Meteora

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** M.I.N.E. ***
Capitolo 2: *** Ever Dream ***
Capitolo 3: *** Numb ***
Capitolo 4: *** Faint ***
Capitolo 5: *** Don't Stay ***
Capitolo 6: *** One Step Closer ***
Capitolo 7: *** Hit the Floor ***
Capitolo 8: *** From the Inside ***
Capitolo 9: *** Papercut ***
Capitolo 10: *** The Heart Asks Pleasure First ***
Capitolo 11: *** Breaking the Habit ***
Capitolo 12: *** Lying from you ***
Capitolo 13: *** Wonder ***
Capitolo 14: *** Crawling ***
Capitolo 15: *** Part of Me ***
Capitolo 16: *** Now That I've Found You ***
Capitolo 17: *** With You ***
Capitolo 18: *** I Refuse ***
Capitolo 19: *** No Road Left ***
Capitolo 20: *** Set me on Fire ***
Capitolo 21: *** Somewhere I Belong ***
Capitolo 22: *** Avalanche ***
Capitolo 23: *** Whole World is Watching ***



Capitolo 1
*** M.I.N.E. ***


 

METEORA




Nathan


 
1 - M.I.N.E (End This Way)

 I know I hurt you, deserted you
And now I see it clear
I pulled you closer, tighter
'Cause I knew you'd disappear
I just can't compromise, apologize
There's nothing you can say
We both knew It'd always end this way
So che ti ho ferito, ti ho abbandonato
E ora lo vedo chiaramente
Ti ho tirato più vicino,più stretto
Perché sapevo saresti sparita
Non riesco a scendere a compromessi, perdonami
Non c'è niente che puoi dire
Entrambi sapevamo che sarebbe sempre finita in questo modo

(Five Finger Death Punch - M.I.N.E
)

Non avevo mai conosciuto una ragazza così insicura che potesse nascondere così tanto dolore in una maschera così perfetta, così conforme all’inespressivo eppure così dannatamente efficace da togliermi la ragione, una sensazione così inevitabilmente invitante.
Perché guardandola potevi percepirne la sofferenza, ma prima che tu ti potessi in qualche modo avvicinare quella sensazione spariva, lasciando il posto ad un’espressione talmente vuota da non poter definire viva, le pupille talmente dilatate da non poter riconoscerne il colore degli occhi.
L’unica cosa che riuscivi a distinguere era una forte sensazione di freddo che avvolgeva ogni suo gesto, ogni sua parola, un gelo che rallentava ogni tuo possibile contatto. E più la sua apatia si scontrava involontariamente contro di me, più sentivo il bisogno di avvicinarla.
Ogni suo rifiuto, ogni sua lacrima mi spingevano fatalmente contro di lei. Non m’importava se avessi dovuto farle del male, non mi sarebbe mai dovuto importare se avesse provato odio per me, l’unica cosa che ritenevo necessaria era toglierle quella maschera che la rendeva così instabile e stanca.
Non avevo mai incontrato nessuno che mi spingesse involontariamente in tutti i modi a fare di più, per ottenere infine uno sguardo sconfitto e indeciso che mi perforava il cuore, che finora avevo nascosto dalla luce. Era più forte di me, non volevo arrendermi, non potevo lasciarla sola.
Non una persona, in tutto quello che io credevo il mio mondo, mi ha mai fatto desiderare così tanto la sua presenza accanto a me, nessuno ha mai suscitato in me un coinvolgimento così profondo ed inaspettato, non ho mai sprecato una notte pensando a come poter far sorridere una ragazza o perlomeno conoscerla, non ho mai passato un secondo guardandola negli occhi senza sperare che mi sorridesse, ed illudermi che lo facesse per me soltanto, solo per poter sentire dentro di me quella strana sensazione che mi faceva impazzire.
Mi sentivo inspiegabilmente felice le rare volte che lasciava illuminare il suo viso dalla luce, mi faceva desiderare che non fosse l’ultima volta che l’avrei rivista. Tutto quello che io credevo un’inutile perdita di tempo, tutto quello che avevo ritenuto superfluo fino a quel momento con lei acquistava un significato improvviso, indefinito. Sperare giorno dopo giorno che quel legame così fragile ed instabile non si spezzasse, né si allentasse, convincendomi che forse sarebbe potuto essere qualcosa di più.
Ma più mi avvicinavo più una parte di lei aveva paura e quella paura la portava lontano, lontano da tutti, lontana da me.
Eppure ero io il solo ad accorgermene, ritrovandomi ancora una volta impotente.
Quando lasciavo la mia mente libera di vagare nei ricordi che tenevo sotto stretta sorveglianza, solo in quei momenti riuscivo quasi a percepire la sua voce che chiedeva aiuto e io volevo gridarle che c’ero io accanto a lei, il suo respiro era sempre più debole fino a diventare un ricordo, la sua voce veniva soffocata da tutti quei tuoni e dalla pioggia che ora mi impediva di raggiungerla.
A quel punto però, mi accorgevo di nuovo di sognare ed attendevo inutilmente la fine. La vedevo cadere mentre io scivolavo a terra con la mano tesa, una voce fioca nella mia testa, la mia mano che non riusciva ad afferrarla, qualcuno che urlava e che finalmente mi liberava da quell’incubo.
La prima volta che la sognai mi diedi del pazzo, non potevo mettermi a sognare, di punto in bianco, una ragazza che non avevo mai visto in vita mia.
Dopo un paio di settimane dopo però la notai a scuola, di sfuggita, mentre scendeva le scale da sola, ascoltava della musica, camminava a testa bassa quasi infastidita dal tipico caos di fine lezioni, feci per tornare indietro e vederla meglio ma era troppo tardi, se n’era già andata via. Come potevo sognare quella ragazza, ma soprattutto perché la sognavo? Nonostante la curiosità di scoprire il significato di quel sogno che ormai mi ossessionava quasi ogni notte, era snervante, in tutti quei giorni in cui mi fermavo ad osservarla non riuscivo ad avvicinarmi, se ne stava sempre in disparte, non un suono, non una parola uscivano da quel viso annoiato che osservava costantemente il pavimento od il nulla, e io non sapevo come comportarmi.
Ogni giorno sentivo un’inspiegabile senso di smarrimento crescermi dentro ed uno strano senso di inquietudine si impadroniva di me ogni volta che provavo a cercarla, senza sapere il perché di tutta questa improvvisa paura di non vederla o il perché di questa mia improvvisa fissazione.
Nonostante ci provassi con tutto me stesso, non sono mai riuscito a togliergli quella maledetta maschera e più il tempo passava più mi accorgevo che forse avevo solo ritardato l’inevitabile. Più cercavo di attenuare questa sensazione avvicinandola, più la vedevo combattuta. Vederla felice, nutrirmi dei suoi sorrisi è stato uno dei miei più stupidi errori. È solo colpa mia se l’ho resa ancora più fragile.

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Capitolo 2
*** Ever Dream ***


Nathan

 
2 – Ever dream of me 
 
 
Entwined in finding you one day
Ever dream of me
Would you do it with me?
Heal the scars and change the stars

Would you do it for me?
 
Destinato a trovarti un giorno
Sogni mai di me?
Lo faresti con me?
Guarire le cicatrici e cambiare le stelle

Lo faresti per me?

  (Nightwish - Ever Dream)


 

Quel sabato sera camminavo per strada vicino al parco semi abbandonato della città e pioveva molto forte, avevo fatto tardi ma dovevo sbollire la rabbia che avevo dentro e la pioggia mi aiutava davvero molto.
Quando la pioggia cominciò ad intensificarsi presi una scorciatoia per tornare a casa e dopo pochi metri vidi una sagoma rannicchiata vicino ad un albero, all’inizio non ci feci caso e andai avanti ma quando giunsi vicino avvertì una stana sensazione di dejà vu. 
Appena focalizzai la figura rannicchiata mi accorsi che era una ragazza, la riconobbi quasi immediatamente.
Non era affatto normale, non poteva essere una semplice coincidenza.
Forse stavo ancora vivendo l’ennesimo sogno, forse adesso era già troppo tardi, forse adesso sentirò di nuovo quella voce? Ma nulla accadde..
Non riuscivo a crederci, non poteva succedere perché tutto quello che avevo sognato per due mesi, era soltanto frutto della mia immaginazione, solo un dannatissimo sogno.
Ma allora cosa stava succedendo?
Ero ancora lì impalato e la guardavo tremare.
Un tuono attirò la mia attenzione, fu come svegliarsi da un incubo ed accorgersi che era tutto reale.
Quella ragazza stava tremando ed io ero lì sotto quel maledetto temporale e non me ne andavo, né mi avvicinavo.
«Maledizione!» imprecai contro me stesso e la mia stupidità mettendomi una mano tra i capelli bagnati, un gesto nervoso.
«Che ci fai qui?» mi avvicinai e le parlai ma lei non rispose un tuono echeggiò nello stesso istante in cui pronunciai
«Andiamo dimmi dove abiti ti porto a casa?» ma la ragazza non dava segni di vita tranne quei singhiozzi quasi coperti dallo scrosciare insistente della pioggia.
Mi avvicinai ancora un po’ e m’inginocchiai, le alzai il viso ed era in stato di choc, in quel momento compresi che doveva essere successo qualcosa e le domandai cosa ma non mi rispose.
Un altro tuono, il mio braccio si spostò da solo e le diedi uno schiaffo.
Non ricordo il perché di quel gesto, non riuscivo a capire perché l’avevo colpita. Il mio corpo aveva reagito da solo ricordando l’immagine del sogno.
In un certo senso avevo paura di quello che stava succedendo, paura di quel sogno, della reazione che mi provocava questa ragazza sconosciuta, ma infondo sebbene cercassi una risposta al mio comportamento, avevo già deciso di provarci, dopotutto aveva bisogno di me.
Appena lo pensai sentì uno strano brivido percorrere la schiena, cercai di non pensarci.
La feci alzare ma cadde come un  peso morto.
«Reagisci, forza» le sollevai il viso e spostai i capelli bagnati che le ricoprivano metà volto,  il suo viso era coperto da lacrime silenziose mentre i suoi occhi erano persi nel vuoto.
Il suo viso mi sconvolse, qualcosa dentro di me si scosse riportandomi a galla vecchi ricordi.
Una voce dentro di me diceva di proteggerla.
Il significato di quel sogno, la voce che fioca che sentivo.
Così la caricai sulle spalle e andai verso casa.
Ogni tanto sussurrava qualche parola confusa ma la sua voce era troppo debole.
Arrivai a casa sperando di non incontrarlo, e per fortuna c’era solo mia madre che stava dormendo sul divano.
Forse mi stava ancora aspettando, guardai l’orologio erano passate le due del mattino ormai.
«Mamma» sussurrai andandole vicino con la ragazza ancora sulle spalle, le scossi lievemente la spalla e mia madre si alzò di scatto spaventata
«Scusa, non volevo svegliarti» le dissi dispiaciuto ma non mi lasciò finire la frase che iniziò ad urlare
«Era ora lo sai che mi ha fatto preoccupare tu n... » non le lasciai finire la frase cercai di farla tacere non volevo svegliasse la ragazza ma non voleva sentire ragioni
«Non provare a zittire tua madre! Perché sei ridotto in questo stato?» mi chiese in tono disperato vedendomi bagnato fradicio e poi finalmente si accorse della ragazza sulla mia schiena che dormiva
«Cos’è successo?» mi chiese preoccupata allungando il braccio per toccare la fronte della ragazza, io indietreggiai di riflesso e strinsi involontariamente le braccia attorno alle gambe della ragazza
«Non lo so» scossi la testa «Ha bisogno di riposare credo» continuai quasi incerto
Mia madre mi guardò due secondi senza dire nulla e poi mi diede le spalle andando in camera
«Aspetta» cercai di dirle ma non mi ascoltò, ci avrei pensato più tardi a parlarle e a spiegare la situazione surreale in cui mi ero ritrovato, non sapevo perché avevo portato una ragazza a casa che nemmeno conoscevo.
«Ci penso io a te» le dissi sottovoce portandola nella mia stanza
«Nathan» sussurrò mia madre entrando nella mia stanza con un asciugamano «non può stare così, si ammalerà e anche tu» riprese in tono serio la guardai storcendo il labbro
«Vai a cambiarti» mi disse accarezzando lievemente la guancia della ragazza distesa e poi mi guardò e mi spinse fuori dalla mia camera sbattendomi la porta in faccia.
Restai fermo in piedi davanti alla porta mentre la mia mente mi trascinava a qualche ora fa.

Mia madre che mi pregava di stare calmo, di non reagire, che non importava, ma io ero stanco di tutto questo, quella sera avevo quasi ammazzato Andrew. Soffocavo le sue stupide parole con insulti e pugni
«Nathan sei migliore di così ti prego» mia madre mi prese il braccio fermandomi, al suono di quelle parole la rabbia scremò, mi guardai le mani e la voce di mia madre rotta dai singhiozzi, mi alzai sprezzante e distrutto dalla parole di mia madre e me ne andai fuori di casa.
 
Mia madre riaprì la porta della camera e mi sorrise, cercai di sbirciare nella stanza, ma mia madre mi prese per il braccio e la seguii in cucina.
«Mettiti questi o ti prendi una polmonite» disse con una finta voce arrabbiata e mi porse dei vestiti asciutti
«Grazie …» dissi sorridendo lieve, non ce la faceva proprio ad arrabbiarsi con me.
Andammo in cucina e mentre preparava qualcosa di caldo mi sedetti sul tavolo della cucina e le raccontai della ragazza.
«Mi dispiace mamma di aver fatto tardi» le dissi infine lei mi guardò e annui con la testa e fece un respiro profondo
«Hai ricominciato di nuovo a… » non riuscì a finire la frase e mi guardò con gli occhi lucidi «mi avevi promesso che non lo avresti più fatto» continuò guardando il pavimento con voce bassa. 
«Tranquilla mamma …» cercai di rassicurarla andando ad abbracciarla la sentii rilassarsi un po’
«Non piangere» la strinsi a me cercando di calmarla, sapevo che era un periodo difficile ma l’avevamo superato una volta e ce l’avremmo fatta ancora.
Si schiarì la voce e si ricompose piano, mi staccai da lei e ci sedemmo al tavolo per bere la cioccolata calda
«Allora tu cosa pensi di fare con quella ragazza? Sai anche tu che io non me ne potrò occupare, non voglio dire che hai fatto male, anzi...solo che» disse mettendosi le mani tra i capelli aveva l’aria stanca
«Mamma lo so che sei in difficoltà ma se né andato non preoccuparti ce la caveremo come sempre. Io... » le presi la mano e la strinsi con lentezza per non darle motivo di provare dolore «Sento di dover aiutare quella ragazza» mia madre mi guardò seriamente per un tempo infinito che quasi mi fece sentire in imbarazzo ma poi mi sorrise quasi divertita
«Ci vediamo domani mattina Nathan» e mi diede un bacio sulla fronte «sogni d’oro tesoro» poi con molto sforzo andò in camera sua chiuse la porta e mi lasciò li.
Ho sempre pensato di avere una madre un po’ strana, non tutti i genitori avrebbero permesso di portare a casa una ragazza semicosciente senza fare troppe domande o altro ma lei no, si fidava di me come io mi fidavo di lei.
Sicuramente chiusa in quella stanza starà di nuovo piangendo per il ricordo di quella morte che lei non ha potuto impedire, la morte di mia sorella, morta dopo quattro anni e mezzo di vita.
 
Fin da piccolo lei mi allontanava sempre per paura che la vedessi piangere, ci fu un periodo durante il quale io non esistevo affatto, mio padre anche se io non lo ritengo tale, se la prendeva con lei per espiare il suo dolore e lei mano a mano diventava sempre più stanca, i suoi occhi erano spenti.
Lei c’era ma era come se  la sua anima era stata strappata dal suo corpo.
Dopo l’ennesimo litigio andai da mia madre, e sebbene mi pregò di lasciarla sola, le andai vicino e l’abbracciai forte «mamma non piangere ti prego sorridi, sorridi così lei potrà restare con te per sempre nel tuo sorriso nel tuo cuore, lei non vorrebbe...ti voglio bene» avevo solo nove anni e il mondo di mia madre le stava crollando addosso ed io ero impotente.
Restai abbracciato a lei a lungo poi feci per spostarmi e vidi che si era addormentata, le misi una coperta e andai via.
Mi rinchiusi in camera ad osservare il muro della mia stanza.
Qualcuno bussò alla porta e non risposi pensando fosse lui, invece era mia madre che mi pregava di uscire era tardi, dovevo andare a scuola.
Mi resi conto solo in quell’istante che era giorno, andai in cucina e dopo due anni e mezzo la vidi sorridermi.
Da quel giorno ogni volta che era triste andavo in camera sua e quando Andrew non c’era andavo ad abbracciarla e lei sorrideva lieve, non potevo fare nient’altro se non stare a guardare.
Tutto cambiò nel giorno del mio quattordicesimo compleanno durante la cena Andrew alzò le mani su di me, non ricordo nemmeno più il motivo ma spesso erano davvero stupidi, semplicemente gli andava di farlo, ma mia madre mi protesse, cambiarono stanza e sentii dei rumori di cose gettate a terra, la voce arrabbiata di mia madre, Andrew urlò sovrastandola, il rumore di un corpo caduto a terra violentemente, poi tutto il rumore fu inghiottito in un attimo.
Io rimasi ancora una volta per terra addossato alla parete della cucina fissando il muro, tesi l’orecchio in attesa del rumore della porta d’uscita, scivolai giù per poter anche solo alleviare il senso di oppressione, il senso di impotenza che mi rendeva così dannatamente debole. 
La casa in pochi istanti sprofondò nel solito silenzio innaturale.
Mia madre ancora non usciva, mi alzai e andai a controllare, la vidi lì rannicchiata accanto al letto tremante io le andai vicino, l’abbracciai
«Scusami, scusami sono una pessima madre perdonami, non riesco nemmeno a proteggerti» disse prima di scoppiare in lacrime stringendomi forte.
«Non è vero mamma, ti voglio bene» cercai di consolarla ma poi una rabbia immensa si scatenò dentro di me e mi spinse a fare una promessa che lei sapeva avrei mantenuto
«La prossima volta che ti tocca giuro che l’ammazzo» lei si stacco immediatamente da me e vidi la sua espressione impaurita mentre guardava il mio viso pieno d’odio  
«Non fare sciocchezze, promettimelo!» mi abbracciò
Quando si addormentò rimasi con lei ancora un po’ mente contavo i lividi più o meno evidenti, le cicatrici vecchie e quelle nuove, le accarezzai la fronte vicino all’occhio e cominciai ancora una volta a ripulire quelle ferite che non sarebbero mai guarite per lei e non sarebbero mai state invisibili per me
«Mi dispiace mamma …» sussurrai lasciandola riposare, lasciandola sola.
Andrew me l’avrebbe pagata, non riuscivo ad accettarlo.
Non parlai con Andrew per molto tempo, lo evitavo in continuazione quando lui c’era io ero fuori tornavo tardi pur di non vederlo, perché sapevo che se lo avessi visto di nuovo comportarsi in quel modo lo avrei ammazzato.
Ed ogni settimana tornavo a casa con qualche livido solo per ricordarmi di quanto male potesse fare rimanere impotente di fronte a quell’ingiustizia.
Poi una sera rividi la medesima scena ma questa volta mi alzai e mi diressi verso Andrew, mi disse qualcosa ma non lo lasciai finire, lo presi e lo sbattei con forza contro il muro e gli dissi in tono pacato
«Ora basta! Vattene da questa casa! Non voglio più vederti o giuro che ti ammazzo!» lo guardavo con una calma assoluta mentre la sua faccia si deformava, a quanto pare gli avevo messo paura
«Lascialo andare» mia madre mi fermò la guardai con uno sguardo indecifrabile non la capivo perché lo difendeva? Perché lo amava ancora? Come faceva a sopportarlo? Se fosse per me lo avrei ... lasciamo perdere, gli detti un pugno allo stomaco e  me ne andai fuori casa.
Da quel giorno non successe più nulla, di mio padre non ci furono notizie.
Proposi a mia madre di andare insieme da uno specialista ma lei rifiutò, mi disse che non serviva, di non preoccuparmi e di lasciarle solo del tempo, che tutto si sarebbe sistemato in qualche modo e mi fece promettere di non tornare a casa mai più così tardi e di concentrarmi sul basket e sulla scuola.
La situazione con il tempo migliorò, mia madre sorrideva, usciva con le amiche, io continuai a restarle accanto in quella casa anche se non c’era Andrew avevo paura che se me ne fossi andato via lui sarebbe ritornato e poi avrebbe ridotto mia madre ad uno straccio.
Ma quando quella mattina rientrai prima del previsto vidi appoggiato sullo schienale del divano una giacca di pelle marrone e poi senti il rumore di qualcosa che veniva frantumato provenire dalla camera di mia madre.
Quando aprì la porta Andrew si era voltato, mia madre era distesa sul pavimento e piangeva, a terra i vetri di una bottiglia. 
A quella scena la mia mente vacillò.
Andrew dapprima sorpreso mi sorrise. 
«Nathan... quanto tempo è passato? » disse in tono sicuro allargando le braccia.
Mi scaraventai su di lui buttandolo a terra, mantenendo la promessa che gli avevo fatto quattro anni prima, scaricando tutto quel rancore, quella rabbia che si era venuta a galla dopo anni.
Mio padre era morto con mia sorella, la mia famiglia era morta con Sophie.
«Mai abbastanza per fartela pagare Andrew.. Mai abbastanza!» urlai

Mi svegliai da quello stato confusionario in cui mi ero assorto e ritrovandomi in camera mia appoggiato al muro, vidi quella ragazza distesa sul mio letto, mia madre le aveva messo dei vestiti asciutti, le andai vicino, la vidi tremare e cerare di schiacciare qualcosa di invisibile con le mani davanti a lei. 
Le andai vicino e le accarezzai una guancia, aveva la pelle fredda come il ghiaccio in contrasto con la mia
Le accarezzai la fronte e le sussurrai «E’tutto a posto ora...sei al sicuro» non so perché lo feci era come un riflesso incondizionato.
Nonostante mi sentissi uno stupido, quando la sentii calmarsi sentii uno stato di pace avvolgermi.
Poi sentii solo una coperta pesante sulle spalle ma mi riaddormentai subito dopo stringendo qualcosa a me ero troppo stanco per ragionare, il sonno mi riprese con se.
Quando mi svegliai di nuovo era mattina e la mia testa era scombussolata, feci per alzarmi, avevo tutto il corpo indolenzito ma mi accorsi che stringevo qualcosa con una persa salda, misi a fuoco quell’immagine e vidi la mia mano stringere quella della ragazza.
Poi mi ricordai, la guardai mentre dormiva ancora, era rivolta verso di me a qualche centimetro di distanza dalla mia testa, lasciai la sua mano e mi alzai senza far rumore.
Andai in cucina per cercare qualcosa da mangiare, e nel farlo accesi la tv e mentre la mia mente cominciava a prendere coscienza del tempo trascorso e mi accorsi di aver dormito troppo, infatti era già l’una di pomeriggio di domenica e mi madre era andata a lavoro.
Più ci pensavo più facevo fatica a crederci. Perché avevo portato quella ragazza a casa?
Perché stava succedendo tutto questo?
Dopo un po’ sentii un urlo e andai di corsa in camera mia.
La vidi seduta sul letto spaventata in cerca di qualcosa, accesi la luce e quando si accorse di me diventò ancora più pallida, portandosi le mani alla gola in uno strano modo
«Buongiorno, hai dormito bene?» le dissi sorridente ma a quanto pare usai le parole sbagliate perché la spaventai ancora di più e si mise ad urlare.
Le andai vicino piano, ma lei arretrò sul muro, cercando protezione con le mani.
Forse non si ricordava di ieri ed era spaventata pensai a un modo per calmarla.
Mi fece sorridere involontariamente e le dissi con calma
«Va tutto bene, ti ho trovato ieri vicino al parco e ti ho portata al riparo dalla tempesta, tranquilla sei al sicuro qui» lo dissi con un tono dolce per tranquillizzarla ma lei parve aver ancora più paura e non mi lasciò avvicinarla
«Come ti chiami?» continuai ma appena le toccai la spalla iniziò un attacco di panico e non sapevo come reagire, aveva le gambe appoggiate al petto cercava di calmarsi, di non tremare.
C’era qualcosa di dannatamente strano in tutto questo, volevo saperne di più, perché si comportava così?
Cercai di parlare ma ero paralizzato
«Per favore.. non voglio…  tu veda… va via» aveva la voce strozzata, sussultò e si portò una mano al petto.
«Voglio aiutarti.. » le dissi calmo, le sfiorai con lentezza la guancia, sussultò di nuovo evitando in modo brusco il contatto facendomi indietreggiare
In quel momento sentì l’impulso di abbracciarla e stringerla ma avevo paura che questo avesse potuto aggravare la situazione, così lasciai che si calmasse da sola, o almeno lo speravo, mi misi dietro la soglia della porta appoggiato al muro con i pugni stretti.
Inviai un messaggio a mia madre e aspettai sentendomi di nuovo impotente.
Mia madre rientrò, fortunatamente poco tempo dopo e mi chiese con voce preoccupata 
«Che ci fai per terra? E successo qualcosa? »
Ma io non risposi, lei si avvicinò a me e mi ripeté la domanda la vedevo preoccupata
«Non riesco ad aiutarla, non so che fare, è terrorizzata» dissi scuotendo la testa e lei rispose semplicemente con un sorriso lieve 
«Non preoccuparti, ci penso io a calmarla» così andò in camera, chiudendo la porta.
La vidi uscire dopo mezz’ora con un sorriso e mi disse 
«Adesso vieni di là vi preparo qualcosa da mangiare»
Feci  le cose sbadatamente, ero totalmente confuso.
Mia madre mi dovette ripetere tre volte una domanda 
«Come? scusa non ho sentito» dissi distrattamente
«Ho detto se domani pensi di andare a scuola? Si può sapere che hai? » cercai di sorridere come sempre 
«An... ecco pensavo di rimanere a casa. Voglio stare un po’ da solo» dissi cercando di evitare il suo sguardo e la senti sospirare rassegnata
«Ok almeno so dove sei» concluse con un po’ di tristezza nella voce
«Tu come stai? » le domandai voltandomi dall’altra parte «avresti potuto anche saltare il lavoro per una volta dopo lui » non riuscendo a pronunciare il suo nome, strinsi  involontariamente i pugni
«Tutto ok, non preoccuparti. E’ passato ormai» disse scompigliandomi i capelli «perché diventi sempre più altro? » mi domandò scherzando cercando di farmi rilassare
«Sei tu che diventi vecchia e ti abbassi, io sono normale» la provocai sorridendole spavaldamente 
Senti dei passi farsi sempre più vicini alzai la testa e la vidi era ancora un po’ scossa.
«Haley finalmente! Su forza vieni a sederti qui avrai fame! » disse dolcemente mia madre, non ricordo avesse mai usato quel tono così affettuoso con me, la vidi sorridere, mi sentivo geloso.
Mi voltai verso la ragazza, i capelli castano chiaro quasi color miele ancora umidi erano sciolti e le andavano oltre le spalle, la frangia laterale le copriva troppo l’occhio destro ma l’altro verde smeraldo faticava a restare anonimo anche se lievemente arrossato, indossava dei pantaloni neri e una maglietta bianca troppo grande per lei che le arrivava un po’più su del ginocchio, repressi una risata era davvero buffa.
«Non ti dispiace vero le ho prestato le tue cose perché non aveva altro? » domandò mia madre e io annui 
«No, non importa» e sorrisi alla ragazza che adesso era arrossita leggermente «Haley piacere, io mi chiamo Nathan» dissi porgendogli la mano che restò ferma a mezz’aria aspettando una stretta che non ci fu.
Incrociai i suoi occhi verdi ma lei abbassò subito lo sguardo e si morse il labbro inferiore carnoso.
Sarebbe stato divertente, molto divertente. Sorrisi di nuovo. Era curiosa.
Fu la prima volta in cui desiderai vedere il suo sorriso.
«Che c’è siete tutti e due imbambolati? Forza muovetevi che poi diventa freddo» mia madre ci riprese in un tono che doveva essere di rimprovero ma quello che ottenne fu soltanto una risata da parte mia e l’espressione impicciata di lei.
«Posso chiederle un favore Nicole? » domandò la ragazza a mia madre ignorandomi completamente
«Certo. Solo non azzardarti più a darmi del lei insomma mi fai sentire vecchia» rispose mia madre
«Ma come credevo avessi già accettato la realtà dei fatti, perché ti illudi ancora mamma» dissi divertito appoggiandomi al muro in attesa di una sua solita scenata da “noi due dobbiamo fare i conti più tardi”
«Mai! Almeno finché tu non ti sposerai lasciami sperare» disse scherzosa mi aveva preso in contropiede
«Scusa la maleducazione di mio figlio, dicevi? » continuò rivolgendosi alla ragazza
«Hai un elastico per capelli per favore? » domandò mentre il colore delle sue guance si stava accentuando diventando irrimediabilmente buffa
«Certo! Aspetta» andando probabilmente in camera sua.
Come poteva mia madre non avere un elastico per capelli, lei andava matta per trucchi ed accessori, certo che le donne se le inventano tutte per perdere tempo.
Sospirai e andai in cucina ad assaggiare qualcosa.
Durante il pranzo non parlai quasi mai tranne un qualche si mi divertivo a vederle conversare, anzi a vedere mia madre cercare di mettere a proprio agio inutilmente la ragazza facendole qualche domanda ma era tesa come una corda di violino.
La guardai per troppo tempo, volevo capire cosa nascondesse ma si accorse del mio sguardo e s’immobilizzò.
«La vuoi smettere di fissarla non vedi che è in imbarazzo? Non tutti siamo estroversi come mister simpatia!» mi riprese mia madre, staccai lo sguardo dalla ragazza infastidito e risposi 
«Non la sto fissando! Tu piuttosto le stai facendo il terzo grado» dissi in tono accusatorio, non la stavo fissando, solo mi piaceva osservarla, mia madre si mise sulla difensiva disse 
«Voglio solo conoscerla un po’. A proposito di terzo grado voglio sapere dove sei stato ieri! sei sparito per 12 ore! » eccola ci risiamo 
«Sono andato a fare un giro» dissi controvoglia stiracchiandomi le braccia e le lasciai sole non avevo voglia di un terzo grado che poi si sarebbe tramutato in una discussione, e lei mi lasciò andare.
Ero seduto, anzi disteso, comodamente sul divano quando la voce di mia madre mi spaccò i timpani strappandomi le cuffie con cui stavo ascoltando della musica urlando nelle mie orecchie
«Io esco! Stai attento ad Haley! E soprattutto non spaventarla! » in tono di rimprovero
«Si, si ho capito non serviva spaccarmi i timpani» protestai alzandomi
«Se tu abbassassi quella cavolo di musica forse non servirebbe e poi.... » il resto della mia mente percepiva un rumore e annuivo, la solita ramanzina.
Il mio sguardo cadde sulla ragazza la quale era estremamente a disagio ma non capivo il perché, lasciai perdere e la interruppi
«Fai tardi al lavoro mamma» le feci notare poi quando si rese conto dell’ora disse 
«O santo cielo, sono in ritardo, comunque la discussione non è finita signorino devi imparare le regole.. »  di nuovo parole incomprensibili 
«Il lavoro mamma! » le ricordai, prese la giacca e salutò la ragazza poi me e scappò via, lasciando come il solito la porta aperta
Era buffa come madre eppure c’era ancora tristezza nei sui occhi.
Chiusi la porta e mi sedetti sul divano e vedendo Haley li impalata le indicai di sedersi accanto a me ma si sedette il più lontano possibile. Aveva forse paura di me? Sorrisi di nuovo compiaciuto.
Nessuno dei due guardava la tv, lei troppo rigida e immobile e io troppo attirato dal suo comportamento.
«E’ bizzarra mia madre vero? » dissi cercando di spezzare il ghiaccio e rivolgendole un sorriso ma lei appena si girò verso di me si rigirò di scatto
«No » rispose soltanto con voce timorosa.
Cercai di andare per gradi ma non ci riuscì
«Che diavolo ci facevi ieri sera in quella strada sotto il temporale?» ebbe un sussulto, notai la sua espressione cambiare, forse l’avevo detto con un tono troppo sospettoso ma volevo solo capire, la guardai era di spalle e poi cominciò a farneticare confusa e spaventata
«Mi dispiace per esservi stata d’ intralcio e ti ringrazio...potresti ringraziare tua madre da parte mia forse è meglio se tolgo il disturbo» disse frettolosa e fece per alzarsi e andarsene ma mentre si alzava notai un tremore alle mani la fermai trattenendola per un braccio
«Aspetta» dissi calmo «scusami ti prego, non te ne andare. Vedi ho promesso a mia madre che ti avrei fatto praticamente da babysitter, senza spaventarti, diciamo che se te ne andassi mia madre mi ammazzerebbe… quindi ti prego resta. Prometto che non tocco più l’argomento» non so perché le dissi quelle cose ma la convinsi a rimanere ancora un po’. 
«E poi non preoccuparti mia madre ha già chiamato i tuoi genitori, ci siamo permessi di prendere il tuo cellulare ed informare i tuoi che stavi al sicuro» continuai ma vidi l’imbarazzo farla ancora da padrone
«Voglio solo parlare un po’ quando ti andrà»le dissi calmo ma lei si staccò bruscamente il mio braccio e si sedette lontano e non mi parlò più.
Possibile che con questa ragazza non riuscivo a combinarne una di buona?
«Fai come se fossi a casa tua» le dissi rassegnato andandomene in camera
Quando mia madre ritornò andai ad aiutarla prima che cominciasse di nuovo a predicare ma mi accorsi che la ragazza non era più sul divano, confuso cercai di capire se fosse scappata di casa e io non me nero reso conto.
«Non dirmi che Nathan ti ha fatto sistemare da sola tutta la cucina, lo faccio rimanere senza cena stasera!» Sentii mia madre e mi precipitai in cucina dove mia madre mentre mi accolse con uno sguardo truce continuò rivolta a me «Lei è un’ospite!» ma io continuavo solamente a pensare che dopotutto era rimasta «Sei tu che dovrest.. »
«Nicole ha sistemato tutto Nathan, stavo solo preparando qualcosa per cena per potermi rendere utile» interruppe la ragazza salvandomi da mia madre.
La guardai stupito, e mi resi conto che aveva pulito tutta la cucina, i piatti e che c’erano tre fornelli accesi e c’era un odore …. Un profumo da estasi!
Mi ero immerso così profondamente nello studio che non avevo notato il profumo che emanava la cucina, inspirai e le mie narici si dilatarono dando la possibilità al mio stomaco di ruggire per reclamare cibo suscitando la risata di mia madre
«Lo stomaco di mio figlio ha parlato per tutti» disse mia madre andando ad abbracciare la ragazza la quale si mosse come un’anguilla per non farsi afferrare «Sei una ragazza d’oro! Ora siediti che pensiamo insieme a terminare la cena» disse sorridendo
La serata passò tranquilla, continuavo a pensare al suo comportamento e più ci pensavo più non riuscivo a capirla. Non avevo mai visto una ragazza più fredda ma allo stesso tempo gentile in vita mia. 

Il giorno seguente la ragazza fu rapita da mia madre che la liberò solamente nel pomeriggio e così decisi di portarla al mio campo di allenamento per giocare un po’ a basket, rimase seduta a bordo campo e mi osservò taciturna con i miei amici per tutto il tempo.
Provai a presentarle Blake, il capitano della squadra di basket della scuola, ma nemmeno lui con tutto il suo carisma ed entusiasmo riuscì a strapparle una smorfia che potesse sembrare un sorriso, era fredda, si limitò a fare un cenno con la testa ma poi ritornò nel suo mondo.
I miei amici presi un po’ in contropiede da quella reazione mi guardarono chiedendomi spiegazioni ma non ne avevo e mi limitai a proporre una partita due contro due per provare alcuni schemi che ci sarebbero serviti per la prossima partita. Io e Lucas conto Blake e Jeremy.
Quasi mai io e Blake stavamo in squadra insieme durante gli allenamenti, sapevamo di essere forti e non c’era occasione migliore di sfidarci se non in campo.
Dopo un paio di schemi Blake con una scusa mi portò in disparte
«Tutto a posto poi per l’altra sera vero? »mi domandò mettendomi una mano sulla spalla
«Si tranquillo, mia madre regge ed io non posso lamentarmi» risposi svogliato alzando le spalle
«Ok non hai voglia di parlarne, però qualunque cosa accada» aveva un tono serio e parlava sottovoce
«Ricordami di non coinvolgerti?» domandai sarcastico sorridendo cercando di non pensarci7
«E che altro?» stando al gioco
«Che la prossima volta che dici di tenermi compagnia non ti sbronzi tu al posto mio? » tagliai corto ridendo
Era un colpo basso il mio ma so che non se la sarebbe presa, aveva sopportato di peggio da parte mia
«Io invece ti ricorderei di dirmi invece, visto che sono il tuo migliore amico, che ci fa quella ragazza qui! Non è quella? » indicò Haley
«Esattamente lei» lo precedetti guadandola a mia volta seduta sugli scalini di pietra
A lui dicevo tutto era come un fratello da quando eravamo piccoli, inseparabili.
Quando le raccontai per la prima volta della ragazza il suo primo commento fu «L’astinenza fa male al fisco e alle mente», ma fu lui a fermarmi sugli scalini dell’edificio dicendo la ragazza che gli avevo descritto si trovava a soli dieci metri da noi
«E come mai è qui? » chiese curioso puntandomi un dito con cui aveva indicato la ragazza verso di me ora
«Storia lunga» risposi mettendomi una mano trai capelli
«Sempre storie lunghe le tue vero» mi prese in giro
«Tutte interminabilmente lunghe e noiose» affermai sviando il discorso
«Allora finalmente ci hai parlato» insistette Blake, non c’era modo di fargli cambiando argomento «hai scoperto il mistero »
«Più o meno è difficile parlarci» ammisi dando un’altra occhiata a quella strana ragazza comparsa dal nulla nei miei sogni
«Ho notato amico» mi appoggiò ghignando «ma dimmi la verità non sa dire altro che quanto sei figo! Sto per svenire reggimi» disse imitando la tipica voce stridula delle ragazze, scoppiai inevitabilmente a ridere
«No, niente di tutto ciò. Lei ha paura di me credo» dedussi un po’ perplesso, faceva uno strano effetto pronunciarlo ad alta voce, le ragazze non avevano solitamente paura di me, anzi, mi si incollavano letteralmente addosso
«S’irrigidisce ogni volta che le parlo, non mi guarda mai negli occhi, non so come avvicinarla» espressi i miei dubbi ad alta voce e mi resi conto delle cose ridicole che stavo dicendo
«E’ come tutte le altre dai! Forse un po’ timida ma vedrai presto verrai da me e mi dirai aiuto Blake mi vuole sposare perché crede che con un bacio l’abbia messa incinta! » mi prese in giro scoppiando subito dopo a ridere
«Lei non è così» dissi spontaneamente
I suoi occhi erano in contrasto con ogni atteggiamento che teneva con il mondo, non quadravano con la freddezza che emanava.
Gli occhi di Blake brillavano e il suo solito stupido sorriso mi fece tornare in me
«Volevo dire» non trovavo le parole erano solo sensazioni quelle che provavo
«Certo, certo scherzavo amico» mi guardò curioso «Non romperti la testa per una ragazza»
«Non dare troppa corda alla tua fantasia» dissi minaccioso «è solo che vorrei capire» cercai di rimediare ma mi guardava con il suo solito sorriso malefico
«Se è la donna dei tuo sogni?» mi chiese scoppiando a ridere subito dopo
Lo avrei ammazzato in quell’istante, lui e le sue battute demenziali
«Giuro che t…» non feci in tempo a terminare la minaccia
«Non è il momento per le distrazioni, abbiamo un torneo regionale da vincere» mi interruppe diventando serio e voltandosi verso Haley che stava guardando giocare gli altri
Il basket veniva prima, ce lo eravamo ripetuti milioni di volte.
Giocare era la mia unica possibilità di avere un futuro degno di essere definito tale per me e mia madre, avrei reso lei orgoglioso di me e avrei tenuto a freno la rabbia con la cosa che m faceva stare meglio al mondo.
Lucas passo la palla a Blake che mi invitò a riprendere a giocare
Sospirai voltandomi per un momento nella direzione di Haley che ora mi stava guardando.
Le sorrisi riprendendo a giocare e non mi lasciai sfuggire l’opportunità di stracciare Blake.

Finita la partita salutammo gli altri e ci dirigemmo a casa.
Era una ragazza davvero strana non avevo mai conosciuto una ragazza che sapesse stare in silenzio per più di cinque minuti, non che avessi mai avuto bisogno di parlare molto con le ragazze
«Ti sei annoiata molto oggi? » provai a chiederle mettendo le mani dentro le tasche della tuta 
«No, siete bravi. Ti piace molto questo sport vero? » la sua voce era impacciata
«Si, è elettrizzante» dissi sorridendole «è come se quando corressi avessi una scarica di energia dentro di me, è forte l’adrenalina. Ne pratichi un anche tu vero?» le chiesi sfiorando con una mano il suo braccio all’altezza del tricipite
La vidi trasalire, forse avevo esagerato ma ero curioso, avevo notato i muscoli ben pronunciati delle braccia e delle gambe.
«Ogni tanto mi piace tirare un po’ di boxe o correre sono abbastanza veloce» si fermò improvvisamente guardandomi ma subito dopo distolse lo sguardo a disagio o forse imbarazzata dalla mia faccia un po’ stupita dal fatto che ad una ragazza potesse anche solo lontanamente piacere la boxe
«Aiutano a liberare la mente ecco» cercò di giustificarsi gesticolando con le mani
Avrei voluto chiederle da cosa perché il suo sguardò si era perso per un breve momento
«Beh almeno te ne piace uno, molte ragazze sono così schizzinose hanno paura di prendere la palla in mano per pura di rovinarsi un unghia» provai a scherzare ma in risposta accennò un sorriso smorto ma poi cambiò subito espressione, qualcosa non quadrava.
«Ma non ti ho mai visto in palestra né in altri club» le dissi vago
L’avevo cercata senza trovare pace per settimane.
«Non amo stare in compagnia e detesto le persone, cioè lasciamo stare» si interruppe la vedevo torturarsi le mani forse aveva pesato di aver parlato troppo, lasciai il discorso in sospeso anche se avrei voluto farle mille domande.
Mi svegliai nel cuore della notte e andai in camera mia, la vidi di nuovo agitata e spaventata, aveva il fiato corto e faticava a respirare.
Le andai vicino e le presi le mani tremanti per lasciarla respirare  
Le accarezzai il viso lentamente e le feci appoggiare la testa al mio petto avvolgendola in un abbraccio.
«Sono qui per aiutarti Haley» le sussurrai cerando di calmarla e finalmente senti il suo corpo rilassarsi contro il mio, l’agitazione che avevo sentito per qualche secondo nel petto scremava e notai mia madre socchiudere la porta della mia stanza e tornare nella sua.
Restai con lei finché non riuscì ad addormentarsi di nuovo.
Avrei voluto farle mille domande ma avevo paura di ferirla, era così indifesa e fragile, avrei voluto che mi spiegasse cosa la faceva stare così male ma forse era ancora difficile per lei parlare mi limitai a proteggerla dall’esterno, anche se non sapevo come avrei potuta proteggerla da se stessa e dai suoi incubi.

Quando il giorno seguente la riportai a casa mano a mano che ci avvicinavamo sentivo l’agitazione, con uno strano senso di oppressione, crescere dentro di lei come se non vedesse l’ora di scappare da quella casa. Riconoscevo la sensazione, la stessa che provavo io quando sapevo che in casa c’era Andrew.
«Ricorda che non cambierà nulla, se vorrai  puoi venire a casa mia quando vuoi a mia madre fa piacere e io sono sempre qui, capito?» le dissi sincero quando arrivammo di fronte a casa sua
Ma nei suoi occhi vedevo di nuovo la figura senz’anima che avevo trovato di notte sotto la tempesta.
In quei pochi giorni con lei stabili un contatto, eppure non riuscivo stare tranquillo, avevo la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto.
«Ci vediamo a scuola Haley» le sorrisi stringendole la mano ma lei  fece scivolare via la sua e non rispose e mi voltò le spalle.
«Grazie me la caverò da sola» disse in tono gelido mentre entrava nel cancello di casa, purtroppo, sua.
La sua voce era fredda, non più titubante, né nervosa, né insicura. Era fredda come se non riuscisse a provare nient’altro. Una voce che non mi permise di capire quanto distacco c’era in quella frase né in quel “da sola”.
 

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Capitolo 3
*** Numb ***


  
Haley


 
3 - Numb


Every step that I take is another mistake to you..
Caught in the undertow, just caught in the undertow
And every second I waste is more than I can take


Ogni passo che faccio è un altro errore per te
Intrappolato nella risacca, esattamente intrappolato nella risacca
E ogni secondo che spreco è più di quanto riesco a sopportare


(Linkin Park - Numb)

 
 

Stavo per tornare a scuola dopo quasi una settimana di assenza percorrendo la strada quasi di corsa, non riuscivo a fare a meno di guardarmi indietro furtiva per poi chinare la testa in avanti e guardare a terra.
Stavo per tornare alla mia patetica realtà.
Ascoltare a tutto volume la mia musica non serviva a farmi smettere di pensare a ciò che mi preoccupava e questo mi innervosiva ancora di più.
E come ogni volta che mi avvicino a un gruppo di ragazzi il mio cuore inizia a battere più forte, quasi frenetico, ed ogni volta alzo il volume in modo da non sentire nemmeno una sillaba.
Non voglio sentire niente, voglio stare sola. Sola.
Voglio essere ignorata, voglio ignorare queste monotone voci. 
Voglio poter scappare da questa vita soltanto per potermi nascondere da tutti questi occhi così fastidiosi e snervanti.
Odio passare in mezzo a loro, dover stare a contatto con la gente, non sopporto le loro parole, i loro falsi sorrisi, le loro battute. Eppure mi limito ad accelerare il passo e fissare costantemente l’asfalto grigio mentre il mio corpo viene sbattuto con disinvoltura contro un muro, come ogni giorno, il mio speciale benvenuto a scuola da parte di Shade Bailey
Un ragazzo abbastanza alto dai capelli castani ribelli su cui spicca una nota di colore diversa quasi da ricordare il tramonto e occhi color ambra, abbastanza ammirato dagli altri da ritenersi superiore. Sta andando nella nostra classe ma non prima di prendermi un po’ in giro.
La sua risata riecheggia nella mia testa mentre provo ad alzare il volume della musica, mi sistemo la spallina dello zaino che era scivolata e senza neppure alzare la testa evitando incontri spiacevoli e sperando di aver dato nell’occhio il meno possibile, entro in classe anche io.
Sembrava tutto normale la mia invisibilità era rimasta immutata ma ancora non mi spiegavo lo strano senso di disagio che stavo provando.
Presi un respiro profondo e mi tolsi le cuffie, la lezione sarebbe iniziata tra poco, dovevo stare calma.
Non c’era niente di diverso e lo strano senso di nausea stava sparendo insieme a quella sensazione di autocommiserazione che quel ragazzo aveva portato con se.
Sospirai, cercando di ascoltare la voce dell’insegnate sperando che questo mi distraesse dai miei pensieri.
Non ero una ragazza molto particolare, anzi, potevo tranquillamente definirmi sotto la media.
Non avevo amici, nemmeno uno e questo mi rendeva alquanto inquietante agli occhi degli altri, infatti venivo quasi sempre avvicinata con cautela come se potessi uccidere con uno sguardo, cosa che a volte vorrei proprio essere in grado di fare.
Per quante volte abbia provato a farmi degli amici, non ci sono mai riuscita.
Le uniche persone che si sono avvicinate con questa scusa mi hanno indebolito, reso patetica e stupida.
Stanca di tutto ciò che ero diventata cominciai ad evitare ogni contatto con le persone notando che senza di loro non mi sentivo più a disagio, anzi potevo addirittura sentirmi più sicura, più protetta.
Non aver bisogno di nessuno tranne che del mio spazio, del mio luogo segreto, delle mie mura invalicabili.
Non ricordo esattamente quando le emozioni cominciarono a svanire o per meglio dire ad essere assopite.
La mia mente cominciò a vagare alla ricerca di qualcosa ma ciò che trovai dentro di me era ancora più spaventoso del mondo esterno.
Mi persi in una sensazione piacevole che tutt’ora chiamo vuoto, nel quale mi sento protetta dal distacco dal mondo esterno.
Ma dopo aver assorbito ed inglobato dentro di sé tutto il calore che riuscivo a sentire, dopo aver distrutto ogni traccia di speranza ed aver consumato tutto quello che normalmente si definisce affetto, ho scoperto il suo lato peggiore.
Strani pensieri cominciarono a logorare la mia anima fino a farmi perdere la concezione tra realtà e sogno.
La sensazione di apatia diventava ogni giorno sempre più pesante e difficile da sopportare, sebbene la mia mente recepisce lo sbaglio, non impone al corpo nessun limite, il mio corpo ormai è diventato solo un involucro vuoto inerme.
Mi sembra sempre di trascinarmi dietro il cadavere di me stessa, con il vuoto che ha preso tutto quello che poteva mi ritrovo in un punto fermo, in un limbo che si infiamma ogni volta che qualcuno mi si avvicina dall’esterno e mi ferisce, ogni volta che provo dolore lui lo assorbe e lo accumula liberandolo nei momenti in cui sono più debole, in cui posso essere tranquillamente sotto il suo controllo.
Una settimana fa ho commesso uno degli errori più stupidi di tutta la mia vita, e non sono pronta ad affrontare le conseguenze, non sono pronta per ribellarmi a questa sensazione di vuoto perché mi protegge da quel mondo che mi ferisce. Da quando uno strano calore esterno si è avvicinato questo vuoto che ho dentro di me ha cominciato a martellare in continuazione, non riesco più a capire dove sono e cosa sto facendo.
Il vuoto comincia a intensificare la sua presa, impedendomi di respirare o di aggrapparmi alla musica, ora che ha trovato il mio punto debole è solo questione di tempo.
Nel momento in cui quello strano calore si ritorcerà contro di me il vuoto completerà la sua opera, e io non posso permetterglielo.
E mentre guardo le facce che mi circondano provo disgusto, sono stanca di questi continui pettegolezzi e contraddizioni, quelle solite doppie facce con tutti di fronte alle quali tu devi sempre sorridere, ritrovandoti sempre sull’orlo dell’ isteria o almeno questo è quello che succede a me.
Non amo fare parte di un gregge, mi sento sempre di troppo e inadeguata, e questo vuoto che sento certe volte si attenua con la solitudine.
Per questo preferisco stare sola. Per questo mi dà fastidio la gente. Per questo mi odio.
Il suono della campanella della pausa pranzo bloccò lo scorrere dei miei pensieri.
Aspettai che la maggior parte dei miei compagni se ne andasse e mi affacciai alla finestra vicino al mio banco notando una folla di gente ammassata in un cerchio.
A quanto pare anche  quello strano ragazzo era tornato, era normale, perchè mai non sarebbe dovuto esserci a scuola. Rideva e scherzava, alcune ragazze si muovevano attorno a lui come le api intorno al miele.
Scesi le scale per andare nell’ingresso della scuola che veniva usato poco perché piuttosto piccolo, mi sedetti sul rialzo di un scalino e guardai il cortile semi deserto e poi spostai lo sguardo a terra, sospirando sollevata, come se dentro di me il macigno che tenevo sullo stomaco si stesse finalmente sgretolando fino a ridursi in sabbia.
Finalmente non correvo più rischi, si era scordato di me, avverti il mio viso storcersi in una specie di sorriso forzato.
Infondo era quello che volevo, dovevo cercare di dimenticare quel giorno, quel maledetto temporale e quel maledetto ragazzo.
Ancora non riuscivo a credere che quella maledetta notte fosse reale, se quell’insensato ragazzo non fosse passato di lì, ed io che pensavo fosse un luogo deserto soprattutto con quel tempo, invece quel ragazzo era passato proprio da quella parte e si era addirittura fermato.
Ed io che credevo che la gente non muovesse un dito mentre vedeva morire la gente sotto ai loro occhi, perché doveva passare proprio il ragazzo che rappresentava l’eccezione.
Perché non avevo reagito. 
Perché ero stata così patetica da illudermi di nuovo fosse tutto così facile.
 
Pensai che sarebbe tutto finito, non riuscivo a reagire, forse era arrivata la fine.
Una fitta all’addome contorse il mio corpo che sbatteva contro il terreno bagnato e non riuscivo ad oppormi, pensavo che presto sarebbe tutto finito di lì a qualche istante, e tutto il dolore che mi lacerava in quel momento se ne andasse finalmente una volta per tutte.
Uno strano dolore pulsò sulla mia guancia.
Non riuscivo a capire come mai non riuscissi a cedere, non riuscivo ad eliminare il dolore.
E non riuscivo a capire perché sentissi ancora dolore, la mia guancia era in fiamme, ma il dolore che sentivo dentro non scompariva, no, lo potevo percepire che si stava raggomitolando, contorcendo, stava scappando in un luogo più sicuro, ma rimaneva ancora dentro di me, in attesa.
Un calore improvviso, un tepore mi avvolse e annebbiò ogni cosa.
Perché respirare faceva così male ora?
E poi eccolo che come un’onda nera ritorna da me.
Il mio incubo, il mio dolore che mi veniva a trovare di nuovo come solo un vecchio amico sa fare riportandoti le immagini più dolorose, i ricordi che credevi di aver dimenticato, e ti rammenta che ancora una volta ha vinto lui.
Ancora una volta ti fa provare quel gelo che ti penetra nell’anima e tu realizzi che questa sensazione non svanisce, non puoi decidere tu quando mollare.
E mentre le immagini di quell’incubo si fanno più nitide ti accorgi che era tutto solo un sogno.
Sei ancora dannatamente, apparentemente viva, e ti rendi conto di dover ricominciare a fingere di nuovo ma qualcosa non va, non è normale questo dolore.
Poi  una voce dolce annebbia i miei pensieri, e vorrei tanto aprire gli occhi per vedere da dove viene la voce angelica che mi sta cullando, ma la stanchezza è troppa, il mio corpo è stanco e la mia mente ancora di più.
Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, ma qualcosa stringeva la mano in una presa.
Per la prima volta mi sentivo al sicuro, difesa, protetta da qualcosa che emana un calore simile al fuoco ma che non brucia, e il vuoto che prima mi disorientava facendomi perdere il senso della realtà, della percezione delle cose, lo sentivo allontanarsi mentre io stremata mi abbandonai a questo nuovo e strano tepore.

Avevo paura di incontrare di nuovo quegli occhi, avevo paura che quel giorno fosse l’inizio di un altro incubo. Infondo ero abituata a tutte quelle battute a tutti quegli scherzi, ma quel ragazzo aveva visto troppo di me, ma la cosa peggiore e che mi aveva fatto riavere la speranza.
Battevo nervosamente il piede mentre ascoltavo l’Ipod quando qualcosa toccò la mia spalla.
Mi girai di scatto e sobbalzai, era quel ragazzo
«Ciao!» disse con un sorriso raggiante, una cuffia dell’Ipod mi cadde.
Me lo trovai davanti all’improvviso, ero confusa, spiazzata, perché sorrideva?
Avevo paura di quello che sarebbe successo adesso. E se fosse stato tutto uno scherzo?
E se fosse venuto da me e avesse raccontato tutto, mi sentivo morire dall’angoscia.
I capelli neri disordinati, alcuni ciuffi corti gli ricadevano ribelli sulla fronte, un viso luminoso ma possedeva dei tratti somatici molto decisi gli conferivano un’indole forte e allo stesso tempo accattivante, i suoi occhi magnetici cercarono di perforare i miei, abbassai immediatamente lo sguardo, colta da un’improvvisa sensazione di smarrimento.
Cercai di riprendere il controllo dei miei pensieri e delle mie azioni, dovevo allontanarlo da me prima che fosse troppo tardi.
Non risposi anzi mi levai di dosso la sua mano fastidiosa.
«Non toccarmi» dissi atona, lui mi fissò confuso
Come potevo spiegargli che sapeva troppe cose su di me e che doveva far finta di non vedermi come sempre? Non potevo, ci sarebbero volute delle motivazioni che non avevo voglia di dirgli e parole che non valevano la pena di essere sprecate.
«Ti ringrazio per l’altra sera ma lascia perdere, facciamo come se non fosse successo nulla, torna da loro» e indicai i suoi amici che stranamente si trovavano qui, di solito loro andavano sul cortile più grande.
I loro sguardi curiosi ci stavano guardando di nascosto, alcuni ridevano.
Un brivido mi passò lungo la schiena, cercai di ignorare quella sensazione di disagio
Questo per me era troppo da sopportare. 
Ero il loro nuovo passatempo?
Sentivo lo stomaco contorcersi e il brusio delle loro risate mi dava sui nervi.
Detti un’ultima occhiata nervosa a quel ragazzo che non accennava a muoversi né a staccare i suoi occhi dai miei e poi guardai i suoi amici e dissi incalzando l’ultima parola 
«I tuoi amici aspettano» ma lui non si muoveva e non capivo il perché, mi guardava fisso e non riuscivo a sopportarlo «e smettila di guardarmi così» dissi seccata ritornando in classe.
L’ora di pranzo passò e le ultime ore di lezioni ripresero.
Tornai a casa deviando per il parco o per meglio dire per il solito sentiero sperando di non incontrare nessuno.
Era troppo presto per tornare. Non sopportavo quelle mura.
Mi sedetti sul muretto che faceva da confine, nascosto da un paio di alberi robusti e appoggiai lo zaino per terra, mi levai la giacca, faceva troppo caldo,e misi le cuffie nelle orecchie chiudendo gli occhi.
Sentivo dei rumori provenire da poco distante ma non ci feci caso forse erano i soliti ragazzini.
Di scatto aprii gli occhi quando sentii un leggero sussurro vicino all’orecchio sinistro, mi accorsi che ero senza la cuffietta, il mio braccio scattò di lato per opporre resistenza ma venne fermato da quel maledetto ragazzo. Stavo cominciando a pensare che mi seguisse, non aveva capito il messaggio oppure ero un gioco troppo divertente per lui.
La sua presa era salda e non riuscivo ad opporre resistenza.
Ero in svantaggio, dovevo fare di tutto perché la situazione non degenerasse.
Indietreggiai cercando di proteggermi
«Ti diverti a cacciare le persone che ti salutano per poi insultarle?» chiese scherzosamente
«Che ci fai tu qui? Ti ho detto di lasciare perdere» cercai di risultare più calma possibile guardando nella direzione opposta
«E allora? Questo non significa che io ti debba ascoltare» lo guardai storto, nonostante la sua voce fosse seria il suo sorriso lo tradiva facendo diventare quella frase provocatoria.
Inutile, non mi avrebbe mai fatto cambiare idea, dovevo rimanere distaccata.
«Fai come ti pare» presi lo zaino e feci per andarmene ma lui fermò prendendomi un braccio
Mi girai di scatto arrabbiata ma appena incrociai quegli occhi color zaffiro penetranti, esitai per qualche secondo, percepì degli strani brividi percorrere il corpo.
Avevo sempre avuto paura degli occhi delle persone ma mai nessuno mi aveva mai disorientata tanto, perché più restavo ad osservarli più li sentivo entrare dentro di me.
Abbassai lo sguardo rendendomi conto che tutta quella rabbia che volevo far esplodere su di lui era scomparsa. Mi sentivo maledettamente a disagio, non riuscivo a capire cosa stesse aspettando il mio corpo, sarei dovuta andare via eppure il mio corpo non riusciva a muoversi, troppo disorientato.
«Lasciami» tentai di dire calma, cercando il modo di far ragionare il mio corpo
«Perché? »
«Perché se tu non te ne vai lo faccio io, non sei il solo ad non avere voglia di ascoltare» era come ripetere ad alta voce al mio corpo di muoversi per dargli un motivo 
«No, perché fai così» insistette seccato
«Mi vuoi lasciare il braccio?» continuai sempre più nervosa, questo ragazzo stava mandando al diavolo tutto il mio autocontrollo
«Perché mi tratti così, non te ne vai finché non mi spieghi» il tono serio con cui lo disse mi mise in soggezione, ci mancava solo il senso di colpa. Stupida coscienza.
Decisi di non rispondere e provai a strattonare il braccio ma lo strinse un po’ di più.
«Hai intenzione di staccarmelo? » domandai sarcastica riprendendo possesso di quella sensazione di nervosismo che mi serviva per parlare e tagliare i rapporti con la gente
«Si, se mi costringi a farlo» mi zitti lui restai immobile e scombussolata.
Perché con lui non funzionava?
Eppure dovevo riprendere la distanza prima che fosse troppo tardi, il senso di nausea cominciava già a manifestarsi
«Siediti e parliamo»
«Non ne ho voglia» risposi seccata, strinse ancora la presa attorno al mio braccio ancora.
Cominciava davvero ad infastidirmi il suo atteggiamento
«Non era un invito, era un ordine»
«Non sono il tuo giocattolo, non prendo ordini» risposi arrabbiata fissando le sue spalle mentre cercavo di controllare il mio corpo e ciò richiedeva un notevole sforzo.
Se mi fosse sfuggito dal controllo per me sarebbe finita male. Sentivo una sensazione di formicolio nel punto esatto in cui la sua mano era a contatto con la mia pelle.
Chiusi gli occhi per non pensarci
«Che cosa ho fatto? Cos’è cambiato? Perché mi eviti?» il suo tono cambiò diventando un po’ più morbido e calmo, mollando un po’ la presa sul mio braccio.
«Non puoi capire»  dissi rassegnata cercando di trovare un modo per andarmene ma la mia mente procedeva a rallentatore
«Non sono così stupido come potresti pensare?» il suo tono era sprezzante ora forse lo avevo fatto arrabbiare ma forse era meglio così
«So mantenere i segreti» sussurrò, distolsi lo sguardo prima di ricadere in trappola.
Alzai le spalle e rassegnata feci per sedermi e lui allentò del tutto la presa, mi sedetti a un metro da lui dandogli le spalle.
«Non così distante, non sai che è maleducazione dare le spalle a chi ti parla» cercò di scherzare
«Ti sto risparmiando la spiegazione che dovrai dare ai tuoi amici se ci vedono parlare insieme» alzai le spalle
A me sembrava di fargli un favore ma lui restò zitto, aspettai un minuto.
Poi mi voltai piano e lo vidi vicino a me, troppo vicino.
«Sei altruista tutto ad un tratto?» sorrise
Spostai lo sguardo e mi scansai di scatto, però lui mi afferrò di nuovo, per il polso stavolta. 
La sua pelle era calda, a quel contatto il mio braccio tremò. 
Mi ero distratta e di nuovo quella sensazione mi aveva attanagliato lo stomaco
«No tu stai ferma qua»
La sua pelle scottava.
Pregai con tutta me stessa che mollasse la presa, speravo con tutto il cuore che il tremore non si manifestasse così tanto da farsi notare.
Ma tutto questo stava già durando da troppo tempo
“Illuditi pure che possa essere diverso, sto aspettando…” era come cogliere il rumore del vento, per quanto dolce possa essere ti può mozzare il respiro senza nemmeno un avvertimento.
Il mio vuoto, la mia maschera.
No così non andava, lo avrebbe notato, avrebbe riso, mi avrebbe umiliata.
D’istinto con il braccio libero lo colpì alla spalla per farlo staccare da me, lui preso alla sprovvista indietreggiò e mi lasciò andare
«Mi dispiace non era mia intenzione» cercai di scusarmi mi avvicinai preoccupata per paura di avergli fatto troppo male, ma una parte di me era sollevata per aver mantenuto il segreto.
«E’ stata colpa mia non ti preoccupare» sorrideva «me la sono cercata dopotutto» continuò mettendosi una mano tra i capelli
«Mi avevi avvertito che ti piaceva la boxe in effetti, ma non che ti piace colpire in punti sleali» mi provocò tastandosi la spalla e muovendola in circolo per sgranchirla
«Mi dispiace non so come sia successo» ripetei imbarazzata guardandomi furtivamente il braccio tremante e portandolo dietro la schiena
«Hai freddo? » forse aveva notato la mia strana reazione.
«No, non molto» osservai la suo giacca in contrasto con il mio maglione.
«Sei sicura di star bene?» la sua espressione era un po’ perplessa
«Starei meglio se tu un ragazzo che non conosco la smettesse di parlarmi»  ripresi il controllo, basta chiacchere era il momento di andare via
«Questo ragazzo deve avere un motivo valido ti pare?» domandò indicandosi
«No non credo. Ha solo voglia di divertirsi, come tutti gli altri» mi morsi il labbro avevo pensato troppo ad alta voce «Insomma non hai nient’altro di meglio da fare che tormentarmi?» continuai incrociando le braccia al petto
«Dovresti metterti la giacca o vuoi prenderti qualcosa? Se vai avanti così penserò che tu voglia suicidarti» disse in tono apparentemente scherzoso ignorando la mia domanda.
Abbassi la testa. Non sapevo cosa rispondere. Era quella l’impressione che davo alla gente?
«Stavo scherzando, era una battuta» aggiunse non vedendo la mia reazione
Lo guardai inespressiva, una battuta, certo che altro.
«Lo so» notai di nuovo quello sguardo sul suo volto e mi fece infuriare «non guardarmi così per favore»
«Di nuovo quella frase, come ti guardo?» mi chiese spaesato
«Come se fossi una strana. Diversa e che non entra nel vostro spazio mentale» continuai non ebbi il coraggio di guardarlo in faccia e strinsi le spalle verso il basso e attesi.
Attesi che se ne andasse, sbirciai e lo vidi ancora vicino a me.
Perché non parlava, perché semplicemente non andava via! Adesso, ora, prima che fosse troppo tardi.
«Non è vero. Ti guardo e penso a cosa ti ha portato a ridurti così, chi ti ha fatto pensare ciò di te stessa, ti guardo e penso a come poterti aiutare» lo interruppi prima che la cosa potesse degenerare
«Oh dimenticavo c’è chi mi guarda e prova compassione, assomiglio forse ad un cane bastonato?» ribattei nervosa e arrabbiata, ma stavolta fu lui a fermarmi
«Voglio solo aiutarti»
«Allora non parlare più con me» gli intimai scuotendo la testa
«Fidati di me. Ho visto un’altra persona ridursi come te, e mi fa stare male ogni volta che rivedo il suo sguardo, il tuo stesso sguardo spento. Voglio che tu mi dimostri di essere forte. Non voglio mai più vederti in quello stato mai più, l’ho promesso a me stesso ed intendo mantenere la promessa che tu lo voglia o no» la sua voce mi pietrificò e mi porse la sua mano  
“Così debole, così insicura, così pieghevole e docile…vuoi davvero la sua mano” continuò quel dannato sussurro così sleale e inevitabilmente ironico.
Scossi la testa cercando di zittire la voce nella mia testa
«Frena la tua immaginazione perché io non voglio avere niente a che fare con te» lo fermai fredda cercando di non incrociare il suo sguardo, mi misi la giacca, aveva cominciato a tirare vento. O forse era sempre stato così freddo e soltanto adesso lo percepivo. 
Presi  velocemente  lo zaino e lui mi salutò
«Addio» alzai la mano destra sempre rivolta di spalle poi la riabbassai 
Camminai svelta a passi sempre più grandi, mi resi conto di avere il fiato corto, stavo correndo.
Apri il cancello nero di casa e diressi al piano di sopra senza levarmi la giacca.
Chiusi la porta della camera a chiave gettai con forza esagerata lo zaino e la giacca ingombrante a terra.
Non arrivai nemmeno a metà stanza. Caddi all’indietro sbattendo la schiena contro la porta e strisciando su di essa mi rannicchiai.
Non poteva succedere. Non doveva succedere. Non volevo che quel ragazzo si intromettesse nella mia vita monotona, ordinaria e controllata.
Io non avevi avuto niente da offrire, solo un enorme vuoto che colmava il nulla.
Non avevo nulla da offrire tranne il mio dolore, e lui vuole solo la compagnia dei suoi simili.
Perché quello era l’unica sensazione che distinguevo a parte il freddo.
Perché in fondo ero stanca di tutto questo scappare e avere paura ma allo stesso tempo non mi andava di parlarne, mi avrebbe resa debole e mi avrebbe fatto male. 
Mi accorsi che stavo tremando. Ma non era il freddo. No, era molto più deprimente del freddo. Un modo come un altro per buttare fuori il dolore e la rabbia. Tremare.
Rimasi lì per un bel po’ annebbiando ogni pensiero, ogni singolo volto o parola.
Dovevo cancellare più dettagli possibili così avrebbe fatto meno male.
Ma non ci riuscì ad occhi chiusi potevo rivedere i suoi occhi blu intenti a scrutarmi e ad accusarmi.
È vero avevo avuto una paura tremenda di quegli occhi perché credevo riuscissero a leggermi dentro. Il loro colore così intenso e profondo. Scossi la testa scacciando questi pensieri.
Dovevo trovare assolutamente  una soluzione per allontanare da me questa strana sensazione che non riusciva a farmi respirare correttamente.
Non riuscivo a capire perché tutto ad un tratto dopo mesi di silenzio e negazione mi ritrovavo a non capire cosa avesse causato questo improvviso bisogno di urlare e allo stesso tempo cercavo di soffocare una strana sensazione.
Nessuno aveva mai visto il mio vero volto, ed ora che qualcuno, che quel ragazzo l’aveva visto, mi sentivo sempre più triste e troppo vulnerabile.
Una parte di me era contenta perché qualcuno ora sapeva, ma l’orgoglio era stato di nuovo ferito e questo mi faceva sentire distrutta.
Ora che lui sapeva la mia maschera sarebbe stata imperfetta.
Odiavo rendermi fragile davanti alle persone perché apparivo già debole e stanca, ma d’altronde non ce la facevo proprio a sorridere o semplicemente a restare neutra, non avevo motivo di fingere che la mia vita fosse normale, fingevo solo che tutto questo mi andasse  bene.
Senti bussare
«Che c’è?» dissi svogliata restando a terra
«Scendi, la cena è pronta» urlò mia sorella da dietro la porta
Mi sciacquai il viso in bagno e scesi, non mi ero resa conto del tempo che era trascorso.
Mangiai svelta cercando di controllare la mano per non far notare niente, non che la mia famiglia ci badasse ma mi sentivo a disagio, non riuscivo a controllare il mio corpo figuriamoci la mia vita.
Ma a questo ci avevano già pensato loro, la mia famiglia perfetta almeno se non fosse stata per me.
Mi sentivo così insicura e sconfitta di fronte a loro, non valevo niente, ero solo un peso inutile che aumentava con il passare degli anni.
Mia madre mi parlava a stento perché in me vedeva solo l’ombra di una figlia, vedeva i miei sbagli, il mio essere sempre passiva in tutto, vedeva la mia diversità non essendo mia sorella, riusciva a controllarmi soltanto perché mi trasmetteva quella sensazione di impotenza, ingratitudine per lei, non era mai riuscita a vedere quanto ci stessi male, non voleva vedere i miei passati tentativi di riuscire in qualcosa perché mi paragonava inutilmente a lei e diventavo subito inferiore, un’inutile rimpiazzo.
Il rapporto con mio padre era del tutto superficiale mi considerava uno sbaglio, un penso in più per la famiglia, una causa persa, ogni volta che parlava con me era per un mio errore in cui riscontravo il mio essere troppo inadeguata, inutile, sbagliata.
Perché continuavo ancora a vivere in questo modo? Perché mi facevo trattare così? Ero un così totale fallimento da non riuscire nemmeno a ribellarmi.
Ero stanca di cercare di non deluderli quando loro mi avevano già etichettata come perdente.
Perché dovevo credere di essere migliore di quello che ero per loro se perfino io mi facevo pena da sola.
Sbarazzai e misi a posto la cucina, lavando i piatti e poi me ne andai in camera, accesi il computer e pensai di ricaricare l’Ipod ma mi resi conto che non l’avevo più preso in considerazione. Frugai tra le tasche della giacca e nello zaino ma non lo trovai.
Poi mi ricordai di averlo usato quando ero stata al parco ma poi non ricordavo dove lo avevo messo.
Sospirai, lo sapevo. Domani avrei dovuto chiederlo a quel ragazzo, oggi non era stata l’ultima conversazione.
Sorrisi amaramente. Con che faccia gli avrei parlato domani.
Con che coraggio sarei andata a cercarlo in mezzo a tutta quella gente, perché quel ragazzo era sempre circondato da gente per me falsa ed insopportabile.
Perchè Nathan era parte di loro.
Presi le cuffie ed il cellulare e mi sdraiai sul letto aspettando che quella sensazione opprimente si manifestasse
“Nessuno di loro ti ascolta, nessuno riesce a capirti…quando deciderai di affogare in questo dolore sarò lì per tenerti compagnia” l’eco sempre più infido nella mia testa.
Cercando di tenerlo a bada ascoltando Can you feel my heart - Bring Me the Horizon
 

Salivo una collina sovrastata da un cielo rosso rubino.
Una tomba con una lapide bianca con una scritta dorata incisa per aspera ad astra.
Una mano si appoggia alla mia spalla mi volto e lo vedo inginocchiarsi accanto a me
«Non sei costretta a rimanere qui sola» la voce di Nathan sembra così strana
«Lo sono sempre stata dopotutto» ribatto mentre la mia vista si offusca di lacrime
«Così mi piaci» continua ma la sua voce si fa acuta e la presa sulla mia spalla si intensifica
Mi volto e ora vedo solo un ragazzo senza volto di fianco a me che avvicina la sua mano fredda sul mio corpo e stringe la presa
Mi sveglio di colpo respirando avidamente e sentendo una strana sensazione addosso.
Resto nel letto cercando di contenere il mio corpo che vorrebbe urlare ed invece trema perché sa di essere indifeso contro la mia stessa mente.
 
 

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Capitolo 4
*** Faint ***


Haley

 
4 - Faint    

I am a little bit of loneliness (insecure,) a little bit of disregard (unconfident)…
(Time won't heal this damage anymore)…
Don't turn your back on me… But I'll be here 'cause you're all that I've got..

 
Sono un po' di solitudine (insicuro), un po' di irriverenza (diffidente )…
(Il tempo non guarirà questa ferita, non più …)
Non voltarmi le spalle … resterò qui perché sei tutto quello che ho

(Linkin Park - Faint)


Camminai velocemente e irrequieta per la strada, non avevo più chiuso occhio e non potevo soffocare le parole ne gli sguardi con la musica. Il mio cellullare si era scaricato e l’Ipod lo avevo perso ieri.
Il brusio confuso di tutte quelle persone mi faceva impazzire. 
Odiavo la gente che rideva per nulla. Odiavo tutte quelle persone che parlavano e parlavano senza interrompersi mai dicendo sempre le stesse medesime dannate cose.
Le risate fastidiose delle ragazze appena passava un ragazzo. Quanto le odiavo.
Persone capaci di squadrarti da capo a piedi e criticare, sentendosi superiori per qualcosa che io non riuscivo a capire.
«Ehi ciao!»
«Ehi si saluta, non vedo proprio cosa ci trovi di interessante in te» la voce stridula che avevo ignorato si avvicinò a me
Stava parlando con me?
Una ragazza alta, troppo magra, capelli neri lisci come seta che le ricadevano lungo la schiena, trucco molto accentuato.
«Come mai tutta sola?» domandò sorridendo innocente
Era decisamente una bella ragazza con la tipica personalità di chi sa benissimo di esserlo e del potere che le spetta.
Non capivo sinceramente perché mi stesse parlando, non ero forse la ragazza invisibile e senza vita?
Quando avevo perso il mio mantello dell’indivisibilità?
«Pensavo che forse volevi compagnia, o non so ad esempio dei consigli o qualunque altra cosa ti venga in mente poi chiedere a me, posso essere molto comprensiva e utile, non so se riesco a spiegarmi» disse sorridendomi maliziosa
«Hai pensato male, chiunque tu sia» mi sfuggi mordendomi il labbro inferiore.
Maledetto istinto che agiva sempre nei momenti sbagliati, avrei dovuto ignorarla. Era sempre stato questo il mio piano. Ignorare ed essere ignorata.
La ragazza mi guardò sorpresa e poi incrociò le braccia al petto, mi guardò sorridendo maligna e poi scoppiò a ridere, non ne capivo il motivo, non mi sembrava di aver detto una cosa così divertente.
Guardai distrattamente ai lati e alcune ragazze che le erano accanto stavano sorridendo forzatamente.
«Certo che sei veramente patetica»  mi puntò un dito contro quasi sfiorandomi il petto «sai benissimo chi sono e cosa voglio, quindi se io ti concedo l’onore di parlare con me tu devi essermi grata e mi devi portare rispetto»
Non potei fare a meno di guardarla perplessa
«Guarda che forse hai sbagliato persona» cercai di allontanandomi da lei
«Posso ridurre la tua stupida vita un inferno» sibilò a denti stretti avvicinandosi, sentivo i suoi occhi chiari come il ghiaccio su di me e la sensazione che mi diede non era affatto amichevole.
Calma pensai è solo una ragazza
«Certe persone non vanno toccate, non da te almeno» il suo naso e la sua bocca si arricciarono «Nathan Wayne è di mia proprietà se ti rivedo vicino a lui a infastidirlo giuro che ti farò passare molte diciamo così disavventure» mi minacciò molto tranquillamente
Ecco la sua finta gentilezza dove portava. La sua frase mi sorprese, così ero io che lo infastidivo? Non me ne ero proprio resa conto, che stupida ero stata pensando al modo più efficace per evitarlo, quando ero io che lo infastidivo. Ero già stanca di stare a sentire i suoi ragionamenti dovuti ai troppi ormoni.
Lei credeva ancora di stare parlando con me e non la smetteva con quella voce che mi faceva saltare i nervi, un bel pugno e per un po’ quel bel faccino avrebbe avuto qualcosa per cui lamentarsi veramente
Un pensiero che mi divertiva
Ok … dovevo calmarmi. Non era a quello che serviva la mia forza. Dovevo solo proteggermi non provocare.
Mi guardai attorno e vidi tutte le ragazze che aveva intorno ridere di me.
«Te lo ripeto. Hai davvero sbagliato persona» il mio tono risultò un po’ troppo sprezzante ma ero al limite della sopportazione, continuai diretta per la mia strada tenendo la testa bassa
Senti qualcuno tirare lo zaino mi girai la ragazza e mi fulminò con lo sguardo.
«Sei solo una stupida esclusa quindi vedi di comportarti come tale» la sua faccia si era deformata in un’espressione contorta
«Smettila di essere così ottusa e apri le bene orecchie, posso essere tanto alleata quanto vendicativa,  tu invece sei solo una sfigata, ti conviene conoscere le regole del gioco prima di iniziarlo, la posta in gioco è molto di più di quanto tu possa permetterti»
Ok. Non ce la facevo più, il mio autocontrollo era andato.
Che cavolo di ragionamenti stava facendo! Perché tutti i pazzi dovevo incontrarli io! E dire che io ero considerata strana, il mio mondo va tutto il contrario.
 Di solito ero calma, sapevo gestire bene queste cose, ci ero abituata.
Avevo sbagliato a dargli corda all’inizio lo ammetto, avrei dovuto ignorarla e l’avrei decisamente fatto se avessi avuto con me il mio maledetto Ipod.
Io stavo cercando di tornare alla mia invisibilità ma tutto andava storto e non sapevo gestire troppi contatti in così poco tempo. Non ero più abituata a questo da molto tempo.
«Che c’è la verità fa male?» mi sorrise pensando di essere spiritosa
Presi un respiro e decisi di chiuderla qui.
«Vai a farti fottere» dissi semplicemente
«Come hai detto scusa?» disse incredula lei
«La tua voce stridula che squilla nelle mie orecchie di prima mattina è fastidiosa, non so nemmeno come ti chiami quindi non ho voglia di perdere tempo. Se non ti dispiace vorrei che non ti disturbassi più a parlare con me perché di qualunque gioco tu stia parlando non mi interessa, non voglio entrarci in questa storia perché dire che sei estenuante è un complimento» strinsi la mano sinistra in un pugno e poi presi la sua mano destra e tirai via la sua mano appesa allo zaino come una paletta che scaccia una fastidiosissima mosca, ma con molta più forza.
«Stronza!»
«Addio» provai con tono dispiaciuto e ne andai il più velocemente possibile per cercare un po’ d’aria.
Infondo era solo una ragazza che si divertiva a sottomettere le persone, tutte quelle che lei riteneva inferiori, ma che in realtà forse avevano qualcosa di più della bellezza a cui puntare, ma tutto questo non aveva importanza perché questa ragazza provava una tremenda soddisfazione a distruggere le persone, non ero certo io la prima e non sarei stata nemmeno l’ultima.
Conoscevo fin troppo bene le persone come lei e non ci volevo avere nulla a che fare, avevo ignorato tutto questo per anni ed era mia intenzione continuare per questa strada.
Pensai che forse adesso che aveva rovinato la vita alla precedente vittima ero io la prossima nella sua lista delle persone da umiliare, dovevo solo cercare il modo per restare neutrale senza mettere in ballo nessuna emozione né debolezza, ma non ero tanto sicura di poterci riuscire e di sicuro quello che avevo detto non era di certo utile.
Mi guardai intorno, notai un ragazzo alto, con i capelli biondo cenere che rideva come un matto poco distante, forse doveva aver visto la scena, mi sembrava di averlo già visto ma non sapevo dove.
Andai via prima di poter incrociare qualcuno di indesiderato, Ipod glielo avrei chiesto dopo.
Entrai in classe e di nuovo un brusio insopportabile.
Le lezioni trascorsero lente e noiose, e mentre i miei compagni di classe facevano a gara a chi ne capiva meno di matematica, io cercavo di seguire la lezione per distrarmi ma senza successo.
Ripensandoci non mi ero mai esposta in quel modo, in effetti era da tanto tempo che nessuno mi parlava direttamente in quel modo, erano passati quattro anni dall’ultima volta.
In questi anni le voci erano sempre state dietro le spalle, era stato strano, difficile mantenere il controllo ma ci ero riuscita e mi ero abituata.
Non avevo mai risposto in quel modo, ma d’altronde se non avessi risposto le avrei dato un pugno, le avevo fatto anche un favore dal mio punto di vista.
Poi mi assalì un dubbio. Forse avevo fatto male a reagire così, avevo esagerato.
E se fosse stata la sua ragazza? Come ero finita in questa situazione? Tormentata da un ragazzo di nome Nathan e come se non bastasse la sua fidanzata psicopatica credeva che io stessi dando fastidio a lui.
Quando fino ad una settimana fa non sapevo nemmeno il suo nome e tutt’ora non sapevo nemmeno il nome di quella pazza.
Mi resi conto solo in quel momento di essere stata fino in quel momento in un universo parallelo.
Conoscevo i volti, ma non sapevo altro. Io ero come un fantasma.
In quel momento provai a ricordare i nomi dei miei compagni di classe, non che m’importasse granché visto la mia vita sociale inesistente, ma mi sentivo stupida.
Per la prima volta guardai intorno alla classe, chi parlava con il suo compagno di banco o con quelli di fianco, chi cercava di prendere appunti, chi faceva domande assurde per distrarre la professoressa dalla spiegazione io ero l’unica isolata.
Cercai di scacciare questi pensieri. Non potevo tutto ad un tratto pensare a queste cose.
Avevo scelto da sola, anche perché non avevo alternative, ma avevo scelto.
Non potevo svegliarmi proprio adesso!
Non poteva cambiare tutto per un ragazzo conosciuto durante una tempesta.
No, lui non c’entrava, perché doveva c’entrare in tutto questo?
Decisi di cambiare decisamente pensieri.
Ma alla fine mi ritrovai a ripercorrere il sogno di quella notte, di nuovo uno di quegli strani sogni solo che questa volta c’era anche Nathan nel sogno.
Un tempo amavo i sogni dell’essere umano perché so che essi rispecchiano l’animo umano così come i nostri desideri più nascosti e protetti dalla luce che potrebbe ridurli in cenere in pochi istanti perdendo forma.
Ma in essi ci sono anche tutte le nostre paure, le nostre insicurezze. I nostri demoni.
Il suono della campanella interruppe i miei pensieri senza senso e mi alzai e prendendo coraggio fermai una mia compagna di corso.
«Ehm..» non riuscivo a ricordarmi il suo nome «scusami per caso oggi ci sono gli allenamenti della squadra di basket?» chiesi incerta
«Si ma si allenano solo quelli del terzo e del quarto anno oggi, perché?» rispose curiosa
Perché la gente non poteva rispondere semplicemente a una domanda senza per forza farne un'altra a loro volta.
«No niente» che cavolo mi inventavo adesso «devo riprendere una cosa che ho lasciato lì ieri e non volevo intralciare gli allenamenti di qualcuno» balbettai sperando che non facesse altre domande.
«An ok» non so se il suo tono fosse più deluso o più poco convinto «dovresti andare verso le cinque allora» continuò comunque
«Ok grazie mille … Amy» provai a farle un sorriso ma si tramutò in una smorfia poco convincente
«Mi chiamo Alice» mi corresse improvvisamente scocciata e se mi girò le spalle la guardai allontanarsi raggiungendo le sue amiche.
Alice o Amy era più o meno la stessa cosa, non riuscivo a ricordare i nomi o i volti delle persone, avevo imparato a rendere la maggior parte delle persone anonime e indifferenti ai miei occhi.
Mi sedetti sulla panchina accanto al muro della parte nord della scuola, l’unico problema era che la panchina si trovava quasi di fronte allo spogliatoio della squadra di basket, quando sarebbero usciti li avrei visti e di sicuro avrei visto anche Nathan, ma come potevo andare in mezzo a tutti e pregarlo di ridarmi l’Ipod, sarebbe stato imbarazzante e di sicuro si sarebbe sparlato, quindi l’altra pazza di questa mattina non avrebbe più smesso di rompere. Presi un libro e cominciai a leggerlo. 
Ad un tratto guardai l’orologio mancavano ancora quindici minuti al termine degli allenamenti.
Non riuscì più a leggere una riga intera senza fermarmi a guardare l’ora così feci finta di leggere per tutto il restante tempo.
Sentì delle voci, delle risate,  puntai lo sguardo verso la porta dello spogliatoio e la vidi aprirsi, i primi tre ragazzi si incamminarono per il viale della scuola in direzione del cancello, tutti e tre avevano i borsoni a tracolla, distolsi lo sguardo appena notai che tra loro non c’era, feci finta di leggere fino a che né uscirono altri ma riconobbi solo il ragazzo che avevo incrociato andando a scuola quella mattina, quello con i capelli biondo cenere, lo vidi voltarsi verso di me.
Mi guardò con un’espressione curiosa e mi sorrise, abbassai la testa immediatamente imbarazzata.
Dopo alcuni secondi la rialzai e vidi che avevano proseguito per il cancello, osservai ancora il ragazzo di prima, perché mi sembrava così famigliare?
Prima di svoltare a destra vidi il biondino voltarsi indietro e guardare dalla mia parte e senza farsi vedere con l’indice indicò la porta della palestra poi fece l’occhiolino, seguì la sua indicazione con lo sguardo e poi mi rigirai verso di lui ma se ne era già andato via. Dove avevo visto quel biondino non riuscivo a ricordarlo.
Dopo quel gruppo di ragazzi ne usci un altro ancora e poi basta.
Restai ferma indecisa sul da farsi.
Potevo fare in tempo ad andare a casa tanto non era ancora uscito avrei rimandato tutto a domani. O forse non era nemmeno venuto a scuola.
Avevo aspettato quasi tre ore per nulla? Riposi il libro nello zaino tanto ormai non mi serviva più.
Ma il biondino di prima mi aveva indicato la palestra forse mi conosceva o sapeva chi stavo cercando. Ma come faceva a conoscermi? Forse Nathan si stava ancora allenando.
Senza accorgermene stavo già camminando nella direzione della palestra.
Quando appoggiai la mano sulla maniglia sussultai ritirando la mano.
Se si stesse cambiando? Se non fosse solo? E se ci fosse stata anche quella pazza e fosse uno scherzo? Ecco il perché del sorriso malizioso di prima da parte del ragazzo.
Scacciai i pensieri che si stavano facendo sempre più confusi e presi un bel respiro.
Bussai ma non rispose nessuno, quindi aprii piano la porta ed entrai nello spogliatoio lentamente chiedendo permesso.
Pensandoci bene avrei fatto meglio a passare dalla porta principale della palestra, a quel pensiero maledii me stessa.
Camminai timorosa e attraversai lo spogliatoio captando dei rumori che provenivano dall’altra parte della porta ed erano confusi.
L’occhio si spostò su una sacca blu appoggiata ancora sopra la panchina di legno bianca.
La giacca nera ancora appesa, la riconobbi e deglutì fortemente.
Presi un respiro profondo, dovevo farcela, aprì la porta che con mia solita fortuna cigolò. 
Mannaggia a me!
Senti la palla rimbalzare sempre più spesso fino a fermarsi.
Ok la mia entrata senza farsi notare era fallita. Adesso che dovevo fare lo vedevo fissarmi e la sua espressione neutra che mi analizzava. Non sapevo che fare.
Che cavolo starà pensando?
Calma sussurrai a me stessa.
Perché ero entrata dallo spogliatoio invece che dalla palestra, maledizione!
Ok cerchiamo di calmarci perché ora mi fissava così che avevo fatto di male?
Guardai in giro non c’era nessuno a parte lui. Mi decisi a parlare 
«Ecco io» che stavo facendo «Ciao» dissi impacciata lui prima mi guardò e poi scoppiò a ridere, e aveva dannatamente ragione facevo letteralmente morire dal ridere ma io ero in panico totale per dire un ciao ero rimasta imbambolata a fissarlo per tre minuti
Volevo scappare ma non mi sembrava sensato, non sapevo che fare.
Smise di ridere, ritornò serio e fece per venire verso di me
«Ciao» il suo tono nascondeva la sua voglia di rimettersi a ridere per un altro po’, ma non lo fece e lo ringraziai mentalmente.
Prese la palla e me la lanciò, ma in quel momento i miei riflessi era un po’ addormentati e riuscì a malapena a fermare la palla prima che mi colpisse in pieno volto.
Mi levai la palla dal volto e respirai profondamente per cercare di calmarmi, tutto questo mi metteva a disagio
«E così ti sei decisa a salutarmi, credevo di essere troppo stupido e superficiale per avere l’onore di poter ricevere un tuo saluto» mostrandomi un sorriso compiaciuto, aprendo le spalle con sicurezza
Gli rilanciai la palla forte e lui la prese e sorrise beffardo, ecco mi aveva fatto arrabbiare.
«Solo perché devo chiederti una cosa!» usai il tono più seccato possibile
«Ti ascolto» disse facendo rimbalzare il pallone tre volte e saltando, fece una schiacciata si dondolò due volte e atterrò.
Indossava dei pantaloncini bianchi con due strisce blu ai lati e una maglia dello stesso colore con la scritta the fireballs e il numero 23 impresso sopra.
«Per caso ieri hai preso il mio Ipod?» dissi cercando di essere meno scortese e agitata possibile.
«Questa mattina hai parlato con Elisabeth che ti ha detto?» ignorò completamente la mia domanda
«E chi sarebbe?» ero un attimo confusa mi ero preparata per un si od un no e basta non volevo una conversazione «la pazza che mi ha urlato nelle orecchie di prima mattina?» domandai perplessa
«Proprio quella pazza» rispose in tono pacato
«Niente di che» continuai svogliata «Aspetta tu c’eri? » chiesi confusa non mi sembrava di averlo visto, dovevo cominciare a rivedere il fatto di non badare alle persone, ultimamente mi si ritorceva contro
«Blake, il ragazzo che ti ho presentato al campetto quando stavi a casa mia, ha detto che hai fatto saltare i nervi ad Elisabeth ed ha urlato come un’isterica per mezz’ora, fortuna che oggi sono entrato alla seconda ora non credi?» mi sorrise avvicinandosi
«Non ho nulla da dire al riguardo solo non sapevo fosse la tua fidanzata» cercai di discolparmi alzando le spalle
«E da cosa lo hai dedotto?» mi chiese divertito
«Ha espressamente detto che sei di sua proprietà. Come se una persona potesse essere mai considerata una proprietà di qualcun altro, come se fosse un oggetto. Ma è la bellezza che conta no? Lasciamo perdere, tu hai ignorato la mia domanda» gli feci notare ricordandomi improvvisamente che non ero lì per un conversazione amichevole.
«Si è vero ma se rispondessi cosa cambierebbe» disse storcendo le labbra
«Ridammi quello che mi appartiene così me torno a casa» ero seccata
«Dai come per scontato il fatto che sia stato io ad avertelo preso, quando in realtà sei tu che lo hai dimenticato. Sei venuta qui ad accusarmi di avertelo preso io te lo dovrei restituire così senza che io ci possa guadagnare nulla?» sorrise avvicinandosi «Quindi hai aspettato tutto questo tempo solo per questo giusto?»
Si stava prendendo gioco di me? Adesso che accidenti gli passava per la testa? e dire che gli avevo fatto solo una semplicissima domanda.
Quel dannato sorriso poteva anche risparmiarselo per ogni altra persona sulla terra.
«Le persone in genere fanno così aspettano anche molto tempo per una cosa a cui tengono» alzai le spalle
«Errore» disse alzando il dito «le persone quando tengono ad una cosa non aspettano, se la prendono e basta, agiscono, lottano. Questo devi imparare» lo vidi guardarmi per studiare le mie mosse mentre io cercavo di capire che cosa gli stesse passando per la testa
«Ridammi cortesemente il mio Ipod se te lo hai trovato ieri» decisi alla fine di ignorarlo e strinsi i pugni per evitare di aggiungere un insulto alla mia richiesta
«L’ho ascoltato e alcune mi sono piaciute davvero» rise divertito vedendo che le sue parole mi avevano fatto innervosire, ma riuscì a non parlare.
Dovevo tenere un profilo basso.
«Ridammelo»
«Voglio qualcosa in cambio» disse avvicinandosi sembrava divertito dalla situazione
Indietreggiai finché la mia schiena non si scontrò con la porta dello spogliatoio
Dovevo restare calma e respirare, sarebbe andato tutto bene.
Il palmo della sua mano aperta si appoggiò alla porta ed io ero in trappola
“Più si avvicina più sarai indifesa, più lo sarai prima cadrai” senti quella voce insistente martellarmi in testa
Mi abbassai di scatto e lo sorpassai di lato sbattendo un pugno contro il muro.
«Non avvicinarti» dissi reprimendo qualcosa dentro di me
Restai con la testa china un po’ più del tempo necessario ma quella sensazione di freddo non se ne voleva andare
«Come vuoi, seguimi» disse in tono neutro dopo un po’ notai che mi stava fissando serio, apri la porta dello spogliatoio e vi entrò, lo segui poco dopo un attimo di esitazione.
Mentre percorrevo quel piccolo corridoio con le mattonelle bianche mi sentivo accusata dai suoi occhi blu.
Scossi di nuovo la testa e alzai la testa lo vidi appoggiare il pallone poco distante dalla borsa blu, la aprì e ne estrasse un asciugamano
«Visto che ti piace aspettare dieci minuti in più per te non faranno la differenza, poi ti darò l’Ipod» mi guardò di nuovo strano «A meno che tu non preferisca venirtelo a prendere ora come preferisci» mi sfidò e io avevo già fatto un passo indietro, codarda com’ero
«Immaginavo» fu tutto quello che disse prima di allontanarsi ed entrare nel reparto doccia aspettai un rumore qualsiasi e dopo venti secondi senti l’acqua della doccia scorrere, sospirai e mi sedetti sulla panchina di fronte.
Dovevo calmarmi e rimanere lucida, non potevo farmi prendere dal panico qui ora.
Chiusi gli occhi cercando di controllare il mio respiro e mi pizzicai la pelle del braccio per alleviare la tensione acculata. Ero un disastro.
Potevo sempre rovistare nel suo zaino pensai tra me e me ora che mi aveva appena confermato che ce l’aveva con se.
Mi alzai di scatto e pensai all’assurda situazione e a come si stava complicando. Mi avvicinai al suo zaino indecisa se frugare tra le sue cose od aspettare. Non mi piaceva sentirmi così confusa avendo ancora intorno a me quel ragazzo, cosi cominciai guardare nelle tasche dello zaino, infilai la mano nelle tasche della sua giacca ma non trovai nulla. Provai a girare la giacca per vedere se aveva della tasche interne ma appena lo feci un intenso profumo di vaniglia e legno di bosco si insinuò tra le mie narici inebriandomi di quel dolce profumo. Presi la giacca con entrambe le mani e inspirai quel profumo chiudendo gli occhi.
«Che stai facendo?» senti la voce di quel ragazzo dietro le spalle
Aprì di scatto gli occhi e mi resi conto di essere ancora con la sua giacca in mano e sentendomi a disagio feci un passo indietro inciampando nella palla da basket che era caduta a terra.
«Ecco io… » dissi cercando appoggio sulle mani a terra per cercare di alzarmi «sono inciampata» mi giustificai
Alzai lo sguardo e me lo ritrovai di fronte inginocchiato e la testa di lato con un’espressione a metà tra la sorpresa e il dubbio, mi accorsi della sua giacca sotto le mie mani ed sentii il mio viso sprofondare dalla vergogna
«Sei la peggiore ladra di tutti i tempi» le sue labbra si aprirono in un sorriso e mi tese una mano per aiutarmi a rialzarmi
«Mi dispiace per la giacca» cominciai ignorando la sua mano gli porsi la giacca e notai solo in quel momento che se ne stava tranquillamente davanti a me soltanto con un asciugamano in vita, le mie guance si infiammano, chiusi gli occhi e mi girai.
«Che diavolo fai? Vestiti immediatamente! » dissi andandomi a rifugiare vicino al muro più vicino dall’altra parte della stanza con la palla da basket in mano pensando di prenderla come ostaggio per fare uno scambio.
«Se rivuoi la tua palla indietro ti avverto che dovrai restituirmi l’Ipod» mi schiari la voce in modo da risultare un po’ più autorevole
«Non è mia ma come vuoi, avrò un altro motivo per come dici tu tormentarti, a meno che non vuoi farti tormentare dall’intera squadra di basket per aver rubato uno dei palloni della squadra»
«Sei sol..» ma non riuscì a finire perché mi girai verso di lui per dirgliene quattro ma se ne stava di spalle ancora mezzo nudo, anzi si stava allacciando i jeans.
Era perfetto, una carnagione abbronzata, le sue spalle erano larghe e forti ma ancora più perfetta era la fenice incisa sulla sua schiena più in basso delle scapole in corrispondenza del cuore con una scritta. Mi avvicinai a lui per vederla meglio.
Per aspera ad astra.
«Che c’è?» mi chiese divertito notando il mio nervosismo mi voltai immediatamente dandogli le spalle appena si girò verso di me. Il viso cominciò a bruciare.
«Niente» sottolineai la parola acidamente, mi inginocchiai per terra coprendomi la testa con il pallone da basket così almeno non rischiavo di fare altre figuracce.
«Ho finito possiamo andare» disse ad alta voce «Sei ancora qui con me?» io mi limitai guardarlo
«Qualcosa ti ha turbato?» chiese un po’ divertito
Il tatuaggio volevo dirgli, cosa significava per lui?
E perché io non riuscivo a non pensarci. Volevo rivederlo.
Scossi la testa accorgendomi solo ora di fissarlo incerta, lui si limitò a sorridere, si inginocchiò e avvicinò una mano al mio viso la scansai mettendo la palla davanti a me
«Stai lontano»
Ma lui si limitò ad abbassare la palla in modo da potermi vedere negli occhi e mi sorrise.
Lo guardai stranita, perché sorrideva così? Avevo forse una faccia buffa?
«Ora sono io che ti chiedo di non guardarmi così» si alzò in piedi e mi guardò
Mi ritrovai spossata da quella frase
«Che vuoi dire?» chiesi confusa
«Semplice mi guardi come se non ti fossi mai avvicinata così tanto ad un ragazzo quindi non mi guardare come un bambino guarderebbe un dolce» rise divertito
Il mio viso che era in fiamme si preparò ad esplodere
«Cosa? Io non ti guardo in nessun modo» dissi scettica cercando di respirare «Sei tu che non fai altro che sorridere, sei troppo sicuro di te, mi dai sui nervi» il mio tono di voce uscì più nervoso del solito e cominciai ad andare verso l’uscita.
«Parla la ragazza senza sorriso» mi provocò mentre si riappropriava della sua giacca
«Io sorrido, solo se ne ho voglia e se vale la pena, ma sorrido» protestai offesa bloccandomi sul posto
«Allora visto che i tuoi sorrisi sono tanto speciali, sorrideresti per me?» i suoi occhi avevano catturato i miei e non mi resi conto che si era avvicinato talmente tanto che la sua mano mi  stava sfiorando la guancia, rabbrividì, non per il gesto ma per il potere che i suoi occhi avevano su di me
Quando si era preso il mio spazio? Quando si era avvicinato così tanto?
Chiusi gli occhi cercando di controllare il respiro
«Smettila di giocare con me potresti pentirtene» risposi arrabbiata proteggendomi dalla sua mano con il pallone
«Ma come siamo suscettibili, non mi sembra di aver detto niente di così assurdo, hai detto tu stessa che sai sorridere, ora dimostramelo» disse riabbassando il pallone per potermi vedere in faccia
«E guardami negli occhi quando cerchi di fare il tuo gioco con me»
Mi morsi il labbro e aprì gli occhi cercando una soluzione, con lui non funzionava nulla.
I suoi maledetti occhi, solo perché aveva visto il mio lato debole, sapeva che ero solo fumo.
Lo guardai cercando di trovare qualcosa per cui poterlo odiare
Aveva ancora i capelli bagnati e spettinati dovevo ammetterlo era carino, era strano, cioè forse era un po’ più che carino ma preferivo non pensarci.
Non sapevo cosa inventare, erano mesi che non riuscivo a sorridere, forse avevo dimenticato come si faceva, ma avevo paura di ricordarlo.
«Non voglio certo sprecarli per uno come te e poi dicono che sono io quella strana, tu vai in giro con i capelli bagnati e siamo quasi a dicembre!» cambiai argomento
«Che c’è prima mi ignori poi ti preoccupi per uno come me?» mi fece notare sorridendo
«Scusa tanto, continuerei ad ignorati anche adesso se tu mi ridessi quel maledetto Ipod» ero esasperata  
«Con queste prospettive te lo puoi anche scordare» il suo tono mi fece arrabbiare ancora di più
«Presuntuoso ed egocentrico non voglio avere niente a che fare con te! » urlai e lui mi sorrise gentilmente disarmandomi
Non poteva rispondermi ad ogni provocazione con uno stupido sorriso divertito, mi metteva ancora più in ridicolo
«Forse un po’ hai ragione ma lo sono almeno quanto tu sei schiva» il suo sguardo era provocatorio, abbassai immediatamente la testa
«Almeno io non gioco con le persone, fino a una settimana fa nemmeno mi consideravi, torna a fare lo stesso, faresti un favore a tutti» dissi a voce bassa cercando di farlo ragionare
«Non sono come credi, concedimi un po’ di tempo» ma non lo lasciai finire
«Tu credi di sapere tutto di me vero, credi di conoscermi solo per quella maledetta sera» si permetteva il lusso di parlarmi così solo per quel motivo lo sapevo e questo mi faceva male. Strinsi i pugni e continuai «Io sono esattamente come mi vedi una nullità. E quindi impara ad ignorarmi come il resto del mondo e vai dalla tua ragazza così io posso starmene in pace» mi morsi il labbro inferiore
Ecco ora mi rendevo ridicola da sola perfetto.
«E perdermi il divertimento di vederti oscillare tra il tuo tentare di essere cinica e fredda e il tuo essere maldestra e goffa. Nemmeno per idea» disse scherzoso spiazzandomi di nuovo
Cacciai indietro le lacrime e la rabbia che volevano uscire e lo ignorai
Volevo solo riavere quel maledetto Ipod e tornare a casa e starmene da sola.
Aprì la porta dello spogliatoio con eccessiva enfasi presa dall’ irritazione ed essa si schiantò contro il muro provocando un forte rumore che attirò l’attenzione di alcune persone nel cortile che si erano fermate e ora guardavano me e Nathan
«Miss discrezione ti dovrebbero chiamare» commentò Nathan scoppiando a ridere
Ancora più frustrata andai verso la panchina, avevo dimenticato lo zaino, per fortuna era ancora appoggiato li.
«Certo che dimentichi tutto dovunque, dove hai la testa? » mi sorrise avvicinandosi a me
«Mi era sfuggito di mente» mi giustificai e lui scoppiò a ridere per poi farmi cenno di raggiungerlo per andare a casa
Uscimmo dal cancello e girammo a destra, sembrava aver chiuso l’argomento, ma sebbene non avessi voglia di parlargli di nuovo dovevo ottenere quel maledetto Ipod, era l’unica cosa che mi impediva di impazzire, l’unica cosa.
«Come facevi a sapere che…si insomma…che ti aspettavo…cioè che ero qui?» perché diavolo dovevo risultare sempre così impacciata  
«Blake mi ha mandato un sms dicendomi che eri sulla panchina e che ti aveva fatto segno di venire dentro. Ha detto che avevi una faccia strana, perché?» mi guardò curioso
E la mia mente collegò il volto del ragazzo biondo all’uscita della palestra con quello di questa mattina e con quello del pomeriggio ero andata al campetto con Nathan, quindi Blake era il suo compagno di squadra e a quanto pare anche il suo migliore amico.
«Allora?» mi incitò
«Ehm… il biondino? Non riuscivo a ricordare dove lo avessi già visto ma ora mi è chiaro» spiegai vaga
«Biondino?» disse lui alzando le sopracciglia io alzai le spalle in risposta 
Ad un incrocio mi fermai mentre Nathan proseguì poco perché si accorse che non gli ero dietro.
«Se non sbaglio casa tua non è da questa parte non dovresti girare adesso? » dissi sospettosa
«Se non sbaglio casa tua è proprio da questa parte invece» ribatte
«Che vuoi da me? » dissi seria
«Ti ho già detto cosa voglio» si girò verso di me in tono altrettanto serio
«E chi ti ha detto che io lo voglia» dissi irritata ed impaurita non so quale sensazione doveva prevalere ero in bilico di nuovo.
«Lo vedo nei tuoi occhi» disse avvicinandosi e io guardai l’asfalto sgranando gli occhi.
Rabbrividii e misi le mani in tasca, avevo freddo era strano.
Mi sfiorò leggermente la guancia destra che avvampò le sue mani erano stranamente fredde. Mi pietrificai all’istante.
Perché tutti avevano paura dei miei occhi e lui ci vedeva qualcos’altro oltre all’inespressivo?
«Elisabeth non sta con me» mi sussurrò all’orecchio
Con le sue dita ghiacciate mi prese il mento alzandolo.
Non volevo incontrare i suoi occhi. Le sue dita erano delicate. Era strano
«Allontanati subito da me» cercai di avvertirlo ma era più un sussurro
Cercai di scansarlo facendo pressione con le mani ma non servì a niente, non riuscivo a trovare la forza, nemmeno un briciolo di volontà.
Continuò ad accarezzarmi solo con il pollice leggero e gelato mentre cercavo in ogni modo di non guardarlo negli occhi poi spostò la sua mano dietro il mio collo e mi avvicinò a sé, rabbrividii di nuovo.
«Sei la ragazza più schiva e fredda che io conosca» il suo tono era divertito sentivo il cuore esplodere frenetico nel petto, si abbassò e mi sussurrò piano all’orecchio destro «Ma sei così buffa mentre cerchi di restarmi indifferente. Puoi tentare di allontanarmi usando tutti i trucchi che finora hanno funzionato con tutti per farti restare invisibile, ma ora che io ti ho trovato non ti lascerò scappare» le sue labbra mi sfiorarono la pelle
Sussultai e imprecai contro me stessa per essere di nuovo così debole
Rialzai lentamente la testa e vidi che lui stava sorridendo lieve alzai le mani a mezz’aria ma cominciarono a tremare. 
«Sei insopportabile» la mia voce era instabile, si avvicinò ancora 
«E tu sorprendente»  mentre io cercavo di allontanarlo ma le mie mani inaffidabili tremarono di nuovo, così le richiusi in pugni lungo il corpo inerme.
Prese la mia mano destra nonostante il tremore la stesse scuotendo.
Lacrime sfuggirono indisturbate, era andato troppo oltre.
Non aveva paura di me.
Come ci si protegge da ciò che ti entra nelle ossa e non ti lascia respirare?
Mi sentivo strana cercavo di non perdere la concentrazione su mio respiro così irregolare.
Mi sentivo umiliata mentre senza un minimo ripensamento lui stringeva la mia mano, la aprì e appoggiò sul mio palmo il mio Ipod per poi richiedermi la mano.  
«Ascoltalo prima di dormire te ne ho aggiunte di nuove» e finalmente mi lasciò respirare
Raccolse il pallone che mi era caduto dalle mani non ricordo quando.
«Questo non ti servirà comunque, ci vediamo domani scheggia» disse salutandomi
Non gli risposi mi sentivo esposta, la mia pelle sembrava fosse stata bruciata dal suo tocco e mi avesse lasciato solo in carne viva, faceva male.
Mi incamminai lentamente verso casa.
Feci una doccia calda ma non servì a niente tremavo in continuazione. Mi misi sotto le coperte e guardai l’orologio erano solo le otto di sera.
Presi l’Ipod dalla tasca del giacca e lo accesi.
Continuavo a tremare, il freddo era ovunque. Perché mi sentivo così umiliata e debole?
Lessi alcuni titoli delle canzoni nuove, la maggior parte erano canzoni degli anni 80, pensai avesse dei gusti un po’ strani questo ragazzo, alla fine scelsi Running with giants - TFK.
Non riuscivo più a trovare il mio equilibrio, non riuscivo a fare a meno di sperare che Nathan non mi voltasse le spalle, perché sapeva troppe cose e non volevo che questa cosa si ripetesse eppure più mi ostinavo a evitarlo ed allontanarmi e più mi sfuggivano cose che non avrei mai dovuto dire.
Non sapevo come reagire, ero sempre stata abituata ad agire come volevano gli altri, solo per poter dare loro la soddisfazione di tenermi in pugno, solo per poter sentire dentro di me la solita tristezza, il solito dolore che mi teneva compagnia e mi faceva sentire forte.
Perché più accumulavo dolore più la soglia di sopportazione aumentava, più mi sentivo sola più il vuoto attenuava il senso di solitudine facendomi sprofondare nella falsità di un sogno effimero come l’illusione di poter sopravvivere senza bisogno d’aiuto, d’amicizia, né di amore.
Non sapevo come fare ad uscire da questo incubo, da questa vita fatta solo di bugie e apatia.
Perché sebbene non riesca ad ammetterlo, i muri stanno cedendo, le ferite si stanno infettando ed io sono più debole che mai.


 
 
 

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Capitolo 5
*** Don't Stay ***


Haley

 
5 - Don’t Stay

Sometimes I need to remember just to breathe 
Sometimes I need you to stay away from me ..
…Just give me myself back …
A volte io ho bisogno di ricordare solo per respirare 
A volte io ho bisogno di tenerti lontano da me .. 
…Dammi solo me stesso indietro …
(Linkin Park - Don't Stay)


Sono al centro di una stanza, le pareti stanno cedendo ma sebbene mi colpiscano, non posso far altro che barcollare e cadere.
Sono rannicchiata sullo stesso pavimento, le mie mani mi coprono la testa.
Solo macerie intorno a me e più in là un pozzo di pietra molto vecchio dal quale provengono urla strazianti di dolore.
Mi avvicino e per un piccolo instante sento qualcuno piangere, sento freddo.
Non riesco a vedere il fondo, qualcosa tocca la mia spalla e poi mi spinge con forza giù nel pozzo, mi aggrappo alla prima sporgenza.
Un ragazzo mi sorride, un ragazzo senza volto mi sorride.
Sento delle risate, molte persone mi stanno guardando nel pozzo, mi guardano cadere.
Una mano scivola, l’altra sta per cedere. Tutte queste persone senza volto mi guardano e ridono mentre qualcosa afferra la mia gamba e mi trascina giù facendomi sbattere contro le rocce appuntite, vedo sangue dappertutto ma quello che non riesco a capire perché non faccia male.
Nello stesso momento in cui uno strattone ferma la mia caduta sento l’aria diventare rarefatta.
Guardo sopra cosa ha fermato la caduta e vedo il ragazzo senza volto che stringe la mia mano destra, il mio corpo è scosso da brividi.
Qualcosa nel fondo mi sta chiamando 
«Devi cadere»
«Ti aiuto a risalire» mi dice la voce comprensiva e seducente «Non puoi farcela da sola» continua trascinandomi su con forza, la sua stretta si fa più forte e soffocante.
«Aspetta mi fai male» sussurro quasi esausta mentre ricomincio a sentire quelle risate che martellano nella testa.
«Non preoccuparti»  mi dice mentre sento tutto il dolore attenuarsi «Presto il dolore ti aiuterà»  sussurra mentre mi aiuta ad aggrapparmi alle pietre, alzo lo sguardo per incrociare i suoi occhi, ma al loro posto ci sono due chiazze liquide nere e vuote, mi sorride amichevolmente.
«Non pensi a me?» dice una voce confusa, soffocata.
Lascio la sua mano e inevitabilmente cado, il ragazzo senza volto mi afferra di nuovo con una forza quasi possessiva, sento una fitta al torace, la mano stretta alla mia caviglia mi trascina di nuovo giù.
«Non vuoi che ti aiuti?» il ragazzo con gli occhi vuoti mi incita ad accettare il suo aiuto
«Non aver paura» iniste la voce confusa, guardo giù verso il fondo, non si vede niente, intravedo solo una figura che mi stringe la caviglia, stringo la mano del ragazzo per paura di cadere, di ritrovarmi di nuovo sola, voglio sentire ancora il dolore perché è l’unica cosa che mi fa compagnia.
«Non pensi mai a me?» ripete la voce troppo famigliare, orami un leggero sussurro ovattato
«Ogni giorno…» sussurro mentre le lacrime scendono copiose senza smettere di tenere stretta quella mano che mi riporta verso la superficie.
«Lasciami rimanere con te»  la voce femminile mi prega ma la ignoro.
Mi ritrovo di nuovo in quella stanza, le mura sono intatte, eppure di fronte a me, posso vedere una crepa nel muro abbastanza profonda.
«Non posso evitare che queste cicatrici si vedano» dico all’improvviso svegliandomi subito dopo.

 
Feci colazione velocemente, mi preparai mettendo dei jeans blu e una maglia nera, legai i capelli nella solita coda bassa al lato sinistro lasciando che la frangia copra leggermente l’occhio destro.
Pronunciando un ciao disattento chiudo la porta di casa. È inutile che ci provi in questa casa non mi sente nessuno. Io sono nessuno.
Il cielo era grigio e molto nuvoloso mentre camminavo lenta, per fortuna oggi potevo ascoltare la mia musica. Mi immersi in essa.
Prima di entrare in classe mi tolsi le cuffie e mi sedetti in un posto libero in penultima fila.
Ascoltai distratta i discorsi intorno a me, ma erano tutti monotoni e superflui.
L’ultima ora prima della pausa pranzo venni chiamata di fronte all’aula per svolgere un esercizio
«Sfigata» sentì sussurrare da Shade nel tentativo di fami lo sgambetto.
La professoressa mi guardò agitando la penna e aspettando che io aprissi bocca, rassegnata incominciai a parlare distrattamente mentre completavo l’esercizio alla lavagna.
Ma nemmeno dopo dieci minuti, in cui stavo recitavo il mio monologo all’angolo del soffitto, la campanella mi interrompe, la professoressa segna una v, sorride e mi lascia andare fuori.
Al termine delle lezioni molta gente correva nell’autobus o nella propria auto per non bagnarsi, altri invece camminano tranquilli riparati dall’ombrello. 
Io rallentavo il passo sempre di più per respirare l’aria umida della pioggia cercando di  svuotare completamente la mente, ma non ci riuscivo, c’era qualcosa che mi metteva in agitazione. Non avevo idea da dove venisse quella sensazione.
Ad un tratto una presa afferrò il mio braccio, mi girai di scatto sferrando un pugno allo sconosciuto, ma il mio pugno restò fermo a mezz’aria bloccato da un palmo che mi avvolse a sua volta in pugno e mi ritrovai davanti Nathan Wayne con il solito sorriso raggiante.
«Non mi prendi alla sprovvista due volte» sorrise provocatorio
Sospirai pesantemente irritata e mi voltai liberandomi da quel contatto scomodo iniziando a camminare veloce.
Perché non mi lasciava stare? Lo sentivo ancora dietro di me e mi innervosiva.
Mi levai una cuffia voltandomi indietro, lo vidi sorridermi di nuovo.
«Non ci parlo con te e mi dai fastidio se mi segui» cercai di essere più fredda possibile
«Non ti stanchi mai di essere così con tutti?» mi chiese allegro ignorando il mio commento
Non avevo né la forza né la voglia di parlare oltre.
Mi limitai ad andare avanti e cambiare direzione, senza tornare a casa.
Mi fermai di nuovo vicino al solito muretto e mi sedetti aspettando che lui parlasse, che facesse qualsiasi cosa pur di interrompere questo silenzio snervante, ma si limitò a sedersi e a prendere una cuffia del mio Ipod. Io non obbiettai, tanto era inutile.
Mi sentivo nervosa forse perché stavo ascoltando le canzone che mi aveva passato lui degli Oasis.
Sospirai e sperai che la pioggia si intensificasse, ma la fortuna era contro di me come sempre, dopo pochi minuti smise e lui non aveva ancora detto niente.
Gli rivolsi per la prima volta uno sguardo, fissava dritto davanti a se pensieroso.
Mi accorsi troppo tardi che lo stavo fissando da troppo tempo, lui si girò incrociando i miei occhi
«Ti sei forse incantata? O stai pensando a dove colpirmi per poter scappare?» disse nascondendo una risata
«No, non mi aspettavo ti piacesse questa musica» dissi prima di spostare lo sguardo senza pensarci troppo «ti facevo più un tipo da musica spazzatura» lo presi in giro acidamente
«Devo dedurre che ti siano piaciute e che questo sia un complimento» sorrise soddisfatto
Alzai le spalle con noncuranza non volevo dargli nessuna soddisfazione
«Mi chiedo perché continui a, non so nemmeno quello che stai facendo» dissi dopo un’interminabile silenzio, stanca di cercare una ragione, poi lo guardai e lui fece lo stesso.
«Non credi a una parola di quello che ti ho detto»  ma più che una domanda era una affermazione oppure una sua conclusione ma io gli risposi lo stesso
«No, quindi se potessi smetterla di insistere, non voglio avere niente a che fare con te» ero decisa
Le sue labbra si contorsero in una smorfia
«Sto provando a conoscerti»
«Mi dispiace per te, non sono molto interessante sia dal punto di vista fisico che intellettuale, diciamo che stai sprecando il tuo tempo con una come me» aggiunsi pensando alle parole di Elisabeth
«Io non credo» disse distogliendo lo sguardo da me «Tu sei molto interessante, soprattutto se sai come distinguere le tue reazioni, e i tuoi comportamenti» sorrise e cercò una mia conferma
«Sbagli»
«Non credo, altrimenti come mi spieghi il tuo allontanamento dal mondo sociale, non è forse una tua forma di autodifesa contro ogni persona che cerca di parlare con te»
«No! Smettila di dire cavolate» dissi improvvisamente arrabbiata
«lo hai appena provato in questo istante»
«Tu non sai niente di me» dissi arrabbiata
«Credo di riuscire a capirti meglio di quanto pensi invece e questo ti spaventa» mi costrinse a guardarlo negli occhi «Per questo hai paura di me, temi che la gente sappia troppe cose di te, hai paura che conoscendoti la gente ti possa ferire e voltare le spalle o forse hai paura che ciò che pensa la gente di te sia vero?» 
«Sta zitto o me ne vado» lo interruppi stava andando troppo oltre, non volevo più ascoltarlo 
«Non riesci ancora a capire vero? Vedi tu sei così scontrosa con me perché sai che sto dicendo la verità, non riesci ad essere sincera nemmeno con te stessa. Riesci a parlare con me solo se sei arrabbiata, non riesci a essere te stessa perché hai paura di mostrarti, anzi di essere troppo fragile»
«E allora se sai già tutto di me perché non mi dici che fare anzi perché non lo dici davanti a tutti, perché…perché cavolo non mi lasci stare!» dissi urlando e mi alzai cercando una via di fuga, un punto in cui poter respirare, un appiglio per poter reggermi in piedi perché mi mancavano improvvisamente le forze, mi sentivo indebolita dalle sue parole.
«Perché non né ho motivo» disse calmo e si alzò venendo vicino a me
Non capivo perché non riuscissi a utilizzare la rabbia in mia difesa
«Perché io voglio aiutarti» aggiunse avvicinandosi troppo
«Stammi lontano dannazione!» gridai ma lui non mi ascoltò allargò le sue braccia e mi abbracciò
«No, non mi toccare» dissi spostandolo con forza
«Tranquilla» disse lui trattenendomi con più forza sussurrando al mio orecchio
Io cercavo di staccarlo da me con tutta la forza che avevo  ma ero terrorizzata. Stava succedendo di nuovo.
Di nuovo questo calore, questo tepore che riusciva a tranquillizzarmi, rilassare, indugiare.
Dovevo cercare di stare calma, di non pensare, chiusi involontariamente gli occhi e rimasi immobile il più possibile cercando di reprimere ogni cosa dentro di me, ogni accenno di lacrime che sentivo premere per emergere in superficie ed ogni  singolo frammento di rabbia e frustrazione.
La sua presa restava salda e io avevo gli occhi chiusi ed i pugni stretti lungo il corpo.
Respirai a fondo inspirando anche nei polmoni il suo dolce profumo, non dovevo essere fragile davanti a lui, non potevo permettermelo, anche se era già troppo tardi.
«Non avresti dovuto farlo» la mia voce era affaticata e soffocata dalla stoffa della sua giacca 
«Io voglio esserti amico» il suo tono era troppo sincero
Scossi la testa per evitare che i ricordi riaffiorassero, non potevo permettermelo
«Gli amici servono solo a gente debole, lasciami ora» dissi decisa riacquistando il controllo del mio respiro
«Se ti lasciassi andare tu scapperesti»
«Stai cercando il modo più appropriato per distruggermi, il modo perfetto demolire quel pezzo di orgoglio che mi rimane? Basta con questa commedia, mi stai facendo male» dissi cercando di allontanare da me quel senso di repulsione per me stessa perché volevo ferirlo per allontanarlo, non volevo perdere, non riuscivo ad accettare il senso di gratitudine che provavo per lui ma allo stesso tempo non riuscivo a negarlo.
«Perché non ti fidi di me?» sussurrò ma non lo lasciai proseguire 
«Smettila  sei un bravo attore ma lasciami in pace. Lo so che forse ti devo un favore per quella sera ma non pensi che questa situazione stia andando sul ridicolo?
Non ti ho mai chiesto di aiutarmi! Io non ti voglio tra i piedi! Ti sei mai chiesto perché ero li e se magari volevo starci, volevo scomparire in quel maledetto temporale. Hai rovinato tutto»
Lui lasciò immediatamente la presa salda che non mi permetteva di muovermi e barcollai, cercai di riprendere il controllo del mio corpo
«Non puoi invadere lo spazio degli altri senza permesso, non sei superiore a nessuno. Non puoi torturare gli altri per sentirti importante. Io non ho bisogno di te! Sei solo uno stupido ragazzino che si diverte con gli amici la sera che ne vuoi sapere tu! Tu e la tua vita perfetta, la famiglia con il tuo basket e i tuoi amici, vai da loro. Sei solo un ragazzo che pensa di essere al centro dell’universo, che può ottenere qualsiasi cosa voglia.  Sei solo uno stupido ipocrita che crede di poter fare tutto solo perché è a capo di un branco di iene e smettila di fare il buon samaritano se non sai niente di me. Io sono il problema e io gestisco la mia vita» urlai esasperata
Cercai di non pensare, di non badare a quel senso di repulsione che sentivo emergere sempre più chiaramente.
Perché cavolo stavo alzando il volto nella sua direzione non dovevo!
Vidi il suoi occhi guardare davanti a se aveva un’espressione di sconfitta sul volto, ebbi una fitta al cuore.
Cercai di parlare ma dalla mia bocca non uscì nessun suono.
Mi allontanai da lui il più possibile. 
«Mi dispiace, che tu possa pensare tutto questo di me» sussurrò senza guardarmi, non mi fermò nemmeno, mi voltai indietro e lo vidi ancora immobile con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo basso, prima di girare e andarmene o meglio scappare prima di domandagli scusa.
Mi sentivo inspiegabilmente contenta perché mi ero liberata di lui una volta per tutte.
Eppure quando quella sera quando mi guardai allo specchio la mia immagine mi dava un senso di nausea, non tanto per l’aspetto la mia solita faccia smorta e vuota incapace di provare qualcosa di positivo. Mi sentivo come loro ipocrita, egoista e spietata.
E anche se mi ripetevo di non aver detto molte cose che lo avessero potuto ferire veramente mi sentivo come Elisabeth soddisfatta e serena e questo mi disgustava.
Avevo sempre voluto essere indifferente e distaccata dal mondo e dalle persone, ma non avevo mai ferito volontariamente una persona e ora tutto quello che avevo detto mi rendeva simile, anzi, maledettamente uguale a tutte le persone che detestavo.
Ero uguale a loro. Ero fatta dello stesso stampo.
I miei occhi diventarono improvvisamente lucidi.
Mi sentivo dannatamente vuota, non riuscivo a percepire nessun senso di colpa, nessun rimpianto e questo mi faceva sentire una stupida.
Non riuscivo a piangere eppure i miei occhi erano sempre lucidi, senza motivo.
Riuscivo ancora a guardarmi allo specchio nonostante tutto.
Nonostante tutto il disprezzo che provassi per me stessa non trovavi la forza di abbassare lo sguardo da quello specchio.

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Capitolo 6
*** One Step Closer ***


Haley
 
6 - One step closer

I need a little room to breathe
Cause I'm one step closer to the edge ...
Wish I could find a way to disappear ...

 
Ho bisogno di una piccola stanza per respirare
Perché sono un passo più vicino al limite 
Desidererei poter trovare un modo per scomparire

(Linkin Park - One Step Closer)

 


Una stanza buia.
Le luci vengono accese all’improvviso, accecandomi per alcuni secondi, tutto quello che ho davanti sono solo inutili specchi che riflettono la mia immagine.
Chiudo gli occhi e avverto una scarica elettrica percorrere il mio corpo.
Una risata echeggia nella stanza. Mi volto di scatto ed ogni singola figura si volta contemporaneamente.
Il mio corpo si muove nella direzione opposta verso uno specchio.
L’immagine riflessa è quella di un ragazzo con i capelli scuri, faccio per tornare indietro ma il mio corpo si avvicina, sfiorandone la superficie.
La mano dello specchio si oppone alla mia. Il suo sguardo si sposta sulla mia mano che sta tremando, ma non riesco a vederlo bene
«Confondi ancora la realtà» commenta sorridendo divertito
L’immagine del ragazzo ora non è più sfocata ma vedo le pozze nere liquide dei suoi occhi che lo contraddistinguono
Distruggo lo specchio con un pugno arrabbiata. 
Un sorriso nervoso è dipinto sul mio volto che si riflette migliaia di volte in quei pezzi di vetro rotti, macchiati di sangue. 
Una risata fredda e sadica proviene da quei frammenti che si dissolvono improvvisamente diventando fumo grigio e nero che mi impediscono di respirare, ed ogni cosa è inghiottita dall’oscurità.

Mi svegliai all’improvviso  scaraventando le coperte lontane, mi rannicchiai su me stessa per attutire il forte dolore al torace.
Dopo essermi ricordata che era solo un altro incubo, mi preparai per andare a scuola.
Percorsi sempre la stessa strada della stessa medesima vita con una calma quasi surreale per me, non distinsi i volti delle persone che parlavano tra loro ma alzai automaticamente il volume della musica nelle orecchie ascoltando Teardrops dei BMTH
Camminai a testa bassa sperando che nessuno mi vedesse.
Le lezioni si svolsero normalmente, le solite voci snervanti, i soliti commenti.
Nessun Nathan Wayne si fece vedere. Nessun motivo per essere così perennemente ossessionata dal suo volto che compariva  improvvisamente ogni qual volta intravedevo dei ragazzi. 
Mi sentivo sollevata ma allo stesso tempo inspiegabilmente delusa.
Nonostante questo, passai l’intero pomeriggio a leggere e studiare cercando di dimenticare il sogno fatto che continuava a perseguitarmi.
L’indomani cominciai inevitabilmente a cercare Nathan con lo sguardo in mezzo alla gente ma non lo vidi.
Il terzo giorno scesi nel cortile grande e ne feci un ampio giro ma di Nathan nessuna traccia, provai a cercare  anche il suo amico ma senza risultato.
Ogni notte sempre gli stessi incubi, sempre lo stesso dolore che mi attanagliava il petto e non mi faceva dormire.
Non riuscì a fare a meno di cercarlo nemmeno la settimana dopo cominciando a preoccuparmi veramente.
Non riuscivo a darmi pace ed inoltre non riuscivo a capire perché Elisabeth non dicesse niente di tutte queste assenze faceva finta di niente, ma anche se la tentazione era forte non le avrei mai chiesto se ne sapeva qualcosa.
Quando mi incontrava mi rivolgeva un sorriso di puro odio, poi si limitava a manifestare dei pareri non molto positivi sul mio aspetto ad alta voce in modo tale che li sentissi.
Anche se alcuni facevano male cercavo di non darle troppa corda, dovevo solo trovarlo, volevo sapere come stava, sapere il perché non veniva più a scuola; non mi interessava nient’altro adesso.
Era solo colpa mia, mi sentivo strana.
Ma non sapevo che altro fare, ed intanto la mia coscienza stava cominciando a farsi sentire.
Nel pomeriggio uscii di casa nel tentativo di schiarirmi le idee e di far ragionare me stessa.
Era veramente possibile che la colpa della sua assenza fosse colpa mia?
E se invece fosse stato solo ammalato? Può capitare infondo eravamo quasi a metà dicembre.
Ma allora perché nemmeno il suo amico si presentava a scuola?
E nessuno si preoccupava delle loro assenze, ero solo io la sciocca in quella scuola?
E poi perché mi importava veramente se era colpa mia o no, forse mi stavo veramente affezionando? che parola strana. 
No, provare affetto per una persona, volere il suo bene prima del tuo non era certamente una cosa che  mi si addiceva.
Per me era diverso, avrei dato la mia vita anche per donarla a uno per strada, della mia non me ne facevo granché, non ero mai stata capace di provare un sentimento così generoso, senza pretese.
Ma forse era il cuore che confondeva il rimorso con l’affetto, solo per non restare solo.
Era solo un maledetto modo per non rimanere sola di nuovo, ma questo non riuscivo ad accettarlo.
Se fossi andata a casa sua? Solo per controllare, nient’altro.
Perché cercavo sempre una giustificazione ai miei comportamenti? Avevo così tanta paura?
Odiavo ammetterlo ma lui aveva centrato il bersaglio l’altro giorno, ecco perché non riuscivo a darmi pace.
Era una cosa stupida e  forse infantile ma mi rodeva il fatto che Nathan avesse dannatamente ragione!
Ma se lo odiavo così tanto perché allora mi dirigevo verso casa sua? 
Avevo chiesto, pregato che Nathan si dimenticasse di me, e ora lo andavo a cercare io stessa?
Mi fermai, ero quasi arrivata. No! Non potevo.
Cosa diavolo mi era saltato in testa.
Perché non avevo nessuno con cui parlare? Nessuno con cui chiarirmi le idee, continuavo a pensare e a ripensare ma non risolvevo nulla, avevo bisogno un punto di vista esterno ma non avevo nessuno ero sola. Mi ricordai il motivo per cui non lo volevo accanto a me, perché volevo così tanto chiarire questa situazione?
Era davvero possibile che l’essere sempre stata sola mi avesse messo in una condizione tale che una sola persona fosse in grado di scombussolare, con il suo strano calore, e con la sua minima vicinanza, il mio approccio con il mondo?
Ero diventata un soggetto di quel mondo che tanto mi ostinavo ad evitare, senza rendermene conto.
Infondo lui non aveva fatto altro che darmi una possibilità ed io l’avevo gettata via per paura che diventasse troppo importante. 
Ero ancora ferma in mezzo alla strada, mi sentivo terribilmente a disagio.
Casa sua era oltre queste ultime tre case. 
In fondo ero ancora arrabbiata con lui o forse ero soltanto io a vederla così. Ero solo io a volere così. L’indifferenza al mondo esterno stava sparendo e con essa tutte le mie convinzioni e le mie barriere.
Feci un passo avanti e poi mandai tutto al diavolo!
Ero stanca di cercare, di contraddirmi, stanca di pensare, tanto non potevo arrivare da nessuna parte.
Alzai la musica al massimo e mi trascinai a casa con un grande sforzo.
Mi buttai sul letto e restai immobile a cercare qualcosa che riuscisse a svuotare i miei pensieri.
Anche il giorno seguente Nathan non si fece vedere a scuola.
Mentre percorrevo i corridoi del secondo piano mi accorsi di avere Elisabeth a pochi passi da me e cercai subito di cambiare direzione ma lei se ne accorse e mi anticipò
«Oh guardate chi c’è! La nostra amica ancora tutta sola come mai?» cominciò acida io la ignorai abbassando la testa
«Ma che domande faccio giusto? A volte sono così insensibile, scusa ma quando mai qualcuno ti sta vicino per più di un giorno?»
Cercai di stare calma e di non ascoltare ma non ci riuscì, un miliardo di scene del genere erano già successe e io non ero ancora pronta a reagire.
Era naturale che si vendicasse anch’io in qualche modo l’avevo umiliata, ma era stata lei a cominciare, se lei se ne fosse stata zitta non sarebbe successo niente.
Me l’ero cercata e di questo ne ero consapevole, ma non lo trovavo giusto.
Eppure lei stava infierendo su di me, sapevo benissimo che era una ragazza a cui piaceva ferire la gente, ma non riuscivo a capire la sua insistenza proprio adesso.
Non potevano continuare a fare tutto dietro le spalle, come sempre.
«Che c’è oggi non hai voglia di parlare con me, mi sembrava che l’altro giorno ci trovassi gusto, ora che le posizioni si invertono non è più così divertente, ma del resto un verme come te non può far altro che ritenersi onorata di parlare con me giusto?
Più ti guardo e più non riesco proprio a capire cosa ci possa essere in te, insomma non sei certo questa gran bellezza e per dirla tutta nemmeno così interessante, forse ti salva la tua intelligenza ma anche su questo ho qualche dubbio visto che non fai altro che illuderti come una stupida che ci possa essere qualcosa in te che non ci sia già in me. Sai forse ti sembrerò cattiva ma ti faccio un favore fidati, ti apro gli occhi»
Era come se il tempo si fosse quasi fermato, i miei pensieri andavano a rilento. Non riuscivo a  pensare.
L’unica cosa che il mio corpo era in grado di fare era attutire, ammassare, e impregnare, immagazzinare ogni parola nella mia testa per poi produrne un eco discontinuo, non riuscivo a reagire.
Ed ecco che la consapevolezza prendeva piede nel momento meno opportuno insieme al senso di colpa che avrei dovuto provare mentre stavo offendendo un semplice ragazzo che si era avvicinato solo per potermi aiutare, si facevano strada.
Infondo sapevo benissimo di meritare tutto ciò, non avevo un motivo per controbattere, avevo fatto la stessa cosa che stava facendo lei e questo in qualche modo mi frenava, mi sentivo disgustata da me stessa. Avevo offeso una persona non conoscendola veramente, fregandomene dei suoi sentimenti, dei suoi propositi e l’avevo trattato male.
Mi sentivo una codarda che non agiva mai nel senso giusto, una vigliacca che per paura della gente aveva scacciato l’unica persona che si era dimostrata gentile.
La vedevo girarmi intorno e squadrarmi da cima a fondo mentre un senso di vomito e inadeguatezza si insinuava dentro di me facendomi sentire veramente un verme.
Era vero, tutto quello che diceva, era maledettamente vero.
La sua voce risuonava ancora nella mia testa facendola diventare sempre più pesante.
Non riuscivo a parlare, né a respirare, avevo bisogno di ossigeno.
Ma sapevo di dover resistere dovevo impedire a me stessa di esplodere.
Notai che il mio braccio aveva cominciato a tremare molto più del solito, non riuscivo a nascondere più la mano, cominciavo a vedere molte cose appannarsi.
“Sei sempre stata sola, perché a qualcuno dovrebbe importare di te”
La voce nella mia testa cominciò a martellare.
“Con me non sarebbe mai successo… non sentiresti tutta questa delusione” sussurrò perfida
Scossi la testa, non dovevo mostrarmi debole.
«La nostra perdente ha pure il morbo di Alzheimer, che schifo. Guardate come trema! Guardate come si copre di ridicolo»
E poi mi spinsero giù, cercai di stare in ginocchio e aiutarmi con le mie braccia inaffidabili
«Sai forse non serve che ti dia una lezione perché sei talmente futile che mi fai pena»
Cominciai a sentire delle risate. Una fitta allo stomaco mi colpì improvvisamente facendomi barcollare.
I miei occhi cominciarono a bruciare. Il mio cuore cominciava a battere frenetico. Ero terrorizzata da quello che stava accadendo, da come stavo reagendo.
No, non dovevo tremare! Dovevo reagire! Dovevo spaccargli la faccia!
Erano soltanto pensieri vuoti che mi imponevo di ripetere per non piangere, per contrastare la pressione che mi spingeva a terra.
«Vuoi una mano a ricordare quanto sei sfigata o quanto fai schifo?»
Le risate cominciarono a intensificarsi. Un’altra fitta allo stomaco.
Alzai lo sguardo e mi ritrovai circondata da molta, troppa gente. 
Tutta questa stramaledettissima gente pronta a giudicarti e ridurti a pezzi.
Nemmeno uno si opponeva, nemmeno uno si distingueva per la sua indipendenza dal resto del gruppo. Nemmeno uno perse quell’occasione per ridere di questa nuova, ma più che spassosa, perdente.
Le gente aiutava indistintamente  tutte le persone, le aiutava a morire.
Tutti questi occhi pieni di pregiudizi, scherno e orgoglio.
Cominciai di nuovo a sentire la voce di Elisabeth che riprendeva con le sue offese, mentre io ero spaventata, non poteva succede.
«Lasciami andare» riuscì a sussurrare con voce tremante, un tono troppo supplichevole mentre un sorriso si dipinse sul suo viso, un sorriso di vittoria, superiorità.
«Te ne stai  già strisciando via? Che peccato» disse fermandomi «E io che volevo aiutarti facendoti prendere coscienza di tutte le persone che stanno ridendo di te» passando in mezzo alla gente.
Perché non fai qualcosa! Adesso potresti aiutarmi! Urlai disperata dentro di me in cerca di qualche appiglio.
Era inutile cercare di resistere. 
“Perché dovrei farlo? La parte della perdente ti riesce così bene”
Dovevo trovare il modo per andarmene, mi sentivo dannatamente impotente.
Dovevo trovare la forza per camminare, sorpassare tutte quelle persone, sopportare tutti quegli sguardi.
«La tua famiglia ha mai il coraggio di guardarti negli occhi ed essere fiera di te oppure si vergogna troppo ad ammettere di avere una figlia come te?» a sentire quella frase il mio corpo ebbe un sussulto, qualcosa dentro di me si spezzò.
«Ho detto forse qualcosa che di troppo?» domandò innocente
Cominciai ad incamminarmi a passo tremante attenta a non inciampare ma inciampai comunque perché le mie gambe non ressero il mio peso, le sentivo pesanti da sollevare e mi trascinai cercando di appoggiarmi alla parete
Le risate di scherno tutte intorno a me, cercai di alzarmi ovattando tutti i suoni all’esterno.
E mano a mano che me ne andavo sentivo la voce di Elisabeth urlare per farsi sentire.
«Non preoccuparti, è solo l’inizio!»
Io non riuscivo a scappare, me ne andavo lenta cercando di attutire il dolore, rifugiandomi nel silenzio dei miei pensieri. Nel silenzio del vuoto che cominciava a inibire lo stesso suo dolore per trasformarlo, immagazzinarlo, ed usarlo in un altro momento.
Anche il vuoto che sentivo aveva pietà in quel momento. 
Mi sciacquai la faccia, cancellando quelle tracce indiscrete che si erano liberate senza permesso con dell’acqua fresca e poi lasciai che le mani si calmassero con lo scrosciare dell’acqua. Lo stomaco non la smetteva di contorcersi.
Mentre il respiro cominciava a regolarsi, anche se non potevo fare a meno di rivivere la scena, come se la mia mente fosse ancora lì sotto i loro sguardi gioiosi e soddisfatti, rabbrividì a quel pensiero.
Perché la fortuna mi odiava così tanto?
Soltanto quando le lezioni pomeridiane ripresero dopo la pausa pranzo ebbi il coraggio di uscire dal bagno,
Mi incamminai verso la classe a testa bassa, attenta a non incrociare nemmeno uno sguardo, qualcuno mi spinse con forza di lato, mi sbilanciai e andai a sbattere contro il muro.
«Non ti avevo visto» e poi scoppiò a ridere, alzai la testa andando a identificare quell’idiota di Shade
«Hei Parkinson, o dovrei dire Alzheimer, quand’è che ti ricoverano in clinica?» continuò a provocarmi
Non gli badai, non mi sentivo ancora del tutto me stessa, non ero dell’umore giusto per sopportare altre batoste ed idiozie.
Dovevo cercare di strappare fuori il pezzo d’orgoglio che mi era rimasto per cercare di attenuare il senso di impotenza che si stava espandano.
Purtroppo mi accorsi che era troppo tardi, mi aveva lasciato già qualche giorno fa, esattamente il giorno in cui incontrai Nathan.
Il suo calore, forse lui poteva aiutarmi.
No era soltanto colpa sua se mi ritrovavo in questa situazione!
Se lui non avesse insistito ora quella vendicativa di Elisabeth non ce l’avrebbe con me.
Ma chi la davo a bere, anche se non ci fosse stato Nathan, ero comunque il costante divertimento per Shade ora aveva soltanto più alleati.
Il resto delle ultime ore cercai di riprendere possesso della mia indifferenza, di riappropriarmi il mio stato di equilibrio. Sarei stata fortunata se Shade dopo due mesi avesse cambiato argomento, puntando su qualcos’altro.
Tornando da scuola mi decisi a chiarire i dubbi nella mia mente, e mentre le parole di Elisabeth mi martellavano in testa potevo sentire il mio cuore pulsare di rabbia.
Suonai il campanello di una casa bianca con il cancello nero in ferro. Alcuni fiori invernali decoravano il porticato, un giardino  piccolo con due alberi, uno dei quali era per metà addobbato da festoni natalizi.
Suonai un’altra volta e spostai lo sguardo sulla panchina di legno sopra a cui era appoggiato un pallone da basket rosso.
Ci avevo rinunciato, ripercorrevo all’indietro la strada lentamente.
Quando davanti a me passò davanti una macchina grigia da cui scorsi un viso famigliare che mi sorrise.
Mi fermai e la macchina fece marcia indietro e abbassò il finestrino da cui sbucò un volto famigliare conosciuto di recente.
Capelli biondi abbastanza lunghi, occhi celesti, un sorriso che toglieva ogni traccia della stanchezza rispecchiabile negli occhi spenti, Nicole.
«Ciao tesoro come va?» la sua voce dolce mi accolse, io le risposi salutandola.
Era impossibile essere triste con lei, faceva di tutto per farmi sentire a mio agio, mi tranquillizzava parlare con lei, era come avere una madre.
Mia aveva aiutato molto nei giorno che avevo trascorso da lei, mi aveva fatto sentire a mio agio senza chiedere troppo.
«Come mai da queste parti? E tutta sola?» domandò gentile poi la vidi cambiare espressione e ricordarsi di una cosa che forse le era sfuggita completamente.
«Oh che sbadata sono ancora in mezzo alla strada, sali forza!» accettai il suo invito
«Grazie» dissi mentre chiudevo la portiera, la macchina si fermò poco distante aprì il cancello nero con un telecomando e poi parcheggiò nel vialetto spegnendo la macchina.
Scese dalla macchina con la borsa io la seguii e la vidi fugare nella borsa dalla quale estrasse poco dopo le chiavi
«Prego prima gli ospiti» apri la porta e mi fece accomodare in casa
«Allora come mai da queste parti?» riformulò la domanda mentre appendeva il cappotto.
«Ecco io..» non sapevo cosa aggiungere ma detti un occhiata veloce controllando in giro
Ma tutte le luci erano spente tranne quella d’entrata. 
Non c’era nessun altro in casa 
Poi mi ricordai che Nicole aspettava una risposta, e mi rivolsi a lei scusandomi.
«Io ero venuta a vedere, mi chiedevo se… » presi un respiro «come-mai-suo-figlio-non-viene-più-a-scuola? » dissi più velocemente possibile ma come dovevo prevedere lei non capì e mi sorrise dolce.
«Non ti preoccupare Nathan non è in casa puoi parlare tranquillamente» non era la risposta che volevo però mi avvicinò di più alla risposta e mi feci coraggio
«Come mai? Cioè non lo vedo più a scola e mi chiedevo se per caso era ammalato o cosa» giocai con le dita per il nervosismo
«Nathan non te l’ha detto?» chiese perplessa ma poi mi invitò in cucina dove accesa la luce e mi fece accomodare. Mi guardai intorno ricordavo ogni cosa di quella stanza, non che fossero passati anni ma, credevo che la mia memoria avesse cancellato molti di questi ricordi, invece scoprì di poter ricordare ogni piccolo dettaglio.
Una cucina piuttosto bella e con colori vivaci, il tavolo al centro della stanza, la finestra che dava sul giardino.
Si avvicinò a uno scaffale e cominciò a trafficare, si girò e mi chiese
«Hai già mangiato tu oppure …?» Il mio stomaco si contorse provocandomi una fitta, pochi minuti con lei e mi ero quasi dimenticata quello che era successo poche ore fa.
«Già fatto non preoccuparti» mentii 
«Su forza ho appena finito il turno di lavoro, è un orario un pò strano ma ti va di farmi compagnia?»
Non ci fu verso di farle cambiare idea e così approfittai del tempo in cui Nicole si andò a mettere dei vestiti più comodi per preparare qualcosa di veloce sapevo che l’avrei resa felice e a me piaceva stare con lei, era davvero una donna molto dolce.
«Mi vuoi viziare tesoro? Giuro che ti adotto se ogni volta che torno a casa tu mi prepari la cena, io non ho mai il tempo di preparare qualcosa di decente» disse scherzando abbracciandomi e arrossi era troppo l’affetto che mi regalava, non avevo fatto nulla di speciale, cucinare era l’unica cosa che mi faceva stare bene e mi rilassava
«Allora come va a scuola?» mi chiese mentre mangiavamo come se fosse una conversazione di tutti i giorni
«Sai mio figlio mi ha detto che non riesce molto a parlarti, dice che è molto impegnato con gli allenamenti e quindi non riesce mai a invitarti qui» la vidi guardare verso di me mentre io volevo sprofondare esattamente in quel punto del pavimento, abbassai la testa e la forchetta mi cadde dal piatto poi continuò
«Mi dice lo sto stressando perché non faccio che chiedergli di te ma io sono preoccupata» alzai lo sguardo e la vidi guardarmi seria e io non sapevo cosa rispondergli
Io preoccupavo una persona che avevo conosciuto solo il mese scorso? Lei si preoccupava per una come me?
«Mi dispiace Nicole» abbassai la testa «non devi preoccuparti va tutto bene, come ha detto Nathan è stato impegnato e anche io ho avuto diverse cose da studiare per la scuola ultimamente» tentai di dire imbarazzata inventandomi una mezza bugia
«Per fortuna sei venuta tu oggi, ora che Nathan è partito mi sento un po’ sola» mi sorrise sincera cercando di farmi sentire a mio agio
«Cosa gli è successo? Dove è andato?» chiesi allarmata pentendomene immediatamente, Nicole mi sorrise
«Non ti preoccupare tornerà domani sera quindi per giovedì dovrebbe tornare a scuola o forse venerdì sai è molto pigro quando ci si mette. Così potrai rivederlo...» il suo tono nascondeva qualcosa che la faceva ridere
«Non è come crede» diventai rossa e agitai le mani pensando a qualunque strana idea si potesse aver fatto di me
«Stai facendo tutto da sola tesoro» e scoppio a ridere guardando probabilmente la mia faccia 
«E’ solo che..» cominciai ma poi mi fermai forse non era il caso
«Su forza sputa il rospo cosa ti preoccupa?» mi incoraggiò gentilmente
«Diciamo che l’ultima volta che l’ho visto, prima che Nathan partisse abbiamo litigato. E gli ho detto delle cose, credo di averlo ferito e credevo che» ma Nicole interruppe il mio patetico modo di dirle che era colpa mia perché lei mi precedette
«Scommetto che hai pensato che era colpa tua se non veniva a scuola» trattenendo una risata
«Tranquilla niente di tutto ciò, forse dopo la litigata si è dimenticato di dirti che pativa per il torneo regionale di basket. Non ti è venuto in mente di chiedere a qualcuno?»
«Ho pensato di chiederlo al suo amico però poi non ho visto nemmeno lui, non ho collegato il fatto che poteva centrare il basket che stupida!» volevo sprofondare letteralmente e mi misi le mani a coprire la faccia.
Ma Nicole capiva molto di più di quello che dava a vedere, non avevo nessuno a cui chiedere
«Non preoccuparti, qualunque cosa tu gli abbia detto io credo che non dovresti preoccuparti più di tanto per come l’abbia presa mio figlio. Certe volte ha bisogno di qualcuno che non sia d’accordo con lui, altrimenti rischia di montarsi troppo la testa ma credo che in certi aspetti sia troppo tardi» disse in tono quasi disperato
«E’ un bravo ragazzo» le sorrisi cercando di rassicurarla
Nicole mi guardò e mi sorrise a sua volta
«Sono preoccupata per lui Haley, cerca di nascondersi da me ma ormai lo conosco. Lo vedo c’è qualcosa che lo preoccupa e non riesco a capire come aiutarlo» le sue parole mi bloccarono lo stomaco
«Forse era solo preoccupato per il torneo regionale» cercai di aiutarla
«Non vorrei stesse facendo tutto questo per me, non sono una madre molto brava» il suo sguardo si incupì e vedevo la sofferenza nel suo bellissimo viso
«L’altro giorno ho visto nella spazzatura alcune domande per l’ammissione al college e quando gli ho chiesto delle spiegazioni lui le ha bruciate e poi mi ha detto che non dovevo preoccupami. Credo stia facendo di tutto per restare con me e io non voglio che si rovini per me capisci, lui ha talento!» il suo viso era una maschera di dolore e io non sapevo cosa fare
Cercai di controllare il mio respiro e l’agitazione che cresceva in me e le strinsi la mano cercando di farle forza.
Se avesse saputo la verità su di me forse si sarebbe sentita meglio come madre, era perfetta rispetto alla mia.
«Nicole» sussurrai cercando le parole ma mi vergognavo
La mia vita era un disastro e non riuscivo ad uscirne
«Scusami Haley, sono certa che hai cose molto più belle da fare che stare a sentire me»
«Ho tutto il tempo del mondo per te Nicole» le dissi sincera provando una strana sensazione
«Sono due mesi che lo vedo strano, sempre distratto l’altro giorno si è perfino dimenticato di andare all’allenamento, o sta tutto il tempo in camera sua oppure lo sento tornare molto tardi, non vorrei che stesse combinando qualcosa. E’ difficile parlarci perché ce l’ha sempre vinta lui, non riesco a parlargli seriamente» aveva la voce stanca e il suo viso era contorto in un’espressione di dolore
Non riuscivo a vederla così triste.
«A me fa innervosire più che altro perché non smette di sorridere mai, a volte vorrei essere come lui» cercai di tranquillizzarla, ma nella mia testa pensai che forse Nathan nascondesse qualcosa o forse ero semplcemente colpa mia.
«Appena torna gli parlerò e lo rimetto in riga» dissi cercando di sembrare autoritaria ma mi uscì un po’ strano, le sorrisi lieve e lei mi ricambiò.
Passai il pomeriggio a casa di Nicole e dopo quel diciamo triste inizio mi diverti anche.
La aiutai a finire l’albero decorato a metà nel giardino ed addobbarne uno all’interno e sebbene io nel natale abbia perso ogni speranza cercai di essere più naturale possibile perché volevo, per una volta, rendere felice un’alta persona.
Era una persona dolce e gentile Nicole. Da tanto tempo non incontavo qualcuno come lei.
Potevo finalmente parlare con qualcuno, riuscendo a dimenticare, almeno per un paio d’ore, la scenata di Elisabeth, la confusione e la voglia di mettermi sotto il letto e di non uscire mai più.
Mi fece vedere anche un album fotografico di Nathan da piccolo e mentre osservavo la sua espressione buffa mentre stringeva a se un cane di pezza bianco e grigio sua madre mi disse
«Ha sempre avuto una passione per gli animali, non sai quante volte mi ha chiesto di comprargli un cane ma non potevo occuparmene e poi diciamo che spesso non ero presente» sorrise amaramente e sfiorò con la mano destra la foto e poi girò pagina, nella foto successiva Nathan teneva in mano una palla da basket con un cappellino rosso con una scritta azzurra. Aveva conservato ancora lo stesso sorriso perfetto.
Nicole andò un attimo a prendere da bere e dopo aver voltato due pagine vidi una foto sfocata due occhi marroni da cerbiatto poi un’alta foto di una bambina di pochi mesi che stringeva due dita enormi per lei, di Nathan che era rivolto verso lei.
L'ultima foto quasi  rovinata quattro persone felici: un uomo dai capelli neri che aveva sulle spalle un bambino con grandi occhi blu e con gli stessi capelli accanto ad una donna che sorrideva i capelli biodi sciolti che arrivavano alle spalle, la donna teneva in braccio una bambina e le sue dita stringevano una ciocca di capelli della madre. Erano seduti su questo stesso divano dov' ero seduta io in quell’istante.
Chiusi l’album di scatto dopo aver sbattuto due volte le palpebre.
Non sapevo che avesse una sorella minore, non l’avevo mai vista, non c’erano altre foto di lei nell’album.
Lo riapri e svoltai velocemente le pagine ma niente.
Il resto erano cinque foto di un ragazzo che sorrideva con una maglia da basket, una con una medaglia, un trofeo, una foto di Nathan e Blake e l’ultima più recente di madre e figlio.
Non c’era traccia della bambina né del presunto padre. Che voleva dire? Poi sua madre ritornò e gli restituii l’album.
«Non le ho ancora chiesto come va il torneo regionale?» dissi cercando di far cambiare rotta ai miei pensieri, impedendo a me stessa di ragionare ulteriormente.
«Ieri mattina mi ha chiamato e mi ha detto che sono in finale» la vedevo sorridere «e che la finale la giocano questa sera!»
«Speriamo che vincano»
«Perché non lo chiami?» mi chiese come se fosse la cosa più naturale di questo mondo.
Certo … come no.
«Non credo sia una buona idea» dissi troppo frettolosa
«Non dirmi che non hai il suo numero» sembrava arrabbiata con me e non capivo perché «O santo cielo! Non mi dire che ti vergogni a mandare un messaggio a mio figlio» in tono accusatorio e trattenendo una risata le mie guance si stavano surriscaldando per la vergogna e non era affatto piacevole
Ero davvero così prevedibile?
«Non ci sarebbe niente di male, anche se avete litigato non significa nulla» disse in tono calmo e rassicurante io la guardai perplessa
Non riuscivo più a parlare la parole morivano in gola prima di riuscire a pronunciarle, mi sembrava una cosa talmente improbabile
Fissavo i suoi occhi azzurri opaco e le mie labbra erano dischiuse leggermente ma non emettevano nessun suono
«Mi dispiace» cercai di trovare una via di fuga «E' meglio che vada» dissi alzandomi dal divano il più velocemente possibile
Uno strano senso di nausea si stava impossessando di me
«Spero di non aver detto nulla di male» disse dispiaciuta
«No, no è solo che si è fatto tardi, mia madre si starà preoccupando» dissi cercando di dare un senso a quelle parole così false
Mi misi la giacca e lo zaino, la salutai ringraziandola di tutto
«Sono io che ringrazio te. Mi raccomando se hai tempo vienimi ancora a trovare» mi sorrise e poi fece un gesto che mai e poi mai mi sarei aspettata.
Mi abbraccio stretta e mi diede un bacio, in quel momento la mia mente proiettò l’immagine di una bambina con due occhi marroni stretta nel grembo della madre.
E non so se a causa del calore del suo abbraccio o della bambina nella mia mente ma sentivo il cuore pesante e pulsante, voleva esplodere.
L’emozione del suo abbraccio gentile mi prese in contropiede.
Mi vennero in mente tutte le risate di questa mattina e le braccia di Nicole sembravano protettive, forse potevano custodire un segreto.
Al solo pensiero le lacrime cominciarono ad uscire
«Haley tesoro, puoi dirmi se c’è qualcosa che non va, posso aiutarti» mi disse dolcemente Nicole staccandomi da lei per potermi guardare
«Scusi» sussurrai fermando un singhiozzo e mordendomi il labbro stropicciandomi gli occhi nel tentativo di cacciare dentro le lacrime
Non ora! Potevo sopportare.
«Un po’ di allergia alla polvere» mi giustificai e cercai di far assomigliare una smorfia ad un sorriso il più possibile ma il risultato non fu molto decente, mi staccai da lei e apri la porta inciampando nel secondo scalino.
Sua madre mi sorrise e prima che uscissi da cancello mi gridò
«Aspetta!» poi mi diede in mano un pezzo di carta bianca con un numero di telefono
«La partita inizia alle nove. Gli amici si sostengono nei momenti tristi e si vogliono vicini nelle sfide...» mi sorrise sincera e abbassai a testa e la salutai di nuovo ripercorrendo la via del ritorno.
Aprii la porta di casa e una voce mi disse
«Dove sei stata fino ad ora? Che cos’hai in mano?» quella che molti definirebbero madre
«Niente sono stata in biblioteca, perché?» risposi distratta
Guardai sopra il tavolo, dove erano appoggiate due buste gialle e un foglio bianco piegato.
Abbassai lo sguardo per un secondo. Il mio stomaco si contorse.
«Mi aspetto che tu d’ora in poi sia più a casa, devi aiutare in casa è il minimo dopo tutto quello che ho fatto per te» disse in tono sprezzante togliendo dalla mia vista le buste
«Sono sempre a casa tranne quando devo fare delle ricerche per la scuola» risposi a voce bassa voltandomi, strinsi la mano destra in un pugno.
«Hai detto qualcosa?» domandò come se avesse fatto finta di non sentirmi
«Nulla, scrivimi la lista di quello che devo fare» risposi andando di sopra
Appena ebbi chiuso la porta mi rannicchiai su me stessa appoggiando la schiena contro di essa.
Perché dovevo sentirmi in colpa ogni dannatissima volta?
Avrei voluto scomparire.
Sapevo benissimo che era solo colpa mia, me lo avevano fatto pesare fin dalla nascita, il solo fatto di essere nata e di aver rovinato la loro vita. 
Apri la mano che conteneva il foglietto ormai stropicciato e pensai a Nathan.
Pensai a quanta preoccupazione avevo accumulato per giorni per nulla, era ad un torneo di basket! Che scema!
Appoggiai il foglietto e il cellulare sulla scrivania e scesi a preparare la cena.
Dopo una doccia veloce tirai fuori i libri e cominciai a fare i compiti.
Ogni tanto mi fermavo per controllare l’ora e mi fermavo a pensare a quello che mi aveva detto Nicole possibile che anche lui portasse una maschera? Eppure io non l’avrei mai detto sembra così felice.
I miei occhi si spostavano da sinistra a destra, dal foglietto al cellullare in continuazione.
Chi era quella bambina? Non sapevo avesse una sorella.
Ma con che coraggio gli avrei scritto?
Pensai a cosa potessi scrivere  ma se poi lui avesse risposto? E se non lo avesse fatto? E se mi avesse chiesto chi ero? Che cosa gli avrei risposto? Come mi sarei comportata? Cosa avrebbe pensato? Era ancora arrabbiato?
Presi un respiro profondo erano le 20.35
Presi il cellullare e digitai delle parole:
Buona fortuna per la partita! 
Metticela tutta!
-La ragazza senza sorriso


Poi inviai il messaggio in attesa di qualcosa, ma dopo cinque minuti mi distesi sul letto lasciando il cellulare sulla scrivania e coprendomi la testa con il cuscino.
Il cellullare suonò. Erano le 20.59 lessi il messaggio:
Ti ringrazio scheggia ….
 
Appoggiai il cellullare sulla scrivania sollevata e cominciai a studiare
Un tintinnio assordante mi destò da uno stato di sonnolenza, mi resi conto che mi ero addormentata sulla scrivania, il cellulare lampeggiava e lessi il messaggio:
Abbiamo vinto! 103 - 94 per noi
Ora andiamo a festeggiare …

Sono felice di essere nei tuoi pensieri ogni tanto 
Fai bei sogni scheggia

Mi alzai dalla scrivania e accesi la luce aprii l’armadio fissando lo specchio di fronte a me, toccai la mia faccia e mi resi conto che le mie guance erano calde mentre le mani erano ghiacciate. Sorrisi mentalmente a me stessa vedendo la mia faccia paonazza. Non riuscivo a dare la possibilità a nessuno perché avevo già sprecato troppo tempo a lasciarmi illudere da inutile speranze, inutili amicizie.
Ok Nathan era un ragazzo carino, ma oltre la sua ipotetica bellezza non c’era nient’altro.
Giocava a basket ed era bravo, ma oltre a questo non sapevo assolutamente niente della sua vita, magari era un ragazzo menefreghista, sfacciato e  prepotente.
Una smorfia mi si dipinse sul volto, un ragazzo così non mi avrebbe portato a casa sua, né si sarebbe preso cura di me.
Era soltanto un ragazzo, un ragazzo normale di quelli che puoi incontrare tutti i giorni per strada, un ragazzo da cui avrei preso la più grande fregatura se non ci fossi stata attenta.
Non dormi molto quella notte, ogni volta che mi riaddormentavo ripercorrevo l’incubo di quella mattina, tra le risate però sentivo anche la sua.
E ogni volta mi svegliavo di soprassalto cercando di scacciare tutte quelle parole dalla mia mente.
E quando finalmente il mio respiro ritornava regolare mi accorgevo di essere veramente una scema senza speranza.


 

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Capitolo 7
*** Hit the Floor ***


Haley


 
7 - Hit the Floor



All of those and all they want is to feel like I've been stepped on
There are so many things you say that make me feel you cross the line...
it's about as much as I can stand...

Tutto quello che so è che ciò che voglio è sentire di non essere calpestato
Tante le cose che dici che mi fanno percepire che hai oltrepassato i limiti...
Dipende da quanto posso resistere...
(Linkin Park - Hit the Floor)








Non riuscendo più a dormire mi vestì ed uscì da casa il più silenziosamente possibile mettendomi a correre, senza sapere la meta, né lo scopo.
Dovevo solo correre, illudermi anche solo per pochi minuti di poter scappare e liberarmi da tutti questi pensieri. 
Più correvo più sentivo il vento freddo pungente sbattere contro la mia faccia e arrivare dritto, dritto nei polmoni, poi nello stomaco.
Più andavo avanti più la sensazione di pesantezza se ne andava l’adrenalina scorreva e non avevo voglia di smettere era come una sensazione liberatoria, speravo di poter correre tanto veloce in modo da confondermi con il vento invisibile eppure costantemente presente ovunque e forte
Sentire il sangue scorre veloce nelle vene per portare più ossigeno al cuore mentre i muscoli lottavano per resistere ancora un po’ al mio insensato tentativo di sfogarmi in qualche modo, creare uno stato d’animo talmente logoro da non poter più essere danneggiato.
Ma con il mio patetico tentativo finì inesorabilmente col cadere a terra stremata
Le ginocchia bruciavano per via della caduta, le mani impiantate nel terreno umido per sostenere il mio corpo, il fiato corto, e il cuore che cercava di riprendere il suo normale battito.
Nonostante il lieve dolore fisico era esattamente la sensazione che volevo percepire, il mio cuore batteva finalmente per qualcosa di reale che non fosse per quella maledettissima paura, mi sentivo stanca eppure la mia mente era in qualche modo più leggera e soprattutto calma.
L’adrenalina che avevo in corpo stava placando in parte il tremore facendomi desiderare di correre ancora per diventare più forte.
Mi ci vollero dieci minuti abbondanti prima di potermi reggere ancora sulle mie gambe che continuavano a tremare per il troppo sforzo.
Tornai a casa appena il tempo di una doccia per poi andare a scuola sperando che quella sensazione di angoscia che mi saliva al petto prima o poi svanisse insieme alla paura di non farcela.
Il mio corpo era di nuovo scosso da quei maledetti brividi.
Con che faccia avrei affrontato di nuovo quegli sguardi?
Non avevo voglia di muovermi e constatare quanto in fretta la voce si fosse sparsa, ma non volevo nemmeno apparire così vulnerabile.
Il danno era fatto, ora potevano solo calpestare i cocci perché il vaso era già stato rotto no?
Qualunque cosa mi aspettasse sarebbe stata comunque migliore di sei ore in più rinchiusa in queste mura gelide e spoglie.
Ma come al solito non me ne andava bene una. 
Andando a scuola mi accorsi di alcuni sguardi e sorrisi che si trasformarono in ghigni al mio passaggio mentre mi indicavano.
Altro che cocci, quelli che calpestavano con tanto vigore erano i miei sentimenti, mi sentivo troppo vulnerabile, come se tutti potessero vedere in modo limpido dentro la mia anima, non ero mai stata brava a mentire e di certo il nervosismo non aiutava a nascondere la paura, né la pazienza. 
Non era affatto piacevole ma del resto come potevo impedirlo?
Tentai anche di tornare indietro ma era troppo tardi, notai Elisabeth poco più avanti che mi squadrava dall’alto in basso in attesa che le passassi davanti.
Rallentai e alzai il volume della canzone cercando di evitare il suo sguardo.
Il cuore non smise un secondo di impazzire facendo accelerare il mio respiro. 
Più mi imponevo di stare calma, più gli sguardi erano insistentemente più divertiti.
Le passai davanti, ma contrariamente a quanto mi aspettassi, si limitò a sorridermi per poi voltarmi le spalle insieme alle sue amiche.
Non ci diedi molto peso, potevano pure ignorami non mi sarei di certo opposta, anzi per quanto mi riguardava potevano pure convincere il resto della scuola a farlo, mi avrebbero fatto un favore. 
La prima ora cercai di dormire sul banco tanto erano cose già fatte, quindi se la professoressa non si lamentava avrei potuto benissimo restarmene in pace, ma quella pace non durò per tutta la giornata.
«La vuoi smettere!» dissi scontrosa contro il ragazzo dietro di me che non la smetteva di tormentarmi, Shade tanto per cambiare.
«Sfigata mi aiuti in matematica?» mi chiese Shade pochi minuti più tardi
«No» dissi secca senza nemmeno pensarci
«Dai cosa ti costa?» insistette 
Con che faccia tosta pretendeva il mio aiuto?
Non risposi aspettando che si arrendesse ma niente.
«Se mi aiuti ti prometto che non ti rompo più» aggiunse vendo che non avevo intenzione di parlare, lo guardai un momento per capire se lo stava dicendo veramente o se era la mia mente che mi mandava strane allucinazioni
«Te lo giuro!» disse con un’espressione infantile 
«Certo e domani vedrò perfino gli asini volare» risposi scettica
Mi girai facendo finta di fare qualcosa poi lo vidi alzarsi e andare a sedersi accanto ad un’altra compagna.
Davvero si aspettava che lo aiutassi? Dopo aver passato gli ultimi quattro anni a farmi scherzi e battute poco piacevoli, si aspettava veramente che io gli dessi una mano con i compiti per poi essere insultata di nuovo.
Certa gente non riuscivo proprio a capirla
«Non la passi liscia Parkinson» lo sentì sibilare prima che se ne andasse 
Come volevasi dimostrare, peccato che fosse solo l’inizio.
Mentre l'inisegante  leggeva mi arrivò in testa una sciarpa, non ci diedi peso, per un paio di volte, la terza volta mi voltai indietro.
«Smettila Bailey!»
«Non sono stato io»  rispose ghignando Shade
Cominciò a gettarmi addosso pezzi di gomma, lo lasciai divertirsi  fino a quando mi toccò la spalla per cercare di togliermi l’elastico e sciogliere i capelli
«Piantalo o sei morto»
«Sei scontrosa Parkinson» avvicinando ancora il braccio ma gli bloccai il polso e lo strinsi forte appoggiandolo al banco
«Smettila» dissi cercando di stare calma
Lasciai libero il suo polso prima di essere troppo brusca e lui imitò il verso di un gatto infuriato 
«Malata del cazzo, mi hai fatto male!» io non lo guardai nemmeno
Quando ci si metteva era davvero infantile e irritante.
Dopo l’ennesima serie di battute poco piacevoli riuscì a farmi perdere la pazienza.
«Fai schifo perdente» lo senti sorridere
«Allora perché mi parli?» domandai fuori di me 
«Perché fai così pena e mi annoio» rispose con voce pungente incrociando le braccia dietro la nuca
Non riuscivo più trattenermi, le mani cominciavano a prudere dalla rabbia.
«Sta zitto o giuro che ti faccio male» la mia voce era talmente disconnessa che sembrava più una supplica, lo vidi sorridere compiaciuto.
Non capivo perché ogni volta che mi arrabbiavo la mia voce assumeva quel tono, per me, pietoso
«Sto aspettando perdente» mi provocò
Mi alzai di scatto, stringendo i pugni ai fianchi, facendo distrarre la professoressa dalla lettura 
«Che succede?» chiese confusa vedendomi in piedi
«Vado in bagno» dissi senza pretendere una conferma mentre chiudevo la porta Shade urlò
«Codarda»
Infuriata andai nel bagno delle ragazze e dopo aver colpito il muro un paio di volte mi sciacquai il viso.
Che mi era saltato in testa? 
Dovevo smetterla di espormi così, dovevo smetterla di accettare quelle provocazioni inutili.
Sapevo benissimo che non dovevo farmi accecare dalla rabbia ma ero stanca, stanca si tutta quella gente che si comportava da superiore e questo mi portava sempre di più ad abbassarmi al loro livello.
No questa soddisfazione non gliel’avrei mai data.
Per tutte le altre ore avevo i nervi a fior di pelle, infatti, le mie gambe non la smettevano di tremare e se le bloccavo cominciava a tremare il braccio destro e non riuscivo più a scrivere.
Al termine delle lezioni aspettai che tutti uscissero per poter avere un paio di minuti per me ma mentre uscivo dall’aula Shade si avvicinò da dietro e mi spinse contro la parete
«Sei la mia perdente preferita» mi sussurrò appena prima di andarsene e lasciarmi riprendere il fiato che l’impatto mi aveva spezzato.
Allungai la strada di ritorno a casa di un bel po’. Mi piaceva camminare per la strada cercando di sgombrare la mente grazie alla musica, e senza pensarci mi ritrovai di fronte ad una casa famigliare, ma erano almeno cinque anni che non ci abitava più nessuno.
D’altronde chi avrebbe mai voluto abitare in una casa dove una ragazza era morta in uno strano incidente.
Una ragazza che io credevo mia amica ma che in realtà era solo io ad averla considerata tale, ma grazie a lei imparai a mie spese che l’amicizia era soltanto l’ennesima bugia della mia vita.
Scorsi delle figure, alzai la musica inutilmente, sentivo le loro voci comunque.
«Katy! perché non ti fermi con noi! Non ti va di giocare con noi?» disse un ragazzo dai capelli castano chiaro
Tre ragazzi appoggiati al muro vennero nella mia direzione.
Era inutile dire che li detestassi, ogni volta che mi avvicinavo a questa casa, inevitabilmente mi trovavo ad affrontare questi tre ragazzi.
Era uno dei motivi per cui non ci venivo più volevo evitare questi spiacevoli incontri.
«Non fare la solita asociale» sorrise malizioso un ragazzo dai capelli più scuri lunghi
«Lo so che ci senti» sentì sussurrare dal primo che mi aveva rivolto la parola.
No, non vi sento. 
Ma nemmeno Doomed dei BMTH riusciva ad aiutarmi ora
Nervosa mi morsi il labbro inferiore. 
Per loro ero Katy.
Non ricordare i loro nomi continuavo a pensare, lasciali nel passato.
«Cos’è non ci riconosci più? Siamo i tuoi amici» continuò sorridendo il ragazzo con i capelli lunghi
Basta, io non sono la vostra amica Katy, lasciatemi in pace almeno oggi.
Cercai di camminare senza badarci, ma il più silenzioso e il più alto dei tre mi si parò davanti.
Capelli ricci neri e occhi neri di pura malvagità
«E’ maleducazione ignorare una persona quando ti parla, togliti quel coso o giuro che te lo spacco» il suo tono freddo mi fece raggelare, lo guardai per un secondo e vedendo che non si spostava da davanti arretrai, cercando di passargli affianco
«Sei proprio una stronza» mi sbarrò la strada strappandomi le cuffie con l’Ipod
«Finalmente, era ora che ti decidessi a parlare con noi» era divertito il ragazzo dai capelli castani
«Lasciatemi stare» dissi cercando di mantenere un tono più atono possibile 
«Non si trattano così gli amici Katy» disse il più alto staccando le cuffie e gettandole a terra calpestandole «Perché poi gli amici si arrabbiano» disse porgendomi l’Ipod, allungai la mano nella sua direzione e lui fece lo cadere per terra. Lo afferrai con uno scatto quasi prima che toccasse terra
«Stronzo» sussurrai
«Non sai ancora quanto» rispose avvicinandosi e tentando di farmi cadere
Indietreggiai ancora voltandogli le spalle, gli altri due che se ne stavano poco distante e ridevano come pazzi.
Doveva essere proprio divertente, era un peccato che non avessi il loro senso dell'umorismo così avrei potuto divertirmi un po', invece l'unica cosa che riuscivo a provare era disgusto.
«Devo andare a casa» dissi cercando di passare 
«Ok va pure, passa quando vuoi compagnia mi raccomando» disse alzando la mano 
«Contaci» sussurrai ironica a denti stretti
E feci per proseguire ma mi bloccò il braccio dietro la schiena
«Mi stavi sfidando Katy?» sussurrò freddo, rabbrividì all'istante
«Non toccarmi!» urlai arrabbiata dandogli un calcio sul ginocchio per liberarmi, e tentai di dargli un pugno sul viso ma venni bloccata con forza, mi fece girare bloccandomi con l’altro braccio il collo e si mise a ridere
«E’ difficile non trovarci gusto» sussurrò stringendo la presa sul collo non riuscivo più a respirare  
«Umiliata e sottomessa sei troppo divertente, non ti mancano nemmeno un po’ i vecchi tempi?» ma fu interrotto dal suo amico dai capelli chiari
«Non qui Ross dannazione!» lo ammoni «Vuoi passare guai?»
Sentire il suo nome ad alta voce risvegliò in me i brutti ricordi, la stupida ragazzina che lo pregava di lasciarmi andare.
Ross sbuffò e notando che si stava avvicinando qualcuno
«Un giorno di questi me le paghi tutte» mi sussurrò Ross mentre come se nulla fosse mi colpì sullo stomaco e io mi inginocchiai per il dolore improvviso e si allontanò.
Ormai avevo rinunciato all’idea di capire cosa li spingesse a comportarsi così, mi ero arresa all’idea di essere io stessa il problema.
Attiravo inesorabilmente le persone che si divertivano in questo modo superficiale, per me, ma a quanto pare gratificante e divertente
«Stai bene?» mi disse il ragazzo che lo aveva fermato «lo sai che gli piace provocare» giustificando il comportamento del suo amico e tese una mano per aiutarmi ad rialzarmi.
Lo ignorai e corsi via verso casa mentre il respiro si faceva sempre più pesante, fortunatamente la casa era vuota, andai in camera mia e mi guardai allo specchio.
Quanto ero codarda? Pensai mentre cercavo di vedere se avesse lasciato qualche segno, alzai la maglietta e notai un livido sullo stomaco. Rabbrividì alla mia immagine riflessa nello specchio.
Aprii il cassetto della scrivania e presi le mie fasce nere e me le avvolsi intorno alle mani, scesi da casa e iniziai a correre fino a raggiungere il palazzetto dove ogni tanto andavo ad allenarmi, presi il primo sacco da boxe libero e cominciai a sfogare la mia rabbia contro di esso.
Più il dolore fisico aumentava, più quello emotivo veniva placato e in qualche modo occultato.
Più andavo avanti più mi sentivo in qualche modo contenta, sentivo che la rabbia stava cominciando ad uscire, sentivo gli occhi bruciare, l’adrenalina scorrere fino a farmi perdere la concezione del dolore e i ricordi ad esso legati.
«Stai sanguinando ferma» mi disse qualcuno fermando il mio insensato sfogo, lo strattonai via infastidita dal contatto e ripresi il controllo del mio corpo, mi accorsi che qualche goccia di sangue cadeva dalla fascia, la tolsi e vidi che tutte le nocche erano scoperte, si intravedeva la carne.
Le mie mani tremavano a dismisura me tornai a casa il più velocemente possibile.
Visto che i miei genitori erano andati fuori con mia sorella ne approfittai per uscire anch’io.
Così decisi di andare al muretto ma vedendo che dovevo passare davanti ad alcune coppiette appartate me ne andai subito, controllai che non ci fosse nessuno e andai  al campetto di basket dove di solito si allenava Nathan, era deserto.
Mi appoggiai agli scalini scorsi i messaggi non letti  sul cellulare, cliccai sul video allegato. Era il video in cui Elisabeth mi umiliava davanti a metà scuola, mentre cadevo a terra, mi morsi il labbro tentando di non piangere e scacciai le stupide lacrime che volevano scendere.
Spensi l’audio e guardai il video più volte, ero così debole in quello stato. E alla fine quella sensazione cha aspettavo arrivò.
Il respiro venne smorzato da un singhiozzo, poi un altro, mi sentivo stremata.
Perché diavolo nessuno mi lasciava in pace? Perché tutti si ostinavano a non capire? Perché mi succedeva questo? Perché non riuscivo a reagire? Perché suscitavo negli altri il desiderio di torturarmi? Perché ero così sola? Cosa diavolo c’era che non andava in me? 
E mentre pensavo a ciò delle lacrime di rancore cominciarono a uscire.
Strinsi le braccia intorno a me fino a mordermi il braccio per cercare di bloccare i singhiozzi e le lacrime. 
Avevo paura, avevo paura di piangere ancora, ma più mi strofinavo gli occhi per cancellare i segni di questa inutile debolezza, più queste diventavano pesanti da sopportare.
Mi distesi stanca a fissare la splendida luna piena che risplendeva nel cielo quella sera, cercando di trovare un po’ di pace.
Infondo questo posto visto di sera non era poi così tanto male per cercare qualcosa con distrarmi da quello che mi sarebbe aspettato l’indomani a scuola, passai la serata a guardare le diverse forme delle nuvole ed a sperare che qualche stella cadente apparisse anche solo per un istante giusto il tempo di esprimere il desiderio che tutto finisse presto ed indolore.
“Oppure puoi fare di meglio”  sussurrò qualcosa nella mia testa 
Scossi la testa per cancellare quell'eco freddo.
 

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Capitolo 8
*** From the Inside ***


 
Haley
 
8- From the Inside
 
Take everything from the inside
And throw it all away
'Cause I swear for the last time
I won't trust myself with you
 
Prendi ogni cosa dal profondo
E la butto via
Perché giuro che per l'ultima volta
Che io non mi fiderò di te

(Linkin Park - From the Inisde)
 
 
 
 
Due ragazzi distesi per terra su un pavimento ricoperto di sangue, lo stesso che sgocciola dalle mie mani tremanti, un sorriso dipinto sul mio viso mentre non riesco a provare nient’altro che soddisfazione. 
«Perché l’hai fatto?» sussurra in continuazione una voce stanca mentre io cercavo di scacciarla coprendomi la testa con le mani.
«Perché continui a farti del male?» intervenne una voce maschile familiare che assomiglia a quella di Nathan
«Nessuno è così disperato da voler bene ad un mostro» urlai prima di svegliarmi di soprassalto dopo aver fatto di nuovo quell’incubo troppo confuso.
Mi guardai intorno cercando di tranquillizzarmi ma non ci riuscivo, strinsi involontariamente i pugni ma facevano male e mi ricordai che cosa avevo fatto.
Non avendo più sonno mi immersi nella lettura di un libro cercando di non pensare al sogno come mai mi ritrovavo di nuovo a sognare Nathan, che c’entra lui in tutto questo?
Mi ricordai che ieri Nathan doveva essere tornato a casa e io non ci avevo nemmeno pensato.
Forse oggi lo avrei visto di nuovo a scuola, avrei fatto meglio a chiedergli scusa, mi sentivo ancora in debito, non avrei mai dovuto dirgli quelle cose.
La sua vita non era perfetta o almeno la sua famiglia, non sapevo niente di lui eppure non ci avevo pensato due volte ad offenderlo.
Dovevo chiedergli scusa, ma quando?
Più tardi a scuola dopo un test di storia arrivò l’ora di pranzo durante la quale andai in cortile per vedere se Nathan fosse tornato.
Lo intravidi sugli scalini che rideva e scherzava con Blake e altre persone tra cui una ragazza in particolare, mi fermai ad osservare la scena, la ragazza gli si parò davanti sorridendo mentre si avvicinava al suo viso e lo baciava molto spinta, la vidi accorgersi di me e gli mise le braccia intorno al collo, mentre la gente attorno a loro rideva e batteva le mani. Elisabeth si staccò e lo baciò sulla guancia salutandolo per poi andarsene dalla parte opposta mi guardò per un istante e poi si allontanò.
Dopo quel bacio Nathan continuò normalmente a parlare, per un attimo incrociai lo sguardo curioso di Blake, uno strano sorriso gli spuntò mentre mi guardava e mi fece un cenno ma prima che qualcuno se ne accorgesse, o meglio prima che Nathan si girasse, sparì andando a rifugiarmi in classe.
Che mi aspettavo altrimenti?
“Ammettilo codarda” suggerì la voce nella mia testa
Non riuscivo a tenere la testa alta nei corridoi, tutt’ad un tratto mi sentivo gli occhi di molta gente addosso ma non avevo il coraggio di verificare questa sensazione.
«Parkinson sta attenta, non voglio certo essere contagiato da una come te» disse Shade dopo essersi spostato appena in tempo prima di scontrarsi con me.
Non lo ascoltai, andai direttamente in classe senza alzare lo sguardo dal banco pieno di graffi e dediche.
Mi sentivo umiliata e allo stesso tempo un’illusa, per un secondo avevo pensato di poter resistere e sopportare tutto questo, avevo pensato veramente come una stupida che forse Nathan fosse un ragazzo gentile, ma era solo apparenza.
Mi ero tirata di nuovo la zappa sui piedi da sola, ora dovevo soltanto ignorare quella fastidiosa sensazione che mi contorceva lo stomaco.
Era normale, era naturale che loro stessero insieme.
Anche se Nathan mi aveva detto di no forse per lui stare insieme era troppo, si divertiva solamente.
Infondo era una bellissima ragazza, perfetta. Mi sentivo strana ma non ci badai più di tanto.
Le lezioni terminarono normalmente nemmeno Shade riuscì a farmi arrabbiare ero totalmente assente dal mio corpo, continuavo a ripensare alle  parole di Nathan e al suo comportamento e poi alle parole di sua madre e a quel bacio con Elisabeth.
Nel pomeriggio mi arrivò un messaggio da Nathan 
Dobbiamo parlare … 
Vieni al campetto d’allenamento alle 18


Ma certo ci mancava solo lui per completare la settimana migliore dell’anno!
Di che voleva parlare? Voleva prendermi in giro di nuovo?
Non so il perché, forse in fondo avevo bisogno di sentirmi dire ancora una volta quanto fossi debole e stupida oppure la mia semplice stranezza nel voler sapere cosa si sarebbe inventato questa volta o se finalmente mi avrebbe finalmente fatto capire chi era veramente, sta di fatto che uscì di casa con la scusa di aver dimenticato un libro a scuola.
Nonostante fossi uscita quasi subito arrivai con dieci minuti di ritardo, mi soffermai qualche istante a osservare il campetto.
Era un campo spoglio e piccolo il tappeto rosso era consumato come le linee bianche, mentre le reti dei canestri sembravano messe di recente. 
Nathan stava palleggiando e indossava dei pantaloncini da ginnastica e la felpa bianca di prima.
«Finalmente ci si rivede scheggia» sobbalzai sentendo la sua voce, non sapevo si fosse accorto di me 
«Ciao» risposi senza guardarlo in faccia, mi diressi verso gli scalini di pietra dov’era appoggiata la sua giacca
«Continua pure se vuoi, posso aspettare» dissi sedendomi e guardando l’albero poco distante
Dovevo essere arrabbiata, dovevo mostrare indifferenza.
«Come hai passato queste due settimane senza di me? Ammettilo hai sentito la mia mancanza non è così?» disse in tono scherzoso io lo guardai perplessa non sapendo cosa rispondere
«Hai riflettuto abbastanza? Hai deciso se vuoi che ti aiuti?» appoggiò il pallone a terra e si avvicinò
Perché insisteva ancora con quella storia, non era stanco di quella commedia assurda? Non aveva senso
«O sei troppo cocciuta per ammetterlo?» continuò in tono di sfida
Aspettò un minuto ma io non parlai mi limitai a guardarlo
«Visto che non vuoi rispondere allora spiegami il motivo per cui sei venuta oggi» disse in tono distaccato
Non riuscivo a parlare tutto ciò che volevo dire si fermava prima di venire recepito dal cervello e trasformato in pensiero.
Quanto avrei voluto che si mettesse nei miei panni anche solo per cinque minuti, le persone come lui non riuscivano a capire quanto quelle stupide parole erano capaci di ferire una persona, soprattutto me. E poi quegli stupidi sorrisi falsi mi intimorivano, nascondevano sempre qualcosa, qualcosa di brutto.
E lui era parte di quel mondo che tanto odiavo, lui stava con Elisabeth.
Non mi avrebbe più illuso.
«Non lo sai nemmeno tu?» continuò trattenendo un risata
«Sono venuta a chiederti scusa» urlai arrabbiata «Di come ti ho trattato l’ultima volta, non avevo il diritto di dirti quelle cose» mi fermai e aspettai
Non disse nulla si limitò a sedersi vicino a me, mi sentivo tremendamente a disagio, non la smetteva di fissarmi
«Quindi non hai pensato a quello che ti ho detto né al motivo per cui te l’ho detto?» concluse sospirando «Guardami un attimo. Guarda me invece di guardare per terra, sono davvero così raccapricciante?»
«No» dissi stanca alzando lo sguardo ma guardando dalla parte opposta
«Cosa no?»
Cosa voleva da me? Dove sarebbe arrivato questo gioco per lui?
Forse era parte del loro piano mentre Elisabeth mi umiliava lui faceva finta di aiutarmi così poi si sarebbero divertiti il doppio alle mie spalle.
«Sto aspettando te scheggia» insistette 
«Ritira quello che hai detto!» lo interruppi girandomi di scatto e guardandolo negli occhi
«Risparmia quel nomignolo per ogni alta persona che non sia io! Anzi sai che c’è perché non risparmi questo bel nomignolo per Elisabeth credo abbia bisogno delle tue attenzioni» dissi con tutto l’odio possibile «Bene chiarito ciò me ne posso pure andare» mi alzai facendo pressione con le mani sulle ginocchia
«Perché hai tentato di rompere il braccio a Elisabeth?» disse serio
Lo guardai per un attimo stupita e mi bloccai sul posto cercando con la mente un motivo per cui mi avesse potuto dire quelle parole
«Elisabeth» sussurrai quel nome non sapendo che altro dire
«Perché l’hai fatto?» insistette serio «Ha detto che non è la prima volta, ha detto che non ti sei comportata bene diciamo con un tuo compagno di classe, lo hai colpito e poi? Cosa ti prende? Sinceramente cosa ottieni da tutto questo?» disse sarcasticamente
Finalmente avevo capito perché mi aveva fatto venire fino li ma quello che non capivo era perché qui non c’era nessuno che potesse divertirsi a prendermi in giro
Non riuscivo a guardarlo in faccia.
«Elisabeth ha detto che in giro si è sparsa la voce che sei violenta e che» ma non volle aggiungere altro
«Cosa si dice?» insistei io furiosa e delusa allo stesso tempo girandomi per guardarlo negli occhi ma non rispose alla mia domanda mi avvicinai a lui 
«Lasciami in pace Nathan prima che diventi violenta anche con te allora»
«E poi tu cosa faresti?» mi chiese
«La mia vita era perfetta prima di incontrarti» risposi lentamente 
«Davvero?» chiese perplesso e per nulla convinto «A te sta bene sprecare la tua vita in questo modo giusto? E allora perché io nei tuoi occhi vedo tutt’altro. Per quanto ancora reggerai?» chiese prendendomi le braccia e mettendomi davanti agli occhi le mie mani distrutte, lo spinsi via da me bruscamente
«Cosa speri di ottenere trattenendo dentro tutta la rabbia per poi crollare a terra inerme? È questo che intendi per perfetto? Su forza spiegami perché altrimenti le tue mani sono ridotte così» disse stringendo la mano sinistra in un pugno.
Istintivamente chiusi gli occhi ma non successe niente.
Nathan era ancora di fronte a me, nascosi le mani in tasca, sentivo un senso di vergogna crescere e diventare piccola, piccola di fronte a lui.
Se avesse saputo il vero motivo di quelle mani avrebbe riso anche lui di me.
“Lui non può capire, nessuno potrà mai sapere quanto profondo è l’abisso in cui naviga la tua anima, per questo motivo ci sono io con te” disse quella voce stridula nella mia testa, scossi la testa per farla smettere
«Io sono solo una perdente ancora non lo hai capito Nathan?» lo sfidai
«Non sei tu questa» mi trattenne per un braccio stringendo la presa
Quel gesto mi ricordò Ross ieri e istintivamente lo spinsi via da me con rabbia torcendogli il braccio
«Non farlo mai più» urlai liberarmi da lui
Lo vidi indugiare mentre cercavo di riprendere fiato, non poteva capire perché avevo reagito così, era confuso. Lo vedevo nei suoi occhi.
Avevo appena spaventato anche lui.
«Scusa» alzò le mani al celo in segno di resa
«Le battaglie che mi riguardano io le faccio in prima persona non mando terzi» indicandolo con un dito sprezzante
La rabbia aveva preso il sopravvento e non riuscivo più a tenere i miei pensieri tali
Non volevo di certo dirgli cos’era successo l’altro giorno, non volevo che anche lui si mettesse a ridere di me, però mi rodeva il fatto che Elisabeth fosse così subdola
«Sai non dovresti credere a tutto quello che la tua dolce Elisabeth ti dice, oppure sei uno di quelli che fa finta di non vedere? O prendi solo quello che ti fa comodo come tutti gli altri? Sei come loro vero? Anche se penso sia stato Shade a dare qualche suggerimento di troppo ad Elisabeth. Conosco Shade da una vita e non si sarebbe mai lamentato di un livido. Si diverte troppo ma almeno lui è stato onesto con me fin dall’inizio su chi era. Voi invece vi nascondete dietro le bugie e tu stai al loro gioco.
Io non ho fatto nulla a voi due quindi lasciami stare oppure davvero Elisabeth si troverà con qualcosa di rotto» mi ritrovai ad urlare buttando su di lui ogni colpa
«Tu sei la compagna di classe di Shade?» chiese in un tono strano che sembrava una domanda ma che in realtà era più una realizzazione ad alta voce di un pensiero
«Nathan andiamo come se non lo sapessi» lo guardai impassibile negli occhi
«Ora mi dirai anche che non sai nulla del video immagino?» gli chiesi scoppiando in una risata isterica 
«Di cosa stai parlando?» chiese smarrito
«Credo che potresti fartelo dire da Elisabeth o da metà scuola presente o dall’altra metà che mi crede una violenta. E tutto questo per colpa tua!» urlai di nuovo isterica e feci per andarmene ma venni bloccata dalla sua presa sul mio braccio
Lo guardai fredda e posai i miei occhi sul suo braccio e poi lo guardai, lui subito liberò la presa ricordandosi la scenata pochi istanti prima
«Cosa è successo?» mi chiese allarmato
«Elisabeth te lo spiegherà meglio di me» dissi con rabbia 
«Ma io voglio saperlo da te» disse guardandomi negli occhi
Lo guardai a mia volta cercando le parole giuste.
«Forse avresti dovuto chiedermelo prima di puntare il dito Nathan» dissi in tono deluso
Poteva chiederlo a me e non accusarmi come tutti
«In questo momento non ho abbastanza senso dell'umorismo per raccontartelo mi dispiace» dissi sarcastica «Ma sai non importa, fa come se non ti avessi detto niente, cancella le ultime frasi è meglio così, anzi, aggiungiti anche tu al coro, almeno non ti farò più pena e lasciarmi stare.
Salutami tanto la tua fidanzata e non dire che non lo è vi ho visti a scuola oggi. Sei come tutti gli altri Wayne le mele non cadono molto distanti dall’albero» e me ne andai più in fretta possibile.
Tornai a casa e cercai di concentrarmi il più possibile nello studio ma non ci riuscì granché.
Questa giornata era una di quelle da aggiungere al dimenticatoio, insomma ero andata per scusarmi, ed ero finita per litigarci di nuovo.
Tutte quelle ragioni che avevo trovato per dubitare che lui fosse uno dei tanti menefreghisti, il mio auto convincimento che forse avevo esagerato parlando della sua famiglia era andato a farsi fottere dopo aver visto quella scena del bacio.
Non ce la facevo proprio a restare calma pensando a quella stupida ragazza, non riuscivo a capire cosa stava succedendo.
Eppure mi sembrava impossibile che lui non sapesse nulla.
Un mese fa ero quasi invisibile ed ora mi ritrovavo a camminare per scuola derisa da tutti.



 

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Capitolo 9
*** Papercut ***


 
Haley

 
9 -  Papercut

Paranoia's all I got left 
I know just what it feels like to have a voice in the back of my head…
A face that awakes when I close my eyes 
A face watches every time I lie 
A face that laughs every time I fall 

 
Tutto si lascia possedere dalla paranoia 
So come ci si sente quando senti una voce nel retro della testa… 
Una maschera che si sveglia quando chiudo i miei occhi 
Una maschera che controlla quando mento 
Una maschera che ride ogni volta che cado 


(Linkin Park – Papercut)


L’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie si svolse normalmente ero rilassata, libera dal peso di tutti quegli sguardi, sapevo che per ben quindici giorni non avrei mai più rivisto quelle facce e forse la storia del video sarebbe passata in secondo piano.
Negli ultimi dieci minuti di lezione ci fu un caos di saluti baci e abbracci vari.
Solo due compagne mi fecero gli auguri che ricambiai per solo per cortesia.
Prima di uscire Shade mi fece uno scherzo ma io gli bloccai di nuovo il polso e lo strinsi forte per poi storcergli il braccio e addossarlo al muro
«Riprovaci e ti spezzo questo paio di ossa che hai al posto del braccio» sibilai arrabbiata
«Volevo farti gli auguri perdente» disse ironico lo vidi strofinarsi il polso appena liberai la presa 
Quando suonò la campanella mi dileguai in più in fretta possibile ma non riuscì ad evitarle il mio futile, quanto inopportuno destino.
«Hai spezzato un braccio a qualcuno sta volta? Oppure ti sei limitata ad ucciderlo?» mi ritrovai Elisabeth di fronte e non potevo usare l’Ipod per ignorare la sua voce squillante
«Cos’è? sei troppo occupata a piangere per parlarmi» cominciò sorridendo «Sai stai avendo molto successo con il video. Spero ti sia arrivato il promemoria» e poi mi guardò in attesa di una mia mossa
Strinsi i pugni che facevano ancora male. Li strinsi talmente forte che senti la pelle strapparsi e le ferite si riaprirono.
«Sei dedideri essere la prossima accomodati» dissi decisa alzando lo sguardo, lei si arrabbiò e cercò di darmi uno schiaffò.
Afferri la sua mano in un secondo e la bloccai e cominciai a stringere
Non so perché ma quella sensazione mi piaceva, vedere soffrire almeno un po’ le persone che mi ferivano a loro volta
«Mi fai male così» piagnucolò
«Ora che le posizioni si invertono non è più così divertente» le ricordai e poi la lasciai andare
“Ancora troppo debole” mi suggerì l’eco nella mia testa
«Codarda con il morbo di Alzheimer» disse mentre me ne stavo andando «Sai l’altra sera stavo cenando con i miei genitori quando mio padre si è alzato per  salutare un suo dipendente e indovina un po’ chi era? Tuo padre, che se stava lì a cena con la moglie e figlia, io ingenuamente gli ho chiesto come mai non c’eri e loro molto infastiditi hanno cambiato argomento. Certo avere un padre che neppure ti considera deve essere penoso ma per te deve essere normale, ti detesta come tutti, sei solo un peso per loro» il mio corpo cominciò a tremare di rabbia 
Afferrai il collo del suo cappotto e lo strinsi per farla avvicinare a me, volevo che mi guardasse negli occhi
«Tu non sai nulla di me» ma non riuscì più a parlare una voce sovrastò la mia 
«Ora smettila!» disse una voce famigliare puntando verso i miei occhi, in quel momento avvertì una sensazione simile alla paura.
Incrociai i miei occhi furiosi con i suoi profondi quanto determinati, mi sentì sprofondare.
Mollai istintivamente la presa e indietreggiai
Perfetto a quanto pare aveva scelto la parte adatta a lui, sentì Elisabeth ridere di gusto.
«Come volevasi dimostrare» Elisabeth andò ad abbracciare Nathan da dietro «Mai nessuno sceglierà te»  il suo sorriso si amplificò fino a diventare una deformazione del suo viso
«Questa te la sei cercata» commentai facendo un passo avanti, ma un ragazzo alto con i capelli biondi si oppose con il suo corpo, era Blake
«Lasciami passare» dissi guardandolo in tono di sfida nonostante mi sovrastasse di almeno di venti centimetri
«Meglio di no piccoletta» mi sorrise divertito
Spostai lo sguardo verso Nathan il quale mi guardava con una strana espressione.
Dovevo trovare un modo per restare indenne, ma più cercavo di restare calma più la rabbia che avevo in corpo esaltava le mie emozioni fino a confluirle in una maschera, quella che preferivo di più.
Perché in quel momento mi sentivo così fragile da cedere immediatamente, mi ero illusa di nuovo.
Mi sarebbe andato bene tutto. Ma questa maledetta sensazione di delusione se ne doveva andare via subito. Non volevo più sentire tutte queste bugie, tutte quelle parole complici di inganno, voglio gettare tutta questa rabbia addosso ai responsabili, volevo trasformarla in qualcosa di meno doloroso, volevo scappare, gettare via tutto questo dolore, i miei occhi cercavano invano una via di fuga perché stavo soffocando irrimediabilmente.
Non volevo crollare davanti a tutta questa gente che non aspettava altro.
“Lascia che ti aiuti, lascia che ti liberi da tutta questa paura, posso aiutarti”
Aveva ragione non ero sola, il vuoto mi avrebbe aiutato. Mi era sempre stato vicino.
Era il mio unico appiglio, l’unico di cui sapessi cosa temere, cosa volesse in cambio.
Infondo non è poi così brutto arrendersi, soprattutto quando diventa un modo come un altro per combattere e proteggersi.
Non m’ importava se in cambio dovessi sentirmi così vuota e nauseata dalla mia stessa apatia, ero al sicuro tra le sue mura, non potevo aver paura del dolore che conoscevo e non potevo tornare indietro.
Perché il suo gelo poteva anche prendersi il mio calore, ma mi aiuta ad ovattare ogni sensazione, il disprezzo, invece, che vedo negli occhi della gente invece mi esponeva alla luce, mi faceva apparire debole.
Mi arresi e indossai la mia maschera
Sguardo vacuo, intento ad osservare il mio nemico ed accettare dentro di me la sua oscurità, la mia sola ancora di salvezza.
Labbra strette per non permettermi di parlare o peggio di emettere nessun rumore compromettente, né vomitare.
Cercavo di trovare la forza per respirare e buttare giù nello stomaco tutto quello che stava emergendo lacrime, disgusto, rassegnazione, abbandono, perdita.
Ero completamente tesa, avrei voluto colpire qualunque cosa ma  le mie mani erano strette  saldamente in due pugni sanguinanti bloccati ai fianchi.
Non potevo nemmeno abbassare lo sguardo o non lo avrei più rialzato e magari i miei occhi nascosti per un secondo dalla luce avrebbero ceduto e da li non avrei più potuto tornare indietro.
Dovevo rassegarmi, dovevo affrontarli. Dovevo rivivere di nuovo quegli incubi che stavano diventando realtà. Dovevo difendermi a modo mio.
Dovevo prepararmi a sentire, ad ascoltare, ad intaccare ogni sua prossima parola e restare indenne.
Qualunque cosa avessero detto, qualunque parola avessero detto per quanto pesante e dolorosa potesse essere non avrei dovuto reagire.
Qualunque cosa fosse successa doveva essere presa e fatta sbattere contro una superficie di vetro, senza obbiezioni né dubbi.
Respirai affondo preparandomi a ricevere l’impatto con l’inevitabile, il mio cuore non faceva che sussultare frenetico.
L’avrebbero di sicuro deriso, spezzato, dissanguato, ed infine innalzato come trofeo ma questo non importava.
Lasciarmi invadere da quel senso di tepore gelido che si stava piano, piano dilatando.
I miei occhi fissavano ora quelli di Nathan privi di qualunque emozione.
In questo momento potevo perfino uccidere qualcuno o meglio Elisabeth, quella ragazza che era protetta da suoi occhi seri e inquietati che tanto odiavo.
Volevo che mi guardasse ora, adesso che non avevo più niente da perdere.
Doveva guardami nel momento in cui mi vedeva cadere.
Non riuscivo più a provare niente se non la sensazione del vuoto che avanzava eccitato.
Una sensazione piacevole quanto devastante. 
Cercai inutilmente di fare un passo avanti ma venni di nuovo fermata da Blake
«Calmati» mi prese i polsi nelle sue mani
«Non azzardarti a toccarmi un solo momento di più» dissi decisa e lo strattonai cercando di liberarmi ma era notevolmente più forte di me
«Non fai che peggiorare la situazione» mi fece gentilmente notare
«Davvero?» domandai sarcastica «Perché c’è qualcosa che può andare più storto di così? Fatti da parte biondino la questione è tra me e quella specie di pazza» ripetei in tono neutro dandogli un calcio improvviso
Lo senti imprecare e maledirmi ma ne approfittai per staccare la sua presa dalle mie mani velocemente
«Se provi di nuovo a toccarmi non giocherai più a basket» lo minacciai
Blake si ricompose e mi sorrise passandosi una mano tra i capelli biondi scompigliati
«E’ meglio se vai a casa»
«Ha ragione vattene che è meglio. Qui fai solo la figura della malata» intervenne di nuovo Elisabeth «Torna a strisciare come la perdente che sei»
«Sta zitta Elisabeth» tuonò Nathan quasi un fulmine a ciel sereno.
Il vuoto indugiò ad avanzare.
Perfino a questo punto il cuore non si arrendeva? Aveva spinto il cervello a recepire il nome di Elisabeth invece del mio.
Era finita, la mia possibilità di cambiare, di sperare era morta.
Però sentivo una strana calma, perché il tepore agghiacciante si era pietrificato?
«Ti senti bene?»
«Lasciala stare Haley» disse Nathan calmo
Mi ritrovai spiazzata e priva di forze per ragionare ulteriormente su quello che stava succedendo.
Lui aveva detto di smetterla a Elisabeth? Lui stava difendendo me la ragazza invisibile, malata, senza sorriso, incapace di provare emozioni? Io che l’avevo offeso e senza pensarci due volte ferito, senza provare rimorsi, senza pensare alle conseguenze.
Stava dalla mia parte. E mentre pensavo ciò anche il vuoto dentro di me era sconcertato e impaurito ritornava nel suo solito posto, nell’oscurità in attesa del mio prossimo cedimento, della prossima debolezza.
Perché non poteva agire alla luce.
“Sono qui per tutto il tempo che vuoi perché prima o poi crollerai e avrai bisogno di me … io sarò qui ad aspettarti”
Ma intanto sentivo il mio cuore che decelerava eppure io volevo nascondermi, non meritavo affatto il suo aiuto.
«Ma…»
«Ho detto di lasciarla stare dannazione!» urlò arrabbiato e mi diede le spalle per poter guardare in faccia Elisabeth
«E stata lei a cominciare» si difese indignata
Nathan si voltò verso di me e i suoi occhi mi trovarono indifesa, mi senti persa appena i suoi occhi mi lasciarono per rivolgersi ad Elisabeth
«Davvero?» Blake trattenne una risata
Guardai il biondino di fronte a me sorpresa si era riappropriato del mio polso destro ma non mi ero accorta di nulla
Non riuscivo a stare calma, avevo paura di rilassarmi, se lo avessi fatto la mia guardia avrebbe ceduto, sarei stata vulnerabile.
«E cosa avrebbe fatto? Cosa ti è saltato in mente decidendo di pubblicare quello stupido video?» disse Nathan in tono arrogante
Ma Elisabeth non rispose evidentemente presa alla sprovvista.
«Non riesci proprio a crescere Beth?» 
«Una volta ti piacevano queste cose» gli rispose Elisabeth
 Senza aggiungere altro avanzò e mi sorpassò puntando gli occhi contro di me e sussurrando a denti stretti un insulto
Blake mi guardò e fece pressione contro il mio braccio che orami era mezzo indolenzito e poi lo allentò di colpo. Non osai spostare lo sguardo in giù.
«Finiscila Beth, stai esagerando» intervenne Blake
«Cos’è vi siete tutti fusi quel cavolo di cervello che vi ritrovate» in quel momento Nathan si voltò verso di me e incrociò i miei occhi, non sapevo come reagire, non mi aspettavo tutto questo. 
Le mie braccia crollarono inermi sui miei fianchi.
«Guardatevi proteggete una sottospecie di pazzoide malata, manesca» indicò massaggiandosi il polso
«Ti ci vuole ancora tanto per finire questa sceneggiata, se hai un problema con Haley risolvilo con me» disse Nathan in tono sprezzante e Elisabeth si voltò 
«Credimi non sprecherò di certo altro tempo qui, se cambiate idea sapete dove trovarmi»  sbuffò per poi andarsene insieme ad altre ragazze.
Le stesse che avevano riso poco fa dilatando le loro labbra in un sorriso compiaciuto, adesso camminavano a suo fianco con facce preoccupate e adirate, era pura ipocrisia.
Questa era l’amicizia, questa era quello che avevo sempre provato.
Notai che Nathan mi stava ancora fissando e poi capii, avevo ancora i pugni stetti e lasciai la presa. Sentivo le mani tutte coperte di sangue gocciolante tremare di rabbia. 
Perché diavolo lo aveva fatto? Ora le cosa sarebbero peggiorate maledizione!
Ma d’altronde se non fossero intervenuti io avrei sicuramente perso il controllo, e sarei finita per fare il suo gioco, quindi dovevo solo ringraziarli.
Poi Nathan andò a raggiungere Elisabeth, la fermò per il braccio e la prese in disparte.
Non volevo vedere altro, perché mi aveva difeso se poi andava da lei?
Ma non potevo biasimarlo, non mi sarei mai dovuta aspettare niente di più.
In quel momento cedetti, abbassai lo sguardo.
Non potevo più rialzarmi.
Perché dovevo trovarmi in una situazione del genere.
Un ronzio insistente cominciò infastidirmi, erano le stesse risate dell’altro giorno. La stessa gioia nel vedere gli altri sconfitti. Quanto odio la gente, un continuo alza e abbassa bandiera. È più bello stare dalla parte più facile.
Blake mi toccò prudentemente la spalla, sussultai.
«Ti impedisco di piangere per qualsiasi cosa ti abbia detto Beth» sussurrò lieve
Mi appoggiò una mano sulla guancia eliminando quella traccia scomoda e fermando quell’impulso improvviso di andare giù, mi ritrassi all’indietro riprendendo il controllo
«Sta tranquilla» mi sorrise donando vita ai suoi occhi verdi e si avvicinò al mio viso «bel colpo prima piccoletta, ma alquanto sleale» scoppiò a ridere e mi diede un colpetto sulla spalla
«Scusami» dissi rendendomi conto di ciò che avevo fatto  
«Devi un favore a questo biondino da oggi» disse indicandosi con il pollice e facendomi l’occhiolino poi mi salutò con un gesto della mano per poi andare nella stessa direzione di Elisabeth che ora stava discutendo con Nathan
Ad un certo punto Elisabeth mi indicò, e vidi Nathan guardare nella mia direzione.
Mi sentivo a disagio, decisi di andare via,  abbassai ancora la testa nervosa e camminai svogliatamente nella direzione del parco, ma in realtà il mio cervello stavo ancora pensando a poco fa, non avevo voglia di andare da nessuna parte.
Mi appoggiai alla rete che delimitava il parco, non avevo voglia di entrarci, ogni luogo mi sembrava troppo aperto, troppo esposto per poter starmene da sola, cercai di pulire il sangue dalle mani il più possibile anche se non riuscivo ancora ad averne il pieno controllo.
Rassegnata abbassai la testa cercando un modo per calmarmi e proseguire verso casa
«Ehi» alzai la testa e mi trovai Nathan di fronte con il fiatone
Cercai di trattenere l’impulso di urlare e dirgli che non mi doveva seguire, che non doveva difendermi, ma sapevo che sarei finita in lacrime prima ancora di cominciare.
«Ehi» dissi infine abbassando la testa, cercai di tenere la voce ferma, volevo dirgli grazie ma non riuscivo a pronunciarlo
«Ha oltrepassato il limite» mi spiegò velocemente, sbirciai alzando un po’ la testa  e lo vidi guardare dall’altra parte pronunciando quelle parole.
Cominciai a camminare mentre lui mi seguiva poco distante.
Arrivati all’incrocio mi spinse a destra e mi mise il braccio intorno al collo, alzai la testa per fermarlo, ma la sua mano mi teneva la spalla, non mi guardò nemmeno, decisi di non fare niente e mi lasciai condurre a casa sua.
Camminavo a testa bassa, ma notai lo stesso che continuava a guardarsi intorno.
Apri il cancello nero con una chiave e poi lo richiuse.
Perché mi stava portando li?
Avevo una confusione in testa e la rabbia che contribuiva ad agitarmi.
Aprì la porta tutte le luci erano spente, Nicole non c’era.
Quando richiuse la porta mi lasciò il braccio e si levò la giacca poi abbassò la cerniera della mia con una lentezza per me estenuante, me la tolse, per poi appenderla accanto alla sua. Non mi guardò mai in faccia. Io ero incapace di reagire ce ne restammo lì davanti all’entrata uno davanti all’altra, io con lo sguardo a terra e lui guardava tutto all’infuori di me.
Evidentemente dovevo averlo nauseato oppure semplicemente si era pentito per prima.
Mi trascinò in bagno dove mi sciacquò e ripulì le mani che continuavano a tremare. Non riuscivo ad alzare lo sguardo, provavo soltanto vergogna per me stessa e per il mio corpo.
Mi sentivo vulnerabile, le mie mani tremavano e non riuscivo a fermarle, non riuscivo a controllare il mio corpo.
Io non ero una ragazza normale, avevo qualcosa di strano e spaventoso che si manifestava dentro di me e queste erano le conseguenze.
All’improvviso sentii l’impulso di parlare di spiegare perché credevo di averlo spaventato o peggio.
«Io non sono sempre così» tentai di giustificarmi
«Non preoccuparti di quello che ti ha detto» disse fermandomi
«Questo non significa che abbia torto» intervenni con voce alterata cercando di non fare passi falsi
«Io sono parecchio strana Nathan» cercai di sdrammatizzare con una voce strana
Mi strinse a se e appoggiando il mento sopra la mia testa 
«Se ascolti persone come lei alla fine ti ritrovi calpestata senza rendetene conto. Se lo avessi saputo, se solo me lo avessi detto non avrei mai permesso che ti accadesse nulla, ti potrai sempre fidare di me» continuò Nathan
Lo colpì svogliatamente al petto per poi aprire debolmente la mano, stringendo a me un pezzo della stoffa della sua felpa
«Scusami» sussurrai nel tentativo di impossessarmi del suo calore, della sua protezione.
Nathan mi strinse completamente a se, percepì così quel tepore protettivo da me tanto desiderato.
Era come essere protetta da uno scudo che assorbiva la mia insicurezza, la mia paura facendomi dimenticare la razionalità. 
È più si faceva largo questo pensiero più le lacrime uscivano, silenziose uscivano senza permesso.
Perché mi ero appena resa conto di quanto avessi bisogno di quel calore, realizzai che sebbene nella realtà lo negassi avevo bisogno che qualcuno che mi aiutasse.
Qualcuno che mi aiutasse ad uscire da questo circolo vizioso fatto di bugie, rimpianti, ricordi, dolore e vuoto.
Avevo paura di quello che ci sarebbe stato dopo, non volevo rovinare anche la sua vita, ma l’egoismo di cui è capace l’essere umano, non ha limiti e non prevede i sentimenti altrui.
«Mi dispiace io» sussurrai ma non riuscivo a pronunciare quella frase
«Ne riparliamo quando ti sarai calmata» mi propose vedendomi totalmente confusa
Quando smisi di piangere, mi staccò da se
«Sistemati un po’ io intanto rimedio qualcosa da mangiare» e mi scompigliò la frangia coprendomi gli occhi.
Appena staccò il nostro contatto m’investì un freddo intenso che quasi riafferrai la sua mano per non farlo scappare ma all’ultimo istante chiusi la porta e trattenni il respiro per aver evitato quel gesto così istintivo quanto sbagliato.
Quando lo sentii aprire dei cassetti in cucina ricominciai a respirare e mi lavai il viso con l’acqua gelida.
Quanto avrei voluto che tutto finisse in quel preciso istante non volevo andare avanti così.
Sciolsi i capelli per sistemarli e uscii dal bagno andando in cucina.
Mi fermai sulla soglia della porta.
Si girò e mi vide sulla porta
«Pensavo avessi fame, mia madre oggi fa il turno serale ma ti avverto che non sono molto bravo a cucinare, ma posso fare dei panini discreti» disse scherzoso mettendosi una mano tra i capelli neri ribelli 
«Potrei cucinare io» proposi vedendolo in difficoltà
Lo vidi stranamente indeciso
«Tu prepara la tavola» lo incitai facendo un gesto con le mani
«Va bene» si arrese «Ma ti avverto che io mangio tanto»  
«Abbiamo una cosa in comune allora» dissi togliendoli il coltello di mano
«Forse più di una chissà» mi sorrise dolcemente avvicinandosi ma come se si fosse ricordato di qualcosa si trattenne.
«Vorrei che tu mi dessi delle risposte» disse Nathan ad un certo punto spegnendo la tv
Avevo avvisato per messaggio ai miei che sarei tornata dopo cena. Dopo aver mangiato Nathan mi aveva lasciato riposare un po’ in soggiorno
«Cosa?» dissi non capendo
«Mi devi guardare in faccia senza inventarti scuse ne controbattere, mi devi delle risposte»
«Penso sia giusto» immaginando di dover dare spiegazione di ogni mia possibile stranezza e di quella sera quando ci eravamo incontrati
«Dimmi che avevo ragione, che sei stata troppo cocciuta con me per ammetterlo e che vuoi che ti aiuti»
Lo guardai confusa. Mi ero aspetta tutt’altro. Ero andata in paranoia per nulla.
Lo vidi sorridere compiaciuto per avermi fregato.
«Sei modesto» risposi scuotendo la testa
«Andiamo scheggia»
«Perché cavolo mi hai dato questo soprannome ti avevo detto che odio»
«Ti si addice» disse sorridendo, sentii improvvisamente caldo e distolsi lo sguardo
«È troppo difficile da imparare Haley?» chiesi seccata
«Con scheggia indico solo te, perché non ti piace?» mi domandò
«Non mi piacciono i soprannomi in genere e basta» dissi frettolosa
Mi guardo cercando di studiarmi
Cercai di pensare a qualcosa per distrarlo dall’argomento per evitare di dover mentire ancora.
«Se non hai di meglio da fare e sei disposto ad offrirmi ancora una mano forse è meglio che l’accetti» dissi di fretta guardandolo per cinque secondi e poi tornai a guardare giù
Forse non era poi così assurda come persona, sapevo benissimo di avere un problema, ma nessuno si era mai avvicinato tanto per capirlo, o forse stavo semplicemente diventando pazza e mi lasciavo trascinare nell’ennesima delusione.
«Hai dimenticato»  ma si fermò quando lo guardai storto «Va bene lo stesso» concluse soffocando una risata
«Credevo che mi stessi prendendo in giro, non che sia convinta del contrario adesso, non credevo lo avresti fatto, non credevo saresti intervenuto oggi» dissi fissando lo schermo nel quale vedevo riflessa la mia immagine e la sua.
«Però adesso tu che farai? Cioè hai litigato con Elisabeth per colpa mia e inoltre guarda come ho trattato Blake» ma non mi lasciò terminare
«Credimi non è di certo la prima volta Blake ci è abituato» rispose lasciando la frase in sospeso
«E cosa pensa Elisabeth ora di te? Sei ancora in tempo per chiederle scusa e» mi torturai le mani «fare quello che vuoi» tentai di dire
«Abbiamo delle idee molto diverse sulle persone e io non condivido i suoi metodi, ma non voglio parlarne» disse cambiando argomento
Mi guardò e io abbassai la testa cercando di trovare qualcosa da dire ma volevo soltanto fare scomparire questo senso di smarrimento che provavo e mi metteva in agitazione.
«Le tue mani» sussurrò «le nascondi spesso, tremano quando sei nervosa oppure quando…»
Mi morsi il labbro inferiore maledendo il mio corpo traditore
«Si» dissi aprendo le mani e abbassando la testa «Succede continuamente, quando sono arrabbiata, nervosa, quando sono in mezzo alla gente, quando un ragazzo mi tocca in qualsiasi modo» dissi fermandomi e ritirando le mani in due pugni «Non ho la più pallida idea di cosa sia» dissi in tono quasi deluso guardando altrove, non mi piaceva affatto parlare di me
«Quindi hai paura del contatto fisico» concluse lui
«Probabilmente» dissi atona alzando le spalle cercando di non arrossire
«Posso provare?» chiese mi sentivo molto a disagio  
«No» dissi scioccata dalla sua domanda
«Ok.. Riformulo la frase. Fammi provare»
«No!» ribadì
«Avevi detto che avresti risposto alle mie domande» rispose finto imbronciato
«Non prevedeva questo il mio si» dissi arrampicandomi sugli specchi
«Devi darmi delle risposte, comprende anche questo mia cara scheggia» sorrise soddisfatto 
«Non voglio»
«Perché?» mi domandò «Non succederà niente» disse allungando una mano verso la mia, arretrai istintivamente 
Sarebbe successo un disastro, io ero un disastro
«Non voglio giudizi» dissi nervosa «E non so cosa…» ma non riuscì a finire la frase
«Niente giudizi ed ho i riflessi agili non farò la fine di Blake» mi sorrise «Però tu chiudi gli occhi» disse mettendosi una mano sul cuore come sua specie di promessa
Quando chiusi gli occhi pochi istanti dopo la mia guancia venne sfiorata da una mano calda, strinsi la mano sinistra in un pugno e il piede cominciò a battere nervosamente.
«Ferma tamburina» sussurrò divertito 
«Non è colpa mia» cercai di difendermi
Sentivo la mia pelle sfiorata più volte in punti vicini, le sua mano andò dietro il collo e fece da blocco impedirmi di spostarmi.
«Non così» dissi nervosa mentre cercavo di scacciare il pensiero delle sua mani
Con l’altra mano mi toccò la mano.
«Rilassati» sussurrò ma sentii il suo respiro troppo vicino e mi preoccupai.
«Quanto manca?» cercai di indietreggiare ma la sua mano bloccava la mia testa
Ma non riuscì più a resistere, aprì inevitabilmente gli occhi, vidi i suoi occhi blu che mi fissavano troppo vicini.
Una scossa percorse il mio collo fino alla schiena e il bracciò sinistro scattò in avanti in difesa
Mi alzai di scatto, spingendolo con forza via da me e tentando di nascondere le mie mani.
«Basta esperimenti per oggi» dissi respirando affannosamente pensando che in questo momento mi sentissi come una vera e propria cavia da laboratorio, era come scoprire a cosa ero allergica.
Mi sentivo dannatamente nervosa, il mio cuore non la smetteva di battere nevrotico.
Il mio bracciò cominciò a tremare, cercai di stare calma, ma il mio viso era bollente
Lui se ne stava immobile e rendendomi conto di ciò che avevo fatto me ne scappai in bagno chiudendo la porta e scivolai conto la porta fino a rimanere in ginocchio con la testa in mezzo alle gambe cercando di regolarizzare il respiro
«Scusami» disse Nathan da dietro la porta avendo visto la mia reazione «Apri la porta scheggia» bussò piano ma non risposi dovevo prima di tutto calmarmi
«Hai paura di me ora?» dissi dopo un po’ di silenzio non sapevo nemmeno se era ancora dall’altra parte o se n’era andato
«Perché dovrei?» chiese
«Io si » ammisi sorridendo amareggiata e apri appena la porta
«Ho paura di come ho appena reagito, ho paura quando tremo perché non ne capisco il motivo» lo guardai
«Non è certo colpa tua» mi guardò e sollevò una mano verso di me ma poi la ritrasse 
«Forse hanno ragione, c’è davvero qualcosa che non va in me» dissi sforzando un sorriso
«Tutti abbiamo qualcosa di strano ma c’è chi è più furbo e lo tiene nascosto, chi invece non ammette cose di questo tipo, e altri che non sanno convivere con ciò che hanno perché hanno paura di essere giudicati» disse per rassicurarmi «Devi, dobbiamo solo trovare il modo per sfruttarlo a tuo vantaggio»
«Perché tu fai sembrare tutto semplice, non sai che significa avere paura di guardare negli occhi una persona perché ti senti giudicata come se quella persona potesse leggerti nella mente, non vieni giudicato per il modo in cui ti vesti, non hai paura delle altre persone» dissi alzando la voce «Non puoi immaginare quante volte mi sento inferiore e sto male perché mi reputo una stupida, le mie mani tremano in continuazione e io devo nasconderlo perché ho paura, paura di tutta quella gente, non sai cosa si prova a desiderare la propria morte o quella degli altri, sono solo una codarda che non riesce a gestire le sue stupide emozioni.
Non puoi dirmi che devo solo saper sfruttare le situazioni a mio vantaggio! Perché io non ho niente da sfruttare, non provo nulla solo dolore perché infondo è l’unica cosa che mi fa sentire ancora umana e dannatamente fragile» dissi stringendo i pugni non riuscivo a tenere a freno la mia lingua
«Ti invidio Nathan hai una madre che si preoccupa per te, hai Blake che, da quello che ho visto, ti sta accanto anche quando, insensatamente proteggi me evitando che mi esponga e diventi ancora più vulnerabile e schernita. Mentre io non ho il coraggio di dirti un grazie per tutto questo! Mi sento uno schifo solo perché prima non riuscivi a guardarmi, ho paura di averti spaventato e mi sento patetica a dirti queste cose, perché credo che alla fine tu te ne andrai come fanno tutte le persone quando ho bisogno di loro, da te non mi aspetto niente di diverso eppure non riesco a smettere di dirti cose che non dovresti sapere» dissi confusa dal mio stesso comportamento.
E in mezzo a questo fiume in piena di parole non riuscivo a trovare la ragione di questa improvvisa ammissione, da molti anni non parlavo apertamente con una persona e questo mi turbava.
Smisi di parlare a vanvera e mi fermai a prendere fiato, dopo di che mi investì un senso di panico.
Che stavo facendo? Che cavolo avevo appena detto?!
Nathan mi aveva lasciato vaneggiare per non so quanto tempo, diventando forse isterica e pietosa, ma non ero stata capace di frenare quell’improvviso vomito di parole.
Con i miei continui sbalzi di umore, tutte queste parole messe a casaccio in quello che non poteva certo definirsi un discorso o una spiegazione, era uno maledettissimo e dannato sfogo. 
E lui non aveva fatto niente per impedirlo! Si era limitato a guardarmi senza dirmi una sola parola.
Mi sentivo smarrita, non vedevo nessuna reazione da parte sua e questo mi fece sprofondare
«Promettimi che tra dieci secondi dimenticherai tutto» dissi nervosa cercando di potermi inventare qualcosa per tornare indietro nel tempo e tapparmi questa maledetta bocca.
Quella dannata sensazione di insicurezza e vulnerabilità.
Venne verso di me, mi accarezzò la testa e sorrise e i suoi occhi trovarono i miei e mi spogliarono di ogni paura
«Com’era? La vita era perfetta senza di te» mi imitò sarcasticamente «Testarda di una ragazza» concluse sorridendo lieve
«Scusami» dissi guardandolo negli occhi «Alcune delle cose che ti ho detto non le pensavo veramente»
«Alcune?» mi domandò  sarcastico
«Che fai parte di un gruppo di iene e che sei troppo sicuro di te, di queste ne sono ancora convinta»
Non volevo più distrarre lo sguardo dal suo, la sua mano si posò sulla mia guancia.
Stava sorridendo ora. Era strano.
I suoi occhi blu erano più scuri verso l’interno come se in un certo punto il nero della pupilla si mescolasse al suo blu metallizzato che rischiarava verso l’esterno.
Mi spostò il ciuffo con la sua mano e mi scoprì l’occhio destro, ma io lo riportai dov’era sfiorando la sua mano e la ritrassi immediatamente, lui sorrise piano.
«Non guardarmi così Haley. Gli occhi sono lo specchio dell’anima lo sapevi?» mi disse sorridendo
«I miei sono vuoti» ribattei, lui si avvicinò
«Ti assicuro che in questo istante mi stanno parlando e sono stupendi» disse sorridendo
Era bello quando sorrideva, era bello dovevo ammetterlo.
Scossi lievemente la testa. Mi accorsi di avere le guance calde.
No! Volevo dire carino, semplicemente carino
«Sei tu quello strano ora» dissi imbarazzata
«Vedi abbiamo un’atra cosa in comune, non sono poi così diverso da te come credi»
«Non credo funzioni così» gli dissi incerta
«Stai dicendo che le tue stranezze sarebbero migliori delle mie forse?» mi guardò scherzoso
Scossi la testa e decisi che era il momento di tornare a casa, cominciava ad essere tardi.
Convinsi Nathan a non accompagnarmi, volevo stare un po’ da sola non era normale per me tutto quello che era successo oggi
«Ti aspetto per Natale? Mia madre vorrebbe vederti» disse mettendosi una mano tra i capelli
«Credo di poter venire nel pomeriggio» gli dissi 
«Perfetto, ci vediamo tra tre giorni scheggia»
Lo guardai stranita per qualche secondo
«Non puoi proprio evitalo?>>
«Ti ci abituerai» rispose scompigliandomi i capelli


Quella notte feci un sogno molto strano.
Percorrevo molte stanze senza meta per ritrovarmi in mezzo ad una stanza buia.
Mi accorsi di non essere sola accanto a me c’era Nathan, i suoi occhi brillavano al buio.
Notai che mi stringeva la mano, guardava un punto, lo osservai anch’io.
Una piccola figura illuminata da una luce fioca.
«Non lasciarmi sola» ripetevo
«Non soffocarmi nei ricordi» diceva la piccola figura che andava sfocando «Lasciami rimanere»
Mi svegliai piangendo.

 

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Capitolo 10
*** The Heart Asks Pleasure First ***


Haley

 
10 – The Heart Asks Pleasure First

A kindest heart made me believe
The world as I wish it to be
Little hideaways for a lonely heart
 
 
Un cuore colmo di gentilezza mi fece credere
 Nel mondo come vorrei che fosse
Piccoli nascondigli per un cuore solitario

(Nightwish - 
The Heart Asks Pleasure First)
 




Mi sentivo leggera ma svuotata.
Se in questo momento qualcuno mi avesse messo la mano nel fuoco non avrei sentito dolore.
Ero assopita nel nulla. La mia mente vagava senza meta, sentivo solo l’eco dei miei pensieri confusi.
Da una parte mi sentivo sollevata, sicura che quello che era successo ieri non fosse stato solo frutto della mia fervida quanto contorta immaginazione, ma che finalmente potevo sperare in qualcuno.
Tuttavia un’altra parte non mi faceva altro che ripetermi di quanto fossi stata una stupida, che il mio comportamento mi avrebbe sicuramente danneggiato. 
Ero spezzata a metà.
Restai in questo stato per tutta la mattina, distesa sul letto nel tentativo di riprendere la cognizione del tempo che sembrava volare, volevo indietro la mia tranquillità, la mia neutralità. La mia invisibilità.
«Basta!» urlai al vento ad un certo punto 
Dovevo uscire, non avevo più voglia di stare in quello stato pietoso.
Uscì di casa prendendo la giacca e la borsa a tracolla nel tentativo di distrarmi.
Avrei dovuto cercare un regalo di natale per ringraziare Nicole e Nathan di tutte le seccature che gli avevo procurato, non che un regalo potesse cambiare qualcosa ma era un inizio, almeno lo speravo.
Guardai per molto tempo le vetrine addobbate per le festività natalizie in cerca di qualcosa di carino ma non sapevo da che parte cominciare.
Non mi piaceva andare per negozi la trovavo una cosa noiosa, tutte quelle commesse sempre o troppo gentili o troppo invadenti, e poi ci andavo sempre da sola, le rare volte in cui decidevo di entrare nei negozi di vestiti mi sentivo a disagio.
Tutte le ragazze della mia età erano accompagnate dalle amiche o dalle loro madri, ed ogni volta che le guardavo provavo uno strano senso di sconforto che si trasformava in odio.
Mi sedetti su una panchina sospirando.  Che cosa potevo regalarle?
Estrassi il cellulare dalla tasca e mi accorsi di aver ricevuto un sms da Nathan:
Ricordati di domani pomeriggio
Mia madre non vede l’ora di rivederti ;)

Subito approfittai per rispondergli:
Cosa posso regalarle?
 
Dopo due minuti lessi un suo messaggio:
Non serve un regalo scheggia!
…basta che tu ci sia!


Ma non avevo risolto un bel nulla
Mentre guardavo distratta la gente notai un bambino di circa otto anni che trascinava suo padre in una vetrina dove erano esposti dei giocattoli e affianco c’era un negozio che forse avrebbe fatto al caso mio
Mi alzai e andai a vedere i gioielli esposti. 
Poco dopo uscì dal negozio con un piccolo pacchettino.
Entrai in un negozio di musica per compare delle cuffiette nuove e lì ne approfittai per comprare anche il regalo di Nathan e tornai a casa. Non ero del tutto sicura che gli sarebbe piaciuto ma avrei rischiato.

Il pomeriggio di Natale andai a casa di Nicole, che dopo avermi aperto mi strinse in abbraccio quasi stritolante
«Haley tesoro finalmente che bello vederti!»
La salutai impacciata, mi sentivo a disagio, anche se non ne capivo il motivo
«Accomodati e raccontami come stai» disse entusiasta
Prima di appendere la giacca estrassi il regalo e glielo porsi.
«Per te, spero possa piacerti» dissi abbassando la testa
«Non dovevi, sei così dolce»
«E’ solo un pensiero» risposi
Cercai di non guardarla mentre apriva il regalo.
Speravo soltanto che le piacesse, non avevo idea di come ci si dovesse comportare e soprattutto se quel senso di vicinanza che provavo per lei era normale.
«Non è niente di speciale lo so» dissi giocando nervosamente con il piede
«Scherzi? È stupenda Haley» disse mentre osservava la collana con una pietra incastonata, quasi dello stesso colore dei suoi occhi, contenuta in una scatola blu.
«E’ troppo, non posso accettarla» disse sorpresa
«Nicole non credo che un'altra persona mi avrebbe accolto come lo hai fatto tu, niente potrà mai essere troppo» le spiegai cerando di cacciare giù il nodo che si era formato in gola, lei mi strinse a se
«Vado a preparare un po’ di cioccolata calda ne vuoi?»
Annuii ancora leggermente imbarazzata.
«Ho preso anche una torta, alla pasticceria del centro, si dice sia la più buona della città…» continuò mentre eravamo in cucina a palare, sentì sbattere la porta e gridare
«Sto morendo di fame! che c’è da ..?» ma si fermò appena entrò in cucina.
Aveva dei jeans chiari e un maglioncino blu scuro da cui si intravedeva una camicia bianca
«Ciao scheggia» si schiarì la voce appena si accorse di me «Sei già arrivata» scompigliandosi i capelli già in disordine
«Ciao» risposi alzando la mano destra  
«Nathan possibile che tu sia continuamente in ritardo!» disse sua madre
«Non è colpa mia! è il tempo che c’è l’ha con me»
«Ma davvero? E chissà come mai, invece, per il basket e per il cibo sei peggio di un orologio svizzero» disse ridendo
«Per quello utilizzo il sesto senso» disse prendendo una bottiglia di succo di frutta dal frigo
«Che razza di figlio egocentrico, offrire no?» lo rimproverò 
«Giusto. Vuoi qualcosa da bere scheggia?» mi sorrise
Scossi la testa 
Odiavo quel soprannome, era come tutti gli altri, non riuscivo a capire il perché continuasse a farlo.
«Ma se stai preparando la cioccolata perché mi hai chiesto di offrirle da bere?» chiese subito dopo 
«Per educazione Nathan»
«Allora la colpa è tua» la provocò abbracciandola
Senti lo stomaco contorcersi, provavo gelosia. Il loro rapporto era qualcosa che io non potevo nemmeno sognare.
«Noi andiamo in salotto intanto» Nathan mi fece segno di raggiungerlo
Lo segui perplessa.
«Che c’è?» gli domandai
«Tutto bene?» mi domandò sedendosi sul divano
«Certo perché?» scossi la testa non capendo
«Ti vedo strana» commentò
«Più del solito dici?» commentai sarcastica facendolo ridere
«E’ che non ci sono abituata, è strano essere coinvolta» dissi stringendo un pugno «Possiamo evitare di parlare di me, l’interrogatorio è finito due giorni fa» dissi cercando una scusa valida
«Come vuoi» rispose sorridendomi
«Comunque non lo hai detto a nessuno vero?» domandai piano quasi subito
«No tranquilla, so mantenere un segreto» il sorriso gli illuminò gli occhi
Mi avvicinai a lui e gli sussurrai grazie
«Che state confabulando a bassa voce?» chiese Nicole improvvisamente entrando nella stanza e mi fece spaventare
«Niente» sussultai e mi alzai dal divano imbarazzata mentre Nathan scoppiò a ridere
Mi aveva fatto prendere un colpo.
«Tranquilli se ho interrotto qualcosa posso tornarmene di là con la cioccolata e la torta»
«La cioccolata e la torta possono restare, tu invece fai come vuoi» Nathan si alzò e prese la sua tazza di cioccolata e nel farlo diede un bacio a Nicole
«Sei davvero incredibile quando ti ci metti sai?» disse sua madre sedendosi su una poltroncina di fianco a noi
«Tutta questione di duro allenamento» la prese in giro
«Auguri a chi ti sopporta allora» lo stuzzicai prendendo le difese di Nicole
«Non vale scheggia, siete in due contro uno!»

Tra una chiacchera e un pezzo di torta al cioccolato alla fine Nicole disse
«Nate guarda il regalo di Haley, è stata davvero carina» disse prendendo la scatolina blu in cui c’era la collana, mi sentivo il suo sguardo addosso ma non ne capivo il perché e poi pensando fosse una cosa buona andai a prendere il suo regalo nella borsa e glielo diedi
«Ho una cosa pure per te per ringraziarti» dissi dondolando nervosa sul posto
Ma non lo guardò nemmeno andandosene in camera
Dove avevo sbagliato stavolta? Non riuscivo a capire la sua reazione così assurda
«Non dargli retta è solo geloso del tuo regalo, non preoccuparti gli passerà» cercò di tranquillizzarmi vedendomi confusa.
Dopo un’improvvisa telefonata Nicole dovette uscire e mi lasciò da sola con Nathan che non aveva più parlato, anzi era andato in camera sua sbattendo la porta.
Sospirai ed andai a bussare e apri la porta trovandolo sdraiato sul letto con un braccio sopra la testa
«Dormi?» domandai cauta sulla soglia della porta ma non mi rispose e mi avvicinai piano e vidi i suoi occhi che cercavano di non guardarmi.
Mi appoggiai al tavolo della scrivania dove il pc era acceso e un piccolo sussurro di musica spezzava il silenzio che si era creato.
«Volevo ringraziarvi di ciò che avete fatto per me» spiegai guardando il pacchetto ancora appoggiato accanto al pc
«Il Natale per me è sempre stato così, cercare di ringraziare almeno in piccola parte le persone con cui stai bene accanto, e non mi capitava da tanto» dissi giocando nervosamente con le mani ma da lui ancora nessuna parola
«E’ solo uno stupido CD che adoro e volevo fartelo ascoltare, così per condividere qualcosa e darti qualcosa di mio visto che io ho le tue canzoni»
«Ma a quanto pare ogni cosa che faccio sbaglio» sorrisi amaramente «Tutto questo è sbagliato è meglio se vado» sospirai sconfitta alzandomi
«Non andartene»
«Perché? Sei arrabbiato per una cosa che nemmeno capisco e non mi guardi nemmeno» dissi nella penombra della stanza
Lo vidi alzarsi per raggiungermi e mi prese la mano ma lo scansai e gli porsi il regalo
Lui lo aprì e sorrise trovando Meteora dei Linkin Park
«Trattalo bene o te ne pentirai» gli dissi cercando di smorzare il silenzio
«Scusami volevo davvero passare del tempo con te ma non ho avuto tempo di farti un regalo. Sono un idiota » mi disse io annui e lo vidi sorridere alla mia provocazione
«Ti va di fare pace?» disse andando verso il pc cliccò una canzone e alzò il volume e partì una strana melodia
«Hai degli strani gusti in fatto di musica» tentai di ironizzare cercando di non guardare la sua mano che cercava la mia e la strinse piano
Lo senti ridere forzatamente chinando leggermente la testa in segno come essere stato sconfitto 
«Non dirlo mai a nessuno o te ne pentirai» mi imitò divertito
Strinse un po’ di più la mia mano e mi avvicinò a lui quasi per cingermi la vita
Scossi la testa
«Che fai? Non dovresti» cercai di stare calma
«Facciamo pace, è una canzone senza tempo perfetta per due tipi strani come noi»  
E mentre Be my baby dei the Ronettes andava Nathan mi stringeva a se, con le sue braccia attorno al mio corpo mi sentivo bene, quasi in un altro mondo, emanava un calore che riusciva a riscaldare anche il mio vecchio e arrugginito muscolo involontario.
E lo sentivo scalpitare dal petto come quasi se ne volesse uscire. E per evitare di farmi scoprire misi le mie mani in modo tale da cercare un lieve distacco tra i nostri corpi.
Credendo volessi staccarmi da lui con quel gesto Nathan sciolse l’abbraccio che mi avvolgeva e spostò il suo braccio sulla mia schiena per trattenermi
«Solo un altro po’» sussurrò vicino al mio orecchio dondolandomi ancora dolcemente
Era lui stesso il mio regalo, il tempo che passava con me, il suo calore.
Potevo quasi percepire il suo cuore sotto quel leggero maglione che lo avvolgeva, appoggiai la testa al suo petto quasi per poter sentirlo più vicino e scoprire se anche il suo cuore faceva strani scherzi, ma all’improvviso un cellulare suonò risvegliandoci da quella specie di sogno e ci rituffò nella realtà.
Si allontanò da me cercando il cellulare sommerso da qualche parte
«Ehi … si … no a casa… tutto bene.. sto bene» disse rispondendo al cellulare camminando su e giù per la stanza «nulla di che, stavo guardando la tv, proprio ora? Beh è tardi!» continuò «tu vai ti raggiungo dopo ok? Ciao» e chiuse la telefonata e mi guardò per poi sistemarsi i capelli e mi guardò come per dire qualcosa ma non disse nulla.
«Si è fatto tardi meglio se vado, hai altri impegni» dissi cercando di non guardarlo
Ero stata così stupida, con chiunque ci fosse al di là del telefono preferiva non far sapere che stava con una sfigata. Illusa.
«Haley aspetta! Non volevo e solo che» ma non m’interessava il perché
Si vergognava di me, come potevo biasimarlo?
«Devo andare a casa è tardi» dissi girandomi dall’altra parte
«Non volevo fati sentire indesiderata» disse dispiaciuto
Alzai le spalle indifferente
«Ci sono abituata, allora ciao» dissi di fretta mettendomi la giacca
«Ti accompagno» disse 
«Non serve» non riuscivo a guardarlo
Ma non ci fu verso di fargli cambiare idea.
«Grazie per avermi accompagnato a casa» dissi nervosa senza guardarlo
«Sono io quello che ti deve ringraziare scheggia» si avvicinò  lentamente al mio viso  
«Non chiamarmi così» dissi seccata alzando lo sguardo
«Sei davvero la persona più dolce che conosco» sussurrò mentre appoggiava una mano sul mio collo
«Che stai fac..» cercai di allontanarmi ma ero confusa dalla sua improvvisa vicinanza
Con il pollice destro accarezzò la mia guancia, spostai meccanicamente il mio sguardo dall’altra parte del suo sguardo
«Buon natale scheggia» sussurrò prima di appoggiare le sue labbra sulle mie.
Io rimasi lì impietrita a fissarlo.
Le guance e il resto del corpo presero letteralmente fuoco, mentre un’enorme voragine si stava formando nello stomaco.
Erano calde e morbide. Era … era
Che stava facendo? 
Si staccò di qualche millimetro esitando sul mio sguardo
«Questo è il mio regal…» sussurrò non riuscì a finire di parlare poiché lo colpì in pieno volto facendolo barcollare all’indietro.
L’avevo preso alla sprovvista come lui aveva fatto con me.
«Vattene!» urlai rabbiosa fulminandolo con lo sguardo e stringendo i pugni.
Avevo il viso in fiamme ed ero scombussolata.
Non poteva averlo fatto veramente!
«Haley» tentò di dire mentre si massaggiava incredulo la guancia
Ma prima che potesse fare qualcos’altro andai dentro casa.
Perché lo aveva fatto?
Perché  il cuore martellava come se volesse spappolarsi?
Salì piano le scale appoggiandomi al muro per non cadere, le mie ginocchia cedevano al peso del mio stesso corpo, non riuscivo a capire perché il calore provocato da Nathan facesse così male.
Arrivata in camera chiusi la porta a chiave e mi rannicchiai accanto al letto.
Sentivo il calore venire soffocato dal vuoto.
Perché faceva così freddo tutt’a un tratto? 
Perché non riuscivo a smettere di tremare? Perché sentivo così freddo?
Eppure sentivo come se il mio cuore si stesse incendiando, come era possibile?
Portai una mano sul viso e mi accorsi che le dita erano umide.
Perché stavo piangendo?
Forse il mio vuoto aveva trovato qualcosa che lo facesse sentire un po’ più vulnerabile, qualcosa che lo faceva stare male.
Avevo paura.

Mi svegliai poche ore più tardi, ancora rannicchiata sul pavimento.
Mi sentivo strana alquanto intorpidita.
La mia mente tornò al pomeriggio, al ballo, al bacio….
Mi sfiorai le labbra che per la prima volta mi davano un senso di tepore.
Avrei fatto qualunque cosa pur di evitare quel bacio.
Mi sentivo umiliata e un senso di impotenza mi schiacciava il torace.
Prima aveva mentito sull’essere in mia compagnia al telefono e poi con la sua arroganza mi aveva rubato un bacio.
Solamente pochi giorni fa aveva baciato Elisabeth e come se niente fosse oggi lui si era preso il mio primo bacio.
Come se non importasse, come se fosse un gioco nuovo.
Me lo aveva rubato. Si era preso qualcosa di me, qualcosa che più nessuno avrebbe potuto restituire.
Avrei tanto voluto odiarlo…
Non avrei più dovuto lasciarmi avvicinare, né ingannare dai suoi occhi.
Infondo Nathan non era altro che il solito ragazzo bello, astuto, con molte storie banali senza pretese.
Lui non metteva mai le emozioni in gioco, Nathan giocava con l’emozioni altrui era troppo sicuro di sé.
Perché di tutte le persone che avevo incontrato, lui era stato il più intelligente da lasciarmi illudere come una bambina.
Io, che non avevo mai sentito il bisogno di interessarmi veramente ai ragazzi sia perché oltre ad essere invisibile sia per paura.
Invece lui aveva oltrepassato il limite che mi ero creata con una facilità snervante.
Lui era come tutti gli altri: egoista, disonesto, egocentrico e bello. 
Un tipo normale insomma, ma decisamente troppo intelligente.
Non sarebbe più successo niente di simile, era stato uno sbaglio, una distrazione.
Eppure sebbene ripetessi in continuazione queste cose a me stessa le guance non riuscivano a riprendere il loro colore naturale.
Perché un ragazzo gentile e carino che salva la vita ad una ragazza sconosciuta non lo trovi facilmente, un ragazzo che riesce ad entrarti negli incubi più profondi e risvegliarti è più unico che raro.
Trovare qualcuno che dopo un mese mi rivolgesse ancora una parola e non si fosse già spaventato era una cosa irripetibile.
E forse è proprio per questo che la fregatura sarebbe stata doppia, se avesse avuto da me anche quello che viene definito affetto, oltre alla fiducia, allora o sarei scappata oppure sarebbe stato lui a fare a meno di me.
Mi copri la testa con il cuscino imprecando contro la mia stupidità.
Non riuscivo a calmarmi,  ripensando a poche ore fa il mio viso bruciava ancora.
«Stupida scheggia» ripetei pateticamente ad alta voce prima di raggomitolarmi su me stessa.
 

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Capitolo 11
*** Breaking the Habit ***


Haley
 
11 - Breaking the Habit 


Clutching my cure, I tightly lock the door..
I don't know what's worth fighting for, or why I have to scream..

I try to catch my breath again
I hurt much more
Than anytime before
I had no options left again
So I'm breaking the habit
Aggrappandomi alla mia cura, chiudo saldamente la porta.. 
Non so per cosa valga la pena combattere, o che cosa io debba gridare..
Provo a riprendere fiato

Soffro molto di più
Ancor più di prima
Non mi sono rimaste altre possibilità
Quindi, sto infrangendo l'abitudine

(Linkin Park – Breaking The Habit)


Un’altra maledetta ora era passata e non vedevo ancora la fine, ancora pochi istanti e poi un altro anno sarebbe passato. 
Me ne stavo in cucina seduta di fronte al tavolo, con la testa tra le mani, e fissavo annoiata la mia bottiglia di birra vuota.
Il mio unico proposito per l’anno imminente era dimenticare, lasciare che il tempo passasse su di me lasciandomi inerme, non volevo ne ricordare, ne rivivere nessuno dei momenti precedenti, o forse quasi nessuno.
Magari avrei potuto tenere i ricordi solo dell’ultimo mese perché degli altri non me ne facevo nulla.
Però ero consapevole del fatto che non avrei mai dimenticato quegli istanti in cui desideravo sparire per sempre e liberarmi di tutto quel maledetto rancore che ora se ne stava rintanato in un angolino, in attesa.
Un eco di risate provenne dal soggiorno dove i miei genitori stavano intrattenendo alcuni amici.
Aprì il frigo e mi presi un’altra bottiglia di birra appoggiandola di fronte a me sul tavolo in segno di sfida.
Mia sorella si stava divertendo ad una festa, mentre io da brava sorella minore era dovuta restare a casa solo per una stupida litigata avvenuta una settimana fa.
All’inizio non ci avevo dato molto peso, sia perché non avevo impegni particolari e quindi non vedevo l’ora di starmene a casa da sola, sia perché non sapevo dove altro andare.
Tutto questo prima di sapere che avrebbero fatto una festa in casa e cosa ancor peggiore e che avrei dovuto fare da bella statuina durante tutta la serata, indossare un vestito, uno di quelli scomodi, di quelli che ti fanno sembrare una bambolina.
Ed ecco nella mia patetica realtà, rifugiata in cucina per sfuggire a gente sconosciuta e falsa. Avevo svolto i mie doveri alla perfezione: avevo passato del tempo a salutare gente che nemmeno conoscevo, a rispondere convenevoli inutili, le piccole formalità e tutto il resto ma in mezzo a quella gente non ci averi passato un solo minuto di più. Mi toglievano il respiro e così mi ero rifugiata in cucina dopo un’ora e da lì non mi ero più mossa.
Mi specchiai alla finestra e arricciai il naso di fronte alla bambolina davanti a me. Presi la birra e la alzai di fronte a me e brindai con la me stessa riflessa.
«Hai vinto tu pure quest’anno» dissi alla bambolina facendo un inchino educato.
Quando scoccò la mezzanotte mandai giù il resto della bottiglia.
Una serata trascorsa fingendo, l’ennesima della mia vita e nemmeno l’ultima.
Chiusi dietro di me la porta della mia camera e mi affacciai alla finestra per vedere i fuochi d’artificio che colorano il cielo offuscato da nuvole grigie.
Mi liberai delle scarpe scomode mentre le urla di gioia del piano di sotto continuavano incessantemente e mi sedetti sul davanzale in marmo del balcone, dondolandomi con le gambe nel vuoto.
Non avevo mai visto un capodanno più bello: i fuochi coloravano i grossi fiocchi di neve che cadevano abbondantemente senza interruzioni, e mi sfioravano il mio viso piacevolmente.
Non aveva mai nevicato a capodanno, almeno non così tanto da intaccare il terreno per parecchi centimetri.
Non avevo mai visto un capodanno peggiore: là fuori tutto perfetto e qui dentro tutto sbagliato, avrei voluto sparire come i piccoli fiocchi di neve che si scioglievano a contatto con il palmo della mia mano.
Avrei tanto voluto scendere per giocare un po’ con la neve ma non era divertente starsene là fuori tutta sola mentre gli altri, i miei coetanei, si divertivano alle feste, era deprimente.
Avevo sempre preferito guardare le cose in modo distaccato ed inosservato, ma ora mi accorgevo di quante cose in realtà perdessi.
Quando rientrai chiusi la finestra e andai a controllare il telefono ma non avevo messaggi, sospirai ero un po’ sollevata ma allo stesso tempo un po’ delusa, dopo il giorno di natale, Nathan provò a chiamarmi mille volte, lasciò anche un paio di messaggi ma non gli avevo mai risposto, ogni volta che il mio telefono squillava andavo in panico il cuore andava a mille ed avevo paura ma allo stesso tempo ero arrabbiata.
Ma erano ormai due giorni che il telefono era silenzioso era evidente che aveva rinunciato.
Sentii suonare alla porta e qualcuno andò ad aprire.
Percepii solo alcune parole ma non riuscivo a trovarne il significato, chi poteva essere a mezzanotte e mezza? Forse era solo altra gente.
Mi sdraiai sul letto con le mani dietro la testa, ma l’unica cosa che riuscivo a sentire erano delle voci confuse, meno chiassose di prima.
Forse un po’ di musica mi avrebbe aiutato a non pensare ma prima ancora di alzare il busto per prendere le cuffie mia madre entrò poco dopo
«C’è qualcuno per te giù» disse in tono infastidito
«Per me?» chiesi dubbiosa
«Dei compagni di scuola sbrigati» disse lasciando aperta la porta
Senza nemmeno mettermi le scarpe scesi le scale di corsa ma mi trovai di fronte una scena orribile, mi bloccai sull’ultimo gradino guardando i miei come dire genitori parlare con Nathan, Blake e un’altra ragazza che non conoscevo.
Che stava succedendo?
«Haley ti portiamo a fare un giro» disse Nathan accorgendosi di me
Guardai i miei genitori, i quali mi guardavano con indifferenza e poi spostai lo sguardo verso Nathan e Blake che sorridevano.
«Davvero?» domandai stranita
«Se devi rimanere a casa per statene rintanata in camera tanto vale che esci» disse mio padre senza guardarmi, lo guardai incredula
Perché aveva cambiato idea così facilmente?
«Ma se non vuoi andarci» cominciò mio padre
«No! .. cioè torno subito» lo fermai  scappando di sopra
Tornata in camera presi un paio di scarpe più comode, la giacca, i guanti e la borsa e scesi il più in fretta possibile.
Più in fretta me ne sarei andata meno rischio ci sarebbe stato di un ripensamento.
Mi avvicinai a loro mentre sentivo degli sguardi puntati su di me.
«Sei pronta?» mi chiese Nathan io annui con la testa
Li salutai e uscimmo di casa ma appena mi affiancai a Nathan, lui mi avvicinò a lui mettendomi un braccio attorno al collo.
«Che cavolo?» domandai a denti stretti mentre lo guance sembravano surriscaldarsi.
Lo vidi guardare indietro furtivo e poi voltarsi verso di me chinandosi
«Allora piaciuto il nuovo inizio? Sto cercando di recuperare per alcuni regali arretrati» mi disse sarcastico
«E chi ti dice che i tuoi regali siano ben accetti?» domandai acida incrociando le braccia al petto e fermandomi
«Me ne sono accorto, credermi, di quelli che non erano ben accetti» indicandosi il livido sulla guancia ancora visibile
Guardai dall’altra parte in imbarazzo
«Io non mi lamenterei» mi schiarii la voce «Un livido ti fa sembrare più umano» lo provocai
Non ce la facevo, mi bruciava ancora la storia di Natale.
Non volevo essere così stupida da credere ad ogni suo gesto o parola, mi dava sui nervi il suo comportamento più che sarcastico su cose che magari potevano fare male.
Ero arrabbiata, maledettamente arrabbiata con lui, perché lo aveva fatto tanto per fare, ero infuriata con me stessa per non aver reagito, non era giusto che ogni volta che lui mi guardava negli occhi sentissi una fitta al cuore.
Ma purtroppo, ed insensatamente, la mia coscienza mi impediva di buttare su di lui ogni colpa solo perché mi aveva portato fuori da quelle mura così soffocanti eppure così sicure rispetto al mondo esterno.
«Ti dispiacerebbe» indicando il suo braccio ancora intorno al mio collo
«Si» rispose sfacciato e poi vedendo quello che avevo intenzione di fare
«E poi ho recitato la parte del tuo ragazzo per farti uscire, i tuoi si insospettiranno se mi togliessi tu il braccio e magari mi tirassi un pugno non credi?» sorrise arrogante
«Cos’avresti fatto tu?» dissi a voce un po’ tropo alta
«Secondo te come facevo a farti uscire?»
Mi morsi il labbro e imprecai mentalmente
«Te l’avevo detto che la mia idea era migliore della tua» intervenne Blake scuotendo la testa «Saremmo dovuti entrare dalla finestra da dove ti abbiamo vista seduta poco fa senza fare rumore e rapirti» disse facendomi l’occhiolino
Lo guardai perplessa e lui rise poi fece un cenno alla ragazza di venire verso di noi e me la presentò e poi tornò a stringerla a se baciandola.
Ci mancava solo questa.
Abbassai la testa mentre stringevo i pugni nelle tasche della giacca e cominciai a respirare sempre più lentamente, quasi fino a trattene il respiro, mentre il cuore accelerò improvvisamente. 
«Allora vogliamo andare o dovete pomiciare ancora per molto?» disse seccato Nathan e mi portò avanti con se, riprendendomi sotto di lui.
Tolsi immediatamente la sua mano dalla mia spalla.
«Che c’è? Quello che la gente pensa non è affare tuo» disse rimettendo il braccio dov’era accarezzandomi la guancia, sentii caldo.
Perché dovevo essere così insicura con lui? Volevo sapere perché il mio corpo non si opponeva.
Quel giorno di Natale non era accaduto niente. Infondo era come se al mio posto ci fosse stata Elisabeth. 
Per lui non aveva significato niente.
«Non è per questo» risposi scuotendo la testa per distrarmi dal pensiero della sua vicinanza.
«Tutto bene?»
«Si» mentii «Forse sei tu quello che pensa troppo alla gente, io lo so già a cosa pensa di me» e mi levai il suo braccio con decisione guardandolo in tono di sfida e questa volta non disse nulla per fortuna.
E con quella frase riuscì a levarmi un piccolo sassolino dalla scarpa molto seccante.
Poco dopo entrammo in un locale pieno di persone.
Dopo aver evitato per diciassette anni i luoghi più affollati, mi ci ero immersa fino al collo.
Il sapore della birra mi stava tornando su nella gola.
Cominciai a guardare in tutte le direzioni come una pazza cercando una possibile via di fuga.
Non riuscivo a stare ferma. Il piede destro tamburellava in continuazione un ritmo discontinuo e veloce.
«Sai penso che ti chiamerò tamburina tra un po’ invece di scheggia» disse Nathan sottovoce avvicinandosi e posando una mano sulla mia gamba per farla calmare
Sussultai quando il calore della sua mano si posò sul tessuto delle mie calze, mi sentivo vulnerabile
Lo guardai gelida sperando che il calore del mio viso passasse inosservato, stavo per rispondergli male quando Blake mi interruppe
«Cosa ti prendo Haley?» si rivolse a me
«Nulla grazie» risposi frettolosa
«Faccio io ho capito» mi ignorò appena fu di spalle diedi una gomitata al fianco di Nathan che levò la sua mano dalla mia gamba che riprese a picchiettare nervosa
«Tamburina rilassati» mi riprese e feci pressione con la mia mano sulla gamba per tenerla ferma ignorandolo.
L’alcol abbassava ancora di più il mio livello di sopportazione della gente e già avevo bevuto due birre
Blake tornò poco dopo con un vassoio pieno di ogni tipo di alcolico
«E chi si dovrebbe bere tutta questa roba?» dissi sottovoce avvicinandomi a Nathan
«Gli piace esagerare non ci badare» disse tranquillizzandomi
Non ero mai uscita con dei miei coetanei, non sapevo di che parlare, né come comportarmi.
Blake mi obbligò a bere almeno un drink ma non mi piaceva proprio, mentre Nathan e Blake ne presero altri tre.
Ma la ragazza, Erika, dava già i primi segni dell’eccedenza ma non si voleva fermare.
Avevo sempre considerato loro il mio opposto, i nemici da cui avrei dovuto difendermi, delle persone di cui non ti puoi mai fidare, sempre pronte a voltarti le spalle.
Ero confusa, non sapevo che fare, avrei dovuto fidarmi almeno di Blake visto che era il miglior amico di Nathan, ma non ci riuscivo.
Non mi avrei mai messo allo scoperto con persone che avevo, seppur erroneamente, ma le avevo giudicate superficiali ed egoiste. 
«E’ sempre così… » ma lasciai la frase in sospeso
«Se la parola che stai cercando è pazzo non hai ancora visto nulla» commentò Nathan vedendo Blake alle prese con castello fatto di shottini quasi del tutto vuoti
Era difficile credere a quello che vedevano i miei occhi, dei ragazzi normali che avevano portato un peso come me con loro a divertirsi senza secondi fini.
«Andiamo a fare un giro alla festa di Beth?» chiese Erika interrompendo lo scorrere dei miei pensieri
«Nemmeno morto! Non le è ancora passata la storia dell’altra volta» disse Blake «Ed meglio se lei gli sta alla larga per un po’» mi indicò Blake
Era colpa mia ora?
«Me ne ero completamente dimenticata! Comunque se le meritato» Erika rise
«Non farmici pensare comincio a non sopportarla più. Questa volta dovevi proprio esserci è diventata pazza» aggiunse Blake rivolgendosi a Nathan
«A proposito come mai sei sparito? Ti aspettavamo anche per la festa della squadra» domandò Blake in tono sospettoso ed alquanto malefico, ma questo lo notai solo quando Blake venne quasi folgorato dallo sguardo di Nathan
«Avevo un impegno» rispose seccato scandendo bene le parole «Ma dubito di essermi perso granché» mi guardò mente io abbassai lo sguardo e lo evitai.
Era colpa mia non era andato dai suoi amici perché era impegnato a rimettere insieme me.
Senti Blake imprecare e alzai lo sguardo e lo vidi guardare male Nathan
«Non capisco dite di non sopportarla ma comunque le siete amici giusto? Che razza di amicizia è?» chiesi confusa senza pensarci
«Scusate non volevo» forse l’alcol che avevo bevuto mi stava facendo male
«E’ un po’ complicato da spiegare» rispose vago Nathan
«Le piace essere al centro dell’attenzione» intervenne Blake «Se guardi bene chi le sta attorno è solo gente come lei, lo capisci da te vero..»
«Avete un bel modo di autodefinirvi visto che state sempre con lei in pratica» commentai ironica con una punta della mio solito scetticismo «Bella, accattivante, spregevole, doppiogiochista e potrei continuare…»
«Non ne dubito» rispose Blake divertito dalla mia risposta «Ha una certa fissazione per Nathan e» disse Blake voltandosi verso di lui
«Torno subito» si alzò in piedi portandosi con lui il drink
«Ho detto qualcosa che non dovevo?» chiesi ad alta voce vedendolo Nathan allontanarsi
«No tranquilla tra poco torna»  mi fece l’occhiolino e si sistemò più comodo «Comunque a differenza di quello che starai pensando, Beth sa quello che pensiamo di lei» continuò
«E tutto questo che senso avrebbe?» domandai ancora più confusa
«Se non puoi convincerli, confondili Haley» disse Blake semplicemente bevendo un altro shottino
«Ho un impegno di piacere che mi aspetta tra poco» disse scherzando, mi limitai a guardarlo senza capire che stesse dicendo improvvisamente 
La mano di Blake si spostò sul viso della ragazza e la baciò spingendola contro il suo petto, iniziarono a baciarsi così intensamente che dovetti distogliere lo sguardo imbarazzata.
«Ti unisci a noi?» mi chiese divertito leccandosi le labbra
In quel momento realizzai il significato di impegno di piacere, avrei voluto sprofondare.
Che razza di tipo era questo?
«Dipende se preferisci morire di vecchia o in questo istante» cercai di sdrammatizzare alzando le spalle ma dentro di me stavo morendo dall’imbarazzo mentre Blake scoppiò a ridere come un pazzo
«Se vuoi possiamo anche andare via» mi disse Nathan dopo essere finalmente tornato al tavolo vedendo che mi ero un po’ persa nei miei pensieri
«Colpa mia credo di averla sconvolta» rispose Blake ridendo
Nathan ci guardò entrambi stranito e io mi alzai sperano che non mi chiedesse altro
Salutammo Blake ed Erika e andammo verso l’uscita, io mi fermai per chiedere il conto ma Nathan tornò indietro e mi spinse fuori da locale
«Quindi prima ti eri allontanato per pagare?» gli chiesi cercando conferma ma lui alzò le spalle «Quanto ti devo dare?» continuai guardandolo
«Nulla» disse sorridendo
«Ma…» cominciai
«Inutile non provare a inventarti niente» tentò di interrompermi
Lo guardai sospettosa e gli porsi una banconota
«Non esiste che io sia in debito con te….ancora» dichiarai decisa guardandolo negli occhi
«Non esiste che io accetti soldi per aver passato del tempo con te» mi sfidò abbassandosi per guardarmi negli occhi
Mi arresi abbassando la testa non riuscendo a guardarlo e lo ringraziai
«Allora sei stanca oppure vuoi fare qualche altra cosa?» cominciando ad incamminarsi mettendosi le mani nelle tasche
«No, non sono stanca però forse è meglio se torno a casa, non vorrei che se tornassi a casa tardi i miei non..» cercai di spiegare
«Per i tuoi questa notte dormirai da Erika quindi possiamo fare quello che vuoi e poi potresti dormire da me» si fermò dandomi le spalle
«Davvero? Come hai fatto..?» lo guardai incredula
«So essere molto persuasivo quando voglio» mi disse con un certa arroganza
«Con me allora stai perdendo colpi» mi difesi ancora una volta da suo essere così troppo sicuro di se
«Se vuoi tornare a casa tua non ci sono problemi» rispose offeso voltandosi indietro per guardarmi
«Scusa» dissi alzando la mano forse avevo esagerato «Cercherò di essere meno acida» gli promisi raggiungendolo al suo fianco
Camminammo fino al campetto da basket
La neve si era fatta più alta e anche se era notte inoltrata c’era una penombra chiara che permetteva di distinguere tutto intorno.
Spostai la neve accumulata sui gradoni e mi sedetti cercando di mettermi comoda ma con la gonna era scomodo
«Le odio» brontolai ad alta voce
«Allora toglila» mi prese in giro
Mi avvicinai a lui e presi in pungo la stoffa della sua giacca con rabbia
«Fai ancora in tempo ad andare dalla tua amica Elisabeth» gli sussurrai a denti stretti
Lui rise ed alzò le mani in segno di resa, liberai la presa e si sedette accanto me ma io scivolai giù e cominciai a lavorare la neve per formare un pupazzetto di neve dandogli le spalle
«Sarei finto talmente ubriacato da non ricordarmi più niente di quello che avrei fatto, sono stanco di fare cose stupide» disse tranquillamente «E poi non potevo lasciarti da sola il primo giorno dell’anno»
«Faccio davvero così pena?» domandai
«Ci possiamo lavorare» rispose
«Se sapessi scherzare come te o Blake forse non sarei così sola ma la gente scappa sempre da me ha paura» dissi senza pensare non osai alzare lo sguardo
«Se tratti ogni persona che ti avvicina con acidità e freddezza mi potresti dire come fanno gli altri ad avvicinarsi?»
«Non posso, le persone sono tutte superficiali e non ci voglio avere nulla a che fare, appena ti fidi di loro ti riducono in mille pezzi» risposi calpestando l’ammasso deforme di neve che assomigliava a tutto tranne a un pupazzo di neve
«Le pensi anche di me queste cose?» mi chiese guardandomi
Lo guardai a mia volta ma non sapevo cosa dire
«Le dovresti provare soprattutto tu per me, paura e repulsione»
«Perché le dovrei provare?»
«Mi sembreresti normale insomma ti tratto male e poi ho il mio atteggiamento strano e tutto il resto, compreso questo» dissi togliendo il guanto della mano destra, in modo da evidenziare il tremore che la scuoteva «Chi mai potrebbe aver voglia di passare del tempo con me?» dissi sarcastica
«Io non so che ti sia successo in passato per farti arrivare a pensare tutto ciò ma ti assicuro che chiuderti in te stessa non risolverà mai nulla. Se non corri rischi nella vita, se non ti esponi mai e cerchi sempre la cosa più facile da fare come fai a sapere se dietro quelle mura che ti sei creata non ci sia qualcosa per cui valga la pena lottare?» mi chiese
«Io non sono il tipo per cui valga la pena sprecare tutto quel tempo, non ho nulla dentro» gli dissi incurvando le spalle verso l’interno
«Sei una persona dolcissima dietro quella corazza di diamante che ti ritrovi e lo so che non vorresti che si vedesse ma la tua testardaggine a voler avere un atteggiamento scontroso e pungente ma crei l’effetto opposto. Mi piace la tua compagnia» disse sorridendo
«Ma non così tanto da dire a chiunque fosse l’altro giorno che eri con me» gli dissi guardandolo «Si onesto con me per una volta» lo pregai
«Non so dirti perché, io con te riesco ad essere naturale, cosa che non riesco a fare con tutte le altre persone. E a volte questo mi confonde, sono stato uno stupido l’altro giorno lo so» disse mentre io cercavo di distrarmi dai suoi occhi che erano come calamite, avevo l’impressione di essere arrossita.
«Un po’» confermai sedermi accanto a lui
«Sto cercando di esserti amico»
«Come lo sei con Elisabeth? No grazie» protestai scacciando quel pensiero con una mano
Lui mi sorrise e scosse la testa
«E se ti prometto che tu non dovrai fare niente?» la sua voce era così dolce, mi risvegliò dai miei pensieri aveva appoggiato una sua mano sulla spalla e mi aveva alzato il viso lo guardai non capendo
«Se dei giorni non vuoi avermi tra i piedi io starò lontano se vorrai, invece, potrai parlarmi. Non ti chiedo niente in cambio. Posso starti vicino anche in silenzio se ne avrai voglia. O poi passarmi altre canzoni che mi possano perforare i timpani e io cercherò di strati vicino il più possibile, d’accordo?»
Non so se ero arrossita o che, sapevo solo che avevo caldo e che non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui nonostante fosse imbarazzante quella situazione.
«Finirei solo per deluderti. Perché accetteresti di fare questo per me? Chi vorrebbe un’amicizia così? Chi darebbe la sua amicizia in cambio di uno sguardo vacuo come il mio?» chiesi confusa
«Hai davanti a te esattamente quella persona. Solo non azzardarti mai più a sparire come hai fatto dopo natale. Mi hai fatto spaventare, non hai risposto mai ai miei messaggi ne alle mie chiamate, ero preoccupato per te» terminò con un filo di voce.
«Sei stato scorretto quel giorno e non azzardarti a rifarlo» lo pregai e lo vidi annuire
Perché potevo parlargli come non avevo mai fatto con nessuno, avevo l’impulso di dirgli tutto quello che mi passava per la testa e questo non andava bene, non potevo essere così superficiale e stupida.
Nessuno era arrivato a tanto, nessuno sapeva ciò che io gli dicevo, era scomodo non sapevo che fare, ero confusa, ma non volevo che si allontanasse da me e questo era sbagliato, non potevo permettermelo, lui era diverso da me, era felice, era..era bello, forse troppo per importarsene di una come me.
Doveva pur esserci un po’ di logica in tutto questo?
Io che  ero sempre stata convinta che la gente solare e bella non prendesse in considerazione quelli invisibili e senza speranza come me, non potevo credere possibile che lui fosse diverso, che potesse veramente essere mio amico.
«Ok allora» dissi cercando di non arrossire «Potrei prendere in considerazione la tua proposta» annullando il contatto con la sua pelle
Perché si dava tanto da fare per una sconosciuta come me?
«Perché quella notte, Perché mi hai portato a casa tua? Non ti conoscevo, ci penso e ci ripenso ma non riesco a capire» dissi cercando di non sembrare troppo scortese
«Non era la prima volta che ti vedevo»  disse voltando lo sguardo nella direzione opposta, non riuscivo a capire
«Ti va di camminare un po’ mi sto intorpidendo?» chiese alzandosi annui cominciando a camminare al suo fianco
«So che quello che sto per dirti è strano quindi fammi arrivare alla fine prima di scappare» rise forzatamente
«Ti ho sognato, per un po’ di tempo» cominciò senza guardarmi «E poi ti ho notata a scuola e mi sono reso conto che eri reale ma non sapevo cosa pensare ed infine quella sera ti trovai. Qualcosa doveva pur significare ti pare?» disse guardandomi mentre si spettinava i capelli in un gesto nervoso.
«Mi hai sognato?» chiesi lui annuì «Erano sogni normali o strani?»
«Non so tu definiresti normale sognarmi senza avermi prima incontrato?» mi chiese sospettoso
«Uno strano in effetti» conclusi
Non avevo intenzione di dirgli che anch’io lo sognavo ma era una tentazione irresistibile, anche se avrei voluto chiedergli di più
Come avrebbe reagito la gente normale di solito?
E sopratutto perchè avevo sognato la scritta che era tatuata sulla sua schiena?
«E poi nel sogno c’era una voce confusa che mi sussurrava qualcosa ma non riuscivo a capire. Quando ti ho trovata in mezzo alla pioggia, mi è sembrato di riviverlo ma la voce questa volta mi urlava di proteggerti» poi si fermò e mi guardò, mentre io ero rimasta senza parole.
«Lo so che è assurdo non serve che tu dica nulla, qui il più strano dei due sono io mi sa» disse cercando di cambiare argomento allontanandosi da me
«Mi piacciono le persone strane» lo trattenni per un braccio,  si voltò verso di me e sfiorò la mia mano
Mi fermai non avrei dovuto dirlo ma mi era già sfuggito
«Non ti puoi fidare di quelle normali sono troppo perfette» cercai di rimediare facendo un passo indietro allontanandomi
«Se ti dicessi che infondo, qui lo dico ma lo negherò per sempre, che sono contenta che tu mi abbia sognato, ti sembrerebbe normale?» non sapevo perché lo avevo detto, evidentemente avevo sorpreso anche lui, ma sorrise lo stesso.
Mi mise un braccio intorno al collo e mi avvicinò a sé, ma non riuscì a fare a meno di spingerlo via
«Non fare la scema» commentò mentre cercava di riavvicinarmi a se 
Mi allontanai ancora indietreggiando fino cadere all’indietro inciampando in una radice esposta di un albero ricoperta di neve.
Lui scoppiò a ridere
«Vedi cosa succede ad allontanarti da me?» disse porgendomi la mano per alzarmi
Gli lanciai offesa una palla di neve addosso, la neve fini tutta nei suoi capelli neri spettinati con il gel, sorrisi involontariamente, quando me ne resi conto era già troppo tardi.
Non stavo piangendo, non stavo urlando, non stavo cadendo, mi sentivo strana, più leggera.
Per la prima volta dopo tanto tempo qualcuno era riuscito a portarmi fuori dalle mie mura, senza approfittarne, e senza che me ne accorgessi.
Ma non ero la sola ad averlo notato.
«Ci credo che nevica»
«Che vuoi dire?» chiesi confusa
«Ho avuto il privilegio di vederti sorridere» cominciò felice
Ok forse l’alcol cominciava a fargli perdere la testa.
«Signori e signore!» cominciò euforico «Il qui presente Nathan Wayne nonché ex capitano della squadra di basket, i migliori fireballs degli ultimi 50 anni» a quel punto cominciò a urlare «Ho fatto sorridere la ragazza senza sorriso! Sono riuscito nell’impresa più ardua dell’universo e ne vado fiero!» disse battendosi un pugno nel petto
«Abbassa la voce» dissi imbarazzata
L’unica consolazione che potevo trovare in quel momento era che non c’era anima viva per fortuna 
«Sono rimasto..» non lo lasciai finire
Lanciai una palla di neve che si scontrò contro un ramo carico di neve che si staccò facendolo cadere a terra. Lo avevo seppellito vivo.
Perfetto, chissà se lo avesse saputo Elisabeth cosa avrebbe detto? 
Mi chinai per controllare se davvero lo avessi ucciso a forza di palle di neve, ma lo trovai sdraiato per terra mentre rideva ancora.
«Sicuro di stare bene?» domandai perplessa sedendomi in ginocchio mentre lo guardavo preoccupata
«Mai stato meglio» rispose guardandomi raggiante
«Non ne sarei tanto sicura. Credo di averti colpito troppo forte, o forse la mia vicinanza ti fa diventare pazzo»
«Ti sembro pazzo?»
«In questo preciso istante? … si»
«Sono felice» disse semplicemente guardando il cielo, lo guardai parecchio stranita.
Era felice, la felicità rendeva pazzi? Non era una bella prospettiva
«Perché?» domandai confusa guardandolo dall’alto mentre lui se ne stava ancora sdraiato
«Perché ho appena scoperto che mi rende felice vederti sorridere» incrociando le braccia dietro la testa
Mi sedetti vicino a lui con le ginocchia al petto cercando di evitare il suo sguardo e guardai il cielo coperto di nuvole.
«Non ricordo più cosa si prova» sussurrai
«Allora mia cara scheggia ti stai perdendo una delle cose più belle del mondo» disse sincero sedendosi accanto a me e scontrando la sua spalla con la mia
«Tu credi che anch’io la possa provare un giorno?» domandai semplicemente
«Vuoi provare la felicità che provo io giusto?» mi chiese guardandomi con uno strano sorriso, io annui
In mezzo secondo mi si parò davanti, e indietreggiai abbassando il busto appoggiandomi con i palmi delle mani a terra mi ritrovai spiazzata.
Era sopra di me e i suoi occhi magnetici che cercavano di leggermi l’anima. Quando mi accorsi che la sua mano destra era sopra la mia, la spostai mentre il tremore si accentuava di nuovo.
Abbassai lo sguardo cominciando a sentire il mio cuore che impazziva, mentre sentivo il suo sguardo che mi esaminava.
La sua mano cominciò a sfiorarmi la guancia, spostai la testa sul lato sinistro della spalla, per impedirglielo chiudendo gli occhi.
«Questa corazza non serve con me» soffiò prendendomi il mento e avvicinandosi 
Guardai il livido sulla guancia e indietreggiai di scatto prima di fargli ancora male
«Che ti è preso?» mi chiese mentre lo sentivo alzarsi in piedi e io gli voltai le spalle rimettendo il guanto sulla mano e cercando di riprendere fiato
«E’ il mio corpo che ti ha respinto, sai com’è» dissi senza guadarlo negli occhi
«No, com’è?» mi chiese curioso
«Beh» dissi impacciata «più o meno così!» colpendolo con una palla di neve in pieno volto
Se dovevo per forza aggrapparmi a lui per sentirmi sicura, tanto valeva ignorare ogni cosa, 
lasciare fuori ogni pensiero, ogni contraddizione almeno per qualche ora.
Anche se non potevo liberarmi della maschera potevo provare ad ignorarla.
«Se ti prendo, giuro che non ho pietà» disse intimidatorio mentre si avvicinava
«Mi dispiace ma sei troppo lento» dissi schivandolo e cominciando a correre.
Non ricordavo di essermi mai comportata tanto avventatamente, ne di essere mai stata così bene con una persona.
Non riuscivo a credere che stessi veramente ridendo come una ragazzina che gioca per la prima volta con la neve.
Era stano sentirsi così ingenua ma in qualche modo contenta, senza pensare che io stessa avrei ritenuto il mio comportamento immaturo e stupido, ma non riuscivo ad essere equa.
Non riuscivo a trovare qualcosa di razionale nel correre per la strada piena di neve, inseguita da Nathan, con la luce fioca di alcuni lampioni, mentre lui cercava di prendermi.
Non ricordo di aver mai riso così tanto, da troppo tempo, era una sensazione bizzarra
Sembravamo ancora dei bambini a giocare con la neve ma era così divertente e banale.
Era questa la felicità?
Ci ritrovammo a casa sua, avevo il fiatone e gli tirai un’altra palla di neve che andò a schiantarsi sulla giacca ormai fradicia, poi caddi a terra esausta, mi tolsi i guanti 
Era decisamente troppo stancante ridere ... troppo bello
«Sei già stanca?» chiese per poi coprirmi interamente di neve, non riuscivo più a vedere niente, cercai di togliermi la neve con le mani ma erano bloccate da  una presa salda, ma allo stesso tempo rassicurante.
«Come si sta in ibernazione?»
«Mai stata meglio» dissi ridendo, poi mi lasciò e così tornai in superficie, respirando lentamente, mentre Nathan si distese sulla neve con me.
«Allora com’è?» mi domandò voltandosi verso di me
«La neve? … molto fredda» dissi senza pensarci, poi scoppiammo a ridere
«E la felicità?»
«Calda» dissi sorridendo e guardando il cielo ancora grigio ma piano, piano andava schiarendo.
Le mani erano gelate ma non me ne importava molto perché io avevo caldo, forse mi sarei anche potuta addormentare lì.
«Andiamo dentro che è meglio, ci prenderemmo una bronchite» disse alzandosi a sua volta porgendomi la mano.
L’afferrai e notai che le sue mani erano più calde delle mie, eppure anche lui non portava i guanti.
Lasciai le scarpe all’ingresso poiché erano fradice come del resto anche il cappotto e il vestito per non parlare dei capelli, e  lui non era preso meglio.
Entrammo in punta di piedi, mi fece il segno di seguirlo ma inciampai su qualcosa e caddi a terra, lo sentì soffocare una risata.
«Non fare rumore» sussurrò mentre cercavo di rialzarmi, ma non vedevo più niente
Poi sentì un tonfo alzai lo sguardo e lo sentì imprecare, aveva sbattuto contro la porta chiusa della camera, questa volta fui io a non riuscire a trattenermi dal ridere e cercai di soffocare le risate con la mano, accese la luce e mi fece entrare, chiuse la porta, e poi scoppiò a ridere di nuovo e io lo imitai.
Dopo essersi calmati lo vidi aprire un cassetto e mi porse dei pantaloni e un maglia
«Metti questi asciutti intanto io vado in bagno così puoi cambiarti» sussurrò
«Grazie..»dissi mentre chiudeva la porta alle spalle, presi un bel respiro profondo, ero davvero esausta e non capivo se fosse la stanchezza oppure il divertimento a provocarmi un improvviso giramento di testa.
Dopo essermi cambiata andai in soggiorno dove Nathan stava cercando qualcosa in tv
Mi fece sedere accanto a lui e dividemmo una tavoletta di cioccolata.
Mi avvicinò a lui e mi coprì con metà coperta poi né approfittò per abbracciarmi
«No!» protestai tentando di allontanarmi da lui ma appena lo intuì mi immobilizzò tenendomi per la vita.
«Togli quelle mani» lo minacciai
«Non sto facendo nulla»
«Nathan» dissi nervosa mentre cercavo di divincolarmi ma ottenni l’effetto contrario così cercai di allentare la sua presa  prendendo le sue mani per allontanarle da me, ma le mie tremavano sfiorando le sue e lui ne approfittò afferrandole e stringendole nelle sue e mi abbracciò completamente
«Hai le mani troppo fredde..» si giustificò
«Magari a me piacciono così» gli feci notare 
«Guasta feste…» disse seccato lasciandomi le mani libere
Borbottai mentre nascondevo le mani e misi un po’ di distanza tra noi tornando a guardare la tv.
Mano a mano che la mia stesa cominciava a diventare pesante sentivo il suo respiro sempre più vicino
ma non avevo voglia di controllare, ero troppo stanca. Chiusi gli occhi.
Ad un certo punto mi sentì trascinare verso di lui, aprì gli occhi e mi ritrovai stretta al suo petto.
Il mio cuore si ritrovò ad impazzire, cercai di regolare il mio respiro grazie al suo chiudendo gli occhi e mi lasciai cullare da quello strano calore umano.

Uno strano rumore mi costrinse ad aprire gli occhi, mi trovai di fronte Nicole che sorrideva.
Chiusi gli occhi per tornare a dormire girandomi dall’altra parte.
Non avevo voglia di staccare la testa da questa superficie così comoda e calda che mi stava cullando, sentì un respiro scompigliare i miei capelli.
Aprì gli occhi di scatto per controllare su cosa mi ero addormentata.
Quando capì di essere abbracciata a Nathan, avvertì le guance avvampare in un secondo.
Oh no, no no!
Mi alzai immediatamente.
«Nicole» le braccia di Nathan erano ancora attorno ai miei fianchi
«Vi siete divertiti?» mi sorrise dolcemente                             
Guardai l’orologio erano nove del mattino, scossi la testa
«Scusami» balbettai sentendomi in imbarazzo
Che diavolo avevo fatto?
«Ci siamo messi a parlare e ci siamo addormentati qui» tentai di giustificare il mio comportamento e la nostra posizione
«Non preoccuparti» mi sorrise alzando la mano destra dove teneva in mano una macchina fotografica
«Eravate carini e ne ho approfittato» mi disse vedendo che probabilmente la guardavo confusa
«Oddio no» esclamai inorridita
Sua madre mi guardò e scoppiò a ridere così forte che Nathan si agitò e senti la sua presa intensificarsi e riportarmi giù con lui, le mie mani erano sul suo petto ed ero a pochi millimetri dal suo collo, non riuscivo a respirare.
Diventai probabilmente incandescente, ma rimasi immobile, avevo paura che si svegliasse.
Non volevo che si svegliasse! Dovevo trovare un modo per allontanarmi.
Sentì il rumore di un altro click e la risata di Nicole
Alla fine di malavoglia lui aprì gli occhi a fatica borbottando qualcosa.
Chiuse più volte gli occhi per poi guardarmi stralunato, infine si rese conto che mi stringeva e mi guardò
«Scusa» mormorò piano con la voce ancora assonata e lasciò la presa mettendosi a sedere, solo in quell’istante si rese conto che sua madre ci guardava divertita.
«Sei tu che fai tutto questo casino» disse distratto e assonnato, scompigliandosi i capelli
Mi sedetti anch’io e sua madre gli mostrò le foto scattate con la fotocamera
«Questa la voglio» disse divertito, mostrandola a sua madre che rise, poi la mostrò a me 
Sgranai gli occhi e osservai meglio le foto erano estremamente imbarazzanti
Potevo ancora sentire la sensazione delle sue braccia intorno al mio corpo e il mio viso andare a fuoco mentre guardai me stessa dormire serena accanto a lui.
«Visto che ci hai svegliato tanto vale che facciamo colazione» disse sottolineando il fatto di essere stato svegliato
«Faccio io» mi alzai di scatto in piedi prendendo l’occasione per evitare ulteriori sguardi e cose imbarazzanti
Era molto bello stare nella loro casa, soprattutto perché mi piaceva la loro compagnia.
Stavo cambiando e ciò mi spaventava ma d’altronde non potevo fare a meno di sorridere stando in loro contatto.
Restai li per un paio d’ore, poi Nathan mi accompagnò a casa e salutai sua madre che mi abbracciò e poi mi baciò la guancia
«Torna quando vuoi tesoro»
Quando salimmo in macchina che Nathan prese in prestito a Nicole notai nel vialetto due sagome in contrasto con tutta le neve che era caduta per terra, le stesse di dove ci eravamo sdraiati poche ore fa e non potei fare a meno di sorridere notando che assomigliavano a due angeli.
«Gli altri ti possono abbracciare o baciare e non fai commenti, se lo faccio io ti allontani immediatamente come mai? Ti creo forse qualche allergia io?» chiese sarcastico
«Magari si» dissi scherzosa  alzando le spalle «Ma se rifiutassi sempre sembrerei più strana di quel che sono ti pare?» risposi più seriamente possibile ma lui scoppiò a ridere lo stesso.

Prima di riportarmi a casa andammo a casa di Blake.
Era una casa molto bella e grande di un colore  bianco avorio, un giardino enorme con molti alberi ben curati circondava la  villetta.
«Cavolo che bella!» commentai osservando la casa enorme attraverso il cancello nero da cui partiva una strada che conduceva direttamente alla porta d’entrata.
«Aspetta di vedere l’interno» disse suonando il campanello
«Desidera..» rispose una voce acuta e seccata preceduta da un suono grezzo
«Ciao Mel, Blake è in casa?»
«Nathan! Ti apro subito» dopodiché il citofono si spense e il cancello nero cominciò ad aprirsi.
«Melanie è la madre di Blake, è molto simpatica ma un po’ troppo apprensiva la conosco ormai da anni» mi spiegò mentre percorrevamo il viale della villa, da come ne parlava doveva volergli molto bene.
Non facemmo nemmeno in tempo a salire tutte le scale di marmo che la porta  si aprì di colpo e ne uscì una ragazza che si buttò diritta, dritta tra le braccia di Nathan
«Vacci piano Judith sei pesante!» disse divertito
«Mi sei mancato tanto» disse la ragazza con una vocina mielosa e fine baciandolo «Perché non vieni più, mi annoio senza di te!» disse indispettita togliendogli le braccia di dosso e ritornando con i piedi per terra, era un po’ più bassa di me.
«Non fare la melodrammatica» rispose dandole un piccolo buffetto sul naso
«Però potresti rimanere qui come una volta finché non comincia la scuola .. ti prego, ti prego, ti prego!»disse prendendogli il braccio destro 
La ragazza doveva essere la sorella di Blake visti i suoi capelli biondo cenere lunghi che le arrivavano a metà schiena.
Nathan sembrava molto a suo agio, rideva e scherzava con quella ragazza che io ritenevo appiccicosa.
«Lascialo in pace Judith forza.. almeno lasciamelo salutare»disse all’improvviso una voce allegra proveniente da una signora alta da capelli biondi abbastanza lunghi molto ordinati
«Mel salvami dalla peste» scherzò divincolandosi dalla stretta
«Non sono una peste!» disse battendo dei finti pugni sul suo petto
«Certo come no» disse prendendola sulle spalle
«E tu chi saresti?» disse improvvisamente con una voce acida la ragazza accorgendosi di me che ero rimasta un po’ indietro «Hai una nuova ragazza?» disse rivolta verso Nathan stringendo le braccia attorno al collo
«Oddio no» dissi di fretta gesticolando
«Questo tappo formato peste che sta cercando di strozzarmi è Judith» disse togliendosela dalle spalle «Judith lei è Haley» rispose Nathan al posto mio
«Quella del video a scuola» commentò arricciando il naso
Deglutì fortemente facendo un passo indietro e mettendo le mani in tasca
«Nate, Haley ciao» disse Blake portandosi una mano sulla bocca per evitare lo sbadiglio togliendo la sensazione di imbarazzo che si era appena creata
«Oh ecco il bell’addormento» commentò la ragazza
«Non rompere le palle di prima mattina Judith e torna a giocare con le bambole»
«Tu stupido» cominciò arrabbiata inveendo contro il fratello
«Judith dai calmati»  la fermò Nathan
«Sei d’accordo con lui come sempre giusto?»disse seccata andandosene di sopra
«Blake…» cominciò Melanie con voce severa
«Che c’è? le passerà» 
«Tranquilla Mel, vado io» intervenne Nathan cominciando a salire le scale
«Sta diventando troppo furba la pulce» commentò Blake
«Hai fame scheggia? » mi domandò Blake dopo che sua madre se ne fu andata
«No, ho già mangiato grazie» dissi impacciata
«Non ti dispiace farmi compagnia lo stesso vero?» domandò sorridendo «Mia sorella lo terrà occupato per un po’»
«No certo, basta che la smettiate con questo soprannome, è ridicolo»
«Ok scheggia» disse provocatorio lo fulminai con lo sguardo
Mi porse un biscotto ai mirtilli «Per quando torneremo a scuola nessuno si ricorderà più del video non ti preoccupare ci sta già pensando Nathan» mi stava studiando sedendosi sullo sgabello della penisola e bevendo il caffè
Percepivo la tensione sulla mia pelle che mi avvertiva di stare in guardia
«Non sei obbligato a parlare con me. Ti capisco, non serve che ti sforzi» cercai di tagliare la conversazione
Avrei fatto meglio ad andarmene subito a casa
«Perché dovrei essere obbligato?» mi chiese sorpreso appoggiandosi al bancone e allungandosi verso di me
«Beh perché Nathan mi ha portato qui e tu sei suo amico» gesticolai abbassando la testa «E perché ti ho trattato in quel modo a scuola pensando..» eccoci di fronte ad una stupida conversazione imbarazzante
«Ti sei dimenticata quello che ti ho detto ieri?» mi disse alzando il pollice e puntando l’indice verso di me «Se non puoi convincerli, confondili. Non farti questi problemi con me, sono troppo bello per portare rancore» mi guardò trattenendo un risata
«Piuttosto dimmi un po’ com’è andata la storia?» mi chiese curioso mettendo una mano sotto il mento e guardandomi con un sorriso complice ed io non capii
«Com’è che per sbaglio un tuo gancio destro è finito in faccia al povero Nate?» disse serio scoppiando a ridere come un matto mentre io prendevo fuoco e cercavo di non soffocare con il pezzo di biscotto che mi si era incastrato in gola
Cominciai a battermi il petto per cercare di mandare giù la saliva e riprendere il controllo
«Rimarrai nella storia scheggia. Hai tutta la mia stima batti cinque!» alzò la mano destra
Lo accontentai dopo aver ripreso fiato, un po’ stranita ma quasi divertita.
«Sei oltre ogni mia aspettativa» continuò cercando di restare serio
«Che state facendo?» domandò Nathan entrando in cucina interrompendo quello che stava per dirmi Blake
«Ti stiamo prendendo in giro» lo provocò Blake lasciandogli addosso un biscotto che prese al volo e si venne a sedere al mio fianco
«Bell’ amico che mi ritrovo» gli rispose cominciando a mangiare
«Che ne dite di andare fuori, visto che c’è la neve e ho voglia di divertirmi» propose Blake alzandosi
Non potei fare a meno di guardare Nathan che mi guardava a sua volta sorridendo.
«Che c’è? Cos’ho detto?»
Sorrisi guardando dall’altra parte.
«La ragazza senza sorriso sta sorridendo?» domandò confuso guardandomi
«La neve gli fa questo effetto» disse Nathan innocente alzando le spalle
«Già …» annui alzandomi cercando di guardare fuori
«Mi sono perso qualcosa ieri ragazzi?»
«No» risposi immediatamente arrossendo
Poi seguì Nathan che stava andando in giardino dove passammo il resto pomeriggio a divertirci
Dovevo ammetterlo, Blake era un ragazzo molto simpatico anche se un po’ troppo esuberante.
Nel pomeriggio tornai a casa accompagnata da Nathan.
Quando entrai in casa, la trovai vuota, e fredda.
«Bentornata a casa.. » dissi atona a me stessa
Presi il biglietto che trovai all’ingresso e riordinai la cucina e buttai la spazzatura.
Dopo essermi fatta una doccia mi distesi sul letto con le mani dietro la testa.
Tutta quella sensazione di sicurezza se n’era già andata, mi sentivo stanca e fredda di nuovo.
Ora che me ne stavo tranquilla nella mia stanza, i pensieri affluivano velocemente e senza logica.
Era strano starsene li in attesa che arrivasse la solita stanchezza e il solito senso di vuoto, volevo che succedesse in fretta perché avevo paura di sentire quei pensieri confusi, le tracce del suo calore se ne stavano andando, avrei tanto voluto che quel calore mi tenesse compagnia ancora un po’.
Decisi di accendere la musica ed andò un po’ meglio almeno non riuscivo più a sentire l’eco dei miei pensieri, ne l’eco della sua voce che parlava.

 

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Capitolo 12
*** Lying from you ***


Haley
 
11- Lying From You 


I wanna be pushed aside so let me go
Let me take back my life I’d rather be all alone
Anywhere on my own cuz I can see
The very worst part of you
The very worst part of you is me

 
Desidero essere messo da parte, perciò lasciami andare
Lasciami riprendere la mia vita, preferisco essere da solo
Ovunque da solo, perché possa vedere
La parte peggiore di te
La peggiore parte di te sono io

 
(Linkin Park – Lying from you)



Sembrerebbe impossibile, ma in quindici giorni mi ero quasi completamente dimenticata che situazione mi si sarebbe presentata a scuola.
Non avevo mai pensato a come comportarmi, mi sentivo continuamente osservata e giudicata.
Più cercavo di evitare quegli sguardi e più mi sembravano asfissianti, l’unica cosa che ero riuscita ad ottenere era un senso di vomito continuo.
Il più delle volte in cui mi trovavo a percorre un corridoio, o in vicinanza di persone, tendevo a trattenere il respiro e a camminare il più possibile vicino le pareti in modo da essere più sicura, come se non riuscissi a stare in piedi da sola.
Inoltre le vacanze non erano servite a dimenticare, come era successo a me, a Shade che poteva ancora usare il mio nuovo soprannome Parkinson, e non perdeva l’occasione per farmelo notare.
Io lo lasciavo fare, non avevo nessuna voglia di sprecare ancora tempo con questo genere di persone, né tanto meno di espormi ancora, volevo evitare ad ogni costo ogni persona.
«Allora Parkinson, ti sei decisa?»
Mi girai indietro per capire di cosa stesse parlando Shade non lo avevo proprio ascoltato
«Accetti o no?» insistette di nuovo guardandomi in tono di sfida
«Che dovrei accettare?» domandai confusa
«Non ascolti mai quando la gente ti parla?»
«No, specialmente se si tratta di gente come te» dissi il più normalmente possibile, senza però riuscire a mascherare il disprezzo, e mi girai verso l’insegnante
«Allora dovresti stare alla larga da Nathan. Lui è come me»  sussurrò e spinse il banco in avanti per avvicinarsi
«Non avvicinarti oltre, potrei contagiarti ricordi?» dissi a denti stretti cercando di dimenticare quello che aveva appena detto.
Non dovevo ascoltarlo, diceva solo bugie.
«Piantala di fare la stupida»
Mi girai guardandolo storto, lui assottigliò lo sguardo.
«Lasci in pace» mi innervosì cercando di guardarlo negli occhi
«Ti ho visto l’ultimo giorno a scuola, come probabilmente mezza scuola» cominciò freddo
«Non so a cosa ti stia riferendo» dissi evasiva mentre cercavo di distrarre la mia mente, scarabocchiando con la matita
«Se solo Nathan e quell’imbecille del suo amico fossero arrivati qualche secondo dopo a quest’ora sono sicuro che saresti già stata espulsa» disse nascondendo del sarcasmo
«E’ il tuo modo per dirmi che dovrei stare attenta altrimenti non avresti più il tuo passatempo preferito?» domandai ironica
«Non illuderti, di gente sfigata ne trovo quanta ne voglio, tu sei solo la più comoda» disse tranquillo
«Taglia corto se non vuoi ritrovarti ancora intero alla fine della scuola» dissi stringendo i pugni
«Peccato che lo spettacolo sia finito ancora prima di entrare nel vivo della scena, sarebbe stato divertente. Vedere quella sottospecie di vipera venire presa a pugni da una sua stessa vittima, quello sì che sarebbe stato spassoso» continuò, mi girai per capire se stesse parlando sul serio, l’espressione che era stampata sul suo volto era inequivocabilmente divertita e posata
«Anche se al posto della vipera ci fossi tu sarebbe diverte, non ti pare?»
«Andiamo chi vuoi prendere in giro? Ti conosco da quattro anni e non sono mai riuscito a farti perdere tanto le staffe come ha fatto Beth in meno di un mese e mezzo. Hai avuto il coraggio di esporti e minacciarla davanti a tutti e forse posso esserti utile» disse con voce sempre più sottile, dovetti appoggiare la schiena al muro per ascoltare, tanto la sua voce era solo un sussurro.
Non riuscivo a capire cosa volesse, ma non riuscivo a smettere di ascoltarlo.
«Sei veramente convinto che sia così ottusa, so benissimo che stai dalla sua parte, quindi evita questi discorsi strani»
«Se accetti di fare una cosa per me ti prometto che d’ora in poi non ti infastidirò più» propose in tono pacato «Ti ho sottovalutato, non sei così perdente come vuoi apparire» disse semplicemente
«Dovrei prenderlo come un complimento?»
«Come vuoi a me non interessa» disse annoiato «Voglio vedere Beth annientata» continuò senti il tono della sua voce cambiare drasticamente pronunciando quelle parole
«Laggiù in fondo la vogliamo smettere di parlare? Cosa c’è di tanto interessante, farebbe molto piacere alla classe condividere questo vostro interesse» lo interruppe il professore che attirò la nostra attenzione.
«Mi scusi» dissi mentre chinavo la testa sul banco
«Bailey se ha così tanta voglia di parlare perché non continua lei la lettura» continuò il professore rivolgendosi a Shade che cominciò a leggere un brano.
Non riuscivo a seguire la lezione, le parole di Shade mi rimbombavano nella testa.
E una parte di me voleva sapere cosa aveva in mente, mentre la parte più codarda mi diceva di non fidarmi, di stare fuori da questa faccenda.
«Io cosa ci guadagno?» domandai sottovoce appena Shade ebbe finto di leggere
«Mi sembrava logico, ti potresti vendicare di tutte le umiliazioni, se sei considerata una malata schizofrenica non è certo merito mio, purtroppo» disse avvicinando di un altro po’ il banco, sembrava soddisfatto
«Ripagala con la sua stessa moneta» disse persuasivo «Umiliata davanti alle cose che ritiene più care e preziose, anche il nemico più invulnerabile cede e si inginocchia»
Il suo tono mi provocò un brivido sinistro che mi fece tremare
«Non voglio essere solo una tua pedina, io non sono come Elisabeth, non ci trovo niente di interessante, niente di divertente nell’umiliare una persona» sussurrai stringendomi nelle spalle
«Dimenticavo che ho a che fare con una codarda» commentò seccato indietreggiando bruscamente
«Sarai trattata come una carne al macello e rimarrai sola»
Mi coprì le orecchie e guardai oltre.
Mi sentivo tremendamente stupida ad aver rifiutato, non sapevo se avessi fatto la cosa giusta, ma non mi sentivo meglio, anzi mi sentivo ancora più vulnerabile e confusa.
Finite le lezioni andai a casa il più velocemente possibile, non avevo voglia di vedere nessuno.
Mentre uscivo dal cancello della scuola notai Elisabeth che scherzava davanti a me.
Appena la vidi, pensai inevitabilmente alle parole di Shade.
«Non hai mai visto il cartello all’entrata che vieta l’accesso ai cani» commentò appena le passai di fianco per sorpassarla. Mi fece cadere e io rimasi a terra aspettando che se ne andasse.
La sensazione che mi faceva desiderare di scomparire si manifestò di nuovo.

Nei giorni successivi tentai in ogni modo di evitare Elisabeth che si appostava davanti all’entrata della scuola o nei corridoi. Me la ritrovai perfino davanti alla porta del bagno e appena me ne accorsi me ne tornai subito in classe cercando di trattenere il fiato per tutto il tragitto.
Entravo a scuola mezz’ora prima delle lezioni e me ne andavo appena il cortile della scuola diventava deserto. Pranzavo in classe e non mi allontanavo mai dalle aule.
Mi sembrava di giocare al gatto e al topo, io ovviamente ero il topo. Avevo i nervi a fior di pelle e il cuore impazzito.
Questa mattina c’era mancato poco che mi prendesse di mira di nuovo.
«Maledizione! Maledizione!!» imprecai sbattendo un pugno sul banco
«Non farti vedere troppo in giro per oggi» disse all’improvviso Shade
Mi girai spaventata verso di lui, non mi ero accorta che ci fosse già qualcuno in classe.
Era disteso comodamente sul banco dietro con la schiena appoggiata al muro, si tolse il cappuccio che gli copriva il viso e tolse la cuffia dall’orecchio sinistro.
«Che ci fai già qua?» domandai nervosa, stingendo la mano destra in un pugno
«Aspetto che tu accetti la mia proposta» appoggiò le mani dietro la nuca e guardò  il soffitto
«Ti preferivo quando mi insultavi e basta» dissi atona «Non ho bisogno del tuo aiuto»
«Sei troppo ingenua, non credere che ti voglia aiutare, ti sto proponendo un patto e comunque per me rimarrai sempre un passatempo divertente, se non ti offendo più è perché mi diverto di più a guardare lo spettacolo» disse fissandomi con uno sguardo cupo e distaccato
Distolsi lo sguardo dal suo mi dava una strana sensazione quello sguardo nelle persone
«Cosa ha in mente Elisabeth?» mi morsi il labbro
«Mi dispiace niente patto, niente informazioni» sorrise perfido
Mi rimisi le cuffie ed aspettai che la lezione cominciasse.
Durante la pausa pranzo mi limitai ad andare al bagno e poi ritornai in classe per pranzare da sola.
Non avevo voglia di sfidare la sorte. Seguì l’avvertimento di Shade facendomi vedere il meno possibile.
Quando tornai in classe però trovai Nathan seduto su un banco. Era proprio l’ultima persona che volevo vedere quel giorno. Stare in sua compagnia mi faceva abbassare la guardia e non mi piaceva.
«Ehi ciao» dissi cauta rimanendo a distanza
«Ciao scheggia» mi salutò radiosamente
«Che ci fai qui?» domandai sospettosa
«Sei sparita di nuovo» mi fece notare
«Sto bene, ora puoi andare» dissi annoiata
Indietreggiai mentre lui si avvicinava, mi ritrovai con le spalle al muro
«Lo trovi divertente sparire per farmi preoccupare?» senti la sua mano sul mio viso e mi spostai bruscamente
«Che succede? Shade ti dà ancora fastidio?» domandò guardandomi in modo strano
«No» dissi troppo di fretta
«Sei troppo nervosa e fredda» disse cercando un contatto con i miei occhi
«E’ solo una tua fantasia» tagliai corto mordendomi l’interno della guancia «La pausa pranzo sta terminando poi avrai gli allenamenti dovresti andare» lo incoraggiai
«Solo se mi fai un piccolo sorriso» disse avvicinandosi e premendo con entrambi gli indici agli angoli delle labbra accennando un sorriso sul mio viso
«Ecco così» mi prese in giro con un sorriso talmente semplice da farmi arrossire
«Divertente, davvero divertente» esclamai sarcastica cercando di evitare il contatto prolungato con la sua pelle che scottava e mi metteva a disagio
Guardai l’uscita per cercare di placare il subbuglio dello stomaco  
«Forse è meglio se vai, per favore» dissi continuando a guardare l’uscita
«Ci vediamo dopo scuola al campetto da basket allora?» mi chiese 
Annuì, senza guardalo.
«A dopo scheggia» concluse prima di scompigliarmi la frangia e andarsene.
Alla fine della pausa pranzo aspettai che quasi tutti fossero andati nelle loro rispettive attività e mi precipitai fuori con troppa fretta e mi trovai Shade davanti, gli andai inevitabilmente addosso e per poco non cademmo entrami a terra
«Sei proprio un impiastro Parkinson!» commentò seccato mentre io mi allontanai da lui permettendogli di staccarsi dal muro che aveva evitato la caduta
Lo ignorai e andai verso l’uscita dove si era radunata un po’ di gente.
Quando vidi Elisabeth guardare verso di me indietreggiai, fermandomi.
Non sapevo che fare, smisi automaticamente di respirare e mi voltai cambiando direzione.
Forse era meglio tornare in classe e aspettare un altro po’ prima di uscire pensai.
Ma appena mi voltai vidi Shade guardarmi con un maledetto sorriso che voleva dire vittoria.
Aveva previsto questo o lo aveva organizzato lui direttamente?
Presi un ultimo respiro profondo cercando di contenere la rabbia e la paura, erano due cose che in me si alimentavano a vicenda e mi destabilizzavano. Cominciai ad andare avanti verso l’uscita stringendo e la mano destra in un pugno.
«Chi non muore si rivede. Tutto bene spero cara» disse Elisabeth venendo verso di me
Non riuscivo a trovare la forza per parlare, il mio cervello si era di nuovo paralizzato.
«Hai intenzione di dire qualche cosa o ti limiti a fissarmi come un’ebete?» domandò poi
Ma nonostante nella mia testa i pensieri si accumulassero, erano troppo veloci, troppo confusi per poterli definire sensati. Sentivo uno strano senso di vuoto allo stomaco.
Volevo andare avanti, ma non ci riuscivo, il mio corpo era paralizzato, aveva paura di muoversi. Avevo paura di me stessa e di come avrei potuto reagire.
«Hei scheggia!» disse una voce maschile «Che combini ancora qui! Ti avevamo detto di raggiungerci in palestra ricordi?» continuò appoggiandomi entrambe le mani sulle mie spalle sussultai spaventata
«Che c’è Blake ti ci metti anche tu! Questa scuola sta diventando un circo, è mio dovere rimettere le bestie al loro posto dentro una gabbia o sopprimerle in caso di rabbia eccessiva» disse Elisabeth con un tono maledettamente gelido incrociando le braccia
«Mia cara Beth io non vedo nessun circo in zona per cui se sei in cerca di animali da addomesticare prova con me so essere molto appagante una volta ammaestrato» disse con voce sottile «E so che mi consideri il più bravo a far divertire ogni ragazza di cui mi prendo cura» continuò allusivo
Non stavo capendo il tono della conversazione Blake era serio o la stava prendendo in giro?
«Sei pessimo Blake risparmiatele certe battute e cresci» disse Elisabeth
«La tua mira per le persone da sfidare è pessima, sbaglio o avevamo chiarito il concetto?» domandò serio
«Scusami mi deve essere sfuggito» disse in tono di sfida
«Le scuse attaccale bene addosso così non cadi la prossima volta» disse allontanandomi dalla folla, mi girai un momento verso l’entrata della scuola e vidi Shade appoggiato al muro che osservava la scena fumando tranquillamente una sigaretta, sorrise sfacciato rivolgendosi verso di me, ma voltai lo sguardo verso terra.
Blake mi fece sedere su una panchina vicino alla palestra.
Presi dallo zaino una bottiglia d’acqua e la svuotai per metà.
«Tutto bene?» mi chiese
«Si, grazie» dissi non appena riuscì a ritrovare l’uso della parola
«Figurati, con questo sono solo due favori» disse facendomi l’occhiolino
Accennai un sorriso smorto.
Dovevo smetterla di attirare in continuazione disastri, dovevo smetterla di contare sulla gente.
Forse averi dovuto prendere in considerazione la proposta di Shade, in fondo l’unico modo per finire tutta quella storia era attaccare alle spalle a mia volta.
«Vado a chiamare Nathan?» domandò ad un certo punto Blake vedendomi persa
«Cosa? No, no per carità» dissi agitata «Potresti evitare di dirgli cos’è successo?» lo pregai sperando in un sua risposta positiva
«Credo che lo verrà a sapere comunque, ma proverò ad evitare l’argomento se proprio ci tieni» disse guardandomi con un sorriso rilassato
«Grazie, davvero» mi ripetei cercando altre parole ma non sapevo come comportarmi
«Ora devo proprio andare all’allenamento, vuoi venire a fare il tifo?» mi chiese con un sorriso scaltro e porgendomi un mano
«No, aspetterò qui finché la gente non se ne sarà andata e poi andrò un po’ in biblioteca» dissi in tono sbrigativo sentendomi improvvisamente a disagio
«Ci vediamo in giro allora» disse alzandosi e prendendo la sacca d’allenamento
«Blake» lo chiamai lui si girò verso di me
«Hai del rossetto..» indicai la guancia e il collo con il dito un po’ impacciata
«Cavolo se il coach scopre che ero in ritardo per questi mi spezza in due» disse cercando di togliersi il rossetto con la manica
Sorrisi stava solo facendo peggio
«Aspetta» dissi prendendo dallo zaino un paio di salviette e gli cancellai la traccia del rossetto dal suo viso
«Come nuovo» gli dissi buttando la salvietta
«Grazie scheggia, ora devo proprio scappare» mi disse e mi allungò la mano con un pugno
Gli sorrisi appoggiando il mio pugno destro contro il suo.

 

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Capitolo 13
*** Wonder ***


Nathan

 
13 - Wonder
 

And I wonder if some day you'll be by my side
And tell me that the world will end up alright
I wonder what it's like to be loved by you
 
E mi chiedo se un giorno sarai al mio fianco
Dicendomi che il mondo si aggiusterà infondo
Mi chiedo come ci si sente ad essere amati da te

(S
hawn Mendes - Wonder)
 
 


 
Quando giochi da tanto è come se non sapessi neppure camminare senza pensare alla prossima mossa del tuo avversario.
Perché una sola distrazione poteva mettere in discussione il risultato di una partita intera. Ecco perché Blake era sempre stato intransigente quando si trattava di giocare a basket.
Ci eravamo ripromessi di andare al college insieme e per fare questo, io avrei dovuto ottenere quella maledetta borsa di studio.
Da solo non c’è l’avrei mai potuta fare, era tropo costosa per me quella scuola, ma Blake insisteva nel dire che era una delle migliori che ci poteva garantire un futuro. E io avevo bisogno di un futuro in cui credere.
Non volevo pensare al mio passato, quel ragazzino spaventato era morto e Blake mi aveva insegnato a guardare al di là delle difficoltà. Alcune volte non era per nulla semplice, ma ero disposto a sacrificare tutto per poter rendere orgogliosa mia madre.
Se non lo avessi sempre avuto al mio fianco non so come avrei fatto, lui era la mia spalla, come un fratello.
Ma oggi i miei riflessi non erano dei migliori, ero troppo lento. Avevo mancato il passaggio prefetto di Blake mi fermai pronto per essere ripreso
«La prossima andrà meglio» si limitò a dirmi sorridendo colpendomi la spalla.
Scossi la testa non capendo, lui era quello perfetto, quello della tecnica.
Un maniaco del controllo di gioco in campo.
Fu un sollievo quando il coach passò a lui la fascia di capitano, sarebbe dovuta appartenere a me ma io ero stato ritenuto un po’ troppo dal sangue caldo, e poi Blake era perfetto, coordinava tutti.
Io volevo solo giocare e divertirmi, mi permetteva di allenarmi di più ed essere più bravo.
Quando il coach suonò il fischio di fine allenamento mi precipitai negli spogliatoi
«Wayne non rimani oggi?» mi chiese il coach notando che ero uno dei primi mentre di solito rimanevo oltre orario per perfezionare il gioco da solo.
«No, oggi no» risposi tagliando corto, volevo sbrigarmi
«Riposati, oggi non sei stato molto fluido nel gioco per la prossima partita ti voglio sul pezzo» mi avverti
«Si capo» gli dissi facendo un saluto militare
Non avevo voglia di allenarmi oggi, volevo vedere Haley era stata fredda e strana oggi e mi ero ripromesso di indagare.
Mi ero assicurato che il problema Shade non fosse più una sua preoccupazione per lei, non avrebbe più dovuto essere così nervosa.
Mi feci una doccia veloce e mi cambiai ascoltando distrattamente i miei compagni e annuendo a qualche battuta
«Hai visto il video di quella povera ragazza, questa volta Beth ha proprio esagerato…» disse Chris ad altri due ragazzi.
Guardai nella loro direzione e mi avvicinai per vedere il loro telefono.
Era un video dell’umiliazione di Haley di fronte a mezza scuola, il sangue mi andò dritto al cervello, strinsi i pugni e gli andai alle spalle
«Perché diavolo lo state guardando? Avevo detto a tutti di cancellarlo» li minacciai aprendo le spalle e strappando il suo cellulare di mano, andai a vedere la fonte e per poi cancellarlo
«Non c’è più nulla da ridere idioti e se ne trovo un altro in giro..» dissi addossandolo al muro
«Ok amico scusa…» disse divertito «Deve essere bello essere contesi tra due ragazze» mi provocò
Provai mentalmente a contare fino a dieci prendendo un bel respiro ma arrivato al numero tre capì che non mi sarei comunque calmato.
«Nathan calmati» Blake mi strattonò via per impedirmi di prenderlo a pungi, lo ignorai fissando Chris
«Nate comunque pare che Beth si sia divertita anche oggi con lei»  puntai gli occhi su Dave che aveva parlato «Poco prima del nostro allenamento, Blake c’era può confermarlo» mi disse
Spiazzato mi guardai alla mia sinistra dove Blake ora non mi guardava nemmeno più in faccia
Ecco perché era arrivato stranamente in ritardo, ed era stato comprensivo sui miei errori oggi.
«Non voleva che lo sapessi» si limitò a giustificarsi appoggiandomi la mano sulla spalla.
«Dimmi subito cosa le ha detto»
E restio Blake mi raccontò la scena a cui aveva assistito e che era intervenuto appena aveva capito la situazione.
«Devi stare tranquillo Nate, sta bene. Ti preoccupi troppo Haley se la sa cavare, è riuscita a sopravvivere a Shade per quattro anni, Beth sarà una passeggiata per lei. Non puoi andare fuori di testa per così poco» mi disse scettico
Ma Blake non poteva capire, solo perché avevo scoperto che Shade l’aveva presa di mira da molto tempo, non significava affatto che le parole le fossero scivolate tutte addosso.
Lei non stava mai veramente bene, bastava guardarla per capirlo. Come poteva dire che andava tutto bene quando io avevo visto il suo sguardo.
Maledizione a quella stupida ragazza che non riusciva mai a fidarsi di me.
Corsi al campetto di allenamento e la trovai appoggiata con la schiena ad uno dei gradoni, aveva gli occhi chiusi, le andai da dietro e le copri gli occhi sfilandole prima l’auricolare
«Che ci fai qui tutta sola?» le chiesi
«E’ quello che mi sto domandando anch’io» mi rispose dopo aver preso un respiro togliendomi le miei mani dal suo viso
«Sei gelata, da quanto tempo sei qui?» le chiesi sedendomi accanto cercando di prenderle le mani ghiacciate che si ritrovava ma si ostinava a nasconderle
«Sono appena arrivata Nathan» disse guardando da tutt’altra parte
Non era per nulla brava a mentire
«Credo di essermi perso qualche passaggio sai» dissi fingendomi confuso e alzandomi in piedi per guardarla negli occhi, volevo sapere come stava «Non mi volevi parlare a scuola era per via di Elisabeth?» domandai cercando di trattenermi
«No assolutamente» disse fin troppo velocemente «Perché avrei dovuto?» mi chiese evasiva torcendosi le mani  
«Perché sei tanto brava come ladra che come bugiarda» gli ricordai ironicamente
«Non è giusto Blake aveva detto che non te l’avrebbe detto!» rispose arrabbiata avendo capito di non poter più mentire
«Infatti è stato un ragazzo della squadra a raccontarmi la scena» serrai la mascella infastidito dal fatto che il miglior amico era pessimo
«Perché la gente non si fa mai gli affari suoi!» disse arrabbiata alzandosi in piedi
«Hei voi!» urlò Blake arrivando di corsa «tutto bene?» disse guardando Haley
«E’ arrivato il complice …e io che pensavo che tu fossi il mio miglior amico Blake…» dissi in tono sarcastico rivolgendosi a lui Haley alzò gli occhi al cielo con disappunto
«Non è stata colpa mia» si difese Blake dallo sguardo di Haley ignorando il mio commento
«L’ho saputo» disse sedendosi e incrociando le braccia al petto
«Perché non volevi dirmelo?» le domandai cercando di moderare il mio tono «E perché diamine tu fai finta di niente» dissi a Blake non molto gentilmente
«Possiamo evitare questa storia, non volevo che tu lo sapessi proprio perché non mi va di parlarne» disse frustrata 
«Ci parlo io con Beth, Nathan non ti preoccupare in qualche modo la convincerò a lasciarla perdere, ma mi serve tempo…» disse Blake «Però è meglio se voi due non state vicini a scuola, meglio temere un profilo basso prima di farla incavolare» continuò «Ma nel frattempo che ne dite di andare ad una festa sabato prossimo? L’ho saputo poco fa» continuò cercando di sviare il discorso
«Tanto alla fine mi ci porti lo stesso Blake, che senso ha domandarlo?» gli chiesi  accettando la sua tregua
«Perfetto, la festa comincia alle 22!»disse divertito porgendomi il pugno, io annui porgendogli il mio, non ce l’avevo con lui, avrei solo voluto saperlo
«Vi vengo a prendere io visto ho promesso a Judith di portarla con noi stavolta, così almeno mentre lei si spupazza Nate tu mi tieni compagnia scheggia» continuò Blake sedendosi accanto a lei
«Non contare su di me, io non ci vengo»
«Perché scusa?» domandò Blake spaesato
«Io non vado alle feste» le rispose come se fosse una cosa ovvia
«Prima non andavi forse, ma ora fai parte di noi» disse Blake divertito sfoggiando il suo stupido sorriso di persuasione
Blake era sulla buona strada per beccarsi un pugno da parte mia o di Haley oggi, anzi solo mia notando Haley arrossire. Blake come uno stupido ne approfittò
«Non puoi dire di no al più bello della scuola» facendole l’occhiolino
Voltai lo sguardo dall’altra parte non volendo dare soddisfazione a Blake
«Che fine ha fatto la frase di poco fa tenere un profilo basso» domandò riprendendosi e scacciando il braccio di Blake dalle sue spalle
«Devi ancora due favori a questo biondino ricordi?» disse Blake ridendo divertito
«Che c’entra? E poi chi li sente i miei, non mi lasceranno venire» continuò cercando una via di fuga ma Blake quando si metteva in testa qualcosa doveva farla.
Haley guardò verso di me cercando aiuto, in effetti avrei fatto meglio ad intervenire e toglierla dalle grinfie di Blake ma desideravo uscisse con noi, volevo vederla sorridere di nuovo.
«Ti faccio venire a prendere da mia madre» proposi guardandola negli occhi «Sono sicuro che accetterebbe benissimo di venirti a prendere, inventarsi una scusa e poi vieni con me alla festa» dissi spostando lo sguardo e passandomi una mano tra i capelli «Come ti sembra come idea?» le chiesi
Haley sorrise lieve ma non molto convinta, ma si rassegnò all’esuberanza di Blake
 

Qualche giorno più tardi trovai Haley fuori da scuola era sola e in disparte appoggiata al muro con le cuffie nelle orecchie, rallentai per cercare il suo sguardo e appena lei mi vide, mi sorrise timidamente.
Salutai Blake e gli altri di fretta e la raggiunsi.
«Posso parlarti o siamo ancora in zona off-limits?» domandai  ironico
«Solo quando svoltiamo l’angolo» disse accennando un sorriso e cominciando a camminare lentamente
L’affiancai e le parlai della giornata storta che avevo avuto finché non arrivammo di fronte a casa sua, tentennò ad aprire il cancello senza darmi le spalle un po’ indecisa.
«Hai voglia di parlare oggi?» le chiesi divertito capendo la situazione
«Un po’, se ne hai voglia» sorrise imbarazzata mentre le sue guance cambiavano colore
«Fammi strada» dissi scompigliandogli la frangia
«Per favore non guardare il disordine» disse mentre apriva la porta della sua camera
«Non preoccuparti» risposi prima che lei mi confinasse lì e scendesse a perdere da bere
Ne approfittai per esplorare il suo mondo. La stanza aveva una libreria con molti libri fantasy e gialli ma per il resto era spoglia nessuna foto, nessun ricordo, nulla che dicesse chi era veramente.
Poi lo notai. Un quaderno sopra il letto che aveva lasciato aperto, mi sedetti e cominciai a sfogliarlo.
Appena Haley entrò in stanza me lo tolse di mano in modo brusco
«Non avevo finito»
«Non ti avevo detto che potevi leggerlo!» protestò arrossendo
«Non mi avevi neppure detto di non farlo» le feci notare
«E’ personale» cercò di giustificarsi mordendosi il labbro
«Messaggio ricevuto!» risposi ridendo alzandomi in piedi «ma mi piace… l’idea di conoscerti sempre di più» le dissi avvicinandomi, si strinse al petto il quaderno
Capi che non ci sarebbe stato verso di poter leggere di più e mi accontentai prendendo il bicchiere di succo che aveva lasciato sulla scrivania per togliermi di mano il suo quaderno
«Hai detto che possiamo parlare di qualunque cosa giusto?» disse sedendosi sopra il letto fissandomi
«L’ho detto» le confermai curioso
«Dovrei chiederti un paio di cose» spiegò abbassando il tono di voce «Ma forse sembrerò troppo invadente o che ne so, quindi se non ti va di rispondere va bene lo stesso, non sei obbligato» continuò sempre più insicura
«Va avanti» la incitai sedendomi al suo fianco
«Hai una.. quando sono andata a casa tua, quando eri al campionato, tua madre mi ha fatto vedere delle foto, so che non dovrei chiedetelo perché non è affar mio ma hai una sorella? Vive lontano con tuo padre vero?» chiese tutto ad un fiato timidamente
Mi colse in contropiede, strinsi un pugno per clamare la tensione che si stava accumulando
«Scusa, se non vuoi rispondere non fa nulla, cancella quello che ti ho detto» mi rassicurò appoggiando una mano sopra il ginocchio
«No» la fermai ma il mio tono risultò un po’ duro, ritrasse la mano «Non ho più una sorella» dissi con una voce distaccata
«Non sei costretto a parlarne se non vuoi» ripeté gentile e preoccupata
«Tranquilla, è giusto che tu sappia infondo siamo amici no?» dissi con un sorriso sforzato
«Lascia stare, non voglio vederti triste» mi disse dolcemente, troppo dolcemente sfiorando la mia mano.
Incrociò i mei occhi che la guardavano per trovare il coraggio di parlarle di una parte di una vita che mi faceva male
L’avvicinai a me sfiorandogli la ciocca di capelli sulla guancia, sfuggita alla coda di cavallo
«Da quando ti preoccupi per me?» le chiesi dolcemente sorridendo e sistemandole la ciocca dietro l’orecchio ma ricadde subito
I suoi occhi erano stupendi
«Allora…?» la incitai mentre il colore delle sue guance si accentuava
«Siamo amici no?» incespicò ma mi limitai a sorridere e mi avvicinai troppo alle sue labbra morbide
«Davvero lo siamo..?» le chiesi mentre sentivo l’elettricità tra noi crescere
Mi ero ripromesso di pensare a lei solo in questo modo ma era difficile, mentre le accarezzavo la guancia, per temporeggiare, per imporre alla mia mente di non baciarla.
Sarebbe scappata di nuovo, era terrorizzata in questo momento lo sentivo, ma allo stesso tempo non distoglieva lo sguardo
«Siamo amici» ripeti convincendo me stesso sfiorando la sua pelle «Un segreto per un segreto» le proposi «Gli amici fanno così»
Annui debolmente
«Cosa scrivi in quel quaderno, poesie?» le chiesi
Scosse la testa deglutendo
«Sono canzoni» rispose
Le lasciai un po’ di spazio per farla tranquillizzare
«Sono pezzi di canzoni, frasi di libri, è quello che cerco quando ascolto una canzone o leggo un libro, il pezzetto che è stato scritto per me, che mi spiega qualcosa di me. Qualcosa che possedevo già sotto la pelle, ma che non sapevo dire»
«Hai trovato un pezzetto di te anche nelle mie canzoni?» le chiesi dolcemente lei annui
«Qualcuno» mi disse abbassando lo sguardo
Dovetti far appello a tutto l’autocontrollo che avevo per non baciarla ora in quell’istante. Le sue parole letteralmente mi avevano tolto la ragione.
Cosa diavolo mi stava succedendo? Perché mi sentivo così bene con lei?
Ma mi concentrai su quello che spettava dire a me
«Scommetto che hai visto anche mio padre in quella foto» le dissi ricordando le foto, annui debolmente
«Quando avevo sette anni mia sorella Sophie mori a soli due anni, con la sua morte la mia famiglia è andata in pezzi. Mio padre o meglio quello che avrebbe dovuto essere mio padre cominciò a fregarsene di quello che aveva provocato a mia madre la morte di mia sorella.
Andrew non faceva altro che tormentarla dandole la colpa e beveva.
Mia madre non poteva fare altro che piangere e spegnersi ogni giorno di più. Andrew la picchiava e lei non si opponeva» la senti trattenere il fiato mentre la mia mano che fino a poco fa le sfiorava la mia guancia si era trasformata in un pugno e si sforzava di mantenere la voce ferma ma la rabbia cominciava a prendere di nuovo il sopravvento
«Ed io ero solo uno stupido bambino che non riusciva a capire, non riuscivo a reagire. 
Poi ho perso il controllo, una sera, una delle tante, ho picchiato mio padre, perché riuscivo a capire, avevo capito che io potevo cambiare le cose, ero cresciuto. Avevo capito che bastavamo solo io e mia madre.
Non volevo più vederla soffrire, la morte di mia sorella l’aveva cambiata, sembrava che Sophie si fosse portata con se l’anima di mia madre. Odio parlare del mio passato» conclusi non distogliendo il contatto visivo con i suoi occhi
Avevo paura di come avrebbe reagito sapendo una parte della mia storia, non le dissi del mio rapporto con Shade, non volevo ferirla, era ancora troppo fragile. Lo avrei fatto prima o poi.
«Non lo avrei mai immaginato mi dispiace» disse piano cercando di aggiungere qualcos’altro ma il silenzio si proclamò sovrano della stanza
Sforzai un sorriso, odiavo il mio passato e quello che ero stato e parlarne ad alta voce non era facile, sperai solo di non averla spaventata.
Poi all’improvviso senti la sua mano avvolgere la mia ancora stretta in un pugno contro la sua guancia, la sua mano mi accarezzò il braccio e poi mi strinse con forza a se, avvolgendomi nel suo profumo dolce lasciandomi sorpreso
«Braccia d’acciaio mi spezzerai se continui così» cercai di scherzare per non pensare più a mio padre
Appena si rese conto della stretta eccessiva si scusò allontanandosi, ma la ripresi tra le mie braccia
«Un altro po’» la pregai, stare abbracciato a lei mi faceva sentire completo
«Mi hai ricordato mia madre, avevi uno sguardo simile quella volta. Avevo paura di non essere arrivato in tempo» le confessai  
«Era a Nicole che ti riferivi allora quella volta al parco?» mi chiese stringendosi istintivamente più a me  
«Si, io non posso aiutarti se ti tieni tutto dentro» le spiegai accarezzandole dolcemente la testa
«Io non posso darti quello che cerchi … non so cosa c’è dopo» continuò indecisa
«Non cambierebbe ciò che sono. Rimarrebbero solo finiti sorrisi e..» ma non concluse la frase
«Haley» la sentivo tremare lievemente «Di cos’hai paura?»
Strinse le mani attorno al mio maglione e scosse la testa
«Avevo un’atra domanda da farti…» si staccò da me improvvisamente per alzarsi in piedi, camminava su e giù per la stanza nervosa
«Tua madre mi ha detto che da qualche tempo la preoccupi. Sei diventato introverso» incominciò «Hai bruciato le domande del college» mi incitò a parlare
«Un segreto per un segreto» le ricordai tentando di ottenere di più da lei
«Hai bruciato le domande del college Nathan dove puoi studiare e lottare per realizzare il tuo sogno, non cambiare argomento!» si arrabbiò improvvisamente senza motivo
«Come per caso tu stai facendo come me?» le chiesi inclinando un sopracciglio
Sbuffò e mi volto le spalle
«E’ colpa mia vero? Non voglio crearti ulteriori problemi» disse impacciata
«Colpa tua?» le sorrisi alzandomi per raggiungerla lei indietreggiò «La sera che ti ho trovato al parco è stata la sera in cui mio padre si è presentato a casa dopo anni, credevo fosse in prigione, lo sto cercando. Ecco perché mia madre è preoccupata, voglio assicurarmi che quando io andrò al college lui non sia più un problema per noi» cercai di spiegarle e lei si lasciò abbracciare di nuovo da me «Non c’è un motivo che tu ti allontani da me, le domande che ho bruciato semplicemente creavano confusione, non sono quella che aspettavo» la sua mano destra risali dalla schiena e si fermò sulla schiena in corrispondenza del cuore
«Per aspera ad astra, ho sognato questa frase prima di sapere che l’avevi incisa qui» mi irrigidì un po’ e lei lo avverti perché cercò di sottrarsi dall’abbraccio
«Tu credi nei sogni Haley? Forse eravamo davvero destinati a trovarci Haley» le impedì di muoversi 
«Come fai ad essere così sicuro dei sogni? Come hai fatto a non perdere te stesso dopo quello che hai passato?» mi chiese curiosa
«Non puoi mai essere certo di nulla Haley, ogni tanto devi solo crederci con tutto te stesso e quello che cerchi troverà il mondo per raggiungerti.
Sai giocare a basket è una parte della mia vita che mi ha dato tanto ma spesso mi ricorda di quante volte mia madre non poteva venire alle partite, o si presentava con degli occhiali scuri. Certe cose ti cambiano scheggia ma ho imparato che conta solo chi sei dentro…» le dissi «Cosa ti ha cambiato Haley?» insistetti
«Niente, io sono solo questa» mi menti
Indietreggiò di colpo trattenendo il respiro.
Ed eccola di nuovo la freddezza che prendeva il sopravvento.
«Quindi è questo che vuoi essere per tutti? Una ragazzina debole e insicura che tutti si divertono a prendere in giro?» le domandai schietto
Il suo corpo si irrigidì all’istante e i suoi occhi si incupirono
«Vattene» mi sussurrò
«Se questo ti fa sentire meglio fallo» dissi avvicinandomi a lei notando le sue braccia tese pronte a scattare «Ti do l’occasione di vendicarti di tutto quello che ti hanno detto, avanti smettila di farmi dire cose che ti fanno male» continuai con aria di sfida
Volevo farla reagire era l’unico modo per scuoterla perché odiavo la sua rassegnazione.
«Smettila!» si ritrovò con le spalle alla porta in trappola
«Sei debole» le tenni testa impedendole di scappare
 Sentivo la sua paura crescere nel suo respiro
«Io conosco molte più cose di te di quante tu riesca ad ammettere!» le dissi duro
«Non toccarmi» mi ammoni cercando di farsi spazio
«Tu fermami allora, reagisci dannazione!» le intimai a pochi centimetri dal viso
La mano di Haley si fermò all’improvviso tremava sfiorando la mia guancia ma rimasi in quella posizione
«Codarda» la provocai
I suoi occhi diventarono lucidi, ritirò la mano stretta ora in un pugno, e si lasciò cadere a terra mettendosi i le ginocchia a coprire il viso e le mani a protezione del collo, cercando di riprendere il respiro
«Non puoi fare sempre così, non puoi tenerti tutto dentro» le dissi vedendola così vulnerabile
 «Non volevo farti male. Solo che certe volte mi viene voglia di scuoterti, di farti alzare gli occhi su di me, per costringerti a guardarmi. Sono qui Haley, davanti a te non fare finta di niente» mi inginocchiai cercano di rimediare
«Sono solo un problema» disse stanca
Non volevo ottenere questo disastro che avevo combinato, avevo esagerato
«Guardami…» la incitai
«Io non voglio parlare di me…» sussurrò 
«Ma io sono qui per questo» la esortai con voce dolce
Le alzai il viso con due dita e le si sottrasse al mio tocco tremando
«Non riesco a respirare» disse cercando di alzarsi
«La tua paura del contatto fisico. Cosa ti è successo?» insistetti accarezzando la sua guancia e lei chiuse gli occhi.
La sua paura nel respiro spezzato aveva preso ormai il sopravvento.
Si morse di nuovo il labbro inferiore nel tentativo di mitigare il suo corpo, perse l’equilibrio.
La sostenni appoggiandole una mano dietro la schiena e l’altra sul suo fianco quando incontrai i suoi occhi rividi di nuovo quell’espressione così profonda da contorcermi lo stomaco.
Cosa diavolo nascondi dietro quella corazza che ti riduce così
«Di chi hai paura?» le chiesi cercando di restare calmo ma sentivo una sensazione di dejà vu mentre la sentivo vacillare sotto le mie mani
Sentì dei rumori e la porta di casa, a quanto pare erano ritornati a casa i suoi.
«E’ meglio se vai ora i miei sono tornati» disse riacquistando un po’ di lucidità e staccandosi da me
La vidi appoggiarsi alla parete chiudendo gli occhi
«Scheggia» la richiamai a me
«Ti accompagno» mi disse ignorando tutto ciò che era successo poco fa, e tornò fredda aprendo la porta
Rassegnato mi accompagnò alla porta ma dalla porta della cucina una signora si affacciò chiedendo spiegazioni
«Salve signora! Nathan Wayne ci siamo incontrati a capodanno si ricorda?» iniziai cercando di essere più gentile possibile
«Oh certo, il suo ragazzo. Sono felice di rivederti» rispose la signora stringendomi la mano
Haley mi diede un leggero pugno sul fianco senza farsi notare
«Piacere di averla rivista ora devo andare, prima che mia madre mi uccida» scherzai con aria da bravo ragazzo
«Che peccato» mi disse non troppo convinta «Spero che la prossima volta potrai restare anche a cena»  riprese cortese
Haley meno gentilmente mi mise le mani dietro la schiena e mi spinse fuori di casa
«Ti viene proprio bene la parte del bravo ragazzo! Ma ora a casa» mi prese in giro senza togliere la mani dalla mia schiena
«Che dici, io lo sono sempre» dissi stando al gioco 
«Grazie per la sceneggiata comica e il resto» staccandosi da me e abbassando la testa
«Non sei invisibile Haley, io ti vedo» le dissi prendendo la sua mano la vidi stringersi nelle spalle e guardare dall’altra parte
«Non dire niente a tua madre era solo preoccupata, ti vuole bene» mi disse triste cercando di guardarmi
E tu non me ne vuoi nemmeno un po’? tentai di chiederle
«Lo so» le sorrisi solamente «Ci vediamo sabato allora» la provocai scherzosamente
«Non esiste proprio non so ballare e odio la gente» disse incrociando le braccia al petto
«A ballare ti insegno io no? E poi chissà forse riesco anche a farti passare la fobia della gente» aggiunsi sorridendo sincero, con il pollice e l’indice le diedi un buffetto sul naso
«Certo come no» mi rispose imbronciata
«Io faccio miracoli!» mi vantai
«Solo per il basket» commentò sarcastica
«Ti ricordo che sono riuscito a far sorridere la ragazza senza sorriso, devi darmi solo del tempo scheggia» le ricordai cercando i suoi occhi
«Hai avuto quello che in gergo viene chiamata fortuna del principiante» mi puntò un dito contro
Una risata spontanea mi usci dal petto e la contagiai
«Ti vorrei vedere sempre così» le dissi scompigliandogli la frangia

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Capitolo 14
*** Crawling ***


 Haley

 
 
14 - Crawling 

Crawling in my skin
These wounds they will not heal
Fear is how I fall
Confusing what is real
My walls are closing in
I've felt this way before
So insecure

 
 
Strisciando dentro la mia pelle
Queste ferite non guariranno
Sono caduto per paura
Confondendo ciò che è reale
Le mie pareti mi stanno intrappolando
Mi sono già sentito così
Così insicuro

(Linkin Park Crawling)

 
 

Alle otto di sabato sera il campanello di casa suonò, presi la giacca, e scesi al piano di sotto.
Mentre scendevo le scale sentì delle voci e mi accorsi che Nicole stava già parlando con i miei genitori, si voltò verso di me appena si accorse della mia presenza mi sorrise, la guardai indecisa non sapevo se sorridere o meno.
Dopo dieci interminabili minuti, in cui mio padre mise a dura prova la mia capacità nel mentirgli, Nicole lo convinse a lasciarmi uscire.
Quando entrai nella sua macchina tirai un sospiro di sollievo, che venne quasi subito smorzato dal pensiero per cui gli avevo mentito.
Non m’importava tanto di andare a quella festa, ma quanto uscire un po’e forse come aveva detto Nathan un po’ di questa fobia sarebbe passata.
Sospirai sconsolata guardando fuori dal finestrino.
«Sono felice di vederti» mi disse regalandomi un sorriso dolcissimo e mi abbracciò
«Anche io» le risposi distraendo la mia mente e cercando di essere il più normale possibile
Arrivati a casa non ebbi nemmeno il tempo di appendere la giacca all’entrata.
«Allora com’è andata?» chiese Nathan poi mi guardò con la sua espressione scettica
«Avevo detto che andavamo a scuola o ad una festa non ricordo» commentò sarcastico 
Lo fulminai con lo sguardo ma poi mi limitai ad ignorarlo andando a raggiungere Nicole in cucina.
Ok, avevo dei jeans neri e un maglione piuttosto pesante grigio ma infondo era carino, non avevo nient’altro da mettermi, e anche ci fosse stata una sola cosa adatta di certo non mi sarei nemmeno sognata di sprecare tempo per decidere, non era una cosa da me, non andavo d’accoro con i vestiti troppo appariscenti o colorati, né con il trucco o cose simili, il mio scopo era sempre stato quello di essere notata il meno possibile.
Vedendo che non intendevo rispondergli, pensò bene di farmi arrabbiare sostenendo che secondo lui non mi avrebbero fatto entrare nemmeno conciata così com’ero
«Se ti imbarazzo troppo posso restarmene a casa, non fa differenza per me» dissi arrabbiata
«Su calmatevi! Forza Haley vieni con me» intervenne Nicole prendendomi con dolcezza
Non mi lasciò nemmeno il tempo di protestare e mi trascinò nella sua camera
«Allora vediamo.. Intanto sciogliti i capelli» disse mentre frugava nell’armadio
«Sto bene anche così» mi difesi nervosa, arretrando fino alla porta
Nicole si voltò dalla mia parte
«Ti prometto che non te ne pentirai, sciogliti i capelli» il mio viso si contorse in una smorfia e sciolsi la coda di cavallo
«Ti ho comprato delle cose» disse mentre posava sul letto una gonna e una maglia e un vestitino.
«Cosa? Perché?»
«Serve per forza un motivo per fare un regalo ad una persona a cui si vuole bene?» mi domandò e mi avvolse in un abbraccio
«Mi sento in debito così» spiegai
«Quindi il miglior modo per sdebitarti è provale» mi invitò «Prova questa coraggio» disse porgendomi una maglia blu un po’ scollata per i miei gusti, notando probabilmente la mia faccia Nicole mi fece cambiare ed indossai il vestito verde, poi mi sistemò i capelli ondulati.
«Mi sento troppo a disagio cosi!» protestai tentando di coprirmi
«Ti assicuro che stai benissimo. I tuoi occhi risaltano moltissimo»
Ma più mi guardavo allo specchio più vedevo di nuovo comparire la bambolina che tanto detestavo essere.
«Ok dai andiamo» taglia corto senza volermi più guardare allo specchio ma non feci nemmeno in tempo a toccare la maniglia della porta
«Un po’ di matita?» domandò Nicole storsi il labbro «Proviamo soltanto» mi incoraggiò ma non riuscì a protestare perché lo stava già facendo.
Peccato che da una misera matita per gli occhi finì per mettermi in faccia tutto il beauty case
Mi sedetti sul divano e mi misi a tamburellare con il piede erano le 21.20
«Ci sei scheggia? è tardi»
«Purtroppo si» dissi seccata mentre mi alzavo
Indossava dei jeans neri con una camicia bianca con le maniche arrotolate fino un po’ più giù dei gomiti, la camicia lasciava intravedere i muscoli del petto, i suoi capelli erano neri spettinati dal gel, stava davvero bene vestito così.
«Uhm» commentò con una strana faccia 
«Che c’è?» dissi infastidita  mentre il suo sguardo mi stava squadrando
«Sei decente» commentò sorridendo
«Non ti sopporto quando mi prendi in giro!» dissi arrabbiata ritornando in camera per prendere l’elastico, poi andai verso lo secchio e mi strofinai gli occhi per togliere il trucco con forza, mentre gli occhi si arrossavano.
«Haley tesoro tutto bene?» mi chiese Nicole dolcemente entrando nella stanza
«No! Mi sento tremendamente ridicola» dissi guardandomi allo specchio, ma non ci riuscivo.
«Non sei ridicola tesoro, guardati. Sei un po’ diversa ma sei sempre tu questa» si avvicinò per cercare di tranquillizzarmi
«Mi sento sbagliata, hai mai la sensazione di essere sempre osservata e ti sentissi persa, fuori luogo perché gli altri si aspettando sempre di più da te?» dissi confusa e triste
«Haley non importa quello che gli altri si aspettano da te o come ti fanno sentire, le persone a volte sono cattive ma ricorda l’importante è che quello che fai ti faccia stare bene qui dentro» mi disse appoggiandomi una mano sul cuore dolcemente «Si orgogliosa di ciò che sei, di come sei. Non hai motivo di dubitare di essere inferiore a nessuno, sei stupenda tesoro e appena te ne renderai conto ti sentirai come se tutto quello che hai passato ti avesse resa ancora di più forte» disse stringendomi a se
Ero scoppiata letteralmente a piangere e Nicole cercava di calmarmi. Cercò di rimediare al piccolo panda che aveva preso forma sulla mia faccia
«Ti vedi così diversa da non essere più tu?» mi chiese dolcemente appena finì
«No, non è questo è che mi sento più vulnerabile credo» dissi guardandola negli occhi
«Tu fai diventare quella vulnerabilità un’arma, usala per dimostrare che sei speciale» disse decisa
«Grazie Nicole» dissi impacciata abbracciandola «Grazie per tutto quello che fai per me»
Non meritavo tutto quell’affetto ma mi faceva sentire bene e mi sentivo bene accanto a lei.
«Sorridi sempre perché’ il tuo sorriso è la cosa più preziosa che nessuno avrà mai il diritto di portarti via» disse senza staccare l’abbraccio.
Mi guardai allo specchio di nuovo. Cercai di sorridere alla mia me allo specchio.
La bambolina per la prima volta mi sorrise a sua volta timida.
«Forse è meglio che mi muova altrimenti chi lo sente poi Nathan»  dissi accennando un sorriso
Quando entrai in soggiorno vidi Nathan mettersi la giacca.
«Prendo le chiavi e ti aspetto fuori» disse senza guardarmi «Ciao mamma»  disse prima di uscire
Prima di salire in macchina feci un respiro fondo ed entrai. 
Mi sentivo proprio come se dovessi andare al patibolo o  peggio, era come sentirsi osservati  in continuazione, avere decine e decine di persone che ti guardando non era affatto bello.
«Nervosa tamburina?» mi chiese durante il tragitto notando il piede impazzito
«Non prendermi in giro» gli dissi sbuffando cercando di guardare fuori dal finestrino
«Non c’è né motivo, ci sono io con te, cerca di rilassarti e ti prometto che ti divertirai»
Avrei tanto voluto vedere lui al mio posto, sarebbe stato come giocare in una partita dell’ NBA gremita di tifosi e sbagliare proprio il tiro della vittoria, con un costante sottofondo di risate e commenti
Mi accorsi di essere arrivata solo quando spense il motore
«Pronta a divertirti?»
«No, al momento sono troppo occupata a non pensare che sto facendo una cavolata» dissi rassegnata
Rise divertito e si fermò poco prima di uscire completamente dall’abitacolo
«Non pensarci troppo perché sei stupenda» disse poco prima di chiudere la portiera della macchina
Avvampai all’istante e scesi dall’auto inciampando.
Perfetto ci mancava solo il suo ironico commento a farmi perdere l’uso del cervello.
«Su forza!» mi incitò vedendo che rallentavo, lo guardai male.
«Tu non correre!» dissi rallentando ancora un po’ per rimandare l’inevitabile sensazione della chiusura del mio stomaco
«Non sto correndo» disse fermandosi per aspettarmi
Il parcheggio era nel retro di un edificio enorme, dal quale si intravedeva una piscina e dei ragazzi.
«Chiamo Nicole e torno a casa non c’è la faccio! C’è troppa gente!» ed indicai il gruppo di gente che si trovava all’esterno vicino all’entrata ma lui mi fermò.
«No troppo tardi» mi disse e mi impedì di scappare avvicinandomi a lui
«Nathan non posso entrare davvero c’è, c’è troppa gente» dissi con voce isterica «Ti prego» continuai ma lui non mi considerò
«Ciao Phil! Hai fatto le cose in grande stile come sempre, Blake è già arrivato?» ignorò i miei commenti parlando con un ragazzo alto all’entrata
«Nate chi si rivede! Si certo Blake è già dentro» disse il ragazzo stringendogli la mano
«Ci vediamo più tardi allora» Nathan colpì amichevolmente la sua spalla
«Non era poi così tanto difficile visto?>» disse divertito, tornando a considerarmi
«Qui dentro c’è ancora più gente!» esclamai guardandomi intorno spaesata.
Anche l’interno era enorme, entrammo nella prima sala dove fui investita da una musica assordante  non riuscivo a distinguere nient’altro che corpi, luce e musica.
Indietreggiai, avevo davvero dimenticato quanto odiavo quel tipo di musica e di persone.
Lui mi prese la mano destra e mi trascinò avanti, si diresse dall’altra parte della sala.
Il mio cuore aveva cominciato a fare strani scherzi.
Strinsi la mano di Nathan quando qualcuno provò a separarci per poter raggiungere più in fretta il luogo nel quale stava andando.
Nathan ricambiò la stretta e mi avvicinò a se cercando di rassicurami.
«Eccoli lì» mi sussurrò all’orecchio ed indicò una testa biondo cenere che riconobbi come Blake
«Scheggia sei davvero tu?»disse sorpreso venendoci incontro
«Se solo non fossi del tutto certo che provandoci con te finirei con uno zigomo rotto od un occhio nero lo farei» disse facendomi l’occhiolino divertito
Arrossi inevitabilmente per il complimento e mi ritrovai a balbettare come una stupida cercando qualcosa da dire
«Ciao Judith» salutai la sorella di Blake non appena la notai
Era bellissima, come il fratello d’altronde. I capelli lunghi e morbidi le scendevano sulla schiena ed aveva un abito molto stretto che metteva in evidenza il fisico.
«Ciao» rispose con una punta di disprezzo ben percepibile puntando lo sguardo tra me e Nathan, quando me ne accorsi, mi liberai la mano e la lasciai stretta sul fianco.
Sentivo una fortissima sensazione di disagio che faceva agitare il mio stomaco.
«Chi viene a ballare?» chiese Blake energico 
«No grazie» dissi ignorando le sue proteste nel tentativo di spingermi in mezzo alla gente
«Mi avete obbligata a venire ma scordatevi che mi metta a ballare» dissi decisa 
«Nate lo prendo io allora» disse Judith portandolo via e scomparendo in mezzo a tutta quella gente che si muoveva a ritmo di musica assordante.
Mi misi a sedere vicino a un gruppo di ragazze che se ne stava ancora in disparte in attesa che qualcuno le chiamasse a ballare, ma c’era poco da parlare se non di quanto figo fosse il ragazzo con i capelli biondi a poca distanza, così ci rinunciai e andai a prendere qualcosa da bere.
Avrei dato qualsiasi cosa per poter ascoltare un po’ della mia musica, solo per riuscire a stare più calma o per eliminare tutte quelle voci mi facevano sentire troppo a disagio.
Non facevo che ripetere I need a little room to breathe... cercando di ricordarne il ritmo della canzone ma non ci riuscivo. Non riuscivo a pensare lì dentro.
«Non ti conviene, aspetta» disse Blake spuntandomi di fianco «Fidati, prendi questa piuttosto» porgendomi un bicchiere, lo guardai non capendo «Molto spesso qualcuno ci mette dentro qualcos’altro» spiegò brevemente
«An grazie» dissi confusa dalla sua premura poi capii «Ordini superiori di pedinamento?» gli chiesi scherzosa
«Sei troppo sospettosa piccoletta, posso farti un po’ di compagnia se vuoi. Che stavi canticchiando prima?» domandò curioso
«Niente, mi succede quando sono nervosa. E’ imbarazzante perché sono anche stonata» dissi sorridendo
«Il mio secondo nome è mister imbarazzo» disse stringendomi la mano, ricambia il gesto ridendo
«Proprio sicura di non voler ballare?»
«Sicurissima» dissi alzando il braccio e puntandolo in alto, un ragazzo si scontrò con me
«Meglio se andiamo di la» propose Blake ritornando dove ci eravamo incontrati all’inizio
«Allora qualcuna di queste ragazze ha detto qualcosa di carino su di me?» cominciò scherzoso
«La bruna con la maglietta scollata  “figo da paura” citando le sue testali parole» risposi divertita
Così restai lì a chiacchierare e scherzare con Blake per la maggior parte del tempo, mi raccontò delle varie feste a cui partecipavano di solito. Ne parlava divertito descrivendo gli scherzi che si divertiva a fare e di quante volte era finito in piscina e conciai a provare un po’ di invidia perché per come le raccontava lui mi stavo perdendo un mondo.
«È giunta l’ora di fare nuove conoscenze, Nathan ti sta monopolizzando un po’ troppo» disse dopo un po’ e mi costrinse a seguirlo portandomi da alcuni suoi amici, ma erano talmente tanti, che i nomi mi entravano e uscivano come l’aria che respiravo.
Incontrai di nuovo il ragazzo alto dell’entrata, ma non riuscivo a ricordare il suo nome, che si fermò a parlare con Blake e poi mi invitò a ballare, sorpresa guardai indietro per vedere se stesse parlando veramente con me.
«Che..? mi dispiace io non ballo» dissi imbarazzata senza guardalo in faccia
«Brava scheggia, mi fai anche colpo» disse Blake ridendo alzando la mano con il palmo rivolto verso di me quasi si aspettasse un cinque in ricambio, mi voltai verso di lui e lo fulminai «Come non detto frena i pugni con me io sono delicato» disse alzando anche l’altra mano in segno di resa
«Vi ho cercato dappertutto» disse Nathan arrivandomi alle spalle «Cosa mi sono perso?» chiese poi notando il mio irrigidimento
«Haley ha appena accettato di ballare con Phill» rispose Blake beffardamente
«Non penso proprio c’ero prima io» Nathan mi guardò in modo strano
«Io non ballo con nessuno» risposi indietreggiando e andando dietro Blake
«Aiutami»
«Spiacente ma io sto dalla sua parte...» mi sorrise malefico
«Se lui decidesse di buttarsi da un ponte lo faresti anche tu?» domandai indispettita
«Certo ma prima manderei lui ovviamente, così cado sul morbido» rise «Prego, tutta per te» mi spinse verso Nathan
«Questa me la paghi» lo minacciai a denti stretti mentre il suo sorriso divertito si dilatava sempre di più mentre Nathan mi prendeva la mano e mi avvicinava a se
All’improvviso mi prese i fianchi e cominciò a muoversi a ritmo di musica io mi immobilizzai immediatamente, volevo scappare, avevo paura di tutta quella gente e di tutti quelli sguardi.
Non sapevo che fare, una forte sensazione mi opprimeva lo stomaco e cercavo di mandare giù la saliva nel tentativo di contrastare il senso di nausea. Il vuoto avanzava rendendomi instabile.
Non riuscivo a sopportare tutta quella gente, che invadeva il mio spazio senza il mio permesso, non riuscivo a lottare contro il senso di repulsione che mi provocava la vicinanza con tutte quelle persone che non conoscevo. I loro volti diventarono distorti e mi sembrava di vederli ridere di me. Sentivo i loro sguardi addosso. Il mio respiro si fece affannoso mentre il cuore voleva uscire dal petto.
Scossi la testa cercando di scacciare gli strani pensieri dalla mia testa.
E poi mi ricordai le parole di Nicole. Questo non mi faceva stare bene nel cuore, non dovevo fare ciò che non mi faceva stare bene.
«Io non sono questa»
Nathan cercò di fermarmi prendendomi il braccio ma lo scansai nauseata dalla situazione, lui annui un po’ deluso forse.
Lo vidi seguirmi ma poi venne bloccato da due ragazze che gli si strusciarono contro.
Preferivo l’altro Nathan, quello sorridente e un po’ impacciato mentre mi faceva ascoltare le sue canzoni bellissime degli anni ottanta che contrastavano le mie che facevano di tutto per ovattare i rumori esterni, quelle sue canzoni amplificavano il mondo facendo posto per entrambi.
In questo momento invece era come se lui mi volesse portare per forza a comportarmi come quella che non sarei mai potuta essere.
Io continuai a proseguire, intravidi Blake ballare con la ragazza bruna di prima mentre le sue mani erano sul corpo della ragazza.
Io non sarei mai stata come quella ragazza. Io ero un disastro.
Perché non potevo essere normale? Perché mi sentivo bene solamente quando stavo da sola con Nathan ed invece nel mondo esterno mi sentivo sempre ferita se paragonata con uno come lui?
Raggiunsi l’angolo più isolato e tranquillo, in un’altra stanza in cui la musica era molto più bassa.
Mi appoggiai al muro, cercando di riprendere il controllo, ma non riuscivo più a stare calma, le mani presero a tremare di nuovo.
«Ciao bellezza» alzai la testa e vidi un ragazzo dai capelli castani ricci rivolgersi a me.
Sgranai gli occhi, non poteva essere vero.
Appiattì la frangia, quasi per nascondere il viso.
Sembrava proprio che la sfortuna si divertisse a perseguitarmi ovunque, facendo diventare le situazioni sbagliate ancora più catastrofiche. 
«Vuoi compagnia?» chiese
«No sto andando via»
«Ti accompagno allora» insistette facendomi indietreggiare contro la parete
«Ho detto di no» dissi secca ma si avvicinò ancora di più per guardarmi
Dovevo cercare di allontanarmi e trovare Blake o Nathan, cominciai a sudare freddo
Continuavo a sperare soltanto che non mi avesse riconosciuto.
«Per caso ci siamo già visti?» disse sorridendo
«No e non toccarmi» dissi togliendomi le sue mani di dosso, spingendolo via da me con forza
«Katy?» disse incredulo dopo essere stato preso alla sprovvista
Scappai e cercai un bagno il più in fretta possibile.
Feci correre l’acqua fredda sulle mani per calmarmi, ma sentivo le gambe tremare come foglie e di certo non era per il freddo.
Quando uscì dal bagno la musica sembrava essere diventata più assordante, più mi avvicinavo alla folla di corpi che si muovevano a ritmo forsennato più la mia vista faceva fatica a distinguerne le forme.
Decisi di andare un po’ fuori tanto della festa avevo già visto e sentito abbastanza.
Appena uscì sentì l’aria pungente risvegliare la mia mente e i miei occhi si fecero più pesanti.
Mi appoggiai al muro lì vicino e chiusi gli occhi per cercare di calmare il mio cuore che in quel momento batteva forte, era agitato, spaventato.
Più mi ripetevo di stare calma e più sentivo le mie gambe cedere al peso del corpo.
Volevo andarmene, non sopportavo questo genere di feste, non ero portata per stare a contatto con la gente, era stato un errore venire a questa festa.    
Non facevo che ripensare a quel ragazzo di prima sperando soprattutto che fosse solo.
Perché di tutti i posti in cui avrei potuto incontrarli, proprio qui, proprio questa sera non me lo sarei mai potuta immaginare.
Non volevo più entrare dentro e rischiare di incontrarli di nuovo.
Mi ero persa non vedevo più nessuno che conoscevo ed avevo paura.
Aprii gli occhi e mi guardai intorno, c’erano solo alcuni ragazzi che parlavano e fumavano, ma dall’odore che mi infastidì non credo si trattassero di semplici sigarette.
Decisi di spostarmi e di camminare un po’ anche se l’aria era piuttosto gelida mi aiutava a tenermi calma.
Camminai avanti e in dietro per far passare un po’ di tempo, presi il cellulare per vedere se Nathan mi stava cercando ma a quanto pare era di nuovo impegnato, ero indecisa a chiamare Nicole per tenermi compagnia ma quando tentai di chiamarla non mi rispose. Mi incamminai verso il retro dell’edificio, vicino al parcheggio.
Uno strano suono mi fece sussultare, mi girai di scatto e percepì delle risate.
Andai verso il parcheggio, evitando due ragazzi che erano seduti sul cofano di una macchina, che mi salutarono, li ignorai.
Stavo cercando di ricordare dove avessimo parcheggiato ma quel posto mi sembrava enorme e io mi ero persa non sapevo nemmeno quale macchina stessi cercando, nella penombra mi sembravano tutte uguali.
Andai più avanti sentendo delle voci
«Devo andare adesso» disse una voce femminile famigliare
«Perché così presto piccola? Resta» disse un’alta voce fredda maschile.
A sentire quella voce la mia mente si gelò e avvertì dei brividi scorrermi lungo la schiena, dei brividi di paura.
Non poteva essere quel ragazzo. Non riuscivo a crederci.
Nonostante il mio buon senso mi dicesse di andarmene, mi avvicinai piano, non sapevo perché ma lo stavo facendo. Sceglievo io stessa di andare verso il pericolo, ma volevo vedere con i miei occhi quello che le mie orecchie avevano sentito.
Una ragazza con dei lunghi capelli biondo cenere, mossi, era abbracciata ad un ragazzo alto con capelli scuri. Era Ross.
Il sangue nelle vene mi si gelò
«Judith che stai facendo?» domandai incredula
Lei si voltò verso di me e mi fulminò con lo sguardo
«Non sono affari tuoi! che ci fai tu qui?» disse seccata
«Vieni via» dissi sperando che mi ascoltasse
«Tu saresti?» domandò annoiato facendo un passo in avanti e inclinando leggermente la testa per vedere meglio «Katy?» continuò stupito dopo essersi avvicinato ulteriormente
«Ma guarda chi si rivede? Quasi, quasi non ti riconoscevo. Vi conoscete?» domandò curioso indicando prima me e poi Judith con l’indice
«Haley? È solo una stupida sfigata che sta intorno a mio fratello e i suoi amici» disse come se non fossi presente.
Istintivamente feci un passo indietro per tenere un certa distanza
Il ragazzo con i capelli scuri guardò Judith a metà tra il divertimento e la curiosità
«E così sei rimasta la solita sfigata di sempre» commentò il ragazzo
«Blake ti sta cercando Judith» dissi vaga ignorandolo, nel tentativo di portarla lontano da quel ragazzo
Lei non poteva immaginare di cosa fosse capace
«Sono impegnata non vedi» rispose seccata
«Vieni via per favore» dissi cercando di convincerla
«Vattene tu sfigata» ribatté ostinata
Perché diavolo stavo cercando di convincerla a venire via?
Non mi era già bastata una lezione, perché non riuscivo mai ad imparare dai miei errori?
«Hai sentito non vuole venire, quindi vattene prima che cambi idea, abbiamo ancora un conto in sospeso noi due o sbaglio» disse il ragazzo in tono seccato
«Non la lascio con te» dissi avventata un po’ troppo sicura di me
«Non ti hanno insegnato a non impicciarti dei fatti altrui?» disse una voce dietro di me, ma non feci in tempo a girarmi che venni spinta contro una macchina.
«E’ un piacere rivederti Katy mi sei sfuggita per poco prima mi hai colto di sorpresa» disse una voce maschile divertita, probabilmente era il ragazzo con i capelli ricci di prima.
«Ehi calmi, cosa state facendo?» intervenne Judith
«Zitta non ti riguarda» disse Ross che le stava accanto
«Quasi, quasi potrei divertirmi con te stasera che ne dici» mi provocò il ragazzo bloccandomi la testa contro l’auto
«Lasciami» dissi a denti stretti mentre cercavo di liberarmi, ma lasciò la presa di colpo facendomi perdere l’equilibrio.
Mi girai per vederlo in volto mentre lo vedevo ridere di me, poi spostai lo sguardo verso il ragazzo a sinistra.
Tentai inutilmente di andarmene.
«Tu non vai da nessuna parte cara» disse sbarrandomi la strada con una mano
«Lasciami passare» dissi cercando di restare calma
«Altrimenti che fai? Siamo in tre contro una» disse avvicinandosi «Sai perfettamente ciò che possiamo o non possiamo fare, o vuoi che te lo ricordi?» risalendo i muscoli del braccio fino alla spalla, sussultai ricordando la finta gentilezza del tocco della sua mano in un passato non ancora dimenticato, la presa che si intensificava sempre di più mentre le loro risate mi riecheggiavano nella testa
«Non azzardarti più a toccarmi Daniel!» dissi levando la sua mano dalla mia spalla, ricordando il suo nome
«Ma come siamo aggressivi questa sera» commentò sarcastico
«Che ne dici si ti addolcisco un po’» mi provocò venendomi vicino, un brivido mi percorse la schiena
«Non sono più indifesa» e scattai in avanti colpendolo sul viso lo sentì imprecare tenendosi il naso mentre Ross vicino a Judith rideva divertito.
«Non sono più Katy la ragazzina stupida!» esclamai «Ora io e lei ce ne andiamo e voi andate a cercarvi qualcun altro con cui divertirvi» disse rivolgendomi a Ross avanzando verso Judith, la vedevo confusa e impaurita. Avevo il cuore in gola. Cercai la mano di Judith per tranquillizzarla
«Lo sai di questi tempi stai diventando troppo fastidiosa, e sfacciata. Noi ti offriamo la nostra amicizia e tu ci ignori per anni, non ci saluti mai ed invece adesso pretendi di dirci quello che dobbiamo fare!» disse freddo parandosi di fronte a me «Non sono un tipo a cui piace sentirsi dire quello che deve fare e lo sai» disse scansando con una spinta Judith che sciolse la stretta della mia mano e si voltò nella sua direzione voltando le spalle a me
«Daniel, tienila ferma» aggiunse impassibile
Un secondo dopo mi trovai entrambe le braccia bloccate dietro la schiena.
Mi ero distratta, mi ero concentrata solo su Ross.
«Andiamo basta scherzare ragazzi» intervenne Judith spaventata
«E chi sta scherzando?» domandò in tono gelido guardandola.
Si rivolse di nuovo a me sorridendo e mi colpì sul viso, sentì la stretta intensificarsi per non farmi cadere.
«A te sembra uno scherzo questo?» domandò ironico con un sorriso diabolico
«Fa male non è vero Katy?» mi domandò avvicinandosi al viso, non risposi abbassando la testa, sentivo la guancia pulsare.
Non riuscivo a liberarmi da quella morsa quasi d’acciaio.
«Ti ho fatto una domanda no? Rispondimi!» disse colpendomi allo stomaco, nonostante le labbra serrate non riuscì a trattenere un gemito di dolore. 
«Vigliacco» risposi con voce alterata
Mi prese il mento e me lo sollevò bruscamente fino a farmi incrociare i suoi occhi neri sprezzanti, mi stava fissando con occhi puri di odio lo percepivo, quasi cercasse di uccidermi con lo sguardo.
In quel momento riuscivo solo a sperare che Judith trovasse la forza per scappare, non volevo che mi vedesse così umiliata e non volevo che succedesse anche a lei. 
Era strano, nonostante sapessi quello che pensava di me ora ero davanti a quei tre ragazzi e stavo cercando il modo di prendere del tempo per farla scappare.
Forse questo atteggiamento sarebbe stato normale per chiunque, ma io non avevo mai difeso nessuno, io la stavo proteggendo perché Judith era importante per Nathan.
E mi ero appena resa conto che se era importante per lui avrei dovuto essere abbastanza forte per proteggerla o non sarei più riuscita a guardarlo negli occhi, non avrei saputo affrontare la delusione nei suoi occhi e questo avrebbe spezzato.
«Non è la risposta giusta» un attimo dopo che la sua presa sul mento diminuì ricevetti un altro pugno.
Sentivo il sapore del sangue in bocca.
«Ross, Daniel calmi basta ora» disse il terzo ragazzo cercando di calmare la situazione, lui era sempre stato il loro freno inibitore, ma Ross gli disse che era libero di andarsene e lui non se lo fece ripetere più volte.
Possibile che tutti quei pugni sul muro che avevo dato non ero capace di reagire. Tutti quegli stupidi video su internet sulla tecnica, sulle posizioni da difesa non avessero nessun significato ora. Ero arrabbiata e mi sentivo maledettamente inutile.
La presa scomparve ma la mia schiena colpì la macchina.
Mi abbassai per poi dare un pugno sul viso a Ross con tutta la forza che avevo, il ragazzo si sbilanciò, massaggiandosi la guancia.
Lo vidi sfoggiare di nuovo quel sorriso falso ma divertito.
Lo colpii di nuovo quasi senza forza, mi ero appena accorta di essere terrorizzata, non sapevo come affrontare questa situazione, sentivo mille pensieri invadere la mia tesa ma nessuno di questi mi avrebbe aiutato ad uscire da questa situazione, non riuscivo a ragionare.
Sentivo solamente le mie mani prudere, di fronte a quel sorriso di superiorità e di sfida che non riuscivo a spegnere. Li odiavo. Toglietevi quei sorrisi. Fanno male, hanno sempre fatto male! Urlavo dentro di me.
Mi avvicinai ancora e lo colpì di nuovo, lo odiavo, il suo ghigno non ne voleva sapere di scomparire, quasi lo trovasse divertente.
Mi voltai verso Judith e la vidi ancora immobile
«Vattene stupida!» urlai arrabbiata con tutto il fiato che avevo, la vidi sussultare e poi guardarmi «Vai da tuo fratello! Che stai asp..» ma la mia distrazione mi costò cara.
Mi inginocchi a terra, comprimendo le mani sullo stomaco.
«Non avresti dovuto provocarmi» disse Ross con il ghigno sulle labbra
«Vai dall’altra tu Dan, posso sbrigarmela da solo» disse senza smettere di fissarmi gelido»
Cercai di alzarmi.
«Non così in fretta» disse colpendomi ripetutamente con i calci
Il dolore era così forte da non riuscire più a muovermi, appoggiai la testa alla macchina per cercare di respirare, ma non ci riuscivo.
Tossì fortemente, mi strofinai il viso per togliere il sangue.
«Hai paura di me?» domandò  inginocchiandosi su di me e prendendomi per i capelli per farmi incrociare i suoi occhi neri che avevano uno strano luccichio inquietante. Scossi la testa.
«Allora perché stai tremando?» domandò deridendomi
«Io.. non sto .. tremando» cercai di dire con voce disconnessa e rotta
Scoppiò in una risata cinica e fredda, poi si alzò.
«Lo sai come finisce vero?» domandò sprezzante
Senti il telefono nella tasca suonare ma Ross me lo prese e lo calpestò rompendolo
Tentai di nuovo di alzarmi e cercai di colpirlo con un pugno ma lo bloccò, facendo pressione sul polso fino a che non sentii una fitta tremenda e urlai dal dolore
Sarebbero bastato un secondo, un altro secondo e lo avrei colpito.
Avrei avuto due secondi in più per reagire e forse scappare.
«Mi sono stancato di giocare» commentò guardandomi gelido.
I suoi occhi neri erano pieni di rabbia, due pozzi neri senza fondo, era come risvegliarsi da un incubo e capire che in realtà stava cominciando solo ora.
Non vedendo alcuna reazione da parte mia strinse la presa.
Infondo che importava? Judith se n’era andata era salva, le bastava raggiungere la folla e confondersi. 
Del resto non mi sarebbe dovuto importare, tanto prima o poi sarei dovuta morire, il modo non era il più indolore possibile ma non si poteva avere tutto, in effetti io non potevo pretendere nulla dalla vita.
«Sei sola, lo sei sempre stata. L’hai sempre saputo che alla fine saresti stata mia»
Più ci pesavo e più sentivo uno strano senso di malinconia crescere, come se in realtà me lo meritassi tutto questo. Eppure mentre sentivo la sua lingua umida sul collo non potei far altro che rabbrividire e cercare un modo per oppormi.
«Arrenditi sei solo un’inutile verme… striscia sotto di me, implora pietà»
La mia mente non ne voleva sapere di collaborare, si era già arresa all’evidenza, il mio corpo invece non faceva altro che resistere inutilmente, cercava in tutti i modi ribellarsi, ma i miei movimenti erano troppo lenti e goffi, ero troppo debole e tremendamente stanca.
Il dolore era in tutto il corpo. Tutto quello che riuscì ad ottenere fu solo un contrattempo.
I sensi cominciavano a svanire mentre le sue mani mi stringevano il collo e il suo peso mi opprimeva il bacino. Ero così umiliata.
E poi quella sensazione di tregua arrivò e il grande vuoto che avevo dentro di me si aprì per farmi sprofondare nel nulla, mi lasciai andare da quella sensazione.
Qualcosa andò storto, la mia mente fu catapultata bruscamente nella realtà quando il peso che mi opprimeva al terreno si affievolì, il mio corpo fu investito dal freddo penetrante della notte, delle mani forte e fredde mi fecero alzare, i miei occhi si spalancarono di scatto cercando di liberarmi di quella presa arretrando di scatto finendo con le spalle contro la ruota della macchina
Cercai di respirare avidamente.
Nella flebile luce che emanavano i lampioni in lontananza incrociai gli occhi verdi di Blake che mi guardavano apprensivi.
«Sono un amico» sussurrò mentre mi accarezza la guancia, non potei fare a meno di schiacciare il mio corpo contro la macchina e farmi scudo con le mani.
Mi sentivo improvvisamente svuotata e atona, ciò nonostante non riuscivo a sopportare quel contatto
Lo vidi cercare qualcosa per terra e poi mi si avvicinò 
«E’ tutto finito» sussurrò provò a infilarmi qualcosa di morbido, dopo il primo sussulto mi lasciai andare, ero immobile e lo guardavo negli occhi senza mai distoglie lo sguardo, emanavano calore in quel momento, mi ricordavano tanto quelli di Nathan.
Inspirai a fondo il profumo della giacca nera che mi aveva messo e il suo profumo intenso mi ricordò che non era sua, Nathan,  se solo avesse potuto scacciare via con il suo calore tutto il freddo che sentivo.
«Judith?» sussurrai
«E’ al sicuro» poi mi prese in braccio ma mi divincolai non potendo sopportare più il dolore per ogni parte del mio corpo che veniva a contatto con qualunque altra cosa.
«Ce la fai a camminare?» mi chiese poi lentamente intuendo che non volevo essere più toccata
Dei gemiti di dolore mi distrassero
«Che cazzo credevi di fare bastardo eh!» senti la voce di Nathan e mi girai immediatamente.
Nathan stava picchiando Ross
«Nathan..» mormorai e Blake lo sentì
«Stai tranquilla è tutto a posto» mi tranquillizzò cercando di farmi voltare lo sguardo mentre vedevo che il ragazzo che ci aveva fatto entrare, andò ad aiutarli.
«Basta, lo stai ammazzando!» cercando di trattenerlo
«Perché non è questo che merita?» domandò in tono gelido cacciando il ragazzo 
«Non sta a te decidere» disse calmo Phill «Sta già arrivando la polizia»
«Che dovrei fare secondo te lasciarlo andare così! Questa gente va eliminata non protetta! Perché lo difendi? Perché lo difendi!» disse infuriato prendendo per la camicia
«Calmati, Nathan non stai ragionando» disse ancora il ragazzo
«Calmarmi?» ringhiò ma poi si voltò indietro, lasciando e puntando di nuovo Ross
A quel punto fu Blake a intervenire avvicinandosi a Nathan e cercando di farlo alzare dal corpo di Ross
«Andiamocene forza» disse tirando via Nathan riuscendo a farlo alzare bloccandogli le mani dietro la schiena, ma lui si divincolò e colpì anche Blake
«Non rompere Blake!» urlò arrabbiato contro il suo migliore amico
«Vuoi finire in prigione pure tu come tu padre» cercò di farlo tornare in se
Non l’avevo mai visto così furioso, era questo il vero Nathan?
Il ragazzo a terra approfittò della distrazione e colpì Nathan.
«Nathan!» urlai 
«Katy me la pagherai»  disse il ragazzo guardandomi e venne verso di me
Tremavo e non riuscivo a muovermi.
«Sta zitto tu!» intervenne Blake colpendolo «Andiamocene, prima che mi scaldi anch’io» continuò poi dando una mano a Nathan a rialzarsi e lo spinse, con forza, verso di me.
«Solo il braccio o ti fa male da qualche parte?» mi domandò Blake
Ci pensai un attimo e provai a camminare ma delle fitte tremende mi facevano tremare il corpo, ma scossi ugualmente la testa.
«Ti aiuto» disse mettendo con troppo slancio il braccio intorno al mio collo, appena lo fece arretrai cercando protezione
«Vattene, ci penso io» lo bloccò Nathan bruscamente «Vai a prendere Judith e ce ne andiamo» gli disse rivolgendosi a me subito dopo «Haley» disse andando a prendere lentamente la mia mano destra che stava tremando ed aveva assunto una strana forma, era deformata. Appena sentì la sua presa la pelle cominciò a bruciare e scossi la testa
«Scusami» sussurrai vedendo il suo sguardo inorridito mentre cercava di guardarmi, ma non ci riuscì, si limitò a prendermi in braccio facendo attenzione alla mano destra nonostante continuassi a tremare sempre più forte cercavo di opporre resistenza
«Haley» lo sentì sussurrare piano scossi la testa.
Sentii le sue mani premere forte per un momento sulle mie gambe e senza rendermene conto gemetti dal dolore andando a rifugiarmi con il viso vicino al suo collo, stringendo la mia mando sinistra attorno alla sua camicia
«Perdonami» sussurrò alleggerendo la pressione
Mi portò poco distante in un luogo isolato e si sedette tenendomi sempre in braccio, mi accoccolai su di lui in modo da sentire il suo calore.
«Andiamo a casa, fa freddo» gli sussurrai con le labbra rivolte sul suo collo cercando sollievo
«Tra poco te lo prometto» mi sussurrò stringendomi di più a se, sentivo finalmente il suo calore che mi assopiva lentamente.

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Capitolo 15
*** Part of Me ***


Haley
 

15 - Part of Me



Alive in me, inside of me, a part of me screams away silently
This part of me won’t go away
Take control of my life
Everyday reminded how much I hate it 
Every time I see myself I see there’s always something wrong with me


 
Viva in me, dentro di me, una parte di me urla in silenzio
Questa parte di me non se ne andrà
Prendere controllo della mia vita
Ogni giorno mi ricordava quanto la odio
Ogni volta che mi guardo, vedo che c’è sempre qualcosa di sbagliato in me


(Linkin Park - Part of me)
 
 

Uno strano brusio mi risvegliò dallo stato confusionario in cui ero, mi sentivo stordita ed una luce mi accecava.
Un odore forte mi fece percepire che quella non era la mia stanza, feci per alzarmi ma una fitta al ventre mi colpi e mi protessi con le mani la zona dolorante notando che la mia mano destra era fasciata.
Una scarica elettrica mi scosse il corpo appena la mia mente cominciò a ricordare quello che era successo quando? Per quanto tempo avevo dormito e perché mi trovavo in una stanza d’ospedale?
«Haley finalmente» sentì la voce allarmata di Nicole prima di venire soffocata dal suo abbraccio
Allontanai da me frettolosamente il corpo estraneo cercando di pronunciare qualche parola, mi guardai intorno smarrita senza capire perché Nicole era qui.
In questa stanza fredda non c’era nessun calore accanto a me ero sola.
“Sei sola…Lo sei sempre stata” la voce nella mia testa ricomparve martellante
«Dove siamo? Cosa?» tentai di chiedere
«Haley tesoro eravamo così preoccupati, quando Nathan mi ha chiamato vi ho raggiunto, ti hanno portato al pronto soccorso, avevi perso conoscenza» disse parlando piano stingendo la mia mano sinistra e continuava a parlarmi ma io non la stavo più ascoltando guardavo il mio braccio fasciato cercando di frenare le immagini che la mia mente riportava a galla. Mentre Nicole mi spiegava cos’era accaduto.
«Ora che l’ha vista se ne può anche andare» tuonò la voce risoluta di mio padre mentre entrava nella stanza
«Mi permetta di andare a chiamare qualcuno che le possa dare una controllata appena sarò certa che stia bene davvero, toglierò il disturbo non si preoccupi» rispose a tono Nicole verso mio padre che la ignorò e mi guardò con gelo
Oddio, cos’avevo combinato? Perché era andata così?
«Credo che per il momento sia lei che suo figlio abbiate fatto già fin troppo per Haley, credo che le convenga andare» ribatté mio padre guardandola con lo stesso gelo che aveva riservato a me qualche istante prima.
«Non parlare così a Nicole!» urlai improvvisamente alzando il busto ma il dolore mi costrinse a rimanere giù zittita da una morsa di dolore
Senza sentire altre ragioni Nicole andò a chiamare un medico che provò a dare una controllata al mio corpo ma non reagì molto bene, e quindi dovette farsi aiutare da Nicole per vedere bene le ferite.
A parte il braccio dislocato e tre costole incrinate non c’era nulla di grave che non sarebbe guarito con il riposo. Sarei dovuta restare solo tre giorni per alcuni accertamenti, e per vedere uno psicologo che rifiutai categoricamente. Ci mancava solo essere presa per pazza.
Quando le ferite sarebbero passate lo sarebbero stati anche i ricordi ad esse legate. Avevo imparato a far funzionare così la mia mente.
«Dov’è Nathan?» ebbi finalmente il coraggio di chiedere
Nicole mi sorrise e mi disse di non preoccuparmi che in questo momento Nathan non poteva essere qui, la guardai smarrita
«E’ rimasto ferito?» chiesi allarmata mentre sentivo l’agitazione nella mia voce crescere
Nicole scosse la testa e mi abbracciò così da potermi sussurrare alcune parole
«Tuo padre ha messo un divieto sia per lui che per me di venirti a trovare, quindi appena sarai uscita ti prego trova il modo di farmi sapere che stai bene, ti voglio molto bene» disse con voce sconnessa asciugandosi gli occhi
Mi diede un bacio sulla fronte e mi salutò per poi andarsene.
Appena rimasi sola cercai di alzarmi dal letto, facendo forza sul braccio sinistro tentai di aggrapparmi ad ogni singolo appiglio per raggiungere il bagno, avevo bisogno di guardarmi allo specchio.
Appena mi vidi riflessa mi spaventai. Il labbro inferiore era rotto, e la mia guancia era gonfia il doppio del normale.
Sul collo erano presenti ancora visibili le impronte delle dita con cui Ross mi aveva stretto la gola.
Mi alzai la maglia e l’orrore e il disgusto si impossessò di me, non potei trattenere il senso di nausea che ne derivò, il mio stomaco era pieno di lividi violacei.
Cercai di liberarmi del dolore vomitandolo ma questo rimase ancora aggrappato al mio stomaco ormai vuoto.
Non potei fare a meno di sprofondare in un pozzo senza fondo, non riuscivo a trattenere le lacrime, ero disgustata dalla mia immagine.
Molto tempo dopo senti la voce di mio padre urlare alle infermiere che mi aiutarono a rimettermi a letto e mi diedero qualcosa attraverso una flebo per calmarmi, ma quella strana cosa non faceva altro che amplificare la voce che sentivo nella mia testa
“Arrenditi sei solo un’inutile verme… striscia sotto di me” la voce di Ross non mi lasciò dormire per tutta la notte.
 
Il giorno successivo venne la polizia per accertare se volessi fare denuncia. Io non lo sapevo, cosa sarebbe cambiato per me? Io mi ero arresa, se non fosse arrivato Nathan io dove sarei stata ora?
Mi fecero mille domande, su chi conoscevo, dove li avevo visti, se avevo mai subito prima d’ora altre cose… domande troppo personali, molto stancanti a cui dovetti rispondere sotto la supervisione di mio padre e di uno psicologo.
Raccontai loro il più possibile senza dare troppi particolari, mi dissero che il ragazzo che mi aveva aggredito era stato messo in custodia cautelare. Un senso constante di umiliazione e vergogna si alternavano dentro di me.
Non avevo nessuno che non mi giudicasse in quella stanza, sentivo tutti gli occhi su di me e questo mi faceva paura.
Passai il resto del giorno tormentata dai mei ricordi e dalle ferite. Con l’ombra di mio padre che ogni tanto compariva ma il più delle volte facevo finta di dormire. Non c’erano conversazioni solo silenzi tra di noi e voci nella mia testa ogni maledetta notte.
Tre giorni dopo ricevetti la visita di Blake e Judith, all’inizio fu titubante nell’entrare e io la guardai perplessa sulla soglia della porta
«Non mordo, sono solo ferite di guerra, tornerò come prima, forse con il naso un po’ storto» dissi scherzosa verso la ragazzina con i capelli color cenere
Judith mi si buttò al collo improvvisamente facendomi urlare dal dolore ma non si mosse di un millimetro
«Scusa è stata tutta colpa mia, sono stata davvero cattiva con te» disse scoppiando a piangere
Blake dopo un paio di minuti cercò di staccarmela di dosso ma alla fine si arrese e la lasciò calmarsi da sola
«Dispiace a me di aver rovinato tutto, non sono brava con le parole» mi giustificai e lei mi strinse ancora e dopo essersi di nuovo scusata mi tenne compagnia per un po’ insieme a Blake.
Quest’ultimo portò con se una ventata di aria fresca, era l’unico che non parlava di quella notte anzi mi raccontava storie divertenti e si era presentato con una stecca enorme di cioccolato dicendo
«Voi ragazze di solito ne andate matte, ma con te le regole non valgono mai scheggia. Ma almeno avrai qualcosa di buono se ti viene fame» continuò facendomi l’occhiolino
Così Blake e Judith avevano pensato di venire a trovarmi loro visto che Nathan non poteva, apprezzai il loro gesto, mi faceva sentire un po’ meno sola.
Solo dopo che Blake mandò la sorella al piano di sotto a prendere qualcosa da mangiare finalmente mi disse il vero motivo della sua visita
«Devi cominciare seriamente a parlare con Nathan, così lo stai distruggendo» mi disse improvvisamente con uno strano sguardo, lo guardai esitante
«Nathan ha avuto un infanzia non proprio da bambino normale, il padre» disse evasivo
«Lo so me ne ha parlato» dissi capendo il discorso «So di Nicole, Sophie e di suo padre» risposi lasciando cadere il discorso, sapevo che era un argomento spinoso e che non era ben accetto «Ma cosa c’entro io?» dissi non capendo
«Ok siamo a buon punto allora, però scommetto che Nathan non ti ha detto niente riguardo alle sue reazioni dopo il confronto con il padre» continuò
«Quali reazioni?» dissi confusa
«Tipico di Nathan, eclissa sempre quando si tratta di lui, anche se devo dire che non mi aspettavo che ti avesse detto di sua madre» disse sedendosi su una sedia accanto a me guardandomi
«Ormai è passato e a lui non piace parlarne, ma tempo fa non era così bravo a mentire e così si serviva di persone come Elisabeth. Nathan si sentiva in colpa, non riusciva a sopportare di essere stato debole e aver lasciato che sua madre venisse picchiata per anni. 
Dopo la prima litigata con suo padre Nathan ha cominciato a staccarsi da me e dai nostri amici, ha avuto problemi nella gestione della rabbia diciamo.
Provocava i ragazzi più grandi che lo picchiavano, ma continuava a provocarli comunque.
Sono convinto lo facesse per punirsi e questa cosa lo rendeva sempre più instabile e arrabbiato.
Cominciò a perdere la testa, l’unica che riusciva a parlarci era Elisabeth o almeno l’unica persona che riusciva a sopportare i suoi continui sbalzi d’umore.
A Beth d’altronde non importava molto di essere trattata male né della salute di Nathan le bastava solo prendersi la sua popolarità, e a Nathan serviva soltanto da distrazione » disse guardandomi.
«Perché non hai mai provato a fermarlo?» gli chiesi stupidamente
«Credi davvero che non ci abbia mai provato?» mi domandò guardandomi irritato
Abbassai la testa scusandomi.
«Certo che ci ho provato, non sai quante volte ci litigai per farlo ragionare. Ci ha provato persino mia sorella che lui ha sempre considerato la sorella che ha perso, sai com’è andata a finire? È tornata a casa piangendo, quando l’ho costretta a dirmi la verità sono riscorso alle maniere forti per farglielo capire ma non è finita bene per me, Nathan fu sospeso da scuola per percosse, perse tutto, il suo ruolo di capitano nella squadra di basket e gli amici.
Poi si è messo in mezzo pure Shade, credo che tu lo conosca bene, lo incoraggiava a comportarsi come lui. Cominciò a prendersela con…»ma non terminò la frase guardandomi
Shade e Nathan erano amici, lui si comportava come Shade
«Quelli come me» aggiunsi stringendomi nelle spalle
Non riuscivo a credere alle parole di Blake, chi era Nathan?
Tutte quelle volte che Shade mi faceva lo sgambetto o mi sbatteva conto il muro…
Mi sentivo mancare il respiro, l’immagine di Nathan che si univa a Shade ed a Elisabeth mentre mi spingevano nel corridoio della scuola mi stava esplodendo nella mente.
Sussultai quando sentii la mano di Blake stringere la mia per calmarmi
«Solo dopo aver cacciato suo padre cominciò a reagire e mandò tutti al diavolo.
Si scusò sia con me che con Judith, gli ci volle un po’ di tempo per tornare la persona solare che vedi tutti i giorni» riprese guardandomi negli occhi cercando forse qualcosa nel mio sguardo perso «Ma da allora non parla molto volentieri di questo, né di tutte le questioni che riguardano la sua vita. 
Elisabeth non ha mai rinunciato però a Nate, credo che ormai sia diventata una specie di ossessione, ma riuscivamo a sopportarla quel tanto che bastava per tenerla buona»
«Tenerla buona significa stare al fianco e lasciarle fare quello che vuole con chi vuole» lo accusai lasciando il contatto bruscamente con la mano di Blake
Rabbrividì mentre rivedevo nella mia testa le umiliazioni di Elisabeth, il bacio che aveva dato a Nathan nel cortile della scuola, il mio video pubblicato in tutta la scuola
“Strisciare ai loro piedi come un verme, non è diverso da quello che facevi con me” la voce nella mia testa era tornata
«Non so perché tu mi stia raccontando questo ma non è un buon momento» cercai di dire atona cercando di scacciare la voce nella mia testa che si stava facendo sempre più prepotente
«Andava tutto bene era tornato sereno e si concentrava solo sul basket e sulla scuola, ma poi gli sei entrata in testa come un tarlo» disse cercando di farmi calmare ma lo scansai e nonostante questo continuò
«Ero scettico nei tuoi confronti, credevo che lo avresti riportato indietro perché non riusciva a staccarsi dal tuo pensiero, non ha mai provato un interesse specifico per una ragazza, una valeva l’altra. E fino all’altra sera non avevo capito il perché si preoccupasse così tanto per te.
Alla festa Nathan ha agito d’impulso senza pensare alle conseguenze, non ha capito più nulla quando ti ha vista con quel tipo, il sapere che lo conoscevi e che non era evidentemente la prima volta che succedeva lo sta torturando.
Io non sono la persona con cui devi parlarne ma lui si, se lo merita, è una brava persona.
Ora che sa cosa ti è successo probabilmente Nathan non ti avrebbe mai detto che per un po’ di tempo è stato una delle persone che tu odi di più al mondo.
Lo conosco da una vita, ha paura che avendo visto il suo lato peggiore, simile a Ross, simile al suo incubo peggiore suo padre, tu ora sia spaventata e lo allontani…» disse aspettandosi una qualche risposta da me
Cosa si aspettava da me Blake, che sorridessi e che gli dicessi che andava tutto bene?
Non riuscivo a pensare volevo soltanto un po’ d’aria.
«Tutti abbiamo un passato e a volte quando ritorna a galla ci fa fare delle cose avventate, non paragonare mai il ragazzo che ti chiamava Katy con Nate, se si è comportato così è perché a te ci tiene e si sente responsabile per quello che ti è capitato, non farlo corrodere dal senso di colpa, parlaci dagli una possibilità» continuò battendo tre volte leggermente sul letto
Annui cercando di non sentire il peso che si stava formando sullo stomaco e che mi provocava un senso di nausea mentre mi lasciava li sola in balia di me stessa e della voce di Ross.
Quella notte le infermiere si limitarono a rifasciarmi il braccio destro e mi diedero un po’ di calmanti, nessuno commentò l’incidente dello specchio del bagno, nessuna domanda ma io mi sentivo più libera, nessun mostro mi osservava più.
 

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Capitolo 16
*** Now That I've Found You ***


 
Nathan

 
16 -  Now That I've Found You

Now that I've found you
I won't let go
Let my love surround you
Now that I've found you
I can lay down with my ghost

 
 
Ora che ti ho trovata
Non ti lascerò andare
Lascia che ti circondi
Ora che ti ho trovata
Posso distendermi insieme al mio fantasma

(Liam Gallagher - Now That I've Found You)

 
 
 

Chiusi bruscamente la telefonata con Blake mandandolo al diavolo e feci volare tutti i libri appoggiati alla scrivania per terra.
Mi passai una mano sulla fronte e aspettai che questa rabbia improvvisa se ne andasse. La stavo accumulando ormai da troppi giorni, e la mancanza di sonno non mi dava pace, mi sentivo così stanco ma la mia mente non riusciva a dormire.
Maledetto Blake perché gli aveva parlato, ora sicuramente l’avrei persa per sempre.
Ero uguale a tutte le persone che lei odiava.
Sentivo le mani prudere ma non riuscivo a dare pace al senso di irrequietezza che mi sovrastava.
La mia testa stava continuamente pensando a lei, ai suoi occhi così persi ed impauriti, al suo corpo così torturato e alla mia stupida idea di portarla ad una festa e lasciarla sola.
Era stata solo colpa mia, non riuscivo ancora, nonostante fossero passati anni a proteggere le persone a cui volevo bene.
Haley.
Strinsi i pungi che ancora facevano male ed odiai quella strana sensazione che stava crescendo dentro di me, non riuscivo ad essere forte come volevo.
La mano di mia madre mi toccò la spalla con discrezione e non sapendo da quanto tempo fosse rientrata a casa, sperai almeno che non mi avesse sentito mentre parlavo con Blake
«Scusami, metto subito in ordine» le dissi distrattamente cercando di rialzarmi ed evitare il suo sguardo.
Lo sapevo, quello che era venuta a per dirmi, l’avevo delusa di nuovo.
«E’ una ragazza forte, molto più di me. Chissà se quando l’hai trovata quella notte, hai mai pensato a cosa fosse successo prima?» mi chiese innocentemente cercando di guardarmi
Mille volte me lo sono chiesto, mille volte provai a farla parlare, mille i rifiuti che ho ottenuto.
Scossi la testa sconfortato.
Non volevo parlare di lei, non volevo pensare continuamente a lei pur sapendo perfettamente che era impossibile raggiungerla dove si trovava ora
«Non so più a cosa credere, ogni volta lei…» cominciai ma non sapevo cosa dire «Pensavo fosse più semplice…» dissi senza pensare troppo mettendo a posto i libri caduti
«Amare una persona?» mi sorrise dolcemente mia madre
La guardai allarmato sentendo quelle parole e l’ultimo libro mi cadde sul piede.
Persi la calma solo per due secondi e poi ripresi il mio autocontrollo
«Se significa aver paura ogni singolo momento di ciò che ogni reazione potrebbe comportare all’altra persona, con la conseguente paura che questa se ne possa andare da un momento all’altro io non la voglio» dissi deciso stringendo i pugni fino a riaprire le ferite
«Se le facessi del male? Se perdessi il controllo come l’altra sera? Se fossi come mio padre?>> le chiesi improvvisamente guardandola sconfortato dal semplice fatto che ogni volta che pronunciavo il suo nome lei sussultava, eppure volevo una risposta, perché ero stanco di sentirmi così.
Ero stanco di lottare per cercare di essere quello che evidentemente non ero.
Ripensai alle parole che Haley mi aveva detto al campetto di basket.
“Sei come tutti gli altri Wayne le mele non cadono molto distanti dall’albero”
«Io lo volevo ferire quel tipo, per me non ha senso mamma, gente come Ross, mio padre, riescono a vivere, a passarla liscia, ma io non riesco a lascarlo andare. Il ricordo di come ci ha distrutto la vita Andrew, di come probabilmente Ross ha distrutto la vita di Haley» dissi sempre più arrabbiato fino ad urlare
«Ma la parte peggiore di tutto questo è che Haley era lì mi ha visto. Ha visto quello di cui sono capace, sono come loro. Mi ha visto quando ero sopra a quel ragazzo, ero arrabbiato, avevo perso la testa, sanguinante, un mostro…» aggiunsi infine con voce instabile
«No, non sei un mostro. Sei solo ferito tesoro mio» cercò di abbracciarmi «Lo siamo tutti»
«Quando finirà mamma? Tutta la rabbia che provo? Come finirà la prossima volta? Non mi sono mai sentito più lontano da quel ragazzo che mi ero ripromesso di essere»
Mia madre non riuscì a trattenere le lacrime mentre mi accarezzava piano la testa.
 
 
Sapevo che non era giusto essere qui ora, dovevo lasciarle del tempo, ma non riuscivo a pensarla un secondo di più da sola dopo quello che Blake le aveva detto sul mio conto.
Mia madre era tornata a casa dicendo che la sua collega le aveva riferito che Haley sarebbe stata ancora in ospedale, quando le chiesi il perché evitò il mio sguardo dicendo che aveva avuto degli attacchi di panico violenti e non se la sentivano di dimetterla ancora.
Passai più di mezz’ora nel corridoio dell’ospedale a fare avanti e dietro prima di entrare in quella stanza.
La vedevo che cercava di reggere un libro con la mano sinistra e cercava di cambiare pagina in un modo molto bizzarro che mi fece sorridere.
Adoravo quelle smorfie, il non volersi far aiutare, il voler ostinatamente cavarsela da sola.
«Ti potrei prestare la mia destra…» dissi interrompendo il suo patetico tentativo di continuare la lettura
Ebbe un sussulto che subito dopo si trasformò in un’espressione di dolore che cercò di nascondere
«Non dovresti poter stare qui» mi accolse, notai la sua sorpresa nel suo viso e un po’ di nervosismo.
Si coprì le mani lasciando cadere il libro per terra ma senza staccare gli occhi dai miei
Raccolsi il libro e glielo porsi cercando di non soffermandomi troppo sui lividi del collo o quello sulla guancia, stava guarendo ma troppo lentamente.
Ogni volta che la guardavo mi sentivo distrutto e non potevo fare nulla per aiutarla, non me lo permetteva.
«Grazie» mi sussurrò mentre vedevo le sue guance arrossire «Sai hanno detto che domani mi dimettono» disse con un sorriso strano, non so se per via dei lividi o per qualcosa altro
Ormai ero sicuro di non conoscerla affatto.
E io ero tanto stupido da tenere ad una persona che non si fidava dell’unica che avrebbe potuto aiutarla.
Se solo mi avesse permesso di entrare un po’ nel suo mondo, avrei fatto qualunque cosa per proteggerla.
«Sono contento, solo credo sia troppo presto» commentai vedendo ancora la fasciatura al braccio, che aveva tentato di nascondere insieme alle mani, lo guardai per troppo tempo mi avvicinai al suo viso con la mia mano ma poi ci ripensai e andai alla finestra fingendo di sistemare le tapparelle.
La vidi che istintivamente si appoggiò una mano sul viso gonfio
«Sono peggiorata molto di aspetto se nemmeno tu riesci ad avvicinarti» mi disse ironica cercando un mio sorriso ma rimasi accanto alla finestra e mi girai verso di lei
«Forse assomigli più a Katy ora» le dissi secco, forse un po’ troppo duramente
La vidi diventare bianca e mettersi una mano sul collo come protezione
Quello strano gesto di protezione, quante volte glielo avevo visto fare, ma solo ora ne capivo il significato.
«Sei sempre così tu, appena penso di conoscerti un po’ ecco che vengo illuso di nuovo e ancora una volta mi ricordi che sono stato un’idiota a sperare che ti fidassi» continuai guardandola a malapena, fissando l’entrata della porta.
La sentivo respirare avidamente, mentre cercava di alzare il busto per cercare una solita via di fuga.
Perché è questo che lei fa continuamente.
«Non si conosce bene una persona finché non ti mostra il suo lato peggiore e tu hai visto il mio come io ho visto il tuo» disse quasi con calma, freddezza come se questa cosa non la riguardasse.
Ma non era calma, quella era la sua maschera
Cosa cavolo era saltato in mente a Blake, lo avrei ammazzato sicuramente
Io non ero come loro, avevo fatto delle cose stupide, ma non l’avrei mai potuta ferire semmai era il contrario, lei mi feriva ogni volta che pensava solo a se stessa a proteggersi senza darmi la possibilità di aiutarla
«Quando cavolo pensavi di dirmi che avevi problemi con quei ragazzi!» urlai furioso non potendone più della sua freddezza, doveva reagire non poteva scappare da me.
«E non venirmi a raccontare che era la prima volta che quei ragazzi alla festa ti trattavano così perché giuro che» dissi stringendo i pugni lungo i fianchi «Si può sapere che cavolo hai in testa, perché proteggi gente del genere! Come fai a non portare rispetto verso te stessa» le urlai arrabbiato
Perché doveva essere così incosciente?
Era come mia madre, non la sopportavo, perché proteggere quelli che le facevano del male? Da quanto andava avanti? Mesi? Anni?
E poi la mia mente si ricordò di Shade, quello stupido
«Perché non mi hai mai detto di Shade? Di come ti trattava? Se quella volta non ti fosse sfuggito il suo nome io»
La mia rabbia aumentava più ci pensavo, più  la mia mente vagava indietro nelle settimane più mettevo in fila tutti i tasselli mancanti  e mi accorgevo di tutte le cose che non avevo fatto quadrare prima, le mani rotte di Haley quando ci eravamo incontrati al campetto dopo il torneo, le bugie che mi aveva detto Elisabeth su di lei e non mi era venuto nemmeno un dubbio finché Haley non pronunciò il nome di Shade, Shade che da quando lo avevo conosciuto si divertiva a raccontare gli scherzi che faceva ad una sua compagna di classe, l’atteggiamento di Haley con me, la sua paura, la sua rabbia nei miei confronti
La vidi sussultare scuotendo la testa
«Saresti stato dallo loro parte vero?» disse sottovoce «Come tutti sempre» abbassando la testa
«Shade, mi aveva detto che eri come lui ma non gli avevo dato ascolto. Come ti sentiresti se scoprissi che la persona che ti perseguita fosse  anche l’unica sempre sincera con te»
Mi senti colpito e affondato ma non potevo arrendermi
«Nemmeno tu lo sei stata con me» l’accusai
Si strinse nelle spalle
«Sei davvero una stupida» mi avvicinai ma lei mi scansò e schiacciò il suo corpo contro la parete cercando di evitare il mio braccio chiudendo gli occhi
«Io sono uno stupido» continuai cambiando tono di voce, trasformando il mio pugno in una carezza lieve sulla guancia irregolare e umida
Dopo un po’ di esitazione aprì gli occhi e finalmente la vidi tornare da me, quelle iridi verdi così intese da poter sembrare foreste in cui perdersi, avevo avuto paura di non vederli più
«E’ un’altra cosa che abbiamo in comune» cercai di farla calmare alzando le spalle e abbozzando un sorriso
Mi sorrise lieve.
«Mi hai fatto prendere un colpo, subito dopo che sei svenuta ti abbiamo portato di corsa qui in ospedale ed ho chiamato mia madre. A me non dicevano nulla, anzi mi sono subito un interrogatorio poiché avevo ancora i segni, credevano fossi stato io. Mi sono sentito un mostro, ho rivisto mio padre in me ed è stato un inferno non poter sapere come stavi» dissi mostrandogli la mia mano piuttosto rovinata
Lei mi prese la mano e me la strinse con molta forza la guardai cercando di capire cosa volesse dirmi ma lei distolse lo sguardo annullando il contatto.
Passammo la maggior parte del tempo in silenzio, come promesso le prestai la mia mano destra per poter tenere il libro e leggere sedendomi accanto a lei su una sedia.
Finché non riuscì più a trattenermi e spezzai il silenzio
«Ho una canzone per fare pace» le dissi ottenendo la sua attenzione mostrandole il cellullare «Per questa volta ti abbono il ballo» dissi sorridendole facendo risuonare la voce di Liam Ghallagher nella stanza mentre cantava Now That I’ve Found You.
Appena la canzone terminò la guardai e lei mi ricambiò lo sguardo in qualche modo, lo sentivo c’era qualcosa che non andava, lo sapevo che non sarebbe mai più stato come prima, ma ci avrei comunque provato.
Provai a prenderle la mano ma la scansò
«Haley» pronunciai il suo nome ma lei non riusciva a guardarmi ancora
«Usciamo da questa stanza» mi disse improvvisamente
«Che succede?»domandai incerto
«Dobbiamo parlare» mi disse con una strana voce guardando a terra «Ma ho bisogno di aria» disse gesticolando con la mano sinistra
Annui e cercai di lasciarle del tempo per scendere da sola dal letto ma nemmeno due passi e perse l’equilibrio
La presi appena in tempo e istintivamente lei si aggrappò a me, la sentii sussultare e il mio cuore si incupì
Aveva davvero paura di me ora, non riusciva quasi mai a guardarmi prima, figurati ora dopo quello che aveva visto.
Si staccò quasi subito da me impacciata e prese le distanze quasi la potessi ferire ulteriormente.
Eppure aveva ragione, in qualche modo si era fidata di me, l’avevo costretta ad andare ad una festa che a lei non piaceva e poi l’avevo lasciata sola.
La seguii mentre mi conduceva verso l’ascensore
«Avranno mai un terrazzo qui?» mi domandò nervosa
«E’ al quinto piano» ma non le dissi nulla più, spinsi solo il bottone del piano e cominciammo a salire, conoscevo mio malgrado l’ospedale «Mia madre mi ha obbligato a fare del volontariato qualche volta mentre lei lavorava, quindi io mi rifugiavo qui alle volte» le dissi mentre spalancavo la porta antipanico
Haley mi sorpasso sfiorandomi sentii una scossa lieve
Si precipitò verso il bordo dell’edifico per vedere il panorama notturno
«Non sai quanto ti manca una cosa finché non la perdi e poi la ritrovi e non ti ci vorresti separare più, quanto mi è mancata l’aria» disse ad alta voce
«Così dicono» incrociai le braccia dietro la testa
Non doveva importarmi che lei mi vedesse come un mostro.
Avrei voluto che quella frase fosse per me però, perché faceva così male invece.
Perché ho incontrato proprio lei. Perché ho sognato proprio lei?
«Di cosa vuoi parlare?» le chiesi non riuscendo a trattenere più quel desiderio di sapere se quello che temevo fosse reale, se l’avrei mai più vista sorridere.
Possibile che lei non lo capisse quanto fosse bella, i capelli sciolti le ricadevano oltre le spalle ed erano leggermente cullati dal vento, il suo profumo così dolce unico.
«Di me. Di cosa sono» disse abbassando la testa ma continuando a guardare la città, feci un passo verso di lei allarmato cercando di andarle più vicino.
Avevo una strana sensazione.
«Ma non voglio che tu ti avvicini» concluse con quelle parole che mi spezzarono a metà
Si girò verso di me e mi guardò stranamente e io annui, non potevo fare altrimenti
Ritornò a guardare l’esterno fissando il vuoto
«Scusa non riuscirei a parlare guardandoti negli occhi, mi vergono di me stessa» disse improvvisamente «Io esisto per un’esigenza medica, a mia sorella serviva il mio midollo per sopravvivere» cominciò prendendo aria nei polmoni
Lo disse quasi di fretta, come se fosse la prima volta in vita sua che pronunciasse a voce alta quelle parole.
A quelle prime parole mi pietrificai e insieme a me anche il mio respiro
«Mia madre però si ammalò durante il parto, non è mai completamente guarita, tutt’ora fa degli accertamenti e credo che questi ultimi siano positivi, lo sento da come mi si rivolgono che è peggiorata, io sono la causa persa della loro vita, ho rovinato per sempre la loro vita» disse rassegnata mentre stringeva la mano sinistra contro il suo braccio destro
Vedevo il suo braccio sinistro tremare per la pressione che stava mettendo in quella presa
Mi avvicinai piano per non spaventarla ma mi urlò
«Non avvicinarti, l’hai promesso!» a metà tra la rabbia e la disperazione
Mi fermai con tutto me stesso non riuscivo a sopportare quell’immagine di lei ora, la volevo per me, anche se mi credeva un mostro, non volevo lasciarla sola mentre cercava di resistere ai singhiozzi che la scuotevano
«Sei la seconda persona al mondo che lo sa.»
 Poi si fermò cercando di riprendere fiato «La prima si chiamava Stephanie, lei sapeva cosa sono. Un giorno scopri che un gruppetto di ragazzi la stava infastidendo e le andai incontro per aiutarla. La credevo mia amica, invece lei per crearsi un posto sicuro all’interno del loro gruppo le proposero di scambiare i ruoli. Raccontò loro di quanto fossi inutile, le raccontò tutto quello che io ingenuamente le avevo confidato e così mentre io venivo presa di mira lei veniva accolta dal gruppo. È grazie a lei che conobbi Ross, Daniel e Simon, si divertivano con me prendendomi in giro, maltrattandomi e ogni sorta di umiliazione» tremò nel pronunciare i loro nomi
«Io per loro ero un passatempo, presero tutto quello che c’era di bello e sereno in me, lo annientarono e diventai Katy.
Un giorno senti Stephanie cercare di difendersi da Ross e io da stupida cercai di proteggerla, infondo era stata l’unica a conoscermi veramente e in un modo un po’ strano era mia amica, nonostante subissi percosse anche in sua presenza lei di nascosto cercava di aiutarmi, di medicarmi se esageravano.
La vidi scappare solamente quel giorno, non ebbi il tempo di chiederle il perché che una macchina la investì e la lasciò fredda sull’asfalto.
Cercai di andarle vicina e le afferrai la mano, ma era tardi.
Ross mi spinse via dal suo corpo e quasi mi strangolò se non fosse intervenuto Simon che lo avvertiva delle sirene. Io la lasciai li da sola e me ne scappai. Me ne sono andata, l’ho lasciata sola, avevo paura» si fermò cercando di prendere fiato «Non c’è più nulla di buono in me Nathan, sono un mostro» disse voltandosi verso di me con una strana espressione «E tutto questo ne è la prova» disse indicandosi le ferite e scoprendo l’addome ricoperto di lividi
E stringendosi le mani al petto e la vidi incrinarsi mentre si stava spezzando davanti ai miei occhi
Fece due passi all’indietro…
Ora! Vai da lei ora stupido!
La presi appena in tempo la tirai verso di me con forza, la intrappolai tra le mie braccia mentre la sentivo cadere in mille pezzi, non riusciva a stare in piedi
Ero riuscito ad impedirle di scivolare…
«Fallo uscire dalla mia testa» cercò di dire mentre cercava di controllare il suo corpo
La strinsi ancora di più a me cercando di farla calmare
«Haley guardami, ricordati che sono esattamente davanti a te» le sussurrai alzandole il viso
«Mi dispiace averti lasciata sola» cercai di tranquillizzarla mentre stringeva la mia maglia «Grazie per esserti fidata di me nonostante ciò che ti ha detto Blake» le dissi sincero cercando di non apparire troppo disperato
Ero felice che si fosse aperta con me nonostante ciò che aveva scoperto.
E io che avevo paura che se avesse visto chi ero sarebbe scappata, quando lei dal primo istante sapeva che nessuno avrebbe potuto accettare la sua storia.
Avevamo entrambi scoperto le nostre carte
Cercai di farla sedere a terra con me senza farla staccare dal mio corpo
Ero stato uno stupido. Solo ora mi rendevo conto di quanto mi fossi sbagliato.
Come poteva una persona portare un tale peso addosso senza potersi confidare con nessuno.
Io sarei senz’altro impazzito se non avessi avuto Blake, Lucas o mia madre al mio fianco, ma lei era sempre stata sola, l’unica volta che si era fidata per lei era stato l’inizio di un incubo.
Quanto forte era in realtà la mia Haley.
La mia Haley.
Sorrisi a quel pensiero e la strinsi ancora più a me in modo che in qualche modo potesse sentire tutto ciò che provavo per lei.
Non era più sola, l’avevo trovata io.
Avrei voluto dirle che avremo superato insieme tutte le sue paure ma mi sembravano delle parole troppo sciocche
«La morte non è la perdita più grande nella vita. La perdita più grande è quello che muore dentro di noi mentre viviamo*» mi uscii quasi inconsapevolmente
La sentii calmarsi a mano a mano che il tempo passava, finché non senti il suo respiro regolarsi, le accarezzai i capelli e poi la schiena molto dolcemente
Si era addormentata tra le mie braccia con il viso finalmente un po’ più sereno
Non volevo alzarmi, era piacevole quella sensazione che mi dilaniava la stomaco, la cominciavo a capire ed assecondare.
Le spostai una ciocca di capelli dal viso e guardai le sue labbra che fino a pochi giorni fa erano state morbide, ora socchiuse notai che il labbro inferiore stava guarendo
Sorrisi ripensando a giorno di Natale in cui le rubai un bacio.
La presi tra le braccia e la riportai in camera facendo attenzione a non essere visto.
La feci stendere sul letto e nel farlo la maglietta del suo pigiama si spostò lasciando intravedere la pelle.
Quelle ferite erano difficili da gestire da soli.
Le sistemai il lenzuolo e mi fermai a guardarla pensando a quante volte le fosse successo.
Mi avvicinai e sfiorai le sue labbra con il pollice e controllai lo zigomo ammaccato, scesi giù tracciando la linea sul suo collo dove era evidente la presa.
«Credo di avere un problema serio Haley…» le dissi sottovoce temendo di svegliarla «Mi sono innamorato di te e appena te ne renderai conto scapperai ancora» ammisi a me stesso mentre sfioravo l’angolo della sua bocca con la mia, non era un bacio.
Era una promessa.
«Lascia in pace mia figlia!» una voce tuonò alle mie spalle
Mi voltai e scorsi il padre di Haley sulla soglia della porta
«Vattene o chiamo la polizia» continuò avvicinandosi
«Me ne stavo andando, controllavo che stesse bene» cercai di spiegargli prima che la cosa potesse prendere una brutta piega
«Sarebbe stata al sicuro a casa sua» dichiarò impassibile 
Annui e lo sorpassai cercando di dire qualcosa ma non volevo complicare ancora di più la situazione
«Con te sorride ogni tanto?» mi chiese all’improvviso
Mi girai non capendo la domanda e se stesse parlando ancora con me.
Mi appoggiai allo stipite della porta mentre lui stava in piedi davanti al letto di Haley
«Non ricordo come sia il suo sorriso» disse mentre guardava il corpo di Haley addormentato
Non riuscivo a capirlo, non riusciva a provare davvero affetto per sua figlia?
“Io esisto per un’esigenza medica”
«Allora signore non credo lo abbia mai visto…» lo guardai stringendo i pugni e buttando fori l’aria dai polmoni
Lui mi guardò con uno strano sguardo e lo vidi incupirsi
«Vattene immediatamente!» mi minacciò
Lo guardai un ultima volta in tono di sfida, non avevo paura di lui, e avrei insegnato anche ad Haley a non averne più, di nessuno al mondo
 «Tenga, se dovessero capitare altre crisi le dia questo» mi avvicinai consegnandogli il mio Ipod
Il suo sguardo indugiò sospettoso ma poi annui
«Se vuoi puoi restare ancora cinque minuti» mi disse evitando di guardarmi
«La sua risata è cristallina, i suoi occhi verdi diventano azzurri di felicità, è stupenda, non si dimentica un sorriso come il suo» conclusi lasciandolo da solo con il suo orgoglio ferito.





*( Norman Cousins)
 

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Capitolo 17
*** With You ***


Haley


 
17 - With You


I woke up in a dream today
Forgot all about yesterday 
Remembering I’m pretending to be where I’m not anymore 
When things go wrong
 I pretend the past isn’t real
A little taste of hypocrisy 
Oggi mi sono svegliato in un sogno
Dimenticando tutto di ieri 
Ricordando che sto fingendo di essere dove non sono più
Quando le cose vanno per il verso sbagliato 
faccio finta che il passato non sia reale 
Il sottile sapore dell’ipocrisia


 (Linkin Park – With You)
 
Sono in una stanza e ho una mano appoggiata ad un vetro, sto guardando un gruppo di quattro persone sedute ad un tavolo e dai sorrisi dipinti nei loro volti si stanno divertendo.
«Immagini così la tua vita?» dice una voce fredda alla mie spalle «Sei patetica»  
Mi volto ma non vedo nessuno.
«Sono qui» sussurra di nuovo alle mie spalle.
Mi volto verso lo specchio, adesso il tavolo è deserto. È rimasta solo una ragazza che sta fissando il tavolo, poi alza lo sguardo verso di me, come se mi potesse vedere, riesco a leggere solo odio e delusione nei suoi occhi.
Faccio un passo indietro ma una mano esce dallo specchio e mi afferra per il collo, al posto della ragazza mi trovo di fronte ad un ragazzo senza volto che mi sta sorridendo.
«Ti eri forse dimenticata di me?» dice maligno la figura che mi ricorda Ross
«E’ paura quella che leggo nei tuoi occhi?» mi domanda cominciando a stringere, non riesco a respirare.
«Come mai così pallida Alzheimer?» commenta la voce di Elisabeth contemporaneamente la presa si indebolisce, mi volto e vedo Elisabeth di fronte a me che sorride.
«Che ci fai qui?» le domando ma lei si limita a sorridere
«Ti guardo fallire di nuovo» dice spostandosi una ciocca di capelli all’indietro e avvicinandosi
«Vattene» le dico voltandogli le spalle e notando che dietro allo specchio ci sono di nuovo io, ma sono rannicchiata sul pavimento, ho le mani sopra la testa.
Una fitta mi colpisce la testa e poi comincio a sentire l’eco di risate, mi copro le orecchie per impedire che queste voci mi entrino nella testa. Voglio che la smettano di urlare.
«Mai voltare le spalle mentre tutto ciò a cui tieni ti viene strappato via» dice di nuovo la voce Ross dietro le mie spalle mentre ricomincia a stringere le mani intorno al collo.
Vedo la mia vista appannarsi fino a non poter distinguere più nulla.



Mi svegliai di colpo con il fiato corto e massaggiandomi istintivamente il collo, poi controllai, nel buio della stanza, se fosse tutto normale.
Cercai di calmarmi per ridurre il fastidio nel respirare pesantemente e accesi la luce. Mi sciacquarmi il viso in bagno e alzai il viso specchiandomi davanti allo specchio. Mi sentivo osservata da me stessa, quasi come se il mio riflesso nascondesse il mio lato peggiore. Scossi la testa scacciando questi stupidi pensieri e controllai lo stato del mio corpo, era quasi guarito solamente nel viso si notava ancora qualcosa, ma i lividi cominciavano a guarire e non facevano quasi più male.
Il braccio destro era ancora fasciato e sostenuto grazie ad un tutore, ancora una settimana e mi sarei liberata del tutto del ricordo di quella sera.
Alla fine mi costrinsero a restare per altri cinque giorni in ospedale, non vedevo Nathan da quella notte sul terrazzo, lo sapevo che non poteva più avvicinarsi a me e che quella sera era stato un fortuito colpo di fortuna, ma sapere di aver mostrato tutta me stessa ad una persona e non sapere come questa potesse reagire il giorno dopo era angosciante.
Ricordo solo di essere crollata letteralmente tra le sue braccia e poi di essermi ritrovata il mattino seguente sul letto bianco dell’ospedale sola con accanto il libro che stavo leggendo e un bigliettino nascosto nel libro e il suo Ipod con le sue canzoni.
Le ascoltavo la notte, soprattutto l’ultima traccia che in realtà era la sua voce che mi ripeteva la frase nascosta nel bigliettino
«Lascia che prenda la tua mano, senti i tuoi limiti e trova un altro inizio, oltre un’altra stella solitaria, più luminosa di quello che sei.
Per aspera ad astra»
Forse lo avrei rivisto più tardi a scuola, al solo pensiero il mio cuore cominciò ad agitarsi di nuovo frenetico.
Non avendo più voglia di dormire, mi misi a leggere un libro per ingannare il tempo in attesa della scuola.
Decisi di andare a scuola con i capelli sciolti, solo per tentare di nascondere i pochi lividi sul viso, ma non servì a molto, tutti i miei compagni di classe mi guardarono stupiti.
Perfino Shade si accorse che qualcosa non andava, mi guardò scettico
«Per caso sei andata a sbattere contro il muro a forza di camminare con la testa bassa e ti si è ammattito il cervello?» domando ironico provocando le risate di una decina di persone che si trovavano in quel momento in classe.
Mi appoggiai al banco per guardare il muro ed ignorare il rossore causato dalla vergogna, sperando che passasse inosservato.
Shade però non si diede per vinto, passò tutta la giornata a suggerirmi eventuali ipotesi sulla mia presumibile caduta, mi limitai solo ad ascoltare una dopo l’altra le sue improbabili teorie.
Non risposi a nessuna delle altre persone che mi domandarono il perché del mio aspetto, mi limitavo ad ignorarle e a passare oltre, al mio posto però Shade sparse la voce secondo la quale avevo dato di matto e avevo picchiato la testa contro un muro.
Durante un breve stacco delle lezioni preferii restare in classe e sbirciare dalla finestra se per caso riuscissi a vedere Nathan o Blake nel cortile, non lo avevo ancora visto ed avevo paura che sarebbe andato tutto storto. Che avesse deciso di allontanarsi da una come me.
Chi mai avrebbe voluto essere amico di una come me considerata una malata.
Sospirai e delusa richiusi la finestra e voltandomi mi trovai di fronte due occhi color zaffiro magnetici
«Cercavi me?» disse con un sorriso che gli illuminava il viso mentre io lo guardavo ancora imbambolata.
«Sei...qui» tentai di dire mentre gli occhi diventavano lucidi mi morsi il labbro inferiore per cercare di trattenere le lacrime
«Non vado da nessuna parte» mi disse in tono dolce avvicinandosi un po’ di più
«Sei qui» ripetei incredula un attimo prima di abbracciarlo e stringerlo forte fino ad alzarlo quasi
Ero così contenta di averlo visto che mi dimenticai del braccio e appena me ne resi conto di averlo sforzato, una fitta mi ricordò immediatamente dell’errore
«Mi sei mancata anche tu» disse ridendo ricambiando l’abbraccio leggero scompigliandomi i capelli
Nathan mi chiese se stessi bene e lo rassicurai, restò con me fino al suono della campanella che segnava la ripresa delle lezioni e mi chiese di aspettarlo a fine lezione fuori da scuola, io annui e lo salutai.
Mentre lo aspettavo all’uscita lo vidi in compagnia di Blake e di altri giocatori, sia Blake che Nathan si staccarono venendo verso di me.
«Come stai roccia?» mi salutò divertito Blake cercando di abbracciarmi ma lo scansai dandogli un leggero pugno sulla spalla
«Quasi in forma» scherzai
«Ti concedo solo questo strappo alla regola quindi non sprecarlo» disse Blake rivolgendosi a Nathan che lo colpì in testa
«Se non la smetti porto tutti e due all’allenamento» disse rivolgendosi a me e Nathan
«Hai allenamento oggi? Posso aspettarvi dopo al campetto» dissi cercando di non sembrare di peso
«Devi aiutarmi a fare una sorpresa, quindi per oggi salto, farò il doppio la prossima volta» mi rassicurò Nathan,  lo guardai un po’ curiosa, sembrava stranamente contento e avrei tanto voluto sapere tanto il motivo, ma qualunque cosa lo facesse stare così bene avrei voluto che fosse sempre così solare.
Salutammo Blake e appena mi affiancò mi propose di andare a casa sua, così avrei potuto rivedere Nicole e ringraziarla nuovamente.
«Sono a casa!» si annunciò Nathan entrando in casa
«Tesoro? Non avevi l’allenamento oggi?» disse la voce di Nicole dalla cucina
«Ho pensato che una sorpresa ti avrebbe fatto più piacere» disse Nathan mentre mi aiutava a togliere la giacca e mi guardava sorridendo
A quelle parole Nicole si affacciò dalla cucina verso il soggiorno scorgendoci entrambi nell’atrio
«Haley…» disse sorpresa Nicole guardandomi
«Nicole..» ripetei avvicinandomi lei mi venne incontro e mi abbracciò non lasciandomi il tempo di dire ciao
«A quanto pure la sorpresa ti è piaciuta» commentò Nathan mettendosi a ridere
Pranzammo tutti e tre insieme e Nicole volle sapere come si erano comportati i miei genitori ma cercai di eclissare la domanda ma non ci riuscì e a testa bassa dissi solamente
«C’è chi mette al mondo una figlia per poter curare la primogenita da una malattia rara… e ci sono persone incontrate per caso che si prendono cura di te nemmeno fossero loro la tua famiglia» dissi amaramente alzando le spalle mentre toglievo qualcosa di fastidioso dall’occhio, ma era scomodo dover usare solo la sinistra
«Non sanno la bellissima persona che si stanno perdendo» rispose Nicole prima di avvolgermi in un abbraccio
«Grazie» gli sussurrai
Guardai verso Nathan alla mia sinistra che mi sorrideva e mi aiutò a uscire da un’imbarazzante situazione che si stava creando per me, e dopo aver convinto sua madre ad andare a lavoro nel pomeriggio inventando che tra poco comunque io me ne sarei dovuta andare comunque restammo soli.
«A volte mi spaventi per come dici bene le bugie, hai quasi convinto pure me ad andarmene a casa» gli dissi appena chiuse la porta dell’ingresso
«Come facevo a fare una sorpresa anche a te con lei di mezzo?» mi provocò
Lo guardai cercando di capire cos’avesse in mente, ma a parte il suo solito sorriso raggiante e la sua mano che stringeva la mia lievemente non riuscivo a capire cosa gli stesse succedendo.
Arrossi a quel contatto così vicino tra noi e mi resi conto che la mia reazione era stata avvertita anche da lui lo scansai immediatamente cercando di evitare i suoi occhi
«Non mi piacciono le sorprese» dissi fingendomi annoiata cercando concentrarmi sui particolari del pavimento
«Sono sicuro che questa ti piacerà molto invece» disse mentre mi riprendeva la mano e mi faceva entrare in camera sua
«Ti piace?» domandò aprendo la porta della camera
Non capivo cosa dovesse piacermi, era la sua stanza ma non c’era niente di particolare a parte delle foto con delle squadre di basket e delle medaglie.
Lo guardai non capendo e lui indicò una cornice appesa sulla parete vicino al letto.
Non ci potevo credere! Aveva appeso la foto di noi due addormentati abbracciati
«Oddio!» dissi imbarazzata «Dimmi che stai scherzando» protestai «Non è questa la sorpresa vero?» domandai 
Vedendo la sua espressione capi che era quella
«Non l’ha vista nessuno vero?» domandai allarmata
«Dovresti vedere la tua faccia» disse mentre scoppiava a ridere
Lo guardai arrabbiata e andai per togliere quella foto imbarazzante
«Non ti azzardare!» mi sovrastò lui prendendomi la mano che aveva raggiunto la foto, lo scansai frettolosa
«Perché ti ferisco così tanto se provo ad avvicinarmi?» mi chiese subito dopo
Mi rifiutai di rispondere, nonostante sapessi la risposta.
«Senti il bisogno di proteggerti da me?» mi chiese porgendomi la mano ma non ci riuscivo mi sentivo sporca e orribile «Hai paura di me?»
Scossi la testa lo sentii avvicinarsi comunque a me nonostante la mia mano sinistra cercava di creare un distacco.
Lo senti prendermi il viso con entrambe le mani per impedirmi di distogliere gli occhi dai suoi così luminosi che mi guardavano insistentemente, erano magnetici, il blu che vi risiedeva era caratterizzato da delle sfumature più scure. Mi ero ufficialmente persa dentro i suoi occhi e come ogni volta il mio respiro smise di essere regolare
«Bugiarda, perché?» disse con voce bassa e senti il suo respiro caldo sfiorarmi il viso.
Cercai di girare la testa verso destra ma lui me lo impedì
«Riesci a sentirla?» domandò a pochi centimetri dal mio viso, non smetteva di guardarmi
«Cosa dovrei sentire?» ero confusa 
Lui si abbassò su di me fino a sfiorare le mie labbra, per poi sorridere
«Percepisco la paura nel tuo respiro» sussurrò allontanandosi lentamente indugiando, sospirai sollevata vedendolo allontanarsi
«Perché?» insistette serio, come potevo parlare mentre mi costringeva a guardarlo, era difficile pensare, come potevo mentirgli e dire un’altra bugia, l’ennesima, non risposi.
«E’ come l’elettricità» soffiò chinandosi di nuovo su di me, mancava poco al contatto, il mio respiro veloce si scontrava con il suo
Sentivo il battito del mio cuore ormai impazzito, non riuscivo a fare nulla, senti una pressione dietro la schiena, prima che la mia mente la collegasse alla sua mano, una scossa mi percorse tutta la schiena e sussultai, lo spinsi via bruscamente
«Scusami sono, non so che mi è preso» dissi cercando di rimediare ma ormai il danno era fatto.
«Colpa mia …» disse con voce strana per darmi le spalle
Non so nemmeno io che intenzioni avessi eppure sentivo che se avessi lasciato che se ne andasse sarebbe stato più difficile parlargli. Volevo spiegare che era solo colpa mia.
Feci uno sforzo e nonostante la paura afferrai la sua mano calda.
«Non guardarmi così»
«Non ti guardo in nessun modo» si ostinò con la sua voce distaccata
Una pugnalata in pieno petto e quello che stavo per dire forse avrebbe fatto ancora peggio ma non potevo sopportare il suo sguardo.
«So di essere uno scherzo della natura, non vorrei avere paura di te ma» tentai di dire a mezza voce
«Non capisco Haley, vorrei ma non ci riesco» mi disse spezzando il contatto con la mia mano, non potevo lasciarlo andare.
«Dipende da me, sono io il problema. A volte i ricordi riaffiorano nella mia mente, nessuno mi ha mai trattato con gentilezza, il mio corpo non sa la differenza. Potrebbe succede continuamente… se decidessi di lasciami andare. Ho attacchi di panico e reazioni che non vorrei avere» riuscì a dire cercando i suoi occhi per sapere la sua reazione
Oddio lo avevo detto veramente. Ora si mi avrebbe preso per malata
Non mi sentivo degna di lui non lo capiva?
«So come ci si sente ad aver paura delle reazioni che la mente può scatenare al corpo» disse con una strana voce voltandosi verso di me «Cosa credi mi abbia spinto ad uscire fuori di me quella sera quando ti ho vista violentata da quei ragazzi? Come credi mi sia sentito ad essere così vicino a qualcuno come mio padre ed ad essere diventato io stesso un pericolo? Come credi mi sia sentito tutte le volte che mia madre veniva picchiata?» mi chiese
«Tu sei il ragazzo più gentile che conosco, non esiste al mondo un altro come te» dissi di sfuggita «Mi sento così fortunata ad averti incontrato, che tu abbia visto chi sono e non sia scappato o ti sia approfittato di ciò. Per cui il fatto che il mio corpo abbia delle reazioni strane mi fa sentire a disagio con te, il sapere di poterti deludere in qualche modo mi terrorizza, mi terrorizza l’idea di perderti» dissi stringendomi nelle spalle
«Non esiste al mondo un altro come me» ripeté Nathan prendendomi la mano
«Scusami lo so ho detto delle cose patetiche cancella tutto» dissi con voce bloccata dall’ incertezza e mi avvicinai a lui mi avvolse in un abbraccio
«Non scusarti mai più con me» una scossa fece tremare il mio corpo e cercai di frenare l’impulso di proteggermi, lui lo notò e alleggerì la stretta per staccarsi e lasciami spazio
«No» gli sussurrai trattenendolo
Volevo ritornare al sicuro, chinai la testa lasciando che le sue mani scivolassero sulle mie spalle e mi appoggiai a lui abbracciandolo, Nathan mi strinse per poi sollevarmi di peso e prima che me ne rendessi conto mi ritrovai distesa sul letto abbracciata a lui
«Ti va di stare un po’ così con me?» mi chiese cercando i miei occhi
«Sarei una stupida a rifiutare» gli sussurrai sentendo le guance arrossire quando lo vidi sorridere alla mia risposta «Però sai potrei» cercai di dire mentre cercavo di controllare il mio copro impedendogli di tremare
«Abituarti ad essere coccolata?»
«Non è questo. Nate non scherzare ora, sto cercando di dirti una cosa seria..» dissi cercando di nascondere il calore che stava infiammando il mio viso
«Potresti innamorarti perdutamente di me?» mi interruppe di nuovo 
«Intendevo che potrei avere degli attacchi di panico e farti male» completai nascondendo la testa nel suo petto
«Non preoccuparti» disse dolce prendendo i contorni del mio viso fino ad arrivare al mento per farmi guardare verso di lui e poi accarezzò la guancia destra
«Hai ignorato totalmente la mia seconda domanda» mi fece notare cercando i mei occhi
Come potevo rispondere senza sbagliare?
Avere la certezza che qualunque cosa lo tenesse legato a me non potesse cambiare mai
Aveva risvegliato il mio corpo e la mia anima.
Non volevo ingannarlo, né tanto meno illudermi di poter provare amore per una persona dopo tutti questi anni in cui ne avevo evitato ogni forma, non sapevo cosa fosse realmente lui per me.
Quanto avrei voluto fargli sapere quanto era importante per me, quanto dipendesse da lui la mia felicità.
Quando eravamo solo noi due era una cosa, ma al di fuori della bolla che avevamo creato in questo momento, il pensiero di lui distante da me mi spezzava dentro.
«Lotto ogni giorno per essere una persona migliore rispetto a quella che ero diversi anni fa, alcune volte non riesco a controllarmi, ma non potrò mai ferirti, penso tu abbia capito che ci tengo a te …» continuò non ottenendo nessuna risposta «Lascia perdere» concluse passandosi una mano tra i capelli
Approfittando della sua distrazione per dargli un bacio sulla guancia prendendolo in contropiede si bloccò
«Anch’io tengo a te» gli sussurrai staccandomi dal suo profumo, rompendo il mio silenzio tombale e voltandomi per dargli la schiena, ora non sarei davvero più riuscita a guardarlo in faccia
Nathan non disse nient’altro e accettò le mie spalle, mi strinse di nuovo a se, sentivo il suo respiro sul collo e le sua mano che mi accarezzava prima i capelli e poi i fianchi, mi irrigidì all’istante
«Concentrati sul il mio respiro Haley sei nel posto più sicuro del mondo ora» mi sussurrò cullandomi
E ci provai chiusi gli occhi e mi concentrai adattandomi al suo respiro. E distesa accanto a lui che mi teneva stretta mi senti abbastanza forte da richiamare un po’ di fantasmi dal mio passato.
Gli parlai ancora una volta di quello che gli avevo detto sul tetto dell’ospedale, dell’incontro con Ross e Daniel, di come per loro io ero un gioco. Le loro umiliazioni, il mio essere debole di fronte a loro. Le loro risate, le loro mani pronte ad afferrarmi se dicevo una parola di troppo o cercavo di piacere a Stephanie.
La voce di Ross che ormai mi perseguitava negli incubi e la sentivo anche da sveglia, lo sentivo nella mia testa, lo sentivo quando mi guardavo allo specchio e mi vedevo sporca.
Lui mi rimase accanto senza interrompere i miei pensieri che assomigliavano a mine vaganti impazzite.
Accolse il mio dolore e lo fece suo e mi persi in quella bolla che aveva creato per me.
Aprì gli occhi perché mi sentivo accarezzare la schiena e mi ritrovai Nathan che mi guardava strano.
«Mi sono addormentata? Quanto ho dormito? Devo andare maledizione» le parole mi uscirono di corsa, non potevo fare tardi o se la sarebbero presi con me.
«Calmati Haley» mi sussurrò fermandomi e continuando ad accarezzarmi la schiena
«Devo tornare è tardi» gli dissi cercando di spiegargli
«Tu resti con me, non te ne vai dopo quello che mi hai detto» mi disse guardandomi negli occhi
«Proprio per quello che ti ho detto me ne devo andare»
«Ho chiamato tuo padre quando ti sei addormentata, e sono già le nove di sera, quindi tra un po’ ci alziamo mangiamo e facciamo quello che vuoi, ma tu rimani con me»
Abbassai lo sguardo e mi appoggiai al suo petto.
«Perché fai tutto questo per me?» gli chiesi accarezzandogli il braccio
Lo sentì appoggiare le sue labbra sulla mia fronte e poi incrociai i suoi occhi luminosi e mi sorrise
Si abbassò sulle mie labbra e chiuse gli occhi
«Perché siamo amici» soffiò sulle mie labbra, aprì gli occhi e si spostò posando le sue labbra sulla mia guancia.

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Capitolo 18
*** I Refuse ***


Haley

18 - I Refuse


I don't wanna let you know
That my heart is just so jaded
I refuse to let it show
I refuse to let it go
 
Non voglio lasciarti sapere
Che il mio cuore è cosi affaticato
Mi rifiuto di farlo notare
Mi rifiuto di lasciarlo andare
 
(Five Finger Death Punch - I Refuse)

 
 
L’unica nota positiva di essere considerata una malata schizofrenica con attacchi di rabbia era che nessuno si avvicinava a me, anche Elisabeth non si fece vedere, ma questo credo che fosse merito soprattutto di Nathan e Blake, le uniche persone con cui parlavo.
La mia mente stava dimenticando in fretta i particolari della festa, lasciando la mia mente più libera e meno vigile.
Nelle settimane che seguirono volendo passare meno tempo possibile a casa, li aspettavo molte volte al campetto dove ripassavano insieme ad altri ragazzi gli schemi di allenamento, o semplicemente si divertivano a sfidarsi in giochi assurdi o a fare scommesse su quanti canestri riuscissero a fare di fila.
Cominciavo a perdere il senso logico del tempo e delle mie azioni stando in loro compagnia, Blake mi aveva anche convinto a giocare con loro qualche volta, sapeva coinvolgermi nel divertimento senza che questo mi si ritorcesse contro, come era successo quasi sempre in questi diciassette anni.
Una volta per sbaglio mi capitò di fermare a muro Lucas, un ragazzo che ogni tanto si univa a noi, facendolo letteralmente cadere e prendendo la palla per lanciarla al mio compagno di squadra.
Presero in giro Lucas per essere stato fregato da una ragazza.
«E’ sbucata come un fulmine davanti a me non ero preparato» ribatté colto alla sprovvista.
Li capì di aver esagerato e gli chiesi scusa, avevo sempre dovuto dimostrare e allenarmi per essere più forte di una normale ragazza e questo mi pesava, soprattutto in queste situazioni imbarazzanti che creavo.
«Vediamo quanto sei forte piccola scheggia» mi sfidò Blake a quel punto approfittando per coinvolgermi in una delle loro sfide proponendomi un braccio di ferro tra me e gli altri ragazzi, rifiutai categoricamente, ma poi Nathan mi si avvicinò e mi sussurrò che era normale non dovevo preoccuparmi, io ero ancora molto dubbiosa, per lui non era una presa in giro era stare tra amici e io ancora faticavo un po’ a capire la differenza
«Si fa tra ragazzi, spaccali tutti» mi incoraggiò spingendomi sui gradoni del campo dove Lucas era già in posizione
«E’ stato un colpo fortunato prima» disse Lucas porgendomi il braccio
Gli afferrai la mano e mi misi in posizione chiudendo gli occhi, cercando di scacciare l’imbarazzo
«Tre, due uno…» cominciò a contare Blake «Via!» liberò la mano che era sopra le nostre
Lucas spostò il mio braccio verso destra con poca difficoltà, in quell’istante aprii gli occhi e strinsi la mano di Lucas decisa mettendo più forza e inclinando la presa verso sinistra
«Che cavolo…» disse Lucas
Approfittai della sua distrazione per concludere la presa e far toccare la sua mano il gradino, aveva perso.
«Grande!» commentò ridendo Blake
Lucas ancora incredulo mi chiese la rivincita ma lo battei lo stesso, a fatica riuscì a battere anche Jeremy, che fino a poco fa aveva preso in giro Lucas
«Ora tocca a me…» disse Blake facendomi l’occhiolino «Non mi inganni» mi disse sfidandomi
Sorrisi e accettai quasi divertita
«Credo basti per oggi» intervenne Nathan guadandomi «il braccio Haley» mi ricordò
Ma lo rassicurai, era tornato quasi come nuovo fortunatamente
«Ci andrò piano con la piccoletta promesso» riuscì a provocarmi Blake
«Fatti sotto biondino» lo incalzai
La presi su personale e cocciuta accettai la sfida, chiamasse qualcun altro piccoletta.
Nathan si arrese e sedette accanto a noi per dare il via
«Tre, due,uno …via!» e la sfida ebbe inizio
La presa di Blake era molto più salda di quella di Lucas e Jeremy, il mio braccio tendeva verso destra rigido come il suo, tutti i muscoli erano tesi, dopo pochi secondi senti il braccio avere un po’ di debolezza lo vedevo tremare per cercare di resistere alla presa di Blake
«Non sforzare troppo il braccio Haley» mi ricordò Nate vedendo il tremore accentuarsi
«Ascolta Nate non ce la farai mai» disse Blake provocatorio scambiandosi successivamente uno sguardo con Nathan
Io stavo usando tutta la mia forza per non cedere alla sua presa mentre ero certa che per lui non fosse così, mi stava semplicemente stancando e ancora una manciata di secondi e avrebbe vinto
«Ce la faccio» menti per farlo stare zitto e strinsi la presa su Blake «e tu concentrati» dissi rivolta a Blake utilizzando la sua distrazione per prendere un po’ di vantaggio
Blake mi guardò divertito recuperando il vantaggio e poi mi sovrastò sconfiggendomi
«Bella prova» mi disse Blake «per poco non mi hai battuto» disse dandomi il cinque e mi propose divertito se volevo unirmi alla squadra ufficiale della scuola visto la mia forza.
E mentre i ragazzi scherzavano e decidevano la penitenza per chi aveva perso la sfida, Nathan si avvicinò per controllare se stessi bene
«Sei stata brava, la prossima volta ti insegno un trucco per vincere contro di lui» mi sorrise prendendo la mano che cominciava a tremare dallo sforzo o dal troppo contatto, era possibile?
«Sei fortunato ad avere degli amici così sai…» gli dissi «Ho sempre invidiato un amicizia come la vostra e grazie a te mi state regalando tutto ciò che mi ero persa finora» gli dissi sincera
Lui mi scompigliò la frangia e mi riportò in mezzo al gruppo che aveva cominciato ad avviarsi ad un chiosco poco distante.

L’unica pecca di questa mio cambiamento ero io stessa, non riuscivo a controllarmi, era difficile accorgersi ed alzare le difese in tempo, perché era già troppo tardi.
Mi capitava troppo spesso ormai di guardare Nathan di nascosto affacciata dalla finestra della mia classe o durante gli allenamenti, cosa ancora più imbarazzante sentivo le guance surriscaldarsi ogni volta che scherzando mi accorgevo di guardarlo in modo diverso, lui si limitava a sorridermi ma ogni volta che provava ad avvicinarsi  sentivo un improvviso senso di smarrimento, non sapevo come comportarmi.
Non mi sentivo più così indifferente, arrivai  persino a pensare  veramente che ci trovasse gusto nel mettermi in imbarazzo tanto che gli avrei voluto togliergli una volta per tutte quel sorriso dolce e domandargli se avesse intenzione di farmi impazzire.
Eppure non lo feci per il semplice motivo che ero una codarda.
Ero solo io quella che aveva aperto gli occhi rendendosi conto di quanto si fosse avvicinato al mio cuore. Era soltanto colpa della mia immaginazione se avevo avuto l’impressione di poter piacere veramente ad un ragazzo come Nathan.
Per evitare di stare sola un pomeriggio andai in palestra durante gli allenamenti, e sedetti sugli spalti più vicini al campo.
Era la seconda volta che entravo in questa palestra. Con la mia monotona scusa di odiare la confusione, non amavo molto venire alle partite, anche perché qualche mese fa non sarei mai sognata di venire solo per vedere una folla indistinta urlare nomi di giocatori che ritenevo superficiali e spacconi.
Non vedevo nessuna logicità nel tifare una squadra sconosciuta.
Mentre ora cercavo in tutti i modi di poter stare il più vicino possibile a quelle persone che pochi mesi fa  credevo superficiali.
Loro sembravano capaci di tirare fuori il lato migliore di me stessa e allo stesso tempo facevano di tutto per non ferirmi.
«Come mai qui?» mi chiese sorpreso Nathan salendo i gradini per raggiungermi  
«Ciao» dissi alzando la mano «Avevo un po’ di tempo libero» dissi sorridendo
«Vuoi giocare con noi o preferisci restare a guardare?» mi chiese divertito
«No preferisco guardarvi per oggi» dissi storcendo il labbro 
«Come vuoi» disse appoggiando una mano sulla testa «Ma non consumarmi troppo» scherzò per poi venire colpito subito dopo alla schiena da una palla da basket
«Che diavolo?» ma non fece in tempo a dire altro
«Wayne hai intenzione di fare salotto ancora per molto?» tuonò un uomo sulla cinquantina che aveva in mano un pallone rosso
«Coach andiamo» cercò di sviare «Stavo solo trattenendo un’ospite» disse in sua difensiva
«Meglio se vai» dissi sottovoce trattenendo una risata
«Vuoi fare altri cinque giri della scuola o quelli di venerdì scorso ti sono bastati?» domandò 
«Arrivo Coach!» disse seccato scendendo dalle scalinate
Dopo venti minuti di corsa il coach confermò che domani ci sarebbe stata un partita e dopo aver deciso gli schemi di gioco, e ne provarono alcuni.
«Ci faresti l’onore di venire con noi scheggia? Andiamo solo a bere qualcosa» propose Blake al termine degli allenamenti vendendo troppo vicino
«Non posso rimanere molto però» risposi dopo aver controllato l’ora e riuscì a mandare almeno un messaggio a mio padre per dire che sarei rientrata un po’ più tardi.
Ultimamente era cambiato qualcosa, da quando ero stata in ospedale, voleva sapere se tornavo a casa o se ritardavo, non era da lui. Non so se avrei potuto definirlo preoccupato, il nostro rapporto non era cambiato granché, mi parlavano quanto avevano sempre fatto prima, ma il semplice fatto che forse mio ci potesse tenere anche solo un po’ mi faceva sentire bene.
Blake mi distrasse dai miei pensieri e cingendomi con un braccio e mi portò con loro in un bar poco distante insieme agli altri ragazzi della squadra.
Blake si poteva definire l’anima del gruppo, era sempre al centro delle conversazioni, si divertiva a raccontare le storie più assurde, ma era divertente, non riuscivo a rimanere seria con lui.
Ogni tanto mi fermavo a guardare Nathan scherzare, ma prima che il suo sguardo si spostasse su di me, lo evitavo. Ci mancava solamente che i miei sentimenti per Nathan cominciassero a complicare le cose.
Mentre lo guardavo ogni giorno mi rendevo conto che avrei dovuto allontanarlo ma ero troppo debole, volevo che mi restasse vicino almeno il tempo necessario per poter calmare il rancore che in tutti questi anni mi aveva fatto marcire il cuore, che ora cominciava a purificarsi.
Per questo lo lasciavo giocare con la mia mano che era quasi sempre presa in ostaggio da lui, ne accarezzava il dorso e con i pollici tracciava delle linee e dei cerchi distrattamente sul palmo, e stranamente non provavo agitazione anzi il suo gesto mi tranquillizzava, mi permetteva di interagire con gli altri senza avere paura dei loro giudizi.
Era come se grazie al suo calore riuscissi a trovare più fiducia in me, era strano desiderarlo sempre vicino a me.
Erano quasi le sette di sera quando decisi che era il momento di andare a casa e quindi salutai Blake e gli altri, Nathan invece mi seguì.
Camminavo davanti a lui ma la situazione cominciava a innervosirmi.
«Potevi rimanere» dissi cercando di essere normale e mi voltai indietro per dargli un’occhiata, se ne stava in piedi e mi guardava con aria assente. 
«Hai intenzione di parlare in qualche modo e farmi sapere che fino ad ora ho parlato con il muro?» domandai avvicinandomi
Non riuscivo a capire cosa gli stesse succedendo. Sembrava felice fino a dieci minuti fa e adesso si limitava a fissarmi, senza parlare.
«Tutto bene?» domandai fermandomi davanti a lui e muovendo la mano destra davanti al suo viso
«Sì, ero sovrappensiero» disse prendendomi la mano
«A cosa pensavi?» gli chiesi un po’ stranita cercando di capire il suo strano comportamento
«Vorrei che venissi a vedere la partita di domani» mi sorrise cercando la mia mano destra
 «Non so non sono mai venuta a vedere una tua partita e poi sarà pieno di gente» cercai di sembrare meno in imbarazzo possibile, lui rise
«Sei venuta all’allenamento oggi e non sarà diverso, tu tieni gli occhi su di me e non pensare alle altre persone»
«Ci penserò» gli dissi mentre eravamo quasi arrivati a casa
Non era il lui oggi, c’era qualcosa che non andava era troppo silenzioso.
«Sicuro che sia tutto ok?» domandai preoccupata di fronte a casa «Verrò domani se sei preoccupato per questo» cercai di prenderlo in giro
«Che ne diresti di un bacio portafortuna per domani?» domandò all’improvviso e stringendo di più la mia mano destra mi spinse contro di lui
«Penso che tu stia delirando» dissi cercando di non abbassare lo sguardo «E di parecchio» aggiunsi notando che si era abbassato
«Allora perché sei arrossita?» chiese ridendo
«Perché sei uno scemo» lo colpii imbarazzata
Poi mi diede un bacio sulla fronte come se fosse un gesto normale, feci un passo indietro.
«Ci vediamo domani alla partita!» disse allontanandosi e salutandomi con un sorriso, mentre io accennai un sorriso debole perché ancora confusa.
Perché doveva sempre complicare le cose?
Più cercavo di allontanarlo più mi stringeva a se facendomi conoscere molte cose di lui, era impossibile rimanere impassibile ma era altrettanto impossibile che lui ci tenesse così tanto a me.
Avevo paura di quello che provavo, di quello che lui mi faceva provare di tutti i suoi sforzi, tutte le sue attenzioni. Avevo paura e non potevo dirlo a nessuno tranne a me stessa. 

 

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Capitolo 19
*** No Road Left ***


Haley

19 - No Road Left

In my fear and flaws
I let myself down again
All because
I run 'til the silence splits me open
Why do I feel like I deserve this?
Why does my pain look like my pride?
                            
Nella mia paura e tra i miei difetti
permetto a me stesso di cadere di nuovo
tutto questo perché
Corro, finché il silenzio non mi squarcia
Perché mi sento come se lo meritassi?
Perché il mio dolore assomiglia al mio orgoglio?

(Linkin Park- No Road Left)



 
Non so cosa mi abbia spinto fino a questo punto, forse mi sto illudendo di poter entrare nel suo mondo, e anche se il mio cuore lo vorrebbe, c’è sempre quella parte razionale che mi ricorda il mio passato.
Eppure me ne restai lì in piedi sulla soglia della porta che separava la mia vita dalla sua.
Non riuscivo a muovermi. Ormai era più di un’ora che me ne stavo appoggiata al muro della palestra, vicino alla porta d’uscita, ma non riuscivo a staccarmi dalla parete.
Non volevo rischiare di mescolarmi con tutta quella gente informe..
Avevo paura che se lo avessi fatto, avrei potuto perdermi in quella folla di gente che si stagnava davanti a me e che non la smetteva di urlare. 
Molte proteste si alzarono improvvisamente.
Fui costretta a spostarmi di lato per poter vedere come stava accadendo. Un ragazzo della squadra avversaria aveva appena urtato Nathan colpendolo alla spalla destra. 
Lo vedi sorridere per tranquillizzare i suoi compagni di squadra mentre si massaggia lievemente la spalla colpita.
Sospirai sollevata, sperando che non stesse solo fingendo di stare bene.
Codarda com’ero, non potevo fare altro che limitarmi a vederlo correre, e far rimbalzare la palla nel suo sport preferito, da questa distanza.
Non riuscivo a capire come facesse a sopportare tutte queste persone che urlavano e che si agitavano, io non sarei mai riuscita concentrarmi sarei rimasta senz’altro impietrita di fronte a tutta questa folla.
Ma a questo punto credo che Nathan non ci facesse nemmeno più caso, c’era abituato ed aveva imparato a sopportarle o ad ignorarle, lo invidiavo molto.
Era la prima volta che lo vedevo giocare sul serio e senza volerlo ne ero rimasta colpita, senza parole.
Doveva essere gratificante giocare e riuscire in qualcosa che ti fa sentire vivo, riuscire a trasmettere la tua passione anche a chi non ti conosce, sentire l’adrenalina aumentare nel segnare punti quando tutti gli spettatori pronunciano il tuo nome fino a potersi sentire un dio, come essere al centro del mondo facendo quello che ti piace di più.
Lo invidiavo perché ero stata contagiata anch’io dalla sua bellezza e non potei fare altro che esultare quando scartò l’avversario e si preparò a saltare per andare a canestro.
Nonostante mi sforzassi di capire, non riuscivo a immaginare quanto divertimento lui potesse provare in quell’attimo, quanta energia, quanta passione ci potesse mettere in questo sport.
Ma forse la mia immaginazione stava dilagando un po’ troppo. Mi sentivo un po’ patetica.
E mentre segnava il suo ultimo punto, prima dello scadere del tempo, lo vidi guardare verso il pubblico per cercare qualcuno mentre esultava.
A fine partita i ragazzi lo presero in braccio alzandolo in aria, mentre un gruppo di ragazze si avvicinò alla squadra e andando ad abbracciarli.
Una ragazza, in particolare, spiccò tra quel gruppetto per l’aspetto appariscente tipico di quelle ragazze che si divertono a distruggerti la vita, andò diretta al bersaglio e si gettò tra le sue braccia.
Strinsi automaticamente i pugni e serrai la mascella, cercando di stare calma e di non muovermi appoggiandomi con forza contro il muro, cercando di guardare la folla in delirio, ma più mi guardavo intorno più mi sentivo fuori posto, smarrita. I miei occhi si puntarono nell’unica sensazione più sopportabile.
Lui non fece niente per respingerla, se ne stette fermo in mezzo al campo come se aspettasse qualcosa, le braccia lungo i fianchi.
E senza rendermene conto scesi quasi tutti i gradini, mentre dei ragazzi cominciarono a salire per uscire, urtandomi scocciati.
Non riuscivo a capire perché non facesse niente.
Ci mancava solo che Elisabeth lo baciasse, tanto per lui una persona valeva l’altra!
Era per questo che alcuni anni fa Nathan aveva scelto Elisabeth, lei non gli creava tutti i problemi che io gli avevo procurato in pochi mesi, io non sapevo gestire nemmeno le mie emozioni e pretendevo di sapere il perché delle sue azioni. 
Non so se in quel momento prevalesse in me di più la rabbia o il dolore, sta di fatto che sentii i miei occhi diventare lucidi.
Mi complicavo la vita con problemi dei quali non volevo sapere la risposta.
Avrei voluto essere dalla parte giusta per una volta, ma arrabbiarsi con lui non era certo la cosa migliore, avrei dovuto spiegargli il perché e non lo sapevo nemmeno io.
Ed eccoli i suoi occhi mi puntarono e la mia rabbia salì di nuovo.
Volevo sapere perché si limitava a guardarmi mentre abbracciava Elisabeth e perché questo mi causava uno strano senso di vomito. Ero a pochi passi da loro, avrei potuto tranquillamente proseguire e staccare Elisabeth da lui e fargliela pagare. Perché glielo lasciava fare?
Ma sebbene la rabbia volesse prendere il sopravvento sapevo che in realtà Elisabeth stava facendo del suo meglio per rendermi sempre più in collera e ci riusciva perfettamente.
Se solo l’avessi sfiorata lei ne avrebbe approfittato.
Sentivo il respiro accorciarsi mentre cercavo di cacciare dentro il senso di impotenza che sarebbe voluto uscire indisturbato attraverso delle stupide lacrime.
Non potevo reagire solo perché Elisabeth lo stava abbracciando, non dovevo risultare così debole, ma il mio stomaco ribolliva di rabbia.
Non riuscivo a restare impassibile mentre lei me lo stava portando via davanti ai miei occhi.
Mi morsi il labbro inferiore e strinsi la presa intorno al mio braccio sinistro.
Perché Elisabeth me lo stava portando via? Lui non era certo mio, non era un oggetto.
Come poteva portarmelo via se quello che provavo per lui era una semplice amicizia.
Ero confusa.
Ero a pochi metri da loro eppure mi sentivo come se a separarci ci fossero stati mille chilometri.
Elisabeth si avvicinò al viso di Nathan, lui si spostò appena e le labbra di lei finirono sulla sua guancia.
Nathan e Blake guardarono nella mia direzione e si scambiarono uno sguardo d’intesa, Nathan mi guardava con un’espressione diversa, si scrollò di dosso Elisabeth con troppa forza e la face cadere a terra mentre delle risate echeggiarono nella palestra.
L’allenatore della squadra lo raggiunse ed iniziò a parlargli, sembrava soddisfatto.
Io fissavo Nathan che mi guardava a sua volta.
Che ci facevo ancora li? Era il momento giusto per andarmene.
Non volevo essere umiliata ancora
Prima che Blake mi riuscisse a raggiungermi mi dileguai il più in fretta possibile.
Avevo bisogno di un po’ d’aria, un po’ di tranquillità. 
Aspettai che la maggior parte delle persone se ne andasse e poi cercai di passare il più inosservata possibile tra la folla ed andarmene da li.
Dalla velocità con cui volevo andarmene andai a sbattere contro un pilastro e mi massaggiai il piede imprecando
«Apri gli occhi, non sceglierà mai te» sussultai nel sentire la voce di Shade dietro le spalle, feci per voltarmi la lui mi prese per le spalle e mi trattenne con forza sussurrandomi all’orecchio «Non ti sei ancora stancata del ruolo della malata, possiamo distruggerli entrambi» continuò con voce velata
Feci per liberarmi dalla presa ma non ce ne fu bisogno perché come si era avvicinato fece un salto indietro per schivare il mio pugno
«Lenta e maldestra» lo vidi sorridere beffardo mentre se ne andava come se nulla fosse
Lo lasciai andare e mi affrettai ad andarmene, avevo già perso fin troppo tempo
«Dove pensi di andare scheggia?» mi domandò Blake parandosi di fronte a me con il fiatone
«Mi hai spaventato» dissi mettendomi una mano sul petto guardando furtivamente intorno
«Se stai cercando Nathan si sta ancora cambiando» disse interpretando il mio nervosismo
Meno male che non aveva visto Shade, altrimenti forse sarebbe partito con un interrogatorio
«Ok, allora salutalo da parte mia» dissi cercando di andare via
«Dai l’impressione di essere agitata, non è che c’entra Beth per caso?» disse sorridendo maligno avvicinandomi a lui
«Evita quel nome grazie. Non sono agitata» dissi scontrosa
«Ti ho visto prima, per questo sono venuto a cercarti, non credi di doverti dare una calmata è solo Elisabeth, non dargli nessuna soddisfazione» Blake puntandomi un dito sulla fronte per rimproverarmi
«Non ho fatto nulla» alzai le spalle
«E lo sguardo omicida di poco fa? Non mi avevi promesso che avresti fatto la brava?» disse ironico
«Non mi ricordo nessuno sguardo particolare» dissi incrociando le braccia al petto
«Elisabeth che abbracciava Nate» cercò di dire tranquillamente
Lo baciava semmai pensai furiosa
«Eccolo di nuovo!» mi sorrise Blake «Fa paura, credevo la volessi uccidere sai?» disse provocandomi scherzosamente
«Tanto a chi sarebbe importato? Avrei fatto un favore a molti» sorrisi a denti stretti alla sua sfida, ma Blake mi guardò perplesso
«Scherzavo» dissi osservando che ci aveva creduto veramente «Non ucciderei mai una ragazza davanti a tanti testimoni, sarebbe alquanto sconveniente» dissi tagliente continuando a sorridere
«Stai iniziando a spaventarmi sai? Nascondi troppo dietro quella faccina annoiata» si avvicinò e con entrambe le mani mi prese le guance per tirarle giocosamente «Devo ricordarmi di non farti arrabbiare»
«Tipo ora?» lo presi in giro togliendomi le sue mani dalla faccia Blake mi fece la linguaccia e mi trascinò verso il parcheggio della scuola
«Dove stiamo andando?» domandai confusa
«Andiamo al dopo partita» disse sorridendo mentre apriva la macchina
«Fammi capire prima mi dici di calmarmi e poi mi porti in mezzo agli squali!» dissi incredula alzando gli occhi al cielo
«Se ti lascio andare Nathan nel giro di cinque minuti ti avrebbe seguito e poi devi imparare a gestire le tue emozioni, e qual è il modo migliore se non socializzare con persone insopportabili, viziate e che non sanno cos’è l’umanità?» disse ironico
Abbassai il capo consapevole del mio essere completamente in opposizione al corso naturale degli eventi, mi ritrovavo sempre a fare la cosa peggiore.
Mi sedetti nel sedile posteriore e aspettammo che arrivasse anche Nathan, per poi partire.
Per tutto il tragitto, sebbene fosse stato breve, evitai lo sguardo di Nathan ed usai tutta la mia forza di volontà per fingere che andasse tutto bene.
La festa del dopo partita era in una casa poco distante con giardino, tutta addobbata per la vittoria, ovunque guardassi c’era impresso le stemma della squadra.
Mi sembrava troppo, davvero troppo per una semplice vittoria.
«Festeggiate sempre così?» domandai indietreggiando alla vista delle persone che ridevano e scherzavano in giardino, con la musica ad alto volume.
«Certo, dopo tutta la fatica che facciamo un po’ di svago ce lo meritiamo anche noi ti pare?» disse Blake sorridente
«E’ dura la vita per dei giocatori del liceo dimenticavo» li presi in giro
«Rilassati e divertiti sei con noi» mi riprese Nathan avvicinandosi appoggiando la mano destra sulla mia testa per scompigliarmi i capelli
I pantaloncini neri erano stati sostituiti da dei jeans un po’ sbiaditi, come la maglietta nera con le tipiche strisce blu ai lati era sparita, al suo posto una felpa grigia.
«Fate come vi pare, io vado a bere» continuavo a cercare di ignorarlo tolsi la sua mano di dosso e spostandomi accanto a Blake
Osservai un gruppo di ragazze poco distanti che ci guardavano da un po’, mi irrigidì’ ancora di più quando notai tra loro Elisabeth, strinsi i pugni involontariamente mentre si avvicinavano
«Che succede ragazzi, perché ve ne state da soli qui? La festa è per voi» disse  Elisabeth avvicinandosi e abbracciando da dietro Nathan per poi baciarlo sulla guancia destra, troppo vicino alle labbra.
La sua espressione maliziosa e provocatrice mi fece rivoltare lo stomaco.
Il mio corpo si mosse da solo in avanti e prima che potessi rendermene conto il mio braccio scattò inevitabilmente in avanti, stretto in un pugno, che si fermò a mezz’aria a pochi millimetri dal naso di Beth.
Blake infatti mi aveva bloccato il braccio appena in tempo e mi stava spingendo con forza lontano da Elisabeth e Nathan.
«Si può sapere che ti salta in mente!» disse Blake minaccioso non smettendo di camminare, la sua presa era talmente forte che iniziavo a sentire il braccio intorpidirsi.
«Lasciami, so camminare da sola!»protestai 
«Perché diavolo hai reagito così, ti avevo detto di stare calma» 
«Istinto predatore immagino» dissi scherzando alzando le spalle
«Lo sai che ingigantirà la cosa facendo credere di averla minacciata o chissà cos’altro, quindi perché l’hai fatto?» il suo tono era serio
Alzai le spalle. Non me ne importava.
«C’è sempre un perché scheggia» mi scrutò
«Mi dava fastidio la sua voce ecco» dissi sulla difensiva
«Non poi dirmi che la stavi per colpire soltanto perché ti irritava la sua voce»
«Mi da fastidio la sua vicinanza a … volevo solo allontanarla» dissi stringendo le mani ai fianchi
«E’ questo che ti da fastidio? Sei soltanto gelosa di Nathan?» domandò quasi fosse la cosa più banale al mondo, si stava davvero trattenendo per non ridere
Quel soltanto mi perforò lo stomaco.
Ero così prevedibile? Ero così banale?
«No, solo non riesco a sopportarli vicini» dissi quasi senza voce
«Per me lei può fare o dire tutto quello che vuole su di me, può anche dire a tutto il mondo che sono pazza e malata, ma non riesco a sopportare l’idea che lei lo stia utilizzando solo per provocarmi, non posso permettermi di perdere l’unica persona con cui ho parlato dopo quasi quattro anni, non posso!» spiegai 
«Non voi che lo sfrutti a causa tua o non voi soffrire tu vedendoli insieme?» mi domandò Blake alcuni secondi dopo
«Che vorresti dire?» domandai
«Se io prendessi la prima ragazza che trovo e la baciassi di fronte a te saresti gelosa di me?» venne più vicino
«Cosa c’entra, lei è Beth!» dissi arrabbiata
«No mia piccola scheggia la differenza sta che io non sono Nathan» mi disse sorridendo e accarezzandomi la guancia
«Stai mascherando una semplice cotta con la rabbia» mi disse divertito Blake
«No io .. non» cercai di spiegargli presa dal panico il mio cuore cominciò a scalpitare
«E’ inutile che lo neghi, ormai è fatta, devi solo smettere di fingere di essergli amica e dirgli ciò che provi a tuo rischio e pericolo. Al massimo ti consiglio di bere un bel po’ prima così sarà tutto indolore, qualora dovessi rovinare tutto» disse con tranquillità mentre mi cingeva le spalle con un braccio
Indietreggiai di colpo cercando di non di dare a vedere quanto le sue parole mi avessero disorientata e ferita.
Ero così prevedibile e scontata?
«Andiamo Haley» mi incitò Blake porgendomi il braccio per tornare da loro
Scossi la testa guardando a terra cercando una soluzione a tutto questo ma non me la sentivo di ritornare da loro, era troppo vedere Nathan non battere nemmeno un ciglio mentre Elisabeth lo abbracciava.
Non provava nulla con me?
Gli voltai le spalle ed iniziai a correre non potendo più restare tra loro.
Senti Blake urlare il mio nome ma ero già distante, corsi più che potevo cercando di non dare peso al macigno che mi stava sullo stomaco o alle lacrime che stavano scendendo ininterrotte
Avevo rovinato tutto, mi ero innamorata di Nathan e ora ero di nuovo sola.
 

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Capitolo 20
*** Set me on Fire ***


Haley
 

20 - Set me on fire
 

Got a feeling in my heart that I can't explain
These walls I've built, they all fall down to you
I get caught in your tide like I can't believe
And my heart beats loud like a thousand drums
I've got a hole in my heart that I can't explain for you
 
Ho una sensazione nel cuore che non so spiegare
Questi muri che avevo costruito, sono tutti caduti davanti a te
Sono stato catturato dalla tua luce e non riesco a crederci
Il mio cuore batte come migliaia di tamburi
C'è una voragine nel mio cuore che non so spiegarti
 
 (Thousand Foot Krutch -Set me on Fire) 
 
 
I seguenti giorni lo evitai in tutti i modi possibili, quando lo vedevo cambiavo direzione.
Avevo evitato le persone per tutta la mia vita non era difficile trovare il modo per ricominciare, il problema era il mio cuore che ogni volta che lo vedeva accelerava e non faceva altro che farmi male.
Ma sapevo che sarei stata ancora più male se mi avesse chiesto spiegazioni sulle cose che sicuramente Blake gli aveva detto.
Ero stata una stupida, come avrei mai potuto guardarlo di nuovo negli occhi.
«Alt ferma qui!» Blake mi piombò di fronte facendomi spaventare mentre stavo nascosta in un angolo per cercare una via di fuga
«Perché lo stai evitando?» mi chiese
«Chi sto evitando?» dissi cercando di calmare il mio respiro
«Nathan, sai il mio miglior amico, ti ricorda qualcosa?»
«No, non credo di averlo mai visto» dissi ironica
«Ok quindi non hai niente in contrario se te lo presento» disse tenendomi testa
«Veramente sono molto impegnata non credo di avere tempo per conoscerlo» dissi vaga notando il suo sorriso malefico
«A fare cosa?» mi chiese una voce alle mie spalle, sussultai di nuovo indietreggiando finendo addosso a Nathan che mi prese le spalle per darmi equilibrio
«Che cavolo! Mi fate morire così! » dissi arrabbiata tenendomi a distanza da entrambi «Devo andare a studiare sapete com’è tra interrogazioni, test» cominciai imbarazzata e presa alla sprovvista
«Tutto qui? Quindi mi rifiuti per un libro o due?» mi domandò Nathan indispettito
«Si… senza alcun dubbio» risposi senza guardarlo in faccia
«Ti ho mai detto che sei infantile perché è esattamente il tuo comportamento» mi disse lui scocciato
«Infantile?» domandai seccata
«Io direi piuttosto sfuggente» si intromise Blake
«Che ti ho fatto?» mi domandò poi innocente Nathan senti Blake ridere
«Niente» dissi seccata a parte stare sempre dalla parte sbagliata
 «Allora perché mi eviti?» insistette
«Perché è meglio per voi, salutami Beth» dissi arrabbiata
«Cosa c’entra lei ora?» mi chiese sentivo gli occhi di Blake addosso  
«Sei arrabbiata per quello stupido abbraccio? Non puoi immaginare cos» mi accusò Nathan ma lo interruppi
«Stupida cosa?» domandai io ancora più incredula e notai che contemporaneamente Blake aveva alzato gli occhi al cielo
Stupida cotta. Stupida cosa. Io non ero stupida lo erano i miei sentimenti per lui semmai. Perché le loro parole mi ferivano più delle umiliazioni
«Andiamo ragazzi calmatevi» intervenne Blake cercando di farci calmare, visto che stavamo quasi urlando
«Se c’è qualcosa di stupido in tutto questo sei tu!» gli puntai il dito contro
«Sei la prima che me lo fa notare chissà come mai»
«Magari perché sono … » cominciai ma mi morsi il labbro inferiore
Maledizione imprecai contro me stessa e la mia stupida rabbia
«Sei … » insistette Blake con un sorriso scaltro
«Blake tu non c’entri, lascia fare a me … » disse scocciato Nathan
«Certo e te la stai cavando da dio … » commentò sarcastico «Entrambi leoni» disse scherzoso guardandoci
Lo fulminai con lo sguardo e approfittai del momento di distrazione per andarmene a casa ma il mio braccio venne strattonato, mi girai e vidi Nathan che mi guardava serio.
«Non mi sembrava di aver finito, non sparire di nuovo» mi disse lasciando leggermente la presa
«Io non ho altro da dire, gli allenamenti non comincino fra poco?»  domandai speranzosa
«No c’è ancora tempo. Cosa stavi dicendo prima?» chiese cercando i miei occhi
«Non mi ricordo … » dissi sulla difensiva mordendomi il labbro
«Perché te la sei presa così l’altro giorno?» mi domando in un tono sorpreso
«Lascia stare» dissi esausta «Sembra quasi che voi facciate tutto per scherzo, c'è una minima differenza per te tra me e ...lei » dissi impacciata 
Lo sapevo stavo facendo di nuovo io la figura della stupida ma non ci potevo fare niente.
«Lo sai che volevo fossi tu ad abbracciarmi a fine partita» mi disse cercando un contatto con me
No non lo sapevo, il nostro rapporto era così strano. Non riuscivo a guardarlo negli occhi
«Stasera ti va di uscire con me, Blake e alcuni amici della squadra? Mi farò perdonare promesso» mi disse subito
«Non posso» risposi «Cioè ho un altro impegno» dissi accorgendomi del suo sguardo sospettoso
«Ti prometto che non ti lascerò da sola nemmeno un secondo» continuò
«Non è per questo, ho davvero un impegno» lo interruppi
«Cioè?» chiese curioso 
«Devo vedere la luna» riposi semplicemente
«La luna?! » mi chiese e scettico «la luna?!» ripeté perplesso
Annui senza guardarlo troppo a lungo
«Ok, ok … bene spero che tu e la tua amica luna vi divertiate» disse cambiando tono
«Sicuramente sarà più bello di vederti baciare Elisabeth» mi sfuggi mordendomi il labbro gli diedi le spalle e me ne andai verso casa prima di dovermi scavare una tomba e seppellirmici dentro per l’ imbarazzo

Erano le due del mattino e me ne stavo distesa tra gli scalini del campo di allenamento di basket, con un maglione per cuscino e una coperta, osservavo la luna piena.
Avevo rinunciato all’invito di Nathan per vedere l’eclissi lunare, non una semplice luna piena, ma non credo che per lui ci potesse essere una minima differenza.
Non c’era nemmeno tra me ed Elisabeth. Al solo pensiero gli occhi diventarono di nuovo lucidi.
Perché faceva così male?
Mi concentrai sul cielo e sulle forme che prendevano vita dalla vicinanza delle stelle, o semplicemente mi piaceva guardare ogni cosa venire illuminata dal chiarore così pallido della luna, un chiarore che ritenevo famigliare e rassicurante.
La luna era già stata oscurata parzialmente, quando fui distratta da un fascio di luce improvvisa.
Mi alzai per vedere chi fosse a quell’ora, ma fui investita in pieno viso dalla luce di una torcia.
«Allora sei qui» disse Nathan avvicinandosi mentre dalle sue labbra uscivano nuvole di vapore, abbassò la torcia
«Che ci fai tu qui?» domandai sorpresa e quasi del tutto accecata mettendomi seduta
«Sai qualcuno mi ha detto che questa sera c’era la luna piena così mi sono insospettito, insomma chi rinuncia ad un invito al divertimento per vedere una luna? Così mi sono chiesto o quella persona è un lupo mannaro oppure quella luna ha qualcosa che io non posso capire» disse mentre si chinava lento verso di me
«E alla fine hai scoperto il mistero?» domandai sorridendo
«Alla fine mi sono dato dello scemo per il lupo mannaro e ho chiesto in giro?» disse sedendosi per terra accanto a me
«Hai chiesto in giro?» domandai perplessa
«Al mio prof. di scienze e mi ha detto che questa notte ci sarebbe stata un’eclissi lunare. Così diciamo che dopo aver accontentato gli amici, sono venuto a tenere compagnia ad una persona cui piace particolarmente questo fenomeno» disse sorridendomi
Alzai le spalle e sistemai il maglione in modo da poterlo usare in due e gli diedi un po’ angolo della coperta e mi distesi di nuovo tornando ad osservare il cielo.
«L’idea del lupo mannaro l’hai pensata veramente?» dissi ad un tratto
«Me l’ha suggerita Blake» disse dopo essersi disteso accanto a me
«L’hai detto a lui… spero non ci sia rimasto male» dissi scoppiando a ridere
«E non sai quanto ho dovuto aspettare per la sua brillante deduzione, prima che smettesse di ridere è passata mezz’ora in cui avrei voluto strozzarvi!»
«Strozzarvi? Che c’entro io?» chiesi perplessa 
«Non sei stata tu a dirmi non vengo perché devo vedere la luna? Appena l’ho detto a Blake non la smetteva più di ridere, è umiliante essere messi in secondo piano da una luna non credi?» mi domandò, io risi di nuovo.
«Mi dispiace … » dissi non riuscendo a trattenermi dal ridere
«Certo vedo quanto sei dispiaciuta…» mi disse avvicinandomi a lui e prendendomi la mano «Perché ti piace così tanto?» mi domandò poi
«Non lo so, mi piace e basta mi ha sempre affascinata, e poi è bellissima quando diventa di color rubino» spiegai guardando la luna che cominciava ad uscire dal cono d’ombra.
«Evidentemente si vergogna perché si sente troppo osservata no?» commentò
«Tu dici? Non l’avevo mai vista in questo modo» risposi ridendo «Ma hai ragione… » cominciò dopo un po’ alzandosi con il busto
«Su cosa?» domandai rivolgendomi verso di lui
«La luna, è davvero bella durante l’eclissi…Ti somiglia, anche tu diventi rossa troppo facilmente, soprattutto se ti guardo» mi fece notare e lasciò la mia mano per accarezzarmi i capelli
«Io … io non divento rossa se mi guardi» balbettai
«Sei sicura perché credo tu sia arrossita» aggiunse provocatorio sfiorandomi la guancia
«E’ buio non può vederci» mi difesi
«Quindi è un si?» mi domandò
«Sono i tuoi occhi, è solo colpa loro mi fai uno strano effetto!» mi difesi 
«Davvero? Del tipo?» chiese sorridendomi
«Mi fanno dire cose che dovrei solo pensare ad esempio» dissi con voce seccata, non sopportavo di arrossire
Lo guardai per poi distogliere lo sguardo e guardare di nuovo il cielo. La luna stava assumendo una sfumatura rossa.
Presi tutto il coraggio che avevo e lo buttai fuori.
«Se io assomiglio alla luna rossa tu assomigli ad una meteora» dissi senza staccare lo sguardo dalla luna
«Perché proprio una meteora?» domandò
«Perchè tu hai cambiato la mia vita. Forse tu non te ne accorgi nemmeno ma lasci una scia di luce splendida quando ti avvicini alle persone, le illumini, gli dai calore, come una meteora..» dissi in tono malinconico continuando a guardare il cielo
«Però..?» domandò precedendomi
«La meteora è veloce e illumina da lontano non può avvicinarsi, è solo di passaggio. Se ti avvicini troppo rischi di bruciare ciò che non sopporta troppo la luce o il calore ci hai mai pensato?» gli chiesi
«Stai dicendo che ti faccio del male?» chiese non capendo
«La meteora resta incandescente solo se rimane nella sua traiettoria ben disegnata, trova forza maggiore. Una volta che perde la sua rotta è perduta, la sua luce scompare diventa una pietra comune, la sua luce pian piano si affievolisce e tu sei, non ho mai conosciuto nessuno come te. Rovineresti la tua luce standomi ancora accanto» dissi malinconica
«E se la meteora fosse stanca di illuminare tutto per pochi istanti  per poi disintegrarsi nel nulla e volesse donare tutto il calore che gli rimane ad una persona come te fregandosene se la gente non lo vedrà più in alto ma starà accanto a ciò a cui tiene di più?» disse facendomi appoggiare la testa vicino alla sua spalla
«Penso che quella meteora deve allontanarsi il prima possibile, prima che la sua energia imploda, prima che qualcuno come me possa rovinarla» dissi mesta guardando il cielo, cercando di trattenere le lacrime
Nathan appoggiò la sua mano sinistra sul mio collo per farmi voltare verso di lui e contemporaneamente si mise sopra di me intrappolandomi.
Mi costrinse ad appoggiare la mano destra sul suo torace per evitare di farlo avvicinare oltre, un’opposizione resa tuttavia estremamente debole dal tremore del braccio piegato, l’espressione seria e penetrante del suo viso mi fece di nuovo arrossire. 
«Ripeti quella frase se ne hai il coraggio, ma questa volta abbi il coraggio di dirmela guardandomi negli occhi, perché per me contano solo loro» mi provocò con voce seria
Cercai di distogliere lo sguardo perché non riuscivo a sostenerlo.
Più tentavo di dare un senso a questo suo gesto più sentivo la mano cedere dalla tensione. 
«Dovresti… allontanarti da me» sussurrai infine deglutendo fortemente
«Non voglio» rispose impassibile
Non riuscivo a sopportarlo. Sembrava voler davvero leggere la mia anima attraverso i miei occhi, mi sentivo maledettamente vulnerabile, speravo solamente che il rumore del battito cardiaco passasse inosservato.
«Non ho ancora finito di contare quante schegge hai conficcato nel mio cuore per poi scappare. Starti così vicino è una sensazione tanto stupenda quanto unica e non vedo nessun motivo per cui rinunciarci, per cui abbandona la tua diffidenza una volta per tutte» disse limitandosi a sorridere lieve, probabilmente per la mia espressione impacciata ed esitante.
«Vorrei tanto essere la tua meteora dolce scheggia» disse avvicinandosi al mio viso fino a poter sentire i nostri rispettivi respiri «Permettimi di entrare in quel meraviglioso mondo che celi dietro ai tuoi occhi cosi stupendi» e dopo avermi spiazzato con le sue parole poggiò le sue morbide labbra all’angolo delle mie senza aver per nulla voglia di staccare quel contatto leggero, chiusi involontariamente gli occhi e la mia mano sinistra gli sfiorò il fianco.
Avrei tanto voluto far prevalere il mio egoismo ed essere sicura.
«Haley parlami di qualcosa» disse con voce bassa senza allontanarsi più di tanto giusto per riuscirmi a studiare, quando riaprì gli occhi e lo vidi guardarmi con i suoi splendidi occhi magnetici era come se il mio cuore avesse perso un battito.
Mentre respiravo a fatica lui continuava ad accarezzarmi il viso fino ad arrivare alle labbra senza staccarmi gli occhi di dosso, se solo avesse distolto lo sguardo io sarei stata persa.
Con il pollice accarezzava il lato inferiore delle labbra disegnandone il contorno fino a premere delicatamente il pollice al centro in modo da dischiudere le labbra.
Aspettava un mio ripensamento.
Guardai le sue labbra così vicine e provai il desiderio che fossero mie.
Istintivamente mi sporsi verso di lui per colmare la distanza per sentire il suo sapore ma appena notai lo stupore nei suoi occhi, in un attimo mi ritirai per paura di aver fatto qualcosa di sbagliato
«Scusa…era sbagliato» dissi con un filo di voce cercando conferma nei i suoi bellissimi occhi
Posò le sue mani ai lati del mio viso e mi strinse piano le guance avvicinando la sua bocca alla mia e poi le sue labbra si posano delicatamente sulle mie, chiusi gli occhi mentre sentivo il mio cuore esplodere.
Le sue labbra erano morbide e dolci, era perfetto. I suoi pollici mi accarezzavano le guance con movimenti delicati.
Senti il suo naso sfiorare il mio mentre con una mano scese sul mio collo.
E in quel momento insieme al mio cuore, esplosero anche la paura ed il terrore di non venire accettata per quello che provavo. E lo senti staccarsi da me e chiedermi perché stavo piangendo, ma quello che provavo dentro era qualcosa che non sapevo come gestire. Scossi la testa
«Ho paura, non sai cosa significhi tenere tanto a qualcosa e temo ogni secondo che tu te ne vada»
Lui mi regalò uno di quei sorrisi che ti scaldano il cuore e ti fanno desiderare di vivere solo per rivederlo ancora
«Quella che scappa e si nasconde sei sempre stata tu tra i due» mi fece notare lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso e poi le sue labbra tornano sulle mie
Lo senti staccarsi leggermente dalle mie labbra, aprimmo gli occhi entrambi nello stesso momento e sue mani mi preso il viso
«Mi avresti presa in giro, tu e Blake, avevo paura che mi avresti ignorato e lasciata sola» cercai di dire
«Tu non immagini nemmeno» mi sussurrò a fior di labbra
Mi prese la mano sinistra e me la poggiò sul suo petto in corrispondenza del suo cuore lo sentivo battere velocemente
«Sei questo per me Haley, è tuo»
Mentre ritornava a colmare la distanza tra noi premendo il suo corpo contro il mio, molto più robusto
Chiusi gli occhi e mi lasciai accarezzare dai suoi baci.
La lingua di Nathan scivolò lenta all’interno della mia bocca mentre qualcosa scoppiò dentro il mio petto, una sensazione di calore si espanse fino al mio ventre.
Non andava bene, non andava bene affatto mi stavo letteralmente sciogliendo tra le sue braccia e non avrei mai voluto separarmi da esse.
Quando lasciò lentamente la presa sulle mie labbra mi accorsi che mi era mancata l’aria, ad un certo punto avevo smesso di respirare
«Vieni ti accompagno a casa» disse alzandosi e porgendomi la sua mano
Presi la sua mano e mi aiutò ad alzarmi, ma invece di limitarsi a quello, mi intrappolò di nuovo tra le sue braccia stringendomi forte
«Promettimi che non scapperai mai più da me Haley…» mi sussurrò all’orecchio, riuscì solo ad annuire prima che posasse le sue labbra sulle mie


 

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Capitolo 21
*** Somewhere I Belong ***


 Haley 

 

21 – Somewhere i belong
 

I wanna heal, I wanna feel like I'm close to something real
I wanna find something I've wanted all along
Somewhere I belong
 
Io voglio guarire, voglio provare sensazioni, sentirmi vicino a qualcosa di vero
Voglio trovare quello che ho voluto per tutto questo tempo
Un posto a cui appartenere
 
(Linkin Park- Somewhere I Belong)
 


Il giorno successivo avrei voluto andare in classe cercando di evitare le persone come la mia olita routine ma questo mi fu letteralmente impossibile.
Si avvicinò come ogni giorno, ma più veniva verso di me più mi rendevo conto del sogno.
Se non fosse stato per quel giorno non lo avrei mai incontrato, sarei ancora lì d aspettare invano un po’ di aiuto, un aiuto che lui mi ha dato anche se non so come abbia fatto, ad entrare nella mia vita così velocemente e a lasciare un segno così indelebile.
Forse non capirò mai cos’è stato a spingerlo a venire proprio da me una ragazza invisibile, anonima per nulla divertente, con nemmeno un briciolo di speranza. In tutto questo tempo io non ho fatto altro che donargli il mio dolore e lui lo ha accettato e lo ha trasformato nel suo sorriso.
Lo vidi in compagnia di Blake ed iniziarono a salutarmi da distante e urlare il mio nome, Nathan sapeva benissimo quanto questo mi mettesse a disagio, abbassai la testa consapevole dei molti occhi puntati su di me, avrei voluto scappare da quella situazione imbarazzante.
Sentì delle voci fare dei commenti sprezzanti su di me ma prima che queste potessero raggiungere il mio cuore lo raggiunse la sua risata, che lo alleggerì.
Il suo semplice gesto cancellò tutto il resto.
«Buongiorno scheggia» sussurrò appoggiando leggero la sua mano sopra la mia testa, sentii la sua risata mentre mi scompigliava la frangia e l’imbarazzo crescere ancor di più fino a poterlo scorgere anche sulle guance.
«Bravi i miei cuccioli di leone, avete trovato il coraggio entrambi» disse Blake facendomi l’occhiolino
«Lascialo perdere, vieni ti accompagno in classe» disse semplicemente cercando di evitare altre frecciatine di Blake, imbarazzata quanto lui annui.
Mi aveva preso di nuovo alla sprovvista, gli avevo promesso di essere il più normale possibile ma credo che lui stesse pretendendo un po’ troppo da me, non mi restava che seguirlo.
Per la prima volta mi incamminai tra la folla con lui, mi resi subito conto del disastro che combinai.
«Nathan è proprio caduto in basso se il suo nuovo giocattolo è quella schizofrenica, non vedo l’ora che la smetta di seguirlo come un cane» questo è ciò che le voci dicevano mentre passavo in mezzo a quella folla che amava lui ed odiava me.
Nathan si avvicinò, sentì la sua mano destra stringere la mia e avvicinarmi a lui, tenni lo sguardo basso consapevole della mia situazione.
«Patetiche arpie, hanno solo paura delle novità» lo vidi sorridere lieve 
«Se è per questo ce l’ho anch’io» commentai sottovoce
Restai con lui finché non suonò la campanella delle lezioni, e nel salutarmi mi diede un leggero bacio sulla fronte
«Mi trattengo solo perché tu non mi rivolgeresti più la parola se ti baciassi di fronte a tutti…» mi sussurrò all’orecchio «Ma ti do solo un giorno per abituarti» mi prese in giro poi
Io arrossi e annui e cercai di seguire le lezioni anche se non ci riuscivo molto. Non facevo altro che pensare a lui.
E come se lui avesse avuto i miei stessi pensieri si presentò nella mia classe durante la pausa pranzo
«Sapevo che ti avrei trovata qui» mi sorrise avvicinandosi
«Quale altro posto conosci per evitare la gente?» gli chiesi alzando le spalle
«Stare in mezzo alla gente, più ti confondi, più non ti si nota, così ti esponi…» mi fece notare «Ma visto che non c’è nessuno posso fare questo» continuò sorridendo prendendomi la mano e avvicinandomi al suo viso
Mi accarezzò la guancia e si chinò su di me per colmare la distanza delle nostre labbra
«Vedi di non allargare troppo le ali se non vuoi che il pulcino precipiti» ghignò una voce alle spalle di Nathan
Nathan si girò bruscamente infastidito per essere stato interrotto
«Tu… stai lontano da Haley quante volte te lo devo ripetere» disse Nathan minaccioso nei confronti di Shade che in risposta si mise a ridere
Nathan lo addossò al muro minacciandolo
«Prova a ridere ora…» disse Nate in tono di sfida
«Vedo che i vecchi modi li usi ancora» lo provocò incurante di essere messo alle strette da Nathan
«Il mio era solo un suggerimento comunque» replicò Shade alzando le spalle «Tienila stretta perché temo ci sarà un po’ di vento» continuò calmo «Ora lasciami questa è la mia classe. Sei tu a dovertene andare» concluse ascoltando il suonò della campanella
Afferrai il braccio di Nathan e feci allentare la presa su Shade
«Non parlare con lui e non ascoltare quello che dice, ogni sua parola è veleno» mi sussurrò Nathan all’orecchio prima di darmi un live bacio sulla guancia
Vidi Shade guardare Nathan lasciare la classe e poi osservare sorridendo me, ricambiai il suo sguardo con disprezzo.
 
 
Al termine delle lezioni qualche giorno dopo raggiusi Nathan e Blake vicino alla palestra degli allenamenti, ma evidentemente ero in anticipo perché non c’era traccia di loro.
Mi sedetti sulla panchina ad aspettarli cercando qualche libro nello zaino
«Sola come un cane, la tua natura riemerge alla fine» senti la voce di Elisabeth alzai gli occhi e me la ritrovai davanti che mi squadrava dall’alto con le bracca poste lungo i fianchi
Mi guardai attorno e notai che ero totalmente circondata da persone
«Raccogli e indossalo» mi ordinò Elisabeth buttando a terra un collare e facendomi notare il guinzaglio tra le sue mani, trattenni il respiro cercando di controllare il mio corpo
«Oh loro non verranno, li ho un attimino impegnati» continuò notando che io cercavo di scorgere Nathan o Blake tra la gente
Non avevo problemi a difendermi corpo a corpo, era lo scontro verbale che io non riuscivo proprio a tenere testa
«Lasciami in pace Elisabeth» cercai di temporeggiare
Sentivo il cuore che cominciava a martellare nel petto e il respiro farsi più corto.
Lo sguardo di Elisabeth si incupì un attimo prima che la mia mano destra fosse tenuta salda dalla mano di Nathan che cercava di riprendere fiato
«Elisabeth ora basta si ragionevole. Vai a casa e facciamo finta che questo non sia mai successo» propose Nathan guardandomi e cercando il mio appoggio con lo sguardo, io annui e lo lasciai parlare
«Ti piace perché la tratti come la tua schiavetta personale?» domando acida Elisabeth «Così ho pensato di regalarvi un collare, la puoi portare a spasso un po’ più spesso, anche se credo che poi ti dovresti portare anche una museruola, ha il vizio di mordere e nessuno di noi vuole essere contagiato dalla rabbia» continuò con parole velenose, lasciando una scia di risate dopo le sue parole
Mi sentivo a disagio, una sensazione di inadeguatezza si insinuò dentro il mio corpo e aggredì lo stomaco, non sapevo come reagire. Volevo solo andarmene perché sentivo le lacrime premere per uscire, Nathan mi strinse a se
«Stai facendo del male solo ad Haley in questo modo, se porti così tanto rancore nei miei confronti non riversarlo su di lei» disse pacato Nathan tenendo bassi i toni
Cercava di farla ragionare ma non ci riusciva lo sentivo agitato, la sua mano era sudata
«Quanto siete patetici!» intervenne Shade fischiando
Lo sguardo di Nathan andò dritto sull’interessato e lo senti imprecare a denti stretti contro Shade
«Tempo scaduto! Facciamola finita perché siete di una noia mortale, mi fate venire il latte alle ginocchia» Sorrise beffardo
Lo vidi guardare Elisabeth e poi me, si fermò su di me e si avvicinò a distanza di sicurezza da Nathan che mi mise dietro di lui
«Tu non meriti nulla» disse puntandomi il dito contro «Ti ho dato mille possibilità di annientarla, di usare le sue stesse armi conto di lei eppure preferisci veramente subire tutto questo? Che razza di persona sei?» mi chiese
«Lei non è come te o lei, quindi non rivolgerle nemmeno più una parola o giuro che te ne pentirai»
«E’ una causa persa come te Wayne?» lo provocò Shade sorridendo
Nathan strinse i pugni al suo fianco mentre Blake gli teneva la spalla per calmarlo
«E tu che mi dici miss perdente? Ti piace farti salvare dal fesso di turno, non riesci proprio a cavartela da sola?» mi puntò di nuovo
«Io mi so difendere da sola» ritrovai finalmente la voce che mi uscì un po’ rauca spostando Nate «Te l’ho dimostrato molte volte» gli feci notare  
Shade si avvicinò a me con un maledetto ghigno provocatore
«Non quando sei sola contro due od erano tre?» mi chiese  sottovoce sprezzante lo guardai allibita e frastornata
Come faceva a saperlo? In quanti lo sapevano? E se lo avessero sempre saputo ma non mi fosse mai arrivata quella voce perché da quel giorno ero sempre rimasta solo con gli amici di Nathan
Feci un passo indietro terrorizzata all’idea che tutti si mettessero a ridere ma a quanto pare quella frase era solamente rivolta a me, voleva la mia reazione
Shade mi guardò sorridendo e chinò per un secondo la testa per poi rivolgersi verso Elisabeth
«Purtroppo mia cara, io non sono codardo come Haley» disse «Poteva essere tuo questo momento, guarda e impara» mi disse
«Elisabeth Cooper ti conviene utilizzare tutta la tua più fervida immaginazione oppure usare i soldi di tuo padre per andartene da questa scuola perché ho appena consegnato al nostro caro preside un video molto spinto di una giovane studentessa che si apparta con il proprio insegnate di chimica. E che poi non contenta si diverte a passare il suo tempo libero a tormentare altre ragazze della scuola, con minacce e giochetti sporchi. È tutto in una chiavetta usb che ho consegnato personalmente. Quale delle tue assurde storie sceglierai?» concluse guardando l’espressione deformata di Elisabeth
Io ero rimasta a bocca aperta stavo ancora cercando di capire perché Shade si fosse preso la briga di prendere le nostre difese
Oppure non era così? non riuscivo a capire quel ragazzo
«Tu non… puoi» cercò di dire Elisabeth «Io sono..»
«Finita» scandì bene la parola Shade
«Hai rovinato la mia vita» cercò di dire Elisabeth crollando a terra tra i singhiozzi
«Benvenuta nel club…» sussurrai io guardando Shade e sapendo che non aveva ancora finito
Vidi Elisabeth correre via ricoperta da risate, le stesse che sarebbero state riservate a me
«Haley….» mi sussurrò Nathan all’orecchio
«Va da lei …» dissi a denti stretti cercando di non pensare che stava per andare a consolare una persona che mi voleva distruggere la vita
«Grazie…» mi disse sfiorando i miei capelli con un bacio
Lo vidi allontanarsi seguito da Blake, mentre Shade ancora mi guardava, ma se ne stava zitto.
Aspettò che non ci fosse più nessuno e si avvicinò a me
«Avresti potuto essere tu….» mi disse con voce sottile
«La carnefice o la vittima?» chiesi scuotendo la testa
«Non ho ancora capito quale delle due ti piace più essere» mi disse ghignando «Tranquilla non lo dirò a nessuno» mi fece l’occhiolino
«Perché lo hai fatto? Non è da te, tu adori vedermi umiliata. Cosa vuoi da me?» gli chiesi un po’ perplessa scatenando una sua fragorosa risata
«Non mi piace condividere i miei giochi per molto tempo mettiamola così» disse incrociando le braccia dietro la schiena estraendo qualcosa dalla tasca dei jeans
«Sai…» cominciò avvicinandosi «Vedere te e quello stupido di Nate insieme, mi fai quasi pena. Non sai quando ma lo sai benissimo dentro di te. Lui sceglierà sempre quello che appartiene al suo di mondo, ora da chi è corso?» mi disse maligno  «Ricordati le mie parole quando verrai lasciata indietro da sola, ricordati che lo sei sempre stata. Non ho messo il tuo video ne le tue foto con le altre in caso volessi qualche ricordo, oppure le puoi consegnare al preside ed aggiungerle alla collezione di Elisabeth…. » concluse porgendomi una chiavetta usb «Tu…quando?» lo guardai non capendo
Come era possibile? Mi sentivo tremendamente strana
«Ci vediamo in classe Parkinson…»
Stavo per fermarlo e chiedere che stava a significare tutto ciò ma poi mi chiesi se veramente volevo capire il suo comportamento.
Tornai a casa il più velocemente possibile, mandando un messaggio a Nathan dicendoli che avevo preferito tornare a casa e che ci saremmo visti il giorno dopo al campetto, essendo sabato.
Mi misi al computer indecisa se inserire la chiavetta usb.
Aprire i file sarebbe stato come aprire il mio vaso di Pandora personale.
Nathan mi rispose quasi subito chiedendomi se andasse tutto bene, risposi al messaggio affermativamente continuando a rigirarmi tra le mani la chiavetta di Shade.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Avalanche ***


Haley
 


22 -  Avalanche
 

Cut me open and tell me what's inside
Diagnose me 'cause I can't keep wondering why
And no, it's not a phase 'cause it happens all the time
Start over, check again, now tell me what you find
It's like an avalanche, I feel myself go under
'Cause the weight of it's like hands around my neck
 
 

Tagliami in profondità e dimmi cosa c'è dentro me
Formula una diagnosi perchè non posso continuare a chiedermi il perchè
e no, non è una fase perchè accade tutto il tempo
Ricomincia, rincontrolla, ora dimmi cosa hai trovato
È come una valanga, sento che vado sotto
Perché il suo peso è come mani intorno al mio collo

(Bring Me The Horizon - Avalanche )

 
 

 
 
Shade era entrato come un tarlo nella mia testa.
Continuavo a chiedermi se stessi facendo la cosa giusta, se quello che provavo stando accanto a Nathan lo provasse anche Elisabeth o fosse più forte il suo, di sentimento.
Eppure Shade aveva detto che Beth era stata con un professore della scuola, allora se ci teneva veramente a Nathan perché avrebbe fatto questo? Perché mi avrebbe torturato per tutti questi mesi se poi una persona valeva l’altra.
Oppure c’era qualcosa che mi sfuggiva?
E se Nathan fosse ancora innamorato di Elisabeth e per questo fosse andato da lei.
Mi guardai allo specchio della mia camera e sospirai.
Se non fossi stata abbastanza per lui?
Sentivo un senso di smarrimento crescere dentro di me e manifestarsi sotto forma di lacrime
Nel pomeriggio del giorno successivo andai al campetto di basket un po’ prima rispetto al messaggio che Nathan e Blake mi avevano inviato, ne approfittai per fare un paio di tiri liberi, ma così facendo finì per non accorgermi del loro arrivo finché Blake non mi si parò davanti togliendomi la palla e scartandomi andò a canestro al posto mio
«Esibizionista» gli sorrisi
Nathan mi abbracciò da dietro
«Mia…» mi sussurrò all’orecchio
Io alzai le spalle facendo finta che quel gesto non mi avesse agitato e cercai di sorridere
Aspettammo l’arrivo di Lucas, Jeremy e cominciarono a giocare finché il sole non si decise a tramontare.
Io ne approfittai per cercare di distrarre un po’ la mia mente da strani ma non ci riuscivo.
«Ti va di venire a casa mia?» chiese Nathan quando la partita giunse al termine «Mia madre dice che è da tanto che non ti vede e si lamenta» disse tranquillamente.
«Ok se non disturbo» risposi io arrossendo
«Come potresti disturbare tu?» rise per poi scompigliarmi i capelli
Quando Nathan aprì la porta di casa la luce era ancora spenta
«Strano»
Mi lasciò la mano e andò a controllare la camera di sua madre, intanto io chiusi la porta e mi fermai lì in attesa del suo ritorno.
Dopo pochi secondi ritornò e la sua faccia era preoccupata.
«Che succede?» chiesi preoccupata a mia volta
«Non lo so dovrebbe essere già a casa, di solito» si diresse in cucina e io lo segui.
Prese il cellulare e lo senti chiamare probabilmente sua madre dato il tono della conversazione 
«Ehi, allora?» disse preoccupato
«Ti lamenti di me ma tu sei uguale» attese una risposta poi parlò ancora
«Lo so che non è colpa tua. Lo so mamma, non ti preoccupare, solo avvisa la prossima volta»
Il suo viso si rasserenò e la sua voce tornò normale
«Si, è una settimana che me lo dicevi e solo ora ti viene in mente di dirmi che lavoravi fino a tardi, sei incorreggibile» disse scuotendo la testa io lo guardavo un po’ perplessa
«E’ qui te la passo» e mi fece segno di avvicinarmi, mi diede il telefono e immediatamente senti la voce calda e affettuosa che mi ricordava l’affetto di una madre
«Ciao» mi disse felice «Mi dispiace che tu sia venuta ma questa sera lavoro fino alle dieci … »
«Non preoccuparti Nicole davvero» cercai di tranquillizzarla.
«Perché non resti a dormire, così appena torno vi porto qualcosa di buono» aveva un tono così contento
«Non vorrei creare fastidio, immagino che poi sarai stanca non voglio creare problemi» a quella frase Nathan che stava ascoltando la conversazione vicino a me cominciò a ridere.
«Dì a mio figlio di smetterla» comunicai la risposta e lui rise ancora di più poi sua madre mi disse
«Ci vediamo dopo allora, le tue cose sono nella mia stanza nel terzo cassetto» mi disse gentilmente, la ringraziai
«Passami mio figlio per favore devo dirgli una cosa» continuò poi ma il suo tono si fece un po’ minaccioso
«Va bene a dopo Nicole, grazie» e la passai a lui che mi disse tappando il microfono del telefono 
«Ramanzina?» disse a voce bassa e io annui con la testa «Lo sapevo» disse sconsolato, io sorrisi.
«Mamma alla cena ci penso io ci vediamo più tardi, ciao» e chiuse la telefonata senza aspettare nemmeno la risposta e mi sorrise vittorioso.
Nathan non mi volle fare cucinare e alla fine ordinammo due pizze, mentre le aspettavamo andammo a farci la doccia, presi le mie cose nella camera di Nicole e avvisai mio padre che mi sarei trattenuta da loro stanotte.
Ci mettemmo comodi sul divano a vedere un film che lui considerava un vera lacuna da colmare da parte mia
Mi avvolse tra le sue braccia mentre scorrevano i brevi titoli di testa di Ghostbuster per coccolarmi
«Ehi, non volevi vedere il film tu?» gli chiesi notando che non mi lasciava seguire il film
«Tu lo devi vedere ma io ti posso baciare, lo so a memoria» mi sorrise e io diventai rossa
Non riuscivo a concentrarmi molto con Nathan che si divertiva a punzecchiarmi, mentre io cercavo di tenere a freno il mio corpo che ogni tanto era scomodo e nello stesso tempo cercavo di concentrarmi sul film perché pensare di essere accanto a lui da sola mi metteva un po’ d’ansia.
Era la prima volta che mi trovavo da sola con lui in questa circostanza o con qualunque essere umano maschile. Non sapevo che fare
«Sai da piccoli io e Blake ci travestimmo da ghostbuster per Halloween» mi disse baciandomi sulla guancia
«Sarete stati adorabili» dissi io trattenendo una risata vedendo le tute grigie che indossavano ed immaginai addosso a loro
«Si lo eravamo molto» mi disse in tono quasi offeso mentre iniziava a farmi il solletico
«No, Nathan no» gli dissi per fermarlo mentre cercavo di non ridere
Mi ritrovai sdraiata sul divano mentre cercavo di resistere agli attacchi di Nathan
«Mi arrendo» cercai di ottenere una tregua ero senza fiato, lui si fermò e si chinò su di me per baciarmi ma non lo fece, aprì gli occhi e i suoi occhi mi incatenarono ai suoi
 «Sai una cosa?» disse con una voce roca e per quanto la mia mente continuasse a negare anche un po’ sensuale.
«Cosa?» domandai curiosa
«Sei bellissima» sussurrò lieve sfiorandomi il naso, io arrossi inevitabilmente
Le nostre labbra si incontrarono e dimenticai il film o qualunque altra cosa, era la sua magia, mi faceva sentire sicura e forte.
Le mie mani percorsero la sua schiena, lo senti approfondire il bacio e diventò più intenso e quando la sua mano tocco il mio ventre sotto la maglietta persi il controllo del mio corpo
“Striscia sotto di me verme” quella maledetta voce tornò e una scossa elettrica mi immobilizzò, i brividi percorsero il mio corpo e un senso di nausea mi costrinse a proteggermi dall’esterno.
«Haley!» sentivo lo voce di Nathan distante chilometri eppure era accanto a me «Resta con me»
Mi senti avvolgere dalle sue braccia e la sua voce piano piano si avvicinava
Gli strinsi debolmente la mano che mi aveva preso e poi mi appoggiai a lui stanca
«L’ho sentito di nuovo, Ross, credevo se ne fosse andato» sussurrai cercando di non piangere «E’ come se fosse sempre qui” gli dissi indicando la testa spaventata
«Dimmi cosa posso fare per farti stare meglio» mi disse dolcemente baciandomi sulla fronte
«Fallo andare via» lo pregai cercando rifugio nel suo calore
Nathan prese una coperta e mi avvolse cercando di calmarmi
Ero terrorizzata, no non volevo che questo incubo diventasse la mia vita ogni volta.

«Tesoro come stai?» mi svegliò la voce di Nicole
Mi ero addormentata tra le braccia di Nathan dopo l’attacco di panico e mi aveva tenuta stretta finora, lo guardai sorridermi dolce mentre mi accarezzava la spalla
«Meglio ora, scusate» dissi impacciata
Nicole tentò di abbracciarmi ma Nathan la bloccò
«Staremmo meglio con un buon dolce che ho visto di la in cucina» disse stringendomi a se «Ora veniamo di la»
Nicole mi sorrise e ci aspettò in cucina
«Scusa avevo paura di un altro attacco se ti avesse abbracciato mia madre» mi spiegò dolcemente mentre piccoli baci sfioravano la mia pelle «Sicura di sentirti bene ora?» mi chiese serio
«Mai stata meglio» confermai pendendo la sua mano mentre mi aiutava ad alzarmi
Mi prese la mano e mi aiutò ad alzarmi
«Come procede il lavoro Nicole?» domandai ancora impacciata mentre entravo in cucina per salutarla  
«Procede un po’ lento ma sto cercando di farlo accelerare» e sorrise sciogliendo l’abbraccio «Ma parlami di te e dimmi pure se questo testone si comporta male con te che lo metto in riga subito» mi disse riferendosi a Nathan
«Sono qui e vi sento» rispose fingendosi offeso
«Lo so bene per questo lo dico» disse Nicole
Mi sedetti al solito posto di fronte a sua madre e mentre mangiavo un pezzo di torta, chiacchierai un po’ con sua madre della scuola e di suo figlio.
Nathan era taciturno, di solito mi punzecchiava con delle frasi che poi mi facevano arrossire e ridere oppure cambiava argomento soprattutto quando si parlava di lui.
Invece si limitò a guardarmi e poi alzarsi mettendo il piatto nel lavandino, risposi un po’ distratta alle altre domande non facevo altro che pensare al suo sguardo serio, inespressivo guardandomi.
A mezzanotte sua madre mi salutò e andò a dormire mentre io restai in salotto e mi sedetti sulla poltrona lontana dal suo sguardo ora di ghiaccio.
«Se hai sonno puoi andare a dormire in camera mia, io non ho sonno» disse dopo un po’ con lo stesso tono distaccato, più che un invito era un ordine e me ne andai in camera sua lasciando la porta chiusa a metà.
Mi appoggiai allo schienale del letto e incrociai le braccia attorno alle ginocchia.
Attesi, ma niente, nessuna lacrima scese.
Restai ugualmente così rannicchiata. Cos’era successo prima?
Mandai un messaggio a Nathan:

Non dormo senza la buonanotte 

Buonanotte

Mi scrisse venti secondi dopo
Perché si stava comportando così ora, lo avevo spaventato?
Mi alzai e andai in soggiorno e lo vidi seduto dove lo avevo lasciato con la testa appoggiata allo schienale e gli occhi chiusi
Andai dietro di lui e lo abbracciai da quella posizione
«Vieni a dormire» gli sussurrai
Lo senti aprire gli occhi
«Sono stato io a fare qualcosa che ti faceva lui, in cosa ti ricordo lui?» mi chiese di getto
Restai impietrita con la bocca aperta
«No, in nessun modo, è successo. Ti ho sempre avvertito che sarebbe potuto succedere si mi fossi aperta con te, ti ho avvisato in mille modi. Sono io il problema non tu Nathan» gli dissi con voce tremante
«Non voglio costringerti a convivere con ciò che sono se ti spaventa lo capsico» continuai camminando facendo il giro del divano per ritrovarmelo davanti
«Mi spaventa il fatto che la molla che ti fa scattare le tue reazioni siano dovute il più delle volte al mio istinto, mi sono chiesto tutto il tempo se sono come Ross e in cosa. Mi spaventa l’idea di perderti» disse chiudendo gli occhi e abbassando la testa
Sali sopra di lui, gli avvolsi la testa tra le mie braccia e lo strinsi a me
«Anche io sono spaventata all’idea di perderti, per questo mi devi parlare di tutto e io farò lo stesso» dissi non so con quale coraggio
«Quindi ti prego dimmi se tieni ancora ad Elisabeth sii sincero. Con lei era più facile lo so» dissi cercando di sembrare molto più sicura di quanto non lo fossi realmente
Ma volevo che il nostro rapporto fosse sincero. Sempre.
«No scheggia, se sono andato da lei è perché è stata colpa mia. L’ho sempre usata e anche quando avevo capito quello che le stavo facendo, continuai a farlo, perché non volevo stare solo certe volte. Ecco perché ha preso di mira te. Perché io ti ho sempre cercato, anche quando eri solo un sogno, ti cercavo già in mezzo alla gente. E le ho fatto del male. Mi sento in colpa di quello che ti ha fatto passare perché non potendo prendersela con me, ha riversato la sua rabbia su di te» mi disse stringendomi a se
Le sue parole mi fecero sentire strana, bene ma in qualche modo provavo un po’ di tristezza per Beth, sapevo come ci si sentiva a venire usati da una persona.
Eppure il ragazzo che stavo tenendo tra le mie braccia ora non aveva niente di cupo.
Mi staccai da lui e incontrai i suoi zaffiri stupendi da togliere il fiato.
«Andiamo a letto ora» gli sussurrai baciandogli la guancia
Lui annui e mi prese in braccio per portarmi in camera, ci stendemmo nel letto abbracciati guardandoci negli occhi
«Più passano i giorni e più mi sento innamorato di te e mi spaventa il fatto che non so come reagirai ora» mi disse facendo scontare i nostri nasi «Per cui non dire nulla ti prego era solo una cosa che ti volevo dire io»
Lo baciai cercando di trasmettere tutto quello che provavo per lui, tutto il calore che mi aveva dato in questi mesi, era ciò che avevo sempre sognato. Piano piano lui stava portando alla luce quella ragazza solare che io credevo scomparsa.
«Nathan ..» gli dissi riprendendo fiato
«Shhh ..» mi zitti appoggiando due dita sulle labbra «Non ci pensare ora»
Mi opposi alla sua resistenza e mi misi sopra di lui
«Scheggia cosa diavolo…» mi disse ma spinsi giù il suo busto
«Fermo un secondo» gli dissi stavo cercando di calmare me stessa per mostrargli quanto ci tenessi e lui non collaborava.
Respirai profondamente, presi la sua mano destra e maldestramente me la portai verso il ventre.
Mi morsi il labbro inferiore cercando di controllare il respiro che si agitava sotto i suoi occhi
«Haley» mi disse con una voce strana
Non lo ascoltai e alzai la mia maglietta, nel momento in cui le sue dita si scontarono con la mia pelle mi si mozzò il fiato, lui era immobile la sua mano sul mio ventre mentre cercavo di regolarizzare il mio respiro
Guidai piano la sua mano ferma contro la mia tremante sopra il mio seno all’altezza del cuore e mi concentrai cercando di ignorare la strana sensazione della sua pelle contro la mia, la posizione in cui ero e il tremore che mi voleva paralizzare.
Lo guardai attraverso l’oscurità per trovare i suoi occhi che erano la mia luce infondo all’oscurità
«Sei questo per me Nathan» riuscii a dire «Senti. Oltre i miei limiti, più in là la mia paura, c’è tutto quello che provo per te» sussurrai
La sua mano si appoggiò al mio petto senza il mio aiuto e un’ondata di calore mi avvolse.
Appoggiai al suo petto entrambe le mani, mentre le sue dita scendevano con lentezza accarezzandomi la pelle con delicatezza, come una danza.
Ogni volta che sfiorava un punto il mio respiro si spezzava e tremava in attesa di un’altra carezza.
Si alzò con il busto e mi prese le labbra, sentivo una sensazione diversa mentre lo baciavo.
Volevo sentirmi un po’ più parte di lui, volevo sentirlo parte di me.
Desideravo che la sua mano non si staccasse da me ma così non fu e si staccò da me con un respiro pesante, mi fece tornare accanto a lui per stringermi a se
«Sei stupenda» mi sussurrò prima di colmare il senso di vuoto che si era creato tra noi con un altro bacio,
Mi addormentai cercando di sincronizzare i nostri respiri.
 
Passarono tre settimane in tranquillità, Elisabeth dopo aver provato a venire a scuola per un paio di giorni non si era più vista, Blake mi disse che aveva chiesto e ottenuto un trasferimento. L’insegnate venne allontanato dalla scuola, ed il preside indette una serie di riunioni di istituto per parlare di bullismo.
Shade si limitava a punzecchiarmi con le solite battute, ma riuscivo a non dargli peso, anzi sembrava che ciò lo infastidisse ancor di più, visto che cominciai a sorridergli e passargli qualche risposta per alcuni test.
Non mi importava di nulla se non di vedere Nathan, lui mi faceva giorno dopo giorno acquistare fiducia in me e nella mia persona.
Mano a mano che i giorni passavano guardandomi allo specchio potevo reggere il mio stesso sguardo, ero diventata più solare. Ma la verità è che avevo accanto Nate che mi aiutava a trovare ogni giorno, grazie a piccoli gesti la sicurezza e me stessa che sempre avevo cercato.
Quando per la prima volta Nathan mi invitò ad uscire solo noi passammo una serata bellissima. Mi portò al cinema dove non riuscì per nulla a sentirmi a mio agio, troppe persone e comunque sentivo i suoi occhi su di me, ma quando mi prese la mano e cominciò a giocarci come sempre, mi rilassai e riuscì anche a godermi il film. Poi me fece scegliere un posto dove non ero mai stata ma che mi sarebbe piaciuto andare.
Quando gli dissi che volevo provare a giocare a bowling scoppiò a ridere e mi prese in giro per tutto il giorno
«Non ho mai sentito di un primo appuntamento al bowling, non è che vuoi tirarmi la prima palla che ti capita addosso e scappare da me?» mi chiese stringendomi la mano e posando le sue labbra sulle mie
«Perché ti avverto che non funzionerà, e se vinco io il prossimo film al cinema lo scelgo io» mi sorrise
«Sarà la mia prima volta come potrei fare a vincere secondo te?» gli chiesi incredula
«Al tuo primo bacio mi hai spaccato uno zigomo, non ti concedo il dubbio della prima volta una seconda volta» mi disse ridendo
Arrossi inevitabilmente e lo colpi per poi scoppiare a ridere insieme a lui.
Il nostro rapporto era una cosa del tutto nuova e dopo le mie prime paure iniziali capi che infondo non era cambiato nulla rispetto a come eravamo prima, parlavamo, condividevamo le canzoni che ci facevano pensare l’uno all’altro, ci sostenevamo a vicenda.
Quello che invece era cambiato era il mio sorriso, i miei occhi, tutto quello che avevo dentro non mi spaventava più. Eravamo legati e mi piaceva da morire tutte queste nuove sensazioni.
E Nathan era così perfetto, era tutto naturale con lui, non credevo sarebbe mai potuto succedere a me, ed invece avevo trovato una persona a cui piacevo per quello che ero. Avevo trovato una persona che mi spingeva a migliorare me stessa, senza snaturare la mia natura un po’ strana.

Un pomeriggio trovai Nicole e mio padre parlare in cucina mentre io ero appena rientrata con Nathan da una passeggiata.
«Sapevo che ti avrei trovata qui» mi disse mio padre con una strana voce
In effetti ora passavo quasi tutto il mio tempo con Nathan, Blake e Lucas al campetto e a casa sua.
Avevo quasi imparato a giocare discretamente, in confronto a quei tre ero una frana ma ero veloce e mi divertivo a cercare in tutti i modi di fargli perdere la palla e bloccarli a canestro.
Mio padre era venuto a prendermi perché mia madre era stata ricoverata in ospedale e voleva che andassi con lui, Nathan mi strinse la mano mentre io ero rimasta totalmente estranea a quella notizia.
Cosa avrei dovuto provare?
Ero ancora così fredda e indifferente al mondo?
Nathan si propose di accompagnarmi lui appena fossi stata pronta vedendo la mia esitazione, ma Nicole scosse la testa.
Annui capendo che forse si erano scambiati più informazioni rispetto a quelle che mi stavano comunicando.
Mi fece salire in macchina e mi portò a casa senza proferire parola
«Non dovevamo andare all’ospedale» dissi atona non volendo scendere dalla macchina
«Haley» mio padre pronunciò il mio nome strozzato
Una strana sensazione mi avvolse e allora capì.
Lo guardai negli occhi per la prima volta dopo settimane e lo vidi abbassare la testa, era già troppo tardi.
Una strana sensazione di mancanza mi pervase, mi sentivo sconfitta, non avrei mai potuto far cambiare più idea a mia madre riguardo alla persona che ero veramente.
Da quando stavo con Nathan avevo imparato a dare importanza ai piccoli gesti e cercavo di migliorare me stessa facendo qualcosa per gli altri.
Ma non riuscivo ancora a comunicare bene con i miei genitori mi sentivo comunque sempre ferita dalla loro freddezza.
Entrammo a casa in silenzio senza più scambiarci una sola parola e andai in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, avevo la gola secca e un senso di nausea cresceva.
Sospirai appoggiandomi al tavolo della cucina e stringendo i pugni fino a farmi male, odiavo queste sensazioni così pensanti che mi facevano soffocare.
«Credo dovremmo parlare» si schiarì la voce mio padre entrando in cucina «Siediti per favore» mi incoraggiò
Mi sedetti di fronte a lui e per la prima volta dopo anni mi rivolse direttamente lo sguardo
«Abbiamo provato a volerti bene sai? Solo che …» cominciò mio padre
Quelle parole erano state delle pugnalate al petto
«Non lo voglio sapere, non voglio sapere quanto sia stato difficile crescere la figlia che vi ha rovinato la vita. Io sto bene così» dissi stringendo i pugni
«Non sono mai stato bravo con le parole, nessuno della nostra famiglia veramente» disse sforzando un sorriso «Vorrei che le cose tra noi potessero essere diverse…Ho sbagliato lo so» mi disse inaspettatamente < «Che succede?» dissi sospettosa guardandolo
«Nicole mi ha detto che i tuoi attacchi di panico non sono del tutto spariti e presumo che le cause siano varie, mi ha consigliato visto il rapporto che abbiamo e quello che è successo a tua madre, di starti vicino, forse un po’ d’aiuto reciproco seve un po’ a tutti» il mio cuore rallentò
«Perché?» chiesi sottovoce
«Sto provando un rapporto padre figlia. Siamo solo noi ora» mi disse semplicemente
«Non l’unica figlia che ti è rimasta» dissi seccata cacciando dentro la rabbia che voleva manifestarsi
«Sto provando a rimediare dimmi come» mi chiese improvvisamente
«Mi serve tempo» gli dissi alzandomi da tavola mi mancava l’aria
Mi lasciò andare nella mia stanza e restai sola con i miei pensieri ma sebbene provassi ad allontanare il dolore da me questo comunque ritornava sempre più forte, non ci sarei mai riuscita da sola. E io ora non ero più sola.
Il giorno successivo scrissi a Nathan cos’era successo e dopo nemmeno venti minuti me lo ritrovai a bussare alla porta della mia stanza.
Mi avvolse in un abbraccio e restò con me cercando di tirarmi su il morale
«Mi sento solo arrabbiata Nathan, cosa c’è che non va in me?» gli chiesi
«Sei solo ferita è normale, ci sono passato. Vedi il lato positivo, hai la possibilità di avere un rapporto con tuo padre, tutti commettiamo errori, lascialo rimediare» mi tranquillizzò
«E poi tu e lui siete molto simili, un caratteraccio unico ma sotto, sotto scommetto che anche lui ti vuole bene, deve solo imparare come può dimostratelo, sta a te avere pazienza e insegnarglielo»
Gli tirai un pugno giocoso sul petto.
Era unico con poche parole riusciva a farmi sentire bene.
Mi sbilanciai in avanti verso di lui delicatamente e chiusi la distanza tra le nostre labbra, racchiudendo in un bacio tutte le emozioni che provavo per lui.
Lui era il mio regalo, l’unica cosa al mondo che mi facesse stare bene. La mia meteora di luce.
Lui all’inizio rimase interdetto, non era abituato, nonostante stessimo insieme ormai da un mese e mezzo, che fossi io a prendere iniziative, ma poi lo senti davvero felice.
Bastava che gli dessi una briciola di affetto e lui ricambiava più travolgente e passionale, sempre attento e intenso.
Lo senti tracciare le linee sulle mie guance, ruotandomi la testa di lato, seguendo i lineamenti del mio viso con una scia di baci, arrivò al collo e lì si fermò.
Sentivo il sui respiro sulla mia pelle sotto l’orecchio, le labbra a un millimetro dalla zona delicata sopra la clavicola.
Non potevo vederlo, ma lo immaginai con gli occhi chiusi, trasportato dall’entusiasmo ad un punto di non ritorno, combattuto tra la voglia di schioccare un bacio lì e la paura di un mio possibile attacco di panico, la paura di farmi male.
Era fermo, immobile, il suo respiro prese lo stesso ritmo del mio battito del cuore
Deglutii
«Va bene» gli dissi ma lui non rispose, né si mosse
«Tu sei mio scudo, non la lama, non potrai mai ferirmi ora lo so»
Mi spezzò il fiato quando Nathan completò il suo gesto.
Le sue labbra rimasero attaccate sul mio collo, piegai la testa sulla sua, accarezzandogli i capelli, mentre inspiravo il suo profumo.
Avrei voluto essere molto più sicura di me, non era normale che dovessi impiegare tutto questo tempo per abituarmi a lui.
Io sapevo di volerlo ma avevo paura della mia mente, non avrei sopportato di ferirlo ancora, di respingerlo involontariamente.
«Ti amo» usci dalle sue labbra staccandosi un po’ da me e cercando i miei occhi
Le sue parole mi sorpresero era così inaspettato, io non sapevo cosa dire. Non poteva averlo detto così dal nulla.
Ma le parole mi morirono in gola, lui lo notò e cercò di alleviare il silenzio che avevo creato
«Ti prego scheggia, non guardarmi così spaventata» mi disse accarezzandomi la guancia e posando un bacio leggero sulle mie labbra
Lo strinsi a me per paura che se ne andasse.
Lui lo capì lo stesso e mi abbracciò comunque anche se dentro di me lo sapevo che avrebbe desiderato essere ricambiato a quelle parole.
 

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Capitolo 23
*** Whole World is Watching ***


Haley
 
23- Whole World is Watching
 
 
And I know you wish for more,
and I know you try.
And I hope you realize,
you know the time is right.
The whole world is watching when you rise.
 
Lo so che desideri di più,
lo so che ci provi.
Spero che tu comprenda
che il momento giusto è arrivato.
Il mondo intero ti guarda mentre ti alzi
 
(Within Temptation ft. Piotr Rogucki - 
Whole World is Watching) 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo la morte di mia madre, mia sorella tornò dal college per una settimana, fu una settimana molto strana.
Mia sorella piangeva per il dolore della perdita di sua madre ed io avrei solo voluto vederla un ultima volta per chiederle perché era stato così difficile volermi bene. E ogni volta che ci pensavo cercavo di calmare la mia rabbia che avrei rivolto sicuramente su mia sorella o su mio padre e andavo a casa di Nicole. Passavo pomeriggi a parlare con lei. Lei mi raccontava qualcosa di lei e io qualcosa di me. Avevo imparato da Nathan, un segreto per un segreto. E in questo modo riuscì in parte ad accettare quello che era stato e non poteva più essere cambiato. Però come mi aveva consigliato Nathan potevo cominciare a piccole dosi a parlare con mio padre.
Così una sera dopo la partenza di mia sorella, e la casa più vuota che mai, invitai a cena a casa nostra sia Nicole che Nathan e andò quasi bene, tralasciando il fatto che Nathan mandò più di qualche frecciatina a mio padre, lo vidi più volte provato a contenere la voglia di caccialo, ma per fortuna c’era Nicole riuscì a mitigare il litigio imminente.
«Nate» gli dissi stringendogli la mano sotto il tavolo cercando di attirare la sua attenzione prima che dicesse un'altra battuta velata
«Va bene scheggia» mi attirò a se e mi diede un bacio a fior di labbra
L’atmosfera si alleggerì solo dopo aver scoperto che Nathan era un giocatore di basket, mio padre gli fece mille domande al riguardo e vidi Nathan rilassarsi un po’ parlando del suo sport preferito mentre io accarezzavo la sua mano destra che mi aveva lasciato sulla gamba e giocavo con le sue dita intrappolandole nelle mie e guardando il suo profilo sorrisi ripensando a quanto normale fosse ormai quel gesto per me.
 
Nathan mi propose un secondo appuntamento ufficiale, io non ne sentivo il bisogno, mi piacevano molto le serate in cui riuscivo a cucinare per lui e poi ci mettevamo accoccolati a guardare film o quando ci divertivamo a giocare a basket nel campetto.
Mi portò a cena fuori, accettai a patto che non fosse troppo elegante il ristorante, lo vidi alzare gli occhi al cielo ma accettare.
Indossai un vestito color indaco e mi preparai per uscire, mio padre mi salutò facendo mezzo sorriso, lo avvisai che sarei rimasta a dormire da Nicole poi e lui acconsenti.
Appena sentì suonare la porta mi precipitai a scendere le scale ma purtroppo mio padre aveva già aperto la porta e stava già salutando Nathan e si stavano stringendo la mano.
Forse la cena dell’altro giorno non era andata così male pensai guardando Nathan sorridere gentile e poi alzare lo sguardo verso di me e il suo viso sembrò quasi illuminarsi.
Aveva dei pantaloni neri e una camicia bianca che si intravedeva sotto la giacca che portava, e i suoi capelli neri erano un po’ più ribelli del solito, era stupendo.
Salutammo mio padre e appena salimmo in macchina Nathan mi diede un bacio dolcissimo soffermandosi a mordere le mie labbra
«Sei bellissima»
Arrossi inevitabilmente
«E adoro vederti arrossire per cui non cambiare mai ti prego» mi disse bacandomi di nuovo
Arrivammo al ristornate ed era molto carino, l’atmosfera era calda e accogliente e c’era una piccola sala da ballo adiacente.
Passai una bellissima serata in compagnia di Nathan, era diversa dalla nostra prima uscita, meno imbarazzante ma più dolce.
«Aspetta qui» mi disse ad un certo punto alzandosi e andando verso un ragazzo che metteva la musica. Avevo uno strano presentimento.
All’improvviso il tipo di musica cambiò. Tutti si guardarono un po’ spaesati intorno mentre io invece cercavo i miei zaffiri preferiti lungo la stanza e quando li trovai, lo vidi sorridermi e farmi un breve inchino a distanza.
Andai da lui in mezzo alla stanza
«Tu sei pazzo»
«Lo ammeto. Ma solo di te» mi disse baciandomi e cingendomi i fianchi
E io scoppiai a ridere mentre iniziammo a muoverci a ritmo di The Longest Time di Billy Joel
«Ho capito che forse balli con me solo un certo tipo di musica» mi disse trattenendo una risata
«Ora so che la felicità va avanti, li è dove mi hai trovato. Ti voglio troppo. Penso che tu dovresti saperlo.
Ho intenzione di tenerti con me per tantissimo tempo» disse citando i versi della canzone.
«E spero tanto che li aggiungerai al quaderno e diventino parte di te» mentre mi stringeva a se
Gli misi le braccia attorno al collo e lo strinsi a me per baciarlo.
Erano solo le undici e mezza quando decidemmo di andare a casa, andai un secondo nella stanza di Nicole per togliermi le scarpe con i tacchi che cominciavano a far male.
«Scegli tu il film, arrivo tra un po’» gli dissi passandogli accanto e andando verso la cucina
Ero sicura di aver lasciato nel freezer dei tortini al cioccolato che avevo fatto quattro giorni prima, li dovevo nascondere infondo freezer, nascosti, da quando Nathan aveva scoperto che basavano dieci minuti nel forno per poi poterne mangiare a volontà.
Era davvero troppo goloso, se ne era mangiati sette in un giorno, non sapevo come facesse a mangiare così tanti dolci tutti insieme.
Dopo aver sfornato il tortino, presi la salsa ai mirtilli e cominciai a fare piccole decorazioni sul piatto
«Che fai?» mi chiese spuntando dalla stanza
Sobbalzai e combinai un disastro, la salsa ai mirtilli con cui volevo fare una decorazione si tramutò in un Picasso.
«Nulla» gli sorrisi spostandomi davanti al piatto per coprire il disastro che avevo combinato, avrei voluto fargli una piccola sorpresa ma mi stava rovinando tutto
«Vai di là arrivo subito»
 «Che nascondi come una ladra?» disse ridendo e avvicinandosi e sbriciando dietro di me.
Appena notò il tortino a forma di cuore in una pozza indefinita di salsa ai mirtilli mi guardò un po’ sorpreso.
«Hai rovinato il mio maldestro tentativo di fare una cosa romantica, non ne farò mai più per te ti avviso» finsi di arrabbiarmi ma le miei guance si infiammarono lo stesso
Era un disastro quel dolce.
Lui mi sorrise assaggiò la salsa ai mirtilli leccandosi le labbra non smettendo di guardarmi
«E’ delizioso» commentò «Haley» mi chiamò con un sussurro sommesso, ma fu abbastanza per convincermi a guardarlo negli occhi.
Aveva la mano destra protesa verso di me, come un silenzioso invito.
Con non poca difficoltà la mia mano tremante e un po' sudata si mosse da sola per congiungersi alla sua, come due calamite. Il corpo teso di Nathan parve rilassarsi sotto il mio tocco e si sciolse, mi tirò a sé guidando la mia mano sulla sua nuca, l'altra mano copiò il movimento della prima e nel momento stesso in cui entrambe le mie braccia furono legate dietro al suo collo, Nathan condusse i miei fianchi al suo corpo e la sua bocca alla mia
Iniziò con delicatezza, e trasportò la mia anima al passo della sua. Mi ritrovai in qualche modo cullata tra le sue braccia come se stessimo ballando un lento, finché non urtai il piano della cucina.
Accadde tutto troppo in fretta, nell'istante successivo mi trovai confinata tra il ripiano della cucina e il corpo caldo di Nathan che si premeva contro il mio, le mie labbra intrappolate nella morsa spietata delle sue. Erano baci furiosi, insaziabili, interminabili, ma mi adattai al suo ritmo prima ancora che potessi capire cosa stesse succedendo. Non era ancora soddisfatto ma ebbe il buon senso di staccarsi da me, che sconvolta non sapevo cosa fare. Faceva caldo.
Si allontanò facendo tre passi indietro e rimase lì impalato.
Lo vedevo un po’ irrequieto, era strano mise le mani nelle tasche dei pantaloni, poi le tolse, poi spostò il peso da una gamba all’altra
«Al diavolo» lo senti imprecare e fu di nuovo su di me, i palmi di Nathan viaggiarono giù, dietro le mie cosce e mi sollevarono mettendomi a sedere sopra il ripiano, in quel modo lo sentivo avvolgermi ed io lo strinsi altrettanto forte per imprimermi addosso il suo profumo della sua pelle.
Fece scivolare la testa di lato e prese a tracciare una fila di baci sul mio collo, partendo dall'orecchio e finendo alla clavicola. Baciava, mordeva e sfregava i denti sulla mia pelle, ma non faceva male, anzi, ero finita in una dimensione paradisiaca accompagnata dal suo amore e dal fuoco della sua passione. Gli accarezzai i capelli per tenerlo stretto a me e anche perché le sue ciocche morbide erano una tentazione. Il calore della sua lingua sul mio collo mi fece rabbrividire e quindi non riuscii più a trattenermi.
«Nathan...» gemetti. A lui piacque la mia reazione, perché continuò con quello che stava facendo, con la differenza che aumentò la sua foga.
«Aspetta, fa caldo» dissi con gli occhi chiusi e la testa rivolta verso l'alto, come a protendermi un po’ di sollievo. Mi diede un attimo di tregua, staccandosi dal mio collo, riuscii ad intravedere la familiare scintilla nei suoi occhi.
«Hai due opzioni» disse, poi mi baciò le labbra. «Numero uno...» continuò alternando parole e baci, «Possiamo aprire la finestra... Numero due... posso toglierti questo» Trasalii. Forse era vero avevo bevuto un po’ troppo o lo aveva fatto lui, del fatto che io sentissi caldo e che Nathan fosse così diretto. Eppure, non mi diede modo di rispondere, riprese a divorarmi le labbra con le sue, baciandomi come se non lo avesse mai fatto, come se non volesse che parlassi.
«La finestra» sbottai tra un bacio e l'altro. A quel punto Nathan si bloccò, i capelli che gli avevo arruffato gli coprivano la fronte, sembrò quasi spaventato e un po' deluso. Ma poi gli sorrisi e tornai a cingergli il collo con le mani.
«Scherzavo» gli sussurrai. Nathan sbarrò gli occhi.
«Sicura?» La sua espressione mi fece ridere, ma annuii ugualmente.
«Sono sicura, Nate.» Le sue braccia mi avvolsero di nuovo, ma non per abbracciarmi.
«Reggiti» mi intimò. Prima che potessi obbedirgli mi sollevò dal ripiano e mi portò nella sua camera.
Per fortuna perché avevo le gambe talmente molli che non ero sicura che sarei riuscita a camminare
«Fermami tu, scheggia. Non sono sicuro di poterci riuscire da solo.» Mi fece scivolare con delicatezza dalle sue braccia, come se avesse avuto paura di rompermi, e mi mise a sedere sul letto mi prese il volto tra le mani e fece in modo che lo guardassi negli occhi.
«Hai capito, Haley?» Annuii decisa, poggiando le mani sulle sue.
«Sì, ho capi...» Non lasciò neanche che terminassi la frase, doveva aver superato il punto di non ritorno, mi toccava e mi baciava come se ne avesse avuto disperatamente bisogno. Era una situazione particolare, non voleva farmi del male, ma sentivo che era difficile per lui trattenersi oltre. Continuai ad accarezzargli i capelli, le braccia, la schiena. Lui era più audace.
Sentivo le sue mani fare su e giù sulle mie gambe, come se volesse tenermi al caldo, ignorando il fatto che stessi già bruciando. Arrivò ai miei fianchi, finì per alzarmi la gonna, provai a non sussultare, ma lui se ne accorse lo stesso e la riabbassò. Mi strinse ancora di più, se avesse continuato così i nostri corpi si sarebbero fusi.
«Nathan» gemetti di nuovo
Mi liberò le spalle dal vestito e disegnò una fila di baci dal collo fino alla fine della clavicola, schioccando le labbra come ventose, ma in un modo talmente delicato che, sebbene stessi sudando per il calore che mi bruciava, sentii chiaramente i miei muscoli contrarsi nel tremore che nasceva dal punto toccato dalla sua bocca e terminava nel mio ventre. Sospirai, ma di piacere e mi ascoltai mentre producevo suoni che non sapevo essere in grado di emettere. Le sue mani esperte continuarono a muoversi sul mio corpo, infine giunsero alla zip e con facilità la aprirono.
«Fermami, Haley» sussurrò nel mio orecchio. La sua voce era diversa, persino la sua voce era fonte di appagamento e contrariamente alle parole pronunciate non mi invitava a fermarlo, ma a continuare.
Perciò scossi la testa.
«No.»
E con una naturalezza infinita, Nathan mi sfilò il vestito.
E poi si fermò e lo vidi guardarmi, nella penombra della stanza. Mi sentivo strana, accaldata.
«Cos’ho di strano ora?» gli chiesi non capivo perché si fosse fermato
Lui mi sorrise e scosse la testa e inspirò profondamente.
Si alzò e cominciò a sbottonarsi la camicia lentamente, cercò i miei occhi ma io ero distratta dai movimenti delle sue mani, mentre si toglieva la camicia, ed era quasi divertito notai. Averlo così vicino mi vece venire una fitta allo stomaco, come se avessi fame, non riuscivo a staccare gli occhi dal suo corpo.
E poi ritornò su di me baciandomi
«Mi piace come mi guardi ora» mi sussurrò nell’orecchio appena si staccò
E prese la mia mano e la condusse sui suoi pettorali, schiacciò le dita con il suo palmo per farle aderire maggiormente al suo corpo e non mi lasciò neanche un attimo mentre la guidava suo ogni muscolo, fino a ritornare sul suo cuore.
«Ti amo» disse per la seconda volta
Ero un fascio di nervi adesso che poteva vedermi e io potevo vedere lui
«Fidati di me perché io ti sto dando il mio cuore, non spezzarlo»
Bastò quella frase per farmi perdere la testa e lo baciai come se in quel modo potessi ripagarlo di tutto quello l’amore che mi stava donando, fu l’ultima cosa che gli senti dire prima che la sua stanza si riempisse di gemiti e ansimi.
 
Mi svegliai il mattino seguente coperta solo dal lenzuolo e con la sua schiena scoperta difronte a me.
Gli sfiorai delicatamente il tatuaggio disegnando il contorno della fenice e la scritta Per aspera ad astra.
Mi sentivo stranamente felice, la mia felicità dipendeva da lui, era la mia luce. Mi sentivo completa con lui
«Grazie per aver creduto nei sogni strani, Ti amo» gli sussurrai sottovoce per paura di svegliarlo
«Un giorno me lo dirai anche guardandomi negli occhi e non credendo che io stia dormendo?» mi chiese voltandosi e guardandomi negli occhi
Sussultai, non sapevo si fosse svegliato, non mi sembrava che il suo respiro fosse cambiato.
«Ti amo anch’io» sussurrò Nathan con una strana luce negli occhi
e mi baciò facendomi sentire amata e completa al suo fianco.
 
 
 
 
 
 
 
 

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