How Heroes sing a Christmas Carol

di jinkoria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1. Christmas Shopping ***
Capitolo 2: *** #2. Snowfall and please give me your jacket, I’m so fucking cold! ***
Capitolo 3: *** #3. Snowball Fight! ***
Capitolo 4: *** #4. Sledding and Other Such Disasters ***
Capitolo 5: *** #5. Spiked Eggnog ***
Capitolo 6: *** #6. Memories from Haunting Christmas Past ***
Capitolo 7: *** #7. Christmas Karaoke ***
Capitolo 8: *** #8. Hot Chocolatey ***
Capitolo 9: *** #9. Snow Angels ***
Capitolo 10: *** #10. Christmas Decorating and please stop eating the popcorn! ***
Capitolo 11: *** #11. Dancing to Christmas Music that we’re already tired of ***
Capitolo 12: *** #12. Chopping Down the Tree (1) ***
Capitolo 13: *** #13. Romantic Walk while Lost in the Woods (2) ***
Capitolo 14: *** #14. Ice Skating ***
Capitolo 15: *** #15. Guess who bought us matching Christmas sweaters! ***
Capitolo 16: *** #16. Bundle Up, Nerd. ***
Capitolo 17: *** #17. Christmas Baking and why is the oven smoking??? ***
Capitolo 18: *** #18. If you sing that one more time so help me ***
Capitolo 19: *** #19. Christmas movies and chill? ***
Capitolo 20: *** #20. Secret Santa (1) ***
Capitolo 21: *** #21. Secret Santa (2) ***
Capitolo 22: *** #22. Going to see the Christmas Lights ***
Capitolo 23: *** #23. Cuddles by the Fire ***
Capitolo 24: *** #24. Family Dinner ***
Capitolo 25: *** #25. Christmas Morning and I really hope you like your present(s) ***



Capitolo 1
*** #1. Christmas Shopping ***


Bonsoir!
Questa è tecnicamente una raccolta, nel senso che ogni capitolo è (sarà? si spera?) di fatto tratto da un prompt, tratti da un'iniziativa che ho trovato l'anno scorso sul tumblr di yabakuboi, appunto la # 25DaysofBakuDekuChristmas, ma non seguirò l'ordine assegnato dai prompt bensì li ho sistemati in modo da dare un senso cronologico al tutto poiché il mio scopo è creare una storia di Natale che non si perda senza un filo conduttore (il Natale) perché il suo scopo è: farsi compagnia in questi tempi complicati. Senza pretese, in realtà non sono nemmeno soddisfatta di questo inizio perché ho fatto piuttosto di corsa, spero però possa comunque impegnare qualche minuto e fungere da efficiente distrazione. Principalmente bakudeku ma non solo, questa storia si regge soprattutto sul senso di famiglia, affetto e calore tipici del periodo natalizio. Al momento è da considerarsi nel canonverse, al massimo in corso d'opera capirò se renderla una quirkless!AU, quindi mantenendo l'andazzo canonico ma senza i poteri, oppure lasciarli come eroi (e quindi non dover modificare il titolo che ugh-). Non so se riuscirò davvero di rispettare la "consegna" giornaliera, è una cosa che ho fatto tre anni fa ma erano drabble, tuttavia ho un bel ricordo della cosa quindi ho voluto provare quest'anno con ciò. Speriamo bene ^^ Grazie al team Supporto&Sopporto che subisce sempre i miei test di lettura prima di un tentativo di pubblicazione e a chiunque passerà di qui in leggerezza e serenità. 
🧡💚


 

 

How Heroes sing a Christmas Carol


 

-1: Christmas Shopping


 

Il respiro di Izuku si scontrò sulla vetrina del negozio e l’indice cedette alla tentazione di tracciare una forma sulla superficie appannata; di lì a pochi secondi sarebbe svanita in ogni caso.

Un sorriso tirò le labbra screpolate dal freddo, nascoste sotto la pesante sciarpa, quando cominciarono a conformarsi i primi tratti distintivi del soggetto intrappolato nella condensa: un paio di occhi stilizzati come triangoli speculari contornati da una quantità imbarazzante di ciocche a punta, la bocca aperta con un leggero cenno all’ingiù, quasi borbottante chissà cosa, tuttavia il disegno si ritirò in se stesso e sparì, di fatto, ancor prima di poterlo finire. In compenso la sensazione di freddo rimase sul polpastrello scoperto, leggermente arrossato tanto quanto guance e naso nonostante l’indumento a coprirli.

Stava aspettando Katsuki da qualche minuto, sotto la pensilina in legno della prima bottega a disposizione sul marciapiede per ripararsi dalla neve, frattanto recuperò il telefono dalla tasca del cappotto e sbirciò l’orario sullo schermo del telefono, riaprendo la chat giusto per essere certo di non aver sbagliato luogo e orario d’incontro.

L’ultimo messaggio risaliva alla sera precedente, quello che era a tutti gli effetti l’invito a vedersi sotto specifiche indicazioni e trascritto in poche righe sbrigative su LINE – anche se, leggendolo, avrebbe dato a chiunque più l’idea di un ordine che di un invito. Izuku non si era comunque posto particolari problemi né aveva perso tempo nel replicare con un po’ di cruccio, conscio di come quello fosse il modo più carino che Bakugou conoscesse per comunicare in determinate circostanze e di quanto poco gradisse la messaggistica in generale, dunque diede solo conferma con un’ammiccante emoji di All Might in assenso.

Le parolacce non le aveva usate, perlomeno.

L’unica cosa a cui aveva dato reale peso, Midoriya, era stata l’inusuale richiesta di per sé: accompagnarlo in città per recuperare alcuni regali di Natale, sottolineando la mancanza di quello della vecchiaccia, Mitsuki, e Inko stessa. Tutto si sarebbe aspettato, meno che una nemmeno troppo velata richiesta di aiuto in una circostanza così… normale e familiare.

Per quanto si conoscessero da che ne aveva memoria e frequentassero ormai la stessa compagnia di amici, tra lui e Katsuki aleggiava ancora un sottile velo di residua impasse. Erano di certo finiti i tempi dei battibecchi a vuoto, una nuova apertura al dialogo si era affacciata su un rapporto retto per anni da un affetto nostalgico, nonostante ciò spesso Izuku aveva creduto di essere l’unico a rimanervi attaccato, a voler credere di riprovare e poter riuscire. Finché non si verificava qualcosa del genere, semplice e al contempo sorprendente come un messaggio imprevisto di accordo per vedersi, loro due e basta, senza terzi ad appianare l’imbarazzo di aver perso la confidenza del sapere cosa dire; qualcosa che, piano piano, si era avviata verso il cambiamento. O, per meglio dire, il rinnovo di un sentimento che non aveva mai smesso di farsi ascoltare.

Bakugou arrivò qualche minuto più tardi, puntuale – Midoriya era uscito con largo anticipo, se fosse rimasto a casa sarebbe finito col pensare troppo a come comportarsi per non rendere strano l’incontro, quanto meno a se stesso, fino a rischiare di far tardi com’era avvenuto le prime volte dei loro allenamenti –, il volto celato in parte da una sciarpa ben più spessa della sua e le mani affondate nelle tasche di quello che aveva tutta l’aria di essere un giubbotto parecchio imbottito. Le estrasse per controllare qualcosa sul telefono e Izuku notò che erano fasciate da un paio di guanti di lana neri dalla bizzarra fantasia a stagliarsi su tutta la porzione del dorso, un grosso simbolo rossiccio di esplosione. Probabilmente un regalo anticipato in previsione del mal tempo e che Mitsuki lo aveva obbligato a indossare, a giudicare dall’espressione stizzita di Katsuki ogni qual volta gli cadesse l’occhio su di essi, anche se Izuku era abbastanza certo gradisse per davvero il calore che mantenevano.

Midoriya si avvicinò quando l’altro gli fece cenno di seguirlo intanto che rinfoderava le mani nel giubbotto senza perdersi in saluti, tuttavia l’erede di All Might non se ne dispiacque, dopotutto sarebbe stato bizzarro il contrario; compensò il fatto che Bakugou, un paio di metri più avanti, si fosse fermato ad aspettare lo raggiungesse e affiancasse piuttosto che proseguire avanti per conto proprio e lasciarlo indietro.

Prima di riprendere di fatto a camminare verso la via dei negozi, lo guardò un attimo e gli chiese: «Perché sei arrivato prima?».

Izuku ricambiò l’occhiata, spalancò gli occhi e sbatté rapido le palpebre, preso in contropiede da quell’uscita e dal tono di cui faceva fatica a stabilire la sfumatura. Era arrabbiato o incuriosito? Non riuscì comunque a rispondergli perché quello riprese, decifrando la sua perplessità «Hai la faccia tutta rossa, nerd deficiente».

La confusione lasciò presto spazio a uno scoppio di imbarazzo, non fosse stato per la circostanza in questione avrebbe potuto dirsi grato dell’incredibile ondata di calore divampata sugli zigomi in una giornata così fredda, invece Izuku cercò di ritirare su la sciarpa il più in fretta possibile, maledicendosi per non essersi accorto si fosse abbassata appena, forse per la velocità con cui si era spostato per raggiungere l’altro – il quale continuò a guardarlo con insistenza, in attesa della risposta che non gli risparmiò di fornirgli.

«Non avevo nient’altro da fare a casa» mentì, voltandosi verso la strada «così ho fatto un giro in anticipo per dare un’occhiata ai regali».

Se non altro, Bakugou aveva avuto l’accortezza di non fargli pesare né il tono stridulo della replica né, tanto meno, il modo idiota in cui lo aveva beccato a sorridere quando si era fermato per lui. Per sua fortuna, Midoriya di questo non se n’era accorto. O cercò di convincersene per tutto il tragitto a seguire.

 

Rimasero a girare fino a ora di pranzo e Izuku, con un certo senso di personale soddisfazione nonostante la stanchezza della ricerca infruttuosa, ebbe modo di constatare quanto indescrivibilmente difficile fosse Katsuki nella scelta dei regali. All’inizio aveva frainteso, convinto fossero i gusti di Mitsuki quelli complicati da soddisfare, persino per una persona attenta ai dettagli come l’amico d’infanzia; il reale problema era proprio la meticolosità quasi maniacale con cui Katsuki si aggirava nei negozi, scartando una quantità svariata di possibili doni che, nell’ingenuo parere – a quanto pare non davvero poi così richiesto – di Midoriya, erano piuttosto validi. Un po’ gli venne da sorridere, certo non fosse una mera questione di perfezionismo bensì la maniera più funzionale in cui Katsuki riusciva a dimostrare di aver preso a cuore la questione, senza lasciarsi guidare dal caso ma cercando qualcosa che richiamasse Mitsuki ai suoi occhi.

«Passiamo a tua madre» disse Bakugou a un certo punto, addentando con rabbia il panino preso a un take away «Che cosa le piace?».

Izuku non ci pensò molto e «Le piccole cose» disse di getto, cercò però di affrettarsi nell’essere più specifico quando si accorse della promessa di morte negli occhi di Katsuki in risposta a tanta inutile vaghezza «Letteralmente! Colleziona oggetti di piccole dimensioni, qualsiasi esse siano. Ha iniziato con i souvenir che mio padre le portava dai viaggi, adesso è da un po’ che non torna quindi ho continuato a comprargliele io nelle ricorrenze e non solo. Quest’anno non ho ancora pensato, a dire il vero».

L’altro non replicò, si era bloccato giusto un attimo dal masticare, come distratto o preso dal discorso a tal punto da interrompersi senza dar peso alla cosa, dopodiché riprese e in un paio di ultimi grandi bocconi terminò il pasto, accartocciò e buttò l’involucro d’asporto; con la stessa indelicatezza, afferrò infine Izuku – ancora intento a mangiare – per il gomito e se lo trascinò dietro.

«Kaffan?» quasi si strozzò, rischiando di inciampare nei propri piedi per l’angolazione innaturale con cui era costretto ad avanzare «Non ho finito di-».

«So dove possiamo prendere i regali per tua madre». Plurale? «Ma dobbiamo muoverci o dovremo tornare domani e non ho nessuna voglia di passare un’altra giornata in mezzo a tutte queste persone urlanti e nevrotiche».

Midoriya avrebbe voluto dirgli che il primo a star urlando era proprio lui, visto come tutti si stessero voltando verso di loro, senza contare Bakugou fosse riuscito a litigare con almeno undici persone nel giro di poche ore perché spinto o a malapena urtato da qualche passante di fretta, combattendo persino per un regalo afferrato per primo e che in realtà non aveva nemmeno intenzione di comprare – ma era diventata una questione di principio e l’avrebbe ottenuto a costo della vita del malcapitato avversario.

Avrebbe voluto ma non glielo disse, né fece nulla per opporsi all’andazzo fin troppo rapido del passo di Bakugou, al rischio di soffocarsi con l’ultimo boccone mandato giù a fatica di un pranzo al volo che, a quel ritmo, avrebbe digerito chissà quando, perché più la camminata si faceva quasi corsa più la presa di Katsuki, per inconscio che fosse, scivolava lungo il braccio di Izuku e non si fermò se non giunta al polso, a un soffio dal palmo. Quel tanto sufficiente perché le dita di Izuku, se chiuse abbastanza, avrebbero potuto stringersi sul dorso dell’altro.

Quando uscirono da una modesta bottega, quasi incastonata tra tutte le vetrine sfarzose e ben decorate degli altri negozi e nella quale Katsuki si era diretto a colpo sicuro, entrambi i ragazzi tenevano in una mano un sacchetto con dentro una piccola lanterna bianca, ornata da ghirigori in oro tipicamente natalizi dalla trama sottile e brillante. In basso, in un corsivo elegante, “Come il filo dorato di un sogno di Natale”. L’altra mano, invece, era ancora impegnata in quello che poteva essere scambiato per uno scomodo e maleducato strattone in piena regola, soprattutto considerando il ringhiante ragazzo a capo fila, pronto a imprecare contro chiunque rallentasse l’avanzata alle tediose compere. L’unico a sapere quanto intensamente delicata fosse per davvero quella presa, col viso paonazzo e non più per il freddo, era Midoriya, grato ai pesanti guanti di Mitsuki.

Se Bakugou avesse sentito, così vicino al polso, quanto forte gli stesse battendo il cuore, sarebbe stato fin troppo difficile da spiegare.


 


 

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Capitolo 2
*** #2. Snowfall and please give me your jacket, I’m so fucking cold! ***


Bonsoir!
Spero di non ridurmi sempre per il rotto della cuffia e, soprattutto, di riuscire a rendere meglio in futuro i prompt come me li immagino e di conseguenza trascriverli :') senza fretta (per cui scusate eventuali orrori ed errori, questo capitolo serviva per chiarire un po' l'andazzo ma è venuto piuttosto raffazzonato comunque sigh), magari, domani spero vada meglio e in orari più decenti! Due piccole precisazioni (da wikipedia): 
🧡 hanten : corta giacca invernale che fa parte del tradizionale abbigliamento giapponese; ricorda l'haori (sopra il kimono). Tra il risvolto e la fodera interna è interposta un'imbottitura di cotone che rende l'indumento più caldo. Il colletto è in genere fatto di raso nero.
💚 kotatsu : (elettrico) è il telaio in legno di un basso tavolino, sopra il quale viene posto un futon o una pesante coperta. Sopra la coperta è presente un piano di appoggio per consentirne l'uso come un normale tavolo, mentre sul lato inferiore della struttura viene montata una fonte di calore.
In ultimo: temporalmente questo dicembre nella storia lo si può considerare come il dicembre del secondo anno, post *tutto quello che sta accadendo adesso*, dunque Midoriya appare agitato e simil a disagio non per paura o soggezione ma perché non è abituato a un rapporto con Bakugou, figurarsi se nel mentre c'è dell'altro. ^^
Grazie a chi ha inserito la raccolta nelle varie categorie efpiane e ai commenti, in sezione e non solo 
❤ Buona lettura!


 

 

-2: Snowfall and please give me your jacket, I’m so fucking cold!


 

L’agitazione con cui la signorina del meteo indicava l’imprevisto peggioramento della nevicata sulla cartina digitale della regione, in particolar modo nei dintorni della propria prefettura, instillò in Midoriya due certezze: la prima, confortante al solo pensiero ma anche, di fatto, solida e concreta, era il kotatsu; persino la superficie del piano del tavolo, sul quale poggiava la guancia un po’ schiacciata, fissando dabbasso la televisione, era fonte di calore e sollievo. Protestava giusto la schiena, incurvata per favorire il contatto con il legno, tuttavia il benessere protettivo del plaid riscaldato era fin troppo attraente, specie se in prospettiva a una simile giornata di pieno autunno.

La seconda, forse ben più assicurata e tutt’altro che rincuorante, era la realizzazione che Bakugou fosse diretto a casa sua proprio sotto quelle avverse condizioni meteorologiche.

Non era un mistero l’antagonismo del ragazzo per il freddo o qualsiasi cosa si avvicinasse oltre un certo – alquanto ridotto – limite all’aggettivo, vi erano semmai circostanze mirate, cause di forza maggiore per cui uscire si facesse inevitabile e seppellirsi sotto una fitta stratificazione di vestiti l’unico modo per risultare vincitore di quella forzatura, come in questo caso poiché Katsuki, essendo il più vicino all’amico d’infanzia, era stato messo in coppia con Izuku per lo svolgimento di alcuni compiti natalizi.

Mina e Kirishima, con l’ausilio di un facilmente corruttibile Kaminari, avevano deciso di organizzare un Natale in anticipo da trascorrere insieme, un concesso periodo di rilassatezza da godersi il più possibile, specie dopo l’anno turbolento che speravano di lasciarsi presto alle spalle. Si erano poi aggiunti Iida e Yaoyorozu, il primo divenuto caposquadra della suddivisione di tali compiti, la seconda responsabile dell’allestimento del proprio salone di casa in virtù del giorno prestabilito, grande abbastanza da ospitare l’intera classe senza star stretti; non ci era voluto molto perché anche gli altri si aggregassero, affiancandosi a coppie o piccoli gruppi nello svolgimento di commissioni per mantenere allegro lo spirito, come l’acquisto di berretti rossi con tanto di pon pon bianco alla fine – che poi Ochako e Aoyama avrebbero personalizzato per ciascun partecipante. Kaminari e Tokoyami si sarebbero occupati delle luci e delle decorazioni per creare la giusta atmosfera, Jirou e Koda della musica…

A Bakugou e Midoriya era toccato l’aspetto culinario. Se per il primo non era un grosso problema nell’atto pratico, lo stesso non poteva dirsi di Izuku, che non poteva ancora definirsi sicuro abbastanza neanche dopo le lezioni di cucina di Rikido durante i preparativi del festival scolastico. Senza contare la più grande e reale magagna dell’onere, la stessa che avrebbe mandato Bakugou su tutte le furie una volta giunto ai fornelli – o semplicemente davanti il suo ingresso, considerato il mancato avviso di annullare l’incontro a prescindere dal maltempo. A meno che non l’avesse sommerso la neve? – ossia: accontentare, dunque conciliare, i gusti di tutti, dalla scelta degli snack alla cena vera e propria nei limiti di un onesto budget.

All’inizio, il pomeriggio in cui tutti si erano incontrati per accordarsi, Katsuki aveva proposto, mancando un po’ di gentilezza nei modi, ciascuno comprasse qualcosa per sé senza… infastidire particolarmente qualcun altro, che avrebbe dovuto altrimenti sceglierla al posto suo in una sorta di menù generico. C’era stato quasi un momento di sincero soppesare la proposta, non sminuendo la difficoltà del soddisfare più di dieci palati, alcuni dei quali intenzionalmente indisponenti, consci che il compito sarebbe toccato di sicuro all’esplosivo compagno e dunque ben intenzionati a complicare la situazione con richieste improponibili.

La pietà era però morta sotto la voce di Todoroki, ingenuo nel suo domandare: «A Natale non si dovrebbe mangiare qualcosa di più elaborato?».

Trattenere Bakugou, già pronto a farlo detonare nell’atmosfera, era stato faticoso persino per Mezo e aveva continuato a sbraitare, tra una minaccia e l’altra, di quanto ingrato e assurdo sarebbe stato da parte loro pretendere si occupasse di tutto da solo; gli occhiali di Iida avevano perciò scintillato, un ghigno saputo sul volto del rappresentante, che come non avesse aspettato altro decretò: «Ti aiuterà Midoriya-kun».

Katsuki lo aveva guardato in modo alquanto sinistro per un attimo, forse per suscitare in lui una qualche replica a quella decisione non propriamente acconsentita da nessuno dei diretti interessati, tuttavia il ragazzo non riuscì a dire nulla se non deglutire e darsi a una risata nervosa poi dispersa in un sospiro una volta che Katsuki si era voltato dall’altra parte, fissando in cagnesco un Iida intento a dargli poderose pacche d’incoraggiamento sulla schiena – con Kirishima e Kaminari a ridersela poco più indietro.

Adesso, perciò, accasciato tra le coperte calde e avvolto nell’hanten, Midoriya attendeva l’arrivo del compagno. Un po’ in ansia, in realtà, perché erano anni che Bakugou non andava a trovarlo, tanto meno per una simile occasione, più ci pensava più sembrava surreale.

A confermare la realtà della situazione fu il campanello, così inaspettato che sobbalzò, dando una ginocchiata al telaio del tavolo ma non poté indugiare sulla parte lesa, costretto a sgusciare in fretta dal giaciglio per andare a interrompere uno scampanellio sempre più ravvicinato e stridente.

Quando aprì la porta, la prima cosa che lo colpì fu una spolverata di neve quasi dritta in viso e Katsuki, che stava scrollandosela di dosso con la punta delle dita – sempre fasciate dai medesimi guanti personalizzati – in gesti nervosi e secchi, a urlarle di morire. Izuku dovette concentrarsi sul male al ginocchio per ignorare il prepotente senso di familiarità nel quale poteva sentire distintamente gli stesse sprofondando il petto.

Come se fosse normale e caloroso, uno che dice alla neve di crepare perché troppo fredda.

Midoriya lo salutò, poi andò a recuperare un asciugamano mentre l’altro si toglieva le scarpe, affinché potesse tamponare laddove la neve si fosse lasciata dietro del bagnato. Bakugou lo accettò senza dir nulla, lo sentì schioccare giusto la lingua, più per stizza verso le proprie condizioni e il tempo all’esterno che altro. Ora che lo guardava meglio, in effetti, il cappotto scuro di Katsuki era bianco in più punti, probabilmente la neve doveva averlo preso in pieno mentre era già per strada e gli si era impigliata addosso come pelo di gatto.

In una parte oscura del cervello di Midoriya, osservando Bakugou agitare la testa per scrollarsi la neve dai capelli, riecheggiarono delle profonde e intense fusa.

«V-vieni di qua!» gli si arrotolò la lingua, il tono alto per l’inevitabile nervosismo, «C’è il kotatsu acceso».

Katsuki si raddrizzò di netto, sfilò il soprabito e lo seguì fino al soggiorno, difatti dinanzi al tavolo riscaldato, sotto al quale si fiondò senza mezzi termini – anche se Midoriya era abbastanza certo avesse borbottato un con permesso, forse indirizzato a Inko qualora fosse stata in casa. Izuku andò prima in cucina a preparare del tè e recuperare dei dolci che proprio sua madre aveva comprato per l’occasione, il volto le si era del tutto illuminato al sentire dell’imminente visita di Katsuki, probabilmente perché non era solito ricevere visite né, tanto meno, dal ragazzo in questione.

Una volta tornato dall’altro lo trovò nella posizione che Izuku stesso aveva assunto fino a poco prima, avvolto il più possibile nel plaid e accasciato contro il piano, sul quale poggiò il vassoio appena distante dal suo viso. Si accorse in quel momento che gli occhi di Bakugou si erano chiusi per un attimo, riaperti al contatto della guantiera col tavolo, alla quale rivolse un’occhiata stanca prima di sollevare le iridi fino a incontrare quelle di Midoriya.

«Che- che cosa c’è?» domandò quest’ultimo, facendo per prendere posto nel lato adiacente, quando la voce bassa – Izuku si concesse di associare il conseguente brivido lungo la schiena al freddo – di Katsuki lo interruppe.

«Dammi il tuo hanten».

Le lancette dell’orologio ticchettarono tre volte prima che Midoriya replicasse, incolore: «Cosa devo darti?».

«Il tuo hanten» ripeté nel medesimo tono l’altro, forse alzando giusto un po’ la voce, come per evitare potesse fingere ancora di non aver sentito. «Ho camminato per più di un quarto d’ora sotto una bufera di neve per venire da te e sto morendo di freddo, quindi dammi quel cazzo di hanten prima che decida di scuoiarti e indossarti direttamente».

Al suono delle fusa si sostituì il fischio assordante di una teiera, infatti Izuku era piuttosto certo di star fumando dalle orecchie, perché il modo in cui Katsuki aveva sottolineato l’ardua impresa sostenuta col puro scopo di andare da lui aveva fatto sì scattassero meccanismi abbandonati alla polvere, fino ad allora inesplorati e fin troppo sconosciuti alla sua volontà di giovane adolescente, sicché gestirli pareva tutt’altro che un concetto assimilabile. Soprattutto, il modo inconsulto in cui il cuore aveva preso a corrergli su e giù per il petto era quanto di più spaventoso stesse percependo in quel momento. Ovviamente, si ripeté, era colpa del freddo e del fatto che il suo amico d’infanzia stesse neanche troppo cortese invitandolo a spogliarsi – santo All Might – affinché potesse riscaldarsi, a quel punto quello infreddolito sarebbe rimasto lui. Perciò si appigliò a questo e addusse alle residue capacità verbali ancora in possesso: «E io come faccio?».

Bakugou, fortunatamente ignaro della tempesta psico-emotiva nella testa di Midoriya, corrugò le sopracciglia e fece una smorfia, la voce più forte e graffiante «Stai sotto al kotatsu!».

«Ma sono abituato all’hanten, se me lo tolgo sentirò comunque più freddo!».

«Smettila di fare storie!».

«E tu smettila di insistere!».

«Allora» si stizzì in ultimo Bakugou, estraendo una mano fuori dalla coperta surriscaldata «Vieni qua» decretò netto.

Eh? echeggiò nella mente ormai svuotata di Midoriya, sconfitto ed esausto dalla confusione, e «Eh?» fu tutto ciò che riuscì a dire, certo di non aver capito; Katsuki ignorò completamente la sua perplessità, fissandolo dritto negli occhi con espressione impassibile mentre si spostava di appena qualche centimetro, per poi dare un paio di colpi secchi accanto a sé.

«Mi… mi devo mettere là?».

Adesso mi fa esplodere.

«Muoviti».

All’improvviso non gli sembrava poi così maligna l’idea di dargli la sua giacca, poteva pur sempre andare in camera a prenderne un’altra, non c’era nessuna ragione per impuntarsi tanto su una questione così stupida, magari era solo l’abitudine del dover arrivare al bisticcio per forza di cose e la prospettiva dell’essere accomodante non era ben nota a nessuno dei due. Non quando c’era l’altro di mezzo, perlomeno. Sicuramente era questo, poteva perciò ritirare il rifiuto e offrire l’hanten come segno di riappacificazione. Senz’altro. Continuò a pensarlo per ogni millimetro di spazio che il corpo conquistava verso la direzione dapprima indicata da Katsuki, incapace di sfilarsi l’indumento e porgerglielo perché ogni briciola di attenzione era focalizzata sul non spostarsi troppo in fretta in sua direzione e neppure con eccessiva lentezza, sentendo il brivido precedente tornare a scorrergli fino ai polpastrelli ora congelati nonostante il calore considerevole del kotatsu. Soffocante, quasi, soprattutto in prossimità di Bakugou.

«Perciò» riprese dunque l’altro, accasciandosi nuovamente contro il piano «cos’è che cuciniamo?».

Me, pensò Midoriya tra sé, gli zigomi pizzicati dalla calda consapevolezza del ginocchio di Katsuki contro il proprio, lo stesso che aveva sbattuto pochi minuti prima di andargli ad aprire. La sensazione di bruciore si intensificò quando una mano non sua andò a infilarsi nella tasca larga della giacca imbottita. Perché sentiva freddo, chiaramente, non avrebbe avuto altra ragione altrimenti, non con lui. La voleva proprio, quella giacca.

Me, continuò a ripetersi, rigido e tremolante, alla disperata ricerca della scusa della temperatura esterna come giustificazione.

 

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Capitolo 3
*** #3. Snowball Fight! ***


 

 

 

-3: Snowball Fight!


 

Katsuki se n’era pentito lo stesso istante in cui non aveva detto esplicitamente di no – il che escludeva l’aver detto di sì in ogni caso, chissà perché però quest’altro lato della medaglia era stato ben volentieri ignorato da tutti gli altri.

Il piano iniziale per quella tarda mattinata consisteva nell’incontrare Tokoyami e Jirou per prestar loro alcuni cd da usare come riferimento, al fine di creare la giusta atmosfera natalizia nel giorno ancora da accordare, presi dalla collezione a tema di suo padre, il quale l’aveva messa a disposizione di sua spontanea volontà; lieto nel vedere il figlio coinvolto in un progetto sociale con così tanti amici. Katsuki non aveva neanche sprecato tempo nel cercare di fargli capire quanto fosse stato coinvolto con l’inganno, relegato al ruolo di cuoco di corte e con qualcuno che più che aiutante andava aiutato, o gettato in pentola e lasciato a bollire. Non sentì il bisogno di sottolinearlo, in realtà, perché il fastidio associato alla circostanza non era sufficientemente credibile nemmeno a se stesso, e se suo padre lo avesse guardato con gli occhi del genitore consapevole della menzogna non avrebbe potuto far altrimenti se non sbarazzarsene per sempre. A quel punto però Mitsuki si sarebbe rifatta su di lui per vendetta ed era certo non fosse la storia giusta per raccontare questa tipologia di svolta narrativa.

Tuttavia, quando aveva chiamato Tokoyami per comunicargli l’indirizzo aveva scoperto questi si trovasse con Todoroki per qualche oscuro motivo – Midoriya aveva accennato, durante il loro giro di compere, i due ragazzi si fossero accordati a loro volta per andare alla ricerca dei regali per Keigo ed Enji –, il che aveva fatto sì i campanelli interni d’allarme di Katsuki scattassero in sincrono come lucine di Natale scoppiate: catastrofico e irreparabile. Todoroki si era difatti intromesso, senza reale intento molesto ma alle orecchie di Bakugou giunse come il più fastidioso annuncio di televendita, proponendo a Tokoyami di andare a prendere Jirou insieme, dal momento si trovassero già fuori e in compagnia, e andare altrettanto a casa del compagno.

La situazione aveva preso la piega imprevista del degenero più totale nell’esatto momento in cui, anziché i soli sopracitati Tokoyami, Jirou e Todoroki in via d’eccezione, il viale di casa Bakugou si era trasformato in un campo di battaglia per adolescenti scalmanati, tutt’altro che intenti a consultarsi vicendevolmente per allestire una serata di giochi e orridi cappellini a tema – qualcuno era rimasto del tutto sommerso da una scarica di palle di neve, di chiunque si trattasse Katsuki si dispiacque di non esserne l’artefice.

«Scusaci, Bakugou» disse Kyouka dietro di lui, la voce sottile e un po’ mesta, se non preoccupata dalla possibile, per non dire pressoché certa, pessima reazione conseguente «Ero fuori con Mina e Hagakure e quando hanno sentito che stavo venendo da te…».

«Che problema c’è?» si aggiunse Ashido, decisamente più allegra ed esaltata dell’altra ragazza, saltellando con in mano una pallottola gelata pronta al lancio intanto che schivava un colpo con un movimento quasi serpentino del busto «Ha nevicato tanto, guarda quanta se n’è posata! Da soli vi sareste annoiati e tu di certo non avresti sfruttato tutto questo paradiso per conto tuo!».

Gli occhi di Bakugou presero fuoco, la vena sul collo in pericoloso rilievo «Non era un incontro per sollazzo!».

Mina si defilò senza curarsi davvero di quanto neppure ascoltato, piuttosto passò oltre il padrone di casa per sfuggire a un’altra palla volante che la mancò e, invece, prese proprio lui dritto in faccia: bastò un secondo perché si deformasse, sciolta dal viso in fiamme per la rabbia.

A quel punto non gliene importò più nulla del perché fossero tutti lì, né di quanto freddo facesse e di come non fosse coperto a sufficienza, forte del fatto che il picco di nevrosi bastasse da calorifero naturale, l’importante era annichilire qualsiasi soggetto non desiderato sul territorio di casa sua. Dunque si chinò, raccogliendo in fretta quanta più neve possibile per compattarla nell’omonima sfera, dopodiché assunse la posizione di un lanciatore di baseball e scagliò con quanta più potenza possibile il primo, inarrestabile bolide contro la nuca di un compagno – caso volle, o forse non troppo, si trattasse di Kaminari, la cui corsa verso la salvezza si interruppe con un urlo di dolore e caduta sul morbido manto bianco circostante.

Così continuò senza sosta, di rado trovandosi anche nella condizione di dover correre ai ripari da un altrettanto agguerrito Kirishima, che aveva fatto squadra, il vile traditore, con Sero e Mezo. Fu però in grado di abbattere anche Mina, la seconda più pericolosa, rallentata da una Tsuyu tanto sofferente del freddo quanto lo stesso Katsuki – la lasciò andare per inusuale solidarietà, del resto anche lei era stata condotta in inganno in zona ostile.

Si ritrovò a correre dietro l’angolo di casa nel tentativo di sfuggire alla raffica di palle di neve lanciate dalle mani di Mezo, mentre la risata di un risorto Kaminari urlava ben ti sta da un punto indefinito del cortile, lontano dalla sua vista, al quale Bakugou promise tra sé a denti stretti una dolorosa e ben più lenta vendetta. Accantonò il pensiero della tortura di Denki sentendo i passi di uno dei ragazzi rimasti in piedi a pestare il terreno, fece perciò per indietreggiare lentamente in modo da non rischiare di beccarsi un colpo imprevisto di nuovo in pieno naso, quando la schiena impattò contro qualcosa di altrettanto solido ma appena più minuto.

Come un gatto a cui viene pestata la coda, Katsuki si girò di scatto, la palla di neve in mano pronta a rendere inoffensivo il nemico, tuttavia si rilassò – poco, pochissimo – non appena identificò un paio di occhi verdi e lucidi e tante, troppe lentiggini.

«Deku di merda» disse col tono della constatazione, a un orecchio allenato non sarebbe però sfuggito il leggero sollievo sfumato nell’insulto, quasi avesse visto, più che una minaccia, un alleato. Il fatto che non riuscisse a distogliere lo sguardo da quella faccia familiare era colpa delle guance arrossate dell’idiota, senz’altro, mettevano ancor più in risalto quegli stupidissimi e maledettissimi pois scuri.

Midoriya, dopo un altrettanto iniziale attimo di smarrimento – e qualcos’altro di non compreso, soprattutto perché svanito più in fretta di quanto non fosse arrivato – si imbronciò in un modo particolarmente evidente, le guance si gonfiarono e la bocca prese una piega buffa e infantile, le stesse lentiggini parvero agitarsi per assecondare l’espressione di profondo disappunto.

Del tutto ignaro di quanto ancora Katsuki, per questo, lo stesse insultando in ogni parte della propria mente. Senza sapere il preciso perché, sentiva solo fosse giusto imprecare contro tanta idiozia.

«Kaccha-» fece per dire poi Izuku, stanco del silenzio innaturale del giardino, il che riportò lo stesso Katsuki alla situazione in cui si trovavano, circondati da un branco di sedicenni pronti a scaricargli addosso quante più palle di neve possibili. Per questo allungò rapido il braccio, premendo il palmo scoperto della mano – aveva dimenticato i guanti in casa, stavolta, convinto non avrebbe dovuto mettere piede fuori dalla propria dimora almeno quel giorno – sulla bocca di Midoriya.

Il che fu assolutamente terribile, perché quello stava ancora parlando e la fine dell’insulso nomignolo si perse a diretto contatto con la pelle, un respiro leggero che quasi lo indusse ad allontanarsi per il solletico, ma ciò che più testò l’autocontrollo di Bakugou fu il residuo movimento delle labbra di Midoriya, che sfregarono su quello stesso punto.

Izuku ringraziò i propri capelli, lunghi abbastanza da coprirgli la punta delle orecchie, Katsuki si limitò a fingere di scrollarsi qualcosa di dosso, irritando la zona in questione e borbottando qualcosa contro il freddo. Ancora.

«Non fiatare» sibilò poi, chinatosi con l’altro appresso, «Se mi beccano per colpa tua è la volta buona che ti rinnovo la permanente».

Odiò ogni singola sillaba, per un attimo aveva persino rischiato di incespicare in una parola, la lingua all’improvviso impastata e la bocca secca, di certo per il freddo anche questo.

Intanto gli sembrava che il respiro di Izuku si facesse più rapido contro la mano, lo guardò con quanto più distacco possibile e si accorse di quanto rosso fosse diventato, di fatto non aveva ancora mollato la presa – perché non si era ancora spostato? – così lo lasciò libero di respirare. Portò poi l’indice davanti al volto, facendogli cenno di stare comunque in silenzio; Midoriya annuì e solo allora, per qualche motivo, Bakugou realizzò quanto fosse davvero vicino, l’odore fresco della neve pareva più forte. E, a giudicare da come le sopracciglia dell’altro fossero aggrottate, anche Izuku doveva essersi accorto di qualcosa.

«Scusate» sopraggiunse la voce di Todoroki, bassa e incolore ma tinta della tipica cortesia, nonostante ciò entrambi i ragazzi trasalirono e per poco Bakugou non fece esplodere la parete adiacente. «Mi ha scritto Inasa, posso dirgli di venire qui?».

Mentre Midoriya cercava di diventare un tutt’uno col cespuglio al suo fianco, Katsuki tremò dalla testa ai piedi, la frase gli uscì tremula e via via più forte «Andatevene…» fino a urlare, liberando un’esplosione che rischiò di coinvolgere Kirishima e Sero dietro di lui, pronti all’agguato «dal mio giardino».

Al diavolo il freddo e quel vergognosissimo, inutile piano di Natale.




 


Bonsoir! 
Questa volta sotto perché mi rassegno alla realtà dei fatti: alle 2k parole qua non ci si arriva, però stavolta ho finito un po' prima, forse perché avevo in mente come rendere il tutto già da ieri ?? con qualche differenza di trasposizione ma pure per quella sono rassegnata. Spero comunque che il simil cambio di pov sia carino, essendo più sul versante Katsuki ho cercato di renderlo... ostile LOL. Ah, gli adolescenti~ (ps. c'è il primo accenno InaTodo, sì)
Grazie mille per essere passat- ancora una volta di qua!! 
🧡💚

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Capitolo 4
*** #4. Sledding and Other Such Disasters ***


Bonsoir!
Non solo ho odiato questo prompt dall'inizio alla fine della frase, motivo per cui ho fatto più tardi, ma ho pure sfiorato le 3k per meno di 300 parole nonostante non ci sia molta sostanza. E infatti è quello che mi convince meno. Mi sembra tutta una colossale presa in giro, so per certo però che odierò gli slittini a vita. Anche se, 
😏.
Rimaniamo sul kacchaniano al momento, che sembra isterico, in realtà è solo innamorato e non l'ha capito, Midoriya sembra scemo per la stessa ragione ma ci stiamo organizzando affinché la cosa risulti meno imbarazzante, soprattutto per me che fatico a gestire tanta vergognosa sottonaggine e col turbo viene un po' un pastrocchio. Prendiamolo come un esperimento per una causa maggiore, se non altro in quanto a compagnia stavolta dovrei averne data un po' di più :')
Grazie sempre di cuore e di nuovo a chi sta sostenendo questa cosina
, mi spiace davvero non essere al 100% della forma e di non saper rendere come si deve i prompt assegnati, sono fuori allenamento e ho consumato le energie nel nanowrimo, che ho pure perso çç Ecco, gli altri disastri li fornisco da me (con anche gli eventuali errori di distrazione perché sono una bakautrice che se rilegge troppo poi cestina tutto e basta), perché qua ne ho aggiunto mezzo ed è pure tanto. Da considerarsi una sorta di continuazione del capitolo prima, altrimenti non avrei saputo come arrivarci. 'na bellezza oggi. 
Buona lettura!


 

 

-4: Sledding and Other Such Disasters


La battaglia con le palle di neve non era stata l’unica nefasta conseguenza di una tormenta senza perdono, difatti nessuno dei compagni presenti aveva sentito la minima necessità di ritirarsi, al caldo, magari, come avrebbe fatto volentieri Katsuki una volta resosi conto di essersi nuovamente inzuppato e in vestiti nemmeno poi così consoni all’aperto. Disgrazia volle che Mina, a quanto pare autoproclamatasi sostituta di Iida nella gestione del team di assemblaggio, si fosse divertita così tanto nel cimentarsi in una guerra all’ultimo lancio che proprio non aveva voluto saperne di accettare l’invito di Bakugou a tornarsene a casa, lei come tutti gli altri, bensì le era parso più consono e altrettanto intrattenente pianificare un pranzo comune improvvisato – non a casa di Katsuki, ovviamente, era ancora abbastanza consapevole di quanto stesse tentando la sorte col ragazzo, centellinò perciò la pazienza che gli richiese nel costringerlo a mangiare con loro.

Dunque lo trascinò, volente o nolente, sostenuta da Kirishima e il resto del gruppo, nel fast food più vicino alla posizione in cui si trovavano; i danni non si erano fatti desiderare da parte di Kaminari, che aveva insistito perché prendessero posto al piano superiore del ristorante, peccò però di fiducia nelle proprie capacità di equilibrio e si ritrovò presto in fondo alle scale, insieme al proprio vassoio e ricoperto dal suo contenuto.

Deku ricevette poco dopo un messaggio da Shinsou, nel quale il “mentalista” – come da rubrica di Denki, seguito da una emoticon difficile da interpretare – domandava cosa fosse successo, poiché si era ritrovato a sua volta sommerso di notifiche da parte del compagno, la chat piena di faccine piangenti e caratteri di ingiustizia e mondo avverso. Midoriya si limitò a mandargli una foto di Kaminari, scattata di soppiatto senza farsi notare, ricevendo quasi nell’immediato risposta da Hitoshi: tre puntini di sospensione e un ho bisogno di un momento, poi il silenzio.

Katsuki, nel mentre, continuava a lamentarsi di volersene tornare a casa, perché il riscaldamento del locale era penoso e l’alternativa era stringersi il più possibile in mezzo a due dei presenti, già sistemati lungo una fila di tavoli del tutto occupati dal gruppo di studenti.

Chiaro era non ne avesse alcuna voglia o intenzione.

A un certo punto, però, la mano di Ashido si sollevò nel mare di teste agitate e intente a nutrirsi quanto più in fretta possibile – luridi maleducati, non stavano neanche fingendo di aspettarlo – e, puntata in sua direzione, la sventolò in un gesto che intendeva richiamarne l’attenzione.

«Vieni a sederti qui» gesticolò ancora, indicando il posto vuoto ad angolo al suo fianco «Accanto a Midoriya c’è posto».

Un colpo di tosse sovrastò il brusio delle voci mescolate degli altri, Izuku doveva essersi affogato col sorso d’acqua che incauto aveva pensato di concedersi, al contrario in attesa anche Katsuki prendesse posto prima di scartare il proprio panino; Todoroki, alla sua destra, gli passò un fazzoletto e diede qualche pacca sulla schiena mentre alternava commenti bassi di incoraggiamento a domande su come stesse.

Un sopracciglio di Bakugou, per qualche motivo, ebbe uno spasmo. Altrettanto inspiegabilmente trovò la proposta di Ashido più che valida, memore di quanto Izuku fosse tutto sommato un calorifero ambulante, o forse era stata l’esperienza del kotatsu in concomitanza a una seduta ravvicinata – dietro sua richiesta, gli ricordò maligna la mente – a falsare la percezione reale della temperatura del compagno di vecchia data. Decise comunque che in quel preciso momento non aveva la minima rilevanza, difatti si ritrovò presto all’altro capo della tavolata, accanto al muro, incastrandosi tra l’angolo e Midoriya stesso, ancora non del tutto ripresosi dal rischiato strozzamento.

Mina gli lanciò un’occhiata ammiccante che Bakugou avrebbe voluto incenerire col proprio sguardo, infastidito da non sapeva bene cosa, iniziava però a sentire caldo e forse era un buon segno. O magari si stava preparando ad arrabbiarsi per quel ghigno stortissimo e indesiderato che la ragazza pareva intenzionata a non togliersi, finché quella non si voltò verso tutti gli altri, dalla sua posizione a capotavola. Batté le mani e in tono brioso disse: «Buon appetito!», in risposta al quale seguì la replica in coro.

Katsuki si ritrovò a sfogare il nervosismo su un panino ancora una volta, masticandolo come se la colpa di quanto costretto a subire fosse sua e dovesse pagarne le conseguenze.

Accanto a Midoriya, aveva detto la compagna, quando avrebbe potuto dire accanto a me, o tra me e lui, invece aveva scelto di proposito di specificare soltanto Deku. Come se non ci vedesse e non si fosse accorto da subito di dove avesse scelto di andare a sedersi, sempre accanto al tizio a metà.

«Ehm, Kacchan…» lo richiamò flebile la voce, appunto, di Midoriya, quasi timorosa «Non ti hanno messo le patatine, se vuoi puoi prenderle dalle mie».

Ancora, la testa di Katsuki decise di modificare la composizione della frase e la proposta – o richiesta – in tutt’altro che una gentile offerta di condivisione, per cui masticò ancor più forte di prima.

«Bakugou, non fa bene masticare in quel modo, finirai col dislocarti la mascella» si premurò di fargli presente Shouto, sporgendosi oltre Izuku per guardare il compagno dritto in volto col proprio sguardo limpido. Bakugou mandò giù il boccone con un fragoroso rumore di deglutizione in tutta risposta, altrettanto rivolto verso di lui, dopodiché indicò la propria mascella come a sottolineare fosse tutto a posto, il grugno accentuato.

Non si era accorto che così facendo si era praticamente addossato al ragazzo accanto a sé, il quale cercava di farsi il più piccolo possibile contro lo schienale, se per non ostacolarlo o tenersene alla larga non gli era affatto chiaro. In realtà preferì non pensarci, non c’era ragione di dar peso a una cosa simile, e le punte delle orecchie avevano ripreso appena a pizzicargli perché, effettivamente, il riscaldamento in quel posto faceva proprio schifo e gli sbalzi di intensità erano davvero problematici.

In un modo o nell’altro, era sempre colpa della temperatura esterna.


 

Il pranzo terminò a una lentezza estenuante, una tortura psicologica ben peggiore di tutte le punizioni subite da Aizawa-sensei nel corso del primo anno.

L’aria fuori dal ristorante si fece presto sentire, Bakugou affondò le mani nelle tasche del giaccone e incassò il viso quanto più possibile tra le spalle per coprirsi dietro la spessa sciarpa, già pronto a tornare sui suoi passi e rintanarsi al caldo in casa sua.

Kirishima, che di essere suo amico non voleva chiaramente più saperne, interruppe l’avanzata della speranza verso il rientro con un’esclamazione che aveva il drammatico suono della condanna.

«Qui vicino noleggiano degli slittini, c’è un po’ da camminare quindi abbiamo tempo di smaltire il pranzo! Se cercassimo una pendenza potremmo fare delle gare!».

Un assenso unanime e fin troppo entusiasta si accodò a un ridacchiante Eijirou, che diventò quasi del colore dei propri capelli quando Mina gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla e sorridendo radiosa in approvazione. Katsuki, un paio di metri più distante, si era invece raggelato sul posto. Tuttavia non aveva alcuna intenzione di assecondare oltre quel manipolo di esagitati, nonché truffaldini e scansafatiche, dal momento che molti di loro dovevano ancora occuparsi dei propri compiti e Tokoyami e Jirou non avevano più recuperato i cd che gli avevano chiesto. Peggio per loro.

«Io me ne torno a casa» sentenziò, riprendendo il passo senza alcuna intenzione di voltarsi indietro.

Alle sue spalle, Ashido sorrise ancora, stavolta con perfidia. Insinuante, con tono malizioso e malamente gettato come casuale, disse: «E dire che da uno come te mi sarei aspettata uno spirito di competizione più sentito, ma capisco non te la senta di perdere».

Bakugou la odiò. Per quella giornata, decise, andava odiata.


 

«Le regole sono semplici» iniziò Sero «Gli slittini sono biposto quindi scenderemo a coppie, due contro due. Cercate di non provare a disarcionare nessuno o Recovery Girl si ritroverà a passare le vacanze di Natale con più ossa rotte di quante non ne abbia viste con Midoriya fino a ora» guardò il compagno per sottolineare l’affermazione, che si nascose tra le braccia per l’imbarazzo, muovendo frenetico gli occhi da una direzione all’altra.

«Il primo a dare il via sarò io» proseguì Hanta «Mentre le prime squadre saranno-».

«Io e Kirishima» si inserì Mina, la mano stretta sul polso di Eijirou per tirarselo dietro, il quale batteva le palpebre in uno stato di confusione generale commista a vergogna quando lo sguardo gli cadde sulla presa forte della ragazza «contro Bakugou e Midoriya» concluse, i denti in bella mostra e dito indice e medio della mano libera sollevati in segno di vittoria.

I due prescelti, a loro totale insaputa, si scambiarono un’occhiata ugualmente sgomenta, le bocche aperte ma senza liberare voce fin quando non riuscirono a sincronizzarsi in uno stordito – Midoriya – e latrato – Bakugou – urlo, tradotto in eh?! che riecheggiò per tutta l’area circostante.

Ovviamente nessuno si curò di nessuna eventuale lamentela od opposizione, Ashido si era limitata a saltellare con in mano il proprio slittino, da un lato sorretto da un Kirishima ancora attonito e confuso da quanto accaduto senza venirne messo al corrente, perciò lasciò fosse lei a dargli indicazioni su come posizionarsi, cercando di sedersi dietro al meglio mentre Mina prendeva posto tra le sue gambe.

Il tutto osservato da Katsuki, che fissò lo slittino appioppatogli da Mezo come fosse il nemico più grande contro il quale avrebbe dovuto scontrarsi, sconcertato e incapace di reagire di fronte a quella che sarebbe stata un’inevitabile conseguenza, speculare all’accoppiata idiota lì accanto.

Sapeva di averlo alle spalle, sentiva i rovi dei pensieri di Midoriya pungergli la schiena, lui e quei suoi maledetti mormorii deliranti e ripetuti come un mantra in merito alle regole – ripeteva soprattutto l’aspetto del disarcionare e il trovare un modo per impedire a Kacchan di stecchire gli avversari in un qualsiasi modo. Stava anche torturandosi le mani, le dita incapaci di restar ferme o intrecciarsi in una posa definitiva. Lo preoccupava tanto potesse davvero cercare di sabotare in qualche modo i suoi compagni? Kirishima era un amico, in fondo, e Ashido stava davanti. Spingerla non sarebbe stato così complicato e non era detto Eijirou si sarebbe ribaltato di conseguenza. Anche se qualcosa, dal modo in cui guardava il cespuglio rosato davanti a sé, gli occhi un po’ socchiusi e le guance leggermente più colorite, gli suggeriva era più probabile si sarebbe comunque lanciato per andarle appresso.

Presto gli sarebbe toccato altrettanto, non vedere altro che un cespuglio.

«Deku» lo chiamò, secco e monotono; Midoriya scattò sull’attenti con un acuto sì!. «Tu stai davanti».

Quello non ne parve molto convinto «P-perché io?».

«Perché se dovessi rischiare di cadere ci sarai tu ad ammortizzare la mia caduta» continuò con la stessa tonalità di voce, ignorando quella preoccupata e spezzata da una risata nervosa di Izuku che gli chiedeva se stesse scherzando, si diresse piuttosto verso la propria posizione di partenza con lo slittino alla mano.

La sensazione della seduta in tessuto fu meno spiacevole del previsto, lo stesso non poteva dirsi per la posizione, il trovarsi così in basso e quasi steso in terra, sulla fredda neve, se lo sarebbe risparmiato volentieri.

Midoriya sembrò altrettanto poco convinto, alternando uno sguardo turbato dal posto che avrebbe dovuto prendere alla leggera discesa davanti a loro, neanche troppo ripida poiché molti dei ragazzi non avevano mai fatto esperienza e schiantarsi o tamponarsi non era una prospettiva poi così allettante al fine del divertimento dell’attività. In ogni caso, ci mise qualche altro secondo per decidersi, scavalcando la gamba di Katsuki per sedersi anch’egli con la schiena quasi poggiata al petto dell’altro.

Sero cominciò dunque a rimarcare ironico quanto fosse consigliabile una guida sicura, tenersi ben saldi e aiutarsi con la corda di guida per mantenere lo slittino il più dritto possibile.

«Kacchan» disse piano Izuku, sollevando suddetta corda tra le mani «Sei sicuro debba tenerla io?».

«Ah? Pensi di non riuscire a tirarla per qualche metro?».

«Non è questo… ma non l’ho mai fatto» e non voglio che ti arrabbi con me se perdiamo per questo.

Katsuki sbuffò, involontariamente spostando qualche ciuffo sulla nuca di Izuku, il quale rabbrividì in maniera piuttosto vistosa, lo sentì tremargli contro le cosce e tutto d’un tratto divenne un particolare che classificò come deleterio per la propria attenzione, attuale e in qualsiasi altra circostanza. Soprattutto, il fatto che al minimo movimento Midoriya gli si strofinasse addosso non era d’aiuto al buon proposito di focalizzarsi su nient’altro che la competizione.

«Pronti-» urlò Sero, il braccio alzato per annunciare l’avvio – anche se gli altri non potevano vederlo, in quanto stavano dandogli le spalle.

«Kacchan!» insisté Deku, stavolta più agitato, con la corda poggiata sui palmi come se bruciasse o non sapesse che farsene. Bakugou agì dunque d’istinto e allungò entrambe le braccia per afferrare la corda ben stretta tra le mani, sovrapposte a quelle del ragazzo di fronte, così si ritrovò a circondare interamente il corpo di Midoriya e a spingerglisi contro per avere una maggiore manualità. Neanche si accorse di aver dato la spinta per scendere, il volto quasi affondato nei dannatissimi capelli mossi del nerd – ancora quell’odore di neve misto al profumo di Izuku, se dello shampoo o qualsiasi altra cosa potesse avere addosso non era chiaro, l’unica certezza era quanto il proprio naso stesse gradendo fin troppo la fragranza familiare e al contempo nuova, un odore conosciuto con una punta di fresco e sconosciuto che incuriosisce e invoglia a scoprire a cosa appartenga davvero.

A incentivare l’incapacità di focalizzarsi sul non finire contro Mina e Kirishima e scendere comunque a una velocità più sostenuta della loro era il contatto della schiena di Midoriya contro il petto, una pulsazione agitata nel mezzo di cui faticava a riconoscere la fonte, se del compagno o di Bakugou stesso, se per l’agitazione della discesa indotta in modo brusco o per qualcos’altro.

Magari era solo allergico a quel profumo e stava per avere una reazione, oppure Izuku se la stava facendo sotto nonostante stessero andando a una lentezza che aveva del ridicolo, complice la pendenza misera e la posizione tutt’altro che favorevole con cui stava mantenendo la corda – a questo punto sarebbe stato meglio fare direttamente a cambio, non aveva pensato molto a dove sedersi, si era piazzato dietro e basta per togliersi in fretta il pensiero.

Poco ci volle perché si spazientì. Si sporse un po’ in avanti, la bocca il più vicino possibile all’orecchio di Midoriya affinché lo sentisse «Prendi tu la corda, devi solo tirar…».

Sporgeva appena lo zigomo di Izuku, un paio di lentiggini svettanti e sempre in bella, odiosa mostra, ma non solo; cosparso di un rosa acceso, poco più in basso, il lobo contro il quale arrivava dritta la voce di Katsuki.

Rischiò di perdere la presa salda sulla corda prima ancora di passarla del tutto all’altro, salvo poi sentire le mani di Izuku paradossalmente fredde sotto le sue pur standole stringendo per forza di cose, perché quel maledetto dettaglio e l’espressione contrita di Deku sembravano tutto fuorché rabbia o paura, e c’era quella pulsazione all’improvviso più forte e la tentazione conseguente a cui Katsuki non aveva saputo resistere: spingercisi contro e capire, come volesse assimilarla e metabolizzarla dal punto in cui lasciava Midoriya e toccava Bakugou, diventando sua, l’estensione di…

«Hah! Abbiamo vinto noi!» esultò Ashido con le braccia in alto, dando un doppio cinque a Kirishima mentre sventolava, ancora, le mani di entrambi in segno di vittoria.

Bakugou si ridestò, accortosi di essersi fermati per forza di cose, dal momento che la pendenza si era interrotta e lo slittino non aveva guadagnato abbastanza velocità in discesa perché potessero risentirne particolarmente. Guardò poi in alto, dritto verso lo sguardo eccitato e allegro di Mina, la quale però lo ricambiò con un occhiolino che, ancora, gli ricordò avrebbe davvero tanto dovuto ucciderla entro la fine della giornata, odiarla non bastava più. Kirishima, dal canto suo, era altrettanto coinvolto dall’entusiasmo della compagna, nel frattempo raggiunta dagli altri, ma sembrava un po’ più distratto.

«Alla fine abbiamo perso per colpa mia» giunse la voce di Midoriya, quasi mortificata – gli occhi che guardavano da tutt’altra parte. Per paura si arrabbiasse? Si era accorto di qualcosa?

«Non avevo voglia dall’inizio» disse soltanto, la voce gli uscì più scontrosa di quanto avrebbe voluto. Così, conscio non ce ne fosse reale bisogno e nonostante ciò preferì aggiungere «La prossima volta arriva preparato».

Izuku rispose qualche istante dopo, quando Katsuki si era allontanato e con sorpresa di quest’ultimo; non si voltò ma, dalla risposta, pareva più gioviale.

«Allora, per la prossima volta, vedi di spiegarmelo!».

Non c’era nessun motivo per cui sentirsi meglio dopo una simile frase, rimaneva qualcosa di smosso e irrequieto lanciava fitte alla bocca dello stomaco, ma poteva insistere si trattasse ancora del freddo?


 


 

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Capitolo 5
*** #5. Spiked Eggnog ***


Bonsoir!
Penso di aver fatto mille volte più tardi degli altri giorni, in mia difesa è stata una giornataccia e non ho avuto voglia di mettermi a scrivere fino alle 21:30 circa... scusate çç anche per il risultato, essendo un quick time non riesco mai a rileggere quindi è possibile troverete più pasticci del previsto (o forse no, se riesco a battervi sul tempo e sistemarla dopo averla postata - per amore di calendario - prima che qualcuno se ne accorga. Hah!). Non so quanto sbilanciarmi? Mi sono basata sulla ricetta di giallozafferano perché questo eggnog non avevo idea di che caspita fosse fino a oggi, i prompt da cui sto prendendo ispirazione sono di stampo prevalentemente americano/inglese quindi... di nuovo, poco protagonista come prompt, me sciagurata.
A tal proposito, lo dico qua in anticipo così non sembrerà troppo incomprensibile in corso d'opera: non trattandosi appunto di una bevanda tipica giapponese (almeno così mi dice internet, potrei essere stata ingannata) e avendo All Might il suo bel trascorso all'estero, l'ho inserito come guest star di aiuto involontario e... inconsapevole
Altra cosa: non c'è spoiler alcuno qui sotto, qualsiasi cosa leggerete sarà frutto della mia fantasia poiché non ho idea di che piega prenderà il manga, ma tenete in considerazione che è ambientata dopo i fatti attuali, per cui anche se inventati si tratta di spunti che prendo dal canon in corso. Se non siete in pari comunque non c'è niente di grave, è appunto inventato!
Grazie sempre di cuore a chiunque legga o mi faccia sapere che ne pensi, all'infuori della sezione recensioni per me è importante avere un qualche feedback, perché è per me ma soprattutto per essere uno svago, se finisce con l'annoiare o presentare problemi preferisco correggere la tiratura sul lancio prima di addentrarmi troppo (anche perché di mio sono troppo critica quindi pure non fosse una tale schifezza la vedrei di conseguenza)!
Detto ciò, buona lettura 
🧡💚


 

 

-5: Spiked Eggnog


Questa volta sarebbe toccato a Izuku recarsi a casa di Bakugou, invitato con sua grande sorpresa dal compagno stesso; dopo quanto successo solo il giorno prima, costretto all’invasione collettiva del gruppo di addetti ai preparativi – non desiderati – e conseguente, imposta compagnia fino al tardo pomeriggio, tutto si sarebbe immaginato meno che mai Katsuki spontaneamente ben disposto a ospitarlo. Sebbene il motivo fosse l’ovvio compito che toccava loro, ossia la scelta di cosa preparare per il giorno del festeggiamento in anticipo. Lo stesso Katsuki gli aveva chiesto di non venire a mani vuote, bensì preparato con almeno qualche ricetta da suggerire.

Midoriya era entrato nel panico più totale, ancora tutt’altro che padrone di chissà quali doti culinarie, ragion per cui non sarebbe stato poi così in grado di improvvisare dei piatti, né aveva una conoscenza gastronomica vasta al punto da potersi permettere di stilare una lista da proporre.

Non voleva nemmeno essere del tutto inutile, era certo Bakugou non lo avrebbe lasciato lavorare dopo essersi reso conto di quanto basilare fosse il suo livello di miglioramento e avrebbe finito col fare ogni cosa da sé, perciò voleva perlomeno cercare qualcosa di facile cottura e preparazione, in tal modo non avrebbe potuto escluderlo neanche dopo cumulata esasperazione di fronte a possibili pasticci. Anche perché non aveva nessuna intenzione di lasciarsi mettere da parte, era pur sempre qualcosa assegnata a entrambi, principiante o meno che fosse. Anzi, magari sarebbe stata la volta buona Bakugou gli avrebbe insegnato qualcosa.

Come no, pensò tra sé, liberando uno sbuffo sia divertito che, un po’, rammaricato; lui e Katsuki si erano avvicinati molto negli ultimi mesi, era certo anche l’amico d’infanzia la pensasse alla stessa maniera, poteva non dirlo o ammetterlo ad alta voce ma per Izuku era ben chiaro dai piccoli gesti, ai suoi occhi plateali poiché disabituati a determinate esternazioni dell’altro.

Il cuore ebbe un sobbalzo al solo ricordo del pomeriggio precedente, la sensazione della stretta inevitabile in cui Bakugou lo aveva avvolto per prendere la corda gli era rimasta impressa addosso per tutta la sera e a malapena era riuscito ad addormentarsi, quasi timoroso di incappare in quella stessa memoria durante il sonno. Qualcosa, dentro di sé, gli suggeriva che era meglio mettere da parte qualsiasi pensiero nascente in merito alla questione, sicuramente confuso dal nascere di un rapporto diverso, cresciuto con loro dopo tanti dissapori e malintesi; Katsuki si sarebbe comportato allo stesso modo con chiunque altro avrebbe potuto essere il suo compagno di slittino, senza contare era stata Mina a scegliere l’accoppiata. Magari nemmeno avrebbe optato per lui come compagno.

Anche se gli aveva detto la prossima volta.

Scosse la testa, il petto smosso di nuovo da un altro sobbalzo ma questa volta arrivò dritto in gola, dove assunse la fastidiosa espressione del singhiozzo, forte e piuttosto ravvicinato. Già che si trovava in cucina, alla ricerca dei ricettari di sua madre, fece per prendere un bicchiere d’acqua nella speranza di placare l’effetto molesto, quando il telefono gli vibrò nella tasca facendolo, se possibile, sussultare ancora.

Un altro po’ e salto in aria, sarà un segno?

Lo prese e ne sbloccò lo schermo, notando la notifica appartenesse a Katsuki; l’ultimo messaggio era ancora il suo di qualche giorno addietro, l’emoticon di vittoria di All Might.

Il singhiozzo peggiorò drammaticamente quando ne lesse il contenuto.

“Sono fuori a sbrigare una commissione per la megera. Di ritorno passo a prenderti e andiamo a casa insieme.”

Lanciò un’occhiata all’orologio, rendendosi conto di quanto ciò avrebbe anticipato l’incontro stabilito già di per sé con un preavviso piuttosto misero, fortuna – o sfortuna? – volle il cadere del weekend proprio all’inizio di quella che Izuku stesso iniziava a presagire stesse per rivelarsi una pessima idea, in un modo o nell’altro. Innanzitutto perché non aveva alcuna idea di quale piatto proporre all’altro, la lancetta nel quadrante picchiettava ogni secondo passato e ogni ticchettio gli giungeva alle orecchie come un gong frastornante e odioso, dunque portò la mano alla bocca e iniziò a mordicchiarsi le nocche con nervosismo, l’altro braccio stretto in vita e le gambe che presero a muoversi avanti e indietro con agitazione. Posò il telefono in tasca per poi recuperarlo l’istante successivo, guardò l’ora e il minuto cambiò con orrore sotto il suo sguardo terrorizzato, sbloccò e ribloccò lo schermo indeciso sul da farsi, internet e i suggerimenti rapidi che di fatto non servivano a nulla se non metterlo ancor più con le spalle al muro dinanzi all’evidenza.

Non era in grado di inventarsi qualcosa nel, se tutto andava in grazia almeno da quel punto di vista, giro di mezz’ora, doveva ancora darsi una sistemata e quantomeno fingere di avere un paio di ricette alla mano, non importava nemmeno Katsuki le scartasse, tanto lo avrebbe fatto comunque in ogni caso, ne era certo, quindi non aveva nessuna ragione per preoccuparsi tanto. Poteva aiutarlo lo stesso, a prescindere da quanto contributo concreto avrebbe potuto fornire, quanto più, se non oltre il massimo delle sue capacità.

C’era anche quella nota dolente che era tornata a manifestarsi come il singhiozzo più sfiancante della sua vita, stimolato dalla combinazione di passo a prenderti e torniamo a casa insieme, che nella testa di Izuku era suonato fin troppo bene, naturale e trascinante come l’abbandonarsi al movimento cullante e morbido delle onde appena a riva, non del tutto in acqua ma quanto bastasse per potersi stendere al sole e godere allo stesso tempo del fresco abbraccio del mare. In balia di un maledetto messaggino con nulla sotto, nessun senso alternativo, niente di rilevante, eppure era perfettamente assonante con quanto l’aveva tormentato per tutta la notte, per quanto si dicesse di non aver sognato nulla, e il lobo dell’orecchio pareva bruciare ogni qual volta gli tornasse alla mente.

Si schiaffò le mani sulle guance, mettendosi dritto per darsi un contegno.

«Ho sconfitto il caspita di super villain di questa generazione!» urlò rinvigorito, i pugni – uno dei quali con le nocche notevolmente arrossate – stretti e in alto in una posa decisa e di forza «Posso trovare una ricetta che soddisfi quel- Kacchan, che soddisfi Kacchan! E anche non riuscissi a soddisfarlo, chi se ne frega!».

Forse fu proprio per la cosiddetta Legge di Attrazione, il credo del Non Arrendersi Mai e il fatto che la decorazione del Babbo Natale sopra la sua testa ciondolasse pericolosamente in direzione del proprio telefono, fatto sta Midoriya trovò la voglia di impugnarlo, ottimista per qualche ragione e più che convinto esso avrebbe garantito la risposta al suo enigma.

Cinque preziosissimi minuti andati persi dopo, Izuku stava poggiato al bancone in cucina, le mani sparite tra i ricci mentre mormorava tetro tra sé quanto avesse fallito.

L’ormai protagonista telefono vibrò una seconda volta, facendolo voltare con gli occhi sgranati ma incastonati in un’espressione del tutto assente e vinta, dunque aprì il messaggio – ancora di Katsuki – e lasciandosi andare a un sorriso dapprima tremulo e poi ampia risata isterica, lo guardò.

“La megera è uscita con tua madre senza informarmi prima e mi ha detto di venire da te. Spero tu abbia gli ingredienti della ricetta che mi proporrai quando sarò arrivato.”

Sono finito, poteva giocare in casa ma era comunque con nulla di fatto, non aveva preso neppure sul serio in considerazione l’eventualità di prendere un piatto a caso e propinarglielo perché era certo, ci avrebbe scommesso tutta la sua collezione di All Might, Katsuki lo avrebbe capito.

Per non sembrare del tutto disperato rispose, stavolta, con l’emoticon di suddetto eroe; Midoriya la fissò, ipnotica nel suo aprire e chiudere le dita in segno di vittoria, il sorriso incoraggiante del passato simbolo della pace pareva quasi infondergli la fiducia che il ragazzo sembrava avesse perso nella cronologia sconclusionata del proprio smartphone.

La fissò… finché non ebbe la risposta.

Le iridi scomparvero, inghiottite dalla pupilla avida di quel barlume di speranza, spalancò le palpebre all’inverosimile avvicinandosi allo schermo ai limiti del possibile per essere certo di non aver avuto l’ennesimo attimo di confusione, dopodiché aprì la chat con Toshinori, suo eterno e indiscusso salvatore; risalì i messaggi quanto più in fretta riuscisse – grazie al cielo erano più le chiamate, quelle che si scambiavano, rispetto alle conversazioni su LINE – memore di una foto che l’uomo gli aveva inviato il Natale scorso, nella sua versione più robusta e al pieno di One For All, con in mano quello che in un primo momento aveva scambiato per un barattolo pieno di cera.

Gli occhi gli si inumidirono di lacrime quando, il 23 dicembre dell’anno prima, l’allegro e ampio viso di All Might si stagliò in un’immagine immortalata come il più esperto dei fotografi, riprendendo se stesso con in mano quello che la didascalia della foto definiva come spiked eggnog. Un coro interno di giubilo si propagò per il sistema nervoso quasi al collasso di Midoriya, commosso ed esultante al pensiero di aver trovato qualcosa di natalizio e non propriamente tradizionale da proporre a Bakugou. Si apprestò perciò a cercare la ricetta su internet, quasi pianse per davvero nel leggere la brevità e semplicità dei passaggi e ingredienti richiesti, infine controllò di avere ogni cosa servisse per prepararlo nel remoto caso di approvazione dell’altro e, tirando un sospiro immenso di sollievo, trovò tutto.

Guardò l’orologio, il tempo era sufficiente per una doccia in fretta e furia, ma gli sarebbe bastato per togliersi di dosso l’assurda tensione di quei momenti.

Sotto il getto dell’acqua calda pensò, convinto come quando aveva accettato di mangiare un capello per diventare un eroe, l’anno prossimo avrebbe fatto più attenzione ad accondiscendere a simili proposte, soprattutto se avanzate da Iida o Mina, la seconda in particolare per qualche motivo ispirava ancor meno fiducia. O almeno si sarebbe fatto trovare pronto con molta più dimestichezza in economia domestica.


 

Ebbe quasi un senso di déjà-vu nell’aprire la porta a un Katsuki infreddolito, sebbene non tanto quanto l’ultima volta in cui era successo, si trattenne però dal far riaffiorare anche la poco ragionevole richiesta di – spogliar- – dargli il proprio hanten per riscaldarsi.

Previdente aveva comunque acceso il kotatsu.

«Ciao!» lo salutò, facendosi da parte per farlo entrare nel genkan.

«Ciao» ricambiò più incolore Bakugou mentre si sfilava il cappotto e le scarpe, intanto lo guardava quasi con diffidenza, come se avesse fiutato qualcosa.

Midoriya sudò freddo pur sapendo di avere la coscienza a posto. Per un soffio, ma a posto.

«Mettiamoci in cucina, o senti freddo?».

Quello negò col capo, il sopracciglio sollevato e il volto ancora raggrinzito, in un certo senso, più dubbioso di prima. Pensava forse di non trovarlo così tranquillo?

Se sapessi quanto sia tutto all’opposto del tranquillo mi rideresti in faccia per settimane…

Gli fece poi gesto di mettersi a sedere nel posto di fronte a sé, un po’ temette gli si sarebbe avvicinato di nuovo per non sentire freddo, o per averlo più a tiro di strangolamento perché il semplice bocciare un’idea poteva non essere sufficiente, tuttavia il ragazzo si accomodò senza nulla aggiungere, si limitò a incrociare le mani sotto al mento.

«Beh?».

«Ah! Sì!» per poco non squittì, aprendo la pagina internet che aveva salvato poco prima e porgendogli il telefono «Ho pensato a questa».

Katsuki lo prese, stavolta la fronte si distese e non tradì nessuna emozione, né di disappunto né di approvazione, si limitava solo a scorrere la pagina in silenzio, probabilmente cercava di capire quanto fattibile e valido fosse come suggerimento.

«Zabaione “eggnog”» lesse inespressivo, sicché «È molto semplice» constatò.

Midoriya annuì, le mani in grembo e il viso appena incassato tra le spalle, intento a guardare un po’ ovunque meno che in sua direzione «Sì…».

«Non è tradizionale».

«È una ricetta che mi ha passato All Might l’anno scorso…».

Se Bakugou avesse avuto le orecchie, Izuku ne era certo, le avrebbe rizzate, all’improvviso attento e molto più interessato a piantare gli occhi sulla faccia che stava cercando disperatamente di non mettere troppo in risalto, sentendo quello sguardo pungere su ogni centimetro di pelle stesse sondando.

Seguì qualche attimo di tregua, la bocca di Midoriya era stretta e le dita tamburellavano nervose contro le ginocchia, a loro volta traballanti per il battere dei piedi sotto al tavolo, discreti, altrimenti Katsuki se ne sarebbe accorto. Era probabile fosse già così, in realtà, ma era sempre meglio fingere di convincersi del contrario.

Finalmente, il compagno parlò «Hai gli ingredienti?».

Izuku sentì andargli di traverso un pesante boccone d’aria, mentre il singhiozzo premeva per uscire ancora una volta. Come se di tic nervosi non ne avesse abbastanza.

«S-hic, ho controllato, ho tutto!».

Vide Bakugou sbattere le palpebre con un principio di sgomento, prima di voltarsi rapido dall’altra parte, sfiatare un acuto e quanto più sommesso pffft e solo dopo aver finito tornare a guardarlo, serio come se nulla fosse successo.

Stava per ridere?

«Alzati» riprese Katsuki a voce alta e perentoria, tiratosi già in piedi «Prepariamo questo zabaione».

Midoriya ci mise qualche secondo per recepire la richiesta, al solito esposta più come un ordine senza possibilità di replica o rifiuto, troppo smarrito nel filo della matassa imbrogliata che si era lasciato dietro quel suono censurato di proposito. Si alzò, di fatto, quando ricevette un’esortazione un po’ più colorita da parte del compagno.

Stava per ridere, vero? Del mio singhiozzo, stava per ridere del mio singhiozzo, non è così?

 

«Oi, Deku di merda» lo chiamò, gli occhi assottigliati, poco convinti di ciò che gli presentava la pagina virtuale, in braccio una ciotola nella quale stava sbattendo tuorli e zucchero con la frusta elettrica.

Tale Deku, al suo fianco, si asciugò dalla guancia uno schizzo sfuggito dal composto «Che c’è, Kacchan…».

«Qui c’è scritto che dobbiamo aggiungere il liquore».

«…sei sicuro?».

L’espressione arcigna di Bakugou e il gesto eloquente con cui agitò il braccio, per quanto gli fosse possibile farlo, gli dissero che sì, era sicuro, e se proprio non si fidava glielo avrebbe fatto vedere personalmente.

«Tu piuttosto, sei sicuro All Might te l’abbia suggerita con questa procedura?».

In effetti All Might non aveva suggerito un bel niente, non nell’anno corrente perlomeno, Izuku aveva solo dato fiducia a una foto scattata per sollazzo dall’uomo tanto ammirato, di certo non gli era stata inviata con l’intento di proporgliela per un futuro in cui avrebbe potuto dilettarsi come cuoco, insieme a un Kacchan con le maniche del maglione tirate su fino al gomito, lasciando le braccia toniche scoperte mentre sbatteva…

Tuorli e zucchero, ovviamente.

Il danno era comunque fatto e quello era solo un test, in fin dei conti.

«Non credo di sapere dove sia il liquore, non penso neanche ce ne sia in casa» disse, pungolando gli indici tra loro «Possiamo finirla senza e poi, se è proprio necessario alla ricetta, magari per il giorno della festa…».

Era chiaro Katsuki trovasse più allettante l’idea di inserirlo nella ciotola e amalgamarlo col composto, che intanto aveva assunto un bell’aspetto candido e schiumoso, dopodiché guardò il latte tiepido, precedentemente riscaldato, che Midoriya teneva in mano, in attesa gli desse il permesso di continuare la ricetta.

Il sospiro gli uscì, tanto per cambiare, più simile a un ringhio.

«Guarda come mi renderai un criminale, se non lo assaggi come si deve…».

«Cosa dici?».

«Passami quel latte e sta zitto».


 

Il telefono di Midoriya si illuminò, lontano da loro. All’interno, avrebbe visto più tardi, la foto di Toshinori, più sciupato e insieme a Gran Torino, in una pasticceria.

La didascalia citava: “Se ti serve qualche suggerimento per la festa, qui ne ho alcuni!”.

A Bakugou, comunque, non lo disse; nonostante i borbottii e i rimproveri per gli errori nei dosaggi o l’impaccio mostrato in più circostanze – per dei validi motivi, che per ovvie ragioni non poteva esporre al compagno, anche perché non avrebbe saputo nemmeno da dove cominciare a spiegarlo a se stesso – Izuku aveva goduto di ogni secondo di quel tempo insieme, perso tra tentativi e assaggi e disastri che poi l’altro gli aveva fatto sistemare di persona, dandogli indicazioni urlate che di primo acchito avrebbero potuto dar l’aria di essere sinceri e inaspriti rimproveri. Midoriya sapeva però della gentilezza del tocco di Katsuki mentre gli mostrava come muovere la frusta senza combinare un pasticcio, guidandolo nel movimento, così come lo aveva reso un pro della divisione di tuorli e albumi, sempre con delicatezza; non solo per la necessità di attenzione nell’impresa.

Izuku guardò la foto di All Might e sorrise, quasi si mise a ridere nell’osservare la vastità di scelta che avrebbe avuto a disposizione qualche ora più tardi. Forse, però, per loro andava bene questo, pensò osservando il contenuto bianco avanzato in una tazza, quello in cui erano scivolate più spezie del dovuto.

Un po’ un disastro, prevalentemente a causa dei piccoli bisticci e della confusione conseguente, ma soddisfacente nella sua semplicità e che aveva sazi e completi.

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Capitolo 6
*** #6. Memories from Haunting Christmas Past ***


Bonsoir!
Questo è sicuramente il prompt più a libera interpretazione finora, che mi è arrivata in suggerimento dal momento che quel caspita di haunting mi stava un po' mettendo in crisi sul come avrei potuto rendere il tutto. Alla fine è venuto più pesante ?? di quanto pensassi, perché il senso di tormento/persecuzione è inerente a un aspetto prettamente introspettivo, posso un po' giustificarlo se si considera che il tutto è rimasto nel canonverse e questo è ufficialmente il primo Natale da che Midoriya e Bakugou si sono riappacificati in cui festeggiano in questo modo (il secondo se si considera in termini di festeggiamenti alla U.A.). 
Masaru, per chi non lo sapesse, è il nome del padre di Bakugou e lo trovo tenerissimo e adorabile, per cui gli ho dato una piccola parte in questo capitolo già di per sé minuscolo, ma consideriamolo di transizione!! Prometto che quello di domani sarà più leggero, anche perché non ho molta alternativa visto quello che mi aspetta AHAH... ah.
Grazie di cuore a tutti come sempre, spero non ci siano errori (non troppo evidenti perlomeno) e che il cambio di tono non abbia smorzato totalmente il ritmo, giuro però che anche quanto scritto qua sotto avrà importanza dopo. Buona lettura 
🧡💚


 

-6: Memories from Haunting Christmas Past

 

Tra le tazze che stava osservando con svogliatezza, la scritta “Drink It Nerdy” su una di esse era quanto di più terribilmente verde Bakugou avesse mai visto. Forse non proprio in assoluto, si corresse, scacciando in fretta l’immagine di due tondeggianti, luminosi occhi dello stesso colore dell’abete decorativo del negozio nel quale ciondolava già da un po’.

Le mani erano sempre al sicuro dal freddo nel giubbetto, più leggero del solito vista la giornata insolitamente soleggiata, un paio di sacchetti pendevano ancorati al polso; regali che aveva recuperato per caso, in giro con Masaru, il quale cercava degli addobbi natalizi per il giardino e gli aveva chiesto di accompagnarlo. A Katsuki piaceva passare del tempo con lui, anche se non lo dava a vedere, perciò aveva accettato senza le solite proteste che avrebbe invece rifilato alla madre se fosse stata lei a fargli la proposta.

Il negozio in questione era capitato nel mezzo dell’uscita in maniera altrettanto imprevista, una tipica bottega di articoli a tema in prevalenza nerd, per l’appunto, dall’abbigliamento ai gadget – c’era anche qualcosa di All Might e la tentazione di mettere mano al portafogli fu piuttosto forte, tuttavia non era per sé, quantomeno non solo, che il pensiero dell’acquisto si era fatto presente. Suo padre gironzolava dall’altra parte del negozio, intanto, chiedendo chissà cosa al commerciante, forse in cerca di qualcosa da prendere a Mitsuki data la sua passione per una certa serie televisiva, gli fece perciò gesto di starsi allontanando per seguire il commesso verso lo scaffale di suo interesse e dietro al quale sparì. Dal canto suo, Katsuki riprese a guardare i prodotti davanti a sé ma senza esserne davvero interessato.

Uno dei pochi regali a mancargli, o meglio, dei quali gli importasse ancora fare nonostante non lo avrebbe comunque ammesso, era quello di Midoriya. Il che, considerando quello svanito di Todoroki e l’altro esagitato rappresentante di classe, per non parlare della ragazza con la faccia rotonda, fossero riusciti già a trovargliene uno con largo anticipo, graffiava un po’ contro lo spesso muro del suo orgoglio. Non più quello nocivo, dal quale aveva cercato di distanziarsi quanto più possibile, sebbene capitassero ancora momenti in cui mandare giù certi bocconi si faceva piuttosto duro; era qualcosa di più simile a un senso di antagonismo e rivalità nei confronti di chiunque altro avesse già appianato la divergenza tra sé e il regalo scelto, come fosse normale sentirsi in competizione per quello stupido nerd ossessionato dagli appunti, eppure era esattamente il tipo di sentimento che lo infastidiva da quando aveva saputo cosa gli altri avessero preso. Non che gli importasse, era colpa delle inutili chat di gruppo in cui si ostinavano a inserirlo e gli toccava aprirle per togliersi le notifiche di torno.

Era semplicemente assurdo che proprio Katsuki non sapesse cosa prendergli – lui che lo conosceva da quando ancora si arrovellava nel tentativo di procedere nella propria, inesauribile parlantina senza inciampare in una pronuncia sbagliata di parole fin troppo complicate per un bambino così piccolo e nonostante ciò già tanto analitico, attento e rumoroso. Fin troppo. Soprattutto negli anni in cui Bakugou non voleva sentire altro se non se stesso e il proprio trionfo indiscusso e inespugnabile. Era passato tanto di quel tempo dall’ultima volta che gli aveva fatto un regalo, neanche riusciva a ricordare di cosa si trattasse, probabilmente un’ultima uscita di allora delle figure di All Might, una di quelle che Deku tanto blaterava di desiderare ma che non poteva mai permettersi davvero.

Sapeva, se avesse scelto una cosa del genere, sarebbe stato più che sufficiente, per lui. Ma sarebbe bastato? Dopo tutti quegli anni in lontananza, a vorticare nel proprio microsistema ed escludendolo quanto più possibile dal suo centro, per ogni Natale intenzionalmente dimenticato e lasciato scorrergli sotto gli occhi in un calore sentito a metà, come ritrovarsi scoperti durante la notte e sentir freddo ovunque nonostante il resto sia sotto la coperta; sarebbe bastato tornare come nulla fosse?

Sapeva, Katsuki, di sì. A Deku non sarebbe importato neanche se si fosse presentato da lui a mani vuote, circondato da regali altrui, non perché saziato da essi ma perché fin troppo consapevole, stupidamente generoso e odiosamente disfattista, perché ci avrebbe scommesso non si sarebbe aspettato nulla da parte sua e anche per questo non voleva saperne di rinunciare. Non glie l’avrebbe data vinta così facile, magari già avendo pronto il suo, di regalo, cercato per chissà quanto, perché erano stati lontani e Izuku era cresciuto sotto i suoi occhi in un modo che si era privato di conoscere fino in fondo, o imposto di ignorare a qualunque costo, ma i regali del compagno che aveva rifiutato per anni non avevano mai smesso di arrivare. Bakugou, allo stesso modo, non li aveva mai scartati, ancora nascosti da qualche parte in camera sua. Mitsuki lo aveva rimproverato più volte, quasi aveva cercato di trascinarlo dai Midoriya per ringraziare personalmente il bambino che, senza spiegazione, aveva smesso di invitare a casa loro.

Ciò che Mitsuki ignorava era quanto ancora perfettamente integri e mantenuti fossero quei pacchetti, per quanto perfettamente avrebbe potuto conservare dei regali incartati al meglio delle capacità di un bambino – anche se era possibile notare il cambiamento graduale dopo qualche anno, fino all’ultimo anno di elementari, da un raffazzonato incarto strappato in più punti, chiusi alla meno peggio con del nastro biadesivo, a confezioni di cui era perlomeno possibile riconoscere la forma, la carta spiegazzata sui bordi perché sigillata troppo presto, larga e con la coccarda leggermente sdrucita, ma sempre in arancio su stampe i cui colori richiamavano i costumi di All Might. Katsuki li teneva lì, al sicuro, senza toccarli o scartarli, anche se la curiosità delle volte aveva quasi avuto la meglio, ma se prima il freno con cui forzava il diniego era l’orgoglio, adesso ogni briciola di tentazione veniva aspirata dalla consapevolezza di non averne il diritto. Erano il suo monito e il suo tormento, la domanda che aumentava di intensità man mano che i pacchetti nell’armadio aumentavano, cosa Midoriya ancora pensasse potesse piacergli, quanta cura avesse messo nella scelta, se all’interno avesse lasciato un biglietto com’era solito fare con dei disegni e se, crescendo, fosse passato alle parole – il senso di colpa per essere stato curato così dalle attenzioni di qualcuno verso il quale si era intestardito non dovesse ricambiare.

Avrebbe voluto scartarli, ma non poteva. Era anche certo quell’idiota di un Deku gli avrebbe dato almeno un pugno, dandogli anche dell’imbecille a sua volta, se avesse saputo. Non che avesse intenzione di dirglielo, per nessuna ragione.

Ogni Natale, per anni, un pacchetto era stato lasciato davanti il loro ingresso – personalmente, lo sapeva, lo aveva visto e si era rifiutato di ammettere di averlo guardato andarsene fino a sparire oltre il recinto di casa, troppo piccolo e minuto per non scomparirvi dietro. Le prime volte aveva bussato, accolto dal volto mesto di Mitsuki e i suoi tentativi insistenti di convincerlo a entrare sebbene Izuku sorridesse e se ne andasse in ogni caso; poi, naturalmente, aveva smesso di bussare e, ancora, di presentarsi.

Katsuki non aveva brutti ricordi dei Natali passati. Sin da bambino aveva continuato a percepire su di sé l’atmosfera avvolgente e, in un certo senso, rincuorante del periodo natalizio. C’erano stati i regali ed era sempre rimasto presente l’amore, tuttavia dal primo anno di medie era iniziato a mancare qualcosa, non solo l’ennesimo dono abbandonato in un ripostiglio senza essere scartato, che inconsciamente aveva alimentato il distacco, la sensazione di non avere il controllo totale sulla situazione e di non essere stato il solo a decidere – ma l’unico ad arrendersi, e così era diventato un peso per gli anni a seguire, il Natale trascorso con un tedioso senso di vuoto che si faceva forte e rimbeccante, l’assenza come il carbone sotto l’albero.

Fino ad allora.

Prese la stupida tazza tra le mani e se la rigirò sotto gli occhi come se avesse potuto scoprirne una nascosta superficie così facendo. Era semplice, tremendamente. Con quella scritta così verde che sembrava fatta apposta, una stupida stella tricolore – rossa, gialla e blu – al posto del punto sulla di drink e il manico di un’improponibile, inguardabile arancione. Un regalo ridicolo, della semplicità che a oggi non si sarebbe mai concesso di adottare, così sbrigativa e improvvisata, a sentimento.

Alla cassa, ignorando il sorriso nauseante e familiarmente dolce del padre, pagò la tazza dopo averla fatta incartare.

Era un regalo stupido, fin troppo semplice, per non dire imbarazzante. Ma sarebbe andato bene al Katsuki di qualche anno fa, ne sarebbe andato orgoglioso quasi, se glielo avesse fatto quel primo Natale che si era perso. Tanto, calcolò raffigurando mentalmente il contenuto dell’armadio, non sarebbe stato l’ultimo per quell’anno; forse, nemmeno per quelli a venire.

 

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Capitolo 7
*** #7. Christmas Karaoke ***


Bonsoir!
Oggi mi sono fatta prendere un po' dai sentimentalismi, però ci voleva come controparte al capitolo scorso, un po' di introspezione e qualche lacrimuccia fanno bene al corpo e purificano lo spirito. 
🧡💚 
Stavolta torniamo a Midoriya, sono però più soddisfatta della piega che ha preso, mi è difficile inserire tutti in così poco spazio ma sono contenta di essere riuscita a ritagliare un angolino anche agli InaTodo e a Shouto stesso, che in corso d'opera ho realizzato essere affine a Izuku in quanto a trascorsi... solitari. Spero non ci siano pasticci, al solito!!
Grazie mille anche oggi, come sempre, per l'attenzione dedicata alla raccolta, che spero stia facendo il suo lavoro e allieti se non la sera (visto il ritardo con cui giungo :')) le vostre giornate. Detto ciò, buona lettura!


 

-7: Christmas Karaoke



Il ruolo di tempio dello sfacelo, quella sera, era diventato uno dei locali in cui Midoriya era tutt’altro che solito andare, sia perché non era mai stato particolarmente intonato, tanto meno appassionato in merito, sia perché fino a quel momento non aveva avuto una vera e propria occasione per farvi una capatina – né una compagnia con la quale condividere il momento, anche.

Aspettava Ochako lo chiamasse per domandargli in che modo volesse personalizzato il suo cappellino natalizio, nonostante le avesse dato carta bianca lei e Aoyama avevano insistito nella volontà di accontentare tutti per quanto gli sarebbe stato possibile; ciò che non si aspettava era l’invito dell’amica, a sua volta le era stato esteso da Kaminari e Sero, i quali avevano pensato di prenotare una sala al karaoke per passare una serata in allegria e insieme.

Al solo pensiero, dovette ammettere, Izuku si era sentito avvolgere da un calore nuovo e che un po’, pensando agli anni addietro, aveva fatto sì gli angoli degli occhi iniziassero a pizzicare appena, tuttavia scacciò in fretta qualsiasi preludio a una commozione, sincera ma non necessaria e stonata col tenore gli altri pianificavano di mantenere. Dunque aveva semplicemente risposto in modo positivo, si era fatto indicare luogo e orario, poi si era sistemato, coperto dalla testa ai piedi, e infine era uscito di casa.

Inko lo aveva salutato con un prolungato bacio sulla guancia, per poi sprimacciargliele entrambe mentre gli augurava di divertirsi e suggeriva qualche canzone da cercare qualora si fosse trovato impreparato nella scelta.

Arrivato al locale stabilito, Todoroki era stato il primo ad accorgersi della sua presenza, intento a parlare con Iida e Yaoyorozu.

«Midoriya-kun» lo salutò il rappresentante, composto ma visibilmente entusiasta; Izuku ricambiò e pensò dovesse davvero piacergli l’idea di quella serata, nell’avvicinarsi lo aveva sentito dire qualcosa inerente al come avesse fatto a non venirgli in mente, rivolgendo un complimento per l’idea a un Kaminari che non era ancora nei paraggi. In realtà era solo poco più distante, si accorse, lo vide dietro Inasa, che Todoroki aveva invitato in quanto al momento fosse di tirocinio in zona; accanto a Denki, che parlava eccitatissimo e concitato, le guance e il naso arrossati dal freddo – e, forse, non solo – Midoriya identificò l’interlocutore al quale si rivolgeva come Shinsou, le occhiaie sempre accentuate e lo sguardo in apparenza neutrale, tradito dal mezzo sorriso leggerissimo che stava dedicando al ragazzo dell’elettricità. Quando notò Izuku gli fece un cenno col capo in saluto, il che attirò l’attenzione di Kaminari stesso, il quale si voltò di conseguenza e, nel vederlo, sollevò il braccio per salutarlo. Dopodiché gli corse incontro facendosi strada tra gli altri compagni, Hitoshi lo seguì ma a un passo più moderato.

«Midoriya! Mancavi solo tu!» esordì allegro, per poi guardare dietro di lui come in cerca di qualcuno. Izuku lo guardò confuso fin quando Kaminari, nell’inconsapevole rischio di fargli andare di traverso la saliva, non domandò «Kacchan non è con te?».

Il singhiozzo tornò a tradimento, anche se ormai aveva imparato quasi a prevederlo come conseguenza di un momento scomodo o somatizzazione di un’incontrollata, assolutamente immotivata dose d’imbarazzo.

Deglutì a vuoto e, cercando di risultare il meno agitato possibile, rispose «Non l’ho sentito» non è come se parlassimo di altro a parte le ricette pensò tra sé ma si trattenne dall’esporlo, la voce stretta da un sottile filo speranzoso nonostante cercasse di camuffarlo «Ha detto che sarebbe venuto?».

«No» asserì qualcuno alle sue spalle, fin troppo vicino perché Midoriya non trasalisse; in compenso, per lo spavento gli passò il singhiozzo «Sono stato costretto».

Si girò rapido, più del necessario, e in un secondo momento si sarebbe di certo morso la lingua e pestato i piedi da solo per essere stato così sciocco e ovvio, nonostante ciò lì, sul posto, non era stato in grado di trattenersi e voltarsi per scontrarsi, a pochi passi da sé, col viso distorto dal disappunto di Bakugou. Accanto al ragazzo, Kirishima sghignazzava e alternava pacche poderose e divertite alla spalla dell’amico, il quale non ci mise molto a digrignare i denti in sua direzione, mordendo l’aria in avvertimento.

Col risultato che Eijirou rise più forte, prestando piuttosto attenzione a Kaminari, che andò a salutarlo con trasporto.

«Kacchan» lo salutò Midoriya, il quale si accorse in quel momento di essere rimasto solo, gli altri si erano accostati ai nuovi arrivati «Non pensavo saresti venuto anche tu».

Ricordavo non ti piacesse.

Bakugou schioccò la lingua, guardando da un’altra parte «Ho detto che mi hanno obbligato» e fulminò i due compari lì accanto nel dirlo, che si limitarono a mostrargli un segno di vittoria sincronizzato, poi sparirono al centro del gruppo, dopodiché tornò a fissarlo di sottecchi «Tu invece? Da quando ti piace il karaoke?».

La domanda giunse inaspettata, più che altro Midoriya non avrebbe creduto gli sarebbe davvero importato saperlo, era sicuro, anzi, non avrebbe dato particolare peso al perché si trovasse lì. Ebbe la tentazione di dire qualcosa di diverso, di rispondere affermativamente per non dare l’impressione del nerd solitario per anni, pensò fosse il caso inventarsi una risposta e che sarebbe stato più facile piuttosto che rispondere in modo da far capire il sotto testo dell’affermazione.

Si accorse ora Katsuki fosse del tutto voltato, il viso dritto, appena inclinato verso il basso per guardarlo dritto negli occhi, e Izuku scordò perché avesse sentito l’insorgere incomprensibile del bisogno di mentirgli.

«In realtà non lo so se mi piace, non ci sono mai stato» ammise, sebbene a sua volta rivolse lo sguardo in un punto imprecisato del giaccone dell’altro, le dita che torturavano il bordo del parka, stavano anche iniziando a fargli male per il freddo, mentre la sensazione del singhiozzo imminente pareva sul punto di tornare. Si sforzò più che poté per contrastarlo, ringraziò invece tra sé Iida per aver richiamato tutti, una volta arrivati al completo, per invitarli finalmente a entrare.

Bakugou fu catturato da Kirishima e Kaminari, che lo presero sottobraccio e così lo stritolarono per assicurarsi non fuggisse, Midoriya perciò raggiunse Todoroki e gli si affiancò, coinvolto a sua sorpresa da Inasa in una conversazione sul karaoke; scoprì così che lo stesso Shouto non aveva mai preso parte a una serata simile, col cuore un po’ stretto non riuscì a stupirsene e tuttavia, sentendosi colpevole per il pensiero egoista, si sentì quasi meno fuori posto. Per fortuna si accorse l’attimo dopo del modo in cui Yoarashi gli si avvicinasse e come le loro mani si sfiorassero più volte nel corridoio di conseguenza, senza che Todoroki lo rifiutasse, anzi sembrava quasi rallentare o aumentare il passo per rimanere coordinato con quel tocco forse non così involontario. Izuku sorrise, rimanendo un po’ indietro, la stretta al petto più dolce, perché anche l’amico, adesso, poteva rifarsi di tutti quegli anni persi.

La sala si presentava come molte ne aveva viste in televisione, una stanza piuttosto spaziosa e circondata da divani e tavolini, mentre sulla parete centrale svettava una grande televisione ai cui lati erano poste casse e microfoni.

Jirou e Mina furono le prime a esibirsi, Kyouka inizialmente imbarazzata si era lasciata man mano coinvolgere dall’energia dell’amica, a loro si aggregarono anche Ochako e Tsuyu nella canzone successiva, intanto Yaoyorozu e Hagakure rimasero sedute nonostante avessero cercato di convincerle ad aggiungersi in un’esibizione più numerosa, troppo imbarazzate al pensiero di esibirsi davanti tutti gli altri compagni. A seguire scelsero un brano Kirishima e Kaminari, la cui stonata grinta commosse Iida, il quale finì per ritrovarsi tra i due ragazzi, trascinato dalla canzone – tra l’altro pareva conoscere qualsiasi proposta passassero i vari studenti, il che confermò i dubbi di Midoriya circa il suo amore per il karaoke, o i canti di Natale di per sé.

L’esibizione di Inasa e Todoroki fu quasi stravagante, non un esito così insolito considerato il diverso atteggiamento tra i due verso il microfono, Shouto che quasi non sapeva che farsene e Inasa, invece, intento a stringerlo e agitarlo come simulasse un concerto vero e proprio. Fu proprio grazie alla disinvoltura e sincero divertimento di Yoarashi che il ragazzo al suo fianco riuscì a rilassarsi, forse perché la presenza di Inasa era ingombrante abbastanza affinché Todoroki non rischiasse di sentirsi in una posizione che non riusciva a occupare, così si sciolse e, con grande sorpresa generale, cantò meglio di quanto forse riuscì a rendersi conto. Tutti finirono col ridere dell’espressione confusa del compagno quando le ragazze, Iida e Kirishima gli andarono incontro per fargli i complimenti, le domande degli ultimi due su dove e quando avesse fatto pratica che sovrastavano la musica stessa, partita senza che nessuno se ne accorgesse.

Izuku si massaggiò le guance, dolenti per le risate, quando un microfono invase il suo campo visivo; a tenerlo in mano, chiaramente con l’intento di porgerglielo, c’era Bakugou.

Sbatté gli occhi e li alternò più volte tra l’oggetto in questione e la persona di fronte «Che cosa devo…?».

Si sentì tirare il polso e capì le intenzioni, pessime, dell’altro quando il manico del microfono prese posto sul suo palmo senza avesse acconsentito «Tocca a noi».

La totale assenza di permessa replica nel tono lapidario di Bakugou fu quanto di più terrificante, sconcertante e, non poté trattenersi dal pensare, emozionante avrebbe potuto pensare gli succedesse in una serata simile. Tuttavia il dubbio gli sorse lecito, abituato fin troppo al rifiuto e altrettanto troppo poco all’invito, dunque, travolto dal battito accelerato in anticipazione e ansia mentre lo seguiva comunque fino al palchetto – sotto lo sguardo sorpreso di alcuni e compiaciuto di altri –, domandò «Vuoi… cantare con me?».

Bakugou si fermò davanti allo schermo, prese il telecomando e scorse la lista delle canzoni a disposizione, focalizzato su di esse, lasciando in sospeso la risposta; una volta selezionata, voltò in collo verso Izuku, il quale non riuscì a evitarsi di schiudere le labbra dalla sorpresa quando Katsuki gli mostrò il suo più bel sorriso di sfida, provocatorio ma anche – lo sentiva nella sua voce – divertito, frattanto che qualcosa iniziava a muoversi alla bocca dello stomaco e si dibatteva, quasi, impenitente premeva per uscire a tutti i costi. Alla sola vista di un sorriso tagliente che celava la più arrogante delle gentilezze.

«Voglio sapere» mise play Bakugou, la parte strumentale della canzone che iniziava a coprire le sue parole ma non forte abbastanza da far sparire il frastuono che Midoriya sentiva rimbombargli tra le orecchie, la testa leggera e il cuore dolorosamente coinvolto, tutto concentrato sulla voce del ragazzo al suo fianco, così vicino come mai avrebbe pensato di ritrovarselo, un giorno, tanto da fargli tornare quel pizzicare fastidioso agli occhi e del quale faticava a impedire il liberarsi «se ti piace o meno il karaoke».

La musica stuzzicò una corda interna ben più presente di quanto Izuku avrebbe immaginato. E mentre Bakugou iniziava a cantare a squarciagola la canzone che Midoriya identificò, per casualità e a malapena, come appartenente a una di quelle suggeritegli da Inko, circondato dall’allegria dei suoi compagni, le risate e l’incitamento dei suoi amici, in una stanza larga il giusto per contenerli tutti, col volto caldo e umido realizzò.

Era rumoroso, ma amava il karaoke.

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Capitolo 8
*** #8. Hot Chocolatey ***


Bonsoir!
La prima settimana, con mia immensa sorpresa, ammetto, è andata. Anche oggi ci salviamo a stento dalla mezzanotte ma ringraziando il cielo avevo in mente perlomeno lo scheletro del prompt ed è venuto fuori un po' così, però è una parte... di svolta, che dice e non dice alcune cose~ (a proposito, mi è venuta un po' la nausea, non sono amante dei dolci quindi ancora una volta capisco Katsuki...).
Non penso di avere molto altro da aggiungere oggi, almeno per ora, quindi passo direttamente ai soliti e dovuti ringraziamenti a chi sta seguendo e sostenendo questa raccolta, mi scoraggio facilmente e non sono giornate semplici in cui scrivere qualcosa di così leggero e, si spera, sensato ahahah ma sono sinceramente contenta a qualcosa stia servendo davvero, perciò grazie di cuore. 
🧡💚 
P.S.: se non vi piace la EndHawks o Endeavor in generale potrebbe essere un capitolo difficilotto, mi spiace, se consola non è così presente come potrebbe sembrare!!
 


 

-8: Hot Chocolatey

 

Osservare Keigo mescolare con la frusta il composto via via sempre più scuro del latte misto a cacao in polvere, rigorosamente amaro, ricordò a Izuku l’esperienza non proprio terminata a buon fine della preparazione dello zabaione insieme a Katsuki; non avevano trovato il liquore ma avevano pensato, per qualche motivo, di poterne compensare l’assenza temporanea abbondando con le spezie, alcune finite un po’ ovunque tranne che nella ciotola apposita.

Bakugou gli aveva mandato emoji con linguacce e starnuti per giorni.

Stavolta, invece, l’invito era partito da Shouto: il ragazzo aveva scritto a entrambi nella chat creata tempo addietro per il tirocinio congiunto con Endeavor, quasi un anno prima, a ben pensarci, proprio nel periodo delle vacanze natalizie. Il messaggio faceva riferimento a Hawks-san ospite a casa Todoroki, a sua volta invitato da Fuyumi per sostituirla nella preparazione di più tipologie di cioccolata calda, avendo lei altri impegni per il pomeriggio ma intenzionata a far assaggiare le varianti ai fratelli.

Per quanto la curiosità fosse forte, Midoriya evitò di domandare all’amico come mai la sorella avesse pensato di chiedere aiuto proprio a Takami per una cosa simile, o come facesse a sapere di una sua presunta bravura in merito alla bevanda calda. Non la ricordava nemmeno una ricetta così difficile, il che era tutto dire, tuttavia ebbe l’accortezza di non indagare su una questione in fin dei conti irrilevante, magari era semplicemente per via dei buoni rapporti intercorrenti tra lui ed Endeavor; si era sparsa infatti la voce di come finissero sempre più spesso in missione insieme, Midoriya ricordava di averli visti agire in coppia in televisione e durante il tirocinio stesso, sebbene era certo non bastassero quelle poche occasioni per comprendere appieno la sintonia dei due in azione.

«Takami-san» si rivolse Shouto al più grande, interrompendo inconsapevole lo sconclusionato flusso di pensieri del compagno «È questa quella al caramello mou?».

L’eroe alato scosse piano la testa in diniego, gli occhi chiusi e il sorriso davano un’aria saputa alla sua espressione «Per quella ci vuole il cioccolato al latte, Shouto-kun, qui invece» diede un colpo di frusta al bordo del pentolino per sottolineare il composto in questione «ho usato il fondente dato che qualcuno» e a questo punto si rivolse verso Katsuki, il quale sporse il mento raggrinzito dal broncio «ha detto che non lo gradisce troppo dolce».

Uno schiocco di lingua stizzito censurò chissà quale parolaccia Midoriya non provò nemmeno a intuire, a giudicare dalla risata di Hawks questi doveva però averlo sentito comunque. Continuò quindi a mescolare, fin quando non rialzò la voce di parecchio, per farsi sentire fino a un’altra stanza, poi cantilenò allegro «A proposito di cioccolato fondente, Enji-san! Dov’è finito il mio cioccolato fuso?».

Izuku non poté fare a meno di stupirsi nel sentire il professionista chiamare l’altro col proprio nome, seguito da un onorifico ma pur sempre più vicino e intimo; la testa si voltò appena in direzione di Bakugou al suo fianco, ancora imbronciato e con le braccia conserte mentre Shouto gli diceva qualcosa a proposito di essere paziente – forse associava l’offesa dell’amico all’attesa della famosa cioccolata? - e si ritrovò a guardarsi le mani, le labbra leggermente incurvate verso il basso, sebbene il sentimento della smorfia non fosse dovuto a tristezza o dispiacere.

Pensò al fatto che Katsuki lo lasciasse chiamarlo per nome, in un modo addirittura alquanto infantile e che avrebbe potuto considerare persino imbarazzante; andava su tutte le furie quando Kaminari, consapevole del fastidio che ne sarebbe conseguito, gli si avvicinava per chiamarlo in quella maniera con tono quasi stucchevole. Eppure non era mai stato ripreso, Midoriya, né gli era stato detto di smettere di farlo, il responso dell’altro ormai naturale all’appellativo d’infanzia. Magari era davvero solo una questione di abitudine e stava dando troppo peso e significato – importanza – a qualcosa che c’era sempre stato, tra loro. La differenza iniziava a stare nel modo in cui Izuku in primis sentiva stesse modificando la percezione del più piccolo e consueto gesto.

Le voci animate di Todoroki e Bakugou infransero gradualmente la sua bolla di pensiero, si accorse anche della presenza di Enji, intento a dire qualcosa a Hawks con una faccia seccata e girata da tutt’altra parte mentre il collega continuava a ridersela di gusto dabbasso, ultimando la preparazione.

«Takami-san è davvero bravo, capisco tu sia impaziente ma-».

«L’unica cosa che devi capire è che della cioccolata non me ne frega un ca-».

«È pronta!».

Tutti e tre si voltarono in sincrono verso Keigo, le iridi eterocromatiche di Shouto brillarono quando si posarono sulla prima tazza fumante già versata e porta subito a Bakugou, il quale la accettò come se gli costasse uno sforzo indicibile, l’altra la diede a Enji dietro di lui, che lo ringrazio a bassa voce – quasi in imbarazzo, pensò Midoriya con shock osservando la scena. Ovviamente non era possibile, si era però anche abituato all’aspetto impacciato della personalità di Endeavor, esposto in questa accezione caratteriale soprattutto nei dintorni dei figli e, a quanto pare, di Hawks.

«Midoriya-kun» lo chiamò quest’ultimo, il pentolino ancora fumante sollevato «Preferisci questa o aspetti quella al mou?».

Il ragazzo guardò Shouto e gli venne spontaneo sorridere in risposta al modo in cui lo stesse guardando, come a chiedergli di fidarsi e provare quella variante, mentre Katsuki tra loro prese a sorseggiare più rumorosamente la propria bevanda; Izuku si chiese come facesse a non bruciarsi nonostante fosse ancora parecchio calda. Comunque annuì in direzione di Todoroki, poi verso Keigo «Vorrei assaggiare quella al mou».

Le ali dell’eroe si agitarono lievi, Midoriya lo interpretò alla stregua di un segno d’assenso. Infine lo vide rivolgersi ancora una volta verso il padrone di casa, stavolta tendendo il volto verso l’alto – più che un corvo parve una civetta in cerca di attenzioni.

«Endeavor-san» cantilenò di nuovo, stavolta tornando al nome da eroe, che quella di prima fosse stata una svista? «Andresti a comprare per me qualche dolcetto da portare a Tokoyami-kun?».

In effetti lo stesso Fumikage, pressoché considerabile il pupillo di Hawks a pieno titolo, era stato invitato a casa dei Todoroki per l’occasione, tuttavia non si trovava particolarmente a proprio agio con la cucina, dunque non potendo essere presente nel mentre e aveva preferito declinare l’offerta e allenarsi piuttosto con Tsuyu nella palestra della U.A. lasciata a disposizione. Aveva addirittura mandato un messaggio di scuse ai suoi compagni, i quali lo avevano rassicurato e promesso di fargli avere comunque del preparato la prossima volta – Bakugou in realtà aveva quasi risposto con Digli che devo venire con te ma Midoriya lo aveva intercettato e fermato.

La lavorazione della cioccolata al caramello sembrò un po’ più complessa, perlomeno agli occhi di Izuku, abituato tutt’al più a quella che era solita preparargli sua madre nei periodi più freddi, durante le vacanze. Era certo di non avere mai assaggiato quella versione e in parte sentì di capire il perché Katsuki, tra le alternative, avesse scelto quella amara; trovò la dolcezza della bevanda, sommersa dalla panna modellata a ciuffo, gradevole e confortante durante i primi i sorsi, poi iniziò a farsi un po’ troppo persistente come gusto, a tratti smaccato.

Alla fine di tutto, i tre studenti si offrirono per pulire quanto sporcato nella preparazione, Hawks li ringraziò con una pacca ciascuno, nel caso di Bakugou scompigliò i capelli già di per sé smossi, ricevendo in cambio le mani del ragazzo che schiaffavano via la sua. Dopodiché sparì oltre il corridoio.


 

Un paio di ore dopo, col buio del pomeriggio inoltrato ormai predominante se non sul filo dell’orizzonte, dov’era ancora percepibile un sottile velo scarlatto del tramonto, i due invitati iniziarono a prendere le loro cose per tornare a casa.

Izuku ricordò di aver lasciato le sue cose nel salotto adiacente, dunque informò i ragazzi, soprattutto Todoroki «Vado a prendere il mio zaino». Bakugou lo incitò a muoversi altrimenti lo avrebbe lasciato lì, diretto in fretta verso l’ingresso mentre Shouto lo seguiva allo stesso passo come se non gli importasse nemmeno.

Era la seconda volta in cui andava in visita all’amico nonostante i mesi passati insieme, rifletté Midoriya mentre si aggirava tra le stanze, dandosi mentalmente dello sciocco per essersi scordato quale corrispondesse al soggiorno. Quello in cui aveva dimenticato la borsa, perlomeno, perché era impossibile uno zaino tanto giallo non spiccasse in mezzo a un arredamento così classico e tradizionale.

Qualcosa di giallo attirò la sua attenzione, più dorato in realtà, quando arrivò in procinto di una stanza senza pannello scorrevole; avvicinandosi, ingannato per un attimo dalla tonalità, si accorse poi si trattasse dell’ala di Hawks. A quel punto si disse era tanto meglio, poteva chiedere a lui di dargli una mano, anche se non sarebbe stato molto dignitoso ammettere di essersi perso in una casa – in sua difesa, era abituato al proprio appartamento. Nemmeno la casa di Bakugou era tanto grande.

Fece dunque un ulteriore passo verso la porta, la bocca aperta pronta a chiamare l’eroe quando si accorse del movimento dell’ala, come se stesse effettivamente volando, ma non ebbe il tempo di domandarsi il perché o soffermarsi su quel particolare perché fu costretto, dopo un primo attimo di stupore che lo paralizzò sul posto, a nascondersi in fretta dietro la parete adiacente, le mani premute sul viso per non emettere alcun suono. In punta di piedi, preferì tornare indietro e chiedere direttamente a Shouto di dargli una mano, salvo poi cogliere di sfuggita – stavolta per davvero – il proprio zaino lasciato però su una sedia in tutt’altra stanza. Lo afferrò in fretta come se dovesse fuggire, raggiunse l’ingresso e, ignorando del tutto le lamentele di Katsuki su quanto ci avesse messo, indossò le scarpe a testa bassa in poche e rapide mosse.

«Grazie per essere venuti» disse cortese Todoroki, inchinandosi appena verso di loro.

Bakugou borbottò ancora qualcosa sull’essere stato trascinato a forza, fu però interrotto con un’intromissione brusca della voce acuta di Midoriya, che ricambiò l’inchino e spinse l’altro a fare altrettanto.

«Grazie a te per l’invito, Todoroki-kun».


 

«Oi».

«Che cosa c’è?».

«Lo chiedo io a te, che cos’hai visto in quella casa da volertene andare all’improvviso con tanta urgenza?».

Midoriya per poco non inchiodò sul marciapiede, Bakugou invece continuò a camminare per qualche passo, finché non si fermò per voltarsi e guardarlo; l’erede di All Might incassò il viso tra le spalle in tutta risposta, cercando di nascondere il rossore esploso sulle sue guance quanto più possibile nella sciarpa a quadri.

«H-ho dimenticato di avere delle faccende da sbrigare per mia madre» mentì, certo di essersi smascherato per il modo stridulo in cui gli era uscita la prima cosa che gli era venuta in mente, oltretutto con qualche secondo di ritardo di troppo per risultare credibile.

Katsuki, comunque, non aggiunse altro e Izuku si ritrovò a ringraziarlo mentalmente per aver trovata noiosa quella risposta, o magari non aveva voglia di insistere, il che andava bene comunque. Soprattutto fu grato a se stesso per aver portato una sciarpa ben più spessa del solito, coprente quasi fin sopra il naso, altrimenti non avrebbe saputo spiegare il modo insistente in cui continuava a umettarsi le labbra tra loro, quasi alla ricerca di un contatto che non c’era di fatto mai stato.

Ripensò a quanto aveva visto a casa Todoroki, sentendosi ladro di un momento in cui non aveva diritto di essere partecipe. Ancor di più si vergognò, però, formulando un pensiero difficile da fraintendere.

Se Bakugou lo avesse baciato nello stesso modo in cui aveva visto Endeavor baciare Hawks, quale sapore gli sarebbe rimasto impresso? Quello amaro, come la cioccolata fondente di Katsuki, o dolce, come quella al mou che aveva assaggiato lui?


 

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Capitolo 9
*** #9. Snow Angels ***


Bonsoir!
Oggi tardissimissimo ma in mia difesa: c'è un tempo orribile e il modem mi ha fatto prendere un coccolone, si spera che con le vacanze di Natale e la pausa dalle lezioni non debba ridurmi sempre a questi orari ;;
Per non dilungarmi troppo, questo è un altro capitolo da considerare di passaggio per la presa di coscienza del nostro broccolino! Dal prossimo torneremo nel pieno dello spirito natalizio, che con questi due stupidini alla mercé delle realizzazioni adolescenziali stava diventando un film natalizio di Netflix (che io amo, ma avete capito). E perché volevo torturare un po' Katsuki, perdonami Kacchan, mi serviva l'escamotage. Probabilmente mi perdo nelle fisime perché sto sentendo la mancanza di un po' di sano angst :( ma non è questo il giorno (cit.). Correggerò una volta sistemato tutto qui come si deve, o domani perché ora sono un po' più stanchina dle solito, spero come al solito non sia niente di tragico!!
Grazie a chiunque passi di qui e a tutto il supporto che ricevo, come sempre e, che ogni volta mi sorprende e commuove, nonostante i tempi terribili che ho ;; Come ogni sera/notte,
 buona lettura! 


 

 

-9: Snow Angels

 

L’idea assurda del giorno era toccato a Kaminari fornirla, chiaramente nemico del buon senso e, soprattutto, ben intenzionato a far sì Bakugou lo annichilisse in definitiva persino dal ricordo del suolo terrestre.

«Smettila di essere così antipatico perché sì» rise sguaiato Denki, a seguirlo dietro di lui Sero e Kirishima «Non puoi vedere tanta neve e non avere voglia di fare un angelo di Natale!».

Katsuki, con l’espressione di chi è prossimo a esplodere – in senso lato, si voltò a guardarlo di scatto, gli occhi come dardi infuocati e la lingua una lancia pronta a trafiggerlo, «Posso» ringhiò infatti in risposta, quasi urlando «Al contrario di voi fulminati, io non ci tengo a sdraiarmi sul freddo e tenermi l’umido addosso per tutto il giorno!».

«In effetti sono d’accordo con Bakugou…» si aggiunse Ojirou, al cui fianco stava Tsuyu, che annuiva concorde mentre si sfregava le mani sulle braccia per scaldarsi «Pensavo oggi ci saremmo visti per decidere che decorazioni acquistare per la festa… la mia coda non è molto felice al pensiero di… congelarsi a terra».

Di nuovo, Bakugou strillò qualcosa in merito al ricevuto rinforzo dai due compagni, a nulla serviva l’invito di Jirou a non far troppo fracasso dal momento che, aperto o meno, potevano comunque essere sentiti da altre persone ed essere un disturbo; Kaminari le si accostò, punzecchiandola col gomito senza nessuna ragione apparente, poi si abbassò appena per essere più ad altezza del suo orecchio e le disse, in tono cospiratorio: «Lascialo fare, appena sarà distratto Kirishima e Sato lo spingeranno a sufficienza da cascare sulla neve».

Kyouka lo fissò storto, titubante «Sei sicuro di potertela godere, una cosa simile? Se Bakugou se ne accorge prima siete carbone per la stufa». Tuttavia non poté fare a meno di immaginarsi la scena, un risolino le scappò e cercò di nasconderlo con la mano fasciata dal guanto, dopodiché ammise «Però sarebbe divertente».

Il ragazzo dall’unicità elettrica sollevò il pollice come per confermare il tacito accordo, infine ruotò il busto in una maniera parecchio innaturale, alla stregua di un esercizio di riscaldamento di ginnastica mal eseguito, dunque si rivolse a qualcuno che si teneva un po’ più alla larga dal gruppo «Midoriya! Vieni a farlo anche tu!».

Izuku trasalì già al sentire il proprio cognome chiamato così a gran voce, al che la maggior parte dei presenti indirizzarono l’attenzione, precedentemente concentrata sulle lamentele di Katsuki, tutte su di lui – perciò anche quella di Bakugou stesso, il quale si azzittì pressoché nell’immediato, per qualche motivo era stato attirato in particolar modo dall’urlo ben prima degli altri; Midoriya sbatté le palpebre più volte e fin troppo in fretta, le iridi agitate da una parte all’altra del suo campo visivo, ovunque ma non verso l’amico d’infanzia.

Il ricordo di quanto visto a casa Todoroki aveva preso a sovrapporsi con pericolosa facilità all’immagine del compagno, un pensiero insinuatosi da orecchio a orecchio e lì incastrato come un riverbero che da fievole scivolava nell’incessante ogni qual volta si scontrasse con un dubbio, più una curiosità, dai connotati dell’urgenza.

Di urgente, semmai, c’era solo l’interrompere quel rimbombo molesto e che a nulla avrebbe portato se non scene come quella, in cui non era in grado neppure di reggere gli occhi dell’altro e per motivi tutt’altro che di vecchia data, quando era l’ansia di leggervi odio a bloccarlo – adesso, però, cos’era a spaventarlo tanto? Bakugou non avrebbe mica potuto leggergli nel pensiero, il disagio e l’imbarazzo potevano essere camuffati e spacciati per conseguenze di qualsiasi altra circostanza. Perché poi di quale reale circostanza si sarebbe trattato, altrimenti?

Prima ancora di rendersene conto, si umettò le labbra e le strinse tra loro, come per bloccarvi in mezzo quel gesto di cui sperò nessuno si fosse accorto.

Di nuovo sussultò quando Shouto gli posò una mano sulla spalla, le sopracciglia leggermente corrugate «Tutto bene?».

Midoriya annuì, il sorriso meno sospettabile di cui era capace in quel momento per rinforzare l’affermazione «Ero solo sovrappensiero».

La fronte dell’amico si distese ma qualcosa, nel modo in cui continuò a guardarlo per un altro secondo prima di annuire di rimando, gli suggerì quanto poco convincente dovesse essergli sembrato. C’era da considerare Todoroki fosse piuttosto allenato, rispetto agli altri coi quali aveva passato decisamente meno tempo insieme, perciò, anche se non avesse creduto appieno alla sua risposta, non era qualcosa di cui avrebbe dovuto preoccuparsi. Non per il momento, almeno.

D’altro canto, non aveva propriamente mentito.

Senza null’altro aggiungere, si avvicinarono al resto dei compagni presenti, alcuni dei quali – come Ochako e Iida, ma anche la stessa Jirou e Koda – stavano già stesi in terra ad allargare braccia e gambe per dare presto forma all’angelo di neve. Vennero in seguito affiancati da Mina, a sua volta stesa in terra e, pur essendo arrivata tra gli ultimi, era stata la prima a lanciarsi sul morbido manto bianco: entrambi i ragazzi rimasero perplessi, Midoriya più preoccupato, quando la videro ridersela tra i baffi mentre faceva loro gesto di avvicinarsi, nella stessa maniera in cui avevano visto Denki poc’anzi comportarsi con Jirou. In quel caso, però, non avevano sentito, troppo distanti per recepire alcunché.

«Vogliamo fare uno scherzo a Bakugou».

L’erede di All Might per poco non si strozzò con la stessa aria che aveva trattenuto.

«Che genere di scherzo?» domandò Shouto, difficile capire se per divertita curiosità o per puro interesse scientifico, come se non capisse il perché dietro quella confessione e, soprattutto, per quale ragione la compagna ci stesse ridendo sopra.

«Non vuole fare l’angelo di Natale» non provò nemmeno a chiedere loro se la pensassero diversamente, capirono, erano tutti intenzionati a trascinarli nella stessa poco allettante attività. Dato il freddo di quel giorno, poi, anche se per Todoroki non sarebbe stato un grosso problema, rifletté Izuku. Rassegnato a non potersi risparmiare, anzi, fiutando sempre più dove l’altra volesse andare a parare nel coinvolgerli come complici, ebbe quasi la tentazione di chiedergli di farlo accanto a lui, con Midoriya affianco al lato col fuoco. Giusto per riscaldarsi un po’.

Bocciò la proposta l’istante stesso in cui gli era venuta in mente. Intanto, la voce di Ashido si era fatta ancor più vicina e solo allora si rese conto di quanto gli si fosse accostata rispetto a Todoroki, adesso rivolta in pieno verso di lui; la sensazione sgradevole di star per sentire qualcosa di compromettente e rischioso al tempo stesso si fece strada in quel poco di spazio libero rimasto nella sua coscienza, sicuro ormai anche quello sarebbe stato occupato di lì a poco dal medesimo pensiero, benché interpretato in un’accezione differente.

«Avrei bisogno tu» rimarcò pungolandogli il petto con la punta dell’indice «andassi a distrarlo mentre Kirishima e gli altri lo aggirano per tirarlo da dietro».

C’era una nota strana e quasi inquietante nel tono di voce che Mina aveva scelto per propinargli quell’ingrato compito, altrettanto chiaro era non accettasse un suo rifiuto, quello che tuttavia non riusciva a comprendere era il perché toccasse proprio a lui fare il lavoro sporco di ingannatore quando Eijirou stesso o chiunque altro dei presenti avrebbe potuto parlare con Bakugou e dar modo agli altri di fregarlo. Tutto questo impegno per un angelo di Natale, poi.

Sospirò pesantemente, dopodiché tentò, pur sapendo fosse vano «È proprio necessario?».

Ashido non gli lasciò neppure finire la frase, le iridi dorate brillarono sinistre, avvolte nella sclera nera.

«Ma perché io?».

«E perché no?» ribatté la ragazza, spiazzandolo, non aspettò però davvero risposta e continuò «Non devi fare altro che parlargli», così lo affiancò senza rispondergli – e Izuku ci avrebbe scommesso la qualsiasi che non si era trattato di una distrazione bensì una più che intenzionale manovra evasiva per svicolarsi dalla replica –, in modo tale da premergli la mano contro la schiena per incitarlo ad avanzare; le parole di falsa gentilezza e rassicurazione tradite dal sorriso sollevato dall’imbroglio. In ogni caso non si lasciò pregare, nonostante non si sentisse per niente contento alla prospettiva di far ciò per cui si era sforzato fino ad allora, ossia evitare quanto più possibile di avvicinarsi all’altro.

Avanzò tra un avviso di un compagno e l’altro di fare attenzione, perché disparati erano gli angeli di neve già presenti in terra; Izuku si scusò dopo aver rischiato di sformare quello di Ojiro, che nonostante tutto si era lasciato trascinare nell’impresa.

La figura di Bakugou, sempre più prossima, appariva agitata – tanto per cambiare – e la voce graffiante, intento a gesticolare e imprecare contro i ragazzi che ancora cercavano di convincerlo – per finta, sapeva Midoriya, aspettavano solo il momento opportuno per approfittare del suo intervento. Rimaneva fermamente convinto non sarebbe servito a nulla, forse Katsuki non si sarebbe nemmeno accorto del suo passo diretto verso di sé, continuava a ripeterselo quasi come una speranza perché più si faceva vicino più il cuore si dibatteva in protesta, se avesse potuto parlare era probabile gli avrebbe dato del cretino.

Per qualche ragione, il tono dell’insulto, nella sua mente, fu lo stesso di quello del ragazzo ora di fronte a sé, forse lo aveva detto per davvero e si era trattata di una semplice coincidenza.

A pochi passi da lui, prima che decidesse di sua spontanea volontà di fermarsi, Bakugou smise di berciare contro gli amici, tutto di lui si acquieto di colpo nell’istante in cui si accorse della presenza di Izuku, al contrario dapprima distante.

La capriola che avvertì al centro del petto comunicò a Midoriya quanto non fosse solo il suo passo a essersi fermato, quando gli occhi e l’attenzione dell’altro si concentrarono interamente su di lui. Sospettava qualcosa? Pensava dovesse parlargli? Era diventato piuttosto attento nei suoi riguardi in tal senso, Katsuki, da quando lui e All Might lo avevano reso partecipe del loro segreto; da allora, più che in precedenza, non aveva mai perso di vista quello che era stato designato come erede del simbolo della pace. Fino ad allora, però, Midoriya si era convinto fosse qualcosa di riservato a quei momenti di preoccupazione in merito a One For All, segreti dei quali non voleva più venire messo a parte.

Sentire quegli occhi addosso in un’occasione simile stimolò un calore interno fin troppo confortante, come l’abbraccio morbido di una coperta in una giornata fredda e cupa come quella; la percezione di una premura, essere osservato con scrupolo per carpire un segnale per muoversi.

Per quanto assurdo fosse ed esagerato sembrasse persino a se stesso, la prontezza e immutata decisione di quello sguardo, il qualcosa non va? Celato in esso, diedero a Izuku l’idea di star venendo protetto.

Deglutì, mandando giù quell’assurdità.

«Kacchan» lo chiamò, ancora si maledisse per la stupidità del silenzio che lasciò seguire. Il ragazzo comunque non si scompose, si rivolse semmai di più in sua direzione.

Devi solo parlargli, aveva detto Ashido, come se fosse così semplice. Avrebbe dovuto, per un certo verso gli era sembrato stesse iniziando a essere davvero così, eppure non riusciva a togliersi di dosso il presentimento che, se avesse parlato come e quanto aveva capito di voler fare – cosa, da un banalissimo pomeriggio, si era accorto di voler provare – gli sarebbe sfuggito qualcosa di impossibile da fraintendere e, sopratutto, da rimangiare.

Solo che sembrava all’improvviso talmente il momento adatto, e non lo era per niente, circondati com’erano dai loro compagni che giocavano con la neve e al centro dell’attenzione di chi pianificava una mossa a tradimento – vide con la coda dell’occhio Kirishima e Kaminari fargli un segno affermativo mentre sgattaiolavano dietro Bakugou, in un modo così plateale che questi avrebbe dovuto accorgersene, di solito non era così distratto.

Distratto da lui?

Davvero?

Prese un profondo respiro, le spalle più dritte.

«Kacchan».

«Che c’è?».

Prima che Midoriya potesse parlare – per dire cosa, e come, si domandò una volta ripresa bruscamente coscienza della situazione – il grido di vittoria di Eijirou e Denki, seguito dalle risate degli altri compagni, sovrastò tutto il resto. Eccetto per le rinnovate urla di Katsuki, che di quel passo si sarebbe ritrovato senza voce il giorno dopo, il quale aveva preso a dimenarsi e imprecare appena la schiena aveva toccato la neve; poco importava fosse ricoperto, come sempre, da strati e strati di vestiti per cui era probabile fosse più arrabbiato che infreddolito, Midoriya lo vide scattare in avanti per liberarsi dalla presa dei due traditori, guardarli con le promesse peggiori di cui fosse capace e tirarsi su per inseguirli una volta che quelli avevano preso a correre il più lontano possibile dalla sua furia vendicativa.

Se non altro, non se l’era presa anche con lui. O, più semplicemente, era stato classificato come secondario nella lista di priorità punitive. Si chiese se non fosse il caso di allontanarsi per evitare di incorrere nella stessa sorte di Kaminari e Kirishima – pensiero rinforzato dai rumori di esplosioni che continuava a sentire tutto intorno.

Rilasciò tutta l’aria trattenuta fino a quel momento, sperò così di sfiatar via quell’idea malsana dalla quale si era lasciato convincere per un pericolosissimo istante a lasciarla andare. Per fortuna Katsuki, in un modo o nell’altro, si era distratto davvero e l’assurdo scherzo era andato a buon fine.

Sfinito scivolò verso il basso, steso sulla neve; allargò braccia e gambe senza pensarci troppo, per istinto, mentre riprometteva a se stesso di non farsi coinvolgere nemmeno nel più banale dei macchinamenti dei suoi compagni, quindi chiuse gli occhi e si concentrò sul movimento oscillatorio delle proprie braccia e la sensazione della neve che andava affossandosi sotto il suo passaggio, adattandosi alla lunghezza degli arti a solcarla.

«Non senti freddo?» emerse la voce di Shouto, che trovò a guardarlo dall’alto, gli occhi rapiti dall’atto.

«Non hai mai fatto un angelo di neve?» domandò a sua volta Midoriya, in questo caso non per evitare di rispondere, bensì sinceramente più coinvolto da quella curiosità.

Todoroki annuì, il braccio sollevato indicava dietro di sé «Poco fa, Iida e Ochako mi hanno spiegato come fare» spiegò, poi sorrise, leggero e delicato come i fiocchi di neve che avevano ripreso a scendere intorno a loro «È stato rilassante».

Midoriya si lasciò contagiare dalla prospettiva dell’amico e sorrise di rimando, accettando la mano offertagli da Shouto per aiutarlo a rialzarsi. Si scrollò un po’ di neve di dosso, allo stesso modo fece con Todoroki, che di sicuro non si era accorto di averne tra i capelli e sulla schiena, infine suggerì di raggiungere gli altri.

Segnò la neve con a malapena cinque passi, quando il compagno, rimasto indietro, lo richiamò.

«Midoriya, guarda» disse con una sfumatura lievissima di sorpresa, il viso rivolto verso il basso, in direzione delle sagome.

Izuku lo raggiunse di nuovo, la faccia visibilmente confusa; una volta al suo fianco seguì lo sguardo di Shouto diretto alla neve, la sagoma del suo angelo di Natale ancora fresca e ben visibile.

«Cosa vuoi farmi vedere?».

«L’angelo di Bakugou».

Il ragazzo sbatté le palpebre attonito, dopodiché guardò con più attenzione e, in effetti, accanto al suo, c’era l’impronta disordinata – a causa del modo in cui era stato costretto prima e dimenato poi – dell’angelo di neve di Katsuki, che più richiamava l’immagine fumettistica di un’esplosione, soprattutto nella parte superiore dove le braccia avevano creato più disordine nell’immagine complessiva.

Accettò di buon grado la risata che gli scappò, divertito e intenerito insieme da come persino in una cosa tanto basilare e piuttosto generale Bakugou riuscisse a lasciare un suo tratto distintivo, un segno unico e impossibile da confondere con tutti gli altri angeli fatti dal resto dei loro amici.

«Raggiungiamo gli altri, credo Kacchan abbia smesso di cercare di farci esplodere tutti».

Todoroki annuì, stavolta seguendolo appena l’altro si mosse.

Poco dopo, una nuova esplosione; Izuku rise nervosamente, disse qualcosa sul doverselo aspettare, come se fosse possibile da parte di Katsuki arrendersi con tanta facilità. Shouto, invece, più tra sé che rivolto all’altro e in concomitanza a un secondo scoppio, disse:

«Sembrava si tenessero per mano».

Midoriya si voltò verso di lui con confusione, il rumore che aveva sovrastato la frase «Cosa hai detto?».

Shouto fece per aprire bocca, tuttavia venne interrotto ancora da chissà cosa Bakugou stesse combinando. Entrambi si guardarono con rassegnazione, affrettandosi per raggiungere presto il gruppo – o quello che ne era auspicabilmente rimasto.

Glielo dirò un’altra volta disse tra Todoroki, certo che, in ogni caso, non fossero delle sagome impresse e presto sepolte sotto la neve, l’importante.


 


 


 

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Capitolo 10
*** #10. Christmas Decorating and please stop eating the popcorn! ***


Bonsoir!
A un orario meno indecente ma sempre sul finire della giornata! Midoriya-shonen sembra abbia ormai ha varcato la soglia del opporcamiseria anche se preferirebbe fingere di non averci fatto caso, quindi arrivati a poco meno metà tragitto cos'altro manca ai due baka eroi? Che certi prompt finiscano finalmente sotto le mie manine, purtroppo ci sarà da aspettare ma lo slow burn ci dice che va così e di peggio non si può fare. No, di peggio sì, di meglio non si sa. Inoltre ho dato, e tendenzialmente do, spazio a Inko perché è sì una rom-com ma il Natale è anche famiglia, nella mia classica visione di esso, non solo consanguinei ma mi piace inserirli, essendoci nella storia, e dando loro un ruolo non principale ma quanto meno di extra, come direbbe Kacchan. La cosa dei popcorn mi spiace averla sfruttata poco ma non ero molto convinta di come inserirla, alla fine è venuta fuori un po' così, non sono io se qualche pezzo lo canno o trascuro troppo :') In ogni caso spero anche oggi sarà una lettura di compagnia e piacevole, per staccare dai momenti un po' così e che lasci una sensazione di tranquillità prima di andare a dormire. 
Grazie a chiunque passi di qui, come sempre ma mai abbastanza, vi ringrazio anche per i pareri in merito ovunque mi arrivino, mi aiutano a non cedere alla pigrizia e al blocco in nome di una degna (si spera) continuità~ buona lettura 


 

 

-10: Christmas Decorating and please stop eating the popcorn!

 

Il salotto era disseminato di scatoloni sui quali stava scritto “Decorazioni Natalizie”, i caratteri larghi prendevano tutta una facciata su ciascun pacco da imballaggio, il tratto del pennarello indelebile un po’ sbiadito dal tempo e steso in una grafia disordinata e tondeggiante che Izuku, guardandola, riconobbe essere la propria – era probabile risalisse al periodo in cui, ancora bambino, aveva appena iniziato a scrivere. Ovviamente, adesso scriveva un po’ meglio di così.

Sul pavimento, intorno all’albero sintetico, vi erano alcuni aghi caduti durante il disimballaggio e piccoli fili di ghirlande leggermente sdrucite a seguito dei vari inscatolamenti a cui erano state sottoposte; Inko intanto canticchiava un jingle natalizio che veniva trasmesso di frequente in radio e in televisione durante la pubblicità sotto il periodo delle feste, allegra e piuttosto presa dal motivetto, nel mentre continuava a estrarre decorazioni e a passarle a Izuku, a sua volta gioviale e coinvolto dall’atmosfera serena e positiva.

«Ci vorrebbe qualcosa di caldo» esordì a un certo punto la madre, un addobbo a forma di candela tra le mani, possibile fonte per l’idea; si strinse meglio nell’hanten, poi si rivolse al figlio con un sorriso ispirato «Ti va un po’ di cioccolata?».

Quello rischiò di inciampare sul filo delle luci, stando attento a non pestarne neanche una si appoggiò al divano, le gambe sollevate quasi in garanzia alla salvaguardia delle luminarie.

Tutt’altro che fiducioso nella propria stabilità, in quel momento.

Cercò di ridere per dissimulare sotto lo sguardo di Inko, un commisto di preoccupazione e perplessità dalla sequenza di eventi troppo veloce e repentina.

«Ti senti male? Sei tutto rosso…».

«No!» rispose in fretta, rimessosi a sedere di scatto – di nuovo, le lucine salve per un pelo – dopodiché si diresse in cucina personalmente e a voce alta annunciò che ci avrebbe pensato lui, memore dei passaggi di Hawks a casa dei Todoroki.

Di Hawks e…

La voce sorpresa di Inko interruppe il pensiero «Oh! Che nostalgia!» esclamò infatti, una mano posata sulla guancia mentre l’altra stringeva una decorazione appena estratta; Midoriya si affacciò per controllare fosse tutto a posto, preso di soprassalto dall’esternazione di quella che, guardando bene il volto della madre, era sì di nostalgia ma non vi era malinconia alcuna sui tratti di Inko, le guance morbide giusto più rosate del solito e gli occhi socchiusi dolcemente sull’oggetto che aveva sbloccato un ricordo.

«Cos’hai trovato?» le domandò il ragazzo, trascinato dalla curiosità accanto alla genitrice.

Si paralizzò sul posto quando, girandosi parzialmente verso di lui, Inko rivelò quanto aveva ritrovato.

«È un…» iniziò esitante il più giovane, le palpebre che non volevano saperne di star ferme e, sotto lo sfarfallio agitato delle sopracciglia, le iridi smeraldine di Izuku parevano oscillare, incapaci di distogliere l’attenzione dal piccolo arbusto sventolato quasi inconsciamente dalla donna.

La quale, altrettanto inconsapevole e fin troppo gioiosa per i gusti del figlio, dichiarò in conferma «Vischio».

All’improvviso il pensiero interrotto tornò vivido e chiaro, non come un ricordo ma più simile alla sensazione di star rivivendo la scena in quell’esatto istante, l’appartamento trasmutato in una villa in stile classico, un paio d’ali dorate al posto dei rami sempreverde della decorazione sorretta da Inko; il movimento leggero con cui la donna lo smosse richiamò fortemente il battito leggero e al contempo forte a sufficienza col quale Keigo si era dato la spinta per raggiungere un’altezza specifica e con una motivazione ugualmente inconfondibile. Il rosso del fiocco posto alla sommità dell’arbusto, invece, portò la memoria di Izuku verso un’associazione diversa.

Di ciocche purpuree come fiamme che si inclinavano appena per andare incontro a quelle ali.

Sto diventando matto, decretò, non senza una punta di disperazione nella propria voce – mentale – sto diventando completamente matto e non ne esco.

«Vorrei appenderlo, l’ultima volta ci ha pensato tuo padre…».

La nota di dispiacere in conclusione bastò perché Izuku scacciasse nuovamente i pensieri inconcludenti, oltre all’imbarazzo crescente e difficile da nascondere, piuttosto assunse la migliore espressione ottimista e incoraggiante avesse in repertorio e strinse le mani della madre, con ancora il vischio impugnato, sorridendole con tenerezza «Finiamo di sistemare l’albero e ti aiuto ad appenderlo da qualche parte».

Inko lo guardò sorpresa, poi replicò la stessa espressione e annuì, posando il rametto sul tavolino del soggiorno.

«Non preferiresti i popcorn alla cioccolata? Ne è avanzato qualche pacchetto, possiamo spizzicarli mentre continuiamo! La cioccolata possiamo prepararla stasera».

«Ci sto!».

«Ottimo! Anche perché dimenticavo».

Izuku la guardò interrogativo, per qualche motivo il brivido del pessimo presentimento gli s’insinuò su per la schiena.

«Ho incontrato Katsuki-kun al supermercato».

Il brivido si trasformò in un singulto, il sudore freddo iniziava ad asciugarglisi addosso man mano che la madre proseguiva «Siccome mi hai detto del vostro compito di coppia…».

«Mamma…» cercò di interromperla, cauto, la voce ridotta a un filo e le labbra tremolanti «Non mi dire che…».

Infine, sotto l’entusiasta, ignara e soddisfatta espressione di Inko, il presentimento si solidificò, le gocce di sudore alla stregua di stalattiti dell’orrore; la condanna emessa con il jingle natalizio che rimbombava tra una parete e l’altra della sua testa, offuscata da una terribile presa di coscienza, talmente certa da non avere neanche bisogno di conferma.

Inko, comunque, aggiunse «L’ho invitato da noi, fra poco dovrebbe essere qui». Dopodiché si allontanò, superandolo per prendere il suo posto davanti al microonde, aveva pure ripreso a canticchiare intanto che recuperava i popcorn da uno stipetto.

Per una volta, un giorno, almeno, Izuku aveva inventato una scusa per defilarsi dall’ennesimo delirio collettivo nel quale gli altri pianificavano di trascinare l’intero gruppo, l’alibi fornito dalla madre e dalla sua proposta ingenua di fare l’albero insieme. Non si trattava propriamente di una fuga, ecco, solo di una pausa da tutte quelle cianfrusaglie emotive che continuava ad accatastare, strato dopo strato, sempre più in profondità nei recessi di una consapevolezza che non aveva ancora capito come gestire. Né era sicuro di riuscire a farlo, in verità. Gli sarebbe bastato un giorno, magari due, con qualche scusa, giusto per non ritrovarsi Bakugou sempre così difficilmente vicino, a complicare la situazione per la propria volontà che vacillava dinanzi alla prospettiva di dirglielo. E basta.

Pochi minuti più tardi, quando suonarono alla porta, l’erede di All Might sentì una campanella, di quelle che segnano l’inizio di un incontro di pugilato; pronto a venire malamente messo al tappeto dalla sua stessa stupidità.


 

Per fortuna, o per disgrazia, Katsuki era stato pressoché rapito da Inko l’istante stesso in cui era arrivato, invitato a entrare con un calore tale per cui avrebbe giurato, Izuku, lo avesse visto quasi arrossire con la bocca storta e la fronte aggrottata per l’imbarazzo.

Se non altro ciò aveva portato i due a scambiarsi un saluto stentato, probabilmente nemmeno si erano sentiti davvero, l’euforia di Inko fin troppo rumorosa e il caos degli scatoloni aveva presto conquistato la piena attenzione di Bakugou, il quale si era tirato su le maniche e, agguerrito neanche stesse per affrontare chissà che nemico, aveva impugnato le ghirlande, pronto a circondare l’abete sintetico.

Intanto, Izuku aveva recuperato una ciotola nella quale aveva versato i popcorn una volta pronti, iniziando a mangiarli mentre osservava i due alle prese con gli addobbi, sua madre che rideva di gusto e Katsuki chiaramente in difficoltà nel dare direttive per le quali non era preparato ma non poteva di certo mostrarsi esasperato di fronte alla signora Midoriya – a dirla tutta sembrava piuttosto a suo agio, pensò Izuku nell’osservarli interagire come se fosse qualcosa di abituale, gli anni dall’ultima interazione mai trascorsi, non così tanti quali in realtà erano, alleggeriti dall’atmosfera che attivò ancora, per l’ennesima volta, quell’incontrollata sensazione di calore al petto e della quale Izuku stava iniziando a diventare dipendente.

Non riuscì a contenere lo stato di felicità, si sentiva sempre più pieno davanti alla visione di sua madre e- Bakugou, semplicemente, intenti a condividere un momento che sapeva di famiglia e contentezza, così espresse quel sentimento di pienezza in un sorriso morbido e affettuoso che non fu capace di trattenere. Neanche ci provò molto, stavolta; era tutto troppo piacevole perché si privasse di goderselo appieno.

Katsuki parve quasi sentirlo, quello stiramento di labbra in realtà tese appena, giusto per dar modo alla fossetta sulla sinistra di comparire sul viso lentigginoso del compagno.

«Ne hai per molto con quei popcorn o vieni a renderti utile?».

Per poco non gliene andò uno di traverso, Inko accanto a Katsuki mise le mani sui fianchi e, pur bonaria, lo richiamò a sua volta «Guarda che abbiamo ancora un sacco di cose da fare!» ricordò, indicando il vischio con lo sguardo.

Quando Bakugou ne seguì la scia, di conseguenza individuò il rametto abbandonato in attesa sul tavolino, Izuku sentì il cuore correre molto più in fretta del solito, fin troppo. Specie quando Katsuki si voltò verso di lui, per un brevissimo, incalcolabile istante. Si rigirò in fretta verso la donna, la quale aveva le mani occupate da palline di Natale; Bakugou le prese e, senza nulla dire, iniziò a posizionarle, salvo poi lanciargliene una, che Izuku acciuffò a stento a causa delle mani che non volevano saperne di smettere di tremare.

«Datti da fare, Deku, o insieme a quello» indicò a sua volta il vischio, facendolo raggelare sul posto mentre il viso andava paradossalmente a fuoco «Appendo anche te».

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte – smise di immaginare se stesso sottosopra, attaccato al soffitto, nel momento in cui, ancora, la sua mente sovrappose un’omonima scena da un film di supereroi alla propria situazione da sciocco aspirante eroe.

Sebbene sciocco non fosse il termine che cercava, pensò, sistemando degli addobbi a pochi centimetri da Katsuki, le braccia che ogni tanto si sfioravano.

 

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Capitolo 11
*** #11. Dancing to Christmas Music that we’re already tired of ***


Bonsoir!
Torniamo ai limiti del concesso perché mi piace vivere in ansia - e perché oggi mi era un po' presa male. L'importante è riuscirci (?). 
In mia difesa, faccio schifo con le canzoni natalizie, non ne menzionerò qua sotto perché alcune le detesto e avrei voluto capire se in Giappone ne abbiano o meno di specifiche ma non ho avuto tempo materiale e voglia, ahimè, il brutto della diretta. Stava anche prendendo un'altra piega, un po' meno imbranata e più soft, però ho deciso di rinviarla~
Si torna un po' nel pov dell'isteria, se Midoriya è sceso a patti con se stesso al punto da rasentare l'insonnia perché qua siamo persone equilibrate, Katsuki deve ancora fare un passetto in avanti! Ricordo però che sono passati moooolti mesi dal loro chiarimento e in questo contesto vanno considerati già ben più affiatati, quindi Kacchan perlomeno non ha molta fatica davanti a sé, anzi, è più... consapevole, ecco perché di Cose, solo che deve darsi pure lui l'ok. Mina s'è capito, insieme a Kaminari sono quelli peggiori. 
Grazie di cuore sempre a chiunque passi, legga e in qualche modo si intrattenga, spero piacevolmente! Buona lettura


 

 

-11: Dancing to Christmas Music that we're already tired of

 

“Stufo” era proprio l’aggettivo più pertinente, calzante al quale Bakugou avrebbe potuto accostarsi, l’abito su misura da indossare ed esibire per mostrare a tutti la propria insofferenza a tutta quella… tortura spacciata per piacevole serata in compagnia.

Stavolta, se non altro, non il giardino bensì il salotto di casa sua era stato invaso dai compagni con il reale intento di mettere un po’ in ordine l’organizzazione di una festa altrimenti abbandonata a se stessa; Jirou e Tokoyami si erano presentati di nuovo, al seguito gran parte della ciurma di scapestrati che, per almeno tutto il resto delle vacanze, avrebbe fatto di tutto per non dover vedere, l’intento quello di recuperare i famosi cd offerti giorni addietro e mai davvero ritirati. Il problema si era posto in conseguenza a ciò, quando Mina e Kaminari erano entrati pericolosamente in possesso del telecomando del lettore musicale, le custodie delle compilation natalizie passate da una mano all’altra sotto ghigni mefistofelici e sguardi carichi di malvagità – questo, perlomeno, dalla prospettiva distorta dal fastidio di Katsuki.

In realtà era anche peggio.

Questa volta il tizio a metà era assente, aveva infatti comunicato nella chat di gruppo l’impossibilità di esserci, impegnato già in precedenza con Yoarashi; quando Tsuyu gli aveva chiesto, ingenua, se si trattasse di un appuntamento, Todoroki aveva risposto che non gli era stato detto in quei termini ma a pensarci bene poteva tranquillamente essere quello il caso.

Bakugou aveva inviato una emoji di esplosione, scoppiettante caratteri di “silenzio”, berciando poi nella stessa conversazione su quanto quelle notifiche frivole lo stessero disturbando. Ed era vero, lui che centellinava con attenzione le chiacchiere per messaggistica, limitando lo scambio online allo stretto indispensabile, si era sentito come pungolato da quella terminologia fin troppo adolescenziale, stucchevole, come se a qualcuno importasse davvero qualcosa di chi andasse a un appuntamento con qualcun altro.

Ripensando agli ammonimenti ricevuti subito dopo da parte degli altri e alle domande che Shouto aveva continuato a ricevere, accolte e soddisfatte poiché si avvalevano della gentilezza del ragazzo, era piuttosto chiaro, a conti fatti, interessasse praticamente a tutti, nessuno escluso. In effetti, l’unico che aveva evitato di commentare era lo stesso ancora mancante all’appello e del quale era stata invece data conferma di presenza.

«Midoriya-kun è in ritardo» constatò Iida, dando inconsapevolmente voce ai pensieri di Katsuki «Qualcuno lo ha sentito?» e poi, rivolto proprio al padrone di casa «Nulla?».

Bakugou schioccò la lingua con forza contro il palato, infastidito più del dovuto «E perché dovrei saperlo io?».

Non c’era nessunissima ragione, infatti. Il capoclasse tuttavia parve di ben altro avviso, almeno questo fu ciò che percepì Katsuki dal modo eloquente in cui quello lo guardò, quasi volesse sottintendere un è ovvio perché dovresti saperlo tu. Beh, gli era ovvio per niente, ed era proprietario della sua mente e unico testimone ufficiale della relazione che intercorreva tra sé e Midoriya, e non c’era alcun motivo per cui dovesse saperne più degli altri. Semmai, pensò con una buona dose di irritazione, quello che avrebbe potuto esserne al corrente era Todoroki, peccato anche lui mancasse nella lista di ospiti indesiderati.

La musica si frappose nella conversazione prima ancora di poter continuarla – anche se Iida doveva aver capito non avrebbe cavato un ragno dal buco che era la cocciutaggine di Bakugou, dunque si era girato verso Ochako ponendole la stessa domanda, la ragazza parve anch’essa non sapere niente.

Una canzone dietro l’altra veniva scartata da Mina, la quale deteneva il possesso e controllo del telecomando, i cd accatastati al fianco del lettore, non nell’ordine in cui erano stati trovati ma almeno Jirou aveva avuto l’accortezza di riporli correttamente nelle proprie custodie mentre Denki e l’amica li sfogliavano in cerca di qualcosa da mettere.

Tokoyami provò invano ad avanzare una perplessità, a voce alta per farsi sentire – perché il volume era più alto dell’accettabile, specie a un simile orario del giorno, che fossero canzoni natalizie era discutibile avesse importanza per il resto del vicinato, inoltre Ashido pareva contenta di averne beccata una di suo gradimento, tanto che si alzò dalla posizione accovacciata accanto all’apparecchio elettronico e, tirandosi su Denki, si mise a ballare.

«Non dovremmo essere io e Jirou a scegliere…? Eravamo venuti qui per questo…» cercò di dire, intanto anche Ochako, Tsuyu e Aoyama, che si limitava a muovere i fianchi con le braccia incrociate dietro la testa, si erano aggregati alla danza.

Fu interrotto da Kyouka stessa, la mano di lei intenta a dargli pacche consolatorie sulla spalla «Lascia stare, ormai quei due non li fermi più, approfittiamo di quello che fanno loro per farci un’idea noi…».

«No invece!» quasi ruggì Bakugou, separando i due compagni con le braccia per passarvi in mezzo, diretto verso gli invasori casinisti per eccellenza e pronto a fermarli «Siete venuti qui perché volevate discutere con me e quell’inutile assenteista di Deku su cosa farvi mangiare e altre stronzate sulle vostre assurde pianificazioni, che continuate a rimandare, fosse per me vi farei mangiare me-».

Il campanello censurò tempestivo il finire della frase, ciò non impedì comunque a Katsuki di imprecare ad alta voce perché interrotto e poco incline a tollerare un’altra presenza in quella stanza, così si avviò alla porta e, con tutta la poca pazienza rimastagli, la spalancò «Chi cazzo è?».

La figura di Deku, davanti a lui, appariva più minuta del solito, tutto infagottato in un cappotto piuttosto imbottito e un cappellino di lana verde scuro a camuffarsi tra i ricci, il naso rossissimo. Forse per questo notò più nello specifico il sussulto in risposta alla sua brusca uscita, perché era come concentrato in se stesso, in piedi eppure dava l’impressione di star cercando di occupare meno spazio nonostante si trovasse in una casa ben più grande della propria, sebbene di certo non era la gente a mancare.

Katsuki borbottò «Ah, sei tu» frattanto si faceva da parte per farlo passare. Midoriya si intrufolò chiedendo educato il permesso, salutò poi tutti con un unico “Ciao” generale rivolto a chiunque fosse presente mentre toglieva cappotto e scarpe all’ingresso.

Tenne il cappello, però, per chissà quale motivo. Bakugou sollevò prima un sopracciglio, dopodiché assottigliò gli occhi, attento ai movimenti dell’altro e in attesa si togliesse l’ultimo indumento da esterno, cosa che però non avvenne; allungò la mano senza riflettere, protesa verso suddetto cappellino, quando Iida si avvicinò al nuovo arrivato con voce carica e potente, quasi più della musica stessa.

«Midoriya-kun, ti aspettavamo!».

Il ragazzo si grattò la guancia con l’indice scoperto, un sorriso un po’ a disagio «Mi sono addormentato senza accorgermene, scusate, avete già parlato di qualcosa?».

Lo sguardo apparentemente truce di Katsuki si rilassò, non in quanto più calmo, semmai fu l’effetto di una realizzazione, data da un’osservazione più attenta delle guance ancora rosse di Izuku e gli occhi lucidi, quasi liquidi, non di pianto – scartò subito l’ipotesi, sia per intuito sia perché, per quanto insensato e assurdo gli paresse, il solo pensiero era bastato a fargli salire in bocca un sapore sgradevole e lo stomaco aveva brontolato come a dare man forte alla scelta di ignorare l’alternativa.

Tenya, intanto, scosse il capo in risposta, voltandosi per indicare gli altri ancora presi dal ballo «Stavamo scegliendo la musica ma è andata a finire così».

Midoriya li guardò a sua volta e annuì, gesto che gli provocò un impercettibile barcollo, il rappresentante si girò per raggiungere Yaoyorozu, seduta sul divano mentre osservava sorridente le sue compagne divertirsi al passo con la musica, tuttavia troppo imbarazzata per lasciarsi andare; Iida doveva averlo capito, conoscendo ancora l’insicurezza della ragazza, dunque le si era seduto accanto per impegnarla su chissà che discorso.

«Oi».

Almeno stavolta non saltò sul posto, forse si aspettava lo chiamasse, ricambiò l’occhiata dell’amico d’infanzia con più naturalezza e compostezza «Sì, Kacchan?».

Kacchan odiò ogni sillaba e intonazione di quel nomignolo, così come trovò detestabile ogni centimetro di faccia tanto serenamente esposta, come se non avesse nulla da nascondere e fosse all’improvviso tranquillo al pensiero di mettersi a nudo. Come se nessuno se ne accorgesse, di quanto forzato, per chissà quale ragione, fosse in quel momento, lui e la sua faccia che trasudava stanchezza da ogni poro.

Prima di potergli domandare – metterlo alle strette – quale fosse il problema, Ashido gli fu accanto, gioviale, saltellando euforica mentre afferrava Midoriya per il braccio «Lascia stare questo guastafeste e vieni a ballare con noi!».

Il rossore sul volto di Izuku si accentuò, stavolta Bakugou lo riconobbe però come imbarazzo, se per la vicinanza con la ragazza o per la proposta in sé non gli era chiaro, in ogni caso si premurò di spazzar via anche quella punta di sollievo insorta nel momento in cui aveva avuto conferma non fosse così affaticato e smorto come gli era parso; rimaneva comunque un po’ instabile, era evidente, forse soltanto Mina non se ne rendeva conto tanto era agitata lei stessa, lo strattone non violento ma ugualmente ferreo faceva sì Deku barcollasse fin troppo.

Midoriya, in difficoltà, cercò di protestare «In realtà…».

«Dobbiamo parlare di una cosa».

Se Izuku lo aveva guardato con sorpresa, Mina aveva fatto del tutto finta di ignorarlo, di conseguenza l’altro era tornato a concentrarsi su di lei.

«Non c’è bisogno che fai il timido! Guarda Kaminari, balla come se si fosse istupidito dopo aver usato i suoi poteri, eppure si sta divertendo!» cercò di convincerlo, il tono tanto alto quanto poco convincente «Questa canzone è anche famosissima, l’avrai ballata almeno una volta!».

Una vena pulsò minacciosa sulla fronte di Katsuki, di nuovo la mano si allungò in fretta ma in questo caso mossa dalla totale intenzione, quando si andò a stringere sul polso del braccio libero di Deku per tirarlo a sé, portandoselo dietro la schiena – la nuca iniziò a pungere come infastidita dal prurito laddove era certo Midoriya lo stesse fissando, quasi avrebbe voluto vedere con che ridicola espressione. Come sospettava, a giudicare dal calore emanato dalla pelle di Izuku fino alla sua, c’era qualcosa che non andava in quell’idiota.

«Ho detto» ripeté, le parole scandite e marcate dalla voce graffiante «che dobbiamo-».

«Che vuoi essere tu a ballare con lui, perché non l’hai detto prima!».

Katsuki si convinse, mentre adduceva a tutta la propria, così minima da rasentare l’inesistenza, pazienza residua, che non era affatto vera quella diceria sul diventare più buoni sotto Natale, era una sciocchezza, una falsità da raccontare ai più giovani per tenerli buoni e avvalorare i premi smistati da Babbo Natale un giorno l’anno; la certezza si fece pressoché nauseante tanto era valida e preminente su qualsiasi altra sensazione percepisse al momento, impossibile da contestare, nell’attimo in cui gli occhi rossi di Katsuki si allinearono con quelli dorati e macchinatori di Mina, le labbra storte in un sorriso sghembo e le palpebre socchiuse, in quella che aveva tutta l’aria di essere un’espressione perfida e maliziosa insieme.

Il sorriso di chi sapeva, qualsiasi cosa fosse, a Katsuki era noto solo il fastidio a conseguirne e una punta indefinita di sensazione di stranezza al centro dello stomaco.

Era ovvio non avesse nessuna intenzione di sottostare a quell’assurdità, innanzitutto perché non aveva alcuna voglia di ballare, tanto meno con Deku, ed era offensivo persino l’avesse anche solo supposto, secondo poi c’era davvero qualcosa che voleva chiedere all’imbecille, certo fosse esageratamente stanco e tutt’altro che reattivo, persino venire sballottato da una persona all’altra esulava dalla gentilezza a cui era tanto devoto nel suo modo di fare. Tuttavia, prima che potesse ribattere alcunché, la mano di Ashido era già sul suo braccio come prima si era avviluppata a quello di Izuku, altrettanto trascinato dalla ragazza al centro del salotto.

«Ehi!» le ringhiò contro Katsuki «Che diavolo pensi di-».

Mina lo ignorò ancora, stavolta gli rivolse un sorriso sinceramente allegro, talmente largo da farle strizzare gli occhi, intanto aveva ripreso a ballare sotto una nuova canzone natalizia, altrettanto classica «Buon divertimento!».

Bakugou tremò da capo a piedi e dovette ricordarsi che quella era casa sua e non poteva in alcun modo farla detonare o si sarebbe ritrovato sotto un ponte, peggio ancora insieme a sua madre, quindi cercò di concentrare tutta la propria imminente isteria sui pugni stretti e i denti digrignati, non smettendo di lanciare lance di odio verso la ragazza.

Difficile da comprendere a causa della musica e dal tono basso della voce in sé, un commento di Izuku lo distrasse dall’occhiata omicida.

«Scusa, Kacchan…» iniziò, visibilmente in imbarazzo mentre qualcuno ogni tanto cercava di coinvolgerlo in qualche movimento – salvo poi desistere grazie allo sguardo piuttosto eloquente di Bakugou «sono solo un po’ stanco, stanotte non ho dormito molto bene e mi è rimasto il mal di testa, però è tutto a posto».

Katsuki non ne fu molto convinto, per niente a dire il vero; a ben guardarlo più da vicino, però, dovette ammettere di riuscire a vedere delle occhiaie non troppo marcate ma presenti il giusto da confermare quanto detto dall’altro.

Perché gliene importasse così tanto faticava a capirlo, sicuro non voleva ritrovarsi un moribondo svenuto da qualche parte nel proprio soggiorno, né aveva alcuna voglia di prestargli soccorso se per caso si fosse sentito male, lui come a nessun altro dei presenti. Era chiaramente questa la ragione del suo interesse, null’altro da aggiungere.

Una pacca poderosa al punto da farlo sbilanciare in avanti si abbatté impietosa sulla sua schiena, tanto da rischiare di rovinare su Midoriya lì di fronte, il quale pose per istinto le mani in avanti sia per pararsi che per frenare la caduta dell’altro: il petto di Katsuki finì così col premere contro i palmi aperti di Izuku, il quale aveva sgranato innaturalmente gli occhi ed era diventato dello stesso colore del puntale natalizio in cima all’albero dei Bakugou, rosso come il più maturo dei pomodori. Katsuki comunque non se ne accorse, impegnato a voltare il collo come un gufo, le narici dilatate e lo sguardo affilato in cerca delle vittime da mietere.

«Il prossimo che mi tocca lo mando su Giove».

«E Midoriya, allora?» cantilenò Denki da qualche parte dietro di lui, seguito dalla risata malamente trattenuta di Mina e quella più concitata di Ochako e Jirou.

Avrebbe giurato di aver sentito Aoyama dire magnifique, per quanto riuscisse a distinguere qualcosa di così singolare in mezzo a quella confusione – suo padre avrebbe dovuto ringraziarlo se, alla fine di tutta quella tortura, sarebbe stato ancora in possesso di tutti quei cd natalizi.

Sentì una forte vibrazione contro di sé, verso la quale si voltò per riconoscerne la fonte, trovandola in un tremolante Midoriya che gli era di fatto ancora incollato addosso, complice la presa di Katsuki sulle sue spalle e della quale lui stesso non si era accorto, probabilmente si era ancorato all’altro per frenare la caduta, Izuku a sua volta era rimasto immobile nella stessa posizione di prima, poggiato al suo petto e con lo sguardo basso, le guance a fuoco e le palpebre strizzate per la vergogna.

Bakugou avrebbe voluto allontanarlo, perché era opprimente avere un tale peso in un punto simile, praticamente addossato e con tutt’altra intenzione di allentare la presa. Solo che, all’improvviso, tutti avevano ripreso a ballare come nulla fosse e la musica, della quale era davvero stufo, si era infilata molesta fin dentro i suoi timpani e pareva poco intenzionata ad andarsene presto, così aveva preso a oscillare senza nemmeno rendersene conto.

E Izuku, probabilmente altrettanto inconsapevole, con lui.

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Capitolo 12
*** #12. Chopping Down the Tree (1) ***


Bonsoir!
Sempre in folle pov bakughiano ??, questo qui volevo riportarlo su Midoriya ma dato che il successivo prompt è il seguito diretto di questo - ecco perché (1) - ho preferito dargli continuità, può darsi mischierò un po' anche con Izuku domani stesso, vedrò come mi convincerà maggiormente. Non posso anticipare nulla dunque perché sarebbe spoiler e perché non l'ho ancora scritto, quindi non lo so nemmeno io, HAH. Però, insomma... l'adolescenza. Forse domani ci sarà più adolescenza del solito. Sempre rispettando il sacro vincolo dello slow burn. 
Riiibadisco che non so se ha senso quanto detto qua sotto perché i prompt sono di stampo americano, non ho idea se in Giappone vadano di fatto ad abbattere l'albero da sé (cosa che trovo un po' sgradevole kfhsk a meno che non si possano ripiantare? Sono ignorate in materia, mea culpa) né se li abbiano esattamente dietro casa, si fa quel che si può ancora una volta, arrampicandosi sugli specchi.
Grazie anche stasera, sempre tardi, ormai penso sia nata l'abitudine LOL, appena avrò un attimo più tranquillo risponderò alle recensioni e ai messaggi carinissimi che sto ricevendo ;; Buona lettura! 
❤ 


 

 

-12: Chopping Down the Tree (1)

 

Nonostante l’apparente inutilità degli incontri avuti fino a quel momento, si era di fatto confermato il luogo della festa anticipata sarebbe stato casa di Yaoyorozu, essendo ben più grande della dimora di uno qualsiasi di loro, inoltre i genitori di lei erano spesso impegnati e dunque non avrebbero corso il rischio – probabilissimo e concreto data la personalità vivace di molti di loro – di arrecare alcun disturbo. L’unica cosa di cui li aveva messi a parte Momo come possibile rallentamento o causa di rinvio era l’ancora mancante albero di Natale, in quanto solitamente i suoi si assicuravano di reperirne uno vero, preferito al sintetico, tuttavia non avevano ancora avuto l’occasione di occuparsene e sarebbe stato difficile muoversi liberamente qualora questo fosse stato occupato dalle decorazioni e una sala ancora in allestimento.

Non l’avesse mai detto. Perlomeno, non di fronte a Bakugou, che si era lasciato prendere dalla prospettiva di poter abbattere personalmente un albero intero; il pensiero di sé intento a sfogare ogni frustrazione su un povero tronco con, tra le mani, un’ascia da boscaiolo – come ne aveva viste solo nei peggiori film spazzatura dell’orrore insieme a Mitsuki – era talmente allettante da non aver perso un attimo nell’esitazione, già in piedi a capeggiare su tutti gli altri quando si propose per occuparsene lui stesso.

Chiaramente un po’ chiunque con del buon senso aveva cercato di farlo desistere dall’ovvia pessima idea, Iida in primis si era messo a urlare su quanto incosciente fosse da parte sua anche solo aver assecondato il folle delirio al punto da esplicitarlo al gruppo, segno per Bakugou avesse senso, in un modo o nell’altro, conoscendo il tipo che era quanto di più lontano da un burlone dall’infelice battuta pronta.

Il fatto che Katsuki non avesse replicato se non rivolgendosi a Momo, chiedendole quanto grande lo volessero l’abete lei e i suoi, preoccupò Yaoyorozu stessa, la quale non riuscì a fare a meno di rispondere, intimorita dall’aria terrificante con cui il compagno le si stesse rivolgendo, quasi messa alle strette e impossibilitata a ritirare l’offerta. Altri – come Mina e Sero – si erano messi a ridere senza ritegno, prendendo in giro Bakugou su quanto sarebbe stato bene in camicia a quadri e giubbotto imbottito senza maniche, magari anche jeans per far contento il suo mentore d’eccezione, l’unico che pareva a favore della circostanza assurda proposta dal ragazzo era Kirishima, tutto entusiasta davanti una prospettiva così virile, smontato in fretta da Kyouka e Tsuyu al suo fianco, sottolineando quanto fosse stupido e basta.

Todoroki aveva semplicemente chiesto se fosse legale, se per premura nei confronti dell’amico o per spirito d’interesse, forse invaghito anch’egli dalla situazione ipotetica e dunque tentato a parteciparvi, nessuno gli diede modo di dirlo poiché fu preso a parte da un Tokoyami che, adducendo a tutta la comprensiva calma del mondo, rispose che qualsiasi cosa riguardante Bakugou con un’ascia in mano, a priori dalla dimensione e dal materiale, violasse per certo una legge. Loro, al massimo, ne erano all’oscuro.

In ogni caso Bakugou non si era fatto minimamente scoraggiare, anzi, era giunto persino al magnanimo compromesso di trascinarsi dietro uno di loro per scegliere l’albero migliore. All’inizio aveva proposto a Momo stessa, la quale però aveva rischiato un mancamento al solo pensiero, sorretta da un tempestivo Iida e Ochako al seguito per sventolarla con un tovagliolo.

Ancora una volta, senza che nessuno le avesse dato davvero l’autorità per farlo, Ashido aveva preso in mano la situazione, sghignazzante come ormai pareva non fosse in grado di fare altrimenti. Dopodiché afferrò un Midoriya, che aveva cercato di tenersi in disparte il più possibile, portandolo davanti a sé per decretare: «Porta lui con te!».

Iida aveva trattenuto il respiro, gli occhi enormi dietro le lenti «Stai cercando di sbarazzarti di lui?!».

«Perché? Bakugou non lo toccherebbe neanche con un dito» asserì tranquilla la ragazza, il tono di finta sorpresa dinanzi l’accusa del rappresentante di classe; cambiò poi inflessione, stavolta più sinuoso e furbesco come lo sventolio di coda di una volpe «Vero, Bakugou?».

In quel momento, tra sé, Katsuki e tutti i presenti si erano complimentati con Mina per la fortunata sfacciata del non aver ancora dato un’ascia al ragazzo in questione.

«E poi Midoriya» continuò, incurante della tensione attorno «mi sembra un po’ sciupato, passeggiare all’aria aperta gli farà bene, no?».

Quella frase bastò a far sì Bakugou accantonasse, temporaneamente, qualsiasi pensiero violento nei confronti della compagna, l’attenzione canalizzata sull’erede di All Might, il quale non aveva ancora detto una parola, sembrava semmai rassegnato e davvero sfinito mentre veniva strattonato appena dalle mani euforiche di Ashido.

In effetti non aveva più fatto caso al comportamento di Deku per tutto l’incontro, trascinato dalle proprie fantasie, nonostante ciò, per quanto meglio stesse rispetto alla precedente riunione, sembrava nascondesse ancora qualcosa che ne impediva un totale rasserenamento. Magari era davvero una mera questione di respirare un po’ di aria pulita.

«Domani» disse dunque rivolto a Midoriya, che lo guardò con non poco timore, già presagente le sue parole «passerò a prenderti e andremo a cercare l’albero».

Solo Mina e Kirishima avevano esultato, di chissà quale vittoria, considerando le circostanze, nessuno lo aveva capito; certi si trattasse di una questione di puro sadismo, qualsiasi altro intento benefico nei confronti dei due compagni del tutto affossato dal divertimento malsano che ne stavano traendo. Più Mina che Eijirou, poco importava comunque, visto il supporto inconsapevole ricevuto da Red Riot.


 

La sensazione dell’ascia tra le mani era davvero… fastidiosa, considerò.

La cassetta di sicurezza dentro la quale quello stupido Deku lo aveva costretto a tenerla, sebbene fosse altrettanto sicura già nelle sue mani, aveva un manico innaturalmente scomodo e fin troppo ravvicinato al bordo dell’apposita valigetta, era stato costretto a sfilarsi un guanto per farvi passare la mano in mezzo. Per un attimo pensò, anzi, diede per certo Iida, che si era offerto di prestargliene una di suo fratello, avesse scelto quella più scomoda possibile, forte del fatto Midoriya gli avrebbe impedito di estrarla anzitempo e dunque rendendo la situazione più complicata senza alcuna valida ragione.

Mica l’avrebbe sventolata sopra la testa di quel broccolo ambulante, al massimo gli avrebbe dato una spuntatina a quei capelli così odiosamente mossi e dai quali continuava ad arrivargli un insistente profumo di pino silvestre.

«Se volevi camuffarti con l’ambiente circostante avresti dovuto mettere dei vestiti marroni» borbottò tra i denti.

Izuku lo guardò confuso, probabile non avesse colto nemmeno un quarto della frase, non che l’avesse detta per farsi sentire. Gli era scappata, per qualche motivo. Quell’odore era talmente forte da distrarlo e confonderlo, ci mancava spingerlo a farfugliare assurdità chiare solo a se stesso – e nemmeno, in verità.

Il sentiero davanti a loro non era molto accidentato, c’era giusto qualche ciottolo più grande ma ben visibile, di buche neanche a parlarne, Midoriya pareva però comunque preoccupato a sufficienza di inciampare in qualcosa, evidentemente diffidando del proprio equilibrio, visto il suo rifiuto per guardare verso l’alto. Anzi, dava quasi l’impressione di essere più interessato al terreno circostante che agli alberi nei dintorni, tanto meno aveva intenzione di guardare il compagno d’impresa.

Bakugou si sentì piuttosto irritato da quel comportamento, più di quanto avrebbe voluto ritrovarsi ad ammettere. Non perché tra loro vi fosse chissà quale argomento di conversazione, nonostante i mesi passati c’erano ancora tracce di distacco, sebbene nessuno dei due, era sicuro, lo percepisse più intinto nell’ostilità che per anni aveva annerito la sincerità del rapporto. Prima di quell’occasione, della festa e dei preparativi, all’infuori di missioni e meeting con All Might, poche erano state le volte in cui si era trovato del tutto solo con Deku, persino così a stretto contatto. Faceva fatica persino a ricordare quale fosse stata l’ultima volta in cui era riuscito a toccarlo senza sentire il bisogno di ferirlo, com’era successo fino all’anno prima, e paradossalmente gli riusciva sempre più difficile smettere di pensare, adesso, a quanto avrebbe voluto stringere le braccia martoriate senza arrecare alcun dolore; dopo gli allenamenti era capitato gli applicasse delle creme lenitive per eventuali fitte muscolari, berciando su quanto altrimenti sarebbe stato incapace Deku stesso nel farlo. Tuttavia mai aveva approfittato di quei momenti, in cui l’altro gli porgeva il braccio con fiducia pur se a occhi chiusi, per infierire, neanche per scherzo.

Guardandolo camminare al suo passo, la testa che vagava in cerca di qualche albero che facesse al caso loro – lo sentiva a malapena ma parlava anche, forse proprio sull’avvistamento del loro obiettivo – Bakugou si rese conto di quanto non fosse ancora davvero abituato ad averlo così vicino, senza esitazione o per una motivazione specifica; l’unico rumore esterno alla voce di Izuku erano le scarpe invernali che pestavano il terreno, qualche soffio di vento di tanto in tanto, raro poiché la giornata era alquanto soleggiata a discapito delle previsioni.

Il profilo di Midoriya non aveva perso la morbidezza dei tratti di quando era un bambino, rifletté; la curva del naso scendeva dolce dal ponte alla punta, leggermente rosata, le guance piene erano giusto un po’ più spigolose sugli zigomi lentigginosi, sempre però mantenendo quell’aria da ragazzino innamorato dell’idea di dare tutto se stesso per salvare gli altri; un sentimento che aveva letto sin dai primi giorni, quando ancora seguivano le vicende di All Might nelle televisioni in vetrina, riconoscendo una passione speculare alla propria.

Lo sguardo di Bakugou scese ancora, attratto dalla nuvoletta di condensa che andava materializzandosi a ogni respiro liberato dalle labbra screpolate del ragazzo, fu però un altro particolare a calamitarlo in una differente direzione – salvandolo dall’insorgere di un pensiero già faticosamente accantonato in precedenza –, ancora sulle guance, dove i primi ciuffi scuri arrivavano a contornare il viso.

Si accorse, Katsuki, del lobo arrossato di Izuku, ragion per cui tornò per un attimo a guardarlo negli occhi che trovò però rivolti altrove, dunque non seppe interpretare quella reazione, sapeva solo quanto gli si fosse piantato in testa il ricordo del pomeriggio sugli slittini, quando era stato costretto a stringerlo per afferrare la corda di manovra e si era ritrovato a parlargli direttamente nell’orecchio. E si maledì, Katsuki, perché anche adesso, come quel giorno, sentì forte e impellente il desiderio di mordere proprio lì, dove la carne immaginò fosse calda sotto l’imbarazzo.

Quando Midoriya si voltò verso di lui, decise che era il caso di fare qualcosa.

Urlò, semplicemente: le braccia al cielo, così anche la valigetta contente l’ascia, la bocca spalancata e dalla quale avrebbe anche potuto uscire fuoco tanta era l’energia messa nello sbraitare esasperato. Izuku al suo fianco era quasi morto di terrore.

«K-Kacchan?!».

«È da più di due ore che giriamo e non abbiamo trovato neanche un fottutissimo abete!».

In realtà aveva smesso di controllare da almeno tre quarti d’ora, per quanto potesse saperne li aveva saltati tutti, gli abeti a disposizione.

«Kacchan…».

«E anche tu, che diavolo stavi guardando, il panorama?! Fammi usare questa maledetta ascia, li abbatto tutti!».

«Kacchan».

«Che cosa c’è?!».

L’espressione di Deku era un pessimo presagio, il modo in cui sbatteva le palpebre tipico dell’agitazione, del disagio in circostanze nelle quali non sa come comportarsi, mancava si circondasse la testa con le braccia e avrebbe completato il quadro, magari lo avrebbe fatto davvero se non avesse avuto la pesantezza del parka a complicarne i movimenti.

E perché diavolo prestava attenzione alle abitudini comportamentali di quell’imbranato a malapena stabile su due gambe?

Qualsiasi ragione fosse, il conoscere l’entità della gesticolazione di Midoriya non favorì l’ammortizzazione del colpo, quando a voce bassissima, colpevole come se stesse dicendo una parolaccia davanti ad Aizawa, confidò: «Penso che ci siamo persi…».

La valigetta cadde in terra con un tonfo secco.

«...ah?».


 

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Capitolo 13
*** #13. Romantic Walk while Lost in the Woods (2) ***


Boinsoir!
Sento il duro richiamo dell'IC domandarmi cosa stia combinando, io rispondo che in realtà non lo so, ho visto romantic e mi è partito l'embolo, a Katsuki quasi più di me perché sì.
Precisazione piccinissima pre-lettura: la parentesi sulla padronanza di tale Katsuki sul suo quirk è pura licenza poetica, ho visto diverse fanart in cui succede... quello che succederà ed è una cosa che ho sempre adorato e mi ha fatto perdere nel doki doki al solo pensiero~ Midoriya è un broccolo tentatore e poco ci è mancato scivolassi in un altro genere (genere, non rating, tsk) ma almeno è meno broccolo di prima... Mancano meno di due settimane e ho progetti anche per gli altri ??? Il bello della diretta dicevo...
Comunque sia! Se è vero che mancano meno di due settimane possiamo praticamente dire di essere a poco più di mezz'ora (il mio orologio attualmente segna le 23:19 appena scoccate) dall'entrare del tutto nella seconda da che il tutto è iniziato, sono commossa ;; non mi sarei data un grammo di speranza ora dico così e me la tiro, invece ecco qua! Un sentitissimo grazie come sempre, quindi, per il supporto e il coinvolgimento, quest'anno contavo di finirlo senza più scrivere nulla e invece sta venendo fuori qualcosa e anche per merito di chi le dà attenzioni, quindi ;; mille grazie 
🧡💚


 

 

-13: Romantic Walk while Lost in the Woods (2)

 

Una cosa che poteva dire di aver imparato stando alla U.A., dopo essere stato per ben due volte al centro di un attacco nemico, rapito, malmenato, trafitto e chissà cos’altro non gli venisse in mente in quel momento, era il votarsi con cieca fiducia al “niente panico”; Deku, alla sua destra, con in mano il telefono con una ricezione misera e tutto intento a preoccuparsi di una tragedia non ancora consumatasi – ma era presto detto, di questo passo lo avrebbe ucciso lui stesso, al diavolo le false promesse a Iida e il resto dei trogloditi, colpa loro che gli avevano creduto senza pensare a una situazione come quella – chiaramente si era perso la lezione di vita in proposito.

«Kacchan!» si agitò appunto il compagno di disavventura, che poi era sempre lui per qualche motivo, aggrappandosi alla manica del suo cappotto per strattonarlo in sua direzione, il telefono nell’altra mano sollevato ad altezza del viso «Non riesco a prendere il segnale, cosa facciamo?!».

Un rumore attirò la loro attenzione, il rimestare sinistro di foglie alle loro spalle, proprio in mezzo alla fitta foresta, da quale lato della schiera di alberi provenisse non era ben chiaro. L’unica cosa certa era la totale mancanza di linea, il fatto che si fossero addentrati forse giusto un po’ troppo senza riflettere e il modo quasi spasmodico con cui Midoriya prima lo tirava verso di sé e poi lo strattonava da una parte all’altra, dimenandolo come una luce segnaletica su una pista di atterraggio.

Niente panico un cazzo imprecò Katsuki al sicuro nella propria mente, sicuro se avesse detto una cosa del genere ad alta voce non avrebbe fatto altro che aumentare l’assurdità della circostanza e dare vita a quel pensiero significa ammettere, sotto sotto, un po’ non sapesse che fare.

Tanto vero quanto una stronzata inaccettabile da proferire, infatti.

Senza pensarci troppo, stanco di essere sventolato alla stregua di un ventaglio in una afosa serata estiva – faceva anche un freddo cane, tra l’altro, la corrente di quel movimento gli avrebbe fatto venire un accidenti – strappò la mano tenuta in ostaggio dalle grinfie di Midoriya e gliela schiaffò insieme all’altra, dopo aver lasciato la presa sulla valigetta dell’ascia, sulle guance, la fronte schiacciata contro la sua in un abbozzo di craniata. Infine, guardandolo negli occhi da una prospettiva pressoché ciclopica, urlò: «Perché diamine ti stai agitando tanto?!».

Izuku parve impiegare qualche istante per metabolizzare la domanda, in realtà era retorica e voleva semplicemente zittirlo o farlo riprendere, l’altro invece doveva aver preso alla lettera il senso e non ci aveva pensato molto nel rispondere davvero.

«Ma Kacchan».

Qualcuno avrebbe potuto dire fosse piuttosto carino il modo in cui teneva strizzate le palpebre – Katsuki si era anche accorto di come, di certo inconsciamente, Deku avesse iniziato a premere la fronte a sua volta, più delicato del colpo che si era beccato poco prima, gli era sembrato addirittura l’avesse strofinata.

Per un attimo odiò avere solo una mano libera dai guanti, il palmo nudo ingentilì appena la presa sulla pelle calda e morbida di Izuku; la tentazione di sfregare il pollice sulle lentiggini morì come aprì bocca di nuovo.

«Avremmo dovuto chiedere a Koda o Jirou di venire con noi…».

Certo, pensò stizzito, così ci avrebbe soccorsi un orso o Bambi con tutto il Parco di Nara cantando pure una canzone.

Mollò la presa e si chinò a raccogliere la custodia con l’ascia, convinto ormai non l’avrebbe usata – se li avesse davvero attaccati un animale non avrebbe mica perso tempo a estrarla, usarli nel bosco non era il piano migliore da tenere in serbo per l’eventualità ma avevano pur sempre i loro quirk; deciso a non prendersi nemmeno la briga di rispondere a un’assurdità, soprattutto perché ormai era tardi per recriminare e pensare a quanto sarebbe andata meglio se non fossero andati da soli, afferrò infine il polso di Deku per trascinarlo nella direzione opposta. Del resto era inutile pure proseguire a vuoto col rischio di finire in una situazione ben più spiacevole, al buio e alla mercé del clima, tanto valeva ripercorrere la strada a ritroso.

Non si accorse subito di avergli dato la mano senza guanto, lasciata scoperta perché lo spessore del guanto rendeva difficile l’impugnatura stretta della valigetta, tuttavia non ebbe nemmeno un secondo per lasciarsi sfiorare dalla possibilità di sostituirla poiché Midoriya, anziché ribellarsi come sembrava stesse per fare, agitando lievemente il polso era sgusciato dalla presa di Bakugou solo per stringerli la mano a tutti gli effetti.

Se avesse potuto guardarsi da una visione esterna e parallela alla loro camminata, sarebbe stato colpito insieme dal déjà-vù della loro infanzia, con la differenza che allora non aveva mai permesso all’altro di prendergli la mano.

Al contrario suo, Izuku non aveva portato i guanti da principio, poteva sentirlo dal palmo tiepido contro il proprio, i polpastrelli invece poggiavano sul dorso freddo e le dita stesse, sebbene non tradissero alcun tremore, erano altrettanto fresche.

«Nella mia tasca ho l’altro guanto» disse incolore, indicandogliela con un cenno del capo «Prendilo e mettitelo».

Il compagno non se lo fece ripetere due volte, un po’ titubante ma comunque non a sufficienza dal farlo desistere allungò la mano libera e, in maniera parecchio scomoda data l’impossibilità di ausilio delle altre dita, lo infilò e sospirò di sollievo alla sensazione ben più confortevole della gelida aria aperta.

Grazie agli insegnamenti di Aizawa, Bakugou era riuscito a imparare un maggiore controllo del proprio potere, localizzando e stabilendo al meglio la quantità da sprigionare in modo tale da non rischiare esplosioni oltre il suo controllo, né troppo deboli né troppo forti. Di conseguenza fu in grado di liberarne quanto bastava per far sì il calore della stretta si intensificasse senza bruciare nessuno dei due e Izuku reagì sussultando appena in quella presa, dalla quale però non si allontanò; sembrò, semmai, rafforzare e aumentare il passo per ritrovarsi non più dietro ma vicino al suo fianco. Quasi, non del tutto.

 

Qualche metro dopo Katsuki si fermò, posò la valigetta in terra ed estrasse il proprio telefono dalla tasca del giubbotto per controllare il segnale.

«Ci sono un paio di tacche in più» constatò a voce alta, anche per informare Midoriya, il quale annuì rincuorato «Se proseguiamo ancora dovremmo essere in grado di…».

“Chiamare qualcuno e farci venire a prendere” era la continuazione che si rifiutava di esplicitare, la masticò tra i denti digrignati, gli occhi sgranati al pensiero di come gli altri avrebbero riso all’ammissione del fallimento per cui si era tanto fomentato da solo, il che risvegliava il desiderio di recuperare l’ascia e porre fine a quel tormento del quale era certo sarebbe stato vittima.

Un leggero tonfo dietro di sé bloccò l’insorgere del piano di occultamento, morbido e delicato come un fiocco di neve posato sul terreno Deku gli si era poggiato contro con la fronte, in mezzo alle scapole, un po’ come prima anche se adesso gli dava le spalle, le parole altrettanto leggere e svelate da quello che Bakugou percepì distintamente trattarsi di un sorriso dolce.

«Grazie, Kacchan» mormorò, quasi volesse fosse l’unico a sentirlo, persino in una strada in cui non c’erano altri che loro.

«Per il guanto e per…» agitò piano le mani unite, il quirk leggerissimo e in dissolvenza a scaldarle «Non so perché mi sia agitato tanto, non… non mi piacciono molto i boschi. L’ultima volta che ci siamo stati…».

Non ho potuto fare niente se non guardarti mentre sparivi, e con te mi sono perso anch’io.

Non lo disse, ma Bakugou capì anche quello. Dal campo di allenamento del primo anno, d’altronde, non era mai capitato si trovassero insieme in una simile circostanza, sapeva Deku si fosse imbattuto in un nemico poco prima dell’inizio del festival culturale e che lo scontro si era svolto nel bosco adiacente alla struttura dell’U.A., concentrato sulla difesa più che su qualsiasi altra cosa; essere lì con lui, in uno spiazzo circondato da alberi, doveva aver riattivato un ricordo spiacevole.

Katsuki stesso odiava quella memoria ma stava cercando di imparare a non ripudiarla.

Diede un piccolo scossone al braccio di Midoriya, le gambe avevano ripreso a muoversi e il distacco dal contatto col ragazzo bruciò più delle piccole esplosioni sulla sua mano, le quali avrebbero sicuramente lasciato almeno un segno. Non che fosse grave, né gliene sarebbe importato qualcosa dopo, in quel momento ancora meno.

Camminarono ancora per una decina di minuti, mancava poco Bakugou iniziasse a ridere come un isterico, stanco della via senza fine e incapace di credere si trattasse davvero della stessa direzione in cui si erano incamminati all’inizio. Prima di cedere e far esplodere se stesso con Midoriya al seguito, però, salvifico arrivò il trillò di notifica del telefono di Katsuki.

Entrambi i ragazzi guardarono lo schermo, speranzoso uno ed esasperato l’altro quando il nome “Mezzo e Mezzo” comparve in grassetto sull’icona del messaggio, il quale domandava: “Sono lì vicino, avete preso l’albero? Vi serve una mano?”.

Izuku ne gioì, mormorando un commosso Shouto-kun mentre Katsuki, ignorando il tic al sopracciglio al sentire quel nome proprio, dopo aver liberato un sospiro esausto si voltò, caricò il braccio e lanciò la valigetta in aria. Midoriya fissò sconvolto il modo in cui si sfilò il guanto con i denti – si era dimenticato di poter liberare la mano in qualsiasi momento, così come l’altro avrebbe potuto mollare la presa dato lo scampato pericolo, nessuno dei due però si separò. L’unico movimento fu quello dell’altra mano di Izuku, che andò a tirar giù il braccio proteso di Katsuki, pronto a far detonare l’attrezzo prestato da un incauto e, a quanto pare, masochista Iida.

«Kacchan! Non ora che siamo salvi!».

Salvo un corno, imprecò mentalmente, sospirò ancora e, di nuovo, trascinò con sé Midorita fino alla valigetta, precipitata qualche metro più in là; stavolta infilò le mani intrecciate nella propria tasca e annullò di conseguenza il quirk, scaldandosi solo stringendo. Izuku parve approvare quella manovra, perché accentuò la presa a sua volta. Senza disagio o imbarazzo, come fosse ovvio. Perché faceva freddo e mancava poco per tornare a casa, tanto valeva scaldarsi finché possibile.

Stare vicini, finché possibile.

Non si domandò il perché di quella necessità, gli bastò urlare ai propri pensieri di fare silenzio per allontanarli e accettare una sensazione. Che in fondo conosceva già, per questo non aveva ragione di porsi domande. Sembrava solo difficile farsene qualcosa al di fuori di sé, dove c’era pur sempre il rischio perdesse di senso e, al momento, pesava considerevolmente troppo perché si lasciasse andare a quell’eventualità; era metodico e analitico su qualsiasi campo, d’altronde, prima di lanciarsi all’attacco.

Anche se qualcosa, nel modo schifosamente adorabile in cui Deku continuava a strofinarsi il naso contro la sua spalla, di sicuro talmente in cerca di calore da non rendersene appieno conto, gli dava da pensare e forse, ma solo forse, quel nerd imbranato aveva già avanzato una mossa della quale non si era accorto.

Impossibile, sentenziò, tuttavia fu una nota priva di amarezza, bensì condita dal divertimento e anticipazione tipici che provava davanti a una sfida.

«Quando torniamo» esordì a un certo punto, l’obbligo disperso nella condensa «ringraziami con del katsudon».

Lo sguardo sorpreso di Izuku sparì in fretta, più di quanto avrebbe mai previsto, sostituito da uno quasi agguerrito ma allegro e soddisfatto, mentre diceva come fosse la parola più preziosa tra tutte.

Che la situazione assurda, e per fortuna comunque più semplice del previsto, si fosse verificata a causa dell’esagitazione senza controllo di Bakugou al pensiero di agitare un’ascia al vento poco importava, così come era del tutto passato in sordina lo scopo principale dell’abbattimento dell’albero – con sollievo di Iida e Yaoyorozu: quella sera, col portafogli un po’ più vuoto dopo aver offerto il pasto sia a Katsuki che a Todoroki, inconsapevole soccorso, Midoriya era tornato a casa con un guanto spaiato e dal profumo dolce di mandorle.



 

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Capitolo 14
*** #14. Ice Skating ***


Bonsoir!
Oggi in ritardo peggio che mai ma ce l'abbiamo fatta
! *asciuga il sudore dalla fronte*
Questo capitolo è un po' diverso dai precedenti, diciamo che un cambio di veduta ma spero sia apprezzato, è stato un test per non rischiare di rendere troppo monotematico e noioso l'andazzo della storia. Fatemi sapere, se viva, perché vorrei riutilizzare questa tattica anche per un altro paio di prompt!
Come sempre grazie a chiunque mi faccia compagnia in questa piccola avventura quotidiana alle prese con tutti questi scemotti 
❤️
🤍🤎 Buona lettura!


 

 

-14: Ice Skating

 

Todoroki non era mai andato a pattinare. Aveva usato il proprio ghiaccio per spostarvisi sopra, certo, ma in circostanze specifiche, nella maggior parte delle quali si era trattato di questioni di vita o di morte. Non esattamente un sollazzo, insomma.

Quando Inasa lo aveva saputo l’espressione in apparenza tagliente e dura si era fatta così larga, dagli occhi alla bocca, quasi non riuscisse a contenere tanto stupore e sconcerto e dovesse per forza di cose far spazio per mostrarli appieno; Shouto era rimasto un po’ sgomento a sua volta, non capendo cosa ci fosse di talmente strano in ciò che aveva detto – o di sbagliato, magari. Per un momento si era chiesto se non avrebbe fatto meglio a non dirlo, per qualche ragione sembrava una cosa importante e una mancanza non da poco.

Era anomalo da parte sua, con un quirk in grado di generare e controllare il ghiaccio a proprio piacimento, non aver mai provato un vero interesse nei confronti di un’attività con esso protagonista?

Anche per quello scrisse a Midoriya e Bakugou, invitandoli al palazzetto dove si sarebbe recato con Yoarashi, per non dire trascinato da quest’ultimo senza possibilità di replica; se il pattinaggio nei panni del divertimento era davvero così bello quanto l’altro studente lo aveva fatto sembrare dalla sua reazione, con conseguente imposizione nel provarlo insieme fintanto che si fosse fermato in città, pensò sarebbe stato piacevole condividere quel momento con loro. Inasa non aveva opposto particolare resistenza, sebbene in un primo istante fosse sembrato più contrariato che concorde, Todoroki se n’era accorto dal modo in cui la linea delle labbra si era appiattita di colpo, come se la notizia ne avesse intaccato l’entusiasmo, tuttavia poco ci volle perché il sorriso ritornasse e, in cuor suo, Shouto ebbe la sensazione di dovergli essere grato.

Quando provò a inoltrare l’invito nel gruppo della 2-A mancò poco il telefono venisse scaraventato chissà dove dal vento di Inasa, che in questo secondo caso lo aveva ostacolato in tutti i modi con non poca agitazione. Forse non si sentiva a suo agio con troppa gente nei dintorni?


 

Decisamente non poteva essere la quantità di estranei circostanti, il problema di Yoarashi, Shouto poté stabilirlo con certezza non appena varcato l’ingresso del palazzetto di ghiaccio, non così grande come se lo sarebbe immaginato, gli ricordò la palestra di simulazioni dell’U.A..

La pista era già piuttosto piena, persone di qualsiasi età vi scorrazzavano al di sopra, alcune perfettamente in grado di muoversi con libertà e agio, altre meno portate si spostavano mantenendo l’equilibrio precario col supporto della recinzione. Qualcuno, i bambini in particolar modo, sfruttavano l’appoggio di un pinguino dotato di manubri ai lati della testa.

Ebbe anche l’istinto di correre in soccorso di un ragazzo caduto malamente sulla lastra ghiacciata, fu però bloccato dalla mano forte di Inasa e dalla presa un po’ più gentile di Midoriya, alla cui sinistra Bakugou schioccava la lingua e borbottava qualcosa su quanto si fosse già pentito di essere uscito solo per quello.

«È una cosa normale qui» spiegò Izuku con gentilezza, le sopracciglia gli si corrugarono e la bocca si storse in un risolino in difficoltà quando Shouto gli rivolse un’occhiata perplessa, come se avesse sentito un’assurdità – in effetti, era normale che la gente trovasse divertente recarsi in un posto dove rischiava costantemente di scivolare e farsi male?

Bakugou sembrò interpretare lo sguardo ancora non del tutto convinto di Todoroki, il quale era fin troppo abituato a muoversi liberamente sul ghiaccio, ciononostante comprendeva la difficoltà e l’instabilità della superficie, lui stesso aveva dovuto allenarsi per coordinare il proprio passo alla distesa di ghiaccio creata ai suoi piedi; era diventato così naturale, a un certo punto, da aver trovato un equilibrio di naturalezza, quasi un gesto innato, perciò si era un attimo dimenticato non fosse così per tutti.

«Se non sei un incapace» soggiunse Katsuki, lanciando un’occhiataccia a Midoriya quando questi gli diede una gomitata sul fianco con un rinforzativo Kacchan di rimbrotto.

«Maledetto nerd, che problemi hai?!».

«E tu invece?!».

«Sei tu che mi hai costretto a venire qui!».

«Todoroki-kun lo ha chiesto a entrambi!».

«Ma tu hai insistito!».

«E tu ti sei lasciato convincere!».

Shouto e Yoarashi, intanto, fissavano il battibecco uno con la più incontaminata delle impassibilità, abituato a certi loro scambi, l’altro con un commisto di intrigo e confusione data soprattutto dal modo in cui, per discutere, fossero finiti in senso letterale a spingersi col naso premuto contro quello dell’altro. Almeno fin quando Bakugou, definitivamente scocciatosi della questione, si allontanò di scatto e quasi Midoriya capitolò in avanti, sbilanciato dall’improvvisa mancanza di supporto dalla parte opposta, salvo poi venir tirato su da Katsuki stesso, il quale lo aveva afferrato per il gomito e se lo stava già trascinando verso la pista.

Il volto di Midoriya tradì il pessimo presentimento «C-cosa stai facendo?».

Il modo in cui ghignò Bakugou lo confermò, gli occhi infuocati e dritti davanti a sé «Ci tenevi così tanto che adesso ti sfido».

Le urla di protesta di Izuku si confusero con il resto del vociare circostante, partì persino un jingle natalizio, diffuso a un volume alto il giusto affinché permeasse nell’ambiente come un sottofondo di accompagnamento e, al contempo, non risultasse molesto e distraente per i pattinatori.

Le figure dei due compagni erano state inghiottite dalla confusione, tuttavia ci volle un po’ prima di riuscire a individuarli sulla pista a tutti gli effetti – Bakugou stava ancora tirando Midoriya, il quale era ancorato con determinazione a uno dei piccoli pali delimitanti uno dei due ingressi alla zona di pattinaggio. Sembrava un po’ in difficoltà.

«Andiamo a prendere i pattini e li raggiungiamo?».

La voce forte e calorosa di Yoarashi lo richiamò a sé, Todoroki lo trovò sorridente e con un dito proteso nella stessa direzione in cui si erano diretti gli altri due poco prima: Shouto si accorse solo in quel momento di un piccolo bancone a bordo pista, dietro al quale un dipendente recuperava i pattini dalle scaffalature per poi fornirli ai visitatori.

È vero, pensò, devo usare i pattini.

Si irrigidì un poco al pensiero, tuttavia era una tensione di aspettativa, stava iniziando a immedesimarsi nella situazione e il pensiero di indossare le calzature apposite per la prima volta lo emozionò, un crescente senso di impazienza evidenziato dal brillio negli occhi eterocromatici.

Era ovvio non si trattasse della prima volta in cui vedeva un paio di pattini da ghiaccio, ritrovati sia in competizioni televisive che in diversi film e anime, per un certo periodo si era domandato come sarebbe stato indossarli e spostarsi con essi, senza l’ausilio della propria unicità, poi aveva semplicemente smesso di chiederselo o anche solo di pensarci. Adesso, invece, gli sembrò quasi di essere tornato a qualche anno addietro, in cui quella curiosità lo aveva di nuovo vinto; indossarli fu strano come la prima volta in cui, con Midoriya e Iida, aveva provato le scarpette da bowling.

Mantenersi stabile sulle lame agganciate allo stivaletto era più complicato di quanto avrebbe immaginato, se ne stupì sinceramente, ringraziando Inasa quando questi lo aveva sorretto per uno sbilanciamento imprevisto.

Sul ghiaccio effettivo, però, fu tutta un’altra cosa. In un certo senso non c’era nulla di diverso se non i pattini a dividerlo da un ghiaccio non suo, i piedi coperti e il freddo non irradiato da essi per poter avanzare furono una sensazione quasi insolita in quella specifica circostanza, si sentì quasi perso in una novità che tale non poteva considerarla davvero e, infatti, al contempo era come passeggiare con un paio di scarpe forse un po’ scomode ma su una strada familiare.

La risata di Yoarashi dietro di lui fu lo sgambetto definitivo a quel battito che continuava a rincorrere perché non saltasse, il cuore incespicò comunque quando, voltatosi verso l’altro, lo trovò rosso in viso d’euforia, gli occhi impreziositi da quell’entusiasmo e qualcosa di più morbido e confortevole che trapelò dalla voce stessa «Ti sta piacendo, eh?».

Todoroki lo guardò sorpreso; non aveva mosso che pochi passi per prendere confidenza con i pattini, eppure era così evidente? O Inasa – gli – era fin troppo attento?

Poco importava, in fin dei conti, perciò scrollò le spalle con rilassatezza e liberò un sorriso leggero e spensierato, a sua volta con le labbra piegate in uno ben più delicato e riservato di quello ampio sfoggiato da Yoarashi, ma altrettanto sincero e coinvolto. Infine annuì, indietreggiando un po’ con attenzione, per non finire addosso a qualcuno, in modo da permettere al ragazzo di entrare a sua volta sulla pista poiché si era fermato proprio all’ingresso, forse per osservarlo e accertarsi non ci fossero problemi.

Provò un leggero brivido, Shouto, avvolto da quella sensazione piacevole e rassicurante data dalla semplice consapevolezza ci fosse qualcuno – ci fosse Inasa, dietro e con sé, a sostenerlo. In senso lato, constatò quando Yoarashi gli porse la mano per fargli cenno di spostarsi ancora un po’ da lì, rimanendo sempre vicini al bordo, accanto al recinto.

Un dubbio, chissà per quale motivo, gli giunse proprio in quel momento, sentendo le dita di Inasa circondare le sue.

«Neh, Yoarashi» lo chiamò e poté giurare di averlo sentito sobbalzare, doveva averlo colto alla sprovvista. Dopodiché, tranquillo ma con l’inflessione della consapevolezza acquisita man mano che formulava, chiese: «Anche questo era un appuntamento?».

Mancò poco lo studente del liceo Shiketsu non facesse una rovinosa caduta in avanti, travolgendo un paio di bambini malcapitati davanti a sé, per fortuna sia lui che Shouto furono tempestivi abbastanza da opporre quanta più resistenza alla gravità, il secondo tirandolo grazie alla presa ancora salda sulla sua mano.

Todoroki fece per domandargli se fosse tutto a posto, si bloccò però quando notò il rossore acceso e piuttosto evidente sulla punta delle orecchie di Inasa intanto che questi si tirava su.

Lo vide scrollarsi di dosso qualcosa, come se gli fosse rimasto attaccato un po’ di ghiaccio laddove avesse di fatto toccato la pista, sistemò la giacca e altri gesti automatici che Shouto classificò come nervosi; una volta rimessosi del tutto in sesto, abbassando un poco la visiera del cappello sugli occhi, Inasa replicò con tono profondo e imbarazzato.

«».

Lo sguardo di Todoroki si allargò appena, poi sbatté le palpebre come infastidite da una folata di vento rapida ma giunta di punto in bianco, una sorpresa che sparì altrettanto in fretta e sostituita da un’emozione che accolse ben più volentieri, stringendo la presa e sorridendo nel sentire l’altro fare altrettanto impercettibilmente.

E dire che tutto si sarebbe aspettato, da Inasa, meno che quel lato quasi timido che pareva cozzare col modo così espressivo ed espansivo che aveva di comunicare con gli altri.

Con lui.

Yoarashi riprese a parlare subito dopo, la voce un po’ più alta ma ne distinse del divertimento stavolta, quando indicò un punto distante da loro.

«Beh! Guarda là!».

Todoroki seguì l’indicazione, alla fine della quale individuò Bakugou intento a tirare Midoriya per le braccia, quest’ultimo contorto in una posizione tutt’altro che naturale, visibilmente in difficoltà mentre il compagno rideva sguaiato come suo solito.

«Si stanno divertendo anche loro!» continuò Inasa, ormai del tutto allegro, riprendendo a pattinare per raggiungerli.

Shouto lo guardò e poi di nuovo osservò i suoi amici, Izuku che aveva su un’espressione imbronciata mentre fulminava Katsuki, ciononostante non vi era alcun tremore in quella presa un po’ forzata e un po’ dispettosa. Solo tanta fiducia e, pensò, tornando con lo sguardo verso il basso, dove Inasa lo teneva e guidava, qualcos’altro di più articolato ma ben più facile da vivere di quanto potesse sembrare.

 

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Capitolo 15
*** #15. Guess who bought us matching Christmas sweaters! ***


Bonsoir! 
Innanzitutto: è TARDISSIMO e per poco non sono morta per l'ansia di non arrivare in tempo, mannaggia a me. :D Piccola deviazione anche oggi, l'avevo previsto ma diversamente (tanto per cambiare) però è un'accoppiata che ultimamente mi sta piacendo e prendendo molto, guardando i prompt futuri alla fine ho optato per questo qua, per tornare un po' in scemenza e rilassatezza. Il pairing in questione mi spiace anticiparlo ma so essere una nota dolente per alcuni, per quanto non saranno solo loro ma menzionerò anche altri come al solito: oggi tocca a Endeavor e Hawks! Il capitolo è sorvolabile quindi, se non gradite la ship o Endeavor, non è fondamentalissimo per il futuro. 
Mini appunto: in questa circostanza considerate Enji e Rei divorziati, perlomeno personalmente è il finale migliore che possa immaginare per loro nonostante tutto il seguito da un certo punto in poi, ship a parte (che mi è molto recente), lui e Hawks convivono in un'altra casa 
(lo sottolineo nonostante lo menzioni, nel caso non si capisse granché) mentre Rei è tornata nella residenza principali con i suoi figli, semplicemente capita (come nel prompt Hot Chocolatey) vi facciano ritorno Enji e Keigo stessi, in visita; i fatti di adesso, nel manga, in merito ai Todoroki nello specifico, preferisco non considerarli verificati per un motivo (che non esplicito perché spoiler).
(Shouto può sembrare un po' scemo in tutto questo ma in realtà è solo un sacco ingenuo e totale novizio a queste cose, è puro come un bambino che si gode davvero per la prima volta certe cose e di suo si sa abbia qualche difficoltà a rapportarsi con gli altri quando ci si trova in contesti più frivoli e scherzosi, almeno così l'ho sempre visto io~).
Ringrazio anche oggi chiunque dia una lettura, sono ancora indietro con le risposte come si deve ma arriverò ;; 
❤️
🧡 Buona lettura! 
Ps. il maglione di Bakugou esiste davvero, l'ho trovato su Amazon, è più carino di quello che sembra (cambiano solo i colori, che qui ho adattato per necessità shipposa di trama)...


 

 

-15: Guess who bought us matching Christmas sweaters!

 

Keigo non si era ancora alzato ma, scostando appena la pesante coperta per sbirciare la sveglia, era certo fuori facesse freddo a sufficienza per scoraggiare sul nascere qualsiasi tentativo di levata. Allungò piuttosto il braccio al suo fianco, l’espressione annoiata quando non incontrò l’oggetto di proprio interesse nel tastare il materasso.

Lui e le sue cattive maniere, sospirò mentalmente, anche tra sé si assicurò di risultare teatrale ai limiti del drammatico, dunque afferrò il cuscino del lato opposto al suo quasi per ripicca e lo stritolò tra le braccia, affondando il viso nei residui del calore rimastovi impresso. Inspirò appieno il profumo familiare, simile a quello rilasciato da una candela appena accesa, rotolò ancora un po’ al di sotto delle lenzuola e poi emerse di colpo, le ali che andavano ingrandendosi man mano che richiama a sé le piume; nello stiracchiarsi, una di esse si scontrò con una pallina di Natale posta sulla spalliera del letto, decorazione per cui Keigo aveva insistito la trascinassero anche in camera da letto. Si alternavano in rosso e oro, intrecciate a un filo di lucine di un chiarore altrettanto dorato, sebbene più tenue.

Sorrise al ricordo di quanto l’altro si fosse in un primo momento non del tutto opposto, tuttavia era ovvia la smorfia poco convinta e tanto meno entusiasta con la quale aveva accolto l’iniziativa di Takami e tale era rimasta, anche quando lo aveva aiutato ad attaccarle affinché non gli cascassero addosso mentre dormivano.

Come previsto, l’aria del mattino era particolarmente pungente e si irrigidì da capo a piedi quando fu completamente al di fuori delle coperte confortevoli, cercò persino di scaldarsi quanto poteva sfregando in fretta le mani sulle braccia nude – perché, a parte per la coperta in sé, la notte non avrebbe potuto sentire davvero freddo nemmeno volendo, vista la temperatura corporea del suo compagno di dormite – ma riuscì a fare ben poco.

«Devo ripetergli di svegliarmi quando si alza» disse tra sé con voce tremula a causa del gelo, diretto verso l’armadio; sarebbe stato senz’altro meno traumatico destarsi pressoché all’alba però circondato da una personale stufa su misura, abituarsi all’assenza stessa avrebbe avuto un che di meno… solo.

Fece per aprire l’anta, impaziente di infilarsi in uno dei maglioni enormi di Enji, quando fu fermato dal bussare contro la porta della camera.

«Takami-san» lo chiamò quello che riconobbe essere Shouto «Ho una cosa per te, posso entrare?».

Le piume vibrarono appena sotto un leggero colpo d’ala, conseguenza di un irrefrenabile moto di curiosità alla richiesta: i Todoroki si erano ormai abituati alla sua presenza nella casa di quello che aveva riconosciuto a tutti gli effetti come il proprio compagno, il quale lo aveva accettato a sua volta, con immensa sorpresa di un Hawks dichiaratosi in un momento di fragilità e sentita disillusione. In ogni caso, se Natsuo e Fuyumi si fermavano di tanto in tanto a pranzo o a cena, in visita e sempre insieme, Shouto capitava si fermasse a dormire, occupando una delle stanze che Enji aveva arredato di proposito in onore di quelle eventuali occasioni. Specie nelle ultime settimane il più piccolo dei figli sembrava recarsi un po’ più spesso del solito all’appartamento del padre, la presenza dell’altro eroe tutt’altro che un disagio, come se ne avesse preso coscienza da ben prima dell’ufficializzazione del loro rapporto.

Quel mattino, per qualche ragione, Hawks si era quasi dimenticato della presenza di Shouto, forse perché abituato al punto da non percepirla più come una specialità.

Dimentico dell’intento, lo invitò allegro «Entra pure!».

La porta si aprì subito dopo con educata lentezza, un con permesso mormorato dal più giovane mentre faceva di fatto il suo ingresso, in mano una busta rossa piuttosto grande e con sopra incisa un gioco di parole natalizio del quale faticava a comprendere il senso.

Keigo la adocchiò con rinnovata curiosità, gli occhi da rapace attirati dal contenuto che sporgeva davvero poco da un lato dell’involucro, infine tornò a guardare Shouto, sebbene il tono fosse chiaramente distratto e lo sguardo continuasse a scivolare in basso, salvo poi ricordare le parole precise con cui l’altro si fosse annunciato; a giudicare dal modo in cui gli stava ora porgendo a tutti gli effetti il sacchetto, non aveva capito male.

«È… per me?» chiese lo stesso in conferma, stavolta la voce gli uscì quasi in un filo, incapace di trattenere l’incredulità alla sola prospettiva di aver ricevuto qualcosa da lui. O da uno dei figli del suo amante in generale, forse sarebbe stato in grado di aspettarselo persino da Natsuo, possibilmente obbligato da Fuyumi; da parte di Shouto sembrava, in un certo senso, talmente atipico e improbabile da risultare quasi strano. Non spiacevole, ciononostante imprevisto e destabilizzante.

Quello annuì, lasciando andare la presa sulla busta quando questa fu afferrata per bene dall’eroe alato, sicché «Ne ho preso uno anche a mio padre» spiegò, poi recuperò il telefono dalla tasca dei pantaloni, smanettò per qualche secondo con lo schermo e infine lo voltò per farglielo guardare «E a Midoriya e Bakugou».

Keigo lo assecondò e si avvicinò allo smartphone, le palpebre ben aperta in piena osservazione, giusto il tempo di metabolizzare quanto gli si presentava dinanzi per lasciarsi andare a un sincero scoppio di risata mal trattenuto: posti uno di fianco all’altro, di primo acchito Hawks aveva creduto lo scopo della foto fosse risaltare la differenza d’altezza tra i due, Midoriya ancora un po’ più basso di Bakugou, tuttavia fu proprio l’espressione di quest’ultimo, con una vena minacciosamente in rilievo sulla tempia, i denti digrignati e gli occhi affilati, a svelare in fretta il reale motivo di quella foto.

I maglioni a tema natalizio, indossati da entrambi in fantasie verde e rosso – più aranciato che rosso puro –, quello di Bakugou aveva al centro un dinosauro verde con le fauci spalancate e un cappellino rosso e bianco, classico, in testa; su quello di Midoriya, invece, svettava nella sua magnificenza un biscotto di marzapane stilizzato, tra le mani rotonde un candito impugnato come una chitarra e dotato anch’esso di cappellino.

Questo spiegava come mai, se Bakugou pareva sul punto di esplodere dentro quel maglione, Midoriya avesse una faccia perlomeno più positiva, un sorriso forzato e imbarazzato ma comunque sincero a sufficienza da risultare quasi dolce nel ritaglio fotografico.

Notato Shouto lo stesse fissando, un po’ perplesso da tanta ilarità, diede un colpo di tosse per schiarirsi la voce e ricomporsi. Soprattutto quando d’un tratto venne spontaneo palleggiare lo sguardo dalla foto alla busta che aveva accettato senza pensarci due volte.

«S-Shouto-kun…» balbettò, il rischio di ridere ancora pericolosamente concreto «Mi stai dicendo che qui dentro… ci sono due maglioni simili a questi?».

A sorpresa, la testa dell’altro si mosse in negazione, pertanto spiegò «Mio padre l’ha già messo, non appena gliel’ho dato».

Keigo ebbe l’impressione di star per saltare in aria, per un attimo si domandò se non somigliasse a Bakugou, anche se la ragione dietro la propria detonazione era di una natura ben diversa e di sicuro più gradita ed eccitata, perché quanto appena ascoltato significava Enji di ritorno a casa con indosso un maglione di dubbio gusto e abbinato a quello che giaceva in quel sacchetto.

L’impazienza fu evidente quando chiese «Posso metterlo anch’io adesso?» e dovette trattenersi dall’abbracciare Shouto quando questi gli sorrise come suo solito, in quella maniera così gentile e calorosa, unico nel suo genere.

Ammise internamente, Takami, il petto gli faceva un po’ male al pensiero del gesto appena ricevuto, che lo fece sentire speciale e accolto in un contesto davvero non suo, nel quale a volte si pentiva di essersi infilato a forza e nei cui confronti si sentiva un totale estraneo.

Finché Shouto non disse «Mi hanno aiutato Fuyumi e Natsuo per scegliere il vostro» e la parola famiglia si affacciò con spaventosa intensità nella coscienza di Hawks.

Non esitò oltre e infilò la mano all’interno della busta, i polpastrelli entrarono presto in contatto col tessuto morbido della lana e poteva percepire al tatto il rilievo di alcuni ricami, difficili da identificare con quel sistema, così finalmente lo afferrò e tirò in alto per sfilarlo dal sacchetto, lasciato ricadere in terra in un tonfo impercepibile di carta stropicciata. A quel punto lo sollevò davanti a sé, tenendolo dalle spalle per allargarlo e poterlo osservare nella sua totalità.

Le iridi dorate luccicarono di piacere e contentezza mentre le guance si gonfiavano sotto un rinnovato, nascente impulso di ridere.

Gioviale, e anche un po’ commosso, abbassò l’indumento e lo strinse appena, poi guardò Shouto davanti a sé con sincerità «Grazie, Shouto-kun, mi piace davvero moltissimo».

Le labbra del ragazzo si incurvarono ancor di più verso l’alto, coinvolgendo stavolta gli stessi occhi, intanto Keigo ne approfittò per potersi scaldare – la situazione lo aveva distratto a sufficienza da non farglielo pesare fino a quel momento ma iniziava a sentire davvero troppo freddo – e lo indossò senza pensarci oltre.

«Come mi sta?».

«Meglio di quanto non stia a mio padre».

Enji-san, se questo tuo figlio è arrivato a fare una battuta significa che quando ti vedrò ne morirò.


 

Endeavor rincasò poche ore più tardi, recatosi in ufficio dietro minaccia di Mirko, con in mano una serie di buste piene di regali – ovviamente per i suoi figli, Rei e Hawks, mica per lui.

«Sono a casa» annunciò esausto, abbandonando i sacchetti all’ingresso dopo essersi richiuso la porte alle spalle; un paio di campanelle appese al centro, verniciate d’oro e legate da un nastro rosso, tintinnarono al movimento. Shouto gli rispose dal salotto con un bentornato pacato, la testa bicolore sbucò dall’angolo che dava sulla cucina per accompagnare il saluto con un cenno del capo, infine sparì una seconda volta dietro la stessa parete.

Enji lo guardò senza aggiungere nulla, ancora impacciato e in difficoltà nell’approcciarsi al figlio nonostante i progressi fatti in quei mesi, intenzionato a rispettarne i tempi e aspettare gesti come quello, che fosse lui ad avanzare verso di sé quando e quanto più si sentisse a suo agio nel farlo.

Tolse le scarpe e appese il cappotto a quell’orribile appendiabiti a forma di candito gigante che Hawks l’aveva convinto – manipolato era il termine più corretto, ripensando ai suoi disonesti metodi di persuasione – a comprare per il periodo natalizio. Già pregustava il momento in cui avrebbe potuto bruciarlo una volta per tutte, certo l’anno prossimo il compagno se ne sarebbe uscito con qualche altra stravaganza decorativa.

A proposito del partner, notò non si fosse ancora palesato, solitamente era il primo a dargli il bentornato e così Endeavor quando era l’altro a uscire. Guardò Shouto, seduto su uno sgabello mentre beveva del tè e guardava il telefono; se Keigo fosse uscito glielo avrebbe detto subito, diede per scontato e memore delle loro abitudini comunicative, dunque lo superò e si diresse verso la camera da letto.

Il fatto che la porta fosse chiusa gli fece venir voglia di circondarsi di fiamme, giusto per precauzione, quando si ricordò di ciò che stava indossando e della mossa avventata di togliersi il soprabito prima di aver recuperato un cambio dall’armadio, lontano dallo sguardo avido di battutacce di Takami.

Ma ormai era tardi.

Rabbrividì al tono quasi civettuolo con cui venne accolto una volta varcata la soglia, tuttavia non era quello il problema principale dell’eroe professionista, quanto più lo spettacolo che gli si presentò davanti – e che spiegava come mai Shouto si fosse mantenuto nel lato più opposto della casa, ignaro ma sicuramente indirizzato dall’altro con qualche scusa.

Una gamba nuda di Keigo, quasi disteso sul letto ancora sfatto, si accavallò sull’altra, l’inguine nascosto dalla posizione e da un maglione che Endeavor riconobbe con orrore essere abbinato al proprio.

«Bentornato, Enji-san. Bel maglione» fece divertito, l’espressione assolutamente tranquilla e spensierata «Shouto-kun ha detto che ti aspettava per andarsene, ti conviene tornare indietro per salutarlo. Poi» mosse appena le ali, avvolgendosele attorno come uno scialle «Torna qua, sento un po’ freddo».

Il pomo di Adamo di Endeavor guizzò verso l’alto e quasi si soffocò nel deglutire mera aria, l’istinto bloccato nell’impasse tra la tentazione di dargli fuoco e il desiderio di ribaltarlo in quel maledetto indumento con una scritta ridicola – un invito a farcire e un assurdo tacchino danzante tra le fiamme in mezzo in bella mostra.

L’unica certezza era di chiedere a Fuyumi dove diavolo avessero trovato quei vestiti.


 


 


 


 


 

 

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Capitolo 16
*** #16. Bundle Up, Nerd. ***


Bonsoir!
Il prompt originale era Bundle Up, Bitch ma l'ho modificato perché non mi piaceva il termine e penso questo (inserito sotto) gli si addica di più :') Mi è venuto un po' troppo breve oggi mi sa, però mi stavo perdendo troppo sul senso tecnico dell'impacchettamento in sé per sé e mi stavo annoiando da sola, quindi l'ho accorciato (non ne ha risentito l'andazzo in sé, al massimo il contaparole). È che quest'anno ho riscoperto un insano piacere nel fare pacchetti regalo, quindi stava diventando un'adorazione dedicata all'attività specifica... questo non so se sia da considerarsi un capitolo di passaggio, guardando il prompt di domani mi viene da dire che è considerabile tale ma non necessariamente, mi ero un attimo distratta su altri lidi e ritornare ai due scemi mi ha destabilizzata chiamasi incapacità cronica.
Spero non ci siano erroracci che noterò sicuramente sempre troppo tardi (o che la mia dolce metà mi farà presente con grande pazienza quando approderà in questi lidi çç
❤️️) e grazie di cuore, come sempre, per la lettura e il supporto 
🧡💚


 

 

-16: Bundle Up, Nerd.
 

Midoriya non sapeva cosa gli fosse preso, posseduto da chissà quale spirito del Natale, probabilmente passato, presente e futuro insieme, forse era stata colpa della botta di disperazione che lo aveva investito nel ritrovarsi pieno di regali da incartare e tuttavia dotato di una spiccata incompetenza nell’ambito e dunque bloccato sul da farsi. O forse, in una visione più ottimistica, si era semplicemente detto che poteva essere un’occasione come un’altra da sfruttare, unire l’utile dell’impacchettamento al dilettevole del condividere un momento insieme; meglio ancora, magari aveva capito che peggio di così non poteva andare, del resto subito dopo chiedere aiuto a Bakugou nell’oneroso atto veniva l’essersene innamorato ed era un danno già commesso, mica una richiesta lo avrebbe ucciso.
Certo, gli ci erano volute più di ventiquattro ore contaminate da pensieri invasivi e ragionamenti contorti sul perché, come e quando fosse stato travolto a tal punto da quella disastrosa valanga emotiva, però alla fine era giunto a una diplomatica presa di consapevolezza e conseguente rassegnazione. Di conseguenza gli era sembrata un’ottima idea, quella di invocarlo in soccorso con un vergognosissimo messaggino ridotto all’essenziale, come piacevano a quel disgraziato deambulante, maledicendosi per non aver resistito alla tentazione di inviare anche l’emoji di due indici che premono l’uno contro l’altro.

Proprio come Endeavor e Hawks, gli suggerì la spia maligna nella sua testa, quella più meschina, destinata ad attivarsi negli attimi di elevato disagio esistenziale e precario equilibrio della schifiltosa fase della pubertà.

Non che si aspettasse qualcosa, in realtà, da quel messaggio: era convinto Katsuki si sarebbe limitato a leggerlo, al massimo mandargli a sua volta un’immagine ben più esplicativa di qualsiasi combinazione di caratteri messi insieme al meglio del suo animo scurrile. Ecco perché non riuscì a smettere di fissare con tanto d’occhi, incapace persino di sbattere le palpebre anche solo per un istante, lo schermo del proprio smartphone illuminato da un messaggio di Kacchan.

Diretto, conciso, un semplice: “Ok, quando?”.

Izuku rimase incollato alla replica per una buona manciata di secondi, se non proprio minuti interi nei quali cercava di capire se per caso non avesse dimenticato di colpo come si leggesse, se per caso non avesse interpretato un carattere al posto di un altro, perché era stato così facile e aveva la sensazione che, a dirla tutta, fosse una sorta di umore costante delle ultime settimane. Avere a che fare con Katsuki, s’intende; sembrava più facile. Lo era? Si stava raccontando una frottola mentale per convincersi di quanto ogni cosa andasse bene e tale fosse destinata a rimanere?

Azzittì qualsiasi inutile paranoia aggiuntiva quando un secondo messaggio di Bakugou, stavolta più irritato, attivò il suono di notifica di LINE.

“Entro oggi, nerd.”

Il piccolo broccolo gestore delle funzioni cognitive di Izuku esplose, bollito dal sovraccarico.

Entro oggi? Che significa entro oggi? Vuole venire adesso? Più tardi? O in questo momento? Devo sbrigarmi a rispondere o vuole dirmi che non può se non oggi? Se non oggi quando? Devo chiedergli un altro giorno o a che ora gli viene più comodo? E se oggi non può e ha chiesto quando dando per scontato capissi della sua impossibilità? Come può pensare riesca a intuire una cosa simile? Che ne so quando ha da fare? Perché dovrei saperlo? Dovrei chiedergli se ha da fare? Adesso glielo chiedo ma poi faccio finta di non aver chiesto nulla? Però ho già visualizzato e si sta spazientendo per ques-

“Anche ora?”.

Midoriya trovò ironica e crudele l’incapacità di potersi rompere le dita proprio lì, sul posto, considerando la facilità con la quale era stato in grado di fracassarsele fino a qualche mese addietro; stavolta riuscì infatti a muoverle eccome, complice quell’inopportuno e a tratti stucchevole formicolio interno che aveva deciso di prendere il controllo delle proprie falangi. Quindi rispose, odiosamente onesto e suo malgrado agitato dall’anticipazione, di sì.


 

Era quasi paradossale sentirsi emozionato al pensiero di rivederlo a distanza di pochi giorni, l’ennesima volta nel breve raggio di una settimana, quando a conti fatti gli si sedeva di fronte pressoché per la maggior parte dell’anno, proprio nel banco davanti al suo. Eppure non poté controllare il battito fin troppo traditore col quale accolse l’ospite in casa, Katsuki stesso sembrava ormai abituato e a suo agio nonostante fosse disabituato all’ambiente per il distacco passato.

Vederlo così tranquillo – per quanto riuscisse a esserlo, chiaramente – aggirarsi nel proprio salotto e prendere posto, il solito ormai, sulla medesima sedia delle volte precedenti, e guardarlo senza alcun sentimento rancoroso o di scomodità per la situazione… convinse Izuku di potersi permettere e credere che sì, fosse più facile.

«Quindi?» fece l’altro dopo un po’, il tono alto e giusto un po’ impaziente mentre picchiettava il dito contro il tavolo «Dove sono questi regali che devi impacchettare, nerd imbranato?».

Ah, quanto lo odiò, Midoriya, il modo in cui persino quel soprannome – da che pulpito, poi – andasse a colpirlo sempre lì, al centro dello stomaco che non voleva saperne di zittirsi.


 

«No, no e no» borbottò Bakugou con disperazione, quasi gli strappò la carta di mano «Se tiri in questo modo la stropicci e se metti il nastro biadesivo in questo punto rischi che si strappi appena proverai a chiuderla dall’altra parte!»,

Izuku incassò la testa tra le spalle, le punte delle orecchie rosse mentre recuperava le forbici per salvare la porzione rovinata «Se tu non avessi tirato proprio quando avevo iniziato ad applicarlo-».

Il compagno berciò qualcos’altro al suo indirizzo, dopodiché pose una delle confezioni, ancora spacchettata, al centro di un largo foglio di carta regalo; Midoriya lo guardò senza nulla dire, le labbra sporte in un broncio sentito e più che intenzionato a farglielo notare. Non che gliene importasse, neanche quando gli passò le forbici come il palmo di Katsuki, aperto sotto al proprio naso, pareva richiedere.

«Adesso» riprese quest’ultimo, sempre troppo forte ma ingentilito abbastanza da risultare quasi gradevole, quando spiegò «Guarda cosa sto facendo e poi fallo tu, con uno dei pacchi più piccoli magari, almeno il danno sarà minore».

Il padrone di casa lo guardò, tra il diffidente e il cedevole, quindi annuì e si posizionò meglio al suo fianco per seguire ogni passaggio alla lettera; notò, con non poco divertimento, che anche Bakugou stesso sbagliasse di tanto in tanto, imprecando contro le dimensioni della carta e contro questa o quella misura che andava seguita per non combinare guai, senza però sembrare impacciato o scoordinato come Midoriya pochi minuti addietro, pareva semmai piuttosto portato.

«Ti piace impacchettare?».

Pensò che mordersi la lingua sarebbe stata la scelta più saggia, stupito da se stesso e dall’assurda domanda, tuttavia lo sorprese ancor di più la replica effettiva di Katsuki qualche secondo dopo.

«Me l’ha insegnato la megera» snocciolò brevemente, che non era né un sì né un no, Izuku si ritrovò però a sorriderne comunque, superato l’attimo di sbigottimento, perché gli parve quasi stesse ammettendo di gradirlo, sebbene tra le righe, in quanto collegato a qualcosa condiviso con Mitsuki. E si scaldò, quello stesso sorriso, al pensiero di come avesse ceduto in fretta nel renderlo partecipe di quello spaccato quotidiano a lui estraneo e sconosciuto, non aveva però negato o allontanato la curiosità e anzi gli era andato incontro, non per cortesia ma quasi volesse rispondere.

Midoriya agitò la testa, certo fosse tutta una sua convinzione distorta dal sentimento ingombrante che aveva finito inevitabilmente per porre tra loro.

Infine passò Katsuki ripeté il gesto dell’offrire la mano, indicando con un cenno del capo il fiocco decorativo accanto all’altro, così Izuku si voltò in fretta e fece per allontanarsi subito dopo averlo posato sul palmo di Bakugou, salvo sentirsi appena trattenere dalle sue dita, strette probabilmente con errato anticipo su quanto ricevuto prima di riaprirsi e liberarlo; le falangi parvero bruciare laddove la presa era stata più marcata, Midoriya le ritirò letteralmente scottato dal contatto e le nascose dietro la schiena, le guance sempre più roventi e il petto scosso da un battito forte al limite del frastornante. Temette persino di poter venir sentito dal compagno, il quale comunque non mostrò alcun segno che indicasse disagio o fastidio. Piuttosto chiuse definitivamente il pacchetto, lo guardò da più angolazioni per accertarsi non vi fossero imperfezioni o spiegazzamenti di sorta e lo passò a Izuku.

«Questo è andato. Hai capito?».

No, Kacchan, non ci capisco proprio niente.

Annuì lo stesso, andando contro a un pensiero che esternato sarebbe stato perlopiù inutile. Forse il ragazzo avrebbe ripetuto la spiegazione, in ogni caso parve credergli sulla parola, perché prese un altro regalo da incartare e lo pose sul tavolo con un tonfo secco – delicato abbastanza da non distruggere l’eventuale fragile contenuto -, fissandolo poi con uno sguardo che Midoriya, ancora in piena corsa cardiaca, registrò come terrificante.

«Perciò adesso» disse infatti Bakugou, il ghigno affilato e i denti in bella mostra in un’espressione arcigna e goduta «Tocca a te, Deku».

Izuku spostò l’attenzione sulla carta regalo sparsa sul ripiano, i nastri ritagliati e le coccarde di ogni colore che giacevano abbandonate un po’ ovunque.

Pensò, delirante e disperato mentre afferrava della carta lucida blu, dispiegandola al di sotto dell’oggetto a essa destinato e osservandone le dimensioni con interesse, che tutto quello che avrebbe voluto impacchettare in quel momento – e spedirsi altrove, magari – era se stesso.

 

 

 

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Capitolo 17
*** #17. Christmas Baking and why is the oven smoking??? ***


Bonsoir!
Come dire... ops. 
😛
Forse non ci ha fatto caso nessuno ma in alcuni prompt ci sono parti in grassetto nell'editing, questo perché in originale sarebbero in capslock e per quanto mi faccia ridere e non lo disdegni per indicare le urla, ahimè, non è proprio una scelta stilistica accettata e sono molto fissa su queste cose, sigh. Anche i tre ? li ho mantenuti un po' a fatica, però li vedo meno maligni ??? (eccoli qua, nella mia perplessità). Mentre per il prompt in sé... per bruciare brucia. 🍪 E sì, alla fine è proprio in sequenza al giorno precedente, quindi in realtà è come se fosse lo stesso giorno (idem per i prompt dell'abbattimento dell'albero e la scampagnata da persi nel bosco). VBB-
Grazie di cuore anche oggi, as usual, a chiunque passi di qui
🧡💚 Finalmente ho finito con le lezioni dell'uni e forse (ma conoscendomi e sapendo del mio andare a sentimento... credo proprio di no) c'è speranza i miei orari migliorino almeno per l'ultima settimana. Stay tuned e speriamo bene davvero, altrimenti rimarremo un appuntamento in tarda serata :') In ogni caso, buona lettura!


 

 

-17: Christmas Baking and why is the oven smoking???
 

«C’è altro?».

Midoriya scosse veloce la testa «Era l’ultimo» confermò, prendendo il regalo appena impacchettato per sistemarlo insieme agli altri in camera sua; Bakugou lo seguì con lo sguardo, impassibile e neutrale, o almeno così cercava di mostrarsi frattanto che internamente si domandò se per caso non avesse appena chiuso il proprio regalo o se quello stolto glielo avesse nascosto, sicuro fosse distratto ma non al punto da passargli una cosa simile sotto il naso e di proposito.

Magari ancora, pure quell’anno aveva deciso sarebbe stato meglio non fargliene, una decisione legittima e sensata, del tutto comprensibile. Dubitava, in ogni caso, potesse avergli comprato un set per fabbricare candele profumate fai-da-te, o dei jeans strappati sui polpacci, per dire, figurarsi due polsini coordinati, tanto meno un mini forno giocattolo con annesso pinguino per il ghiaccio.

Sebbene il forno, data la loro attività per forza di cose comune, poteva essere un indizio. Non era comunque quello il punto, Katsuki lo aveva già pensato giorni addietro, convinto di non doversi aspettare nulla da Midoriya se non un classico biglietto d’auguri che anche l’anno prima gli era stato recapitato, pur con largo anticipo, abbandonato sopra il proprio banco l’ultimo giorno di scuola, all’inizio delle vacanze invernali; si era ripromesso che prima di ricevere – ancora – qualcosa avrebbe dovuto dare.

L’altro tornò a mani vuote, battendole tra loro come per scrollarsi della polvere di dosso, soddisfatto nonostante i due cerotti dalla fantasia natalizia sulle dita che aveva finito col tagliarsi con la carta, del resto strano sarebbe stato se fosse uscito illeso persino da un’attività semplice e innocua come incartare qualche regalo: c’era stato un momento di reale panico alla prima ferita, la seconda aveva avuto il suono della maledizione, invece non era più successo nulla, grazie al cielo, complice l’intervento tempestivo di Bakugou per mitigare i danni.

C’era qualcosa di terribilmente sbagliato nel nodo di calore alla bocca dello stomaco che gli si era attorcigliato nell’istante in cui il primo cerotto aveva fatto la sua comparsa, rosso e ricoperto da omini di marzapane e fiocchi di neve in miniatura. Ed era preoccupante allo stesso modo, se non peggio, il fatto che anche in quel caso, per la prima volta, aveva fatto un’associazione di tenerezza – rabbrividì al pensiero – con l’immagine disastrata e rattoppata di Deku. Il quale, guardandolo dritto negli occhi, domandò: «Che facciamo adesso?».

Bakugou guardò l’orologio, accanto a esso un calendario da parete segnato in rosso laddove fosse il giorno prestabilito della festa di Natale anticipata con gli altri, il che gli ricordò non avessero fatto nessun particolare progresso in ambito culinario se non per qualche piatto tanto semplice quanto imbarazzante da preparare e suggeritogli dalle loro madri. Alla fine, però, non gliene poteva neanche importar di meno dal momento che non si era proposto ma era stato obbligato in quel ruolo, di conseguenza si sarebbe impegnato come suo solito senza perdervi il senno. Dunque tornò su Midoriya, le cui mani erano rimaste all’altezza del petto, chiuse e con le nocche accostate, così proclamò – uccidendolo dentro, fu la conclusione a cui giunse quando vide la pupilla sparire nel verde dell’iride, inghiottita dal terrore.

«Proviamo a fare dei biscotti».
 

Ovviamente, Katsuki stesso se n’era pentito non appena messo piede davanti alla dispensa dei Midoriya, con Deku che aveva tirato fuori un secondo grembiule da chissà dove, tenuto nascosto dietro la schiena per un bel po’ prima di tirarlo fuori e solo poiché il compagno lo aveva invitato a darsi una mossa e infilarselo o avrebbe combinato un macello su quei poveri vestiti; di certo non si sarebbe aspettato di vedere un grembiule di taglia così piccola, incapace di nascondere lo sguardo tra lo sconvolto, il perplesso e l’omicida aveva poi guardato Izuku con eloquenza.

«Spiegami perché pensi di potermi prendere in giro prima che faccia esplodere la tua cucina».

«Non ti sto prendendo in giro!» lo corresse subito l’altro, la voce acuta d’imbarazzo si abbassò poi in un bisbiglio altrettanto timido quando ammise «L’ultima volta che mi sono avvicinato ai fornelli di mia spontanea volontà è stato alle elementari, e cucinavo con mia madre… quindi in casa abbiamo solo il suo e…» allungò il braccio tremolante, le dita strette su un lembo del panno incriminato «questo».

Bakugou capì innanzitutto di avere un grave problema con le orecchie, considerata la maniera vergognosamente rumorosa con la quale deglutì non appena notò quelle pressoché a fuoco di Izuku, consapevolezza per fortuna annebbiata dal pensiero che lo avrebbe visto con indosso un grembiule per bambini e che probabilmente non avrebbe coperto proprio nulla, di fatti di primo acchito gli era parsa più una pezzuola per pulire eventuali rimasugli futuri, non di certo… un grembiule, appunto.

Un ghigno incontrollato, anzi, forse piuttosto volontario si fece strada sul suo viso da parte a parte, mentre gli occhi si stringevano in fessure sottilissime.

«Bene» il tono compiaciuto «Allenati a non sporcarti».

Midoriya lo guardò male, comunque non si oppose, conscio di non avere grandi alternative se non quella di uscire per comprarne uno di proposito, perciò fece passare lo stretto laccio intorno al collo e legò i lembi che avrebbe dovuto stringere in vita ai passanti dei pantaloni, se non altro non gli sarebbe rimasto a sventolare davanti.

Controllarono quindi la ricetta recuperata da un blog su internet e presero tutto l’occorrente necessario; non c’era il rischio di non avere del liquore a disposizione.

Forse, complici le poche ma pur sempre sentite esperienze passate, trovarono un incastro molto più funzionale del solito, non era necessario Katsuki desse indicazioni che già Deku era pronto con l’ingrediente successivo da aggiungere all’impasto, così come era stato attento all’ordine da seguire durante la preparazione per anticipare gli stessi strumenti. Bakugou lo fece persino impastare, salvo poi dare le ultime passate per rimediare a qualche crepa sul panetto, lasciato poi a riposare per qualche minuto e infine steso per ricavare le formine.

Nonostante le piccole imperfezioni, posti sulla teglia e pronti al forno, i biscotti avevano un aspetto dolce e tutto sommato coerente con l’immagine della foto, bisognava solo aspettare conferma dalla cottura e, nel caso di riuscita, in futuro avrebbero recuperato della glassa per decorarli.

Chiuso il forno, Izuku impostò il timer e guardò al di là del vetro come se sperasse di cogliere il progredire del risultato già in quel momento; Katsuki si pulì le mani con quello che alla fine usarono davvero come un panno, ossia il grembiule da bambino propinato al padrone di casa, il quale gli fece gesto di avvicinarsi con il sorriso emozionato che coinvolgeva gli occhi grandi e luminosi. Così avanzò verso di lui, notando solo allora dei residui di impasto ancora secco e polveroso su parte delle maniche di Izuku e sulla fronte, probabilmente se l’era toccata col braccio per scostare i capelli dalla visuale. Per questo, senza pensarci, Katsuki allungò la mano con la quale teneva il grembiule verso il volto del ragazzo.

Midoriya si girò di scatto per l’euforia del momento, «Guarda, Kacchan! Non è andata così ma-» tuttavia si bloccò quando diede un’involontaria testata al panno in questione. Bakugou rimase comunque indifferente, lo rimproverò giusto un attimo di stare fermo, prendendo a sfregare con poca grazia sulla fronte.

«Ma quanti accidenti di capelli hai» imprecò al solletico di alcuni ciuffi contro il proprio dorso, così si aiutò con l’altra mano per scostarli e tirarglieli indietro sotto le deboli proteste di Deku.

«Kacchan, così mi fai male!».

Quello gli berciò in risposta «Se la smetti di dimenarti non te ne faccio» ma intanto aveva davvero allentato la presa, mosse piano le dita per riacciuffare qualche capello sfuggito una volta rilassata la stretta e finì accidentalmente con, quasi, l’accarezzare la pelle di Izuku, il quale fu certo tremò in risposta al contatto e smise anche di agitarsi.

A Bakugou bastarono un paio di passate per togliere via l’impasto, anche se quando vi strofinò sopra il polpastrello sentì la fronte un po’ appiccicosa.

«Devi andare a lavarti la faccia» decretò, continuando ancora a sfregare come se non volesse comunque darsi per vinto, intanto la mano col panno finì con l’abbassarsi del tutto e il volto di Midoriya al di sotto fu scoperto, sicché fece per guardare verso il basso, per avere una prospettiva generale del suo viso una volta rimosso il grosso. Fu l’istante in cui anche Deku, per qualche ragione, decise all’opposto di sollevare il volto, forse per guardarlo malamente per il trattamento poco delicato e la punta di sarcasmo non gradita nell’espressione.

Una sincronia dal pessimo tempismo, avrebbe pensato Katsuki, se non fosse stato impegnato a sentire la punta del naso di Izuku contro quella del proprio, gli occhi larghi come riflesso speculare di quelli dell’altro, perfettamente visibili e liberi dal contorno dei capelli poiché ancora sollevati dalla sua presa.

C’era un rumore assordante, che partiva da dentro e sembrava non trovare sollievo in una risonanza distorta e confusa, oppressa in quella che Bakugou identificò come la propria gabbia toracica, e tuttavia non poté fare a meno di sentirlo, appena si ritrovò ad abbandonare il grembiule per afferrare il polso di Deku quando questi provò ad allontanarsi, rosso in viso come se fosse rimasto al sole per ore senza alcuna protezione – del tutto scoperto, con quel battito forte e chiaro e rivelatore, coordinato al proprio mentre l’odore di impasto e biscotti e Midoriya stesso si faceva largo nelle narici, invadendo ogni percezione disponibile e tentando quelle ancora libere; la bocca poco più giù dell’infuocata distesa lentigginosa che sembrava così buona all’improvviso.

Non poi così tanto, rifletté distratto Katsuki tra sé, non del tutto consapevole di starsi chinando mentre Izuku lo guardava in un modo indecifrabile ma non si mosse né lo contrastò, e sapeva avrebbe potuto se solo ci avesse pensato, quel maledetto nerd tutt’altro che imbranato in combattimento; Katsuki guardò quelle labbra stringersi, poi rilassarsi, ancora stringersi, tormentate da chissà quale pensiero, e a sua volta ancora pensò che piene e morbide, come una pesca succosa sotto i denti se le avesse strette, lo erano sembrate da sempre.

Frattanto che gli occhi verdi sparivano sotto le palpebre semichiuse, alla stregua di un segnale di cedimento e concessione – per cosa, però? Per davvero?

Un odore pungente, piuttosto cattivo e più invadente di qualsiasi altro riuscisse a sentire in quel momento arrivò con prepotenza ad attirare la sua attenzione così come quella di Midoriya, che si voltò a destra con movimenti lenti, quasi fosse assopito, verso il forno: denso come un rivolo scuro, del fumo usciva dalla fessura dell’ampio sportello, la puzza di bruciato sempre più evidente man mano che il problema veniva assorbito e metabolizzato dai due ragazzi.

I cazzo di biscotti, razionalizzò, stanno andando a fuoco i cazzo di biscotti.

L’attimo dopo arrivò anche il timer, acuto e inquietante come uno strillo, intanto entrambi si separarono bruscamente, terrorizzati e ansimanti, col cuore in gola per lo spavento.

E non solo.

Katsuki recuperò il panno da terra e lo usò per afferrare la maniglia del forno e tirarlo giù, per fortuna il danno era stato colto sul nascere e non furono investiti da una nube di fumo come se l’erano immaginata, anche se Izuku era comunque corso alla finestra per aprirla. Tornò poi di corsa dal compagno, passandogli i guanti appositi per estrarre la teglia sulla quale giacevano i biscotti con un chiaro principio di bruciatura su gran parte di essi.

Bakugou sbatté gli occhi rapido, accecato dalla presa di coscienza la quale si era fatta strada in quel contesto meschino e turbolento, altrettanto in fretta guardò Midoriya, il quale però era rivolto all’elettrodomestico per zittirlo.

Rimasero in silenzio qualche secondo – se di silenzio, con quel battito ancora irrequieto tra un orecchio e l’altro, potevano davvero sentirne – finché Izuku, con la mano premuta sul petto e un sorriso traballante poco credibile, disse «Ho- ho sbagliato a impostarlo…».

In risposta, dopo essersi bloccato con le palpebre sgranate, Katsuki si lasciò andare a un sospiro sonoro ed esausto, schioccò forte la lingua e si schiaffò una mano in piena faccia, dove la premette con forza, quasi a imprimervi un’impronta ammonitrice, o un segno che censurasse il naturale rossore al di sotto.

Guardando i resti carbonizzati di frolla, ripromise solennemente a se stesso di non avvicinarsi mai più a un omino di marzapane. In nessun caso e per nessun motivo.

 

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Capitolo 18
*** #18. If you sing that one more time so help me ***


Bonsoir!
Ho capito che ormai i prompt sono mere linee guida e poi faccio un po' come mi pare, fortuna non si tratta di una competizione o avrei perso al primo giorno... in ogni caso, da domani ci avviamo verso l'ultima settimana e mi viene da dire solo: era ora! Per cosa? Hah, non si sa. Vedremo. Devo ancora decidere come muovermi per il prompt di domani, perché volevo aprirmi ad altre accoppiate come fatto con l'InaTodo e la EndHawks, deciderò sul momento... come al solito.
Scusate eventuali pastrocchi, stasera ho un po' la testa fra le nuvole come il caro Kacchan, e grazie come sempre di cuore a chiunque passi di qui 
❤ Buona lettura!


 

 

-18: If you sing that one more time so help me


 

Bakugou si era ripromesso, nel corso dell’ultimo anno, di imparare a riconoscere e accettare quanto più possibile i propri limiti, di non vergognarsene ma prenderne atto e andare avanti sulla strada per, magari non proprio superarli, quantomeno ridurne il raggio. Aveva inoltre compreso l’importanza del lavoro di squadra e la solidità di un rapporto poteva essere salvifica nei momenti in cui tutto pareva crollare sotto i piedi, il supporto necessario e fondamentale per superare le difficoltà.

Ecco perché aveva mandato un messaggio a Kirishima, e Kirishima soltanto, dopo aver passato una notte pressoché insonne a rigirarsi nel letto, mettersi in terra a fare qualche flessione giusto per stancarsi, poi girato per l’intero perimetro di casa sua, piano inferiore e superiore, persino fatto una doccia perché per qualche motivo, a un certo punto delle sue folli elucubrazioni che sfociavano in visioni a pois, gli era parsa un’ottima idea. Calda il giusto, per rilassare i muscoli e distendere i nervi a fior di pelle.

Sapeva di trovarsi in una zona critica, invalicabile fino ad allora e mai davvero presa in considerazione, o forse sì, ma sepolta abbastanza da non sembrarlo; Eijirou era quanto di più vicino a un migliore amico si ritrovasse, seguito dall’imbecille mezzo e mezzo che però era un territorio pericolosamente neutrale e più in prossimità di un campo verde che della propria distesa di sabbia.

Insomma: non poteva dire a Todoroki che aveva iniziato a pensare cose su Midoriya, perché glielo avrebbe detto senza neanche rendersene conto, e se da un lato l’idea che potesse semplificargli di tanto il lavoro lo allettava non poco, dall’altro era sano a sufficienza da capacitarci di quanto impossibile fosse come alternativa, ben lontana dall’ammissibile.

Il problema, dunque, era come comportarsi e capire in che modo districarsi dalla situazione scomoda. Aveva ancora del lavoro da fare insieme a Deku, erano compagni di scuola e ormai facevano parte di un consolidato gruppo di amici, ignorarlo era fuori discussione – innanzitutto perché non voleva farlo, aveva appena ricominciato ad averlo intorno e solo così si era reso conto di quanto dannatamente gli fosse mancata la sua ondata ambulante di assurdità, teorie elaborate a raffica, occhi adoranti e mentre brillante e acuta a prescindere da quanto imbranato fosse in più di un settore; prima tra tutte la cucina.

Katsuki pensò di farsi esplodere con le proprie mani al mero ricordare, lui così poco avvezzo alla vergogna, perlomeno in un settore simile, così giovanile e di una dinamica per la quale non aveva mai provato interesse. Almeno fino al momento in cui non aveva iniziato a ragionare in termini al limite del famelico appena la mente si soffermava sulla figura immaginaria di Midoriya.

In ogni caso, come al solito era stato piuttosto diretto e conciso nel messaggio, forse troppo, si rimproverò quando, accanto al sorridente e soprattutto previsto compagno, la testa fastidiosamente riccia e rosa di Ashido aveva fatto la sua comparsa, sbucando da oltre la spalla di Eijirou. Bakugou era stato sul serio sul punto di mandarla via a calci, specie dopo aver visto la faccia fin troppo saputa della ragazza, come se avesse fiutato la puzza dei pensieri confusi del padrone di casa, che probabilmente sapevano di omini di pan di zenzero. Comunque non aveva potuto cacciarla, complice la presenza di Mitsuki che aveva fatto gli onori di casa una volta accortasi degli ospiti, costringendo dunque il figlio a battere in ritirata verso la propria camera e coi due idioti al seguito.

Ovviamente non aveva alcuna intenzione di sganciare una sola sillaba davanti a Mina, la quale si era seduta in terra accanto a Kirishima, intenti a scambiarsi chissà che chiacchiere a lui sconosciute, troppo lontano per poterle capire – non che gli importasse; a giudicare dalla faccia dell’aspirante eroe corazzato, si trattava di qualcosa fuori dalla propria pertinenza. E, giusto per sottolineare, non poteva fregargliene di meno. A meno che Kirishima non gli avesse chiesto di interessarsene, a quel punto avrebbe dovuto accettare il maledetto onere dell’amicizia e imporsi di ascoltarlo, così come il ragazzo non si era fatto pregare né aveva avuto bisogno di chissà che esortazione specifica per raggiungerlo una volta convocato.

La chewingum indesiderata al suo fianco, però, incurante di quanto ne fosse cotto, non glie l’avrebbe mai perdonata. Considerato stesse pure canticchiando chissà quale diavoleria romantica natalizia, ancora meno.

«Perciò, Bakugou» trillò suddetta gomma da masticare, le spalle del dinamitardo ebbero uno spasmo e una vena gli spuntò sulla fronte; così allegra, tutta un risolino costante sotto i baffi da felino, più uno sghignazzare da strega a dire il vero, mentre Eijirou pareva più che altro ben preso dalla situazione e non un complice della serpe infida sua ospite. Bakugou sapeva infatti di non potersi fidare assolutamente, in nessun modo, di Ashido e presagiva già il sapore nauseabondo delle parole che avrebbe sciorinato di lì a breve.

Infatti, con la mano davanti la bocca quasi volesse celarne la smorfia disonesta, invano, ostentando innocenza domandò: «Ti serve aiuto con Midoriya?».

Bakugou pensò seriamente a quanto si fosse trattenuto per giorni, stavolta invece avrebbe potuto far detonare quel cespuglio ben più incolto di quello del nerd causa della situazione intollerabile, Eijirou se ne sarebbe fatto una ragione.

A quanto pare, notò Katsuki subito dopo, quando l’amico stesso si intromise in rinforzo della domanda «Mi hai detto che era successo qualcosa con Midoriya ma sei stato prolisso come tuo solito» ironizzò il compagno, ignaro della furia omicida sempre più in crescendo dentro lo spirito infuocato dell’altro, le cui mani andavano sollevandosi nella tipica posa preparatoria a un’esplosione. Poi, l’ulteriore quesito dell’amico lo gelò: «Avete litigato?».

Abbiamo litigato? si chiese Katsuki stesso, la mente tornata al pomeriggio prima, in casa di Deku, nell’istante in cui i biscotti avevano iniziato a prendere fuoco nel bel mezzo di una circostanza che Bakugou stesso non avrebbe saputo spiegarsi sul momento, preso da una serie di sensazioni confusionarie che avevano avuto il potere di calamitarlo verso l’amico d’infanzia senza possibilità di obiezione.

Non avevano litigato, stabilì, ma aveva cercato di baciare Izuku ed era piuttosto certo ci sarebbe riuscito se il timer e un tentativo fallito di incendio da parte del casinista culinario non lo avessero interrotto. Non solo per propria volontà, perché più ci pensava più poteva disgraziatamente confermare con sincerità a se stesso di volerlo ancora – se Deku fosse sbucato dalla propria finestra proprio in quel momento? Lo avrebbe afferrato, insultato e baciato nel mentre, meritava anche qualche imprecazione piuttosto colorita per la notte insonne trascorsa a causa sua; Midoriya non si era mosso. Ciò poteva essere indice di paura, raggelato o preso talmente alla sprovvista da non sapere come comportarsi, Bakugou era però attento a sufficienza, persino in quel momento, così focalizzato sul viso dell’altro da rendersi conto delle sue reazioni; sarebbe bastato anche solo ripensare al fatto che, magicamente, avesse acquistato qualche millimetro in più, come messo sulle punte.

Non avevano assolutamente litigato, non c’erano state urla, gesti maneschi o bruschi, accuse o rimproveri: c’era stato Deku, rosso e verde da capo a piedi in perfetto stile natalizio, agitato e a disagio, ricordò Bakugou con un fastidioso senso di vuoto alla bocca dello stomaco, che lo aveva quasi messo alla porta. Non era stato proprio cacciato, ecco, ma era chiaro l’altro avesse cercato di spingerlo il prima possibile fuori di lì.

Quindi non aveva capito molto. Aveva capito, o meglio, credeva di averlo fatto, che a Deku non dispiacesse, che lo stesse addirittura assecondando, ma poi doveva averci ripensato o chissà cos’altro fosse successo in quella testa oppressa da mille informazioni, probabile era non fosse riuscito a processare quanto accaduto e l’avesse mandato in tilt di conseguenza. Rimaneva il fatto non potesse averne la certezza fino a prova contraria.

Ecco perché, alla domanda di Eijirou, aveva detto tutto. Nei limiti consentiti dalla propria dignità.

Mina continuava intanto a canticchiare canzoni natalizie di dubbia origine, il testo stravagante e sdolcinato su chissà quale miracolo sotto il vischio, col quale Katsuki l’avrebbe volentieri avvelenata in quel frangente.

«Se la canti un’altra volta giuro che ti faccio cantare Jingle Bells appesa al mio balcone».

Ashido ignorò bellamente la minaccia, piuttosto si alzò per raggiungerlo, dunque gli diede una poderosa pacca sulla schiena, al punto da farlo piegare in avanti. Quando fece per ringhiarle dritto in faccia, prossimo ad attuare quanto promesso, il volto di Mina ora più gentile, in una maniera sincera e ammorbidita dal sorriso tenero, lo fermò, insieme alle parole della ragazza.

«Ti piace Midoriya, non è vero?».

Bakugou aprì la bocca ma fu involontario, infatti non disse nulla, preso in contropiede da quella frase così semplice e pericolosa al contempo.

Kirishima era ancora rimasto seduto in terra, li guardava dabbasso con un sopracciglio sollevato «Non era chiaro?» si rivolse a Mina, la quale fece spallucce e scosse la testa condiscendente, come a dire che ci vuoi fare, è scemo, poi guardò l’amico e stavolta si fece incredulo «Davvero non lo avevi capito?».

Ma Katsuki ancora non accennò a dir nulla, neanche scacciò la mano di Ashido quando questa gliela sventolò sotto gli occhi per attirarne l’attenzione, troppo concentrato ad analizzare quanto detto, la banalità di una domanda in realtà retorica, e se quello che aveva colto in lontananza da Eijirou era sarcasmo – per il quale dopo lo avrebbe fatto pentire amaramente – allora doveva proprio essersi confuso da solo, quando sarebbe stato così semplice da capire, da realizzare.

Da accettare.

All’improvviso ebbe come una ricapitolazione mentale di quanto successo fino a quel momento, con quell’odioso motivetto che gli era entrato in testa, o forse Mina lo stava ancora cantando e associò la disgrazia canora a un’esibizione del karaoke, ma non poteva essere la sua, perché si sarebbe ricordato per forza se avesse cantato una canzone d’amore di Natale insieme a Midoriya. Innanzitutto perché piuttosto si sarebbe fatto abbracciare e sbaciucchiare da sua madre, a prescindere da chi fosse il suo compagno di canto, gli venne da vomitare al solo pensiero; secondo poi allora non era ancora così consapevole di quella sensazione strana e fastidiosamente insistente, sempre più grande e ingorda del maggiore spazio possibile riuscisse a occupare al centro del petto, in un certo senso l’avrebbe definita egoista. Come lo era stato per anni.

Poteva esserlo ancora?

La maledetta canzone diceva di sì, con altre parole ma bramava il lieto fine e il suo esaurimento nervoso per trauma uditivo.

Si sentì toccare la spalla e vide la mano di Ashido posata su di essa, gli occhi scuri avvolgevano l’iride luminosa e dolce come miele, Kirishima stesso adesso si era alzato e Bakugou notò con la coda dell’occhio come le sue dita fossero intrecciate a quelle di lei, mentre gli sorrideva incoraggiante.

Brutto bastardo.

Sospirò pesantemente frattanto che stringeva una ciocca di capelli in un pugno, la quale poi schiuse sulla testa per scompigliarseli del tutto in un gesto rapido e nervoso. I denti stretti scricchiolarono in modo preoccupante sotto la pressione della morsa, dopodiché prese un grosso respiro, lo rigettò fuori; infine, col jingle melenso ormai parte integrante del proprio cervello, si voltò verso i due ragazzi al suo fianco e quasi insofferente replicò: «E quindi?».

Vide l’espressione di Mina cambiare lentamente sotto i propri occhi, già pentito e sconcertato dall’entusiasmo nel quale esplose la ragazza, Eijirou se la rideva mentre a sua volta lo colpiva dietro la schiena con la stessa forza che avrebbe potuto usare se avesse voluto spaccargli le ossa.

Ashido riprese a cantare più forte, battendo le mani a tempo e alternando il testo a frasi come te l’avevo detto o ridacchianti pensava davvero non se ne fosse accorto nessuno. Bakugou pensò pertanto di sbarazzarsene, stavolta sul serio e in definitiva, senza ripensamenti o inutili esitazioni di stampo legale, quando il palmo di Kirishima si sollevò davanti al suo volto, il braccio piegato a mezz’aria.

«Se ti decidi che c’è speranza, manca ancora qualche giorno a Natale».

Katsuki lo guardò confuso, la fronte aggrottata e la stanchezza psicofisica sempre più dominante su qualsiasi altra cosa, maledicendosi tra sé per aver spifferato l’ammissione più controproducente della sua vita quando ancora non lo aveva confidato appieno neppure a se stesso. Suo malgrado, però, non poté far altro che sentirsi un po’ meno vincolato alla propria lenta, solitaria, caduta verso l’oblio.

Mentre fuori iniziava a nevicare e le prime luci esterne a comparire sotto l’inizio della sera e quell’orribile lagna in sottofondo, Bakugou si disse che adesso che l’aveva ammesso poteva finalmente godersi appieno quella follia. Il dubbio di cosa intendesse Eijirou con quell’ultima frase rimase sospeso tra una nota stonata e l’altra di Ashido.

 

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Capitolo 19
*** #19. Christmas movies and chill? ***


Bonsoir!
Il film pseudo menzionato durante la storia è Un cavaliere per Natale, con Vanessa Hudgens e Josh Whitehouse. L'ho visto l'anno scorso e l'ho adorato, ma sono debole ai film natalizi rom-com con i cliché, a priori dalla qualità della trama e tutto; potrei quindi aver riportato cose in modo vaghissimo perché... mi è piaciuto ma l'ho visto una volta sola, quindi non lo ricordo benissimo...
Anyway :D giungiamo alla fine della fase di mezzo! Può sembrare una sciocchezzina ma in realtà quanto segue, nella sua semplicità, ha un certo peso dati i fatti degli ultimi due capitoli! Domani dovremmo anche ritornare al pov del broccolo, un po' non vedo l'ora perché aspettavo l'ultima settimana di prompt, dall'altro lato però ho sempre le solite paturnie e autosabotaggi ?? che potrebbero complicarmi inutilmente il procedere... e un po' mi spiace star arrivando alla fine, ripenso ai primissimi capitoli come se fosse passato chissà quanto quando sono a malapena poco più id due settimane :') in ogni caso speriamo bene e incrociamo le dita, manca poco e ce l'abbiamo fatta!
Grazie come sempre e sempre, scusate le sviste!!, buona lettura 
🧡💚 


 

 

-19: Christmas movies and chill?
 

Mettere a parte dei propri oscuri segreti sia Eijirou che Mina poteva rivelarsi, anzi, si rivelò di fatto essere un’arma a doppio taglio: la parte confortevole e rassicurante dell’impugnatura scivolava via con una facilità sconcertante, ossia la rilassatezza che aveva pensato per mezzo secondo di concedersi, una volta consapevoli di quel suo processo chimico per il quale si sentiva attratto a tutto tondo da Deku, perciò non più il solo detentore di una concreta catastrofe psicologica tanto pesante e dunque avrebbe dovuto quasi sentirsi un po’ alleggerito.

La parte tagliente, terrificante e tutt’altro percepita come uno strumento di protezione, era quella più predominante e Bakugou lo capì a quelle che ormai aveva iniziato a considerare le ultime quarantotto ore prima della festa di Natale con gli altri, quando Ashido lo chiamò – non un messaggio, molesto ma più tollerabile, no, una telefonata – con voce stupidamente cospiratoria e sul serio convinta di sé; in sottofondo poteva sentire Kirishima ridersela con altrettanta soddisfazione, come se quella, per loro, fosse l’idea del secolo per avvicinare lui e Midoriya.

Non che glielo avesse chiesto, non era di certo quello il motivo per cui aveva vuotato il sacco, solo si era sentito stracolmo di quella presa di coscienza e si era detto non fosse poi così maligno condividere l’infausto evento con qualcuno.

A quanto pare, sentendo la compagna annunciargli di una programmata serata film e svago con – anche – Izuku, aveva fatto una cazzata.

Ovviamente si era opposto a quell’assurdità già dall’istante in cui aveva proferito la parola “coppie” associata al gruppo in questione, invitati a casa di Ashido stessa mentre i suoi erano fuori. Non aveva nessuna intenzione di passare chissà quanto tempo seduto su un divano e, ci avrebbe scommesso la sua collezione di figure in edizione di All Might, spiaccicato contro Deku per colpa della contorta maniera in cui i suoi amici cercavano di spingerli l’uno tra le braccia dell’altro. D’altro canto Mina non lo aveva mica chiamato per interpellarlo, su questo era stata chiara da subito, appena Bakugou aveva emesso la prima sillaba di protesta e pronto a spaccarle i timpani col proprio dissenso e rifiuto aveva specificato non avesse alcuna possibilità di replica né diritto al ritiro dell’ultimo secondo.

La maledetta, infatti, aveva sganciato il ricatto psicologico.

«Ho già detto a Midoriya che ci sarai anche tu» e poi, come se non bastasse «Sembra l’abbia convinto proprio questo».

Bastarda. Non lo disse ma lo pensò con forza, intanto dall’altra parte gli venivano indicati indirizzo e orario per ritrovarsi. Per fortuna, se non altro, non gli aveva imposto di passare a recuperare quell’aiuola ambulante, si sarebbero invece visti tutti insieme a casa di Ashido.

Sperò, mentre prendeva l’occorrente per prepararsi prima di lanciarsi sotto la doccia e senza crederci nemmeno per un secondo, scegliessero almeno un film che non avrebbe stuzzicato la sua vena esplosiva.


 

Si maledì con ogni energia rimasta nella più piccola molecola di sé, ogni grammo di odio percepito tutto dedicato con fermezza alla propria follia, perché se davvero aveva sperato in un film quantomeno decente era sicuro il Karma dovesse averlo sentito forte e chiaro e punito di conseguenza.

Innanzitutto, quando era arrivato davanti l’appartamento di Mina era stato raggiunto pochi secondi dopo da Kirishima, seguito da Kaminari e Shinsou e, poco più dietro di loro, Midoriya. Ora, stava ancora cercando di abituarsi al nuovo compagno ma lo reputava capace come eroe e, soprattutto, deliziosamente silenzioso e quanto di più lontano ci fosse dal concetto di fastidioso e invadente; lo stesso non poteva dirsi per Denki, il che gli fece domandare come quei due potessero andare tanto d’accordo, o come Hitoshi potesse reggerlo senza desiderare di fargli il lavaggio del cervello ogni due minuti per tenerlo alla larga da sé, con quel suo modo di fare appiccicoso e snervante. Senza contare poi l’elemento più pericoloso e del quale Bakugou non poteva fare a meno di sentirsi non spaventato ma un minimo ansioso senz’altro, nel senso più bellicoso e rasente l’isteria del termine, a un passo da un crollo nervoso per cui avrebbe fatto esplodere chiunque intorno a sé se solo gli fosse arrivata una parola di troppo.

Era tutta una sua illazione fino a prova contraria, per fortuna, sebbene Mina gli aveva promesso soprattutto rilassatezza da tutto ciò e si chiese con amara ironia quando sarebbe arrivato il momento del prestito di binocolo, perché faticava a inquadrare la rosea prospettiva di un lieto fine da quella serata.

Accantonò l’eventuale minaccia del compagno per concentrarsi su Midoriya, il quale lo guardò a sua volta, comparendo accanto a Hitoshi, e gli regalò un sorriso piccolo e timido in saluto e Katsuki sentì quel groviglio di pesantezza sbrogliarsi di colpo, come scoppiato dallo spillo della calma e, soprattutto, del sollievo. Per un attimo, poi gli tornò in mente il motivo per cui su tutta quella situazione permeava comunque un alone di disagio ancora un po’ troppo fitto per i suoi gusti, annebbiato dall’odiosa e irritante incapacità di capire come comportarsi.

Quando Ashido aprì la porta furono investiti da una sfilza di luminarie natalizie appese per ogni dove, così come le decorazioni già possibili intravederle dall’ingresso, e un fin troppo dolce profumo di biscotti appena sfornati – Bakugou rabbrividì per la coincidenza ed ebbe l’istinto di voltarsi verso Deku, il quale aveva già un principio di rossore sulle guance, l’espressione generalmente crucciata e lo sguardo basso, cosa che lo portò a desiderare di riavvolgere il tempo e ignorare la chiamata di Ashido o di trovare il maledetto coraggio per acciuffarlo e tirarselo in disparte sul pianerottolo.

Se per discuterci o altro non gli era ben chiaro, sentiva solo fosse il caso di appartarsi quanto prima con quel nerd più vergognoso di quanto credesse e chiarire una volta per tutte quella urticante questione in sospeso.

Mina parve intercettare i suoi mentali e abbozzati piani di fuga, così batté le mani e li invitò in definitiva a entrare.

«Ho scelto un po’ di film natalizi da guardare, possiamo sceglierne alcuni o guardarli tutti! Intanto prendete posto» trillò, lanciando un’occhiata eloquente e complice a Katsuki ed Eijirou stesso, accanto a lui, con la differenza che il primo ricambiò con un dardo inceneritore e il compagno sollevò il pollice in su con fin troppa evidenza, tanto da attirare su di sé lo sguardo incuriosito di Kaminari.

Bakugou tremò, per diverse emozioni e tutte negative e al limite della sanità psichica, quando vide Kirishima parlottare sottovoce all’altro intanto che Mina faceva cenno agli altri di sedersi, ossia Shinsou e Midoriya, del tutto ignari di quanto stava accadendo alle loro spalle. O forse Shinsou lo sapeva, in ogni caso non pareva importagliene granché. Ecco perché non poteva ancora dire di trovarlo piacevole ma quantomeno doveva riconoscergli il proprio rispetto.

Davanti al divano, la sequenza visiva sotto i suoi occhi arrossati dalla nevrosi si svolse a una velocità impressionante: Kaminari si era seduto accanto al bracciolo destro, dunque si tirò dietro anche Hitoshi, il quale lo fissò confuso per qualche secondo ma poi fu a sua volta coinvolto in un segreto chiacchiericcio con l’altro, difatti si girò poi a fissare Bakugou col tipico sguardo annoiato e stanco; Katsuki vi lesse del cameratismo inaspettato e gli venne quasi spontaneo domandargli se per caso non gli fosse toccata la stessa infelice sorte nel suo accoppiamento con Denki, trascinato in una silenziosa tortura interna da parte delle persone più indiscrete che avesse mai conosciuto, il desiderio di sederglisi accanto per sentirsi meno circondato da pesti divertitesi alle sue spalle per chissà quanto.

Perché loro sapevano, ricordò, solo quello spinacio stolto pareva essere ignorante in materia. A questo punto, per un maligno istante, mentre guardava Deku prendere posto accanto a Hitoshi, pensò fosse intenzionale.

Forse sapeva ma non voleva sapere.

Kirishima si era intanto seduto a due posti di distanza da Midoriya, all’occhiata interrogativa di Bakugou rispose di star aspettando Ashido, appostata davanti la tv per selezionare il film di suo interesse. Era quindi chiaro il posto accanto a Eijirou fosse a lei destinato, così come si era fatto orribilmente chiaro il loro intento in questione, solida conferma del presagio di Katsuki: volevano farlo sedere accanto a Izuku, e quel che era peggio la persona sua compagna e molesta sostenitrice dell’impresa sarebbe stata Mina stessa.

La smorfia di puro odio che lanciò all’amico risparmiò qualsiasi parola rancorosa e promettente vendetta potesse venirgli in mente, perciò sospirò facendo un gran rumore e infine andò a sedersi accanto a Deku, il quale si spostò appena più a destra per fargli spazio.

L’odore di pino silvestre e quello dei biscotti, posti davanti a loro sul tavolo del soggiorno, rievocarono una serie di immagini non spiacevoli, tutt’altro, ma piuttosto inadeguate alla circostanza.

Per assurdo, sperò il film scelto da Ashido, che saltellò contenta una volta ripescato il titolo di suo interesse prima di correre a sedersi tra lei ed Eijirou, facesse schifo abbastanza da coinvolgere tutte le sue risorse cognitive nel disprezzo verso di esso.


 

Di nuovo, fu anche peggio.

Il film mostrava la storia d’amore tra un principe di un’altra epoca, giunto in età moderna tramite un qualche incantesimo – o altra roba assurda giusto per dare un tocco fantasy a quella che era una melensa commedia romantica a tutti gli effetti – e una ragazza di suddetto periodo contemporaneo, più disillusa e poco propositiva nei confronti del Natale o delle relazioni in generale. Forse. Questo era quello che si era sforzato di capire dopo i primi venti minuti di film, soprattutto per distrarsi dal modo in cui, con la coda dell’occhio, percepiva Deku agitare le dita tra loro, innervosito da qualcosa – probabilmente dai commenti di Denki, bisbigliati a un paziente Shinsou che non era poi così preso dalla trama, piuttosto aveva sentito Kaminari mormorare qualcosa in merito a un dopo e il parlottio si era placato.

Il sotto testo, a giudicare dalle orecchie di Izuku, ormai fisse nel ruolo di mela candita, così rosse da sembrare fosforescenti, fu abbastanza chiaro.

La conseguenza principale di questa chiacchiera personale in un divano stritolante ben sei persone distinte era il fatto che Midoriya si spostasse sempre più alla sua sinistra, ossia contro Katsuki, quasi volesse dare una sorta di privacy ai due lì a fianco, sebbene ciò lo portasse a sfregarsi sempre più spesso contro l’amico d’infanzia.

Intanto, nel film, il damerino medioevale scopriva l’uso delle moderne tecnologie e dei maglioni invernali; Bakugou sentì diventare all’improvviso pesante e opprimente il proprio, il collo a girovita quasi un cappio di calore pronto a stringersi ogni qual volta Izuku gli si agitasse contro, le loro spalle a toccarsi da un po’. A guardarlo non sembrava affatto intenzionale ma mera volontà di lasciare quanta più riservatezza possibile a Kaminari e Shinsou, ai quali Bakugou avrebbe voluto urlare di aver appena traumatizzato il deficiente lì accanto con chissà che discorsi avevano sentito l’urgenza di mettersi a fare lì in mezzo, di conseguenza lo avevano coinvolto in un flusso di pensieri tutt’altro che consono all’occasione in cui si trovavano.

«Oi» borbottò tra i denti, esasperato dall’agitarsi dell’altro «Smettila di muoverti tanto, hai le pul-».

Il pizzicotto di Mina arrivò forte e dolorosamente insistente sulla coscia, soffrì abbastanza da ingoiare qualsiasi commento inacidito dallo stress e cercò di incanalare quella sensazione nel proprio sguardo, guardando la compagna con l’implicito interrogativo sulle sue intenzioni – tipo se avesse davvero intenzione di farsi accoppare da lì al Natale per mano di Bakugou, il quale ormai aveva fatto pace con la propria coscienza ed era pronto all’atto.

La padrona di casa gli fece gesto di far silenzio, chinandosi un poco verso il suo orecchio mentre lo rimproverava.

«Se sei scortese con Midoriya come speri possa accettare la tua dichiarazione?».

«Dichiarazione?!» quasi urlò, zittito ancora una volta dalla mano di Mina, stavolta premuta contro la bocca, dunque ella sibilò ancora «In qualsiasi modo tu voglia metterla, smettila di suggerirgli di spostarsi, è la tua occasione per stargli vicino!».

Vide Kirishima altrettanto sporto verso di lui, annuente e con la fronte corrugata per il disappunto.

Bakugou si girò di scatto stizzito, schioccò la lingua e incrociò le braccia con forza al petto, così in questo caso fu lui a provocare lo sfregamento contro Deku, che lo guardò quasi colpevole: «È colpa mia se sei scomodo, vero? Scusami, mi sposto un po’-».

Oh no, decretò categorico Katsuki tra sé, gli occhi fissi sulla protagonista in piena crisi emotiva, se non del tutto prossima alla realizzazione e ammissione dei propri schifosissimi sentimenti; allo stesso tempo sbrogliò una mano dall’intreccio irritato e, senza troppe cerimonie, agguantò il braccio di Izuku, per quanto la posizione glielo permettesse, tirandoselo contro con un po’ troppa forza, tanto che il ragazzo si ritrovò quasi del tutto addossato all’altro.

Se proprio doveva sorbire tutto quello, incastrato esattamente dove avrebbe voluto trovarsi ma in una condizione e tempistica alla quale non era ancora preparato per sapersi giostrare, tanto valeva farlo al meglio delle possibilità attuali.

Intercettò dabbasso lo sguardo confuso e, ancora, imbarazzato di Midoriya, con nessuna intenzione di ricambiarlo in via diretta, scocciato da quella situazione ridicola e dal proprio modo di fare vergognosamente assurdo, irriconoscibile, come se fosse davvero così spaventoso e difficile stargli vicino.

In un certo senso lo era, cantilenò una nota stonata nella propria mente, non per – quella cosa che provava per Deku, insomma; era molto più amara e in contrasto con la sapidità che stimolava l’ingordigia, la voglia di spostarsi ancor più verso di lui e sentirlo meglio, ostacolata da un rimorso che ogni tanto tornava a galla e non sapeva di nulla.

Il principe tornò al suo tempo, lasciando indietro la ragazza; Bakugou non disse niente e Midoriya si rimise dritto, ripreso a seguire il film a sua volta, tuttavia senza spostarsi.

Pochi minuti più tardi, mentre il principe sceglieva di tornare indietro, abbandonando la propria realtà per concretizzarne un’altra un po’ più incerta, in un mondo fin troppo sconosciuto e del quale conosceva solo l’amore per la protagonista, la testa di Deku si era poggiata contro la spalla di Katsuki, graduale e tutt’altro che invasivo, piano e delicato, qualche punta dei ciuffi solleticava il mento dell’altro ma questi non protestò. Così come non protestò Deku quando, nel pieno del lieto fine, la guancia di Bakugou gli premette contro il capo, in quell’incastro morbido e naturale mentre gli spazi tra le dita pizzicavano laddove fossero unite.

Entrambi pensarono, senza nessuna intenzione di separarsi quando i titoli di coda cominciarono a correre sullo schermo, Ashido già in piedi per selezionarne un altro e Kirishima che li sbirciava di sottecchi con un sorriso soddisfatto e contento insieme, che andava bene anche in quel modo, per adesso. Che, a dirla tutta, andava meglio di quanto pensassero.

E che mancavano pochi giorni a Natale.

 

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Capitolo 20
*** #20. Secret Santa (1) ***


Bonsoir, oggi sottotono in senso lato. Questo capitolo, come segnato, è la prima parte, quindi la questione non si snoda qua ma in quello di domani, se riesco a scriverlo perché mi si è rotto il computer e da cellulare faccio un po' fatica a scrivere – a tal proposito grazie alla mia dolce metà per l'html e per la correzione, per una volta se non altro sono riuscita a fare in tempo. Spero comunque vi faccia compagnia anche stasera/stanotte, buona lettura. ❤️

-20: Secret Santa (1)

 

La prima cosa che Midoriya doveva fare, gli aveva scritto Iida quella mattina, era passare da Uraraka per ritirare il cappellino su misura, in modo da riuscire a presentarsi da Yaoyorozu avendolo già indossato; era curioso di scoprire come lo avrebbero personalizzato lei e Aoyama, a quale forma si fossero ispirati per il suo ma anche l'altrui pon pon natalizio.

La stessa Momo lo aveva poi contattato, inviandogli un link che lo riportò a un casuale generatore numerico: la ragazza gli spiegò loro rappresentanti l'avessero ideato apposta per l'occasione del Babbo Natale segreto, così sarebbero stati tutti ignari dell'identità del proprio – sotto una piccola parentesi in cui venivano invitati all'onestà e a non barare anzitempo. Dunque Midoriya pigiò il tasto d'invio mentre una graziosa schermata a tema faceva la sua comparsa sulla pagina internet, una serie di numeri correva al centro durante il caricamento dell'estrazione. Infine, sbucando da un pacco regalo in pixel, rotolò un fiocco di neve con su inciso il numero 11 e una freccia sottostante che lo invitava a cliccarci sopra per scoprire di chi si trattasse.

Sarebbe stata una menzogna negare un po' l'euforia del senso di anticipazione, agitato all'eventualità di una specifica prospettiva, nonostante agli amici più stretti avesse già preso qualcosa. E a Bakugou, si ricordò, stringendo le labbra, la fronte corrugata dal principio di ansia mentre rievocava l'immagine mentale del pacchetto incartato al meglio delle proprie capacità appena acquisite, dopo quel pomeriggio in cui Katsuki gli aveva spiegato come fare; la carta di un arancione intenso stropicciata laddove un nastro verde decorativo passasse ai lati per congiungersi al centro in un fiocco storto, più simile alla chioma di un albero smosso dal vento che a una coccarda casalinga. Non se ne vergognava, in realtà andava piuttosto fiero del risultato nonostante apparisse più disastrato di quanto non fosse, lo turbava però quella sensazione incollata addosso negli ultimi anni, la stessa che lo aveva fermato per tutte le medie dal presentarsi davanti la casa dei Bakugou con un regalo per il figlio.

Pochi erano i pacchetti nascosti, i quali non aveva mai avuto il coraggio – in un certo senso si era convinto di non averne proprio il diritto, dati i rifiuti ostinati dell'altro, chiaramente infastidito da quell'insistenza – di fare avere al destinatario; quell'anno pareva essere un po' diverso, suggerì una voce più condiscendente nella sua testa, fioca come una fiamma prossima a estinguersi ma che non ha ancora perso del tutto il proprio calore, essa sottolineò i cambiamenti degli ultimi mesi, soprattutto nei giorni da poco passati.

Il modo in cui Katsuki tutto sembrasse tranne restio o distaccato, semmai assecondava quel briciolo di contatto fisico che Midoriya si azzardava a tentare e tuttavia non osando oltre un certo, discreto limite, troppo innamorato per mantenersi distante ma non abbastanza coraggioso da porre la domanda che aveva graffiato contro il proprio petto per farsi strada fino alla gola, bisognosa di esprimersi eppure trattenuta: la necessità di capire perché non lo rifiutasse, anzi andasse incontro a quelle attenzioni quasi accennate con vergogna, non sapendo come e quanto l'altro avrebbe preso le sue mosse.

Banalmente: avrebbe accettato un suo regalo, quell'anno? Se Izuku gli avesse chiesto come mai gli era sembrato così tanto stesse per baciarlo, quel giorno a casa sua, davanti a un forno prossimo al fuoco, Katsuki avrebbe risposto? Si sarebbe arrabbiato?

In ogni caso, il numero estratto non combaciò con la combinazione di caratteri un po' temuta, mostrò invece un nome imprevisto e che lo lasciò sinceramente sorpreso.

Ashido Mina.

Midoriya pensò per istinto di chiedere aiuto a qualcuno, per quanto negli ultimi tempi si fosse avvicinato alla compagna era anche vero comunque non la conoscesse abbastanza da poterne intuire nello specifico i gusti, la parentesi alla fine del messaggio di Yaoyorozu lo riportò però sulla via dell'onestà e mandò giù l'alternativa.

Un paio di ore dopo, prima di potersi concedere una disperata tirata ai capelli, il telefono vibrò sotto la ricezione di un messaggio; il nome di Kacchan nero su bianco e Izuku per poco non si soffocò col proprio battito.

Quando fece slittare l'icona di LINE per aprirla, rivelato il contenuto della chat fu travolto da un senso di tiepida soddisfazione sfumato nel sollievo – ignorò del tutto il retrogusto amarognolo dell'ansia precedente, digerendola a forza – quando lesse quanto riportato nella nuvoletta di dialogo, sorprendentemente più piena di quanto mai lo sia stata da quel mittente.

“Mi è uscito il tizio a metà. Non me ne frega un cazzo che non dovrei dirtelo, non so che prendere entro domani, quindi accompagnami in centro”.

Izuku, in un primo momento, aveva persino creduto gli avesse scritto per domandargli diretto, essendogli capitato lui come “segreto” destinatario del proprio regalo, cosa volesse per Natale perché non aveva voglia – o idea – di starci a pensare. Scacciò il magone insorgente a quella eventualità, non solo per salvaguardia dell'umore già fin troppo traballante ma, soprattutto, poiché in cuor suo era convinto non lo avrebbe mai fatto. Forse non ne sarebbe stato felice, ma non fino a quel punto. E anche di quello, del malcontento ipotetico, Midoriya non riusciva più a crederci, non dopo il dolce peso di quegli ultimi giorni, o della stessa sera addietro, quando aveva quasi finito con l'addormentarsi sulla spalla di Bakugou e questo non si era spostato bensì si era poggiato a sua volta; non erano soli ma per Izuku, in quel momento, fu come se lo fossero.

Mandò una emoji standard, con un sorriso un po' a disagio e la goccia di sudore che scivolava lungo la fronte, in difficoltà davanti a quella richiesta di diventare complice di un imbroglio – cosa che in realtà ormai già era, avendo letto il messaggio è tutto il resto.

E sorrise a sua volta, in un modo altrettanto impacciato come la faccina tondeggiante sul proprio schermo, ma con le labbra quasi tremanti per l'emozione crescente man mano che prendeva piede la consapevolezza di Katsuki che sceglieva lui come compagno di quel barare sconsigliato. Forse Kirishima avrebbe spifferato tutto, troppo corretto per venir meno a un patto implicito tra lui e il resto del gruppo.

Midoriya preferì pensare gli avesse scritto perché era l'unica persona con la quale avrebbe voluto infrangere una regola. Per la prima e unica volta nella sua vita, probabilmente; per quanto sbagliato fosse, non riuscì a trattenere l'euforia mentre si accordava con l'altro su un punto di ritrovo, il déjà-vù del primo giro di compere insieme che riaffiorava come un bocciolo comparso sotto la neve, prezioso e simbolo di inizio.

 

«Stavolta te la sei presa comoda» schioccò la lingua Katsuki, guardandolo storto mentre Midoriya correva sul marciapiede per avvicinarsi il prima possibile, attento a non urtare nessuno nel mentre.

Per poco non inciampò nei piedi aggrovigliati dalla fretta, Bakugou però riuscì ad afferrarlo per il gomito e sostenerlo prima che rovinasse del tutto, l'altra mano si rifiutava categorica di uscire dall'involucro caldo della tasca del giubbotto; Izuku si mise in piedi rapidamente suo malgrado si era aggrappato al braccio del compagno per istinto e altrettanto veloce si allontanò, raddrizzandosi in una posa fin troppo rigida per sembrare naturale.

L'altro lo guardò con gli occhi affilati mentre lo rimproverava di essere tanto distratto e avventato sulla strada bagnata dai lasciti della neve sciolta, Midoriya si limitò a imbronciarsi e guardarsi le scarpe mentre borbottava a sua volta e a voce bassissima, rivolto più al nulla che a Katsuki: «Se penso a tutte le volte da piccoli in cui sei caduto tu…».

Si pentì l'istante in cui stava finendo di dirlo, sgranò le palpebre alla sua stessa uscita e si voltò di scatto verso Bakugou per leggerne l'espressione, tuttavia quello si era già voltato con anche l'altra mano nuovamente in tasca, dandogli le spalle e il battito di Midoriya aumento vertiginosamente, terrorizzato dall'aver rovinato l'atmosfera ancora prima di essersi visti per davvero.

Poi Bakugou girò appena il collo, parlandogli da sopra la spalla: «Molte di quelle volte sono caduto per evitarlo a te, perché gli eroi salvano anche i nerd imbranati in difficoltà».

La frase sfumò in un ghigno che a occhio Izuku faticò a percepire, per la lontananza e per la sciarpa tipica dietro la quale il viso di Katsuki era ben nascosto, tuttavia poté udirlo distintamente nel cambio di tono, dapprima così serio da incrementare la preoccupazione e in seguito più sfrontato, quasi, sbeffeggiante ma in una maniera che Izuku non poté classificare se non come bonaria.

Sembrò stesse scherzando, con lui. Lo aveva mai fatto?

«Muoviti, Deku, oggi vorrei risparmiarmi una rissa con qualche casalinga in ritardo».

E Midoriya corse. Rischiò di nuovo di scivolare, prevedibile, ma Bakugou lo riafferrò di nuovo, stavolta cantandogliele per davvero. Infine gli acchiappò la mano e così proseguì, mentre Izuku guardava sconvolto quella stretta e agitava la testa da un lato all'altro per assicurarsi nessuno se ne fosse accorto, dunque accelerò il passo – moderato, un terzo scivolone gli sarebbe stato fatale e non per la caduta in sé – per far sì le loro spalle combaciassero il più possibile, in modo da dare l'impressione di star semplicemente camminando molto vicini.

«Kacchan...» lo chiamò sottovoce, una sorta di ammonimento implicito, quello però continuò ad avanzare come nulla fosse, piuttosto lo tirò ancora, prima di domandare con tono casuale, quasi disinteressato: «A te chi è uscito?».

Izuku pianse internamente, rassegnato alla condanna dell'imbroglio, a quel punto però tanto valeva diventare un complice a tutti gli effetti, inoltre Katsuki era molto più vicino a Mina, grazie a Kirishima se non altro, dunque avrebbe potuto dargli qualche dritta.

Sicché vuoto il sacco: «Ashido-san».

Per un istante, dalla presa sulla sua mano, giurò di averlo sentito tremare; l'espressione di orrore, ai limiti del raccapriccio che riuscì a intravedere per la medesima frazione di secondo sul suo volto ne fu la conferma.

«C'è qualcosa che non v-».

La domanda venne stroncata da uno strattone più deciso nella direzione opposta e poco mancò persino Izuku gli berciasse contro per il brusco movimento, quando Bakugou cambiò del tutto discorso.

«Ho visto una vetrina con statuette in finto ghiaccio».

Midoriya abbandonò lo sguardo truce e risentito, individuando da lontano gli oggetti esposti dalla bottega in questione, messi in risalto da un contorno di lucine natalizie bianche e dorate.

«Là» indicò poi alla sua destra Katsuki con un cenno del capo «c'è un negozio con roba che Ashido comprerebbe».

Il ragazzo lo guardò a bocca leggermente schiusa, come se lo avesse privato di qualsiasi replica per la prontezza mostrata, nonostante lo avesse chiamato di proposito per avere aiuto e un consulto da parte sua; non avrebbe avuto ragione altrimenti, pensò mentre si lasciava trascinare verso l'insegna sfavillante e decorata di addobbi natalizi...

Avanzando, Katsuki strinse la presa sulla sua mano, la campanella posta alla porta tintinnò mentre i due ragazzi entravano e una delle commesse li guardò in un modo che fece desiderare a Izuku di sparire e confondersi con gli alberelli sintetici lì accanto.

Bakugou non aveva bisogno del suo aiuto e lo capì nel momento in cui scelse una statuetta quasi l'avesse puntata e decretata vincitrice del suo acquisto da ben prima di avvicinarsi al negozio stesso, forse però non ne era convinto e dunque aveva bisogno di Midoriya.

Altrimenti non avrebbe avuto motivo di chiamarlo per quello, come se fosse una scusa.

...o forse no?

 

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Capitolo 21
*** #21. Secret Santa (2) ***




Bonsoir, penso sia il capitolo più lungo finora perché il contaparole dei documenti del telefono lo segna sui 4k quasi, purtroppo non era nelle mie intenzioni ma scrivere da telefono mi scoraggia e fa venire un male agli occhi allucinante, spero di risolvere quanto prima col computer altrimenti la vedo dura per i prossimi giorni. Sicuramente ci sono errori del correttore, qualche parola si sarà scritta male o l'avrà cambiata, appena avrò uno schermo decente sott'occhio sistemerò tutto, scusate... Spero, ancora, sia quantomeno una lettura di compagnia. In ogni caso grazie anche oggi alla mia dolce metà per l'html salvifico ❤️

-21: Secret Santa (2)


Da Ochako si erano recati separatamente: se la compagna li avesse visti insieme e con dei sacchetti in mano avrebbe potuto capire qualcosa del loro imbroglio – parziale, alla fine solo Midoriya aveva davvero usufruito del consiglio di Bakugou, recuperando una lampada di sale rosa nella bottega indicata, l'altro era stato invece più che in grado di cavarsela da solo, per quanto non fosse riuscito a vedere bene quale statuetta avesse preso a Shouto; l'avergli dato appuntamento in una zona ben precisa della città, nei cui dintorni si trovavano per caso dei negozi piuttosto vari ma al contempo specifici, era qualcosa che continuava a pungolare sempre lo stesso tormentato spicchio di cuore, che non voleva saperne di smettere di pensare l'avesse fatto apposta.

Bakugou, che non violerebbe una regola se non strettamente necessario e forse nemmeno, aveva trovato valida l'alternativa di aggirarne una per comprare un regalo anonimo. Fino al punto in cui il Babbo Natale sarebbe rimasto “segreto”, ovviamente, ma quale importanza avrebbe avuto?

Un'altra parte di quel cuore in subbuglio, altrettanto vicina ma appena più grande, gonfia di orgoglio e quell'altro sentimento che era un po' difficile da definire, smosse la convinzione a Bakugou importasse eccome di quel regalo, per quanto ostentasse ancora disinteresse – meno di prima, solo non del tutto – e affermasse che uno sarebbe valso l'altro; Midoriya era certo sapesse perfettamente dove recarsi perché aveva cercato, in quelle ore di distacco dall'estrazione, e forse, tremò di vergogna al pensiero, era stato anche in grado di trovare qualcosa per lui, qualsiasi persona gli fosse capitata.

Anche se Izuku non aveva visto nessun oggetto che avrebbe potuto comprare, perlomeno di suo gusto, a Katsuki. Ne aveva individuati tanti, di possibili regali per la maggior parte degli altri compagni, solo la personalità di Bakugou sembrava non riuscisse a incastrarsi e trovare posto su quegli scaffali.

In ogni caso, Katsuki era andato per primo a bussare alla porta di Uraraka; Midoriya, dopo qualche minuto in attesa e nascosto non troppo distante ma neppure nei pressi dell'abitazione, giusto per creare del distacco di tempo tra la visita di Bakugou e la propria e non destare sospetti, lo vide superarlo alla sua sinistra, proseguendo all'inverso della via principale sulla quale affacciava la casa della ragazza.

A giudicare dall'espressione turpe, le mani in tasca e la schiena ingobbita come schiacciata da chissà che peso, l'idea di indossare per davvero quel cappellino – per il secondo anno di fila – non gli era andata molto giù.

Ancora, Izuku non poté fare a meno di chiedersi che aspetto avesse, se fosse lo stesso del Natale scorso al dormitorio o se Ochako e Aoyama avessero accentuato le modifiche e, se sì, di quanto.

Aspettò ancora una decina di minuti, dopodiché avanzò a sua volta fin davanti il campanello. La compagna non si fece aspettare, la voce annunciava l'arrivo da oltre la porta, tradendo un piccolo affanno da corsa; quando si aprì, Izuku notò la busta colorata che l'altra teneva in mano, non trasparente e dunque non riuscì a intravederne il contenuto.

Ochako intercettò la sbirciata e sorridendo lo ammonì «Non si vede il cappellino degli altri prima della festa!», poi infilò la mano nel sacchetto, lo sollevò fino a portarselo vicinissimo al volto in modo da poter cercare senza far trapelare nulla, finché non ne estrasse quello che Midoriya identificò essere il proprio capello.

O almeno, lo dedusse dal fatto che Ochako non stesse affatto ritirando la mano con la quale gli porgeva il copricapo in questione, sempre col sorriso dolce e allegro e gli occhi chiusi, anzi, glielo agitò un paio di volte sotto al naso fin quando Izuku lo afferrò. Tra due dita, lontano dalla faccia, alla stregua di un oggetto potenzialmente radioattivo, incapace di trattenere la propria perplessità.

«Uraraka-san...».

«Sì?».

Faticò nel trovare le parole più neutrali e inoffensive per esprimere la confusione mista a leggero sconcerto che la vista del bordo del cappello, bianco ma disseminato di disegni quantomeno bizzarri, gli procurò.

«Ecco, non… non voglio mettere in dubbio la creatività e il lavoro dietro tutto questo… però, come dire, queste sono...».

«Pecorelle».

«Pecorelle».

«Proprio loro!».

Il livello di difficoltà verbale aumentò.

«Ma sono... verdi...».

«Ricordano i tuoi capelli!».

Qui, Midoriya si arrese alla sconfitta e al viso fin troppo contento e soddisfatto di Ochako, domandando tra sé quanto fosse opera dell'amica e quanta di Yuga. Preferì non indagare, di conseguenza ringraziò la compagna per il berretto natalizio e scrisse un messaggio di altrettanta gratitudine ad Aoyama, il quale rispose con una emoji personalizzata di se stesso intento ad annuire e ammiccare mentre ondeggiava i fianchi.

Per un attimo pensò di scrivere a Bakugou, il quale doveva essere già più lontano avendo altre cose da sbrigare, giusto per informarlo di aver preso tutto.

Ma perché dovrei dirglielo? si bloccò, il dubbio parve più ragionevole dell'intenzione stessa, sorta per caso e con una spontaneità alla quale non era abituato e certe volte faticava a opporvisi. Difatti, sebbene la testa continuasse a dirgli che a Katsuki non sarebbe importato meno della sua “missione compiuta”, le dita stavano già digitando il messaggio e lo inviarono anche, un po' traballanti ma più decise, perché poteva non aver senso mandare un testo simile ma aveva ancora meno senso privarsi di provare.

Tornato a casa, mentre cercava il maglione regalatogli da Todoroki per indossarlo alla festa, si accorse di una notifica di risposta sotto la voce “Kacchan” e Midoriya realizzò di essere diventato assurdo e incomprensibile persino a se stesso, per ritrovarsi a sorridere a un messaggio di imprecazioni di Bakugou tutte rivolte al proprio berretto, maledicendo i due compagni artefici dell'indumento. Ciò che però fece muovere le labbra di Izuku senza che potesse impedirselo, piuttosto ne assecondò la curva e la intensificò, coinvolgendo le guance rosate di vivacità, fu il secondo e inaspettato messaggio di Katsuki.

Che lo intimava a non azzardarsi a ripescare il maglione del tizio a metà, perché altrimenti avrebbe dovuto metterselo anche lui per forza – non era vero, non c'era obbligo, ma Izuku sorrise del fatto che, riottoso o meno, lo volesse.

Posò il telefono e, trovato il maglione, inviò la foto in risposta.

Seguirono pochi istanti di silenzio, poi Katsuki gli disse solo che alla festa glie l'avrebbe fatta pagare, ricordandogli di quali dolci avrebbero portato e salvati da chi.

Non Izuku, ovviamente.

 

Yaoyorozu li accolse con calore e a braccia aperte mentre dietro di lei si intravedevano già Iida, Tokoyami e Jirou, i quali l'avevano raggiunta in anticipo per aiutarla con i preparativi ultimi della serata.

Tutti indossavano già i propri cappelli, le cui decorazioni richiamavano le unicità o caratteristiche peculiari del proprietario, per esempio il pon pon di Tokoyami ricordava la forma di Dark Shadows e lo stesso era ricamato sul bordo bianco del capellino, spiccando particolarmente per il colore scuro; Midoriya, guardando il proprio, si chiese se per caso non fosse andata male solo a lui, sicché gettò un'occhiata sul resto dei cappelli presenti, trovando più o meno disegni identificativi ma quantomeno sobri.

Cosa c'entro io con una pecora? È così che mi vedono quando guardano i miei capelli?

Yaoyorozu interruppe la domanda afflitta del compagno mentre a voce alta «Fate come se fosse a casa vostra!» offrì gioiosa, gli occhi brillanti e determinati come quando i compagni le avevano chiesto aiuto e Momo, entusiasta all'idea di ricevere ospiti ed essere d'aiuto, si illuminò.

Una pacca sulla schiena attirò Izuku a voltarsi, così vide Kirishima, Ashido e Kaminari dietro di lui, i quali gli sorridevano e auguravano buona festa.

Denki fu il primo a dare voce all'aspettativa collettiva, infatti prese Midoriya sottobraccio con fare allegro e confidenziale «Non vedo l'ora di mangiare cosa avete cucinato!».

Il ragazzo si irrigidì a quelle parole, memore dei disastri a cui aveva partecipato e dei ben pochi tentativi riusciti con la sua partecipazione, invece erano di certo più numerosi i risultati di Bakugou, il quale aveva lavorato da solo a casa dopo l'incidente col forno; Izuku si era sentito in colpa, aveva persino cercato di consolarsi pensando di essersi comunque impegnato e che le cause principali dei danni non erano di certo legate alla propria incapacità culinaria, a poco era però servito se non ad aumentare la consapevolezza.

Prima di poter rispondere sentì il braccio di Denki sollevarsi, il compagno al suo fianco emettere un verso sorpreso che Izuku stesso imitò quando, voltatosi per capire cosa stesse succedendo, vide Bakugou tenere Kaminari per il polso a mezz'aria e con l'intento di toglierlo dalla posizione.

Non ha il berretto in testa, constatò Izuku nell'immediato; il cappotto era inoltre chiuso fino all'ultima asola e una sciarpa circondava il collo, dunque non c'era modo perché riuscisse a capire se avesse o meno indossato il maglione per davvero.

Lo sguardo gli cadde poi su Mina e la maniera in cui osservava la scena, con un'espressione quasi compiaciuta mentre teneva il mento tra pollice e indice, ghignante.

«Bakugou! Non ti ho sentito arrivare» lo salutò gioviale Kirishima, intanto Kaminari si era lentamente spostato al fianco della ragazza alle spalle di Eijirou, coprendosi la bocca con le mani in modo da non essere sentiti o compresi da esterni. Solo di rado lanciavano occhiatine prima a Katsuki e poi a Izuku stesso, in concomitanza a ciò i risolini cospiratori aumentavano e Midoriya li fissò apertamente e con sconcerto. Infine guardò Katsuki, il quale ricambiò subito di sottecchi, con Kirishima davanti che gli mostrava orgoglioso il proprio cappello circondato da quelli che… erano scogli?

Bakugou allungò il braccio lasciato penzolare per porgere a Midoriya la busta con il cibo preparato, dopodiché spiegò solo «Pensaci tu».

Izuku lo interpretò come un non ho voglia di distribuire cibo alle scimmie, nella sua mente lo sentì proprio con la voce del compagno, dunque accettò il sacchetto senza ribattere e ne strinse il bordo scaldato dalla presa dell'altro.

«Forza, su!» trillò Ashido, riemersa dal fondo del gruppo mentre Kaminari spingeva sia Bakugou che Kirishima in avanti, lei invece affiancò Midoriya prendendolo a braccetto – il ragazzo cercò di nascondere la busta col suo regalo, altrimenti Ashido avrebbe capito fosse lui il suo Babbo Natale segreto, sorridendole forzato ma spero non lo notasse.

Davanti il portone di casa Yaoyorozu, però, Iida li fermò con la mano rigida e il braccio perfettamente teso e dritto, proprio a un palmo dal naso di Bakugou: i presenti rimasti fuori si aspettarono tutti, chi più chi meno, gliela azzannasse.

«Bakugou-kun» iniziò Tenya, la voce perentoria frattanto che riportava in su gli occhiali con l'altra mano, luccicanti sotto l'ammonimento «Se non indossi il tuo cappellino natalizio» e solo allora, quando il rappresentante indicò il proprio per enfatizzare il concetto, Midoriya si accorse su quello dell'amico vi fossero rappresentare delle volanti della polizia «Non puoi entrare».

Un istante di silenzio assoluto, ogni studente che assisteva alla scena teneva il fiato sospeso, chi per la paura di vedere sul serio il capoclasse vittima dell'attacco di un randagio con rabbia, ossia chiaramente Bakugou, e chi perché altrimenti scoppiare a ridere sarebbe risultato troppo forte e a subire l'ira di uno dei due, o magari entrambi, sarebbero stati loro.

Katsuki, invece, si limitò a un forse troppo alto ma comunque ben più diplomatico di qualsiasi aspettativa circostante: «Ah?!».

 

«Se qualcuno mi guarda» anticipò la promessa Bakugou, seduto a braccia incrociate su uno dei divani a disposizione nell'ampio salotto di Yaoyorozu, intanto Midoriya distribuiva i biscotti e lo guardava con occhi preoccupati e imploranti al contempo; Katsuki lo ignorò, o forse era troppo nascosto dal proprio cappellino per notarlo, perché concluse in un basso ringhio «lo faccio esplodere per Capodanno».

Qualcuno rise comunque, del gruppo di Bakugou in particolare, infatti le battute dai suoi amici più stretti non tardarono a farsi sentire e ad arrivare da ogni lato della stanza – Aoyama e Ochako erano nascosti da qualche parte, probabilmente dietro Todoroki e Iida, che stavano invece raccogliendo i regali per metterli sotto l'albero, pronti al Babbo Natale Segreto. Lo stesso Izuku talvolta, cadendogli l'occhio, si ritrovava a trattenere un risolino di sincero divertimento ma pericoloso per la propria incolumità, oltretutto non si sentiva nemmeno così tanto in diritto di farsi due risate a scapito del cappellino dell'altro, non poteva vedersi ma ricordava benissimo i contorni irregolari e tondeggianti dei verdi animali cuciti al suo. E l'unica associazione, chiesta ad Aoyama, era davvero dovuta ai capelli e alla sua natura tipicamente mansueta.

Solo che Katsuki aveva dei biondi Volpini di Pomerania ringhianti sul bordo bianco del capellino gli occhi triangolari e stilizzati che ricordavano fedelmente quelli del proprietario del copricapo in questione, lo stesso pon pon ricordava un'esplosione come quello dell'anno scorso. Per non parlare del maglione, di quello Shouto ne era stato visibilmente contento, sempre con quel suo modo contenuto di fare, però era stato chiaro per Bakugou e Midoriya e, a parte qualche insulto tra i denti in un primo momento, non erano volate proteste aggiuntive.

Il cappello natalizio invece era perfetto per lui. Si stupì piuttosto del fatto che, a parte qualche commento intenerito e un paio di foto scattate accanto ad altri cappellini per commemorare il momento, le sue pecorelle erano state ben accolte e Katsuki non aveva proferito parola quando lo aveva visto, forse perché troppo concentrato a desiderare di ucciderli tutti per la bonaria presa in giro a lui rivolta.

Finito il giro di distribuzione dei biscotti, Midoriya e Bakugou si fermarono in cucina per versare lo zabaione nelle tazze predisposte da Momo, tutte colorate in modo identificativo e decorare con fiocchi di neve in rilievo. Le ultime due le riempì Katsuki e Izuku guardò il procedimento con nostalgia, pensò anche di mandare una foto ad All Might prima di servirli agli altri, così prese il telefono e impostò la fotocamera. Si fermò dal premere il tasto di scatto, però, guardando Katsuki al suo fianco guardare intensamente il tavolo davanti a sé.

Midoriya pensò potesse osare.

«Sono passati già così tanti giorni» mormorò, il tono estremamente delicato, come premuroso di quel ricordo. Poi ridacchiò, le immagini dei disastri facevano capolino nella sua mente «Anche se all'inizio è stata dura».

Bakugou sbuffò uno tsk, solo all'inizio? ma tutt'altro che stizzito, Izuku lo vide quasi accennare un mezzo ghigno, magari aveva ripensato a sua volta agli scenari passati, all'indescrivibile quantità di pasticci lasciati dietro nel corso delle preparazioni. Durò poco, tuttavia, quella smorfia, presto sbiadita sotto una linea più distaccata e pensierosa; per un attimo gli vide socchiudere gli occhi e corrugare la fronte, togliersi il cappello per agitare i capelli e sbuffare ancora, indossandolo di nuovo.

Midoriya lo guardò con apprensione mentre andava via, in mano il primo vassoio con le tazze. C'era però qualcosa che non andava, alla stregua di una inaspettata e incomprensibile ondata di malcontento e Izuku non aveva intenzione di assecondare l'ansia quella sera, deciso semmai a tutt'altro: incurante del destino dello zabaione, questa volta fu lui a trattenere Katsuki per il gomito, trattenendolo e pronto a ricevere lo sguardo serioso e infastidito del compagno.

Gli occhi scarlatti tradivano tutt'altro che rabbia o irritazione, Midoriya scartò immediatamente l'eventualità, le proprie iridi fisse in quelle sorprese e sgranate di Bakugou, il quale era stato di sicuro preso in contropiede da quella mossa e Izuku sentì le gambe tremare e usò l'appiglio al braccio per mantenersi su.

Perché quel modo di guardarlo e il rumore del battito nelle orecchie lo stava destabilizzando, confuso dall'intensità imprevista dell'averlo così a stretto contatto, si sarebbe aspettato di venire allontanato e invece Bakugou era rimasto immobile e lo guardava e Midoriya lo sentì dal profondo del cuore e di quegli occhi specchiati nei suoi, incalzante e giusto, che quello era il momento.

Con l'altra mano si aggrappò poco più su, quasi alla spalla, per tirarlo verso il basso.

«Oi, che diavolo stai-».

«Kaccha-».

Parlarono in sincrono, la confusione nell'uno e l'urgenza nell'altro, quando la voce di Iida si interpose all'improvviso, aprendo la porta della cucina con entusiasmo; al suo seguito gli altri che si affrettavano a recuperare le ultime cose rimaste da mangiare per portarle in salotto.

«Stiamo per cominciare a dare i regali, forza, venite! Anche se» si voltò verso Kaminari, le lenti brillarono sinistre e la voce di Iida si abbassò notevolmente «Qualcuno ha già sbirciato».

Denki scappò di corsa, Iida alle calcagna e con loro gli altri.

Midoriya e Bakugou non si erano ancora guardati, travolti dal trambusto imprevisto che aveva portato il primo a mollare la presa in fretta, il petto così agitato da fare male.

Un colpo sulla spalla lo fece sobbalzare più del dovuto, voltandosi di scatto verso la fonte del tocco: trovò Ashido, lo stesso sorriso di prima, e Midoriya fu sinceramente sul punto di chiederle di lasciarlo stare, perché quel modo di fare così ambiguo e cospiratorio non portava altro se non confusione e in quel momento, mentre Bakugou aveva ripreso ad andare verso l'uscita della cucina e con lui l'intenzione di parlare.

«Ashido-san» cominciò infatti, sforzandosi di non risultare troppo scortese «Non è il momen-».

«Guarda in alto».

Izuku sbatté le palpebre interdetto, non sapeva se dalla richiesta o dal fatto che la frase suonasse assolutamente seria. Era comunque stanco per provare a protestare, dunque eseguì: il battito che perse fu salvifico, perché gli diede la possibilità di ristabilire il ritmo regolare, come una pausa per riprendere fiato e poi tornare a correre senza fermarsi.

Tornò su Mina e stavolta l'emozione che le dedicò fu quanto di più simile alla gratitudine fosse in grado di trasmettere in quel momento, le orecchie pizzicarono ma ignorò stoico qualsiasi segnale d'intralcio, soprattutto quando Ashido gli diede un'altra pacca e nello schiocco si perse un fatti valere talmente rincuorante da scacciare quel velo di incertezza ed esitazione; la compagna proseguì fino a Bakugou e le vide ripetere lo stesso gesto amichevole, solo che all'altro rivolse una linguaccia dispettosa e Katsuki le urlò di levarsi di torno e così ella fece, trotterellando nel salone.

 

«Che maledetta impicciona...» borbottò infine il ragazzo, massaggiandosi il collo e la mano si fermò lì, quasi all'altezza della nuca per qualche istante.

Guarda in alto gli aveva detto, era forse uno scherzo? Aveva pensato a qualche schicchera a tradimento ma Ashido se n'era già andata, sparita oltre l'angolo insieme agli altri ed era in una posizione favorevole abbastanza da permettergli di individuarla, lei o chiunque altro si fosse azzardato, qualora si fosse trattato di una trappola. Così, senza vedere nessuno, Bakugou guardò in alto e in quella posizione, a occhi sgranati, si bloccò.

In un punto ridicolmente assurdo e improponibile, senza alcun criterio e privo persino di un senso estetico, in alto, al centro dell'infisso largo della porta della cucina, un rametto di vischio pendeva sulla sua testa. E per qualche motivo, senza che un solo suono lo avesse annunciato, Bakugou pensò fosse il momento di voltarsi, lo sentì come l'attimo giusto per farlo, né prima né dopo, e quando le braccia di Deku gli si aggrapparono al collo per tirarlo giù Katsuki odiò la lentezza con cui comprese cosa stava accadendo e la momentanea rallentata capacità di metabolizzare.

Come se fosse troppo veloce e troppo fuori controllo.

Poi Midoriya si spinse in alto sulle punte e Bakugou imprecò mentalmente contro se stesso e contro quel nerd maledetto, un braccio andò a circondare il compagno mentre le dita dell'altra mano strinsero il viso davanti a sé, premettero sulle guance e lo sollevarono ancora più su.

Izuku osò mugugnare quando lo baciò, percepì la presa sul suo maglione intensificarsi ed era così difficile muovere la bocca e tenerlo fermo quando l'imbecille non faceva altro che dondolare da un lato all'altro per colpa dello slancio errato e della posa innaturale che si ostinava a mantenere per non allontanarsi.

Non che Katsuki gli avrebbe permesso di farlo, ovviamente, non adesso che poteva finalmente saggiare ogni centimetro di quelle labbra, meno morbide di quanto avrebbe immaginato ma non meno deliziose da stringere sotto i denti – e ancora Izuku emise un verso acuto e soffocato, schiudendo la bocca per liberarlo e Katsuki ne approfittò per approfondire il contatto, ingoiando un altro suono più umido e incastrato in gola.

Midoriya vibrò contro di lui, gli si sciolse addosso, appesantito con il corpo di Bakugou come unico sostegno per non scivolare a causa delle gambe molli; se la risata sguaiata di Kaminari non fosse giunta fino a loro, probabilmente mentre il malcapitato a cui aveva fatto da Babbo Natale segreto apriva il suo regalo, Bakugou lo avrebbe preso personalmente di peso, sollevandolo da sotto le cosce e continuato a baciarlo fino a fargli diventare le labbra gonfie. Invece, complice l'avvicinarsi del calpestio sulla moquette, entrambi si allontanarono con uno schiocco pericolosamente rumoroso, il respiro corto e le orecchie quasi fischianti.

Gli occhi di Izuku erano lucidi, così come la bocca arrossata – ma non a sufficienza – e le guance a fuoco, Katsuki era certo di ritrovarsi in uno stato simile; soprattutto, per una frazione di secondo si era avvicinato di nuovo con l'intenzione di ricominciare, perché guardarlo così sconvolto davanti e grazie a sé faceva raffiorare il bisogno di stringerlo di nuovo.

Recuperando il fiato rifletté sul fatto che Midoriya lo avesse cercato, muovendosi per primo per soddisfare quello che era anche stato il proprio desiderio da giorni, se non settimane, ingabbiato nel dubbio e nella confusione del proprio comportamento e di quello di Izuku stesso, sempre troppo affettuoso e fedele perché le attenzioni dell'ultimo periodo potessero essere prese come incisive e determinanti.

 

Non era comunque il momento per pensarci, né per parlarne; Izuku pensò lo stesso, frastornato e incredulo, ancora scosso dall'emozione della riuscita, si sentiva stracolmo e incapace di razionalizzare la situazione.

«Kacchan...».

Ansimò e si vergognò come un ladro per come gli uscì la voce, tuttavia quella di Tsuyu sempre più prossima lo spinse a sbrigarsi, stringendo tra le dita il bordo del maglione di Katsuki, l'urgenza di avere risposta.

Bakugou lo anticipò, forse per zittirlo, annuendo e basta, anche lui a corto di fiato.

Tsuyu comparve subito dopo, dicendo che era il turno di Midoriya di indovinare chi fosse il suo Babbo Natale segreto, dunque Midoriya la seguì e Bakugou dietro di lui, trascinato dalla presa di Izuku; per un attimo, sentendo la mano del compagno districare le dita dal proprio indumento, Midoriya pensò volesse allontanarlo: trattenne a stento un sospiro appagato e di sollievo quando, invece, al tessuto del maglione si sostituì il palmo di Bakugou stesso, caldo e forte come lo aveva scoperto negli ultimi giorni.

Negli ultimi mesi, si corresse mentalmente, sebbene le prime circostanze furono tutt'altro che piacevoli.

A bassa voce, più tra sé che davvero rivolto all'altro, Katsuki borbottò «Ma chi cazzo è che metterebbe il vischio davanti l'ingresso della cucina?».

Midoriya pensò alle parole di Ashido, alla coincidenza del rametto presente proprio lì – ed era certo non ci fosse all'inizio, per quanto grande fosse la porta della cucina di Yaoyorozu era comunque un elemento di spicco e difficile da ignorare.

«Forse Babbo Natale» disse con ingenuità, mentre sorrideva, quasi gli venne da chiedersi se non fosse un – altro – sogno dei suoi.

Il pizzicotto che ricevette sul dorso della mano come ammonimento, forse per l'espressione fin troppo contenta stampata su ogni centimetro di viso, smentì in fretta quel pensiero.








NdA: il titolo originale del prompt sarebbe stato "Who put this mistletoe here?!" ma avrebbe spoilerato il contenuto e dopo tanta fatica non mi pareva giusto 😂

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Capitolo 22
*** #22. Going to see the Christmas Lights ***


Bonsoir, stasera non penso di avere molto da dire, strano 😂 Quindi solo grazie di nuovo alla mia dolce metà per il supporto e l'aiuto con l'html ;; e grazie a chiunque continui a seguire la raccolta, ormai manca poco ❤️ Buona lettura!


#22. Going to see the Christmas Lights

 

Midoriya aveva ricordi molto vaghi e raffazzonati della sera precedente, se ne rese davvero conto solo in quel momento, stringendo tra le mani il regalo che Aoyama – suo Babbo Natale segreto – gli aveva preso: il peluche di una pecorella, giusto per sottolineare di chi fosse stata l'idea del design del suo cappellino, con su inciso in corsivo, in una scritta verde e ricoperta di glitter cucita a mano, “#1 Deku”. Il che fece sorridere l'aspirante eroe, ben chiaro il senso di quel numero accanto al proprio nome, era certo di aver fatto un sorriso un po' in difficoltà solo di primo acchito, non sapendo come reagire all'animale di stoffa, poi però si era quasi commosso e la tentazione di alzarsi e abbracciarlo era stata complicata da ammutolire.

In sua difesa, era in pieno sovraccarico emotivo, soprattutto perché per scartare il regalo aveva faticato a districarsi dalla presa di Bakugou, quasi inconsciamente entrambi avevano stretto le dita e Katsuki mancò poco lo tirasse di nuovo a sedere sul divano.

Le guance di Izuku andarono a fuoco al ricordo, affondò il peluche sul viso per nascondere lo scoppio acceso e traditore di vergogna; si morse il labbro inferiore per tornare a un punto di razionalità ma la sensazione della bocca pizzicata dai denti lo riportò all'eco di un altro morso, non suo, ancora a premere sulla carne morbida.

Era difficile razionalizzare quanto successo, l'erede di All Might era a malapena capace di rendersi conto delle proprie azioni, domandandosi dove avesse trovato il coraggio di slanciarsi verso l'altro una volta per tutte – non che fosse la prima volta, semmai giusto atipica come circostanza –, a prescindere dall'incoraggiamento di Ashido. Anzi, per quella sera aveva iniziato a rassegnarsi, per non dire a credere fosse evidentemente destino il fallire ogni qual volta cercasse di esprimersi, Katsuki vicinissimo ma mai abbastanza per raggiungerlo con quel concetto così semplice da esporre ma assurdamente complicato da rendere appieno. Tuttora Midoriya era convinto non fosse bastato, perché non aveva aperto bocca – beh, sì, in un certo senso, ma l'aveva impegnata in quella che lì su due piedi gli era parsa la mossa più saggia e d'impatto.

Sembrava un vaneggiamento figlio dell'esasperazione, senza contare Midoriya non avesse mai baciato nessuno prima di allora, eppure era fermamente convinto non avrebbe potuto capitargli di meglio. Magari era stato un disastro, per certi versi ne aveva la conferma, specie pensando a come avesse faticato a mantenersi stabile, frastornato da quel modo urgente e adulto con cui Katsuki aveva mosso la bocca sulla sua.

Non riusciva a scrollarsi di dosso l'eccitazione di quel nuovo cambio di rotta, fin troppo positiva di esito, così incredulo da essersi riempito comunque di pizzicotti prima di andare a dormire e dopo essersi svegliato, così da ritrovarsi sulla pelle i segni di quella folle testimonianza.

Aveva baciato Kacchan ed era stato ricambiato, stretto come non gli era mai successo. Tante cose iniziavano ad acquisire senso sotto quella consapevole, i piccoli gesti si univano e intrecciati tessevano il percorso fino a quell'istante in cui Midoriya Izuku poteva dirsi innamorato senza alcun timore nei confronti di questo suono, adesso percepito come il più bello e liberatorio, un'esternazione catartica di un sentimento taciuto contro il bisogno di lasciarlo sgorgare ovunque.

Su Katsuki, che lo aveva travolto e trascinato a sua volta.

Come se sentito, il telefono segnalò la notifica di un messaggio e Midoriya, guardandone il mittente, pensò avrebbe dovuto personalizzare la suoneria di quel contatto per riconoscerlo, quantomeno sarebbe riuscito a prepararsi anzitempo piuttosto che sobbalzare per l'agitazione. In attesa di essersi abituato, se non altro.

Quando aprì la chat e adocchiò il testo, riletto più volte per assicurarsi di non aver interpretato male, Izuku scrisse rapidamente la risposta e affondò ancora contro il peluche mentre capiva non sarebbe mai stato in grado di abituarsi.

“Andiamo a vedere le luci di Natale”.

 

«Ci hai preso gusto a far tardi?».

Midoriya si era appoggiato alle proprie ginocchia per riprendere fiato, grandi sbuffi di condensa emergevano dalla sciarpa scivolata verso il basso durante la corsa.

«Scusa, mi sono distratto un attimo e ho perso il senso del tempo» ansimò, quasi risultò incomprensibile.

Era parzialmente vero, ma una cosa per volta.

Gli ci volle qualche secondo per riprendere un po' di respiro, quando la mano guantata di Katsuki comparì nel suo campo visivo, sopra il marciapiede.

Izuku sollevò lo sguardo confuso e sorpreso insieme, Bakugou invece lo guardava dall'alto verso il basso con un'espressione apparentemente seccata e neutrale.

Come se fosse la cosa più naturale del mondo.

«Andiamo, forza, rischiamo di trovare la strada piena di marmocchi».

In quell'istante Midoriya dimenticò di trovarsi in una via piuttosto vivace, la gente che li superava con indifferenza e altra ancora si soffermava a guardare la scena di sottecchi, tutto passò in secondo piano alla prospettiva di stringere quella mano che finalmente gli veniva porta e con spontaneità; una scena di vecchia data si frappose al presente, i ruoli invertiti e le altezze ben più ridotte, la temperatura stessa era calda abbastanza da potersi muovere in un fiumiciattolo e non risentirne il giorno dopo.

La mano di Katsuki, in quel ricordo, non era presente.

Izuku batté in fretta le palpebre per scacciare il principio di lacrime che aveva sentito iniziare a formarsi agli angoli degli occhi, il petto dolorosamente scosso ed era davvero difficile capire l'entità di quell'emozione.

Decise di scacciarla afferrando con forza il palmo offerto, tuttavia si stupì quando il contatto non si sciolse una volta risollevato, piuttosto Bakugou incastrò le mani unite nella propria tasca, come quando si erano persi nel bosco e Midoriya non aveva guanti con cui ripararsi dal freddo. In questo caso non vi fu l'ausilio del quirk esplosivo di Katsuki per scaldarli, entrambi fasciati dalla lana e Izuku provò una punta di dispiacere commista al sollievo; il battito irrequieto continuava a non volerne sapere di rallentare, nonostante ciò a smuoverne l'andazzo fu una sincera dolcezza interna, calda e avvolgente offuscò qualsiasi memoria di troppo e visse, quel battito intenso, per quel momento.

Intanto le luci decorative dei negozi dipingevano un tracciato variopinto sul marciapiede davanti a loro, il grande albero di Natale cominciava a intravedersi.

Al loro passare, Midoriya notò come aumentasse la presenza di coppie tutto intorno, dirette a propria volta nella medesima direzione; il naso e le orecchie gli si arrossarono di tutto punto e la pelle sulla fronte si aggrottò per la presa di consapevolezza, imbarazzato cercò poi di guardare il ragazzo al suo fianco ma sembrava così disinvolto e indifferente al circostante che quasi Izuku si domandò se non fosse perché non c'era niente, in realtà, per cui imbarazzarsi.

Scosse la testa e si morse la guancia, rimproverandosi mentalmente per quell'insensato pessimismo, giunti a quel punto; non avevano avuto il tempo di parlare, circondati com'erano dai loro amici e presi da altre attività in gruppo, così coinvolti da tornare a casa sfiniti. Midoriya perlomeno, nonostante il sonno irrequieto e la difficoltà ad addormentarsi per davvero, scosso da quanto accaduto, si era rintanato sotto le coperte una volta indossato il pigiama.

Un verso stizzito alla sua destra lo distrasse; Bakugou aveva borbottato qualcosa contro una coppia che li aveva superati, forse inconsciamente si era tirato Midoriya più vicino di conseguenza, quasi temesse di perderlo in mezzo a qualche sconosciuto. Cosa per la quale di norma si sarebbe risentito, neanche fosse un bambino sprovveduto, in quel momento però sentiva di non avere nulla di cui lamentarsi, suo malgrado allietato da quella premura.

«Se fossimo arrivati prima avremmo incontrato meno gente, ma siccome anche agli appuntamenti devi fare tardi-».

Midoriya smise di recepire il resto della frase e cancellò completamente la prima parte, il cervello andato in tilt al recepire una singola, fondamentale parola.

Appuntamento, blaterò acuto tra sé, l'ha chiamato appuntamento, quindi mi ha invitato a un appuntamento? Non era tanto per andare a vedere le luci con qualcuno? Però perché avrebbe dovuto chiederlo a me e non a, tipo, uno dei suoi amici ma a me se non per un appuntamento? È la sua risposta a quanto accaduto ieri? È il suo modo per dirmi che vuole che usciamo insieme?

Non riuscì a trattenersi.

«Kacchan».

«Ah?».

Mandò giù l'ultimo boccone di tentennamento, prese un profondo respiro e infine espirò, a voce alta abbastanza affinché lo sentisse chiaro e tondo e la domanda non si perdesse nel vociare soffuso intorno; solo e soltanto lui.

«È un appuntamento?».

Bakugou si fermò, non di colpo ma del tutto, tanto che Midoriya temette stesse per lasciarlo andare come puntualizzazione della smentita. Il fatto che gli desse le spalle non faceva che aumentare l'ansia, sebbene fosse sicuro di doverlo chiedere finché era in tempo per risanare al riparabile.

Poi Bakugou si voltò, lo sguardo serio e la voce quasi casuale mentre a sua volta domandava: «Non vuoi?».

Un missile si piantò in un punto non precisato del cuore di Midoriya, la stessa fitta mandò ancora in cortocircuito la capacità di pensare e ragionare del ragazzo, preso in contropiede dalla replica al punto da tremare per l'agitazione e il senso sconfinato e indescrivibile di appagamento che lo aveva sopraffatto da capo a piedi.

Resosi conto di essere rimasto in silenzio troppo a lungo, la stretta rafforzata di Katsuki lo riportò alla realtà, dunque si affrettò a rispondere, la voce alta e a tanto così dallo stridulo.

«No! C-cioè, nel senso, sì! Certo che lo voglio! U-un appuntamento quindi, ho capito! Andiamo a vedere le luci di Natale per-».

Ah, pensò Izuku, ancora mentalmente, le labbra occupate da quelle di Katsuki premute sulle sue in un gesto ben più moderato ma comunque consistente contro la pelle, è proprio come ieri.

Quando Bakugou si separò, in fretta come si era posato, Midoriya si accorse di aver chiuso gli occhi solo nell'istante in cui l'immagine del ghigno del compagno aveva preso tutta la sua visuale, le iridi scarlatte frastagliate dal riflesso delle luci natalizie.

«È sorprendentemente conveniente» asserì Katsuki, gli occhi puntati sulle labbra appena baciate.

Izuku andò a fuoco, balbettando qualcosa di incomprensibile e terribilmente imbarazzato su quanto fosse stato avventato e pure antipatico, da parte sua, ricorrere a un simile mezzo di zittirlo.

Perché Midoriya Izuku non era stato mai baciato da nessuno fino a quel momento, e Bakugou Katsuki aveva deciso di torturarlo e sfruttare la cosa in suo favore.

Di proposito, soprattutto, al loro primo appuntamento sotto le luci di Natale.

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Capitolo 23
*** #23. Cuddles by the Fire ***


Bonsoir!
Altro capitolo breve ma devo prendere confidenza col nuovo computer (ed è stata una giornata movimentata per sistemarlo al meglio delle mie capacità.......), mi ha abbastanza messo in difficoltà il prompt in sé a essere sincera, per la questione dell'IC e tutto, che nonostante l'andazzo della raccolta cerco di rispettare il più possibile :( non sapevo neanche che personaggi inserire.... Alla fine ho riadattato un po' il prompt, diciamo così, si scende nel sano domestic come si deve ??.  E forse è un po' 🔥 possiamo considerarlo, dai, ma è tutto molto soft.

😛 (amo queste faccine mi fanno ridere un sacco senza nessuna ragione-)
Grazie a chiunque segua la raccolta,  ho visto il numero di seguite e preferite aumentare dopo gli ultimi due aggiornamenti e non pensavo ;; soprattutto considerando i mille imprevisti e il ritardo... in ogni caso, scusate come sempre eventuali errori di distrazione e buona lettura! 🧡💚

 

-23: Cuddles by the Fire


 

«Kacchan...» mugolò Izuku, le braccia abbandonate sulle spalle del compagno e la bocca dolente e stanca, al contrario di quella di Katsuki che invece pareva non volerne sapere di fermarsi.

A riprova di ciò, il ragazzo catturò ancora il labbro inferiore di Midoriya fra le proprie, ghignando compiaciuto in quello stesso bacio nel sentire l’ennesimo verso lamentoso e goduto insieme rubato dal petto dell’altro; le mani erano legate dietro la schiena di Izuku, all’altezza del bacino, laddove il maglione tirava per la posizione protesa verso l’alto, non abbastanza da scoprire la pelle del fianco ma a sufficienza perché Bakugou, sentendo il tessuto sollevarsi, ne fosse intrigato e tentato.

Intanto Midoriya era tornato a sciogliersi contro di lui, aprendosi all’intrusione di quella bocca calda ed edace come fiamme che consumano i tocchi di legno, le dita risalirono lungo il collo e dalla nuca si divaricarono tra gli scompigliati capelli color del grano, districandoli alla stregua dei nodi della trama più appassionante di qualsiasi storia avesse mai ascoltato.

A proposito di fiamme, il fornello accanto a loro tossicchiò una fiammata più forte delle precedenti e solo allora Bakugou si allontanò di scatto, le guance arrossate suo malgrado visibilmente seccato – mai quanto quelle di Izuku, specie dopo aver sentito il suono umido e secco della loro separazione – e maledicendo il pentolino scadente col quale avevano cercato di scaldare un po’ di latte per la cioccolata, dal momento che Todoroki gliene aveva avere fatta di ottima qualità da parte di Endeavor e Hawks. Più il secondo del primo, Shouto aveva suggerito senza mezzi termini quanto suo padre avesse piuttosto provveduto all’aspetto economico del dono che non alla selezione in sé.

«Mi fa pure schifo» imprecò Katsuki, girando la manopola per abbassare l’intensità della fiamma, l’altro braccio non si era mosso di un millimetro, solo Izuku si era avvicinato un po’ di più, dapprima le braccia erano quasi tese oltre le spalle di Bakugou, poi avevano preso un’angolazione più retta, gli avambracci parzialmente poggiati sul suo petto e le falangi intrecciate dietro il collo; i capelli sfregavano contro il mento ma Bakugou non se ne curò, semmai sfruttò come base d’appoggio la testa di Midoriya.

Dunque si ritrovavano così aggrovigliati, in quel mezzo abbraccio con Izuku tutto contenuto e sembrava più piccolo di quanto non fosse, immobile e sereno sorretto dal corpo del compagno, mentre Katsuki era indaffarato con la preparazione della bevanda calda. La quale, in realtà, era stata un suggerimento di Izuku stesso, l’arrivo della fornitura da parte di Keigo era stato un caso del tutto fortuito e che il portatore di One For All non aveva potuto interpretare se non come un segno del destino. Bakugou, chiaramente, aveva storto la bocca nel pieno della contrarietà, memore del sapore fin troppo dolce per i suoi gusti nonostante il cioccolato amaro per bilanciarne il gradimento; a convincerlo, oltre alla faccia entusiasta del nerd da strapazzo, era stato il ricordo delle labbra colorate dal cioccolato e delle quali si era domandato di cosa sapessero, o a che sapore le avrebbe accostate, se le avesse baciate dopo la cioccolata.

Ignaro di quanto Midoriya stesso fosse stato avvinto da quell’onda di pensiero.

Quest’ultimo domandò, strofinando la guancia contro il petto di Katsuki senza rendersene davvero conto; semplicemente stava comodo e voleva approfittarne, «Vado a prendere quello fondente?».

Bakugou lo strinse per riflesso, anche lui non fece particolare caso al gesto; si erano resi entrambi conto, da quando avevano – più o meno? – portato la loro bizzarra e travagliata relazione a un altro livello, di quanto naturale gli risultasse stare così vicini, neanche l’ombra di un fastidio. Midoriya soprattutto si era sorpreso di come l’amico d’infanzia non si irritasse ai suoi ancora impacciati tentativi di contatto, al contrario dove la mano di Izuku si fermava, esitante, quella di Bakugou arrivava a colmare la distanza residua. Ed erano passati un paio di giorni, nonostante ciò era come se avessero inconsciamente atteso tanto di poter agire in quel modo, desiderato da chissà quanto, prima ancora di realizzarlo davvero, che una volta ottenuto l’implicito via libera avevano finito con l’assecondare quell’istinto ed era stato così spontaneo da non intaccare in alcun modo la loro quiete giornaliera.

Se non per quel battito sempre un po’ più accelerato, non più una cacofonia indistinta bensì l’armonia dell’accordo finalmente trovato, appeso ed espresso all’unisono.

«Ancora un attimo e il latte è pronto, razza di pecorella che non sei altro» rispose Katsuki dopo qualche istante; Izuku dabbasso lo fulminò col tentativo, fallimentare, di intimargli di smetterla con quella battuta, non si aspettava di certo il cappellino natalizio gli rimanesse indifferente per sempre ma era dalla fine del loro appuntamento, in un messaggio di buonanotte – per il quale Midoriya era quasi morto – accompagnato dall’emoji dell’ovino, che non gli dava tregua.

«Kacchan!».

«Deku».

«Se continui a chiamarmi in quel modo allora anch’io ti darò del volpino di Pomerania!».

Midoriya gongolò interiormente sentendolo irrigidirsi e poté intravedere il fastidio misto a sconcerto del compagno al solo ricordo della bestiola in questione a lui associata, ma durò poco perché quello ribatté sbruffone: «È troppo lungo perché non ti stanchi di chiamarmici dopo, al massimo, un paio di volte».

Innegabile, si era stancato già nel dirlo quella singola volta, figurarsi ripeterlo al punto da tormentarlo. Non che a Katsuki servisse chissà che ripetizione per sforare nell’isteria e intolleranza più assoluta, tuttavia era una battaglia persa.

Se non fosse stato per la lana che avrebbe rischiato di ritrovarsi in bocca, probabilmente lo avrebbe morso proprio lì, dov’era poggiato, al centro del petto – qualcosa di pericoloso suggerì a Midoriya quanto non fosse poi detto l’altro non avrebbe gradito, o peggio, avrebbe addirittura ricambiato e col doppio dell’intenzione.

Inoltre, piccolo e impertinente un pensiero si incastrò nella lingua di Izuku, il quale tornò a rannicchiarsi contro Bakugou mentre quello diceva qualcosa sul latte ora davvero pronto, borbottando più tra sé che con l’intenzione di essere sentito.

«Non è che non avresti altri modo in cui chiamarmi a parte quello…».

«Ah?» ricevette in risposta «Hai detto qualcosa?».

Izuku si limitò a scuotere la testa, cambiò invece la traiettoria del discorso.

«È pronto?».

Katsuki annuì «Vai a prendere la cioccolata, se ci arrivi».

«Certo che ci arrivo!».

Un po’ sulle punte, davanti lo stipetto dove era stata riposta la variante amara, al riparo dallo sguardo potenzialmente indagatore di Bakugou, Midoriya pensò sarebbe stato bello, per una volta, se lo avesse chiamato per nome.
 

«Non c’è verso».

«Non ti piace?».

«Fa vomitare».

Izuku lo guardò rammaricato, poi fissò il contenuto della propria tazza e infine ne sorseggiò ancora, come per confermare il proprio parere: gli piaceva eccome, molto più di quella al caramello mou assaggiata dai Todoroki, nonostante vi fosse dello zucchero la prevalenza della cioccolata fondente sovrastava il rischio di sfociare nello stucchevole.

Ripensando a quel giorno, sentì le orecchie andare rapide a fuoco, dunque gettò un’occhiata di sottecchi al compagno, il quale teneva la lingua di fuori come manifestazione del proprio disgusto, anche se continuava a bere la bevanda a priori da quel contrasto.

Midoriya pensò che avrebbe davvero voluto baciarlo, adesso che aveva il permesso di farlo, perché il tarlo di quel dubbio non era svanito neppure all’ovvia prospettiva che, in ogni caso, stavolta avrebbero avuto entrambi per certo lo stesso sapore e pertanto non ci sarebbe stata nessuna curiosità di distinzione da soddisfare. Izuku se ne fregò altamente, però, quando vide uno sbuffo di cioccolata al lato del labbro di Katsuki, ancora intento a maledire l’intruglio davanti a sé; l’erede di All Might ne approfittò, piano gli si avvicinò e mentre teneva la sua tazza con una mano l’altra era già andata sul braccio con cui Bakugou sorreggeva la propria, il quale lo fissò perplesso e forse anche un po’ infastidito, stavolta. Si trattò comunque di un’espressione passeggera, presto sostituita da una ben più sorpresa quando Izuku, in barba alle lamentele su quanto gli facesse male la bocca di qualche minuto prima, si era sporto e aveva posato con gentilezza le labbra sulle sue.

Katsuki lo aveva sentito suggere ed era stata la fine.

 

Sconfitto, senza fiato e con la bocca lucida e gonfia, Izuku si era accasciato contro il piano cottura della cucina dei Bakugou, il figlio soddisfatto e compiaciuto in piedi al suo fianco si asciugava il mento. Infine, chinatosi appena per essere all’altezza del lobo incandescente di Midoriya, i denti vicinissimi alla carne che di lì a poco avrebbe saggiato, col tono del peggior infame mormorò:

«Cerca di non farti prendere la mano, dannato nerd, o ti prendo per tutto il braccio».

Izuku dovette aggrapparsi al bordo del bancone.

Hawks-san, pensò in un residuo spiraglio di lucidità, il sapore amaro della cioccolata l’unica cosa che riuscisse a percepire per davvero, ho forse fatto una sciocchezza?


 

Le piume di Keigo vibrarono, scosse da un presentimento; il naso stesso pizzicò, la sensazione di uno starnuto prossimo a sfogarsi benché sperasse di no, ancora intento a riprendere fiato, il petto sconquassato dall’appagamento e la luce irradiata dalle fiamme del camino come unica illuminazione nella stanza in penombra.

«Enji-san» disse quando fu in grado di articolare il pensiero nella maniera più comprensibile possibile «Non avresti voglia di cioccolata calda?».

Endeavor, dalla sua posizione sovrastante, gli rivolse un sopracciglio inarcato e la tipica espressione incolore, tutt’al più era possibile leggervi una punta basita di rassegnazione, un misto tra il cercare di capire da dove venisse quella voglia improvvisa e il lasciar perdere anche solo l’idea di porre davvero l’interrogativo. Recuperò piuttosto una scatola sul comodino sotto lo sguardo rapace del fidanzato, che divaricò le cosce senza neanche rifletterci; Enji vi si posizionò in mezzo con la medesima naturalezza, piegandosi in avanti per raggiungere il viso di Keigo e bearsi del gemito che gli strappò quando gli fu dentro una seconda volta.

«Dopo» accondiscese, i fianchi scattarono in avanti, contro il bacino di Hawks che si muoveva verso di lui; dal ghigno sul suo volto si liberò la provocazione: «Se sarai ancora sveglio».



 


 

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Capitolo 24
*** #24. Family Dinner ***


Bonsoir!
Questa versione del prompt è pure dell'ultimo minuto, avevo pensato altro ma credo questa sia la più giusta, data la conclusione che va data a questo circolo. Stavo cercando cosa mangiassero i giapponesi a Natale, ho trovato sul sito alimentipedia (o simili ??) che spesso vadano addirittura al fast food a mangiare pollo fritto, proprio come usanza, e che abbiano la torta di Natale. Quindi qui è tutto più... casalingo, insomma ?? Ho scoperto pure che non hanno vacanze natalizie, al massimo c'è una specie di pausa per la fine dell'anno, mi pare, del resto nel manga stanno in sala comune... facciamoci andare bene questa piccola variante alternativa, magari in futuro ne verrà fuori altro con loro all'U.A.! Breve? Non lo è? Lo è? Ho cercato di mettere due frasi in fila mentre in sottofondo c'era la tv più forte dei miei pensieir (inserire faccia isterica), ma forse semplicemente siamo agli sgoccioli e non riesco ad aggiungere nulla di più, in ogni caso forzare la mano non servirebbe quindi va bene così~ mi spiace solo non sia granché intrattenente? E che lo spaizo mi sia finito tutto su... un duo specifico. Però sto partendo per questa tangente e la raccolta me ne ha dato la conferma... ops pt.2373823963.
Anyway!! Penultimo giorno di ringraziamenti, stavolta conditi da un augurio di buona Vigilia (ormai finita... VBB), spero l'abbiate passate il più serenamente possibile. 
🤍❤️💛
Ci vediamo domani con l'ultimo capitolo (...ç__ç) dove gli ultimi nodini verranno finalmente al pettine!! Buona lettura!


 

 

-24: Family Dinner
 

«Shouto-kun, potresti passarmi il sale?».

Todoroki sobbalzò appena, con compostezza, dunque annuì all’indirizzo dell’eroe alato e recuperò la boccetta alla sua sinistra; Keigo si accorse, quando gliela passò, di come il più giovane sembrasse in trepidante attesa, il naso spesso agitato mentre annusava l’aria per catturare quanto più possibile l’odore della frittura. Gli sfuggì lo sbuffo di una risata, il suono graffiato nel tentativo di trattenerla il più possibile e non lasciarla trapelare alle orecchie curiose e attente di Shouto, il quale però non mancò di notarlo comunque.

«Ho fatto qualcosa di strano?».

Takami batté le ali, ridotte di molto per non risultare troppo ingombranti nella cucina insolitamente affollata, Fuyumi dietro di lui soprattutto continuava ad andare avanti e indietro per recuperare l’occorrente da tavola, a sua volta seguita da un poco convinto Natsuo la cui espressione tradiva, semmai, l’emanazione continua di vibrazioni di scocciatura. Tuttavia non si opponeva alla sorella, sparendo con lei verso la sala da pranzo a più riprese, il massimo di contrarietà scivolava dalla smorfia del terzogenito qualora incrociasse Endeavor in corridoio: la situazione tra loro si era di certo appianata, tanto che Natsuo non si era opposto quando gli era stato comunicato l’invito per la Vigilia a casa del padre e del suo compagno, aveva persino partecipato – indotto dall’iniziativa di Fuyumi, pur sempre un passo avanti – al regalo, lasciato sotto l’albero decorato in rosso e oro, vi era ancora però un margine notevole sulle loro divergenze. Enji non osava far nulla di pressante per appianarla, Natsuo sembrava far del suo meglio per dargli un’occasione, come l’essere lì presente e, nonostante tutto, non completamente avverso. E tanto bastava.

Lo vedeva negli occhi di Enji, Keigo, come brillassero di un triste sollievo, mantenendosi lontano dai figli per dar loro il dovuto spazio ma felice di essere in qualche modo comunque in grado di passare una cena con loro.

Alle sue spalle, il trillo sconosciuto della notifica di un messaggio attirò la sua attenzione e Takami, nel voltarsi, si accorse provenisse dal telefono che Shouto teneva in mano, il sorriso dolce e leggero che Hawks associò alla morbida caduta delle proprie piume, l’attimo prima di richiamarle a sé; qualcosa di rasserenante, caloroso, come l’affetto palpabile nello sguardo socchiuso del ragazzo.

Poi, con un ghigno malizioso pur mantenendo un velo di gentilezza, domandò: «Scambi messaggini con la persona che ti piace?».

Shouto sollevò gli occhi di scatto, dallo schermo a quelli di Keigo, un po’ sgranati e ciononostante privi dell’agitazione tipica di un adolescente colto in flagrante – Tokoyami aveva rizzato tutte le piume sul collo e per poco non lo aveva aggredito con Dark Shadow, aveva ancora gli incubi al sol ricordo e da allora gli era del tutto passata la voglia di prenderlo in giro – quasi fosse solo sorpreso dalla domanda in sé per sé, non dal suo contenuto frivolo nello specifico. Difatti chiese a sua volta: «Davvero vuoi saperlo?».

Il genuino stupore, speziato di un tocco di aspettativa, fu evidente, ben nitido nella voce del più piccolo dei Todoroki, tanto che Hawks pensò fosse un po’ troppo, alla stregua di una reazione dinanzi a una novità assoluta. Nessuno glielo aveva mai chiesto o era lui a non averne mai parlato con altri? Pensò a Endeavor davanti a uno dei suoi figli, preso dai loro discorsi in termini amorosi e completamente perso nel mare d’imbarazzo genitoriale, conscio di quanto persino nei propri affari fosse impacciato all’inverosimile; una personalità così goffa, quando c’era di mezzo l’amore, Takami ridacchiò di nascosto solo a immaginarlo, agitato e nella confusione più totale mentre cercava i consigli più efficaci da sciorinare con finta saggezza. Quando in realtà era il primo a non capirci un accidenti.

Tornando a Shouto, gli si avvicinò e «Beh, se vuoi dirmelo, o» lo sgomitò, ammiccante e col mezzo ghigno in bella mostra «se vuoi qualche consiglio, Hawks è a tua disposizione».

Il ragazzo dal doppio quirk parve soppesare sul serio l’offerta, era chiaro non avesse colto affatto neppure il minimo intento scherzoso o sbeffeggiante nell’adulto, sembrò piuttosto ben disposto a confidarsi e Keigo dovette trattenersi dall’assecondare l’mpulso di strapparsi perlomeno un paio di piume, un gesto di ammenda per il disonesto scopo iniziale. A soverchiare il masochistico pensiero fu la tenerezza conseguente all’annuire di Shouto, che sembrò così giovane quando cercò qualcosa sul telefono, il dito scorreva in fretta sullo schermo, finché non lo trovò e, selezionato, lo mostrò all’altro.

Intanto Keigo aveva preso un bicchiere d’acqua, accaldato dalla frittura, poi si girò attirato dalla foto sullo smartphone: un ragazzone occupava appieno lo spazio rettangolare digitale, il sorriso a trentadue denti e le dita sollevate in segno di vittoria, il capo coperto da un cappellino natalizio e sotto al quale si poteva intravedere il taglio corto di capelli scuri.

L’eroe batté le palpebre nel modo più discreto possibile, suo malgrado sorpreso.

Pensò alla propria situazione e fece spallucce, sorridendo a occhi socchiusi mentre sospirava.

Gli opposti si attraggono, immagino.

«Quindi è lui il tuo ragazzo?».

Ancora una volta la sincera naturalezza di Shouto lo stupì quando questi confermò con un semplice , monocorde ma non meno convinto per questo. Anzi, Hawks interpretò quella certezza come la base promettente di un sentimento tanto intenso quanto difficile da custodire, una simile spontaneità non avrebbe potuto che giovare.

Gli diede una pacca sulla schiena, forte abbastanza da farlo sbilanciare in avanti, le labbra sollevate dalla piega rallegrata, poi si rigirò verso i fornelli attirato dallo scoppiettio un po’ troppo sinistro dell’olio bollente, dunque lanciò a Shouto un grembiule e con la stessa espressione allietata lo incitò «Dammi una mano che abbiamo quasi finito, intanto raccontami di questo» si allungò per controllare il nome su LINE associato all’immagine «Inasa Yoarashi».

A giudicare da come si illuminò il viso di Shouto, doveva aver gradito la proposta, tant’è che indossò il grembiule in fretta e, deliziato dal profumo del cibo, si avvicinò. Non fu molto esaustivo, quanto più diretto e conciso, senza perdersi in troppe chiacchiere, tuttavia i minuti passarono in fretta sotto le domande incalzanti ma coinvolte di Keigo e le risposte puntuali e presenti, mai negate né dubbiose, salvo qualche particolare di cui Shouto sembrava non essere ancora a conoscenza – qualcosa sulle basi conquistate che Takami aveva scherzosamente gettato nella conversazione; nessuno dei due se ne accorse, fin quando Fuyumi non andò a chiamarli per far loro presente, qualora avessero finito, anche la tavola fosse pronta.

 

Fuyumi era stata deliziosa, degna partner di chiacchiere vivaci, gli aveva persino chiesto dei consigli sul come preparare questa e quella pietanza e Hawks aveva risposto a tutto, incastrando qualche battuta che la ragazza aveva apprezzato e ribattuto a sua volta; Natsuo stesso si era aggregato, a un certo punto, quando l’argomento ragazzo di Shouto era tornato a galla durante la cena. Keigo per poco non si era strozzato nel vedere quanto Enji, accanto a lui, si fosse irrigidito, a sua volta pareva gli stesse per andare l’acqua di traverso, chiaramente non preparato all’argomento, pertanto aveva continuato a bere con una punta d’imbarazzo ben leggibile sul volto maturo. Persino il tentativo di dissimulare non era andato a buon fine.

La scoccata finale, per cui Keigo non era riuscito più a trattenersi ed era scoppiato a ridere una volta per tutte dopo un primo momento di sgomento assoluto, gliel’aveva data la nuova informazione offerta da Shouto, secondo la quale questo Inasa era addirittura un fan di Endeavor.

L’odore di fritto gli si era impregnato addosso, lo sentiva eccome, ma più forte ancora erano le voci delle persone accanto a lui, la tavolata piena e viva, calda, dove un posto era stato riservato per lui la Vigilia di Natale. E, anche stavolta, tanto bastava.

 

Quando la porta di casa si richiuse, i ragazzi usciti per tornare alla loro, Keigo si voltò verso l’interno della dimora e gli parve più grande. Almeno fin quando Endeavor non comparì di nuovo, allontanatosi per finire di pulire gli ultimi piatti rimasti, riempiendo la cornice costituita dall’infisso che affacciava sul soggiorno, uno strofinaccio tra le mani nel quale se le asciugava.

Takami si rilassò, le sopracciglia corrugate ma con un sorriso sulle labbra, dopodiché avanzò quasi trascinando i piedi in terra, le energie venute meno mentre le piume tornavano al loro posto e le ali riassumevano la propria grandezza; più appesantito dal loro peso, si sentì paradossalmente leggero e confortato.

Il fidanzato lo guardò con un cipiglio perplesso, al che posò lo strofinaccio sul primo mobile a disposizione così le grandi mani ora libere si posarono sul viso dell’altro, strofinando delicatamente la pelle sugli zigomi; la voce profonda colmò il silenzio: «Sei stanco?».

Il falco assecondò la carezza, il volto si mosse per istinto verso quella blandizia e a sua volta le proprie mani si sollevarono per aggrapparsi ai polsi di Enji, la fronte si rilassò visibilmente e rilasciò un sospiro più rilassato; mugolò di apprezzamento quando il contatto si spostò appena sotto gli occhi, laddove la sensazione di stanchezza si era accovacciata maggiormente. Era raro l’eroe di fuoco lo approcciasse in quel modo, sebbene fosse sempre piuttosto attento ai suoi bisogni, limitato dalla propria incertezza sul come affrontare certe situazioni e vergognoso nei confronti di quegli attimi di tenerezza, per privati che fossero.

«Sai, Enji-san» iniziò Keigo, le braccia conserte, al sicuro tra il proprio e il petto di Endeavor, mentre si accasciava dolcemente contro il corpo di quest’ultimo, infine socchiuse gli occhi e il tono gli uscì leggero dalla bocca inespressiva, come se stesse confidandogli un segreto «Non ho mai avuto una famiglia, non davvero» fece una pausa, il respiro dell’altro e le mani ora posate sui propri fianchi lo rassicurarono, sapevano di solidità, concretezza. Poi riprese: «In un certo senso, non sei riuscito ad averla nemmeno tu. Oggi ho visto che forse non lo siamo completamente, mi sa è proprio certo, a dire il vero, però siamo stati in grado di fare qualcosa del genere. Di sembrare una famiglia».

La parola scivolò agrodolce sulla lingua, ogni sillaba dal sapore distinto, come un piatto prelibato assaggiato per la prima volta. Sorrise un poco quando, premuto contro il petto di Enji, sentì il battito del compagno aumentare, anche se non avrebbe saputo dire quale emozione nello specifico lo avesse smosso.

Si sentì loquace abbastanza da azzardare un’aggiunta, nonostante la fiacchezza nell’esprimere le parole le caricò quanto possibile di intenzione – e amore: «Grazie, Enji-san. Per avermi permesso di vivere questo» e districò un braccio, l’altro ancora stretto in vita, per poter sollevare e agitare un dito, indicando il circostante; la loro casa.

L’altro eroe non disse ancora nulla, per un attimo gli era parso di sentirgli trattenere il fiato, tuttavia sapeva quanto non fosse a suo agio in momenti come quello, di conseguenza si allontanò con quanta più naturalezza possibile e allo stesso modo ostentò un sorriso, ridendo nervoso mentre lo superava, diretto alla cucina «Ah, ma cos’è questa serietà, voglio un po’ di torta-».

La presa di Enji, circondandolo nuovamente da dietro, lo sorprese, ancor di più fu intensa abbastanza la sensazione del viso dell’uomo più grande sfregato contro le piume, un gesto dedicato a momenti specifici e per il quale Hawks non era mai stato in grado di frenarsi dal tremare.

Quando fu l’eroe di fuoco a parlare, stavolta, a voce altrettanto bassa ma ricca di fermezza e forza, Keigo dovette affidarsi all’equilibrio delle proprie ali per mantenersi su.

«Se non fosse stato per te» iniziò, marcando sulle ultime due parole «oggi non avrei avuto niente di tutto questo. I miei figli stanno credendo in me e mi stanno dando un’occasione per avere una famiglia, ma io ho creduto in me perché ti ho avuto accanto» confidò ancora, ogni lettera ricalcata dal sentimento per il compagno, e Keigo percepì persino la più piccola pausa come frastornante e rovente contro le orecchie e infranta, sotto forma di fiato, sulle proprie piume. Endeavor posò le labbra su una manciata di esse, non un vero bacio, nessuna pressione eccessiva, ma li si fermarono e sulle stesse pronunciò: «Sono io a doverti ringraziare».

Sei un orso di peluche, altroché brontolò Takami tra sé, la bocca stretta per non lasciarsi sfuggire alcun singhiozzo compromettente, piuttosto deglutì il groppo in gola e ricacciò indietro l’accenno di lacrime, dandosi ancora mentalmente dell’imbecille perché non era di certo il momento per quegli inutili discorsi sentimentali, e che se davvero era arrivato a farsi consolare da uno più incapace di se stesso in certi ambiti era sul serio alla frutta.

Specie se quella consapevolezza lo aveva fatto sentire libero e protetto come solo l’essere in volo era in grado di concedergli una simile sensazione.

Infine si voltò, il sorriso stavolta più sincero, gli occhi comunque un po’ rossi ma Enji non si espresse; portò le braccia al collo del fidanzato, le ali appena in movimento, per poi proporre, l’allusione tra il serio e il faceto:

«Neh, Enji-san. È mezzanotte, scartiamo i nostri regali?».


 

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Capitolo 25
*** #25. Christmas Morning and I really hope you like your present(s) ***


Bonsoir, per l'ultima sera ufficiale. ❤ 
Del capitolo che segue ho da dire solo tre cosine: 1. ho cercato di mantenermi quanto più IC possibile, penso di aver comunque sforato nell'OOC ma spero non sia fastidioso (io ne sono sensibilissima quindi mi dispiacerebbe skhfskhf); 2. la scritta nel regalo finale è ispirata a uno che ho ricevuto io stessa per questo Natale, che mi ha sinceramente portato alle lacrime per [vedi giù]. Il suo aspetto, insomma, ultimamente sono una piagnona; 3. lo avevo già detto prima ma ribadisco che tutto ciò è ambientato all'inizio del secondo anno, non posso ampliare qua sopra perché direi spoiler per chi non segue il manga ma (a parte una cosa che è di mia invenzione, non è ancora successa nel canon) quanto viene sotto si snoda partendo dal presupposto che una determinata svolta sia già bella che avvenuta, non solo dietro le quinte. Non l'ho esplicitato nel testo appunto per evitare spoiler, lo specifico qui vagamente. Per il resto, mi fa strano vidimare il Completa, non mi succede da anni per quanto riguarda le fanfiction a più capitoli e dico in tutta sincerità, non mi aspettavo né di finire né di riuscire a iniziare di tutto principio questa raccolta, sono contenta però di esserci riuscita, a prescindere dall'insoddisfazione cronica, per me è stato un enorme passo avanti. Non sempre sono riuscita a dare del mio meglio, probabilmente nemmeno oggi, avrei voluto dire altro ma mi sono ritrovata a voler dire troppo e questo angolo qua sotto stava già diventando /troppo/ serio, quindi mi sono fermata così. Ho capito di aver sbloccato una porta durante la scrittura di questa raccolta :') Mi ha tenuto comunque compagnia, anche quando di voglia di mettermi a scrivere non ne avevo affatto (molto spesso) e spero sia stato altrettanto per voi che l'avete seguita e letta, a prescindere dal momento o dalla costanza.
Grazie a chiunque abbia aperto, letto e apprezzato la raccolta, spero abbiate passato un Buon Natale a priori da quanto non proprio buono sia il periodo che stiamo vivendo. Grazie di cuore per il supporto, le mie parole erano nei capitoli ma le vostre mi hanno aiutato a scriverli. 
 Dunque, in conclusione e per l'ultima volta, buona lettura  
❤️(🧡)💚.


 

-25: Christmas Morning and I really hope you like your present(s)
 

A svegliarlo era stata la carezza di Inko tra i capelli, un bacio soffice posato sulla fronte mentre Izuku si stiracchiava sotto le coperte pesanti; nella mano libera, la donna teneva un pacchetto regalo dalla graziosa fantasia, la coccarda variopinta riportava i colori primari con una parte bianca al centro.

Il figlio sorrise, le braccia sgusciarono dal caldo giaciglio per sollevarsi e andare incontro alla madre, cingendola in un abbraccio di buongiorno e grato. A sua volta Inko ricambiò, il palmo scivolava leggero e dolce contro la sua schiena, dopodiché recuperò il piccolo oggetto che Midoriya aveva recuperato qualche giorno addietro, in quel primo dì volto alle compere natalizie insieme a Bakugou: la lanterna decorativa, di minute dimensioni, sembrava ancor più ridotta dopo tutto quel tempo.

«Grazie, tesoro» mormorò con tenerezza la madre, spostandosi un poco quando Izuku fece per scendere dal letto, dunque indicò il pacchetto dato al figlio «È anche da parte di papà, più tardi ti farà una chiamata. Non ti ho avvisato prima, quando era al telefono con me, perché era ancora troppo presto e dormivi così bene…».

Izuku scosse il capo e le sorrise rassicurante «Va benissimo, ieri sera mi sono addormentato un po’ tardi quindi è probabile non mi sarei nemmeno alzato davvero, nel pomeriggio proverò a chiamarlo io».

Inko annuì, diede un’ulteriore carezza alla guancia lentigginosa del figlio, poi si voltò per dirigersi verso il corridoio «La colazione è pronta, ti aspetto di là!» al quale l’altro replicò col medesimo cenno d’assenso.

Quando la madre fu del tutto fuori dalla stanza e lontana abbastanza, l’erede di All Might si abbandonò ancora contro il materasso a braccia aperte, gli occhi chiusi con stanchezza per la notte di fatto passata in bianco, la ragione semplice e chiara, fin troppo forse: il regalo di Katsuki giaceva custodito all’interno del proprio cassetto, sopra i quaderni di appunti accumulati negli anni. Vi rivolse uno sguardo, senza levarsi dalla posizione stesa, un’occhiata un po’ infelice e preoccupata al contempo, sebbene il cuore continuasse a ripetergli quanto in realtà fosse tutt’altro che necessaria quell’onda di ansia c’era il tarlo costante, memore dei trascorsi nel periodo natalizio, la destinazione dei regali non andata mai a buon fine. Alcune volte si era chiesto persino che fine avessero fatto i pacchetti consegnati a casa Bakugou, lasciati sullo zerbino d’ingresso in fretta per poi defilarsi altrettanto rapido, alla stregua di un ladro incapace di portare a termine il crimine. Era certo li avesse gettati o dimenticati fuori, fin quando non fossero diventati un fastidio per l’entrata e il passaggio stesso.

Non c’era nulla di così criminale o sbagliato, Midoriya lo sapeva, così come non era affatto pentito di nessuno di quei regali andati a vuoto, perché erano il modo più innocente e sincero insieme col quale, da bambino fino alla prima adolescenza, aveva cercato di dimostrare il proprio affetto per l’amico d’infanzia. Il ricordo del rifiuto era però tanto vivido quanto doloroso, inevitabile era l’associazione a quanto seguito e permaso fino a pochi mesi prima, a conti fatti; Katsuki aveva dimostrato di essere cambiato, avviato verso un principio di miglioramento personale e, soprattutto aveva notato, nei suoi confronti. A priori dall’evoluzione intima del loro rapporto, suggerì una vocina maliziosa nella sua testa, la quale fu prontamente scacciata da una mano sventolante, il viso di Izuku contrito e sulla via del rossore per l’imbarazzo.

Si rimise a sedere con uno scatto e subito dopo passò all’alzarsi vero e proprio, l’espressione più convinta e determinata mentre si ripeteva quanto dovesse mantenere il controllo sulla situazione e la paranoia di ricadere in un circolo che nessuno dei due, Bakugou primo fra loro, aveva intenzione di riavviare.

Il punto a presentarsi premente, difatti, era: quale intenzione stava alla base di quella relazione? Qual era la direzione l’altro voleva prendessero in quel rapporto ancora impacciato e all’inizio dello stesso accenno? C’era una relazione? Si disse di sì, che non poteva essere altrimenti, ma c’era ancora dell’esitazione, il freno precauzionale del non detto.

Andò a fare colazione, dissimulando il turbine di pensieri molesti davanti a Inko, mangiando la fetta di pane tostato e preparandosi poi come se nulla fosse.

Il telefono squillò, stavolta; nessuna notifica di messaggio – che, tra l’altro, aveva di fatto personalizzato, tanto che Midoriya fraintese per un attimo l’entità del suono essendo il medesimo associato all’applicazione di messaggistica, dunque afferrò lo smartphone e rischiò di farlo cadere un paio di volte quando vide affacciarsi la schermata di chiamata in arrivo.

Il “Kacchan” nero su bianco si fissò sulla parte superiore del telefono, quasi con tracotanza, pensò scioccamente Izuku, nel mentre deglutì un rumoroso boccone di agitazione, infine il dito scorse sull’icona di risposta.

«Pron-».

«Quanto avevi intenzione di farmi aspettare?!» giunse forte il tono irritato di Bakugou dall’altoparlante, per un momento ebbe paura di vederlo uscire dai piccoli fori per urlargli addosso; provò a replicare, rannicchiato su se stesso per la voce alta improvvisa, quando l’altro riprese a parlare, stavolta più pacato «Hai da fare?».

Midoriya guardò l’orologio, l’ora ancora piuttosto mattiniera nonostante si fosse alzato molto più tardi del solito, sicché chiese con fare non poco titubante «No… perché?».

«Vieni qui».

L’erede di All Might sbatté le palpebre, interdetto dal tono perentorio benché tinto di calma e condiscendenza, quasi fosse ben disposto ad accettare una risposta contraria ma comunque non intenzionato a ritrattare. Non che Izuku avesse ragione di tirarsi indietro o rifiutare, gli parve però strano l’invito di tutto punto, senza contare che non si recava a casa Bakugou per Natale da un po’; la fitta di malinconia tornò a pungolare al centro del petto, una smorfia si fece protagonista dei tratti del ragazzo. Poi si pizzicò una guancia con la mano libera, di nuovo si rimproverò tra sé per l’inutile sovrappensiero, così confermò l’invito – suggerimento forzato – e andò a comunicarlo a Inko. Prima ancora di avvicinarsi all’uscio si soffermò però nella propria camera, esitò davanti il comò accanto al letto; il cassetto custodente il regalo di quell’anno, il primo dopo anni di vuoto, sembrava così lontano dalla portata della sua mano.

Schiaffò entrambe le mani sulle guance, dunque allungò il braccio verso il pomello del mobile che scorse morbido e fluido sotto il leggero tirare, rivelando il pacchetto. Respirò a fondo e finalmente lo afferrò e se lo rigirò tra le mani per qualche istante, dopodiché lo ripose nella tasca del parka e si diresse in definitiva verso l’ingresso.

Ho sconfitto il peggior villain della storia, si ripeté per tutto il tragitto, non posso perdere contro un Natale.



Suonare il campanello sembrò terribilmente difficile, lo sforzo di pigiare il polpastrello contro il bottone un’impresa titanica e, una volta premuto, l’acuto campanello suonò come il segnale d’inizio lotta.

All Might mi prenderebbe a schiaffi se fosse nella mia testa.

La porta si aprì quasi nell’immediato, trascinata in dentro da un apparentemente scocciato Bakugou; Midoriya aveva imparato fosse la sua espressione tipica, quanto più neutrale l’altro fosse in grado di assumerne, dunque non si fece trattenere dall’indecisione quando il padrone di casa, salutato l’ospite con un gesto sbrigativo del capo, si spostò per farlo entrare.

Era quell’atteggiamento ancora sporcato da una freddezza incomprensibile, che nutriva i dubbi di Izuku, come se non fosse successo nulla o bastasse davvero poco perché il compagno si stancasse, a rincuorarlo fu la consapevolezza l’invito fosse venuto in via del tutto spontanea dall’altro, o almeno questo era quello che gli era parso nonostante la rapidità un po’ asettica col quale era stato posto.

«Andiamo in camera mia» disse Katsuki una volta chiusa la porta alle sue spalle, superandolo per dirigersi al piano superiore – forse pensava non ricordasse l’ubicazione della sua stanza, in realtà Izuku non lo aveva mai dimenticato, il ricordo rinvigorito negli anni dal fantasticare di farvi ritorno, prima o poi, una volta appianata l’incomprensione venutati a creare un pomeriggio qualsiasi della loro infanzia.

Superarono il soggiorno, la testa bionda e scompigliata di Mitsuki si affacciò dall’arco opposto, cornice della cucina «Midoriya-kun, quanto tempo!».

Midoriya si fermò, le mani congiunte prontamente in basso mentre si inchinava «Buon Natale, Mitsuki-san».

«Ti fermi a pranzo da noi?».

«Non-».

Il braccio fu tirato indietro da una salda presa su di esso, Izuku guardò con sgomento la faccia irritata di Katsuki, il quale era però rivolto alla madre «Non si ferma, devo solo mostrargli una cosa».

Il ragazzo in questione non poté fare a meno di provare una briciola di dispiacere e delusione a quel diniego così rapido, confermato senza il suo consenso o l’aver davvero tenuto in considerazione l’eventuale risposta, perché era vero non sarebbe rimasto, Inko lo aspettava e non voleva lasciarla sola quindi avrebbe declinato da sé, il fatto che Katsuki lo avesse dato per scontato gli aveva tuttavia dato come l’impressione non volesse.

Sto pensando troppo di nuovo, cercò di convincersi.

La signora Bakugou aveva ripreso in qualche modo il figlio, Midoriya si era distratto e non aveva seguito il filo del discorso, difatti riprese il senso della realtà circostante solo quando il ragazzo lo tirò ancora una volta, un po’ più gentilmente ma sempre con fare brusco, su per le scale.

Una volta salito, la stanza di Katsuki si mostrò pressoché come la ricordava, la disposizione dei mobili non aveva subito particolari modifiche se non per la scrivania, situata contro il muro opposto, dove la luce proveniente dal balcone si poggiava con più facilita e conferiva un’illuminazione naturale per più tempo. Midoriya notò un piccolo albero di Natale pressoché sul bordo del mobile, le decorazioni già incollate sul materiale sintetico mentre il filo di una spina lasciava intendere potesse essere usata come una lampada. Il futon era invece messo da parte, dunque il centro della camera risultava spazioso nonostante gli attrezzi coi quali, immaginò, Katsuki si allenasse quando era a casa e i libri riposti ordinati su due librerie ampie e unite.

Alle sue spalle, accanto all’entrata, notò Izuku nel voltarsi, spinto dalla curiosità di rimpossessarsi della confidenza passata con quell’ambiente, un grosso armadio con anta scorrevole era probabilmente fissato alla parete; ricordava anche quello, per tutte le volte in cui vi avevano giocato da piccoli, sfruttato come base segreta o nascondiglio dei nemici.

Il profumo dolce di mandorle tutt’intorno ebbe del confortante, il petto si rasserenò quasi per istinto, circondato dall’odore tipico di Bakugou, immutato e familiare, una certezza che sapeva di rassicurazione.

«Siediti dove vuoi» esordì Katsuki a un certo punto, lanciando un paio di cuscini in terra. Midoriya ne recuperò uno ringraziando a bassa voce, dunque vi si inginocchiò sopra, le mani chiusi in pugni sulle cosce.

Lo sentì trafficare dietro di sé, il fruscio dello scorrevole del guardaroba e un conseguente rimestare lasciarono intendere stesse recuperando qualcosa, tuttavia non si voltò pur incuriosito e tentato, l’agitazione sempre presente come un sottinteso indimenticabile.

Qualche attimo dopo l’anta schioccò contro il bordo dell’armadio, leggera eppure abbastanza improvvisa da far sì Midoriya, teso, sobbalzasse sul posto. Cercò di non dar a vedere nessuna delle emozioni complicate da cui era assillato in quel momento quando Katsuki gli passò accanto, andandosi a sedere di fronte a lui.

Izuku trattenne il fiato nel constatare avesse un pacchetto tra le mani, l’aspetto inequivocabile di un regalo, con carta decorativa e fiocco al centro, non una coccarda prefabbricata ma un nastro lasciato passare per ogni lato della confezione e congiunto in mezzo, nel cuore dell’oggetto rettangolare e apparentemente piatto.

Deglutì ma il battito agitato sembrò rispedire indietro quel sorso d’ansia e aspettativa, formando un groppo mentre la scatolina nella propria tasca pareva all’improvviso divenuta di piombo.

Non può essere per me, asserì convinto, gli occhi tremuli puntati sulle dita di Katsuki e il loro giocherellare con gli spigoli del pacchetto, lo sguardo a prima vista neutrale e ciononostante Izuku riuscì a leggervi dell’apprensione, un pensiero bloccato nelle iridi color carminio, alla stregua di una forte indecisione, quasi non sapesse che fare.

Non… non è per me, vero?

Il nodo in gola si strinse, i bulbi iniziarono a presentare uno scomodo principio di pizzicore.

Rimasero in silenzio per un tempo che nessuno dei due sarebbe riuscito a quantificare, probabilmente per Midoriya ogni secondo pesava come ore.

La voce di Bakugou arrivò roca, come trattenuta da molto più di quanto sembrasse, anche se l’aveva sentita davvero pochi attimi prima, il timbro con la stonatura di una faticosa ma calibrata ammissione.

«Non so come comportarmi».

Izuku aggrottò la fronte, rafforzando la stretta delle mani senza rendersene conto. Parlava del regalo? Non sapeva come darglielo? Se davvero era lui il destinatario, ma perché?

Incapace di dire alcunché, oltre al non volerlo interrompere, aspettò l’altro riprendesse.

«Non so ancora come comportarmi con te» si corresse, l’attenzione degli occhi abbandonò il regalo in basso per sollevargli e concentrarli su quelli del compagno. «Ci sono delle cose che ho detto e altre che devo ancora dire. Cose che prescindono da quello che è successo» puntualizzò e Midoriya si accorse di aver tirato un interno sospiro di sollievo, liberato da quelle parole.

Bakugou tornò a guardare il pacchetto tra le proprie mani, dunque allungò il braccio nel gesto di porgerglielo, non sollevato abbastanza da raggiungerlo, quasi stesse a sua volta ancora esitando; ancora, la conferma di essere davvero lui il ricevente lo scombussolò, i pollici sfregavano contro le dita chiuse nei pugni, irrequiete, in qualche modo però la paura e l’apprensione avevano iniziato a sfumare sotto l’avanzare di quel discorso, che alle sue orecchie diventava sempre meno vago nonostante mancassero ancora delle parole per poterlo considerare concluso.

L’altro posò infine il pacchetto in terra, tra loro, la confusione sul viso di Izuku interrotta dal seguito, un singolo termine «Girati».

Izuku si irrigidì, sperò di poter ridere in un secondo momento di tutta quella tensione, ripensandoci più in là, gli pareva innaturale già così nel viverla; si girò comunque, piano e con le labbra strette, la fronte aggrottata tra l’interesse e il timore. Lento voltò il busto, bloccandosi in una posizione scomoda e tutt’altro che salutare per la propria schiena, congelato in quella torsione da quanto gli si presentava dinanzi.

Un mucchio di pacchetti, incartati goffamente e con carte sdrucite in più punti ma all’apparenza risultavano in ogni caso ben conservate, le fantasie familiari abbastanza da far sì delle lacrime si formassero agli angoli degli occhi senza che riuscisse a impedirselo, sopraffatto.

La voce gli uscì biascicata ma non gli importò «Quelli sono…».

«I tuoi regali per me».

Le spalle di Izuku sussultarono sotto un pesante singhiozzo, le prime gocce scesero lungo le guance arrossate. Le iridi correvano da una scatola all’altra, in una conta silenziosa e nostalgica che gli fece stringere il petto e sbloccò i ricordi del sé bambino intento a impacchettarli nonostante l’incapacità, allora aiutato da sua madre – solo in parte, perché era deciso a pensarci da solo.

Li ha tenuti.

Ne contò qualcuno di troppo, di primo acchito sembravano più nuovi.

Tirò sul col naso «Ce… ce ne sono molti di più…».

«Sono i miei per te».

Si voltò di scatto verso l’altro, gli occhi grandi e la vista sfocata dal pianto, nonostante ciò riuscì a intravedere l’espressione seria di Katsuki, le dita intrecciate tra loro nella stretta nervosa, specchio di quella di Izuku qualche istante prima.

Ancora una volta prese il pacchetto abbandonato in terra, sollevandolo a mezz’aria.

«Kacchan-».

«Se accetti questo» continuò, la voce calma pur avendolo subito interrotto, il bisogno di terminare il discorso piuttosto forte «significa mi darai ancora modo di capirlo, come comportarmi. Se non lo accetti, puoi fare ciò che vuoi di ognuno di quei pacchetti. Miei e tuoi».

Midoriya strinse la bocca tremula, il mento completamente raggrinzito per lo scoppio trattenuto a fatica, altrettanto non era in grado di fare con quanto scatenato al centro del petto, dove il cuore scalpitava, incastrato nella gabbia toracica per il sovraccarico emotivo; la mente affollata dal ripetersi continuo delle immagini dei pacchi alle sue spalle alternate alle parole di Bakugou, il significato del quadro complessivo e la risposta già conosciuta senza alcuna fatica per trovarla.

«Sei… veramente sleale, lo sai? Sì che lo sai, perché…» lo accusò, la bocca sporta in un broncio nonostante le lacrime ancora scendessero, comprenderne la natura adesso fu più difficile, se per il rimpianto dei tempi persi o per la contentezza di quella dichiarazione che non si sarebbe mai aspettato di ricevere, neanche dopo il netto miglioramento avvenuto tra loro nel corso degli ultimi mesi – e degli ultimi giorni, soprattutto. Un altro singhiozzo sfuggì involontario, risultato dell’ormai avviato sfogo, e forse fu per il fiume in piena dal quale si sentiva travolto in quel momento, quell’amore straboccante in ciascuna delle lacrime impossibili da fermare e così arrivò il coraggio di continuare e l’inusuale fiducia nel potersi permettere, adesso, di azzardare a confessare quanto tenuto nascosto fino ad allora, avvinto dalla sensazione di inadeguatezza e dubbiosità.

Piano, con le orecchie a fuoco, la faccia un disastro e la voce nasale, mentre la mano andò ad afferrare il pacchetto per portarlo al petto, disse: «Perché lo sai che mi piaci».

Da sempre rinforzò mentalmente, quello però preferì tenerlo per sé.

Al contrario di quanto si sarebbe aspettato, Katsuki non mostrò particolare sorpresa a quell’affermazione e un po’ Midoriya avrebbe voluto dargli del deficiente perché sembrava proprio stesse non reagendo in quanto già sicuro di ciò, come se gli avesse rivelato un’ovvietà e dunque non c’era ragione di sentirsene scalfito. Si sentì un imbecille lui stesso, mentre scartava il regalo in fretta, preso dal momento.

La copertina di un notebook verde e arancio comparve al di sotto della carta regalo, la scritta Hero Name dove di consueto avrebbe dovuto inserire il proprio nome e cognome, così com’era nei tanti quaderni di analisi ancora conservati o intatti in attesa di essere usati; in mezzo alla copertina svettava il simbolo della maschera di Izuku, il cappuccio con le orecchie da coniglio e la visiera.

Bakugou gli si avvicinò senza che se ne accorgesse, le lacrime scendevano più copiose e rischiarono di inumidire il quaderno sottostante, Katsuki perciò glielo sfilò con delicatezza e lo ripose accanto a loro, sostituendolo con un rametto familiare che strinse tra le mani di Izuku e le proprie.

Sollevandole in alto, la bocca a un soffio da quella bagnata dal pianto di Izuku, vi soffiò sopra «Lo sai anche tu».

Midoriya si lasciò baciare tra un singhiozzo e l’altro, in un incastro goffo ma che impedì venisse interrotto quando districò una mano per circondare il collo di Bakugou col braccio.

 

Seduto tra le gambe di Katsuki, la testa abbandonata contro la spalla del ragazzo, guardò il mucchio di pacchi accatastati davanti a loro, due scatole già vuote più vicine «E adesso?».

Il compagno schioccò la lingua, afferrando ancora Izuku dal mento – la mano circondata dal bracciale, sopra inciso my #1 hero – per girarlo verso di sé.

«Adesso stai zitto e tieni quel vischio in alto, se lo fai cadere non ti faccio più respirare, ai regali pensiamo dopo».

Izuku lo guardò esterrefatto, un po’ deluso, tuttavia sorrise col viso già sporto, gli occhi tiravano appena, secchi e gonfi, fu però un fastidio che passò del tutto in secondo piano.

Soprattutto sentendo un altro battito forte e sincero contro la schiena, in sincrono col proprio.

«Buon Natale, Kacchan».

«Non ti fermare per dirmi questo, idiota di un Deku».

Di tempo, in fondo, ne avrebbero avuto abbastanza.



 

 

 

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