Because you have someone to protect

di Sian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritrovarsi intrappolato ***
Capitolo 2: *** per proteggerti ***
Capitolo 3: *** e mentirti ***
Capitolo 4: *** in un nuovo modo. ***
Capitolo 5: *** Un errore ***
Capitolo 6: *** perdonabile ***
Capitolo 7: *** per stare insieme. ***
Capitolo 8: *** Un indizio ***
Capitolo 9: *** sulle tracce ***
Capitolo 10: *** di lei. ***
Capitolo 11: *** Quella persona ***



Capitolo 1
*** Ritrovarsi intrappolato ***


Because you have someone to protect


Capitolo Uno - Masao Fukuda // Ritrovarsi intrappolato


Non era sicuro di potercela fare, due giorni prima si era ritrovato in una situazione al limite dell’assurdo, ed in quel momento si trovava in un luogo che mai avrebbe pensato di frequentare ancora nella propria vita. Ma se non voleva, o meglio non poteva, destare sospetti quella allora era la soluzione più logica.

“Buongiorno bambini!” La maestra Kobayashi entrò nell'aula della classe 1-B della scuola elementare Teitan. Quel giorno era ancora più allegra di quanto già fosse solitamente, era felice di insegnare a quei bambini, le era stata assegnata una classe veramente d’oro.
“Da oggi avrete un nuovo compagno di classe” Fece segno al bambino di avvicinarsi. Il ragazzino entrò in classe, un po’ rosso in viso, teneva lo sguardo abbassato come se si sentisse in soggezione, o forse era solo estrema timidezza. “Si chiama Masao Fukuda, spero farete presto amicizia!” Scrisse il nome del bambino alla lavagna e gli suggerì di andare a prendere posto, ne aveva fatto preparare uno vicino alla finestra.

Masao salutò la classe con un tono non molto sicuro di sé stesso. Era teso come una molla: d’altronde era una reazione normale visto che il bambino doveva inserirsi in una classe nuova. Era poco più alto rispetto ai suoi compagni, ma al tempo stesso questa sua altezza lo rendeva gracile. Indossava una semplice polo azzurra e dei calzoncini color tabacco, i suoi capelli erano castano scuro, lisci ma un po’ scompigliati e i suoi occhi erano piccoli e confusi. Si avvicinò al suo banco e appoggiò il suo zaino, ne estrasse un quaderno completamente nuovo, ancora senza nome del proprietario, una matita ancora da temperare e una penna che invece sembrava molto usurata.
Il bambino del banco a fianco gli sorrise, senza presentarsi. “Vedrai che ti troverai bene qui…” Si voltò verso il bambino che gli aveva rivolto la parola, portava gli occhiali e aveva uno sguardo molto profondo, uno sguardo di chi ha un segreto da celare. Ed era più che certo di aver scoperto il suo segreto, anzi purtroppo lo condivideva e conosceva molto bene quel bambino che si faceva chiamare Conan Edogawa.

Il nuovo arrivato gli sorrise di rimando, sentiva gli sguardi degli altri bambini troppo curiosi di questo evento, dunque non gli rispose. Era insicuro, temeva di agire in modo sbagliato, di dire qualcosa di troppo; doveva ancora imparare ad essere un bambino, di nuovo. La maestra notò che il nuovo arrivato era molto teso, dunque aveva organizzato un piccolo gioco di classe: “L'investigatore e il Ladro”.

“Maestra, non dirmi che questo gioco le è venuto in mente uscendo ieri pomeriggio con quel suo caro Ispettore della polizia” alzò lo sguardo una bambina dai capelli castano chiaro, con un tono ramato. Aveva uno sguardo furbo, uno sguardo di chi sapeva qualcosa, ma al tempo stesso sembrava molto annoiata per la scuola, teneva infatti il gomito sul banco con la mano serrata a pugno che le sorreggeva la testa.

E le parole della giovane rispecchiavano la verità, la maestra si vedeva con un ispettore della polizia, di preciso faceva parte della prima sezione Omicidi. E come faceva a dimenticarlo? Quello stesso ispettore che gli era stato una spina nel fianco per lungo tempo. Ma ormai era acqua passata. Il nuovo acquisto della classe si ritrovò ad osservare attentamente la maestra: sì, si assomigliavano molto, lei e la donna che amava.
Diamine, in questa assurda situazione non l’avrebbe più vista tutti i giorni. Nonostante fosse chiaro ciò che provava per lei, doveva dirle ancora tante cose, e non si sarebbe mai stancato di dirgliele. Il suo viso si rattristò, ma fu risvegliato dai suoi pensieri notando la risposta repentina della maestra e del suo rossore. Era proprio carina. Si ritrovò a pensare che, nonostante la situazione in cui si trovava, si sarebbe divertito in quella classe.

L’insegnante diventò tutta rossa e si affrettò a negare rimproverando con tono scherzoso la bambina “Assolutamente nulla di quel genere! Sono solo rimasta sveglia fino a tardi a leggere l’ultimo romanzo poliziesco uscito qualche giorno fa...” Si sentirono delle risatine da parte di due altri bambini e un sospiro di una bimba che rimase persa nello sguardo sgranato e completamente innamorato della maestra: il loro gruppo, i Giovani Detective, aveva contribuito alla sua storia d’amore.
“Dai, non è il momento di parlare di queste cose. Procediamo con il gioco” Si schiarì la voce ed iniziò a spiegare. Il nuovo alunno avrebbe interpretato la parte dell’investigatore, che avrebbe dovuto interrogare i suoi compagni di classe per scoprire tra chi di loro era nascosto il ladro ricercato.

Ironico. Pensò. Anche in quella situazione assurda in cui si era cacciato, poteva svolgere un’indagine. Non era di certo passato molto tempo, ma gli mancava già tremendamente. Si caricò di emozione e fece come gli disse la maestra; restò appena fuori dalla porta dell'aula, così da lasciare tempo alla signorina di assegnare il ruolo del ladro ad uno dei suoi compagni. Passarono una manciata di minuti quando sentì il suo nome pronunciato dalla voce della Kobayashi “Masao, entra pure!”

Il bambino aprì la porta, ormai l’imbarazzo iniziale e il timore di non potercela fare erano svaniti nel nulla. Al suo ingresso si ritrovò una piccola sorpresa: gli avevano preparato una spilla a forma di distintivo della polizia, o meglio assomigliava più ad un fiore di ciliegio. Prese con determinazione quell’oggetto, pronto ad iniziare le indagini. Squadrò tutti i suoi compagni di classe e gli rivolse un sorriso sincero. “Sono Wa-…Masao Fukuda, e sono un’agente della polizia!” sfoderò in bella vista il suo distintivo, quelle parole uscirono senza nemmeno rendersene conto. Era tutto così naturale, non ci avrebbe messo molto a scoprire a chi era stato assegnato il ruolo di ladro.

Conan gli sorrise, nonostante anche il loro nuovo amico si fosse rimpicciolito, era pur sempre rimasto lui stesso. Quella frase pronunciata era ormai parte di lui. Gli scappò una risata soffocata: fortunatamente nessuno si accorse che il nome del gioco era “L’investigatore” e non “Agente della polizia”.

Le ore scolastiche passarono senza intoppi, Masao era riuscito ad inserirsi nella classe, tanto da aver attirato l’attenzione di tre bambini molto curiosi, con i quali molto spesso si era già ritrovato a passare del tempo, a loro insaputa.
“Masao, sei formidabile!” Il più robusto dei tre ragazzi gli diede una grande pacca sulla spalla, quasi da procurargli un dolore lancinante.
“Ma insomma Genta, vacci piano con quelle mani!” Gli ricordò il bambino con le lentiggini sulle guance. Masao si affrettò a rassicurare Genta e Mitsuhiko affermandogli che non si era fatto nulla. Nonostante fossero passati un po’ meno di vent’anni, ricordava benissimo di quanto era mingherlino da bambino. Fortunatamente crescendo si era rafforzato, soprattutto quando decise di intraprendere la carriera da poliziotto. Ma ora, nel suo corpo che contava circa 7 anni, era tornato al punto di partenza; e sì, la pacca di Genta gli aveva fatto piuttosto male.
“Masao, ti sei divertito oggi?” Gli rivolse la parola la ragazzina del gruppetto, Ayumi, sfoggiando uno dei suoi sorrisi più belli. Avevano ormai finito di preparare lo zaino per tornare a casa. Non c’era da stupirsi se la squadra dei Giovani Detective avesse chiesto a Masao Fukuda di unirsi al loro gruppo solo per come aveva interpretato benissimo la parte dell'agente della polizia scoprendo tutti gli indizi lasciati dalla maestra. E non c’era da stupirsi che il nuovo arrivato avesse accettato l’invito dei bambini membri della squadra dei Giovani Detective senza nemmeno chiedere di che cosa si occupassero di solito.

Si trovavano ancora nel cortile della scuola, travolti dall’entusiasmo infantile generato dalla metà del gruppetto di amici, quando videro la loro maestra salutare tutti i suoi alunni, come di consueto. Notarono subito chi c’era ad aspettarla dall’altro lato della strada: si trattava dell’Ispettore Shiratori! Ayumi, Mitsuhiko e Genta si avvicinarono all’ispettore per salutarlo. Il resto del gruppo rimase distaccato.
Masao osservava Shiratori che stava aspettando la sua amata; certo che era proprio innamorato perso. Non distolse lo sguardo neanche per un secondo, e senza nemmeno accorgersene aveva iniziato ad assumere un'espressione che gridava aiuto. Era stato ben messo in guardia da Conan e Ai: dovevano cavarsela e uscire fuori da questa situazione coinvolgendo il meno delle persone possibili; gli avevano anche detto che non avrebbe dovuto rivelare la sua identità nemmeno sotto tortura. Tutte queste regole ben precise erano da seguire alla lettera finché l'organizzazione criminale che li aveva rimpiccioliti sarebbe stata acciuffata. Ma quanto sarebbe durata questa situazione? Conan lo conosceva ormai da molti mesi.
Aveva paura. Aveva dannatamente paura di farsi riconoscere.

L’ispettore salutò un po’ impacciato i bambini, soliti a ficcare il naso dappertutto, soprattutto da quando aveva iniziato ad uscire con la loro insegnante. Notò subito la presenza di un bambino a lui sconosciuto che lo fissava con uno sguardo perso nel vuoto, si avvicinò per salutarlo.
“Ciao, non ti ho mai visto in questa scuola. Sei nuovo?” Non sapeva che cosa l'avesse fatto muovere verso quel ragazzino, solitamente non gli importava granché dei bambini. Non se n’era proprio reso conto ma quel bambino... Sembrava che soffrisse nel vederlo.

“Ninzaburo!” Sorrise la maestra appena notò il suo ispettore che si intratteneva con i suoi alunni. Raggiunse il gruppo, e si accorse che Masao Fukuda, il nuovo allievo, aveva già fatto amicizia con Conan e la sua squadra e stavano andando a casa insieme. Sorrise ai suoi bambini preferiti. “Allora la nostra squadra dei Giovani Detective si è allargata!” Passò una mano tra i capelli di Masao, felice che avesse trovato degli amici sin dal primo giorno di scuola.
“Sa, Ispettore Shiratori? Questo giovanotto è il mio nuovo alunno di cui ti avevo accennato ieri sera. Si chiama Masao Fukuda, e ti assicuro che a fare l’investigatore, nel gioco che mi aveva consigliato per coinvolgerlo nelle attività di classe, è bravissimo. Non mi sorprende che abbia stretto amicizia sin da subito con la squadra dei Giovani Detective!” La maestra era visivamente felice che l’idea del suo amato aveva funzionato benissimo.

Masao abbassò lo sguardo. Per quanto ancora doveva mentire? È normale che avesse sbrogliato con molta facilità gli indizi elementari lasciati dalla signorina Kobayashi. Non c’era nulla di strano né di tanto formidabile. Era il suo lavoro. Scoprire indizi per mettere con le spalle al muro i veri colpevoli.
E il suo lavoro era molto pericoloso. Se n’era già reso conto più volte con tutto ciò che aveva passato fin’ora. Era il suo lavoro, in cui due giorni fa aveva fallito. Era il suo lavoro che l’aveva trasformato in un bambino delle elementari.

Conan Edogawa gli sfiorò il gomito, facendolo trasalire dai suoi pensieri. “Scusateci ma dobbiamo andare al parchetto a giocare prima che faccia buio!” Sfoderò la sua migliore voce da bambino innocente e liberò Masao da quella situazione spingendolo per le spalle verso il parco di Beika.
Ai Haibara li seguì in silenzio, aveva intuito ci fosse qualche problema nel loro amico. D’altronde... Era più che normale essere confusi, arrabbiati e intimoriti allo stesso tempo. Queste emozioni le aveva imparate a distinguere da poco; ma dalla sua fuga dall’organizzazione aveva subito realizzato una lezione di vita: la sua intera esistenza non era mai stata normale. Si avvicinò dunque ai due per dare sufficiente supporto a Masao.

Ayumi, Mitsuhiko e Genta li seguirono a passo svelto per raggiungerli, ma non prima di aver lanciato occhiatine alla maestra e all’ispettore. Ayumi li trovava estremamente dolci e innamorati! Entrambi arrossirono per la situazione creatasi. “Ragazzi! Queste non sono cose che vi riguardano!” Li rimproverò cercando di evitare ulteriori sguardi poco raccomandabili sui visi di tre innocenti bambini.
“Avanti Sumiko, non è un segreto la nostra relazione, o sbaglio?” L’ispettore Shiratori le prese una mano sorridendole. Quest’azione provocò ancora più imbarazzo nella maestra che rimase immobile e rigida fissando un punto impreciso nell’orizzonte.
“E poi...” Shiratori si avvicinò al viso della sua amata, colei che sin da quando era bambino gli aveva rubato il suo cuore, e le sussurrò qualcosa in un orecchio. I tre bambini non poterono udire quello che le disse. Ma di una cosa erano certi: formavano una bellissima coppia! I più giovani della squadra dei giovani detective corsero incontro ai loro amici che erano diretti al parco.

I loro amici erano rimasti indietro, stavano parlando con l’ispettore e la maestra, e a breve avrebbero concluso raggiungendoli. Conan aveva notato cosa aveva scosso Masao. Gli diede una leggera pacca da amici sulla spalla, proprio su quella dove Genta gliene aveva data una bella forte pochi minuti prima. Infatti il bambino trasalì dal dolore. “Oh cavolo, scusami!” Il quattr’occhi era pronto a consolare l’amico fino a qualche momento prima, e ora era riuscito a provocargli ancora più dolore di quanto già ne avesse provato in questi due giorni passati.
Masao, nonostante la smorfia di dolore e nonostante tutto ciò che gli passava per la testa in quel momento, si mise a ridere. “Certo che non si direbbe...” Fece una breve pausa e sospirò. “Che questo corpo, in cui sono stato intrappolato, sarebbe cresciuto fino a diventare un agente della polizia” Abbassò lo sguardo ai suoi piedi, avrebbe dovuto farci l’abitudine al pavimento improvvisamente così vicino, alle sue mani improvvisamente così piccole.
Conan e Ai si lanciarono uno sguardo d’intesa. “Riusciremo a venirne fuori, stai tranquillo” Cercò di consolarlo al meglio il primo.
“Ricordati solo che è di vitale importanza non farsi riconoscere” Gli ricordò Ai.
Masao si morse il labbro. Non era per niente sicuro che ce l’avrebbe fatta, stava vivendo nella più totale insicurezza. “E come faccio? Lo sapete quasi meglio di me che non so mentire!”

“In che senso non sai mentire, Masao?” I veri bambini li avevano ormai raggiunti.
“A me è sembrato che te la sei cavata piuttosto bene a fingerti agente della polizia e scovare il ladro.” Gli ricordò Mitsuhiko, il più fanatico di racconti gialli.
Ayumi annuì trovandosi più che d’accordo. Non c’è nemmeno da aggiungere che Masao si spaventó per ciò che avessero potuto sentire della discussione. “Ah..Eh no.. niente!” Si affrettò a rimediare, ma con evidenti scarsi risultati.
“Gli stavamo spiegando il nuovo gioco che il Dottor Agasa ha progettato” Ai lo salvò da quella brutta situazione.
I bambini erano entusiasti: “Vuol dire che possiamo venire a casa tua a provarlo??” Conan soffocò una risata, non ne sarebbero più usciti, accidenti!
“Eh? No! È ancora in fase di sviluppo in quanto ieri ha avuto dei problemi informatici e quindi non può più essere usato... Che peccato!” Ai sospirò entrando al parchetto e cercando un posto dove sedersi all’ombra di uno degli alberi del parco.
Masao evitò di commentare, forse meno parlava e meglio sarebbe stato. Non che fosse difficile per lui, timido anche quando aveva ventisei anni solo qualche giorno prima.

Non mancò di notare una RX-7 rossa, parcheggiata poco più avanti all’ingresso del parco. Non l’avrebbe confusa nemmeno tra milioni di macchine. Accidenti. Masao non voleva farsi vedere troppo turbato dai suoi nuovi amici, dunque li seguì nel parco nonostante le sue gambe non ne volevano sapere di collaborare. Li raggiunse sotto al grande albero che la bambina ramata aveva scelto e si guardò in giro in preda ormai ad un batticuore frenetico.
Lei era lì, nella stradina accanto. Li separava solo una serie di cespugli e piccoli arbusti delimitatori. Era sicuro di aver perso qualche battito cardiaco mentre la osservava, abbigliata con il suo completo giacca e gonna tubino color celeste. Si abbinavano tremendamente bene con i suoi occhi ametista. Quante volte si era perso nei suoi occhi... E quante volte ancora si sarebbe perso nuovamente negli stessi. Se solo avesse potuto.
Ormai la fissava con una certa malinconia, erano passati solo due giorni da quando si era rimpicciolito e dunque scomparso dalla circolazione, ma le mancava terribilmente, tanto da sembrare che non la vedesse da mesi ormai. Gli avevano privato una delle persone più importanti della sua vita, gli avevano privato la donna che amava, senza poter darle una spiegazione logica.
Era più che sicuro che in quel momento Miwako Sato era disperata quanto lui stesso, e questo gli faceva molto male. Se lei era lì al parco voleva solamente dire che stava lottando tremendamente con le investigazioni sulla scomparsa del giovane agente di polizia. Voleva poterle dire che era sulla strada giusta, e di non arrendersi. Due giorni fa si trovava proprio lì, in quel parco. Notò che aveva in mano il cellulare, ma che suonava a vuoto e lui sapeva benissimo il motivo.

“Diamine…!!! Dove sei sparito? Rispondimi!” Digitò ancora il numero, non si voleva arrendere. Sul display della chiamata telefonica in corso si leggeva “Wataru Takagi”.

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Capitolo 2
*** per proteggerti ***


Because you have someone to protect

Capitolo Due - Wataru Takagi // per proteggerti


Era riuscito perlomeno a portare il ragazzino in un luogo sicuro, non se lo sarebbe mai perdonato se quel bambino fosse finito in qualche guaio solamente per essere un po’ troppo curioso e fanatico di gialli. Ansimava per la corsa e per l’agitazione: il suo inseguitore non era convinto a lasciarlo stare, ne sentiva i passi avvicinarsi al suo nascondiglio. Era ormai tarda notte e nel parco dove si trovavano era molto improbabile che ci fosse qualcun altro nei paraggi. Poteva sempre ricorrere al suo cellulare e chiamare rinforzi, ma purtroppo sulla tecnologia non bisogna mai fare troppo affidamento; infatti si era scaricato durante la serata appena trascorsa. 
Dunque gli rimaneva l’unica possibilità di fermarlo puntandogli addosso la pistola e mettergli le manette ai polsi. Era un poliziotto, perché non avrebbe dovuto farcela? Fermare i criminali era il suo lavoro, proteggere persone innocenti dalla malvagità di altri individui era ciò che l’aveva spinto ad intraprendere questa carriera pericolosa.
Si fece coraggio, estrasse la sua pistola di servizio e rimase pronto a sparare un colpo d’avvertimento al suo inseguitore per poi arrestarlo. Non era così infattibile, arrestare un uomo con solo le sue forze, pensò. Doveva ricercare quella fiamma di coraggio grazie alla quale si era districato dalle situazioni più disperate in passato.
Era riuscito a sopravvivere ammanettato alla finestra di un capannone che aveva preso fuoco; l’aveva scampata dalla bomba nell’ascensore della Torre di Tokyo; era ancora vivo dopo aver ricevuto una pallottola nel petto da colui che l’aveva preso in ostaggio; per non parlare di quella volta in cui era stato rapito, legato su una tavola che si trovava al secondo piano di un edificio senza tetto in Hokkaido a quasi -20°C e che nascondeva una bomba con il conto alla rovescia. 
Sarebbe stato sicuramente un gioco da ragazzi catturare quel criminale senza fargli del male, giusto? 
L’aveva sorpreso mentre effettuava uno scambio di merce piuttosto strana e dall’aspetto illegale, fuori dal locale dove fino a poco prima si stava svagando dopo una giornata di lavoro. Sì, il suo senso di giustizia gli diceva che doveva riuscire ad ammanettarlo nel più breve tempo possibile.
Si prese coraggio, strinse la pistola nelle sue mani e uscì allo scoperto. Con sua grande sorpresa, il criminale era scomparso, dileguato nel nulla. Di fronte a lui si apriva la visuale sul parco dove si trovava. Abbassò la pistola, stupito dall’assenza del suo inseguitore, il quale sarebbe stato difficile da rimuovere dai ricordi in a causa del suo aspetto particolare.

Vestito completamente di nero, sigaretta accesa in bocca, occhi spietati che si intravedevano da sotto al cappello anch’esso nero, e capelli lunghissimi e biondi. “Non li posso vedere, gli sbirri”
Si girò di scatto sentendo quella voce e capendo in un lampo che era stato raggirato. Maledizione! In una frazione di secondo sentì solo un grande dolore alla testa, le gambe gli cedettero e si accasciò a terra quasi privo di sensi.
Poteva sparargli, l’aggressore era lì, ancora visibile e in una posizione favorevole per piantargli una pallottola nel petto. Ma non ne aveva il coraggio, non si sarebbe mai spinto fino a quel punto. Non si sarebbe mai perdonato di aver ucciso una persona, nonostante fosse un criminale. 
Allentò la presa dalla pistola, e si ritrovò faccia a faccia con il biondo. “Ho la giusta morte per uno come te, nella mia tasca” Infilò una mano nella tasca del cappotto e ne estrasse una pillola.
Ok, era stato un ingenuo. Questa era veramente la sua fine. Non sentiva più nemmeno un articolazione, incapace di muoversi totalmente. Non riusciva a fare altro se non restare immobile, mentre quel farabutto gli faceva ingoiare probabilmente un veleno potentissimo.

Già. Sarebbe morto veramente così? Inerme in quella situazione, credendo che sarebbe davvero riuscito a fermare quel criminale. Avrebbe potuto fuggire, liberarsi, dimenarsi, chiedere rinforzi in qualsiasi modo possibile. E invece era lì, immobile, senza forze.
Non gli mancava sicuramente né coraggio né un motivo per cercare almeno di fuggire. Ma in qualche modo quell'individuo era riuscito a stordirlo il necessario per non poter reagire con nessun muscolo. Il criminale si era già allontanato nell’ombra della notte.
Accidenti, sarebbe morto lasciando ancora molte cose non risolte su questa Terra. Il suo primo pensiero lo dedicò a Miwako Sato, la donna di cui era perdutamente innamorato. Si scusò con lei, doveva dirle ancora tantissime cose, e la sua morte l’avrebbe sicuramente ferita... Proprio ora che lei era riuscita ad aprirgli il suo cuore dopo tutta la sofferenza provata in passato. Un passo alla volta, erano riusciti a gettare almeno le fondamenta della loro relazione. O per essere più precisi, era stata lei a guidarlo fino ad ora, voleva qualcosa di più dei semplici movimenti impacciati e molto timidi che lo caratterizzavano.
Diamine! Se solo l’avesse baciata altre mille volte... Se solo avesse trovato il coraggio di chiederle di passare la serata assieme... Sicuramente non si sarebbe trovato lì, disteso per terra e ormai quasi privo di sensi. I ricordi riaffioravano nei suoi ultimi pensieri.

Quanto avrebbe voluto essere sdraiato sul suo letto, con a fianco la sua bellissima detective, com’era già capitato più volte. Si ricordava benissimo di come erano finiti addormentati nello stesso letto la prima volta. Ci aveva provato a fare il primo passo, dopo essere usciti a cena insieme, era doveroso riportarla a casa. Ma quella volta, voleva che le cose andassero un pochino diversamente. Infatti, sbagliò strada di proposito almeno per due volte, senza dirle nulla. Non fu una saggia decisione, insomma poteva prendersi un po’ di coraggio e dirle che aveva intenzione di dormire insieme.
Ma non c’era bisogno che Wataru parlasse. Miwako sapeva leggerlo come un libro aperto. In quel momento era nervoso, ma lei sapeva che volesse dirle qualcosa, e in cuor suo Takagi si maledisse per come non riuscisse a formulare una frase di senso compiuto senza impappinarsi o a balbettare ad ogni sillaba. Effettivamente non c’era nemmeno bisogno che glielo dicesse chiaramente. A lei andava bene così com’era; d’altronde, il carattere dell’uomo di cui si era innamorata era una delle qualità che più preferiva di lui.
Entrarono insieme nell’appartamento del poliziotto. Appena chiusa la porta d’ingresso, Wataru si ritrovò ad annullare le distanze, i respiri si concatenarono tra di loro. Aveva bisogno di esprimere i suoi sentimenti per lei, e si abbandonò completamente al suo istinto, senza pensare, facendo un grande passo avanti.
Si ricordava delle carezze, si ricordava degli abbracci, si ricordava di quante volte quella notte si perse nel suo viso. Questi ricordi si erano marchiati a fuoco.
Si ricordava alla perfezione di quanto amasse Miwako Sato.

Una fitta di dolore lo risvegliò dai suoi ultimi pensieri. Il veleno stava incominciando ad ucciderlo. Per quanti secondi ancora potrà immergersi nei ricordi della sua amata? Ora che ci pensava, era stato proprio uno stupido a pensare di riuscire a fermare con le sue sole forze quel criminale. Maledizione!
Perlomeno il criminale se l’era presa solo con lui e aveva lasciato perdere il ragazzino, Conan Edogawa. Era un bambino molto sveglio per la sua giovane età, e se avesse fatto qualcosa di avventato ci sarebbe andato di mezzo anche lui. E questo il detective Wataru Takagi non poteva permetterselo.
Sentì dei passi. C’era qualcuno che si stava avvicinando, e di corsa a giudicarne dalla cadenza. Un’altra fitta gli causò un dolore lacerante. Che diavolo di veleno gli aveva somministrato? Aveva sempre sperato di morire senza accorgersene. E invece non era stato ascoltato, gli era toccata una morte lenta e dolorosa.

Se lo sarebbe chiesto per sempre: perché il destino lo aveva portato ad uscire fino al locale da solo? Quel giorno aveva terminato il lavoro alla centrale di polizia in anticipo, mentre tutti i suoi colleghi erano impegnati a fare rapporto di indagini svolte o interrogare ancora i sospettati. Gli era sempre dispiaciuto uscire prima di tutti, d’altronde era il tipo che andava fino in fondo in tutte le storie. E nonostante ciò quella sera era parecchio provato dal lavoro.
Aveva deciso di fermarsi in un locale prima di tornare a casa per riposarsi. Il giorno dopo sarebbe stato il suo giorno libero, come anche quello di Miwako e si erano dati appuntamento alle undici, quindi avrebbe avuto tutto il tempo per riposare un po’ più a lungo il mattino seguente. Dunque si era convinto a fermarsi nel locale; da solo non era di gran compagnia, ma si ricordò di aver pensato che a volte era anche bello restare da soli con i propri pensieri.
Era trascorsa qualche ora e il locale era ormai prossimo alla chiusura. Ma era tardissimo! Non si ricordava nemmeno di come avesse perso la cognizione del tempo. Pagato il conto, aveva notato dall’altro lato della strada tre  uomini, due erano totalmente vestiti di nero e sembrava stessero minacciando l’altra persona che era con loro. Tutti e tre erano entrati in un vicolo e il detective era uscito dal locale per seguirli, nonostante fosse stanco per la giornata lavorativa: un poliziotto non si ferma mai.
Stava attraversando la strada quando aveva visto arrivare un bambino su uno skateboard, diretto proprio verso il vicolo, si trattava di Conan. Mannaggia a lui che era nel posto sbagliato al momento sbagliato. Eppure sembrava che stesse seguendo proprio quegli uomini. In quel momento si era ricordato che l’agenzia investigativa di Goro Mouri era proprio poco più avanti. Che avesse visto qualcosa di sospetto? Ma certamente non era una faccenda per un bambino, e soprattutto non poteva uscire a quell’ora della notte. Glielo aveva rammentato ma era stato proprio il bambino a sgridarlo: dovevano sbrigarsi ad inseguirli, altrimenti quei criminali l’avrebbero passata liscia.
Mentre li avevano sorpresi a scambiare del materiale illegale, la fortuna era talmente dalla loro parte, che uno dei due uomini in nero si era accorto di loro. “Ti sei fatto seguire da un piedi piatti!” L’uomo un po’ più basso di statura aveva urlato contro all’uomo minacciato.
“Vodka, finisci tu con questo individuo. Io penso al resto. Tra dieci minuti alla macchina. Intesi?” aveva esclamato il biondo, voltandosi con un sogghigno. Era sempre un piacere fare i conti con la polizia. Ed in più era da solo, non ci avrebbe messo nemmeno sette minuti per farlo fuori, ne era certo.
“Ok capo!”
Takagi aveva preso sottobraccio Conan, doveva portarlo via! Un bambino non ce l’avrebbe sicuramente fatta a scappare da un criminale.

“Gin…” aveva mormorato Conan tra sé e sé mentre Takagi lo teneva stretto tra le braccia. Se avesse preso lo skateboard avrebbe potuto allontanarsi di un gran bel pezzo, ma non poteva sicuramente lasciare da solo il suo amico della polizia. 

Un momento! Takagi si era ritorvato a pensare alle parole mormorate del bambino. Il criminale biondo si era riferito al suo compare con il nome Vodka. Che fossero dei nomi in codice? Gin era il nome del biondo, dunque. Ma la domanda che non voleva abbandonare i suoi pensieri era la seguente: di quante cose era a conoscenza quel bambino? Che cosa sapeva veramente?

Gli era tornato alla mente quel caso di pochi giorni prima. Era diventata un’abitudine che quando Goro era sulla scena del crimine, prima o poi avrebbe svelato la verità dietro al caso cadendo in trance. Anche quella volta fu così, stava appena dicendo che non era possibile che il sospettato fosse l’assassino, quando subito dopo aveva spalancato di colpo gli occhi e pian piano li aveva richiusi scivolando a lato della porta d’ingresso.
In quell'istante, poco prima che Goro cadesse, Takagi aveva visto, con la coda dell’occhio, Conan sorridere puntandogli addosso il suo apparente orologio. Era sicuro di non essersi sbagliato. Aveva cercato di tenerlo d’occhio ma era sparito nel nulla mentre Goro aveva iniziato le sue deduzioni. Gli aveva chiesto di simulare l’incidente con degli oggetti che aveva fatto preparare precedentemente e di disporli proprio di fronte alla porta.
Era stato in quel momento che lo aveva intravisto di nuovo: Conan era dietro alla porta e stava parlando con qualcuno, ma la sua espressione non era cambiata per nulla. Teneva in mano il papillon rosso, quello che indossava qualche volta. Era sicuro di non averglielo visto indossare quel giorno.
Il caso fu risolto grazie all’esperimento simulato. Ma forse... Si era sbagliato? Conan stava scherzando con Ran, e sembrava essere stato lì per tutta la durata della risoluzione del delitto. Lo aveva squadrato e poi aveva deciso di raggiungere i suoi colleghi in centrale: aveva un caso da riportare e in quel momento stava svolgendo il suo lavoro; non poteva permettersi distrazioni quando c’era l’ispettore Megure, il suo capo, nei dintorni.

Era entrato nel parco di Beika, lì era più facile scappare e nascondersi in mezzo a tutta la natura una volta che il cielo aveva iniziato a farsi buio. Aveva appoggiato Conan a terra e lo aveva rassicurato che sarebbe tornato a prenderlo, avrebbe solo dovuto restare nascosto nel cespuglio. Era sicuro che a Conan Edogawa certe raccomandazioni non servivano: era molto intelligente e sapeva sfruttare il massimo da ogni situazione. Però si era sentito in dovere di proteggerlo a tutti i costi.
Conan aveva protestato, ma Gin era arrivato sul posto, non c’era più tempo. Takagi si era inoltrato da solo nel parco e come previsto l’uomo inseguì solo lui lasciando stare il bambino.

Conan si portò le dita alla scarpa, pronto a calciare un tiro fortissimo. Realizzò in seguito che le sue scarpe potenzia calcio erano rimaste dal dottor Agasa per effettuare delle migliorie. Maledizione! Non poteva essere d’aiuto, era solo un adulto nel corpo di un bambino.
Non sarebbe arrivato mai in tempo, si erano allontanati ormai di un bel pezzo, e lo skateboard era rimasto nel vicolo. Sapeva di quanto fosse pericoloso mettersi contro Gin, ma doveva fare assolutamente qualcosa per salvare il suo amico da quella brutta faccenda.
Corse verso di loro, nelle ombre della notte intravide un corpo cadere a terra. Oh no! Era arrivato tardi. Si avvicinò ancora un pochino. Diamine gli aveva appena fatto ingerire una dose di Apotoxina 4869.
Come se nulla fosse l’uomo in nero si diresse all’uscita del parco. Sette minuti in tutto. Sogghignò, fiero del suo risultato.

Sebbene avesse voluto ricordare fino all’ultimo momento della sua esistenza la sua bella poliziotta, in quegli attimi era dispiaciuto di non riuscirci. Il dolore era troppo forte, avrebbe voluto farla finita subito e ora. Era come se si sentisse le ossa lentamente sgretolarsi, i muscoli evaporare. Si sentiva ridotto in piccoli pezzi.
Di quegli attimi non si ricordò più nulla. Collassò dal dolore.

“Agente Takagi!!” una voce familiare, insistente e trillante lo destò. Si ritrovò di fronte Conan Edogawa che lo osservava preoccupato.
Come? Il veleno non l’aveva ucciso? Era ancora vivo? Provava una strana sensazione, si sentiva molto debole e dolorante. La testa gli doleva, sembrava che ci fosse una tenaglia che gliela stingeva ben stretta, peggio di tutte quelle volte che i suoi colleghi lo sottoponevano ad interrogatori indisposti riguardo alla sua relazione con la vice-ispettrice Miwako Sato.
La temperatura corporea era molto elevata. Ansimava ancora dal dolore. Per quanto tempo era rimasto svenuto? Riuscì a farsi forza e ad osservare cosa fosse successo. Stavano accorrendo verso di lui anche l’altra bambina che stava sempre insieme a Conan, Ai Haibara, seguita dal dottor Agasa che si occupava di lei.
Perché Conan aveva chiamato loro e non la polizia? Cosa stava combinando?
“Takagi, come ti senti?” la bambina l’aveva raggiunto e gli aveva appoggiato una mano sulla fronte. “Dottore, dobbiamo portarlo via da qui al più presto prima che qualcuno lo veda, se non vogliamo farci scoprire”. Ma, in che senso scusa? Non aveva molte forze per parlare e chiedere motivazioni. La squadrò e poi si sentì tirar su di peso. L’uomo anziano l’aveva preso in braccio.
Cosa? Come avrebbe potuto sollevare da terra un uomo a peso morto? Improvvisamente sentì i vestiti scivolargli addosso. Per qualche strana ragione gli sembrava di essere avvolto da troppi strati di tessuto. La visuale era molto favorevole rispetto a quando si trovava sdraiato. Poteva vedere benissimo... I pantaloni che gli cadevano a penzoloni, i piedi arrivavano nel mezzo delle gambe dei pantaloni. Le maniche della giacca e della camicia erano enormi. Per non parlare delle scarpe tenute in mano dalla bambina. Che diamine...?!
Si sentì mancare le forze, di nuovo. Chiuse gli occhi sperando fosse solo un’allucinazione, e senza nemmeno accorgersene cadde di nuovo sfinito, fortunatamente il dottore lo teneva ancora tra le braccia.

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Capitolo 3
*** e mentirti ***


Because you have someone to protect


Capitolo 3 - Masao Fukuda // e mentirti


“Accidenti, questa non ci voleva proprio!” esclamò Conan seduto nel sedile posteriore del maggiolino giallo appartenente al Dottor Agasa. Di fianco a lui, l'agente Wataru Takagi era ancora svenuto. “La notizia della scomparsa di un agente di polizia farà il giro di tutto il Giappone.”
Sul sedile del passeggero era seduta Ai, aveva il suo solito sguardo pensieroso e truce. “Sai cosa rischiamo d’ora in avanti vero? Si accorgeranno che il cadavere del poliziotto è scomparso.” Tremò, aveva lo sguardo perso nel vuoto. Quella paura... Non l’avrebbe mai abbandonata. “E verranno a cercarmi. Scopriranno che quel veleno ha questi effetti collaterali. Ci cercheranno tutti e tre, tra qualche settimana sapranno che siamo costretti a restare nei corpi di bambini, e ci metteranno pochissimo a stanarci.” Aveva ragione. Tremendamente ragione. “E se siamo arrivati fin qui... È solo colpa mia. Sono stata io ad ultimare quel veleno.”

Conan sospirò rassegnato “Senti Haibara, te l’ho già ripetuto milioni di volte. Non è colpa tua. I criminali sono solo gli individui dell’organizzazione degli uomini in nero! Tu non c’entri proprio nulla.”
Agasa, che stava guidando verso casa, percepì la tensione che si era creata tra Conan e Ai. Era normale, quando si parlava degli uomini in nero la situazione si scaldava subito. “Dai, vedrete che non succederà nulla-“
Non finì la frase che fu aggredito verbalmente da una Ai inviperita. “Lei la fa facile professore! Siamo noi che siamo intrappolati in questa orrenda situazione... Se solo Conan avesse fermato l’agente Takagi invece di inseguire Gin assieme e farsi scoprire.” Gli tirò una frecciatina carica di astio.

“Ehi ehi, un momento Haibara. Perché mi accusi? È normale inseguire quei criminali! Tu cosa proporresti? Nascondersi per sempre?! Non posso perdere nemmeno una traccia di loro, potrebbe sicuramente venirci utile prima o poi. Siamo stati fortunati che tu e il dottore siete venuti subito in nostro soccorso appena vi ho contattati.”
Il piccolo detective sfoderò un sorriso, certamente la situazione era molto grave, ma doveva assolutamente far tornare alla razionalità la bambina che condivideva il suo stesso destino, prima che il loro nuovo compagno di avventure si svegliasse.

Il dottore si occupò di portarlo in casa e di metterlo subito sotto alle coperte per fargli scendere la febbre, non prima di avergli trovato degli abiti adatti al suo corpo. Invece Ai e Conan si occuparono di ciò che aveva con sé: una spilla rossa, simbolo del dipartimento di polizia, sezione Omicidi; una penna molto consumata; un’agendina per gli appunti con una copertina; il suo distintivo di polizia; la sua patente e le chiavi della macchina; la sua carta d’identità, che oltre alla tessera identificativa conteneva una fototessera della bellissima vice-ispettrice Miwako Sato; un cellulare con la batteria completamente scarica; il suo portafogli. Erano tutte cose che purtroppo non gli sarebbero servite, forse potevano salvare la penna con l’agendina e il cellulare. Tutto il resto purtroppo sarebbe stato da nascondere accuratamente. Avrebbero informato il diretto interessato appena si sarebbe ripreso.

Il cellulare dell'agente Takagi era rimasto a caricare per tutta la notte, ancora non sapevano se sarebbe stato meglio avvisare della sua assenza o fingere che fosse scomparso. I due ragazzini non chiusero occhio per tutta la notte, fortunatamente il giorno dopo non avrebbero dovuto andare a scuola e potevano dedicarsi a tempo pieno a quella faccenda.

Ai era in camera sua a svolgere delle ricerche, continuava a ripetersi che era solo colpa sua. Voleva trovare a tutti i costi l’antidoto definitivo così da porre fine a tutta questa storia una volta per tutte. Poteva anche tornare adulta e consegnarsi all'organizzazione per tenere al sicuro i suoi amici, ma quasi sicuramente non avrebbero mantenuto la promessa e il suo sacrificio sarebbe stato vano. Serviva un modo per sconfiggere definitivamente l’organizzazione, così era possibile tornare a vivere, lasciare indietro il passato e ricominciare da zero. Avrebbe voluto tanto ricominciare a vivere. Forse poteva anche non servirle più l’antidoto, poteva sempre vivere come Ai Haibara, senza sapere se un giorno sarebbero riusciti a sconfiggerli. Però... Avrebbe continuato le sue ricerche scientifiche per i suoi amici. Loro dovevano tornare ad essere adulti, avevano un sacco di persone che li stavano aspettando, a differenza sua.

Erano passate solo due ore da quando gli avevano somministrato l'apotoxina. Sicuramente la sostanza era ancora attiva e in circolo nel sangue, nonostante non lasciasse nessuna traccia definibile. Ma doveva provarci! Voleva vedere se fosse possibile avere anche un solo valore sanguigno fuori dalla norma, così forse... avrebbe avuto ulteriori elementi oltre a quelli di cui era già in possesso, per ricostruire definitivamente la composizione del veleno e sviluppare di conseguenza l’antidoto. Era determinata. Uscì dunque dalla sua camera e raggiunse il letto dove il nuovo arrivato stava dormendo tranquillamente, così indifeso. Almeno lui, nonostante tutta quella storia e tutta la confusione che in quel momento portava in testa, era sempre il solito Wataru Takagi, solamente costretto nel suo corpo da bambino. Stava dormendo così bene, le dispiaceva svegliarlo.

“Miwa...ko...” Ai lo guardò, nonostante la febbre, stava veramente sognando? “F-ferma...ti” l’espressione sul viso di Takagi cambiò all’improvviso: era preoccupato e agitato. Gli stava salendo di nuovo la febbre. Avrebbe dovuto svegliarlo? Si avvicinò al bordo del letto, doveva assolutamente prenderlo, il suo sangue.
“Ai, che stai facendo qui?” Conan entrò per dare un’occhiata, aveva sentito Takagi lamentarsi nel sonno, doveva controllare che fosse tutto a posto. L’aveva tenuto d’occhio fino a poco fa e sembrava che la febbre fosse passata. Invece ora la sua fronte era imperlata di sudore. Gli prese un fazzoletto e glielo appoggiò sulla fronte, sperando ricevesse un po’ di sollievo a tutto il dolore che stava provando.

“Shinichi... Devo provare una cosa in questo preciso istante.” La ragazza aveva assunto uno sguardo truce, e sapeva benissimo dove voleva andare a parare. Aveva quello sguardo quando si ricordava chi era, quando era preoccupata del suo passato, quando era stata Sherry. Aveva già indossato il suo camice da laboratorio, voleva eseguire degli esperimenti. “Devo prelevare un po’ di sangue di Takagi. Ora e in questo momento che sta avendo queste reazioni.” Aveva portato già tutto il necessario.

“D’accordo Haibara, se pensi che sarà utile per le tue ricerche, possiamo provare.” Conan si avvicinò di nuovo a Takagi, era ingiusto svegliarlo proprio ora che stava visibilmente soffrendo, ma doveva farlo, per il bene di tutti e tre. Provò a chiamarlo e a scuoterlo leggermente, ma non si svegliò completamente: aveva stropicciato gli occhi, segno che avesse reagito al richiamo. Lo richiamò un po’ più forte e questo aprì gli occhi, ancora confusi.

Il suo sogno si trasformò in un incubo. Stava sognando la sua Miwako, che si avvicinata a lui al parco. Sembrava avere uno sguardo così dolce mentre faceva scivolare le sue mani dal suo petto fino alla sua cintura. Improvvisamente la sua espressione cambiò, si ritrovò davanti una Miwako dagli occhi spietati. Prese la sua pistola senza indugiare e gliela puntò davanti, pronta a sparagli. Non stava capendo più nulla. Alzò lo sguardo verso la sua donna, ma non c’era più. Al suo posto vi era un tipo spietato, il cappello gli copriva parte del viso, così come i suoi capelli biondi. Gin. Si chiamava così. Quello era l’uomo che l’aveva ucciso. Aveva ucciso Wataru Takagi.
Ma poi per qualche strano motivo, l’incubo si dissolse e si svegliò, gli occhi appesantiti come se avesse appena pianto. Ispezionò con lo sguardo la stanza, la luce era ancora spenta, c’era solo un piccolo bagliore provocato da una lampada nella stanza. Al suo fianco notò Conan che l’aveva appena svegliato. Ah già, ora ricordava cos’era successo. Maledizione. Lo fissò, aveva paura a parlare. Si sentiva uno straccio ma sapeva di riuscire ad alzarsi e parlare.

“Conan...” Già, il suo timbro di voce infantile glielo aveva confermato. Era veramente tornato bambino. Si accorse successivamente che in camera c’era anche la bambina che lo stava osservando quasi come se lo stesse studiando. Aveva in mano... Una siringa? Un momento. Da quando i bambini potevano usare uno strumento simile?

Ai sembrò leggere i suoi pensieri “Seppure puoi constatare il contrario guardandomi, non sono una bambina. Mi chiamo Shiho Miyano. Da questo momento in poi fai parte anche tu del nostro segreto, detective Wataru Takagi.”

Ora era tutto chiaro. Quei due bambini, così intelligenti e astuti, che molto spesso sembravano adulti... ora tutto aveva un senso. Erano stati incastrati anche loro in quell’orrendo destino. “Ah... m-mi dispiace causarvi altri problemi.” Si scusò, come era solito fare in qualsiasi situazione.

“Non è colpa tua se sei finito in mezzo a tutta questa storia. Shinichi Kudo dovrebbe scusarsi con te per averti trascinato direttamente in pasto a Gin.” Gli ricordò Ai, nonostante non fosse più furiosa con Conan, facendogli pesare su di lui tutta questa faccenda.

Takagi sembrò ignorare la frecciatina “Quindi tu sei il detective liceale!” fece una breve pausa sorridendogli “Sai, l’altro giorno ti ho visto addormentare Goro e parlare con la sua voce.”

Conan trasalì, era sicuro di non essersi mai fatto notare. Ormai era Conan Edogawa e sapeva gestire la situazione, anche tenendo vivo Shinichi Kudo risolvendo casi al suo posto. “B-Beh, visto che ora fai parte della nostra squadra non devo preoccuparmi di essere stato beccato, giusto?” La sua risata era molto nervosa. Sicuramente tutto ciò che avevano passato finora non doveva essere stato né facile né divertente.

Ai si schiarì la voce per attirare attenzione “Takagi, devi sapere una cosa molto importante.” Lo fissò, questa volta il suo sguardo faceva paura. Aveva un’espressione tenebrosa, un mistio tra l’odio e la paura. “Facevo parte di quell’organizzazione. Ho ultimato io il veleno che ti hanno fatto ingerire. Si chiama Apotoxina 4869, abbreviato in APTX.” La febbre non gli era ancora scesa, gli occhi erano lucidi e il sudore non cessava. “Ho bisogno di un po’ di sangue per verificare dei valori. Hai appena assunto il veleno, quindi, anche se questo non lascia traccia nelle vittime e le probabilità di trovare qualcosa sono minime, voglio provarci. Devo sviluppare l’antidoto definitivo al più presto, altrimenti saremo in pericolo.”

Takagi annuì, avrebbe fatto qualunque cosa per aiutare ad uscire da quella situazione. Aveva ricevuto così tante informazioni tutte insieme e la febbre non aiutava ad analizzarle. Quello di cui era sicuro era che si trovava d’accordo con la richiesta della bambina ramata, e le porse il braccio. “Se c’è una remota possibilità per tornare noi stessi...” Le sorrise. Doveva ancora realizzare la maggior parte della situazione, ma nonostante fosse debole si prestò per un prelievo. La ramata tornò nel suo laboratorio lasciando da soli Conan e Takagi.

“Vuoi riposare ancora un po’? La febbre non ti è ancora scesa del tutto.” Conan gli porse un nuovo fazzoletto da mettere sulla fronte, ma venne rifiutato.
“Volevo approfittare di questo momento per chiederti dei dettagli.” Takagi lo guardò, poteva constatare che stava soffrendo, fisicamente e anche psicologicamente. 
“Immagino che tu voglia sapere tutta la storia.” Annuì e dunque iniziò a raccontargli, seduto sul fondo del letto. Conan parlò senza interruzioni, finché non si accorse che Takagi si era lentamente addormentato. Non che il racconto fosse noioso, anzi. Sembrava molto interessato e sembrava avere tante altre domande da porre, ma sicuramente sentiva il bisogno di dormire. Decise di lasciarlo da solo e si precipitò al computer per fare delle ricerche e ragionare sul da farsi.

I primi raggi di sole filtrarono tra le tende. Scese dal letto, abbandonando le braccia di Morfeo che l’avevano tenuto stretto fino a qualche minuto prima. La febbre e i dolori erano completamente spariti. Sospirò. Sarebbe stata la sua prima giornata con quelle nuove sembianze. Non sapeva ancora come comportarsi né cosa dire a tutte le persone che avrebbero sentito la sua mancanza. D’ora in avanti avrebbe dovuto vivere a casa del dottore? Doveva nascondersi? I suoi pensieri, ancora una volta, si rivolsero a Miwako Sato. Dunque, davvero non l’avrebbe più vista tutti i giorni.
Sospirò ancora. Quel giorno la sua amata era di riposo. A giudicare dalla luce solare erano già le nove e mezza, e, conoscendola, era abbastanza sicuro che fosse ancora addormentata. D’altronde il giorno precedente Takagi aveva finito abbastanza presto di lavorare, mentre Sato era ancora in centrale e gli aveva detto che ne avrebbe avuto ancora per molto. Quel giorno, comunque, anche lui avrebbe avuto il giorno libero.
Diamine! Lui e Sato si erano dati appuntamento per le undici sotto casa sua. Cosa poteva fare? Uscire di casa e andare da Miwako? Era molto avventata come soluzione, ma mancare ad un appuntamento con la vice-ispettrice lo mandò in confusione e il panico prese il sopravvento. Altrimenti sarebbe rimasto davvero rinchiuso in quella casa?
Deciso, si avviò verso la porta d’ingresso, nonostante non indossasse le scarpe ma solo delle pantofole, e non aveva nulla della taglia giusta. I suoi vestiti erano tutti stropicciati e umidicci per il sudore causato dalla febbre alta. Appoggiò la mano per aprirla

“Dove stai andando?” Accidenti! Proprio quando gli mancava poco...
Conan lo stava osservando già da un po’. Aveva eseguito delle ricerche per tutta la notte, mentre Ai era ancora rinchiusa nel suo laboratorio. “Takagi... Capisco benissimo quello che stai provando in questo momento. Non poter starle accanto. È veramente difficile da accettare. Ma devi proteggerla, nascondendo la tua identità!” Improvvisamente suonò il cellulare di Conan Edogawa. Il bambino impallidì a leggere il nome dell’interlocutore. Rispose con una voce insicura e improvvisamente esageratamente infantile. Dal telefono trillò una voce, talmente alta e udibile anche a decine di metri di distanza dal cellulare.

“Conan! Dove sei sparito??” Era nei guai, nella fretta di inseguire gli uomini in nero aveva dimenticato di lasciare in agenzia un biglietto con scritto che al mattino presto doveva andare dal dottor Agasa. Le disse che Agasa l’aveva chiamato per provare una nuova invenzione “Dì al professore che deve chiedere il permesso a me! Non puoi farmi preoccupare così tanto, lo capisci?”.
Si rattristò. Poteva capire benissimo quello che provava Takagi in quel momento. Si scusò con Ran Mouri, d’altronde per lei era semplicemente un bambino da tenere sott’occhio. Ran non poteva di certo immaginare che dietro a Conan Edogawa c’era il suo ragazzo, il detective liceale Shinichi Kudo, di cui si era perdutamente innamorata. La chiamata terminò.
Conan appoggiò il cellulare sul tavolo e ritornò a squadrare Takagi. Indossava i vestiti di Shinichi di quando aveva otto o nove anni, Agasa avrà fatto un salto a casa sua per prenderli. Non si stupì che il vecchio dormiva ancora nonostante fossero già le nove passate. “Prima che tu metta fuori anche solo un piede, dobbiamo parlare. È chiaro che d’ora in poi non ti chiamerai più Wataru Takagi. Ho fatto delle ricerche e ho pensato al tuo nuovo nome.” Conan era rimasto sveglio tutta la notte per ridargli un’identità.

Takagi annuì, non poteva fare altro che concordare con lui: Wataru Takagi era stato ucciso dall’organizzazione criminale.
“Masao Fukuda. Per facilitarti, ho scelto il nome Masao perché è scritto con lo stesso kanji di Wataru. Può andare?”
Faceva un certo effetto, farsi chiamare in un altro modo dopo ventisei anni vissuti con il suo vero nome. Doveva abituarsi, non aveva alternative. “Masao Fukuda... Per me è ok. Ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto questa notte.” Gli sorrise sinceramente, sapeva di trovarsi in questa situazione per aver inseguito quei loschi individui assieme al bambino, ma ormai la frittata era stata fatta. Tanto valeva restare sulla loro stessa barca senza rancori e trovare un modo per tornare come prima.

“Non dovresti ringraziarmi, ti ho tirato dentro in questo grande pasticcio. Tieni, questi sono i tuoi nuovi documenti falsi. Ah!” Conan si ricordò di un'altra cosa importante che voleva dire a Takagi “Finché mi ricordo, è meglio se vieni con noi a scuola. So che può sembrare noioso, ma è più sicuro stare lì. Daremo sicuramente meno nell’occhio: siamo dei bambini e come tali abbiamo il dovere di andare a scuola.”

Wataru si trovò d’accordo, d’altronde non potendo tornare a lavorare in centrale e dunque non avendo la possibilità di vedere Miwako tutti i giorni, stare con le mani in mano gli sarebbe risultato difficile. Tornare a scuola... Se ci pensava era una sensazione stranissima, vivere per la seconda volta il primo giorno di scuola. Chissà quanti adulti sognano di tornare alle elementari, in cui la scuola è molto facile e non si hanno preoccupazioni di alcun tipo. Non si ha da lavorare, ci si deve solo occupare dello studio. Certo che invece per la maggior parte dei bambini la scuola era considerata quasi come una prigione dove non si può giocare, nonostante si passi la giornata con attività ricreative e ludiche e al tempo stesso istruttive.

“Takagi, qui abbiamo messo gli oggetti che avevi con te. Dobbiamo nasconderli per bene, nessuno deve sapere di tutta questa storia. Puoi tenere l’agenda con la penna, e abbiamo ricaricato il tuo cellulare. Potrebbe venirti utile. Tutto il resto lo dobbiamo nascondere finché non torni adulto.”

Guardò gli oggetti che i due bambini avevano disposto sul tavolo. C’erano il suo distintivo di polizia e la sua spilletta della divisione omicidi, di cui infatti non se ne sarebbe fatto nulla in quelle nuove sembianze. Il suo portafogli da cui prese i contanti restanti, non erano molti ma sarebbero potuti servire. La sua patente e le chiavi della macchina. Il suo porta-documento d’identità, dove teneva anche una foto di Miwako; avrebbe dovuto davvero nascondere anche la foto di Miwako? Recidere così ogni legame con la vita precedente?
Non se la sentiva proprio, ma l’avrebbe fatto. L’avrebbe fatto per proteggerla, nessun’altra persona doveva restare coinvolta in tutta questa storia. Sì, decise che l’avrebbe protetta sotto le sembianze di Masao Fukuda.
Osservò ancora la foto, e sorrise malinconico. Le mancava già tremendamente, la sua risata, il suo sguardo a volte così serio, così responsabile... Il suo profumo, il suo corpo... Già. Non l’aveva nemmeno salutata, d’altronde come avrebbe potuto prevedere una cosa simile. Non riusciva a sopportare l’idea di causarle altro dolore. Non gliene serviva altro, ne aveva già passate tante in tutta la sua vita. Certo, era una donna forte; non dubitava delle sue capacità. Ma aveva paura di ferirla, aveva paura della sua reazione appena avrebbe notato la sua assenza.
Appoggiò la foto e la ripose assieme alla sua carta d’identità. Sì, era determinato ad uscire da quella situazione. Doveva tornare da lei. Doveva passare altri milioni di momenti con lei, e quella foto inserita nel suo documento d’identità gli ricordò quella volta in cui, all’arrivo su una scena del crimine, al posto del distintivo di polizia aveva esibito il documento con la foto di Miwako in bella vista. Lei se ne era accorta, di primo impatto era rimasta seria e lo aveva rimproverato. “Takagi, dovresti prestare più attenzione e tenere bene i documenti!”
Si ricordava successivamente di essersi scusato, che figura, tenere una foto della persona a cui tieni di più assieme al proprio documento. “Però...” Miwako si era avvicinata talmente tanto al viso di Takagi da fargli mancare dei battiti “Sembra che la mia foto vicino alla tua carta d’identità stia a significare: se smarrito riportare da Miwako Sato.” Aveva sorriso e si era messa a ridere mentre si allontanava e lo richiamava “Andiamo che ci stanno aspettando per le indagini.” In quel momento non era riuscito a formulare nessuna risposta vocale, si era incamminato anche lui con le guance ormai in fiamme. Un giorno lo avrebbe fatto impazzire!
Il ricordo di quella volta lo portò a sorridere, e una lacrima gli cadde sul volto. “Se solo significasse davvero quello, sarei contento di essermi smarrito solo per essere riportato da te...” Mormorò tra sé e sé, in preda ai ricordi che quella foto gli aveva generato.

Conan non poté non confortarlo. “Ehi, Takagi. Capisco che non è per nulla facile, io più di tutti penso di poterti capire. Quindi dobbiamo sicuramente darci da fare per tornare da loro.” Gli sorrise determinato, pensando alla chiamata di poco prima.

Si asciugò la guancia “Hai ragione!” Vedere quella foto gli aveva fatto crescere ancora più determinazione a risolvere quella faccenda. “Scusami per la scena pietosa a cui ti ho costretto ad assistere.” Si sentiva in obbligo di scusarsi anche solo per aver pianto ed aver mostrato le sue paure. Ma in verità non c’era nulla di cui scusarsi, e Conan gli sorrise di rimando. Era sempre e comunque il solito Wataru Takagi.

“Masao, che ne dici di uscire a prendere una boccata d’aria fresca e approfittarne per andare a comprare qualche nuovo vestito, oltre al materiale per la scuola?” Conan lo trascinò fuori, nonostante fosse cosciente che Takagi non era ancora pronto per affrontare il mondo con un corpo più piccolo. Raggiunsero la via commerciale di Beika ed entrarono nel negozio di abiti per bambini. La taglia giusta per Masao era un otto anni. Era parecchio più alto rispetto agli altri ragazzi della loro età, ma al tempo stesso era molto piccolo, gracile e magro. La loro uscita si era prolungata, avevano già preso anche del materiale scolastico. Avevano fatto bene ad uscire, in quei momenti Takagi stava imparando a conoscere di nuovo il mondo dal punto di vista di un bambino. Si stava abituando anche al suo nuovo nome. Gli era stato utile per svagarsi, e non rimuginare in continuazione sulla sua vita, e perdersi così nei suoi ricordi.

Furono di ritorno quando l’orologio segnava mezzogiorno passato. Ma la casa sembrava ancora deserta, il dottore pareva essere uscito, mentre la giovane scienziata era ancora rinchiusa nella sua stanza. Masao appoggiò i suoi acquisti nella stanza in cui aveva dormito e si cambiò i vestiti, così da poter rendere quelli che gli erano stati prestati. Conan stava chiamando la scuola elementare Teitan e chiese, con la voce di Agasa, se era possibile inserire nella classe un altro bambino, sarebbero passati a fare l’inserimento la mattina stessa. Diedero disponibilità già per il giorno seguente: Masao avrebbe iniziato, per la seconda volta, il suo primo giorno di scuola. 

Masao tornò in soggiorno. In quel momento si ricordò che a quell’ora avrebbe dovuto trovarsi già con Sato, per pranzare insieme. Proprio mentre stava per perdersi nei suoi pensieri, il cellulare iniziò a squillare. Si avvicinò per controllare chi lo stava chiamando. Sorrise nel vedere il nome sul display lampeggiante. L’istinto lo portò ad afferrare il cellulare. Conan fu attirato dalla suoneria e lo fermò subito dal rispondere.

“Lascia fare a me, non puoi farti scoprire.” Tirò fuori il sintetizzatore vocale e lo regolò sulla voce di Takagi, pronto a rispondere al posto suo. Avrebbe sicuramente inventato qualcosa, il piano da seguire non era ancora delineato con certezza, non finché glielo avrebbe confermato Haibara. Dunque per il momento poteva mettere una pezza, senza dare la conferma che gli fosse successo qualcosa. “Pronto?”

Il detective della polizia impallidì, non era pronto a mentirle. Lei non meritava tutta quella sofferenza che gli avrebbe così causato. Ma al tempo stesso era forse la cosa migliore da fare, non l’avrebbe mai messa in pericolo.
“Takagi, dove sei?” Poteva sentire la sua voce, quella che una decina di ore prima non aveva pensato di poter risentire ancora. “Avevi detto che saresti arrivato alle undici”
Gli si strinse il cuore, lei lo aveva aspettato fino a quel momento. Se solo avesse potuto parlarle... Le avrebbe ripetuto fino alla nausea che l'amava. Ma si rese conto che anche se avesse potuto parlarle, non gli sarebbero uscite le parole. Un po’ per timidezza, e un po’ sarebbe stato dovuto a quel nodo in gola che gli si era appena formato. Aveva troppe parole da dirle, così tante che gli avevano addirittura creato un groviglio in gola.

“Ah! Ho avuto un imprevisto, sono già fuori città. Scusami, mi sono dimenticato di avvisarti!” 

Si sentì un sospiro dall’altra parte. Sperava solo che non fosse arrabbiata...

“Capisco. Potevi mandarmi un messaggio, avrei potuto dormire ancora un po’.”

No, dal tono di voce non sembrava arrabbiata. Per fortuna. Aveva più una nota di... delusione?

“Non importa, dai. Ci vediamo domani in centrale?” 

Diamine... Non sopportava l’idea di raccontarle ben due bugie, tra l’altro nemmeno dette da lui. Se la conosceva bene, in quel momento aveva assunto l’espressione di quando vuole fingere che sia tutto a posto. Quell’espressione che le aveva visto poche volte, ma che lo preoccupavano più di ogni altra sua emozione. Celato dietro un sorriso, i suoi occhi comunicavano una piccola ferita. Se la conosceva bene, l’intonazione che aveva usato descriveva perfettamente il suo viso. E sì che lo sapeva bene: perdersi nel suo viso era il passatempo che più gli riusciva meglio in ogni situazione.

“Non sono sicuro di quando riuscirò a tornare. Ti racconterò i dettagli un’altra volta. Ora devo proprio andare.” Conan chiuse la chiamata, meglio non prolungare oltre con dettagli che potrebbero svelare anche solo una mossa falsa.

Nemmeno il tempo per salutarla, nemmeno il tempo per rassicurarla che sarebbe tornato. Non gli aveva lasciato nemmeno il tempo per farle sapere che l’amava.

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Capitolo 4
*** in un nuovo modo. ***


Because you have someone to protect


Capitolo Quattro - Miwako Sato // in un nuovo modo.


Le aveva attaccato il telefono in faccia. Sato si convinse quindi che doveva essere veramente successo qualcosa. Non era da lui non presentarsi ad un appuntamento e nemmeno rispondere in modo vago a una sua telefonata, dimenticarsi di avere un appuntamento con lei e non accennare minimamente al motivo per cui si trovava fuori città e ciò che l’avrebbe tenuto impegnato. Questa faccenda le sembrava di averla già vissuta. 

Ora che ci pensava, non le aveva detto nulla nemmeno quando era partito per Hokkaido, dove era rimasto coinvolto in un rapimento e legato ad un asse di un cantiere in costruzione, con un cappio al collo e una bomba che sarebbe potuta esplodere da un momento all’altro. 
Si ricordava benissimo della paura di perderlo che l’aveva attanagliata durante quelle ore di ricerca. Era riuscita a salvarlo, a pochi secondi dall’esplosione. Era così sollevata di poterlo vedere ancora, di poter stare insieme nonostante la sfortuna la perseguitasse sin da quando era piccola.
Lui ne aveva passate già troppe, che fosse l’influenza che aveva su di lui? Ma era sicura che qualsiasi cosa fosse successa, lui avrebbe continuato a sbattere la faccia sul muro che lei si creava ogni volta per non soffrire. Non era giusto che il destino, o che sia, se la prendesse sempre con loro. Lei aveva sofferto, lui aveva sofferto.

Si ricordava anche di averlo sgridato quando era ancora in ospedale per riprendersi dal principio di ibernazione. L’aveva rimproverato almeno una decina di volte per non aver avvisato nessuno della sua partenza. In quei momenti passati era sembrato forse inopportuno sgridarlo: il motivo per il quale aveva deciso di non dire nulla a nessuno, era di risolvere la faccenda riguardante il suo migliore amico, nonché collega, e omonimo, Wataru Date, scomparso in un incidente stradale l’anno precedente. 

A ripensarci ora, avrebbe potuto evitare di rimproverarlo, magari avrebbe attutito l’enorme senso di colpa che si portava dentro e mai esternato a nessuno.
Credeva di poter leggere la sua mente come un libro aperto, ma da quell’episodio sapeva di essersi sbagliata. 

Quante cose ancora non conosceva di lui? 
Conosceva il suo lato timido, conosceva il suo senso di giustizia e di responsabilità, conosceva il suo coraggio. 
Già, forse era proprio quest’ultimo il motivo per cui si era innamorata. Di nuovo. Doveva per forza essere quella la ragione. 
Ma le era stato ripetuto più volte che l’amore non è razionale. Non che si impegnasse veramente a capire come funzionano i sentimenti. D’altronde era la prima abituata a chiudersi in sé stessa.

Nonostante i suoi rimproveri di qualche mese prima, sembrava che non avesse imparato ad avvisare le persone che gli stavano attorno. “Stupido Takagi...” Sospirò. Dunque le aveva raccontato una bugia. Almeno, quella era la sensazione che la telefonata le aveva suscitato.

Riprovò a chiamare, ma non si stupì di trovare il cellulare spento. Quale diavolo di imprevisto poteva aver avuto, tanto da terminare subito la chiamata e spegnere il cellulare? 
Avrebbe voluto restare calma e trovare una soluzione logica nella più totale oggettività, ma la preoccupazione aveva preso il sopravvento. 
Quella chiamata non le era piaciuta per nulla. Era debilitante per lei, sempre il più razionale possibile, farsi prendere dalle emozioni. Ma in quel momento sentiva che doveva assolutamente scoprire la verità dietro quella chiamata.

Si diresse verso l’appartamento di Takagi, avrebbe sicuramente trovato qualche indizio, magari tra la posta. La fortuna era anche dalla sua parte: quella mattina aveva scelto, senza nemmeno guardare il contenuto, la stessa borsetta in cui aveva riposto le chiavi di scorta dell’appartamento di Takagi. 
Le aveva procurato una copia da qualche settimana. 
Effettivamente viveva da solo lì a Tokyo, la sua famiglia era rimasta nella sua città natale. Dunque si era preoccupato di dare almeno una copia alla persona che più gli era vicino, per emergenze. 
Non che le dispiacesse essere la persona più vicina a lui, anzi. Ma si era spesso domandata del suo passato; non aveva mai avuto l’occasione di parlarne, o anche se ci fosse stata, in qualche modo riusciva sempre a sviare il discorso. Come se ci fosse qualche problema, o che semplicemente non volesse parlarne. 

Entrò in casa. Da una prima occhiata veloce era tutto più o meno in ordine, o meglio, sembrava non essere stato toccato niente da quando era uscita la mattina precedente assieme a Takagi. Avevano dormito insieme, come capitava qualche volta. Il suo appartamento era anche piuttosto comodo, visto che viveva da solo; non dovevano nascondere nulla a nessuno. Era diventata quasi una routine, infatti aveva ormai una cesta nell’armadio di Takagi per riporre qualche suo abito. Erano più le volte che lei dormiva da lui: ancora non ne aveva parlato con sua madre, quindi a casa di lei ci passavano le notti in cui sua madre si assentava. Aveva dedicato comunque un posticino nella sua cassettiera per un completo da uomo color ottanio, che gli aveva comprato e regalato, e per ulteriori abiti di lui. Gli stavano proprio bene, pensava infatti che avrebbe dovuto fargli indossare più spesso quel completo, quella tonalità gli donava.

Si riscosse dai suoi pensieri e continuò ad ispezionare la casa in cerca di indizi. La casa era come lei l’aveva lasciata, non si era spostato nulla nemmeno di qualche millimetro, né la disposizione dei cuscini sul divano, il telecomando era ancora lì, le sedie nella stessa posizione che dimostravano che la mattina avevano fatto colazione insieme ed erano in ritardo, le due tazzine appoggiate sul lavello per sgocciolare. Era come se non fosse rientrato a casa dopo che l’aveva salutato in centrale la sera precedente. Dunque era veramente successo qualcosa che gli aveva impedito di tornare a casa e successivamente di raggiungerla per passare insieme la giornata. Dove sei andato? 
Nella telefonata le aveva detto di essere fuori città per un imprevisto. Le risultava difficile crederlo, c’era qualcosa di molto strano che ancora non era riuscita a focalizzare. E poi cosa voleva dire che non era sicuro di quando sarebbe tornato? 
La chiamata era terminata in modo frettoloso, per non lasciarla replicare. Se fosse stato rapito non avrebbe risposto nemmeno. Quindi escluse l’eventualità di un rapimento. Sembrava più come se volesse nascondere qualcosa. 
E l’avrebbe sicuramente scoperto. Se c’era un modo per aiutarlo l’avrebbe trovato, qualsiasi motivo fosse per cui si era dileguato senza avvisare nessuno.

Ripose le tazzine, ormai più che asciutte. Non aveva trovato nessun indizio su dove potesse essere andato. Ma forse era anche più che normale che lì non ci fosse nulla, proprio perché a casa non ci era tornato. 
Doveva trovare un’altra soluzione. Se si era allontanato fuori città sicuramente avrebbe dovuto prendere la macchina. D’altronde, quella mattina per andare in centrale entrambi avevano preso la propria macchina e avevano percorso strade diverse. 
Era sempre così quando dormivano insieme: avrebbe evitato a Takagi le pressioni da parte dei suoi colleghi che l’avrebbero sicuramente sottoposto ad uno dei loro interrogatori per ottenere più informazioni possibili sulla loro relazione. 
Quando capitava però, lei non muoveva un dito per aiutarlo. Certo, le dispiaceva che venisse torchiato fino all’ultima informazione, d’altronde non era capace a mentire. Ma al tempo stesso era divertente. 
Ci avrebbe pensato Takagi ogni giorno a far capire ai suoi colleghi che lei era già impegnata.

La sua macchina ovviamente non era a casa, visto che non era tornato. Decise di ripercorrere un eventuale tragitto dalla centrale di polizia. Doveva essere certa che gli fosse successo qualcosa prima di avvisare tutti gli altri. Aveva ancora un’intera giornata libera a disposizione per trovarlo. 
Raggiunse i pressi della centrale avendo cura di non farsi vedere da nessuno dei suoi colleghi. Sarebbe balzata subito nell’occhio di chiunque: l'agente Sato, che aveva un appuntamento con il detective Wataru Takagi, non si trovava con lui bensì era sul posto di lavoro durante il suo giorno libero. Lavorava già abbastanza, se lo meritava più di chiunque altro un po’ di riposo. anche se dispiaceva a tutti non vederla passare tra i corridoi dei vari uffici durante i suoi giorni liberi.

Ripercorse una prima strada, prestando attenzione nei paraggi. Avrebbe cercato qualsiasi indizio. L’area da ispezionare, però, era molto vasta se voleva farcela da sola, non le sarebbe bastata sicuramente tutta giornata per trovare anche un solo indizio. Ma cosa avrebbe dovuto dire ai suoi colleghi per aiutarla nella ricerca? Che Takagi non si era presentato al suo appuntamento, dimenticandosi di avvisarla, e terminando frettolosamente la chiamata? 

Era meglio proseguire da sola. 

Le ricerche continuarono a vuoto fino a fine giornata. Ormai si era fatto buio ed era molto stanca, oltre che preoccupata. Aveva bisogno di riposare qualche ora, ma non era del tutto sicura di riuscire anche solo ad addormentarsi. 
Non era tranquilla: il suo cellulare risultava ancora spento, non poteva mettersi in contatto con lui in nessun modo. Cosa avrebbe fatto se gli fosse capitato davvero qualcosa di brutto? Sperava con tutta sé stessa che lui stesse bene. 
Tornò a casa e nonostante tutte le sue preoccupazioni, la stanchezza prese il sopravvento e si addormentò, pronta a tornare a cercarlo una volta sveglia e riposata.

La vita quotidiana aveva ripreso il suo ritmo alla luce del sole. Aveva veramente dormito tutto quel tempo?! Avrebbe preferito svegliarsi almeno tre ore prima, quando il sole era ancora dietro all’orizzonte e c’era sicuramente meno gente nei paraggi. 
Quel giorno avrebbe dovuto essere a lavoro molto presto. Avrebbe potuto raggiungere subito la centrale per informare della scomparsa di Takagi, si era anche già preparata per il lavoro, ma decise di mentire ancora, voleva trovarlo da sola. Quindi avvisò semplicemente l’ispettore Megure con una chiamata telefonica dicendogli che sarebbe arrivata più tardi a lavoro. Fortunatamente non le fu negato il permesso. Avrebbe potuto così continuare con la sua ricerca prima che tutti si accorgessero della scomparsa di Takagi. Le sembrava di ricordare che Wataru quel giorno avrebbe dovuto iniziare a lavorare nel tardo pomeriggio. Aveva ben sette ore per cercare indizi. Allo scadere di queste ultime si era promessa di avvisare Megure.
Era ancora determinata, sapeva che l’avrebbe trovato. O meglio, doveva assolutamente trovarlo. Non era tranquilla e anzi, se avesse chiamato rinforzi era sicura che la sua mente non sarebbe rimasta concentrata e sarebbe caduta nel baratro della disperazione. 

Quante volte ormai si era detta che lei portava sfortuna? Quante volte avrebbe voluto rinunciare alla sua vita sentimentale? Non voleva soffrire e nemmeno voleva far soffrire Wataru. Sapeva di essere complicata, di avere un casino assurdo nella testa. Eppure lui era sempre lì, pronto a bussare alla sua porta, pronto a difenderla. Doveva ricambiare tutto ciò. Doveva trovarlo con le sue sole forze.
Doveva dimostrare a sé stessa che lei non era stata destinata alla sfortuna, o meglio, il suo destino era di sconfiggerla ogni volta che le si sarebbe presentata davanti.

Continuò le ricerche, quando, nel primo pomeriggio, si ricordò che effettivamente c’era un posto un po’ più distante da dove si trovava in quel momento, in cui, se la fortuna era dalla sua parte, e sapeva di non poter contare molto su questo, avrebbe potuto trovare qualche indizio sulla scomparsa di Takagi.
Si ricordava infatti che l’aveva invitata fuori per una serata in quel locale, che era solito frequentare, ma con suo grande dispiacere non aveva potuto uscire quella sera. Si trovava in una delle vie commerciali di Beika, e poco più avanti c’era uno degli ingressi al parco del quartiere. 

Parcheggiò la macchina nel primo posteggio libero davanti al parco. Raggiunse il locale di cui Takagi le aveva sempre parlato. La sua macchina era infatti parcheggiata ancora davanti al locale, voleva dire che non era davvero fuori città, come invece le aveva detto per telefono. 
Sì, la sera precedente era stato lì fino alla chiusura del locale, così le confermò il barista. Aggiunse anche che mentre chiudeva la saracinesca l’aveva visto con la coda dell’occhio entrare nel vicolo lì di fronte e gli era sembrato di vedere anche un bambino delle elementari con lui, ma non ne era sicuro. 

Finalmente aveva una pista da seguire! Ringraziò e si precipitò a cercare qualsiasi briciola di indizio che potesse esserle utile. La prima cosa che vide fu uno skateboard abbandonato, vicino al muro. Qualcuno l’aveva perso? Nonostante fosse giorno e di luce solare ce n’era in abbondanza, in quel vicolo era molto buio. 
Si addentrò nel vicolo e quando si girò lo vide: un uomo accasciato a terra privo di sensi. Si assicurò che fosse ancora vivo e poi cercò di fargli riprendere i sensi. Da quanto tempo era lì? Apprese che l’uomo era ancora in buona salute e che era solo svenuto dopo aver avuto un incontro con due uomini vestiti di nero. Non aveva più nulla con sé, nemmeno il portafoglio. Che si fosse trattato di un furto? 
L’uomo aggiunse che si ricordava che poco prima di svenire, uno dei due uomini era tornato indietro inseguendo un poliziotto che li stava osservando. Ottimo! Era sulla strada giusta. Aiutò l’uomo a rimettersi in piedi, e gli consigliò di esporre denuncia del furto e di farsi visitare in ospedale. Non era a conoscenza però del fatto che l’uomo era stato coinvolto in uno scambio di materiale illegale, dunque non avrebbe sicuramente denunciato il fatto, ma ringraziò comunque la donna.

Il primo posto che le venne in mente per scappare da un ipotetico inseguitore era proprio il parco di Beika. Perlustrò la zona: lì ci si poteva nascondere, sperava di non essersi sbagliata nelle deduzioni. Takagi avrebbe sicuramente lasciato un indizio lì. 
Ma perché non le aveva detto di tutta questa faccenda per telefono? Ora era sicura che le avesse mentito. Aveva ancora qualcosa da risolvere su quella faccenda: lo skateboard, il bambino che è stato visto dal barista ma che l’uomo svenuto non l’aveva minimamente accennato, e i due uomini vestiti di nero. 

Provò ancora una volta a telefonargli. “Diamine…!!! Dove sei sparito? Rispondimi!” Nulla, il cellulare era spento. Perché diavolo spegnere il cellulare? 
Si accorse che qualcuno la stava salutando energeticamente dal sentiero di fianco, che rimaneva separato dai cespugli. Abbassò lo sguardo: si trattava dei Giovani Detective.

“Detective Sato, sta cercando qualcuno?” Ayumi si avvicinò agli arbusti. 
“Non è che ha perso di vista il detective Takagi mentre stavate facendo un appostamento qui al parco?” Suppose Mitsuhiko raggiungendo l'amica. 
“Non risponde nemmeno al cellulare?” Genta notò il display del cellulare.

Sorrise ai bambini. Non doveva assolutamente far trapelare la sua preoccupazione. Doveva essere un esempio per quei bambini: una vice-ispettrice della polizia deve essere sempre lucida, e non lasciarsi mai trascinare dalle emozioni. “No, non mi risponde al telefono, ma sono sicura che è ancora nei paraggi.” 
Una mezza bugia poteva andare bene con i bambini. Successivamente notò anche Conan e Ai, entrambi non l’avevano nemmeno salutata. Anzi, avevano uno sguardo serio, fermo fisso su un altro bambino che non aveva mai visto. I loro sguardi sembravano dire all’amico di non fare sciocchezze.

Quel bambino... la stava fissando con occhi persi nel vuoto, le suscitavano un senso di malinconia, come se l’avesse sempre conosciuto. 

Lo conosceva? No, non aveva mai visto quel bambino prima d’ora... eppure in quel momento, più fissava i suoi occhi, più era certa di conoscerlo. Erano proprio identici a quegli occhi che adorava vedere tutti i giorni, e che nelle ultime ventiquattro ore erano diventati la sua principale preoccupazione. Doveva trattarsi solo di un’allucinazione, però. 
Sembrava essersi accorto solo ora che lo sguardo della donna era rivolto verso di lui. Lo osservò arrossire e indietreggiare. Sembrava un ragazzino molto timido. Era alto rispetto ai bambini della sua stessa età, ma quell’altezza lo rendeva fin troppo magro e gracilino. Ora che ci pensava, anche Wataru era alto, e decisamente magro. Nonostante ciò era un uomo forte, e questo l’aveva potuto constatare già più volte. 
No, non era proprio quello il momento di pensare ai lineamenti del suo corpo. 
Era talmente assorta nei suoi pensieri che non fece nemmeno in tempo ad accorgersi che il bambino era inciampato goffamente in un ramo mentre stava indietreggiando dal suo sguardo indagatore.



Si era trovato inspiegabilmente a terra. Come se non fosse già bastato tutto il dolore che aveva provato qualche giorno prima, aveva picchiato la testa e la schiena sulla ghiaia del sentiero, e probabilmente dal dolore, si era slogato o rotto il polso sinistro con cui si era appoggiato istintivamente al terreno. Doveva essere quel parco a procurargli tutti quei dolori. Si promise di non metterci più piede. 
Diamine che figura… inciampare davanti a Miwako. Lei era lì per davvero, e i loro sguardi si erano incrociati. 
O meglio sembrava quasi come se lo stesse studiando da cima a fondo. Si era sentito tremendamente in imbarazzo. Davanti a lei e al suo sguardo non riusciva a ragionare e anche la coordinazione del suo corpo diventava difficoltosa. Se non fosse caduto, sicuramente non avrebbe saputo spiaccicare parola. 
Cercò di tirarsi su ma la testa doleva e non poteva farsi forza sul braccio. Si arrese all’idea di riuscirci. Perché era sempre così maledettamente impacciato? Sbuffò. 
Conan e Ai si erano diretti verso di lui per attutire la caduta ma non erano stati così veloci. “Tutto a posto, Masao?”



Si era distratta nei suoi pensieri che non si era proprio accorta del bambino che era inciampato. Per rimediare scavalcò i cespugli divisori. Sembrava proprio una brutta caduta. Voleva assicurarsi che non si fosse fatto nulla. D’altronde ai bambini capitava spesso di cadere, e di uscirne illesi. Ma dall’espressione che aveva sul viso sembrava essersi fatto male. 
Conan e Ai gli stavano parlando, ma sembrava proprio che non li stesse ascoltando. Aveva lo sguardo fisso su di lei, senza un motivo apparente. 
Si abbassò verso di lui, lasciandogli comunque agio. Appena si era avvicinata però il bambino era arrossito fino alla punta delle orecchie. 

No, questa reazione non era dovuta alla timidezza del ragazzino. Si era solo avvicinata per aiutarlo, visto che sembrava molto dolorante. Aveva sbagliato qualcosa? Era a conoscenza di non saperci fare coi bambini, a differenza invece di Wataru, sempre disponibile a dare un’occhiata durante le indagini a quei bambini troppo curiosi e riportarli a casa. L’aveva sempre trovato carino e dolce con loro. 
Ora che ci pensava... Takagi era sempre dolce e carino in qualsiasi situazione. Pochissime volte aveva sperimentato il contrario.



Sapeva di dover rispondere a Conan e Ai, sapeva di essere Masao Fukuda in quel momento, ma lei aveva scavalcato i cespugli per poi avvicinarsi a lui. 
Maledizione! Doveva fingere e mentire in sua presenza, non ce l’avrebbe mai fatta. Doveva provarci almeno. Come si comporta un bambino? Beh sicuramente non avrebbe continuato a fissare quel paio di occhi ametista, e non sarebbe arrossito fino alla punta delle orecchie. Se avesse potuto sarebbe sprofondato volentieri nel terreno per ripristinare la distanza precedente. 
“Che male...” Il nodo alla gola si era allentato, ma la sua era ancora una voce strozzata. Sarebbe stato tutto più semplice se quella caduta gli avesse procurato una perdita di memoria. Avrebbe ricominciato tutto da zero, in un nuovo modo. 
Ma forse... non avrebbe sopportato l’idea di dimenticarsi di lei e di non essere a conoscenza che la stava facendo soffrire.



Dunque si era fatto veramente male. Non poteva ignorarlo, anche se con lui c’erano Conan e Ai, che sapevano cavarsela benissimo da soli, ma erano comunque dei bambini. 
“Dove ti sei fatto male?” Se fosse necessario l’avrebbe portato in qualche clinica medica.



“P-penso di essermi slogato il polso...” Non riusciva a guardarla negli occhi, era troppo vicina e aveva quello sguardo indagatore che gli metteva soggezione. Se non voleva farsi scoprire doveva evitare di guardarla. Forse così sarebbe stato più facile mentirle? 
Ma chi voleva prendere in giro? Avrebbe sicuramente fatto il possibile per proteggerla e non farla entrare in tutta questa faccenda, ma non era sicuro di riuscire a tenerla fuori. Aveva bisogno di lei, aveva bisogno di farle sapere che l’aveva già trovato, aveva bisogno di dirle che l’amava, aveva bisogno che lei non fosse preoccupata per lui.

“M-Miwako...”

Aveva parlato senza accorgersene, l’aveva guardata ancora solo per un secondo per poi distogliere lo sguardo. Trovò gli sguardi di Conan e Ai, che avrebbero voluto cancellare l’ultima parola che aveva rivolto a Sato. 
Si sarebbe fatto scoprire subito, ma in quel momento non era più lucido, effettivamente il dolore era aumentato e aveva bisogno di essere curato.



Decise di portarlo da un medico, gli avrebbero messo una fasciatura adeguata. 

Un momento... Cosa aveva bisbigliato? 
Le era sembrato di aver sentito il suo nome, ma com’era possibile? Non si era ancora presentata e i bambini l’avevano chiamata solo Sato. Si era sbagliata e aveva sentito male? Tutte quelle sensazioni familiari mentre osservava quel bambino... Forse avrebbe dovuto ascoltarle. 
Ancora non se n'era nemmeno resa conto, ma non era più preoccupata sulla scomparsa di Takagi dal momento in cui aveva incontrato quel bambino. Era lui. Non c’era altra spiegazione. E l’aveva proprio chiamata Miwako. 
Ma forse erano solo delle coincidenze. Forse era meglio pensarla così. Non era possibile tornare bambini, no? Se fosse veramente così, cosa avrebbe fatto? Tantissimi pensieri si erano aggrovigliati tra di loro nella sua mente. Ma sperava di rispondere e seguire soltanto uno di quei pensieri.

Era solo un bambino e non si conoscevano, giusto?

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Capitolo 5
*** Un errore ***


Because you have someone to protect


Capitolo Cinque - Masao Fukuda // Un errore


Ne era sicuro. Lei l'aveva scoperto. Sapeva che Masao Fukuda non esisteva. Sapeva che Masao Fukuda non era altri che Wataru Takagi.
Si era lasciato istintivamente sfuggire il suo nome che come bambino non avrebbe dovuto conoscere. Non se l’era cavata per nulla bene nemmeno all’inizio dell’incontro visto che lo sguardo di lei era puntato fisso su di lui. Ma il vederla l’aveva mandato in confusione, non aveva avuto più la lucidità di reagire nel modo corretto, si era lasciato sopraffare dal suo istinto.
Maledizione! Il viso di lei era sbiancato completamente, il volto era cosparso da espressioni concentrate, cercava di mettere insieme tutti i tasselli, ma forse senza nemmeno troppa fatica.
Sembrava più volersi convincere che non fosse così.

Diamine... La stava facendo soffrire, cosa che avrebbe voluto evitare. Sia che fosse riuscito a mantenere segreta la sua identità, sia che lei avesse scoperto tutto, non c’era nessun modo per evitare il dolore provocato da quest’assurda situazione.
Dunque era meglio non mentirle e dirle tutta la verità, forse poteva essere d’aiuto anche per Conan e Ai, ma non sapeva se loro sarebbero stati d’accordo. L’antidoto doveva essere ancora completato, ma l’organizzazione avrebbe dovuto pagarla in qualche modo. E forse era meglio mettere al corrente anche la polizia metropolitana di Tokyo, piuttosto che fare affidamento solo sull'FBI e la polizia segreta, c’era più probabilità di catturarli e fermali. Il suo senso di giustizia gli consigliava di muoversi così. Doveva solo tenere fuori dalla questione i veri bambini, Mitsuhiko, Ayumi e Genta, che si erano già distratti e stavano giocando poco più in là.

Ricordava di essere caduto ed essersi fatto male. Gli ritornò in mente solo quando Sato gli si avvicinò ancora di più. “È meglio se ti porto in qualche clinica. Riesci ad alzarti?”
Per quanto potesse sforzarsi, il braccio gli faceva molto male. Almeno era riuscito a mettersi seduto e la schiena era tutta intera. Ma da lì ad alzarsi in piedi avrebbe dovuto metterci ancora molta più forza. Il corpicino da bambino che si ritrovava non era per nulla utile.
Sospirò. Era troppo imbarazzante quella situazione e perciò non riusciva a spiaccicare parola. Doveva dirle che non ce la faceva, ma sarebbe sicuramente morto dalla vergogna.
Lei invece gli sorrise dolcemente. “Ti porto io, allora”. Il suo tocco era molto delicato. Avendo cura di non procurargli dolore al polso, lo aveva caricato sulle spalle e gli teneva le gambe per aiutarlo a reggersi meglio. Nonostante ciò, si sentiva in fiamme nelle parti in cui era a contatto con il suo corpo.
Da quella posizione poteva sentire il profumo dei suoi capelli, il suo viso era nascosto ma poteva vederne una piccola parte, a pochi centimetri di distanza. Le guance erano ormai diventate paonazze, l’ansia di esserle così vicino l’aveva pervaso. Non gli dispiaceva, ma se lei aveva capito chi era veramente, era decisamente troppo imbarazzante.
Se solo non fosse tornato bambino... Avrebbe potuto annullare le distanze tra di loro in quel momento. Anche se doveva ammettere che se non fosse tornato bambino non avrebbe potuto essere preso in braccio e portato sulla sua schiena. Era davvero una stranissima sensazione, di cui non si hanno precisi ricordi dell’infanzia, era persino piacevole essere tenuti in braccio.
Il suo battito cardiaco stava accelerando. Temeva un qualsiasi dialogo. Avrebbe dovuto mentirle come gli avevano suggerito Conan e Ai, che in quel momento erano preoccupati per lui? O avrebbe dovuto ascoltare il suo senso di giustizia?


“Quindi ti chiami Masao. Giusto?” Il bambino che si era caricata sulle spalle rispose affermativamente con voce tremante. Decise di andare fino in fondo ai suoi dubbi.
“Noi due ci siamo già incontrati?” Pur non riuscendo a vedere il suo viso, era sicura avesse spalancato gli occhi. Si era sbilanciato, come se si fosse girato alle proprie spalle per rivolgere lo sguardo ai due bambini con cui si trovava prima. Conan e Ai dovevano sapere qualcosa di tutta questa storia. D’altronde il signore del bar aveva visto Takagi assieme ad un bambino delle elementari. Ed era ormai quasi sicura che lo skateboard trovato nel vicolo fosse proprio quello di Conan.
Aspettò pazientemente una sua risposta, e continuò a camminare portandolo fuori dal parco. I due bambini la stavano seguendo, mentre i giovani detective erano rimasti al parco salutandoli.


Cosa doveva rispondere? Si era girato verso Conan e Ai per avere supporto, ed entrambi gli facevano segno di dirle di no. Doveva recuperare la svista di pochi minuti prima, quella che aveva quasi dato la certezza a Sato che lui fosse per davvero Takagi. Pronunciare il suo nome era stato un errore da parte sua. Nessun altro doveva essere coinvolto in questa storia contro l’organizzazione criminale.
Però... Però questo voleva dire che Sato avrebbe continuato a cercarlo inutilmente, proprio ora che lei l’aveva trovato. Doveva davvero rendere vana la sua ricerca? “N-No, perché?”


Sorrise. Sembrava impegnarsi moltissimo per raccontarle bugie. “Non mi sono mai presentata, come sai il mio nome?” Voleva proprio vedere cosa le avrebbe risposto.
Dannazione! Era una situazione veramente assurda, credere che il proprio ragazzo si fosse rimpicciolito. Ma non aveva alternative, per il momento questa era l’unica pista da seguire per la scomparsa di Takagi. Da una parte sperava proprio che si stesse sbagliando. Ma ormai ne era sicura, dal momento in cui l’aveva chiamata Miwako. E in quel bambino vedeva i movimenti di Takagi, le sue espressioni...
Se non le voleva dire nulla, un motivo doveva esserci. Era disposta a non sforzarlo più di tanto, ma non l’avrebbe lasciato da solo. Anzi, voleva scoprire chi l’avesse ridotto così. Doveva stargli accanto il più possibile.


“M-me l’ha detto Conan-kun. All’uscita di scuola abbiamo incontrato l’ispettore Shiratori con la maestra Kobayashi! Ci hanno raccontato la loro storia...” Poteva risultare credibile? Probabilmente no. Non sarebbe riuscito sicuramente a mentirle ancora.
Appoggiò istintivamente la sua nuca contro quella di Sato. Voleva assolutamente proteggerla e tenerla fuori da questa situazione, ma gli era impossibile. In quel momento decise di ascoltare il suo senso di giustizia. Non aveva senso mentirle per proteggerla da quella situazione. Era una detective, avrebbe fatto qualsiasi cosa per avere informazioni sulla sua scomparsa, e successivamente si sarebbe messa sulle tracce di chi l’aveva ridotto così. Era meglio avvertirla del pericolo, raccontarle tutto.
Da quella posizione avrebbe potuto parlarle tranquillamente senza farsi sentire da nessun altro se non lei. “N-no... La verità è che...”
Chissà... Forse Conan e Ai avrebbero concordato con lui? Si stavano accertando che non le dicesse nulla di strano mentre stavano raggiungendo la clinica medica più vicina.


Lo sentì appoggiarsi alla sua testa. Doveva essere esausto da quella situazione. Doveva fargli molto male il polso. No... Le si era avvicinato per sussurrarle la verità. Quella verità a cui una vocina nella testa le diceva di non credere, qualunque cosa lui le avesse detto.
“Aspetta, per favore. Non voglio costringerti a dirmi la verità. Capisco la situazione.” Sì, per il momento era meglio che restasse solo un’ipotesi. “Prima sistemiamo quella brutta frattura al polso, sei d’accordo, Masao?”
Che vigliacca, stava chiaramente temporeggiando. Una vice-ispettrice di polizia che non svolge le indagini come andrebbero svolte, che vergogna. Mischiare i suoi sentimenti con il lavoro...
Mancava meno di un’ora all’inizio del turno di Takagi in centrale. A quel punto tutti si sarebbero accorti che era successo qualcosa al ragazzo. Aveva meno di un’ora per parlargli e trovare insieme una soluzione.
Eppure aveva cambiato discorso, evitando così di avere la conferma dell’ipotesi che al momento era quella più probabile che più si avvicinava alla realtà per quanto molto fantasiosa e quasi impossibile da pensare razionalmente.

La clinica era distante ormai solo una decina di passi. Effettivamente non c’era tempo per spiegarle tutto prima di essere visitato. “Sì...”
Lo fece scendere dalle sue spalle, una volta entrati nella clinica. Sato spiegò la situazione al dottore che lo fece accomodare nell'ambulatorio. Fortunatamente non era così grave come si pensava, non era una frattura. Il polso sarebbe tornato normale dopo una settimana solo con l’ausilio di un tutore, che gli era già stato posizionato.
Il dottore le spiegò che i bambini avevano una ripresa ossea molto più veloce degli adulti, le fece firmare delle carte e disse: “Me lo riporti qui tra una settimana, controllerò se il polso di suo figlio sarà migliorato”.
Sato divenne completamente rossa, si limitò a ringraziarlo e ad uscire il più in fretta possibile dalla clinica, prendendo Masao per la mano sana. Inutile dire che quel tocco lo mandò in escandescenza. Era vero, poteva sembrare che Sato avesse avuto un figlio molto presto. Ma la verità non era quella. Ed entrambi erano nel più totale imbarazzo. Anche Conan e Ai, che erano rimasti fuori dalla clinica ad aspettarli, avevano notato il rossore di entrambi. Speravano solo che non fosse successo nulla.

“Grazie per avermi portato fin qui” Il bambino la ringraziò. Le gote rosse almeno quanto le sue.
Si abbassò alla sua altezza e gli passò una mano tra i capelli sorridendogli. “Di nulla, Masao. Farò il possibile per aiutarti” No, non aveva bisogno che lui le dicesse la verità. Lei l’avrebbe protetto a modo suo: in quel momento era sotto le sembianze di un bambino che si faceva chiamare Masao Fukuda. Avrebbe rispettato quel copione. Avrebbe protetto la sua identità, fin quanto avrebbe potuto.

Guardò ancora quel bambino negli occhi, sicura della sua decisione. Erano gli stessi di quando era in imbarazzo, e glieli aveva scrutati innumerevoli volte. Conosceva ogni angolo della timidezza del suo ragazzo, che sembrava molto difficile da fargli superare. Considerando già tutte le notti che avevano passato insieme, per lui era ancora come se fosse la prima volta.
Era proprio carino quando arrossiva, i suoi occhi che si perdevano tra i suoi pensieri non pronunciati ma leggibili in ogni movimento millimetrico dell’iride. Sì, poteva essere sicura che erano proprio i suoi occhi, quelli che aveva visto tantissime volte.

“Scusatemi ma ora devo andare in centrale” Si alzò e li salutò proseguendo verso la sua macchina. Forse per il momento era meglio allontanarsi. Soprattutto ora che aveva deciso di proteggere la sua identità e di coprire la scomparsa di Takagi. Avrebbe giustificato la sua assenza raccontando ai suoi superiori che si era ammalato. Avrebbe dovuto sicuramente parlargli di quella situazione, ma lui era già evidentemente troppo scosso, e il loro incontro gli aveva anche procurato una slogatura al polso. Non voleva procurargli ulteriori problemi, visto che lei ne portava sempre troppi ovunque andasse.
Una lacrima le solcò il viso perfetto. Salì sulla sua RX-7 rossa. Era ancora difficile da credere, ma era davvero un bambino. “Ti giuro... Ti giuro che troverò una soluzione.” Erano parole rivolte ormai a sé stessa mentre metteva in moto la macchina, diretta in centrale.


“Direi che te la sei cavato per questa volta.” Ai rivolse lo sguardo verso un Masao completamente pietrificato dalla scena appena vissuta.
“Puoi temporeggiare ancora un po’ sulla verità da dirle.” Concordò Conan.
“Certo che però quella donna è fin troppo determinata. Si è messa sulle tue ricerche dopo che quel piantagrane di Kudo l’ha insospettita con una telefonata a cui non dovevate rispondere secondo il piano che stavo ancora studiando.” Ai fece spallucce e si diresse verso casa.
“Haibara, non puoi lanciare frecciatine e poi allontanarti!” Conan la raggiunse, preoccupandosi di farsi seguire anche da Masao che non aveva ancora detto una parola.
“E invece sì. Si vede proprio che Takagi le ha fatto perdere la testa. Anche se è stata solo una casualità che vi siate incontrati al parco.” Ai aveva ragione, al parco avevano fatto sparire ogni traccia di Takagi, ma si erano dimenticati di recuperare lo skateboard e di spostare la macchina del detective, dettagli che avevano aiutato Sato ad arrivare fin lì. Anche se da quel punto, le indagini si sarebbero interrotte.

Masao stava cercando di mettere insieme tutto ciò che Sato gli aveva detto. Era sicuro che lei avesse capito tutto. Al cento per cento. Si era costruita un nuovo muro, gli aveva detto che non voleva costringerlo a dirle la verità, ma l’unica che non voleva ascoltarla era solamente lei stessa. Era caduta nuovamente nel vortice delle sue emozioni negative, convincendosi di portare sfortuna.
No. Non riusciva a sopportare l’idea di vederla in quello stato. Avrebbe voluto fermarla, ma lei era scappata via prima che potesse aggiungere altro. Si promise di parlarle il prima possibile.
“Masao, ci stai ascoltando?” Ai lo rimproverò e lo riportò alla realtà.
“Eh? S-sí, certo che stavo ascoltando!” Replicò alle sue accuse, ma suscitò solo una risata da parte di lei.
“No, decisamente non sei capace a mentire.”

Era uscito da solo il seguente pomeriggio. Ai era impegnata a studiare un antidoto, il dottore era andato a consegnare delle invenzioni, mentre Conan era stato costretto a rientrare a casa con Ran.
Aveva così tanti pensieri per la testa che voleva solo toglierseli al più presto. Non era riuscito a chiudere occhio pensando a come doveva sentirsi Miwako.
Da casa del dottore alla centrale di polizia, ci avrebbe messo almeno quaranta minuti anche correndo a passo svelto. Decise di dirigersi alla stazione e di proseguire in treno, ce ne avrebbe impiegati solo dodici.
Una volta lì, si rese conto di non aver pensato a come fare per entrare. Aveva le sembianze di un bambino, era difficile giustificare un ingresso regolare se non era coinvolto in nessun caso. Un’apparente fortuna era, però, dalla sua parte: notò che al piano terra una delle finestre dei servizi igienici era leggermente aperta. Probabilmente qualche inserviente stava facendo asciugare il pavimento. Sì, per un bambino della sua statura non sarebbe stato affatto difficile intrufolarsi da quella piccola fessura della finestra, nemmeno per lui che non possedeva una grande forza fisica, soprattutto ora che aveva pure il polso slogato e tenuto fermo da un tutore.
Entrò. Ovviamente erano i bagni delle donne. Sperò, più che altro per la sua incolumità, che nessuno li stesse utilizzando.
Bene, sembrava fin troppo fortunato: il bagno era vuoto. Ora gli restava solo uscire e accertarsi che nel corridoio verso le scale per la sezione omicidi non passasse nessuno. Era assurda quella situazione, intrufolarsi dal bagno nel luogo in cui solitamente lavorava.
Non era nemmeno più sicuro se fosse corretto o meno quello che stava facendo. In quel momento aveva le sembianze di un bambino e difficilmente si vedevano dei bambini girare a piede libero per i corridoi, soprattutto se erano degli sconosciuti.
Però... Lui era comunque Wataru Takagi, detective della prima divisione della sezione omicidi. Era autorizzato ad entrare. O no?
Mandò al diavolo il suo senso di correttezza. Doveva assolutamente parlare con Sato, o altrimenti tutti quei pensieri l’avrebbero attanagliato.

Corridoio: libero. Sperava di riuscire ad arrivare fino alla fine del corridoio per imboccare le scale senza incrociare nessuno. Conosceva quel corridoio come le sue tasche. In verità al mattino presto, ancora un po’ addormentato, lo percorreva anche ad occhi chiusi. Sapeva benissimo che quel corridoio non gli avrebbe offerto nessun angolo per potersi nascondere da un eventuale collega che sarebbe passato di lì.
Era quasi a metà, e sarebbe arrivato alle scale, ma l’unica cosa che vide pararsi di fronte a lui era una delle porte del corridoio spalancata improvvisamente. Immancabilmente fu troppo tardi per schivarla e ci finì contro con tutta la forza che stava impiegando per attraversare quel dannato corridoio velocemente.
Diamine... Erano ormai tre giorni che gliene succedevano di ogni tipo. Iniziava a chiedersi se avesse fatto qualcosa di sbagliato e il karma gli si stesse ritorcendo contro. “Ouch...!” Si portò le mani alla testa massaggiandosi la fronte, sperava solo che non gli crescesse un bernoccolo.


“Oh! Scusami... Dovrei smetterla di aprire le porte così in fretta. Solo oggi ho già steso altri tre colleghi in questo modo.” La poliziotta rise pensando di trovarsi di fronte un adulto, ma quando socchiuse la porta non vide nessuno. Che si fosse sognata quel tonfo?
Eppure qualcosa le aveva impedito di aprire ulteriormente la porta. Abbassò lo sguardo e trovò un bambino.


E ovviamente tra tutti i colleghi che avrebbe potuto incontrare... la sua fortuna decise che doveva trattarsi proprio di Yumi, una poliziotta della stradale, se non altri che la migliore amica di Sato.
Non aveva un brutto rapporto con lei. Anzi, gli era capitato spesso di chiederle consiglio, o che lei gliene desse spontaneamente, ma era molto strategica e al tempo stesso maldestra. Quante volte l’aveva messo nei guai? Non le contava nemmeno più. Era fatta così e non sarebbe cambiata nemmeno con l’ennesimo rimprovero amichevole. “Cerca di prestare un po’ più di attenzione...”


Curioso. Un bambino che le diceva come doveva comportarsi. Eh no, questo non le sarebbe andato giù. Le aveva suscitato una grande rabbia, tanto che alzò subito la voce contro di lui. “Senti un po’, moccioso! Non ci si rivolge così a persone molto più grandi di te. Ma chi te l’ha insegnata l’educazione?!”
Lo squadrò per bene dall’alto verso il basso. Doveva mettere bene in chiaro sin da subito che era lei a comandare. Non si sarebbe mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno. Anche i suoi amici e colleghi erano spesso volenterosi di darle consigli, peccato che nessuno gli chiedeva di farlo.
“E in ogni caso, sei tu che non dovresti essere qui. Questo non è di certo un parco giochi” Aspetta, cosa ci faceva un bambino nei corridoi della centrale di polizia? Non avevano nessun caso in corso e quel giorno non erano previste testimonianze.


Non avrebbe mai saputo tener testa a quella ragazza. Innanzitutto aveva due anni in più di lui, ed era la migliore amica della sua fidanzata. Non era nemmeno uno dei suoi interessi risponderle in qualsiasi modo. Si era scordato di essere un bambino, e in quel momento le aveva risposto d’impulso come sempre era solito rivolgersi a lei amichevolmente. Quelle parole dette da un bambino le avevano fatto tirar fuori gli artigli. E quando Yumi si arrabbiava... Era meglio dileguarsi il prima possibile.
Doveva raggiungere a ogni costo le scale, e sperare che non lo seguisse.
“M-Mi dispiace, signora.”
Era difficile trovare le parole giuste per un bambino, quindi accennò un piccolo inchino e sgattaiolò via, ma si sentì tirare per il colletto della maglia.
E ora?

"Forse... Non ho sentito bene. Sembro così vecchia da essere chiamata signora?!”
Roteò gli occhi, era proprio impossibile. Di pazienza ne aveva sempre fin troppa con lei, e anche questa volta, si scusò per ben due volte, nonostante fosse a lui che era arrivata una porta in faccia.
“Scuse accettate. Ora ti accompagno fuori, così puoi giocare da un’altra parte.”
Bene, l’ingresso era esattamente al lato opposto delle scale. Si sarebbe allontanato non appena lei avrebbe distolto lo sguardo e lasciato la presa sulla sua maglietta.

Era talmente un vulcano che stava ormai parlando da sola tra sé e sé in un monologo di pensieri complicati da seguire: “Ah! Non li sopporto proprio i bambini...!! Spero solo che l’eventuale futuro figlio di Miwako sia gestibile. Prima o poi capiterà sicuramente. È ora che quella ragazza si dia da fare. Dovrei ripeterglielo. Se aspetta Takagi sarà troppo vecchia. Stasera appena la vedo glielo dico! Sarò la zia Yumi...”
Ogni tanto era utile sapere cosa frullava in testa a quella ragazza. Ma quest'ondata inconscia di pensieri erano più di quello che avrebbe voluto sapere veramente. Non c’era da stupirsi se era diventato completamente rosso fin sopra alle orecchie.
Quei discorsi erano imbarazzanti! Non erano assolutamente ancora pronti sotto quel punto di vista! Cosa diavolo fantasticava?? In quel momento si sentiva forse peggio di qualche settimana prima, ricordandosi di quando aveva interpretato male le parole di Sato. Aveva stupidamente pensato che fosse rimasta incinta, quando invece aveva perso solamente la spilletta della divisione omicidi che era stata regalata a tutti i componenti delle varie squadre.
E ovviamente quel fraintendimento aveva fatto il giro della centrale intera in meno di un’ora, colpa di Yumi. Probabilmente quell’evento l’aveva sconvolta visti i suoi pensieri un po’ troppo fantasiosi su di loro.
Si divincolò dalla presa di Yumi sulla sua maglietta.


Non prestò nemmeno troppa attenzione al fatto che ora quel bambino era a piede libero di correre via. Ma la sua attenzione era stata catturata dal colorito che aveva assunto la sua faccia. Doveva aver detto qualcosa senza essersene resa conto. Eppure stava solo facendo un’ipotesi su come potesse essere il figlio della sua migliore amica e di quel timidone di Takagi. È anche vero che non erano discorsi adatti ad un bambino ma la sua reazione le sembrava fin troppo eccessiva.
Ora che lo guardava bene, aveva qualcosa di familiare. Che fossero i piccoli occhi completamente sgranati dall’imbarazzo? Le ricordavano proprio quelli di Takagi quando lo metteva in imbarazzo di fronte a Sato.
... ... ... Che fosse il figlio di Takagi?? Ma non ne sapeva nulla! No, impossibile. Era troppo grande per essere suo figlio. E in più quella teoria implicherebbe che non sarebbe il figlio di Miwako ma di un’altra donna. No, assolutamente impossibile.
... ... ... Che fosse il fratellino di Takagi? O il cuginetto? Ora che ci pensava, non l'aveva mai sentito parlare della propria famiglia. Nemmeno con Miwako ne aveva mai parlato, almeno, da quanto lei le aveva riferito.
Si perse via nelle sue congetture, dimenticandosi di dover portare all’uscita quel bambino.


Non dovette attendere nemmeno molto per riuscire a scappare dalle sue grinfie e dai suoi pensieri alquanto imbarazzanti. Salì le scale il più silenziosamente possibile, doveva riprendersi dal rossore. Quella ragazza era un vero e proprio terremoto!
Al contrario invece dei corridoi della sezione omicidi: sembrava tutto così tranquillo. Probabilmente non c’era nessun’emergenza di intervento. Solitamente in quelle occasioni ne approfittava per svolgere il lavoro in arretrato. Sentì dei passi che si avvicinavano, era sicuramente qualche suo collega. Si nascose prontamente dietro ad una rientranza della parete.
“Secondo te è successo qualcosa a Sato? È più intrattabile del solito.”
“Non so. Takagi non si è fatto vedere, e mi pare di aver capito che è a casa ammalato. Sarà preoccupata per lui.”
“Capisco. Quel Takagi dovrebbe smetterla di procurarle così tante preoccupazioni. Non sei d’accordo?”
“Assolutamente. Fino a poco fa era ancora al distributore automatico con uno sguardo a dir poco agghiacciante...!”
Le voci dei due si fecero più flebili. Si diresse senza indugiare a dare un’occhiata alla zona dove erano soliti fare pausa insieme.
Infatti era lì, seduta da sola. Aveva in mano l’ennesimo bicchierino di caffè.

Ok, e ora che era arrivato fin lì? Il coraggio gli stava venendo meno. Il suo cuore aveva iniziato ad accelerare il battito, sentiva le pulsazioni martellargli persino nelle orecchie. Ma non aveva mica rischiato tutta quella strada per nulla.
Doveva assolutamente parlarle. E quando notò il suo sguardo, assorto nel bicchierino ormai vuoto, si decise più che mai a raccontarle tutto.
Le si avvicinò, era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse di lui finché non lo ebbe di fronte. Non sapeva neppure come salutarla. Ancora non le aveva detto nulla, ma aveva paura di ciò che le avrebbe voluto dire.
Ormai era lì e gliel'avrebbe detta, la verità. Era ancora troppo presto per rispondere alla domanda che gli cresceva sempre più velocemente nel petto.

Sarebbe stato un errore rivelarle la verità?

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Capitolo 6
*** perdonabile ***


Because you have someone to protect


Capitolo Sei - Miwako Sato // perdonabile


“Sato...”

Si destò sorpresa dai suoi pensieri, quelli che dal pomeriggio precedente non avevano la minima intenzione di uscire dalla sua testa. E la causa di ciò, le si materializzò di fronte proprio in quel momento, chiamandola per cognome.
“Che cosa ci fai qui?” Quel bambino... Masao Fukuda... Era diventato la sua ossessione. Non riusciva a non pensarci, nemmeno per un secondo. Non era sicura se la causa di questa ossessione fosse da imputare al fatto che desiderava che i suoi dubbi venissero smentiti, o al fatto che desiderava che fosse veramente lui. Si era pentita di essere stata una codarda. Avrebbe dovuto affrontare la questione subito.

“I-io... Devo parlarti.” Aveva un’espressione così seria, determinato ad arrivare fino in fondo.
Era seduta, dunque i loro occhi erano alla stessa altezza. “Dimmi tutto.” Gli sorrise, non sapeva nemmeno lei come era riuscita a muovere quei muscoli facciali, che, fino a pochi secondi prima e da ormai qualche giorno, si erano arrugginiti.
Quel suo sorriso provocò al bambino dei pizzichi alle guance che stavano man mano prendendo colore. L’avrebbe voluto mettere a suo agio in qualsiasi modo, ma forse la situazione era più difficile da gestire di quanto sembrava.

“Io...” Lo vide avvicinarsi ancora di più a lei. Era da ammirare anche solo la sua forza di stare in piedi, quella che a lei mancava dal pomeriggio precedente. “Ti chiedo scusa. Non avrei mai voluto farti preoccupare.” Sembrava voler continuare da solo il discorso. Era deciso, e la guardava negli occhi con fermezza, anche se poteva giurare di sentirli gridare.
Perché diamine si stava scusando con lei? Se era per averlo portato fino alla clinica medica più vicina, l’avrebbe aiutato comunque in ogni caso. No? “Ma no, non devi chiedermi scusa. L’importante è che il tuo polso non ti faccia male, allora io non sarò preoccupata.”
Ma sapeva benissimo che non era quello il discorso che il bambino avrebbe voluto affrontare. Stava succedendo ancora, non voleva sentirla, la verità.
L’espressione del bambino barcollò, indeciso se proseguire con il suo discorso o se raccontarle un’ennesima bugia che avrebbe procurato meno dolore della verità, ma che avrebbe continuato a generare un’evidente stato di disagio per entrambi.

“Non sono qui per il polso.” Il suo tono di voce si era affievolito. Calò lo sguardo verso il pavimento, interrompendo il loro contatto visivo. “Vorrei solo non vedere più quell’espressione triste sul tuo bellissimo viso a causa mia.”
Le sue parole le tinsero le guance: questo era uno dei suoi complimenti, sempre così dolce e gentile. Ma come avrebbe potuto accontentarlo? Era inevitabile vista la situazione. Eppure, pur quanto sbattesse la faccia contro l’evidenza, non voleva arrendersi all’idea che i suoi sospetti fossero fondati.
“Sato...” incastonò i suoi occhi in quelli di lei, per dimostrarle che non stava mentendo. “Ascoltami, so che è assurdo. Ma dobbiamo trovare una soluzione. Insieme, come sempre” Questa volta fu lui ad accennare un sorriso.

Allora quella era per davvero la verità. E per davvero davanti a lei... davanti a lei c’era il suo ragazzo, Wataru Takagi. In quel momento era come se il tempo si fosse fermato.
È vero, l’aveva ritrovato. Però... Non poteva sentirsi sollevata, come invece aveva creduto di essere quando ponderava i suoi dubbi. Il suo ragazzo aveva le sembianze di un bambino, stava bene ed era ancora vivo. Ma non riusciva a sopportare l’idea che qualcuno l'avesse ridotto in quello stato. Non sopportava vederlo soffrire. E quella situazione doveva assolutamente essere risolta in qualche modo.

I suoi occhi erano fissi sul piccolo corpicino che si era ritrovato. Non riusciva a formulare una risposta, voleva sentirlo parlare. Voleva sapere tutto. Come al solito si era pure scusato con lei, quando la colpa era unicamente da imputare alla sua sfortuna che continuava a colpire le vite di chi le stava intorno per vederla soffrire.
Nonostante l’avesse trovato, le sembrava di essere caduta in un baratro. Doveva sicuramente aver sofferto tantissimo in quei tre giorni, tanto da doverle raccontare la verità, molto surreale, alquanto improbabile e sicuramente difficile da accettare.
Doveva essere lei il suo punto di riferimento, giusto?
E invece non riusciva ad esserlo. La sfortuna aveva bussato ancora alla sua porta, aprendo ogni ferita del passato che era riuscita a rimarginare. Sembrava che il suo destino fosse quello. Quante volte ancora avrebbe dovuto vivere quelle emozioni? Perché sembrava che fosse lei la causa della sfortuna nella loro relazione? Quante ferite avrebbe dovuto ancora sopportare Takagi per colpa sua? Lui aveva scelto, nonostante lo avesse avvisato, di starle comunque a fianco.

Sussultò quando si sentì prendere le mani. Erano piccole. E lui le strinse, per farle sentire la sua presenza. Non le disse nulla, si limitò soltanto a quel gesto.
Forse, doveva tornare in sé. Doveva aiutarlo. Doveva proteggerlo. Era il compito che lui le aveva chiesto, solo con lo sguardo. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarlo e tornare alla normalità. Forse, doveva sorreggerlo in questa nuova avventura. Non potevano cadere, e se fosse successo, si era promessa che sarebbero caduti insieme.
Lo guardò negli occhi, visivamente imbarazzati, ma le erano dannatamente mancati. Gli rivolse un sorriso sincero. Non le importava nient’altro se non che lui fosse lì con lei. “Devo insegnarti proprio tutto, Wataru? Non si fa attendere la propria ragazza ad un appuntamento... Stupido!”
Le guance di lui diventarono sempre più rosse. Era ancora terribilmente più carino del solito. Quanto le piaceva stuzzicarlo...! Si era stranamente ammutolito, doveva aver usato tutto il suo coraggio per dirle la verità e ora non doveva avere nemmeno più la forza di mettere insieme una frase di senso compiuto.

Gli si avvicinò. Era vero: in quella situazione non avrebbero più potuto comportarsi come avevano sempre fatto. Però... Si sarebbero create tante altre nuove occasioni ed esperienze che altrimenti non avrebbero mai vissuto. Poteva conoscere il passato di Wataru, ora che era nel corpo di quando era bambino. Era alto per la sua età, ma così piccolino al tempo stesso. Fino a quel momento non aveva ancora preso seriamente l’idea di crescere un bambino.
Decise di esprimere il suo affetto nel modo più corretto: lo baciò sulla fronte. Gesto che provocò il totale rossore sul viso del ragazzino. Si accorse nel momento in cui gli poggiò le labbra sulla fronte, che il bambino aveva un segno più scuro proprio lì al centro. Sembrava che gli fosse caduto qualcosa addosso, e a giudicare dal livido sembrava essere doloroso.
“Cosa ti è successo sulla fronte? Ti sei fatto male...?” Magari doveva solo ancora abituarsi al nuovo corpo e dunque muoversi non doveva essere semplice, soprattutto quando sono ormai tantissimi anni che vedi le cose in maniera adulta.


Negò, e le rivolse uno sbuffetto: “Hmpf, no. Non è nulla” Si ricordò improvvisamente dell’incontro con Yumi. Le sue parole erano come una doccia gelida. Fantasticava assolutamente fin troppo! Soprattutto ora che si trovavano in quella situazione. “Ah, Sato... Se per caso incontri Yumi… non far caso a quello che potrebbe dirti.”


E ora cosa c’entrava Yumi? “Adesso sono curiosa di sapere cos’è successo.” Lo guardò e gli sorrise. Stavano chiacchierando come se nulla fosse successo e questo le era di conforto.
Gli fece segno di sedersi di fianco a lei, avrebbe passato volentieri con lui la sua pausa che ormai si era prolungata fin troppo. Per qualche strano motivo, non voleva sedersi al suo fianco. Probabilmente doveva ancora riprendersi da pochi attimi prima.
Era maledettamente ancora più carino in quel corpo da bambino. Quindi era autorizzata a rivolgergli il suo affetto, non più con baci sulle labbra rubati al volo, ma bensì con gesti con cui di solito si trattano i bambini, giusto? Non che lei fosse una cima nei rapporti con i più piccoli. Ma questa era decisamente una situazione a parte.
Decise di sollevarlo in braccio e farlo sedere sulle sue gambe. Non avrebbe potuto scappare, ora era troppo curiosa di sapere l’intera storia.


Era fin troppo vicino al suo viso, in quella posizione. Ma si rese conto di non potersi spostare nemmeno di un centimetro, dato che Sato lo teneva ben saldo sulle gambe. In ogni caso, nonostante l’imbarazzo fosse parecchio, non avrebbe nemmeno voluto liberarsi dalla sua presa. Sicuramente sarebbe rimasto lì con lei per ore, ed essere seduto sulle sue gambe lo mandava in confusione. Era quasi come una sensazione paradisiaca: essere un bambino sembrava già avere tantissimi vantaggi, certo che avrebbe vissuto determinate situazioni che altrimenti non avrebbe mai affrontato.
“In realtà nulla... Non abbiamo parlato. Mi ha solo dato una porta in faccia.” Ultimamente aveva una vera sfortuna alle calcagna.

Rise. Era proprio bella. Ma essere un bambino aveva anche già troppi svantaggi. Quella risata, avrebbe voluto chiuderla tra le sue labbra. La sua mente era comunque adulta, ma il corpo in cui si era ritrovato era limitato. Sarebbe più che strano vedere un bambino baciare un adulto. Dunque era meglio evitare, soprattutto considerando che erano sul luogo di lavoro, e aveva più volte sostenuto che avrebbero dovuto evitare di baciarsi in servizio, a meno che non si trattasse di un appostamento dove si camuffavano come fidanzati, e ultimamente erano diventati molto più naturali anche nel fingere.


“Gliel’ho già detto molteplici volte di aprire le porte dei corridoi con meno forza... Non cambierà mai. Quella ragazza non ascolta nessuno, nemmeno la sua migliore amica.” Sato sospirò.
“Ah Sato, eccoti!” Si sentì chiamare e sussultò. Fece scendere immediatamente Takagi dalle sue gambe e il bambino arrossì fino alle orecchie.
Non aveva nemmeno avuto il tempo di squadrare l’espressione del piccolo Masao: sicuramente in quel momento era contrariato. Ma con tutte le volte che erano stati interrotti, spesso anche sul più bello, ormai ci aveva fatto l’abitudine. Sapeva solo che gli dispiaceva tantissimo lasciarlo sempre in sospeso.

Però... Tutte quelle volte in cui erano stati interrotti, li aveva fatti avvicinare sempre di più, fino al loro primo bacio, che non avrebbe mai dimenticato. Non era la tipa da fantasticare sul suo primo bacio, ma da una parte avrebbe voluto che fosse avvenuto in un posto più romantico di stanza d’ospedale. Le ricordava quanto le loro vite fossero a rischio ogni giorno e di quanto il loro lavoro fosse pericoloso.
Quella volta sembrava quasi un sogno, non li aveva disturbati nessuno e finalmente aveva potuto finire tutto ciò che era stato lasciato in sospeso tra di loro. Si ricordava del suo rossore, dovuto alla sorpresa, ma non ci aveva pensato due volte a completare il bacio, per quanto gli fosse possibile nelle condizioni in cui si trovava. Era stato il loro primo bacio per entrambi, ed era stato qualcosa di unico.
Ricordava di come fossero entrambi imbarazzati in quel momento, ma allo stesso tempo felici e completi. Sapeva di dover esprimere tutto quello che sentiva nei suoi confronti, ormai da un po’ di tempo. Non si ricordava nemmeno più di come si era accorta di essersi innamorata di lui. Ma quello che sapeva era che voleva vederlo ogni giorno, per essere sicura che non gli accadesse nulla. E all’epoca non poteva nemmeno immaginare che i loro baci sarebbero stati limitati così presto, a causa del suo destino sventuroso.
Doveva trovare assolutamente una soluzione, rivoleva dannatamente indietro il corpo adulto di Takagi. Perciò fece del suo meglio per nasconderlo, sperando che nessuno dei suoi due colleghi appena arrivati l’avesse notato.

“Chiba...!” Dietro al suo collega c’era anche Shiratori. Sembravano essere di fretta.
“C’è stato un omicidio, dobbiamo andare sul luogo dell’incidente.” Quest’ultimo le spiegò il motivo della loro fretta. “Chi è quel bambino?”
Ok, l’avevano visto. Doveva trovare subito una scusa credibile. Era un bambino, non poteva stare in centrale senza un valido motivo, e lei lo aveva tenuto fino a pochi secondi prima sulle gambe. Doveva temporeggiare per trovare una scusa. “Si è fatto male proprio qui fuori mentre ero in pausa e ora lo stavo medicando...” Sorrise per rinforzare la bugia. Il bambino aveva anche un tutore al polso. Dovevano crederle, no?
Vide Shiratori avvicinarsi al bambino. “Noi due ci siamo già incontrati, vero? Tu sei Masao Fukuda, il nuovo allievo della maestra Sumiko.” Era vero: il giorno precedente Masao le aveva detto di sapere il suo nome, proprio perché aveva incontrato la maestra Kobayashi e l’ispettore Shiratori che gli avevano raccontato la loro storia.
Aveva creduto che anche quella fosse una bugia, ma come poteva esserlo? Non sarebbe mai stato capace di tirare in ballo altre persone per mentirle. Dunque le aveva semplicemente rivelato una parte della verità condendola con una piccola bugia.


“E-ehm... Sì.” Maledizione, non voleva assolutamente prendere parte ad una discussione con loro. Non ne sarebbe stato in grado senza farsi scoprire.
Decise allora di prendere la mano di Sato e stringerla. Sperava avrebbe capito le sue intenzioni, doveva portarlo fuori da lì, o aiutarlo in qualche modo.


“Vi raggiungo tra poco sulla scena del crimine...! Accompagno Masao fuori dalla centrale e arrivo anche io. D’accordo?” Li vide annuire e dirigersi verso il parcheggio.
Erano rimasti ancora una volta da soli. Ma purtroppo il tempo a loro disposizione era terminato. Avrebbe dovuto raggiungerli, era ancora a lavoro dopotutto. Anche se sperava di poter trascorrere tutto il tempo con il suo ragazzo, ora che l’aveva definitivamente trovato. Sentì un leggero “Grazie” sussurrato dalla sua voce.
Lo accompagnò lungo tutto il corridoio tenendolo per mano. Non che avesse bisogno di essere tenuto per mano per non perdersi, ma voleva semplicemente fargli sapere che lei era lì, e che non lo avrebbe lasciarlo.
Per tutto il tragitto nessuno dei due spiaccicò parola. Un po’ perché erano nei corridoi della centrale di polizia, dove persino i muri avevano orecchie quando si trattava della ragazza in questione. Sarebbe già bastato vederla tenere per mano un bambino per renderle insopportabile la vita a lavoro.

Per non destare nessun sospetto erano usciti proprio fuori dalle mura della centrale di polizia. Da lì avrebbe raggiunto i suoi colleghi con la sua macchina. Si abbassò all’altezza del ragazzino per osservarlo negli occhi. I loro sguardi si intrecciarono per lunghi secondi; gli occhi le pizzicavano. Voleva terribilmente indietro il suo Wataru. “Sai dove trovarmi. Mi devi dire tutto quello che è successo, promettimi che lo farai.”
Lo abbracciò forte a sé, cosicché non avrebbe potuto vedere le lacrime che le scendevano sul viso. Era solita tenersi dentro ogni sorta di emozione, ma in quel momento le lacrime non avevano intenzione di arretrare. Si sentiva in dovere di proteggerlo, visto che non era riuscita ad impedire questa brutta situazione. Doveva almeno proteggerlo, e soprattutto darsi da fare per trovare un modo per tornare come prima.


Stava piangendo. Dannazione. La sua ragazza stava piangendo di fronte a lui e per colpa sua. Avrebbe voluto dirle un fiume di parole, ma in quel momento se gliene fossero uscite almeno quattro di fila sarebbe stato un successo. Quel nodo terribile alla gola era tornato ad attanagliargli le corde vocali.
Ricambiò immediatamente l’abbraccio pur quanto potesse con il suo polso slogato. Avrebbe voluto stare con lei ancora a lungo, ma doveva raggiungere la scena del crimine per proseguire le indagini. Avrebbe potuto andare con lei, era comunque un detective e avrebbe potuto aiutare sicuramente, un po’ come faceva sempre Conan, ma non voleva turbarla più del dovuto.
Era certo che avrebbe concluso le indagini senza problemi, se lui non fosse stato nei paraggi. Magari si sarebbe distratta un pochino da tutta questa storia.

“Sato...” Doveva farsi vedere sicuro di sé, doveva farlo per lei. Non poteva lasciarla cadere nel baratro delle sue emozioni negative dettate dai ricordi del suo passato. Era difficile anche per lui, ma sentiva il bisogno di averla vicina.
Doveva proteggerla, soprattutto ora che sapeva la verità. L’aveva messa in pericolo, e gli dispiaceva di essere stato costretto a raccontarle tutto, ma forse era stata la scelta migliore per entrambi: sapevano di doversi sostenere a vicenda e affrontare insieme questa faccenda. Non avrebbe sopportato a lungo l’idea di vederla soffrire perché era sparito dalla circolazione. Era molto meglio averle raccontato la verità.
Erano ancora stretti nell’abbraccio, che nessuno dei due sembrava intenzionato a sciogliere. Nessuno dei due voleva separarsi di nuovo, ora che si erano trovati. “Te lo prometto.”


Decise in quel momento. Doveva starle a fianco il più possibile. Si sarebbe trasferito a casa di lei, sempre che a lei fosse andato bene. Avrebbero potuto così lavorare meglio nella ricerca dell'organizzazione degli uomini in nero. Avrebbero potuto così smuovere, verso le ricerche sui criminali in questione, dall'agente di livello più basso fino al capo del dipartimento della polizia metropolitana di Tokyo.
Il loro compito era di schierarsi contro a questa organizzazione, scoprire in che cosa consistesse e soprattutto fare giustizia. Non era lui la prima e unica vittima, come gli era stato riferito. L’organizzazione sembrava spietata. Sarebbe servita la collaborazione di tutto il dipartimento. Era il loro lavoro. E l’avrebbero svolto fino alla fine.


Sentì sciogliere l’abbraccio. Le lacrime sembravano non voler cessare, nemmeno con la promessa sussurrata con un filo di voce da parte di Takagi. I loro occhi si intrecciarono nuovamente. Le lacrime le offuscavano la vista, non poteva perdersi nei suoi occhi e nemmeno vedere un sorriso accennato sul volto del ragazzo.
Il rivolo di lacrime proveniente dal suo occhio sinistro, fu portato via dal piccolo pollice della mano sana di Takagi. Le aveva dolcemente liberato la visuale per quanto avesse potuto.
Sentiva la scia lasciata dal suo tocco. Poteva giurare di sentire ancora il suo contatto sulla guancia, nonostante fosse stato solamente un attimo. Avrebbe voluto che si fosse fermato e le avesse accarezzato ancora il viso.
Ma quello che ottenne fu ancora più bello: si era ritrovata le sue labbra sulla guancia da cui aveva portato via le lacrime. Poteva sentire quel bacio come un marchio a fuoco. Esprimeva tutto il suo affetto. E aveva intrapreso quel gesto, mettendo da parte per una volta, la sua adorabile timidezza.
Non si sarebbe lasciata andare alla disperazione. Doveva essere forte per lui. Doveva aiutarlo a tornare adulto, non avrebbe potuto lasciarlo da solo ora che l’aveva ritrovato. Aveva sofferto già abbastanza, decise che avrebbe dovuto tenerlo sott’occhio. Non poteva lasciarlo da solo, non in quelle condizioni.
“Wataru...” Gli occhi avevano ormai cessato di produrre lacrime, le era bastato quel suo gesto. Era reale, e aveva deciso di passare insieme a lui quest'avventura. “Vieni a stare a casa mia. Non posso farcela a saperti lontano da me.”
Sì. Glielo aveva proposto per davvero. Non che volesse portarlo via dalla casa che lo stava ospitando in quel momento.


L’aveva solo pensato di andare a vivere con lei, giusto? Eppure avevano avuto lo stesso pensiero. Poteva tastare anche a mani nude la preoccupazione che avvolgeva Miwako. Era suo dovere tranquillizzarla. Non gli sarebbe successo più nulla, sarebbe tornato adulto, in un modo o in un altro.
“Ho appena pensato la stessa cosa. Se non disturbo, verrò sicuramente. Devo solamente avvisare Ai e Conan” Le sorrise nuovamente, doveva dimostrarle che lui stava bene, e che non doveva preoccuparsi così tanto.
Non avrebbe voluto lasciarla, ma fece due passi indietro, ancora senza voltarsi.


Si alzò in piedi, avrebbe dovuto essere già in macchina verso la scena del crimine. Osservò il bambino indietreggiare. “Nessun disturbo. Ti aspetto allora.”
Lui annuì e fece altri passi indietro, per poi voltarsi.
Si voltò anche lei: sarebbe riuscita a concentrarsi abbastanza per l’indagine che l’aspettava? L’unica cosa che sapeva era di voler terminare al più presto quella giornata lavorativa per tornare a casa sua.

Solo in quel modo sarebbe potuta restare assieme al suo fidanzato, Wataru Takagi, tornato nel suo corpo di quando era bambino, che trovava in ogni caso estremamente carino.

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Capitolo 7
*** per stare insieme. ***


Because you have someone to protect


Capitolo Sette - Masao Fukuda // per stare insieme. 



Già. Essere tornato bambino aveva i suoi vantaggi. Poteva ammirare, come ogni mattina in cui erano soliti dormire insieme, il suo dolce viso ancora addormentato, illuminato appena da un fascio di luce solare proveniente dalla finestra. Il suo respiro era regolare, i capelli corti scompigliati seguivano un percorso tutto loro sul cuscino. Lei aveva insistito che avrebbero dormito insieme, nonostante la situazione.
Sicuramente non era una proposta da rifiutare, da cominciare dal fatto che era ospite in casa Sato. Anche perché sarebbe stato da sciocchi rifiutare l’invito da parte della propria fidanzata. Stavano comunque insieme, no?

Lui sapeva di avere le sembianze di un bambino, ma la sua mente non riusciva a non pensare a lei e a tutto ciò che c’era stato tra di loro. Ma questa era anche la sua condanna: non poteva nemmeno più sfiorarla con un dito. O almeno, questo era quello che si era imposto, per lo meno per non perdere il controllo della situazione.

Già. In quel momento avrebbe terribilmente voluto stringerla a sé, per accarezzarla e farla sentire protetta. Quante volte si erano addormentati insieme abbracciati… e quante volte invece l’aveva svegliata con un abbraccio, dopo che aveva già preparato la colazione. Miwako era solita dormire fino all’ultimo minuto, ma nonostante questa sua preferenza, aveva sicuramente più energia sin dal primo mattino rispetto a lui che invece aveva bisogno di qualche oretta per svegliarsi a tutti gli effetti.

Avrebbe atteso che si fosse svegliata, anche se quella situazione lo stava uccidendo. Erano da soli, solo loro due, nella camera di Sato. A chi sarebbe importato se un bambino la baciasse? O le passasse lentamente una mano sul fianco? O si stringesse in un abbraccio? Aveva bisogno di assicurarsi che lei stesse bene, che lei non fosse preoccupata per lui.

L’importante era stare insieme, e averle raccontato la verità forse era stata la scelta migliore. Le aveva raccontato tutto ciò che era successo prima di addormentarsi. Ora aveva decisamente un peso in meno in gola. Fortunatamente era riuscito a convincere Ai e Conan, che raccontarle la verità era la cosa migliore. Avrebbero ottenuto l’aiuto della polizia, e avrebbero sicuramente lavorato sodo per scoprire più informazioni possibili su quest'organizzazione.

Doveva ringraziarli se avevano capito il suo problema, senza essersi arrabbiati sul fatto di aver svelato la sua identità alla sua fidanzata. Era certo che anche Conan avrebbe voluto farlo, ma la situazione era diversa: la sua ragazza non era di certo una poliziotta. Certamente avrebbe saputo difendersi, ma era meglio per lei rimanere estranea alla situazione. Era meglio continuare a credere all’identità di Conan Edogawa, per non metterla in pericolo, visti gli ultimi episodi avvenuti intorno a Shinichi Kudo, di cui era stato messo al corrente. Probabilmente qualcuno dell’organizzazione sarebbe presto uscito fuori allo scoperto.

Doveva solo avvertire tutti i dipartimenti per mettersi sulle tracce di questi uomini in nero. Sapevano solo il nome, Karasuma Group, e che i loro nomi in codice sono dei liquori. Nemmeno Ai Haibara, che aveva collaborato con loro sotto il nome in codice Sherry, sapeva gli effettivi scopi. Le avevano solamente chiesto di continuare le ricerche dei suoi genitori su quel farmaco, soprannominato APTX-4869. Avrebbe scoperto più cose possibili per trovare i criminali. Lo doveva per loro.

In quel momento decise. Allungò la sua piccola mano da bambino, quella sana, verso il viso di lei addormentato e lo accarezzò seguendo i lineamenti. Si era avvicinato, quasi poteva sfiorarle il naso con il suo. Sentiva chiaramente il suo respiro, riusciva a tranquillizzarlo e a infondergli ancora più sicurezza.

Non c’era nulla di sbagliato in quello che stava provando, in quello che avrebbe voluto fare. Era pur sempre un adulto. Il suo tocco non l’aveva svegliata, sembrava dormire così bene, senza preoccupazioni e senza quel passato che la tormentava. Stava riposando a tutti gli effetti. Quasi gli dispiaceva volerla svegliare con dei gesti affettuosi, e coccolarla pur quanto gli fosse possibile. Era questo che gli impediva di agire.

Si ricordava delle prime volte in cui avevano iniziato a dormire insieme. Era molto agitato, e quando riusciva finalmente a prendere sonno, anche solo un leggero movimento di lei lo svegliava.

Si ricordava benissimo di come finirono per dormire solamente un’ora scarsa, a causa di quel problema. E il mattino dopo, oltre ad essere stanco, provava un grande senso di imbarazzo: gli dispiaceva non averla fatta riposare. Ora che entrambi si erano abituati al sonno del partner, ora che lei riusciva a riposarsi solo con la sua presenza... Avrebbe veramente avuto il coraggio di svegliarla? Ma se non avesse saziato la sua sete di lei, sarebbe impazzito.

Intrecciò la mano nella sua che era rannicchiata vicino al cuscino. Sentì la presa della mano di lei farsi più insistente: si era svegliata, ma ancora non aveva aperto gli occhi. Decise di annullare le distanze che c’erano tra i loro visi, intrappolando le labbra di lei tra le sue.

Non gli importava nulla in quel momento. Fu un breve bacio sulle labbra. Era stato decisamente strano, baciare la propria ragazza con delle labbra diverse da quelle che solitamente era abituato ad avere.



Lei aprì gli occhi al contatto delle sue labbra sulle sue. Era quasi raro che prendesse un’iniziativa del genere... Che stesse imparando a buttar giù quel suo muro di timidezza?

Fu solo un attimo, le sue labbra erano ormai già lontane. Si era svegliata nel miglior modo che potesse esserci. Era insieme al suo ragazzo, che aveva provato a lanciarsi in un rapporto più sciolto. Se non fosse che si ricordò di cosa era successo solo successivamente quando mise a fuoco il viso di lui.

Era per davvero tornato ad essere un bambino delle elementari. Ma poteva benissimo capire i suoi sentimenti e che cosa l’aveva portato a svegliarla con un bacio. Le sue labbra erano più piccole di quelle che aveva potuto assaggiare finché era ancora adulto.

Tutta questa situazione era in bilico tra l'imbarazzo e un’estrema tenerezza. Gli sorrise. E come c’era da aspettarsi, conscio di ciò che era successo e del sorriso di lei, le sue guance iniziavano a diventare rosse.

Quant'era carino quando arrossiva?
“Buongiorno, Wataru” Lo salutò, per metterlo alla prova se era ancora il suo solito timidone, o se in qualche modo era riuscito a passare oltre alla timidezza che si generava in quelle situazioni. “O meglio... Masao” Non poteva dimenticare che in quel momento Takagi era sotto la forma di un bambino.

Sicuramente il bacio non le era dispiaciuto. Però... Era una sensazione strana. Nonostante il suo ragazzo l’avesse baciata, non riusciva ad accettare il fatto che si fosse rimpicciolito. Le aveva raccontato tutto, ma come avrebbe potuto accettare una cosa del genere? Doveva mettersi sulle tracce dell’organizzazione criminale nel più breve dei tempi.

Voleva indietro il suo Wataru, senza che lui dovesse soffrire ancora.
Quanto diamine costa al suo destino, lasciarla in pace senza turbare più la sua vita?

Il bambino si era ammutolito, riusciva solamente a comunicare con i suoi piccoli occhietti imbarazzati. Ed era certa di riuscire a metterlo ancora più in imbarazzo. Adorava questo suo lato del carattere.
Si avvicinò a lui e lo abbracciò. Non poteva far trapelare la sua preoccupazione, doveva essere forte per lui.
“Lo sai che sei troppo carino?” Già, doveva essere il suo punto di riferimento, la sua ancora. Non era per nulla facile, ma si sarebbe imposta di non metterlo ulteriormente in pericolo.



Non riusciva nemmeno ad esprimersi. Eppure l’aveva baciata solo pochi attimi prima. Da dove aveva tirato fuori tutto quel coraggio non lo sapeva neanche lui. Ma forse era proprio il contatto con il corpo di lei a mandargli in confusione persino il più semplice dei pensieri.

Avrebbe voluto proseguire oltre che un semplice abbraccio e un bacio sulle labbra fulmineo. Ma quello era anche fin troppo rispetto a ciò che avrebbe fatto un bambino. In quelle sembianze era obbligato a mantenere un certo rapporto. Era stato un errore baciarla e farsi trascinare dalle sue tentazioni. D’altronde, ora era bloccato in una situazione da cui non sapeva come uscirne. “T-tu dici?”

Aveva decisamente il cervello in panne. Non gli era per nulla dispiaciuto baciarla, era stato un buongiorno speciale. Però... Non era quello che avrebbe voluto, né lui né probabilmente lei.

Desiderava tornare sé stesso, tornare adulto. Solo in quel modo era sicuro di poterla baciare senza problemi. È vero, in quel momento erano da soli, solo loro due. Ma un bambino non poteva baciare sulla bocca un adulto. Nemmeno se questa era la sua ragazza.
Forse era meglio evitare finché aveva le sembianze di un bambino. Si sarebbe accontentato anche semplicemente di svegliarsi al mattino insieme, e di addormentarsi insieme la sera. Gli sarebbe bastato vederla sorridere.

“Certo che sì-” Non riuscì a terminare la frase. Stavano bussando alla porta della camera. “Miwako, alzati! Non sarò qui per sempre a svegliarti tutte le mattine. Forza, che altrimenti farai tardi a lavoro...” – “Arrivo, arrivo!” Sospirò e rivolse lo sguardo al bambino. Soffocò successivamente una risata sciogliendo l’abbraccio “Non è sempre così. Mi sveglio lo stesso anche senza mia madre.”

Notò che le guance di lei erano diventate lievemente rosse. Effettivamente era la prima volta che dormiva insieme a Miwako a casa sua quando era presente anche sua madre.
Ma che si svegliasse lo stesso era probabilmente una mezza bugia, perché ora che ci pensava la svegliava quasi sempre lui, quando ormai era tardi per prepararsi con calma al mattino. Non era un grande problema per lui, e, nonostante questa sua preferenza nel dormire più a lungo, erano rare le volte in cui arrivavano tardi a lavoro.

Si alzò dal letto, e così fece anche lei. “Sai Sato? Per me non c’è nessun problema se dormi fino all’ultimo” Le sorrise sinceramente.



“Lo so, e so anche che ti piace guardarmi mentre dormo. Non è così?” Non le serviva per nulla la sua conferma vocale: bastava guardarlo in viso. Il suo viso era totalmente in imbarazzo, non riusciva nemmeno più a mettere insieme delle lettere per formare parole sensate.

Adorava stuzzicarlo, soprattutto quando arrossiva e gli creava visibilmente un cortocircuito nei suoi pensieri.
Sapere che faceva questo effetto all'uomo che amava, la rendeva felice. Ogni momento passato insieme con lui erano un regalo che la vita aveva deciso di farle, dopo tanta sofferenza.

Nonostante il corpo del suo fidanzato avesse le sembianze di quando era bambino, che trovava ancora più carino, era felice di vederlo. Era felice di sapere che lui era accanto a lei. Ed ogni giorno sperava di vederlo sempre al suo fianco.



Finiva sempre così, dannazione! Si chiedeva spesso del perché dovesse sempre stuzzicarlo con frasi che non potevano non suscitare alcun imbarazzo.

“C-Come a te piace guardarmi quando arrossisco!” L’aveva notato che ormai sembrasse farlo imbarazzare apposta. Passavano sempre molti minuti in silenzio, finché lui non riprendeva la parola.



“Non posso negarlo...” alzò le spalle, aveva ragione. “Ora, è meglio se ci prepariamo. Altrimenti sì che saremo in ritardo. Ti devo accompagnare fino a scuola, vero?”

“Sì, la scuola di Beika è un po’ lontana da casa tua per andarci a piedi. E direi che non posso venire in centrale anche oggi.” Anche se gli sarebbe piaciuto, sempre meglio che andare a scuola. “Quindi... Ci vediamo all'uscita da scuola per parlare con Conan e Ai?”

“Sì, sentiamo cosa ne pensano e mi faccio raccontare tutto nei dettagli. Abbiamo sicuramente bisogno di avvertire qualcuno per iniziare le indagini sull'organizzazione che ti ha ridotto in questo stato. Pensavo di chiedere aiuto al capo Kuroda per indagare su questa Karasuma Group. D'altronde lui può indirizzare più squadre di ricerca. Stai tranquillo che in qualche modo riusciremo a riportare la situazione com'era prima.” Erano forse frasi che ripeteva ormai a sé stessa. In quel momento stava sperando che tutto si risolvesse al più presto possibile.

Mentre gli parlava, si era tolta il pigiama, restando in biancheria intima. Nonostante Wataru l’avesse vista ormai parecchie volte con addosso solamente delle mutandine e il reggiseno, poteva notare che i pensieri del suo ragazzo chiedevano chiaramente il permesso per poterla guardare.



Quella visione gli procurava non pochi problemi, soprattutto ora, consapevole di essere in un corpo da bambino. Sarebbero state ancora tante le volte in cui si sarebbe sentito in totale astinenza da Miwako. Non poteva non guardarla in ogni momento, e non poteva non arrossire inevitabilmente.



Per sbrogliare la situazione, Miwako cercò di vestirsi nel minor tempo possibile, non che di solito ci mettesse molto. “Prendi pure i tuoi vestiti. Li ho messi nel solito cassetto”

Se non gli avesse dato una mossa sarebbe stato ancora lì a fissarla, nonostante fosse ormai già vestita.

Irrecuperabile, si disse tra sé e sé.


Una volta pronti, entrambi raggiunsero la cucina per la colazione.
“Ben svegliati!” La madre di Miwako, Kimiko Sato, aveva preparato qualche pietanza deliziosa da mettere sotto ai denti.
“Hai fame, piccolo?” Si rivolse a Masao con un tono molto dolce. Erano in pochi a non essere a conoscenza del desiderio di Kimiko: un nipotino da crescere e viziare. E invece, per quanto ne sapeva, sua figlia non aveva neppure il ragazzo.

L’aveva sempre pregata di farle sapere qualsiasi cosa, ma quando si intavolava la questione, sembrava di avere a che fare con una figlia diversa, svogliata e poco interessata a portare avanti la famiglia. Spesso le aveva ripetuto l’importanza di sposarsi per una donna appartenente alla famiglia Sato.
Forse aveva sbagliato qualcosa nella sua crescita?

Questo dubbio le era cresciuto quando le organizzò un Miai parecchi mesi prima. Oltre a scegliere ed estrarre svogliatamente e casualmente con l’alluce del piede una busta contenente un possibile pretendente, quella volta Miwako scappò appena Kimiko la lasciò da sola con colui che sarebbe dovuto essere il suo futuro sposo, Ninzaburo Shiratori, niente meno che un collega di sua figlia e per di più di famiglia benestante.

Lo sapeva che non avrebbe dovuto lasciarla da sola, non ci sapeva proprio fare con gli uomini. Miwako le raccontò successivamente di essersi allontanata per un’emergenza di lavoro.
Kimiko non sapeva se credere o meno a quello che le aveva raccontato sua figlia. Il futuro sposo era anche lui un ispettore dello stesso dipartimento per cui lavoravano entrambi. Quel giorno le era sembrato molto amareggiato, ed era anche rimasto ad intrattenersi ancora un po’ con Kimiko. Non c’era stata nessun'emergenza, altrimenti sarebbe andato anche lui, giusto?

Le sembrava quasi impossibile, dubitare di sua figlia. Era indecisa se ci fosse qualcosa che non voleva dirle, o se veramente era una situazione disperata e non si sarebbe mai sposata.



Certamente Miwako non aveva nessuna intenzione, almeno per ora, di informare sua madre della situazione in cui si trovava. Soprattutto non voleva darle ulteriori problemi dopo tutto ciò che aveva fatto per crescerla da sola senza farle mancare nulla.
Non voleva farle sapere che la fortuna non era per nulla dalla sua parte.
Non voleva farle sapere che era condannata a far soffrire chiunque le stesse vicino.

Era decisa a nascondere a sua madre tutto ciò che stava succedendo. Non poteva dirle di certo che era innamorata di un suo collega, e che quest’ultimo era tornato bambino. Forse era meglio lasciare sua madre nella convinzione che sua figlia non ci sapeva fare con gli uomini, e probabilmente non aveva nemmeno torto.

Però con Takagi era diverso. Sentiva delle emozioni che non aveva mai provato finora con nessun altro. Sentiva il suo istinto di volerlo proteggere. Sentiva che per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Lo osservò mentre si sedeva insieme al tavolo, stava sicuramente pensando a cosa rispondere alla domanda della madre.



Aveva le sembianze di un bambino, doveva ricordarselo costantemente. Non si trattava di certo del primo incontro ufficiale con la madre della sua fidanzata, e questo lo avrebbe dovuto tranquillizzare. “S-sì, avrei un po’ di appetito...” abbassò lo sguardo sulla tavola preparata da Kimiko.

“Mangia tutto quello che vuoi!” Sembrava fin troppo entusiasta di avere un ospite in casa a tempo indeterminato. Sperava solamente di non essere di disturbo e di non turbare le abitudini in casa Sato.



“Ho cucinato un po’ di tutto. Spero che sia di tuo gradimento.” Sorrise al bambino che aveva incominciato ad assaggiare.
“Ho dimenticato ormai la maggior parte delle ricette per bambini. Approfitterò della tua presenza per esercitarmi. Prima o poi arriverà il nipotino anche per me.” Si rivolse a Masao, sempre con quel suo tono dolce. Cercò di marcare l’ultima frase, aggiungendo uno sguardo speranzoso a sua figlia.

Anche se ora che ci pensava era veramente strano che Miwako portasse un bambino in casa. Qualche giorno prima avevano avuto la solita discussione e sembrava non ne volesse ancora sapere di trovarsi qualcuno. Cosa le aveva fatto cambiare idea?

Era curiosa di capire sua figlia. Voleva sapere la verità dietro tutta questa storia, ma Miwako era stata chiara fornendole la spiegazione per cui Masao si trovasse con lei. Un suo collega l’aveva implorata di ospitare il suo cuginetto, appena trasferito a Tokyo da solo, finché non avrebbe trovato un appartamento idoneo per vivere decentemente entrambi.

Miwako non aveva permesso alcuna domanda. Ma Kimiko sapeva che quella non era la verità. Quei due sembravano conoscersi più del dovuto. Non si stava assolutamente prendendo cura del cuginetto del suo collega.
Incrociò lo sguardo di Miwako che stava chiaramente trattenendo una risata per la scenetta a cui aveva appena assistito.

Chissà cosa stava pensando quella ragazza. Faceva ormai fatica a capire sua figlia. Era più autonoma di quello che avrebbe voluto, forse cresciuta troppo in fretta e non aveva avuto la possibilità di coccolarla abbastanza.



Cosa diamine passava per la testa a tutti quanti? Non era sicuramente il momento di pensare ad un eventuale famiglia con Miwako. I momenti passati insieme erano ancora tutti così strani, tutti così speciali. Nessuno dei due era ancora pronto per il matrimonio, a maggior ragione in quel momento.

Per qualche miracolo Wataru Takagi, nelle sembianze del bambino Masao Fukuda, evitò di strozzarsi con la colazione.

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Capitolo 8
*** Un indizio ***


Because you have someone to protect


Capitolo Otto - Miwako Sato // Un indizio 


Era stato fin troppo semplice uscire da sola dalla centrale di polizia. Era un orario strano rispetto al solito, eppure le era bastato dire di dover andare a raccogliere una testimonianza.
Pensava di doversi sbarazzare in qualche modo anche del collega che l’avrebbe affiancata al posto di Takagi durante la deposizione del testimone, ma l’ispettore Megure le aveva concesso di andare da sola. 
Che avesse capito che c’era sotto qualcosa? Il suo giudizio non era da sottovalutare: ricopriva la carica di ispettore per un motivo.

Per il momento non poteva dire ancora a nessuno la verità su ciò che era successo a Takagi. Per tutti i suoi colleghi, era ancora ammalato a casa.
Salì sulla sua RX-7 rossa, direzione: scuola elementare Teitan. Sapeva che ogni tanto, nei suoi giorni liberi, Shiratori si incontrava fuori da scuola con la maestra Kobayashi. Per questo motivo aveva detto a Masao che avrebbe aspettato sia lui che Conan e Ai al di là del parco di Beika, così non avrebbe insospettito nessun conoscente.

Nonostante ciò, Miwako si sentiva osservata. Scese dalla macchina, non era sicura del motivo che la portò ad guardarsi intorno.
L’ingresso del parco era silenzioso: aspettava con trepidazione l’arrivo dei bambini delle elementari che si sarebbero fermati a giocare, ospiti della natura.
L’altro lato della strada era invece più chiassoso e confusionario. I negozi erano aperti e numerose persone passeggiavano sul marciapiede. Non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione di sentirsi osservata.
Decise di dare un’occhiata alle vetrine dei negozi e fu in quel momento che si scontrò con una persona, anche se era sicura non ci fosse nessuno davanti a lei poco prima. Non le sembrava di essere così stanca da non accorgersi della presenza di una donna. Nemmeno quest’ultima sembrava essersi accorta che ci fosse qualcuno davanti alla sua strada. Si scontrarono, ma nessuna delle due si fece male.
“Tutto bene?”
La donna dai capelli lunghi neri e arruffati alle punte si sistemò gli occhiali. “Sì, sto bene. Grazie”
“Mi scusi, ma non l’avevo davvero vista” Sato si scusò facendo un lieve inchino. In quel momento il folle destino che la perseguitava volle che il suo distintivo di polizia le cadesse dal taschino interno della giacca.
La donna con cui si era scontrata lo aveva già in mano prima che Sato potesse anche solo raccoglierlo da terra. Glielo porse scusandosi ancora, e allontanandosi. Non mancò di notare gli occhi frenetici di quella donna che, nei pochi secondi in cui aveva tenuto il suo distintivo tra le mani, sembravano aver archiviato tutte le informazioni che vi erano racchiuse.
La sensazione di essere osservata era scemata nell’istante in cui la donna si allontanò. Chi era? Le sembrava di averla già vista da qualche parte.

Inoltre, l'espressione sul suo viso non le era per nulla piaciuta.
Decise di seguirla. Sembrava essere al telefono con qualcuno, ma purtroppo era troppo distante per poter sentire la discussione. Con sua grande sorpresa, nel seguirla si ritrovò di fronte alla scuola elementare, dove la donna entrò.
Ora si ricordava! Era l’insegnante che aiutava la maestra Kobayashi a gestire la classe 1-B.
E si ricordava anche di averla già vista in centrale quando aveva preso la sua testimonianza assieme a Takagi, al caso in cui era rimasta coinvolta nel condominio dove abitava. Doveva chiamarsi Wakasa Rumi. Si ricordò anche del racconto di Shiratori, dove nel magazzino di quella scuola la donna in questione era riuscita a mettere a terra i tre malfattori apparentemente agitando abbastanza un manico di scopa impaurita.
C’era qualcosa in lei che non la convinceva del tutto. Non riusciva a togliersi dalla testa la scena appena vissuta. Era lei che la stava osservando. E si era avvicinata scontrandosi. Se il distintivo non fosse caduto da solo, era altrettanto sicura che la donna avrebbe escogitato qualcos’altro per acchiappare qualunque informazione.

Decise di seguirla silenziosamente anche all’interno della scuola, per poter ascoltare la conversazione telefonica. I bambini dovevano ancora uscire, probabilmente sarebbe suonata la campanella di fine lezioni a breve.

“Sì, esattamente. Ho delle nuove informazioni. ... Si stanno muovendo. ... Devi fermarli ... A proposito, c’è qualcuno che non mi convince. ... Ok, ci vediamo lì.” Spense la chiamata ed entrò nell’aula 1-B, proprio poco prima che suonasse la campanella e salutasse i suoi allievi.

Era riuscita ad ascoltare una parte della chiamata, e non sembrava promettere nulla di buono. Uscì dall’edificio scolastico, anche se ormai non avrebbe sicuramente fatto più in tempo a tornare alla sua macchina dall’altra parte del parco.
Infatti, appena varcò il cancello, suonò la campanella che segnava la fine delle lezioni. I bambini si riversarono fuori dal cancello, per andare a giocare e poi tornare a casa. Avrebbe aspettato Masao, Conan e Ai lì fuori.
Nei paraggi sembrava non esserci nessuno che la conoscesse, nemmeno la maestra Kobayashi.

“Detective Sato!” Il gruppetto composto da Ayumi, Genta e Mitsuhiko si avvicinò di corsa alla donna.

“Cosa ci fa qui a scuola?”

“È successo qualcosa di grave?”

Esatto, tranne loro. Scioccamente, non ci aveva proprio pensato che sarebbero stati in compagnia dei bambini.
“Ah, ecco... Ho ricevuto una segnalazione qui vicino e ho appena finito, sono passata di qua per caso.” Annuì per rinforzare la bugia. 

“La squadra dei Giovani Detective è pronta ad indagare su qualche nuovo caso!!” L’entusiasmo dei bambini li portò a giocare tra di loro e a discutere che anche da grandi avrebbero voluto fare i detective.

“Proprio per caso, eh?” Ridacchiò Ai appena le passò di fianco. “Almeno vi fate compagnia a non saper mentire...” Fece segno con la testa indicando Masao.

“Haibara, non interferire nei problemi di coppia...” Conan si rivolse alla bambina con un tono perentorio.

“Giusto, mi dimenticavo dei tuoi, detective liceale.” Sussurrò Ai a Conan sorridendo. Era divertente stuzzicarlo, soprattutto sapendo che lei era l’unica che poteva dargli l’antidoto che lo avrebbe riportato alle sue sembianze originali. Conan doveva esserle grato, soprattutto per tutte le collaborazioni. 

“Va bene, va bene. Hai ragione tu.” Conan si arrese e questo suscitò una risata da parte di Ai. Era contento di vederla ridere quando era in compagnia.
Nonostante l’ilarità del momento, non potevano sprecare altro tempo, dovevano risolvere una volta per tutte il problema che si portavano dietro. Si avviarono infatti verso il parco per raggiungere l’auto che li avrebbe portati alla centrale di polizia, salutando i giovani detective.
Quando erano sicuri di non essere più visti dai loro amici, i bambini salirono nella macchina della vice-ispettrice.
“Ah, Sato-san. È meglio non dire nulla di tutta questa storia al sovraintendente Kuroda. Non mi fido di lui.” Fece presente Conan.

“Come? E perché?” Sato sembrava interessata alla questione. È vero, molto spesso incuteva timore, ma era sicuramente capace di fare il suo lavoro. Avere Kuroda dalla loro parte sarebbe stato sicuramente vantaggioso.

“Eppure, è un bravissimo poliziotto! Ci fidiamo tutti di lui in centrale, ed è sempre aggiornato su qualsiasi situazione.” Anche Masao sembrava concordare con Sato.

“Ha delle caratteristiche fisiche che corrispondono al profilo del secondo in carica dell’organizzazione. Da quanto sappiamo il suo nome in codice è Rum, porta una benda sull’occhio destro e girano voci che sia un uomo alto, una donna dai capelli lunghi o un vecchio. Ancora non sappiamo a quale delle tre corrisponde.” La informò Ai. “Dobbiamo agire con cautela anche tra i membri di polizia.”

Sembrava assurdo non doversi fidare dei propri colleghi, ma la situazione era molto delicata; non potevano sbagliare.
Arrivarono in centrale. Sato cercò immediatamente l’ispettore Megure per spiegargli tutta la situazione, visto che sembrava già aver sospettato qualcosa.
Fece accomodare nella sala delle testimonianze i tre bambini, e li raggiunse poco dopo in compagnia di Megure, sorpreso di vedere Conan e altri due ospiti.

“Conan! È successo qualcosa?” Megure prese posto al tavolo. Sato sembrava così seria e preoccupata. Non poteva di certo sottovalutare la situazione che non preannunciava nulla di buono.

“Ispettore, si tratta di uno dei suoi agenti.” Conan indicò Masao che era seduto di fianco a lui. “Takagi è stato costretto ad assumere un veleno che l’ha rimpicciolito.”

“Cosa?!?” Megure osservò Masao, non sembrava possibile. Si poteva veramente tornare bambini?

“APTX-4869, questo è il nome del veleno che la Karasuma Group ha sviluppato, con il mio aiuto...” Anche Ai prese parola, cercando di dare delle spiegazioni brevi ma essenziali.

“È un’organizzazione criminale molto pericolosa. Non hanno scrupoli e una volta che rimani coinvolto con loro... non hai scampo.” Conan abbassò lo sguardo truce.
Essere spinto da un forte senso di giustizia e dalla curiosità per le indagini non poteva essere considerata una qualità positiva; l’aveva imparato a sue spese. Ed ora era veramente arrivato il momento di passare all’azione.
Non avrebbe voluto coinvolgere ulteriori persone, ma ormai non potevano più tornare indietro, dal momento in cui anche Takagi faceva parte della loro stessa storia.

L’ispettore squadrò i bambini davanti a sé, poi si girò verso Sato, incredulo. “Sato, è vero?!”

Prima che la vice ispettrice potesse rispondere, qualcuno parlò al posto suo. “Sì, è vero.”

“Sovraintendente Kuroda!” Sato lo osservò entrare.
Quindi... Sapeva già tutto? Non c’era da stupirsi, anche Masao l’aveva ricordato in macchina: conosceva tutti i dettagli di qualsiasi situazione.

“Allora... È arrivato il momento di unire le forze, detective liceale Shinichi Kudo?” Kuroda prese posto al tavolo, guardando negli occhi quel bambino che si faceva chiamare Conan Edogawa. Il viso del giovane diceva chiaramente che non si fidava di lui.
“Faccio parte della Pubblica Sicurezza della polizia Nazionale. Rei Furuya, che si nasconde dietro il nome Tooru Amuro, è uno dei miei migliori sottoposti, infiltrato nell’organizzazione criminale Karasuma Group come Bourbon. Ha già scoperto molte cose, anche sul tuo conto.”
Lo vide turbato, come se ancora non volesse fidarsi. “Io ho rivelato le mie prime carte. Ora è il vostro turno, non credi?”

“Non mi posso ancora fidare completamente... penso che possa capire.” Conan non era per nulla convinto di ciò che Kuroda aveva esposto, poteva anche mentire con una storiella credibile, ma non voleva abbassare la guardia.

“Shinichi Kudo...?!” Megure era sorpreso di apprendere che il piccolo Conan Edogawa, il bambino che si impicciava sempre nelle sue indagini, molto spesso aiutando con elementi chiave, era il giovane detective liceale, Shinichi Kudo.
Eppure, ora era tutto più chiaro. Era costretto nel suo corpo di quando era un bambino. Rivolse lo sguardo anche agli altri due bambini.
La ragazzina aveva detto che aveva aiutato a sviluppare quel veleno, il suo sguardo, che ora gli sembrava quello di un’adulta, era quello di una persona che aveva sofferto molto nella vita.
L’altro ragazzino invece, molto gracile, era il suo agente Wataru Takagi. Si era cacciato in un grande pasticcio. Si ricordò di quanto fosse pericoloso il loro lavoro e il coraggio non doveva sicuramente mancare.

“Conan, sarò avventato, ma secondo me puoi fidarti di lui. È meglio essere uniti per trovare una soluzione a tutto questo.” Masao spronò Conan a raccontare tutto anche a Kuroda.
Forse il suo senso di giustizia sorpassava ogni volta il senso di pericolo. Forse era proprio per essere troppo ligio alla giustizia che molto spesso sopravvalutava le situazioni.
Quante volte per il suo lavoro era stato in pericolo di vita solo per i principi di giustizia a cui credeva fermamente? Non si sarebbe nemmeno ritrovato nel suo corpicino da bambino se avesse annusato anche solo il pericolo che rispondeva al nome in codice Gin.
Sperava che il suo senso di giustizia non lo portasse a fidarsi della persona sbagliata. Ma come poteva un uomo come Kuroda essere dalla parte dei cattivi?

“Masao ha ragione, Kuroda non mi lascia nessuna sensazione di avere a che fare con gli uomini in nero.” Anche Ai voleva fidarsi di lui. Se avevano Kuroda dalla loro parte, e la situazione era veramente quella che aveva descritto Kuroda, avrebbero avuto dei vantaggi strepitosi, e sconfiggere in qualche modo quei maledetti criminali.
Avrebbe voluto di certo evitare tutta questa situazione, ma avrebbe tirato fuori le unghie solo per i suoi due amici intrappolati assieme a lei in quella vita da bambini. Dovevano tornare adulti, non era quello il loro posto. Dunque, sapeva benissimo contro cosa avrebbero dovuto scontrarsi... Ma avrebbe combattuto assieme a loro.

Conan guardò entrambi. Non avevano nessun errore a disposizione, o sarebbe stata la fine. Ma ormai erano esposti all'eventuale pericolo. Tanto valeva fidarsi di Kuroda, che ora era escluso dai sospettati di essere Rum. Rimanevano l’insegnante Wakasa Rumi e il cuoco Wakita Kanenori. “D’accordo, collaboreremo insieme.” 

Megure guardò i bambini ancora stupito della situazione che si era creata. “Ci tengo a sottolineare che avrete l’appoggio da parte di tutta la polizia metropolitana di Tokyo. Penso che mi dia il permesso, vero sovraintendente Kuroda?”

“È un'organizzazione molto più grande, a livello mondiale. Dovremo unire le forze di tutte le autorità. La polizia Nazionale Giapponese è già in allerta, come anche il dipartimento della pubblica sicurezza della polizia metropolitana di Tokyo.” Aggiunse Kuroda. “Abbiamo lavorato in passato anche con l'FBI. La CIA invece non vuole più interferenze: il suo agente è già stato esposto a tanti pericoli, preferirebbero non esporsi per non rivelare la loro spia. Ma Hidemi Hondou sembra essere disponibile a collaborare, nonostante abbia ricevuto altri ordini.”

“Dunque come pensiamo di muoverci?” Intervenne Sato. Era disposta a fare qualsiasi cosa per catturare i criminali, aldilà dei suoi valori che l’avevano indirizzata alla sua carriera.
In quel momento era una delle dirette interessate, ed aveva dei motivi più importanti del semplice lavoro: quei criminali avrebbero dovuto pagarla molto cara per ciò che avevano fatto alla persona che più amava. Il suo sguardo era rivolto a Kuroda e Conan, ma avrebbe tanto voluto guardare quei piccoli occhietti. Quelli stessi che avrebbe protetto ad ogni costo.

“Sato...” Megure si schiarì la voce prima di parlarle. “Tu sei troppo coinvolta in questa storia. Sarebbe meglio-“

“No! Non può chiedermi di restarne fuori. Lo sa benissimo che io più di tutto devo indagare. È il mio lavoro arrestare criminali. E questi non sono affatto diversi da tutti gli altri.” Aveva esagerato? Forse lo erano, un pochino diversi da tutti gli altri. Ma non le importava. “Lasciatemi indagare.” Si alzò in piedi.

Megure e Kuroda si scambiarono un’occhiata. Sato era la più esposta a qualsiasi pericolo.
“Vorrei che capisse quanto può essere pericoloso per lei in questa situazione.” Kuroda la guardò molto seriamente. La situazione non era da prendere sottogamba, erano veramente dei nemici spietati.

“Certo che lo so. Ma credete veramente che starò qui?! Non posso farlo, mi spiace.” Sato guardò fermamente i suoi superiori, sbattendo le mani sul tavolo attorno a cui tutti erano seduti. Di certo non potevano capire tutto ciò che aveva passato finora.
E non avrebbe permesso, ancora, che succedesse qualsiasi cosa a Wataru. In quel momento sapere che volevano escluderla dalle indagini la innervosì. Rivolse lo sguardo a Masao. Lui avrebbe capito sicuramente cosa si portava dentro. Infatti, la stava osservando silenziosamente.

“Vice-ispettrice Miwako Sato. Le chiediamo di calmarsi. Non potrebbe reagire oggettivamente di fronte a qualsiasi situazione che potrebbe sorgere, e il suo comportamento ne è la prova.” Kuroda le parlò chiaramente, a voce ben scandita e forte per riportarla al proprio posto.

Sato non aggiunse nient’altro. Avrebbe voluto rispondere, ma erano pur sempre i suoi superiori. Forse aveva esagerato.
Ma non le importava cosa le sarebbe stato imposto. Anche se erano stati chiari di non immischiarsi nelle indagini, lei non poteva di certo far finta che fosse tutto a posto. Sarebbe stata la prima a farsi avanti per catturare quei criminali. E non l’avrebbero di certo fermata solo imponendoglielo verbalmente.
Non aggiunse nient’altro per non peggiorare ulteriormente la situazione. Riprese il suo posto al tavolo, sedendosi per ascoltare il resto della situazione, fingendo di non aver la minima intenzione di intromettersi nelle indagini.

Masao la stava ancora osservando, anche se gli altri avevano già ricominciato a parlare per abbozzare un piano.
L'espressione della sua ragazza era così dolorosa. In quel momento stava osservando un punto indefinito nella stanza. Le sue sopracciglia erano corrugate, gli occhi ancora più seri. La tensione era alta e sembrava quasi che se qualcuno le avesse rivolto ancora una sola parola sarebbe inevitabilmente scoppiata.
Notò successivamente che la sua espressione cambiò nel momento in cui i loro sguardi si intrecciarono. Avrebbe voluto esserle vicino, forse avrebbe sofferto meno. Lo stava guardando con uno sguardo determinato. Erano chiare le sue intenzioni: avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerlo.

E lei sapeva che anche lui l’avrebbe protetta ad ogni costo.

Se dovevano lottare contro un'organizzazione criminale, l’avrebbero fatto insieme.

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Capitolo 9
*** sulle tracce ***


Because you have someone to protect


Capitolo Nove - Miwako Sato // sulle tracce


“Ragazzi, dobbiamo scoprire cosa stanno combinando Conan, Ai e Masao. Sono già tre giorni che se ne vanno via per i fatti loro.” Mitsuhiko aveva riunito gli altri due componenti della squadra dei giovani detective dopo essersi divertiti al parchetto.

“Già! E per di più l’avete notata? Assieme a loro o nei paraggi c’è sempre l’agente Sato.” Ayumi fece notare quel piccolo dettaglio che avrebbe sicuramente portato da qualche parte nelle loro indagini.

“Sarà successo qualcosa e come al solito Conan ci vuole tenere fuori. Perché non chiediamo a Takagi se ne sa qualcosa?” Genta propose di chiamarlo con il cellulare. Avevano il suo numero proprio per eventuali emergenze, e questa lo era.

“Però è strano che non sia insieme all'agente Sato a indagare.” Mitsuhiko osservò la situazione oggettivamente.

“E se... Hanno litigato e non lavorano più insieme?” propose Genta.

“Ma cosa stai dicendo, Genta?! È impossibile che quei due litighino. Sono così uniti...! E lo sai bene anche tu.” Ayumi non credeva fosse possibile la soluzione proposta da Genta. Erano così belli insieme, non si sarebbero mai lasciati. Forse era una sciocchezza da bambina, ma il suo intuito le diceva che erano fatti l’uno per l’altro, nessuno dei due avrebbe mai abbandonato l’altro, in qualsiasi situazione sarebbero rimasti insieme, poiché l’amore è la cosa più forte al mondo.

“Bene, non ci resta allora che chiamarlo per scoprire anche questo.” Mitsuhiko cercò il numero di Takagi nella rubrica del suo telefono. Attivò il vivavoce cosicché anche i suoi amici avrebbero potuto ascoltare. Il telefono squillava ormai da un po’. Non sembrava rispondere nessuno, ma riprovarono ancora.

Masao si accorse che il suo telefono stava vibrando. Qualcuno stava cercando di contattare il detective Takagi, proprio nel momento in cui Kuroda e Megure erano impegnati a decidere se escludere Miwako anche dalle riunioni.
Di certo non poteva rispondere alla chiamata. Aspettò che finisse di vibrare. Magari non avrebbero più chiamato visto che non avrebbe risposto. Aspettò pochi minuti, ma il cellulare vibrava ancora. E se fosse successo qualcosa? Se qualcuno avesse bisogno dell’aiuto di un poliziotto?
Decise di guardare chi lo stava chiamando. Sullo schermo del cellulare lampeggiava il nome Mitsuhiko Tsuburaya. Era successo qualcosa a quei bambini?! Eppure, li avevano lasciati a giocare al parchetto. E se si fossero messi nei guai?! Maledizione, non poteva rispondere con la voce di Masao. Gli serviva il modulatore vocale di Conan. “Scusatemi se vi interrompo. Mitsuhiko sta cercando di contattare Takagi.” Mostrò il suo cellulare che stava ancora vibrando senza sosta. “Non posso rispondere, ma ho paura che sia successo qualcosa a quei bambini. Mi chiamano principalmente quando c’è qualcosa che non va!”

Conan aveva già regolato la voce di Takagi sul modulatore vocale, pronto a rispondere alla telefonata, ma vide Sato prendere il cellulare dalla mano di Masao e rispondere attivando il vivavoce, in modo tale da rendere più veloce la comunicazione in caso che fossero in pericolo. “Pronto? Parla Sato.”

“D-Detective Sato! Come mai ha risposto lei?” Dall’altro capo del telefono si sentì Mitsuhiko sorpreso.

“Al momento Takagi è impegnato. Ditemi, è successo qualcosa?” Si portò una mano sul fianco mentre parlava con il bambino.

“A-ah! No, in realtà...” Continuò Mitsuhiko ma venne interrotto.

“Ci stavamo chiedendo se ha per caso litigato con Takagi visto che non state più lavorando insieme!!” Genta intervenne rivelando i loro pensieri.

Sato realizzò cosa aveva appena detto il bambino. Che impiccioni! “No. E anche se fosse, perché avete chiamato Takagi? Non si disturba per motivi del genere.”

“No, Detective Sato... In realtà ci stavamo chiedendo perché ultimamente lei è sempre insieme a Conan, Ai e Masao. È successo qualcosa?” Fu Ayumi a svuotare il sacco.

“Fate il possibile per non farcelo notare, ma vi siete dimenticati che siamo la squadra dei giovani detective!” Mitsuhiko aggiunse un pochino interdetto dalla risposta della poliziotta.

Sato fece un breve sospiro. Quei bambini erano così svegli. Ma non dovevano mettersi in pericolo per nessun motivo. Tutta questa storia non li riguardava. “Ascoltatemi, lasciate perdere per un po’ la squadra dei giovani detective. È meglio non preoccuparsi delle cose da grandi alla vostra età.”

“E allora nemmeno Conan, Ai e Masao!” Genta era geloso che a loro era concesso tutto, mentre loro erano esclusi sempre con la stessa scusa di essere solamente dei bambini.

“Sì, nemmeno loro.” E avevano ragione. Nonostante fossero degli adulti, e pensassero come tali, avevano dei corpi da bambini. La loro forza non era sufficiente a superare gli ostacoli che si sarebbero presentato in un eventuale scontro con l’organizzazione criminale. Forse neppure lei avrebbe potuto partecipare alle indagini in nessun modo, visti gli ordini ricevuti.
Ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per loro. Doveva riportarli ad essere ciò che erano.
L’astuzia di Shinichi Kudo poteva venire utile per fermare gli uomini in nero.
Le conoscenze di Shiho Miyano avrebbero potuto rivelare parecchie informazioni sull'organizzazione e sul farmaco che avevano ingerito.
E infine Wataru Takagi sapeva ormai capire ogni sua intenzione con un solo sguardo, sarebbe stato essenziale averlo nella stessa squadra. È vero, non avrebbero potuto partecipare direttamente alle indagini. Ma non poteva di certo permettersi di starsene solo a guardare.

“Ok, ci fidiamo di lei, allora.” I bambini avevano raggiunto un compromesso. Potevano rivendicare questa situazione con un eventuale o tutti o nessuno. Dunque, avrebbero sicuramente insistito per voler partecipare a qualsiasi cosa. Perché nonostante la risposta di Sato fosse stata positiva, sapevano benissimo che non avrebbe rispettato la parola data. Conan, Ai e Masao sembravano sempre più grandi rispetto a loro. Ai loro occhi era come vedersi rubare la scena da dei bambini solamente un po’ più maturi di loro.

Sato stava quasi per riagganciare quando sentì Ayumi ancora dall’altra parte del telefono: “Detective Sato, vero che lavorerà per sempre con Takagi-niisan?”

Fantasie da bambina. Sorrise guardando verso Masao che in quel momento avrebbe voluto sprofondare, sia per la chiamata avvenuta, sia per quest’ultima domanda. Sato fece una breve pausa sorridendo a Masao. In quel momento nonostante la situazione e l’apparenza, stava lavorando ancora con Takagi. Aveva ragione, avrebbe lavorato per sempre insieme a lui, e nulla li avrebbe divisi. “...Certo.”
Così concluse la chiamata. Non si era trattato di nessun'emergenza, fortunatamente. Ma aveva comunque interrotto la riunione. Si scusò per la telefonata, restituendo il cellulare a Masao, completamente assorto nei suoi pensieri. Ma poteva benissimo sapere a cosa stesse pensando.
Forse quella frase detta senza troppi problemi da una bambina lo aveva portato a rimuginare sul “per sempre”. Sarebbe tornato sé stesso, e quella era una delle motivazioni che lo spingeva a cercare una soluzione a quella situazione. Ma... per quanto riguardava il fatto di indagare insieme, non sarebbe stato per sempre. Il regolamento della polizia parlava chiaro: non avrebbero potuto lavorare nella stessa squadra se si fossero sposati.

Kuroda comunicò a Sato l’ufficiale intenzione di non lasciarla indagare in questa faccenda, esortandola ad uscire dalla sala riunioni: era meglio non coinvolgerla sin da subito in nessuna decisione. Certo che gli sarebbe venuto comodo averla disponibile nelle indagini contro questa spietata organizzazione. Ma era troppo coinvolta emotivamente: Megure stesso la conosceva fin troppo bene. Sapeva che non avrebbe saputo mantenere la calma nel momento in cui si sarebbero confrontati con i criminali. Dovevano solamente trovare qualcosa con cui distrarla, perché sicuramente avrebbe fatto di testa sua, disobbedendo e mettendosi in pericolo. Ma che cosa?

La riunione sul piano da attuare continuò ancora per svariati minuti. Avrebbero condotto delle indagini sulla Karasuma Group e tutto ciò che svolgeva in territorio nazionale. La polizia Nazionale non era ancora arrivata a nessuna conclusione sull’organizzazione. Nemmeno la loro spia era disposta a smascherare il reale motivo dietro a quest'organizzazione. O meglio, Rei Furuya era a conoscenza di varie cose, pure di un segreto, di cui però non aveva ancora fatto parola con nessuno.
Inoltre, le ricerche sarebbero state indirizzate verso Rum. Poteva risultare molto pericolosa come opzione, ma i tentativi che avevano a disposizione erano ben pochi. E il momento di agire era arrivato.

I sospetti ricadevano ormai solamente su due persone: Wakasa Rumi e Wakita Kanenori. Per il momento né Kuroda né Conan avevano degli indizi su chi dei due potesse essere con certezza. Erano sospettabili nella stessa maniera.
Ma non per Sato, ora rimasta in corridoio ad aspettare la fine della riunione e a rimuginare su ciò che solo lei poteva sapere. Solamente lei aveva seguito quella donna, Wakasa Rumi. Solo lei l’aveva sentita parlare al telefono. Solo lei aveva potuto vedere l’espressione sul suo viso quando aveva raccolto il suo distintivo e lo aveva studiato molto attentamente in così poco tempo. Solo lei poteva essere quasi certa che il membro dell’organizzazione che rispondeva al nome in codice di Rum era la maestra Wakasa Rumi.

E non l’avrebbe detto a nessuno. Solo perché lei avrebbe dovuto partecipare alle indagini, in un modo o nell’altro. E visto che le era stato vietato di agire in squadra, avrebbe agito di nascosto e per conto suo, andando contro ai suoi superiori.
Sapeva che poteva essere molto pericoloso, d’altronde i criminali non vanno sicuramente presi alla leggera. Ma se fosse riuscita a fermarla, avrebbe dimostrato che poteva cavarsela e non c’era da avere paura che le potesse accadere qualcosa. Sarebbe stato uno scontro alla pari contro quella donna; non doveva di certo aver paura, qualità di cui un poliziotto non dovrebbe conoscerne nemmeno il sapore. Le sarebbe venuto utile sicuramente tanto coraggio e la sua forza fisica contro quella donna.

Dopo aver delineato certe linee guida sul come affrontare la situazione, sciolsero la riunione. Era arrivato il momento di collaborare con tutte le forze dell’ordine contro questa Karasuma Group, un’organizzazione criminale spietata. I membri ben noti erano ormai conosciuti: Gin, Vodka, Vermouth, Chianti e Korn. Non conoscendo i loro veri nomi, Ai, che non si sarebbe mai scordata i loro volti, avrebbe provveduto a descriverli nei giorni seguenti a Tomokawa, l’agente specializzata negli identikit.

L’ispettore Megure e il sovraintendente Kuroda avevano assicurato alla giovane che non le sarebbe successo nulla se avesse accettato di collaborare nelle indagini con la polizia. Certamente anche se non avesse voluto, difficilmente avrebbero preso dei provvedimenti contro di lei: era una vittima a tutti gli effetti. Non era lì di sua spontanea volontà, e ancora peggio si era vista distruggere la sua famiglia. In qualche modo, anche senza il suo racconto diretto, avevano capito che qualcuno la obbligava in maniera violenta. Con tutto ciò che aveva passato quella ragazza in sembianze di bambina, non le avrebbero dato nessuna pena. Ne aveva già passate abbastanza.
E inoltre era sicuramente utile per poterli stanare, avevano tutto l’interesse nell’averla dalla loro parte.

“Vi riaccompagno tutti a casa?” Sato si avvicinò ai bambini appena uscirono dalla stanza. D’altronde lei non serviva più in nessuna riunione, giusto? Poteva tornare più tardi in centrale per finire la sua giornata lavorativa.

“Vice ispettrice Sato. Vorremmo finire di parlare con lei in merito alla discussione di poco prima.” Kuroda la richiamò prima che lei potesse andarsene. Nonostante dovesse effettivamente riaccompagnare i bambini assicurandosi che non gli succedesse nulla, era ancora in servizio.

Era sorpresa che volessero dirle ancora qualcosa. Apparentemente non si fidavano, e ne avevano tutte le ragioni.

“Sato, non preoccuparti. Torniamo a casa da soli.” Masao le sorrise.
Poteva capire che in quel momento Megure e Kuroda le dovessero parlare. Si trovava in parte d’accordo con i suoi superiori: era un modo per tenerla lontano dal pericolo. E lui desiderava che non le succedesse niente. Anche se avrebbe voluto sconfiggere l’organizzazione criminale insieme a lei. Dovevano pagare per tutti i crimini che avevano commesso, e rendere giustizia a tutte le vittime che avevano fatto.
Trovava difficile che Sato sarebbe stata lontana dal pericolo, sarebbe stata la prima ad immischiarsi in qualche indagine. Tra tutti i poliziotti, era lei la più interessata a catturare quei criminali e fargliela pagare per tutto ciò che avevano fatto. Quindi, forse, sarebbe stato meglio non negarle la possibilità di farlo in modo che non facesse nulla di avventato contro agli ordini dei suoi superiori. Lui aveva avuto l’esperienza diretta di avere a che fare con gli uomini in nero, sapeva quanto potessero essere pericolosi. In quelle sembianze non era sicuro di poterla fermare dal pericolo. Anzi, erano quelle stesse sembianze a rendere il rischio più vicino.

“In realtà avremmo bisogno anche di te, Takagi. Sono ormai quattro giorni che non ti sei presentato a lavoro.” Megure richiamò anche lui per concludere la riunione solamente tra membri di polizia.

“Allora io e Haibara ci avviamo per conto nostro!” Conan era talmente curioso di sentire cosa avessero da dirsi che piazzò uno dei suoi microfoni adesivi dietro un mobiletto, della stanza da cui erano appena usciti, dopo aver ricevuto le dovute raccomandazioni da parte di Megure. Avrebbe così ascoltato tutto ciò che si sarebbero detti mentre tornavano a casa.

“Sato, capisco benissimo che non deve essere facile per te in questo momento.” Megure le fece segno di sedersi, nuovamente. “Ma vorrei che ne stessi fuori. Sei la più esposta e se ti dovesse succedere qualcosa non me lo perdonerei mai.”

“Non sono per nulla d’accordo! È il mio dovere e catturare criminali è pericoloso, lo so benissimo. Ma l’ho sempre fatto.” Sato non avrebbe voluto replicare, si era promessa d’altronde di accettare la situazione almeno di fronte ai suoi superiori.
Ma sapere che Megure la voleva fermare solo perché si sentiva responsabile per lei, fece uscire ancora una volta il suo lato aggressivo, quello che solitamente non permetteva repliche. Non sopportava l’idea di essere protetta quando c’era da catturare dei criminali, altrimenti non avrebbe scelto la stessa carriera di suo padre. Capiva anche il motivo per cui Megure non voleva che lei partecipasse alle indagini, ma l’assenza di un padre non doveva interferire con il suo lavoro.

“Signorina Sato. Credo che il suo aiuto sarebbe assolutamente molto importante nelle indagini che svolgeremo contro l’organizzazione. Lei è uno dei migliori agenti, e non per nulla ricopre la carica di vice ispettrice. Ma non possiamo nemmeno usarla come esca. Probabilmente sanno già tutto. Sono ben informati sulle persone che vengono eliminate da loro. Rovistando nell’appartamento della loro vittima, sapranno di sicuro che sei la fidanzata di Wataru Takagi e sei per giunta un'investigatrice. Dunque, sei la persona più vicina alla loro vittima, ti terranno sotto controllo. Anzi, hai fatto rischiare molto a quei ragazzi portandoli qui in centrale.” Kuroda parlò chiaramente della reale situazione e del pericolo che questa poteva portare.

Le parole del sovraintendente le fecero venire in mente l’insegnante Wakasa Rumi. Kuroda aveva ragione: l’organizzazione era già sulle sue tracce, alla ricerca di qualsiasi informazione. E l’aveva potuto constatare lei stessa in prima persona. Se quella donna si era esposta contro di lei solamente per impossessarsi delle sue informazioni, poteva solo significare che erano disposti anche a farsi riconoscere per assicurarsi la sua morte.
Abbassò il capo. Forse avrebbe dovuto dirlo ai suoi superiori. Ma questo le avrebbe escluso ancora di più l’unica via per poter procedere con le indagini. A maggior ragione avrebbe voluto occuparsi lei stessa di ciò che aveva scoperto: molto probabilmente Wakasa Rumi corrispondeva al nome in codice Rum, e non riusciva a dimenticare che era l’assistente insegnante della classe che frequentavano Masao, Conan e Ai. Gli unici che dovevano essere protetti erano quei bambini. E lei li avrebbe protetti, a qualsiasi costo. “Avete ragione. Non mi immischierò in quest'indagine. Avete la mia parola.”
Decise che era meglio mentire, ancora per un po’, nonostante avesse realizzato il pericolo esposto da Kuroda.

“Sato...” Masao la osservò.
Possibile che si fosse convinta veramente di lasciar perdere le indagini? C’era qualcosa in lei che non lo convinceva. Non poteva permettersi di lasciarla indagare da sola. Sarebbe stato come darla in pasto al nemico. Possibile che non lo capisse? A volte era così testarda a voler fare di testa sua. Doveva fermarla in qualche modo.
Continuò a ragionare sulle ultime parole di Kuroda, che gli avevano acceso qualche pensiero. E se... Forse così avrebbe potuto rendere la situazione meno pericolosa per la polizia. Gli era venuta in mente un’idea, indeciso se esporla o meno, non si sentiva per nulla sicuro che fosse un buon piano. Ma sarebbe stato utile per tenere Miwako impegnata ancora per qualche giorno.
Masao si fece coraggio, doveva farlo per lei, doveva mettere da parte la sua insicurezza una volta per tutte ed esporre l’idea che aveva pensato ai suoi superiori. “In realtà...” incominciò prendendo la parola “ci sarebbe un modo per attirare meno attenzioni sulla polizia. Se gli facessimo credere che io sia morto, come erano i loro piani, forse non cercherebbero più informazioni su di me.”

Kuroda rimase pensieroso. “Potrebbe essere un valido tentativo. Farò informare qualche testata di giornale della morte di un agente di polizia. Assicureremo una causa naturale, per non allarmare la popolazione. Inoltre, servirà inscenare anche un funerale. Potrebbero essere molto meticolosi nell’accertamento della morte di una loro vittima.”

“Sei sicuro di ciò che hai proposto, Takagi?” Megure lo guardò un po' stupito. Non poteva fare sul serio. Fingere la sua morte era un argomento serio, e mai si sarebbe aspettato un tale sacrificio da parte di uno dei suoi agenti.

“Mai stato più sicuro.” Masao annuì anche se ancora non confidava che fosse una buona idea.
Ragionandoci si trattava solo di un’enorme messa in scena da parte della polizia. Wataru Takagi sarebbe tornato una volta riottenute le sue sembianze e dunque aver sconfitto l’organizzazione. “Affronterei qualsiasi situazione se ci portasse in vantaggio nelle indagini. E non averli più alle calcagna a spiare sulla vita delle persone che mi stanno intorno, sarebbe già di grande aiuto.”
In quel momento rivolse lo sguardo alla sua bellissima ragazza, convincendosi di aver trovato una pista per proteggere Miwako. “Non posso permettermi che quei criminali si aggirino intorno a te, solamente per essermi cacciato nei guai.”

Sato accennò un sorriso tirato.
E lei non poteva permettersi di restare a guardare.
I bambini non erano sicuri in quella classe, chissà che informazioni aveva già raccolto quell'insegnante. Nella sua telefonata aveva detto all’interlocutore di avere delle nuove informazioni. Si sarebbero incontrati in qualche luogo sconosciuto. Doveva scoprire di più, doveva fermare quella donna.

“D’accordo. Informeremo qualche giornale con la notizia e poi faremo il funerale. Deve sembrare il più reale possibile. Dunque, si aspetteranno che tu pianga.” Megure si rivolse a Sato.

“Non sono una grande attrice, ma farò del mio meglio!” Questo voleva dire dover partecipare alla messa in scena, e dunque non avrebbe potuto iniziare subito le sue indagini su quella donna. Maledizione! In qualche modo erano riusciti a manipolare la situazione per tenerla d’occhio in centrale. Non poteva avvisare i bambini di stare molto attenti alla maestra Rumi, non voleva allarmarli. Era lei a fare parte della polizia, era il suo compito assicurarsi che non succedesse nulla alla popolazione.
Avrebbe dovuto aspettare per forza qualche giorno, sperando che la situazione non peggiorasse.

“Perfetto. Procediamo allora con una riunione di tutta la polizia metropolitana, compresa anche lei signorina Sato.” Kuroda le fece un cenno di capo.
Aveva notato le espressioni di quella ragazza. Avrebbe dovuto tenerla d’occhio ancora di più, ed escluderla dalle indagini e organizzare il finto funerale non sarebbe bastato. Quella ragazza doveva essere protetta ancora di più. “Assegnerò delle mansioni anche a lei, non dirette con le indagini. Potrebbe cominciare dall’archiviare ogni genere di informazione che abbiamo scoperto sull’organizzazione, come per esempio le ricerche effettuate dalla bambina scienziata sul corpo rimpicciolito di Takagi qui presente.”

A Sato si illuminarono gli occhi a quella proposta, almeno poteva rendersi utile.
Ma forse… Kuroda si era accorto di qualcosa per proporle un cambio di piani dopo averle fatto una ramanzina. Doveva agire con cautela, ma di certo non poteva restare con le mani in mano a gestire solamente le informazioni indirette sulle indagini. Ringraziò il sovraintendente della possibilità datale.
Quando sciolsero gli sguardi Sato rimase pensierosa: tutti si stavano preoccupando per lei. Doveva raggirarli in qualche modo, lei doveva essere in prima linea contro all’organizzazione!

Megure aveva tutto pronto per iniziare il piano deciso. “Takagi, mi farebbe piacere se tu rimanessi con noi finché non avremo finito la riunione. Poi potrai andare a casa, per quell’ora sarà terminato sicuramente anche il turno di Sato.”

Masao annuì, ringraziando la comprensione da parte dei suoi superiori.
Osservò il viso della sua ragazza: sembrava come se fosse interdetta da qualche decisione. A volte si chiudeva in un muro impenetrabile, ma altre volte, forse solo ai suoi occhi, poteva leggerne i pensieri. Aveva capito che c’era qualcosa che la turbava. Avrebbe voluto tenerla d’occhio il più possibile, ma in quelle sembianze era difficile aggirarsi nella zona senza dare nell’occhio. Era pur sempre nel corpo di un bambino delle elementari che avrebbe dovuto frequentare la scuola e non di certo trovarsi nei pressi della centrale di polizia.
Ma sperava che l’idea che aveva avuto di un funerale fittizio la tenesse impegnata ancora per qualche giorno. Non era facile procurarle del lavoro che non fosse indagare direttamente sulla Karasuma Group. E lei non doveva assolutamente prendere parte a quelle indagini rischiose. Non avrebbe saputo mantenere la calma e l’oggettività richiesta per avere a che fare con chi aveva ridotto il suo ragazzo in quel modo.
Masao non poteva permettersi di mettere in pericolo diretto la vita della sua fidanzata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di tenerla lontana dalle indagini dirette, ma da parte sua per tutta la durata della giornata era impossibile.
Sperava soltanto che non facesse nulla di avventato e restasse in ufficio a svolgere le mansioni assegnate.
Sperava soprattutto di vederla rincasare appena finito il suo turno alla centrale, per trascorrere la notte insieme. Solo in quel modo si sarebbe assicurato che non le fosse successo nulla durante il giorno.

Perché entrambi sapevano che si dovevano aspettare qualcosa di improvviso da tutta questa storia.

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Capitolo 10
*** di lei. ***


Because you have someone to protect

Capitolo DieciMasao Fukuda // di lei. 


Non era ancora rincasata. Eppure avrebbe dovuto finire il suo turno già sei ore prima. A volte capitava che ci fossero degli imprevisti o delle indagini che portavano via più tempo. Ma pur quanto potesse essere una situazione d’emergenza, erano già più di quattordici ore di lavoro in una giornata. Inoltre dopo al finto funerale, che avrebbe dovuto dare la conferma all'organizzazione che l’agente Wataru Takagi era morto, i superiori di Miwako le avevano ordinato di restare in centrale il meno possibile e di dirigersi a casa una volta finito il suo turno per non rischiare che si intromettesse in indagini che non la dovevano riguardare.

Masao si era detto a sé stesso di aspettare mezzanotte senza preoccuparsi. Poteva essere ancora una situazione normale per un poliziotto. Ma l’orologio digitale della sveglia in camera di Sato segnava ormai mezzanotte e due minuti.

Kimiko, la madre di Miwako, lo aveva costretto ad andare a dormire senza poter replicare. Lo aveva rassicurato dicendogli che Miwako sarebbe arrivata presto. Masao non sapeva se le parole della madre erano dirette a lui o a sé stessa, né tanto meno se era riuscita ad addormentarsi tra tutte le preoccupazioni che una madre poteva avere.

Decise. Non poteva aspettare oltre. Sato poteva essere chissà dove in quel momento, e magari aveva bisogno di lui. Accese la luce sperando che Kimiko dormisse e non vedesse la luce accesa. Era parecchio strana sua madre, dolce ma autoritaria. Scese dal letto prendendo i suoi vestiti e cambiandosi dal pigiama che era stato costretto ad indossare ben quattro ore prima. D'altronde non era proprio capace a discutere con la sua futura suocera, oltre ad essere suo ospite, che il pigiama sapeva metterselo anche da solo. Una volta vestito, aprì la porta della camera che dava sul corridoio. Era tutto buio poco più avanti della camera. Doveva recuperare a tutti i costi il suo cellulare che era rimasto in carica dietro alla TV in salotto. Una volta recuperato sarebbe tornato indietro a spegnere la luce della camera per poi dirigersi sull'uscio di casa. Così fece: indossò le scarpe e si coprì con una sciarpa: di notte l’aria non era di certo calda. Uscì di casa silenziosamente, la porta non era chiusa a chiave proprio per aspettare l’arrivo di Miwako.

Non sembrava esserci nessuno nei paraggi. Era tutto così calmo e silenzioso nel quartiere. Ora doveva solo decidere dove andare. Ma non sarebbe stato facile trovarla di notte muovendosi a piedi nelle sembianze di un bambino. Poteva fare un tentativo, provare a chiamarla dal cellulare. Sapeva che poteva essere pericoloso per un poliziotto. Poteva essere ovunque in quel momento, in una trappola per un criminale, in auto per inseguire qualcuno, spiare dei sospettati. Ma la parte negativa dei suoi pensieri lo convinse che chiamarla fosse la cosa giusta. Poteva essere ovunque in quel momento, anche incastrata in qualche piano di qualche criminale, o poteva essere ferita, o mille altri motivi per cui non avrebbe potuto raggiungere casa. Cercò il suo numero nella rubrica e attese una risposta. Ormai sperava di sbagliarsi e che non le fosse successo nulla, ma quante possibilità aveva che andasse tutto bene? Il suo cuore stava accelerando i battiti ad ogni suono della chiamata inoltrata. Nel momento in cui la telefonata era stata accettata dall'altro capo del telefono, proprio prima che potesse sentire la sua voce rispondere, il suo cuore fece un tuffo, si sentì sprofondare nel vuoto.

“Takagi.” Sentire la sua voce lo tranquillizzò. “Sto tornando ora. Ho avuto un contrattempo con le indagini di oggi, sto bene.”

Menomale, non le era successo nulla. “Mi hai fatto preoccupare! Potevi avvisarmi.” Masao tirò un sospiro di sollievo.

“Hai ragione, scusami!” Rise, non era sua intenzione far preoccupare ancora il suo ragazzo. “Ma sono sicura che sei anche uscito per cercarmi.”

“E secondo te avrei dovuto dormire senza di te?”

Rise ancora. “Sciocco, certo che sì. Stai tranquillo, sto bene.”

“Ti aspetto qui fuori.” Masao agganciò la telefonata.

C’era qualcosa che non l’aveva convinto. Veramente si era dimenticata di avvisarlo di restare più a lungo a lavoro? Nonostante tutte le raccomandazioni che aveva ricevuto, nonostante sapesse quanto fosse importante vederla tornare a casa anche quella sera.

Non era solo questo dettaglio della telefonata a non convincerlo, c’era anche qualcos'altro che in quel momento però non riusciva a focalizzare. Forse era solo l’ansia che aveva provato fino a quei minuti, forse era la tensione che iniziava a sciogliersi. O forse...

Vide la sua macchina arrivare. Parcheggiò. Sato scese dall'automobile e si avvicinò al bambino che la stava aspettando di fronte casa. “Vedi? Sono ancora tutta intera.” Lo prese in braccio, stringendolo a sé.

Quella sensazione si era accentuata ancora di più. Nelle sue parole c’era qualcosa che non quadrava. Gli avrebbe detto veramente così tante volte di stare bene? Gli ricordava quasi quando cercava di mentirgli. “Sono felice che stai bene!” Masao le sorrise.
Era meglio non preoccuparsi più. Tutte quelle sensazioni erano solamente l’effetto della paura di non averla più al suo fianco. Giusto? “Hai fame? Ho lasciato la cena nel forno.”

“Hai cucinato tu?” Sato entrò in casa, appoggiando Masao una volta in casa. “Sicuramente sarà ottimo.” Gli sorrise ed entrò nella prima stanza a sinistra dell’ingresso.

“Se vuoi mangiare ti ricordo che la cucina è di là.” Masao fece segno alla porta successiva.

Sato tornò indietro in corridoio, si abbassò all'altezza di Masao e gli sorrise. “Dovevo controllare se avevo già stirato il mio completo per domani.” Si alzò e proseguì verso la cucina.

Forse... Non c’era nulla di strano, vero? Erano solo brutte sensazioni ma andava tutto bene, giusto? La osservò restando sulla porta della cucina, mentre azionava il microonde, e una volta pronto appoggiò il piatto sul tavolo. Sembrava stare bene, non aveva motivo di preoccuparsi.

“Ti... Ti aspetto in camera.” Masao fece per proseguire verso la camera, ma venne prontamente fermato da Sato.

“Aspetta.” Gli teneva un braccio. “Sei strano. È successo qualcosa?”

No... Sono solo preoccupato per te. Quelle erano le parole che avrebbe voluto dirle. Ma sapeva che le avrebbe suscitato come al suo solito un momento di nervosismo. Non le andava bene che gli altri fossero preoccupati per lei e che non si immischiasse nelle indagini. “N-no. Sono solo... Preoccupato per te.”
Perché aveva deciso di dirle lo stesso quelle parole? Se c’era qualcosa che avrebbe voluto evitare era proprio andare a dormire nervosi.

Sato gli sorrise. “Ti ringrazio per preoccuparti di me, mi fa piacere saperlo.”

Masao strappò immediatamente il braccio dalla presa di Sato. “No. Sei tu che sei strana.” Allora... Erano vere le sue sensazioni. C’era qualcosa di molto strano. Il suo sguardo era fisso nei suoi occhi, per cercare di capirla. Per cercare una soluzione a tutte le sue emozioni. Per trovare la verità.

“Takagi-kun? Sei sicuro che va tutto bene?” Sato lo guardò con fare interrogativo, arcuando le sopracciglia.

Però... Quello era il suo solito sguardo indagatorio. Non riusciva più a ragionare. Forse era solo lo stress della situazione, forse era troppo stanco per pensare lucidamente, forse era troppo preoccupato per lei.

Indietreggiò, si sentì mancare le forze, e poi vide solamente buio.




Era appena sorto il sole, Kimiko si svegliò. Si era addormentata in un sonno profondo, forse troppo stanca per badare ad un bambino, e non aveva prestato attenzione se sua figlia era tornata a casa. Si alzò dal letto e andò a controllare in camera sua.

Aprì la porta scoprendo che non vi era nessuno, sul letto le coperte disfatte di quando aveva messo il bambino a letto, e il suo pigiamino buttato lì. Di Miwako nessuna traccia. Non era tornata a casa? E Masao? Possibile che fosse uscito di nascosto?

Controllò anche le altre stanze per scoprire infine che era da sola in casa. Eppure in cucina... Il piatto che aveva lasciato per Miwako nel forno, ora era sul tavolo, intoccato.

Che fosse stato il bambino? Ma dove poteva essersi cacciato a quell'ora? “I bambini di oggi sono così problematici...” Sospirò.

E se... Visto che si era addormentata senza più ricordarsi che aveva lasciato la porta d’ingresso aperta e riposando tutta la notte senza svegliarsi, fosse entrato qualche ladro?
No, la casa era tutta in ordine. Inoltre Masao non sembrava essere stato rapito, visto che si era cambiato con i vestiti.
Era troppo strano. Prese il telefono di casa e chiamò l’ispettore Megure. “Buongiorno, mi scusi se la disturbo così presto di mattina.”

“Si figuri signora Sato. È successo qualcosa?”

“Mia figlia non è tornata a casa stanotte. Mi chiedevo se avete dovuto svolgere delle indagini.”

“No, non abbiamo in corso nessuna indagine a cui sua figlia ha dovuto partecipare.” Maledizione. Megure sapeva che sarebbe successo, eppure l’aveva vista tornare a casa. A quanto pare Miwako non l’aveva capito quanto fosse pericoloso avere a che fare con quei criminali. Non preoccupò oltre Kimiko. “Ma non si preoccupi signora Sato, sarà rimasta in ufficio a svolgere qualche ricerca su alcuni indiziati.”

“Però... non so se ne è a conoscenza. Miwako sta ospitando un bambino qui a casa. Ecco, l’avevo messo a dormire visto che Miwako non era ancora tornata. Ma è molto strano: il bambino è sparito, non c’è più in casa.”

“Come? Ha notato qualche dettaglio?” E a quanto pare nemmeno Takagi era riuscito a proteggerla. Era preoccupato che gli potesse essere successo qualcosa di molto pericoloso. I pensieri negativi avevano iniziato a prendere sopravvento su Megure. Se le fosse successo qualcosa... Non se lo sarebbe mai perdonato!

“In realtà no... Ho pensato potesse essere stato un ladro a rapirlo, anche se qui è tutto in ordine.” Si ricordò successivamente del piatto lasciato in cucina. “Ah! Invece ho notato una cosa molto strana. Avevo lasciato nel forno la cena per Miwako, ma al mio risveglio questa si trovava sul tavolo intoccata.”

Eh no, non era stato un ladro. C’era sicuramente sotto qualcosa. Ma non poteva permettere che la signora Sato ci andasse di mezzo. “Capisco. Stia tranquilla che ci pensiamo noi a trovarli.” La rassicurò e le raccomandò un'ultima cosa prima di riagganciare e mettersi alla ricerca dei suoi sottoposti. “Non si metta in testa di cercarli. Ho bisogno della sua collaborazione e che finga che sia tutto normale o che sua figlia sia andata in qualche località portandosi dietro quel bambino. Intesi?”

Kimiko non poté che accettare le condizioni della polizia. Dal tono dell’ispettore questa scomparsa era ancora più sospetta, qualcosa che lo aveva scosso. Le tornò in mente quella chiamata di diciotto anni fa. Quella chiamata in cui venne informata dell’investimento di suo marito. Le tornò in mente l’espressione di sua figlia, gli occhi spalancati, le lacrime senza sosta.

Cosa avrebbe fatto se le fosse successo qualcosa? Miwako era la sua bambina, e lo sarebbe stata per sempre. Non avrebbe sopportato perdere anche lei.

Quando le disse di voler diventare come suo padre, orgogliosa di lui, e che avrebbe fatto giustizia sulla sua morte; rimpianse di non averla fermata, rimpianse che fosse una ragazza così testarda, rimpianse di averla vista crescere troppo velocemente rispetto a tutti gli altri bambini.

Kimiko ritirò nel frigorifero il piatto, nella speranza che sua figlia tornasse presto, dicendole che stava bene e che non doveva preoccuparsi per lei.
Era successo qualcosa, ne era più che certa; in quel momento si ritrovò a pensare anche a Masao, a quel bambino che avrebbe voluto viziare un po’ come una nonna.
Unì le mani in una preghiera rivolta a suo marito: lo pregò di proteggerli, di vegliare su di loro.

Le parole di Megure continuavano a rimbombarle in testa. Avrebbe fatto come le aveva chiesto, ma le sarebbe costato molto. La sua bambina... Era in pericolo.




“Ma che strano... Di solito Masao è già qui al mattino.” Ayumi guardò in giro per la classe.

“Si sarà svegliato tardi e si starà ancora abbuffando per la colazione.” Anche Genta si sedette al proprio posto visto che le lezioni sarebbero iniziate a breve.

“Voi non ne sapete nulla?” Mitsuhiko si rivolse ad Ai e Conan.

“Mi spiace, non ci ha detto nulla.” Ai riferì di non averlo né visto né chiamato stamattina.

Conan aveva uno sguardo preoccupato, che fosse successo qualcosa? Eppure erano rimasti d’accordo di chiamarsi se ci fosse stato qualsiasi problema. Magari non ne aveva avuto il tempo. Come avrebbe fatto a restare seduto su quel banco per tutto il giorno? Doveva sapere dove si era cacciato, e perché non era a scuola come tutti gli altri bambini. Lo sapeva che non avrebbe dovuto lasciarlo andare a vivere con Sato. Ma d'altronde ormai lei era a conoscenza di tutto. Escluderla non sarebbe stato giusto, e questo era ciò che avevano fatto i suoi superiori: toglierle la possibilità di indagare in prima linea sull'organizzazione. Possibile che...?

“Edogawa-kun!” La maestra Kobayashi lo riportò alla realtà. “Almeno rispondi all'appello...” Lo guardò esprimere come al suo solito una risatina agitata chiedendo scusa per essersi distratto.
La maestra proseguì nell'appello saltando Fukuda Masao. Era stata avvisata telefonicamente pochi minuti prima delle lezioni. La persona che l’aveva contattata non era la stessa di quando Masao aveva effettuato l’iscrizione alla scuola. Le sembrò un po’ strano, ma poteva essere qualche zio. D'altronde era un bambino nuovo, doveva ancora conoscere tutta la sua famiglia.

“Masao non c’è oggi?” L'insegnante di sostegno notò il banco vuoto di fianco al ragazzino con gli occhiali. Questa sua assenza era molto interessante, soprattutto per le sue indagini che doveva svolgere ogni giorno.

“No, mi ha telefonato un suo parente. Mi ha detto che non si è sentito bene stamattina.” La Kobayashi informò la maestra Rumi.

“Capisco...” Rumi proseguì insieme alla Kobayashi l’appello di quella mattina. Una volta iniziata la lezione uscì dalla classe per andare a prendere del materiale che sarebbe servito.
Digitò un numero sul suo cellulare. “Ho un compito per te, Vermouth.”  

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Capitolo 11
*** Quella persona ***


Because you have someone to protect

Capitolo Undici - Masao Fukuda // Quella persona  


Aprì gli occhi. Aveva un gran mal di testa e si sentiva ancora confuso. Constatò di trovarsi su un letto matrimoniale, in una camera molto buia. Non poté dunque osservare l’arredamento e né vedere se ci fosse lì qualcuno con lui.

Miwako! Si ricordò l’ultima cosa successa. Stava parlando con lei. Aveva avuto una strana sensazione mentre l’osservava. Aveva ora realizzato di essere stato troppo ingenuo. Quella donna non era Miwako e ne aveva le prove grazie alla discussione avvenuta.

Erano ormai parecchi giorni che viveva in casa Sato. Sapeva che sua madre le stirava i vestiti, dunque non aveva motivo di controllare nella lavanderia se lei stessa aveva già stirato il suo completo. Si era dimenticata che lo faceva sempre sua madre?

Inoltre... Non avrebbe risposto a quel modo. Non in quel momento. Sapeva che le era stato ordinato di tornare presto. Sapeva che tutti erano preoccupati che lei si immischiasse in determinate faccende. E tutti sapevano che lei non sopportava sentirsi osservata in quel modo, non sopportava che si preoccupassero per lei quando secondo lei non ce n’era assolutamente bisogno.

Lo aveva realizzato che non fosse lei. Ma non ci fu il tempo di fare altro. Lei era troppo vicina a lui.

Si sentì pungere la spalla e poi le forze gli vennero meno. L’aveva addormentato. Perché? Chi era? Cosa voleva? Dov’era la sua Miwako?

In quel momento realizzò di essere sdraiato su un letto. Chiunque fosse, perché rapirlo senza ammanettarlo, e metterlo a riposare su un comodissimo letto?

Notò che da parte a lui c’era qualcuno. Stava dormendo profondamente, poteva sentire il respiro. Non poteva vedere chi fosse in quanto in quella stanza era tutto così buio. Però poteva ascoltare. Nel silenzio, oltre al suo mal di testa che gli incupiva qualsiasi rumore, poteva ascoltare il respiro. Poteva realizzare che era lo stesso respiro regolare che avrebbe voluto ascoltare tutte le notti. Di fianco a lui si trovava la sua Miwako.

“S-Sato” Allungò la sua mano per scrollarle una spalla per svegliarla, ma proprio a pochi centimetri da lei, si sentì tirar su di peso.

Chi era? Dove lo stava portando? Doveva avvisarla! Doveva svegliarsi prima che potesse succedere il peggio. Provò a dimenarsi e liberarsi da quella presa ma quella persona lo teneva saldamente tappandogli la bocca.

Chiuse la porta della camera da letto, aprendo mezza tenda della stanza in cui erano entrati. La luce artificiale della città illuminò il soggiorno in cui si trovavano. Venne appoggiato su un divano, dal quale poteva vedere un grande tappeto, una scrivania molto spaziosa con un laptop, delle piante da interno e questa enorme vetrata che si affacciava al cielo, o meglio, sotto la finestra si poteva osservare il quartiere in cui si trovavano. Erano in un appartamento agli ultimi piani di quei palazzoni.

Grazie a quella luce poté mettere a fuoco quella persona. I suoi capelli biondi erano decisamente più visibili tra il buio della stanza.

“Amuro-san!” Era sollevato che la persona che c’entrava in tutta quella storia fosse proprio Tooru Amuro, o per la precisione Rei Furuya, la spia della polizia segreta nazionale, infiltrato nella Karasuma Group. Per qualche frazione di secondo si era ritrovato a pensare senza una logica apparente che si sarebbe potuto trattare di Gin. E non aveva la minima intenzione di avere a che fare con quell'essere così spregevole.
“Per fortuna sei tu. Non so cosa avrei fatto se mi fossi ritrovato davanti Gin. Grazie davvero, Amuro-san.”

“Bourbon.” Lo corresse. Non era ancora il momento di avere certe confidenze con i suoi alleati.

“Di sicuro saresti già morto se Gin fosse stato nei paraggi.” Lo squadrò. Effettivamente in quelle sembianze non avrebbe potuto reggere nessun affronto contro l’organizzazione. Era piuttosto magrolino, non doveva possedere nemmeno una grande forza. Si ricordò invece di quanti cazzotti aveva tirato lui da piccolo, all’incirca alla stessa età del corpo in cui si era rimpicciolito quel detective.
Non doveva perdersi nei suoi ricordi, non avrebbe potuto evitare i ricordi che gli sarebbero riaffiorati nella memoria; non che potesse evitarli avendo a che fare con Wataru Takagi. Quell’agente di polizia che gli aveva sempre rivelato certe informazioni... Avrebbe dovuto sdebitarsi con lui. E invece lo stava tenendo prigioniero. Assurdo.
Ma ciò che non voleva ammettere a sé stesso era che la presenza di questo ragazzo non faceva altro che ricordargli il suo migliore amico scomparso tre anni prima. Anzi, questo ragazzo gli somigliava parecchio.

Rinsavì dai suoi pensieri, osservando l’espressione del bambino, un misto tra il sorpreso e il corrucciato. Chiaramente indeciso se stabilire se Amuro fosse o meno dalla sua parte. Rei decise di mantenere un profilo enigmatico, era meglio non dare fiducia agli alleati fintanto che lui stesso non avrebbe ancora smascherato il suo doppio gioco con l’organizzazione. Doveva ancora fare tutto ciò in suo potere per indirizzarli altrove. Eppure ai membri dell’organizzazione sembravano interessare parecchio i due agenti di polizia in questione. Doveva distogliere gli sguardi da quei due che altrimenti sarebbero finiti in alcuni guai molto seri.

“Cosa avete fatto a Miwako?” Era preoccupato per ciò che le poteva essere successo. Averla vista viva lo aveva sicuramente tranquillizzato, ma non poteva sopportare che qualcuno l’avesse rapita. Probabilmente con lo stesso sonnifero che era stato dato a lui, ipotizzò. “Lei non c’entra nulla in tutta questa storia.”

“Dici di no?” Bourbon rimase ad osservare la città dalla grande vetrata. “Non avrebbe dovuto impicciarsi in determinate ricerche.”

Masao scese dal divano su cui era stato adagiato precedente. Doveva fare qualcosa e alla svelta. Rei Furuya era una spia, ma... Una spia non dovrebbe fare del male. E allora perché?

Lo fissò, forse con occhi che andavano oltre alla collera: un collega che usava dei sonniferi su qualcuno che doveva essere un alleato. Lo lasciò spiegare meglio, e se non avesse dato una risposta soddisfacente se la sarebbe vista con lui...
Sì, e che cosa avrebbe fatto? Constatò di essere un bambino, senza nessun'arma. E probabilmente anche se avesse avuto qualche arma, in quella situazione gli sarebbero state confiscate. Non vantava una grande forza fisica.
Dunque... Poteva solo ascoltarlo, e farsi andare bene ciò che gli avrebbe detto. Gli restava l’eventuale possibilità di scappare, ma ciò avrebbe implicato lasciare Sato nelle loro grinfie? Non l’avrebbe mai fatto. In quella situazione era con le spalle al muro, chiaramente nella trappola di un suo forse alleato.

“Non fare quella faccia... Dovresti ringraziarmi di averla catturata e averla fermata dal commettere altre sciocchezze da sola. Qui è al sicuro da loro, per lo meno.”

Al sicuro? Ma lo stava prendendo in giro?! Erano in un appartamento di qualche membro dell’organizzazione, sia che fosse quello di Amuro, ma a giudicare dall’arredamento lo poteva escludere, o sia di qualche altro membro dell’organizzazione, era una situazione senza dubbio pericolosa.

Mise la mano in tasca, dove solitamente teneva il telefono, avrebbe tentato l’unica via possibile.

“Non ci provare nemmeno a chiamare qualcuno. Finiremmo tutti e tre in grossi guai. Se ti comporti bene non vi succederà niente, promesso.”

“Come faccio a fidarmi di te? Chi fa del male a Miwako non merita la mia fiducia.” In quel momento stava perdendo la calma, non poteva sopportare un minuto di più a sostenere quella discussione, quando doveva svegliare la sua ragazza, quando in realtà doveva proteggerla.
Il telefono non c’era più nella sua tasca. Che sciocco ad aver anche solo pensato di averlo ancora con sé.

Bourbon vide che dalla sua tasca non estrasse nulla. “Mi stavo preoccupando per nulla. Dovevo immaginarlo che il tuo telefono l’ha confiscato lei.”

“Lei chi?” Probabilmente si riferiva a quella persona che aveva assunto le sembianze di Sato, quella persona che l’aveva ingannato addormentandolo.

Bourbon lo guardò pensando se fosse il caso di dirgli l’identità del suo compare. No, era molto pericoloso. Forse per il momento era meglio metterlo in guardia dall’organizzazione. Lo scopo della sua missione e del suo complice era solo di avere due testimoni coinvolti nella situazione reale dell’organizzazione, qualcuno che potesse capire che cosa avrebbe comportato ciò che avrebbero scoperto su certi membri dell’organizzazione.

E confidava in loro: Takagi e Sato non dovevano svelare per nessuna ragione ciò che avrebbero scoperto, e non dovevano soprattutto mettersi contro quei criminali da soli. Voleva fargli capire che dovevano restare uniti per mettere con le spalle al muro i più pericolosi dell’organizzazione, non trovandosi per nulla d’accordo nelle scelte dei suoi superiori su come affrontare la situazione. Lui più di tutti sapeva quanto fosse stato un errore inevitabile escludere quella detective dalle indagini sulla Karasuma Group. “Ti avverto subito: non fare nessun passo falso, altrimenti sei fuori dai giochi.”

“Dipende. Se farete qualsiasi cosa a Miwako ve la dovrete vedere con me. Lei non doveva nemmeno immischiarsi in questa faccenda.” Masao non poteva perdonarsi di averla trascinata in tutta questa storia. Non era ciò che avrebbe voluto. Ma sapeva quanto fosse testarda, e tutto ciò era stato inevitabile.

Bourbon rise. “Non doveva, ma l’ha fatto. Bisogna prendersi le proprie responsabilità. Quella ragazza ha scoperto un sacco di cose sul conto dell’organizzazione. Ha esagerato sicuramente nell’esporsi, ma ora è in questa situazione per colpa tua visto che le hai raccontato tutto. Chissà chi dei due salverà per primo l’altro.”

“Grazie, ma non ho bisogno di qualcuno che mi ricordi dei miei errori.” Avrebbe tanto voluto credere che tutto ciò fosse solo un brutto incubo. Quanto avrebbe voluto risvegliarsi nel letto assieme a lei, magari tornando adulto.

Bourbon decise. Era sicuramente meglio fargli sapere almeno parzialmente cosa c’era dietro a tutto questo rapimento. “Ascoltami bene, vorrei che sapessi una cosa.”

Masao aveva tutto l’interesse ad ascoltarlo. Era pur sempre una spia, e doveva fidarsi di lui, nonostante in quel momento non gli fossero chiare le intenzioni del suo alleato e nonostante fosse difficile fidarsi di lui; Masao era propenso a dargli nuovamente fiducia, non aveva alternative, o forse era semplicemente troppo ottimista.

“Questa è una situazione delicata e critica, non solo per chi ha a che fare con l’organizzazione. Lo è anche per chi è all’interno da tanto tempo, senza possibilità di rifiutarsi, costringendosi ad agire come un criminale.” Mentre gli parlava si spostò alla porta di ingresso dell’appartamento, affacciata direttamente sul salotto dove si trovavano, era arrivato qualcuno alla porta?

In quel momento non stava capendo, sembravano parole assurde, come per giustificare qualche atto di questi criminali. Dove voleva andare a parare quella spia? E se stesse dando la fiducia alla persona sbagliata? Chi gli garantiva che Rei Furuya non facesse parte davvero di quell’organizzazione condividendone gli ideali? Ma ci avrebbe pensato la Giustizia a dare la giusta pena ad ognuno di quei criminali dell’organizzazione. Ne aveva visti già molti di moventi assurdi: si può anche possedere tutte le giustificazioni del mondo, ma i fatti attualmente parlavano chiaro.

Non ebbe la possibilità di continuare quel discorso, ma avrebbe voluto saperne di più. A chi si riferiva con quelle parole? Che cosa c’era dietro a tutta l’organizzazione e a tutti i segreti che Bourbon sembrava essere a conoscenza? Quest’ultimo aprì la porta dell’appartamento.

“Sì, si è svegliato. Possiamo cominciare.” 

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