A Very Weird Christmas [at the office]

di Natsumi92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


A Very Weird Christmas [at the office]

 


 

Capitolo 1



La Campbell&Co è una delle più proficue case editrici di testi sacri di tutti gli Stati Uniti. Fu fondata nel lontano 1885 da un certo Jonathan Campbell, un vecchio pastore di Austin che aveva il semplice desiderio di convertire buona parte della popolazione americana al Cristianesimo. E, per farlo, aveva pensato bene di vendere a pochi centesimi più copie possibili della Bibbia, in modo tale da diffondere quella dottrina.

Facendo un lungo salto fino ai giorni nostri, possiamo ammettere che una parte del desiderio del buon Jonathan è divenuto realtà: le Bibbie pubblicate dalla Campbell&Co sono tutt’oggi le più vendute. Tuttavia, dati i tempi moderni, nessuno mostra granché interesse per il Cristianesimo o, comunque, per la religione in generale.

Neanche l’attuale direttore della casa editrice, Dean Winchester.

Dean è il figlio maggiore dell’ultima Amministratrice Delegata, Mary Campbell, ormai in pensione. All’età di trent’anni non aveva concluso granché nella sua vita e, perciò, sembrò quasi naturale che ottenesse un posto nell’azienda di famiglia. Il secondogenito Samuel, dal canto suo, si era laureato con pieni voti alla facoltà di legge di Stanford e aveva accettato con entusiasmo il ruolo di Amministratore Delegato offertogli dalla madre.

Una situazione come tante, che prevede che la progenie porti avanti il lavoro costruito con tanta fatica e sudore dagli antenati. Ma Dean, quando mette piede nell’ufficio, ogni mattina da un anno a questa parte, vorrebbe solo mandare tutti a fare in culo senza tanti fronzoli.

Iniziando proprio dal tizio delle risorse umane che è attualmente seduto ad una delle sedie del suo ufficio privato. Non si è neanche tolto l’impermeabile di dosso, nota Dean con sdegno.

«Novak!» annuncia con finto entusiasmo. «Qual buon vento ti porta qui alle 8:30 di questo gelido lunedì di Dicembre?»

«Avverto una punta di sarcasmo nelle tue parole, Dean» risponde pacato l’altro, stringendo gli occhi come se volesse vedere cosa frulli nella testa del suo capo. «E poi sai benissimo che puoi chiamarmi Castiel.»

Dean non l'ha mai potuto sopportare e, quando alza gli occhi al cielo in maniera plateale, non se ne pente neanche un po’.

Il giorno in cui John Winchester annunciò il suo pensionamento, in ufficio fu improvvisata una festa d'addio. Dean, a quel tempo, lavorava semplicemente come assistente di suo padre e, proprio grazie a questo, era riuscito ad imparare più di quanto avrebbe voluto. Infatti, nessuno si era stupito quando John l'aveva nominato nuovo direttore generale; nessuno, tranne lui. Se ne era lamentato con Sam, accanto al tavolo delle tartine, poco dopo durante la festa, sostenendo che non volesse affatto incravattarsi ogni mattina ed occuparsi di quella stupida casa editrice; Castiel -- che casualmente aveva avuto voglia di tartine in quel preciso momento -- aveva sentito tutto e aveva deciso che fosse una buona idea quella di intromettersi nella loro discussione. "Dovresti mostrare un po' di rispetto per il lavoro dei tuoi genitori e, soprattutto, ringraziare di aver avuto un posto di lavoro in regalo."

Dean tutt'ora si chiede perché diamine avesse avuto quella strana reazione.

«Senti, la giornata non è nemmeno iniziata e io ho bisogno della mia solita dose di caffeina prima di vedere la tua stupida faccia.» Posa la ventiquattrore sulla scrivania, facendo scivolare un paio di moduli a cui non degna alcuna attenzione, e si volta in direzione della macchinetta del caffé che i suoi amati dipendenti gli hanno regalato il giorno del suo compleanno.

«Il sentimento è reciproco,» puntualizza, quasi offeso. Dean lo ignora. «In ogni caso, sono qui solo per dirti che oggi inizierà a lavorare il nuovo stagista raccomandato da tuo fratello.» Dean si scotta la lingua col caffè e bestemmia sottovoce. «Gabriel mi ha raccomandato di dirti di assegnargli qualcosa di semplice prima di buttarlo nel servizio clienti come hai fatto con la precedente stagista.»

Il direttore si volta verso Castiel, con un sorrisino soddisfatto stampato in faccia. Ricorda benissimo l’espressione di puro terrore dipinta sul volto della povera Maggie quando si era ritrovata a risolvere un problema di rilegatura sbagliata in una copia acquistata da una vecchietta di Dallas. Aveva dato le dimissioni a fine giornata.

«Beh, come pretendi che imparino se non riescono a gestire situazioni critiche?» chiede Dean, sardonico. Il liquido marrone gli riscalda piacevolmente il palato e finalmente la giornata sta prendendo una piega positiva.

«Abbiamo bisogno degli stagisti, Dean. Sono economici e sono una risorsa utile e positiva all’interno di un ambiente di lavoro,» risponde piccato Castiel.

Dean nota come la fronte corrugata e la voce monocorde tendano a dargli dieci anni di più di quelli che effettivamente possiede. Valuta se dirglielo in faccia ma, poi, ha un’idea migliore. «D’accordo. Se è stato Sam a raccomandarlo sarà sicuramente un tipo che sa il fatto suo. Bene, assegnalo a Bobby,» conclude, gettando il bicchiere vuoto nel cestino e ritenendo ormai chiusa la questione.

«Lo vuoi mettere nel settore vendite?» gli occhi blu di Novak sembrano schizzare fuori dalle orbite in maniera quasi comica. Dean è fiero di se stesso.

«Beh, non gli farà male affiancare un dipendente con così tanti anni di esperienza, no?»

Bobby Singer è l’uomo più scorbutico che Dean conosca: lavora alla Campbell&Co da quasi trent’anni -- da quando Dean era in fasce -- e non ha mai, nemmeno una volta, provato a chiedere una promozione o un cambio di settore. Sapeva vendere, sapeva convincere i clienti ad acquistare intere collane di volumi, e i guadagni extra dell’azienda arrivavano quasi tutti per merito suo. Eppure, dio solo sa quanto odiasse quel lavoro.

Castiel lo sa -- ovviamente, come tutti là dentro -- ed è anche più che consapevole che Dean l’abbia fatto di proposito. Ma non si oppone, non dice neanche una parola. Anzi, annuisce semplicemente, con lo sguardo carico di disprezzo tutto per il suo capo, ed esce dall’ufficio.

Il telefono squilla immediatamente dopo che Castiel chiude la porta con poca delicatezza, segnalando una chiamata interna dalla sua segretaria.

«Hola, Charlie» risponde Dean, improvvisamente di buon umore, «Hai qualche novità per me?»

«Ehi, Dean. Sì, in realtà,» annuncia la sua segretaria, attraverso la cornetta, «Ho appena finito di parlare con tuo fratello. Voleva sapere se avessi ricevuto le notizie riguardanti il nuovo stagista.»

Dean alza, nuovamente, gli occhi al cielo. Che diavolo avrà di così speciale questo tizio? «Sì, il Novak alto mi ha appena detto tutto. L’ho assegnato a Bobby.»

Charlie, inaspettatamente, scoppia a ridere: «Cosa?! Sei una vera stronzetta! E Sam ti ammazzerà.»

«Oh, me la sto già facendo sotto,» sorride anche lui, nonostante il tono leggero della sua segretaria-barra-migliore amica. Nessun altro, in quel posto, oserebbe rivolgersi a lui così. Tranne Charlie Bradbury, perché occupa da sempre un posto speciale nel cuore del maggiore dei Winchester.

«Parli del diavolo,» interviene lei, ritornando subito seria, «L’Amministratore Delegato sta chiamando, te lo passo. Buona fortuna, Dean.»

Un bip metallico buca il timpano destro di Dean che, dal canto suo, si sistema comodo sulla poltrona pronto all’imminente discussione col suo fratellino.

«Dean!»

«Buongiorno, Sammy. Come ti va?» qualcuno bussa alla porta del suo ufficio e, senza aspettare una risposta, la persona in questione si affaccia, rivelandosi essere Garth.

«Dean, non sono in vena di scherzare!» Garth, il pupillo della compagnia, l’impiegato del mese, sempre puntuale e preciso in ogni suo compito, indossa un’espressione colpevole e mima qualcosa con le labbra, che però Dean non riesce a comprendere. Lo congeda con un cenno della mano e torna a rivolgere l’attenzione alla chiamata: «...sco che problemi tu abbia! Dicembre è il mese peggiore dell’anno, si lavora il triplo e abbiamo bisogno di una mano in più! Hai assegnato Kline a Bobby… seriamente?! A Bobby! La persona meno indicata e con meno pazienza dell’intera azienda!»

«Non vedo dove sia il problema,» risponde Dean, noncurante e sul punto di rovinarsi nuovamente l’umore per colpa del tono incalzante di Sam. «Bobby è un dipendente serio e professionale.»

«E anche il più antipatico! Dean, per favore, sono serio. Dobbiamo approfittare di ogni aiuto possibile...» il tono di Sam si ammorbidisce e Dean sa, dio se lo sa, che sta per tirargli un colpo basso, «… non mandare all’aria il lavoro di mamma e papà.»

Colpito e affondato.

Dean sospira, portandosi la mano destra alla radice del naso e stringendo gli occhi. Ora si sente in colpa. «Okay, d’accordo. Andrò a controllare personalmente che Bobby non faccia spaventare il ragazzo. Contento?»

Riesce ad avvertire il sorriso del fratello dall’altra parte della cornetta, nonostante non lo possa vedere. «Grazie, Dean. Ah, un’altra cosa,» continua, con voce calma, «Ti ho mandato una mail con le novità riguardanti la festa di Natale di quest’anno. Dacci un’occhiata appena puoi,» conclude e, senza aspettare una risposta, chiude la telefonata.

Dean fissa stralunato la cornetta e poi mette giù, non prima di sentire la porta del suo ufficio aprirsi ancora. «Che diavolo! Sono le 8:45 e già ho voglia di licenziarvi tutti! Garth, si può sapere che vuoi?!»

«Uhm, capo, devi assolutamente venire di là. Bobby ha tirato un pugno al nuovo stagista.»

 

La scena che si presenta davanti agli occhi di Dean potrebbe anche essere esilarante se non ci fosse tutto quel sangue e tutta quella gente ammassata.

«Sto bene, davvero!» una voce che Dean non riconosce sovrasta le altre, mentre il direttore si fa spazio tra i suoi dipendenti e raggiunge finalmente la scena del crimine. «Ho solo i capillari fragili. Vedete? Non mi ha rotto il naso.»

«Peccato,» bofonchia Bobby dal suo cubicolo, braccia incrociate e visiera del cappellino abbassata sugli occhi.

«Oh, dolcezza, tirati su,» l’accento marcato di Rowena -- la regina del servizio clienti -- riecheggia nella stanza. La rossa aiuta il ragazzo a sollevarsi e, finalmente, Dean riesce ad assegnare un volto al tanto nominato stagista.

Avrà a malapena vent’anni e sembra uscito da uno di quei giornaletti per ragazzine che andavano tanto di moda agli inizi degli anni 2000. Dean sbuffa, infastidito dal sorriso di cortesia e dall’estrema educazione del ragazzo, nonostante il naso sanguinante.

«Si può sapere che diavolo sta succedendo qui?» tuona, alla fine, Dean, guadagnandosi gli sguardi ansiosi dei suoi dipendenti. Il ragazzo, allarmato, si pulisce in fretta il naso con un fazzoletto e porge la mano a Dean.

«Mi chiamo Jack Kline, sono il nuovo stagista!»

Dean incrocia le braccia al petto, rifiutando il saluto. «Non è quello che ho chiesto.»

Jack lascia cadere la mano, il sorriso si spegne un po’. «Ho… ho fatto innervosire il signor Singer… È tutta colpa mia, per favore, non lo punisca!»

Ora, questo sì che è un colpo di scena. Dean alza un sopracciglio in direzione di Bobby.

«Non la smetteva di parlare e fare domande. Ero al telefono a concludere una vendita, che cazzo! Non riuscivo a capire un accidenti di niente. E poi non ho nemmeno usato la forza, che colpa ne ho se questa principessa ha i capillari delicati?» enfatizza le ultime parole con fare sarcastico e qualcuno ridacchia.

«Beh, non è successo niente. Kline se vuoi puoi presentare le tue dimissioni alla mia segretaria,» annuncia Dean, rassegnato e pronto a tornare nel suo ufficio.

«Cosa? No! Voglio lavorare!»

Il direttore è piacevolmente stupito da quell’annuncio, ma cerca di non darlo a vedere. E proprio quando sta per dire qualcosa, la porta dell’ufficio dei Novak si apre in fretta, rivelando i due fratelli, la cui differenza di altezza e di stile è sempre stata comica agli occhi di Dean.

«Oh, Dean-o» interviene Gabriel, camicia bianca scollata ed un sorrisetto sghembo che potrebbe far incazzare anche il Papa, «Questa cosa non piacerà al nostro caro Amministratore Delegato.»

«Dean, cosa succede?» chiede Castiel, nel suo completo con giacca e cravatta e il volto preoccupatissimo puntato su Jack.

Dean scrolla le spalle, contrito: «Un piccolo disguido, ma è tutto risolto. Non c’è bisogno che Sam sappia. Tornate tutti al lavoro e, Bobby?» L’uomo solleva la visiera e lancia un’occhiataccia a Dean che, tuttavia, non ne rimane scalfito. «Se vuoi andare in pensione dal primo Gennaio, insegna a Jack tutto ciò che deve sapere, così che potrà prendere facilmente il tuo posto. Chiaro?»

Bobby impreca qualcosa sotto voce ma fa un cenno d’assenso, guadagnandosi un sorriso smagliante da parte di Jack. Dean sarebbe scoppiato a ridere in un’altra occasione, ma adesso un mal di testa crescente minaccia di rovinargli definitivamente la giornata.

E quando pensa che non potrebbe esserci limite al peggio, ecco che il capo delle risorse umane richiama la sua attenzione, con suo grande rammarico. «Dean-o, ad ora di pranzo è previsto il sorteggio!»

«Quale sorteggio?»

«Come, non hai letto l’e-mail di Sam? Dobbiamo selezionare i due impiegati che si occuperanno di organizzare la festa di Natale.»

Ah, Sam aveva detto qualcosa del genere. «Sì, okay, occupatene tu. Io non ho tempo,» conclude, ritirandosi definitivamente nel suo ufficio, deciso a rimanerci fino alle 17.

 

E ci rimane davvero fino alle 17. Quando sente i rumori di sedie che si spostano, gente che si alza e chiacchiera stancamente, capisce che finalmente anche quella giornata è giunta al termine. Si sta già pregustando la sua serata Netflix&Chills quando, per concludere in bellezza, apre la porta del suo ufficio e si ritrova di fronte niente poco di meno che Castiel Novak, sguardo corrucciato ed impermeabile beige addosso.

Lancia un’occhiata alle sue spalle, rendendosi conto che l’ufficio è deserto. Tira un profondo sospiro e si appoggia allo stipite della porta, alzando un sopracciglio in direzione di Castiel.

«Siamo stati scelti noi,» dice, di punto in bianco e Dean è davvero troppo stanco per cercare di interpretare le parole criptiche che escono dalla bocca del suo detestabile collega.

«Uhm, cosa?»

«Per la festa di Natale,» risponde semplicemente, convinto che quello possa spiegare tutto. Ed, infatti, lo fa.

«Cioè? Io e te?»

Castiel annuisce e per poco Dean non bestemmia tutti i santi in Paradiso.







 


Nota dell'autrice: Okay, sono ancora qui lol Questa volta ho voluto intraprendere una AU perché ho letteralmente bisogno di più lieto fine possibili per questi due. In più, se non si fosse notato, sappiate che per l'ambientazione mi sono fortemente ispirata alla sitcom The Office, da cui ho preso anche alcune caratterizzazioni per i personaggi. Spero di non essere andata troppo OOC :) Pubblicherò una volta a settimana e ci saranno in totale 4 capitoli, così da seguire perfettamente la timeline della storia e finire il 24 dicembre!
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo primo capitolo introduttivo!
Ps: un grazie ENORME alla mia cara beta, sempre paziente e sempre pronta a darmi nuove idee <3 Love u, Julss!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



«Natale è annullato.»

C’era questa tradizione che andava avanti da prima che Dean e Sam prendessero il posto dei genitori: ogni 24 Dicembre tutta la Campbell&Co (dai magazzinieri fino ad arrivare ai tipi incravattati dei piani alti) partecipava ad una grandissima festa di Natale organizzata da due impiegati scelti a sorte. Nessuno se ne era mai lamentato e, anzi, il morale generale nell’ultimo mese dell’anno tendeva ad alzarsi notevolmente. Che tipo di festa sarà? Ordineranno il roast-beef? Ci sarà abbastanza alcool? Potrò evitare di far venire mia moglie quest’anno? erano più o meno le domande che occupavano la mente dei dipendenti durante le due settimane che precedevano la festa in questione.

Dean, il precedente anno, aveva partecipato volentieri e ne aveva approfittato per presentarsi con la sua conquista di quel periodo, Anna Milton. Ricorda bene come era stato facile finire sui sedili posteriori della sua auto a fine serata.

Tuttavia, quest’anno era diverso perché il destino beffardo aveva deciso, non solo di appioppargli la croce dell’organizzazione della festa, ma anche di affiancarlo al collega che detestava di più in assoluto là dentro. Perciò, il mattino successivo alla dolorosa scoperta, Dean Winchester era arrivato in ufficio e aveva annunciato a gran voce che, quest’anno, il Natale alla Campbell&Co. non s’ha da fare.

«Cosa?!» chiedono in coro Rowena, Charlie e Garth.

«Che palle,» esordisce Bobby, senza alzare gli occhi dal suo computer. Jack lo guarda confuso, con il capo inclinato da un lato.

«Sei completamente fuori di testa!» urla Balthazar, il responsabile del controllo qualità dei prodotti che vendono. «Che ne sarà del vestito che ho comprato per l’occasione?»

Arthur Ketch, che solitamente non si allontana mai dalla sua postazione -- sempre impegnato in qualche telefonata con i loro fornitori -- si avvicina al gruppo e lancia uno sguardo preoccupato a Rowena.

«Mi dispiace tanto, ma quest’anno per l’organizzazione sono stato sorteggiato io e non ho assolutamente nessun momento libero per farlo,» mente spudoratamente il direttore generale.

Charlie, dalla sua scrivania all’ingresso dell’ufficio, balza in piedi: «Guarda che non hai nessun appuntamento dopo le 17 di nessun giorno fino al 14 Gennaio!»

«Beh, sono il capo, non devo darvi alcuna spiegazione,» distoglie lo sguardo, mentre inizia a togliersi il cappotto pesante e avvertendo gli sguardi insistenti dei suoi dipendenti tutti su di lui.

La porta dell’ufficio si apre, poi, rivelando l’ingresso dei fratelli Novak, pronti ad iniziare la loro giornata lavorativa. Castiel mormora un “Buongiorno” senza prestare particolarmente attenzione a nessuno, con gli occhi cerchiati di sonno e la cravatta storta. Gabriel, invece, non fa neanche in tempo a richiudersi la porta alle spalle, che subito capisce che qualcosa non va.

«Cosa hai fatto, Dean-o?» chiede, con il solito sorrisetto irritante. Dean sa che prima o poi riuscirà a toglierglielo dalla faccia, con le buone o con le cattive.

«Comunicavo il mio ordine,» dice, col petto gonfio, fiero della sua decisione. «Quest’anno la festa di Natale non ci sarà.»

Le reazioni che si dipingono sul viso dei Novak sono completamente opposte, l’una dall’altra, ma Dean, che si aspettava la risata sguaiata che sputa Gabriel, di certo non avrebbe scommesso un dollaro sull’espressione impanicata di Castiel.

«Oh, ma non puoi mica fare una cosa del genere!» dice poi il Novak più basso, asciugandosi una lacrima con fare teatrale, «Non sei tu quello che prende queste decisioni; infatti, ci sono parecchi motivi per cui tuo fratello è il tuo superiore.»

«Quali sarebbero questi motivi?» chiede Dean, irritato. 

«Beh, prima di tutto, sa quanto sia importante mantenere alto il morale generale durante il mese di Dicembre. Sa anche che una tradizione del genere non può essere spezzata dal primo che passa...»

«Il primo che--»

«Ed infine, Sam è il cervellone della famiglia, scelto appositamente dai vostri genitori perché non mandi all’aria il lavoro di una vita. Dean-o carissimo, tutto ciò è fuori dal tuo controllo.»

Se si fossero trovati all’interno di un cartone animato dalle orecchie di Dean sarebbe decisamente uscito del fumo, accompagnato da alcune risate fuori campo. Oltretutto, dopo quella sfuriata arrivata dal capo delle risorse umane, ci sarebbe stato un taglio di scena che avrebbe risparmiato l’imbarazzo generale che sta investendo l’ufficio in quel preciso momento.

Dean non sa come rispondere e, dentro di sé, è consapevole che quel nanetto vestito male ha dannatamente ragione. Ma col cazzo che glielo dirà in faccia. Così, decide di fare una cosa molto matura e razionale: sbuffa stizzito e si ritira nel suo ufficio personale, sbattendo la porta, sotto gli occhi di tutta la Campbell&Co.

 

§

 

Uno strano silenzio della durata di qualche minuto segue la dipartita del capo ed il primo ad interromperlo è proprio Gabriel.

«Ehi, Balthe, parlaci del tuo vestito.»

Castiel, accanto a lui, aggrotta la fronte e scuote la testa nella sua direzione, non riuscendo a comprendere come quella domanda possa essere appropriata in quell’esatto momento.

«Oh, l’ho preso a Parigi un paio di settimane fa! Sarò il Billy Porter della Campbell&Co.!»

«Scusami, quando saresti andato a Parigi?» si intromette Charlie colta da un’improvvisa ondata di panico, perché è lei quella che si occupa di segnare le assenze da lavoro e di certo non ricorda di aver segnato alcuna assenza di Batlhazar nelle due settimane precedenti.

«Oh, sono partito venerdì sera e sono rientrato a New York domenica mattina,» si spiega lui, agitando una mano per liquidare in fretta la questione. «Comunque, dicevo--»

«Ma Billy Porter non è quello che ha indossato una gonna agli Oscar dell’anno scorso?» chiede Jack, sinceramente curioso e dal tono per nulla giudicante.

«Oh, sì! Ricordo di aver salvato tutte le sue foto per inviarle a Stevie!» risponde Charlie, approfittando dell’occasione per nominare la sua ragazza, «Secondo lei voleva solo mettersi in mostra, di certo non voleva combattere le disuguaglianze di genere.»

«Io l’ho trovato molto inclusivo, invece!» interviene Garth, guadagnandosi qualche verso d’approvazione, «Un uomo che indossa una gonna alla cerimonia del cinema più prestigiosa del mondo?! Se non era una provocazione, non so come altro definirla!»

«Balthazar, caro, anche tu vuoi combattere gli stereotipi di genere?» gli chiede Rowena, con tono canzonatorio. Ketch ride sotto i baffi e lei gli lancia un’occhiata complice.

«Ma solo io non capisco come abbia fatto ad andare in Europa e tornare nel giro di due giorni?!» Bobby parla per la prima volta, sorprendendo tutti. Nessuno ci avrebbe scommesso un centesimo sul suo interesse a quella strana conversazione.

Castiel, infine, decide di dire la sua: «Chiedo scusa, ma quindi la festa si farà o...?»

«Fratellino! Presta attenzione!» Gabriel gli tira una gomitata un po’ troppo forte nel fianco e Castiel si accarezza la parte dolorante, guardandolo di traverso, «Il grande capo non può decidere un accidenti in proposito.»

«Però non trovo corretto ignorare il suo disagio--»

«Il mio vestito sta provando del disagio perché voi lo state ignorando!» Balthazar si volta, tremendamente offeso, per dirigersi verso l’area relax, dall’altra parte dell’ufficio.

Bobby sbuffa: «Veramente ne abbiamo parlato anche troppo per i miei gusti.»

Mentre gli altri continuano ad interloquire riguardo viaggi in Europa, disuguaglianze di genere e l’improbabile montagna di soldi che nasconde Balthazar sotto al materasso, Castiel si estranea totalmente, pensando che forse Dean Winchester possa sul serio avercela con lui. Sospira e, indeciso sul da farsi, lascia la stanza principale per recarsi all’interno dell’ufficio delle Risorse Umane.

§

 

Allo scoccare dell’ora di pranzo qualcuno trova finalmente il coraggio di bussare alla porta di Dean. La chioma rossa della sua segretaria fa capolino all’interno, un sorriso imbarazzato -- che non calza per niente bene sul viso della sua migliore amica -- è proprio la cosa che non voleva vedere in quel dannato momento.

«Dean, ti lascio le copie della contabilità da firmare entro fine giornata,» dice, posando i moduli sul tavolino accanto alla porta. «Poi, qua fuori c’è Castiel che vorrebbe parlare con te. Lo faccio entrare?»

«Cos’è, gli hanno tagliato la lingua? Non sa annunciarsi da solo?» domanda stizzito e Charlie trattiene a stento un sorriso. Saluta Dean con la mano e se ne va, lasciando il posto al suo collega che, a quanto pare, ha trovato il tempo di sistemarsi la cravatta blu.

«Volevo scusarmi per averti provocato del disagio, anche se non direttamente,» dice, di punto in bianco, con l’espressione sinceramente mortificata.

«Non hai fatto niente,» Dean cerca in qualche modo di essere educato, anche se gli costa una fatica disumana.

«Fino a stamani non sapevo che la situazione fosse così seria, perciò chiederò a qualcun altro di sostituirmi. Non voglio rovinarti il Natale con la mia presenza. Non ho alcuna intenzione di essere la causa del tuo malessere.»

Ecco, in quel momento, Dean non si aspetta per niente quelle parole. Aveva sempre trovato forzata quella sua educazione, tanto da definirla quasi finta, perché nei suoi ricordi Castiel è quello che si era rivolto in maniera brusca e maleducata il giorno della festa di pensionamento di suo padre. Era convinto che il minore dei Novak indossasse semplicemente una maschera per il quieto vivere e che, sotto di essa, si celasse il vero Castiel, più sfacciato ed irritante. Eppure adesso, mentre lo guarda con gli occhi da cane bastonato, Dean sente come se avesse sbagliato più di qualche calcolo.

Sospira, sistemandosi meglio contro lo schienale della sua poltrona e facendo un cenno all’altro in direzione della sedia di fronte alla scrivania. Castiel capisce l’antifona e, dopo aver chiuso delicatamente la porta, si accomoda.

«Senti, siamo partiti col piede sbagliato, io e te. L’anno scorso ti sei comportato da stronzo e io ti sto trattando di conseguenza...»

«Cosa--»

«...Posso sorvolare solo per il tempo necessario ad organizzare questa stramaledetta festa e poi, ognuno per la propria strada. Affare fatto?» Dean gli rivolge un sorriso forzato, di quelli solitamente indirizzati ai suoi superiori durante le riunioni di lavoro.

Castiel, dal canto suo, sembra essere confuso e il cipiglio che ha sulla fronte parla chiaro: sta cadendo letteralmente dalle nuvole. «Io non capisco. Cos’è successo l’anno scorso?»

«Niente che valga la pena riportare alla luce. Allora?» incalza, sperando di concludere il più in fretta possibile quell’assurda sceneggiata. Inizia seriamente ad avere fame.

«D’accordo,» mormora, con la fronte corrugata. «Se ti va, possiamo trattenerci un paio d’ore oggi, così da buttare giù un piano e incominciare a fare una lista delle cose che servono. Sam mi ha inoltrato l’elenco degli invitati, quindi potrei iniziare a scrivere le e-mail di invito, e poi dovremmo chiamare il catering per prenotare--»

«Woah! Frena i cavalli, cowboy!» Dean sbatte le palpebre, completamente colto alla sprovvista.

«Le mie scuse. Natale è il periodo dell’anno che amo di più in assoluto, e mi lascio sempre prendere la mano...»

Dean potrebbe aver accennato un sorriso, immaginando quest’uomo impacciato e con una perenne scopa nel culo con indosso un orribile maglione natalizio. Indossato sotto al suo caratteristico trench beige, ovviamente.

Scaccia in fretta quell’immagine assieme al calore fuori luogo provocatogli, e conclude: «È deciso, Castiel. Organizzeremo la miglior festa che questa fottuta casa editrice abbia mai visto.»


Quando rientra a casa, in tarda serata, Dean si getta stancamente sul sofà in mezzo alla stanza e si porta un braccio a coprirsi gli occhi. Buttare giù un piano decente era stata un’impresa più ardua del previsto ma, fortunatamente per lui, Castiel aveva fatto il novanta percento del lavoro. Da solo era riuscito a contattare in poco tempo il catering, la migliore enoteca della città, un dj che si sarebbe occupato dell’animazione e, in ultimo, il fioraio per le decorazioni. 

Dean, invece, era solo riuscito a scrivere una sottospecie di invito -- poco esauriente -- e ad inoltrarlo via e-mail a tutti i contatti che Sam aveva individuato. Eppure, si sente letteralmente a pezzi.

Il motivo può essere strettamente collegato al fatto che vedere Castiel Novak così dinamico -- come non lo aveva mai visto sul posto di lavoro -- e così di buon umore, aveva spiazzato il direttore generale. Oppure può essere dovuto al caldo sorriso che gli aveva rivolto quando Dean lo aveva supplicato di inserire tre tipi di crostata nel menù. O, meglio ancora, il motivo della sua stanchezza poteva essere stato causato dalla frase “Gabriel porterà la sua ragazza, mentre io non porterò nessuno.”

Dean decide che continuare a ripensare alla serata appena trascorsa non è per niente una buona idea così, dopo una doccia veloce ed un tramezzino riscaldato nel microonde, si fionda sotto le coperte.

“Ci vediamo domani, Dean” è l’ultimo ricordo cosciente che lo accompagna prima di scivolare nell’oscurità.



 


Nota dell'autrice: Bene! Siamo nel pieno della storia! Ho fatto del mio meglio per la caratterizzazione dei personaggi, perché ci tenevo troppo che fossero realistici e divertenti al tempo stesso. Fatemi sapere cosa ne pensate e, soprattutto, se vi sta piacendo!
Alla prossima settimana! Un bacio <3

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Sam Winchester, seduto alla scrivania del suo ufficio al sesto piano della Campbell&Co, è completamente ignaro dei melodrammi dei suoi dipendenti -- e di suo fratello -- tre piani più sotto. La seconda settimana di Dicembre sta quasi volgendo al termine e i conti sembrano quadrare tutti, nonostante i dubbi iniziali che lui e gli altri dirigenti avevano posto sul tavolo delle riunioni lo scorso Ottobre. È soddisfatto, Sam, del lavoro svolto dal settore vendite gestito da Dean e lo è ancora di più quando si vede recapitare una mail dal Pastore Novak (il padre di Gabriel e Castiel delle Risorse Umane) che lo ringrazia per l’aumento delle vendite dell’ultima edizione della Bibbia stampata dalla Campbell&Co. In allegato a quella email trova una copia di un bonifico bancario dal valore di 1.500 dollari.

Sam afferra in fretta la cornetta del telefono, pronto a mettersi in contatto col Pastore.

«Samuel, a cosa devo questa telefonata?» risponde pacato l’uomo e Sam prende un profondo respiro prima di rispondere, per evitare che il suo entusiasmo da ventiseienne possa rovinare i sentiti ringraziamenti che ha in programma di rivolgergli.

«Pastore Novak, io davvero non so come ringraziarla per la donazione--»

«Oh, suvvia, è il minimo che la mia chiesa potesse fare. Castiel mi ha riferito che ogni anno avete difficoltà sulla logistica della festa di Natale. Ho pensato che, almeno per quest’anno, potreste festeggiare in un posto più grande e accogliente rispetto alla solita sala riunioni della Campbell&Co.»

«Lei… lei è davvero un angelo. Riferirò tutto ai dipendenti e, come sempre, l’invito alla festa è esteso anche a lei e sua moglie Amelia,» propone Sam, in un estremo impeto di gentilezza.

«Ti prego, chiamami Jimmy. Io e tuo padre siamo grandi amici da sempre e non voglio che ci siano formalità tra me e i suoi figli,» il pastore fa una pausa, soppesando la proposta di Sam. «Tuttavia, io e mia moglie siamo troppo vecchi e saremmo decisamente fuori posto ad una festa del genere. In più, non vorrei mettere in imbarazzo i miei figli.»

L’Amministratore Delegato pensa che, in realtà, potrebbe essere Gabriel a mettere in imbarazzo i suoi genitori, visti i suoi atteggiamenti poco consoni quando è coinvolto dell’alcol. Decide di tenere quel pensiero spiacevole per sé e conclude la telefonata con altri mille ringraziamenti, pensando che non sarebbero mai stati abbastanza.


«Sam sta per venire qui, vuole parlare con noi,» annuncia Charlie a gran voce, dopo aver chiuso la telefonata con Sam.

Si solleva un brusio generale finché Dean, che al momento si trova accanto a Rowena per sistemare delle questioni, non decide di prendere la parola.

«Okay, andiamo tutti in sala riunioni. Jack, va’ a chiamare i Novak,» ordina, infine.

La sala riunioni in questione veniva usata come ufficio contabile, prima che Dean diventasse direttore generale. Successivamente, il suddetto ufficio venne spostato al secondo piano dell’edificio, lasciando lì, tuttavia, il lungo tavolo centrale che era adibito alle postazioni dei computer della contabilità. Quando dovevano organizzare la festa di Natale, i computer venivano spostati tutti insieme (grazie al lavoro estenuante dei poveri magazzinieri) e il tavolo si trasformava in un perfetto buffet. Una volta preso il comando, la prima cosa che aveva fatto Dean era stata quella di trasformare l’ufficio contabilità in una semplice sala riunioni. L’entusiasmo dei magazzinieri era stato tale da permettergli di ricevere una scorta bimestrale di caffè in capsule.

Sam fa il suo ingresso nella stanza poco dopo i Novak e l’ambiente si riempie immediatamente di un silenzio carico di aspettativa. Dean si affianca al fratello.

«Ho due buone notizie da comunicarvi,» inizia il minore dei Winchester, con un sorriso incoraggiante dipinto sul volto. «La prima è che il Pastore Jimmy Novak ci ha donato la somma di ben 1.500 dollari per ringraziarci del fantastico lavoro svolto con la vendita delle nostre Bibbie.» Versi di stupore e meraviglia si elevano nella stanza, portando anche Dean ad accennare un mezzo sorrisino compiaciuto. «Perciò l’intera somma sarà utilizzata per organizzare una festa ben più grande del solito, in un luogo molto più spazioso della nostra sala riunioni.»

«Frena un attimo,» lo interrompe Dean, usando un linguaggio non adatto ad un suo superiore, «Stai dicendo che, proprio quando tocca a me organizzarla, sarò costretto a metterci il doppio dell’impegno?»

Probabilmente qualcuno che non conosce ancora bene Dean, non coglie la serietà delle sue parole e ride. Dean guarda di traverso nella direzione generale da cui proviene la risata, ma non riesce ad individuare il colpevole.

Sam sbuffa imbarazzato, «Esattamente, Dean,» taglia corto, per concludere.

Il resto della riunione vede un coinvolgimento generale sulle proposte del nuovo posto dove si terrà la festa, mentre Castiel prende appunti con una dedizione che Dean trova non poco fastidiosa.

 

A fine giornata, i due colleghi addetti alla festa rimangono soli nell'ufficio di Dean, per fare il punto della situazione.

«Ecco una lista dei possibili locali che potremmo affittare,» inizia Castiel, porgendo un foglio a Dean che, piuttosto, decide bellamente di ignorare.

«Quella lista include la Texas Roadhouse sulla North Avenue?»

«No--»

«Allora la LongHorne Steakhouse sulla Kimball Ave?»

Castiel aggrotta la fronte, «No, Dean--»

«Jimbo’s Palace sulla White Plains!»

«No.» 

L’esasperazione del suo collega è palese, ma Dean non si arrende. «Se non c’è nemmeno la Route 66 Smokehouse sulla Stone St. non vedo l’utilità di quella lista, allora.»

Castiel scuote la testa, confuso. «Hai appena elencato i tuoi locali preferiti di tutta New York?»

Il biondo incrocia le mani dietro la nuca, ammiccando. «Il mio palato è raffinato, Cas.»

Il petto di Castiel si gonfia e le narici si allargano, indicando un profondo respiro. Poi, deglutisce a fatica, come a voler mandare giù un boccone troppo amaro. Dean si ritrova, inconsciamente, a seguire con gli occhi il movimento del suo pomo d’adamo. «Non festeggeremo il party di Natale della Campbell&Co in un locale che puzza di carne arrostita e birra, Dean.»

«Gli odori migliori del mondo.»

Sorprendendo il direttore, Castiel scatta in piedi e inizia a fare avanti e dietro per l’ufficio, digitando velocemente qualcosa sul suo telefono. Dopo qualche secondo, si ferma davanti alla scrivania di Dean, appoggiandosi su di essa con le nocche. La luce di determinazione che brilla negli occhi di Castiel, che lo fissa con la fronte aggrottata, manda un leggero brivido lungo la schiena di Dean. «Rimarremo nei pressi dell’ufficio perché non tutti gli invitati possiedono un’auto o possono spostarsi in metropolitana di notte. Oltretutto, c’è un dress code da rispettare--»

«Aspetta, cosa? Quando l’abbiamo deciso? Nessuno mi ha informato!»

«--E considerando che abbiamo un budget di 3.600 dollari, propongo di scegliere tra il The Surrey o il The Mark, sulla Madison Avenue,» conclude il moro, con un tono che non lascia decisamente spazio ad ulteriori contrattazioni.

Dean sbatte le palpebre un paio di volte, non così certo di aver compreso il folle piano del responsabile delle Risorse Umane. «Hai appena nominato gli alberghi più costosi di New York!»

«Esattamente.»

«Perché diamine dobbiamo festeggiare in un albergo di lusso?»

«Perché» spiega Castiel, con la pazienza che solitamente si riserva ad un bambino di cinque anni, «chi lo desidera potrà prenotare una stanza e rimanere per la notte, dato che il numero di alcolici previsto è molto alto. Ho già ricevuto l’approvazione da Sam, quindi puoi stare tranquillo,» gli dice, sollevando il cellulare come prova.

Ora, Dean potrebbe anche provare a discutere con Castiel, visto che ha ormai capito quanto potesse essere ragionevole, ma il coinvolgimento del suo fratellino rompipalle cambia tutte le carte in tavola.

Il direttore, così, sospirando teatralmente, si inclina all’indietro sullo schienale della sua comodissima poltrona e sorride, fissando Castiel negli occhi. Una maledettissima idea aveva fatto capolino dai meandri della sua mente perversa e, dopo aver fatto passare qualche altro secondo, valuta la reazione del suo collega. Nel momento in cui Castiel sembra ammorbidire i tratti del viso, lasciando lentamente spazio a quella che ha tutta l’aria di essere pura confusione, Dean attacca.

«Hai mai provato attrazione per gli uomini?»

Dean Winchester, dall’alto della sua pluriennale esperienza con le relazioni, riesce piuttosto bene a capire quando qualcuno è interessato a lui. Il modo in cui Castiel lo fissava, pensando che lui non lo notasse, oppure l’agitazione che lo aveva investito quando il biondo lo aveva chiamato “Cas” pochi minuti prima, oppure il respiro che accelerava un po’ ogni volta che Dean sorrideva. Castiel Novak era palesemente attratto da lui. E Dean, che non sapeva se fosse un qualcosa di consapevole per l’altro, aveva deciso comunque di giocarsi questa carta visto che non avrebbe più potuto vincere la partita in altro modo.

Castiel apre la bocca per rispondere, gli occhi sgranati e terrorizzati, ma la richiude in fretta, distogliendo finalmente lo sguardo da Dean. Poi dice: «Non vedo cosa c’entri questo con la festa.»

Dean ride, indossando l’espressione più provocante possibile: «Voglio conoscerti meglio, Cas, andiamo! Le nostre famiglie si conoscono da sempre, eppure io non ho mai avuto modo di frequentare te o Gabriel prima di lavorare qui. Non credi che sia arrivato il momento di... metterci un po’ a nudo?»

Si complimenta mentalmente con se stesso, fiero di essere riuscito ad usare le parole giuste, e si gode ogni piccola variazione sul viso del suo adorabile collega dalla cravatta blu -- perfettamente in pendant con i suoi occhi. «Dean, io… io non credo che sia appropriato...»

«Perché sono il tuo capo?»

Il moro sbuffa dal naso, adesso visibilmente combattuto e a disagio, e Dean pregusta già il sapore della vittoria. Ma ciò che Castiel dice subito dopo, spiazza così tanto il direttore generale da provocargli qualcosa di molto simile ad un infarto. «No, Dean, non ho mai provato attrazione per gli uomini. Prima d’ora.»

L’implicazione nascosta in quelle ultime parole, Dean proprio non se l’aspettava. Si aspettava, infatti, una non-risposta oppure un tipico silenzio di Castiel, che non avrebbe avuto nulla a che fare con quella confessione. Dean avrebbe voluto semplicemente metterlo a disagio, per divertirsi un po’, perché non riusciva a tollerare questo gioco di potere che stavano avendo i due riguardo la festa, eppure… Eppure Castiel aveva deciso che era una buona idea quella di rispondergli con tutta la sincerità di questo mondo.

Dean sostiene lo sguardo dell’altro, abbastanza a lungo da rendersi conto di quanto sia fuori luogo, e finge un attacco di tosse per stemperare la tensione. Ma, ovviamente, non funziona, perché Castiel continua a parlare: «Mi sono ricordato ciò che è successo l’anno scorso, alla fine,» mormora, accomodandosi sulla sedia ed incrociando le dita delle mani sul ventre. «Ti stavi lamentando con Sam del tuo nuovo posto da direttore generale della Campbell&Co e io ti ho detto che avresti dovuto essere più rispettoso nei confronti dei tuoi genitori. Ebbene, lo pensavo sul serio, Dean. Non ti conoscevo bene e mi avevi dato l’impressione di essere un… come posso dire? Un arrogante moccioso viziato.»

Il biondo deglutisce, avvertendo la gola terribilmente secca.

«Nell’ultimo anno ho avuto modo di osservarti, mentre ti relazionavi con i tuoi dipendenti, dato che parte del mio lavoro è quella di controllare che i rapporti tra colleghi procedano per il verso giusto,» abbassa gli occhi sulle proprie mani, facendo una pausa. Sorride tra sé e Dean vorrebbe capire cosa diavolo ci sia di così divertente. «Non hai mai mancato di rispetto a nessuno, qui dentro. Certo, il più delle volte ti diverti a metterli in difficoltà, ti rivolgi in tono irriguardoso e sarcastico, ma sempre per un motivo: lo fai per il bene dell’azienda. Per il bene dei tuoi genitori, che hanno lavorato tanto per mantenere in piedi questo posto.» Castiel alza di nuovo lo sguardo, puntando i suoi incredibili occhi blu in quelli verdi di Dean, carico di una sincerità disarmante. «Sei un uomo ammirevole, Dean Winchester. Mi dispiace di aver pensato male di te.»

Dean si ritrova, alla veneranda età di trent'anni, a non sapere che diamine rispondere al suo controverso sottoposto. Ovviamente, quello di controllare il modo di comportarsi di qualcuno sul posto di lavoro, è il compito principale delle Risorse Umane, perciò quelle parole non dovrebbero metterlo granché a disagio. Tuttavia, in quel momento, non ha la più pallida idea di cosa fare, come reagire o come uscirne. Sbatte le palpebre, stringe le labbra, si sistema meglio sulla sedia: tutte reazioni che non fanno altro che darla vinta all’altro, pensa Dean con sdegno.

Eppure, Castiel non è giudicante, non sta decisamente provando a metterlo in difficoltà; ha solo espresso apertamente ciò che pensa del suo capo. Tutto qui.

L'ancora di salvezza, però, arriva incredibilmente dal suo cellulare che inizia a vibrare insistentemente nella tasca dei suoi pantaloni da ufficio. Raddrizza la schiena con uno scatto e il telefono minaccia di scivolargli un paio di volte dalle mani quando lo afferra, e guarda il nome di suo fratello lampeggiare sullo schermo per un tempo indefinito. Infine, sente la sedia di fronte a lui stridere e un fruscìo di stoffa, che annunciano che Castiel si è alzato e sta indossando il trench. Finalmente Dean risponde alla chiamata, risvegliandosi dal torpore.

«Sammy-- Pronto?»

Sam e Castiel parlano nello stesso istante e il cervello di Dean registra solamente le parole di quest’ultimo: «Buona serata, Dean,» dice uscendo e richiudendosi la porta alle spalle.

Che cazzo è appena successo?!



 
Nota dell'autrice: Buonasera cari lettori <3 Eccoci finalmente al terzo capitolo, che ho letteralmente ADORATO scrivere! È sempre un piacere far interagire Dean e Cas, in qualsiasi universo ed in qualsiasi modo. Manca una settimana a Natale e quindi al capitolo con la tanto agognata festa! Spero di non deludervi. Ci risentiamo la settimana prossima e fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo.
Un ringraziamento speciale alla mia beta, Julss del mio cuore, che ancora -- a distanza di un mese -- sclera con me sulla destiel e sul finale di spn. RIP

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


 

24 Dicembre, Campbell&Co - 11:34 am

«Buongiorno, adorabili scimmiette danzanti!» Balthazar spalanca la porta dell’ufficio e saluta tutti col suo solito modo di fare eccentrico. 

Charlie, rendendosi conto di ciò che il responsabile del controllo qualità ha tra le mani, scatta in piedi facendo letteralmente volare la sua sedia all’indietro. «Che diavolo è quella cosa morta?!»

L’uomo, alzando un sopracciglio come se non capisse il motivo di quell’espressione scandalizzata, si ferma davanti al bancone della reception e vi poggia sopra, con noncuranza, l’anatra stecchita. «Me l’ha rimediata mio zio all’alba. È il suo regalo di Natale per l’azienda! La mangeremo durante l’ora di pranzo.»

«Balthe, ha ancora la testa, le piume e tutti gli organi interni. Dove vorresti pulirla?» Charlie si porta una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, mentre cerca con lo sguardo qualcuno che possa venire in suo soccorso. Jack è l’unico che si alza in piedi e corre verso l’ufficio delle Risorse Umane.

«Lo farà Bobby,» risponde Balthazar, sorridente. «Una volta mi ha raccontato che possiede una casa in campagna. Sicuramente saprà pulire un’anatra! Poi la cucinerò io, usando la ricetta della mia famiglia,» conclude, togliendosi la sciarpa e il cappotto di dosso.

«Non ho assolutamente intenzione di toccare quel cadavere putrido,» commenta, di rimando, Bobby, dalla sua postazione. E prima che Balthazar possa rispondergli, entrano in scena Castiel e Jack.

«Balthazar, lo sai che non puoi portare animali morti al lavoro,» gli dice pazientemente Castiel. «Ne abbiamo già parlato stamattina.»

«Lo so, Cassie, ma non capisci! L’anatra alla francese è un piatto prelibatissimo e raffinato, e voi dovete assolutamente provarla! Ti prometto che non ti deluderà.»

«Non lo metto in dubbio. Tuttavia non puoi pulire un animale nel cucinino della nostra sala relax.»

Nel frattempo, appoggiato contro lo stipite della porta del suo ufficio, Gabriel si gode la scena tra i due con malcelato divertimento, rigirandosi un lecca lecca tra le dita.

Dopo qualche minuto di battibecchi, Balthazar si convince, riluttante, e porta via l’anatra, anche se non è dato sapere dove.

Castiel, come se avesse corso una maratona, porta un gomito sul bancone della reception e scambia uno sguardo d’intesa con Charlie che, fortunatamente, adesso sta ridendo per l’assurdità della situazione.

«Non sono mai stata così felice di essere una segretaria, Cas. Non so con che forza di volontà e pazienza tu riesca a sopportare tutto ciò che accade qua dentro,» sogghigna lei, battendo qualcosa al suo computer.

Il moro annuisce lentamente, dandole ragione: «Ci sono abituato, ormai. Ho a che fare con gente bizzarra da decenni,» mormora, perso nei suoi pensieri.

Gli stessi pensieri lo conducono verso orizzonti sconosciuti, in particolare verso un certo tipo biondo dagli occhi verdi che quella mattina aveva deciso di prendersi il giorno libero. «Hai-- Ehi, Charlie, hai sentito Dean oggi?»

Finge che la domanda sia venuta fuori casualmente, ma l’espressione della segretaria gli fa capire che lei la sa lunga, purtroppo. «Ha chiamato mezz’ora fa per una questione relativa agli appuntamenti della settimana prossima. Ma se vuoi sapere se mi ha lasciato un messaggio per te, la risposta è no.»

Castiel si rimette dritto, schiarendosi la gola e corrugando la fronte. «No, io-- volevo solo sapere se avesse detto qualcosa per stasera.»

Un sorrisetto malizioso si dipinge sul viso della ragazza, «Certo,» dice semplicemente e prima che lui possa ribattere, qualcuno richiama la loro attenzione dalla sala relax.

Ketch è affacciato alla porta, uno sguardo di pura confusione gli rovina il volto perfettamente proporzionato. «Ragazzi, perché c’è un'anatra morta nel frigorifero?»


 

24 Dicembre, Casa di Dean - 9:05 pm

Nessuno dei due ha più tirato fuori quell’imbarazzante conversazione, per fortuna. Hanno avuto modo di vedersi altri pomeriggi, mettere a punto ogni dettaglio della maledetta festa e, per sua gioia, il tutto era stato organizzato alla perfezione ed in tempo per il 24 Dicembre.

Dean ci aveva ripensato -- alle parole di Castiel -- e l’angoscia e il senso di disagio non avevano minimamente accennato ad andarsene, nemmeno a distanza di giorni. Lui aveva evitato il responsabile delle Risorse Umane il più possibile, sul luogo di lavoro, e Castiel non aveva insistito.

Dita sottili si poggiano sulle sue spalle, distraendolo da quei pensieri: incrocia lo sguardo di Jo allo specchio e sorride ammiccante, mentre lei aggrotta la fronte, valutando il suo abbigliamento.

«Dean Winchester in smoking. Non ci avrei scommesso un dollaro,» dice lei, accarezzando la stoffa ligia della sua giacca nera. 

«So di essere bellissimo, grazie tante,» commenta compiaciuto, sistemandosi meglio il papillon.

«Sono contenta di essere la tua +1 stasera, ma sappi che non finiremo a scopare nel dopo serata,» le labbra colorate di rosso della sua amica d’infanzia si arricciano e un sopracciglio sottile si solleva, accusatorio. 

Dean si volta, regalandole un sorriso mozzafiato e lei alza gli occhi al cielo. «Un uomo può comunque sognare.»
 

 

24 Dicembre, ingresso della sala ricevimenti del The Surrey - 9:33 pm

La sala affittata dalla Campbell&Co è relativamente grande: una volta dentro si viene catapultati in uno spazio contornato da pareti color crema, due grandi vetrate ad ovest che si affacciano su Central Park, illuminato a festa. La neve cade copiosamente sul paesaggio anche se non ha ancora avuto modo di attecchire. Al centro della sala sono stati disposti cinque tavoli rotondi, da sei posti ciascuno, decorati da tovaglie e fiori con colori che vanno dal dorato all’argento -- colori espressamente scelti da Castiel, per evitare i soliti rossi e verdi. Su ogni tavolo sono presenti una serie di candele accese, posate e piatti d’argento e, nel centro esatto, un bouquet di rose bianche. Il pavimento è formato da una morbida moquette scura con ghirigori argentati, che sono più visibili nella zona est della sala, dove vi è il bancone del bar e il piccolo palco per il DJ.

Una donna dai morbidi ricci biondi ed un elegante tubino nero accoglie gli ospiti all’ingresso, verificando i nomi e le presenze sulla lista. Dean è piacevolmente stupito dalla raffinatezza di tutto ciò, talmente tanto che la donna deve chiedere due volte a lui e Jo di presentarsi.

«Uhm, sì, Dean Winchester e Jo Harvelle,» le risponde, finalmente.

La donna, con una targhetta appuntata al petto che recita il nome “Jessica”, fa scorrere il dito smaltato di rosso sulla lista, fermandosi in fondo ad essa: «Trovato. Lei e la signorina Harvelle siete stati disposti al tavolo numero 1, assieme a Sam Winchester, Castiel e Gabriel Novak e signora. Passate una buona serata,» sorride loro, con cortesia, indicando il tavolo in questione.

Dean cerca in tutti i modi di non mostrare sconforto dopo aver sentito la lista dei suoi commensali e crede davvero di esserci riuscito, finché Jo non gli tira un pizzico sul braccio al quale è appoggiata. «Dovresti almeno fingere di essere felice di passare la serata con tuo fratello.»

«Oh, Sam è la persona che sopporto più facilmente a quel tavolo,» dice lui, sarcastico, mentre la coppia finalmente raggiunge il tavolo in questione. Sono arrivati per ultimi, proprio come voleva Dean, perciò gli occhi di tutta la sala sono letteralmente su di lui.

«Alla buon ora, capo!» urla Charlie dal tavolo numero 2 e Dean le fa l’occhiolino.

Prima di accomodarsi al suo posto (fortunatamente accanto a Sam e lontano dai due Novak), fa un cenno di saluto ai presenti del suo tavolo, baciando la mano della donna accanto a Gabriel -- la sua ragazza? -- e presentando Jo. È contento, Dean, della disposizione dei posti ma, proprio quando il suo sedere regale tocca la sedia, Gabriel decide di cambiare le carte in tavola.

«Oh, Dean-o! Che ne dici di scambiarci di posto? Gradirei sedermi accanto a Sam, sai, per discutere di lavoro, mentre tu e la signorina potrete sedervi da questa parte, accanto a Cassie,» pronuncia quella sentenza con il sorriso di uno che la sa lunga e con una sicurezza che Dean trova notevolmente irritante. Vorrebbe risponde che, no, ovvio che non gli va bene, ma ciò significherebbe dare troppo nell’occhio e, certamente, non vuole rovinarsi quella serata già troppo inaspettata per i suoi gusti.

Così, decide di acconsentire, notando troppo tardi che Castiel sta lanciando un’occhiata omicida a Gabriel che, a sua volta, lo sta ignorando. Dean prende finalmente posto vicino al suo collega delle Risorse Umane e non può fare a meno di notare la luce diversa che illumina il viso di Castiel. Non riesce, tuttavia, a capire di che si tratta.

All’improvviso, i camerieri iniziano velocemente a muoversi per la sala, mentre il DJ - un uomo alto e di bell’aspetto -- dà il benvenuto a tutti e mette su una playlist natalizia, facendo sì che le note inizino a riscaldare l’atmosfera.

«Dean?» lo richiama Cas, dal suo fianco, e Dean proprio non può sopportare quella vicinanza e quella voce, non finché non ha dell’alcol alla portata di mano, almeno. Dopo quella strana conversazione avuta nel suo ufficio, i due hanno ben deciso di non riprendere più il discorso e di raffreddare ogni tipo di rapporto. Non che prima le cose fossero granché calde, ma adesso il biondo può chiaramente avvertire il gelo che li avvolge ogni volta che si avvicinano troppo. E Dean odia le situazioni imbarazzanti. Non le sa gestire o, forse, non vuole farlo.

Tuttavia, si volta comunque verso di lui e alza un sopracciglio, interrogativo.

«Come stai?» chiede, semplicemente, il moro.

«Me lo chiedi solo perché fai parte delle Risorse Umane,» risponde Dean, piccato. Si rende conto che Jo ha iniziato a parlare animatamente con Kalì, decidendo di lasciarlo completamente solo a gestire quella situazione.

L’altro accenna appena un sorriso, quasi invisibile, «Sì, fa parte del mio lavoro conoscere il benessere dei miei colleghi, però… intendevo, dopo quella conversazione, non abbiamo più avuto modo--»

Una cameriera li interrompe, avvicinando una bottiglia di pregiato vino rosso. Il direttore generale afferra il proprio calice e se lo fa riempire con grande gioia, voltandosi poi a richiamare l’attenzione della sua amica, perché col cavolo che continuerà ad ascoltare ciò che Castiel ha da dire. Con la coda dell'occhio nota che Cas abbassa lo sguardo, quasi deluso. Oh, chissenefrega.

 

Tre calici di vino e due portate di antipasti dopo, Dean si sente finalmente leggero ed allegro. Non ricorda più il motivo per il quale quella mattina aveva deciso di dare buca al lavoro, non ricorda neanche perché era di cattivo umore ad inizio serata, mentre il DJ ha fatto partire un paio di musiche anni ‘20 che sono, segretamente, la passione di Dean.

Quando le note di “Let’s Misbehave” riempiono la sala, Dean inizia a battere i piedi a ritmo sotto il tavolo, finché qualcuno non decide bene di colpirlo all’altezza dello stinco.

«Ehi!» urla in direzione generica, notando che Sam è l’unico che lo sta guardando di traverso ed anche l’unico che può raggiungerlo con le gambe chilometriche che si ritrova.

«Datti un contegno,» mima con le labbra, anche se Dean capisce “Metti un sostegno”, il che non ha effettivamente senso. «Siamo solo agli antipasti!»

«Hai gli auricolari guasti?!» gli chiede con un tono di voce un po’ troppo alto, guadagnandosi un’occhiata confusa da Castiel accanto a lui. 

Dean ha notato, nonostante tutto, che il moro lo osserva in ogni suo movimento e ciò lo fa sentire letteralmente in trappola e, soprattutto, lo mette terribilmente a disagio.

Quando il ritornello arriva, Dean non può fare a meno di prendere una delle sue forchette d’argento per portarla davanti alla bocca, a mo’ di microfono. Nel farlo, però, non si rende conto di aver urtato qualcosa che si rivela essere il calice di vino del suo vicino. Il liquido rosso impregna la tovaglia e si riversa anche addosso a Castiel, bagnandogli i pantaloni. Dean scatta indietro con la sedia, imprecando qualcosa di indefinito, mentre Castiel rimane paralizzato a fissare la patta dei propri pantaloni.

«Cazzo! Che casino! Non volevo… tieni, pulisciti con questo,» gli porge un tovagliolo, ma Castiel è tutt’altro che collaborativo. «No, hai ragione, la macchia non passerà con questo.»

«Dean, non è successo niente, calmati--»

«Dean!» lo richiama suo fratello, anche se è proprio l’ultima voce che vuole sentire in quel momento.

«Ma che diavolo stai facendo?» interviene anche Jo, dandogli il colpo di grazia.

L’unica cosa sensata, in quel momento, è prendere Castiel per un braccio e trascinarlo via da lì, possibilmente nel bagno più vicino. Ed è esattamente quello che fa nei venti secondi successivi al disastro.

 

Tavolo 2 - ore 10:15 pm

Il tavolo numero 2, formato da Charlie, Stevie, Bobby e sua moglie Karen, Rowena e Ketch, sembra aver trovato molto più appassionante seguire le vicende del tavolo numero 1, piuttosto che interloquire tra di loro. Le due rosse sono le caposquadra, le due dall’udito sopraffino, quelle che riescono a cogliere qualsiasi dettaglio anche a distanza, mentre il resto della banda (ad esclusione di Bobby) preferisce rimanere in attesa delle news carpite dalle due donne.

«Oh mio Dio! Dean ha appena versato del vino addosso a Cas!» esclama Charlie, portandosi una mano alla bocca, mentre Stevie ridacchia. 

«Delle volte il nostro direttore generale si comporta come un cavernicolo,» interviene Arthur, marcando con forza il suo accento inglese. 

Rowena, accanto a lui, annuisce: «È un così bel ragazzo, peccato che abbia le maniere di un camionista.»

«Di un boscaiolo vorrai dire, cara,» la corregge il suo compagno, con uno sguardo d’intesa.

Di tutto quel teatrino, Bobby è l’unico a non voler mostrare alcun interesse e, anzi, si sta gustando il secondo piatto di ostriche alla Rockfeller. «Che razza di idiota,» commenta.

«Adesso come faremo a sapere che cosa succede nel bagno?!» chiede Charlie, appoggiandosi allo schienale della sua sedia, con fare sconfitto. 

La sua ragazza le prende la mano: «Scommetto che vorresti andare a spiarli.»

«Certo! Se fossi un maschio lo farei! Ehi, Bobby, secondo te che accadrà là dentro?»

«Non me ne frega un accidente,» risponde, lui.

«Secondo me il nostro capo farà qualcosa di piccante,» interviene Rowena, alzando un sopracciglio.

«Oh, sono d’accordo con te! Facciamo una scommessa!» Charlie guarda Bobby, convinta di poterlo trascinare con sé nel baratro. 

Ed, incredibilmente, Bobby mostra un briciolo di interesse. «Scommetto 10 dollari che Dean scapperà con la coda tra le gambe, senza fare un fico secco.»

«Affare fatto!»

Mentre Charlie e Bobby si stringono la mano, un’ombra elegante e raffinata si affaccia al tavolo numero 2, sorprendendo i presenti.

«Carissimi, perché il nostro Cassie aveva una macchia scura sui pantaloni? E perché è scappato in bagno col capo?» chiede Balthazar -- nel suo lungo abito con gonna acquistato a Parigi -- guadagnandosi una risata generica.

La rossa gli dà una pacca amichevole sulla spalla, continuando a ridere: «Oh, sapessi, caro Balthie, sapessi!»

 

Bagno del The Surrey - 10:20 pm

La lucidità lo colpisce come un treno in corsa quando i due varcano la soglia del grande bagno dell’hotel. Castiel si avvicina ad uno dei lavabi e prova pulire la macchia con un tovagliolo bagnato d’acqua. Dean, invece, rimane inerme accanto a lui, fissando ogni suo movimento attraverso lo specchio.

Castiel sorride, sorprendendo il biondo ed incrociando il suo sguardo dal riflesso: «Quindi l’unico modo per rimanere solo con te era quello di rendermi ridicolo davanti a tutti?» chiede e Dean apre la bocca e la richiude subito, sorprendendosi del suo sarcasmo.

«Touché,» risponde, semplicemente, ricambiando il sorriso. «Non credevo che anche tu potessi essere divertente.»

«Che vuoi dire? Non sono una persona divertente?» chiede Castiel, sinceramente curioso.

Dean scoppia a ridere: «Sei la persona meno divertente che conosca, ed è proprio per questo che quelle rare volte in cui fai delle battute, risultano davvero divertenti.»

«Ma non era una battuta, Dean. Dicevo sul serio. Adesso possiamo parlare, no?»

«Cas, non c’è niente di cui parlare!» sbotta, allontanandosi dal lavandino e alzando gli occhi al cielo. Gli gira ancora la testa, ma riesce in qualche modo a mantenere una parvenza di controllo. «Ascolta: volevo prenderti per il culo perché mi fa incazzare prendere ordini da te, non avere voce in capitolo in qualche situazione o quando faccio qualcosa che non ho voglia di fare! Ecco perché ti ho detto quelle cose, provando a metterti a disagio. Chiudiamo questa storia una volta per tutte, vuoi?»

Ha le braccia incrociate al petto ed è in piedi dietro Castiel; non riesce a vedere il suo viso dal riflesso dello specchio, ma può avere un quadro generale della sua schiena. Le spalle, anche se non molto larghe, sono ampie e ben definite. Il completo nero fascia con estrema eleganza il suo corpo, ma è solo quando si volta di nuovo di fronte a lui - col capo chino ed ancora indaffarato con la macchia -- che Dean si accorge di cos’era la luce diversa che aveva notato ad inizio serata.

Castiel sta indossando una cravatta rossa! E non una semplice, ma con dei ricami più scuri che sembrano rappresentare degli ideogrammi in una qualche lingua che Dean non conosce. Il rosso brillante fa qualcosa al suo viso, lo rende più aperto, ammorbidisce i lineamenti, addolcisce l’espressione e, Dio, quando Cas alza lo sguardo verso di lui, il blu degli occhi diventa infinito come il cielo, profondo come il mare e terribilmente difficile da sopportare.

La mano di Dean si solleva quasi autonomamente, senza che il cervello gliel’abbia ordinato, e si richiude attorno a quella stramaledetta cravatta; il braccio fa il resto, esercitando la pressione giusta che costringe il moro a ricadere in avanti e a finire addosso a Dean. Le labbra del direttore generale cercano immediatamente quelle del responsabile delle Risorse Umane, posandosi su di esse con naturalezza. Dean sente Cas inspirare con forza dal naso, come se gli mancasse l’ossigeno, e lui fa la stessa cosa, avanzando però di qualche passo per far aderire i loro corpi alla perfezione.

Non riesce a capire bene chi dei due inclina il capo per schiudere le labbra, ma succede che le lingue di entrambi si incontrano, iniziando una danza lenta e sensuale; Castiel porta entrambe le mani ad incorniciare il viso di Dean e sono calde e morbide e Dean è felicissimo che si trovino lì.

Quando il biondo lo spinge all’indietro contro i lavabi, Castiel muove le mani tra i suoi capelli, accarezzandogli lo scalpo con le dita, provocandogli dei piacevoli brividi che costringono Dean ad infervorarsi e gemere nella bocca dell’altro.

Le sensazioni provate in quel momento sono tutto ciò a cui Dean decide di aggrapparsi, come fossero un'ancora di salvezza: si gode il tocco dell’altro, il suo profumo, la morbidezza delle sue labbra e del suo intero corpo, convincendosi che, in fondo, non c’è assolutamente nulla di male in tutto ciò.

 

Pista da ballo - ore 10:52 pm

«Jack, ma come è possibile che tu non abbia una ragazza? Sei bellissimo!» gli urla Jo nell’orecchio, mentre tutti gli invitati si scatenano sulla pista da ballo, di fronte alla postazione del DJ.

Il ragazzo, sorridendo educatamente, scuote la testa: «Non lo so, non credo di aver mai provato attrazione per le ragazze, o per i ragazzi per quanto possa valere. Non ne ho bisogno, forse!»

Jo scoppia a ridere, prendendo il giovane sotto braccio, «Okay, allora sarebbe inutile provarci con te.»

«Te ne sono grato!» risponde Jack, ma prima che possa dire altro, Charlie si precipita con una velocità assurda verso il gruppo al centro della pista, attirando gli sguardi di tutti i presenti. Sventola una banconota da dieci dollari e sta saltando come se ne avesse vinti duecento.

Non c’è bisogno di specificare altro: tutti capiscono quello che è successo quando un Dean completamente spettinato e un Castiel con la cravatta fuori posto tornano ad accomodarsi al loro tavolo, cercando, invano, di atteggiarsi nella maniera più naturale possibile.





 


Nota dell'autrice: BUONGIORNO AMIC* E BUONA VIGILIA DI NATALE! Sono felicissima di aver completato e pubblicato questo capitolo in tempo per Natale. Come sapete, ci tenevo a rispettare la linea temporale reale e grazie all'ENORME aiuto della mia cara beta Juls, ce l'ho fatta. Spero tanto che questo capitolo vi piaccia, volevo scriverlo bene ed infatti è venuto lunghissimo! Beh, sta a voi giudicare, comunque. Il prossimo capitolo (e spero anche quello conclusivo) arriverà in tempo per la fine dell'anno, quindi non temete! Le avventure di questi due stronzetti non sono ancora finite qui.
Intanto vi auguro di passare un sereno Natale - per quanto possibile - con le persone care e noi ci riaggiorniamo la settimana prossima. Un bacio!

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Dean è piuttosto sicuro che i suoi problemi siano iniziati all’età di otto anni: Sam, un pomeriggio d’estate, ha deciso di arrampicarsi sull’albero nel giardino sul retro della loro casa a Lawrence, Kansas. È riuscito -- con quegli esili arti -- a raggiungere il ramo più alto e a sedervisi sopra, rendendosi conto un po’ troppo tardi che gli sarebbe stato difficile tornare con i piedi per terra. Dean l’ha guardato per tutto il tempo, senza però dire una parola, e ha pensato immediatamente che Sam avrebbe fatto la fine del gatto dei vicini, Rocky -- tanto grosso quanto stupido. Sia Sam, che quel gatto, sono rimasti quindi bloccati su un albero e hanno iniziato a frignare perché incapaci di tornare giù. 

Rocky, ricorda Dean, era stato salvato dai pompieri per la gioia della Signora Stanley, perciò, vedendo Sam in quella stessa situazione, il bambino ha pensato di correre in casa per telefonare ai vigili del fuoco. O meglio, l’avrebbe fatto, se avesse saputo quale fosse il numero da chiamare.

John Winchester -- rientrato in quell’esatto momento in casa, dopo aver sbrigato alcune commissioni -- ha sorpreso il figlio maggiore a fissare inerme la cornetta del loro telefono, mentre le urla e i pianti di disperazione del piccolo Sam si facevano sempre più insistenti.

«Che diavolo sta succedendo?!» ha tuonato John, precipitandosi nel giardino, seguito a ruota da Dean.

«Sammy si è arrampicato come ha fatto Rocky!» ha risposto Dean, pensando bene che quella spiegazione potesse riassumere il tutto.

John, in un paio di minuti, è riuscito a salire sul tronco, afferrare il piccolo e a balzare nuovamente giù, sotto gli occhi ammirati di Dean. Ma il suo stupore è durato davvero poco, perché John non ci ha messo molto a tirargli uno schiaffo così forte da farlo indietreggiare di qualche passo.

«Dovevi tenere d’occhio tuo fratello! Ha quattro anni e tu sei il maggiore! Ti avevo detto che sarei mancato solo per dieci minuti!»

Il vocione di suo padre, accompagnato dal dolore alla guancia destra, ha colpito Dean con forza e le lacrime hanno iniziato subito ad inumidirgli i grandi occhi verdi: «Ma ha fatto tutto da solo!»

«Dovevi evitare che accadesse! Ti ho detto mille volte che devi essere tu a prenderti cura di tuo fratello quando mamma e papà non ci sono! È così che si comportano i fratelli maggiori!»

Per anni, quelle parole, hanno fatto eco nella testa del giovane Dean, facendogli montare dentro una nube di ansia opprimente ogniqualvolta i due fratelli si ritrovavano da soli da qualche parte. La situazione, poi, è peggiorata quando la famiglia Winchester si è trasferita a New York, dov’era la sede principale della Campbell&Co. Passare da un piccolo paese ad una metropoli com’è la Grande Mela, avrebbe sconvolto chiunque: Dean aveva dovuto dire addio ai suoi amici d’infanzia, a Zia Ellen e alla sua amata Roadhouse -- dove lui passava il tempo con Jo dopo scuola -- e alle sue prime esperienze da adolescente di paese. New York è un altro mondo, letteralmente.

I due fratelli hanno iniziato a frequentare la scuola religiosa New York School of the Bible, perché, a detta dei suoi genitori, dovevano iniziare a comprendere tutto ciò che riguardava il lavoro della loro famiglia. E, agli inizi degli anni 2000, una cosa del genere non può assolutamente essere detta ad un quindicenne. 

Così, Dean ha iniziato a comportarsi da stronzo ribelle: con suo padre, quando gli aveva detto di badare a Sam a quella festa a cui lui (e solo lui!) era stato invitato; con sua madre, quando dopo essere tornata stanca da lavoro, gli aveva chiesto una mano per preparare la cena; anche con i suoi vecchi amici di Lawrence, a cui si vergognava di raccontare la misera fine che aveva fatto. Addirittura, ha iniziato a fare lo stronzo con Sam, che di tutta quella storia non aveva assolutamente colpa.

Una sera d’inverno -- che gli è rimasta impressa tanto quanto il famoso pomeriggio d’estate -- Dean ha letteralmente supplicato suo padre di cambiare scuola perché non riusciva a farsi degli amici, odiava studiare la storia delle religioni, odiava doverci andare ogni mattina insieme a Sam; avrebbe voluto praticare sport perché in quella scuola erano banditi. Ha spiegato tutto, a tavola, con sua madre e suo fratello presenti, ma la risposta che il giovane Dean sedicenne ha ricevuto è stata un mediocre “Resisti un altro anno e poi potrai scegliere da solo il college. Fallo per la tua famiglia.”

Dean tutt’ora non riesce a spiegare quanto ha odiato quelle parole.

E il college è arrivato, alla fine, durando esattamente metà semestre.

Perciò, dopo aver lavorato per anni come assistente di suo padre, alla stramaledetta azienda di famiglia, Dean proprio non si sarebbe aspettato di ricevere il ruolo di Direttore Generale. Ma, comunque, ha accettato il tutto con un grazie tante, senza ulteriori lamentele.

Sam è l’unico che sa, che ha vissuto tutto con lui e che, infatti, è riuscito a capire perché suo fratello si comporti sempre da spina nel fianco. Lo ha capito quando è arrivato anche lui al college, perché prima di quel momento non era riuscito a comprendere cosa ci fosse di così difficile nel rispettare i desideri di mamma e papà. E, forse, se Sam è venuto fuori così perfetto e per niente problematico, il merito è da attribuire proprio a Dean, che gli ha fatto da scudo, assorbendo ed assimilando tutto ciò che loro padre diceva.

E quando Castiel ha detto a Dean, ormai due settimane prima, che ha capito che sotto la corazza da stronzo si nasconde un uomo che ci tiene davvero all’azienda di famiglia, facendo passare le sue azioni per ammirevoli, Dean avrebbe desiderato con tutto se stesso trovare la forza di ridergli in faccia: Castiel non sa un cazzo di cosa lui ha dovuto passare per riuscire a tollerare quella casa editrice. Castiel non può sapere che Dean lavora bene e si impegna solo perché è stato letteralmente plasmato da suo padre al ruolo di bravo soldatino obbediente; non riesce (anche se lo desidera ardentemente) a pensare di mandare all’aria il lavoro della sua famiglia perché avrebbe deluso i suoi genitori. E non vuole più farlo.

Non è nemmeno mai stato bravo a mantenere una relazione stabile, preferendo di gran lunga saltare da un letto all’altro, che diamine. Nel momento in cui ha iniziato a rendersi conto di essere attratto indistintamente sia dalle ragazze che dai ragazzi, durante il suo ultimo anno di scuola, la prima persona a cui lo ha confidato è stato Sammy. Aveva tredici anni e una mente così aperta, che l’unica reazione che ha avuto è stata “Non voglio sapere chi baci, l’importante è che non lo fai davanti a me!”. Dean ne ha riso e l’ha abbracciato, prendendo il coraggio necessario per comunicarlo anche ai suoi genitori: Mary ha sorriso e annuito, con uno sguardo che trasudava fierezza per il coraggio dimostrato, mentre John… beh, John ha scrollato le spalle mormorando un “L’importante è che mi darai dei nipoti, per portare avanti l’azienda”.

L’azienda viene prima di tutto e vaffanculo al resto.

Quindi il caro Castiel, forse credendo di fare cosa buona e giusta, lo ha turbato con quelle parole. Profondamente. Ma Dean non sa come dirglielo, come dimostrarlo, perciò ha semplicemente deciso di evitarlo, scappando dai problemi e fingendo che non ce ne siano.

L’ha capito troppo tardi, comunque, che è stata una pessima idea, perché mentre tornano a sedersi al loro tavolo, dopo quell’eccitante bacio nei bagni del The Surrey, la sua testa annebbiata sta provando a gridargli che ha fatto la cazzata del secolo. Provare attrazione per un suo collega non è un problema; ubriacarsi alla festa dell’ufficio non è un problema; tenersi tutto dentro per tanti giorni ed esternare il tutto sotto forma di pomiciata alcolica è un grossissimo problema, di quelli che non si risolvono facilmente e che continuano a tormentarti per i successivi dieci anni. 

Come un angelo che ti sfiora la spalla avvisandoti che stai per essere investito, Gabriel si gli si siede accanto e porta un braccio attorno al collo di Dean.

«Ehi, capo, vieni a ballare! Questa festa è uno spasso ed è tutto merito vostro!» dice a voce un po’ troppo alta, letteralmente nel suo orecchio. «Non ci avrei scommesso un dollaro sulla riuscita!»

«Grazie tante, stronzo,» commenta Dean, spegnendo completamente il filtro che regola il linguaggio capo-sottoposto. 

Per fortuna, Gabriel non sembra notarlo o, comunque, decide di riderci su.

«Gabe, sei ubriaco?» chiede, di punto in bianco, Cas, rovinando completamente l’atmosfera. Come fa sempre, d’altronde.

«E tu perché non lo sei?» il maggiore dei Novak versa un altro po’ di vino in due calici e si alza, dirigendosi di nuovo al centro della pista e lasciando, quindi, Dean solo con Cas. 

«Allora,» inizia Castiel, ma Dean si sente sopraffatto al momento, perciò si alza e se ne va, senza battere ciglio.

Incrocia Sam, appoggiato al leggìo all’ingresso, intento a chiacchierare un po’ troppo animatamente con la ragazza bionda -- Jessica? -- e spera con tutto il cuore che continui a farlo, ignorando Dean. Ma, siccome si sta parlando di quel ficcanaso di suo fratello, a Sam basta uno sguardo fugace per capire che qualcosa non va, così si scusa con la ragazza e segue Dean fuori dalla sala ricevimenti.

I due si ritrovano ad afferrare i propri cappotti e ad uscire sotto la neve, senza dire una parola. Il freddo gelido di New York sembra conferire lucidità al maggiore dei Winchester.

«Vuoi parlarne?» chiede Sam, molto genericamente.

«È un periodo di merda, Sammy, tutto qua. Passerà.»

«Eppure il lavoro va alla grande--»

«La vita non gira attorno a questa cazzo di casa editrice!» sbotta Dean e, cavolo, se è liberatorio. Sam non fiata e lui continua: «Ho un sacco di problemi nella testa, un sacco di dubbi e vorrei non averne, vorrei avere una cazzo di vita normale, vorrei essere rimasto a Lawrence, tanto per cominciare.»

Sam sgrana gli occhi. «Non dici sul serio...»

«Non me ne frega un accidenti di questa città, né tantomeno di vendere le fottute bibbie come facevano i nostri antenati. Avrei voluto praticare baseball, lo sai? Avrei voluto guadagnare qualche spicciolo alla Roadhouse per portare fuori a cena qualche ragazza,» i pensieri di Dean sono sconnessi e le parole escono a fiumi una dopo l’altra.

«Dean, non ti capisco,» risponde, quasi inerme, suo fratello.

«Poi i maledetti Novak hanno iniziato a scombussolarmi l’esistenza. No, solo Castiel, perché a Gabriel non darò questa soddisfazione.»

«Ecco, Dean, parliamo di Castiel.»

«Cosa vuoi che ti dica?! L’ho baciato, ma non volevo baciarlo, l’ho fatto perché non so come dirgli che non ha capito un cazzo di me e della mia vita, invece lui crede di sapere tutto e viene qui dicendomi “Sei un uomo ammirevole” e voglio solo spaccargli quella stupida faccia, perché non sono ammirevole per un cazzo!»

Si ferma, finalmente, con l’affanno e l’aria gelata che brucia i polmoni, sentendosi tuttavia leggero come mai prima d’ora. Avrebbe tanto voluto avere il coraggio di vomitare quelle parole addosso a suo padre, ma John non è lì, lui è tornato a Lawrence dopo il pensionamento, facendo capire a Dean che la vita che non ha mai avuto sarà in grado di averla solo dopo aver superato i sessant’anni e, cazzo, se gli fa male questo pensiero.

«Calmati, adesso, okay? Sei ubriaco e stai dicendo tante cose, anche se credo di aver capito il punto.»

«Ne dubito, perché non ci capisco un cazzo nemmeno io, Sammy.»

Il minore si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, soppesando mentalmente qualcosa. Poi, sospira: «Vuoi licenziarti?»

Un pugno nello stomaco sarebbe stato meno inaspettato e, soprattutto, meno doloroso. Perché la risposta a quella domanda apparentemente così semplice risolverebbe sicuramente la metà dei problemi che affliggono Dean. Ma il punto è proprio questo: l’altra metà dei suoi problemi risiedono nell’uomo dagli occhi blu che gli ha fottuto il cervello.

Dean abbassa le spalle, con fare sconfitto, e scuote la testa: «Non credo di avere il diritto di farlo.»

«Hai trent’anni, sei un uomo libero, certo che puoi farlo,» incalza suo fratello, dandogli una pacca sulla spalla. Prima di proseguire, però, un colpo di tosse li interrompe e i due fanno scattare la testa in direzione di Castiel, in piedi dietro di loro da chissà quanto tempo.

«Non volevo sembrare maleducato, ma credo che sia arrivato il momento di dire la mia.»

Dean nota che ha l’espressione turbata, le labbra strette in una linea dura e gli occhi fissi solo su di lui, come se Sam non fosse lì.

«Questo riguarda la mia famiglia, tu non c’entri niente,» risponde Dean, duro, mentre un qualcosa molto simile alla rabbia gli monta dentro. 

«Ah, sì? Perché credo di essere entrato di diritto in questo discorso nel momento in cui mi hai infilato la lingua in bocca.»

«Okay!» interviene Sam, le mani alzate in segno di resa. «Io torno dentro! A dopo!»

Suo fratello scappa letteralmente via, sorpassando Cas che, invece, rimane completamente immobile a fissare Dean con astio.

«La gente normale, per risolvere qualche problema, solitamente dà voce ai propri pensieri, Dean. Solitamente parla,» inizia, infilando le mani nelle tasche del suo caratteristico trench beige. Dean deglutisce. «Se le mie parole ti hanno sconvolto così tanto, avresti dovuto dirmelo. Infatti, ora che ti ho sentito lamentarti con tuo fratello -- per la seconda volta, aggiungerei -- posso chiederti scusa. Mi dispiace di averti giudicato male e di aver pensato che fossi ammirevole.»

Il tono di voce irritato tradisce le sue parole. Dean pensa che, probabilmente, questa storia si concluderà da sola senza che lui sia costretto a dire o fare niente.

«Quindi sei davvero un arrogante moccioso viziato.»

«Ehi--»

«Scusami tanto, Dean Winchester, per aver pensato che fossi degno di ereditare il posto di tuo padre. Evidentemente sei proprio il buono a nulla che credi essere.»

Dean è paralizzato, ha gli occhi sgranati e la bocca schiusa. Quando Cas non replica più, decide di rispondergli. «Non sai niente di me,» dice, semplicemente, anche se a lui sembra solo una frase vuota.

«No, infatti, adesso ne sono sicuro anche io. Forse ti ho idealizzato troppo. Ho questo difetto, Dean, tendo a vedere il buono nelle persone, soprattutto quando quelle persone si odiano a tal punto da essere cieche.»

«Che vuoi dire?»

«Dovresti vederti per come ti vede tuo fratello, o per come ti vedo io, per quel che vale. Spero che prima o poi imparerai a farlo.»

E si volta, Castiel, deciso a chiudere lì la questione. Dean si sente nudo, vulnerabile, come se Castiel avesse scavato con le unghie e con i denti fino a raggiungere la parte più profonda della sua anima. Ovviamente Dean non si vede come lo vede lui, ovviamente sa che il suo collega ha torto marcio nel vedere qualcosa di buono dentro di lui.

«Io sono una macchina costruita da mio padre. Lui mi voleva così ed io sono diventato così. È questa la verità.»

Castiel si ferma, continuando a dare le spalle al suo capo, e si irrigidisce. «No, Dean.» Poi gli lancia un’occhiata da sopra le spalle, e Dean ci legge compassione, forse. «Sei lontano anni luce dalla verità.» 






 


Nota dell'autrice: Hello <3 Scusate il capitolo terribilmente pesante e angst, ma quando c'è da entrare nella testa di Dino-budino purtroppo si rischia di fare questa fine. Dovevo farlo: come avete notato anche voi, le azioni di Dean nel capitolo precedente erano troppo affrettate e in qualche modo inspiegabili, perciò dovevo dedicare un intero capitolo a lui e ai suoi pensieri. Oltretutto, la mia idea iniziale prevedeva una fic della lunghezza di 3/4 capitoli e, purtroppo per me, le cose sono sfuggite di mano. Che volete che vi dica, amo troppo la destiel e tutto ciò che gira attorno ad essa. Comunque! Fatemi sapere cosa ne pensate e ci risentiamo nel prossimo capitolo. Un bacio <3
Ps: come sempre, ringrazio profondamente la mia beta Julss *-*

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

Castiel non crede di aver mai visto un ragazzo così esteticamente piacevole come Dean Winchester. All’età di ventidue anni ha fatto il suo primissimo ingresso in ufficio con una giacca di pelle, una t-shirt nera, un paio di jeans che hanno visto giorni migliori ed un cipiglio marcato ad increspargli il bel viso. Mentre John lo presentava agli altri come il suo nuovo assistente, Castiel l’analizzava letteralmente in ogni dettaglio: i capelli biondi sparati verso l’alto, in maniera disordinata, come se il vento ci avesse messo le mani sopra. Le labbra piene, leggermente strette in una linea dura, e circondate da un accenno di barba tipico della sua età. Non stava guardando in nessuna direzione, come se fosse imbarazzato -- anche se cercava in tutti i modi di non darlo a vedere, con la sua postura dritta e il petto in fuori -- ma Castiel è riuscito comunque a scorgere, da quella distanza, gli occhi chiari tipici della famiglia Campbell. 

«Prendetevi cura di lui,» ha detto John, alla fine delle presentazioni, e Castiel ha visto come il ragazzo ha deglutito e annuito, come se quell’ordine fosse stato elargito direttamente a lui.

Nei sette anni in cui Dean è stato semplicemente il cagnolino di suo padre, il giovane Novak non ha avuto modo di avvicinarsi a lui per fare conversazione. Gabriel, invece, ci è riuscito spesso (come richiede il suo ruolo), compilando al posto suo il profilo valutativo che, ogni anno, i due responsabili delle Risorse Umane devono stilare sui dipendenti. Castiel lo ha letto, di nascosto, ogni anno: gli aggettivi “scontroso”, “impudente”, “poco collaborativo” si ripetono in ogni valutazione riguardante il rapporto con gli altri colleghi, dipingendo Dean come il solito figlio di papà fortunato.
La parte della valutazione riguardante il rapporto con i suoi diretti superiori - incluso suo padre - però, è completamente opposta. Castiel ha, quindi, compreso che il caratteraccio del giovane Winchester sia solo una maschera indossata quando il padre non è presente. Ha capito anche che lui e Dean non sarebbero mai potuti andare d’accordo ed è silenziosamente grato che John non gli abbia conferito un ruolo diverso da quello di suo personale assistente.

O, almeno, ne è stato grato finché John e Mary non sono andati in pensione, lasciando i loro posti ai due figli. Dean Winchester, l’arrogante e presuntuoso ragazzino che si trova lì solo perché la sua dinastia lo richiedeva, sarebbe diventato il Direttore Generale della sede di New York.

Con un sospiro profondo e la decisione di voler, comunque, provare ad avere buoni rapporti col suo capo, Castiel ha provato a fare le sue congratulazioni al nuovo direttore, il giorno della festa di pensionamento di John. Ma proprio quando si è avvicinato a Dean, intento a conversare con Sam nei pressi del tavolo delle tartine, Castiel ha sentito che il maggiore dei Winchester era tutt’altro che felice di quella promozione, letteralmente, cadutagli dal cielo.

Che arrogante moccioso viziato, ha pensato, prima di dirgli esplicitamente che avrebbe dovuto mostrare più rispetto per i suoi genitori e per la compagnia.

Si è rassegnato, così, a sopportare le frasi taglienti e le battutacce che Dean ha iniziato a rivolgergli, soddisfatto comunque del fatto che il lavoro viene portato a termine senza troppi problemi e che le vendite non hanno subito nessun calo drastico, dopo il passaggio di testimone.

Eppure qualcosa è cambiato, dentro di lui, quando ha iniziato a passare più tempo solo con Dean per preparare la festa di Natale della Campbell&Co.

Dean sa essere divertente, sa sorridere ed essere collaborativo, sa ascoltare ed accettare le sue idee -- seppur con qualche finta lamentela e qualche espressione schifata di troppo, ma almeno ci sta provando. Castiel ne è davvero grato. Perciò è stato semplice, nel mese di Dicembre, arrivare alla conclusione che Dean Winchester è bellissimo, sia fuori che dentro. Gli piace passare del tempo con lui e gli piace anche che abbia iniziato a chiamarlo Cas

Poi Dean l’ha provocato, dando voce a quello che nella mente di Castiel era stato solo un piccolo pensiero insignificante: Castiel è attratto da lui, sia fisicamente che mentalmente. E la situazione avrebbe potuto prendere una piega decisamente interessante, se Dean non l’avesse fatto solo con l’intento di metterlo a disagio. Di prenderlo in giro.

Nei giorni successivi ha provato a parlargli, di quella conversazione, a cercare una motivazione intrinseca dietro a quell’atteggiamento da sbruffone, vedendosi, tuttavia, continuamente rifiutato e respinto.

Fino al momento in cui si sono ritrovati avvinghiati e stretti, nel bagno del The Surrey, la sera della Vigilia di Natale, facendo sì che Castiel classificasse quel giorno come il più bello della sua vita.

Proprio come tutti i momenti belli della vita, però, la durata è stata estremamente breve, quasi fugace. Dean è di nuovo scappato via, senza avere alcuna intenzione di parlarne; ma Castiel, questa volta, non si sarebbe messo da parte, così lo ha seguito fuori e ha sentito tutto ciò che Dean realmente pensa di lui e della loro strana amicizia.

Ha sempre pensato che l’espressione “cuore spezzato” fosse un qualcosa di figurativo, di poetico, che non potesse avere in alcun modo sintomi fisici: eppure, sentendo quelle parole, Castiel ha provato dolore al petto, un nodo in gola e una fortissima sensazione negativa a cui non riesce a dare alcun nome.

Se solo Dean capisse quanto bellissimo, coraggioso e straordinario sia, per aver comunque scelto una strada che non gli piace realmente, per averlo fatto per non deludere i suoi genitori, per trovare ogni giorno la forza di alzarsi e andare al lavoro e per essere riuscito, nonostante tutto, a tenere alto il nome della Campbell&Co. In un anno di comando, Dean ha fatto ciò che John aveva fatto in cinque anni. Castiel lo sa benissimo, lavora lì da più tempo, conosce tutto ciò che John ha dovuto affrontare per essere visto di buon occhio dai Campbell e lo sa proprio grazie ai racconti di Jimmy Novak, suo padre.

«Spiegati meglio,» il tono incalzante di Dean impedisce alle sue gambe di fare un altro passo. Vorrebbe rientrare alla festa e provare a dimenticare tutto, magari assaggiando quel vino che ha l’aria di essere davvero squisito.

Ruota il busto verso Dean, ancora in piedi dietro di lui, con i pugni stretti lungo i fianchi: «Ero grato che ci fossimo avvicinati, io e te. Mi è piaciuto passare del tempo in tua compagnia, però adesso rispetterò il tuo desiderio iniziale: finita la festa ognuno proseguirà per la propria strada e torneremo ad essere dei semplici colleghi.»

Castiel legge consapevolezza nello sguardo turbato di Dean, un chiaro segnale che indica che il biondo ricorda perfettamente quando lui stesso ha pronunciato quelle parole. Sembrerebbe anche un po’ deluso, ma Castiel non vuole illudersi, perciò scaccia via quel piccolo barlume di speranza.

«Torno dentro,» annuncia il moro, alla fine, non aspettandosi nessun altra risposta.

 

§

 

Tavolo 3 - ore 11:57 pm

Il giovane stagista della Campbell&Co si sta per gustare le tre diverse crostate che sono state portate a tavola, sperando che siano tanto buone quanto belle, quando la piccola Gertie Fitzgerald -- la figlia del suo collega Garth --  richiama la sua attenzione, posando una mano sul suo braccio.

«Jack! Lo sai che la mamma aspetta due gemelli?»

La bambina, con due lunghe codine bionde ad incorniciarle il viso, ha avuto modo di trovare quella noiosa festa molto più divertente non appena ha iniziato a parlare con Jack. E a pochi minuti dalla mezzanotte, che gli piaccia o no, si è ritrovato a farle da babysitter mentre i genitori stanno ballando un lento in mezzo alla pista.

Lui le sorride, posando la forchetta e rimandando l’assaggio a più tardi. «E questo come ti fa sentire?»

Gertie ci pensa un po’ su, portandosi l’indice sul mento. Poi, annuisce come se fosse arrivata alla giusta conclusione: «Non vedo l’ora di conoscerli! Anche se so che la mamma sarà molto stanca e passerà poco tempo con me. Papà ha detto che è un piccolo sacrificio che devo fare. Jack, cos’è un sacrificio?»

«Oh, una volta ho letto un libro sui sacrifici pagani! Lo sai che in molte culture, in passato, venivano offerti agli dèi degli animali come atto propiziatorio?» spiega, ma l’espressione della bambina si fa ancora più confusa. «Però, sono sicuro che tuo padre non intendesse sacrificare il vostro cane, o qualcosa del genere...»

Balthazar, che era stato tutto il tempo in silenzio accanto a Jack a godersi la scena, decide di intervenire: «Kline, farò finta di non averti sentito dire ad una bambina di sette anni che il suo cane verrà sacrificato perché arriveranno due gemelli in famiglia.» 

«Non è quello che ho detto, però!»

«Ah, accidenti, Garth non sarà contento. Dovrei dire a Dean di licenziarti per aver soggiogato la sua piccolina,» dice, portandosi il calice di champagne alle labbra e sistemandosi delle pieghe invisibili sulla sua gonna nera.

Il cambio repentino di colore del volto di Jack è quasi comico. Il ragazzo scatta in piedi e corre verso il tavolo numero 1, cercando il suo capo. Tuttavia, le uniche persone presenti al tavolo, al momento, sono Gabriel e Kalì -- impegnati in un lungo bacio appassionato --  e Castiel, che sta fissando il bicchiere di vino rosso che ha tra le mani come se stesse per rivelargli i segreti del mondo. Sceglie, comunque, di sedersi accanto a lui.

«Ehi, Cas. Hai visto Dean? Vorrei parlargli prima che lo faccia Balthazar...» I due, istintivamente, si voltano a guardare il biondo mezzo francese seduto al tavolo numero 3 che, di rimando, manda loro un bacio volante. «...è questione di vita o di morte.»

Castiel ha l’espressione assente, ma decide comunque di rispondergli. «Credo sia rimasto fuori. O, almeno, è lì che l’ho lasciato mezz’ora fa,» mormora, monocorde. «Comunque, non dovresti ascoltare Balthazar. Il più delle volte tende ad enfatizzare le cose per il semplice gusto di farlo. Oppure per mettere sottosopra l’ufficio. Qualsiasi cosa ti abbia detto, non la farà sul serio.»

Sollevato, Jack tira un grosso respiro e, solo allora, si rende conto che le occhiaie di Castiel sembrano più marcate del solito. «Va tutto bene, Cas?»

«Potrebbe andare meglio. Ti stai divertendo? Mi dispiace se ultimamente non ti sto aiutando molto con la tua formazione, ma sono state due settimane pienissime per via di questa festa. Anche se sei davvero un ragazzo capace, e non avrai difficoltà a prendere il posto di Bobby.»

«Grazie mille!» il ragazzo sorride, sinceramente colpito dalle parole del responsabile delle Risorse Umane. «E comunque, la festa è riuscita. Guarda come si stanno divertendo tutti!»

La ragazza che era arrivata insieme a Dean, con cui Jack aveva stretto amicizia sulla pista da ballo, si avvicina al loro tavolo, con l’espressione furiosa e le décolleté nere in mano.

«Quello stronzo mi ha lasciata a piedi!» sbraita, le guance arrossate e i capelli fuori posto.

«Chi? Dean?» chiede Castiel, riprendendosi improvvisamente dal torpore.

«Già! Sam mi ha detto che ha chiamato un taxi, lasciando qui la sua auto. Come diavolo tornerò a casa sua?! Sono troppo ubriaca per prendere la metro o il taxi e, in più, non conosco un accidenti di New York!»

Cas scatta in piedi, avvicinandosi alla ragazza: «Ti accompagnerò io. So dove abita Dean, è a circa venti minuti di strada da qui,» poi si volta verso Gabriel, ancora avvinghiato alla sua ragazza, «Gabe, prendo la macchina. Domattina passo a prendervi: sono più che sicuro che hai prenotato una camera qui.»

Gabriel smette di baciare Kalì e solleva un pollice nella sua direzione, in un cenno di assenso.

«Scusami, Jack, continueremo la conversazione un’altra volta.»

Così, senza ulteriori indugi, Jack guarda Castiel andare via con Jo, ad una velocità sovrumana.

 

§

 

«Wow! E io che prendo sempre in giro Dean per la sua Impala del ‘67!» dice Jo, mentre i due si infilano in fretta sui sedili del Ford Pick-up di proprietà dei Novak.

Castiel avvia il motore, corrucciato: «Non me ne intendo molto di auto, ma questa mi sembrava la più funzionale e il tizio che me l’ha venduta mi ha fatto anche un buon prezzo.»

«Certo, Castiel, ma non è un’auto da guidare in una metropoli, te ne rendi conto?»

«Lo ripete sempre anche Gabriel e io rispondo che l’importante è che riesca a portarci al lavoro ogni mattina.»

Il moro accende la radio, giusto per riempire un po’ l’abitacolo ed evitare lunghi silenzi imbarazzanti. La decisione di accompagnare l’amica di Dean a casa sua è stata tanto improvvisa quanto inaspettata, perfino per lui; non sa se sia stata una scelta dettata dall’altruismo o da un bisogno quasi fisiologico di rivedere Dean, ma non ci dà comunque molto peso. Oltretutto, è davvero curioso di conoscere i retroscena del rapporto tra i due amici d’infanzia, anche se capisce che una domanda diretta in questo momento sarebbe decisamente fuori luogo.

«E quindi tu sei il famoso Castiel Novak,» senza che lui dica niente, ci pensa Jo a tirare fuori l’argomento.

«Famoso?»

«Beh, Dean non ha fatto altro che lamentarsi di te nell’ultimo mese. Ci sentiamo molto più spesso, ultimamente, perciò mi racconta quasi tutto ciò che gli capita nella vita,» sbadiglia, portandosi una mano alla bocca. «Mi diceva che odiava rimanere oltre l’orario di lavoro con te e che avrebbe preferito infilarsi una cannuccia su per il naso, piuttosto.»

«Alquanto pittoresco,» commenta lui, contrito.

«Credo che tu gli piaccia.»

Jo si contraddice da sola e Castiel dà mentalmente la colpa al troppo alcol. Sbuffa una risata: «Sono piuttosto sicuro di essere l’ultima persona sulla sua lista di gradimento.»

«Dean non è mai riuscito a legarsi sentimentalmente a qualcuno, sai? La colpa, ovviamente, è di quello stronzo di John,» la ragazza ha gli occhi chiusi adesso e si è sistemata comoda sul sedile, come se volesse provare a scivolare nel sonno.

«Perdonami, ma faccio fatica a pensare a Dean come qualcuno con difficoltà relazionali.»

«Oh, fidati di me. Ogni volta che sta per innamorarsi, scappa. Letteralmente,» Castiel ascolta con attenzione e, forse, inizia a capire dove Jo voglia andare a parare. «C’è stata Lisa, qualche anno fa. L’ha lasciata perché lei voleva andare a convivere. Poi c’è stato Benny, un ragazzo simpaticissimo e dal cuore d’oro. Io lo adoravo, Sam un po’ meno: diceva che avrebbe portato Dean sulla cattiva strada. Ma, con lui, Dean riusciva ad essere se stesso.»

«Cos’è successo, poi?» le chiede, mentre le note di una canzone piuttosto famosa -- ma di cui lui ignora il titolo -- si fanno spazio tra loro.

«Benny è tornato a New Orleans e Dean non ha potuto seguirlo-- Oh, ma io adoro questa canzone! I still miss you babe and I don’t wanna miss a thing!» 

Il racconto, chiaramente, si interrompe quando Jo inizia a sbracciarsi e a cantare le parole della canzone, lasciando Castiel da solo con mille pensieri.

Quando accostano di fronte al complesso di appartamenti dove abita Dean, Jo non è più sul punto di addormentarsi, ma sembra essere molto su di giri, dopo aver cantato a squarciagola un paio di canzoni che era riuscita a riconoscere.

«Sappi che farò il tifo per voi,» conclude Jo, sganciando una bomba che esplode direttamente nel petto di Castiel.

 

§

 

Quando Dean si slaccia l’orribile papillon nero che è stato costretto ad indossare per tutta la sera, lo lancia con forza in un punto imprecisato della sua stanza e fissa il suo riflesso allo specchio dell’armadio. 

È quasi l’una del mattino, è stanco morto, la sbronza sembra essere sul punto di passare per, lentamente, lasciare spazio ad un opprimente mal di testa.

«Buon Natale a me.»

Sente bussare continuamente da un angolino della sua memoria, come se avesse dimenticato qualcosa, anche se è piuttosto sicuro di aver preso tutto tranne la sua amata Impala, che recupererà da sobrio il mattino successivo.

Per il mal di testa decide di utilizzare un metodo che ha sempre funzionato, contrariamente a quanto pensa Sam: aspirina e birra ghiacciata. Butta giù la pillola e, subito dopo, un sorso di liquido ambrato che è un toccasana per la sua gola secca. 

Il suono del campanello della porta d’ingresso sembra ridestarlo parzialmente dall’idilliaco momento: raggiunge la maniglia e la abbassa, aprendo la porta.

Cas, nel suo orrendo impermeabile, qualche fiocco di neve tra i folti capelli scuri e la sua maledetta faccia, è davanti a lui, in silenzio. Dean prova ancora quella strana cosa alla pancia e il cuore fa quel salto all’indietro che proprio non sopporta e non capisce perché diavolo si trovi a casa sua la notte di Natale e, forse, Dean sta per fare la cosa più stupida che abbia mai fatto in trent’anni della sua vita. E di cose stupide, stasera, se sta facendo anche troppe.

«Devo dirti una cosa, Cas--» inizia, finché una nanetta bionda non si affianca al suo collega, con un’espressione talmente incazzata da far paura e, per un attimo, Dean ricorda tutti gli scappellotti che Ellen Harvelle gli tirava quando si comportava male alla Roadhouse.

«Maledetto stronzo figlio di buona donna!»

Ecco, aveva dimenticato Jo, alla festa.

Il suo cervello martoriato non riesce a registrare l’ottanta percento delle imprecazioni e degli insulti che Jo gli sta lanciando davanti alla porta, a malapena riesce a percepire il dolore del pugno che gli tira al braccio. Perché Dean sta fissando Castiel, che a sua volta lo sta fissando e, cazzo, perché fanno sempre questa cosa del fissarsi in silenzio per un periodo imprecisato di tempo, Dean proprio non lo capisce.

Comunque, Jo ha smesso di parlare ed è entrata in casa, fiondandosi letteralmente nella stanza degli ospiti e sbattendo con forza la porta.

Il silenzio cala di nuovo, per la gioia di Dean e finalmente può dire a Castiel ciò che voleva dirgli prima--

«Volevo solo augurarti buon Natale,» dice invece Cas, andando via.

E Dean sente dentro di sé -- per l’ennesima volta in vita sua -- di essersi lasciato sfuggire per sempre qualcosa di davvero, davvero, molto speciale.





 


Nota dell'autrice: Vi prego, non odiatemi. Lo so che sto rimandando e rimandando l'inevitabile, ma è importantissimo per me esplorare la psicologia di Dean e Castiel, prima di farli crescere e maturare. Ma, vi prometto, che a breve avrete ciò che tanto agognate :D Comunque questo capitolo l'ho scritto con una facilità inaudita: forse è perché amo Castiel con tutta me stessa o, forse, perché è effettivamente un personaggio dieci volte meno problematico di Dean. In ogni caso, spero che sia all'altezza delle vostre aspettative lol
Piccolo spam prima di salutarci: la mia cara beta Julss è tornata a scrivere (APPLAUSI) e ha appena pubblicato un prologo ad una futura long Destiel AU. Dateci un'occhiata <3
Un bacio, alla prossima!

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


Mentre si muove a grandi passi all’interno dell’edificio, Dean è consapevole di emanare vibrazioni talmente negative che, chiunque, passandogli accanto, le avvertirebbe. Entra dall’ingresso principale dell’ufficio senza rivolgere alcun saluto, nemmeno a Charlie che, in ogni caso, sembra essere troppo presa dal suo computer anche solo per accorgersi dell’entrata in scena del capo. 

Dean non se ne preoccupa, anzi ne è grato: una persona in meno a cui dover spiegare il suo malumore. Garth, Jack, Ketch e Balthazar lo salutano comunque, ognuno a proprio modo, mentre Bobby decide di ignorarlo perché impegnato in una telefonata che ha tutta l’aria di essere importante. Anche Rowena è al telefono, alla sua postazione, e Dean riesce a sentire come la donna si stia scusando per un difetto di stampa di un qualche volume. Il sorriso ampio e il tono di voce educato fanno letteralmente a pugni con gli occhi infuocati di rabbia. Dio solo sa quanto quella donna si impegni ogni giorno a fingere cortesia per parlare con i clienti. 

Quando il biondo passa di fronte all’ufficio dei Novak, nota la porta socchiusa e un vociare provenire dall’interno: rallenta, prende il proprio cellulare e finge di essere impegnato a leggere le email proprio davanti alla porta. Riesce a cogliere giusto un paio di parole dai fratelli - che sembrano riguardare il lavoro - ma ciò che gli interessa davvero è solamente la voce di Castiel. Gli sembra tranquillo, apatico come al solito, concentrato, e a Dean ciò fa andare in bestia. Perché diavolo deve essere solo lui quello turbato? Ha passato un 25 Dicembre infernale, con Jo che gli chiedeva spiegazioni sul suo comportamento alla festa, con Sam che continuava a telefonargli per invitarlo a casa sua, con il martellante pensiero di Castiel che aveva preso la decisione di chiudere la loro stranissima situazione.

Ma poi, esattamente, qual era la loro situazione? Dean era rimasto spiazzato, nuovamente, dalle parole di Castiel, perché si aspettava di continuare a condurre lui il gioco. Eppure, le redini erano passate nelle mani dell’altro, senza che Dean potesse fare nulla a riguardo. 

Alza gli occhi dal proprio telefono, avvertendo qualcosa di strano, e li aggancia a quelli di Rowena che, stranamente, lo sta guardando con un sopracciglio alzato e le braccia conserte. Dean si sente come un bambino che è stato appena scoperto a rubare le caramelle che i genitori hanno nascosto in dispensa. La rossa gli fa cenno con l’indice di avvicinarsi a lei e Dean esegue, come ipnotizzato, finché non raggiunge la sedia vuota di fronte alla scrivania della responsabile del servizio clienti.

«Dolcezza,» inizia lei, indossando un’espressione che nasconde più di quanto dovrebbe. «Avverto qualcosa di strano tra voi due.»

Dean si guarda attorno, non capendo esattamente a che diavolo si stia riferendo.

«Ho provato a parlare con il caro Castiel, poco fa, ma ha preferito scusarsi perché aveva troppo lavoro da sbrigare. Perciò chiedo a te: racconta tutto a zia Rowena.»

Proprio l’ultima cosa di cui ha bisogno. O l’unica cosa di cui ha bisogno, dice una vocina nella sua testa. Sospira e si appoggia contro lo schienale della sedia, rendendosi conto di indossare ancora il cappotto e la sciarpa. «Va tutto bene--»

«Sai, non ho molti rimpianti, ma quei pochi che ho continuano ad ossessionarmi, nonostante sia passato del tempo. La soluzione migliore è sistemare le cose, prima che sia troppo tardi.»

«È che non so più cosa fare, capisci?» inizia, dando per scontato che Rowena possa davvero capire il suo cruccio. «Io e lui non sembriamo essere per niente sulla stessa lunghezza d’onda, è come se Cas provenisse da un altro universo! Un universo incompatibile con il mio.»

«Ne avete parlato?»

Dean deglutisce, ricordandosi tutte le volte in cui, dopo una discussione, entrambi si ritrovavano in un’impasse. «Non vedo a cosa possa servire.»

«Oh, giovane sciocco! Il dialogo e la comunicazione sono alla base di una solida relazione!»

«Chi diavolo ha parlato di relazione?»

«Io e Arthur abbiamo detto l’uno all’altra tutto, ci siamo aperti e messi a nudo completamente prima di iniziare la nostra storia.» Rowena lo ignora, continuando il suo monologo: «Lui mi ha raccontato dei fantasmi del suo passato e io dei miei--»

«Gli hai anche raccontato della tresca che hai avuto con Gabriel Novak, nei bagni dell’ufficio?»

«--E dopo cinque mesi la nostra relazione va a gonfie vele!» Allarga le braccia, con un modo di fare drammaticamente teatrale. Dean alza gli occhi al cielo. «Perciò, parlatene. E sistemate le cose.»

Lo sguardo della sua sottoposta è talmente penetrante che Dean viene investito da brividi su tutto il corpo. Ovviamente, Rowena ha ragione: Cas ha deciso per lui di interrompere ciò che c’era tra loro, senza dargli nemmeno il tempo di aprirsi completamente. Dean stava per farlo, la notte di Natale, quando se l’è ritrovato a casa sua, ma successivamente aveva ringraziato una qualche divinità sconosciuta per non averlo più fatto.

Semplicemente non era né il momento e nemmeno il luogo adatto.

Con la coda dell’occhio, il biondo vede Castiel uscire dal proprio ufficio; ha una serie di moduli tra le braccia e sembra troppo indaffarato per notare come Dean lo stia fissando. I capelli scuri sono più scarmigliati del solito, la cravatta azzurra e bianca è allentata e non sta nemmeno indossando la giacca: sono le nove di mattina e lui sembra già sull’orlo di un esaurimento nervoso.

Rowena coglie i suoi pensieri: «Hanno iniziato a compilare le valutazioni di fine anno solo oggi. A quanto pare sono arrivati alle sette, stamattina, perché sono rimasti parecchio indietro.»

«Riusciranno a finire in cinque giorni?» Dean chiede (più a se stesso in realtà), continuando a tenere lo sguardo puntato su Castiel, che fa avanti e dietro da un cubicolo ad un altro, facendo domande ad ogni dipendente.

«Perché non lo chiedi direttamente a lui? Sei il direttore generale della Campbell&Co di New York, o no?»

Rowena gli ha appena lanciato la palla: una scusa perfetta per iniziare a parlare con Castiel. Iniziare è la parte più difficile, infatti, perché il resto -- Dean ne è più che certo -- sarebbe venuto da sé.

Si alza, deciso prima di tutto a passare dalla reception: «Charlie, ricordami di mandare un mazzo di fiori a Rowena, prima della fine dell’anno.»

La ragazza lo guarda stralunata: «Cosa--»

Ma non riceve alcuna risposta, perché Dean si sta avvicinando a Castiel -- intento a parlare con Jack -- e non riesce a pensare a nient’altro.

«Novak. Ti voglio nel mio ufficio all’ora di pranzo.»

Cas salta comicamente sul posto, irrigidendo ogni muscolo del proprio corpo e voltandosi, con lo sguardo terrorizzato, verso Dean.

«È… è successo qualcosa?»

«Non lo so, dimmelo tu. Sei in ritardo con le valutazioni di fine anno?»

Il responsabile delle risorse umane sbianca, sgranando gli occhi in maniera quasi innaturale. Dean vorrebbe ridere, ma preferisce rimanere professionale.

«Io-- sì, ci sono stati dei ritardi, ma io e Gabriel stiamo--»

«Non mi interessa. Ne parleremo dopo nel mio ufficio,» conclude, girando i tacchi e lasciandosi alle spalle un Castiel completamente frastornato, tra gli sguardi preoccupati del resto dei dipendenti.

 

Allo scoccare dell’ora di pranzo, Dean è più stressato che ansioso: sa benissimo ciò che dirà a Cas, eppure l’attesa l’ha comunque snervato.

Il bussare breve e deciso lo fa sobbalzare e, dopo essersi schiarito la gola, pronuncia un “Avanti” a voce un po’ troppo bassa. Castiel, a quanto pare, riesce a sentirlo, perché apre la porta ed entra, col capo chino e la postura rigida. Aspetta in piedi davanti la porta finché Dean non gli fa cenno di sedersi di fronte a lui.

«Prima che tu possa rimproverarmi, lascia che ti spieghi le motivazioni del nostro ritardo--»

«Sono molto deluso da te,» lo interrompe Dean. Gli occhi blu del suo collega sono fissi su di lui, dandogli il coraggio necessario per continuare. «Dai l’impressione di essere diligente, a modo, sempre pronto a portare a termine i tuoi compiti. Però non sei riuscito a concludere questo,» con un cenno della mano, Dean indica se stesso.

Cas stringe gli occhi, confuso.

«Non mi hai lasciato il tempo di pensarci su. Hai dato per scontato, due volte, di conoscermi e sei giunto a conclusioni affrettate, decidendo tutto al posto mio.»

«Dean--»

«No, ora sta’ zitto. So di essere stato forzato a seguire questa strada, so di non aver avuto le palle di dire in faccia a mio padre la verità; sono anche perfettamente consapevole di rispettare talmente tanto la mia famiglia da lavorare comunque sodo per l’azienda.» Il biondo si alza in piedi e si avvicina all’altro, poggiandosi sul bordo della scrivania. «E sai come sono arrivato a questa consapevolezza, Cas? Perché ci ho pensato per due notti intere! Avevo bisogno di tempo, cazzo, per elaborare le tue maledette parole!»

La schiena dritta e le spalle tese di Castiel lo fanno sembrare un essere non umano. «Cosa stai cercando di dirmi, Dean? Ti ascolto.»

Dean fa roteare gli occhi e, poi, li chiude, stringendosi la radice del naso con una mano. «Quello che voglio dirti è che se vogliamo far funzionare questa… cosa tra noi, non devi importi sui miei pensieri. Devi lasciarmi spazio.»

Il silenzio che segue è carico di aspettativa e di domande che Cas non sembra riuscire a porre sotto forma di parole: si limita ad annuire e a distogliere lo sguardo dal suo capo, ma solo per una breve manciata di secondi. Infine, fa indietreggiare la sedia e si mette anch’egli in piedi, di fronte a Dean.

«D’accordo.»

«D’accordo?» chiede Dean, non del tutto convinto.

L’altro annuisce, posando, con un gesto naturalissimo, la mano destra sulla spalla sinistra di Dean.

Come se quella mano fosse sempre appartenuta a quel posto, Dean immagina nella sua testa tuoni e lampi, il suono di vetri che si infrangono, il rumore di una porta che sbatte, colpi di arma da fuoco. Cose sconnesse tra loro, di sicuro, ma che sembrano avere un qualche nesso logico nei meandri più remoti della sua memoria.

È davvero facile chinarsi in avanti, fino a sfiorare le labbra di Castiel con le proprie. Così facile e prevedibile che Cas non si sposta, ma ricambia, inclinando la testa.

Questa volta, il bacio è diverso: Dean avverte una sensazione di familiarità e di tenerezza che non aveva provato la prima volta. Nonostante sia solo il secondo -- la morbidezza delle labbra di Cas, l’odore dolce della sua pelle, l’accenno di barba che gratta contro la sua pelle -- Dean è fermamente convinto di averlo baciato più e più volte. Magari in un’altra vita. Sorride, immaginando quell’assurdità, e Castiel si allontana, crucciandosi.

«Perché sorridi?»

«Mi sento più leggero, sai? Come se mi fossi tolto un peso enorme dallo stomaco.»

Il moro porta entrambe le mani sul suo viso ed inizia ad accarezzargli la pelle con i pollici. Nessuno dice niente, per un periodo di tempo sconosciuto, decidendo comunque di rimanere l’uno attaccato all’altro.

L’intraprendenza di Castiel sorprende il direttore generale quando, senza neanche chiedere il permesso, riprende a baciarlo, con così tanta forza e passione che Dean è costretto a reggersi alla scrivania dietro di sé, per evitare di perdere l’equilibrio.

«Dio, sono così felice,» mormora Cas contro le sue labbra, senza staccarsi. Dean deve letteralmente spingerlo via per riuscire a replicare.

«Ti accontenti di poco se questo ti rende felice,» dice, sarcastico. 

Una scintilla negli occhi blu del suo sottoposto brilla improvvisamente. «Tu non sei poco, Dean. Tu sei tutto

E, okay, forse il suo cuore perde un paio di battiti, forse la pelle d’oca è un po’ troppo accentuata, forse le gambe minacciano di cedergli, perché il suo tono di voce deciso e lo sguardo arguto non lasciano spazio ad ulteriori contraddizioni.

«Stasera vieni da me? Così possiamo continuare questo discorso in un luogo più confortevole,» propone Dean.

Cas, dal canto suo, non sembra del tutto convinto. «Io e Gabe pensavamo di trattenerci in ufficio per… per le valutazioni.»

«Fanculo le valutazioni. Risolverete domattina,» dice, stampandogli un bacio improvviso sulle labbra. Sente una leggera tensione nel corpo dell’altro e decide di stringere la presa attorno alla sua vita per evitare che possa allontanarsi.

«Dean--»

«Che c’è, hai cambiato idea?»

Castiel scuote la testa, un sorriso malinconico gli si forma sul viso. «Non potrei mai cambiare idea.»

La pazienza del direttore generale sembra essere sul punto di cedere, come una corda troppo tesa in procinto di spezzarsi. «Allora parla! Che ti prende?!»

«In realtà c’è un’altra cosa che voglio dirti. Io ti lascerò i tuoi spazi e tutto il tempo di cui hai bisogno, quando ne hai bisogno, e sono disposto a farlo sul serio. Però, vorrei che tu parlassi con tuo padre, come hai fatto con Sam e come adesso stai facendo con me.»

Dean si svincola dalle braccia dell’altro, come scottato. «Sai proprio come ammazzare l’atmosfera, eh? Tirare in ballo il mio vecchio mentre stiamo limonando.»

«So che non è il momento, ma devi sapere che John non è stato sempre così chiuso e rigido,» dice Cas, continuando imperterrito. «Mio padre mi ha raccontato quanto abbia dovuto lottare per farsi accettare dalla famiglia Campbell. Tuo nonno non aveva la minima intenzione di concedergli la mano della sua unica figlia.» 

Dean non lo sta guardando più, trova che prestare attenzione al tavolino accanto alla porta -- piuttosto che alle parole di Cas -- sia molto più facile. Ma il responsabile delle Risorse Umane è deciso a non lasciar perdere, perciò si rimette di fronte a lui per rientrare nel campo visivo del suo capo. 

Il paio di occhi verdi si sposta su quelli blu dell’altro, proprio come farebbe un pezzo di metallo verso una calamita.

«Non voglio giustificarlo, ma avrà avuto senz’altro le sue buone ragioni per spingere te e Sam a continuare gli affari di famiglia. Potrebbero comunque essere ragioni egoistiche e per esserne al cento per cento sicuro devi chiederlo direttamente a lui.»

Una sensazione nuova, e strana, si fa lentamente spazio nella pancia di Dean. Potrebbe essere solo ansia, oppure angoscia, con una punta di un qualcosa di positivo: il direttore generale si sta avvicinando ad una via d’uscita, che lo porterà fuori dal labirinto di delusioni e compromessi che è stata la sua vita fino a quel momento.

«Non sono sicuro che vorrà ascoltarmi, Cas.»

«Io invece sono più che sicuro che tu sarai in grado di farti ascoltare, Dean.»

Castiel accenna un sorriso, uno di quelli che vorrebbero essere incoraggianti ma che, stranamente, hanno tutta l’aria di nascondere mille altri dubbi. E Dean, che è terribilmente preso da questo tipo strambo, non potrebbe esserne più grato.

«Grazie. Per tutto,» mormora, infine, afferrando la cravatta di Cas e attirandolo a sé per riprendere da dove si erano interrotti.

 

§

 

Rowena è costretta a tornare al proprio cubicolo prima di raggiungere Arthur al ristorante dove le ha dato appuntamento per il pranzo, perché ha dimenticato le fottute chiavi della macchina. Non appena le trova -- si sono andate ad incastrare all’interno del suo portapenne in chissà quale assurdo modo -- si accorge di non essere sola in ufficio, come si aspettava.

Gabriel Novak è in piedi di fronte all’ufficio di Dean, ad osservare qualcosa da dietro il vetro opaco della porta. La donna, incuriosita, si avvicina al capo delle Risorse Umane per capire cosa ci sia di così interessante e-- oh.

Due sagome -- che hanno tutta l’aria di essere i carissimi Dean e Castiel -- stanno amoreggiando. Chiaro come la luce del sole, nonostante la limitata visibilità.

«Non ti ricorda io e te qualche mese fa?» dice Gabriel, senza guardarla, eppure riconoscendola immediatamente.

Rowena sbuffa una risata. «Eravamo giovani ed ingenui, caro. Adesso siamo entrambi felicemente impegnati.»

«Eh, già. La vita è strana.» Poi, si gira verso di lei. L’inesistente differenza di altezza tra i due permette loro di guardarsi perfettamente negli occhi. «Ammetti che sono stato il sesso migliore della tua vita.»

La risata sguaiata della donna si sarebbe potuta sentire fin dalla strada. «Sei stato troppo pulito per i miei standard!» sentenzia, allontanandosi e continuando a ridere.

Gabriel aggrotta le sopracciglia, ferito nell’orgoglio: «E con questo che diavolo vorresti dire?! Ehi, bellezza! Torna qui ed elabora!»






 


Nota dell'autrice: Ragazz*, finalmente i due piccioncini sono riusciti a risolvere i loro problemi, applausi applausi!!! Vi avviso che manca un ultimo capitolo e, forse, un epilogo che apprezzerete decisamente. Cosa ne pensate, comunque, di questo capitolo? Ci ho messo un po' a scriverlo e a sistemarlo, ma grazie a Julss sono riuscita a tirarlo fuori! Ci riaggiorniamo la settimana prossima <3 Grazie per tutte le letture e le recensioni, siete l'amore <3
 

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