La mia vita

di moira78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Addio ad Albert ***
Capitolo 3: *** Il matrimonio di Annie ***
Capitolo 4: *** Chiarimento ***
Capitolo 5: *** Gli anni con Terence ***
Capitolo 6: *** Separazione ***
Capitolo 7: *** Cambiamento ***
Capitolo 8: *** Ritorno ***
Capitolo 9: *** Ricominciare ***
Capitolo 10: *** Interludio ***
Capitolo 11: *** Un triste epilogo ***
Capitolo 12: *** A casa ***
Capitolo 13: *** Presente ***
Capitolo 14: *** Principe ***
Capitolo 15: *** Ricerca ***
Capitolo 16: *** Incontro ***
Capitolo 17: *** Ore 23 ***
Capitolo 18: *** Matrimonio ***
Capitolo 19: *** Nascita ***
Capitolo 20: *** A casa ***
Capitolo 21: *** Amore ***
Capitolo 22: *** Decisioni ***
Capitolo 23: *** Il portagioie ***
Capitolo 24: *** Lascito ***
Capitolo 25: *** Sogno ***
Capitolo 26: *** Albero ***
Capitolo 27: *** Terry ***
Capitolo 28: *** Mezz'ora alla mezzanotte ***
Capitolo 29: *** Albert ***
Capitolo 30: *** Rabbia ***
Capitolo 31: *** Ritorno ***
Capitolo 32: *** La vita continua ***
Capitolo 33: *** ​Finché morte non ci separi ***
Capitolo 34: *** Il termine del viaggio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
Piego con cura l'ultima lettera, dalla carta lisa e ingiallita e la ripongo delicatamente nel portagioie intarsiato della nonna, asciugandomi una lacrima furtiva sfuggita al mio controllo. Poi mi risiedo al suo capezzale, mentre in lontananza si cominciano a sentire i primi fuochi artificiali, nonostante manchino ancora ore al nuovo anno.

Qualcuno bussa alla porta con delicatezza: "Avanti", mormoro cercando di farmi sentire senza alzare troppo la voce. Mia madre mi guarda negli occhi e poi accenna alla figura addormentata sul letto. Scuoto la testa con rammarico, ma mi affretto ad aggiungere: "Forse però riuscirà ad arrivare alla mezzanotte".

Le sue labbra s'incurvano in un sorriso malinconico, mentre si avvicina a mia nonna e le accarezza amorevolmente i lunghi riccioli bianchi: "Lei è nata in Maggio, quindi tecnicamente non sarebbero 100, però...".

"Però tecnicamente se riuscissi a sopravvivere almeno un altro anno potrei dire di aver visto scorrermi davanti almeno 3 secoli, non è così?". La voce, arrochita e stanca, non riesce però a non lasciar trasparire una risata quasi gioiosa. Poi viene interrotta da alcuni colpi di tosse.

"Mi spiace mamma, ti ho svegliata".

"Oh, non preoccuparti, cara, in realtà ero sveglia e stavo riposando gli occhi".

"Nonna, cerca di non sforzarti a parlare. Il tuo cuore è molto debole e il dottore...", intervengo, ma lei mi interrompe prontamente.

"...il dottore ha detto che devo riposare il più possibile, ma parlare non è poi questa gran fatica. D'altronde, da quando non posso più arrampicarmi sugli alberi mi è rimasto solo questo, quindi perché impedirmelo? E poi ho qualcosa da raccontare alla mia bisnipote, ho visto che hai finito di leggere le lettere che erano nel portagioie". 
La nonna sfiora dolcemente il mio ventre arrotondato e la speranza, vana eppure ardente che possa veder nascere la mia bambina, torna ad affacciarsi alla mia mente. Ma se il suo ultimo desiderio è parlarle non posso e non voglio impedirglielo.

"Mamma, mi fai sempre preoccupare", si lamenta mia madre tirandosi su i capelli nella consueta crocchia. Noto che i fili grigi sono aumentati, ma sono ammirata dal fatto che, nonostante sia ormai prossima ai 70, i capelli scuri siano di gran lunga di più di quelli bianchi.

"Non hai nulla di cui preoccuparti, ho qui vicino a me un'infermiera professionista sposata al direttore di uno degli ospedali migliori di Chicago. Un'infermiera che, mentre sta meditando di diventare medico, ci sta finalmente dando la gioia di diventare nonna e bisnonna: cosa posso volere di più, dalla vita?".

Guardo commossa mia madre e mia nonna scambiarsi occhiate complici che parlano dei momenti più importanti delle nostre vite e capisco che la nonna vuole parlarci ancora di come ha coronato i suoi sogni d'amore. Leggendo le sue lettere, d'altronde, devo dire che ci sono alcune cose che non comprendo ancora oggi e forse questa è l'occasione buona per farle qualche domanda in più.

Mia madre si accomoda in una poltrona vicino alla mia e nonna Candy chiude i suoi splendidi occhi verdi, come tornando indietro nel tempo. Poi li riapre e fissa per qualche istante il dipinto ad olio che abbiamo appeso di fronte al suo letto. La sua Casa di Pony sembra risponderle silenziosamente e per un attimo ho quasi l'impressione che lei e il quadro parlino, in una muta conversazione.

"Cindy, l'ultima lettera che hai letto era quella che avevo scritto per Anthony, vero?", mi chiede.

Io annuisco leggermente. Sono ancora profondamente commossa dal sentimento che sembra trasudare da quelle righe: così puro, così lontano nel tempo, eppure così vivido.

"Vi ho già ripetuto mille volte che non ho mai smesso di amare quel ragazzo morto a soli 15 anni. Un amore tenero ed etereo, diverso da quello che si prova per un marito, ma che è stato sempre molto importante nella mia vita. Forse è proprio da quell'amore che il mio cuore ha cominciato ad aprirsi e ha potuto capire meglio colui che mi è rimasto al fianco per tutta la sua vita... o quasi". La nonna ricomincia a tossire e io capisco che non è la debolezza, ma il ricordo di un periodo di solitudine ad averla sconvolta.

Mi appresto a passarle una pezzuola umida sulla fronte e a porgerle un bicchier d'acqua. Lei lo sorseggia con cautela e poi ridacchia: "Vi ho mai raccontato quando con Annie abbiamo bevuto il vino di Miss Pony, preso di nascosto? Eravamo troppo giovani e ci siamo prese una sonora sgridata, ma quanto era buono! Aveva il sapore della libertà".

"Mamma, se però ricominci a raccontare da quando eri piccina rischi di parlare per troppo tempo. Limitati a illuminarci sulle parti oscure che né tu, né le lettere ci hanno mai rivelato".

La nonna si tira su leggermente, seguita dai boccoli candidi che scivolano sul cuscino e accigliata sbotta: "Eleanor Lane Ardlay, vuoi forse dire che sono vecchia?!".
Mia madre scoppia a ridere, suo malgrado: "No, non è affatto così. So che se avessi le forze ti metteresti a correre per le strade innevate alla ricerca dell'albero adatto per goderti i fuochi d'artificio", risponde con una nota incrinata nella voce.

"E chi ti dice che io non abbia le forze?", ribatte lei rimettendosi sdraiata con un profondo respiro, in contrasto con le sue stesse parole. "Immagino che Cindy voglia sapere come è successo che alla fine mi sono ricongiunta a Terry, non è vero?".

"La mamma mi ha raccontato che tu e il nonno siete tornati insieme dopo una lunga separazione, in un periodo molto difficile per te. Ma non si è mai sbottonata più di tanto".
Mia madre mi guarda: "Volevo che fosse la nonna a raccontarti di quel periodo della sua vita, si tratta di questioni delicate e non facili da comprendere".

"Sì, è così. Io e Terry comunque ci eravamo già ritrovati parecchi anni prima, ma la tua mamma ha tardato un po' ad arrivare. È andata meglio a te, nipotina mia, e spero tu abbia tanti altri bambini dopo questo, tesoro mio".

Le stringo la mano, commossa, carezzandomi il ventre con l'altra.

"A quei tempi Albert viaggiava molto ma non perdeva mai occasione di venire a trovarmi", iniziò improvvisamente nonna Candy. "Da quando avevo scoperto che si trattava del mio prozio William e anche del mio principe sulla collina, il mio affetto per lui ha assunto mille sfumature diverse. Mai avrei pensato che lui potesse essersi innamorato di me. Eppure, bastò lo sguardo di un secondo per capirlo".

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Capitolo 2
*** Addio ad Albert ***


Alla Clinica Felice era un periodo di grande lavoro: l'influenza spagnola dilagava già da un paio d'anni e spesso ci capitava di dover isolare i casi per poi mandarli d'urgenza negli ospedali più grandi. Fu in quello scenario tumultuoso che il signor Albert mi venne a trovare una mattina, chiedendomi se volevo prendermi una pausa.

Mi voltai un attimo a guardare la stanza: da circa due settimane non avevamo avuto più nessun arrivo con febbre o sintomi preoccupanti, gli unici occupanti erano persone con fratture o malanni diversi. 

"Vai, Candy, ti farà bene staccare un attimo, Per ora abbiamo tutto sotto controllo", mi sorrise il dottor Martin.

Ebbi una sorta di dejà-vu di quando, tempo addietro, eravamo stati a Lakewood e avevo affrontato nuovamente i miei ricordi, belli e brutti. Il prozio William mi aveva restituito la spilla e quel diario che non avevo più riaperto, poi era ripartito e ci eravamo scambiati altre lettere.

Tutto come al solito, da quando avevo scoperto la sua identità.

Ma quel giorno il signor Albert mi portò alla casa della Magnolia, con mia grande sorpresa: "Stanno nuovamente cercando un affittuario e io stavo quasi pensando di fare qui la mia 'base' per quando vengo a trovarti. Pensavo addirittura di acquistare l'appartamento, se è possibile".

Rimasi a fissarlo, nella luce del tardo autunno che andava già affievolendosi nel tramonto. La stanza principale sembrava più grande, con solo un tavolo e qualche sedia a occuparla. C'era qualcosa di estremamente malinconico nella sua voce.

"Sarebbe bello, ma sa benissimo che anche alla Casa di Pony, ora che ha provveduto a ingrandirla, ci sono moltissime stanze in più, perciò...".

"Candy, ricordi quando vivevamo qui mentre ero senza memoria? Non erano giorni bellissimi?". Le sue parole mi destabilizzarono per un istante.

Poi, improvvisamente, come se gli fosse sfuggito qualcosa di estremamente scomodo, si alzò in piedi e cominciò a camminare per la stanza: "Di recente ho letto sui giornali della morte di Susanna Marlowe. Poveretta, sembrava aver finalmente trovato la sua strada, nonostante tutto", cambiò discorso.  

Abbassai lo sguardo, commossa: "Sì, è stato davvero brutto sapere che una donna così forte alla fine sia stata sconfitta da una malattia. Come infermiera ho pensato che forse il suo fisico fosse già debilitato a causa della perdita della gamba, ma non so...".

Il signor Albert mi sorrise, con quel suo sorriso caldo e luminoso che adoravo: "Nonostante tutto, sei sempre la stessa, mia piccola Candy".

Capivo cosa volesse dire: anche se avevo superato la separazione da Terry e ormai ne parlavamo normalmente da tempo, vedeva nella mia empatia verso Susanna un atto di altruismo estremo. La verità era che ero davvero, in qualche modo, affezionata a lei. 

"È stata una donna molto sfortunata, che non ha potuto avere molto dalla vita. Ha lottato per la sua felicità ma era anche pronta a rinunciarvi per il bene degli altri", ragionai ad alta voce ricordando il suo tentativo di suicidio sulla terrazza dell'ospedale, tanto tempo prima.

"Sai, ho scritto a Terence di recente. Volevo sapere come stesse".

Qualcosa dentro di me si mosse, ma lo ignorai. Era la prima volta che toccavo nuovamente quelle corde e successivamente capii perché: il tono dello zio William continuava a essere troppo serio, anche se tentava di rimanere leggero.

Per qualche motivo gli nascosi della nostra corrispondenza: stava cominciando a farsi strada in me un sospetto molto lontano e vago, ma seguii il mio istinto e chiesi solamente: "E le ha risposto?".

Lui sorrise: "Oh, sì, mi ha fatto piacere sentire che, nonostante tutto, sta continuando per la sua strada, anche se era molto addolorato. Forse ha scritto anche a te...".

Mi sentii come quando ero piccola e Miss Pony e Suor Lane mi beccavano con le mani nella dispensa a prendere la marmellata appena fatta: "Sì, lui... a dire il vero mi ha confessato che non è cambiato nulla". Quella risposta poteva apparire sibillina ai più, ma lui capì perfettamente e, d'altronde, io avevo sempre confessato tutto al mio caro prozio William. La testimonianza più eclatante era quel diario che ancora tenevo sottochiave.

Il signor Albert mi scrutò per qualche, interminabile secondo con quegli occhi del colore del cielo terso che mi ricordavano tanto il mio dolce Anthony: in quel momento mi persi in quegli occhi e su quel volto così aperto e sincero. 

Poi lui parlò, e lo fece con un tono così disinvolto che per un attimo non compresi appieno cosa mi stesse dicendo: "Sai, stavo pensando di prendermi anche io una pausa dagli impegni per tornare in Africa. E mi servirebbe proprio una brava infermiera per curare i miei malati!". Scoppiò in una breve risata cristallina e improvvisamente era tutto chiaro.

Vieni con me. Vivi con me qui, al nostro ritorno. Sii la mia compagna per tutta la vita.

A parte quella breve parentesi in cui aveva dichiarato di non voler rimanere da solo, null'altro era stato detto o insinuato dalle sue labbra. Ma il puzzle dei suoi discorsi e il riferimento a Susanna e a Terry mi fu improvvisamente chiaro, confermando i miei sospetti.

Giuro, avrei voluto dire qualcosa di più sensato, parlargli, abbracciarlo, trasmettergli tutto l'affetto che provavo per lui. Ma l'unica cosa che mi uscì fu un: "Oh, caro Albert, io...".

Forse fu il fatto che gli avessi dato del tu per la prima volta dopo tanto tempo, forse fu per via del mio tono, o per l'esitazione che avevo avuto. Fatto sta che lui mi regalò un altro dei suoi meravigliosi sorrisi e allungò una mano per accarezzarmi una guancia con una tenerezza che mi fece venire le lacrime agli occhi: "Mia piccola Candy, nel frattempo sii felice".
Mi baciò sulla fronte e se ne andò, senza lasciarmi modo di replicare.

Caddi in ginocchio sul pavimento nudo, in quella casa semi vuota e silenziosa e cominciai a piangere. Non volevo che finisse così, che se ne andasse così.

Amavo immensamente il mio Albert, ma non come voleva lui. Non tanto da diventare sua moglie e seguirlo in Africa o vivere con lui nella casa della Magnolia. Non in quel modo in cui lui, probabilmente da tempo, aveva cominciato ad amarmi.

Non mi aveva chiesto nulla ma io avevo capito. Avevo capito tutto. 

Passò molto tempo prima che potessi rivederlo di nuovo.

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Capitolo 3
*** Il matrimonio di Annie ***




Il giorno in cui Annie ed Archie si sposarono fu quello in cui rividi Terry.

Successivamente, scoprii che fu il signor Albert ad avvisarlo: ovviamente anche lui era stato invitato al matrimonio, ma pare che fosse bloccato da impegni improrogabili dovuti a un'epidemia laggiù, in Africa, e non potesse presenziare.

Non passò molto tempo perché capissi che in realtà aveva macchinato tutto per farmi rincontrare con lui. Inizialmente non seppi se amarlo od odiarlo per questo, fatto sta che ricordo quella giornata nitidamente, come se stesse avvenendo ora, davanti ai miei occhi come un film. O un'opera teatrale.

Stavo aiutando Annie col velo e lei era emozionata oltre ogni limite. Non riusciva a trattenere le lacrime e dovetti ritoccarle il trucco più volte: non aveva voluto cameriere o inservienti, aveva espressamente chiesto di me.

"Ma io sono solo un'infermiera, non so nulla di trucco e parrucco!", protestai.

"Tu sei come una sorella e a me non interessa essere perfetta. Voglio solo che tu mi stia accanto in un momento così importante", mi aveva risposto, disarmandomi.

Allargai le braccia, impotente. In quel momento stavo cercando di applicarle per la terza volta il khol sugli occhi, ma lei continuava a sciogliersi in un pianto irrefrenabile: "Ascoltami bene, Annie, o la smetti di piagnucolare o vai all'altare senza trucco, mi sono spiegata?".

Lei scoppiò a ridere suo malgrado, asciugandosi le ciglia con un fazzolettino: "Va bene, prometto solennemente che non piangerò più! Però fai un tratto leggero, sai che non mi piace appesantire lo sguardo".

"Sarai naturale come sempre", le promisi, anche se la mia mano tremava e dovetti trattenere anche la mia emozione.

Quando arrivai in giardino e mi posizionai dietro alla postazione degli sposi per fare da testimone non mi guardai alle spalle, ma lanciai una rapida occhiata per scoprire che, incredibilmente, tra gli invitati c'erano anche i componenti della famiglia Lagan. Mi parve di cogliere per un secondo un'espressione disgustata sui volti di Eliza e di sua madre, ma non me ne curai e mi voltai.

La cerimonia fu estremamente commovente e Annie non mantenne la promessa. Dovetti chiedere al parroco il permesso di pulire con un fazzolettino un po' di trucco colato dagli occhi della sposa ma fu tutto perfetto, meraviglioso. Mi ritrovai a mia volta a dover cacciare indietro le lacrime: ero così felice per loro!

Lo vidi, nascosto tra gli invitati, mentre stava cominciando la musica. Lo stesso valzer che avevo ballato con Anthony. Lo stesso della Festa di Maggio di Londra alla quale lui mi aveva baciata. Sbattei le palpebre, certa di aver avuto un'allucinazione: come al rallentatore, vidi Eliza corrergli incontro blaterando qualcosa, il braccio di Terence che la scostava come fosse stata solo una mosca fastidiosa, i gridolini indignati di lei, ma soprattutto... i suoi occhi fissi su di me.

Ero tentata di coprire quei pochi passi correndo tra le coppie che ballavano, invece camminai in maniera controllata. Gli sorrisi e gli dissi: "Ciao, Terry. È da tanto tempo che non ci vediamo. Mi è dispiaciuto molto per Susanna, poveretta... tu come stai?". Avevo snocciolato una parola di circostanza dietro l'altra con tutta la disinvoltura e la freddezza di cui ero capace, ma lui rimase impassibile.

Mi portò le mani sulle spalle, provocandomi una sorta di scossa elettrica giù per la schiena, e mi disse solo: "Vieni, andiamo via di qui", spingendomi gentilmente fino a un'ala della casa più tranquilla.

Mentre ci allontanavamo, intercettai lo sguardo di Annie e notai un sorriso enigmatico nei suoi occhi: lei sapeva. Mi ripromisi che le avrei parlato, a tempo debito, ora dovevo solo capire cosa stesse succedendo e soprattutto cosa MI stesse succedendo.

Terry chiuse la porta e rimanemmo soli in una stanza, con la musica che arrivava lontana. Si avvicinò a una finestra e prese a guardare fuori, come sovrappensiero. Dopo qualche istante il silenzio tra noi divenne troppo pesante e decisi di spezzarlo: "Sai, il signor Albert è tornato in Africa. Dopo aver preso le redini della famiglia Andrew ha avuto tanto da fare che credo avesse bisogno di staccare la spina, per un po'. Hai saputo, vero, che il mio prozio William altri non era che lui?".

"Sì, mi ha scritto un paio di lettere. E me lo hai scritto anche tu, ricordi?", fu la sua laconica risposta.

"Archie ed Annie erano bellissimi, vero? Sono certa che lui ormai ha dimenticato tutto e gli farà senz'altro piacere sapere che oggi sei intervenuto al suo...".

"Candy, vuoi stare zitta un attimo, per favore?". Il suo tono era gentile ma piuttosto perentorio e io capii che le mie frasi senza senso, sciorinate al solo scopo di far tacere il silenzio, non erano servite a distoglierlo dal suo intento.

E io non volevo che lui lo perseguisse.

"Bene, credo sia ora che torni di là, Annie avrà bisogno di me...". Ebbi di nuovo le sue mani sulle spalle e vissi il terribile dejà-vu di quelle scale di un ospedale, a New York. Come allora, lo pregai di lasciarmi.

"Allora è vero, nonostante tutto tu lo ami".

Cosa? Che aveva detto?

Mi voltai lentamente: "Di che stai... anzi, di chi stai parlando, Terence?".

"Non fingere con me, Candy. Sto parlando di Albert. Il tuo caro zio William, il tuo principe della collina!". Non potevo crederci, Albert gli aveva davvero confessato quel segreto? Perché lo aveva fatto?

"Cosa ti ha scritto? Voglio saperlo!", m'infuriai.

Lui dovette travisare la mia rabbia, perché la sua espressione divenne dura: "Chiedilo a lui, se ci tieni tanto. Addio, Candy", ribatté superandomi e uscendo lui stesso dalla stanza.
Mi sentii svuotata, nuovamente abbandonata e per tutto il resto della festa e nei giorni successivi rimasi sospesa in un'atmosfera quasi onirica di irrealtà.

Terry non se n'era andato da Chicago, sapevo anche dove alloggiava ma avevo bisogno di chiarire cosa fosse realmente accaduto. 

E dovevo chiarirlo con Albert.

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Capitolo 4
*** Chiarimento ***


Chiarimento

Carissima Candy,
come stai? So che ora sarai molto arrabbiata con me, e non ti nascondo che nella tua ultima lettera le tue tante domande mi hanno perfettamente comunicato questo tuo stato d'animo. Sono un uomo anche io, e come uomo posso sbagliare: quando ho scritto a Terence devo aver vergato una frase che suonava come "neanche essere il suo Principe della collina mi ha fatto avere il suo cuore". In quel momento ero annebbiato dal dolore, e non ho pensato che quello poteva essere un segreto che volessi custodire gelosamente. Ma, a posteriori, ho fatto bene a raccontargli tutto, perché ho potuto comunicargli quanto il nostro legame fosse saldo, ma quanto nonostante ciò il tuo cuore fosse solo suo. Da quanto mi scrivi, però, le incomprensioni tra voi hanno di nuovo reso difficili le comunicazioni: insomma, siete proprio due testoni!

Candy, io so che stavi facendo con Terry lo stesso percorso che hai fatto con Anthony. Sei andata avanti con la tua vita, tentando di eliminare dal tuo cuore la malinconia e seppellendo ciò che provavi in fondo, molto in fondo alla tua anima. Mi hai raccontato di come fu Terence stesso, però, a sanare definitivamente le tue ferite per il mio adorato nipote. Ma quelle che avevi per Terry erano ancora là, rimarginate ma piene di cicatrici e da brava infermiera sai che le cicatrici più profonde, anche a distanza di anni, si possono vedere ancora.

Mia piccola Candy, stare accanto a te mentre recuperavo la memoria mi ha reso più chiaro cosa provassi per quella ragazzina che avevo adottato al solo scopo di offrirle una vita migliore e felice. Sapevo che amavi Terry e ho cercato sinceramente di vederti felice accanto a lui e anche dopo, quando vi siete lasciati, non ho osato avvicinarti perché sapevo che non era quello il sentimento che volevi da me. Durante il nostro ultimo incontro, però, ho ceduto e mi sono gettato nel vuoto. Non ho avuto bisogno di spiegazioni, sapevo cosa provassi per me... e per lui.

Ed eccomi qui, a tentare da capo di fare il Cupido in modo discreto solo per vederti felice, anche se a mio discapito. Quando Terry mi scrisse chiedendomi di te, lo incoraggiai a mostrarti i suoi sentimenti: penso fosse stato allora che ti inviò quella lettera che mi hai citato il giorno in cui sono partito. Mi dicesti che per lui non era cambiato niente e non ebbi bisogno di farti la fatidica domanda: "e per te?", perché ce l'avevi scritta in viso.

Ho colto al volo l'occasione del matrimonio tra Archie ed Annie per scrivere a lei e al suo futuro marito, spiegando cosa volessi fare. Nonostante fossero dolenti nel sapere della mia assenza, sono stati ben lieti di scambiare la mia persona con Terry.

Non temere, non stai facendo un torto alla memoria di Susanna, né a me. Sono certo che anche lei, ovunque sia il Paradiso, sarebbe felice di sapervi finalmente felici: ricordi cosa mi raccontasti? Era decisa a togliersi la vita pur di non intromettersi tra voi. Il destino ha scelto per lei, per tutti.

Io starò bene, sarò felice se lo sarai tu. Ti prego, segui il tuo cuore come hai sempre fatto, piccola Candy.

Con amore
Albert William Ardlay.

Strinsi la lettera al petto tentando, senza troppo successo, di non inzupparla di lacrime. Albert era più di un prozio amorevole, di un principe delle favole o di un fratello maggiore: era il mio spirito guida, così affine al mio da somigliare a un angelo custode.

Quella sera uscii di casa senza pensare, seguendo proprio il mio cuore, come lui mi aveva suggerito. Potevo prendere una carrozza ma preferii arrivare a piedi all'albergo dove alloggiava Terry: avevo bisogno di tempo per rimettere ordine nelle mie emozioni straripanti.

Quel sentimento che avevo disperatamente cercato di seppellire, quel sentimento che era mutato in rispetto e mi faceva vedere Terence e Susanna con occhi distaccati, lui finalmente realizzato nella sua carriera di attore e lei in quella di scrittrice di musica scenografica. Quel sentimento che si era arreso a una coppia serena.

Ora quello stesso sentimento stava tornando prepotentemente a galla e io rischiavo di rimanerne soffocata: non c'erano più ostacoli tra me e Terry, eppure il ricordo di Susanna aleggiava come un fantasma.

"Candy", la sua voce stupita emerse dalla nebbia che si stava facendo più fitta nel buio della sera imminente. Terry aveva avuto la mia stessa idea e le nostre strade si erano incrociate. Di nuovo. Come nella vita.

Non vedevamo Susanna, perché la vita l'aveva strappata a questo mondo crudelmente: ma il suo spettro rimase ad aleggiare tra noi per parecchio tempo prima che potessimo essere finalmente felici.

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Capitolo 5
*** Gli anni con Terence ***


Mi sembrò di vivere sulle nuvole per parecchio tempo. Ero così felice quando mi chiese di sposarlo che credetti di impazzire dalla gioia.

Andammo a vivere in un semplice appartamento alla periferia di New York ma lui era spesso in tournée con la sua compagnia e io rimanevo sola per lunghi periodi. Inizialmente lo accettai di buon grado: d'altronde ero sposata con l'uomo che amavo e avevo anche ricominciato a lavorare, alternando periodi in Ospedale  ad altri nello studio del dottor Martin. Quando Terry partiva mi trasferivo alla Casa di Pony e lo supportavo alla Clinica Felice.

"Mi dispiace che tu non sia con noi tutto l'anno, Candy, ma sono felice per te. Ti hanno persino nominata capo infermiera a New York o sbaglio?".

Ridacchiai, portandomi una mano alla nuca con fare modesto: "Sì, beh, vede, l'esperienza è tutto al giorno d'oggi!"

Lui mi guardò con un'espressione strana che al momento non compresi. Ma la vidi riflessa quella sera stessa sul volto di Miss Pony e capii che era preoccupazione.

"Lavori molto quando tuo marito non c'è, vero, cara?", mi chiese dapprima, sorseggiando il suo tè serale.

"Ho sempre lavorato, anche prima di sposarmi. E quando Terry non c'è ne approfitto per fare gli straordinari!", risposi mostrando il bicipite destro con orgoglio.

"Capisco, ma... Candy, ormai ti conosco da più di vent'anni e sei come un libro aperto per me e Suor Lane. Spesso ci siamo chieste se queste separazioni continue non ti rendano... come dire, malinconica. Sicura di non lavorare troppo solo per non sentire la mancanza di tuo marito?".

L'aveva fatto di nuovo. Miss Pony mi aveva letto dentro e io non potei dissimulare ciò che tentavo di non portare a livello conscio. Sospettai, anzi, di aver tenuto quel sentimento così lontano da me da non essermene quasi accorta: ma era come un topolino che rosicchiava, lentamente e inesorabilmente, la mia anima e il mio cuore.

"Quando l'ho sposato, sapevo che lui era un attore affermato. Dopo il successo di Amleto è richiesto nei teatri di tutto il mondo e abbiamo parlato spesso della possibilità d'intraprendere questi lunghi viaggi insieme. Qualche giorno prima del matrimonio abbiamo avuto persino una lite accesa riguardo questo. Io sono un'infermiera e voglio fare quello per cui ho sempre vissuto: aiutare gli altri. Non concepisco di recitare la parte della moglie senza occupazione che sta a casa in attesa del ritorno del marito: anche quando Terry rientra vado al lavoro, seppure con orari spesso ridotti. Purtroppo i nostri due mondi sono totalmente diversi e il suo non è compatibile col mio, bisogna trovare una via di mezzo".

Miss Pony sospirò, posando la tazza sul piattino: "Ma se sei così convinta di tutto ciò, perché non ti vedo felice come vorrei?".

Tacqui per un lungo minuto, durante il quale nella mia mente si affollarono aspettative, speranze disilluse e sogni: "Mi sarebbe piaciuto avere una famiglia. Ma, a quanto pare, la vita frenetica e la lontananza non giocano a mio favore". Arrossii leggermente, mentre lo dicevo, anche se non avevo espresso nessun concetto particolarmente esplicito.

Terry si era rivelato, fin dalla prima notte di nozze, l'amante appassionato che avevo sempre immaginato. Io stessa avevo probabilmente represso così a lungo i miei sentimenti da scoprire in me una passionalità che non pensavo neanche lontanamente di avere. Terence mi accendeva, letteralmente, ed entrambi ci amavamo come affamati dopo un lungo viaggio a digiuno. Le sue lunghe assenze non facevano che accentuare questo lato del nostro rapporto, come se ogni volta volessimo recuperare il tempo perduto. Io vivevo nella speranza che la sua presenza costante e focosa, seppure limitata a pochi mesi l'anno, fosse sufficiente a colmare il vuoto che avevo dentro ma anche a darmi quello che desideravo ardentemente per entrambi: un figlio.

Ma questo non accadeva e, come infermiera, sapevo che la condizione oggi conosciuta come stress non aiutava certo una donna a concepire più facilmente. Ci fu un periodo in cui parlammo di questo e ci sottoponemmo persino ad alcuni esami, anche se per l'epoca erano davvero molto limitati. Una notte Terry mi sussurrò che avrebbe rinunciato alla sua carriera se questo avesse voluto dire starmi accanto di più e poter mettere anche su famiglia: lo zittii con un bacio, impedendogli di fare una cosa così insensata visto il suo livello di fama.

Non volevo che rinunciasse alle sue passioni, così come non volli che si separasse dalla povera Susanna. Per l'ennesima volta pensavo più ai sogni degli altri che non ai miei, anche se Terry andò molto vicino a licenziarsi più di una volta.

Testardamente glielo impedii. Testardamente non capii che era giusto che seguisse anche quel desiderio se davvero era nel suo cuore. Testardamente pensai che per lui fosse meglio non abbandonare la sua passione più grande. Senza capire che, forse, la sua passione più grande potevo essere semplicemente io.

"Ci sono scelte nella vita che portano ad avere qualcosa di grande ma a rinunciare ad altre molto più grandi, piccola mia", così Miss Pony interruppe il mio flusso di pensieri. "Parla sempre con tuo marito e prendete insieme le vostre decisioni", terminò con un lieve sorriso. Oggi capisco cosa volesse dire.

Terry tornò il mese successivo, sorprendendomi mentre stavo rientrando a casa. Lasciai cadere le chiavi e corsi ad abbracciarlo, mormorando il suo nome: "Non ti aspettavo prima della prossima settimana", sussurrai sul suo petto, sentendo il cuore che li batteva forte sulle mie labbra.

"Hanno cancellato le ultime date per via del maltempo e sono tornato prima. Mi sei mancata da morire, mia Tuttelentiggini". Se non lo avessi fermato avrebbe fatto l'amore con me sul pianerottolo di casa. Ci ritrovammo, ore dopo, sul nostro letto a recuperare il tempo perso come al solito ma, mentre posavo la testa sul suo petto nudo, stremata e appagata, capii che era tutto sbagliato.

"Anche tu mi sei mancato, ma non è così che una coppia dovrebbe occupare tutto il suo tempo. Terry, dovremmo stare di più insieme: cucinare insieme, andare a fare compere... insomma, essere una coppia di sposi e non di amanti. Per questo sto maturando la decisione di venire con te: lascerò il lavoro all'Ospedale e mi dedicherò solo alla Clinica Felice al nostro ritorno". Mi era costato lacrime di sangue prendere quella decisione, ma non sopportavo più di vivere in quel modo. Sembravamo davvero più una coppia clandestina che marito e moglie.

Terry mi guardò attentamente, prendendo ad accarezzarmi con tenerezza i riccioli scomposti: "Candy", esordì, e io capii che stava per farmi un discorso serio come sempre quando mi chiamava col mio vero nome, "come tu non vuoi che io rinunci alla recitazione, allo stesso modo io desidero che tu continui a fare il lavoro che tanto ami. Sarebbe un sogno portarti sempre con me, ma voglio che tu sia davvero felice e...".

"E così lo sono a metà, perché mi manchi tantissimo. Bisogna venirsi incontro, Terry, o non ne usciremo mai".

Lui si alzò a sedere, intrecciando le gambe con le mie, e mi parlò con lo stesso tono usato in precedenza: "Voglio che tu sia libera di decidere cosa fare del tuo lavoro, ma desidero anche che poi non te ne penta. Pensaci bene prima di fare qualcosa di avventato".

Io annuii: "Voglio una famiglia, Terry, e se continuiamo a stare divisi temo che questo bambino decida di non arrivare perché non ci vede abbastanza uniti", dichiarai tra il serio e il faceto.

Lui alzò un sopracciglio con aria ironica: "Oh, quindi fino ad ora non lo siamo stati abbastanza?".

"Non intendevo in quel senso, stupido!", lo rimbeccai dandogli una piccola spinta.

Lui scoppiò a ridere, quella risata così bella e affascinante che mi faceva sempre tremare le gambe: "Ma sì, ho capito cosa intendevi, non prendertela così, Tuttelentiggini!". Poi si rifece serio e mi prese il volto tra le mani: "Io devo ripartire tra un mese, ma facciamo così: nel frattempo puoi decidere se venire con me lasciando l'Ospedale o rimanere qui. Che ne pensi?".

"Penso che ci rifletterò molto attentamente", dichiarai solennemente. E ci pensai davvero, giorno e notte.

Terence ricominciò a baciarmi e la sua mano scese lungo la linea della mia schiena facendomi venire i brividi: "Intanto, però, vediamo se riusciamo a convincere Tarzan junior a raggiungerci", mormorò sulle mie labbra, mentre io mi arrendevo di nuovo al suo tocco impetuoso.

A pensarci bene, forse fu proprio quella notte, dopo queste sue parole, che rimasi incinta per la prima volta.

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Capitolo 6
*** Separazione ***


Le cose, però, non vanno sempre come speriamo. Prendiamo delle decisioni che al momento reputiamo le migliori in assoluto, ma poi diventano il lasciapassare per un futuro che non avevamo mai, neanche lontanamente, immaginato o sperato.

Io avevo deciso di seguire Terry ed eravamo entrambi felici e pronti per affrontare il nuovo viaggio. Avevo persino mandato una lettera di dimissioni all'ospedale dove lavoravo e avvisato Miss Pony e Suor Lane che non sarei tornata per un po'.

Mancava una settimana alla nostra partenza e avevo già cominciato a preparare i bagagli quando mi arrivò il telegramma: il dottor Martin era morto per un attacco cardiaco fulminante e le mie due mamme stavano cercando un medico che potesse sostituirlo alla clinica.

Io ero solo un'infermiera, ma in quel momento capii che, superato il dolore per la perdita di un carissimo amico, avrei dovuto impegnarmi per aiutarle in quella ricerca, e trovare qualcuno che ne fosse il degno successore.

"Candy, io non voglio impedirti di fare ciò che desideri, ma non ti sembra di assumerti una responsabilità che non ti compete affatto?", mi domandò Terry quella sera, quando gli esposi le mie perplessità.

Io posai la forchetta con la quale stavo giocherellando, perché avevo lo stomaco sottosopra: la mia cena giaceva pressoché intatta nel piatto.
"So che è da molto che non ne parliamo, ma mi vuoi ripetere cosa hai fatto tu per Susanna prima che morisse?".

Mi aveva raccontato più volte, e solo sotto mia insistenza, della malattia che aveva colpito la poveretta dopo alcuni anni. Ma, soprattutto, mi aveva narrato di come si era comportato con lei non appena li lasciai soli. Susanna sembrava comprendere appieno la parte che aveva nella sua vita e non si era spinta mai oltre alla richiesta di una semplice amicizia, anche se i giornali parlavano di fidanzamento e matrimonio. Aveva atteso tacitamente e pazientemente che Terence si innamorasse di lei, ma era stato tutto inutile.

Lui amava sempre e solo me, e si era sentito anche parecchio in colpa per questo, pur non rinnegando mai i suoi sentimenti. Un paio di volte, mi disse di aver comprato dei biglietti di sola andata per Chicago ma di averli stracciati in tempo, ripensando alla promessa che mi aveva fatto di essere felice nonostante tutto. E ricordando quanto il suo lavoro fosse prezioso per divagare la mente, specialmente dopo quell'incontro a Rocktown che lui scoprì dal mio racconto non essere una semplice allucinazione.

"Tu stavi andando avanti con la tua vita e io dovevo essere altrettanto forte per non deluderti. Mi sono quindi tuffato nella recitazione, col cuore sanguinante ma la voce ferma. Poi lei si ammalò di influenza spagnola e cominciò il suo declino. L'operazione subita alla gamba aveva compromesso molto la sua salute e il suo sistema immunitario e presto entrò in coma: ricordo ancora le sue parole nel delirio della febbre, mentre la accudivamo con dei fazzoletti intorno al viso per non contagiarci, io e sua madre: "Perdonami, Terence", ripeteva come un'ossessione. "E non si riferiva solo al fatto che mi avesse legato a sé nonostante non la amassi, ma anche a tutte le tue lettere che non ho mai ricevuto perché lei le nascondeva".

Fu anche a causa di quella richiesta di perdono sul suo letto di morte che esitammo più di un anno prima di sposarci ma pensavamo fosse acqua passata. Io, invece, sospetto che ancora allora, il mio Terry soffrisse di un acuto senso di colpa per non essere mai riuscito ad amarla, nonostante fosse finalmente felice accanto a me e non desiderasse altro dalla vita. Ho sempre saputo che era un uomo buono e generoso, anche sotto la scorza dura del suo carattere impenetrabile: mi somigliava più di quanto lui stesso volesse ammettere. Nonostante i suoi errori e il suo apparente egoismo, nessuno dei due, alla fine, era riuscito a condannare più di tanto Susanna: la decisione di assecondarla era stata solo nostra.

"La notte in cui morì decisi di sposarla, per renderla felice. Un rito civile, semplice. Lei non voleva, perché... perché diceva che era te, la donna che amavo davvero a dover portare sull'altare. Ma io decisi che volevo darle quella piccola gioia di morire come mia moglie. Sua madre le mise il suo abito più bello tra i singhiozzi e l'aiutò persino ad acconciarsi i capelli. Ricordo che quando entrai nella stanza col giudice di pace e la vidi così diafana eppure innamorata temetti di scoppiare a piangere per la pena. Io non l'amavo, Candy, ma mi ero affezionato a lei e non vorresti mai veder morire neanche il peggior nemico in quelle condizioni".

Terry, a quel punto, faceva sempre una pausa per trattenere il dolore. Poi mi stringeva a sé come se volesse accertarsi che fossi davvero lì con lui: erano momenti intensi, che non dimenticherò mai.

"Ormai il virus era stato debellato, ma ormai le sue funzioni vitali erano irrimediabilmente compromesse e lei giaceva spesso in uno stato di incoscienza per la maggior parte della giornata, tanto da farmi temere che non saremmo mai arrivati al fatidico "sì". Invece quella sera era debole ma presente e il suo sorriso sembrò quasi quello di una persona che ha tutta la vita davanti. In realtà morì quella notte stessa, la nostra notte di nozze. Per la prima volta da quando la conoscevo mi misi accanto a lei su quel letto pregno di sudore e di malattia, che la sua mamma distrutta aveva provveduto a rinfrescare e fornire di lenzuola nuove. L'abbracciai stretta, accompagnandola nel suo ultimo respiro come l'amante e il marito che non sono mai stato per lei".
Terry si era poi alzato per avvisare sua madre e l'aveva lasciata con il corpo ancora caldo mentre andava ad occuparsi del suo funerale: era vedovo dopo solo poche ore e già pensava a me. Non avrebbe voluto, mi ripeteva, ma il suo cuore e la sua mente, seppur doloranti, non potevano fare altro.

Posai il bicchiere dal quale avevo bevuto dell'acqua fresca e gli chiesi: "La mia situazione è diversa, eppure non lo è: sento di avere la responsabilità di riportare la Clinica Felice agli splendori di una volta. Per il mio amico, il dottor Martin che ci credeva da sempre. Per Albert, il mio caro zio William che è guarito dall'amnesia anche grazie a lui. E per la mia Casa di Pony, così vicina a quell'unica clinica".

Terry sospirò e posò il suo tovagliolo: anche la sua cena era quasi intonsa. "Va bene, ho capito. Siamo sempre troppo altruisti io e te, vero mia dolce Tarzan Tuttelentiggini?". Gli sorrisi, cercando di apparire serena.

In realtà quella notte, e per tutte le notti che seguirono, continuai ad avvertire un malessere che poteva dipendere dalla mia condizione, di cui ancora non sapevo nulla, ma anche dal presentimento di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.

Il giorno in cui Terence partì il nostro saluto fu un bacio appassionato tra le lacrime. Forse, inconsciamente, anche lui aveva un presentimento di quello che sarebbe accaduto.

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Capitolo 7
*** Cambiamento ***



Carissimo piccolo Bert,

come stai? So che gli altri nomi non ti piacciono ma sul nomignolo che ti dava tua sorella da piccolo non mi hai mai fatto obiezioni. Inoltre, mi hai chiesto di darti del tu e lo sto facendo. Quindi, almeno l'incipit della mia lettera non l'ho sbagliato, giusto? Qui le cose sono cambiate molto da quando te ne sei andato e, oltre al fatto che mi manchi da morire, posso dirti che la mia nuova vita da donna sposata è molto... come dire? Dinamica! Non mi fermo un attimo e, soprattutto in quest'ultimo periodo ci sono state un sacco di novità. Oh, so bene che ci scambiamo poche lettere perché ti trovi in un villaggio sperduto dell'Africa e non puoi inviarne tante per via della carenza di uffici postali e di tempo! Così ti scrivo per dirti che...

...momento di suspance...

...diventerò mamma! Ebbene sì, mio dolce zio e principe della collina (non ti arrabbiare!), la tua piccola figlia adottiva (no, tranquillo, non ti chiamerò papà!) che una volta salvasti da una cascata oggi è una donna che darà alla luce un bambino entro qualche mese! La lontananza dal mio Terry e la vita frenetica mi avevano fatto perdere le speranze, e invece il miracolo si è compiuto!

Detto questo... mi dispiace moltissimo che tu abbia dovuto sapere della morte del caro dottor Martin da un freddo telegramma, è stato davvero molto spiacevole per me dover trovare le parole per comunicarti un evento così drammatico in poche righe. Lui è stato il primo a credere nella tua ripresa quando perdesti la memoria e il lavoro che stava facendo qui, alla nuova Clinica Felice era eccelso. Io sarei dovuta partire con Terry, sai? Ma la sua triste dipartita così improvvisa mi ha convinta a rimanere: dovevamo trovare un degno sostituto e io dovevo sostenere Miss Pony e Suor Lane! Alla fine, il destino ha strani modi per risolvere le cose: sai che Patty stava facendo l'insegnante, vero? Beh, a quanto pare il papà di uno dei suoi piccoli alunni è un medico vedovo che deve trasferirsi, indovina un po'? Proprio nei dintorni di Chicago! Ci sono certi affari della famiglia della moglie morta alcuni anni fa che deve portare a termine e Patty ci ha detto che gli farebbe proprio comodo lavorare un po' per mantenere se stesso e il suo bambino mentre è lontano dalla Florida. E indovina di nuovo dove gli abbiamo proposto di fare  il medico? Esatto, proprio qui! Oh, Albert, Patty ne parlava in maniera così entusiasta che mi ha fatto sospettare che tra lei e questo dottore ci sia del tenero... ma non voglio affrettare i tempi. Lui arriverà a breve e io, che dovrei riposare secondo il mio, di medico, mi trovo invece ad aiutare notte e giorno alla Casa di Pony. Speriamo arrivi presto!

E spero anche di riabbracciarti presto, magari con la pancia che comincia a vedersi.

La tua quasi mamma Candy.

Mi sembrava passato un secolo da quando avevo inviato questa lettera al mio dolce Albert. E mi sembrava passato un secolo anche da quando avevo dovuto nuovamente intimare a un Terry scalpitante di non precipitarsi a casa, che mi avrebbe rivista certamente col pancione entro pochissimi mesi e che non avevo bisogno di lui. Eppure avrei dato qualsiasi cosa per averlo vicino, nonostante le sue rappresentazioni lo portassero sulle prime pagine praticamente tutti i giorni. Non volevo che rinunciasse ai suoi sogni solo per vedermi ingrassare: mi sarebbe bastato averlo vicino durante gli ultimi mesi della gravidanza. Per me sarebbe stato già un miracolo.

Invece, ora, mi trovavo a fissare gli occhi azzurro intenso del dottor Robert Smith, originario dell'Inghilterra e trapiantato in Florida per amore. Suo figlio James, di cui continuava a prendersi cura, era al momento alla Casa di Pony mentre lui teneva salde le redini della Clinica Felice al posto del povero dottor Martin.

In quegli occhi vedevo la tempesta: a volte erano scuri e attraenti come quelli di Terry, nei momenti di calma invece erano limpidi come quelli di Albert. Ora sembravano appartenere a un uomo prematuramente invecchiato: stava con noi da soli due mesi eppure aveva seguito tutte le fasi iniziali della mia gravidanza, dalla scoperta della dolce attesa al mio lavoro indefesso di infermiera, che mi aveva pur raccomandato di rallentare.

A distanza di anni non so ancora se è stato a causa di ciò che mi sono ritrovata, stordita e sanguinante, sul pavimento della clinica, abbracciandomi il ventre come se potessi trattenervi il mio bambino. Poi ho perso i sensi e mi sono ritrovata a occupare uno dei letti che erano stati dei miei pazienti.

Robert, come voleva che lo chiamassi, continuava a guardarmi con lo sguardo pieno di dolore e io non avevo il coraggio di fargli quella domanda. Aprii la bocca, ma mi uscirono solo le lacrime dagli occhi e nemmeno un ansito. Lui abbassò la testa, annuendo leggermente, anche se non avevo parlato. Presi a guardare il soffitto, mentre nuove lacrime ricominciavano a scorrere, silenti.
"Vorrei rimanere sola", gracchiai con voce roca, che non riconobbi. Lui, con gli occhi lucidi colmi di commozione, mi accarezzò i capelli e annuì di nuovo, senza parlarmi. Poi mi lasciò sola.

Non so quanto rimasi lì, a piangere, ho un ricordo molto vago delle ore e dei giorni successivi. So solo che inviai due telegrammi. Non uno, ma due. Perché due erano gli uomini importanti a cui volevo affidare il mio dolore.

Quando vidi Terry arrivare ero alla finestra della Casa di Pony. I bambini erano già tutti a letto e io stavo sorseggiando un tè con Miss Pony e Suor Lane, che mi stavano dando un gran conforto. Come colta da un istinto improvviso mi volsi verso il vetro e strizzai gli occhi per guardare: alla luce del tramonto una figura con un mantello che svolazzava nel vento autunnale si stava avvicinando e sapevo che era lui.

Senza dire nulla, posai la tazza e uscii di corsa, gettandomi tra le sue braccia. Era un abbraccio completamente diverso da quelli che eravamo soliti darci, colmo di disperazione e di dolore. Scoppiai a piangere e sentii il suo petto cominciare a sussultare quasi immediatamente, scosso dai singhiozzi. In lontananza, sentivo le fronde di papà albero sussurrare nel vento in una triste nenia funebre, come se anche lui partecipasse al nostro lutto.

Rimanemmo alla Casa di Pony per una settimana, poi decidemmo di tornare a New York: a quanto pareva, la compagnia Stratford aveva ricevuto delle proposte proprio nella zona di Broodway e mio marito, seppur riluttante, aveva deciso di accettare quell'incarico così vicino casa.

"Candy, io devo partire domani. Fra quanto mi raggiungerai?".

"Entro pochi giorni, te lo prometto. Il tempo di sistemare le cose alla Clinica Felice con la mia nuova collega. Il dottor Smith è molto in gamba".

Avvertii una sorta di freddezza in Terry e gliene chiesi il motivo: "Non voglio dire una cattiveria, ma dentro di me qualcosa grida a gran voce che il lavoro a quella clinica ti ha sfiancata al punto di perdere il nostro bambino. Non è così?", rispose.

Scossi la testa, con veemenza e mi affrettai a dargli spiegazioni: "Terry, anche io lo avevo creduto all'inizio. Ma ti assicuro che ho riposato molto più di quanto tu creda: mi sono limitata a dirigere le altre infermiere e operativamente non facevo molto, neanche i turni di notte. Purtroppo il medico mi ha confermato che sono eventualità naturali, che possono verificarsi nelle prime settimane e io...".

"Va bene, va bene, ho capito. Ma d'ora in poi voglio che tu la smetta di lavorare così tanto. Non t'impedirò mai di tornare alla Casa di Pony, ma basta con gli ospedali".

Spalancai gli occhi, incredula: "Ma Terry, io non posso...".

Lui mi prese il viso tra le mani e mi guardò con un'intensità che non gli avevo mai visto. Rimasi in silenzio, mentre lui parlava: "In tutti questi anni ci siamo spronati vicendevolmente a seguire i nostri sogni. E per farlo siamo stati insieme pochissimo e forse abbiamo perso la nostra prima opportunità di avere una famiglia. Ora dobbiamo cambiare vita. Io cercherò di lavorare solo vicino casa, e al diavolo se la mia compagnia vorrà licenziarmi: mi cercherò incarichi da altri committenti. Tu invece rimarrai a casa a riposare e se vuoi venderemo l'appartamento: compreremo una casa con giardino e curerai i fiori, ma non voglio più vederti fare l'infermiera".

Rimasi ammutolita per qualche istante. Tutto era cambiato così repentinamente che non ebbi il tempo di rendermene conto. "Tesoro, capisco che la storia del bambino ti abbia scosso, io stessa sono ancora devastata e chissà per quanto ne soffrirò. Ma non voglio rinunciare al mio lavoro per questo. Posso ridimensionarlo, questo sì, ma già ho lasciato l'ospedale a New York e...".

"Non voglio più parlarne, Candy, questa è la mia decisione". Mi irrigidii quando lui mi voltò le spalle. La sua frase fu come una dichiarazione di guerra.

"Io non ti riconosco più! Dov'è finito il marito dolce e altruista che aveva a cuore i miei desideri? Quello che mi lasciava la libertà di decidere pur di rendermi felice?".

"Essere altruista e lasciarti la tua libertà non ci ha portato altro che separazioni continue e dolore!", gridò voltandosi nuovamente e allargando le braccia. "E non ricordarmi la storia di Susanna! Starle accanto e accompagnarla dolcemente al suo destino mi ha solo fatto perdere anni preziosi che avrei potuto passare con te! E vuoi sapere una cosa? Nonostante la pena che ancora provo per lei, ne provo molta di più per noi due, e se tornassi indietro non so se mi sacrificherei ancora! Guardaci, Candy, abbiamo 25 anni e ci vediamo solo pochi mesi l'anno. Io sono sempre in torunée e tu vivi praticamente qui mentre non ci sono. Quando ritorno stiamo insieme come se non ci vedessimo da anni e per fortuna che hai smesso con i turni all'altro ospedale! Tu stessa una volta mi dicesti che dovremmo vivere più come marito e moglie che come amanti".

Gli presi le mani e lo guardai dritto negli occhi: "Lo so, ed è per questo che ho lasciato l'altro ospedale, anche se mi è dispiaciuto molto. Se vengo qui è per non rimanere sola e rendermi utile mentre non ci sei, che male c'è? Non voglio che tu rinunci alla tua carriera, Terry, e non voglio rinunciare a lavorare alla Clinica Felice".

"La mia carriera può anche andare al diavolo, lavorerò solo quando avremo bisogno di soldi. E tu rimarrai a casa. Verremo alla Casa di Pony anche per tutte le ricorrenze dell'anno e in estate, se vorrai. Ma basta con il lavoro!".

Stavolta fui io a voltarmi: "Non posso farlo, Terry, non puoi chiedermi una cosa simile. Nonostante il dolore per la nostra perdita io rimango lucida e voglio continuare ad essere un'infermiera. Tu vuoi lavorare meno? Liberissimo di farlo, vorrà dire che finalmente staremo di più insieme. Io lavoro già molto poco e non puoi impedirmelo".

"Posso perché sei mia moglie!", mi disse con rabbia, stringendomi le spalle.

"Non sono un oggetto, mi stai spaventando! E mi stai anche facendo male!".

"Cosa succede qui?". La voce di suor Lane interruppe il nostro litigio.

Terry si riavviò i capelli in un gesto d'imbarazzo: "Nulla, nulla, scusatemi se ho alzato la voce. Vado a prendere una boccata d'aria".

Lo guardai uscire e mi sembrò uno sconosciuto per la prima volta dopo tanti anni. Il dolore per la nostra perdita lo aveva colpito così profondamente che era cambiato senza che neanche me ne accorgessi. Il giorno dopo ci salutammo e gli promisi nuovamente che sarei tornata entro pochi giorni. Ma il nostro fu il saluto affettuoso di due fratelli, non di una coppia di sposi.

Poche ore dopo la sua partenza arrivò Albert: non lo vedevo da più di 5 anni e il nostro incontro fu straziante quasi quanto lo era stato quello con Terry. 

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Capitolo 8
*** Ritorno ***


Come in un dejà-vu, mi gettai tra le braccia di Albert come avevo fatto pochi giorni prima con Terry. Ricominciai a singhiozzare, dicendogli quanto mi era mancato, che soffrivo per il mio bambino perduto. Poi presi a dire delle frasi smozzicate su Terry che a lui dovettero sembrare incomprensibili.

Per tutto il tempo in cui vaneggiai, immersa nel mio dolore profondo, lui non smise mai di stringermi forte e a un certo punto avvertii le sue labbra sulla mia fronte: erano umide e mi resi conto che stava piangendo anche lui.

Alzai il viso, smettendo di colpo di singhiozzare e lo guardai: i suoi occhi limpidi come il mare erano colmi di lacrime che scendevano sul suo bel viso abbronzato. Era la prima volta che lo vedevo piangere in tutta la mia vita e mi si spezzò il cuore, sapendo di essere io la causa.

Gli portai le mani al viso, che mai mi era parso così bello e il mio cuore ebbe uno strano sussulto, mentre lo fissavo come se lo vedessi per la prima volta. Il mio dolce principe. Il mio devoto prozio William. Il mio più caro amico, mio fratello. Oh, quanto gli volevo bene!

"Perdonami, Candy, dev'essere l'età che avanza", si schernì asciugandosi frettolosamente il volto con un braccio. "Dovrei consolarti e invece, accidenti! È da così tanto tempo che non ci vediamo, e la notizia che ho ricevuto, tutto questo dolore che stai provando...". La voce gli si spezzò, ma si ricompose velocemente e mi prese le mani per baciarle. "Ma ora dimmi, raccontami tutto. Mi stavi parlando di Terence: è qui con te?".

Mentre gli spiegavo gli ultimi accadimenti, nel mio cuore cominciò a farsi strada una consapevolezza che non potei ignorare: quell'uomo stava soffrendo per me, mi amava molto più di quanto potessi immaginare e le sue lacrime di poco prima non erano solo quelle di un carissimo amico che mi conosceva da una vita. Gli ero mancata e rivedermi in quelle condizioni doveva averlo devastato. Io stessa soffrivo del dolore di Terry, che lo aveva reso così furioso e illogico.

E Albert. Così incrollabile, così forte. Le uniche volte in cui lo avevo visto più debole era stato quando aveva perso la memoria: eppure, anche nei momenti di maggior sconforto, mai lo avevo visto sciogliersi in lacrime in quella maniera. Ero certa che non fosse l'età a renderlo così fragile, in fin dei conti aveva solo 10 anni più di me. Si trattava di un dolore molto più profondo e radicato nel suo cuore. Quella volta, avrei dato non so cosa per poter ricambiare i suoi sentimenti.

Nelle poche lettere che ci eravamo scambiati durante gli anni precedenti mai, neanche una volta lui aveva fatto cenno a quel giorno alla Casa della Magnolia e io mi ero ben guardata dal parlargliene. Dopo il matrimonio con Terry, al quale lui non era venuto, pensai ingenuamente che avesse ricominciato con la sua vita, dimenticandosi di me. Ma il suo pianto di quel giorno mi confermò che mi era gravemente sbagliata sul suo conto e che, se in passato mi avrebbe consolata controllando la sua commozione, ora gli era semplicemente impossibile rimanere freddo, anche se era per il mio bene.

Gli confessai i crucci del mio matrimonio cercando di non lasciar trasparire troppo la mia preoccupazione, temendo di appesantirlo troppo, ma lui rimase serio per tutto il tempo. Capii che avrei dovuto tacere, all'inizio, ma ormai il danno era fatto e non potevo certo ritrattare.

Anni dopo, mi confessò che dentro di lui si stava verificando una vera e propria tempesta, perché sperava che stare con Terence mi avesse finalmente reso felice e che lo starmi lontano lo avesse fortificato. Invece era crollato come un castello di sabbia alla prima onda non appena mi aveva rivista, così disperata per di più.

Nei giorni seguenti tentai di mostrarmi più serena e di non dare a vedere che temevo il mio ritorno a casa. Albert mi disse che doveva rimanere a Chicago per prendersi cura degli affari degli Ardlay, che per così tanto tempo aveva trascurato. Inoltre stava pensando di vendere la proprietà a Lakewood e questo mi riportò a molti anni prima, quando tornammo insieme alla tenuta e parlammo della morte di Anthony, del mio diario, di tutto quello che era accaduto da quando ero venuta a conoscenza della sua identità.

Già allora aveva espresso la necessità di mettere in vendita quella tenuta così colma di ricordi, belli e brutti, ma poi aveva ricominciato a viaggiare, si era occupato di ampliare la Casa di Pony, della Casa Felice e... di me e Terry. Aveva sacrificato i suoi sentimenti per me, donandomi tutto quello che poteva e, dopo una richiesta quasi muta che avevo potuto a malapena cogliere quando mi aveva espresso il desiderio di acquistare la Casa della Magnolia, se n'era semplicemente andato per tentare di lasciarsi il passato alle spalle.

Quanto doveva aver sofferto, povero caro Albert!

Ora che tornava a Chicago avremmo forse avuto più occasioni d'incontrarci, io lui e Terry e non sapevo se fosse un bene o un male. Viaggiammo sullo stesso treno fino a un certo punto, fin quando le nostre strade si divisero: lui in una città più vicina, io in un altro Stato.

Mi salutò ancora con un bacio sulla fronte, finalmente sereno o almeno fingendo di esserlo: "Per qualunque cosa sai dove cercarmi, va bene piccola?".

"Verrai a trovarci?", gli chiesi titubante, desiderando rivederlo.

Lui sorrise e, con voce sincera rispose: "Certo che sì, voglio riabbracciare quello zuccone di tuo marito. Mi raccomando, siate felici". Mi fece l'occhiolino e si voltò per andarsene.
Io, improvvisamente, avvertii tutto il gelo dell'autunno che avanzava.
 

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Capitolo 9
*** Ricominciare ***


Al mio ritorno Terry era quello di sempre e io trovai la serenità che tanto cercavo. Spesso lui usciva la mattina ma tornava la sera: a Broodway stavano per mettere in scena nuovamente l'Amleto, a grande richiesta del pubblico. 

"La volta scorsa non mi hai visto, vorrei che stavolta ci fossi", sussurrò sulle mie labbra. Non si era più avvicinato a me dopo che avevo perso il bambino e io stessa mi irrigidivo al solo pensiero. Lo amavo, lo desideravo eppure qualcosa mi bloccava. La notte avevo incubi in cui sentivo piangere un neonato e lo cercavo in un ospedale deserto. Poi vedevo del sangue e iniziavo a urlare.
Fu un periodo molto difficile, ma la vicinanza di mio marito e la sua pazienza mi aiutarono a superarlo. Non parlammo più della Casa di Pony o della Clinica Felice, da cui puntualmente ricevevo notizie.

"Ci sarò, amore mio. Ti piacerebbe se ci fosse anche Albert?". Lui mi baciò dolcemente e annuì.

"L'ho mancato per poco, la volta scorsa. Mi piacerebbe molto rivederlo". Non gli avevo mai raccontato dei sentimenti che avevo scoperto nutrisse ancora per me, ed evitai di farlo per non metterlo in allarme o dargli un dispiacere.

"Ho paura", mormorai mentre le sue mani scendevano sui miei fianchi, in un chiaro tentativo di coinvolgermi.

"Se vuoi mi fermo, ma sappi che non possiamo continuare così ancora a lungo. Non è giusto... non vorresti riprovare?". La sua voce vibrava di desiderio e di comprensione allo stesso tempo. 

Desideravo entrambe le cose, lui e un figlio. Il senso di colpa, però, mi lacerava come se potessi far torto alla creatura che avevamo perso: "Lo voglio, ma devi essere paziente".

E lo fu. Nonostante le settimane di distanza da me lo fu. E io riscoprii a poco a poco la gioia di essere donna tra le sue braccia.  

Per la prima di Amleto invitammo Albert, che sedette accanto a me e fu felice di rivedere il suo amico Terence. Io mi commossi fino alle lacrime nel vedere mio marito vestire finalmente i panni del protagonista, dopo tanta sofferenza e tanti ostacoli superati.

Dopo la rappresentazione invitammo Albert a cena a casa nostra e quella fu la prima di una lunga serie di inviti. 

Io ero felice, perché avevo nuovamente mio marito accanto tutti i giorni e il mio miglior amico di sempre a tenerci compagnia molto spesso. Scrutai attentamente le sue reazioni e lo vidi così sereno e divertito mentre eravamo insieme che credetti di essermi inventata tutto. Forse Albert aveva finalmente voltato pagina e questo mi tranquillizzava moltissimo, anche se mi guardavo bene dal chiederglielo.

Lo fece Terry, durante una delle nostre cene. Quella volta erano presenti anche Annie e Archie, che avevamo invitato per rivederci dopo la nascita del loro primogenito. Mi sentivo una zia acquisita molto orgogliosa: Stair Jonathan Cornwell era un bambino buonissimo, che piangeva solo quando aveva fame e voleva un po' di coccole dalla sua mamma.

Annie mi guardava quasi come se volesse scusarsi di avere avuto un figlio prima di me, soprattutto dopo aver saputo ciò che mi era successo. Ma io la rassicurai con un sorriso, lasciandole a intendere che per me vedere quel neonato equivaleva solo ad essere ancor più ferma nella mia convinzione di diventare madre. Ed ero sinceramente, immensamente felice per lei. Mi beai del calore di quel corpicino, sognando di poter cullare una creatura solo mia insieme al mio Terry, un giorno.

"E tu quando ti decidi a fidanzarti?", esordì Terry mandando un boccone di traverso al povero Albert. "Accidenti, non credevo di toccare un argomento così spinoso. Perdonami, amico mio", tentò di rimediare battendogli sulla schiena mentre lui tossiva.

"No, Terence, tranquillo. Ma nel mondo degli affari non ci sono molte donzelle in età da marito, sai? La zia Ellroy mi tiene d'occhio e ha paura che io fugga di nuovo dalle mie responsabilità".
Archie scoppiò a ridere: "Però, Albert, non vorrai aspettare di avere quarant'anni per sposarti, vero? Non lasciare che la zia ti impedisca di essere felice e, soprattutto, confessaci se c'è una signorina straniera che hai incontrato nei tuoi viaggi".

Vidi distintamente mentre s'irrigidiva e dovette notarlo anche Terry, perché divenne serio e smise di scherzare: "Adesso basta, damerino, si vede che non gli va di parlarne. Magari il suo cuore è imbrigliato in un amore impossibile e non vuole dircelo", commentò gelandomi il sangue nelle vene.

Terry sapeva, ricordava quella lettera di tanti anni prima nella quale Albert gli confessava che nemmeno l'aver scoperto la sua identità di principe mi aveva convinto a seguirlo. Tutte le mie speranze che il mio dolce Bert avesse superato i suoi sentimenti per me crollarono e mi sentii molto triste per lui.

"Non chiamarmi damerino!", s'impuntò Archie dopo aver scoccato un'occhiata a un silenzioso Albert. Doveva aver capito che stava toccando davvero un nervo scoperto e ora cercava di rimediare con un diversivo.

"E perché non dovrei chiamarti con il tuo nome, damerino?", lo assecondò Terry sorridendo e facendogli l'occhiolino.

Annie si spaventò sinceramente e intervenne per dividerli. Impegnata com'era col piccolo Stair non si era accorta della tensione che si era creata. Io mi volsi a guardare Albert e per un secondo incontrai i suoi limpidi occhi azzurri: lui dovette notare la mia espressione costernata, perché si sforzò di sorridere e scosse la testa.

Quella sera, quando rimanemmo soli, Terry si ritirò sul balcone a fumare.

"Da quando in qua hai ricominciato?", gli chiesi, indignata, raggiungendolo alle spalle.

"Non ho ricominciato", rispose guardando la sua sigaretta come fosse un oggetto strano, "ma ne avevo qualcuna chiusa in un cassetto come monito e stasera ne ho sentito il bisogno dopo anni". Come a sottolineare quel particolare, cominciò a tossire, poi la spense sotto al piede e la gettò via.

Mi accostai a lui, stringendogli il braccio: "Che ti succede, amore?", domandai delicatamente.

"Lui ti ama ancora tanto", disse guardando un punto lontano davanti a sé. "So che non dovrei essere geloso di lui, ma lo sono. E sono anche molto triste per lui. Come possono, gelosia e compassione convivere nello stesso cuore?".

Gli accarezzai quei capelli di seta che tanto amavo e mi appoggiai sulla sua spalla: "Perché sei un uomo buono e altruista sotto la scorza dura che ti ostini a mostrare e io ti amo anche per questo".

Lui prese a sua volta ad accarezzarmi distrattamente i capelli: "Ti ha fatto male vedere il bambino di Annie?", cambiò discorso.

Chiusi gli occhi, esplorando a fondo la mia anima, perché volevo essere sincera con lui: "No, non male. Ho sentito come una specie di nostalgia. Nostalgia per qualcosa di non ancora formato e di mai nato che poteva essere il nostro bambino e che non abbiamo più. Ma sono davvero felice per lei ed Archie, si vede che lo adorano e anche io adoro il mio nipotino. Ora, più che mai, voglio diventare mamma".

Terry fece un sorrisetto malizioso: "Per quello non c'è problema, posso darti una mano io", rise guadagnandosi un'occhiataccia da parte mia. Poi tornò serio: "Non credere che non passi giorno senza che anche io mi disperi per questa perdita, Candy, ma bisogna sempre guardare avanti, come stiamo facendo".

Annuii e, per la prima volta dopo molti mesi toccai nuovamente l'argomento: "Proprio per questo ho deciso di tornare a lavorare in ospedale. Dalla prossima settimana ricomincio con i turni diurni, e lavorerò mentre tu sei a teatro".

Allora non potevo sapere quanto quell'incrinatura che stavamo cercando di riparare nel nostro rapporto si stesse lacerando ulteriormente. Poco per volta, in modo inesorabile. Dal desiderio di sentirci liberi di vivere il nostro rapporto senza rinunciare ai sogni, eravamo passati al timore che la troppa libertà potesse separarci. 

Non gli dissi mai quanto mi fossi abituata ad averlo a casa, quanto fossi contenta che non andasse più in tournée: erano bastati pochi mesi perché maturasse in me il desiderio egoistico di tenerlo sempre accanto.

Lo stesso stava avvenendo in lui e me lo spiegò molto chiaramente, impuntandosi anche contro pochi turni in ospedale, chiedendomi persino di seguirlo alle prove.

Era come se, dopo tanto tempo passato a pensare agli altri, fossimo improvvisamente diventati possessivi, ognuno a suo modo. E questo, in una coppia, non può mai essere motivo di unione.

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Capitolo 10
*** Interludio ***


Mia nonna rimase a lungo in silenzio e credetti che si fosse addormentata. Mentre raccontava nuovamente la sua vita, la stava arricchendo di particolari che né io, né la mamma come sospettai dalle sue occhiate stupite, conoscevamo. C'erano stati momenti in cui la narrazione diveniva un sussurro incomprensibile e vedevo chiaramente il volto della nonna arrossire; poi taceva, e capivo che stava descrivendo qualcosa di troppo intimo per essere raccontato.

Da quello che ho capito il nonno era un tipo molto dolce ma anche molto appassionato e l'amava di un amore ardente. Non ho mai voluto approfondire quegli aspetti, davvero troppo privati ma mi ritrovai ad ascoltare come una ragazzina alle prese con un romanzo rosa.

"Mi hai sempre raccontato che tu e papà siete stati insieme solo 10 anni, inizialmente. Però non ho mai capito come è successo che vi siate separati e che poi tu e Albert...", mia madre fu interrotta da una risatina quasi fanciullesca, poi la risata di mia nonna divenne un rauco gracchiare e lei cominciò a tossire.

Le fui subito accanto con un bicchiere d'acqua, mentre sentivo la bambina fare le capriole dentro la mia pancia: che anche lei volesse sapere?

"Amare due uomini quasi contemporaneamente di un amore diverso è una cosa incomprensibile oggi, figuriamoci all'inizio degli anni '30. Eppure è stato quello che è capitato a me. Un principe azzurro e un fante nero: ecco i miei due amori. Li ho amati in modi e in tempi differenti, oppure nello stesso momento, questo non lo capisco ancora adesso. Eppure mi ritengo fortunata, perché mi sono sempre stati accanto".

"Ma papà ti ha abbandonata", riprese mia madre con voce tremante, "e lo ha fatto proprio...".

"Oh, mi ha solo restituito la mia libertà. E il nostro rapporto stava diventando insostenibile, l'amore alle volte non basta come collante, piccola mia e se ricordi bene il tuo primo fidanzatino mi confermerai che ho ragione", la interruppe nuovamente lei.

"Ma mamma, avevo 15 anni!", protestò.

"Anche io avevo su per giù la tua età quando conobbi il mio Terry e siamo stati a lungo separati. Ma quel matrimonio non stava funzionando e tutte le nostre differenze caratteriali e i punti di contatto che accomunavano la nostra testardaggine stavano venendo finalmente a galla. Ci vollero anni perché Bert potesse parlarmi di lui senza che io ne soffrissi o uscissi di testa, ma questo lo hai letto anche nelle mie lettere, giusto?".

Mia madre annuì. In realtà lo avevo letto anche io. Qualcuno bussò alla porta proprio in quel momento.

"Mamma!", esclamò mio zio inginocchiandosi accanto al suo letto e baciandole le mani.

"Oh, tesoro, sei arrivato proprio al momento giusto", esordì la nonna accarezzandogli i capelli dorati e grigi. Poi lo guardò negli occhi e sorrise: "Lo stesso colore limpido di quelli di tuo padre".

"Come sta?", chiese rivolto a me e mia madre.

"Anthony, lei...", esordì, ma fu interrotta ancora una volta.

"Posso rispondere anche io, sapete? Sto morendo, Anthony, caro, ma prima devo raccontarvi la storia della mia vita come nei film strappalacrime che danno oggi al cinema. Quindi, per favore, siediti e stai accanto a me, figlio mio".

Lui non riuscì a ribattere nulla e prese posto su una sedia, prendendole una mano: "Vorrei che vivessi altri cento anni, mamma".

Lei sorrise: "Temo che oltre i 99 e 7 mesi non potrò andare, ma ti ringrazio del pensiero".

"Sei ancora bella quando sorridi così".

Nella stanza calò il silenzio, mentre gli occhi di nonna Candy s'inumidivano di commozione. Ormai sapevamo tutti il significato di quelle parole per lei: "Nonostante le rughe, sono ancora bella quando sorrido...?", chiese come se fosse tornata ragazzina.

"Sì, mamma. Non piangere, sei più carina quando ridi che quando piangi", insisté lo zio asciugandole gli occhi.

Dopo la sua frase, mia nonna ebbe bisogno di qualche minuto per ricomporsi e ricominciare a raccontare.  

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Capitolo 11
*** Un triste epilogo ***


La notizia della morte di Eleonor Baker per un attacco cardiaco arrivò come una sferzata di vento gelido durante la tempesta. A quei tempi Terry non lavorava e sembrava un leone in gabbia: dopo l'Amleto la sua compagnia si era di nuovo spostata in giro per l'America e per il mondo ed era stata costretta, suo malgrado, a ricercare un altro primo attore che potesse sostituirlo.

Molte volte cercai di convincerlo a seguirli, ma lui voleva rimanere con me e diventare finalmente padre. A poco a poco, il desiderio divenne frustrazione perché non accadeva nulla e lui non poté più neanche lavorare. Inoltre mi rimproverava di aver allungato i turni in ospedale e di recarmi troppo spesso alla Clinica Felice quando tornavamo alla Casa di Pony.

"Stiamo tornando indietro, Candy, stai lavorando di nuovo troppo e forse è proprio per questo che non riusciamo a diventare genitori!". Aveva persino smesso di chiamarmi Tarzan o Tuttelentiggini, ormai non c'era quasi più nulla di giocoso nel nostro rapporto. Un anno prima il Duca di Granchester era morto lasciandogli una buona fetta di eredità e ci volle tutta la diplomazia di sua madre, che era venuta a trovarci, per costringerlo ad accettarla: "Potreste averne bisogno, un domani. Era pur sempre tuo padre, permettigli di fare un'ultima ammenda".

Lui era stato molto titubante, ma alla fine aveva ceduto. Non potevo pensare che quel pomeriggio e quella cena che condividemmo sarebbero stati gli ultimi istanti che avremmo vissuto con quella meravigliosa donna. Era così felice del nostro matrimonio e per fortuna non sospettò mai minimamente della nostra crisi.

"Terry", lo chiamai con voce tremante mentre anche il giornale tremava tra le mie mani. Era successo mentre si trovava in tournée e la notizia aveva raggiunto la stampa ancor prima del figlio. Era assurdo.

Lui mi si avvicinò e me lo strappò dalle mani. Lo vidi impallidire, passarsi le mani tra i capelli e scoppiare a piangere come un bambino nel giro di pochi secondi. Lo abbracciai stretto, singhiozzando con lui. Rimanemmo così per parecchi minuti, condividendo quel dolore immenso.

Poi, lui farfugliò qualcosa a proposito di un viaggio che doveva fare per organizzare le esequie e io dissi prontamente: "Prenderò delle ferie, non preoccuparti, faccio subito le valigie e...".
"No, Candy, tu rimani qui", ribatté lui con voce già più ferma, asciugandosi gli occhi.

M'impietrii: "Ma, Terry, io...".

"Aspettami qui un secondo", aggiunse allontanandosi verso il suo studio. Ne tornò con un fascio di documenti in mano. Me li porse, ancora molto pallido in volto ma anche fermo nel suo proposito: "Ti restituisco la tua libertà, Tarzan Tuttelentiggini".

Non ricordo molto di quei giorni, mi sembrava di vivere la vita di un'altra persona. Cercai di convincerlo che non era la decisione giusta e lui mi ricordava che non ero stata disposta a lasciare il mio lavoro per lui. Allo stesso tempo, Terry aveva rinunciato alla sua carriera brillante per me. Ormai il vecchio meccanismo continuava a tornare a galla e io ero davvero stanca.
Capii che l'amore non bastava, ma il nostro addio fu comunque straziante.

"Riprenderai a lavorare?", chiesi all'uomo che ormai non era più mio marito e che da una settimana dormiva nello studio.

"Probabilmente sì, a questo punto non ha più senso rimanere lontano dalle scene. Tu tornerai alla Casa di Pony? Sai che se vuoi questa è casa tua".

Mi morsi le labbra, riflettendo sull'assurdità di quei concetti: "Non lo so, devo ancora decidere se lasciare l'ospedale o tenere alcuni turni durante il mese. Non credo siano disponibili a...". Cominciai a singhiozzare, devastata dal futuro che ci aveva divisi ancora una volta.

Lui mi sorprese abbracciandomi di slancio: "Non piangere, Candy, o piangerò anche io", mormorò con voce roca.

"Lascerò il lavoro, sarò una donna che rimane a casa a lavorare a maglia, se è questo che vuoi, anche se non sono mai stata capace di lavorare a maglia! Ma non lasciarmi!". Non ci credevo, ma lo stavo supplicando. Mi stavo spogliando di ogni dignità per lui.

"Non farlo, amore mio. Non rinunciare ai tuoi sogni. Anche io proverò ad andare avanti coi miei, come cercai di fare tanti anni fa quando mi lasciasti con Susanna, ricordi?", mi asciugò gli occhi e mi guardò intensamente. Dio, quanto lo amavo! E lui mi ricambiava, ne ero certa. Ma eravamo troppo diversi o troppo simili per rimanere ancora insieme. Ci avevamo provato strenuamente, ma alla fine le nostre strade si erano divise, forse per sempre.

"Stai con me stanotte", lo supplicai, "lasciami almeno questo ricordo".

"Stavo per chiedertelo io", mi soffiò sulle labbra travolgendomi dopo pochi istanti con la stessa passione di sempre.

Anzi, forse anche di più.

Ci amammo come se volessimo imprimerci nella mente il sapore, il profumo e la consistenza della nostra pelle. Stentai ad addormentarmi, perché sapevo che quando mi sarei svegliata non sarei più stata tra le sue braccia e ci saremmo di nuovo divisi.

Accadde proprio così.

Mi svegliai in un letto vuoto, dove erano rimasti una rosa e un biglietto: "Rimarrai l'unico amore della mia vita".

Dopo averlo letto qualcosa si ruppe in me. Ero sempre stata allegra e controllata, superando i momenti più difficili con il sorriso sulle labbra o comunque con una fredda determinazione: ma in quel momento provavo rabbia cieca.

"E allora perché, perché non hai saputo accettare la vita che ti offrivo?!", sbottai stracciando il biglietto.

Anzi, furia nera.

"Perché?!", gridai strappando tutti i petali di quella rosa. "Perché mi hai chiesto di rimanermene buona a casa ad aspettarti rinunciando al mio lavoro, nella vana speranza di avere un figlio che Dio ha deciso di non concederci?!". Presi un vaso e lo scagliai con forza sul muro, mandandolo in mille pezzi.

Ero felice che lui rimanesse a casa con me ma non volevo smettere di fare l'infermiera, sottraendomi a quello che sapevo essere il mio dovere. Non avevamo più punti d'incontro e il nostro rapporto si era incrinato e rotto come quel vaso, anche se non alla stessa velocità. E io volevo rompere tutto ciò che rimaneva in quella casa. Presi un vecchio posacenere che Terry non aveva mai usato e lo lanciai sulla porta, gridando e piangendo.

Io, la vivace e sorridente Candice Ardlay, stavo avendo una crisi isterica in piena regola.

Fu solo dopo essermi calmata che decisi che dovevo andarmene e che avevo bisogno di aiuto. La mia destinazione era Chicago: dovevo trovare Albert.

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Capitolo 12
*** A casa ***


Arrivai fino alla reception dell'albergo dove alloggiava, poi capii che era tutto sbagliato. Lui non era solo il mio prezioso amico, il mio prozio, il mio padre adottivo e il mio principe. Era anche un uomo ancora innamorato di me. Perché avrei dovuto tormentarlo con la mia storia d'amore appena finita?

"Sarebbe crudele da parte mia", mi dissi mentre tornavo alla stazione. 

Così vendetti l'appartamento di Ney York e lasciai l'ospedale in maniera definitiva per tornare nell'unico posto che, dopo quasi 30 anni, potevo ancora chiamare "casa". Miss Pony e Suor Lane mi accolsero con il solito calore, asciugarono le mie lacrime e mi diedero tutto l'appoggio di cui avevo bisogno.

Alla Casa Felice trovai, con mia grande sorpresa, la mai amica Patty. La sua storia con Robert Smith mi distolse dai miei guai e mi rapì, emozionandomi nel profondo del cuore. Alla fine la lontananza aveva giocato in loro favore e, invece di tornare in Florida, il medico aveva deciso di rimanere al villaggio dove suo figlio sembrava così felice assieme ai bambini della Casa di Pony. La corrispondenza con Patty si era fatta sempre più fitta, finché lei aveva deciso che poteva insegnare proprio lì, dove eravamo cresciute io ed Annie e anche nelle cittadine circostanti. 

"Abbiamo scoperto che non ci serve un buon lavoro in una grande città per essere felici, ma ci basta il poco che serve per vivere dignitosamente". L'abbracciai, felice che avesse finalmente superato il lutto per Stair e stesse ricominciando ad aprire il suo cuore.

"Ancora non parliamo di matrimonio, le nostre storie pregresse ci frenano e lui ha anche un figlio, però...". Le presi le mani, guardandola con calore.

"Mia dolce amica, non titubare se sai che la felicità è a portata di mano. Avete scoperto di avere lo stesso scopo nella vita, anche a livello lavorativo. Nulla v'impedisce di stare insieme". Patty, che sapeva della mia travagliata storia con Terry e della sua tragica fine, mi guardò con tenerezza.

"Hai avvisato Albert?", mi domandò poi, improvvisamente.

Io spalancai gli occhi, sorpresa: "No, perché dovrei?".

"Oh, Candy, nei momenti di difficoltà è stato sempre lui a sostenerti. Non vuoi che ti stia vicino in questo momento così difficile?". Lei non sapeva.

Mi sedetti, preda di un capogiro improvviso: mi resi conto che desideravo ardentemente averlo al mio fianco, non per niente ero stata sul punto di andare a bussare alla sua porta. Ma avrei dovuto tacere finché mi fosse stato possibile farlo, tanto prima o poi lo avrebbe scoperto.

"Albert è innamorato di me", confessai in un soffio.

Patty fece un ansito stupefatto e si portò le mani alla bocca: "Ma come... sei sicura, Candy? Io sono sempre stata convinta che lui fosse come un fratello maggiore per te. Non un prozio o un padre, ma un fratello sì...".

"Lo pensavo anche io, ma qualcosa dev'essere cambiato col tempo. Forse è accaduto in quel periodo in cui vivevamo insieme alla Casa della Magnolia e lui aveva perso la memoria; è stato lì che mi ha chiesto di seguirlo in un viaggio, tanti anni fa. Quando rifiutai si premurò di farmi incontrare con Terry, al matrimonio di Annie".

"Poveretto, deve aver sofferto tanto vedendovi insieme".

Annuii, raccontandole di quanto ero stata vicina ad andare da lui.

"Se con Terence è davvero tutto finito, Candy... penso che sarebbe meraviglioso se un giorno il tuo cuore fosse finalmente libero di dargli una possibilità". Le parole di Patty mi colpirono come un colpo al petto.

Spalancai gli occhi, stupita dal fatto che la cosa non mi dispiacesse affatto: chi altri, in fondo, se non il mio principe di sempre? Peccato che fino a quel momento lo considerassi davvero solo come un fratello.

"Non voglio illudermi, né sposarmi di nuovo senza amore. Perciò se accadrà ne sarò felice, altrimenti preferisco rimanere sola piuttosto che cercare un sostituto".

La mia amica annuì vigorosamente: "Ne sono fermamente convinta, Candy, hai ragione. Scusami se mi sono permessa".

"Non preoccuparti", le sorrisi, "va tutto bene. Grazie di essermi vicina, Patty".

Durante le settimane alla Casa di Pony ebbi modo di capire quanto il destino possa essere crudele nel macchinare le situazioni e a muovere le sue fila.

Quella mattina, avevo la nausea e rifiutai il caffè di Miss Pony. Quando arrivai in clinica un paziente aveva in mano un giornale e io la vidi subito: era la foto di Terry, nuovamente membro della compagnia Stratford che era in tournée in America Latina con la riedizione di Romeo e Giulietta.

Feci appena in tempo a uscire fuori e accasciarmi ai piedi di un albero in preda ai conati, rigettando la fetta di torta che mi ero costretta a mandare giù prima del mio turno. Ero scossa dai singhiozzi e dal malessere che mi attanagliava allo stomaco e d'improvviso sentii una mano calda e gentile sulla mia fronte, che mi sosteneva: "Va tutto bene, piccola, ci sono qui io adesso".

Albert era tornato da me.

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Capitolo 13
*** Presente ***



Nota dell'autrice: questo è un capitolo di transizione, volutamente molto breve. Alla luce di questo può darsi che aggiorni prima, fatemi sapere se vi fa piacere!


"Nonna, il vostro è stato un amore molto travagliato. Non mi dirai che hai firmato quelle carte di divorzio così velocemente!".

La nonna era andata avanti con gli eventi, ma a me quella domanda bruciava sulle labbra e nel cuore da troppi minuti. Come aveva potuto accettare, seppure con la morte nell'anima, di firmare quelle carte che il nonno gli porgeva?

"Mi ero quasi preoccupata quando non me lo hai chiesto", sorrise alzando lo sguardo verso la mamma e lo zio. "Voi ricordate, vero?".

Mia madre annuì e mi guardò con tenerezza: "Tesoro, la nonna voleva continuare a fare l'infermiera, ma voleva anche che papà si sentisse libero di riprendere la sua carriera di attore: in realtà è stata lei a ridargli la libertà".

Spalancai gli occhi, confusa: "Ma il nonno...".

"Tuo nonno mi adorava ma si era costretto a scegliere tra me e il lavoro. Due sposi non possono stare divisi per più di sei mesi l'anno. Ma questa grande rinuncia gli bruciava tanto che non poteva accettare che anche io non facessi la mia parte. La verità era che io mancavo davvero solo per alcune ore del giorno ma per lui era come se io non mi sacrificassi abbastanza. Molti anni dopo mi confessò che era stato un comportamento immaturo, da parte sua, e capiva perché mi fossi rifatta una vita. Nonostante i suoi successi come attore, avrebbe desiderato seppellire questa passione, se fosse tornato indietro nel tempo e restarmi accanto senza troppi patemi d'animo".

"Che mente contorta, è stato un vero peccato...", ripetei, poi incontrai lo sguardo di mio zio e arrossii.

Lui si mise a ridere: "Oh, tranquilla Cindy, penso anche io che Terence Graham sia stato uno sciocco a farsi scappare una donna come mia madre. Ma ci sono momenti nella vita in cui l'amore davvero non basta, non l'abbiamo detto fino a poco fa?".

"Sì, ma la nonna ha anche parlato della sua libertà, che il nonno le aveva restituito. Ora ha già cambiato versione", protestai.

"Hai ragione, piccola mia, ma se proprio vogliamo la libertà è stata reciproca: abbiamo eviscerato più a fondo questo argomento della nostra separazione, a questo punto?".

Feci spallucce, poco convinta, ma forse lo ero solo perché non mi era mai capitato di innamorarmi di qualcuno che avesse idee così diverse dalle mie. Ero stata fortunata trovando l'uomo della mia vita e mi erano oscuri i vicoli ciechi che l'amore poteva prendere.

Sapevo, però, che la loro storia d'amore avrebbe sempre rivaleggiato ad armi pari con l'altra, quella della sua età più matura. Quella che mi aveva dato uno zio a sua volta così libero che era difficile tenerlo fermo in un luogo per più di un mese: proprio come il prozio Albert.

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Capitolo 14
*** Principe ***


Visto che il capitolo precedente era molto breve, ne posto un altro oggi. Enjoy!



La pazienza è la virtù dei forti, recita un vecchio adagio. Ma con quanta pazienza il mio dolce principe mi stava vicino in quei giorni difficili! Certo, avevo al mio fianco anche tutti gli altri, ma lui doveva confrontarsi anche con quel sentimento che doveva reprimere e io non potevo certo fingere di stare meglio.

O fingere di non essere rimasta incinta di Terry proprio poco dopo che lui se n'era andato.

Mi continuavo a ripetere che era assurdo, e che da un momento all'altro avrei dovuto pagare nuovamente il pegno di quella gioia immensa, seppure spezzata dalla nostra separazione. Invece no. Dopo 3 mesi il mio bambino era ancora dentro di me e Albert non se n'era più andato via, se non per brevi periodi e quando il dovere chiamava davvero.

Nella nebbia del mio dolore e del pensiero di quella creatura non mi ero neanche resa conto che mi stavo aggrappando disperatamente al mio prozio William. Di nuovo, e nonostante i miei buoni propositi. Non potevo fare a meno di lui, dei suoi occhi e della sua voce gentile. Come al solito, avevano un effetto calmante su di me, come fossero una dolce droga.

Un giorno mi chiese di accompagnarlo sulla Collina di Pony, dove tutto era cominciato.

Se non lo avessi incontrato, più di vent'anni prima, non sarei andata a vivere dai Lagan. Non avrei incontrato Anthony pensando di averlo ritrovato. Non sarei stata mandata proprio da lui a Londra e non avrei incontrato Terry. Non sarei stata in dolce attesa oggi.

Il cerchio si chiudeva e lui mi prese la mano, baciandola dolcemente mentre eravamo seduti sull'erba: "Piccola mia, devi dirlo a suo padre", esordì.

Io lo guardai, confusa: ero così intenzionata a dimenticare Terence che quasi mi sfuggiva che stava per diventare genitore anche lui. Albert aveva ragione. Eppure non ce l'aveva.

"Lui sta ricominciando ad essere famoso, dovrà mandare alle ortiche i suoi sogni per tornare con me. E ricominceremmo a litigare per il mio lavoro. So che è anche suo figlio, ma non sono sicura che sia questo il momento di dirglielo. Senza contare che non so assolutamente dove rintracciarlo. Dalle ultime notizie sui giornali si dovrebbe trovare addirittura oltreoceano".

Albert guardò un punto lontano, davanti a sé: "Questo non è un grosso problema: ho molti agganci e posso ritrovarlo in men che non si dica", disse.

"Io ho paura. Non voglio che torni da me solo per il bambino e so che lo farebbe. Glielo dirò, certo, perché voglio che lui, a differenza mia, conosca i suoi genitori. Ma continuo a pensare che non sia questo il momento".

"Hai mai pensato che un giorno lui potrebbe rimproverarti di non averglielo detto subito, di avergli negato questo diritto?", mi domandò tornando a guardarmi negli occhi.

"Sì", mormorai, "ma credo valga la pena correre questo rischio se significa rendere più sereno il nostro futuro di genitori. Non credo più che torneremo insieme, ma il nostro bambino ci conoscerà e saprà dei nostri limiti, pregi e difetti inclusi. Se lui ora dovesse tornare e sposarmi di nuovo non sarebbe affatto un gesto spontaneo, per quanto i sentimenti possano ancora legarci".

Albert rimase in silenzio, ascoltandomi mentre io guardavo il suo profilo stagliarsi nel cielo azzurro. Tante volte mi ero soffermata a pensare a quanto fosse bello il mio principe e tante volte mi ero domandata come mai mi fossi innamorata di un uomo altrettanto bello ma completamente diverso da lui.

Tante volte il mio cuore aveva avuto dei fremiti incontrollabili, mentre lo guardavo, e tante volte mi ero domandata come fosse possibile provarli anche se ero innamorata di mio marito. Anzi, del mio ex marito.

Scoprii in seguito quanto fosse pronto il mio cuore ad accogliere quell'uomo così gentile che conoscevo fin da piccola, ma quanto io fossi troppo presa dalla mia passione per Terry per accorgermene. Era come quando Anthony morì e io dovetti passare dall'amore dolce e disincantato per quel giovane così speciale e tenero a quello selvaggio e fremente di Terence.
Questo ulteriore passaggio sarebbe stato più doloroso, più adulto e più lungo. Ma, a conti fatti, stava già avvenendo.

"Sai, Candy, tra qualche settimana la tua pancia si comincerà a notare e la gente si farà delle domande... Tu sei una Ardlay e quando la zia Elroy ha saputo del tuo divorzio ha dato ancor più in escandescenze di quando è venuta a sapere del tuo matrimonio. Oh, non fraintendermi, non che a me importi qualcosa del giudizio altrui, mi conosci. Ma sono il capofamiglia e tu sei... sì, insomma, sei mia figlia".

Lo guardai con un senso di irrealtà: io figlia di un principe? Quasi sorrisi, ma mi trattenni e cercai di rispondere: "Albert, se vuoi puoi lasciarmi andare. Rimani sempre mio amico, se vuoi, ma fammi pure uscire dalla famiglia se ti creo imbarazzo".

Lui allora fece qualcosa che non mi aspettavo e alla quale non reagii certo come credevo. Mi prese tra le braccia e mi baciò. Mi baciò prima teneramente, sfiorandomi appena le labbra poi, quando io risposi allacciandogli le braccia al collo senza più pensare, ancora confusa sui miei sentimenti ma di certo non immune al suo fascino, quel bacio divenne più esigente e appassionato.
Schiusi la mia bocca alla sua, risposi alle sue carezze e lasciai che mi facesse sdraiare su quell'erba che profumava di primavera. In un momento realizzai che stavamo rischiando di fare l'amore sulla nostra collina, il mio principe ed io, e spalancai gli occhi. Lui dovette realizzarlo nello stesso momento, perché si staccò da me all'improvviso.

Lo ringraziai e lo odiai per quel vuoto improvviso, mentre ancora tremavo.

"Non hai idea dell'effetto che mi fai, Candy, stavo quasi per commettere un incesto", fece una risata diversa da quella limpida che conoscevo, con la voce ancora arrochita dal desiderio e dall'imbarazzo.

"Scusami, non avrei dovuto...", cominciai.

"Ricambiarmi? Oh, ti assicuro che è un gran bell'inizio per quello che intendevo proporti, uff!", si schernì sbuffando e riavviandosi i capelli. "Lascia che mi ricomponga, poi devo dirti una cosa".
Si passò le mani sul viso e si sistemò un ciuffo ribelle, come per raccogliere le parole giuste e intanto io lo guardavo e non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Io, che solo qualche settimana prima morivo tra le braccia del mio Terry. La confusione doveva essere evidente sul mio volto, perché lui mi guardò e si scusò.

"Sei tu che devi perdonare me, Candy, ma quando ho sentito che volevi sacrificare il nome che ti ho dato pur di non disonorare il nome degli Ardlay ho sentito il bisogno di ribadirti quanto tengo a te. Non avrei dovuto farlo in quel modo, però. Scusami".

"Non devi scusarti, Albert, io... non so cosa mi sia preso ma è come se...". Mi si riavvicinò ed ebbi un brivido di aspettativa pensando che avrebbe ricominciato a baciarmi. Invece mi pose un dito sulle labbra per zittirmi.

"Prenditi il tuo tempo, mia dolce Candy, e ascolta la mia proposta. Ho un'idea perché tu possa portare avanti la tua gravidanza e nello stesso tempo rimanere una Ardlay".
Un'idea cominciò a farsi strada nella mia mente e il mio cuore accelerò i battiti. Non avevo certo tempo per pensarci. Davvero stava per chiedermelo?

"Sposami".
 

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Capitolo 15
*** Ricerca ***


Terry sembrava svanito nel nulla.

Prima di fare un passo del genere, io e Albert avevamo deciso di fare un tentativo, mettendo però bene in chiaro che io non intendevo fare dei passi indietro. Terence avrebbe potuto riconoscere il bambino legalmente e io sarei stata solo l'ennesima donna divorziata con un figlio che era arrivato troppo tardi.

Lo cercammo per più di un mese e ormai, complici gli abiti estivi, la rotondità del mio ventre spuntava qualunque cosa indossassi.

Un giorno Albert venne da me con un gran sorriso sulle labbra: "Lo abbiamo trovato!". Lui e George avevano fatto i salti mortali per risalire a dove si trovasse la compagnia Stratford di preciso, incrociando le notizie dei vari tabloid con le informazioni degli alberghi locali.

"Arriverà nei prossimi giorni dalla Germania, lo andremo a prendere al porto". Io annuii, incapace di parlare. Dentro di me si stavano muovendo tanti sentimenti diversi: volevo rivederlo eppure non volevo. Desideravo il meglio per mio figlio, ma temevo che i vecchi meccanismi tra me e Terry avrebbero portato solo infelicità.

"So a cosa stai pensando, piccola mia, ma non preoccuparti. Non sei obbligata a sposarlo di nuovo, ricordi? E poi hai sempre una seconda possibilità, se non vuoi rimanere sola", si indicò col pollice, ridendo.

Mi accigliai, disgustata: "Tu non sarai mai la 'seconda possibilità', Albert. Ho deciso che se ti sposerò sarà solo per amore, piuttosto rimarrò single a vita!".

Lui si fece serio: "Candy, io non avanzerò mai alcun diritto su di te, sappilo. Il mio amore per te è tale che mi basta starti vicino ed essere il nome, il patrigno e l'appoggio solido per questo bambino che verrà alla luce. E voglio essere un sostegno per voi. Non devi preoccuparti per i miei sentimenti, ma concediti questo porto sicuro se le cose dovessero andare storte".

Io ero titubante, non volevo che facesse un sacrificio così enorme, anche se lui non l'aveva mai denominato tale: "Albert, potresti trovare una donna che ti ami ora per quello che sei, avere figli tuoi! Così rimarrai incastrato in un matrimonio pieno di affetto ma senza quello che realmente meriti", protestai.

Lui mi si avvicinò e mi accarezzò la guancia con il pollice, teneramente: "Mia piccola Candy, non voglio certo legarti a me con la forza, tanto più che ancora non sappiamo come reagirà Terence. Se vorrai ti starò accanto solo come amico ma se vorrai sposarmi, pur non amandomi come lo vorrei, sarò felice ugualmente, capito?".

Mi gettai fra le sue braccia, piangendo. Ero commossa dalla sua bontà, dalla sua dedizione e dentro di me si accese di nuovo quel tumulto sconosciuto che mi mandava sempre tanto in confusione. Sentivo di provare ancora dei sentimenti molto forti per Terry, ma poi ripensavo ai nostri screzi, alle nostre discussioni e mi veniva in mente che, molto probabilmente, ero piuttosto rimasta ancorata all'idea romantica del nostro amore giovanile.

Amavo l'amore che era stato e che ora, forse, non c'era più.

O comunque si era ridimensionato, perdendo quell'intesa di cui avevamo disperatamente bisogno. Con Albert, pur essendo sempre rimasti amici, quell'intesa non era mai svanita: lui non aveva mai rinunciato ai suoi sogni per me, sostenendomi anche se era distante. Mi teneva d'occhio con discrezione ma quando ne avevo bisogno lui c'era sempre.

Anche Terry a un certo punto aveva lasciato il suo lavoro, ma potevo vedere quanto ne soffrisse e quanto fosse combattuto tra il desiderio di formarsi una famiglia con me e quello di tornare a recitare come prima.

Per Albert, inoltre, non era mai stato importante che lavorassi o meno e non aveva mai espresso il minimo dubbio su questo, seppure non fosse mai stato mio marito: ero certa che mi avrebbe assecondata anche se gli avessi comunicato che sarei andata a fare la crocerossina, ai tempi della grande guerra. E pensare che per poco non l'avevo fatto.

"A cosa stai pensando, Candy? Hai paura di rivederlo?". Alzai lo sguardo per perdermi nei suoi occhi e la pace m'invase come d'incanto, come al solito.

Sorrisi: "No, non ho paura se tu mi starai vicino. Ho le idee abbastanza chiare, al momento".

Lui si accigliò: "Idee chiare?".

"Sai, quando decise di divorziare ero disperata, gli gridai che avrei persino lasciato il mio lavoro se questo fosse servito a farlo rimanere. Ora ho capito che il mio non era l'atto di una donna semplicemente innamorata, ma di una donna che non voleva restare di nuovo sola. Ci siamo divisi già una volta e non potevo accettare che le cose andassero male per causa nostra, in quel momento avrei fatto carte false perché il nostro matrimonio funzionasse, ma non è così che deve essere, in una coppia".

Albert mi fissava in silenzio, con lo sguardo serio, come se pendesse dalle mie labbra. Non volevo illuderlo, ma dovevo pur parlargli di ciò che sentivo.

"Tu mi hai sempre dato il tuo amore incondizionato, Albert, qualunque decisione prendessi, persino mentre ero sposata con lui. Sai chi è stata la prima persona che ho cercato quando lui è partito? Tu".

Spalancò gli occhi, evidentemente incredulo: "Me? Ma quando... come...".

Abbassai la testa, con aria colpevole: "Sono arrivata fino al portone del tuo albergo, ma mi sono resa conto che sarebbe stato egoista da parte mia cercare conforto in un amico... innamorato di me. Io non volevo che soffrissi! Quando venivi a cena da noi io ero convinta che tu mi avessi dimenticata e che magari fossi pronto a rifarti una vita tua! Poi quando Terence ha fatto quella battuta quella sera e poi anche Archie... mi è nato il sospetto che forse mi stavo sbagliando".

Sorrise leggermente: "È per questo che non mi avete più invitato a cena?", si schernì.

Ricambiai il sorriso, ma il mio era triste: "In parte. La verità è che stavamo già perdendo quella parvenza di serenità che ci sembrava di aver raggiunto, e non eravamo più dell'umore di organizzare cene casalinghe. Sai, Terence mi ha anche aiutata a cucinare un paio di volte, ma non era bravo come te", ridacchiai per stemperare la tensione.

"Lo hai fatto di nuovo", disse invece.

"Cosa?", chiesi senza capire.

"Lo hai chiamato Terence, e non Terry, per ben due volte". Non me n'ero accorta.

"Io... forse è proprio per questo che...". Dio solo sapeva se ero confusa.

"Dillo con parole tue", mi suggerì in un soffio.

"Albert io ti voglio un bene dell'anima e non voglio illuderti. Ma qualcosa sta cambiando nel mio cuore. È stato questo a farmi rispondere al tuo bacio, l'altra volta. Io... io penso che potrebbe succedere che un giorno... che io prima o poi... possa... innamorarmi di te". Da sciocca qual ero dimenticai tutti i miei buoni propositi e gli sfiorai le labbra con le mie. Fu un bacio più casto che se glielo avessi dato sulla guancia, il tocco delle ali di una farfalla, ma basto a farmi vibrare. E a far vibrare lui.

Mi prese per le spalle, con fermezza: "Candy", cominciò con voce malferma, "non sai quanto queste tue parole mi rendano felice, anche se rimango prudente. Ma hai ben visto l'effetto che hai su di me: io ti amo follemente, Candy, e l'ho capito dai giorni alla Casa della Magnolia, quando tu eri solo la mia dolce amica infermiera. Non sono un santo e se mi parli d'amore in quel modo, io...". Deglutì, evidentemente a disagio, lasciando le mie spalle come se scottassero.

"Perdonami, Albert, io... lo sto facendo di nuovo, vero? Ti sto facendo soffrire con la mia indecisione!".

"Fino ad oggi non sei mai stata indecisa ed è questo che mi destabilizza. Ma sii sempre sincera, perché preferisco non averti mai, o starti accanto come amico che sentire il mio cuore spezzarsi". Guardai i suoi occhi velati e gli giurai che mai e poi mai lo avrei ingannato.

Avrei fatto chiarezza nel mio cuore e il ritorno di Terence sarebbe stato l'esame finale.
 
 

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Capitolo 16
*** Incontro ***


Tutto quello che poteva andare storto, quel giorno, andò storto. Il destino si stava accanendo su di me o forse mi stava solo dando chiari segnali di cosa dovessi fare: ma fu comunque crudele.

Quando Terry scese dalla banchina c'era molta gente e anche dei giornalisti che lo avevano riconosciuto, nonostante lo scialle di seta intorno al viso. Il mio primo sentimento appena lo vidi fu sconcerto. Sì, sconcerto, perché non mi preoccupai di non potergli volare tra le braccia in quanto era accerchiato, ma mi preoccupai di non riuscire a trovare un posto tranquillo dove parlargli in pace. Albert era rimasto poco dietro di me, discreto ma presente.

Approfittai della confusione per analizzarmi profondamente: ricordai il giorno in cui partì con una nave e io corsi tutta la notte su una carrozza, non riuscendo comunque a raggiungerlo; rividi, chiaro come il sole, il suo viso e i capelli sferzati dal vento mentre un treno lo portava via da me; e ripensai a quell'incontro in stazione a New York, prima che la tragedia di Susanna dividesse nuovamente le nostre strade.

Infine, ripensai all'addio dopo il nostro divorzio, a quel bisogno fisico di fonderci insieme un'ultima volta.

Chiusi gli occhi, rievocando le immagini una ad una e capii: capii che quell'amore era irrimediabilmente corrotto, logorato da anni di incomprensioni e che ne avevamo esaurito ogni aspetto meraviglioso. Rimanevano l'amarezza e la nostalgia dei tempi andati.

E quel figlio, quel figlio che ci avrebbe comunque uniti per sempre.

"Candy, finalmente! Forse è meglio se troviamo un posto più...". Le parole gli morirono sulle labbra mentre realizzava quanto fosse teso il mio vestito sottile all'altezza del ventre. Il colore fuggì dal suo volto mentre alzava lo sguardo e fissava un punto lontano.

"Terry, io... è proprio per questo che volevo parlarti e ti ho mandato a cercare. Ma andiamo veramente altrove, Albert mi ha dato un passaggio e io...".

"Sì, lo vedo che Albert ti ha dato un passaggio", disse a voce alta.

Poi calò il silenzio e tutto si fermò. Persino i giornalisti, che erano tornati all'attacco, si fermarono e tacquero. Terry mi si avvicinò e mi resi conto che aveva bevuto, probabilmente poco prima di scendere dalla nave. Non era ubriaco, ma sospettai che lo avesse fatto per prendere coraggio prima di affrontarmi di nuovo.

Mi voltai verso Albert e notai un'espressione pericolosamente vicina al panico sul suo volto. Ora anche io ero preoccupata, Terence stava travisando la situazione in modo orribilmente distorto: "Oh, no, Terry, non è come pensi! Lascia che ti spieghi ma andiamo da un'altra parte, qui è pieno di giornalisti!". Lo presi per un braccio ma lui lo strappò via come se lo avesse toccato Eliza in persona, e non io.

"E perché mandarli via, rendiamoli partecipi, invece! Avvicinatevi, guardate: eccola, ma mia dolce ex mogliettina! Non ci siamo neanche lasciati che si è fatta mettere incinta da, nientemeno che, il rampollo capofamiglia degli Ardlay! Che è anche il suo patrigno!".

L'orrore mi offuscò la vista e temetti di svenire. Le braccia pronte di Albert mi sostennero appena in tempo: "Ma che diavolo stai dicendo, razza di stupido! Sei ubriaco, forse?!". Lo sentii tremare e sospettai che lo avrebbe preso a pugni se non ci fossi stata io in mezzo a loro.

"Credevo che fossimo amici, invece non hai esitato neanche un po' a infilarti nel suo letto ancora caldo, vero?".

Il pugno arrivò, passando sopra la mia testa e io gridai. Non avevo mai visto quell'odio nei suoi occhi, mai. Neanche quando incrociava per sbaglio Neal ed Eliza alla Saint Paul School. E quell'odio era per me. Forse non lo amavo più come prima, ma di certo non avevo mai odiato Terry.

"Signor Terence, lei sospetta che sua moglie la tradisse anche durante il vostro matrimonio?", si fece avanti un giornalista, con il viso rosso dall'emozione per lo scoop imminente.

Terence si asciugò il labbro sanguinante e non rispose. Rivolse il suo odio ad Albert che ancora tremava di rabbia: "Tu l'hai sempre amata, sei il suo principe della collina, vero? Ora è tutto chiaro!", poi si rivolse ancora a me. "Ecco perché volevi che io non rinunciassi alla mia carriera, perché così potevi accoglierlo nella nostra casa tutte le volte che ti pareva, non è così? E io stupido che pensavo mi amassi davvero! Anche il primo era suo? Dimmi la verità Candy!". Tentai di parlare ma la sua cieca gelosia mi ammutoliva come un maleficio, un anatema che si era riversato su di me. Mi strinse le spalle e Albert lo afferrò brutalmente, trascinandolo via.

"No!", gridai mentre cominciavano a picchiarsi.

Dietro di me udivo i giornalisti mormorare ma non me ne importava nulla: volevo solo che quell'incubo finisse.

"Devi chiudere la bocca, capito? Tu non sai neanche lontanamente cosa stai dicendo! E non ti azzardare a toccarla!", lo ammonì Albert, mentre Terence reagiva e lo colpiva a sua volta.

"Certo, a quello ci pensi tu, non è vero? Vigliacco!". Un altro pugno.

"Basta, basta, per l'amor del cielo!", gridai portandomi le mani al ventre. Un dolore acuto si stava impossessando delle mie viscere e capii che non andava affatto bene.

Albert gli sferrò un pugno più potente degli altri e Terence perse i sensi sul selciato. Il problema era che stavo per perderli anch'io. Il mio amico di sempre mi si avvicinò tirandomi su dolcemente: "Ora ti porto in ospedale ma devo prima risolvere questa situazione. Ci stanno guardando tutti e qualcuno ha anche preso appunti. Ti fidi di me?".

Annuii tra le lacrime, appoggiandomi a lui.

Parlò con voce forte e chiara perché tutti i giornalisti potessero sentirlo: "Ascoltatemi bene! Io e Candice siamo regolarmente sposati, quindi questo figlio è legittimo!".

Mi si mozzò il respiro, mentre i miei occhi andavano a Terence, che si stava muovendo come se stesse per rialzarsi.

"Dopo il suo divorzio con Terence Graham ho provveduto a revocare l'adozione e ora è mia moglie, ma non volevo che si sapesse così presto. Tutto quello che ha insinuato il suo ex marito sono solo illazioni".

Non udii più nulla, sentii solo le sue braccia sollevarmi e portarmi via. Con l'ultimo barlume di lucidità cercai Terence con lo sguardo e mormorai: "Non è vero... non è vero, è tuo figlio...". Lo vidi volgersi verso di noi, mentre Alberti mi adagiava sul sedile posteriore e metteva in moto.

A lungo ignorai se avesse udito veramente le mie flebili parole.

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Capitolo 17
*** Ore 23 ***


Questo capitolo è molto più breve dei precedenti, perché rappresenta una piccola transizione. Quindi oggi ne pubblicherò 2. Enjoy.




La mia bocca si spalancò mentre un fuoco d'artificio esplodeva in cielo con un anticipo di almeno un'ora: "Il prozio l'ha sparata davvero così grossa davanti a quei giornalisti?!"

La mamma e lo zio mi guardarono con comprensione, di sicuro conoscevano già quella storia.

"Tesoro, a quell'epoca gli Ardlay erano molto in vista e la nonna stava rischiando di finire in uno scandalo senza precedenti a causa delle parole di tuo nonno. Io sarei stata trascinata nel fango ancor prima di nascere", mi spiegò mia madre con dolcezza.

"Ma bastava negare tutto e urlare la verità sia a nonno Terry che ai giornalisti, no?", insistetti.

"Cindy, cara, questo potevamo farlo se fossimo stati da soli. Ma ormai Terry aveva dato fiato alla bocca senza pensare e il pasticcio era combinato. Albert non poteva recuperare in extremis meglio di così, credimi", intervenne la nonna.

"L'avrai odiato dopo quello che ti ha fatto, vero?", domandai, anche se ero quasi certa della risposta.

"Oh, no, non l'ho odiato. Ma ero molto arrabbiata con lui e lo fui per molto tempo. Ma fu un'ulteriore possibilità che diede al mio rapporto con Albert, un'altra spinta nella direzione giusta. La zia Elroy ha rischiato seriamente di avere un infarto, quando ha scoperto cosa stava per accadere a suo nipote".

Un altro boato irruppe nella stanza.

"Quindi ora stai per raccontarci la tua storia con papà, non è vero?", intervenne lo zio, accarezzandole la mano.

Lei annuì: "Sì, Anthony William, proprio così. Ma la mia lunga vita mi ha riservato altri avvenimenti che, se Dio me lo concederà, non mancherò di raccontarvi".

"Non voglio che ti affatichi, mamma", l'ammonì lo zio.

"Oh, le mie fatiche sono state ben altre, caro mio. A cominciare dal dare alla luce voi due", rise la nonna. 
I suoi occhi si fecero remoti.
"Avevo da poco perso un amore grande e ne stavo coltivando un altro.  E ce n'era un terzo in arrivo", concluse guardando mia madre. "A quell'epoca non era possibile in nessun modo prevedere il sesso del nascituro, ma a me non importava: volevo solo che quel bambino nascesse forte e sano e, soprattutto, circondato dall'affetto".

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Capitolo 18
*** Matrimonio ***


"Il mio bambino", furono le prime parole che sussurrai quando aprii gli occhi. Lui era accanto a me e mi stava accarezzando i capelli.

Sorrise, riportando immediatamente la calma nel mio cuore: "Sta bene, tranquilla. Si è solo agitato un po', lì dentro ma quella che mi ha fatto più preoccupare sei tu".

Sospirai di sollievo, lasciando libere le lacrime, mentre la tensione si allentava. Dopo qualche minuto dissi: "Albert, a proposito di oggi, io...".

"Sst", m'intimò lui con un dito sulle mie labbra, "non ne parliamo ora. Hai bisogno di riposo. Dopo ti giuro che farò tutto ciò che desideri, compreso ritrattare con i giornalisti, se ti rende felice. Ma ti avverto che sarebbe peggio e non lo dico perché voglio sposarti a tutti i costi. Adesso riposa e non pensare a niente".

E lo feci: ero così stremata da quello che era accaduto che dormii per ore. Quando il medico entrò nella stanza era quasi buio: mi raccomandò di stare più a riposo, anche se non mi proibì di lavorare, e di essere sempre prudente. Essendo infermiera discussi con lui di tutte le accortezze da prendere da quel momento in poi, inclusi i consigli alimentari.

"Sono certo che questa gravidanza andrà benone, ha un marito che l'adora, si vede lontano un miglio!", commentò prima di uscire e chiudere la porta.

Già, Albert, mio marito. Che non era mio marito. E il mio ex, che a sua volta mi aveva sposata dopo essere rimasto vedovo, aveva fatto a pugni con lui perché pensava che lo tradissi. Neanche nelle tragedie messe in scena dalla compagnia Stratford c'erano così tanti intrighi e storie complesse.

Ridacchiai, poi cominciai a ridere più forte. In breve, le lacrime mi accecarono e non capii più se stavo ridendo o piangendo. Albert mi abbracciò e io neanche mi accorsi di quando era entrato: "Piangi, piccola mia, piangi pure", mi disse con la sua voce carezzevole.

"Piangere? Ma io stavo ridendo! Pensavo che... che... Terry e tu...", blaterai tra i singhiozzi. Lui mi strinse ancora più forte, accarezzandomi come una bambina.

Non sapevo se fossero gli ormoni della mia gravidanza o la tensione accumulata, ma per giorni rimasi in uno stato sospeso tra sogno e realtà. Albert mi portò a Chicago, ma in un albergo più defilato dove nessuno potesse farci domande: ognuno stava nella sua stanza e lui mi controllava di continuo. Successivamente, mi raccontò che aveva inventato una storia con l'albergatore, sostenendo che mi stava accompagnando da una lontana cugina per portare a termine la gravidanza mentre lui doveva allontanarsi per lavoro. Per un mero colpo di fortuna nessuno si accorse che non avevamo la fede al dito e, viste le mie condizioni, nessuno fece domande sulle camere separate.
Dopo una settimana si decise a venire da me per parlarmi: capii che non potevo più fuggire da quella realtà. Sedette accanto a me, sul mio letto e mi disse: "Candy, quello che è accaduto è terribile, le cose non dovevano affatto andare così. So che sei ancora sconvolta, ma è ora di prendere una decisione. A causa dei giornalisti e del comportamento di Terence ho dovuto raccontare una grossa bugia e spero mi perdonerai per questo".

Scossi la testa: "Mi hai chiesto di fidarmi di te e l'ho fatto, ricordi?". Ancora una volta lo guardai negli occhi e ancora una volta il loro colore limpido mi fece girare la testa.

"Ora hai due strade davanti a te, Candy: la prima è la più difficile. Si tratterebbe di raccontare la verità alla stampa, spiegando che, come tuo padrino, mi sono sentito in dovere di proteggerti dalle accuse infondate lanciate dal tuo ex marito. A quel punto però potrebbero inventare storie parallele non sapendo davvero di chi è figlio questo bambino e sia tu che lui potreste essere trascinati nel fango, includendo forse persino Terence. La seconda strada è la più semplice, ma richiede un grande sforzo da parte tua, che sei ancora così confusa: devi semplicemente sposarmi in segreto e io riconoscerò il bambino. Poi, se vuoi, potremo cercare Terence, o scrivergli, e quando le acque si saranno calmate potrà riconoscerlo come suo: ma anche questo comporterà delle conseguenze, perché potrebbe creare confusione. Purtroppo, sia io che il tuo ex siamo molto in vista e se per noi adulti essere coinvolti in uno scandalo può essere irritante, per un bambino è terribile".

Aveva descritto alla perfezione tutti i pro e i contro di ogni decisione. Mi trovavo in un limbo nel quale dovevo scegliere il male minore: tentare un ricongiungimento col mio ex, un amore incrinato in cambio di un cognome e di una dubbia serenità, o cercare un porto sicuro nell'uomo che stavo imparando ad amare, donando stabilità a mio figlio.

Guardai Albert e il mio cuore non ebbe più dubbi: "Il mio bambino deve vivere in un ambiente sereno e... anche io. Verrà il momento in cui parlerò di nuovo a Terence, ma ora sono ferita e devo guardare al futuro. E più ci penso, mio dolce Bert, più mi rendo conto che il mio futuro è con te". Gli presi le mani, e mi accorsi che erano gelide e stava tremando. "So quanto tu tenga a me, e credimi quando ti dico che ti vedo già con occhi diversi. Ti scelgo anche per questo, perché per quanto possa anteporre la felicità di mio figlio alla mia, so che devo essere felice io per prima. Ma devi essere paziente con me, mio principe, e lasciarmi il tempo di far guarire le ferite del mio cuore. Sono ancora troppo fresche".

Lui chiuse gli occhi e deglutì, chiaramente commosso da quella dichiarazione a metà: "Ti prometto", cominciò, ma dovette schiarirsi la voce, "ti prometto che ti aspetterò, mia dolce Candy e che proteggerò te e il tuo bambino, amandolo come se fosse mio. Sarò paziente e non ti chiederò nulla in cambio, se non la tua felicità".

I suoi occhi lucidi tradirono ancora i suoi sentimenti per me. Conoscevo Albert come un uomo tutto d'un pezzo, non freddo ma posato e affatto incline alle emozioni violente. Io risvegliavo qualcosa di ancestrale in lui, come mi confessò qualche anno dopo.

Questo suo lato così sensibile e tenero era uno dei motivi che contribuirono a ingrandire quel sentimento nel mio cuore.

Il matrimonio si svolse in gran segreto, e Albert mi raccontò dei malori continui della zia Elroy: "Per quel giorno, però, cerca di stare bene, almeno durante l'ora in cui officeremo la cerimonia in casa", le aveva detto facendola andare su tutte le furie.

Al matrimonio eravamo presenti solo noi, Archie ed Annie con il loro bambino, oltre a una riluttante zia Elroy, che avevo sentito sospirare stizzita in più di un'occasione. La cerimonia fu breve ma commovente e Albert era quasi più emozionato di me. Avrei voluto officiarla alla Casa di Pony, magari sulla nostra collina, con Miss Pony, Suor Lane, Patty e il suo fidanzato e tutti i bambini, ma non fu possibile per ovvi motivi.

Quella sera Albert mi portò in una casa alla periferia di Chicago, sapendo bene che la convivenza con gli altri Ardlay non sarebbe stata gradita da nessuno, seppure i Lagan fossero ormai quasi stabilizzati al Sud e la zia vivesse praticamente da sola con la servitù. L'appartamento non era molto grande ma sarebbe stato sufficiente. Dopo il crollo della Borsa di poco tempo prima anche gli Ardlay avevano subito delle perdite, ma non così ingenti da risultare preoccupanti, fortunatamente. Inizialmente non volevo che comprasse una casa solo per noi, ma visto che anche Lakewood era stata venduta non avevamo un altro posto in cui andare.

Ci fermammo sulla soglia e lui mi chiese, un po' imbarazzato, se dovesse prendermi in braccio. Terry lo aveva fatto, tra le risate di entrambi, e mi aveva portata direttamente a letto. Albert lo fece esibendosi in facce buffe e adducendo al peso supplementare ma mi depositò in una stanza tutta mia.

Me l'aspettavo, eppure ne fui vagamente delusa.

Non affrettare i tempi solo perché ti senti attratta da lui, Candy, chiarisciti prima le idee per bene o rischi di fargli solo del male, mi dissi.

E così feci, fino al giorno in cui mi svegliai in preda alle doglie.

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Capitolo 19
*** Nascita ***


"Terence ti odio!" gridai all'ennesima spinta.

Il medico sorrise mentre controllava velocemente le mie funzioni vitali: "Oh, è normale prendersela con il proprio marito quando si partorisce".

"Non è mio marito, quell'imbecille testardo!", ribattei a denti stretti, facendo sì che sul volto del poveretto di disegnasse un'espressione di assoluto sconcerto.
"Sì, bene signora, ora attenzione perché ci siamo quasi. Vedo la testa".

Respirai come avevo imparato e insegnato anche a qualche decina di donne durante la mia carriera, ma mi resi conto che tra farlo e dirlo c'era un baratro di differenza. Il dolore m'impediva di procedere come avrei dovuto e il mio diaframma si rifiutava di collaborare.

"Non così, deve usare il dia...".

"So come devo fare, sono un'infermiera!", strillai in preda a un attacco isterico. Il dolore mi stava lacerando in due.

"Dov'è Albert, voglio Albert!", piansi, ben sapendo che a quei tempi difficilmente lo avrebbero permesso. "Chiamate il mio principeee!".

"Signora, il padre del bambino è qui fuori, ora però...".

"Non voglio il padre del bambino, voglio il mio principe della collina, chiaro?!", strillai con quella che dovette risultare una faccia terribile.

Successivamente mi scusai col giovane medico e gli spiegai che ero semplicemente confusa per il dolore.

Quando finalmente mi misero tra le braccia la mia bambina, piansi di gioia e le offrii immediatamente il seno: "Sei bellissima, tesoro mio", le mormorai baciandole la testolina mentre suggeva nutrimento da me. Mi resi conto che il capelli, ancora soffici e radi, avevano la sfumatura scura di Terence ma gli occhi, che avevo avuto modo di vedere aperti per un breve momento, erano verdi come i miei. Mi pareva persino di notare l'ombra di qualche lentiggine. "Tuo padre ti adorerebbe, se solo ti vedesse".

"Suo padre è qui. Voglio dire, il suo vero padre". Quando alzai lo sguardo, vidi Albert che mi fissava con un'espressione mista di dolore e attesa.

Accidenti, doveva aver travisato le mie ultime parole! Ma che voleva dire con "il suo vero padre"? Possibile che Terry...

"Ti prego, lasciami passare!", la sua voce mi colpì come un pugno allo stomaco e lo vidi entrare trafelato mentre mio marito si faceva da parte e chiudeva la porta. Nonostante la presenza improvvisa e alquanto inaspettata di Terence, continuavo a pensare che avrei dovuto spiegargli il senso delle mie parole.

"Candy, come stai? Oh, ma com'è piccola!", esclamò con la voce che tremava e gli occhi lucidi mentre guardava la bambina. Allungò le braccia ma io non gliela porsi, tanto più che la stavo ancora allattando. Lui mi guardò, palesemente ferito.

"Terence, come mai sei qui?", gli chiesi senza mezzi termini con un'insolita freddezza. Ero ancora molto ferita e furiosa con lui.

Lui si alzò, si asciugò gli occhi col dorso delle mani e andò alla finestra: "Albert mi ha mandato un telegramma, qualche giorno fa". Osservai il suo profilo e notai che era un po' dimagrito, il volto sembrava segnato da mesi di sofferenza. Era sempre bello da togliere il fiato, ma nel mio cuore c'era solo lo spettro sbiadito del sentimento che una volta mi legava a lui. Rimanevano l'affetto e la devozione per avermi dato quel miracolo che tenevo tra le braccia.

Scossi la testa. "Perché l'ha fatto?", chiesi alla stanza vuota.

"Lui... voleva darmi un'ultima possibilità di riconoscere mia figlia. Mi ha raccontato tutto, Candy e io ho parlato con lui qui fuori, mentre tu eri in travaglio. Quel giorno provavo una grande rabbia, perché non sapevo cosa ne sarebbe stato di noi due: avevo cercato ardentemente di dimenticarti ma non c'ero riuscito, nonostante i buoni propositi e la mia carriera brillante. La speranza è tornata a riaffacciarsi ma avevo anche paura che le cose non avrebbero più funzionato come prima. Con questo stato d'animo mi sono avvicinato a te e ti ho vista in quelle condizioni, poi ho notato Albert dietro di te e... non ci ho visto più, Candy. Sapevo quanto ti amasse ed ero convinto che voi due...".

S'interruppe, passandosi una mano tra i capelli. Sembrava disperato. "Mi è sembrato di sentire la tua voce, mentre mi rialzavo dopo che Albert mi aveva messo ko, ma non ne ero sicura: tu giacevi semisvenuta fra le sue braccia. Se solo vi avessi fermati in quel momento!".

"È stato il giorno peggiore della nostra vita insieme, Terence. Le incomprensioni, gli screzi, i disaccordi sono nulla rispetto al male che mi hai fatto quel giorno".

Lui tornò a fianco del mio letto, inginocchiandosi di lato: "Ma io sono cambiato, Candy! Se solo tu me lo permetterai io riconoscerò nostra figlia e vi porterò con me in tournée. Ogni tanto potrai lavorare, al nostro ritorno e assumerò qualcuno che ti aiuti...".

"Hai già programmato tutto, vero Terence?", gli chiesi con voce vibrante per le mille emozioni che mi suscitava dentro: rabbia, dolore, sconcerto, nostalgia... "Fammi pensare: io sono stata sposata a te che eri già vedovo. Poi ci siamo separati. Quindi, secondo la stampa, mi sono risposata con Albert e ho dato alla luce una Ardlay. Adesso dovrei divorziare di nuovo e risposarti, mentre tu cambierai nome a questa creatura innocente che è venuta al mondo da meno di due ore, non è così?".

Terence ammutolì e mi fissò con aria seria. Nei suoi occhi rossi, lessi la consapevolezza. Accarezzò lievemente la testolina di sua figlia, con una tenerezza che riuscì a riempirmi il cuore: "Tu lo ami, vero?".

Stavolta non ebbi esitazione, nemmeno nel mio cuore: "Sì", risposi chiudendo gli occhi.

"Da quanto...?".

"Non chiedermelo, Terence, perché a essere sincera non lo so. Di sicuro dopo che te ne sei andato qualcosa è germogliato nella mia anima. Io ti ho amato, ti ho amato veramente e siamo stati felici per molto tempo. Ma poi il destino ha deciso che non potevamo più esserlo e io ho cominciato ad aggrapparmi all'unica ancora di salvezza che avevo. Qualcosa che era in embrione ma che non è mai cresciuto davvero ha cominciato a sbocciare nel mio cuore, mentre l'amore che nutrivo per te... per noi, per quella nostra storia così bella e tormentata sfioriva. Oggi sono grata ad Albert per essermi stata vicino nonostante non fossi ancora sicura di ciò che provavo per lui".

Terence tacque per un lungo istante, guardando ancora sua figlia con un amore tale che mi ammorbidii all'istante: "Posso accettare da uomo il fatto di perdere te, mia dolce Tarzan Tuttelentiggini che non mi chiama più Terry". Le sue parole mi diedero un brivido improvviso, ma immediatamente il viso di Albert balenò nella mia mente, se mai avessi avuto ancora dubbi. "Ma non posso rinunciare a lei, questo lo capisci? Lascerò che porti il nome degli Ardlay, non farò nulla che possa nuocerle. Ma permettimi di vederla: le racconteremo che sono uno zio o un amico di famiglia, quello che vorrai, ma lascia che ogni tanto...".

"Terence...", lo bloccai mettendo la mia mano sulla sua, "parlerò con Albert e sono certa che sarà d'accordo con me: veniamo tutti da famiglie che abbiamo conosciuto a metà o affatto, come nel mio caso. Siamo stati più o meno amati e cresciuti da altre persone meravigliose. Ma non lascerò che nostra figlia cresca nell'inganno: le racconterò tutto quando sarà abbastanza grande da capire e tu sarai il suo vero padre tutte le volte che vorrai. Magari dovremo fare attenzione ai giornalisti...".

Il bel volto di Terence si contrasse, abbassò la testa e mi baciò ripetutamente la mano mentre singhiozzava: "Grazie, Candy, io... oh, non sai che dono che mi fai, sei così buona! L'ho sempre saputo, ma dopo quello che ti ho fatto, credevo...".

Piansi con lui, rassicurandolo e pregandolo di non stare più così male, perché tutto si sarebbe risolto. Infine, gli porsi la bambina. Lui, con le lacrime che ancora gli rigavano il viso, mi guardò sconcertato: "Davvero posso?".

Annuii, commossa: "Ho pensato anche a un nome", dissi mentre lui la cullava delicatamente, guardandola come se volesse riempirsi gli occhi della sua dolce immagine. "Vorrei chiamarla Eleanor".

Lui alzò il viso di scatto, guardandomi. Nuove lacrime si affacciarono ai suoi occhi e pensai che non lo avevo mai visto così emozionato come quel giorno: sotto la scorza dura di Terence Graham, come lui stesso aveva deciso di farsi chiamare, c'era un cuore tenero. D'altronde, non l'avrei mai sposato se non fosse stato così.

Mentre abbracciava di nuovo sua figlia, coccolandola e ringraziandomi, pensai che le avrei dato anche il nome di una delle mie due mamme: "Si chiamerà Eleanor Lane, ti piace?".

"Moltissimo", bisbigliò senza staccare gli occhi dal suo nuovo amore.

Quando se ne andò, attesi a lungo che Albert entrasse da quella porta, ma non si fece vivo. Un'infermiera m'informò che se n'era andato via non appena Terence era entrato.



Comunicazione di servizio: stavo pensando, visto che i capitoli sono brevi, se non fosse il caso di aggiornare un paio di volte la settimana invece che una. Voi che ne pensate?

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Capitolo 20
*** A casa ***


Sorpresa! Aggiornamento infrasettimanale! Enjoy.


Albert venne da me il giorno dopo, ma apparve freddo e scostante, seppure non mancò di commuoversi alla vista della bambina: "È bellissima. Come la vuoi chiamare?".

"Eleanor Lane". Il suo sguardo si fece duro, mentre rivolgeva un'ultima carezza alla piccola e la riponeva nella culla, ormai addormentata. Andò alla finestra ed ebbi un dejà-vu della sera prima, quando a guardare fuori c'era Terence.

"Voglio parlarti di quello che è successo ieri", cominciai.

"Non mi devi alcuna spiegazione", ribatté freddamente, "il nome che hai deciso di darle e quelle parole che ho sentito... immagino che vorrai sposarti di nuovo con lui, vero? Ci hai pensato bene? Non voglio che questa bambina abbia di che soffrire".

Ero senza parole: Albert si stava comportando in maniera infantile e illogica, chiaramente accecato da una gelosia che lo stava obnubilando.

Un'infermiera bussò e venne a prendere Eleanor per il bagnetto: "Faccia piano, si è appena addormentata!", mi raccomandai.

Avevo appena partorito ed ero presa da mia figlia, ma già dovevo sistemare questioni urgenti. Mi sentivo anche un po' irritata, perché mi aspettavo sostegno da Albert e invece dovetti fare la voce grossa con lui perché mi ascoltasse: "Adesso ascoltami, William Albert Ardlay". La mia voce stentorea, che voleva essere quasi una parodia della vecchia suor Grey o della zia Elroy, lo fece sobbalzare e mi guardò stupito.

Mi schiarii la voce con fare autoritario e dissi: "Terence è il padre della bambina ma non la riconoscerà lui, per sua stessa decisione: la amiamo più di ogni altra cosa al mondo e vogliamo fare la scelta migliore per lei. Tantomeno tornerò con lui perché è con te che voglio restare. Ma gli ho promesso che le diremo sempre la verità sui suoi due padri e che potrà vederla ogni volta...", m'interruppi, perché mi aveva raggiunta a grandi falcate e stretta in un abbraccio.

"Vuoi... vuoi veramente restare con me?", mi chiese con voce malferma.

Era il momento di dirglielo, di saltare finalmente quel precipizio e lasciarmi trasportare dal vento dei miei sentimenti. E dai suoi meravigliosi occhi: "A un certo punto mi ha chiesto se fossi innamorata di te", cominciai e li ebbi finalmente davanti, quegli specchi azzurro cielo che adoravo, assieme a tutta la sua attenzione.

Avevo un nodo in gola e mi resi conto che anche lui era preda di un'emozione violenta, anche se differente da quella di Terence il giorno prima. Quella stanza d'ospedale avrebbe dovuto essere ribattezzata: 'la stanza delle grandi emozioni', e non solo per la gioia dei neogenitori che l'avrebbero sempre occupata.

 "E tu che cosa gli hai risposto?", mi domandò asciugandomi per l'appunto una lacrima birichina sfuggita al mio controllo.

"Gli ho risposto di sì. Perché sei tu, mio dolce Bert, mio caro e adorato principe, l'unico amore del mio cuore. Definitivamente e senza più dubbio alcuno. Ti amo, ti amo da morire", gli aprii la mia anima piangendo apertamente.

"Oh, Candy, mia dolce, piccola Candy, amore...", proruppe tra le lacrime che non riuscì più a trattenere. Mi prese il viso e mi baciò ovunque: sulla fronte, sugli occhi, sulle guance e io feci altrettanto, reclamando la sua bocca  e mescolando il sapore salato del nostro pianto liberatorio.

Piangevamo e ridevamo, dandoci baci che divennero sempre più appassionati. Alla fine, eravamo entrambi a corto di fiato: "Ti amo tanto, Albert", gli sussurrai all'orecchio.
"Anche io, Candy, ti ho aspettata così tanto che ora non mi pare vero", soffiò sulle mie labbra.

"È tutto vero, invece", ribattei posando la mia fronte sulla sua e intrecciando le nostre mani. "Ora siamo una famiglia".

Le prime settimane furono gioiose ma anche faticose: come ogni neonato che si rispetti, anche Eleanor piangeva spesso di notte e io dovevo allattarla tutte le volte che lo richiedeva. Dopo circa un mese imparammo a riconoscere il suo sonno e a poco a poco capimmo che, dopo una buona poppata serale, poteva dormire anche quattro o cinque ore di fila prima che dovessimo cambiarla o farla mangiare di nuovo.

Albert, con gli occhi cerchiati dal sonno come i miei ma il sorriso sempre immutabile, mi aiutava come poteva e me la portava a letto per farla attaccare al seno quando ero troppo stanca persino per alzarmi. Durante le poche ore di sonno che riuscivamo a concederci, la sua culla era vicina al nostro letto così che potessimo sempre vegliare su di lei.

Ormai condividevamo la stessa stanza e adoravo il calore sprigionato dal corpo di mio marito, spesso abbracciato al mio. Mi cullavo in un limbo tra sonno e veglia godendo della serenità di quella stretta così dolce che mi aveva sempre trasmesso una gran pace.

La stessa stretta che mi riservava quando ero triste e piangevo sul suo petto. La stessa di quando lo incontravo dopo tanto tempo. La stessa, eppure a volte così diversa. Avvertivo chiaramente il suo amore in ogni gesto e in ogni sussurro, quando mi induceva a dormire e riposare un po', ma capivo anche che mi desiderava tanto, anche se non l'aveva mai detto o dimostrato apertamente. L'unica volta che lo avevo visto vacillare era stato sulla nostra collina, quando mi aveva baciata con tanta passione.

Sorrisi, guardandolo dormire: i suoi lineamenti, nel sonno, sembravano ancora più giovani e i capelli biondi ricadevano scomposti sulla fronte. Li scostai dolcemente, non resistendo alla tentazione di sfiorare le sue labbra con le mie. Lui aprì gli occhi e mi persi in quelle pozze azzurro cielo.

"Sc.. scusami, pensavo che dormissi".

Sorrise, accarezzandomi i capelli a sua volta: "Come posso dormire mentre un angelo mi sta baciando?".

La sua mano mi sfiorò la guancia, delicata, e io istintivamente chiusi gli occhi: "Albert...", cominciai con voce tremante.

"Ssst, non dire nulla, Candy", avvicinò il suo volto al mio, ma prima che potesse anche solo toccarmi con le labbra, Eleanor cominciò a piangere.

"La bambina ha bisogno di me", dissi sottraendomi al suo tocco gentile.

Mentre la prendevo in braccio per allattarla, lo vidi passarsi una mano tra i capelli, in un gesto di frustrazione. Un momento dopo stava sorridendo, invitandomi a mettermi comoda accanto a lui per nutrirla da sdraiata.

"Albert, io... non è che non voglio, ma...", non sapevo come continuare. Era come se il mio istinto di madre mi tirasse in due direzioni diverse. Cercai di spiegarglielo e lui mi ascoltò pazientemente.

"Lo capisco perfettamente, piccola, non devi darmi spiegazioni. Succederà quando ti sentirai pronta, abbiamo tutta la vita davanti".

Ero commossa dalle sue parole, ma soprattutto di essere compresa così profondamente: quell'uomo mi aveva aspettata così a lungo eppure mostrava una pazienza e una dedizione infinite.

Lo amai ancora di più per questo.

Nel mio cuore, sperai di non doverlo far attendere ancora a lungo per essere totalmente sua. 

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Capitolo 21
*** Amore ***


Albert fu molto paziente e non tentò mai di forzarmi. Dopo quella volta mi concentrai totalmente sulla bambina, evitando distrazioni di ogni sorta: una parte di me si sentiva quasi in colpa per il desiderio di essere madre e donna allo stesso tempo, e mio marito dovette capirlo, perché non toccò più l'argomento.

Nel frattempo stavamo riscoprendo la gioia di cucinare insieme, come era accaduto tanti anni prima alla Casa della Magnolia. Albert si stupì delle mie doti culinarie, nettamente migliorate e io gli feci una linguaccia. Evitammo accuratamente di toccare il motivo per cui ciò era avvenuto: sapeva molto bene che durante il mio matrimonio con Terence avevo rifiutato la servitù, quindi  spesso rimanevo da sola e cucinavo per me stessa.

Guardandolo affettare le verdure, con le maniche arrotolate, mi sembrò davvero di tornare indietro nel tempo. Avvampai, pensando che avrei voluto circondargli la schiena in un abbraccio in quel preciso istante e decisi che sarei andata a controllare Eleanor per allontanarmi un attimo da lui.

"Sta dormendo?", mi chiese detergendosi il sudore dalla fronte con un braccio: la cucina era piena di profumi e vapore acqueo e faceva davvero caldo.

"Come un angioletto", risposi sollevando un coperchio e annusando. "Che stai cucinando qui?".

Lui si allungò su di me per rimettere il coperchio al suo posto: "Minestrone, curiosona, ma se lo apri i sapori non si sprigioneranno come si deve".

Sentivo i suoi pettorali attaccati alla schiena e avvertii dentro di me vibrare corde lontane. D'istinto, mi girai a fronteggiarlo, mentre il coperchio tornava sulla pentola e lo toccai: sentivo il suo cuore accelerare i battiti sotto alle mie mani e all'improvviso desiderai che non avesse quella maglietta a dividerle dalla sua pelle, così da poterne avvertire meglio il tamburellare ritmico.

"Candy...?", fece con voce interrogativa.

"Io... Albert...". M'imposi di non pensare a niente e lo guardai negli occhi.

Non ci furono parole, né richieste, non ce n'era bisogno.

Mi abbracciò stretta, circondandomi con le sue braccia forti. Alzai il viso per rispondere al suo bacio: nel giro di pochi secondi si trasformò da uno sfiorarsi gentile di labbra a una ricerca famelica da parte di entrambi.

Chiamò il mio nome ancora una volta, come per accertarsi che potesse davvero continuare a fare quello che stava facendo. Per tutta risposta, gli portai le mani sulle spalle circondandogli il collo, sospingendomi più stretta a lui.

Le sue mani vagarono sulla mia schiena strappandomi brividi e sospiri. Interruppe quel movimento una volta, allungando un braccio per spegnere il fuoco, poi riprese cominciando a slacciare con lentezza esasperante i bottoni del mio vestito, toccandomi la pelle nuda. "Candy, oh, mia dolcissima Candy..." Ripeté il mio nome più e più volte, senza mai smettere di baciarmi e di accarezzarmi.

"Albert, il mio principe...", gemetti sulle sue labbra, aderendo ancor più strettamente al suo corpo caldo. Mi resi conto che il desiderio di lui stava diventando irrinunciabile e potevo chiaramente avvertire il suo, nonostante avessi ancora il vestito addosso.

"Candy, per l'amor di Dio, fermami adesso perché poi non credo di poterlo fare", ansimò con voce roca.

Per qualche motivo, le sue parole m'infiammarono ancora di più e premetti ancora le labbra sulle sue: "Non azzardarti a smettere, William Albert Ardlay", gli soffiai sulla bocca.

Non se lo fece ripetere due volte. Con un impeto e una passione che non credevo possedesse, lui mi prese in braccio e mi portò in camera, continuando a esplorare la mia bocca: "Potrei impazzire, lo sai?", disse tra un sospiro e l'altro, mentre le nostre mani provvedevano a togliere l'uno i vestiti dell'altra.

"L'amore non è mai una pazzia, mio dolce principe". Lui sorrise e adorai i suoi occhi limpidi, il sorriso gentile e il volto bello di sempre trasfigurato dal desiderio.

"Non chiamarmi principe. Anzi, chiamami come vuoi, sono ciò che desideri, mia piccola Candy". Mi tirò giù con sé e avvertii il suo ansito soddisfatto quando i nostri corpi nudi aderirono alla perfezione.

"Non sono affatto piccola", gemetti con un sorriso mentre prendevo l'iniziativa e mi accingevo a baciargli i pettorali scolpiti. Quel gesto così audace da parte mia gli dovette far perdere letteralmente la testa, perché mi rovesciò improvvisamente sotto di sé e mi prese con fermezza, seppure in modo delicato.

"Te l'avevo detto che mi avresti fatto impazzire", disse con tono di scuse, guardandomi con gli occhi colmi di desiderio ma accarezzandomi la guancia con dolcezza.

"Se questa è la pazzia, allora l'adoro", ribattei accarezzando a mia volta quel viso tanto amato. Le sue labbra mi raggiunsero il collo e mentre danzavamo insieme la danza dell'amore, mi persi nei suoi occhi azzurro cielo e rividi la collina di Pony sul suo volto.

Ero tutt'uno con lui e adorai la sua espressione persa e sognante, così simile eppure così diversa da quelle che ero solita vedere sul suo viso composto.

Vinta dalle sensazioni che mi stava trasmettendo, riflesse pienamente nei suoi ansiti che spesso pronunciavano il mio nome, chiusi gli occhi e rividi tutta la mia vita con lui: io bambina, lui con il kilt e la cornamusa. La cascata, i suoi occhiali scuri, la sua barba e i suoi baffi dopo avermi salvata. Il suo viso tanto adorato a Londra, poi di nuovo a Lakewood, quando scoprii chi era veramente.

E di nuovo la nostra collina, dove mi chiese di sposarlo.

I miei sensi raggiunsero un livello supremo all'unisono col cuore e mi aggrappai a lui con tutte le forze, inarcandomi mentre avvertivo il suo respiro rapido sul collo. Sapevo che stava per raggiungermi in quel viaggio infinito e dolcemente ardente, lungo la via dei ricordi.

Crollò su di me, gemendo ancora una volta il mio nome, come se ne fosse assetato e nascose il volto bagnato nel mio collo. Non capii se fossero lacrime o sudore, o entrambe le cose. Cercai di nuovo i suoi occhi e li vidi brillare.

"Sei mia, finalmente sei mia. Non è un sogno, vero?", mormorò con voce rotta.

Scossi la testa con veemenza, con un nodo in gola. Sarei rimasta così per sempre, preda di tutte quelle violente sensazioni.

Albert mi baciò le lacrime e rimanemmo uniti ancora a lungo, senza osare staccarci nemmeno per un secondo, come a voler recuperare tutto il tempo perso. 

Non avevo mai sperimentato un amore così appassionato eppure estremamente tenero, forse nemmeno con Terence, che pure avevo amato immensamente. Albert era un amante delicato e impetuoso allo stesso tempo. Mi lasciava senza fiato e poi mi sorprendeva con un tocco leggero. Per il desiderio a lungo represso, rimanemmo a lungo a esplorarci e la nostra prima notte fu lunga e appassionata.

Ci interrompemmo solo per la cena e per prenderci cura di Eleanor, che aveva bisogno di essere allattata e cambiata. 

Quando albeggiò, eravamo ancora stretti uno all'altra. Gli unici rumori che udivo nella stanza erano il respiro ritmico della bambina e quello rilassato di Albert.
"Non mi stancherei mai di te, Candy", mi disse con voce assonnata.

"Neanche io, Albert", mormorai baciandogli la mano che mi stava accarezzando il viso, "ma credo che ora dovremo concederci qualche ora di sonno, se la piccola ce lo permette o non saremo abbastanza svegli per affrontare la giornata, più tardi".

Lui ridacchio, baciandomi la fronte: "Agli ordini, mia signora".


Nota dell'autrice: abbiate pietà di me, non sono mai stata particolarmente avvezza a descrivere certe scene...

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Capitolo 22
*** Decisioni ***


Terence venne a trovarci più spesso che poteva per vedere sua figlia e dormiva nella stanza che era stata mia finché Eleanor non era nata. Se era infastidito o geloso del fatto che io e Albert dormissimo insieme come marito e moglie non lo diede a vedere: eppure, nei suoi occhi mi capitava di vedere una scintilla che si accendeva, talvolta. Ero molto dispiaciuta per lui, ma non potevo farci nulla e speravo che si rassegnasse prima possibile.

Sapevo che aveva avuto delle storie passeggere, almeno a quanto riportavano i giornali, ma non si era mai impegnato veramente. Avrei voluto dirgli di rifarsi una vita ed essere felice, ma evitai di farlo per non ferirlo ulteriormente.

Mentre lo vedevo allontanarsi dalla finestra, di nuovo in partenza dopo una permanenza di qualche giorno, ebbi una fitta al cuore.

"Ti preoccupi per lui".

Annuii, incapace di mentire e certa che Albert avrebbe capito cosa intendessi.

"Anche io", ribatté infatti.

"La sua prossima tournée è in Europa e non potrà tornare a vedere Eleanor per molto tempo. Forse anche un anno o più", dissi poggiando la fronte sul vetro.

Lui mi abbracciò da dietro e rimase in silenzio per qualche istante, poi disse: "Candy, ti piacerebbe se ci trasferissimo in Scozia, nella vecchia residenza della mia famiglia? Non ci abita nessuno e c'è un giardino grandissimo. L'Avon scorre lì vicino e si può vedere dalle finestre".

Spalancai gli occhi: "Faresti questo per...?".

"Candy, Eleanor è figlia di Terence, anche se l'amo come fosse mia. Ma se vogliamo che padre e figlia stiano insieme, occorre che ci adattiamo a questa situazione. Non eri tu che volevi che lei sapesse esattamente chi fossero i suoi due papà?".

"Oh, Albert, grazie!", esclamai abbracciandolo di slancio.

Ero felice per la mia bambina, ma anche per Terence che avrebbe potuto vederla crescere.

"Se poi ci troviamo bene potremmo anche rimanere lì", aggiunse, "ma tu dovrai stare lontana dalla Casa di Pony. E dovremo lasciare qui anche i nostri amici".

Scossi la testa: "Non pensiamoci, ora. Hai detto che c'è un grande giardino ed Eleanor potrà giocare lì e vedere il suo papà molto più spesso durante i prossimi mesi. Decideremo poi che fare".

"Bene, allora comincio subito a organizzare il viaggio con l'aiuto di George. E poi dovrò avvisare la zia Elroy".

I preparativi stavano andando a gonfie vele e, anche se ero dispiaciuta di lasciare quella piccola casa dove eravamo stati così felici, ero contenta per la possibilità che stavamo dando alla nostra bambina. Quando scrissi a Terence delle nostre intenzioni, rispose con una lettera che trasudava gioia da ogni parola.

Decidemmo di organizzare una riunione di famiglia alla Casa di Pony per salutare tutti quanti ma il destino stava nuovamente per metterci lo zampino, gettando su di noi un velo di tristezza.

In quegli ultimi, frenetici giorni, poco prima di partire alla volta del mio piccolo villaggio natale, Albert lavorava più del solito per sistemare gli affari di famiglia e passare le consegne ad Archie. Una sera rientrò più tardi del solito e io gli corsi incontro sulla porta di casa: "Tesoro, finalmente! Mi ero preoccupata, cosa...". Mi bloccai vedendo in che condizioni fosse.

Si appoggiò alla porta chiusa, si passò una mano tra i capelli, chiaramente sconvolto e scoppiò a piangere improvvisamente. Scosso dai singhiozzi come un bambino, si lasciò scivolare con la schiena sulla porta e si sedette sul pavimento come se fosse privo di forze.

Lo strinsi a me e mi si aggrappò, affondando la testa sul mio petto: "Oh, Candy, Candy...". Non lo avevo mai visto in quelle condizioni e mi misi a piangere a mia volta.
"Ti prego, Albert, non fare così, dimmi che è successo!".   

Ci volle qualche istante perché riuscisse a calmare i singhiozzi violenti e il tremore di cui era preda: avrei dato un braccio per alleviare un poco quella sofferenza.
"La zia Elroy è morta", disse finalmente, con la voce spezzata.

"Cosa?! Oh, no...". Lo abbracciai di nuovo, piangendo con lui, condividendo quel dolore che provavo nonostante la zia non mi avesse mai accettata veramente. Mi sentii terribilmente in colpa.

Dopo qualche secondo si staccò per spiegarmi: "Mi hanno chiamato mentre ero in ufficio con Archie. Pare che abbia avuto un malore improvviso e quando il medico è arrivato era già morta. Non ho potuto neanche salutarla un'ultima volta", concluse stringendo gli occhi e portandosi un pugno chiuso alla fronte, mentre nuove lacrime inzuppavano il mio vestito.

"Mi dispiace, tesoro, mi dispiace così tanto", piansi, "il dolore per il tuo allontanamento deve essere stato un duro colpo per lei, mi sento così colpevole, avrei dovuto...".

Albert alzò gli occhi arrossati su di me e mi prese per i polsi: "Non metterti in testa idee strane, Candy, la colpa non è tua, né di nessun altro. La zia era malata da tempo ma non lo aveva detto a nessuno: il medico è stato chiaro. Sospetto che volesse lasciarci fare la nostra vita, a modo suo, ma era troppo orgogliosa per dircelo. Non ha avvisato neanche i Lagan. L'unico colpevole, casomai, sono io. Non mi sono mai accorto delle sue condizioni, nonostante la vedessi abbastanza di frequente. La settimana scorsa, quando sono andato a dirle che partivo mi sembrava che stesse così bene, pareva persino serena. E ora, invece...". Nuovi singhiozzi gli scossero le spalle e io lo strinsi ancora più forte.

"Non devi rimproverarti, Albert. Tu hai fatto tutto quello che un nipote amorevole poteva fare. Neal ed Eliza non la vedono da mesi, tu invece ti preoccupavi spesso per lei".

Stemmo così, sul pavimento della nostra piccola casa e quando Albert ebbe riacquistato il controllo mi disse: "Devo occuparmi dei funerali e di tutto il resto. Dopo andremo alla Casa di Pony".

Mi asciugai gli occhi e lo baciai dolcemente: "Fai tutto quello che devi, non c'è fretta. Partiremo quando sarà possibile".

Lui mi fece un sorriso triste, gli occhi gonfi ma di nuovo limpidi: "Grazie, Candy ".

Qualche giorno dopo ci fu la lettura ufficiale del testamento e seguii Albert nell'ufficio del notaio. Lasciai Eleanor da Annie, che era a sua volta rimasta a casa: doveva badare al piccolo Stair ed era già in attesa del secondogenito, ma fortunatamente aveva l'aiuto della servitù, che Archie aveva voluto per lei.

Quel giorno incontrai anche la famiglia Lagan ma rimasi in disparte, pur salutando educatamente. La lettura del testamento riservò molte sorprese, alle quali nessuno di noi era preparato.

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Capitolo 23
*** Il portagioie ***


"Non è possibile che la zia abbia lasciato tutte quelle cose allo zio William e a Candy, non ci credo, secondo me si sta sbagliando!", strillò Eliza in preda a una specie di attacco isterico. 

Le occhiate che ricevette da parte di Albert e del notaio la fecero tacere. Sarah Lagan stringeva convulsamente un fazzoletto, come se si stesse trattenendo e Neil era accigliato ma non mancava di scoccarmi occhiate che mi fecero venire la nausea.

Archie, invece, aveva aperto la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse non appena il notaio riprese a parlare.

"Il signorino Cornwell riceverà la residenza di Chicago e c'è un ultimo appunto per la signora Candy Ardlay".

Spalancai gli occhi, incredula, e persino Albert mi parve stupito.

"Si tratta di un portagioie che potrete rinvenire nella stanza che era della signora Elroy, nel primo cassetto del suo comodino. Era sua volontà che andaste quanto prima a recuperarlo".

Così facemmo, comunicando ad Archie che saremmo andati a casa sua a riprendere Eleanor subito dopo. Lui ci sorrise e ci invitò a cena. Da lontano, i Lagan ci fissavano con cattiveria e fu sempre Eliza a decidere di rivolgerci la parola. Marciò a passo deciso verso di noi e mi si parò proprio davanti. I due uomini che erano con me mi si misero subito al lato, ma li bloccai: "Ciao, Eliza, ti trovo bene", le dissi quanto più sinceramente ed educatamente potevo.

"Maledetta Candy", sputò lei come un veleno, "ti sei presa il mio Terry, lo hai usato, ci hai fatto un figlio e poi, non contenta, ti sei accaparrata lo zio William perché sapevi che la zia Elroy avrebbe lasciato tutto a lui, riservandoci solo qualche inutile gioiello! Sei una bastarda orfana e anche tua figlia è una bastarda!".

Lo schiaffo che le rifilai fu pieno di cattiveria. Io, Candice White Ardlay, non lo avevo fatto con semplice rabbia ma proprio con l'intenzione di ferirla. E, infatti, il suo labbro sanguinava. Non ero pentita, neanche un po', e questo a dire il vero mi spaventò un poco.

"Insultami quanto ti pare, brutta vipera velenosa, ma non azzardarti più, MAI più a nominare mia figlia! Se solo ci riprovi ti taglierò quella lingua biforcuta che hai con il bisturi più affilato che mi capiti di trovare nella sala medici. Ci siamo capite?!". Dovevo avere un'espressione terribile e gli occhi fuori dalle orbite, perché persino Albert e Archie, che si erano irrigiditi alle mie spalle alle sue male parole, mi si allontanarono di un passo, forse capendo che me la cavavo a meraviglia.

"Mi fai schifo, capito? Chi te la tocca tua figlia!", strillò come una bambina capricciosa prima di allontanarsi con il resto dei suoi familiari.

Sostenni lo sguardo di tutti loro mentre si voltavano, ma poco prima che salissero in macchina udii la voce di Albert, forte e stentorea: "Ehi, famiglia Lagan!", li apostrofò guadagnandosi un'occhiata compiaciuta di Archie, che pareva faticasse a tacere. 
Sarah, Eliza e Neal si voltarono, palesemente stupefatti. Albert fece un passo in avanti, circondandomi le spalle con una braccio: "Quest'oggi sono stato molto paziente con voi, soprattutto con te, Eliza, specie considerando che avete continuato a sparlare di me e di mia moglie. Ma credetemi se vi dico che anche la mia pazienza ha un limite. Da oggi in poi non voglio avere più niente a che fare con voi. E tu, piccola serpe: mia moglie è stata molto esaustiva e anche se non approvo la violenza in nessuna delle sue forme sappi che ti ha salvata solo il fatto che sei una donna e che Candy se l'è cavata benissimo. Altrimenti ti avrei colpito anche io. Vergognati, spero che tu non abbia mai un figlio, perché non conosci né l'amore né l'empatia. Addio". Si voltò, trascinandomi con sé e io colsi un ultimo barlume di odio lampeggiare nei loro occhi.

Per fortuna, fu l'ultima volta che li vedemmo.

Arrivati alla residenza dove viveva la zia, ci facemmo accompagnare nella sua stanza dalla sua cameriera personale, ancora molto scossa. S'inchinò leggermente e ci lasciò soli.

Mi voltai verso Albert, incapace di fare un passo nell'intimità di quella camera, aspettandomi quasi di sentire la voce tonante della zia Elroy che m'intimava di allontanarmi. Lui mi fece un sorriso e si avvicinò personalmente al comodino, quindi mi fece cenno di avvicinarmi. Quando aprì il cassetto, entrambi trattenemmo un ansito di stupore: c'era uno scrigno, finemente intarsiato, che occhieggiava dal fondo del cassetto.

"Ma questo è...", Albert lo sollevò con mani leggermente tremanti e lo guardò attentamente.

"Lo riconosci?", gli domandai reclinando il capo.

"Questo era di mia madre, successivamente è passato a mia sorella Rose Mary. Si tramanda nella mia famiglia da generazioni e va a tutte le donne di famiglia. Non avevo idea che ce l'avesse la zia Elroy, ne avevo dimenticato persino l'esistenza".

"Allora devi tenerlo tu!", gli dissi decisa, "se fa parte della tua famiglia da tempo è giusto che lo conservi tu. Inoltre è un oggetto troppo prezioso perché io possa tenerlo, non...".

Lui me lo mise tra le mani senza che potessi ribattere nulla: lo presi perché non cadesse, ma mi sembrava scottare.

"Candy, tu SEI la mia famiglia. Tu sei una Ardlay al pari di mia madre e di mia sorella. Sei stata la mia figlioccia e ora sei mia moglie. Inoltre la zia l'ha lasciata a te, vogliamo farla infuriare solo poche ore dopo il suo funerale?", mi chiese.

"Io... ma io, io...".

"Tu, inoltre, sei una donna. Non ti ho forse detto che è sempre stato in possesso delle donne della famiglia? Per quanto io possa portare i capelli lunghi ti assicuro che non sono una donna...". Ridacchiammo insieme, stemperando la tensione che si era creata.

Mossi le dita sullo scrigno, ammaliata da quanto fosse prezioso e luminoso: "Io sono cresciuta alla Casa di Pony e mi sono sempre circondata da oggetti semplici, gli stessi che abbiamo a casa. Una cosa così bella è...". Inspiegabilmente avevo le lacrime agli occhi. Ero commossa dal gesto della zia.

Le mani di Albert arrivarono sulle mie spalle: "Ascoltami, Candy, so che non ti piacciono i fasti e non t'interessano gli oggetti di valore, a meno che non sia affettivo. Questo oggetto è sì, prezioso, ma ha soprattutto un valore affettivo enorme perché è passato nelle mani di mia madre, di mia sorella e prima ancora forse di mia nonna. Non vuoi custodirlo tu, che sei la luce della mia vita? O preferisci che vada a finire a Sarah o ad Eliza?", concluse asciugandomi gli occhi.

Scossi la testa e sorrisi: "No, non voglio che accada questo. E va bene, Albert, lo terrò io come se fosse la cosa più preziosa del mondo, come se dentro ci fossero il cuore e l'anima della tua mamma e di Rose Mary.

Lui ricambiò il mio sorriso con sguardo commosso: "Grazie, e te l'ho mai detto che sei più carina quando ridi che quando piangi?".

Lo abbracciai e lo baciai teneramente.

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Capitolo 24
*** Lascito ***


Quella sera, quando Eleanor si addormentò, aprii il portagioie e ne tirai fuori alcuni fogli. La zia aveva fatto scrivere nel testamento che c'era una lettera per me, ma inizialmente trovai solo quelle che le avevo inviato io, una delle quali era la preghiera di acconsentire alle nozze di Annie e Archie. Mi sembrava passato un secolo da allora.

Poi la trovai, c'era scritto semplicemente "per Candy". Albert, che era vicino a me, si alzò ma lo bloccai per il polso. "Resta, ti prego, leggila con me".

"Ma è indirizzata a te", protestò lui.

"Ma noi siamo una famiglia, no?", ribattei con un sorriso.

Lui mi ricambiò e sedette di nuovo: "E va bene, aprila dunque".

Avevo le mani che tremavano un poco e spiegai la lettera come se fosse preziosa quanto l'oggetto che la conteneva.

"Cara Candy,
noi non abbiamo mai avuto nulla in comune e io non ti ho mai accettata nella mia famiglia. Piuttosto ti ho dovuta sopportare da quando mio nipote William decise di adottarti, tanti anni fa. Quando ti sei sposata con quell'attore speravo di essermi finalmente liberata di te, ma poi le cose sono andate diversamente e il mio eccentrico nipote ti ha presa in moglie poco dopo. So che avete avuto una bambina pochissimi mesi dopo e mi sono convinta che abbiate screditato la famiglia con qualche gesto assolutamente scandaloso e inopportuno. Ero al limite della sopportazione e le visite di William mi causavano ogni volta un gran mal di testa.
Quando ho scoperto che il mio cuore era malato ho deciso di mettere un po' d'ordine nella mia vita, perché sapevo che non sarebbe ancora durata a lungo. Tra le altre cose, volevo capire come mai tutti i miei nipoti fossero così attratti da te: possibile che mi sfuggisse qualcosa? Non chiedermi in che modo, sarebbe troppo complicato, ma ho cominciato a informarmi meglio con l'ausilio dei miei fedeli servitori e ho scoperto aspetti della mia famiglia che non credevo di conoscere.
Ho scoperto che Sarah e i suoi figli non mi hanno mai amata davvero, da quando si sono trasferiti non li ho rivisti nemmeno una volta e sospetto che si faranno vivi solo al mio funerale per scoprire cosa ho lasciato loro in eredità: avranno una bella sorpresa! E ho scoperto che tu, che non hai neanche una goccia di sangue nobile a scorrerti  nelle vene e che sei stata raccolta in un orfanotrofio quando eri in fasce, hai fatto per le persone intorno a te molto di più di quanto abbia fatto io stessa nella mia vita. E non parlo solo del tuo lavoro di infermiera, ma anche della tua dedizione nel supportare gli altri, pazienti o sconosciuti che fossero. A chiunque fosse chiesto di Candy veniva risposto che hai un cuore grande e non sei stata mai capace di odiare nessuno. Hai dovuto spesso inghiottire le malvagità dei miei nipoti Eliza e Neal, ma anche di Sarah stessa pur di non creare scompiglio, o per proteggere qualcuno. Lo stesso William mi ha raccontato episodi e aspetti di te che non conoscevo, come la tua abnegazione nei suoi confronti quando ancora non sapevi chi fosse veramente, specie nel periodo in cui aveva perso la memoria.
 Mi sono convinta che il tuo primo matrimonio fosse finito per incomprensioni tra te e il duca di Granchester, come mi ha riferito mio nipote, e che alla fine lui ti abbia semplicemente coinvolta in quella che era la sua infatuazione di sempre. Non so come vadano le cose tra voi, né se tu lo ami sul serio, ma rimango convinta che abbiate affrettato troppo i tempi: non si conviene affatto, a una signora appena divorziata (e anche il divorzio, che disonore!), sposarsi e mettere persino al mondo un figlio subito dopo.
Tuttavia, ho deciso di perdonarti questo ennesimo comportamento inaccettabile, perché sono convinta che ci siano aspetti di te che compensano enormemente tale mancanza. Spero siate felici, comunque. Mio nipote da quando ti ha sposato è a dir poco raggiante, anche se non ho avuto modo di vederlo molte volte.
Voglio lasciarvi una cospicua parte di eredità e il portagioie che è stato di Rose Mary, la mia adorata nipote che mise al mondo lo sfortunato Anthony, Dio l'abbia in gloria. Anche lui ti adorava, al pari di Stearance e Archibald. Sono certa che questo mio gesto non risolverà anni e anni di angherie, molte delle quali subite a causa mia, ma vedilo come un piccolo gesto di redenzione.

Troppo tardi, ma ho capito chi tu sia veramente, Candice White Ardlay. Fai felice mio nipote William e tenete sempre alto il nome della famiglia.

La tua prozia Elroy"

Mi asciugai una lacrima prima che potesse cadere sulla lettera e sentii la mano calda di Albert cingermi gentilmente le spalle. Anche lui aveva gli occhi lucidi e non parlammo per lunghi minuti.

"Povera zia, pensava che Eleanor fosse nostra. Probabilmente mi avrebbe ripudiata definitivamente se avesse saputo la verità", esordii.

Albert scosse la testa: "Non credo, Candy. Probabilmente avrebbe reagito male, all'inizio, ma in questa lettera leggo tra le righe il profondo cambiamento che è avvenuto in lei, e del quale avevo notato solo la punta dell'iceberg. Non mi sbagliavo, dunque: la zia Elroy sotto alla sua scorza dura si era redenta davvero", aggiunse asciugandosi gli occhi.

"Le volevi molto bene, vero?", gli domandai accarezzandogli il viso.

Lui mi fece un sorriso triste: "Per anni ho combattuto contro di lei una lotta inutile, per la mia libertà prima e per te poi. Non andavamo d'accordo su nulla: io ero il nipote ribelle che doveva tenere le redini della famiglia e invece se ne andava a zonzo per l'Africa e dormiva nei boschi. Una parte di me la comprendeva: lei è sempre vissuta con delle rigide regole e non le era facile accettare questo mio aspetto. Per questo sono sempre stato fermo e deciso, ma anche affettuoso. Non potevo certo cambiare la sua natura e, dopotutto, è stata uno degli ultimi discendenti della mia famiglia a starmi vicino".

"Mi dispiace non essere mai riuscita ad avvicinarmi a lei, mentre era in vita", mormorai mentre ripiegavo la lettera e la riponevo con cura nello scrigno. Negli anni, quel prezioso contenitore avrebbe ospitato tanti altri pezzi fondamentali della mia vita, passata e futura.

"Non crucciarti di questo", disse baciandomi tra i capelli mentre fuori cominciava a cadere una fredda pioggerellina autunnale, "ora andiamo a dormire".
Annuii e poco dopo eravamo profondamente addormentati, uno nelle braccia dell'altra.

Alla Casa di Pony si tenne una vera e propria festa d'addio: non sapevamo quanto saremmo rimasti lontani, ma di sicuro non sarei tornata per almeno un anno. Miss Pony e Suor Lane, Archie e Annie, Patty con il suo futuro marito e il figlioccio, Tom, Jimmy e tutti quelli che erano stati i miei amici ci augurarono di essere felici, noi tre insieme.
"Dottor Smith, mi dispiace di non essere più tornata dopo che è nata Eleanor, ma...".

"Non preoccuparti, Candy, alla clinica che la caviamo alla grande. Le tue colleghe hanno imparato molto da te e sono preparatissime, anche se non hanno la tua esperienza".

Scossi la testa a quel complimento: "Oh, non ho mai dubitato della bravura delle mie colleghe. Ma voglio tornare a lavorare e ad aiutare. Lo farò in Scozia, appena ci saremo sistemati e lo farò qui ogni volta che tornerò".

Il buon dottore mi fece un elegante baciamano: "Sarà sempre un piacere averti fra noi, Candy", mormorò gentilmente.

"E ora facciamo un brindisi alla famiglia Ardlay che torna alle origini!", propose Archie alzando il bicchiere e facendolo tintinnare con gli altri.

L'eco di quei bicchieri pieni di champagne che veniva direttamente dalle cantine degli Ardlay mi accompagnò nei mesi e negli anni a venire. Ne dovettero passare molti prima che, finalmente, tornassi su quella collina e purtroppo il mio ritorno era legato a lacrime amare.   

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Capitolo 25
*** Sogno ***


Adoravo quella casa, il suo giardino e il fiume Avon che sussurrava dolcemente poco distante da noi. Furono mesi felici quelli del nostro adattamento e Albert sistemò ogni stanza con una cura minuziosa. Vedevo la mia bambina correre sull'erba a piedi nudi e i due uomini della mia vita che allargavano le braccia a turno per accoglierla durante i suoi primi passi e, più avanti, durante le sue corse. Nonostante entrambi l'amassero di un amore paterno forte e imponente, lei si divideva già, per istinto, tra quelle quattro braccia senza distinzioni e senza preferenze particolari. Chi l'avesse vista avrebbe capito chi fosse il suo padre biologico solo dal colore scuro dei capelli, che tradivano la parentela con Terence piuttosto che con Albert.

Terry ci veniva a trovare regolarmente ogni tre o quattro settimane circa, facendo dei viaggi lampo in nave o in treno e talvolta arrivava così sfinito che non riusciva neanche a raggiungere la sua tenuta, non troppo distante dalla nostra e dormiva da noi. Mi ero soffermata a pensare a quella casa semi abbandonata dove mi aveva portata tanti anni prima, ai tempi delle vacanze scozzesi della Royal Saint Paul School, e mi sfiorava sempre un sorriso di dolce nostalgia.

C'era però un cruccio che oscurava quella felicità finalmente raggiunta. Come era accaduto con Terence, adesso temevo di non riuscire a dare un figlio ad Albert: lo desideravamo così tanto! A volte avevo il terrore che fosse un presagio di quello che doveva essere il mio futuro, ovvero diventare madre quando ormai era troppo tardi. Cercai di non pensarci e mi buttai a capofitto nel lavoro che avevo trovato in un ospedale della cittadina poco distante.

Ma il pensiero stava diventando un chiodo fisso e, avendo superato ormai i 30 anni, cominciai a preoccuparmi seriamente.

"A che cosa pensi, tesoro?", mi chiese Albert vedendomi pensierosa. Giocai con i lembi della mia camicia da notte, mentre lui riponeva il libro che stava leggendo.

"Pensavo... che vorrei tanto darti un figlio", dissi in un sospiro.

"Candy, lo sai che lo voglio tanto anche io. Ma non deve diventare un'ossessione. Se verrà saremo felicissimi tutti, altrimenti... io ti amerò lo stesso. Sempre".

"Oh, Albert, lo so! Ma è come se qualcuno mi avesse lanciato una maledizione e io non riesca mai ad avere un figlio quando lo desidero dall'uomo che amo!".

Lui divenne serio e mi prese il viso tra le mani. Di nuovo, mi persi nelle sue pozze limpide color azzurro cielo. "Candy, non è da te fare questi discorsi fatalisti. Capisco che la vita sia stata dura per te, ma ricordati la spensieratezza che ti ha sempre contraddistinta e non dimenticarla mai. Capito?".

Annuii, grata al mio uomo perché era così dolce e comprensivo: "Forse non c'impegniamo abbastanza", dissi tra il serio e il faceto, sulle labbra mi tremava un sorriso.

L'espressione oltraggiata di Albert mi fece scoppiare in una risata vera: "Piccola impertinente, osi forse insinuare che non adempio in modo costante ai miei doveri coniugali?!", fece finta di scandalizzarsi.

"Ma no, dai! Stavo solo scherzando!", aggiunsi tenendomi la pancia per le troppe risate.

Lui mi accarezzò il viso, improvvisamente la sua espressione era serena e sorridente: "Ora sì, che ti riconosco, Candice White".

"Oh, Albert, scusami se ho detto una cosa tanto assurda".

La sua mano era sulla mia nuca e mi stava avvicinando al suo viso per baciarmi: "Ti voglio sempre così. Felice e spensierata, come è sempre stata la mia piccola Candy".
Mi baciò a lungo e con tenerezza e istintivamente gli portai le mani dietro la schiena per abbracciarlo. Quando si staccò aveva la voce più profonda e roca: "E comunque, riguardo al discorso di prima, potremmo anche pensare di intensificare gli sforzi". Nel suo tono riconobbi il desiderio.

"L'idea non mi dispiace", risposi mentre le sue mani avevano già provveduto a sfilarmi la camicia da notte.

Fu tutto molto lento e dolce, come era solito essere Albert. Riusciva a cullare il nostro desiderio a lungo, rendendolo quasi esasperato, doloroso, per poi lasciarlo scaturire in una passione travolgente. Mi ricordava il vento che soffiava tra le fronde degli alberi della collina di Pony, prima leggero, poi più forte, tanto da far sussurrare le foglie, quindi impetuoso, staccandole e facendole vorticare nell'aria.

Quando facevo l'amore con lui pensavo sempre alla nostra collina, quella da cui tutto era partito. Lo tenni stretto a me ancora a lungo, mentre i nostri cuori impazziti riprendevano un ritmo normale e lui mi dava piccoli baci sul collo.

"Dormiamo così, stanotte", mi propose lui spostando solo di poco il suo peso da me.

"Sì".

In realtà dormimmo ben poco, nudi e in quella posizione, ma prima dell'alba crollammo sfiniti.

Fu allora che lo sognai.

Ero di nuovo a Lakewood, nel giardino delle rose e una figura di spalle le stava curando. Sbattei le palpebre, incredula.

No, non può essere.

Mi avvicinai ancora di qualche passo e potei notare la sua giacca azzurra e i capelli biondi che tanto somigliavano a quelli di Albert.

Non è possibile che sia davvero lui!

Poi si voltò e mi sorrise e sentii le lacrime salirmi agli occhi: "Ciao Candy", disse con quella voce dolce che tanto avevo amato.

"A...Anthony, sei proprio tu?".

"Mhmh", annuì lui tendendomi una mano, "non avere paura, vieni, voglio mostrarti una cosa".

Sorrisi, asciugandomi gli occhi. "Brava, sei più carina quando ridi che quando piangi", disse facendomi battere il cuore ancora più forte.

"Oh, caro Anthony", mormorai mentre mi portava nel roseto per mostrarmi le Dolce Candy, "vorrei dirti tante cose e non so da dove cominciare".

Lui si mise un dito sulla bocca, senza mai smettere di sorridermi: "Non devi dirmi nulla, Candy. Io so già tutto. Conosco il tuo cuore. Ora ascoltami, ricordi quando nascono le tue rose, le Dolce Candy?".

"Sì. A maggio, quando è il mio compleanno", gli risposi senza riuscire a trattenere la commozione. Stavo parlando con Anthony ma una parte di me sapeva che era solo un sogno e che quando mi fossi svegliata lui non ci sarebbe stato più. Volevo che quell'istante durasse ancora a lungo, per imprimermi ogni suo gesto nella mente. Nonostante i miei sentimenti fossero cambiati, per lui provavo ancora una tenerezza infinita che mi pungeva il cuore come la spina di una rosa.

"Bene, a maggio sarà troppo presto. La prossima rosa che coglierai nascerà solo due mesi dopo. Capito?".

Rimasi un attimo perplessa, cercando di cogliere il senso delle sue parole: "Come...?".

"Due mesi dopo, ricordalo!". Mentre lo diceva si allontanava, o meglio, la sua immagine diventava sempre più sfocata e il roseto intorno a noi cominciava a vorticare nel buio, migliaia di petali giravano come impazziti.

"No, Anthony, non te ne andare, ti prego!", allungai un braccio, sapendo che non l'avrei fermato, ricominciando a piangere, poi aggiunsi qualcosa che in quel momento non aveva nessun significato per me, ma che capii solo dopo: "La chiamerò come te! La rosa avrà il tuo nome!".

Vidi il suo sorriso a quelle mie parole e capii che avevo detto la cosa giusta.

Quando mi svegliai avevo le lacrime agli occhi e Albert mi stava scuotendo dolcemente: "Candy, hai avuto un incubo? Ti lamentavi e piangevi".

Lo guardai, con le emozioni del sogno ancora vivide nel mio cuore: "Ho sognato Anthony", gli risposi.

E il nostro Anthony nacque, l'anno successivo, nel mese di luglio.

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Capitolo 26
*** Albero ***


Quando vidi Eleanor che cercava di arrampicarsi sull'albero capii perché Miss Pony e Suor Lane fossero così terrorizzate quando lo facevo io da piccola. Ero sola in casa perché Albert si stava occupando di affari in città ed ero andata in giardino per allattare Anthony all'ombra di un pino. Eleanor sgambettava felice sull'erba e io la osservavo ridendo e ingiungendole di mettere il cappellino per proteggersi dal sole.

Forse fu il lasso di un minuto o due, durante i quali osservavo Anthony suggere sempre più piano fino ad appisolarsi, tant'è che udii la mia piccola peste chiamarmi da sopra la mia testa. Per un attimo mi si gelò il sangue nelle vene e, quando alzai lo sguardo, strinsi istintivamente il neonato tra le mie braccia ancora più forte.

"Eleanor, cosa ci fai lassù?", le chiesi piena d'angoscia, cercando di non alzare troppo la voce.

Mi chiedevo cosa ci fosse di strano, visto che ero IO quella che a 4 anni scarsi scalava papà albero facendo gridare di orrore le mie due mamme della Casa di Pony. Ora, che mi trovavo nella situazione inversa, sentivo le gambe tremare come gelatina.

Eleanor aveva da poco compiuto 3 anni ed era già arrivata a circa tre metri da terra, appoggiandosi sapientemente ai rami più bassi per poi salire via via più in alto.

"Alto, alto, mamma! Che bello!", cinguettava felice mentre mi arrovellavo il cervello per capire come tirarla giù, visto che avevo il piccolo in braccio.

"Sì, tesoro, è bellissimo, ma ora fermati lì che la mamma ti viene a prendere, va bene?". Adagiai delicatamente Anthony sull'erbetta bassa in un punto pianeggiante e mi disposi ad arrampicarmi. Avevo vissuto per anni a New York, quando tornavo alla Casa di Pony stavo quasi tutto il tempo alla Clinica Felice e poi avevo avuto due figli. Le mie occasioni di scalare un albero si erano ridotte drasticamente, negli ultimi 15 anni. Eppure riuscii istintivamente a raggiungerla come se non avessi mai smesso.

Eleanor batteva le mani tutta contenta: "Mamma bava, bavaaaaaa!".

L'afferrai e la strinsi a me, accomodandomi su un ramo, finalmente più tranquilla. Il sudore freddo però mi colava ancora giù per la schiena. "Mamma ed Eleanor sono state brave, sì, ma ora bisogna riscendere. Torniamo da tuo fratello, va bene?".

In quel momento una voce nota ci apostrofò con un tono che per un attimo mi fece provare una vaga ondata di nostalgia: "Ma guarda un po', due scimmiette tuttelentiggini al prezzo di una. Non me le perderei per nulla al mondo!".

Terence aveva preso il piccolo Anthony in braccio e ci osservava divertito: era la prima volta che lo vedeva, perché era stato via parecchi mesi quella volta.

"Come hai fatto a entrare?", rimbeccai piccata.

Lui alzò le spalle: "Con la chiave del cancello principale, tuo marito me ne ha data una copia, non lo sapevi?".

"No, non lo sapevo, e comunque i nostri nomi...", stavo per dargli una risposta colorita quando Eleanor fece una cosa che fermò il mio cuore.

Si gettò letteralmente dall'albero gridando: "Papà, papino!" a braccia aperte, senza alcun timore. Quando l'avevo lasciata? Forse era stato un paio d'istanti prima, per portarmi le mani ai fianchi dopo la frase di Terence. Ma lei era a un centimetro da me, su quel ramo, e un attimo dopo volava giù come un'aquila ad ali spiegate.

Colsi l'espressione di puro terrore sul volto di Terence che, ancora oggi non so come fece, ma in una frazione di secondo mise giù Anthony e prese al volo la nostra bambina che rideva come una matta.

Me ne accorsi dopo aver urlato ed essermi portata le mani, prima protese inutilmente in avanti, al viso per non guardare.

"È tutto a posto, Candy! L'ho presa!", mi gridò lui ma la sua voce tremava e io ero sull'orlo delle lacrime.

"Ora però cerca di non gettarti anche tu tra le mie braccia perché non so se ce la farei", aggiunse facendomi montare la rabbia. La sua frase, però, ebbe il potere di stemperare la tensione perché scesi senza incidenti. Presi subito Eleanor in braccio.

"Non farlo mai più, hai capito? Non si scende così dagli alberi!". Il mio tono era stato più duro di quanto desiderassi, ma mi ero spaventata a morte.

Dopo qualche minuto la calma tornò finalmente a regnare e io lasciai che Terence facesse la conoscenza dell'ultimo arrivato: "Complimenti, è un bambino bellissimo. Assomiglia molto ad Albert".

Annuii, orgogliosa: "È vero, ha anche i suoi stessi occhi, anche se non puoi vederli perché sta dormendo".

La sua espressione s'incupì a quelle mie parole e, inaspettatamente, Terence sussurrò: "Lo amavi da molto tempo, vero?".

Rimasi spiazzata e stavo per rispondere qualcosa quando arrivò proprio mio marito a salutarci: "Tesoro, che sorpresa! Non ti aspettavo prima dell'ora di cena!".

"La riunione è finita prima e sono corso a casa. Ciao Terence, è un piacere rivederti, funziona bene la copia della chiave?", gli chiese dopo aver salutato brevemente me e i bambini con un bacio.

Lui annuì e lo ringraziò e in quel mentre Eleanor disse: "Papà, sono salita su abeo tutta sola!"

Albert spalancò gli occhi: "Sei salita sull'albero tutta sola?".

Gli raccontai brevemente l'accaduto e lui mi guardò serio: "Candy, era proprio per questo che volevo assumere almeno una tata per aiutarti con i bambini. Va bene non avere la servitù, ma...".

"Riesco a occuparmi benissimo da sola di loro come fanno milioni di altre mamme per il mondo. Solo che non mi aspettavo che Eleanor ereditasse così presto quella parte di me", sorrisi per sdrammatizzare.

Albert però si accigliò: "Candy, tu non sei un milione di mamme, tu sei una Ardlay e per quanto io stesso non sopporti le convenzioni, se posso permettermi di mantenere una persona o più per darti una mano anche solo una volta al giorno, ebbene lo farò. Cosa sarebbe successo se non ci fosse stato Terence?".

Rabbrividii a quell'eventualità e chinai la testa. Lui mi tirò su il viso con due dita sotto il mento e aggiunse con un tono più dolce: "Ti prometto che assumeremo una ragazza bravissima e dolce e la sceglierai tu e tu sola. Se qualcosa non ti piacerà in lei la manderemo via, va bene?".

Annuii, sconfitta: "Va bene, ma promettimi che sarà solo fino a quando i bambini non saranno abbastanza grandi".

Lui finse un'espressione oltraggiata: "E come farai con gli altri cinque o sei bambini che avremo?", aggiunse scoppiando a ridere.

Io risi con lui, finché Terence non si schiarì la voce, evidentemente a disagio: "Scusatemi, se volete porto Eleanor a fare una passeggiata e torniamo per cena". Il tono era semiserio, era chiaro che si sentisse di troppo ma non volesse darlo a vedere in maniera eccessiva.

Albert gli rifilò una pacca sulla spalla: "Oh, andremo tutti a fare una passeggiata. Hai mai visto la parte più a sud del giardino?".

E fu così che c'incamminammo, io, Albert, Terence, Eleanor e il piccolo Anthony per un'escursione nella nostra proprietà. Quei giorni spensierati durarono ancora alcuni anni.

E io e Albert non avemmo mai altri bambini.
 

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Capitolo 27
*** Terry ***


Il tempo trascorse e io riuscii a cavarmela senza alcuna tata. Insegnai a Eleanor ad arrampicarsi sugli alberi e a discenderne in sicurezza, premurandomi di farlo sempre quando avevo Albert o Terence accanto a occuparsi di Anthony, che ormai sgambettava da un po'.

Dopo circa due anni Terence ci annunciò che avrebbe fatto rientro in America, perché la compagnia Statford voleva riprendere un tour negli Stati Uniti. Erano fermi da mesi e lui era rimasto nella sua dimora vicino a noi, ma ora il dovere chiamava e non poteva esimersi.

Parlammo a lungo, io lui e Albert e alla fine decidemmo che, per il bene dei bambini che ormai si erano adeguati a quella vita scozzese, saremmo rimasti dov'eravamo, anche se la separazione tra Terence ed Eleanor fu molto dolorosa.

"Tornerò ogni volta che posso, va bene principessa? Ormai ci sono gli aerei che mi portano più velocemente da te rispetto alla nave", le spiegò cercando di contenere l'emozione. Eleanor non aveva ancora 6 anni, e si disse molto preoccupata che il suo papà volasse su "quei cosi meccanici con le ali", così si fece promettere che si sarebbe spostato solo via mare, anche se ci volevano dei giorni.

Terence promise e l'abbracciò cercando di nascondere le lacrime, mentre io tentavo di nascondere le mie. Tornò più spesso di quanto avremmo mai creduto possibile: terminata una stagione saltava sulla prima nave o prendeva il primo aereo disponibile (anche se ad Eleanor non lo diceva) e ci raggiungeva in Scozia fino alla successiva. Ebbi il sospetto che lavorasse di meno per stare con la sua bambina ma era una sua libera scelta e io ero felice che vedesse il suo papà.

Ormai si era stabilita una specie di routine serena e stabile.

La sera, dopo aver messo i miei bambini a letto, se mio marito non c'era mi mettevo a rileggere le vecchie lettere nel portagioie finché il sole non tramontava, godendomi quei momenti tutti per me e i ricordi che riaffioravano. Spesso Albert mi trovava da sola, al buio, e portava la luce con la sua sola presenza.

Lo amavo, lo amavo di un amore dolce e romantico come poteva essere quello di una bambina che si è innamorata del suo principe da piccola. Una sera, vedendomi preoccupata per la salute di Miss Pony mi disse: "Candy, vuoi che torniamo in America? So quanto ami le tue mamme e io posso lavorare ovunque, ora che abbiamo installato il telefono".

Scossi la testa, anche se avrei voluto annullare immediatamente la distanza che mi separava dalla mia terra natia: Suor Lane e la stessa Miss Pony mi avevano rassicurata che il peggio era passato, ma lo spettro di una nuova guerra stava cominciando a sconvolgere il mondo e io temevo di rimanere incastrata per chissà quanti anni prima di poter rivedere i miei cari.

Volevo rivedere Patty, ormai in attesa del secondogenito, Annie e Archie con i bambini e tutti coloro che avevo lasciato a casa. Ma viaggiare divenne sempre meno sicuro e, nonostante l'Inghilterra fosse coinvolta, noi in Scozia ci trovavamo pressoché al sicuro. Nel 1941 gli Stati Uniti entrarono ufficialmente in guerra e io piansi lacrime amare: la porta era definitivamente chiusa, non mi sarei mai avventurata con due bambini in un Paese dove potevano esserci attacchi.

Non vedemmo Terence per più di un anno. Un giorno entrò arrancando nel nostro giardino, sporco e ferito, con la febbre alta: "La macchina mi ha abbandonato a qualche chilometro da qui e ho una ferita alla gamba che non ho potuto curare...", ci spiegò dopo che lo avemmo messo a letto e rifocillato.

Ci raccontò che aveva viaggiato clandestinamente a bordo di una nave che doveva portare rifornimenti all'Inghilterra e che da lì aveva comprato una macchina e viaggiato giorno e notte.

"Oh, così hai provato il mio stesso brivido di quando ero giovane, vero?", scherzai riferendomi alla mia fuga dalla Saint Paul School. Dietro di me, Albert trattenne e a stento un lamento: per lui avevo corso un rischio davvero grosso e non mancò di ricordarmelo. Sospettai ci fosse anche una sottile vena di gelosia, ma mi astenni dal ribattere perché avevo appena scoperto la gamba di Terence e mi ritirai per l'orrore.

Quando guardai in che condizioni era, dimenticai che ero stata un'infermiera finché non erano nato Anthony: l'odore che proveniva dallo squarcio era così intenso che la prima cosa a cui pensai fu Susanna. M'imposi di non pensare a un'eventualità così drastica come l'amputazione, ricordando che avevamo a disposizione dei nuovi farmaci antibiotici.

"Non sono messo bene, vero infermiera?", mi chiese Terence con un sorriso forzato.

"Sarò sincera: no. C'è un'infezione piuttosto avanzata e non mi spiego come tu sia riuscito ad arrivare sin qui. Quando ti sei ferito e come?", domandai con voce più ferma di quanto mi aspettassi.

"È successo al porto, poco prima di partire. Non accettavano passeggeri e mi sono dovuto nascondere per salire senza che nessuno mi vedesse. La stiva era buia e ho urtato contro qualcosa che penso fosse un pezzo di metallo, probabilmente fuoriuscito da una delle casse che trasportavano. Successivamente non ho avuto occasione di pulire la ferita, se non con la minima riserva d'acqua che avevo con me e che mi serviva per bere". Strinsi le labbra, voltandomi verso Albert, che annuì e sparì dalla stanza.

"Ascoltami, ora facciamo venire il medico dell'ospedale dove ho lavorato fino a pochi anni fa: è molto bravo e spesso ha curato anche i bambini. Ti sei mai vaccinato contro il tetano?", gli chiesi.

Lui scosse la testa.

"Hai spasmi muscolari involontari o sensazione di rigidità alla mascella?".

"Ehi, Tarzan, vuoi farmi la diagnosi prima che arrivi lo specialista?", rise lui con un po' d'affanno.

"Terry, smettila di scherzare e rispondimi per favore!".

"No a entrambe le domande". Ora era più serio e fissò gli occhi nei miei. Li distolsi, improvvisamente in imbarazzo.

"Mi hai chiamato Terry", disse poi facendomi sussultare.

"Non ci ho fatto caso, sarà l'abitudine. Ora stai fermo, devo misurarti la temperatura". Ero preoccupata per lui e sì, gli volevo un gran bene. Ma erano lontani i tempi del fervente amore adolescenziale, la confidenza che avevo con lui era priva di quel fuoco: lo avevamo consumato negli anni, con le incomprensioni reciproche che ci avevano portati al divorzio.

Fortunatamente il medico scartò la possibilità di un'infezione da tetano, anche se la guarigione fu lenta e penosa a causa della ferita che comunque si era infettata. Mi occupai di lui per giorni, mentre Albert rimase a casa con i bambini e di tanto in tanto tornava il dottore per controllarlo.

Una sera, quando Terence era quasi guarito, passai davanti allo studio di Albert. Era semiaperto e sentivo la sua voce preoccupata discutere con il medico: pensai stessero parlando del nostro ospite, ma quando udii la conversazione mi si gelò il sangue nelle vene.

Non lui, non il mio Albert, non il mio Principe!, pensai appoggiandomi al muro e portandomi una mano al petto dove il cuore sembrava volesse esplodere.

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Capitolo 28
*** Mezz'ora alla mezzanotte ***


"Mamma, ora vorrei che la smettessi di parlare. Riposa, ti prego", la supplicò lo zio.

"Oh, avrò modo di riposare per MOLTO tempo, fra un po'. Lascia che continui a raccontare a mia nipote e alla mia bisnipote come gli amori della mia vita si sono avvicendati tra le gioie e i dolori, senza mai lasciarmi sola. Voi, figli miei, e i mie due mariti siete stati l'unica costante da un certo punto in poi, anche perché tutti gli altri erano lontani migliaia di chilometri e c'era la guerra".

Si voltò verso lo zio Anthony: "Il periodo della malattia e della precoce morte di tuo padre è stato uno dei più bui della mia vita e sono certa che, anche se tua sorella era più grande di te, te ne ricordi perfettamente".

Lui annuì e vidi le lacrime salire ai suoi occhi: "Non me lo hai mai raccontato nel dettaglio ed ero troppo piccolo per assisterlo, ma ricordo quando lo vidi per l'ultima volta. Sorrideva".

La nonna chiuse gli occhi e poggiò la testa sul cuscino: "Pensavo di non avere più lacrime da versare per il mio principe della collina, ma la mia unica consolazione è che a breve lo rivedrò, bello e dolce come lo ricordavo".

"Ma possibile che non si potesse fare niente?", chiesi asciugandomi gli occhi.

"All'epoca, bambina mia, non c'erano le conoscenze di oggi e ancora adesso ci sono forme di tumore che si portano via le persone nel giro di pochi mesi. Il mio povero Albert già da tempo covava la malattia, ma non me ne parlò per non spaventarmi", spiegò la nonna con voce tremante.

"Non è giusto, però...", commentai.

"Hai ragione, piccola mia. Ma sai qual è l'unica cosa positiva di tutto questo?", mi chiese riaprendo gli occhi.

Scossi la testa.

"Che la catena di questa malattia genetica si è interrotta con lui, come se si fosse portato via ogni pericolo per il suo unico erede, con la sua morte". Guardò mio zio: "Ti abbiamo fatto analisi per anni, ma non hai mai presentato nulla di anomalo, grazie a Dio", concluse carezzandogli il viso con tenerezza.

"In quei giorni cupi, per fortuna avevo voi due e Terry al mio fianco, altrimenti credo che mi sarei semplicemente lasciata morire".

Tacque per qualche istante, tanto che per un attimo temetti che avesse già raggiunto il nonno e gli altri, poi ricominciò a raccontare.

E fu straziante.

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Capitolo 29
*** Albert ***


"Perché non me ne hai parlato prima?!", gridai tra le lacrime.

"Candy, abbassa la voce, sveglierai i bambini", mi ammonì posandomi le mani sulle spalle.

"Leucemia. E lo sapevi... da quanto?", chiesi con un tono più pacato e rassegnato.

"Tre mesi. Mi sentivo spesso più stanco del dovuto e sono andato dal dottor Campbell per fare delle analisi. Ti ricordi cosa ti dissi riguardo le donne della famiglia Ardlay?", mi domandò lui. 

Annuii, chiudendo gli occhi, cercando di incassare, di inghiottire quel dolore che mi stava lacerando in due, mentre avrei solo voluto urlare.

"Mi hai detto che morivano spesso giovani. Ma non sapevo che la cosa valesse anche per gli uomini". Non appena capii cosa implicavano le mie parole pensai al mio piccolo Anthony e mi sciolsi in singhiozzi.

Albert mi strinse a sé e, come se mi avesse letta nel pensiero, disse: "Nemmeno io. Domani stesso andrò a portare Anthony dal dottore per fargli fare delle analisi. Tu rimani con Terence e stai tranquilla". La sua serenità mi spaventò ancora di più, perché non c'era paura, non un accenno alla rabbia per ciò che gli era capitato senza preavviso.

Mi sedetti sul letto con lui. Ero un'infermiera e sapevo alcune cose, ma la medicina aveva fatto passi da gigante e mi ritrovai a chiedergli: "Che cure dovrai fare? Sarò la tua infermiera personale! Caccerò Terry non appena sarà guarito e sarai il mio paziente numero uno".

Lui continuò a fissarmi con un sorriso triste, accarezzandomi una guancia: "Candy...".

"Oh, e ai bambini diremo che sei solo stanco per il troppo lavoro, ti cureremo tutti quanti!", aggiunsi mostrando il muscolo del braccio.

"Candy...".

"E se sarà necessario mi occuperò anche dei tuoi affari! Sono una Ardlay e se tu mi spieghi come...".

"Candy!". Il suo tono perentorio ammutolì il mio monologo. Non volevo che m'interrompesse. Non volevo che parlasse. Non volevo che mi dicesse quella verità che stavo cercando disperatamente di rifuggire.

Mi alzò il viso guardandomi con quegli occhi che amavo probabilmente dal primo giorno in cui lo avevo conosciuto: erano ancora limpidi come quando era un ragazzo che scappava dalla famiglia per andarsene in Africa a curare uomini e animali. A inseguire i suoi sogni. "Candy, sto morendo", concluse con voce appena incrinata.

"NOOOOO!", gridai dimentica dei bambini che potevano svegliarsi, artigliandomi le orecchie e i capelli, graffiandomi il viso e singhiozzando penosamente. Ripetei all'infinito quella negazione, mentre Albert mi stringeva al suo petto come se volesse stritolarmi: per consolarmi, per impedirmi di allertare i nostri figli o forse per entrambi i motivi. I miei singhiozzi furono soffocati dalla sua cassa toracica, dalla quale proveniva il battito forte del suo cuore.

Quello stesso battito che, di lì a pochi mesi, non avrei mai più udito.

Albert si spense a poco a poco, come una candela. Nonostante le cure aggressive, seppur limitate per l'epoca, s'indebolì quasi subito fino a dover smettere di lavorare. I suoi capelli d'oro diventarono completamente bianchi e il mio dolce principe invecchiò d'un colpo, come se invece di un cinquantenne fosse divenuto d'improvviso un ottantenne. Il viso divenne scavato e sofferente, finché non fu costretto a letto mattina e sera.

Come potevo spiegare a una bambina di 12 anni e a un bambino di quasi 8 che il loro papà stava per morire? Ricordo le lunghe serate in cui, tra le lacrime, parlavo loro del Cielo e del Paradiso, ma anche degli Angeli, tra i quali ci sarebbe certamente stato il loro zio Anthony.

Non fu facile, soprattutto per il piccolo, che rifiutava categoricamente una perdita così importante. Il mio istinto materno fece sì che trovassi la forza per entrambi, ma c'erano giorni in cui, se non ci fosse stato Terry a sostenermi, sarei semplicemente morta dal dolore prima ancora di diventare vedova.

A un certo punto si trasferì da noi, perché era evidente che avessi bisogno di aiuto. Nonostante le lettere piene d'amore che ricevevo dall'America, la presenza fisica e l'aiuto con i bambini erano irrinunciabili e non avrei accettato nessun altro.

Quella sera spensi la radio che riportava le notizie della guerra con una smorfia e vidi Terry in piedi di fronte a me: "Candy, Albert ci vuole... tutti nella sua stanza".

Le mani presero a tremarmi violentemente e fui scossa da forti brividi di freddo. Lui se ne accorse mi strinse in un abbraccio fraterno, invitandomi ad essere coraggiosa.
Albert era in stato di semicoscienza. Quando riaprì gli occhi però li ritrovai limpidi come quelli di tantissimi anni prima: ci squadrò uno ad uno. Me, i bambini e Terence.

"Oh, una riunione di famiglia. Ho dimenticato il vestito buono, la zia Elroy mi ucciderà", ridacchiò alla sua stessa battuta ma io non riuscii a imitarlo. Non sapevo neanche se stesse scherzando o dicesse sul serio, a quel punto.

Fece prima cenno ad Anthony, che si avvicinò al papà con le guance rigate dalle lacrime. Lui gliele asciugò con le dita e gli disse: "Ora tu sei l'uomo di famiglia insieme a Terry, quindi devi occuparti della mamma e di tua sorella, ci siamo intesi?". Il piccolo annuì e sentii il mio cuore spezzarsi per la prima volta.

Lo baciò e lo vidi deglutire più volte come se tentasse di ricacciare indietro le lacrime: "Ti amo, piccolo mio, sei una la cosa più bella che la vita mi abbia dato assieme a tua madre. E a tua sorella", aggiunse rivolgendosi a Eleanor e sorridendo a entrambi. La bambina si avvicinò, singhiozzando.

"Papà...".

"Piccola, ho adorato essere il tuo papà. Ma tu hai una grande fortuna: ne hai anche un altro ed è dietro di te. Sei bella come lo era lui da giovane...", aggiunse meritandosi un'affettuosa occhiataccia da Terence, "...e come la mamma. Hai le sue stesse lentiggini che adoro. E adoro te, piccola mia. Diventerai una donna libera e rispettabile perché sei cresciuta in una famiglia speciale", terminò accarezzandole il volto. Il mio cuore si spezzò per la seconda volta.

"Terry", chiamò con voce chiara, "avvicinati, per favore". Lui si abbassò fino a portare l'orecchio vicino alle sue labbra. Sul suo volto si disegnò un'espressione di stupore e fece per protestare a ciò che solo lui aveva udito, ma Albert lo bloccò: "Fai come ti ho detto e porta di là i bambini, per cortesia".

Si scambiarono uno sguardo intenso, come per suggellare quell'amicizia che durava da tanto, nonché la promessa che forse si erano appena fatti.

Trattenendo stoicamente le lacrime negli occhi già lucidi, Terence prese delicatamente Eleanor e Anthony e li portò fuori. Fu Albert a versarne, in silenzio, mentre li vedeva per l'ultima volta. Mi avvicinai a lui e gliele asciugai con tenerezza, passando le mie mani su quel viso tanto amato.

Il mio cuore si spezzò definitivamente.

"Albert, mio principe...", singhiozzai.

"Candy", mi chiamò con la voce improvvisamente più affannosa.

"Non sforzarti, ti prego... lo so". Lo baciai teneramente, mescolando le nostre lacrime.

Gli regalai un sorriso e lui fece lo stesso con me. Nei nostri sguardi passarono messaggi muti ma intensi.

Ti ho amato tanto, sei stata la cosa più bella della mia vita. Mi mancherai. Non ti dimenticherò, amore mio. Avrei voluto che invecchiassimo insieme.

"Sei... sei più carina quando ridi che...".

Ma, prima di terminare quella frase che tanto amavo e dalla quale tutto era cominciato, il mio principe della collina di Pony morì.
 

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Capitolo 30
*** Rabbia ***


Furono giorni bui, nei quali ero come immersa in una nebbia scura dalla quale riemergevo automaticamente solo per accertarmi che i miei bambini stessero bene. Eleanor smise di ricevere le lezioni private per circa un mese, dopo la morte di Albert, finché Terry mi fece notare con gentilezza che, per il suo stesso bene, forse era il caso che tornasse a una parvenza di normalità.

Di Anthony si occupava lui, ci giocava e cercava di tenere alto il morale a quel bambino che aveva perso il padre prematuramente.

Per un po' fu lui l'uomo della casa, mentre io mi rintanavo nel mio dolore a rileggere le lettere nel portagioie, accarezzandone gli intarsi e perdendomi nel paesaggio di quel quadro che il mio Albert aveva scovato in un mercatino londinese tanti anni prima.

La nostra collina di Pony, disegnata da Slim, il bambino timido e dolce che era cresciuto con me all'orfanotrofio.

"Chiudi gli occhi", esclamò trasportando un grosso pacco avvolto nella carta bianca.

"Albert, ma cos'è?!".

"Non crederai mai a cosa ho trovato nel mio ultimo viaggio a Londra...".

E in effetti non ci avevo creduto subito, per un attimo mi passò nella testa la balzana idea che lo avesse dipinto lui per me. Poi vidi la firma e spalancai gli occhi per la sorpresa.

Gli gettai le braccia al collo e scrissi subito a Miss Pony e Suor Lane, pensando che fosse un vero miracolo. Purtroppo non riuscii mai a rintracciare Slim per chiedergli quando l'avesse fatto e come fosse finito in Europa quel quadro meraviglioso.

"Candy, i bambini hanno bisogno di te", mi disse Terence in una fredda mattina d'inverno.

Alzai lo sguardo verso il mio ex marito, con gli occhi gonfi di lacrime e capii che dovevo uscirne e andare avanti. Mi rimboccai le maniche e cercai di essere più presente nelle loro vite, aiutando Eleanor con i compiti e cominciando a coinvolgere anche Anthony nello studio.

Da infermiera mi trasformai in insegnante, anche se il professor Anderson era sempre quello principale. Avrei voluto mandarli a scuola in paese ma ormai si erano abituati a lui, che era piuttosto bravo e paziente, così lasciai le cose come stavano. Una parte di me non voleva ammetterlo, ma gridava a gran voce che la loro futura scuola sarebbe stata in America. Dovevo solo aspettare la fine della guerra.

Che arrivò, dolorosamente e tra mille preghiere. Attendemmo che le cose si stabilizzassero ancora per un anno prima di parlare del ritorno.

"Terence, mi hai sempre detto che hai lasciato il lavoro per prenderti cura di noi, come avevi promesso ad Albert in punto di morte. So anche che con la guerra la compagnia Stratford si è fermata. Ma ora potresti ricominciare".

Lui si riavviò i capelli, che continuava a portare lunghi come una volta e che non avevano ancora un filo grigio: "Non voglio lasciarvi da soli, Candy".

Scossi la testa: "Terence, tu mi conosci: la morte di Albert mi ha devastata e non sono stata in me per molto tempo. Ma ora ho ripreso il controllo e non ho bisogno di un guardiano. Ti saremo sempre immensamente grati per quello che hai fatto per noi, sei stato un amico e un padre prezioso. Ma è ora che tu torni alla tua vita, che trovi una donna che ti ami e che riprenda in mano la tua carriera d'attore".

Mentre parlavo vidi la sua espressione cambiare e incupirsi. Andò alla finestra, come se fosse incapace di guardarmi negli occhi: "Prima di morire", cominciò, "Albert mi ha detto di prendermi cura di voi. E mi ha chiesto anche un'altra cosa".

Rimasi a guardarlo, con il cuore che mi batteva forte nel ripensare a quella tragica sera: "Cosa? Che ti ha chiesto Albert?".

"Di farti innamorare di nuovo".

Calò il silenzio, rotto solo dal rumore del vento che sussurrava tra le foglie degli alberi. Mi parve di sentire la voce del mio povero marito e mi si strinse il cuore. Ero sull'orlo delle lacrime ed ero anche molto arrabbiata.

"Come se il cuore di una donna potesse passare così velocemente da un uomo all'altro, vero? Andato uno basta cambiare direzione, premere un bottone, attivare un meccanismo. È questo che pensate, voi uomini?". Avrei voluto che Albert fosse ancora vivo per fargli sapere come la pensavo, mi avrebbe sentita!

Terence mi stupì con una reazione furiosa: "Perché, non è quello che hai fatto dopo che hai divorziato da me?!", gridò.

Non ci vidi più e lo schiaffeggiai: "Ma come ti permetti di dirmi una cosa del genere dopo che ti sei comportato come un pazzo geloso mentre ero ancora incinta di Eleanor? Ti ricordo che abbiamo cercato di avvisarti, io e Albert e che lui mi ha sposata per dare un nome a nostra figlia! Questa è la tua riconoscenza per esserci trasferiti qui, poi?".

Lui mi prese per le spalle: "Non mi riferisco a questo e lo sai! Tu... tu ti sei innamorata di lui e sospetto che sia accaduto molto prima che ti chiedesse di sposarlo!".

Aprii la bocca ma scoprii che non sapevo assolutamente cosa rispondere. Quando mi ero innamorata di Albert? Chiusi gli occhi e respirai profondamente, cercando di riordinare le idee.

"Non ti meriti una mia risposta, razza d'ingrato!". Cercai di uscire dalla stanza ma lui mi trattenne. I suoi occhi lanciavano lampi d'ira.

"Pensavi a lui mentre eri a letto con me e cercavamo di avere un figlio?! Oppure ti vedevi con lui di nascosto? Dimmelo, Candy!". Non trovai di meglio da fare che colpirlo di nuovo, ancora più forte. Il labbro gli sanguinava: ci avevo messo tutta la forza e ne ero contenta.

Tremavo come una foglia per la rabbia repressa quando gli dissi: "Non osare! Non osare mai più infangare il ricordo di mio marito! Io non ho mancato mai di rispetto a nessuno di voi due! Vergognati Terence Graham, vergognati per le cose orribili che hai insinuato!".

Scappai dalla stanza, non potendo sopportare oltre.

Ero confusa, i miei sentimenti lo erano sempre stati. Sapevo di aver amato entrambi di un amore ardente e non capivo, ancora allora, il confine tra la fine dell'uno e l'inizio dell'altro. Ma ero sempre stata sincera con me stessa e con loro.

Quella notte ci riflettei ancora, mentre piangevo altre amare lacrime sul mio amore perduto. Probabilmente avevo amato Albert sin dal primo giorno, quando ero appena una bambina e lui un ragazzo ribelle che suonava la cornamusa. Anthony e Terence erano stati due parentesi fondamentali della mia vita, una brevissima e platonica, l'altra lunga e tormentata. Poi il mio cuore era semplicemente tornato a casa, su quella collina.

Erano state due storie d'amore che mi avevano segnata per sempre, ognuna a modo suo. Gli anni con Terence sarebbero durati tutta la vita se non ci fosse stata l'incomprensione alla base della nostra storia, forse i miei sentimenti verso Albert sarebbero rimasti silenti e lui sarebbe restato il mio amico più caro per sempre. Ma il destino aveva cambiato le carte in tavola e quel sentimento era divenuto un amore forte e importante, trasformandosi da quello principesco di una ragazzina a quello solido di una donna.

E ora lo avevo perso.

Come aveva potuto pensare, Albert, che sarei tornata sui miei passi ancora una volta? Forse non desiderava che rimanessi sola ancora così giovane, ma non potevo certo comandare al mio cuore in quella maniera.

Col tempo, però, quella richiesta fatta a Terence sul letto di morte si sarebbe avverata, almeno in parte.

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Capitolo 31
*** Ritorno ***


Alla fine fu il destino a scegliere per noi. Terence mi aveva chiesto scusa con tutto il cuore per il suo comportamento e io, per mia indole, lo avevo perdonato. Non avevamo più toccato l'argomento e avevo accettato la sua costante e rassicurante presenza in casa.

Prima o poi, ero certa che avremmo parlato ancora, io e lui.

Ed ero anche certa che quello che aveva da dirmi non avrebbe fatto bene né a me, né tantomeno a lui.

Avevamo tirato già fuori le valigie e ci apprestavamo a parlare con i bambini per chiedere anche il loro parere prima di lasciare la casa definitivamente, quando arrivò un telegramma.

Un telegramma non era una lettera e poteva portare sia buone che cattive notizie. Mentre lo aprivo con mani tremanti, però, già sentivo che sarebbero state brutte nuove: il mittente era la Casa di Pony.

Suor Lane mi annunciava con dolore la dipartita di Miss Pony.

Fu come aprire una diga che ero riuscita a chiudere momentaneamente e tornai a piangere come poco dopo la morte di Albert. Avrei voluto e dovuto essere forte per i miei figli, ma ancora una volta fu Terence a tirarmi fuori dal mio dolore.

Fu un dejà-vu quando venne da me dopo aver messo a letto Eleanor e Anthony: "Candy...", mi disse solo e io capii immediatamente.

Anthony aveva cominciato ad avere gli incubi ed Eleanor a non concentrarsi più sullo studio. Tutto puntava in un'unica direzione.

"Torneremo alla Casa di Pony", dichiarai asciugandomi le ultime lacrime, vedendo finalmente il futuro con chiarezza, "aiuterò Suor Lane e tornerò alla Clinica Felice. Iscriverò i bambini alla scuola del villaggio e ricomincerò tutto da dove lo avevo lasciato".

"Condivido la tua scelta, ma non pensi che i bambini avrebbero bisogno di una scuola migliore?", suggerì lui, con delicatezza.

"Sì, ci avevo pensato, ma avranno tempo di studiare nelle scuole migliori quando saranno più grandi. Avranno modo di conoscere i luoghi a me più cari".

Così partimmo.

Quando chiusi le stanze e la porta principale di quella grande casa, dove avevo vissuto una parte così felice della mia vita con il mio Albert, mi parve di vederlo morire di nuovo. Era come se gli stessi dando l'addio definitivo solo in quel momento.

L'addio a Terence era stato doloroso, ma sapevo che lui era vivo e stava bene. Avevo in grembo Eleanor e Albert mi era vicino. Perdere il mio secondo marito per una malattia, mentre era ancora relativamente giovane e con due bambini piccoli mi aveva straziato il cuore, ma con il mio solito spirito ottimista mi dissi che avevo i miei figli e un uomo devoto che ora mi era amico, al mio fianco.

Non mi bastava, questo urlava il mio cuore.

Rivolevo il mio principe, i suoi occhi azzurro cielo che mi guardavano teneramente, la sua risata, la sua voce, il suo appoggio e la certezza di trovarlo in ogni momento della mia vita. Era come se la piccola Candy che aveva appena visto andare via la sua sorellina Annie non avesse più nessuno a dirle: "Sei più carina quando ridi che quando piangi".

"Candy, non fare così". Terence mi prese per le spalle, fermamente e con dolcezza mentre mi scioglievo in singhiozzi davanti al cancello chiuso. Era lo stesso tocco di quando ci eravamo detti addio sulle scale di quell'ospedale di New York, tantissimi anni prima, mentre Susanna attendeva il suo ritorno nella propria stanza.

Quando mi voltai, vidi il suo volto segnato solo da qualche ruga e le espressioni tristi dei miei due miracoli. Corsi ad abbracciarli, mentre guardavo il mio ex marito con gratitudine: "Scusatemi, ora sono pronta. Andiamo".

La Casa di Pony era sempre la stessa, ma mi ci volle tempo per abituarmi all'idea che sarei stata lì senza la cara Miss Pony e, soprattutto, senza il mio Albert ai piedi di papà albero. C'erano sere in cui, dopo aver accarezzato il quadro di Slim e il portagioie, il mio sguardo correva lì e venivo sopraffatta dai ricordi.

Accanto a me avevo di nuovo Annie e Patty, persino Archie cercava di scuotermi e Robert assecondava la mia richiesta di turni più lunghi. I nostri figli giocavano tutti insieme ed era bellissimo vedere la sintonia che li legava: non mancava davvero nulla alla mia vita, se non l'uomo che amavo.

Dopo lunghe insistenze, Terry era tornato a New York da dove mi mandava lettere nelle quali mi raccontava come stava cercando di ricominciare con la sua vita. Ma avvertivo che i suoi tentativi zoppicavano, come i miei. Tornava spesso per vedere Eleanor a Anthony e per quanto riguardava le nostre conversazioni si riducevano a pochi convenevoli. Ci eravamo di nuovo allontanati.

Un giorno io e Suor Lane ci trovavamo in cucina, intente a preparare un dolce quando lei mi disse: "C'è nulla che posso fare perché i tuoi occhi tornino a sorridere come una volta?".

Le mie mani smisero d'impastare e usai l'avambraccio per togliermi un capello ribelle dalla fronte: "Se ha ricevuto il dono di compiere miracoli di resurrezione da Nostro Signore, sì", risposi sforzandomi di sorridere.

"Candy", mi ammonì lei con chiaro tono di rimprovero.

"Mi perdoni, non era mia intenzione essere blasfema", mi scusai.

"Non è questo. Tesoro, non ne abbiamo più parlato perché non volevo ferirti, ma è ora che tu vada avanti: lo devi a te stessa e ai tuoi figli".

"Tutte le mie scelte sono state fatte pensando in primis a loro. Appena saranno più grandi offrirò loro la possibilità di studiare nelle migliori scuole di Chicago e mi organizzerò per...".

"Non intendo nemmeno questo. Ti prego, non fare finta di non capire".   

Guardai Suor Lane e, nonostante l'amassi come una madre non potei impedire al mio sguardo d'indurirsi: "Non mi dica che anche lei vorrebbe vedermi di nuovo sposata?".

Lei scosse la testa e mi si avvicinò: "Candy, sai benissimo che non mi intrometterei mai a questi livelli nella tua vita privata, soprattutto dopo tutto quello che hai passato. Voglio solo dire che devi lasciare libero il tuo cuore di provare di nuovo emozioni. Godere delle piccole cose della vita, dei sorrisi dei tuoi figli e... perché no, innamorarti ancora una volta se lo desideri. Non è peccato, se è vero amore".

"Non ci si innamora a comando", sbottai ricominciando ad impastare con vigore.

"Non dico questo, ma se c'è una piccola, seppur flebile possibilità di gioia dentro di te non spegnerla. Sono certa che era anche quello che voleva tuo marito".

Scoppiai a piangere e dovetti sedermi, con l'aiuto di Suor Lane, perché le gambe non mi reggevano più. Le raccontai delle parole di Albert a Terence sul suo letto di morte e della discussione avuta col mio primo marito in merito a questo.

Lei rimase in silenzio ad ascoltarmi, accarezzandomi la testa come faceva quando ero piccola. Poi parlò: "Candy, tu ti sei sempre fidata del signor Albert, vero? Ebbene, non essere in collera con lui per quello che ha detto a Terence prima di morire, ma sii grata per il suo grande cuore. Voleva che tu avessi la possibilità di essere felice ancora una volta. Non essere nemmeno arrabbiata con il tuo primo marito, perché le sue parole dure possono derivare semplicemente dal dolore di averti persa, tanti anni fa. Perdona, lascia andare il dolore e concediti di tornare felice. Torna a essere la nostra Candy di sempre".

Non seppi cosa rispondere, vedendo le lacrime spuntare negli occhi di quella donna così speciale per me. L'abbracciai e piansi con lei per un tempo indefinibile.

Per la mia felicità ci volle molto, molto tempo. 

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Capitolo 32
*** La vita continua ***


La vita andò avanti nello stesso modo e, quando Eleanor mi disse che voleva studiare recitazione rimasi per un attimo destabilizzata. Anthony era in una scuola di Chicago e parlava di voler fare il medico veterinario, ambizione che probabilmente era stata anche di Albert in un tempo lontano. Non pensavo che anche mia figlia avrebbe scelto la carriera medica solo perché io ero infermiera, ma voler seguire le tracce del padre era l'ultima cosa che volevo.

"No", dissi asciutta.

"Ma mamma, perché?! Quando sono stata da papà a New York ho provato una parte insieme a lui e dice che...".

"Non m'interessa cosa dice tuo padre!", sbottai in malo modo. Non era da me perdere così le staffe con Eleanor e lei ammutolì, evidentemente sconvolta da quella nuova madre.

Rimase in silenzio per qualche istante, poi mormorò: "È per via di come vi siete lasciati tu e lui, vero?".

Sobbalzai come se mi avesse toccato un nervo scoperto. Guardai mia figlia e abbozzai un sorriso: "Potrei urlarti in faccia di no, e che dovresti farti gli affari tuoi visto che ancora non hai compiuto neanche vent'anni. Invece posso consigliarti una carriera da psicologa, avresti buone possibilità".

"Mamma, io...". La sua voce tremava e io mi avvicinai per baciarle la fronte. Era già di qualche centimetro più alta di me e dovetti farla abbassare un poco.

"Pensaci bene, piccola mia. Fare l'attrice ti porterebbe continuamente lontana dai tuoi affetti e dalla tua famiglia". Lei arrossì, probabilmente pensando a David, un ragazzo conosciuto a scuola anni prima e che frequentava già da un po'.

"Non m'importa, tanto non ho nessuno qui ad aspettarmi. A parte te, papà ed Anthony, ovvio". Alzai un sopracciglio, guardandola con aria interrogativa.

"Vuoi parlarne?", le chiesi con tatto.

Scosse la testa e capii che stava lottando contro le lacrime: "D'accordo, tesoro, ma non farlo solo perché ti sei incapricciata dell'idea di fare l'attrice e vuoi dimenticare un amore. Ascolta te stessa e segui i tuoi sogni reali, poi è difficile tornare indietro. Promesso?".

"Promesso, mamma, grazie". Mi abbracciò e io fui felice di aver toccato il suo cuore.

I miei figli dovevano essere felici e avere dalla vita anche più di ciò che avevo avuto io.

Durante quegli anni '50 vidi morire anche Suor Lane e rimasi sola alla Casa di Pony. Patty mi aiutava come poteva, considerando che era solo una maestra e ci mettemmo alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarci stabilmente, visto che ormai la struttura si era ingrandita molto, grazie anche agli interventi operati in passato da Albert.

"Ci vengo io", disse Annie.

"Ma, Annie, tu vivi a Chicago e Archie...".

"Archie ha acquistato da poco una bellissima tenuta di campagna a pochi chilometri di macchina da qui, perché sa quanto tengo a questo posto. Considerando che ormai ho due figli grandi che hanno le loro vite non posso restare tutto il giorno in casa senza fare niente, visto che anche mio marito esce la mattina e torna la sera. Non dormirò qui ma sarò sempre disponibile, anche di notte, vi basta telefonarmi".

Io e Patty ci guardammo: alla fine ci ritrovavamo di nuovo tutte e tre unite, come ai tempi della Saint Paul School, anche se invecchiate e con qualche colpo in più dalla vita.
Fu un bel periodo, la nostra routine proseguiva serena e forse stavo davvero trovando quella tranquillità che agognavo. Fino al giorno in cui Terence tornò, ubriaco e claudicante e si accasciò sull'erba proprio di fronte alla Casa di Pony.

"Terence! Santo cielo, ma che cosa hai fatto?", gridai, aiutandolo a rialzarsi.

Lui mi fisso con gli occhi annebbiati dall'alcool: "Ci sono ricaduto, e nessuno vuole un attore vecchio e brillo per metà del tempo. Mi dispiace, Candy, ti ho delusa".

Improvvisamente cominciò a singhiozzare come un bambino e lo abbracciai.

Quando si fu calmato, gli ordinai di riposare mentre preparavo un caffè forte. Patty e Annie si occuparono di tenere i bambini occupati mentre io parlavo con lui. Dopo circa un paio d'ore, Terence fu di nuovo in sé e si scusò ancora.

Scossi la testa: "Non devi scusarti, ma spiegami perché ti sei ridotto così. Andava tutto così bene! La settimana scorsa i ragazzi sono venuti a trovarti e mi hanno riferito che eri felice per un nuovo ingaggio".

Lui abbassò il capo, come se non riuscisse a guardarmi più negli occhi.

"Non ho mai smesso di amarti, Candy".

Il mondo si fermò.

"Cosa?", mormorai. Sapevo che Terence mi era rimasto accanto dopo la morte di Albert non solo per amicizia, ma ormai pensavo che stare lontani avesse lenito le sue ferite.

"Dal giorno in cui decisi di divorziare, sapevo che non avrei smesso un solo istante di amare la mia signorina Tuttelentiggini. Ma avevo capito che l'amore non basta e che avevamo bisogno di dividerci. Quel maledetto giorno in cui ho travisato la tua gravidanza è stato un altro degli errori più grossi fatti nella mia vita. Ho accettato che ti innamorassi di Albert e che fossi felice accanto a lui, gettandomi nella carriera. Ma non ho mai voluto nessun'altra che non fossi tu, al mio fianco. Mai".

Restai senza parole e, mentre mi sedevo accanto a lui, mi tornarono in mente le parole di Suor Lane di tanti anni prima. Il mio cuore era confuso: il ricordo di Albert era una ferita ancora aperta, ma avere Terence davanti a me, così vulnerabile e innamorato mi fece decidere quasi immediatamente.

Mi avvicinai a lui, intrecciando una mano nelle sue: "Sai cosa? Se seguiamo il consiglio di Albert rischiamo di arrivare a sessant'anni soli e infelici. Io non so di preciso cosa provo per te ora: non è indifferenza ma non è neanche l'amore passionale e completo di quando eravamo due ragazzini. Se ti accontenti di questo possiamo farci compagnia come ex marito e moglie, finché morte non ci separi. Sei disposto ad accettarlo?".

Non mi aspettavo una reazione così impetuosa da parte sua e in parte me ne rattristai. Mi abbracciò forte, stringendomi come se non volesse più lasciarmi andare: "Sarò felice solo se mi permetti di tornare con te, Candy, non voglio più stare da solo. Ti farò innamorare di nuovo, ci proverò con tutte le mie forze, e se non ci riuscirò cercherò di farti felice a ogni costo. Te lo giuro".

"Terry", sospirai con tenerezza, "tu meriti molto più di questo, lo sai?", dissi addolorata.

"Non m'importa. Non l'ho trovato sino ad ora e non lo troverò certo fra qualche anno. Se posso invecchiare al tuo fianco non mi serve altro".

Ricambiai la sua stretta e accettai il bacio che mi posò, leggero ed esitante sulle labbra. Fu una bella sensazione e non mi dispiacque affatto. Non provavo sensi di colpa nei confronti di Albert e mi sembrava di avvertire una vecchia scintilla di attrazione.

Come inizio non era male.

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Capitolo 33
*** ​Finché morte non ci separi ***


Eleanor stava vivendo una travagliata storia d'amore e Anthony aveva deciso di andare in Africa per seguire le orme del padre, sperimentando quella libertà che aveva già nel sangue.

Io ero sola con Terry, a Chicago, e ci comportavamo come ottimi vecchi amici. Ormai ci conoscevamo da una vita e non avevamo più motivi di litigare, visto che vivevamo come coppia di fatto. Negli anni '60 tutto era permesso, specie per due anziani come noi e ci concedevamo di farci vedere insieme in giro nonostante si mormorasse alle nostre spalle. Non ci importava assolutamente delle voci, vere, false o tendenziose che fossero: avevamo ritrovato un nostro equilibrio e dopo tanti anni avevo accettato di nuovo di lasciarmi andare tra le sue braccia.

La prima volta piansi, ricordando Albert e lui dovette fermarsi per consolarmi. Le volte successive fu più dolce e, anche se eravamo piuttosto attempati, ritrovammo una parvenza della vecchia scintilla che ci univa. Non era come essere di nuovo giovani, ma ci bastava amarci in quel modo un po' meno profondo, godendo della reciproca intesa mentre vedevamo crescere i nostri figli.

Intorno al 1965 venimmo a sapere che Neal era stato trovato morto per overdose nella sua villa in Florida, dopo un festino con alcuni uomini di affari e donne di dubbia reputazione. Eliza, dal canto suo, si era suicidata tre anni prima dopo un matrimonio disastroso con un uomo che mirava solo ai suoi soldi, senza avere mai figli come le aveva augurato Albert tanti anni prima.

Quelle notizie non mi fecero piacere e provai pena per loro, nonostante tutto. Mi ritenevo fortunata perché, tutto sommato, ero sempre vissuta circondata dall'amore, cosa che evidentemente alla famiglia Lagan era mancata tragicamente.

Quel giorno Terry era andato in città per occuparsi di alcuni affari riguardanti la Casa di Pony, che ormai era diventata un istituto prestigioso e conosciuto. Era molto orgoglioso della sua auto nuova e quando lo salutai dalla finestra, vittima del primo mal di schiena della mia vita, non avrei mai creduto che sarebbe stata l'ultima volta che lo avrei rivisto.

Fu un poliziotto, quella stessa sera, a comunicarmi che il mio compagno era morto in un incidente stradale nel quale era rimasto coinvolto: "L'uomo sull'altro mezzo aveva bevuto e abbiamo riscontrato tracce di droga nel sangue. Mi dispiace molto, signora Ardlay".   

Deglutii, incapace di parlare e persino di piangere: "Voglio vederlo", dissi con voce secca.

"Ma, signora, le assicuro che non è un bello spettacolo, la carrozzeria dell'auto era...".

"Sono un'infermiera, voglio vederlo, ho detto!", esclamai, riversando la mia frustrazione su quell'uomo gentile.

Camminai in quel lungo corridoio bianco che puzzava di disinfettante sentendo improvvisamente sulle spalle il peso dei miei anni. Quando mi mostrarono il suo corpo, cercai d'ignorare le lenzuola piene di sangue rappreso che nascondevano malamente i gravi danni che aveva subito e mi concentrai sul volto. L'espressione che aveva era quella di un uomo che stesse facendo un brutto sogno e allungai una mano per accarezzargli il viso segnato da poche rughe; tremavo e dovetti respirare a fondo per riuscire a toccarlo. Era freddo e pallido e, chiudendo gli occhi, rividi il bel giovane che si faceva beffe di tutti alla Royal Saint Paul School, che fumava e suonava l'armonica, che mi chiamava con i suoi odiosi nomignoli all'ombra di un albero e che mi abbracciava con passione quando tornava dai suoi viaggi.

Avevo perso anche lui.

Gemetti e piansi, parlandogli come se potesse ascoltarmi, rimproverandolo di non essere morto di vecchiaia al mio fianco come ci eravamo promessi. E come avevamo promesso ad Albert. Avrei dato dieci anni della mia vita per gettarmi di nuovo tra le braccia del mio principe, in quel momento, perché mi consolasse come quando ero giovane.

Per andare avanti mi concentrai sui miei figli.

Eleanor era sull'orlo del divorzio e tornò da me. La morte di suo padre la convinse a starmi accanto per fare chiarezza nel suo cuore, così convivemmo per quasi un anno prima che decidesse di riappacificarsi con suo marito e mi rendesse felice con una splendida nipote qualche tempo dopo.

Anthony tornò con una moglie londinese sposata in Africa e si trasferì con lei poco distante da dove vivevo. Vissi con lui il dolore di non poter avere figli, a causa di una malattia della compagna: l'amava così tanto che decisero comunque di adottare due bambini alla Casa di Pony e da subito li abituarono a viaggiare assieme a loro.

Tra il 1970 e il 1980 dovetti veder morire tante altre persone a me care: la mia dolce amica Annie, la tenera Patty, il suo devoto marito Robert e, qualche anno dopo, anche l'elegante Archibald, che mai aveva smesso di amare quelle orribili camicie di seta, nonostante la moda fosse cambiata decine di volte.

Quando andai a pregare sulla sua tomba, non potei fare a meno di pensare che lui era stato il primo che avevo conosciuto, prima d'incontrare Stear, Anthony, Albert, Terence e tutti coloro che avevo amato durante la mia lunga vita.

Con lui se n'era andato l'ultimo esponente della mia epoca felice.

Avevo 83 anni quando decisi di tornare sulla Collina di Pony a fare quello che non facevo da una vita. Le nuove istitutrici, una delle figlie di Patty e una ragazza messicana, mi guardarono con orrore minacciando di chiamare figli e nipoti pur d'impedirmelo, ma io lo feci lo stesso.

Mi arrampicai sul vecchio papà albero, prostrato dagli anni ma sempre saldo sul terreno, anche se potei arrivare solo sui rami più bassi. Lì chiusi gli occhi e rivissi l'incontro con il mio principe, sperando di morire in quell'istante esatto.

D'altra parte, avevo avuto una vita piena e felice, anche se non perfetta e non avevo alcun rimpianto. Ora volevo solo riunirmi a chi avevo perso.

Ma non accadde nulla e, con l'aiuto di alcuni bambini intraprendenti, la vecchia nonnina Candy scese dal suo albero e se ne tornò a casa tra i rimproveri di suo figlio e sua nuora.

Però ero felice: avevo dato l'addio alla mia collina e al mio albero e sarei rimasta tranquilla ad aspettare il termine del mio lungo viaggio. 

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Capitolo 34
*** Il termine del viaggio ***


"Eleanor, Cindy, Anthony", chiamo le tre persone più importanti della mia vita che sta giungendo al termine. In lontananza sento le esplosioni sempre più frequenti che annunciano il saluto al nuovo anno: la mezzanotte è vicina e con essa il 1999, il mio centesimo sulla Terra.

L'ultimo.

Credo di avere ancora qualche minuto, così ringrazio i miei figli e mia nipote per quello che mi hanno dato. Mi raccomando con Cindy di assecondare sempre i sogni della sua bambina, qualsiasi cosa desideri fare.

"La chiamerò Candice, come te", mi confessa lei tra le lacrime, commuovendomi profondamente.

"Grazie, tesoro, io veglierò da lassù ogni suo istante di vita".

I volti dei miei figli e di Cindy, pieni di lacrime, cominciano a diventare sfocati e se ne sovrappongono altri che conosco bene.

"Mamma, non ci lasciare, ti prego", mi supplica Eleanor. Alzo un braccio per accarezzarla e asciugarle le lacrime.

"Tuo padre Terry ti ha amata molto, ha deciso di non darti mai il suo cognome perché rispettava Albert profondamente e gli bastava starti vicino e vederti crescere".

Lei annuisce con vigore, prendendo la mia mano tra le sue: "Lo so bene, mamma, anche io vi ho amati molto. Mi avete resa una donna felice".

"Mamma...". Gli occhi cerulei di Anthony, identici a quelli del mio Albert, sono rossi e lucidi e porto a fatica la mia mano sul suo viso. Nella sua tristezza, sembra più giovane e mi ricorda molto anche Anthony: per un attimo mi sembra, anzi, di averlo davanti a me e sento persino la sua voce: "Non te ne andare, mamma".

"Devo, figlio mio, mi stanno aspettando. Non dimenticare mai la tua libertà e dì ai miei splendidi nipoti che sono felice che abbiano deciso di seguire le tue orme".

"Mi dispiace così tanto che non siano qui, ora".

Scuoto la testa: non avevo voluto che li richiamasse in America per me: "Va bene così, io... vi amo tutti...".

Non so se i loro occhi allarmati abbiano colto queste mie parole, non so neanche se le ho dette o solo pensate. Cerco di regalare loro un sorriso, per trasmettere tutto il mio amore e la pace che m'invade i sensi, ma ormai tutto mi sembra lontano e distante.

Chiudo gli occhi e mi sembra di galleggiare nell'acqua per istanti eterni.

Poi, quando li riapro, rimango senza parole. Che abbia viaggiato indietro nel tempo? O è solo un vivido sogno che mi accompagnerà dolcemente alla morte?

Il cancello delle rose è spalancato davanti a me ed è adornato da centinaia di Dolce Candy. Faccio un passo verso l'interno e mi rendo conto di essere vestita come quando avevo vent'anni: potrei correre, saltare e arrampicarmi su un albero!

"Ehi, Candy, ciao! Ti stavamo aspettando!". Alzo lo sguardo e li vedo, tutti insieme, belli e giovani come ai tempi della Saint Paul School.

"Annie, Archie, Patty, Stear!". Mi getto tra le loro braccia e sento le loro risate. Sono felice mentre i due ragazzi mi prendono sottobraccio con galanteria e Annie ci precede volteggiando di gioia.

"Candy, ho una sorpresa per te", mi dice enigmatica, indicando alle sue spalle.

"Miss Pony, Suor Lane!" La stretta dei miei accompagnatori si allenta e io corro tra le braccia delle mie mamme, piangendo di gioia con loro.

"Candy, c'è qualcun altro che ti aspetta", mormora Miss Pony accarezzandomi i capelli.

Mi guardo un'ultima volta alle spalle e sorrido, vedendo Patty e Stear vicini, con Robert poco distante: in questo mondo non c'è spazio per le gelosie e finalmente la mia amica ha accanto entrambi i suoi uomini. Con questo pensiero volgo gli occhi dinnanzi a me, colma di aspettativa dopo le parole di Miss Pony.

Il primo che vedo è Anthony: gli volo tra le braccia, sentendomi leggera come una farfalla. Sento le sue braccia stringermi e alzo il viso per guardarlo: "Sei bello come ricordavo, mio dolce Anthony".

"Anche tu lo sei, Candy, ancor più di queste rose". Mi asciuga le lacrime di nostalgia e mi bacia sulla fronte.

"Va tutto bene, dolce Candy, sono stato felice nel mio breve tempo con te". Mi legge dentro, e come potrei dubitarne, arrivata a questo punto?

"Ehi, Tuttelentiggini!". Quella voce... alzo gli occhi e vedo Terence appollaiato su un albero, con la sua fisarmonica: "Vediamo se sei ancora la scimmietta di una volta!".

Anthony mi lascia andare con un sorriso e fa un passo indietro, come se volesse darmi la sua approvazione. Gli scocco un'ultima occhiata prima di arrivare su quel ramo con un piccolo salto. Mi sembra di non aver neanche toccato il tronco e già mi ritrovo al suo fianco: "Terry", mormoro tra le lacrime toccandogli il volto.

Mi prende la mano e la bacia: "Ti ho amata tanto, Candy, fino all'ultimo giorno", mormora con voce calda.

"Perché te ne sei andato così...". Lui mi zittisce con un dito gentile sulle labbra.

"Così è stato e così doveva essere. Abbiamo avuto il nostro tempo. Ora però è quasi ora di andare". Guarda in basso e io seguo il suo sguardo. Siamo sulla collina di Pony, ora, e mi sembra di essere finita nel quadro di Slim. Gli altri non ci sono più e quando mi volto a guardare davanti a me, anche Terence è sparito.

Comincio a piangere e sento freddo. Poggio le mani sul terreno, rendendomi vagamente conto che non sono più su papà albero. In lontananza odo il suono di una cornamusa e qualcosa si apre dentro al mio cuore, penetrandomi l'anima.

Non ho il coraggio di alzare gli occhi, perché l'emozione è talmente forte che temo di andare in mille pezzi. Poi la sento, la sua voce dolce e tenera che mi dice: "Ragazzina, sei più carina quando ridi che quando piangi".

Tremo mentre piango e mi riempio finalmente lo sguardo con l'immagine del mio principe della collina, con il suo kilt e la cornamusa. Il mio Albert ha di nuovo trent'anni e mi sorride prima di ricominciare a suonare.

"Sembra un coro di lumache che strisciano", dico con voce rotta.

Quella frase lo induce a interrompere la musica. Lascia andare lo strumento e mi tende una mano, per accogliermi finalmente fra le sue braccia.

E io mi perdo nel suo calore, piangendo di gioia, ripetendo il suo nome, dicendogli quanto lo amo, parlandogli.

"Ti amo anche io, Candy. Ora staremo sempre insieme, non ci sono ostacoli terreni". Mi alza il viso e mi bacia. Il suo è un bacio dolce, tenero. Mi sento a casa, mi sento bene, sto andando verso una luce abbagliante, la stessa che mi ha riservato il destino quando ho deciso di condividere la mia vita con lui.

Nel suo bacio e nel suo amore, finalmente posso riposare in pace.

                                                                                         ***
Vedo mia nonna sorridere, nonostante non respiri più e il suo battito cardiaco sia appena cessato. La guardiamo tutti senza parlare e la mia bambina mi tira un calcio proprio in quel momento, come se avesse capito. La sua bisnonna, della quale avrà il nome e, chissà, forse anche il carattere, sembra felice.

La tristezza scivola via da me improvvisamente, e la stessa sensazione la vedo riflessa sui visi di mia madre e di mio zio: probabilmente stiamo pensando tutti la stessa cosa.

Candy ora riposa finalmente accanto a coloro che amava e che l'hanno amata.
 
 
 
Con la fine di questo viaggio voglio anche ringraziare tutti coloro che mi hanno seguita, anche in silenzio. Questa storia l'ho scritta di getto dopo aver letto i romanzi e prima ancora di immergermi nella lettura delle tantissime fanfiction su Candy, in italiano e in altre lingue, che mi hanno aperto un mondo. Ho più volte spiegato che questo stile così essenziale e veloce non è lo stesso che uso solitamente ma sono contenta di aver comunque trasmesso qualcosa ai lettori: ho cercato di imprimere nei personaggi e negli eventi quante più emozioni potessi, ripercorrendo la vita di Candy e consentendole di avere l'amore di Terry ma anche quello di Albert, che ad oggi considero l'unico e solo "anohito" (chi ha letto i romanzi sa di cosa parlo).

Quando ho scritto questa fanfiction ero ancora convinta che Candy fosse nata nel 1899 ma poi, dopo altre ricerche, mi sono resa conto che forse era il 1898... il web ci dà notizie contrastanti, quindi se è un errore mi scuso per il refuso.


Vi rubo un ultimo istante per dirvi che sto lavorando a una storia molto più lunga e articolata e che, stavolta, mi sono avvalsa del supporto della mia beta di sempre che mi sta facendo pelo e contropelo, come è giusto che sia. Spero di postarla al più presto, anche se ancora non è conclusa.


Un abbraccio virtuale a tutti!

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