Non sapevo che tu fossi incinta

di bimbarossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La frittata è servita ***
Capitolo 2: *** Come ci è potuto succedere ***
Capitolo 3: *** Perché stiamo insieme ***
Capitolo 4: *** La verità non è gratis ***
Capitolo 5: *** Chi comincia e chi finisce ***
Capitolo 6: *** Da ora in poi ***



Capitolo 1
*** La frittata è servita ***


Sesshōmaru rimise i fogli appena letti nella larga e sottile busta bianca, e l'allontanò da sé con un gesto stizzito.

Qualcosa non quadrava. Sentiva puzza di guai in arrivo anche senza interpellare il suo celebre olfatto.

Tutto era successo per sbaglio, una pura casualità, o per meglio dire una sequenza di casualità. Se l'assistente personale di suo padre non avesse sbagliato a portargli quella lettera, e se questa fosse stata imbustata bene con il nome del destinatario in evidenza come da prassi, lui non l'avrebbe mai aperta.

E non avrebbe sospettato di una potenziale minaccia alla sua tranquillità di spirito.

Con uno scatto tra l'imbronciato e lo sdegnoso tirò di nuovo fuori l'estratto conto.

Puoi usarla come ti pare, hai un fondo illimitato.

Le aveva dato quella carta di credito dopo averla vista struggersi davanti una vetrina per uno yukata giallo -dei, come le stava bene quel colore- venduto ad un costo esorbitante in un negozio nel centro di Tōkyō.

Ovviamente Rin non avrebbe mai speso così tanti soldi, anche se non fosse stata la ragazza con i pochi mezzi che era. Responsabile, parsimoniosa, la sua fidanzata si sarebbe persa in tutto quello zelo, e Sesshōmaru non voleva che lei si perdesse niente nella vita. Tutto ciò che era nelle sue possibilità – ed erano ben poche le cose che non lo fossero- non avrebbe mai esitato ad offrirglielo.

Quindi, con la solita fredda e composta verve, le aveva piazzato quella tessera plastificata sotto il naso, fino a quando lei non si era arresa con uno sbuffo esasperato guardandolo quasi con tenerezza.

Va bene, la prenderò, ma la userò solo in caso di necessità, o per comprare quei completini sexy che ti piacciono tanto.

Forse avrebbe dovuto mettergliela a disposizione prima, aveva pensato con un ghigno interiore.

Come con ogni conto bancario, periodicamente veniva mandata la lista dei movimenti in entrata e in uscita, che lui non aveva mai controllato in tutti quei mesi, anzi, per quello che gli concerneva Rin poteva spendere tutto, nel modo che più le aggradava.

Quei completini sexy che ti piacciono tanto.

Quindi ci aveva buttato un occhio solo per pigra curiosità, notando tuttavia che comparivano due voci di spesa piuttosto strane, non tanto nel costo quanto nella destinazione.

Centro Medico di Shinagawa, Tōkyō.

Dovresti chiamare un medico.

Questo le aveva detto -intimato quasi- quando era caduta di botto, davanti a lui, bianca come uno spettro quasi due settimane prima.

Rin aveva tergiversato, dicendo che non era niente, che aveva saltato la colazione quella mattina, che non doveva preoccuparsi, si sarebbe rifatta a pranzo con Kagome e le altre in centro.

Ci erano voluti due giorni prima che Sesshōmaru ritrovasse la calma e la sua famosa impassibilità, e visto che l'episodio non si era più ripetuto si era premurato solo che mangiasse regolarmente e aveva archiviato la cosa.

Ma quella carta che aveva davanti quasi si divertiva a smentire e destabilizzare la sua pace personale.

Forse era solo un controllo medico di routine. Forse Rin aveva seguito il suo consiglio e aveva fatto degli accertamenti.

Si, sicuramente era andata così, e quella sensazione che sentiva in fondo alla stomaco era solo l'inossidabile e terribile certezza di quanto fosse fragile e prezioso l'amore di un demone per una ragazza umana.

 

InuYasha, sdraiato sul letto, tirò con rabbia la pallina da tennis con tale slancio che toccò con un tonfo sinistro il soffitto.

Quella Kagome, perché doveva sempre travisare le sue parole?

In fondo lui si preoccupava per lei, e quando le aveva detto che in quella bettola che vendeva ramen che tanto le piaceva lui non ci sarebbe andato, non lo aveva fatto per prenderla in giro, ma solo perché si sentiva da lontano che il locale non avrebbe passato l'ispezione di un controllo sanitario.

Purtroppo però la sua ragazza si era impuntata, dicendogli che se lui non la voleva accompagnare, ci sarebbe andata con Kōga.

La pallina si schiantò contro il soffitto quasi con un lamento.

Che invitasse Kōga allora, se proprio voleva sentirsi male come l'ultima volta -era successo due settimane prima dove aveva vomitato tutta la notte nel bagno migliore della villa di suo padre- e andare all'ospedale per una lavanda gastrica.

Possibile che Kagome facesse la difficile proprio in un momento così complicato per lui?

I pensieri di InuYasha corsero a suo padre e alla sua nuova fidanzata.

Non avrebbe voluto sentirsi così, in fondo sua madre era morta da secoli, e aveva tutto il diritto, il Generale, di cercare qualcuno che finalmente dopo tanto tempo lo rendesse felice.

Eppure una parte di lui non riusciva ad accettarlo, che lo faceva smaniare come se avesse ricevuto un affronto privato.

E adesso ci si metteva anche Kagome e i suoi dispetti da stupida umana.

Perché fosse più lunatica del solito nessuno lo sapeva.

Voltò la testa verso il comodino, la foto incorniciata di loro due al tempio Higurashi fatta la primavera precedente dove sorridevano felici.

Da quando era nella sua vita molte cose erano cambiate; si è vero, Kagome era parecchio dispotica quando si incazzava, intrattabile e imprevedibile, però era anche quella che, a parte i suoi genitori, non gli aveva mai fatto pesare il fatto che fosse un han'yō.

Io ti amo per quello che sei, InuYasha.

Con un sospiro esasperato si alzò dal letto, si mise il portafoglio e le chiavi di casa in tasca e si mise la giacca di jeans blu che lei preferiva.

Sarebbe andato a scusarsi, come il vero mezzodemone che era. Non solo, l'avrebbe anche portata in quella insulsa stamberga, dove vendevano ramen di infima categoria.

 

“Caro, mi sembri un po' distratto.”

La madre di Sesshōmaru si fissò le luccicanti unghie laccate di rosso che parevano, ed erano in verità, artigli pericolosissimi.

Il Generale, perso nei suoi pensieri, decise che era meglio prestare le dovute attenzioni alla sua prima moglie, se non voleva finire nelle sue grinfie.

“Niente di particolarmente grave. Solo un libro che non riesco più a trovare.”

“Ah, davvero? E io che credevo che fossi troppo preso dal guardare la tua nuova fidanzata, là fuori.”

Se non fosse stato lo daiyōkai più potente in circolazione, Inu no Taishō pensò che sarebbe arrossito come uno scolaretto, non solo perché la madre di Sesshōmaru sapeva sempre trovare i suoi punti deboli come una volta e usava questa sua astuzia come e più le garbava -soprattutto per metterlo in difficoltà- ma anche perché quella frase era verissima.

Guardò di sbieco il patio con la piscina luccicante, le sdraio, le piante lussureggianti, i gazebo con le tende celesti che si muovevano alla leggera brezza di quella giornata di sole, e poi Ayame, che nei suoi leggings neri attillatissimi praticava i propri esercizi mattutini, mettendo in mostra il suo corpo slanciato, atletico e giovane. Terribilmente giovane.

“Ci tiene a mantenere le sue abitudini, ogni mattina si allena come quando era al nord. È molto diligente e meticolosa al riguardo.”

“Tu lo chiami allenarsi? Io lo chiamo civettare. Guarda come mette in mostra il fondoschiena.”

Il Generale sprofondò nella poltrona di costosissima pelle visibilmente a disagio. “Non un'altra parola su Ayame, per favore. Non voglio litigare anche con te. E comunque sai come la penso.”

Avevano già affrontato quell'argomento in parecchie occasioni, e come ogni volta si sorprendeva di voler difendere a spada tratta quello strano rapporto con la ragazza lupo, un rapporto che non aveva cercato, che non aveva previsto e che inizialmente nemmeno aveva voluto per i troppi sensi di colpa nei confronti della sua seconda amatissima compagna.

A me non dispiace che tu l'ami ancora così tanto, non sono gelosa. Anzi, una persona capace di un sentimento talmente profondo da resistere per secoli è speciale. Mi piaci ancora di più per questo, Generale.

“D'accordo, come vuoi.” La madre di Sesshōmaru decise di mollare la presa. Per ora. “Allora parliamo di tuo figlio.” Solo sentendo il nome di InuYasha, il Generale si ammorbidì. “Ti guarda ancora in cagnesco?”

Colui che un tempo era suo marito prese la stilografica abbandonata sulla scrivania e ci giocherellò, evitando di guardarla, segno che i rapporti con il suo secondogenito erano ancora tesi.

“Diciamo che la situazione è in una fase di stallo. Il mio coinvolgimento con Ayame per lui rimane il solito problema.”

“Un giorno lo accetterà, se avrai fiducia nel modo in cui lo hai cresciuto, e da quello che so non lo hai tirato su male.” La demone cane sospirò con qualcosa che sarebbe potuto assomigliare alla tristezza, se solo uno yōkai superiore come lei avesse mai potuto provare tale sentimento. “Lo ha fatto Sesshōmaru all'epoca, accettare che tu ti fossi accompagnato a lei, può farlo anche InuYasha.”

Sentire nominare Izayoi, anche dopo tutto quel tempo, fu un colpo al cuore del Generale.

“Sua madre è morta da molti secoli, e tuttavia ne sente la mancanza come è giusto che sia. Neppure io pensavo di elaborare mai la sua perdita.”

“Lo hai fatto davvero? Elaborare il tuo lutto per Izayoi, intendo?”

Fissò la madre del suo freddo primogenito, avvolta in quelle sue pellicce di un bianco cristallino, puro e altrettanto freddo, e si accorse di non poter mentire.

“Una parte di me non credo ci riuscirà mai, l'altra invece, per quanto ti possa sembrare incredibile, lo ha fatto. Ayame mi ha aiutato molto in questo.” Si accorse di aver usato un tono inusuale per uno come lui, da giovane innamorato quasi, e lui non era né l'uno né l'altro, vero?

“Quando stavi con me non eri così romantico. Focoso si, sentimentale per nulla.”

Si sorrisero a vicenda ricordando quei secoli antichi, turbolenti, e soprattutto eccitanti.

“Forse starò solo diventando un vecchio sciocco,” impilò alcune carte, segno che la conversazione stava per finire; era quasi ora di colazione, poteva sentire nella casa i passi di Ayame che si dirigevano verso il piccolo salottino in stile giapponese dove consumavano sempre il primo pasto della giornata, e preferiva che le due persone più dirette e senza filtri che conoscesse si incontrassero il meno possibile.

“Hai trovato comunque qualcuno che ti sopporta.” L'ultima frecciatina la madre di Sesshomaru non poteva proprio risparmiargliela. “A proposito, non avevi detto che hai perso un libro?”

Se non lo avesse conosciuto così bene, quella specie di sussulto non lo avrebbe forse notato.

“Si, un vecchio libro. Ma non è importante, sarà da qualche parte in biblioteca.”

La donna annuì poco convinta. “Se è così non vedo come possa interessarmi. Stammi bene, caro.”

Gli scoccò un bacio quasi sonoro sulla guancia, e per un momento il profumo della sua prima moglie gli evocò ricordi di castelli tra le nuvole, corse nei cieli, il piacere di stare nella pelle – e nella forma- del demone cane che era.

Tuttavia neppure per un momento rimpianse di aver preso una strada diversa.

 

Miroku decise che se fosse andata male con il suo nuovo lavoro al tempio avrebbe potuto fare l'equilibrista.

Pieno di borse della spesa, era stato un miracolo arrivare a casa senza averne fatta cadere nemmeno una, altrimenti la reazione di Sango sarebbe stata violenta e spietata.

Sei sempre il solito, devo sempre rimediare ai tuoi casini.

Non appena mise piede nell'appartamento che condivideva con la sua compagna, subito gli arrivò alle orecchie una specie di cicaleccio, come se più persone parlassero a bassa voce e concitatamente.

Presto si rese conto che il brusio veniva dal bagno, notando anche come la porta fosse socchiusa lasciando entrare solo uno spiraglio di luce che contrastava con il resto del piccolo appartamento, completamente avvolto dall'oscurità.

“Sei sicura che sia positivo?”

“Si Ayame. Vedi la faccina che ride? È sicuramente positivo,” il tono di Sango parve a Miroku quasi angosciato.

“E adesso che si fa?” Il sussurro squillante e tremolante di Rin passò facilmente lo spiraglio della porta del piccolo bagno.

“Calme ragazze, fatemi controllare le istruzioni.”

“Andiamo Kagome, il test è positivo.” Jakotsu fece uno sbuffo prima di rivolgersi ad una delle quattro: “Bella mia, tu sei incinta.”

 

Il silenzio quasi maestoso della villa dei Taishō fu bruscamente mandato in frantumi dallo scampanellio dell'elegante citofono posto ai cancelli dell'enorme tenuta, un suono frenetico e nervoso, pieno di urgenza.

“Miroku, ma sei scemo? Guarda che stavamo tutti per mangiare, e mi dispiace ma stasera niente cena a scrocco per te.”

“Sta zitto, InuYasha, e fammi entrare! Siamo nella merda.”

Il mezzodemone si grattò con un indice unghiato la fronte. Quel linguaggio scurrile non era da Miroku, e questo voleva dire probabilmente pasticci. Pasticci galattici.

“C'è un posto dove possiamo parlare in privato? Quello che ho da confidarti è rigorosamente confidenziale.”

“Va bene, andiamo nello studio di mio padre. Lì non ci disturberà nessuno.”

Il bonzo era pallido, e si comportava come se fosse inseguito da uno spettro.

“Cosa devi dirmi di tanto urgente da non aspettare domani?”

InuYasha non fece nemmeno in tempo a protestare come avrebbe voluto che si ritrovò un oggetto misterioso spinto contro il petto.

“Ma che diavolo è...?” lo fissò stranito per alcuni secondi, il tempo di attivare il cervello e comprenderne la natura.

“Miroku, non dirmelo! Non dirmi che stai per diventare padre?!?”

“Non ridere in quel modo, caro il mio InuYasha, perché c'è una buona probabilità che sia tu il futuro papino.”

Gli ridiede il test con uno sbuffo. “Tsz, di che stai parlando? Sei ubriaco?”

L'amico sospirò pesantemente afflosciando le spalle. “Magari lo fossi, vorrei riempirmi di sakè, riempirmi fino a dimenticare tutta questa storia.”

“Io non ci sto capendo più niente. Vuoi spiegarmi o no? Di chi è questo...questo coso, qui” questa specie di bomba alla nitroglicerina “e cosa c'entro io in tutto questo?”

Miroku si mise a ridere, una risata strana, da chi si sente perseguitato e beffato dagli dei.

“Vuoi sapere di chi è questo test? Ebbene, caro il mio InuYasha, non ne ho idea.”

 

Sesshōmaru e suo padre stavano terminando una discussione sull'ultima riunione del concilio che si sarebbe svolta l'indomani tra i rappresentanti dei demoni e quelli degli umani al parlamento giapponese quando sentirono delle voci riconoscibilissime -specialmente per le loro orecchie sensibili- venire dallo studio del Generale.

Ovviamente sapevano della presenza del bonzo amico di InuYasha, anzi lo avevano sentito non appena si era avvicinato ai dintorni della villa, però il tono dei due pareva insolito, a metà tra una litigata e una cospirazione.

“Come non sai di chi sia? Qualcuna di loro ci deve aver pisciato sopra, no?”

“Modera i termini, potrebbe essere stata la mia Sanguccia. Oppure Kagome, chissà. Non sono riuscito a capire a chi Jakotsu si riferisse. C'è persino la possibilità che sia Rin o Ayame.”

“Mi stai dicendo che...” ci fu una specie di rumore simile ad un conato. “Potrei avere un altro fratello? Un cazzo di fratello che puzza di lupo per di più?”

“Non hai calcolato la possibilità di diventare zio, mi pare. Immagina, una piccola copia di Sesshōmaru.”

“Non scherzare, rabbrividisco solo all'idea.”

“Senti, possibile che con il tuo olfatto tu non riesca a capire chi delle ragazze abbia...abbia fatto...”

“Pipì su questo stick, intendi? No, odora troppo di candeggina. Ma dove lo hai trovato?”

“Quando mi hanno sentito arrivare sono uscite tutte come se nascondessero qualcosa. Rimasti soli con uno stratagemma sono andato in bagno, e l'ho trovato nascosto in un flacone di candeggina appunto, ma la faccina sorridente si può vedere ancora. Guardala, sembra che ti prenda in giro.”

Uno sguardo di reciproca comprensione passò tra i due demoni maggiori, prima che questi entrassero nello studio con un atteggiamento quasi minaccioso.

“Generale. Sesshōmaru.”

Il bonzo pareva atterrito e nascose, dietro la schiena, le mani con il loro contenuto.

“Cazzo. Pa', hai sentito tutto, vero?”

Il padre annuì severo. “Figliolo, hai qualcosa da dirmi?”

“ InuYasha, vedi di darci una spiegazione, e in fretta.” Se suo padre aveva giustamente un che di arcigno capace di mettere timore anche allo strafottente figlio più piccolo, Sesshōmaru aveva cominciato già ad espandere il proprio yōki attorno alla sua persona.

Quindi forse era meglio mettere tutte le carte sul tavolo, pensò InuYasha.

“D'accordo, forse però è il caso che tu ti sieda papà, perché sei vecchio e potrebbe prenderti un colpo, ok?”

Invece di arrabbiarsi, il Generale sembrò anzi dimostrare una certa, inquietante calma, e si sedette comodamente e con tutta tranquillità alla sua scrivania incrociando le braccia al petto.

“Dimmi pure.”

Aveva notato non solo il tentativo un po' maldestro del figlio di alleggerire l'atmosfera creatasi ma anche la sua preoccupazione e ansia.

Se aveva intuito un po' cosa stava succedendo erano tutti e quattro nella stessa complicata situazione. La mente fredda del Generale cominciò già a pianificare, fare calcoli, prevedere tutte le possibilità. Molto probabilmente la novità avrebbe coinvolto la sua famiglia, e c'era una significativa eventualità che fosse coinvolto lui stesso in prima persona.

Qualora fosse stato così, molti passi dovevano essere fatti.

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Capitolo 2
*** Come ci è potuto succedere ***


Le novità portate dal bonzo amico di suo figlio lo avevano, all'inizio, gelato fino alle ossa.

Ayame aspettava un figlio suo? Possibile? E perché guardarsi bene dal farne alcun cenno?

Aveva passato le ore seguenti a pensare, cavillare su come potesse essere successo.

Nessuno dei due era uno sprovveduto, nonostante la sua compagna avesse molti meno secoli di lui, avevano sempre usato le dovute precauzioni, entrambi consapevoli che il rapporto tra loro era fin troppo fresco e recente per solo minimamente contemplare uno sconvolgimento simile.

Senza contare l'enorme divario generazionale che li separava, e il fatto che lui avesse già due figli avuti da due rispettivi e diversi legami sentimentali.

Non era facile né piacevole dover ammettere che qualcosa doveva essergli sfuggito, proprio a lui che prevedeva sempre tutto.

L'unica occasione -perché si, una volta c'era stata ora che ci pensava bene- in cui non erano stati attenti si era verificata circa un mese prima, un giorno in cui aveva trovato Ayame davanti lo specchio che si stava provando un dannato vestito di jeans rosa shocking, così aderente da sembrare dipinto addosso, e due tacchi a spillo in tinta che le slanciavano le caviglie come a voler instillare in un uomo solo l'idea di sentirseli premere attorno ai fianchi.

Quella volta tutta la sua assennatezza e prudenza le aveva messe da parte, e si era lasciato andare dopo molto, moltissimo tempo in cui aveva tenuto tutto a freno, in cui si era sforzato di contenere gioie e dolori, sofferenza e spensieratezza.

Non poteva quindi dare tutta la colpa ad Ayame e all'esuberanza tipica della sua giovane età, quando persino lui stesso si era lasciato trascinare dalla passione e dal testardo bisogno d'affetto che continuava altresì a cercare anche sotto tutto il peso dei millenni che aveva e dopo la sofferta perdita di Izayoi.

Sì, si sarebbe preso le sue responsabilità e fatto ciò che era giusto, anche se Chōrō, il nonno di Ayame, avrebbe voluto probabilmente la sua testa. Già lui e il giovane Kōga non vedevano di buon occhio la relazione tra il “capo di quei cani immondi” e l'amata nipote del patriarca del nord; il sapere che sarebbe nato un essere mezzo cane e mezzo lupo dalla sua progenie sarebbe stata una potenziale mina che poteva esplodere in faccia a tutto il concilio dei demoni.

Un senso di disappunto gli si instillò nelle vene, mettendolo in allarme, ovvero la natura del bambino che sarebbe nato.

Da quello che sapeva il sangue demoniaco era un fattore dominante, che prevaleva quasi sempre su quello umano in vari modi quando si mescolavano – e questo aveva creato tantissimi problemi con InuYasha al principio, capire come gestirlo tramite la vicinanza con Tessaiga- tuttavia lui e Ayame era entrambi demoni, demoni di due specie diverse.

Il non sapere cosa questo avrebbe potuto comportare lo spinse ad indossare con calma apprensione l'elegante soprabito di pelle, e nell'uscire si accorse che aveva dato quasi per scontato il fatto di stare per diventar padre per la terza volta.

InuYasha, Sesshōmaru.

Avrebbe scommesso che anche loro in quel momento si stessero confrontando con loro stessi e con i dilemmi che li si prospettavano, e una parte di lui avrebbe voluto aiutarli.

Tuttavia non sarebbe stato giusto, erano grandi, erano consapevoli, erano pronti, per qualsiasi scelta avrebbero preso.

 

Miroku premette con agitata fermezza i numeri sul display dello smartphone.

Gentile cliente, la preghiamo di rimanere in linea.”

Con uno sbuffo si preparò ad aspettare, e con la cornetta appoggiata tra l'orecchio e la spalla cominciò a preparare la cena, chiedendosi se una donna incinta avesse delle voglie particolari.

Sango in quelle settimane aveva mangiato spesso bambù piccante -che di solito non assaggiava mai- mentre non aveva toccato pesce, soprattutto quello crudo che era la sua passione.

Gentile cliente, prema il tasto apposito per la destinazione da lei scelta.”

Perché Sango non gli aveva detto niente? Se quel test era suo, perché il suo tono era suonato così angosciato?

Il bambù e le altre verdure sfrigolarono quasi con un ronzio mentre le faceva saltare in padella.

La sua compagna era una una specie di consulente per chi aveva a che fare con demoni problematici, yōkai che avevano violato pesantemente le varie e complesse leggi che regolavano la vita di umani e altre creature. Era un lavoro difficile, che richiedeva un lungo addestramento, ma che Sango adorava, un lavoro che richiedeva energie e poco tempo libero, un lavoro poco adatto ad una madre.

Come era potuto succedere?

Lo aveva sempre rassicurato, dicendo che ci avrebbe pensato lei con un agghiacciante affare chiamato spirale -era andato ad informarsi su internet scoprendo che per tutto quel tempo era stato un ignorante in materia- che pur tuttavia aveva i suoi limiti e la sua percentuale di fallibilità.

Che fosse stata la serata in cui avevano litigato di brutto per dopo fare pace con del “sesso arrabbiato”? Praticamente Sango si era quasi sfogata quella volta, e di sicuro Miroku non si era azzardato a protestare. Non sapeva perché ma era stato diverso, un miscuglio di sensazioni spesse, solide, quasi tangibili.

Il biglietto per Ōsaka prenotato a suo nome le verrà spedito via email nell'indirizzo di posta elettronica da lei fornito. La ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia.”

Presto sarebbe tornata, si sarebbe lamentata delle caviglie gonfie come faceva ultimamente e avrebbe fatto una lunga chiamata via Skype con suo fratello Kohaku. Con metodica precisione Miroku apparecchiò la tavola, il cibo fumante pronto per l'unica donna che aveva mai amato in vita sua.

Era stato un donnaiolo impenitente fino a che non l'aveva incontrata, e anche dopo c'era voluto del tempo affinché le sue pessime abitudini fossero addomesticate.

Forse era per quello che non si fidava di lui, forse era per quello che la sola idea di fare un bambino con lui le metteva tutto quel terrore.

Controllò l'email. Il biglietto del treno super-veloce era arrivato. I bagagli erano fatti.

Doveva soltanto lasciare quel cazzo di foglio sulla tavola accanto alla cena con scritto qualcosa, qualunque cosa che lo facesse sembrare meno stronzo di quello che era, anche se dubitava che esistessero delle frasi adeguate per un tale miracolo.

Perché Sango aveva ragione, lui era un vigliacco, un fuggiasco, uno che scappava di fronte a certe responsabilità. Uno che di sicuro non si meritava una ragazza come lei, uno che di sicuro non si sarebbe meritato i tre bambini che gli avrebbe dato -due bellissime gemelle e infine un maschio, il suo erede- perché era esattamente come era. Un irresponsabile ciarlatano tirato su a riso, sakè e imbrogli.

Un uomo pessimo, e di sicuro un pessimo padre.

 

Quando Miroku aveva sganciato la bomba, InuYasha si era sentito il cuore sprofondare nello stomaco, ma dopo un attimo di puro panico mai provato prima, aveva fatto quello che faceva sempre.

Sminuire il problema con la sua solita spacconeria.

Lui e Kagome non erano degli scemi, facevano sesso sicuro perché l'ultima cosa che volevano era un marmocchio quando erano ancora così giovani.

A volte però era capitato che il preservativo si fosse rotto, o avevano avuto il sospetto che non fosse più integro, soprattutto quando lei lo guardava con quegli occhi dolci e sereni e il suo profumo gli faceva battere più forte il cuore rendendolo più focoso del solito -dei, si sentiva arrossire solo pensandoci- e allora si abbandonava a quel lato del suo carattere istintivo e senza freni, per poi vergognarsi e scusarsi, costringendosi a penosi periodi di astinenza per compensare.

Guarda che non mi hai fatto niente che non volessi, smettila di sentirti in colpa.

Erano per l'appunto appena usciti da uno di quei periodi in cui non l'avevano fatto da un bel po', tanto che si sentiva abbastanza sicuro da poter escludere eventuali sorpresine, però...

Certo, nell'ultimo periodo non era stata bene, ma solo perché si ostinava ad andare in quella specie di bettola malfamata che vendeva ramen, giusto?

Aveva passato ore su internet a fare ricerche, del tipo “come si riconosce una donna incinta” o “i sintomi più strani quando sei incinta” e si era ritrovato più confuso di prima.

Forse avrebbe solo dovuto chiederglielo, farle una semplice domanda, ma non appena si era immaginato in quella situazione aveva capito che non era pronto, che l'intera faccenda lo spaventava, e non voleva che Kagome pensasse che era un fifone codardo.

Peggio, se non era lei quella-che-aveva-fatto-pipì-nello-stick avrebbe fatto la più colossale figura di merda della storia, e questo lo spaventava molto di più.

Ma su ogni cosa, quello che lo spaventava davvero e gli faceva provare un sentimento viscido nelle budella, era il pensiero che se tutto ciò era vero, se Kagome aspettava davvero un bambino, allora non aveva avuto abbastanza fiducia in lui da dirglielo.

 

Se per sconsiderata avventatezza qualcuno si fosse avvicinato a Sesshōmaru, in quel momento, probabilmente sarebbe stato travolto dalla furente onda d'urto dello spaventoso yōki che sprigionava da lui, subendone persino danni fisici.

In un'altra era, per esempio nell'epoca Sengoku, dove non fosse stato costretto a mettere al guinzaglio il suo potere avrebbe preso quel bonzo pervertito e lo avrebbe torturato senza pietà per sapere precisamente quello che aveva visto e sentito.

Un figlio.

La sola idea aveva fatto scattare un che di nuovo dentro di lui, che non era esattamente piacevole, una specie di disagio pieno di oscurità e sospetti, qualcosa che aveva sperato di non provare mai, non con Rin almeno.

Quegli strani estratti conto, il malessere avuto nelle settimane precedenti, e poi la sensazione fredda e strisciante che lei gli nascondesse parte della storia, tutto portava in un'unica direzione.

Più di tutto però una domanda lo tormentava: come poteva essere avvenuto.

Avevano stabilito di avere rapporti rigorosamente protetti, con Rin che aveva optato per la contraccezione orale, dato che tutti e due non si risparmiavano da quel punto di vista, cedevano a quella folle attrazione nelle occasioni più strane e imprevedibili, e di sicuro non voleva trattenersi solo perché non aveva un profilattico a disposizione.

Un metodo perfetto per l'unico paletto che le aveva imposto. Niente figli.

Perché lui, Sesshōmaru, non avrebbe mai messo al mondo dei mezzosangue.

Non contava che avesse dopo tanto tempo preso atto dell'esistenza di InuYasha, non contava che Rin fosse diventata la persona, alla stregua di suo padre, a cui fosse più legato, non contava che avesse rinunciato ad ereditare il titolo che gli spettava come Signore delle Terre dell'Ovest e proseguire la sua dinastia di puri Demoni Cane per stare con un'umana.

Un mezzodemone era sempre un mezzodemone, una creatura inferiore, un'aberrazione.

Anche se non ne avevano parlato apertamente, quella dannata ragazzina aveva tacitamente accettato questo compromesso, o almeno credeva che lo avesse accettato.

Gli umani sono infidi, meschini, bugiardi.

La sensazione di essere stato incastrato, raggirato, proprio da lei poi, era come un miscuglio acido nelle viscere, e il bisogno di sapere la verità, sapere fino a quanto la sua fiducia negli umani fosse stata mal riposta, impellente.

Rin gli doveva una spiegazione, e in un modo o nell'altro l'avrebbe avuta.





Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno messo questa storia tra le preferite e seguite, e soprattutto chi ha lasciato una recensione, sappiate che avete tutta la mia gratitudine, siete fantastici

 

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Capitolo 3
*** Perché stiamo insieme ***


La stazione ferroviaria, a quell'ora della sera, era quasi deserta.

Persone che aspettavano, persone che arrivavano, persone che partivano, per Miroku tutto era sagome grigie, impersonali e fredde.

E sì, sentiva freddo anche lui, in tutto il corpo.

Che razza di persona era?

Seduto su una panca non faceva altro che controllare il cellulare. Sango avrebbe già dovuto essere rientrata, e aver scoperto che immensa delusione lui fosse.

Il maestro Mushin sarebbe stato d'accordo, già immaginava la ramanzina che gli avrebbe impartito una volta saputa la storia. In effetti, dove altro sarebbe potuto andare? Dove altro sarebbe potuto scappare?

“Qui è libero?”

Alzò la testa verso la ragazza piena di bagagli che gli sorrideva. Miroku pensò che dovesse essere poco più che ventenne, e in più era carina, molto carina.

“Certo, certo.” Iniziare a flirtarci fu quasi un istinto naturale. “Piacere, mi chiamo Miroku. Sono un umile servitore del Buddha, di una discreta bravura in verità, faccio esorcismi, disinfesto case e vendo amuleti. Ne vuole per caso uno? Per un ragazza così bella posso fare un buon prezzo,” snocciolò il tutto con un sorriso smagliante. Un sorriso smagliante e finto che non avrebbe convinto neppure la sua adorata Sanguccia.

Di nuovo, dannazione, perché non riusciva a smettere di pensare a lei persino quando imbrogliava la gente?

“Io sono Kin'u.” La ragazza sorrise divertita. “Anche lei è diretto ad Ōsaka ?”

Annuì. Magari il viaggio non sarebbe stato terrificante come pensava.

“Ci potremmo fare compagnia, che ne dice mia cara?”

Fare ricorso a quelle vecchie tecniche di abbordaggio fu quasi una specie di sollievo, come se per un attimo, solo per un attimo, fosse stato possibile ritornare a ciò che era prima di Sango.

“Mamma guarda! Ho preso gli onigiri a forma di nekomata!”

Una bambina di circa otto o nove anni si schiantò contro di loro. Odorava d'infanzia, zucchero e pulcini bagnati.

“Questa è mia figlia Gyokuto. È piuttosto esuberante, ti chiedo scusa.”

Sembrava troppo giovane per essere madre, pensò Miroku, e qualcosa nel suo volto da hōshi dovette raggiungerla perché arrossì, chiaramente a disagio.

“Sto andando ad Osaka per vedere la mia famiglia dopo molto tempo che sono lontana.” Con una scusa fece allontanare la bambina che andò a giocherellare poco lontano. “I miei non hanno preso bene la decisione della loro figlia di diventare madre così presto, ma spero che questa volta, se incontreranno Gyokuto e vedranno quanto è meravigliosa, non mi biasimeranno più per il mio discutibile passato.”

Si era stropicciata l'orlo della gonna rossa per tutto il tempo di quello sfogo.

Stranamente Miroku non si sorprese che lei gli avesse gettato contro tutte quelle confidenze, sia perché ci era abituato con il suo lavoro, sia perché era chiaro che quella ragazza avesse un disperato bisogno di solidarietà e vicinanza dato il passo che stava per compiere.

Gli dei dovevano davvero perseguitarlo.

Tra tutti avevano messo sul suo cammino una persona che come lui doveva affrontare le conseguenze di una giovinezza piena di sbagli ed azioni avventate, ma mentre Kin'u, seppur terrorizzata dal rifiuto di chi l'aveva messa al mondo, era disposta a rischiare, lui non aveva nemmeno questa scusa.

Ultima chiamata per il treno super veloce diretto ad Ōsaka .”

Miroku si alzò, la brezza serale che gli scompigliava i capelli scuri pareva più calda adesso, quasi come il fiato di un bella donna che si accinge a baciarti.

La prima volta che aveva baciato Sango se la ricordava benissimo.

Si erano conosciuti durante una disinfestazione di un castello nella prefettura di Gunma, e subitamente aveva riconosciuto in lui l'anima del provolone, anche prima che ci provasse con la figlia del padrone del maniero.

Nonostante pensasse le peggio cose di lui, avevano per un breve periodo collaborato in vari casi, imparando a conoscere ognuno il modo di lavorare dell'altro, aiutandosi a vicenda e cominciando a provare stima e rispetto reciproco. Ci avevano messo parecchio a diventare altro, perché Sango giustamente non si fidava e perché le pessime abitudini facevano capolino ogni tanto, anche se in modo innocuo.

Voleva davvero buttare tutto questo? E del bambino che ne sarebbe stato? Crescere senza padre sarebbe stato meglio che crescere con uno come lui?

Forse era ancora in tempo, forse Sango non era ancora rientrata e non aveva letto quel biglietto miserabile.

Quando Kin'u lo chiamò per salire sul treno non la sentì neppure.

 

L'appartamento era silenzioso e illuminato solo dalle luci caleidoscopiche del centro nevralgico della capitale quando Sesshōmaru ci mise piede, dopo una giornata infernale di elucubrazioni poco piacevoli.

Evidentemente Rin non era ancora tornata dalla scuola serale.

Ogni volta che entrava in quelle stanze aveva come l'impressione di tornare indietro, ai secoli in cui viaggiava per tutto il Giappone a sfidare demoni ed avversari che trovava in boschi e foreste desolate. Merito tutto della passione di Rin per le piante e per tutto ciò che era verde, rigoglioso e lussureggiante, tanto che non ci voleva molta fatica ad immaginarsi, lì dentro e con le luci spente, in un altro luogo, in altro tempo, in un'altra vita più brutale ma anche molto più semplice.

Trovandosi bene anche al buio, Sesshōmaru si diresse verso il bagno puntando l'armadietto dei medicinali.

Conosceva benissimo l'aspetto della confezione di anticoncezionali, perciò non dovette cercare a lungo.

Allora è proprio vero.

Tutti i blister presenti erano intatti ma non parevano nuovi. Sembrava più che altro che la proprietaria avesse smesso di prenderli.

Con passo più lento del solito tornò nella camera da letto, notando, nonostante la mente vagasse altrove, la presenza di due odori diversi.

Con gesto famigliare prese da sotto il letto la scatola.

Era quasi un gioco, che Rin faceva molto spesso e che lui assecondava quasi con altrettanta felicità, una specie di preliminare alle loro notti appassionate, ma che questa volta quasi gli spezzò il cuore.

Tra le mani gli scivolò una camicia da notte di seta color champagne, leggera e semplice, che odorava di lei. Prima di infilarla lì dentro doveva averla almeno indossata una volta, per lasciare una traccia, per essere sicura che lui la trovasse.

Questa sera me la toglierai tu.

Nonostante il risentimento che provava, non poté fare a meno di annusarla, e tramite l'odore di quella dannata ragazzina ricordare la prima volta che l'aveva vista, ad una festa, con un vestito quasi dello stesso colore di quel pezzo di stoffa che stava cominciando ad odiare.

Di quella sera rammentava la rabbia con cui era uscito di casa, dopo una discussione alterata con suo padre che riguardava ovviamente InuYasha -una delle ultime che avevano avuto, perché si, Rin con gran felicità del Generale aveva ovviamente fatto il miracolo- e poi questa ragazzina dai folti capelli neri che gli veniva contro buttandogli un'intera caraffa d'acqua addosso.

Invece di sbranarla come voleva fare inizialmente, aveva cominciato ad uscirci, frequentarla sempre più spesso, smaniando di conoscere questi umani che aveva disprezzato per secoli ma che invece suo padre sembrava amare tanto, fino a che era diventato indispensabile vederla, passare del tempo assieme, fino a che era diventato impossibile negare di provare dei sentimenti per lei e solo per lei.

E guarda come era stato ripagato.

Con uno scatto tornò nel bagno e stritolò la cosa che emetteva il secondo odore sconosciuto.

Una confezione di un medicinale mai visto, con un nome che non gli diceva niente -come se lui avesse mai avuto bisogno di medicine- ma che tuttavia era certamente nuovissima, appena comprata.

Il clic della porta di casa che si apriva non gli impedì di continuare l'ispezione. Era furente.

“Che stai facendo?”

Rin lo aveva raggiunto in bagno, evidentemente sorpresa che tutte le luci dell'appartamento fossero spente tranne che lì dentro. Sembrava a disagio, desolata quasi, tuttavia non mancò di fissarlo dritto in faccia.

“Credo che tu abbia scoperto tutto.”

 

“Si può sapere cosa ti succede oggi?”

Kagome, dopo aver venduto l'ennesimo amuleto ad un ragazza di un gruppo di liceali venute al tempio, lo redarguì con un sorriso mezzo preoccupato.

“Che cosa ti fa pensare che abbia qualcosa che non va?”

“Guarda che non ci vogliono i miei poteri spirituali per indovinarlo.” Cominciò a preparare il tempio per la chiusura notturna. “Per esempio non tormenti Buyo come fai di solito, e poi hai una faccia pensierosa, come quando...”

“Oh no, non ricominciare! Non sto pensando a Kikyō, lei non c'entra niente.”

Non era la prima volta che Kagome si dimostrava gelosa nei confronti della sua ex ragazza -che cosa inspiegabile! lui non lo era affatto di Kōga, tanto mica stavano più insieme lei e quel dannato lupo spelacchiato- perciò non si prese nemmeno la briga di rassicurarla gentilmente come faceva sempre.

“Sicuro? Di solito avevi proprio quell'espressione quando ti aveva appena mollato.”

Non le aveva mai detto che era stata una separazione voluta da entrambi.

Conosceva Kagome da una vita, fin da quando era piccoli e lui era il mezzodemone e lei la ragazzina strana con il nome di un gioco per monelli dove vinceva con una facilità quasi portentosa, per poi rimanere inseparabili fino al liceo e alla venuta in città di una sua lontana parente, Kikyō appunto, desiderosa di fare pratica come miko al tempio Higurashi. All'inizio ne aveva subìto immancabilmente il fascino, tanto che avevano fatto coppia fissa per qualche tempo, per poi rendersi conto che l'educazione monacale l'aveva resa troppo ortodossa verso alcuni aspetti della sua persona -il fatto che avesse una parte demoniaca dentro di lui tanto per intendersi- senza contare il fatto che non avesse mai, mai dimenticato Kagome.

Anche se veniva considerato da tutti uno sbruffone un po' burbero, si reputava comunque un gentiluomo su certe cose, quindi era stato zitto passando per il lasciato di turno, tanto più che questo lo aveva aiutato quando Kagome si era offerta di risollevargli il morale portandolo in giro per tutta la costa l'estate seguente.

“Allora se è così perché non usciamo a divertirci?” Passando dietro di lui, che era seduto pigramente sul tatami, gli accarezzò dolcemente le orecchie da cane come le piaceva tanto fare. “Non c'è niente come una ciotola di ramen fumante per scacciare la tristezza. Certo, non è come il cibo cucinato da mia madre ma è alle terme con Sōta, torneranno domani, perciò poi abbiamo casa libera. Che ne pensi?”

Dovette constatare come non le desse corda, perché la vide aggrottare le sopracciglia.

“Ma insomma, mi dici che hai?” Con rabbia cominciò a sfilarsi l'hakama, incontrando qualche difficoltà.

“Hai preso qualche chilo.”

Okay, voleva metterla alla prova, ma questo non avrebbe mai dovuto dirlo. Stava già diventando livida.

“Mi stai dando della grassa, per caso? Senti, perché non te ne vai e mi lasci in pace?! Sei stato tetro per tutto il tempo, davvero insopportabile. Vattene via, e torna quando non avrai più quel muso o sarai disposto a parlare.”

A quel punto InuYasha decise che era ora di finirla.

“Perché invece non inizi a parlare tu? Devi spiegarmi parecchie cosette.”

“I-io non so cosa v-vuoi dire.” Era arrossita all'inverosimile, e si toccava nervosamente la pancia, annotò quasi con senso di trionfo.

“Kagome, piantala di mentirmi. So tutto, e non me ne andrò di qui se prima non mi dirai tutta la verità.”

 

“Desideri ordinare altro?”

Ayame emise un sospiro soddisfatto per poi annuire. “Magari un altro dolce di riso. Ho mangiato come poche volte in vita mia, ed era tutto divino.”

Il fatto che fosse così felice solo per una cena fuori -nel miglior ristorante di Tōkyō beninteso- valse la pena di essere l'uomo più potente del Giappone e potersi permettere di darle tutti quei lussi a cui non era abituata.

“Nonno inorridirebbe se mi vedesse in un posto del genere, per lui il rigore e l'austerità sono tutto.”

Sì, il Generale sapeva benissimo quanto austero fosse Chōrō; cionondimeno pensare al rigido patriarca del nord non era nelle sue intenzioni quella sera.

Osservò la ragazza di fronte a lui, ricordando le terribili parole di Bokusenō.

“Tu non hai mangiato molto invece. Non è che ti sto facendo spendere troppo e hai paura di trovarti con un conto stratosferico da pagare, vero?”

Le sorrise con calore.

Il loro tavolo si trovava in una zona del ristorante appartata e poco illuminata, cosicché nelle prime ombre azzurre della sera, con il suo audace abito rosa addosso -aveva il sospetto che sapesse del suo debole per quell'indumento- il rame dei suoi capelli brillava di un'incredibile e ricca aureola rosata.

“Puoi ordinare ciò che vuoi, non farti di questi crucci.” Allungò la mano e allacciò le dita alle sue. “Se posso fare qualcosa per te, devi solo chiedere.”

Era la stessa identica frase che le aveva sussurrato tanti mesi prima quando, dopo una riunione del concilio particolarmente agitata e funesta per un attacco mortale di Paradisee ad un gruppo di vedette Yōrō nelle aspre montagne settentrionali, l'aveva trovata in disparte, da sola, che tremava spalle al muro cercando di ricacciare le lacrime.

Qualche settimana dopo “quei maledetti uccellacci che l'avevano attaccata da piccola” erano stati decimati e messi al bando dal concilio stesso, mentre lui e Ayame avevano preso a cercarsi con lo sguardo sempre più spesso, per poi iniziare a condividere pasti tra una riunione e l'altra, abbracci ed effusioni tra una votazione ed una seduta serale.

Ancora non aveva ben inquadrato i sentimenti che provava, di certo però Ayame esercitava su di lui un fascino esotico, per i suoi colori ed odori così diversi da quelli a cui era abituato, misto ad un senso di protezione quasi tenero che gli scaldava il cuore continuamente, strenuamente, dopo secoli di gelo.

Pur tuttavia, questo si sarebbe rivelato sufficiente per crescere un bambino insieme?

Forse, si disse, era arrivato il momento di scoprirlo, con tutta la cura e la circospezione del caso senza farle troppa pressione. Ma come iniziare?

“Hai per caso visto il libro con i crisantemi sulla copertina? Lo sto cercando da qualche giorno ma non riesco a trovarlo.” Se si fosse trattato di pianificare guerre o frenare la tracotanza di Kirinmaru non avrebbe avuto bisogno di prenderla così alla larga.

“No, non mi pare. L'ultima volta che l'ho visto ce l'aveva Kagome.”

Aveva appena finito il terzo tortino quando improvvisamente la vide diventare gialla e poi paonazza.

“Forse è meglio tornare a casa, che ne dici? Non mi sento molto bene, devo aver esagerato davvero questa volta.”

Fu silenziosa per tutto il tragitto, e si sentiva chiaramente che l'atmosfera era cambiata.

“Okay, non ce la faccio più.” Una volta arrivati, mentre si spogliavano nervosi in camera, la sentì prendere qualcosa dal suo zainetto. “Devo confessarti una cosa.”


Grazie a tutte le persone che hanno messo questa storia tra le preferite e le seguite, ed in particolare a quelle che l'hanno recensita, sappiate che fate tutta la differenza. Ovviamente per quanto riguarda Kagome e il significato del suo nome riferito ad un gioco per bambini faccio riferimento alla puntata di Final Act La barriera di Hitomiko.

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Capitolo 4
*** La verità non è gratis ***


La sensazione che Sesshōmaru sentiva dentro di sé in quel momento era simile a ciò che aveva provato il giorno della nascita di Bakusaiga.

Lo stesso sollievo pieno di tormento per aver finalmente preso atto dei propri limiti ed essere riuscito ad andare oltre, anche dopo essere stato privato di qualcosa di fondamentale come il braccio che aveva prima, il braccio con cui era nato, e che era stato recuperato insieme ad una spada sua, interamente sua, forgiata dal suo stesso corpo. Eppure non credeva minimamente che stavolta avrebbe riavuto indietro ciò che stava perdendo.

“Che cosa sono queste pillole? Voglio una spiegazione.”

Se fosse potuto sarebbe uscito ghiaccio dalla sua bocca.

“Non lo vedi? Mi pare che tu abbia capito tutto, no?” il fatto che lo sfidasse con quel tono amareggiato, come se fosse lei la vittima, gli fece rimpiangere di non poterla fare a pezzi alla stregua di un nemico.

Inoltre, con orrore, si rese conto che lei stava dando per scontato che avesse capito la natura di quei misteriosi farmaci, e il fatto che in realtà lui non ne avesse idea, rendendolo in una posizione di svantaggio, alimentava la sua stizza.

“Adesso vorrai lasciarmi.”

Non le rispose, perché la sola prospettiva di non vederla più era assurda, da non averla messa in conto nemmeno se lei lo aveva effettivamente tradito in quel modo miserevole.

“Non volevo che succedesse,” continuo, ”ma le cose stanno così e non si possono cambiare.”

“Non hai pensato alle conseguenze?” Come poteva stare lì in piedi, spettrale nel buio luminoso di Tōkyō, e parlagli in quel modo?

“Alle conseguenze? Certo che ci ho pensato. Ci penso tutti i giorni. Pensi che sia facile affrontare una tale situazione? Credi che non abbia paura?”

Sesshōmaru la guardò, la guardò davvero per la prima volta da quando tutta quella faccenda era iniziata, e si accorse di quanto sembrasse stravolta, pallida, terrorizzata.

Qualcosa gli si sgelò dentro. Magari era stato un incidente, l'anticoncezionale non aveva funzionato, poteva capitare.

“Non volevo nascondertelo, solo...solo non sapevo come dirtelo, volevo aspettare e fare degli esami per esserne certa. Io capirò se preferisci non continuare, ti conosco, però almeno dammi il tempo di trovare un'altra sistemazione.”

Pareva sperduta eppure forte come non mai. Sicuramente molto più forte di lui in quel momento, quasi come se non le importasse di ciò che li legava. Poi ricordò qual era la posta in gioco.

“Non dire sciocchezze. Se credi che permetterò che tu vada via con mio...”

“Davvero, Sesshōmaru? Staresti con me anche sapendo che sono malata?”

 

Miroku ringraziò il Buddha e promise che l'indomani si sarebbe recato al tempio e fatto delle solerti e sentite offerte.

L'appartamento era vuoto, la cena non toccata, e il biglietto ancora nello stesso scomodo posto.

Sango evidentemente aveva fatto tardi. Magari era dovuta andare in qualche zona fuori città.

Ebbe appena il tempo di bruciare il foglio nella stufa che sentì la porta aprirsi e la ragazza entrare con una faccia quasi verde, livida.

“Sei sorpresa di vedermi? Stavolta sono rientrato prima io, e ho anche cucinato la cena. Visto come sono stato bravo?”

Forse perché aveva assunto un tono troppo sdolcinato e colpevole, ma Sango pareva sulle sue, inspiegabilmente diffidente.

“S-si, non ti aspettavo a casa. Così presto intendo.”

La invitò con un cenno al kotatsu, dove mangiarono in un silenzio pesante come un macigno.

Non è che ci volesse molto per capire che qualcosa non andava. Sango piluccava il cibo e lo guardava in maniera strana, che gli metteva i brividi; forse era il senso di colpa a fargli vedere cose che non erano, perché Sango non avrebbe mai potuto sospettare quanto codardo lui fosse stato, no?

O forse...o forse stava per dirgli che...

“Perché non guardiamo la televisione? Sparecchio io, tu mettiti comoda, e magari posso farti anche un bel massaggio ai piedi. Non ti sembra un bel programmino?”

Non pareva molto convinta, anzi contrariata era dire poco.

“Se lo dici tu.” Gli lanciò un'occhiata strana prima di prendere il cellulare e sdraiarsi, fluida ed elegante -e pericolosa- come un felino sul tatami.

“Io invece ho un'altra idea.” Diede dei tocchetti sulla stuoia di un pallido ciclamino per invitarlo a sedersi accanto a lei, tuttavia la spina dorsale del povero Miroku diede un tremito di avvertimento. “Voglio farti vedere le foto che ho fatto oggi durante questa lunga giornata. Che ne dici di questa qui? Io dico che è la più bella di tutte.”

Gli allungò lo smartphone, e con grigio terrore apparve lo screenshot di un ben noto biglietto. Un biglietto che sperava di non rivedere più.

“Sono rientrata, prima, e l'ho letto.” I suoi occhi era lucidi di lacrime e di rabbia. “Scusami, non posso fare il padre. Un bambino non merita una tale malasorte. Cerca di non odiarmi troppo.”

Sentire quelle parole sulle labbra di Sango lo uccise quasi.

“Io avevo il so-sospetto che tu fossi...tu fossi...”

“Incinta dici? Ed è così che mi avresti trattata? Questa sarebbe stata la tua matura reazione se lo fossi stata?”

I tanti nodi che gli comprimevano il cuore cominciarono a sciogliersi. E faceva malissimo.

“Quindi non lo sei?”

La smorfia sulla faccia non se la sarebbe dimenticata mai più. “No. Non lo sono. Fortunatamente aggiungo. Non sai nemmeno quanto tu mi abbia deluso.”

 

“Mi dispiace tanto, te lo giuro. È successo per sbaglio, devi credermi.”

La vocetta di Ayame quasi lo infastidì. O meglio, avrebbe dovuto infastidirlo, ciò che aveva fatto era gravissimo, eppure la rabbia che provava in quel momento non riusciva a dirigerla verso di lei, con urla, rimproveri o qualsiasi altra cosa che gli sarebbe servita solamente a sfogarsi.

Scegliere il silenzio fu più l'ultima reazione rimastagli, così come evitare il suo sguardo dandole le spalle.

Lei però dovette interpretarlo male, perché la sentì sospirare più affranta che mai. Quasi poteva vederla, i graziosi codini che le nascondevano il volto e le spalle bianchissime afflosciate.

“Ho tentato di rimediare. Sono andata fino ad Okinawa per cercarne un'altra copia, ma è un'edizione rarissima, nelle biblioteche i custodi ti alitano sul collo anche se solo devi visionarla.”

Il Generale continuò a non rivolgerle la parola, mentre diresse lo sguardo al libro macchiato sul tavolino basso della camera da letto.

“Ho dato la colpa a Kagome perché sapevo che con lei non te la saresti presa, devo scusarmi anche per questo. Ma mi sentivo in colpa, non sapevo che fare, mi è venuta anche la fame nervosa per la preoccupazione ogni volta che chiedevi dove fosse quel dannato volume. Speravo nel frattempo di trovare una soluzione...”

“Taci, non una parola.” Alzò la mano per dare enfasi alla richiesta. “Mi spieghi perché mai lo hai preso? Senza permesso, così, sapendo quanto ci tenessi, cosa rappresentasse per me. E dopo l'incidente nemmeno dirmelo, mentendo e dando colpe tue agli altri.”

“Non te l'ho detto proprio perché sapevo che ne eri affezionato e che ti avrei dato un dolore.”

Lo stupì che Ayame non temesse la sua rabbia, come faceva buona parte del resto del mondo, ma aveva avuto così paura che lui stesse male da soffrirci fisicamente lei stessa. Non che gli facesse piacere la sua fame nervosa, ma era bello, dopo tanto tempo, che qualcuno tenesse in quel modo a lui.

“Posso sapere almeno il perché lo hai preso con tali sotterfugi?”

Quella ragazzina sembrava che lo avesse in pugno, stava già cedendo.

Inu no Taishō si trovava ancora voltato di spalle, appoggiato alla porta della camera per mantenere una parvenza di -fintissimo- sdegno e distacco, ma l'amarezza delle sue parole gli arrivò lo stesso.

“Non te ne sei ancora accorto? Io volevo assomigliarle, almeno un po', ecco perché ho preso quel libro, e mi vergognavo di dirtelo.”

 

“A cosa ti stai riferendo?”

Kagome sembrava sorpresa, innocentemente sorpresa.

Che stesse davvero prendendo una gigantesca cantonata?

Forse stava davvero rischiando troppo, però...però a lui le mezze misure non piacevano, voleva assolutamente risolvere quella questione spinosa.

“A quello che è successo a casa di Sango. Miroku mi ha detto tutto.”

Neppure nominando il suo amico bonzo, Kagome perse quella specie di calma fredda, strana, di chi ha acquisito nuove consapevolezze.

“Ah si? Ti ha detto cosa, di preciso?”

InuYasha sentì scattare tutti gli allarmi che possedeva, sia connaturati che quelli acquisiti in secoli di esperienza, rendendosi conto che pur di scoprire la verità si stava giocando molte cose.

Se lui avesse avuto ragione voleva dire che Kagome non aveva avuto fiducia in lui da parlarne insieme. Se invece il problema non ci fosse stato, lei avrebbe potuto benissimo accusarlo di non aver avuto fiducia nel loro rapporto.

Non era mai stato bravo a muoversi con cautela, non era mai stato bravo ad essere diplomatico, e non era mai stato bravo a fidarsi degli altri.

Ma di Kagome si fidava. Si sarebbe sempre fidato di lei in ogni caso, anche se lei non si fosse fidata altrettanto di lui e gli avesse tenuto nascosti tutti i segreti del mondo. La fiducia era un concetto molto ampio, fatto di sfumature, ricordi, promesse rotte e promesse mantenute.

“Mi ha detto che una di voi ra-ragazze aspetta un ba-bambino.”

Non era mai stato tanto imbarazzato in vita sua, le parole gli uscivano balbettando senza lo volesse, le orecchie gli fumavano e il cuore gli batteva come un tamburo contro le costole.

“Lo sapevamo che ci aveva spiate. Jakotsu ne era sicuro.”

InuYasha stava per esplodere. Perché lo teneva sulle spine con quell'imperturbabilità da statua di Jizō?

“Allora? Dannazione Kagome, sei tu o non sei tu quella che...quella che...si insomma, quella che ha fatto quel cazzo di test?”

Si fissarono, e prima che lei parlasse, InuYasha sapeva già la risposta.

“Si, sono io che aspetto un bambino.”

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Capitolo 5
*** Chi comincia e chi finisce ***


Sarebbe diventato padre.

Per un attimo InuYasha temette di trovarsi in una di quelle notti terribili, una di quelle notti senza luna quando i suoi poteri demoniaci se ne andavano, lasciandolo debole, perennemente sulle spine, privo di qualsiasi difesa. Poi guardò dalla finestra, era ancora il tramonto ma una falce di luna gibbosa brillava bianchissima tra i grattacieli della città, eppure il senso di disastro incombente persisteva.

Kagome lo osservava di sottecchi, quasi pronta a qualsiasi passo falso lui stesse per fare.

“I-io non so cosa dire.”

“Se non mi credi questa ne è la prova.” Dall'hakama rossa tirò fuori una busta piccola di un bianco opaco e consumato, come se qualcuno l'avesse maneggiata parecchio. “Sono le analisi di un laboratorio. Confermano tutto.”

Quando gliela porse InuYasha si accorse che le mani di Kagome tremavano, e anche se nel sedersi accanto a lui lo fece in maniera composta e quasi impersonale, il sospiro tremulo che le uscì non fu difficile notarlo.

“Come mai non strepiti, sbraiti, o urli? Devi essere più sconvolto di quello che potevo immaginare.”

Come dirle che si sentiva la bocca impastata e la lingua più secca che mai?

“Mi dispiace, Kagome, è tutta colpa mia. Il pre-preservativo si deve essere rotto...”

“Ancora con questa storia del tuo sangue demoniaco?! Se dici di nuovo che hai paura di farmi del male perché temi di perdere il controllo quando non è nei paraggi Tessaiga giuro che ti metto un rosario al collo che non si toglie e ti mando A cuccia! spietatamente.”

“N-non faresti mai una cosa simile.” Perché non riusciva a smettere di balbettare? “E comunque, dovremmo tornare al nostro problema.”

“Problema? È così che lo chiami?” Primo passo falso.

“Avanti, sai cosa volevo dire. Che cosa facciamo? T-tu lo v-vuoi?”

La tristezza nella voce di Kagome era quasi solida, pesante come pietra, no anzi, come una montagna di pietre. “Certo che si. E tu no?”

Cosa avrebbe dovuto rispondere senza ferirla a morte ma rimanendo sincero con sé stesso?

Certo che non lo aveva voluto, era troppo giovane ed aveva appena avviato la sua carriera lavorativa, Kagome stava per dare l'esame da infermiera, e poi la sua famiglia...dei, suo padre sarebbe stato delusissimo, e la madre di Kagome lo stesso, il nonno gli avrebbe lanciato un anatema e Sōta era molto probabile che lo avrebbe sfidato a duello come facevano i veri uomini.

Per settecento anni aveva vissuto una vita selvatica, in perenne contrasto con suo fratello e protetto -forse troppo- dal Generale, fino a Kagome.

Eppure...eppure, con arrendevole stordimento, si rese conto di quanto fosse cambiato con lei vicino. Era maturato più in quei mesi assieme che in tutta la sua vita precedente.

“Non credo che sia più una questione di volere.” Anche la sua mano tremava mentre afferrava quella di Kagome. Per un po' tremarono insieme, fino a che nel conforto uno dell'altra, smisero di farlo diventando un intreccio di dita fermo e saldo.

“Se tu sei con me, io dico che sono pronto a provarci.” Voleva mostrarsi più sicuro di quello che era, ma non era certo di esserci riuscito. “Non ti prometto che sarò il miglior padre del mondo, ma se ci stanchiamo possiamo sempre affidarlo, che ne so, ad Hachiemon.”

Secondo passo falso.

Il bambino non era ancora nato e lui faceva battute su come accollarlo all'amico procione di Miroku. Kagome avrebbe davvero dovuto mettergli un rosario sacro attorno al collo e sbatterlo a cuccia.

Inaspettatamente, invece, si mise a ridere, come non faceva da tempo, notò tristemente.

“Ne sei sicuro?”

“Si, certo. Vedrai che teppistello che tirerò su.”

Kagome si mise a ridere ancora più forte, e lo abbracciò tirandoli le orecchie. “Ma no. Intendevo, se sei proprio sicuro di volere un tanuki come padrino."

 

Non ci voleva molto a capire che Ayame parlasse di Izayoi.

Ci voleva invece molto di più, anche per uno come lui che queste trame le riusciva ad individuare abbastanza facilmente, a capire come il libro di un intellettuale di tre secoli prima che raccontava la storia del Grande Generale Cane e dell'umana sua moglie fosse entrato nelle mire di quella ragazzina.

“Spiegati meglio Ayame.” Questa volta si volse, voleva vederla bene in faccia durante la sua confessione.

“Non volevo fare niente di male, solo vedere come era fatta, dicevano tutti che fosse bellissima.” Lanciò un rapido sguardo di sottecchi al libro macchiato. “Così ho cercato l'unica fonte disponibile per...”

“Per?” Inu no Taishō le sentiva arrivare da lontano, le frasi pericolose.

“P-per prendere solo un piccolo spunto. Riguardo a questo vestito.” Si coprì la faccia con le mani facendo un suono a metà tra un gridolino di vergogna e uno sbuffo esasperato. “Volevo piacerti ma non so portare lo junihitoe così mi sono fatta fare un modello attillato che ti è piaciuto così tanto ma adesso non so se ti piace perché pensi a lei o se ti piaccio proprio io e poi mi è caduto l'inchiostro degli esercizi di scrittura sopra e...”

“Fermati, ti prego.” Di cosa allarmanti in quello sfogo ne stava già facendo una lista, e al contempo i tasselli del puzzle stavano andando tutti al posto giusto finalmente.

La stessa sfumatura di rosa. I piccoli e gentili crisantemi sulle scarpe dal tacco a spillo che tanto lo avevano fatto impazzire.

Avrebbe voluto strozzarla, quella ragazzina. Lei e la sua stramba idea di copiare Izayoi.

Chissà cosa avrebbe pensato, Ayame, se le avesse rivelato che tutte le volte che lo aveva indosso erano stati tra i pochi momenti, paradossalmente, in cui aveva pensato a lei e nessun'altra, neppure alla moglie che ancora amava.

Comunque la questione andava risolta, magari gestita con tutto il tatto di cui era a disposizione, e non doveva avercene molto, perché ci mise ore a convincerla che no, non credeva che fosse una ragazzina patetica, e no, non ce l'aveva con lei per il libro che aveva rovinato.

Certo, la cosa non gli aveva fatto piacere, e un pizzico di irritazione rimase a lungo se ci si soffermava, tuttavia era niente al confronto del sollievo provato sapendo che non ci fosse nessun bambino.

Molto più tardi, riflettendoci, doveva dar credito a Sesshōmaru. I sentimenti avevano avuto sempre la meglio su di lui.

“Ah, quindi provi dei sentimenti per me?”

Osservò languido i loro corpi nudi intrecciati. “Non saremmo qui se così non fosse.” Inclinò il mento per strofinarle la fronte con le labbra. Sapeva di buono. “Due cose ho da chiederti.”

Il fatto che Ayame non aspettasse nessun bambino al momento non rendeva necessario riferirle le parole di Bokusenō -un bambino concepito da due demoni di stirpe diversa porterebbe molto probabilmente alla morte della madre- ma altresì la curiosità ormai destata di sapere la sua opinione in merito doveva in qualche modo soddisfarla. Non le avrebbe mai detto i suoi sospetti ma non c'era niente di male a chiederle se l'idea l'avesse mai sfiorata.

“Dei bambini dici? Certo che ne voglio, sono la nipote del patriarca, ed è mio dovere continuare la mia linea di discendenza. Ma non ora, sono troppo giovane. Voglio girare il mondo, vedere posti nuovi, divertirmi con il mio affascinante sugar daddy e spendere tutti i suoi soldi.” Gli soffiò una risatina dentro l'orecchio per poi scoccargli un bacio divertita.

“Sugar daddy?” Con il minimo sforzò la fece rotolare sopra di sé. “Vuoi dire un ricco e maturo benefattore che si accompagna ad una giovane e bella ragazza facendole regali costosissimi in cambio della piacevole compagnia? È questo che sarei?”

“Più o meno.” Con lente moine e carezze gli fece capire chiaramente quello che era per lei. “E la numero due?”

“Perché hai incolpato proprio Kagome? Hai detto che con lei non me la sarei presa,” le chiese tra un bacio e l'altro.

Gli fece uno strano sorriso. “Vedrai. Lei e InuYasha stanno per farti molto felice.”

 

Rin era malata.

Più questa cosa veniva assimilata nel cervello – e in tutto il resto del corpo- più Sesshōmaru lo credeva assurdo.

Aveva preventivato che lei sarebbe morta molto prima di lui, ma se l'era sempre immaginata vecchia e rattrappita come una bambina, e lui al suo capezzale che le ricordava tutti gli anni che avevano passato insieme. Non questo risvolto insopportabile.

“Che tipo di malattia?” Il gelo nella sua voce adesso aveva tutto un altro tipo di causa, serviva a mantenerlo lucido, freddo, concreto in una realtà, la sua, che stava cadendo a pezzi.

Fece uno sbuffo Rin, come se stessero parlando di cose ordinarie e non del suo incubo peggiore.

“Non importa, se vuoi lasciarmi.”

“Che tipo di malattia?” ruggì. Non contro di lei ma contro il mondo.

“Una specie di anemia. Se non prendo i farmaci e non seguo le regole previste dalla terapia potrei stare molto male.” Sospirò sconsolata, prendendo dalla borsa una cartellina giallastra, minacciosa.

“Quali farmaci? Quali regole?”

Per quanto volesse non riusciva scongelare il blocco che aveva in gola, e si accorse persino lui che il suo tentativo di fare lo stoico della situazione lo stava rendendo esageratamente brutale.

Seduta sul letto, al buio, Rin pareva uno spettro bellissimo ed esausto.

“Devo prendere delle pillole e seguire una dieta particolare, mantenere un certo tipo di stile di vita e fare delle visite ogni tanto. Più altre cose che ti annoierebbero. Strano, pensavo che a questo punto della storia ti avrei visto quello sguardo in faccia.”

Quando lui alzò un sopracciglio per chiedere maggiori spiegazioni continuò: “Sai, quella smorfia che fai quando incontri qualcuno di debole. Tu odi la debolezza. Ecco perché non ti ho detto niente. Volevo stare con te il più possibile prima che venisse fuori la verità e tu mi vedessi per quella che sono, una misera umana dalla salute cagionevole e malandata.”

Sesshōmaru si sedette accanto a lei sul letto freddo.

“Si, è vero.” Doveva cedere, almeno un po'. “Odio la debolezza. Ma la debolezza di cui parlo io non è la tua debolezza. Io non le ho mai confuse, e neanche tu dovresti. E non sei patetica, né misera, perciò non dirlo più.”

Lo aveva fatto sembrare quasi un ordine brutale, tuttavia sotto sotto, molto sotto, la dolcezza di quel commento si notava benissimo, tanto che a Rin colò una grossa e lucida lacrima dritta sulla punta del naso.

“Non hai intenzione di lasciarmi quindi? Anche se sono triste ed acciaccata?”

“Non dire sciocchezze.”

Avevano la mani unite ora.

Questo era tutto? Non sarebbe sparita dalla sua vita, uccisa da una malattia letale più veloce dello scorrere del tempo?

“Rin, ascoltami bene. Devo sapere tutto, anche le altre cose che mi annoierebbero.” Gli orari della somministrazione delle pillole, i cibi che avrebbe dovuto mangiare e quelli che sarebbero spariti dalla loro cucina, voleva conoscere ogni cosa che l'avrebbe aiutata a stare il meglio possibile.

Aveva la netta sensazione di qualcuno che stia iniziando un lungo e difficile percorso, ma in fondo lui, nelle battaglie, dava sempre il meglio.

 

“Sai che sono dovuta uscire per riprendermi quando ho letto quel tuo schifoso biglietto?”

Sango era furiosa. Se avesse avuto un'arma, tipo uno di quei giganteschi boomerang fatti di ossa di demoni che si usavano per esempio nell'epoca Sengoku, probabilmente ora sarebbe in ospedale.

“Posso almeno spiegare?”

“Fallo pure, tanto le le cose non cambieranno.”

Miroku decise per il momento di sorvolare su quella frase minacciosa, l'importante adesso era che Sango comprendesse i motivi dietro al suo gesto.

“Senti, ammetto che non è una scusante, ma tu sai del mio passato, no? Mio padre è morto davanti ai miei occhi, dei, quell'immagine ancora mi perseguita.” Cercò di scacciare il ricordo di quel giorno terribile. “Il maestro Mushin ha fatto quello che poteva per me, insegnandomi tutto quello che sapeva, nel bene e nel male.”

Dalla faccia di Sango poteva quasi intuire che vedesse solo il secondo aspetto in lui.

“Non so come sia un padre vero. Come ci si debba sentire ad avere una tale figura. Di conseguenza non ero certo di saperlo fare io.”

“Ormai non ha più importanza.”

Era talmente sopraffatto da non accorgersi che la ragazza aveva preso delle borse, e ci stava mettendo delle cose dentro. Per la precisione ci stava mettendo i suoi indumenti.

“Voglio che tu te ne vada. Tra noi è tutto finito.”

“Non puoi dire sul serio. Se mi dai una seconda opportunità prometto che non ti deluderò più. Farò dei corsi, vedrai, uno di quelli per diventare il padre perfetto che cambia pannolini e si alza di notte quando il bambino ha fame. Te lo giuro.”

Sperava di cavarsela buttandola sul ridere, in passato aveva funzionato.

Ma non questa volta. Sango non rideva affatto. Un'ora dopo, con le valigie gonfie e mal chiuse usciva da quella casa.

Non ci sarebbe più tornato.






Vorrei ringrazire tutte le persone che hanno messo questa storia tra le recensite e le seguite, mentre un impeto d'adorazione è d'obbligo verso chi ha lasciato una recensione, siete stati gentilissimi e tanto dolci.
Voglio inoltre fare un breve disclaimer sulla malattia di Rin: io non sono un medico, e sono rimasta volutamente sul vago per evitare di incorrere in qualche inesattezza. Se così invece fosse stato, me ne scuso.

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Capitolo 6
*** Da ora in poi ***


Jakotsu afferrò uno dei drink che un gentile- e affascinante- cameriere stava facendo girare tra gli ospiti.

Inu no Taishō aveva fatto le cose in grande. Certo, la festa era per la piccola Moroha, ma ognuno sapeva, data la situazione, che in realtà si era colta l'opportunità di celebrare in anticipo, in qualunque modo fossero andate le cose, anche il fatto che presto sarebbe nato il terzo erede del potente Demone Cane.

Persino da lontano poteva vedere come Ayame sprizzasse, nonostante i suoi problemi, felicità da tutti i pori, sia mai che qualcosa o qualcuno potesse rovinare il suo ottimismo.

Diciamo che sacrificarsi mettendo al mondo un marmocchio rischiando la vita durante il parto non era da tutti.

Però lei era Ayame. Testarda come poche, e competitiva a livelli stratosferici. Sì, la sua amica in ogni forma di rivalità dava sempre il massimo.

Nutro tutto il rispetto possibile per Izayoi, tuttavia io non sono da meno. Inoltre se dovessi morire voglio che sappiano tutti in Giappone, ma che dico, nel pianeta, che il Generale era innamorato di me. Anzi sottoscrivo, innamoratissimo.

L'episodio del vestito e del libro macchiato era da anni che girava tra gli amici e famigliari, ma quella si sarebbe rivelata solo la punta dell'iceberg.

Distrattamente Jakotsu si rigirò tra le mani il libro dai colori accesi comprato quel pomeriggio. L'acquamarina intenso dei laghi nordici e il bianco latte delle montagne innevate simile alle pellicce dei due protagonisti, il rame rosato dei capelli di lei e il giallo margherita degli occhi di lui.

Bleah, soldi buttati, rimpianse con un sospiro sconsolato, neanche uno squartamento.

Jakotsu era sicuro che quella spavalda della sua amica non si sarebbe mai permessa di pubblicare un romanzo illustrato- “si chiama interattivo, Jakotsu, usa le parole giuste”- sulla “tragicissima” storia d'amore di un potente Demone Cane dell'Ovest e la giovane lupa del Nord se non fosse stata nelle condizioni in cui si trovava, e per essere in pericolo di vita ci marciava parecchio, la piccola intrigante. Ayame sì che ci sa fare, sono così orgoglioso di lei.

Seduta su una sdraio in giardino con accanto il Generale che non la lasciava un attimo non faceva altro che strofinarsi con fare materno la pancia gonfia come un acino maturo -e pensandoci Jakotsu trangugiò tutto in un sorso l'intero bicchiere di liquore, già le donne lo irritavano, quelle incinte era pure peggio, era lì solo per il cibo gratis e perché ad Ayame ci teneva- eppure anche lui poteva notare una specie di patina triste nell'atmosfera creatasi tra i due, una specie di foschia nera e minacciosa, come una torta bellissima e buonissima in cui è nascosto un sottile ma denso strato di ingrediente amaro.

Stupidi idioti, guarda che si fa per amore.

Qualcosa di inquietante e minaccioso che pareva non aleggiare più finalmente tra altri due ospiti che avevano flirtato battibeccando da ore.

Veramente, se proprio si doveva essere sinceri, erano anni che tra un bisticcio e l'altro Sango e Miroku si stavano riavvicinando, dopo un post-rottura gelido, quasi inquietante, che aveva gettato il gruppo di amici in un'atmosfera tesa e assurda con Sango che specialmente nei primi tempi, al minimo segnale della presenza del bonzo spariva dalla circolazione con un muso lungo che aveva depresso Jakotsu come non mai.

La stessa scema che poi, non contenta, dopo pochi mesi aveva accettato il corteggiamento di un damerino riccastro figlio di un nobile, un certo Kuranosuke del clan Takeda, o meglio detto “naso che cola”, mettendocisi insieme a dispetto di tutto.

Una volta che la notizia si era diffusa, con gli altri ragazzi aveva dovuto raccattare Miroku in una di quelle bettole malfamate completamente sbronzo, al verde e con la faccia tumefatta dopo averle prese dal fidanzato di una ragazza che aveva corteggiato per dimenticare le sue sventure.

Lasciatemi al mio destino, senza Sango non merito di vedere altri giorni di glorie.

Ovviamente non era durata a lungo con “naso che cola”, ma solo allora Jakotsu e gli altri avevano scoperto quanto l'orgoglio di Sango fosse difficile da scalfire; non era una che dimenticava facilmente, soprattutto un torto così grave.

Le ostilità erano durate per mesi e mesi, e quando stremati tutti loro si erano rassegnati all'impossibile ritorno di fiamma, contro ogni ragionevolezza alla fine lo aveva perdonato, non si sa bene come. I dettagli pareva non conoscerli nessuno, nemmeno Kagome che era la sua migliore amica, senza contare il fatto che Sango fosse notoriamente molto schiva su certi aspetti della sua vita privata, tuttavia era trapelato che si fossero inavvertitamente incontrati durante una disinfestazione, e Miroku le avesse salvato letteralmente la vita rischiando la sua.

Adesso faticosamente, rumorosamente -si sentiva da lontano che lo stava rimproverando per un'occhiata di troppo ad una delle cameriere del catering- ci stavano riprovando, andando a convivere nella nuova casa adibita per il custode del tempio buddista in cui quel disgraziato di bonzo lavorava.

Annoiato Jakotsu afferrò ben due drink questa volta, nella speranza di ubriacarsi presto.

Trasudava invidia, e non aveva senso negarlo.

Sono tutti così smielatamente felici. Perché anche io non incontro un bel fusto tutto per me?

Persino Rin, che negli ultimi quattro anni aveva passato l'inferno, adesso invece brillava di luce propria al tavolo del buffet, dove stava ben attenta a non mangiare troppi dolci con cioccolato o latte se non voleva poi collassare tra le braccia muscolose di quel figo del suo ragazzo.

Il sospiro sconsolato di Jakotsu probabilmente lo sentirono anche le intrattenitrici dei bambini che stavano insegnando come fare gli origami, laggiù in fondo all'enorme parco della villa del Generale.

Rin aveva tutte le fortune!

Certo, era una donna -e già questa era una disgrazia in se- ed era pure malaticcia, ma dormire tutte le notti con uno come Sesshōmaru avrebbe compensato tutto.

Ogni volta che si incontravano insieme al gruppo, al Caffè in centro, non faceva altro che dire quanto magnifico e paziente lui fosse, quanto l'avesse aiutata a gestire la sua nuova condizione, e adesso, che sembravano aver trovato la terapia più giusta per lei, avevano intenzione di sposarsi prima possibile. Non c'era giornale o rivista di gossip che non parlasse di loro.

L'unico inconveniente era, a detta di Jakotsu, che si sarebbe ritrovata come suocera quella fredda demone cane, la prima moglie del Generale.

Ricordandola gli venivano i brividi, sapeva solo che viveva in una specie di lussuosa e antica dimora nella parte più abbiente della capitale, da cui non si spostava quasi mai -per la grande gioia di Ayame che non la sopportava quando veniva a trovare il suo ex maritino- tuttavia era da giorni che circolava alla villa, segno di una probabile festa di fidanzamento molto vicina.

Ora mi tocca fare il grande sacrificio. Dai Jakotsu, se ce la metti tutta sarà rapido e indolore, pensò lo spadaccino.

Non sopportava i bambini, mica era come suo fratello Suikotsu, e non sopportava specialmente quelle mocciose intelligenti come la piccola Moroha. A quattro anni era la copia sputata del padre però con un briciolo di di furbizia in più, sicuramente ereditata da Kagome. Una piccola pestifera fissata con i soldi, viziata da tutti in famiglia, e con una ridicola passione per i draghi. Jakotsu era sicuro che il drago di peluche rosso che le aveva comprato le sarebbe piaciuto tantissimo.

Avvicinandosi alla festeggiata si accorse con uno sbuffo melodrammatico che no, il suo peluche non avrebbe fatto colpo, o almeno che non avrebbe retto il regalo che le stava facendo lo splendido nonnino che si ritrovava.

“Si chiama beni, ti servirà se ti trovi nei guai, piccola.”

Il Generale, accovacciato con quello scricciolo di Moroha tra le braccia, le stava porgendo una conchiglia bianchissima, dal duro aspetto delicato.

“C'è dentro un drago?”

“Non proprio.” Quando Inu no Taishō sorrideva in quel modo a Jakotsu i livelli d'invidia per Ayame salivano alle stelle. “Però dentro potrai trovare qualcosa che farà diventare te forte come un drago.”

“Davvero?” Gli occhi della mocciosa praticamente emettevano luce mentre lo annusava. “Odora come quando mi taglio cadendo dalla bicicletta.”

Il Generale annuì dolcemente divertito. “Brava la mia bambina. È il mio sangue, il nostro sangue. Da grande capirai. Sei contenta?”

Contenta era dire poco. Pendeva dalle sue labbra, mentre Jakotsu era lievemente schifato. Ma che razza di regalo era?

“Nonnino, anche io devo farti un regalo. La signora laggiù mi ha fatto gli auguri e poi mi ha detto di dirti una cosa importante, ma proprio importantissima.”

Sia Jakotsu che il Generale seguirono il piccolo indice di Moroha, verso una parte di giardino particolarmente in ombra piena di alberi fitti che si stagliavano scuri, irreali, protettivi.

“Guarda ragazzina che lì non c'è nessuno.” Jakotsu si trattenne dallo sghignazzare.

“Ma si, non la vedete? È una signora bellissima. Però sembra un po' triste, nonnino.”

“La signora cosa ti ha detto?” Il Generale aveva uno strano sguardo, pieno di malinconica aspettativa.

“Tsz.” La piccola Moroha si grattò la testolina scura tanto simile a sua madre. “Tu devi vivere. Devi vivere a lungo e bene insieme ad InuYasha.”

Fece un sorriso di conferma verso quelle ombre vuote, che si dondolarono delicate nel vento quasi annuendo. “Hai visto, ho detto tutto giusto al nonnino.”

Jakotsu non ci aveva capito niente, ma evidentemente il Generale sì, perché abbracciò la nipote scompigliandole i capelli: “Anche se in te scorre sangue di demone possiedi la capacità di inoltrarti nel mondo spirituale come tua madre. Dì alla signora gentile che mi manca ogni giorno, ma che farò come dice, d'accordo?”

Nel frattempo vennero raggiunti dagli altri, e in poco tempo ci furono urla, schiamazzi, auguri per la bambina, e in particolare Ayame che si buttò tra le braccia del Generale sussurrandogli una frase non udibile da nessuno tranne Jakotsu che adorava fare l'impiccione: “Non temere, non ti libererai tanto presto di me. Andrà tutto bene.”

 

Fatemi ringraziare con tutto il cuore chi ha messo tra le preferite e le ricordate questa storia piccola e leggera, mi ha fatto un piacere immenso.

A chi l'ha recensita non posso dire grazie, sarebbe troppo poco, siete persone speciali, gentili, e che capite cosa vuol dire spendere tempo per scrivere anche una storia piccola e leggera.

Poi, ho due disclamer da fare:

primo, mi sono ispirata, per il libro di Ayame, ai quei piccoli gioielli illustrati che sono le favole della IppoCampo Edizioni, in particolare una delle ultime uscite, La Sirenetta e altre storie che mi ha ispirato per la trama dolceamara della coppia che preferisco e amo in assoluto nonostante sia nonsense evvabbé;

secondo, fate sesso sicuro. Non mi dilungherò per non farvi un pippone di cui non avete bisogno, ma se la scuola o la vostra famiglia non vi ha dato abbastanza risposte su questo importante argomento, allora cercatelo sui libri di testo, nelle biblioteche, su internet (ma state attenti alle fonti), insomma abbiate cura di voi

 

Grazie ancora per tutto il sostegno

 

bimbarossa

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