Anima nera

di Vincentpoe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Selvaggio ***
Capitolo 2: *** L'armata diabolica. prima parte ***



Capitolo 1
*** Il Selvaggio ***


C’era stata per tutta la notte una forte tempesta, ma ciò non aveva fermato Olgier, che continuò a cavalcare per miglia fino a giungere alla sua vecchia magione. Al mattino, Olgierd smontò dal suo cavallo, per avviarsi a piedi su per il sentiero nei boschi. Una volta nei pressi di quest’ultima il cielo, che era diventato sereno all’alba, si ricoprì di nubi, che cancellarono qualsiasi sfumatura di colore dagli alberi; Olgierd poteva sentire il rumore di centinaia di ragni famelici zampettare nascosti nella vegetazione, ed erano i soli esseri viventi in quella zona. Nonostante la maledizione fosse stata spezzata da Geralt, la magia di Gaunter O’dimm impregnava ancora quei luoghi. Olgierd entrò nel cortile principale, dove trovo le salme di diversi sfortunati che avevano provato ad entrare negli anni e, sul vialetto, il corpo deforme del Custode, con in mano la sua vanga arrugginita. Più avanti nel giardino interno vicino alle rose, Olgierd trovò il sepolcro di Iris, con poggiato sopra il suo quaderno dei ritratti. Il redaniano cadde sulle proprie ginocchia e, per la prima volta dopo anni, si abbandono al pianto.

-è tutta colpa mia…- singhiozzò Olgierd stringendo i pugni e affondandogli nella ghiaia. Restò lì per ore, abbandonandosi ad una cieca disperazione, che la maledizione per anni gli aveva negato. Sfogò la sua rabbia battendo i pugni sul terreno, fino a sbucciarsi le nocche, la grandine flagellava il suo corpo, ma non gli importava; aveva ucciso la sua amata e niente su quella terra, o in qualsiasi altro mondo, avrebbe mai potuto riportarla indietro. Passò un tempo indefinito, quando tutto ad un tratto qualcosa lo destò: era come un brivido dietro la schiena, una specie di sensazione, che lo avvisava che qualcosa non andava, che non era solo lì. Si voltò verso la fontana e cautamente gli si avvicinò, guardò il suo riflesso sul pelo dell’acqua, e inorridì quando per un secondo gli parve di scorgere il suo volto scavato, con la pelle raggrinzita, la pelle bianca e le orbite vuote, e dietro a lui il demonio che aveva contribuito a rovinargli la vita: GaunterO O’dimm lo fissava con i suoi occhietti maligni ed il suo sorriso beffardo. Olgierd sfogò la sua rabbia colpendo con violenza la superficie dell’acqua, che si increspò e gorgogliò, per poi acquietarsi di nuovo, e tutto ciò che Olgierd vide dopo era solamente il suo riflesso. Indietreggiò e cerco di riprendere il controllo.

Nonostante Geralt lo avesse liberato dalla maledizione, Gaunter O’dimm era interessato ancora ad Olgierd, e il redaniano sapeva che lo avrebbe perseguitato fino in capo al mondo. D’un tratto capì cosa fare: aveva passato la sua esistenza a vivere come se non ci fosse un domani, aveva venduto la sua anima al demonio e gli era stata concessa una seconda possibilità dal witcher, e non l’avrebbe sprecata. Entrò in casa, e raccolse tutto ciò che potesse essere di valore. Prese ciò che era rimasto dell’argenteria di famiglia, i gioielli, tutto l’oro che era sopravvissuto alle sue disgrazie o che non avesse scialacquato, passo dalla dispensa e prese qualsiasi cibo che non si fosse guastato, e tirò un sospiro di sollievo quando trovò un otre di ottimo brandy nifgardiano; Carico tutti i suoi averi sul suo cavallo, e quando si accorse che era troppo per la bestia, Olgierd corse giù fino alla prima fattoria che vide, diede alcuni pezzi di argenteria ad un contadino stupefatto per la generosità, per poi tornare e redistribuire i pesi. Stava finalmente per abbandonare quel luogo di tristezza e morte, quando si fermo all’uscio titubante, per poi ripensarci e tornare in casa, nel suo studio, e si diresse verso la libreria, dove spostò il libro di poesie preferito suo e di Iris, e che rivelò un passaggio segreto dietro gli scaffali. Lì si trovava uno scaffale nascosto, dove era appesa la prima sciabola oferiana che Olgierd uso durante il suo servizio militare: un arma da ufficiale, fatta di puro acciaio con alcuni innesti di meteorite che Olgierd aveva fatto mettere tempo addietro. Non sarebbe servita contro un demone, ma di certo poteva tornare utile con altri tipi di mostri, al contrario poteva tornare utile l’antico libro che si trovava sotto, rilegato in pelle nera, con le pagine così antiche che si sarebbero potute sgretolare mentre si giravano, era scritto in una lingua antica, che Olgierd era riuscito solo in parte a tradurre, e trattava della gerarchia dei demoni, di come si facessero la guerra tra di loro e dei terribili incantesimi che usavano per farsi la guerra, o per combattere creature ben più antiche nei meandri dell’universo. Insieme al libro prese ancora un sacchetto in cui si trovavano diverse manciate di polvere di dimeritium; insieme al suo cuore di pietra infatti, Olgierd aveva perso anche gran parte dei suoi poteri su cui aveva per lungo tempo contato, e ciò lo avrebbe reso molto più debole nel combattimento, e per questo avrebbe avuto bisogno di qualche trucchetto per sopravvivere.

Prese queste ultime cose, Olgierd lasciò casa, non prima di aver chiesto perdono alla tomba del fratello Vlodimir, morto per colpa sua: come primo sacrificio per i suoi desideri infatti, Il signore degli specchi aveva chiesto ad Olgierd di sacrificare un’anima tra quella del fratello e quella di Iris, e Olgierd scelse quella del fratello, che morì in un combattimento proprio il giorno successivo. Nonostante avesse raccontato a tutti, e a se stesso, di come fosse stata una morte da eroe, Olgierd non si sarebbe mai perdonato neanche quella scelta, che gravava sulla sua anima nera come un macigno.

Dopo quest’ultimo saluto, Olgierd partì verso l’accampamento della compagnia libera dei redaniani, meglio conosciuti come i“selvatici”.

Durante il tragitto, il Redaniano elargì denaro a qualunque mendicante sembrasse averne bisogno: lascio una manciata di monete d'oro ad un cieco, un candelabro in argento ad una giovane contadina in gravidanza; sembrava preso da una febbre di altruismo, come se volesse ripulirsi di tutto il male che aveva fatto; incrociò perfino un Nekker sul ciglio del sentiero e,prima che questi potesse attaccarlo, li lancio un cosciotto di maiale, e il piccolo mostro lo afferrò e guardò Olgierd, sembrava chiaramente stupito dal gesto altruista dell'uomo. In breve tempo arrivò all'accampamento; i suoi uomini, come sempre, si stavano abbandonando ad una baldoria sfrenata, con fiumi di vino e piacevoli compagnie,ma tutti alzarono lo sguardo quando il loro comandante arrivò a cavallo.

-dove sei stato tutto questo tempo?- domando Adela, che sistemava il corsetto e allontanava le due cortigiane con il quale si stava intrattenendo.

-avevo alcuni... affari, da sistemare- rispose Olgierd. E ho avuto modo di pensare al futuro della nostra compagnia- continuò, scendendo da cavallo. -E il suo futuro è... niente, in questo momento io sciolgo la compagnia libera della Redania- esclamò ad alta voce-.

Sentendo ciò si scatenò il caos più totale: c'è chi diceva che Olgierd fosse impazzito, chi sospettava che li avesse venduti alle guardie di Oxenfurt, chi credeva che avesse trovato un enorme tesoro e che non volesse condividerlo con loro. Olgierd li zittì tutti quando vuotò i sacchi e fece cadere montagne di oro e argento.

-tenete, come ultimo pagamento. Sono quasi diecimila oren, tra gioielli, monete e argenteria. Spendeteli comprando una casa, mettendo su una famiglia, vivendo onestamente. Fate quello che io non ho mai voluto fare. Non si può sempre vivere in uno stato selvaggio, dove tutto è lecito. Fate la cosa giusta, e vivete una vita onesta-.

I selvatici erano sbigottiti dal discorso di Olgierd, tanto che si dimenticarono di stare davanti ad una montagna di monete d'oro.

-cosa vorrebbe dire? Ti sei forse rammollito?- sbraito Ungus, il suo secondo. Per un attimo il furore attraversò il corpo di Olgierd, e stava per sguainare la spada, per fare rimangiare questa insubordinazione al suo sottoposto, ma poi passò, si ricordò che non era più quell'uomo.

-sono solo stanco di vivere come se non ci fosse un domani, stanco di causare sofferenza alla gente, stanco di tutti questi piaceri che fanno ottenebrare la mente. Voglio vivere ciò che rimane della mia esistenza cercando la redenzione, cercando di fare la cosa giusta per gli altri, per cancellare, almeno in parte. Le mie colpe. I Selvaggi ammutolirono per la seconda volta, e semplicemente accettarono la cosa; forse le parole di Olgierd avevano toccato qualcosa nel loro arido cuore. Si divisero il bottino, smantellarono l'accampamento e si divisero. Olgierd sperava che da quel giorno avrebbero preso una strada retta, ma sapeva che la peculiarità migliore, e anche peggiore dell'essere umano è proprio il suo libero arbitrio, che alle volte lo porta a compiere atti di grande bontà, e spesso fa fare cose orribili alle persone.

Decise di incamminarsi verso est. Cavalcò per giorni attraverso le montagne dell'Olfier, vivendo di caccia, e aiutando quando poteva le genti delle fattorie più sperdute. La notte faticava a dormire, ogni volta che chiudeva gli occhi aveva incubi: ricordava la sua amata Iris, e spesso il signore degli Specchi era protagonista dei suoi incubi. La maggior parte del tempo lo passava a studiare i suoi tomi, o ad allenarsi con la sciabola.

Una notte stava cavalcando lungo le rive de fiume, quando in lontananza vide del fumo, troppo denso e scuro per somigliare al fuoco dell'accampamento. Olgierd era stato protagonista di molte razzie, e sapeva che un fuoco come quello non portava mai nulla i buono. Si precipitò verso la direzione dell'incendio, per trovarsi di fronte ad una fattoria in fiamme; smontò da cavallo e corse verso le fiamme, e si ritrovò davanti i corpi martoriati di un uomo e una donna, e dietro di loro troneggiava una figura famigliare.

-Ungus- urlò Olgierd.

L'atamano si girò, teneva una ragazza stretta per i capelli, e sorrise con un ghigno crudele verso il suo vecchio Comandante.

-Ma guarda chi c'è? Pensavo che a quest'ora ti fossi già trovato una piccola capanna, con qualche puttana con cui giocare a fare il contadino- ringhio Ungus.

Olgierd si fece avanti e sguainò la sciabola. - Lascia andare quella ragazza, è un ordine-.

-tu “ordini”?- rise Ungus. - mi sembrava avessi detto che potevamo vivere le nostre vite come meglio credevamo. Ebbene è proprio quello che sto facendo-. Buttò la ragazza a terra, sfilò una balestra dal cinturone e sparò ad Olgierd, che prontamente devio il dardo con la spada. - Mi ero accorto che c'era qualcosa che non andava, quando ti sei presentato all'accampamento, qualcosa in te era cambiato, e solo dopo me ne accorsi. Non hai più la tua aria di superiorità, la tua sicurezza di non poter morire, perché hai perso i tuoi poteri, Adesso sei solo un mortale, proprio come me, anzi, forse anche meno-. E per un secondo gli occhi di Ungus diventarono gialli, come quelli di un animale. Parti all attacco di Olgierd, con sciabola e ascia alle mani. La superiorità d Olgierd nella spada era maggiore, ma Ungus era dotato di una forza che non aveva mai dimostrato fino ad allora, e combatteva con una ferocia pari a quella di un animale; come qualcosa era cambiata in Olgierd, qualcosa era cambiata in Ungus. Il nobile redaniano sapeva che la forza bruta del suo vecchio compagno avrebbe avuto la meglio, e giocò d'astuzia:, si avvicinò a dei sacchi di farina, li lacerò e ne versò il contenuto sul volto del Selvaggio, che, accecato, abbasso la guardia, e con una mossa fulminea Olgierd li lacerò la gola con una spada. Ungus cadde a terra, in unapozza di sangue, e Olgierd stava per rinfoderare la spada, quando vide lo squarcio sulla gola del Brigante richiudersi, e i gorgoglii di morte lasciare il posto ad una diabolica risata. La luna fece capolino dalle nubi, illuminando i due combattenti e la casa in fiamme, e Ungus si rimise in piedi, i suoi occhi erano gialli, sul suo corpo stava crescendo il pelo, e sulle sue dita stavano spuntando degli artigli; in un attimo il suo volte assunse la forma di un mostruoso lupo.

-E' accaduto poco dopo che ci siamo separati- ringhio. - avevo assaltato la casa di un eremita, e pensavo di averlo ucciso, quando mi saltò alle spalle mordendomi sul collo. Gli ho dovuto aprire la testa come un melone. All'inizio stavo male, la luce mi dava fastidio, riuscivo a mangiare solamente carne cruda, e alla prima luna piena capì che mi era stato elargito un dono da quello schifoso straccione. Questa è la mia vera natura, lo è sempre stata. IO SONO IL SELVAGGIO!- e balzò addosso ad Olgierd, che per fortuna lo evito.

Il nobile atamano si trovava in difficoltà. Le energie lo stavano abbandonando mentre quelle di Ungus si erano quadruplicate, con un 'artigliata lascio un solco cremisi sul braccio di Olgierd, e con una zampata lo scaravento sulla staccionata; Olgierd rimase senza fiato ,e sputò sangue. Doveva inventarsi in fretta qualcosa. Sapeva che i lupi mannari detestavano l'argento, e nella sua tasca restavano pochi grammi di polvere d'argento, ma non abbastanza da impensierilo in quel momento; Ungus stava per piombare su di lui quando alla fine li torno in mente: la luce!. Olgierd distese le mani verso il mostro, in modo che le dita formassero un triangolo, entrò in meditazione, e in un attimo che parve un secolo riuscì ad attingere alla sua energia magica residua. - swiàtlo slozecne- e dalle sue mani un lampo di luce illuminò la notte e accecò il licantropo, che iniziò a dare colpi alla cieca. Olgierd scattò e lo colpì con due fendenti al torace, respingendolo, lanciò sulle ferite del mostro la polvere d'argento e queste iniziarono a fumare. Dopo un altro dendente al volto, Olgierd colpì con un calciò Ungus, facendolo cadere sull'edificio in fiamme, e con due rapidi colpi spacco i pali che tenevano a stento il soppalco in fiamme e questo crollò sul licantropo, che venne sepolto dalle rovine incendiate. Olgierd sapeva che non era finita e raccolse il barile di olio di balena, che i contadini usavano per le torce, e quando il licantropo emerse con il pelo in fiamme, lo glielo rovesciò sopra, trasformando il mostro in una fiaccola ululante. La bestia menava fendenti alla cieca, in preda al dolore, e Olgierd lanciò il barile sul mostro, che esplose, squarciando Ungus in due. Il corpo carbonizzato del licantropo cadde a terra, in preda a degli spasmi, per poi cessare completamente di muoversi. Olgierd si rialzo e andò dal vecchio compagno caduto, e li affondo la sciabola fin dentro la gola, per sicurezza; anche se di Ungus non resta che una pira carbonizzata vagamente umanoide. Dopo aver fatto una catasta di legna dove aveva dato fuoco ai contadini uccisi, accompagnò la fanciulla sopravvissuta da degli zii che avevano una fattoria poco lontano, Essi erano disperati, ma felici che almeno la ragazza fosse sana e salva, e invitarono Olgierd a fermarsi, per la notte, ma egli rifiutò, come rifiutò anche il denaro che i contadini volevano elargirgli. Si incamminò con una grande tristezza nel cuore, perché il massacro perpetrato quella notte era colpa sua. Continuò a cavalcare verso Est, in silenzio, pensando che non servisse una maledizione per trasformare un uomo in un mostro, ma che quel mostro esiste ed esisterà sempre nell'anima degli individui. Mentre cavalcava, era sicuro di sentire la risata del signore degli specchi nel vento.

 

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Capitolo 2
*** L'armata diabolica. prima parte ***


Dopo  due giorni di cavalcata, Olgierd lasciò la ragazza sopravvissuta al massacro di Ungus in una fattoria gestita dai suoi zii, che ospitarono l’Atamano per qualche giorno, il tempo di rimettersi dalle ferite inflittile dal lupo mannaro. Una volta ripresosi dalle ferite, Olgierd si rimise a cavallo, rifiutando l’oro che i contadini volevano offrirgli, e accettando solamente un po’ di provviste per il viaggio. Egli aveva intenzione di cavalcare fino a Roggveen, e lì avrebbe preso una nave che lo avrebbe portato ad Oriente, verso l’Olfier; egli non sapeva bene il perché avesse deciso di dirigersi verso quella regione, anche se in cuor suo pensava che tornare nelle terre dove tutto era iniziato e chiedere ammenda, fosse il primo passo per purificare la sua anima, o almeno sarebbe morto nel tentativo di farlo. Per diversi giorni cavalcò seguendo la costa, per poi rientrare nell’entroterra e attraversare la Foresta di Blackwood. Circolavano parecchie leggende su quella foresta, e sugli avamposti che gli elfi avevano costruito sulle colline, secoli prima.  Mentre cavalcava circondato dal cupo silenzio del bosco, Olgierd aveva come la sgradevole sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto: la foresta, che doveva essere piena di vita, si ergeva intorno ammantata di un silenzio innaturale, non un passero cinguettava, non si sentivano i rumori delle creature del sottobosco, e gli alberi erano così fitti che non facevano trapelare un filo d’aria, mentre le chiome erano insolitamente silenziose, e così folte da non fare passare i raggi del sole. Il sole tramontò e, seppur controvoglia, Olgierd decise di accamparsi nel bosco; accese un piccolo fuocherello e mise a cuocere un pezzo di carne, tenendo sempre vicina a se la sciabola. Era assai strano che una foresta fosse così silenziosa tetra, almeno che non fosse abitata da un grosso predatore come un basilisco, o un gigante, ma l’atamano era sicuro che meno si sarebbe  fermato in quella foresta, meglio sarebbe stato.
La notte sembrava procedere tranquilla, e Olgierd era sempre più convinto che le sue preoccupazioni fossero dettate dalla paranoia, quando un rumore sordo si udì tra gli alberi poco lontano. Olgierd rapido estrasse la sciabola dal fodero, e di istinto con una piroetta meno un fendente  dietro di se, e la spada andò a cozzare contro una rozza ascia, impugnata da due mani mostruose. Olgierd fece un balzo indietro, cercando di capire che razza di creatura avesse di fronte: somigliava ad un gigante, ma era poco più alto dell’atamano, la pelle era di un colore verde scuro, villosa, e ricoperta in parte da una corazza fatta di pelli di animale, dalle fauci spuntavano due lunghe zanne , nelle grosse mani tozze impugnava una rozza ascia bipenne molto primitiva. Con un primo sguardo Olgierd intuì che la creatura combatteva basandosi quasi solamente sulla sua forza bruta e quindi avrebbe dovuto usare l’astuzia. Piantò la sciabola nelle braci del fuoco e, non appena il bruto caricò, glieli lanciò sugli occhi, accecandolo; il colosso inciampo e Olgierd con una piroetta meno un fendente sul collo del mostro, squarciandolo, per poi finirlo con un colpo della balestra di Ungus. Il mostro stramazzò al suolo e Olgierd si avvicinò per studiarlo meglio: Notò che l’armatura di cui si vestiva altro non era che una serie di pelli animali scuoiati da poco, e l’ascia era poco più che un pezzo di metallo affilato grossolanamente e piantato in un tronco. Incuriosito, Olgierd si diresse verso dove quella creatura era venuta, con la spada sguainata e munendosi di una torcia; dopo una decina di minuti arrivò su un sentiero, sul quale trovò un carro capovolto sul terreno, e all’atamano sembrò di vedere un’ombra muoversi tra i cespugli; si avvicinò facendo luce e tenendo l’arma davanti a se ma l’unica cosa che vide fu uno stormo di corvi disperdersi tra le fronde e volare nell’oscuro cielo della notte. Olgierd tornò sul sentiero per ispezionare il carro: non c’erano corpi, ma c’era un sacco di sangue, e sul lato del carro erano conficcate diverse rozze frecce nere, dalla punta arrugginita e dal piumaggio nero; il carico del carro era devastato, con tutti i bauli aperti; Olgierd dedusse che chiunque stesse guidando quel carro doveva essere un alchimista, poiché vi erano diversi reagenti sparsi sul terreno, alcuni anche molto rari che però gli aggressori non avevano recuperato,  come se stessero cercando una cosa in particolare. Il nobile atamano recuperò quanto possibile, conscio che, seppure quello fosse un furto, quegli ingredienti avrebbero potuti tornare utili; continuò ad ispezionare il carro, e notò qualcosa che gli aggressori non avevano scoperto, forse perché interrotti, o forse perché, nella loro rozzezza, non avevano pensato: vi era un doppio fondo sotto il carro, molto ben occultato, all’interno del quale si trovava uno scrigno; Olgierd lo aprì, sospettando che potesse essere l’oggetto che le creature stavano cercando: al suo interno vi era una pietra nera come la notte, smussata e rovente al tocco, così rovente che Olgierd dovette avvolgerla dentro diversi strati di un panno per non ustionarsi. Recuperata la pietra, si udì il rumore di un gran trambusto provenire dalla foresta, e un ululato squarciò il silenzio della foresta. Tra gli alberi, sulla collina, Olgierd vide un grosso lupo mostruoso fissarlo con sguardo malefico e con le fauci sbavanti, e scattò verso di lui ringhiando. L’atamano scavalcò il carro travolto e corse nel fitto della foresta, con il lupo alle calcagna, arrivò nel suo accampamento, montò a cavallo e corse al galoppo dirigendosi sul sentiero principale. Sebbene galoppasse co gran foga, il lupo, montato di una gran furia predatrice, stava pian piano guadagnando terreno, e in poco tempo avrebbe raggiunto il cavaliere. Dagli alberi, altri tre lupi arrivarono di gran foga, e questi erano montati dagli stessi uomini mostruosi che Olgierd aveva incontrato prima, armati con rozze spade e archi di corno, li stavano ormai a pochi metri e a breve lo avrebbero circondato. Con gran fretta  Olgierd iniziò a mischiare della polvere dell’achimista con della polvere da sparo, ci mise una rozza miccia usando un pezzo del suo vestito, la accese con l’acciarino e se la butto alle spalle, la fiala con le polveri esplose proprio sotto uno dei grossi lupi, che cadde morto sul proprio cavaliere, mentre gli altri quattro lupi si dispersero, spaventati dallo scoppio.
Olgierd continuò a cavalcare lungo il sentiero, fino a quando la foresta non lasciò il posto a dei campi desolati, che circondavano un villaggio con palizzata, e sotto la palizzata, diversi corpi di quelle creature giacevano. Avvicinandosi, Olgierd fu accolto da diverse guardie, che dalle mura li putarono contro diverse balestre.
-Alt- gridò un soldato – non un altro passo, lurido Orko- puntando la sua balestra verso Olgierd.
-Non sono un “Orko”, come mi chiami te, soldato- esclamò Olgierd. –Sono un uomo, Olgierd Von Everec è il mio nome, sono un atamano e provengo dalla regione di Oxenfurt. Sono armato e potrei aiutarvi contro quelle creature.
- un momento… Olgierd?!?- esclamò una voce che alle orecchie di Olgierd apparve famigliare. Il portone della palizzata si aprì, e Olgierd entrò in un piccolo villaggio, formato da non più di una decina di case di paglia, al cui centro capeggiava un grosso torrione in pietra. Ad accoglierlo, c’era un uomo dai lunghi capelli e i baffi biondi, coperto da un mantello rosso che li copriva le spalle, e a proteggere il torso c’era una robusta corazza in cuoio e al cui fianco potava una larga spada in acciaio con diverse incisioni runiche; l’uomo prima sorpreso nel vedere Olgierd, corse a stringergli la mano.
-Branduon- esclamò Olgierd sorpreso. I due uomini si strinsero la mano, e per la prima volta, sul volto di Olgierd comparve un gran sorriso.
-E’ dalla battaglia di Zraminia che non ci vediamo, quanti anni saranno stati, sei?- domandò Olgierd
- quindici- rispose Branduon, sorpreso nel vedere le orribili cicatrici che ricoprivano il volto e le braccai di Olgierd. –Non sembri invecchiato di un giorno, anche se quei tagli midicono che hai passato degli anni molto burrascosi, amico mio. Cosa ci fai da queste parti? Come hai fatto ad attraversare la foresta, con gli orki a pattugliare la foresta-
- ne ho incontrati alcuni, in verità, ma sono riuscito a liberarmene con un trucco, ma cosa sono?  non ho mai visto creature simili-  rispose Olgierd, mentre si dirigevano verso il torrione. Olgierd constatò che in tutto il villaggio ci saranno stati un centinaio di persone, tra guardie, i contadini rifugiatisi dalle campagne e i bambini, tutti armati alla ben in meglio, pochi con spade e balestre, la maggior parte con forconi, falci e attrezzi agricoli e tutti provati dalle battaglie con le creature; giravano voci su demoni che erano scesi dalle colline, del “cacciatore pazzo”  che li guidava, e tutti guardavano con sospetto l’uomo che era riuscito ad attraversare la foresta illeso.
- non lo sappiamo. Quelle creature sono scese dalle colline due settimane fa, bruciando i raccolti e massacrando chiunque incontrassero. Abbiamo provato a mandare dei messaggeri ad Oxenfurt, ma con la guerra contro Niilfgard nessuno è interessato a cosa succede negli avamposti qui ad Est-. Branduon si sedette sulla sedia vicino al camino, sospirando sfinito e stappando una bottiglia di Brandy Novigradiano, bevve una lunga sorsata e la offrì ad Olgierd.
-devo dedurre che Radovid non ha mandato te per aiutarci, dico bene- domandò Branduon
-Radovid è morto, e no, sono in viaggio per altri motivi, ma resterò a dare una mano- rispose Olgierd.
-Sapevo che non ti saresti tirato indietro- sorrise l’amico- Ma Iris? Come sta? Non la vedo dal giorno del matrimonio, non è venuta con te?-.
A quella domanda Olgierd abbassò lo sguardo e rimase in silenzio.
-cosa… no, quelle maledette creature, la pagheranno!- ringhiò Branduon.
-non sono state loro, sono venuto qui da solo… E’ stata colpa mia- replicò Olgierd, tirando giù una lunga sorsata di Brandy. I due rimasero in silenzio, Poi Olgierd domandò. – Branduon, di recente è passato di qua un’alchimista, o uno stregone, a fare delle ricerche nelle rovine elfiche?-.
Branduon ci pensò un po’ poi rispose – Beh si in realtà, giusto un mese fa venne qui uno gnomo a fare alcune ricerche, non ci ho mai parlato direttamente, ma il mio maniscalco si, perché?- domandò Branduon.
-Sul sentiero ho trovato un carro assaltato da quelle creature, e sembrava appartenere ad un’alchimista, a giudicare dai reagenti che trasportava. Sotto il carro c’era un doppio fondo, con uno scrigno all’interno, che gli orki non hanno trovato, penso perchè sono troppo stupidi per questi meccanismi. Credo che cercassero il contenuto dello scrigno, visto che non hanno preso alcun reagente o pozione-.
Branduon ci pensò su- questo halfling arriva a fare alcune ricerche e subito dopo piombano dei mostri dalle colline? Troppo strano per essere una coincidenza, proviamo a chiedere al mio maniscalco, Kduor, lui stava aiutando questo alchimista- rispose e appena fini la frase si sentì un ruggito carico di furore provenire dai sotterranei del torrione, seguito da uno sferragliare di catene e dalle voci concitate delle guardie.
-perdonami, ero così preso dall’averti incontrato che mi è passato di mente di dirti che siamo riusciti a catturare una di quelle creature. Lo abbiamo interrogato e torturato per farci dare informazioni, ma non parla la nostra lingua, solo quello che sembra un dialetto gutturale e incomprensibile  dell’elfico. Avevamo un elfo, un servitore che si occupava dei cavalli, ma sembrava terrorizzato da quella creatura, tanto che il giorno successivo l’abbiamo trovato impiccato nella sua stanza. Ora non solo mi devo occupare di questo assedio, ma devo anche impedire ai contadini di linciarlo e appendere la sua carcassa sul portone-.
-pensi che sia il capo di quegli esseri?- domandò Olgierd
-Non lo so, è vestito di pelli e di un’armatura rozza, non mi sembra affatto un comandante. Vieni, ti faccio vedere, forse tu riesci a capirci qualcosa-.
Entrambi uscirono dal torrione e si diressero alla fucina; essa era piccola, ma ben fornita di ferro e acciaio, una grossa forgia si ergeva al centro con un fuoco scoppiettante dentro, e su un tavolo da lavoro, un robusto nano dalla folta barba nera armeggiava con degli strumenti. Olgierd buttò un occhio su cosa stava lavorando, e concluse che voleva costruire uno  strano marchingegno funzionante con la polvere da sparo, ma del cui funzionamento, Olgierd ignorava.
-Padron Branduon, ci sono quasi riuscito- il nano accolse il guerriero. – con quest’arma gli orki non avranno scampo, purtroppo posso costruire solo un paio di queste armi-.
-ce le faremo bastare, queste tue “pistole”, come le chiami tu, Rulzik- commentò Branduon. –questo è il mio amico, Olgierd, e vorrebbe farti alcune domande su quello gnomo che chiese ospitalità qui nella tua forgia, qualche settimana or sono.-
-Puah, quell’ingrato- si rivolse ad Olgierd,- è piombato qui quasi tre settimane fa, dicendo di chiamarsi Kluzkirn, e di essere un alchimista mandato dall’università di Oxenfurt per svolgere alcune ricerche sulle rovine ad ovest-.
- per caso stava studiando questa pietra?-  chiese Olgierd e mostrò la pietra  al nano.
-Si, l’aveva trovata su quelle rovine, diceva di aver ricevuto dei consigli su come trovarla da un mercante proveniente da Bianco frutteto. Quando tornò qui provammo a lavorarla, ma quella sostanza è più dura dell’acciaio, ed emana calore proprio, non ho mai visto nulla di simile- Olgierd posò la pietra nera sul tavolo, era così rovente che aveva iniziato a bruciare i panni dentro cui l’aveva avvolta.
-poi quando quelle creature hanno iniziato a scendere dal monte,  quel codardo di un mezzuomo ha caricato le sue cose in tutta fretta ed è fuggito, senza neanche pagarmi l’affitto-. Sbraito il nano,  – spero davvero che quelle creature lo abbiano ammazzato, perchè se lo becco, gli torco quel collo da mezzuomo che si ritrova-.
-Mi duole dirti che penso sia stato vittima degli orchi-  rispose sarcastico Olgierd, - piuttosto, posso vedere la sua stanza?  Può darsi abbia lasciato qualche indizio-.
-seguitemi- disse il nano, e li portò in una stanza posta al piano superiore della forgia. Quando entrarono, notarono che la stanza era messa a soqquadro, come se qualcuno se ne fosse andato in tutta fretta: il letto era disfatto, i cassetti svuotati e sul tavolo si trovavano diverse pergamene, con appunti e scarabocchi, in parte incompleti; sotto ai fogli, era stata posizionata uno spesso foglio di pergamena, come superficie per scrivere. Olgierd la accarezzò, poi si munì di un carboncino e si mise a ricalcare la pergamena; fece un sospiro di sollievo, poiché l’halfling, fosse troppo eccitato nel prendere i suoi appunti, aveva lasciato un ricalco di ciò che aveva scritto sulla pergamena che ricopriva il tavolo, e i due faticosamente iniziarono a leggere ciò che aveva scritto, tra i fogli sparsi e il ricalco:
 
- Finalmente l’università mi ha dato i finanziamenti per i miei studi qui sulle colline; già li sento, quei pomposi gambelunghe, che se la ridono per un halfling alchimista che studia Archeologia nell’università di Oxenfurt, e va cercare tesori in rovine dimenticate seguendo antiche leggende. Sono giunto a questo avamposto e ho chiesto aiuto al fabbro locale, che per fortuna è un non umano come me, e mi ha dato in affitto una stanza nella sua forgia, dove potrò condurre i miei esperimenti in santa pace. Non ringrazierò mai abbastanza il mio benefattore, un mercante proveniente da Novigrad, per aver finanziato al mia spedizione, da cui trarrò gloria e denaro; non ha mai specificato quale fosse il suo nome, mi ha solo detto che commercia specchi, e si è dimostrato interessato sui miei studi delle rovine elfiche nordorientali. Secondo quanto detto dalle leggende, gli elfi avevano costruito un avamposto su queste colline, dove portavano avanti i loro studi sulle sfere e i mondi alieni. In tempi più recenti (parliamo di quattrocento anni circa) queste rovine vennero riaperte da uno dei tenenti della caccia selvaggia; non conosco il suo nome, e negli scritti viene solamente nominato come “il cacciatore pazzo”.  Stando alle leggende, questo membro della caccia selvaggia aveva raggiunto un mondo popolato da una popolazione lontana cugina degli elfi, solo mostruosi e con una predisposizione alla distruzione, che vennero usati dallo spettro come testa d’ariete durante le sue razzie nel mondo dei mortali.
Oggi mi sono incamminato sulle colline, e dopo quasi un giorno di camminata, sono giunto alle rovine di Shail’Khauron, che nella lingua degli Elfi significa “Bocca Degli inferi”. Sul sito ho trovato diverse rozze armi, quasi tutte evolute dalla sciabola, solo fatte di un ferro nero, dalla cui lame si diramano diversi spuntoni per sventrare gli avversar. Ma è all’interno ciò che mi ha portato qui. Le cronache parlano di un misterioso “cristallo nero” capace di grandi prodigi.
Dopo diversi giorni di scavi sono riuscito ad entrare nel salone principale. A sorvegliarlo vi era un grosso golem, di cui mi sono prontamente liberato con un ordigno esplosivo. All’interno del salone vi erano diversi stendardi aventi come simbolo un grosso occhio rosso senza palpebre attraversato da una lancia. Al centro dell’immensa sala vi era un grande arco rettangolare, fatto in alabastro, al cui centro c’era il quella che sembra essere la pietra nera che sto cercando; prenderla è stato molto complicato, poiché emette un calore proprio quasi insopportabile. Valendomi di un paio di grosse pinze da fabbro sono riuscito a portarlo fuori dalle rovine. Arrivato al villaggio mi sono messo a studiarlo con l’aiuto del fabbro: il cristallo sembra assolutamente liscio e impenetrabile agli strumenti, Riesce quasi a bruciare i tessuti, e il contatto con l’acqua porta alla formazione di un vapore dall’odore fortemente sulfureo, che mi sono veduto bene dall’entrare in contatto. Domani tornerò al sito a fare altre ricerche.
 
Le creature… L’orda, è uscita dall’arco. Ho visto il cacciatore pazzo, avvolto da un’aura spettrale, uscire dalle rovine…
Devo fuggire, lui vuole la pietra… non può averla…-.

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