Hunting Season

di MadameZophie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il Festival Primiverile ***
Capitolo 2: *** 2. Merce Preziosa ***
Capitolo 3: *** 3. Segreti e voci di corridoio ***
Capitolo 4: *** 4. Terreno di Caccia ***



Capitolo 1
*** 1. Il Festival Primiverile ***


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Preambolino di zia Zophie

Come ho già scritto nell'introduzione, l'opera non è mia (Magari lo fosse), ma è della bravissima Eguko, di cui potete comodamente trovare il profilo su Archive of Our Own. La mia è una semplice traduzione (pubblicata con il suo pieno consenso), e mi premurerò di tradurre per lei le recensioni che verranno date qui su EFP così da renderla partecipe delle vostre opinioni. Mi sono innamorata di questa storia a prima vista, tanto che mi ha spinto a superare la mia timidezza per chiederle il consenso di tradurla e spero che su EFP avrà un successo simile a quello che ha avuto su AO3. Essendo stati già pubblicati da Eguko 11 capitoli su 13, cercherò di farne uscire almeno uno a settimana, due se il mio cervello collabora, ma vi chiedo pazienza ad ogni modo, i capitoli sono molto molto lunghi per i miei standard e ci potrei mettere un pochetto. 
Vi lascio ora alla lettura, facendo solo poche piccole premesse in merito ai dettagli sulla traduzione. 

1. Non sapendo bene come rendere adeguatamente la parola adattandola al contesto, i Lodgers rimarranno tali per tutta la storia, a meno che Eguko non mi aiuti ad individuare un sinonimo efficace <3
2. Essendo l'universo delle omegaverse basato su termini inglesi, ho scelto di tenerne alcuni invariati. Un esempio è il termine "bond", ovvero il legame tra Alpha e Omega, che ho preferito far rimanere tale perché la sua traduzione come "legame" non mi rendeva bene allo stesso modo. 

Per ora direi che abbiamo finito, sì. Buona lettura!



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:hibiscus: ღೋ ═══════
 
«Natsu, calmati» Hinata parlò lentamente e con voce calma, un ordine dolce ma allo stesso tempo severo rivolto alla giovane. Stava facendo del suo meglio per calmare la sorella e richiamarne l’attenzione, la ragazza sembrava incapace di riprendersi dallo shock iniziale dovuto a quello che era appena successo.
«Ascoltami, ho bisogno che tu ti concentri». Continuò a fissarla intensamente, come se lanciarle insistentemente sguardi preoccupati fosse sufficiente a riscuoterla dal suo stordimento.

La ragazza tremante non diede risposta. Rimase lì, tremando inginocchiata a terra, fissandolo di rimando con gli occhi spalancati e la bocca aperta allo stesso modo, incapace di rispondere o di comprendere il significato delle sue parole. Il corpo di Natsu in quel momento le mandava segnali di allarme e pericolo, l’udito ovattato dalla paura e l’adrenalina a scorrere nel suo corpo. Il dolore pulsante alle sue ginocchia sbucciate e piene di lividi non aiutò a contrastare le ragioni della sua immobilità.

Hinata deglutì. L’ansia della sorella, insieme alla sua paura, stavano iniziando a permeare l’aria e, se il ragazzo aveva ragione su chi avesse messo quelle trappole, ciò si sarebbe presto tramutato in un problema scomodo e pericoloso. Doveva costringere Natsu a scappare. Era troppo tardi per lui, questo lo sapeva, ma se lei non fosse riuscita a salvarsi, non se lo sarebbe mai perdonato. Aveva promesso a sua madre che si sarebbe sempre preso cura della sorella minore, e da quando avevano iniziato la loro vita da nascosti e fuggitivi, aveva rispettato il giuramento. Iniziare a infrangere le sue promesse in quel momento, quando lei aveva maggiore bisogno di lui, era qualcosa che non aveva minimamente intenzione di fare.

«Natsu! Per favore, ascoltami! Devi tornare indietro. Koji, Izumi e gli altri saranno in pericolo se non lo fai. Devi avvisarli delle trappole, la foresta non è più un luogo sicuro».
Hinata percepì il tono di supplica nella propria stessa voce, ma la ragazza continuò a fissarlo, scuotendo la testa e sforzandosi di riprendersi da quello stordimento, provando a ragionare nonostante la paura per riuscire a prendere una decisione. Doveva trovare un modo per aiutarlo, ci doveva essere un modo. Non poteva di certo abbandonarlo, giusto?

Distolse lo sguardo dal fratello e iniziò a scansionare l’ambiente circostante, combattendo il suo stesso istinto che la spingeva a correre via e a seguire le direttive del fratello, analizzando ogni dettaglio e cercando una soluzione, un modo per rendersi utile in quella situazione, uno qualunque, una qualunque cosa che le permettesse di liberarsi dei sensi di colpa che si erano fermati a formare un doloroso e permanente groppo all’altezza della gola.

Era colpa sua. Natsu lo sapeva. Shouyo stava probabilmente pensando la stessa cosa, ma non lo avrebbe mai ammesso, perché era fatto così, semplicemente buono. Se lei non avesse insistito per uscire quel giorno, se non fosse stato per la sua sbadataggine… se non fosse stato per il suo non prestare attenzione… sarebbero riusciti ad evitare quella situazione. Avrebbero potuto notare le trappole e suo fratello non avrebbe dovuto spingerla via rimanendo tuttavia imprigionato lui stesso… Se lei non fosse stata così ingenua, in quel momento sarebbero stati sulla via per il ritorno, per avvertire i loro amici, la loro famiglia…

«Natsu!» Hinata strillò. Il suo atteggiamento calmo e controllato si era dissolto per tentare un’ultima volta di attirare l’attenzione della rossa. Se non avesse iniziato subito la sua ritirata, non ci sarebbe stata alcuna speranza di salvarsi per lei o per i loro compagni nel rifugio.

Natsu sussultò tornando a rivolgere a lui lo sguardo, ansimando mentre lo stupore si dissolveva. Le lacrime stavano iniziando a traboccare dai suoi occhi, mentre finalmente comprendeva la supplica del fratello. Shouyo era spaventato tanto quanto lei, se non di più, essendo quello costretto dietro le sbarre, ma si stava sforzando per darle l’impressione di non esserlo. Come se lui avesse il totale controllo della situazione, anche mentre era imprigionato in una gabbia metallica sospesa a numerosi metri dal suolo, pendendo come un uccello in trappola e senza alcuna via d’uscita per fuggire da lì. Anche in quella situazione, con le mani che tremavano furiosamente chiuse e strette attorno alle sbarre di metallo, si stava comportando come se non ci fosse nulla di cui aver paura e lei… lei voleva credergli. No.
Lei doveva credergli. Shouyo era l’unica famiglia che le fosse rimasta; certo, i loro amici d’infanzia erano il suo attuale branco ed avevano trascorso insieme a cercare di sopravvivere a quel nascondino senza fine così tanto tempo che ormai voleva loro bene come se fossero una famiglia, ma non sarebbero mai stati la sua vera famiglia. Hinata non l’avrebbe lasciata sola, non poteva. Lo aveva promesso. Natsu deglutì il groppo che le si era formato in gola nella speranza che, buttandolo giù, l’abbandono del suo unico fratello l’avrebbe pugnalata al cuore con meno forza.

«Okay» borbottò la ragazza, incapace di guardare suo fratello negli occhi. Il suo cuore infranto di fronte alla consapevolezza di ciò che stava per fare. «Mi dispiace Shouyo» una singola lacrima seguì le sue scuse cariche di sensi di colpa. «Mi dispiace, mi dispiace così tanto». Le sue parole erano poco più di un sussurro.

«Non dispiacerti» erano gli occhi del ragazzo quelli umidi, ora. «Non è mai stata colpa tua, per cominciare». Lasciò lentamente andare la presa sulle sbarre della sua gabbia, il sollievo fece dischiudere le sue mani di riflesso mentre osservava la sorella finalmente iniziare a muoversi per intraprendere la ritirata.

Natsu si voltò, lentamente spostando un piede di fronte all’altro, come se prendersi il suo tempo potesse in qualche modo infrangere l’orribile realtà che stavano vivendo. Si sarebbe risvegliata magicamente da quel terribile sogno, e lei e suo fratello non sarebbero usciti per andare a cercare della legna da ardere, Shouyo non avrebbe strillato il suo nome in quel modo tanto terrificante e angoscioso, lei non si sarebbe infuriata per essere stata spinta a terra pensando a quanto fosse stupido suo fratello per averle fatto uno scherzo simile solo per vederla sobbalzare dallo spavento. Lei non avrebbe sentito il suo cuore fermarsi per qualche secondo nell’udire lo stridente suono delle costrizioni di metallo che si chiudevano attorno a suo fratello e non avrebbe dovuto ascoltare le sue suppliche mentre la pregava di abbandonarlo lì… tutto solo, nel mezzo della foresta, implorante per la sua salvezza, piuttosto che per la propria libertà, o almeno per la possibilità che si potesse salvare. Come se il suo destino non fosse stato già segnato in quel momento, proprio di fronte a lei, senza che lei potesse far nulla per impedirlo.

«Promettilo» la sua voce era incrinata. Deglutì nuovamente quel groppo che continuava a rimanere immobile nella sua gola. «Che tu tornerai a casa» enfatizzò quelle poche parole, tutto il poco coraggio che le era rimasto in corpo si manifestò in quell’affermazione. «Devi farlo» concluse infine in appena un sussurro. Ella mantenne lo sguardo basso, le mani chiuse in pugni tremavano all’altezza dei fianchi. Voltò la schiena al suo stesso fratello, i sensi di colpa le impedirono di voltarsi un’ultima volta verso di lui. Lo stava abbandonando, ritirandosi senza neanche provare a combattere; come se non ci fosse assolutamente nulla che lei potesse fare, colpevolmente sollevata dal fatto che fosse ancora libera, quando la libertà di suo fratello gli era stata sottratta in cambio.

«Lo farò» rispose lui. Una lacrima solitaria minacciò di sfuggire dai suoi occhi ora che la sorella non lo stava guardando, l’intera facciata di sicurezza e calma collassò. E per una volta, non si sentì in colpa sapendo di aver mentito. Se le sue parole avrebbero tenuto sua sorella al sicuro, non si sarebbe preoccupato di quella piccola e innocente bugia.
Natsu iniziò finalmente la sua ritirata, all’inizio camminando e prendendo a correre sempre più rapidamente via via che si allontanava dal fratello; Hinata si sentì sollevato abbastanza da rilasciare il respiro che aveva fino a quel momento trattenuto. Con la sorella ormai lontana da un pericolo immediato, egli sentì finalmente il suo istinto di sopravvivenza prendere il controllo e la disperazione risalì la sua schiena in un brivido. Era in trappola. Imprigionato. Provò a riempire i suoi polmoni lentamente, nel tentativo di calmarsi così da poter pensare. Ogni muscolo e fibra del suo corpo gli urlava quanto fosse ristretto il tempo disponibile per progettare la sua fuga. Il ragazzo maledisse la propria genetica, la propria nascita e infine la sua incapacità di fare alcunché per cambiare la sua condizione.

Analizzò i dintorni, acquisendo qualsiasi informazione che i suoi sensi riuscissero a recepire. Immagini, odori, suoni, qualunque cosa avesse appreso e in cui si fosse esercitato negli ultimi quattro anni trascorsi in fuga. «Un omega catturato è utile quanto un omega morto» le parole del suo branco rimbombarono come un’eco senza fine nella sua testa. Una volta catturato, Hinata sapeva che non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia o i suoi amici, sarebbe stato trattato come bestiame, costretto a vivere solamente come mezzo di intrattenimento e di piacere, praticamente uno schiavo o un animale da compagnia, o addirittura un giocattolo da mordere e poi buttar via. Sarebbe diventato la proprietà di qualcuno, solamente il guscio di un essere umano utile unicamente ad adempiere al suo ruolo nella gerarchia delle dinamiche. Se Hinata era certo di qualcosa nella sua vita, era che avrebbe certamente scelto una vita costantemente in fuga, affamato, infreddolito ed esausto, piuttosto che l’imprigionamento fisico e mentale del bond.
Con una certezza piuttosto assoluta, concluse che i suoi carcerieri non si trovassero nei dintorni, ma non poteva essere sicuro che non fossero in cammino verso la sua posizione. Tastò il proprio corpo per constatare il suo attuale equipaggiamento; doveva aver portato qualcosa che potesse aiutarlo in quel tipo di situazione, un’arma, un bastone, un utensile, qualunque cosa potesse aiutarlo a fuggire da quella prigione. Le sue mani raggiunsero un rigonfiamento nella tasca dei suoi pantaloni. Un coltello.
«Ma certo!» sorrise. Una piccola speranza si strinse con forza al suo cuore.

Non erano così stupidi. Era una delle più importanti regole che dovevano seguire. Ogni qual volta dovevano lasciare il rifugio e uscire alla ricerca di rifornimenti, dovevano portare con loro un qualche tipo di arma. Bhe, arma forse era una parola un po’ esagerata in quel caso. Il coltello smussato e usurato aveva appena un bordo affilato per poter anche solo essere definito tale; tendevano ad utilizzarlo più come un utensile per ottenere le provviste, piuttosto che come arma offensiva. In quel momento sarebbe stato più utile come tagliacarte che come mezzo per difendersi. Se lo poteva aspettare comunque, le regole prevedevano che loro dovessero scappare se si fossero imbattuti in una qualsiasi situazione pericolosa, non avvicendandosi in quelle più rischiose, specialmente visto il fatto che sapevano che, essendo a malapena addestrati, un’arma, che fosse affilata o smussata, avrebbe sortito lo stesso risultato in uno scontro con un Lodger. Ma portare con sé un’arma aveva un effetto psicologico calmante che non si manteneva anche non portandola.

Stringendo l’arma con forza con entrambe le mani come se temesse che potesse cadere attraverso gli spazi tra le sbarre della prigione, smise di analizzare la prigione che lo teneva recluso. Era una gabbia sferica di ferro leggero; aveva probabilmente un meccanismo a molla che si attivava e bloccava le varie parti al loro posto quando una pressione era applicata sul centro. La gabbia era abbastanza grande da permettergli di entrarci in maniera quasi confortevole, ma probabilmente non lo sarebbe stata altrettanto se Hinata fosse stato un prigioniero appena più grande; ma le sue dimensioni ridotte gli permettevano di muoversi abbastanza liberamente all’interno della prigione sospesa. Fu la prima volta nella sua vita che fu grato per la sua bassa statura, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.

Poggiando le ginocchia sulle sbarre ed usando i piedi e i talloni come appoggi per non scivolare, cercò di dare un’occhiata al meccanismo che teneva chiusa la gabbia. Si dimostrò abbastanza difficile riuscire a raggiungere la cima della gabbia sferica e allo stesso tempo tentare di mantenersi in equilibrio. Ogni qual volta si muovesse per cercare di intravedere la cima, la gabbia oscillava per via dello sbilanciarsi del peso, facendogli perdere l’equilibrio e sbattere contro il metallo le ginocchia, i gomiti e i fianchi. “Quindi c’era un’altra ragione per cui la gabbia è stata sollevata verso l’alto dopo essersi attivata” pensò, imprecando ogni qual volta perdesse l’equilibrio e colpisse le sbarre di ferro. Dopo un paio di tentativi, riuscì finalmente ad aggrapparsi alla parte superiore e usando il suo stesso peso e la presa sulle sbarre riuscì a costringerla a ruotare per permettergli di vedere con cosa avesse a che fare.

Il filo che sorreggeva la gabbia era rinforzato e sembrava metallico. Non c’erano possibilità che l’arma smussata riuscisse a scalfirlo. Si sentì sollevato dall’idea che Natsu non fosse rimasta per tentare senza successo di tagliare il cavo, perdendo tempo nel processo insieme all’unico strumento di cui disponevano.

«Ed ecco che se ne va il piano A» ridacchiò fra sé e sé, in un certo senso quasi rassegnato.

Iniziò ad analizzare il meccanismo che teneva la gabbia al suo posto. Se ci fosse stato un modo per spingere abbastanza indietro la molla da aprire la gabbia, sarebbe stato in grado di liberarsi, applicando abbastanza forza nella parte centrale della gabbia. Osservò il terreno, cercando di calcolare l’altezza che lo separava da esso. Non c’erano dubbi che una caduta da quell’altezza avrebbe fatto male, ma probabilmente non si sarebbe rotto nulla. “Probabilmente” era una parola decisamente necessaria in quel discorso.

«Non verrò catturato oggi» borbottò come una specie di mantra. «Devo tornare a casa». Chiuse gli occhi mentre calmava le mani tremanti prendendo un grande respiro ed iniziò a colpire il meccanismo con il coltello. Avrebbe dovuto usare il coltello di fronte alla molla e cercare di spingerla indietro mentre usava il piede per creare uno spazio nella parte centrale. Se il suo piede fosse riuscito a passare, farsi strada strisciando verso l’esterno non sarebbe dovuto essere troppo difficile; avrebbe fatto un male indescrivibile, poiché la molla avrebbe tentato di chiudere di nuovo la gabbia premendo il suo corpo contro i bordi metallici mentre usciva, ma se fosse stato abbastanza attento da non lasciare il collo indifeso, non sarebbe stato troppo rischioso; giusto un paio di ferite e qualche livido, niente che non stesse già patendo. Applicare quella pressione sulla molla non sarebbe a sua volta dovuto essere troppo difficile, ma la necessità di mantenere la sua posizione, l’equilibrio e la forza della presa si stava rivelando un’impresa decisamente complessa per l’omega.

«Dannati Alpha» Imprecò quando la forza applicata fece scivolare e slittar via il coltello, spostandolo dalla posizione protetta e sicura della molla.

Prese un respiro profondo ed iniziò di nuovo a lavorare. In realtà incolpava sé stesso, era stato così imprudente, aveva anche esposto ad un enorme pericolo Natsu, la sua sorellina, che si era solo recentemente e spaventosamente presentata come un’omega. Sapeva che la festività era vicina, troppo vicina. Era stato troppo fiducioso, troppo ottimista. La foresta era stata totalmente priva di trappole da quando erano arrivati circa due anni prima, quindi quale era la possibilità che i Lodgers arrivassero lì quando non ne avevano visto neanche uno dal loro arrivo? Non avevano mai trascorso così tanto tempo senza un incontro ravvicinato con coloro che traevano profitto dalla loro miseria. Pensavano di essere al sicuro. Pensavano di essere riusciti a scappare, credevano che vivendo ai confini della società sarebbero stati risparmiati, ma, naturalmente, qualcuno doveva dimostrare loro che avevano torto.

La festività, conosciuta più formalmente come Festa Primiverile, aveva luogo durante la stagione primaverile del Regno. Il nome derivava dal gioco di parole tra Primavera e Primitivo, dimostrando come il suo intento originale fosse quello di celebrare le loro dinamiche e gli usi dei loro antenati, in cui i loro istinti primordiali emergevano per partecipare a quello che poteva essere riassunto in un appassionato gioco di inseguimenti. Anche se non c’erano testimonianze scritte di come avesse avuto inizio, i racconti degli antenati giustificavano le origini della festa narrando le storie dei suoi umili inizi. Alcuni parlavano di un gioco, altri preferivano il termine tradizione, ma più comuni erano dei racconti di incoraggiamento e celebrazione, un modo per commemorare le loro dinamiche nell’antica arte della caccia.

Sin dalla sua fondazione, il Regno di Karasuno era stato nel continente il paese con la popolazione maggiormente basata sulle dinamiche. Nessuno sapeva le vere ragioni dietro l’anormale abbondanza di Alpha e Omega nella popolazione, ma, che fosse una maledizione o una benedizione, il Regno aveva sempre accolto e celebrato tale particolarità biotipica. La festa veniva dunque celebrata durante la stagione primaverile, quando la foresta riprendeva vita ricolmandosi di foglie e le temperature più calde attiravano tanto gli Alpha quanto gli Omega a partecipare ad un’emozionante sfida, in cui gli Omega tentavano di correre e nascondersi, mentre gli Alpha davano loro la caccia affidandosi unicamente al loro istinto e ai loro sensi in modo tale da celebrare e incoraggiare a far maggior uso delle loro dinamiche in un inseguimento selvaggio ed esaltante.

Inizialmente era stato un modo per incoraggiare i giovani più timidi e schivi ad accettare le loro dinamiche e ad iniziare il corteggiamento. I giovani Alpha tentavano di catturare gli Omega mentre questi ultimi li guidavano verso i loro nascondigli cercando di risvegliare il loro istinto e aiutandosi a vicenda a risvegliare le loro dinamiche nel modo più salutare e confortevole possibile. Il gioco giungeva alla fine quando l’Alpha catturava l’Omega ed insieme alla fine della giornata ritornavano arrossendo e ridacchiando dalle rispettive famiglie. Inizialmente era stato quello, un semplice gioco di fuga e cattura.

Accadeva, nella maggior parte dei casi, che le coppie fossero ritenute predestinate dal regno, e ciò si traduceva in un augurio di salute e di un felice futuro per la nuova coppia. Alcune credenze divennero così importanti per i giovani partecipanti e per le loro famiglie che ben presto la festa divenne un modo, tanto per le famiglie nobili quanto per quelle più modeste, per stabilire relazioni e matrimoni combinati. I capofamiglia delle stirpi nobili avevano iniziato a condurre i loro eredi alla festa nella speranza di attirare altre famiglie più importanti o ricche e di riuscire ad accordarsi per i fidanzamenti. A causa di ciò divenne uso per gli Omega donare un capo d’abbigliamento (solitamente un fazzoletto) imbevuto del loro stesso odore ai candidati più idonei, mostrando il loro interesse verso gli Alpha e dando loro un vantaggio durante la caccia. Tutto ciò era, ovviamente, predisposto dalle corrispettive famiglie e la festa divenne ben presto un modo per dichiararsi, rendere pubblici i matrimoni combinati e annunciare pubblicamente il futuro bond.

La particolarità della festa Primiverile aveva attirato ben presto le attenzioni dei regni vicini, permettendo ad un gran numero di nobili e di popolani di partecipare ai giochi, dando vita ad un fiorente mercato e trasformando la settimana della festività in un’occasione per il Regno unica, che dava lavoro alla sua gente, stimolava il mercato e il commercio ed incrementava la sua ricchezza.

Facevano una bella vita e la festa e le sue tradizioni divennero ben presto molto care alla loro gente; almeno fino a che tutto non fu costretto a cambiare quando l’erede di Karasuno, il principe ereditario Arata, partecipò alla sua prima Festa Primiverile.

Da tradizione, ogni qual volta un membro della famiglia reale partecipava alla sua prima caccia, tutti gli Omega partecipanti dovevano donare al monarca un capo d’abbigliamento. Era un modo per soddisfare le tradizioni, tutti i partecipanti erano in realtà stati già abbinati da principio, ma il giovane principe non aveva gradito la compagna scelta dai suoi genitori, perché il più bell’Omega su cui avesse mai posato lo sguardo, originario del confinante regno di Shiratorizawa, gli aveva donato il suo fazzoletto. Avrebbe dovuto inseguire la figlia di un’importante famiglia aristocratica, un’unione, la loro, che i suoi genitori avevano deciso ancor prima che lui nascesse. Ma a lui non importava. Se la Festa era un modo per sfruttare i loro usi e le loro tradizioni a suo favore, lui lo avrebbe fatto secondo la propria volontà.

Una volta che la caccia era finita, essendo il principe riuscito con successo a catturare l’Omega di Shiratorizawa, lo aveva costretto al bond, causando un tumulto di dimensioni tali da sconvolgere il paese fin nelle sue fondamenta e da minacciare il regno con il rischio di una guerra.

Il caos e il risentimento avevano colpito la famiglia reale. Non c’era modo per placare le nobili famiglie coinvolte senza cambiare le regole del festival stesso. Nel tentativo di correggere il grande errore e proteggere tanto il loro prezioso figlio quanto il paese, i sovrani diedero la spinta alla pedina che sarebbe poi diventata la prima di un lunghissimo effetto domino che avrebbe cambiato per sempre le vite e la libertà degli Omega di Karasuno.

Il primo Decreto reale aveva annunciato che tutti gli eventi avvenuti durante il periodo della caccia erano legali e supportati dalla reggia. Questo significava che tutti i bond, forzati o consensuali, sarebbero stati conseguentemente vincolanti per entrambi i membri della coppia, e ciò significava chiudere un occhio di fronte agli Alpha più esaltati e costringere gli Omega che avevano ricevuto il bond durante la caccia a sposare gli Alpha che li avevano catturati.

Avendo sentito parlare dello scarso numero di Omega e della drastica diminuzione di nuove nascite nel regno di Shiratorizawa, come misura di sicurezza per evitare che la rabbia dei sovrani confinanti si abbattesse su Karasuno venne proposto un invito a partecipare all’evento come cacciatori, garantendo un numero sufficiente di Omega a quel paese costituito principalmente da Alpha tanto a lungo quanto sarebbe durata la pace fra i due regni. Il re era giunto alla conclusione che offrire annualmente un esiguo numero di persone fosse appena considerabile un sacrificio, quando si andava a considerare il potere militare degli avversari e la distruzione che il regno di Shiratorizawa avrebbe potuto causare.

Ad ogni modo, in un sorprendente atto di pietà il Re, animato dal rimorso e dalla compassione, aveva deciso di concedere agli Omega un modo per mantenere la loro libertà. Con la scusa di rendere più stimolante la caccia per gli Alpha e per frenare la scarsa volontà di partecipare degli Omega, aveva fatto annunciare che qualunque partecipante che non fosse stato catturato entro la fine della Festa sarebbe stato lasciato libero e sarebbe stato ricondotto dalla sua famiglia, senza dover mai più preoccuparsi di dover partecipare alla sfida. Quell’annuncio aveva del tutto cambiato e distrutto gli obiettivi di entrambi gli schieramenti durante la Festa. Per gli Alpha essa era diventata una vera ed esaltante caccia, mentre per gli omega era diventata una sfida di sopravvivenza.

Per onorare le sue parole, il re aveva fatto erigere nel regno un terreno apposito, un luogo creato unicamente per garantire una caccia giusta ed equa. Un territorio isolato, fiumi, montagne ed animali selvatici, tutto ciò di cui una persona avrebbe avuto bisogno per sopravvivere e nascondersi, ma allo stesso tempo sufficiente a creare un ambiente stimolante ed elettrizzante per gli Alpha per scatenarsi selvaggiamente e liberamente.

Con il tempo, ad ogni modo, la scomoda prospettiva per le famiglie più ricche di essere costrette a far sposare i loro eredi con la gente comune e il terrore degli Omega di poter essere costretti in una relazione che non avrebbe portato loro felicità né sicurezza, aveva creato un forte declino del numero di volontari pronti a partecipare alla caccia. Temendo la reazione della popolazione degli Alpha, il danno consistente alle entrate economiche che giungevano con la Festa e, naturalmente, la costante minaccia di una guerra con Shiratorizawa, il re era stato costretto, ancora una volta, a proclamare una legge che avrebbe diminuito il divario numerico fra cacciatori e prede.

Il nuovo decreto aveva stabilito che tutti coloro che si erano da poco presentati come Omega dovessero partecipare, esigendo la loro partecipazione nella Festa corrispondente all’anno in cui si erano presentati. Ciò si sarebbe dovuto accompagnare ad un’immediata rimunerazione come incentivo economico nel caso in cui il legame scaturito dalla caccia non fosse stato gradito dalle famiglie.

Comprendendo la minaccia a cui la corona stava esponendo le vite e la libertà dei loro Omega, le famiglie più ricche che non avevano avuto bisogno nell’immediato di denaro avevano iniziato a far sposare i loro eredi con esponenti dei regni vicini. Regni in cui le leggi non erano perverse come lo erano divenute quelle di Karasuno, nazioni in cui la salvezza dei loro eredi non sarebbe dipesa unicamente dalle loro abilità, ma per gran parte dai legami e dalle conoscenze della loro famiglia. Per le famiglie più sfortunate e povere, invece, gli Omega erano divenuti una forma di guadagno. Quando gli Omega delle famiglie nobili avevano iniziato a scarseggiare, le famiglie più bisognose di soldi e cibo avevano a loro volta preso l’uso di vendere le loro stesse figlie e figli alle famiglie più ricche degli Alpha, così che potessero partecipare alla caccia. Non era trascorso troppo tempo prima che le persone iniziassero a fare incursione nei villaggi per rapire coloro che non avevano famiglia così da ottenere un profitto quando i “loro cari” sarebbero stati presi per partecipare alla festa.

Quando la paura e la disperazione avevano iniziato a dilagare tra gli Omega, non era stata di certo una sorpresa. Genitori apprensivi, timorosi che i loro figli subissero la loro stessa fine, avevano iniziato a tentare di fuggire dal paese cercando rifugio in quelli confinanti, causando un esodo di massa degli Omega ed una grave diminuzione delle nuove nascite. Temendo le ripercussioni di un simile evento, era stato emesso un ultimo decreto: una legge che impediva agli Omega di lasciare il regno. Un ordine che implicava che qualunque Omega fosse stato colto nel tentativo di lasciare la nazione sarebbe stato considerato un traditore; come tale, non avendo rispettato il suo obbligo nei confronti della loro nazione di dare alla vita nuovi figli e figlie per il suo regno, aveva messo in pericolo il loro prezioso regno e sarebbe stato costretto a correggere il proprio errore ricevendo il bond da un Alpha scelto dalla corona. Una legge che aveva effettivamente trasformato ogni Omega del regno in un sacchetto pieno d’oro ambulante, essendo che un ghiotto premio in denaro sarebbe stato dato per ogni sospetto traditore consegnato alla giustizia.

Quest’ultimo decreto, unito al precedente compenso economico offerto a coloro che concedevano i loro familiari Omega per farli partecipare alla Festa Primiverile, aveva dato vita alle Logge; rifugi in cui si incontravano i bisogni di gente che necessitava di denaro e di mercanti interessati a trovare nuovo materiale per la caccia per i loro acquirenti. Persone disperatamente disposte a tutto per ottenere qualche spicciolo e uomini d’affari che sapevano come ottenere a buon prezzo Omega interessanti che potessero soddisfare i loro clienti, tanto nobili quanto popolani. Luoghi in cui si svolgevano tutti i loro annuali affari, durante le due settimane prima della Festa, quando le leggi erano più flessibili e i peccati inclini ad essere perdonati.

Questa era la realtà in cui viveva Hinata Shouyo. Un omega, nato a Karasuno, costretto a nascondersi per anni a causa delle leggi che risalivano ad ancor prima della sua nascita, attualmente imprigionato da una trappola dei Lodgers, uomini che cercavano i nascondigli degli Omega per venderli alle famiglie nobili. Omega che sarebbero stati costretti a partecipare alla caccia durante la Festa Primiverile, in una sfida che aveva solo una possibilità su due di permettergli di mantenere la sua libertà, durante una festività che aveva ormai perso troppo tempo prima il suo significato e i suoi propositi iniziali. Una libertà maledetta che lui e sua sorella Natsu, combattendo duramente, avevano cercato di mantenere, impresa in cui lui aveva fallito solo perché non era stato abbastanza attento.

Perché era stato troppo ingenuo nel pensare che la loro foresta fosse abbastanza lontana, che loro fossero speciali, che la legge non avrebbe avuto valore per loro perché stavano già soffrendo un’ingiustizia.

Era stato stupido. Era stato imprudente. Aveva sperato che il sacrificio di sua madre fosse stato sufficiente, che il suo essere stata portata via quando era appena un bambino avesse riequilibrato il karma di essere nato come Omega. Ma aveva dimenticato che il mondo non si curava delle loro sofferenze o della loro condizione. Le uniche cose che dovevano importargli in quel momento, ad ogni modo, erano il coltello stretto fra le sue dita, la pressione che con esso applicava alla molla della gabbia e il suono che produceva a contatto con le sbarre di ferro ogni volta che sbagliava ad applicare la giusta dose di forza.

Un odore catturato nel vento fece discendere un violento brivido lungo la sua schiena, risvegliando rapidamente tutti i suoi sensi. Ad un paio di miglia di distanza rispetto a dove era imprigionato, poteva percepire un piccolo gruppo di Alpha intento a camminare verso di lui. Dei Lodger, non c’erano dubbi.

I suoi sensi si acuirono al massimo delle sue possibilità, aveva solo pochi minuti prima che il gruppo notasse il suo imprigionamento. Se lui poteva percepire il loro odore, probabilmente anche loro potevano annusare la sua ansia. Poteva avere su di sé un aroma rustico e sconosciuto, ma l’intensità della paura che stava provando in quel momento avrebbe presto rivelato la sua presenza. Doveva necessariamente uscire dalla gabbia in pochi secondi, se voleva avere una qualche possibilità di fuga.
«… Lo giuro! Riesco a sentire l’odore di uno di loro in questa zona» Il suono della voce era distante ed era intrecciato ai rumori dei dintorni, ma Hinata fu in grado di distinguerlo dal sottofondo della foresta. Realizzò che il suo tempo era ormai agli sgoccioli, mentre per l’ultima volta spingeva il coltello contro la molla. Il suo piede destro faceva fatica ed inserirsi nello spazio fra le due metà della parte centrale della gabbia sferica, ma stava facendo dei progressi. Anche con la sua scarsa prestanza fisica, il giovane Omega stava facendo del suo meglio per sfruttare tutta la forza del suo corpo per uscire dalla gabbia.

«Non dico che non ti credo, ma non abbiamo visto né catturato nessuno negli scorsi giorni» qualcuno rispose. «Mancano appena due settimane alla Festa e sarà la prima caccia del principe ereditario. Non penso che sprecare qui il nostro tempo sia una buona idea».

«E cosa succederebbe se ti stessi sbagliando e non ci fosse nessun Omega?» una terza persona tornò a prendere in giro il primo uomo. «Avremmo sprecato una settimana per nulla. Se le gabbie si riveleranno vuote, dovrai risarcirmi». Una risata provenne dal gruppo, una manifestazione di spensieratezza e tranquillità che si scontrò duramente con la disperata concentrazione che Hinata continuava a cercare di mettere nel suo lavoro. La molla era stata spinta indietro abbastanza da permettere al suo piede di creare un’apertura da cui uscire. Doveva solo spingere la molla un po’ più indietro, mantenendo nel frattempo l’equilibrio e la presa sulle sbarre per permettere all’altro piede di uscire. Poi sarebbe stato un gioco da ragazzi.

«D’accordo, allora. Io ho catturato quello con le lentiggini» L’uomo che rispose sembrava pronto a sfidare il suo compagno. «Quindi, se non c’è nessuno nelle trappole, ti darò la mia parte di compenso per quello, che te ne pare?». La sua offerta venne accolta con un fischio e degli schiamazzi incoraggianti. «Ma se c’è un Omega qui, tu mi darai la tua parte di compenso per questo».

«Affare fatto!».

Numerosi battiti di mani e risate fecero da sottofondo mentre gli uomini continuavano a prendersi in giro. «Perderai parecchi soldi, allora». Lo sfidante lo sbeffeggiò ancora una volta. «Ti posso assicurare che ci sia almeno un Omega, se non di più, in questa foresta. Ci sono numerose prove nei dintorni, e nei pressi del fiume è rimasta la traccia di un aroma simile all’arancia candita. Le foreste non hanno quel profumo. Neanche gli animali hanno quel profumo» la voce attese l’arrivo di una replica, che tuttavia non giunse. «Vedi? Sai che ho ragione. Ci sono degli Omega in questa foresta» smise di parlare mentre gli altri uomini continuavano a stare in silenzio. «E’ solo questione di capire come attirarli fuori dalle loro tane».

Il modo in cui la voce si era interrotta prima di concludere il discorso raggelò il corpo di Hinata. L’eccessiva sicurezza e il tono minaccioso che erano emersi dalle sue parole indussero Hinata a lavorare ancor più rapidamente. Erano così vicini. Poteva sentire il loro odore; poteva udire i loro discorsi ed era ormai solo questione di pochi secondi prima che loro riuscissero a vederlo.

Con la disperazione che raggelava il corpo e la paura che gli faceva tremare le mani, impiegò tutta la sua forza con il coltello sino a ché non udì il rumore metallico che annunciava come la molla fosse stata totalmente spinta indietro e bastò un calcio perché la gabbia sferica si aprisse senza grandi difficoltà. Ora doveva iniziare a spingersi fuori, facendo attenzione che la parte superiore del suo corpo non entrasse in contatto con il bordo inferiore, perché ciò avrebbe significato che la molla non avrebbe ricevuto una pressione tale da far richiudere la gabbia. Doveva essere rapido, non aveva tempo per scivolare giù in maniera sicura. Doveva lasciarsi cadere dalla gabbia, in una caduta libera verso il terreno. Cercò di valutare l’altezza un’ultima volta. Sì, le probabilità di ferirsi erano alte, ma non erano niente in confronto alla possibilità di perdere la propria libertà.

«Ehy, guarda, avevo ragione!» l’uomo ridacchiò.

La voce allegra distrusse la concentrazione di Hinata e raddoppiò l’intensità della sua ansia. Era stato visto. Non aveva più tempo per analizzare tutti i possibili scenari; aveva solo pochi secondi, ora, se voleva avere anche solo la possibilità di fuggire. Fece oscillare assieme i piedi ed iniziò ad agitarsi violentemente per riuscire ad uscire dalla gabbia. Non lo stava facendo volontariamente, era solo disperato, il terrore e il panico rendevano i movimenti necessari ad uscire impossibili da compiere. L’intera gabbia iniziò a muoversi e ad agitarsi, non c’era più bisogno di essere discreti, era già stato notato dai suoi nemici.

«Cosa sta facendo…» il trio di Lodgers era rimasto immobile udendo quei rumori e osservando i movimenti di Hinata, a metà tra il confuso e il divertito per ciò che stava accadendo di fronte a loro. Fu quando il corpo di Hinata cadde poco delicatamente verso il suolo che i tre realizzarono con un certo shock che il loro piccolo uccellino era uscito dalla gabbia e stava per volare via.

«Hey, aspetta! Ehy» Uno di loro urlò, colto dallo stupore, sollevando le mani come se le sue parole e i suoi gesti fossero sufficienti a fermare la fuga dell’Omega.

«Merda» un altro imprecò di rimando. «Veloci! Sta scappando!».

Come se l’incanto si fosse spezzato, i tre uomini scattarono verso il rosso, che nel frattempo aveva già iniziato a correre nella direzione opposta rispetto a quella dei Lodgers. Era estremamente veloce; anni di corse e fughe avevano fatto meraviglie nel far sviluppare la stamina del giovane ragazzo.

«Dannazione! Il ragazzino è veloce» esalò l’uomo che fino a quel momento si era vantato di aver avuto ragione. «Sarà divertente!» reclinò la testa indietro ridacchiando mentre prendeva il suo ritmo di corsa nella foresta.
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Capitolo 2
*** 2. Merce Preziosa ***


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Preambolino di Zia Zophie

Salve!
Questo capitolo doveva uscire ieri, ma ringraziamo insieme il mio computer che ha ben deciso di cancellarmi senza ragione 4'000 parole di documento costringendomi a riscrivere tutto da capo (:
Ad ogni modo, credo siano passati mesi dall'ultima volta che una mia storia ha superato il primo capitolo, sono quasi emozionata(?).
Spero che vi stia piacendo e mi farebbe moltissimo piacere avere una vostra opinione (specialmente sulla scorrevolezza della traduzione, su cui sono ancora piuttosto incerta).
Fatemi inoltre sapere se la trama vi sta piacendo, anche se si deve ancora ovviamente entrare nel vivo dell'azione. 
Giuro che sarà una full immersion di emozioni e panico, se la leggerete con lo stesso impeto con cui l'ho letta io (in realtà come la sto ancora leggendo, l'attesa del penultimo capitolo mi sta uccidendo).
Detto ciò, buona lettura <3

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A prima vista, chiunque avrebbe potuto dire che Oikawa Tooru avesse tutto. In merito al fisico, egli aveva degli splendidi capelli castani, dei meravigliosi occhi dello stesso colore ed una voce dolce ed armoniosa. Era il figlio primogenito del precedente re e della sua prima regina consorte, un principe amato dai suoi sudditi e dalla sua famiglia. Si era creato una rete di contatti ed amicizie piuttosto forte, grazie alla sua brillante e ambiziosa mente. I suoi sudditi e i suoi sottoposti lo seguivano senza porsi domande e senza bisogno di alcun ordine, perché Oikawa aveva guadagnato da solo il suo potere e l’influenza per cui era divenuto noto.
Era divenuto un maestro di nell’arte delle strategie e della guerra, un abile mediatore grazie alle sue maniere e alle sue capacità diplomatiche, ed aveva sviluppato molti altri talenti per poter un giorno ascendere al trono in maniera degna.

Per questo era stato quasi straziante assistere al momento in cui tutti i suoi sforzi erano stati resi vani, quando, proprio di fronte ai suoi occhi, suo fratello minore - che durante la sua vita non aveva mai avuto bisogno di alzare un solo dito (almeno secondo Oikawa)- aveva ricevuto il titolo di principe ereditario, rimuovendo Oikawa dal suo ruolo di legittimo erede del regno di Karasuno.

Kageyama Tobio era il primo figlio del re e della sua seconda regina consorte, oltre che il più giovane dei due fratelli. Era un ragazzo riservato, ma piuttosto affascinante, e mancava di abilità nel socializzare e della risoluzione necessaria per diventare re. Era il completo opposto di Oikawa. Certamente, egli possedeva l’aspetto, le movenze e gli atteggiamenti che avrebbero indotto qualsiasi Alpha a sottomettersi e ad obbedire, ma se in apparenza era perfetto, mancava assolutamente di raffinatezza. 

Oikawa lo odiava. 

Agli occhi del fratello, Kageyama non aveva neppure mai mostrato il minimo interesse verso la corona. Tutto ciò che aveva fatto negli ultimi anni era stato allenarsi nel tiro con l’arco, giorno e notte. Era incapace di intrattenere conversazione con gli esponenti delle famiglie nobili, disinteressato allo studio della storia del regno e della sua economia, non si era mai neppure preoccupato di comprendere come il suo regno funzionasse o cosa ci si aspettasse da lui. E anche sapendo tutto questo, suo padre, il Re, gli aveva donato la corona. Aveva scelto il figlio minore al posto di Oikawa, solo perché il maggiore mancava dell’unica cosa che non avrebbe mai potuto ottenere. 

Oikawa lo odiava davvero tanto.

Ma ciò che Oikawa odiava maggiormente era il fatto di possedere un segreto. Uno tanto potente da costringerlo a fare un passo indietro e a rinunciare al trono. La gente del regno sapeva che Oikawa, in qualità di erede, avrebbe dovuto ricevere il titolo di principe ereditario non appena si fosse presentato come Alpha, ma quando quel momento era giunto, ciò non era successo. Al contrario, tutti erano rimasti sconvolti dall’annuncio di una grave condizione medica che aveva costretto il principe a cedere il suo titolo al fratello.

Avevano iniziato a girare in lungo e in largo voci su che tipo di malattia potesse aver contratto il principe per dover rinunciare a partecipare agli eventi pubblici, come la Festa Primiverile. Il fatto che non si fosse unito alla caccia aveva reso terribilmente ovvio che le sue condizioni non sarebbero migliorate in poco tempo, quindi il regno di Karasuno era sceso a patti con l’idea che il suo futuro re sarebbe stato un uomo imbronciato e spaventoso e non il leader carismatico in cui avevano riposto la loro fiducia.

«Ma perché?! E’ così ingiusto» la madre stava aveva stretto il piccolo Oikawa piangente fra le braccia, usando una mano per carezzargli la schiena con movimenti circolari e cercando di placare i suoi lamenti. «Nessuno lo saprebbe! Perché dovrebbe essere importante cosa sono? Io posso farcela! Ho lavorato tutta la mia vita per questo!» si era stretto ancora più forte alle vesti della madre, mentre nuovi singhiozzi avevano iniziato a scuoterlo. Era così ingiusto. Tutto il suo lavoro, tutta la sua fatica, era bastata una cosa stupida come la biologia per renderli vani. 

Il suo secondo genere si era presentato da poco ed era stato abbastanza fortunato che il suo migliore amico e cavaliere personale Hajime Iwaizumi fosse al suo fianco quando il suo primo Heat era giunto, strappandogli l’aria via dai polmoni. Ai servitori era stato detto che il principe aveva contratto una grave malattia ed una forte febbre e solo a pochi fidati confidenti era stato concesso di occuparsi del giovane.

«Lo so, mio principino. Lo so. Ma devi capire, amore mio» aveva soffiato sua madre mentre gli carezzava la testa. «E’ troppo rischioso. Se si diffondesse la voce che il principe ereditario del Regno è un Omega, saresti braccato e costretto a ricevere il bond durante la Caccia. Il regno cadrebbe nelle mani sbagliate e verrebbe distrutto dall’egoismo del regnante. Rinunciando al trono, tu stai impedendo che ciò accada». Aveva preso le guance di Tooru fra le sue morbide mani, usando i pollici per asciugare le lacrime che avevano iniziato ad affiorare agli angoli degli occhi. 

«Immagina se qualcuno di Shiratorizawa riuscisse a reclamarti» Oikawa aveva chiuso gli occhi, lasciando che le lacrime scendessero liberamente lungo le guance. «Smetteremmo di essere una nazione libera» si era poi fermata, come a voler enfatizzare quelle parole «Diventeremmo loro sottomessi». Gli occhi castani della donna erano dolci e preoccupati, puntati su quelli del figlio come se ciò fosse sufficiente ad allietare tutte le sue sofferenze. 

Sì. Era ingiusto, ma allo stesso tempo era la cosa giusta da fare. Le ultime parole della donna erano suonate terribilmente giuste e veritiere nella mente del bambino. Il trattato firmato con i loro confinanti era stato sottovalutato dal vecchio regnante che aveva accettato l’accordo. Una persona all’anno era sembrata piuttosto insignificante di fronte alla prospettiva di poter stringere una pace e la vera ragione dietro la proposta era passata del tutto inosservata. Erano dovute passare due decadi prima che il piano della nazione vicina iniziasse a dare i suoi frutti. 

Gli Alpha di Shiratorizawa, come specificato nel trattato, avevano iniziato a partecipare alla Caccia organizzata dallo stesso Re. Ciò avrebbe significato che gli Alpha e gli Omega che si sarebbero trovati nel terreno di caccia sarebbero stati i figli e le figlie delle famiglie più nobili e potenti di Karasuno. Quando quegli stessi eredi avevano iniziato a sposare i più alti esponenti della nobiltà di Shiratorizawa, tuttavia, la pressione politica che la nazione confinante aveva iniziato ad esercitare sugli accordi economici, sulle tasse, sulle leggi, sulle dispute territoriali e sugli approvvigionamenti, era divenuta eccessiva per Karasuno da ignorare. Ma quando avevano finalmente compreso le vere intenzioni degli stranieri, era già troppo tardi.

Per proteggersi, la nobiltà di Karasuno aveva promosso il fenomeno dell’esodo degli Omega. Era stato Shiratorizawa, ancora una volta, a fare pressione perché passasse la legge che avrebbe impedito agli Omega di lasciare il regno e ad incoraggiare l’idea di rapire o consegnare alla giustizia gli Omega “traditori”, il tutto per facilitare la loro ascesa nella scala gerarchica dell’aristocrazia.

Oikawa sapeva che sua madre aveva ragione, ma questo non voleva dire che la consapevolezza facesse meno male. Non era nella posizione per ascendere al trono. Magari se avesse ricevuto il bond di un Alpha affidabile? No, un Alpha, affidabile o meno che fosse, non gli avrebbe mai dato la possibilità di farlo, oltretutto, le leggi del regno stabilivano che la corona dovesse spettare solamente al figlio Alpha del primo Re, dunque, con o senza bond, l’unico modo che avrebbe avuto per regnare sarebbe stato stabilendo una nuova legge, ma solo un re aveva il potere di farlo. E lui non era un re, né lo sarebbe mai stato. 

Aveva speso quella notte a piangere fra le braccia della madre, le sue dolci mani a carezzargli la schiena e ad asciugare le sue lacrime. Aveva poi promesso a sé stesso che non avrebbe mai più versato una lacrima per quella faccenda. Aveva imparato a sorridere e a chinare il capo di fronte al fratello minore, e con l’aiuto di bloccanti, soppressori e di un gruppo di seguaci di fiducia, si era creato una maschera da indossare e un segreto da mantenere. Quella notte aveva giurato a sé stesso che anche se il mondo intero aveva scelto di sottrargli il trono, avrebbe preferito morire piuttosto che smettere di provare a raggiungerlo. Kageyama era ancora giovane, c’era tempo, avrebbe trovato il modo, di questo era certo.

L’unico problema dei sogni e delle aspirazioni è che, spesso, il destino non sembra preoccuparsi troppo della loro esistenza. 

Quando il re era improvvisamente morto, le responsabilità legate alla corona erano passate a pesare sulle spalle del fratello minore molto prima di quanto Oikawa non avesse programmato e tutti i piani e le strategie organizzati negli ultimi anni si erano presto tramutati in cenere.

Era stato consigliato al giovane principe, prima di reclamare il trono, di attendere di partecipare alla sua prima caccia, che avrebbe avuto luogo l’anno successivo. Ciò aveva posto una scadenza ben precisa al tempo che Oikawa aveva a disposizione per risolvere il suo problema. Non era abbastanza. Non sarebbe mai stato abbastanza.

Dopo quattro anni dalla notte in cui aveva fatto a sé stesso quella promessa e ad appena due settimane dalla dannata Festa Primiverile, Oikawa si ritrovò a calciare rabbiosamente i ciottoli sul terreno sterrato di quell’area confinata da delle alte siepi, la sconfitta appesantiva le sue spalle, tutti quegli anni di risentimento e ira avevano creato un alto e possente muro fra lui e suo fratello.

«Ohy, Shittykawa. Se continuerai a tenere il muso ancora a lungo, ti picchierò così forte che avrai una buona ragione poi per essere incazzato» ringhiò Iwaizumi dalla panchina su cui era seduto.

Quell’area isolata nel giardino del castello era ormai diventata il loro rifugio sicuro in cui potersi nascondere e sfogare. Non avevano molti spazi privati nel palazzo, ad eccezione delle stanze personali, e i due amici avevano scoperto quel luogo nascosto quando erano bambini, mentre giocavano a nascondino con Tobio. Nessuno dei due, a quel tempo, poteva credere che esistesse un posto del genere e non ne avevano mai parlato con nessuno. All’inizio Oikawa lo aveva fatto per fare un dispetto infantile a Kageyama, che odiava essere escluso dai loro giochi, ma da quando il maggiore si era presentato, avevano iniziato ad utilizzarlo come punto di ritrovo segreto, l’unico luogo in cui potessero trovarsi per discutere, imprecare e pianificare senza il timore di poter essere origliati. 

«Iwa-chaaaan» Oikawa reclinò indietro la testa, sfruttando il nome dell’amico per emettere un sospiro frustrato. «Tu non capisci!» raddrizzò la propria postura e si voltò per inquadrare Iwaizumi. Batté rumorosamente i piedi a terra, come un bambino. «Lui non vuole il trono. Non è neanche interessato alla politica o all’economia! Lo ha ottenuto e basta!».

«Ti capisco, ma vedi-»

«No, non mi capisci!» Oikawa lo interruppe sollevando rabbiosamente le mani verso il cielo, gesticolando mentre la frustrazione prendeva il sopravvento. «E’ ridicolmente ingiusto. Mi sono preparato tutta la vita per quello! Tutta la vita!» si voltò di nuovo verso Iwaizumi, prima di ricominciare a camminare senza una meta in quello spazio limitato. «Quando mi sono presentato come un Omega, ho pensato che potesse essere una sfida interessante, un’opportunità per far vedere a quegli Alpha bigotti che il lavoro e gli sforzi sono più validi di uno stupido test biologico. Volevo cambiare la situazione, Iwa-chan!» fermò il suo incedere, tornando a fronteggiare Iwaizumi. «Ho studiato, mi sono allenato, mi sono fatto un nome là fuori per l’onore di questo regno, per cosa? Perché il mio fratellino che non si è neanche dovuto impegnare per arrivare dove si trova ottenesse alla fine ciò che ho sempre desiderato» il tono di voce cambiò mentre ciarlava, arrivando a schernire il fratello. 

«Perché pensi che questo sia successo?» chiese Oikawa, allungando una mano verso l’amico in un gesto teatralmente ironico. Come se stesse porgendo la domanda più semplice del mondo. 

«Perché lui è un Alpha». Iwaizumi rispose con tono monotono, neanche un’emozione in volto. Non era la prima volta che avevano una conversazione simile. 

«Perché lui è un Alpha!» urlò Oikawa mentre intrecciava al petto le braccia, in protesta. Rivolse un vibrante ringhio verso il cielo e si tirò leggermente i capelli per la frustrazione, prima di lasciarsi cadere sulla panchina vicino all’amico. «Semplicemente non è giusto» concluse con tono più moscio.

Seduto sulla pietra dura e gelida, mise i gomiti sulle cosce ed appoggiò la testa ad una mano. Rimase in quella posizione per tutto il tempo di un lungo sospiro sconfitto. Iwaizumi si limitò ad osservarlo, indeciso se dargli una pacca sulla spalla o comportarsi come faceva di solito di fronte agli sfoghi di Oikawa: non facendo nulla. 

«Sai?» chiese Oikawa dopo un paio di secondi di silenzio. Voltò il capo così da incastonare lo sguardo di Iwaizumi nel proprio, quasi congelandolo sul posto alla vista dell’espressione sconfitta sul volto del principe. Non aveva mai visto Oikawa con in faccia un’espressione tanto distrutta. «Credevo davvero che se lo avessi desiderato e avessi lavorato davvero, davvero tanto, sarei stato in grado di dimostrare che si sbagliavano». Voltò il capo per fissare dritto di fronte a sé, scrutando le siepi che li nascondevano dal resto del palazzo. Sospirò, le spalle si abbassarono quando l’aria scivolò fuori dalle labbra. «Evidentemente mi sbagliavo» una pausa «Non c’è davvero posto per un Omega come me in un regno dominato dagli Alpha. Non importa con quanta forza colpirò quel muro, semplicemente non riuscirò mai ad abbatterlo».

Un Oikawa tanto distrutto era una vista che Iwaizumi riteneva contraddicesse le stesse regole del creato. Il suo sorriso svanito, la voce cinguettante rimpiazzata da una che il cavaliere non riusciva a riconoscere, e il viso distorto in quell’espressione sconfitta. Non aveva mai visto qualcosa che lo avesse ferito quanto l’espressione che il principe aveva negli occhi in quel momento.

«Questo non è vero».

«Huh?».

Oikawa si voltò stupito verso il suo migliore amico, la confusione evidente nel suo volto. Iwaizumi non gli era mai sembrato tanto determinato e sicuro come in quel momento. Lo spaventò, quasi. 

«Mi stai prendendo in giro?» ringhiò il cavaliere. «Pensavo che tutti questi ultimi anni di uggiolii e lamentele sulle ingiustizie e cose simili ti fossero bastati». Si piegò verso Oikawa, mentre continuava ad abbaiargli quelle parole in faccia. «Ora mi ascolti, razza di idiota. Non dimenticarti che tu sei forte e capace come qualsiasi Alpha di merda! Dannazione! Ho incontrato Alpha che non avevano neanche un quarto del tuo talento e delle tue abilità, quindi non ti azzardare a gettare via quel… quel...» si interruppe, alla ricerca delle parole giuste per descrivere la stupidità dell’amico «Quel tuo orgoglio del cazzo! L’orgoglio di essere chi sei e di poter fare quello che vuoi, solo perché qualcuno è nato in una posizione più privilegiata della tua». Durante il discorso, Oikawa si era inclinato sempre più indietro, tanto che al termine si ritrovò quasi sovrastato da Iwaizumi. 

Il cavaliere sospirò e si tirò indietro, dando al principe lo spazio di cui aveva bisogno per riprendere fiato e ricomporsi dopo lo sfogo di Hajime.

«Non ti azzardare a dimenticarlo! Tu sei più di un semplice Omega. Tu sei un principe, un comandante e un leader» Hajime incrociò le braccia di fronte al petto, immobilizzando il principe con lo sguardo. «Se non credi in te stesso e nelle tue capacità di cambiare questa nazione, allora cosa pensi che dovrei fare io? Nessuno mi ha ordinato di essere il tuo cavaliere. Ho voluto diventarlo, perché ero certo che un giorno avrei potuto servire un degno regnante, indipendentemente dal suo status biologico».

Lo sguardo di Iwaizumi era pesantemente fisso in quello di Oikawa. Il principe non sapeva cosa dire o cosa fare. Era la prima volta che il suo principe esprimeva in maniera così cruda e diretta la sua opinione su di lui e, ad esser sincero, era la prima volta che quell’opinione era positiva. Tooru non aveva mai ricevuto da lui complimenti simili. Quelle parole gli riempirono il cuore, per un certo verso, e il suo corpo reagì facendolo scoppiare in una risata. 

«Iwa-chan!» si interruppe a metà di quella risata per asciugarsi una lacrima sfuggita dagli occhi. «E’ veramente carino sapere che ti preoccupi per me».

Sorrise, provocatorio, avvicinandosi al cavaliere, solo per ricevere in risposta un pugno sul braccio. 

«Stai zitto!» ringhiò di rimando Iwaizumi, facendosi facilmente coinvolgere dalle prese in giro del principe. «Stavi facendo l’idiota, ti ho soltanto ricordato ciò che non devi dimenticare».

«Grazie, Hajime» il tono non era più giocoso, le parole erano cariche invece di gratitudine. Iwaizumi era davvero un buon amico.

«Ricordati che non sei da solo, e di sicuro non sei ancora fuori dai giochi. E che con te ci sono anche Yahaba, Hanamaki e Matsukawa! Tutti coloro che hanno deciso di seguirti lo hanno fatto perché credono in te e in ciò che potresti portare a questo regno, quindi non deluderci».

Oikawa si lasciò sfuggire una risatina in risposta. 

«Devo soltanto discutere delle mie idee con il principe ereditario, giusto? Quanto potrà mai essere difficile?» chiese quasi retoricamente, non attendendo una risposta, poiché sapeva che la vera sfida non era convincere Kageyama a rinunciare al trono, ma in primo luogo riuscire ad avere una conversazione con lui. Provare a risolvere anni di risentimento e gelosia solamente con un sorriso carismatico e tante buone intenzioni non sarebbe stato facile neppure per Oikawa. 

«So a cosa stai pensando, Tooru, ed è fottutamente tutta colpa tua. Quindi sarà meglio che tu trovi il modo di sistemare i rapporti di merda che hai con tuo fratello».

«Non sarebbe più semplice se ci liberassimo di lui e basta? Potremmo semplicemente seppellire il corpo, nessuno farebbe domande».
In risposta ricevette uno scappellotto sulla nuca.

«In quel caso, non solo ti guadagneresti il mio eterno odio, ma per altro avresti comunque bisogno che lui faccia passare la legge che ti permetta di ascendere al trono dopo la sua incoronazione. Quindi no, non sarebbe più semplice, Crappykawa».

«Non devi per forza essere così cattivo!» uggiolò Oikawa, massaggiandosi la testa «stavo solo scherzando!».

I due amici rimasero in silenzio nel giardino per un paio di minuti. Sin dall’inizio, Oikawa non aveva mai gradito o bramato l’idea di chiedere direttamente il trono a suo fratello. Nell’immensa lista di modi in cui avrebbe potuto ottenere la corona, quello in cui doveva pregare suo fratello e spiegargli tutta la faccenda di essere un Omega non era certo il suo preferito, era fastidioso e lo metteva piuttosto a disagio. 

Dopo la decisione del re di dare la corona al figlio minore, Oikawa non aveva potuto fare a meno di sentirsi tradito e ingiustamente punito solamente per essere un Omega. Sfortunatamente per Kageyama, il maggiore aveva deciso di scaricare tutta la sua rabbia su di lui, come se fosse solamente colpa di Tobio se il suo lavoro e i suoi sacrifici erano stati vani. Ciò aveva indubbiamente portato ad un cambiamento in peggio la relazione tra i due fratelli, al punto tale da distruggere l’amicizia e la fiducia che un tempo li legavano. Oikawa gli aveva voltato le spalle e non gli era mai più stato vicino per dargli conforto. Kageyama, sentendosi abbandonato dal fratello, nonché suo unico amico, aveva rivolto la sua attenzione unicamente al tiro con l’arco e ai suoi studi, isolandosi sempre di più con il passare dei giorni. Ora, dopo anni ed anni di rapporti complicati e distrutti, Oikawa si trovava a doverli riparare, anche se il suo mostruoso orgoglio e la sua rabbia ruggivano alla sola idea. 

Oikawa sospirò, sconfitto. «Gli parlerò stasera» Iwaizumi inarcò un sopracciglio, non troppo convinto, almeno in apparenza. «A cena» continuò Oikawa, facendo sollevare ancor di più il sopracciglio dell’amico. «Dopo che i nostri ospiti si saranno ritirati per la notte, cosicché non potremo essere origliati. E smettila di guardarmi in quel modo! Giuro che stasera lo farò!» uggiolò Oikawa, provocato dall’espressione quasi derisoria dell’amico.

Conosceva il motivo dietro i ragionevoli dubbi di Iwaizumi; era stato un codardo per tutta la settimana precedente, si era già recato molteplici volte a parlare con il fratello, solo per finire con l’insultarlo o con il preannunciargli che sarebbe stato un pessimo re o che le sue abilità non sarebbero state sufficienti a permettergli di concludere con successo la sua prima caccia. Voleva davvero fare ammenda per tutti quegli anni di rancore e di commenti offensivi e dolorosi, solo che c’era… un qualcosa che impediva a Oikawa di chiedere perdono. 

«Non è che tu abbia poi ancora troppo tempo. Con il festival alle porte, il castello si riempirà di ospiti provenienti da ogni dove. Se non discuterai in tempi brevi con Tobio della faccenda e attenderai fino a quando non sarà incoronato, il tutto diventerà solo più difficile» Hajime portò una mano al mento con fare pensieroso. «E poi, cosa ne sai? Magari a lui piacerebbe fare il re» e ghignò, provocando il giovane principe.

«Oh, sta’ zitto! Come se non lo sapessi! Io… io...» Oikawa strinse furiosamente i pugni. Ma prima che potesse mettere insieme i suoi pensieri, una voce provenne da poco lontano.

«Vostra Altezza» la voce richiamò Oikawa. Nonostante fossero trascorsi numerosi anni, Daichi Sawamura, il capo della guardia reale, non aveva mai scovato il loro rifugio segreto. Sapeva che fosse da qualche parte nel giardino, però, dunque ogni volta che perdeva di vista il principe e il suo fidato cavaliere, riteneva che potessero trovarsi in quella zona.

I due amici si rivolsero un semplice cenno del capo, in assenso, decidendo di lasciare per il momento le cose così come stavano, ed intrapresero il tragitto di ritorno attraverso quel simil-labirinto di siepi che circondava il loro giardino segreto. Non ci volle molto perché risbucassero vicini ad un magnifico albero, venendo rapidamente individuati da Daichi.

«Vostra Altezza, eccovi qui!» Daichi si spostò rapidamente di fronte a loro, chinando immediatamente il capo non appena li raggiunse. «Vostra Altezza, la vostra presenza è richiesta dal Concilio. I nostri attesi ospiti provenienti da Shiratorizawa sono già arrivati e il principe ereditario ha specificatamente chiesto che voi andiate a far loro da guida, mostrando loro il palazzo e i suoi vari quartieri». La voce di Daichi e i suoi occhi si colmarono di pietà quando terminò la frase. Era consapevole del fatto che Oikawa sapeva che Kageyama non aveva voluto che Tooru prendesse il suo posto perché era ciò che qualsiasi buon regnante avrebbe scelto di fare, ma perché suo fratello minore non voleva farlo per primo e sapeva che Oikawa odiava l’idea ancor di più. 

«Quel piccolo...» Oikawa imprecò qualcosa a mezza voce, le sopracciglia si aggrottarono per la frustrazione. Tornò tuttavia ben presto a mostrare il suo abituale sorrisetto, prima di poggiare le mani sui fianchi. «Bhe, lamentarsi adesso non porterà a nulla. Andiamo».

Non appena Oikawa si mise nuovamente in moto, Daichi li scortò verso l’interno del palazzo, lontano dai giardini; tutti e tre erano del tutto consapevoli del paio di occhi e di orecchie che avevano assistito al precedente - e presumibilmente privato - sfogo di poco prima. 

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Il cuore batteva violentemente nel suo petto, quasi volesse liberarsi dalla cassa toracica, mentre i polmoni gli bruciavano come se fossero consumati da fiamme vive. Hinata stava correndo ormai da venti minuti senza riposo e senza una meta precisa, cercando di seminare i suoi inseguitori. L’unica cosa che occupava la sua mente era il fatto di dover continuare a muovere un piede di fronte all’altro per allontanarsi il più possibile dalla direzione verso cui era corsa sua sorella. La sua velocità e le sue energie erano state di immenso aiuto fino a quel momento, ma i tre uomini non erano semplici da seminare e ciò spinse Hinata a pensare di approfittare di quel breve vantaggio che aveva su di loro per cercare un posto in cui nascondersi, prima che le sue gambe cedessero. Se lui era stanco, dovevano esserlo anche i suoi inseguitori, così pensò, non considerando che questi ultimi fossero Alpha addestrati a cacciare Omega per vivere, che erano ben nutriti ed abituati a braccare le loro prede a lungo.

Aveva bisogno di un diversivo, di un modo per farsi perdere di vista così da avere il tempo per cercare un punto in cui nascondersi. Fece presto a notare come ormai si stesse avvicinando sempre di più ad un solido muro di roccia, alto abbastanza da impedire di poter raggiungere la sua cima con un salto. 

«Ormai è nostro, ragazzi!».

“Come se mi arrendessi così facilmente” ruggì la mente del ragazzino.

Iniziò a correre ancor più velocemente, prima di spiccare un balzo verso una sporgenza rocciosa e spingersi con un calcio verso la cima della parete, appigliandosi con le mani al terreno e alle radici come se ne andasse della sua stessa vita; riuscì dopo pochi secondi ad issarsi su quel terreno rialzato, lasciando i tre uomini ad osservare la scena dal basso. 

«Woah! Ma è come una scimmietta! Un piccolo ragazzino scimmia!» uno dei tre fischiò, ammirato, prima di darsi una rincorsa per cercare di imitare le mosse dell’Omega. Forse non erano in grado di saltare in alto quanto il ragazzino, ma avevano gambe più lunghe; per loro sarebbe stato difficile, ma di certo non impossibile compiere quella piccola impresa. 

Una volta issatosi, Hinata non perse un solo secondo e ricominciò a correre ancora una volta, lasciando dietro di sé gli uomini ancora intenti a cercare di scalare la parete rocciosa. Sfrecciò all’interno della foresta, girando attorno ad un albero prima di lanciarsi dietro un cespuglio abbastanza grande da riuscire a nasconderlo completamente. Portò le mani alla bocca, stringendole attorno ad essa con forza per far sì che non emergesse neanche la minima traccia degli affannati respiri che gli scuotevano il petto mentre cercava di riprendere aria. Sperava solamente che il battito del suo cuore non fosse tanto rumoroso quanto lo percepiva rimbombare nelle sue orecchie.

Non dovette attender molto prima di udire il rumore rapido di passi muoversi verso il suo nascondiglio. Come ci si aspettava, gli Alpha erano stanchi, ma neppure lontanamente tanto quanto Hinata aveva sperato. Li vide girare attorno allo stesso albero attorno a cui si era mosso lui e il respiro gli si congelò in gola quando i tre si fermarono a soli pochi metri dal punto in cui era nascosto. Gli Alpha stavano ansimando, affaticati, uno di loro si piegò poggiando le mani sulle ginocchia e cercando di riprendere fiato. Hinata ebbe finalmente il tempo di analizzare i suoi inseguitori, notando che non sembravano essere troppo più grandi di lui, un paio di anni al massimo. 

“Ecco perché hanno così tanta energia” imprecò internamente per non aver minimamente considerato la cosa. 

Aveva bisogno di una via di fuga. Avrebbe atteso fino a che non avessero ripreso la caccia per correre verso la direzione opposta una volta che il pericolo si fosse allontanato. 

«Cazzo, qualcuno di voi ha visto dove è andato?» Hinata riconobbe la voce. Era l’uomo che l’aveva chiamato “scimmietta”. E lo aveva anche definito “piccolo”. Era un ragazzo piuttosto alto con lunghi e biondi capelli a spazzola rasati ai lati. Si stava asciugando il sudore dal mento con il retro della mano, gli occhi color mandorla analizzavano l’area cercando di individuare ogni minima traccia o segno che indicasse il passaggio del ragazzino dai capelli rossi.

Gli altri due uomini scossero la testa in risposta. Il ragazzo che si era piegato raddrizzò la schiena, il respiro finalmente tornato regolare. L’altro imitò le mosse di quello che apparentemente doveva essere il loro leader ed iniziò ad osservare la foresta alla ricerca di ogni minima prova rivelatrice della presenza della loro preda. 

«Okay, dividiamoci. Non riesco ad annusare nulla; probabilmente sta usando un inibitore dell’odore, quindi cercate le sue impronte e state attenti ad ogni minimo suono, non può essere lontano».

«Sì signore!» Entrambi gli uomini portarono una mano alla fronte, come in un saluto militare, e si incamminarono verso diverse direzioni.

«Vieni fuori, piccola scimmietta» cinguettò l’uomo, battendo le mani come in un gesto di richiamo. «Non vuoi rendere le cose ancora più difficili per te, non è vero?» la voce si fece più ovattata quando iniziò ad allontanarsi dal nascondiglio di Hinata. 

Shouyo rimase nel completo e totale silenzio, tremando per l’adrenalina e per il panico che faceva andare il suo cervello alla massima velocità. Sussultava ad ogni minimo rumore, rinforzando la presa sulla sua bocca per troncare sul nascere ogni minimo ansito che sarebbe potuto uscire; il suo corpo era in una fase di massima allerta che gli faceva percepire la presenza dei suoi cacciatori ovunque. 

“Sii paziente, non possono percepire il tuo odore, sarai al sicuro fino a quando rimarrai immobile” continuò a ripetersi in mente, cercando di convincersi per provare a far rilassare i nervi.

Dopo quella che gli parve un’eternità, la foresta divenne totalmente silenziosa e Hinata rimosse le mani dalla bocca, non azzardandosi a respirare prima di essersi assicurato che i tre se ne fossero andati. Chiuse gli occhi, prima di reclinare indietro il capo e cercare di riprendere il respiro e calmare i sensi.

“Inspira profondamente, espira profondamente”.

Riportò la testa dritta e riaprì lentamente gli occhi, solo per far scontrare il proprio sguardo con un altro color mandorla che lo stava fissando dall’altra parte del cespuglio. 

«Ti ho trovato» tubò il biondo con un ghigno ed una voce spaventosamente mielosa che fece congelare il sangue nelle vene di Hinata. 

I muscoli scattarono per istinto, facendolo arretrare e allontanare dall’Alpha, solo per poi condurlo a scontrare la schiena contro due forti gambe. Rivolse lo sguardo verso l’alto con occhi sgranati e carichi di panico, solo per inquadrare il volto del Lodger dagli occhi scuri che teneva tra le mani una lunga corda e aveva in viso un sorrisetto soddisfatto. Fine dei giochi.

I momenti immediatamente successivi non furono troppo chiari per Hinata. In pochi istanti afferrò una roccia con la mano destra e la schiantò sulla gamba dell’uomo con la corda; si spostò rapidamente e ricominciò a correre ancora una volta, lasciando l’uomo a terra, urlante, ad abbracciarsi la tibia e a gridare verso i suoi compagni. Riuscì a creare un po’ di distanza prima che delle braccia si serrassero attorno ai suoi fianchi e lui venisse spinto a faccia in giù contro il terreno fangoso della foresta. Cercò di dimenarsi per riuscire a rotolare via, ma l’uomo alle sue spalle continuava a trattenerlo fra le braccia, tenendolo a terra, evidentemente in attesa dell’aiuto dei suoi compagni per assicurarsi che non scappasse. 

Hinata lanciò uno sguardo oltre la propria spalla e vide con terrore come il biondo, che aveva preso la corda dal Lodger ancora impegnato a tenersi la gamba sanguinante, stesse lentamente avanzando verso di loro. Iniziò a muoversi ancor più disperatamente, usando tutta la mobilità che gli era concessa per cercare di sbattere il retro della sua testa contro il viso del suo aguzzino. Il tutto risultò in un ruggito di dolore e in una mano che violentemente schiantò la testa di Hinata al suolo e la trattenne ferma lì mentre il corpo del ragazzino continuava a dimenarsi per ottenere la libertà. 

«Dannato mocciosetto» il Lodger fece fatica a pronunciare quelle poche parole. «Stai fottutamente fermo!» poi si voltò verso il biondo, infuriato. «Terushima! Muovi il culo e vieni qui, aiutami a legarlo! Il mio naso sta fottutamente sanguinando!».

Il biondo, che apparentemente doveva chiamarsi Terushima, trotterellò verso il duo ed iniziò a legare i piedi dell’Omega. Sentendo la corda a contatto con la pelle, Hinata iniziò ad urlare e a scuotersi ancor più violentemente, solo per essere immobilizzato con più forza dall’uomo sopra di lui. 

«Lasciatemi andare!» abbaiò e ordinò Hinata, solo per essere totalmente ignorato dai due uomini che si adoperavano in movimenti rapidi e precisi per assicurare la corda ed impedire ogni possibile movimento che avrebbe potuto permettere alla loro preda di fuggire. «Non mi avete sentito? Lasciatemi andmmpph-» Fu interrotto forzatamente quando un pezzo di tessuto fu stretto attorno alla sua bocca e legato sul retro del capo come un vero e proprio bavaglio.

Una volta che ebbero finito di legarlo, riducendo effettivamente i movimenti di Hinata al minimo, l’uomo che lo aveva tenuto giù si alzò per andare a controllare le condizioni del suo naso, mentre Terushima si inginocchiò per osservare il volto di Shouyo. Prese il suo mento fra le dita, sollevandolo verso l’alto e costringendo il ragazzino ad osservarlo di rimando.

«Bene, bene, bene. Sei una scimmietta piuttosto carina» il suo sorriso si fece ancora più marcato, divenendo più che altro un ghigno, e i suoi occhi brillarono di uno scintillio sinistro. Hinata sostenne lo sguardo con pura furia ad animare i suoi occhi. «Che raro colore di capelli, e che occhi intensi. Uno potrebbe addirittura pensare che tu ora mi stia odiando, per quanto mi sai guardando male». Ridacchiò, portando Hinata a rivolgergli uno sguardo tanto minaccioso che, se avesse potuto uccidere, Terushima in quel momento sarebbe stato morto a terra. «Ouch» lo prese in giro, trattenendosi il petto con fare teatralmente addolorato.

«Smettila di perdere tempo con lui, Terushima, e vai ad aiutare Futamata. Io recupererò la merce» l’uomo aveva premuto un pezzo di stoffa sul naso per fermare la fuoriuscita di sangue. Sputò un grumo di sangue per terra prima di inginocchiarsi e afferrare Hinata. «Dannato bastardo. Se non venderai bene, ci penserò io a trovarti un Alpha che ti insegni una o due cosette». Poi si issò il ragazzino su una spalla, riunendosi ai suoi compagni; il prezioso carico continuava tuttavia ad agitarsi fino a quando una forte mano si serrò attorno al volto di Hinata con forza, strappandogli un guaito ovattato. «O stai fottutamente fermo, o giuro che ti farò pagare quel brutto scherzo che hai fatto al mio naso» rilassò appena il braccio, prima di stringere la presa con ancor più forza sul ragazzino legato, ottenendo in risposta un uggiolio. «Possiamo venderti anche con un paio di ossa rotte» lo minacciò.

La freddezza di quella frase congelò Hinata e il ragazzino non riuscì a ritrovare la forza per tornare a dimenarsi. Quasi fosse una strategia difensiva, la sua mente e i suoi muscoli si intorpidirono, rendendo il viaggio di ritorno verso la base dei Lodgers un semplice tragitto fra arbusti, borbottii e amichevoli chiacchiere tra i tre Alpha.

«Sto pensando di vendere questo qui ad un prezzo parecchio alto» cinguettò allegro il biondo. «E’ rapido e pieno di risorse, scommetto che potrebbe essere una sfida interessante per gli Alpha più arroganti» Terushima continuò a ghignare. «Lo spero anche perché potrò ottenere anche la tua parte di compenso, Bobata» e si voltò verso l’uomo che trasportava Hinata con uno dei suoi tipici sorrisetti derisori. 

«Cosa? Perché mai dovresti farlo?».

«Ti sei già dimenticato la nostra scommessa?».

«Ha ragione, Bobata» si intromise il terzo uomo. La sua gamba era stata fasciata e, nonostante gli sporadici zoppicamenti, non sembrava troppo irritato. «Hai offerto la tua parte di compenso nel caso in cui Terushima ci avesse visto giusto  con l’Omega».

«Bhe...» ribatté Bobata «Questo era prima che io sapessi che sarebbe stato un bel colpo» entrambi gli amici rotearono gli occhi a quelle parole. «Voglio dire, andiamo! Per poco non mi rompo il naso per colpa sua! Il minimo che potete fare per me è darmi il mio giusto compenso!». Rimbrottò, indicando il suo volto come a voler dar maggiore credito alle proprie parole. 

«Sono abbastanza certo che riusciremo a venderlo ai Reali, con il fatto che quest’anno parteciperà il principe ereditario e tutto» cinguettò ad un tratto Terushima, adocchiando l’immobile Omega.

«Ne sei convinto? Non è un nobile, dopotutto» rispose Futamata, aggrottando le sopracciglia.

«Bhe, la partecipazione del futuro re non è qualcosa che avviene tutti gli anni, hanno inviato inviti anche a Nohebi e Shinarizaki. Sono abbastanza sicuro che avranno bisogno del maggior numero di Omega possibili» commentò Bobata, scuotendo la spalla su cui sorreggeva Hinata come ad enfatizzare il discorso. 

«Non solo per questo, ma anche per il fatto che, con le migrazioni dei nobili, ci sono state meno… restrizioni su che tipo di Omega possano partecipare alla Caccia nel Terreno Reale». Terushima intrecciò le braccia al petto in un gesto saccente. «Oltretutto, negli ultimi due anni il nostro maggiore acquirente è stato proprio il palazzo reale» e voltò il capo per sorridere verso i compagni.

«Woah, sei così intelligente Yuji!» lo elogiò Futamata, portando il biondo ad ampliare il suo sorriso e ad arrossire appena.

«Se mai vorrò raggiungere la vetta, dovrò sapere queste cose. Al momento sono solo il capo di questo gruppo, ma ho in mente di prendere il comando sulla Loggia quando il vecchio Takaashi si ritirerà» e portò le mani dietro la nuca, tranquillamente, mentre continuavano a camminare. 

I tre uomini continuarono ad avanzare, le risate e alcune semplici dimostrazioni del loro spirito di squadra accompagnarono il loro ritorno alla sede dei Lodgers. Avevano posizionato il loro accampamento fuori dalla foresta, al lato della strada principale che conduceva alla capitale del Regno. Era il punto di incontro dei Lodgers per riunire le merci e condurle verso le varie città in cui avevano luogo le vendite.

Per via dell’aumento dei clienti durante le settimane precedenti al festival, il campo era divenuto un punto strategico in cui radunare gli Omega e ridistribuirli in maniera sicura ed efficiente in tutto il Regno, sfruttando alcune squadre specializzate per trovarli e altre per condurli nelle varie città e nei vari capannoni di vendita, minimizzando il tempo che avrebbero potuto perdere andando avanti e indietro ogni volta che trovavano nuova merce. 

«Ohy, Terushima! Cos’hai lì?» uno dei Lodgers che controllava il campo si avvicinò verso di loro non appena notò il trio che si avvicinava. 

«Ha! Guarda qui Izaka! Abbiamo catturato un ragazzino scimmia!» Terushima accennò con il capo verso Bobata. 

«Un che?» l’uomo sbatté gli occhi più volte, confuso.

«Quello che Terushima voleva dire è che ne abbiamo catturato uno piuttosto interessante. E’ veloce, atletico e anche piuttosto gradevole alla vista» si complimentò Bobata, facendo scivolare Hinata dalla spalla prima di poggiarlo al suolo, in attesa di direttive. 

Izaka osservò prima il volto di Bobata, poi la gamba di Futamata, quindi ghignò.

«E cosa sarebbe successo a voi due? Vi siete fatti picchiare da un Omega?» il tono derisorio portò i due ad arrossire per l’imbarazzo e a borbottare qualcosa a mezza voce. 

Non appena sentì il terreno sotto i piedi, Hinata percepì i suoi sensi tornare attivi e si gettò contro i suoi aguzzini per cercare inutilmente di scappare, ricevendo in risposta solamente l’ennesimo impatto contro il suolo ed un piede sulla schiena per tenerlo fermo. Emise un grugnito ovattato quando l’aria venne forzatamente strappata via dai polmoni.

«Cosa posso dire? E’ un tipetto piuttosto interessante» Terushima ghignò ampiamente, poi spostò il piede che tratteneva l’agitato Omega a terra. Izaka rimase immobile, meravigliato. Non doveva sottovalutare quell’Omega, si appuntò mentalmente. 

Durante quella piccola scaramuccia, alcuni uomini si erano radunati attorno a loro e ben presto una figura più anziana si avvicinò, attirata da quello scompiglio. Era un uomo alto con occhi affilati, capelli lisci e neri ed un paio di occhiali dalla montatura sottile, il capo dei Lodgers Anabara Takaashi. 

«Cosa ci hai portato, Terushima?».

«Sono abbastanza certo che questo potrebbe essere venduto ai Reali. Non è nobile, ma è piuttosto divertente».

L’anziano uomo si avvicinò per osservare il prigioniero. Hinata poteva percepire l’umiliazione ribollire nel suo corpo, ma, incapace di liberarsi, poté solamente sostenere con rabbia lo sguardo dell’uomo. Si sentiva come un pezzo di carne di fronte ad un macellaio, aspettando che quest’ultimo estraesse il coltello, lo sguardo lo stava analizzando per valutare il suo valore.
Lo odiava. Ma ciò che odiava di più era il fottuto bisogno di approvazione che il suo Omega interiore aveva deciso di sviluppare senza il suo consenso. Non voleva né aveva bisogno di sapere se gli Alpha credevano o meno che lui avesse valore. 

«Ottimo lavoro, capitano» Takaashi sorrise sinceramente verso il biondo. «Penso tu abbia ragione. Mettetelo nella terza carrozza, il gruppo che è diretto verso la capitale dovrebbe partire tra poco». Ed indicò i carri simili a gabbie e già ricolmi di prigionieri. «Abbiamo fatto un buon raccolto quest’anno, scommetto che al palazzo saranno felici».

E con queste parole, Hinata venne sollevato con un grugnito da terra ed issato sulla spalla di Izaka, per poi esser condotto verso le gabbie. Consapevole di non doversi far sorprendere impreparato dal ragazzino dai capelli rossi, egli aprì rapidamente la porta, lanciando l’Omega all’interno e richiudendola il più rapidamente possibile. Non doveva lasciargli alcuna chance di agire.

Hinata si ritrovò ad impattare contro un ragazzo tremante con capelli scuri, occhi enormi e dolci lentiggini a decorare il viso. Come lui, il ragazzo era legato e imbavagliato, le guance adornate da due scie di lacrime e il panico riflesso nei suoi occhi portarono il cuore di Hinata a stringersi dolorosamente. Si voltò dall’altro lato, solo per incontrare gli occhi impanicati di una ragazza bionda; tra i suoi capelli si trovavano numerose foglie e legnetti e le ciocche sporche avevano nettamente bisogno di una spazzolata. Lo sguardo supplichevole nei suoi occhi gli ricordò Natsu, quanto si era spaventata, e il fatto che quello sarebbe potuto essere il suo destino, se Hinata non si fosse fatto inseguire nella foresta. 

Con il cuore stretto in una morsa, il ragazzino dai capelli arancioni diede uno sguardo al resto dei suoi compagni di cella. Erano tutti nelle stesse condizioni; immobilizzati, imbavagliati e terrorizzati, ma non vide alcun viso familiare. Osservò con attenzione anche le altre gabbie, cercando disperatamente anche il minimo segno di quei familiari capelli arancioni, riuscendo a tornare a respirare quando non ne vide traccia. 

“Natsu e gli altri stanno bene”, pensò, ed una sensazione di sollievo lo scosse tanto da farlo crollare a terra, prima che tornasse a scrutare i suoi compagni di cella. Stavano tremando, nei loro visi, nella loro postura e nei loro odori si percepivano la paura, la fame, la disperazione. Anche loro erano parte di una famiglia, la loro scomparsa avrebbe fatto piangere madri, fratelli, figli, ma forse sarebbe stato in grado di dare loro sollievo, anche essendo un estraneo.

Con non poche difficoltà riuscì a mettersi in una posizione vagamente più comoda e si avvicinò alla giovane ragazza. In un silenzioso tentativo di comunicare, riuscì a convincerla ad appoggiare la testa sulla sua spalla e le accarezzò i capelli con la guancia; i singhiozzi della ragazza si interruppero, mentre si accoccolava il più possibile ad Hinata. 

“Andrà tutto bene. Riusciremo ad uscire da qui. Starai bene”.

Continuò a ripetersi quelle frasi nella mente come un mantra, incoraggiando gli altri con uno sguardo dolce e con un sorriso luminoso, anche se imbavagliato. Il prigionieri, notando il comportamento del nuovo arrivato, si avvicinarono per assorbire un minimo di quella tiepida radiosità e di quell’odore rilassante che il piccolo Omega emetteva. E così, posizionati in una discutibile ma confortevole pila di corpi avvolti da un dolce aroma rilassante, assistettero alla partenza del carro, il primo passo verso l’ignoto per coloro che occupavano quella gabbia scricchiolante. 
 

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Capitolo 3
*** 3. Segreti e voci di corridoio ***


 

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Preambolino di Zia Zophie

Vi chiedo innanzitutto scusa per il ritardo nel pubblicare il capitolo, con l'università che incombe sulle mie spalle ed una lunghezza che non avevo calcolato (giuro, mi sembrava non finire più), ci ho messo più tempo del previsto ad ultimarlo ;;
Vi ringrazio inoltre per le dolcissime recensioni e vi anticipo che le mie risposte, con ogni probabilità, arriveranno (da ora in poi, ovviamente) dopo la pubblicazione del capitolo successivo. Per spiegarmi meglio, risponderò alle recensioni di questo capitolo quando pubblicherò il prossimo, così da fare tutto insieme e non perdermi pezzi per strada. 
Spero ad ogni modo che anche questo capitolo sia di vostro gradimento, io intanto sto gongolando perché sono addirittura arrivata al terzo capitolo di qualcosa, e questo sono certa che non accadesse da tre anni (se siamo positivi, cinque se siamo negativi).

Come al solito, sentitevi liberi di darmi un'opinione sia sulla traduzione che sulla trama, in attesa del prossimo capitolo in cui si entrerà davvero nel vivo della faccenda (e in cui forse io avrò anche una sola vaga idea di come finirà la storia?). Intanto posso dirvi che l'autrice ha affermato che Hunting Season potrebbe allungarsi di un paio di capitoli, giusto per mantenere attiva la tensione(?). 
Buona lettura <3

 

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Hinata aprì gli occhi quando gli giunsero all’orecchio delle voci decisamente poco familiari. Evidentemente doveva essersi addormentato ad un certo punto del tragitto; i muscoli dolevano per essere stati costretti a lungo nella stessa posizione, ma si disse che ne era valsa la pena dopo aver ricordato come fosse riuscito a far cadere i suoi compagni di cella in un sonno tranquillo e rilassato. Cercando di non svegliare la ragazza che dormiva appoggiata alla sua spalla, voltò il capo in direzione del punto in cui si stava svolgendo quella che aveva tutta l’aria di essere una negoziazione di qualche sorta. 

«Oh, andiamo! Riesco a gestirne almeno quattro assieme! Non sono mica a caso la migliore nel mio campo!» la voce della donna era rumorosa e sicura di sé. Piegò le labbra in un sorrisetto mentre portava con la mano destra le ciocche di corti capelli biondi dietro l’orecchio e faceva un occhiolino all’uomo. 

«Non sto dubitando delle tue capacità, Saeko-san, sto seguendo solo gli ordini del vecchio, ecco tutto» l’uomo incaricato del trasporto dei prigionieri fece spallucce di fronte all’affermazione della donna. «Se dipendesse da me, te li lascerei tutti qui e mi prenderei il resto della giornata libera, ma sfortunatamente non sono io a dare gli ordini». Ruotò la testa sulle spalle producendo un sonoro “crack” delle ossa scricchiolanti, fra le mani sorreggeva ancora le redini del cavallo che trainava il carro. 

La donna si imbronciò e tornò a fissare intensamente l’uomo, decisa. Quello si limitò a sospirare, sconfitto: «Ok, hai vinto, lascerò anche la ragazzina. Ecco, sei contenta?». Il Lodger ruotò gli occhi di fronte alla donna raggiante che nel frattempo si stava già dirigendo verso il retro del carro.
«Aspetta un attimo! Mi è stato detto che uno di loro è particolarmente vivace, ti aiuto a tirarli fuori» la avvertì il cocchiere, saltando giù dalla sua postazione per farsi strada verso la donna. 

Hinata fu colto di sorpresa quando gli occhi luminosi della bionda di incastonarono nei suoi, cogliendolo con le mani nel sacco. Cercò di non arrossire quando si accorse di esser stato visto. 

«Sei un tipetto speciale, non è vero?» tubò lei quando notò il suo imbarazzo. 

«Credimi, lo è» l’uomo assottigliò lo sguardo notando con chi stava parlando Saeko «Ha fatto dannare un bel po’ la squadra di Terushima» e ridacchiò mentre lavorava ad aprire la serratura della gabbia.

«Davvero? Ma sembra così carino e innocuo...» la donna si avvicinò ad Hinata come a volerlo analizzare in maniera accurata. 

Sentir parlare delle sue precedenti gesta portò Hinata a tornare con i piedi per terra e a ricordarsi la situazione in cui si trovava. Si guardò intorno alla ricerca di possibili alleati, ma rinunciò all’idea quasi immediatamente, quando ottenne in risposta solamente sguardi terrorizzati. Prima che potesse pensare ad un piano B, ad ogni modo, l’uomo entrò nella gabbia e afferrò il braccio della ragazzina bionda costringendola ad alzarsi. Provocato dal guaito ovattato della ragazza, Hinata non esitò a lanciarsi su di lui, ma una mano proveniente dall’esterno della gabbia si chiuse attorno alla sua caviglia, interrompendo l’assalto. Con un sonoro tonfo, Hinata perse l’equilibrio e sbattè il mento sul pavimento. 

«Woah, nanerottolo! Non vogliamo di certo che tu faccia scenate o ti faccia male!» Saeko stringeva la gamba dell’Omega con abbastanza energia da tenerlo fermo mentre l’uomo usciva dalla gabbia e si faceva strada verso l’interno della struttura alla loro destra. «Non stavi scherzando Numajiri! Mi piace il suo spirito combattivo!» il viso della donna era radioso.

L’altro rise di fronte al commento. «Solo a te, Saeko» disse mentre entrava nell’edificio delle vendite con la giovane ragazza su una spalla. L’uomo riapparve dopo un minuto, entrando nella gabbia per prendere il ragazzo con le lentiggini e portarlo a sua volta nella struttura.

«E ora è il turno di quello vivace, attenta a non farti mordere Saeko» la prese in giro Numajiri, ma la donna sorrise lasciando andare la gamba di Hinata mentre l’uomo rideva alla propria stessa battuta, caricando l’Omega sulla spalla. Dopo essere uscito, l’uomo chiuse la gabbia dietro di sé e seguì la donna all’interno dell’edificio.

Era un posticino piuttosto carino. Alcune decorazioni appese alle pareti lo rendevano ancora più simile ad un elegante negozio, un luogo ove nobili ed esponenti delle famiglie più benestanti potevano recarsi ad acquistare degli Omega. Dall’altra parte della stanza rispetto all’ingresso, un regale bancone in legno impediva l’accesso all’unica altra porta presente, quella che conduceva alla sala in cui la merce era custodita e preparata per la vendita. I tre si fecero strada oltre l’apertura sollevabile del bancone, verso la stanza sul retro. 

Gli occhi di Hinata si sgranarono alla vista di come fosse quest’ultima. Era estremamente ampia, con diverse file di celle, ciascuna dotata di un letto, un canale scorreva attraverso di esse come un fiumiciattolo, fornendo acqua fresca. Una delle gabbie era già aperta, in attesa del suo arrivo, e diverse persone erano affacciate da quelle adiacenti. Oltre alla ragazza bionda e al giovane con le lentiggini, c’era un altro ragazzo più grande nella cella proprio di fronte a quella di Hinata. Stava riposando sul materasso, voltando loro le spalle. Hinata venne scagliato senza troppe cerimonie sul letto disfatto e la porta venne chiusa a chiave. 

«Ora fate i bravi, mentre io finisco di preparare il necessario per la vendita, d’accordo?» Saeko sorrise e attese che il Lodger uscisse dalla stanza prima di chiudere la porta, lasciando i prigionieri in un silenzio teso ed interrotto solamente dai singhiozzi della ragazzina dai capelli biondi. 

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«Quindi?»

«Quindi cosa?»

«Come è andata la conversazione?»

Le sopracciglia di Oikawa si contrassero.

«Parecchio male, deduco»

«Almeno questa volta sono riuscito a resistere più di due minuti senza insultarlo» rispose con un sorriso teso sulle labbra e nient’altro ancora. 

Iwaizumi e Oikawa stavano camminando attraverso le marmoree pareti del palazzo verso la sala da pranzo, sotto il braccio del castano era trattenuto un plico di fogli contenenti la lista del necessario ed il programma per la cerimonia del giorno successivo. Data la mancanza di iniziativa del futuro sovrano nel controllare i lavori, ad Oikawa era stato assegnato - ordinato - il compito di supervisionare il tutto. Erano davvero indietro con i lavori.

Giunsero finalmente nel salone centrale, ove era stato imbandito un banchetto per i membri delle corti di Shiratorizawa, Inarizaki e Nohebi, composte dai loro rispettivi principi Alpha e dagli accompagnatori. Mostrando in volto il sorriso più sincero possibile, Oikawa si sbrigò ad avvicinarsi al tavolo ove suo fratello era già seduto. Attese che Kageyama sollevasse il capo prima di rivolgergli con uno sbuffo un “buongiorno”, a cui l’altro rispose con un borbottio pressoché incomprensibile. 

Non riuscì a controllare il tremolio irritato delle proprie labbra. 

«Tobio-chan» iniziò a dire Oikawa, con il suo solito tono eccessivamente zuccheroso «Dovremmo controllare che tutti i preparativi per domani siano ultimati, non trovi?».

«Pensavo che fossi tu ad occupartene. E’ il motivo per cui ti ho fatto mandare tutte le scartoffie» replicò seccamente Kageyama.

«Sì, me ne sto occupando io, visto che tu hai così cortesemente deciso di affibbiarmi tutte le responsabilità del caso» il sorriso forzato di Oikawa e il tono sempre più carico di irritazione erano ormai evidenti a tutti i presenti. «Ma c’è una questione che necessita strettamente la tua presenza e intendo risolverla il prima possibile, così da poterti lasciare ad intrattenere i nostri amati ospiti». Il tono si fece sempre più derisorio, accentuato dal sorriso sulle labbra sottili che si era fatto appena più ampio. 

Kageyama aggrottò le sopracciglia all’udire quelle parole. A dire la verità sapeva di non essere bravo a gestire le interazioni sociali. Anzi, no. Era a dir poco pessimo nel farlo. Immediatamente si pentì del brutto scherzo che aveva giocato ad Oikawa. Magari se si fosse occupato dei preparativi, Oikawa sarebbe stato quello incaricato di interagire con i loro ospiti Alpha, permettendo al principe ereditario di rimanere nelle sue confortevoli stanze.

«E se non volessi intratte-»

«Non ti azzardare a finire la frase, piccolo pe-»

«Oikawa!» lo redarguì Iwaizumi, riuscendo nell’effettivo a fermare lo scoppio d’ira di Oikawa. Poi si voltò verso Kageyama. «Vostra altezza, anche se sarebbe un enorme piacere per noi trascorrere la giornata qui e intrattenere i nostri ospiti, sarebbe più saggio da parte vostra sfruttare quest’opportunità per stringere e rinsaldare i legami con i nostri vicini, per rafforzare il regno». Si fermò per qualche istante. «Non potete mai sapere quando vi potrebbero servire degli alleati» aggiunse con tono solenne. 

Kageyama ponderò per lunghi secondi l’idea. Sin da quando erano bambini, Iwaizumi era stato per lui una figura da ammirare ed il modello perfetto di Alpha da imitare.

«Capisco. In effetti è la scelta migliore, ti ringrazio Iwaizumi-san» Kageyama chinò appena il capo.

«Per favore, lasciate perdere gli onorifici, vostra altezza. Voi siete il principe ereditario, dopotutto» rispose il cavaliere. 

«Insomma, come stavo dicendo, fratellino» si intromise Oikawa, attirando nuovamente l’attenzione del ragazzo «Considerando che la Festa si terrà fra due giorni, dovremmo davvero perdere poco tempo e andare a fare acquisti il prima possibile».

«Acquisti?» Kageyama inclinò appena la testa all’udire quelle parole. 

«Gli Omega, Tobio» rispose Oikawa, con un tono che trasmise tutta l’ovvietà nascosta dietro quelle parole. «Ne dovremo avere almeno uno per ogni partecipante. Spero che riusciremo a farcela, anche se siamo così a ridosso della Festa. Non vogliamo mancare di rispetto ai nostri ospiti e costringerli a condividere i loro giocattoli, non trovi?». Oikawa cercò di mantenere il proprio tono il più neutrale possibile. Non voleva rivelare le sue vere opinioni in merito; la sua facciata non poteva crollare proprio in quel momento. Non di fronte agli Alpha delle altre nazioni.

«Non partecipano volontariamente al gioco?» le sopracciglia di Kageyama si aggrottarono, a testimoniare la sua confusione. 

Oikawa rise rumorosamente alla battuta, ma si fermò quando ricevette una gomitata sulle costole da Iwaizumi. Oh, Kageyama era serio.

«No, Tobio, non lo fanno» rispose Oikawa impassibile. «E’ trascorso molto tempo da quando le persone che si sono offerte volontarie sono iniziate a divenire così poche da costringerci ad acquistare altri Omega».

«Oh, in effetti ha senso» ponderò ad alta voce Kageyama. «Ma chi non vorrebbe partecipare alla Festa? Penso possa considerarsi una specie di onore per loro partecipare alla Caccia Reale. Specialmente per i traditori che cercano di lasciare il regno». Chiuse gli occhi, come a voler riflettere profondamente per qualche istante. «Dovrebbero tutti essere grati della possibilità di ricevere il Bond di un Alpha nobile, in realtà è più una sfortuna per noi, se ci pensi». Si fermò per mangiare un boccone della sua colazione. «Oh, bhe, se ciò è necessario per mantenere viva la tradizione, suppongo si possano fare dei sacrifici». Continuò, scrollando le spalle e scuotendo il capo. 

Oikawa dovette faticare per controllare il tremore dei suoi pugni, al punto tale che Iwaizumi pose una mano sul suo avambraccio per aiutarlo a recuperare il contegno. Non era in sé colpa di Kageyama. Lui, come molti altri nobili Alpha, era stato educato sotto il pensiero secondo cui gli Omega erano creature inferiori, che non sarebbero mai riuscite ad arrivare al loro livello. Il ruolo degli Alpha era quello di guidare e controllare i loro Omega, come se ogni loro azione e atteggiamento potesse minare alla competenza e alla validità dell’Alpha.

«E’ un modo di vedere la situazione» riuscì a pronunciare Oikawa a denti stretti. La prospettiva di avere una conversazione con Kageyama più tardi quella sera si fece sempre meno appetibile. «Ad ogni modo» continuò, riuscendo a recuperare il suo classico sorrisetto appena pochi istanti prima che Kageyama rivolgesse ancora verso di lui la propria attenzione. «Partiremo non appena sarà terminata la colazione insieme a Lord Tsukishima. Da ora in poi, lui sarà incaricato di gestire gli affari che riguardano gli Omega». Fu il turno di Kageyama di rivolgere uno sbuffo annoiato al fratello. «Non siete grandi amici, voi due?» chiese Oikawa assottigliando gli occhi. mentre le labbra si arricciavano in un sorriso del tutto derisorio.

Kageyama si limitò a schioccare la lingua, irritato, in risposta. Oikawa per una volta riuscì a mostrare un sorriso più genuino.

«Bene, questo è tutto» Oikawa batté le mani una volta, recuperando il plico di fogli prima di alzarsi in piedi. Ma fu proprio allora che un gruppo di uomini si avvicinarono al tavolo.

«Oh, ve ne andate già, vostra altezza?» chiese ad Oikawa un ragazzo biondo dagli occhi scuri e dal sorriso ammaliante. «La nostra compagnia forse non vi è gradita?» aggiunse prima di sedersi al suo fianco con un sorriso divertito.

«Miya-san» lo riconobbe Oikawa. Se ricordava bene, si trattava di uno dei due principi gemelli di Inarizaki, anche se non riusciva a ricordare quale dei due, dunque per sicurezza si limitò a chiamarlo unicamente per cognome. 

«Solo Atsumu, per favore» l’Alpha biondo sorrise, civettuolo. «Miya-san è mio padre».

«Atsumu-san» si corresse Oikawa. «Non fraintendetemi, non sono infastidito dalla compagnia, ma temo di avere così tante cose da fare che non riuscirei a godermela adeguatamente» e sulle sue labbra tornò il sorriso falso di poco prima mentre si rivolgeva a tutti gli uomini lì riuniti. Si voltò poi nuovamente verso Kageyama: «Potete ringraziare Tobio-chan, che mi impedisce di rimanere qui con voi».

«Vi ringrazio, Vostra Altezza» un uomo piuttosto alto con occhi e capelli olivastri si inchinò verso Kageyama, facendo contrarre per l’ennesima volta quel mattino le sopracciglia di Oikawa. 

«Penso che fosse ironico, Ushijima» ridacchiò Atsumu, puntando con la forchetta l’Omega in questione. «Vi chiedo di perdonarlo, mio principe, tende a non capire le battute, a volte». Rivolse nuovamente lo sguardo ad Oikawa, che rimase fermo per non lasciar trasparire la sua irritazione. 

«Ma dico sul serio, rimanete con noi. E’ davvero raro poter trascorrere del tempo in presenza di Omega di così alto lignaggio». Il sorriso ammaliante si ampliò a mostrare i canini affilati.

L’atmosfera nella stanza si congelò, gli occhi si puntarono tutti all’unisono su Oikawa, ancora immobile e impassibile, se quel commento aveva scosso qualcosa dentro di lui, non lo diede a vedere. Non aveva faticato tutta la vita per mantenere quella maschera solo per cedere di fronte al primo tentativo di qualcuno di strapparla via. 

«Cosa, scusa?» chiese, genuinamente offeso. 

«Oh, perdonatemi. Ho solo pensato...» Atsumu gesticolò, cercando di placare la rabbia del principe.

«Sapete...» sospirò, scrollando le spalle. «Sembrate molto… quel tipo di persona».

«Quale tipo?» ora Oikawa era curioso, ma usò un tono che lo fece volutamente apparire ancor più irato.

Una copia di Atsumu, ma dai capelli grigi, diede una gomitata delicata al biondo, come ad intimargli di far attenzione a ciò che avrebbe detto. 

«Sai...» Atsumu continuò a scavarsi la fossa da solo «Sei piuttosto carino».

La reazione fu immediata. Il gemello dell’Alpha colpì violentemente e rumorosamente la testa del fratello con un pugno, ricevendo in risposta un «’Samu!» dal biondo. Poi si inchinò, mantenendo salda la presa sulla testa di Atsumu per costringere anche lui a fare lo stesso. 

«Vi chiedo di perdonare mio fratello, Vostra Altezza». Si scusò l’Alpha dai capelli argentei, spingendo verso il basso il capo del fratello con forse eccessiva forza. «Non sa davvero come comportarsi in pubblico».

Oikawa, come tutti gli altri nella sala, era sobbalzato di fronte al commento di Atsumu e stava in quel momento cercando di nascondere il rossore che minacciava di ascendere dalle sue guance sino alle orecchie. Una volta che ebbe recuperato il suo contegno, si schiarì la voce. 

«Ad ogni modo» ricominciò a parlare, ignorando i principi di Inarizaki e direzionando lo sguardo verso suo fratello, che cercava di mantenersi concentrato sulla sua colazione. «Partiremo alle dieci, Tobio. Ti aspetterò di fronte alla carrozza».

E con quelle parole, si voltò e attraversò la sala accompagnato dal suo fido cavaliere, prima di lasciarla in un silenzio piuttosto teso, consapevole di come tutti gli sguardi fossero puntati su di sé.

«Sei dannatamente stupido?!» urlò il principe dai capelli argentei non appena la porta venne chiusa, colpendo ancora una volta la testa del gemello. «Con la tua inutile uscita hai offeso il principe di Karasuno, dannato idiota!».

Atsumu guaì ancora una volta, massaggiandosi la testa per alleviare il dolore di quei colpi.

«Mi dispiace ‘Samu, scusa! Ero solo curioso.» si coprì il capo di fronte all’ennesimo tentativo del fratello di colpirlo. «Conosci anche tu le voci che girano!».

«E tu pensavi che il miglior modo per ottenere una risposta fosse chiedere direttamente al diretto interessato?» questa volta fu il principe Nohebiano a parlare, i suoi tratti serpentini si aggrottarono di fronte alla stupidità del commensale. «Se anche fosse vero, non lo ammetterebbe mai ad alta voce, di fronte ad una tavolata di Alpha, non credi?» ed accennò alle altre persone presenti al tavolo, come a provare ancor di più la veridicità delle sue parole. 

«Bhe» commentò pensieroso Atsumu «Non ha neanche negato, però».

Fu in quel momento che Kageyama sembrò strozzarsi col nulla, iniziando a tossire ripetutamente e senza alcun garbo. Con la domanda ancora sospesa a mezz’aria e il tavolo avvolto nel silenzio, percepì tutti gli sguardi ricadere su di lui, come se avessero appena ricordato la sua presenza nella sala. L’Alpha, non comprendendo minimamente il tipo di atmosfera che si era creata attorno al tavolo, si limitò a riprendere quietamente a bere il suo latte, allungando quel già teso silenzio.

«Dunque?» fu il principe di Nohebi ad essere abbastanza coraggioso da spezzare la tensione. 

«Cosa?» rispose, confuso, Kageyama.

«E’ o non è un Omega?» Atsumu quasi urlò di fronte alla risposta del tutto sorpresa di Kageyama.

«Oh!» replicò Kageyama, sbalordito, come se la domanda fosse tanto ovvia da non necessitare una risposta. Ovviamente Oikawa non era un Omega, altrimenti Tobio lo avrebbe saputo. Era suo fratello, dopotutto, ne avrebbero discusso in quel caso. Avrebbe saputo dei suoi heats e avrebbe percepito il suo odore. No. Oikawa era solamente una persona davvero capace e talentuosa che per caso aveva anche una malattia strana e mai vista prima che casualmente lo rendeva indisposto ogni mese e gli aveva impedito di succedere al trono. Punto e basta. Era solo una persona… normale.. che… No, non era possibile. Non era un Omega, giusto? Tobio lo avrebbe saputo altrimenti, giusto? Oikawa glielo avrebbe detto. Erano una famiglia. Certo, il loro rapporto non era dei migliori, e non si erano mai parlati davvero da quando Kageyama era stato eletto erede al trono, ma comunque…

«E’ passato diverso tempo per una risposta che dovrebbe essere solamente sì o no» le parole sibilate della Vipera di Nohebi trascinarono Kageyama fuori dal flusso di pensieri in cui si era perso. 

«No» rispose «No, Oikawa non è un Omega» si fermò prima di aggiungere, quasi pensieroso «E’ solo un Beta molto, molto capace».

«Ha ragione».

Tutti i presenti al tavolo si voltarono verso Ushijima, stupiti dall’affermazione dell’Alpha, noto per rimanere solitamente stoico e disinteressato di fronte ad ogni genere di discussione. 

«Ho sentito parlare in prima persona dei risultati raggiunti dal Beta. E’ un vero peccato che non sia nato come Alpha, sarebbe stato un ottimo sovrano».

Qualcosa in quell’ultima frase fece reagire in maniera violenta l’Alpha interiore di Kageyama.

«Cosa intendi dire?» chiese, genuinamente confuso, cercando di comprendere perché il commento avesse causato in lui una simile reazione. 

«Un buon sovrano è colui che riesce a portar fuori il meglio del suo regno e a renderlo più forte. Con le sue abilità e i suoi risultati, avrebbe reso Karasuno un grande regno».

«Pensi che io non ci riuscirò?» il basso ringhio di Kageyama fece congelare tutti sul posto, la tensione crebbe nuovamente mentre i due Alpha si fissavano negli occhi. 

«Le uniche cose che ho sentito dire su di voi e sulle vostre abilità sono quelle che il vostro regno diffonde. Se non siete in grado di servire la vostra gente e il vostro popolo non ripone fiducia in voi, allora non c’è bisogno di un re come voi» la gelidità di quell’affermazione rese immediatamente chiaro come Ushijima non fosse l’unico a pensarla in quel modo nella sala. «Questo è ciò che intendevo» concluse con lo stesso tono assolutamente non pentito che non fece attenuare l’odore acido ed innervosito di Kageyama.

Continuarono in silenzio quella guerra di sguardi, in cui brillava tutta la forza che vibrava anche nei corpi ben piazzati. La pressione venne attenuata solo dall’arrivo di un giovane dai capelli biondi e gli occhiali, giunto per avvisare il principe della partenza. Kageyama si limitò ad inchinarsi di fronte ai suoi ospiti prima di lasciare la stanza, una nuova dolorosa sensazione a consumarlo dall’interno.

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La carrozza conteneva solo quattro persone, ma l’atmosfera opprimente causata dai passeggeri la faceva sembrare ricolma. I due principi non avevano pronunciato neanche una singola parola da quando erano saliti a bordo e si erano seduti sui morbidi cuscini di velluto rosso, e se gli altri due passeggeri non fossero stati Iwaizumi Hajime, il silenzioso cavaliere del principe, e Tsukishima Kei, l’Alpha biondo, scontroso e disinteressato, qualcuno avrebbe già tentato di spezzare quel silenzio teso. Ma viste le circostanze, trascorsero l’intero viaggio verso la sede di vendita dei Lodgers in un silenzio spiacevole e assoluto. 

Presto, ma non abbastanza, la carrozza si fermò ed Iwaizumi aprì la porta per permettere agli altri presenti di scendere. Oikawa scese appena pochi istanti dopo, al contrario di Kageyama, che rimase per altri pensierosi secondi seduto a fissare le proprie mani.

 «Dio, king. Cosa ti è successo per farti puzzare così tanto?» rimarcò Tsukishima, agitando una mano di fronte al suo naso per dissipare l’intenso e spiacevole odore proveniente dall’altro Alpha. 

Il principe sussultò di fronte a quel commento, il corpo si tese e si irrigidì ancor di più prima di, infine, rilassarsi. Con un cipiglio imbronciato si voltò verso il biondo, ma il suo sguardo non ricercò quello dell’altro Alpha.

 «Pensi che io… saròunbuonre?» borbottò il principe in maniera quasi incomprensibile mentre un evidente rossore risaliva le guance.

 «Uh?!» ruggì il biondo, sorpreso, l’espressione del viso arricciata a testimoniare la sua perplessità; nel suo viso erano evidenti il dubbio tra il dover dare o meno una risposa e la possibilità di non aver udito bene le parole del principe. 

 «Ti ho chiesto se secondo te io potrei essere un buon re» Kageyama era serio, ora. Fissò per numerosi secondi il nobile Lord, prima di distogliere lo sguardo.  «Sai… come lo sarebbe stato Oikawa se fosse asceso al trono». Abbassò la voce nel pronunciare quell’ultima parte. 

Tsukishima sospirò, riprendendosi da quell’iniziale shock. Intrecciò le braccia al petto e chiuse gli occhi, pensando con attenzione a quale risposta dare. Il principe ereditario gli aveva rivolto una domanda sincera, e nonostante la relazione di amicizia-odio che intercorreva tra di loro, non voleva causare ulteriore sconforto nel principe. 

 «Onestamente? Penso che tu sia troppo egoista e che non ti interessi minimamente dei tuoi sudditi. Pensi di essere troppo perfetto per preoccuparti dei loro bisogni o delle aspettative che loro nutrono nei tuoi confronti» rispose brutalmente Tsukishima, facendo sussultare Kageyama ad ogni frase.  «Detto questo» aprì gli occhi e li puntò sul principe  «Penso che potresti diventare un buon re. Il fatto che tu stia dubitando di te stesso non è forse la prova che tu voglia diventare un valido regnante?» sollevò le spalle, prima di scrollarle.  «Forse, anziché struggerti su quanto tu e Oikawa siate differenti, potresti chiedergli dei consigli su come diventare un leader più adatto al suo ruolo, non credi?».

Lo sguardo di Kageyama seguì quello di Tsukishima verso la strada fuori dalla carrozza, ove il principe dai capelli castani sembrava sul ciglio di perdere la pazienza e di ritornare alla carrozza per trascinare fuori i due Alpha. 

 «Parlargli, uh?» si interruppe e continuò a fissare il fratello maggiore. Da quando le cose erano diventate così difficili tra di loro, tanto da renderlo così timoroso di fronte ad una possibile conversazione amichevole sul loro futuro?  «Sì, penso di potercela fare» e l’Alpha dai capelli corvini annuì, autoconvincendosi, prima di aggiungere  «Grazie, Tsukishima». Si sollevò poi dalla sua seduta, prima di scendere dalla carrozza ed avvicinarsi al gruppo in loro attesa. 

Fuori dal grazioso e piccolo negozio, un giovane ragazzo pelato stava conversando con Daichi, che era stato inviato precedentemente per annunciare l’arrivo del gruppo. Il ragazzo pelato trotterellò verso di loro, prima di chinare la testa in segno di rispetto. 

 «Benvenuti Vostra Altezza e… Vostra Altezza» Tsukishima ghignò malevolo di fronte all’impacciato tentativo di saluto, guadagnando in risposta un broncio dell’Alpha pelato, che era nel frattempo arrossito.  «Sta’ zitto, Tsukishima! Cosa avrei dovuto dire? Vostre Altezze?».

 «Non importa, non importa» Oikawa sollevò le mani per far tranquillizzare il pelato.  «Va tutto bene, non preoccupatevi per questo» e mostrò il suo classico sorriso ammaliante.  «Vogliamo andare? Non abbiamo tempo da perdere, no?».

I due principi entrarono per primi, seguiti da Iwaizumi e Tsukishima, mentre il giovane pelato teneva per loro la porta aperta. Una volta che tutti furono entrati, la chiuse, rimanendo all’esterno con Daichi a fare la guardia, un protocollo standard per quando un membro della famiglia reale giungeva in visita. 

 «Kei! Sei arrivato finalmente!» la voce energica della donna dai capelli biondi giunse alle loro orecchie mentre entravano nell’atrio. 

 «Per favore, Saeko-san, non urlare» replicò Tsukishima con la sua solita voce priva di energia, chiaramente infastidito dall’entusiasmo dell'altra. 

 Il gruppo si fece strada verso il bancone, ove Saeko stava tirando fuori vari libri disponendoli sul ripiano l’uno accanto all’altro. 

 «Scusa, scusa» sorrise, schiarendosi la voce prima di assumere un tono più basso e delicato.  «Sono solo terribilmente eccitata! E’ sempre un onore fare affari con la Corona!» e chinò il capo di fronte al gruppo.  «Benvenuti alla Cabina! La Casa con i più ambiti Omega della nazione! L’affascinante guardia là fuori mi ha detto che siete qui per scegliere i partecipanti della Festa».

 «E’ così, Saeko-san» rispose Tsukishima, chinando il capo.

 «Eccellente! Siete giusto in tempo! Abbiamo ricevuto una consegna piuttosto interessante ieri, sapete?» ed aprì uno dei libri di fronte a lei, mostrando una serie di ritagli quadrati di tessuto con vari numeri appuntati al bordo.  «Sono tutti di altissima qualità!» e rivolse al gruppo un occhiolino furbesco. Tsukishima si limitò a roteare lo sguardo in risposta. 

Kageyama rimase semplicemente immobile, osservando lo strano scambio di battute che stava avvenendo di fronte a lui incerto se dovesse o meno parlare a sua volta. Quando lo sguardo di Oikawa si puntò sul suo, tuttavia, comprese che avrebbe in teoria dovuto fare qualcosa. 

 «Uhm» borbottò Kageyama, in attesa di istruzioni.  «Grazie?». Oikawa in tutta risposta si sbatté una mano sul viso. 

 «Il catalogo, Tobio!» disse il castano puntando con un dito il libro  «Devi scegliere quali intendi comprare!».

 «Io?!» fece un passo indietro «Pensavo che li avremmo comprati tutti e poi, insomma, li avremmo cacciati o qualcosa di simile durante la Festa».

 «Tobio...» Oikawa si massaggiò la radice del naso, chiaramente frustrato.  «Comprare degli Omega è dannatamente costoso, non possiamo semplicemente venire qui e comprare tutti gli Omega di questa struttura» e si voltò solo per sorridere gentilmente verso Saeko, prima di proseguire  «perché probabilmente ciò svuoterebbe interamente le casse reali». Poi prese un libro e lo porse a Kageyama.  «Quindi tu, in qualità di Re, in occasione della tua prima apparizione durante la Festa Primiverile, dovrai scegliere l’Omega che caccerai tu stesso e un altro per ogni partecipante. Abbiamo un budget, quindi scegli con attenzione».

Kageyama sbatté numerose volte le palpebre quando si ritrovò tra le mani quel libro. Lo aprì nuovamente, notando per la prima volta che ciascuno di quei frammenti di tessuto aveva un odore differente. L’odore di un Omega. Arrossì immediatamente non appena realizzò la cosa. 

Chiuse di scatto il libro, imbarazzato. L’odore di un Omega era qualcosa che aveva sempre considerato come estremamente privata. Si sentì quasi invadente, ad avere tra le mani ciò che si poteva considerare come un aspetto davvero molto intimo di un’altra persona. Ridette immediatamente il libro ad Oikawa. 

 «Se è un dovere così semplice, perché non te ne occupi tu? Non capisco perché devo essere io a scegliere» non poteva ormai nascondere il colore rosato che era asceso ormai sino alle sue orecchie, per cui rivolse lo sguardo al soffitto, incapace di guardare in faccia nessuno, al momento.

Tsukishima ghignò e Oikawa inarcò un sopracciglio realizzando la ragione dietro l’imbarazzo del fratello.

 «Non mi dire...» iniziò a pronunciare con il suo tono mieloso e derisorio  «Che ti trovi a disagio con l’idea di doverli annusare...». Kageyama arrossì ancora di più, portando l’Omega a ridacchiare.  «Bhe, credo che dovrai lasciare da parte la vergogna, Tobio, perché punto uno, io sono un Beta, quindi non posso percepire gli odori come fai tu, e punto due, sarai tu a dover cacciare questa persona, quindi assicurati almeno che sia un odore che riesci a distinguere e che hai piacere nel braccare». Disse, sollevando le sopracciglia, portando le guance già rosa di Kageyama ad assumere una sfumatura ancora più intensa. Subito dopo il principe ereditario percepì nuovamente tra le mani il peso del catalogo degli Omega. 

Oikawa aveva ragione, ad ogni modo. Quando partecipava per la prima volta ad una caccia, un membro della famiglia reale doveva stabilire con chi avrebbe stabilito il bond prima dell’inizio della Festa. Era una delle tradizioni rimaste sin da prima che avvenisse il primo bond “forzato”, ormai innumerevoli anni prima. Quindi, se doveva stabilire un bond con quell'Omega con cui avrebbe trascorso il resto della sua vita, doveva assicurarsi che avesse un odore a lui gradito, no? Kageyama non aveva mai pensato a tutte le implicazioni che derivavano dalla sua prima partecipazione alla caccia. 

Con un rumoroso lamento aprì il libro e lo avvicinò al viso, solo per ritrovarsi avvolto da una grande varietà di odori diversi che lo colpirono dritto al viso, costringendolo ad allontanarsi rapidamente e a tappare il naso con l’indice e il pollice. 

 «Oh no!» abbaiò rumorosamente Saeko, di fronte alla reazione del principe. «Dovete avere un olfatto piuttosto sensibile, non è così?» sembrava apprezzare lo spettacolino offerto ai suoi occhi. Kageyama si voltò ringhiando verso di lei, portandola a sollevare le mani in segno di scuse. «Se questo è il caso, allora troppi odori potrebbero essere difficili da sopportare. In casi come questo, ti consiglierei di annusare le pagine da lontano ed avvicinarti solo quando percepisci un aroma che ti interessa. In questo modo possiamo diminuire le opzioni». Voltò rapidamente pagina, mostrando un’altra fila di rettangoli di tessuto, in alcuni di loro il numero segnato era sbarrato. «In più, in questo modo possiamo capire quanto siate abile nel distinguere un odore specifico in mezzo ad infiniti altri, dopotutto dovrai trovare il tuo Omega in mezzo ad altri suoi simili durante la caccia». E voltò un’altra pagina del catalogo. «Non vogliamo che il prossimo re fallisca la sua prima caccia, no?» e strizzò un occhio.

Kageyama si limitò ad annuire, ancora scombussolato da tutte quelle informazioni e da tutti gli odori che avevano raggiunto le sue narici. Vide Saeko voltare l’ultima pagina del primo libro, per poi squadrarlo con sguardo interrogativo.

«Qualcosa ha attirato la vostra attenzione?» chiese lei, sorridendo. 

«No, niente in particolare» e scrollò le spalle. Non era certo di cosa stesse cercando, o anche solo se fosse capace di distinguere un singolo odore in mezzo a quel mix quasi nauseabondo. 

«D’accordo, non vi preoccupate» disse la bionda mentre chiudeva il primo libro e si affrettava a prendere il secondo. Lo aprì con un sorriso ed iniziò nuovamente a girare lentamente le pagine, attendendo una reazione evidente o un gesto dell’Alpha dagli occhi blu. 

Continuò a voltare pagina dopo pagina, ma tutto ciò che Kageyama riusciva ad annusare era un insieme di aromi troppo dolci e speziati che gli facevano prudere il naso. Stavano pericolosamente avvicinandosi alla fine del secondo libro quando un odore distinto e piacevole gli raggiunse il naso. Il suo Alpha interiore parve riprender vita di fronte alla zaffata deliziosa e dolce di quell’aroma. 

«Aspetta!» le parole gli sfuggirono di bocca senza che se ne accorgesse, mentre il corpo si tendeva verso il bancone ed una mano si poggiava con forza sulla pagina aperta per non far scomparire quel buon odore. 

«Oh?» fu Oikawa il primo a sorprendersi, non aveva mai visto il fratello reagire in maniera simile. Neanche per il tiro con l’arco. 

«Questo qui?» chiese Saeko, avvicinando il libro a Kageyama.

L’Alpha si avvicinò per cercare di distingere la fonte esatta dell’odore, poi sorrise di fronte ad un piccolo rettangolo di stoffa arancione. “Si adatta così bene” si ritrovò a pensare, prima di accorgersi di star sorridendo e di tornare ad imbronciarsi. «Questo qui» e posizionò l’indice sul frammento di tessuto «Prendo questo» ripeté con tono contento ed eccitato, che appena nascondeva il suo nervosismo. 

«Questo qui, eh?» Saeko voltò il libro per vedere a chi appartenesse l’odore, solo per poi ampliare il suo sorriso. «Siete sicuro di volere proprio questo, Vostra Altezza?» il suo tono era derisorio e le labbra quasi arricciate in un ghigno, mentre poneva la domanda al principe. 

«C’è qualche problema?» chiese Iwaizumi, consapevole di come Kageyama non avrebbe facilmente accettato un rifiuto dopo tutta la felicità mostrata poco prima, anche se non lo avrebbe mai ammesso. 

Saeko in risposta scosse il capo. «Non proprio, devo solo avvertirvi che questo Omega potrebbe causarvi dei guai, Vostra Altezza». Poggiò i gomiti sul bancone e lasciò ricadere la testa su una mano, usando poi l’altra per indicare il frammento di tessuto dell’Omega. «Ho sentito dire che potrebbe essere una bella sfida da affrontare, mio principe».

Kageyama schioccò la lingua sul palato. «E’ un Omega, quanto può essere difficile cacciarlo?».

Saeko sorrise, saccente. «Bhe, apparentemente abbastanza difficile per i tre Alpha che lo hanno catturato mentre cercava di lasciare il regno» si stiracchiò, prima di aggiungere «Non vogliamo che il principe ereditario fallisca la sua prima caccia solo perché ha scelto l’omega sbagliato, no?».

Kageyama ringhiò di fronte a quell’affronto e Saeko alzò le mani con fare difensivo. 

«Non prendetelo come un insulto, mio principe. Voglio solo che siate consapevole che ciò che state acquistando sia una Sfida bella e buona e che dunque non vi scoraggiate o vi infuriate se la preda riesce a vincere» abbassò le mani, assumendo un tono più serio. «Ci sono testimonianze di nobili indegni che sono stati incapaci di catturare i loro Omega, per cui hanno preso provvedimenti… nei confronti delle loro famiglie». In pochi istanti era divenuta mortalmente seria, un tono d’avvertimento ad accompagnare le sue parole. E tanto velocemente quanto era cambiato, il suo atteggiamento tornò come prima, mentre il sorriso fioriva di nuovo sulle sue labbra. «Voglio solo che i miei clienti siano felici delle loro scelte. Vostra Altezza. Un cliente felice è un cliente che torna a fare acquisti». E gli fece l’occhiolino.

Kageyama si fermò qualche istante per valutare le parole della venditrice, le parole di Ushijima e Tsukishima ancora ben impresse nella sua mente. Cosa ci si aspettava che dovesse fare? Avrebbe dovuto scegliere un avversario semplice e facile da catturare durante la caccia? In quel modo, la gente lo avrebbe riconosciuto come un Alpha valido e abile. Se avesse fallito la sua prima caccia, cosa avrebbe pensato la gente? Sicuramente avrebbe riso di lui, questo era certo. Magari avrebbe anche dubitato del suo diritto di ascendere al trono. Aggrottò la fronte al solo pensiero.

«Io...» Iniziò a dire, prima che una nuova zaffata di quell’odore gli penetrasse sin nelle viscere. Le sensazioni che gli trasmetteva quel pezzo di tessuto erano un qualcosa di così radicato ormai sin nel suo DNA da non poter essere spiegate o espresse. Lui desiderava quell’Omega. No, ne aveva bisogno. «Prendo questo» disse con il tono più convinto che avesse mai avuto in tutta la sua vita. 

Oikawa sbuffò a quelle parole. 

«Per un momento ho pensato che avresti rifiutato la sfida, Tobio» e gli sorrise. «E’ bello vedere che per una volta tu voglia provare a cambiare i tuoi soliti atteggiamenti». Era un commento sincero, anche se Oikawa fece di tutto per mascherarlo e farlo apparire come un insulto. Iwaizumi sorrise a sua volta, consapevole della sincerità di quel commento. 

Il sorriso di Saeko si fece più ampio di fronte alle parole del principe. «Okay, per il resto dei partecipanti invece?» e sollevò lo sguardo, fissandolo su Tsukishima. 

«Oh no, io non partecipo» e scosse una mano di fronte al petto in segno di diniego. «Non mi interessa quella roba».

«Non vuoi ammettere che non hai minimamente talento per quello» commentò Kageyama con un sorrisetto, facendo ringhiare il biondo in risposta. «Ha già partecipato a due cacce prima e non è mai riuscito a catturare nessuno» Kageyama non riuscì proprio a trattenere il ghigno di fronte all’evidente irritazione dell’altro Alpha. 

«Come ho detto, la caccia non mi interessa, quindi non parteciperò» Tsukishima si tolse gli occhiali prima di passare a pulirli con estrema cura. «Ho partecipato alla Festa solo perché mio fratello mi ha obbligato». Si rimise gli occhiali e si voltò di nuovo verso Saeko, condividendo con lei uno sguardo complice che passò inosservato a tutti, ad eccezione di Oikawa che si limitò ad arricciare appena le labbra verso l’alto. 

«Gli altri partecipanti hanno particolari preferenze?» chiese poi la donna ad Oikawa. «Genere, atleticità, odore?» ed iniziò a voltare le pagine del libro ancora aperto sul bancone. 

Oikawa prese fra le mani il libro, prima di passare l’altro a Tsukishima. «Se non sbaglio, solo la nostra nazione ha la tradizione di creare il bond fra il cacciatore e la sua prima preda, no? Quindi, fino a che forniamo loro una sfida da affrontare, non importano le loro preferenze. Se non sono soddisfatti alla fine della caccia possono sempre lasciarli andare» ragionò il principe castano mentre esaminava le pagine con evidente disinteresse. «Prenderei semplicemente quelli che rientrano nel nostro budget, che ne pensi Tsukishima?».

Si voltò quindi verso Kageyama, che annuì, poi lo sguardo dei due principi si concentrò su Tsukishima in attesa del suo parere, ma il biondo sembrava del tutto concentrato su una specifica pagina del suo libro. 

«Tsukishima?» ripeté Kageyama, cercando di attirare la sua attenzione. 

Ma fu solo quando il corvino gli poggiò una mano sulla spalla che l’Alpha biondo sussultò visibilmente, l’espressione che aveva in volto era quella di qualcuno colto mentre faceva qualcosa che non avrebbe dovuto fare. Chiuse il libro di botto e cercò di riprendersi da quella strana sensazione che lo aveva pervaso. 

«Oh, sì. Sì, penso che possa essere un’idea appropriata. Sì» e si sistemò gli occhiali, cercando di far defluire dal viso tutto il suo imbarazzo. 

«Hai trovato qualcosa di interessante, Kei?» lo prese in giro Saeko con in viso un ghigno troppo ampio per poter anche solo lontanamente rassicurare il ragazzo.

«Cosa?! No! Niente di niente!» come un bambino colto mentre diceva una bugia, nascose il libro dietro la schiena, al ché Oikawa ridacchiò. 

«Niente, eh? D’accordo» sorrise il castano e si voltò verso la porta. «Saeko-chan!» cinguettò poi con la sua abituale e mielosa voce. «Per favore, occupati con Lord Tsukishima per definire tutti gli altri dettagli della vendita. Abbiamo bisogno di altri cinque omega per domani, oltre a quello di Tobio-chan, ovviamente». E strizzò un occhio verso di lei, ottenendo una risatina in risposta. Poi batté le mani e si voltò verso gli altri membri del gruppo. «Penso che per ora abbiamo finito, ritorniamo a Palazzo. Ho ancora un sacco di lavoro in sospeso» roteò gli occhi e piagnucolò giocosamente, prima di guidare all’esterno il gruppo salutando Saeko e Tsukishima con un gesto della mano. 

«Cinque?» chiese Kageyama mentre veniva trascinato fuori dal negozio. «Non ci sono solo quattro-» ma ricevette ben presto un colpo sulla schiena da parte di Oikawa che lo costrinse ad ammutolirsi e a ricercare l’equilibrio per non cadere a terra. 

«Oh, Saeko-san!» Oikawa si fermò all’ingresso, dicendo con tono serio a calcare la voce ed un sorriso deciso in volto: «La corona naturalmente approva il tutto!». E con quelle parole lasciò il negozio, seguendo il resto del gruppo.

Le due persone ancora nella stanza rimasero in silenzio, ancora sconvolte da quanto era appena accaduto. Tsukishima aveva ancora il libro in mano e Saeko gli rivolse uno sguardo di sbieco, ancora in viso quel sorrisetto diabolico. 

«Quindi» scivolò con un passo verso Tsukishima muovendo le sopracciglia e continuò, con tono provocatorio: «Di che si tratta?».

«Non iniziare» rispose, poggiando il libro sul bancone. «Passiamo alle cose importanti. Cos’erano tutti quegli avvertimenti rivolti al principe?» ora la stava fissando con estrema serietà. «Sembrava quasi che tu volessi convincerlo a desistere dall’acquisto» proseguì, con tono più basso.

«Ho detto quello che dovevo dire. Non è una bugia ad ogni modo» ed incrociò le braccia al petto «In più, dato che voglio che gli Omega abbiano davvero una possibilità di vincere la caccia, devo assicurarmi che i loro avversari combattano in maniera corretta. Non puoi proteggere gli Omega facendo il timidone-».

«Saeko-san!» la zittì rumorosamente, guardandosi intorno con un’espressione totalmente impanicata. 

«Rilaaaassati» rispose la donna, ridendo rumorosamente ed allungando le vocali, prima di scuotere appena le mani. «Oggi ci siamo solo io e il mio fratellino, siamo al sicuro» disse «in più, sono abbastanza certa che il principe Oikawa lo sappia già» e si fece più seria. 

«Cosa?!» il tono del biondo si fece più alto per la sorpresa. «Cosa te lo fa pensare?».

«Intuizione» replicò lei. «Potrei sbagliarmi, ma credo che stia facendo la sua parte per favorire le nostre operazioni» e si strinse nelle spalle. «Ci sono voci che parlano di un generoso mecenate che acquista Omega dai rifugi; ho l’impressione che possa trattarsi di lui». Si fermò, indecisa su come continuare: «Sai? Si sentono molte voci quando fai un lavoro come il mio; ad esempio, una afferma che lui potrebbe essere un Omega Reale nascosto che gestisce un gruppo d’elite di soldati che cercano di fermare coloro che abusano e maltrattano i loro mates. E’ solo gossip, non ci sono prove, ma fa pensare» disse lentamente, aprendo il catalogo di fronte a lei e girando lentamente le pagine. «Come cambierebbe il futuro di queste persone se ci fosse un leader che si preoccupasse di loro e li proteggesse?».

Tsukishima rimase in silenzio, scrutando il sorriso triste della venditrice. Era indubitabile il fatto che ella si preoccupasse infinitamente della condizione in cui vivevano gli Omega. Si chiese se quello fosse il motivo per cui suo fratello la amava così tanto. 

Lei e Akiteru si erano conosciuti per via della Caccia. Tsukishima avrebbe sempre negato che si fosse trattato di un avvenimento voluto dal destino, anche se era ciò che affermavano le loro tradizioni. Ma che fosse opera del Destino o semplicemente del Caso, il fatto che entrambi si amassero e si rispettassero a vicenda in quel modo era per Tsukishima la prova sufficiente che il bond fra un Alpha ed un Omega potesse essere qualcosa di prezioso, anziché qualcosa di semplicemente stabilito da una legge e da anni di maltrattamenti verso gli Omega. 

Forse lo faceva perché era un idealista. Dopo aver visto quanto suo fratello avesse sofferto semplicemente perché era un Omega, lui, come Alpha, si era imposto di dover proteggere coloro che non avevano nessuno. Forse si sentiva parzialmente responsabile del problema. O, magari, era semplicemente un giovane insicuro che pensava che se non avesse neanche tentato di fare qualcosa, non si sarebbe mai potuto definire degno di nulla. Ad ogni modo, qualunque fosse la ragione, il fatto era che si era unito alla crociata, per quanto piccola, di Akiteru e Saeko, per tentare di concedere agli Omega la possibilità di combattere per la loro libertà.

Saeko aveva utilizzato il suo fascino, il suo talento e l’influenza della famiglia Tsukishima per ottenere abbastanza prestigio da farsi assumere nella maggiore e più influente casa di vendite di Omega della capitale. Lavorava davvero duramente per poter concedere la libertà a più Omega possibili senza destare sospetti, cambiando numeri e nomi per arrivare al suo obiettivo e alle volte comprando lei stessa gli Omega sotto diversi pseudonimi.

In merito a coloro che non potevano essere liberati, la donna sfruttava la sua rete di informazioni per individuare le famiglie di coloro che erano stati venduti e assicurarsi che il compenso monetario giungesse nelle giuste mani, e non in quelle dei loro rapitori. 

Akiteru, d’altro canto, lavorava nelle retrovie. Essendo un Omega che aveva già ricevuto il suo Bond, poteva liberamente spostare gli Omega liberati tra i rifugi e le città senza attirare le attenzioni sbagliate, cercando nuovi alleati tramite i collegamenti della sua famiglia. 

Tsukishima si era impegnato per guadagnare la fiducia della famiglia reale abbastanza da divenire il responsabile degli acquisti degli Omega per la Festa. In questo modo, con il maggiore deposito monetario del regno e con la scusa più semplice ed efficace a loro disposizione - “il palazzo ha deciso così” - erano stati in grado di cancellare ogni sospetto ed ogni prova che avrebbe potuto ricondursi a loro. 

«C’è questa ragazza che è arrivata ieri. E’ così piccola e giovane, Kei. Così dolce e gentile...» riprese a parlare Saeko, riscuotendo Tsukishima dai suoi pensieri. La donna stava indicando con l’indice quello che doveva essere il pezzo di stoffa della ragazza. «Non riuscirebbe davvero a farcela, se dovesse partecipare alla caccia» e sospirò pesantemente, preoccupata. 

«Hai cercato in qualche modo di sistemarla?» era una domanda stupida, Tsukishima lo sapeva. Ovviamente Saeko aveva già tentato di rimuoverla dal catalogo. Una moneta d’oro in più da una parte, un paio d’argento in più dall’altra, et voilà! Il prezzo minimo per vendere la ragazza sarebbe stato raggiunto e lei sarebbe stata scortata via dal negozio durante la notte, quando le ombre erano più scure e gli occhi più clementi.

«Sì, ma non ho raccolto abbastanza» la donna sospirò ancora «Il suo carro è arrivato troppo a ridosso della festa. Ho già usato le monete in più che mi erano rimaste dall’anno scorso per altre due ragazze. Non ho avuto scelta; stavano per essere vendute a dei vecchi Alpha disgustosi che avevano bisogno di eredi. Avevano anche ottenuto il permesso dalla Corona di accoppiarsi con loro » e schioccò la lingua sul palato, irritata. 

Tsukishima non stava prestando particolare attenzione, in realtà. Semplicemente non riusciva a distogliere gli occhi dalla pagina su cui Saeko stava tenendo aperto il libro. Di nuovo, ecco che gli giunse alle narici quell’odore fresco di menta che lo aveva sopraffatto poco prima.

«Magari posso essere d’aiuto in quello» si sforzò si sbattere le palpebre. L’incanto finalmente si ruppe e riuscì a rivolgere lo sguardo a Saeko. «Il principe mi ha dato un budget, ma non ha mai discusso il prezzo a cui io potessi comprare l’Omega per Kageyama. Magari tu potresti essere stata una vera donna d’affari e non aver abbassato il prezzo di vendita» scrollò poi le spalle e un sorrisetto si mostrò sul suo viso quando rivelò il suo piano. 

Saeko rise chiassosamente, prima di tirare un buffetto alla schiena di Tsukishima. «E’ per questo che ti adoro. Trovi sempre il modo di cavartela! Sei così sveglio, Kei!» stava ghignando apertamente. Poi prese dalla propria tasca un piccolo taccuino di pelle nero ed una matita. Lo poggiò sul bancone, prima di iniziare a scrivervi sopra nomi e numeri, mentre contava qualcosa sulle punte delle dita. 

Kei sorrise di fronte a quella scenetta, prima di tornare a fissare il catalogo dei profumi ancora una volta. Quel rettangolo di tessuto continuava a richiamarlo. Afferrò il libro e notò per la prima volta che il pezzo di tessuto da lui tanto bramato presentava il numero del suo proprietario sbarrrato.

«Oi, Saeko-san. Volevo chiederti» la richiamò, prima di voltare il libro verso di lei «Che vuol dire quando il loro numero è sbarrato?».

«Cosa?» ella sollevò lo sguardo dai suoi appunti e fissò il libro aggrottando le sopracciglia. «Oh, quello» prese fra le mani il libro, avvicinandolo al ragazzo per spiegarsi meglio. «Significa che il proprietario di questo odore è in attesa».

«In attesa?».

«Già. Quando qualcuno è interessato ad un Omega, ad eccezione dei membri della Corona, ovviamente, i clienti propongono un prezzo e se entro la fine della giornata nessuno ha offerto un prezzo maggiore, ottengono l’Omega». Voltò poi le pagine del libro. «Vedi questo?» ed indicò un nome sbarrato con una croce a fianco. «Questa croce indica che non si può offrire un prezzo per l’Omega. Alle volte i mercanti dei Lodgers fanno così quando qualcuno si offre di pagare direttamente loro una somma per i “guai” causati dall’Omega». E con le dita imitò il segno delle virgolette, ruotando gli occhi evidentemente irritata. «Odio questa cosa, limita fortemente la mia libertà d’azione». Ritornò poi alla pagina che conteneva la stoffa dell’Omega che aveva attirato l’attenzione del biondo. Una realizzazione improvvisa fece risvegliare la curiosità di Saeko. «Perché me lo chiedi?» e ghignò mentre finalmente riusciva a collegare tutti i puntini «E’ questo il profumo che prima ti ha sconvolto tanto?».

Tsukishima sussultò, ma non confermò né negò in risposta. 

«E chi ha offerto il prezzo più alto per quest’Omega?» chiese, invece.

Saeko mostrò di nuovo la sua espressione più preoccupata. 

«Un uomo davvero, davvero orribile» e scosse la testa mentre pronunciava quelle parole. 

Qualcosa dentro Tsukishima si agitò dolorosamente comprendendo le implicazioni dietro quella risposta. 

«E quanto ha offerto?» cercò di apparire disinteressato, ma sapeva di star fallendo miseramente.

«Nulla che tu non possa superare» rispose Saeko con un sorrisetto che diceva più di mille parole. 

«Non è come pensi» replicò Tsukishima, sulla difensiva, mentre un leggero rossore arrivava sino alla punta delle sue orecchie. 

«Sono invece sicura che lo sia». Nonostante conoscesse da anni Kei, non lo aveva mai visto con uno sguardo intenso come quello. «E anche se non fosse, non vuoi salvarlo da un orribile futuro?».

No. In quel preciso momento Tsukishima non voleva salvare nessuno da niente. No. Ciò che l’Alpha dentro di lui gli ordinava di fare era rimanere da solo con chiunque possedesse quel profumo così lussurioso e fresco allo stesso momento e tenerlo stretto a sé. L’unica cosa che riuscì a fare, ancora incantato da quei pensieri, fu annuire alla volta di Saeko.

«Vuoi venire a controllare la merce sul retro, allora?» il tono insinuante di Saeko trascinò Tsukishima fuori dai pensieri possessivi e lussuriosi del suo Alpha interiore, facendolo arrossire nuovamente. Non aveva mai visto la donna con un’espressione tanto complice in volto. «Sarebbe un peccato tornare indietro senza i cinque fortunati Omega, non credi? Soprattutto visto che la Corona ha dato il suo consenso». E gli fece l’occhiolino, prima di aprire la porticina del bancone per far passare l’Alpha.

Tsukishima ringhiò un lamento a denti stretti mentre attraversava la porta, pregando il terreno di aprirsi ed inghiottirlo sul posto. 
 

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Capitolo 4
*** 4. Terreno di Caccia ***


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Preambolino di Zia Zophie

Ancora una volta, mi scuso per i ritardi, l'esame di Gennaio di Analisi I mi sta fissando in maniera minacciosa insieme alle dieci lezioni che devo ancora recuperare, ma surclassiamo. 
Intanto, sono felicissima, il primo capitolo di questa storia ha raggiunto le 250 letture, quasi, e davvero non ho parole per dirvi quanto sia felice che la storia vi stia piacendo. 
Siamo ormai quasi arrivati all'inizio della Festa stessa, ovvero del momento che introdurrà l'azione vera e propria e non avete idea di quanto io abbia voglia di iniziare già da ora a tradurre il prossimo capitolo, anche se non posso, sob. 
Questo capitolo iniziale mi serve anche a dirvi che probabilmente non riuscirò ad aggiornare propriamente a cadenza settimanale, almeno fino alla fine della sessione (o almeno fino a quando non avrò dato il primo scritto di gennaio)
E per questo anche le risposte alle recensioni tarderanno ad arrivare. 

Momento dell'informazione scientifica(?):
- Nel testo è stato lasciato invariato il termine Drop, riferito ad un evento che coinvolge gli Omega. Con Drop si intende un vero e proprio crollo fisico e psichico che porta gli Omega in questione ad uno stato quasi catatonico, in cui vengono dominati da ansia e timore e risultano totalmente scollegati dalla realtà, risultando maggiormente pericolosi nei momenti in cui l'Omega non riesce a riprendersi. 


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Il viaggio di ritorno verso il Palazzo fu silenzioso almeno quanto quello di andata, anche se per ragioni del tutto diverse. Kageyama continuava ad ondeggiare fra uno stato d’animo ansioso ed uno eccitato, non sapendo di preciso come avrebbe dovuto sentirsi in quel momento. Era sconcertante quanto fremesse dopo l’interazione con il libro contenente quei tessuti profumati. Si chiese che aspetto potesse avere il proprietario di quell’incredibile odore. Era alto? Carino? Magari aveva uno sguardo e dei tratti dolci, del tutto opposti ai propri, affilati e duri. Un pensiero gli giunse poi alla mente. 

«Uhm, Oikawa?» richiamò quindi l’attenzione del fratello.

Il principe Omega stava guardando oltre il finestrino della carrozza, la testa poggiata su una mano, probabilmente perso in profondi pensieri che lo trattenevano lontano dalla possibilità anche remota di iniziare una conversazione. Si voltò tuttavia verso Kageyama, sentendosi chiamare. 

«Sì, Tobio?» chiese con tono annoiato.

«Uhm, perché non abbiamo portato con noi gli Omega?» chiese di rimando Kageyama, cercando di apparire meno interessato di quanto in realtà non fosse. Oikawa ridacchiò di fronte a quelle parole. 

«Su, su, Tobio-chan. Siamo piuttosto ansiosi, non è così?» lo sguardo del castano era ora interamente concentrato sul fratello, le espressioni sul viso di Kageyama erano oro per lui. «Quando arriverà il momento di inizio del festival, il tuo Omega sarà lì, non preoccuparti. Se venissero portati nel palazzo o nella foresta due giorni prima del tempo, stai pur certo che scapperebbero prima dell’inizio. Non è che siano entusiasmati dalla Festa come lo sei tu». E sorrise, provocatorio, nel rimarcare quelle parole. «Inoltre, ogni cacciatore riceverà una prova dell’odore degli Omega partecipanti durante la cerimonia di domani, se tu conoscessi l’aspetto di quello che inseguirai saresti avvantaggiato rispetto ai tuoi avversari, e ciò equivarrebbe a barare, Tobio».

Kageyama annuì a quella spiegazione. Gli occhi scintillarono di ammirazione nei confronti della conoscenza che suo fratello maggiore continuava a manifestare nei confronti delle tradizioni del loro regno, anche se non vi aveva mai partecipato. Ricordò in quel momento la conversazione avuta con Tsukishima. Magari quello era il momento più adatto per chiederglielo.

«Uhm, Oikawa» provò di nuovo a richiamare le attenzioni del castano. 

«Sì, Tobio?» Oikawa era curioso. Quella doveva essere la conversazione più lunga che avessero avuto in cui l’Alpha si fosse mostrato tanto sottomesso e comunicativo. Raddrizzò la schiena sul sedile in velluto rosso. 

«Mi chiedevo se potessimo… uhm… parlare?» Kageyama stava tentando con immensa fatica di deglutire il suo orgoglio e il suo imbarazzo. 

«Parlare? E di cosa?» Oikawa inarcò un sopracciglio.

«Uhm… Cosa diresti se tu… avessi un amico. E questo amico dovesse… uhm… essere qualcosa, ma tutti dubitassero di lui-».

«Tobio» lo interruppe brutalmente Oikawa, muovendo una mano. «Se devi parlarmi di qualcosa, dacci un taglio con i se e con i ma e dimmi cosa ti preoccupa».

Kageyama abbassò timidamente lo sguardo. La carrozza stava attraversando ora il cancello del palazzo. Non era certo che sarebbe riuscito ancora a parlare così tranquillamente con Oikawa, era la sua ultima chance. 

«Insegnami come essere un buon leader» Kageyama chinò il capo con un gesto fluido, cercando di rendere evidente tutta la passione nascosta nel gesto e allo stesso tempo tutto il timore che provava all’idea di subire un rifiuto.

Oikawa sussultò di fronte a quell’inchino. Iwaizumi fissò entrambi con occhi sgranati ed un’espressione indecifrabile in volto. Kageyama, per la prima volta nella sua vita, stava dando segno di voler diventare re. Iwaizumi scrutò quindi Oikawa, cercando di capire cosa stesse pensando in quel momento l’Omega. 

«Cosa?!» fu l’unica risposta che il castano seppe dare. «Te lo scordi! No no. Non ho tempo per questo! Ho cose molto più importanti da fare che perdere tempo con qualcuno-».

«Ti prego!» lo interruppe Kageyama, un accenno di disperazione a rendere il tono della sua voce appena più acuto. «Ti prego, Oikawa-san. Voglio diventare un re degno del suo ruolo». Mantenne lo sguardo basso. «Come lo saresti stato tu».

La carrozza si fermò finalmente di fronte al portone del palazzo e Daichi giunse ad aprire la portiera, ma i tre passeggeri sul veicolo non accennarono a muoversi. 

Iwaizumi si mosse per afferrare la spalla di Oikawa, costringendolo a voltarsi verso di lui e rivolgendogli un sorriso. Magari era il momento giusto. Forse quella era l’occasione adatta per i due fratelli per venire a patti con sé stessi, il momento perfetto per discutere apertamente di tutti quegli anni colmi di segreti e risentimento, così da poter riuscire a collaborare per il futuro del regno. Oikawa emise un lungo e rumoroso sospiro. 

«Okay».

Kageyama voltò di scatto la testa verso l’Omega, mostrando in viso un’espressione sorpresa che mutò poi in un dolce sorriso. Il sollievo divenne palese nel volto dell’Alpha.

«Stanotte» continuò Oikawa «Verrò in camera tua e allora parleremo, d’accordo? Ero serio quando ho detto di avere ancora parecchia roba di cui occuparmi».

Oikawa grugnì quando si alzò in piedi, uscendo dalla carrozza aiutato da Daichi. 

I due Alpha rimasero all’interno ancora altri pochi secondi.

«Sono felice che tu abbia deciso di parlargli» il sorriso di Iwaizumi era rivolto a qualcosa posto oltre il capo di Kageyama. «Tooru ha aspettato molto a lungo questa opportunità, quindi ascolta con attenzione quello che avrà da dirti, d’accordo?» e con quelle parole, Iwaizumi terminò il breve discorso, scendendo a propria volta.

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La porta si aprì all’improvviso e il leggero brusio che aveva avvolto la camera si interruppe, tutti voltarono lo sguardo sulla figura che stava attraversando l’ingresso, incuriositi. Un sospiro di sollievo si sollevò quando riconobbero di chi si trattasse.

«Saeko-san!» una voce vivace e femminea risuonò nel silenzio, immediatamente seguita da un piccolo guaito terrorizzato quando una seconda figura, più alta, entrò dopo la bionda. 

«Non essere spaventata, Yachi!» la tranquillizzò prontamente la donna Alpha. «E’ un amico» annunciò poi pacatamente. Il duo si addentrò nella stanza e Tsukishima ebbe modo di osservare tutti i volti pallidi e malnutriti rivolti verso di lui. «Lui è Tsukishima Kei, mio cognato» cinguettò poi la donna, allegra. «E, cosa più importante, è colui che mi ha aiutato a liberarti!» si rivolse a Yachi, gli occhi appena socchiusi ed un sorriso crescente sulle labbra. 

«Davvero?!» La giovane ragazza, ancora tremante, sussultò eccitata dalla notizia. Gli occhi le brillavano di fronte alla prospettiva di poter tornare libera. 

«E’ fantastico, Yachi!» la voce di Hinata sopraggiunse a dar man forte all’entusiasmo della giovane bionda. Yachi annuì entusiasticamente verso di lui, i loro sorrisi quasi gemelli. «Cosa ne sarà di me invece, Saeko-san?» il corpicino esile e stanco non avrebbe retto ancora a lungo l’ansia che scalpitava nelle sue vene. Non era riuscito a dormire la notte precedente, come dimostravano le scure occhiaie, e non era riuscito a riposare neanche durante la giornata. 

Saeko evitò lo sguardo insistente di Hinata, espirando rumorosamente a denti stretti con fare dispiaciuto. Il peso ondeggiò per qualche istante da un piede all’altro, mentre si grattava nervosamente il retro della nuca. 

«Mi dispiace, ragazzino, temo che tu farai parte della merce di scambio necessaria per pagare la liberazione di Yachi».

In un secondo il sorriso lasciò il volto di Hinata. La bionda Omega portò immediatamente una mano di fronte alla bocca, trattenendo un singhiozzo, consapevole di cosa volessero dire quelle parole. 

«Hinata, no!» si voltò poi verso il ragazzino, in viso un’espressione distorta dal panico. «Se per essere libera vuol dire che tu non potrai esserlo, non voglio essere liberata!» a malapena riusciva a trattenere le lacrime. 

Saeko sospirò a quella vista, non poteva in alcun modo cambiare le sensazioni che stavano provando gli Omega in quel momento, ma avrebbe voluto farlo. Non avrebbe potuto né voluto affermare di comprendere la paura e il senso di minaccia che provavano gli Omega ogni singolo giorno, neanche se avesse dovuto compararli ai rischi e ai sacrifici a cui lei aveva scelto di esporsi per quei prigionieri, ma la sensazione di amarezza che la colse dopo l’annuncio della libertà di uno di loro al costo di quella di un altro… fu un dolore che seppe di star interamente condividendo con quei ragazzi.

«No, Yachi. Va bene così. Preferisco saperti libera» il ragazzino dai capelli aranciati prese tra le proprie le mani della ragazza, facendole passare tra le fessure della gabbia. «Non riuscirei mai a perdonarmi se ti sapessi in gabbia a causa mia. Se posso essere anche di minimo aiuto nel garantirti la tua libertà, sarò più che felice di farlo!» e le rivolse un sorriso genuino e candido, luminoso nella cella avvolta dalla penombra, mentre Yachi si asciugava le lacrime che continuavano a scendere copiose dai suoi occhi lungo le guance.

Saeko non avrebbe mai smesso di meravigliarsi per quanto altruisti alcuni Omega potessero essere. Aveva assistito a scene simili così tante volte da considerarlo ormai un fattore biologico, piuttosto che un tratto caratteriale, ma il legame che creavano tra di loro in quei momenti di stress e convivenza era tanto genuino e forte da indurli a sacrificarsi per salvare un loro compagno di cui avevano scoperto il nome appena un giorno prima. Era una delle ragioni per cui il loro genere la affascinava così tanto. 

«Oltretutto io so perfettamente difendermi! Quindi non preoccuparti!» e sollevò una mano, battendola con energia sul petto, prima di reclinare appena indietro il capo. «Non permetterò di certo a quegli stupidi Alpha di catturarmi, aspettate e vedrete» continuò ghignando apertamente, le sue parole di incoraggiamento quasi rimbombarono nella cella. Poi, dopo aver riflettuto qualche secondo, sussultò e si voltò arrossendo vistosamente, prima di rivolgersi a Saeko: «Non voglio dire che tutti gli Alpha lo siano, Saeko-nesan! Tu sei fantastica e gentile! E grazie per essere riuscita a liberare Yachi!». Parlò rapidamente, colto dal panico e dall’imbarazzo, gesticolando vistosamente prima di chinare il capo di fronte alla bionda e di esprimere quasi urlando i suoi ringraziamenti. 

Saeko non riuscì a non riportare alla memoria lo sguardo duro ed intenso che l’Omega le aveva rivolto quando per la prima volta era tornata nella stanza dopo il loro primo incontro. Per affievolire l’atteggiamento pronto allo scontro del ragazzo non erano state sufficienti delle parole gentili e la promessa di aver intenzione di aiutarli, aveva dovuto faticare non poco. Il povero Ryuu vantava ora il marcato segno di un morso sul braccio destro, a riprova della risoluzione dell’Omega. Non riuscì a trattenere una risatina. Sperava che Hinata avesse ragione. La sua fiducia ricadeva ormai più nelle parole di Hinata che nella sua stessa ragionevolezza, sapeva fin troppo bene quanto potesse essere difficile fuggire dal Terreno di Caccia Reale, ogni anno diveniva più complesso, con le nuove misure di sicurezza prese a seguito delle fughe degli anni precedenti. 

«Quindi è questo gamberetto che dovrà affrontare il re?» la voce monotona trascinò Saeko fuori dai suoi ricordi e dalle sue riflessioni.

Hinata sussultò visibilmente di fronte a quel commento. 

«Gamberetto?!» urlò, arrabbiato, ricevendo in risposta un paio di risatine. Probabilmente Hinata era l’unico Omega abbastanza coraggioso - o stupido- da reagire in tal modo ad un commento sulla sua altezza, e non alla notizia di essere stato scelto dai reali stessi per partecipare alla caccia. 

Tsukishima neanche si avvide dell’aroma colmo di irritazione che il piccolo Omega emanava, voltandosi verso l’origine di quel suono cristallino; il respiro gli si mozzò in gola quando realizzò di trovarsi di fronte alla fonte dell’incredibile e piacevole odore di poco prima. Delle adorabili lentiggini adornavano il naso e le guance di un giovane dai capelli di un intenso verde scuro e quando l’Omega aprì nuovamente gli occhi, Tsukishima poté giurare di non averne mai visti di simili prima. L’Omega lo guardò per la prima volta, negli occhi sgranati era evidente il suo sconvolgimento. Rimasero così, con gli sguardi incastonati l’uno nell’altro, prima che Kei si accorgesse delle rumorose urla provenienti dalla sua destra. 

«Oi! Mi senti! Vieni a dirmelo in faccia e combattimi, spilungone» Hinata stava saltellando e battendo i piedi, il dito puntato verso Tsukishima in un chiaro segno di sfida. Il biondo si limitò a schioccare la lingua e a scrollare le spalle.

«Ho cose migliori e più importanti da fare piuttosto che combattere contro un piccolo, basso Omega». Ed approfittò della propria altezza per intimidire Hinata, prima di aggiungere: «Inoltre, se fossi in te, preserverei le energie per sfidare sua altezza reale». E per concludere ghignò, derisorio, portando Hinata ad imbronciarsi e a grugnire irato in risposta. 

«Il Re?!» fu Yachi ad evidenziare quella che sarebbe dovuta essere la reale preoccupazione di Hinata. «Hinata verrà braccato dal re in persona?!».

«Bhe, non è ancora re, ad ogni modo, diciamo principe ereditario, e dalla nobiltà di Shiratorizawa, Nohebi e Inarizaki; ma sì, il piccolo gamberetto qui dovrà essere molto fortunato per riuscire a non essere catturato» l’Alpha continuò ad irritare il piccoletto. 

Saeko scosse il capo, apprezzava sempre il modo in cui il biondo tendeva ad esprimersi ed il suo bizzarro modo di socializzare. 

«Quindi...» iniziò poi a dire la donna, richiamando l’attenzione di tutti dopo che un leggero brusio si era sollevato a seguito delle parole di Tsukishima. «La presenza del mio adorato cognato ha sia una valenza positiva» ed accennò a Yachi «sia una valenza non così positiva». E cercò di ammorbidire la frase per non scatenare il panico. La notizia che doveva annunciare non era mai semplice da dare. «Come avrete capito, i membri della famiglia reale sono venuti ad acquistare qui i partecipanti per la caccia. Oltre ad Hinata, hanno pagato per altri quattro Omega». Il suo annuncio fu accolto da un coro di sussulti rumorosi e di sguardi terrorizzati. 

«Questo significa che cinque di noi dovranno partecipare alla Caccia Reale?» chiese uno dei prigionieri, non troppo certo. 

«Sì, temo di sì» Saeko incrociò le braccia, studiando l’atmosfera che si era creata nella sala. La sua vasta esperienza con Omega particolarmente ansiosi l’aveva allenata a riconoscere quando i più sensibili erano sul punto di andare in drop. Non percependo alcun pericolo, decise di continuare. «Hanno chiesto nello specifico solamente Hinata, quindi pensavo di iniziare a scegliere dei possibili volontari, così da escludere quelli che potrebbero non farcela. Così avremo tempo di aspettare la possibilità di liberarli in futuro». Parlò con tono ottimistico, grazie agli avvenimenti degli anni precedenti sapeva quanto gli Omega fossero protettivi nei confronti dei loro compagni più deboli, specialmente in circostanze simili.

Un paio di secondi trascorsero nel completo silenzio. Alcuni si guardavano tra di loro, sperando che qualcuno prendesse il loro posto e alzasse la mano prima che i sensi di colpa li spingessero a farlo per primi. Furono necessari altri quattro secondi prima che il ragazzo nella cella di fronte ad Hinata alzasse la mano.

«Mi offro volontario» disse l’uomo «Sono uno dei più grandi qui, non potrei perdonarmi se un cucciolo dovesse prendere il mio posto solo perché ho paura». L’uomo aveva un’altezza tutto sommato nella media e meravigliosi capelli di un delicato grigio chiaro. Un piccolo neo, posizionato sotto l’occhio sinistro, contribuiva a rendere solo più delicato il suo sorriso.

Il suo gesto fu presto seguito da altri, una ragazza più grande di Hinata di un paio di anni e dai lunghi capelli castani fu la seconda ad alzare la mano, seguita subito dopo da un giovane dai capelli neri con diverse ciocche color grigio chiaro e dallo sguardo spento. Quando rimase solamente un altro posto libero, Yamaguchi fece per alzare la mano, solo per essere fermato sul posto dallo sguardo supplichevole di Tsukishima.

«Per favore, non farlo» sussurrò appena il biondo, temendo di essere udito. 

In quei pochi istanti di indecisione dell’Omega, un’altra mano venne sollevata e così venne siglato il destino dei cinque partecipanti della Caccia Reale della Festa Primiverile di quell’anno.

«Ringrazio tutti voi» Saeko chinò il capo «Spero davvero, davvero tanto che riuscirete a vincere o a scappare». Un sorriso triste si disegnò sul suo volto. «Domani i membri del comitato organizzativo della Festa verranno a prendervi. Vi consiglio di non opporre resistenza, a loro non interessa la vostra sicurezza o la vostra salute, sono solamente pagati per portarvi lì» e lo sguardo era diretto nello specifico verso Hinata. «Quindi, se non volete che le vostre chance di vittoria calino drasticamente, non causate problemi fino a che non vi troverete nel terreno di caccia. Una volta che sarete lì...» ghignò, prima di proseguire «Mettetecela tutta per far loro vedere di che pasta siete fatti!». Concluse con un grido incoraggiante, cercando di dare ai ragazzi la speranza di poter battere gli Alpha in quel loro malsano gioco di caccia. 

«Sì!» i partecipanti e gli altri prigionieri le fecero eco e l’atmosfera nella stanza si fece più leggera e la sala si riempì di amichevoli chiacchierii; coloro che sarebbero rimasti nelle celle ringraziavano i volontari, chiedendo loro se ci fosse un modo per aiutarli. Molti promisero di restituire il favore, dimostrando quanto si fidassero delle parole di Saeko su una futura fuga. 

In mezzo a quel clima più vivace e rumoroso, Tsukishima ne approfittò per avvicinarsi all’Omega dai capelli verdi, desiderando di trovarsi vicino alla causa del suo attuale turbamento. Non riusciva a capire cosa stesse di preciso provando in quel momento, mentre osservava quella meravigliosa creatura dall’odore tanto piacevole. Si aspettava che sarebbe stato difficile, che avrebbe trovato non poche difficoltà nello spiegare la situazione all’altro, ma rimase sconvolto dalle parole che gli rivolse l’Omega. 

«Se tu!» disse infatti il ragazzo con il tono più eccitato e piacevole che il biondo avesse mai udito. «Sei proprio tu! Non posso crederci!».

«Io… ti conosco?» Tsukishima si ritrovò in piedi a pochi centimetri dalla cella dell’Omega. Cercò inutilmente di collegare il suo volto ad un nome. L’altro sembrava conoscere Tsukishima, come era possibile che si fosse dimenticato il nome del proprietario di quei magnifici occhi che lo stavano fissando così intensamente? 

«Oh! Va tutto bene, probabilmente non ricordi!» un leggero rossore ascese sulle guance lentigginose del ragazzo dai capelli verdi. Mantenne lo sguardo basso, imbarazzato alla sola idea di guardare l’Alpha negli occhi. «Ma due anni fa hai aiutato me e il mio branco a scappare da un accampamento dei Lodgers, sei stato così figo!» gli occhi dell’Omega brillavano mentre raccontava la storia. «Sei arrivato nel bel mezzo della notte e hai aperto tutte le serrature delle gabbie senza che i Lodgers se ne accorgessero! Siamo riusciti a scappare solo grazie a te!».

«Come… Come fai a sapere che ero io?» il tono di Tsukishima era strano, quasi sulla difensiva. Lanciò uno sguardo di sbieco a Saeko, preoccupato. Le missioni da simil-vigilante di Tsukishima e suo fratello erano un segreto che non conosceva neanche Saeko, che probabilmente non avrebbe minimamente approvato la cosa. Suo marito intento a rilasciare i propri feromoni per distrarre i Lodgers mentre Tsukishima apriva le gabbie, tagliava le corde e dava coltelli ai prigionieri prima di scappare rapidamente con Akiteru non era esattamente l’idea di “momento tra fratelli” che Saeko si era fatta qualche anno prima. 

L’Omega arrossì visibilmente alla domanda, concentrando lo sguardo sul pavimento e non azzardandosi a sollevarlo. «Uhm… il tuo odore. Non… non potrei mai dimenticarlo» disse poi, dolcemente. 

«Cosa è successo al tuo branco?» Tsukishima ci provò, davvero, a non concentrarsi sulle parole che l’Omega aveva appena pronunciato e alla reazione che avevano provocato in lui, accellerando il suo battito cardiaco. 

«Loro… uhm… Adesso sono da solo».

Tra di loro calò un pesante silenzio.

«Bhe, Yamaguchi, non credi che sia destino allora che Tsukki si sia offerto di portarti a casa con lui?» la voce di Saeko fece sussultare Tsukishima, che si voltò irritato verso di lei. 

«Cosa?! Io non-».

«Oh no! Per favore, non farlo!» furono le parole del sopracitato Omega a far zittire Tsukishima, per poi indurlo a voltarsi verso il giovane, questa volta. In viso aveva un’espressione confusa e ferita. «Io… Io non valgo i soldi che spenderesti per me» Yamaguchi iniziò a giocare con il lembo della propria maglietta «Inoltre non ho parenti, quindi i tuoi soldi andrebbero sprecati. Per favore, usali per salvare qualcuno che li merita più di me». L’Omega continuò ad evitare lo sguardo dell’Alpha, rivolgendo al pavimento gli occhi tristi. 

Tsukishima schioccò la lingua e si avvicinò pericolosamente alla cella dell’Omega, costringendolo a rivolgere lo sguardo su di lui.

«Fai silenzio. Odio le persone che mi dicono cosa posso o non posso fare» mantenne gli occhi puntati su quelli di Yamaguchi «Sono responsabile di averti ridato la tua libertà in passato, quindi è mio dovere assicurarmi che tu la mantenga». 

Yamaguchi era appena in grado di sostenere lo sguardo del biondo, incapace di esprimere il sentimento che lo portava ad essere così nervoso di fronte all’Alpha. Si sentiva così piccolo, debole, patetico. Sensazioni a cui si era abituato durante gli anni in cui gli era stata ripetuta la sua inutilità all’interno del branco, sensazioni che lo avevano spinto a scappare, a scappare via nella speranza che non le avrebbe mai più provate, ma eccolo lì. A provarle di nuovo in maniera tanto intensa, ma allo stesso tempo in modo tanto diverso. Gli occhi intensi dell’uomo di fronte a lui facevano desiderare a Yamaguchi di essere in quel modo, piccolo, delicato, debole, solo per poter essere avvolto e protetto da quello sguardo. Sentiva crescere l’ansia sapendo che quegli occhi stavano agitando il suo Omega interiore. Arrossendo profondamente riuscì solamente a balbettare le uniche parole che gli vennero in mente in quel momento. 

«Perdonami, Tsukki».

«Uh… tu… Ugh!» Tsukishima si colpì la fronte con una mano, grugnendo. Non era davvero fatto per quelle cose. «Non c’è niente di cui debba scusarti» il viso del biondo rimaneva nascosto dalla mano, il calore che percepiva sul viso gli rese impossibile concentrare lo sguardo su chiunque altro. L’odio verso il brutto scherzo teso da Saeko era addolcito solamente dalla dolcezza del suo nomignolo pronunciato dalla voce del timido ragazzo lentigginoso.

Il momento tra i due venne interrotto da un piccolo applauso. Saeko ghignò di fronte al letale sguardo che le rivolse Tsukishima, prima che la donna attirasse un’altra volta l’attenzione dei prigionieri.

«Quindi, qualche domanda prima che io vada a preparare la vostra roba?» chiese Saeko agli Omega.

«Uhm… io ne ho una» borbottò Hinata alzando una mano. «Hai detto che il re ha richiesto la mia presenza. Come fa a sapere chi sono?».

«Ottima domanda, Hinata!» l’atteggiamento costantemente allegro di Saeko era un toccasana per il nervosismo che continuava a tornare nella sala. «In effetti, più che scegliere te, ha scelto il tuo odore».

«Ma non è qualcosa di… personale?» Hinata stava provando davvero con ogni sua forza a non arrossire, ora che era consapevole del fatto che altre persone avevano apertamente annusato il suo odore.

«Apparentemente Sua Altezza ha apprezzato molto il tuo odore, gamberetto. Avresti dovuto vedere la sua faccia. Era spaventosa» il ghigno sul volto dell’Alpha cercava di nascondere quanto Tsukishima stesse combattendo il desiderio di avvertire l’Omega del fatto di dover prendere molto sul serio la situazione e quanto non volesse mostrare di essere genuinamente preoccupato per lui.

Hinata sussultò visibilmente a quelle parole.

«Non crucciarti per le sue parole» disse Saeko sorridendo «Tsukishima può avere degli atteggiamenti insopportabili, ma è un bravo ragazzo». E rivolse uno sguardo al diretto interessato, che si limitò a distogliere il proprio. «Ma visto che è saltato fuori il discorso, penso che sia importante che voi capiate il significato di queste parole». Non ebbe problemi a sopportare gli sguardi degli Omega su di sé. «Ricordate il pezzo tessuto che avete imbevuto del vostro odore?» attese che annuissero «Bene, durante la cerimonia di domani, tutti gli Alpha partecipanti ne riceveranno un frammento. Che decidano di braccare voi nello specifico o meno, ricordate sempre che saranno in grado di farlo in ogni occasione» il tono di Saeko si fece mortalmente serio. «Dovete capire questo. La Festa Primiverile è già ovunque una cerimonia ingiusta per gli Omega… la Caccia Reale è organizzata appositamente in modo tale da farvi perdere».

L’intera sala divenne silenziosa dopo quelle parole. 

«Non è soltanto l’odore che vi permette di essere riconosciuti a dimostrare la scorrettezza della caccia» aggiunse Tsukishima con il suo tono di voce apatico ed analitico. «Mentre voi sarete a piedi e privi di provviste, i Reali saranno a cavallo e con risorse sufficienti per un’intera settimana, o anche di più. Sapranno sempre dove vi trovate, e anche quando non lo faranno, avranno modo di scoprirlo. Mentre voi sarete affamati, stanchi ed esposti ai pericoli della foresta, loro avranno acqua, cibo e un giaciglio su cui riposare». Tsukishima non stava neanche tentando di indorare la pillola. Il rumoroso suono di qualcuno intento per l’ansia a deglutire un grumo di saliva fu l’unico suono ad interrompere il silenzio calato nella sala. «Ovviamente loro useranno questo a loro vantaggio. Vi staneranno, vi braccheranno, vi faranno sentire al sicuro per qualche momento per poi attaccarvi, costringendovi ad uno stancante stato di costante allerta fino a quando non crollerete, esausti». Mantenne su di sé le attenzioni dei presenti, prima di aggiungere: «Per loro non è altro che un gioco e di certo sanno come giocare per vincerlo».

«Ma ciò non lo rende impossibile da vincere» la voce di Hinata era sicura, impassibile e diretta verso l’Alpha. «Dovremo solo correre più velocemente di loro, essere più furbi e anticipare le loro mosse». Ciò che vide nel suo sguardo fece stringere lo stomaco di Tsukishima. Era serio? Gli aveva appena detto quanto la caccia fosse ingiusta ed impossibile da vincere e quel ragazzino stava parlando come se confrontarsi con cinque Alpha adulti eccitati dalla prospettiva di dover cacciare e raggiungere la loro preda non fosse altro che una semplice sfida. 

Tsukishima schioccò la lingua ed incrociò le braccia al petto, irritato. «Affrontare la caccia in maniera spericolata non è la soluzione, Omega». Pronunciò lo status del ragazzino nel tentativo di distogliere la testa vuota dell’Omega da quell’idea. Si fermò per concentrare lo sguardo sull’altro, che sembrava esser rimasto impassibile alle due parole, poi tornò a parlare: «Un atteggiamento positivo e speranzoso in un colpo di fortuna sarà ciò che ti farà fallire, se non prenderai sul serio la questione».

«Ma io la sto prendendo sul serio!» ribatté Hinata.

«Non puoi pensare che il solo desiderare di essere più forte o più intelligente ti garantirà le abilità per superare gli Alpha durante la caccia, sai?» Tsukishima si stava arrabbiando. Il ragazzino dai capelli aranciati iniziava davvero a stargli sui nervi.

«Non ho bisogno di essere un Alpha per batterne uno! Ho solo bisogno del mio orgoglio e delle mie gambe per dimostrare di essere capace quanto ogni altra persona, Alpha, Omega o qualsiasi altra cosa» ringhiò in risposta il rossino, chiaramente frustrato.

«Hinata, non voglio dubitare delle tue abilità, ma siamo realistici per un momento» fu l’Omega dai capelli argentei a parlare, il sorriso dolce in viso nel tentativo di calmare gli animi dei due ragazzi. «Noi siamo nell’effettivo in svantaggio, se loro hanno modo di tracciare il nostro odore, non importa quanto siamo resilienti, loro sono a cavallo, hanno cibo e possono riposare, cosa che noi non possiamo fare già da giorni».

Hinata non ribatté questa volta.

«E’ vero, siete in svantaggio» Saeko prese le redini della conversazione «Ma ci sono modi per equilibrare la situazione» sorrise più ampiamente, facendo di nuovo fiorire la speranza nel petto dei giovani. «La prima cosa, nonché la più importante, da fare è trovare il modo di mascherare i vostri odori».

«Ma i nostri bloccanti dell’odore sono stati presi, e dubito che ce ne daranno altri» fu una dei partecipanti a ragionare, la ragazza nello specifico. «O conoscete altri modi per farlo?».

«Temo che se anche ve ne fornissi di nuovi, vi verrebbero sottratti prima della competizione. No. Ciò che dovrete ricordare durante la prossima settimana è che la foresta è vostra alleata, al suo interno potrete trovare tutto ciò di cui avrete bisogno per sopravvivere e scappare».

«Le erbe!» urlò Yachi, realizzando dove la donna stesse andando a parare. 

«Esattamente!» si congratulò Saeko. «La foresta è ricca di piante aromatiche e profumate, se le sminuzzate e le mescolate con del fango, sarete in grado di posizionarle proprio sopra le vostre ghiandole dell’odore. Se avrete lo stesso odore della foresta, potrete nascondervi senza difficoltà al suo interno».

La notizia venne accolta con eccitati segni di assenso, applausi e piccoli incoraggiamenti, portando Saeko a proseguire con la lista di cose importanti da fare e da non fare che aveva stillato e che ogni anno proponeva ai partecipanti della Caccia Reale; le precauzioni continuavano ad aumentare, anno dopo anno. 

«Un’ultima cosa» disse, tornando ad un tono di voce serio, quello che usava quando era particolarmente arrabbiata con qualcuno per qualcosa di importante. «Da un paio di anni a questa parte, la Corona ha iniziato a sfruttare branchi di belve addestrate appositamente per proteggere i confini del terreno di caccia. Dicono che sia perché diverse volte intrusi hanno tentato di entrare all’interno della foresta dai confini». Roteò gli occhi, dimostrando quanto poco credesse a quelle parole. «Ma la decisione venne presa dopo una Caccia particolarmente infruttuosa in cui gran parte degli Omega riuscirono a fuggire oltre il confine prima della fine della Festa». Emise un sospiro malinconico, accompagnato da un’espressione triste. «Da allora, la percentuale di Omega che sono riusciti a fuggire è scesa estremamente vicina allo zero» si fermò prima di continuare, assicurandosi che gli Omega avessero compreso l’importanza di quel discorso. «Questa deve essere la vostra maggiore preoccupazione, state lontani dai Segugi. Non fatevi vedere, annusare o sentire da loro» scrutò intensamente i cinque sventurati partecipanti «Se lo faranno… Non avrete alcuna possibilità».

L’intera sala trattenne il respiro, prima che tutti i presenti annuissero in risposta. 

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Tra le pareti marmoree del castello continuava a risonare l’eco dei passi del principe, l’unico suono percepibile nel desolato corridoio che collegava il Salone Centrale con l’ala del palazzo che ospitava le camere private dell’uomo. Bhe, l’unico suono assieme ai borbottii che provenivano dalla frustrata figura che camminava. Se qualcuno glielo avesse chiesto, Oikawa avrebbe totalmente negato di aver evitato Iwaizumi tutto il pomeriggio, ma la verità era che non vedeva il cavaliere da quando avevano concluso i preparativi per la cerimonia che si sarebbe tenuta la sera dell’indomani. 

La cerimonia delle Tracce era ciò che rimaneva della lunga e dimenticata tradizione in cui gli Omega interessati donavano un fazzoletto impregnato del loro odore agli Alpha che ritenevano più degni di inseguirli durante la Caccia. In quel momento, tutto ciò che rimaneva di quella passata abitudine erano i frammenti di tessuto imbevuti nell’odore degli Omega che il maestro delle cerimonie donava ad ogni Alpha partecipante. L’idea era nata per garantire a questi ultimi equità, così, nel caso in cui l’Omega che stavano catturando fosse già stato reclamato da qualcun altro, avrebbero avuto la possibilità di cacciarne un altro. Se l’Omega volesse o meno far sentire il proprio odore agli Alpha era una domanda andata perduta e dimenticata che in molti non credevano neppure degna di esser posta.

In verità, l’unica cosa a cui le persone pensavano era il fatto che la cerimonia dava inizio alla settimana della stagione di caccia nel regno. Per gli Alpha, ciò significava un’intera notte di celebrazioni, musica, alcol e scommesse prima dell’inizio della Caccia del giorno successivo. Per gli Omega, invece, significava un’intera settimana di porte chiuse a chiave ed uscite programmate con mete ben definite e accuratamente scelte, riunioni segrete e costante paura che qualcuno avrebbe potuto approfittare della Festa per far emergere la parte peggiore di sé. 

Oikawa aveva speso l’intero pomeriggio supervisionando la scelta del cibo, della musica e dell’alcol e  aveva scelto il maestro delle cerimonie per l’evento dell’indomani. Si era assicurato che fossero pronte le provviste per la caccia e che fossero disponibili i cavalli per gli ospiti Alpha la mattina seguente alla cerimonia, poi si era con successo e impegno assicurato che tutti i lavori ancora in sospeso nella sua lista apparentemente senza fine fossero terminati, quindi chiunque avrebbe potuto scusarlo se avrebbe preferito semplicemente distendersi nel suo letto e riposare, anziché prepararsi per una lunga ed estenuante conversazione con suo fratello minore. Non aveva semplicemente l’energia per farlo. Quindi era perfettamente scusabile se non era nelle condizioni per confrontarsi con l’amico che non lo avrebbe lasciato andare fino a quando non fosse andato a parlare con suddetto fratello.

Sospirò, sconfitto.

Se i suoi sospetti erano corretti, Iwaizumi sarebbe sicuramente passato a prenderlo dopo cena. Se la vita gli aveva insegnato qualcosa, era che non importava quanto tentasse di nascondersi al cavaliere, Iwaizumi avrebbe sempre trovato il modo per raggiungerlo, quindi si era rassegnato all’idea di avere probabilmente appena una mezz’ora di assoluta tranquillità prima che l’Alpha facesse la sua comparsa di fronte alla sua stanza.

Sospirò di nuovo nell’aprire la porta a doppia anta in legno della sua camera, con più forza di quanto non avesse in realtà voluto. Si trascinò all’interno con le gambe stanche e si lasciò cadere con poca grazia sul letto, abbracciando il cuscino e sospirando profondamente. Rimase in quella posizione rilassata per appena un minuto, fino a quando qualcuno non bussò alla porta. Avrebbe dovuto aspettarselo. Grugnì prima di voltare il capo verso l’origine di quel rumore. 

Naturalmente la puntualità rigorosa di Iwa-chan gli ha permesso di trovare il momento perfetto per rovinare il mio umore. Si disse a denti stretti, preparando uno dei migliori bronci del suo repertorio in attesa che le porte si aprissero. Solo che non lo fecero. Le porte rimasero immobili, in attesa del permesso del principe di far entrare chiunque stesse bussando. 

«Quindi non è Iwa-chan» borbottò prima di farsi forza ed issarsi a sedere sul letto. Un secondo rintocco sulla porta portò Oikawa ad ad alzarsi, per poi avvicinarsi alla porta. «Chi è?» chiese, ma non ricevette risposta. Irrazionalmente sentì che c’era qualcosa che non andava. Che fosse per via dell’istinto, della paranoia o dell’attenzione sviluppata dopo aver vissuto un’intera vita circondato da estranei nel palazzo, qualcosa lo spinse a fermarsi a metà strada. «Chi è?» ripeté, stavolta con tono di voce più alto. 

«Sono io, Vostra Altezza. Shirabu Kenjiro» rispose una voce prontamente. Oikawa ricordò immediatamente il nome e il viso ad esso associato. Era il figlio di un Alpha dell’Alta Nobiltà, avido in politica, che Oikawa aveva cercato a lungo di ingraziarsi per i suoi legami con Shiratorizawa. «Vostra Altezza mi ha incaricato di assumere il ruolo di Maestro delle Cerimonie durante l’evento di domani» continuò, come a volerlo ricordare al principe. 

Oikawa faticò solamente a ricordare il motivo per cui aveva scelto di farlo. Non odiava il ragazzo, ma il suo modo di vedere il mondo e chi avrebbe dovuto controllarlo era… troppo tradizionalista per i suoi gusti. E’ il prezzo per tenerlo al tuo fianco, Tooru…

«Sembra che ci sia un problema, Vostra Altezza» continuò Shirabu con tono preoccupato. 

Oikawa sospirò. Non era una buona cosa. Percepì i primi segni di un’incombente emicrania. Afferrò la maniglia della porta e la aprì, accogliendo l’uomo con un sorriso tirato. «Qual è il problema?» cercò di non sembrare troppo lamentoso.

«Mi dispiace di avervi disturbato, signore, ma apparentemente è avvenuto un guaio con uno dei pezzi di stoffa che verranno usati durante la Cerimonia» disse Shirabu, fissando timidamente il suolo. 

Oikawa aveva totalmente aperto la porta e vi si era appoggiato, più per stanchezza che per mettersi semplicemente in posa, ma questo Shirabu non doveva saperlo. 

«Che genere di guaio ti ha portato a chiedere a me anziché a Lord Tsukishima, colui che ha in carico ogni singola faccenda legata agli Omega che parteciperanno alla Caccia?» chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie con il pollice e il medio della mano destra nel tentativo di attenuare le dolorose pulsazioni che lo stavano affliggendo. Da quando aveva aperto la porta, il mal di testa era aumentato, come se il suo istinto volesse invitarlo a chiuderla. La stanchezza non era mai una buona cosa per lui.

«Ce ne manca uno, Vostra Altezza...» il nascosto tono d’avvertimento nella voce fece congelare il sangue di Oikawa nelle vene e il dolore alla testa si acuì trasmettendogli un solo messaggio. Minaccia. Riconobbe immediatamente il significato di quel tono. Lui stesso lo aveva utilizzato, in passato. Rappresentava una sorta di calma prima della tempesta. Ma il fatto che fosse stato utilizzato contro di lui significava…
Spalancò gli occhi di scatto, solo per realizzare che l’intero atteggiamento di Shirabu era cambiato. I suoi occhi fissi immobilizzarono l’Omega, mentre concludeva: «Il vostro».

Una figura si mosse dalle ombre alla loro destra nel frammento di istante che fu necessario ad Oikawa a comprendere il significato di quelle parole. Un energumeno si lanciò sul principe, tenendo con una mano il frammento di tessuto di fronte alla bocca e al naso dell’Omega e sfruttando l’altra per immobilizzargli le spalle con forza, così da rendere vano ogni tentativo di Oikawa di dimenarsi o di graffiare il suo aggressore. 

Shirabu entrò nella camera e chiuse la porta dietro di lui, non volendo che alcuna persona di passaggio notasse come i movimenti del principe si facessero più lenti e stanchi secondo dopo secondo a causa della combinazione di agenti chimici nella stoffa e della difficoltà nel respirare, che stavano rapidamente sottraendo all’Omega la forza per continuare a lottare. 

Le ginocchia di Oikawa cedettero e i bordi del suo campo visivo iniziarono ad essere inghiottiti dall’oscurità. Cadde in ginocchio sul morbido tappeto della sua stanza, prima di scivolare sdraiato, le sue braccia e le sue gambe incapaci di sorreggerlo. La testa si scontrò con la soffice superficie del tappeto e ben presto un paio di stivali che si avvicinavano alla sua posizione vennero sostituiti dal viso del Maestro delle Cerimonie stesso.

«Mio Dio» Shirabu si abbassò vicino al principe «Con un segreto così grande da nascondere, uno penserebbe che voi sareste stato più prudente in merito a quali parole usare durante i vostri sfoghi… Non si sa mai chi potrebbe sentirvi, Vostra Altezza» sputò quell’onorifico con tono velenoso, fermandosi solo per osservare gli occhi di Oikawa farsi sempre più pesanti e chiusi, segno di come i sensi lo stessero abbandonando. Si sollevò nuovamente in piedi e rivolse un ultimo sguardo di sdegno alla figura addormentata di Oikawa. «Prendilo Kawanishi. Io andrò ad avvertire Sua Maestà».

Quando Iwaizumi bussò alla porta di Oikawa più tardi quella notte e trovò la stanza vuota, un sorriso delicato si formò sulle sue labbra. L’idea che il principe fosse già andato da solo a sistemare le cose con suo fratello gli riempì il petto d’orgoglio.

Bravo, Oikawa. E’ giunto il momento per te e Kageyama di parlare apertamente

E soddisfatto da quel pensiero, l’Alpha si allontanò per raggiungere le sue stanze, nella speranza di concedere ai due principi il tempo e lo spazio necessari per riconciliarsi. Distratto com’era da quel sollievo, non notò le due figure incappucciate che lasciavano il castello con un prezioso carico in spalla. 

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