Vampier's Diaries - Libro primo: la mia morte

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Mio padre e il vampiro ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Che altro c’è? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Le ricerche di mio padre ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Una fine, un inizio ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Mio padre e il vampiro ***


Capitolo 1: Mio padre e il vampiro


855-857 DR, campagne vicino a Silverymoon

Mio padre era un uomo gentile.
Non è una cosa che si dice spesso degli alchimisti, ma immagino che ci sia sempre qualche eccezione che conferma la regola.
Mi piace pensare che questa sia una cosa che abbiamo in comune, come gli occhi castani e il sorriso sghembo, come se la sapessimo più lunga degli altri. Dev’essere qualcosa che ho imparato da lui, visto che in tutto il resto assomiglio a mia madre, o così mi hanno detto.
Mio padre non è mai piaciuto molto al resto della famiglia.
Secondo tutti quelli che lo conoscevano poco e male, aveva un’indole tranquilla. Questo è un preconcetto che accompagna sempre gli studiosi, gli resta appiccicato come l’odore di umido dopo la pioggia, non se ne va mai via. Era uno studioso, ma non era tranquillo. C’era passione nel suo lavoro, c’era genio.
La sua famiglia non l’ha mai capito perché loro erano soldati per tradizione, il primogenito doveva imboccare la carriera militare e il secondogenito - mio padre - avrebbe dovuto studiare le arti magiche per dare supporto alle milizie.
So che può sembrare strano, ma a quell’epoca Silverymoon aveva un vero e proprio esercito, non soltanto un corpo di guardie scelte. Il mondo era più selvaggio, le campagne andavano protette, la lega delle Marche d’Argento non era ancora stata nemmeno immaginata. Gli uomini rivaleggiavano fra loro per il territorio, quasi quanto rivaleggiavano con gli orchi delle montagne. E ce n’erano, oh, ce n’erano di orchi. Dappertutto. Forse fu quello ad accendere la curiosità di mio padre: vide gli orchi e pensò ‘ehi, sembrano quasi umani, non c’è un modo per modificarli e dargli maggior coscienza?’.
Oggi sappiamo che gli orchi non sono bestie senza cervello, ma le convinzioni dell’epoca non erano del tutto sbagliate: quella razza è più ferale, più irascibile, e meno portata per l’empatia e per il ragionamento razionale. Credo che mio padre sia stato ispirato dalla possibilità di rendere più umane le creature che ne avevano la potenzialità.
Oggi non so dire se fosse una cosa giusta o sbagliata, ma mi ha resa quello che sono, quindi ne sono felice… anzi, no, perché le sue ricerche sono quello che ha attirato troppa attenzione in primo luogo. Ho sentimenti molto contrastanti in merito.

Mio padre era una persona gentile e credeva nel prossimo. Questa è stata la sua rovina, un errore che francamente non voglio commettere.
Mentre mio fratello veniva istruito nell’arte dell’alchimia, seguendo le orme del nostro genitore, io ricevetti un’educazione militare. Mio zio, il Barone e Maresciallo Trachyor Lesmiere, non aveva avuto figlie femmine; però la nostra Casata aveva il dovere di produrre non solo degli eredi maschi ma anche delle figlie da educare alle arti della guerra e della strategia, future spose per altre Casate in preminenti ruoli militari. Una mia antenata era perfino diventata Comandante delle milizie cittadine, la Guardia D'argento, anche se le milizie cittadine erano viste come la divisione più inutile dell’esercito. In città i tutori dell’ordine sono un di più, quando c’è una élite di maghi a comandare.
La mia istruzione ha quindi incluso una serie di valori e di schemi mentali che mal si accomodavano con le idee di mio padre: a me era stato insegnato a non fidarmi degli estranei. A cercare sempre una motivazione egoistica dietro le loro azioni. Nessuno faceva niente per niente - eccetto, forse, mio padre - e ogni sconosciuto era da valutare come un potenziale nemico. Forse fu questo a permettermi di subodorare la verità su Yao Taman.
È facile dirlo col senno di poi, ma giuro che è la verità: non mi è mai piaciuto.

Lord Yao arrivò nelle Marche d’Argento quando ero bambina. Era così esotico, veniva dal lontano continente di Kara-Tur. Girava il mondo in cerca di conoscenze alchemiche, e prima di arrivare nei pressi di Silverymoon era già stato in diversi regni del continente, cercando un sodalizio con altri maghi e ricercatori.
Non sempre era stato ben accolto, nonostante il suo fascino. Non sono molti i viventi che si mostrano benevoli verso i vampiri.
Questa era una cosa che mi colpì subito molto: non fece mai nulla per nascondere la sua natura. Certo, non si presentò alle porte della città annunciando ‘Sono un vampiro’, anzi non si avvicinò alla città punto. Però quando arrivò alla tenuta del Ventesimo Miglio della famiglia Lesmiere, dove vivevano mio padre e mio fratello, non cercò in alcun modo di celarsi.
Non so con esattezza come cominciò la collaborazione fra quella creatura della notte e l’ottimista fratello minore del barone. Non so quali panzane rifilò a mio padre, ma doveva essere qualcosa sulla linea di Vorrei tornare umano, o più probabilmente, Vorrei ritrovare la mia indole umana pur mantenendo una natura sovrumana. Ecco, questa sì che sarebbe stata una sfida, per mio padre. Gli ingredienti c’erano tutti: una creatura bestiale ma con un intelletto superiore, un’indole aggressiva e assassina ma una morale più alta e tesa al bene. Questa, sicuramente, è la storia che mio padre voleva farsi raccontare, e che forse suggerì a lord Yao con i suoi atteggiamenti e le sue ipotesi.
Era davvero un uomo facile da ingannare, il mio vecchio, e talvolta mi chiedo se non ho ereditato questo difetto da lui. Nonostante tutto.

Avevo dieci anni quando, di ritorno alla tenuta del Ventesimo Miglio per le vacanze estive, ebbi il dubbio piacere di fare la conoscenza del vampiro. Non fu mai scortese o viscido con me, non a quei tempi, ma c’era qualcosa in lui che non mi convinceva.
Tornando alla mia affermazione iniziale, non mi è mai piaciuto, sospettai di lui fin dall’inizio.
E continuai a sospettare quando due anni dopo mio fratello ebbe un brutto incidente di laboratorio e morì mentre cercava di sintetizzare un acido. Secondo mio padre aveva sbagliato le dosi e questo aveva portato a una rapida evaporazione del composto, che aveva - non c’è un modo carino per dirlo - sciolto la faccia di mio fratello.
Molto comodo, dovrei dire, con il senno di poi. Molto comodo perché quando una persona viene messa sotto dominazione mentale, una scintilla di magia si può ancora cogliere nei suoi occhi, anche dopo la morte.
In quel momento non avevo i mezzi né le parole per accusare lord Yao di qualcosa, ma il mio istinto mi diceva che la morte di mio fratello non poteva essere accidentale. Mio padre non mi avrebbe ascoltata; ero solo una sciocca ragazzina sopraffatta dal lutto, e lord Yao gli rimase vicino nel cordoglio, come un perfetto amico e gentiluomo.
Solo anni dopo ebbi la conferma dalle labbra di Yao Taman che non mi ero sbagliata sulla morte di Malcer, ma me lo confessò solo perché era sicuro che a quel punto non avrei potuto fare più nulla contro di lui - aveva ragione, non potevo - e che avrei sofferto ancora di più conoscendo la verità. Ancora una volta, aveva ragione. Ne soffrii di più. Lui, invece, per i miei gusti non ha mai sofferto abbastanza.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Che altro c’è? ***


Capitolo 2: Che altro c’è?


860 DR, città di Silverymoon

‘Che altro c’è?’, questa era la cosa che mi sentivo ripetere più spesso da mio zio. ‘Ti ho dato un’istruzione, Erika Lesmiere, ti ho dato un tetto sopra la testa, ho soddisfatto ogni tuo capriccio, ora che altro c’è?’
Oh, giusto. Il mio nome è Erika Lesmiere, della Casata Lesmiere. E sì, per un periodo continuai a vivere con mio zio, il Barone, nel suo bel palazzo ai confini della città. Dopo la morte di mio fratello, mio padre si buttò ancora di più sul lavoro. Se mia madre fosse stata viva, ecco, forse non sarebbe successo, ma se mia madre fosse stata viva sono sicura che non si sarebbero nemmeno tirati in casa un vampiro.

Mio zio mi aveva cresciuta con un’educazione militare, ma non era pienamente soddisfatto di me. La mia infanzia e la mia adolescenza furono un inestricabile incasinato miscuglio di ferrea disciplina e vizio sfrenato. Può sembrare che le due cose siano in contraddizione, eppure una fanciulla di buona famiglia deve sapersi muovere a suo agio nel lusso, anche se il suo ambiente naturale è il campo di battaglia.
Avevo una collezione di bandoliere per coltelli e una collezione di cappellini da donna. Non mi era consentito indossarli nello stesso momento. Si può ben capire come tutto questo potesse generare un minimo di confusione nella mente di una quattordicenne.
Il motivo per cui muovevo spesso richieste eccentriche a mio zio era uno e uno soltanto: esasperarlo. Volevo che si stancasse di me. Volevo che mi rimandasse a casa da mio padre.
Volevo sostituire mio fratello e imparare l’arte dell’alchimia.
Ovviamente non potevo chiedere un simile favore a lord Trachyor Lesmiere. Quell’aspirazione era contraria al corso della mia vita che lui aveva già deciso per me. Quello che invece potevo chiedergli, era…
“Un cavallo nano del Rashemen? Che idea bislacca è mai questa?”
“Milord zio, compirò quindici anni fra poco… sei tu che mi hai invitata a pensare ad un regalo adeguato.”
“Un vestito nuovo sarebbe più adeguato.”
“Ma… i cavalli nani del Rashemen sono eccellenti nel salto, nelle marce su lunga distanza, e si dice che siano più coraggiosi dei normali cavalli. Ne vorrei tanto uno da portare in battaglia con me, se ce ne fosse necessità!”
“Ah! In battaglia. Tu non vedrai mai una vera battaglia, Erika. Sei una donna.”
Voglio un cavallo nano del Rashemen!” M’impuntai, sbattendo un piede a terra.
“Ci vorrebbe un anno di viaggio solo per farlo arrivare qui. Il tuo compleanno è fra un mese.”
“Milord zio, forse pagando un mago… o è una richiesta eccessiva?”
Oh, sì, lo era. Lo sapevo benissimo. I maghi avevano certe tariffe per quel genere di servizi… ma mio zio era troppo orgoglioso per ammetterlo. Sapevo di aver pigiato il tasto giusto, e avrebbe quantomeno preso contatti con un mago per inviare un servo in quella landa barbarica nell’est, per allacciare una trattativa commerciale e farsi vendere uno dei loro cavalli nani.
Insomma, avrebbe dovuto mettere in campo un bel po’ di risorse anche solo per capire come procurarsi il mio regalo, e non sarebbe stato affatto contento di scoprire che i cavalli nani del Rashemen nemmeno esistono. Me li ero inventati su due piedi, giusto per fargli sprecare un po’ di tempo.

Capii che aveva scoperto il mio inganno quando il giorno del mio compleanno venni svegliata all’alba con una secchiata d'acqua gelida e fui costretta a fare venti volte di corsa il giro del grande giardino del palazzo di mio zio, indossando solo la camicia da notte.
Più tardi quella mattina fui messa su una carrozza e spedita da mio padre come un pacco, perché mio zio non ne poteva più di avermi sotto gli occhi. Quindi, in un certo senso, avevo vinto io.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Le ricerche di mio padre ***


Capitolo 3: Le ricerche di mio padre


7° giorno di Tarsakh 860 DR, campagne vicino a Silverymoon

Quando tornai alla tenuta del Ventesimo Miglio, portando con me solo una piccola valigia e la disapprovazione di mio zio il Barone, scoprii che le cose non erano cambiate poi tanto negli ultimi mesi. Non vedevo mio padre dall’estate precedente e devo dire che non lo trovai in gran forma, era sempre più pallido e stanco. Per una volta non sospettai che dietro ci fosse lo zampino del vampiro: Rebran Lesmiere era sempre stato un lavoratore compulsivo, sposato alla sua scienza, che considerava il sonno come un orpello innecessario.
“Papà! Sono a casa!” Annunciai, lasciando cadere la a terra la valigia che impattò sul pavimento di legno, dando il via a una ragnatela di scricchiolii che riverberarono nell’atrio vuoto e anche su, per l’androne delle scale.
Nessuno mi rispose.
Trovai mio padre addormentato con la faccia sepolta fra le sue pergamene, nel laboratorio.
Il sole non era ancora calato del tutto, quindi ovviamente il vampiro non era in vista.
Cominciai, per curiosità, a farmi passare fra le mani le sue pergamene. Non ne sapevo molto di alchimia, solo le basi che avevo appreso praticamente per osmosi gironzolando intorno a mio padre e a mio fratello quando ero piccola. Tuttavia, anche al mio sguardo di profana, sembrava roba interessante. Stava davvero riuscendo a produrre un siero che potesse modificare entro una certa misura la fisiologia e la natura di un vampiro.
In quel momento, in qualche modo, qualcosa scattò. L’alchimia smise di essere solo quella roba che teneva sempre impegnato mio padre, e per la prima volta ne vidi la bellezza.
È vero che già in passato avevo accarezzato l’idea di diventare apprendista di mio padre - dopotutto era quello il motivo per cui volevo spingere zio Trachyor a cacciarmi da casa sua e farmi tornare nella tenuta di campagna con il mio vecchio - ma per la prima volta le mie motivazioni erano sincere, scientifiche. Fino a quel momento avevo desiderato di padroneggiare l’alchimia solo per potermi riavvicinare a mio padre, per avere un terreno comune su cui ricostruire la nostra famiglia. Ora, che ne avevo davanti agli occhi gli incredibili frutti, stavo cominciando a interessarmi all’alchimia per quello che era.

Non fu difficile convincere mio padre a prendermi come apprendista. La scomparsa di mio fratello l’aveva privato di un successore, e l’aveva anche lasciato molto solo. Entrambi sapevamo che il Barone, il capofamiglia, non avrebbe approvato, quindi il mio apprendistato doveva restare un segreto. In teoria non avremmo potuto restare insieme molto a lungo, ma avrei cercato di guadagnare tempo, in qualche modo. Se mio zio mi avesse richiamata in città, mi sarei resa ancora più insopportabile. E se avesse anche solo contemplato l’idea di trovarmi dei pretendenti - a quindici anni ero diventata maritabile - avrei saputo ben io come fargli fare qualche passo indietro.
Purtroppo c’era un risvolto, nell’intera faccenda, che non avevo considerato. Avevo quindici anni, per la società ero una donna, ma non ero molto esperta del mondo. Non conoscevo il torbido animo umano, né avevo capito che tutti, tutti i più vili istinti vengono accentuati quando un umano viene mutato in vampiro.
Non pensavo, in poche parole, che i vampiri potessero sentire l’istinto dell’accoppiamento carnale. Lord Yao non poteva avere buone intenzioni verso mio padre, verso la mia famiglia, verso il mondo; questo lo sapevo da sempre, sospettavo che sotto sotto fosse una persona laida. Ma non avrei mai immaginato che la mia presenza alla tenuta del Ventesimo Miglio avrebbe precipitato le cose tanto in fretta, o tanto rovinosamente.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Una fine, un inizio ***


Capitolo 4: Una fine, un inizio


29° giorno di Eleasis 861 DR, campagne vicino a Silverymoon

Resistette per più di un anno, di questo bisogna dargliene atto.
Se adesso ci ripenso, a distanza di secoli, riesco a guardare l’intera vicenda come un quadro molto brutto che mi suscita solo un moto di disgusto, una punta di desolazione, e l’inevitabile sollevarsi di un sopracciglio. È un commento cinico, ma necessario: devo dargliene atto, Yao Taman resistette per più di un anno prima di ficcarmi le zanne nel collo.
E qualcos’altro, in qualche altro posto.
Mio padre l’avrebbe impedito, o almeno ci avrebbe provato, ma mio padre era morto.
Credo che sia stato questo a trattenere il vecchio porco per tanto tempo, in fin dei conti, la sua grettezza e cupidigia: voleva il composto a cui mio padre stava lavorando ed ebbe la pazienza di aspettare che fosse pronto, prima di cedere ai suoi bassi istinti.
Voleva me, la freschezza dei miei sedici anni. Voleva una vergine, lo sa il cielo perché gli uomini siano così fissati con le vergini, e alla fine che cos’è un vampiro se non un uomo molto vecchio e molto incancrenito nelle sue perversioni? Voleva anche il lavoro di mio padre, che gli avrebbe permesso di camminare sotto il sole e di disfarsi di molte delle limitazioni dei vampiri, e in teoria anche di riappropriarsi del suo animo umano.
Quello che mio padre non aveva capito, era che il suo animo non sarebbe cambiato poi tanto. Yao Taman era un uomo malvagio e corrotto, lo era da prima di diventare un vampiro. Non era una creatura dannata in cerca di salvezza, era solo in cerca della libertà dai suoi limiti fisici e dal giogo mentale delle ossessioni dei vampiri.

Il composto di mio padre non era perfetto.
Povero, povero vecchio sciocco Rebran Lesmiere. Lo aveva anche detto, al suo vecchio amico e ospite: ‘il composto non è ancora perfetto’.
Ma qualcosa, forse, mio padre stava iniziando a sospettare. Forse aveva visto di sfuggita, una volta o due, il modo in cui lord Yao mi guardava. Credevo che mio padre avesse in testa solo le sue alchimie, ma forse sbagliavo, forse un uomo sa riconoscere la scintilla da predatore negli occhi di un altro uomo. Per questo, mentì sul composto alchemico. Gli disse, è vero, che non era perfetto, ma non gli disse che avrebbe grandemente depotenziato le sue capacità di vampiro.
Non sono sicura del motivo per cui Yao Taman uccise mio padre, forse perché aveva capito che l’alchimista cominciava a sospettare, a non fidarsi più completamente di lui. Forse decise che un composto parziale gli bastava, era sufficiente per poter passare il testimone a me, l’apprendista intelligente e svelta. Una volta ucciso mio padre e trasformata me in una progenie vampirica, sarei stata la sua schiava. Se lui mi avesse ordinato di completare e perfezionare il composto, non avrei potuto esimermi dall’obbedire.
Qualcosa, però, non andò per il verso giusto. Il porco era molto soddisfatto di aver portato il suo piano malvagio a un livello successivo. Era soddisfatto di avermi presa con la forza, mentre attaccato al mio collo mi succhiava anche la vita. Così soddisfatto che alla fine non si accorse che non ero ancora morta.
Avrebbe dovuto seppellirmi. Avrebbe dovuto avere la comune decenza di seppellirmi. È così che nascono i vampiri e le progenie vampiriche, di solito, ma non è strettamente necessario. È sufficiente morire lontani dal sole, e lui aveva portato a termine il suo truce lavoro nei sotterranei della magione, nelle sue stanze private, vicino al laboratorio che era stato di mio padre. Era talmente soddisfatto che non si accorse che ero ancora viva al sorgere del sole, quando lui venne colto da quella sonnolenza, quella debolezza che intontisce i vampiri durante le ore diurne. Mi sono chiesta spesso se questo accada sempre e ovunque, o solo ai vampiri che dormono così vicini alla luce del sole, ad appena un pavimento di distanza dall’aria fresca. Ma in quel frangente non indugiai in simili pensieri. In quel frangente stavo solo lottando per restare viva un momento in più, per fare solo un passo in più.
Oh, vorrei poter dire che camminai fino al laboratorio di papà, che era solo a un corridoio di distanza. La verità è che ci strisciai. Ero così debole, stavo sicuramente morendo, se mi fossi alzata in piedi sarei svenuta. Ma riuscii ad arrivare al laboratorio in qualche modo, mettendo da parte l’orgoglio e concentrandomi solo sull’odio che provavo, sulla rabbia.
La rabbia che si rinfocolò quando dovetti scavalcare il cadavere di papà per arrivare alla sua scrivania, al cassetto con doppiofondo in cui nascondeva l’unica fiala del siero che aveva creato.
Per fortuna quel cassetto non era molto in alto, o non ce l’avrei fatta. L’aprii, con mani deboli e tremanti. Non so nemmeno io come riuscii a far scattare il doppiofondo. La fiala era tiepida al tatto, il tappo venne via senza troppe storie, e senza esitazioni mi cacciai tutto il liquido violetto in bocca. Avevo imparato a bere senza fermarmi a respirare, nelle sciocche feste eccentriche a cui avevo partecipato come nipote di un barone. Sembrava passata una vita. Sarebbe presto passata una vita.
Morii sul pavimento, ma con la speranza di risvegliarmi come qualcosa di diverso. Non una progenie vampirica, non una schiava senza volontà. Qualcos’altro.
Prima di spegnermi lasciai rotolare la fiala vuota sotto la scrivania, sperando che il bastardo non la trovasse, che non capisse quel che avevo fatto. Poi divenne tutto nero.

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