Walking in My Shoes

di Anphitrite
(/viewuser.php?uid=57769)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Precious ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - My Secret Garden ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Fragile Tension ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - Martyr ***
Capitolo 5: *** Capitolo V - Broken ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI - All That's Mine ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Precious ***


Salve a tutti/e! Torno di nuovo qua, dopo un lungo letargo con questa fanfiction dedicata a questa serie che ha segnato la mia infanzia ovvero Codename: Kids Next Door, di cui conservo sempre un bellissimo ricordo della mia fanciullezza Trovo sia un vero peccato che sia passata molto sottobanco qui in Italia. Per questa storia, come sempre la mia ispirazione è la musica e questa volta i Depeche Mode (band britannica che ho sempre amato) faranno da cornice ai capitoli che si susseguiranno.

SPOILER! 
 
Per chi ha visto il film Operazione Z.E.R.O: nel film si scopre che i Signorini Perfettini, non erano altri che il mancante Settore Z che, su confessione di Padre (Benedict Uno), furono rapiti per poi essere imprigionati nella Camera del Perfezionamento. Purtroppo gli effetti del Perfezionamento sugli sventurati ragazzi furono irreversibili, se non permanenti.  
 
NdA: David è sempre stato il mio preferito della cerchia dei Perfettini e dopo che ho scoperto che erano i membri del mancante Settore Z lo è diventato ancora di più, tant’è che poi sono diventata amante della coppia David/Ashley (Numbuh 0.2 / Numbuh 0.3). 
 
Chi ha seguito interamente questa serie animata, capirà senz’altro a cosa mi riferisco...! 

Detto questo... Vi auguro una Buona lettura!
 

 
Capitolo I - Precious
 
Quando fu costretto ad abbandonare il Settore Z aveva appena compiuto tredici anni. E chi raggiungeva quell’età, la regola base del Kommando stabiliva che chi raggiungeva tale età doveva abbandonare il proprio in quanto solo i bambini fino ai dodici anni potevano farne parte. Ancora adesso David ricorda tutto quello che era successo quella notte, quando il gruppo di ragazzi decise si riunirsi in un parco poco distante dalla casa di Lenny.
 
David Garrison non voleva lasciare quella che per lui era stata come una seconda famiglia. Non voleva lasciare Bruce - il piccolo ma tosto Leader del Team - Lenny, Constance e Ashley. Insieme, tutti e cinque avevano affrontato vittorie, sconfitte ma anche risate, momenti di spensieratezza ma anche momenti tristi. Quattro dei cinque ragazzi si trovavano lì, seduti su una panchina di legno mentre il loro piccolo grande Capo, Bruce, era in piedi su uno scivolo proprio di fronte a loro.

«Perchè bisogna arrivare a questo?» chiese David, osservando per un istante il cielo stellato.

«Le regole parlano chiaro, mio caro compagno.» disse Bruce, percorrendo il bordo dello scivolo con una sicurezza tagliente.


«Ormai hai compiuto 13 anni, David... e il codice del Kommando lo conosci.» 
 
David si portò le braccia al petto. Una grande sensazione di angoscia lo pervase. 
 
Non voleva farlo, ma doveva. 
 
Sentendo il forte disagio che il suo amico provava, Lenny decise di mettersi accanto a lui porgendogli una mano sulla spalla per confortarlo. L’esile e alto ragazzo sorrise a quel suo gesto. 
 
«Grazie, amico mio...»
 
«Non devi ringraziarmi. Dopotutto, a che servono gli amici?»
 
David e Lenny avevano sempre condiviso un rapporto di amicizia molto speciale: insieme si sono sempre divertiti combinando scherzi di ogni genere, cacciandosi anche nei guai più disparati e quando David era giù di morale Lenny era sempre lì, pronto a farlo ridere e a sollevargli l'umore. Era proprio questo il bello dell'amicizia: la  condivisione di gioie, risate, pianti, dolori e sostenersi a vicenda nel momento del bisogno.
 
“Questa cosa mi distrugge...” pensava David, mentre i suoi intensi occhi verdi stavano per colmarsi di lacrime. Si voltò per un istante: non voleva farsi vedere vulnerabile davanti agli altri. Non avrebbe potuto sopportarlo.
 
«Quanto detesto piangere davanti a qualcuno...» bisbigliò tra i denti, con la voce rotta dal pianto e i pugni serrati, tremanti per l'emozione. 
 
«Non devi vergognarti di quello che sei. - disse Bruce, osservandolo con fare comprensivo - Non vergognarti delle tue lacrime. So che è doloroso quello che sta succedendo: prima o poi accadrà a ognuno di noi e sarà spiacevole. Per noi sei stata la voce della ragione e come un fratello maggiore, e sappi...»
 
Fu allora che Bruce fece un balzo e saltò sulle spalle di David, mettendosi a cavalcioni sopra di lui.
 
«... che non ci sarà mai nessun altro come te. Tu sei unico e avrai sempre come dei fratelli su cui contare, ovvero... noi!» disse il piccolo ma tenace Leader, abbracciandolo forte.
 
«Già, anche se non saremo più parte della squadra in futuro, non dimenticare che tu potrai fare sempre affidamento anche su di me!» esclamò Lenny, sferrandogli prima una pacca poderosa sulla spalla e poi tirandogli forte un orecchio.

«Ouch!» disse David, ridendo. «Su questo puoi contarci!»
 
«E me.» disse timidamente Costance. Essendo bassa di statura, ella si limitò ad abbracciare forte le sue lunghe ed esili gambe.
 
«E anche me.»
 
All'improvviso David sentì una mano sulla spalla. Si voltò a fatica poichè aveva Bruce ancora sulle sue spalle e Costance abbracciata alle sue gambe. Quella mano sulla spalla e quella voce fiera e sicura appartenevano ad Ashley. 
 
"Ashley..." 

David avvertì un intenso palpitare nel petto martellargli con insistenza non appena incrociò lo sguardo della bionda ragazza: c'era un segreto che infatti il ragazzo aveva sempre tenuto ben custodito per tutti questi anni. Egli aveva imparato a conoscere bene quella ragazza dai lunghi capelli dorati e lo spirito fiero e inizialmente, anche se pensava che sarebbe nata soltanto una buona amicizia, con l'andare del tempo scoprì che quell’amicizia si sviluppò in qualcosa di molto più intenso per lui: David si era innamorato di lei e aveva iniziato a considerare Ashley uno spirito molto affine su certi aspetti mentre per altri erano totalmente diversi. Eppure si meravigliava sempre come l'immensa fierezza di lei e la calma e la timidezza di lui riuscivano ad intrecciarsi armoniosamente.  

Ashley era tosta, leale e orgogliosa a tal punto da non osare mai mostrare le sue debolezze davanti a chiunque, nemmeno davanti ai suoi compagni di squadra. Lui riflessivo, timido, calmo e assai protettivo e generoso nei confronti delle persone che gli volevano bene ma al contempo competitivo e determinato. 
 
Agli altri membri del Team sarebbe piaciuto vederla mettere in mostra anche il suo lato femminile ma, testarda com'era, non osò mai farlo. Ashley odiava mettersi in ghingheri: non faceva parte del suo modo di essere. 

«La femminilità è nascosta nell’anima di ogni persona.» così diceva sempre lei, incrociando le braccia al petto. E a David, Ashley piaceva così come era. Era proprio la sua forte personalità a fargli battere il cuore ogni volta. Per lui era diventata non solo un’amica e una fedele compagna di squadra. 
 
Ashley era speciale, in ogni verso.

Appena Bruce scese lentamente dalle spalle di David, quest'ultimo si chinò per per poi abbracciare forte coloro che lo hanno accompagnato in questa lunga serie di avventure. 

«Vi voglio bene... Non smetterò mai di ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me, per le emozioni che mi avete donato... mi avete regalato molto di più... è qualcosa che va oltre le parole, credetemi... e sappiate che non dimenticherò mai nessuno di voi.» sussurrò lui. 

Tutti e cinque i ragazzi rimasero abbracciati per qualche secondo e una volta alzatosi, lo
 sguardo di David andò a posarsi su ciascuno dei suoi compagni ma lo sguardo che posò su Ashley fu leggermente più duraturo e più intenso: voleva ricordarsi ogni cosa di lei. Il suo volto, il suo sorriso, la sua incredibile forza, ogni sua risata... ogni cosa. Una rapida scintilla attraversò i suoi occhi verde smeraldo, già lucidi per l'emozione.

"Diglielo, David... diglielo, ora! Sei ancora in tempo!" pensò. Ma ogni suo timido sentimento che, fino a quel momento, aveva provato per lei veniva istantaneamente soffocato dalla paura. 
 
La paura.
 
Paura di essere rifiutato, di essere visto con occhi diversi non soltanto da Ashley ma anche dai suoi amici. 
Restò in silenzio per un breve momento, cercando di non piangere finchè David scelse di percorrere la via più facile: preferì tacere, lasciando che quel forte sentimento  scuotesse il suo animo come un mare in tempesta.
 
"Perdonami..." disse nella sua mente, completamente affranto. Strinse la sua coppola grigia tra le mani con la "Z" cucita, giurando a se stesso e ai suoi cari compagni che l’avrebbe conservata come ricordo dei bei vecchi tempi. 

«Ci rivedremo e resteremo sempre uniti, è una promessa!» disse per poi alzare in alto il berretto e scuoterlo. Anche gli altri suoi compagni fecero lo stesso, sollevando in aria i loro copricapi al grido di "Settore Z per sempre!". 
 

Dopo quel commosso congedo, il giovane si avviò verso casa e una volta arrivatoentrò dalla finestra della sua camera, arrampicandosi sui tronchi robusti dell'enorme quercia che stava in giardino. Agile com'era non ebbe alcuna difficoltà a entrare ma al contempo sapeva benissimo che le sue due sorelle, Rosalind e Diane, lo avevano sentito arrivare. 

"Sono certo che Diane sarà ancora sveglia: lei senza di me, fa sempre una gran fatica ad addormentarsi." pensò il ragazzo, con un dolce sorriso sulle labbra. 

Appena entrò nella stanza, chi trovò ad attenderlo? Proprio lei, la piccola Diane, la sua sorellina di 6 anni. Era seduta sul suo letto con indosso una camicetta da notte color ciclamino. 


«Immaginavo fossi ancora sveglia, lo sai? - sussurrò David, senza farsi sentire - Quante volte ti ho detto che non devi andare a nanna tardi? E poi non devi preoccuparti per il tuo fratellone grande e grosso.» 
Da bravo fratello maggiore cercò di consolare la piccola, dandole un bacino sulla fronte e accarezzando la sua testolina. La bimba osservò il fratello con occhi lucidi, era incredibile quanto gli somigliasse: entrambi avevano gli stessi intensi occhi verdi, gli stessi capelli bruni ma con una piccola differenza: Diane infatti aveva le lentiggini. La loro sorella maggiore Rosalind, di sedici anni, anche lei fisicamente era magra, alta e con occhi verdi intenso ma i capelli color castano dorato e la carnagione chiara e lentigginosa li aveva ereditati dal loro papà. 

«Su, vieni qui piccola scricciola.» disse David, sedendosi sul letto e prendendo in braccio la sua amata sorella. Diane cambiò subito espressione non appena si trovò tra le braccia del suo fratellone. 

«Sai che non riesco a dormire quando tu non ci sei. Se ti voglio così tanto bene non è colpa mia.» disse timidamente Diane.

«Voler troppo bene a qualcuno non è una colpa, anzi, è una cosa molto bella. Mi preoccuperei del contrario!»
 
Improvvisamente, gli occhi della bambina si posarono proprio sul berretto che il fratello teneva ancora tra le mani.

«Cos'è quel berretto?» chiese perplessa la piccola, guardando molto incuriosita la coppola. David sospirò: sapeva che a Diane non le si poteva nascondere nulla, neanche la più piccola delle bugie.
 
“Farò bene a raccontarglielo?” pensò, perplesso.

«E' una lunga storia...»

«Davvero? E di che cosa parla questa storia? È bella almeno?»
 
«Sí, certo che è bella... ma è meglio che te la racconti un’altra volta, ok? Adesso cerchiamo di andare a letto.»

«Ma io voglio saperlo!» esclamò lei, mettendosi in piedi sul letto.

«Non urlare, Diane!
» ribatté lui, sussurrando. David sapeva che Diane era incredibilmente curiosa e anche molto testarda quando voleva. Cercava di calmarla ma la bimba cominciò a mugugnare e a supplicare perché il suo adorato fratello gli raccontasse le avventure che aveva vissuto  all’interno dei Kids Next Door. David era molto bravo a raccontare le storie e gli piaceva trasportare nel suo mondo di fantasia di bambina la sua sorellina, e ci riusciva.
 
«Dai, ti prego.....»

David aggrottò la fronte, con fare pensieroso. Rimase in silenzio per qualche secondo finché prese una decisione.

«E va bene, permesso concesso. Salta a bordo!»

Diane fece salti di gioia, come se non avesse aspettato altro in vita sua. Si mise sotto le coperte e si accucciò, in attesa di ascoltare quello che suo fratello aveva da raccontarle. Non vedeva l'ora!

«Ritieniti fortunata ad avere un fratello maggiore dal cuore d'oro.»
 
Fu allora che David iniziò a raccontare alla piccola bimba tutto quello che aveva passato insieme ai suoi compagni di avventura del Settore Z, partendo dal principio. 
Per tutto il tempo, gli occhi di Diane brillarono di curiosità ed euforia mentre nella sua testolina si immaginava suo fratello mentre affrontava missioni incredibili insieme a Bruce, Ashley, Lenny e a Constance. 
Per tutto il tempo, mentre raccontava nel cuore di David si albergò una malinconia devastante. 
 
«Wow! Ma è... fantastico!» - esclamò entusiasta Diane - «Davvero hai affrontato tutto questo? Sapevo che il mio fratellone era coraggioso, ma non così tanto!»
 
«Quello che ti ho raccontato, è tutto vero. - replicò David, accarezzandole la testa - Se non fosse stato vero, non ti avrei raccontato la storia che si cela dietro a questo berretto.»
 
«Credi... che ne farò parte anch’io un giorno?»
 
«Tutto è possibile, chi lo sa?» rispose lui, sorridendo e pizzicandole una delle sue guance morbide.
 
In realtà David sperava che la sua sorellina, un giorno, potesse entrare a far parte della cerchia dei Kids Next Door e intraprendere la stessa vita avventurosa che aveva vissuto lui. Ci sperava davvero ma per scaramanzia, preferì rimanere sul vago.

«Ti voglio tanto bene, fratellone.» sussurrò la sorellina, baciandogli la guancia e avvinghiandosi a lui.
 
«Ma mai quanto te ne voglio io.» rispose David per poi prendere in braccio Diane e riempirla di baci. 

«Ma ora... meno chiacchiere e più nanna: è tardi!» disse improvvisamente, con tono fermo.

«Ok, scusa...» sussurrò Diane, fiondandosi sotto le coperte.
 
Mentre raccontava la storia, David si era messo la sua camicia da notte. Entrambi si misero a letto e il giovane non esitò a stringere la sorellina in un abbraccio caldo in segno di protezione e affetto.

«Diane.»

«Sí, David?»

«Mi prometti che non racconterai a nessuno di tutta questa storia? Questo è un segreto che deve rimanere tra me e te. Nessun altro deve saperlo.» disse David, sperando di poter contare sulla fiducia della sua sorellina.

«Sicuro fratellone, sarà il nostro segreto.»

David sorrise dolcemente e diede un tenero bacio sulla guancia della bambina.
 
«Sogni d’oro, Diane. Cerca di sognare tante cose belle.» disse per poi darle un altro bacino, questa volta sulla fronte. 
La bimba si accoccolò ancora di più sul petto del fratello, cercando il suo calore. A quel gesto, il cuore di David si sciolse.

«Buonanotte fratellone.»

"Beata te, sorellina mia che potrai dormire sonni tranquilli... io dubito che riuscirò a fare lo stesso..." pensò.

E difatti, David non dormì affatto. 
Ciò che lo spaventava di più era la solitudine ora che aveva ufficialmente abbandonato il Settore Z e l'indomani si sarebbe svegliato con una prospettiva del tutto nuova della sua vita. 

Si chiedeva a se stesso come se la sarebbero cavata i suoi amici senza di lui, senza la loro voce della ragione mentre la sua dolce sorellina Diane dormiva beatamente accanto a lui. 



"Precious and fragile things
Need special handling
My God what have we done to you?


We always tried to share
The tenderest of care
Now look what we have put you through"

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II - My Secret Garden ***


Piccola premessa: questo capitolo è ispirato all’omonimo brano tratto dall’album “A Broken Frame” (1982) della band britannica.
 
Vi consiglio di ascoltarlo se non lo conoscete! Stessa cosa vale per l’intero disco.
 
Vi auguro una Buona Lettura!


 


Capitolo II – My Secret Garden
 

Quattro anni dopo...

 
David Edward Garrison aveva ormai compiuto diciassette anni. Era sempre lui: alto, magro, i suoi muscoli appena accennati erano nascosti da un dolcevita piuttosto largo color senape e un paio di jeans aderenti quanto basta da mettere in risalto le sue forme esili. I suoi capelli castani erano sempre rimasti lunghi e col passare del tempo aveva deciso di farli crescere fino alla nuca, tanto da aver acquisito un fascino non indifferente agli occhi delle ragazze del liceo. 
Per fortuna la solitudine non lo aveva perseguitato come aveva pensato anni fa: difatti lui e Lenny stavano frequentando lo stesso liceo. Lenny era al secondo anno mentre David era al quarto, di conseguenza per il giovane era l’ultimo anno di scuola.
 
Era un martedì di novembre e il freddo pungente dell'inverno iniziava a farsi sentire. Quella mattina, non appena la campanella suonò, l’alto e prestante studente uscì dalla classe sollevato dopo aver affrontato una pesante interrogazione di fisica.
Nel complesso andò abbastanza bene e se ne uscì con soddisfazione.
 
“Finalmente, non ne potevo più…” Pensò il ragazzo mentre posava i libri con cura nell’armadietto. Ora nel suo stomaco albergava un grande senso di fame che doveva essere soddisfatto nonostante a metà mattinata si fosse mangiato una stecca di cioccolata e un panino.
 
Poiché David era all’ultimo anno del liceo, nell’aria si respirava un gran fermento per il ballo di fine anno nonostante la scuola fosse appena iniziata. Le ragazze non vedevano l’ora di indossare i loro appariscenti vestiti, di agghindarsi, farsi belle e di essere delle principesse almeno per una volta nella loro vita. Ma a David tutto questo non gli interessava anzi, più se ne parlava, più la cosa lo infastidiva visto che già molte ragazze si erano approcciate a lui per porgli sempre la stessa identica domanda:
 
“Ti va di venire al ballo con me?”
 
Nell’istante in cui stava per dirigersi in mensa insieme al suo caro amico Lenny, ecco sentire dietro di lui qualcosa picchiettare timidamente sulla sua schiena. David si voltò e i suoi limpidi occhi verdi si posarono su una giovane coetanea, ma che non faceva parte della sua classe.
 
«Ehm… ciao, David…»
 
«Oh, ciao Sharon, tutto bene?»
 
«Certo, tutto bene e tu?»
 
«Bene, ti ringrazio ma… credo di sapere perché tu sia qui.» disse il ragazzo, chiudendo l’armadietto e appoggiando la schiena contro il freddo sportello di metallo. «Immagino si tratti del ballo scolastico, non è così?»
 
«Sí, sí! È proprio per questo!» rispose la ragazza, entusiasta.
 
Sharon sperava con tutto il cuore che David gli dicesse di sì.
Ma si sbagliava.
A David faceva tenerezza l’ingenuità che la ragazza emanava e cercò di avere più tatto possibile e di non ferirla.
 
«Sai Sharon, io non sono il tipo adatto per questo genere di cose. Ma sono assai sicuro che riuscirai a trovare un partner adatto a te per il ballo di fine anno, sii ottimista e credi in te stessa.»
 
«Va bene, David. Seguirò il tuo consiglio… grazie.» rispose Sharon, arrossendo.
 
«Figurati. A presto!»
 
La giovane lo salutò da lontano. David sapeva che nel suo piccolo ci era rimasta male a quella sua risposta, ma che altro poteva dirle?
 
“Non riescono proprio a pensare ad altro…” pensò David, quasi scocciato.
 
Pronto per andare in mensa, puntualmente arrivò Lenny che, con la sua simpatia contagiosa, non esitò a dargli una pacca vigorosa sulla spalla.

«Ehilà, fratello! Pronto per andare a mettere qualcosa sotto i denti?»

«Puoi dirlo, amico mio - replicò David col sorriso - Il prof di fisica mi ha letteralmente rincoglionito oggi.»

«Interrogazione tosta?»

«Sí, poteva andare meglio ma sono contento. Ora corriamo dritti in mensa che qui qualcuno ha fame!»

David non era un grande amante del cibo della scuola: essendo vegetariano da diversi anni era diventato molto selettivo verso ciò che mangiava ma era un grande amante dei dolci, in particolar modo del gelato e della cioccolata. I due amici si  sedettero al tavolo per mangiare quel poco di commestibile che avevano preso.

«Allora, caro David - disse Lenny mentre addentava il suo sandwich - so che c’è molto fermento per il ballo di fine anno, hai già deciso con chi andare?» 

A quella sua domanda, David sbuffò. 

«Domanda di riserva?» replicò, dondolandosi sulla sedia. «Prima che arrivassi tu Sharon mi ha fermato per sapere se volevo venire al ballo…!» disse mettendosi le mani nei suoi lunghi capelli castani.
 
«Mi pare di capire che ci sia troppo movimento in giro.» rispose l’amico, ridendo. 
 
«Un pó troppo per i miei gusti, e poi queste sono cose che non mi interessano.»
 
A quella netta risposta, Lenny sospirò per poi sorridere davanti al suo caro amico.
 
«Passano gli anni, eppure non sei affatto cambiato: non hai mai seguito le mode, non te la tiri, sei generoso con chiunque, altruista... forse è proprio per questo motivo  che attiri le ragazze verso di te come una calamita. Al liceo sei stato anche classificato tra gli studenti più bravi e popolari dell’istituto, e sei perfino in corsa per la borsa di studio! Cosa puoi chiedere di più?» 
 
«Già, qualcuno potrebbe pensare che sono proprio un ragazzo fortunato, ma in realtà qui si è trattato tutto di questione di volontà e tenacia, la fortuna c’entra solo in parte.»
 
Competitivo di natura, David ambiva a quella borsa di studio non solo perché voleva raggiungere degli obbiettivi precisi nel suo futuro, ma anche per un valido motivo: voleva rendere orgogliosa sua madre, morta in una terribile tragedia quando lui era ancora piccolo.
Una tragedia di cui in famiglia era quasi un tabù parlarne e David non sopportava il fatto che suo padre non volesse parlarne con nessuno, nemmeno con i suoi stessi figli.
 
«Come farò senza di te l'anno prossimo?»

«Pensi già a queste cose? Dai, Lenny!» 
 
Fu allora che David prese il suo caro amico sottobraccio e gli diede una bella sfregata sul suo capo.
 
«Non devi neanche pensare a queste cose! Se le pensi di nuovo, passerò alle armi pesanti. Sei avvisato!»
 
«Ahahahahah noooo se è quello che penso io dovrai passare sul mio corpo prima!»
 
«Scommettiamo?»
 
«Scommessa accettata!» replicò Lenny con una pernacchia.
 
I due scoppiarono a ridere di gusto. A David gli si scaldò il cuore vedere che il suo caro amico era sempre rimasto lo stesso ragazzo solare e vivace che aveva sempre conosciuto fin da quando era bambino, il compagno con il quale poteva condividere tutto. Segreti, scherzi, risate e batoste. I due amici si intrattennero in chiacchiere, senza pensare al tempo che passava.
 
Terminato il pranzo, i due giovani ragazzi si avviarono verso i loro armadietti per prendere i libri per la prossima lezione.
 
«Adesso cosa ti aspetta?» chiese Lenny.
 
«Filosofia. Il martedì non è un granchè come giornata per quanto riguarda le lezioni, si salva solo filosofia e la prima ora di storia dell’arte ma il resto è una noia mortale. Tu, invece?»
 
«Adesso ho educazione fisica. Non vedo l’ora di scatenarmi un po’ in palestra, finalmente! Dopo queste due ore di chimica infernali, ne ho proprio bisogno!»
 
«Ah… beato te.» replicò David.
 
«Tutti in classe, ragazzi! Chi ha tempo, non perda tempo!» esclamò il docente di filosofia, chiamando gli studenti che non erano ancora presenti in classe.
 
«Meglio che vada Lenny, altrimenti il Sig. Phillis mi frusta. Ormai i professori pretendono fin troppo da me, perfino gli organi!»
 
«Non ci vuole niente che lo facciano!» esclamò Lenny, ridendo a quella sua battuta.
 
«Ci vediamo all’uscita della scuola come sempre?»
 
«Come sempre, amico!»
 
Dopo quella frase, i due amici si diedero il pugno e David con un balzo corse in classe.
 
“Mi sa che non avevo tutti i torti sul fatto che tra poco i prof pretenderanno anche i miei organi.” Pensò il ragazzo, alzando lo sguardo sul soffitto.
 
«Garrison, non sogni ad occhi aperti e stia sentire.» disse il Sig. Phillis, con fare severo.
 
“Dannazione!”
 


Appena le lezioni terminarono, fuori regnava il gelo ed entrambi i ragazzi, ben coperti dalla testa ai piedi erano pronti ad avviarsi verso la strada di casa. David era ben coperto con la sua sciarpa rossa di lana, il berretto e un lungo cappotto color beige. Lenny indossava dei paraorecchie di lana e un giubbotto grigio imbottito. 
 
«Sai, l’unica cosa che amo dell’inverno è stare al caldo, sotto le coperte, davanti al camino... e adesso quello che mi piacerebbe fare è bermi una bella cioccolata calda con una bel ciuffo di panna spumosa... mmmm....»
 
«La pianti di essere così descrittivo!? Mi fai venire una voglia!!» 
 
«Se sono così goloso cosa posso farci?» replicò lui, facendo spallucce e l’occhiolino.
 
«Ti detesto quando fai così...!» disse Lenny, sbuffando.
 
David scoppiò in una grassa risata.
 
«Ah, sí? Mi detesti proprio tanto? Non ci credo, non ne saresti capace.»
 
«Ne sei sicuro?»
 
«Più che sicuro, Lenny Willis, io ormai ti conosco da una vita – replicò David – la nostra amicizia è talmente solida che non saresti mai in grado di odiarmi.»
 
«La verità è che è davvero troppo facile volerti bene!»
 
«È vero questo, me lo dicono in molti.» replicò David, con le gote leggermente colorate.
 
Prima di tornare a casa, i due amici decisero di fermarsi e di sedersi su un muretto, ma non per molto visto che il freddo cominciava a farsi persistente.
 
«A proposito, come vanno le cose a casa?»
 
«Bene, si fa per dire – disse David, con lo sguardo rivolto verso il basso – ma mio padre ha i suoi soliti alti e bassi a livello di umore e per questo lo tengo d’occhio: ho come la sensazione che abbia ricominciato a bere…»
 
Lenny alzò un sopracciglio in segno di preoccupazione: lui era sempre stato al corrente dei problemi e dei trascorsi all’interno della famiglia di David proprio perché il suo amico in tutti questi anni, si era confidato con lui anche su cose molto delicate e personali.
 
«Credevo avesse smesso!»
 
«Lo pensavo anch’io ma nelle ultime settimane ho notato che torna a casa sempre più tardi, e sento il suo fiato puzzare terribilmente di alcol. È una cosa disgustosa ma che al tempo stesso mi fa paura. Cerco di tirarlo su di morale ma a volte sembra proprio non ascoltarmi, soprattutto ora che mia sorella Rosalind si è trasferita per proseguire gli studi all’Università di Harvard.»
 
«Tua sorella Rosalind è andata all’Università? E quando è successo questo?»
 
«Il mese scorso, ma te l’avrei detto. Quest’estate si è iscritta all’Harvard e dopo aver superato il test d’ingresso a pieni voti, a fine settembre ha fatto le valigie ed è partita. Ora non so quando la rivedrò di nuovo, forse durante il break di primavera.»
 
«Caspita! Sono molto contento per tua sorella ma al tempo stesso mi dispiace molto per tuo padre. Credimi, ti sono molto vicino.»
 
«Grazie, Lenny. Per fortuna che c’è la mia sorellina Diane che mi solleva sempre l’umore.» replicò David, sorridendo pensando alla sua sorellina. Non vedeva l’ora di tornare a casa per poterla abbracciare.
 
Lenny aveva avuto occasione di conoscere entrambe le sorelle di David più di una volta. Rosalind, la più grande, aveva un carattere completamente opposto a quello dei due fratelli: era timida, non particolarmente estroversa ma soprattutto molto bella.
Diane invece era molto spigliata, forse ancor più di David e da quando era piccola ha sempre mostrato una personalità molto dolce, generosa, sveglia e osservatrice, proprio come suo fratello.
 
«Sappiamo entrambi che per regola il mondo degli adolescenti e quello dei bambini non s’incontrano mai – continuò David, alzando lo sguardo al cielo - ma il nostro è un legame così speciale che non ci siamo mai nascosti nulla. Io e Rosalind ci siamo presi cura di lei quando era piccola dopo la morte della mamma. Io, che l’ho protetta da qualunque pericolo non me la sono mai sentita di creare queste divergenze, nemmeno ora che fa parte dei Kids Next Door.»
 
«Sei un fratello dal cuore d’oro, David. Non tutti i fratelli adolescenti si sarebbero comportati nel tuo stesso modo, sai?»
 
Lenny posò una mano sulla spalla dell’amico, sorridendo.
 
«Ed è anche per questo che ti stimo così tanto.»
 
«Grazie, ho fatto solo ciò che ritenevo giusto. Adesso che ha undici anni, è migliorata davvero tantissimo: ha addirittura imparato a utilizzare anche l’arco e la freccia!»
 
«Wow! Che brava!» esclamò Lenny.
 
Mentre David parlava di sua sorella, un sorriso gli solcò il volto.
 
«Sí… Non smette mai di stupirmi: è una bambina così loquace, sempre pronta a imparare cose nuove.»
 
«Sai una cosa? Mi ricorda tantissimo te. È incredibile quanto ti somigli.»
 
«Beh, diciamo che Diane a differenza di me è decisamente più testarda e molto più agile, e poi è anche più scaltra. Sapessi le volte che mi ha rubato le scorte di cioccolata che conservo sempre dentro a un bauletto! Quando era piccola riusciva sempre a trovarlo nonostante io mi sforzassi di nasconderlo in qualsiasi parte della casa!» rispose David, ridendo a crepapelle mentre rammentava quei bei ricordi.
 
«Tale sorella, tale fratello. Da qualcuno Diane la golosità la doveva pur prendere!» disse Lenny facendo l’occhiolino.
 
«Io inizio a sentire un certo freddo. Che dici? Ci incamminiamo verso casa?»
 
David rimase in silenzio per qualche istante. Ancora non voleva tornare a casa: c’era una cosa di cui voleva parlare con Lenny. Qualcosa di molto importante che si teneva dentro da anni.
 
“Forza, David. Ce la puoi fare...” il giovane decise di cogliere la palla al balzo, prese un bel respiro e infine decise di aprirsi e confessare al suo amico di una vita tutto quello che prima non aveva mai detto fino a quell'ora.


«Aspetta Lenny. Prima di tornare a casa, c’è una cosa che devo dirti...» 
 
«Dimmi tutto amico!»
 
David prese un bel respiro, cercando di placare i battiti del suo cuore.
 
«Hai più avuto notizie di Ashley?»
 
«Che io sappia, Ashley e Bruce hanno intrapreso una strada molto diversa rispetto a noi altri: Constance mi ha detto che i loro genitori hanno deciso di mandarli in una scuola privata e anche molto privilegiata.»
 
«Capisco…»
 
«Come mai questa domanda?» chiese Lenny, alzando un sopracciglio.
 
David rimase ancora una volta in silenzio. Nella sua mente gli tornarono una serie di flashback di quando lui ed Ashley erano compagni di squadra. Posò lo sguardo sul marciapiede, nascondendo le mani nel cappotto.
 
«Devi sapere che... che ho sempre avuto una cotta per Ashley. Ancora adesso, a distanza di anni, non ho mai smesso di pensare a lei. – disse David mentre sentiva le sue guance prendere colore - Insomma, ammetto che mi è sempre piaciuta: ritengo sia una delle ragazze più in gamba, forti e coraggiose che abbia mai conosciuto. Ho sempre adorato il suo carattere, così forte e al contempo così contrapposto al mio ma non ho mai avuto abbastanza coraggio di aprire il mio cuore, confessare i miei sentimenti e...»
 
«Noi l’abbiamo sempre saputo.»
 
“Ma che diavolo...!!” pensò David, in preda al panico.
 
«Sul serio?»
 
«Era palese a tutti che ti fossi innamorato di lei. Tutti noi ce ne eravamo resi conto, il primo ad essersene accorto fu Bruce ma all’epoca preferí tacere per il bene non solo della squadra ma anche per il tuo. Noi preferimmo non intrometterci per evitare complicazioni .»

«Sapevo che non potevo mescolare i miei sentimenti con quello che eravamo noi all’interno della squadra, capisci?»
 
Gli occhi verde smeraldo di David erano lucidi. Il pensiero di Ashley gli stava nuovamente scuotendo il cuore.
 
«Hai fatto la cosa giusta.» disse Lenny, dandogli una leggera pacca sulla spalla in segno di conforto.
 
A quel punto, David sospirò sentendo il suo cuore diventare ancora più pesante di quanto non lo fosse prima.


«Se sapevo che la situazione era così complicata, non mi sarei mai innamorato. - replicò, sospirando nuovamente e cercando di trattenere le lacrime. - Non sai le volte che avrei voluto dirglielo nei momenti in cui eravamo in seria difficoltà, ma ho preferito ingoiare tutto.»
 
Lenny ascoltava in silenzio le intime confidenze suo amico di una vita. Ancora una volta, come aveva sempre fatto. Nonostante fossero passati anni, il ragazzo si stupiva sempre del modo in cui David si confidava apertamente con lui: lo faceva con una libertà e con una scioltezza incredibili. 
 
«Ti ricordi quando arrivò la notte in cui abbandonai il Settore?»
 
«Certo che me la ricordo!»
 
«Quella notte tornai a casa in lacrime. Per tutta la notte non riuscì a dormire e piansi perchè non ero riuscito a dire a Ashley quello che provavo per lei. E ancora adesso, non so se ho fatto bene oppure no a non dirglielo.»

«Se proprio vuoi sapere la mia opinione, amico mio... credo che tu abbia fatto la cosa giusta a non dirle nulla: avresti corso un bel rischio.»
 
«Tu dici?»
 
«Conoscendo Ashley, direi proprio di sì.»
 
David sospirò e posò nuovamente lo sguardo verso il basso, quasi rassegnato nascondendo parte del viso dietro la sua sciarpa rossa.
 
«Vorresti rivedere Ashley, non è vero?»
 
David annuí timidamente.
 
«Come credi che reagirà? Pensi che mi guarderà ancora nello stesso modo se scopro le mie carte?»
 
«Nessuno può prevederlo se non ci provi, caro il mio David – replicò Lenny – Vuoi davvero correre questo rischio da solo?»
 
Ci fu un attimo di silenzio tra i due amici. David alzò lo sguardo.
 
«Sí, ne sono sicuro. È passato troppo tempo ed è ora che lei sappia la verità.»
 
«Non credo sia una buona idea, sai?»
 
«Perché? C’è qualcosa che dovrei sapere?»
 
«Per come la penso io, credo non sia opportuno che tu ti confessi a cuore aperto davanti a Ashley, ma se è questo ciò che desideri fare lo rispetto.»
 
«Lenny, rispetto la tua opinione perché ti voglio bene – replicò l’amico, con fare deciso – ma ora voglio andare fino in fondo, anche a costo di pagarne le conseguenze.»
 
Lenny sospirò davanti a quella replica. Si sentì come impotente: sapeva che non poteva fare altro che stare in silenzio e aspettare che il fato facesse il suo corso.
 
«Buona fortuna amico mio…» pensò Lenny per poi dare una pacca sulla sua spalla.
 
«Ti ringrazio, ne avrò davvero bisogno.»
 
«Per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi.» disse Lenny.
 
«Puoi contarci! Ci vediamo domani a scuola!»
 
«A domani, amico.»
 
I due amici si salutarono dandosi il cinque ed entrambi si avviarono verso le loro rispettive case ma prima di incamminarsi, Lenny si voltò osservando in lontananza David.
 
«Sei proprio sicuro di volerlo fare? Spero tu possa ripensarci.» pensò Lenny, preoccupato.
 
Ma ormai era deciso: David voleva andare fino in fondo anche se sapeva dei rischi che avrebbe corso. Ma non gli importava. Ciò che contava di più per lui era togliersi questo macigno che si portava sul cuore da troppi anni.
Mentre si avviava verso casa, l’alto ragazzo con passo prestante si rese conto che nonostante fossero le quattro del pomeriggio il cielo era già assai plumbeo e un vento freddo ma leggero soffiava sulla città.
 
“E’ proprio arrivato l’inverno.” Pensò.
 
Una volta arrivato, ad aspettarlo davanti alla porta c’era Diane che gli saltò addosso, avvinghiandosi al collo.
 
«Finalmente! Pensavo non arrivassi più!» esclamò la ragazzina, entusiasta nel vedere il fratello.
 
“Oh, Diane.” Pensò David, sentendo il suo cuore gonfiarsi di una gioia così unica che solo lei era in grado di colmare.
 
Il giovane abbracciò caldamente la sorella per poi baciarle la guancia, facendole sentire ancora una volta tutto il suo amore fraterno che non le aveva mai fatto mancare.
 
«David, dove sei stato fino adesso?» chiese suo padre, con fare apprensivo. Il suo sguardo era strano, e non appariva nemmeno del tutto lucido.
 
«Mi sono fermato a parlare con il mio amico Lenny appena usciti da scuola, ma ci siamo trattenuti in chiacchiere più tempo del dovuto.» replicò lui, mentre aveva la sorella in braccio.
 
«Ora che sta arrivando l’inverno inizia a fare buio presto, figliolo. Pertanto a una certa ora devi essere a casa dopo la scuola, d’accordo?»
 
«Va bene, papà.» replicò lui. Il ragazzo si accorse che sulla mensola della cucina c’era una bottiglia di Jack Daniels. Fu allora che il suo sguardo cambiò: diventò serio, freddo.
 
«Perché non impari ad essere meno egoista e inizi a mettere noi al primo posto? Pensavo ci fossi riuscito, ma mi sbagliavo.»
 
David voleva evitare di discutere con il genitore per il bene di Diane che, nel frattempo, stava osservando sia il fratello che il padre con aria preoccupata: avvertiva della tensione e non le piaceva affatto.
 
«Vieni Diane, andiamo di sopra.»
 
«Ok, fratellone.»
 
Mentre saliva le scale, per tutto il tempo David non tolse gli occhi di dosso da suo padre e si accorse che non appena si accertò che i figli se ne fossero andati, egli non esitò a bere un sorso del liquore che stava sulla mensola. E quel sorso lo bevve in modo avido, voglioso, come se quella bottiglia fosse una donna che non vedeva e baciava da un tempo infinito.
Il volto di David divenne pallido, e rabbrividì nel vedere quella scena: il fatto che suo padre avesse ricominciato a bere per lui era diventata una certezza.
Non c’erano più sospetti.
 
“Meno male che Rosalind non sta assistendo a tutto questo.” pensò mentre giocava a carte con la sorellina in camera sua.
 
«A-ha! Ti ho battuto ancora!» Esclamó euforica, saltando sul letto.
 
«Che c’è fratellone? Stai pensando a qualcosa?»
 
Il ragazzo non rispose. Ancora pensava alla scena di suo padre. Ce l’aveva impressa nella mente mentre lo vedeva bere con avidità il suo Jack Daniels. Fu allora che cominciò a pensare al peggio, ad avere paura. Paura non solo per il suo destino ma anche per quello delle sue due sorelle. 
 
«David? Pronto?» disse Diane, tirando una delle orecchie del fratello, notando che quest’ultimo non le prestava attenzioni come era suo solito fare.
 
«Ahia! - esclamò - Guarda che sono qui, Diane, sono solo sovrappensiero.» rispose David, scompigliandole i suoi capelli.
 
«Ti sei forse incantato? Ti ho già battuto due volte!»
 
David posò lo sguardo sulle sue mani, che erano avvolte in quelle della sorella. Rimase in silenzio, a riflettere su ciò che aveva assistito. Ma dopo un’accurata e breve riflessione, sapeva benissimo cosa fare.
 
«Diane, puoi restare un attimo qui in camera mia? Devo fare una telefonata.»
 
David percorse il lungo corridoio per poi andare nella stanza di suo padre. Lì trovò il telefono fisso dove digitò il numero della Segreteria dell’Università di Harvard che Rosalind gli aveva lasciato prima di partire. Per assicurarsi che Diane non ascoltasse nulla o si intromettesse, chiuse la porta a chiave.
Nella stanza albergava un odore stantio, nauseante mescolato a quello di sigaro. David aveva un olfatto particolarmente sensibile, tant’è vero che ogni singolo odore o profumo che percepiva lo associava sempre a un ricordo ben preciso. Ad esempio, appena sentiva il profumo di agrumi gli venivano in mente i dolci ricordi della mamma mentre l’odore dei liquori e del fumo lo facevano quasi vomitare poiché lo associava al buio ricordo di quando suo padre attraversò il periodo della depressione dopo la scomparsa della madre. Quante volte suo padre aveva cercato di salvare se stesso e la sua famiglia, cercando di trovare rifugio e conforto nei suoi figli e non nell’alcol. Ma quell’uomo era fragile. Troppo fragile .
 
«Harvard University, buonasera?»
 
«Buonasera, ho bisogno di parlare con Rosalind Celia Garrison se è possibile.»
 
«Chi devo dire?»
 
«David Garrison, sono il fratello.»
 
Mentre il centralinista lo aveva messo in attesa di poter parlare con la sorella maggiore, David si accertava di non voler preoccupare la sorella. Non voleva che assistesse a tutto questo anche se, nel suo animo, era certo che qualcosa avesse intuito: Diane era troppo sveglia per non aver notato qualche segnale. All’improvviso, dall’altra parte della cornetta udì una voce che subito gli fece rilassare i nervi.
 
«Pronto, David?»
 
«Ciao, Rosalind.»
 
«David! Che bella sorpresa sentirti! Come vanno le cose a casa?»
 
David era molto felice di sentire che sua sorella stava bene. La sua voce era così confortante, calda.
 
«Io e Diane stiamo bene per fortuna, ti ringrazio.» replicò sorridendo.
 
«E’ una bella notizia questa. Anche qua le cose vanno molto bene. Le mie tre coinquiline sono simpatiche ma le lezioni sono veramente toste!»
 
«Posso solo immaginarlo! Invece per me di questi tempi mi farebbe molto comodo un bel repellente: ormai a scuola sono inseguito da ragazze assatanate.»
 
Dall’altra parte Rosalind si mise a ridere a crepapelle.
 
«Ullallà! Ma che bello il mio fratellino che sta facendo stragi di cuori. Eh… non per farmi gli affari tuoi ma… »
 
«Lo so cosa stai per dire ma mi dispiace deluderti ma la risposta è no.»
 
«Dai, come sei permaloso! Ma… scherzi a parte, come mai mi telefoni a quest’ora? Non è da te…»
 
«Innanzitutto volevo sentirti, qui a casa ci manchi…»
 
Rosalind sospirò: le mancavano molto i suoi fratelli ma il loro pensiero li faceva sentire ancora più vicini nonostante la distanza.
 
«Anche voi mi mancate molto, sapete? Siete sempre nei miei pensieri, nel mio cuore.»
 
«C’è una cosa che devo dirti… riguarda papà…» disse David, mordendosi il labbro inferiore. Il suo cuore si fermò per un istante.
 
«Dimmi che non è quello che penso che sia…!»





"My secret garden's not so secret anymore
Run from the house holding my head in my hands
Feeling dejected, feeling like a child might feel

It all seems so absurd that this should have occurred
My very only secret, and I had to go and leak it
My secret garden's not so secret anymore"

Depeche Mode - My Secret Garden (A Broken Frame, 1982) 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III - Fragile Tension ***


Capitolo III – Fragile Tension
 

 
Nel frattempo, il tempo era trascorso anche per Ashley e Bruce Hudnall.

Ashley era appena entrata nei quindici anni mentre Bruce aveva due anni in meno di lei. Bruce era cambiato tanto: non era più il piccolo Leader, anzi, era cresciuto di statura ma aveva mantenuto il suo carattere tosto e la lingua tagliente. Sua sorella invece aveva assunto una bellezza che non passava inosservata ma al contempo anche un carattere molto ribelle e ingestibile, ma aveva mantenuto dei buonissimi rapporti con Constance che, al contempo, faceva da ponte e portavoce tra un amico e l’altro, essendosi fidanzata con Lenny.
 
«Grazie per il bel pomeriggio Constance, mi ci voleva proprio dopo questa giornataccia.» disse Ashley, sorridendo e facendo scoppiare un palloncino della gomma che stava masticando.
 
«Di nulla, grazie a te per la bella compagnia! Mi raccomando, salutami tanto Bruce da parte mia.» replicò la ragazza, ricambiando il sorriso.


«Certo, gli porterò i tuoi saluti.»
 
Le due amiche si congedarono davanti all'ingresso della casa di Ashley. Constance era al corrente del fatto che, prima o poi David sarebbe venuto a trovarla ma non disse nulla alla sua cara amica.
 
Vorrei tanto dirglielo, ma ho promesso a Lenny che non avrei detto niente. Povero David.” pensò lei mentre si allontanava.
 
Appena arrivata a casa, ad accoglierla ci fu suo fratello Bruce, che era seduto sul sofà e stava leggendo un fumetto. 

«Ehi, Ashley! Allora? Com’è andata la passeggiata con Constance?»
 
«È andato tutto bene, ti saluta tanto.»
 

«Ricambio con piacere i saluti.» Bruce sorrise per poi proseguire con la lettura. Ashley sogghignò per poi saltare sul sofà, pronta a cogliere di sopresa il suo fratellino tutto pepe con uno dei suoi soliti scherzi.
 
«Che stai leggendo? I soliti pornazzi?» chiese lei, con fare sarcastico.
 
«Affari miei.» replicò lui con una pernacchia e alzandosi.


«Ah, sì? Sono affari tuoi? Non penso proprio mio caro fratellino. Sai, anch'io vivo sotto questo tetto - disse la sorella, posando il suo mento sulla sua testa - di conseguenza, i tuoi affari sono anche i miei!»

«Questo lo dici te!»

 
I due fratelli cominciarono a rincorrersi lungo le scale della casa. Bruce non aveva perso la sua incredibile agilità e saltava da una parte all’altra del corridoio, fiondandosi nella sua stanza. Prima che Ashley potesse prenderlo, Bruce con uno scatto guizzò via dalla presa della sorella. La rincorsa durò per qualche minuto finchè Ashley si arrese ed entrambi i fratelli scoppiarono a ridere per poi avvolgersi in un abbraccio affettuoso. 
 
«Ti voglio bene fratellino, lo sai?» 


«Dai, Ashley, lo so che mi vuoi bene e io te ne voglio altrettanto a te ma non sono più piccolo!» esclamò Bruce mentre Ashley riempiva di baci il fratello.

«E dai, perchè devi fare sempre il duro ogni volta?»

«Perchè sono fatto così: sono piccolo ma so essere anche feroce se voglio. Ma non potrei mai esserlo verso di te.»

 
Nel frattempo, Bruce ma soprattutto Ashley non potevano sapere che proprio in quel momento David stava camminando lungo il marciapiede che conduceva al loro appartamento. Mentre camminava, il ragazzo si accorse che non era cambiato nulla in quel quartiere: era rimasto quasi tutto uguale, fatta eccezione per la costruzione in più di qualche edificio. 

Nonostante numerose ragazze al liceo si facevano a spintoni pur di stare anche solo un pó di tempo con lui e il tempo fosse passato, nel suo cuore c’era sempre stato posto solo per colei che per lui non era stata semplicemente una compagna di squadra quando, da bambini, erano membri del famoso Settore Z. David sentiva un ardente desiderio di rivederla dopo tanti anni di lontananza ma in particolare, aspettava di rincontrarla di nuovo per poter finalmente aprire la sua anima e i suoi sentimenti.
Quei sentimenti che, per tanti anni, aveva tenuto ben custoditi e che non aveva mai avuto il coraggio di confessarle.

“Sono così emozionato...! Chissà come sarà cambiata... ma adesso David, cerca di stare calmo e pensa a non distrarti.” 

David ormai stava viaggiando con la fantasia e il suo cuore non lo faceva più ragionare. Al tempo stesso pensava anche alle parole che Lenny gli aveva detto qualche giorno prima: egli infatti gli aveva sconsigliato di confessarsi davanti ad Ashley ma nonostante ciò, lui voleva andare fino in fondo.

Quella mattina il freddo era nuovamente sceso sulla città.
Nonostante indossasse il suo lungo cappotto beige, i guanti e la sua sciarpa rossa di lana, David cominciò a correre moderatamente, cercando di non prendere freddo. Al ragazzo non piaceva il freddo, specialmente se il gelo gli prendeva il naso e le sue orecchie particolarmente sensibili.

“E se Lenny invece avesse ragione? E se alla fine stessi perdendo soltanto tempo?”
 pensava mentre sentiva il cuore martellargli impazzito. 
Mentre correva il suo fiato si condensava nell'aria fredda, creando delle piccole nuvole di vapore.


Una volta voltato l'angolo, finalmente arrivò davanti all'ingresso di casa Hudnall. Fortunatamente si accorse che le luci dell'appartamento erano accese: qualcuno c'era. David prese fiato e tirò un sospiro di sollievo al pensiero che qualcuno era in casa ma al contempo, non si sentiva affatto tranquillo. L'ansia lo travolse, ancora una volta.
 
“Allora, ci siamo... Chi vivrà, vedrà!” pensò, mentre sentiva i suoi palmi tremare. Prese coraggio e suonò al campanello della porta, ma ad aprirgli ci fu qualcun altro: Bruce. 

I due ex membri del Settore Z si guardarono per qualche istante, entrambi meravigliati.

«D-David?» domandò, stupito.
 
«Bruce!» 

«David! Cosa ci fai qui?»
 
La prima cosa che fecero i due ragazzi fu quella di scoppiare in una grande risata e abbracciarsi, proprio come due fratelli. La gioia pervase nei loro cuori come una tempesta esplosiva. 
 
«Che bello rivederti! Fisicamente sei cresciuto ma caratterialmente sei sempre il Bruce che ho sempre conosciuto.»

«Ma taci che qui c’è qualcun altro che non smette di crescere - replicò Bruce con il suo linguaggio pungente - guardati tu, piuttosto! Non oso immaginare le conquiste che farai all’interno della scuola!» concluse, strizzando l’occhio e sogghignando. 

«Possiamo cambiare discorso, per cortesia? Ho già abbastanza problemi a scuola con le ragazze...» replicò lui.

Fu all’ora che Bruce scoppiò in una forte risata.

«Dai, sto scherzando! Mi pare di capire che nemmeno tu sei cambiato. Su, entra: non stare lì a prendere freddo! Ho della cioccolata calda e, conoscendoti, so che non dirai di no.»
 
«Hai indovinato!»
 
A quel punto Bruce lo fece accomodare in camera sua. Appena entrato, David si tolse il cappotto, i guanti e la sciarpa, mettendo in mostra una felpa color bordeaux e un paio di jeans. Si osservò intorno e il suo occhio si posò su qualcosa a lui molto familiare: su una delle mensole della stanza notó il berretto e i guanti neri che Bruce indossava quando faceva parte del Settore Z.
Al giovane partí un tuffo al cuore.
 
«Vedo che anche tu li hai tenuti.»
 
«Scherzi? Non mi sarei mai sognato di buttarli via! Sarebbe stato un sacrilegio.»
 
I due ragazzi si sedettero sul letto e iniziarono a bere la loro cioccolata calda.
 
«Non sai da quanto aspettavo di bere la prima cioccolata calda di questo inverno. Sai, purtroppo mia sorella maggiore è allergica al cioccolato e non sa cosa si perde... in un certo senso mi dispiace.»
 
«Sai, a volte mi piacerebbe tornare indietro nel tempo... a quando eravamo bambini, tutti uniti. Noi, il Settore Z... quanti magnifici ricordi...»
 
«Beh... mai dire mai nella vita, caro David.» replicò Bruce, strizzando l’occhio.
 
I due cari amici risero e si diedero il pugno.
 
«Allora? Cosa mi racconti di bello?»
 
«Non vedo l’ora di finire questa scuola maledetta - disse Bruce, sbuffando - Detesto il fatto che sia stata nostra madre a decidere per noi e non viceversa! Come al solito ha sempre deciso tutto lei per il nostro futuro, fin da quando io e Ashley siamo nati. È una cosa che proprio non sopporto...»
 
«Sono d'accordo con te.»


«Ma... le tue sorelle? Come stanno?»
 
David iniziò a parlare di Rosalind e della sua ammissione all'Università di Harvard, e che ora a casa erano rimasti lui e Diane. La sorella minore di David ora aveva undici anni e, come aveva desiderato quando era più piccola, adesso si era arruolata alla vasta cerchia dei Kids Next Door.
»
 
«Uhm... in effetti mi erano giunte all'orecchio delle voci riguardo alla tua sorellina, ma volevo sapere di più dal diretto interessato.» disse Bruce, grattandosi il mento in segno di curiosità.
 
«È vero quello che si dice in giro - replicò David, sorridendo - e non potevo sperare in qualcosa di meglio. Si trova molto bene nel gruppo in cui è e si fa rispettare: è l'unica bambina del gruppo d'altronde.
»

«Non avevo alcun dubbio che l'avresti addestrata bene la tua sorellina. Ricordo molto bene che quando lasciasti il nostro Settore, un anno dopo ci comunicasti la notizia che avevi deciso di passare la palla a Diane e di insegnarle tutto quello che avevi assimilato quando eri con noi.»

«Una delle prime regole che le ho insegnato è il rispetto verso gli altri membri del Team e non solo, ma anche quello verso se stessa. Mai farsi mettere i piedi in testa da nessuno ma al contempo mai scavalcare gli altri ed essere supponenti.
È sempre così piena di energia e ha tanta voglia di imparare. Sono davvero orgogliosa di lei, anche se a volte tendo ad essere un po’ troppo apprensivo.»
 
«È normale che tu lo sia - replicò Bruce, sorridendo - Non sai quante volte Ashley lo è ancora con me, e lo sarà sempre. È così il legame tra fratelli ed è qualcosa di unico che non cambierei per niente al mondo.»
 
«Nemmeno io.» rispose David, sorridendo e bevendo un altro sorso della sua cioccolata.
 
«Ma... passiamo ai fatti amico mio. - disse Bruce, mettendosi a gambe incrociate sul letto - mi pare evidente che tu sia venuto qui da me per una ragione ben precisa, conoscendoti. È così o mi sbaglio?»
 
«In realtà è così. Sono venuto perché, dopo tanti anni... ho deciso di aprire il mio cuore a tua sorella ora che non siamo più componenti del Settore Z e compagni di squadra. Lenny mi ha già anticipato che tutti quanti voi sapevate che io ero innamorato di Ashley, ma su questo avete voluto tacere per il bene del Team.»
 
L’espressione di Bruce cambiò davanti a quella dichiarazione: il ragazzo aggrottò le sopracciglia, assumendo un’espressione cupa ma non disse nulla.
 
«Come mai tu hai scelto di tacere?» aggiunse David.
 
«Sia gli altri, ma soprattutto io per primo l’ho fatto per tutelare la nostra squadra. E poi sai, avrei potuto fare molto di peggio per queste cose, tipo toglierti l’incarico come mio braccio destro. Ma non avrei mai potuto farlo.»
 
«E... Ashley? Ha mai intuito qualcosa a riguardo?»
 
Per un momento Bruce si irrigidì, come se avesse paura di dirgli qualcosa di scomodo.
 
«La verità David, è che…»
 
Fu allora che i due ragazzi udirono la porta della stanza aprirsi.

«Hey, Bruce! Ci sono ospiti e non mi dici nulla?»
 
“Ashley! È lei!” Pensò David, dopo aver riconosciuto la ragazza. Il suo cuore iniziò a pulsare impazzito contro lo sterno.

«Che c’è, Bruce? Come mai quella faccia?»

Bruce aveva paura di spezzare il cuore del suo amico a colui che, una volta, era stato il suo braccio destro all’interno del Team. Ma doveva sapere la verità.
 
Prima che potesse intervenire, Bruce fu interrotto dalla sorella.
 
«David, ma sei proprio tu?» Ashley osservava stupita colui che, tanti anni fa, era stato il suo compagno di squadra. Non riusciva a credere che fosse cambiato così tanto.
 
David annuí, senza dire nulla: era troppo emozionato per poter parlare. 
 
«Sí, sono io. Chi altri dovrei essere?» rispose il giovane, arrossendo.
 
Bella risposta del cavolo, ti meriti gli applausi!” pensò.
 
Ashley lo abbracciò, avvolgendolo in una stretta così forte che David quasi non riusciva quasi a respirare.
La ragazza era sorpresa ma al contempo incredibilmente felice di rivederlo. 

"Oh, Ashley..." pensò David con le gote arrossate in modo così vistoso che era impossibile non notarle. Ashley non lo aveva mai abbracciato se non in rarissime occasioni: si sapeva che a lei non piaceva esternare il suo lato tenero e femminile quindi per lui fu una splendida sorpresa, se non di più. 

Bruce era ancora seduto sul letto e osservava la scena, stupito, mentre David desiderava ardentemente che quel momento non finisse mai.
 

 
“Well it's a fragile tension, that's keeping us going.
It may not last forever, but of all wind is blowing.

There's something magical in the air.

Some things so tragic we have to care.
It's a strange obsession, it's drawing us nearer.
We don't understand it, it never get's clearer.”

 
Depeche Mode – Fragile Tension (Sounds of Universe, 2009)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV - Martyr ***


 
Capitolo IV – Martyr
 
 
 

I due amici si sciolsero dall’abbraccio e si sedettero sul letto, osservandosi. David non riusciva a smettere di arrossire e la felicità che provava dentro di sé era immensa.
 
«David, è incredibile come sei cambiato. Caspita, è passato così tanto tempo…»

«Vedo che anche tu sei cambiata.» replicò lui, sorridendo.
 
David non aveva alcun torto. Ashley era diventata davvero bella: i suoi capelli dorati erano sempre rimasti lunghi e fluenti. Un piccolo accenno di seni si intravedeva sotto la maglietta attillata viola che aveva addosso. Le sue forme erano sempre rimaste affusolate ma al contempo, nel suo volto  riusciva a intravedere grinta e aggressività attraverso quei suoi occhi colori color cioccolato, così scuri da risultare quasi neri. Ma c’era una differenza: l’aggressività che sprigionava da quello sguardo. Ora, dietro a quegli occhi pareva celarsi la grinta di un felino pronto catturare la sua grossa preda per la prima volta.
 
D’altronde, conoscendo bene Ashley ella era sempre stata precoce fin da ragazzina, per certi aspetti anche troppo: aveva sempre avuto una gran fretta di provare nuove esperienze e su certi argomenti era molto avanti rispetto agli altri suoi amici. 

Nel frattempo, Bruce non fece altro che osservare preoccupato l’amico, consapevole del fatto che le conseguenze sarebbero state non certo delle migliori se David si sarebbe dichiarato davanti a sua sorella.
 
«Ashley, ho tante cose da raccontarti.» disse alla fine David, tirando un lungo sospiro.
 
«Bene, di che si tratta?» chiese con fare curioso la ragazza.
 
«Sarebbe meglio se ne parlassimo altrove, che ne pensi?»
 
«Per me va benissimo.» rispose lei, con un accenno di sorriso.
 
«Torniamo subito Bruce, non aspettarci.» disse Ashley mentre indossava il suo cappottino nero imbottito e un paio di stivali, sempre neri. 
 
«O-ok… a più tardi…» replicò Bruce, davanti alla porta salutandoli.
 
Mentre Bruce vedeva il suo caro amico David allontanarsi in compagnia della sua grintosa sorella, dentro di sé si sentiva impotente davanti a quella situazione e furioso con se stesso per non avergli detto subito la verità. 
 
Lo avrebbe saputo comunque. Spero solo che Ashley non sia troppo dura con lui.” Pensò mentre chiudeva la porta d’ingresso, immerso in mille pensieri.
 
Nel frattempo, i due ragazzi decisero di sostare in un parco non molto distante da casa Hudnall. Ancora non gli sembrava vero per David di essere nuovamente in compagnia di colei che aveva sempre timidamente amato per tutti questi anni. 
 
«Il tuo colore preferito è sempre il nero, giusto?» chiese David sedendosi su una panchina di fronte a lei.
 
«Risposta esatta! In fondo è un colore che sta bene con tutto!» disse Ashley, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli.
 
«Su questo hai ragione, ma mi sono sempre chiesto… non ti stanchi mai di indossare sempre indumenti monocromatici?»
 
«E tu non ti stanchi mai di indossare sempre quei noiosi dolcevita? Dai, è da quando ti conosco che li indossi!»
 
«Mi stai forse dando dello straccione? Se è così hai cannato in pieno cara Ash.»
 
Ashley scoppió in una risata nel sentire quella risposta tagliente. 
 
«Suvvia, David. È evidente che nonostante siano passati tanti anni, i nostri gusti,  le nostre abitudini e i nostri caratteri non siano cambiati. Almeno in parte.»
 
Le labbra di Ashley formarono un ghigno mentre i suoi occhi color castano scuro sprigionavano un’aria di sfida. 
 
Proprio come ai vecchi tempi…”
 
Quello sguardo gli riportò alla mente i meravigliosi ricordi di quando lui ed Ashley erano compagni di squadra. Così diversi ma al contempo complici nell’amicizia, nel lavoro di squadra e, cosa importante per David, anche nei sentimenti.
 
«Monocromatici… che eloquenza! Non staremo mica diventando troppo intelligenti?» chiese, sarcastica puntando un dito sulla fronte del ragazzo.
 
«Molto divertente. A proposito, tu che rapporto hai con la scuola?»
 
«Con me non si parla di scuola.» replicò lei, alzando i palmi.
 
«Va bene, come vuoi tu.»
 
A quel punto Ashley prese la rincorsa e con un balzo saltò su una giostra girevole e, dandosi una spinta lasció che la giostra la facesse volteggiare su se stessa. I suoi capelli dorati ondeggiavano con fare sinuoso e perfetto.

«Allora? Quali sono queste novità che hai lasciato in serbo per me?» Chiese Ashley mentre continuava a girare sulla giostra.
 
«Beh, gran parte delle novità le ho già raccontate a tuo fratello prima che tu arrivassi – rispose David – ma se proprio lo desideri, allora ti racconto tutto quanto…»
 
Fu allora che David iniziò a raccontare di come i contatti con Lenny siano rimasti molto forti anche dopo la sua uscita dal Settore Z, e non solo perché frequentavano la stessa scuola ma anche perché la loro amicizia era sempre stata incredibilmente solida. 
 
«Di questo Constance me ne parla continuamente visto lei e Lenny stanno insieme – rispose Ashley, sorridendo – entrambe siamo rimaste molto amiche dopo lo scioglimento definitivo dal Settore e sappi che sono davvero felice per le tue sorelle! Non avevo dubbi che Diane avrebbe preso il tuo posto: è sempre stata così vivace quella piccoletta.»
 
«Beh, ormai Diane non è più così piccola! Avrà anche dieci anni ma è diventata bella alta: mi arriva fino a qui.» disse il giovane, toccandosi il fianco sinistro.
 
«Deve essere una cosa di famiglia.»
 
«Lo è.» replicò David, ridendo.
 
«Non riesco a credere che ha già dieci anni… come vola il tempo! Noi tutti la conosciamo da quando portava i pannolini e mi ricordo ancora che quando ti chiamavamo per andare in missione si metteva sempre a piangere ogni volta che andavi via.»
 
«Diane è una sorella dolcissima e fantastica. Sa dare tanto amore a chiunque, così come gliene abbiamo dato tanto io e mia sorella maggiore Rosalind nel corso di questi anni. Non le abbiamo mai fatto mancare nulla e sono davvero felice che lei sia felice.» rispose lui sorridendo, pensando alla sorella.
 
Ashley balzó giù dalla giostra e si sedette accanto a lui, dandogli una pacca sulla spalla.
 
«Sono davvero orgogliosa di te. Sei davvero un fratello dal cuore d’oro.»
 
«Grazie mille, Ash, me lo dicono in molti.»  replicò lui, arrossendo. 
 
«Beh… se ora siamo qui credo ci sia qualcosa di importante che tu voglia dirmi. Se è così, dimmelo.»
 
David sapeva che era arrivato il fatidico momento. Prese fiato per cercare di riprendere il controllo di sé stesso.
 
David, non fare il codardo!” Esclamò nella sua mente.
 
«Ashley…»
 
«Sì, David?» replicò lei esitando.
 
Il ragazzo si mise una mano sul petto, cercando di calmare i battiti del suo cuore che stava ormai per esplodere.
 
«Devi sapere… che sono venuto qui per un motivo ben preciso: è da tanto tempo che volevo confessarti tutto quello che ho sempre provato nei tuoi confronti. A dirla tutta, quando eravamo ancora compagni di squadra all’interno del Settore Z, più di una volta ho voluto farlo ma mi sono trattenuto. L’ho fatto per il bene del Team, ma adesso che il tempo è passato e siamo cresciuti, sento la necessità di farlo...»
 
Prima che potesse proseguire e dichiararsi, David fu fermato dallo sguardo di Ashley che cambiò improvvisamente, diventando gelido. Il ragazzo rabbrividì.
 
Quegli occhi, non promettono nulla di buono!” Esclamò nella sua mente, preoccupato.

«Penso tu sappia già la mia risposta.»

«Ad essere onesto, credo di saperla.» replicò lui, deglutendo mentre la ragazza lo fissava negli occhi. 
 
Per un attimo regnò un silenzio gelido.
 
«Sapevo che saremmo arrivati a questo punto.» disse Ashley, alzando gli occhi al cielo. 
 
«Io ho sempre saputo tutto questo, e anche io devo dirti una verità che non so se ti piacerà: devi sapere che con il passare del tempo la situazione per me era diventata talmente pesante che non sapevo se sarei riuscita a portare a termine il mio compito di membro all’interno del Settore Z. Far parte di questa squadra è stata un’avventura in tutti i sensi. Ho combattuto non solo fisicamente con nemici forti e acerrimi, ma al contempo ho dovuto fare i conti anche con il fatto che c’era un membro del Team, ovvero tu, che provavi qualcosa di forte per me.»
 
Nell’udire quella risposta, David sentì come un dolore in pieno petto. Un dolore devastante che mai aveva sentito prima d’ora.
 
Non ci credo…” pensò David, sconvolto. 
 
«Non è stato bello, credimi. Non è mai bello fingere davanti alle persone a cui vuoi bene, fingere che tutto vada bene quando in realtà non è così. Ma ora sono decisamente più tranquilla il fatto che siamo qui e non siamo più compagni di squadra, mi sento più libera di dire quello che penso. 
 
David si alzò di scatto dalla panchina, in preda al nervoso. Non sopportava l’idea che la sua ex compagna di squadra stesse dicendo quelle cose.
 
«Capisco non sia stato facile Ashley, ma perché fingere? – esclamò David – Perché fare una cosa del genere!? Forse non sai cosa significa amare realmente qualcuno, forse un giorno lo capirai.»
 
«Lo credi davvero?»
 
La ragazza, sentendosi provocata, prese David per il colletto del dolcevita e lo fece con una forza tale quasi da strangolarlo,  come se ci fosse una frustrazione nascosta che aveva accumulato per anni e che adesso, doveva in qualche modo liberarsi.

«A-Ashley…»


«Dimmi, David. Come puoi capire tutto questo se non lo hai mai realmente provato sulla tua pelle… se sai quello che intendo.»
 
«Questo non ti riguarda - replicò lui. - Non prenderti gioco di me!»
 
Ashley non aveva intenzione di mollare la presa. 
 
«Quello che mi sento di dirti, con il cuore in mano, David… è che per me tu sei sempre stato come un fratello maggiore. Tra noi non potrà mai esistere nulla all’infuori della nostra amicizia. Mai. Perché non potrò mai darti quello che cerchi.»
 
Ashley si avvicinò ancora di più a lui, guardandolo negli occhi.
 
«Ti auguro di trovare una persona che ti faccia sentire speciale, importante. E quando arriverà quel momento, allora sentirai il sangue pulsare in te, i sensi intorpiditi e un istinto animale che per anni fosse rimasto in letargo ecco che allora quella creatura si sarà liberata in te, e sarà proprio in quel momento che ti sentirai una persona nuova, vedrai. E niente sarà più come prima.»
 
David sapeva a cosa Ashley si stava riferendo. Il suo cuore era già turbato ma ora che la ragazza aveva toccato un nervo scoperto, cominciò ad innervosirsi e la osservò con occhi di fuoco. Si sentiva soffocare mentre aveva la gola ancora intrappolata nei pugni della ragazza. Ashley sapeva che stava esagerando e mollò la presa.
 
«Ora basta, Ashley. Non. Provocarmi.»
 
«Io non ti sto provocando: sto solo dicendo la verità. La pura verità. Quella che ti auguro di provare in futuro.»
 
Tutto questo David se lo aspettava ma non questo: Ashley infatti fu molto diretta e altrettanto austera nel dirle la verità. Mai si sarebbe aspettato una cosa del genere. Improvvisamente sia Ashley che David sentirono alcune gocce d’acqua cadere sui loro visi. Alzarono lo sguardo al cielo e notarono che l’atmosfera diventò molto cupa e che un diluvio, presto, si sarebbe abbattuto sulla città.
 
«Sta iniziando a piovere, sarà meglio rincasare.» disse David.
 
Durante il loro cammino verso la casa di Ashley, i due ragazzi non proferirono parola. 
Lui troppo scosso da quanto si è sentito dire. Lei troppo orgogliosa per poter parlare. Una volta arrivati davanti all’ingresso di casa, ci fu Bruce ad aprire.

«Giusto in tempo ragazzi! Ha incominciato a diluviare a vista d’occhio! Ma… David, ti senti bene?»

«S-sí certo, Bruce - rispose David, omettendo l’esatto contrario. 
 
«A me non sembrerebbe, sei sicuro?»

Bruce rivolse uno sguardo severo verso la sorella. Uno sguardo duro perché sapeva che aveva combinato qualcosa.

«Ashley, spero che tu…»
 
«Quello che ci siamo detti basta e avanza Bruce. Non c’è bisogno di aggiungere altro...»
 
Poi, David si allungò verso l’amico per poi sussurrargli all’orecchio:
 
«… In seguito ti spiegherò tutto.»

«Ah… d’accordo.»
 
«E poi adesso devo proprio andare: ho promesso a mio padre che non avrei rincasato tardi, ora che inizia a diventare buio presto.»
 
«Ma non hai nemmeno un ombrello. Almeno rimani qui finché non smette di piovere.» disse Bruce.
 
«No, ti ringrazio Bruce, davvero. Ora che mi incammino sarà già buio. Non voglio beccarmi un’altra strigliata da parte di mio padre.»
 
«Ok, David.»
 
Fu allora che prima che potesse allontanarsi la ragazza lo fermò, prendendolo per la mano.
 
«Almeno posso abbracciarti, prima che tu te ne vada?» chiese Ashley.
 
Quella fu la prima volta in vita sua che Ashley chiedeva un abbraccio a David. Egli si stupì: era una cosa che non aveva mai chiesto da quando i due ragazzi si conoscevano e la cosa lo insospettì non poco. 
 
Che fosse un abbraccio di addio? Molto probabile. 
 
Nella mente del ragazzo iniziarono ad albergare una miriade di pensieri ma alla fine il suo animo buono prevalse e abbracció l’amica con forza. Nonostante tutto quello che le aveva detto, non riusciva a provare rancore verso di lei. Ma mentre la abbracciava il giovane avvertí il suo cuore stringersi in una morsa di dolore.
 
«Ti auguro ogni bene e tutta la felicità possibile... ti meriti tutto il bene di questo mondo, Ashley. Sii felice, perché te lo meriti.» disse lui, con gli occhi lucidi.
 
«Ma ci rivedremo, vero?» chiese Bruce, preoccupato.

«Certo, puoi contarci.» replicò lui, facendogli l’occhiolino.

David e Ashley si staccarono da quell’abbraccio e si guardarono di nuovo negli occhi.
 
«Speriamo di rivederci presto.»
 
Dall’altra parte Ashley non disse nulla ma fece solo un piccolo accenno di sorriso. 
 
«Diciamo che lo prendo come un sí.» replicò lui.
 
I due amici sorrisero caldamente finché Bruce non diede una pacca sulla spalla di David.

«Ciao amico mio, ci vedremo presto!» disse.
 
I due amici si diedero il pugno in segno di congedo e David se ne andò. Mentre la pioggia scendeva giù con fare violento, Bruce rimase ancora un po’ davanti alla porta, sperando di rivedere nuovamente il suo amico. Nel frattempo Ashley era salita al piano di sopra in camera sua. Ci fu un cambio di espressione immediato mentre salutava David da lontano, dalla finestra della sua stanza.
 
“Mi dispiace molto, David. In realtà ti ho mentito: non ci incontreremo più da ora in poi. È stato bellissimo poterti rivedere ancora, ma tra noi non ci potrà mai essere nulla all’infuori della semplice amicizia. Ed è proprio per questo motivo che devo rinunciare a te e a tutto quello che abbiamo giurato in passato.”
 
Proprio quella sera stessa, Bruce venne a conoscenza della decisione che sua sorella aveva deciso di prendere.
 
«Che cosa!? Non dirai sul serio spero!» esclamò il giovane, totalmente pervaso dalla rabbia.
 
«È così che deve andare, Bruce. Io e David abbiamo un destino diverso, caratteri diversi… gliel’ho detto che non possiamo stare insieme perché il sentimento non è corrisposto.»
 
«Ma… è solo per questo motivo o c’è dell’altro?»
 
«Non facciamo più parte del Settore Z ormai da anni. Non siamo più bambini, Bruce. È una decisione che volevo prendere da tempo, ma volevo cogliere un momento propizio.»
 
«E David che cosa c’entra? Perché coinvolgere lui? Si sentirà in colpa per il resto della sua vita! D’accordo che hai un carattere molto forte, ma come al solito non pensi mai alle conseguenze.»
 
«Se ne farà una ragione...»
 
Il ragazzo era totalmente spiazzato, se non deluso: Ashley aveva appena infranto una delle promesse che si erano fatti i cinque amici quando David aveva abbandonato il Settore, ovvero quello di rimanere sempre uniti nonostante tutto. 
 
«Mi hai veramente deluso, Ashley, sai? Non sapevo saresti arrivata fino a questo punto.»
 
Ashley non disse una parola. 
 
I due fratelli si chiusero nelle rispettive camere. Bruce promise a se stesso che non avrebbe rivolto la parola alla sorella per un po’. Almeno fino a quando i bollori della rabbia non sarebbero spariti.
Ashley invece era immersa nei suoi pensieri. Orgogliosa e fiera come era sempre stata, non sarebbe certo tornata indietro sui suoi passi. 
 
Perdonami…” pensò per poi spegnere la luce. 
 
Sentiva che per lei era arrivato il momento di voltare pagina, di crescere, anche se questo le avrebbe causato l’apertura di numerose ferite.

 

Nei giorni che seguirono, David raccontò a Lenny tutto quello che era successo, anzi, solo una parte di quanto era accaduto. 
 
«Avevi ragione tu, sai? – disse il giovane mentre faceva dondolare le sue gambe sul muretto di cemento - Da una parte è stata una battaglia persa: Ashley mi ha detto con franchezza che ha sempre provato solo amicizia nei miei confronti e che non mi avrebbe mai potuto dare quello che cercavo.»
«Mi dispiace molto, credimi amico - disse Lenny, cercando di consolare il suo amico – non avrei mai pensato che Ashley potesse arrivare fino a questo punto.»

«Sai, quando le ho detto ciò che realmente provavo per lei non mi ha più guardato con gli stessi occhi. Ed è proprio quella la parte che più mi ferisce. Io spero che le cose possano sistemarsi, e non so perché ma riesco comunque a perdonarla. Io sono fatto così: riesco sempre a perdonare anche coloro che mi feriscono nel profondo.» replicò David, osservando per un attimo i palmi delle sue mani.

«Hai un grande cuore, ma soprattutto un grande animo. E non lo dico tanto per dire, lo dico perché ti conosco. Sei una persona davvero speciale.»

«Beh, almeno c’è stato un lato positivo: sono davvero felice di aver rivisto Bruce dopo tanti anni.»
In quei giorni, il cuore di David diventò un uragano di emozioni che non riusciva a controllare. Aveva bisogno di farle fuoriuscire quelle emozioni, di piangere, piangere e piangere.

“Che illuso sono stato – pensava mentre  - io mi ero completamente illuso che anche lei ricambiasse almeno un briciolo di quello che provavo io nei suoi confronti, ma è  stata tutta una pura illusione.”
 
«A cosa cavolo stavo pensando? Che tornasse da me? No, non è così: questo è il gusto amaro della realtà... ora ho capito che non stiamo vivendo in un mondo di sogni.»
 
«Non dire così, ti prego – disse Lenny, cercando di rincuorare l’amico - Ora tu stai parlando così perché ti sentì ferito e deluso, ma ricordati che prima o poi una luce in fondo al tunnel la si trova sempre nella vita, lo hai dimenticato? Questa frase la dicevi pure tu.»

«Questo è vero, e ne sono ancora convinto.»

David scese dal muretto per poi avviarsi verso l’unico posto in cui ora voleva andare: a casa.

«E ora dove vai?»
 
«Ho bisogno di stare un po’ per conto mio. Ho bisogno di riflettere, di pensare ma soprattutto di prendere un po’ di tempo per me stesso.»
 
«D’accordo, se è questo ciò che desideri non preoccuparti ma sai dove trovarmi nel caso avessi bisogno di me ma soprattutto dei tuoi amici.»
 
David sorrise e i due amici si diedero un abbraccio forte, con la promessa che si sarebbero rivisti non appena David sarebbe stato meglio. Appena tornò a casa, non trovò suo padre ad attenderlo. 
 
“Come al solito, sta facendo sempre più tardi, questa storia non mi piace.”
 
«Diane! Ci sei? Sono a casa!» esclamò David.
 
Nessuna risposta. 
 
Molto probabilmente Diane era uscita per andare in missione con il resto del suo gruppo e sarebbe rincasata in nottata. 
 
Più tardi, quella sera, David si alzò nel cuore della notte. L'orologio sulla mensola segnava le due e mezza ma nonostante questo, il giovane sentiva l'animo turbato.

"Spero che papà sia rincasato." Pensò per poi avviarsi verso la stanza del genitore, senza farsi sentire.
Suo padre era nel letto che dormiva profondamente  ma appena accese la luce del comodino, si accorse subito che le sue condizioni erano preoccupanti: il viso era grigiastro e il suo fiato puzzava terribilmente di alcol. Sulla mensola del comodino trovò un bicchiere vuoto con accanto una serie di pillole e quando vide che si trattavano di antidepressivi, fu allora che la paura pervase il cuore di David.

"Oh, no, di nuovo...!" Pensò David, tremando.

Il giovane uscì di scatto dalla camera e scese le scale di corsa col cuore che gli batteva forte contro le costole. Andò in soggiorno per poi sedersi sul divano e prendere fiato, accese una candela che si trovava sul tavolino e ancora una volta, esplose in un pianto liberatorio. 

Ho voluto affrontare questa sfida, e non mi pento – pensava tra un singhiozzo e l’altro – ma so che mi ci vorrà molto tempo prima che queste ferite guariscano.”

Non credeva che avrebbe provato un dolore tanto intenso, e il pensiero che suo padre fosse caduto nuovamente in quel vortice lo faceva stare male. Terribilmente. Troppe emozioni in pochi giorni, davvero troppe per lui.
Dopo aver assistito a quel terribile scenario, ora la sua prima preoccupazione era non solo il suo futuro ma soprattutto quello della sua sorellina: cosa sarebbe stato di loro se suo padre, da un giorno all’altro, sarebbe venuto a mancare per colpa del suo egoismo? In un modo o nell’altro avrebbero potuto contare sull’aiuto degli zii materni perché di una cosa David era sicuro: i servizi sociali non dovevano mettersi in mezzo.
All’improvviso udì la finestra di casa aprirsi. Si voltò di scatto e vide una figura a lui familiare.

«Diane, sei tu?»

«Sì, certo che sono io, fratellone. Come mai sei ancora sveglio?»

David si asciugò le lacrime prima che sua sorella potesse scorgere qualcosa. Il giovane non era mai stato tanto felice di rivedere colei che gli aveva sempre regalato tanta gioia in tutti questi anni. 

«Non riuscivo a dormire.» replicò lui, sorridendo.

«Comunque sia, è stata una missione impegnativa ma ce l’abbiamo fatta.» rispose lei, soddisfatta.
Gli sforzi di nascondere le lacrime furono vani: la ragazzina aveva intuito che c’era qualcosa di strano in suo fratello e che gli stava nascondendo qualcosa. Nonostante avesse dieci anni, Diane era una ragazzina molto precoce e sensibile. Quando egli stava male o era triste, lei lo sentiva. Se lui era triste, anche lei lo diventava. 
Lei e David erano come una persona sola. 

«C’è qualcosa che non va, fratellone?»
 
David non riuscì a trattenere le sue emozioni e ricominciò a piangere. Per la ragazzina, quella fu la prima volta che vide suo fratello così affranto.
 
«Ora… non ho voglia di parlarne, Diane. Voglio solo averti accanto... è tutto ciò di cui ho bisogno…»

«Certo! Adesso sono qui.»
David sorrise tra le lacrime mentre la sua sorellina si accoccolò tra le sue braccia, cercando di fargli sentire tutto il suo immenso affetto.

«Qualunque cosa sia accaduta, sappi che io sono sempre qui per te.» sussurrò la ragazzina, accarezzandogli la guancia umida di lacrime.
Sorellina mia, come farei senza di te?" pensò David per poi stringerla forte al petto. A Diane piaceva quando suo fratello la stringeva a se: le faceva sempre sentire un senso di protezione e sicurezza e le piaceva sentire il battito del suo cuore. La rilassava a tal punto da addormentarsi. E difatti, dopo qualche minuto, Diane si addormentò tra le sue braccia.
 
Diane, sapessi quello che provo ora…” pensò mentre osservava la sua sorellina dormire beatamente con il capo appoggiato al suo petto.
Tutto quello che voleva fare ora era liberarsi di quel dolore che aveva accumulato, ma sapeva che non sarebbe passato da lì a poco e che gli ci sarebbe voluto del tempo.

 
“I've been a martyr for love
Tortured every hour
From the day I was born
I've been moved like a pawn
By the greatest of powers

I knew that I would have to suffer in vain
Aware that I would never outgrow the pain”

 
Depeche Mode – Martyr (Depeche Mode – The Complete Depeche Mode, 2006)
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V - Broken ***


Capitolo V – Broken
 
 
 
 
Tre settimane dopo…

Passarono diverse settimane e David si stava riprendendo gradualmente dalla batosta che aveva ricevuto da parte di Ashley. 

Per il momento voleva starsene per conto suo per metabolizzare tutto ciò che era successo. Non voleva vedere nè sentire nessuno, tantomeno i suoi amici e cercava di tenere la mente occupata sui suoi interessi o sullo studio. Eppure, ogni tanto gli tornava a galla il ricordo di Ashley, ed ecco che la ferita si riapriva e le lacrime ritornavano, ma sapeva che doveva guardare avanti.
 
Nel frattempo, dicembre era arrivato e nei giorni che seguirono la neve iniziò a scendere sulla città, chiaro segno che l’inverno era ufficialmente arrivato. Diane amava la neve e non appena il giardino si imbiancava, l’esuberante vivacità della ragazzina si faceva subito scorgere in quanto non perdeva occasione per uscire fuori a giocare. 

«Ehi, fratellone! Giochiamo?» chiese un giorno, mentre era in procinto di indossare i suoi guanti e il berretto di lana.

Nessuna risposta da parte del fratello maggiore, ma solo un sospiro. 
Egli era molto intento a terminare una relazione molto importante che avrebbe dovuto consegnare al rientro delle feste di Natale per la lezione di mediazione linguistica di francese che gli avrebbe dato un’ulteriore vantaggio per la borsa di studio a cui stava puntando.

«Arrivo Diane, dammi qualche minuto.» replicò David, concentrando le sue energie nel concludere il suo compito. 

«Spero di non disturbarti se io ti faccio compagnia mentre finisci i compiti.» disse la ragazzina, appoggiando la testa sulla scrivania.

«Se mi avessi disturbata, saresti fuori da questa stanza già da un bel pezzo, lo sai?» replicò David, scompigliandole i capelli. La sorellina sorrise dolcemente.
 
Dopo qualche minuto, finalmente il ragazzo terminò il tutto dopo aver letto e revisionato accuratamente il cartaceo che aveva appena terminato di scrivere.
 
Perfetto, e anche questa è fatta!” Pensò mentre metteva via la relazione nella cartella. 
 
«Adesso possiamo uscire?»
 
«Certo, scricciola – replicò lui – ma prima c’è una cosa importante di cui vorrei parlare con te. Sicuramente avrai notato il mio cambio di umore in queste ultime settimane.»
 
«Ehm… a dire il vero sí: ultimamente ti ho visto molto silenzioso e non è da te. È successo forse qualcosa?»

David si sedette sul letto, e fu allora che prese la sorella in braccio e la posò sulle sue ginocchia.
A Diane piaceva quando il suo amato fratellone la prendeva in braccio: le ricordava i bei ricordi d’infanzia, quando lei era bambina e cercava conforto.

«Sai, c’è una cosa che devi sapere e che accadrà anche a te quando arriverà quel momento.» disse David, accarezzandole la testa.

«Cosa?»
 
Il fratello sospirò profondamente, cercando di trovare le parole giuste per la sorella, ancora troppo piccola per comprendere certi aspetti dell’amore ma sapeva che li avrebbe provati sulla sua pelle strada facendo.

«Nella tua vita, quando arriverai nella fase dell’adolescenza ti troverai ad affrontare un mondo ricco di emozioni e sensazioni nuove e inaspettate, alcune bellissime ed altre meno belle che ti colpiranno proprio qui.» disse David, posando il suo palmo sul suo petto proprio all’altezza del cuore.

«E adesso? Che cosa senti nel tuo cuore?»

David sospirò.

«Confusione, tristezza, ma soprattutto un gran vuoto.»
 
Diane abbracciò forte il fratello, cercando di consolarlo. David ricambiò l’abbraccio, sorridendo mentre una lacrima gli rigò la guancia.

«Su, andiamo a giocare fratellone – disse Diane, asciugandogli le guance – voglio vederti sorridere.»

«Tu mi fai già sorridere.» rispose David, abbracciandola forte e sorridendo.
Come sempre, la sua sorellina sapeva come fargli tornare il sorriso anche nei momenti più difficili.
 
«Non mi importa di quello che è successo. So di essere ancora un po’ troppo piccola per capire certi aspetti dell’amore ma so cosa significa voler bene davvero a una persona, specie se in maniera incondizionata. So anche che l’amore ha mille sfumature, più di quanto noi possiamo immaginare e prevedere e so anche che tu sei il fratello più forte e in gamba che io abbia mai avuto e non ti sostituirei mai con nessun altro, so che riuscirai ad affrontare anche questa batosta. Dopotutto l’amore spezza ma sa anche rigenerare.» rispose Diane, osservando negli occhi il suo amato fratello e ancora una volta, ella lo strinse in un abbraccio caldo, facendogli sentire tutto il suo affetto.
 
Se non ci fossi tu a sollevarmi il morale…” pensò David, pizzicandole la guancia.
 
«È davvero bellissimo quello che hai appena detto.»
 
«Dici sul serio?»
 
«Sì, è un pensiero davvero molto maturo per la tua età e sono davvero felice che tu abbia già questa visione dell’amore nonostante tu abbia undici anni. Ma ora abbiamo dimenticato una cosa molto importante, e cioè andare a giocare!»

I due fratelli andarono fuori a giocare nel giardino innevato. 
 
«Tanto non mi prendi!!» esclamò Diane mentre correva.
 
Era incredibile come Diane fosse diventata incredibilmente agile, svelta nei suoi movimenti mentre schivava i colpi di palla di neve del fratello maggiore oppure quest’ultimo cercava di prenderla tra un balzo e l’altro.

L’ho addestrata proprio bene! Devo complimentarmi con me stesso.” Pensò il ragazzo mentre continuava a correre in mezzo ai cumuli di neve nel tentativo di prendere la sorella. Ma ad un tratto il divertimento fu interrotto dalla voce del padre, Edward, che li chiamò dalla finestra.

«Ragazzi! Entrate dentro per favore: ho una notizia importante da darvi!» urlò il genitore.
 
Non appena i due fratelli rientrarono in casa il loro padre comunicò ai suoi figli che gli zii, Nellie e suo marito Nathan, lo zio acquisito, si sarebbero stabili temporaneamente a casa loro come ogni Natale e che sarebbero arrivati tra due giorni. All’udire quella notizia il cuore di David esplose di gioia. Era felice, felice di rivedere i suoi zii e tutta la famiglia riunita dopo tanto tempo. Mancava solo Rosalind e il quadro sarebbe stato completo. 
 
 
Più tardi, quella sera…
 
 
«Pronto?»
 
«Ma ciao, Davy! Indovina chi sono?»
 
Dall’altra parte, una voce familiare fece sussultare di gioia il cuore del ragazzo.
 
«Rosalind! Che piacere sentirti! Allora? Quando vieni giù per le festività natalizie? Gli zii verranno qui da noi dopodomani.»
 
«Ho come l’impressione che mi abbiano letto nel pensiero! – esclamò Rosalind, scoppiando in una risata fragorosa – Pensa un po’, io sarò da voi proprio tra due giorni! Probabilmente verso il tardo pomeriggio ma non mi fermerò per molto purtroppo: rimarrò per due settimane, non di più.»
 
«Non sai che bella notizia ci hai dato! Anche se resterai solo per due settimane non fa niente: la tua presenza ci regalerà tanta gioia e noi non vediamo l’ora di rivederti.»
 
«Anch’io, mi mancate tanto. Allora ci vediamo dopodomani!»
 
Appena David mise giù la cornetta del telefono, Diane non perse tempo a fare domande.
 
«Era nostra sorella?» chiese, curiosa.
 
«Sí – replicò lui – ha appena telefonato e ha detto che verrà a trovarci anche lei.»
 
All’improvviso la ragazzina diventò una bomba di energia e iniziò a saltare sul letto del fratello.
 
«Ti consiglio di risparmiare tutte le tue energie per i prossimi giorni.» disse David ridendo.
 
«Non sei forse felice di rivedere nostra sorella?»
 
«Certo che lo sono! -  replicò lui dandole un bacio sulla fronte – il mio era soltanto un suggerimento, poi… se vuoi scaricare tutte le batterie in una sola giornata, fai pure.» 
 
«Farò come vuoi, ma non mi piace quando dici così.»

Tutto questo rendeva David felice: almeno si sarebbe distratto da questa malinconia che gli stava pervadendo il cuore. 
 
 

 
 
Quella mattina Diane era seduta accanto al fratello, entrambi sul divano. Anche il loro padre era seduto accanto a loro, tutti in attesa dell’arrivo degli zii. Per il loro papà Edward, in questi giorni di festa c’era ben poco da festeggiare: il 27 dicembre non solo sarebbe stato il compleanno di sua figlia Diane ma anche l’anniversario della morte della sua amata moglie, la madre dei suoi figli. 

«Tra poco dovrebbero arrivare.» disse Diane, osservando fuori dalla finestra.

«Mettiti seduta composta, Diane.»

«Va bene, papà.» replicò lei, incrociando le braccia al petto e sbuffando.
 
«Lo dico per il tuo bene figliola, lo sai. E te l’ho già detto tante volte di non comportarti da maschiaccio, perciò stai seduta composta.»

«Ho undici anni, so come deve sedersi una brava bambina.» replicò lei, con tono tagliente per poi sedersi con fare composto a gambe unite e la schiena dritta.
 
«Non parlarmi con quel tono, signorina.»

«Diane sarà libera di comportarsi come vuole?»  disse all’improvviso David, mettendosi in mezzo.

Fu allora che Edward si alzò e osservò suo figlio dritto negli occhi. Il suo sguardo era austero: non sopportava l’idea di farsi mettere i piedi in testa dal suo secondogenito.

«Non ti ci mettere anche tu, David, sono stato chiaro? Portami rispetto, e che finché sarò presente in questa casa tu dovrai farlo.»

La voce del genitore si fece ancora più forte, severa ma David non lo temeva, anzi, rimase immobile al suo posto ad ascoltare quello che aveva da dire. A quel punto Diane sapeva che gli animi si stavano scaldando e, lentamente, si dileguò e si nascose al piano di sopra rimanendo però seduta sui gradini delle scale.

«Ho tutto sotto controllo David. Non devi dubitare di tuo padre, anche perché non ho nulla da nascondere.»

«Ma ti comporti come se invece fosse l’esatto contrario.»

Per un istante nella sala albergò un silenzio assordante che a David proprio non piaceva. Quel silenzio in quella casa regnava ormai da tanti, troppi anni e che solo il ticchettio della pendola lo interrompeva. Proprio in quell’istante si udì arrivare una macchina accostare sul marciapiede.
 
«Devono essere loro. Forza, andiamo a salutarli.» disse il padre. I due figli ubbidirono in silenzio e Diane scese dalle scale non appena vide che la situazione si calmò.
 
Dall’auto uscì una donna. Anzi, una giovane donna che David e Diane riconobbero subito: era zia Nellie. I due fratelli si precipitarono di scatto e le andarono incontro.
 
«David! Diane! Finalmente! Che bello rivedervi.»
 
«Sono così contenta che voi siate qui, sapete? È da quest’estate che non vi abbiamo più visti.» disse Diane, sorridendo.
 
«Anche noi siamo sempre felici di rivedervi. Diventate sempre più grandi e siete come dei figli per noi.» disse la zia, prendendo in braccio la ragazzina.
  
«E… Rosalind? Quando arriva?» disse zia Nellie, impaziente di riabbracciare la sua cara nipote.
 
«Dovrebbe essere qui entro stasera. L’ho sentita proprio stamattina e mi ha detto che era già in viaggio.»
 
«Oh, bene!»
 
Subito sia David che Diane notarono che la loro zia aveva tra le mani un’enorme cesto di vimini, pieno di regali. Entrambi i fratelli avevano sempre avuto una natura molto curiosa.
 
«Secondo te sono per noi?» chiese Diane, sussurrandogli all’orecchio.
 
«Forse sí… o forse no, chi lo sa?» replicò David, sogghignando.
 
«Ah, non cambierete proprio mai voi due.» disse la donna, avendo subito intuito l’irrefrenabile curiosità dei fratelli.
 
«Questi sono per voi.»  disse, allungando ai due nipoti i regali.
 
«Oh, zia cara grazie!!!» esclamò Diane, impaziente di scartare quel pacco tutto luccicoso.
 
«Questo invece tenetelo da parte per vostra sorella quando arriva.»
 
«Certo, zia. Grazie di cuore.» replicò David dandole tre baci sulla guancia.
 
La zia Nellie era sempre stata una figura molto importante per i fratelli Garrison: ella non era altri che la sorella maggiore della loro madre. Lei e suo marito Nathan non ebbero figli nel corso della loro vita ma dedicarono anima e corpo alla loro carriera nel mondo dell’edilizia ma nonostante tutto, a Nellie non mancò mai il senso materno. Dopo la scomparsa prematura della sorella, la donna non esitò un solo istante a trasferirsi con il marito nel Massachusetts per prendersi cura dei nipoti in quanto il loro padre attraversò per un lungo periodo una fase di depressione assai profonda, e come se non bastasse aveva trovato rifugio nell’alcolismo e solo attraverso una dura e lunga riabilitazione ne uscì completamente.
 
O almeno così sembrava.
 
Nel frattempo che i due fratelli erano al piano di sopra intenti a contemplare i loro regali, Nathan e Nellie approfittarono della situazione per parlare con il loro cognato. 
 
«Allora, caro cognato, è da un po’ di tempo che non ci si vede.» disse Nathan, accedendo uno dei suoi sigari.
 
«Diciamo che è così.» 
 
Sia Nellie che Nathan si erano accorti dell’aspetto sciupato di Edward: il suo volto era pallido e sotto gli erano spuntate delle occhiaie terribili. Era chiaro che i sintomi dell’insonnia fossero ricomparsi e il suo fiato emanava un forte odore di alcol.
 
«Hai ripreso a bere, dí la verità.»
 
«Nathan.» replicò severa Nellie al suo consorte.
 
«Se hai già voglia di discutere di questi argomenti, non mi sembra questo il momento propizio. Non farmi sentire un fallito davanti ai miei figli.»
 
«Non mettermi in bocca cose che non ho detto, io e mia moglie abbiamo notato subito che sei ricaduto nel baratro. Già anni fa abbiamo tentato di aiutarti e ne eri uscito anche se con gran fatica. Vuoi forse ucciderti con le tue mani e lasciare sole al mondo le tre creature più preziose che ti sono rimaste?»
 
I due uomini si osservarono in silenzio. 
 
«Sappi che noi non ti permetteremo di farlo.» disse Nathan, esalando il fumo che aveva inalato dal suo sigaro qualche minuto prima. Da parte di Edward non ci fu alcun cenno di replica.
 
«Credo per oggi basta, Nathan. Non roviniamo tutto già con questi discorsi.»
 
«Ti ringrazio, Nellie. Ho già discusso con David stamattina e non mi pare il caso di proseguire.» replicò Edward, ripensando alla discussione avuta con il figlio poco prima del loro arrivo.
 
«David avrà avuto le sue ragioni per comportarsi così.»
 
«Il fatto è che mio figlio non deve mancarmi di rispetto. Avrà anche diciassette anni ma non deve permettersi di mettere i piedi in testa al proprio genitore. Questo è quanto.»
 
«Su questo non posso darti torto. David avrà anche esagerato ma hai mai provato a metterti nei panni dei tuoi figli per una volta nella vita?»
 
«Fatela finita! Basta!» esclamò Nellie, frustata.
 
Ma i due uomini ormai avevano iniziato a discutere animatamente davanti ai suoi occhi. Nellie si sentiva impotente davanti a tale scena, nonostante i continui rimproveri.
 
Lucy, se tu fossi qui ora, tu avresti risolto già tutto ne sono sicura…” pensò la donna, rattristata al pensiero che sua sorella, la madre dei suoi nipoti non potesse essere lì, ora. Se ne andò al piano di sopra, sconsolata e si chiuse nella camera degli ospiti per disfare i bagagli.
 
Intanto, nella stanza di David, Diane fremeva all’idea di scartare il suo regalo.
 
«Che dici? Li apriamo adesso i regali?» domandò Diane, impaziente.
 
«Forze sarà meglio attendere nostra sorella, non credi?»
 
«Uffa, non è giusto però…» replicò la sorella, incrociando le braccia al petto.
 
Rosalind arrivò nel tardo pomeriggio. Appena la videro arrivare i suoi fratelli non persero tempo ad avvolgerla nel loro caldo abbraccio. 
 
«Finalmente, Rosalind! Che bello averti qui!» esclamò David.
 
«Figliola mia, sono davvero felice di rivederti dopo tanto tempo. È così bello vederti tanto raggiante, vedo che il clima dell’Università ti ha fatto bene.» disse suo padre, abbracciandola.
 
«In effetti è così, poi stasera vi racconterò tutto.»
 
Rosalind era al corrente di quanto stava accadendo a casa loro grazie a David. Il pensiero che suo padre fosse ricaduto nuovamente nelle brutte abitudini la spaventava più che mai, ma al momento cercava di non pensarci.
 
Più tardi, quella stessa sera, tutta la famiglia si riunì davanti al camino acceso, a bere una bella cioccolata calda con un ciuffo di panna montata. A David gli sembrava essere tornato indietro nel tempo, quando la famiglia era unita e si respirava un clima di gioia infinita e spensieratezza. 
 
«Che bello, mi sembra di essere tornato indietro ai vecchi tempi.» disse il giovane, sorridendo.
Nel frattempo, Diane era come sempre seduta a cavalcioni sulle spalle del fratello. 
 
«Allora Rosalind, ti trovi bene ad Harvard?» chiese zia Nellie.
 
«Per fortuna sí, ma lo studio mi sta massacrando! Meno male che sono arrivate le feste: avevo proprio voglia di tornare a casa.» disse la giovane, abbracciando David e dando un bacione sulla guancia della sorellina.
 
«Mi siete mancati tanto, sapete?»
 
«Anche tu ci sei mancata, spilungona!» esclamò Diane che, con un balzo si avvinghiò al collo della sorella e quasi la fece cadere dal sofà.
 
La ragazza scoppiò in una dolce risata e non esitò a ricambiare affettuosamente quell’abbraccio così spontaneo. Ora che Diane era cresciuta il loro rapporto tra lei e Rosalind era cambiato: le due sorelle erano più unite, più complici e questo sollevava l’animo della sorella maggiore: quando Diane era più piccola difficilmente riuscivano ad andare d’accordo in quanto Rosalind, dopo la morte della madre, si era assunta non solo il compito di prendersi cura di lei ma anche di educarla. All’epoca dei fatti ella era appena una ragazzina ma molto responsabile e sentiva di avere sulle spalle una responsabilità assai enorme. 
Per questo nei confronti della sua sorellina a volte era sempre stata un po’ severa, ma lo aveva sempre fatto per il suo bene.
 
Nel frattempo David guardava l’affascinante sorella negli occhi e si accorse che era diversa da quando l’aveva vista l’ultima volta: era più bella, solare, sorridente e Rosalind di rado sorrideva a causa della sua eccessiva timidezza. Non l’aveva mai vista così radiosa.
 
«Sai Rosalind? Non ho potuto fare a meno di notare una luce diversa nei tuoi occhi. Ti vedo così raggiante, solare, sicura. Ed è bellissimo.»
 
«Stare lontana da casa mi ha fatto aprire gli occhi su molte cose: ad esempio sto diventando molto più autonoma e sto iniziando comprendere cos’è la responsabilità ma soprattutto sto acquisendo più fiducia in me stessa, cosa che prima non possedevo. È una grande lezione di vita quella che sto percorrendo e sono orgogliosa di ciò.»
 
«E noi siamo orgogliosi di te.»
 
«Grazie a tutti, vi voglio bene.» replicò lei, quasi sull’orlo della commozione.
 
«Cambiando discorso David, ma… la fidanzatina?» chiese con fare spiritoso lo zio Nathan a David, pizzicandogli un orecchio.
 
«Uffa, zio!» esclamò David arrossendo vistosamente e nascondendo il viso sotto il collo del pullover che indossava.
 
«Ma come, Davy? Un ragazzo così bello e prestante come te, a diciassette anni non ha ancora trovato l’anima gemella? È proprio vero che sei di gusti difficili.» replicò Rosalind, scompigliandogli i suoi lunghi capelli castani mentre.
 
Diane rideva mentre la sorella si divertiva a stuzzicare il suo fratello minore, proprio come quando erano piccoli. 
 
«Sì, sono di gusti difficili, sono esigente. Il fatto è che non voglio buttare via la mia vita, come già stanno facendo molti miei coetanei, so quando troverò la persona giusta e sono certo che quel momento arriverà.»
 
Alla zia Nellie si sciolse il cuore nel sentire quella sincera confessione del nipote. David voleva davvero trovare la ragazza che gli avrebbe fatto battere il suo cuore e non voleva buttare via le tappe della sua vita.
 
«Oh, David.» disse la zia, accarezzandogli la guancia. «Ma allora? Che aspettate ad aprire i vostri regali?»
 
«È vero! È stata una giornata così piena che ancora non abbiamo avuto tempo di scartare i regali. Facciamolo adesso!» esclamò Diane, fiondandosi sui pacchi.
 
A Rosalind le fu regalato un bellissimo vestito rosso di velluto, lungo fino ai piedi. Sulle maniche e sulla gonna c’erano dei ricami dorati floreali, molto curati e minuziosi.
 
«Lo potrai indossare per un’occasione davvero speciale. Bella e affascinante come sei, ti consiglio di conservarlo con cura.» disse la donna, dandole un bacio sulla guancia.
 
«Grazie mille di cuore, zia. È a dir poco stupendo. Non so che dire.» 
Rosalind era senza parole davanti a quel regalo tanto maestoso. Tutto quello che fece fu quello di abbracciare i suoi zii e ringraziarli nuovamente.
 
A David sua zia le aveva regalato una collezione di fumetti molto speciale e un paio di guanti, tutti realizzati all’uncinetto proprio da lei stessa.
 
«Sai, a dire il vero appartenevano a me – disse lo zio Nathan – ma tua zia ha pensato di regalarli a te: so che sei amante dei fumetti e la saga di Batman ti è sempre piaciuta. Questi sono fumetti molto vintage, ed è rarissimo trovarli oggigiorno.»
 
«Sono fantastici! Non sapete da quanto tempo li cercavo! Grazie, grazie mille!»
 
Infine, a Diane le fu regalata una coppola nera e una felpa di colore viola scuro, grande quasi il doppio di lei. 
 
«Sappiamo che a te non piacciono le cose molto femminili, perciò siamo voluti andare sul sicuro.» disse Nellie.
 
«Il viola è uno dei miei colori preferiti! E poi lo sapete che adoro questi berretti! Mi piacciono da impazzire! Grazie mille!»
 
Diane si avvinghiò al collo degli zii e li inondò di baci.
 
«Grazie mille ancora, zii. Sono regali stupendi.» disse nuovamente David.
 
«Di nulla, tesori miei.» 
 
Nel frattempo, lo zio Nathan non perse occasione di accendere un altro sigaro e a dare un’occhiata al salotto. Lavorando entrambi nel campo dell’edilizia, sia Nellie che suo marito Nathan erano sempre molto attenti nella cura dei particolari quando entravano in una casa ma in particolare, Nathan era sempre stato un uomo molto pignolo, attento ai dettagli e a ogni minimo particolare.
 
«Ho visto che ancora non avete fatto l’albero di Natale, come mai?» chiese zio Nathan, notando che all’interno della loro casa non c’era nemmeno un accenno di addobbo natalizio.
 
David, Rosalind e Diane sospirarono all’unisono.
 
«Il perché vallo a chiedere a nostro padre – disse David – È lui che dovrebbe sapere come rendere unita una famiglia, ma come famiglia sembra ci siamo solo noi fratelli.»
 
«David…» sussurrò la sorella maggiore con fare quasi severo.
 
Egli sapeva che non era il momento giusto di discutere di tale argomento, specialmente davanti a Diane ma David ne aveva abbastanza dell’egoismo scellerato che il genitore aveva iniziato a mostrare negli ultimi tempi.
 
«Tesoro, non mi sembra il caso di dire queste cose…» disse la zia con fare incalzante.
 
«Lui non è un padre, ma un egoista. Uno scellerato che preferisce annegare le sue preoccupazioni nell’alcol piuttosto che pensare al bene più prezioso, ovvero noi: i suoi figli. Dice di avere tutto sotto controllo, ma non mi sembra.»
 
David non poteva sapere che il suo genitore, dal piano di sopra stava ascoltando tutto quello che suo figlio stava dicendo nei suoi confronti: difatti, quella sera, subito dopo aver cenato Edward aveva preferito andarsene a letto perché non si sentiva molto bene. E dopo aver udito quelle parole, l’uomo si sentí ancora più scoraggiato di quanto non lo fosse prima. Sentiva di aver fallito in ogni senso, e sentiva che per lui la vita 
 
«David, ora basta. Dico davvero.» disse la zia, con tono severo.
 
Nella stanza regnò il silenzio. Il genitore si limitò a sospirare e a osservare suo figlio dall’alto per poi andare nella sua stanza. Mentre percorreva il lungo corridoio per dirigersi verso camera sua, aveva in mente solo una cosa da fare. 
 
Intanto, in salotto era piombato il silenzio. Ancora una volta.
 
«Scusatemi.» 
 
Fu in quell’istante che il ragazzo si alzò dal sofà e se ne andò in camera sua. Suo padre si era già dileguato, rinchiudendosi nella sua stanza.
 
«Come al solito David non sa mai quando stare zitto…» ringhiò tra i denti Rosalind.
 
«Taci anche tu, Rosalind: non fare la maestrina come tuo solito fare.»
 
«D’accordo zia.»
 
«Ora credo sia meglio per tutti quanti noi se adesso andiamo a letto: è stata una giornata molto intensa.»
 
«Hai ragione, inizio ad essere un po’ stanca. E il viaggio per me è stato bello tosto.»
 
«Bene.»
 
Mentre Rosalind e Diane percorrevano le scale, la sorellina sparó una pernacchia alla sorella maggiore.
 
«È inutile che sbeffeggi, piccola peste. – replicò lei – credo proprio che David ti stia portando sulla cattiva strada.»
 
«Questo lo dici te.» disse la ragazzina, facendole l’occhiolino.
 
«Su, vai a dormire adesso. È già tardi.»
 
«Sì, Maestade.» rispose Diane con fare spiritoso e se ne andò via nella sua stanza, trotterellando e canticchiando felice.
 
Dall’altra parte però, c’era qualcuno che non riusciva a darsi pace: prima di andare a letto Nellie voleva chiarire alcune cose con David. La donna aveva intuito che c’era qualcosa di strano, non era da lui parlare con quel tono così tagliente: lui, David, che era sempre stato sorridente ed espansivo, sempre pronto a scherzare. Ma invece lo aveva visto cambiato.
 
Mentre era nel corridoio, Nellie si accorse che suo nipote non era ancora andato a letto ma era in bagno a lavarsi i denti insieme alla sorella. Fu in quel momento che, appena lo vide uscire e augurargli la buonanotte a Diane, la donna decise di approfittare della situazione.
 
«David.»
 
«Sì, zia?»
 
«Posso parlare con te un momento?»
 
«Certo.»
 
Il giovane fece accomodare sua zia in camera sua ed entrambi si sedettero sul letto.
 
«Che ti è successo, caro? Ti vedo così cambiato da quando io e tuo zio siamo arrivati.» 
 
Il ragazzo non disse nulla e si limitò ad arrossire. I suoi occhi diventarono lucidi: egli era troppo trasparente per poter nascondere le cose.
 
«Problemi di cuore?» domandò, accarezzandogli i suoi lunghi capelli castani che gli coprivano gran parte del viso.
 
Il giovane impallidì e per un attimo, zia e nipote si guardarono negli occhi.
 
«Lo avevo immaginato. Dai, che cosa è successo?»
 
«Vuoi che ti racconti come è andata?»
 
La donna annuì, porgendogli una mano sulla spalla in segno di conforto.
 
«Io sono qui, sono tua zia. Sfogati.»
 
Egli fece un lungo sospiro per poi iniziare a raccontare, a rivivere nuovamente quelle amare emozioni.
 
«Diciamo che ho aperto il mio cuore a una ragazza che mi era sempre piaciuta fin da quando eravamo ragazzini. Ma lei mi ha detto che tra noi ci sarebbe stata solo pura e semplice amicizia, niente di più. Ho sperato fino all’ultimo, e anche troppo di essere ricambiato, ci ho sperato…ho sperato talmente tanto… che ancora adesso, se…» 
 
David non riuscì a trattenere le lacrime e scoppiò ancora una volta in un pianto liberatorio: a distanza di settimane non aveva ancora metabolizzato il due di picche che Ashley gli aveva servito. 
 
Per la zia Nellie quella era la prima volta che vedeva il suo amato nipote piangere per amore ma soprattutto, lo vedeva così vulnerabile. Subito non esitò ad abbracciarlo. In quell’istante David si sentí così sollevato in quel confortevole abbraccio. Gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, quando sua madre era ancora viva. 
Quanto gli mancavano i suoi abbracci! 
Di sua madre le mancava tutto: la sua allegria, il suo amore, la sua dolcezza. Ora nella loro casa regnava solo un gran vuoto che sia lui che sua sorella Diane cercavano di colmare ogni giorno.
 
«So come ti senti, tesoro:  queste sono le prime ferite che l’amore ti lascia, ma vedrai che col tempo si rimargineranno e saprai farti una robusta corazza, so quanto tu sei forte. Andrà tutto bene, vedrai.»
 
David si asciugò le lacrime per poi soffiarsi il naso in un fazzoletto di stoffa.
 
«Che vergogna…» disse David con la voce roca.
 
«Non dirlo neanche per scherzo. Vergognarti di cosa? Perché hai dato sfogo alle tue emozioni?»
 
«No, non è per questo – replicò lui – il fatto è che quando piango molto il naso mi diventa tutto rosso… è di questo che mi vergogno…»
 
«Suvvia, David. Credi che non conosca i tuoi punti deboli? Io sono tua zia e ti conosco da quando eri in fasce. Se vuoi piangere, fallo. Non tenerti tutto dentro, sfogati e vedrai che ti sentirai meglio.»
 
David sentí gli argini del suo cuore rompersi: non ce la faceva più a tenersi dentro tutto quel dolore che aveva represso per troppo tempo. E lasciò che le sue emozioni esplodessero come un fiume in piena. Singhiozzava disperato mentre la zia lo teneva stretto a se, facendogli capire che non era solo. 
 
«Sei un ragazzone dal cuore d’oro, David. Proprio come lo era la tua mamma, e noi in famiglia non potremmo essere più orgogliosi di te.» 
 
Il giovane tirò sul con il naso per un attimo e guardò negli occhi sua zia.
 
«D-davvero lo pensate?»
 
«Certo! Tu ti meriti solo il meglio dalla vita. Sii ottimista e vedrai che un giorno quella persona speciale arriverà. È una promessa.»
 
David non disse nulla ma il suo volto fu solcato da un ampio sorriso.
 
«È così bello vederti sorridere.»
 
Quando zia Nellie uscì dalla camera di David l’orologio segnava mezzanotte passata. 
 
«Grazie mille zia. Avevo proprio bisogno di sfogarmi… adesso mi sento il cuore più leggero.»
 
«Mi fa piacere sapere ciò – replicò lei col sorriso – Dormi bene.»
 
«Buonanotte, e grazie, e mi dispiace che abbiate dovuto assistere a questa scenata ma proprio non ce l’ho fatta. Non ne posso più di questa situazione.»
 
«Le parole hanno un peso David, perciò fai attenzione a quello che dici. Non sembra ma tuo padre è una persona molto fragile: da quando è morta vostra madre lui non si è mai ripreso del tutto da questa scomparsa. Il ricordo di vostra madre ce lo ha sempre in mente, la pensa ogni giorno…»
 
«E a noi figli? Non pensa anche a noi?»
 
«Lui vi vuole bene davvero: siete l’unica parte di lei che gli è rimasta, non lo sa dimostrare con i fatti certo, ma ti assicuro che è così.»
 
L’espressione di David si fece cupa, ma cercò di dare fiducia nelle parole di sua zia. 
 
«Me lo auguro. Buonanotte zia.»
 
La donna sorrise e se ne andò verso la stanza degli ospiti dove la aspettava suo marito Nathan. Prima di coricarsi, la donna  diede un’occhiata alla foto della sorella scomparsa, la madre dei suoi bellissimi nipoti: Lucy Victoria Leigh. Nellie sorrise al pensiero che i suoi nipoti avevano ereditato non solo la stessa incredibile tenacia della loro mamma, ma anche il suo sorriso e la sua grande voglia di vivere. 
 
Oh, Lucy… se tu oggi fossi qui con noi sono certa saresti davvero orgogliosa dei tuoi figli, ma davvero molto.” Pensò per poi spegnere la luce.
 
Intanto, anche David si era sdraiato sul letto, a pensare alle parole che aveva detto.
 
Questa volta ho esagerato. Non avrei dovuto dire quelle parole, specialmente davanti a Diane.” 
 
Ad un tratto sentí un bussare sommesso alla porta della sua camera. 
 
«Sí?»
 
«Sono io.»
 
Rosalind?” Pensò “Non mi dire che avrà sentito tutto…!”
 
David si alzò dal letto e aprí la porta per poi trovarsi davanti ai suoi occhi la prestante sorella maggiore. Ella però aveva un’espressione preoccupata.
 
«Mi pare che dalla tua espressione tu abbia sentito tutto quello che io e zia ci siamo detti. Sai che è maleducazione origliare i discorsi altrui?»
 
Rosalind sospirò. Si sentiva in colpa per quello che aveva fatto: non era da lei comportarsi così.
 
«So che non avrei dovuto origliare, non è da me, ma sappi che ho capito benissimo che cosa è successo e per rispetto dei tuoi sentimenti non ti farò alcun terzo grado.»
 
David le sorrise ma non aveva voglia di altre seccature, ci mancava solo di raccontare tutto quanto a sua sorella. E la cosa proprio non gli andava giù.
 
«Non dovresti essere a letto? È alquanto tardi.»
 
«A dire il vero dovrebbe essere così, ma non riesco a prendere sonno.»
 
In realtà Rosalind voleva tirare su di morale suo fratello, non aveva alcuna importanza nonostante fosse tardi: voleva donargli un pizzico di felicità e aveva un’idea in mente.
 
«Ti va se andiamo a mettere un po’ di addobbi di Natale in salotto?»
 
«A quest’ora? C’è sempre domani per farlo.»
 
«Beh, che c’entra? Non è mai troppo tardi per farlo.» replicò lei, facendogli l’occhiolino.
 
«Ti ringrazio, Rosalind. Sapevo avresti compreso la mia situazione. Ho già sofferto abbastanza e ora voglio guardare avanti. E non ti preoccupare: non sono arrabbiato con te per il fatto che hai origliato.»
 
Fu allora che la dolce e affascinante sorella da capelli biondo ramato sorrise e gli diede un pizzicotto sulla guancia.
 
«Ti voglio tanto bene, lo sai?»
 
«Lo so.»
 
I due fratelli scesero le scale per poi andare in salotto. Il camino di sotto era ancora acceso e David adorava l’odore della legna bruciata: gli ricordava il calore della famiglia, di casa e gli piaceva averlo addosso, sui suoi vestiti, sui capelli. Sul sofà c’era un’enorme scatolone con dentro tanti addobbi luccicosi, stelline, palette e angioletti. In più c’era anche un piccolo alberello di Natale smontabile. 
 
«Perfetto! Direi che c’è tutto!» esclamò la giovane, applaudendo le mani in segno di approvazione.
 
Mentre David e Rosalind stavano allestendo il piccolo albero, entrambi iniziarono a ricordare i momenti felici della loro infanzia. I bei momenti di quando la loro mamma faceva sentire vivo in loro lo spirito del Natale, e di come il loro padre fosse felice.
 
«Nostro padre si sentiva l’uomo più fortunato del mondo ad avere la mamma al suo fianco, ma adesso che non c’è più è come se avesse perso una parte di se. Non è più lui.»
 
«L’abbiamo persa tutti, non solo papà – replicò David, con fare quasi austero – Nostra madre era l’energia della famiglia. Aveva una forza incredibile, quando arrivava lei, tutto si muoveva.»
 
Sulla mensola del caminetto c’era una foto della loro madre. In quella foto era proprio insieme ai suoi figli, e per David e Rosalind quella foto è molto speciale perché fu scattata qualche mese prima della nascita di Diane. 
 
«Anche se ero molto piccolo, mi ricordo ancora tutto. - disse David col sorriso mentre guardava quella foto. – ricordo quando la nostra sorellina era ancora nella pancia della mamma. Tirava certi calci, e io mi divertivo sempre a stuzzicarla non solo perché non vedevo l’ora di giocare con lei, ma anche perché mi piaceva vederla muoversi. Ero così impaziente e felice di sapere che avrei avuto una sorellina con cui giocare. Povera la nostra mamma: se penso alla gravidanza che ha passato…»
 
«Meglio non pensare a ciò che è successo – replicò Rosalind, con lo sguardo offuscato dalla tristezza – pensiamo a lei e alla felicità che ci ha donato in questi anni che è stata con noi.»
 
«Hai ragione.»
 
E proprio su quella foto, David decise di mettere una piccola stellina dorata.
 
Buon Natale, mamma…” pensò, con il viso solcato da un sorriso sincero e gli occhi lucidi.
 
Tutto d’un tratto, si udì una voce squillante dal piano di sopra.
 
«Ehi! Vi siete dimenticati di me?»
 
«Non hai tutti i torti, Diane. Coraggio, unisciti a noi.» replicò Rosalind, sorridendo.
 
La ragazzina si aggrappò alla delle scale, facendo un lungo scivolo per poi mettersi a cavalcioni sulle spalle di David.
 
«Bene, direi che ora ci siamo tutti.»
 
Intanto che Diane era indaffarata ad addobbare l’albero con tante stelle e luccicose, aggiungendo anche qualche angioletto e decorazione in qualche angolo della casa, Rosalind tornò nuovamente a parlare con David.
 
«Ma, dimmi una cosa Davy… sai,  non nascondo che sono alquanto curiosa…» disse Rosalind.
 
«Dimmi.»
 
«Sai, mi è piaciuto molto quello che hai detto stasera. Voglio dire, il fatto che tu voglia attendere la persona giusta perché molti tuoi coetanei si stanno già bruciando le tappe così in fretta. È stata una confessione molto matura e saggia da parte tua.»
 
«Ti ringrazio di cuore, sorella cara. Ho solo detto la verità. Io non voglio sprecare la mia vita come già fanno molti ragazzi che conosco nel mio liceo. Già i ragazzi a quindici anni, almeno tutti quelli che ho conosciuto, hanno un pensiero fisso: le ragazze… non so perché, ma se ci ripenso alla loro età io pensavo a tutt’altro.»
 
«Meno male che il mondo è bello perché è vario! Se posso dirti la mia, credimi l’ambiente universitario non è molto diverso da quello del liceo sotto questo punto di vista. Anzi, per certi aspetti è anche più losco.»
 
«Losco… in che senso? Che è più brutto?» chiese Diane alzando un sopracciglio.
 
«No, non in quel senso Diane: quello che volevo dire è che a volte bisogna stare attenti a quelli che allungano un po’ troppo le mani, per questo bisogna sempre imparare a difendersi nella vita.»
 
«Ahhhh ma se si tratta di questo sappi che io non ho alcun problema: so difendermi benissimo da sola se qualcuno dovesse sfiorarmi con un dito.»
 
David sorrise nel sentire quella risposta: era contento di sapere che all’interno della sua squadra sapeva già farsi rispettare e sapeva difendersi. Si sentí così orgoglioso della sua sorellina in quel momento. 
 
All’improvviso udirono un tonfo sordo provenire dal piano di sopra. 
 
Poi il silenzio. Un silenzio che durò per oltre un minuto. 
 
I tre fratelli rimasero immobili, a osservare le scale. David deglutì: sapeva che doveva essere accaduto qualcosa di brutto.
 
Poi, un urlo. Era zia Nellie.
 
Papà…” pensò David, con il cuore in gola. 
Lo zio Nathan scese dalle scale, pallido e in preda al panico.
 
«Ragazzi, non salite di sopra per nessun motivo! Chiamate il 911 e fate presto!» esclamò.
 
Rosalind corse subito a prendere in mano il telefono e a digitare il numero mentre David sapeva benissimo cosa poteva essere accaduto.
 
Papà!” Pensò David. Il suo cuore gli diceva di andare di sopra per capire cosa stesse succedendo ma subito lo zio lo fermò.
 
«David, non salire ti prego!»
 
«Ma zio, so che si tratta di papà! Io voglio sapere che sta accadendo!»
 
«Credimi, è meglio se voi non salite: è una scena che non vi dimenticherete mai se lo farete.»
 
Nathan cercò in tutti i modi di trattenere il nipote, ma inutilmente. David si fiondò nella stanza del padre ma la scena che gli si presentò davanti ai suoi occhi fu davvero raccapricciante: suo padre era lì, riverso a terra, privo di sensi e con la bava alla bocca. Appena lo vide in quelle condizioni il suo cuore si fermò. 
 
«Papà! Mi senti? Rispondimi, ti prego!» urlò David, cercando di stargli accanto.
Sentiva che respirava affannosamente, segno che era ancora vivo ma non c’era tempo da perdere. 
 
Non dirmi che è colpa mia se hai fatto quello che hai fatto, se è così, ti chiedo perdono…”pensò in preda alla disperazione.
 
Papà, non ci abbandonare ti prego. Resisti! Non è ancora la tua ora!” Urlava David nella sua testa mentre aiutava la zia Nellie a sorreggerlo. 
 
Nel frattempo, mentre  si udivano le sirene dell’ambulanza diventare sempre più nitide, accanto a lui trovò non soltanto il flacone di antidepressivi che aveva ingerito prima di perdere conoscenza, ma sulla sua scrivania trovò anche una lettera che il genitore aveva scritto prima di compiere il folle gesto.
 
Figli miei, figli miei adorati…
 
Perdonatemi se non sono stato un padre modello. La mia fragilità, come al solito, ha preso il sopravvento sulla mia forza di volontà. 
Vi posso assicurare che ho cercato in ogni modo di ricostruire ogni tassello della mia vita dopo la scomparsa di mamma, ma senza di lei tutto per me era diventato difficile. Voi avete fatto qualunque cosa per aiutarmi e ci siete riusciti: mi avete regalato tanto amore, più di quanto pensiate. Non dubitate del contrario. 
 
So che sarete arrabbiati con me in questo momento ora che state leggendo queste mie parole, ma non avevo altra scelta. 
Quando avrete finito di leggere questa lettera, io avrò già lasciato questo mondo.
 
Vi voglio bene, dal profondo del cuore. 
 
Siate sempre felici, bambini miei, e abbiate cura di voi.
 
 
“If you want control without any pain
How long will you suffer?
How long will you reign?
You see the friend that I knew?
He cannot be found
Replaced by another
Wearing his crown
 
There's a place where I go
Without any sound
Only you can reach me
Only you're allowed
And you're so far away
You're so far from here
Do you remember
A time without tears?”
 
Depeche Mode – Broken (Delta Machine, 2013)
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI - All That's Mine ***


Capitolo VI – All That’s Mine
 
 
 
 
L’orologio appeso sulla parete della sala d’attesa del reparto rianimazione segnava quasi l’una.

Ormai erano trascorse più di tre ore da quando i fratelli Garrison e i loro zii erano seduti sul divano della sala d’attesa, tutti visibilmente esausti per la lunga attesa ma al contempo anche terribilmente preoccupati dopo tutto quello che era accaduto. Il loro padre Edward si trovava in un limbo tra la vita e la morte: infatti egli era stato colto da un grave malore dopo aver assunto una massiccia dose di antidepressivi e ora giaceva in un letto d’ospedale, intubato e ancora privo di sensi.

«David? Ti senti bene?» chiese Rosalind, vedendo il fratello impallidito.

«Non molto, a dire il vero.» replicò lui.

Quand’è che ci chiameranno? Questa attesa mi snerva....” Pensò David mentre sentiva i sensi di colpa divorarlo dall’interno: egli credeva di essere lui il colpevole di tutto questo.
 
Il giovane mise una mano nella tasca dei jeans, proprio in quella tasca aveva ancora la lettera che suo padre aveva scritto prima di compiere quell’atto di follia. La strinse con forza tra le dita mentre nella sua testa  rimbombavano le parole che aveva pronunciato poche ore prima del fatto e ciò lo nauseava.
 
…Lui non è un padre, ma un egoista…

… Uno scellerato che preferisce annegare le sue preoccupazioni nell’alcol piuttosto che pensare al bene più prezioso, ovvero noi…

«È solo colpa mia se è successo tutto questo.» disse il ragazzo, portandosi le mani sul volto.

«Perché dici così?» domandò Rosalind.
 
«Perché… sono convinto che nostro padre abbia sentito tutto quello che ho detto su di lui. Lui ha sentito, ne sono sicuro.» replicò lui, stringendo forte nel pugno la lettera.

Rosalind abbracciò il fratello, cercando di consolarlo.

«Tu non hai alcuna colpa in tutto questo, fratello mio – replicò lei – non pensare minimamente a queste cose.»

È più facile a dirsi che a farsi.” Pensò lui.
 
Improvvisamente, dalla stanza in cui era ricoverato il loro genitore uscì uno dei Medici.

«Garrison?»
 
Nellie e Nathan si alzarono con prontezza.

«Potete accomodarvi.»

Prima che Rosalind potesse raggiungere gli zii, David fermò la sorella.

«Rimango io con Diane, tu vai pure.»

«D’accordo.»

La sorella maggiore annuì e così sia lei che gli zii entrarono nella stanza in cui il Dottore li aspettava. 

All’interno di quella sala albergava un odore stantio, come se la stanza fosse stata continuamente sanificata. Quell’odore a David gli dava la nausea ma cercò di trattenersi. Nel frattempo Diane non era rimasta ferma un attimo e ogni cinque minuti cambiava posizione oppure scalpitava i piedi contro la parete in segno di nervosismo.

«Stai buona, Diane.» sussurrò David alla sorellina.

«Stare buona? Stare buona!? Come posso stare buona? Non ci riesco! Non posso stare calma! Papà sta male e il pensiero che possa abbandonarci… mi fa paura, fratellone…»

Nonostante il suo carattere determinato, spigliato e sveglio, anche Diane sapeva manifestare i suoi attimi di fragilità e quando ciò avveniva mostrava un incredibile tenerezza.

«Non succederà.» replicò David, stringendo forte la sorella a se.

«Ne sei sicuro?»

«È quello che spero.»

Mentre stringeva la sorella a se, egli sperava con tutto il cuore che il loro padre non lasciasse questa terra: Edward era sulla soglia dei quarant’anni, ancora troppo giovane e loro, i suoi figli, avevano ancora tanto bisogno di lui. 
 
All’improvviso David sentí per la prima volta la sua sorellina tremare e piangere. 

«Shhh… Sono qui, Diane. Il tuo fratellone è qui. Credimi, nostro padre avrà anche un carattere fragile ma non ho mai dimenticato la forza d’animo che ha saputo dimostrare.»

Alla sorellina si spensero in gola le parole. Tutto ciò che fece fu quello di accoccolarsi sul petto del fratello, lasciandosi cullare dal battito del suo cuore. 
 
«Sono qui, non piangere…»

Diane singhiozzava sommessamente mentre aveva il capo appoggiato sul petto del suo amato fratello, in cerca di sicurezza. Dopo quasi mezz’ora, Rosalind e gli zii uscirono dalla stanza. La sorella a stento tratteneva le lacrime e trasudava ansia da ogni parte.
 
«Che è successo? Che vi hanno detto i Dottori?»

«Non ci voleva proprio questa.» disse Rosalind, mordendosi le dita, cercando di non piangere. Ma alla fine le emozioni presero il sopravvento e scoppiò a in un pianto quasi isterico. David la teneva per mano, cercando di tranquillizzarla.

«Rosalind…» replicò lui, abbracciandola.

Intanto Diane osservava e ascoltava tutto in silenzio mentre il suo pensiero era sempre rivolto a suo padre. Lei, che era l’unica dei fratelli a non aver mai conosciuto la madre il solo pensiero di perdere anche la figura paterna la faceva un senso di vuoto che non aveva mai provato prima. A quel punto zia Nellie, visibilmente scossa, raccontò ai loro nipoti quanto i Medici gli avevano riferito: la situazione pareva essere molto più grave di quello che pensavano. A causa dell'elevato consumo di alcol mescolato all'utilizzo a lungo termine di antidepressivi, i reni ma soprattutto il fegato e altri organi importanti come cuore e polmoni entrarono in collasso, subendo così un arresto cardiorespiratorio. Ora il loro genitore si trovava in uno stato molto grave di cirrosi epatica e non sarebbe sopravvissuto per più di un mese a causa delle gravissime condizioni in cui riversava. L’unica speranza sarebbe stato effettuare un trapianto di fegato d’urgenza ma dove trovare subito un donatore? 
 
«In realtà una soluzione ci sarebbe – replicò lo zio Nathan – ma richiede un gran sacrificio.»

«Ossia?»
 
«Trovare un donatore idoneo.»

Fu allora che David strinse i pugni. 

«I Medici hanno detto che effettueranno questi accertamenti nel più breve tempo possibile, in modo da poter accelerare i tempi.»

«D’accordo.» disse David.
All’affermazione del fratello, Rosalind sbiancò e lo guardò con occhi sgranati.

«Come ti è venuto in mente di dire una cosa del genere?» sussurrò la sorella, in preda al panico.

«Noi ci atterremo a quello che i Medici diranno per il bene di nostro padre, dopotutto siamo i suoi figli e non ci tireremo indietro.» 

«Nostro fratello ha ragione: so che tu hai paura ma dobbiamo fidarci di quello che i Dottori ci diranno. Per amore di nostro padre.»

Rosalind non proferì parola. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare le sue paure, anche quelle più piccole e con ciò annuì. I fratelli si strinsero in un abbraccio, e rimasero avvolti in quell’abbraccio per tanto tempo.

 


Nelle ore che seguirono David, le sue sorelle e i suoi zii materni rimasero a vegliare sul genitore nella speranza che si evolvesse qualche suo miglioramento. Diane era avvinghiata al fratello, con il capo appoggiato al suo petto. David  fu l’unico che non riuscì a prendere sonno: la sua mente era troppo immersa nei suoi pensieri e dai sensi di colpa. Erano le circa le cinque del mattino e non appena il giovane si accertò che tutti si fossero addormentati profondamente, egli ne approfittò per entrare a passo felpato nella stanza in cui suo padre era ricoverato: non voleva lasciarlo solo.

Si alzò cercando di non svegliare Diane e, una volta entrato si accorse che lui giaceva lì, nel letto ancora in stato di incoscienza. Il giovane non riusciva a sopportare l’idea di vedere il proprio padre ridotto così, come un guscio vuoto. Sentí il suo cuore stringersi in una morsa di dolore, il respiro gli si accorciò per qualche istante e i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime.
 
Perché, papà? Perché lo hai fatto?” Pensò, disperato, mentre il suo volto era rigato dalle lacrime, accasciandosi sul fianco del genitore e prendendogli la mano.

«Sono qui, papà – sussurrò il ragazzo, con la voce rotta dal pianto - ti prego, non lasciarci. Non è ancora la tua ora, abbiamo ancora tanto bisogno di te e tu di noi.»  

David rimase accanto a lui per ogni singolo istante, rifiutandosi di lasciare il suo fianco: voleva fargli capire che suo figlio era lì, pronto a fargli capire che avrebbe fatto qualunque cosa pur rimediare a quell'errore, fino a crollare anch’egli in un sonno profondo.
 
Erano circa le sette e un quarto del mattino quando tutto d’un tratto, sentí delle falangi sfiorargli i capelli e la guancia. David si svegliò di soprassalto. Di fuori il sole aveva iniziato a fare capolino. 

Era l’alba.

«Figliolo…»
 
«Papà! Sono così felice che tu ti sia svegliato!» esclamò il giovane con gli occhi lucidi.

«Almeno sono ancora qui… per ora…» 
 
«Non dire così.» replicò lui.

«Tu… hai sentito tutto quello che ho detto, non è vero?»

Il genitore annuì, senza proferire parola.

"Proprio come immaginavo! Sono stato uno stupido! Perché parlo troppo!?" Urlò nella sua testa David, sgranando gli occhi.

«Voglio chiederti scusa. È tutta colpa mia, non avrei dovuto dire tutte quelle parole, soprattutto davanti a Diane. Non volevo ferirti, non…»

Fu in quel momento che suo padre interruppe, asciugandogli le lacrime con il dorso della mano.

«Non piangere, figliolo… è tutto a posto. Ti perdono, dopotutto sei sangue del mio sangue e non potrei mai voltarti le spalle. Non incolpare te stesso… tu… non c’entri niente in tutto questo… prima o poi sarebbe successo.»

«Ci hanno detto che dovrai sottoporti a un trapianto di fegato se vogliamo che la tua vita venga salvata.»

«Che senso ha salvarmi, figliolo?»

Nell’udire quella frase, David sentí il suo cuore e la sua anima travolti in una tempesta emotiva così forte da non riuscire quasi a controllare. Già in passato aveva visto sua madre morire davanti ai suoi occhi, adesso stava rivivendo la stessa situazione con suo padre e non poteva permettere che ciò accadesse.

«Non dire neanche per scherzo una cosa del genere! Perché abbandonarci? Perché abbandonare noi, la parte più preziosa che ti è rimasta?»

Edward non replicò subito. Poiché era attaccato a un respiratore egli doveva prendere sempre qualche secondo per poter recuperare ossigeno e parlare.
 
«Come avrai potuto leggere dalla lettera che ho scritto… purtroppo sento di aver fallito in molte cose… sento di non essere stato il padre perfetto, ma anche in molte altre… Nonostante tutti gli sforzi che ho fatto fino adesso per uscire da questo tunnel, sento di essere in enorme debito con la vita dopo la morte di vostra madre: sento di aver fallito come padre e di non valere più nulla…»
 
«Non dire sciocchezze! Tu sei stato e sei un gran padre. Non voglio nemmeno sentirle queste idiozie, e adesso sta a sentire me – replicò David, con tono duro – Il padre perfetto non può esistere e non esisterà mai nella realtà: esiste solo nei nostri sogni. Tu hai mostrato più di una volta quanto tu sei generoso. Hai forse dimenticato tutto quello che hai fatto per noi? La gioia e la felicità che ci hai regalato quando eravamo bambini!?»

Edward sospirò ancora una volta, senza smettere di fissare il suo secondogenito intensamente. Lo sguardo di David ora si rifletteva in quello di suo padre. Suo figlio aveva ereditato i suoi stessi occhi color smeraldo intenso. In quegli occhi il genitore riusciva a scorgere il fuoco, la tenacia ma al contempo un’immensa preoccupazione.

«Mi dispiace, figliolo…» sussurrò l’uomo, accarezzandogli la guancia.

Ad un tratto David notò un particolare che prima d'ora non aveva mai visto: al collo suo padre portava un pendaglio d'oro che raffigurati due delfini che, unendosi, formavano un ellisse e, all’interno di quell’ellisse, vi era incastonata una bellissima pietra di opale.
Il giovane, incuriosito, prese tra le mani quel bellissimo monile e lo osservò con cura.

«Ma... questo che significa? Non l'ho mai visto prima.»

Edward sorrise nel vedere lo sfarzo di curiosità negli occhi del suo adorato figlio. Gli prese la sua mano che teneva il ciondolo.

«Sapevo che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato... anche se so che non è il momento migliore per parlartene... devi sapere che questo monile rappresenta il simbolo della nostra famiglia... ogni discendente della famiglia Garrison lo possiede, e questo ciondolo viene tramandato ai propri figli di generazione in generazione.»
 
«Ma… è fantastico!» A David si illuminarono gli occhi nel sentire quella risposta. Nel cuore del ragazzo iniziò ad insidiarsi una irrefrenabile voglia di scoprire, di conoscere le origini della sua famiglia: egli infatti non aveva mai saputo come i suoi genitori si fossero incontrati, tantomeno niente dei suoi nonni materni e paterni. Non sapeva nemmeno se aveva altri zii, cugini… nulla. Tutto quello che sapeva era che i suoi genitori erano entrambi di origini irlandesi, ma il resto? Del passato della sua famiglia?

Vuoto assoluto.

«So che non è il momento più consono ma… potresti raccontarmi qualcosa sulla nostra famiglia? Di come tu e la mamma vi siete conosciuti?»

Edward sorrise e il suo sguardo si fece dolce nel vedere quella scintilla di curiosità negli occhi del figlio.

«Anche se non sono al massimo delle mie forze, farò del mio meglio per raccontarti qualcosa… figliolo mio…» replicò Edward ridendo anche se a malapena in quanto il respiro gli mancava.

«Ti prego papà, non sforzarti.»

Fu allora che Edward iniziò a raccontare. Nonostante il respiratore, questo non gli impedì di raccontare il suo vissuto e di come avesse conosciuto la donna della sua vita e che purtroppo perse troppo presto. Nel momento Edward iniziò a parlare il figlio scorse negli occhi del padre una scintilla che non vedeva ormai da anni.
 
Ultimo di quattro figli, Edward proveniva da una famiglia umile ma che economicamente se l’era sempre cavata grazie al mestiere di suo padre, Coleman ed era originaria di Dingle, un piccolo villaggio situato nella Contea di Kerrey, in Irlanda.
Tuttavia il clima in famiglia non fu mai dei più rosei: Coleman - nonché il nonno di David e padre di Edward - aveva sempre fatto per tutta la vita il pescatore e con i loro figli aveva sempre avuto un temperamento severo. Avendo trascorso una vita intera in mezzo mare, egli aveva sempre preteso che anche i loro figli maschi seguissero le orme del genitore ma sia Edward che Brian avevano altri progetti e volevano percorrere strade totalmente diverse da quello che invece il loro padre aveva predestinato per loro: di certo non volevano stare in Irlanda in mezzo ai pesci.
Stessa cosa vale per le sue due sorelle, Siobhan e Emma, che non volevano passare il resto dei loro giorni dietro ai fornelli ed entrambe si erano prefissate l'obbiettivo di continuare gli studi.
 
«… Eravamo appena adolescenti quando io e tua madre ci incontrammo per la prima volta sulla riva di quella baia, in Irlanda. Sai, avevo pressappoco la tua età quando conobbi… lei era più giovane di me di poco più di un anno, ma era bellissima. La fanciulla più bella che avessi mai incontrato.»

«Ricordo ancora quanto fosse bella la mamma – replicò David, con gli occhi lucidi – era sempre così elegante, piena di vita. Cantava sempre.»

«Già… tuttavia i nostri genitori non erano d’accordo sul nostro fidanzamento, in particolare tuo nonno: i padri delle nostre rispettive famiglie erano entrambi pescatori e in passato erano sempre stati in conflitto a causa di antiche e aspre rivalità tra i padri delle due famiglie, ma noi continuammo a frequentarci alla luce del sole, e anche di notte. Tutto questo andò avanti per ben un anno… Noi ci amavamo veramente, David… e più il tempo passava, più mi rendevo conto che vostra madre era veramente la donna che volevo al mio fianco per tutta la vita...»

Che meraviglia…” pensò David con gli occhi lucidi. Tutto questo lo faceva commuovere. Egli sperava realmente un giorno di provare quelle emozioni sulla sua pelle e nel suo cuore.

«Ti sei commosso?»

«A dire il vero, sí… è che il pensiero della mamma non solo mi fa piangere ma mi fa commuovere tutto questo. È tutto così toccante e spero davvero di provare quello che tu hai provato nei confronti di nostra madre.»
 
Fu allora che Edward sollevò lievemente il capo per avvicinarsi a suo figlio e porgergli il suo palmo sulla sua guancia.

«Rivedo esattamente tua madre quando mostri tutta questa immensa dolcezza. È incredibile quanto le somigli.»

«Anche Rosalind me lo dice spesso. Non sei l’unico che me lo fa presente.»

«Credimi… sei molto simile a lei, più di quanto tu creda: hai la sua dolcezza, la sua sensibilità ma soprattutto la sua forza d’animo.»

David sorrise con le gote leggermente arrossate. 

«Un giorno accade una cosa inaspettata: la mamma venne bussare alla porta di casa mia e mi comunicò di essere rimasta incinta di Rosalind.»
 
«Caspita! E questo quando è successo?»

«Giugno 1983, me lo ricordo ancora… lei aveva appena diciassette anni mentre io ne avevo venti e sapevo benissimo che le nostre famiglie ci avrebbero rinnegato se avessimo comunicato la notizia. Per fortuna tua zia Nellie ci ha sempre supportato in questa nostra storia... e grazie al suo aiuto ci sposammo in gran segreto in una piccola cappella… ma essendo l’Irlanda un paese molto conservatore e religioso, la voce si sarebbe sparsa nel giro di pochi giorni all’interno della popolazione locale. Di conseguenza non volevo che vostra madre passasse una vita d’inferno per causa mia… io volevo garantire un futuro tranquillo per voi, per la mia famiglia, alla donna che amavo … volevamo allontanarci dalle maldicenze e dalle chiacchiere di paese.»
 
«... E così vi siete trasferiti in Canada.»
 
«Esatto. Ma prima di lasciare per sempre l’Irlanda, proprio in quel periodo si sparse la voce che un delfino si aggirava nei pressi della baia di Dingle. Tua madre voleva tanto vederlo prima di andarsene: lei aveva sempre amato i delfini, le creature acquatiche e il mare. Così un giorno andammo con la barca del nonno, senza che lui se ne accorgesse e non appena andammo in un punto al largo della baia, ecco che questa creatura magnifica si avvicinò a noi con fare molto curioso. Rimase a interagire con noi per molto tempo facendo capolino con il muso e a volte usciva fuori dall’acqua compiendo dei balzi incredibili… credimi, figliolo… fu qualcosa di magico… e tua mamma non riusciva a smettere di sorridere, era davvero felice e per un attimo mi disse che avrebbe voluto tanto fermare il tempo.»
 
In quell’istante a David venne un tuffo al cuore e riaffiorarono in lui altri ricordi. Nonostante siano passati anni, egli si ricordò di quanto la sua mamma ci tenesse a condividere con lui e con Rosalind la sua passione per i cetacei e per il mare e fin da bambino era rimasto sempre affascinato da quelle creature così eleganti e al contempo misteriose.

«Ma con i nonni? Sei più rimasto in contatto con loro da allora?»

«Purtroppo devi sapere che non appena presi la decisione di trasferirmi in America, il nonno Coleman, che sarebbe mio padre, non mi rivolse la parola per anni aggiungendo che per lui non ero più suo figlio. Me lo scrisse in una lettera poco prima di partire… fu scontato per me che andasse a finire così tra me e tuo nonno… in quanto… già i miei fratelli più grandi se n’erano andati anni a dietro per costruirsi un futuro migliore altrove: loro non avevano alcuna intenzione di restare in Irlanda per seguire le orme dei nostri genitori… i primi ad andarsene furono Siobhan e Brian, poi Emma… e infine io… sapevo che avrei lasciato un grande vuoto nelle vite dei miei genitori, ma non avevo altra scelta. Adesso sono anni che non ho più notizie di lui. Non so nemmeno se è ancora vivo… se è morto… non so nulla… nemmeno dei miei fratelli… Siobhan, Brian, Emma... e pensare che ci eravamo promessi di restare in contatto...»

Edward chiuse gli occhi per un attimo. Il ricordo dei suoi genitori e dei suoi fratelli gli fece aprire vecchie ferite. David gli strinse la mano, facendogli capire che lui era lì, pronto a consolarlo. 

«Ti ringrazio, figliolo… non sai quanto è importante per me il tuo sostegno in questo momento…»

Padre e figlio rimasero a lungo insieme in quella stanza, a ricordare i meravigliosi istanti di quando la mamma era ancora in vita. La gioia e la spensieratezza che aveva portato nelle loro vite, il suo caldo amore materno che diffondeva. Quella fu la prima volta, dopo tanti anni, che David e suo padre condividevano qualcosa, . David sperato per anni di condividere un momento come questo, anche solo per un’istante
 
“Avevi tutto il tempo per fare questo, non è mai troppo tardi per recuperare il tempo perso dopotutto.” Pensò il giovane mentre accarezzava tra le dita quel ciondolo. I suoi polpastrelli ispezionavano con cura la superficie liscia e fredda dell’oro che contrastava quella patinata dell’opale.

«Se tua madre oggi fosse qui, tutto questo si sarebbe potuto evitare.» disse Edward, esalando un respiro intenso. 

«Avresti potuto farcela benissimo anche senza di lei, credimi. So che è dura, ma nella vita bisogna rialzarsi e accettare la realtà per quella che è.»

Per un attimo nella stanza albergò il silenzio. Padre e figlio si osservarono senza dire una parola.
 
«Scusami, non volevo dire questo.» disse David, puntando lo sguardo verso il basso.
 
«È tutto ok figliolo… sfogati, non tenerti tutto dentro…»

A quella sua risposta, il giovane si sentí sollevato e sorrise: sentiva il suo cuore più leggero e in pace con la sua coscienza.  
 
“Adesso posso stare sereno, ma non ancora del tutto visto che papà non è fuori pericolo. Ma per adesso un dente me lo sono tolto e di questo sono felice.” Pensò.
 
«So che ora non è il momento più consono ma, potresti raccontarmi qualcosa di Dingle? Ricordo che la mamma ci aveva accennato qualcosa quando io e mia sorella eravamo piccoli ma ora ho dei ricordi molto vaghi.»

«Non preoccuparti figliolo… anzi, sono felice che tu me lo abbia chiesto… devi sapere che Dingle è un posto a dir poco stupendo. È un luogo che si divide tra la brezza e il fascino sconfinato del mare e il verde delle colline. Noi abitavamo proprio a pochi passi dalla baia, ogni mattina ci svegliavamo con la brezza marina che ci riempiva i polmoni ed era qualcosa di rigenerante, stupendo. E quando nostro padre portava in barca me e mio fratello Brian per assistere alle sue battute di pesca… ogni volta era una sensazione meravigliosa… sentire il vento tra i capelli, il sole che ci accarezzava il viso e le onde che ci cullavano dolcemente…»

David era rapito da quanto suo padre gli stava raccontando e nella sua mente già si stava immaginando quel posto. Nelle sue narici gli pareva di percepire l’odore inebriante di salsedine, nei suoi occhi gli pareva di scorgere le immense colline verdi e nelle sue orecchie gli sembrava di udire il fragore delle onde che si infrangevano sugli scogli di quella baia. 
 
«Avrei voluto tanto portarvici un giorno. Magari chissà…»
 

Proprio mentre il ragazzo stava per proferire parola, all’improvviso qualcuno entrò nella stanza.

«David, ma allora sei qui! Non ti trovavamo più e ci eravamo preoccupati non vedendoti accanto a noi.» disse zia Nellie, sollevata nel vedere il nipote.

Diane saltò addosso al collo del padre, abbracciandolo con forza.

«Papà! Ti sei svegliato!» esclamò la bambina, sprigionando tutta la sua gioia nel vedere il genitore cosciente.

«Diane… fai piano - replicò Edward – sarò anche sveglio ma non sono ancora del tutto ristabilito.»

«Ok.» rispose Diane, liberando il collo del genitore.

«Siamo davvero felici di vedere che hai ripreso conoscenza, i Dottori ci hanno raccontato tutto della tua situazione.» disse Rosalind.
 
«Ne ero certo, figliola cara - replicò il padre, con un filo di voce - ma vi raccomando di una cosa: non lasciatevi sopraffare dalla paura. Siate coraggiosi, qualsiasi cosa accada.»
 
«Lo saremo, papà.»

«E sappiate che sono davvero orgoglioso di avere al mio fianco dei figli come voi... ho sempre pensato di non aver mai fatto abbastanza per voi, dopo tutto quello che è successo... so di non essere mai stato molto presente nella vostra vita dopo la scomparsa di mamma, ma grazie a voi ora so che una scintilla c'è sempre... e vostro fratello me lo ha dimostrato...» disse Edward, accarezzando dolcemente i capelli del figlio.
 
David arrossì mentre i suoi fratelli lo guardavano con occhi lucidi. Era la prima volta che vedevano gli occhi del loro genitore brillare in quel modo.

Ma quel momento idilliaco purtroppo era destinato a infrangersi in quanto uno dei Medici entrò nella stanza per comunicare alla famiglia che era arrivato il momento di congedarsi dal loro padre in quanto non solo Edward doveva riposare ma anche effettuare altri esami di monitoraggio, in quanto il suo quadro clinico era ancora compromesso.

«Torneremo a trovarti papà, è una promessa.» disse Rosalind, baciando il genitore sulla fronte.

«Vi ringrazio tutti… dal profondo del cuore…»
 
Prima che David potesse abbandonare la stanza, il giovane si accorse che suo padre lo stava chiamando, facendogli cenno con la mano di avvicinarsi al letto. Egli si avvicinò e gli sussurrò all’orecchio:

«David… voglio che tu faccia una cosa per me…»

David annuì in silenzio mentre il suo sguardo era offuscato dalle lacrime.

«Quando tornerai a casa… vai nella mia camera: sotto il mio letto c’è un baule di legno… lì dentro troverai tutte le risposte inerenti al passato della nostra famiglia… sono sicuro che farà piacere non solo a te, ma anche alle tue sorelle rispolverare il passato.»
 
«Grazie papà, lo farò. Prometto che verrò a trovarti presto insieme tutti quanti gli altri… è stato bellissimo poter parlare con te e condividere con te questi momenti, ho aspettato da tanto questo momento.»
 
«Anche per me… non sai quanto…»

Fu allora che negli occhi del ragazzo si sprigionò una scintilla di curiosità. David a malincuore dovette dargli congedo, senza sapere se suo padre sarebbe mai uscito da quella stanza.

Resisti, papà. Puoi farcela.” Pensò, con le lacrime agli occhi e l’angoscia nel cuore. 

Durante il tragitto verso casa i tre fratelli si addormentarono in macchina, esausti. Anche David dormí durante il tragitto ma nella sua mente gli rimbalzavano tutte le parole e i meravigliosi racconti che suo padre gli aveva raccontato. Come arrivarono a casa, la prima cosa che il ragazzo fece fu quella di andare nella camera del padre e frugare sotto il suo letto. E fu proprio lì che trovo il baule di cui il genitore gli aveva parlato. 

Caspita, che cimelio!” pensò lui mentre sentiva il cuore palpitare nel petto. Ma non voleva aprirlo da solo: voleva che anche le sue sorelle fossero partecipi.

«Ehi, Rosalind! Puoi venire qui un attimo, per favore?»

La sorella dai lunghi capelli biondo ramato entrò nella stanza con passo svelto, seguita da Diane. Il giovane sorrise non appena incrociò lo sguardo della sorellina.
 
«Sì, David?»
 
«Venite qui, voglio farvi vedere una cosa.»
 
Le due sorelle si avvicinarono con fare curioso quando videro che il loro fratello aveva tra le mani quel grosso baule.

«Caspita! E questo da dove salta fuori, fratellone?» chiese Diane.
 
«Per scoprirlo, basta semplicemente aprirlo.» replicò David.
 
E insieme lo aprirono, facendo riaffiorare frammenti inerenti al passato della loro famiglia.
 

 
“I know it's hard to reach you
I know it's hard to breathe
I know it's hard to be you sometimes
I can't imagine what that means

This must be someone else's story
I can't follow what you've planned
How could this be about me
Am I supposed to understand?

 
Depeche Mode – All That’s Mine (Delta Machine, 2013)
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3949207