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You're tall, dark and handsome
You're charming and then some
Know how to romance 'em
But I see through it all
You do everything too fast
You move like a whiplash
You're missing the romance
And I see through it all…
(“Slow dance” – Kelly Clarkson)
Le feste natalizie si stavano avvicinando e
sarebbe stato il primo Natale che gli Avengers avrebbero trascorso finalmente
in pace e con tutti i loro amici sani e salvi. Sarebbe dovuto essere, quindi,
un periodo sereno e gioioso, ma non era così, almeno non per tutti.
Certo, Clint era al settimo cielo per aver
ritrovato sia la sua famiglia che Natasha e così aveva deciso di trascorrere le
festività con tutte le persone che amava, invitando anche la giovane donna
nella sua fattoria per il Natale e i giorni successivi. Natasha era stata un
po’ indecisa, temendo di poter disturbare, ma poi aveva accettato con gioia:
non sarebbe stata sola in una festa così speciale e, anzi, avrebbe potuto
viverla in un’atmosfera affettuosa e familiare che non aveva mai avuto modo di
conoscere prima. Dopo essere morta e poi ritornata in vita, infatti, Natasha
aveva rivisto del tutto le sue priorità e, almeno per il momento, Clint e i
suoi erano quanto di più vicino ad una vera famiglia lei potesse avere.
Ma le cose non erano così semplici e
idilliache per tutti.
Visione e Wanda avevano fatto in modo di
regalarsi delle serate romantiche, solo loro due, alternandole a serate in famiglia alle quali avrebbe
partecipato anche Pietro. Wanda, infatti, era molto felice che il suo gemello
avesse deciso di non tornare in Sokovia e di restare invece tra gli Avengers,
così si era organizzata per trascorrere molto tempo anche con lui. Desiderava
tanto che Pietro e Visione potessero diventare buoni amici, visto che erano le
persone che contavano di più nella sua vita e lei aveva temuto di perderli
entrambi. Era una cosa molto dolce e Pietro ne era contento, tuttavia non
riusciva a sentirsi soddisfatto fino in fondo poiché avrebbe voluto che anche
Bruce Banner facesse parte di quella famiglia
allargata. Cosa glielo impediva? Adesso Pietro si sarebbe stabilito a New
York e sarebbe stato uno degli Avengers, quello era un periodo di pace (almeno
fino al prossimo nemico!) e lui avrebbe potuto costruirsi una nuova vita… solo
che, di quella vita, avrebbe voluto che Bruce diventasse parte integrante, per
non dire fondamentale! Fino a quel momento il rapporto tra Pietro e il buon
dottore era stato scherzoso, buffo, una sorta di affettuosa amicizia. Tuttavia,
dopo tutto ciò che era accaduto con lo schiocco
e la battaglia contro Thanos, il giovane aveva capito di volere qualcosa di
più. Voleva legarsi a Bruce, diventare il suo compagno, così come sua sorella
Wanda aveva fatto con Visione. Gli sarebbe piaciuto poter organizzare anche lui
delle serate romantiche con Bruce e poterlo portare alle cene in famiglia con
Wanda e Visione… però il dottore era sempre tanto schivo e riservato e lui non
sapeva come proporre le sue idee.
Cinque anni prima Pietro Maximoff si era più
volte imposto per vincere le
resistenze di Banner, ma adesso cominciava a sentirsi meno sicuro di sé e non
riusciva a togliersi dalla testa dei fastidiosi dubbi: Bruce si tirava indietro
perché era timido e insicuro e pensava di non meritarlo o perché, in fondo, non
era veramente innamorato di lui? Pietro non era più un ragazzino impudente e
spavaldo, era maturato e desiderava creare qualcosa di vero con Bruce, ma se fosse stato proprio il dottore a non
ricambiare il suo interesse? Certo, sapeva che gli voleva bene, ma tra amicizia
e amore la differenza era sostanziale e lui non se la sentiva più di buttarsi
senza prima essere sicuro dei reali sentimenti dell’altro.
Insomma, il povero Pietro non sapeva proprio
come fare.
Intanto, a Brooklyn, Steve Rogers aveva
cominciato fin da novembre ad addobbare l’appartamento che divideva con Bucky,
desiderando tantissimo regalare al suo compagno un Natale speciale. Si sentiva
tuttora in colpa per essersi lasciato tentare dalla possibilità di rimanere a
vivere nel passato e sapeva che Bucky non aveva ancora superato quello shock,
sapeva di averlo fatto soffrire. Vedeva che il giovane continuava a sentirsi
insicuro e a ritenersi un peso per lui. Avrebbe fatto in modo di fargli capire
che amava solo lui, che voleva soltanto stare al suo fianco e che vivere con
lui era il più bel regalo di Natale che potesse ricevere.
Solo che Bucky, ormai da settimane, non stava
quasi mai a casa. Usciva alle ore più strane e ritornava spesso molto tardi,
senza dare una spiegazione convincente alle domande ansiose di Steve.
“Non capisco di cosa ti preoccupi tanto,
Steve” diceva Bucky, laconico. “Ho preso molto sul serio il mio compito con le
persone traumatizzate dalle sparizioni dopo lo schiocco di Thanos. Vado a parlare al gruppo ogni giorno, condivido
le mie esperienze, mi sento meglio e faccio sentire meglio qualcun altro. E’
una cosa nuova per me ed è una bella sensazione.”
“Sono felice per te, Buck, però mi sembra che
tu ti stia… come dire, impegnando un po’ troppo, stai forse annullando te
stesso per aiutare gli altri?”
“Beh, ho passato la maggior parte della mia
esistenza uccidendo e compiendo attentati” ribatteva il giovane. “Per quanto mi
riguarda è un bel cambiamento ed è quello di cui ho bisogno. Cosa c’è di male?”
C’è che non passiamo più del tempo insieme, c’è che non
ti vedo mai e comincio a pensare che tu voglia evitarmi, avrebbe voluto rispondere Steve, ma non lo faceva. Si
limitava ad accettare le repliche insoddisfacenti di Bucky e a sentirsi sempre
più malinconico e preoccupato.
Un giorno, frustrato da quella situazione,
decise di andare lui stesso al gruppo e affrontare Bucky una volta per tutte.
“Bucky?” domandò il ragazzo che guidava i
gruppi di autoaiuto, Kevin. “Sì, viene qui tutti i giorni e trascorre molto
tempo a parlare con le persone. Adesso però non è qui, è andato via più di un’ora
fa, credevo fosse tornato a casa.”
“No, non c’è… ma sono sicuro che sta per
arrivare” rispose Steve, preso alla sprovvista. “Anzi, magari è rientrato
proprio mentre stiamo parlando. Allora vado, ti ringrazio molto, Kevin.”
“Non c’è di che, Steve” replicò Kevin, con un
sorriso. “In realtà sono io che dovrei ringraziare te e il tuo compagno. Sai,
Bucky è perfetto per questo ruolo. All’inizio, devo ammetterlo, ero piuttosto
preoccupato, non sapevo se sarebbe riuscito a integrarsi e a farsi accettare da
persone che avevano subito perdite e che soffrivano e invece… giorno dopo
giorno si è aperto sempre di più, i membri del gruppo lo cercano e lo ascoltano
volentieri e lui è molto sereno. Da quando ha iniziato a venire tutti i giorni
ho riscontrato grandi miglioramenti sia nel gruppo sia nel suo umore.”
Mi fa piacere che almeno da qualche parte riesca ad
essere sereno… peccato che non lo sia più quando è con me, pensò Steve. Abbozzò un sorriso forzato e strinse la
mano del giovane.
“Ci vediamo presto, Kevin, grazie ancora”
disse.
“Ciao, Steve, e salutami Bucky.”
Sì, magari fosse stato così facile. Uscendo
dall’associazione, Steve era ancora più confuso di prima. Bucky non gli aveva
mentito, andava veramente tutti i giorni a parlare con i membri dei gruppi di
autoaiuto, ma non trascorreva là tutto il tempo. Allora dove andava? E dov’era
in quel momento? Perché non parlava più con lui?
Nel loro grazioso appartamento, Pepper e
Happy si erano veramente superati: ghirlande e festoni facevano bella mostra di
sé, ogni stanza era decorata con stelle dorate e argentate, immagini e pupazzi
raffiguranti Babbo Natale con i suoi folletti e le sue renne spuntavano ovunque
e in salotto troneggiava un enorme albero di Natale scintillante.
La coppia si era data particolarmente da fare
perché quello sarebbe stato il primo Natale che avrebbero trascorso in pace,
senza preoccupazioni e timori. Volevano che fosse il primo di tanti Natali indimenticabili
per la piccola Morgan, che adesso aveva quasi due anni e mezzo ed era incantata
da tutto ciò che riguardava le feste sempre più vicine.
“Quell’albero di Natale è forse un po’
ingombrante” stava dicendo Pepper a Tony, che era andato a far visita ai suoi
amici. “Ho dovuto spostare almeno metà delle sedie per fargli spazio, ma Morgan
lo adora ed è convinta che Babbo Natale le porterà molti più regali perché
abbiamo l’albero più alto e bello di tutta New York.”
“Non esagerare, Pepper” commentò Tony con un
sorrisetto. “Ho comprato uno degli alberi più modesti, in realtà il venditore
ne aveva grandi il doppio!”
“Beh, se avessi preso uno di quelli, noi tre
avremmo dovuto trasferisci altrove per fare posto all’abete” scherzò Pepper.
“O forse dovreste semplicemente traslocare in
un appartamento più spazioso” ribatté Tony, che sapeva perfettamente di aver
scelto un abete che poteva benissimo rivaleggiare con l’enorme albero di Natale
posizionato nella Rockefeller Plaza. Quando Tony Stark faceva un regalo, doveva
essere qualcosa di indimenticabile… e quell’albero, effettivamente, lo era!
Pepper sorrise. Era felice con la sua
famiglia ed era ancora più felice di aver mantenuto un rapporto molto affettuoso
con Tony. Sapeva, tuttavia, che il suo amico era turbato e preoccupato per il
comportamento di Peter che, nonostante tutto, continuava a mostrarsi gentile,
educato… e distaccato. Era consapevole del fatto che Tony avrebbe voluto
trascorrere quel Natale insieme al ragazzo, ma che, con ogni probabilità, Peter
non avrebbe accettato. Come poteva aiutarlo e togliere quel velo di malinconia
dai suoi occhi? Lei adesso era appagata e contenta e avrebbe tanto desiderato
che anche Tony potesse esserlo…
“Senti, Tony, io… non vorrei essere
invadente, ma stavo pensando di invitarti a trascorrere le feste natalizie con
noi” gli disse. “Non mi piace pensarti da solo nel tuo appartamento, il Natale
è una festa da passare in famiglia o con gli amici più cari.”
“Dai, Pepper, dovresti sapere, ormai, che non
sono un tipo che segue le tradizioni” si schermì Tony. L’invito di Pepper gli
faceva piacere e sarebbe stato lieto di trascorrere il Natale con lei, Happy e
Morgan, però… però non aveva ancora rinunciato alla speranza di convincere
Peter a passarlo con lui. “E poi chi ti dice che sarò da solo? Potrei sempre
organizzare un party eccezionale e invitare le persone più in vista di New
York, campioni dello sport, attori e attrici famose…”
“Sì, il Tony Stark di dieci anni fa
probabilmente farebbe proprio questo” disse la donna, “ma non credo che sia ciò
che vuoi fare veramente.”
“Il fatto è che non voglio essere il quarto incomodo” obiettò Tony.
“Non dire sciocchezze, Tony, sai benissimo
che sia io che Happy saremmo molto felici di averti con noi e Morgan… Morgan,
poi, ti adora e non fa che chiedermi quando lo
zio Tony tornerà a trovarla.”
“Va bene, ti prometto che ci penserò” rispose
Tony, grato. In fondo, se Peter continuava a trovare scuse per non incontrarlo,
passare il Natale con Pepper e la sua famiglia sarebbe potuta essere una
piacevole alternativa.
Eppure non riusciva a non pensare all’unico
Natale che aveva trascorso con Peter, quando il ragazzo gli aveva fatto leggere
tutte le lettere che aveva scritto a Babbo Natale, lettere in cui chiedeva una
cosa sola: conoscere il suo eroe, il suo idolo Iron Man… Era accaduto solo tre
anni prima, ma a volte a Tony pareva che fossero trascorsi secoli. *
L’uomo salutò l’amica e uscì dall’appartamento.
Pepper lo seguì con lo sguardo, pensierosa e rattristata.
Cominciava a chiedersi se non fosse giunto il
momento di dire a Tony che Morgan era sua figlia.
Ne aveva già parlato con Happy e il marito
era d’accordo. Naturalmente Morgan non avrebbe dovuto sapere niente, almeno
fino a quando non fosse stata abbastanza grande da capire la decisione dei suoi
genitori e fare autonomamente le sue scelte. Forse sapere di avere una figlia
avrebbe potuto dare un senso alla vita di Tony che sembrava sperduto e solo
senza Peter ma… chissà? Da un lato il Tony che era tornato dalla morte era un
uomo molto diverso da quello che lei aveva conosciuto e amato per anni e sapeva
che avrebbe vissuto la rivelazione nel modo giusto; dall’altro, però, non
voleva creargli altre preoccupazioni. Tony era già tanto amareggiato per l’atteggiamento
di Peter…
Ad ogni modo mancavano ancora più di due
settimane a Natale, si disse Pepper, aveva tutto il tempo di riflettere e
confrontarsi ancora con Happy. Avrebbe detto la verità a Tony solo se fosse
stata assolutamente certa che quello sarebbe stato veramente il più bel regalo
di Natale che potesse fargli.
Il più bel regalo, naturalmente, sarebbe
stato Peter…
Ma Pepper non poteva influenzare le scelte di
Peter, anche se lo avrebbe tanto desiderato.
Fine capitolo primo
* Ancorauna volta mi autocito! XD Le vicende a cui mi riferisco sono raccontate nella
mia OS
How
did you go From being a mama's boy to a ladies' man? I'm not going home with you tonight But you can hold my hand And we can take it slow And I can show you how to slow dance We can take it slow And I can show you how to slow dance.
(“Slow dance” – Kelly
Clarkson)
Quell’attesa era più
snervante di quando, da piccolo, apriva giorno dopo giorno le caselle del
calendario dell’Avvento, litigandosi poi il cioccolatino con la sorella Wanda!
Natale si stava avvicinando e Pietro non aveva fatto nemmeno un passo avanti in
ciò che si era ripromesso, la manovra di avvicinamento a Bruce.
Il problema era che, per la
prima volta nella sua vita, Pietro Maximoff aveva paura. Non di un nemico, ma
della possibilità che Bruce potesse respingerlo, che potesse rivelarsi solo un
amico.
Dopo tutto quello che aveva
passato, Pietro non se la sentiva proprio di ricevere un no come risposta.
Però, se non si decideva a
parlare chiaro, non avrebbe potuto ricevere nemmeno un sì.
Prima aveva tentato per vie
traverse, tipo invitare Bruce fuori per un aperitivo o un cinema, niente di
così impegnativo come una cena… il dottor Banner a volte accettava e a volte
rifiutava gentilmente, dicendo di essere molto impegnato con il lavoro.
Ma, anche quando accettava
di incontrare Pietro, si limitava a commenti sul suo lavoro, a chiedere come
stava Wanda, a parlare del più e del meno, insomma, esattamente come si farebbe
con un amico.
“Cosa pensi di fare per
Natale?” gli aveva chiesto una sera, mentre sorseggiava l’aperitivo. “Ormai
mancano dieci giorni, hai qualche programma?”
Bruce l’aveva guardato come
se avesse appena dichiarato che Elvis Presley aveva fatto il suo ingresso nel
locale.
“Cosa? Tra dieci giorni è
Natale?” aveva domandato, sbalordito. “Santo cielo, come passa il tempo…
credevo che fosse appena la metà di novembre. No, certo che non ho programmi,
non mi ero nemmeno reso conto che mancasse così poco. E, comunque, immagino che
trascorrerò quel giorno al lavoro, come se fosse un giorno normale. E’ sempre
andata così da molti anni a questa parte.”
“Ho capito, ma gli ultimi
Natali sei stato costretto a passarli
al lavoro, visto che tu e gli altri Avengers dovevate trovare un modo per
sbarazzarvi di Thanos e riportare indietro le persone scomparse” obiettò
Pietro, divertito e nel contempo preoccupato per la scarsa propensione del
dottore a ricordare le date importanti e a pensare allo svago. “Quest’anno è il
primo, dopo tanto tempo, in cui nessuno ha bisogno dell’aiuto degli Avengers e
non ci sono pericoli all’orizzonte, possibile che tu non abbia voglia di fare
qualcosa di diverso, di speciale, magari?”
“Te l’ho detto, non ci ho
proprio pensato” ripeté Banner. “Tu invece sai già cosa farai? Immagino che lo
trascorrerai con Wanda e Visione.”
Pietro ci pensò su un attimo
e poi decise che, come sempre, la migliore strategia era l’attacco.
“Sì, certo, anzi ne parlavo
proprio con Wanda qualche sera fa” disse. “Perché non vieni anche tu? Insomma,
visto che non hai programmi… Non vorrai davvero passare il Natale in
laboratorio, vero?”
L’espressione di Bruce
divenne, se possibile, ancora più allibita ed era una curiosa immagine vedere
un omone verde e ben vestito con quella faccia!
“E perché tu e Wanda
parlavate proprio di me?” domandò.
Pietro avrebbe voluto
sbattere ripetutamente il capo sul tavolino…
Insomma, ogni tentativo del
giovane di sondare la disponibilità di Banner si concludeva con un nulla di
fatto e Pietro cominciava a temere che, dietro l’apparente svagatezza e
timidezza, il dottore in realtà non fosse interessato a lui e che non volesse
dirglielo per timore di ferirlo.
Già, ma questa situazione
assurda e piena di domande senza risposta era forse migliore di un no detto una volta per tutte? Pietro non
aveva poi tutta questa voglia di sentirsi rifiutato, ma si rendeva conto di
rendersi ridicolo. Se veramente Bruce non era innamorato di lui e faceva solo
finta di mostrarsi tanto ingenuo per non fargli del male era anche peggio,
significava che provava compassione per
lui. Che gli faceva pena.
Pietro Maximoff fare pena a
qualcuno? Nemmeno per sogno!
Mancava una settimana scarsa
a Natale quando il giovane Maximoff decise che avrebbe tentato il tutto per
tutto e, se Bruce lo avesse rispedito al mittente, almeno avrebbe potuto dire
di averci provato e di aver chiarito la faccenda una volta per tutte. Dopo di
che, sarebbero rimasti almeno amici…
Così, quella stessa sera si
presentò a casa del dottor Banner senza farsi annunciare per non dargli modo di
organizzare un’onorevole fuga. Del resto, era sicuro di trovarlo in casa visto
che era passato prima dal laboratorio e gli avevano detto che Bruce non c’era.
In quale altro posto sarebbe mai potuto andare il dottor Bruce Banner? O in
laboratorio o a casa, non c’erano altre soluzioni.
Il faccione verde di Banner
prese una divertente tonalità arancione quando vide Pietro sulla soglia del suo
appartamento. Cosa ci faceva lì il giovane Maximoff? Beh, però non poteva mica
lasciarlo sulla porta… ormai era lì e avrebbe dovuto invitarlo ad accomodarsi.
“Ah… Pietro, non ti
aspettavo… però… ecco, sì, entra, accomodati. Vuoi… non so, un bicchiere
d’acqua?” fece, spostandosi poi per lasciarlo entrare in casa.
Oh, certo che non mi aspettavi,
altrimenti non ti saresti fatto trovare, pensò Pietro sfoderando un bel sorriso ed entrando baldanzoso
nell’appartamento.
In realtà, però, non era
affatto così sicuro di sé come ostentava di essere. Quella sarebbe stata la serata
decisiva, ma sarebbe anche potuta terminare male, con l’ammissione da parte di
Banner di non essere interessato a lui, di considerarlo solo un amico.
Pietro si sedette sul divano
del salotto e Bruce fece altrettanto.
“Senti, Doc, è meglio
chiarire subito le cose” iniziò il giovane. “Sono qui perché noi due dobbiamo
parlare una volta per tutte ed essere sinceri.”
L’espressione di Banner era
più eloquente di mille parole, ma Pietro non si lasciò commuovere e continuò.
“Sai che ho deciso di non
tornare in Sokovia, di trasferirmi definitivamente a New York e di unirmi agli
Avengers, ne abbiamo parlato, ricordi?”
“Sì… mi fa piacere, qui c’è
anche Wanda e…”
“Andiamo, sai benissimo che
non è per Wanda, o meglio, non è soltanto per lei, se ho deciso di restare qui”
lo interruppe Pietro. “Voglio iniziare una nuova vita e, tanto per essere
chiari, vorrei che tu ne facessi parte. Quando ero imprigionato nella
dimensione parallela a causa dello schiocco
di Thanos non sapevo se sarei mai riuscito a tornare indietro e a rivedere
le persone che amavo. Adesso sono qui, ma ho imparato che è sciocco perdere
anche solo un giorno, perché domani potrebbe essere già troppo tardi. Quindi
non intendo più tergiversare, voglio una nuova vita e la voglio insieme a te!”
Bruce per poco non si
strozzò e divenne di tutti i colori.
“Ma… ma… tu… non credo che…
forse non…”
“Il problema è che non ho
ancora capito se tu vuoi far parte della mia vita” riprese Pietro, ignorando
l’evidentissimo imbarazzo del povero dottore. “Non ho capito se eviti
l’argomento perché sei timido, perché ti spaventa oppure perché… beh, perché semplicemente
non ti interessa.”
“Ma come puoi pensare una
cosa simile?” replicò Banner, colto alla sprovvista. Nei suoi occhi scuri si
leggeva una profonda tristezza. “Come puoi anche solo per un attimo credere che
sia io a non volere te? Dico, ma… ma
mi vedi? Ho sempre pensato di non essere
degno di te, di essere troppo vecchio, di non meritarti, di poterti fare del
male e ora… beh, ora sono solo un essere verde che di certo non può aspirare
all’amore di qualcuno.”
Pietro rimase allibito.
“Stai scherzando, vero?
Insomma, hai trascorso anni a cercare di controllare l’essere verde dentro di
te, ad esserne spaventato, a fuggirlo e adesso che sei finalmente riuscito a
riunire in te la forza di Hulk e la personalità gentile e generosa di Bruce
Banner mi vieni a dire che ti vergogni
di come sei?” esclamò.
“No, non mi vergogno di come
sono e, anzi, mi sento finalmente in pace, senza più timore di scatenare chissà
quale forza distruttiva senza rendermene conto” rispose il dottore,
meditabondo, “ma un conto è parlare del nuovo Bruce Banner come una celebrità
della scienza e un conto è presumere che quest’essere… che questa creatura
possa avere una qualsiasi vita privata, sentimentale…”
Pietro sembrò prendere molto
male queste parole. Gli occhi gli fiammeggiavano quando afferrò l’omone verde
per le spalle e lo costrinse a voltarsi verso di lui e a guardarlo in faccia.
“Dottor Banner, mi stai
dunque dicendo che pensi che soltanto le persone giovani e belle meritino di
amare e di essere amate?” lo aggredì. “Ti ho sempre creduto un uomo di scienza,
una persona dalla mente aperta, libera da condizionamenti… e adesso mi vieni a
dire che ti ritieni troppo brutto per vivere una relazione amorosa? Allora,
secondo te, tutti quelli che sono magrissimi o grassi o anziani o con le gambe
storte o che so io si dovrebbero rinchiudere in casa per non farsi vedere?”
“Non ho detto questo”
mormorò Bruce, rendendosi conto di quanto abilmente Pietro avesse ribaltato le
sue parole per coglierlo in fallo. “E’ che non voglio legarti a me, non voglio
farti del male. Prima avevo paura di poterti ferire nel caso avessi perso il
controllo, ma ora penso… penso che non sia giusto che un ragazzo giovane e
bello come te, che potrebbe avere chiunque volesse, debba condannarsi a vivere
con un’enorme creatura verde. Insomma, La
Bella e la Bestia funziona solo al cinema!”
La rabbia di Pietro sbollì
all’istante, sostituita da un’immensa pena e da uno sconfinato amore per
quell’uomo che non riusciva e non era mai riuscito a vedere quanto valesse e
quanto meraviglioso fosse, verde o non verde.
“Bruce, prima di tutto non
sono più un ragazzino, ho ventisette anni… beh, in realtà venticinque, contando
che per quasi due anni sono rimasto intrappolato a causa dello schiocco… comunque credo di essere in
grado di decidere per me stesso” replicò, in un modo allo stesso tempo dolce e
scherzoso, “e poi… ma scusa, tu credi che io, cinque anni fa, mi sia innamorato
di te perché ero rimasto fulminato dal tuo fascino?”
“Eh?” fu la risposta di
Banner, che aveva perso la capacità di ragionare lucidamente già alle parole innamorato di te.
“Io mi sono accorto di
essermi innamorato di te quando mi hai salvato la vita dopo che mi avevano
sparato” riprese Pietro, tranquillamente. “E mi sono innamorato della tua
gentilezza, della tua premura e pazienza mentre ti occupavi di me, delle tue
mani e delle tue braccia che mi stringevano e mi tenevano ancorato alla vita,
della tua voce pacata che mi incoraggiava a non arrendermi, a non mollare.”
Il giovane si avvicinò
ancora di più a Bruce e gli posò una mano sul petto, proprio dove il cuore
batteva a mille e sembrava voler scappare via.
“Non mi importa come sei, se
sei Banner o Hulk, se sei verde o rosso o giallo, così come non mi importerà
quando avrai i capelli bianchi e le rughe molto prima di me, perché ciò che amo
di te è qui dentro, è il vero te stesso e non cambierà mai” concluse Pietro.
“Anch’io mi sono innamora…
cioè, sì, hai capito, anche a me è successo quando ti hanno sparato e ho avuto
il terrore di perderti” ammise Banner, senza trovare il coraggio di guardare
Pietro negli occhi, anzi sembrava fissare il lampadario, o il tavolino, o
qualsiasi altro punto a caso dell’appartamento! “Quando sei tornato in Sokovia
ho pensato che fosse giusto così, che avevi il diritto di farti la tua vita
piuttosto che legarti a uno come me, ma quando poi sei svanito per lo schiocco io… ho creduto che sarei
impazzito. E non potevo dirlo a nessuno, potevo solo cercare di fare di tutto
per convincere gli altri Avengers a trovare una soluzione. Poi sei tornato e…
ho ripreso a pensare che non avevo il diritto di condizionare la tua vita e di
invadere i tuoi spazi…”
Pietro adesso era
tranquillo, sinceramente non poteva sperare in una dichiarazione più dolce e
tenera di quella e, conoscendo Bruce, non doveva aspettarsi niente di più esplicito! Ora sapeva quale sarebbe
stato il suo futuro, e al fianco di chi.
“Beh, vorrà dire che allora
ci dovrò pensare io, a invadere i tuoi
spazi” replicò malizioso.
Poi nessuno disse altro,
perché Pietro iniziò a baciare Bruce sempre più profondamente e il bacio
divenne pian piano altro, e il dottor Banner dimenticò Hulk e tutte le sue
paure e i suoi dubbi. Tutto quello che avvenne quella notte sembrò ad entrambi
la cosa più logica e naturale, e che sciocchi erano stati a perdere tanto tempo
prima di arrivarci. Non si sarebbero più lasciati influenzare da pregiudizi,
preconcetti e fraintendimenti, la vita era una sola e poteva andare in pezzi da
un momento all’altro, inutile sprecarla in infiniti ragionamenti quando l’amore
passava accanto, meglio prenderlo al volo.
La sera della Vigilia di
Natale Wanda e Visione avevano preparato la tavola e una cena deliziosa, tutto
l’appartamento brillava di luci e dei loro sorrisi innamorati.
Suonò il campanello e la
giovane donna andò ad aprire.
“Ciao, Pietro, finalmente!
Ti aspettavamo dieci minuti fa, che c’è, hai perso il tuo potere?” scherzò
Wanda.
“No di certo, è solo che…
insomma, ti avevo detto che avrei portato un ospite, non è vero? Diciamo che mi
ci è voluto un po’ troppo per convincerlo” rise Pietro, facendo un passo di
lato e spingendo avanti l’ospite che
aveva portato.
Sì, perché Bruce Banner
aveva accettato serenamente di stare insieme al giovane Maximoff, di non farsi
più sciocchi problemi, di vivere la loro storia alla luce del sole… però l’idea
di una presentazione ufficiale in
famiglia e, per giunta, la sera della Vigilia di Natale, lo metteva ancora in
crisi!
Impacciato e imbarazzato, Bruce si fece
avanti con cautela, come camminando sulle uova.
“Ehm, sì, ciao Wanda, ciao Visione, ecco,
sapete come si dice… Indovina chi viene a
cena?” disse.
“Oh, se è per quello io lo avevo già
indovinato da un pezzo!” replicò Wanda, scoppiando a ridere. Pietro e Visione
la imitarono subito e, dopo qualche attimo di imbarazzo, anche il timido e
imbranato dottore rise con loro.
La porta si chiuse su quel quadretto di
felicità, la festa ebbe inizio e così anche una nuova vita per le due coppie di
innamorati.
You're
so unassuming You know what you're doing You're looking right through me And you don't realize I just see a scared boy Who's looking for new toys Just trying to fill a void And you don't realize…
(“Slow dance” – Kelly
Clarkson)
Steve era rimasto malissimo
nello scoprire che Bucky gli aveva mentito, o meglio che non gli aveva
raccontato tutta la verità. Dopo aver parlato con Kevin era tornato a casa e
aveva aspettato che anche Bucky rientrasse, ma non gli aveva detto niente, non
gli aveva rivelato di aver incontrato Kevin né di aver scoperto che non
trascorreva tutto il tempo al gruppo di sostegno. Era la prima volta che non
era sincero con il suo compagno e si chiedeva perché, ma in fondo al cuore
sapeva di conoscere già la risposta.
Non voleva parlare con Bucky
di quell’argomento perché aveva paura di ciò che il giovane avrebbe potuto
dirgli. Chissà, forse era rimasto talmente ferito e addolorato dopo aver saputo
della sua tentazione di restare nel 1948 da non riuscire a smettere di pensarci
e forse, a poco a poco, aveva perso la fiducia in lui e aveva smesso di amarlo.
Forse nelle ore in cui gli diceva di essere al gruppo di sostegno in realtà
Bucky frequentava qualcun altro, magari un ragazzo conosciuto proprio durante
gli incontri.
Steve non era certo di
volerlo sapere.
Eppure quella notte, mentre
se ne stava sveglio nel letto, fissando alternativamente il soffitto e la
figura addormentata di Bucky al suo fianco, il Capitano decise che non poteva
più nascondersi, che non era giusto né per lui né per Bucky.
Se la situazione era giunta
fino a quel punto, la colpa era principalmente sua e adesso doveva assumersene
la responsabilità. Era stato lui, mesi prima, a lasciarsi affascinare dalla
possibilità di una vita più semplice e ordinaria negli anni Quaranta, era stato
lui a volersi scaricare la coscienza raccontando tutto a Bucky. Certo, lui e
Bucky si dicevano sempre tutto, erano abituati così fin da ragazzini, non si
erano mai nascosti niente… ma certe cose, probabilmente, era meglio non dirle
o, magari, dirle in modo diverso. A causa delle sue parole Bucky si era sentito
in colpa, aveva creduto di aver costretto
Steve a tornare indietro in un mondo che non amava per occuparsi di lui, si
era messo in testa di essere un peso nella vita del suo compagno. Perciò si era
allontanato da lui sempre di più e forse adesso aveva conosciuto qualcun altro
o forse, semplicemente, stava meditando di lasciarlo e andarsene dalla casa di
Brooklyn. Per non essere più di peso a
Steve.
Quella notte insonne servì
almeno a far prendere un’importante decisione al Capitano: il giorno dopo
avrebbe seguito Bucky, avrebbe scoperto dove andava e che cosa faceva quando
non era a casa e poi lo avrebbe affrontato e finalmente avrebbero parlato. Se
Bucky gli avesse detto di non voler più stare con lui… beh, avrebbe dovuto
accettarlo, in fondo se lo era meritato.
Il mattino dopo, dunque,
Steve fece proprio così. Dopo una colazione frettolosa e laconici monosillabi
in risposta ai tentativi del Capitano di intavolare una conversazione, Bucky si
avviò alla porta dell’appartamento, pronto a uscire.
“Esci anche oggi, Buck?
Pensavo che potessi darmi una mano a finire di addobbare le stanze” tentò
Steve, sperando di non dover arrivare al punto di pedinare Bucky come se fosse tornato ad essere il Soldato
d’Inverno!
Bucky squadrò gli addobbi
natalizi con un’espressione ben poco entusiasta.
“Mi sembra che tu abbia
quasi finito” commentò. “Comunque non farò tardi e, se ci tieni tanto, nel
pomeriggio potrò aiutarti… anche se non vedo proprio dove potresti infilare
altre decorazioni. Buona giornata, Steve.”
La porta si richiuse dietro
le spalle del giovane e Steve rimase a fissarla con uno sguardo deluso.
Adesso non aveva scelta,
avrebbe dovuto affrontare Bucky.
Trascorse buona parte della
mattinata a terminare gli addobbi, facendosi film mentali su come sarebbe
andato il suo confronto con il compagno. Gli scenari che immaginava erano
piuttosto pessimistici e andavano dal trovare Bucky in compagnia di Kevin,
passando per un pedinamento che lo portava a scoprirlo con un altro ragazzo che
non conosceva, fino ad arrivare all’immagine di Bucky che prendeva un aereo per
la Romania o qualche altro posto dell’accidenti nell’Est europeo (che poi,
chissà per quale motivo Steve pensava che, se avesse deciso di partire, Bucky
si sarebbe trasferito proprio in luoghi vicini a quello in cui era stato
addestrato come Soldato d’Inverno?).
Era quasi ora di pranzo e
Bucky non tornava. Steve sapeva che al centro dove si riunivano i gruppi di
autoaiuto c’era anche una mensa dove i volontari rimanevano spesso a mangiare
e, in effetti, da diverso tempo Bucky non pranzava a casa. Si preparò un
sandwich e si costrinse a mangiare con calma, riflettendo che forse il suo
ragazzo stava veramente pranzando con gli altri volontari dei gruppi di
sostegno e che sarebbe stato ridicolo se fosse piombato lì a metà del pasto,
come una sorta di amante geloso. Alle due, però, non ebbe più alcuna scusa e,
preso il giubbotto di pelle, uscì dall’appartamento che, con le sue allegre
decorazioni e le lucine colorate, sembrava quasi prenderlo in giro…
Come prima cosa,
naturalmente, Steve si recò al centro e questa volta non ci trovò Kevin bensì
una giovane donna che lavorava lì come psicologa, Madison.
“Ciao, Maddy” la salutò il
Capitano. “Hai visto Bucky? Stamattina mi ha detto che sarebbe venuto e pensavo
che ci saremmo incontrati qui.”
“Mi dispiace, Steve, l’hai
mancato davvero per poco” rispose la donna, con un bel sorriso. “Ha pranzato
con noi e con gli altri volontari ed è uscito circa mezz’ora fa.”
Appunto, proprio come Steve
aveva pensato. Almeno quella non era una bugia: Bucky trascorreva veramente
gran parte del suo tempo con la gente dei gruppi di sostegno, i volontari e gli
psicologi.
Ma perché non c’era Kevin?
Forse… forse davvero Bucky e Kevin uscivano insieme?
“E… Kevin? E’ uscito anche lui?”
domandò Steve, sentendosi un perfetto idiota. Stava facendo la figura della mogliettina gelosa e isterica,
sicuramente Madison si sarebbe fatta due risate alle sue spalle.
“No, perché avrebbe dovuto?”
rispose la giovane, sorpresa. “Kevin oggi lavora fino alle cinque. Adesso sta
parlando ad un nuovo gruppo che si è formato da poco. Avevi bisogno di vederlo?”
Steve si sentì ancora più
sciocco.
“No… no, grazie, volevo solo
salutarlo e dirgli che nei prossimi giorni tornerò anch’io” disse, consapevole
di essersi reso ridicolo. “Se sta lavorando non voglio disturbarlo, salutalo tu
per me.”
“Va bene. Sono contenta che
tu e Bucky prendiate così sul serio questo impegno, soprattutto nel periodo
delle festività” commentò Madison. “Sai, è particolarmente difficile per le
persone che sono scomparse e poi ritornate e per i loro cari. In certi casi non
riescono più a comunicare, le cose sono troppo cambiate e non si capiscono più…
è molto triste.”
“Lo so” replicò Steve,
pensando che, in effetti, la stessa identica cosa stava accadendo anche a lui e
a Bucky, nonostante nessuno di loro due fosse svanito allo schiocco di Thanos. Ma c’erano tanti motivi che potevano
allontanare le persone che si amavano… “Grazie, allora, Madison, a presto.”
Il Capitano si allontanò dal
centro riflettendo: dove poteva essere andato Bucky? Sicuramente non era
tornato a casa, altrimenti si sarebbero incontrati per strada. Il luogo dove si
recava doveva essere sempre lo stesso, altrimenti perché sarebbe tornato tardi
ogni sera? Aveva un posto preciso dove andare e una motivazione che lo spingeva
a tornare sempre là…
Mentre camminava pensieroso
e senza una meta vera e propria, Steve ebbe un’illuminazione. E se Bucky fosse
andato a Coney Island? Non c’era una vera ragione per cui avrebbe dovuto andare
là, se non che… i loro ricordi più belli erano legati a quel luogo e anche
quando Bucky ancora non ricordava il loro passato lui aveva deciso di portarlo
proprio a trascorrere una giornata sulla spiaggia. E trovarsi in quel posto
aveva effettivamente aiutato Bucky a ricordare. Perché non provare? In fondo un
posto valeva l’altro e quello almeno aveva un legame molto stretto con il loro
passato. *
Steve ritornò al parcheggio
del centro dove aveva lasciato la moto e salì sul veicolo, dirigendosi poi
verso Coney Island. Sperava ardentemente di non essersi sbagliato perché,
altrimenti, avrebbe perso molto tempo prezioso e magari Bucky sarebbe tornato a
casa e non lo avrebbe trovato. Non poteva permettersi di sbagliare.
Dopo circa mezz’ora giunse
nei pressi della spiaggia di Coney Island e trasalì di gioia nel riconoscere la
moto di Bucky parcheggiata: allora ci aveva visto giusto, il suo compagno era
andato proprio là… e, se era andato in un luogo così importante e prezioso per loro,
allora non tutto era perduto, non ancora. Parcheggiò, scese dalla moto e si
avviò verso la spiaggia, cercando Bucky con lo sguardo. Era una giornata
nuvolosa ma mite e alcune persone passeggiavano, portavano a spasso il cane o
facevano jogging sul bagnasciuga. Più avanti, però, c’era una figura solitaria,
seduta sulla sabbia con lo sguardo rivolto verso il mare, una figura con una
felpa e un giaccone scuro e jeans neri.
Steve si avvicinò in
silenzio al giovane e, senza una parola, si sedette di fianco a lui.
Bucky si voltò a guardarlo,
sorpreso.
“Come hai fatto a trovarmi?”
gli domandò.
“Quando ho saputo che non
trascorrevi tutto il giorno al centro con i gruppi di sostegno, ho pensato che
c’era un solo posto al mondo dove saresti potuto essere” rispose Steve con un
sorriso. Voleva mostrarsi accogliente, non farlo sentire in colpa per avergli
mentito. Voleva solo che si chiarissero e facessero la pace una volta per
tutte.
“Qui ho iniziato a
recuperare la memoria” mormorò Bucky. “E’ stato qui e nella tua vecchia casa di
Brooklyn che i ricordi di quando eravamo ragazzi spensierati hanno iniziato a
ritornare… e sì, è per questo che sono venuto qui. Sono venuto qui tutti i
giorni e sono rimasto per ore a pensare e a ricordare, mentre a te dicevo che
andavo al centro per parlare ai gruppi.”
Steve rimase in silenzio,
non voleva interrompere Bucky adesso che, forse, si stava aprendo con lui.
Qualsiasi parola avrebbe potuto essere male interpretata e rovinare tutto.
“Non avrei voluto mentirti,
Steve, e ti chiedo scusa. Ma è stato proprio venendo qui che ho iniziato a
capire veramente quello che hai provato quando hai avuto la possibilità di
rimanere per sempre nel 1948” riprese il giovane. “La prima volta che sono
capitato su questa spiaggia è stato per caso, giravo senza meta al solo scopo
di non tornare a casa, perché in qualche modo pensavo… beh, insomma, credevo
che non fosse più quello il mio posto.”
“Non dire così, Bucky, come
puoi anche soltanto pensarlo? Ho voluto comprare e ristrutturare quella casa
proprio perché potessimo viverci insieme!” esclamò Steve, in tono accorato,
senza riuscire a trattenersi.
Bucky gli rivolse un
sorrisetto storto.
“Sì, adesso riesco a
capirlo, ma quel giorno non mi sentivo così, mi sentivo un peso, credevo di
averti rovinato la vita, che saresti stato più felice se non ti fossi sentito costretto a ritornare nel nostro tempo
per colpa mia” replicò.
“Non mi sono mai sentito
costretto, io sono tornato da te perché avevo bisogno di stare con te! Non
c’entrava Peggy, non è mai stata lei, era solo che… ma poi mi sono reso conto
che vivere nel 1948 non sarebbe stata la stessa cosa senza di te” protestò il
Capitano.
“Come ti ho detto, allora
non riuscivo a capirlo” ripeté Bucky, tranquillo. Il suo sguardo era limpido e
sembrava aver fatto pace con quell’episodio. “E’ vero, mi avevi detto che eri
stato tentato di restare nel passato solo perché non ti riconoscevi nel mondo
moderno, ma io continuavo a pensare che in realtà fosse stato per Peggy, che tu
volessi tornare da lei. Non riuscivo a pensare ad altro. Poi sono capitato qui
e… e ho cominciato a ricordare tanti episodi, tanti momenti felici. Ogni volta
che venivo qui mi veniva in mente qualcosa di nuovo, qualche altro bel ricordo,
perciò ho continuato a tornarci ogni giorno senza dirtelo.”
Steve non riusciva a capire
dove intendesse arrivare Bucky, così rimase in silenzio ad ascoltarlo, sperando
in una conclusione positiva.
“In questi giorni,
ripercorrendo nella mente tutto quello che abbiamo vissuto da ragazzi, ho
davvero compreso perché tu abbia provato così fortemente la tentazione di
fermarti nel 1948. Non era per Peggy…”
“No, certo che non era per
Peggy” ribadì il Capitano, “non è mai stato per lei, non sapevo nemmeno se
sarebbe stata ancora viva nel 1948, o se fosse stata sposata, o che so io…”
“Ora lo so, perché anch’io,
venendo qui ogni giorno e ricordando il nostro tempo e come eravamo spensierati
nonostante le difficoltà, mi sono reso conto che avrei avuto la stessa
tentazione” confessò Bucky. “Anzi, forse più di te. Poter tornare ad un tempo
in cui nessuno conosceva il Soldato d’Inverno, in cui io non avevo ancora fatto
del male a nessuno, in cui potevo essere ancora… il Bucky Barnes che conoscevi
e amavi… beh, non so se avrei resistito a una simile possibilità. Perciò come
posso rimproverare a te una cosa che io stesso avrei fatto?”
Steve intravide negli occhi
di Bucky delle lacrime trattenute a stento, ma anche lui era così commosso e
straziato che la vista gli si appannava. Era vero, come poteva non averci
pensato? Se lui desiderava così tanto tornare nel mondo al quale sentiva di
appartenere, quanto lo avrebbe voluto Bucky che, tornando nel passato, non
sarebbe mai stato il Soldato d’Inverno? Com’era stato egoista, aveva pensato
solo a se stesso e invece Bucky…
Prese il suo compagno per le
spalle e lo voltò verso di sé.
“Mi dispiace tantissimo,
Buck” disse. “Sa il cielo quanto vorrei che entrambi potessimo tornare indietro
e vivere una vita normale, senza Captain America, senza Hydra, senza Thanos,
senza il Soldato d’Inverno. E’ proprio per questo che sono tornato da te,
perché sapevo che non sarebbe stato giusto, che quegli anni li avrei voluti
vivere, certo, ma solo se tu avessi potuto viverli con me.”
“Beh, comunque sia nessuno
dei due può farlo, per cui è assurdo che io continui ad avercela con te per
questo, no?” tentò di minimizzare Bucky, abbozzando un sorrisetto.
“Invece sì che possiamo
farlo, ma solo restando insieme” lo corresse Steve, abbracciandolo. “Questo
posto e la nostra casa a Brooklyn, tutto ciò che ci fa ricordare ciò che siamo
stati, non lo perderemo mai, farà sempre parte di noi, di quello che ci ha
portato a diventare ciò che siamo ora. E’ vero, eravamo spensierati in quegli
anni, ma non si rimane adolescenti per sempre e l’età adulta porta per forza di
cose difficoltà e problemi. Noi, certo, ne abbiamo avuti in quantità maggiore
rispetto a tanti altri, ma prova un po’ a pensarci, Buck, pensa a quanti
ragazzi come noi non sono mai tornati dalla guerra, o sono tornati invalidi e
hanno perso tutto. Chi ci assicura che negli anni Quaranta saremmo stati più
felici di adesso? Tanto per cominciare non avremmo potuto vivere insieme come
facciamo ora, avremmo dovuto fingere per tutta la vita di essere solo amici. E
poi ci sarebbero state altre guerre, la Guerra di Corea, il Vietnam, la Guerra
Fredda… io sono sicuro che noi vi saremmo stati coinvolti, in fondo avevamo
delle responsabilità. E’ così diverso da quello che viviamo oggi?”
“No, ma… credo che,
guardando al passato, tutti tendano a idealizzarlo” mormorò Bucky.
“Sì, lo fanno tutti, lo
faccio spesso anch’io. Ma poi, se mi fermo a pensarci, mi rendo conto che è nel
presente che ho tutto ciò che posso desiderare: una vita serena, una bella
casa, degli amici e, soprattutto, la possibilità di stare con te alla luce del
sole, per tutta la vita. Di trascorrere questo Natale e tanti altri al tuo
fianco. E’ questo che conta per me.”
“Anche per me” ammise Bucky.
I due innamorati si
strinsero in un lungo abbraccio, che divenne poi un bacio profondo e
dolcissimo.
C’era poca gente sulla
spiaggia ma, chi passava, sorrideva commossa vedendo i due giovani che non
avevano bisogno di nascondere il loro amore.
E questo, nel 1948, non
sarebbe potuto accadere.
Fine capitolo terzo
* Ancora una volta si tratta di una
“autocitazione”! XD La storia in cui Steve porta Bucky a Coney Island è una mia
ff del 2015, Breathe on me.
You do everything too fast
You move like a whiplash
You're missing the romance
And I see through it all
How did you go
From being a mama's boy to a ladies' man?
I'm not going home with you tonight
But you can hold my hand
And we can take it slow
And I can show you how to slow dance…
(“Slow dance” – Kelly Clarkson)
Pepper aveva deciso:
non era ancora il momento di rivelare a Tony che Morgan era sua figlia. La
bambina era troppo piccola e Tony aveva già troppi problemi di suo per
sobbarcarsi anche il peso di una simile consapevolezza. Non lo avrebbe aiutato,
anzi, avrebbe finito per farlo sentire ancora più in colpa e non era proprio
ciò di cui Tony aveva bisogno!
In realtà qualcosa si
era mosso nelle prospettive natalizie di Stark… ma non esattamente nel modo
sperato da lui. Mancavano due giorni a Natale ed era l’ultimo pomeriggio di
stage per Peter alla Stark Foundation prima delle vacanze. Quel giorno,
inaspettatamente, mentre si apprestava a uscire dal suo ufficio, Tony trovò il
ragazzo ad attenderlo, con un’aria molto imbarazzata e visibilmente a disagio.
Si tormentava l’orlo del maglione e si guardava le scarpe, come faceva sempre
quando aveva qualcosa da dire e non trovava il coraggio di farlo.
“Signor Stark” gli
disse, titubante, “senta, so che potrebbe sembrarle una domanda sfacciata ma…
lei ha progetti per il giorno di Natale?”
Un calore immenso
invase il cuore di Tony a quelle parole. Sorrise e si affrettò a rispondere.
“No, niente di
particolarmente importante, Peter, ma perché me lo chiedi?”
“Perché… beh… il
fatto è che…”
Tony non avrebbe
voluto illudersi troppo, ma quel modo di fare di Peter gli ricordava così tanto
la sua timidezza e la sua dolce ingenuità dei tempi in cui stavano insieme che
non poté fare a meno di sperare.
“Ecco… insomma, non
c’è un modo facile per dirlo” buttò fuori il ragazzo. “Zia May ha invitato Phil
Coulson al pranzo di Natale e io… beh, per me non è affatto facile accettarlo.
Voglio dire, io ammiro molto il signor Coulson, lo sa, e sono anche contento
che la zia abbia finalmente qualcuno che può renderla felice, però il pranzo di
Natale è una cosa… è una cosa troppo intima, troppo familiare e io non mi sento
ancora pronto, ecco! Per cui volevo chiederle… signor Stark, le dispiacerebbe
molto partecipare anche lei? Per zia May non c’è problema, aveva già detto che
potevo invitare chi volevo, ma Ned, ovviamente, passerà il Natale con i suoi
parenti e io… non ho altri amici che lei.”
Tony sperò che sul suo
volto la delusione non apparisse troppo lampante.
Certo, da un lato era
contento che Peter si fosse rivolto a lui e che lo considerasse un suo vero
amico, il problema era che lo aveva messo al pari di Ned e lui… beh, lui
avrebbe voluto essere ben più di questo per Peter.
“Non l’ho offesa,
vero, signor Stark? Non era mia intenzione e non voglio neanche metterla a
disagio, ma davvero non saprei a chi altri chiedere!”
Oddio, essere l’ultima spiaggia dava un bel colpo
all’orgoglio di Tony Stark, tuttavia decise di considerare quell’offerta come
un’occasione positiva. Intanto era riuscito a tornare ad essere un amico fidato
per Peter e, per come andavano le cose ultimamente, sentiva di non avere alcun
diritto di lamentarsi.
“Non preoccuparti,
ragazzo, non mi hai affatto offeso” rispose quindi, cercando di non sembrare
troppo avvilito. “Anzi, mi fa molto piacere che tu abbia pensato a me. Verrò
molto volentieri e ti ringrazio, però… ecco, se stasera sei libero vorrei
invitarti a mangiare una pizza a casa mia perché penso che tu abbia bisogno di
parlare con qualcuno di ciò che sta accadendo a tua zia May e, quindi, anche
alla tua vita. Niente di impegnativo, nessun locale, solo una pizza da asporto
e due chiacchiere… tra amici.”
Peter sembrava
indeciso, ma la necessità di parlare vinse i suoi scrupoli.
“Va bene, signor
Stark” rispose. “La ringrazio per aver accettato e anche per l’invito. Ha
ragione, ho proprio bisogno di parlare di questa cosa e penso che lei potrà
aiutarmi a fare chiarezza perché… sono molto confuso, lo ammetto!”
Stark tirò un sospiro
di sollievo. La storia dei buoni amici non
lo soddisfaceva del tutto, ma era contento di passare una serata con Peter e,
soprattutto, di poterlo aiutare in un momento difficile. Chissà, magari ne
sarebbe nato qualcosa di buono. In fondo se Peter voleva confidarsi con lui era
già molto rispetto a qualche tempo prima.
Ancora una volta,
come tante altre, Tony e Peter si ritrovarono nell’appartamento dell’uomo al
Quartier Generale degli Avengers, l’uno di fronte all’altro e con una pizza
fumante nel piatto. Tony non poté fare a meno di ricordare le innumerevoli
serate trascorse in quel modo con Peter e che adesso sembravano così lontane.
Chissà se anche Peter ripensava a quelle sere? Chissà se anche lui ne sentiva
la mancanza? Ma no, non doveva lasciarsi trascinare da speranze e illusioni,
doveva dedicare la sua attenzione al problema concreto che il ragazzo stava
affrontando.
“Dunque, vediamo se
ho capito bene” ricapitolò Tony. “Tua zia May esce con Coulson e a te la cosa
non piace molto.”
“No, non è proprio
così, signor Stark” replicò Peter, scuotendo vigorosamente il capo. “Il signor
Coulson mi piace molto e, all’inizio, ero contento quando la zia usciva con
lui. La vedevo ridere, illuminarsi, farsi bella per lui ed ero felice che fosse
così. Però, ecco… una cosa è uscire insieme e una cosa è invitarlo al pranzo di
Natale! Il Natale si passa con la famiglia e invitare anche lui è come se… come
se…”
“Come se zia May ti
dicesse implicitamente che vorrebbe sposare Phil?” buttò là Tony.
Peter non rispose
subito, tagliò con attenzione un pezzo di pizza, lo portò alla bocca e lo
masticò a lungo prima di deglutire.
“Sì, credo che ci
abbia azzeccato in pieno, signor Stark. E… io non ce la faccio, ecco! E’ troppo
presto!” protestò il ragazzo. “Sono successe troppe cose in questi ultimi tempi
e io non ce la faccio, non posso sopportare anche questo, vedere un altro uomo
per casa al posto dello zio Ben. No, adesso non posso sopportarlo!”
Stark aveva compreso
benissimo quale fosse il vero problema di Peter: probabilmente, se Coulson e
May si fossero frequentati due anni prima, nel periodo in cui anche lui e Peter
erano felici insieme, il ragazzo non l’avrebbe presa così male. Sicuramente
all’inizio avrebbe pensato a zio Ben e al fatto che nessuno poteva prendere il
suo posto, ma poi si sarebbe arreso, avrebbe pensato che, se lui aveva trovato
la persona giusta, allora era un bene che anche zia May potesse innamorarsi ed
essere felice. E non dubitava che Peter desiderasse anche adesso la felicità
della zia, ma il vero problema era che troppe cose erano cambiate in quei mesi,
troppe perdite, troppo dolore. Semplicemente, Peter non riusciva ad accettare
un altro cambiamento, l’ennesimo nella sua vita.
“Peter, ti assicuro
che lo capisco perfettamente e che condivido in pieno la tua angoscia” replicò
Tony, ritenendo ancora una volta che la cosa migliore da fare, per recuperare
il rapporto che desiderava con il ragazzo, dovesse essere il più sincero
possibile. “So che tu ami tua zia e che vuoi la sua felicità, però senti di non
essere in grado, in questo momento, di accettare un altro cambiamento, visto
che già ce ne sono stati così tanti. Non c’è niente di male ad ammetterlo,
anzi, è un bene che tu possa sfogarti e, anzi, hai fatto bene a dirlo proprio a
me che sto vivendo un’esperienza simile e quindi so quanto sia dura.”
Peter restò talmente
stupito dall’inaspettata confessione dell’uomo da restare a bocca aperta,
dimenticando per qualche momento la metà della pizza che ancora gli restava.
“Anche lei, signor
Stark…? Insomma, si sente come me, sperduto e stanco, frustrato da troppi
cambiamenti e troppo dolore?”
“Beh, perché ti stupisci
tanto? Sono un essere umano anch’io, in fondo… anche se adesso ho una parte di
DNA Kree nel mio organismo” scherzò
Tony. “Sì, lo so che in genere non parlavamo mai di quello che mi succedeva o
di ciò che provavo, ma adesso mi sembra il momento giusto: tu sei grande
abbastanza e hai attraversato esperienze che distruggerebbero un uomo con il
doppio dei tuoi anni e io… io mi sono reso conto che morire e tornare in vita
ti cambia davvero la prospettiva, ti rendi conto che le cose è meglio dirle
subito, perché nessuno ti dà la certezza che potrai farlo ancora, se aspetti
troppo.”
Sentire Tony parlare
in questo modo affascinava Peter e, per la prima volta dopo tantissimo tempo,
si trovava ad ascoltarlo e ad attendere il momento in cui l’uomo avrebbe
risolto tutti i suoi problemi e lo avrebbe fatto sentire bene, proprio come
accadeva due anni prima. E, dal canto suo, Stark si rendeva conto del fatto che
era proprio questo il modo di iniziare un nuovo rapporto con Peter, partendo
dalla sincerità e dal parlarsi cuore a cuore, cosa che non aveva mai fatto
prima, sempre reticente nel mostrare sentimenti ed emozioni. Qualcosa di nuovo
stava iniziando…
“Innanzitutto sono
morto e sono stato riportato in vita con il Progetto T.A.H.I.T.I. e, qualsiasi
cosa ne possa pensare tu, non è stata una passeggiata. I dubbi che hai avuto su
di me li ho avuti anch’io: sarò ancora
umano? Sarò ancora la persona che ero prima? Cosa succederà tra qualche anno?
E poi, quando finalmente sono stato in grado di ritornare alla mia vita di
prima, ho trovato tante cose cambiate: Clint ha lasciato gli Avengers per dedicarsi
alla famiglia e a un lavoro normale che gli permetta di tornare a casa ogni
sera, T’Challa ha scelto anche lui di tornare in Wakanda e di impegnarsi per il
suo Paese e il suo popolo * e, a
quanto pare, anche Steve sta meditando di lasciare la sua onorata carriera di Captain America e passare il testimone a Sam
Wilson” spiegò Tony e, già mentre parlava, si vedeva come tutti quei
cambiamenti, seppure non così negativi, andassero a toccare le corde del suo
cuore e lo addolorassero. “A volte mi sento come se fossi anch’io tornato dall’ibernazione
dopo sessant’anni e vedessi un mondo tutto diverso attorno a me… forse questa è
la prima volta in cui capisco veramente come si debba essere sentito Steve in
tutti questi anni!”
Fece un sorrisetto ma
i suoi occhi non sorridevano, quelle erano cose che lo facevano davvero
soffrire, non ultimo il fatto di aver rotto i rapporti con il vecchio amico per
tanto tempo e doversi rendere conto adesso che aveva ragione lui, che non è
facile adattarsi alle novità, che è brutto sentirsi estranei al mondo in cui si
vive.
“E poi ci sono io che
ho lasciato gli Avengers” aggiunse Peter, ma questa volta non lo disse per
sottolineare la sua decisione irrevocabile, quanto per dar voce al suo rimorso.
Non aveva mai pensato che anche Stark avesse sofferto e stesse soffrendo ancora…
anche e soprattutto per colpa sua e della sua ostinazione.
Tony parve accorgersi
di aver parlato troppo.
“Non fraintendermi,
non voglio rimproverare i miei ex-compagni per aver scelto di vivere le loro
vite con le persone amate piuttosto che continuare a lottare e a rischiare la
vita ogni giorno, ognuno di loro ha il diritto di scegliere ciò che ritiene
meglio” si affrettò a rimediare. “Volevo solo dire che, per me, anche fatti
positivi come questi hanno rappresentato un cambiamento che non riesco ad
accettare, proprio come per te: sei felice che tua zia May abbia di nuovo
qualcuno da amare, ma dentro di te stai male perché non sarete più voi due, ci
sarà una terza persona che tu, tutto sommato, non conosci e alla quale dovrai
adattarti.”
Peter aveva finito di
mangiare la pizza, ma lentamente, riflettendo su ogni boccone e sulle parole di
Stark, e adesso capiva che l’uomo aveva espresso nel modo migliore tutte le sue
emozioni confuse e aggrovigliate.
“Però, nel tuo caso,
devi pensare ad una cosa molto importante: stai crescendo, Peter, presto
finirai la scuola superiore e a settembre andrai al college” riprese Tony. “Non
so ancora se vorrai continuare anche lo stage alla Stark Foundation ma, in ogni
caso, avrai molto meno tempo da passare a casa. Tua zia May si troverà sola per
giornate intere, magari non rientrerai neanche per dormire, chissà, potresti
decidere di abitare al campus universitario… vuoi davvero che lei rimanga così
tanto tempo da sola, aspettando solo di poterti rivedere i weekend o nei ponti
festivi? Io sono certo che non è questo che vuoi per tua zia.”
Peter non aveva mai
riflettuto su questo, non si era mai spinto fino a immaginare il suo futuro
anche prossimo e adesso capiva che Stark aveva perfettamente ragione: in un
modo o nell’altro, qualsiasi scelta avesse fatto, la sua vita era destinata a
separarsi da quella di zia May ed era solo un bene se lei era riuscita a
trovare una persona che l’amasse e la rendesse felice.
“Accidenti, come
sempre finisce che ha ragione lei, signor Stark!” ammise, ma il suo apparente
malumore era solo un atteggiamento, in realtà era felice di capire che tutto si
sarebbe risolto nel miglior modo possibile e… e, stranamente, anche del fatto
che, come accadeva tanto tempo prima, fosse stato proprio il signor Stark a farglielo comprendere e
accettare.
Il ragazzo posò le
posate sul piatto ormai vuoto e si alzò in piedi.
“Comunque non cambia
niente, l’invito per il giorno di Natale è ancora valido” continuò, vagamente
imbarazzato. “Se a lei fa piacere, intendo. Insomma, preferisco comunque avere
una persona conosciuta accanto e poi lei e Coulson siete vecchi amici…”
Parlando, Peter si
era avvicinato a Tony che era ancora seduto al suo posto, quasi timoroso di
fare una mossa sbagliata che avrebbe potuto distruggere tutta la complicità che
si era stabilita finalmente tra loro.
“Quindi verrà da noi
per Natale, signor Stark?”
“Ma certo, Peter, te
l’ho già detto, sarò molto felice di passare il Natale da voi” rispose l’uomo.
Ma il ragazzo
sembrava avere ancora qualcosa da dire, adesso era fin troppo vicino a Stark e
si tormentava l’orlo del maglione.
“E comunque… non
intendo lasciare lo stage alla Stark Foundation e nemmeno andare a vivere in un
campus universitario” ammise, a voce bassissima. “So che è quello che fanno
quasi tutti ma io… io non voglio cambiare anche questo e poi non voglio
allontanarmi da… insomma, non voglio che…”
Tony non osava
nemmeno sperare che Peter volesse dirgli che non intendeva allontanarsi da lui,
già troppe volte lo aveva sognato e immaginato e poi era rimasto deluso, ma
adesso Peter era vicinissimo, tremava, arrossiva, sembrava proprio il Peter di
due anni prima e lui…
“Io sono felice che
tu non te ne vada, Peter, lo sai, ma deve essere una tua scelta” disse l’uomo.
Ma quando si trovò
Peter tra le braccia che si stringeva a lui, che sembrava non volerlo più
lasciare, che gli si aggrappava quasi e che aveva le labbra così vicine alle
sue, non riuscì a trattenersi: lo baciò e lo avvolse nel suo abbraccio come
desiderava da ormai tanti mesi, come temeva che non sarebbe mai più accaduto. Sentì
il calore dolce della sua bocca morbida, il tepore del suo corpo tra le
braccia, i respiri che si confondevano e lo baciò a
lungo, lentamente, godendo il suo sapore e la sua tenerezza ritrovata,
perdendosi in lui. Gli accarezzò i capelli scompigliati, gli coprì la fronte,
le guance e il viso di piccoli baci e poi riprese a baciarlo sulle labbra
tiepide e dischiuse.
Peter
era, di nuovo, il suo più prezioso regalo di Natale e Tony pensò che forse le
cose non sarebbero tornate proprio come prima, ma che avevano finalmente
trovato la strada giusta per restare insieme e questa volta nulla più li
avrebbe divisi.
FINE
* Questa è la soluzione che mi è sembrata più
verosimile e meno dolorosa per accettare il fatto che T’Challa non sarà più tra
gli Avengers… In questo caso non potevo salvarlo come personaggio perché
purtroppo è morto il bravissimo attore che lo interpretava, ma io voglio
pensarlo ancora vivo e combattivo nella sua terra.