The Trial

di _Gin___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


“Avete onorato il contratto, piccola di Artemide. Concedo a Thorn un titolo nobiliare e lo affranco dalla sua condizione di bastardo. Di conseguenza sarà sottoposto a un altro processo, stavolta nelle dovute forme. Aprite la porta.”
  

Ho divorato la saga dell’Attraversaspecchi durante la quarantena e questa storia nasce dal finale del secondo libro (che è in assoluto il mio preferito): mi sono sempre chiesta cosa sarebbe successo se Thorn avesse aspettato il ritorno di Ofelia in prigione anziché scappare.
Adoro particolarmente Thorn e spero quindi di rendergli giustizia (anche se è così difficile da scrivere!)
La storia è abbastanza ben delineata nella mia testa e sarà lunga almeno 5-6 capitoli, cercherò di pubblicare abbastanza regolarmente ma dipenderà anche da quanto sono presa dal lavoro.
Ho letto i libri principalmente in inglese e francese, quindi se notate errori in qualche nome ditemelo e provvederò a rimediare! Non è la prima volta che scrivo una storia su questo universo ma è la prima volta che lo faccio qui, quindi sono curiosa di sentire cosa ne pensate. Commenti, consigli e critiche sono sempre super apprezzati.
Spero vi piaccia,
S.

CAPITOLO 1
 
“Avete onorato il contratto, piccola di Artemide. Concedo a Thorn un titolo nobiliare e lo affranco dalla sua condizione di bastardo. Di conseguenza sarà sottoposto a un altro processo, stavolta nelle dovute forme. Aprite la porta.
 
Ofelia fremeva mentre i gendarmi aprivano lentamente la porta dorata della cella di Thorn. Sperava che lui l’avesse ascoltata e non avesse compiuto alcun gesto sconsiderato. Era sicura che avesse scaricato la pistola addosso al Mille Facce, ma nella stanza erano rimasti fin troppi oggetti che avrebbe potuto utilizzare. Inoltre, aveva già perso grandi quantità di sangue e la gamba sembrava essere in condizioni terribili. E se avesse sottovalutato le sue condizioni? Era in pericolo di vita? Temeva di non ritrovarlo nella cella. Aveva escogitato un piano per fuggire? Era possibile uscire da quella cella senza farsi notare?
Ma quando finalmente la porta si aprì e Ofelia entrò nella cella al fianco di Faruk, con tutto il corteo al seguito, Thorn era ancora seduto a terra, la testa appoggiata al muro, gli occhi chiusi. L’acqua che usciva dai tubi del lavandino gli scorreva tra i capelli e sul corpo, formando intorno a lui una pozza rossastra. Per un istante Ofelia credette di essere arrivata troppo tardi e sentì le sue gambe tremare.
“Thorn!” La voce angosciata di Berenilde gli fece riaprire gli occhi e il suo sguardo si posò immediatamente sulla donna che stava correndo verso di lui. Ofelia era esausta, si sentiva completamente svuotata e ormai i muscoli le si muovevano in automatico, senza bisogno di alcun impulso nervoso. Crollò in ginocchio davanti a Thorn, che non aveva mai smesso di guardarla, e gli gettò il braccio sano intorno al collo, appoggiando la fronte sulla sua spalla. Non sentiva l’acqua che le bagnava le scarpe e le gambe, non sentiva il dolore del braccio rotto, non sentiva il brusio dei cortigiani al seguito di Faruk. Non sentiva più nulla.
E allo stesso tempo sentiva tutto.
Sentiva la mano di Thorn appoggiata sulla sua schiena, sentiva il suo sguardo ancora incollato sul suo viso, sentiva il suo petto sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente.
“Vi concedo un titolo nobiliare” Thorn, ancora concentrato sulla donna stretta contro di lui, trattenne il respiro. La voce di Faruk era tornata annoiata e inespressiva, ma a Ofelia non importava. Ce l’aveva fatta. “Vi affranco dalla vostra condizione di bastardo. Il processo si terrà tra dieci giorni, per ora siete libero.” Dal gruppo di cortigiani si levarono nuovamente delle proteste, ma lo Spirito di famiglia si era già voltato per tornare indietro.
Ce l’avevano fatta.
Erano salvi.
Erano salvi.
Erano salvi.
“Grazie.” La voce di Thorn non era stata nulla più che un sussurro impercettibile, un sospiro contro la guancia di Ofelia, ma lei sentì un enorme peso sollevarsi dal suo cuore e le sue spalle si rilassarono. Sciolse l’abbraccio e si tirò indietro, alzando lo sguardo verso di lui con un enorme sorriso. Non si era mai sentita così felice.
Ma quando i loro sguardi si incrociarono, Ofelia sentì il suo stomaco chiudersi e le budella contorcersi.
Lo sguardo di Thorn era metallo ardente. I suoi occhi non si erano mai spostati dal viso di lei da quando era rientrata nella cella e sembrava guardarla come se fossero le uniche due persone nella stanza. No, le uniche due persone in tutto il Polo.
Ofelia fu costretta a distogliere lo sguardo per riuscire a riprendere fiato, mentre le lenti dei suoi occhiali si tingevano di rosa. Non l’aveva mai guardata in modo così… intenso.
“Oh Thorn!” Berenilde si era accasciata a sua volta sul pavimento, aggrappandosi alla camicia fradicia dell’intendente. “Ero così preoccupata! Faruk sembrava impazzito! Qualsiasi cosa dicessi, o facessi…” Ofelia notò gli occhi della donna riempirsi di lacrime. Non l’aveva mai vista perdere il controllo in quel modo. La paura di perdere il nipote e l’impossibilità di comunicare con Faruk dovevano averla profondamente sconvolta. “Continuava a ripetere la stessa frase, sembrava un fantasma… Nemmeno la bambina…” Berenilde si voltò verso Ofelia e lei realizzò che gli occhi di Thorn non erano gli unici che la scrutavano attentamente. Oltre ai due Draghi, tutta la sua famiglia, le due guardie vicino alla porta dorata e Archibald, che teneva ancora la figlia di Berenilde tra le braccia, a distanza di sicurezza dal suo corpo, la stavano osservando attoniti. “…Come avete fatto?”
L’Animista non sapeva cosa rispondere. Di certo non poteva rivelare cos’era accaduto nella cella o cosa avesse scoperto durante la lettura del frammento contenuto nel libro dello spirito di famiglia del Polo. Inoltre, non era nemmeno sicura di come fosse riuscita a risvegliare Faruk dalla sua ipnosi. Era come se improvvisamente un’altra memoria, una memoria non sua, si fosse impossessata di lei, facendole capire come dovesse agire. Ma tutto ciò non aveva senso. Oppure… Era stato l’effetto dei poteri ereditati da Thorn con il loro matrimonio? Cercò risposte nel viso dell’Intendente ma l’uomo continuava a guardarla avidamente, come se tutto il resto non avesse importanza.
“Siete liberi.” Annunciò una delle guardie schiarendosi la gola. “Avete intenzione di rimanere qui?”
“No…” farfugliò Ofelia. Ancora inginocchiata a terra, si avvicinò a Thorn. La gamba dell’uomo era piegata in un angolo innaturale e l’acqua che gli scorreva sul volto aveva portato via ogni residuo di trucco, rivelando completamente i lividi e le ferite. Conciato com’era, era un miracolo non avesse ancora perso i sensi. Non sarebbe mai riuscito a rimettersi in piedi da solo. Ofelia gli passo il braccio sano dietro alla schiena mentre Berenilde si rialzava in piedi. La lettrice cercò di spingere sulle sue gambe nel tentativo di alzare entrambi da terra ma l’unico risultato ottenuto fu un grugnito di dolore da parte di Thorn. L’intendente era troppo alto e pesante per lei, soprattutto con un braccio fuori uso e in quelle condizioni.
“Lasciate fare a me.” Il prozio, che era entrato nella cella per avvicinarsi a loro, le tese una mano per aiutarla a rialzarsi, prima di accovacciarsi al fianco di Thorn.
“Tenete”, l’ex Ambasciatore mise la bambina tra le braccia di Berenilde come se si trattasse di un pacchetto più che di un infante. Sogghignando si abbassò a sua volta e si posizionò il braccio di Thorn intorno alle spalle. Scambiò un cenno d’intesa con il prozio e insieme sollevarono l’intendente. Ofelia vide Thorn stringere la mascella, ma l’uomo non emise alcun suono, continuando a seguirla con lo sguardo. “Visto che la pistola che vi ho portato prima è stata inutile, facciamo che con questo siamo pari.”
“PISTOLA?!” Berenilde si guardò intorno freneticamente, notando solo in quel momento l’arma abbandonata a terra e i proiettili sul pavimento. Ofelia sospirò, Archibald aveva davvero il dono di intervenire nei momenti meno opportuni. Strizzò i lembi del suo vestito e si avvicinò a una delle guardie mentre i tre uomini uscivano lentamente dalla cella, seguiti dal resto del gruppo. Berenilde continuava, invano, a chiedere spiegazioni sulla pistola.
Ofelia si fece restituire gli oggetti personali di Thorn e si fermò per un istante sulla soglia, cercando di imprimere i dettagli di quella cella nella sua memoria. Erano successe così tante cose, in così poco tempo… Il matrimonio. Thorn. Il Mille Facce. Faruk.
L’Altro.
La sua vita era stata rivoltata e messa sottosopra.
“Ofelia…” L’animista si girò di scatto.
Sua madre e il resto della famiglia la guardavamo con apprensione, impalliditi. Non avevano ancora aperto bocca. Berenilde cullava la bambina irrequieta tra le sue braccia. Il prozio, Archibald e Thorn erano fermi qualche metro più avanti. L’intendente aveva voltato la testa nella sua direzione, in una posizione decisamente scomoda, costringendo gli altri due uomini a bloccarsi. Aveva ancora lo stesso sguardo incandescente e Ofelia sentì una morsa piacevole alla bocca dello stomaco.
“Signora Thorn,” sbottò l’ex Ambasciatore. Con un cenno della testa la intimò a raggiungerli. “Vostro marito non è particolarmente leggero. Né profumato. Se potessimo darci una mossa, avrei cose più piacevoli a cui dedicarmi.” Il fatto che Archibald non avesse ancora ricevuto un’artigliata o uno sguardo pieno d’odio confermava ad Ofelia che le condizioni di Thorn fossero più gravi di quanto lasciasse trapelare.
Si posizionò di fronte a Thorn, suo marito, guardandolo dal basso verso l’alto per alcuni lunghi secondi. Archibald alzò gli occhi al cielo.
“Grazie.” Mormorò Ofelia, vedendo le sue lenti colorarsi di rosa. Doveva smetterla di guardarla in quel modo. La faceva sentire indifesa, scombussolata, come se tutti i suoi organi interni fossero annodati tra loro. “Per non aver compiuto gesti sconsiderati.”
“Non faccio mai niente di sconsiderato” ripeté serio l’intendente. “Avevo un piano di riserva, ma non è servito… Voi distruggete ogni statistica.” Anche il suo tono di voce era incandescente e Ofelia dovette ricordarsi di respirare per non rischiare di andare in apnea.
Si studiarono in silenzio ancora per qualche istante, mentre Ofelia lottava contro l’istinto di avvicinarsi a lui per stringerlo. Avrebbe rischiato di fargli del male. Poi, improvvisamente, Ofelia vide il calore nello sguardo di Thorn spegnersi. L’intendente cercò di fare un passo in avanti e i due uomini al suo fianco ripresero a camminare, sostenendolo.
Ofelia si fece da parte, confusa, lasciandoli passare. Le sembrava di aver appena ricevuto una doccia gelata. O che qualcuno avesse spento tutte le fonti di calore presenti al Polo. Non capiva.
Tremando leggermente seguì gli uomini fuori dalla prigione, dirigendosi verso la dimora di Berenilde.
La sua famiglia, ancora in silenzio e sotto shock, li seguiva poco dietro.

Usciti da Città-cielo, quasi mezz’ora dopo, Thorn non le aveva più rivolto uno sguardo. Continuava ad avanzare faticosamente, con il sudore che gli bagnava la fronte e la mascella contratta. Se finché erano rimasti nella cella era sembrato non esistessero altre persone al di fuori di loro due, in quel momento Ofelia si sentiva come se la sua presenza fosse stata cancellata dalla memoria di Thorn.
Il prozio lo aiutò a salire su una carrozza e Ofelia ci si infilò dentro a sua volta prima che sua madre potesse fermarla. Aveva il terribile presentimento che se l’avesse perso di vista anche solo per un istante non l’avrebbe mai più rivisto. Archibald ridacchiò, sedendosi vicino a lei. “Allora, quali sono i piani per la vostra luna di miele?” Nessuno lo degnò di una risposta e il prozio fece passare lo sguardo tra lei e Thorn, che fissava qualcosa fuori dal vetro, leggermente imbarazzato. 
Ci fosse stata sua madre seduta al posto di Archibald, Ofelia avrebbe creduto di essere stata rispedita indietro nel tempo di circa un anno, al suo primo incontro con Thorn su Anima. L’ansia la stava attanagliando.
Trascorsero tutto il tempo del viaggio in silenzio, ad esclusione delle battute di Archibald che vennero ignorate dal resto del gruppo. Ofelia nel frattempo si interrogava per capire cosa avesse suscitato quel cambiamento così improvviso nell’umore dell’intendente. Di suo marito, si ripeté. Aveva detto, o fatto, qualcosa di sbagliato? Thorn stava semplicemente soffrendo a causa di tutte le ferite? Sembrava quasi caduto nello stesso stato catatonico che aveva pervaso Faruk qualche ora prima. Era un effetto dell’incontro con il Mille Facce? L’adrenalina causata da tutti gli avvenimenti di quella giornata la stava abbandonando e si sentiva sempre più stanca e scombussolata. La sua mente era offuscata e non riusciva a pensare con lucidità. Il braccio rotto le lanciava fitte di dolore e aveva bisogno di dormire. Ma soprattutto, aveva bisogno di parlare con Thorn, da soli.

Arrivati finalmente alla dimora di Berenilde, Thorn scese dal mezzo reggendosi sul prozio, con una smorfia di dolore, e zoppicò con difficoltà fino all’entrata mentre l’ex Ambasciatore aiutava Berenilde e tutti gli animisti a scendere dalle loro carrozze. Un uomo calvo e con spessi occhiali scuri li stava aspettando davanti all’entrata principale.
“Questo è il dottore”, annunciò Berenilde conducendoli in casa. Doveva averlo contattato prima di lasciare la prigione. “Fate stendere Thorn nella camera da letto”, la donna indicò una porta al prozio, “e qualcuno faccia sedere Ofelia prima che svenga!”
L’Animista riuscì a schivare la madre e le sorelle che cercavano di trattenerla e sgusciò dietro i due uomini e il dottore nel corridoio, seguita da Berenilde, che aveva adagiato la figlia in una culla in salotto, e Archibald. Il dottore entrò nella camera con Berenilde, ma Thorn si fermò sulla soglia, liberandosi dal sostegno del prozio, nonostante restare in piedi gli costasse un’enorme fatica. “Non entrate”, ordinò tra i denti, dandole la schiena. Anche la sua voce era diventata gelida e Ofelia seppe con assoluta certezza che si stava rivolgendo principalmente a lei. “Siete libera.”
“Cosa significa?” Ofelia fece un passo in avanti, cercando di toccarlo.
“Considerate nullo il matrimonio. Dimenticate tutto quello che è successo in quella cella. Prendete la vostra famiglia e tornate su Anima.” Chiuse la porta dietro di sé, lasciando il resto del gruppo in corridoio.
Ofelia rimase immobile per qualche istante, mentre il suo cervello registrava le parole dell’intendente.
Tornate su Anima.
No.
Assolutamente no.
 
   
 



“Come sta?” chiese Ofelia appena Berenilde entrò nella sua stanza. Quando Thorn le aveva sbattuto la porta in faccia lasciandola nel corridoio, aveva cercato in ogni modo di farsi aprire ma alla fine il prozio e Archibald avevano dovuto trascinarla di forza in salotto, dove il resto della famiglia l’aveva obbligata a distendersi su una delle poltrone. L’avevano sommersa di domande a cui Ofelia non aveva dato risposta e l’unico a rimanere in silenzio, stranamente, era stato l’ex Ambasciatore. Quando i suoi famigliari avevano finalmente capito che lei non avrebbe soddisfatto la loro curiosità, Ofelia si era ritrovata da sola con i suoi pensieri.
Considerate nullo il matrimonio.
Tornate su Anima.
Stava impazzendo. La sua sciarpa, che le teneva il braccio rotto legato al collo, si muoveva contagiata dal suo animismo e il bicchiere sul tavolino accanto alla poltrona continua a cadere e rialzarsi. Thorn voleva davvero annullare il matrimonio? Stava cercando ancora una volta di proteggerla? O era solo un tentativo di lasciarla all’oscuro dei suoi piani? Stava escogitando un piano per fuggire? Voleva davvero che lei dimenticasse tutto ciò che era accaduto? Il matrimonio? L’incontro con il Mille Facce? Le sue spiegazioni? Anche…
Ofelia si ritrovò a mordicchiarsi i guanti mentre Berenilde la studiava con un misto di apprensione ed esasperazione. “È vivo, ma la gamba è in pessime condizioni.”
“Devo parlargli.”
“No”, sbottò Berenilde facendo un cenno alla zia Roseline e al prozio. “Ho bisogno di voi due.” Riempì il bicchiere d’acqua e lo passò ad Ofelia insieme ad una pastiglia. “Dovete riposarvi, prendetela.”
“Ho bisogno di parlargli, prima che annulli il matrimonio o tenti una fuga!” Riprovò Ofelia con una nota di disperazione nella voce.
L’espressione di Berenilde si addolcì leggermente. “In questo momento non è nelle condizioni di annullare alcunché. In quanto alla fuga, se vuole uscire da quella stanza dovrà prima passare sul mio cadavere. Riposatevi.”
“Devo…”
“No”, la bloccò Berenilde perentoria. Ofelia iniziava a percepire gli artigli della donna come una scarica elettrica sulla pelle. “Prendete. Quella. Pastiglia.” Ofelia sospirò e mandò giù la capsula bianca, conscia che il tranquillante avrebbe avuto effetto in breve tempo. Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che Thorn le avesse nascosto qualcosa. Qualcosa che poteva aiutarlo ad uscire di lì.
Avevo un piano di riserva.
Mentre le palpebre iniziavano a farsi pesanti, Ofelia continuava a rimuginare su quella frase. Qual era il piano? Se l’idea iniziale era stata quella di chiedere una pistola ad Archibald, quando aveva ideato il piano di riserva? Durante l’incontro con il Mille Facce?
Ofelia chiuse gli occhi. Prima che lei uscisse dalla cella per fermare Faruk… Thorn le aveva detto che non aveva più importanza. E aveva detto…
Anche voi mi avete insegnato molto.
Mentre il tranquillante le annebbiava la mente e le rendeva impossibile aprire gli occhi, Ofelia cercò di aggrapparsi a qualcosa, a qualcuno, con il braccio sano. “Gli specchi.”
“Cosa state dicendo?” domandò Berenilde confusa.
“Toglietegli gli specchi”, mormorò cadendo in un sonno profondo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Cap 2 Ciao! :D 
Speravo di riuscire a pubblicare prima ma ahimè sono stata troppo impegnata con il lavoro e i regali di Natale. 
Il capitolo è scritto interamente dal punto di vista di Thorn (mentre nel prossimo torneremo su Ofelia... Penso ci sarà un po' di alternanza durante tutta la storia).
Spero vi piaccia! A presto,
S.


CAPITOLO 2

Thorn si svegliò improvvisamente nel buio della stanza, completamente solo, mentre la sua mente riordinava i ricordi delle ore precedenti. Aveva dormito 191 minuti, ma nonostante i tranquillanti somministrategli dal medico per attenuare il dolore e il suo stato confusionale, finché era rimasto cosciente la sua memoria aveva registrato ogni secondo di ciò che era accaduto in quella stanza.
Era contento di aver impedito ad Ofelia di assistervi.
Ofelia.
Il suo cervello, sempre in grado di compartimentalizzare ogni cosa e concentrarsi solo sulle questioni fondamentali, sembrava incapace di lasciarla andare. Quella ragazza era diventata una presenza costante nella sua mente, un sottofondo impossibile da ignorare. Stava bene? L’aveva ascoltato? Era già partita? L’avrebbe mai più rivista? Il rumore dei suoi pugni sul legno della porta continuava a riecheggiare nella sua testa. Separarsi da lei gli aveva comportato una lacerazione interiore, un’agonia pari al dolore proveniente dalla gamba. Ma era stato necessario.
Una volta chiusa la porta della stanza alle sue spalle, aveva ceduto al dolore, sotto lo sguardo preoccupato di Berenilde e quello terrorizzato del dottore. Non avrebbe sopportato di farsi vedere in quello stato anche da lei. Avevano dovuto spogliarlo per sistemare le sue ferite e farlo distendere sul letto. I farmaci gli avevano annebbiato i pensieri, e invece di riflettere sull’incontro con il Mille Facce e sui nuovi dettagli che aveva appreso dalla lettura di Ofelia, lui si era ritrovato a rivivere in loop i due momenti in cui l’aveva stretta a sé.
Sua moglie.
Aveva rischiato tutto per sposarlo, in un disperato tentativo di salvargli la vita. Aveva accettato di compromettere la sua libertà e di ereditare poteri terribili, aveva sfidato Faruk pur di trascinarlo fuori da quella prigione. E lui l’amava profondamente, ma sapeva con assoluta certezza che non sarebbe mai stato abbastanza. Si era dichiarato in quella cella perché non poteva accettare l’idea di morire senza che lei sapesse, senza che lei capisse i suoi sentimenti. Ofelia gli aveva stravolto la vita, aveva messo in discussione le sue priorità, l’aveva trasformato. Vedendola di fronte al Mille Facce, minacciata e indifesa, aveva realizzato che i dadi del mondo non avevano per lui più alcuna importanza. Avrebbe sconfitto Dio e tutti i suoi burattini per lei. Ofelia non ricambiava i suoi sentimenti, ma le avrebbe restituito la sua libertà, le avrebbe permesso di tornare a casa, di decidere del suo futuro, di vivere la vita in cui lui non avrebbe mai dovuto inferire.
A qualsiasi costo.
Si mise a sedere sul letto, osservando la gamba che era stata massacrata in cella. Il medico era riuscito a salvarla, ma Thorn era perfettamente consapevole del fatto che non sarebbe più riuscito a camminare come un tempo. Sei ore, 18 minuti e 52 secondi prima, il prozio di Ofelia, con l’aiuto di Berenilde, aveva finito di costruire un’impalcatura intorno al suo ginocchio distrutto. Mentre il suo cervello tornava per l’ennesima volta a soffermarsi sulla sensazione delle mani di Ofelia aggrappate alla sua camicia, ai suoi capelli che gli sfioravano il viso, al corpo di sua moglie premuto contro il suo, meravigliandosi ancora una volta di quando il contatto fisico con lei gli provocasse piacere invece che repulsione, la sua memoria aveva registrato la voce dell’uomo comunicargli che se aveva davvero ereditato l’animismo della sua famiglia avrebbe potuto imparare a controllare l’armatura della sua gamba. Ma animismo o no, rimaneva uno storpio.
Distolse lo sguardo dal suo corpo con disgusto e si infilò velocemente la camicia e i pantaloni che sua zia aveva lasciato sul letto. Facendosi forza sulle braccia, si alzò, valutando l’entità delle ferite subite. Il taglio sulla testa, che era stato fasciato, pulsava leggermente. Sentiva la pelle del volto tirare a causa dei lividi e delle escoriazioni, ma il peggio rimaneva la gamba. Non riusciva ad appoggiarla completamente a terra e un dolore costante si irradiava dal suo polpaccio al resto del corpo. Ma per lo meno riusciva a muoversi senza sudare freddo. Avrebbe sopportato il dolore.
Zoppicò velocemente verso la porta del bagno connesso alla camera. Doveva continuare la sua missione, doveva fermare Dio. I nuovi dettagli che aveva appreso dalla lettura del Libro gli avevano indicato quale dovesse essere la sua prossima mossa: avrebbe sfruttato il suo nuovo potere per raggiungere Babel.
Non era sicuro di aver ereditato l’animismo di Ofelia, ma di una cosa era assolutamente certo: era diventato un attraversaspecchi. L’aveva percepito sulla pelle quando Ofelia aveva attraversato la parete dorata della cella per mettersi al suo fianco. In quel momento aveva deciso che avrebbe sfruttato il suo nuovo potere per sfuggire all’ira di Faruk, ma quando lei gli aveva chiesto di non compiere gesti sconsiderati e di fidarsi, aveva cambiato piano. Non poteva separarsi da lei, non senza essere certo che fosse al sicuro. L’aveva aspettata immobile nella cella, pronto ad afferrarla e trascinarla con sé nel caso in cui non fosse riuscita a fermare Faruk.
Invece aveva ancora una volta distrutto ogni statistica ed era riuscita nell’impossibile. Era tornata in quella cella ed era corsa tra le sue braccia, e mai, mai, come in quell’istante Thorn aveva desiderato essere un uomo diverso. Un uomo in grado di esternare i suoi sentimenti, di renderla felice, di regalarle anche solo un briciolo della libertà che lei aveva restituito a lui. Un uomo degno di lei.
Fece un altro piccolo passo in avanti e il dolore fece fremere i suoi artigli, come per riportarlo alla realtà. No, non sarebbe mai stato degno di Ofelia.
Aprì la porta del bagno, ignorando il dolore proveniente dalla sua gamba, ma rimase stupito quando vide la parete vuota di fronte a sé. Tutto era in perfetto ordine, ma il grande specchio sopra il lavandino era scomparso. Erano trascorsi 97 giorni dall’ultima volta che era stato in quella stanza, ma ricordava perfettamente lo specchio. Che qualcuno l’avesse rotto? Difficile potesse essere stata Berenilde, visto che aveva trascorso quasi tutto il tempo a corte. Forse uno dei domestici? Si erano dimenticati di cambiarlo?
Scosse la testa e tornò nella camera, dirigendosi verso l’armadio. Lo specchio dell’anta gli sarebbe bastato. Si sarebbe mosso attraverso gli specchi del Polo, senza farsi notare, fino a raggiungere i dirigibili.
Aprì il grande armadio di legno e rimase interdetto. L’anta era spoglia. Eppure, il suo cervello aveva registrato la presenza dello specchio solo qualche ora prima, quando Berenilde aveva aperto l’armadio per cercare degli asciugamani mentre il dottore gli fasciava la gamba. I farmaci avevano alterato le sue percezioni? Quello a cui stava pensando era in realtà un ricordo più vecchio? Oppure… Possibile fosse un modo per ostacolare il suo piano? Il Mille Facce aveva intuito le sue mosse e aveva fatto sparire tutti gli specchi? Era stato lì? Il suo pensiero corse ad Ofelia e sperò che fosse già su Anima, lontana da ogni pericolo.
Chiuse l’anta dell’armadio con violenza e serrò la mascella. Poco importava che fossero spariti gli specchi, si sarebbe accontentato di una qualsiasi superficie riflettente.
Ma quando aprì la porta della camera per uscire, rimase pietrificato sulla soglia.
La risposta a tutte le sue domande era seduta sul pavimento, raggomitolata su se stessa e addormentata contro il muro, di fronte alla porta della camera. Thorn percepì il suo cuore saltare un battito e il suo stomaco stringersi.
Non era partita. Non si era nemmeno allontanata da lui.
Ofelia aveva la testa appoggiata al muro, gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta. I lunghi capelli erano raccolti in una treccia laterale e il braccio rotto era ancora legato al collo dalla sciarpa, nella mano sana stringeva il suo orologio. Addormentata, con le gambe nude piegate sotto al corpo e i lineamenti rilassati, gli sembrò improvvisamente molto più giovane. Si chiese come facesse a non aver freddo con solo quella vestaglia leggera addosso, lei che sembrava sempre sul punto di congelare.
Era stata sicuramente lei a togliere gli specchi, doveva aver intuito le sue intenzioni. Si domandò per un istante se fosse entrata nella stanza per rimuoverli personalmente. Aveva visto le sue cicatrici? La sua gamba? Un brivido lo percorse. No, in quel caso l’avrebbe probabilmente trovata seduta sulla sedia di fianco al letto.
Si avvicinò a lei cercando di non fare rumore. Perché era ancora lì? Lo stava sorvegliando? Aspettando? Pregando che la sua gamba sana riuscisse a mantenerlo in equilibrio, si piegò lentamente. Non poteva lasciarla lì, a dormire sul pavimento. Le passò un braccio dietro la schiena e l’altro sotto le ginocchia, sollevandola da terra. L’avrebbe svegliata? O avevano imbottito anche lei di tranquillanti? Da quanto tempo era in quella posizione? Ofelia si mosse leggermente nel sonno e appoggiò la testa contro il suo petto, facendogli trattenere il respiro. Era certo che se si fosse svegliata non avrebbe apprezzato quella vicinanza e il fatto che lui l’avesse presa in braccio. La strinse contro di sé. Era più leggera e più calda di quanto si aspettasse. E ancora una volta, come era accaduto nell’Immaginatoio e in prigione, la sua vicinanza sembrò curare tutte le ferite, fisiche e non, che lo torturavano. Anche il flusso dei suoi pensieri sembrava meno incessante.
Camminò lentamente verso il salotto, dove trovò l’intero gruppo di animisti profondamente addormentati. I più piccoli erano distesi vicini sul divano, la madre di Ofelia era raggomitolata su una poltrona mentre il padre era addormentato sul tappeto. Thorn si mosse il più silenziosamente possibile, svegliare anche solo uno di loro avrebbe scatenato il finimondo. Si avvicinò alla poltrona libera e rinforzò la presa su Ofelia per un istante, osservandola con attenzione prima di depositarla sulla poltrona e sistemarle la coperta. Non l’aveva mai vista così rilassata.
“Mi stupisco riusciate già a reggervi in piedi, figuriamoci trasportare un’altra persona.” Thorn si voltò di scatto verso l’angolo della stanza da cui proveniva la voce, bloccando gli artigli che avevano reagito alla sorpresa. Il prozio di Ofelia stava fumando tranquillamente la pipa, seduto vicino alla finestra.
“L’ho trovata addormentata in corridoio.”
L’uomo annuì. “Voleva sorvegliarvi. Vostra zia, su suo ordine, ha fatto sparire tutti gli specchi ore fa. Ma quando si è svegliata temeva ancora poteste scappare”
Thorn lo scrutò attentamente. Tra tutti i parenti di Ofelia, era quello che più gli ricordava la ragazza. Avevano lo stesso sguardo intelligente e determinato, nascosto dietro un’apparenza tranquilla e riservata. Sapeva che Ofelia era molto legata al suo prozio e forse proprio per quel motivo era l’unico, tra tutti gli animisti, che l’Intendente riuscisse a sopportare per più di cinque secondi. Ma ricordava anche lo sguardo disgustato e spaventato che gli aveva rivolto durante il pranzo.
“Comunque, se siete davvero un attraversaspecchi, c’è ancora uno specchio disponibile. L’unico che non è stato spostato è in questa stanza”, continuò il vecchio uomo indicando l’angolo opposto.
Thorn guardò per un’ultima volta Ofelia, profondamente addormentata sulla poltrona, e si voltò verso lo specchio. Probabilmente aveva ritenuto che la presenza di tutta la sua famiglia bastasse a farlo desistere dall’utilizzare lo specchio.
“State davvero scappando?” chiese l’uomo prima di riprendere a fumare. Thorn fissò attentamente il proprio riflesso allo specchio, soffermandosi sul livido quasi nero sotto l’occhio e sulla sua gamba. No, non poteva scappare, non finché Ofelia fosse rimasta al Polo.
“Ditele che quando…” sospirò appoggiando la mano sulla superficie riflettente. Sotto la sua pelle il vetro sembrava essere diventato liquido. “Che se vorrà parlarmi mi troverà all’Intendenza. La solita regola è sempre valida.” Immerse il braccio nello specchio.
Il prozio annuì guardandolo con una luce diversa negli occhi. “Siete un tipo interessante”, Thorn lo sentì mormorare, prima di sbucare nell’armadio del suo ufficio.


Quattro ore e sei secondi dopo, mentre Thorn sfogliava velocemente tutti i libri su Babel che era riuscito a recuperare, nel tentativo di immagazzinare nuove informazioni su quell’arca, Ofelia comparve improvvisamente nel suo ufficio, cadendo sul pavimento.
Thorn aggrottò la fronte. Non si aspettava di vederla comparire così presto, ma non poteva negare di esserne contento. In quelle quattro ore una parte del suo cervello si era concentrata solo su di lei, sulle possibili motivazioni che l’avevano fatta restare al Polo. Era incredibile come la sua mente, solitamente governata da assiomi, leggi e regole, si popolasse di dubbi e incertezze quando pensava a lei. “Dovreste controllare se l’armadio è aperto prima di piombare così nel mio ufficio. E verificare se possiedo un riflesso, il Mille Facce conosce il mio aspetto”, le ricordò aprendo un altro libro.
“Oh, siete davvero qui”, esclamò Ofelia quasi sorpresa, rialzandosi e sistemandosi il vestito.
“Come avevo detto al vostro prozio”, puntualizzò lui sfogliando velocemente le pagine. Conosceva già a memoria la mappa dell’arca.
“Non ne ero sicura… Pensavo vi foste dimesso”, sospirò l’Animista e lui chiuse il libro, studiandola.
“Assieme al titolo nobiliare mi è stato fatto dono anche del mio vecchio lavoro.”
Si scrutarono in silenzio per qualche momento. Ofelia appariva più riposata e, a parte il braccio rotto, non sembrava riportare altre ferite sul suo corpo. Ma il loro incontro con il Mille Facce aveva avuto qualche altra ripercussione su di lei? Lo scontro con Faruk?
“Come state?” Avevano parlato contemporaneamente, così le fece un cenno per indicarle di rispondere per prima.
Era strano. Più strano del solito.
Sembrava che tra di loro ci fosse un imbarazzo nuovo, una formalità che era scomparsa in quella cella ma che ora si era ripresentata, più forte di prima. Era a causa del matrimonio? Della sua dichiarazione? O più semplicemente in prigione la loro distanza si era attenuata a causa del pericolo imminente?
“Sto bene”, rispose Ofelia e la sua sciarpa le sistemò meglio gli occhiali, leggermente rosati, sul naso. A cosa stava pensando? Non era mai riuscito a comprendere cosa scatenasse il cambiamento del colore delle sue lenti. “Voi? La vostra gamba?” Gli occhi di Ofelia corsero sulla fasciatura intorno alla sua fronte e sui lividi sul suo viso. Si domandò cosa significasse il suo sguardo. Era preoccupata? Spaventata? Disgustata? Almeno non poteva vedere la gamba dietro la scrivania.
“La ferita sulla testa e i lividi guariranno a breve”, disse afferrando l’ennesimo volume sul tavolo. Sentire il suo sguardo addosso, in quelle condizioni, lo metteva a disagio. “La gamba non tornerà più come prima. Una parte dei tendini e dei nervi sono stati distrutti” ammise senza avere il coraggio di guardarla. Non voleva vedere la pietà nei suoi occhi. Si ripeté che la gamba non cambiava nulla, il suo corpo era già ripugnante prima, e Ofelia in ogni caso non l’avrebbe mai visto, era stata estremamente chiara su quel punto. “Il vostro prozio mi ha costruito un’armatura per permettermi di camminare, portategli i miei ringraziamenti”, aggiunse rileggendo la storia di Babel.
“Se avete ereditato il mio animismo, potreste imparare ad animarla, vi renderebbe le cose più facili!”
Thorn trattenne una smorfia udendo l’entusiasmo nella voce di Ofelia. “Non penso di averlo fatto.”
“Ma siete un attraversaspecchi.” Thorn rialzò lo sguardo e scorse un piccolo sorriso sul volto di Ofelia. Sembrava quasi orgogliosa e ciò fece stringere il suo stomaco.
“Sì. Non riesco a leggere e non so se ho ereditato il vostro animismo, ma posso attraversare gli specchi. Devo ammettere che è più comodo e veloce della mia Rosa dei Venti.”
Ofelia emise un piccolo suono che sembrava una risatina e improvvisamente sembrò che la temperatura della stanza si fosse alzata di qualche grado. Si rese conto che non l’aveva mai sentita ridere davvero.
“Io non ho ereditato nulla da voi”, continuò Ofelia scrollando le spalle.
“Impossibile.” Nel corso della storia, in ogni Cerimonia del Dono c’era stato uno scambio di poteri. Nessuna esclusa.
“Pensavo di aver ereditato la vostra Memoria. Subito dopo il nostro matrimonio ero riuscita a cogliere altri particolari della mia lettura dai miei ricordi, ma adesso è tutto come prima... Confuso.”
“Potrebbe esserci un’interferenza tra i vostri poteri e quelli che avete ereditato”, Thorn rifletté, chiedendosi se Ofelia sarebbe stata in grado di annientare pure quella statistica. Forse il suo potere da lettrice interferiva con la Memoria che aveva ereditato, così come per lui era accaduto il contrario. O forse, essendo lui stesso un bastardo, i poteri ereditati da Ofelia erano troppo deboli perché si manifestassero. “Se non avete ereditato nulla, meglio per voi. Entrambi i miei poteri sono terribili, sarei contento di avervi risparmiato questo fardello”, disse guardandola attentamente. Non riusciva a immaginarla dotata dei suoi Artigli o della sua Memoria. Eppure, per un istante, la parte di lui più orribile ed egoista aveva sperato che Ofelia avesse bisogno del suo aiuto per imparare a controllare i nuovi poteri. Ma aveva già interferito troppo, non poteva più essere egoista. “In ogni caso,” sospirò, “annullerò il matrimonio.”
Ofelia strinse le labbra e rimase in silenzio per 12 secondi, prima di annuire. “Mi sembra una buona idea.” Thorn non si era aspettato delle proteste, ma vedere Ofelia accettare la cosa così serenamente riusciva comunque a ferirlo. Sapeva che lei non l’aveva sposato di sua spontanea volontà, però… Però in quella cella, per alcuni istanti, aveva pensato ci fosse del reale affetto nei suoi confronti dietro le motivazioni di Ofelia. Si era dichiarato sperando che contro ogni probabilità Ofelia provasse dei sentimenti per lui, che stesse cercando di salvarlo perché teneva a lui e non solamente per un innato senso di giustizia.
Ma lei non aveva risposto.
“Così potrò testimoniare al processo”, continuò l’Animista annuendo convinta.
Ed ecco spiegato perché fosse rimasta al Polo. “Assolutamente no.” Non aveva ucciso un uomo per rimetterla nelle mani dei Miraggi un’altra volta.
“Perché no?!” per la prima volta da quando era comparsa nel suo ufficio, Ofelia si mosse, avvicinandosi alla scrivania. “Una volta annullato il matrimonio non sarò più vostra moglie e la mia testimonianza sarà ritenuta valida!”
Thorn chiuse il libro di scatto e appoggiò i gomiti sul tavolo, intrecciando le dita delle mani. “Non testimonierete.” Sentiva i suoi artigli pizzicare alle estremità del suo sistema nervoso e cercò di tenerli a bada. “Tornerete su Anima.”
Ofelia sbatté le mani sulla scrivania, facendo volare intorno a loro fogli e appunti, con suo immenso disappunto. “Non ho alcuna intenzione di tornare su Anima. Rischiate di tornare in quella prigione e di essere mutilati perché avete ucciso un uomo, a causa mia!
“Ve lo ripeto: non ho rimpianti”, disse calmo. Odiava la violenza, ma sapeva che avrebbe ucciso senza esitazione chiunque altro avesse mai tentato di ferirla. “Siamo finiti in quella situazione perché ho sottovalutato la minaccia, è stato un mio errore. Mi prenderò le mie responsabilità, ma non vi metterò di nuovo un pericolo”, sentenziò categorico. “Tornerete a casa con la vostra famiglia e riprenderete la vostra vita normale, dimenticherete quello a cui avete assistito. Quella tra me e Dio è una faccenda che non vi riguarda, lasciate a me il compito di risolverla.”
Ofelia sembrava furiosa. “Io ho liberato l’Altro, la faccenda non riguarda solamente voi.”
“Non sapete nemmeno se questo ‘Altro’ esiste davvero. Non vi coinvolgerò in questa storia.” Thorn si chiese in quale momento il suo piano avesse davvero iniziato ad andare a rotoli. Quando aveva annullato il contratto stretto con Faruk e di conseguenza il loro matrimonio, 103 ore prima, pensava che in quel modo l’avrebbe protetta. Era stato pronto a rinunciare a tutto pur di sapere che lei sarebbe tornata su Anima, sana e salva. E invece si erano ritrovati in un vortice di avvenimenti che la stavano trascinando sempre più a fondo.
“Non siete stanco di portare il peso del mondo sulle vostre spalle?” Ofelia sembrava improvvisamente esausta. “Non vi sto chiedendo di rinunciare. Rendetemi partecipe, condividete quel peso con me! Mi avevate promesso di non tenermi più all’oscuro su faccende che potessero riguardarmi. Sappiamo entrambi che questa ora mi riguarda.” Lo stava osservando con un’incredibile determinazione e Thorn sospirò. Cercare di fermare Ofelia era difficile più che cercare di fermare un treno in corsa. Avrebbe dovuto escogitare qualcos’altro per impedirle di partecipare al processo, aveva bisogno di tempo per riflettere. “Annullerò il matrimonio. Siete libera di fare ciò che volete, anche restare”, concesse. Sarebbe stato contento di vederla restare, se la motivazione dietro alla sua decisione fosse stata lui e non un pazzo che si era eretto al grado di Dio. “Per quanto riguarda il resto, ne riparleremo. Ora ho da fare.” Si alzò con fatica dalla sedia, e zoppicando fece il giro della scrivania, fino a raggiungere l’armadio. Sentiva lo sguardo di Ofelia su di sé. “Avete altro da dirmi?”
“Non so se la cosa possa interessarvi”, rispose Ofelia avvicinandosi allo specchio, ancora stizzita. “Ma vostra cugina si chiama Vittoria.”
Thorn annuì leggermente. Era lieto che Berenilde e la figlia stessero bene, ma aveva cercato di non concentrarsi su cosa significasse la nascita di quella bambina.
“Ah, quasi dimenticavo”, Ofelia infilò una mano nella tasca del suo vestito, estraendone il suo orologio. “Ho recuperato il vostro orologio dalle guardie della prigione”, disse avvicinandosi a lui e porgendoglielo.
Thorn prese l’oggetto dalla sua mano, guardandola attentamente, e la sua Memoria lo riportò sulle mura, sotto la pioggia. Sentiva il freddo avvolgerlo, l’acqua scorrergli sulla pelle, le labbra morbide e calde di Ofelia contro le sue. Strinse l’orologio tra le dita, cercando di rimanere aggrappato alla realtà. Vide gli occhiali e le guance di Ofelia arrossire e per una volta seppe per certo che stavano pensando alla stessa cosa.
Non l’avrebbe baciata di nuovo. Ofelia era stata molto chiara a riguardo e lui non aveva intenzione né di molestarla né di ricevere un altro schiaffo. Ma avendola così vicino, dopo ciò che era successo all’Immaginatoio e in prigione, era difficile resistere alla tentazione di stringerla a sé. Era sua moglie, almeno per qualche altra ora. Non desiderava altro che poterla sfiorare, abbracciare, ma ogni tocco non faceva altro che amplificare quel bisogno.
Trattenne la mano che si era allungata verso il suo viso, per sistemarle una ciocca di capelli, e fece un passo indietro. “Ofelia, non dormite sul pavimento. Se avrete bisogno di parlarmi mi troverete qui.”
La donna annuì lentamente in silenzio, senza staccare lo sguardo dal suo, e scivolò nello specchio.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ciao! Chiedo scusa per il ritardo, le feste hanno fatto rallentare un po' la mia scrittura.
Spero che il capitolo vi piaccia!
Vi ringrazio per i commenti che ho ricevuto, sono sempre molto apprezzati :)
A presto
S.





CAPITOLO 3


“VUOI ESSERE RIPUDIATA?!” Ofelia, seduta sul divano, fece una smorfia in risposta all’urlo della madre. Forse rivelare a tutti la decisione di annullare il matrimonio non era stata una delle sue idee migliori. “Sai cosa significa? Cosa dovrai affrontare?” continuò ad urlare Sophie in piedi in mezzo al salotto. Lampadari, tavolini, sedie, bicchieri… Tutto ciò che si trovava nella stanza rispose all’animismo della donna, tremando come nel mezzo di un terremoto. “Eravamo disposti a riportarti a casa, ma hai voluto inseguire quell’uomo e sposarlo di nascosto in prigione! E ora vuoi annullare il matrimonio! SEI IMPAZZITA?”

Ofelia sospirò osservando il resto delle persone radunate nella stanza. Berenilde era seduta di fianco alla zia Roseline, dall’altra parte della stanza. La donna era rimasta inizialmente pietrificata dall’annuncio di Ofelia, ma ora la osservava con uno sguardo affilato. Vittoria, sorridente tra le sue braccia, non sembrava affatto spaventata da tutte quelle urla e rumori mentre cercava di attirare l’attenzione della zia Roseline agitando una manina. “Perché?” chiese Berenilde dubbiosa.
“Oh non ha importanza il perché!” La Relatrice sfoggiava un grande sorriso soddisfatto, seduta su una delle poltrone. “Era ora che metteste fine a questa assurda vicenda. Le Decane sono stanche di tenervi d’occhio, dopo l’annullamento del matrimonio tornerete finalmente su Anima!”
Ofelia si maledisse nuovamente per non aver tenuto la bocca chiusa e scosse la testa. “Non tornerò su Anima”, disse scatenando l’ennesima reazione di sua madre.
“Non tornerai a casa?!” Hector e le sue sorelline, seduti per terra, osservavano intimoriti la scena, con lo sguardo che rimbalzava velocemente tra Ofelia e la madre. Le frange del tappeto battevano sul pavimento ritmicamente. “Cosa hai intenzione di fare? Se quell’uomo ti ripudia non potrai rimanere al Polo! Né prendere un altro marito! Farai nascere tensioni tra la nostra Arca e il Polo!” Agata annuiva a ogni parola della madre, osservando Ofelia con gli occhi spalancati.
Ofelia ne aveva fin sopra i capelli di tensioni interfamiliari, Spiriti, Decane, Dio… Come era riuscito Thorn a sopportare quel fardello per tutta la vita? “Vi chiedo solo di avere fiducia in me…”
“Vostra madre ha ragione”, la interruppe Berenilde. “Se mio nipote vi ripudia non potrete rimanere qui.”
Archibald, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, sospirò. “Il nostro caro Intendente potrebbe semplicemente dichiarare invalido il contratto di matrimonio.” Era disteso sul pavimento, con le braccia incrociate dietro la testa, gli occhi erano coperti dal cappello appoggiato sulla fronte. Sembrava terribilmente annoiato.
Tutte le teste si rivolsero verso di lui. “Sulla base di cosa?” domandò Berenilde seccata.
“Oh, i casi sono due”, spiegò l’uomo alzando una mano e contandoli sulle dita. “Caso uno: il contratto può essere invalidato se la Cerimonia del Dono non è avvenuta o se, incredibilmente, non ci sono stati scambi di poteri.” Ofelia si mordicchiò i guanti, consapevole che quel caso non potesse essere applicato. Thorn era diventato un Attraversaspecchi. “Caso numero due”, Archibald si mise a sedere con un rapido movimento e si tolse il cappello dagli occhi, sorridendole maliziosamente. “Il matrimonio non è stato consumato.”
Ofelia arrossì violentemente.
“Mi pare ovvio che non sia stato consumato!” sbottò Sophie portando le mani sui fianchi e voltandosi verso l’ex-Ambasciatore. “Si sono sposati meno di 24 ore fa, in una prigione!”
Archibald alzò le spalle, mentre il suo sorriso si allargava. “Non sappiamo cos’abbiano combinato nell’ufficio dell’Intendente… La signora Thorn è stata via parecchio”, aggiunse rivolgendosi di nuovo a lei.
Ofelia sperava di essere inghiottita dal pavimento. I suoi occhiali avevano raggiunto una gradazione di bordeaux quasi violacea e tutti gli occhi nella stanza erano fissi su di lei. Pensavano davvero che fosse corsa da Thorn per quello? Si erano solamente parlati!
Ma la sua mente, traditrice, la riportò agli ultimi secondi del loro incontro, allo sguardo di Thorn, a quell’istante in cui aveva pensato che l’avrebbe baciata. Cosa sarebbe successo se l’avesse baciata?

“Mamma…” la voce di Domitilla, confusa, spezzò il silenzio. “Cosa vuol dire ‘consumato’?”
“Che hanno dormito insieme!” rispose rapidamente il fratello, seduto sul pavimento vicino a lei, con un sorriso soddisfatto.
“HECTOR!”
Ofelia si coprì il viso con le mani e si lasciò sprofondare sul divano, mentre la madre riprendeva il fratello minore. Perché non era rimasta semplicemente zitta?
“Se non è stato consumato, potete semplicemente annullare il matrimonio.” Concordò Berenilde, ma la sua voce, così come la sua espressione, si era fatta più dura. “Tuttavia, continuo a non comprenderne il motivo.”
L’Animista annuì lentamente. Capiva le loro perplessità, dopotutto aveva insistito per sposare Thorn in cella ad ogni costo e ora stava combattendo per annullare quello stesso matrimonio. “Voglio poter testimoniare al processo, voglio che la mia testimonianza possa essere ritenuta valida. Non possiamo rischiare che Thorn finisca nuovamente in prigione!”
La freddezza nell’espressione di Berenilde si sciolse e nel viso della donna apparve un sorriso. “Nessuno ve lo impedisce”, disse dolcemente, alzandosi in piedi. Vittoria, tra le sue braccia, aveva chiuso gli occhi. “Nessuna legge del Polo vieta a un coniuge o ad un parente di prendere parte a un processo.”
Confusione e dolore attraversarono Ofelia. Nessuna legge del Polo. Thorn conosceva perfettamente tutte le leggi del Polo e non dimenticava mai nulla, eppure non gliene aveva parlato. Ofelia aveva pensato che l’annullamento fosse necessario, motivo per cui non si era opposta. Ma Thorn sapeva, sicuramente. Eppure, aveva insistito per annullare il matrimonio, anche dopo che lei gli aveva assicurato che sarebbe rimasta al Polo. Stava escogitando un nuovo piano? Voleva allontanarla? L’idea di essere sposato con lei, senza un Libro da leggere, era davvero così terribile?
Archibald ridacchiò. “Il nostro Intendente dovrebbe essere al corrente di queste regole, non pensate?” Chiese ironico, facendo montare l’irritazione di Ofelia. “Fossi in voi, se volete tenervelo stretto, cercherei di consumare in fretta”, continuò l’ex Ambasciatore sistemandosi il cappello in testa ed alzandosi dal pavimento, posizionandosi di fronte a lei. “L’Intendente ora non è più un bastardo… Non è particolarmente affascinante, ma un nobile, nonché ultimo discendente dei Draghi e degli Storiografi, avrà sicuramente la fila di donne fuori dalla porta.”
In un istante, Ofelia percepì una strana sensazione sulla superficie della sua pelle, come un formicolio, e Archibald si ritrovò per terra. Tutte le teste si voltarono nella sua direzione, confuse e allarmate, mentre Ofelia scattava in piedi, spaventata. Riconosceva quel potere, l’aveva visto in azione, ne era stata vittima lei stessa.  
L’uomo la guardò sbalordito, prima di scoppiare a ridere, con la testa piegata all’indietro. La solita noia che albergava nel suo sguardo sembrava scomparsa. “Gelosia e Artigli vi si addicono, signora Thorn.”
 
 

Ofelia camminava avanti e indietro nel salotto della dimora di Berenilde, davanti allo specchio.
“Sono cose che succedono a tutti”, la tranquillizzò per l’ennesima volta Berenilde, cullando Vittoria tra le braccia, con un sorriso. Erano rimaste solamente loro in salotto. Dopo l’incidente, a cui tutti avevano assistito, la sua famiglia si era ritirata in una delle stanze per gli ospiti, con la scusa di dover riposare, e Archibald era tornato a corte ridacchiando. Ofelia sbuffò. “Non è nulla di grave, non capisco perché vi affanniate tanto.”
“Devo parlarne con vostro nipote” mormorò Ofelia. Erano trascorse solamente un paio d’ore da quando era tornata dall’Intendenza, ma sentiva già la necessità di attraversare la superficie riflettente e vedere Thorn. Doveva parlargli dell’incidente.
“E non vi basta attraversare quello specchio per farlo?” Berenilde alzò gli occhi al cielo. “Ah, ditegli che se non torna a casa entro stasera andrò io stessa a prenderlo all’Intendenza. Ho diritto ad avere una spiegazione! E dovrebbe stare a letto a riposare, non chiuso in ufficio!” Dietro al tono spazientito della donna Ofelia riusciva a scorgere una nota di preoccupazione.
Sì, teoricamente le bastava attraversare lo specchio per parlare con Thorn, e lui stesso le aveva detto che poteva andare nel suo ufficio per parlargli. Ma era passato pochissimo tempo dal loro incontro. Era ancora arrabbiato? Avrebbe cercato di rispedirla su Anima? Anche lei era ancora scossa da ciò che era successo. Thorn era stato freddo e inflessibile durante il loro incontro, ma non gelido come quando l’aveva lasciata in corridoio mentre lo medicavano. E alla fine… Ofelia sospirò. Alla fine, quando gli aveva dato l’orologio, aveva riconosciuto negli occhi di Thorn lo stesso ardore che aveva visto quando erano usciti da quella cella.
“Ofelia, non dormite sul pavimento”.
Anche il suo tono di voce era cambiato in quel momento, facendo nascere uno strano fuoco nel suo stomaco. Aveva intuito fosse stato lui a spostarla dal corridoio in cui si era addormentata mentre lo aspettava, ma ora si chiedeva come fosse riuscito a prenderla in braccio. Si morse il labbro pensierosa.
Però le aveva mentito, aveva insistito per annullare il matrimonio nonostante non fosse necessario in realtà. Si sentiva terribilmente confusa e frustrata. Thorn aveva cercato di diminuire la distanza tra loro per mesi e ora che finalmente Ofelia gli si era avvicinata, lui sembrava determinato ad allontanarla di nuovo.
Ad aggravare la situazione, si era aggiunto l’incidente di poco prima. Aveva percepito, per un solo istante, gli Artigli, prima di sferrare un attacco involontario ad Archibald. L’ex-Ambasciatore e Berenilde avevano trovato il tutto estremamente divertente, ma lei era spaventata. Non capiva cosa avesse fatto scattare il suo nuovo potere, non sapeva come controllarlo, e aveva visto la paura negli occhi della sua famiglia.
“Ofelia, siete sua moglie, avete il diritto di interrompere qualsiasi cosa stia combinando.” L’Animista evitò di ricordarle che non era sicura di essere ancora sua moglie e annuì. Doveva parlargli.
Prese un profondo respiro per farsi coraggio e immerse la testa nello specchio.
Con suo immenso sollievo l’anta dell’armadio era aperta.
La fronte di Thorn si increspò vedendo la sua testa comparire dallo specchio e l’uomo le fece cenno di rimanere in silenzio, prima di alzare la cornetta del telefono. “Posticipate gli appuntamenti. Vi richiamerò io.” Ofelia sollevò le sopracciglia stupita uscendo dallo specchio. Era la prima volta che Thorn non imponeva un limite di tempo a un loro incontro se aveva degli impegni di lavoro.
“Non pensavo di rivedervi così presto.” Ammise l’Intendente, afferrando uno specchietto dal cassetto della scrivania e controllando i loro riflessi.
“Ho bisogno di parlarvi.”
Thorn appoggiò il mento sulle dita intrecciate delle sue mani e la guardò attentamente. Ofelia osservò i lividi violacei sul suo volto e si chiese dove trovasse la forza di lavorare in quelle condizioni. “Ditemi”, la incalzò.
Ofelia si mordicchiò i guanti per qualche istante. Doveva iniziare dal problema principale. “Ho ereditato i vostri Artigli” ammise in un sussurro.
Thorn si irrigidì. “Ne siete sicura? Li avete percepiti?”
“Li ho scatenati.” La voce di Ofelia si era fatta ancora più sottile. Non l’aveva rivelato a Berenilde, ma temeva il giudizio di Thorn. Sapeva quanto l’uomo odiasse la violenza e lei era stata stupida. Si era convinta di non aver ereditato alcun potere e aveva abbassato la guardia. Cosa sarebbe successo se avesse involontariamente colpito sua madre? O una delle sue sorelle? Un brivido la percorse.
Il volto di Thorn era diventato una maschera scura, ma si era alzato lentamente dalla sedia per avvicinarsi. “Contro chi li avete scatenati? State bene?”
“Archibald.”
Ofelia vide la mascella di Thorn contrarsi con forza e i suoi occhi emanare disprezzo. L’uomo si fermò in piedi davanti a lei, costringendola ad alzare lo sguardo, e le posò una mano sul braccio sano, poco sopra il gomito. “Ofelia, se quell’uomo ha osato anche solo sfiorarvi…”
“No, no” si affrettò a chiarire. Archibald si era già beccato un’artigliata da parte sua, non voleva sottoporlo anche all’ira di Thorn.
“Ne siete certa? Sono ancora vostro marito, se vi ha mancato di rispetto…”
“No.” Ofelia scosse la testa con forza, mentre il suo cervello registrava i dettagli. Il matrimonio non era ancora stato annullato. La mano di Thorn era rimasta sul suo braccio. “Ha lanciato le sue solite frecciatine, ma dopo il nostro incontro ero… nervosa. Una delle sue frasi mi ha punta nel vivo e gli artigli sono scattati prima ancora che potessi rendermene conto.”
Thorn la osservò in silenzio per qualche secondo. “Cosa vi ha detto? L’avete ferito? I vostri artigli sono particolarmente potenti?”
Istintivamente, Ofelia alzò il braccio, per mordicchiare il guanto, e Thorn rimosse con uno scatto la mano, guardando il suo arto quasi confuso. “Non penso di averlo ferito”, Ofelia sorvolò sulla prima domanda, sperando che Thorn non ci facesse caso, “inizialmente è rimasto sorpreso ma poi è scoppiato a ridere, prima di andarsene. Vostra zia dice che è stato un attacco abbastanza forte.”
Lo sguardo dell’uomo si indurì mentre si appoggiava alla scrivania dietro di sé. Sembrava improvvisamente furioso e Ofelia fu percorsa da un brivido.
“Vorrei… Vorrei mi insegnaste come controllarli”, mormorò, mentre la sciarpa si sistemava meglio intorno al suo collo e al braccio rotto, come per infonderle coraggio. “Vi avevo detto che io vi avrei insegnato a leggere, ma… Sì, insomma…”
Ancora in silenzio, Thorn estrasse l’orologio dal taschino e lo appoggiò sul tavolo, dove, sotto lo sguardo stupito di Ofelia, si aprì e si richiuse di scatto. “Potete insegnarmi a gestire il vostro Animismo”, disse afferrando un’agenda. “Posso dedicarvi dure ore al giorno, da mezzanotte alle due.”
Ofelia, con lo sguardo ancora fisso sull’orologio, annuì lentamente. Il fatto che Thorn avesse ereditato il suo Animismo, e lei i suoi Artigli, la faceva sentire strana, come se all’improvviso il loro legame si fosse fatto più profondo.
Non era una brutta sensazione.

“Possiamo iniziare stasera”, aggiunse Thorn tornando dietro alla scrivania. Aprì uno dei quaderni sul tavolo e prese una penna tra le mani. “Se non c’è altro, dovrei tornare al lavoro.”
Ofelia si riscosse dai suoi pensieri e fece un passo in avanti. “Volete ripudiarmi?”
La fronte di Thorn si aggrottò, muovendo la fasciatura, ma l’uomo rimase concentrato sui suoi appunti. “Certo che no.”
“Volete annullare il matrimonio perché non l’abbiamo consumato?” A quel punto, Thorn alzò lo sguardo di scatto verso di lei, e Ofelia si sentì arrossire. L’Intendente la fissò per diversi secondi, prima di chiudere il quaderno.
“Voglio annullare il matrimonio così che possiate tornare su Anima e dimenticarvi tutta questa faccenda”, disse lentamente. “Il fatto che non sia stato consumato rende tutta la procedura di annullamento più semplice.”
“Ma cosa penseranno di voi? Avevate già annullato le nozze e ora…”
“Ve lo ripeto”, la interruppe Thorn, riprendendo a lavorare, “essere ricoperto di ridicolo non è un problema. Non mi interessano i pettegolezzi della corte.”
“Nemmeno ora che siete un nobile?” Ofelia non riusciva a comprenderlo. Poteva immaginare i commenti terribili che sarebbero nati se il loro matrimonio fosse stato annullato, specialmente con quelle motivazioni.
L’angolo della bocca di Thorn si sollevò in un sorriso amaro. “Nel caso in cui non l’abbiate notato, il fatto che io ora sia un nobile non cambia nulla. La corte continua a detestarmi, i Miraggi mi vogliono morto. Il titolo nobiliare mi permette di avere un processo equo, ma agli occhi di tutti sono ancora un bastardo. Pensate possano interessarmi le dicerie? I sorrisi di scherno perché non mi sono imposto su di voi?” La sua voce si era fatta tagliente.
Ofelia deglutì e ripensò al contratto stipulato da Thorn con Faruk. Per mesi aveva creduto che il loro matrimonio fosse solo un modo, per Thorn, di essere riabilitato. Aveva poi compreso di essersi sbagliata, era venuta a conoscenza delle reali motivazioni di Thorn e di cosa quel contratto comportasse davvero, ma si era comunque aspettata che il loro matrimonio e il conseguente titolo nobiliare avrebbero messo fine alle ostilità degli abitanti del Polo nei confronti dell’Intendente, al disprezzo causato dal suo stato di bastardo. Anche le parole di Archibald le avevano fatto pensare che le condizioni di Thorn fossero cambiate, in meglio.
“Non avete la fila fuori dalla porta?”
Thorn rimase interdetto per qualche secondo, poi fece passare lo sguardo tra lei e la porta dell’ufficio, confuso. “Ho rimandato un paio di appuntamenti a causa vostra”, rispose perplesso, “tuttavia dubito che la gente si stia accalcando in sala d’attesa.”
Ofelia sentì un sorriso aprirsi sul viso e scosse debolmente la testa, mentre gli occhiali le si tingevano di rosa.
“Ad ogni modo”, riprese Thorn schiarendosi la voce, “il matrimonio verrà annullato perché, non avendo potuto voi avere scelta, non può essere considerato valido.”
Ofelia sollevò le sopracciglia. “Di cosa state parlando?”
“Siete stata costretta a sposarmi perché ero in pericolo di vita.”
“Costretta?!” Ofelia lo guardò sbalordita e irritata. Si era sentita davvero libera di prendere le sue decisioni solo dopo che Thorn aveva annullato le nozze e le aveva chiesto di andarsene dal Polo. “Ho scelto io di leggere il Libro di Faruk, ho scelto io di stipulare un nuovo contratto con lui e di sposarvi in prigione!”
Thorn si alzò in piedi, appoggiando le mani sulla scrivania. “Perché il vostro innato senso di giustizia non vi avrebbe permesso di agire diversamente!”
“Ho avuto una scelta! E ho deciso…”
“Non capisco quale sia il problema!” sbottò Thorn interrompendola. “È il modo più semplice per invalidare il nostro matrimonio!”
Ofelia sbuffò e si avvicinò alla scrivania, mentre la sua sciarpa si agitava. “Non voglio che annulliate il matrimonio!”
Fu il turno di Thorn di restare allibito. “Tre ore fa mi avete detto…”
“Tre ore fa non sapevo di poter testimoniare anche se sono vostra moglie!” Thorn afferrò al volo i documenti sul tavolo prima che Ofelia potesse farli volare in giro sbattendo la mano sulla scrivania e le lanciò un’occhiataccia. "Vi siete dimenticato di mettermi a conoscenza di questo dettaglio?"
“Non testimonierete”, disse lapidario. “Non mi interessa cosa vi ha detto l’Ambasciatore,…”
“È stata vostra zia.”
“…tornerete su Anima una volta invalidato il matrimonio.”
L’Animista prese un respiro profondo e strinse il pugno. “Ve l’ho già detto, non tornerò a casa. Prenderò parte al processo. E mi opporrò all’annullamento, è la vostra parola contro la mia dopotutto.”
Gli occhi di Thorn erano fissi sul suo volto, mentre rifletteva. La sua espressione era contrariata, ma allo stesso tempo sembrava combattuto, come se al suo interno si stesse svolgendo una guerra.
“Potrei ripudiarvi perché vi rifiutate di condividere il mio letto”, tentò, ma la sua voce era debole, insicura. Ofelia sospirò sollevata.
“Berenilde chiede che torniate a casa”, cercò di cambiare l’argomento del discorso, sperando che Thorn mollasse definitivamente la presa e accettasse le sue scelte.
Ma l’uomo non sembrava della stessa idea, osservandola con attenzione in silenzio. “Ofelia, perché volete continuare ad essere mia moglie?”
“Io…” iniziò, ma si interruppe. Ofelia non aveva idea del motivo che l’aveva spinta ad opporsi all’annullamento. Aveva sempre desiderato essere indipendente, ma il fatto di essere sposata con Thorn la tranquillizzava, invece che spaventarla. Si era abituata ad averlo al suo fianco. “Penso che non siate poi così male come marito." mormorò. "Inoltre, così non potrete escludermi dai vostri piani” aggiunse sorridendo, ma pronunciate a voce alta le parole sembravano sbagliate. Avevano un sapore amaro e Ofelia vide le sue lenti tingersi di uno strano colore grigiastro.
La mascella di Thorn si irrigidì e le sue labbra si strinsero. L’uomo fece un cenno secco con la testa e le indicò lo specchio.

“Devo tornare al lavoro”, annunciò freddo. “Dite a mia zia che passerò a trovarla dopo cena, devo parlare con l’Ambasciatore.” Ofelia annuì, augurandosi che Archibald non dovesse ricevere due attacchi in un solo giorno. “Se avete paura che i vostri Artigli si scatenino, mantenete le distanze dalla vostra famiglia. E non parlate con nessuno del nostro appuntamento per questa sera.” Thorn si risedette e aprì una serie di libri davanti a sé, prima di afferrare la cornetta del telefono.
Ofelia lo guardò per un’ultima volta, con uno spiacevole peso sullo stomaco, e si diresse verso l’armadio, attraversando lo specchio.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ciao a tutti!
Mi scuso per l'enorme ritardo nella pubblicazione di questo capitolo, ma il lavoro mi sta prosciugando tutte le energie vitali, quindi quando arrivo a casa la sera(l'unico momemnto in cui posso scrivere)sono esausta. 
Il capitolo sarebbe dovuto essere più lungo, ma poichè la scena che sto scrivendo mi sta creando qualche problema e sono già quasi a 2000 parole, ho preferito intanto pubblicare questo (quindi vi beccate i pensieri di Thorn anche nel prossimo capitolo ;) ). Spero vi piaccia!
All'inizio avevo detto che la storia sarebbe stata lunga 5-6 capitoli ma posso già dirvi che saranno almeno una decina. Purtroppo non riesco a promettervi aggiornamenti regolari. 
Grazie a tutti coloro che stanno seguendo questa storia e in particolare a MaxB (la scena di cui ti ho parlato sarà nel prossimo capitolo).
A presto,
S.


CAPITOLO 4


Thorn chiuse il quaderno davanti a sé con un sospiro e il suo orologio, appoggiato sul tavolo, si aprì di scatto con un tac-tac. Aveva iniziato a comportarsi in quello strano modo precisamente sette minuti dopo che Ofelia gliel’aveva restituito e, inizialmente, l’Intendente aveva pensato che l’oggetto fosse stato contagiato dall’Animismo della ragazza. Solo quando aveva avuto bisogno di consultarlo per due volte e il coperchio si era aperto di scatto prima ancora che potesse toccarlo, Thorn aveva capito che l’orologio rispondeva alle sue esigenze, al suo Animismo.
Cinque ore, 42 minuti e 18 secondi dopo, l’Intendente non si era ancora abituato a quella stranezza. Aveva provato ad animare i libri impilati sulla scrivania e l’armatura che gli sosteneva la gamba mutilata, senza alcun successo. L’orologio, però, continuava ad aprirsi non appena Thorn sentiva il bisogno di prenderlo in mano. Era impaziente di chiedere spiegazioni ad Ofelia, ma allo stesso tempo pensare a sua moglie lo infastidiva. Da quando si era immersa per la seconda volta nello specchio, Thorn aveva cercato, invano, di ignorare il mix di emozioni che provava.
Ofelia gli aveva chiesto di non annullare il matrimonio e lui si era ritrovato, ancora una volta, a sperare che lei provasse qualcosa, prima di capire che le motivazioni erano sempre le stesse. Indipendenza, libertà, voglia di avventura… Ciò che spingeva Ofelia era solo il desiderio di far parte del suo piano, di non essere esclusa dalla guerra contro Dio. Aveva deliberatamente ignorato la sua dichiarazione in prigione, ma insisteva nel rimanere legata a lui. Thorn strinse i pugni sul tavolo.
Eppure, per quanto ciò lo ferisse e pur sapendo che così Ofelia sarebbe stata in pericolo, lui non riusciva ad opporsi a quella decisione. Voleva essere egoista, voleva continuare a considerare Ofelia sua moglie, voleva averla per sé. Sentì i suoi Artigli fremere, mentre il suo stomaco si chiudeva. Aveva imparato a conoscere la gelosia fin da bambino, guardando Freya e Godefroy giocare tra loro senza degnarlo di uno sguardo, osservando le persone accanto a sé ricevere amore mentre lui ne veniva escluso, sentendosi messo da parte a ogni gravidanza di Berenilde... ma Ofelia riusciva ad amplificare tutto. Il pensiero che l’Ambasciatore potesse averla anche solo sfiorata annebbiava la sua capacità di ragionamento, la consapevolezza che le parole di quell’uomo, così disordinato e lascivo, avessero fatto scattare gli artigli di Ofelia lo disturbava, rendendogli difficoltoso anche deglutire. Possibile che per lei le considerazioni di Archibald avessero una tale importanza? Con lui Ofelia si era arrabbiata, aveva sbattuto il pugno sul tavolo, fatto volare documenti, l’aveva accusato di volerla ripudiare, si era opposta alle sue decisioni… Ma, Thorn aveva realizzato con estremo disappunto, nulla di tutto ciò aveva rischiato di scatenare il suo nuovo potere. Non era stato lui a ritrovarsi vittima degli Artigli di Ofelia.

Si alzò dalla sedia con rabbia e si diresse verso l’armadio. Nonostante le interruzioni di Ofelia e i suoi tormenti interiori avessero comportato un ritardo di 25 minuti sull’orario previsto per la fine dell’ultimo appuntamento, aveva a disposizione ancora 93 minuti prima di dover tornare all’Intendenza. Afferrò uno dei cappotti e il bastone che si era fatto procurare, ignorando lo specchio nell’anta dell’armadio. Aveva già deciso che sarebbe ricorso al suo potere di Attraversaspecchi solo in casi di estrema necessità. Detestava guardarsi allo specchio, osservare la sua figura spigolosa segnata da profonde cicatrici, soffermarsi su tutti i dettagli che lo rendevano aberrante… Non aveva bisogno di ricordare per quali ragioni Ofelia non ricambiasse i suoi sentimenti. Inoltre, la sua Rosa dei Venti era più che sufficiente per fargli raggiungere la villa di Berenilde senza perdere tempo.



Thorn lasciò il cappotto a uno dei domestici e si diresse verso la sala da pranzo, dove sua zia e tutti gli ospiti erano radunati per la cena. Il rumore sordo del bastone sul pavimento annunciò il suo arrivo e tutte le teste si voltarono verso di lui.
“Oh Thorn!” Berenilde si alzò di scatto dalla sua sedia, a capotavola, e si lanciò contro di lui, stringendolo in un abbraccio. L’Intendente, sorpreso da quello slancio di affetto, spostò il peso sulla gamba sana, cercando di non perdere l’equilibrio. Si era aspettato di trovare sua zia concentrata sulla figlia. “Ero così preoccupata!” La donna lo fissò con apprensione, sfiorandogli il livido violaceo sullo zigomo. “Come stai? Riesci a camminare? Era davvero necessario tornare subito all’Intendenza? Non dovresti riposare? E cos’è questa storia dell’annullamento del matrimonio?”
Thorn ignorò il fiume di domande e spostò lo sguardo su Ofelia. Sua moglie era seduta, con suo immenso fastidio, di fronte all’Ambasciatore, che teneva tra le braccia un fagotto. Cercò di ignorare il disgusto che la fiducia di Berenilde nei confronti di quell’uomo gli suscitava e si concentrò sulla donna seduta davanti a lui. A differenza degli altri commensali, che lo fissavano con un misto di odio e diffidenza, Ofelia aveva un gran sorriso sul volto e l’Intendente si ritrovò a chiedersi se fosse stato il suo arrivo a causarlo o la presenza di Archibald.
“Sto bene” rispose freddamente, sciogliendo l’abbraccio e avvicinandosi al tavolo. “Sono qui perché ho bisogno di parlare con l’Ambasciatore.”
“Stiamo cenando!” sbottò Berenilde afferrandogli il braccio. “Siediti e mangia qualcosa con noi! Sembri così sciupato, devi riprenderti!”
Archibald, che stava facendo smorfie alla neonata tra le sue braccia e ignorando completamente la sua cena, alzò lo sguardo con un sorriso divertito. “Oh siete qui per me, signor Intendente? Interessante! Ditemi!”
Thorn serrò la mascella e cercò di trattenere la sua irritazione. “In privato”, specificò seccamente.
Il sorriso dell’Ambasciatore si allargò. “Molto, molto interessante!” esclamò saltando in piedi come una molla. “Mia dolce Vittoria, devo assentarmi un attimo con quel burbero di vostro cugino!” stampò un bacio sulla fronte della bambina, che rispose con un gorgoglio divertito, prima di piazzarla tra le braccia di una terrorizzata Ofelia. “Ma non temete, vi lascio con la vostra madrina!”
Thorn sentì la sua muscolatura irrigidirsi ulteriormente, mentre Ofelia lo guardava con gli occhi spalancati, tenendo la bambina stretta a sé con il braccio sano. “Thorn, vi ho detto che non…”
“Non temete.” La interruppe bruscamente, l’acredine chiaramente percepibile nel suo tono. Tutti gli Animisti avevano smesso di mangiare e osservavano la scena con un misto di paura e interesse. Possibile che Ofelia tenesse così tanto a quell’uomo? Era davvero preoccupata che potesse ferirlo? “Ve lo restituirò tutto intero.”
Berenilde si fece passare la figlia da Ofelia con un sospiro e Thorn si voltò di scatto, senza attendere risposta, dirigendosi verso lo studio in silenzio. Dietro di lui, Archibald saltellava allegramente.
Entrò nella stanza e controllò che effettivamente tutti gli specchi fossero stati rimossi e Ofelia non potesse origliare, prima di sedersi alla sua scrivania. Archibald si tolse il cappello malandato e si sedette di fronte a lui, appoggiando i piedi sul tavolo e guadagnandosi un’occhiataccia.
Thorn lo scrutò per qualche istante in silenzio. Quell’uomo e il disordine che lo accompagnava l’avevano sempre infastidito, ma l’idea che Ofelia potesse trovarlo piacevole, che potesse provare dei sentimenti per lui… Cercò di reprimere quel pensiero con un brivido.
“Cosa le avete fatto?”
L’Ambasciatore lanciò per aria il cilindro e lo riprese al volo con un sorriso. “Non so di cosa stiate parlando.”
Thorn lasciò che i suoi Artigli fremessero alle estremità del suo sistema nervoso. “Mia moglie.”
Il sorriso dell’Ambasciatore si allargò ulteriormente. “Ah, la nostra dolce signora Thorn”, sospirò prima di fare una leggera smorfia, percependo gli Artigli. L’Intendente non aveva apprezzato l’uso di quell’aggettivo possessivo. “Vi ha convinto a consumare il matrimonio?”
Thorn serrò la mascella, cercando di trattenere la rabbia.
Convinto.
Come se lui avesse bisogno di essere convinto.
“Cosa le avete fatto?” ripeté lapidario.
“Oh, le ho solo proposto di venire da me nel caso in cui si sentisse trascurata” rispose Archibald facendogli l’occhiolino, ma la sua espressione cambiò rapidamente in una smorfia di dolore. “Se poteste tenere a bada i vostri Artigli, Signor Intendente, ve ne sarei grato. Non è eccitante tanto quanto essere colpiti da vostra mog… OK, OK, OK!” Thorn era scattato in piedi e si era sporto in avanti, spingendo i piedi dell’uomo giù dal tavolo e afferrando l’Ambasciatore per i lembi della giacca sgualcita, sollevandolo di peso dalla sedia. Non avrebbe tollerato un altro commento su Ofelia, non da quell’uomo viscido e senza alcun valore. Percepì i suoi Artigli estendersi ulteriormente, ma nonostante l’espressione di dolore l’Ambasciatore sembrava ancora fin troppo divertito. Non aveva mai desiderato di colpirlo così tanto, nemmeno quando…
“Se osate anche solo sfiorarla,” minacciò Thorn cupo, lasciando andare l’uomo con disgusto, “dovrete vedervela con me.”.
“E se fosse lei a venire da me?” chiese l’Ambasciatore con tono di sfida. Thorn gli voltò le spalle, rivolgendo lo sguardo verso la finestra. Stava facendo di tutto per non pensare alla possibilità che Ofelia scegliesse quell’uomo, continuava a ripetersi che se davvero lei avesse provato dei sentimenti per quell’individuo non avrebbe insistito per mantenere il loro matrimonio. Ma allo stesso tempo la gelosia gli attanagliava le viscere, la sua mente non riusciva a smettere di chiedersi perché gli Artigli di Ofelia fossero scattati proprio a causa dell’Ambasciatore.
Sapeva che, nonostante i vestiti stracciati e l’aspetto perennemente disordinato, l’Ambasciatore era considerato un uomo estremamente attraente dalle donne del Polo. Thorn aveva visto 213 donne, Berenilde compresa, restare ammaliate dalle sue lusinghe e cadere nel suo letto. Donne sposate, fidanzate, vedove, illibate, giovani, vecchie, ricche o povere… Sembravano tutte cedere al suo fascino nel giro di pochissimo tempo. Quando Ofelia era inizialmente arrivata al Polo, aveva temuto non solo che Archibald potesse approfittare di lei per puro dispetto, ma anche che alla sua fidanzata quel libertino potesse piacere. Eppure Ofelia, a differenza di tutte le altre donne, era apparsa insensibile al suo fascino. Le cose erano cambiate? Possibile che l’Ambasciatore fosse riuscito a vincere il suo cuore?
Thorn aveva capito, con il tempo, che ciò che Ofelia apprezzava di più era la sincerità e aveva sperato che questo potesse giocare a suo favore. Aveva deciso di non nasconderle più nulla, di essere onesto, di dichiararle i suoi sentimenti… Ma lei aveva fatto finta di nulla.
Non poteva però fargliene una colpa. Non era un uomo affascinante, né particolarmente loquace o divertente. Le aveva rubato la sua libertà e indipendenza, strappandola dalla sua Arca e dalla sua famiglia. Il suo corpo era ricoperto di cicatrici e, come se tutto ciò non fosse già stato abbastanza, l’incontro con il Mille Facce l’aveva reso uno storpio.
A quel pensiero, Thorn ignorò la fitta di dolore proveniente dalla gamba e rimase in piedi. Non aveva intenzione di mostrarsi debole davanti all’Ambasciatore.
“Ditemi perché vi ha attaccato.”
Archibald sospirò e sollevò il cilindro, passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi. “Mio caro Intendente, posso solo dirvi che i vostri Artigli agiscono in modo piuttosto simile”, disse con un sorrisetto furbo.
Thorn trattenne ancora una volta la rabbia e il proprio potere familiare. Non riusciva mai a decifrare i commenti di quell’individuo.
“Ora se avete finito con le domande, io tornerei alla mia cena e alla mia adorata figlioccia”, aggiunse l’uomo avvicinandosi alla porta dello studio.
“No”, lo bloccò Thorn, tornando a voltarsi verso di lui. Deglutì e prese un profondo respiro. “Vi devo chiedere un favore”, mormorò estremamente infastidito.
“Ah!” l’Ambasciatore scoppiò in una risata fragorosa. “La vostra dolce zia non vi ha insegnato le buone maniere? Vi sembra normale aggredire il gentiluomo a cui volete chiedere un favore?”
Thorn lo ignorò. “Siete in debito.”
“Oh no no no!” Archibald alzò la mano e mosse il dito per sottolineare il suo diniego. “Vi ho portato una pistola in cella e ho messo a punto un piano per salvare la vostra dolce mogliettina in caso di pericolo. Direi che siamo pari.”
L’intendente percepì la sua mascella contrarsi. “Vi faccio notare che entrambe le cose si sono rivelate inutili.”
Il sorriso dell’Ambasciatore si allargò. “Io ve l’avevo detto di riporre più fiducia in vostra moglie!”
Thorn sospirò. Il colloquio, indesiderato, che aveva avuto con quell’uomo mentre si trovava in cella era stato incredibilmente tedioso. “Ad ogni modo… Siete ancora in debito nei confronti di Ofelia. Senza di lei, sareste già morto da un pezzo.”
“Scommetto che non vi sarebbe dispiaciuto!” Thorn gli rispose con una smorfia eloquente. “Comunque avete ragione, sono in debito con vostra moglie, non con voi. Cosa le potrei offrire?” chiese malizioso, spingendo l’Intendente a chiedersi perché avesse promesso a Ofelia di riportarle Archibald vivo.
“Il piano”, mormorò tra i denti. “Ho bisogno di sapere se è ancora attuabile.”
Archibald sembrò improvvisamente sorpreso. “Avete intenzione di far arrabbiare nuovamente Faruk e tornare in cella?”
“No,” rispose tetro, “ma Ofelia è decisa a voler testimoniare al processo.” Testarda, inarrestabile Ofelia. Ma non le avrebbe permesso di presentarsi un’altra volta di fronte a Faruk senza poter fare nulla per aiutarla, per proteggerla.
Gli occhi di Archibald si fecero improvvisamente seri, e il suo intero aspetto sembrò mutare. Sembrava di colpo più vecchio e stanco. “Farò in modo che il piano sia pronto”, disse serio, annuendo con un cenno della testa. “Perché come avete detto, sono in debito con vostra moglie.”
Thorn annuì, stupito e sollevato. Non si fidava di quell’uomo, ma sapeva che possedeva le conoscenze giuste per portare Ofelia lontana dal Polo in caso di necessità. “Vi ringrazio”, mormorò. Le parole che pronunciava così raramente sembravano ancora più strane in quel contesto.
Le sopracciglia dell’Ambasciatore si sollevarono, ma il suo sguardo continuava ad essere serio. “L’amore vi rende strano, Intendente… Quasi umano.” Disse prima di dirigersi verso la porta. “Ah, vi ripeterò il consiglio che vi ho dato in cella. Dichiaratevi esplicitamente, vostra moglie su certe cose è proprio ottusa.”
“L’ho fatto”, si lasciò sfuggire Thorn prima di poter rendersene conto.
“Ah.” Archibald si bloccò con la mano sulla maniglia, sorpreso, e Thorn si maledisse. Perché mai ne stava parlando con quell’uomo? Non aveva di certo bisogno dei commenti di un tipo del genere! “Interessante… Ma non vale se l’avete fatto mentre consumavate il matrimonio!” esclamò l’uomo maliziosamente e l’Intendente lasciò finalmente liberi i suoi Artigli, irritato verso l’Ambasciatore e verso se stesso.
Archibald ridacchiò trattenendo una smorfia di dolore e uscì dallo studio saltellando. “Pungete meno di vostra moglie, signor Intendente!”
Thorn lo guardò tornare verso il salone da pranzo baldanzoso e sospirò. Parlare seriamente con quell’uomo era sempre estremamente difficile, ma almeno era riuscito ad ottenere parte di ciò che voleva. Il suo cervello, con suo estremo disappunto, continuava però a chiedersi per quale motivo gli Artigli di Ofelia avessero attaccato l’Ambasciatore. Afferrò il bastone che aveva lasciato vicino alla scrivania e seguì Archibald, chiudendo la porta dello studio alle sue spalle.
Quando arrivò in sala da pranzo Ofelia aveva finito di cenare e stava conversando con il prozio e la zia Roseline. Il rumore del bastone la fece voltare e i suoi occhi corsero velocemente tra lui e Archibald, che si era fermato vicino a Berenilde per fare strane smorfie alla neonata.
“Di cosa avete parlato?” domandò Ofelia incuriosita.
“Avevo bisogno di alcuni dati per terminare i riconteggi. Il funzionario che mi ha sostituito durante la mia permanenza in cella non era particolarmente preciso.”
L’Animista lo guardò perplessa. “Ed era necessario parlarne in privato? Adesso?”
Thorn abbassò lo sguardo e prese l’orologio dalla tasca della sua giacca, ignorando le domande. L’oggetto si aprì di scatto sul palmo della sua mano e si richiuse velocemente. “Tra trenta minuti devo incontrare un funzionario del tribunale nel mio ufficio e…”
“Per tutti i tappeti svolazzanti!” la voce della zia Roseline, che li fissava sconvolta, li fece girare di scatto. “Il vostro orologio si è animato!”
“La cerimonia del Dono. Ho ereditato il potere di vostra nipote, il vostro potere”, spiegò sbrigativamente Thorn, tornando a concentrarsi su Ofelia. “Comunque, devo tornare…”
“Siete un lettore ora?” Thorn lanciò un’occhiataccia alla donna che l’aveva interrotto una seconda volta e il prozio ridacchio lisciandosi i baffi.
“No”, rispose seccamente, ripensando a come aveva desiderato leggere quella pistola in prigione, a come aveva sperato di poter leggere il Libro di Faruk. “Ofelia, devo tornare all’Intendenza a sistemare alcuni documenti prima del mio prossimo appuntamento.”
L’Animista annuì lentamente, ma sembrava confusa. Thorn si chiese se stesse ripensando alla Cerimonia del Dono o se fosse perplessa a causa dell’Animismo manifestato dal suo orologio. “Avete mangiato?”
No, i pensieri di Ofelia non seguivano la normale logica, non poteva prevederli.
Scosse leggermente la testa e si diresse verso la porta della stanza.
"Ehi!"
“Thorn!”
L’Animista e Berenilde, con la figlia in braccio, erano scattate in piedi per seguirlo.
“Thorn, devi riposarti!”
“Aspettate, devo chiedervi una cosa!”
Thorn camminò con passo veloce verso l’entrata della villa, appoggiandosi al bastone. Non poteva rischiare di essere in ritardo. Si fermò vicino alla porta di ingresso.
“Ti prego Thorn, prenditi cura di te stesso!” esclamò Berenilde raggiungendolo. Con una mano gli accarezzò il volto. “Sono così preoccupata! Gli ultimi giorni sono stati terribili! E vorrei che tu passassi un po’ di tempo con Vittoria!”
L’Intendente sospirò, estraendo nuovamente l’orologio, che si animò. Non aveva intenzione di perdere tempo con una neonata.
Ofelia, intanto, lo fissava quasi preoccupata.
“BERENIIIIILDEEEE” la voce dell’Ambasciatore sovrastò il frastuono proveniente dalla tavolata e Thorn alzò gli occhi al cielo. La presenza di tutta quella gente, con tutto quel rumore, lo infastidiva.
Berenilde fece scorrere lo sguardo tra i due e sorrise. “La tua mamma è stata proprio brava!” disse contenta stampando un bacio sulla guancia della figlia. “Proprio, proprio brava!
Torno dai miei ospiti, mi reclamano. E voi due non avete più bisogno di uno chaperon!”
Gli occhiali di Ofelia, così come le sue guance, arrossirono mentre si avvicinava a lui, guardando Berenilde sparire nell’altra stanza. "Dovreste prendere della zuppa."
“Voi siete incomprensibile” mormorò Thorn osservandola, e ancora una volta lei lo stupì. Il suo viso avvampò ulteriormente e la sua espressione divenne quasi adirata.
“Cosa significa? Siete voi quello che non mangia! Arrivate qui all’improvviso, sparite insieme ad Archibald e poi ve ne andate senza dirmi nulla! Non so nemmeno se il nostro appuntamento è confermato!” Sua moglie sembrava furiosa, ma l’Intendente non percepiva la tensione normalmente prodotta dal suo potere familiare. Non riusciva a comprendere cosa avesse scatenato gli Artigli di Ofelia, ma poteva di certo escludere la rabbia.
“Era un complimento” sbottò infastidito. Possibile che non capisse? In un mondo in cui chiunque incontrasse gli sembrava noioso e prevedibile, in cui tutto era comprensibile, lei era l’eccezione. Lei era l’unica persona che riusciva a sorprenderlo, a stimolare la sua curiosità. L'unica che desiderasse avere intorno.“Vi aspetto a mezzanotte, siate puntuali” aggiunse prima di uscire, senza attendere risposta.

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