Rosemary Blake

di Scu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO 

È il sette luglio per la prigione “Curtis” di New York, un giorno come gli altri, l cielo era terso di nuvole, il sole scaldava coi suoi forti e luminosi raggi, come la mattina precedente e come lo sarebbe stata la futura: tutto era mortalmente ordinario. Peccato che in quel preciso momento qualcosa stava per accadere, qualcosa che avrebbe risvegliato gli animi sopiti delle guardie poste dinanzi il carcere, carcere che ospitava l’assassina più pericolosa degli ultimi decenni: Rosemary Blake. 

Il penitenziario stava per chiudere, poiché non più gestibile economicamente, quindi ogni carcerato lì residente andava traferito: oggi toccava proprio a Rosemary, l’ultima, nonché più temibile, criminale presente ancora lì. Occuparsi esclusivamente di lei avrebbe aumentato le possibilità di un riuscito tramutamento senza intoppi o fughe: tutti gli occhi erano su di lei. 

La paura di farsela sfuggire era tanta: Rosemary era troppo pericolosa, permetterle di camminare libera tra la gente comune avrebbe voluto dire caos. 

Un silenzio tombale aleggiava nell’aria, ma se si faceva attenzione, se si volgeva l’orecchio verso i poliziotti, si poteva udire il loro cuore che batteva forsennato come in cerca di una scappatoia. Armi di ogni tipo saldamente tenute tra le mani dei cosiddetti, in allerta. 

Un passo falso, uno sparo. 

Passo decisi, e una chioma rosso fuoco sbucò dall’ombra dell’uscita: la criminale fece il suo ingresso. 

Un furgone della polizia era posto un po’ più avanti, con tre macchine al seguito. 

Rosemary Blake cominciò a guardarsi intorno con noia, mentre chi era lì presente sembrava in attesa di vederla scappare, come se in qualche modo se lo aspettassero.  

Occhi vigili su di lei, su ogni suo movimento: Rosemary ghignò e volse lo sguardo al cielo limpido. 

“Da troppo tempo ho atteso il momento in cui avrei potuto guardare questa immensa volta celeste senza le sbarre ad ostacolarmi la visuale, e finalmente ci sono riuscita... non siete felici per me?”  

Uno smagliante sorriso prese forma sul suo volto, un’ingenua innocenza da bambina traspariva dalla sua esile figura. 

“Come non mai Blake, ma fossi in te me lo godrei: stai per essere sbattuta in una fottuta e putrida cella lontana da qui.” 

Quella risposta costò caro al poliziotto, colui che affiancava la prigioniera: venne immediatamente colpito da un calcio che lo fece rovinare a terra e tossire convulsamente, fino a quasi sputare sangue. 

Rosemary fu in un attimo dopo placcata e gettata tra la polvere con un piede premuto sulle mani ammanettate dietro la schiena per impedirle un qualche movimento: a prima vista non sarebbe riuscita ad alzarsi... ma mai dubitare della rossa. 

Prese a ridere di gusto mentre girava la testa verso il poliziotto che la teneva a terra: un riccio le copriva l’occhio di un verde smeraldo. 

Il capitano Brooks ricambiò a sua volta lo sguardo, nonostante la confusione dovuta alla reazione di lei. 

Quello fu l’inizio della fine, bastò quell’istante, anzi, quegli occhi a distrarlo, facendogli allentare leggermente la presa sul suo corpo, ma abbastanza per farla scattare in avanti con un piede e rialzarsi.                                                                                                                                                                                                                                                       Rubò la pistola ad una delle guardie lì presenti, colpendola alla gamba subito dopo; fece lo stesso con altre tre, che caddero a terra urlanti per il dolore. 

I loro compagni andarono a soccorrerli chiamando in preda al panico delle ambulanze.                                                                                                                                               Matt Brooks fu l’unico a rimanere vicino la ragazza, guardando con rimprovero i suoi sottoposti che avevano anteposto la cattura della criminale affidata loro: mai abbassare la guardia, l’aveva imparato a sue spese proprio nel momento in cui si era fatto ammaliare da quegli occhi dal colore magnetico, nonostante non fosse uno sbaglio tipico di lui... di solito.                                                                                                                                                                                                                                                        Lui, conosciuto per la sua forza e tenacia, per il suo freddo autocontrollo e lo sguardo calcolatore, non era arrivato fin lì per poi farsi distrarre con una tale semplicità. 

La riccia puntò la pistola anche su di lui, premendo la mira in direzione della tempia: uno sparo e sarebbe morto sul colpo, e non poteva permetterselo, non sarebbe morto quel giorno, non così. 

Quella determinazione lo risvegliò da quell’aggroviglio di pensieri: anche Matt puntò la pistola, ma in direzione del suo petto. 

Una scintilla di sfida brillava nello sguardo di lui, un ghigno prendeva forma sulle labbra di lei, quasi a invogliare il poliziotto a fare la prima mossa.                                         Due spari partirono in contemporanea. 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO 1 In quel preciso istante, l’attimo prima dello sparo, Rosemary sentì il bisogno di piangere: un magone le si era formato alla gola, delle lacrime si erano formate agli angoli degli occhi, una aveva solcato anche il suo viso. Tremava leggermente, ma non sapeva se per paura o perché dei brutti ricordi che credeva di avere ormai dimenticato, avevano cominciato a farsi largo nella sua testa, sgomitando la sua lucidità. Quando aveva premuto il grilletto, sentiva di non essere pienamente cosciente di ciò che intorno a lei accadeva: vedeva il poliziotto accasciarsi dopo essere stato colpito al petto, vedeva i poliziotti e i paramedici soccorrerlo... senza vederlo davvero. Era rimasta immobile, lì, nonostante il dolore alla spalla che sanguinava copiosamente. Voleva urlare e piangere, aveva bisogno di aiuto, un aiuto che non meritava, eppure lo meritava, perché anche lei era umana quanto lui, soffriva quanto lui, e aveva paura quanta ne aveva lui. Cercava di attirare la loro attenzione con lo sguardo, perché quel magone dolorante le impediva di parlare, senza successo alcuno. Non doveva puntare quella pistola, lo sapeva, sapeva cosa comportava, ma nonostante tutto, aveva ceduto, ceduto a quel maledetto, ma bellissimo sguardo lanciato da quel poliziotto da quattro soldi: se solo fosse scappata come faceva sempre, come la vigliacca che era. Lei non commetteva omicidi a suon di spari e proiettili, no, lei uccideva di soppiatto, in silenzio: coltellino svizzero nella mano, e il collo della vittima nell’altra; un taglio netto alla giugulare e via fuggendo nell’ombra... come una codarda. Le fitte aumentavano sempre di più, tanto che non potè trattenere un gemito di sofferenza. Si toccò la spalla con la mano, che in un attimo si macchiò completamente di sangue denso e caldo: la ritrasse di scatto. Cominciò a sentire i suoni più attutiti, la vista diventò sfocata, non sentiva più le gambe, e la percezione della realtà cominciò a scemare. A lei si avvicinarono una dottoressa ed un infermiere di cui non riuscì ad individuare nulla se non il bianco sgargiante delle loro divise. La dottoressa urlò al ragazzo di portare in fretta una barella, poi si rivolse a lei, dicendole cose che Rosemary non comprese per nulla, poiché anche i suoi singhiozzi non le permisero di sentire quel poco. Fu aizzata di peso e trasportata in un’ambulanza, o almeno lo credeva, perché svenne poco prima di salirci; ebbe solo il tempo di poter notare come Matt la stesse guardando quasi come se fosse preoccupato per la sua vita, come se lei fosse importante. Sorrise. Risvegliarsi in quell’ambiente tinto completamente di bianco, era stato traumatico per la rossa. La quale non aveva mai avuto a che fare con gli ospedali più del necessario. Le bastò appena qualche minuto per rendersi conto di essere completamente sola in quella stanza, nonostante ebbe modo di notare una guardia appostata al di fuori, e che era ormai il tramonto. Si trovava una tenda davanti alla finestra, però, che non le permetteva di godersi al meglio quello splendido spettacolo che la natura le stava propinando, desiderava tanto alzarsi in quel momento per poter rimediare al danno che quel tessuto stava causando lei. Avrebbe tanto voluto farlo, ma appena provò ad alzarsi, una fitta partì dalla spalla e le corse per tutto il braccio, e la testa prese a girare, facendola cadere con un tonfo sul materasso e digrignare i denti per il dolore: niente da fare, le toccava ammirarlo in questo modo. Rimase incantata pensando a nulla e a tutto per un bel po’, non badando a fatto che fra quel niente e ogni cosa fossero spuntati gli occhi ghiaccio del capitano; finché un’affabile infermiera fece il suo ingresso, bussando prima sulla porta per attirare la sua attenzione: venne anche a lei voglia di essere gentile con lei, ma il suo brutto carattere e la voglia pari a zero di fare qualsiasi cosa non fosse respirare, resero impossibile farlo. “Come ti senti?” Posò il vassoio che aveva tra le mani sul comodino, e poi prese a sistemarle leggermente le coperte per fare in modo che fosse coperta al meglio. Si sentiva a disagio a ricevere tutte quelle attenzioni da parte di una sconosciuta; le fece piacere, poi si ricordò di come la donna non stesse facendo altro che il suo lavoro, e si arrabbiò. “Come se mi avessero sperato”. Sperò con tutto il suo cuore percepisse l’acidità che strabordava da ogni suo poro, voleva che sapesse fosse infuriata con lei in quel momento. Finì col mettere il broncio, proprio come una bambina. L’infermiera, contro ogni suo prognostico, cominciò a ridere, lodandola per la sua simpatia. Forse non aveva capito che Rosemary non era mai stata seria di come lo era in quell’istante. Rise anche lei alla fine, ma solo perché le faceva pena; e perché tanto arrabbiata con lei non era, in fondo: le calzava a pennello quell’impiego, alla fine. L’aveva anche aiutata a mettersi seduta, azione in cui lei aveva fallito in partenza. “Bene, qui c’è la cena. Se ha bisogno, sono nella stanza a fianco, ma tanto passerò fra un’oretta per l’antidolorifico.” La ragazza stava per aprire la porta e varcare la soglia, quando venne fermata da Rosemary stessa: “Aspetti!” Lei si girò un po’ confusa, e anche la riccia lo era: aveva solo pensato di chiederle chi fosse la persona della stanza accanto, per avere conferma ad un piccolo presentimento nato in un momento in cui aveva abbassato la guardia. “Ehm... chi è la persona che deve visitare della stanza di fianco?” La caposala alzò un sopracciglio, più interdetta di prima; anzi, si poteva dire che fosse sospettosa adesso. “Perché me lo sta chiedendo?” “Pura e semplice curiosità.” Mettendo in mostra il sorriso più angelico e per nulla colpevole, che possedesse. Contagiò un po' anche la donna, che le diede la risposta che cercava: era lui. “Matt Brooks, immagino lei lo conosca: sto andando a sistemargli la camera.” Fu Rosemary ad essere sospettosa in quel momento: perché dirle la verità? Sapeva chi avesse di fronte, giusto? Diede per scontato una risposta positiva, poiché il poliziotto che si era stanziato dinanzi la sua porta, e che si guardava intorno guardingo, non lasciava alcun dubbio. Decise comunque di non dimostrarsi in alcuna maniera felice per la notizia, poiché era strano e non voleva ammettere ad anima viva che l’idea di incontrarlo, anche solo per salutarlo, non era così malvagia. “La ringrazio”. L’infermiera ricambiò con un accenno del capo, e se ne andò. Rimasta di nuovo sola, si accorse che ormai era notte: si era persa quel magnifico tramonto che tanto agognava osservare, e avrebbe dovuto attendere un altro giorno per poter avere di nuovo la possibilità di mirarlo. Pensò che fosse il caso di mangiare quella cena insipida e di dubbia consistenza prima che si freddasse e diventasse ancora più immangiabile di quanto già sembrasse. Fissare lo schermo nero di quella piccola televisione, la stava deprimendo, ma più che altro, le faceva pensare che a meno di qualche metro da lai, con solo un muro a dividerli, ci fosse quel poliziotto che diceva di non sopportare, ma cui stava occupando fin troppo la sua testa: avrebbe finito per dire di essere quasi innamorata di lui, se continuava su questa strada la quale non avrebbe portato a nulla di buono. Accese il televisore, facendo zapping fino ad arrivare ad un canale di programmi per bambini: un’altra cosa da non ammettere ad anima viva, era rivelare quanto le piacesse guardare cartoni poiché la rilassavano: se non fosse stata tutto quel tempo in prigione, avrebbe anche saputo dire che cartone animato fosse quello, talmente il tempo che ci passava. Il piatto era ormai stato svuotato, dal momento che aveva ingurgitato tutto per semplice spirito di sopravvivenza; lo schermo stava ancora proiettando un programma con immagini colorate e animali parlanti; in realtà aveva smesso da tempo di guardare la TV: l’intonaco bianco della parete alla sua sinistra attirava molto più il suo interesse. Si udì un lieve bussare alla porta che la fece trasalire: fu un effetto immediato quello di prendere il telecomando e premere il tasto di spegnimento: aveva una dignità da mantenere. “Ciao, sono di nuovo io: ti portato le pillole cui ti avevo accennato.” “Oh, certo... grazie mille.” Alzò l’angolo della bocca in maniera così impercettibile, che neanche lei se ne accorse. “Ecco, ti ho anche portato una bottiglia d’acqua, nel caso tu abbia sete stanotte.” Sentiva la gola leggermente secca in quel momento, nonostante non fosse perché avesse bisogno di bere. Sperò fosse un’allucinazione, ma la persona che si era fermata di fronte alla finestra che dava sul corridoio, sembrava proprio Matt, o più precisamente, lui su una barella: stava bene, giusto? “Un proiettile nel petto è molto più difficile da estrarre di uno conficcato nella spalla; l’operazione è delicata, e richiede tempo e attenzione: ma ora sta bene, come puoi vedere.” Come aveva potuto sparargli al petto? Cosa stava pensando in quel momento? “Io non volevo...” “Come scusi?” “Non volevo fargli del male, glielo giuro... Loraine.” Lei prese a fissare la riccia, nel frattempo pressoché in lacrime, e le fece tenerezza. Sapeva chi era e cosa aveva commesso, ma si sentiva in dovere di rassicurarla; tra l’altro le sembrava completamente diversa dalla spietata criminale di cui aveva sentito parlare fino a quel momento; aveva davanti ai suoi occhi una persona diversa: volle fidarsi. “Il peggio è passato, non pensarci più.” Soltanto una bambina impaurita ed indifesa, ecco chi le sembrava Rosemary.

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