Sulle orme di Geneviève

di Roiben
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mauvaises nouvelles ***
Capitolo 2: *** Traces ***
Capitolo 3: *** Le début d’un voyage ***
Capitolo 4: *** Échanges de coups de feu ***
Capitolo 5: *** Charades ***



Capitolo 1
*** Mauvaises nouvelles ***


Sulle orme di Geneviève 

 

 

 

 

 

1 - Mauvaises nouvelles 

 

Solo quattro mesi prima ha sposato l’allora signorina Florence Levasseur e con lei si è trasferito nel villaggio di Saint-Maclou. Quattro mesi, sedici settimane di pace e giardinaggio e amabili passeggiate sulla riva dell’Oise. Quattro mesi. Poi una telefonata da Victoire, che lo fa tornare alla realtà in modo brusco e senza ricorso: Geneviève è scomparsa. 

 

Da principio ha dato rapide e ferree disposizioni perché venissero avvisati e messi all’opera i ragazzi subito disponibili; purtroppo i fratelli Doudeville sono ben lontani al momento, mentre Charolais, Le Ballu e molti altri si trovano tuttora insediati in Mauritania, Algeria e Marocco e impiegheranno del tempo per rispondere all’appello. Fatto ciò ha preso al volo il primo treno in partenza per Parigi, dal quale è sceso in tutta fretta salendo su un’auto di piazza che lo ha condotto di filato alla Sûreté. Entra, quasi correndo lungo i corridoi già fin troppo affollati, lasciandosi alle spalle le guardie attonite senza degnare nessuno di un singolo sguardo, diretto senza fermate intermedie all’ufficio del prefetto Desmalions, tralasciando perfino la gentilezza di fargli arrivare un suo biglietto da visita, e tantomeno la cortesia di bussare o attendere che lo faccia l’usciere. 

 

«Perbacco! Signor…»Desmalions, pur alterato per i modi bruschi del visitatore, è costretto a bloccarsi per due ottimi motivi: non ha idea del nome da usare per rivolgerglisi e, ancor peggio, lo sguardo affilato che questi gli tributa non lo invoglia per nulla al mondo ad affrontare un discorso con il personaggio appena entrato. 

 

«Usate il nome che vi piace di più. Ho bisogno di informazioni» lo interrompe in modo brutale. 

 

«Che informazioni… signore?» pensa bene di domandare, lasciando volutamente sul vago la propria domanda. 

 

«Una persona è scomparsa, e io devo trovarla, nel modo più assoluto». 

 

«Che persona? Si è fatta denuncia?» tentenna il prefetto, già un po’ sofferente per i grattacapi in vista. 

 

«Denuncia? Certo, mi hanno avvisato questa mattina di buon’ora. Insomma, queste informazioni?». 

 

Desmalions è più che perplesso, è stordito. «Hanno avvisato voi? Ma la denuncia va fatta alle autorità competenti, non…». 

 

«Le autorità!» quasi grida, digrignando i denti esasperato. «Le autorità sono incompetenti! Lei è scomparsa due giorni fa, e va ritrovata al più presto. Potrebbe…» la voce gli viene meno per un lungo istante colmo di angoscia. 

 

«Signore, lei chi? Come possiamo lavorare senza conoscere i fatti?». 

 

Inspira bruscamente, le narici frementi e i pugni serrati sui quali si scorgono in modo distinto i nervi tesi. Poi esala un lieve sospiro e serra le palpebre qualche istante. «Geneviève. Lei è mia figlia». 

 

 

 

«Un momento! Avete una figlia?» sbotta Desmalions. «Ma… ma… da quando?» balbetta confuso. 

 

Assottiglia lo sguardo. «Che importanza può mai avere? Cambierebbe il fatto che non si riesca più a trovare traccia di lei sapere che sono passati ventisei anni dal momento della sua nascita? Non siate ridicolo! Stiamo solo perdendo del tempo che non ho, e intanto chissà cosa potrebbe capitare». 

 

L’espressione desolata e interdetta del prefetto non dà molte speranze, tuttavia. 

 

«Credevo aveste i vostri mezzi» prova con cautela a far notare allo scomodo visitatore. 

 

«Ci vorrebbe troppo tempo. Più della metà si trova ancora in Africa, e l’altra è distribuita su tutto il territorio nazionale e servirà più d’una giornata per radunarli. Ho già dato incarico al mio autista di contattare chi si trova in zona, ma nel mentre è necessario iniziare subito le ricerche». 

 

Desmalions ascolta con attenzione e si trattiene solo all’ultimo istante dallo scuotere la testa contrariato. «Che cosa chiedete, dunque?». 

 

«Che si avviino le ricerche da questo stesso momento. E che mi si mettano a disposizione due dei vostri uomini, di quelli svegli». 

 

Sogghigna, il prefetto. «Due uomini. E immagino abbiate già idea di chi scegliere, dico bene?». 

 

«Per nulla. L’ultimo, il mio povero Mazeroux, me lo avete arrestato sotto gli occhi e ho dovuto svendere il mio regno per la mia e la sua libertà» protesta piccato. 

 

«Uhm! Sono desolato» commenta in tono molto poco convincente. 

 

«Sicuro, vedo bene che lo siete» esclama con sarcasmo. «Ebbene, questi uomini?» insiste, con evidente premura nella voce. 

 

Poiché Desmalions prevede a giusta ragione che non riuscirà mai a liberarsi di quell’impiccio senza offrire del suo in cambio, sospira e solleva il ricevitore del suo ufficio. 

 

«Signor segretario, ho bisogno che mi si mandino in ufficio l’ispettore Flognard e il sergente Lesmous. In fretta, grazie». Fatto ciò riaggancia il ricevitore e torna a prestare attenzione allo scomodo visitatore, dedicandogli un sopracciglio inarcato. «Vi serve altro, signore?» rimarca mordace. 

 

«Aspetto un amico. Se a voi non dispiace, lo attenderò qui» replica per tutta risposta, lasciandosi sfuggire un lieve sogghigno all’occhiata scandalizzata del prefetto. 

 

«Voi vi burlate di me» protesta in un borbottio risentito. 

 

«Affatto, signor prefetto. Il disguido è che al momento non possiedo appartamenti in città e, giacché mi trovo da voi e il luogo è comodamente in centro, ho ritenuto più semplice dare appuntamento qui al mio amico. Nessuna offesa per voi, ve lo garantiscosolo praticità» assicura tranquillo. 

 

Qualche minuto più tardi alla porta dell’ufficio bussano e, dopo l’approvazione del prefetto, si affaccia il viso asciutto dell’usciere, il quale lesto annuncia «Il capitano Patrice Belval, che chiede di poter entrare. Sostiene di avere un appuntamento». 

 

«Un appuntamento? Con me?» si informa il prefetto, che evidentemente non era stato opportunamente ragguagliato per tempo quella mattina. 

 

L’usciere sembra imbarazzato e, sempre fermo sullo specchio della porta, poggia il peso da un piede all’altro in modo inconfortabile. «Per la verità no, signor prefetto. Riferisce di un incontro con il signor Perenna». 

 

Desmalions volta di scatto il viso e fissa intensamente il suo precedente visitatore, che nel frattempo si è rialzato dalla poltrona sulla quale aveva preso posto non molto prima nell’attesa. «Il vostro amico, suppongo». 

 

«Proprio così, signor prefetto» conferma allegro. «È stato molto gentile da parte vostra permettermi di riceverlo qui» aggiunge con affettazione. 

 

Il prefetto ha l’aria di essere indeciso se chiamare all’istante le guardie e farlo mettere agli arresti (con un’accusa qualsiasi, l’importante del resto è toglierselo di torno), oppure chiedere un subitaneo trasferimento. Decide, con rassegnazione, di fingere un’accettazione che non sente affatto di possedere. «Molto bene, signor… Perenna. Usciere, fate pure accomodare il capitano Belval, grazie» si risolve a ordinare, per poi rimettersi comodo in poltrona. «Voglio sperare» aggiunge lugubre, dopo essersi assicurato che l’usciere abbia richiuso la porta alle sue spalle «che gestirete questa storia incresciosa con la dovuta discrezione. E, per amor del cielo, che non intendiate prendere per abitudine questo sconsiderato irrompere nei miei uffici e invitare ospiti senza il mio consenso». 

 

«Ma certo che no» esclama gioviale e con un sorriso ambiguo, facendo correre un improvviso brivido di spavento su per la spina dorsale del prefetto.  

 

 

 

Di nuovo il bussare alla porta interrompe lo sgradevole colloquio fra i due uomini impegnati a fronteggiarsi. L’usciere, con il tiepido permesso del prefetto, dà l’accesso al capitano Belval. Un rintocco ligneo sul marmo dell’assito attira l’attenzione dei presenti, che un momento dopo vengono raggiunti da un giovane uomo sorridente. 

 

Il capitano Belval si guarda attorno con curiosità, fino a che i suoi occhi vivaci si soffermano sulla figura alta e forte che si è appena sollevata dalla seduta. 

 

«Don Luis!» esclama, andandogli prontamente incontro con più agilità di quanta ci si aspetterebbe da una persona sostenuta da una gamba di legno. Stringe con affetto le sue spalle ampie e infine si scosta un poco, osservandolo con curiosità, affetto e una punta di malinconia. «Quanto tempo è passato. Non vi vedevo da… Perbacco, già tre anni, non è vero?» esclama stupito. 

 

«Sì, proprio tre anni, Patrice» mormora, ripensando con dispiacere al tempo trascorso. 

 

«E dunque? Cos’è accaduto? Sono corso non appena ho potuto liberarmi» assicura il capitano, scrutandolo con ansia. 

 

«E io vi ringrazio di cuore, amico mio. Purtroppo non vi ho fatto venire per comunicarvi buone notizie, e me ne rammarico». 

 

«Suvvia!» protesta con veemenza. «Ditemi, di che si tratta?» incalza preoccupato. 

 

Un brillio balena nei suoi occhi e sconcerta il capitano per la sensazione di sgomento che ne raccoglie. «Questa mattina all’alba sono stato contattato da Victoire. Due giorni fa Geneviève è scomparsa e di lei non si sa più nulla». 

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Capitolo 2
*** Traces ***


2 - Traces 

 

Patrice fissa attonito il volto delluomo che ha di fronte. Scuote la testa, incredulo. «Vostra figlia… Ma come… Quando… Impossibile!» sbotta costernato. 

 

La smorfia tirata che vorrebbe far passare per un sorriso convince il capitano a desistere dalla sua incredulità. «Forse inspiegabile, ma a quanto pare affatto impossibile. Eppure…». Calcia laria, frustrato. «Non riesco a comprendere. Ho fatto in modo che non si sapesse del nostro legame; neppure lei stessa ne è stata informata. Si tratta solo di una giovane insegnante, dopo tutto. Dove mai può essere? Perché è svanita nel nulla senza ragione?». 

 

«Due ottime domande» si intromette Desmalions. «Avete con voi una sua fotografia? Ci sarà di certo utile quanto inizieremo le ricerche». 

 

Lo scruta in viso, pensieroso. Annuisce. «Naturalmente» conferma, estraendo dal portafogli un piccolo cartoncino. «Ecco a voi». Si allunga a porgere l’immagine al prefetto ma, prima che questi possa afferrarla, assottiglia lo sguardo. «Nessuno deve sapere chi realmente ella sia. Siamo intesi?» sibila in tono minaccioso. 

 

«Sì, lo siamo» conferma il prefetto. Osserva con attenzione e un certo moto di curiosità la foto della donna e si porta una mano al mento. «Daltronde non gioverebbe a nessuno; tuttaltro. Diverrebbe invece solo fonte di disordini, e certo nessuno di noi vuole questo, dico bene, signor Perenna?». 

 

«Nel modo più assoluto». 

 

 

 

Lispettore Flognard, in compagnia del sergente Lesmous, dopo essersi fatti annunciare raggiungono il prefetto e i suoi due ospiti. Il sergente Maxime Lesmous è un uomo vigoroso e dai modi decisi, una fronte prominente e il naso leggermente camuso sotto occhi neri e affilati.  

 

Lispettore Tobias Flognard, i cui capelli un po radi e già ingrigiti uniti a marcate rughe despressione sul viso serio denotano il suo aver già oltrepassato la soglia di una mezza età raggiunta con gran dispendio di energie, si fa avanti per primo. «Signor prefetto» borbotta, accennando un gesto con il capo e tornando poi a fissare il resto dei presenti con unattenzione che rasenta laperto sospetto. 

 

Desmalions lancia una breve occhiata all’uomo che ha messo a soqquadro la sua giornata altrimenti tranquilla, si schiarisce la voce e prepara una spiegazione ragionevole per i due funzionari. 

 

«Ebbene, signori, questa è la situazione: il signor… Perenna, qui presentesi trova da noi per denunciare la scomparsa di una persona». Solleva la piccola fotografia di modo che tutti la possano vedere con agio. «Il fatto è accaduto due giorni fa, ma solo questa mattina egli ne è venuto a conoscenza. Pertanto è necessario che si dispongano le ricerche. Signore, dove risiedeva la scomparsa?». 

 

«Abita e lavora a Saint-Denis, signor prefetto. Dallautunno del 1913, ormai». 

 

«Ha parenti? Amici? Una famiglia?». 

 

Il suo sguardo è insondabile quando risponde a Desmalions. «Nessuna famiglia, attualmente. Unamica, la medesima che mi ha avvertito della sua scomparsa. Che io sappia nessun parente in vita» spiega in tono asciutto e incolore. 

 

«Capisco. Lasciatemi, per cortesia, lindirizzo dellabitazione e del luogo di lavoro». 

 

«Insegna presso listituto Dauphin, che potrete trovare al numero 15 di Place Victor Hugo. Abita poco distante, al numero 5 di Rue des Boucheries» listruisce solerte. 

 

Ancora una volta bussano alla porta. Il prefetto dà un sonoro sbuffo esasperato e ringhia un «Avanti» ben poco sentito. 

 

Lusciere, con unespressione mortificata in volto avendo intuito lindisposizione del prefetto, si fa avanti con eccessiva prudenza, affacciandosi discretamente alluscio. «Scusate, signor prefetto. La guardia allingresso ha mandato su una missiva per il signor Perenna e ho pensato… che potesse essere di una qualche importanza» riferisce, quasi bisbigliando lultima parte, essendosi avveduto del brusco movimento suscitato nellinteressato. 

 

Questultimo, infatti, ha abbandonato con un balzo la poltrona, raggiungendo il messaggero ad ampie falcate. «Il destinatario della vostra lettera sono io» afferma allungando una mano. «Datemela» ordina, dimenticando sul momento i dovuti riguardi. 

 

Lusciere, interdetto, lancia uno sguardo preoccupato al prefetto, come chiedendo il permesso. Desmalions rotea gli occhi e conferma con un secco cenno della testa. La busta viene quasi strappata di mano al poveruomo che, non avendo idea di come reagire, si prodiga in un ultimo imbarazzato inchino e lascia la stanza richiudendosi luscio alle spalle. 

 

Senza attendere un istante di più, la busta viene aperta, strappandone in parte linvolucro, e la missiva rivelata: un unico foglio di sottile carta velina dattiloscritta da carta carbone, sul quale si leggono poche righe di testo. 

 

GL 

20 2 12 18 

47 59 41 14, 7 50 59 5 

22951419.1952112 

 

Aggrotta le sopracciglia, passando più volte lo sguardo sul breve messaggio, infine si volta verso la scrivania del prefetto, mentre i presenti sono occupati a fissarlo con scetticismo o preoccupazione. «Una carta dellEuropa, per gentilezza». 

 

Desmalions sarebbe tentato di cacciarlo fuori una volta per tutte, ma suo malgrado è anche curioso di scoprire in che modo linatteso visitatore riuscirà a districarsi dallimpiccio, perciò ancora una volta decide di venire incontro alle sue richieste e recupera per lui un rotolo fra i tanti presenti nel suo archivio, ponendolo sulla propria scrivania e srotolandolo a beneficio di tutti i presenti. «A voi, signore» insinua, tutto sommato divertito dalla faccenda. 

 

Senza dare alcun peso allatteggiamento di sufficienza del prefetto, fa correre le mani sulla mappa che gli è stata fornita e inizia la ricerca. «Vediamo, vediamo» lo sentono mormorare. «Ah!» esclama dun tratto, facendo sobbalzare più dun presente. «Qui. È qui lappuntamento». 

 

«Come? Che appuntamento?» sbotta il prefetto senza comprendere di cosa mai stia parlando. 

 

«Quello del messaggio, è ovvio». 

 

Desmalions, come del resto gli altri uomini che gli sono attorno, guardano confusi ora luomo ancora chino sulla mappa, ora il messaggio impresso sul foglio, senza comprendere il senso dellaffermazione appena udita. 

 

«Di cosa state parlando, per amor del cielo? Sono solo numeri» tenta, ora più irritato che curioso. 

 

Solleva lo sguardo sul prefetto e losserva per accertarsi che stia parlando sul serio. Appurato ciò soffia stizzito e afferra in malo modo il messaggio. «Sì, certo: numeri. Ma la prima serie è una data, la data di dopodomani, e cè anche un orario, le sei di sera. È chiaramente un appuntamento. E la seconda serie sono fuor di dubbio coordinate geografiche, che portano qui» asserisce, mostrando sulla mappa un luogo preciso: Freiburg im Breisgau in Germania. 

 

Ancora i presenti lo fissano stolidi e, per quanto abbia atteso una reazione alle sue parole, alla fine non può fare a meno di spazientirsi. «Ebbene, io parto» getta fra loro, allapparenza incurante di eventuali opinioni contrarie. 

 

«Come? Subito?» simpensierisce Patrice, andandogli incontro e sperando di farlo ragionare. 

 

«Esatto, non cè un solo minuto da perdere» conferma. 

 

«Se siete deciso, signor Perenna, allora organizzerò anche la partenza dellispettore Flognard e del sergente Lesmous, così che…». 

 

«Impossibile. È necessario che mi ci rechi da solo» si oppone. 

 

«Come sarebbe? Non siate sciocco, sarebbe imprudente…». 

 

Ma le rimostranze del prefetto vengono nuovamente interrotte da un suo gesto impaziente. «Imprudente sarebbe presentarmi in compagnia, in particolar modo di agenti di polizia. Il messaggio avverte chiaramente di presentarmi da solo» spiega con quel poco di pazienza che gli rimane. 

 

«Lasciate che almeno io vi accompagni» lo prega Patrice, la cui angoscia è ormai ascesa alle stelle. «Potrei venire in treno con voi e rimanere di guardia, nascosto, mentre voi incontrare questa gente. Non ci si può fidare di costoro, e inoltre sareste circondato da boches zotici e senza scrupoli». 

 

Sorride e afferra con calore una spalla del capitano. «Ah, mio caro amico, mi farebbe solo che piacere poter contare su di voi. Purtroppo non sarebbe prudente. Con la vostra presenza non prevista correremmo il rischio di mal disporre chiunque strovi dietro a questa brutta faccenda e mettere così in pericolo Geneviève» si rammarica. 

 

Patrice sussulta, allarmato. «Oh, no, questo mai!» esclama, atterrito dalleventualità. «Solo… promettetemi di essere prudente. Non conosciamo neppure i loro motivi» prega. 

 

Annuisce, grave. «Non preoccupatevi, Patrice. Presterò la massima attenzione. Intendo giusto scoprire perché agiscono e a cosa mirano». Il suo sguardo deciso si rabbuia, le sue dita si serrano con forza. «Vedremo, infine. Ancora non sanno, costoro, in cosa sono andati a mettere il naso». 

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Capitolo 3
*** Le début d’un voyage ***


3 - Le début dun voyage 

 

Mentre si prepara a lasciare lufficio del prefetto ha un tentennamento e si volta indietro, osservando quelle persone ancora in attesa e intente a seguire le sue mosse. «Vorrete farmi la cortesia di provvedere in ogni caso ad avviare le ricerche? Questo mio intervento potrebbe risultare risolutivo ma, considerati i rischi, non mi sento nella posizione di contare unicamente su me stesso in questa occasione». 

 

«Potete star certo che ci muoveremo nel modo più appropriato per ottenere i risultati che auspicate, signor Perenna» decide di rassicurarlo Desmalions. 

 

«Molto bene, vi ringrazio». Posa un veloce sguardo sulla scrivania del prefetto. «Vi arrecherebbe disturbo se prendessi con me questa mappa?» accenna, allungando una mano ma rimanendo comunque in attesa di un consenso. 

 

Desmalions scuote la testa e offre un piccolo sogghigno divertito«Affatto. È vostra» conferma, porgendogliela egli stesso. 

 

«Grazie. Mi avvertirete se dovessero esserci delle novità di rilievo?». 

 

«Naturalmente. Buona fortuna, signor Perenna». 

 

«Addio, signori. Patrice, amico mio, spero di potervi rivedere presto, e con buone nuove». 

 

Ciò detto abbandona la Sûreté e si fa condurre nuovamente alla stazione da unauto di piazza. Da lì dovrà poi salire sul primo treno per lAlsazia da dove potrà prendere la coincidenza diretta in Germania. 

 

 

 

Giunto a bordo del primo treno bada a cercarsi uno scompartimento vuoto e a bloccarne l’apertura di modo da non essere importunato durante il viaggio. Ancora non riesce a spiegarsi cosa ci sia dietro questo gesto contro Geneviève, anche se evidentemente inteso come attacco diretto a lui. Sul come possa essersi verificato ha pochi dubbi: una volta venuti a conoscenza dell’identità della donna, trovarla e prelevarla dal luogo di lavoro o, ancora meglio, lungo la strada, dev’essere stata un’inezia. Ma come sono giunti a conoscenza della sua identità? Un altro dettaglio che non sa spiegare. Oltre a lui stesso, solo Victoire e Patrice ne sono al corrente, e si fida in modo assoluto di entrambi, pertanto dev’essere accaduto qualche fatto inspiegabile che ha portato i rapitori a conoscenza della verità? Questo fatto può essere collegato al motivo per il quale stanno agendo? Porta una mano alla fronte, massaggiandosela e riflettendo. Eppure, per quanto intensamente vagli le sue opzioni, si rende conto di non possedere indizi sufficienti a trovare una risposta ai suoi dubbi. 

 

Victoire, al telefono, non ha mostrato solo una normale sorpresa e turbamento. Aveva il tono di una persona sconvolta. Ma per quale motivo, dunque, ha atteso due giorni per mettersi in contatto con lui? Già la prima sera, non vedendola far ritorno a casa, avrebbe dovuto allarmarsi. Geneviève ha mai raggiunto listituto Dauphin, il primo giorno? Se no, perché il personale non si è preoccupato di informarsi sui motivi dellassenza di una loro insegnante? Forse conoscevamo i rapitori? E Geneviève, lei li conosceva? Troppe domande, nessuna soluzione in vista; non ancora, per lo meno. 

 

Pensieroso, estrae di tasca il messaggio anonimo e losserva per lennesima volta, cercando, sperando in qualche modo di leggervi un particolare qualunque che possa rischiarare almeno in parte i suoi dubbi. GL: le iniziali di Geneviève; questo significa in modo incontestabile che il mittente sa chi è la donna e da dove proviene. Unaltra evidenza che lo lascia turbato.  

 

«Chi può aver divulgato quest’informazione?» si domanda per l’ennesima volta. La madre stessa non ne era a conoscenza, essendo allo scuro di chi fosse quel ragazzo incontrato ad Aspremont sulla Côte d’Azur nella lontana estate del 1893. La famiglia cui, in seguito alla morte della madre, l’aveva inizialmente affidata neppure. Victoire ne è venuta a conoscenza solo molto più tardi, quando già Geneviève era una ragazza, e anche se fosse non avrebbe avuto motivi per raccontare ad altri la scoperta fatta, neppure alla ragazza.  

 

«Patrice» mormora con un filo di voce. Scuote la testa, pieno di sconforto. Patrice è un buon amico, lunico o quasi di cui sente di potersi fidare. È un uomo leale, dallanimo candido e gentile, ed è certo che non metterebbe mai volontariamente in pericolo la vita di una persona, in particolare quella sua e di Geneviève. Ma forse qualcuno potrebbe averlo ingannato, estorcendogli senza fargliene accorgere quellinformazione. No, no, impossibile; non è così sciocco né sprovveduto da non avvedersi di un tranello di tale infamia. Ma allora chi? Chi mai può aver messo sulla buona strada questa gente di cui ignora identità e intenzioni? Potrebbe essere stato lui stesso? Potrebbero avergli carpito parole compromettenti in qualche momento indefinito della sua esistenza, magari dopo averlo drogato? Forse. Ma quando? Non riesce a rammentare unoccasione simile. Dovrebbe quanto meno serbarne una parvenza di memoria; ma al contrario non rammenta alcun caso di tale natura. 

 

Una risata amara prorompe dalle sue labbra. Strofina le palpebre pesanti con i polpastrelli. Tempo fa ha smarrito un figlio, scomparso apparentemente nel nulla senza lasciare alcuna traccia che sia riuscito a seguire. E ora? La storia si ripete. È dunque destinato a lasciarsi sfuggire dalle mani gli ultimi granelli della sua famiglia? 

 

«No» soffia. «Questa volta no. Questa volta devo ritrovarla, a qualunque costo» promette a sé stesso. 

 

 

 

Si ridesta di soprassalto da un sogno che non riesce a trattenere. Ha l’impressione di aver visto qualche cosa, in quel sogno, forse un dettaglio importante, ma di cui non è in grado di rammentare la natura, forse un ricordo, un qualche filo legato al passato. Scuote la testa, perplesso, e volta lo sguardo al paesaggio che può scorgere dal finestrino dello scompartimento che occupa. Sulla superficie trasparente del vetro e dei suoi occhi si riflettono i vitigni che si estendono apparentemente infiniti nelle campagne alsaziane, che da poco sono tornate alla sua Francia, e di tanto in tanto fanno la loro comparsa rocche e castelli appartenenti a un altro tempo. Non manca molto: Strasbourg è vicina ormai, e lì dovrà scendere per prendere il treno locale che lo porterà oltre confine, fino alla destinazione che qualcuno ha scelto per lui. Toccherà Freiburg a sera, di ciò è consapevole; una giornata consumata in un viaggio quasi ininterrotto, un’intera giornata andata perduta, nella speranza di ritrovare un barlume di senso logico a quanto accaduto. 

 

 

 

Quasi unora più tardi, quando limbrunire è già alle porte, il piccolo convoglio ferroviario sul quale viaggia entra nella stazione di Freiburg im Breisgau, i freni della locomotiva e dei pochi vagoni presenti stridono e un fischio dalla banchina lo avvisa che è giunto il momento di affrontare i boches. 

 

Scendendo la breve scaletta del vagone e guardandosi attorno nota che non sono in molti i viaggiatori che arrivano a quellora. Tuttavia, con un piccolo moto di sorpresa che non tarda poi a svanire, presto gli si fa incontro un giovanotto dallaria svelta e dallo sguardo sveglio che non può avere più di sedici anni. 

 

«Herr Perenna?» esordisce, con intonazione marcatamente teutonica. 

 

Sorriderebbe del suono di quel nome fittizio sulla bocca di quel piccolo boche, se solo i pensieri non gli stessero martellando incessantemente il cervello. Si limita così ad assentire con uno spiccio gesto della testa e rimanere in attesa. Il ragazzo stira le labbra fino a mostrare un grande sorriso tutto denti splendenti, poi estrae di tasca una busta un poco logora e gliela porge con gesto sbrigativo, prima di attardarsi in un inchino goffo e allontanarsi a passo svelto, scomparendo oltre il primo angolo, probabilmente diretto a più interessanti passatempi. 

 

«Beata gioventù» mormora fra sé, suo malgrado divertito. 

 

Soppesa la busta fra le mani, trovandola pressoché identica a quella ricevuta nellufficio del prefetto, solo appena un poco maltrattata. Daltra parte doveva aspettarselo, considerando che nel primo messaggio non erano presenti i dettagli dellincontro. Solleva gli occhi sulla stazione, controllando di non essere osservato, poi si allontana trovandosi un posto riparato nel quale studiare la nuova missiva. 

 

48 00 18.4 14, 7 52 24.9 5 

 

«Altre coordinate» sbotta spazientito. «Questa gente inizia ad annoiarmi». Ma giunti a quel punto non cè davvero molto che possa fare per sfuggire allo stupido gioco messo in atto dagli ignoti che, è evidente, si stanno divertendo alle sue spalle. Sbuffa, un po seccato. «Bene. Daccordo. Mancano quasi due interi giorni allappuntamento. Cosa può mai inventarsi un galantuomo per far trascorrere il tempo più velocemente?» si chiede, osservandosi attorno con attenzione e curiosità. Un sorrisetto diabolico fiorisce sulle sue labbra. «Chi mai potrebbe affermare che sei un galantuomo, mio Lupin?». Un momento dopo è già svanito fra le vie di Freiburg. 

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Capitolo 4
*** Échanges de coups de feu ***


4 - Échanges de coups de feu 

 

Sono solo le prime ore di un pomeriggio dalle temperature piuttosto rigide ma dal sole nitido e abbagliante. Si è già mosso per raggiungere il luogo dellappuntamento, pur sapendo che esso è fissato per la sera; ha bisogno di darsi unocchiata seria intorno così da scongiurare possibili problemi dellultimo minuto. La conoscenza porta sempre vantaggi, e conoscere il teatro dellincontro con quella gente di cui tutto gli è ignoto fino a quel momento non potrà che avvantaggiarlo. 

 

Ha preso in considerazione le sue opzioni, soppesando il modo più proficuo per giungere a destinazione, e infine ha stabilito sarebbe andato in bicicletta. La strada è troppa per una poco allegra scampagnata a piedi, con il concreto rischio di arrivare stanco morto e trovarsi in balia delle intenzioni altrui; ma daltra parte unautomobile sarebbe apparsa troppo vistosa e avrebbe avvisato chiunque, perfino gli abitanti del circondario, dellarrivo di uno sconosciuto, e tempo una manciata di minuti con tutta probabilità tutto il paese avrebbe saputo i fatti suoi. No, grazie. Un cavallo sarebbe stata una buona idea, se solo non si fosse anche trattato di una presenza insolita; oramai il numero dei cavalli utilizzati per il trasporto di persone si sta riducendo progressivamente per lasciare spazio a mezzi a motore; più veloci anche se meno affidabili. 

 

In quel momento sta percorrendo con andatura tranquilla e occhio attento una strada abbastanza stretta e fiancheggiata da ambo i lati da alberi a perdita docchio; una strada che, tutto sommato, sarebbe più corretto definire sentiero, visto che è sterrata e che tuttal più cè lo spazio perché ci transiti un carretto (o una torpedo di piccola taglia). Secondo la mappa che ha con sé e in base ai suoi calcoli la cascina di campagna alla quale è diretto non dista che una manciata di chilometri dal punto in cui si trova, e per quanto può scorgere non si vede anima viva nei dintorni. Casa sua è appartata, riflette un poco annoiato, ma quel luogo è un vero mortorio. Che fa, la gente, se ha voglia di svagarsi? Spara alle anatre? Ridacchia fra sé e scuote la testa, suo malgrado divertito dallidea. Un momento dopo un rombo, che ricorda in modo vago lo schianto di un fulmine sul terreno arido, investe i suoi sensi riportandoli in allerta, ma ha a disposizione solo pochi secondi per rendersi conto che il frastuono proviene dal rapido approssimarsi di qualche cosa che svolta con rapidità sconcertante langolo e, se non si fosse gettato dalla bicicletta atterrando di schiena accanto al fosso che bordeggia il sentiero, lo avrebbe investito in pieno. Con qualche scricchiolio di troppo e un leggero pulsare alla testa si rimette seduto e scruta sulla strada, scorgendo una nube di polvere sollevata dalle ruote di una torpedo. Certo, potrebbe essersi trattato di un imbecille un po alticcio che nemmeno si è reso conto di avere un ostacolo sulla sua traiettoria ma, chissà per quale ragione, il suo istinto gli suggerisce che al contrario qualcheduno ha deliberatamente cercato di farlo fuori. 

 

Si rimette in piedi, fa un passo avanti per provare a controllare se la bicicletta sia ancora utilizzabile, ma una fitta di dolore alla gamba sinistra gli strappa una smorfia e una mezza imprecazione. Si piega sulle ginocchia e prova qualche cauto movimento: no, sembra che nulla si sia rotto; una buona notizia, tutto sommato. Sospira, si guarda attorno e individua la bicicletta o, per meglio dire, il rottame della sua povera bicicletta che dalla strada sembra fissarlo con rimprovero per quella brutta avventura. 

 

«Sono desolato, mia cara. Nemmeno io avevo piacere di volare gambe allaria a quel modo» borbotta seccato. 

 

Tuttavia lavventura per quel giorno non sembra essere ancora conclusa. Neppure il tempo di raggiungere la strada sterrata per accertarsi se ci sia del salvabile in quellintrico di metallo contorto che è presto costretto a una precipitosa marcia indietro, sconcertato dal nuovo passaggio dellautomobile (la stessa, ne è quasi certo), la quale questa volta si ferma sollevando unaltra polverosa nube a poca distanza dal punto in cui si trova lui. Un istante dopo gli sportelli si spalancano e il resto non ha il tempo materiale di vederlo, poiché troppo impegnato a guadagnare un buon riparo dietro gli alberi mentre chiunque sia allinterno dellautomobile si sta divertendo un mondo a svuotargli addosso una cospicua scorta di pallottole. 

 

«Siano dannati i boches e le loro maledette luger» sibila alterato, abbassando la testa per proteggersi dalle schegge di corteccia volate via dopo lennesimo sparo. «Imbecille che sei, Lupin. Puoi vederlo da te che era un buon posto per unimboscata. Questi ti vogliono proprio fare secco. Bah, almeno sapessi il perché». 

 

Infila una mano in un taschino interno del cappotto e ne fa scivolare fuori un piccolo astuccio rotondo di cuoio scuro dal quale estrae uno specchietto. Piano, con una certa cautela, lo fa sporgere oltre il tronco e lo inclina quel tanto che basta a dare un’occhiata alle sue spalle. «Quattro. No, cinque. Una bella compagnia». Chiude un momento gli occhi, lasciando fuori anche parte del frastuono prodotto dalle detonazioni e riflette. «Non si può ammazzare un cristiano se non c’è una guerra. D’altra parte quella brava gente ha l’aria di non volersene andare con le buone. Peggio per loro, se ne andranno con qualche osso rotto». Stabilito ciò estrae dalla fondina sotto la giacca la sua semiautomatica e controlla che la sicura sia disinserita e il primo proiettile sia già in canna. Dopo di che, voltatosi e poggiato un ginocchio sul terreno mezzo ghiacciato, si sporge appena e subito si scansa, mentre la gentaglia sulla strada spreca un altro bel gruzzolo di munizioni sul povero albero che lo protegge suo malgrado. Sogghigna, solleva il tiro e con un gesto rapido s’affaccia, spara e sguscia di nuovo al coperto. Il suono della detonazione seguito da quello di un grido gli suggeriscono che uno di quei simpaticoni là fuori si è appena guadagnato un poco di piombo in più e un ginocchio in meno. «Punto per Lupin. Scommettiamo che vinco io?» mormora divertito. Cambia il ginocchio di appoggio, stringe la presa sul calcio della pistola, espira e compare dalla parte opposta dell’albero, impallinando un secondo uomo. «Questa volta ci sono andato vicino: miravo al braccio e ho centrato la spalla. Bisognerà che tu faccia più attenzione, Lupin, se non vuoi ammazzare qualcuno» borbotta contrariato. 

 

Un paio sono belli che sistemati. Ma gli altri tre si stanno agitando un po troppo per i suoi gusti. Se si dovessero avvicinare in un momento di panico finirebbe male (per loro, sintende). Serve che la partita giunga al termine prima che quella gente perda la testa, o che lui si spazientisca. Giusto, però lui si trova ancora in difesa sul limitare della foresta, mentre quelli sono sulla strada; si augura che non abbiano cercato rinforzi prima di imbarcarsi in quella spedizione, perché non crede di poter apprezzare altra compagnia simile. Patrice aveva proprio ragione: sono solo degli zotici incivili, finiranno con il fargli fare tardi allappuntamento, sempre che esista davvero questo appuntamento e non si tratti invece solo di un modo per attirarlo in un luogo isolato e tentare di farlo secco (possibilità che di certo non può scartare). Mentre così medita laria si riempie di un nuovo suono, un rombo differente dallormai onnipresente chiasso della sparatoria. Irrigidisce le spalle e si pone in ascolto, preoccupato che le sue fosche previsioni stiano per avverarsi. Invece, con sua sorpresa, dalla direzione dalla quale veniva lui stesso solo qualche disgraziato minuto prima giunge una motocicletta che si ferma con una frenata brusca sul ciglio del sentiero a qualche metro dal raggiungere il gruppetto male assortito. In sella un uomo che, sbalordito, riconosce come il suo buon amico Patrice, il quale poco dopo sfila un fucile dal fianco della motocicletta e fa saltare la pistola dalla presa di uno dei boches e con essa la mano che la reggeva. Ride, perché nonostante la situazione non abbia granché di divertente, non può fare a meno di rallegrarsi per la sorpresa del tutto inaspettata che gli sta di fronte. Non ha la ben che minima idea di come faccia Patrice a trovarsi in quel posto remoto, ma in quel momento è bello sapere di non essere completamente da soli di fronte a una situazione del tutto incomprensibile. 

 

Dopo aver provveduto a disarmare gli ultimi due uomini del gruppetto di assalitori, entrambi si fanno avanti, avvicinandosi alla vettura senza perdere docchio i cinque feriti che si rotolano fra polvere e lamenti. Solo una volta giunti alla torpedo solleva lo sguardo e sorride allamico. 

 

«Don Luis! State bene? Non vi hanno ferito, vero?» esclama questultimo, preoccupato. 

 

«No, Patrice, non sono ferito. Come ci siete arrivato fino a qui?» chiede, ancora sbalordito per laccaduto. 

 

«Io… Lo so che avevate detto di dover venire da solo, ma… Ero troppo in pensiero, e così ho deciso di raggiungervi. Ci siamo un poco spaccati la testa, il prefetto e io, ma alla fine abbiamo trovato alcuni posti in cui avrebbero potuto portarvi. Così… eccomi qui, dopo aver spulciato altri due luoghi sperduti, questo qui era il terzo della lista, e quello giusto, grazie al cielo» farfuglia tutto dun fiato. 

 

Annuisce, con un lieve sorriso che non sa come levarsi dalle labbra e nemmeno se davvero lo desidera. «Un buon lavoro» mormora non senza una certa soddisfazione. 

 

Il capitano arrossisce appena e si fa forza per ciò che ha ancora da dire. «Mi permetterete di accompagnarvi?» chiede con voce incerta. 

 

Ridacchia e scuote la testa. «Potrei davvero impedirvelo, a questo punto? No, non lo credo affatto. Chiunque si nasconda dietro tutta questa storia se ne dovrà fare una ragione, temo» sentenzia deciso, permettendo a Patrice di trarre un sospiro di sollievo. 

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Capitolo 5
*** Charades ***


5 - Charades 

 

Appollaiato sul retro della sella della motocicletta condotta da Patrice, è troppo occupato a ripensare all’accaduto per prestare attenzione all’ultimo tratto di strada che stanno percorrendo per giungere infine alla cascina presso la quale è stabilito l’appuntamento per quella sera. Sono ormai troppe le domande senza risposta, l’ultima delle quali, la più recente e più incomprensibile: perché rapire Geneviève se il loro intento è uccidere lui? Ci sarebbero stati altri modi, più semplici e sbrigativi, per arrivare alla soluzione. Non comprende, non ancora, ma ha la certezza che una spiegazione logica esista e vuole trovarla, così come desidera trovare la figlia. 

 

«Eccola: laggiù» annuncia Patrice, distogliendolo dai suoi crucci. 

 

Solleva lo sguardo e individua facilmente la bassa e larga costruzione che si staglia poco più avanti, sulla loro sinistra, circondata da unampia porzione di prato verdeggiante. Patrice ha fermato la motocicletta e spento il motore; entrambi restano in silenziosa attesa che qualcosa accada, ma non accade nulla e linoperosa immobilità fa saltare la poca pazienza rimastagli. 

 

«Che cosa stanno aspettando, dunque? È quasi l’ora, ormai. O mi ammazzano o mi dicono che cosa vogliono in cambio di Geneviève, non possono certo far finta di niente, no?» ringhia frustrato. 

 

«Però non si vede anima viva. Se non arriva nessuno, che cosa faremo?» chiede Patrice, sconfortato. 

 

Serra le labbra in una smorfia adirata e si scosta con un brusco gesto di stizza dalla motocicletta. «Andiamo, Patrice. Avviciniamoci, devo dare unocchiata a quel posto. Se cè qualcuno lo troverò, e se non cè nessuno troverò qualche traccia che mi porti a loro. Non intendo starmene qui fermo ad aspettare un minuto di più». 

 

A passo di carica lascia indietro lamico e si dirige verso ledificio rurale che, una volta raggiunto, non si rivela affatto abitato dopo tutto; sembra piuttosto deserto, molto probabilmente viene adoperato solo durante la bella stagione come residenza di campagna e ora è stato sigillato per preservarlo durante il lungo inverno. Dopo una prima ispezione fatta quasi di corsa, senza trovare alcunché di rilevante, rallenta il passo e procede a un nuovo giro più lento e metodico attorno alla cascina, intenzionato a trovare se non qualcuno per lo meno qualche cosa che gli indichi la strada giusta. E infine la sua costanza e cocciutaggine vengono premiate nel momento in cui scorge una pietra della costruzione leggermente smossa e, poco dietro, un pezzetto di carta più volte ripiegato su sé stesso. 

 

«Un altro dei loro maledetti messaggi, volete scommetterci?» sbotta, adocchiando un momento Patrice che è rimasto per tutto il tempo fermo a osservare le mosse dell’amico con aperta preoccupazione. Il foglietto spiegazzato, sorpresa delle sorprese, contiene un’altra serie di coordinate che lo fanno tremare di irritazione, e in più un breve messaggio personalizzato. 

 

«Cosa dice?» si informa Patrice, ansioso. 

 

«Indica una nuova destinazione. E dice anche...». 

 

«Che cosa?» chiede, preoccupato dalla faccia scura che mostra in quel momento don Luis. 

 

«Si complimenta con noi per esserci liberati con facilità dei cinque boches» mormora cupo. 

 

«Lo sapevano, dunque?» ansima Patrice, sconcertato dalla notizia. 

 

«Sì, a quanto pare ci osservano. Sanno che siete con me, ora» riflette a voce alta, mentre il capitano geme di sconforto. «E non sono di qui. Potrebbero essere francesi, o… Non ne sono sicuro, cè qualche cosa di strano, in questo messaggio, come se…». 

 

«Che cosa vedete?» sussurra Patrice, sportosi oltre la spalla di don Luis per dare unocchiata al messaggio, senza però riuscire a interpretarlo. 

 

«Potrei ingannarmi, eppure ho limpressione che sia stato scritto da due persone differenti, e una di queste credo sia francese: non ha usato il termine generale tedeschi, vedete?». 

 

«Don Luis, se posso dirvelo, io non vedo proprio nulla di comprensibile in quel malandato pezzetto di carta. Ma se voi siete certo di quanto dite non ho problemi a credervi sulla parola» assicura Patrice. «E dunque, andremo dove ci viene indicato?» chiede infine con prudenza. 

 

Ancora intento a osservare il foglietto con meticolosa attenzione, annuisce piano e in modo in po distratto. «Altro non possiamo fare, per il momento. Hanno loro le redini fintanto che non faremo chiarezza sulla situazione. E comunque non saprei da quale altra parte iniziare a cercare mia figlia». Recupera la mappa del prefetto da una delle tasche interne del cappotto e si accinge a studiarla con cura. 

 

«Credete che labbiano ancora con loro?». 

 

Fissa un momento i suoi occhi metallici in quelli caldi e abbattuti del capitano, per tornare subito alla mappa«Devono. Se in qualche maniera è me che vogliono, necessitano anche di avere qualcosa di valido da offrire in cambio». 

 

«Andiamo, allora?» si accerta, dopo averlo guardato ripiegare la carta e metterla di nuovo al sicuro. 

 

«Patrice. La nostra prossima destinazione è Grindelwald nella regione di Oberland, in Svizzera». 

 

 

 

Poiché non sarebbe stato per nulla agevole percorrere tutti gli oltre duecento chilometri necessari a raggiungere la nuova meta stabilita in sella alla motocicletta sottratta a bella posta da Patrice, lui e don Luis hanno saggiamente optato per salire a bordo dell’ennesimo treno a lunga percorrenza che li avrebbe condotti di filato fino alla frontiera con Basel e la sua dogana. Una volta in Svizzera si spostano su un treno a scartamento ridotto che li conduce attraverso gli ameni paeselli, a tratti anche in salita su per i ripidi pendii alpini e a ridosso di laghi che appaiono come gioielli di pallido zaffiro incastonati nel biancore della scintillante coltre nevosa. Infine, poiché nessun mezzo a motore sembra adatto per giungere sul luogo prescelto, sono costretti a procedere a dorso d’asino, a meno che non desiderino scarpinare a piedi o peggio spaccarsi le gambe in bicicletta. 

 

«Questo posto pare fare del suo meglio per risultare inaccessibile» soppesa il capitano, ammirando nel percorso i picchi innevati del Mönch, dello Jungfrau, del Reeti, dellEiger e sempre con meraviglia il cielo turchese tanto vivido da far male agli occhi. 

 

«Sì, arroccati qua su neppure la guerra riuscirebbe a farcisi largo. Buon per loro» commenta asciutto e poco partecipe delle bellezze della natura, ben più occupato a programmare i loro spostamenti. 

 

«La guerra?» chiede Patrice, stranito. «Pensate che verrà di nuovo da noi?». 

 

«È presto, ma credo di sì. Se seguite con attenzione certi dettagli, certi sintomi, vi accorgerete facilmente di come si sta muovendo nella nostra direzione». 

 

Patrice trema, sgomento. «Speravamo, Coralie e io, di avere un poco di tempo per noi e per la famiglia che ci stiamo costruendo». 

 

Don Luis si volta, sorpreso, sulla groppa della goffa ma robusta cavalcatura e osserva lespressione corrucciata e ansiosa dellamico. «Mamma Coralie aspetta un piccolo Belval, dunque?» mormora con dolcezza. 

 

Il capitano, distolto per un momento da cupi pensieri di guerra, sorride teneramente. «Il medico dice che dovrebbe essere un maschietto» rivela emozionato. 

 

«Oh, è meraviglioso! Sono davvero felice per voi. E vi prego di fare i miei migliori auguri a mamma Coralie» esclama contento. Poi però si rabbuia in modo repentino e inaspettato. «Ma allora non dovreste essere affatto qui assieme a me. Per quale motivo non vi trovate con la vostra dolce moglie, Patrice? Potreste davvero finire in pericolo per colpa mia, e come farei poi a dire a mamma Coralie che vi è capitata qualche disgrazia mentre eravate in mia compagnia?» riflette sgomento. 

 

«Credete voi forse che la mia Coralie mi avrebbe permesso di lasciarvi da solo? Se anche lavessi voluto, e non è affatto così, vi assicuro che mi ci avrebbe spedito di filato lei stessa. Vi scongiuro, a meno chio non vi sia di intralcio, di non volermi allontanare proprio adesso, don Luis; non penso potrei sopportare lidea di sapervi nei guai e privo di ogni sostegno amico». 

 

Annuisce e torna a fissare lo sguardo pensieroso sul tortuoso sentiero che si snoda davanti a loro. «Avete la mia solenne parola, amico mio» e mentre ciò dice pensa in cuor suo che dovrà fare molto meglio di quanto svolto fino a ora, chè necessario proteggere Patrice e con esso la sua famiglia. 

 

 

 

Giunti al modesto centro abitato composto da solide casette di legno e pietre, e parcheggiati al sicuro i due timidi e schivi asinelli che li hanno fedelmente accompagnati fino a lì, i due uomini si inoltrano fra le strette vie lastricate, osservandosi attorno con genuina curiosità e chiedendosi come procedere a quel punto. Allinterno del messaggio non era specificato alcun indizio sul luogo esatto di ritrovo, ma nessuno dei due pensa che il centro del paese, per quanto piccolo e poco affollato, sia il più indicato per trovare notizie in merito; di certo gli abitanti del luogo devono essere allo scuro degli intrighi che i due stranieri portano con sé. Quindi, di comune accordo, decidono di pranzare in qualche locanda calda e accogliente e solo in seguito dirigersi verso lesterno, quasi certi che oltre quel grappolo di amene abitazioni troveranno infine qualche buon indizio da cui partire per le loro ricerche. 

 

 

 

Per loro somma costernazione, in luogo dei necessari indizi sperati, alluscita dal centro abitato si ritrovano a far fronte a qualcuno di inatteso e non propriamente gradito. 

 

«Voi! Dovevo aspettarmelo che centravate in qualche maniera con questa storia senza un senso apparente» sbotta Sherlock Holmes, piantato in mezzo al sentiero e con un revolver Webley Mk VI spianato contro i due uomini comparsi allimprovviso di fronte ai suoi occhi come fantasmi di un fastidioso passato. 

 

Don Luis storce le labbra, amareggiato più di quanto crede potrà mai esserlo lo sgradito personaggio che li fronteggia in quel momento. “È invecchiato” riflette con sarcastico cinismo, “e affatto bene. Tanto peggio per lui”. «Non so cosa vi porti qui, nello stesso nostro momento. Ma ho il forte sentore che abbiate appena preso un grosso abbaglio, signore» sibila con acidità. 

 

Linvestigatore assottiglia lo sguardo e il suo indice aumenta appena la pressione sul grilletto. «State pur certo che non lascerò che la passiate liscia, non questa volta. Avete osato troppo». 

 

Inaspettato a entrambi i contendenti, in mezzo ai due uomini allapparenza ciechi e sordi a qualunque possibile spiegazione logica, si frappone il capitano Belval. «Vi prego, signori. Voi non ragionate: nessuno di noi ha colpe in questa storia. Cè qualcuno…». 

 

«Fate silenzio! Sciocco lacchè» intima Holmes con un passo avanti. 

 

«Patrice, scostatevi, presto. Quelluomo è pericoloso, potrebbe uccidervi senza un solo pensiero» soffia don Luis, temendo per lincolumità dellamico che ancora si ostina a rimanere in mezzo. Ha promesso a sé stesso di proteggere Patrice, e quello è esattamente il momento opportuno per tenere fede ai propri propositi. Così è che si fa avanti, afferrando fra le dita artigliate di una mano il gomito del capitano; tale mossa viene però in qualche modo travisata dallinvestigatore ancora sul chi vive. 

 

«Furfante, come osate?» esclama Holmes, e vedendo il capitano Belval voltargli appena la schiena con gesto sospetto tende il braccio che impugna larma e fa fuoco. 

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