I vampiri educati sorridono a bocca chiusa

di MarcieMame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo — Hepsbury Lane, 24 ***
Capitolo 2: *** L’uomo del mistero ***
Capitolo 3: *** Oltre la porta viola ***
Capitolo 4: *** In Viaggio col Vampiro ***
Capitolo 5: *** Epilogo — Sherry e neve ***



Capitolo 1
*** Prologo — Hepsbury Lane, 24 ***


I vampiri educati sorridono a bocca chiusa


Prologo — Hepsbury Lane, 24

Ci sono molte vecchie case, a Londra. Ville magnifiche dai portoni color ebano, con numeri civici d’ottone e vezzosi barboncini che scorrazzano in prati ben curati dalle alte siepi innevate; piccole villette a schiera con portoncini colorati, facciate dipinte di bianco o graziosi mattoni a vista, dalle cui finestre si possono scorgere cocker acciambellati davanti a caminetti accesi. Antichi complessi dai mattoni rossastri, cancelli neri e ampi cortili, in cui grossi mastini riposano oziosi nelle loro cucce riscaldate.

E anche Hepsbury Lane aveva le sue.

Il numero 37, per esempio, vantava una deliziosa porta gialla su cui, nel periodo natalizio, non mancava mai una festosa ghirlanda. Al suo interno la famiglia Park era sempre impegnata in qualche discussione, ma alle sei in punto, tutte le sere, si riuniva per cena nell’affollata sala da pranzo, con un piccolo maltese che si agitava da sotto le sedie, molestando gli astanti.

Al numero 56 abitava la signora Hallewell, che dieci anni prima aveva convertito la casa in un grazioso bed and breakfast, e alle nove del mattino, puntualissima, saliva le scale per bussare alle camere degli avventori, offrendo un vassoio per la colazione, seguita dal suo largo, pigro basset hound.
 
Ognuna di queste case ha la sua storia, e certamente se fossimo andati a ficcare il naso nello sgabuzzino della signora Hallewell o nella cucina dei Park avremmo trovato molti segreti interessanti da raccontare.
 
Ma è necessario andare un po’ più in là, fino al numero 24, per trovare la casa dal portoncino verde.
Il portoncino in sé non faceva una gran figura, bisognoso com’era di una riverniciata, e il pomello a forma di grosso fiocco panciuto annunciava una desolante mancanza di buongusto.
I muri tutt’intorno erano un po’ sbeccati, invecchiati dal tempo e a tratti dall’intonaco scrostato. La tettoia era decisamente storta.
 
Il cane del numero 24 si chiamava Fitzgerald. Era uno scottish terrier.

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Capitolo 2
*** L’uomo del mistero ***


1 — L’uomo del mistero

Il nuovo inquilino del numero 24 di Hepsbury Lane era decisamente misterioso. A partire dal suo arrivo, tredici mesi prima, Martha non era mai riuscita a dargli un’occhiata, né lui si era mai disturbato a presentarsi. E siccome la casa apparteneva a una zia di Martha, anche se una lontana, lei considerava che sarebbe stato giusto e cortese farlo.
Essendo un’insegnante delle elementari non scusava facilmente la maleducazione, ma in tutta franchezza era ben altro a darle da pensare.

Spesso, la sera, sentiva il suono di un pianoforte provenire dal piano di sopra, ma non le sembrava che il precedente inquilino ne avesse mai avuto uno, e quando quello nuovo si era trasferito lo aveva fatto così in fretta da farle domandare se possedesse alcunché.

Ogni tanto, quando tornava a casa dal lavoro, lanciava un’occhiata alla finestra alta, solo per notare una strana luce, non dissimile da quella di uno fuoco scoppiettante; ma questo era decisamente impossibile, visto che la casa non aveva mai avuto un camino.

Un paio di volte avrebbe giurato che più di due piedi stessero percorrendo a gran passi il pavimento, o aveva addirittura sentito ridere, discutere o persino cantare sonoramente molte voci diverse.
Nonostante ciò, non importava quanto a lungo restasse sveglia, spiando tra le tende, non aveva mai visto nessuno entrare o uscire dalla casa.

Era così piena di curiosità da prendere l’abitudine di sedere sulla poltrona proprio di fianco alla sua porta d’ingresso, correggendo i compiti degli studenti mentre aguzzava le orecchie per un qualunque suono proveniente dall’appartamento di sopra, o sperando di udire il leggero scricchiolio delle scale dell’atrio.
Ma non importa quanta attenzione facesse, per più di un anno l’uomo del mistero non fece mai la sua apparizione.

 
Quando Martha si svegliò, la mattina di quel 5 dicembre, si prospettava una giornata fredda. Il cielo fuori dalla sua finestra era basso, bianchissimo, e prometteva la prima nevicata d’autunno. Rimase seduta nel letto per un paio di minuti, fissando la finestra.
Fitzgerald alzò la testa dalla sua cuccia di plaid, con quella sua solita aria altezzosa, come a dire “ah, era ora che ti svegliassi, pigrona”.

Sbadigliando, Martha infilò le pantofole di lana, scivolò dentro la calda vestaglia di pile, e si trascinò verso la piccola cucina. Aveva ancora dei piatti da lavare, visto che la sera prima non era riuscita a trovare la voglia di farlo, ma in compenso, sul tavolino quadrato, spiccava una pila ordinata di fogli con vivide note rosse appuntate in una grafia ordinata. Frugò nel frigorifero tirando fuori un paio di uova, e mise a tostare il pane, per poi versare la colazione anche a Fitzgerald, che era emerso dalla camera con il suo solito passo compunto.

“Ecco, milord, si serva pure” sbadigliò, e mentre la colazione si cuoceva inforcò gli occhiali e ciabattò svogliatamente fuori dal suo appartamento per procurarsi la copia giornaliera del Times, con una presina ancora in mano e i capelli, striati di grigio, aggrovigliati in una treccia disfatta.

Gli interni del numero 24 non erano né nuovi, né belli, né molto ben tenuti. Una lisa moquette gialla, che offendeva l’occhio già quando era nuova, ricopriva tutto il pian terreno e le strette scale che portavano a quello superiore. Il sottoscala era occupato dalla caldaia, in barba a ogni norma di sicurezza vigente, e ciò faceva sì che d’inverno, nelle giornate particolarmente umide (ossia, per gli standard di Londra, praticamente sempre) dai gradini emanasse un leggero vapore. Ne risultava che l’unica finestra del pian terreno fosse sempre un po’ appannata, donando un’aria ancora più lugubre all’ambiente, appena illuminato dalla luce lattiginosa del mattino.

Stava trascinandosi lungo la moquette, quando all’improvviso sentì qualcosa di orrendamente gommoso sotto una delle pantofole, seguito da un terribile suono viscido. Fece un salto indietro, rischiando di inciampare sulle scale, e guardò in basso con giustificato terrore.

C’era qualcosa, una piccola sagoma bitorzoluta all’angolo del primo gradino. Con un po’ di apprensione si chinò, aguzzando la vista, cercando di capire che cosa potesse essere. D’un tratto la sagoma sobbalzò.

Martha tentò contemporaneamente di urlare e trattenere il fiato, il che risultò in convulsi colpi di tosse e lacrime brucianti.

Un rospo! Cosa ci faceva un rospo sulle scale di un appartamento al centro di Londra? Non era sicura neanche di averne mai visto uno di persona, ma era certa che di solito si trovassero in pozze d’acqua fangosa o giardini umidi o cose del genere. Invece eccolo lì, piccolo, marroncino, viscido e decisamente bitorzoluto, con gli occhietti sporgenti semichiusi.

Il rospo si mosse di nuovo, stavolta più debolmente, e Martha sentì un’improvvisa ondata di panico travolgerle la spina dorsale. Il senso di colpa di aver potenzialmente ucciso una povera creatura che stava solo cercando di fare le scale, peraltro molto ripide, la inondò senza preavviso, e si ritrovò a mugugnare saltellando da un piede all’altro in modo ben poco dignitoso.

“Oh! Oh! Cosa faccio? Che cosa faccio?!”

Fu colta da un lampo di iniziativa, e preso il coraggio a due mani, in questo caso sotto forma di presina a fiori, afferrò la creatura. Era più fredda e più leggera di quanto pensasse. Completamente impreparata, l’unica cosa che riuscì a fare fu lanciarsi lungo l’impulso del momento e precipitarsi di corsa lungo le scale, per poi bussare freneticamente alla porta dello sconosciuto, misterioso vicino.

“Ehilà! C’è nessuno? È permesso? C’è…?”

Dopo qualche secondo la porta si spalancò, senza far rumore, il che provocò a Martha l’ennesimo spavento della mattinata.
Sulla soglia c’era un uomo basso e tracagnotto, con occhialetti da vista ovali, un grosso naso rosso da gnomo e un sorriso cordiale.

“Ah, buongiorno a lei, signorina. Come posso esserle utile?”

Martha lo fissò trasecolata, guardando il rospo, poi l’omino e poi di nuovo il rospo.

“Io… lei… le scale…”

Anche lo sguardo dell’uomo si posò sul rospo, e aggrottò la fronte, contrito.

“Ah” commentò “vedo che Francis ha di nuovo tentato di darsi alla macchia. Parola mia, è più sfuggente di Sirius Black in persona- ma venga dentro, mia cara, non resti lì sulla porta. Gradisce una tazza di tè?”

Costernata, Martha fece cenno di sì con la testa, che ronzava di mille domande.

La prima delle quali sicuramente era: ma la porta del piano di sopra, era sempre stata viola?

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Capitolo 3
*** Oltre la porta viola ***


2 — Oltre la porta viola

Il tanto misterioso signor Worple, si ritrovò a scoprire, era un uomo frizzante, allegro ed eccentrico. Aveva ringraziato Martha per avergli restituito il suo rospo, glissando sull’accidentale calpestamento, e si era mostrato molto interessato al fatto che lei avesse un cane, come se fosse quello l’animale domestico stravagante, e non un anfibio.

Le aveva poi offerto un tè molto forte, preparato in un tempo incredibilmente breve, e aveva riso quando Martha, riavutasi dalla tremenda figura appena fatta, aveva chiesto timidamente da dove venisse il bel pianoforte verde smeraldo che svettava, maestoso, lungo la parete dell’ingresso.

“Beh, mia cara, certamente non è uscito dal camino! Altro tè?”

Worple aveva un modo ammiccante da vecchio professore di rispondere alle domande che la rendeva completamente incapace di insistere, e la faceva sentire esattamente come uno dei suoi studenti quando si rendevano conto di aver fatto una domanda inopportuna.
Stava giusto ragionando su quando quella sensazione fosse assolutamente ridicola, quando lui si era messo ad annusare l’aria, interdetto.

“Dica un po’, sente mica odore di bruciato?”

E così Martha era dovuta correre giù dalle scale, i suoi dubbi ancora irrisolti, a recuperare dal fornello i resti carbonizzati della sua colazione, mentre Fitzgerald la guardava con giudizio.
 
 
Erano passate un paio di settimane da quello stravagante primo incontro. Dicembre si era allungato su Londra, con le sue nevicate improvvise e le sue implacabili ghiacciate, e i bambini della classe di Martha, annusando aria di vacanze Natalizie, stavano dando il peggio di sé.

Quel giorno il piccolo Timmy Brice aveva tagliato una delle trecce di Matilda Stevens, causando una rivolta femminista che aveva coinvolto quasi tutte le bambine della classe. A fine giornata Matilda era in piedi su un banco sventolando la treccia come una bandiera e urlando “Basta ai soprusi!”.

Martha si era quasi sentita in colpa nel chiamare a casa della bambina, soprattutto davanti a quelle terrificanti occhiate che sembravano darle della traditrice. E il pomeriggio si era dovuta subire la battaglia tra i rispettivi genitori, che avevano sbraitato lungamente l’uno contro l’altro, usando di quando in quando lei come riluttante arbitro. E non era l’unica telefonata che, quel giorno, aveva portato cattive notizie.

Quando riuscì ad arrivare a casa, quel pomeriggio, il sole era già calato. Ebbe non poche difficoltà a parcheggiare la sua umile ford fiesta lungo il vialetto, e si era divette aggrappare con forza allo sportello per evitarsi un tremendo scivolone sul marciapiede ghiacciato.
Avvolgendosi nello sciarpone di lana e imprecando mentalmente contro tutti i genitori del mondo, trafficò brevemente con le chiavi fino ad aprire, finalmente, il portone di casa.

Scivolò all’interno non senza una notevole dose di sollievo, e si tolse gli occhiali appannati dal calore per pulirli distrattamente. Quando li inforcò, però, temette scioccamente di averli rovinati, perché improvvisamente era tutto blu.

La carta da parati del numero 27, come quasi tutta la sua tappezzeria, risaliva agli anni ’70 e, da che lei ricordava, era sempre stata decorata da un deprimente motivo ad arabeschi marroni.

Martha non era il tipo di persona da spendere troppo tempo pensando agli arredi, soprattutto se si trovava in un posto in cui non doveva pagare l’affitto, ma persino lei si dovette rendere conto che detta carta da parati, per buona metà del piano terra, era cambiata, e ora raffigurava un bluastro, allegro e luccicante cielo stellato.
Sbatté un paio di volte le palpebre, e poi, senza ragione, si guardò intorno, come se un imbianchino col secchio in mano potesse sbucare da dietro la caldaia con una spiegazione logica.

Quella mattina, quando era uscita di casa, la carta da parati era la stessa di sempre, ne era più che sicura.
Ma lo era davvero? Il dubbio si insinuò nella sua mente, e corrugò la fronte, cercando di ricordare. D’altronde quante possibilità c’erano che, ancora assonnata, non avesse notato il cambiamento?  Dal piano di sopra si udì uno strano rumore, come un sonoro “pop”, e Martha alzò il naso in aria, circospetta.

Che fosse opera sua? L’idea che l’ammiccante, simpatico signor Worple avesse approfittato della sua assenza e si fosse permesso di commissionare lavori non autorizzati la colpì come un fulmine a ciel sereno. Come osava! Per tutto quel tempo, masticando la sua curiosità, ne aveva rispettato la privacy, ma ora che ci pensava, l’uomo al piano di sopra poteva essere chiunque!

Senza mettersi a riflettere si lanciò su per le scale a passo di marcia.
Era tempo di venire a capo della questione una volta per tutte. Non avrebbe permesso che si prendessero gioco di lei in quel modo, nossignore, non quando c’era un’intera classe di ragazzini, in una scuola di periferia, che temeva il suo verbo come fosse il Methatron!
 
 
“Ma mia cara signorina” fu la risposta di Worple … “ho pensato che anche lei dovesse trovare quella di prima assolutamente deprimente, terribilmente di cattivo gusto. Non è d’accordo?”
Era nuovamente stata invitata ad entrare e a sedere su una vezzosa poltroncina di velluto a coste e le era stata ficcata in mano una nuova tazza di tè fumante, a cui ora si aggrappava come un’ancora di salvezza di fronte a quella risposta assolutamente folle.      

“Signor Worple” iniziò, abbastanza spazientita da non lasciare che i modi affabili dell’uomo la facessero vacillare “questo è assolutamente irrilevante! La proprietaria di quest’abitazione- “

“Oh, intende la cara Bertha” interruppe lui, frizzante “sì, mi aveva accennato al fatto che l’immobile fosse un po’, beh, datato, ma io le ho detto ‘non preoccuparti Bertha, niente che non possa essere sistemato a tempo debito’, proprio così!”

La notizia che Worple conoscesse la sua prozia in termini così amichevoli lasciò Martha completamente sconcertata, con ancora la tazza di tè completamente intatta tra le sue mani.

“La zia non mi aveva accennato al fatto che vi conosceste, signor Worple. Anzi, non mi aveva proprio parlato di lei” disse infine, dopo un breve silenzio cogitabondo.

“Beh, signorina, lei sa com’è la cara Bertha” si giustificò lui, ora soppesando le parole “una donna adorabile, senza dubbio, ma in quanto a memoria…” e alzò gli occhi al cielo con un sorrisetto condiscendente. 

“È certamente molto cara” rispose Martha “in realtà ci conosciamo a malapena, ma mi ha sempre mandato regali di Natale, anche se devo dire che nel tempo si sono fatti sempre più bizzarri. L’anno scorso, per esempio, mi ha regalato un grappolo di scarafaggi”

Worple quasi si affogò nella sua tazza di tè a quelle parole, e Martha scattò in piedi allarmata vedendolo tossire convulsamente, ma si sedette, sconcertata, quando capì che stava ridendo fino alle lacrime.

“Mi perdoni” rispose lui, quando si fu ripreso “dev’essere stato sconcertante. Conosco Bertha da tanti anni, da quando lavoravo alla Gazzetta… come redattore, sa”

“Oh” Martha bevve un sorso di tè, sentendo di nuovo quella strana sensazione, come se fosse arrivata impreparata a un test “quindi lei è uno scrittore?”

“Perbacco!” rispose Worple “beh, forse non le capiterà di vedere la mia faccia sui cartelloni… il che non è una cattiva idea, d’altronde nessuno ci tiene spaventare i clienti. Ma se è rimasta incollata alle pagine di ‘In viaggio col Vampiro’, è me che deve ringraziare. O pensa davvero che un puffskin pomposo come Gilderoy Allock sia davvero riuscito di sfornare trecento pagine di best seller in appena un mese? Ah! Tra aggiustarsi i bigodini e ammiccare a qualunque cosa somigli lontanamente a un obbiettivo non ha un attimo di tempo libero, povero ragazzo.”

Martha non aveva la minima idea di chi fosse quell’Allock, ma il signor Worple sembrava credere si trattasse di un individuo famoso, e preferì non contraddirlo.

“Temo di non aver avuto il piacere di leggere il suo libro. È reperibile da Foyles?”

Fu il turno del suo interlocutore di guardarla con assoluto sconcerto. Dopo qualche secondo, però, ridacchiò di nuovo, come a una battuta che aveva capito solo lui.

“No, temo proprio di no, ma è molto gentile a interessarsi. Vedrò se sarà possibile farle avere una copia, mi piacerebbe molto sentire la sua opinione”

A questo punto successe qualcosa di molto buffo, e Martha, una donna adulta e, a suo parere, non particolarmente emotiva, si trovò ad arrossire come una scolaretta.

“Beh, si è fatto tardi” disse in fretta, posando la tazza di tè sul tavolino che li divideva “temo di dover andare. La ringrazio per la cortesia”

“Immagino che non le andrebbe di restare per cena?” domandò Worple, con un sorrisetto che in qualche modo la allarmò immensamente.

“No” rispose, per poi rendersi conto di essere stata brusca “voglio dire, la ringrazio molto per l’invito, magari un’altra volta”

“Beh, ci conto” rispose lui, allegro, e con suo grande allarme, Martha si trovò a pensare che non sembrava poi tanto un grosso gnomo.

“Arrivederci, cara vicina”

“Arrivederci” sfiatò lei, e si diede alla fuga.

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Capitolo 4
*** In Viaggio col Vampiro ***


3 — In Viaggio col Vampiro

Quando Martha si svegliò, la mattina dopo, lo fece con uno strano spirito allegro. Si alzò canticchiando un motivetto natalizio, strofinò la testa di Fitzgerald (in un modo che lui trovava molto poco dignitoso), e per colazione preparò salsicce e pane tostato.

Ci mise qualche minuto a capire la ragione del suo buonumore, e quando lo fece si voltò orripilata verso il cane, che la guardava con vaga aria di rimprovero.

“Oh no, Fitzgerald. Sono troppo vecchia per queste cose”

Lui, per tutto contro, piegò la testa da un lato. I cani non sono molto bravi a comprendere certi drammi esistenziali.

Martha scivolò in direzione della porta, sospirando, per recuperare il Times. Dallo sfortunato incidente col rospo aveva iniziato a fare molta più attenzione a dove metteva i piedi, e fu per questo che notò subito, davanti al portoncino, un piccolo pacchetto dalla festosa carta regalo dorata. Era parzialmente coperto dal giornale, e li raccolse entrambi, corrugando le sopracciglia.

Attaccato al pacco c’era un biglietto viola.
 
Cara vicina,
Sono di fatto riuscito a recuperare il volume di cui abbiamo discusso, e sarei davvero felice di sentire la sua opinione a riguardo, se sarà così gentile da leggerlo.
Un caro saluto,
Eldred Worple

Martha si sorprese ad arrossire di nuovo, e rientrò in casa con una certa fretta, stringendo il pacchetto contro la vestaglia.
Lo poggiò sul tavolino di fianco all’imponente poltrona del salotto e lo fissò per qualche secondo, picchettando il pianale del tavolo con le dita. Poi, con una scrollata di spalla e un gesto brusco, come a scacciare una mosca fastidiosa, andò a recuperare la colazione ormai pronta.

Si sedette al tavolino e, senza accorgersene, finì per fissare il pacchetto mentre mangiava.

“D’accordo” disse a mezza voce “d’accordo, Fitzgerald. Niente che non possa aspettare fino a dopo la nostra passeggiata, giusto?”

Ma lui era già alla porta, educatamente seduto con il guinzaglio in bocca.

Fu una passeggiata breve, e Martha fallì nel notare come il ghiaccio scintillasse lungo i cancelli della strada, rendendoli luccicanti. Non notò come i Park avessero decorato il loro giardino con un maestoso albero di Natale, né che dal bed and breakfast della signora Hallewell provenisse un paradisiaco profumo di biscotti allo zenzero.

Tutto questo era solo uno sfondo, mentre camminava a passo svelto, il naso affilato tinto di rosso dal freddo pungente, gli stivaletti bagnati di neve che marciavano impazienti.

Quando fu di ritorno al numero 24, entrò quasi di corsa attraverso il portoncino verde dall’orrida maniglia a forma di fiocco panciuto, e si precipitò in casa senza nemmeno preoccuparsi di dare una pulita a Fitzgerald.

Si sedette di volata sulla sua poltrona, afferrò il pacchetto dorato dal tavolino e lo scartò con la massima cura.

Il volume al suo interno recitava:
 
In viaggio col Vampiro – un’altra straordinaria avventura di Gilderoy Allock

La strana foto di un uomo dall’aria frivola svettava in copertina, anche se somigliava in modo bizzarro ad un fermo immagine. Aprì il libro un po’ assorta e, quasi senza accorgersene, prese in mano la penna rossa.
 

Era ormai sera quando alzò gli occhi dal libro. Aveva acceso l’abatjour del tavolino sovrappensiero, quando era diventato troppo buio per leggere tenendosi a una distanza dignitosa dalle pagine, ma aveva completamente dimenticato di pranzare.

Ora fissava il libro, perplessa e strabiliata. Un volume assolutamente bizzarro. Quando il signor Worple aveva detto di essere uno scrittore, non si era immaginata che si dedicasse alla narrativa fantastica! Da quel che aveva capito, questo Gilderoy Allock doveva essere il protagonista di una serie di libri (il che spiegava perché non avesse colto tanti riferimenti).

Lanciò un’occhiata al grosso orologio di legno appeso sulla parete di fronte a lei. Erano già le nove passate, decisamente troppo tardi per far visita al vicino.
Si morse distrattamente le labbra sottili, fissando lo strano, meraviglioso tomo che aveva assorbito il suo intero pomeriggio. Così tante domande da fare…
Sarebbe stato molto buffo, se qualcuno avesse guardato dalla piccola finestra del numero 24, e avesse notato una donna sulla cinquantina sgattaiolare, quatta quatta, su per le scale dell’atrio, munita di vestaglia in tartan, pantofole di lana e un misterioso volumetto sottobraccio.

E ancora più buffa sarebbe risultata un paio d’ore più tardi, quando avesse ripetuto l’operazione con quello che sembrava proprio essere una grossa scatola di biscotti alla cannella, seguita da un piccolo cane nero.

Ma nulla, a un osservatore casuale, sarebbe parso più ridicolo della sua espressione quando si fosse fatta sorprendere da una porta aperta e da una voce simpatica che interloquiva “Buonasera, cara vicina. Posso chiederle cosa la porta ad acquattarsi sul mio zerbino a quest’ora della notte?”

Dall’interno dell’abitazione provenne l’inconfondibile fischio di una teiera, mentre Martha boccheggiava, il viso color mattone e l’espressione di chi è stato trovato con le mani immerse in un barattolo di marmellata.

“Io… ho portato i biscotti”

Rispose con un fil di voce, e Worple la premiò con una risata tonante, per poi notare il volumetto ordinatamente riposto sullo zerbino, accanto ai suoi piedi calzanti pantofole di tweed.

“Ah, vedo che non ha portato solo quelli. Il libro non è stato di suo gradimento?” domandò, un po’ perplesso.

“Al contrario!” esclamò Martha, e fu premiata da un nuovo, largo sorriso.

“Beh, l’ora è un po’ tarda, ma io temo di essere un animale notturno, dunque mi scuserà se mi permetto di invitarla ad assaggiare quei famosi biscotti?”

 
Per la terza volta in poco tempo, Martha si ritrovò seduta nel soggiorno del vicino, su una vezzosa poltroncina, con in mano un’enorme tazza di tè fumante. Di fianco a lei, un enorme camino dal fuoco scoppiettante riscaldava l’ambiente, e Fitzgerald si era addormentato lì di fronte nel momento in cui si era sdraiato, con grande delizia e meraviglia di Worple.

“Dunque, noto che ha sicuramente qualcosa da dire” commentò lui, con il libro aperto davanti a sé, così gonfio di foglietti e annotazioni da aver duplicato il suo volume.
“Spero che non le dispiaccia, signor Worple” disse lei, un po’ ansiosa.

“La prego, mi chiami Eldred”

Lei si costrinse a non arrossire “Ma certo… è solo che mentre leggevo mi sono venute in mente tante domande. Per esempio, è una scelta bizzarra l’avere come protagonista una persona reale, quando si tratta di un libro di fantasia. È una mossa pubblicitaria?”

“Si può dire così, sì”

“E poi ci sono tutti questi riferimenti all’ambientazione, ma non vengono mai spiegati, come se il lettore dovesse già conoscere tutti i dettagli, per qualche motivo. L’ho trovato un po’ strano”

“Ah, ma per questo ho una spiegazione” rispose Eldred, gli occhi luccicanti “si tratta, diciamo, del quarto libro della serie. I dettagli di cui parla sono spiegati in precedenza, sa.”

“Oh” fece Martha, rinfrancata “sì, questo… questo… quello cos’è?!”

Il suo tono improvvisamente molto acuto fece sobbalzare Eldred, che si voltò nella direzione da lei indicata con mano tremante, aggiustandosi gli occhialetti, chiaramente confuso.

“Quello cosa, mia cara?”

Domandò, spaesato.

“Quello! Laggiù nell’angolo! È un… È un vampiro!”

Nonappena ebbe pronunciato quelle parole, però, si rese conto di quanto fossero completamente folli.
Eppure non aveva potuto farne a meno. Qualcosa, nella sua mente, aveva istantaneamente collegato lo sconosciuto, che pareva essersi materializzato dalle ombre della tenda, al personaggio del libro di Eldred. Alto, pallidissimo, incredibilmente emaciato, con profonde occhiaie violacee e occhi neri, se ne stava impalato in un angolo a seguire attentamente la loro conversazione senza emettere suono.

“Oh, si riferisce a Sanguini. No, ma certo che no, Sanguini, vieni a presentarti alla signorina, da bravo” Rispose Eldred, con una risatina un po’ esitante, facendo cenno allo sconosciuto di avvicinarsi.

“No, io non…”

Provò a protestare Martha, ma venne nuovamente interrotta, mentre il signor Sanguini si avvicinava prontamente, con passo un po’ rigido.

“No no suvvia, non si preoccupi, è un ragazzo estremamente bene educato… no, niente baciamano, ehm… Vede, sto scrivendo un nuovo libro… o meglio, progetto di farlo, e Sanguini, qui, è così gentile da darmi una mano. È italiano, sa.”

A quanto pare l’essere italiano avrebbe spiegare tutte le stranezze del signor Sanguini, che ora guardava in modo molto insistente il colletto della sua camicia, seduto sul divanetto di fianco a Eldred. Martha non ne sapeva molto di italiani, ma d’altronde non ne sapeva neanche molto di vampiri, eppure aveva appena accusato un completo sconosciuto di essere uscito da un romanzo di Bram Stoker.

Si affrettò a cambiare discorso, pur continuando a tenere d’occhio il signor Sanguini, che sedeva ben dritto, mani incrociate sulle gambe come un bravo scolaro, sorridendo a bocca chiusa.

“Oh, ehm, non sapevo avesse ospiti”

“Sanguini è stato il mio consulente speciale mentre scrivevo il libro che ha in mano. Mi ha decisamente aiutato con una serie di dettagli fondamentali. Non è vero, Sanguini? E ora che mi sto dedicando a un nuovo progetto ha acconsentito a proseguire la nostra collaborazione”

“Senza di me Allock avrebbe dovuto pubblicare ‘in viaggio con i bigodini’” bofonchiò Sanguini, con una voce inaspettatamente profonda, e Martha, suo malgrado, si trovò a ridacchiare.

Eldred la fissò per un paio di secondi, apparentemente allibito, ma poi diede seguito alla risata.

“Ma guardate che ore si sono fatte! È quasi mezzanotte, qui ci vuole un brindisi.”

Martha lanciò un’occhiata all’enorme orologio a pendolo che svettava all’angolo della stanza. Senza rendersene conto era arrivata la mezzanotte, e con lei, di soppiatto, la Vigilia di Natale.

Dalla cucina arrivò la voce soffocata di Eldred.

“Spero che vi piaccia lo sherry! Questo è sopravvissuto a tanti incidenti che potremmo chiamarlo Harry Potter!” e fece seguito una grossa risata.

Martha si rivolse al signor Sanguini, cogitabonda. Doveva aveva già sentito quel nome?

“Conoscevo un Harry Potter” commentò, sovrappensiero “un bambino della mia classe, anni fa. Si era arrampicato sopra al tetto…”

Ma si interruppe, quando il padrone di casa arrivò con tre tintinnanti bicchieri colmi di liquido ambrato.

“Ecco qua! Brindiamo alle nuove amicizie” sorrise, gioviale “e che possano durare a lungo!”

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Capitolo 5
*** Epilogo — Sherry e neve ***


Epilogo — Sherry e neve

Quella particolare Vigilia di Natale nuvole scure e cariche di cattivi presagi si addensavano a chilometri di distanza. Ma il numero 24 di Hepsbury Street era solo una piccola palazzina babbana, con le mura sbeccate, la tettoia sbilenca e un portoncino d’ingresso verde smeraldo.

Fuori la neve infuriava, battendo contro le piccole finestre, ma spiando al suo interno era possibile vedere una scala dalla tremenda moquette gialla che emanava un leggero vapore quando si accendeva la caldaia, una bruttissima carta da parati ad arabeschi marroni, ed un’altra, bella e stravagante, che raffigurava uno scintillante cielo stellato.

Eldred si era lanciato in un lungo racconto colorito sul suo editore, come sempre allegro e verboso, a volte così entusiasta da svegliare Fitzgerald, guadagnandosi uno sguardo di riprovazione.

Martha prese un altro goccio di cherry, pensando che dopotutto il suo vicino era ancora pieno di misteri, ma la cosa non le dispiaceva. E poi ogni mistero aveva il suo tempo per essere svelato.

Per un attimo le sembrò di vedere uno scintillio bianco, ma quando si voltò, il signor Sanguini sorrideva ancora a bocca chiusa.





















 

 
Non so bene da dove sia uscita questa piccola storia, né se sia davvero natalizia o a qualcuno possa interessare leggere di personaggi appena nominati nell'universo di HP, ma se avete letto spero che vi sia piaciuta. Grazie a fanwriter.it per il prompt e l'occasione di riprendere in mano la tastiera, riusultati a parte <3 
Ma sopratutto grazie a Nene, perché sei un tesoro di persona.

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