Figli della guerra di Roxanne Potter (/viewuser.php?uid=115588)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Victoire Weasley - A different kind of bravery ***
Capitolo 2: *** Dominique Weasley - Why do all the monsters come out at night? ***
Capitolo 3: *** Louis Weasley - Beauty in peace ***
Capitolo 1 *** Victoire Weasley - A different kind of bravery ***
Victoire
Weasley – A different kind of bravery
La piccola
Victoire Weasley adora
prendersi cura dei fiori e delle piante di Villa Conchiglia.
È un
modo piacevole di passare il tempo quando non ha voglia di giocare
con i suoi fratelli e le permette di fare contenta sua madre, che da
mesi cerca senza alcun successo di convincere Dominique a dare una
mano in casa – “Hai nove anni, Nique,
dovresti iniziare a fare
almeno il minimo indispensabile!” –
ricevendo in risposta
solo smorfie e “no” secchi da
parte della bambina.
In
quel torbido pomeriggio di luglio,
Victoire ha finito di annaffiare le piante sul balcone della camera
dei genitori e ora si ritrova seduta seduta sul bordo del letto
matrimoniale, a sventolarsi addosso un ventaglio color porpora
recuperato dall'armadio. Le piacerebbe raggiungere sua madre in
giardino per darle una mano, ma la calura estiva è diventata
insopportabile e sta avendo la meglio sulle sue energie.
Victoire
sbuffa e si scosta una ciocca di
capelli biondi dalla fronte sudata. Mentre continua a farsi aria col
ventaglio, il suo sguardo si posa sul comodino accanto al letto. Il
ripiano è ricoperto di oggetti che lei conosce bene; una
fotografia
incorniciata del matrimonio dei suoi genitori, un paio di collane di
conchiglie colorate create a mano da Dominique, una piuma d'aquila e
una boccettina di inchiostro.
Si
sente pizzicare da un'improvvisa
curiosità; non ha mai aperto i cassetti di quel comodino e
non ha
idea di cosa sia contenuto al loro interno. Esita un attimo,
consapevole che forse non dovrebbe mettersi a ficcare il naso tra le
cose dei suoi genitori, poi scaccia via quel pensiero, si alza e
spalanca il primo cassetto.
All'interno
trova solo una pergamena
impolverata sulla quale sono poggiate due grosse monete. Le raccoglie
e le esamina; la prima è dorata e riporta lo stemma del
Regno Unito.
Sulla seconda, fatta di argento splendente, è inciso lo
stemma della
Francia.
Victoire
poggia le monete sul comodino e
prende la pergamena, spazzando via lo strato di polvere che lo
ricopre. In cima al foglio capeggia lo stemma del Regno Unito,
seguito da una scritta vergata in un elegante corsivo, l'inchiostro
nero sbiadito dal tempo ma ancora leggibile.
Il
Ministero della Magia Britannico conferisce tale medaglia al valore a
Fleur Isabelle Delacour in Weasley, per aver coraggiosamente preso
parte alla battaglia di Hogwarts tenutasi in data 2 maggio 1998
Kingsley
Shacklebolt
5
agosto 1998
Con mani
tremanti, Victoire fa scorrere
un dito sul foglio, incurante dei grumi di polvere che le sporcano il
polpastrello. Guarda le due medaglie posate sul comodino e dentro di
lei si agita un'emozione indefinita, un misto di orgoglio e di
tristezza.
Fin
da piccola, Victoire ha sentito parlare della guerra come se le sue
ombre non fossero mai del tutto sparite dal mondo.
Quelle ombre sono nelle pallide cicatrici che solcano il viso di suo
padre, nella triste storia che sua madre le ha raccontato sui
genitori di Ted, nelle vecchie foto dove suo zio George ride
spensierato in compagnia del gemello perduto.
Eppure
lei ha sempre pensato che i veri eroi di quegli eventi così
lontani
dalla sua realtà fossero stati i suoi zii, Harry, Ron e
Hermione, i
cui nomi sono sempre sulla bocca dell'intera società magica.
Victoire ha sempre saputo che anche i suoi genitori avevano
partecipato a quella famosa battaglia finale, ma mai aveva immaginato
che sua madre fosse stata premiata per questo...
-Qu'est
ce que tu fais, chérie?
Victoire
sussulta e si volta; sua madre è in piedi sulla soglia della
porta,
i capelli raccolti in una coda alta e un grembiule bianco legato in
vita. Il sollievo la investe quando si rende conto che Fleur le sta
sorridendo, senza alcuna traccia di fastidio per averla scoperta a
rovistare tra le sue cose.
-Scusa,
mamma, stavo solo curiosando un po'.
Fleur
si avvicina e si siede sul letto, lanciando un'occhiata alla
pergamena che la figlia tiene tra le mani.
-Non
mi avevi mai detto che avevi ricevuto una medaglia al valore per aver
combattuto in guerra!- esclama Victoire, prima di sedersi accanto a
lei. -Anche papà ne ha una, vero?
-Già.-
Fleur annuisce. -Lui ne ricevette una, io ben due. Sia dal Ministero
della Magia inglese che da quello francese.
-Wow.
Victoire
si sente un po' in colpa per l'entusiasmo che sta mostrando; in
fondo, stanno parlando di una guerra che ha lasciato dietro di
sé
decine di morti, tra cui suo zio Fred e i genitori di Ted, il suo
migliore amico.
Torna
a guardare la pergamena e dice; -Due maggio... la battaglia
è
avvenuta il giorno del mio compleanno. Che coincidenza, eh?
-È
proprio per questo che ti abbiamo chiamata così, chérie.-
Fleur
allunga una mano per accarezzare i lunghi capelli della figlia.
-Victoire, vittoria. Sei nata nell'anniversario
della nostra
vittoria, della nostra liberazione da tutto quel male.
Fleur
non aggiunge altro; si limita a guardarla con i suoi occhi dolci,
come se lei fosse la cosa più importante e preziosa
dell'universo.
Per
la prima volta nella vita, Victoire si sente investire da uno slancio
di feroce orgoglio al pensiero di essere figlia di eroi di guerra e
di portare un nome così bello e importante.
Perché
questo significa che, nonostante tutte le perdite e tutto il dolore
subito, la sua famiglia ha visto in lei il trionfo della luce, il
rifiorire della vita, una rosa che sboccia dalla polvere e dalle macerie
del passato.
-È
una cosa bellissima.- mormora, mentre delle lacrime di commozione le
pizzicano gli occhi. Poggia la pergamena sul cuscino e si avvicina a
sua madre per abbracciarla, in uno di quegli slanci di affetto che
per lei sono sempre stati così naturali dopo essere
cresciuta
circondata dal calore e dall'attenzione di innumerevoli parenti.
Fleur
ricambia con forza l'abbraccio e Victoire sente di essere davvero,
almeno per sua madre, la cosa più importante e preziosa
dell'universo. In questo momento non ci sono le ombre del passato a
incombere sulle loro spalle, non c'è la tristezza per le
vite perse
e distrutte; ci sono solo la luce del presente e la promessa di un
futuro libero e felice.
-Tu
e papà siete stati così coraggiosi.- dice
Victoire, scostandosi da
Fleur e guardandola con un ampio sorriso. -Pensi che saresti stata
anche tu una Grifondoro, se fossi andata a Hogwarts?
-Penso
di sì.- Fleur si stringe nelle spalle e accenna un sorriso.
-Certo,
ho sempre pensato che il sistema delle Case fosse un'idea un
peu stupide,
ma non mi sarebbe
dispiaciuto essere a Grifondoro o Corvonero.
-Secondo
me saresti stata benissimo a Grifondoro. Voglio dire, sei stata
l'unica ragazza a partecipare al Torneo Tremaghi, no? Sai, anche io
vorrei essere Grifondoro. Non posso non
finire a Grifondoro.
Victoire
Weasley ha undici anni e una sola certezza nella vita; il desiderio
di essere come i suoi genitori, di renderli fieri di lei
così come
lei è fiera di loro.
Al
suo arrivo a Hogwarts, meno di due mesi dopo quel torbido pomeriggio
di luglio, Victoire è fiera di entrare a far parte della
culla dei
coraggiosi di cuore e di sentirsi accogliere al tavolo della sua Casa
con un boato di applausi e urla entusiaste. C'è ancora una
parte di
lei che spera ingenuamente di poter soddisfare le aspettative altrui
dimostrando di essere all'altezza delle imprese compiute della sua
famiglia, di essere degna del nome e del cognome che porta.
Sarà
solo a quattordici anni che Victoire inizierà a guardare lo
stemma
di Grifondoro appuntato sulla divisa con un orgoglio mischiato a una
punta di amarezza. Perché nel corso del tempo si
è resa conto che,
nell'essere figli di eroi di guerra, non c'è poi
così tanto di cui
andare orgogliosi.
Perché,
in questo mondo apparentemente libero e felice, le ombre del passato
incombono come ferite che non si sono mai cicatrizzate.
Victoire
non può fare nulla per quelle ferite. Non può
fare nulla per le
lacrime che scorrono sul viso di Ted, davanti al monumento ai Caduti
che la McGranitt ha fatto costruire accanto alla tomba di Albus
Silente. Non può fare nulla per il dolore che gli distorce
la voce
quando parla dei genitori e del nonno che non ha mai conosciuto.
Non
può fare nulla per tutte quelle persone, amici e compagni di
scuola,
che le hanno confessato di aver perso qualcuno a causa della guerra;
i nonni Nati Babbani della sua migliore amica, Dena, sono scomparsi
prima che lei nascesse. Nessuno è mai riuscito a ritrovare i
loro
corpi o a scoprire cosa ne è stato di loro.
È
stata sempre Dena a raccontarle perché Trudie Hammers, una
ragazza
di Corvonero del settimo anno, ha sempre addosso uno sguardo
sfuggente e malinconico; da piccola ha visto sua madre morire,
assassinata dai Mangiamorte. Trudie non è mai uscita del
tutto dal
baratro della depressione e probabilmente – pensa a volte
Victoire
con una stretta al cuore – non ci riuscirà mai.
Victoire
non può fare nulla per i genitori di Neville Paciock
– solo
pensare al destino che hanno subito le fa correre dei brividi di
terrore lungo la schiena – né per la cicatrice sul
viso di suo
padre né per lo zio George, i cui occhi a volte ancora
tremano
quando qualcuno nomina il suo gemello e la cui protesi all'orecchio
le ricorda quanto la sua famiglia abbia perso e rischiato per
permettere a lei e i suoi fratelli di vivere in un mondo migliore.
Victoire
vive in un tempo in cui il passato è ancora troppo vicino,
continua
a incombere sul presente, a inquinarlo, a deteriorare i suoi
apparenti equilibri. Ed è attraverso il presente che il
passato si
mostra per quel che è stato, facendole capire che quelli
vissuti
dalla sua famiglia non sono stati affatto giorni di gloria.
Forse
c'è qualcosa di eroico nell'aver avuto il coraggio di
combattere per
la libertà, ma quell'eroismo si accompagna alla morte,
all'orrore,
alla devastazione, alla terribile ingiustizia di essere stati
costretti a impugnare le armi e macchiarsi le mani di sangue.
Non
c'è nulla di poetico nell'essere figlia di due guerrieri che
hanno
ricevuto delle medaglie al valore solo per lasciarle a prendere
polvere in un cassetto, nella terrificante consapevolezza che la
minima casualità avrebbe potuto far girare la storia in modi
completamente differenti.
Un'esitazione
di troppo nel corso della battaglia e forse Victoire non sarebbe mai
nata, o forse sarebbe cresciuta senza un padre, o forse
frequenterebbe una Hogwarts dove solo i colori della Casa di
Serpeverde decorano le pareti di marmo della Sala Grande.
La
guerra si è conclusa con la loro vittoria ma ci sono ancora
troppo
cose che non sono andate per il verso giusto, troppe crepe che non
possono essere riparate e ferite per le quali non esiste cura.
A
sedici anni, Victoire decide che forse c'è ancora qualcosa
che può
fare – non per dimostrare al mondo di essere la degna figlia
di
eroi di guerra, ma per dimostrare unicamente a se stessa che il
coraggio Grifondoro che le scorre nelle vene, quel desiderio di
compiere imprese eroiche e di ardito coraggio, può avere
tante
sfumature.
A
diciotto anni, Victoire veste per la prima volta il camice verde dei
Guaritori Tirocinanti.
A
venti, tiene la bacchetta puntata sulla spalla ricoperta di croste e
sangue secco e raggrumato di un ragazzino, che
giace lungo disteso su un letto del San Mungo. Victoire mormora la
formula di un incantesimo di guarigione e il ragazzino, pallido come
un cencio, trema leggermente e si lascia sfuggire un gemito di dolore
mentre le ferite iniziano a rimarginarsi.
-Stai
calmo, Ryan.- dice Victoire in tono dolce, ritirando la bacchetta.
-Tra poco non sentirai più niente.
Ryan
annuisce, abbozzando un sorriso debole. Victoire osserva con aria
soddisfatta la sua spalla; le croste sono sparite e il sangue
è
stato risucchiato via dall'incantesimo, lasciando la pelle nuda
liscia e lucida.
-Come
ti senti?- dice, alzando di nuovo lo sguardo sul ragazzino.
-Meglio.-
risponde lui. Il sorriso è già sparito e i suoi
occhi sono
appannati da una tristezza profonda, incontenibile.
Victoire
si sente stringere il cuore in una morsa insopportabile. Ryan
è
arrivato al San Mungo la sera prima insieme al fratello di sette
anni, entrambi sanguinanti e quasi in fin di vita tra le braccia dei
genitori dopo un'esplosione accidentale nel laboratorio di pozioni di
famiglia. Lei ha passato tutta la notte al suo fianco, mentre il suo
unico altro collega rimasto al San Mungo si è occupato del
piccolo
Hernie.
Ryan
ha riaperto gli occhi solo verso le sei del mattino. Appena un'ora
dopo la morte del fratello, i cui polmoni hanno ceduto a causa della
cappa di fumo tossico che aveva invaso il laboratorio dopo
l'esplosione.
-Vuoi
che vada a chiamare i tuoi genitori?- dice la ragazza a Ryan, che
annuisce piano.
Victoire
non vuole neanche immaginare cosa stia provando. Prova a mettersi nei
suoi panni, a figurarsi se stessa a dieci anni mentre tiene tra le
braccia il corpo senza vita di Dominique o del piccolo Louis, e si
trova a reprimere un brivido di orrore.
Tiene
le spalle ben dritte e si stampa in viso un'espressione imperturabile
mentre esce dalla stanza. I genitori di Ryan la aspettano in
corridoio, seduti fiano a fianco su una panca di legno. Entrambi sono
di un pallore spettrale, con lo sguardo assente e gli occhi cerchiati
da occhiaie profonde.
-Allora?-
dice Jack, guardando Victoire con aria speranzosa. -Come sta?
-Lo
terremo qui almeno un paio di giorni, per essere sicuri che si sia
ripreso del tutto. Ma come già vi ho detto stamattina sta
bene, le
sue condizioni sono stabili, non dovete preoccuparvi per lui...
Ella
Martens si alza di scatto dalla panca e Victoire rimane senza parole
quando la donna le getta le braccia al collo, stringendola a
sé.
-Grazie,
signorina Weasley. Ha salvato nostro figlio.- mormora la donna, con
la voce rotta e tremante, sporca di dolore ma al tempo stesso
vibrante di un'emozione diversa, qualcosa che assomiglia alla
speranza, al senso della vita che rinasce. -Se non fosse stato per
lei... se anche Ryan... non immagina neanche quanto le siamo grati...
-Ho
fatto quel che dovevo fare. Mi dispiace per Hernie. Mi dispiace
davvero tanto.
Victoire
non è sicura che sia molto professionale da parte di un
Guaritore
abbracciare la madre di un paziente – dopotutto è
la prima volta
che si ritrova in una situazione del genere – ma in quel
momento
non le interessa. Non può fare a meno di ricambiare
l'abbraccio
della donna, prima di allontanarsi lentamente e provare a rivolgerle
un sorriso di incoraggiamento.
-Entrate.
Ryan vi sta aspettando.
Ella
e Jack le rivolgono un ultimo sguardo colmo di gratitudine prima di
entrare nella stanza di Ryan. In quello sguardo Victoire legge un
dolore ancestrale che la colpisce allo stomaco nella sua
intensità,
una ferita fresca e sanguinante che le fa pensare alle sofferenze di
un passato ormai messo da parte – un passato in cui anche la
sua
famiglia ha portato su di sé quello stesso dolore e quelle
stesse
ferite. Un passato che lei non ha mai conosciuto e toccato con mano
ma che in qualche modo ha sempre fatto parte di lei, è
sempre stato
intrecciato alle sue radici e ha finito per aderirle addosso, per
darle forma e renderla la persona che è adesso.
Ma
davanti a quell'accenno di gratitudine e speranza che hanno
interrotto il dolore nello sguardo di Ella e Jack, anche se solo per
un fugace istante, Victoire si sente per la prima volta nella sua
vita davvero fiera del suo nome e all'altezza di ciò che
hanno fatto
i suoi genitori. Si sente fiera di essere stata artefice di quella
luce, per quanto flebile, nel mezzo dell'oscurità. Artefice
della
vita che rifiorisce, nutrice della rosa che sboccia tra le polvere e
le macerie.
Fiera
di essere lei stessa guerriera e salvatrice – anche se
animata da
un coraggio e da un onore diversi da quelli di chi scende nel campo
di battaglia – e di aver preservato quell'unica fonte di
felicità
per due anime dilaniate da ferite che forse mai troveranno cura.
Note
Faccio abbastanza schifo a scrivere
introduzioni per cui spero che questo primo capitolo abbia chiarito
qual è la linea tematica della raccolta.
La mia intenzione è quella di scrivere un capitolo per ogni
personaggio della Nuova Generazione, inclusi Teddy Lupin e Scorpius
Malfoy, concentrandomi sui momenti in cui i figli dei sopravvissuti si
rendono conto di che cosa la guerra abbia significato per le loro
famiglie. Alcuni capitoli saranno molto più brevi di altri,
alcuni saranno un misto tra narrazione e introspezione, altri
incentrati principalmente sul lato introspettivo.
Ci tenevo a partire con Victoire, è un personaggio di cui ho
in mente il background e la caratterizzazione anche se non sono mai
stata molto ispirata all'idea di scrivere di lei. Per cui ho avuto
finalmente una possibilità di approfondire e dare vita alla
mia Victoire Weasley. Ho voluto giocare con il concetto di "ferite",
intese sia a livello letterale che metaforico, e con l'idea che
Victoire, non potendo ovviamente rimediare alle ferite che la guerra ha
lasciato dietro di sé, decida di dedicarsi a una carriera
che le permette comunque di salvare delle vite e diffondere bene nel
mondo.
Grazie a chiunque abbia letto e voglia lasciare una recensione, spero
di aggiornare presto :)
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Capitolo 2 *** Dominique Weasley - Why do all the monsters come out at night? ***
Dominique
Weasley – Why do all the monsters come out at night?
Dominique ha
appena otto anni e già le
piace ammirare il suo riflesso allo specchio.
Alle
sue spalle, la camera è immersa
nella luce soffusa e ambrata di un'unica lampada accesa sul comodino,
e lei deve aguzzare lo sguardo per individuare e contare una a una le
pallide lentiggini che le ricoprono gli zigomi e la punta del naso.
Ignora
i rumori del vento che fa sbattere
le imposte delle finestre e il fragore della pioggia contro i vetri,
mentre inarca le sopracciglia in un'espressione sfrontata e si
arriccia una ciocca di capelli intorno al dito.
A
Dominique piace pensare di somigliare a
suo padre, per quanto una bambina possa somigliare a un uomo che ha
superato la quarantina; dopotutto, pensa con orgoglio, lei è
l'unica
tra i suoi fratelli ad aver ereditato i caratteristici capelli rossi
dei Weasley.
Anche
i suoi occhi castani sono identici
a quelli di Bill, splendenti dello stesso sguardo aperto, vivace e
luminoso.
Poi
c'è il suo viso. Un viso aggraziato,
dalla pelle lattea e delicata, simile a quello di una bambola
–
come le ripetono spesso Andromeda Tonks e le amiche di sua madre.
Un
viso che non è mai stato martoriato e sfigurato dalla guerra.
Dominique
pensa alla cicatrice ormai
sbiadita dal tempo che solca la guancia di suo padre. Quando gli ha
chiesto come se la fosse procurata, lui si è limitato a
stringersi
nelle spalle e a rispondere; -Una vecchia ferita di guerra.
Lei
ha scoperto la verità solo qualche
mese dopo, origliando una conversazione tra Victoire e Ted. Una
verità che le ha fatto venire i brividi. Adesso, mentre se
ne sta in
piedi davanti allo specchio, Dominique non può fare a meno
di
immaginare che quella stessa cicatrice sia lì a sfigurare il
suo
viso così perfetto e immacolato, rendendolo ancora
più simile a
quello del padre.
Forse
è colpa della poca luce che
illumina la stanza, o del sibilio sempre più forte del
vento, delle
imposte che sbattono e della pioggia che continua a battere contro i
vetri, ma Dominique si ritrova immersa di colpo in uno stato quasi
ipnotico, incapace di distogliere lo sguardo dal suo riflesso. Un
brivido freddo le percorre la schiena; non riesce a smettere di
pensare ossessivamente a quella cicatrice né a frenare
l'ansia e
l'inquietudine che hanno iniziato a contorcerle lo stomaco senza
alcuna ragione apparente.
Dominique
detesta avere paura. È sempre
stata convinta di avere un carattere troppo forte per potersi
abbandonare a un sentimento così blando e vergognoso.
Lei,
che non ha mai compreso la fobia del
buio degli altri bambini. Lei, che parla e ride sempre durante i
pranzi di famiglia e ama attirare l'attenzione su di sé e
risponde a
tono alle prese in giro di James, che per i suoi sei anni ha
già una
parlantina fin troppo svelta. Lei, che incoraggia continuamente
Victoire e Molly ad arrampicarsi sugli alberi e tuffarsi dagli scogli
più alti.
Una
come lei non può avere paura di nulla e di nessuno.
Ma
nella quiete della notte,
nell'intimità e nella solitudine della sua stanza, Dominique
non può
fare a meno di abbandonarsi a un senso di terrore sempre più
crescente e paralizzante che le sta serrando la gola in una morsa
dolorosa.
È
a quel punto che la vede.
La
vede davvero, quella cicatrice. Non il
suo pallido fantasma, ma una vera e propria ferita, brandelli di
carne divelta e rivoli di sangue vermiglio che colano piano sulla sua
guancia.
Il
terrore la colpisce allo stomaco come
un pugno, il respiro le si ferma. Pochi istanti di terrore crudo e
primordiale, poi la cicatrice scompare di colpo e Dominique si
ritrova ad ansimare, le mani tremanti, gli occhi fissi sul suo volto
di un pallore spettrale ma liscio e perfetto come è sempre
stato. Il
battito del suo cuore è talmente forte da essere udibile
persino
sopra il rumore della pioggia. Una voce dentro di lei le sta urlando
di girarsi e correre verso il letto ma il suo corpo si rifiuta di
muoversi, le sue gambe sono come inchiodate lì sul posto.
Nella
sua mente irrompe prepotentemente
l'immagine delle zanne di un lupo mannaro che lacerano la guancia di
suo padre e per un attimo Dominique sente davvero l'odore acre del
sangue impregnare l'aria, come una macabra premonizione dello
spettacolo che sta per presentarsi davanti ai suoi occhi.
Il
suo viso allo specchio inizia a
tremare, si deforma, si scompone e si ricompone fino a diventare il
viso di Bill, con lo sguardo sconvolto dal dolore e dalla paura e la
guancia scarnificata, un ammasso di sangue e pelle a brandelli.
Alle
sue spalle, la stanza si fa buia.
Dominique vede due pupille dorate risplendere nell'oscurità
e degli
artigli iniziare a chiudersi lentamente intorno alla sua gola.
Un
ringhio basso nel buio, un respiro
caldo e pesante sul collo, e l'incantesimo si spezza, l'orrore che
finora l'ha paralizzata le fa spalancare la bocca e Dominique urla,
urla con tutto il fiato che ha in gola, urla di un urlo agghiacciante
che rimbomba tra le pareti della stanza e sembra risuonare
all'infinito, all'infinito...
Tutto
questo non è reale.
I
suoi occhi si chiudono e poi si
riaprono di scatto, restituendole l'immagine delle venature del legno
del soffitto della sua camera. Si rende conto di star davvero
urlando, le mani che artigliano la coperta, gli occhi lucidi di
lacrime e il corpo scosso da fremiti incontrollabili.
-Nique,
Nique! Che succede?
La
voce di suo padre. Dominique
smette di urlare e si rigira su un fianco, ancora tremante.
I
suoi genitori sono lì accanto al suo
letto, entrambi in vestaglia e con i visi devastati dalla
preoccupazione. Bill si china verso di lei, posandole una carezza sui
capelli, mentre Fleur ripete; -Mon Dieu, Nique, che
cosa
succede? Stai calma. Era solo un brutto sogno, vero?
Dominique
accoglie come una benedizione
la carezza confortante del padre. Il cuore che le batte all'impazzata
nel petto inizia pian piano ad frenare la sua corsa e il calore
familiare delle coperte la fa sentire finalmente al sicuro.
È
stato solo un sogno. Un sogno
terrificante, talmente palpabile da sembrare reale, ma pur sempre un
sogno.
-Sì.-
mormora Dominique. -Ho sognato...
una cosa brutta.
-Non
preoccuparti, ci siamo noi qui.-
risponde Bill prendendole una mano. -Vuoi che rimaniamo un po' con
te?
Dominique
sta già iniziando a
vergognarsi delle lacrime che le velano gli occhi. Sbatte le palpebre
e guarda il viso di suo padre. La cicatrice che è stata
protagonista
di quell'incubo così insensato non è altro che un
segno pallido,
spento, quasi indistinguibile dal resto della pelle di Bill. Il mero
fantasma di un passato che non tornerà mai più e
di cui è inutile
avere paura.
Una
parte di lei vorrebbe dire ai suoi
genitori che va tutto bene, che possono tornare a dormire,
perché
lei non ha paura di rimanere da sola – così come
non ha paura di
niente e di nessuno. Eppure in questo momento Dominique sente
più
che mai di essere ancora solo una bambina che, come tutti, ha il
terrore di perdere i suoi genitori. Si rende conto di aver
disperatamente bisogno di loro, anche se solo per una manciata di
minuti, per ricordare a se stessa che gli incubi della guerra non
appartengono più alle loro vite.
Lei
è al sicuro. Sua madre e suo padre
sono al sicuro. Sono lì per lei – saranno sempre
lì per
lei.
Dominique
pensa a Ted, che non potrà mai
godere della sua stessa fortuna, e un misto di tristezza e dolcezza
le stringe il cuore mentre ricambia la stretta della mano di Bill e
mormora; -Rimanete qui con me.
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Capitolo 3 *** Louis Weasley - Beauty in peace ***
Louis Weasley - Beauty in peace
Una lieve brezza autunnale scompiglia i
capelli biondi di Louis, accompagnata dal profumo di salsedine e dal
leggero scroscio delle onde che si infrangono sulla spiaggia.
È
una bella giornata di fine settembre,
con un cielo luminoso e un sole pallido che gli accarezza la pelle.
Louis ha deciso di portare i suoi libri sulla cima della collinetta
che sovrasta Villa Conchiglia e di starsene lì a leggere,
lanciando
di tanto in tanto delle occhiate alla spiagga, al mare che si
distende davanti a lui, alla strada che da casa sua si inoltra tra
una coltre di alberi e conduce al villaggio di Tinworth.
Nonostante
cerchi di concentrarsi sulla
lettura, ogni tanto Louis si sente stringere il cuore da un quieto
senso di malinconia. Da quando anche Dominique è partita per
Hogwarts la vita è diventata molto più noiosa;
è strano cenare
senza le chiacchiere incessanti della sorella nelle orecchie o
passeggiare in spiaggia senza lei che insiste per farsi un bagno
nonostante l'acqua sia gelida. Gli mancano persino la musica a tutto
volume sparata dalla stanza di Dominique e le urla di Fleur che
minaccia di buttarle lo stereo giù dalla finestra.
Non
che a Louis piaccia così tanto il
caos. Lui è un tipo troppo sulle sue per prenderne parte, a
meno che
non si tratti di lanciarsi in un monologo sulle cose che ha appreso
dai suoi libri – pur essendo consapevole che alla maggior
parte
della gente non interessa poi così tanto sapere come vengono
lavorati i legni delle bacchette o come funzionano i sistemi di luce
elettrica sviluppati dai Babbani.
Ma
il caos è sempre stata una parte
integrante della sua vita e solo adesso inizia a rendersi conto di
quanto gli manchi esserne circondato.
Louis
chiude il libro e incrocia le gambe, spostando lo sguardo sulla
piccola lapide di pietra che si erge a pochi passi da lui. Ancora una
volta si ritrova a leggere la scritta “Qui
giace Dobby –
un elfo libero” e a chiedersi
quale storia vi si celi dietro.
Un'altra
folata di vento gli scompiglia i
capelli, stavolta fredda e pungente sulla nuca. Louis alza lo sguardo
e rimane stupito nel vedere che il sole è sparito dietro una
coltre
di nubi grigiastre che si ammassano nel cielo.
Recupera
i suoi libri, si alza e, dopo
un'ultima occhiata alla lapide di Dobby, si incammina svelto verso
casa.
La
pioggia inizia a cadere proprio nel
momento in cui Louis imbocca il vialetto che conduce alla porta
d'ingresso, già spalancata; sua madre lo sta aspettando
sulla
soglia, le sopracciglia contratte in un cipiglio severo.
-Entra,
Lou, altrimenti ti prenderai un
accidente!
-Sì,
ma'.
Louis
si stringe i libri al petto e segue
sua madre dentro casa, sospirando di sollievo quando si ritrova
davanti al caminetto già acceso del salottino. Fleur ha
già ripreso
posto sul divano accanto a Bill, che sta sfogliando la Gazzetta del
Profeta.
Mentre
si siede sul divanetto dirimpetto
a quello dei genitori, Louis pensa tristemente che tra qualche
settimana anche suo padre partirà per tornare a lavorare in
Egitto e
probabilmente starà via fino a Natale. In casa rimarranno
solo lui e
sua madre – senza contare Andromeda, che gli fa da babysitter
quando Fleur ha i turni alla bottega di Madama McLan.
Louis
sistema i libri sul bracciolo del
divano mentre Fleur parla tenendo una mano poggiata sulla spalla di
Bill, che ha appena messo via il giornale.
-Ti
rendi conto che Archer...
-Chi
sarebbe Archer?
-Il
prozio di Madama McLan! Quel poverino
ha quasi centoquarant'anni, ormai sta andando fuori di testa. Ha
preso la febbre ed è convinto di essersi beccato il vaiolo
di
drago...
-Lo
sapete che la cura per il vaiolo di
drago è stata inventata nel 1594 da Gunhilda de Gorsemoore?-
interviene prontamente Louis, guadagnandosi le occhiate ammirate dei
suoi genitori.
-Ma
bravo, Lou.- sorride Fleur. -Hai
visto quante cose sa nostro figlio, Bill?
-Con
tutti i libri che legge, non mi
stupirei se venisse su come Hermione.- risponde Bill divertito. -O
magari finirà in Corvonero. Ti piacerebbe finire in
Corvonero, Lou?
-Perché
no?- risponde lui, metitabondo.
Entrambe le sue sorelle e sua cugina Molly sono state smistate in
Grifondoro, come il resto della famiglia Weasley, ma a lui non
dispiacerebbe essere l'eccezione che conferma la regola; a differenza
di cosa dicono James e Rose, non pensa affatto che Corvonero sia la
casa della gente noiosa.
Ma
mancano ancora quattro anni alla sua
partenza per Hogwarts e Louis non ha intenzione di pensare adesso
allo Smistamento. Adesso ci sono domande più importanti che
gli
girano nella testa.
-Devo
chiedervi una cosa. Perché abbiamo
un elfo seppellito in giardino?
Fleur
e Bill si scambiano uno sguardo
sorpreso e Louis si rende conto che forse avrebbe fatto meglio a
porre una domanda meno macabra come “Chi
è Dobby?”.
-Beh,
Dobby era un elfo domestico morto
durante la guerra...- inizia suo padre.
-Quindi
era il vostro elfo domestico?- lo
interrompe Louis, sgranando gli occhi. Per un attimo immagina un
gruppo di maghi incappucciati che fanno esplodere la porta di casa
sua con un colpo di bacchetta, irrompono in cucina e uccidono un
piccolo elfo intento a lucidare i fornelli. -Per questo poi non ne
avete più voluto prenderne un altro? Perché
stavate troppo male per
Dobby?
-Oh,
no, non era il nostro elfo
domestico. È una lunga storia, mon chére.
Davvero una lunga
storia.
-Forse
potremmo dirgli qualcosa a
riguardo.- dice Bill, guadagnandosi un'occhiataccia da parte della
moglie.
-Bill,
ha sette anni!
-Quasi
otto.- ribatte Louis.
-Hai
ragione.- Bill sorride e Louis sa
che suo padre sta per svelargli qualcosa di quel periodo lontano e
oscuro di cui non si parla mai in famiglia – la guerra.
Non
che lui abbia bisogno di farsi raccontare i suoi eventi più
salienti; per quello gli è bastato trovare i suoi zii Harry,
Ron e
Hermione sulle figurine delle Cioccorane, leggere una copia di Storia
della magia contemporanea per giovani maghi e streghe (in
cui viene citato anche il resto della sua famiglia) e sentirsi
additare per le strade di Diagon Alley quando va a fare acquisti con
i suoi genitori.
-Devi
sapere che Dobby ha salvato la vita
dei tuoi zii.- esordisce Bill. -Zio Harry, zio Ron e zia Hermione.
Insieme riuscirono a scappare... beh, da una brutta situazione
durante la guerra. Vennero qui per trovare rifugio. Ma quando
arrivarono Dobby era ammalato ed è morto quasi subito. Tuo
zio Harry
decise di seppellirlo scavando la fossa senza l'uso della magia.
-È
stato un gesto bellissimo da parte
sua.- mormora Fleur, i cui occhi si sono velati di un'espressione
triste e remota, come se una parte di lei fosse improvvisamente
tornata indietro di anni.
-Di
cosa si era ammalato?- dice Louis,
sempre più curioso. Sa già che suo padre non gli
svelerà mai da
che tipo di “situazione” i suoi zii sono riusciti a
scappare
durante la guerra.
Bill
esita prima di rispondere; -Era
vecchio, molto vecchio, e non stava bene da tempo.
Louis
annuisce, sentendosi
improvvisamente molto triste per questo elfo che non ha mai
conosciuto ma che ha salvato la vita dei suoi zii.
-Perché
lo zio Harry ha scritto “elfo
libero?”- dice, consapevole di star facendo come
sempre troppe
domande. Ma dopotutto Louis è sempre stato così;
ha iniziato a
bombardare gli adulti di domande sul mondo sin dal momento in cui ha
imparato ad articolare delle parole semicoerenti.
-Perché
anni prima lo zio Harry l'aveva
liberato dalla famiglia di maghi per cui lavorava.- risponde Bill.
-Vedi, gli elfi domestici non sono sempre stati trattati bene.
C'erano delle famiglie che tendevano a vederli come schiavi, esseri
inferiori che non meritavano alcun diritto.
-Davvero?
-Già.
Devi ringraziare tua zia Hermione
se oggi gli elfi domestici lavorano solo sotto contratto e ricevono
uno stipendo più che dignitoso. Una volta non era affatto
così.
-Ma
è una cosa terribile.- mormora
Louis, aggrottando le sopracciglia in un'espressione costernata. Lui
non riuscirebbe mai a immaginare di trattare Ditty – l'elfa
domestica di Andromeda e Ted – come se fosse una schiava o
una
creatura non degna di rispetto.
-Per
fortuna oggi le cose sono
completamente diverse.- dice Fleur con un sorriso teso. Louis sa bene
che a sua madre non piace rimuginare troppo sulle cose tristi del
passato, così si limita a ricambiare il sorriso e afferra
uno dei
suoi libri dal bracciolo del divano, pronto a immergersi nella
lettura almeno fino a ora di cena. Lo apre e lo sfoglia fino al
capitolo che ha lasciato in sospeso, mentre i suoi genitori
riprendono a chiacchierare. Sta per iniziare a leggere, quando un
pensiero improvviso lo punge nel profondo; suo padre ha detto che
Dobby ha salvato la vita dei suoi zii. Ma se Dobby non ci fosse
stato? Forse i suoi zii non sarebbero più in vita. Forse la
guerra
non sarebbe mai stata vinta.
È
la prima volta che Louis pensa
concretamente alla morte, che per lui rappresenta ancora una
dimensione troppo astratta e troppo distante dalla sua
realtà. La
tristezza si trasforma di colpo in qualcosa di più pesante e
soffocante, e Louis si trova quasi spaventato mentre cerca di
scacciarla via, di aggrapparsi alla bellezza e alla
semplicità del
presente che lo circonda.
Non
pensarci. Non pensarci e basta., dice
una voce nella sua testa che lui decide di assecondare.
Il
calore del fuoco che lo riscalda
mentre la pioggia batte dolcemente contro i vetri. Il chiacchiericcio
dei suoi genitori. Il profumo dei mazzetti di rose e gelsomini che
sua madre ha appeso alle pareti del salotto, la consistenza della
carta liscia sotto i suoi polpastrelli e il profumo dell'inchiostro
che gli pizzica le narici, un profumo che lo inebria fin da quando ha
memoria.
È
anche grazie a Dobby se, adesso,
questo è tutto ciò a cui il piccolo Louis Weasley
può permettersi
di pensare.
La primavera
è in fiore il giorno in cui
Winky viene trovata morta nei suoi alloggi nei sotterranei di
Hogwarts. Il parco è pregno del profumo di rose appena
sbocciate e
il sole illumina i visi rigati dalle lacrime degli elfi domestici che
sono stati radunati sulle rive del Lago Nero dalla preside Thorne,
pronti a dare l'ultimo saluto a quel corpicino avvolto in un panno
bianco, destinato a essere seppellito ai margini della Foresta
Proibita.
Il
buio è già calato sul castello
quando un tredicenne dai lunghi capelli biondi e gli occhi
cristallini raggiunge l'angolo del parco dove una croce di legno
è
stata piantata nel terreno.
Louis
Weasley torna con la mente a un
pomeriggio piovoso di molti anni prima. Pensa a Dobby, a quel piccolo
eroe che da decenni riposa nel giardino della sua casa, a tutto
ciò
che quella figura dimenticata dalla storia ha significato per la sua
famiglia; se non fosse stato per Dobby, forse lui in questo momento
non esisterebbe neanche.
Louis
tira fuori dalla tasca del mantello
un mazzo di primule appena raccolte ai margini di un sentiero e le
poggia sul terreno. Le lacrime gli pizzicano gli occhi e lui si
sfrega le nocche sulle palpebre per scacciarle via, senza riuscire
tuttavia ad allontanare la tristezza viscerale che l'ha invaso.
Pensa
alla prima volta che ha visto
Winky, quando è entrato nelle cucine di Hogwarts insieme ad
Albus e
l'elfa è corsa loro incontro, li ha invitati a prendere una
cioccolata calda e li ha intrattenuti per ore con le sue storie sul
passato, sull'eroismo di Dobby, su quella terribile battaglia che ha
cambiato per sempre le sorti del mondo magico.
-Grazie
alla vostra famiglia noi non
viviamo più come schiavi.- aveva detto Winky, gli occhi
ricolmi di
lacrime, stringendo le mani di Albus e Louis. -Grazie a Harry Potter
e alla ragazza, la Granger. Per tanto tempo non l'ho capito ma adesso
so che finalmente siamo trattati come meritiamo, come esseri umani,
non come mostri.
Le
primule violette sembrano risplendere
nella penombra. Louis afferra la sua bacchetta e la scuote
finché
sul legno chiaro della croce non compare una scritta incisa nel fuoco
dorato; A Winky e alla libertà di tutti gli esseri
umani.
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