro e gli sciorinava i supplementi da inserire man mano che Gli venivano in mente.
Anche Mosè sarebbe stato da castigare, insomma, gli avevano dato le Tavole della Legge scritte dall’Eterno in persona e quello stupido umano le aveva lasciate cadere, davvero oltraggioso! Per fortuna, da bravo scriba, Metatron aveva scritto i Dieci Comandamenti anche su una pergamena che aveva riposto nell’Archivio divino, quindi la rottura delle prime tavole non era stata una perdita del tutto irreparabile ma era talmente furioso per quella mancanza di considerazione per le cose sacre da parte di quell’umano che glieli aveva fatti riscrivere su altre due tavole di pietra con martello e scalpello e l’aveva tenuto sul Sinai per altri 40 giorni per dettargli le nuove regole (stavolta con l’autorizzazione divina per testare l’obbedienza di quei capoccioni).
Così impara a stare più attento” pensò con magra soddisfazione, riprendendo il suo lavoro da falegname.

*****
  1. A noi moderni le gambe fanno “Giacomo, Giacomo”
  2. 1,20 di lunghezza e cm 60 di altezza e larghezza
  3. Vere! Deuteronomio 22, 10-11

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Capitolo 12
*** «Se non ce la fai, chiedi aiuto» ***


Per un po’ di tempo, Mosè aveva potuto godere di un periodo di pace relativa, non che gli Israeliti avessero smesso di lamentarsi, anzi! Semplicemente avevano deciso che la fonte delle loro sofferenze era diventato Ooliab. Eh già: finché non avesse finito di costruire tutto quanto (Arca, Tabernacolo, candelabri ecc.… ecc.…) loro non avrebbero potuto incamminarsi per l’agognata Terra Promessa (e nemmeno dirigersi verso altre mete turistiche) ma dovevano rimanere accampati alle pendici del monte Sinai; perciò, non passava giorno senza che qualcuno dileggiasse il povero artigiano per la sua lentezza e inettitudine.
Il condottiero era stato felice che i suoi “amati” compatrioti avessero trovato qualcun altro su cui sfogare il loro malumore ma poi i soliti tre che lo osteggiavano (Datan, Kore e Abiram) ebbero la bell’idea di far notare che fra tutti loro (circa 6.000 uomini) Mosè avesse dato l’incarico proprio all’unico che non sapeva nemmeno maneggiare una sega. E se l’avesse fatto di proposito per riman-dare all’infinito la partenza?
Così le lamentele verso di lui ricominciarono: «Mosè, hai deciso di farci morire di vecchiaia in questo deserto?» «Mosè, ci spieghi perché dobbiamo per forza avere tutti quegli oggetti per entrare nella Terra Promessa?» «Mosè, non possiamo costruire il Tabernacolo quando saremo arrivati?» «Mosè, hai paura che, senza l’Arca dell’Alleanza, il latte e il miele non scorrano?»
Per fortuna di Mosè, qualcuno decise di aiutarlo…

Mentre Metatron stava vanamente cercando di segare un asse in maniera dritta, gli si avvicinò Pdor, figlio di Kmer Bezaleel, figlio di Uri, figlio di Cur, marito della sorella di Mosè, della tribù di Giuda e, dopo averlo osservato per un po’, gli disse: «Senti Ooliab, non sono affari miei, ma guarda che stai sbagliando tutto, è ovvio che bisogna costruire prima la casa e solo dopo introdurvi gli arredi, tu invece stai costruendo gli arredi prima del santuario ma dove li metterai, quando saranno pronti?»
Lo scriba stava quasi per esplodere: già gli toccava fare un lavoro del tutto fuori le sue competenze, senza i suoi poteri angelici, tra martellate sulle dita e vesciche sui palmi, cogli israeliti che non facevano altro che chiedergli: «Ooliab, ma non hai ancora finito?» «Ooliab, ma quanto ci metti?» e ora arrivava quell’umano a sparar sentenze.
Se la cavò dicendo: «Ti sembra dignitoso che le Tavole della Legge rimangano all’aperto?»
«Cos’è, hai paura che ci piova sopra?» ridacchiò l’umano. «Siamo in pieno deserto e l’unica cosa che piove qui è quella sbobba chiamata “manna”».
Metatron dovette fare appello a tutta la calma dell’universo e parlò lentamente, come se dovesse spiegare qualcosa a uno stupido: «La funzione del Tabernacolo è solo quella di ospitare l’Arca dentro la quale saranno conservati le Tavole della Legge e gli altri precetti perciò il loro contenitore deve avere la priorità su tutto il resto».
Prima che Metatron potesse impedirglielo, Bezaleel prese in mano il progetto dell’Arca e lo esaminò attentamente. «Beh ma per contenere le Tavole basterebbe una semplice scatola di legno, non c’è bisogno di costruirne una così elaborata…»
Ma doveva sempre blaterare quell’umano? Una semplice scatola di legno! Inaudito! La forma e le misure dell’Arca dell’Alleanza non erano state scritte a caso: una volta finita, Metatron l’avrebbe portata in Paradiso e l’Immenso l’avrebbe toccata, facendola diventare una “Mano di Dio”, un’arma letale contro gli infedeli ma questo non poteva spiegarlo, visto che, ufficialmente, lui era un semplice umano come gli altri e ignaro dei piani divini.
«Se ti scoccia così tanto come procedo, falla tu la Dimora!» urlò esasperato.
«Non c’è bisogno di scaldarsi tanto, ti aiuterò volentieri» gli rispose l’altro inaspettatamente. «Passami i progetti del Tabernacolo».
«Non è affar tuo, io sono stato incaricato e io porterò a termine il progetto. Non hai niente di meglio da fare che disturbarmi mentre lavoro?»
«Come vuoi» replicò Bezaleel stringendosi nelle spalle e andandosene.
Che liberazione! Metatron torno al suo sgraditissimo lavoro.
 
Quando fu notte e gli altri umani dormivano, Metatron si sentì chiamare dall’Altissimo.
«Come sta andando la costruzione dell’Arca e degli altri arredi?» gli domandò Dio quando lo scriba fu al Suo cospetto nel Suo ufficio.
«Signore del mondo, ho guardato varie volte il Tuo progetto per l’Arca dell’Alleanza ma non sono riuscito a venirne a capo» fu costretto ad ammettere Metatron con imbarazzo. «Non potresti spiegarmelo?»
«Altri problemi?» domandò Dio con aria distratta.
Doveva dirGlielo? Sarebbe sembrato che lui si lamentasse del suo incarico, d’altronde l’Immenso gli aveva fatto una domanda e, senza i suoi poteri angelici, il suo compito era davvero diventato un problema. «Continuo a martellarmi le dita, mi si sono riempite le mani di vesciche, mi si è pure formato un callo!» Man mano che parlava s’infervorava. «Sono millenni che trascrivo ogni Tua divina parola e non mi erano mai venuti i calli, mai!» Si rese conto, con terrore, che invece di esporGli semplicemente i problemi che stava affrontando, aveva parlato con acrimonia! «Signore del mondo! Non volevo lamentarmi» si affrettò a dire, «è solo che…»
Inaspettatamente Dio fece una cosa che non faceva da millenni: scoppiò a ridere. «E così non ti piace il compito che ti ho affidato» disse quando smise.
«Non intendevo affermare questo!» si affrettò a dire Metatron. «Però…»
«E non riesci a portarlo a termine» lo interruppe Dio con calma.
«Ci sto mettendo più tempo di quando avevo pensato ma…»
«E allora perché quando Bezaleel ti ha offerto il suo aiuto, l’hai trattato male?»
«Ma Signore del mondo, Tu hai affidato questo incarico a me!» replicò Metatron inorridito.
«Ma quando ti sei reso conto che non ne eri assolutamente capace, avresti dovuto avere l’umiltà di chiedere aiuto, non c’è niente di male a riconoscere i propri limiti e a farsi dare una mano. Stai rallentando il lavoro per uno stupido puntiglio quindi voglio che tu ti faccia aiutare da Bezaleel».
 
Metatron uscì dall’ufficio dell’Onnipotente alquanto scontento: ogni volta che cercava di lavorare a quella “Mano di Dio” era come se si svuotasse di ogni energia, perciò aveva sperato che Egli, vedendo le sue difficoltà, decidesse, perlomeno, di restituirgli suoi poteri, invece no! Voleva che quell’umano venisse coinvolto.
Metatron era riuscito a rimettere al suo posto quell’impiccione e adesso doveva andare a elemosinare il suo aiuto. “Il compito l’aveva affidato a me, che ne sapevo io che potevo farmi aiutare?” riflettè irritato mentre pensava a come convincere Bezaleel a dargli una mano.

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Capitolo 13
*** «Scusarmi io? Mai!» ***


Metatron si diresse verso il proprio ufficio riflettendo ad alta voce su come poteva convincere Bezaleel ad aiutarlo dopo che gli aveva detto chiaro e tondo che non aveva bisogno di lui. «Che cosa posso fare? L’unica soluzione è ordinarglielo prima di cominciare a lavorare all’Arca, così avrei i miei poteri intatti, ali spalancate e via all’opera!» disse fra sé. «Sì, sì, farò così! Ah no, non posso, l’Immenso non vuole che io sveli la mia natura angelica… che seccatura!» quando fu raggiunto da Gabriel: «Ehilà Meti! Come mai Paparino ti ha convocato? Voleva essere aggiornato sul numero di martellate che ti sei tirato sulle dita?»
«Sei stato a spiarmi, eh? Chissà come ti sarai divertito! Non hai nessun altro da tormentare? Vola altrove che non è aria» disse scocciato ed entrando nel proprio ufficio.
«A chi devi ordinare di fare che cosa?» domandò Gabriel, entrando dietro di lui. «Potrei aiutarti. Su, su confidati col tuo arcangelo preferito» disse dandogli qualche pacca sulla schiena.
«Tu non sei il mio arcangelo preferito e smettila di toccarmi!» strillò Metatron sottraendosi al suo tocco e sedendosi alla sua scrivania.
«Non dirmi che preferisci Raphael!» disse finto scandalizzato. «Lui non ti fa da arcangelo custode, non conta tutte le martellate sulle tue dita, non vede con quanto amore tratti i tuoi simili, specialmente quelli che cercano di essere gentili con te…»
Gabriel era davvero esasperante: tante volte lo scriba l’aveva fatto cercare senza riuscire a trovarlo e ora, che voleva starsene da solo a riflettere, sembrava che non volesse lasciarlo in pace.
«Non hai qualche pianta di fichi da saccheggiare, qualche cucina umana da depredare?»
«Fammi pensare…» guardò in alto, fingendo di riflettere, «no, non ho niente di meglio da fare. Come va la costruzione dell’Arca? A quanto vedo, non bene».
«Se lo sai, perché me lo chiedi?» sbuffò Metatron.
Per quanto si sforzasse, Gabriel non riusciva proprio a considerare lo scriba divino, un fratello. C’era anche da dire che quel piccoletto, da quando era stato promosso a “Voce di Dio”, aveva fatto ben poco per mostrare sentimenti fraterni verso tutti quanti; tuttavia, aveva deciso di aiutare quel piccolo borioso, anche perché quei capoccioni di Israeliti rischiavano di restare anni nel deserto ad attendere il completamento dell’Arca e degli altri arredi col povero Michael che si faceva venire una crisi isterica dopo l’altra. «Credo di aver capito che vuoi coinvolgere Bezaleel nel progetto e che non sai come domandarglielo. Tranquillo, gli umani sono migliori di quello che ti aspetti e, se tu glielo chiederai con gentilezza, sarà felice di farlo».
«Certo, sarà felice di vedermi umiliato, come te, del resto».
«Perché umiliato?» domandò Gabriel, tirando fuori un fico dalla tunica.
«Perché io non voglio coinvolgerlo! Oggi gli ho detto che sapevo cavarmela benissimo da solo; invece, nostro Padre ha detto che devo farlo quindi domani dovrò elemosinare il suo aiuto. Ma perché l’Onnipotente non mi ha ridato i miei poteri? Gliela finirei in una settimana» sospirò.
«Probabilmente non lo sai, ma gli umani hanno una dote che a qualcuno di noi angeli manca, si chiama “solidarietà”» disse Gabriel, sbocconcellando il fico e scoccandogli un’occhiata, «Bezaleel ti aiuterà non per la gioia di vederti umiliato ma perché è proprio nella loro natura dare una mano a chi ne ha bisogno. Ovviamente, dovrai prima scusarti con lui, scuse sincere, mi raccomando, e dimenticherà in un lampo che l’avevi trattato male».
«Scusarmi?» replicò Metatron indignato. «E per che cosa? Di averlo rimesso al suo posto? Non ho niente di cui scusarmi! Lui dovrà aiutarmi perché è suo dovere! E non mangiare nel mio ufficio, non voglio vedere macchie di fico sul mio tappeto!»
«Attento Meti, c’è già stato un altro angelo, anzi un arcangelo per la precisione, che era convinto di essere nel giusto e com’è andata a finire? Non vorrei che Paparino sia costretto a inventarsi un nuovo soprannome per evitare di nominarti».
«Lui non può cacciarmi! Io sono il Suo Scriba! Lui ha scelto me
«Tu eri soltanto quello più vicino alla Sua porta» gli chiarì Gabriel dandogli le spalle e dirigendosi verso la porta, poi si fermò e si voltò a guardarlo. «È interessante questa tua teoria secondo cui un Essere Onnipotente non possa fare qualcosa… Questo presupporrebbe che non sia onnipotente… interessante, interessante davvero». Uscì.
Metatron rimase a pensare a lungo, assai scontento. Scusarsi? Scusarsi??? Inconcepibile! Lui non aveva mai dovuto scusarsi con nessuno, mai! Era la Voce di Dio, lui, non l’ultimo del coro dei cherubini!
Tuttavia, possibile che quell’arcangelo malriuscito avesse ragione? Ma quando mai!
Eppure, l’Immenso gli aveva ordinato che doveva farsi aiutare da quell’umano… Un’idea si formò nella sua mente: se lui si fosse scusato con Bezaleel ma l’altro l’avesse comunque mandato all’inferno poteva giustificarsi davanti all’Onnipotente dando la colpa a Gabriel per avergli dato un consiglio stupido e poi, in mezzo a quegli umani, lui non era Metatron, la Voce di Dio, ma Ooliab, un oscuro israelita della tribù di Dan; quindi, ufficialmente, non sarebbe stato un angelo a umiliarsi di fronte a un umano, la gerarchia era salva!
 
L’indomani scese sulla terra e alle prime luci dell’alba andò a cercare Bezaleel. «Senti Bezaleel… volevo scu… scu… sarmi per…» le parole gli uscivano a fatica dalla bocca.
Per fortuna l’umano fermò il suo penoso tentativo di umiliarsi. «Sono io che devo scusarmi con te, Ooliab. Mosè mi ha spiegato tutto».
«Ti ha spiegato che cosa?» domandò Metatron preoccupato: il condottiero non poteva, non doveva assolutamente sapere che lui era un angelo.
«Mi ha spiegato che quei progetti glieli ha consegnati Dio in persona quindi, anche se tu volessi, non potresti costruire una scatola più semplice».
Alleluia che l’ha capito!” pensò lo scriba sollevato. «E… e sei ancora disponibile ad aiutarmi?»
«Posso davvero?» domandò con entusiasmo.
«Sono stato autorizzato a farmi aiutare» rispose Metatron, seccato perché aveva dovuto ammettere che non riusciva a farcela da solo.
«Fantastico! Mi metto subito al lavoro!»

 
Dopo qualche giorno, la struttura dell’Arca era pronta, mancava l'oro che la ricoprisse, gli anelli e le statue sul coperchio, ma il più (quello che aveva fatto tanto dannare Metatron) era fatto.
Lo scriba la esaminò, sperando che ci fosse qualche pecca, così forse l’Onnipotente gli avrebbe restituito i suoi poteri ma pareva che non ce ne fossero: il legno era levigato e notò che le assi erano state unite con degli incastri che sembravano la coda di una rondine. «È… è incredibile!»
«Sono felice che vada bene» rispose Bezaleel, sorridendo.
Metatron gli restituì un sorriso stiracchiato, tutto sommato contento che non aveva dovuto costruirla lui. «Quello che mi stupisce di più è che tu abbia voluto aiutarmi ugualmente dopo quello… sì insomma…»
«So che non volevi offendermi, dopo mesi nel deserto è facile che saltino i nervi. Non so come faccia mio zio ad averli ancora a posto. E poi prima finiamo questi oggetti e prima arriviamo alla Terra Promessa, no?» disse battendogli una mano sulla spalla.
Ma che cos’è questa smania degli umani di mettere le mani addosso agli altri?” pensò seccato Metatron. “Non vedo l’ora di tornare in Paradiso!



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Attenzione: al capitolo precedente ho aggiunto un pezzo all'inizio.

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Capitolo 14
*** «Ma sei un angelo!» ***


Quello che Metatron più amava fare era stare accanto al Trono dell’Onnipotente a trascrivere ogni Sua singola parola pronunciata, non era certo uno di quegli angeli che cercavano di andarsene a zonzo senza motivo (come invece tentava di fare sempre Balthazar), invece gli toccava restare sulla terra a riempirsi le dita di calli e vesciche e a studiare inutilmente i progetti per giorni, senza venirne a capo mentre Bezaleel, dopo solo una rapida occhiata ai papiri, procedeva veloce senza esitazioni e intoppi, riuscendo a fare tutto al primo tentativo. Come poteva un umano essere più intelligente di un angelo?
Persino quando avevano cominciato a preparare i pettorali per i sacerdoti (in realtà degli scudi contro gli effetti dannosi dell’Arca) Metatron si era dimostrato totalmente inetto, riuscendo solo a pungersi a sangue le dita mentre l’umano procedeva spedito. Che nervoso!
E poi quel facio-tuto-mi aveva sempre da ridire: se l’Eterno aveva richiesto un altare di legno con sopra una rete fatta di rame su cui bruciare le vittime destinate a Lui, perché quell’umano doveva blaterare che si sarebbe incendiato?
Per non parlare dei pettorali: se l’Altissimo diceva che le pietre dovevano essere cucite in un determinato ordine (prima fila: una cornalina, un topazio e uno smeraldo; seconda fila: un turchese, uno zaffiro e un berillo; terza fila: un giacinto, un’agata e un’ametista; quarta fila: un crisolito, un onice e un diaspro) perché Bezaleel doveva blaterare che i diaspri sarebbero stati meglio fra gli zaffiri e i turchesi?
Dubitava che sarebbe riuscito a strappare nuovamente il titolo di “migliore servitore del mese” a Zaccaria ma, questa volta, non era davvero colpa sua: se l’Onnipotente non gli avesse tolto i poteri, Gli avrebbe costruito un’Arca dell’Alleanza mille volte più bella di quella costruita da Beezalel.
E Michael? Nessuno l’aveva mai visto ridere, eppure Metatron era sicuro che quando gli passava accanto (invisibile a tutti gli umani), lo guardasse con derisione.
Aspetta solo che torni in Paradiso…

Mentre Metatron passava il tempo a far scoppiare di bile il fegato del suo tramite, Bezaleel si chiedeva, per l’ennesima volta, perché, tra tutti loro, il suo prozio Mosè avesse dato l’incarico proprio a Ooliab, quando era evidente a tutti, persino ai sassi, che era del tutto incapace di costruire qualcosa.
Il suo prozio gli aveva assicurato che Dio in persona gli aveva raccomandato Ooliab come un valido artigiano, pieno di abilità, intelligenza e scienza, tuttavia Bezaleel pensò che l’Onnipotente dovesse avere uno strano senso dell’umorismo, anche perché, non per vantarsi, senza il proprio intervento avrebbero rischiato di rimanere ai piedi del monte Sinai fino alla fine dei tempi.
Tuttavia, Bezaleel riconosceva che Ooliab, nonostante i suoi limiti, aveva una dote veramente invidiabile: sapeva trovare qualsiasi cosa avessero bisogno con una velocità che aveva del prodigioso.
Ooliab si era giustificato spiegando che erano le pietre usate per decorare l’idolo ma Bezaleel ricordava benissimo che avevano usato soltanto lapislazzuli, corniole, turchesi e ametiste mentre per fare le pettorine ai sacerdoti erano necessarie molte più gemme e, di sicuro, non erano tra quelle che avevano portato fuori dall’Egitto, che avesse trovato un tesoro nascosto?
La prima volta che l’aveva visto allontanarsi per cercare le pietre, si era offerto di accompagnarlo ma Ooliab gli aveva risposto stizzosamente: «No! Almeno questa è una di quelle cose che riesco a fare anche da solo
Accidenti se è permaloso” aveva pensato Bezaleel, “però non credo sia facile per lui dover costruire tutti quegli oggetti e non sapere nemmeno da che parte si comincia”.


Quando stavano per terminare l’ultimo pettorale, Bezaleel si rese conto che a breve sarebbero ripartiti per la Terra Promessa e non avrebbe mai saputo dove Ooliab si fosse procurato tutte quelle pietre, perciò decise di pedinarlo per scoprire dove andava.
Si nascose dietro delle rocce e lo osservò mentre si guardava freneticamente in giro per accertarsi che non fosse seguito. Tutto si sarebbe aspettato, tranne di vedere il suo collega aprire delle ali (proprio così ali!) e guardarlo spiccare il volo…
 
Bezaleel era sconvolto: Ooliab era un angelo! Chi l’avrebbe detto? Eppure, ascoltando Mosè, che gli raccontava dei suoi colloqui con Michael, si era fatto l’idea che gli angeli fossero esseri bellissimi, alti, con sei ali stupende… mentre Ooliab era basso, grassoccio e aveva soltanto due ali di un banale grigio cenere… Che strano! Era davvero un angelo? Dio l’aveva mandato per aiutarli? Ma perché era in incognito? E poi in che modo li avrebbe aiutati? Non certo a costruire gli arredi necessari al santuario, anzi! Ridacchiò leggermente, forse questo spiegava perché fosse così imbranato nell’usare gli attrezzi: non aveva mai dovuto farlo! Sentì ancora più simpatia per lui. Il problema ora era: come avrebbe dovuto comportarsi? Far finta di niente o parlargli? Si rese conto che non sarebbe riuscito a fingere indifferenza ma che avrebbe continuato a fissargli la schiena per scoprire da dove erano saltate fuori quelle ali, decisamente meglio la sincerità! D’altronde, aveva così tante domande da fargli! Rimase nascosto dietro le rocce ad aspettare il suo ritorno.

Ooliab ritornò dopo pochi minuti con le ultime pietre, era appena atterrato quando Bezaleel saltò fuori da dietro le rocce. «Hai fatto un buon vo…?» s’interruppe, accorgendosi, troppo tardi, che aveva fatto un’enorme cavolata a restare lì.
Quando l’angelo lo fissò, l’artigiano si rese conto che non era seccato per essere stato scoperto, era furibondo!
Bezaleel si mise a tremare: e se fosse stato lo stesso angelo sterminatore che aveva ucciso i primogeniti egizi? Perché diamine era rimasto?
Non era nelle intenzioni di Metatron che gli altri scoprissero la sua vera natura: troppe spiegazioni da dare, troppo umiliante il motivo per cui non riusciva a combinare niente… Avanzò a grandi passi verso l’umano che continuava a fissarlo terrorizzato. «Sei qui da solo?» gli domandò aspramente., quando fu proprio davanti a lui.
«S-sì, ci so-sono solo io! Ero cu-curioso di sa-sapere do-dove trovavi le pietre… sull’idolo ce ne sono al-alcune ma non tutte…» Era talmente frastornato che cadde in ginocchio.
«Lo sa qualcun altro?»
«No! Solo io! Ti prego, non farmi del male, non lo dirò a nessuno…»
«Poco ma sicuro» replicò Metatron. Gli appoggiò l’indice e il medio in fronte facendolo addormentare, poi gli appoggiò tutta la mano e gli disse all’orecchio: «Le pietre usate per i pettorali provengono tutte dall’idolo. L’idolo aveva tutte queste pietre ma le abbiamo usate tutte. Tu sei qui perché stavolta ti ho permesso di accompagnarmi. Io mi chiamo Ooliab e sono della tribù di Dan, hai capito?»

Dopo qualche minuto, Bezaleel si svegliò, trovandosi sopra di sé Ooliab che lo fissava. «Che è successo?» farfugliò. «Perché sono per terra?»
«Sei svenuto» gli rispose laconicamente l’altro, aiutandolo a rialzarsi.
«Sarà stato un colpo di sole… Ehi grazie!»
«Perché mi ringrazi?» domandò Metatron stupito.
«Perché mi sei rimasto vicino, facendomi ombra. Hai preso le pietre dall’idolo? Ottimo! Andiamo a finire l’ultimo pettorale, così possiamo raggiungere la Terra Promessa!» Detto ciò s’incamminò allegramente verso l’accampamento con Ooliab che lo seguiva pensieroso.

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Capitolo 15
*** «Contatevi e basta!» ***


Finalmente, dopo quasi 9 mesi (e 2001 mugugni), tutti gli arredi (Arca, Tabernacolo, candelabri…) furono pronti, perciò, dopo che il popolo li ebbe ammirati, ci si aspettava di partire immediatamente, giusto?
No, Mosè spiegò loro che dovevano contare tutti i maschi dall’età di 20 anni in su, cioè quelli che avevano l’età adatta per combattere, poi tirò fuori una pergamena e cominciò a legger loro quale sarebbe stato il capo di ogni tribù.
Tutti restarono zitti ad ascoltarlo con attenzione, finché Mosè, che aveva ricevuto quelle precise istruzioni da Dio, tramite l’arcangelo Michael, disse che la tribù di Giuseppe sarebbe stata divisa in due: Efraimiti e Manassiti.
«Ma così le tribù saranno 13! Siamo sempre stati in 12!» fu l’obiezione che si levò da più parti.
Infatti, nonostante Giacobbe avesse adottato i due figli di Giuseppe, Efraim e Manasse, come propri, tutti avevano sempre considerato i loro discendenti come appartenenti a un’unica tribù, i Giuseppiti, e ora saltava fuori che bisognava spaccare quella tribù in due? Tanto valeva spaccare anche le altre!
Dopo un po’ di discussioni, Mosè poté riprendere a leggere la lista dei capitribù.
Quando ebbe finito, tutti si resero conto che aveva saltato quella di Levi. «Mosè» disse Kore, con una punta polemica, «hai dimenticato d’indicare chi sarà il capo della nostra tribù, vuoi forse fare tu anche questo?»
«Noi Leviti non dobbiamo fare il censimento perché non dovremo mai combattere ma solo servire Dio».
A quel punto i fratelli Daitan e Abiram, della tribù di Ruben, cominciarono a strillare: «Ma guarda te! L’unica tribù che non deve combattere è proprio quella alla quale tu appartieni, che coincidenza, eh Mosè?»
«Te l’ha detto il Signore in persona? E se anche noi volessimo servirLo?»
Neanche gli altri furono felici di quella distinzione fra loro e i Leviti e cominciarono a mugugnare su “privilegi” e “vigliaccheria”.
«Smettetela!» sbottò Kore. «Se Dio ha deciso così, chi siamo noi per contestare le Sue scelte?»
Per un attimo, Mosè lo guardò sorpreso: di solito Kore non perdeva l’occasione di criticarlo aspramente davanti a tutti ma poi capì che l’aveva difeso solo perché, per una volta, le decisioni di Dio facevano comodo anche a lui e ai suoi figli.
Se Mosè aveva sperato di aver trovato un alleato, le sue speranze s’infransero quando disse che Aronne e i suoi figli sarebbero stati sacerdoti ed elencò i vari compiti che avrebbero dovuto svolgere gli altri Leviti nei confronti della Santa Dimora e i sacri arredi.
«Ma insomma!» strillò Kore, quando Mosè ebbe finito di leggere. «Prima dici che noi Leviti dobbiamo servire il Signore e poi escludi me e i miei figli? Com’è che non abbiamo alcun compito? Come possiamo servire Dio nella Dimora se tu ci escludi?»
«Non sono io che vi escludo…» farfugliò Mosè.
Come sempre, Michael era sconcertato: se il loro Padre aveva deciso così, significava che così doveva essere, Egli sapeva che cosa era meglio per tutti loro e, anche se gli Israeliti non capivano il motivo di certe decisioni, dovevano soltanto fidarsi di Lui; non li forse aveva liberati dalla schiavitù, nutriti, dissetati e difesi dagli Amaleciti? Ora che avevano la Legge e il Tabernacolo non erano più un branco di umani allo sbaraglio ma un vero Popolo che doveva essere organizzato. Eppure continuavano a protestare per qualsiasi cosa!
E i mugugni continuarono quando Mosè spiegò loro come dovevano organizzarsi quando si accampavano e quando ripartivano: ogni mattina le prime a mettersi in marcia sarebbero state le tribù di Giuda, Issacar e Zàbulon e ogni sera si sarebbero accampate a est della Santa Dimora. Per seconde quelle di Ruben, Simeone e Gad e si sarebbero sistemate a sud. Le terze a partire sarebbero state quelle di Efraim, Manàsse e Beniamino e avrebbero piantato le tende a ovest. Per ultime le tribù di Dan, Aser e Nèftali e si sarebbero accampate a nord, mentre i leviti si sarebbero disposti tutti intorno e avrebbero marciato tra il secondo e il terzo gruppo.
«E perché mai le tribù di Giuda, Issacar e Zàbulon dovrebbero partire per prime? Casomai dovrebbero essere quelle di Ruben, Simeone e Levi» disse Selumiel, nuovo portavoce dei Simeoniti.
«Vi siete dimenticati che Giacobbe ha tolto la primogenitura a Ruben, ha biasimato Simeone e lodato Giuda?» replicò Nacason, dei Giudei. «Per questo ora noi partiamo per primi e voi no!»
«Ma che storia è?» esclamò Achiezer dei Daniti. «Dovrebbero partire per ultime le due nuove tribù e quella di Beniamino, non noi!»
«E perché dovremmo partire per ultime? Se Mosè ha detto che dobbiamo partire in terza fila, chi siete voi per impedircelo?»
«Che senso ha dividere la tribù di Giuseppe in due se poi Efratei e Manassiti devono comunque accamparsi insieme?»
«Perché la tribù di Levi può accamparsi intorno alla Dimora e noi no?»
Ovviamente non potevano sapere che erano stati organizzati così per una questione di comodità: quelli che dovevano accamparsi a nord sarebbero stati sotto la protezione di Uriel, quelli a sud sotto Raphael, quelli a est sotto Michael e quelli a ovest sotto Gabriel, mentre i Leviti avrebbero cessato di essere una tribù e sarebbero diventati una casta di soli sacerdoti che avrebbero dovuto distribuirsi tra le restanti tribù una volta che fossero arrivati nella Terra Promessa e Dio avesse assegnato un territorio a ognuna di esse.
«Contatevi e basta! Aronne, tu e i tuoi figli contate i Leviti dall’età di un mese in su. Obab, per favore, vieni con me!» strillò Mosè, rientrando nella sua tenda.
Obab, fratello di Zippora, lo seguì dentro, aspettandosi qualche guaio e infatti…
«Stiamo per partire verso la terra promessa dal Signore» esordì il condottiero. «Vieni con noi e ti faremo del bene, perché il Signore ha promesso di fare il bene a Israele».
Il cognato gli rispose: «Non offenderti ma preferirei tornare al mio paese e dai miei parenti».
Mosè lo supplicò: «Per favore, non ci lasciare poiché tu conosci i luoghi dove noi ci accamperemo nel deserto e potresti farci da guida. Se vieni con noi, qualunque bene il Signore farà a noi, noi lo faremo a te».
Impietosito, Obab decise di far loro da guida, tanto quanto poteva mancare a questa famosa Terra Promessa?

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Capitolo 16
*** «Lui chi è? Come mai l'hai portato con te? Il suo ruolo mi spieghi qual è?» ***


«Mosè, devo parlarti» esordì Miriam entrando nella tenda del fratello minore, seguita da Aronne, con un tono che non lasciava presagire nulla di buono. «Perché hai proposto a Obab di venire con noi nella Terra Promessa? Vorrei ricordarti che è stata destinata soltanto a noi, discendenti di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Non è stata promessa né agli Edomiti, né agli Ismaeliti e tanto meno ai Madianiti(1)».
«Obab può indicarci la strada inoltre Zippora gli è molto legata…» tentò di giustificarsi Mosè.
«Non abbiamo alcun bisogno di lui, in quanto a Zippora potresti ripudiarla, rimandarla indietro coi suoi figli e prenderti per moglie una della nostra stirpe. A proposito… perché hai deciso che dodici tribù non vanno più bene? E che cos’è questa storia che, in caso di guerra, i miei figli devono combattere e i tuoi no? Solo perché sono delle tribù di Giuda? Non ti sembra discriminatorio? Aronne, dillo tu se ti sembra giusto!»
«Beh…» farfugliò l’interessato. «Se Mosè dice che Dio gli ha ordinato di fare così…»
«E perché non l’ha detto anche a noi due ma soltanto a Mosè, eh?» lo interruppe la sorella strillando. «Non siamo degni anche noi di parlare con Lui? Se avessi sposato un levita, adesso i miei figli sarebbero stati considerati degni, come i tuoi, di fare i sacerdoti, invece no! Ma perché mai mi sono aspettata appoggio da parte tua visto che le cosiddette decisioni di Dio fanno comodo anche a te, Aronne? Cos’è la tribù di Giuda non è abbastanza pura, Mosè? Ricordati che, se non era per me, tu ora non saresti qui. Io ho suggerito a nostra madre di metterti in un cesto, io ho richiamato l’attenzione della principessa egizia verso di te, io…» s’interruppe. «Beh, che avete da guardarmi così disgustati, ho forse la lebbra?»
«In effetti…» disse Aronne scostandosi da lei.
«Oh Signore, guariscila!» supplicò Mosè vedendo la sorella bianca per la malattia.
Comparve Michael, visibilmente contrariato. «Miriam, tutte le istruzioni che Mosè vi ha trasmesso derivano dall’Onnipotente in persona, perciò non mettere mai più in dubbio le sue parole e ricordati che è vivo soltanto grazie alla Divina Provvidenza, senza di Essa tutti i tuoi sforzi sarebbero stati vani. Resterai fuori dall’accampamento per una settimana a meditare sulle tue parole sconsiderate. Mosè, devo parlarti. Da solo» aggiunse lanciando un’occhiataccia ad Aronne e a Miriam che si affrettarono a uscire dalla tenda.
«Che altro succede?» sospirò l’umano.
«Ti ricordi che cosa ti disse l’Eterno sul Sinai?»
«Che cosa vuoi che mi ricordi? Ha parlato ininterrottamente per 40 giorni prima del fattaccio del vitello d’oro e altri 40 dopo. Non stava mai zitto! Non potevo nemmeno dormire o mangiare perché dovevo trascrivere tutto quello che diceva. Che cosa esattamente mi dovrei ricordare?» Questo avrebbe voluto rispondere Mosè ma, per prudenza, si limitò a dire: «Ha parlato di tante cose… che voleva un santuario, come dovevano essere gli arredi, che noi saremmo stati il Suo popolo e Lui il nostro Dio, che ci regalava la terra dove scorre il latte e il miele…»
«Io mando un angelo davanti a voi, perché vegli sui vostri passi lungo il cammino e vi faccia entrare nel luogo che Io ho preparato per voi…» declamò Michael.
«Ah sì, ricordo» confermò Mosè, chiedendosi dove volesse andare a parare l’arcangelo.
«Se Dio ha mandato un angelo a indicarvi il cammino, perché hai chiesto a Obab di farvi da guida
E la guida in questione era proprio Michael, solo che Mosè, dopo quasi un anno di accampamento sotto il Sinai e mille mugugni sulla lentezza di Bezaleel e Ooliab, se n’era completamente scordato.
«Ancora una volta, voi umani avete dimostrato di non avere alcuna fiducia nel Signore» concluse l’arcangelo severamente.
Ci mancava anche questa!” pensò Mosè, schiaffandosi una mano sulla faccia. «Senti, mi dispiace» disse umilmente. «Sono veramente grato per tutto quello che Dio ha fatto e farà ancora per noi solo che Obab può indicarci dove si trovano le sorgenti d’acqua o dove procurarci del cibo, capisci?»
«No, non capisco» rispose Michael. «In questi due anni Dio ha sempre provveduto a voi, vi ha nutrito con la manna, che prima non esisteva, per farvi capire che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni Sua parola, i vostri vestiti e le vostre scarpe non si sono logorate, non avete patito la sete. Ora il Signore sta per farvi entrare in un paese fertile dove non vi mancherà nulla. Dici di essere grato per quello che Egli ha fatto per voi, ma non lo stai dimostrando né tu né i tuoi compatrioti» detto ciò, tornò in Paradiso.

*****

1) Edomiti = discendenti di Esaù (detto anche Edom) Ismaeliti = discendenti di Ishmael, figlio di Abramo e della sua schiava Agar, Madianiti = discendenti di Madian, figlio di Abramo e di Chetura, la sua seconda moglie, dopo la morte di Sara.

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Capitolo 17
*** «Adesso basta!» ***


Quando finalmente Miriam guarì, il popolo si preparò per partire, non prima di aver raccolto la loro “amatissima” manna, accorgendosi così di una grossa novità: «Ehi! Ha cambiato sapore!» «È vero! Pasta all’olio!» «Evviva!»(1)
Mosè sorrise: forse per quel giorno non avrebbe sentito le loro infinite lamentele e invece…
«Mosè, non potevi chiederGli prima di cambiare sapore a ‘sta sbobba?» «Ma che è ‘sta roba? La preferivo prima!» «Ma con tutti i gusti che c’erano, proprio pasta all’olio??? Non sono sicuro che riesca a digerirla».
Sarebbe il primo caso di celiachia nella storia” sbuffò Michael che, nonostante non fosse più la loro guida, doveva comunque star lì a proteggerli.
«Accidenti Mosè!» sbraitarono i leviti. «Già dobbiamo marciare sotto il sole, già dobbiamo portare le nostre tende e ci sobbarchi anche del Tabernacolo, dell’Arca e di tutto il resto? Non potevamo costruirli una volta arrivati nella Terra Promessa?»
Il fatto che l’Arca fosse lievitata da sola sul carro, pronta per partire, non li aveva minimamente impressionati…
Sembrava troppo bello!” sospirò fra sé il condottiero. “Mai, mai più avvicinarsi ai roveti ardenti!” Fece un rapido esame della situazione: un arcangelo incazzato, i soliti mugugni degli Israeliti per la manna e, dulcis in fundo, il suo pronipote Bezaleel che voleva inaugurare il primo “Chi l’ha visto?” della storia. Motivo? Ooliab. Il giorno prima era lì con quell’espressione da “Ma perché mi tocca stare qui?” e il giorno dopo, puff! Sparito, scomparso. «Beato lui!» disse stancamente Mosè, mettendosi in marcia, nonostante le proteste dell’artigiano.
Beato lui, davvero!” pensò Michael. Metatron era potuto tornare in Paradiso a riprendere il suo posto di Scriba di Dio mentre lui, invece, doveva ancora stare lì, finché non fossero arrivati alla Terra Promessa. Come poteva Mosè aver dimenticato che avevano già una guida? Michael non ne faceva una questione personale (assolutamente no!) ma di principio: se l’Onnipotente aveva decretato che dovevano avere una guida e che questa dovesse essere lui, come si era permesso quell’umano di sceglierne un’altra? Sospirando, si mise alla testa della carovana, totalmente invisibile.

Il giorno dopo, al momento della partenza, ricominciarono a lagnarsi della manna. Motivo? Sapeva ancora di pasta all’olio.
«Uffa! Oggi non poteva sapere di qualcos’altro?» «Mosè, visto che sei riuscito a farle cambiare sapore, non potevi chiederGli che ‘sta schifezza sapesse di coniglio?» «Sei pazzo? Il nostro condottiero ha deciso che non possiamo mangiarli, il deserto pullula di conigli ma lui sostiene che sono immondi(2)» «Già, però ci ha concesso di mangiare le giraffe, peccato che qui non ce ne sia nemmeno una, chissà perché?» «Ma anche se ci fossero, poi come faremmo a cuocerle?»
«Non l’ho deciso io…» tentò di dire Mosè.
«No?» disse Kore. «Vai sul Sinai, rimani via per oltre due mesi, poi torni con delle leggi insensate, spacciandole per decreti divini. Fortuna che ce ne siamo allontanati prima che ti venisse in mente di aggiungere qualche altra assurdità».
«Assurdità?» ripeté Mosè basito.
«Assurdità e te lo dimostro subito: se mi comparisse una macchiolina bianca sulla mano, sarei puro o impuro(3)
«Impuro, ovvio».
«E se questa macchiolina si estendesse su tutto il corpo, sarei puro o impuro?»
«Torneresti a essere puro» rispose Mosè.
«E continui a sostenere che questi siano decreti divini? Ma non farmi ridere!»
«Adesso BASTA!» L’arcangelo Michael perse definitivamente la calma e una vampata di fuoco divampò da un capo all’altro dell’accampamento, facendo urlare di terrore gli Israeliti.
Improvvisamente cominciò a piovere, non una pioggia abbondante e prolungata ma sufficiente a spegnere i vari focolai.
Michael fu trascinato via da Gabriel al quale si doveva quella pioggia improvvisa.
«Bello scherzo, fratellone, ma un po’ distruttivo. Al tuo posto li avrei ricoperti di miele e poi avrei fatto piovere una marea di piume. Te li immagini? Avrebbero passato il tempo a spiumarsi e a leccarsi, magari a vicenda» ridacchiò.
«Non li sopporto più, non li sopporto più…» continuava a ripetere Michael, accasciandosi a terra con la testa fra le mani.
«Miki, te l’avevo detto che dovresti rilassarti un po’». Gabriel si sedette accanto a lui e gli passò un braccio intorno alle spalle. «Che ne diresti se tu ed io ce ne andassimo a fare una scorpacciata di fichi? Lo so, lo so, stai per dirmi: “Gli angeli non mangiano” ma voglio farti scoprire quanto siano buoni! Tu non lo sai ma nostro Padre ha creato dei frutti che sono davvero deliziosi, anche se non tutti, hai presente il limone? Ha un colore bellissimo ma il sapore… Bleah!» Fece una faccia schifata ancor più del necessario nel vano tentativo di farlo sorridere. «Fosse per me, avrei insaporito la manna col limone, altro che pasta all’olio, allora sì che avrebbero avuto ragione di lamentarsi! Allora che ne dici, andiamo?»
L’entusiasmo di Gabriel era davvero travolgente e Michael era davvero tentato di lasciar perdere i suoi doveri e spassarsela un po’ (un’attività per lui sconosciuta) ma…
Gabriel era anche simpatico, a modo suo, ma nessuno lo prendeva mai sul serio e, per le sue strane abitudini, era diventato la barzelletta del Paradiso.
Poteva lui, l’arcistratega delle truppe angeliche, abbassarsi al suo livello quando c’era Raphael che viveva per spodestarlo? E se qualcuno avesse visto il suo atto di debolezza? Incendiare le tende e basta significava soltanto che aveva fatto provare agli umani la collera divina, incendiare le tende e poi andare a mangiare fichi con Gabriel significava che aveva perso del tutto la ragione. Perciò, si scrollò di dosso il fratello e si rialzò.
«Vado ad allenarmi» disse freddamente.
E non c’era bisogno di specificare per che cosa lo facesse(4).
L’eccitazione di Gabriel si spense. «Ma perché?» domandò angosciato. «Siete fratelli! Tu non puoi davvero voler scontrarti con Lucy e sono sicuro che nemmeno lui lo vuole!»
«Quello che vuole Satana, non mi interessa». Volò via.
 
*****
 
  1. Nel capitolo 16, versetto 31 dell’Esodo, il sapore della manna è descritto come quello delle focacce al miele, mentre nel capitolo 11, versetto 8, il sapore è come quello della pasta all’olio.
  2. Lv 11,6
  3. Lv capitolo XIII
  4. Si allena in vista dello Scontro Finale.

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Capitolo 18
*** «E ora che facciamo?» ***


Nei giorni successivi, gli umani percorsero il deserto senza più fiatare.
«Siamo arrivati!» esclamò a un certo punto Mosè. «Questa è la montagna degli Amorrei, oltre c’è la Terra Promessa che il Signore nostro Dio sta per darci».
Ci si sarebbe aspettati che il popolo si precipitasse a scalare o ad aggirare la montagna, giusto? Invece si avvicinarono a Mosè e gli dissero: «Senti, non sarebbe più prudente mandare degli uomini che esplorino il paese e ci riferiscano sul cammino per il quale dovremo salire e sulle città nelle quali dovremo entrare?»
Michael era esterrefatto: quella terra era stata destinata a loro fin dai tempi di Abramo, dovevano solo entrare e, se gli abitanti in quel momento presenti non avessero voluto accoglierli… beh, peggio per loro!
E Mosè, invece di far valere la sua autorità e incoraggiarli, approvò la proposta e scelse dodici uomini, tra cui Giosuè e Caleb. Ancora una volta, aveva dimostrato di non avere fede nelle promesse dell’Eterno.
 
Dopo 40 giorni, gli esploratori tornarono e riferirono a Mosè e agli altri: «Siamo arrivati nel paese dove ci avevi mandato. Il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e immense. Non saremo capaci di andare contro questo popolo, perché è molto più forte di noi».
Caleb cercò di calmare il popolo che aveva iniziato a mormorare contro Mosè: «Sciocchezze! Possiamo conquistare il paese e lo faremo!»
Ma gli altri esploratori replicarono: «E a che pro? Questa famosa Terra Promessa dove dovrebbe scorrere il latte e il miele non è poi così fertile come ci aveva detto il nostro prode condottiero, inoltre gli abitanti sono talmente alti che al confronto noi sembriamo formiche».
Allora tutta la comunità diede in alte grida: «Oh! fossimo morti in Egitto o in questo deserto! Perché Dio vuole condurci in quel paese per farci morire di spada? Le nostre mogli e i nostri bambini diventeranno schiavi. Diamoci un capo e torniamo in Egitto».
Giosuè si stracciò le vesti e disse agli altri esploratori: «Ma che cosa dite? Il paese che abbiamo attraversato è molto buono, è davvero il paese dove scorre latte e miele. Se Dio è con noi, non abbiamo nulla da temere e potremo entrarci».
Gli arrivò un sasso addosso. «Chiudi il becco! Noi ce ne torniamo in Egitto!»
Apparve Michael davanti a lui, le braccia tese lungo il corpo e le sei ali rubino con le punte dorate spalancate lungo la schiena. Le piume brillanti, allineate una contro l’altra, taglienti come il filo di un rasoio. «Voi avete visto i prodigi che Dio ha compiuto per voi e ancora non avete fede in Lui?» disse con voce irata. «Da quando siete stati liberati dalla schiavitù egizia, non avete fatto altro che lamentarvi. Non volete entrare nella Terra Promessa? Benissimo, non ci entrerete! Girerete nel deserto per 40 anni, finché i vostri cadaveri non cadranno nella sabbia. Solo Giosuè, Caleb e i vostri figli entreranno da padroni nel paese che voi avete disprezzato». A quel punto scomparve.
Gli Israeliti ci rimasero malissimo e passarono il resto della giornata ad accusarsi a vicenda.


Il giorno dopo gli Israeliti dissero a Mosè: «Beh, visto che ormai siamo qui, tanto vale andare a combattere contro gli Amaleciti, gli Hittiti, i Gebusei, gli Amorrei, i Cananei o chi altro abiti oltre quelle montagne».
Mosè, vedendo che l’Arca non si era mossa, replicò: «La cosa non vi riuscirà, poiché il Signore non è con voi. Non salite perché non siate sconfitti dai vostri nemici!»
«Smettila di fare il profeta di sventure!» lo rimbeccò Kore. «Non avevi detto che il Signore cammina con noi e che ci regalava quella terra? Perché vuoi demoralizzare le truppe?»
Perciò, gli uomini delle altre tribù, tranne, ovviamente, i leviti, si ostinarono a salire verso la cima del monte, ma gli Amaleciti e i Cananei, che abitavano lì, scesero, li sconfissero e ne fecero strage fino a Corma.
«Accidenti Mosè!» lo apostrofò uno dei superstiti. «Perché non sei venuto con noi ad agitare il bastone come l’altra volta? Abbiamo perso per colpa tua!»
«Avreste perso comunque, non godiamo più del favore divino» replicò mesto il condottiero.
«E quindi adesso che facciamo?» gli replicò a brutto muso Kore, spalleggiato dai soliti Abiram e Datan, più altri 250 uomini. «Restiamo qui a girarci i pollici per 40 anni in attesa dei tuoi ordini? Adesso basta! Hai detto che il Signore cammina con noi e che perciò tutti noi siamo santi ma alla fin fine siete soltanto tu e Aronne che comandate. Perché dev’essere proprio Aronne il sommo sacerdote?»
«Ma perché ce l’avete con lui?» domandò Mosè, profondamente stupito. «Sapete benissimo che ha quella carica per volere divino». Vedendo i sorrisetti di scherno dei suoi interlocutori propose: «Facciamo così: domani mattina chiederemo al Signore qual è la Sua volontà. Tu, Datan e Abiram prenderete i vostri turiboli; vi metterete dentro l’incenso, senza accenderlo, e lo porrete davanti all’altare; lo stesso faremo Aronne ed io; e vedremo chi Egli sceglierà».
 
Michael aveva sperato che la sua missione sarebbe terminata felicemente entro pochi giorni e invece, a causa della loro ennesima ingratitudine, Dio aveva deciso di punirli facendoli girare nel deserto per 40 anni. Se fossero state poche decine di persone a rifiutarsi di entrare nella Terra Promessa, avrebbero ancora potuto salvarsi grazie alla Fede degli altri, (come nel caso di Sodoma: sarebbero bastati 10 giusti affinché si salvasse l’intera popolazione), ma purtroppo tutti, tranne Giosuè e Caleb, si erano subito scoraggiati, invece di confidare nel Signore; persino Mosè e Aronne non avevano saputo trovare una sola parola d’incoraggiamento ma erano rimasti colpevolmente zitti.
Devo ciucciarmeli per altri 40 anni!” pensò sconfortato.
«Ehilà Miki! Stavolta gli Israeliti l’hanno fatta proprio grossa, eh?» gli disse Gabriel, atterrando sulla stessa nuvola su cui si trovava il fratello. «Forse avremmo dovuto lasciarli in Egitto e guidare invece gli Egizi nella Terra Promessa, di certo ci saremmo risparmiati un bel po’ di lamentele». Come al solito, il Messaggero di Dio stava sbocconcellando un fico.
«Gabriel, non cominciare con le tue battute» lo redarguì severamente Michael. «Sai benissimo che nostro Padre ha scelto gli Israeliti come Suo Popolo, inoltre gli Egizi sono dei miscredenti».
«Sarà… eppure, nonostante tutte le batoste che hanno preso, quei “miscredenti” non hanno perso la fede nei loro sassi scolpiti, mentre questi “eletti”, nonostante tutto quello che nostro Padre ha fatto per loro, si abbattono anche se gli si rompe il laccio dei sandali… Bizzarri gli umani, davvero bizzarri… Beh, se non altro non ci fanno mai annoiare». Decollò via.
 
 
Il giorno dopo Mosè tentò di parlare in privato con Datan e Abiram per convincerli a non seguire Kore nella sua sconsiderata ribellione ma non vollero ascoltarlo.
«È forse poco per te l’averci fatti partire dall’Egitto in cui scorreva latte e miele, per farci morire nel deserto, perché volevi fare il nostro capo e dominare su di noi?» gli disse Abiram.
«Non solo ci hai condotto in questa fantomatica Terra Promessa dove non scorre latte e miele, ma nemmeno ci hai dato il possesso di campi e di vigne. Credi che siamo ciechi come tutta questa gente?» aggiunse Datan.
Gli voltarono le spalle e si affrettarono a raggiungere Kore che si trovava nella sua tenda.
Signore, Ti prego, da’ un segno chiaro che siamo Aronne ed io le persone che Tu hai scelto per guidare tutta questa gente” pensò Mosè turbato dalle parole crudeli dei due ribelli.
Kore non si degnò nemmeno di uscire dalla sua tenda e di accostarsi all’altare del Signore ma mandò i suoi 250 seguaci coi loro turiboli che però rimasero spenti.
Quando invece si avvicinarono Mosè e il fratello, non solo l’incenso nei loro turiboli si accese da solo, diffondendo un soave profumo, ma il bastone che Aronne teneva in mano cominciò a fiorire, tra lo stupore di tutti, poi i fiori maturarono in mandorle.
La questione era chiusa. Mosè e Aronne avrebbero continuato a guidare gli Israeliti.
Peccato che un simile miracolo non impressionò affatto il trio ribelle che si limitò a guardarsi fra loro con un sorrisetto e un’alzata di spalle come per dire: “Sì, oggi Dio ha scelto Mosè e Aronne ma domani…”
No, a causa del loro cuore ostinato, per loro non ci sarebbe stato alcun domani.
Michael colpì il terreno con la sua lancia.
La terra cominciò a tremare e si aprì zigzagando.
La gente cominciò a urlare e a scappare.
Quando la voragine si richiuse Kore, Abiram, Daitan e i loro 250 seguaci erano scomparsi.

*****

La frase "dove scorre latte e miele" è una metafora per indicare la fertilità della terra, dicendo che in Egitto scorreva latte e miele e nella Terra Promessa no, i ribelli intendono dire che Mosè li ha fatti uscire da una terra buona per portarli in una terra arida, facendo loro credere che in realtà fosse fertilissima.

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Capitolo 19
*** «Mosè... Mosè... Mosè...» ***


Il condottiero, dunque, rimase Mosè ma, a quanto pareva, gli Israeliti erano convinti che il termine “condottiero” fosse sinonimo di “persona su cui scaricare ogni minima lamentela” per cui il giorno dopo ricominciò la tiritera: «Mosè, fa caldo!» «Mosè, perché non torniamo in Egitto e aspettiamo lì i 40 anni?» «Mosè, perché hai sterminato Kore e gli altri?» «Mosè, la manna fa schifo!»
Mosè stava seriamente considerando l’idea di cambiarsi nome, uno bello lungo e difficile da pronunciare, almeno, forse, l’avrebbero lasciato in pace e si sarebbero lagnati con qualcun altro. «Guardate che ho nominato 70 giudici perché risolvano i vostri problemi, perché non vi rivolgete a loro?»
«Perché sei tu che ci hai messo in questo guaio! Ma chi te l’ha chiesto di farci uscire dall’Egitto? E poi sei o no l’intermediario con Dio? Allora fa’ qualcosa!»
In più c’era un’altra cosa che lo tormentava: Michael aveva detto che solo Giosuè, Caleb e i bambini sarebbero entrati, fra 40 anni, nella Terra Promessa ma aveva dimenticato d’includere anche lui e il fratello oppure anche loro erano stati esclusi? Era anche vero che entrambi avevano superato gli 80 ma, se Dio avesse voluto, avrebbero potuto tranquillamente arrivare a 130 anni. Si decise a chiamarlo.
L’arcangelo comparve, come al solito, con un’espressione severa sul volto.
«Emh, senti…» gli chiese titubante Mosè, «Quando hai detto che solo Giosuè, Caleb e i bambini sarebbero entrati, intendevi…?» Non riuscì a terminare la frase.
«Tu e Aronne non entrerete nella Terra Promessa» gli rispose serio.
«Ma perché? Che cosa abbiamo fatto?»
«Aronne ha permesso che gli Israeliti costruissero quell’idolo, tu hai mandato degli esploratori per sapere com’era il paese, invece di confidare nel Signore; inoltre, quando Caleb e Giosuè cercavano di esortare gli Israeliti a entrare nella Terra Promessa, tu e Aronne siete rimasti zitti, invece di appoggiarli di fronte a tutti».
«Beh… non ho parlato perché tanto non mi ascoltano mai, lo vedi tu stesso… ma era scontato…»
«No, non è così scontato» lo interruppe l’arcangelo. «Hai fatto credere che tu fossi d’accordo con quelli che non volevano entrare. Adesso dovete andare verso il Mare dei Giunchi(1) e accamparvi lì di fronte, fino a nuovo ordine».
Rimettersi in marcia… e questo significò sorbirsi ogni genere di lagnanze sul caldo, la manna, la sabbia nei sandali… cui si aggiunse: «Mosè, l’acqua sta finendo!»
Gli tornò in mente che a Meriba, l’anno prima, aveva fatto sgorgare l’acqua dalle rocce, perciò sarebbe bastato dirigersi lì e avrebbe potuto spuntare almeno una delle voci dalla “Lista delle lagnanze”.
 
 
Ci arrivarono dopo un mese e fu un vero shock quando scoprì che la fonte era prosciugata.
Per fortuna, il popolo, come sempre, fu molto comprensivo per quel piccolo contrattempo: «Ma perché non siamo morti insieme a Kore e agli altri? Perché ci hai fatto uscire dall’Egitto per condurci in questo luogo inospitale? Non è un luogo dove si possa seminare, non ci sono fichi, non ci sono vigne, non ci sono melograni e non c’è acqua da bere. Vuoi far morire di sete noi e il nostro bestiame?»
Seccatissimo, Mosè si avvicinò alle rocce e disse: «Ribelli, smettetela di lamentarvi! Credete che non possa farvi uscire l’acqua dalla roccia?»
L’acqua uscì e il malumore fu, temporaneamente, sedato.
Ora dovevano solo dirigersi verso il Mare dei Giunchi… Obab gli fece notare che avrebbero abbreviato di molto il tragitto se avessero attraversato Edom e, dato le loro origini in comune(2), Mosè era sicuro che non sarebbe stato un problema ottenere il permesso per passare ma non aveva pensato che i discendenti di Esaù avevano una gran voglia di farla pagare in qualche modo a quelli di Giacobbe per la primogenitura usurpata(3), pertanto fecero loro sapere che se avessero solo provato a mettere piede in Edom, avrebbero sguainato le spade (e anche i coltellini pelatronchetti).
«Ma gli Edomiti non dovrebbero essere asserviti a noi?» si lamentò uno degli Israeliti, mentre aggiravano il territorio di Edom. «“Sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre” così diceva la benedizione».
«Sarà scaduta» biascicò Mosè, esasperato.
«Torniamo in Egitto?» chiese speranzoso un altro.
«No, non credo…»
Al che, attaccarono la solita lagna: «Ma perché ci hai fatti uscire dall’Egitto per portarci in questo posto miserabile dove non possiamo piantare niente? Qui non c'è né pane né acqua e siamo nauseati da questo cibo così leggero! In più ci dovremo anche morire in questo deserto! A che cosa serve accamparci di fronte al Mare dei Giunchi se poi non possiamo tornare in Egitto? Dio ci aveva promesso la Terra Promessa, invece ci ha abbandonato!»
Ovviamente l’ultima frase non piacque affatto ai Piani Alti. Abbandonati da Dio! Ma quando mai?
Quello che né Mosè né gli altri potevano immaginare era che Michael non solo aveva il compito di guidarli nel deserto (successivamente licenziato in favore di Obab) ma la sua sola presenza era come uno scudo che teneva lontano da loro serpenti, ragni e scorpioni (insomma uno zampirone ante litteram), perciò Dio decise di far provare loro che cosa significasse essere davvero abbandonati da Lui.
Michael si prese una sospiratissima vacanza (riposandosi le orecchie dall’infinita sequela di lagnanze) mentre gli animali nocivi piombarono sugli Israeliti…

*****
  1. Antico nome del Mar Rosso
  2. Esaù, detto anche Edom, era il gemello di Giacobbe, ribattezzato poi Israel, perciò Edomiti e Israeliti discendevano entrambi da Isacco
  3. Vedere il racconto: “La Benedizione di Giacobbe

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Capitolo 20
*** «Ma si sente solo!» ***


L’unico che si godette la visione degli Israeliti che strillavano, scappavano, si grattavano e schiattavano a causa degli animali velenosi fu, ovviamente, Lucifer. Che magnifico spettacolo! E del tutto gratis! Sapeva che purtroppo non sarebbe durato a lungo: suo Padre aveva la tendenza di punire gli umani per far sapere loro quanto fosse deluso e disgustato dal loro comportamento ma poi continuava a farli prosperare e a benedirli. “Ma sterminali tutti e falla finita!” sbuffò il Diavolo stizzito. “Coi dinosauri non ti sei fatto troppi problemi”.
Un giorno Dio aveva deciso che i dinosauri erano troppo brutti, troppo stupidi e troppo ingombranti per i suoi gusti perciò aveva spedito contro la Terra un meteorite e ciao ciao a tutti quanti!
Però anche queste scimmie spelacchiate erano veramente sceme, mai vista tanta idiozia in un colpo solo: erano stati condannate a girare nel deserto per 40 anni finché non fossero morte tutte e loro, invece di vedere nei serpenti, nei ragni e negli scorpioni una via d’uscita, continuavano ad aggrapparsi alle loro inutili vile. Avevano un’arma formidabile per forzare la mano dell’Eterno e non la sfruttavano! Veramente stupide!
Dio aveva deciso di regalare il Canaan a quel mucchio di scarafaggi ma poi aveva corretto il tiro: l’avrebbe dato ai loro discendenti presenti (pochi) e futuri ed ecco l’arma di ricatto: se loro si fossero suicidati in massa senza lasciare discendenti, suo Padre a chi avrebbe regalato la Terra Promessa? Avrebbe dovuto lasciarci dentro i cananei (che però Gli stavano sui sacri zebedei) oppure destinarla ai discendenti di Esaù dopo averli allegramente diseredati come aveva già fatto in precedenza con Ishmael, Zimran, Joqšan, Medan, Midjan, Jišbaq e Suach(1) in favore di quella faccia da fesso di Isacco oppure annullare il castigo e permettere loro di entrare. Che smacco sarebbe stato!
Era improbabile che quel branco di idioti ci arrivasse da solo se qualcuno non glielo spiegava. «Oggi mi sento bendisposto verso quelle scimmie, andrò ad aiutarle». Si rese visibile e andò a spiegare loro il suo piano geniale. «Vi rendete conto che gli Ismaeliti hanno da decenni una loro terra, così pure i Madianiti e gli Edomiti e noi, che dovremmo essere il Suo Popolo prediletto, no?» “145 anni di schiavitù, poi 40 anni nel deserto, fortuna che erano i discendenti di Giacobbe quelli che gli stavano simpatici” ridacchiò fra sé.
«Aspetta, aspetta… tu non sei quello che ci aveva consigliato di costruirci un idolo d’oro e di tornare in Egitto?»
«Esatto e se mi aveste dato retta, adesso non saremmo qui ma saremmo padroni dell’Egitto: l’esercito egizio sterminato, l’economia a terra, i giovani decimati(2) e nessuno avrebbe potuto opporsi a noi».
«Ma allora…» cominciò a dire uno speranzoso.
«Troppo tardi» lo stoppò Lucifer. «Il momento giusto era quello, adesso gli egizi hanno avuto tutto il tempo di riorganizzarsi e di risollevarsi. Però ho la soluzione per cancellare la nostra condanna e farci entrare subito nella Terra Promessa» riprese, con voce allegra, «ma dovete ascoltarmi attentamente».
“Attentamente” era una parola grossa visto che ogni secondo dovevano schivare uno scorpione o un calabrone e, ovviamente, quasi nessuno riuscì a capire in che modo minacciare Dio di suicidarsi in massa (cominciando a farlo sul serio) e rifiutarsi di mettere al mondo nuovi mocciosi potesse farli entrare nella Terra Promessa, erano proprio idioti! Eppure era un ragionamento così chiaro e lineare! “Che si arrangino! Non si meritano niente!

Se gli umani non avevano capito il ragionamento di Lucifer, ci fu un altro essere celeste che invece ci arrivò: Dio stesso. Gli umani, tutti impegnati a scappare o a schiattare non pensavano a moltiplicarsi perciò l’Eterno decise che era il momento di tornare a essere magnanimo e ordino a Michael di portare loro il Palo Guaritore e di essere ancora il loro zampirone… emh… il loro protettore, non si poteva certo permettere che si estinguessero senza lasciare discendenti, giusto?
Michael, che si stava godendo una sospiratissima vacanza, facendo ciò che più amava (esercitarsi per lo Scontro Finale, allenare i suoi subalterni…), non fu molto entusiasta di dover ricominciare a sentire l’infinita sequela delle lagnanze degli Israeliti ma, uso a obbedir tacendo, si recò nella stanza di Raphael per farsi consegnare quella Mano di Dio.
«E secondo te, lo terrei qui?» gli chiese il fratello, squadrandolo freddamente. «È ingombrante! Ovviamente è nell’armeria del Paradiso».
Di solito Michael avrebbe mandato un proprio subalterno ma voleva verificare coi propri occhi che un certo angelo indisciplinato avesse finalmente imparato la lezione.
Stava per entrare, quando, inaspettatamente, sentì ridere, che cosa ci poteva essere di divertente?
Entrò deciso e vide Balthazar che sghignazzava piegato in due mentre un altro angelo con le ali color cobalto lo fissava perplesso.
«Fate ridere anche me» disse, anche se il tono della voce indicava che era poco propenso a volersi divertire.
Balthazar, sorpreso di vederlo, si ricompose. «Impossibile, mio principe» ripose con una specie di salamelecco. «Ci ha già provato più volte Gabriel e lui è un arcangelo, come potrei riuscirci io che sono un semplice angelo?»
Irritato Michael si voltò verso l’altro angelo: «Non hai dei doveri impellenti che richiedono altrove la tua presenza?»
«Io… io sono qui per ordine di Gabriel» rispose l’altro, fissandolo con degli occhioni blu.
«Allora non farlo aspettare, prendi quello che gli serve e portaglielo» replicò l’arcistratega in tono di comando.
L’altro angelo scosse la testa. «Non devo prendere alcun oggetto, lui…» indicò Balthazar «si sente solo e io devo fargli compagnia».
Balthazar si sarebbe messo ancora a ridere: era Castiel quello che si sentiva solo di certo non lui, (con certi fratelli la solitudine era davvero l’unica beatitudine lì in Paradiso), vedendo che Michael lo stava fissando cercò, invano, di fare una faccia da cucciolo abbandonato.
Michael si voltò verso Castiel. «Il sentirsi solo è parte integrante della sua punizione e ora FUORI!» esclamò, indicandogli la porta.
Castiel esitò un attimo poi disse: «Ciao Balthazar, spero che potrò tornare presto a trovarti».
«Non ti preoccupare, Castiel, so che se non riuscirai non sarà colpa tua».
«Che cos’è questa storia? Sei andato da Gabriel a lamentarti?» chiese Michael, una volta che Castiel fu uscito.
«Lamentarmi? Perché mai dovrei lamentarmi? Chi non vorrebbe essere al mio posto qui in Paradiso a sorvegliarne le armi?» “E ad annoiarmi a morte?” aggiunse fra sé Balthazar.
«E ci resterai ancora per un bel pezzo con quest’atteggiamento». Michael afferrò il Palo e uscì infuriato: suo Padre gli aveva dato un ordine e lui, invece di obbedirGli celermente, continuava a stare lì, perdendo tempo a causa di quei tre. Avrebbe redarguito suo fratello più avanti.

*****
  1. Figli di Abramo, fratellastri di Isacco. Per capire il ragionamento di Lucifer, bisogna ripassare un attimo la Bibbia: nel libro della Genesi Dio dice ad Abramo: «Darò a te e alla tua discendenza tutto il paese di Canaan in possesso perenne». Normalmente per “discendenza”, s’intende tutti i figli, però Dio rinnovò la Sua Promessa solo a Isacco: «A te e alla tua discendenza io concederò tutti questi territori» (diseredando, di fatto, gli altri figli di Abramo). Isacco ebbe 2 figli: Esaù e Giacobbe (rinominato poi Israel), ma fu solo al 2° che fu rinnovata la promessa: «La terra sulla quale tu sei coricato la darò a te e alla tua discendenza». I discendenti di Giacobbe sono gli “allegri” compari di Mosè.
  2. Dopo le 10 piaghe, l’Egitto non ne era uscito bene 😉

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Capitolo 21
*** L'asina di Balaam ***


«Finalmente! Siamo assediati da ogni genere di bestie velenose. Che fine avevi fatto?» domandò Mosè non appena gli comparve Michael con in mano il Palo. «Adesso continuano a ripetere: “Sarebbe stato meglio per noi morire in Egitto davanti a pentoloni di carne che nel deserto punti a sangue dai calabroni” e pretendono che io faccia qualcosa! Non ne posso più! Perché il Signore ci ha mandato contro tutte quelle bestie? Che cosa abbiamo fatto?»
Ma per la miseria! Fammi almeno richiudere le ali!” pensò l’arcangelo seccatissimo. «Ti sbagli, non è stato Dio a mandare quegli animali contro di voi, semplicemente prima non vi colpivano perché Egli teneva la Sua mano sopra di voi ma quando avete detto che vi aveva abbandonato, ha voluto farvi sperimentare che cosa succede davvero quando si è abbandonati da Lui».
«Abbiamo detto…?» cominciò a obbiettare Mosè ma poi s’interruppe. «Siamo pentiti, siamo pentiti ma, ti prego, manda via quelle bestie e guariscici!»
Non ho dubbi che siate sinceramente pentiti ma per quanto tempo?” pensò Michael poi disse: «Innalzate questo serpente; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita ma ricordate: non è la statua in sé che vi salverà ma la fede che riporrete nell’Onnipotente. Non voglio che si ripetano le stesse scene che ho visto con quell’idolo, chiaro?»
«Chiarissimo» rispose Mosè prendendo il Palo e reggendolo a stento.
«Lo spero per voi» replicò l’arcangelo e tornò in Paradiso.
 
Gli animalacci sparirono e quelli che agonizzavano per punture / morsi, guardando il Serpente guarirono immediatamente (con tanti accidenti da parte di Lucifer convinto che se lui non avesse tentato di far suicidare in massa quegli scarafaggi, suo Padre non avrebbe mai pensato di dare loro il Palo Guaritore).
 
Nel frattempo sopraggiunse un’altra minaccia: nonostante fossero bloccati nel deserto, i popoli confinanti cominciarono a guardarli con apprensione. Perché si erano accampati nel deserto? Che intenzioni avevano?
Il più preoccupato di tutti era Balak, re di Moab, che chiamò l’indovino Balaam affinché li maledisse.
 
Sarebbe potuta sembrare una missione semplice, insomma che cosa ci voleva a decapitare un umano? Invece quella maledetta bestia per tre volte gliel’aveva impedito: la prima volta aveva deviato dal sentiero ed era andata per i campi. Balaam l’aveva percossa per rimetterla sulla strada.
La seconda, quando Michael si era messo su un sentiero infossato tra le vigne, che aveva un muro su entrambi i lati, l’asina si era serrata al muro schiacciando il piede di Balaam che l’aveva percossa di nuovo.
Infine, quando l’arcangelo era passato di nuovo più avanti e si era fermato in un luogo talmente stretto, che non vi era modo di ritirarsi né a destra, né a sinistra, l’asina si era accovacciata sotto Balaam che, infuriato, la stava bastonando.
Almeno il mago avesse capito che qualcosa non andava e fosse tornato indietro, invece no! Aveva continuato a spronare e bastonare quella bestia perché proseguisse il cammino.
Che situazione! Tra i ragli dell’asina e le imprecazioni di Balaam, Michael sentiva che stava per perdere la sua abituale flemma.
«Ehilà Michi! Che combini?» Ecco, ci mancava anche Gabriel!
«Sto svolgendo un’importante missione» rispose Michael freddamente.
«Come no! L’arcistratega delle truppe angeliche impalato in mezzo alla strada, intento a terrorizzare una povera asina…»
«Un giorno o l’altro ti staccherò la testa. Che cosa ci fai qui?»
«Anch’io ti voglio bene, fratellone. Sai, contrariamente a quello che si dice, abbiamo sentito i suoi ragli anche in Paradiso e sono sceso a vedere che cosa stesse succedendo. Quello non è Balaam?»
«Sì, devo impedirgli di andare a Moab».
«Ma io gli ho detto che poteva andare!» esclamò Gabriel.
«E perché gli avresti detto una cosa del genere?» gli domandò fissandolo severamente.
«Non guardarmi male, eseguivo degli ordini, che cosa credi?» rispose Gabriel, alzando le mani.
«Ed io li sto eseguendo adesso, bloccandogli il cammino».
«Strano però… prima ho dovuto dirgli che nostro Padre gli proibiva di andare, capirai voleva seguire gli uomini di Balak per maledire il Popolo Eletto dietro compenso, e la volta dopo che poteva seguirli… ho capito! Era una prova e non l’ha superata, avrebbe dovuto obbedire al primo avviso… e ora devi staccargli la testa… Non so tu ma io sono stufo di ascoltare questi ragli». Schioccò le dita verso l’asina la quale chiese a Balaam: «Che ti ho fatto perché tu mi percuota già per la terza volta?»
Balaam urlò: «Perché ti sei beffata di me! Se avessi una spada in mano, ti ammazzerei subito!»
L’asina gli disse: «Non sono io la tua asina sulla quale hai sempre cavalcato fino a oggi? Sono forse abituata ad agire così?»
Gabriel ridacchiò: «Certo che Balaam l’ha presa bene, un altro, a sentire un animale parlante, si sarebbe spaventato. Su, Michi, parlagli».
«E perché dovrei farlo?»
«Se ci riesce un’asina, puoi riuscirci anche tu o vuoi farti battere da un animale?»
Allora Balaam vide Michael, che stava sulla strada con la spada sguainata, s’inginocchiò e si prostrò con la faccia a terra.
L’angelo gli chiese: «Perché hai percosso la tua asina già tre volte? Sono uscito a ostacolarti, perché il cammino davanti a me va in precipizio. Tre volte l’asina mi ha visto ed è uscita di strada; se non l’avesse fatto, ti avrei già ucciso e lasciato lei in vita. Non puoi maledire il popolo di Israele, perché è benedetto».
Balaam domandò: «Non sapevo che ti fossi posto contro di me sul cammino; ma quindi devo proprio rinunciare ad andare a Moab? Se proprio insisti, tornerò indietro ma devo proprio farlo?»
Ma sei proprio duro di comprendonio! Non c’è niente di peggio di un umano avido”. L’arcangelo stava per rispondere quando sentì nella sua testa gli ordini di Dio perciò rispose: «No, va’ pure a Moab; ma dirai soltanto quello che io ti dirò». Poi si girò verso Gabriel: «Voleva maledire i nostri protetti? Invece nostro Padre glieli farà benedire per quattro volte!»
«Fantastico! Visto che a parlare si risolve sempre tutto? Sarà meglio che faccia tornare l’asina normale, non vorrei che Balaam ne approfittasse per incrementare i suoi guadagni».
Dopo che l’indovino si fu allontanato, Gabriel chiese a Michael: «Però non capisco… Balaam è solo un indovino e le sue maledizioni avrebbero avuto meno effetto dei ragli della sua asina, perché nostro Padre ti ha mandato a fermarlo?»
«Perché, nonostante siano degli ingrati, gli Israeliti rimangono comunque il Suo Popolo e nessuno deve permettersi di far loro del male, nemmeno con le parole, seppure vane. Inoltre…»
«Inoltre?»
«Beh, lo sai come sono fatti…» sospirò Michael, «è probabile che prima o poi dovremo nuovamente punirli e Balak non deve pensare che la maledizione di Balaam abbia funzionato». Vedendo che il fratello aveva aperto le ali per andarsene lo bloccò dicendo: «Gabriel, non devi più interferire nelle punizioni che io infliggo ai miei subalterni».
«Interferire? Io?» replicò Gabriel con aria innocente. «Ti ho mai impedito di strapazzarli? Ho mai messo becco nei tuoi massacranti allenamenti?»
«Balthazar» replicò Michael e lo guardò significatamene. «Hai interferito nella sua punizione».
«La sua punizione non è di stare a contare i granelli di polvere sulle Armi del Paradiso? Mica l’ho fatto evadere».
«Non fingere di non capire. Sto parlando del tuo subalterno Castiel che va a trovare Balthazar per ordine tuo. Lui non può…»
Gabriel gli si avvicinò fino a essere a pochi centimetri da lui. «A Castiel non ho ordinato un bel niente, gli ho semplicemente detto che, se voleva, poteva andare a fargli compagnia ma anche se l’avessi fatto? Non hai mai detto che Balthazar deve stare isolato ma solo che deve stare in quel buco, così sai dove trovarlo quando lo cerchi. Nessuno ha trasgredito i tuoi ordini perciò tu non interferire coi miei!»
Michael si stupì: era strano vedere suo fratello così serio, così determinato, così… arcangelico.
«Se non hai altre lagnanze me ne vado». Gabriel aprì le ali e volò via.

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Capitolo 22
*** «Però un metodo ci sarebbe...» ***


E ora come me la guadagno la giornata?” pensò Balaam irritatissimo. Per due volte aveva aperto la bocca per annunciare le disgrazie (presenti e future) che vedeva aleggiare sulla testa degli Israeliti ed entrambe le volte non gli erano uscite altro che benedizioni. Ci riprovò: «Come sono belle le tue tende, Israele! Il suo re sarà più grande di Agag e il suo regno sarà celebrato… Chi può contare i discendenti di Giacobbe? Chi può numerare l’accampamento d’Israele?» “Una giornata buttata!” sbuffò contrariato.
Era così che si guadagnava da vivere: lui era solo un veggente ma aveva fatto credere che avesse il potere di benedire o maledire le cose e le persone, facendosi ovviamente pagare, d’altronde non sapeva fare altro quindi perché non approfittare di quel dono?
Anche alla persona più felice del mondo poteva accadere qualche contrattempo, lui lo vedeva, lo annunciava e si prendeva i meriti come se il guaio gliel’avesse mandato lui in persona.
«Non ti ho chiamato qui perché tu li benedica!» gli disse il re Balak sull’orlo di una crisi di nervi. «L’hai capito o no che devi maledirli
Fosse così facile…” sospirò Balaam fra sé.
«Non maledirai quel popolo, perché è benedetto» gli aveva detto quell’angelo con la spada.
E per fortuna che è benedetto!” pensò l’indovino ironicamente: tra decenni di schiavitù, calabroni, serpenti, marcie sotto il sole e, dulcis in fundo, restare nel deserto finché non fossero schiattati tutti, c’era solo da ringraziare tutti gli altri dèi di non far parte del cosiddetto Popolo Eletto. Almeno poteva dire a Balak, il committente, di non preoccuparsi di quella masnada perché, almeno per 40 anni, sarebbe rimasta nel deserto, facendogli credere, ovviamente, che li aveva bloccati lui. Prese fiato e: «Lo vedo, ma non ora, lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele, spezza le tempie di Moab e il cranio dei figli di Šet, Edom diverrà sua conquista e diverrà sua conquista Seir, suo nemico, mentre Israele compirà prodezze. Uno di Giacobbe dominerà i suoi nemici e farà perire gli scampati da Ar». “Dannazione! Non solo ho ribenedetto quei disgraziati ma ho pure maledetto il re di Moab e i suoi alleati!” pensò costernato.
Allora l’ira di Balak si accese contro Balaam: «Ti ho chiamato per maledire i miei nemici e invece li hai benedetti per ben quattro volte! Ora vattene al tuo paese!»
«Non ti avevo forse avvisato che non avrei potuto trasgredire l’ordine del Signore e che avrei detto soltanto ciò che Egli mi ha ordinato di dire?» replicò come a scusarsi.
«Ed io non ti avevo detto che ti avrei colmato di doni? Visto che il tuo Signore ti ha impedito di averli, sparisci!»
Doveva assolutamente guadagnarsi la giornata! Ma come fare? Ogni volta che apriva bocca, uscivano soltanto benedizioni, dannazione! Però, però… si chinò svelto e scrisse rapidamente nella polvere: “Manda le madianite e le moabite a sedurli e per far loro adorare i vostri dèi e il loro Dio li punirà, bloccandoli nel deserto per 40 anni”. Poi fissò Balak per accertarsi che avesse capito.
Il re di Moab annuì e gli allungò un sacchetto pieno di monete.
Per fortuna la giornata non era andata totalmente sprecata!
 
 
Dopo qualche giorno, gli “allegri” campeggiatori del deserto ebbero una visione celestiale: decine e decine di ragazze con in mano delle statuette, le quali correvano verso di loro. Erano tutte giovani, carine e, soprattutto, profumate.
E già! Tra il sole del deserto che li faceva sudare abbondantemente e l’acqua bastevole soltanto per dissetare loro e i loro armenti il concetto di “buon odore” era diventato ormai soltanto un lontano ricordo, perciò quando videro e annusarono quelle soavi creature, persero del tutto la testa con grande rabbia delle loro consorti che si lamentarono per il mancato rispetto delle pari opportunità (ovvero l’invasione nel loro campo di bei ragazzoni puliti).
Anche Dio la prese piuttosto male: gli Israeliti erano il SUO popolo e loro stavano allegramente trasgredendo due dei suoi comandamenti in un colpo solo: non solo stavano commettendo adulterio, fornicando con delle straniere ma che, per farlo, avevano acconsentito di buon grado ad adorare il loro idolo Baal-Peor.
L’intervento di Uriel fu inevitabile…

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Capitolo 23
*** «Contento ora?» ***


Se da un lato l’intervento di Uriel, fu un enorme successo, dall’altro presentava degli spiacevoli effetti collaterali: era vero che gli Israeliti “purificati” da lui smettevano di peccare, ma smettevano anche di respirare e di fare altre cose un po’ più importanti (tipo procreare discendenti a cui sarebbe andata la famosa Terra Promessa dove scorreva il latte e il miele).
Un altro popolo un po’ più furbo avrebbe intuito che gli schiattamenti improvvisi erano dovuti al fatto che fornicavano allegramente con delle straniere e che, per farlo, si erano messi ad adorare i loro dèi, ma loro o non lo capivano oppure avevano deciso di seguire il consiglio di Lucifer preferendo farsi ammazzare subito dopo esser stati fra le braccia di una bella donna che dopo 40 anni di deserto (e di manna).
In Paradiso, la domanda che più ci si poneva era: «E ora che si fa?» Da un lato gli Israeliti dovevano assolutamente smettere di fornicare con quelle donne, dall’altra, a furia di “purificarli” non ne sarebbero rimasti abbastanza per mettere al mondo una nuova generazione abbastanza numerosa per conquistare il Canaan.
Finalmente qualcuno nell’accampamento decise di prendere in mano la situazione…
Il giovane Pînhas, figlio di Elazar, figlio di Aronne, non era stato colpito dalla punizione che Michael aveva inflitto agli Israeliti dai vent'anni in su perciò aveva ottime speranze di poter vedere la tanto sospirata terra in cui scorreva il latte e il miele ma dover aspettare per 40 anni nel deserto non gli piaceva neanche un po’ pertanto pensò a come procurarsi un passaporto per entrare subito…
Si precipitò nella tenda di Mosè: «Zio, dammi subito il tuo bastone!»
Mosè lo fissò preoccupato e poi disse: «Che cosa ci devi fare? Dio ha detto che il Bastone posso usarlo solo io…»
«Tranquillo, zio» rispose con baldanza, «non voglio scatenare alcuna piaga, anzi voglio fermarne una».
Titubante, Mosè porse il Bastone al nipote, chiedendosi come potesse fermare quell’epidemia, visto che né le parole né le morti erano servite a far desistere i suoi compatrioti dal fornicare come conigli in calore.
Pînhas prese il Bastone, corse fuori dalla tenda e, come un Daredevil ante litteram, cominciò a inseguire quelle povere madianite e moabite che dovettero scappare mezze nude, mentre lui mulinava il Bastone sopra le loro teste.
«Pînhas, che cosa stai facendo?» era la protesta che si levava da più parti.
«Vi sto salvando dalla perversione! Via, meretrici, via! Andate a fornicare altrove!»
Finalmente tutte le ragazze scapparono, col fermo proposito di non tornare mai più in quell’accampamento di matti.
«Complimenti, eh! Avevamo trovato un passatempo che non fosse star qui a girarci i pollici e tu ce l’hai levato!» Stavano già per picchiarlo, quando comparve Michael con le ali spalancate.
«Fermi! Dovreste solo ringraziarlo per avervi salvato dalla depravazione».
«Ringraziarlo??? Ma noi…» tentò di protestare uno di loro, subito zittito da una gomitata nelle costole. «Taci! Vuoi che ci allunghi la pena di altri 10 anni?» gli sussurrò un altro che, essendo anch’egli della vecchia guardia, alla fine dei 40 anni di Esodo, avrebbe fatto imbiancare le sue ossa nel deserto.
Michael finse di non sentire e si rivolse al ragazzo: «Pînhas, figlio di Elazar, figlio del sacerdote Aronne, hai allontanato l’ira del Signore dagli Israeliti, perché sei stato animato dal Suo zelo fra di loro, ed Egli, nella Sua gelosia, non ha sterminato gli Israeliti. Perciò sappi che Egli stabilisce con te un’alleanza di pace, che sarà per te e per la tua stirpe dopo di te un’alleanza di un sacerdozio perenne, perché tu hai avuto zelo per il tuo Dio e hai fatto il rito espiatorio per gli Israeliti». “Ma perché Metatron deve sempre scrivere dei messaggi così complicati?
Nel frattempo, Uriel se ne tornava in Paradiso assai contrariato visto che il suo divertimento era finito troppo in fretta per i suoi gusti ma aveva comunque la speranza che prima o poi il cosiddetto Popolo Eletto si sarebbe di nuovo pervertito e lui l’avrebbe potuto di nuovo “purificare.”
Pînhas si domandò che razza di ricompensa fosse visto che, essendo della tribù di Levi, i suoi figli sarebbero stati comunque sacerdoti; il suo premio non poteva essere solo quello perciò domandò speranzoso: «Allora posso entrare subito nella Terra Promessa?»
«No, vi ho già detto che voi della nuova generazione entrerete solo fra 40 anni, non fatemi ripetere sempre le stesse cose» rispose Michael severamente e scomparve.
“🌩️🗡️☠️🤬✨!” pensò Pînhas cupamente: sperava di essersi guadagnato un biglietto per la famosa Terra Promessa, invece gli toccava rimanere lì, per di più odiato da tutti perché aveva guastato il loro divertimento.
«Ecco, sei contento?» si sentì gridare da più parti.
«Voleva entrare prima il signorino, invece ti tocca aspettare come tutti noi».
«Già, almeno tu ci potrai entrare in questa fantomatica Terra Promessa…»
«Mosè, che cosa ti è saltato in mente di farci uscire dall’Egitto e di portarci in questo posto schifoso in cui non ci si può nemmeno divertire un po’?»
«Sentite!» saltò su uno. «Quelle ragazze non possono essersi allontanate di molto, forse faccio ancora in tempo a raggiungerle e a riportarle qui».
«E secondo te, ci tornerebbero dopo la bella pensata di Pînhas? Ormai siamo condannati a marcire qui…»
 
 
“Il sole tramonta nel deserto, dipingendo il cielo con sfumature di arancio, rosso e viola. Mentre l’ultima luce del giorno sfiora le dune ondulate, un gruppo di persone emerge come ombre danzanti sull’orizzonte. Non hanno una destinazione precisa, almeno, non più, l’unica che avevano è stata loro preclusa per 40 anni, ma ogni loro passo è un racconto di resilienza e speranza. La vastità del deserto diventa la tela su cui si disegnano le loro storie, storie di viaggiatori che, come il sole, seguono un ciclo eterno di sfide e rinascite. Questo gruppo di anime erranti, con il cielo che si oscura sopra di loro, trova conforto nella compagnia reciproca e nella bellezza incommensurabile della natura che li circonda”. “Ecco fatto!” pensò Dio soddisfatto dopo aver scritto l’ultima parola. “Fantastico finale, i lettori impazziranno”.

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