A.M.L.P.

di Gilled
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hai creduto nella nostra forza ***
Capitolo 2: *** Dal tramonto all'alba ***



Capitolo 1
*** Hai creduto nella nostra forza ***


Era l'ora di cena a casa Zajec. Il capofamiglia, un investigatore di nome Dragomir, sua moglie Ljiljana, che si occupava di archeologia, e il loro unico figlio Vilibald, appassionato di aeroplanini di carta, stavano mangiando gli žganci e il salame di Carniola, e stavano guardando il canale BRIO, dove veniva trasmessa la serie Legge e ordine. Quando arrivò la pubblicità, Dragomir ne approffittò per andare a prendere dalla cantina un'altra bottiglia di Carso Terrano che aveva portato con sé dall'Italia e continuare quella che aveva appena finito di bere. Quando tornò, la televisione mostrava un imminente concerto dei Siddharta.
"Potessi andare a quel concerto", disse, versandosi da bere. "Spero di non aver da lavorare quel giorno. Al giorno d'oggi ci sono pochi gruppi come questo".
"La figlia del cantante è amica mia", lo sostenne il figlio. "Lei ci sarà sicuramente al concerto".
"Tanto meglio", acconsentì il padre. "Allora, se ci sarà tempo, farai due chiacchiere con lei".
"Magari prima del concerto", osservò Vilibald.
"Magari. E tu, Ljiljana, cosa dici?"
"Io? A dire la verità, non sono molto appassionata di musica rock", disse la moglie di Dragomir. Aveva trent'anni, ma ne dimostrava venticinque con quei capelli mori e il vestito rosso. "Se volete, andate pure a questo concerto".
Appena finì di parlare, terminò la pubblicità. Dragomir adorava le serie poliziesche, e ciò non era dovuto al lavoro che faceva, anzi era il contrario. Naturalmente, i tre si scambiavano commenti su ciò che vedevano, ma mentre Dragomir aveva una mentalità, per così dire, che gli permetteva di capire meglio ciò che stava accadendo, Ljiljana e Vilibald (quest'ultimo, chiaramente, interveniva solo ogni tanto) si limitavano a commentare le apparenze.
"Mi sono ricordato di una cosa", disse il ragazzino all'improvviso.
"Quale?"
Vilibald si alzò e dopo un paio di minuti ritornò con un libro di fiabe e lo pose sul tavolo. Dragomir iniziò a sfoglarlo, evidentemente senza aver prima guardato né il titolo né la copertina (cosa che non era da lui).
"Questo libro", continuò Vilibald, "me l'ha prestato Nora il mese scorso. Io ho promesso di restituirglielo in questi giorni, ma ancora non ne ho avuto l'occasione. Che penserà che me ne sia dimenticato?"
"No, certamente", lo tranquillizzò Dragomir, "intanto metti questo libro dove sarai sicuro di non dimenticarlo e il giorno del concerto lo prenderai con te".
"Devo anche chiedere scusa a Nora per il ritardo?"
"Come vuoi, ma non credo sia necessario".
"Va bene", disse Vilibald. Si diresse alla volta della camera da letto e mise il libro isolato dagli altri, poi tornò nella sala da pranzo.
"Non è mai stato così agitato", disse Ljijlana. Dalla sua voce si intuiva che era preoccupata.
"Nostro figlio? Non farci caso, amore", la tranquillizzò Dragomir. "Sono cose che succedono: ad esempio, io qualche tempo fa mi sono fatto prestare da un mio amico... anzi, non proprio amico, piuttosto un conoscente... dunque, mi sono fatto prestare da lui... non dirò quanti euro. Ho promesso di restiturgli entro... non dirò il giorno stabilito. Dunque, non l'ho più rivisto da quel giorno. Forse l'ho visto due volte o tre, ma solo per caso, e non ho avuto tempo di ferm..." Dragomir tacque, avendo capito l'assurdità che assumeva questa parola detta da lui, e si corresse: "Distrarlo".
"E non ti ha neanche telefonato?" chiese Ljiljana, stupita.
"Forse una volta o due, non è che comunichiamo molto, abitiamo in città diverse, sai. Lo sai come si sente scomodo a ricordare del debito in questa situazione? Per telefono, poi?"
"Quindi è una situazione complicata, e in questa casa tu sei l'unico che possa trovare una via d'uscita".
"La troverei", disse Dragomir e poi allontanò lo sguardo, probabilmente attratto da qualcosa di più interessante. "La troverei, non avessi null'altro da fare?"
"In che senso 'non avessi null'altro da fare'?" ripeté la moglie. "Viviamo in un Paese sicuro, no?"
"Lo penso anch'io", rispose Dragomir. "Fino a che non sento che..." Non finì di parlare, perché proprio in quel momento si sentì un rumore assordante. Gli Zajec non avevano idea di dove provenisse. Quando smise, Dragomir continuò:
"Capite, io non sono mica Sherlock Holmes o il commissario Montalbano. Mi ci vuole tempo per ricostruire i fatti e non sono neanche sicuro se le cose siano davvero andate così".
"Allora neanch'io sono sicura delle mie scoperte", disse Ljiljana, con voce assolutamente calma.
"Hai fatto bene", si rivolse Dragomir al figlio, "a ricordati del libro. Se Nora se ne fosse ricordata per prima, e, mettiamo, le fosse venuta voglia di leggersela, allora, chiaramente, si sarebbe messa a cercarlo, non l'avrebbe trovato e..."
"Avrebbe creduto di averlo perso?"
"O che gliel'abbiano rubato. Ma non ti preoccupare. Hai fatto bene... a metà". Vilibald intuì correttamente che suo padre intendeva che bisognava restituire il libro a Nora.
"Ma prima o poi si sarebbe ricordata di aver prestato questo libro a me".
"Sì, ma io vedo che tu ti preoccupi così tanto per la questione, e quindi intendi quanto ci tiene lei al libro. Ma non ce n'è bisogno, tanto il mese prossimo suo padre darà un concerto e noi andremo".
"Ma non sarà tanto? In fondo, mi ha prestato questo libro un mese fa".
"Quindi saranno due mesi in tutto", disse il padre. "Se hai così tanta paura di perdere la sua amicizia, se ci tieni tanto, allora porta ovunque questo libro, e poi... non lo so... Sarà meglio che rimaniamo con la mia proposta".
"Beh... infatti... almeno funzionerà", pensò Vilibald, che aveva già voglia di andare a dormire.

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Capitolo 2
*** Dal tramonto all'alba ***


Sia Vilibald che i suoi genitori, passarono la notte in modo abbastanza tranquillo. Dormirono insieme nella propria stanza e lui nella propria. Vilibald aveva un certo senso di colpa per la storia del libro che Nora gli aveva prestato e che lui non le aveva restituito promesso, sebbene avesse capito che si trattava di un semplice incidente, uno di quelli che capita a tante persone ogni giorno. A tante persone che vivono a grande distanza tra loro. E a grande distanza da lui. E ovviamente lo sapeva molto bene. Così alle sei del mattino, la sveglia fece alzare tutti e tre: Vilibald andò a scuola e i suoi genitori andarono a lavorare. Facendo colazione e preparandosi per andare a scuola, Vilibald sentì improvvisamente squillare il telefono. Andò subito a prenderlo mentre beveva il caffè (non era ancora abbastanza grande per berlo, ma a volte, come una volta al mese, lo beveva per svegliarsi ancora di più). L'uomo che lo chiamò era Lucijan Zajec, suo nonno paterno. "Ciao, nonno," rispose Vilibald. "Ti sei svegliato?" "Se sto parlando con te." "Dove stai andando? A scuola?" "Sì sì. Allora cosa volevi dirmi?" "Beh, niente di particolare. Ma senti, vorrei che riferissi alla signora Mušić che in alcuni suoi documenti hanno trovato degli errori, non troppo gravi, ma in ogni caso hanno già chiesto scusa per la distrazione." "Va bene. Cercherò di non dimenticarlo." Detto questo, Vilibald riattaccò. A volte il buon vecchio Lucijan amava ricorrere a questo linguaggio. Vilibald sapeva che Mušić era il nome da nubile di sua madre, la nuora di Lucijan, che a volte la chiamava scherzosamente così. (Forse frequentava coloro che gestivano i documenti? In ogni caso, piaceva a tutti. Tutti pensavano che Lucijan fosse un uomo piuttosto divertente.) Quindi questa signora Mušić lo ha accompagnò alla fermata dell'autobus. Uscendo di casa (erano già quasi le sette), incontrò Simonca Peterka, la figlia del vicino, più grande di lui, e si fermò a parlare un po' con lei. "Ciao", lo salutò. "Ciao Simonca. Sto andato a scuola." "Bene! Studiare aiuta sempre. Io, quando andavo a scuola, me lo dicevo sempre." "E che fai adesso?" "Beh, mi sono iscritta all'università di economia" e sorrise. "E tu non hai ancora deciso cosa farai da grande?" "No, ma ci penserò." "Certo. Hai ancora molto tempo per decidere." "È vero". "Bene, non ho intenzione di trattenerti". "A dopo ciao". Quando arrivò lo scuolabus, Vilibald salì e se ne andò. C'erano solo tre o quattro posti liberi e Vilibald si sedette su uno dei essi, vicino alla finestra. Durante il percorso pensava solo a una cosa: sperava che Nora non si arrabbiasse con lui per non averle restituito il libro nei tempi concordati. Ma decise che non era il momento di pensare a queste cose.

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