PASSAN LE GLORIE COME FIAMME DI CIMITERI, COME SCENARI VECCHI CROLLAN REGNI ED IMPERI

di Angel_lilac
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ATTO I ***
Capitolo 2: *** ATTO II ***



Capitolo 1
*** ATTO I ***


PERCEZIONI

 

ATTO I

Lei era un mostro, uno terribile, di quelli che ti divorano l’anima e la vomitano ai tuoi piedi, che ti zittiscono con la loro presenza e ti fanno vergognare per la banalità dei tuoi pensieri. Un suo sguardo raggelava la stanza e ogni sua parola esprimeva autorità. I suoi movimenti invitavano all’inchino. Incontrare i suoi occhi era considerato un sacrilegio: un affronto del genere non lo avrebbe certamente perdonato. Era una facoltà di cui era priva, il perdono.

Le nostre gambe tremavano quando si avvicinava ma, se ce lo avesse ordinato, saremmo potuti tornare immobili in una questione di secondi. “Non esiste buon motivo per cui non rispettare un suo ordine” avevo sentito pronunciare non appena arrivato. 

Indagava ogni nostro gesto, non giustificava alcun errore e si ammirava per la sua capacità di diffondere il terrore ovunque si trovasse. Non eravamo gli unici a temerla, l’intera città le era obbediente. Lei nutriva il suo popolo e noi quel pasto lo trasformavamo in umile rispetto. I più presuntuosi si credevano suoi collaboratori, ma per lei esistevano solo subordinati, ridicoli dipendenti segnati dai difetti tipici degli esseri umani. Lei detestava i nostri difetti, il che ci convinse che non fosse umana. 

Potevamo percepire il suo profumo ancora prima della sua presenza e questo ci dava il tempo di ricomporci per affrontare il suo volto impassibile con altrettanta serietà. Le risate le erano odiose. Avevo sentito dire che sapeva prevedere una risata da due stanze di distanza e, in quel caso, il divertimento dello sfortunato non sarebbe durato a lungo. “Chi ride è uno sciocco, chi piange un suicida”, qualcuno mi aveva ripetuto le Sue parole mentre cercavo di soffocare una risata. Eliminai ogni motivo di sorriso e non piansi mai più. La vita mi era diventata indifferente. 

Dicevano che il suo volto arcigno non avesse mai conosciuto il sale. Al contempo, nessuno le aveva mai visto i denti. D’altronde, parlava solo quando necessario e, nel suo caso, le sue espressioni sostituivano perfettamente la parola.

Non aveva un nome, non per noi. Quando avevamo la spaventosa occasione di parlarle di persona la chiamavamo “Signora” e tra di noi era “La Padrona”. Il suo regno era immenso e lo regnava da sola. 

Dicevano che il marito le fosse sottomesso, come tutti noi. Quei pochi a cui era capitato di vederli insieme, lo avevano creduto muto. In realtà, la voce l’aveva, ma a mancargli erano le parole, o forse solo il coraggio di pronunciarle in sua presenza. 

Il passato della Padrona era sconosciuto e la sua immagine si nutriva di ignoranza e di un’implacabile fame curiosa. L’unica cosa certa era che qualche mese dopo il suo arrivo in città, non c’era uomo che non credesse di aver sempre lavorato per lei.  

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Capitolo 2
*** ATTO II ***


ATTO II

Un giorno si tagliò con la spilla della sua giacca. La videro sanguinare e ne furono sconvolti. C’era chi, fino a quel momento, avrebbe sostenuto che fosse immortale.

Qualche mese dopo si ammalò e non la vedemmo per tre giorni. Ancora non riuscivamo a credere che quella sua divina figura fosse fatta di vera carne e che nelle sue vene scorresse sangue scuro e non fiamme infernali. Quando tornò, la sua pelle diafana si presentò minacciata dalla severità delle sue rughe. Si rinchiuse nel suo studio per una settimana e a nessuno fu permesso vederla. Ricomparve senza troppe spiegazioni ed appariva più angelica che mai. Che avesse venduto l’anima al diavolo in cambio di un’incorruttibile bellezza? No, lei non l’aveva mai avuta un’anima, conclusero. Tornarono a crederla immortale e l’episodio fu dimenticato.

Non passò troppo tempo prima che accadesse un fatto decisamente inaspettato: qualcuno le disobbedì. Non si trattava di noi dipendenti e nemmeno del suo devoto popolo. Il colpevole era la persona che di giorno sedeva alla sua stessa tavola e di notte le dormiva accanto. A tradirla era stato l’uomo di cui più si fidava. Le sue nascoste parole, commentarono i soliti pettegoli, le aveva dedicate a qualcun altro.

Cominciò a detestare gli uomini, più di quanto avesse mai fatto. Se prima li disprezzava, ora li odiava. Se prima adorava renderli suoi sudditi, ora li avrebbe voluti estinti. La prospettiva che si sbarazzasse di noi ci terrorizzava. Attendavamo con ansia il momento in cui sarebbe comparsa sulla soglia dei nostri uffici e, avvicinandosi silenziosamente alle sue prede, con quel suo cappotto che la faceva apparire come un felino degno di ammirazione, ci cacciasse senza troppi convenevoli dal suo regno. 

In realtà, non si era mai sentita così impotente perché, con la notizia del tradimento, stava cominciando a diffondersi anche il coraggio di disubbidirle, come il marito aveva fatto per primo. Così, anche per noi, cominciarono i primi tradimenti.

I pettegoli ampliarono il loro cerchio. Se prima ignoravamo le loro insulse considerazioni, ora credevano solo alle loro parole. Ogni giorno, prima di iniziare le nostre attività, ci radunavamo attorno al nostro Oracolo. Con il supporto di tutti noi, scavarono nella Sua vita come nessuno aveva fatto prima. 

Sapevamo predire i Suoi umori, il foulard che avrebbe indossato quella mattina e le sue prossime decisioni. O erano stati investiti di qualche capacità divinatoria o La Padrona era diventata prevedibile. Il mistero che avvolgeva la sua figura cominciò a svanire, insieme alla sua imperturbabile espressione. I suoi tristi sorrisi, inizialmente agghiaccianti, ora iniziavano ad impietosirci. Qualcuno notò che alcune ciocche di capelli avevano cominciato a fuggire all’aggressività della sua lacca, come se la mano che l’applicasse fosse improvvisamente più pietosa. 

Così, poco a poco, cominciò a distruggersi quell’immagine di sé che aveva costruito con tanta dedizione e fin troppa ambizione. E sparì, come piace fare a coloro che una volta furono potenti. 

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