Relazioni pericolose

di Demy77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** cap. 1 ***
Capitolo 2: *** cap. 2 ***
Capitolo 3: *** cap.3 ***
Capitolo 4: *** cap 4 ***
Capitolo 5: *** cap. 5 ***
Capitolo 6: *** cap. 6 ***
Capitolo 7: *** cap. 7 ***
Capitolo 8: *** cap.8 ***
Capitolo 9: *** cap.9 ***
Capitolo 10: *** cap.10 ***
Capitolo 11: *** cap.11 ***
Capitolo 12: *** cap. 12 ***
Capitolo 13: *** cap.13 ***
Capitolo 14: *** cap. 14 ***
Capitolo 15: *** cap. 15 ***
Capitolo 16: *** cap. 16 ***
Capitolo 17: *** cap. 17 ***
Capitolo 18: *** cap. 18 ***
Capitolo 19: *** cap. 19 ***
Capitolo 20: *** cap. 20 ***
Capitolo 21: *** cap. 21 ***
Capitolo 22: *** cap. 22 ***
Capitolo 23: *** cap. 23 ***
Capitolo 24: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** cap. 1 ***


Era una mattina tranquilla alla Wheal Grace, una come tante. Ross stava controllando i registri contabili, con il picconare incessante dei minatori che gli faceva da sottofondo. Era particolarmente concentrato: non poteva permettersi la minima disattenzione. Era essenziale far quadrare i conti, soprattutto ora che parte del materiale estratto dalla miniera di sua proprietà veniva fatto sparire per sostenere sotto banco le spie francesi; altrettanto importante era che nessuno, alla miniera o a casa, si accorgesse di quanto stava accadendo.

Erano trascorse circa dieci settimane da quando Ross era stato scoperto dai francesi a curiosare nella miniera abbandonata che Jacka Hoblyn e Tess Tregidden utilizzavano come nascondiglio per il metallo trafugato.

Aveva rischiato grosso: il capo della gendarmeria di Roscoff, che si ricordava di lui fin dall’epoca in cui aveva organizzato il salvataggio di Dwight dalla prigione, era stato sul punto di tagliargli la gola, ma la sua eloquenza lo aveva salvato per l’ennesima volta: aveva fatto credere al francese che, in quanto persona non gradita alla Corona inglese dopo l’esecuzione dell’amico Ned, avesse tutti i motivi per sostenere la causa della Rivoluzione e si era quindi offerto di collaborare con gli stranieri, in cambio della vita.
L’uomo aveva creduto a quella versione e dopo un primo periodo di naturale diffidenza sembrava addirittura averlo preso in simpatia, come se fossero stati da sempre grandi amici.

Trascorrevano ore insieme a pianificare lo sbarco che i francesi si proponevano di effettuare di lì a poco sulle coste inglesi. La profonda conoscenza da parte di Ross degli approdi (oltre alla proprietà di Hendrawna Beach, uno dei migliori punti per chi volesse tentare un’invasione della Cornovaglia dal mare) erano un valore aggiunto che forniva ai francesi un insperato supporto.
Per fortuna l’impegno di Ross in quelle ore era totale, altrimenti sarebbe stato difficile arginare le continue avances di Tess. Quando la ragazza aveva appreso la notizia che il capitano Poldark era dalla loro parte e non solo non li avrebbe denunciati, ma li avrebbe aiutati, era diventata più sfrontata del solito. Ross l’aveva sempre attratta, e la situazione di segretezza e di rischio in cui si trovavano ad agire rendeva il tutto più eccitante. Tess  gli ronzava intorno in ogni occasione, tanto che gli stranieri spesso in loro presenza si davano di gomito e pronunciavano battutine piccanti. Ross era costretto a fingere che Tess gli interessasse, pur senza concederle mai nulla più di qualche carezza o qualche abbraccio, e sempre in presenza di altri. Sapeva che, a fronte di un aperto rifiuto, quella giovane, ossessionata da lui, si sarebbe vendicata. Gli aveva già dato un primo avvertimento in tal senso, procurandogli un graffio sul collo quando l’aveva allontanata con il pretesto di dover sistemare delle armi.  

Ross da mesi stava conducendo una doppia vita, e a volte faticava a comprendere da che parte fosse davvero giusto stare. Condivideva i valori di uguaglianza , libertà e fraternità della Rivoluzione, inoltre la miseria del suo popolo era il chiaro segno che la politica del governo inglese era fallimentare. Al tempo stesso non dimenticava di essere un soldato, tenuto a doveri di lealtà e fedeltà nei confronti della propria Patria; infine, temeva che per la misera gente della Cornovaglia l’invasione dei francesi non avrebbe comportato un vero cambiamento, ma avrebbe significato semplicemente che ad un dominatore se ne sostituiva un altro.
Talvolta, mentre nel buio di quei cunicoli con fare spregiudicato tramava contro l’Inghilterra, si ritrovava a pensare cosa gli avrebbe consigliato di fare Demelza se fosse stata al corrente di tutto: probabilmente avrebbe preteso che cessasse immediatamente ogni attività di spionaggio e denunciasse Jacka e gli altri, facendoli arrestare. Ma non era così semplice… Chi rubava alla Wheal Grace scambiava i proventi del furto con cibarie e liquori di contrabbando, e poi quel metallo veniva fuso per realizzare armi destinate ai ribelli. La pena per tali reati era la morte, e Ross non se la sentiva di far pagare a chi aveva rubato un prezzo così alto, perché riteneva avessero agito per povertà e disperazione, più che per disonestà o acrimonia nei suoi confronti. Forse l’unica soluzione era sperare nella firma di un trattato di pace tra le due Nazioni, cui il generale Bonaparte sembrava particolarmente propenso…

Gli pesava ogni giorno di più la situazione in cui si era andato a ficcare, fisicamente e psicologicamente; per colpa di quello scellerato patto con i francesi stava rischiando grosso. Se gli inglesi avessero scoperto il complotto, rischiava di essere incriminato per alto tradimento come complice dei rivoluzionari. Se poi i francesi avessero intuito che Ross faceva il doppio gioco, lo avrebbero giustiziato ed il risultato sarebbe stato lo stesso. In bilico tra due fuochi, l’unico aspetto della vicenda che lo consolava era che nessuno dei suoi cari era coinvolto in quell’azzardatissimo piano, pur patendone indirettamente le conseguenze.

Demelza aveva intuito che le nascondeva qualcosa ed avevano litigato. Un bel giorno la moglie aveva fatto le valigie e si era trasferita a Killewarren,  a casa degli amici più fidati, portando con sè i bambini e la serva Prudie. Solo a Dwight Ross   aveva raccontato la verità: gli aveva consegnato addirittura un memoriale in cui – nel caso gli fosse successo qualcosa  di grave- riferiva al governo inglese il nascondiglio delle armi ed i piani dei francesi, almeno quelli che aveva potuto apprendere direttamente in quei mesi. Si era fatto giurare dall’amico di non riferire quella confidenza a nessuno, neppure a Caroline: gli conveniva, in quel frangente, che i suoi cari fossero lontani da Nampara, perché così avevano meno probabilità di venire coinvolti dai suoi maneggi con i Francesi.

Durante la separazione Ross si era recato di rado a Killewarren, e vi mancava da parecchio. Dwight era dovuto partire per prendere parte ad un convegno -ormai girava l’intera Inghilterra per illustrare ai colleghi i suoi brillanti studi sulle malattie mentali –e la prospettiva di affrontare da solo una banda di donne inferocite di certo non lo allettava. La mancanza di Demelza e dei bambini tuttavia cominciava a farsi sentire con prepotenza e Ross avrebbe pagato chissà cosa per trascorrere una tranquilla serata in loro compagnia, dopo una dura giornata in miniera.

Immerso nelle carte e nei suoi pensieri, l’uomo quasi non si avvide che qualcuno era entrato nel suo ufficio. Fu solo a seguito di un colpetto di tosse del visitatore che alzò lo sguardo dalle carte.
Era un bambino bruno, di circa dieci anni, mai visto prima.
“Siete voi Ross Poldark?” – gli domandò.
“Sì, sono io. Tu invece chi sei?”.
“Mi chiamo Micheal. Sono il figlio del giardiniere di Killewarren. Mi manda Prudie, con un messaggio per voi. Mi ha detto che in cambio mi darete uno scellino”.
Tipico di Prudie, pensò Ross! Tirò fuori dalla tasca la moneta e la fece roteare fra le dita. Il bambino stese la mano per prenderla, ma Ross la strinse nel pugno. “Allora, questo  messaggio , dov’è?” – gli chiese.
“E’ qui” – rispose il ragazzo , toccandosi la fronte.
Doveva immaginarlo! Prudie non sapeva scrivere!
“Sentiamo, allora” – lo incoraggiò.
Il ragazzo si schiarì la voce e snocciolò, come se fosse il contenuto di una poesia : “La signora si arrabbierà con me perché non vuole che lo sappiate, ma trovo giusto dirvelo. Questa mattina alle 12 ci imbarcheremo per l’America. Se volete salutare per l’ultima volta i vostri bambini, fatevi trovare al molo di Sawle per quell’ora”.
“In America… alle 12 al molo di Sawle” – ripetè meccanicamente Ross, incredulo. Lanciò in aria la monetina, che il bambino acchiappò al volo, dileguandosi dopo aver abbozzato un rapido e goffo inchino.
Rimasto solo, Ross aggrottò le sopracciglia ed i suoi profondi occhi scuri divennero ancora più tenebrosi del solito. Cosa era saltato in mente a Demelza? Trasferirsi con i figli al di là dell’oceano, per di più senza consultarlo… nulla poteva giustificare quel comportamento! Ross decise che non sarebbe rimasto immobile a guardare. Quella follia andava impedita a tutti i costi. Il gentiluomo  non perse un attimo: diede qualche rapida indicazione al capitano della miniera, sellò il cavallo e partì al galoppo alla volta di Sawle.

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Capitolo 2
*** cap. 2 ***


La corsa forsennata con Seamus diede i suoi frutti, perché Ross arrivò al molo mezz’ora prima dell’orario previsto per la partenza. Il porto brulicava di passeggeri diretti alla Queen Mary, l’imponente nave che effettuava i collegamenti della Cornovaglia con il continente. Sembrava che mezza regione avesse deciso di partire proprio quel giorno! Ross si avvicinò al ponte di imbarco e chiese informazioni ad un marinaio, per sincerarsi se Demelza e i bambini fossero già a bordo, ma l’uomo rispose di non aver visto una famiglia corrispondente alla descrizione che gli veniva fatta.
Ross ripercorse allora tutta la banchina e dopo pochi minuti, nonostante la calca, non gli fu difficile individuare tra la folla una chioma rossa ribelle, a stento trattenuta sui lati della testa da alcune forcine. Demelza camminava a passo serrato, tenendo per mano Jeremy e Clowance, ciascuno con una sacca sulle spalle; li seguivano Prudie, trascinando un pesante borsone, ed un uomo robusto – probabilmente un servitore dei Penvenen – che sopra un carrello con ruote spingeva ulteriori due bauli rettangolari in legno.
Ross si fece largo per intercettare il gruppo. Appena Demelza lo vide rimase per un attimo interdetta, e il marito la vide lanciare uno sguardo di disappunto verso Prudie, mentre quest’ultima, a testa bassa, biascicava qualche frase a sua giustificazione.
I bambini, appena si accorsero della presenza di Ross, gli corsero incontro e lo abbracciarono. Avrebbero voluto formulare al padre tante domande; anche se la mamma aveva spiegato loro che per un po’ non avrebbero vissuto insieme, incontrare il padre lì infuse in loro la speranza che avesse deciso di partire con loro. I due piccoli Poldark però non ebbero il tempo di chiedere nulla, perché Demelza, con un tono che non ammetteva repliche, ordinò a figli e servitori di salire a bordo della imbarcazione, prendere posto  e caricare tutti i bagagli, perché la partenza era imminente. “Aspettate un attimo - disse Ross, separandosi a malincuore dai figli – ho bisogno di scambiare qualche parola con mia moglie”. “Non c’è nulla di cui parlare - ribattè Demelza – e comunque la nostra partenza non è in discussione. Fate come vi ho detto”. Prudie scoccò un’occhiataccia ai due padroni, ma fu proprio lei a stemperare la tensione di fronte ai bambini, esortandoli ad ubbidire alla mamma e a salire a bordo per cercarsi un posto comodo, dato che il viaggio sarebbe stato lungo.
Clowance e Jeremy lanciarono uno sguardo malinconico verso Ross, che li guardò tristemente proseguire il cammino verso la nave; deciso a non arrendersi, afferrò Demelza per un polso e le disse: “Devi ascoltarmi. Non puoi farmi questo”.
“Io fare questo a te? E quello che tu hai fatto a me? – sibilò Demelza – e poi non mi sembra il luogo adatto per discutere e dare spettacolo”.
“Su questo ti do ragione – concluse il marito– proprio per questo ti chiedo di ritornare a Killewarren e di parlarne con calma”.
“No, Ross – scosse la testa Demelza – ho preso la mia decisione e nulla di quello che tu possa dire o fare potrà indurmi a cambiare idea”.
“Ma perché? – insistette il marito, trascinandola in un angolo più appartato – qualsiasi problema ci sia fra di noi, cosa c’entrano i bambini? Se Prudie non mi avesse avvisato, li avresti portati via senza neanche darmi modo di salutarli?”
“Che bisogno hai di loro? Hai Valentine, e i figli che potrà darti Tess, la tua amante” – replicò Demelza in tono sprezzante.
“Valentine è figlio di George Warleggan, e tu lo sai bene… ma Tess? Come puoi pensare che mi interessi una donna simile?”
“Forse perché ti ho sentito mentre le parlavi alla miniera... di quanto la desideravi e non vedevi l’ora di fare l’amore con lei, aspettando solo il momento più propizio…”- rispose la donna, furibonda.
“Santo cielo, Demelza, tra me e Tess non c’è nulla! La conversazione che hai ascoltato, mi rendo conto che è difficile credermi, non significa nulla! Non è come pensi! È complicato da spiegare… Tess è al corrente di qualcosa che mi riguarda, estremamente pericoloso, e devo tenerla buona affinchè non mi tradisca …  perdonami se finora ho taciuto, ma l’ho fatto a fin di bene, per la tua stessa incolumità!”
“Le solite scuse per tenermi fuori dalla tua vita: francamente ne ho abbastanza. Ora lasciami andare Ross” – e così dicendo la donna cercò di troncare quella conversazione penosa.
“Ancora un attimo, ti prego! Ti chiedo solo di aspettare qualche giorno, non partire per l’America! Cerchiamo di trovare una soluzione insieme!”
“Tu non vuoi cercare soluzioni insieme, non lo hai mai fatto  - concluse amaramente la donna - Vuoi solo il mio avallo a quello che tu hai già deciso, è diverso. Comunque Prudie ti ha male informato: la nave farà scalo a Lisbona, e mi fermerò per un po’ di tempo da tua cugina Verity. Solo dopo partiremo alla volta dell’Honduras, per raggiungere Kitty e Cecily.”
Ross sembrò rincuorato ed aggiunse, disperato: “Promettimi allora che non partirai da Lisbona prima che io vi raggiunga. Giuramelo, Demelza.”
“Io non ti giuro proprio nulla, non sei nelle condizioni di poter pretendere qualcosa da me. Non cercarmi più e lascia che viva la mia vita, come tu già vivi la tua senza di me. Addio, Ross.”
Gli voltò le spalle bruscamente con l’intenzione di andare via, ma  si sentì afferrare per la vita ed in un attimo si trovò stretta tra le braccia di suo marito, gli occhi negli occhi. Si fissarono per un istante nel corso del quale Demelza sentì vacillare tutte le sue convinzioni, poi Ross la baciò. Fu un bacio passionale, avido, che esprimeva tutta la frustrazione  del momento. Sulle prime Demelza non provò neppure a resistere a quella foga, anzi corrispose al bacio; ma appena recuperò la lucidità serrò i denti, si divincolò e pose fine a quel contatto.
“Cosa credi di fare? – esclamò furiosa - Non può bastare questo a risolvere i problemi, e tu lo sai… Sei un arrogante, un egoista, un prepotente! Troppe volte ho ingoiato rospi per amore tuo, ma questa volta non accadrà; ti ripeto che non tornerò indietro, qualunque cosa tu dica o faccia per convincermi!”
“Hai ragione, sono tutto quello che tu dici: un pessimo soggetto ed un pessimo marito… ma ti amo più della mia vita e non posso rinunciare a te, Demelza!” – sussurrò Ross.
La giovane si morse il labbro per evitare di perdere il controllo delle sue emozioni. L’uomo che le aveva professato il suo amore e l’aveva baciata con tanto ardore era lo stesso che aveva fatto gli occhi dolci a quella serpe della Tregidden e che l’aveva lasciata andare via da Nampara senza un fremito. E lei era davvero stanca di illudersi. Non poteva consentirgli di spezzarle il cuore l’ennesima volta.
“Non abbiamo nient’altro da dirci Ross. Lasciami passare, per favore” – disse, con un tono di voce che non era il suo.
Nonostante la freddezza di Demelza, Ross continuò:–  “Al di là degli errori che ho commesso, e per i quali  imploro il tuo perdono , l’unica verità che conta è il mio amore per te! La nostra storia non può finire così!”
“Bisognava pensarci prima. Abbi cura di te, Ross” – tagliò corto Demelza, avviandosi verso la nave.
Ross non si arrese, corse, la superò e le si parò davanti. “Ho capito che sei ostinata a partire e che non riuscirò a trattenerti, ma ti avverto: non rinuncerò mai a te, a Jeremy e a Clowance! Verrò a cercarvi a Lisbona , in America, o fino in capo al mondo, se serve! Vi riporterò a casa con me, fosse anche contro la tua volontà! Te lo giuro!”
Demelza non rispose e lo fissò un’ultima volta, con il cuore a pezzi. Anche se una piccola parte di sé avrebbe voluto credergli, gettargli le braccia al collo e tornare a Nampara, sentiva che partire era la decisione giusta. A passo deciso si diresse verso la passerella della Queen Mary finchè scomparve alla vista del marito. Una sirena annunciò ai passeggeri che la nave era pronta per salpare. Ross rimase immobile sulla banchina del molo ad osservare la nave allontanarsi fino a diventare un minuscolo puntino all’orizzonte. Strofinò gli occhi, ormai lucidi, e si chiese dove avrebbe trovato la forza con i compagni di lavoro e con i francesi per fingere che non fosse successo nulla.

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Capitolo 3
*** cap.3 ***


“Si chiama Ross Vennor Poldark. È nato nel 1760, discende da una famiglia antica e rinomata in Cornovaglia. È proprietario terriero e dal padre ha ereditato una miniera, che gestisce da anni con alterni profitti: per quanto ne sappiamo non ha mai navigato nell’oro, ma mantiene un tenore di vita adeguato alla sua condizione. Abita nella tenuta di famiglia con la moglie e i due figli, un maschio e una femmina che hanno circa 6 e 9 anni, con una governante.
All’età di vent’anni si è arruolato ed ha combattuto in Virginia, nella guerra di indipendenza americana. Distintosi in battaglia, venne insignito del grado di capitano. Il colonnello nel cui reggimento prestava servizio, tale Ned Despard, è stato giustiziato qualche mese fa con l’accusa di cospirazione e alto tradimento. Negli ultimi tempi Poldark è stato visto spesso in sua compagnia e, pur in mancanza di precisi elementi a suo carico, è divenuto un soggetto non gradito alla Corona.  
E’ sempre stato una testa calda. Da giovane è sfuggito fortunosamente alla forca , avendo commesso crimini come rissa, assalto ad un ufficiale delle dogane, gioco d’azzardo. Nel 1790 è stato assolto da un’accusa di saccheggio ed omicidio. Qualche anno dopo ha procurato l’evasione di un ufficiale medico della marina militare inglese, il dott. Dwight Enys, dalle nostre prigioni di Roscoff, venendo poi accolto in Patria come un eroe.
Nel 1799 è stato eletto parlamentare per il distretto di Truro , con il sostegno di due lord, Falmouth e Basset, appartenenti a schieramenti politici contrapposti. Da parlamentare ha condotto battaglie per l’abolizione della schiavitù, la riduzione delle tasse per i ceti più deboli, contro il lavoro minorile  e per il riconoscimento di equi salari e sicurezza nelle condizioni di lavoro. In precedenza non risulta aver ricoperto incarichi politici, anzi ha rifiutato la carica di magistrato della sua contea, l’anno prima di essere eletto”.
L’uomo che stava facendo rapporto si umettò le labbra, attendendo un riscontro da parte del suo interlocutore, che tuttavia continuò ad osservare in silenzio il placido scorrere della Senna, con il braccio sinistro piegato all’interno della fodera dell’uniforme, gesto che gli era abituale.
“Da quando Poldark ci ha offerto collaborazione, circa tre mesi fa continuò allora il primo - Lagrande lo ha fatto seguire, senza che fosse segnalata nessuna condotta sospetta da parte sua. Poldark non conduce vita mondana; praticamente si dedica solo al lavoro e alla famiglia. Frequenta poco i notabili del luogo, l’unica eccezione è la famiglia del dottor Enys, sposato con una ricca e nobile ereditiera originaria di Londra. Ah, ho dimenticato di dirvi che la moglie di Poldark è la sua ex domestica: forse anche per questo motivo egli si tiene in disparte dai circoli e dai ritrovi frequentati dalla sua classe sociale”.
L’uomo alla finestra per la prima volta si decise a parlare. “E’ un parlamentare, avete detto: nel tempo in cui non è a Londra, si sarà occupato di politica, incontrando i suoi elettori”.
L’altro scosse la testa. “Da vari mesi, più o meno dall’esecuzione di Despard, Poldark ha cominciato a disertare i lavori parlamentari. Non ci risulta neppure che abbia avuto contatti in Cornovaglia, negli ultimi tempi, con i suoi sponsor, Falmouth e Basset. Come vi ho già detto ha impiegato il suo tempo o in miniera, o in famiglia, o al nostro servizio”.
“Lagrande dunque lo ritiene un personaggio affidabile, giusto?”
“Corretto, mon général. Poldark non ha mai dato motivo di dubitare della sua sincerità e la versione che ci ha offerto pare anche coerente con il suo passato …”  
“Su questo dissento! – esclamò il generale, piccato -  Poldark è un soldato, nonché un parlamentare, e non credo che di punto in bianco sarebbe capace di trasformarsi in un traditore della propria Patria. La stessa vicinanza con Despard di cui mi avete parlato potrebbe non essere significativa: una semplice amicizia tra vecchi commilitoni, che non si è tradotta in una comunanza di idee. Voi stesso mi avete detto che non hanno trovato nulla di concreto per incriminarlo. Come è poi avvenuto l’incontro con il maggiore Lagrande? Ve lo ha raccontato? È stato Poldark a proporsi?”
“Lagrande mi ha detto che Ross Poldark ha scoperto per caso il loro nascondiglio, probabilmente curiosando da quelle parti, ha giurato che non ci avrebbe traditi e così è stato… per giorni è stato pedinato e non ha rivelato nulla né ai gendarmi, né ai magistrati di Truro; né ha inviato lettere, che il capitano Bustier aveva il compito di intercettare, salvo qualche biglietto al dottor Enys o al suo banchiere, per questioni private…”
“Come potete essere così ingenui? Probabilmente, vistosi scoperto, Poldark ha mentito per salvarsi la vita! Se non si è esposto subito con le autorità inglesi sarà stato allo scopo di  valutare quale tornaconto possa ricavare dalla faccenda!” – sbottò il generale.
“Certo, ne convengo con voi – rispose il primo uomo, tergendosi la fronte imperlata dal sudore che l’imbarazzo gli aveva provocato – tuttavia dovremmo riflettere sul fatto che Poldark, in fondo, è un personaggio abituato a vivere un po’ ai limiti della legalità, schierato sempre a favore dei più emarginati, benchè per nascita appartenga ai maggiorenti. Non trovo quindi così incredibile che possa fare propri i valori della rivoluzione … il maggiore Lagrande è un soldato di esperienza, che aveva già conosciuto Poldark ai tempi in cui comandava la gendarmeria di Roscoff e conosce quindi la sua personalità. Se mi consentite, signore, la sua opinione merita di essere attentamente considerata, in questo caso”.
Il generale si voltò nuovamente verso la finestra, meditabondo. In pochi anni era diventato l’uomo più potente di Francia, il primo console, ma restava soprattutto un grande stratega, un militare. Qualcosa non gli tornava, di quella storia. Anche Poldark era stato un militare e, da quello che gli avevano riferito, sembrava un uomo con un’etica molto marcata: non riusciva proprio a figurarselo come traditore. Inoltre era un uomo astuto, che già una volta aveva ingannato Lagrande, fingendo di obbedire al suo ordine di espatrio per poi rientrare proditoriamente in Francia e cagionare una memorabile evasione di massa. Non si poteva rischiare di compromettere un’operazione strategica come l’invasione dell’Inghilterra puntando sul cavallo sbagliato. Ad un tratto, però, ebbe un’idea.
“Forse avete ragione, si potrebbe quanto meno concedere il beneficio del dubbio a questo Poldark. Da quello che mi dite, abbiamo di fronte un uomo audace ed intrepido, dotato anche di una discreta fortuna, il che non guasta mai…potrebbe essere un buon acquisto per noi, sempre se è davvero dalla nostra parte. Perché non sfruttiamo la sua posizione politica e gli chiediamo di acquisire per noi informazioni sui piani di difesa della marina inglese? L’unica possibilità di assalto alla Cornovaglia è dal mare, e dobbiamo sapere di quali forze dispongono gli inglesi, per adottare le opportune contromisure!”
“Ma, generale Bonaparte, noi abbiamo già delle spie incaricate di acquisire queste informazioni…” – disse, perplesso, l’uomo che aveva fatto rapporto su Poldark.
Napoleone sogghignò “Proprio perché già le abbiamo, dobbiamo chiedere anche a Poldark di fare lo stesso!”
L’altro restò attonito per un attimo, poi comprese quale fosse lo scopo del condottiero.
“E’ geniale!  Potremo controllare la veridicità delle informazioni rese e comprendere subito se quell’inglese sta facendo il doppio gioco. Avverto subito il maggiore Lagrande di ciò che avete ordinato!” – rispose, congedandosi ossequiosamente.
 
Cornovaglia, Una settimana dopo
« Je ne suis pas d'accord ! c’est fou ! »
 
“Ascolta, Lagrande, si tratta di ordini del generale Bonaparte, pervenuti da Parigi oggi stesso. Vanno rispettati!” – cercò di farlo ragionare un compagno.
Il maggiore cominciò a camminare furiosamente avanti e indietro. La tattica attendista di Napoleone cominciava a stancarlo. Stavano lavorando a quel progetto da quasi un anno ed egli riteneva che i tempi fossero maturi per tentare l’assedio, anche grazie all’apporto di Poldark, che aveva consentito di ottenere delle mappe delle coste il più aggiornate al reale stato dei luoghi, indicando anche quali fossero le zone più sicure per garantire l’ approdo. Non poteva però negare che i dubbi del generale nei confronti dell’inglese erano legittimi e che il piano non poteva essere messo a rischio da un banale errore di valutazione. Se fossero sorti problemi, poteva stare certo che la sua sarebbe stata la prima testa a rotolare.
“Lasciami solo, Antoine”- intimò all’altro francese, che percependo lo stato d’animo del capo brigata si dileguò immediatamente.
Mentre misurava a passi rabbiosi il loro covo, Lagrande si rese conto che non poteva contravvenire apertamente ad un ordine del primo console; tuttavia vi era il rischio che la proposta di Bonaparte, se non accettata da Poldark, si rivelasse un boomerang e che spingesse l’inglese a cessare ogni collaborazione. In tal modo, non avrebbe potuto dimostrare ai suoi superiori i propri meriti nell’organizzazione della brigata e che, in particolare, non aveva preso un abbaglio coinvolgendo Poldark.
Forse, però, c’era un’altra via di uscita….
Appellez la fille! – ordinò a gran voce ai suoi uomini.
Dopo qualche minuto apparve Tess. “Mi avete chiamato?” – chiese con la solita aria spavalda.
Il maggiore sorrise sornione: forse non c’era bisogno di scomodare lo spionaggio inglese per scoprire quali fossero le intenzioni di Poldark.

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Capitolo 4
*** cap 4 ***


Demelza, Prudie ed i bambini erano arrivati a Lisbona da tre giorni ed il capitano Blamey e sua moglie stavano riservando loro un’ospitalità calda ed accogliente.
Nonostante la visita fosse arrivata con pochissimo preavviso, Verity era stata ben lieta di accogliere la cugina, nei cui confronti in fondo si sentiva da sempre debitrice: solo grazie alla sua caparbietà aveva potuto coronare il suo sogno d’amore, sposando un uomo che all’epoca era sgradito alla famiglia sulla base di un immotivato pregiudizio.
Il piccolo Andrew , che aveva due anni meno di Jeremy e uno più di Clowance, era il più contento della visita dei cuginetti.  Sebbene non si fossero mai frequentati (Andrew era nato in Cornovaglia, ma poi l’attività del padre li aveva condotti lontano), sua madre gli parlava così spesso della maestosa tenuta di Trenwith, dello zio Francis, di zia Agatha e dei suoi tarocchi, dell’amato nipote Geoffrey Charles e del  cugino Ross di Nampara  che gli sembrava di conoscere i nuovi arrivati da sempre. Trascorrevano ore a giocare in giardino; Jeremy, il più grande e riflessivo, spesso leggeva ad alta voce delle storie ai più piccoli ed annotava su un quadernetto tutte le cose nuove che aveva imparato o che lo avevano colpito, sia durante l’emozionante viaggio in nave che in Portogallo.
Lui e Clowance sembravano aver superato la malinconia dei primi giorni e non avevano mai più nominato il padre. Del resto, anche nessuno degli adulti durante quei giorni aveva mai fatto menzione di Ross.
Verity era una persona estremamente discreta e non aveva posto domande, ma era ben chiaro che tra Ross e Demelza doveva esserci tempesta. Già in passato, quando Andrew era appena nato, era accaduto qualcosa di simile. La cugina di Trenwith non aveva mai saputo quale fosse stato il motivo del litigio; Demelza era stata sul punto di accennarle qualcosa, ma il discorso era stato abbandonato e non se ne era più parlato.
Dopo essersi trasferita a Lisbona Verity non aveva avuto alcun motivo di dubitare della stabilità dell’unione del cugino e di sua moglie: avevano messo al mondo Clowance, le miniere avevano cominciato a fruttare, Ross era stato eletto parlamentare. Dalle lettere che le giungevano periodicamente dalla Cornovaglia traspariva l’immagine di una famiglia felice.
Era sposata anche lei da diversi anni e capiva che in una coppia potevano capitare momenti di incomprensione, ma era fermamente convinta che l’amore potesse superare ogni ostacolo. Non aveva dubbi che Ross e Demelza si amassero: lei era stata forse la prima persona ad accorgersi di quanto la ragazzina “con un che di selvatico” raccolta ad una fiera di paese fosse stata fondamentale per dare senso ed ordine alla vita dello scapestrato cugino minore.
Soffriva al pensiero che tra i due si fosse creata una frattura, ed in cuor suo avrebbe voluto offrire un contributo per la riappacificazione. Ma cosa poteva fare? Benchè fosse una persona aperta e solare, Demelza era anche capace di chiudersi a riccio su ciò che la riguardava. Cresciuta senza madre e con un padre che la maltrattava, fin da bambina aveva imparato a non condividere con nessuno i suoi dispiaceri ed anche da adulta aveva conservato come tratto fondamentale del suo carattere l’incapacità di piangersi addosso. La sua dignità veniva prima di tutto e lamentarsi con gli altri delle sue sventure non era contemplato.
Che qualcosa di grave fosse accaduto però Verity lo intuiva anche dall’atteggiamento di Prudie: tesa, silenziosa, eseguiva gli ordini di Demelza in maniera puntuale e senza borbottare come al solito. Si vedeva lontano un miglio che qualcosa la tormentava.  Verity avrebbe potuto provare a domandare a lei, ma la severa educazione impartita le impediva di discutere con i domestici degli affari dei padroni. Sarebbe stato indelicato, oltretutto, nei confronti della cugina.  
Un pomeriggio, mentre i bambini giocavano, Verity ricamava e Demelza rimodernava degli abitini di Clowance, la padrona di casa fece appello a tutto il suo coraggio ed azzardò una domanda.
“Credi che Ross vi raggiungerà presto, mia cara?”
Demelza, consapevole che questa domanda prima o poi sarebbe arrivata, alzò lo sguardo dal lavoro di cucito e rispose con sincerità: “Sarebbe sua intenzione, ma credo che saremo noi a non aspettare il suo arrivo. Le cose non vanno bene tra di noi e ho deciso di allontanarmi per sempre dalla Cornovaglia. Tra qualche giorno salperà una nave diretta in America. Ci trasferiremo in Honduras, dove già vivono alcune amiche, tra cui Cecily, quella ragazza di cui era innamorato Geoffrey Charles, credo che te ne abbia parlato”.
Verity rispose che il nipote le aveva accennato qualcosa. Aggiunse poi: “Avevo intuito, purtroppo, che ci fossero problemi. Ma è così lontana l’America, mia cara! Non voglio essere indiscreta, ma credi davvero che la situazione tra di voi sia irrimediabile? E soprattutto, sei sicura che allontanarsi servirà a qualcosa?”
Demelza abbassò lo sguardo. No. Non ne era affatto sicura. Sapeva solo che non intendeva soffrire di nuovo, logorarsi al pensiero che Ross le fosse infedele, che avesse dei segreti per lei, quando proprio i segreti e le bugie in passato avevano rischiato di distruggere il loro matrimonio. Se doveva assistere allo spettacolo dell’uomo che amava al fianco di una donna che reputava spregevole ed amorale, tanto valeva non rivederlo mai più, benchè si sentisse il cuore lacerato da quella decisione.
“Forse hai ragione, può anche darsi che sia stato un errore abbandonare la Cornovaglia – rispose la giovane dai capelli rossi - ma a volte bisogna allontanarsi dalle situazioni per guardarle nella giusta prospettiva. Ci sono tante cose che tu non sai, Verity… il nostro matrimonio ha attraversato momenti di crisi profonda… ci siamo fatti del male, siamo arrivati al punto di tradire le promesse scambiate davanti all’altare… ci siamo perdonati a vicenda, perché l’amore che provavamo l’uno per l’altra è sempre stato più forte di tutto… avremmo dovuto fare tesoro degli errori passati, invece… Scusami se non ti racconto i dettagli, ma non mi sento ancora pronta per parlarne”.
“Mi dispiace, io non volevo …” – farfugliò imbarazzata Verity.
Demelza la tolse d’impaccio.
“Non sentirti a disagio, Verity. Tu sai bene che tra me e Ross non è mai stato semplice, per tante ragioni. Differenze di classe, il fantasma di Elisabeth sempre incombente, il suo maledetto orgoglio, la mia insicurezza…ma proprio perché abbiamo affrontato tante battaglie, non capisco cosa sta accadendo ultimamente, mi sembra incomprensibile… Non riconosco più Ross, non ritrovo più la complicità che ci univa, e credo di avere smarrito la forza di lottare per un matrimonio che forse interessa soltanto a me salvare.”
“Capisco, e non voglio discuterne oltre per non rattristarti. Vorrei tanto poterti aiutare, cugina…” – rispose Verity mestamente, stringendole una mano nella sua.
“Mi stai aiutando molto con la tua ospitalità ed il tuo affetto – la rincuorò Demelza –non potrei desiderare di meglio. Inoltre stare con Andrew è un toccasana per i miei bambini. La città è deliziosa, il clima mite, la compagnia ottima...”
“Allora perché non resti un’altra settimana, o anche più a lungo? Vorrei solo che non prendessi decisioni affrettate, di cui potresti pentirti. A me fa un immenso piacere avervi qui, lo sai bene”– fu la risposta della padrona di casa, che in cuor suo sperava che quel lasso di tempo fosse sufficiente per dare modo a Ross di arrivare e chiarire la situazione con sua moglie. 
Un’altra settimana, pensò Demelza. Forse non era una cattiva idea.  E se Ross nel frattempo fosse arrivato a Lisbona, come aveva promesso? Temeva e desiderava allo stesso tempo quel momento. Quel bacio appassionato al molo non l’aveva lasciata indifferente; forse Ross non aveva mentito dicendo che la amava e non avrebbe mai rinunciato a lei, forse non era sbagliato concedergli un’ultima possibilità, ascoltare le sue ragioni e solo dopo decidere se tagliare i ponti con lui e con la Gran Bretagna per sempre.
Con fiducia, ricambiò la stretta di mano della cugina e le sorrise. Non vi fu bisogno di aggiungere altro, ma a Verity fu chiaro che la sua proposta era stata accettata.

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Capitolo 5
*** cap. 5 ***


Aveva vissuto altri momenti difficili nel corso della sua avventurosa vita , ma  di giornate campali come quella in cui Demelza e i bambini erano partiti Ross ne ricordava poche. Come se non bastassero i suoi problemi in famiglia, durante la sua assenza vi era stato un crollo in miniera: erano rimasti coinvolti dieci minatori, Zacky era stato quello messo peggio, con un femore rotto. In mancanza di Dwight, era stato necessario ricorrere – naturalmente dietro lauto compenso – ai servigi del dottor Choake, che fortunatamente era intervenuto subito e non aveva commesso né errori di diagnosi né danni, anzi si era prodigato per il ferito come se si trattasse di uno dei suoi migliori clienti. Aveva immobilizzato la gamba con una salda steccatura, aveva prescritto uno sciroppo alla belladonna per calmare il dolore e soprattutto un lungo periodo di riposo. Ross aveva non solo pagato l’onorario di Choake, ma aveva tranquillizzato la signora Martin: Zacky avrebbe ricevuto il suo salario ogni settimana, come sempre, finchè non fosse guarito.
Gli altri minatori se l’erano cavata con qualche ammaccatura ed avrebbero voluto riprendere il lavoro immediatamente, ma Ross lo aveva vietato. Paul Daniel si incaricò di acquistare delle travi a Truro e lui, Ross ed altri due minatori esperti il giorno successivo si sarebbero occupati della messa in sicurezza della galleria che era stata interessata dal cedimento, senza  mettere a rischio nessun altro. L’infortunio di Zacky era davvero un grosso inconveniente: il valente capitano della miniera sarebbe stato fuori gioco per almeno un mese e Ross non aveva persone di fiducia ed altrettanto esperte cui affidare il compito di gestire la Grace.
Per di più, rientrando a Nampara a tarda sera aveva trovato una lettera di Lord Basset che lo invitava il pomeriggio seguente a casa sua, probabilmente per discutere della questione del Parlamento, che Ross disertava ormai da mesi.
Gli fu immediatamente chiaro che non poteva partire per il Portogallo, abbandonando tutto il resto. Demelza era la cosa più importante della sua vita, certo, insieme ai suoi figli, ma la miniera era la loro fonte di sostentamento, l’unico patrimonio che aveva, oltre alla casa e alle terre. Quando era a Londra per seguire i lavori parlamentari Demelza e Zacky facevano le sue veci, ma ora non poteva contare né sull’una, né sull’altro, e non poteva mandarla in rovina.
Anche la questione dei francesi non era di poco conto. Aveva preso un impegno con loro, malgrado tutto, e proprio nel momento in cui si stava per concretizzare il loro piano non poteva tirarsi fuori adducendo un problema personale che a tutti gli effetti sarebbe apparso la scusa per una fuga.
Persino il confronto con Basset e Falmouth non poteva essere più rimandato: aveva preso un impegno con i suoi elettori, ed era giusto assumersi le conseguenze derivanti dall’averlo tradito. Non era mai fuggito dinanzi alle sue responsabilità e non lo avrebbe fatto ora.
Al di là di tutti questi ottimi motivi che lo trattenevano in patria, mentre rifletteva a mente fredda su quello che era successo, Ross si trovò a pensare che forse Demelza aveva il diritto di cercare una vita migliore lontana da lui, che in fondo non era mai stato capace di donarle la serenità che meritava.
La amava, di questo era sicuro, ma poteva bastare? Quante volte le aveva promesso di essere più prudente, più diplomatico, meno impulsivo? Quante volte, nonostante i suoi consigli, sulla base della smania di un momento  aveva rischiato di distruggere quanto di bello e di buono possedeva? Che senso aveva ritornare da lei senza essere cambiato? Demelza aveva perfettamente ragione: la passione non era sufficiente: per ritrovare quel tipo di intesa bastava un attimo, ma la fiducia ed il rispetto non si ricostruivano a parole. Troppe volte l’aveva delusa, e non poteva certo presentarsi da lei con la questione dei francesi ancora irrisolta, altrimenti le settimane di bugie per tenerla ai margini di quella pericolosa situazione sarebbero state un vano sacrificio.
Guardò Garrick, accoccolato davanti al camino; accarezzò il pelo dell’anziano animale, la fedele bestiola di Demelza, grazie alla quale si erano incontrati venti anni prima a Truro. Doveva mancare molto alla sua padrona, pensò Ross, contento di non essere rimasto completamente solo in quella dimora silenziosa.
Tirò fuori dalla dispensa il pasticcio di carne che gli aveva preparato per cena la moglie di Zacky Martin. Era ancora tiepido ed emanava un odore assolutamente invitante. La signora Martin si era offerta di aiutarlo per ricambiare le cure che Ross aveva pagato al dottore e gli stipendi che avrebbe continuato a versare a Zacky in corso di convalescenza. Ross aveva deciso di accettare per non metterla in difficoltà, e poi aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse con le faccende domestiche, visto che Prudie non era più disponibile. Sperò che la voce della partenza di moglie e figli non si fosse ancora diffusa in paese. Ross aveva tutta l’intenzione di mantenerla riservata: con tutti i problemi che aveva, non era proprio il caso di alimentare pettegolezzi in proposito. Solo a Zacky e a sua moglie aveva confidato una mezza verità, dicendo che Demelza era dovuta andare in Portogallo a trovare sua cugina Verity e si era fatta accompagnare da Prudie per avere un aiuto con i bambini.
Aveva appena terminato la cena che sentì bussare alla porta.
Non aspettava nessuno a quell’ora, si avvicinò titubante alla soglia e dall’interno chiese chi fosse.
Era Tess.
Ross, sorpreso , era quasi indeciso se farla entrare, ma la giovane diede subito prova di sapere che era solo in casa.
“Hanno visto tua moglie imbarcarsi su una nave per il Continente stamattina, carica di bauli….Abbiamo la casa a disposizione… perché non mi hai avvisato prima?” – chiese maliziosa appena le fu consentito l’ingresso, mentre mille pensieri mulinavano nella mente dell’uomo, nel tentativo di tirarsi fuori da quella situazione.
“Gli uomini sposati non portano le loro amanti in casa, ed io non faccio eccezione”- replicò, cercando di mantenere un contegno e mascherare il proprio nervosismo.
“Non ti facevo così sentimentale! – continuò la donna, girandogli intorno vezzosa e sfiorandogli il torace con la mano – e poi non ho mai detto di volerlo fare nel vostro letto. Andrà benissimo anche qui, davanti al camino.”
“Scherzi? È pieno di peli di cane! Quello è il posto d’onore di Garrick! – rise Ross, ancora incapace di trovare una via d’uscita.
“Cosa vuoi che me ne importi! – sbottò Tess – mandalo via, quel cane pulcioso... ogni volta che siamo soli trovi una scusa per allontanarmi... dici di desiderarmi, ma ti comporti in maniera opposta! Non mi starai forse prendendo in giro? Attento a quel che fai, Ross Poldark, o me la pagherai!”
Ross sapeva che era vero. Quella donna era pazza di lui, odiava ferocemente Demelza ed era capace di tutto. Capì che doveva giocare d’astuzia. 
“Non potrei mai prenderti in giro – rispose, prendendole dolcemente il viso fra le mani - Non ho mai conosciuto una donna come te… per me non sei solo un ripiego…è per questo che ho sempre desiderato che la nostra prima volta insieme fosse speciale! Questo però non è il luogo adatto… è la casa in cui vivo con mia moglie e i miei figli… cerca di capirmi! E poi non sono dello stato d’animo giusto: è stata una giornata tremenda, tra la partenza di Demelza , l’incidente alla miniera, la preoccupazione per la salute di Zacky!”
“Ah, sì, ho saputo – rispose distrattamente lei, sfiorando con una mano la mensola del camino – Come mai tua moglie è andata via di casa? Sospetta di noi?”.
“Non so, può darsi – fece Ross evasivo, versandosi un bicchiere di vino –le cose non andavano bene tra di noi già da tempo”.
“Non ho mai capito cosa ci hai trovato in quella pezzente ripulita. Una presuntuosa… io almeno non fingo di essere diversa da quello che sono. Non mi vergogno delle mie origini”.
“Nemmeno Demelza si vergogna – la difese istintivamente Ross – e non capisco perché la odi tanto.”
“Chissà – replicò avvicinandosi a Ross e togliendogli il bicchiere di mano– forse perché non mi piace il colore dei suoi capelli, o il suo modo di atteggiarsi a gran signora e di dare ordini, dimenticandosi chi è e da dove viene, o forse mi dà fastidio perché divide il letto con te…Chissà quand’è che concederai quest’onore anche a me!”
E così dicendo lo baciò sulle labbra.
Mentre il bacio rischiava di divenire sempre più profondo, Ross, che era stato travolto da quell’iniziativa, chiese mentalmente perdono a Demelza e disse a se stesso che doveva assolutamente farsi venire in mente qualche idea: non poteva finire a letto con quella donna, ma non poteva neppure rifiutarla apertamente.
Con un gesto fermo, quasi brusco, allontanò Tess da sè, ma stemperò il tutto con un sorriso ammaliante.
“Non tentarmi in questo modo…altrimenti non saprò resisterti!” – finse – è meglio che tu vada a casa. Domani per me sarà una giornata impegnativa. Ti chiedo anzi la cortesia di avvisare Lagrande che domani non potrò passare alla Leisure”.
“Infatti io non voglio che tu mi resista…” – insistette la giovane, provando a slegare i lacci del corsetto.
“ Stasera no, Tess. – la fermò immediatamente Ross, bloccandole le mani e riportandole lungo i fianchi dopo avervi posato un delicato bacio – Fa’ come ti ho detto, te ne prego”.
Tess sbuffò e gli lanciò uno sguardo cupo.
“Me ne vado, ma sappi che non mi piace essere rifiutata in questo modo. Se tu non riesci ad apprezzarmi, mi rivolgerò altrove. Ho altri estimatori, cosa credi? Anche tra i francesi… a proposito, riferirò il tuo messaggio a Lagrande. Devo vederlo domani mattina all’alba, per un incarico importante. Saremo solo io e lui. Ha detto che si fida solo di me.” – disse maliziosa, sperando di ingelosire Ross.
“Che incarico? È previsto qualche sbarco?” – chiese incuriosito l’uomo.
“Non posso dirtelo. È un segreto.” –  gli sussurrò all’orecchio, e con un gesto repentino, approfittando della posizione che aveva assunto, gli prese la pelle del collo tra le labbra e succhiò con forza, lasciandogli un evidente marchio rosso.
“Così ti ricorderai di me, nei prossimi giorni” – concluse uscendo e sbattendo la porta.  
Ross, sollevato per essere uscito da una situazione imbarazzante, si guardò il collo allo specchio. Fortuna che Demelza non c’era, altrimenti non sarebbe riuscito a trovare una spiegazione plausibile per quel segno inequivocabile.
Andò a coricarsi, esausto e preoccupato, non solo per l’atteggiamento avuto da Tess, ma anche quello che gli aveva detto, in merito ad attività dei francesi in cui non era stato coinvolto e  di cui doveva rimanere all’oscuro. Qual era il motivo? Che non si fidassero di lui? E se avessero voluto organizzare uno sbarco senza che lui ne fosse informato? Dopo tutto quello che aveva rischiato e stava rischiando per colpa loro, sarebbe stato il colmo! Ora più che mai, pensò, bisognava fare chiarezza in quella storia. Ma ci avrebbe pensato tra qualche giorno: adesso, aveva solo un gran bisogno di dormire.

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Capitolo 6
*** cap. 6 ***


“Che cosa ti ha chiesto, esattamente?” – chiese Jacka, sorseggiando avidamente un boccale di birra in un angolo del Red Lion.
“Te l’ho già detto – rispose Tess – mi ha promesso che mi darà un bel gruzzolo in cambio di qualche informazione su Ross Poldark. Devo cercare di farlo cantare, in pratica. Raccontargli cose, ascoltare cosa risponde, e poi riferirlo a Lagrande. Secondo me non si fida di lui, e vuole sapere se è veramente dalla loro parte”.
“Se non fosse dalla loro parte, sarebbe un completo idiota – replicò l’uomo, pulendosi la bocca con il dorso della mano – sai quanti soldi perde con il metallo che gli rubiamo? Se avesse qualcosa da ridire ci avrebbe già denunciato e non perderebbe il suo tempo dietro agli stranieri”.
“Cosa vuoi che sia perdere un po’ di denaro, per i padroni! Non è mica come per noi disgraziati! Comunque Ross è cambiato da quando è morto il suo amico, quel mezzo pazzo che ha salvato la vita di tuo figlio quando ci fu il crollo alla miniera di Warleggan. Da allora non è andato più a Londra, vorrà pur dire qualcosa, o no? Per me ha combinato qualcosa per cui lo hanno cacciato dal Parlamento, e si vuole vendicare dando una mano ai francesi”.
“Me lo ricordo quell’uomo, come no! Gran brutta fine che ha fatto… secondo me invece Poldark è fuggito dalla capitale per paura di essere tirato in ballo con la storia del tradimento al re in cui era coinvolto il suo amico; magari l’amicizia dei francesi gli fa comodo se le cose si dovessero mettere male. E sentiamo, come pensi di farlo cantare, il tuo gallo? Sta sempre per i fatti suoi e non ti fila neanche di striscio!” commentò  l’uomo, ricevendo di rimando uno sguardo storto  ed una risposta  piccata della ragazza.
“Non è vero che non mi fila, e poi ora ho un asso nella manica… ti ho detto che la sgualdrina di Illugan ha preso il largo? L’ha lasciato, a quanto pare. È andata in Europa, non si sa se e quando tornerà.”
“Davvero? Allora può essere la volta buona che riesci a portartelo a letto! Magari ci rimedi pure un marmocchio e ti sistemi per la vita!” – sghignazzò in maniera volgare Jacka Hoblyn.
“Se è per questo, ieri sera ho avuto già un primo assaggio…”- ammiccò Tess, enfatizzando quanto in realtà era accaduto. L’altro rise di gusto, rischiando di farsi andare la birra di traverso, e si congratulò con la compagna per la sua fortuna, facendo tintinnare i bicchieri in un allegro brindisi. Poi aggiunse: “Ascolta, ma secondo te i francesi cosa vogliono sentirsi dire?”
Tess non comprese la domanda e chiese all’amico cosa intendesse.
“Per i francesi sarebbe meglio che Poldark fosse dalla loro parte o no? Meglio scoprire di avere a che fare con un traditore o avere la certezza che sia loro alleato?”
“Che domande fai, Jacka, non ti capisco! Lagrande vuole sapere la verità, suppongo, non posso mica rifilargli una frottola qualsiasi!”
“Saresti quindi disposta a dire la verità ad ogni costo? E se scopri che Poldark sta mentendo ai francesi, cosa farai? Raccontare tutto a Lagrande equivale a condannarlo a morte. A quel punto, altro che sua amante! Te lo dovresti proprio dimenticare!”
“Non ho nessuna intenzione di mettere in pericolo Ross - riflettè la ragazza, e furbescamente aggiunse: “a meno che non sia lui a costringermi, è chiaro”.
Mentre i due continuavano a conversare, all’angolo opposto del locale altri due avventori di ben altra estrazione sociale sorseggiavano i loro liquori.
“Maledetto clima inglese! Eppure siamo a maggio! Ho l’umidità fin dentro le ossa!” – si lamentò Ralph Hanson, stringendosi nell’elegante cappotto.
“Pazientate ancora qualche giorno, signor Hanson – gli rispose George Warleggan – e potrete ritornare ai vostri amati Caraibi, dove non vi mancheranno sole, caldo e zanzare!”
“Partirò, certo, ma non prima di aver verificato l’esito della votazione del Parlamento sulla questione che tanto ci sta a cuore!”
“Un esito assolutamente scontato, tanto più che la sparuta minoranza che sostiene l’abolizione della schiavitù ha perduto uno dei suoi più accaniti fautori”- rispose l’altro.
“Poldark – scandì Hanson, facendo risuonare in quelle sillabe tutto il suo disprezzo per la persona cui apparteneva il cognome  - siete proprio sicuro che non prenderà parte alla seduta?”
“Ha altro a cui pensare. Ieri alla sua miniera c’è stato un crollo, il suo uomo  di fiducia è stato gravemente ferito, dicono che si sia salvato per miracolo. E poi, a quanto sembra, ha dei problemi in famiglia: pare che la moglie lo abbia lasciato”.
“La sguattera? – chiese Hanson allibito – deve essere un uomo terribile, questo Poldark, per farsi abbandonare da una serva! Cos’avrà mai combinato?”
George scosse la testa. “Non per difendere Ross, tutt’altro, ma devo dire che la donna in questione è una impudente di prima categoria. Non mi meraviglierei che se ne fosse andata per aver trovato un pollo migliore da spennare. Del resto, è noto che a tutti i balli cui è invitata ama mettersi in mostra, civettando con altri uomini”.
“Non la conosco, ma non mi stupisce affatto quel che mi raccontate, considerato il suo basso lignaggio – replicò Hanson - Non tutti hanno la fortuna di trovare una donna di classe, raffinata ed integerrima come la vostra defunta sposa”.
George assentì in silenzio, cercando di sgombrare la mente dal triste ricordo dei sospetti sulla paternità di Valentine che avevano avvelenato gli ultimi anni della vita di sua moglie e la sua. Cancellò lo sgradevole pensiero, tornando a concentrarsi sugli affari importanti che lo attendevano a breve: dopo pranzo la sua carrozza lo avrebbe condotto a Londra, e tre giorni dopo ci sarebbe stata una delle sedute più importanti del parlamento, in cui, in qualità di Lord, avrebbe preso la parola per esprimere la sua contrarietà alla proposta di abolizione della schiavitù proveniente dalla fazione di Poldark. Già si immaginava su quegli scranni a pronunciare con enfasi il suo discorso: l’unico rammarico era che se, come probabile, quel bellimbusto non si fosse presentato, si sarebbe perso la soddisfazione di vederlo sconfitto ed umiliato ancora una volta.
***
L’incontro con Basset era andato meglio del previsto. Con franchezza, da buon uomo pratico, il lord aveva fatto intendere a Ross che, per quanto comprensibili fossero le sue ragioni per tenersi lontano dalla capitale, il voto alla proposta sull’abolizione della schiavitù per la quale si era tanto adoperato nei mesi precedenti era un atto doveroso, anche in memoria dell’amico Ned che in Centroamerica si era battuto per questioni analoghe.
Anche Basset proveniva dal mondo delle miniere, capiva in quali difficoltà si trovava Ross e quale debito morale sentisse nei confronti dei suoi lavoranti: tuttavia, la questione dell’abolizione della schiavitù era di vitale importanza per il futuro della nazione e dell’umanità in generale. Basset si offrì, a dispetto delle ragioni di concorrenza, di inviare il capitano della sua miniera presso la Grace per qualche tempo, in modo tale da dare a Ross un po’ di respiro. L’altro declinò l’offerta; assicurò che sarebbe stato presente in Parlamento e ringraziò Lord Basset, ma non necessitava di alcun aiuto con la miniera, considerato che la sua assenza sarebbe durata pochissimi giorni. Paul Daniel avrebbe potuto occuparsi di tutto. Già quella mattina erano state effettuate le riparazioni più urgenti in miniera e lui e Ross erano scesi in perlustrazione, sgombrando a mani nude parte del pietrisco franato il giorno prima. Il proprietario della Grace si era molto tranquillizzato rispetto al tragico quadro che gli si era prospettato la sera precedente e confidava nella rapida ripresa delle attività.
Ultimato l’incontro con Basset Ross aveva deciso di passare dalla Leisure. Per sgombrare il campo da ogni sospetto aveva comunicato a Lagrande che nei prossimi giorni non avrebbe potuto collaborare, dato il suo incombente londinese. Pensò che in fondo ai francesi, che predicavano il principio dell’uguaglianza e fraternità, non poteva che far piacere il suo voto a favore dell’abolizione della schiavitù. A quella notizia lo straniero non aveva obiettato nulla; Ross si era informato se ci fossero novità, se in quei giorni erano previsti sbarchi di armi e di uomini e se avessero bisogno di lui in qualche modo; Lagrande gli aveva risposto di no e si erano amichevolmente salutati, anche se Ross aveva notato un atteggiamento più guardingo del solito nel francese.
In sella a Seamus stava ora ritornando a casa, desideroso di fare un bel bagno caldo, cenare, organizzare il bagaglio per Londra e poi mettersi a letto.
Aprendo la porta, però, si trovò di fronte uno spettacolo del tutto inatteso.
Al centro della stanza, in una tinozza fumante, era comodamente sdraiata Tess.
“Che ci fai qui? Come sei entrata?” – le chiese Ross, a malapena ripresosi dallo stupore.
“La signora Martin è venuta a cucinare e dare da mangiare agli animali. Mentre era nel fienile ha lasciato la porta di casa socchiusa, io sono entrata e mi sono nascosta al piano di sopra. Lo stupido cane di tua moglie, ricordandosi di me, non ha nemmeno abbaiato. Quando la Martin se ne è andata, sono scesa qui ad aspettare il tuo ritorno. Ho trovato un calderone di acqua bollente in cucina, suppongo lo avesse lasciato pronto per il tuo bagno, così ne ho approfittato… se vuoi unirti a me, prima che si freddi” – spiegò, facendogli l'occhiolino.
“La tua intraprendenza non finisce di sorprendermi… “– disse Ross, mentre si liberava del borsello, del tricorno e del soprabito. Si sentiva come un topo in trappola e cercò di prendere tempo, chiedendo alla ragazza come fosse andata con i francesi quella mattina.
Tess rise, e gli rispose che gli avrebbe raccontato tutto se si fosse avvicinato.
Vedendo l’uomo esitante, si sollevò in piedi, lasciando che mille rivoli d’acqua scorressero lungo il suo corpo nudo, e gli tese la mano, invitandolo a raggiungerla.

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Capitolo 7
*** cap. 7 ***


“Sei molto bella – commentò Ross  – ma ci sono attività che un uomo deve compiere a stomaco pieno. Non vorrei altrimenti che le tue aspettative su di me restassero deluse”.
“Non potresti mai deludermi – ribattè Tess – è dalla prima volta che ti ho visto che ho desiderato fare l’amore con te. E, se sei un uomo, non puoi non desiderarlo anche tu”.
“Certamente, ma sai… proprio quando si desidera ardentemente e da tanto tempo una cosa, a noi uomini può capitare che l’ansia giochi dei brutti scherzi! Ti propongo una cosa: adesso ti asciughi e mi fai compagnia mentre ceno, poi riprendiamo il discorso!” – e così dicendo le porse il telo che la signora Martin aveva sistemato nei pressi della vasca. A malincuore la ragazza lo prese e vi si avvolse, mentre Ross con una gran faccia tosta si serviva la cena. Iniziò a mangiare, con flemma, come se fosse la cosa più normale del mondo divorare una zuppa di legumi con una donna nuda in casa, a pochi passi da lui. Tess infatti, asciugatasi alla meglio e sempre avvolta nel telo che Ross le aveva porto, si era seduta di fronte a lui e lo fissava impaziente.
“Questi francesi, allora? Non vuoi dirmi che cosa è successo oggi in mia assenza? – domandò Ross, cercando di sapere qualcosa di più sui loro intrallazzi, senza doversi compromettere per ottenere quelle informazioni.
“Mah – sbuffò Tess, esasperata dallo strano comportamento dell’uomo – solite cose, niente di particolare.”
“Ho avuto l’impressione - continuò Ross - che stiano cercando di accelerare i tempi dello sbarco”.
“Non lo so, loro con me non parlano di queste cose. Se mi rivolgono la parola mi chiedono più che altro com’è la situazione in paese, se la gente è contenta del governo oppure si lamenta, se le tasse sono eccessive, quanta gente è in grado di usare le armi… cose simili”.
“Certe domande non vengono poste a caso. I francesi stanno sondando il terreno per vedere se il popolo, in caso di un’invasione da parte loro, li sosterrebbe o gli si rivolterebbe contro. Tu cosa credi? Per la popolazione cornica le cose migliorerebbero con i francesi al potere?”
“I francesi hanno ucciso il loro re ed hanno avuto il coraggio di giustiziare tutta una serie di nobili che si arricchiva ai danni della povera gente; se deve accadere qui, come è accaduto in Francia, che chi è privilegiato la paghi, ben venga! Però tu fai parte di una categoria agiata: non riesco proprio a capire come mai stai dalla parte dei francesi.”
“Io non reputo la mia ricchezza un privilegio, non ho mai sfruttato chi possiede meno di me; anzi, cerco di utilizzare i mezzi che ho per rendere il mio un angolo migliore di mondo”  - rispose Ross.
“D’accordo , tu forse sei diverso dagli altri padroni; ma hai potuto fare ben poco per la miseria che c’è qui intorno! Per trenta, quaranta persone cui hai dato lavoro ce ne sono centinaia che muoiono di fame!”
“Lo so; è per questo che ho accettato di essere eletto in Parlamento: perché si prendesse coscienza a livello nazionale della situazione della Cornovaglia. Solo che non è cambiato nulla“ – concluse amaramente Ross. In quel momento egli comprese che forse era stato proprio quello a spingerlo a collaborare con i francesi; la speranza che il governo inglese dalla minaccia di oltre Manica ricevesse uno scossone e adottasse misure più incisive contro la povertà dei propri sudditi.
“Comunque a me non importa molto dei francesi e di quello che faranno. Collaborare con loro è stato un modo come l’altro per guadagnare denaro, e contemporaneamente vendicarmi di tua moglie, che mi aveva scacciato come un cane rabbioso, facendomi perdere il lavoro!” – disse Tess.
“Se ben ricordo, ti ha licenziato perché avevi cercato di dare fuoco a questa casa – puntualizzò Ross – e poi la miniera è mia, rubando il danno lo hai fatto a me!”
“Peggio per te che hai preferito andartene a Londra, e hai lasciato tua moglie a comandare! Si dava tutte quelle arie, come se non sapessimo da dove viene ed in che modo è arrivata dov’è ora! In quel modo siamo capaci tutte!”
Ross cercò di mantenere la calma, anche se la maniera dispregiativa in cui Tess si esprimeva a proposito di sua moglie lo mandava in bestia.
“Infatti… in fondo è la stessa cosa che stai cercando di fare tu stasera, no?” – la provocò.
Gli lanciò uno sguardo di sfida, e replicò che non faceva altro che prendere una cosa le piaceva e che, evidentemente, non contava poi tanto per Demelza, visto che lo aveva abbandonato.
Notando il piatto dell’uomo ormai vuoto  Tess sbottò: “Ora basta però! Non voglio parlare né di lei, né dei francesi! Voglio pensare solo a noi due…”
Gli si avvicinò, poggiò le mani sul suo petto tastando, al di sopra del tessuto, i muscoli tonici; poi le fece scorrere verso il basso, puntando pericolosamente alla patta dei pantaloni.
“Ahi ahi ahi – fece Ross, bloccandole i polsi – sei proprio una ragazza indisponente! Non hai capito che qui comando io?”
Si alzò in piedi, la afferrò per i capelli, che erano legati in una coda di cavallo,  e la spinse a sedere sulla sedia dove prima era seduto lui. Si slacciò con un gesto deciso il fascicollo, che aveva indossato per celare il segno che la ragazza gli aveva procurato il giorno prima, e lo scagliò per terra. Quando Ross si protese verso di lei ad un palmo dal suo viso, Tess pensò che era ormai ad un passo dall’ottenere ciò che voleva. 
Le posò la mano destra aperta alla base del collo nudo, accarezzandoglielo lievemente, fino a che quella carezza non si trasformò in una morsa. Istintivamente la giovane portò entrambe le mani al collo per staccare quella di lui che cominciava ad opprimerla, pur senza soffocarla, e lo fissò con uno sguardo interrogativo. Ross si bloccò, la fissò dritta negli occhi e le disse:
“Devo ringraziarti davvero, Tess. Le tue parole ed il tuo comportamento di stasera mi hanno aperto gli occhi. Sono stato un vero idiota in passato e non posso commettere di nuovo lo stesso errore.”
“Ma di che stai parlando?” – gli chiese sbigottita.
“Di come siamo sciocchi e vanesi noi uomini. Un bicchiere di vino di troppo – e così dicendo si versò da bere - una donna disponibile che ci ronza intorno, qualche moina e in un attimo ci troviamo intrappolati per la vita! Era proprio una sera come questa, io ero deluso ed arrabbiato con il mondo… Demelza salì nella mia camera, mi tentò come stai facendo tu ora… poi lei rimase incinta, e ho dovuto sposarla! E guarda come mi ha ripagato, dopo che le ho dato una casa, una posizione ed un cognome onorato! Voi donne non meritate nulla!” – mentì.
“Io non ho mai pensato di incastrarti – gemette la fanciulla – staremo attenti, non accadrà nulla del genere!”
“Non posso esserne sicuro, mi dispiace. Lo hai detto chiaramente: a te non interessano le conseguenze delle tue azioni, vuoi solo ottenere ciò che desideri passando sopra tutto e tutti. Mi hai puntato da parecchio tempo, e non credo di interessarti per motivi diversi dal denaro e dal potere. Non voglio avere niente a che fare con te. Rivestiti e vattene.” – le intimò.
 “No, Ross, non puoi mandarmi via così, non me ne andrò!” – insistette Tess, aggrappandosi a lui.
Ross era stufo di fingere. “Stai abusando fin troppo della mia pazienza. Vattene, e non costringermi ad alzare le mani su di te.”
“Fallo! – urlò lei come impazzita – Osa colpirmi, e te ne pentirai amaramente. Sai di cosa sono capace”.
“Lo so- replicò lui – ma le tue minacce non mi faranno cambiare idea. Tra me e te non può esserci nulla, fattene una ragione. Asciugati, rivestiti e non tornare mai più a casa mia, o te ne farò pentire.”
“Non puoi disprezzarmi in questo modo – continuò lei – ricordati poi che con tutto quello che so di te posso rovinarti!”
“Anche io posso rovinare te. Ricordi la storia delle banconote false? E l’incendio appiccato in casa mia? Per non parlare del furto in miniera… sai che sono reati puniti con l’ impiccagione?”
“Se cado io, cadrai anche tu, perché racconterò tutto quello che so di te …”
“E secondo te i magistrati crederanno al deputato eletto per il distretto di Truro, membro di una delle famiglie più antiche della regione, o ad una popolana priva di istruzione? La rivoluzione francese non è ancora arrivata, e sai come funzione la giustizia in questo paese. Lo hai detto tu stessa che sono un privilegiato. Sarà l’unica volta nella vita che approfitterò di questi privilegi”.
Tess rimase impietrita al centro della stanza, ammutolita. Ross le voltò le spalle, e lei comprese che, per quanta insistenza dimostrasse, Ross era irremovibile. Furiosa afferrò i suoi miseri stracci e cominciò a rivestirsi. Appena ebbe terminato, si avvicinò a Ross accanto al fuoco e gli si parò davanti.
“Mi hai preso in giro tutto questo tempo, non è vero?” – gli domandò.
“Pensa ciò che vuoi.” – rispose Ross asciutto.
“A te interessava solo che mantenessi il segreto sulle tue attività con gli stranieri - gli disse lanciandogli uno sguardo di sfida – “non hai mai avuto davvero intenzione di fare sesso con me. Sei un vigliacco, Ross Poldark… maledetto tu e la tua sguattera dai capelli rossi… che possiate non avere più pace per il resto dei vostri giorni!”
Furibondo, Ross intimò nuovamente alla donna di sparire.
Tess lo fulminò un’ultima volta con uno sguardo carico di odio e uscì sbattendo la porta.
Ross sospirò, finalmente rilassato. Si avvicinò al buon Garrick, che pareva sonnecchiare accanto al camino, gli strofinò vigorosamente la testa e le orecchie e gli disse: “Devi fare buona guardia Garrick. Quella donna non deve più avvicinarsi a casa nostra, capito?”
Si versò un ultimo bicchiere di gin. Volse il capo verso la parete opposta, cui era appeso un ritratto di suo padre. Un piccolo quadro, nulla di paragonabile agli sfarzosi ritratti degli avi che troneggiavano nel salone di Trenwith.
“Tu non l’avresti mandata via, vero papà? – disse rivolgendosi al dipinto – ma io sono diverso da te. Non posso colmare l’assenza dell’unica donna che amo attraverso la passione sfrenata di una notte consumata con qualcuno di insignificante. Sto rischiando molto con questo rifiuto, è vero… ma spero di essere riuscito ad intimorire Tess quanto basti!”  
Anche se preoccupato, si sentì sollevato al pensiero di non dover più fingere con la ragazza, e forse anche soddisfatto di sé perché aveva avuto la lucidità di non fare torto a Demelza. Anche sua moglie sarebbe stata orgogliosa per come aveva gestito la faccenda.
Forse Tess gli aveva davvero fatto un favore quella sera: aveva ristabilito l’ordine delle sue priorità. Appena tornato dalla Capitale, niente e nessuno gli avrebbe impedito di raggiungere Demelza.

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Capitolo 8
*** cap.8 ***


Accettare la proposta di Verity di fermarsi più a lungo a Lisbona significava per Demelza dover gestire tutta una serie di problemi di tipo pratico. Aveva portato con sé dei risparmi per affrontare, oltre alle spese di viaggio, le esigenze di mantenimento per i primi tempi in America, ma si trattava comunque di fondi limitati. Se aveva pensato di trovare un lavoro in Honduras, con l’aiuto di Kitty, magari come dama di compagnia o come governante, in Portogallo questo era più difficile: le famiglie inglesi erano davvero pochissime e la non conoscenza della lingua le rendeva impossibile impiegarsi altrove. Per i piccoli Poldark inoltre la permanenza in Portogallo non poteva tradursi in un tempo di completa vacanza dallo studio, per cui Demelza aveva richiesto a Verity, ottenendone risposta positiva, che anche Jeremy e Clowance potessero seguire delle lezioni di inglese con il precettore di Andrew junior, un paio di volte a settimana.
Anche se era abituata alle ristrettezze economiche, dover dipendere per ogni esigenza dalla generosità dei parenti le risultava particolarmente odioso,sebbene la cugina non glielo facesse pesare in alcun modo.
Man mano che i giorni passavano, poi, si facevano strada nella giovane dai capelli ramati sentimenti contrastanti. Da un lato non vedeva l’ora di intraprendere una nuova vita in un posto sconosciuto, contando solo sulle sue forze; dall’altro, come aveva confidato a Verity, la lontananza da Ross le aveva consentito di guardare con più lucidità agli eventi della Cornovaglia e dentro di sé iniziava a pensare di essere stata forse troppo precipitosa.
In fondo, aveva solo il sospetto di quanto era accaduto tra suo marito e Tess. Lo aveva condannato senza appello senza nemmeno sentire le sue ragioni, ferita dalla sua reticenza più che dalle sue azioni; ma, come avrebbe detto suo fratello Sam, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Anche lei aveva mancato, anche lei aveva mentito, anche lei era stata distante; con tutta probabilità il dolore e l’umiliazione che aveva provato Ross al pensiero che Hugh Armitage l’avesse posseduta non era molto dissimile da quello che sentiva lei immaginando suo marito tra le braccia di un’altra, sussurrandole dolci parole. Conoscendo Ross e conoscendo Tess era impossibile che l’eventuale legame tra loro andasse al di là di una relazione puramente fisica; valeva la pena allora di distruggere tutto ciò che di bello avevano realizzato insieme in quegli anni?
Per fortuna i bambini, la sua ragione di vita, non sembravano sfiorati da malinconia o tristi pensieri: accoglievano con gioia e curiosità ogni situazione che si presentava loro, fossero occasioni di gioco o di studio. Un pomeriggio, liberi dagli impegni delle lezioni, chiesero di poter andare in spiaggia e le madri acconsentirono.
La spiaggia di Lisbona era molto più frequentata di Hendrawna Beach, in cui Jeremy e Clowance erano e si sentivano i padroni. Avevano comunque trascorso una giornata divertente, correndo a piedi nudi sul bagnasciuga, rincorrendosi e formando castelli con la sabbia, in compagnia anche di altri bambini. Al rientro a casa, al momento di mettersi a letto, Demelza notò che Jeremy faceva qualche colpo di tosse di troppo. Era sempre stato cagionevole di salute e la madre ipotizzò che si fosse raffreddato perché quel giorno in spiaggia vi era parecchio vento. Se fossero stati a Nampara sarebbe andata a cercare delle erbe per un buon decotto: dovette accontentarsi di una tazza di tè caldo con il miele, che Jeremy sorseggiò per poi sprofondare in un sonno profondo.
Il risveglio il mattino successivo tuttavia portò una brutta sorpresa: il bambino aveva la febbre molto alta, la tosse gli squassava il petto, lamentava di essere debole e di non riuscire a respirare bene come al solito.
Fu necessario chiamare un dottore. Alla fine della visita, la diagnosi fu molto chiara: Jeremy aveva la polmonite, probabilmente un focolaio che aveva contratto durante il viaggio e che si era acutizzato dopo la giornata trascorsa all’aria aperta. Bisognava cercare di far calare la febbre e sfiammare l’infiammazione nei polmoni, somministrando uno sciroppo ogni 8 ore. E poi, soprattutto, bisognava pregare.
Al sentire quelle terribili parole, Verity e Demelza si guardarono atterrite.
La madre di Jeremy, che già aveva perduto la perdita della prima figlia a causa di una malattia infettiva, era così sconvolta che si lasciò cadere su una poltrona, incapace di proferire qualsiasi altra parola. Fu Verity ad occuparsi di pagare l’onorario del medico. Occorreva però comprare anche le medicine, e Demelza sapeva bene che ciò avrebbe dato fondo a tutte le sue risorse.
“Devi aiutarmi Verity. Devo assolutamente vendere la collana che mi ha regalato Ross a Natale” – disse Demelza.
“Non pensarlo neppure- la interruppe Verity – Grazie a Dio il denaro non è un problema per me. Tu hai salvato la vita di mio fratello e di mio nipote, curandoli mentre io, che avrei dovuto occuparmene, ero assente da casa. In cambio hai perduto la tua bambina. Nessuna somma potrebbe mai ripagare la tua generosità! E poi per me sei come una sorella. Sostenerti in questo momento mi sembra il minimo che io possa fare”.
Demelza l’abbracciò, con le lacrime agli occhi. “Vorrei che Ross fosse qui” – sussurrò affranta.
“Vedrai che Jeremy guarirà. Il dottor Barros non sarà il dottor Enys, ma è un ottimo medico. Bisogna seguire alla lettera la sua cura e non perdere le speranze, mia cara. Ti farebbe stare più tranquilla inviare una lettera a Nampara? Cosa ne dici?” – propose la cugina.
Demelza annuì, ma sapeva bene che quella lettera avrebbe potuto giungere a destinazione anche troppo tardi…si maledisse per aver involontariamente provocato, con quel viaggio, la malattia del suo adorato figlio, così come aveva causato la morte di Julia, che si era contagiata per colpa della sua imprudenza. Con i sensi di colpa che la dilaniavano, Demelza sedette al capezzale di Jeremy. Doveva farsi forza e non abbattersi. Non poteva e non doveva finire allo stesso modo. Ross non glielo avrebbe mai perdonato.
***
Proprio mentre, a migliaia di chilometri di distanza, sua moglie vegliava il piccolo Jeremy cercando di calargli la temperatura, Ross giungeva a Londra a bordo di una carrozza. Vi mancava da così tanto che gli sembrò di non riconoscere neppure la strada in cui si trovava la pensione dove alloggiava abitualmente. La padrona di casa lo accolse con la consueta amabilità, e dopo tante ore di viaggio Ross potè finalmente godere di una notte di sonno sereno.
Il giorno successivo aveva appuntamento con altri deputati del suo gruppo presso un pub, e durante il tragitto a piedi per raggiungerlo costeggiò il laghetto che aveva traversato con Demelza durante la loro vacanza londinese. Quel ricordo gli fece male, perché si trattava della prima gita felice in cui aveva ritrovato l’armonia con sua moglie dopo la storia con Hugh ed egli era stato capace di rovinare anche quel momento, con il duello in cui era rimasto ucciso Adderley. Anche ora, aveva guastato un periodo di grande intesa e complicità per colpa di affari più grandi di lui, in cui si era tuffato a capofitto e senza riflettere sulle conseguenze. Se avesse perduto Demelza per quella ragione, nulla avrebbe avuto più senso.
Organizzata con i colleghi la strategia per la discussione a Westminster, dopo aver pranzato Ross trascorse il resto della giornata nella pensione, leggendo e rileggendo i documenti e gli appunti che gli erano necessari per tenere il discorso in Parlamento la mattina successiva.
Anche Sir George Warleggan nella sua sontuosa dimora londinese era stato impegnato l’intera giornata ad imbastire il suo discorso. Nel corso dell’ultimo anno aveva guadagnato la fiducia di vari colleghi conservatori e la battaglia a favore del lavoro degli schiavi era divenuta una questione quasi personale per lui, in contrapposizione al suo acerrimo nemico e conterraneo Ross Poldark.
L’ennesimo scontro tra i due si concluse, in realtà, con un nulla di fatto, in quanto la votazione sulla proposta venne rinviata. All’esito del dibattito infatti la maggioranza chiese un differimento per poter esaminare una relazione sulle condizioni degli schiavi in Honduras che era pervenuta quel giorno stesso: una piccola vittoria per la fazione di Ross, che era riuscita a procurarsi quel documento, ed uno smacco per Warleggan, che era convinto di avere già la vittoria in tasca.
I due gentiluomini cornici si misero quindi in viaggio verso casa con stati d’animo ben diversi: seccatissimo sir George, che avrebbe anche dovuto sorbirsi la rabbia di Hanson, soddisfatto Ross, sia perché il rinvio della votazione avrebbe consentito al suo gruppo – quasi certamente sconfitto se si fosse votato quel giorno – di portare dalla loro parte alcuni deputati ancora indecisi, sia perché la seduta era stata aggiornata di un mese, ed in quel frattempo avrebbe potuto raggiungere e riportare a casa Demelza. Tanta fretta aveva Ross di tornare a casa che si mise in viaggio con la prima diligenza utile, a nulla importandogli il fatto che avrebbe dovuto viaggiare tutta la notte, arrivando così a Truro all’alba. Di lì avrebbe noleggiato un cavallo e fatto ritorno a Nampara.
Mancavano poche miglia per Falmouth quando la carrozza improvvisamente si fermò. Ross e gli altri due passeggeri – una dama e la sua cameriera - erano assopiti, ma furono svegliati dalle grida del cocchiere.
“Chi siete? Cosa volete?- diceva l’uomo.
“Manteniamo la calma e nessuno si farà del male” – rispose una voce all’esterno. Le due donne si strinsero allarmate l’una all’altra; Ross stava per estrarre la pistola dalla fondina ed afferrare la maniglia del portellone per precipitarsi fuori , ma ne ebbe il tempo, in quanto due uomini si introdussero nell’abitacolo, lo trassero fuori a forza e lo immobilizzarono, sequestrandogli la pistola. Gli uomini erano in tre, tutti con il volto coperto da un fazzoletto scuro , ed il più alto aveva una pistola con la quale minacciava il cocchiere. “Che cosa volete da me?” – domandò a sua volta Ross, prima che gli chiudessero la bocca con un fazzoletto.
“State tranquillo capitano Poldark - rispose uno dei due che lo aveva fermato, dando mostra di conoscerlo – vogliamo solo fare una chiacchierata con voi” e così dicendo si era infilato la pistola di Ross nella cintura.
Una volta assicuratosi che Ross, con i polsi legati dietro la schiena, non avrebbe fatto colpi di testa, il capo della banda fece cenno al cocchiere di andarsene ed il gruppo dei rapitori con il loro prigioniero si allontanò a cavallo, in direzione opposta.
Cavalcarono a lungo, non sulla via principale ma per sentieri che Ross neppure conosceva. Alla fine giunsero nei pressi di un casolare abbandonato, alla periferia di Falmouth. Appena gli uomini lo fecero scendere da cavallo Ross, incurante del fatto che quelli, a differenza sua, fossero armati, diede uno spintone al più basso dei tre, quello che custodiva la sua pistola, facendolo franare sugli altri, e prese a correre come un forsennato. I tre però gli furono addosso in un lampo. Ross cercò di difendere disperatamente la sua libertà, utilizzando soprattutto le gambe, l’unica parte del corpo che era libera da vincoli. I rapitori cercavano di sfuggire ai calci del prigioniero, ma per quanto fossero in tre contro uno non riuscivano ad avere la meglio. Alla fine l’uomo più alto, quello che aveva minacciato il cocchiere, urlò: “Ora basta, Ross! Siamo qui per aiutarti, lo vuoi capire?”. E si calò il fazzoletto dal volto, mentre gli altri due sodali lo imitavano ed il loro prigioniero li fissava sbalordito.

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Capitolo 9
*** cap.9 ***


Mentre veniva liberato dai lacci che gli stringevano i polsi e dal fazzoletto che gli ostruiva la bocca, Ross cercava di immaginare per quale maledetta ragione i fratelli di sua moglie e l’amico Paul Daniel avessero inscenato quella pantomima.
La sua curiosità venne presto soddisfatta.
“Non avevamo altra scelta – spiegò Sam – sei in grave pericolo. Non puoi tornare in paese!”
“Devi nasconderti – aggiunse Drake – ed abbiamo pensato a quel vecchio rudere, in cui io, Sam e i nostri fratelli venivamo a volte a giocare da piccoli”.
“Ma cosa è successo? Perché devo nascondermi? E soprattutto, perché fingere un rapimento? Non capisco…”- esclamò Ross spazientito.
“Ieri è successa una cosa gravissima – intervenne Paul – in miniera, ultimato il turno del pomeriggio, Jonathan Harris ha litigato con Jacka Hoblyn, accusandolo di aver rubato 3 libbre di stagno. Ed era la verità! Jacka le aveva nascoste in un borsello che aveva con sé, durante il litigio Jonathan gli ha strappato il borsello, ci ha frugato dentro e ha trovato la refurtiva… Jonathan, davanti a tutti, ha accusato Jacka di furto e mi ha detto che poiché facevo le tue veci dovevo andarlo a denunciare immediatamente. A questo punto Jacka ha cominciato a ridere sguaiatamente. ‘denunciatemi pure!’ urlava ‘vuoterò il sacco , perché io non ho commesso alcun furto. Ross Poldark ne è al corrente, sa benissimo che io avrei preso questo materiale. È lui stesso che da mesi rifornisce con lo stagno della sua miniera alcune spie francesi che sono nascoste qui vicino!’ Tutti dicevano che era una menzogna, che non era possibile, ma lui insisteva. ‘Poldark è dalla parte dei francesi, contro il nostro governo! Non avete notato che in questi mesi è sempre meno presente alla miniera, che a volte si allontana come se avesse degli impegni improvvisi e ritorna a tarda sera? Dove credete che vada? Se non volete credere alle mie parole, potete domandare a Tess: è la sua amante, è per questo che la moglie lo ha lasciato!”
“Questo non è affatto vero!” – giurò Ross rivolgendosi ai cognati. 
“Non è a noi che devi dare giustificazioni, Ross. Comunque il punto è un altro. Lascialo parlare”- replicò Drake.
Paul continuò: “La storia è andata avanti per un bel pezzo. Forse, se ci fosse stato Zacky, avrebbe gestito meglio la cosa, lui ha più esperienza di me… comunque la discussione continuava, e i minatori erano pieni di dubbi, perché effettivamente Ross, il tuo comportamento è stato molto strano negli ultimi mesi, e parecchi ti hanno visto confabulare con Tess a Sawle, in più occasioni…”
 “Vi ripeto che qualsiasi cosa Tess abbia detto al mio riguardo è frutto delle sue farneticazioni!” – esclamò nuovamente Ross, ma Paul lo interruppe.
“Fammi finire Ross, non c’è molto tempo! Jacka insisteva nella sua versione, Jonathan e suo fratello lo istigavano a raccontare tutto ai gendarmi, ritenendo che non avrebbe avuto il coraggio di ripetere quelle frottole davanti ad un giudice. ‘ Io non ho alcun problema a ripetere ciò che vi ho detto alle guardie, perché è la verità! Mi porteranno a Bodmin , questo è certo, dovrò scontare la mia pena e lascerò solo il mio povero Arthur, che ha solo 12 anni… ma Poldark? Lui che cosa rischia secondo voi, se io parlo?’ A quelle parola, tutti sono ammutoliti. Jacka ha fatto il gesto del cappio ed ha sussurrato ‘Alto tradimento’  Anche Jonathan a quel punto era combattuto tra la volontà di punire Jacka e la lealtà nei tuoi confronti…
Micheal Norton allora  ha preso la parola per dire che se Jacka non aveva mentito, per questa volta si poteva chiudere un occhio, in attesa che tu fossi tornato e ci avessi dato una spiegazione… Jacka già gongolava, ma Micheal ha aggiunto che non lo avrebbe lasciato andar via così, ci doveva dare una prova che i francesi c’erano davvero e che ti conoscevano.  Tira e molla, Jacka ha detto che avrebbe rivelato il nascondiglio dei francesi al solo Micheal, altrimenti quelli lo avrebbero fatto fuori, e che tutti gli altri avrebbero dovuto fidarsi della sua parola. Così se ne sono andati via insieme.
Il mattino seguente, vale a dire oggi, Micheal è arrivato alla miniera e ci ha detto che Jacka aveva detto la verità, che in un luogo solitario ed appartato sulle nostre coste si nasconde una colonia di francesi, che ha visto anche Tess collaborare con loro e che colui che sembrava essere il capo, rivolgendosi a Tess, gli aveva chiesto quando sarebbe tornato il capitano Poldark.
Erano tutti delusi, non se lo aspettavano, soprattutto perché alla fiducia che hanno sempre nutrito in te si sostituiva la rabbia per quegli stranieri che vogliono usurpare le nostre terre. Jonathan Harris ed Henry Stevenson però hanno detto che noi altri siamo ignoranti, e che se tu eri dalla parte dei francesi dovevi avere delle buone ragioni e ce le avresti spiegate”.
“Ascoltatemi tutti, non è come sembra. È vero che ero a conoscenza del nascondiglio dei francesi e che ho collaborato con loro per qualche mese, perché mi avevano sorpreso a curiosare e diversamente mi avrebbero ucciso. Non avrei mai consegnato il mio paese nelle loro mani senza adeguate garanzie, ve lo giuro! Quanto a Demelza, non l’ho mai tradita con Tess. Non potevo rivelare la natura della mia attività nemmeno a lei, ha sospettato che le nascondessi qualcosa e mi ha lasciato per questo. Comunque, se avete fatto tutta questa strada per impedirmi di tornare a Nampara sulla base delle minacce di Jacka, non avete nulla da temere, me la saprò cavare, troverò il modo di sganciarmi dai francesi e non sarà necessario denunciarlo. Un po’ di stagno perso non mi manderà in rovina. La mia priorità adesso è raggiungere Demelza in Portogallo, da mia cugina Verity, prima che parta per l’America.”
“L’America? – esclamò Drake – Nostra sorella vuole andare via, così lontano, senza nemmeno salutarci? Allora l’hai tradita sul serio! ”
“Vi ripeto che non è così…”
Sam trattenne il fratello minore, che quasi stava per affrontare fisicamente Ross, e li separò.
“Ross, non è per colpa di Jacka o degli inglesi che non puoi tornare a casa. E’ per colpa dei francesi. Vogliono ucciderti”.
 “Che cosa?” – esclamò Ross basito.
“Oggi ad ora di pranzo Rosina era a casa di suo padre – spiegò Sam – per preparare da mangiare a suo fratello minore, quando Jacka è rincasato insieme a Tess e, fingendo di andare via, Rosina ha origliato una loro conversazione. Tess diceva che aveva trovato il modo di vendicarsi di te… ha riferito ai francesi che con la scusa di andare a Londra al Parlamento dovevi incontrare il capo dei servizi segreti e che avresti rivelato tutto quello che sapevi sulla loro missione; che il capo dei francesi si è molto arrabbiato ed ha incaricato un suo uomo di precederti a Nampara… è chiaro che lo scopo non era fare una chiacchierata amichevole”.
Ross rabbrividì.
“Rosina ha detto che suo padre ha urlato contro Tess che era una vera stupida, ora che lui aveva sistemato tutto con i minatori, che adesso gli stranieri se ne sarebbero andati e che loro avrebbero perduto la possibilità di fare guadagni facili. Tess ha replicato che non le importava nulla e che tu meritavi di pagare per come l’avevi trattata”.
“Rosina ha raccontato tutto a Sam e a me; nel frattempo Paul era venuto alla mia officina per raccontarci di Jacka, ed abbiamo pensato di metterci subito in marcia per impedirti di arrivare a Nampara. Inscenare un rapimento ci è parsa una buona idea, così nessuno ti cercherà o si metterà alle tue calcagna.”- concluse Drake.
Ross scosse la testa. “Se quegli uomini vogliono trovarmi, nascondermi a poche miglia da Sawle non cambierà le cose… e poi non ho nessuna intenzione di restare nascosto, costringendo voi ad esporvi per portarmi cibo e vestiario. Se proprio devo fuggire, devo lasciare l’Inghilterra.”- disse, osservando sconsolato la immensa distesa salata dinanzi a sé.
“Per mare? Ma è impossibile Ross! Dove potresti andare, e con che mezzi?” – esclamò Drake.
“Come fece tuo fratello anni fa – rispose Ross, rivolgendosi a Paul – via mare, in barca.
“È una follia, Ross! – lo freddò Paul - Mark è molto più robusto di te, abituato alla fatica, e poi non aveva nulla da perdere! Tu hai moglie, dei figli…”
“È proprio per loro che devo farlo. Ho promesso a Demelza che l’avrei raggiunta, e devo riuscirci, prima che parta per l’America. In questo momento non mi importa di nulla se non di lei, di Jeremy e Clowance. Partire immediatamente è l’unica mia speranza per sfuggire ai francesi e contemporaneamente riuscire a raggiungere il Portogallo, come mi ero prefissato”.
“Via mare in Portogallo? Ross, ti rendi conto di quante miglia saranno, in pieno oceano?”- osservò Sam.
“Non intendo certo arrivare in Portogallo a bordo di una barchetta! Mi basta arrivare nella zona di Roscoff; da lì cercherò il modo per spostarmi in Portogallo, il prima possibile”.
“Non arriverai mai in tempo, sempre che tu rimanga vivo! E’ troppo rischioso, cognato… ripensaci, ti prego! Per stanotte puoi fermarti qui, poi magari tornare a Londra e cercare davvero la protezione dei servizi segreti!” – lo supplicò Sam.
“Non capisci che non risolverei nulla? Dovrei ammettere di essere a conoscenza delle trame dei francesi da mesi, e l’aver taciuto non deporrebbe certo a mio favore; in ogni caso, i francesi ora prenderanno ancora più precauzioni, probabilmente cambieranno anche nascondiglio per non farsi trovare, e nessuno mi crederà! Alternative non ce ne sono!”
“E la Grace? Le tue terre?” – chiese il cognato più giovane.
“Affido tutto a voi. Gestitele come potete”.
“E se, giunto a Lisbona, non trovi Demelza? Cosa farai?”- domandò ancora Drake.
“Partirò per l’America anche io” – concluse Ross.
“Se hai deciso, Ross, non c’è tempo da perdere– disse Paul –Ti copriremo noi le spalle. Ti aiuteremo, come tu aiutasti mio fratello tanti anni fa, quando ebbe guai con la giustizia”.
Ross ritornò con la mente a quella notte di tanti anni prima. Con il favore del buio aveva aiutato Mark Daniel a fuggire a bordo di una piccola barca a remi da Hendrawna Beach, e quegli si era salvato dalla forca rifugiandosi in Francia.
“Dove possiamo trovare una barca?” – chiese Drake.
“Dobbiamo sbrigarci. È quasi l’alba ed i pescatori sono pronti per uscire per mare. Prenderemo una delle loro barche. So che la Bibbia non contempla il furto, Sam , ma non ho altra scelta”.
Il predicatore sorrise. “La prenderemo solo in prestito, per una giusta causa”.
“Resta tu con me, Paul – gli disse Ross – voi due invece andate via, o in paese si insospettiranno per la vostra assenza. Tornate subito a Sawle, come se nulla fosse, e fate molta attenzione. Parlate il meno possibile in giro, cercate di evitare Tess e raccomandate lo stesso anche alle vostri mogli. Anzi, a loro non dite dove sono diretto. Meno persone lo sanno, meglio è.”
Drake e Sam obbedirono, e dopo aver augurato buona fortuna a Ross, dopo un sentito e commosso abbraccio ripresero due dei cavalli con cui erano venuti e lasciarono  lui e Paul, con le provviste che avevano portato, nei pressi del casolare abbandonato.
Paul e Ross, lasciato l’ultimo cavallo legato ad un albero, con circospezione raggiunsero la spiaggia poco distante a piedi. Fortunatamente reperirono una barca in discrete condizioni, attraccata in una caletta, e con il favore delle tenebre Ross prese rapidamente il largo.
 “Che Dio ti assista, Ross!” – mormorò Paul guardando la scia della barca che pian piano scompariva all’orizzonte.

 

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Capitolo 10
*** cap.10 ***


L’austera sagoma della tenuta di Trenwith era immersa nel buio quando la carrozza di  George Warleggan varcò il cancello che vi dava ingresso. L’unica finestra illuminata era una delle camere al piano superiore, che corrispondeva alla stanza di Valentine. George scosse la testa, pensando a quel birbante ancora sveglio a quell’ora. Nonostante tutto, però, era contento di essere lì: sempre meglio che ritrovarsi nella dimora di Truro, con zio Cary e il signor Hanson pronti a fargli il terzo grado sulla discussione parlamentare. Gli seccava dover ammettere con loro che la sua fazione aveva miseramente fallito, che Ross Poldark aveva fatto un’ottima figura e che la votazione decisiva era stata rimandata.
Per uno strano scherzo del destino, quell’uomo era legato ad ogni ricordo spiacevole della sua vita: dalle angherie subite a scuola da piccolo, quando era preso in giro per essere un umile nipote di fabbro, al rifiuto sprezzante della sua offerta di amicizia quando era tornato dall’America, fino alla morte dell’adorata moglie Elisabeth, che aveva amato Ross in gioventù e dal cui ricordo, forse, non si era mai affrancata completamente. Pur essendo riuscito ad impossessarsi della dimora avita da secoli appartenente al suo casato, della miniera per le cui sorti il rivale si era a lungo speso e della donna che Poldark avrebbe voluto sposare di ritorno dalla guerra, George sentiva che si era trattato di vittorie effimere: in cuor suo era consapevole di non aver mai davvero sconfitto quell’uomo più nobile, più brillante, più coraggioso e più benvoluto di lui, la cui ombra continuava a tormentare la sua profonda insicurezza.
Un arcigno domestico fece capolino dal portone e con sussiego diede il bentornato al padrone, affrettandosi a scaricare i bagagli dalla carrozza, così interrompendo quel flusso di pensieri non propriamente lieti.
“Avete cenato, signore?” – si informò subito.
“Sì, grazie, Richard. Riporrò un attimo questi documenti nel mio studio e poi andrò a letto”.
Era molto stanco a causa del lungo viaggio, pertanto tenne fede alla promessa: dopo una breve sosta nello studio si ritirò nei suoi appartamenti, e proprio mentre si accingeva a coricarsi sentì bussare alla porta.
“Perdonatemi signor Warleggan, c’è Valentine che vuole salutarvi; so che è tardi, ma il bambino insiste.” – disse la voce di una cameriera dal corridoio.
“Fallo entrare” – sbuffò George.
In camicia da notte, scalzo, il ragazzino entrò nella stanza e corse verso George.
“Cosa fai ancora alzato a quest’ora?” – lo redarguì il padre.
“So che è tardi, papà, ma volevo chiederti una cosa… posso avere una miniera tutta mia?”
“Una miniera? E cosa devi fartene?”
“Vedi papà, lo zio Ross  - cioè, volevo dire il signor Poldark, lo zio di mio fratello Geoffrey Charles -  tempo fa mi ha portato a vedere la sua miniera, e mi è piaciuta… io qui mi annoio, papà, sono sempre da solo, Ursula è troppo piccola, non cammina neanche, invece se avessi una miniera potrei trascorrere il tempo lì, osservare le rocce, scavare, cercare i minerali e farne una collezione…io sento di avere la miniera nel sangue, papà. Me ne compri una?”
George osservò i ricci bruni del bambino, lo sguardo fiero e deciso, il volto sul quale non ritrovava i lineamenti né di sua madre, né i suoi. Gli tornarono alla mente le parole di quella vecchia strega di Agatha Poldark, che prima di affidare l’anima al Creatore aveva insinuato che Valentine non fosse nato prematuro, e di conseguenza che fosse stato concepito prima delle sue nozze con Elisabeth. Ed ora quel marmocchio gli veniva a dire che aveva la miniera nel sangue… ma i Warleggan non erano minatori, a differenza di quei dannati Poldark!
Cercò di calmarsi. La sua dolce Elisabeth gli aveva giurato sulla Bibbia di non essere stata d’altri che del suo primo marito Francis, prima di sposarsi con lui. Quell’atroce dubbio sulla paternità di Valentine gli aveva avvelenato la vita a lungo e non era il caso di farsene ulteriormente condizionare. E poi, pensò, se anche per assurdo fosse stato vero che Elisabeth si fosse concessa a Ross – o, peggio ancora, che quella bestia l’avesse presa con la forza – e Valentine fosse il frutto di quel morboso legame, non era forse una nemesi perfetta il fatto che fosse lui, il suo peggior nemico, a crescere quel bambino, impegnandosi con tutto se stesso per farne un uomo a sua perfetta immagine e somiglianza, in antitesi agli sciocchi valori in cui credeva Poldark?
Accarezzò la testa di Valentine e gli sorrise. Non poteva trasferire su quella creatura innocente l’odio per il suo eterno antagonista, e poi era pur sempre il suo erede , nonché figlio della donna per cui stravedeva.
“Sai bene, Valentine, che noi possediamo già una miniera, la Wheal Leisure. Però, è chiusa, e sai perché? Perché non era un affare che dava profitti. Cosa ti ho sempre detto? Per valutare la bontà di un affare bisogna considerare i costi per organizzare l’attività rispetto ai guadagni attesi. Per riaprire quella miniera e farci lavorare i minatori bisognerebbe fare dei costosi investimenti per la sicurezza, e non siamo affatto sicuri che i minerali estratti, una volta venduti, ripagherebbero tutte quelle spese e ci consentirebbero un guadagno. Quando sarai grande potrò acquistarti tutte le miniere che vorrai, ma dovrai essere capace di farle fruttare. Lo capisci?”.
“Sì, ho capito, però a me piacerebbe dare uno sguardo a questa Wheal Leisure, voglio vedere quanto è grande. Ci si può entrare, anche se è chiusa?”
George si rassegnò. Quando Valentine si metteva una cosa in testa, era difficile dissuaderlo. “Si può entrare a dare un’occhiata da una entrata secondaria, posta nella parte inferiore, verso la spiaggia, che è rimasta estranea ai crolli. Una visita veloce però. Ti ci porto domani dopo colazione, promesso. Però adesso vai a dormire, tuo padre è molto stanco. Sai che sto tornando da Londra, dove sono stato molto impegnato in Parlamento.”
“D’accordo, papà, buonanotte” – gli rispose Valentine, dandogli un rapido bacio sulla guancia e sgattaiolando in camera sua.
Alla Leisure intanto, in quelle stesse ore, i francesi erano in gran fermento. A causa degli ultimi avvenimenti era rischioso restare lì, pertanto avevano deciso di spostare, con il favore del buio, tutte le casse contenenti armi e tutto il materiale che vi era nascosto, trasportandolo in una grotta adiacente alla spiaggia di Hendrawna. Quello era l’unico posto che era venuto in mente a Lagrande come temporaneo nascondiglio, facendo tesoro delle informazioni acquisite da Ross Poldark tempo prima. Era furente nei confronti di quell’uomo e soprattutto lo infastidiva pensare alla pessima figura che avrebbe fatto con Bonaparte, dando fiducia ad un personaggio che si era rivelato inaffidabile. La missione rischiava di essere seriamente compromessa; per di più quel traditore era scomparso nel nulla, quasi che avesse fiutato il pericolo. Se gli fosse capitato tra le mani, Lagrande era certo che non sarebbe stato magnanimo come l’altra volta e lo avrebbe eliminato senza troppi complimenti.
Già quella mattina due dei suoi uomini erano partiti sul primo mercantile diretto in Francia, per fare rapporto sull’accaduto e ricevere istruzioni. Era molto probabile che Napoleone intimasse loro di abbandonare la missione e rientrare rapidamente in patria: del resto l’Inghilterra non era l’unico obiettivo delle sue mire espansionistiche.
La mattina dopo Valentine e George, come da accordi presi la notte precedente, si recarono a cavallo fino alla Wheal Leisure e si addentrarono nella miniera, accedendo dalla parte più sicura, quella adiacente alla spiaggia. Valentine era elettrizzato e George, un po’ riluttante, essendo necessario aggirare la voragine che Despard e Ross avevano scavalcato per salvare i minatori feriti, guidò il figlio lungo un cunicolo laterale, raccomandandogli di non allontanarsi troppo perché dovevano sfruttare la luce naturale che penetrava dall’ingresso, non avendo altri mezzi per farsi luce. Valentine però notò che c’era una lanterna appesa ad una parete e propose al padre di accenderla. A George parve strano che la lanterna fosse rimasta in quel corridoio secondario, lontano dalla zona delle ultime estrazioni, ed ancora più strano che vi fosse ancora dell’olio all’interno e che lo stoppino sembrasse acceso di recente. Aveva dei cerini con sé, e riuscì ad accendere la lampada. Percorse insieme al figlio qualche altro metro, fino a trovarsi in una sorta di slargo, dove, con sorpresa ancora maggiore, George trovò un vecchio tavolo quadrato in legno, un paio di sedie rotte e qualche moccolo di candela. Il pavimento della miniera, a dispetto di tutto, sembrava pulito, come se fosse stato spazzato; o meglio, vi erano delle zone che sembravano più impolverate ed altre di colore più chiaro, come se fossero state coperte da qualcosa che poi era stato rimosso. Mentre Valentine curiosava tra le pareti di roccia e chiedeva a George di illuminare la zona per fargli guardare meglio, l’uomo calpestò qualcosa con il piede. Si trattava di un foglio accartocciato: George lo srotolò e riuscì a leggervi qualche parola in una lingua straniera, probabilmente francese, poi una serie di numeri di difficile interpretazione. Vi era un’unica parola inglese, di una località che George conosceva: Hendrawna.
“La spiaggia di proprietà di Ross Poldark” – mormorò  fra sé. Cosa aveva a che vedere Poldark con quella faccenda? E chi era entrato nella Leisure senza il suo permesso? Qualunque mistero vi fosse dietro, doveva scoprirlo.

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Capitolo 11
*** cap.11 ***


Ross remò senza sosta per ore, riuscendo a placare i morsi della fame e della sete grazie alle provviste che saggiamente gli amici gli avevano consegnato prima che partisse. Man mano però che il sole si alzava in cielo ed aumentava l’intensità del suo calore il coraggioso capitano, che non aveva la corporatura né la resistenza di Mark Daniel, cominciò a disperare della possibilità di raggiungere la Francia a bordo di quella fragile imbarcazione. La sensazione di stanchezza e di impotenza aumentò con il trascorrere delle ore, perché se di giorno era possibile riposare qualche minuto senza perdere la rotta, di notte non sarebbe stato possibile addormentarsi senza finire alla deriva.
Aveva già percorso due volte, ma su un battello più spazioso e sicuro, il tragitto da Inghilterra a Francia e ritorno, in occasione del salvataggio di Dwight. Non era però mai stato da solo, e per giunta nel viaggio di ritorno lui ed i suoi compagni d’avventura si erano giovati dell’aiuto prezioso del tenente Armitage, esperto navigatore. Cos’aveva spiegato quel maledetto damerino, quando li aveva riportati in Patria orientandosi senza bussola? Qualcosa a proposito del vento, ma Ross non riusciva a ricordarlo. Ebbe voglia di urlare la sua rabbia contro quell’uomo che aveva osato attentare alla virtù di sua moglie, una ferita che non sarebbe mai stata del tutto rimarginata nella sua esistenza; si rese conto però che non doveva sprecare inutilmente energie, ma restare concentrato.  
Si susseguì un altro giorno, poi un’altra notte; l’acqua ed il cibo erano quasi finiti, gli occhi gli si chiudevano dal sonno. Provato e stanco, Ross pensò che sarebbe stata davvero una fine ingloriosa quella di morire di stenti in pieno oceano, senza più poter abbracciare i suoi figli e rivedere il sorriso radioso di sua moglie… sarebbe morto senza poterle dire quanto era pentito, e lei, ignorando il suo dramma, lo avrebbe maledetto per il resto della sua vita… non voleva che fosse quello il suo destino; provò a lottare con tutte le sue forze, ma dopo un altro paio di bracciate la debolezza prevalse, Ross appoggiò i remi sugli scalmi e si accasciò stremato nella barca.
Trascorsero minuti interminabili. Ross non si avvide neppure della sagoma delle isole Scilly che era chiaramente distinguibile di fronte a lui. Per sua fortuna, il vento lo stava sospingendo nella giusta direzione.
La barca abbandonata in pieno oceano non potè non attirare l’attenzione di un bastimento che batteva bandiera inglese ed era a qualche miglio di distanza.
Appena le due imbarcazioni furono abbastanza vicine, dalla nave fu calata una  corda, e qualcuno urlò a gran voce, cercando di attirare l’attenzione dell’uomo, apparentemente privo di sensi. Ross si ridestò bruscamente, per un momento temette che la fine fosse vicina; quando vide però che la nave era inglese si rincuorò ed afferrò la corda che gli era stata lanciata, grazie alla quale fu issato a bordo.
Lo sforzo profuso per tirarsi su gli provocò uno svenimento. Quando si riebbe, per qualche minuto non sentì che un confuso brusio, delle voci che gli confabulavano intorno, una mano che gli passava sulla fronte un panno umido, qualcuno che gli sollevava il capo e gli avvicinava le labbra ad un contenitore pieno di acqua. Non riusciva a tenere gli occhi aperti; percepì soltanto che dal ponte veniva trasportato in una cabina, adagiato su una branda e lì, grazie al calore di una coperta ed al sollievo per le prime cure ricevute, crollò di nuovo in una sorta di dormiveglia.
Quando si svegliò, lo stomaco gli brontolava da morire. Su un tavolino basso accanto al suo giaciglio, oltre ad una brocca di acqua, notò che qualcuno aveva sistemato l’occorrente per un pasto completo: pane, formaggio, aringhe sotto sale, frutta. Ross mangiò avidamente, e ringraziò il cielo per avergli mandato quell’insperata ancora di salvezza. Tuttavia, doveva ancora appurare dove fosse diretta la nave a bordo della quale era stato accolto e chi ne fosse il comandante.
Grande fu la sua sorpresa quando la porta della cabina si spalancò e riconobbe l'artefice del suo rocambolesco salvataggio.
“Capitano Poldark!  Siete proprio voi! Allora non mi ero sbagliato, quando vi ho visto sul ponte, seppure ridotto ad uno straccio! Cosa diavolo ci facevate in pieno oceano a bordo di quella barchetta di pescatori?”
“Signor Trencrom! – esclamò Ross tendendogli la mano in segno di saluto  - quanto tempo è passato!”
Ross infatti aveva conosciuto Trencrom diversi anni prima. Nel  momento più nero vissuto dalla miniera, quando rischiava di finire in  bancarotta, Ross aveva accettato la proposta del contrabbandiere di mettergli a disposizione la spiaggia di sua proprietà quale base per gli sbarchi clandestini, in cambio di un corrispettivo, parte in denaro e parte in natura, che lo aveva salvato dalla disperazione in cui versava in quel momento, consentendogli di sfamare la sua famiglia. La casa di Nampara ancora portava i segni di quel patto: sotto il pavimento della biblioteca, abilmente celata da un tappeto, era stata realizzata una botola nella quale veniva nascosta la merce destinata al contrabbando.
“Già! – rise il panciuto contrabbandiere – abbiamo fatto ottimi affari insieme. Attualmente però ho abbandonato quel tipo di … commercio; mi dedico soltanto ad attività perfettamente legali! Sarà che con la vecchiaia sono diventato più prudente e non mi va di rischiare il collo! Non si guadagna nemmeno bene come un tempo… Ma voi?? So che siete diventato un uomo importante, un parlamentare, ho udito dire da gente di  Truro che la vostra miniera va a gonfie vele… come mai vi trovo moribondo in mezzo al mare, dentro un’imbarcazione di fortuna?”
Ross riflettè che non era il caso di mettere al corrente di troppi particolari il suo salvatore. Valeva la pena di confermare la versione dei cognati del finto rapimento, voce che probabilmente si era già diffusa e di cui Trencrom avrebbe avuto ampio riscontro una volta tornato in patria. Spiegò quindi che era riuscito fortunosamente a sfuggire ai suoi sequestratori e che la prima idea che gli era venuta in mente era stata quella di rubare una barca e sparire via mare; solo che non era stato in grado di orientarsi ed era finito troppo al largo.
Trencrom gli credette, o almeno diede l’impressione di avergli creduto, e, non dimentico dell’importante e leale sostegno che Ross gli aveva fornito, decise di aiutarlo, offrendosi di condurlo in Francia, dove la sua nave era diretta.
Ross infatti gli spiegò che per il momento non intendeva ritornare in Cornovaglia ma raggiungere sua moglie, che era ospite di una cugina a Lisbona. In tal modo si sarebbero calmate le acque ed avrebbe potuto scoprire, grazie ad amici rimasti in Cornovaglia, chi c’era dietro il suo rapimento.
Trencrom escluse di poterlo accompagnare fin laggiù; sbarcato a Roscoff, doveva ripartire immediatamente con un carico di merce per la Cornovaglia, che diversamente non gli sarebbe stato pagato, addebitandogli il ritardo nella consegna. Si disse però pronto a mettere a disposizione di Ross del denaro per il viaggio e a farsi carico, tramite qualche conoscenza al porto di Roscoff, di trovargli un mercantile che dalla Francia facesse rotta verso il Portogallo.
Ross potè quindi tirare un sospiro di sollievo: aveva salvato la vita, avrebbe raggiunto Demelza mettendo parecchie miglia di mare tra sé ed i suoi problemi. Almeno, così credeva…

 

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Capitolo 12
*** cap. 12 ***


Quando giunsero al porto di Roscoff, Ross aveva il cuore più leggero: grazie all’aiuto offertogli da Trencrom, ora la prospettiva di imbarcarsi per il Portogallo non era così lontana. Non doveva essere facile trovare una rotta diretta per Lisbona, ma dopo tanto peregrinare aveva l’obbligo di sperarci. Se poi malauguratamente non  fosse riuscito ad arrivare lì in tempo, aveva deciso di spendere anche tutta la sua fortuna pur di ritrovare sua moglie. Aveva già un piano in mente: dapprima avrebbe chiesto informazioni al porto, essendo difficile non notare una chioma lunga e rossa come quella di Demelza; se nemmeno così fosse riuscito ad ottenere informazioni, si sarebbe recato in Honduras, dal momento che Demelza, prima di partire, aveva fatto riferimento come sua destinazione proprio al paese in cui si trovavano la  vedova di Ned e la giovane figlia di Ralph Hanson. L’avrebbe girata in lungo e in largo, se necessario per ritrovarla, e l’avrebbe convinta a tornare con lui a Nampara; o magari avrebbero vissuto lì per sempre con i loro figli, chissà? In fondo l’importante era essere insieme!
Osservandosi allo specchio - anche se dopo essersi sbarbato aveva un aspetto più fresco ed i patimenti dei giorni precedenti sembravano svaniti dal suo volto - Ross pensò che non poteva affrontare quel lungo viaggio senza procurarsi qualche indumento di ricambio. In più, un inglese giunto in Francia e diretto in un altro paese europeo senza bagaglio avrebbe di certo insospettito qualsiasi armatore, e quello che più desiderava al momento era passare inosservato. Benchè quindi non fosse dell’umore giusto per fare spese, decise di sbarcare insieme a Trencrom e di cercare un emporio dove potersi munire dell’essenziale: almeno una camicia, un pantalone ed una borsa da viaggio. Grazie ai franchi offerti in prestito dal suo benefattore ed alla conoscenza di qualche parola in francese Ross compì gli acquisti che si era prefisso e si diresse insieme al vecchio complice nuovamente verso il porto, in cerca di notizie su qualche nave diretta in Portogallo. Dopo varie richieste cui avevano fatto seguito risposte negative, riuscirono a trovare una nave, la Paloma Blanca, che sarebbe partita nel pomeriggio per la Spagna, più precisamente per la Galizia. Da lì, gli avevano assicurato, Ross avrebbe trovato agevolmente navi dirette a Lisbona. I due si consultarono brevemente e Ross convenne che non c’erano alternative e che al momento quella che si prospettava era la migliore soluzione.
Dopo ampi ringraziamenti, saluti e la promessa da parte di Ross di ripagare quanto prima la generosità del contrabbandiere, il capitano Poldark rimase da solo ad attendere che si facesse ora di imbarcarsi sulla Paloma Blanca.
Nel medesimo porto, intanto, per un crudele scherzo del destino erano sbarcati anche i due uomini della banda di Lagrande, partiti qualche giorno prima dalla Wheal Grace con l’incarico di informare Bonaparte degli sviluppi negativi che mettevano a rischio il buon esito della missione. Avevano alloggiato in una locanda per la notte e si accingevano a proseguire il viaggio verso la capitale.
Trovarsi faccia a faccia proprio con Ross, l’uomo che reputavano responsabile di un vile tradimento e che il capo aveva dato l’ordine di uccidere, rappresentò quindi, per loro, un insperato colpo di fortuna e per Poldark  il fallimento delle sue rosee speranze.
Vedendo quelle due sagome avanzare verso di lui minacciose, Ross, che naturalmente li aveva riconosciuti, impallidì e per un attimo non seppe cosa fare. Fuggire, ma verso dove? I due francesi avrebbero avuto buon gioco nel farsi aiutare dai propri conterranei ad acciuffarlo, ed avrebbero potuto raccontare sul suo conto le peggiori fandonie senza tema di smentita. Decise di fare l’indifferente; in fondo lui non aveva fatto nulla di male e formalmente non doveva neppure essere al corrente di quanto avvenuto in Cornovaglia in sua assenza. Fu lui per primo, quindi, a salutare calorosamente i due uomini, facendo una battuta scherzosa sulla coincidenza che li aveva portati ad incontrarsi proprio lì.
I due francesi lo fissarono disgustati, e lo afferrarono per gli avambracci, sussurrandogli che non era proprio il caso di scherzare e che dovevano seguirlo. Lo trascinarono in un vicolo mentre Ross continuava la sua recita, fingendosi stupito del loro atteggiamento ostile. Se non altro, ottenne il risultato di far scoprire le carte ai suoi assalitori, che gli ripeterono, grosso modo, quanto già gli avevano riferito i cognati: che lui aveva tradito la loro fiducia denunciandoli agli inglesi; sospettavano anzi che si trovasse lì in Francia proprio come spia degli inglesi, per acquisire informazioni in più prima che gli abitanti di oltre Manica organizzassero una rappresaglia contro la Francia; che un simile voltafaccia meritava come punizione la morte.
Ross ovviamente negò con fermezza ogni accusa, spiegando che mai e poi mai aveva usato le informazioni in suo possesso contro gli uomini di Lagrande; che Tess aveva parlato per pura gelosia nei suoi confronti, essendo risentita perché lui aveva rifiutato le sue avances; che da Londra non aveva fatto rientro a Nampara e si era invece diretto in Francia  per motivi puramente personali, tanto è vero che stava per imbarcarsi per la Spagna.
I due, che non erano fini strateghi ma meri esecutori d’ordini, non si fidarono di lasciar andare via sulla parola quell’uomo. Lagrande era il loro capo, e Lagrande aveva dato l’ordine di eliminarlo. L’unica chance che potevano concedergli era di non farlo subito, tenendolo d’occhio fin tanto che avessero esposto direttamente a Bonaparte le sue ragioni. Se Poldark era nel giusto, ci avrebbe pensato il primo console a risparmiargli la vita.
Non ci fu verso di farli scendere a più miti consigli. Fu così che Ross, giunto ad un passo dal suo obiettivo, privato della propria libertà dovette seguire i due scagnozzi di Lagrande alla volta di Parigi.
****
Comodamente adagiato su una poltrona di chintz, intento a fumare con gusto il sigaro che il suo ospite gli aveva offerto, Ralph Hanson era raggiante come non mai. “Sono venuto a congratularmi con voi, mister Warleggan. Vostro nipote è stato davvero eccezionale. In un colpo solo, è diventato un eroe nazionale e per di più ha trovato la maniera di liberarsi una volta per tutte di quel borioso pallone gonfiato di Poldark”!
“Peccato però che quel miserabile sia sparito nel nulla…” commentò laconicamente Cary Warleggan, accarezzando il suo carlino.
“Beh, se ritornerà un bel cappio al collo non glielo toglie nessuno. La sua sfacciata fortuna questa volta non gli basterà. Stiamo parlando di alto tradimento alla Corona, vi rendete conto? Per quanto possa avere agganci in alto loco, nessuno si esporrà per salvargli la testa”.
“È proprio così – aggiunse l’altro - Lord Falmouth si è già defilato, sdegnato che il suo pupillo si sia reso responsabile di azioni tanto ignobili. Ugualmente sir Francis Basset. Anche i suoi vecchi amici… Treneglos, Tonkin, Pascoe… beh, forse Pascoe dopo tutto quello che Poldark ha fatto per lui non sarebbe capace di voltargli le spalle nel momento del bisogno, ma è evidente che nessun cittadino inglese può giustificare ciò che ha fatto Ross Poldark e schierarsi dalla sua parte”.
“Naturalmente! – continuò il ricco mercante - I francesi avevano un arsenale, vi rendete conto? Sovvenzionato dalla miniera di Poldark! Li hanno trovati sulla spiaggia di sua proprietà; erano nascosti come topi di fogna in una grotta scavata in una rientranza della costa: un posto che, da forestieri, non avrebbero potuto conoscere se qualcuno esperto del luogo non glielo avesse mostrato! Sicuramente erano giunti in avanscoperta per preparare il terreno ad uno sbarco più ingente. In loro possesso sono state trovate dettagliate mappe delle nostre coste e l’inventario delle forze a loro disposizione. Le loro intenzioni sono inequivocabili, ed ovviamente Poldark ne era al corrente…Un parlamentare, un ex soldato per giunta, che tradisce la propria Patria, che vergogna! Non mi sarei mai aspettato un simile comportamento da parte di uno che si ergeva a paladino dei giusti e degli onesti! Vostro nipote lo ha collocato finalmente al posto che merita.”
“Già; ed anche i pezzenti di cui abitualmente si circonda non potranno che rimanere delusi da questo comportamento. Mio nipote George ha sventato un attacco al cuore dell’Inghilterra e, soprattutto, ha protetto i nostri interessi di natura economica. È chiaro che la Corona lo ricompenserà con il Cavalierato. Informando subito i gendarmi dei suoi sospetti George ha consentito di far arrestare tutti i componenti della banda prima che mettessero in atto i loro piani criminosi. Sapete qual è l’aspetto che più mi diverte della vicenda? Che gli stessi francesi accusano Poldark di averli traditi!”
“Chissà , magari faceva il doppiogioco anche con loro... Peggio per lui a questo punto!” – affermò Hanson.
“Di certo il doppiogioco lo faceva con sua moglie! Caso strano, sparito Poldark è sparita anche quella popolana che negli ultimi tempi gli bazzicava sempre intorno. Evidentemente lo attraggono le donne di umili origini”.
“Probabile! – rise Hanson – Comunque io non credo affatto alla storia del rapimento che è sulla bocca di tutti in questi giorni. Per me Poldark ha fiutato il pericolo ed ha inventato questa panzana; si sarà nascosto da qualche parte con la sua amante per fuggire all’estero più in là, quando le acque si saranno calmate. Non credo siano già riusciti in questo intento, perché tutte la navi in partenza dall’Inghilterra e quelle salpate nei giorni scorsi e già arrivate a destinazione sono sotto controllo. Tutte le liste dei passeggeri verranno consegnate alle autorità. Me lo ha detto mio fratello Joseph. Ormai l’indagine è già in mano alla magistratura londinese”.
“Spero allora vivamente che i giudici facciano bene il loro lavoro, mister Hanson. È giunta l’ora che Poldark paghi per tutte le vergognose azioni commesse” – concluse lo zio di George sogghignando.
***
Dopo settimane di veglie intervallate da sprazzi di sonno agitato, per la prima notte Demelza riuscì  a riposare una notte tranquilla. Il dottor Barros aveva vistato Jeremy ed aveva trovato i suoi polmoni nettamente migliorati; le cure avevano fatto effetto, la febbre era calata, la tosse si era attenuata ed il piccolo malato era riuscito addirittura ad alzarsi in piedi e a fare qualche passo all’interno della camera, sorretto dalla madre. Anche Clowance ed il piccolo Andrew avevano ottenuto il permesso di salutare il malatino; la sorella, sempre attentissima alla forma, non aveva mancato di far notare che il colorito del fratello maggiore era spaventosamente pallido; ma l’abbraccio che gli aveva fatto al vederlo, senza neppure fare caso all’abitino che si spiegazzava, rendeva chiaro quanto fosse stata preoccupata per la salute di Jeremy.
Era domenica, gli animi di tutta la famiglia si erano rasserenati, Demelza aveva ritrovato il sorriso e a coronare la bella giornata era giunta una lettera dal figliastro di Verity, che annunciava che di lì a pochi giorni sarebbe tornato a casa per una licenza. Il giovane studiava in un’accademia militare, per diventare ammiraglio.
Demelza era sollevata per Jeremy, ma un tarlo le tormentava il cuore. Possibile che Ross non avesse ancora risposto alla sua lettera? Erano trascorse quasi due settimane da quando l’avevano spedita; forse un po’ poco affinchè giungesse anche la risposta, tuttavia da quando era partita da Killwarren Ross non le aveva scritto nemmeno una volta, e non era neppure arrivato a Lisbona come aveva giurato di fare. La donna cercava di dare delle spiegazioni a quel silenzio ed a quell’indifferenza, ma non ne trovava.
O meglio, l’unica spiegazione logica e razionale era che di lei e dei figli, a Ross, non importava più niente. Tutto veniva prima di loro: la miniera, il Parlamento, la rivalità con Warleggan, Tess….Finchè Jeremy stava male ed ogni suo pensiero era concentrato su di lui quei pensieri erano stati accantonati, ma ora erano tornati ad affacciarsi in tutta la loro veemenza. Ora che la salute del bambino non era più in pericolo era tempo di compiere delle scelte decisive: partire per l’America o tornare a casa. Prima che Jeremy si ammalasse Demelza era pronta a tornare sui suoi passi, ma la delusione patita per la freddezza del marito le aveva fatto cambiare idea.
Verity era stata fin troppo paziente e cortese; entro pochi giorni sarebbe arrivato James, il suo figliastro, ed era giusto che la famiglia Blamey godesse di quel momento di unità senza presenze estranee. Giusto il tempo di salutare il giovane e di aspettare che Jeremy recuperasse meglio le forze, pensò Demelza, e poi avrebbero lasciato il Portogallo affrontando quello che il destino aveva in serbo per loro.

 

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Capitolo 13
*** cap.13 ***


Cavalcarono per giorni, in sella a due cavalli , con Ross che a turno montava ora dietro all’uno ed ora dietro all’altro dei suoi sequestratori. Appena arrivavano ad una stazione di posta cambiavano i cavalli, giusto il tempo di comprare qualcosa da mettere sotto i denti e ripartivano, fino a sera inoltrata. Spesso trascorrevano la notte in rifugi di fortuna, con uno dei due sempre a fare da sentinella per evitare che Ross si desse alla fuga. Anche con questi ritmi serrati però la distanza tra Roscoff e la capitale era difficile da coprire, e dopo una settimana di viaggio erano solo a metà del loro cammino.
Ross schiumava di rabbia, ma doveva trattenere dentro tutto il suo livore, per timore che una sua reazione scatenasse conseguenze ancora peggiori. Cercava di parlare il meno possibile, consumava in silenzio i frugali pasti e provava a tenere mentalmente il conto dei giorni, per non perdere completamente il contatto con la realtà. A volte, per non impazzire di disperazione, diceva a se stesso che quella complicazione avrebbe soltanto ritardato la sua tabella di marcia, ma non gli avrebbe impedito di ritrovare Demelza e i bambini. Era fermamente convinto che nessuno, neppure Napoleone Bonaparte avrebbe potuto accusarlo di alcunché o trattenerlo contro la sua volontà.
Un giorno, giunti nei pressi di Alençon, i tre uomini si trovarono a dover attraversare il centro abitato , dove si stava svolgendo il mercato. Avanzando a passo d’uomo, la loro attenzione fu calamitata da uno strillone, un bambino di circa dieci anni che a gran voce, annunciando le ultime notizie, cercava di vendere un mucchio di giornali che reggeva sul braccio. Attorno a lui in poco tempo si era formato un capannello di gente. Il francese che cavalcava da solo, consultatosi con il compagno che portava in sella Ross, decise di scendere dall’animale e si avvicinò alla calca, per comprendere quale era la notizia di così grande interesse. Ross lo vide dunque acquistare uno di quei fogli e leggere avidamente la prima pagina. Quando ritornò vicino a loro, l’uomo guardò sconcertato il compagno e gli tese il giornale.
“Leggi. Si dice che Napoleone ha firmato la pace con gli inglesi”.
Il compare afferrò la copia, ed anche Ross diede una sbirciata, riuscendo a leggere solo il titolo “Paix signée avec Pitt, le Premier ministre britannique”.
Tirò un sospiro di sollievo. Se la pace era stata firmata, la missione di Lagrande non aveva più ragion d’essere, e così pure i sospetti su di lui, i suoi timori sulla possibile accusa di spionaggio in patria e non c’era più nemmeno l’impellenza di incontrare Bonaparte.
L’altro francese scese da cavallo, e i due leggevano testa a testa il quotidiano, si scambiavano occhiate e mormoravano monosillabi incomprensibili, ma parevano assai indecisi sul da farsi. 
“Mi sembra di capire che le nostre due nazioni abbiano raggiunto una tregua – suggerì Ross – a questo punto mi pare evidente che non vi è più motivo affinchè io vi segua a Parigi”.
I due non risposero. Evidentemente era proprio quella la ragione del loro tormento: non sapevano cosa fare del prigioniero.
“Non credo che nessuno potrebbe rimproverarvi di nulla se mi lasciate andare – continuò l’inglese – dopo il trattato di pace, anche i vostri compagni dovranno ritornare in Francia ed abbandonare l’idea di invadere la Cornovaglia. In ogni caso io non vi ho tradito e …”
“Silenzio!” – gli intimò uno dei due, che nel corso della lettura si era fatto più concentrato e nervoso. Poi lo fissò con rabbia: “Qui c’è scritto: “la pace giunge nel momento più opportuno, dopo che un gruppo di nostri connazionali è stato arrestato in Cornovaglia e condotto alla prigione di Bodmin , nei pressi di Truro, dopo la denuncia di un parlamentare inglese, con l’accusa di aver progettato una invasione delle loro coste. Il nostro ambasciatore sta negoziando la loro liberazione”.
“Un parlamentare inglese – esclamò l’altro – siete voi senz’altro! Bugiardo! Traditore!”
“Non sono certo io – si difese Ross – come avrei potuto farlo, se sono insieme a voi da giorni?”
“Il giornale non dice quando è stata fatta la denuncia. È probabile che ciò sia avvenuto parecchi giorni fa, quando voi eravate ancora a Londra. Osate negare ancora? – disse il primo dei due, sfoderando la spada. L’altro, per fortuna, lo fermò.
“Non serve a nulla, Joseph. Perché dobbiamo sporcarci le mani noi? Consegniamolo alla gendarmeria, sapranno loro cosa farne! Gli diciamo che lo abbiamo conosciuto in Cornovaglia e che è lui l’inglese che ci aiutava e poi ha tradito. Se, come sostiene è innocente, non avrà nulla da temere e lo libereranno. Se invece è colpevole…  che Dio abbia pietà della sua anima!”
***
James Blamey ritornò a Lisbona esattamente quattro giorni dopo l’arrivo della sua lettera. L’estroverso ragazzo annunciò il suo ingresso in casa nella maniera chiassosa di sempre: sollevò sulle braccia il fratellino, facendolo roteare in aria fino a fargli girare la testa; abbracciò calorosamente la matrigna e le stampò un bacio in fronte; cominciò a chiacchierare, senza fermarsi un minuto, raccontando tutte le peripezie del viaggio e lamentando di avere un tremendo dolore ai piedi, forse dovuto alle scarpe troppo strette. Proprio mentre l’esuberante giovanotto stava per raccontare alla matrigna di una notizia sconvolgente che aveva appreso durante il viaggio, Demelza fece capolino nel salone e salutò affettuosamente il ragazzo, che aveva conosciuto qualche anno prima, all’epoca in cui Verity era tornata a Trenwith per salutare la zia Agatha ed aveva scoperto di essere in attesa di Andrew.
“Oh! – fece James, visibilmente sorpreso – signora Poldark! Non immaginavo di trovarvi qui… ma… vostro marito è qui con voi? – chiese poi, visibilmente inquieto.
Fu Verity a rispondere per lei. “Demelza con i suoi bambini è nostra ospite da circa un mese. Ross non è qui. Andranno via fra qualche giorno, partono per il Nuovo Mondo, tu pensa!” aggiunse, ovviamente tergiversando sulle ragioni della mancata presenza di Ross e di quella serie di spostamenti.
“Ah!” – si limitò a replicare il figliastro, ma Demelza non potè fare a meno di notare che egli la fissava stranito, come se volesse aggiungere qualcosa, come uno che si stesse mordendo la lingua, indeciso se parlare o meno.
Demelza attribuì quell’imbarazzo al fatto di averlo involontariamente interrotto mentre stava per raccontare qualche episodio di natura personale a Verity;  il giovane aveva desiderio di trascorrere qualche giorno in famiglia in tranquillità e probabilmente la presenza sua e dei bambini in casa, inaspettata, lo aveva un po’ deluso. Trovò quindi un modo cortese per allontanarsi, portando con sé anche Andrew junior, che quella mattina non aveva ancora salutato Clowance e Jeremy ed era ansioso di leggere insieme a loro il libro di favole che il fratellastro gli aveva portato in dono.
Appena si furono allontanati, Verity, la quale pure aveva notato lo strano atteggiamento del figliastro, lo rimproverò per essersi mostrato così scostante con la loro ospite.
“Oh, madre, vi chiedo umilmente scusa per i miei modi inurbani, ma se voi sapeste! – rispose lui, prendendole le mani tra le sue - la signora Demelza è qui da un mese, avete detto? Possibile che non ne sappia proprio nulla?”
“Nulla di cosa, James?” – chiese Verity, allarmata.
“Si tratta proprio di quella notizia sconvolgente che ho appreso durante il viaggio, quella di cui vi volevo parlare quando vostra cugina ci ha interrotti…”
James si guardò intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno, si avvicinò poi all’orecchio di Verity e le sussurrò : “Vostro cugino Ross è ricercato dalle autorità perché è accusato di aver cospirato contro la Corona inglese, offrendo appoggio e sostegno ad un gruppo di militari francesi che con armi ed esplosivi stava progettando un’invasione della Cornovaglia!”
“Santo cielo, James! Non posso credere che mio cugino sia stato capace di tanto! Ne sei assolutamente sicuro?” – disse, a sua volta sottovoce, Verity.
Il ragazzo annuì. “Sono sicurissimo. La nave era piena di inglesi, qualcuno era partito da Sawle ed erano certi sia del fatto, sia del nome dell’inglese che era complice dei francesi. Ross Poldark, l’ho sentito chiaramente, con queste orecchie. E ho sentito anche che lui è scomparso, si parla addirittura di un rapimento, che però secondo alcuni è una messinscena… perciò mi sono preoccupato vedendo la moglie in casa vostra. Ho pensato che, approfittando della vostra generosità e tenendovi all’oscuro di tutto, egli si fosse rifugiato qui, mettendovi anche in pericolo per aver favorito la sua latitanza.”
“Mio Dio – fece Verity, tormentandosi nervosamente le mani – Ross un traditore, un ricercato dalla giustizia, un fuggiasco… mi sembra impossibile! E cosa facciamo adesso con Demelza? Le teniamo nascosta una cosa del genere, lasciando che parta per una destinazione così lontana? Oh, James, se tacessi credo che non potrebbe mai perdonarmelo!”
“C’è anche un’altra cosa che ho sentito: secondo alcuni Ross Poldark sarebbe scappato insieme alla sua amante, una donna del popolo che pure era coinvolta nella vicenda dei francesi, infatti anche lei è sparita, da prima che gli stranieri fossero arrestati. Non credo che la signora Poldark avrebbe piacere di essere informata di questo particolare… forse è anche meglio per lei se parte per l’America con i figli, senza venire a conoscenza delle nefandezze del marito!”
Verity restò in silenzio, pensierosa. E se fosse stata quella – ossia la scoperta del tradimento – la terribile ragione per cui Demelza aveva preso con sé i bambini e Prudie decidendo di abbandonare Ross e cambiare vita? E se Ross fosse stato davvero capace di fare la spia per i francesi, ed anche per tale motivo Demelza avesse opportunamente valutato di separare le proprie sorti da quelle del marito? Oppure Demelza non sapeva nulla di nulla, Ross era innocente e se lei avesse taciuto li avrebbe separati per sempre? Doveva assumere in brevissimo tempo una decisione di enorme responsabilità, e non sapeva proprio cosa fare….

 

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Capitolo 14
*** cap. 14 ***


Per fortuna Verity non era da sola a dovere sostenere il peso di una scelta così difficile. Suo marito Andrew aveva approfittato della licenza di James per dedicarsi qualche giorno solo alla famiglia: aveva differito ogni impegno di lavoro ed era rincasato poco prima di cena, nell’allegria generale.
Verity aveva raccomandato a James di non tradirsi dinanzi a Demelza, nell’attesa di prendere una decisione. Il ragazzo le aveva dato ascolto ed era stato molto più cordiale rispetto al suo arrivo; anzi, i due erano stati seduti accanto a cena e più volte Verity aveva visto la cugina ridere di gusto, contagiata dal buonumore del giovane cadetto.
Appena le luci della casa si spensero ed i due sposi furono nell’intimità della loro camera da letto la padrona di casa confidò al marito le sue preoccupazioni, raccontandogli per filo e per segno ciò che le aveva riferito James a proposito di Ross.
Il capitano, dopo aver ascoltato con attenzione il resoconto, fu categorico: non si poteva tenere  Demelza all’oscuro, lasciandola partire per l’America come se nulla fosse. Al tempo stesso, osservò che le notizie portate da James erano di seconda mano e bisognava verificarle attentamente prima di giungere a conclusioni affrettate. Anche lui aveva più volte conversato con Ross, ne aveva apprezzato l’onestà e la lealtà e non poteva credere a quel che si mormorava sul suo conto. Si offrì di recarsi lui stesso in Cornovaglia per saperne di più; vantava ancora qualche conoscenza in marina, oltre che tra le famiglie notabili del luogo, e poteva avere accesso ad informazioni più affidabili in merito alla vicenda. Nel frattempo Demelza avrebbe potuto fermarsi ancora a casa loro a Lisbona, tutto il tempo che fosse necessario, e dopo aver conosciuto la verità sarebbe stata libera di fare le proprie scelte.
Verity si strinse forte a suo marito, con il cuore più leggero, sollevata dal fatto che lui le sarebbe stato accanto nel momento della dolorosa rivelazione da fare alla cugina.
Così il mattino successivo, prima che i bambini si svegliassero, i coniugi Blamey cercarono Demelza chiedendo di poterle parlare in privato. Si chiusero in salotto, lontano da orecchie indiscrete e Verity, rompendo gli indugi, raccontò alla cugina ciò che James le aveva riferito il giorno prima. Non le nascose neppure i pettegolezzi riguardanti Tess, anche se li espose con tutto il tatto di cui era capace. Il marito la lasciò parlare e poi intervenne nel discorso offrendosi, come aveva proposto la sera prima, di recarsi personalmente in Cornovaglia per appurare quanto di vero ci fosse in quelle voci apprese da James nel corso del suo viaggio.
Udite quelle parole, a Demelza tornò alla mente ciò che Ross le aveva detto al molo di Sawle prima della partenza: “Tess è al corrente di qualcosa che mi riguarda, estremamente pericoloso, e devo tenerla buona affinchè non mi tradisca”.
Le attività dei francesi, la connivenza di Ross, la sua misteriosa sparizione e così pure quella di Tess: tutto sembrava più plausibile alla luce di quella frase.
Allora era vero! Ross aveva collaborato con i francesi, e Tess lo sapeva! Per questo lui era stato così attendista a fronte dei sospetti sul furto di rame! Tutti quei silenzi, quei sotterfugi, trovavano ora una spiegazione… Ross aveva giustificato le sue strane condotte dicendo che non voleva mettere a repentaglio l’incolumità della sua famiglia: alla luce della gravità dei fatti che erano emersi anche questo poteva essere comprensibile. Le sembrava difficile credere che Ross, che tutto era fuorché un codardo, fosse sparito poco prima che scoppiasse quello scandalo che lo coinvolgeva: poteva esserci lo zampino di Tess, il che non doveva per forza significare che fossero fuggiti insieme o avessero una relazione.
Per quanto fosse sconvolta da quelle rivelazioni, il suo cuore non riusciva a credere che l’uomo che aveva sposato fosse, come ritenevano i suoi accusatori, un fedifrago ed un gran bugiardo, capace di ingannare la sua famiglia e la sua patria. Il suo cuore sperava ancora di scoprire che Ross fosse vittima di un terribile equivoco e, soprattutto, che fosse stato sincero quando le aveva detto che l’amava.
Confidò dunque a Verity e a suo marito tutto quello che era accaduto prima della separazione: gli strani comportamenti di Ross, i sospetti su Tess, il trasferimento a Killwarren, il disperato tentativo di Ross di non farla partire, implorandola di fidarsi di lui nonostante tutto… quelle confidenze lasciarono ancora più interdetti i coniugi Blamey, perché, se le accuse a carico di Poldark non erano completamente campate in aria, egli correva davvero il rischio di subire una pena esemplare.
Se ne rese conto la stessa Demelza, che chiese ad Andrew di essere totalmente sincero: a cosa andava incontro Ross?
“Verrà sottoposto a processo… se le accuse saranno confermate verrà dichiarato colpevole… la pena dipenderà dalla maggiore o minore clemenza della Corte, ma in simili casi di solito viene comminata la pena capitale, la perdita di ogni titolo e grado e la confisca dei beni”.
Demelza rimase in silenzio, sconcertata non solo dalla gravità dei fatti che si imputavano a suo marito, ma dalle loro inevitabili conseguenze. Che la pena per i traditori fosse la morte riusciva ad immaginarlo, ma il resto non se lo aspettava. “La confisca dei beni? Volete dire che ci porteranno via tutto? Le terre, la miniera, Nampara?”
“In caso di condanna, purtroppo sì” – concluse l’uomo.
Il dolore che aveva patito nelle settimane precedenti era nulla in confronto all’angoscia che provava in quel momento. Non sapeva dove fosse l’uomo che amava, non sapeva nemmeno se lo avrebbe più rivisto, ed era consapevole che se lo avessero arrestato avrebbe pagato le sue colpe con la vita. Per quanto l’avesse ferita e delusa, ora era soltanto un uomo in pericolo, disperato. Che fosse solo oppure con Tess, ormai non le importava più. Avrebbe preferito saperlo felice con un’altra, ma salvo, piuttosto che nel braccio della morte, come era stato per mesi il povero Ned, fino alla sua terribile esecuzione. Provava anche tanta rabbia per l’incoscienza di Ross: possibile che non si fosse reso conto di cosa rischiava? E poi perché i francesi si erano rivolti proprio a lui? Aveva la netta sensazione che vi fosse stato in qualche modo costretto…
Tanti interrogativi erano ancora senza risposta ma Demelza, risoluta, decise che bisognava affrontare la situazione di petto.
“Non posso restare con le mani in mano e lasciare che Ross venga condannato – disse - È vero che finché lui è scomparso la condanna a morte non potrebbe essere eseguita, ma è altrettanto grave che gli portino via tutti i suoi beni, frutto dell’eredità paterna e del suo lavoro di anni. Non sarebbe giusto! Bisogna trovare un avvocato che lo difenda, che cerchi prove a suo favore; bisogna ad ogni costo evitare che lo condannino! E poi devo interpellare il banchiere di Ross, il sig. Pascoe, per sapere se c’è un modo per tutelare i suoi risparmi…devo tornare assolutamente a casa! Partirò insieme a voi, Andrew!”
“E i bambini?” – le domandò Verity.
“Verranno con me e Prudie, naturalmente. Li riporto a casa. Quello che è successo, vedete - anche se non sappiamo ancora con precisione cosa sia realmente accaduto -non è più solo qualcosa che riguardi Ross e me. È in gioco il futuro dei miei figli. Ho il dovere di combattere per riabilitare l’onore del loro padre, il cognome che portano, e per difendere tutto ciò che Ross ha costruito in questi anni. Le terre, la Wheal Grace, Nampara sono il mondo attuale di Ross, ma sono anche l’eredità di Clowance e Jeremy.  Non posso permettere che siano privati di tutto senza un giusto motivo… se Ross in questo momento non se ne può curare, devo farlo io che sono la loro madre.”
“Siete una donna ammirevole, Demelza. Sappiate che avrete tutto il mio appoggio; vi accompagnerò in Inghilterra e vi resterò fin tanto che ne avrete bisogno” – le disse Blamey stringendole le mani e deponendovi un lieve bacio in segno di ossequio.
“Non voglio sottrarvi a Verity ed alle vostre attività troppo a lungo, mio caro Andrew. Sarà sufficiente che mi riportiate a Sawle il prima possibile”.
“Come vi accennavo, possiamo metterci in viaggio domani stesso, di buon’ora. Condizioni del mare permettendo, saremo in Cornovaglia entro la prossima settimana”.
“Coraggio, Demelza – disse Verity, abbracciandola – non abbatterti! Abbiamo dato Ross per spacciato tante volte, ed altrettante volte lo abbiamo ritrovato più forte e baldanzoso di prima! Riuscirai a dimostrare la sua innocenza, ne sono convinta!”
“Lo spero proprio” – concluse la moglie di Ross, abbandonandosi tra le braccia della premurosa cugina.  

 

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Capitolo 15
*** cap. 15 ***


La gendarmeria di Alençon si trovava all’interno di un edificio basso, di colore grigiastro, ed era di dimensioni molto ridotte; vi era una stanza per le guardie, un’altra per l’ufficio del comandante, e nell’ultima erano state ricavate due celle per contenere i detenuti: segno evidente che i crimini più gravi che venivano commessi in zona erano furti di bestiame o di galline. Per fortuna di Ross, il capo della polizia era uno di quei classici funzionari di paese, ligi al regolamento ed all’osservanza delle procedure burocratiche, che parve piuttosto seccato di doversi occupare di quel caso che appariva da subito spinoso.
Fece raccogliere dai suoi sottoposti in un verbale le dichiarazioni dei due francesi, ma al di là di quelle e dell’articolo di giornale non c’era alcuna prova a carico di Ross. Nell’attesa di procurarsene altre, gli disse che avrebbe dovuto trattenerlo in custodia in una di quelle celle.
Ross decise allora di giocarsi il tutto per tutto, sfoderare tutta la sua astuzia e la sua sfrontatezza per tirarsi fuori d’impaccio. Sapeva che durante il periodo del Terrore in Francia vi erano stati processi sommari, condanne ingiuste, esecuzioni fin troppo facili. Sapeva anche che Napoleone, attuale primo console, era sensibile al tema della legalità, tanto che aveva incaricato degli esperti di redigere sia una nuova costituzione che il codice civile.
“Chiedo di poter fare anche io delle dichiarazioni, ma nella mia lingua - rispose – e voglio essere difeso da un avvocato che comprenda bene l’inglese. Inoltre, essendo un membro del Parlamento, chiedo che l’ambasciatore inglese in Francia sia immediatamente informato del mio arresto. Non vorrei che la pace da poco raggiunta tra i nostri due paesi venisse turbata da indagini poco accorte, svolte senza il rispetto delle dovute procedure. Vi avverto che se mi sarà riservato un trattamento illegittimo non lascerò correre, renderò la notizia di dominio pubblico, fino alla punizione di tutti i responsabili”.
Non si trattava di richieste usuali e non era neppure facile accontentare Ross; eppure le sue insistenze furono tante e tali che il gendarme dovette attrezzarsi e riuscì a trovare un difensore che conosceva abbastanza bene l’inglese e che gli poteva fare da interprete. Furono quindi messe a verbale anche le dichiarazioni di Ross: affermò che aveva effettivamente conosciuto quei due francesi in Cornovaglia, insieme ad un gruppo di altri connazionali, ma che non era lui il parlamentare inglese cui si faceva riferimento nell’articolo; che le dicerie a suo carico, riferite dai due uomini di Lagrande, erano state diffuse da una donna che un tempo lavorava come cameriera in casa sua e provava risentimento nei suoi confronti perché era stata licenziata: una donna ignorante e bugiarda, che aveva rubato e tentato di danneggiare la sua proprietà, e che lui e sua moglie non avevano denunciato per pura carità cristiana.
Ross spiegò che aveva lasciato in fretta e furia la Cornovaglia solo per ragioni personali, con l’intenzione di raggiungere la famiglia a Lisbona, dove viveva una cugina che gli era molto cara; aggiunse che prima di partire era stato a Londra per una seduta in Parlamento , ma non aveva avuto contatti con nessun altro e tanto meno con i servizi segreti inglesi, come avrebbe facilmente potuto dimostrare tramite numerosi testimoni. Il fatto che Lagrande e gli altri fossero stati imprigionati non era dunque opera sua.
In quel momento dichiarare che per vari mesi aveva dato il suo appoggio ai francesi avrebbe potuto giovargli per riacquistare la libertà, dipingendolo come un sostenitore della politica francese, uno che condivideva le medesime idee di chi ora voleva arrestarlo, ma Ross pensò che non fosse prudente rendere pubblica, in un atto ufficiale, la sua consapevolezza delle intenzioni dei francesi. Se quell’atto, per qualsiasi ragione, fosse giunto alla giustizia britannica sarebbe stata un’ammissione di colpevolezza utilizzabile contro di lui; adesso che i francesi erano stati arrestati, e sulla base delle maldicenze di Tess lo credevano un traditore, poteva anche darsi che Lagrande avesse deciso di trascinarlo sulla forca insieme a loro. Doveva negare, strenuamente negare.
Precisò quindi che, per quanto ne sapeva lui, quei francesi non intendevano affatto invadere le coste britanniche; li aveva incontrati un giorno sulla spiaggia di sua proprietà e gli avevano chiesto alcune informazioni sulle possibilità di commercio nel luogo, dal che aveva desunto che fossero mercanti; li aveva rivisti di tanto in tanto al porto o sulle coste, ma non aveva mai nutrito alcun sospetto nei loro confronti, pertanto neppure aveva motivo di denunciarli. Concluse che, se lo avessero trattenuto senza prove, da innocente, sarebbe scoppiato uno scandalo internazionale di enorme portata.
Il capo della gendarmeria, a fronte di quegli avvertimenti e soprattutto considerando che era stata raggiunta la pace mettendo fine alle lunghe ostilità fra Inghilterra e Francia, decise di togliersi dai piedi quel rompiscatole, che certamente gli avrebbe portato più grane che gloria. Così lo liberò, e cedette all’insistenza di Ross anche sotto un altro aspetto:  per non andare incontro ad ulteriori intoppi, l’uomo chiese che il gendarme gli consegnasse un lasciapassare con il quale potersi muovere all’interno del territorio francese.
Ottenuto ciò che desiderava, Ross si rimise subito in viaggio.
Era riuscito a procurarsi un cavallo, ma ciò che si proponeva non era facile: non conosceva le strade, e poi se voleva mangiare e dormire adeguatamente doveva fare delle soste, rischiando di terminare il denaro che gli aveva dato Trencrom. In teoria avrebbe potuto procurarsi un lavoro, magari dando aiuto a qualche contadino, oppure come tuttofare in qualche officina, ma avrebbe solo perduto tempo prezioso e non sarebbe mai riuscito a guadagnare rapidamente la somma necessaria per pagare il viaggio in Portogallo.
Una sera, esausto, si era fermato in una locanda ed aveva consumato la prima cena decente da giorni. L’oste era un uomo allegro e gioviale e Ross si sentì ispirato dal chiedergli aiuto per reperire un po’ di denaro. Costui però non aveva bisogno di servitori e non conosceva nessuno nei dintorni che potesse offrire a Ross un’occupazione.
Scoraggiato dal fallimento di quel tentativo fece per ritornare al suo tavolo, ma un uomo attempato, ben vestito, che poco prima stava sorseggiando un bicchiere di vino accanto al bancone, gli si avvicinò, parlandogli nella sua lingua.
“Perdonatemi, siete inglese, vero? Ho sentito che avete bisogno di un lavoro. Posso chiedervi come mai? Mi sembrate un uomo di una certa posizione e non un manovale”.
Ross non aveva intenzione di dare troppe spiegazioni e si limitò a rispondere che nel corso di un viaggio di affari era stato derubato dei suoi averi da alcuni briganti, che aveva necessità di imbarcarsi al più presto per il Portogallo e stava cercando di reperire le risorse per il viaggio.
“Che combinazione! – rispose il vecchio – anche io e mia nipote - e così dicendo indicò con la mano una fanciulla seduta in fondo alla sala - ci stiamo recando sulla costa occidentale, a Quimper, per imbarcarci per la Spagna! Vedete, Mireille ha sedici anni, e da poco ha perduto sua madre, mia nuora, che era di origine spagnola; io sono il suo unico parente vivente in Francia, e non voglio che una ragazza giovane e bella come lei appassisca giorno dopo giorno insieme ad un vecchio come me! La sto accompagnando in Spagna, dove potrà vivere con i suoi zii, i fratelli della sua povera madre, cui è molto legata. Viaggiamo con una carrozza e potremmo darvi un passaggio fin là; dietro qualcosa in cambio, è ovvio”.
Ross lo scrutò. Gli sembrava un uomo perbene, e si domandò cosa potesse pretendere in cambio da lui, che ben poco aveva da offrire in quel momento.
“Come voi stesso avete vissuto sulla vostra pelle – proseguì l’uomo – questa zona è infestata dai briganti, il viaggio è lungo ed io sono troppo anziano e debole per proteggere la mia Mireille. Lo stesso il mio cocchiere, un uomo fidato che lavora da decenni alle mie dipendenze. Voi mi sembrate un uomo sveglio: potreste farci, per dire così, da guardia del corpo durante il viaggio; arrivati a Quimper poi ognuno prenderà la sua strada. Ho con me un paio di pistole, mi auguro che le sappiate usare in caso di bisogno.”
Dopo tutto quello che aveva passato Ross era diventato sospettoso, ma a conti fatti non aveva grandi possibilità di scelta e quel passaggio in carrozza costituiva un aiuto insperato.
“In effetti in gioventù sono stato un soldato, me la cavo a maneggiare sia la pistola che la spada – rispose – potrei anche accettare la vostra proposta, monsieur….?”
“Lorrain. Alphonse Lorrain – rispose quello, tendendogli la mano – avvocato in pensione. E quella è Mireille, la figlia del mio Claude, morto dieci anni fa nel corso dei disordini successivi alla rivoluzione. Mireille è la mia unica nipote, la luce dei miei occhi… ma venite, ve la presento. Anche Mireille conosce l’inglese, sapete? Ha studiato sia la vostra lingua che lo spagnolo, oltre al francese, naturalmente. È una ragazza molto colta ed intelligente, ve ne accorgerete presto.”
Era un fiume di parole, l’avvocato Lorrain, e Ross pensò che non si sarebbe annoiato durante il viaggio con lui. Appena si avvicinarono al tavolo la nipote alzò lo sguardo e Ross si trovò di fronte una delle più belle ragazze che avesse mai visto. Una cascata di morbidi riccioli castani incorniciava un visino perfetto, con grandi occhi verdi, ciglia da cerbiatta, labbra carnose e denti bianchissimi. Compunta nel suo abito nero da lutto, una volta fatta la presentazione la fanciulla gli rivolse un cenno di saluto calando il capo. Era meno loquace del nonno, ma comunque affabile, e non si mostrò troppo sconcertata dall’idea di dividere la carrozza con uno sconosciuto.
In realtà, durante il percorso ci fu modo di approfondire molto la conoscenza. Il vecchio non perdeva occasione per raccontare episodi della sua vita, ed il tutto fu interessante poiché consentì a Ross di conoscere tramite le parole di un osservatore privilegiato fatti storici di grande rilievo come la rivoluzione francese, che era scoppiata circa un decennio prima. Ross stesso raccontò parecchio di sè: la partenza per l’America, le infauste battaglie contro i rivoluzionari, il ritorno in Cornovaglia, la passione per le miniere, l’ingresso in politica, omettendo soltanto i trascorsi dell’ultimo periodo.
Mireille, da brava adolescente, era più interessata agli aspetti romantici delle storie e chiese a Ross se avesse moglie e figli.
Ross, senza scendere in troppi particolari sul modo in cui si fossero conosciuti, raccontò di Demelza e dei loro due figli… anzi tre, contando la piccola Julia, e della loro vita insieme. Omise le ragioni per cui erano, negli ultimi tempi, separati e dipinse la loro vita insieme come serena e ricca di soddisfazioni.
L’avvocato si congratulò, osservando che la famiglia era la ricchezza più importante per un uomo; aggiunse che sua nipote era ormai in età da marito ed avrebbe voluto che in Spagna trovasse un bravo giovane che si prendesse cura di lei e la rendesse felice: solo così avrebbe potuto morire tranquillo.
Trascorsero così vari giorni, tra amene conversazioni e allegre mangiate e  bevute lungo il percorso, per fortuna senza alcun assalto di briganti e senza nessuna complicazione, finchè monsieur Lorrain, sua nipote e Ross giunsero a Quimper.
Pioveva e c’era ben poca gente in strada. Ross aiutò il cocchiere a scaricare tutti i bagagli di Mireille e di suo nonno, mentre costui suggeriva di cercare qualche anima viva per avere informazioni sul luogo e sull’orario dell’imbarco.
Ad un tratto Mireille si sentì tirare la mantella. Una giovane donna, coperta di stracci, con i capelli talmente sporchi da sembrare unti, le chiese la carità. La ragazza infilò la mano nella propria borsetta di stoffa e ne tirò fuori un paio di spiccioli; ma la mendicante, anziché prenderli, fissandola con occhi spiritati le afferrò un polso e la trasse leggermente in disparte. “L’uomo che è con voi, quello giovane… è un inglese?” – domandò.
“Sì – rispose esitante Mireille – ma perché me lo domandate?”
“Ha fatto crescere la barba, si è legato i capelli in un codino, come va tanto di moda adesso, ma è lui, lo riconosco: è Ross Poldark  – mormorò la donna in inglese, non immaginando che Mireille comprendesse la lingua, e poi aggiunse, in francese: Quell’uomo è un criminale! Il porto è pieno di guardie che lo stanno cercando!”
Mireille rimase a bocca aperta fissando quella strana donna dallo sguardo malvagio che accusava Ross con tanta sicumera; intanto Ross e suo nonno l’avevano raggiunta per chiederle se ci fosse qualche problema. La ragazza esitò, ma fu ancora più sbalordita nel vedere il capitano Poldark e la mendicante scambiarsi reciprocamente uno sguardo carico di odio.
“Cosa ci fai qui?” – le chiese lui.
“Lo stesso potrei chiedere io a te, Ross. Chi è questa graziosa bambolina? Come mai sei insieme a lei e a questo vecchio? Sanno che cosa hai combinato, o devo spiegarglielo io?”
“Io non ho fatto nulla Tess, tu lo sai bene, se i francesi credono che li abbia traditi è solo colpa tua! Ti farò tirare fuori tutta la verità, maledetta!”
Tess gli rise in faccia. “Quello che io ho riferito a Lagrande non ha niente a che vedere con i tuoi problemi attuali! Quell’idiota, pensando che tu avessi già avvertito i servizi inglesi, ha spostato tutto il materiale sulla tua spiaggia, Warleggan non so come li ha scoperti, ed ora sei accusato di alto tradimento alla Corona! Hanno messo una taglia sulla tua testa, e qualcosa mi dice che sarò io a guadagnarla.”
Come un puzzle che si ricomponeva, Ross comprese che la menzogna di Tess aveva dato l’innesco a qualcosa di molto più grande e pericoloso.
“Vorrei tanto sapere come diavolo hai fatto a fiutare il pericolo prima di tornare a Sawle! Comunque, da quando si è diffusa la notizia del tuo tradimento, tutti i porti della zona sono vigilati, ci sono guardie inglesi ovunque, dove credi di andare? Appena ti avvicinerai ad una nave ti arresteranno… a meno che io non ti denunci prima! Quando mi sono imbarcata come clandestina su una nave e sono venuta qui in Francia speravo di poter avere una vita migliore; ma purtroppo avevo fatto male i miei calcoli, nessuno vuole dare lavoro ad una straniera, ed io sono più povera di prima! Tu sei la mia grande occasione per cambiare vita e non me la lascerò sfuggire!”
Così dicendo, la donna corse via sotto la pioggia e sparì dalla loro vista dietro alcuni palazzi.
Ross sapeva che avrebbe dovuto dare qualche spiegazione ai Lorrain, che avevano sentito e compreso tutto, ma era talmente sconsolato che le parole gli si spezzavano in gola. Era arrivato ad un passo dalla meta, e di nuovo il mondo gli crollava addosso.
Immaginava che l’avvocato fosse molto contrariato nei suoi confronti, ma in realtà Lorrain continuava ad osservarlo con la sua solita espressione bonaria.
“Allora, capitano Poldark, non credo che abbiamo molto tempo a disposizione, vista la furia con cui quella donna se l’è data a gambe… se non ha mentito, tornerà a breve in compagnia di qualche gendarme. Non credete che sia l’ora di raccontarci la verità sulla vostra storia?”

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Capitolo 16
*** cap. 16 ***


Quando Tess, accompagnata da due guardie, giunse nel punto in cui si era precedentemente imbattuta in Ross, non trovò né lui, né il vecchio né la fanciulla. I militari perlustrarono la zona circostante pensando che il ricercato non potesse essere andato lontano; Tess raccomandò di fare il suo nome per la ricompensa, nel caso lo avessero trovato, ma di Ross sembrava essere sparita ogni traccia. Conclusero che era inutile affannarsi troppo, perché agli imbarchi erano previsti stringenti controlli: se quell’uomo era a Quimper, non sarebbe andato da nessuna parte senza essere acciuffato.
Intanto la pioggia era terminata e la cittadina francese sembrava aver ripreso vita. I passanti si aggiravano tra le botteghe, i lavoranti del porto vociavano presi dalle loro attività, mentre alcuni soldati inglesi in giubba rossa, con i moschetti sulle spalle, percorrevano avanti e indietro le vie di accesso al porto. Solo un paio di navi stazionavano nella baia ed un altro paio, da poco partite, ancora si intravedevano all’orizzonte.
Tra i passeggeri in attesa dell’imbarco vi erano anche l’avvocato Lorrain e Mireille. L’uomo aveva appena congedato il fidato cocchiere consegnandogli una lettera, raccomandandogli di spedirla al fratello di sua nuora in Spagna. Lorrain conversava amabilmente con la nipote, ma ogni tanto volgeva lo sguardo intorno a sé con circospezione. Per fortuna non avevano più incrociato la sudicia stracciona che aveva inveito contro Poldark.
Finalmente giunse l’ora di salire a bordo; Lorrain lasciò le sue generalità a due ufficiali, come gli veniva richiesto, giustificò le ragioni del loro viaggio ed acquistò il biglietto per sè e sua nipote. Una volta a bordo, chiese al capitano dell’imbarcazione di poter subito prendere posto in cabina poiché la nipote era molto provata dal lungo tragitto. Ottenuta risposta positiva, Lorrain si avvicinò all’orecchio della fanciulla e le sussurrò: “Mi raccomando, Mireille! La rapidità è fondamentale!”.
La ragazza gli strizzò l’occhio. Si diressero alla cabina assegnata; due facchini depositarono i bauli della ragazza al centro della stanza e l’avvocato, elargita loro una generosa mancia, li accompagnò alla porta, dicendo alla nipote che poteva riposare tranquilla mentre lui sgranchiva un po’ le gambe. Appena la porta fu chiusa alle spalle del nonno, Mireille si diresse rapida verso uno dei bauli e ne sollevò il coperchio, guardando al suo interno. “State bene, signor Ross?” – sussurrò.
Da un mucchio di pizzi e trine emerse il capitano Poldark. “Sto benissimo, grazie, anche se continuo a non capire il piano di vostro nonno. E mi rincresce moltissimo che abbiate dovuto rinunciare a parte dei vostri abiti e al viaggio in Spagna cui tenevate tanto per aiutare me…”
“Non preoccupatevi – rispose dolcemente la fanciulla – ci sarà tempo per rivedere i miei zii. Il nonno ha scritto loro una lettera per avvisare di questo nostro … cambio di programma. Quanto agli abiti, ne avevo portati fin troppi; e avrò una scusa per farmene regalare di nuovi dal nonno, quando saremo arrivati a destinazione! Voi non lo conoscete, ma quando si mette un’idea in testa è difficile farlo ragionare…”
“Penso di averlo intuito – sorrise Ross – per una volta, posso dire di aver trovato qualcuno ancora più testardo di me!”. Poi, tornando serio, aggiunse: “Eppure mi sento in colpa. Sono accusato di crimini molto gravi, e per giunta sto viaggiando da clandestino su questa nave. Dandomi aiuto, state rischiando molto anche voi…”
“Sciocchezze – commentò Mireille – il nonno sa quello che fa. Se ha accettato di assumere la vostra difesa vuol dire che è sicuro di sé. E’ da poco che vi conosciamo, ma mio nonno ha un sesto senso, riesce a capire subito di chi può fidarsi e di chi no, ed in genere la sua prima impressione è sempre quella giusta. E poi io sono contentissima di poter visitare la Cornovaglia! In questa stagione com’è il clima?”
“Credo che sia il periodo dell’anno migliore per scoprire le bellezze della Cornovaglia, Mireille. Anche se in Spagna avreste trovato più caldo, senz’altro… e così sarebbe stato pure in Portogallo…”
“Non vi crucciate, capitano – disse Mireille, vedendo Ross incupirsi – il nonno vi ha spiegato che non c’era altra soluzione. La priorità adesso è farvi scagionare da ogni accusa; tornerete da vostra moglie da uomo libero. Certo che quella donna, quella Tess, è proprio malvagia! Spero che venga arrestata e che sia chiusa in prigione fino all’ultimo dei suoi giorni!”
“Eppure, grazie a Tess sono stato messo sull’avviso ed ho evitato di presentarmi al porto, dove mi avrebbero arrestato”- dovette ammettere Ross.
“Adesso però dovete essere ubbidiente, fare il bravo, stare nascosto per bene finché non saremo arrivati in Inghilterra. Io e il nonno cercheremo di trovare il modo di farvi arrivare da mangiare. Potremmo anche fingere che io o lui stiamo male e farci portare il cibo in camera…”
“Sicuramente vostro nonno avrà pensato anche a questo – osservò Ross – anche se la parte del piano che mi spaventa di più è lo sbarco… le fessure che abbiamo aperto nel baule mi consentono di respirare, ma se qualcosa dovesse andare storto…”
Mireille scosse la testa. “E’ probabile che la polizia inglese vi creda ancora in Cornovaglia, perciò i controlli in entrata saranno più blandi di quelli in uscita. In effetti avete ragione, è piuttosto folle che un potenziale condannato a morte rientri nel paese dal quale è riuscito fortunosamente a scappare! Ma se il nonno vi ha consigliato così, vuol dire che è la cosa più opportuna da fare”.
Lupus in fabula, in quel momento Lorrain bussò alla porta. Ross si nascose dietro una porta che dava in una camera adiacente, mentre Mireille andava ad aprire. L’avvocato fece il suo ingresso nella stanza, visibilmente su di giri.
“Che avventura emozionante! – esclamò – grazie a Poldark, ne avrò da raccontare ai posteri! Dov’è andato? Mireille, fallo venire subito qui.”
Mireille andò a chiamare Ross e l’avvocato lo invitò a sedersi ad un tavolo. Con carta, calamaio e piuma d’oca davanti, iniziò a prendere appunti sulla base di quanto Ross gli riferiva, arricchendo di particolari la breve sintesi che l’inglese gli aveva fatto dopo che era comparsa Tess.
Il vecchio avvocato era rimasto così colpito da quella storia che aveva deciso, su due piedi, di difendere Ross dalle accuse che gravavano sulla sua testa. Per farlo, ovviamente, doveva esaminare i documenti ufficiali in possesso degli inquirenti ed acquisire delle prove a discarico, il che implicava la necessità di andare in Cornovaglia, e Ross con loro; essendo ricercato però avevano dovuto caricarlo a bordo nascosto all’interno di uno dei bauli di Mireille, e per il momento tutto era andato secondo i piani.
Discussero a lungo della strategia processuale; l’avvocato strigliò ben bene Ross per il suo comportamento sconsiderato, non tanto per l’aiuto offerto ai francesi ma per la fuga precipitosa dall’Inghilterra, che rischiava di metterlo in cattiva luce con i giudici, suonando quasi come una ammissione di colpevolezza. Per questo aveva insistito molto affinchè Ross tornasse in patria e la smettesse di crogiolarsi nelle sue idee romantiche di inseguimento della moglie, pensando piuttosto a salvare il collo ed il proprio patrimonio: “Altrimenti, come pagherete il mio onorario?” – aveva scherzato Lorrain.
Ross era molto amareggiato per la mancata partenza per Lisbona, ma dopo aver compreso che la sua situazione legale era ancora più complicata di quello che temeva quando aveva lasciato la Cornovaglia aveva deciso di affidarsi ai consigli di quell’eccentrico avvocato. Gli aveva riferito di aver trattato molti processi in cui le accuse erano per crimini di tipo politico e gli sembrava uno che sapeva il fatto suo. Del resto, un avvocato inglese avrebbe potuto essere più prevenuto nei suoi confronti rispetto a quello straniero, che almeno era onesto, non vantava conoscenze negli ambienti che contano e non poteva essere uno strumento nelle mani dei suoi numerosi nemici.
Dopo aver confabulato a lungo, i due Lorrain lasciarono Ross da solo recandosi a cenare, e ritornarono dopo circa un’ora, con un cesto di frutta.
“Per oggi siamo riusciti a procurarci solo questo – si scusò l’uomo, mentre Ross si serviva – ma domani mattina ci faremo consegnare una ricca colazione in camera. Abbiamo trascorso una piacevole serata, sapete? Non ci sono molti altri passeggeri a bordo. In realtà, siamo stati fortunati: abbiamo scoperto che questa nave ha fatto scalo a Quimper per puro caso, per colpa di un’avaria, altrimenti avremmo dovuto attendere domani sera per trovare un’altra nave per Falmouth. In sala abbiamo conosciuto una vostra conterranea veramente deliziosa, una persona garbata e spiritosa, una donna davvero affascinante. Aveva un nome molto strano, vero Mireille? Com’è che si chiamava, la signora? Romilda? Zelda?”
“Demelza, nonno”.
Il cuore di Ross, all’udire quel nome, saltò un battito.
“Come avete detto?” – disse Ross balzando in piedi.
“Demelza” – ripetè Mireille scandendo bene le sillabe.
“Com’è fatta fisicamente quella donna? Ditemelo!” – la incalzò Ross.
“Ha i capelli lunghi più o meno come i miei, mossi, di colore rosso…” – rispose Mireille, e Ross non le diede il tempo di completare la descrizione.
“E’ mia moglie! Santo cielo, mia moglie è su questa nave!” – esclamò Ross pazzo di gioia rivolto all’avvocato– “ma com’è possibile?”
“Siamo a bordo della Esmeralda, capitano, una nave che svolge il servizio postale tra Portogallo e Gran Bretagna. Il capitano è il cugino della signora Demelza, a quanto ho capito. La signora sta tornando in Cornovaglia. Evidentemente vi ha perdonato, non è affatto partita alla volta del Nuovo Mondo come sospettavate!” – replicò Lorrain.
“Ma certo, è la nave di Andrew Blamey, il marito di mia cugina Verity! Vi prego, informatevi e fatemi sapere qual è la cabina in cui alloggia Demelza. Devo vederla, parlare con lei, spiegarle tutto….”
Lorrain scosse la testa. “No, Ross, non fate altre sciocchezze. È pericoloso. Voi ufficialmente non siete su questa nave, ed anche se il comandante è vostro parente non potete mettere a rischio la sua carriera e la sua reputazione per coprire voi, nel caso qualcuno si accorgesse della vostra presenza.”
“Però, nonno – obiettò Mireille – se non è prudente che il signor Poldark esca da questa cabina, possiamo sempre con una scusa invitare la signora Poldark a venire qui…”
“Anima innocente! – sbottò l’anziano – se la signora Poldark entrerà in questa stanza, puoi star certa che io e te ci troveremo senza un posto dove andare a dormire!”
Ross, imbarazzato, arrossì fin sopra i capelli.
“Vi scongiuro, avvocato, comprendo le vostre perplessità, ma non potete pretendere che resti tranquillo e beato sapendo che Demelza è a pochi passi da me! Avete detto voi stesso che ci sono pochi passeggeri sulla nave. Vi prometto che non sarò avventato e soprattutto, accada ciò che accada, non farò assolutamente il vostro nome”.
“Caro Ross, non cercate di tenermi fuori perché ormai sono in ballo e continuo a ballare! Se proprio insistete con questa pazzia, cerchiamo almeno di organizzarla per bene! Allora… “ – e così dicendo l’avvocato cominciò a pianificare ruoli e compiti di ciascuno.
Demelza era già in camicia da notte quando sentì bussare alla porta. Si chiese meravigliata cosa potesse volere da lei a quell’ora quella ragazza francese conosciuta poco prima. Mireille si scusò dell’intrusione, e le disse che aveva un messaggio importante da parte di suo nonno, che le raccomandava di non fare parola con nessuno, né con il capitano Blamey, né con i suoi figli, né con la governante, di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
“Non capisco…”- disse Demelza.
“So che non mi capite, signora Poldark, ma fidatevi di noi.”
“Come mi avete chiamato? Sono certa di non avervi detto il mio cognome prima!”
“Non me lo avete detto voi, ma vostro marito– le sussurrò Mireille all’orecchio – è qui, su questa nave, e basta che voi mi diate un cenno, lo vedrete coi vostri occhi.”
“Ross…- balbettò Demelza – è qui, sta bene…”
“Si, sta bene, ma non ho tempo di spiegarvi altro. Dobbiamo fare presto, prima che arrivi qualcuno nel corridoio. Volete incontrarlo o no?”
“Sì, Giuda, sì!” – esclamò Demelza con le lacrime agli occhi, mentre Mireille agitava un fazzoletto in aria. Dall’altro capo del corridoio Ross si avvicinò rapido, si introdusse nella cabina di Demelza e richiuse la porta alle sue spalle, mentre Mireille si allontanava, soddisfatta di aver portato a termine la sua missione.
Dopo un attimo in cui era rimasto impietrito dall’emozione a fissare sua moglie, Ross l’aveva stretta in un abbraccio da togliere il fiato, e le aveva sussurrato “Demelza, quanto mi sei mancata…”
Anche lei avrebbe voluto confessargli che le era mancato, ma era ancora arrabbiata e troppo orgogliosa per farlo; inoltre tante domande meritavano una risposta: cosa ci faceva Ross a Quimper? Chi erano quei due con cui viaggiava? Cosa era accaduto davvero in Cornovaglia? Cosa intendeva fare adesso?
Ai suoi tentativi di sapere qualcosa di più, il marito replicò: “Ti racconterò tutto, ma non ora. Dopo tutto il tempo che siamo stati lontani e la paura di non rivederti mai più, non ho voglia di parlare. Prima di tutto ho bisogno di sentirti mia” – le bisbigliò, stringendola per la vita.
Ogni resistenza di Demelza crollò a fronte di quel tono di voce implorante e dello sguardo irresistibilmente sensuale con cui suo marito la fissava.
“Oh, Ross…” – mormorò, cingendogli il collo con le braccia e poggiando la testa sul suo petto.
Con quel gesto Ross ebbe la certezza che sua moglie non lo avrebbe respinto. Delicatamente insinuò le sue mani sotto la camicia da notte di Demelza, reclamando ciò che gli apparteneva e di cui da troppo tempo era stato privato.

 

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Capitolo 17
*** cap. 17 ***


“Non avresti dovuto farlo, Ross” – sussurrò Demelza mentre intrecciava tra le dita i ricci bruni del marito, che avevano appena terminato di mescolarsi ai suoi nella piacevole danza dell’amore.
“Non avrei dovuto fare che cosa? – rispose lui con un sorriso da canaglia, intervallando ogni frase con un bacio sulle labbra – introdurmi di notte come un ladro nella tua cabina? Infilarmi nel tuo letto? Costringerti a fare l’amore con me?”
“Sei uno sciocco! – replicò lei, tirando più su il lenzuolo che avvolgeva entrambi – sai bene a cosa mi riferisco… e comunque – aggiunse con un pizzico di amarezza nella voce – non mi hai costretto, anche io lo desideravo… sebbene, come ti dissi prima di partire, non si può risolvere tutto in questo modo…”.
Ross la guardò un po’ risentito: “Non avevo la presunzione di poter risolvere tutto solo grazie alla passione; ma ci sono cose che non avrei potuto spiegarti a parole … volevo farti sentire anche fisicamente che non è passato giorno da quando te ne sei andata senza che abbia pensato a te, a come raggiungerti… ero disperato al pensiero di doverti rincorrere fino in Honduras!”
“Non sarebbe successo se tu non ti fossi unito ai francesi e non mi avessi tenuta all’oscuro di tutto! – lo rimproverò la donna – è questa la tua idea di amore e di fiducia? Giuda, Ross, siamo già stati più volte sul punto di distruggere il nostro matrimonio per colpa di slealtà e bugie, con mancanze sia da parte tua che da parte mia… io la lezione l’ho imparata, ma non si può dire lo stesso di te!”
“Chi ti ha detto dei francesi?” – le domandò Ross.
“Il figliastro di Verity. È arrivato in licenza giorni fa; sul bastimento su cui viaggiava ha sentito dire che tu eri accusato di alto tradimento per aver stretto alleanza con dei francesi che progettavano un’invasione delle nostre coste e che eri sparito, forse insieme alla tua amante. Stavo per partire davvero per l’America, Ross, ma poi quando ho appreso queste notizie mi sono detta che non potevo lasciare che ti condannassero, che confiscassero i tuoi beni, che il cognome dei tuoi figli fosse disonorato! Perciò ho deciso di tornare a Nampara e Andrew si è offerto di accompagnarmi con la sua nave. Prudie e i bambini dormono nella camera a fianco.”
“Come stanno? Non vedo l’ora di riabbracciarli!”
“Jeremy è stato molto male in Portogallo, ha avuto la polmonite… ti avevo anche scritto in proposito, ma temo che tu non abbia mai ricevuto quella lettera. Ho avuto molta paura per lui, davvero”.
“Mi dispiace tantissimo che tu abbia dovuto affrontare tutto questo da sola. Non accadrà più, amore mio!” – promise Ross baciandola teneramente.
Demelza sollevò un sopracciglio. Aveva sentito già altre volte quella promessa ed era certa che, per quanto Ross lo desiderasse, la sua fame di avventure e soprattutto la sua innata capacità di ficcarsi nei guai gli avrebbero impedito di rispettarla, come era accaduto in passato.
“Perché non mi hai detto nulla dei tuoi intrighi con i francesi, Ross? – gli chiese, ritornando sull’argomento che lui tendeva ad accantonare – sei sempre stato un uomo sconsiderato ed impulsivo, ma questa volta hai esagerato!”
Ross comprese che era giunto il momento delle spiegazioni. Assunse una posizione comoda sul fianco, con la testa sollevata sul gomito e cominciò a raccontare.
“Ho esagerato, hai perfettamente ragione, ma non avevo scelta. Ero stato scoperto a curiosare nel loro nascondiglio ed il loro capo - il rivoluzionario che mi aveva obbligato a lasciare immediatamente la Francia quando con Tholly cercavo di organizzare la liberazione di Dwight – mi avrebbe ucciso, se non avessi avuto la prontezza di offrirmi di collaborare con loro. In quei giorni ero tanto risentito con il governo inglese, dopo il trattamento riservato a Ned… in un primo momento fui davvero tentato di sostenere i francesi; ero deluso dall’immobilismo del governo, dall’incapacità del parlamento di adottare leggi giuste per risollevare le sorti del popolo, e mi trovai a pensare che forse uno scossone alla nostra monarchia, come accaduto in Francia, poteva essere la soluzione…poi però riflettei che, da inglese, non potevo augurarmi che il mio paese diventasse una colonia degli stranieri; d’altra parte, se volevo trovare il modo di sventare i loro piani, era necessario acquisire informazioni più dettagliate da riferire ai servizi segreti inglesi, quindi dovevo fare il doppio gioco. Mi chiedi perché non ti ho raccontato nulla? Avresti dato di matto! Mi avresti imposto di lasciar perdere, saresti stata continuamente angosciata per i rischi che avrei corso, avresti potuto involontariamente lasciar trapelare qualcosa e questo non potevo permettermelo … anche perchè c’era di mezzo Tess.”
“Che è successo tra te e lei, Ross? Dimmi la verità, ti prego…”
“Jacka Hoblyn, sobillato da Tess, aveva avuto l’idea di rubare minerale dalla Wheal Grace e cederlo ai francesi in cambio di merce di contrabbando. Sai bene che Tess non ti aveva perdonato di averla licenziata e che ti detesta da sempre. Non so bene in che modo Jacka e Tess avessero conosciuto i francesi, comunque facevano già parte della banda quando Lagrande, il loro capo, mi ha coinvolto. I francesi utilizzavano il mio rame per acquistare armi e munizioni, oltre alla merce di contrabbando; io avevo il compito sia di catalogare le armi che di predisporre le mappe delle coste… ci vedevamo la sera, dopo che avevo terminato in miniera: per questo facevo sempre tardi! Tess era la più sospettosa nei miei confronti, non si fidava di me e non perdeva occasione per lanciarmi frecciatine malefiche… era stata lei ad informare da subito Lagrande del fatto che fossi un parlamentare eletto per il distretto di Truro. Dovetti faticare parecchio per convincere Lagrande che mi fossi pentito di questa scelta e che da mesi disertavo le sedute, non condividendo le posizioni politiche della maggioranza dei miei colleghi. Per rabbonire Tess ho fatto una cosa orribile, me ne rendo conto. Avendo compreso che avevo un certo ascendente su di lei, e che quello era il motivo per cui ti invidiava tanto, le ho fatto la corte… ho finto che io e te fossimo in crisi e che mi fossi invaghito di lei… per questo fraintendesti, quando origliasti la nostra conversazione alla Leisure…”
“Mi sembrasti molto convincente in quella circostanza, Ross” – rispose Demelza – non sai quanto mi tormentava il pensiero che tu fossi con lei e le sussurrassi all’orecchio le stesse paroline dolci che un tempo rivolgevi a me. Per questo decisi di andare via, prima da Nampara e poi dalla Cornovaglia”.
Ross le prese una mano ed intrecciò le dita con le sue.
“Come hai potuto anche solo immaginare che potesse interessarmi una donna volgare ed ignorante come Tess, quando il mio cuore appartiene a te? Dovevo per forza essere convincente per dargliela a bere; ma ho solo flirtato un po’, tra me e Tess non è accaduto nulla! Anzi, proprio per averla rifiutata con fermezza quando mi si voleva concedere lei ha scatenato questo inferno!”
E così Ross raccontò dettagliatamente tutto quello che era successo da quando Demelza era partita: Tess che aveva tentato di sedurlo, lui che l’aveva allontanata resistendo alle sue minacce, la partenza per Londra per la seduta del Parlamento, il finto rapimento orchestrato dai suoi fratelli, l’avventurosa traversata dell’oceano, il salvataggio da parte di Trencrom, i due uomini di Lagrande che volevano condurlo a Parigi, l’arresto ad Alençon, l’incontro fortunato con l’avvocato Lorrain, l’arrivo a Quimper dove aveva rivisto Tess, grazie alla quale finalmente aveva capito la reale portata delle accuse a suo carico.
Demelza ascoltava attentamente, senza perdere una sola parola, e più Ross andava avanti, più il suo volto assumeva un’espressione preoccupata.  
“Oh, Ross, ho tanta paura! Le accuse che ti vengono mosse sono così gravi! Chi potrebbe testimoniare a tuo favore? Nessuno, nemmeno io ero al corrente di nulla! Questa volta sarà difficile che i giudici ti credano!”
“C’è un memoriale di mio pugno consegnato a Dwight in tempi non sospetti: lo avevo incaricato di consegnarlo alle autorità nel caso in cui mi fosse successo qualcosa, avrà già provveduto. E poi non temere, c’è sempre la mia buona stella che mi assiste. La stella del cane!” – rise Ross, ripensando ad una conversazione avuta anni prima con sua moglie.
“Non capisco come fai a scherzare in un momento simile, mentre io sono divorata dall’angoscia – lo redarguì sua moglie – e questo avvocato Lorrain? Pensi che possiamo fidarci di lui? In fondo lo conosci da così poco…”
“Abbiamo alternative? – rispose il marito – mi ha dato l’impressione di essere una persona capace, preparata, e poi non ha pregiudizi nei miei confronti. Mi ha detto che non vuole darmi false speranze e che intende esaminare tutti gli elementi a favore e a sfavore prima di pronunciarsi, ma ha un atteggiamento ottimista che mi rincuora molto.”
“Quali sono le tue intenzioni? Dovrai continuare a stare nascosto?”
“Per il momento sì. All’alba i Lorrain verranno a bussare alla porta e con cautela ritornerò nella loro cabina, dove resterò nascosto fino allo sbarco. Uscirò dalla nave chiuso dentro il baule di Mireille, come ho fatto all’andata. Tu offrirai loro ospitalità a Nampara: dirai che lo hai conosciuto durante il viaggio e che lo hai assunto come avvocato per il mio caso. Nel frattempo io resterò nascosto nella botola della biblioteca di casa nostra. Uscirò allo scoperto quando sarà il momento, cioè quando lo deciderà Lorrain. Anche se…”
“Anche se cosa, Ross?”
“Non mi fa piacere dovermi nascondere, non sono un vigliacco e vorrei affrontare il processo a testa alta: se sono fuggito non è perché avessi paura dei francesi, o di Tess o di chiunque altro, ma perché avevo urgenza di chiarire la situazione con te, avevo assoluto bisogno di spiegarti tutto… ma ora che ti ho rivisto, ora che so che mi credi e sei dalla mia parte, posso affrontare qualsiasi cosa! Ti assicuro che non mi spaventa la prospettiva della prigione, se ho te al mio fianco!”
“Ma la morte, Ross? Non hai paura che ti condannino? Non sarebbe meglio non rientrare in Inghilterra? Ci sono io che posso aiutare l’avvocato a trovare tutte le informazioni che gli servono…”
“Demelza, ascoltami. Avevo 20 anni quando sono partito per la guerra, la morte l’ho sfiorata più volte, non ne ho paura. Ti assicuro che potrei lasciare questa vita senza rimpianti domani stesso. Ho vissuto una vita intensa, ho avuto la fortuna di incontrare una donna incredibile che mi ha fatto scoprire che cosa significa davvero amare e mi ha dato dei figli meravigliosi… li hai tirati su nonostante le mie mancanze e saresti capace di prenderti cura di loro e dei miei affari quasi meglio di quanto potrei fare io. Ti ho detto o non ti ho detto tante volte che sei la parte migliore di me? Tu sei la colonna della nostra famiglia e…”
“Oh, Ross, non voglio più ascoltarti! – lo interruppe lei – sei un egoista, come sempre! Non pensi cosa significherebbe per me perderti? Non pensi cosa vorrebbe dire per Jeremy e Clowance essere bollati come figli di un traditore, di un pendaglio da forca? Che vita potremmo avere in Cornovaglia se vieni giustiziato? Dove potrei trovare la forza per fare tutto quello che hai detto, senza averti accanto?” – disse Demelza, mentre una lacrima le scivolava lungo le guance.
Ross gliela asciugò con il dorso della mano. “Ti prometto che lotterò con tutto me stesso per difendere la mia innocenza e che metterò la nostra felicità al di sopra di tutto… ma tu mi conosci, non sono capace di scendere a compromessi, strisciare ai piedi di qualcuno o perdere la mia dignità, anche a costo di dover subire conseguenze sfavorevoli… non mi puoi chiedere di essere diverso da come sono, Demelza!”
“Non ti chiedo questo, ma soltanto di essere meno avventato, più cauto, meno intransigente nel perseguire i tuoi ideali. Non sempre la verità viene compresa, Ross”.
“Lo so. È per questo che davanti alla polizia francese ho mentito, dicendo che non sapevo nulla dei piani degli uomini di Lagrande. Secondo Lorrain potrei anche continuare a sostenere questa versione, a meno che dagli atti in possesso degli inglesi non risulti qualche dichiarazione incompatibile che mi farebbe apparire come un bugiardo… per questo non posso ricomparire prima che l’avvocato abbia chiara la situazione. Anche mentire è un’arte.”
“Non mi piace mentire, odio questi sotterfugi, ma se servono a salvarti il collo li accetterò di buon grado” – concluse la donna.
“Neanche a me piace mentire. Se sapessi quanto mi è costato farlo con i francesi, con Tess, con Dwight, con te… le bugie che ho dovuto dirti hanno fatto più male a me che a te. Sei la mia vita, mi sei mancata come l’aria… ma ora basta parlare, non voglio sprecare neanche un istante di questa notte: potrebbe essere l’ultima volta che ti stringo tra le braccia …” – e così dicendo la baciò e la strinse nuovamente a sé.
“Non dirlo neppure! – lo zittì sua moglie – faremo in modo che ti credano. E se proprio non ci fosse altra strada… So che a te non piace piegare il capo ed implorare, ma a me invece non importa: smuoverò mari e monti, chiederò aiuto alle conoscenze londinesi di Caroline, parlerò con il ministro Pitt o con il re in persona se necessario. Non permetterò che ti accada nulla di male”.
La luce della luna filtrava debolmente tramite l’oblò e Ross riusciva ad intravedere gli occhi chiari di sua moglie, finalmente non più velati dalle lacrime. Erano talmente vicini che poteva sentire il battito del cuore di Demelza contro il suo petto.
Le loro mani si cercarono nuovamente, le parole si spensero sulle loro labbra e si lasciarono consumare dal fuoco della passione, incapaci di essere sazi l’uno dell’altra.

 

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Capitolo 18
*** cap. 18 ***


TRE MESI DOPO
L’estate era volata in un soffio, lasciando il posto ad un autunno fresco e ventoso. Osservando il prato ben falciato ed il fumo proveniente dagli altiforni della Wheal Grace Demelza si trovò a riflettere che forse, come per le stagioni dell’anno, anche il periodo che stava vivendo era destinato ad essere soppiantato da una fase più lieta e propizia.
Da quando era tornata a Nampara la moglie di Ross aveva ripreso in mano le redini della casa e della miniera, ed entrambe erano più fiorenti che mai. Il raccolto era stato uno dei più ricchi degli ultimi anni e la scoperta di un nuovo filone aveva ridato speranza a parecchie famiglie di minatori. I guadagni della Grace, non più dirottati sui francesi, avevano consentito di effettuare addirittura qualche nuova assunzione.
Non tutto però era andato per il verso giusto. Appena erano sbarcati dalla Esmeralda Demelza era stata prelevata da un gruppo di gendarmi e condotta a Truro per un interrogatorio. Aveva avuto giusto il tempo di tranquillizzare i bambini e Prudie, raccomandando alla serva di far sistemare l’avvocato e Mireille nella camera degli ospiti e di mandare subito un messaggero a Killewarren, informando Dwight e Caroline del loro arrivo.
L’interrogatorio era stato lungo ed impegnativo, ma Demelza se l’era cavata egregiamente: aveva dichiarato che non sapeva nulla delle attività di Ross, né di dove fosse attualmente, e che era pienamente convinta della sua innocenza; che non aveva notato nulla di strano nel suo comportamento nei mesi precedenti, che in casa non si era mai presentato alcun personaggio sospetto, né suo marito le aveva riferito di aver conosciuto dei francesi, meno che mai delle spie. Aggiunse che era partita improvvisamente per andare a trovare la cugina in Portogallo che aveva un problema di salute, ma che la sua partenza non aveva nulla a che vedere con ciò di cui suo marito era accusato; che in paese erano sorte tante dicerie ma tutte inveritiere, anche a proposito del fatto che Ross avesse un’amante. Raccontò anzi dei vari episodi in cui aveva avuto screzi con Tess e dei suoi sospetti sul coinvolgimento della donna sia nell’incendio di Nampara che nella falsificazione delle banconote e negli ammanchi alla miniera. L’unico punto della storia un po’ traballante era quello della fuga a Killewarren, ma anche in questo caso Demelza spiegò che l’amica Caroline era molto depressa a causa della perdita della primogenita e la compagnia sua e dei bambini era stata un toccasana per i suoi nervi scossi.
Nei giorni successivi aveva trascorso più tempo a Truro che a casa sua. Aveva dovuto accompagnare l’avvocato Lorrain in Tribunale, e mentre lui prendeva visione di tutti gli atti di indagine, da Pascoe aveva scoperto che Ross, per fortuna, le aveva rilasciato tempo addietro una procura generale, grazie alla quale Demelza potè mettere in sicurezza sia i risparmi che la casa, intestandoli a sé.
L’avvocato aveva esaminato attentamente tutti gli atti ed aveva ricevuto sorprese sia in senso positivo che negativo: ad esempio era emerso che Lagrande si era comportato da uomo d’onore, non aveva mosso alcuna accusa nei confronti di Ross. A carico di quegli uomini non era stata trovata alcuna prova concreta circa un attacco imminente alle coste inglesi; poiché le mere intenzioni non sono punibili e tenuto conto della pace raggiunta tra Inghilterra e Francia, l’ambasciatore aveva ottenuto un grande successo diplomatico: tutti i francesi erano stati condotti in arresto in Francia, e lì sottoposti ad un regolare processo secondo la legge francese.
Di negativo invece c’erano le dichiarazioni di Warleggan, di Jacka Hoblyn e di almeno una decina di abitanti di Sawle in merito alla consapevolezza da parte di Ross delle attività e degli intenti dei francesi. Jacka, in particolare, aveva raccontato che Poldark sapeva benissimo dei furti in miniera e quale utilizzo venisse fatto dei proventi, e che quotidianamente era presente alla Leisure per esaminare piani e mappe in possesso degli stranieri e stilare con loro delle strategie di attacco di tipo militare. Gli altri uomini avevano confermato di aver notato Ross aggirarsi tutti i giorni nei pressi della miniera abbandonata, di averlo visto talvolta sulla sua spiaggia in compagnia dei soggetti che erano stati arrestati, stranieri, non della zona, e che a volte insieme a loro aveva atteso lo scarico di casse di legno, forse contenenti materiale di contrabbando, giunte via mare.
In più, appena Ross era stato incriminato, Dwight aveva consegnato ai giudici il memoriale manoscritto dall’uomo, nel quale egli riferiva dettagliatamente dei piani e dei mezzi in possesso dei francesi, e si riservava di integrare il resoconto, affermando la parzialità delle informazioni in suo possesso e la volontà di scoprire di più prima di segnalare la cosa alle autorità.
In base a questi dati, non era certo possibile continuare a sostenere la tesi della completa estraneità di Ross; l’unica strategia difensiva possibile era quella di sostenere che egli non aveva intenzione di tradire, ma di fare da spia per il governo inglese, in attesa di acquisire maggiori informazioni sulla cellula di Lagrande. In effetti fino a quel momento non c’erano prove palesi per accusare i francesi di un piano preciso di invasione e si poteva presumere che Ross ne sapesse altrettanto.
C’era sempre il rischio, però, che Warleggan approfittasse della situazione per subornare i testimoni o influenzare i giudici. Sicuramente poi i precedenti giudiziari di Ross non giocavano a suo favore, e l’insofferenza nei confronti dell’autorità, come pure il giocare a fare l’infiltrato in una associazione criminosa, potevano essere perdonati ad un giovane irrequieto, ma non ad un uomo maturo che per di più era deputato nazionale.
Quanto a Ross, mentre Alphonse Lorrain si lambiccava il cervello per cercare di salvargli il collo e Demelza si adoperava per salvaguardare le finanze familiari, continuava a vivere nascosto e con il timore di essere scoperto da un giorno all’altro.
Ci si era resi conto subito che Nampara era un luogo tenuto costantemente sotto controllo dai gendarmi: il piano di occultare Ross lì non poteva funzionare. Appena Demelza tornò a casa dopo l’interrogatorio di Truro scoprì con stupore che nonno e nipote, con il famoso baule, avevano accolto l’offerta di ospitalità di Caroline e si erano installati a Killewarren: una dimora talmente estesa che i Lorrain erano riusciti a far sistemare Ross in una vecchia polverosa soffitta in cui da anni non metteva piede neppure la servitù.  Dwight aveva riferito che nei giorni immediatamente successivi la sparizione di Ross la tenuta era stata rovistata in lungo e in largo, così come tutte le case di persone che avevano a che fare con i Poldark: le casupole di Sam e di Drake, di Zacky Martin, di Jinny Carter, e poi man mano le ricerche si erano estese a tutte le case del villaggio ed alle miniere abbandonate come la Grambler e la Leisure. Soltanto le accalorate proteste di lord Falmouth (“è un vero oltraggio!” aveva urlato l’uomo) avevano impedito che si perquisisse il palazzo dei Boscawen, e dal lord avevano preso esempio tutte le famiglie potenti del luogo, dai Treneglos ai Basset. Tenuto conto del fatto che sua moglie era la nipote del defunto giudice Penvenen Dwight era assolutamente convinto che nessun gendarme sarebbe tornato a fare loro visita; e se pure fosse tornato, facendo la voce grossa come lord Falmouth se ne sarebbe andato con tante scuse e la coda fra le gambe.
Quando l’episodio era stato riferito a Ross, ne era rimasto molto deluso. Che fiducia si poteva avere in un sistema giudiziario che era forte con i deboli e debole con i forti?  E nonostante le rassicurazioni dell’amico dottore viveva nel costante timore che lo scoprissero. Inoltre, non aveva quasi più visto Demelza da quella notte sulla nave…lei era di certo pedinata costantemente, e visite troppo frequenti a Killewarren sarebbero state viste con sospetto. Per fortuna Dwight era medico, ed accampando un malessere oggi di un figlio, oggi dell’altra, un infortunio domestico di Prudie o un capogiro di Demelza, le visite del dottore a Nampara erano piuttosto frequenti, ed in tali occasioni Dwight faceva da tramite tra i due sposi, riferendo messaggi verbali dall’uno all’altra. Ogni tanto anche Lorrain si recava a Nampara e faceva il punto della situazione con Demelza. Avevano stilato una lista di possibili testimoni a favore e spesso negli incontri venivano coinvolte anche queste persone.
La difficoltà maggiore che Demelza aveva dovuto fronteggiare era stata quella di spiegare le cose a Clowance e Jeremy. Il figlio maggiore era tornato un giorno a casa con un occhio nero. “Me lo ha fatto Ben Carter – aveva raccontato alla mamma – mi ha picchiato, perché io lo avevo chiamato bugiardo, dopo che lui ha detto delle cose brutte su papà”.
“Cosa ti ha detto esattamente?”
Tra i singhiozzi, Jeremy aveva continuato: “Mi ha detto che papà è un traditore, è un amico dei francesi che volevano farci la guerra e che per questo motivo è scappato, altrimenti lo impiccheranno, se lo prendono. È una bugia, vero mamma?”
“Ascolta, Jeremy – aveva detto allora Demelza – è la verità che accusano papà di aver fatto queste cose, ma lui è innocente, e quell’avvocato che ha fatto il viaggio con noi lo dimostrerà. Dobbiamo avere fiducia. Ross ha trovato il modo di farmi sapere che sta bene e che ritornerà presto; però è un segreto, devi promettermi che non lo dirai a nessuno, nemmeno a Ben e a quei ragazzi che ti prendono in giro”.
“Nemmeno a Clowance posso dirlo?”
Demelza si era allora resa conto che anche la figlia più piccola aveva diritto ad avere notizie del padre. Era da quando erano giunti a Lisbona che non aveva più fatto domande, forse rassegnata al pensiero che Ross non le volesse più bene. Così li aveva presi da parte tutti e due e li aveva rassicurati sul fatto che Ross era sempre un papà di cui essere orgogliosi e che li amava moltissimo, e che solo temporaneamente erano costretti a vivere separati, ma presto sarebbero stati di nuovo una famiglia felice come prima.
Quei tre mesi dal ritorno a casa erano volati in un lampo, e quella era la mattina in cui avrebbe avuto inizio il processo contro Ross.
Demelza si era alzata prestissimo, nonostante non avesse preso sonno che a notte inoltrata. La carrozza di Caroline, con a bordo i Lorrain, sarebbe passata a prenderla alle 7 per arrivare a Truro in tempo. Lì aveva appuntamento con i suoi fratelli, che non l’avrebbero lasciata sola in un momento come questo. Sam aveva invano cercato di convincere il suocero a non deporre contro Ross, ma Jacka aveva replicato che lui non faceva altro che dire ciò che aveva visto con i propri occhi e che la falsa testimonianza era un peccato mortale. In realtà Jacka non avrebbe mai ritrattato perché in cambio di quella deposizione gli era stata promessa l’impunità; anzi, gli era stato fatto capire che al processo doveva dichiarare che era stato Poldark a convincerlo a rubare nella sua stessa miniera per aiutare i francesi, facendo fare il lavoro sporco a lui. Solo così la giustizia inglese avrebbe potuto mandarlo esente da ogni pena.
Ross non doveva comparire al processo, quanto meno fino a che Lorrain si fosse fatto un’idea sul probabile esito, alla luce delle testimonianze raccolte in giudizio e dell’atteggiamento del giudice e dei giurati.
Si vociferava che il magistrato cui era stato assegnato il processo fosse il famoso Joseph Merceron, fratellastro di Hanson, giunto appositamente da Londra, il che non deponeva a favore di Ross, dati gli scontri verbali che più volte avevano avuto.
L’unica speranza era che la giuria non si facesse influenzare dall’opinione del togato.
Appena la carrozza giunse nel piazzale antistante il Tribunale, insieme a Sam e Drake Demelza notò un giovane cadetto, elegantissimo nella sua divisa azzurra dai grossi bottoni dorati. “Geoffrey Charles! Sei venuto… Che bella sorpresa!” – esclamò Demelza abbracciandolo.
“Cara zia… come potevo mancare?” – replicò il giovane ricambiando con calore l’abbraccio.
Entrarono nell’aula, già piuttosto affollata. Ai primi banchi sedeva lord Falmouth, che con gli occhi fece un gesto di saluto a Demelza. Si notava che era furibondo: l’accusa al suo pupillo, all’uomo che aveva portato a sedere sugli scranni di Westminster, rischiava di travolgere politicamente anche lui.
Anche George Warleggan era già seduto, e appena Demelza gli passò davanti per prendere posto nella fila immediatamente avanti la apostrofò: “Che bel cappotto verde, signora Poldark. Si abbina ai vostri occhi. Fate molto bene ad indossare questi abiti di colore vivace, finché potete, visto che tra poco il vostro guardaroba dovrà essere monocolore.”
Demelza lo fissò con uno sguardo nauseato. “Pensate alla vostra di vedovanza, George, anziché preoccuparvi della mia, che è ancora di là da venire. Come mai avete portato anche lui? Vi sembra un posto adatto ad un bambino della sua età?” – disse riferendosi al piccolo Valentine, che sedeva tranquillo su una delle panche riservate al pubblico.
“Trovo che sia un posto altamente istruttivo per un bambino. Oggi potrà rendersi conto di come un uomo perbene e rispettabile non deve comportarsi, ed imparerà anche quali sono le conseguenze che si pagano per chi non rispetta le regole del vivere civile”.
“Non ti curare di lui, zia Demelza – le disse Geoffrey Charles, che veniva subito dietro e si era fermato un attimo a salutare il fratellastro – il mio patrigno non sa cosa siano la creanza e la compassione”.
Si sedettero, Demelza di fianco a Mireille e subito dopo il giovane Poldark. Con l’occasione Demelza effettuò le dovute presentazioni tra il nipote di Ross e la francese.
Intanto lord Falmouth era andato a confabulare con l’avvocato Lorrain… ma ben presto furono interrotti dal suono di un campanellino che avvisava dell’ingresso della Corte in aula. Tutti si alzarono in piedi, ma il silenzio di rito fu rotto dalla voce di qualcuno che gridò, indicando verso la porta di accesso: “Guardate!”
Ross Poldark, completamente sbarbato ed elegantissimo nel suo completo blu oltremare, fece il suo ingresso in aula tra il mormorio degli astanti, e si andò a sedere tranquillamente al banco degli imputati, di fianco al suo difensore, che lo fissava con sguardo corrucciato.
“Non mi sembrava che fossero questi i piani” – sibilò Lorrain.
“No. Ma non potevo lasciare a voi tutto il divertimento” – gli sussurrò Ross. Lorrain guardò sconsolato verso Demelza, che si trovò a pensare che l’uomo che aveva sposato l’avrebbe fatta senz’altro morire di crepacuore, un giorno o l’altro.

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Capitolo 19
*** cap. 19 ***


“Ross Vennor Poldark, siete accusato di alto tradimento alla Corona: vi proclamate colpevole o innocente?”
“Innocente, Vostro Onore”.
Merceron lo scrutò con diffidenza.
“Pensavamo di dovervi giudicare in contumacia, invece eccovi qui apparire all’improvviso dal nulla. Come mai? E dove siete stato in tutti questi mesi, di grazia?”  gli domandò.
“Signor Giudice, ciò che preme in questo momento a me e al mio difensore è provare la mia non colpevolezza rispetto alle accuse che mi vengono mosse; sarebbe inutile sprecare il tempo di questa onorevole Corte per discutere di dettagli non interessanti…”
“Non interessanti? – replicò Merceron – al contrario: sono fondamentali ai fini della comprensione del vostro caso!”
“Quello che il mio cliente intendeva dire, Vostro Onore – intervenne Lorrain – è che solo dopo che la giuria sarà stata edotta degli antefatti sarà possibile illustrare le ragioni per cui l’imputato non si è finora presentato alla giustizia ed oggi invece si trova qui. Confidiamo che nel corso del processo ci sia data la possibilità di spiegare appieno questi motivi”.
Pur poco convinto, Merceron pose fine alla discussione e diede la parola al rappresentante della Pubblica accusa, che descrisse brevemente i fatti di cui Ross era accusato, facendo un rapido resoconto anche delle indagini compiute dopo la denuncia di George Warleggan e delle prove raccolte dopo la scoperta del gruppo di spie francesi a Hendrawna Beach.
Lorrain contestò la fondatezza delle accuse e proclamò che all’esito del processo tutti avrebbero avuto la certezza che Ross Poldark era un fedele servitore della Corona.
Il primo soggetto chiamato a testimoniare fu il comandante degli ufficiali che avevano arrestato i francesi a Hendrawna Beach a seguito della soffiata di Warleggan.
Il secondo fu George. Pieno di boria raccontò come per caso, assecondando un capriccio del figlio Valentine, lo avesse accompagnato una mattina in miniera e avesse notato qualcosa di strano, segni della recente presenza di qualcuno. Con grande enfasi riferì in particolare del foglietto che aveva trovato in terra e su cui erano scritte cifre, parole in una lingua straniera ed il termine “Hendrawna”. Intuendo che Ross Poldark potesse essere implicato in qualcosa di losco aveva allertato le autorità, che infatti in una rientranza della costa sulla spiaggia di proprietà dell’imputato avevano trovato gli stranieri in possesso di un vero e proprio arsenale e delle mappe della zona. La sua deposizione, più che narrare fatti, mirava a dipingere se stesso come un cittadino esemplare e Ross Poldark come un furfante della peggiore specie, non nuovo a condotte illecite, tanto che Lorrain per almeno due volte dovette sollevare obiezioni, mentre il giudice invitava George ad attenersi ai fatti e a non esprimere valutazioni.
Lorrain chiese poi di poter procedere al controesame. Si schiarì la voce ed iniziò a domandare: “Signor Warleggan, avete detto che la Wheal Leisure presentava “segni della recente presenza di qualcuno” e che avete raccolto un pezzetto di carta per terra, evidentemente dimenticato da quel qualcuno, è corretto?”
“E’ corretto”.
“Quel biglietto era scritto in francese, vero?”
“Non parlo il francese, ma sì, ritengo fosse francese”.
“E’ ragionevole quindi sostenere che i francesi che sono stati arrestati e tutto il materiale in loro possesso (armi, mappe delle coste, documenti che, come abbiamo sentito dal comandante sono stati trovati a Hendrawna Beach), in precedenza – probabilmente fino a pochissimo tempo prima, visto che non tutte le tracce del loro passaggio erano state cancellate con accuratezza – si trovavano all’interno della vostra proprietà?”
“Credo di sì…”
“Allora, perdonatemi – proseguì Lorrain – ma se in base alla vostra logica Ross Poldark sarebbe complice dei francesi perché questi erano nascosti in un luogo di sua proprietà, perché non dovreste essere considerato loro complice anche voi, visto che prima quegli stessi uomini si trovavano all’interno della Wheal Leisure, che è di vostra proprietà?”
Un brusio si levò nell’aula, mentre Ross si tratteneva per non scoppiare a ridere. Merceron battè il martelletto sul tavolo, ordinando che fosse fatto silenzio, mentre l’avvocato dell’accusa formulava obiezione perché Lorrain stava formulando un’accusa assurda nei confronti del teste allo scopo di intimidirlo.
“Non sto accusando il teste di nulla, sto solo tentando di dimostrare la fallacia della logica da lui applicata” – concluse Lorrain, e l’obiezione fu respinta.
Livido di rabbia George continuò: “Se quegli uomini si nascondevano all’interno della mia proprietà non li avevo certi invitati io. Si tratta di una miniera abbandonata, potrebbero averla scoperta in qualsiasi modo ed averla occupata contro la mia volontà; al contrario, il nascondiglio nella spiaggia di Poldark, per le sue caratteristiche, non poteva essere individuato facilmente da chi non conosce le nostre zone. Inoltre il nome della località, non semplice da trascrivere per uno straniero, era scritto in maniera corretta sul pezzo di carta che ho trovato, e chi poteva fornirlo ai francesi, se non Poldark stesso? Inoltre, come ha esposto il signor Procuratore, ci sono numerose prove che Poldark sia stato loro complice, non sono solo mie illazioni….A Poldark i francesi piacciono così tanto, che se ne è scelto uno come avvocato difensore! Sarebbe interessante anche capire come vi siete conosciuti…”
Questa volta era stato George ad affondare il colpo. Nuovi mormorii del pubblico furono immediatamente sedati da Merceron, e sebbene l’avvocato di Ross riprese subito il timone della conversazione, dichiarando che la legge inglese non imponeva che inglese fosse anche il difensore dell’imputato e che il teste doveva astenersi da quel tipo di considerazioni, George  tornò al suo posto ghignando di soddisfazione.
Salì poi sul banco dei testimoni Jacka Hoblyn, il quale ripetè per filo e per segno quanto già aveva dichiarato nel corso delle indagini. Quando però Lorrain chiese di procedere al controesame lo stesso si mostrò un po’ titubante a rispondere a tutti i chiarimenti richiesti: perché i francesi erano nascosti all’interno della Leisure e non a Hendrawna fin dal principio? In quale occasione Poldark gli aveva affidato il compito di prendere il materiale estratto dalla Grace e consegnarlo ai francesi? Non era vero che gli uomini di fiducia di Ross alla Grace erano Zacharias Martin e Paul Daniel? Non era vero che lui e Ross invece non erano mai stati in buoni rapporti, anzi avevano avuto di che discutere perché Poldark non aveva voluto assumere come minatore il figlio dodicenne Arthur, ritenendo che i bambini sotto i 14 anni dovessero lavorare solo in superficie? Non era vero che Hoblyn si accompagnava sempre a Tess Tregidden e che entrambi avevano sobillato i minatori della Grace, mesi prima, a non accettare come forma di pagamento le banconote, e che casualmente subito dopo in paese erano circolate banconote contraffatte? Non era vero che la signora Poldark aveva pubblicamente mostrato come riconoscere le banconote vere da quelle false e che, senza fare nomi, aveva diffidato i responsabili della contraffazione dal continuare nella loro attività, che infatti era cessata? In definitiva, poteva il teste esporre le ragioni per cui Poldark avrebbe dovuto svolgere un’attività talmente segreta e delicata avvalendosi della collaborazione di soggetti che erano invisi alla sua famiglia ed in più occasioni l’avevano messa in difficoltà?
Le prevedibili obiezioni di controparte furono respinte, in quanto le domande miravano ad illustrare alla corte i motivi di risentimento che il teste e la Tregidden avevano nei confronti dell’imputato e quindi contestare l’attendibilità della deposizione; intanto Jacka, obbligato a rispondere, riuscì più che altro a biascicare una serie di scuse poco convincenti, ripetendo a più riprese che aveva visto con i propri occhi Ross Poldark aiutare i francesi, che lui pensava ai fatti suoi e non gli interessavano né i ragionamenti di Poldark né gli scopi per cui aveva agito.
Dopo numerosi altri testimoni Merceron impose una pausa. Due ufficiali si piazzarono di fianco a Ross nel timore che potesse dileguarsi di nuovo.
Noncurante di ciò, egli si volse verso la balaustra che separava la zona sovrastante, riservata al pubblico, dal banco degli imputati ed afferrò la mano che Demelza gli protendeva, stringendola forte.
“Perché fai sempre di testa tua?” – lo rimproverò sua moglie con un’occhiataccia.
“Oh, no, signora, non lo biasimate! – intervenne il vecchio Lorrain – la sua presenza è stata utilissima per consentirmi di rintuzzare in tempo reale tutte le argomentazioni contraddittorie dei testi dell’accusa! Questa volta forse il suo agire di impulso non gli sarà di danno!”
“Come sta andando?” – gli sussurrò Demelza, senza farsi sentire dagli ufficiali di guardia a Ross.
Lorrain le si avvicinò. “Mah, finora mi sembra un processo equilibrato. Devo dire che Merceron, malgrado quanto temessi, sta gestendo l’udienza in maniera imparziale. Piuttosto, Mireille, cosa mi dici della giuria?”
Demelza si stupì nell’apprendere che il nonno aveva affidato alla ragazza il compito di analizzare il comportamento dei giurati.
“Il presidente mi sembra un uomo molto attento, prende appunti, si consulta con chi gli è accanto di posto. L’uomo pelato con la faccia rubiconda in seconda fila invece ogni tanto guarda di sottecchi verso Warleggan, e pare compiaciuto dalle accuse contro Poldark: secondo me è lui l’uomo da temere” – rispose la fanciulla.
“Uhm- meditò Lorrain – se riusciamo a convincere tutti gli altri della bontà della nostra tesi ben poco potrà fare un solo uomo. Dopo la pausa dovrò depositare la lista dei testi di difesa. Data l’ora, però, credo che ci sarà un aggiornamento dell’udienza a domani”.
Dopo pochi minuti Merceron annunciò la ripresa dell’udienza e tutti si sistemarono al loro posto. Come Lorrain aveva previsto, il giudice dichiarò che il processo non si sarebbe concluso in una sola giornata e che dopo aver ascoltato un altro paio di testi si sarebbe ripresa l’attività l’indomani alle ore 9.
Mentre il Procuratore stava interrogando un ufficiale delle dogane in merito ai controlli svolti sulla merce trovata in possesso dei francesi, gli si avvicinò un suo collaboratore, che gli consegnò un biglietto. Il Procuratore lo lesse , concluse rapidamente l’interrogatorio e si rivolse alla Corte:
“Perdonatemi, signor Giudice ed anche voi, signori giurati, ma è intervenuta una novità di enorme importanza, di cui mi hanno appena informato. È stato rintracciato un testimone dell’accusa il cui nominativo non era stato inserito nella lista, proprio in ragione della sua precedente irreperibilità. Chiedo di conseguenza di poterlo escutere immediatamente, in quanto già condotto presso questo palazzo di giustizia. Il testimone si chiama Tess Tregidden”.
All’udire quel nome Demelza sobbalzò sulla sedia, e così pure Ross e tutti gli altri suoi amici. Lorrain, per dovere di forma, si oppose all’audizione in quanto il nominativo non era stato indicato nella lista, ma Merceron respinse l’eccezione e autorizzò la immediata ammissione della Tregidden a deporre.
La persona che entrò nell’aula era ben diversa dalla lurida stracciona che i Lorrain avevano incontrato a Quimper. Tess appariva pulita ed ordinata, indossava un abito nuovo ed aveva i capelli acconciati con più cura del solito. Per chi non l’avesse mai conosciuta prima, poteva sembrare una rispettabile dama di compagnia al servizio di una buona famiglia.
“Qualcuno l’avrà sicuramente aiutata a compiere questa trasformazione” - bisbigliò Demelza al fratello Sam, seduto una fila indietro, mentre Warleggan e Ralph Hanson si scambiavano occhiate compiaciute all’apparizione del principale teste dell’accusa.
Tess si accomodò al banco dei testimoni e giurò sulla Bibbia di non dire altro che la verità.
Il Procuratore iniziò a farle le domande, e la ragazza confermò sostanzialmente quanto aveva riferito Jacka, dimostrandosi però molto più cauta nell’accusare direttamente Ross di essere il mandante dei furti in miniera. Raccontò di aver conosciuto i francesi casualmente in un pub e, poiché era stata ingiustamente licenziata dalla famiglia di Ross, si trovava in quel momento in ristrettezze economiche ed aveva colto l’occasione di aiutarli, ignara di quelle che fossero le loro vere intenzioni. Recitando la parte della peccatrice pentita spiegò che ella non sapeva esattamente da quale miniera provenisse il minerale trafugato e che la merce data in scambio dai francesi fosse di contrabbando, in quanto pensava soltanto alla propria sopravvivenza. Raccontò che Poldark aveva un ruolo molto attivo nella collaborazione con i francesi, discuteva quotidianamente con Lagrande esaminando con lui mappe e scritti, e che si comprendeva che aveva un ruolo di rilievo, poiché i francesi non assumevano decisioni senza consultarlo. Spesso infatti Lagrande impartiva ordini dopo aver parlato con lui ed inoltre Ross aveva il compito di catalogare le armi e di assistere agli sbarchi della merce sulla spiaggia di Hendrawna. Tess dichiarò inoltre di essere stata costretta ad allontanarsi dalla Cornovaglia in quanto i francesi avevano sospettato che Ross li avesse traditi facendo il doppio gioco, e lei, in quanto sua amante, era oggetto dei medesimi sospetti. Ross però l’aveva usata, e l’aveva abbandonata nel momento della difficoltà. Non sapeva dire da dove nascessero i sospetti dei francesi, visto che, per quanto a sua conoscenza, Ross si era sempre schierato apertamente in loro favore e spesso, discutendo con lei, aveva detto che la Corona inglese pensava solo al proprio tornaconto ma non al benessere della popolazione, e che i francesi bene avevano fatto a ghigliottinare il proprio sovrano.
Per timore di una vendetta dei francesi si era recata in Francia salendo come clandestina su una nave, era sbarcata a Quimper dove aveva a lungo mendicato per poter vivere, fin quando, un giorno, non aveva incontrato Ross in compagnia del suo attuale difensore. Furiosa con lui per come l’aveva trattata, prendendosi gioco dei suoi sentimenti, aveva allertato le guardie, ma le ricerche al porto erano state vane. Aggiunse che tramite un connazionale di cui non ricordava il nome aveva avuto notizia dell’inizio del processo a carico di Ross per tradimento al Re e del fatto che le autorità la stavano cercando per testimoniare; si era quindi dichiarata disponibile a ritornare a Sawle, imbarcandosi insieme ad un gruppo di suore cattoliche francesi che doveva svolgere la propria missione in Irlanda e che le aveva fornito appoggio e sostegno anche dal punto di vista economico.
Recitava molto bene la sua parte. Demelza si sentiva il sangue ribollire nelle vene, e suo fratello Sam ora capiva come quella donna diabolica avesse potuto prenderlo in giro per tanti mesi, fingendosi diversa da com’era. Ross e Lorrain non si facevano sfuggire una parola, ed il vecchio prendeva freneticamente appunti per le domande che, giunto il suo turno, avrebbe dovuto rivolgere  a Tess.
Essendosi fatto buio, nonostante le insistenze di Lorrain per procedere all’immediato controesame della donna Merceron rinviò l’udienza, facendo presente che Ross, data la sua posizione, sarebbe stato condotto in carcere fino all’indomani.
“Ne sono consapevole”- si limitò a rispondere l’uomo.
Fu un’enorme sofferenza per Demelza, Geoffrey Charles e gli altri amici vedere Ross, con le mani legate dietro la schiena, condotto verso la prigione passando tra due ali di folla che lo apostrofava con i peggiori epiteti.
“Vi auguro una buona nottata, signora Poldark”- la salutò George con finta cortesia.
“Chi ha la coscienza a posto può dormire sonni tranquilli… al pari di chi una coscienza non ce l’ha!” – gli urlò contro Geoffrey Charles.
“Avreste dovuto mettere a tacere una volta per tutte il vostro figlioccio. Non si può rivolgere a voi con tanta insolenza” – commentò Hanson, che aveva udito tutto, raggiungendo George.
“Non avete tutti i torti, ma sapete, quel bamboccio era tanto caro ad Elisabeth… se non lo colloco al posto che gli compete è solo per rispetto della memoria di sua madre…” – e proseguirono la strada insieme, fino a palazzo Warleggan.
Dwight e Caroline avevano prenotato tre stanze in una locanda per loro due, Demelza e i Lorrain; Geoffrey Charles affittò un’altra stanza per sé, mentre i fratelli Carne rientrarono a Sawle, con la promessa di rivedersi l’indomani.
Consumarono insieme una cena leggera, commentando tutto quanto era accaduto in aula, amareggiati per la sorte di Ross, che non poteva essere con loro.
Lorrain cercò di tirare su il morale a tutti con la consueta giovialità. La inattesa testimonianza di Tess era stata però dura da digerire e far tornare il buonumore non era una impresa facile.
L’avvocato però non sembrava affatto scoraggiato.
Quando presero congedo per recarsi ognuno nelle sue stanze, Mireille si avvicinò a Demelza e le disse all’orecchio: “Non temete, signora Poldark! Conosco bene il nonno, ed il suo comportamento tanto allegro non può che significare che ha un asso nella manica! Non so dirvi di cosa si tratti, ci sono dei segreti che vuole tenere per sé e non rivela nemmeno a me, ma sono convinta che andrà tutto bene per vostro marito!”
Demelza la ringraziò e, accompagnata da questa speranza, si preparò per la notte, senza smettere di pensare a Ross e a quanto lo amava, malgrado tutto….

 

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Capitolo 20
*** cap. 20 ***


“Come sarebbe a dire che non è presente? Dov’è finita? Cercatela immediatamente!”
Merceron pareva fuori di sé dalla rabbia; si agitò tanto che ad un certo punto la parrucca gli si pose leggermente di traverso sulla testa, generando un innegabile effetto comico.
Il processo era ripreso alle 9 in punto, ma di Tess, che doveva rispondere alle domande della difesa, non vi era alcuna traccia. Il Procuratore non sapeva che pesci prendere: il teste era stato diffidato a presentarsi in Tribunale per completare l’esame, e violare l’ordine equivaleva ad oltraggio alla Corte, reato che prevedeva l’arresto immediato. Non immaginava che di fronte a quella prospettiva la donna si sarebbe data di nuovo alla macchia.
Alcune guardie furono inviate a perlustrare la città alla ricerca della donna, e Merceron comunicò che nel frattempo avrebbe sospeso il processo; Lorrain però si oppose fermamente.
“Signor giudice, la mancata comparizione di Tess Tregidden e la conseguente impossibilità per me di interrogarla costituisce una gravissima lesione al diritto di difesa dell’imputato. Chiedo innanzitutto che le sue dichiarazioni di ieri siano considerate inutilizzabili, perché la testimone si è volontariamente sottratta al controesame. Mi oppongo anche ad ogni forma di sospensione del processo, in quanto ciò significherebbe che il mio cliente debba tornare in carcere a tempo indeterminato. Se la Tregidden viene trovata entro oggi, bene; chiedo però che nel frattempo si proceda con l’esame di tutti i testi da me indicati.”
“Si tratta di richieste inaccettabili! – urlò il Procuratore alzandosi in piedi – le dichiarazioni della Tregidden sono pienamente utilizzabili; solo per ragioni di tempo non è stato possibile completare il suo controesame ieri sera! Oltretutto, occorrerà verificare le ragioni per cui la donna oggi non è comparsa, non è detto neppure che si tratti di una sparizione volontaria… qualcuno potrebbe esserne responsabile!”
Poiché il Procuratore guardava con fare insinuante nella direzione di Ross e del suo avvocato, Lorrain non si trattenne: “Non accetto tale tipo di insinuazioni! Se proprio si vuole rimproverare qualcuno per questa strana scomparsa, bisogna cercare altrove… del resto, signor Procuratore, se temeva per la sicurezza della sua testimone avrebbe potuto adottare delle misure a tutela, facendola scortare o porre sotto custodia….”
Anche tra il pubblico gli appartenenti alle due fazioni, pro o contro Ross, si accaloravano formulando varie ipotesi: Tess era sparita di sua volontà? In caso contrario, chi c’era dietro? A chi conveniva di più che non venisse ritrovata, all’accusa o alla difesa?
“Silenzio, o faccio sgombrare l’aula!” –tuonò Merceron, in visibile difficoltà. Quello che aveva detto Lorrain era giusto: se Tess non si presentava, la sua testimonianza era incompleta e non poteva essere considerata attendibile. Non si poteva poi certo accusare Poldark della sparizione della donna, visto che era stato in carcere tutta la notte. Qualcuno dei suoi amici? Sarebbe stato necessario verificare gli spostamenti di tutti, ma la sospensione del processo sarebbe stata un abuso, quel francese aveva perfettamente ragione. Non gli restò che acconsentire alla richiesta di consentire l’audizione dei vari testi della difesa.
Uno ad uno sfilarono davanti alla Corte Dwight Enys, il banchiere Pascoe, Zachy Martin, alcuni vecchi commilitoni di Ross, alcuni colleghi deputati in Parlamento e numerosi altri amici o semplici conoscenti di Ross, persone da lui aiutate in passato, il tutto allo scopo di dimostrare che Poldark non aveva mai avuto simpatie filo francesi ed era stato costantemente, sia in gioventù che attualmente, un fedele suddito di sua maestà.
Importante fu anche la deposizione dell’eccentrico Tholly Tregirls, il quale raccontò come si erano svolti i fatti quando Ross anni prima era stato arrestato dal capo della gendarmeria di Roscoff, che altri non era che Lagrande, il capo dei francesi arrestati. In quell’occasione il gendarme gli aveva intimato di lasciare la Francia immediatamente: Ross non solo aveva violato tale ordine, ma poco tempo dopo aveva organizzato la spedizione per liberare Dwight dalla prigionia. Tholly disse che era evidente che Lagrande doveva essersela legata al dito e che quindi era assurdo pensare che Ross avesse spontaneamente accettato di unirsi alla sua banda.
Il Procuratore però nel controesame sottolineò che Lagrande in quell’occasione doveva aver compreso quanto spregiudicato fosse Ross Poldark : un soggetto che aveva finto di accettare delle condizioni per poi fare l’esatto contrario, dimostrando di essere ben capace di condurre un doppio gioco; insoddisfatto dell’agire del proprio governo, era l’alleato ideale per tentare un attacco al cuore dell’Inghilterra. Anzi, il fatto che fosse diventato braccio destro di Lagrande significava che Poldark doveva essere stato molto convincente, cosicchè la sua ostilità alla Corona doveva essere profonda e radicata.
Nel frattempo erano tornate le guardie sguinzagliate in giro da Merceron, che comunicarono di non aver trovato Tess, né a Truro né nella sua vecchia abitazione di Sawle.
Lorrain ribadì le sue eccezioni e chiamò a testimoniare Demelza, suscitando una feroce opposizione da parte del rappresentante dell’accusa.
“Non è ammissibile che testimoni la moglie dell’imputato, per il suo evidente interesse alla decisione, anche di tipo patrimoniale! Se l’imputato viene condannato e i suoi beni confiscati, la vedova si troverà priva di mezzi di sostentamento!”
“Onorevole Corte, non c’è alcun divieto alla testimonianza della moglie di un accusato! È comprensibile che la signora Poldark abbia un interesse di natura morale all’assoluzione del marito, ma valuterete voi se ciò inficerà la veridicità delle sue dichiarazioni. Quanto alle preoccupazioni dell’accusa, chiedo che venga richiamato mister Harris Pascoe, il quale potrà fugare ogni dubbio circa la solidità della posizione economica della signora Demelza, indipendentemente dall’esito di questo processo”. Lorrain ritenne opportuno esprimersi in termini generici onde non rendere pubblico che il patrimonio di Ross era interamente intestato a sua moglie, situazione che avrebbe di certo generato scandalo ed inutili pettegolezzi.
Non fu necessario richiamare Pascoe. Merceron ammise senza esitare l’audizione di Demelza, perché ancora una volta quell’avvocato francese aveva ragione: il diritto inglese non vietava la testimonianza della moglie dell’accusato e, per quanto odiasse Poldark e avesse piacere di liberarsi di un personaggio scomodo, era un giudice stimato e non poteva disapplicare la legge in maniera così plateale.
Demelza prese quindi posto sul banco dei testimoni, giurò sulla Bibbia come di rito e non mancò di lanciare un intenso sguardo a Ross prima che iniziassero le domande. Era molto tesa, ma cercava di non darlo a vedere. Sapeva che ogni piccolo cedimento o esitazione non le sarebbero stati perdonati.
L’avvocato Lorrain aveva cercato fino all’ultimo di non coinvolgerla, perché se Ross non fosse stato creduto rischiava anche lei una condanna per falsa testimonianza. Era necessario tuttavia che la giuria avesse ben chiaro che tipo di persona era Tess, e Demelza era l’unica persona che poteva cancellare l’orribile sospetto che Ross fosse un traditore della famiglia così come della Patria. Al contrario, un marito devoto e fedele ben più difficilmente poteva essere ritenuto responsabile di ciò di cui lo si accusava.
Lorrain si schiarì la voce ed incominciò.
“Signora Poldark, potete raccontarci come avete conosciuto Tess Tregidden e quali rapporti ci sono stati tra di voi?”
“Un giorno, circa un anno fa, il nostro capo miniera, il signor Martin, mi informò che alcuni minatori licenziati da un’altra miniera cercavano un reimpiego. Tra questi vi era la Tregidden. Io dissi che al momento non potevamo dare lavoro a nessuno e che mi sarei adoperata per aiutare quelle persone in altro modo. Tess fu l’unica a parlare, e mi si rivolse in modo sprezzante, ironizzando sul fatto che la mia disponibilità a parole non li avrebbe sfamati ed aggiungendo che non gradiva alcuna elemosina. Nei giorni successivi mi giunse voce che alcune dimore di possidenti erano state oggetto di atti di vandalismo e che vi era grande fermento a causa della povertà e della mancanza di lavoro. Decisi pertanto di mantenere la promessa fatta ed offrii un lavoro a Tess in casa mia, come cameriera”.
“Le offriste un lavoro , ma non avevate reale bisogno di una cameriera?”
“Nampara è piuttosto grande, e pur essendo capace di svolgere personalmente una serie di faccende domestiche pensai che avere una persona in più alle mie dipendenze mi avrebbe sollevato da queste attività, anche tenuto conto del fatto che quando mio marito si trovava a Londra dovevo occuparmi degli affari della miniera. Tuttavia mi fu presto ben chiaro che avevo commesso un errore”.
“Potete spiegarci il motivo?”
Demelza iniziò quindi a raccontare delle bizze di Tess, della maniera in cui rifiutava di obbedire agli ordini suoi e di Prudie, di come l’aveva offesa in pubblico accusandola di essere una sguattera che aveva sedotto il proprio padrone.
“Cosa non lontana dalla verità” – aveva commentato Hanson all’orecchio di Warleggan, suscitandone il riso.
Demelza raccontò anche l’episodio dell’incendio appiccato alla loro casa, di cui Tess aveva negato di essere responsabile, e disse che aveva deciso di licenziarla esasperata dalle continue dimostrazioni di incapacità di rispettare le regole e della sua tendenza a fare da aizza popolo. Riferì dell’episodio delle banconote false e delle ulteriori offese personali legate al suo rapporto con Ross. Precisò anche che, a dispetto di tutto, aveva riaccolto Tess in casa nel periodo in cui frequentava suo fratello Sam.
Riferì che già  nel periodo in cui lavorava a Nampara aveva notato che Tess non era indifferente al fascino di suo marito, ma negò che ci fosse mai stata una relazione tra loro e negò che quella fosse la ragione per cui lei era partita per il Portogallo. Ciò ribadì con veemenza e senza esitare anche di fronte alle domande tendenziose del Procuratore.
“Certo che Demelza sta dimostrando grande coraggio. Non deve essere facile mettere in pubblica piazza gli affari della propria famiglia, ed affrontare temi così delicati come l’infedeltà coniugale…” – commentò Caroline all’orecchio del marito.
“Demelza è una donna eccezionale. Penso che stia uscendo nettamente vincitrice da questa prova. Ross dovrà esserle molto grato, quando tutto questo sarà finito – rispose Dwight - Sai cosa credo? Se ci pensi, a parte qualche eccezione, come Warleggan e suo zio, Demelza è una donna stimata ed apprezzata pubblicamente. Nessuno pensa più a lei come la figlia di Tom Carne di Illugan; e non perché sia la moglie di Ross, ma perché ha saputo conquistare tutti con le sue innate qualità, senza mai rinnegare le sue origini, con grande dignità…Ha raccontato la sua verità a testa alta e senza timore, e mi auguro che la giuria comprenda con chi abbia a che fare”.
Terminato l’esame, Demelza tornò a sedere, mentre Lorrain chiamava a deporre anche Sam Carne sulle medesime circostanze. Dopo di lui, restava un unico testimone della difesa.  
“Chiamo a testimoniare George Gregory Edward Boscawen, visconte di Falmouth”.
All’udire il nome di lord Falmouth Ross fissò interrogativamente Lorrain. Non avevano mai parlato di Falmouth come teste della difesa, e dubitava che il nobile di impronta conservatrice avesse da dichiarare qualcosa in proprio favore; anzi, per ciò che aveva intuito, egli era rimasto profondamente sdegnato dal suo coinvolgimento nella vicenda. Anche Demelza era meravigliata, e non smetteva di chiedere a Mireille se il nonno le avesse rivelato qualcosa in proposito. La ragazza scrollò le spalle, ma fece notare a Demelza che la mattina precedente il lord si era avvicinato a Lorrain, prima che Ross facesse il suo ingresso in aula, ed aveva confabulato con lui per qualche minuto: che fosse quella l’arma segreta del nonno?
George ed Hanson, dal canto loro, non sapevano cosa aspettarsi: possibile che il severo lord Falmouth avesse accettato di essere chiamato a deporre? È vero, aveva sostenuto la campagna elettorale di Ross, ma un politico del suo stampo non poteva prendere posizione apertamente in suo favore, con i crimini gravissimi di cui era accusato, senza avere la certezza della sua innocenza… cosa avrebbe dichiarato a breve in quell’aula?
Udito pronunciare il suo nome, il nobiluomo aveva attraversato l’aula in silenzio, per prendere posto sul banco dei testimoni, mentre Merceron a suon di martelletto metteva a tacere il mormorio che serpeggiava tra le panche. Con la mano destra sulla Bibbia, prima che Lorrain desse avvio alle domande, guardò Ross Poldark per un secondo, con uno sguardo impenetrabile, ma tagliente come una lama di metallo.

 

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Capitolo 21
*** cap. 21 ***


La deposizione di lord Falmouth prese le mosse dalle circostanze in cui aveva conosciuto Ross Poldark, circa cinque anni prima, quando il valente capitano aveva organizzato una spedizione per liberare  Dwight Enys da una prigione in Francia. Il lord raccontò che in quella occasione Poldark aveva tratto in salvo anche suo nipote Hugh Armitage e che in seguito a quella impresa era sorto un debito di gratitudine , con una più assidua frequentazione tra le due famiglie; poi il suo adorato nipote, da lui originariamente designato quale erede politico a Westminster, era morto per un male incurabile, cosicchè Ross era stato scelto come candidato ideale per proseguire quel percorso.
Il Procuratore si spazientì ad ascoltare quel dettagliato resoconto e, obiettando la non pertinenza della domanda rispetto all’oggetto del processo, invitò l’avvocato della difesa a tornare a tempi più recenti.
Lorrain lo accontentò subito: “Potete dirmi, Milord, quando avete appreso delle accuse di tradimento a carico di Poldark e come avete reagito alla notizia?”
“E’ successo nel mese di maggio scorso; avevo inviato il mio segretario, John, a svolgere delle commissioni  in banca a Truro e quando è rientrato a palazzo mi ha comunicato che in città non si parlava d’altro che di questi francesi arrestati e di Ross Poldark come loro complice. Mi sono messo subito in carrozza per cercare di saperne di più, ma l’unico risultato è stato subire la pretesa delle autorità di perquisire la mia abitazione, in quanto Poldark era scomparso e lo si cercava presso chiunque avesse con lui qualche legame. Come se fosse concepibile che io potessi dare protezione ad un presunto criminale, per quanto fosse una persona che godeva della mia stima! Mi opposi, dicendo che avrei informato immediatamente Sua Maestà di questo sopruso. La mia reazione, dite? Ero furibondo! Avevo incontrato Poldark solo pochi giorni prima, quando avevamo concordato circa la posizione da assumere nella discussione parlamentare per l’abolizione della schiavitù. Mi era sembrato piuttosto sbrigativo, ma molto concentrato sul tema della discussione e desideroso di portare a buon fine la nostra battaglia. Difatti la sua linea politica era passata in Parlamento, tutto pareva andare per il meglio e lui cosa aveva fatto? Sparire, inspiegabilmente , mettendo a rischio la sua carriera e la mia reputazione per averlo supportato! Ritenevo che, una volta trovatosi implicato in quella spiacevole faccenda, colpevole o innocente che fosse avrebbe dovuto ricorrere al mio aiuto, ai miei consigli, ed invece non mi aveva informato di nulla!”
“Cosa avete fatto allora?”
“Decisi di svolgere delle indagini per conto mio, diciamo”- rispose Falmouth, lasciando balenare un lampo furbo nello sguardo.
“Potreste essere più preciso?”
“Avvocato, sono in politica da oltre 40 anni e conosco bene come funzionano certi meccanismi. Secondo voi è plausibile che degli stranieri per mesi, indisturbati, progettino un’invasione di un’altra nazione? Siete così ingenuo da credere che gli Stati non dispongano di mezzi per acquisire informazioni su questo tipo di attività? Non sapete che ogni governo ha dei funzionari, chiamiamoli così, che agiscono nell’ombra con il ben preciso compito di tutelare i propri confini e la propria sovranità?”
“Servizi segreti…”- suggerì Lorrain.
“Esattamente! – rispose Falmouth - Ho fatto ricorso alle mie conoscenze londinesi al fine di procurarmi un contatto con qualcuno operante in quel delicato settore, per capire cosa ci fosse di vero in ciò che si mormorava qui a Truro. Pensai, in quel momento, che ammesso che Poldark fosse un imbecille ed avesse seriamente cospirato contro il nostro regno – cosa che non credevo allora e non credo neppure ora – la conoscenza esatta di cosa realmente fosse accaduto mi avrebbe permesso di salvare almeno il salvabile, scindendo le nostre meritorie battaglie parlamentari dal suo autore così chiacchierato.”
“Cosa accadde poi?”
“Riuscii a procurarmi quel contatto. Spiegai i motivi per cui intendevo ottenere quelle informazioni e naturalmente il mio buon nome fu garanzia sufficiente affinchè la mia richiesta fosse soddisfatta. Venni quindi a sapere che era noto da tempo ai servizi che alcuni estremisti rivoluzionari francesi puntavano ad invadere le nostre coste, approfittando del malcontento della popolazione cornica; che Napoleone Bonaparte apparentemente li sosteneva, ma in realtà la sua diplomazia stava lavorando congiuntamente alla nostra per giungere alla pace che poi, difatti, è stata firmata; che questo gruppo estremista era stato segnalato dalle parti di Sawle almeno sei mesi fa e Ross Poldark non era tra coloro che lo avevano sostenuto, quanto meno in una prima fase. Scoprii anche qualcos’altro di molto interessante.”
“Spero che sia pertinente al nostro processo” – si lamentò il rappresentante dell’accusa.
Falmouth non si curò di quel commento acido e continuò.
“Ricorderete senz’altro che circa un anno fa il nostro sovrano è riuscito a scampare ad un attentato. Ricorderete anche, perché c’è stato grande clamore in proposito, che l’attentatore è stato assolto per incapacità di intendere e di volere ed è stato recluso in un manicomio perché socialmente pericoloso. Quello che non sapete è che questo tentato omicidio del re, nel corso di una rappresentazione teatrale, fu sventato proprio da Ross Poldark.”
Nell’udire quella notizia dirompente il mormorio del pubblico divenne ingestibile. Non appena fu ristabilito il silenzio in aula, Falmouth, dalle cui labbra ormai pendeva tutta la giuria, proseguì sicuro di sé: “Mi domandai allora – come certamente ognuno di voi starà facendo in questo momento – se fosse possibile che un uomo talmente coraggioso da frapporsi ad un assassino per salvare la vita di Sua Maestà, appena pochi mesi dopo compisse azioni incompatibili con quella manifestazione di lealtà, lavorando sotto banco per consegnare l’Inghilterra nelle mani di Bonaparte… mi interrogai su quelle ragioni, ma non ne trovai. E come me non ne trovarono neppure i servizi, che sebbene avessero infine appreso la notizia del coinvolgimento di Poldark con il gruppo di rivoltosi francesi non assunsero alcuna iniziativa nei suoi confronti.”
“Il processo Despard vi ricorda qualcosa?”- intervenne il Procuratore.
“Signor giudice, finora ho taciuto, ma sottolineo che è in corso l’esame di un teste della difesa. Non è ancora iniziato il controesame da parte dell’accusa. Queste continue interruzioni da parte del signor Procuratore sono illegittime, oltre che intollerabili! – sbottò Lorrain.
Merceron non era lieto della piega presa dal processo, e autorizzò Falmouth a rispondere.
“Non ho mai conosciuto personalmente Edward Despard; so che era stato il comandante di Poldark nella guerra per l’indipendenza americana e che era suo amico. Ricordo però che, nonostante la sua posizione sia stata attentamente vagliata in quei mesi, non è stato dimostrato che l’odierno imputato condividesse le idee sediziose di quell’uomo, non vedo quindi che rilievo possa avere la domanda dell’accusa.”
“Lo spiegherò nella mia requisitoria, Vostro Onore. Se la difesa non ha altre domande – disse il Procuratore, conscio che fino a quel momento il suo agire non era stato conforme alle regole processuali - con il vostro permesso vorrei chiedere al teste un chiarimento”. Ottenuto l’assenso, egli proseguì: “Mi sembra, Milord, che tutto ciò che abbiamo finora udito, per quanto molto suggestivo, sia frutto di vostre valutazioni e che le informazioni che ci avete riferito siano assolutamente prive di riscontro. Il fantomatico funzionario che ve le avrebbe fornite, chi è, dove si trova? Come facciamo a credere a voi sulla parola, quando non c’è alcun documento che suffraghi quanto dite?”
Falmouth sorrise sornione. Era giunto il momento che aspettava da due giorni, quello in cui il topo era caduto nella sua trappola.
“Come voi ben sapete, chi lavora per i servizi non può mostrare il suo volto e rivelare il suo ruolo pubblicamente. La persona che mi ha fornito queste informazioni si chiama Whickam. Qui – e così dicendo Falmouth estrasse dal gilet un plico sigillato con ceralacca – c’è la dichiarazione scritta resa da Whickam in mia presenza, con la sua firma autenticata da un notaio, che riproduce esattamente quanto io ho finora fedelmente riferito. Whickam si trova in questo momento presso la mia dimora ed è disponibile a venire a confermare personalmente le sue dichiarazioni dinanzi alla Corte, ovviamente purchè il processo si svolga a porte chiuse, in assenza di pubblico, per ragioni di sicurezza”.
Il plico fu consegnato a Merceron da un cancelliere, il giudice ruppe il sigillo e lesse rapidamente, in silenzio, il contenuto del documento.
“E’ autentico” – concluse il magistrato, ed ordinò che il documento venisse esaminato dalla giuria.
“A questo punto credo che sia superfluo convocare Whickam di persona, vero Vostro Onore?”- disse Lorrain, godendosi lo smacco subito dal Procuratore e dallo stesso Merceron. La testimonianza di Falmouth si era rivelata una vera manna dal cielo.
Concluso l’ esame dei testimoni, venne data la parola prima al Procuratore e poi a Lorrain per la discussione finale. Mentre il primo cercò di porre l’accento sulle reticenze di Poldark e sulla sua inspiegabile fuga  – “se non avesse avuto nulla da nascondere non lo avrebbe fatto!” - Lorrain, restando evasivo sulle ragioni di tale fuga, evidenziò che c’era un equivoco di fondo alla base di quel processo: la Corona non aveva inteso assumere provvedimenti contro i presunti responsabili del crimine , consentendo che fossero giudicati in patria, era quindi illogico affermare la colpevolezza di Poldark in mancanza di responsabilità accertata di coloro di cui in teoria egli era complice. “Mi sia consentito affermare che la  forca la meriterebbe chi ha imbastito questo processo per ragioni puramente politiche, senza premurarsi di acquisire prove sufficienti!”- aveva concluso il francese.
La Corte si ritirò a deliberare e, pur essendo ormai buio, diede la lettura del verdetto quella stessa sera.
Ross fu assolto dall’accusa di alto tradimento e fu condannato soltanto ad una multa di tremila ghinee per non aver tempestivamente denunciato le attività dei francesi.
Mentre Warleggan, inviperito, trascinava via il piccolo Valentine, seguito a ruota da Hanson, Ross, finalmente da uomo libero, riceveva le congratulazioni dei suoi tanti amici e simpatizzanti.
Prima di correre ad abbracciare suo marito, Demelza si avvicinò a Lord Falmouth e gli prese la mano, come per volergliela baciare.
“Io e mio marito vi saremo per sempre debitori, milord”.
Il vecchio ritirò la mano e fece un gesto come per dire che non importava. Si avvicinò all’orecchio della donna e le sussurrò: “Diciamo che sono stato io a ripagare un mio debito nei confronti di vostro marito. Per me ha avuto un valore inestimabile che sia stato consentito ad Hugh di morire nel suo letto, anzichè trapassato da una pistola o da una spada nel corso di un duello”; poi, senza aggiungere altro, si allontanò.
La donna rimase impietrita: non aveva mai immaginato che quella vecchia volpe avesse intuito quel che c’era stato tra lei e Armitage…. Pensò tuttavia che, per quanto non fosse fiera del suo comportamento, se quell’errore aveva contribuito alla salvezza di Ross, non rimpiangeva di averlo commesso.
Ora non le restava che raggiungere suo marito. Attraversato un capannello di gente, dopo aver stretto la mano a mille persone e ringraziato con le lacrime agli occhi il prezioso avvocato Lorrain, Demelza si lasciò circondare dal travolgente abbraccio di Ross ed assaporò la sensazione di sicurezza che provava ogni volta che era nelle sue braccia.
L’incubo era finito, Ross era libero e potevano tornare insieme alla loro vita di sempre a Nampara, senza più nubi all’orizzonte.

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Capitolo 22
*** cap. 22 ***


Dopo che tutti i partecipanti al processo si erano riversati nella piazza di Truro liberando le aule giudiziarie, terminati saluti e ringraziamenti Ross e Demelza decisero di affittare una carrozza e rientrare subito a casa, sebbene fosse notte inoltrata, anziché fermarsi alla locanda come avevano invece preferito i loro amici Enys, i Lorrain e Geoffrey Charles. Sarebbero arrivati molto tardi e sicuramente Prudie si sarebbe lamentata per essersi dovuta alzare ad aprire la porta in piena notte, ma i due sposi sentivano il bisogno di riappropriarsi quanto prima di quella normalità cui avevano dovuto a lungo rinunciare.
Durante il tragitto Ross non la smetteva di parlare un momento. Era euforico per l’esito vittorioso del processo e sentiva il bisogno di esorcizzare la paura che aveva provato fino alla pronuncia del verdetto. Commentava i fatti avvenuti in udienza, il contenuto delle varie deposizioni, gongolava per le argute trovate di Lorrain, mentre si faceva beffe di Warleggan, il Procuratore e Merceron, immaginando la loro delusione in quel momento.
Demelza si limitava a rispondere a monosillabi e a sorridere.  Era molto stanca e, pur essendo lieta che tutto fosse finito, a differenza di Ross non aveva voglia di conversare. Avrebbe voluto solo dimenticare i momenti vissuti in quell’aula, l’angoscia e l’incertezza circa l’esito del processo, l’imbarazzo vissuto di fronte alle parole di Tess e Jacka o alle invettive dell’accusa. Se ne accorse anche Ross, perché ad un certo punto tacque e ciò consentì a sua moglie di assopirsi, la testa appoggiata sulla spalla di lui, cullata dal ritmo della carrozza sul selciato sconnesso.
Giunsero a Nampara verso mezzanotte e dovettero picchiare a lungo alla porta prima che Prudie, in camicia da notte e con uno scialle avvolto sulle spalle, si decidesse ad aprire. Quando vide chi era alla porta però il malcontento per aver dovuto abbandonare il suo caldo giaciglio scomparve e la donna ritrovò il buonumore; approfittò della situazione per versarsi un bel bicchierino di porto e si sedette al tavolo della sala, improvvisamente ciarliera. Ross e Demelza però rimandarono ogni spiegazione al mattino successivo; nel frattempo tutto quel trambusto aveva svegliato anche Jeremy e Clowance, che con i visini impastati di sonno fecero capolino ed esplosero di gioia nel rivedere, dopo tanti mesi di lontananza,  il loro papà. Erano così eccitati che fu dura rimetterli a letto, con la promessa che non quella sera – era troppo tardi e Ross e Demelza erano esausti – ma la successiva sarebbero stati tutti insieme dopo cena in camera dei genitori a leggere un bel libro.
A Ross sembrò così strano ritrovarsi in casa sua e poter dormire nel suo letto, dopo mesi e mesi di privazioni e di tormenti.
La stanza era fredda, ed era stato necessario accendere il camino. Dopo aver smosso i ciocchi per ravvivare il fuoco Ross si era disteso supino sul letto con gli occhi aperti, mentre Demelza ultimava di sciacquarsi  prima di coricarsi.
“Non credo che riuscirò a prendere sonno stanotte, nonostante la stanchezza e la tensione accumulate nei giorni scorsi… anzi nei mesi scorsi! Tutte queste emozioni… essere qui con te di nuovo, rivedere i bambini, pensare che da domani potrò tornare in miniera, riprendere le mie attività, incontrare liberamente gli amici…”
“E lord Falmouth. - lo corresse Demelza – Ha fatto capire chiaramente che ti aspetta al più presto a palazzo per riprendere i vostri discorsi politici. Sai com’è fatto… ti ha salvato il collo, ma aspettati delle ramanzine da parte sua! Ti terrà d’occhio peggio dei servizi segreti d’ora in poi!”
“Lo so – ammise Ross - e, a proposito dei servizi, Demelza, credo che dovremo seriamente riparlarne… se Whickam è ancora lì ospite di Falmouth, temo che tornerà all’attacco con la storia del controspionaggio… ma io non ho alcuna voglia di farmi coinvolgere in questa storia.”
“Non adesso, Ross, ti prego. A differenza tua, casco dal sonno” – gli confessò Demelza.
“Va bene – la accontentò – vieni a coricarti allora. Sai quanta paura ho avuto di non poter più dormire accanto a te… invece, è andato tutto come l’altra volta!”
Si riferiva all’altro processo da cui era stato assolto, oltre dieci anni prima.
Demelza per un attimo si bloccò, inseguendo quel ricordo.  Era stata una delle fasi peggiori della loro vita, erano distrutti dopo la morte di Julia, assillati dai problemi economici… ora era tutto diverso, però qualcosa di simile c’era…..
“Già. E’ proprio tutto come l’altra volta”- gli rispose sibillina, e lo raggiunse a letto con un enigmatico sorrisetto stampato sul volto.
Ross la guardò sorpreso, e benchè lei non desse spiegazioni non gli sfuggì il gesto con cui la donna si accarezzò dolcemente il ventre, non ancora arrotondato.
Continuava a fissarla come inebetito, alternando sguardi verso di lei e verso la sua pancia; infine Demelza gli tolse ogni dubbio. Ai suoi sguardi interrogativi rispose di sì con la testa ed emise un risolino.
Ross la abbracciò con tenerezza, e a sua volta volle appoggiare la mano sul grembo in cui una nuova vita si stava formando.
“Quella notte sull’Esmeralda…”- mormorò con gli occhi lucidi.
“E quando, se no? È stata l’unica volta da quando ci siamo ritrovati…”
“Tu sei matta… da quanto tempo lo sai e perché non mi hai detto nulla finora?”
“Da un mese circa… non ti ho detto nulla per scaramanzia, perché così avevo fatto quando aspettavo Jeremy, ed eri stato assolto … infatti anche stavolta è finita bene! E poi non potevo certo comunicarti la notizia durante i nostri fugaci incontri a palazzo Penvenen, dove vivevi nascosto ed in preda a mille preoccupazioni! Sei felice, Ross?” – gli chiese un attimo dopo, notando un velo di tristezza nel suo sguardo.
“Come potrei non esserlo? È solo che… mi domando cosa avresti fatto se mi avessero condannato.”
“Sarei andata avanti, come sempre…. Ed avrei custodito questo figlio come l’ultimo tuo prezioso regalo”.
Visibilmente commosso, Ross rispose soltanto: “Se è un maschio, mi piacerebbe chiamarlo Henry”.
“Sarà una femmina; sai che ho un sesto senso per queste cose” – replicò Demelza.
“Allora , la chiameremo Henriette!”
“Ma neanche per sogno! – rispose Demelza – è un nome orribile per una bambina. Anche di questo però discuteremo domani. Buonanotte, amore mio”.
Era davvero molto stanca, perché appena si girò sul fianco, dopo aver scambiato con Ross un tenero bacio, si addormentò.
Ross restò a fissarla mentre dormiva, come spesso faceva fin dai primi tempi del loro matrimonio, quando stentava a credere che quella ragazzina salvata dalla strada avesse avuto il potere di far vibrare le corde più profonde del suo cuore.
Era incredibile come tutto fosse cambiato nel giro di poche ore. Era tornato uomo libero, scagionato da infamanti accuse, e stava per diventare di nuovo padre. Una nuova speranza di gioia gli si profilava davanti, eppure – ma non avrebbe comunicato questo suo pensiero a Demelza neanche sotto tortura - c’era ancora qualcosa che lo turbava: Tess .  Ross sentiva che la sua felicità non poteva essere piena finchè non avesse scoperto dove quella donna si trovava ed avesse avuto la certezza che non aveva più intenzione di nuocere a lui e alla sua famiglia. Doveva proteggere Demelza, tanto più durante questa nuova gravidanza.

 

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Capitolo 23
*** cap. 23 ***


DUE MESI DOPO
“Signorina, è arrivata una lettera per voi!”
“Chi ti scrive, tu novio?” - domandò impertinente la cuginetta undicenne a Mireille, mentre Mercedes, la cameriera a servizio dello zio, consegnava alla ragazza francese quella busta giunta da molto lontano. Mireille fece una linguaccia alla cugina minore e si ritirò in camera sua per poter leggerne in santa pace il contenuto, così rafforzando i sospetti dell’altra, che la guardò andare via non senza una punta di invidia infantile.
Sedutasi in poltrona, la nipote di Lorrain scartò avidamente la busta e lesse:
Mia cara Mireille,
ho ricevuto qualche settimana fa la missiva con cui mi comunicavi che eri arrivata a casa di tuo zio a Siviglia , che il viaggio era stato piacevole e che sia tu che tuo nonno siete in ottima salute; di questo mi rallegro molto!
E’ trascorso oltre un mese da quando avete lasciato la Cornovaglia e, come ben sai, sono dovuto rientrare in accademia subito dopo il processo di zio Ross;  ci siamo incontrati però un paio di volte a Londra, nelle sere in cui mi viene concessa la libera uscita, e sono sicuro che ti farà piacere venire a conoscenza degli ultimi sviluppi inerenti la sua vicenda, per la quale tuo nonno si è tanto prodigato.
Immediatamente dopo l’assoluzione, prima ancora che voi partiste per la Spagna, zio Ross ha ripreso la sua attività di direzione della miniera Wheal Grace. Il suo ritorno è stato accolto con gioia da tutti i suoi dipendenti; naturalmente Jacka Hoblyn, dopo tutto quello che è successo, ha rassegnato le sue dimissioni ed è andato ad impiegarsi in un’altra miniera dalle parti di Sawle.
Nonostante la crisi economica che affligge la nostra regione, i profitti della Grace, a differenza del passato, non destano preoccupazioni e la ruota pare aver ripreso a girare a favore di zio Ross.
Come immaginerai, però, sarà principalmente la zia Demelza a dover gestire gli affari di famiglia nei prossimi mesi. Lord Falmouth ha convocato zio Ross e lo ha praticamente obbligato a riprendere immediatamente le funzioni di parlamentare, senza perdersi neppure uno degli incontri politici da lui organizzati!
Zio Ross mi ha confidato che durante il primo incontro a palazzo Boscawen era presente anche quel Whickam, il funzionario dei servizi segreti che ha contribuito a scagionarlo. Lo zio  temeva che tornasse all’attacco con la storia dello spionaggio; in realtà  Whickam gli ha detto solo che spera che la Corona possa continuare a contare su di lui come uno dei suoi più fedeli servitori, ma non gli ha affatto proposto di collaborare come spia;  probabilmente, sostiene lo zio Ross, perché la sua notorietà non garantirebbe la segretezza, la capacità di passare inosservati che quel ruolo richiede. Credo però che lo zio non se ne sia rammaricato troppo: ne ha abbastanza di avventure, e non intende allontanarsi troppo dalla famiglia, tanto più ora che è in arrivo un altro piccolo Poldark….
Ti dicevo che ho avuto occasione di incontrare zio Ross a Londra, l’ultima volta è stato proprio ieri sera. Ebbene, le novità che mi ha raccontato sono davvero sconvolgenti ed ho sentito il bisogno di scriverti immediatamente!
Devi sapere che lo zio ha accettato le imposizioni di Falmouth ad una sola condizione: durante tutto il periodo in cui egli si trova a Londra o a Truro per questioni politiche Nampara deve essere vigilata. Tholly, i suoi cognati ed altri giovani della zona si sono organizzati per effettuare delle ronde periodiche durante il giorno e Demelza, Prudie e i bambini non restano mai soli di notte, perché qualcuno di loro si alterna sempre a dormire in casa. Con Tess ancora in giro la prudenza non è mai troppa… eppure, per quasi due mesi, nessuno ha avuto notizie di quella sciagurata.
Qualche giorno fa però lo zio, rientrato nella pensione che lo ospita a Londra, ha ricevuto un biglietto che lo invitava a presentarsi ai Giardini di Vauxhall a mezzanotte. Si tratta di una sorta di parco di divertimenti, ricco di attrazioni, giochi, fuochi pirotecnici…. Ebbene, il biglietto diceva che il suo misterioso autore sarebbe stato in grado di dargli informazioni sul luogo in cui si trovava Tess Tregidden. Zio Ross ha cercato di sapere dalla pensionante qualcosa in più sulla persona che aveva consegnato il biglietto, ma lei ha risposto che lo aveva trovato sotto la porta. La circostanza gli è sembrata sospetta, ma la curiosità di scoprire cosa c’era dietro era molto forte…
Tuttavia, dopo gli eventi dell’ultimo anno, zio Ross ha deciso di comportarsi in maniera più avveduta del solito. Whickam gli aveva lasciato dei riferimenti di persone di sua fiducia a Londra, cui si è rivolto prima di decidere che peso dare a quella comunicazione giunta in circostanze così strane.
Dopo un po’ dunque zio Ross passeggiava nei giardini di Vauxhall in compagnia di una elegante signorina… non preoccuparti, faceva tutto parte del piano! Giunto al luogo dell’appuntamento, ha incontrato un uomo dall’aspetto losco, tutto vestito di scuro, che si è lamentato per la presenza della donna.
“Nel biglietto non c’era scritto che avrei dovuto essere solo, e poi ora non posso certo rimandare a casa la mia accompagnatrice da sola, a quest’ora di notte!” – aveva replicato lo zio.
Poiché però quello insisteva e pregava  zio Ross di seguirlo da solo, altrimenti non se ne sarebbe fatto nulla,  nonostante le proteste e la richiesta di conoscere prima quale sarebbe stata la destinazione, la ragazza restò piantata in asso nel bel mezzo del parco e recitò molto bene la parte dell’amante delusa, mentre Ross si allontanava con l’informatore.
L’allontanamento forzato della fanciulla non fece che insospettire ancora di più mio zio, che ebbe la conferma che qualunque cosa stesse per accadere non lo avrebbe condotto a nulla di buono.
Ciò che quel brutto ceffo non sapeva era che l’uomo di fiducia di Whickam contattato da zio Ross, che a sua volta si trovava nel parco e non li aveva persi di vista per un attimo, li avrebbe seguiti con circospezione.
Immagino che la tua curiosità sia giunta alle stelle, per cui arrivo subito al dunque; l’uomo che doveva dare informazioni su Tess condusse zio Ross nei pressi di una elegante palazzina, precisando che al suo interno avrebbe trovato le risposte desiderate, e che lui non poteva dire nulla di più. Anche in questo caso a nulla valsero le rimostranze dello zio, che affermava che non si fidava ad entrare in casa di sconosciuti a quell’ora tarda. Alla fine comunque, pur riluttante,  si introdusse nell’abitazione e all’interno trovò Tess, ma non da sola!
Vi era Ralph Hanson, quell’uomo sgradevole che si accompagnava al mio patrigno in tribunale, se ricordi. Hanson riferì che era stato lui a ritrovare Tess in Francia e aveva pagato una cospicua somma per farla rimpatriare in tempo per deporre, tuttavia la donna non aveva ripagato la sua fiducia ed era fuggita immediatamente dopo la deposizione, per tema di essere smascherata. Sapeva benissimo di mentire e al momento del controesame di tuo nonno sarebbe caduta facilmente in contraddizione.
Il suo comportamento non solo aveva concorso a determinare l’assoluzione dello zio Ross, ma aveva anche profondamente irritato il fratellastro di Hanson, che altri non era se non il giudice Merceron; parentela fra i due che finora ignoravo!
Hanson e Merceron, intenzionati a vendicarsi di Tess, erano poi riusciti a ritrovarla a Londra, ove si era rifugiata grazie al denaro datole da Hanson. Le avevano impartito una sonora frustata, ma al tempo stesso le avevano offerto una via di uscita purché li aiutasse ancora… 
In pratica quei due farabutti minacciarono zio Ross dicendo che se non avesse modificato la sua posizione in Parlamento sulla abolizione della schiavitù nelle colonie inglesi avrebbero fatto in modo da far riaprire il processo, fabbricando prove false per dimostrare che Tess era stata fatta sparire per volontà dell’imputato, al fine di essere assolto anche grazie a tale stratagemma. Questa volta Tess si era impegnata a dichiarare tutto ciò che loro volevano, era stata adeguatamente istruita sulle possibili contromosse della difesa, il tutto in cambio di molto denaro e della opportunità di cambiare vita per sempre, lontano dalla Cornovaglia.
Zio Ross comprensibilmente (e com’è nel suo stile) rifiutò di piegarsi a quel ricatto e cominciò ad insultare quei due lestofanti e quella megera che tanti problemi gli aveva causato, vomitando quello che pensava di loro, sdegnato in particolare del fatto che un funzionario pubblico a servizio della Corona compisse atti illeciti contrari di suoi doveri, fatto di cui aveva già avuto prova in occasione della vicenda dell’ingiusta incarcerazione di Ned Despard.
Merceron e Hanson presero allora a beffarsi di lui, in quanto non aveva nessuna prova di quanto asseriva e a breve sarebbe stato costretto ad abbassare la cresta, perché stavolta nessuno lo avrebbe salvato dalla impiccagione.
Senonchè, proprio in quel momento fece irruzione nella stanza un gruppo di guardie, che era entrato da una porta di servizio della casa, allertato dalla spia amica di Whickam. Il capo delle guardie ordinò che Merceron, Hanson e Tess fossero immediatamente tratti in arresto per intralcio alla giustizia, minacce, e, nel caso del giudice, per alto tradimento alla Corona. Le guardie avevano ascoltato tutta la precedente conversazione, vi erano quindi prove a sufficienza per incriminare tutti e tre.
Hanson e Merceron sono stati condotti in prigione a Londra, mentre Tess è stata trasferita a Bodmin, non so per quale ragione.
La storia pare conclusa per il meglio, con i cattivi a pagare per le loro malefatte ed i buoni giustamente ricompensati!
Lo scenario che si apre d’ora in avanti è quindi particolarmente lieto per la famiglia Poldark, libera finalmente dal tarlo di Tess, con la nuova gravidanza di zia Demelza che prosegue nel migliore dei modi ed i bambini entusiasti dell’arrivo di un nuovo compagno di giochi…
A proposito,  il parto è previsto per gli inizi della primavera; in quel periodo avrò certamente ultimato i miei studi e sarò in procinto di decidere del mio futuro. Credo quindi che approfitterò per qualche tempo dell’ospitalità dello zio Ross a Nampara, piuttosto che dover pietire un letto per dormire al mio ineffabile patrigno!
In quello stesso periodo  nelle terre dei Poldark (in realtà ora solo nelle terre dello zio, da quando a Trenwith vivono i Warleggan) è tradizione organizzare una grande festa di primavera, con tutti i fittavoli e le loro famiglie per festeggiare il nuovo raccolto. Una festa di campagna, nulla di pretenzioso… ma sono sicuro che anche una fanciulla giramondo come te si divertirebbe a danzare e cantare fino a notte fonda! Mi darebbe un immenso piacere poterti rivedere, insieme a tuo nonno, naturalmente.  Se siete fortunati, magari in quei giorni potreste conoscere il nuovo erede di zio Ross… confidando in una tua risposta positiva, ti porgo i miei più sinceri omaggi,
Tuo, Geoffrey Charles Poldark.”
 Mireille ripose la lettera nella sua busta con il sorriso sulle labbra. Era simpatico quel ragazzo… non era affatto il suo fidanzato, come aveva insinuato la cugina, ma la sua compagnia durante i giorni del processo era stata gradevole, e non le sarebbe certo dispiaciuto incontrarlo nuovamente… si era resa conto che in Cornovaglia aveva trascorso molti momenti felici, circondata da gente semplice e generosa, senza alcun doppio fine, a differenza di quella che doveva frequentare lì a Siviglia, nell’alta società. Soprattutto i giovanotti che le avevano presentato, quelli fra i quali forse avrebbe trovato il suo futuro marito, le erano parsi dei bamboccioni privi di spina dorsale, incapaci di intavolare una conversazione interessante! Forse era una buona idea tornare a Nampara…e poi il nonno non avrebbe osato negarle quel viaggio! Lui stesso era tornato rinfrancato da quell’esperienza in Cornovaglia, sembrava quasi ringiovanito! Sì, gliene avrebbe parlato… non prima però di raccontargli per filo e per segno l’incredibile conclusione delle vicende di Ross Poldark.

 

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Capitolo 24
*** EPILOGO ***


“Non riesci proprio a stare con le mani in mano, vero?”
Demelza rise. Sebbene il pancione le impedisse di compiere attività faticose, ci teneva a dare anch’ella il suo contributo alla buona riuscita della festa di primavera. Le mogli dei suoi fratelli la trovarono seduta in mezzo al prato, intenta ad intrecciare coroncine di fiori che le fanciulle in età da marito avrebbero indossato durante la festa.
Morwenna, che aveva la piccola Loveday stretta al petto, sostenuta da un’ampia fascia legata dietro le scapole, si sedette a fianco a lei.
“Va tutto bene?” – chiese accarezzandole la pancia.
“Insomma… ogni tanto qualche dolorino. Mi sa che non manca molto”.
“Dovresti restare a letto, Demelza – le suggerì Rosina – tanto più dopo l’azzardo della settimana scorsa, quando sei stata a Bodmin…”
“Sshhh! – la zittì la cognata – ricordati che Ross non deve saperne nulla. Glielo dirò, ma non ora. I suoi rimproveri sono l’ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento. Capisco la tua preoccupazione, Rosina, ma è il quarto figlio che porto in grembo e ti assicuro che è tutto sotto controllo. E’ normale avere contrazioni al nono mese!”
“Come mai hai voluto incontrare quella donna, dopo tutto quello che vi ha fatto?” – le chiese Morwenna.
“Quando Sam mi disse che sarebbe andato alla prigione di Bodmin per portare i conforti religiosi a Tess, che sarebbe stata impiccata pochi giorni dopo, ho sentito il bisogno di vederla, di farle capire che l’avevo perdonata. La mia coscienza mi imponeva di dirle qualcosa prima che morisse. E’ vero, si è comportata in modo spregevole con la nostra famiglia, ma ha pagato con la vita i suoi errori. Non la giustifico, certo, ma posso capirla più di chiunque altro. Anche io ho vissuto la fame, la miseria, l’indifferenza altrui… anch’io ho sentito il bisogno di ribellarmi alla mia condizione ed ho cercato di migliorarla, mettendomi contro il mio stesso padre; anche io so quanto è facile innamorarsi di Ross e quanto è struggente dover sopportare la sua devozione nei confronti di un’altra….ho cercato di farle capire questo, in sostanza, quel giorno.”
“Demelza…- rispose Rosina prendendole le mani – sei una persona così sensibile…  la gravidanza ti rende ancora più dolce del solito… forse tu e Tess avevate qualcosa in comune, ma ciò che vi distingue è che tu non hai mai fatto del male agli altri per raggiungere i tuoi obiettivi!”
“Concordo con Rosina… e lei come ha reagito alla tua visita?” – domandò la moglie di Drake, ansiosa di saperne di più.
Demelza chinò il capo, ricordando quell’incontro. “All’inizio si mostrò sprezzante come al solito: pensava fossi andata lì, in stato di gravidanza evidente, per sbatterle in faccia la mia vittoria e deriderla … poi però ha capito le mie intenzioni. Mi ha fatto molta pena. Ho letto tanta tristezza nei suoi occhi, anche se non ha detto quasi nulla. Le ho detto addio, poi ho preferito lasciarla con Sam a leggere la Scrittura. Mi ha raccontato che Tess ha accettato di  pregare insieme a lui e che alla fine lo ha ringraziato per tutto quello che ha fatto e per non averla mai giudicata…”
“Sì, Sam lo ha detto anche a me – confermò Rosina – Dio voglia che in punto di morte Tess si sia pentita, ed il Signore abbia avuto misericordia di lei!”
Le tre donne continuarono il lavoro con i fiori raccolti; dopo poco furono raggiunte da Prudie e dai bambini di Demelza, che portavano ciascuno un cestino pieno di profumate frittelle, mentre la cameriera recava un’enorme torta di mele ancora fumante.
“Andiamo a vedere se è tutto pronto!” - esclamarono.
Come per tradizione, ogni famiglia, in base alle sue possibilità, offriva del cibo da consumare insieme durante la festa, pertanto quando Demelza giunse nella zona dove erano stati allestiti i banchetti vi erano già varie leccornie sui tavoli. Ross e gli altri uomini erano intenti ad arrostire le salsicce, quasi tutte provenienti dai maiali macellati nella fattoria dei Poldark. Grazie ad una generosissima donazione di Dwight e Caroline invece era stata acquistata frutta e cioccolata da distribuire a tutti i bambini. 
Drake e Sam avevano acceso alcuni falò e vi era già un gruppo di giovani che ballava allegramente, mentre il figlio minore di Zacky Martin ed un suo amico suonavano i violini.
Tholly Tregirls era addetto alla distribuzione delle bevande e sembrava già brillo, benchè fossero solo le sei del pomeriggio.
Ross, impegnato dinanzi alla brace, fece solo un cenno di saluto alla moglie; i bambini si unirono festosi ad altri coetanei che giocavano a rincorrersi sui prati, mentre Prudie con le altre donne, per lo più mogli di minatori o di affittuari di Ross, formava le porzioni delle varie pietanze che andavano distribuite ai partecipanti.
Demelza e le cognate si avvicinarono a un gruppo di ragazze ed offrirono le coroncine da loro preparate, aiutandole a sistemarle sul capo.
Fra queste c’era anche Mireille Lorrain, che aveva accolto l’invito di Geoffrey Charles ed era arrivata a Nampara da qualche giorno, accompagnata da una domestica: Suo nonno era dovuto tornare in Francia per affari ed aveva incaricato la nipote di portare i suoi più cari saluti alla famiglia Poldark.
Mireille era attorniata da vari giovani e fanciulle del luogo, e suscitava parecchia invidia fra queste ultime, perché con la sua bellezza rischiava di monopolizzare l’attenzione dei maschi. In realtà la fanciulla aveva usato la delicatezza di indossare un abito molto semplice per l’occasione, ed anche la sua acconciatura non era particolarmente elaborata. Con la coroncina di fiori in testa riusciva tuttavia ad apparire ancora più graziosa del solito.
La serata continuò in allegria fra canti e balli, tra chiacchiere, risa e brindisi festosi, il più sonoro dei quali fu quello che salutò la notizia che il dottor Enys e sua moglie sarebbero diventati genitori il prossimo autunno.
Verso le dieci Demelza, piuttosto provata e stanca, chiese a Ross di riaccompagnarla a casa. Passeggiarono mano nella mano a piedi nella notte, al chiaro di luna.
“Nonostante tutto, sei stata la regina della festa. Hai notato come tutti venivano ad omaggiarti?” – scherzò Ross durante il tragitto.
“Io la regina della festa? Ma se sono grassa come un elefante! Le persone che sono venute a salutarmi lo hanno fatto solo per cortesia, in veste di signora di Nampara, non certo per corteggiarmi!”
“Non sei grassa, sei solo incinta; e sei la donna incinta più affascinante che io conosca” – la lusingò il marito.
“Non dovresti prendermi in giro Ross… sai che detesto vedermi così.. per fortuna tra poco potrò tornare alla mia forma abituale… a proposito di corteggiamenti, hai visto il modo in cui tuo nipote guarda Mireille? Credo che ci sia qualcosa tra di loro” – azzardò Demelza.
“L’ho notato anche io – rispose Ross – pensi che lei lo ricambi?”
“Ho l’impressione di sì. Mary Carter dovrà rassegnarsi! Peccato, ha sempre avuto un debole per Geoffrey, fin da quando erano bambini.”
“Formerebbero una bella coppia…Mireille mi ricorda molto Elizabeth quando era giovane – commentò Ross  - quando l’ho vista prima su quella scogliera, mentre Geoffrey Charles la rincorreva, così bella e spensierata , ho avuto quasi un dejà vu…”
 Demelza si irrigidì.
“Anche voi vi giuraste eterno amore durante una festa di primavera?”- replicò acida. Dopo tanti anni, non riusciva ancora a superare la gelosia nei confronti della prima cotta di Ross.
“No. – rispose serio Ross - Mi diede il suo anello come portafortuna poco prima che partissi per l’America, ma non ci fu nessuna promessa da parte sua, benchè per molto tempo fui convinto del contrario. Avevamo più o meno l’età che hanno loro adesso.”.
“Mireille è molto bella, ma possiede anche tante altre qualità che sono di gran lunga più importanti della bellezza. Non credo che Geoffrey Charles si sia fatto abbagliare solo dal suo aspetto esteriore”- aggiunse Demelza, volendo indirettamente punzecchiare Ross e i suoi trascorsi con Elizabeth.
Suo marito colse l’allusione.
“Quando si è giovani è molto facile confondere un’infatuazione con l’amore… solo un anno fa Geoffrey era perso per Cecily, ora ha preso una cotta per Mireille, domani chi lo sa… E poi vorrei farti notare che quando ricevetti quell’anello da Elizabeth non  conoscevo ancora la donna della mia vita, che all’epoca era solo una bambina….”- le rispose.
“Una monella cenciosa che non avresti degnato neppure di uno sguardo”.
“Ma che poi ho sposato, che amo oltre misura e che ora deve solo pensare a riposare!” - concluse Ross premuroso, con un bacio sulla fronte che metteva fine al battibecco mentre varcavano la soglia di casa.
Isabella Rose Poldark vide la luce la mattina successiva, il 22 marzo 1802.
Nel corso della notte le contrazioni si fecero sempre più ravvicinate e la bambina venne al mondo prima ancora che ci fosse il tempo di mandare a chiamare Dwight.
Era la figlia che più somigliava a Ross: bruna, con la testa piena di capelli, la pelle ambrata ed una vocina squillante che si faceva sentire prepotentemente in tutta la casa.
“Questa bambina è una che sa il fatto suo!” – commentò Prudie dall’alto della sua saggezza popolare, mentre la neonata, attaccata per la prima volta al seno materno, finalmente si placava.
“Oppure semplicemente le piace far sentire la sua voce… magari da grande farà la cantante!” – aggiunse Jeremy.
“Smettetela di scherzare… tutti i neonati piangono quando hanno fame! E lei non fa eccezione!” – rispose Demelza sfiorando intenerita con un dito il volto della piccola.
Clowance osservava la sorella, dai colori così diversi dai suoi, con un misto tra l’invidia e la curiosità.
“Mamma – chiese ad un tratto – non ti sembra che questo nome, Isabella Rose, sia troppo lungo? Voglio dire… quando dovrete chiamarla per farle una ramanzina, impiegherete troppo tempo e lei scapperà via e non vi ascolterà…”
Ross, Prudie e Jeremy scoppiarono a ridere.
“Sta’ tranquilla, Clowance - la rassicurò Demelza – in famiglia nessuno di noi la chiamerà Isabella Rose: per tutti sarà semplicemente Bella. Che ne pensi?”
“Per me è un’ottima idea” – intervenne Jeremy, che dato il suo legame speciale con Demelza odiava che sua madre venisse contraddetta.
“Anche io sono d’accordo: Bella Poldark. Suona bene. Manchi solo tu, Clo’ “ – aggiunse Ross.
La biondina arricciò il naso all’insù e con sussiego rispose: “Anche se sembra quasi il nome di un cane… se va bene a voi…la chiamerò Bella anch’io!”
Questa volta scoppiò a ridere anche Demelza, ed il sussultare del petto fece protestare nuovamente la neonata, che aveva perduto per un attimo la sua comoda posizione. I presupposti per un burrascoso rapporto tra sorelle erano appena stati gettati!
Quella sera, concluse le varie visite di amici e parenti venuti a congratularsi con i neo genitori, Ross si trattenne a lungo in salotto con Geoffrey Charles, che lo informò della sua decisione di partire con Mireille per la Spagna. C’era un reggimento inglese di stanza a Madrid, ed egli aveva presentato domanda per essere arruolato lì. Ross si volle sincerare che il nipote avesse ponderato adeguatamente questa decisione, ed il ragazzo replicò che non lo faceva solo per Mireille: è vero, lei gli piaceva molto e pareva ricambiare il suo affetto, ma era consapevole che erano entrambi troppo giovani per pensare di mettere su famiglia. Le paghe per i soldati che prestavano servizio all’estero erano più alte di quelle inglesi e quel sacrificio gli avrebbe consentito di mettere dei risparmi da parte, visto che il suo patrigno fino al raggiungimento della maggiore età gestiva l’eredità di Francis per suo conto senza sganciargli nemmeno un penny. Ross apprezzò la maturità del ragazzo e gli augurò il meglio per il futuro.
Era ansioso di raccontare a Demelza quanto gli aveva riferito il nipote, ma quando finalmente salì in camera da letto la trovò gemente, con il volto rigato di lacrime.
Allarmatissimo, le chiese subito: “Non ti senti bene? È successo qualcosa alla bambina?”
Demelza si asciugò il volto con il dorso della mano e scosse la testa, volgendo il mento verso la culla in cui Bella dormiva placidamente, come per invitare il marito a guardarci dentro.
“Lei sta bene, ed anche io – sussurrò per non svegliarla – è solo che…”
“Solo che cosa?” – la incalzò Ross.
“Non ricordavo cosa volesse dire avere un neonato in casa, Ross… sono passati quasi otto anni, e non è facile ricominciare tutto da capo… fasce, vagiti, poppate…tu che a breve dovrai tornare a Londra …”
“Non ricordo che tu ti sia mai scoraggiata di fronte ad una nuova maternità – sussurrò Ross, sconcertato – e, per quanto alla nascita degli altri nostri figli io non fossi ancora parlamentare, ho collaborato ben poco nel tirarli su, ti sei sempre occupata tu di tutto… ”
“Non fraintendermi, Ross, la nascita di Bella è una gioia immensa, e so quali sono i miei doveri di madre… non so spiegarti nemmeno io bene cosa provo e come mai sono così turbata!”- disse, appoggiando la testa sulla spalla del marito, che nel frattempo si era seduto sul letto accanto a lei. 
“E’ per quello che abbiamo passato nell’ultimo anno, forse? Hai paura di separarti da me?” – le chiese con dolcezza, accarezzandole il viso.
“Forse…” – rispose Demelza in un soffio.
“Ascoltami bene, ho un’idea: tra pochi giorni dovrò partire per Londra, ma non starò via più di tre mesi. Poi ci sarà la pausa estiva, e le sedute riprenderanno a settembre. Allora Bella sarà abbastanza grande da poter viaggiare: perché non ci trasferiamo tutti a Londra? Non ti sembra una buona idea? Così anche io, terminati i lavori a Westminster, potrei tornare in una vera casa anziché nella pensioncina in cui alloggio ora; potrei veder crescere i bambini giorno dopo giorno, averti accanto…  Per il resto - la miniera, i cottage, la fattoria - non preoccuparti: posso assumere un segretario per gestire tutto, come lord Falmouth: grazie a Dio le nostre finanze ora me lo permettono. Periodicamente potremmo tornare per controllare il suo operato. Che cosa ne pensi?”
Demelza ci ragionò un attimo, poi rispose: “Non lo so, Ross… la vita a Londra sarebbe molto diversa da quella che conduco qui a Nampara… non sono nata per essere una lady.”
“Nemmeno io sono nato per essere un parlamentare, e sai quanto mi è costato adattarmi a quella vita, eppure l’ho fatto. Sei stata tu a spronarmi a farlo, per un bene superiore, ricordi? E non sei stata sempre tu ad insegnarmi ad accettare ogni difficoltà o cambiamento con il sorriso sulle labbra e senza lamentarsi mai?”
Demelza annuì. “Il matrimonio è questo, Ross: affrontare insieme ciò che la vita ci riserva, senza perdere la speranza nel futuro”.
“Allora promettimi che ci penserai – concluse il marito baciandole la fronte- ed ora a dormire, finchè la piccola peste ci concede qualche ora di tregua!”
Demelza gli sorrise, finalmente rasserenata. Avrebbe voluto stringerlo forte, e dirgli quanto si sentisse fortunata ad essere sua moglie, ma sapeva che in certi momenti loro due erano capaci di intendersi senza tante parole. Un attimo prima di essere avvolta in un caldo abbraccio rassicurante, gli disse solo, in un sussurro, come sempre: “Sì, Ross.”

 

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