Braveheart

di Arlie_S
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** AVVISO! ***
Capitolo 17: *** AVVISO - A volte ritornano ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

 

Cinque coltelli erano piantati perfettamente al centro della sagoma che le stava davanti. Cinque centri perfetti. Qualunque altro Intrepido sarebbe stato più che soddisfatto del risultato appena ottenuto ma non lei. Anche perché il sesto coltello era finito alcuni centimetri sopra gli altri, e questo, per la Prima Tiratrice Scelta degli Intrepidi era senz’altro un errore imperdonabile. O meglio, un errore su cui avrebbe sorvolato, se fatto da un altro tiratore, ma non da se stessa.

Guardò il bersaglio con aria truce per poi avviarsi a estrarre i coltelli per ripetere l’esercizio, quando dalla porta della palestra entrò Maximilian Cox, Capofazione degli Intrepidi.

- Kaithlyn. Che stai facendo ancora qui al poligono? È quasi ora di pranzo.–

Uno dei coltelli appena estratti, si ripiantò al centro del bersaglio.

- Non è evidente? – domandò l’interpellata alzando un sopracciglio. - Che vuoi? – chiese dopo alcuni secondi di silenzio.

- Quest’anno a occuparsi dell’addestramento degli iniziati saranno Quattro e Eric. E pensavo... – un altro coltello colpì il centro del bersaglio. - …che magari potessi tenere la situazione sotto controllo, ecco. Sai come sono andate le cose l’anno scorso. –

E il terzo coltello andò a segno.

- Tu vuoi una baby-sitter per Turner e la sua nemesi. D’accordo, ma non ti prometto che ne usciranno illesi. Qua si fa come dico io. -

“Che donna deliziosa” pensò ironicamente Max.

- Mi basta che tu riprenda il ruolo che avevi due anni fa. Vedrai che anche Eric ti darà ascolto. –

- Vorrei ben vedere! – disse mentre prendeva nuovamente la mira. – Spero vivamente che non si sia già scordato le mie strigliate, o dovrò porvi immediatamente rimedio. – aggiunse, fermandosi e scrutando l’espressione di Max che la guardava accondiscendente.

- Non essere troppo severa. E ricordati che Eric è un tuo superiore, non puoi dargli ordini; potrebbe essere piuttosto il contrario. – la ammonì.

Max conosceva Kaithlyn e sapeva quanto una ragazza così indipendente e disincantata detestasse eseguire gli ordini di terze parti. Soprattutto se le terze parti in questione, erano più giovani di lei.

Kaithlyn Evenson era stata di gran lunga l’iniziata più dotata che avesse avuto il piacere di allenare, e oltre ad essere singolarmente dotata con le armi da fuoco e con i coltelli, era anche incredibilmente intelligente. Tanto intelligente che Jeanine Matthews aveva quasi fatto i salti di gioia quando la ragazza aveva cambiato fazione.

Il quarto coltello colpì il centro del bersaglio.

- Allora? Posso contare su di te? O deve cercare qualcuno più grande e capace?- insinuò Max, sapendo che lei non avrebbe mai accettato di sentirsi dire di non saper fare qualcosa.

Kaithlyn s’irrigidì e indurì l’espressione dei bei lineamenti.

- Sono perfettamente capace di occuparmene io. Non c’è bisogno che tu chieda a nessun altro Max. – rispose secca.

Max sorrise, cercando di non farsi notare da lei.  

-Molto bene. Allora mettiti d’accordo con Eric e chiedigli quando puoi venire a seguire gli allenamenti. -

Kaithlyn alzò gli occhi azzurri al cielo.

- Sì, ho capito, ho capito! – borbottò spazientita. – ma prima devo finire qui. –

- Kaithlyn... – iniziò Max. Ma si interruppe all’istante vedendo l’espressione poco rassicurante della ragazza. Era decisamente una mossa poco saggia contrariarla quando aveva un coltello in mano.

Il coltello partì dalle mani della ragazza e andò a piantarsi insieme agli altri cinque. Sei centri perfetti.

- Sì? – chiese girandosi e guardandolo con aria decisamente soddisfatta. – c’è altro? –

- No. Per ora è tutto. Gli iniziati saranno qui nel tardo pomeriggio. – le disse per poi uscire e avviarsi verso il suo ufficio al decimo piano.

 

 

 

Salve a tutti!

Questa è la mia prima fanfiction sul fandom di Divergent… ho letto “Four: una scelta può liberarlo” l’altro giorno, e dato che era un po’ di tempo che mi ronzava in testa quest’idea, ho deciso di metterla in atto.

Io ho questa mania di mettere alcuni dei pensieri dei personaggi tra virgolette (non sempre ovviamente) e devo ancora decidere se è una cosa che mi piace o meno.

Kaithlyn, dalla quale deriva anche il mio nome su efp, è un mio personaggio e sarà un po’ la protagonista della fic, insieme ovviamente al resto della banda.

Per quanto riguarda il Capofazione, ho pensato che Max potesse essere un diminutivo di Maximilian, e ci ho aggiunto il cognome “Cox” perché m’ispirava; infatti la Roth non da particolari indicazioni sui cognomi dei personaggi. Stesso discorso vale per Eric, che neanche durante la sua iniziazione riesce ad avere uno straccio di cognome; quindi, invece di chiamarlo Eric-Eric, ho optato per il cognome “Turner”, che come Cox, mi ispirava.

Per il momento non ho altro da aggiungere. Spero che l’idea e il capitolo vi piacciano e mi farebbe davvero piacere se mi faceste sapere cosa ne pensate, dato che sono alle prime armi e i consigli non mi fanno certo schifo.

Un bacione!

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Pensavo che non sarei riuscita ad aggiornare prima del nuovo millennio dato che ho dovuto scrivere tre versioni diverse per ritenermi soddisfatta, e invece eccomi qui con il secondo capitolo! Non intendo annoiarvi per più di tre righe, quindi vi auguro buona lettura (spero), e niente... 


ci “vediamo” a fine capitolo!

 

 

 

 

 

 

Capitolo 2

 

 

 

 

Kaithlyn si guardò intorno, annoiata. Il Giorno della Scelta era una giornata di fermento in tutte le fazioni e per questo, alla fine, nessuno concludeva mai niente di quello che avrebbe dovuto fare. Lei compresa.

Stava punzecchiando la sua cena da almeno cinque minuti, priva di appetito, al tavolo dei Capofazione mentre Max, sua moglie Agnes Baker e gli altri tre Capofazione si accomodavano intorno al tavolo.

Agnes le rivolse un cenno di saluto: per essere una donna Intrepida era incredibilmente gentile e tranquilla. Kaithlyn stirò gli angoli della bocca in una specie di sorriso un po’ pigro.

Gli iniziati interni si erano già accomodati ai soliti tavoli e parlavano tra loro nel gran trambusto della mensa, con la tranquillità e la sicurezza di chi si sente a casa propria.

Passarono pochi minuti, prima che le porte si aprissero facendo entrare Quattro seguito da un gruppetto di nove elementi; dovevano essere gli iniziati transfazione, a giudicare dalle espressioni disorientate e incuriosite.

Si prese un minuto per osservarli: si erano già cambiati tutti, indossando i vestiti da Intrepidi, tranne una ragazzina particolarmente minuta con i capelli biondi legati in un nodo disordinato che Kaithlyn costatò con grande sorpresa provenire dagli Abneganti. Non che la cosa la toccasse particolarmente, questo è chiaro; un iniziato valeva l’altro per lei... e non era mai stata molto incline alla socializzazione, nemmeno nella sua vecchia fazione.

Mentre Quattro parlottava con la ragazza Abnegante e un’altra iniziata alta e con la carnagione scura, le porte si spalancarono nuovamente e la sala ammutolì, facendola sbuffare. Che cosa ridicola. Che cosa avesse di così inquietante Eric Turner, proprio non lo capiva. Era anche vero che lei si era sempre trovata in una posizione di potere, rispetto al giovanissimo Capofazione e forse per questo non riusciva proprio a trovarlo così minaccioso.

Quando Eric andò a sedersi accanto a Quattro non poté fare a meno di inarcare le sopracciglia. Da quanto quei due mangiavano insieme? Non fece in tempo a darsi una risposa che Eric si era già alzato dando una manata sulla spalla di Quattro – forse un po’ troppo forte, dato che l’atro per poco non finì con la testa nel piatto – e si dirigeva verso il tavolo dei Capofazione.

Eric si lasciò cadere sulla sedia davanti alla sua, rivolgendole un’occhiata fugace.

-Sì? – iniziò lei.

-Domani mattina faremo partire gli iniziati con le armi da fuoco. T’interessa assistere?  – chiese iniziando a magiare.

- Temo di non avere scelta. – sbuffò rassegnata. Che compito ingrato.

Eric alzò lo sguardo con un ghigno divertito sulle labbra.

- Hai già la lista dei nomi?– chiese lei dopo alcuni minuti.

- Sì, eccola - le disse lanciandole malamente un foglio e guadagnandosi un’occhiataccia.

 

Nome

Cognome

Fazione di provenienza

1

William

Adams

Eruditi

2

Molly

Atwood*

Candidi

3

Edward

Collins

Eruditi

4

Albert

Cooper

Candidi

5

Drew

Foster

Candidi

6

Peter

Hayes*

Candidi

7

Myra

Reed

Eruditi

8

Christina

Sanders

Candidi

9

Beatrice

Prior

Abneganti




- Nove? Quest’anno dobbiamo decimarli sul serio! – esclamò scorrendo rapidamente la lista.

Per tutta risposta il ragazzo fece un’alzata di spalle.

- Ciao rossa! – si sentì chiamare. Era Jason Miller, un ex Candido del suo stesso gruppo di iniziazione. L’unico con cui trovasse utile impiegare il suo tempo… quasi sempre.

- Che vuoi? – chiese leggermente allarmata. Ricordava fin troppo bene l’ultima volta che era venuto a farle una ramanzina a causa di quella smorfiosa. - Non provare a riattaccarmi un bottone su quanto io sia stata poco carina e gentile con la tua Chanel lì, perché credo che potrei tirati un coltello in mezzo agli occhi in questo preciso istante. ~ lo avvertì, tanto seriamente che Jason per un momento temette seriamente per la sua vita. Poi le rivolse un sorriso splendente.

- Si chiama Clarisse, comunque – la corresse il biondo, sempre sorridendo.

- … quello che è.  – ribatté scocciata. Lei non ci trovava assolutamente niente di entusiasmante.

- Comunque ero solo venuto a dirti che sarò il tuo supervisore per il test di aggiornamento professionale… – disse accondiscendente per poi allontanarsi allegramente e tornare a sedere accanto a una ragazza con i capelli neri che lunghi fino al mento e due occhioni scuri da cerbiatta. Chanel, Celine, o come accidenti si chiamava.

- Ci vediamo domani – disse dal nulla e fin troppo freddamente Eric, che era rimasto zitto fino a quel momento.

- Okay... – rispose vagamente perplessa dal comportamento lunatico del ragazzo mentre lo guardava andare via spedito.

Ma che avevano tutti?

Rilesse un’altra volta l’elenco degli iniziati. Il nome “Prior” non le era nuovo.. probabilmente quella ragazzina era la figlia di uno dei capi del governo, ma in quel momento non diede molto peso all’informazione.

- Domani pomeriggio vieni nel mio ufficio, così decidiamo anche l’orario per il corso di addestramento per i tiratori. Okay? – le borbottò Max.

Fece distrattamente un cenno affermativo con la testa e senza aggiungere una sillaba si diresse verso l’uscita, stanca di stare seduta senza far niente.

Quando si alzò, piombò il silenzio. Quel giorno erano tutti decisamente strani. Eppure non aveva trattato male o minacciato nessuno in particolare negli ultimi giorni. Si era comportata “bene”, per i suoi standard.

Come varcò la soglia della porta, si sentì afferrare per una mano e trascinare per i corridoi della Residenza verso una zona appartata; riconobbe la figura alta e possente davanti a lei. Eric.

-Turner, ma che diav... – iniziò sapendo quanto gli desse fastidio essere chiamato per cognome, ma non ebbe neanche il tempo di finire l’ennesima frase sarcastica che si trovo schiacciata tra il muro di una rientranza del corridoio e il corpo muscoloso del ragazzo, che le aveva preso il viso tra le mani e la baciava con possesso.

Lei ricambiò il bacio, cingendogli il collo per aderire ancora di più al lui e infilandogli le mani tra i folti capelli neri.

Per un momento, Kaithlyn, spense del tutto il cervello mentre le labbra del ragazzo le mordicchiavano piano la mandibola, e una mano aveva preso ad accarezzarle lascivamente una gamba.

- Eric... – mormorò staccandosi leggermente per riprendere fiato e alzando gli occhi per guardarlo in faccia.

- Che cosa vuol dire che ti serve un compagno per l’aggiornamento professionale? – le chiese improvvisamente brusco assottigliando gli occhi grigi e guardandola di traverso.

Questa proprio non se l’aspettava. Era geloso?

- Eric... tu... lo sai vero che non devi.. be’, essere geloso? – disse mordendosi il labbro inferiore per cercare di non ridere. – insomma, soprattutto nel caso di Jason è una cosa ridicola. –

Eric indurì lo sguardo. Lui non ci trovava assolutamente nulla da ridere, e avrebbe volentieri spalmato Jason Miller sulle pareti della Residenza, tanto per fargli capire come stavano le cose, se non fosse stato certo che Kaithlyn poi, gliel’avrebbe fatta scontare amaramente. E lui si ricordava bene quando sapesse essere vendicativa alle volte.

- Perché devi andarci proprio con lui? –insistette staccandosi completamente da lei e guardandola dall’alto in basso.

- Perché ha sostenuto l’esame di aggiornamento professionale la settimana scorsa, è del mio stesso anno e comunque non sono cose che ti riguardano, mi pare. – ribatté scocciata, incrociando le braccia sotto il seno.

Eric indurì lo sguardo all’istante.

- Bene. Dato che non sono cose che mi riguardano, me ne vado. – ribatté a sua volta girando i tacchi e andandosene indispettito, lasciandola lì contrariata e con le guance in fiamme per l’indignazione.

“Uomini!” pensò esasperata mentre si dirigeva verso il suo appartamento.

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano quasi le una di notte e aveva appena terminato tutto il lavoro arretrato della giornata. Maledetto Giorno della Scelta.

Esausta, spense il pc e si avvio verso il bagno per farsi una doccia veloce e poi infilare a letto ancora più velocemente, data la giornatina che l’aspettava di lì a poche ore.

Prima doveva passare dagli iniziati, sia interni che esterni, poi dovevo fare un salto al centro di controllo a causa di una mal funzionamento e infine doveva passare il resto della giornata a decidere con Max gli orari per il corso di addestramento per i tiratori, cosa che avrebbe occupato tutto il pomeriggio, dato che doveva fare in modo che tutti gli orari combaciassero con l’iniziazione, l’ora di cena… l’ora di cena!.., e gli impegni di tutto il resto del mondo. E naturalmente, le sarebbe toccato anche il turno di notte, dato che quella smorfiosa gatta morta di Jasmine Steward era indisposta, povera stellina, e aveva chiesto una sostituzione. E poi avevano anche il coraggio di chiedersi come mai odiava tutti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uscì dalla doccia un po’ più rilassata, avvolgendosi in un asciugamano morbido e strizzandosi i lunghi capelli rossi, che si spostò su un lato del collo prima di guarda un momento il riflesso nello specchio appannato. Aveva decisamente bisogno di dormire.

In quel momento sentì qualcuno bussare alla porta d’ingresso con una certa enfasi. Erano le due di notte e si augurò, per il suo visitatore, che fosse successo qualcosa di veramente grave.

Ancora scalza e con i piedi bagnati, andò ad aprire pronta a inveire contro chiunque ci fosse dall’altra parte del portone, trovandosi davanti un Eric più corrucciato del solito.

Fece per chiedergli cosa diavolo ci fosse di tanto urgente da presentarsi lì alle due di notte, e che se si trattava, ancora, di Jason Miller poteva anche andare al diavolo, ma il ragazzo non gliene diede il tempo.

Prima che potesse spiccicare parola, Eric le aveva preso il viso umido tra le mani e aveva iniziato a baciarla con impeto, chiudendo con un piede la porta d’ingresso.

Nonostante non se l’aspettasse ricambiò all’istante l’entusiasmo del ragazzo, trascinandolo verso il centro del salotto mentre brividi d’eccitazione le passavano sulla schiena e una sensazione di calore le partiva dallo stomaco per diffondersi al resto del corpo.

Eric, senza staccare un attimo le labbra dalle sue si tolse frettolosamente il giubbotto di pelle nera mentre lei gli infilava le mani sotto la maglietta con l’intento di toglierla il più il velocemente possibile.

Mentre armeggiava con la cintura dei suoi pantaloni, il nodo che teneva su l’asciugamano si sciolse, lasciando il corpo nudo e perfetto della ragazza completamente scoperto causandogli una serie di brividi di piacere lungo la schiena.

Preso dalla foga del momento, la spinse con tutta la delicatezza che gli consentiva la situazione contro il muro intrappolandola tra il suo torace e la parete riprendendo a baciarla.

Si staccarono, ansanti, e lei gli passò una mano sulla guancia, gli occhi azzurri ardenti di desiderio, per poi riprendere a baciarlo, allungandosi sulle punte dei piedi il più possibile per arrivare alle sue labbra. Era così alto.

Quando si staccarono nuovamente Kaithlyn ne approfittò per passargli, lentamente, una mano sui boxer provocandogli un gemito di apprezzamento.

Con impazienza crescente, Eric la prese da sotto le braccia facendole allacciare le gambe ai suoi fianchi, e mentre finiva di sfilarsi malamente pantaloni e scarponi, si diresse verso la camera dove, sempre tenendola stretta contro di lui, l’adagiò sul letto.

Tenendosi sollevato con i gomiti, si prese un attimo per guardarla: i capelli ancora umidi formavano un’aureola rosso scuro intorno alla testa, facendo risaltare la pelle candida e gli occhi azzurri, sotto cui si poteva intravedere una spruzzata di lentiggini.

Kaithlyn sorrise un po’ nel vedere l’espressione concentrata di Eric, e infilandogli una mano tra i capelli lo avvicinò maggiormente a se per baciarlo ancora. Senza staccarsi da lui, lo fece alzare, spingendolo a mettersi in ginocchio sul materasso. Con calma, lo fece rigirare e cadere sulla schiena, montandogli poi cavalcioni sui fianchi e iniziando a strusciarsi su di lui come un gatta lasciando, ogni tanto, qualche bacio sul viso, sul collo e sul petto.

Quando le sue labbra arrivarono in prossimità dell’ombelico, Eric non capiva già più niente: il sangue dal cervello era fluito in altre parti del corpo e quando finalmente lei si decise a sfilargli anche l’intimo si rigirò ribaltando nuovamente le posizioni, facendo leva sugli avambracci per non gravarle sopra.

Niente, da quando si frequentava con lei, poteva eguagliare la sensazione che provava ogni volta che entravano in contatto: che fosse un bacio, uno occhiata fugace, una battuta sarcastica o il fare sesso.

Le persone importanti per lui erano poche, si potevano forse contare forse sulle dita di una mano, e Kaithlyn rientrava sicuramente tra queste. Nell’ultimo periodo i momenti che passava insieme a lei erano gli unici che gli provocavano una sensazione di tranquillità e benessere, ed erano anche gli unici in cui tutta la rabbia e la frustrazione che provava dalla mattina alla sera e che non lo abbandonava neanche nel sonno, si attenuava.

Kaithlyn inarcò la schiena, le braccia intorno al suo collo, mugugnando impaziente e facendo fremere di desiderio anche lui, che dopo averla guardata con gli occhi annebbiati dal piacere, si chinò a baciarla nuovamente con intensità, mettendo fine alla sue proteste una volta per tutte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kaithlyn fu svegliata dalla luce che filtrava dalle persiane sulla parete destra della camera.

Si allungò pigramente nell’abbraccio di Eric, ancora addormentato, accarezzandogli distrattamente la mano con cui le cingeva la vita e godendosi per un momento il calore del suo corpo.

Prima che il sonno prendesse nuovamente il sopravvento, alzò piano la testa e controllò l’ora.

Le 7.30.

Lei avrebbe già dovuto essere in piedi da almeno un’ora contando tutto quello che aveva da fare.

Piano, cercando di non essere troppo brusca come suo solito, sgusciò da sotto il braccio di Eric, prese della biancheria pulita dalla cassettiera e agguantò rapidamente un paio di pantaloni da allenamento pieni di tasche e una canottiera per poi fiondarsi in bagno a prepararsi.

Dieci minuti dopo, quando rientrò in camera vestita di tutto punto, per prendere un elastico e infilarsi gli anfibi neri, Eric era seduto sul bordo del letto praticamente nudo che la guardava assonnato.

- Sei ancora lì?! Muoviti, tra dieci minuti dovresti essere in palestra! – lo rimproverò agguantando le scarpe e dirigendosi a passo spedito verso la cucina.

- Kaithlyn – iniziò con uno sbadiglio – dove hai messo le mutande che ho lasciato qui l’altra volta? – chiese senza dare segno di averla sentita.

- In frigo. Dove diamine vuoi che siano? Sbrigati! – ribatté lei dalla cucina facendolo sospirare rassegnato. Il buongiorno si vede dal mattino, no? Anche se ormai non faceva più caso agli sbalzi d’umore della ragazza, si sorprendeva ancora della rapidità con cui passava dall’essere tenera e a modo suo gentile, almeno con lui, all’essere indisponente e sarcastica.

- Piantale di sbraitare! Sono un uomo… -

- E con questo considero i tuoi obiettivi minimi raggiunti! – rispose lei sarcastica, facendolo sbuffare, esasperato. Ma chi gliel’aveva fatto fare? Ora capiva suo padre, quando gli consigliava dato il suo carattere poco tranquillo, di trovarsi una ragazza posata. Naturalmente aveva finito per fare l’esatto contrario di quello che gli era stato detto, come al solito.

- … quindi al contrario di te, ci metterò cinque minuti a prepararmi. – concluse, ignorando i borbottii irritati che provenivano dall’altra stanza e alzandosi per cercare il suo cambio.

Da quando si frequentavano i vestiti di entrambi erano divisi tra il suo appartamento e quello di Kaithlyn. Chissà cosa avrebbe pensato qualcuno vedendo delle mutande di pizzo rosso da donna piegate nei suoi cassetti…

Ancora un po’ intontito, Eric si stiracchiò le braccia sopra la testa e si diresse verso la cassettiera, trovando la sua roba nel primo cassetto. Recuperò i vestiti che avevano disseminato per la casa la sera prima, e s’infilò in bagno.

Due minuti dopo, era pronto.

Le 7.43.

Aveva ancora qualche minuto e non vedeva ragione per fare le cose di corsa, dato che probabilmente aveva già pensato a tutto il Rigido, Quattro, Eaton o quello che era. Mister perfezione, insomma, il super-intrepido che non sbagliava mai un colpo, pensò con una smorfia.

Con tutta calma si diresse verso la cucina, dove trovò Kaithlyn intenta a infilare nel borsone da palestra un mucchio di fogli più il pc.

- Andiamo? – le chiese appoggiandosi allo stipite della porta – pensavo avessi fretta. –

- Sì, infatti. Finisco di prepararmi, tu vai se vuoi. – disse sbrigativa dirigendosi nuovamente in camera a prendere un elastico per legarsi i capelli. Quando tornò, un minuto dopo, aveva i capelli legati in una treccia laterale, e si stava infilando la pistola nella tasca interna del giubbino.

- Dai, muoviamoci. – disse Kaithlyn caricandosi in spalla un borsone che sembrava pesare più di lei.

Prima di uscire Eric le schioccò un bacio sulle labbra, per poi vederla sparire quasi correndo per i corridoi senza dargli troppa considerazione. Tipico di Kaithlyn. Non frapporsi mai tra lei e “le cose urgenti da fare” o perirai nell’impresa.

Ma a lui, dopotutto, piaceva così, rifletté prendendo un bel respiro e dirigendosi verso la palestra dove lo aspettavano gli iniziati e Quattro; l’accoppiata vincente per fargli perdere la poca pazienza di cui disponeva, questo era poco ma sicuro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti!

Eccomi con un nuovo capitolo! Vi ringrazio per essere arrivate/i fin qui, e spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia scorra bene.

Mi farebbe davvero, davvero piacere sapere cosa ne pensate del capitolo: vi ha fatto schifo? Vi è piaciuto? Idee? Impressioni? Suggerimenti e/o consigli? Mi devo dare all’agricoltura piuttosto che ammorbare il resto del mondo con i miei scritti? Insomma, fatemi sapere!
Vi dico solo che niente è come sembra. :P

* i nomi accanto all’asterisco li ho presi dai libri della saga, mentre gli altri li ho inventati perché essendo moolto pignola in queste cose, ho dovuto (xD) dare un cognome e creare (lo vedrete più avanti) una storia per tutti!

P.s: “Prior” è senza asterisco perché mi sembrava superfluo specificare che non il cognome non l’ho inventato io.

 

Ringrazio Kaimy_11 la recensione dello scorso capitolo, Fabi96 che l’ha messa tra le preferite, Penn fortunata che l’ha inserita tra la storia “da ricordare” e infine fleci98 per averla messa tra le seguite!

Un ringraziamento va anche a tutte le lettrici e i lettori silenziosi che spero mi facciano sapere cosa ne pensano!

Spero di non avervi annoiato troppo!

Alla prossima!



 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Sì, lo so. Sono in un ritardo imbarazzante… la mia vita è il caos, e ogni tre per due mi sbuca un impegno diverso! Tra l’altro ho dovuto trovare la giusta ispirazione per questo terzo capitolo, (cosa da non sottovalutare per una precisina come me), quindi spero di non annoiarvi e che quello che ho scritto vi piaccia. 
Vi chiedo anche scusa per gli scorsi due capitoli, che nonostante avessi riletto un miliardo di volte, contavano alcuni ‘orrori’ soprattutto di battitura, che ora ho corretto (spero di non essermene fatto sfuggire nessuno, e se ne trovate non esitate a dirmelo ultimamente sono un po’ “cotta”!)

Ci vediamo giù!

 

 

 

 

 

Capitolo 3

 

 

 

 

Mentre si dirigeva in fretta verso il poligono, fu fermata da Zeke, che le comunicò che Max la voleva nel suo ufficio all’istante. Innervosita dal cambiamento di programma, dato che era già a metà strada, fece dietro front e si diresse verso il decimo piano.

 

Tra una cosa e l’altra arrivò al poligono dopo più di un’ora; estrasse il pc, inserì la chiavetta che le aveva dato Max, e si mise a riesaminare i test che erano stati inviati dagli Eruditi per i Capofazione che dovevano sostenere l’aggiornamento professionale*.

Eric l’aveva raggiunta mezz’ora dopo, le aveva lanciato un’occhiata delle sue e si era piazzato con la schiena appoggiata al muro a osservare l’allenamento dei transfazione.

Tutto filò tranquillo fino all’ora di pranzo, quando gli iniziati poterono dirigersi, tutti esaltati per essere riusciti a utilizzare una pistola, verso la mensa.

Quando tutti i novellini furono usciti, fece cenno a Eric e Quattro, che si erano lanciati occhiate in cagnesco per tutta la mattina, di avvicinarsi.

- Oggi pomeriggio devo fare un salto al Centro di Controllo perché Davis ha rassettato il computer e sono andati persi i dati di tutto il vostro anno d’iniziazione, e visto che te, - disse rivolgendosi direttamente a Eric – tra qualche giorno hai il test di aggiornamento per i Capofazione, devo ripristinare il sistema e reinserire i vostri dati. Quindi, in quella mezz’ora. anche se mi rendo conto che sarà difficile, cercate di non comportarvi da perfetti idioti come l’anno scorso. Ci siamo capiti? – terminò seriamente.

Eric e Quattro si scambiarono un’occhiata ostile.

- Perché hai te i nostri dati d’iniziazione? – chiese Quattro dopo un paio di secondi.

Kaithlyn notando la nota di nervosismo nella voce di Quattro gli lanciò un’occhiata penetrante.

- Che cosa vuol dire perché ho io i vostri dati? Mi prendi in giro Quattro? – domandò – Fai l’istruttore o il panettiere qua dentro Quattro? – lo schernì accigliata.

Quattro s’irrigidì, maledicendosi per non essersi morso la lingua. Era stata una domanda stupida e avventata, e sperava che Kaithlyn non gli desse troppo peso, o avrebbe potuto decidere di riguardarsi anche le simulazioni che aveva fatto sotto il controllo di Amar, e a quel punto sarebbe stato scoperto.

- Era una domanda stupida. Ho parlato senza pensare. – disse abbassando gli occhi. Sentì Eric ridacchiare, accanto a lui, ed ebbe l’impulso di colpirlo; impulso che venne soffocato sul nascere: meno dava nell’occhio, meglio sarebbe stato. Inoltre, mettersi contro Kaithlyn o fare un altro colpo di testa come l’anno scorso, avrebbe solo peggiorato la sua situazione sia nei rapporti con Max, che era riuscito a evitargli il licenziamento che aveva proposto Eric l’anno prima, sia per quel che riguardava la sua posizione all’interno della fazione. Voleva andarsene, certo. Ma di sua spontanea volontà.

- Ti stai divertendo, Turner? – chiese Kaithlyn senza spostare lo sguardo da Quattro, che continuava a sentirsi sotto esame. Come se lei potesse leggergli in fronte, solo guardandolo, tutto quello che aveva pensato e architettato negli ultimi mesi: l’incontro con sua madre, le informazioni che le aveva passato, il programma che aveva installato sul computer di Max e che gli permetteva di accedere a tutti i suoi file e, soprattutto, la sua divergenza.

Quattro sentì un moto di soddisfazione, vedendo Eric far sparire il suo solito ghigno dalla faccia e zittirsi.

- Un po’. – ammise il Capofazione guardandola divertito.

- Credo – iniziò lentamente - che tra un paio di giorni ti divertirai un po’ meno. –

Eric aggrottò le sopracciglia. Che intendeva dire?

- Che significa? – chiese non capendo a cosa facesse riferimento.

Kaithlyn parve riaversi: smise di studiare Quattro e lì guardò a turno entrambi.

- Scherzi? Dimmi un po’: cosa devi fare tra un paio di giorni? – chiese. Ma la sua domanda venne accolta dal silenzio.

- Le parole “Aggiornamento Professionale” non ti dicono niente, immagino. – costatò con rassegnazione.

- Io posso andare? – s’intromise seccamente Quattro.

- Sì, sparisci dalla mia vista… Ah! Quattro? – lo richiamò. – Aspetta qualche giorno per farli provare il lancio dei coltelli. Non vorrei dover riattaccare una mano a qualcuno. Ok? –

Quattro si girò verso di lei ed annuì, questa volta con l’ombra di un sorrisetto sul viso, ed uscì dal poligono.

- Non capisco. A parte i combattimenti per assicurarsi che sia in grado di combattere, che altro c’è di cui mi dovrei “preoccupare”? – chiese mimando le virgolette con le dita.

- Be’, la parte teorica. – iniziò. – ho letto le domande, che ci sono state spedite gli Eruditi, e a meno che tu non sia una specie di genio con la conoscenza infusa, cosa di cui dubito fortemente, ti conviene dare almeno una lettura a… - .

Teoria? – chiese scettico. – Che accidenti significa? È roba da Eruditi! Che gliene frega della teoria? Max è Capofazione da almeno quarant’anni e sono abbastanza sicuro che non ci capisca un accidente di quella robaccia. Se dovevo fare test scritti, potevo rimanermene con gli Eruditi! – disse irritato facendo sbuffare la ragazza che con un salto di sedette sul bordo del tavolo dove fino a quel momento aveva lavorato.

- Il primo aggiornamento professionale prevede anche un test scritto, Eric. Sicuramente te l’ho detto! – considerò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

- No. – rispose laconico.

- Be’, ora lo sai. – commentò con tranquillità tirandosi completamente sul tavolo e appoggiando la schiena al muro.

- E sai anche chi sarà il mio supervisore? – investigò. Tanto valeva sapere con chi aveva a che fare e agire di conseguenza. Alle brutte poteva sempre minacciare il malcapitato. O la malcapitata.

- No, non me l’hanno detto. – mentì disinvoltamente. Suo padre aveva ragione: non avrebbe mai potuto essere una Candida; riusciva a mentire con troppa facilità.

Eric la guardò sospettoso, ma vedendola così disinvolta lasciò correre e andò ad appoggiarsi alla parete accanto al punto in cui era seduta lei.

Restarono un paio di minuti in silenzio. Una delle cose che più gli piacevano di Kaithlyn è che sapeva stare in silenzio. E che, al contrario di come facevano molte ragazze intrepide, non sentiva la necessità di riempire ogni attimo con chiacchiere inutili o facendo casino.

 

Probabilmente il suo comportamento era dovuto anche dalla sua fazione di provenienza: gli Eruditi. D’altronde nessuno, per quando diversa potesse essere la fazione scelta, si lasciava veramente alle spalle quella d’origine. Lui ne era l’esempio...

 

Poi, Kaithlyn buttò le gambe giù dal tavolo, lasciandole penzolare per un paio di secondi per poi scendere e dirigersi verso Eric.

Nonostante gli anfibi avessero un rialzo di almeno cinque centimetri, Eric dovette abbassarsi dal suo metro e novanta per farsi mettere le braccia intorno al collo e premere le labbra sulla sue in un rapido bacio a stampo.

- Ci vediamo dopo Turner. –

Sapeva quando gli dava fastidio essere chiamato per cognome: gli ricordava da dove veniva. Eppure, a Kaithlyn non interessava... probabilmente era una vecchia abitudine da istruttrice degli iniziati.

La ragazza era già sull’uscio, quando il suo cercapersone suonò rumorosamente facendola voltare.

- Che è successo? – chiese voltandosi verso di lui. Doveva esserle sembrato strano che lo cercassero proprio in quel momento. E, in effetti, essendo ancora all’oscuro di quello che sarebbe successo di lì a tre settimane, la sorpresa che vedeva sul bel viso di Kaithlyn era del tutto normale.

Un’altra riunione straordinaria dei Capofazione. Con Jeanine, Capofazione degli Eruditi, che ormai passava quasi più tempo alla Residenza che al Quartier Generale dei Lassi.

- Niente. Una riunione straordinaria... ci vediamo dopo. – rispose con tono incolore incupendosi. Tutta questa solerzia gli sembrava davvero eccessiva per qualche divergente e un paio di risultati di simulazioni che ancora, tra l’altro, non aveva. Ma erano ordini di Max, e in quanto Capofazione più giovane, avrebbe dovuto obbedire che lo volesse o meno.

- Okay… - rispose poco convinta mentre Eric le passava rapidamente davanti senza degnarla di uno sguardo.

Ogni volta che veniva fuori il nome di Jeanine, Eric si incupiva e diventava più scontroso e intrattabile del solito.

Come mai improvvisamente gli Eruditi erano tanto interessati agli Intrepidi? Perché Jeanine si era intromessa nella valutazione dei Capofazione e di tutti quelli che avrebbero sostenuto l’esame?

E tutte quelle domande sui sistemi informatici da sottoporre a Eric, riguardo all’hackeraggio dei sistemi informatici e alla manomissione dei computer?

Eric aveva ragione: a cosa gli sarebbe servito sapere tutte quelle cose? Era roba da Eruditi, e la cosa le puzzava. Per non parlare di tutte quelle riunioni straordinarie tra i Capofazione e la rappresentate degli eruditi, anche se Eric non gliel’aveva detto, sapeva che c’erano anche loro: aveva visto le auto parcheggiate fuori e Jason le aveva dato la riconferma. Ovviamente non erano venuti lì di gran carriera per fare una gira turistica tra i canali del Pozzo, quello era abbastanza logico.

Sicuramente, più tardi, avrebbe chiesto spiegazioni a Eric… anche se dubitava che gliele avrebbe date. Nelle ultime settimane era diventato più irascibile, nervoso e poco incline al dialogo del solito. Gli unici momenti in cui era “tranquillo” erano quando stava insieme senza darsi addosso e possibilmente senza altra gente intorno. E lei gli lasciva tutti gli spazi di cui aveva bisogno, solo che ogni volta che veniva fuori il ‘discorso Jeanine’ finivano per litigare furiosamente e mandarsi al diavolo. Il che non avrebbe dovuto sorprenderla, dato che entrambi avevano un carattere piuttosto difficile.

Scosse la testa, come a cacciare via tutti pensieri. Era illogico che gli Eruditi s’interessassero agli Intrepidi solo per un fattore culturale. Poi un’idea la colpì.

Era illogico solo se si pensava che non ci fosse un secondo fine. E per gli Eruditi, il fine giustificava sempre i mezzi. Lo sapeva perché spesso si comportava così anche lei. Perché era proprio così che era riuscita, con grande sorpresa di tutti, a classificarsi al primo posto nel suo corso d’iniziazione, quattro anni prima; ci era riuscita perché era stata più cattiva degli altri iniziati; ci era riuscita perché voleva arrivare prima, dimostrando che nonostante fosse l’iniziata più piccola fisicamente, era comunque più di loro. Che era più forte. E l’aveva fatta, sopportando il dolore degli incontri, rialzandosi sempre e non avendo mai remore a colpire un compagno. Senza mai versare neanche una lacrima. Nemmeno durante le simulazioni, quando riemergevano le sue paure e la parte di lei che era ancora fragile, la stessa parte che da piccola la spingeva tra le braccia di suo padre, veniva fuori e la distruggeva.  Aveva tagliato anche quella. L’aveva tagliata fuori per essere più forte. E ce l’aveva fatta.

Ma lei non era un’Erudita, non lo era mai stata.

Le venne in mente l’ultimo passo del manifesto degli Eruditi:

“Vale la pena ripetere che l’intelligenza è un dono, non un diritto. Deve essere esercitato non come arma, ma come strumento per il progresso.”

Lei invece spesso usava la sua intelligenza come un’arma. Aveva usato la sua intelligenza per prevedere le mosse dei compagni durante l’iniziazione, per individuarne i loro punti deboli e sfruttarli per vincere. E lo faceva tuttora. Lo faceva perché era ambiziosa. Così com’era ambizioso Eric, anche lui proveniente dagli Eruditi. Ambizioso, ma, al contrario di lei, fondamentalmente insicuro: bastava vedere come aveva reagito dopo aver perso l’incontro con Quattro, due anni prima. Bastava vedere come continuasse a cercare conferme, anche se più che con le parole con i fatti, come facevano gli Eruditi.

Eric… l’iniziato più strafottente e indisciplinato che avesse avuto.

Nonostante lo vedesse sempre più distante e sempre meno capace di provare empatia, riusciva comunque a scorgere, in certi momenti, il sedicenne a cui le piaceva tanto dare il tormento durante l’iniziazione.

Lo stesso sedicenne abbattuto e demoralizzato dalla sconfitta, che aveva portato al pronto soccorso per una frattura al naso e che non aveva fatto altro che piagnucolare per tutto il viaggio.

Lo stesso sedicenne coraggioso che per primo aveva affrontato il suo scenario della paura, superandolo più che brillantemente.

Kaithlyn si riscosse dal turbine di pensieri in cui era caduta quando Quattro, appena rientrato, la scosse leggermente.

- Da quanto sei qui? – gli chiese bruscamente, colta in fallo.

- Da un paio di minuti. Non davi segni di vita, quindi mi sono avvicinato. – spiegò mantenendo quel cipiglio serio che lo contraddistingueva.

- Davo andare... – disse alzandosi dal pavimento. Si doveva essere seduta lì mentre rifletteva sullo strano comportamento di Eric e degli Eruditi. - ... Eric è stato convocato per una riunione, non aspettarlo. E spiega come si deve le basi del corpo a corpo ai novellini, o per la fine dell’iniziazione non ci sarà bisogno della classifica. – aggiunse prima di dirigersi verso il Centro di Controllo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo aver terminato quello che doveva fare al Centro di Controllo, raggiunse Quattro e gli iniziati in palestra.

Di Eric nemmeno l’ombra. Forse la riunione si era protratta più a lungo di quanto credesse… poteva essere. Ma non le piaceva.

Continuò a seguire l’allenamento, fino a quando, finalmente, lo vide entrare in palestra senza farsi notare dagli iniziati che erano tutti presi a imparare le tecniche che Quattro gli aveva mostrato a inizio lezione.

Con passo deciso si avvicinò a lui, notando a ogni passe quanto fosse pallido. Era così dopo ogni stramaledetta riunione e andava sempre peggio.

- Dove sei stato? – chiese forse un po’ troppo aggressivamente.

- Te l'ho già detto Kaithlyn. – bisbigliò seccamente per non farsi sentire da Quattro. – la riunione.

Sapeva che Kaithlyn era sospettosa di natura e non avrebbe fatto finta di bersi le sue scuse, per la maggior parte inventate, ancora a lungo. Ma aveva il divieto categorico di parlare con chiunque degli accorti con gli Eruditi.

- Vieni con me. –

Lui tirò un sospiro esausto, ma decise comunque di seguirla fino a un corridoio che portava sullo strapiombo. Uno dei pochi punti della Residenza dove non c’erano telecamere.

- Non posso dirti niente, Kaithlyn. E non mi va di litigare con te, quindi forse è meglio se ce ne torniamo in palestra. – ripeté appoggiandosi alla parete del piccolo corridoio che conduceva sullo spiazzo che dava sullo strapiombo e da dove si sentiva il rombo del fiume sotterraneo.

- Eric, non mi piacciono i rapporti che avete con gli Eruditi. – iniziò. Era un discorso delicato, lo sapeva bene, ma prima o poi avrebbero dovuto affrontarlo.

- Non credo sia a far tuo. Se ti volevi occupare della fazione e sapere tutto ciò che succedeva, dovevi diventare Capofazione. – le disse sforzandosi di non usare un tono troppo aggressivo.

In quei momenti, quando la rabbia e la frustrazione prendevano il sopravvento, faceva fatica a controllarsi, e non voleva certo rovinare il suo rapporto con lei.

Kaithlyn inarcò le sopracciglia, squadrandolo dalla testa ai piedi.

- Dico solo che mi sembra strano. E smettila di parlarmi come se volessi impicciarmi solo per il gusto di farlo. Non me ne importa un accidente di quello che fanno gli Eruditi, ma gradirei che non s’intromettessero nelle prove degli Intrepidi. Max, Taylor, James e Robert sono d’accordo scommetto. Tu sei stato informato? O ti limiti a galoppare da una parte all'altra a seconda di quello che ti dicono come al solito? – sibilò stringendo i pugni e assottigliando gli occhi azzurri, mentre sentiva montare rapidamente la rabbia.

Lo stava provocando, era chiaro. Ma quelle parole, pronunciate da lei, lo fecero esplodere.

- Non sono cose che ti riguardano! – gridò con una nota isterica nella voce e facendo un passo verso di lei. La rabbia stava iniziando ad annebbiargli la mente, così strinse forte i pugni riaprendo le ferite che si era procurato e ignorando le fitte di dolore.

- Certo chi mi riguardano! Riguardano tutti! Jason mi ha det... – ma non ebbe il tempo di finire la frase che si ritrovò attaccata al muro, il viso di Eric a pochi centimetri dal suo che la guardava minaccioso, gli occhi in quel momento vuoti ridotti a fessure.

Lei, per tutta risposta, gli restituì uno sguardo altrettanto arrabbiato. Quegli sguardi minacciosi non attaccavano con lei, e non aveva la minima intenzione di farti intimorire da qualcuno a cui aveva insegnato a prendere a pugni un saccone. Le mani di Eric erano ai lati della sua testa: aveva le nocche scorticate, come se avesse preso a pugni qualcosa di troppo resistente da rompersi sotto i suoi colpi. Come un muro.

- Dato che sei tanto affezionata al tuo amichetto, perché non vai a chiedere a lui cosa succede in giro? – sibilò minaccioso senza smettere di fissarla. – Sicuramente sarà più che felice di darti tutto quello che cerchi. Non chiedermi mai più niente riguardo a... – s’interruppe quando Kaithlyn lo spinse con forza all'indietro e lo colpì con uno schiaffo. Dopo quel gesto parve tornare lentamente in sé.

Aiutandosi con le braccia si liberò bruscamente delle mani che la inchiodavano ancora al muro e lo guardò inchiodò lì dov’era con uno sguardo che non prometteva niente di buono.

- Sei ridicolo! Non ti provare mai più a parlarmi in questo modo, Eric. – gli sibilando furiosamente e puntandogli un dito contro. – Io non sono una delle tue amichette del cazzo che puoi trattare come ti pare. Provaci un’altra volta, e ti giuro che tra noi è finita. –

Con questo se ne tornò, furiosa, verso la palestra; ma lui non la raggiunse. Probabilmente, conoscendolo, era andata a finire di farsi a pezzi le mani. Quello, sicuramente, gli riusciva bene.

Si passò una mano sulla fronte. Non si era mai comportato così. Non con lei almeno, e ogni giorno, come se non bastasse, andava peggio.

Cosa gli stavano facendo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti! Subito dopo aver pubblicato questo capitolo, andrò a cercare un sasso abbastanza grande sotto cui nascondermi.

La puntualità, soprattutto per gli aggiornamenti, per me è un optional!

Vi volevo lasciare, in quest’angolino, un po’ di spiegazioni!

Tanto per cominciare, ho parlato di questo benedetto “aggiornamento professionale”, e voi giustamente vi sarete chiesti: da dove diamine l’ha tirato fuori questa pazza furiosa? Be’, l’ho inventato io, mi confesso. In “Four: una scelta può liberarlo” (SPOILERINO per che non avesse letto il libro) Quattro parla e partecipa (solo per pochi giorni) a un corso preliminare che prepara i nuovi Capofazione includendo anche cose come la conoscenza dell’informatica; ho immaginato, quindi, che ci fosse una sorta di esame finale o qualcosa del genere. A questo punto, la mia mente bacata ha pensato: se fanno uno 'pseudo esame' per i Capofazione, daranno anche periodicamente dei test per vedere se chi si occupa in maniera attiva della fazione e deve essere pronto all’azione più degli altri, è ancora in forma! E da qui questa… cosa.

Ovviamente anche Kaithlyn, essendo la Prima Tiratrice Scelta degli Intrepidi, ogni due anni deve sostenere questa sorta di test, per dimostrare di non essere rimbecillita... sapete com'è...

Il fatto che la prima volta che si fa il test ci sia una sorta di esame scritto, mi è venuta in mente pensando agli Eruditi. Dato che Eric è colui che si occupa dell’addestramento dei transfazione e che deve trovare i divergenti, dovrà anche essere capace di scovare eventuali anomalie o manomissioni del sistema! Ovviamente lui, nonostante sia già coinvolto dell'attacco agli Abneganti (un minimo di organizzazione ci vuole, via!) non si rende conto della cosa, e nonostante gli sembri strano (come fa notare a Kaithlyn) non ci dà troppo peso.

Questo capitolo è stato cambiato e riscritto almeno quattro volte da cime a fondo, cambiando un sacco di cose. Spero quindi che la versione per cui ho optato vi piaccia e di non aver deluso le aspettative di nessuno!

Mi farebbe davvero piacere se lasciaste un commentino, sia in positivo che in negativo eventualmente, perché sapere cosa ne pensa chi legge fa sempre piacere. Ovviamente i consigli sono più che ben accetti!

In questi primi capitoli la storia scorrerà un po’ lenta, almeno dal punto di vista temporale, (spero invece che a voi scorra fluidamente) perché c’è bisogno di spiegare un po’ di cosa e di inquadrare bene tutti i personaggi. Spero che non annoierete, e se trovate che tiri la cosa troppo per le lunghe, non fate problemi a dirmelo!

Ringrazio Ozzy99 per aver messo la storia tra le seguite; Dauntless_noemi e ralunasiescu per averla inserita tra i Preferiti e Kaimy_11 e (di nuovo) Ozzy99 per avermi lasciato una recensione!

Alla prossima,

Kaithlyn24

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

 

 

Quando l’allenamento dei transfazione terminò, aiutò Quattro a fare le coppie per il giorno dopo.

- Non sappiamo ancora come se la cavano nel corpo a corpo, in base a cosa li facciamo combattere? – le chiese staccando dalla parete la lavagna di ardesia verde e poggiandola sul tavolo al lato della porta.

Alzò gli occhi al cielo, scocciata.

- Quattro, abbiamo passato quattro ore delle nostre esistenze a guardare come prendevano a pugni un saccone. Un’idea me la sono fatta.. tu no?. –

- Sì, ma... – non terminò neanche la frase, dato che Kaithlyn aveva già preso il gesso e non dava segno di voler ascoltare il suo parere..

- Direi di rinviare l’esecuzione della Rigida e lascairle ancora un giorno di vita, che dici?- iniziò scrivendo “Tris” in fondo alla lavagna.

- Direi di iniziare come primo incontro con Will e Al... poi Christina e Molly, che sono alte più o meno uguali... poi chi mettiamo? – chiese finendo di scrivere le prime due coppie. – facciamo a estrazione? –

- Eh… -

- No, facciamo così: Edward contro Myra e Peter contro Drew. Così dovrebbe andare, che dici?. –

Concluse, finendo di scrivere i nomi sul tabellone.

- Ho scelta? – le domandò mentre si spostava per farla alzare e la guardava cercare di riappendere la lavagna. Che tra l’altro era più grande di lei.

- Quattro vieni a darmi una mano okay? Per quale diavolo di motivo avete messo la lavagna così in alto! – si lamentò irritata, non arrivando ad appenderla al muro.

Quattro sapeva che se si fosse messo a ridere avrebbe passato un brutto quarto d’ora. Così, stringendo le labbra per non farsi vedere, appese la lavagna al chiodo al posto della ragazza.

- Bene. – commentò lei rileggendo i nomi sulla lavagna. – Vediamo se i novellini riescono a sopravvivere. Anche se, dopo di voi, ho smesso di sorprendermi. –

- Domani vi raggiungerò nel pomeriggio, quindi vedete di non fare stronzate, okay? – aggiunse girandosi verso di lui e guardandolo severamente.

- Forse non dovresti dirlo a me, Kaithlyn. Ti ricordo che siamo in due a seguire quest’allenamento. – disse guardandola di rimando.

- Comunque farò del mio meglio. – aggiunse vedendo che si aspettava ancora una risposta.

- Sarà meglio. – disse avvicinandosi a Quattro e appoggiandogli un braccio sulla spalla.

- Altrimenti vi spacco la faccia e sapete che posso farlo, visto che l’ho già fatto! – concluse, tirando le labbra in un sorrisetto insolente e battendo una mano sulla spalla del ragazzo.

Quattro s’irrigidì. Non era abituato al contatto fisico. Soprattutto con le ragazze Intrepide… non sapeva mai come comportarsi, e come interpretare i loro gesti. Probabilmente ci avrebbe messo ancora un po’ per liberarsi di quel suo lato Abnegante.

 

 

 

 

 

 

 

 

Kaithlyn entrò in casa sbattendo la porta. Aveva deciso di non scendere per la cena e di prepararsi qualcosa lì, quando bussarono alla porta.

Chiunque fosse stava bussando con troppo garbo per essere Eric. Incuriosita, andò ad aprire.

- Ciao bambolina! – infatti non era Eric. Era Jason. – Che cosa fai qua tutta sola? – chiese infilando la testa nell’appartamento e sorridendo allegro.

- Che vuoi? – chiese sgarbatamente. Non aveva proprio voglia di parlare con lui. Non aveva voglia di parlare con nessuno, ma si fece comunque da parte per permettergli di entrare.

- Niente. Sono venuto a dirti che stasera ci sono io con te a fare il turno di notte… che si mangia? –

Si diresse tranquillamente verso la cucina e si stravaccò su una delle quattro sedie.

- Te ne stavi andando, vero? – chiese aspramente la ragazza guardandolo di traverso.

Jason era stato, ed era ancora, l’unico vero amico che avesse all’interno della fazione; erano praticamente l’antitesi l’uno dell’altra, a partire dall’aspetto fisico.

Lui alto e massiccio, con quei riccioli biondi e gli occhi verdissimi, era sempre, o quasi, di buon umore. Aveva sempre una parola gentile e, in linea di massima, andava d’accordo con tutti.

Lei bassina e minuta, i capelli rossi e ricci che le arrivavano oltre metà schiena, e gli occhi di quell’azzurro incredibile era sempre scorbutica e sarcastica con tutti. Qualche volta anche crudele.

Jason aveva uno stuolo di ragazze che gli correvano dietro: era forte, coraggioso e sempre pronto all’azione.

Kaithlyn invece, se riusciva a far durare una relazione più di un mese era già tanto. Era stata con qualcuno, nei quattro anni che aveva passato tra gli intrepidi, ma dopo un po’ o si stancava lei perché trovava il ragazzo troppo stupido o troppo lagnoso, o scappava lui a causa del pessimo carattere della ragazza.

Jason non fece caso al tono di Kaithlyn; lui era addestrato alla sopportazione, e ormai non si scomponeva più quando lo trattava male. Insomma, non esisteva, da quel che ne sapeva lui, una sola persona che Kaithlyn trattasse beneForse Eric Turner… anche se di due non se ne faceva uno.

- Sono appena arrivato, bambolina. Allora? Che si fa? – chiese incrociando le braccia muscolose dietro la testa e appoggiando i piedi sulla sedia che aveva di fronte.

- Tu te ne vai, tanto per cominciare. O, se proprio hai deciso di anticiparmi la tua presenza, stai zitto. Tanto so già che dovrò sopportare le tue chiacchiere tutta la notte. – disse mentre prendeva due piatti e due bicchieri. Era inutile discutere con lui, tanto faceva come gli pareva… tanto valeva assecondarlo e ogni tanto annuire per dargli l’impressione di ascoltarlo, logorroico com’era.

Kaithlyn era abbastanza sicura che se gli avessero risposto, Jason avrebbe parlato anche con i muri.

Lei invece non era una persona particolarmente loquace e non era per niente espansiva, anzi. Era sempre stata piuttosto chiusa e restia a esprimere i suoi sentimenti… questo non significava che volesse bene a Jason o che non tenesse a Eric. Solo aveva qualche difficoltà relazionare, come le diceva sempre il biondino.

Jason la osservò per un paio di secondi, inclinando la testa di lato.

- Hai litigato con il tuo ragazzo, rossa? – chiese, mentre lei gli posava un piatto davanti e tornava al ripiano della cucina per mettere insieme la cena.

- Sai Jason, credo che oggi a cena ci fosse il cavolfiore. Vuoi che te ne vada a prendere un piattino? –

- Non ti disturbare. Non ha intenzione di avvelenarmi, vero? – domandò con finta preoccupazione, buttando i piedi giù dalla sedia e alzandosi per darle una mano. Meglio cercare, anche se probabilmente sarebbe stato inutile, di tenerla tranquilla.

- Mai dire mai. – gli rispose, tanto seriamente, che Jason non avrebbe saputo dire se facesse sul serio o meno.

- Che cosa hai fatto di bello oggi, Kaithlyn? – chiese mentre finivano di apparecchiare alla meno paggio.

- Sono andata a seguire l’addestramento dei transfazione, ho reinserito i dati delle simulazioni del mio gruppo d’iniziazione nei computer perché Eleonor Davis aveva resettato il computer, e poi ho avuto una discussione con Eric, Contento!? -.

- Ed è ancora vivo? Voglio dire, non l’hai fatto a pezzi e gettato i resti nello strapiombo, vero? – indagò, guardandola preoccupato.

- Non essere ridicolo. – disse per poi voltarsi dietro verso di lui con aria vagamente trionfante. – a proposito di pezzi di gente che vengono buttati nello strapiombo: la tua adorabile ragazza lo sa che sei qui, con me, tutto solo? Non vorrei che venisse a farti un’altra scenata, perché non ho nessuna voglia di sentirla starnazzare, e mi toccherebbe ucciderla con questo coltello da cucina per farla tacere. Per sempre. – spiegò alzando l’enorme coltello che teneva in mano e con cui stava tagliando il pane.

- Quando ti comporti così mi fai un po’ paura, sai? –

Kaithlyn sorrise, come se non fosse la prima volta che un’idea del genere le attraversava le mente.

Il resto della serata passo tranquillo. Jason chiacchierava e lei annuiva di tanto in tanto.

Avevano ormai finito di cenare, quando bussarono alla porta.

Si passo rapidamente un tovagliolo sulle labbra e andò ad aprire, trovandosi davanti Eric.

- Che vuoi? – lo accolse poco garbatamente lei appoggiandosi allo stipite della porta e incrociando le braccia, lo sguardo truce.

- Posso entrare? –

- No. Dimmi che c’è e poi vai, tra… - guardò l’orologio – 20 minuti monto per il turno di guardia. –

Eric tentennò un attimo sulla porta.

- Volevo parlare con te… - iniziò mentre lei si girava per chiudere la porta.

Eric fu più veloce. S’infilò rapidamente all’interno dell’appartamento, ignorando le proteste della ragazza.

- Fai come ti pare! – sbottò irritata, mentre si avviava verso la cucina dove probabilmente Jason stava ancora mangiando tutto ciò che gli capitava a tiro.

Eric si blocco sulla porta, chiedendosi come mai quello si trovasse lì a quell’ora, e sentendo un sentimento molto simile alla gelosia accaldargli il petto.

- Fao Eric! – lo salutò l’Idiota con la bocca piena. Lo stesso idiota che aveva cenato e passato tutta la sera con quella che, per quanto ne sapeva lui, era ancora la sua ragazza.

Assottigliò gli occhi e strinse i denti, irrigidendo i lineamenti del viso.

- Non sapevo fossi impegnata. –

Jason si alzò; se quei due elementi dovevano discutere, era meglio lasciarli a sbrigarsela tra loro. E poi non voleva creare altri problemi, era evidente che ne avessero già abbastanza da chiarire senza che Eric s’ingelosisse ancora di più.

- No, stavo solo importunando la Miss Sociopatia, se dovete parlare me ne vado subito... – proseguì prendendo il giubbotto dalla sedia e avviandosi verso la porta.

- No. Me ne vado io. –

- Ecco, bravo. – intervenne Kaithlyn, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero da Jason.

Possibile che non riuscisse a tenere a freno la lingua quella ragazza? Altro che Intrepidi, la dovevano spedire nei Candidi!

- Chiudi la porta quando esci! – ringhiò rivolta a Eric, che ancora più incazzato di quanto non fosse quando era arrivato o nel pomeriggio, se ne stava andando spedito.

- Vaffanculo, Kaithlyn! – rispose sbattendo la porta d’ingresso e avviandosi verso la palestra. La rabbia gli ribolliva nel petto: loro litigavano, magari un po’ per colpa sua, e lei andava subito a farsi consolare da quel brutto deficiente di Miller. Mentre percorreva i canali del Pozzo urtò più di una persona, ma non se ne curò. E loro, vedendolo così di pessimo umore, non provarono nemmeno a protestare. Gli prudevano le mani: aveva bisogno di prendere a pugni qualcosa. O eventualmente qualcuno.

Kaithlyn non sapeva se a Eric fosse arrivato il suo “Vaffanculo te!”, e nemmeno le interessava. O meglio: un pochino forse sì, ma quello non era il momento di curarsene.

Afferrò rabbiosamente una giacca pesante dall’armadio a muro della camera e tornò nell’ingresso, dove l’aspettava Jason.

- Muoviti. – gli disse mentre apriva la porta d’ingresso e si avviava rapidamente verso la loro postazione con Jason che la seguiva a pochi passi di distanza, stranamente pensoso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Restarono in silenzio, seduti sul container situato fuori da uno degli Ingressi della Residenza, per alcuni minuti.

Faceva freddo; nonostante fossero a Settembre, infatti, la temperatura era piuttosto bassa la sera, e Kaithlyn si era già infilata la giacca pesante e aveva avvolto le ginocchia con le braccia. Aveva le spalle appoggiate al muro e il cappuccio della giacca tirato su a coprirle la testa.

Jason ogni tanto le lanciava delle strane occhiate: voleva parlare. Davvero grandioso. Già avrebbe dovuto passare tutta la notte lì, al freddo e di cattivo umore; le mancava solo un discorso “alla Jason”. Com’era possibile che una giornata iniziata bene, potesse proseguire così male?

- Kaithlyn? –

Voltò lentamente la testa: il cappuccio rimase dov’era, ma il movimento le fece finire una ciocca si capelli rossi, che aveva sciolto per praticità, davanti alle labbra. Con una mano se li scostò dal viso in parte coperto dalla stoffa del cappuccio imbottito.

- Se devi ammorbarmi con un discorso dei tuoi, fai in fretta. Rapido e indolore. – disse freddamente.

Jason si morse il labbro inferiore e la osservò: sembrava così… tranquilla a una prima occhiata, con quegli occhioni azzurri e le lentiggini sul naso, che nessuno avrebbe detto, non conoscendola, il carattere che si celava sotto quel bel faccino. O quanto fosse intelligente. Sembrava… innocua all’apparenza, e anche a lui, quattro anni prima, aveva fatto questa impressione. Naturalmente si era ricreduto subito dopo. Perché lei non era affatto la bambola di porcellana che sembrava: era scontrosa, testarda e con un pessimo temperamento. Ma erano amici, e gli dispiaceva vederla ancor più di pessimo umore.

- Forse dovresti parlargli... voglio dire, non potete sempre litigare, aspettare di sbollirvi entrambi, sbaciucchiarvi per i corridoi, andare a letto insieme e ripartire con questo il giro tutte le volte! No? –

- Io non sbaciucchio proprio nessuno per i corridoi. Ma immagino tu abbia ragione, alla fine. – sbuffò scocciata. In effetti, di quel passo, non sarebbero andati molto lontano, e alla fine stavano bene insieme nonostante i chiari problemi a relazionarsi con il prossimi di entrambi.

Jason la fissò vagamente colpito: era strano che desse ragione a qualcuno.

Spostandosi con il sedere, perché alzarsi era troppo faticoso per i suoi gusti, si avvicinò a lei tanto che i gomiti si toccavano.

- Perché ti sei arrabbiata tanto? – le chiese, guardando un punto vagamente più alto dell’orizzonte buio.

Kaithlyn si voltò verso di lui: perché doveva sempre cercare di risolverle i problemi?

- Senti Jason non mi va di parlarne, okay? Lasciami in pace. – rispose, passandosi le mani sulle braccia e stringendosi maggiormente la giacca addosso.

- Dico solo che forse, ma proprio forse, hai un po’ esagerato con lui…- iniziò mettendosi comodo.

“Ecco che parte alla carica” pensò Kaithlyn seppellendo il viso nelle mani e scuotendo la testa vagamente disperata.

- Che è successo? Ti ha messo le mani addosso? – investigò, anche se sapeva già le cose com’era andate. – nel senso di “picchiare” ovviamente! Aggiunse pensando che la frase potesse risultare equivoca.

- Non essere ridicolo! Te l’ho già detto, tre volte: abbiamo discusso ed io gli ho tirato uno schiaffo. Basta! Che altro vuoi sapere? – chiese esasperata. Aveva insistito con questa storia da quando era entrato in casa per poi continuare per tutto il tragitto fino a lì, e insisteva ancora. Che cosa avrebbe potuto inventarsi per farlo tacere? Ucciderlo un po’ le dispiaceva... magari poteva semplicemente tagliargli la lingua, ma poi sarebbe morto dissanguato, e non aveva uno straccio per pulire… però avrebbe potuto cercare del nastro isolante e legarlo e imbavagliarlo da qualche parte… il nastro isolante andava bene…

- Senti, lo so che è fatto così, e che si prendono pregi e difetti di una persona… però non ho intenzione di fare il primo passo. Quando si sarà dato una calmata o avrà rinunciato a tentare di sfondare a mani nude i muri, verrà lui da me. – aggiunse, vedendo che continuava a fissarla; ma anche questa volta non ottenne risposte o pareri, così si voltò nuovamente verso l’esterno, in silenzio.

- Sai è normale che non mi sopporti. Siamo sempre insieme... e poi eri la sua istruttrice e ora sei la sua ragazza. La sua ragazza più grande! Insomma, è una combinazione terribile! Mi vorrei staccare la testa anche io, se fossi al suo posto.- Kaithlyn lo guardò esasperata.

- Mi dici perché ti preoccupi tanto di cosa faccio o non faccio con lui? –

- Be’, tecnicamente sono tuo amico... e in pratica ti sopporto da ben quattro anni, vale a dire… un quinto della mia vita. Ho tutto il diritto di farmi i fatti tuoi! – annuì convinto.

- Be’, nessuno ti ha obbligato a relazionarti con me, sai? – lo provocò, tirandosi completamente su la cerniera della giacca. Ora che era coperta fin sotto il naso, sembrava ancora più piccola.

Jason fece una smorfia divertita e la guardò dall’alto in basso con un sorrisetto insolente.

- In realtà… ti volevo rimorchiare. – confessò cercando di non ridere per l’espressione della ragazza.

- Tu scherzi... –

- Nono, sono serio. Insomma non sei mica un carretto ambulante! – la rassicurò.

- Un carretto ambulante? – ripeté Kaithlyn non sapendo bene come rispondere. Sicuramente c’era qualcosa dietro quell’affermazione.

- Eri lì, tutta sola e tutta blu mentre ti piazzavi con le tue cose nel letto del dormitorio, ed io ho pensato: “Ma guarda che bella ragazza…quasi quasi... ”. – disse stringendosi nelle spalle. Kaithlyn lo stava guardando, evidentemente cercando di capire se stesse scherzando o meno.

- Poi hai aperto bocca, ed ho cambiato idea! – concluse, come a volerla rassicurare. Adesso lo stava guardando come si guarda un povero deficiente. Tutto regolare.

- Vabbe’, - disse lei scacciando l’aria davanti a sé. – ad ogni modo io queste cose non le sopporto e... – ma fu nuovamente interrotta.

- Nessuno ti ha obbligato a frequentarti con un adolescente! Se ci stai ancora insieme ci sarà sicuramente un buon motivo. – insinuò scoccandole un’occhiata eloquente. – sicuramente lui ne ha uno. –

Kaithlyn si girò innervosita. – Senti Jason io lo che lui.. sì, insomma, tiene molto a me. Non c’è bisogno che venga tu a dirmelo. Ora possiamo continuare quello che stiamo facendo? Grazie. –

Jason era piuttosto sicuro che fosse arrossita, ma lasciò correre: aveva già tirato abbastanza la corda, per quella sera. Poi gli venne in mente una cosa.

- Senti Kaithlyn… - riattaccò a parlare.

Aveva ragione lei: se gli avessero risposto, avrebbe parlato volentieri anche con i muri.

Da parte sua, Kaithlyn sospirò, tappandosi le orecchie con le mani e guardandosi sconsolata i piedi. Sarebbe stata una notte piuttosto lunga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Kaithlyn, non dovresti bere tutto quel caffè. Sapevi che rende nervosi? Non puoi essere più nervosa del solito! Poveri iniziati! Perché non ci metti il latte? Ecco... – disse versandole il latte caldo nella tazza senza chiederle se le andasse o no.

Possibile che ancora non gli fosse caduta la lingua?

- Sì. E se voglio arrivare a stasera, questo sarà solo il primo di una lunga serie. Non tutti dopo il turno notturno possono andare a dormire. Immagino che tutte quelle chiacchiere stanchino. –rispose sorseggiando il suo caffellatte bollente.

Le porte della mensa si spalancarono e Clarisse Wright entrò a passo deciso.

Kaithlyn la osservò un secondo, chiedendosi se dormisse truccata e pettinata o se avesse preso la residenza dall’estetista. Come si aspettava si diresse tutta impettita verso il loro tavolo, dove appoggiò pomposamente le mani come a rimarcare quanto fosse irritata.

- Be’, che ci fa qua con lei? Ti avevo detto che oggi dovevamo fare colazione insieme! – si lamentò con fare altezzoso, rivolgendosi a Jason e comportandosi come se Kaithlyn fosse diventata improvvisamente trasparente.

Come se avessero captato che l’amica si trovava in difficoltà Eleonor Davis, seguita a poca distanza da Jasmine Steward, entrò in mensa per andare, evidentemente, in soccorso della mora.

- Che succede? – chiese sbrigativa la prima, buttando indietro i capelli tinti di rosso e squadrando tutto il tavolo da cima a fondo con aria critica.

- Jason ha passato la notte con Kaithlyn! Ed è anche andato a cena da lei, sapete? – disse come se loro non ci fossero. Tutta quell’isteria di prima mattina e quelle tre galline stavano involontariamente offrendo a Kaithlyn un po’ di svago. Certo, si sarebbe divertita solo lei, ma perché lasciar correre? Improvvisamente le tornò un po’ di buon umore, che migliorò ulteriormente quando vide Eric entrare in mensa; non sembrava aver dormito granché, ma almeno pareva più tranquillo. Meglio per gli iniziati, comunque.

Si voltarono, ancora in piedi, tutte e tre verso Kaithlyn, che nel frattempo aveva preso a mangiare un muffin cioccolato e arancia.

- Scusa, stavi parlando con me? – chiese vedendo che continuavano a fissarla.

- Clarisse, per favore. Non cominciate... lo sapevi che avevo il turno di notte, e se l’ho fatto con Kaithlyn è solo perché la tua amica Jasmine ha chiesto una sostituzione. – intervenne Jason cercando di non dare spunti alla rossa per discutere con quelle tre. Anche perché poi ci avrebbe rimesso lui.

- Scommetto che ci hai provato con lui tutto il tempo, non è vero? – insinuò Clarisse, ignorando il ragazzo e guardando truce Kaithlyn.

- Forse mi stai scambiando per la tua amica con i capelli rossi tinti male; io non bisogno di fare la gatta morta con nessuno, per farmi notare. – ribatté pacata, mentre finiva di mangiare.

- Peccato che tu non sia brava con gli uomini tanto quanto lo sei con le parole. Quando è durata con Steven? Un mese? –

- In realtà solo tre settimane. – precisò continuando a guardarla con fare amichevole.

- Tanto presto ti scaricherà anche Turner. Vi ho visto l’altra sera a baciarvi in corridoio. Voglio dire lui prima si frequentava con Kate, e siete così diverse... tu sei così magra e lei è così formosa... immagino che ti sia fatta allungare i capelli per compensare! – s’intromise Jasmine in tono confidenziale.

- Invece quel culone che ti ritrovi a che serve? Ad ancorare a terra la testa che, altrimenti, galleggerebbe per aria? – chiese Kaithlyn di rimando, in tono altrettanto confidenziale.

- Senza offesa, ovviamente! – aggiunse rapidamente.

Eric, che si era seduto dall’altra parte del tavolo, trattenne una risata continuando però a fare finta di nulla, mentre Zeke, che stava passando da lì, scoppiò a ridere fragorosamente, attirando diversi sguardi e beccandosi una gomitata da una Shauna ancora intontita dal sonno.

Jasmine invece, batté un piede in terra e se ne andò furiosa sculettando, seguita da Eleonor.

Clarisse le lanciò uno sguardo alterato, ma non disse nulla. Jason era evidentemente a disagio, ma almeno si era zittito. Se il "buongiorno" si vedeva dal mattino…

- Guarda, facciamo così. – iniziò Kaithlyn alzandosi con la sua tazza di caffellatte e un paio di muffin. – io vado a sedermi più in là almeno puoi continuare a parlare male di me con Jason e le tue amiche possono tornare in mensa… anche se dubito che moriranno di stenti!.- proseguì, mentre andava a sedersi, suo malgrado accanto a Eric.

-’Giorno… - le borbottò in un orecchio.

Kaithlyn sbadigliò, una mano davanti alla bocca e l’altra intorno alla tazza. Era tutti infreddolita, ed essendo ancora presto, non aveva nessuna voglia di fare le corse.

- Ehi... – ricambiò il saluto, assonnata. Ora che non era più arrabbiata, era più facile parlare con lui. O forse era solo il sonno e il freddo che l’avevano acquietata.

Mezz’ora dopo Clarisse si fermò davanti a lei e a Eric, facendo alzare lo sguardo a entrambi.

- Sei una stronza! Jasmine è tornata a casa e non vuole più uscire! Immagino che voi due vi siate trovati! – esclamò.

Certo che se darle della stronza era l’insulto migliore che le veniva in mente, era messa davvero male. E per quanto riguardava la Steward, meno si faceva vedere a giro e meglio era per gli occhi di tutti.

- Sono contenta che tu l’abbia notato. – ribatté, come se le avesse appena fatto un complimento. – ho impiegato anni di esercizio per diventarlo! –

Eric quasi si strozzò con la spremuta che stava bevendo, e Clarisse spalancò la bocca, indignata, per poi andarsene impettita.

Jason avrebbe dovuto essere arrabbiato, dato che aveva appena discusso con la sua ragazza per colpa di Kaithlyn… e lo sarebbe stato, se non avesse trovato le sue uscite delle sette e venti così spassose.

Quando si accorse di essere osservata, si girò verso di lui e fece spallucce. Non era mica colpa sua, se si era scelto quella gallina come ragazza.

Il resto della colazione passò tranquillo, lei ed Eric non parlarono, ma erano entrambi più tranquilli. Ci sarebbe stato tutto il tempo per parlare; e poi due giorni dopo avrebbero affrontato l’aggiornamento, mentre Quattro avrebbe portato gli iniziati alla Recinzione… forse sarebbe stato il caso di dire al suo ragazzo che, per superare a pieno punteggio il test, avrebbe dovuto gonfiarla di botte?

“Nah..”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ancora non riesco a credere di aver postato l’aggiornamento così in fretta!

Questo capitolo è un po’ più lungo degli altri e spero non sia stato noioso!

Non ho molto da dire… cercherò di seguire le vicende del libro nel modo più fedele possibile, ma se trovate qualcosa che non va, o vi sembra troppo prolisso ditemelo e vedrò di velocizzarmi nelle descrizioni.

Cosa ne pensate? Jason come vi sembra? Che idea vi state facendo della protagonista? Eric è abbasta schizzato per i vostri gusti? In questo capitolo è stato un po’ assente, ma rimedierò! La storia vi sembra verosimile? È carina? Fa schifo? Insomma, fatemi sapere che ne pensate! J

Ho già in mente i prossimi capitoli, purtroppo per voi! Ho solo bisogno di ideare come si deve quelli di passaggio, quindi credo che aggiornerò in tempi umani!

Ringrazio Kaimy_11 sia per la recensione super rapida che mi ha scritto, sia per aver inserito la storia tra le Preferite. E ovviamente ringrazio anche tutti i lettori silenziosi! Fa sempre piacere vedere le visualizzazioni della propria storia!

A presto! (si spera)

Kaithlyn24

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Rieccomi, meglio tardi che mai! Dovete sapere che il capitolo, in realtà, era pronto qualche giorno fa; arrivata, dopo aver anche salvato le modifiche, alla parte in cui vi ammorbo con le domande sul capitolo, su come lo avete trovato ecc…, ho cancellato tutto! Ottimo, no?

Ad ogni modo spero vi piaccia anche questo quinto capitolo, che è più una revisione di Divergent dal punto di vista di Eric che altro. Come noterete, infatti, buona parte dei dialoghi e delle azioni, in pratica la prima metà del capitolo, sono riprese dal libro... sto iniziando già a scrivere (diciamo a buttare giù, via!) il seguito perché ho un sacco d’idee, devo solo capire come mettere in atto! Smetto di annoiarvi, tanto c’è il mio spazietto in fondo…

Buona lettura!

 

Capitolo 5

 

 

 

Il primo giorno di combattimenti degli iniziati. In parole più semplici, uno strazio. Sarebbe sicuramente stata una noia mortale. Con Quattro tra le altre cose, giusto per non farsi mancare niente e dopo aver assistito all’allenamento di tiro al bersaglio con le pistole: era un bene, che Kaithlyn non fosse presente; le sarebbe venuto un colpo. O avrebbe fatto venire un colpo a loro, lui e Quattro compresi. O avrebbe messo semplicemente fine alle loro sofferenze con un colpo... a seconda del suo umore, era tutto da vedere.

Quel Rigido d’altro canto era una stramaledetta persecuzione: aveva cominciato con il primo giorno d’iniziazione, e non gli aveva più dato pace. Non che lo avesse considerato più di tanto, perlopiù evitava accuratamente il contatto con gli altri iniziati: mentre loro andavano a farsi i primi tatuaggi e i primi piercing insieme, infatti, Quattro si allenava al saccone e passava i pomeriggi nel suo dannatissimo scenario della paura. Come sempre, solo con più enfasi.

Sua madre, la sua adorabile e amorevole mammina, gli avrebbe probabilmente diagnosticato un disturbo ossessivo-compulsivo, se avesse visto come aveva affrontato l’iniziazione, il Rigido. E da parte sua, dare Eaton in pasto a sua madre, sarebbe stata una gran soddisfazione. Ventiquattr’ore con quella donna, e gli sarebbe sicuramente passata la voglia di… fare qualsiasi cosa.

Dopo aver vinto per un soffio contro gli altri quattro iniziati che erano con loro, Sean*, Mia*, Annie e Robert, era riuscito a battere anche lui nel campo dove più eccelleva. In ciò che sapeva già fare prima di arrivare lì; non solo, gli aveva pure rotto il naso, e si era dovuto subire l’umiliazione di essere trasportato da Kaithlyn, a quei tempi loro istruttrice, fino al pronto soccorso in tutta fretta. Oltre al danno, la beffa.

Come se tutto questo non bastasse, nonostante il Rigido si facesse prendere dal panico ogni santissima volta che affrontava quel dannatissimo scenario della paura, cosa che a lui non succedeva, era comunque riuscito a privilegiare e ad aggiudicarsi il primo posto nella classifica finale. Mentre lui si era dovuto accontentare del secondo posto, e per un tipo competitivo come lui era inaccettabile. Non si era certo trasferito dagli Eruditi per arrivare secondo rispetto a un Rigido.

Certo, era diventato Capofazione superando a pieno punteggio l’anno di addestramento che spettava a tutti coloro che Max aveva convocato per il posto vacante di due anni prima… ma non riusciva ad esserne comunque soddisfatto. E non ci riusciva perché sapeva che Max, come probabilmente anche gli altri Capofazione, avrebbero preferito Quattro-Rigido-Eaton, invece che lui.

Senza rendersene conto, mentre ripensava alla sua iniziazione, aveva stretto i pugni per la rabbia facendo diventare le nocche bianche per la forza che ci stava impiegando. Non si era reso conto di aver contratto, oltre che ai pugni, anche i muscoli delle spalle e della schiena, come faceva sempre quando era arrabbiato. Ultimamente la rabbia s’impadroniva di lui più frequentemente del solito, rendendolo intrattabile per chiunque e sempre propenso alla violenza. Gli bastava un nulla per scattare. Come il giorno prima con Kaithlyn, quando l’aveva sbattuta contro il muro: eppure sapeva che non sarebbe mai stato capace di farle del male, non sul serio; si sarebbe ferito lui, piuttosto. Eppure, appena lei aveva accennato agli Eruditi, aveva sentito il sangue ribollirgli e la rabbia prendere sempre più velocemente il sopravvento sulle sue facoltà, rendendogli difficile ragionare con lucidità.

Sapeva anche, che se avesse continuato in quel modo l’avrebbe persa. Una come lei non avrebbe accettato di essere trattata in quel modo a lungo. E si rendeva conto che, se uno qualsiasi degli Intrepidi avesse agito nei confronti della ragazza come aveva fatto lui il giorno prima, gli avrebbe spezzato le gambe con le sue stesse mani. Ma proprio non riusciva a rilassarsi: aveva una perenne voglia di spaccare qualcosa. L’unica, magra, consolazione era che di lì a due giorni avrebbe sostenuto qualche combattimento come si deve. Se non altro avrebbe potuto sfogarsi sul malcapitato.

- Primo incontro: Al contro Will. – impartì Quattro, facendolo riemergere dai sui pensieri.

Al era sicuramente ben piazzato: era poco più basso del suo metro e novantuno, ma era decisamente enorme per essere solo un sedicenne. Sicuramente era messo meglio del suo avversario che, per quanto massiccio, era quindici centimetri più basso e grosso la metà di lui.

Mentre i primi sfidanti salivano sul ring nell’arena gli altri iniziati, comprese Tris e Christina, le due iniziate che gli aveva presentato Quattro la prima sera, si avvicinarono all’arena.

Will e Al si misero in posizione, uno di fronte all’altro girando in tondo, come probabilmente avevano imparato il giorno prima, e mettendo i pugni serrati davanti al viso per proteggersi.

Mentre la Rigida e la sua amica Candida chiacchieravano lanciando occhiate furtive ad altri tre iniziati, che era abbastanza sicuro si chiamassero Peter, Drew e Molly, Al colpì Will sotto il mento, facendolo barcollare.

“Se non altro non durerà a lungo..” pensò Eric, sorridendo soddisfatto all’indirizzo di Al, mentre giochicchiava con uno dei piercing che aveva al sopracciglio sinistro.

Nonostante, almeno per lui, fosse già evidente chi avrebbe vinto l’incontro, Will poteva contare ancora sulla velocità: riuscì, infatti, ad agganciare una gamba dell’avversario e a farlo cadere a terra.

Dopo che Al si fu rialzato, passarono alcuni secondi in cui entrambi si fronteggiarono, titubanti, lanciando delle occhiate fugaci a Quattro: speravano forse che finisse così?

Eric controllò l’orologio: era proprio curioso di vedere quanto riuscivano a stare fermi senza far nulla. Dopo alcuni secondi, però, iniziò a irritarsi.

 - Pensate che sia un passatempo? Volete fare una pausa per una pennichella? Combattete! – gridò stufo di quella perdita di tempo.

- Ma.. – iniziò Al raddrizzandosi e facendo cadere le braccia sui fianchi. – C’è un punteggio o qualcosa del genere? Quando finisce l’incontro? –

Possibile che quel demente di Quattro non glia avesse spiegato le regole? Che diavolo aveva fatto tutto il pomeriggio precedente? Giocato a carte?

Eric respirò rumorosamente, esasperato. Che domanda stupida! Quando volevano che finisse l’incontro? Quando a lui e al dannatissimo Rigido fossero venuti i capelli bianchi nell’attesa dei loro comodi?

Nonostante l’irritazione, decise di spiegargli quelle due o tre cose, sperando che avessero tutti le orecchie sturate, perché non aveva nessuna intenzione di ripetersi.

- Finisce quanto uno dei due non è più in grado di continuare. – rispose, cercando di mantenere un tono neutro.

- Secondo le regole degli Intrepidi – intervenne Quattro. – uno dei due può anche arrendersi. –

Perché Max non aveva accettato la sua proposta di licenziamento per Quattro? Avrebbe potuto fare comunella con Zeke al Centro di Controllo, e lui non l’avrebbe avuto costantemente tra i piedi. O ancora meglio, se ne sarebbe potuto andare. Una volta per tutte.

Ad ogni modo, era meglio che i novellini intuissero subito chi dettava legge in quella palestra. Almeno fino a quando non tornava Kaithlyn: a quel punto sì, che si sarebbe divertito. Ma della ragazza, per il momento, non si vedeva nemmeno l’ombra; tanto valeva approfittarne, finché aveva campo libero.

- Secondo le vecchie regole – lo corresse, contrariato da quello slancio d’intraprendenza. – in base alle nuove, nessuno si arrende. – ribatté a tono, guardando il compagno con gli occhi grigi ridotti a fessure.

- Un uomo coraggioso riconosce la forza degli altri. – rispose Quattro. 

Eric fece appello alla pazienza: non poteva colpirlo il primo giorno di combattimenti. Era ai ferri corti con Kaithlyn, e lei gli avrebbe fatto volentieri lo scalpo, se lui gli avesse dato una scusa per farlo.

Ma come si permetteva, quel Rigido insolente, di correggerlo davanti agli iniziati?

- Un uomo coraggioso non si arrende mai. – decretò, continuando a fissare il rivale in cagnesco per alcuni secondi, come sfidandolo a ribattere ancora.

Eric si ripromise di stampare a caratteri cubitali, nella mente degli iniziati, chi comandava in quel dannatissimo posto: ovvero, lui. Bastava aspettare l’occasione giusta.

- Ma è ridicolo! – esclamò Al, scuotendo la testa. – Che senso ha picchiarlo? Siamo nella stessa fazione! –

Era al festival delle domande idiote, forse? Che cosa significava “che senso ha picchiarlo?”? Che senso ha imparare a combattere negli Intrepidi? In quel momento si sentì profondamente solidale con Kaithlyn quando, due anni prima, gli aveva addestrati.

Aveva ragione: erano un branco d’idioti, dal primo all’ultimo. Possibile che fosse circondato da tali dementi?

- Ah, credi sia così facile stendermi? – chiese Will, sorridendo. – Avanti. Cerca di colpirmi, bradipo. –

“L’importante è crederci..” pensò sarcasticamente, guardando i due iniziati fronteggiarsi nuovamente: Will riuscì a sferrare un calcio sulla schiena dell’avversario, facendolo barcollare.

Al, piuttosto rapidamente per quel che aveva visto fino a quel momento, si girò ed afferrò Will per braccio, colpendolo con un pugno alla mascella e facendolo finire a terra, privo di sensi.

Turbato dallo svenimento del compagno, Al si piegò su Will dandogli dei colpetti sulla guancia per farlo riavere; Quattro, nel frattempo, aveva segnato un cerchio intorno al nome di Al, decretandolo vincitore.

Appena Will riaprì gli occhi, Eric lanciò un’occhiata a Quattro che si diresse verso i due iniziati per aiutare Al a trasportare Will in infermeria.

Ecco il lavoro perfetto per Quattro: l’infermiere. Se avesse fatto ancora lo splendido l’avrebbe spedito a fare l’infermiere, dove non doveva vederlo e sentirlo e dove avrebbe potuto fare il Rigido quanto gli pareva, senza urtargli i nervi con la sua presenza.

- Prossima coppia… Molly e Christina! – gridò, mentre Al si passava intorno al collo un braccio di Will, e lui e Quattro lo portavano fuori dalla palestra. Finalmente poteva fare a modo suo: senza istruttori irritanti e ragazze con manie dittatoriali tra i piedi.

Le due avversarie salirono sul ring: Molly sembrava tranquilla, mentre Christina era visibilmente nervosa.

Dopo il primo colpo andato a segno per Christina, Molly ebbe la meglio: inchiodando l’avversaria a terra, iniziò a tempestarla di colpi sul viso. Christina avrebbe perso i sensi di lì a poco...

- Ferma! – le sentì gemere, mentre Molly caricava l’ennesimo calcio. – Ferma! Mi... – iniziò, tossendo per via delle botte al viso. – Mi arrendo. –

Evidentemente, non era stato abbastanza chiaro, poco prima. Avrebbe tanto voluto chiederle cosa esattamente, non era chiaro nella frase “l’incontro finisce quando uno dei due non è più in grado di combattere”. Pazienza, glielo avrebbe fatto capire con le cattive; se fosse stato dietro a Quattro, si sarebbero ritrovati un branco d’iniziati mollaccioni, che al minimo dolorino chiedevano la resa. Purtroppo per Quattro, le cose non funzionavano più così. Se voleva che le cose andassero diversamente, doveva proseguire con l’addestramento dei Capofazione, invece di mollare al secondo giorno.

Eric si avvicinò lentamente a Christina, con le braccia conserte e l’aria apparentemente tranquilla.

- Scusa, che cosa hai detto? Ti arrendi? – chiese, dandole l’ultima possibilità di rimangiarsi quello che aveva appena detto.

Possibilità, che lei non colse, anzi. Si tappò il naso sanguinante e annuì vigorosamente.

Perfetto, avrebbe fatto a modo suo. Peggio per lei.

- Alzati. – le ordinò, con lo stesso tono neutrale.

Dato che l’iniziata pareva temporeggiare, e lui si stava seriamente stancando di aspettare i comodi di tutti i ragazzini lagnosi di quell’anno, la afferrò bruscamente per un braccio e la tirò in piedi.

- Seguitemi. – disse, rivolgendosi a tutti gli altri.

Docilmente, il resto del gruppo lo seguì fino alla ringhiera che dava sullo strapiombo; da lì si poteva sentire il rombo del fiume sotto di loro.

In giro, a quell’ora, non c’era quasi nessuno. E, se qualcuno avesse avuto la brillante idea di interferire, gliene avrebbe fatto passare la voglia ancora prima che avesse il tempo di dire “Bah”.

Senza troppe cerimonie, dato che probabilmente quei novellini pensavano che fosse un simpatico giro turistico, spinse Christina verso la ringhiera.

- Sali qui sopra. – le disse, indicandole la ringhiera. Non sia mai che si fosse spiegato poco chiaramente.

- Cosa? – gli chiese lei, come aspettandosi che lui si correggesse. Erano forse tutti sordi? Parlava una dannatissima lingua incomprensibile ai più? Se si aspettava che cambiasse idea e che li facesse tornare in palestra, si sbagliava di grosso. Lì le cose funzionavano diversamente, e gli ordini devono essere seguiti senza proteste di nessun tipo. Da chiunque.

- Sali sul parapetto. – scandì lentamente, sperando che il messaggio arrivasse a destinazione. – Se riesci a rimanere appesa nel vuoto per cinque minuti, dimenticherò la tua viltà. Se non ci riesci, non ti permetterò di continuare l’iniziazione. –

- Bene. – mormorò lei, con voce malferma. Eric si spostò per farla salire sul corrimano: Christina passo una gamba dall’altra parte della ringhiera, si asciugò le mani sui pantaloni e si appese al corrimano, le gambe penzolanti nel vuoto.

Eric vide Al far partire il cronometro. Sai che roba, stare appesi cinque minuti alla ringhiera: a lui erano stati fatti fare gli addominali, su quella dannata ringhiera.

Il primo minuto e mezzo passò tranquillo. La presa di Christina sembrava salda sul corrimano scivoloso; i veri problemi, o il bello, a seconda dei punti di vista, iniziarono quando le prime onde, come aveva previsto, si infransero contro la schiena della ragazza, facendole sbattere il viso contro la ringhiera.

- Dai Christina! – la incitò Al, guardandola con determinazione. – Dai, afferralo di nuovo. Puoi farcela, riprendilo! –

- Dai. – incrementò la Rigida, debolmente. – Manca un minuto! – aggiunse con voce più forte.

- Forza, Christina!  - continuarono a incitarla i due iniziati. Un altro incoraggiamento a Christina, e si promise di appendere anche quei due alla ringhiera. Per gli alluci stavolta.

Alcuni schizzi d’acqua gli colpirono il viso; Christina era scivolata con le mani fino alla sbarra inferiore della ringhiera, ma il tempo che le aveva imposto era finito, e lei era riuscita a restare attaccata alla ringhiera. Notevole, per essere il primo giorno. Le avrebbe aggiunto un paio di punti, se ne avesse avuta voglia più tardi.

- I cinque minuti sono finiti – gli fece notare Al, sputandogli le parole contro.

Be’, che i cinque minuti fossero terminati, era tutto da verificare, costatò controllando con calma l’orologio.

- Bene. – disse sempre senza scomporsi. – Puoi tornare su, Christina. –

Al fece per aiutarla, ma lui lo fermò. Era proprio curioso di vedere quanto carattere avevano gli altri iniziati.

- No. – lo fermò prima che arrivasse alla ringhiera. – deve farlo da sola. – lo provocò. Tanto valeva divertirsi fino in fondo.

- No, non deve. – gli ringhiò contro Al. – Ha fatto quello che hai detto. Non è una codarda. Ha fatto quello che hai detto. – ripeté.

Eric permise ad Al di aiutare Christina a tornare con i piedi per terra. In quel momento, se non altro, era sicuro che il messaggio fosse arrivato chiaro e tondo a tutti: le regole, in quel posto, le dettava lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

I successivi due incontro furono rapidi e indolori: Peter vinse in meno di cinque minuti contro Drew, e Edward fece altrettanto contro Myra.

Kaithlyn, che era arrivata pochi minuti dopo il loro rientro in palestra, non aveva proferito parola, restandosene appoggiata alla parete a osservare gli iniziati.

Quando l’allenamento terminò, Kaithlyn fece un passo avanti; probabilmente, doveva dare un avviso.

- Io sono Kaithlyn, e insieme a Quattro e a Eric seguirò il vostro addestramento. – esordì, incrociando le braccia sotto il seno e guardando seriamente gli iniziati. – e a titolo informativo, vi dico che domani vi eserciterete nel corpo a corpo per entrambe le sessioni di allenamento, quindi vedete di presentarvi qua in palestra puntuali, alle otto. Il ritardo andrà a intaccare il vostro punteggio d’iniziazione. – terminò, suscitando un lieve brusio di lamentele che però fu messo a tacere con una sola delle sue occhiate da “istruttrice spaventosa”.

- Ora potete andare. – lì congedò Eric, avvicinandosi a Kaithlyn.

Gli iniziati uscirono parlottando dalla palestra, mentre Quattro si trattenne per organizzare gli incontri del giorno dopo.

- Bene. Facciamo in fretta, devo tornare al Centro di Controllo. – esordì, andando a prendere la lavagna in tutta fretta; meno tempo passava con quei due, meglio stava.

Kaithlyn aspettò che posasse la lavagna sul solito tavolo. Poi, senza preoccuparsi di dire niente, prese il gessetto che le porgeva Quattro e scrisse le coppie della giornata successiva. Dovevano affrontarsi tutti, e togliendo l’escursione alla recinzione e l’esercitazione con i coltelli, rimaneva poco tempo per attuare tutti gli incontri.

- Ecco fatto. Così non perdiamo altro tempo con questa roba. – disse, finendo di scrivere le nuove coppie.

Molly contro Edward, Peter contro Tris, Peter contro Tris?, avrebbe dovuto scollare la Rigida dal pavimento dopo quell’incontro, rifletté Eric scorrendo la lista.

Al contro Drew e infine Will contro Christina… poteva andare, dopotutto. E dato che lei sembrava di pessimo umore, era meglio assecondarla.

Parve percepire la cattiva aria che tirava anche Quattro-Rigido-Eaton-HoilnomepiùstupidodiChicago, perché invece di protestare per la disparità del secondo incontro, come avrebbe fatto normalmente, si limitò a irrigidire le spalle e a guadagnare rapidamente l’uscita. Finalmente fuori dai piedi.

- Ehm... – si schiarì la voce, attirando l’attenzione della ragazza che alzò, lentamente, gli occhi azzurri su di lui.

- Sì? –

Senza risponderle, la prese un polso e, il più gentilmente possibile, la tirò verso l’uscita: poco più avanti c’era un punto ceco alle telecamere e lui non aveva nessuna voglia di rendere partecipi gli Intrepidi che lavoravano al Centro di Controllo dei fatti suoi.

Kaithlyn non oppose resistenza: primo, perché sarebbe stato inutile e controproducente e secondo, perché cominciava a dare segni di scompenso a causa della stanchezza e non aveva nessuna voglia di mettersi a battere i piedi per una cosa così stupida.

- Senti... – le disse Eric, passandosi nervosamente una mano dietro la testa. – per ieri... io so che tu e coso lì, siete amici… però… -.

Kaithlyn si appoggiò alla parete, mentre Eric continuava a borbottare quelle che con un po’ di fantasia avrebbero potuto essere delle scuse. Con molta, fantasia.

Nessuno dei due era il tipo da lunghi discorsi e smancerie varie, anzi, nessuno dei due sopportava simili scemenze da fidanzatini ed entrambi erano orgogliosi e testardi; per questo alzò gli occhi al cielo e decise di fare finta che il giorno prima non fosse successo niente.

- Eric. – lo interruppe. – ho capito quello che vuoi dire, facciamo finta di niente per questa volta, okay? E ogni tanto fammi il sacrosanto favore di mandare a quel paese Jeanine da parte mia, dato che ultimamente vi vedete così spesso. – proseguì leggermente inviperita dal fatto che il suo ragazzo passasse il suo tempo in Sala Conferenze piuttosto che con lei.

- Ti ho anche mandata a fanculo! Sicura di voler far finta di niente? – indagò. Prima di fare qualsiasi cosa preferiva essere sicuro che fosse davvero tutto sistemato.

- Anch’io. Un sacco di volte e in modo anche piuttosto colorito, se vuoi saperlo; se avessi sentito la metà degli epiteti che ti ho tirato dietro, non ti sentiresti così sotto accusa, credimi. – gli disse tranquillamente, senza smuoversi dalla sua posizione.

Eric si sentì decisamente meglio. Quando tornava pungente e sarcastica, significava che era tutto a posto.

Fece un passo verso di lei: aveva ancora una cosa da mettere in chiaro.

- Devi dirmi qualcos’altro? – gli domandò, vedendolo titubante.

Eric fece un bel respiro. Al contrario di suo fratello William, lui non sapeva mai da che parte cominciare. Possibile che trovasse difficoltà anche a chiarire una cosa così ovvia e semplice?

- Kaithlyn, tu sai vero che io... be’, non ti farei mai male, vero? – le chiese, riferendosi al giorno prima, quando l’aveva sbattuta contro il muro. Kaithlyn sorrise un po’: avrebbe potuto quasi giurare che fosse leggermente arrossito, se non fosse stato così buio ed Eric non avesse dato le spalle alla lampada che illuminava quel corridoio, rendendo il suo viso ancora più in ombra.

- Sì, tranquillo. – lo rassicurò, sempre con lo stesso sorrisetto vagamente divertito.

- Okay. –

In un raro slancio di affetto Kaithlyn si avvicinò a lui, allungandosi sulle punte per posargli le mani su viso e gli stampò un bacio sulle labbra, lasciando Eric vagamente sorpreso.

- Dai andiamo. – gli disse guardandolo divertita dall’espressione inebetita che tanto stonava con il ragazzo che aveva davanti.

Si avviarono verso il Pozzo, entrambi un po’ più leggeri.

- Ho appeso un’iniziata alla ringhiera dello Strapiombo, oggi. – le comunicò Eric. – quella dove mi hai fatto fare gli addominali a fine iniziazione perché ti ho detto che la tua presenza in palestra era superflua, ricordi?. –

Kaithlyn si fermò un attimo e lo fisso, seriamente, facendo sparire quel ghigno divertito dal viso del ragazzo.

- Pff... dilettante! – gli disse, guardandolo con aria altezzosa per poi farsi spuntare un sorrisetto furbo mentre gli punzecchiava un braccio con un dito. Eric inarcò un sopracciglio.

- Se vuoi, strada facendo, posso raccontarti tutto quello che so sugli istruttori spaventosi! – gli disse, riprendendo a camminare e facendo spuntare un ghigno sul viso di Eric.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo cena avevano bevuto qualcosa al Pozzo e poi, dopo essere passati da lei a prendere quello che le serviva, erano filati a casa sua. Lui era filato sotto la doccia, e lei si era buttata con ben poca grazia sul suo letto, più addormentata che sveglia.

Quando era uscito dalla doccia, dieci minuti dopo, con solo un asciugamano stretto sui fianchi aveva trovato Kaithlyn intenta a frugare nei suoi cassetti con un certo impegno.

- Hai perso qualcosa? – le domandò, inclinando leggermente la testa e facendo cadere qualche goccia d’acqua per terra.

- Sto cercando il mio pigiama. –

- Ultimo cassetto, a destra. L’ho messo dove ero sciuro che saresti arriva senza un panchetto… - la prese in giro, divertito.

Per tutta risposta, Kaithlyn afferrò un cuscino dal letto e glielo scagliò in faccia. Poi, con aria offesa, prese il suo beauty e si diresse nel bagno alle spalle del ragazzo.

Dopo essersi lavata i denti e finalmente struccata, tornò in camera dove ad aspettarla c’era Eric, disteso sulla schiena con solo i pantaloni del pigiama addosso. Probabilmente, se non fosse stata sul punto di addormentarsi in piedi, la vista di quel corpo scolpito le avrebbe fatto venire voglia di terminare al meglio la serata ma non era sicuramente quello il caso. Era sveglia da quasi quaranta ore ed evidentemente i suoi ormoni, che in altre circostanze sarebbero schizzati alle stelle, erano andati a riposare prima di lei. In quel momento, l’unica cosa che il suo cervello riusciva a registrare era la stanchezza e l’infreddolimento. Poi c’era Eric mezzo nudo, ma quello era un altro discorso.

Quando Eric la vide, si stiracchiò allungando le braccia sopra la testa e con un colpo di reni si mise a sedere, facendole spazio sul letto a una piazza e mezzo.

La osservo per un attimo: indossava dei pantaloncini corti e una canottiera, entrambi neri, e aveva l’aria di essere in procinto di addormentarsi in piedi; era carina, anzi era bella, anche con quell’aria assonnata e i capelli stravolti. Anche se lui non faceva testo: avrebbe trovato Kaithlyn sexy anche con un saccone addosso, figuriamoci con quel bel pigiamino.

Si appuntò mentalmente di darsi un minimo contegno: era pur sempre un Capofazione degli Intrepidi e non poteva certo sbavare, ogni qualvolta vedeva un lembo di pelle in più della sua ragazza. Anche se era piuttosto difficoltoso, quando si trovava vicino a quel corpo tonico e ben fatto.

Senza dire nulla, Kaithlyn s’infilò rapidamente sotto le coperte: le faceva sempre più freddo, ma pensò fosse più una reazione dovuta alla stanchezza che ad altro, dato che il suo ragazzo stava mezzo nudo sopra le coperte, anziché sotto come lei.

Come se le avesse letto nel pensiero, Eric tirò su il bordo della coperta blu scuro e si stese vicino a lei, facendole scorrere un brivido lungo la schiena dovuto probabilmente alla vicinanza con il corpo caldo del ragazzo che ora le cingeva la vita con un braccio.

- Non ci pensare nemmeno. – gli mormorò, un paio di minuti dopo premurandosi di scandire bene le parole, mentre sentiva le labbra di Eric baciarle lentamente il collo e le sue mani calde insinuarsi sotto la maglietta sbracciata del pigiama, accarezzandole i fianchi da dietro.

- … No? –

- No. – rispose in uno sbadiglio assonnato, per poi rannicchiarsi un po’.

Eric sbuffò, girandosi completamente sulla schiena e fissando contrariato il soffitto: e pensare che si era anche scusato.

Dopo qualche minuto Kaithlyn si girò verso di lui mettendosi su un fianco, le coperte tirate su fino al collo e lo guardò dal basso.

Eric girò un po’ la testa verso di lei: lo stava fissando. Che voleva adesso, dopo averlo anche rifiutato?

Per tutta risposta la fissò di rimando con un sorrisetto divertito sulle labbra: l’avrebbe trovata quasi buffa, se non avesse saputo che quello sguardo stava ad anticipare una richiesta di qualche tipo. Molto inquietante.

- Che… che c’è? – le domandò dopo un minuto buono di silenzio. Kaithlyn sbatté le ciglia, accomodandosi un po’ più vicino a lui. Okay, ora aveva paura. Che diavolo voleva?

- Ho freddo. –

Ah, ecco cosa c’era.

- E c’è bisogno di fissarmi così? – le domandò guardandola dall’alto.

- Volevo solo che fossi psicologicamente pronto. – gli sussurrò innocentemente. Pessimo segno.

Eric la guardò perplesso. ‘Psicologicamente pronto a cosa?’ le avrebbe voluto chiedere.

Comprese cosa intendesse quando le manine congelate della sua ragazza gli si poggiarono sulla pancia e un brivido lo scosse dalla testa ai piedi. Istintivamente fece per alzarsi ma Kaithlyn, piuttosto rapidamente per essere una che sosteneva di essere così stanca da non reggersi in piedi, si infilò sotto il suo braccio e appoggiò la testa sul suo petto muscoloso, cingendoli il torace.

“Oh muoviti ora..” pensò sconsolato rivolto a se stesso.

Rassegnato, le passò un braccio dietro la schiena e l’attirò di più a sé, facendole intrecciare le gambe con la sua e permettendole di rannicchiarsi contro il suo petto.

Kaithlyn sorrise soddisfatta e, con finta nonchalance, spostò la manina maledetta dal suo fianco al suo povero collo, facendolo nuovamente rabbrividire. Sapeva che l’avrebbe fatto, la traditrice.

Lui non lo voleva, però se si parlava di stare al calduccio, vedi come diventava carina…

Le accarezzò la massa di capelli rossi, mentre con l’altra le scostava la mano dal suo collo e gliela spostava sul petto, stringendola un po’. Era proprio congelata. E lui si era proprio rincoglionito.

- ‘Notte.. – mugugnò lei contro la sua pelle, mentre cercava di soffocare l’ennesimo sbadiglio.

- ‘Notte. – borbottò di rimando, lasciandole la mano e tirando un po’ più su le coperte per poi darle un rapido bacio sulla testa.

Si permetteva quei gesti solo quando erano soli, e preferibilmente, quando lei dormiva o era particolarmente stanca: sapeva che i gesti d’affetto la mettevano in difficoltà, erano uguali in quello. Era anche vero che ultimamente i momenti in cui era tranquillo si erano esponenzialmente ridotti, mentre quelli in cui riusciva a stento a controllare tutta la rabbia che aveva in corpo si moltiplicavano sempre di più, e sempre con maggior difficoltà riusciva a ritrovare la calma.

Con questi pensieri strinse un po’ più Kaithlyn, ormai profondamente addormentata, contro il suo petto e si addormentò a sua volta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccoci qua!

Speravate forse di esservela cavata con quelle (risale con il cursore a contarle)…9 righe a inizio pagina? Pensavate male! Potevo forse avanzare di ammorbarvi un altro po’?

Ovviamente, no. Ma prometto che sarò… sintetica! (Detto da me, è tutto dire, eh..)

Allora, che ne dite? Vi è piaciuto il capitolo? Vi piace come sto rappresentando Eric? Non so se avete notato, ma ho inserito (accennato) due personaggi, la madre di Eric e il fratello William... che devo decidere se presentare in uno dei prossimi capitoli, ma lascio decidere a voi! 

Consigli o suggerimenti sono sempre ben accetti, naturalmente!

La parte dei dialoghi della prima metà, come ho detto all’inizio della pagina (perché rompervi le scatole solo in fondo era troppo poco! >.<) sono ripresi dal libro…(ma va? Cit. voi)

Per i combattimenti mi sto basando su quello che racconta Tris, e sono andata un po’ a deduzione, basandomi sui dialoghi... il resto li inventerò! Dovrebbero fare un tutti contro tutti, giusto? Non avete idea degli schemi e dei disegnini che sto "scribacchiando" ovunque per far combaciare tutto con il libro! La mia situazione psicologica può solo peggiorare inesorabilmente!  

Le informazioni sull’iniziazione di Eric e Quattro e i nomi (Sean e Mia) dei compagni d’iniziazione, sono presi dal libro “Four: una scelta può liberarlo”, per questo vi chiedo scusa se vi sto allegramente spoilerando tutto il libro.

Ringrazio tutti i lettori silenziosi, come al solito mi fa sempre un immenso piacere vedere tutte quelle visualizzazioni!

Ringrazio girlstreet e Adeus per aver inserito la storia tra le “seguite”; ChiarucciFangirl e gibi44 per averla inserita tra i “preferiti”; gibi44 (due volte grazie) per averla inserita tra le “ricordate”; infine ringrazio moltissimo i love evanescenceOzzy99Kaimy_11 e nuovamente Adeus, che ha recensito tutti e quattro i capitoli precedenti! 

Non so bene quando riuscirò ad aggiornare la prossima volta, perché ho un paio di settimane da pazzi, ma vi prometto che farò del mio meglio! 

Spero davvero che la storia continui a intrigarvi! Questo, come avrete notato, è stato un capitolo abbastanza tranquillo, senza colpi di scena o chissà cosa. A parte la povera Christina che viene appesa come un prosciutto sulla Strapiombo, ma quelli sono dettagli ^.^’.

 

Alla prossima,

Kaithlyn

E meno male che dovevo essere sintetica!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Io vi chiedo umilmente perdono! Ma tra il fatto che ho dovuto tutte le combinazioni di incontri dell’iniziazione di Tris (lo so, sono irrecuperabile) e complice di fatto che non ho avuto un minuto neanche a pagarlo oro, non sono riuscita ad aggiornare prima di così!

So che scrivere tutte queste cose (come le coppie degli incontri) ha della psicosi, quindi, a fine capitolo, potrete insultarmi liberamente, okay? J

Ci “vediamo” a fine lettura!

 

 

 

Capitolo 6

 

 

 

 

Eric rotolò sulla schiena, ansante, mentre la familiare sensazione di benessere psico-fisico e appagamento si diffondeva dal basso ventre alla testa, intorpidendolo. Proprio non ne aveva voluto sapere di arrivare alla sera senza toccare il corpo nudo di Kaithlyn o intrecciare le dita tra quei riccioli fiammeggianti.

Lentamente girò la testa verso la ragazza, che gli restituì un sorriso pigro ma appagato. Squadrò quel corpo tonico con gli occhi ancora ardenti di desiderio: se avesse potuto scegliere come passare il suo tempo, si sarebbe chiuso in casa con lei e avrebbe buttato via la chiave; i suoi occhi vagarono sul viso ancora arrossato e le labbra piene per poi proseguire e soffermarsi, forse un secondo in più del necessario, sui seni candidi che si alzavano e abbassavano al ritmo calzante del respiro.

Kaithlyn gli lanciò uno sguardo ammiccante. Si girò su un fianco e appoggiò la testa alla mano, puntellandosi sul gomito: parte degli indomabili capelli rossi, ora, le ricadevano sul seno, spiccando come fiamme sul quella pelle candida, e rendendola se possibile ancora più seducente.

Con calma, passò una mano sulla guancia del ragazzo e si avvicinò al suo viso, schioccandogli un bacio morbido sulle labbra. Le piaceva scoprirsi un po’ di più in quei momenti, ed essere un po’ meno… lei, e sapeva che lui ne era contento: se c’era una persona meno incline alle gentilezze o ai gesti di affetto di Eric Turner, era proprio lei.

- Buongiorno.. – disse in soffio caldo, quando il respiro iniziò a regolarizzarsi.

- ‘Giorno.. – le rispose in un borbottio, stendendo un braccio sul cuscino: era una chiaro invito ad accoccolarsi sul quel petto muscoloso. E chi era lei per dire di no?

Si avvicinò a lui in modo da far aderire il suo corpo a quello del ragazzo per poi poggiargli la testa sul petto e cingergli il torace ampio con il braccio libero. Chiuse gli occhi per qualche secondo, mentre si rilassava accanto al suo corpo caldo.

Aveva una ricordo piuttosto confuso del suo risveglio: ricordava di essersi svegliata a causa della pelle d’oca causata dalle mani calde di Eric che le massaggiavano lentamente i fianchi… aveva provato a ignorarlo, più per fargli dispetto che per altro, ma quando aveva sentito le sua labbra baciarle e mordicchiarle il collo e scendere verso i seni, l’unica cosa sensata che le era venuta in mente di fare era stata incollare le labbra alle sue e intrecciare le gambe intorno ai suoi fianchi per far aderire del tutto i loro corpi.

Aprì pigramente gli occhi e lanciò uno sguardo veloce alla radio sveglia sul comodino: avevano ancora un po’ di tempo prima di dover scendere al Pozzo.

Alzò lo sguardo verso di lui, guardandolo pensierosa; poi, aiutandosi con le braccia si tirò su per poterlo guardare bene in faccia: gli passò le dita tra i capelli scuri, leggermente più lunghi del normale, mentre con l’altra mano gli accarezzò una guancia dove si iniziava a intravedere qualche millimetro di barba.

Avrebbe potuto provare fastidio, sentendo la pelle ruvida sotto le dita, se si fosse trattato di qualcun altro; invece, vuoi perché si trattasse di Eric, vuoi perché si erano rotolati tra le lenzuola fino a pochi minuti prima, lo trovava estremamente sexy con quell’aria distrattamente attraente di chi non fa niente per esserlo. O più semplicemente perché era impossibile, secondo lei, non essere attratti da un corpo così virile.

Fin dalle prima uscite, anche se sapeva che Eric aveva una cotta per lei da molto prima, l’attrazione tra loro era stata palpabile: infatti erano finiti a letto insieme, anche se al letto non c’erano esattamente arrivati, dopo poco più di un paio di settimane di frequentazione.

E dopo quei, seppur pochi, mesi passati insieme la situazione non era decisamente migliorata; anzi.

Kaithlyn sorrise un po’ a quel pensiero. Si avvicinò nuovamente a lui e lo baciò lentamente, mordicchiandoli ogni tanto il labbro inferiore su cui aveva alcuni piercing. Rapidamente il bacio di trasformò, e da lento e sensuale diventò quasi famelico mentre la voglia di riaversi pervadeva nuovamente entrambi.

Il cuore aveva ripreso a martellarle nel petto, e le mani si erano quasi automaticamente intrecciate tra i suoi capelli, per attirarlo il più possibile verso di sé. Si staccò leggermente dalla sue labbra, e lo guardò negli occhi grigi nuovamente appannati dal desiderio; gli lanciò un sorriso malizioso e, con tutta calma, si riavvicinò al suo viso mordicchiandogli il mento per poi risalire lentamente a piccoli morsi verso il suo orecchio, dove si fermò.

- Ancora… - gli sussurrò languidamente provocandogli un fremito e la pelle d’oca sulle braccia.

Riprese a baciargli il viso e le labbra, con impazienza; poi, con lentezza esasperante e studiata, iniziò a baciargli e leccargli il collo e il petto, dove si soffermò a mordicchiargli un capezzolo. Eric ansimò, chiudendo gli occhi e affondando le dita tra i suoi capelli.

Kaithlyn gli accarezzò il ventre scolpito e il petto, per poi tornare a baciare e mordere ogni lembo di pelle su cui posava le labbra, strappandogli una serie di gemiti eccitati. Sorrise, tra sé. Le piaceva fargli questo effetto: le bastava uno sguardo per proiettare l’attenzione di Eric su di lei, lo sapeva bene.. e ogni tanto, forse, se ne approfittava un pochino; era così eccitante però, sapere di essere lei a scatenare tutto quel desiderio…

Quando arrivò a mordicchiargli la pelle poco sotto l’ombelico si fermò, guadagnandosi un’occhiata impaziente. Lentamente, si scostò la mano di Eric dal viso per baciargli lentamente le dita una per una. Lo sentì fremere di desiderio contro il suo corpo.

Gli lanciò un’ultima occhiata maliziosa, poi, senza perdere altro tempo sparì sotto il lenzuolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kaithlyn guardò Molly scollarsi dal pavimento intontita e guardarsi intorno: probabilmente Edward, il miglior iniziato transfazione, ci era andato troppo pesante. Anche un cieco si sarebbe accorto del divario: era evidente che lui studiasse combattimento già da prima, forse addirittura da anni, e lei non ne era affatto sorpresa. Anche lei sapeva già combattere quando si era trasferita, grazie alla palestra del Quartier Generale degli Eruditi. I suoi non era stati particolarmente entusiasti di quella decisione, ma alla fine si erano adattati.

Durante il primo incontro aveva osservato, senza farsi notare, l’agitazione crescente della transfazione Abnegante: Tris. Agitazione, che era anche piuttosto comprensibile, dato che avrebbe dovuto combattere con Peter, il quale era evidentemente più portato per il corpo a corpo. Il giorno prima aveva battuto Drew, un altro ex- Candido con cui faceva comunella, in meno di cinque minuti e quella mattina Drew era entrato in palestra zoppicando e con un colorito tendente al bluastro.

Era stata lei a pianificare gli incontri: per quel che la riguardava e per quel che aveva visto in quei due giorni, era meglio che la Rigida si togliesse dai piedi il prima possibile il combattimento con Peter: se si fossero affrontati a fine del primo modulo il suo punteggio, per quanto alto avesse speranza di diventare, sarebbe finito sotto terra. Meglio farle togliere il prima possibile il dente e testare le sue effettive capacità da subito.

- Tutto bene Rigida? – la provocò Peter, con un sorrisetto derisorio sulla labbra.

Se non avesse detestato le chiacchiere inutili, specie durante gli allenamenti, avrebbe anche potuto trovare quella domanda lecita: Tris sembrava sul punto di vomitargli sui piedi.

- Sembri sul punto di scoppiare in lacrime. Potrei andarci piano con te, se piangi. –

Con la coda dell’occhio vide Quattro contrarre le labbra, come se avesse voluto dire qualcosa ma si fosse morso la lingua.

- Non trattenerti a causa mia, Quattro. Sfogati. – gli borbottò ironicamente in modo che solo lui ed Eric potessero sentirla.

Eric invece, aveva preso a battere un piede sul pavimento in modo quasi frenetico. Possibile che non riuscisse a stare fermo anche solo per un attimo?

La sua attenzione fu nuovamente catturata da Peter, che nel frattempo si era messo in posizione d’attacco.

- Su, Rigida – la punzecchiò. – Solo una piccola lacrima, magari qualche supplica. –

Se Peter avesse continuato ancora a chiacchierare, le uniche suppliche che si sarebbero udite sarebbero state quelle che gli avrebbe fatto gridare lei per tutta la Residenza degli Intrepidi mentre lo trascinava per i corridoi tirandolo per i capelli e facendogli pulire il pavimento con la lingua.

Tris parve essere stufa quanto lei, perché alzò una gamba per tirare un calcio a Peter; gamba, che l’avversario afferrò e strattonò,  facendole battere la schiena sul pavimento.

- Smettila di giocare con lei. – intervenne la voce di Eric alla sua sinistra. – Non ho tutto il giorno. –

Perché lei sì?

Nel frattempo Tris era riuscita a strattonare la gamba dalla presa di Peter e a rimettersi in piedi.

Dopo le parole di Eric, la luce maliziosa che riusciva a vedere fin da lì negli occhi di Peter scomparve, e il braccio del ragazzo scattò in avanti colpendo Tris alla mascella e facendola barcollare pericolosamente. Tris cercò di allontanarsi dall’avversario, ma Peter fu più veloce: le si parò davanti e le diede un calcio nella stomaco per poi afferrarla per i capelli e colpirla prima al viso e poi al torace.

- Gli hai insegnato questo, durante la mia pausa caffè, il primo giorno? – chiese rivolgendosi a Quattro e guardando la mossa poco tecnica usata da Peter.

Quattro roteò gli occhi e respirò profondamente. Sembrava che quel giorno Kaithlyn fosse in vena… e lui, come con Eric, non era né una persona che amasse scherzare, né un amante di saccenti e sarcastici ex – Eruditi.

Doveva riconoscere però che quegli… schiaffetti,  o qualsiasi altra cosa fossero, che Tris stava cercando di tirare a Peter sulle braccia, erano abbastanza ridicoli… ma si poteva sempre migliorare giusto? Avrebbe comunque potuto superare l’iniziazione, era appena cominciata… non era sicuro, però.

Tris venne spinta a terra, e sbatté gli occhi, lenta e priva di energie per combattere; nonostante questo, si rialzò con determinazione.

Kaithlyn conosceva quella determinazione, era la stessa che aveva lei nei suoi incontri.

In piedi. Immaginò fosse il pensiero nella testa della ragazza. In piedi.

Anche se lei, alla fine, gli incontri gli vinceva. Un po’ perché si era premunita di imparare a combattere prima di trasferirsi negli Intrepidi per non lasciare niente al caso, un po’ perché i compagni di iniziazione l’avevano sottovalutata… grave errore, dato che alla fine aveva fatto sputare sangue anche ai maschi. Non era più forte fisicamente, ma le era bastato avere più tecnica e preparazione ed essere più cattiva durante gli incontri.

Proiettò nuovamente l’attenzione sui due avversari e decise che avrebbe interrotto l’incontro a momenti: era evidente che lei non fosse più in grado di combattere, nonostante il pugno che miracolosamente colpì Peter allo stomaco facendolo gemere. Lo schiaffo che seguì però, buttò Tris definitivamente a terra.

Quando Kaithlyn si staccò dalla parete per andare verso l’arena, Quattro scattò verso l’uscita della palestra e se ne andò, irritato.

“A proposito di casi umani..” pensò scambiandosi un’occhiata perplessa con Eric.

Le ginocchia di Tris, dopo lo schiaffo, cedettero definitivamente. Il primo grido acuto di dolore che uscì dalla bocca della ragazza fu causato dall’ennesimo calcio di Peter, questa volta al fianco.

Kaithlyn si avviò verso l’arena, ma prima che potesse aprire bocca, un’altra pedata colpì Tris sul viso.

- Basta così! – gridò avanzando verso i due sfidanti, mentre Tris perdeva definitivamente i sensi e si accasciava a terra.

“Niente male come primo giorno…”

Peter, dal canto suo, sembrava fin troppo felice per i suoi gusti. Ci avrebbe pensato lei a fargli passare la voglia di credersi chissà chi. Bastava che lui le fornisse l’occasione giusta.

- Iniziato! – abbaiò all’indirizzo di Edward. – Porta la tua compagna in infermeria e rimaterializzati qui alla velocità della luce. –

Edward, che sembrava uno dei pochi ad aver capito come giravano le cose con lei, annuì senza protestare e raggiunse rapidamente il corpo inerme di Tris, la sollevo di peso e uscì rapidamente dalla palestra.

Quel giorno, nonostante il risveglio fosse stato molto più che piacevole, si sentiva meno accondiscendente del solito; un nuovo limite di sopportazione minima raggiunta, in pratica. In altre parole, se gliene avessero dato occasione, avrebbe dato il meglio, o il peggio a seconda dei punti di vista, di sé.

Durante l’incontro successivo, mentre Al cadeva a terra e ci rimaneva, le venne l’impulso di andare lì e tiragli una pedata: era sicura che fosse cosciente e che sarebbe stato capace di proseguire e probabilmente vincere il combattimento. Perché farsi battere da uno come Drew? Uno che non era nemmeno suo amico, tra le altre cose.

Quattro tornò per assistere all’ultimo incontro della mattina: Christina contro Will.

Questa volta, al contrario della prima, Will vinse con un certo scarto, dato che Christina non aveva ancora capito che il non farsi colpire sul viso, magari avrebbe potuto aiutarla a non stramazzare al suolo. Si appuntò mentalmente di farglielo notare: dopotutto, era lì anche per insegnare qualcosa a quel branco di incapaci.

- Christina. – la chiamò quando si riebbe dopo l’incontro.

La ragazza la guardò preoccupata: probabilmente ricordava fin troppo bene la punizione di Eric e l’essere stata interpellata l’aveva resa nervosa.

Kaithlyn si avvicinò, senza comunque farle cenno di stare tranquilla: più si faceva detestare dai suoi iniziati, più veniva presa sul serio.

- Sì? – chiese titubante Christina, studiando per un secondo la figura che aveva davanti: Kaithlyn non era alta, e di corporatura era abbastanza minuta, ma sembrava indistruttibile; c’era qualcosa, negli occhi o forse nella postura, che lasciava intendere che era una con cui cercare di andare d’accordo il più possibile, se non di volevano passare brutti quarti d’ora.

- Sai, è più facile vincere un incontro se riesci a non farti fare entrambi gli occhi neri. –

Christina tirò un sospiro di sollievo, e annuì, recependo il messaggio.

- Bene. Potete andare a pranzo, o in infermeria o dove vi pare, mentre noi organizziamo i prossimi incontri per il pomeriggio. – annunciò a voce più alta per farsi sentire da tutti.

- Sparite! – aggiunse, vedendo che gli iniziati si stavano attardando.

In silenzio, uscirono tutti dalla palestra mentre lei riprendeva per l’ennesima volta la lavagna di ardesia verde e scriveva le coppie per quel pomeriggio, senza interpellare né Eric né tantomeno Quattro.

Certo che almeno una lavagnetta elettronica potevano anche metterla…

 

 

 

 

 

 

 

 

- Che cos’è? CHE COS’ È? – strillò, all’indirizzo dei due iniziati. – Pensate forse che si tratti di un incontro di lotta libera?! –

Certe cose proprio non si potevano vedere: Drew aveva afferrato Christina per i capelli in modo da poterla strattonare a terra per colpirla meglio sul viso.

- Stiamo combattendo. – rispose, con ovvietà l’iniziato.

- Tu dici? – chiese, tagliente. – a me sembra che vi stiate azzuffando. Ti manca solo una clava, e sarai un perfetto cavernicolo. Sai cos’è un cavernicolo, vero? –

Drew arrossì, ma non disse nulla. Meglio per lui, se non altro.

Il secondo incontro fu tra Molly ed Al che riuscirono a terminarlo in meno di dieci minuti, dato che Al dopo qualche colpo si accasciava a terra e ci rimaneva. Sperava davvero che non avesse intenzione di proseguire così, o poteva già fare i bagagli e andarsene dalla Residenza. Quel genere di comportamento non veniva tollerato tra gli Intrepidi.

Gli ultimi due incontri furono rapidi e indolori: Edward stese Will in sei minuti cronometrati, mentre Peter non si sforzò nemmeno per battere Myra: praticamente fece tutto da sola.

A fine pomeriggio, Kaithlyn li guardo tutti con espressione demoralizzata.

- Raramente, - esordì. – ho visto qualcosa di così penoso. Abbassate il livello combattivo generale della fazione. –

- Tu sei un’esperta in spettacoli pietosi? – chiese Peter squadrandola dalla testa ai piedi, senza pensare a frenare la lingua. Dopo tutto veniva dai Candidi, e nonostante non fosse mai stato veramente uno di loro, si sentiva ancora in diritto di dire tutto quello che gli passava per la testa.

Quando Kaithlyn lo guardò, Peter si sentì raggelare. Non era il tipo da farsi intimidire, e non temeva nessuno; sapeva essere crudele, alle volte, e aveva occhio per le debolezze altrui. Il problema, era che la rossa, a parte il fatto di essere piuttosto minuta, non sembrava averne, e da come se ne stavano tranquilli i loro istruttori quando si trovavano nel suo raggio d’azione, ne dedusse che fosse anche piuttosto in alto nella gerarchia degli Intrepidi. Aveva fatto una cazzata.

Nessuno disse una parola, mentre Kaithlyn gli si avvicinava lentamente, la postura rigida.

Quando fu a meno di trenta centimetri da lui, lo inchiodò lì sul posto con un’occhia che avrebbe congelato sul posto anche il diavolo in persona. Irrigidì la schiena, sovrastandola; cosa che lei, parve non apprezzare.

- Hai detto qualcosa, Candido? – sibilò lentamente, senza smettere di fissarlo.

- Ho chiesto solo se tu te ne intendi, di spettacoli penosi. – rispose a tono, seppur con voce meno baldanzosa. Kaithlyn era tanto carina quanto inquietante, in quel momento; e Quattro ed Eric non davano segno di voler intervenire: il primo guardava un punto imprecisato della palestra, mentre il secondo giochicchiava con un piercing al labbro e gli guardava attentamente, come se stesse seguendo una lezione particolarmente interessante.

- Vedi… Hayes, come Quattro ha ricordato anche alla tua amica Christina, la prima regola per sopravvivere qui, è tenere quella boccaccia che vi ritrovate sigillata. –

Peter questa volta non ribatté. Non era stupido, e non aveva intenzione di giocarsi l’iniziazione.

- Vedi di riuscirci, se non vuoi che ti faccia rimpiangere la tua scelta. – bisbigliò minacciosa. – Hai capito? –

- Sì. – disse in una mormorio Peter. Non gli piaceva fare la figura dell’idiota, e preferiva non farsi sentire dagli altri iniziati: non voleva che pensassero che non sapeva tenere testa a una ragazza poco più grande di lui.

- Non ho sentito. – scandì Kaithlyn alzando la voce in modo che tutti sentissero chiaramente.

- Sì. – ripeté, questa volta più forte e arrossendo per l’imbarazzo, gli occhi ora carichi di risentimento.

- E dato che ti piace fare lo spaccone, passerai la mezz’ora successiva al termine degli allenamenti a sistemare la palestra insieme al tuo istruttore. – intimò.

- Eric? Credi che al Centro di Controllo avranno qualche problema se Quattro arriva una mezz’oretta dopo? – domandò, senza staccare gli occhi dall’iniziato che aveva davanti.

Eric trattenne a stento un’espressione un po’ troppo soddisfatta.

- No. Può sempre posticipare la fine del turno. – rispose, con voce calma.

Quattro, dal canto suo, era piuttosto sicuro che, se avesse potuto, Eric si sarebbe messo quasi a ballare per la possibilità di infastidirlo che Kaithlyn gli stava offrendo.

- Molto bene. Allora gli altri possono andare, tu resterai qui fino a quando Quattro non avrà deciso che è abbastanza. – decretò, avendo notato l’irritazione di Quattro quando Peter aveva affrontato Tris. Hayes, se non altro, era sistemato.

- Domani farete un’escursione alla recinzione. Vedete di farvi trovare ai binari per le otto e un quarto, o resterete qui e vi verranno tolti punti. –

Ci fu un brusio di assenso, e poi tornò rapidamente il silenzio.

Senza degnare di un ulteriore sguardo gli iniziati, Kaithlyn si avviò verso l’uscita seguita a breve distanza da Eric.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Avete finito? Sto mangiando. – sbottò scocciata. Che problemi mentali aveva? Per quale maledettissima ragione si era seduta davanti ai due piccioncini tubanti?

Clarisse le rivolese un’occhiata astiosa: non si erano mai sopportate, non si sopportavano e avrebbero continuato a detestarsi in eterno, poco ma sicuro.

Jason non poteva iniziare a frequentare una ragazza tranquilla e carina? Nicole Lewis* sarebbe stata perfetta: aveva la loro età, era piuttosto carina e si era rivelata essere anche sveglia. Non come quella gatta morta che si portava appresso da.. troppo tempo, per i suoi gusti.

Tra le altro cose, Nicole, era una delle poche persone con cui riuscisse ad andare d’accordo, o per lo meno verso la quale non nutrisse istinti omicidi: non era un segno indicativo abbastanza forte?

- Ti disturbiamo, rossa? – chiese divertito Jason.

- Sì. Non è evidente? –

Lui sorrise un po’, vedendo la solita espressione corrucciata sul viso di Kaithlyn.

Pochi secondi dopo, con sua grande sorpresa, vennero raggiunti da Zeke e Sean Byrd*: la mensa, in effetti, era strapiena a quell’ora, e il loro tavolo era uno dei pochi con alcuni posti liberi… che fosse per la presenza della sua gentilissima e amichevolissima migliore amica?

Zeke si lasciò cadere sulla sedia accanto a Jason, con il vassoio riempito a tal punto da far pensare che non mangiasse da una settimana.

- Eric? – chiese dopo un po’ Sean, guardando Kaithlyn. Eric e Sean aveva fatto amicizia durante l’iniziazione, e probabilmente, per Eric, era ciò che più si avvinava ad un amico.

Fece spallucce: mentre si dirigevano al Pozzo gli era suonato il Cercapersone, e lui era andato via imprecando tutto incazzato, lasciandola lì come un’idiota. E poi era lei quella schizzata, tra i due.

- Tu sì, che sai essere eloquente! – bofonchiò sarcasticamente.

- Be’, vallo a cercare! Il fatto che io ed Eric ci si frequenti da un po’, non implica che io sappia cosa fa in ogni secondo della sua esistenza; non gli ho mica installato un GPS addosso. -

Erano passati due anni dall’iniziazione di Sean, ed ancora non aveva perso la sua lingua lunga da Candido impertinente. Non che lei potesse permettersi di contestare a qualcuno il poco tatto.  Non era mai stata abituata a tenere i propri commenti per se stessa: se aveva qualcosa da dire, non era sua abitudine starsene zitta; se non in circostanza particolari.

Zeke, notò, era stranamente silenzioso, mentre punzecchiava la cena. Era uno spettacolo piuttosto strano, dato che in genere non riusciva a tenere la bocca tutta insieme per più di cinque minuti e si strafogava di qualsiasi cosa trovasse, come dimostrava il contenuto del suo piatto.

Ogni tanto lanciava occhiate verso la porta della mensa, come se aspettasse qualcuno. Capì quando Shauna entrò accompagnata da un interno della sua età, Alex Jeffrey. Che, tra le altre cose, era anche piuttosto carino.

- Chi è quello con Shauna? – domandò Sean, mentre faceva distrattamente un cenno di saluto a Mia, una ex- Pacifica che aveva fatto l’iniziazione con lui.

- Alex Jeffrey. Un interno che ha fatto l’iniziazione nel mio stesso anno. – rispose prontamente, mentre si versava dell’acqua.

- È carino, vero? – chiese con finta non curanza e lanciando un’occhiata a Zeke, ora rigido sulla sedia. Frequentare Quattro gli faceva decisamente male.

- A me sembra un’idiota. – brontolò Zeke. Faceva uno strano effetto vederlo così ombroso: essere così cupo era più un atteggiamento da Quattro, anche se lui, più che ombroso o cupo, poteva essere definito proprio rigido, nel vero senso del termine. Era proprio vero che non ci si lasciava mai del tutto alle spalle la propria fazione d’origine.

Kaithlyn incurvò appena le labbra, divertita: Zeke e Shauna avevano una cotta l’uno per l’altra da almeno un paio d’anni, e ormai lo sapevano anche i muri, ma nessuno dei due aveva mai fatto il primo passo.

- Non mi sembra niente di che, quel tizio. – incrementò, dato che nessuno gli aveva dato man forte, lanciando un’occhiata velenosa in direzione di Shauna e Alex, che si erano appena seduti dall’altra parte della mensa, talmente vicini che i loro gomiti si toccavano mentre tagliavano quello che avevano nel piatto.

Lei sapeva che non c’era assolutamente niente tra loro: era stato tutto un piano di Shauna per vedere di dare una smossa a Zeke. Lo sapeva perché la ragazza aveva pensato di renderla partecipe di tutta quella messa in scena mentre si cambiavano negli spogliatoi.

Kaithlyn appoggiò un braccio sul tavolo, reggendosi la testa con una mano, e guardò quasi con accondiscendenza Zeke.

- Che c’è? – domandò bruscamente lui dopo un po’, sentendosi osservato.

- Niente. È che sei così stupido.- gli spiegò addolcendo leggermente il tono, in modo da renderlo ancora più compassionevole.

- Detto da te, lo prendo come un complimento. – commentò

- Giusto. Forse è la cosa più carina che hai detto in tutto il giorno, no? –intervenne Jason.

Kaithlyn alzò gli occhi al cielo e smise di ascoltarli.

In quel momento entrò Eric, spalancando la porta della mensa con poca delicatezza. Se generalmente tendeva ad essere arrabbiato con ogni forma di vita che gli capitasse a tiro, in quel momento era evidentemente furioso. Aveva i lineamenti del viso contratti in un’espressione feroce, e i muscoli delle braccia tesi. Si diresse a passo spedito verso il tavolo dove era seduto Max, si chinò verso di lui e gli disse qualcosa vicino all’orecchio. Max saltò su quasi di scatto, e insieme di avviarono di tutta fretta verso l’uscita.

Kaithlyn osservò tutta la scena, cercando di non farsi notare: il fatto che avessero “fatto pace”, se così si poteva dire, non significava che lei avesse lasciato perdere tutta la faccenda di Jeanine e degli Eruditi. Decise comunque che per il momento avrebbe lasciato perdere: il giorno dopo avrebbero avuto l’aggiornamento ed era meglio che entrambi, sia lei che il suo amorevole ragazzo, fossero il più tranquilli possibile, o sarebbe finito tutto in un bagno di sangue. Nessuno dei due era un granché quando si parlava di self-control, anzi erano uno peggio dell’altro, e ritrovarsi in una situazione del genere, avendo una buona scusa per picchiarsi, non era certo una cosa che poteva evolvere in modo positivo.

- Dove vai? – chiese Jason vedendola alzarsi.

- Ho raggiunto il mio livello massimo di sopportazione delle vostre inutili, stupide chiacchiere. Me ne vado. Domani mattina comunque vado a riscaldarmi un po’ in palestra. Tu vieni? –

Jason inarcò un sopracciglio e scrollò le spalle.

- Okay, a domani. –

- Be’, è simpatica, no? – lo sentì aggiungere rivolto a Zeke, che ridacchiò. Per quanto potesse essere abbattuto dubitava che riuscisse a rimanere serio per più di una ventina di minuti consecutivi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Turner? – chiamò entrando nell’appartamento, ma non rispose nessuno.

L’ingresso era avvolto nel buio, ma dalla camera proveniva un po’ di luce che delineava le sagome dei pochi mobili essenziali della stanza: forse la lampada delle scrivania era rimasta accesa. O, ancora più probabilmente, Eric aveva deciso di ignorarla.

Senza fare rumore si avviò verso la porta e si affacciò con la testa nella stanza: Eric era seduto, chino, su quelli che sembravano, ad una prima occhiata, dei documenti.

Non aveva già sistemato le faccende burocratiche?

Con passo felpato gli si avvicinò da dietro, e gli picchiettò su una spalla.

- Che vuoi? – le  chiese bruscamente.

Kaithlyn si accigliò.

- Scusa tanto, Capofazione super-indaffarato dei mie stivali! Sono solo venuta a vedere che stai combinando. Ma se ti infastidisco tanto, me ne vado subito. – ribatté inviperendosi subito.

Eric le rivolse un’occhiata irritata. Era tutta la sera che correva da una parte all’altra per accontentare Jeanine e gli altri Capofazione, e non aveva nessuna voglia di sentire i commenti sarcastici di Kaithlyn.

- Brava vattene, io qua ho da fare. – rispose in tono incolore.

Poi, senza degnarla di un’altra occhiata si giro per occuparsi nuovamente di quello che stava facendo: era meglio che Kaithlyn non capisse che invece di occuparsi delle faccende burocratiche della Fazione, cosa che tra l’altro aveva già fatto, stava valutando i progetti militari per un colpo di stato. Non sarebbe stata molto d’accordo… soprattutto per la parte che riguardava la collaborazione con gli Eruditi. Non sarebbe stata per niente d’accordo.

La sentì battere un piede per terra e rivolgergli un paio di epiteti poco lusighieri mentre prendeva al sua roba e se ne andava arrabbiata. Eric fece in modo che la sua attenzione fosse di nuovo concentrata su quello che stava facendo, e fisso insistentemente un punto in cima al documento che aveva davanti mentre sentiva Kaithlyn attraversare l’ingresso con passo rapido.

Tre, due, uno…

Come aveva immaginato, Kaithlyn era uscita sbattendo la porta talmente forte, che si appuntò mentalmente di controllare che non si fosse spezzata in due.

L’aggettivo delicatezza e il nome Kaithlyn Evenson non andavano bene neanche nella stessa frase, poco ma sicuro.

Appoggiò entrambi i gomiti sulla scrivania e si passò entrambe le mani prima sul viso e poi tra i capelli, scompigliandoli definitivamente, per darsi una svegliata e concentrarsi su quello che doveva fare.

Non era preoccupato per lo scambio di battute poco civili che aveva appena causato. Un po’, perché per loro due era la prassi, un po’ perché aveva altri problemi ben più urgenti e gravi di una ragazza indisponente. Come l’aggiornamento del giorno dopo: non era minimamente preoccupato per la parte teorica, era sempre stato più che bravo in quella roba lì… forse anche di più di quell’enciclopedia ambulante di suo fratello William; non era neanche preoccupato dei combattimenti o per l’identità del suo avversario: chiunque fosse l’avrebbe ridotto a un mucchietto di ossa senza troppi sensi di colpa.

 

O no?

 

 

 

 

 

Rieccomi! Vi chiedo umilmente perdono per il ritardo.. ma oltre alle mie fisime da pazza sclerata, come vi ho detto in cima al capitolo, sono stata impegnatissima e mi è proprio mancato il tempo materiale per aggiornare!

Spero di non aver deluso le aspettative di nessuno sul capitolo e che la storia non vi risulti noiosa o lenta… nel caso fosse così ditemelo ed io vedrò di porre rimedio!

Prima che mi dimentichi: ho creato la pagina facebook del mio account EFP, su cui caricherò info sui personaggi, anticipazioni e immagini di questa fic, e di altri progetti che ho in cantiere ma che non ho ancora pubblicato. Se a qualcuno interessa il link è questo: https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569

Il prossimo capitolo l’ho già buttato giù, più o meno, ed ho un’idea piuttosto chiara… quindi credo di riuscire ad aggiornare prima di Domenica! (Wow, e lo chiamo anche aggiornamento veloce?)

In questi primi capitoli non succede niente di esaltate,  perché siamo ancora all’inizio e Kaithlyn è già un membro effettivo, quindi non ha prove particolari da superare…per ora!… l’azione arriverà, ma dovete pazientare. Per ora spero vi godiate la “quiete” (anche se credo che questo termine non esista nel gergo degli Intrepidi), perché poi, soprattutto verso la fine, succederanno un po’ di cose, e tra qualche capitolo (forse tre o quattro) vi farò conoscere un po’ di personaggi nuovi che spero apprezzerete!

Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, mi fa sempre piacere leggere le vostre impressioni e mi aiuta a regolarmi nello scrivere! Sia che si tratti di cose positive, che di cose negative, ovviamente!

Ma passiamo alle cose serie, che vi ho già ammorbato abbastanza:

Ringrazio, per aver messo la storia tra i preferiti ellielli e LoveFandom22; e per aver recensito Adeus e Kaimy_11!

Ringrazio anche gibi44, che ho scoperto oggi, mi ha aggiunto tra gli autori preferiti: non hai idea di quanto mi abbia fatto piacere! (*me commossa*)

Un ringraziamento va ovviamente anche a tutti i lettori silenziosi, che anche se non si fanno sentire (*ma va? Come sono arguta!*) (*silenziosi.. che dite?*) spero apprezzino la storia! J

* Nicole è una personaggio che compare in Four – un scelta può liberarlo; il cognome me lo sono “inventato” perché non c’era, così come il cognome di Sean (altro personaggio di Foru).

Se mi è sfuggito qualcosa, fatemelo sapere e vi darò delucidazioni! J

 

A presto,

Kaithlyn.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

 

 

Colpì con violenza il saccone davanti a lei, aprendosi e facendo sanguinare una nocca.

- Kaithlyn..? – chiese incerto Jason; quando faceva così, sapeva per esperienza personale, che era meglio tenersi a distanza di sicurezza. O almeno non entrare nel suo raggio di azione immediata.

- Che c’è? – ringhiò, senza distogliere l’attenzione dal saccone da box che, in più punti, aveva delle rientranze dovute ai pugni che nelle ultime due ore gli erano stati tirati.

- Niente è che mi sembri un po’… - iniziò. Un altro pugno, più forte degli altri, colpì la superfice dura e ruvida del saccone, che dondolò all’indietro, girando leggermente su se stesso.

- Cosa?!  - abbaiò, fermandosi e guardandolo infuriata. Meglio essere cauti: non era un atteggiamento molto da Intrepido, ma chiunque l’avesse vista in quel momento, sarebbe stato del suo stesso avviso.

- ... nervosa. –

Kaithlyn gli lanciò un’occhiata truce, prima di rigirarsi e colpire ancora. Aveva decisamente bisogno di scaricarsi: ancora non le era passata la rabbia per la sera prima, e le prudevano le mani per la voglia di prendere a pugni qualcosa. In quel caso in particolare, non le sarebbe dispiaciuto prendere a pugni la faccia da schiaffi di Eric Turner. O a pedate, magari.

Si passò le mani sul viso, in modo da togliere il fastidio dei capelli attaccati alla pelle: nonostante avesse una coda alta, alcuni ciuffi erano riusciti a sfuggire all’elastico a causa dell’allenamento e iniziavano a infastidirla. Erano già passate più di due ore, ormai, da quando aveva iniziato, e tra poco avrebbe avuto i suoi incontri; le conveniva smettere, dissetarsi e riprendere fiato.

Quella mattina si era presentata da Jason praticamente all’alba, l’aveva buttato giù dal letto e l’aveva trascinato ancora assonnato verso la palestra, fermandosi per una pausa solo quando le opzioni per fargli smettere di lamentarsi per la fame si erano ridotte a due: ucciderlo o accontentarlo. Dato che la prima non era praticabile e lui le serviva in vita, almeno per le ore successive, aveva deciso di accontentarlo ed erano tornati in palestra mezz’ora dopo con due muffin ciascuno. Avevano fatto “colazione” con tutta calma, anche se lei ancora non si era rilassata del tutto.

Continuò a prendere a pugni il saccone, quando a un certo punto averti che qualcuno era appena entrato in palestra, e dalla voce lo riconobbe come Max.

- Con chi ce l’ha? – sentì chiedere dal Capofazione.

- Credo con Eric, ma non sono sicuro di aver intrepretato bene le imprecazioni e i borbottii che ha fatto finora. – rispose parlando a bassa voce Jason. Molto divertente.

Peccato, che lo sentisse ugualmente, dato che a quell’ora in palestra non c’era un’anima a parte loro tre.

Passarono alcuni minuti, dopo i quali, sentendosi osservata si voltò tutta scarmigliata e con l’aria decisamente poco disponibile, verso i due uomini.

- Posso esserti utile in quel modo Max? – chiese, mentre riprendeva un po’ di fiato e buttava giù un paio di lunghe sorsate d’acqua dalla bottiglia da due litri che si era portata dietro e che aveva appoggiato a poca distanza da lei.

- No, continua pure a martoriare quel povero saccone. Sono solo venuto a dirti che il tuo aggiornamento inizierà tra un’ora, fatti trovare pronta per le otto. La valutazione di Eric la farai come ultima cosa, okay? Comunque dovremo finire entro il primo pomeriggio. –

Kaithlyn annuì un paio di volte, le mani sui fianchi. Poi si girò, appoggiò un piede sul saccone e gli tirò un calcio con tutta la forza che aveva: non aspettò nemmeno che tornasse perpendicolarmente al terreno, ma si girò, agguantò al volo l’asciugamano che aveva appoggiato allo schienale della sedia vicino all’ingresso e se ne andò a passo deciso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era stato anche più facile degli anni precedenti: vincere contro quelle galline che le avevano fatto passare come “avversarie” era stato, oltre che molto soddisfacente, anche estremamente rapido e indolore. Era una cosa positiva, dato che tra poco avrebbe avuto da riempire di botte Turner e sapeva che non le sarebbero certo bastati un paio di colpi ben assestati o l’essere più cattiva di lui durante lo scontro. Se non altro, si sarebbe divertita.

Sperava solo che non decidesse di fare il “cavaliere”: lei detestava non essere ritenuta all’altezza delle situazioni, e detestava ancora di più essere sottovalutata. Se Eric avesse fatto una delle due cose per qualche assurda idea o concezione del concetto del “picchiare una ragazza”, o semplicemente per un momentaneo rincretinimento, la fine che gli avrebbe riservato una volta finito l’incontro sarebbe stata una lunga, lenta discesa nell’agonia.

- Brava! – si complimentò Jason, facendola voltare verso di lui. Erano quasi le undici, e di lì a un paio d’ore ci sarebbe stato l’incontro.

- Non è che ci volesse chissà quale innato talento combattivo per sistemare quella mezza cartuccia di Steven e quelle tre galline lagnose… la tua ragazza compresa. – ribatté senza nessuna inflessione particolare nella voce.

Jason alzò gli occhi al cielo: gli capitava spesso, quando era in compagnia di Kaithlyn. Tuttavia non ribatté, preferendo non intavolare l’ennesima discussione su Clarisse; dopotutto ci doveva stare lui, mica lei. Inoltre, non era proprio il momento migliore per discutere con quella psicotica della sua amica; magari più tardi…forse.

- Ero venuto a… ehm... suggerirti, che magari sarebbe… carino, andare da Eric a dirgli del vostro combattimento... no? – suggerì, appoggiandosi alla parete alle sue spalle e incrociando le braccia sul petto.

Si pentì di aver pronunciato quelle parole quando vide Kaithlyn voltarsi lentamente verso di lui e fissarlo, come se stesse valutando la situazione. Un vago senso di preoccupazione lo pervase quando vide, dietro le iridi azzurre della ragazza, una luce vagamente sadica. La stessa che si accendeva ogni volta che le prendevano i cosiddetti “momenti no” o pianificava di “vendicarsi” di qualcuno. Non avrebbe voluto essere Eric Turner per niente al mondo in quel momento: conosceva l’inquietante vena creativa di Kaithlyn e aveva avuto, purtroppo per lui, anche modo di sperimentarla.

- Hai ragione. Vado subito a dirglielo. – gli accordò Kaithlyn, con un sorrisetto poco rassicurante sulle labbra.  – Sai dov’è, magari? – domandò, con una nota speranzosa e impaziente nella voce.

Jason tentennò: da dove veniva tutto quell’entusiasmo e quell’accondiscendenza? Perché gli stava dando ragione?

- L’ho visto al Pozzo. Kath, non.. – tentò, anche se sapeva che sarebbe stato inutile. Quando Kaithlyn decideva una cosa, era impossibile dissuaderla.

Della serie: “Muori pure, ma fallo in silenzio e non disturbarmi mentre attuò i miei piani vendicativi.” Tipico di lei.

Senza dargli il tempo di finire, Kaithlyn si diresse, con ancora addosso i pantaloni attillati da allenamento e la maglietta corta che lasciava vedere il piercing all’ombelico, verso il Pozzo.

Quando arrivò si appoggiò rilassata alla parete, in attesa di veder passare Eric: mentre aspettava si sciolse e ravvivò un po’ i capelli. Pochi secondi dopo, individuò il ragazzo dall’altra parte del Pozzo: be’, non era stato un compito impegnativo; Eric era notevolmente più alto della media rispetto ai ragazzi della sua età.

***********************************

Il test teorico inviato dagli Eruditi era stato una passeggiata: avrebbe dovuto rilassarsi, era sempre stato molto al di sopra la media, per quel che riguardava l’informatica, anche nella sua vecchia fazione e primeggiare, quella volta, era stato un gioco da ragazzi.

Non era minimante preoccupato per il corpo a corpo: era forte, veloce e ben preparato e si sentiva capace di battere qualunque idiota si fosse trovato davanti.

In un certo senso, non vedeva l’ora di essere in palestra per l’incontro: erano stati giorni impegnativi e gonfiare di botte qualcuno l’avrebbe fatto sentire meglio, oltre che aiutarlo a scaricare la tensione e la rabbia.

Stava pensando di dirigersi verso la palestra per i primi incontri quando vide Kaithlyn appoggiata alla parete del Pozzo. Aveva una gamba piegata ad angolo e il piede e la schiena appoggiati alla parete; le mani erano intrecciate dietro la schiena e sembrava in attesa.

La vide ravvivarsi i capelli e poi cercare qualcuno con gli occhi. Quando intercettò il suo sguardo, un sorrisetto poco rassicurante le incurvò le labbra. Ovviamente, sembrava troppo strano che facesse correre la discussione della sera prima. Si aspettava che gli venisse in contro per cantargliene quattro davanti a tutta la fazione, era l’unica che ne avrebbe avuto il fegato, ma lei rimase perfettamente immobile come una statua di sale.

Eric assottigliò gli occhi grigi e la guardò con sospetto: si aspettava di essere insultato per la sera prima, ma la sua ragazza se ne stava lì a guardarlo senza muovere un muscolo, il che rendeva la situazione un po’ inquietante. Kaithlyn, in effetti, era un po’ inquietante a volte. Soprattutto quando fissava qualcuno con quegli occhi azzurri e quell’espressione da poker. Molto inquietante. Considerando anche la giornata che lo aspettava…

Decise di fare finta di nulla, anzi, l’avrebbe stuzzicata un po’.

Mentre muoveva un passo verso nella sua direzione, lei parve disincantarsi; si staccò dalla parete e si diresse verso la direzione opposta alla sua.

- Belle gambe! – le gridò dietro nel trambusto del Pozzo, dopo averla incrociata e non essere stato minimamente calcolato. Almeno ottenne un minimo di reazione, infatti, Kaithlyn s’immobilizzò dopo pochi passi.

- Hai per caso detto qualcosa, Turner? – disse con voce gelida girandosi verso di lui e guardandolo minacciosa.

Eric si chiese distrattamente per quale assurda ragione non aveva tenuto chiusa la bocca e non aveva tirato di lungo.

- Ma figurati! Fai finta che non ti abbia detto niente! – le rispose alzando entrambe le mani in segno di resa, mantenendo tuttavia un’espressione ironica.

Sul viso della ragazza si allargò un sorrisetto tra il divertito e il sadico. Okay, in quel momento aveva paura sul serio.

- Sarà meglio, perché tra due ore hai l'ultimo combattimento della sessione di aggiornamento professionale dei Capofazione. E indovina a chi è toccato il sommo piacere di valutarti? – gli disse facendo trasparire la soddisfazione nella voce. Sembrava proprio che morisse dalla voglia di dirglielo. Ecco dove stava la fregatura.

Eric si sentì sbiancare, mentre il sorrisetto arrogante che aveva sul viso spariva immediatamente e le braccia gli ricadevano giù. Maledetta: chissà da quanto lo sapeva. Cosa diavolo gli aveva detto il cervello? Non poteva semplicemente tirare di lungo e tenere chiusa la sua boccaccia? Forse aveva ragione sua madre, quando gli dicevano, appoggiata chiaramente dal resto della fazione, che non usava la testa. Era intelligente, certo. Ma non collegava il cervello al resto. Prima di dare ragione a sua madre, tuttavia, avrebbe preferito buttarsi nello Strapiombo con un masso attaccato ai piedi.

“Oh merda” pensò. “Questa volta sì, che sono fottuto!"

Rimase un paio di secondi interdetto fissando la ragazza con lo sguardo un po’ vacuo.

Ritornò con i piedi per terra quando la vide voltarsi con espressione compiaciuta e continuare per la sua strada.

- Kaithlyn! – la chiamò correndole dietro; gli bastarono poche falcate per raggiungerla: ogni tanto essere alto un metro e novantuno era comodo.

L’afferrò per una braccio quando erano già dall’altra parte del Pozzo e la voltò verso di lui, forse un po’ più bruscamente di quanto avrebbe voluto.

- Che cosa vuol dire che mi devi valutare te? – chiese, anche se aveva la sgradevole sensazione di sapere già la risposta.

Kaithlyn mise su un’espressione perplessa e fintamente sorpresa.

- Come, cosa significa? Significa che il tuo ultimo combattimento sarà contro di me! Non sei contento? – rispose in tono amabile.

Dall’espressione di Eric, capì che no, non era contento per niente.

- Ma tu, insomma.. non dovevi fare l’aggiornamento con Miller? – provò, cercando di apparire disinvolto. Sapere di dover combattere contro di lei, tra tutti gli idioti che c’erano in quella Fazione, lo metteva un po’ a disagio, anche se non ne capiva il motivo.

- Io ho già finito, tesoro. – disse, dando a un appellativo innocente come quello un suono minaccioso e vagamente sinistro.

- Ah. – fu il laconico commento. – E quindi? Come funziona? – chiese, passandosi una mano dietro il collo.

Kaithlyn lo guardò divertita, sapendo quando odiasse non essere informato. Vecchie abitudini la Lasso... alcune delle quali aveva ancora anche lei.

Se riesci a stendermi, superi il test. Altrimenti... be', immagino che dipenda dal punteggio che farai nei prossimi incontri. – gli spiegò, mantenendo quell’aria divertita e sistemandogli la giacca nera.

Le venne quasi da ridere quando scorse negli occhi di Eric un velo di preoccupazione. Se non avesse passato tutto quel tempo con lui, non l’avrebbe mai notato.

Max forse aveva ragione a dirle che i suoi ex-allievi aveva una concezione un po’ più alta di quanto avrebbe dovuto essere di lei e delle sue capacità. Era vero che gli aveva terrorizzati dal primo giorno e che l’unico che acquietasse un po’ la situazione era Amar… ma che addirittura la ritenessero indistruttibile le sembrava un po’ un’esagerazione alla fine dei conti. Non che la cosa non la compiacesse, perché era giusto così. Ogni istruttore dovrebbe essere visto come invincibile, come ogni insegnante dovrebbe dare l’impressione di sapere tutto ai suoi allievi.

- Eric, - iniziò, mordendosi il labbro inferiore per non ridergli in faccia. Non avrebbe gradito, poco ma sicuro. – Tu non pensi, seriamente, che io sia muscolarmente più forte di te, vero? – chiese lentamente, squadrandolo dalla testa, molto più in alto della sua, ai piedi.

- Grazie tante, questo è impossibile. – mormorò in risposta. Certo che come suggeritrice era veramente scarsa. Di tutte le cose che gli avrebbe potuto dire, quella era sicuramente la considerazione più inutile. O se non altro, la più ovvia. Salvo che Kaithlyn non si trasformasse in un mostro di due metri durante gli incontri, non sarebbe mai stata fisicamente più forte di lui. Non era sicuro che fosse un'eventualità da escludere, comunque.

- Ma non c’è solo la forza fisica.. tu hai più esperienza. – costatò, guardandola attentamente.

- Poco ma sicuro. E conosco a memoria ogni tuo più piccolo, insignificante difetto nel combattimento; so come ti muovi e cosa fai quando ti accingi a colpire l’avversario e so anche esattamente come metterti in difficoltà... mentre tu mi avrai vista “all’opera” – disse mimando le virgolette con le dita. – sì e no, un paio di volte. Ma non è questo il punto; io ti devo valutare e tecnicamente anche indirizzare sulla strada giusta per vincere l’incontro nonostante sia contro di me quindi ti avverto: prova a pensare di “andarci piano” e Jeanine Matthews sarà l’ultimo dei tuoi problemi. Se per caso, dovessi trovarti in vantaggio e decidessi di farmi vincere o qualsiasi altra stronzata ti venga in mente, ti giuro che quello che ti farò non ti piacerà. Intensi? –

Eric dubitava seriamente che Jeanine potesse rientrare in fondo alla classifica dei suoi problemi, dato quello che stavano imbastendo. Ad ogni modo, preferì non far incazzare Kaithlyn più di quanto già non fosse; una cosa però, doveva riconoscergliela: quando si trattava di insinuare dubbio o preoccupazione a qualcuno, era una vera maestra.

Lui chiedeva un consiglio alla sua ex-istruttrice-ragazza-prossimotemibileavversario, e lei lo minacciava. Che ragazza adorabile: se malauguratamente lei e sua madre di fosse incrociate… lui non voleva essere presente. La Guerra della Purezza, che aveva decimato il pianeta, sarebbe stato una partita a palla avvelenata, in confronto all’idea di quelle due psicotiche nello stesso raggio d’azione. Si era liberato di una e se n’era andato a cercare un’altra. Suo padre aveva ragione... non usava il cervello.

- Fossi in te, mi sbrigherei a scendere. Sei in ritardo per i tuoi incontri, Capofazione. – gli fece notare.

Eric riacquisto la sua solita aria imperscrutabile e guardò l’ora. Senza aggiungere una sillaba si voltò e si avviò verso la palestra. Se non altro, avrebbe potuto sfogarsi sui suoi prossimi avversari.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse ci era andato troppo pesante con il tipo di prima, rifletté, mentre aspettava che Kaithlyn si presentasse in palestra. Era in ritardo e aveva il coraggio di farlo notare a lui.

Scese dall’arena e si diresse verso il suo borsone, dove aveva infilato un bottiglione d’acqua. Nonostante Kaithlyn fosse molto leggera e di piccola statura, era piuttosto sicuro che non gli sarebbero bastati due colpi assestati a caso per vincere. Essendo piccola e leggera, doveva anche essere piuttosto veloce oltre che abbastanza brava e abbastanza cattiva, o non si sarebbe classificata prima nella classifica finale del suo gruppo d’iniziazione superando anche tipi grossi e piazzati come Jason. Inoltre, aveva ragione: lui l’aveva vista combattere poche volte in quei due anni, e certo non si era messo a considerare tecnica, punti deboli o quant’altro, dato che la sua attenzione era proiettata altrove; lei invece, conosceva alla perfezione ogni sua caratteristica combattiva, da come tirava i pugni, a cosa potesse passargli per la testa in quei momenti. Conosceva, come gli aveva fatto gentilmente notare anche ogni suo difetto. No, decisamente non gli sarebbero bastati, per quanto assurdo dato il divario di stazza, due colpi ben assestati.

- Eric, preparati. – gli disse Max, che con gli altri Capofazione avrebbe assistito all’incontro.

Si passò le mani tra i capelli, tirandogli indietro per cercare di toglierseli dagli occhi. Se fossero stati abbastanza lunghi gli avrebbe legati, ma al momento era impossibile e si rifiutava di combattere con quella specie di passatina di spugna ridicola che usavano i ragazzi con i capelli lunghi durante gli incontri. Aveva una reputazione, e se gli fosse costata un occhio nero, avrebbe pagato quel prezzo più che volentieri.

- Io fossi in te, inizierei a scaldarmi. – gli suggerì Robert, un altro Capofazione di un apio d’anni più vecchio di Max.

Fece rapidamente il giro dell’arena, si voltò verso il punto in cui aveva lasciato il borsone che si trovava accanto all’ingresso, e iniziò a sciogliere e riscaldare nuovamente i muscoli.

A quanto pareva avrebbero dato spettacolo: dopo una manciata di minuti, oltre a Jason che, considerò con un moto di discusso e gelosia, doveva essere venuto a fare il tifo per la sua amichetta del cuore, si presentarono anche Zeke, Shauna, un ragazzone che gli sembrava avesse fatto l’iniziazione con Kaithlyn, Sean e qualche altro Intrepido tra cui addirittura alcuni iniziati interni accompagnati da Lauren. Il primo impulso fu di mandargli tutti, uno per uno, al diavolo e dire loro di togliersi dai piedi, ma non era sicuro che gli altri Capofazione sarebbero stati d’accorto e, purtroppo per lui, quel gruppo di deficienti avevano tutto il diritto di seguire l’ultimo incontro di uno dei loro Capofazione, nella fattispecie il suo. Avrebbe potuto minacciarli più tardi, magari.

Finalmente, o purtroppo, a seconda del punto di vista da cui si vedeva la faccenda, Kaithlyn varcò l’entrata. Si era tirata su i capelli in una coda alta, probabilmente per far sì che non la intralciassero, e indossa la tuta da allenamento di un paio d’ore prima. La trovava fin troppo attraente con quell’aria determinata e risoluta di chi è sicuro delle proprie capacità. Se fossero stati soli, l'avrebbe presa di peso e sbattuta contro il muro senza troppi complimenti... ma purtroppo per lui non era così.

Fece scrocchiare lentamente le dita, senza staccare gli occhi da lui.

Iniziava a essere impaziente: quando tempo pensava di impiegare per salire sull’arena e concludere quella storia?

- Però, che bel teatrino... immagino non abbiate niente di meglio da fare, dato che siete venuti a fare da pubblico. – disse, rivolgendosi ai presenti senza tuttavia smettere di guardarlo. Ottimo, erano sulla stessa linea di pensiero.

Eric allungò le braccia sopra la testa, distendendo i muscoli. Si cominciava.

Nessuno aveva ribattuto al commento di Kaithlyn, anzi: era calato, per un paio di secondi, il silenzio più totale.

- Kaithlyn, sull’arena. Muovetevi non abbiamo tutto il giorno… e non guardarmi così, Evenson! – disse rompendo il silenzio, probabilmente in risposta all’occhiata truce che gli scoccò la ragazza.

Nonostante il tono autoritario con cui l’aveva ripresa, non c’era traccia di rabbia sul viso di Max; ormai era evidente, da quando Kaithlyn era arrivata negli Intrepidi, che stravedesse per lei.

Kaithlyn, come al solito, non si scompose ed entrò con passo deciso nell’arena.

Squadrò Eric con un’occhiata scientifica: lo stava studiando.

Eric era alto almeno trenta centimetri in più di lei, e aveva a disposizione almeno quaranta chili di muscoli in più. Era bravo, ben preparato ed era cattivo durante i combattimenti. Non significava che gliel’avrebbe data vinta facilmente. Era competitiva quanto, e forse anche più di lui, e non era un persona che tollerasse il fallimento o la sconfitta.

Max fece loro segno di mettersi in posizione: portarono entrambi le braccia davanti a viso e torace, in posizione di difesa e piegarono le gambe.

- Iniziate! –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Okay, okay. Mi odiate, lo so. Non ho mantenuto la promessa (?) di aggiornare prima di Domenica… perché non ho avuto pace da nessuna parte. Come al solito, quando si ha da fare tutti ti cercano, e quando invece sei tranquillo e avresti tempo non ti considera nessuno.

Ho deciso, non lapidatemi, di dividere questo capitolo in due parti perché altrimenti veniva lunghissimo e non volevo farvi addormentare con venti pagine di capitolo! Ad ogni modo, per vostra gioia, o disperazione, la seconda parte la pubblicherò stasera o a esagerare domani, perché l’ho già scritta e devo solo rileggere e correggere. Contenti? Non mi tirate i pomodori, vero?

Come finisce secondo voi lo scontro? Qualcosa è poco chiaro? Vi servono delucidazioni? In caso, chiede pure! J

Fatemi sapere cosa pensate del capitolo, perché ce l’ho in mente praticamente dall’inizio (forse anche da prima) della storia, e mi piacerebbe sapere se sta venendo bene come spero io oppure se fa ridere e basta! (*te fai ridere a priori!* cit. voi)

Come sempre ringrazio tutti i lettori silenziosi: a proposito di lettori silenziosi, qualcuno si è perso un capitolo, mi sa! Perché il quarto capitolo ha più visualizzazioni del terzo!

Inoltre ringrazio Ceci00 per aver inserito la storia tra le seguite; e ovviamente un ringraziamento va anche aKaimy_11Adeus e Fabi96 per aver recensito lo scorso capitolo!

Ricordo, per chi avesse voglia di leggere le anticipazioni dei capitoli e qualcosa in più sui personaggi, o semplicemente di farsi due risate con le ca… volate che mi passano per la testa, che ho da poco creato una pagina facebook del mio account EFP.

Questo è il link: https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?ref=hl

Per il momento è tutto… a prestissimo,

Kaithlyn.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Parto con il dire, che non ho mentito… il capitolo era prontissimo, ma dato che più penso a una cosa meno mi convince ho voluto rileggerlo ancora.. e niente, non sono convinta nemmeno un po’, ugualmente. Fatemi sapere che ne pensate voi!

Smetto di tediarvi e ci vediamo in fondo! J

Capitolo 8

 

 

 

Dal capitolo precedente

Max fece loro segno di mettersi in posizione: portarono entrambi le braccia in posizione di difesa e piegarono le gambe.

- Iniziate! –

 

 

Si studiarono per una paio di secondi girando in tondo e strusciando i piedi sul pavimento polveroso dell’arena.

Poi, dopo un attimo di silenzio, il pugno di Eric scattò in avanti nell’intento di colpirla sulla mascella. Nonostante fosse stato veloce, Kaithlyn fece in tempo ad abbassarsi e prima di rialzarsi di scatto gli agganciò una gamba con la sua: con l’intenzione di fare un passo indietro, Eric inciampò, finendo seduto sul pavimento dell’arena.

Kaithlyn di rimise in posizione e lo fissò, concentrata. Gli “spettatori” erano rimasi interdetti dalla rapidità dell’azione a esclusione di Jason, che sapeva come si comportava Kaithlyn sull’arena e di Max, che si aspettava una cosa del genere: se non poteva contare sulla forza fisica, Kaithlyn avrebbe puntato sulla furbizia e sulla velocità.

Eric si rialzò rapidamente. Avrebbe dovuto fare più attenzione: Kaithlyn a quanto pare era più veloce del previsto e sapeva il fatto suo. Riportò le mani all’altezza del viso, lo sguardo fisso e concentrato sull’avversario.

Fecero un altro giro in tondo, poi Eric riattaccò sferrando un pugno diretto alla clavicola. Kaithlyn riuscì a scansarsi di lato per un soffio, e il pugno la sfiorò appena: se l’avesse presa in pieno, sarebbe finita inevitabilmente a terra.

Kaithlyn lo aggirò con circospezione: poi, approfittando di un momento di distrazione si lanciò in avanti, colpendolo allo stomaco. Uno dei, seppur pochi, difetti di Eric era che non contraeva gli addominali quando vedeva arrivare un pugno. Un po’ perché tendeva a sottovalutare i suoi avversari, e un po’ perché si sentiva forte della sua stazza. L’arroganza che aveva durante i combattimenti era la ragione per cui due anni prima, le aveva prese da Quattro durante il loro incontro alla fine del primo modulo. Se non avesse sottovalutato e deriso l’avversario avrebbe vinto.

Eric incassò il colpo, e riuscì a colpire Kaithlyn al fianco, costringendola a fare un paio di passi laterali per restare in piedi.

La ragazza si passò le mani sulla testa, per tirare indietro i capelli. Eric non approfittò del momento per colpirla: il regolamento era rigoroso durante quel tipo di competizioni e inoltre anche se gli costava ammetterlo perfino a se stesso, almeno per il momento non se la sentiva di infierire troppo pesantemente su di lei.

Kaithlyn fece un smorfia: quel colpo lo aveva sentito. Era fortunata ad essere riuscita a mantenere l’equilibrio, o avrebbe fatto decisamente un bel volo per terra.

- Ragazzi, io non voglio mettervi fretta. Ma mi piacerebbe finire questa faccenda prima di pranzo, che dite? – lì spronò Max.

Eric, stanco di girare intorno, si lanciò in avanti e questa volta riuscì a colpire Kaithlyn al volto facendola barcollare, stordita, pericolosamente all’indietro.

La ragazza riuscì miracolosamente a rimanere in piedi, una mano sul punto colpito, nonostante il colpo l’avesse mandata in confusione per alcuni secondi. Senza aspettare di riprendersi del tutto, si scagliò a sua volta contro Eric, abbassandosi e tirandogli un montante allo stomaco. Sentì il pugno affondare e il ragazzo gemere: come aveva previsto, non aveva applicato le correzioni che gli aveva fatto tempo prima. Eric si piegò in avanti, cercando di attutire il colpo. Ebbe un attimo di smarrimento quando si sentì afferrare, ancora piegato in due, per i polsi e tirare indietro le braccia. Kaithlyn gli aveva piantato i gomiti nella schiena e con le mani gli teneva le braccai indietro, in modo da immobilizzarlo. Gli sferrò un serie di calci nello stomaco in rapida successione. Se doveva colpirlo, doveva farlo in fretta e sfruttare i momenti in cui era più vulnerabile, o sarebbe finita al tappeto rapidamente.

Come aveva previsto, Eric si liberò dalla sua presa con uno strattone e alzandosi la spintonò all’indietro con un braccio per poi afferrarla e colpirla con una manata sul viso che le fece fischiare le orecchie.

Kaithlyn strinse i denti. Non si era mai lamentata e non avrebbe iniziato certo in quel momento.

Il colpo successivo la prese in pieno viso, all’altezza dello zigomo e la fece finire lunga distesa sul pavimento. L’unica cosa che le impedì di sbattere la testa contro il suolo, fu la sua prontezza di riflessi, che le permise di rigirarsi e appoggiare il peso sulle braccia. Era come se la botta le rimbombasse ancora all’interno della testa, ma si rialzò e si rimise in posizione d’attacco. Non le piaceva perdere tempo, ed il riscaldamento era decisamente finito.

Aspettò che Eric fosse abbastanza vicino, si girò sulla schiena di scatto e gli tirò un calcio sul ginocchio. Eric gemette per il dolore e strinse i pugni, poi l’afferrò malamente per un braccio e la tirò su. Prima che potesse avere il tempo di scansarsi o fare qualsiasi altra cosa, la colpì allo stomaco, facendola boccheggiare e indietreggiare.

Kaithlyn si appoggiò istintivamente le mani nel punto colpito e digrignò i denti, furiosa con lui e con se stessa. Eric stata perdendo tempo, perché? Avrebbe potuto essere già in netto vantaggio, invece si limitava a colpirla una volta ogni tanto. Sapeva che poteva fare meglio. Doveva fare meglio. Si alzò ancora.

In piedi.

Aspettò un secondo, poi quando Eric si riavvicinò per afferrarla e colpirla ancora, girò leggermente su se stessa e alzò un gomito, colpendolo un paio di volte al viso con tutta la forza che aveva nelle braccia.

Eric gridò per la frustrazione e per il dolore: Kaithlyn l’aveva colpito sulla bocca, spaccandogliela  e vicino all’occhio, facendogli rientrare uno dei piercing. Sentì un rivolo di sangue colargli dalla fronte e si affrettò a staccare il cerchietto di metallo e a buttarlo a terra in modo che non gli desse più fastidio.

Eric l’afferrò per un braccio, costringendola a piegarsi in avanti e colpendola nuovamente allo stomaco. Si rese conto troppo tardi del suo errore: quando si era piegato su di lei per colpirla, Kaithlyn aveva alzato al testa di scatto colpendolo con una testa sul mento e facendogli mordere la lingua.

Fece due passi indietro per sputare il sangue per terra e pulirsi la bocca con il dorso della mano mentre riprendeva fiato.

Si tenne a distanza, squadrandola con attenzione: come faceva ad essere ancora in piedi? Eppure non l’aveva colpita piano… avrebbe dovuto almeno sembrare dolorante, barcollare per le botte, e invece gli unici segni che aveva erano un paio di tagli sul viso, mentre lui si ritrovava con labbro semi spaccato, un occhio nero e nei prossimi giorni avrebbe avuto ginocchio blu. A quanto pare, era un osso più duro di quello che aveva pensato. Credeva di potersela cavare rapidamente e senza troppi danni, ma evidentemente aveva commesso l’errore di sottovalutarla.

Il fatto che la trovasse terribilmente eccitante, e che vedendola così combattiva gli fosse venuta voglia di strapparle tutti i vestiti di dosso proprio in quel momento e sbatterla al muro, avrebbe dovuto farlo riflettere sulle sue facoltà mentali; non era proprio il momento adatto per certe cose.

Non poteva comunque permettersi di farsi battere da una ragazza. Soprattutto dalla sua. Una cosa del genere avrebbe distrutto per sempre la sua autostima maschile.

Da una parte gli dispiace farle male; dall’altra però, provava un certa soddisfazione nel rendersi contro di essere, per certi versi, parecchi gradini al di sopra di lei. E poi c’era il senso di potere che gli dava il combattimento e l’appagamento che ne conseguiva. Era la miglior valvola di sfogo che potesse esserci, per uno come lui. Anche se avrebbe preferito qualcun altro come avversario, dato che non poteva letteralmente fare a pezzi Kaithlyn come avrebbe voluto. Teneva a lei, le voleva bene. Forse anche qualcosa di più che bene, anche se non aveva nessuna intenzione di dirlo ad anima viva.. meno che mai a lei; lei comunque non gli avrebbe mai perdonato un comportamento indulgente nei suoi confronti, così mise a tacere i gli ultimi sentimenti che gli impedivano di combattere come avrebbe dovuto e si concentrò nuovamente sull’incontro.

Provò a sferrare un altro attacco, che però venne prontamente evitato dalla ragazza e che gli guadagnò un calcio nello stinco. Dolorante ma determinato a vincere le sferrò un pugno sul viso abbastanza forte da mandarla in terra;  poi, senza perdere tempo la immobilizzò al pavimento, montandole sopra e tenendola ferma con il suo peso. Forse avrebbe dovuto mettersi un po’ più in giù, perché la ginocchiata che gli arrivo in mezzo alla schiena, la sentì forte e chiara. Si inarcò per il dolore, e con un ringhio di rabbia le tirò una manata sul viso facendole girare la testa di lato. Si alzò rabbioso e la guardò truce.

Kaithlyn gemette, a terra. Eric stava combattendo molto bene, non c’erano dubbi: eppure non era per niente soddisfatta di lui. Se avesse usato quel bel cervellino da ex Erudito che si trovava e che lei sapeva funzionare più che bene, avrebbe potuto vincere l’incontro in pochi minuti. Non le restava che provocarlo: se lui voleva ottenere un punteggio alto, avrebbe dovuto anche vincere in fretta.

- Tutto qui, Turner? Mi aspettavo l’artista del combattimento, e invece sono delusa. Mi aspettavo molto più che un paio di colpi del genere, da te. – gli disse, sollevandosi con un gomito. Aveva il fiatone, e il viso le bruciava per i colpi, ma non aveva nessuna intensione di arrendersi. E voleva anche che Eric avesse il punteggio che si meritava, e che non perdesse tempo a pensare a quanto poteva farle male. Si pulì la bocca sanguinante con il dorso delle mano.

Eric si irrigidì alle sue parole: sapeva di aver toccato un nervo scoperto, e non scherzava quando diceva di conoscerlo molto meglio di quanto lui credesse. Se non altro, avrebbe fatto sul serio da quel momento, guidato dalla rabbia. Sapeva che poteva fare di più, e non sopportava che non sfruttasse al massimo le sue capacità. Neanche se il suo avversario era lei e si sarebbe trovata a zoppicare per giorni.

Alzò gli occhi azzurri su di lui, lanciandogli uno sguardo di sfida.

Eric ricambiò lo sguardo, assottigliando gli occhi e fissandola con risentimento. Sentirsi dire di non fare, essere, abbastanza lo mandava fuori di testa. Se poi era proprio lei a sbatterglielo in faccia, era anche peggio. Irrigidì la mascella, assumendo un’ espressione tesa e inferocita allo stesso tempo. Sapeva che lo stava facendo apposta e che era tutta semplicemente una tattica per provocarlo. Eppure era impossibile per lui ignorare il calore dato della rabbia e dell’indignazione che gli divampava dentro il petto in quel momento.

In quel breve lasso di tempo in cui restarono a fissarsi, Kaithlyn ebbe modo di alzarsi da terra e di rimettersi, per l’ennesima volta, in posizione di difesa. Iniziava ad essere intontita e le faceva un male tremendo la faccia, ma non aveva intenzione di arrendersi o di accasciarsi al suolo se poteva ancora combattere. Eric la imitò, con una nuova luce negli occhi.

Kaithlyn riuscì a schivare i tre colpi che seguirono, e, quando Eric fu a portata di ginocchio, sollevo una gamba e lo colpì nuovamente allo stomaco. Mentre aveva ancora la gamba alzata e il ginocchio piantato nella pancia del ragazzo, sollevò un gomito e lo colpì dietro la testa, facendolo finire a terra.

Eric si sollevò sulle mani: quella dove diavolo l’aveva imparata, la stronza? Digrignò i denti, furioso, e si rigirò sulla schiena per prenderla a calci nello stomaco come aveva fatto con lui poco prima.

Kaithlyn fu, suo malgrado, più veloce: montò a cavalcioni sopra di lui e iniziò a prenderlo letteralmente a pugni in faccia. Quando lui sollevò un mano per bloccarle il braccio, lei ne approfittò per spostarsi leggermente di lato e piantargli una ginocchiata su un fianco, facendolo sibilare di dolore e frustrazione.

- È più facile del previsto.. – mormorò abbastanza forte da farsi sentire da lui ma non dal resto della palestra.

Fece per alzarsi con un colpo di reni, ma Kaithlyn, prevedendo la sua mossa, gli tirò una gomitata vicino all’orecchio facendolo sbattere sul pavimento. Gli rimbombava la testa per la botta. Possibile che una ragazza così minuta avesse tanta forza nelle braccia magre?

- Bel tentativo davvero. Credevi che fosse facile stendermi, Turner? Avrei dovuto rilassarmi, a quanto pare non vali tanto sforzo.. – lo riprovocò, riuscendo questa volta nel suo intento.

Eric a quelle parole non ci vide più: ignorando il dolore alla faccia e al fianco, si alzò di scatto con un colpo di reni e le tirò una testata in mezzo agli occhi.

Kaithlyn spalancò la bocca, trattenendo il respiro per il dolore, ma non si lamento: si limitò a portarsi una mano alla testa e a scivolare giù dal corpo di Eric, confusa e disorientata. Il dolore era ovunque: dalla testa che le pulsava, lungo tutta la colonna vertebrale fino ai piedi. Lo sentiva rimbombare nelle orecchie, come un eco.

Eric si alzò in piedi, finendo di buttarla a terra, mentre lei aveva ancora una mano appoggiata sulla testa che si teneva dolorante.

Si massaggiò la fronte, nel punto di cui aveva cozzato con quella di lei: certo che aveva la testa dura. Kaithlyn era a terra, a gattoni, e continuava a tenersi la fronte con un mano senza tuttavia un lamento, un singulto o un gemito. Forse gliel’aveva dato veramente troppo forte, ma in quel momento non gli importava.

- Alzati. – le ordinò, sibilando infuriato e guardandola con rabbia.

Kaithlyn levò la mano dalla faccia e, a fatica si tirò in piedi barcollando e cercando di rimanere in equilibrio.

-Bella mossa! – commentò con voce confusa e impastata probabilmente dal sangue,  rimettendosi tuttavia, seppure con più lentezza e fatica, in posizione d’attacco.

Eric era ancora infuriato, assolutamente furioso. Sì abbassò verso di lei, talmente velocemente che Kaithlyn non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di essere stata colpita. Avverti un dolore tremendo all’altezza della pancia e si ritrovò a boccheggiare, senza fiato, tossendo e cercando aria. Fu come ricevere una cannonata in mezzo allo stomaco. Era un osso duro, certo, ma non era invincibile e quel pugno lo aveva sentito più degli altri: iniziava ad essere stanca.

Riuscì, anche se non sapeva nemmeno lei come, a mettere a segno un rapido calcio al fianco e un pugno alla gola che fecero fare un paio di passi indietro ad Eric.

Approfittando del momento, gli piazzò un calcio in mezzo alla pancia con tutta la forza che aveva, facendolo gemere.

Eric però, si rimise dritto dopo pochi secondi, sovrastandola con la sua altezza e nell’impeto della rabbia, la afferrò per la gamba l’attirò a sé, facendola scivolare a terra e facendole battere la testa sul pavimento. Nel tentativo di liberarsi, Kaithlyn riuscì a colpirlo con un calcio sul ginocchio sinistro. A quel colpo Eric aumentò la stretta sul polpaccio di Kaithlyn, facendole stringere i denti per il dolore, e la trascinò verso di lui poi si chinò e le infilò bruscamente una mano sotto il braccio opposto alla gamba che tratteneva e la sollevò senza sforzo. Dovette trattenere un urlo di dolore, quando sentì le unghie della ragazza penetrargli nel braccio e le nocche infrangersi su suo zigomo, una, due, tre volte. La sollevò con le braccia all’altezza della sua testa e la gettò con violenza contro il pavimento.

Kaithlyn emise un singulto strozzato per il dolore: doveva essersi fatta male, perché non sembrava capace di rialzarsi. Ad un primo tentativo, le braccai le cedettero, facendole sbattere la faccia di nuovo a terra. Sentendo ancora ribollirgli il sangue nelle vene,  Eric si avvinò al corpo a terra e con la parte interna del piede la rigirò sulla schiena, con un gesto di stizza.

La osservò un attimo mentre si trovava a terra sanguinante. Era stato divertente combattere con lei, e sicuramente istruttivo oltre che molto stimolante, ma era arrivato il momento di terminare l’incontro. Sentì qualcosa di caldo colargli lungo il braccio in cui gli aveva piantato le unghie e un goccia di sangue macchiò il pavimento.

Quando Kaithlyn aveva sbattuto a terra da quell’altezza, il dolore era stato talmente intenso da farle appannare la vista per un attimo, e aveva avuto bisogno di un secondo per riprendere fiato e cercare, da qualche parte, la forza per rialzarsi di nuovo. Ignorando il dolore e i muscoli che le chiedeva pietà, aiutandosi con le braccia riuscì a tirarsi su e infine in piedi. Ormai erano a fine incontro, sapeva che non sarebbe riuscita a colpirlo ancora.

Il “pubblico” presente in palestra, sbuffò esasperato, quando la vide nuovamente in piedi, ed Eric la guardò quasi stanco. Perché diamine non rimaneva per terra o sveniva?

Intercettò, con la coda dell’occhio, Max che picchiettava sull’orologio. Era il momento di mettere fine all’incontro. Annuì, facendo intendere al Capofazione che aveva capito, poi rivolse nuovamente la sua attenzione su Kaithlyn e scosse leggermente la testa: avrebbe dovuto aspettarsi una resistenza a oltranza da lei. Poi, mettendo a tacere sul nascere il timore di farle più male del dovuto le sferrò un pugno in faccia, seguitò a ruota da un secondo colpo.

Questa volta Kaithlyn non provò nemmeno a difendersi, ma fece scivolare le braccia lungo i fianchi e barcollò all’indietro.

Nonostante le botte e il viso pieno di contusioni, aveva ancora negli occhi una bruciante determinazione, che provocò in Eric e nei presenti un moto di ammirazione.

Sferrò l’ultimo colpo alla testa, e Kaithlyn si accasciò tremante al pavimento, mentre la palestra ammutoliva.

Istintivamente, prima che potesse battere l’ennesima testa, la afferrò da sotto le braccia per rallentarne la caduta, ma venne interrotto da Max, che gli intimò di lasciarla cadere o non poteva decretare la fine dell’incontro.

***************************************

Kaithlyn sentì l’ultimo colpo infrangersi sul viso e avvertì chiaramente le forze venirle meno. Mentre si sentiva scivolare a terra, come se non fosse nemmeno nel suo corpo, sentì due mani forti infilarsi sotto le braccia e rallentare la caduta che le avrebbe fatto battere l’ennesima testa.

- Lasciala cadere, Eric. –

Chi aveva parlato? Max? Jason? Cosa doveva lasciar cadere Eric? E perché? Sentiva il dolore pulsarle in ogni parte del corpo, ed era tanto stanca… di qualsiasi cosa si trattasse, se ne sarebbe occupata in un secondo momento.

L’ultima cosa che sentì, fu il freddo del pavimento contro la guancia, poi il buio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Decretata la fine dell’incontro, Eric, tornò vicino a Kaithlyn e si chinò sul suo corpo iniziando a darle dei buffetti sulla guancia per farla svegliare. Forse poteva evitare di lanciarla a terra da due metri di altezza.

Kaithlyn aprì lentamente gli occhi e lo guardò smarrita per qualche secondo prima che la consapevolezza di dov’era e cosa stava facendole tornasse nuovamente presente.

Si sentiva confusa, e il dolore le faceva pulsare le vene in posti che non sapeva nemmeno avere. Vedeva con difficoltà a causa delle botte alla testa, quindi le ci vollero un paio di secondi per mettere a fuoco il viso di Eric: aveva un occhio che prometteva di diventare nero molto preso, la fronte lucida di sudore e le labbra e un sopracciglio sporchi di sangue. Non se l’era cavata tanto male, dopotutto.

Mosse la testa prima a destra e poi a sinistra, intontita, e cercò di puntellarsi sui gomiti per tirarsi su, ma un capogiro la costrinse a rimettersi distesa. Era confusa, e si sentiva come se potesse svenire da un momento all’altro.

Eric le passò una mano dietro la schiena per aiutarla ad alzarsi; quando però se ne rese conto, si scostò da lui, appoggiandosi con tutto il peso su un braccio e cercando di mettersi in ginocchio. Tossì, sputacchiando sangue, ma ci riuscì seppure barcollando anche sulle ginocchia. Ricadde all’indietro, e Jason da dov’era fece un passo verso di lei per andare ad aiutarla ma Eric lo sbloccò sul posto con una sola occhiata. Poi, senza emettere un lamento tanta era la confusione e il dolore, riuscì a mettersi in piedi, seppur tremante per il dolore che sentiva alla schiena e alle articolazioni.

Eric seguì ogni suo movimento con gli occhi, e quando la vide alzarsi, si sbrigò ad andarle vicino.

- Lasciami stare, faccio da sola. – lo informò, anche se la voce impastata di sangue e le gambe instabili, facevano presuppore decisamente il contrario.

Gli poggiò una mano sul petto, allontanandosi un po’ e facendo un paio di passi tremolanti in avanti.

Barcollò pericolosamente e sarebbe caduta, se Eric non l’avesse afferrata per la vita e sostenuta con un braccio.

- Portala in infermeria, Eric. Non si regge in piedi. – disse Max, all’indirizzo del ragazzo. – E tu, - aggiunse rivolto a Kaithlyn. – cerca di collaborare. Non vai da nessuna parte in quelle condizioni. -

Prima che Kaithlyn potesse provare a ribellarsi, cosa di cui sapeva essere capace anche nel sonno, Eric le infilò un braccio sotto le ginocchia e la sollevo da terra come se fosse senza peso. La sentì accasciarsi tra le sue braccia priva di sensi;  le tirò su la testa, in modo che non le ciondolasse all’indietro e gliela fece appoggiare sulla sua spalla.

- Ti porto io, piccola. Ti porto io..  – le sussurrò senza farsi sentire dai presenti, e avviandosi verso l’uscita. Le gambe gli facevano male, e aveva i muscoli indolenziti ma lei non sarebbe mai stata in grado di muoversi da sola, e preferiva portarla lui piuttosto che dare un’altra scusa a Jason o chi per lui, di starle vicino. Era sua, e questo doveva essere ben chiaro a tutti.

La strinse un po’, mentre seguito da Jason usciva dalla palestra.

Quando entrarono nella stanza adibita a infermeria, Helena* inarcò le sopracciglia sorpresa. Kaithlyn non era stata spesso in infermeria a causa dei combattimenti… al massimo era venuta per un colpo, che l’aveva presa fortunatamente di striscio, sparato da uno dei suoi allievi del poligono… e quando l’aveva fatta uscire, tempo due ore, e aveva in infermeria il mal capitato, aspirante tiratore.

- Che è successo? – chiese, prima di intercettare lo sguardò di Eric. – sei stato tu? –

- Non è evidente? –

Helena era abituata al poco garbo dei suoi compagni di fazione, e non si scompose.

- Mettila sul lettino, io torno subito. –

Prima di uscire per dirigersi nello stanzino adiacente, la Medicheria, notò Jason guardarla speranzoso.

- Ti serve qualcosa, Jason? –

-La vuoi imbottire di antidolorifici, vero? –

Helena annuì. Con tutte quelle botte, non era ovvio?

Si affrettò a entrare nella Medicheria, per prendere quello che le serviva, notando che Eric, oltre ad aver bisogno urgentemente di una borsa del ghiaccio, guardava Jason come se volesse spalmarlo sul pavimento. Meglio sbrigarsi, prima che scoppiasse una rissa lì.

Eric e Jason passarono alcuni minuti in silenzio; il primo scuro in volto, e il secondo fin troppo felice della situazione.

Kaithlyn era stesa sul lettino, sanguinante e priva di sensi, i capelli sparsi intorno alla testa ne rimettevano in risalto il pallore della pelle.

-Tu perché hai deciso di… omaggiarmi con la tua presenza? – domandò lentametne e calcolando bene la parole, dopo un po’ Eric.

Jason fece un gran sorriso.

- Vedrai… sarà divertente. – gli assicurò, cercando di non farsi inquietare dallo sguardo truce dell’altro.

- La prossima volta portati dietro una mazza chiodata. Dovrebbe stenderla in pochi minuti. Anche se sospetto che l’unico modo per ucciderla sia decapitarla. – aggiunse allegramente.

Eric lo inchiodò con uno sguardo raggelante, che tuttavia non parve smuovere Jason. Giusto, era abituato a Kaithlyn.

Pochi secondi dopo l’infermiera rientrò con alcune scatole di farmaci e una siringa, che fece sbiancare Jason e cancellò ogni traccia di allegria dal suo viso.

Quel deficiente aveva paura delle.. siringhe?

Eric ghignò, a quella scoperta. Ora non avrebbe più dovuto usare molta fantasia per minacciarlo.

Si avvicinò al lettino, e senza saper bene come, si ritrovò con una borsa di ghiaccio secco e una scatolina circolare con il marchio degli Eruditi in mano, mentre Helena iniettava gli antidolorifici nel braccio di Kaithlyn tramite una flebo.

Ora che avevano finito di combattere, si sentiva più che soddisfatto del suo lavoro. Anche se sapeva già che lei avrebbe avuto qualcosa da ridire, ce l’aveva sempre.

- Serve ad accelerare la guarigione. Mettitela su quell’occhio e fai in modo che quando si sveglia lo faccia anche lei. – lo informò sbrigativamente, vedendo che guardava circospetto la crema che gli aveva ammollato.

Allora i Lassi avevano una loro utilità dopo tutto…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kaithlyn aprì leggermente gli occhi: aveva la vista annebbiata e si sentiva la testa completamente ovattata. Il dolore era sopportabile, e ci mise qualche secondo a capire che si trovava in infermeria. Si sentiva confusa, ed era abbastanza sicura di non riuscire a coordinare molto bene i movimenti o le azioni. Helena l’aveva sicuramente imbottita di antidolorifici.

- Buongiorno, brutta addormentata! –

Girò lentamente la testa verso la fonde del saluto: Jason era seduto sul lettino alla sua destra, le mani appoggiate sulle ginocchia e l’aria divertita, anche se notò che lanciava occhiate vagamente preoccupate alla siringa sul suo comodino.

Già, le siringhe. Stirò la bocca in un sorrisetto stirato, anche se non era proprio sua intenzione farlo.

- Ma te non ti zittisci mai? – sentì chiedere dalla una voce esasperata e tagliente che riconobbe come quella di Eric.

Jason non si era zittito neanche un secondo: Kaithlyn aveva ragione, per un po’ era stata una cosa positiva non dover parlare, dato che i biondo per poco non faceva le domande per poi rispondersi da solo, ma dopo quasi sei ore, il desiderio pulsante di tagliargli la lingua stava diventato quasi insopportabile. L’aveva seguito anche quando aveva deciso, dato che Kaithlyn era ancora incosciente, di passare a vedere come procedevano i combattimenti degli iniziati. Era rimasto a guardarli per meno di mezz’ora, dato che non voleva farsi rovinare la giornata vedendo il Rigido, e, solo per quella mezz’ora, Jason era riuscito a tenere la bocca tutta insieme. O quasi.

Kaithlyn girò la testa nella sua direzione, confusa. Eric era seduto a gambe incrociate sul letto accanto al suo, e aveva vicino quella che sembrava un borsa del ghiaccio, mentre in mano reggeva una scatolina blu con qualcosa di trasparente all’interno, probabilmente una crema curativa.

- Voglio andarmene. –mormorò corrucciata, cercando di alzarsi facendo leva sui gomiti, ma fu costretta a rimettersi distesa: un fitta le aveva attraversato la schiena nel momento stesso in cui aveva fatto leva sulle braccia e la stanza aveva preso a girarle vorticosamente intorno.

Sbuffò contrariata; poi cercando di ignorare l’indolenzimento,  riuscì a mettersi seduta. Notò di avere ancora la flebo inserita nel braccio e fece per togliersi il cerotto che lo teneva fermo, ma Eric la precedette: balzò giù dal letto e si avvicinò rapidamente afferrandole il braccio e impedendole di togliersi il cerotto da sola. Non le sembrava in grado di formulare un pensiero coerente, figuriamoci togliersi una flebo.

Con il pollice le tenne fermo l’ago, attento a non fare troppa pressione.

- Portami del cotone e del disinfettante. – disse con calma, rivolto a Jason che rimase un attimo interdetto. – O vuoi levarglielo tu? – chiese, provocandolo.

Jason brontolò qualcosa e uscì dalla stanza. Finalmente, il silenzio.

- Dove va? – chiese con voce impastata Kaithlyn girando la testa verso la direzione in cui era sparito Jason e facendo cadere alcune ciocche di capelli in avanti.

Eric trasformò abilmente una risata in uno schiarimento di voce. In effetti, quel deficiente non aveva tutti i torti del mondo: era strano e allo stesso tempo divertente vedere una come Kaithlyn così confusa… si appuntò di chiedere a Helena di dargli un po’ di antidolorifici da somministrarle a casa. Per sicurezza, ovviamente.

Mentre guardava i danni che le aveva provocato, notò che nonostante l’avesse colpita con forza sulla guancia con un pugno, il livido non era esteso come avrebbe dovuto essere. Eppure era più che sicuro di averla centrata, perché l’aveva fatta barcollare all’indietro.

- La prossima volta mi porterò dietro un piede di porco. – borbottò lei, allungando le gambe oltre il bordo del lettino.

In quel momento rientrò Jason, con quello che gli era stato “gentilmente” chiesto.

Eric staccò con delicatezza il cerotto bianco che teneva fermo l’ago, imbevette il cotone nel disinfettante, lo appoggiò nel punto da cui spuntava l’ago e lo sfilò premendo poi il cotone sul buchino da cui usciva una goccia di sangue. Kaithlyn lo aveva osservato attentamente, l’espressione concentrata sul suo braccio. Il più gentilmente possibile, Eric le prese una mano e fece in modo che si tenesse la medicazione sul braccio da sola.

- Voglio andare a casa – ripeté nuovamente Kaithlyn, cercando di scendere dal letto, ma venne bloccata dal corpo massiccio di Eric.

- Levati. – gli intimò con poca convinzione tirandogli un pugnetto sul petto.

- Levati o… - lasciò vagare lo sguardo alla ricerca di qualcosa con cui poterlo minacciare, poi vide un coltello, appoggiato sul comodino. – o ti tiro questo! – gli disse afferrandolo. Probabilmente era stato dimenticato da qualcuno che aveva pranzato o fatto colazione lì.

Jason di morse un pugno, per non ridere mentre Eric strinse le labbra cercando di rendere evidente quando trovasse comica la situazione e la voce con l’aveva “minacciato.

- Certo. – le disse accondiscendente. – Vuoi lanciarmi un coltello da venti centimetri di distanza? O preferisci che mi metta a correre verso al porta, così puoi prendere la mira? –

Kaithlyn parve pensarci su un attimo.

- Verso la porta. – ribatté seriamente, imbronciandosi quando sentì ridere entrambi i ragazzi. Lasciò andare il cotone e si rigirò il coltellino tra le mani, come chiedendosi se fosse adatto a quello che doveva fare.

- D’accordo. Però forse ti converrebbe aspettare di essere in possesso di tutte le tue facoltà mentali, non credi? – le suggerì sfilandole delicatamente il coltello dalla mano e prendendo un cerotto da metterle sul braccio bucato.

- Non mi prendere in giro… - si lamentò, dondolandosi un po’ sul posto.

In quel momento rientrò Helena: si era allontanata con una certa serenità, dato che a parte Jason, Eric e Kaithlyn non c’era nessuno e se fosse successo qualcosa, Eric avrebbe saputo cosa fare. Proveniva pur sempre dagli Eruditi, e le pareva che ci fosse un “Turner” all’ospedale.

- Jason, Max ti aspetta in Sala Conferenze. Tu invece sei dispensato dall’andare al decimo piano… devo fare un salto a prendere i rifornimenti per la Medicheria. Torno subito, voi due non muovetevi da lì. – disse prima di scomparire di nuovo.

- Ma io voglio andare a casa! – protestò Kaithlyn, come un bambina.

- Pensavo volessi prendermi a coltellate. – le fece notare Eric, avvicinando il naso al suo collo. Kaithlyn parve non farci caso, continuando a tenere il broncio e incrociando le braccai sotto il seno.

- Dopo, però. – gli disse sporgendo leggermente il labbro inferiore.

Ridacchiò, lasciandole un bacio sul collo, mentre le infilava una mano tra i capelli e le passava un pollice sullo zigomo gonfio.

Kaithlyn mugugnò, anche se non riuscì a capire se di soddisfazione o di fastidio.

Si allontanò, per poterla guardare in viso: avrebbe dato qualsiasi cosa per poterle fare una foto e appenderla fuori dalla Residenza, in quel momento. Era.. buffa, così confusa e disorientata, mentre lo guardava dal basso verso l’alto imbronciata come una bambina di due anni. E, sapeva con assoluta certezza, che se avesse potuto leggere quel pensiero, gliel’avrebbe tirato davvero, un coltello dietro.

Con un mezzo sorriso sul viso le afferrò il viso e la baciò lentamente, andando a battere le gambe sul bordo del lettino e lasciando scivolare una mano sulla sua schiena, in modo attrarla più a sé.

Kaithlyn si lasciò baciare, e ridacchiando, gli strinse le braccia al collo.

Questa storia degli antidolorifici cominciava a piacergli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eric le aveva proposto di prendere l’ascensore per arrivare fino al suo appartamento, al piano dei Capifazione, ma non ne aveva voluto sapere: già aveva fatto la figura dell’idiota a farsi portare in braccio e aveva  anche dato spettacolo in infermeria… mancava solo che facesse anche la figura della rammollita. Salire le scale era stata un sofferenza continua, dato che a ogni passo una scarica di dolore le partiva dal piede e le attraversava tutta la schiena, ma ce l’aveva fatta. Anche se un paio di volte Eric l’aveva sorretta, brontolando scocciato dalla sua cocciutaggine e sull’insensatezza del farsi tutti i canali del Pozzo a piedi.

Appena entrati in casa, la prima cosa che avevano fatto era stata infilarsi, a turno, sotto la doccia.

Il getto d’acqua calda era decisamente un toccasana per i muscoli tesi dal dolore e dalla tensione accumulata durante la giornata. Si prese tutto il tempo di cui aveva bisogno per sciogliere i muscoli e scaricare la tensione mentre si lavava. Ora che le era passato l’effetto degli antidolorifici, ogni movimento le provocava dolore, ma in compenso era più rilassata.

Dopo essersi goduta per un’altra manciata di minuti il getto caldo sulla pelle, uscì dalla spaziosa cabina e si infilò nell’enorme accappatoio che Eric le aveva lasciato appeso a uno spigolo della doccia.. ci sarebbe stata dieci volte.

Era senza ciabatte, però. Anzi, era senza.. tutto, dato che non aveva la roba per rimanere a dormire tranne lo spazzolino e un cambio di biancheria nei cassetti del ragazzo.

Individuò, dall’altra parte del bagno, quelle di Eric e se le infilò. Doveva essere veramente ridicola, con un accappatoio in cui sguazzava e le ciabatte di nove numeri più grandi del suo.

Passò una manica, dalla quale spuntavano giusto la punta delle unghie, sul vetro appannato e si guardò allo specchio: ora che i capelli erano bagnati, si notava ancora di più il livido sul viso, e si intravedeva, sotto la stoffa dell’accappatoio quello sulla clavicola. Sul viso pallidissimo, spiccavano le labbra rosse e gonfie, sulle quali il taglio che si era procurata non si era ancora rimarginato. Forse avrebbe dovuto metterci un po’ più di crema, considerò. Aveva proprio una faccia da schifo.

Sentì la porta aprirsi lentamente e un attimo dopo Eric si rifletteva alla sue spalle: aveva i capelli ancora umidi, ma i lividi erano decisamente meno evidenti dei suoi. Indossava una maglietta nera a maniche corte, tesa sulle braccia muscolose e tatuate. I capelli corvini e la maglietta scura facevano risaltare l’incredibile grigio chiaro dei suoi occhi, che in quel momento la stavano fissando attentamente attraverso il riflesso dello specchio.

Un leggero sorriso increspò le labbra di Eric, facendole aggrottare le sopracciglia, perplessa.

- Ti è passata la voglia di accoltellarmi? – le sussurrò, chinandosi verso il suo orecchio e spostandole le mani che aveva portato la viso mentre esaminava i danni. Poi le afferrò delicatamente i fianchi e l’attirò un po’ contro di sé.

Kaithlyn sbuffò. Ogni volta che le venivano somministrati degli antidolorifici si svegliava completamente confusa e parlava a sproposito: anche se l’idea di lanciare i coltelli dietro al suo ragazzo, ogni tanto, forse, l’aveva giusto sfiorata.

Eric ridacchiò più apertamente e si chinò a baciarle il collo scostandole i capelli e facendola fremere. Sentendo il cuore iniziare ad accelerare, si girò rapidamente verso di lui e lo baciò appassionatamente, infilandogli le mani tra i capelli e allungandosi verso il suo viso.

A quel moto ti entusiasmo Eric fece scivolare le mani dai fianchi alle natiche e la tirò su, facendola sedere sul lavandino e permettendole di stringergli le gambe sui fianchi.

Nonostante la smorfia di dolore che le increspò il viso, Kaithlyn non si lamentò né si allontanò da lui.

Eric decise di staccarsi solo quando si rese conto che, se avesse continuato, non avrebbe avuto modo di fermarsi. Si allontanò dal viso di Kaithlyn solo per la distanza necessaria a guardarla in faccia. Con una mano la teneva in equilibrio sul bordo del lavandino, mentre con l’altra le accarezzava una guancia calda e umida, dove spiccava, sulla pelle chiara, un macchia violacea.

Aveva il respiro accelerato e le guance arrossate un po’ forse per il caldo dovuto al vapore della doccia, un po’ per il bacio che si erano appena scambiati. Poggiò la fronte contro la sua e respirò pesantemente, come per riprendere il controllo delle sue facoltà mentali e le diete un rapido bacio a stampo, spostando al mano che le teneva per la schiena e prendendole il viso tra le mani bollenti.

Kaithlyn sorrise un po’ sulle sue labbra e lo guardò, aspettandosi che dicesse qualcosa.

- Che sei venuto a fare, signor Capofazione? Mi spiavi sotto la doccia? – gli domandò piano, appoggiandogli gli avambracci sulle spalle e arrotolandosi una ciocca di capelli neri intorno all’indice.

- Ero venuto a chiederti se ti andava la pizza… - iniziò in un soffiò, ignorando la seconda domanda. Anche se in effetti, l’idea di rinfilarsi sotto la doccia con lei attaccata non era tanto male... un brivido gli percorse la schiena. – ma se continui così mi toccherà rinchiudermi nella cella frigorifera delle cucine, per calmarmi. – terminò, schiarendosi la voce arrochita e allontanandosi da lei quanto bastava per farla scendere dal lavandino.

Kaithlyn appoggiò le mani sull’addome di Eric, lo osservò per un momento e poi si diresse, ciabattando, fino alla camera.

- Non ho i vestiti – constatò, quando lui l’ebbe raggiunta.

- Meglio. Puoi metterti qualcosa di largo e coprente. – considerò, squadrandola. Sì, era decisamente meglio che fosse coperta. Magari fin sotto il collo. Anche se aveva paura che, nel suo caso, il non vedere per non soffrire, non avrebbe funzionato dato che lui sapeva fin troppo bene cosa si sarebbe celato sotto i vestiti.

Si diresse rapidamente verso l’armadio e ne tirò fuori una tuta da ginnastica scura. Le sarebbe stata venti volte, ma almeno non l’avrebbe vista girare in biancheria per la casa. Non poteva proprio farcela.

- Tipo questa! – le disse, lanciandogliela.

Kaithlyn l’afferrò al volo provocandosi una fitta alle braccia e la esaminò. Sarebbe sembrata uno gnomo, con i vestiti di Eric.

Cento e uno modi per uccidere il sesso. Prefazione a cura di Eric Turner.

Solo per il gusto di dargli fastidio, si slacciò la cintura dell’accappatoio, e restò completamente nuda ad eccezione delle ciabatte. Vide gli occhi di Eric accendersi di interesse, e i denti premere sul labbro inferiore, mentre si appoggiava all’anta dell’armadio per godersi lo spettacolo. Il suo sguardo partì dal viso per poi accarezzare ogni centimetro di quel corpo tonico e perfetto. Quando arrivò al polpaccio e infine alla gamba, però, gli scappò una risata.

Cento e uno modi per uccidere il sesso. Primo capitolo a cura di Kaithlyn Evenson.

Kaithlyn gli rivolse un’occhiata oltraggiata; poi intercetto la direzione del suo sguardo e, dovette riconoscere suo malgrado, che non aveva tutti i torti nel ridere. Sembrava una papera con quei ciabattoni.

- Lasciamo stare. Ti aspetto di là, okay? – le disse, staccandosi dall’armadio. Prima di uscire, tuttavia, si avvicinò a lei e lasciò un pacca sul sedere, guadagnandosi anche una sorta di manata sul braccio. E si era pure fatta male, colpendolo. Maledetto, stupido, Turner.

Nonostante l’irritazione per il fatto che il suo ragazzo avesse riso di lei, tra l’altro mentre era nuda, non era arrabbiata. Anche se si segnò mentalmente di scoppiargli a ridere in faccia la prossima volta che l’avrebbe visto nudo.

Si cambiò rapidamente e rifiutandosi di guardarsi in uno specchio, si diresse verso la cucina, dove Eric stava sfornando due pizze.

- Una birra la vuoi? – le chiese, mentre era chinato a frugare nel frigo a lato del piano cottura.

Kaithlyn annuì, con la testa. Poi, si rese conto che non poteva vederla, non il capo infilato nel frigo.

- Okay. – comunicò, ad alta voce.

- Comunque sei una fava, Eric. –aggiunse, facendolo girare perplesso.

- Perché? Dove seguire il consiglio di Jason e usare una mazza chiodata, per vincere? – chiese, inarcando le sopracciglia. Lo sapeva che c’era qualcosa che non le sarebbe andato bene. Forse quello che aveva detto mentre combattevano non era solo un modo per provocarlo…

- No. – rispose sedendosi lentamente sul divanetto nel tentativo di non sorbirsi l’ennesima scossa di dolore. – Ma avresti potuto evitare di farti prendere a ginocchiate nello stomaco e a pugni in faccia, se mi avessi ascoltata. –

Ora l’aveva confuso. A cosa si riferiva?

Kaithlyn inspirò profondamente dal naso e si mise comoda, le gambe piegate di lato e un braccio sul bracciolo del divanetto.

- Cosa ti ho detto di fare, almeno un miliardo di volte negli ultimi due anni, quando ti colpiscono allo stomaco? – gli chiese, reggendosi la testa con una mano e guardandolo in attesa. Eric posò i piatti sul tavolino davanti al divano e si sedette, pensieroso.

Cosa gli aveva detto di fare, tra un insulto e l’altro, negli ultimi due anni?

Intanto, Kaithlyn si era spostata: aveva disteso entrambe le gambe sulle sue e, con la testa appoggiata alla sua spalla aveva preso a punzecchiargli gli addominali. Forse non era ancora svanito del tutto l’effetto degli antidolorifici, considerò guardandola.

Poi, senza che se lo aspettasse, gli tirò un pugno non tanto forte da fargli male ma abbastanza da non essere dato per gioco.

- Ahi! Che ti ho fatto ora? –

Non gli aveva fatto male sul serio, ma era stato comunque fastidioso.

- Di contrarli. Se avessi contratto gli addominali, dopo che ti avevo colpito, avresti sentito molto meno male nei colpi secessivi. E quando ti prendono a pugni in faccia, ricordati di spostare il viso nella direzione in cui lo spinge il pugno, per alleggerire l’impatto. Se l’avessi fatto non avresti un occhio nero probabilmente.  – gli spiegò, continuando a punzecchiarlo.

Eric le passò una mano intorno alle spalle, attirandola di più a sé. Si era creata un strana atmosfera, quella sera… e lui si sentiva insolitamente tranquillo.

- Però sei stato molto bravo. – gli disse dopo un po’. Mentre addentava uno spicchio di pizza.

-Pensavo di non aver fatto un lavoro soddisfacente… non eri arrabbiata? –

- No. Sarebbe stato.. strano, se io avessi battuto te nel corpo al corpo, giusto? E poi, in quanto tua istruttrice durante l’iniziazione sono più che soddisfatta di come hai combattuto oggi. Anzi, sai che ti dico? – gli chiese, rubandogli la birra.

- Me ne prendo anche il merito! – disse, facendogli l’occhiolino.

Eric si rilassò con la schiena contro il divano, e appoggiò i piedi sul tavolino davanti a sé, mentre un senso di compiacimento per quello che gli aveva appena detto gli invadeva il petto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era stata un serata tranquilla, ma aveva ancora la sensazione che ci fosse una strana atmosfera, quella sera.

Si sciacquò il viso con l’acqua fredda e si passò le mani sulla testa. Poi, con calma, si diresse in camera dove si aspettava di trovare Kaithlyn. E infatti era seduta sul letto in ginocchio, ma al posto dell’enorme tuta che le aveva prestato si era infilata una delle sue magliette, dalla quale spuntavano le gambe nude e grazie alla quale si intravedeva una spalla spuntare dallo scollo largo.

Interessante.

Gli sorrise un po’, strusciando le mani tra loro come per scaldarle. I capelli sciolti le ricadevano in riccioli disordinati sui fianchi spiccando come fiamme sullo sfondo nero della maglietta.

Eric si avvicinò al letto, appoggiando le gambe al bordo del materasso mentre Kaithlyn si alzò sulle ginocchia ed avanzo fino a lui. Istintivamente le strinse la vita, attirandola a sé, mentre lei gli passava lentamente le mani sulle spalle e sul petto.

Incapace di rimanerle ancora a quella distanza, di avventò sulle sue labbra con urgenza: aveva aspettato abbastanza, e lui non era un tipo a cui piaceva pazientare. Con le mani le accarezzò la schiena e i capelli, mentre lei infilava le sue sotto il tessuto della maglietta e gli passava le dita sugli addominali, che si contrassero al loro passaggio.

Dopo un po’ sentì le braccia di Kaithlyn salire verso il viso e stringersi al suo collo. Senza rifletterci più di tanto, la sollevò e la trascinò, sempre tenendola stretta, fino alla testata del letto, facendole posare la testa sul cuscino. Si sollevò sui gomiti per non pesarle sopra e la guardò, passandole una mano sulla testa.

- Sei stanca? – le chiese in un sussurro ansante, talmente vicino che i nasi si toccavano.

Kaithlyn si schiarì la voce ed arrossì leggermente. Era strano che qualcuno si preoccupasse se fosse stanca o meno, mentre cercava di spogliarla.

- No. – disse, cercando di essere convincete, ma uno sbadiglio mal trattenuto la tradì.

Eric le lasciò un altro bacio sulle labbra: nonostante il solo pensiero di averla lì accanto mezza nuda gli facesse ribollire il sangue nelle vene, e non aspettaste altro che rimanere solo con le dalla sera prima, non voleva esagerare: avevano avuto una giornata abbastanza pesante, e lei era sicuramente più provata di lui ed ancora piena di dolori. Insomma, se dovevano andare a letto insieme voleva che fosse piacevole per entrambi, invece che dolore continuo. Anche se l’aveva mascherata subito, l’aveva sentita irrigidirsi tra le sue braccia mentre la spostava sul letto.

A quanto pareva, però, i suoi intenti da bravo ragazzo non erano condivisi dall’insopportabile Intrepida sotto di lui.

Kaithlyn lo riavvicinò a sé e riprese baciarlo con trasporto, passandogli le mani tra i capelli e accarezzandogli il viso.

Prima o poi gli avrebbe mandato il cervello in poltiglia, ammesso e non concesso che non fosse già diventato una brodaglia non meglio indentificata: in quei momenti avrebbero potuto fargli esplodere una bomba accanto e non se ne sarebbe accorto, tanto era preso da lei. Forse era il caso di fermarla: ancora qualche secondo e non avrebbe più risposto delle sue azioni, strappandole quei pochi indumenti che aveva ancora malauguratamente addosso.

- Kaithlyn.. – la chiamò, con voce bassa e roca, gli occhi brucianti di eccitazione. E doveva essersi accorta anche lei di quanto la volesse, perché sorrise con malizia e gli strinse un po’ di più le gambe intorno ai fianchi.

- Forse è il caso di smetterla, per stasera. – le disse cercando di non guardarla come se non desiderasse altro che levarle quella magliettina, che si era accartocciata scoprendola fino all’ombelico. L’universo cospirava contro di lui: come diamine avrebbe dovuto fare per ignorare quelle gambe toniche e quella pancia piatta. Tra l’altro il fatto che avesse i suoi vestiti addosso, gli faceva uno strano effetto, che si stata ripercuotendo verso… il basso. Non che prima andasse molto meglio, ma almeno poteva darsi un contegno o fare finta di nulla.

“Appunto” pensò, mentre sentiva le dita di Kaithlyn solleticarlo dietro il collo, facendogli venire al pelle d’oca.

- Smettila di stuzzicarmi. – le sibilò, in un rantolo. Avrebbe voluto che la frase gli uscisse chiara e con voce sicura, ma a quanto pare non era più in grado di articolare frasi di senso compiuto.

- Okaay… - gli rispose lentamente lei, accarezzandogli lentamente il collo.

Gli dava retta? Allora era vero che c’era qualcosa di particolare nell’aria. O magari avrebbe potuto chiedere ad Helena se poteva imbottirla di antidolorifici ogni tanto. Se le facevano questo effetto…

Kaithlyn stirò le braccia sopra la testa, inarcandosi volutamente verso di lui e facendo aderire i loro bacini.

Come non detto.

A quel contatto Eric chiuse gli occhi, quasi tremante, per il calore che sentiva nascergli dal basso ventre e diffondersi nel resto del corpo in quel momento. Doveva cercare di controllarsi. Magari poteva pensare a qualcos’altro, che non fosse il bruciante desiderio che sentiva in quel momento.

- Kaithlyn. – la ammonì.

- Mi stavo solo stiracchiando! – si difese lei. – e mi sono fatta anche male, se ti interessa. – lo informò.

In effetti non era stata una cosa molto furba, distendere i muscoli in quel modo. Ma pur di stuzzicarlo, avrebbe sopportato anche di peggio.

Kaithlyn si tappò la bocca, per coprire un altro sbadiglio.

Facendo appello a tutto il suo scarso autocontrollo, Eric si staccò dal suo corpo e rotolò sulla schiena. Cercò di scacciare dalla mente le immagini fin troppo nitide e dettagliate dei loro corpi ansanti attorcigliati tra le lenzuola.

Passarono alcuni minuti in silenzio, lei stesa su un fianco e lui sulla schiena a fissare insistentemente il soffitto.

Poi, quando fu abbastanza sicuro di aver ripreso il controllo delle sue azioni e che non le sarebbe saltato poco delicatamente addosso, le fece cenno di venirgli più vicino.

Kaithlyn si avvicinò con una smorfia di dolore al ragazzo e gli appoggiò la testa sul petto. Non era una persona affettuosa, ma soprattutto in quel periodo, quando di notte iniziava a fare più fresco, le piaceva accoccolarsi sul suo petto e dormirgli vicino. La faceva sentire insolitamente tranquilla, al contrario di quello che poteva dire il resto della fazione che in genere si trovava più a disagio che altro, quando c’era di mezzo lui.

Lo guardò dal basso verso l’alto: sembrava pensieroso. Più pensieroso del solito, il che era tutto dire. Gli lanciò un’occhiata interrogativa, a cui Eric rispose con un cenno che le indicava che non era niente. Avrebbe voluto indagare più affondo, ma sentiva il sonno prendere sempre più rapidamente il sopravvento gli occhi chiudersi.

Eric si sentiva insolitamente sereno, ed era strano per lui. I suoi demoni e le ombre che lo tormentava in genere non gli davano mai pace, neanche nel sonno. Neanche quando lei gli dormiva vicino, dandogli con la sua presenza un po’ di sicurezza in più. Sentì il corpo di Kaithlyn rilassarsi contro il suo e il suo respiro farsi più lento e regolare contro il suo petto.

Avrebbe dovuto darsi un contegno, aveva ancora un reputazione da difendere e non voleva ritrovarsi per niente al mondo a guardarla con la bava alla bocca come qualunque idiota.

Si sistemò meglio, mettendosi un po’ più comodo e provò a rilassarsi beandosi dell’atmosfera insolitamente tranquilla e distesa che aveva respirato fino a quel momento.

Era quello il trucco, quindi? Metterla fuori gioco?  

Passò dalla veglia al sonno lentamente e con la solita strana sensazione addosso, mentre le ombre scure che popolavano il suo inconscio prendevano piede nella sua mente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi quaaa! Allora, comincio con il dire che, nonostante lo abbia riletto e corretto almeno un milione di volte non sono molto convinta. (Se trovate qualche strafalcione ditemelo, perché io ormai lo sa a memorie e quindi ci sta che mi sia sfuggito qualcosa!)

Vi spiego: questo capitolo, almeno per me, è stato un po’ particolare da scrivere, perché ce l’avevo in testa da tempo e volevo renderlo al meglio in ogni sua parte senza sfociare nel banale o nello smielato per quanto riguarda Eric.

È palese, ormai (almeno credo), che Eric sia innamorato perso di Kaithlyn e quindi ho voluto descrivere un momento di tranquillità tra i due… (in realtà c’era un altro pezzo, in fondo al capitolo, che era un po’… come dire senza fare spoiler?... ehm… un’esternazione, ecco. Un momento di tenerezza, che penso di spostare o al prossimo capitolo, all’inizio, o in un altro momento moooolto importante della storia che ci sarà più avanti e che segnerà un passaggio molto importante!) non possono sempre e solo litigare. Cioè, possono, anzi devono farlo in quando Eric e Kaithlyn ma non è una regola, credo. Giusto?

Vorrei fare qualche domanda, poi vi lascio in pace, promesso.

Questo capitolo devo confessare che mi ha mandata un po’ in crisi, e che nonostante sapessi cosa scrivere non sapevo come riportarlo senza risultare smielata o poco inerente ai personaggi che vi ho presentato finora… quindi, vi chiedo per favore di dirmi se qualcosa non vi torna o non è inerente e se trovato un capitolo così lungo noioso! Meglio capitoli più corti, come prima o così?

A voi è piaciuto? L’incontro vi sembra convincete?

Vi sembra che abbia trattato poco bene delle parti, o con troppa superficialità?

Non fateci troppo caso, orami sono sclerata!

Ad ogni modo mi scuso per il ritardo nell’aggiornamento che doveva arrivare ieri (l’altro), ma ho passato la giornata a rileggere e correggere il capitolo a causa delle mie crisi esistenziali e ieri sera non ero ancora troppo convinta e inoltre ero fusa, quindi ho rimandato!

Ringrazio infinitamente tutti coloro che sono arrivati a leggere fino alla fine, e mi auguro che il capitolo via sia piaciuto e che lo abbiate trovato scorrevole nonostante sia molto più lungo del solito!

Ringrazio Lisa21 per aver inserito la storia tra le “Preferite” e Capitan_Doodle e elvis_q per averla messa tra le “Seguite”, spero che continui a piacergli quello che scrivo!

Infine,  ringrazio la puntualissima Kaimy_11 per la sua recensione super rapida! J

Ricordo, come sempre, che se volete avere anticipazioni sui capitoli, info sui personaggi e qualche “spoiler” sui miei progetti in cantiere, troverete tutto (o quasi) nella mia pagine facebook: https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?ref=hl

Alla prossima,

Kaithlyn

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Ohibò! Un computer e del tempo libero… che stregoneria è mai questa?

Scusate, davvero. Sono ai pazzi ultimamente e non ho tempo nemmeno per respirare!

Vi lascio un piccolo appunto del capitolo precedente e scappo:

*Helena, l’infermiera, viene nominata da Zeke quando, nel diciannovesimo capitolo di Insurgent, va dai Candidi portandosi sulle spalle Tori, alla quale hanno sparato!

(scusate la parentesi, ma mi sono scordata di inserirla nello scorso capitolo ^.^’)

 

 

 

Capitolo 9

 

 

Kaithlyn aprì gli occhi; era nella stessa posizione della sera prima, quando si era addormentata su Eric. L’unico dettaglio, era che Eric non c’era. Doveva essersi alzato da un po’, perché la sua parte di letto era fredda, constatò, passando una mano poco più in là.

Sfilò la mano da sotto il cuscino e cercò di puntellarsi con i gomiti per guardare l’ora; i muscoli protestarono tutti all’unisono, ma riuscì a tirarsi su quanto bastava per vedere la radio sveglia sul comodino attraverso le palpebre socchiuse.

7.16, era ancora relativamente presto ma, se fosse dipeso esclusivamente da lei, avrebbe dormito per altri tre giorni. Non le andava di alzarsi e lasciare il calore confortante del letto per passare la mattinata con quel gruppo di imbecilli che avevano cercato di spacciarle per aspiranti Intrepidi.

Si lasciò ricadere pesantemente con la faccia sul guanciale, lasciando che metà del viso ci affondasse e i capelli le ricadessero sopra coprendolo quasi del tutto. Doveva trovare il modo di alzarsi: di lì a quaranta minuti sarebbe dovuta essere in palestra, mentre più tardi avrebbe fatto un salto al poligono per esercitarsi; ai Tiratori era richiesto anche un test attitudinale di tiro al bersaglio e lei l’avrebbe sostenuto quella sera, mentre Eric se la sarebbe cavata con un’esercitazione di cinque minuti la mattina successiva.

Si ripuntellò sui gomiti con una smorfia di dolore e si girò sulla schiena, ritrovandosi a guardare il soffitto. Bene, intanto era riuscita a rotolare. La tranquillità della sera prima sembrava aleggiare ancora nella stanza illuminata dal sole, che filtrava attraverso le tende della finestra vicino alla testate del letto e rendeva l’ambiente un po’ più confortante. Sembrava una domenica mattina, in cui sia lei che Eric si alzavano, quando lo facevano, con calma ed erano entrambi un po’ più rilassati.

Sbuffò sonoramente e si passò le mani sul viso, cercando di scacciare la stanchezza: lei non era una donnicciola lagnosa che al minimo dolorino si faceva scorrazzare per tutta la fazione, o che non perdeva occasione di fare sfoggio delle proprie “ferite di guerra”, anzi. Non sopportava simili atteggiamenti dagli altri, figuriamoci da sé stessa. Era abituata a non farsi mettere sotto da nessuno e soprattutto a non mostrarsi mai debole: non si era mostrata debole quando quattro anni prima aveva dovuto affrontare i suoi scenari della paura, figuriamoci in quel momento, quando l’unica cosa che la disturbava era il dolore alla quasi totalità dei suoi muscoli.

Preparandosi psicologicamente a sopportare il dolore a muscoli e articolazioni, e aiutandosi con i palmi delle mani e le braccia, riuscì a mettersi a sedere, sentendo però uno scossa percorrerle la schiena. Maledetto Turner dei suoi stivali, era tutta colpa sua.

Si tastò la faccia con una mano, constatando con un sibilo di irritazione, un grosso livido sullo zigomo su cui Eric aveva infierito con i pugni. Probabilmente aveva un accumulo di liquido, perché sentiva l’ematoma morbido e dolorante, tanto da farle irrigidire la mascella e chiudere un po’ gli occhi.

Si passò una mano tra i capelli, portandoseli indietro per vedere dove metteva i piedi: era già abbastanza gonfia senza che, a crearle difficoltà, ci si mettessero anche quella massa di capelli rossi che sua madre si doveva essere tanto divertita ad appiopparle.

Scostò bruscamente le gambe da sotto le coperte e si trascinò con il sedere verso il bordo del letto, fino a quando non sentì la superficie liscia e fredda del pavimento farle correre un brivido lungo la schiena. Sentiva un male cane, e quando avesse dovuto camminare sarebbe stato anche peggio, lo sapeva, ma non aveva la benché minima intenzione di andare a rilento tutto il giorno solo per uno stupido combattimento. Forte di questo, chiuse gli occhi con una smorfia e poggiò il peso sulle gambe; pensava peggio, tutto sommato. Certo, avrebbe dovuto prendere gli antidolorifici per qualche giorno, ma pensava seriamente di averne prese di più.

Camminò, anche se irrigidita dal dolore e barcollante per il sonno, fino alla porta della camera e poi nell’ingresso, dove si appoggiò con una mano ad un parete e si stropicciò gli occhi, cercando di darsi la svegliata definitiva. Riprese a camminare. Si sentiva un po’ meglio, anche se ogni passo le costava una scossa di dolore ai muscoli, e le faceva male la testa.

Attraversò l’ingresso ondeggiando instabilmente sulle gambe, mentre teneva una mano premuta sulla testa. Doveva solo arrivare ai coltelli da cucina, poi avrebbe potuto sopprimere lo stronzo che da quasi cinque mesi a quella parte, era diventato il suo ragazzo. Anche se, ovviamente, non c’era stata nessuna “richiesta ufficiale”; non erano mica due di quei fidanzatini mezzi ritardati che avevano bisogno di mandarsi bigliettini vomitevoli e di ripetersi in continuazione quando fossero pazzi di gioia con dei maledettissimi occhi a cuoricino. Anche perché trovare lei ed Eric, pazzi di gioia e soprattutto con occhi a cuoricino era decisamente un’utopia. Fantascienza, insomma. Nessuno dei due era particolarmente propenso alle dimostrazioni d’affetto, anche se doveva riconoscere che ogni tanto Eric cercava di sforzarsi un po’… ma dato com’era fatta lei, finiva per andare poco lontano. Il tappeto scuro sotto il divano accolse i suoi passi, dandole un po’ si sollievo dal freddo del pavimento.

Si affacciò, con gli occhi socchiusi, alla cucina trovando Eric che armeggiava con qualcosa sui fornelli. Invece di ucciderlo, avrebbe potuto fargli una foto a tradimento e stamparla in formato gigante per poi appenderla in ogni angolo della Residenza.  Quella sì, che sarebbe stata una vendetta divertente. Poi probabilmente l’avrebbe uccisa con le sue mani, ma ne sarebbe valsa la pena, non c’erano dubbi.

Le arrivò alle narici il profumo delle uova strapazzate. Uova strapazzate, spremuta e caffè. Forse, avrebbe potuto farsi prendere a pugni, di tanto in tanto, se quello era il risultato. Un fitta le attraverso la schiena, facendola rabbrividire. No, non si sarebbe fatta prendere a pugni per la colazione. Anzi, la prossima volta, si sarebbe sbarazzata del proprio avversario preventivamente. Non era abituata a perdere, e Jason aveva ragione: quando si viveva con gli Intrepidi, quella, si poteva rivelare decisamente una pessima abitudine.

Emise un lamento, dolorante. Il giorno dopo i combattimenti era sempre il peggiore, almeno in fatto di dolore. Vide sulla tavola, dove in genere si sedeva lei, alcuni pasticche e un bicchiere d’acqua. Anche? Guarda, guarda com’era diventato servizievole il moccioso.

Eric voltò la testa verso di lei, e la squadrò dalla testa ai piedi. La maglietta le arrivava a metà coscia, e lasciava scoperta tutta una spalla. I capelli erano stravolti, e aveva ancora i segni del giorno prima sul viso e qualche livido anche sulle gambe nude. Risalì senza fretta dai piedi, soffermandosi sull’orlo della maglietta e proseguendo fino al viso.

- Era l’ora. Pensavo fossi caduta in coma. – le disse, muovendo un po’ la teglia sul fornello.

- Eh?-

Eric rise un po’. Gli dava una strana sensazione di appagamento quella situazione, anche se non aveva ben chiaro il motivo: non è che picchiare a sangue la proprio donna, fosse esattamente una buona ragione di vanto… anzi, tutt’altro. Eppure dal giorno prima si sentiva decisamente meglio del solito. Se non altro, non aveva una voglia prorompente di fare a pezzi qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, come al solito; aveva anche la vaga impressione che fosse merito dall’assenza di Quattro. Aveva sempre pensato che con il Rigido fuori dai piedi, sarebbe stato decisamente meglio, e quella ne era la controprova.

- Nonna, ti ho messo lì le pasticchine. Non te le dimenticare.. – le disse dolcemente, senza tuttavia nascondere un’espressione derisoria.

- Fottiti. – gli bofonchiò di rimando lei, avvicinandosi al tavolo e buttando giù i medicinali con una lunga sorsata d’acqua.

- Vuoi un deambulatore? Hai una faccia da schifo. – infierì.

- A me tra qualche giorno passa, stronzo. – ribatté lei, senza guardarlo, sedendosi.

-Grazie, lo prendo come un complimento.-

- Non riderai più, quando ti avrò ucciso brutalmente nel sonno e avrò nascosto i pezzi del tuo cadavere sotto le assi del pavimento. – gli disse tagliente, anche se sulle labbra aleggiava l’ombra di un sorriso.

- Non disturbarti! –

- Ti odio. –

- Lo so. Mi piace l’odio: è un sentimento forte, passionale. – commentò con tranquillità.

Kaithlyn appoggiò la testa su palmo delle mano, scuotendola leggermente con fare esasperato, mentre Eric si girava con aria trionfante.

Le mise la colazione nel piatto, dato che lei sembrava essere ancora nel mondo dei sogni, e le piazzò davanti una tazza di caffellatte e un bicchiere di spremuta, almeno non  l’avrebbe preso a calci perché non riusciva a sollevare la brocca a causa del dolore alle braccia. Sapeva che l’avrebbe fatto.

Kaithlyn, nonostante lo sguardo assonnato, lo guardò sospettosa, assottigliando gli occhi e seguendo ogni suo più piccolo movimento.

- Dimmi la verità. Ci hai messo il veleno per topi. – lo accusò.

Era un po’ strano il fatto che uno come Eric si fosse messo a fare la colazione e che ancora non le avesse rivolto più di un commentino pungente. Molto, strano. Cosa voleva?

- Può darsi. Assaggia, aspettiamo un po’ e vediamo cosa succede. – la provocò con un’alzata di spalle, sorseggiando la sua spremuta e guardandola da sopra il bordo del bicchiere mentre di sedeva di fronte a lei.

Kaithlyn si mise comoda sulla sedia e iniziò a punzecchiare con la forchetta le uova con fare sospettoso, come se potessero esplodere da un momento all’altro. Doveva esserci qualcosa sotto, per forza.

Arricciò le labbra, mentre il suo stomaco brontolava.

- Non ci ho messo nessun tipo di esplosivo, comunque. Ripeto: al massimo muori avvelenata. – le disse, posando il bicchiere e incrociando gli avambracci davanti a sé.

Lei parve convincersi, e iniziò a magiare con calma lanciandogli di tanto in tanto occhiate poco convinte.

Nessuno dei due aveva molta voglia di fare le corse o di chiacchierare, e nonostante l’unico rumore fosse quello della Residenza degli Intrepidi che iniziava a svegliarsi, non c’era imbarazzo tra loro.

- Potreste andare stasera a giocare a Ruba Bandiera! – propose la ragazza dopo un po’, mentre si puliva le labbra con un tovagliolino di carta bianco.

- Tu ha intenzione di risparmiarci l’onore della tua presenza? Carino da parte tua! –

- Figurati. Devo fare il test di tiro, stasera. – gli ricordò, appoggiando un gomito sul tavolo e reggendosi la testa.

-Ah, be’, allora…. – commentò sarcastico.

- Vi monitorerò, comunque. E i dati serviranno all’assegnazione dei punti extra degli iniziati, quindi cerca di usare quel bel cervellino che ti ritrovi d’accordo? Non voglio sorbirmi le tue lagne! – lo avvisò, appoggiandosi allo schienale della sedia e tirandogli una pedata, seguita da una smorfia, sotto il tavolo.

Riecco la solita Kaithlyn.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il primo turno di combattimenti era stata piuttosto tranquillo: Tris aveva vinto contro Myra, Edward si era praticamente mangiato Christina, Peter e Al erano stati talmente veloci che se fosse uscita a prendersi un caffè non si sarebbe nemmeno accorta che avevano combattuto, e Molly e Drew aveva avuto uno scontro piuttosto equo. A pensarci bene, forse, a parte il primo, era stato l’unico scontro equo della mattina. Ma era anche vero che dovevano affrontarsi tutti, quindi a chi importava?

Quattro sembrava piuttosto compiaciuto, anche troppo secondo lei, dalla vittoria della Rigida; nonostante mantenesse la sua aria imperscrutabile da istruttore “cattivo”. Eric invece si comportava da… Eric. Cupo e a braccia conserte, stava appoggiato alla parete a seguire attentamente e con sguardo minaccioso i combattimenti degli iniziati. Ogni tanto le aveva fatto il sacrosanto piacere di urlargli contro al posto suo, quando sbagliavano o faceva qualcosa di incredibilmente stupido.

Era stanca e dolorante, anche se grazie alla crema degli Eruditi e agli antidolorifici, si sentiva decisamente meglio, e non aveva alcuna voglia di utilizzare le sue energie per rimproverare quella massa di idioti… magari più tardi avrebbe fatto un salto dagli interni, nella vana speranza che avrebbe potuto darle la consapevolezza che non fosse proprio tutto tempo perso.

Più passava il tempo, e più peggiorava il livello generale degli aspiranti Intrepidi. Per quel che la riguardava, almeno tra i transfazione, quell’anno avevano toccato il fondo dell’abisso. E il primo a cui fosse venuta in mente la malaugurata, malsana idea di dire “al peggio non c’è mai fine”, l’avrebbe preso per un orecchio e portato a fare un tuffo. Nello Strapiombo. Non poteva veramente andare peggio, giusto?

Al e Myra, intanto, si stavano trascinando sul ring, entrambi apparentemente poco convinti di quello che facevano.

Si misero entrambi in posizione, e Kaithlyn di raddrizzo, la schiena appoggiata alla parete e le gambe distese davanti a sé, sul tavolo. Quella era la sua postazione: aveva i coltelli da una parte e la sua pistola, la stessa che avrebbe usato quella sera, dall’altra.

I due sfidanti si guardarono sconsolati per qualche secondo: Al non aveva fatto altro che perdere, di proposito, per tutti gli incontri dopo quello contro Will, ma Myra era veramente scarsa, e non sapeva davvero come poteva pensare l’iniziato di far bere a tutti e tre il fatto che si facesse mettere al tappeto da una ragazza che era la metà di lui. Fortunatamente, Al parve capire e con un paio di colpi non troppo convinti, vinse l’incontro.

Quando Tris ed Edward salirono sul ring, notò Quattro irrigidirsi e raddrizzare la schiena.

Nonostante sapessero entrambi che l’incontro sarebbe stato fulmineo e che Edward non avrebbe perso tempo a “giocare” con il suo avversario come faceva Peter, al quale prima o poi avrebbe fatto passare la voglia di fare il brillantissimo, notò che Quattro sembrava, ad ogni colpo inferto da Edward, più teso e nervoso.

Non si sarebbe meravigliata, se Quattro se la fosse intesa con la Rigida. In due anni non l’aveva mai visto con una ragazza, a parte quando quell’idiota del suo amico Zeke lo trascinava nelle sue uscite a quattro. Almeno Zeke era divertente…

- Non farti distrarre. – lo avvisò girando leggermente la testa verso di lui, senza tuttavia distogliere gli occhi dall’arena.

Quattro si voltò verso di lei, gli occhi che la scrutavano attentamente. Cosa voleva dire? Non si era mosso dalla sua posizione, e nonostante il fatto che Tris avesse perso miseramente contro un avversario tanto più forte di lei l’avesse reso nervoso, aveva fatto di tutto per non farlo notare. Non con Eric e Kaithlyn così vicini. Forse era un’osservatrice migliore di quello che pensava; avrebbe dovuto stare più attento. Se Eric fosse venuto a sapere che nutriva, per il momento, un vago interesse per un’iniziata, avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per rendere la vita impossibile a lui e buttare fuori dalla classifica lei. Tris sarebbe stata troppo vulnerabile, e non poteva permetterlo nonostante i suoi sentimenti non fossero neanche lontanamente chiari. Doveva fare più attenzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Okay, ragazzi. Sono le… undici. – iniziò, girando il polso per controllare l’orologio. – Aspettate gli altri e poi andate a chiamare quel gruppetto di imbecilli. E non guardarmi così Quattro. Dovresti sapere che, secondo gli standard, il tempo medio per prepararsi in caso di emergenza immediata è di una manciata di secondi. Prima li abituiamo meglio è. – decretò, in tono che non ammetteva repliche.

Eppure era piuttosto sicuro di dover essere lui a decretare il come e il quando, in quanto istruttore… ma per non attirare troppo l’attenzione, e non peggiorare l’umore di Eric, era più saggio non contraddirla. Era troppo rischioso intavolare una discussione che sapeva persa in partenza: qualsiasi cosa potesse dire, Eric avrebbe appoggiato Kaithlyn… anche solo per mettere in difficoltà lui. E da quel che gli aveva raccontato Zeke riguardo all’incontro tra Eric e Kaithlyn, la ragazza di era rivelata più che agguerrita. Sì, era decisamente meglio starsene buono: soprattutto quando aveva la pistola nella fondina e probabilmente anche un coltello da qualche parte.

Restarono in silenzio per alcuni minuti durante i quali l’unico rumore, oltre al brusio del Pozzo che andava scemando, era il piede di Kaithlyn che batteva sul pavimento di pietra.

Erano tutti e tre appoggiati ad una parete del corridoio che conduceva alla camerata degli iniziati, Eric e Quattro su un lato, e Kaithlyn su quello di fronte.  La tensione tra i due ragazzi, nonostante Quattro fosse appoggiato rilassatamente alla parete opposta rispetto a quella dell’altro e non desse segni di turbamento, era palpabile. Probabilmente, se fossero stati da soli, si sarebbero ammazzati di botte.

Eric aveva il viso in ombra ma Kaithlyn riusciva a scorgere la tensione dei muscoli in quel corpo tanto familiare. Sapeva che era competitivo fino allo stremo, e ritrovarsi a dover competere tra tutti proprio con Quattro in una gioco di strategia e ingegno, doveva averlo innervosito. Era già abbastanza schizzato di suo, e non osava immaginare come sarebbe rientrato se non avesse ottenuto quello che voleva: Eric era orgoglioso, e perdere nuovamente contro Quattro l’avrebbe reso furioso. Aveva provato a suggerirgli qualcosa, come il trucchetto -  che secondo lei funzionava solo con gli idioti – di sparare da un distanza elevata dove supponeva fossero nascosti i membri dell’altra squadra: se erano abbastanza stupidi e impulsivi, avrebbero istintivamente risposto al fuoco e lui avrebbe saputo dove andare a cercarli. Certo, era un ragionamento un po’ erudito ma dato che l’importate per gli Intrepidi era vincere, era anche lecito farlo con tutti i mezzi a disposizione di ognuno, no?

- Perché hai un computer con te? – chiese dopo un po’ Eric, facendo un cenno del capo verso la custodia che reggeva per il manico superiore e nella quale era evidentemente contenuto un pc.

Invece di rispondere alla sua domanda si staccò dalla parete e fece un passo nella direzione dei due ragazzi, tirando fuori dalla tasca interna del giacchetto due braccialetti elettronici. Infilò ad entrambi i braccialetti, facendo scattare la chiusura automatica: l’unico modo per toglierseli, sarebbe stato amputarsi la mano; avevano un sistema di riconoscimento per cui solo con un codice specifico, che aveva inserito lei, potevano essere aperti.

- Sono dei braccialetti elettronici con inserito un dispositivo di localizzazione che invierà i dati dei vostri spostamenti al computer e mi fornirà informazioni su dove siete e cosa fate, in modo che possa monitorare l’esercitazione. Ho inserito una sistemata simile anche nei fucili, in modo che si attacchino automaticamente al dispositivo principale, uno dei vostri, a cui lo assegnerò una volta che la prima squadra sarà scesa dal treno. – spiegò.

Quattro guadò sospettoso il suo polso, come  se la lucina che in quel momento lampeggiava vicino alla linea di apertura del bracciale, segnasse il conto alla rovescia di una bomba.

- Non provate a levarvelo per barare perché l’unico modo è amputarvi la mano… appena rientrerete nella Residenza, stasera, ve li disattiverò io dal computer e la spia luminosa si spegnerà. – proseguì, sollevando la custodia e indicandola seriamente.

- Ora sparite dalla mia vista, e cercate di non scannarvi o vi userò come bersagli mobili per le esercitazioni di tiro, d’accordo? – aggiunse, staccandosi dalla parete e piazzandosi in mezzo al corridoio.

Poi, dopo un’ultima occhiata all’orologio, si diresse a passo spedito verso il poligono.

Quando i passi di Kaithlyn non furono altro che un eco lontano nel corridoio buio e deserto illuminato solo dalle luci azzurrognole, Eric lanciò uno sguardo penetrante a Quattro.

- Chi aspettiamo? – chiese, lentamente, senza smettere di guardarlo in modo ostile e incrociando le braccia sotto il petto. Sembrava ancora più grosso, così.

- Mia, Sean, un’amica di Lauren e qualcun altro. – gli rispose con una scrollata di spalle, tornando a guardare in fondo al corridoio.

Sapeva che restare con lui lo rendeva nervoso: Quattro aveva paura che potesse rivelare il suo vero nome, anche se qualsiasi idiota che fosse stato attento durante la loro Cerimonia della Scelta avrebbe potuto ricordarlo. D’altronde, l’attenzione ai particolari, non era una peculiarità degli Intrepidi ma degli Eruditi. Sapere di tenere Quattro sulle spine con quell’informazione in suo possesso, lo faceva sentire meglio; gli dava una piacevolissima sensazione di vantaggio su quel maledetto Rigido che due anni prima aveva avuto la faccia tosta di batterlo e di farlo essere ancora una volta il secondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Muoversi, muoversi! Chi cazzo vi ha insegnato a sparare, eh? Al, AL! Quel dannato fucile! Tienilo su, non stiamo dando la caccia i piccioni, idiota!  - sbraitò in direzione della sua squadra. Era un povero illuso: come aveva fatto a non accorgersi degli imbecilli che si era accollato? Tra tutti, quasi, quasi, la meno pessima era stata Myra. Che era l’ultima in classifica, tanto per dirne una. Peter sembrava credersi Dio sceso in terra, ma non aveva concluso niente ed Edward, a quando pareva, aveva perso il coordinamento delle mani. Molly… non aveva il coraggio di guardare cosa diavolo stesse facendo. Non lo voleva sapere.

Come diavolo potevano essere diventati così imbranati dal pomeriggio? Gli aveva svegliati troppo bruscamente? Volevano un fottuto caffè, e un maledetto cornetto alla crema la prossima volta? O che magari andasse a dare a tutti un bacino in fronte per svegliarli?

Iniziati ritardati a parte, doveva farsi venire in mente qualcosa: la squadra avversaria si stava avvicinando, e non voleva per nessuna ragione permettere a qualcuno di arrivare alla bandiera. Specie a qualcuno di quella squadra.

- Lynn! Dannazione, Lynn! – la chiamò, sperando che almeno a lei fosse rimasto in sede il cervello. L’iniziata si girò verso di lui, titubante: non doveva avere un’espressione particolarmente rassicurante, perché la vide deglutire turbata e guardarlo con gli occhi spalancati.

- Appostati lì, - le disse in un sibilo, indicandole il retro di un vecchio container. – e se vedi qualcuno avvicinarsi, sparagli in faccia e abbattilo, hai capito? –

Lei annuì e si diresse dove indicato. Bene, almeno quel lato era “coperto”.

Vide, in lontananza, muoversi la ruota panoramica. Dovevano essere lì… questo poteva significare che la bandiera si trovava o sotto la ruota o al Molo, vicino alla giostra dove l’avevano messa l’anno scorso. Gli sembrava un’idea stupida, quindi optò per la ruota, anche se il fatto che l’avessero fatta muovere, lo metteva in allerta. Poteva essere un tranello.

Se fosse riuscito a salire abbastanza in alto, avrebbe potuto sparare in direzione della ruota come gli aveva suggerito la sua ragazza, e, se qualcuno avesse risposto al fuoco avrebbe avuto conferma ai suoi sospetti.

“Se vedi muovere in lontananza, spara. Al 90%, risponderanno al fuoco e saprai dove si trovano”

Certo. Vai, Eric, forza e coraggio. Prendi e spara, al buio, a due-trecento metri di distanza. Facile come bere un bicchier d’acqua, giusto Kath? Sti’ cazzi. Parlava bene lei. Era un maledetto cecchino! E con la fortuna che si ritrovava lui, uno degli idioti a cui stava facendo da balia, gli sarebbe passato davanti e avrebbe mandato a puttane tutti i suoi buoni propositi. Era decisamente meglio che facesse a modo suo… anche perché, probabilmente, aveva più possibilità di riuscita per conto suo che con gli altri.

Intimò ad un gruppetto di rimanere a guardia della bandiera, mentre lui si avviava verso la ruota, stando attento a non farsi vedere dalla squadra avversaria.

L’aria era diventata frizzante, e sentiva un leggero venticello graffiargli il viso. La palude era fangosa, e c’erano pochi ripari ma non sembrava esserci  nessuno in giro.

Sentì qualcosa muoversi alle sue spalle, e istintivamente si girò, il fucile alzato davanti agli occhi. Fece un paio di passi nella direzione verso cui aveva sentito il rumore, gli scarponi che affondavano nel fango, ma non trovo nessuno. se voleva ottenere qualcosa, avrebbe dovuto fare più attenzione.

Strinse maggiormente il fucile, rendendo la sua presa più salda, e mise il colpo in canna. Doveva essere pronto a contrattaccare in qualsiasi momento, indipendentemente dal preavviso che avrebbe potenzialmente potuto fornirgli il suo avversario.

Continuò a camminare silenziosamente, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata circospetta alle sue spalle e tendendo sempre le orecchie per captare ogni più piccolo rumore.

Quando arrivò tra le sbarre di metallo che costituivano la base della ruota, constatò che non c’era nessuno. in un modo di rabbia, buttò il fucile per terra e tirò un calcio a un’enorme trave di metallo. Forse doveva proseguire verso il Molo. Non fece in tempo a formulare questo pensiero che sentì in lontananza lo scoppio dei fucili, e seppe che l’avevano aggirato mentre andava nella direzione opposta.

Era stato uno stupido. Riafferrò il fucile da terra e corse nella direzione da cui era venuto, senza preoccuparsi di guardarsi in torno: era pronto a scommettere che Quattro fosse con la metà degli iniziati che stavano attaccando.

Supero rapidamente il pontile che divideva le due postazioni, senza preoccuparsi di non fare rumore mentre correva sulle grate in metallo. Facendo due gradini alla volta, arrivò velocemente dall’altra parte, e si lanciò verso il punto in cui aveva messo la bandiera. Era abbastanza coperto da non essere visto, se non da molto in alto, ma aveva abbastanza spazio libero intorno da permettere ai dementi della sua squadra di vedere se arrivava qualcuno con certo preavviso.

I pochi alberi che circondavano la postazione della bandiera, non fornivano una copertura sufficiente, a lui come agli avversari.

Riuscì a intercettare due figure che correvano nella sue direzione, dirette verso la bandiera davanti a lui. Alzò il fucile per colpirle entrambe, da quella distanza sarebbe stato anche piuttosto semplice, ma non fece in tempo a premere il grilletto che venne colpito ripetutamente alla schiena.

Cadde a terra, graffiandosi il viso su un sasso. Chiunque fosse, gliel’avrebbe scontata. Si girò fulmineo sulla schiena, puntando il fucile davanti sé e fece fuoco, riuscendo a colpire l’avversario al petto.

Nonostante la prontezza di riflessi, Christina si era già allungata per afferrare al bandiera, lanciando un grido esultate di vittoria.

Quattro lo guardò dall’alto verso il basso, con espressione soddisfatta. Avrebbe dato qualsiasi cosa per cancellargli quel sorrisetto dalla faccia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kaithlyn infilò le chiavi che aveva preso dalle tasche di Eric quella mattina, le inserì nella serratura dell’appartamento del ragazzo ed entrò, guardandosi intorno per assicurarsi che, effettivamente, fosse ancora fuori per giocare a ruba bandiera.

Poggiò il suo borsone a terra, sentendosi immediatamente più leggera: grazie agli antidolorifici stava un po’ meglio, ma ci avrebbe messo anche un paio di giorni a rimettersi del tutto. Aveva osservato dal computer gli spostamenti delle due squadre, annotando tutto ciò che avevano fatto. Sapeva che la squadra di Eric aveva perso, e sapeva che sarebbe stato una belva, una volta tornato a casa; quindi aveva pensato di farsi trovare lì, almeno non avrebbe dovuto sorbirsi una tiritera su quando detestasse Quattro, e avrebbero potuto impiegare il tempo in qualcosa di decisamente più piacevole.

Dato che le avanzava del tempo, e nessuno sarebbe tornato prima di un’ora, preparò i muffin cioccolato e arancia e apparecchiò per il giorno dopo. Poi, con calma, si infilò nel bagno di Eric: era una stanza quasi gradata, con al centro una vasca circolare e di lato una doccia… optò per la vasca.

Si inginocchiò dalla parte dei rubinetti e fece scorrere l’acqua sulla sua mano, fino a quando non diventò quasi bollente, poi chiuse lo scarico con un tappino, e aspettò che s riempisse mentre si sfilava con calma i vestiti e rimaneva completamente nuda. Si guardò allo specchio: aveva ancora un’ombra leggermente violacea sul viso, ma doveva ammettere che quelle crema dei Lassi aveva fatto miracoli. Se non avesse usato crema e antidolorifici sarebbe stata ancora tutta indolenzita, dolorante e piena di contusioni, invece sembravano passati diversi giorni dall’incontro con Eric, anziché appena ventiquattr’ore. La differenza con la mattina era più che evidente.

Si passò una mano tra i cappelli, sciogliendoseli e lasciando che le ricadessero più disordinatamente del solito sulla schiena e sui seni. Giochicchiò con il piercing della lingua, mentre pensava a come organizzare l’agguato al Capofazione imbestialito che sarebbe entrato in casa a breve. Decise infine che si sarebbe fatta trovare nella vasca, spumante alla mano. Sì, poteva funzionare.. non le avrebbe certo detto di no.

Nonostante si scannassero come se non ci fosse un domani, si mandassero al diavolo con una media di quattro volte a settimana e maledicessero praticamente tre volte al giorno il fatto di essersi messi insieme, teneva ad Eric… più che alla pressoché totalità del resto della Fazione. Anche se, ovviamente, prima che potesse uscirle dalla bocca qualche idiozia, sarebbe gelato l’inferno e lei e Clarisse sarebbe diventate amiche del cuore.

Si riscosse da suoi pensieri e si avviò verso la cucina per prendere due bicchieri e lo spumante, poi tornò in bagno e immerse un piede nella vasca. Il calore dell’acqua le fece correre un brivido caldo lungo la schiena. Sentì i muscoli rilassarsi nell’acqua bollente, mentre scivolava un po’ in avanti con il sedere e appoggiava la punta dei piedi sul bordo opposto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Quel patetico gruppetto di imbecilli non era riuscito, nonostante le sue indicazioni, a proteggere dagli attacchi dell’altra squadra un fottutissimo albero. Si poteva essere più idioti?

Rimetterla nello stesso posto dell’anno prima, da parte dell’altra squadra, era stata una mossa stupida e geniale allo stesso tempo; accidenti a lui e quelle rare occasioni in cui sopravvalutava l’intelletto dei suoi avversari. Se ci fosse stata Kaithlyn, avrebbero vinto: lei riteneva che il resto del mondo fosse popolato da imbecilli, quindi sarebbe salita sul faro, si sarebbe messa comoda sul parapetto con una gambe penzoloni, si sarebbe legata i capelli e avrebbe sparato verso il Molo, rivelando la posizione degli altri. Peccato che fosse alla Residenza a godersi lo spettacolo di lui che si faceva gabbare da un Rigido e dalla sua squadra di mingherlini sfigati e con pessimi punteggi. Che tra l’altro sembravano un gruppetto di ragazzini dei Livelli Inferiori, tanto erano minuti. Eppure avevano vinto. Mentre quegli idioti che si era accollato in squadra lui, e che avrebbero dovuto essere i più bravi, si erano rivelati dei lumaconi rimbecilliti incapaci anche di sparare in modo decente. Non sarebbero riusciti a colpire un bersaglio nemmeno se ci fosse stato lui a tenergli fermo il fucile.

Ad incrementare la sua rabbia, oltre il fatto di essere sporco di una fottutissima vernice rosa, c’era la consapevolezza dell’ennesima sconfitta, che gli bruciava in modo quasi doloroso. Aveva voglia di spaccare qualcosa; magari la faccia di Quattro. contro il vagone del treno che stava correndo verso di loro. Se non altro, non aveva fatto battutine: forse aveva intuito quanto poco gli convenisse fare il brillantissimo in quel momento di rabbia cieca.

Quattro face un passo verso il bordo del binario a due corsie. Non sembrava intenzionato a fare festa, come al solito, ma poteva scorgere una scintilla di trionfo nella sua espressione seria.

Lo odiava a morte. Non solo lo aveva battuto durante l’iniziazione, ma aveva anche attuato un strategia migliore della sua, quando avrebbe dovuto essere il contrario data lo sua provenienza. Invece, Eaton, gli ricordava perennemente i suoi errori e le sue mancanze. Finché fosse stato a giro, lui sarebbe sempre stato il secondo, come era stato per tutta la vita. Il secondo a nascere, il secondo a scuola e il secondo per sua madre.

Non si accorse che Sean e Mia erano lì accanto a lui fino a quando non si sentì tirare per la giacca dalla ragazza e le lanciò un’occhiata d’avvertimento; voleva essere lasciato in pace, tornare alla Residenza e trovare qualcosa con cui sfogarsi il prima possibile.

- Dovremo avvicinarsi, sta arrivando il treno… - tentò, convincendolo ad avvicinarsi quel tanto che bastava a poter saltare dentro alla prima occasione. Mia era abbastanza carina con tutti, compreso lui.

Quando il treno fu abbastanza vicino, iniziarono tutti a correre accanto alle carrozze, e dopo pochi secondi, saltò dentro senza sforzo. Non si curò degli iniziati: ormai doveva essere in grado di saltare in un treno in corsa, e se non ci fossero riusciti tanto meglio: avrebbe avuto del lavoro in meno da svolgere.

Il viaggio in treno lo passo in silenzio, con Mia e Sean che chiacchieravano lì vicino. Ogni tanto gli rivolgevano qualche domanda, cercando di coinvolgerlo nella conversazione e di distrarlo dai suoi propositi omicidi nei confronti del resto dei passeggeri, ma non funzionò granché. Gli prudevano in modo fastidioso le mani, e dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non alzarsi, prendere di peso Quattro e farlo volare giù dal treno, seguito da resto degli Intrepidi presenti nella carrozza.

Gli iniziati che erano in squadra con lui erano piuttosto silenziosi: forse avevano intuito che la situazione non si sarebbe evoluta  loro favore, se avessero anche solo aperto bocca.

Mia stava dicendo qualcosa a Sean, che pendeva dalle sue labbra. Dio, che schifo. Avrebbe dovuto avvisare qualcuno di sopprimerlo, semmai l’avesse visto guardare con quell’espressione da idiota Kaithlyn.

Erano quasi arrivati per fortuna; ancora pochi minuti di autocontrollo e di unghie piantate nella ginocchia, e si sarebbe liberato di tutti gli idioti presenti sul quel vagone.

Respirò pesantemente, guardando con aria omicida in direzione di un capannello di ragazzi che riconobbe come Uriah, Marlene e Lynn, i quali stavano intorno a un’altra persona che però non riusciva a vedere.

Il vagone era pieno di chiacchiericcio. Il silenzio dei suoi compagni di squadra, veniva ampiamente riempito dalle chiacchiere degli altri e lui cominciava a non poterne davvero più. Non aveva voglia di sentire le chiacchiere degli altri, e ancora meno di passare un secondo di più a respirare la stessa aria di Quattro. Era quasi tentato di alzarsi, scendere e proseguire a piedi, ma il desiderio di tornarsene a casa il prima possibile alla fine prevalse.

Il treno rallentò leggermente, nelle vicinanze della Residenza.

- Muovetevi! – abbaiò, in direzione di alcuni iniziati che sembravano non essersi accorti di essere quasi a destinazione.

Si lanciò dal vagone senza aspettare nessuno. Ormai era abituato all’impatto con il terreno, e gli furono sufficienti un paio di passi per rallentare l’andatura e fermarsi, mentre dietro di lui alcuni iniziati rotolavano rovinosamente a terra. Davvero patetici. Perché doveva vedere quelle cose, a quell’ora? E poi la sua ragazza gli chiedeva perché aveva gli incubi praticamente tutte le notti.

Sean lo raggiunse pochi secondo dopo, ma non fece in tempo ad avvicinarlo che Eric si voltò come una furia e si avviò a passo di marcia verso l’ingresso della Residenza. Tirò una spallata a uno dei membri dell’altra squadra, e passò accanto a Quattro stringendo i pugni per non colpirlo e sforzandosi di ignorarlo.

- Eric.. – si sentì chiamare da Sean. Ma non voleva sentirlo, non voleva sentire o vedere nessuno. volevo semplicemente raggiungere il suo appartamento e non avere per qualche ora davanti agli occhi la fonte dei suoi problemi.

Sean lo guardò allontanarsi e sentì un pugno infrangersi sulla porta in metallo che portava dalla Residenza ai binari principali, che emise uno gemito metallico. Quando si erano conosciuti, durante l’iniziazione, erano andati subito abbastanza d’accordo: lui era un Candido con la lingua lunga e tagliente, ed Eric un irriverente Erudito saccente e sarcastico. Era stato amore a prima vista, almeno prima che Eric iniziasse a diventare ancora più incostante e rabbioso, chiudendosi sempre di più in sé stesso. L’unica che sembrava riuscire a calmarlo, era Kaithlyn, che dal canto suo si premuniva di litigare furiosamente con lui un giorno sì e uno no. Era quasi sorprendente che non si fossero già staccati la testa dal collo. Sapeva che Eric aveva una cotta per lei da almeno un paio d’anni, ed era rimasto sorpreso quando borbottando, Eric gli aveva detto di aver iniziato a frequentarla. Forse non era nemmeno lei la stronza di ghiaccio che sembrava. O meglio; lo era, certo che lo era, ma almeno ora aveva la prova che la sua istruttrice di iniziazione non era una specie di androide, come avevano ipotizzato durante l’iniziazione quando, non appena sentivano i suoi passi avvinarsi alla palestra, si rizzavano tutti i capelli intesta a lui e ai suoi compagni e un brivido di terrore collettivo si diffondeva alle loro schiena. Chissà cosa avrebbe detto, vendendo il proprio ragazzo tanto furioso per una cosa tanto stupida come una partita di Ruba Bandiera, esigente com’era. Sicuramente non avrebbe fatto i salti di gioia.

Mia gli si avvicinò, prendendolo per mano e tirandolo verso l’ingresso. Rivolsero un ultimo cenno di saluto a Quattro, e rientrarono nella Residenza, in silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Entrò in casa sbattendo la porta con un tonfo assordante, e ancora accecato dalla rabbia e dalla frustrazione tirò con ringhio furioso un calcio a una sedia, facendola finire dall’altra parte della stanza. Mentre si dirigeva verso il bagno per darsi una sciacquata, colpì il muro con un pugno, aprendosi una nocca e imprecando coloritamente.

Dannazione. Odiava quel Rigido più di chiunque altro, e quell’ennesima sconfitta gli bruciava nel petto più di quanto avrebbe voluto. Kaithlyn aveva assistito a quell’ennesimo fallimento, e chissà che risate si era fatta, vendendolo perdere per pochi minuti, come al solito, e per di più contro Quattro.

Tirò un calcio contro il muro, ignorando il dolore che si era provocato al piede, e il sangue che gli colava, lentamente sulle dita dalle nocche scorticate. Il dolore gli permetteva di non concentrarsi su quell’umiliazione. Tanto a chi importava? A lui no di certo, figuriamoci agli altri!

Digrignò i denti, mentre stringeva i pugni e con un’ultima spallata contro il muro si dirigeva verso il bagno. Forse se si fosse dato una rinfrescata si sarebbe sentito meglio, ma ne dubitava. Quando si sentiva in quel modo non riusciva a controllarsi, e chiunque avesse davanti ne pagava inevitabilmente le conseguenze. Gli tornò in mente l’episodio di qualche giorno prima, quando aveva attaccato Kaithlyn al muro solo perché gli aveva fatto pressione riguardo ai suoi rapporti con gli Eruditi. Le non doveva sapere, e lui aveva agito come gli era abituato a fare in quelle situazioni: minacciandola.

Arrivato alla porta del bagno, si fermò un secondo, interdetto. La luce era accesa e sentiva chiaramente l’acqua scorrere nella vasca da bagno. Rimase in ascolto per un attimo, mentre avvertiva il rumore di qualcuno che si muoveva e il rumore dell’acqua cessare. Respirò tra i denti, preparandosi a sentire l’ennesima predica e spalancò la porta immobilizzandosi subito dopo sull’ingresso della stanza, il viso cupo e teso e le mani insanguinate strette a pugno lungo i fianchi.

Immersa beatamente nella vasca circolare, con un bicchierino di spumante in mano e le gambe appoggiate sul bordo opposto, c’era Kaithlyn. I capelli rossi le ricadevano umidi sulle spalle, e la luce tenue e calda della lampada che teneva appoggiata al mobiletto, creava degli strani giochi di ombre sul suo bel viso. L’atmosfera rilassata, contrastava in modo quasi doloroso con la furia cieca che gli si agitava dentro e sapeva che, se fosse entrato avrebbe dovuto fare i conti con quella rovinosa nottata.

Lei lo studiò con sguardo attento, mentre faceva ruotare leggermente il liquido ocra all’interno del bicchiere, le unghie curate laccate di rosso.

- Mmh.. – mormorò, mentre sorseggiava lo spumante e gli piantava gli occhi azzurri sul viso teso dalla rabbia. – sei in ritardo, Capofazione. – mormorò, facendo schioccare le labbra.

- Che ci fai tu qui? Vattene, non ho voglia di sentire i tuoi commenti. – sbottò, irritato. Era meglio mettere le cose in chiaro fin da subito, non voleva ritrovarsi come l’ultima volta e non voleva farle del male. Non a lei, almeno.

Kaithlyn sollevò un angolo della bocca con accondiscendenza, senza tuttavia lasciar intendere in modo chiaro le sue intenzioni. Sembra che stesse valutando la situazione.

- Peccato, - commentò. – pensavo avessi bisogno di consolazione… - mormorò, quasi più a sé stessa che a lui, scoccandogli un’occhiata di fuoco mentre i suoi occhi scendevano dal suo viso verso il basso soffermandosi per un momento sulle mani piene di sangue, facendole storcere la bocca e scuotere leggermente la testa, tra il rassegnato e l’esasperato.

Sperava sul serio che non volesse perdere altro tempo in chiacchiere: si sentiva come se la rabbia che fino a quel momento aveva sfogato tirando i pugni e muovendosi rabbiosamente, gli si stesse accumulando dentro, pronta ad esplodere. Non poteva restare lì, appoggiato alla porta, senza esplodere. Doveva agire.

Eric avanzò rigidamente verso la vasca, il cuore che gli martellava pesantemente nel petto come se gli stesse sprofondando dentro, lasciando dietro di sé solo la furia. Si fermò solo quando toccò il bordo con la punta delle scarpe, i pugni serrati. Alzò il viso su Kaithlyn, piantando gli occhi grigi e fiammeggianti, su di lei come un predatore in attesa della prossima mossa della sua vittima. Quella che avrebbe decretato cosa fare di quello che restava della sera. Aveva bisogno di sfogarsi e dimenticare l’ennesima rovinosa sconfitta, e lei sarebbe stata una valvola di sfogo ideale, anche se per quella sera non le avrebbe riservato attenzioni o gesti di premura come al solito. Kaithlyn parve capirlo, anche se probabilmente era lì per questo. Lei sapeva già che come sarebbe andata, non era una stupida. La consapevolezza che fosse lì per lui e che lo avesse aspettato fino a quel momento parve sciogliergli leggermente i muscoli contratti, anche se solo per un momento.

Kaithlyn gli rivolse un sorrisetto malizioso e si alzò in piedi, lasciando che l’acqua le scivolasse lungo il corpo, e facendo un paio di passi verso di lui.

Quel gesto lo pietrificò per un attimo sul posto: sembrava una sirena appena uscita dall’acqua. Vedere Kaithlyn che ti veniva incontro, nuda e con le schiuma che le scivolava sulla pelle candida era come sprofondare, annegare nell’abisso senza poter fare niente per evitarlo, perché era esattamente così che si sentiva in quel momento. Era una strana sensazione, come se stesse galleggiando pericolosamente tra il barato della rabbia e quello che rappresentava lei, tenendolo in bilico.

L’acqua le arrivava a metà coscia, mentre i capelli le ricoprivano fradici i seni, arricciandosi sulla sua pelle e lasciando intravedere i tatuaggi, mentre il piercing all’ombelico brillava leggermente. Dio, se era sexy. Per un attimo la osservò, probabilmente con la faccia da idiota meglio riuscita della storia del pianeta.  

Sentiva ancora la rabbia ribollirgli nel petto, anche con lei a pochi centimetri da lui, così caldamente invitante nello spingerlo a dimenticarsi del resto. Ma era inutile. Doveva scaricarsi. Era in bilico.

Non schiodò gli occhi da lei nemmeno per un attimo, seguendo attentamente, quasi con circospezione, ogni suo più piccolo movimento. Sentì una mano bagnata posarsi sul viso, sporco di terra, sangue e vernice, e un pollice accarezzargli lo zigomo graffiato dalla caduta che gli aveva provocato Quattro sparandogli alle spalle.

Lo osservava in modo strano, con una strana luce nei luminosi occhi azzurri. La mano della ragazza scivolò più in giù, partendo dalle sua spalla per poi proseguire verso il bordo dei pantaloni. Gli slacciò la cintura con calma, facendogli correre un brivido caldo lungo al schiena, mentre il sangue fluiva rapidamente dal cervello verso posti decisamente più in basso e le dita di Kaithlyn passavano lentamente oltre l’orlo dei pantaloni e sull’addome.

Si lasciò sfuggire un sospirò eccitato mentre lei si mordeva il labbro inferiore. Quel gesto lo mandò definitivamente fuori di testa.

Si avventò su quelle labbra morbide senza darle preavviso, afferrandole bruscamente il viso per attirala a sé e tenerla ferma, mentre mordeva e leccava quella bocca scarlatta con forza, fino a sentire il sapore del sangue sulla lingua e un gemito di protesta uscire dalle labbra della ragazza.

Kaithlyn gli tirò i capelli, indietro, mentre con l’altra mano gli graffiava la base della schiena, poco al di sopra dell’elastico dei boxer e aderiva a lui.

Eric si staccò dal lei giusto il tempo di far scivolare a terra il giubbotto, e sfilarsi con stizza la maglietta aderente, facendola finire appallottolata a terra. Piegò la testa verso di lei, riafferrandole il viso e respirando profondamente, tra i denti, mentre le passava i pollici sugli zigomi. Non era una gesto dolce o affettuoso, come spesso accadeva, ma lei non si ritirò; anzi. Gli afferrò i polsi e gli spostò le mani verso il basso, facendogli accarezzare i seni e poi scivolare sulla pelle bagnata fino ai fianchi. Non contenta, passò lentamente la mani sulle sue spalle, facendogli venire la pelle d’oca.

Era incazzato, senza maglietta, con i pantaloni slacciati che ormai rendevano evidente lo stato della situazione, e la sua ragazza si gingillava, quando avrebbe dovuto finire di strappargli i vestiti di dosso, e “consolarlo” come aveva ammiccato fino pochi attimi prima.

Kaithlyn si alzò in punta di piedi, e gli arrivò tanto vicino al viso che le punte dei loro nasi si sfioravano.

- Ci vuole un bel bagno.. – gli soffiò con voce calda sulla labbra, tese in una linea dura.

A quelle parole, Eric, le tirò i capelli all’indietro, costringendola a guardarlo in faccia e ad esporgli il collo candido. Non poteva muoversi, e a lui piaceva aveva il controllo della situazione. Aveva un bisogno quasi fisico di avere il controllo su di lei, soprattutto in quel momento, quella sera. Le mordicchiò il collo: era piacevole sentire la pelle tesa sotto il denti e percepire il suo respiro crescere, mentre passava la lingua sulle dove si intravedevano le vene.

Lasciò bruscamente la presa sui suoi capelli, spostando le mani sul sedere e stringendolo possessivamente, avvicinandola al suo corpo. Sentiva ogni singolo muscolo teso per quello strano connubio di furia cieca e eccitazione, e non avrebbe tollerato quella situazione di stallo ancora per molto.

Kaithlyn non parve scomporsi, e un sorriso accattivante le piegò le labbra, mentre infilava due dita per i passanti dei pantaloni e lo attirava a sé.

Alzò gli occhi su di lui e si allungò un po’ sulle punte, passandogli il naso sulla base del collo e scendendo lentamente verso il basso. Quando arrivò in prossimità dell’ombelico infilò due dita oltre l’elastico dei boxer e tirò giù gli ultimi indumenti che lo coprivano. Risalì senza fretta verso di lui, accarezzandolo con i palmi delle mani fino al petto.

Eric non ci vide più. La afferrò bruscamente, tirandola con rabbia verso il suo viso e la baciò con un’urgenza dirompete e irrefrenabile, sollevandola da terra e premendola contro il suo petto.

Kaithlyn riuscì a divincolarsi e staccarsi da lui e lo afferrò per un braccio, tirandolo con decisione verso l’interno della vasca, senza staccare nemmeno per un secondo gli occhi dal suo viso. Lo spinse senza delicatezza a mettersi seduto sullo scalino interno, prima che lui l’afferrasse per un polso stringendola quasi fino a farle male, e la tirasse verso il basso, obbligandola a mettersi a cavalcioni sopra di lui.

Kaithlyn gli accarezzò il petto compatto, mettendogli le braccia dietro il collo e arrotolandosi una ciocca di capelli scuri intorno all’indice.

Tra loro ogni tanto era anche così: niente carezze o gesti premurosi, anche se concludevano la serata sempre con più dolcezza rispetto a come l’avevano iniziata, solo istinto. Non era difficile, per due persone distaccate come loro, mettere da parte i sentimenti e ritrovarsi a lotteggiare anche sotto le coperte.

Ebbe appena un attimo di preavviso, prima che Eric si arrotolasse i lunghi capelli rossi intorno a un polso, e le mordesse con forza il collo, mentre con l’altra mano la spingeva contro il suo corpo.

Le leccò il punto in cui aveva lasciato il segno dei denti, lentamente, facendola inarcare contro di lui e spingendola a stringergli le gambe a fianchi. Le lasciò i capelli, prendendole un po’ più gentilmente il viso tra le mani, mentre lei gli scostava con una mano una ciocca di capelli scuri dal viso. Aveva le guance arrossate per al foga del momento, e la pelle umida sembrava amplificare ogni tocco ed ogni sensazione.

Incapace di poter aspettare anche solo un secondo di più, la sollevò per le cosce tornite e entrò il lei, facendole reclinare la testa all’indietro, mentre avvertiva le sue unghie piantarglisi nella schiena. Nonostante il dolore, non riuscì a trattenere un ringhio eccitato, mentre iniziava a muoversi.

La prese quasi con violenza, impedendole in qualsiasi modo di prendere l’iniziativa. Aumentò gradualmente il ritmo, spingendola contro di sé con le mani e assecondandola quando gli chiedeva di più. Si rese conto che era quasi giunta al culmine quando gli morse con forza una spalla, lasciandosi scappare un gemito più forte degli altri.

La raggiunse poco dopo con un ultimo ansito. Si prese una manciata di secondi per riprendere fiato poi si scostò da lei e le poggiò la fronte madida di sudore sulla sua, mentre Kaithlyn premeva le labbra morbide sulle sue, e gli passava una mano sulla schiena. Gli piacevano quelle attenzioni. Soprattutto in quei momenti, quando era più esposto e vulnerabile del solito e perdeva un po’ di tutta quella sicurezza che ostentava con il resto del mondo.

Nonostante tutto si sentiva ancora frustrato e arrabbiato. Il bruciore della sconfitta lo disturbava più del previsto, e non voleva rimettersi  pensare a nient’altro che non fosse il corpicino di Kaithlyn premuto contro il suo e le sue gambe strette intorno ai fianchi.

Ancora.

Voleva continuare a stare con lei, e a bearsi in quel turbine di sensazioni che provava quando la sentiva tremare contro il suo petto. Voleva continuare a mordere e baciare quella pelle candida e quelle labbra morbide fino all’alba, fino al giorno dopo. Fino a quando non sarebbero crollati sfiniti, sudati e ansimanti sulle lenzuola stropicciate. Non voleva che ci fosse posto per nient’altro. Era l’unico modo per evitare di pensare e di lasciarsi sopraffare da tutto l’odio che covava dentro. Era l’unico modo in cui riusciva a stare bene con sé stesso, senza sentire la fiamma della sconfitta e della frustrazione arderlo e bruciarlo dall’interno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ehm… salve.

Mi scuso enormemente per il ritardo clamoroso di questo aggiornamento ma ultimamente sono sempre a giro o a studiare come se non ci fosse un domani, quindi non ho avuto proprio tempo e mi dispiace moltissimo, cercherò di farmi perdonare!

Questo capitolo mi da l’idea di essere un po’ frammentato… per voi è lo stesso? Credete che manchi qualcosa, non so, qualche scena, dei dettagli magari e soprattutto nella parte centrale..?

Il test di Kaithlyn non l’ho inserito perché mi sembrava superfluo, dato che sappiamo esattamente come sarebbe andato!

Fatemi sapere cosa ne pensate… e se me la sono cavata in modo decente anche questa volta, soprattutto nella parte un po’ più… “hot”. È troppo lunga? Troppo dettagliata? Sto diventando noiosa? Spero sia tutto scritto in modo chiaro!

Ho cercato di “riscattare” l’adorabile caratterino di Eric, rendendolo un po’ più… Eric!(?) spero davvero di averlo fatto abbastanza imbestialito per i vostri gusti.

Anche se ho dovuto mettere da parte Kaithlyn… questo capitolo è troppo piccolo per tutti e due (?), e nel prossimo faranno fuoco e fiamme, quindi ho preferito non andarci troppo pesante, perché non volevo renderlo caotico! Aspetto i vostri commenti,  che mi riempiono sempre di entusiasmo e mi spronano a proseguire..

Ad ogni modo, voglio ringraziare immensamente tutti quelli che leggono… anche se vorrei far notare, e vi giuro che mi sento una rompiscatole di proporzioni epiche, che ci sono una trentina di persone, almeno secondo il “contatore” delle visualizzazioni che si sono perse il settimo capitolo! (E’ impazzito anche lui, come me?)

Passiamo a ringraziare tutte le fantastiche ragazze che hanno recensito, letto, o inserito tra preferiti/seguite/ricordate! Se mi dimentico di qualcuno, ditemelo, sono un po’ distratta ultimamente.

Ringrazio moltissimo Lisa21, Kaimy_11 e Adeus per le recensioni… è sempre bello sapere cosa pensa chi legge la storia e capire come vengono resi i personaggi!

Ringrazio anche  soco amaretto lime e LoveFandom22 che hanno inserito la storia tra le seguite;  ringrazio DarthGiuly, Ozzy99, clay_prior e Kira_Iris per averla inserita tra le preferite.. non so che dire, se non grazie mille! Sono davvero entusiasta che la storia vi piaccia!

Per finire, voglio ringraziare LoveFandom22 per aver inserito la storia, oltre che tra le seguite, anche tra le ricordate!

Spero davvero di riuscire ad aggiornare presto e di non farvi aspettare nuovamente così tanto, prometto di darmi una smossa a sistemare il decimo capitolo!

Per chi ne ha voglia, ricordo la mia pagina facebook, dove inserisco le anticipazioni delle storie o dei progetti che ho in cantiere e che non sono stati ancora pubblicati:
https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?ref=aymt_homepage_panel

 

Alla prossima, e scusate ancora!

Kaithlyn.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Vi avviso subito: aggiornamento chilometrico, ma potevo fare di peggio! Spero apprezziate comunque.

 

Capitolo 10

 

 

 

Aprì lentamente gli occhi, trovando Eric ancora profondamente addormentato; la sera prima, dopo essersi fatti sopraffare nuovamente dall’eccitazione nella vasca, aver allagato il bagno ed essersi dati una sciacquata lei era stata portata praticamente di peso in camera, dove si erano rotolati sotto la trapunta fino a quando Eric non era crollato, stravolto, a pancia in giù sul materasso. Da quel momento stranamente, dato che in genere non stava fermo nemmeno quando dormiva agitato da chissà quali incubi, non si era più mosso di un solo centimetro e il respiro regolare le faceva intendere che fosse ancora profondamente addormentato.

Si girò pigramente a pancia in giù, ancora priva d’indumenti dalla sera prima, e infilò un braccio sotto il cuscino mentre si scostava i capelli che le coprivano il viso.

Provò a stiracchiare i muscoli, girandosi sulla schiena e allungando gambe e braccia in un movimento simile a quello di una gatta. Si aspettava di sentire dolore per il combattimento avuto con Eric due giorni prima, ma l’unica cosa che percepì fu un senso d’indolenzimento quasi piacevole, lo stesso che poteva provare dopo un allenamento particolarmente inteso e appagante.

Appunto…

Si rigirò ancora, ritrovandosi con la metà destra del corpo sopra il fianco di Eric. Gli spostò i capelli dalla guancia, assicurandosi che dormisse; poi, un po’ per noia un po’ per cominciare al meglio la giornata, iniziò a mordicchiargli una spalla tracciando distrattamente dei ghirigori sulla pelle del ragazzo e seguendo con studiata non curanza il percorso tracciato dalla colonna vertebrale.

Eric mugolò, prima di alzare la testa dal cuscino e guardarla assonato con l’espressione di chi non ha ben chiaro cosa stia succedendo, ma comunque apprezza.

Eric fece ricadere la testa sul cuscino, mentre lei lo stuzzicava distrattamente; continuò per qualche minuto, scendendo e risalendo con le labbra e con i denti lungo il braccio muscoloso e coperto di tatuaggi di Eric, finché, evidentemente stufo di essere stuzzicato, non la spinse con la schiena sul materasso e le rotolò sopra, con il chiaro intento di riprendere da dove avevano interrotto poche ore prima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si alzò di scatto dalla sedia, esasperata, dopo essersi passata pesantemente una mano sul viso. – Me ne vado, non ti sopporto più! – annunciò, spostando la sedia con un piede e dirigendosi a passo di marcia verso la stanza di Eric per recuperare le sue cose.

Era tutta la mattina che continuava a inveire contro Quattro, Ruba Bandiera e il resto del mondo. Niente di nuovo, certo, e lei per un po’ aveva anche provato, sul serio, a fare la ragazza comprensiva. Sfortunatamente, non aveva mai avuto pazienza per l’autocompatimento o per le lamentele in generale, ed essere resa partecipe dell’odio nero che il suo ragazzo provava tutto ciò che la circondava, tra l’altro dopo aver passato la sera prima e buona parte della notte a rotolarsi sotto le coperte con lei, fermandosi solo per bere spumante e sonnecchiare, la disturbava e non poco. Che vitaccia, povero Eric…

Tanto impegno per nulla, e lei continuava ancora ad ascoltare i “consigli” di quell’imbecille patentato del suo amico Jason… o la sua situazione psichica era peggiorata inesorabilmente, oppure era più dura di comprendonio di quanto lei stessa non credesse.

“Sii più carina Kaithlyn, cerca di essere un po’ più comprensiva!”

Certo, per poi ritrovarsi alla disperata ricerca di un paio di tappi per le orecchie per non ascoltare l’autocompatimento del suo ragazzo, o in alternativa degli occhiali con disegnati un paio di occhi azzurri, per schiacciare un pisolino mentre lui continuava a inveire contro tutto il mondo e rimpiangere di non aver insistito per il licenziamento di Quattro l’anno prima.

Infilò con rabbia la biancheria che indossava la sera prima nel borsone ringhiando per l’irritazione che, in quel caso, aveva anche un nome, un cognome e un volto ben preciso.

Quando ebbe finito, afferrò i manici di stoffa del borsone e se lo buttò su una spalla. Era pesante e probabilmente avrebbe dovuto infilarci la roba con un pizzico in più d’accortezza per evitare che esplodesse, ma in quel momento aveva solo voglia di dileguarsi e mettere quanta più distanza possibile tra se stessa e il pessimo umore del suo ragazzo.

Non era il comportamento che avrebbe dovuto avere una ragazza nei confronti dell’orgoglio ferito del proprio uomo, ma lei era fin troppo scarsa in quel genere di cose e, alla fine, avrebbe sicuramente finito per peggiorare la situazione litigando furiosamente con lui.

Sentì dei passi provenire dall’altra stanza; evidentemente Eric si spostato dalla cucina all’ingresso in attesa che facesse la sua ricomparsa. – Perché tanta fretta? – la voce le arrivò leggermente più alta del normale, ma apatica e senza inclinazioni di tono particolari.

Si affacciò all’ingresso, i capelli già legati in una coda alta e lo sguardo corrucciato. – Scusami tanto ma non ho la benché minima voglia di sentire le tue lagne da adolescente paranoico e frustrato, Eric. Che, detto tra noi, stanno diventando patetiche e ridicole, e te con loro! – sbottò sprezzante, evitando accuratamente il suo sguardo e rientrando nell’ingresso; sapeva di starsi addentrando in un terreno pericoloso, ed era anche perfettamente consapevole che, con quelle parole, aveva deliberatamente toccato dei nervi molto più che scoperti.

Non si stupì del gelo che calò sulla stanza. Okay, forse aveva un pochino esagerato, ma davvero non sopportava quando faceva così. Non riusciva a nemmeno a guardarlo, quando si autocommiserava per quelle scemenze.

Avrebbe dovuto provare l’impulso di… consolarlo?

Poteva darsi, ma l’unico istinto che sentiva in quel momento, e che probabilmente avrebbe messo in pratica se avesse alzato gli occhi su di lui, era quello di prenderlo a schiaffi.

Aspettò che lui facesse o dicesse qualcosa, o semplicemente che si alzasse e uscisse sbattendo la porta, ma lui non fece assolutamente nulla se non irrigidirsi e seguirla con lo sguardo fino a quando non si sedette sul divano.

Sentì Eric camminarle silenzioso alle spalle, fermarsi dietro di lei e, lo sapeva, fissarla. Non aveva paura di lui, assolutamente, ma quando faceva così, doveva dargli atto di essere piuttosto inquietante.

Passarono alcuni secondi in quella posizione: lei seduta, una scarpa da allacciare e l’altra ancora abbandonata ai piedi del divano, e lui che le incombeva alle spalle. Sapeva che la stava fissando, e la cosa cominciava a diventare piuttosto irritante.

Finì di allacciarsi lo stivale e afferrò l’altro. – Che c’è?! – sbottò, girando la testa per guardarlo.

Per un attimo rimase in silenzio, inchiodata lì dov’era da quegli occhi grigi freddi come ghiaccio e pieni di risentimento e rabbia. Non fece in tempo a fare nulla, se non scoccare un’occhiata ostile a Eric, che fu afferrata bruscamente per un braccio e alzata per poi ritrovarsi a due centimetri dal suo naso.

- Non provarti mai più o l’unica cosa ridicola che vedrai sarà il tuo riflesso allo specchio quando avrò finito con te. E ora sparisci. – le sibilò sulle labbra, la voce talmente bassa e spaventosa che, per un secondo, le sembrò quasi si sentire un brivido attraversarle la schiena.

Si strattonò dalla presa di Eric e si ricompose. – Mi minacci? Non ci dormirò la notte, Eric... ora sì, che mi converrà dormire con un occhio aperto! – disse ironicamente, consapevole di quali tasti dolenti colpire per farlo imbestialire. Sapeva che Eric non sopportava, come lei d’altronde, non essere preso sul serio ma quando iniziava a montarla la rabbia e l’irritazione non riusciva proprio a tenere a freno la lingua.

Si rendeva conto di essere anche crudele, alle volte.

Regnò il silenzio per qualche altro interminabile istante, durante il quel la stanza si riempì di frizzante tensione, come se si trovassero entrambi davanti a una bomba da disinnescare, pronta a esplodere da un momento all’altro ma fossero indecisi su quale filo recidere per evitare la catastrofe.

- E siccome ti piace tanto, - iniziò alle sue spalle la voce di Eric, bassa e sibilante come una lama. – la prossima volta che ne hai voglia vai a farti scopare da Quattro, almeno non dovrai sorbirti le lamentele di nessuno dopo. –

Filo sbagliato.

Si alzò di scatto, furiosa e decisa a prenderlo a schiaffi ma Eric fu più veloce e prima che la sua mano riuscisse a colpirlo in viso, le aveva afferrato il polso e le aveva abbassato forzatamente il braccio. Provò a divincolarsi, ma era tutto inutile: fisicamente le era troppo superiore e ogni tentativo di liberarsi sarebbe stato vano, salvo che lui non decidesse si lasciare la presa.

Sibilò soffocando un ringhio, mentre sentiva la presa aumentare sul suo polso. Avrebbe potuto spezzarglielo se avesse voluto, e lei non avrebbe potuto fare niente per evitarlo. Così come non poteva evitare il dolore che si stava fastidiosamente propagando da poco sotto il polso, dove c’era la mano di Eric, a tutto il resto del braccio.

Poteva fare il duro e lo schizzato quando voleva, ma non avrebbe ottenuto nessuna soddisfazione da lei. Mai.

Eric inclinò leggermente il braccio costringendola a indietreggiare verso il divano, e quando fu abbastanza vicina, la spinse con un gesto di stizza facendola inciampare e cadere all’indietro.

Poi, sempre senza proferire parola, le mise le braccia ai lati della testa, intrappolandola in una gabbia di muscoli d’acciaio senza lasciarle via di fuga: se avesse voluto andarsene, avrebbe dovuto spostarlo di peso ed era cosciente di non avere forza a sufficienza nelle braccia; non poteva competere, non con tutti e novanta i chili di muscoli che aveva a disposizione il suo ragazzo. Un conto era un combattimento in piena regola, dove contava anche la tecnica e l’esperienza, un altro era ritrovarsi in quella situazione.

Nonostante si trovasse in evidente svantaggio, non aveva la benché minima voglia di abbassare lo sguardo; restarono a fissarsi in cagnesco, lei seduta sul divano e con la testa intrappolata tra le braccia di Eric, e lui con il viso a pochi centimetri da quello di lei che la fissava con espressione nuovamente vuota a priva di emozioni, anche se poteva quasi vedere la rabbia iniziare a montargli dentro, mentre piantava le dita nello schienale del divano.

Incrociò le braccia sul petto e assunse un’aria scocciata e annoiata, sapendo di irritarlo ulteriormente.

Eric staccò una mano dallo schienale del divano e nonostante i suoi tentativi di scansarlo, riuscì a prenderle il viso con una mano e a tenerla ferma mentre le guardava con uno sguardo traboccante di disprezzo, rabbia e… qualcos’altro. - Non ci riprovare nemmeno… - gli intimò, tirandogli uno schiaffo sulla mano che le teneva fermo il viso, mentre lo guardava minacciosamente. Forse era un atteggiamento da incoscienti; chiunque, vedendo l’espressione furibonda che aveva preso possesso del viso di Eric, avrebbe fatto un passo indietro e si sarebbe ritirato dal campo di battaglia in buon ordine. Faceva paura, con quell’espressione feroce dipinta sul viso, mentre raddrizzata la schiena sovrastandola in tutto il suo metro e novanta con l’intento di farla sentire ancora più piccola di quanto già non sembrasse accanto a lui.

Peccato che non fosse il tipo che si faceva impressionare da muscoli e ferocia… apprezzava comunque il tentativo.

Si alzò di nuovo, ritrovandosi con il naso a due centimetri suo petto, ma non indietreggiò; si limitò ad alzare gli occhi e a restituirgli la stessa occhiata feroce che aveva lui.

Passarono alcuni secondi a guardarsi in cagnesco poi, senza darle il minimo preavviso Eric la scansò e si diresse lentamente verso la porta d’uscita, la aprì e le fece cenno di andarsene mentre rivolgeva lo sguardo verso l’ingresso evitando accuratamente di guardarla.

Stringendo i denti per l’irritazione afferrò il suo borsone, lasciato abbandonato sul pavimento, e oltrepassò la porta d’ingresso senza degnarlo di uno sguardo.

- Ecco, brava. Ora vai dal tuo amichetto idiota, almeno puoi fare la stronza senza essere disturbata. Almeno in quello sei brava, no? – lo sentì inveire, alle sue spalle, la voce bassa e cupa tremante di rabbia.

Kaithlyn cercò di mordersi la lingua, invano. – Mai quanto lo sei te nel piangerti addosso. Dovresti consolarti: meglio secondi che ultimi, no? -.

Si pentì un secondo dopo di aver dato fiato alla bocca, ma era troppo tardi.

L’espressione di Eric si svuotò per un attimo, come se tutte le emozioni fossero state spazzate via da una secchiata d’acqua gelida. L’ultima cosa che vide, prima che le fosse sbattuta la porta a un centimetro dal naso, fu Eric con la stessa espressione ferita e arrabbiata di chi riceve conferma ai propri peggiori sospetti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Discutere con Kaithlyn era come parlare con un muro in cemento armato particolarmente resistente, e non si aspettava certo che capisse o che addirittura lo ascoltasse. Lei era sempre stata l’eccellenza in tutto; negli Intrepidi come iper-precoce tiratrice scelta, così come negli Eruditi come brillante e promettente studentessa. Sembrava quasi che potesse aspirare a diventare Capofazione, un giorno, almeno dalle voci che giravano nel Quartier Generale degli Eruditi. Era sempre stata giusta in qualsiasi cosa si cimentasse, che andasse dal centrare un bersaglio da distanze improponibili per altri, all’impararsi a memoria immensi tomi di scienze.

Sospirò, facendo sibilare l’aria tra i denti mentre si sentiva nuovamente infiammare dalla rabbia.

Non poteva capire. Non poteva assolutamente capire cosa significasse sentirsi sbagliato per sedici anni o sentirsi ripetere come in un disco rotto e riascoltato migliaia di volte che qualsiasi cosa facesse, non andava bene. Quando si era trasferita lei, due anni prima di lui, ricordava che si era alzato un gran polverone: la promettete e geniale unica figlia femmina di Jonathan Evenson, primario dell’ospedale di Chicago, aveva scelto il coraggio al posto dell’intelligenza. Gli Eruditi erano furiosi ma il padre di Kaithlyn, da quel che sentiva raccontare la sera a cena dai genitori, non si era scomposto più di tanto, anzi: sembrava fosse piuttosto soddisfatto della scelta della figlia e la appoggiasse in pieno, come aveva fatto per tutti e sedici gli anni che la ragazza aveva trascorso tra gli Eruditi.

Il discorso, per quel che riguardava lui, era piuttosto diverso: a nessuno dei suoi era importato più di tanto cosa avesse scelto o perché. Da momento in cui il suo sangue aveva toccato i carboni ardenti degli Intrepidi, ne era certo, era stato automaticamente cancellato dalle esistenze dei suoi genitori e di suo fratello. Se non altro, senza di lui tra i piedi, sarebbero stati una perfetta famiglia di Eruditi e William, lo sapeva, sarebbe diventato uno studioso o un chirurgo o qualsiasi altra cosa che comportasse l’ammazzarsi di studio e che avrebbe riempito d’orgoglio i genitori, senza avere tra i piedi il fratello problematico e scalmanato.

Con ogni probabilità la sera stessa della Scelta sua madre aveva raccolto le sue cose dalla stanza che divideva con il fratello e aveva acceso un bel falò crepitante davanti al condominio, dove abitavano, per dimenticarsi dell’unica pecca della sua perfetta esistenza di Erudita. Forse sarebbe stata davvero più contenta se suo padre gli avesse lasciato il cordone ombelicale stretto intorno al collo. Si sarebbe risparmiata un sacco di problemi, e avrebbe comunque avuto il “figlio perfetto” a cui stare dietro, tanto uguale a lui nell’aspetto, quando diverso nel carattere.

Quello che, anche se faticava ad ammetterlo perfino a se stesso, l’aveva ferito di più non era stata la totale mancanza d’interesse nel sapere se fosse ancora vivo o meno dei suoi genitori. Quello era il meno, se pensava al fatto che suo fratello l’aveva cancellato come nulla fosse nemmeno due secondi dopo la loro definitiva separazione.

Non aveva mai reso la facile a Will, e nell’ultimo periodo che aveva passato tra gli Eruditi, avrebbe volentieri rimosso ogni legame che aveva con quella fazione con un paio di forbici, se avesse potuto, ma non era mai riuscito a staccarsi completamente da lui. Non sul serio e non definitivamente.

Fece una smorfia, maledicendosi per quei pensieri degni di un Pacifico appiccicoso e lagnoso della peggior specie. Andarsene dagli Eruditi era stato solo ed esclusivamente un immenso sollievo, sia per lui sia per il resto della famiglia Turner, ed era inutile rimuginarsi sopra.

Alla fine, stava bene anche così ed era inutile lagnarsi di quanto fossero stati Eruditi i membri della sua famiglia nel lasciarlo perdere una volta che aveva abbandonato la fazione dei cervelloni. Come se, tra l’altro, non avesse reso evidenti le sue intenzioni da quando aveva iniziato a gattonare.

Tirò un calcio al muro, frustrato: non sopportava nemmeno di fare certi pensieri e in quel momento sentiva la voglia prorompente di spaccare qualcosa. Si prese la testa tra le mani, cercando di riacquistare il controllo per non doversi sfogare di nuovo sulle proprie nocche, come faceva ogni volta che sentiva la rabbia montargli esponenzialmente dentro ad ogni secondo che passava e perdeva il controllo sulle sue azioni. Quando gli capitava di lasciarsi sommergere dalla rabbia e dell’odio che covava dentro, non riusciva proprio a fermarsi; non fino a quando lo scatto d’ira non diminuiva d’intensità, senza tuttavia sparire mai del tutto, e lui riusciva a prevalere sulla parte più ingestibile del suo carattere.

Era tutta colpa di Kaithlyn, se si ritrovava a fare certe riflessioni da idiota in quella situazione. Anzi, la era colpa sua che prendeva per buono tutto quello che usciva da quella boccuccia.

Era un’imbecille, perché avrebbe dovuto essere furioso con lei, mandarla al diavolo e fregarsene di quelle uscite infelici ma non ci riusciva. Come non riusciva a provare la stessa furia cieca che avrebbe provato verso chiunque altro.

Maledizione.

Ma non avrebbe lasciato correre, questa volta. Lei sapeva quando si maledicesse per quel secondo posto in classica, che non mancava mai di ricordargli sarebbe potuto essere il primo, eppure aveva dato comunque fiato alla bocca consapevole di dove andava a colpire.

Al diavolo.

Con un ultimo gesto di stizza uscì da casa e si diresse silenzioso come un’ombra verso la palestra, sperando che quella giornata finisse il prima possibile e che gli iniziati non avessero in programma di farlo irritare più di quanto già non fosse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Perché mi stai fissando in quel modo? – sibilò tra i denti, mentre aumentava il passo per seminare Jason e la sua presenza molesta.

D’accordo che era stata impulsiva e non aveva pensato alle parole che gli stava dicendo, ma questo non significava che, solo perché l’aveva mortificato, Eric avesse ragione.

Giusto?

Si passò una mano tra i capelli, mentre si dirigeva di malavoglia in palestra per assistere all’esercitazione di tiro con i coltelli. Avrebbe preferito starsene per conto suo, magari tirare qualche pugno al sacco da box, o fare una sessione intensiva al poligono piuttosto che ritrovarsi nella stessa stanza con Eric, Quattro e quel gruppetto d’idioti, ma non poteva lasciarli soli. Eric, ne era certa, avrebbe volentieri piantato un coltello in mezzo agli occhi a iniziati e istruttore se gli si fosse presentata l’occasione giusta. E a lei era stato affidato l’ingrato compito di impedire che accadesse una cosa del genere.

- Non ti sto guardando in nessun modo, Kaithlyn. Dico solo che forse hai un pochino esagerato, dato che conosci il soggetto. Poi, per quel che mi riguarda, siete liberissimi di scannarvi anche tutti i giorni se vi fa piacere. – le assicurò mentre finiva di masticare, alzando le mani che reggevano altri due muffin, come per tirarsi fuori dalla situazione.

Sbuffò infastidita, mentre girava nel corridoio che conduceva alla palestra sperando che a nessuno venisse la pessima idea di farla innervosire, perché avrebbe potuto dare seriamente il peggio di se stessa quella mattina.

Sentiva il rumore dei passi di Jason seguirla, e quando percepì che stava per aprire bocca di nuovo, si girò di scatto verso di lui. – Ascoltami… e ascoltami bene perché non ho la minima intenzione di ripetermi: non ho bisogno della baby-sitter, né tanto meno di una predica, d’accordo? Ora, se non ti dispiace, dovrei andare a palestra, mentre tu puoi tranquillamente andare a pomiciare da qualche parte con quella… quella! – sbottò, istericamente, tormentandosi nervosamente le mani e guardandosi intorno come se stesse cercando qualcosa, o qualcuno, da prendere a pugni.

Jason l’afferrò per un braccio e la trascinò verso la parete del corridoio in pietra costringendola a mettersi a sedere per terra. La cosa positiva è che non c’era nessuno tra i piedi, quella negativa era che probabilmente voleva parlare. Ancora.

Gli avrebbe incollato la bocca nel sonno, prima poi.

Kaithlyn incrociò le braccia, contrariata e imbronciata. Com’è che tutti, quella mattina, si sentivano autorizzati ad approfittare del fatto che fosse leggera e “maneggevole”, come le ricordava spesso Eric, per spostarla a piacimento? Avrebbe dovuto mettere in chiaro un paio di punti, più tardi.

Fu Jason a rompere il silenzio, mentre le porgeva un muffin. – Ti senti in colpa? – le chiese, fissandola in modo strano da sopra la sua spalla.

“No”, avrebbe voluto dirgli di getto, ma si trattenne.

Si sentiva in colpa?

Nì.

O forse sì, dato che in vita sua si era sentita in colpa talmente di rado, da non essere sicura di sapere come riconoscerla.

Da una parte sapeva che arrabbiarsi e farlo sentire in secondo piano era uno dei pochi modi per spronare Eric a dare il meglio di sé, dall’altra però si rendeva conto di aver esagerato a perdere le staffe per così poco, data la sua rinomata rivalità con Quattro.

Fece una smorfia scocciata e appoggiò la testa alla parete, circondandosi le ginocchia con le braccia mente fissava con astio il soffitto, come se il poco promettente inizio della giornata fosse colpa sua.

Jason sembrava ancora aspettare una risposta, anche se continuava a guardarla come se avesse già capito cosa le passava per la testa.

Il che probabilmente era vero, dato che era una delle poche persona che potesse affermare di conoscerla abbastanza bene.

Scosse un po’ la testa, storcendo le labbra. – Potrei… –

Jason inarcò un sopracciglio biondo, come se si aspettasse una risposta un po’ più esaustiva e continuò a fissarla, gli occhi verdi più riflessivi del solito.

- Se volessi... – aggiunse Kaithlyn, tirando un morso al muffin mentre si alzava e si dirigeva, finalmente, verso la palestra.

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Jason sorrise un po’, mentre guardava la chioma rossa di Kaithlyn girare l’angolo e sparire alla sua vista.

L’avrebbe sistemata lui, quella sera. Che a lei piacesse o no.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Appena entrata in palestra, lanciò il suo borsone a terra in un gesto di stizza, fulminando sul posto Quattro e lanciando un’occhiata di fuoco a Eric che sembrò preferire ignorarla, mentre metteva il bersaglio per il lancio dei coltelli in fondo alla stanza.

Chiunque si sarebbe potuto accorgere che era di pessimo umore, persino da lontano: bastava guardare la tensione e il nervosismo con cui si muoveva e la rigidità della postura.

Idiota.

Sistemò le sue cose, prese il computer e si mise a lavoro seduta sul tavolo di lato alla porta. Sentiva gli occhi di Eric fissarla, a momenti, ma non lo degnò d’attenzione. Era ancora troppo arrabbiata per farlo, e meno stavano in contatto l’uno con l’altra meglio sarebbe stato per tutti i presenti.

Passarono alcuni minuti in silenzio, durante i quali gli unici rumori furono i passi di Quattro ed Eric sul pavimento e le sue dita che battevano rapidamente sulla tastiera del computer.

Il silenzio fu rotto poco dopo dal gruppetto d’iniziati che varcò la soglia, parlottando tra loro nonostante le espressioni assonnate.

Eric si era messo al centro della palestra, la postura talmente rigida che sembrava diventato di pietra.

- Domani sarà l’ultimo giorno del primo modulo. Riprendere i combattimenti più tardi. Stamattina imparerete a colpire un bersaglio. Ognuno prenda tre coltelli. – lo sentì spiegare, con la voce più cupa del solito. – E prestate attenzione a Quattro, che vi mostrerà la tecnica corretta per lanciarli. –

Gli iniziati restarono fermi, come se stessero aspettando qualche indicazione in più sulla nuova esercitazione.

Patetici imbecilli.

- Adesso! – ringhiò Eric, al loro indirizzo.

Gli iniziati parvero riscuotersi dal torpore e si diressero verso di lei per prendere i coltelli che erano ammassati accanto alle sue gambe stese in avanti.

Alzò gli occhi al cielo, notando l’occhiata omicida che il suo ragazzo riservò a Quattro mentre gli dava le spalle.

Quattro iniziò la mostrare la tecnica corretta per lanciare per colpire il bersaglio, anche se, secondo il suo modestissimo parere, avrebbe dovuto essere un po’ meno rigido.

Si rendeva conto di avere dei seri problemi per quanto riguardava la concezione dell’insegnamento, ma dovette sforzarsi seriamente per evitare di alzarsi, strappare i coltelli di mano a Quattro e mostrare agli iniziati come si colpiva un bersaglio. O un Capofazione. O un istruttore particolarmente ombroso, a seconda di come si sarebbe sentita una volta appropriatasi dei coltelli.

Non che Quattro non stesse facendo un buon lavoro: era stato chiaro, paziente e aveva ripetuto il movimento più volte. Lei probabilmente non l’avrebbe fatto.

- Allinearsi! – sbraitò Eric, facendo rimbombare la voce in tutta la palestra.

Tutti i presenti si affrettarono a mettersi l’uno accanto all’altro per iniziare l’esercitazione, mentre lei si massaggiava le tempie cercando di trovare la calma necessaria per assistere a quello che, lo sapeva, sarebbe stato un lungo interminabile scempio.

- Mi sa che la Rigida ha preso troppe botte in testa! –

Alzò la testa e cercò con lo sguardo il disgraziato che aveva osato aprire bocca.

Peter Hayes se ne stava poche posizioni più in là rispetto a Tris, un sorriso beffardo dipinto sul bel volto; probabilmente essere l’unico imbattuto oltre a Edward gli aveva dato un po’ alla testa. Avrebbe trovato un modo per fargli passare la voglia di fare lo splendido ad ogni occasione propizia. Magari, invece che lasciarlo solo con Quattro, avrebbe potuto dimostrargli che la sua pessima fama d’istruttrice terribile era del tutto meritata. Poi sì, che gli sarebbe passata la voglia… l’unica consolazione era che, con ogni probabilità, le avrebbe prese di santa da ragione da Edward che fino a quel momento era l’iniziato migliore del corso insieme a Lynn ed Uriah.

- Ehi Rigida, hai presente cos’è un coltello? –

Ehi Peter, hai presente la tua faccia spiaccicata sul pavimento della palestra e il tuo punteggio in classifica dimezzato? No? Aspetta che poniamo subito rimedio.

Tris lo ignorò, probabilmente decisa a non dargli alcun tipo di soddisfazione, mentre Eric camminava a passi rapidi dietro gli iniziati.

Se avesse continuato a marciare in quel modo e a quella velocità, oltre che a consumare il pavimento della palestra, non avrebbe potuto correggere proprio un bel niente.

Studiò Tris: aveva lo sguardo concentrato di chi sta cercando di ignorare ciò che gli sta intorno, mentre continuava a ripetere i movimenti che aveva mostrato poco prima Quattro.

Stava quasi per alzarsi e andare a farle notare che, se voleva ottenere qualche risultato, le conveniva lasciare andare il coltello, ma non ce ne fu bisogno: due secondi dopo, il coltello di Tris, dopo un giro di centoottanta gradi, colpì il bersaglio. Non si piantò, ma fu la prima a colpire quella stramaledetta sagoma.

La vide compiacersi del risultato, mentre Peter sbagliava ancora il suo lancio. – Ehi, Peter! Hai presente un bersaglio? –.

Se non altro era dotata di più senso dell’umorismo rispetto a Quattro che non aveva mai udito dire una battuta in due anni. Non che lo frequentasse o gli avesse mai dato motivo di fare lo spiritoso.

Venti minuti dopo si ritrovò a sperare che arrivasse un fulmine e bruciasse all’istante quel posto. Controllare l’impulso di alzarsi e correre a giocare a tiro al bersaglio con gli iniziati stava diventando davvero impossibile, e l’unica soluzione che era riuscita a trovare per regolarsi e tenersi impegnata consisteva nel rimbalzarsi occhiate ostili con Eric da una parte all’altra della stanza. Quattro se ne stava da una parte, le braccia incrociate e lo sguardo impenetrabile se non per l’alone di stanchezza che sembrava appesantirlo.

- Possiamo rivedere la posizione corretta per il lancio? – chiese arrogantemente una voce, mentre l’ennesimo coltello andava a sbattere tra le due linee più esterne del bersaglio.

Non indagò nemmeno su chi si trattasse, perché se avesse saputo chi aveva appena aperto bocca l’avrebbe appeso per gli alluci al soffitto o, eventualmente, alla ringhiera dello strapiombo ed Eric gli sarebbe pensato solo un simpatico coniglietto pasquale, in confronto a quello che gli avrebbe fatto lei.

Si spinse giù dal tavolo e raggiunse la fila degli iniziati a passi lenti e misurati, mentre nella stanza calava il silenzio più assoluto. Sentiva gli occhi dei presenti puntati su di lei, e se ne compiacque: a quanto pareva, i due anni di semi inattività nell’istruzione degli iniziati, non l’avevano resa meno inquietante agli occhi di quei ragazzini esaltati.

Nonostante non volesse sapere chi aveva parlato, gli occhi di tutti puntavano su Drew, tra Peter e Edward. Arrivò davanti all’iniziato senza degnare di un solo sguardo il resto dei ragazzi, e lo squadrò con un’espressione fintamente comprensiva.

- Quale sarebbe il problema, Drewy?– gli chiese aggiustandogli la giacca con una mano, mentre teneva l’altra dietro la schiena. – Non ti sei lavato per bene le orecchie, stamani? –.

Drew arrossì e strinse le labbra, forse nel tentativo di non dare inutilmente fiato alla bocca in quanto ex Candido. - Voglio rivedere la posizione per lanciare i coltelli. Siamo qui per imparare, e voi dovreste insegnarci, giusto? –ribatté con un po’ troppa spavalderia, alzando il mento e guardandola con quella che avrebbe dovuto passare per un’espressione decisa.

Povero idiota.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella palestra l’aria era già tesa a causa della presenza sua e di Eric, e non c’era di certo alcun bisogno che ci si mettesse anche Kaithlyn. Eppure, mentre la guardava avanzare minacciosamente verso Drew, non poté fare a meno di sentirsi vagamente compiaciuto.

Era proprio vero che trovarsi dalla parte del manico rendeva le cose completamente diverse. In quel momento non sentiva più la preoccupazione invaderlo, mentre la guardava fermarsi a pochi passi dal ragazzo e riservagli un’occhiata tutt’altro che gentile.

Kaithlyn spostò il peso su una gamba, in una posa più rilassata, anche se sospettava che fosse solo per far innervosire tutti i presenti. Non era mai un buon segno quando si comportava in modo cosi… affabile.

Si aspettava, dopo la risposta arrogante che si era permesso di rifilarle, di vedere Drew rotolare dolorante per terra da un momento all’altro, ma non accadde.

- Mi spiace… il tuo istruttore è stato poco chiaro? – chiese dolcemente Kaithlyn stirando le labbra in un sorriso e inarcando le sopracciglia in un’espressione comprensiva.

Quattro sentì un brivido corrergli lungo la schiena.

Inquietante. Quell’atteggiamento non anticipava nulla di buono. Non per Drew, almeno.

Passarono alcuni secondi di silenzio, durante i quali Eric, poco distante da lui, giochicchiò distrattamente con uno dei piercing al labbro lanciando occhiate fugaci alla scenetta che si prospettava davanti a loro.

Strano. Conoscendo il soggetto si aspettava di vederlo tirare fuori un blocchetto di fogli e prendere appunti su come terrorizzare gli iniziati. In quella Kaithlyn era decisamente insuperabile.

- Rigida, quanti coltelli hai in mano in questo momento? – chiese improvvisamente Kaithlyn, mantenendo lo sguardo fisso su Drew.

Tris parve esitare, forse preoccupata da cosa avrebbe comportato una risposta sbagliata, ma poi si fece evidentemente coraggio. – Tre. – rispose, schiarendosi la voce per rendere il tono più chiaro, mentre si rigirava le armi tra le mani.

Per tutta risposta Kaithlyn allungo distrattamente una mano di lato, in un chiaro invito a depositare i coltelli sul suo palmo aperto.

In un primo momento gli sembrò che Tris non avesse afferrato ciò che le era stato chiesto, perché si guardò intorno con un grosso punto di domanda dipinto in fronte; Kaithlyn voltò nuovamente leggermente la testa verso di lei. – Sto aspettando, non ho tutto il giorno. – borbottò, lasciando la frase parzialmente in sospeso.

Nel tentativo di aiutare Tris, che giustamente non leggeva nel pensiero e non conosceva abbastanza bene chi aveva davanti, le fece un cenno d’incoraggiamento con il capo, facendo attenzione a non farsi notare né da Kaithlyn né tantomeno da Eric. Un lampo di comprensione attraversò il viso di Tris mentre si sbrigava a depositare le tre armi nel palmo della sua insegnate, ancora in attesa.

Kaithlyn strinse le impugnature con le dita e si rigirò i tre coltelli tra le mani, passando distrattamente le dita sulle lame come se stesse accarezzando un gattino arruffato. – Be’? – insistette l’iniziato. Aveva una voce dal tono basso e ruvido, cosa che, per quel che lo riguardava, lo faceva sembrare più sicuro di quanto in realtà doveva sentirsi.

Kaithlyn inclinò la testa da un lato e storse la bocca trasformando l’espressione comprensiva che le increspava il volto in un’altra tutt’altro che rassicurante che gli ricordo i tempi dell’iniziazione, quando c’era lui dall’altra parte e sentiva rizzarsi i capelli sulla nuca e l’aria farsi rarefatta ogni volta che lei si avvicinava. Kaithlyn era bassina e piuttosto magra, quindi era anche leggera e farse da sollevare, quindi tecnicamente non avrebbe dovuto essere una grande minaccia… ma, forse condizionato dal fatto di aver appreso quello che sapeva da lei, non si sarebbe mai sognato di farci a pugni o di mettersi al voi con un elemento del genere.  

Senza dare nessun cenno di preavviso, Kaithlyn si girò rapidamente verso il bersaglio e scagliò, uno dopo l’altro, i tre coltelli in tre movimenti fluidi.

Dopo il sibilo delle lame che avevano fenduto l’aria, calò un silenzio ancora più raggelante carico di disagio. I coltelli erano piantati per metà nel bersaglio, tutti nel centro esatto del cerchio rosso, ed era abbastanza certo che, se fosse andato a controllare, avrebbe trovato almeno due dei tre coltelli piantati nella stessa fessura.

Quattro inarcò le sopracciglia, cercando di non far trasparire le proprie emozioni. Non si sarebbe mai arrischiato a dirlo, ma era rimasto intimamente colpito dalla precisione sconcertante di quei tre tiri improvvisati. Se gli iniziati avessero saputo tirare bene anche solo la metà della metà di quanto aveva visto fare a Kaithlyn, non avrebbero avuto problemi a risalire la classifica in un solo pomeriggio, poco ma sicuro. Sicuramente aveva capito come mai Max la tenesse tanto di conto: non aveva avuto bisogno né di mettersi in posizione né di aggiustarsi per non sbagliare il tiro, l’aveva fatto e basta e aveva la sensazione che per lei fosse stato davvero semplice come appariva a tutti i presenti. Era un talento naturale. Facile come bere un bicchier d’acqua.

- Tu fai paura! – si arrischiò a borbottare Edward, che aveva ancora tutti e tre i coltelli in mano.

Effettivamente, un po’ inquietante lo era.

Kaithlyn lo ignorò, mentre sul suo viso si dipingeva il ghigno compiaciuto di chi sa di non poter sbagliare; poi si rigirò verso Drew e gli andò talmente vicino che l’iniziato dovette fare un passo indietro.

Era più bassa di lui, ma il modo in cui lo guardava faceva quasi sembrare che lo sovrastasse, tanto erano freddi.

L’unico che non sembrava particolarmente impressionato o colpito era Eric, che si limitò a fare una smorfia scocciata e a guardare la schiena di Kaithlyn con astio, il volto incupito, perfino più del solido, da chissà quali pensieri.

Kaithlyn si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio su cui c’erano alcuni piercing. – Grazie. – commentò distrattamente, rispondendo a Edward mentre incrociava le braccia magre sotto il seno.

- Pff… -

Si voltò all’unisono con Eric verso il proprietario dello sbuffo e per una volta, condivise i suoi stessi pensieri.

Chi era l’idiota di turno?

Gli occhi di Kaithlyn si fermarono tra Peter e Drew. – Chi è stato di voi due? – sibilò, camminando lentamente tra i due e mettendosi alle loro spalle. - Allora? – ringhiò.

Entrambi fecero finta di nulla, accrescendo evidentemente l’irritazione di Kaithlyn che face un passo verso di loro, ritrovandosi quasi in linea con gli altri iniziati. – Sono contenta che finalmente vi siate potuti togliere il pannolone, che vi sia caduto l’ultimo dentino da latte e che il fatto che vi siano spuntati i peli sulle gambe vi faccia sentire capaci di qualsiasi cosa, davvero. – iniziò, in tono appena udibile da dove si trovava, ma stranamene rilassato.

- Ma se vi sento emettere un altro suono diverso dal vostro respiro, vi giuro che vi darò talmente tanti calci nel culo che per sedervi dovrete aspettare il momento della vostra dipartita. Sono stata chiara o avete bisogno di una dimostrazione pratica? – terminò minacciosamente scoccando un’occhiata verso Drew, in quel momento zitto e concentrato sul suo bersaglio.

I suoi occhi invece tornavano a guardare Tris e la sua espressione interdetta. Non sapeva come, ma ogni volta che succedeva qualcosa, si ritrovava a cercare un contatto visivo con lei, come se tentasse di stabilire una sorta di complicità.

Non era assolutamente pratico in cose del genere e non si era mai sentito particolarmente attratto da nessuna ragazza in particolare; ogni volta che Zeke riusciva a incastrarlo in qualche uscita, veniva fuori che aveva fatto o detto qualcosa di profondamente offensivo nei confronti della ragazza che l’amico gli rifilava mentre lui si dava da fare. Come se non bastasse, aveva ancora qualche problema a uniformarsi all’atteggiamento estroverso ed espansivo che caratterizzava gli intrepidi, e molte “amiche” di Zeke lo trovavano troppo serio e chiuso in se stesso. La cosa non lo turbava particolarmente, anche perché non sembrava essere l’unico ad aver problemi a relazionarsi con il resto del mondo; uno degli esempi più evidenti era appoggiato alla parete proprio a pochi passi da lui, in tutta la sua odiosità.

- Nessun altro, a parte pel di carota, ha bisogno di una rinfrescata? – domandò Kaithlyn, riacquistato il tono chiaro e pratico a cui era abituato.

Il silenzio accolse la sua domanda.

- Bene. – concluse, mentre passava dietro gli iniziati.

Si fermò dietro Tris, di nuovo intenta a lanciare il suo coltello e la squadrò mentre riprendeva posizione.

Parve essere titubante anche lei, perché si fermò e guardò l’istruttrice in attesa di un rimprovero che però non arrivò.

- Ti ho per caso detto di fermarti? Lancia! – sbottò antipaticamente Kaithlyn, dopo alcuni secondi.

Tris sembrò sforzarsi di tenere la bocca chiusa, come se avesse ingoiato un boccone particolarmente amaro. Poi si girò, si mise in posizione e lanciò, riuscendo a colpire il bersaglio mentre lui sentiva la soddisfazione farsi largo nel petto. Era stata brava, anche se dubitava che la sua ex istruttrice fosse soddisfatta... sicuramente non lo era, ma almeno non l’aveva umiliata come aveva appena fatto con gli altri due.

Kaithlyn parve riflettere un attimo su ciò che aveva visto, poi lanciò un’occhiata indecifrabile a Tris e si mise una mano sul fianco destro. – Be’, se non altro non fai parte dell’élite dello schifo più completo. È già qualcosa, Rigida. –

Dato il soggetto, quello poteva essere tranquillamente considerato alla stregua di un elogio.

Osservò Kaithlyn passare in rassegna quasi tutti gli iniziati, raddrizzare Al nella vana speranza di fargli centrare il bersaglio e guardare con un’espressione oscillante tra l’orripilato e lo sconsolato Myra.

Will e Christina se la cavucchiarono, o forse fu Kaithlyn ad accontentarsi dei risultati perché invece di commentare si limitò a fare una smorfia insofferente.

- Smettila di farli ciondolare e torna al tuo posto! Voglio che tutti abbiano imparato a colpire un maledetto bersaglio prima dell’ora di pranzo. – sbraitò Eric, poco distante da lui.

Quattro voltò la testa verso di lui. Erano tutti impazziti, quella mattina?

Da quando Eric si metteva a sindacare se Kaithlyn, alias la sua ragazza, maltrattava, umiliava o metteva in evidente difficoltà qualcuno?

A quanto pareva, non era l’unico a essere rimasto interdetto, perché anche la diretta interessata assunse per un attimo un’aria vagamente sorpresa, che venne quasi istantaneamente trasformata in un’espressione furente. Non doveva aver apprezzato il fatto di essere ripresa.

Kaithlyn lanciò un’occhiata di sufficienza nella loro direzione squadrandoli dalla testa ai piedi come se fossero in qualche modo complici e aprì bocca con il chiaro intento di ribattere a tono, ma fu interrotta dalla vibrazione del suo cercapersone abbandonato sul tavolo vicino all’entrata.

Dopo un’ultima occhiata sprezzante si diresse rapidamente verso il dispositivo ancora illuminato.

Lesse rapidamente ciò che c’era scritto, sbuffò e imprecò per poi iniziare a infilare rapidamente le sue cose nel borsone.

Quattro avvertì uno spostamento d’aria al suo fianco quando Eric gli passò davanti, senza degnarlo di uno sguardo, per andare a mettersi a braccia incrociate davanti alla ragazza, nelle immeditate vicinanze della porta.

Cercò di tendere le orecchie, per capire quello che si stavano dicendo con i visi a così pochi centimetri l’uno dall’altro, ma il rumore dei coltelli e il leggero chiacchiericcio che si era venuto a ricreare gli impedivano di distinguere le parole. L’unica cosa evidente, era che non si trattasse di una discussione pacifica: Eric sovrastava di almeno trenta centimetri Kaithlyn, e così impettito e inalberato sembrava ancora più alto e grosso del solito, mentre le ringhiava qualcosa contro.

Doveva averle detto qualcosa di veramente offensivo o che l’aveva fatta particolarmente infuriare; Eric non aveva ancora finito di parlare, che Kaithlyn aveva spalancato la bocca, non sapeva se per rabbia o per indignazione, ed era andata sotto il viso del Capofazione, furiosa.

Gli puntò un dito contro, e se fosse stata un po’ più alta i loro nasi si sarebbero toccati tanto erano vicini, mentre gli sibilava qualcosa contro. A giudicare dall’espressione irata di Eric e dai pugni stretti fino a farsi sbiancare le nocche, Kaithlyn doveva avergli rifilato una risposta particolarmente pungete e azzeccata rendendogli pan per focaccia.

Seguì la ragazza con lo sguardo, attento a non farsi vedere, mentre si voltava verso il tavolo, afferrava tre coltelli e gli schiacciava con forza sul ventre di Eric in un gesto sprezzante come a dirgli che, se era tanto bravo, poteva pensarci lui stesso a insegnare agli iniziati come lanciare i coltelli.

Eppure gli sembrava che ci fosse qualcosa di diverso sul suo viso, uno strano connubio tra rabbia e qualcosa che assomigliava, anche se non ne era sicuro, a dispiacere. O delusione. Non ne era sicuro.

Possibile?

Parve rendersene conto anche Eric perché abbandonò per un secondo la sua espressione furente e sollevò leggermente l’avambraccio come se avesse intenzione di carezzarle un braccio o una guancia. Fu solo un momento, perché quando lei sollevò gli occhi dardeggianti su di lui, lanciandogli un’occhiata di fuoco, Eric si limitò a stringere la mano a pugno e distendere il braccio irrigidito lungo il fianco mentre riacquistava la sua espressione calcolatrice e imperscrutabile.

Eric era di spalle e non poteva vederlo, ma Kaithlyn sì, e si rese conto di aver attirato troppo l’attenzione quando lei girò gli occhi azzurri verso di lui in un’occhiata a dir poco raggelante che lo inchiodò sul posto. Durò solo un secondo, talmente breve che Eric, davanti a lei, non se ne accorse nemmeno, ma fu più che sufficiente per spingerlo ad abbassare gli occhi e fargli guardare con rinnovato interesse gli iniziati e i loro, doveva darne atto alla ragazza, patetici tentativi di centrare il bersaglio.

Si forzò a non voltarsi nuovamente verso i due, fino a quando non udì la porta della palestra sbattere con forza e poté nuovamente rivolgere lo sguardo nella direzione dell’uscita dove in quel momento era rimasto solo Eric con un’espressione talmente furiosa da fargli pensare seriamente che sarebbe corso dietro Kaithlyn solo per prenderla a pugni, ma non lo fece. Forse dopo l’incontro di qualche giorno prima, che a lui era stato solo raccontato da uno Zeke molto più che esaltato, preferiva evitare di ripetere l’esperienza. O magari davvero non le avrebbe messo le mani addosso con l’intento di ferirla deliberatamente, anche se si trattava comunque di Eric.

In compenso si girò e lasciò scivolare lentamente lo sguardo sulla fila d’iniziati, soffermandosi circa a metà, mentre le labbra gli si distendevano in un ghigno tutt’altro che rassicurante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Sai, ti farebbe bene divertirti un po’. Quindi, stasera, è mio preciso compito trascinarti anche di peso alla festa. – la informò, con non curanza.

- Quale festa? – gli chiese Kaithlyn scocciata, lanciandogli uno sguardo di sufficienza.

Aveva poco da fare la sostenuta, date le sue uscite infelici con Eric. Quando c’era da fare la stronza, era incredibilmente sempre in pole position; il problema, ora, era convincerla di essere nel torto… figurati se Kath poteva ammettere di aver “sbagliato” qualcosa. O di aver esagerato. O di essere stata ingiusta. Gli sembrava un po’ un’utopia, ma doveva provarci… era uno sporco lavoro, soprattutto contando i due individui di cui si trattava, ma qualcuno doveva pur farlo, no?

La guardò sorpreso e spalancò le braccia. – Quella al Pozzo, Kath! Quale se no? – esclamò scandalizzato. Dove diamine viveva? Su Venere? Tutti sapevano della festa di quella sera e non era assolutamente possibile che lei non ne fosse a conoscenza… certo che poteva scegliersele meglio le amicizie: invece si ritrovava con un’amica con evidenti problemi relazionali e una spiccabile attitudine nel trattare come pezze da piedi tutti quelli che osavano anche solo invadere la sua “bolla d’aria”.

Chissà come aveva fatto Eric a sopravvivere così a lungo… avrebbe dovuto chiederglielo, prima o poi.

- Magari viene anche il tuo ragazzo! – provò, sperando di convincerla a partecipare. Qualsiasi ragazza normale avrebbe approfittato di un’occasione del genere per riappacificarsi con il proprio ragazzo e chiarire il proprio punto di vista, ammesso e non concesse che per Kath esistessero altri punti di vista… forse sì, ma dubitava che gli interessassero.

Kaithlyn inarcò le sopracciglia. – Vuoi convincermi o darmi ragioni in più per restarmene a casa? – gli domandò, con un sorrisetto di scherno dipinto sulle labbra.

Scosse la testa, sconsolato; come diavolo facesse quel povero ragazzo a sopportarla, era un mistero. O era molto, molto innamorato, o era dotato di molta, molta pazienza e quella seconda ipotesi gli sembrava ancora meno convincente della prima.

Bah, contento lui…

Sospirò pesantemente. Ogni volta che doveva affrontare qualcosa del genere, finiva a chiedersi cosa, esattamente, l’avesse spinto a fare amicizia con Kaithlyn. La considerava la sua migliore amica, certo, e nutriva per lei lo stesso affetto sincero e viscerale che l’avrebbe legato a una sorella, ma c’erano dei momenti in cui capiva come mai in molti l’avrebbero volentieri trasformata in un bassorilievo su una delle tante pareti in pietra della Residenza. Non condivideva, ma li capiva. Se c’era una persona, in quel posto, che sapeva essere odiosa all’inverosimile, arrogante, saccente e incredibilmente brava a umiliare gli altri, quella era Kaithlyn. Anche se ogni tanto aveva avuto anche i suoi “momenti di gloria”. Pochi, ma c’erano stati.

Forse avrei dovuto segnarmeli.

- Non voglio sentire discussioni – disse, senza lasciarle il tempo di protestare e afferrandola per un braccio, mentre iniziava a trascinarla per i corridoi in pietra. - te ora fili a cambiarti ed io ti passo a prendere alle otto e mezzo, che ti piaccia oppure no. – intimò cercando di assumere un tono che non ammetteva repliche, sperando che il massaggio fosse arrivato chiaro a destinazione e che non le venisse l’impulso improvviso di afferrare la pistola dalla fondina ed eleggerlo suo nuovissimo bersaglio mobile.

Non sarebbe stata neanche la prima volta…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Okay, *fa un bel respiro, si sfrega le mani, scrocchia le dita e riattacca a scrivere*

Dopo un mese, rieccomi. Vi chiedo scusa per il ritardo immenso, ma sono in crisi profonda per lo studio e non ho avuto nemmeno un attimo di respiro!

Il capitolo è lungo lo so, spero di non avervi annoiato e che, nonostante la lunghezza, sia valsa la pena leggere fin qui!

La cosa che mi preme di più in assoluto, è che Eric non risulti completamente rimbecillito e che resti in linea con quanto ho fatto vedere di questa mia versione finora. Nel caso non fosse così, sappiate che si riscatterà ampiamente nel prossimo capitolo.

È stato un capitolo un po’ faticoso, e lo trovo ancora un po’….com dire? Frammentario? Poco entusiasmante? Boh, non lo nemmeno io, ma voi dovreste quindi mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, belle o brutte che siano le vostre impressioni!

In questo capitolo viene citato un personaggio che più avanti avrà un ruolo piuttosto rilevante, William; che, come avrete capito, è il fratello di Eric! J

Se volete sapere qualcosa in più su di lui o sulla famiglia Turner, v’invito a leggere l’altra long che sto scrivendo Mind’s Shades in cui do la mia personale versione dell’infanzia di Eric (credo che arriverò fino al Giorno della Scelta) e degli avvenimenti che l’hanno trasformato in quello che è.

Vi segnalo come sempre la mia pagina, se vi vada passare: https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?ref=hl

Infine ringrazio Fregauncazzo, Didi_Salavtore, rosalalla e mcfm210111 per aver inserito la storia tra le seguite; Didi_Salvatore, hermionegranger18 e mhpj1983 per averla inserita tra le preferite. Infine, ringrazio moltissimo Kaimy_11, Adeus e Aoboshi (che ha avuto la pazienza di recensire i primi cinque capitoli della storia)!

Grazie davvero a tutti, non avete idea di quanto sia entusiasta!

Alla prossima, bacioni,

Kaithlyn

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

 

                  

Girò un’altra volta davanti allo specchio chiedendosi cosa, esattamente, l’avesse spinta a farsi trascinare a una stupida festa dal suo ancor più stupido migliore amico e, come se non bastasse, in compagnia di quella vacca della sua ragazza.

Davvero geniale, Kaithlyn. Stai perdendo la mano ferma.

Bene, iniziava anche a parlare da sola?

Sbruffò, cercando di sistemarsi il vestito rosso in modo da non rischiare di rimanere in mutande alla prima occasione e non sentirsi una completa imbecille.

Maledetto Jason.

Quel brutto idiota era riuscito a prenderle la pistola e le aveva giurato solennemente che non gliela avrebbe resa, a meno che lei non passasse la serata a quella dannatissima festa.

Vile, infimo ricattatore.

Non le rimaneva che attendere con ansia il momento in cui sarebbe rientrata in possesso dell’arma per minacciarlo e andarsene, ma nel frattempo aveva dovuto prepararsi e sistemarsi.

Non era mai andata pazza per le gonne… in particolare per quelle che la fasciavano in quel modo, rendendogli difficoltosi i movimenti; forse avrebbe dovuto infilarsi qualcosa di più pratico, ma ormai era tardi per cambiare idea e mettersi un paio di pantaloni. E poi quel vestito rosso le piaceva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Kath? Kath! Kath, ci sei? –

Possibile che anche lei fosse vittima dell’estenuante lentezza che caratterizzava le donne nel prepararsi per uscire? Eppure gli sembrava di avere a che fare con un soggetto piuttosto… rapido, per quel genere di cose.

Sbatté un’altra volta il pugno contro la superficie della porta, arricciando le labbra. – Ti ricordi, vero, che ho un ostaggio? – sibilò, cercando di essere il più minaccioso possibile cosa che riusciva sicuramente molto meglio a lei, inquietante per natura.

Se nasci quadrato non muori tondo.

Improvvisamente la porta si spalancò, rivelando sulla soglia una Kaithlyn vestita di tutto punto.

Addirittura il tubino?

Doveva proprio aver voglia di liberarsi di lui…

La squadrò dalla testa ai piedi: niente male davvero.

- Allora, ci muoviamo? Stasera devo anche fare una sorpresa a Clarisse! – le comunicò. Sperava quasi che si offrisse di aiutarlo, ma l’espressione schifata sul viso della ragazza lo dissuase da ogni proposito.

Si fece da parte per farla uscire. – Sia chiaro, Jason: mezz’ora. Poi mi rendi ciò che è mio, altrimenti ti uccido e faccio da sola, okay? –.

Che donna adorabile.

- Certo. Io mantengo sempre le mie promesse, al contrario di qualcuno. – le disse, assottigliando gli occhi.

Kaithlyn lo guardò scettica. – Dì un po’, ce l’hai con me? Perché se ti riferisci a quella volta in cui ti ho “promesso” di aiutarti a fare questa fantomatica sorpresa a quella, sappi che l’ho detto solo per farti smettere di blaterale.-

Assunse un’aria esageratamente oltraggiata. – Io contavo su di te, Kaithlyn Evenson. Mi abbondoni nel momento del bisogno?. –

- Sì. –

- D’accordo, lasciamo stare. Quel povero ragazzo l’hai visto o sentito? – le chiese, mentre si avviavano verso il Pozzo.

L’occhiataccia che ricevette lo fece desistere.

Okay, individuato l’argomento tabù della serata.

 

 

 

 

 

 

Il Pozzo era già affollato e il caos stava evidentemente iniziando a prendere rapidamente piede tra gli Intrepidi.

In fondo al Pozzo avevano piazzato una console per la musica dietro la quale un Intrepido con la cresta verde e una maglietta smanicata con tutti i bordi sbrindellati, stava già tenendo banco circondato da una piccola folla intenta a richiedere quella o l’altra canzone.

In fondo, sulla sua destra, era stato montato un banco da bar dietro il quale poteva intravedere numerose mensole sulle quali facevano bella mostra numerose bottiglie.

Fece scorre lo sguardo sugli intrepidi che si erano già radunati in capannelli più o meno numerosi a ridere sguaiatamente, urlando battute e qualche parolaccia.

Non era lo stesso insieme di voci fastidioso che si creava durante una discussione tra Eruditi, dove ognuno cercava di stare un’ottava sopra agli altri e per farsi sentire dovevi urlare fino a logorarti le corde vocali; gli Intrepidi interagivano come un tutt’uno e se in quel momento le fosse venuto in mente di comunicare qualcosa le sarebbe bastato montare sul primo tavolino disponibile e gridare qualcosa come “Sfida”, “bandiera”, “Hancock” per ottenere l’attenzione genale di tutti presenti, indipendentemente dai discorsi in cui erano impegnati.

- Ehi bambola! –

Qualcuno, anche se aveva un’idea piuttosto precisa di chi fosse, le tirò una pacca sulla spalla.

Jason le sorrise, mentre lei si riprometteva di fargliela pagare. – A quanto pare bastava solo un piccolo incentivo per stimolarti a uscire! – esclamò allegramente prima di voltarsi e fare un cenno a un ragazzo che non conosceva.

L’unica nota positiva, era l’assenza di Clarisse… anche se le sembrava di aver intravisto Eleanor Davis e Jasmine Steward.

Strano. In genere dove c’era una, si trovavano anche le altre due.

Una volta le aveva addirittura viste andare in giro per la Residenza con i vestiti in tinta l’una con l’altra.

Raccapricciante.

Un brivido le corse lungo la schiena. Quelle tre le davano il voltastomaco, oltre che a farle salire l’impellente necessità di trivellare di colpi un bersaglio; era più forte di lei. Non aveva mai sopportato, nemmeno quand’era più piccola, certi soggetti. Ricordava che durante i livelli inferiori aveva anche provato a socializzare con le bambine, perlopiù Erudite, della sua età ma non aveva avuto molto successo. Un po’ perché non era mai stata brava a fare amicizia, un po’ perché spesso e volentieri le bambine Erudite erano istruite dalle madri a essere delle piccole vipere e per quanto lei fosse cinica e incurante degli altri, ad eccezione di quelle due o tre persone che teneva vagamente in considerazione, non aveva mai sentito il bisogno di approfittarsi di nessuno, forse anche perché non le era mai mancato proprio niente.

- Ehi, ti sei incantata Kath? Vieni! –

Jason le afferrò una mano e la tirò senza troppi complimenti verso il bancone dal lato opposto del Pozzo costringendola ad arrampicarsi su uno degli sgabelli rialzati rivestiti di stoffa nera.

- Tu, hai bisogno di una bella sbronza! – la informò, appoggiandosi con un braccio  al banco in legno scuro e lucido, e ammiccando all’indirizzo di una cameriera.

Idiota.

- Tu dici? –

- Sissignore! Ci puoi scommettere, questa faccenda degli iniziati ti stressa troppo… e la notte è ancora lunga! – esclamò allegramente, mentre chiedeva due shotini al ragazzo dietro di bancone e gliene posava uno davanti.

Jason sollevò il bicchierino, come a proporre un brindisi e ne bevve in un unico sorso il contenuto trasparente.

Osservò con sospetto il suo bicchiere, e lanciò un’occhiata inquisitoria a ragazzo, che batteva ritmicamente le dita sul bancone e la guardava in attesa.

Be’, che male poteva farle un bicchierino di vodka? Se l’avesse assecondato avrebbe smesso di tormentarla e lei avrebbe potuto tornarsene in santa pace al suo appartamento.

Storse la bocca, come se si trovasse davanti a un liquido di dubbia composizione e fosse indecisa se rischiare o meno di morire avvelenata.

- Allora, bellezza? Jacob non ti ci ha messo mica il veleno! –

- Questo lo dici tu! – risposero in coro Kaithlyn e il barista, intromessosi nella conversazione.

Si scambiarono un’occhiata diffidente, poi lui scoppiò a ridere. – Hai così poca fiducia nei tuoi compagni di fazione, Evenson? – rise, appoggiando i palmi delle mani al banco interno dei cocktail.

- Sì. –

- Io te l’avevo detto che era una faccenda seria, Jake! – gli disse Jason, passandosi una mano tra i riccioli biondi.

Era contenta che si stessero divertendo perché se avessero continuato così quella sarebbe stata l’ultima sera in cui avrebbero potuto usufruire dell’uso delle gambe.

Picchiettò con la punta dell’unghia dell’indice sul bicchierino, e passò distrattamente un polpastrello sul bordo.

- Non te la prendere Evenson, se non te la senti non fa niente! Ti porto un succo di frutta? – le chiese quell’imbecille con quei capelli ridicoli.

Be’, gli conveniva ridere… finché aveva ancora tutti i denti.

Afferrò delicatamente il bicchierino e lo sollevo all’altezza del viso con aria pensosa.

Fissò per un lungo secondo il ragazzo sorridente davanti a lei e l’aria derisoria che aveva dipinta sul viso. Forse in altre circostanze sarebbe stata anche al gioco, ma quella non era proprio la serata adatta.

- Guarda che è buono! – la incoraggiò ancora come se stesse parlando ad una bambina.

Per tutta risposta gli gettò il contenuto del bicchierino in faccia, mentre un sorrisetto le increspava le labbra.

Be’, se l’era cercata.

Il tizio di nome Jacob restò un secondo interdetto, mentre si scambiava un’occhiata perplessa con Jason; a quanto pareva erano amici. Poi riscoppiarono a ridere sonoramente, strappandole un sorrisetto divertito.

- Dammene un altro.. –

- Solo se prometti di non lasciarmelo addosso! – la provocò, mentre le riempiva nuovamente il bicchiere.

- Sei fortunato che fosse alcol e non quel simpatico coltello a punta biforcuta che si trova in quel barattolo. – gli assicurò, facendo un cenno con la testa al contenitore di utensili per i cocktail.

- Oh, grazie tante allora sei veramente una donna magnanima! – rise, mentre lei buttava giù il contenuto del bicchiere in un unico sorso. Sentì la bolla d’alcol bruciarle la gola, mentre si passava la lingua tra le labbra.

- Bene. Ora posso andarmene? – domandò, poggiando il bicchiere e guardando risolutamente Jason.

Il sorriso sul suo volto si spense come una lampadina fulminata, mentre lo vedeva agitarsi un po’ sulla sedia. – In realtà.. – iniziò, quasi titubante guardandola con un’espressione di scuse. – No. –

Ah, bene.

Inarcò le sopracciglia, in attesa di una spiegazione. Se voleva costringerla a interagire con tutta quella gente senza prendere a pugni nessuno, dato che si sentiva particolarmente mal disposta, avrebbe dovuto darle una motivazione un po’ più che convincente.

Jason storse la bocca, come se non avesse voglia di fare qualcosa ma sapesse che andava fatta. Un attimo dopo un paio di chiavi argentate erano sul bancone lucido.

Sul momento non capì cosa fossero, poi le osservò attentamente e le riconobbe. – Ehm.. Jason? Non vorrei turbarti, ma io le tue chiavi di casa le ho da quando abbiamo finito l’iniziazione. – gli fece notare, infilando la punta di un’unghia nel cordoncino di spago che le teneva unite e facendole girare con non curanza.

Lui la guardò pazientemente e alzò gli occhi al cielo. – Lo so, tonta. È ovvio che non siano per te, no? – le spiegò con accondiscendenza.

Tonta?

Non fece in tempo a controbattere che un’intuizione si fece largo nella sua mente.

No.

No, no e ancora no.

Impossibile!

Aprì la bocca, mentre sempre più rapidamente prendeva consapevolezza di quel disastro.

Doveva avere proprio un’espressione sconcertata, perché sentì la risata di Jason e del tizio del bar arrivarle alle orecchie.

Alzò gli occhi su Jason, quasi spaesata. – Tu scherzi. Ti avverto, se è … -

- No, certo che non è uno scherzo! Voglio darle a Clarisse! –

Voglio darle a Clarisse.

E pensare che negli ultimi tempi si era quasi illusa che Jason rinsavisse!

Stupida

Anzi, stupido.

Non era lei ad essersi messa con quel caso umano di stupidità… anche se forse, parlando di casi umani, avrebbe dovuto starsene zitta.

Non aveva mai avuto nessun interesse amoroso verso Jason, nonostante lo reputasse un bel ragazzo e si trovasse più che bene con lui solo… non quella.

Non era il tipo giusto per lui, ed era assolutamente convinta che meritasse di meglio… magari una ragazza un po’ più sveglia, un po’ più tranquilla… un po’ più da Jason!

Lui era il tipo che girava per la casa in mutande perché si è dimenticato dove ha gettato i pantaloni… lei se non era tirata a lucido non metteva il naso fuori di casa; Clarisse era una di quelle ragazze pettegole a cui piaceva parlar male di chiunque respirasse la sua stessa aria o mettere in giro brutte voci su chi non le andava a genio.

Jason, invece, per quanto fosse borioso ed esagitato come molti Candidi divenuti Intrepidi, agiva sempre in buona fede indipendentemente da chi si trovava davanti, e forse un po’ anche per ingenuità, si aspettava che anche gli altri facessero altrettanto.

Non era la prima volta che si buttava in quel modo in una relazione; lui era il tipo che si spremeva, che dava tutto a tutti… il contrario di lei, che piuttosto che fare un passo indietro pur sapendo di essere in parte nel torto, preferiva ignorare Eric e posticipare il momento di cui avrebbero dovuto parlare.

Come se non bastasse aveva uno strano presentimento, mentre guardava le chiavi con aria dubbiosa.

Forse era solo paranoica e la sua fiducia pressoché inesistente nei confronti degli altri la faceva dubitare di chiunque… più o meno.

Scosse la testa, focalizzando nuovamente l’attenzione su Jason il suo entusiasmo sembrava essersi affievolito.

- Allora? Che dici? – le chiese con una nota di impazienza nella voce, mentre batteva nervosamente le dita sul banco.

Che sei matto. Salvati finché puoi!

- Ehm… -

Doveva essere veramente alla disperazione se veniva a chiedere consiglio, tra tutti, proprio a lei.

Jason le rivolse un cenno d’incoraggiamento mentre alzava un angolo della bocca e corrugava le sopracciglia in un’espressione impaziente.

- Forte. Ehm… wow. Quindi… quindi fai sul serio? – chiese, cercando di dare un minimo di entusiasmo alla sua voce.

Magari, una ragazza del genere era esattamente quello che gli serviva… eppure non riusciva ad essere tranquilla.

Jason annuì con convinzione. – Sì! Anche se tu non sei d’accordo, pensi che sia impazzito e avresti voluto suggerirmi di darmi alla fuga… non guardarmi come se ti avessi colta con le mani nel sacco, so che non la puoi vedere. – disse, seriamente.

Non poteva certo dire che non la conoscesse..

Lo vide agitarsi sul posto come se stesse per dimenticarsi qualcosa di assolutamente fondamentale.

- Dopo vado a prenderle il portachiavi, ne ho visto uno simpatico l’altro giorno! E domani ti sorbirai tutto il reso conto della serata. – esclamò allegramente. O sadicamente, dato che aveva appena affermato di essere consapevole della sua avversione nei confronti della sua ragazza..

O magari avrebbe dovuto solo rilassarsi ed essere meno pragmatica e paranoica.

Forse era solo l’antipatia che provava verso Clarisse a farle pensare che ci fosse qualcosa di strano nella sua assenza… avrebbe dovuto farsi una ragione di lei e Jason insieme, prima o poi.

Decise di provare a comportarsi da amica per non ripetere il delizioso siparietto di quella mattina.

- Temevo questa risposta. – borbottò, cercando di rilassarsi. – e… lei dov’è? – chiese, lanciando un’occhiata sbrigativa al Pozzo che iniziava a essere ghermito di gente.

- Non si sentiva bene, ed è rimasta a casa... dopo vado a vedere come sta, almeno posso darle le chiavi! -.

- E tu perché non sei rimasto con lei? – indagò, poggiando un gomito al bancone e reggendosi la testa con il palmo della mano.

Jason assunse un’espressione perplessa. – Be’, ha detto che voleva andare a letto per riposarsi un po’. Che dici mi presento con un cornetto? –

Ah.

Quella situazione le puzzava di bruciato…

Decise di ignorare le proprie impressioni; d’altronde Jason era grande e vaccinato, non aveva certo bisogno della balia.

- Sicuro. Perché no? –

- Eccoti qua, donna di poca fede! –

Si girò, mentre veniva riportata bruscamente alla realtà. Steven Robinson veniva in tutta la sua irritante spavalderia verso di loro, seguito a poca distanza dal resto dei Tiratori Scelti degli Intrepidi.

- Wow Evenson… dove nascondevi le gambe? – rise il ragazzo castano dietro Steven, David.

Kaithlyn inarcò un sopracciglio, mentre la sensazione di essersi infilata in bel guaio s’insinuava nella sua mente.

Steven s’infilò dietro il bancone e si mise davanti a lei, reggendosi la testa con una mano e osservandola.

- Che vuoi? – domandò bruscamente prima che tutti si fossero comodamente seduti.

Si sentiva circondata.

Steven aprì la bocca per dire qualcosa. - Perché donna di poca fede? – si intromise Alex, che si era appena seduto accanto a Jason.

– La rossa qui presente pensava che la volessi abbordare! – esclamò in tono indignato, senza tuttavia riuscire a reprimere un sorrisetto. – Di nuovo! – aggiunse, a mo’ di spiegazione.

Sospirò, preparandosi a un interminabile scambio di battute idiote.

- Be’, non ha tutti i torti! Per te basta che una ragazza respiri... e la Evenson respira piuttosto bene. – s’intromise David Wilson tirando una pallina di carta fatta con un tovagliolino in faccia a Steven.

- Sicuro! Se le tappi quella boccuccia con del nastro adesivo è perfetta! – concordò, come se lei non ci fosse prima di girarsi a ordinare da bere.

Ci fu una risata generale. Quando avrebbe chiesto a Max e agli altri Capofazione di aumentare la mole di lavoro, dato che lei non aveva problemi di nessun tipo a rimanere al poligono più a lungo, avrebbe riso lei. Gli avrebbe fatto avere gli incubi per mesi, tanto li avrebbe fatti sgobbare.

L’addestramento per le Forze Speciali gli sarebbe sembrato un simpatico pic-nic in un campo di tulipani, a confronto.

- Avete finito? – chiese, stirando le labbra in un sorrisetto forzato e fingendo un tono divertito.

- Certo che no bellezza, abbiamo appena iniziato! A proposito, quelle cosa sono? Due anni fa non c’erano, sono sicuro! – esclamò Steven sporgendosi in avanti e indicando il suo seno.

- Invece c’erano eccome, Robinson. – ribatté senza particolare entusiasmo, incrociando le braccia sul bancone.

- No, tu menti. Io non le ho viste! – insistette, battendo un pugno sul legno lucido.

Come poteva essere concentrata tanta stupidità in un’unica persona? Che gusto c’era a fare l’idiota? Non capiva.

E poi quella serata iniziava a diventare troppo allegra e irritante per i suoi gusti. – O magari le poche volte che siamo stati insieme sei stato talmente veloce da non avere il tempo per accorgertene. – ipotizzò con non curanza.

Bingo.

Steven assunse una finta aria ferita. – Ma Katy! – disse, prima di abbassare la voce e sporgersi verso di lei in un atteggiamento confidenziale. – Questo era un segreto… - le borbottò, senza tuttavia abbandonare l’espressone da schiaffi e strizzandole l’occhio. – Ops… - mormorò, con finta non curanza, tirando fuori un ghigno derisorio.

Non era mai andata pazza per i nomignoli e l’unico che tollerava era “Kath”, affibbiatole da Jason quattro anni prima… ma Katy non le sarebbe mai andato giù. Non c’era una spiegazione razionale a quell’avversione, ma le veniva il nervoso ogni qualvolta qualcuno la appellava in quel modo idiota.

- Ciao ragazzi! Che avete da confabulare? – chiese Clarke Lewis, raggiungendoli e sedendosi alla sua destra.

- Kaithlyn sta per insultare Steven! – rispose qualcuno in tono entusiasta.

- Niente di nuovo, quindi! Jack? Mi passi il sacchetto dei pop-corn? –

Ah-ha. Che qualcuno iniziasse immediatamente a farle il solletico.

- Io me ne vado! – decretò, scendendo dallo sgabello e allungando una mano per prendere la borsa. Purtroppo Jason fu più veloce, facendola sparire prima ancora che fosse riuscita ad allungarsi abbastanza da afferrarla.

- E dai… solo un paio d’ore, poi vado da Clary e ti rendo la tua bambina, promesso! –

“Clary”? Non poteva averlo detto sul serio.

Certo, prima erano dieci minuti, poi mezz’ora ed ora addirittura un paio d’ore? La prendeva per i fondelli?

Sbuffò, impaziente di prendere la sua roba e dileguarsi prima di essere troppo brilla per farlo… peccato che qualcuno, anche se aveva un vago sospetto, le avesse ordinato un altro drink non meglio identificato e gliel’avesse piazzato proprio sotto il naso.

- Sicura di volere anche il limone? Già sei acida e antipatica come pochi esseri viventi al mondo… -

Qualcuno fece per infilarle una mano nel bicchiere ma gli tirò una sberla sul dorso. Primo, non voleva assolutamente sapere l’ultima volta che se l’era lavate, secondo  non sopportava quando le venivano messe le mani nel piatto o nel bicchiere e terzo, avrebbe tanto voluto sapere chi gli aveva dato tutta quella confidenza.

- Mamma mia come sei antipatica! – sbuffò Lewis incrociando le braccia sul petto e dondolandosi in bilico sulle gambe posteriori della sedia.

Rigirò pigramente il drink rosso scuro con la cannuccia nera, poi lo sollevò e buttò giù un lungo sorso.

Pessima idea.

Purtroppo per lei il drink era buono e l’alcol non si sentiva affatto. Doveva averlo scelto Jason, perché dubitava che qualcun altro avrebbe potuto azzeccare i suoi gusti con tanta precisione.

- Dai, Kath… solo uno. – la pregò il traditore, punzecchiandole un braccio con uno stecchino.

Ancora dieci secondi e Jason avrebbe scoperto a sue spese come eliminare qualcuno utilizzando un innocuo stecchino di legno.

- E d’accordo. Solo uno. Poi me ne vado, intesi? –

E buttò giù.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sì maledisse, mentre sentiva salirle lungo la gola la voglia di scoppiare a ridere; non ricordava con esattezza cosa fosse successo dopo il primo bicchiere ma doveva essere divertente, perché si trovava ancora lì anziché essere a casa.

Strano.

I suoi compagni di squadra erano tutti ubriachi e ridevano per ogni scemenza… ed anche a lei veniva da ridere, anche se non sapeva se per la battuta fatta da Lewis o perché ridessero tutti gli altri.

Si sentiva stupida. Anche se, a conti fatti, non era lei quella con due cannucce nelle narici.

L’ennesima risata le arrivò alle orecchie, attutita però dalla musica rimbombante delle casse. Se prima il Pozzo era affollato, in quel momento era decisamente peggio. La parte centrale, adibita a pista da ballo, era ghermita di gente che ballava, amoreggiava e scherzava mentre le luci continuavano a illuminare a intermittenza quel groviglio di gente ubriaca.

L’unico ancora totalmente con i piedi per terra sembrava Jason, che parlava concitatamente con Alex Jeffrey. Sembrava… sconvolto, come se avesse appena ricevuto una notizia a cui era impossibile credere.

Jason si girò verso di lei, la bocca semi aperta e lei ne approfittò per cogliere la palla la balzo. – Andiamo? Ho bevuto, ridacchiato come un’idiota e vi ho sopportati senza tentare di uccidervi; se resto ancora un po’ rischio di essere mossa a pietà e mettere fine alle loro sofferenze. – disse, indicando i compagni di squadra.

Lui parve riaversi e le rivolse un sorriso. – D’accordo. Concedimi un ballo e poi sei libera, d’accordo? – le propose alzandosi, facendo il giro del tavolo quadrato e mettendosi in ginocchio davanti a lei probabilmente per parlarle meglio.

Pure?!

Il suo primo pensiero razionale fu quello di colpirlo sul naso, riprendersi ciò che le apparteneva e andarsene, ma forse complice l’alcol si fece trascinare nella pista da ballo.

Jason la fece girare, le afferrò le braccia e se le mise sulle spalle mentre iniziavano a muoversi al ritmo della musica.

Nonostante non ci fosse niente di sensuale o malizioso nel modo in cui lui le aveva appoggiato la mano sulla schiena o nel modo in cui lei si muoveva vicino a lui, era piuttosto sicura che se Eric l’avesse vista avrebbe dato i numeri più del solito, geloso com’era.

Che cosa stupida…

Rise, arricciando il naso e permettendo a Jason di farla girare di nuovo e per poco non perse l’equilibrio sui tacchi. Fortunatamente fu riacciuffata prima di cadere all’indietro.

Jason la afferrò per un braccio e la avvicinò a sé, dicendole qualcosa che non capì. – Eh? – gridò, per sovrastare il frastuono delle casse.

Lui le indicò la scollatura, facendole cenno di sistemarsi il vestito che, essendo privo di spallini, le stava calando.

Un ragazzo, passando da lì, le fece cenno di andare a ballare con lui guadagnandosi un’occhiata poco accondiscendete e provocando degli eccessi di risa a Jason. Vedendolo quasi lacrimare dalle risate le venne naturale accodarsi a lui, coprendosi la bocca con una mano per cercare di contenersi.

Continuarono a ballare e a ridere come due idioti per un pezzo, tornando ogni tanto a bere qualcosa al bancone mentre la tentazione di stordire Jason con una botta in testa e andarsene diventava sempre più lieve e la sua testa sempre più vuota e leggera.

L’ennesima canzone finì, scatenando applausi e urla da tutta la pista da ballo. Si tappò le orecchie, quando una ragazza, vicino a lei, lanciò un urletto talmente acuto da farle pensare che avrebbe potuto incrinare il soffitto di vetro.

- Andiamo? – ritentò, afferrando Jason per un avambraccio e tirandolo verso di lei per farsi sentire in quel frastuono.

Lui controllò l’orologio e rise. – Mi hai concesso un’altra mezz’ora, due drink fa Kath! – le ricordò chino verso di lei per sentire cosa diceva. Avevano i nasi a pochi centimetri di distanza, ed erano tanto vicini da poter sentire il fiato dell’altro sul viso.

Non era in imbarazzo o in difficoltà: era abituata alla vicinanza con lui.

Sospirò e si avvicinò al suo orecchio, schiacciandosi contro di lui che la trattenne con una mano dietro la schiena. – Andiamo più in là, allora! Se mi arriva un’altra gomitata qualcuno si ritroverà privo di arti. –

Si staccò da Jason e lo afferrò per la maglietta nera e aderente, trascinandolo verso la parte meno affollata del Pozzo.

Uscirono da quel marasma a fatica, imprecando e ridendo quando qualcuno se la prendeva a male per una pedata.

Passarono alcuni momenti di silenzio, durante i quali nessune dei due parlò. Ora che la sola cosa che le arrivava alle orecchie era la musica a tutto volume, iniziava a sentire un certo fastidio alla testa: non avrebbe dovuto farsi convincersi a bere.

Si appoggiò una mano sulla fronte e girò il viso verso Jason, che aveva l’aria di uno appena uscito da un incontro di lotta libera: i capelli biondi erano sparati in aria in un groviglio informe di grossi riccioli, la maglietta era quasi completamente tirata da un lato, come se fosse rimasto impigliato in qualcosa – o in qualcuno - mentre si facevo largo tra la gente ed era evidentemente paonazzo.

Non riuscì a fare a meno di scoppiargli a ridere in faccia, tanto era sconvolto il suo aspetto. Jason la guardò interrogativamente prima di alzare gli occhi verdi verso l’alto e cercare inutilmente di appiattirsi i capelli; dopo alcuni secondi rinunciò, sbuffando e incrociando le braccia sul petto.

- Okay bellezza, sarà meglio che ti riaccompagni a casa. Non voglio che il tuo ragazzo ti veda vestita così a ridacchiare e scherza con me perché non ho la minima voglia di scappare per tutta la Residenza… l’ultimo drink e andiamo! - .

- Peccato! Sarebbe uno spettacolino divertente… per me. – lo schernì mentre gli passava accanto. – A proposito di casi umani: non dovevi andare dalla cosa, lì? -.

Jason corrugò le sopracciglia, perplesso. – La…? Ah! Clarisse… sì certo. Allora facciamoci l’ultimo goccetto, perché ne avrò bisogno, e poi andiamo. D’accordo?-.

Ci pensò per un momento; ormai il danno era fatto e a casa il massimo che poteva succederle era ritrovarsi a litigare con Eric nel caso decidesse di farsi vivo.

Sì, forse poteva quasi passare una serata pseudo tranquilla a bere e “divertirsi”, anche se preferiva continuare a scansare i suoi esagitati compagni di squadra.

 - Okay. Ma solo un quarto d’ora. Andata? – chiese, porgendogli la mano destra.

Jason sorrise allegramente e l’afferrò, scuotendola vigorosamente un paio di volte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era come se la rabbia gli scorresse sottopelle, nelle vene, e fino ai sottili capillari delle dita, bruciando tutto ciò che incontrava. Come un veleno, o un acido particolarmente forte.

Quel trambusto, per lo stato psico-fisico in cui si trovava, lo infastidiva terribilmente; così come lo irritava oltremodo quel gruppo abnorme di gente che stava facendo baldoria.

Strinse i pugni, sentendo tirare le croste sulle nocche, mentre perlustrava con lo sguardo il Pozzo.

Sperava che Kaithlyn non si fosse infilata sul serio in quel casino, perché non aveva la benché minima voglia d’infilarcisi anche lui. Non in quel momento per lo meno.

Si appoggiò discretamente alla parete, dopo aver fatto cenno a Sean di andare senza di lui, e incrociò le braccia sul petto mentre appoggiava la pianta di un piede alla parete.

Aspetto per alcuni minuti, lanciando di tanto in tanto occhiate poco rassicuranti a chi si azzardava a fissarlo più del dovuto o lo urtava inavvertitamente.

Dopo alcuni minuti di attesa iniziò a innervosirsi: dove diamine era finita?

Sapeva che c’era la squadra di Tiratori al completo, li aveva visti transitare, ma di Kaithlyn nemmeno l’ombra.

Guardò pigramente l’orologio digitale, mentre il numero dei minuti passava da cinque a sei.

Respirò pesantemente dal naso, scocciato. Kaithlyn avrebbe dovuto passare da lì prima o poi e quando ciò sarebbe accaduto, le avrebbe fatto passare un brutto quarto d’ora.

Quando rialzò gli occhi, gli sembrò di scorgere, solo per un secondo, una lunga chioma di riccioli, che immediatamente dopo sparì.

Si staccò dalla parete dandosi una piccola spinta con il piede che aveva appoggiato al muro e fece alcuni passi nella direzione della pista da ballo improvvisata per verificare di aver visto bene; non era affatto facile in quel trambusto e con le luci a intermittenza, ma gli sembrava troppo familiare per non essere di Kaithlyn.

Riuscì a farsi largo tra la folla, spintonando la gente e imprecando sonoramente quando qualcuno gli pestava i piedi; in quel momento era un bel vantaggio essere più di un metro e novanta, perché riuscì a individuare la ragazza in pochi attimi.

Mentre la guardava, sentì la rabbia e una folle gelosia impadronirsi di lui. Kaithlyn e Jason stavano ballando con certo entusiasmo davanti a lui e lei sembrava anche contenta, mentre lui la faceva girare scherzosamente o le appoggiava una mano sulla schiena per guidarla.

Iniziava quasi ad avere la vista chiazzata di rosso, e sentiva il cuore martellargli furiosamente nel petto mentre quel coso sempre tenendole una mano sulla schiena, le afferrava la mano libera e la faceva dondolare goffamente di lato. E lei rideva. Rideva e si stava divertendo come l’aveva vista fare poche volte, con un altro.

Be’, come biasimarla...

Digrignò i denti e fece un altro passo verso i due, immobilizzandosi un attimo prima che potessero accorgersi che era lì; Kaithlyn aveva appoggiato una mano sulla spalla di Jason e si era sporta verso il suo orecchio per dirgli qualcosa. Lui si girò verso di lei, e avevano i visi talmente vicini che per un attimo temette che si stessero baciando, ma l’unica cosa che quel menomato fece fu sorridere apertamente, guardare l’orologio, risponderla qualcosa e annuire, prima di farsi trascinare dalla sua, dannazione, sua ragazza fuori da quella calca.

Cosa gli aveva detto? Cosa gli aveva sussurrato e perché non aveva parlato ad alta voce invece di avvinarsi in quel modo a lui? Che bisogno c’era, in quel casino, di dire qualcosa in un orecchio a qualcuno se non si trattava di una cosa privata, personale, intima?

Perché ballavano così vicini, così appiccicati?

Sentiva una gelosia mai provata; la avvertiva pulsare in ogni fibra del suo corpo, fin nelle dita dei piedi e si sentì seriamente sull’orlo del baratro, prossimo a perdere completamente il controllo sulle sue azioni.

Non lo aiutava nemmeno vederla sotto le luci bianche, nella zona laterale al Pozzo quella con meno gente. E come avrebbe potuto farlo sentire meglio? Aveva un tubino rosso che le arrivava giusto a metà coscia e che le fasciava il fisico asciutto mettendo in risalto le sue forme in un modo che, per quel lo che riguardava, sarebbe dovuto essere ritenuto illegale e punibile penalmente. Come se non bastasse, i tacchi la slanciavano e quando si voltò nella sua direzione, senza vederlo, notò che era anche truccata. Non riuscì a capire quanto, ma sicuramente aveva un rossetto scuro che riprendeva il colore dei capelli che le scendevano oltre metà schiena in una massa accuratamente disordinata.

Si sentì mancare il respiro, non sapeva con esattezza se dalla rabbia, dalla gelosia pulsante e cocente che lo stava ardendo divorandolo dall’interno o dal fatto che la sua ragazza fosse tanto bella e sexy.

Bella e sexy mentre esce con un altro…

Maledizione!

L’idea di travolgere senza troppi problemi la ragazzina che gli ballava davanti e andare a uccidere nel modo più brutale e doloroso possibile Miller e a dirne quattro a Kaithlyn diventò fin troppo allettante, raggiungendo il culmine quando la vide ridere divertita all’indirizzo di quello.

Se fosse stato in un’altra situazione, avesse avuto una giornata tranquilla e non fosse in rotta con lei, forse avrebbe riso anche lui, per schernirlo: aveva decisamente un aspetto sconvolto.

Peccato che quel momento non rispettasse neanche mezza di quelle situazioni: aveva avuto da discutere per tutto il giorno, era di umore nero ed era in rottura con la lei. Che, per inciso, si stava divertendo a fare la deficiente con il fulcro, uno dei tanti, dei suoi problemi. Jason. Anche se, a voler essere onesto con se stesso, quando si trattava di lei ogni esponente di sesso maschile diventava un problema. Un enorme, gigantesco problema da eliminare.

Avanzò facendosi largo a spintoni diretto verso Kaithlyn; nel frattempo lei e Miller si scambiarono un altro paio di battute e si strinsero teatralmente le mano destra.

Lui poteva sicuramente dire “addio” a quella mano. Si prendeva troppa libertà con il corpo della sua ragazza.

Non appena fosse riuscito ad agguantarla e a trascinarla, anche a costo di caricarsela in spalla, da un’altra parte l’avrebbe sentito.

Cosa pensava? Che lui se ne sarebbe stato buono buono e farsi trattare da idiota da lei?

Jason appoggiò una mano sul braccio nudo di Kaithlyn, mentre nella sua mente si proiettavano immagini di loro due avvinghiati da qualche parte. Era un pensiero illogico e privo di fondamento, perché tra loro due non c’era mai stato nulla se non amicizia.

O almeno credeva.

Comunque stessero le cose, quel gesto innocente e il fatto che lei si accostasse a lui per sentire nuovamente cosa aveva da dire, gli fecero perdere quasi del tutto il controllo.

Non capì con esattezza la dinamica di ciò che accadde dopo: un ragazzo Intrepido che non conosceva, evidentemente ubriaco, urtò Kaithlyn costringendola a fare un passo indietro per non perdere l’equilibrio sui tacchi alti. Lei si voltò verso di lui, l’espressione irritata nuovamente sul volto e gli disse qualcosa che, a giudicare dal gesto infastidito che fece con la mano, stava a intendere di stare attento a dove mettesse i piedi.

La strada gli fu sbarrata da una ragazza dai capelli striati di azzurro e alcuni piercing su sopracciglia e labbra che sembrava intenzionata a dirgli qualcosa. Irritato, la prese per le spalle e la spostò malamente di lato per riprendere la sua avanzata verso il suo obiettivo.

Vide il ragazzo che aveva urtato Kaithlyn girarsi verso di lei e dirle qualcosa a gran voce, ma nel trambusto non riuscì a distinguere chiaramente le parole; non doveva essere stato niente di lusinghiero, perché Kaithlyn inarcò le sopracciglia e fece due passi verso di lui, arrivandogli a una ventina di centimetri dalla faccia e rispondendogli evidentemente in modo evidentemente aggressivo.

Un attimo dopo il ragazzo le tirò un man rovescio in pieno viso, facendola finire a terra.

Le sue priorità cambiarono istantaneamente e le sue gambe si mossero da sole verso il tipo che aveva appena firmato la sua condanna a morte e che stava torreggiando su di lei.

Vide appena Jason avanzare per mettersi nel mezzo, una mano alzata verso il ragazzo e una verso Kaithlyn.

Si avventò sul ragazzo, colpendo Jason con una spallata e costringendolo a spostarsi di lato, mentre afferrava quell’idiota per la maglietta e lo attaccava alla parete sollevandolo di diversi centimetri dal suolo.

Era assolutamente infuriato, fuori di sé dalla rabbia. Aveva perso il controllo, e sapeva che si sarebbe sentito meglio solo quando avrebbe visto il tuo avversario contorcersi dal dolore ai suoi piedi.

Sentiva tutti i muscoli vibrare di energia che aspettava solo di essere sfogata.

Lo bloccò con un braccio sotto il collo e lo colpì con un montante allo stomaco; gli mancò il respirò per un momento, mentre cercava di alzare le gambe per incassare il colpo troppo ubriaco per reagire.

- Se ti azzardi a toccarla un’altra volta, ti ammazzo. – sibilò in un ringhio basso e furioso a due centimetri dal suo viso. Aveva lo sguardo annebbiato e sembrava non capire la situazione, ma non gli importava.

Non gli importava.

Lui rise, forse a causa dell’alcol ed Eric perse definitivamente ogni briciolo residuo di autocontrollo. Gli sferrò un altro montante, e spinse con il braccio che aveva pressato sulla sua gola; lui gli strinse il braccio, probabilmente in debito di ossigeno. Eric sorrise malefico e dopo aver spinto un’ultima volta sulla sua gola, lo lasciò scivolare a terra. Il gesto fu seguito da una serie di calcia dati quasi alla cieca, non gli importava dove lo stava colpendo.

Voleva fargli male.

 

 

 

 

 

 

 

 

Aveva perso di vista Eric da un po’, ma non se n’era preoccupato: era grande e vaccinato, e sapeva badare a se stesso. E poi voleva stare un po’ con Mia, che fino a quel momento aveva avuto fin troppa pazienza con entrambi.

Improvvisamente, mentre stavano ballando, Mia si fermò e piantò gli occhi castani verso un lato del Pozzo, in una delle zone dove c’era meno gente. Anche loro si erano spostati, non potendone più di quell’ammasso di gente.

- Che c’è? – le chiese, mettendole una ciocca di capelli lisci dietro l’orecchio. Lei strinse le labbra e assottigliò leggermente gli occhi, corrugando le sopracciglia.

- Sean… quello non è Eric? – domandò, facendo un cenno con la testa verso la parte del Pozzo che stava osservando.

Sean si voltò nella direzione che gli era stata indicata, e per poco non gli venne un colpo.

- Torno subito… - le disse distrattamente, prima di dirigersi di corsa verso quel danno che andava sotto il nome e cognome di Eric Turner.

Eric si stava avventando senza pietà su un ragazzo che sembrava poco più grande di loro con diversi calci; se avesse continuato così, gli avrebbe spappolato la milza e il fegato e non era sicuramente una grande idea.

Arrivò alle spalle di Eric in pochi secondi e lo afferrò per le braccia; non era un’impresa semplice, contando che era diversi centimetri più alto di lui e decisamente infuriato.

S’illuse di essere riuscito a immobilizzarlo, ma l’unica cosa che ottenne fu sfilargli la giacca.

Lasciò cadere l’indumento a terra e cercò di tirarlo indietro con tutta la forza che aveva, riuscendo suo malgrado ad allontanarlo  per un secondo; a Eric bastò un attimo altrettanto breve per strattonare violentemente il braccio dalla sua presa.

Perché nessuno faceva nulla?

Non fece in tempo a formulare il pensiero che un ragazzo, che riconobbe come Steven Robinson, passò un braccio intorno alla gola di Eric, riuscendo a tirarlo indietro.

Eric provò a strattonarsi nuovamente con tutta la forza che aveva, ma si aggiunsero altri due ragazzi: uno bassino ma largo di spalle con folti capelli castani tutti spettinati, e un altro alto e magro dai capelli biondi tutti sparati in aria.

Dovevano essere di qualche anno più grandi di loro.

- Okay, moccioso, ora calmati. – sentì dire in tono baldanzoso da Steven, mentre lo vedeva rafforzare la presa.

In tutta risposta Eric riuscì ad assestargli una gomitata nello stomaco, che l’altro incassò piegandosi leggermente senza tuttavia lasciare la presa ferrea. Era abbastanza alto da non doversi abbassare troppo per una gomitata.

Con una smorfia tra il sofferente e il divertito Steven fece forza, tirando Eric indietro con uno strattone che sembrò smorzargli il respiro e farlo imbestialire ancora di più.

Eric fece per rigirarsi, ma Sean rafforzò la presa sul suo braccio cercando di non farsi strattonare.

- D’accordo, scusa. – annaspò Steven, facendo un passo indietro per allontanare Eric dal malcapitato che in quel momento boccheggiava a terra. – però tiri più del mio cavallo dai Pacifici, amico.

In effetti, pur essendo in quattro, non riuscivano a immobilizzarlo del tutto. Dove essere proprio infuriato.

Riuscirono dopo alcuni interminabili secondi a spostarlo da dov’era, e quando furono abbastanza lontani, Sean gli piazzò davanti impedendogli il passaggio.

Eric si strattonò con violenza e fece per andare addosso a Steven, che alzò le mani in segno di resa nonostante l’espressione tranquilla.

- Ora datti una calmata, o dovremo usare le maniere forti. – lo avvisò.

Eric gli lanciò un’occhiata di fuoco e fece un passo indietro, prima di passarsi una mano sulla testa e avviarsi quasi di corsa fuori dal Pozzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si riscosse dallo stato in cui si trovava e corse dietro all’amico, facendosi largo tra gli altri e recuperandolo in pochi secondi.

Fuori dal Pozzo, nel corridoio buio illuminato semplicemente dalle luci azzurrognole appese alle pareti, individuo la sagoma di Eric svoltare lateralmente e sparire. Si lanciò all’inseguimento, cercando di tenere un passo abbastanza sostenuto da non perderlo di vista ma non abbastanza veloce da arrivargli troppo vicino. Voleva prima vedere cosa aveva intenzione di fare.

I loro passi rimbombavano nei corridoi deserti, mentre i rumori della festa sembravano infrangersi sulle pareti che li circondavano in un eco rimbombante, sempre più lontano, che sembrava voler lasciare il posto al fragore del fiume a cui si stavano rapidamente avvicinando.

Eric camminava a passi svelti davanti a lui, che a malapena riusciva stargli dietro, passandosi febbrilmente le mani tra i capelli; sembrava sul punto di esplodere di nuovo a giudicare dal respiro irregolare, quasi ansimante, intriso di frustrazione e rabbia.

Eric svoltò l’angolo di nuovo, sparendo dal suo campo visivo e costringendolo a scattare in avanti e a svoltare repentinamente per raggiungerlo.

Impiegò alcuni secondi per metterlo a fuoco nonostante la luce tenue che filtrava dall'alto, mentre il fragore del fiume che s’infrangeva sulle pareti dello Strapiombo parecchi metri sotto di loro gli riempiva le orecchie.

Eric era davanti alla ringhiera, tremante di rabbia e con le mani strette intorno al corrimano in metallo scuro. Aveva la testa china in avanti mentre ondeggiava pericolosamente, come un pazzo, avanti e indietro nel tentativo di calmarsi e riacquistare il controllo.

Lui era l’unico a sapere il perché di quegli attacchi di rabbia spaventosi, e non l’aveva detto ad anima viva. Nemmeno a Mia, e sospettava che neanche Kaithlyn lo sapesse, anche se ci viveva praticamente insieme.

Eric gli aveva confessato, in uno dei rari momenti in cui si apriva con qualcun altro, che quando stava con lei si sentiva più tranquillo e non voleva mandare tutto all’aria, anche se non aveva usato quelle parole, per quel… problemino.

E tu chiamalo problemino!

Sentì uno strano rumore metallico, e un brivido gli attraversò la schiena quando comprese da dove proveniva.

- Eric…- lo avvisò avvicinandosi frettolosamente a lui e poggiandogli una mano sul braccio. – se continui così farai un bel volo.. cerca di calmarti. – tentò, mentre Eric continuava a far pericolosamente dondolare la ringhiera. Se avesse continuato così l’avrebbe scardinata e sarebbe finito di sotto.

Sembrava incapace di reagire e di riacquistare lucidità, così, nel tentativo di aiutarlo, Sean gli strinse una mano intorno al braccio cercando di staccarlo da lì.

Due secondi dopo si ritrovò con il sedere per terra, mentre Eric, come una tigre in gabbia, si prendeva la testa tra le mani e riiniziava a fare avanti e indietro.

Tese le orecchie, sentendo un paio di tacchi avvicinarsi rapidamente a loro. Che fosse Mia?

La figura dai capelli lunghi e ricchi, ancora avvolta nell’oscurità, non poteva essere lei e lui fu felice di essersi sbagliato: per quanto volesse bene a Eric, preferiva decisamente esserci solamente lui in quei momenti… Kaithlyn entrò nello spiazzo ancora vestita e truccata di tutto punto e si bloccò sulla porta prima di lanciargli un’occhiata interrogativa, tenendo la giacca di Eric in mano.

Sean storse la bocca, e le fece un cenno di diniego con la testa, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo. Doveva essere Eric a confrontarsi con lei, non lui. Per tutta risposta Kaithlyn fece una smorfia scocciata al suo indirizzo e poi lo oltrepassò per andare vicino a Eric, ancora preda delle sue stesse emozioni.

Kaithlyn fece il suo stesso errore afferrando Eric per un braccio, - Eric, calmati! – gli disse, ma fu costretta ad allontanarsi un attimo dopo per evitare uno spuntone.

Nonostante la spinta, non gli sembrò intenzionata a demordere; infatti raddrizzò le spalle e assunse un cipiglio decisamente più duro di quello che aveva pochi secondi prima.

Si appoggiò con il fianco destro alla ringhiera, dandogli le spalle e poggiando il peso su una sola gamba. Sporse la testa in avanti, come se cercasse di scrutare il viso di Eric, che gli sembrava di sentir fremere di rabbia anche da lì.

Aprì la bocca per fermare Kaithlyn che aveva alzato, in modi un po’ troppo bruschi data la situazione, la mano sinistra forse intenzionata a scostare i capelli scuri dal viso di Eric, ma non ebbe tempo di proferire parole.

Non appena Eric intercettò lo sguardo di Kaithlyn, s’infiammo.  - È colpa tua! – le ringhiò contro in un sibilo, lasciando la presa sul corrimano e facendo un passo indietro come se si trovasse davanti a un serpente velenoso. – Se tu non avessi fatto la putt... -.

Sean si pietrificò sul posto, mentre il suono prodotto da quei due schiaffi gli arrivava alle orecchie.

Per un secondo, che a lui parve eterno, regnò il silenzio e il gelo. L’aria era carica di una tensione opprimente, che nonostante non lo riguardasse in prima persona, sembrava schiacciarlo al suolo e incollargli le mani al pavimento.

L’attimo dopo, Eric si scagliò contro Kaithlyn facendola schiantare con la schiena contro la parete e sbattere la testa. Le teneva le mani piantate sulle spalle, impedendole qualsiasi movimento.

Si riscosse rapidamente e si alzò, pronto a levarle Eric di dosso ma lei gli fece cenno, con il braccio che era obbligata a tenere lungo il fianco, di stare restare fermo.

Contro ogni buon senso, raddrizzò le spalle e si fermò a pochi passi da loro.

Tutto accadde nel giro di pochi secondi, ed ebbe appena il tempo di rendersi conto di quello che stava accadendo, prima che il primo pugno di Eric si schiantasse contro la parete con forza inaudita, seguito a ruota da un altro, un altro e un altro ancora.

Le nocche di Eric si schiantavano ai lati del viso di Kaithlyn, che rimase immobile fino a quando un pugno non la colpì sul viso, anche se non riuscì a vedere dove. La vide solamente girare il viso dall’altra parte mentre una smorfia di dolore le attraversava il volto; Eric, a quel punto, parve tornare in sé.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sentiva lo zigomo pulsarle, mentre il dolore continuava a diffondersi sul viso e sentiva qualcosa di umido percorrerle la schiena e la guancia.

Si portò una mano sul lato ferito del viso, poi si guardò le dita sporche di sangue.

Alzò gli occhi su Eric cercando di capire cosa gli passasse per la testa. La scapola, che doveva essersi tagliata quando l’aveva pressata contro il muro, era ancora dolorosamente a contatto con la pietra irregolare e ruvida che le grattava il taglio aperto; il vuoto alla testa provocato dall’alcol le era passato e, forse complice la botta presa o la situazione, si sentiva più vigile che mai.

Sentiva il cuore martellarle nel petto mentre fissava il ragazzo che aveva davanti agli occhi alla ricerca di risposte: non sembrava neanche lui. Aveva sentito parlare spesso, quando ancora viveva tra gli Eruditi e a cena i suoi riempivano lei e i suoi fratelli di nozioni, di disturbi comportamentali ed era piuttosto certa di trovarsi di fronte a un attacco di rabbia.

Possibile che ne soffrisse? Perché non se n’era accorta prima?

Sembrava ancora furente, teso come una corda di violino e pronto a scattare di nuovo come un serpente a sonagli in attesa del passo falso del suo avversario.

- Eric, lasciami. Adesso. – riuscì a dire. Si sentiva intontita, frastornata per il colpo ricevuto sul viso; era una fortuna che l’avesse presa di striscio causandole solo un’escoriazione... se l’avesse centrata in pieno viso, avrebbe potuto fratturarle lo zigomo. Avvertiva la scapola bruciarle e brevi scariche di dolore partire dal taglio aperto diffondersi intorno alla ferita, innervando la bolla di dolore che avvertiva in quella zona e crescendo progressivamente d’intensità.

Sentiva il bisogno impellente di staccarsi da lì crescerle nel petto, ma sapeva di non aver alcuna possibilità di strattonare tutti quei fasci di nervi e muscoli; non in quelle condizioni patetiche.

- Eric, mi stai facendo male. – ripeté, questa volta con voce più nitida e dura. – Lasciami. –

Con suo grande sollievo sentì la pressione sulla spalla sparire gradualmente fino a lasciarla libera di staccarsi dalla parete.

Se prima era rimasta interdetta, in quel momento era decisamente furiosa; si rendeva conto che avrebbe dovuto fare un passo indietro, lasciare che quel momento finisse e che Eric riacquistasse la ragione ma non ci riusciva. Nemmeno mentre lui la guardava come se le volesse stringere le mani alla gola, gli occhi annebbiati ancora da quella scintilla di follia terribile.

Lui parve ripensarci e la riappiccicò al muro con violenza facendo protestare la sua spalla in modo piuttosto doloroso; il taglio doveva essere profondo, perché sentiva qualcosa di umido bagnarle la schiena. Forse sangue.

Istintivamente gli assestò una pedata sulla gamba con tutta la forza che aveva, riuscendo a fargli fare un passo indietro.

Avanzò leggermente e lo fissò: aveva lo sguardo fisso e impenetrabile, come se non ci fosse niente, nessuno dietro gli occhi grigi, quasi metallici.

Strinse le labbra in una smorfia arrabbiata. – Stammi a sentire: non so che diavolo ti sia preso Turner, ma… -

- Taci! – le ringhiò, guardandola freddamente. – Sfido che la gente ti guarda di traverso! -.

Spalancò la bocca, indignata. – Come. Ti. Permetti? Hai bel coraggio, Capofazione dei miei stivali! Sei dove sei solo perché…- iniziò, prima di ripensarci e interrompersi.

- Continua. Sono curioso di sentire le cazzate che ti escono dalla bocca. Avanti! -.

Alzò un braccio per colpirlo di nuovo ma Eric le bloccò il polso a pochi centimetri dal suo viso. – Non sai fare niente di meglio che schiaffeggiarmi? – domandò in tono basso e calcolato. – Anzi, c’è qualcosa che sai fare decisamente meglio, ma non rientra tra le doti combattive… giusto? – insinuò malevolo.

Provò a divincolare il braccio, senza successo. A Eric bastò fare leggermente pressione per abbassarglielo e inclinarlo verso il basso fino a farle male. Strinse le labbra, decisa a non dargli soddisfazione, mentre sentiva Sean fare un paio di passi verso di loro.

Provò ancora a divincolarsi e fece per caricare un altro calcio, questa volta tra le gambe ma lui la lasciò con un ultimo gesto di stizza prima di adombrarsi ancora più e girarsi per andarsene. Sean le passò accanto, lo raggiunse e tirandolo per un braccio lo trascinò verso il corridoio opposto a quello da dove era arrivata lei. Vide Eric tirare un calcio e un pugno alla parete e poi scollare la mano dolorante, prima di scomparire nell’oscurità.

Gli gridò dietro, inutilmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Allora, allora, allora.

Quanti sono quelli che si sono messi in fila per fucilarmi?

Non cosa possiate pensare di tutto questo, ma vi dico subito che non ho ancora finito di sistemare per le feste i personaggi, miei e non; quindi armatevi di pazienza e sopportatemi!

Qualcuno ha già in mente qualcosa sui prossimi sviluppi? Ovviamente come al solito sono insicura e piena di dubbi, ma non vi tedierò con domande su domande lasciando a voi “l’ardua sentenza.”

Siate impietose!

Passiamo ai ringraziamenti che dite?

Dunque, dunque.

Ringrazio come sempre Kaimy_11, che recensisce sempre con una puntualità disarmante (al contrario di me nell’ultimo periodo!) ogni capitolo e Adeus, che non si dimentica mai di lasciarmi il suo parere (come invece qualche volta capita a me, ci vuole pazienza!).

Ringrazio anche EliDirectionxX che ha aggiunto la storia tra le preferite, e Sara_lost  e WelcomeInTheBlackParade che l’ha inserita tra le seguite!

Ovviamente come sempre ringrazio anche chi si limita a leggere e vi segnalo, per chi ne ha voglia, la pagine del mio account su facebook.

Ecco il link:à https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?fref=ts

Grazie davvero a tutti!

P.s: mi scuso con tutte le persone che seguono Mind’s Shades. Non ho abbandonato al storia, solo che avendo poco tempo non ho ancora potuto terminare il capitolo e aggiornare… non perdete la speranza!

Un bacione,

Kaithlyn

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

 

 

- Sei impazzito? Se volevi liberarti di me, non avevi che a dirlo! – ansimò, mentre si tirava a sedere sull’asfalto ruvido facendo leva sui palmi delle mani.

Gli sarebbe venuto un infarto di quel passo, poco ma sicuro. Una tragica morte precoce, tutto per colpa di quelle che tecnicamente era il suo migliore amico.

Non solo Eric era partito come un razzo verso i binari, ma lui aveva avuto anche la brillante idea di seguirlo. Di che diamine aveva paura? Che qualche mal intenzionato lo sequestrasse come se fosse una ragazzina? Era più probabile che fosse il contrario, eppure non aveva pensato neanche per un istante di lasciarlo andare da solo; non in quelle condizioni e dopo quella serata disastrosa almeno.

Si passò una mano tra i capelli, che restarono ritti e sconvolti a causa del sudore, e si trascino con le braccia, strusciando il sedere per terra, fino a un basso muricciolo dove appoggiò la schiena.

La superficie era ruvida e irregolare a contatto con la maglia fradicia di sudore, ma non gli dava particolarmente fastidio. Era freddo, e quel freddo gli dava un po’ di sollievo dopo quella corsa. Lui non aveva le stesse gambe lunghe di Eric, e non amava particolarmente correre… preferiva un bel combattimento o passare qualche ora al poligono a sparare.

In compenso, il compagno sembrava aver perso la lingua.

- Eric? – lo chiamò, sporgendosi con il busto in avanti.

- Nessuno ti ha chiesto di seguirmi. – gli rispose l’altro, ancora disteso a terra e con il respiro leggermente accelerato, come se gli avesse letto nel pensiero: quando lo anticipava in quel modo era un po’ inquietante.

Sean si appoggiò nuovamente al muricciolo alle sue spalle. – Forse dovresti scusarti… – mormorò, sperando quasi che l’altro non lo avesse sentito.

Eric si mise in piedi e andò a sedersi sul muricciolo a cui era appoggiato e dall’alto del quale gli lanciò un’occhiata scettica, – Sentiamo la cazzata delle 23.47. – disse, dopo aver guardato l’orologio.

Sean si raddrizzò. – Non ne ho idea. L’opzione “striscia come un verme fino alla Residenza” mi pare un po’ eccessiva tutto sommato, considerando che anche lei ci mette del suo. – provò, girando la testa e guardando verso la testa scura di Eric, una quindicina di centimetri sopra la sua.

- Magari potreste evitare di risolvere tutti i vostri problemi scopando e andare a mangiarvi qualcosa da qualche parte… fare un giro e vedere di trovarvi d’accordo. –

Non gli sembrava una brutta idea…

Lo sentì sghignazzare, mentre lo vedeva passarsi le mani insanguinate sul viso.

L’espressione di Sean divenne sempre più stranita, mentre Eric scoppiava in una risata priva di allegria, quasi isterica.

Incrociò le braccia scocciato, mentre aspettava che l’amico si calmasse e smettesse di ridersela. Che cosa avesse da ridere o cosa trovasse di divertente in tutto quello che era successo, restava un mistero.

- E poi cos’altro potremo fare? – gli chiese, togliendosi le mani dagli occhi e fissando il cielo, la voce intrisa di finta ilarità. – Tenerci per mano e mandarci i bacini da una parte all’altra del Pozzo? – commentò, prima di riprendere a ridere.

Ah-ha. Molto simpatico, davvero.

Eric sembrò avere un guizzo energetico e si sedette sul muricciolo con un colpo di reni, prima di buttare le gambe accanto a lui e guardarlo dall’altro in basso.

Non sembrava molto in sé; sicuramente meno del solito e l’espressione divertita che aveva sulle labbra, cozzava in modo decisamente inquietante con la scintilla di follia che aveva negli occhi.

Fu certo, nonostante il buio, di scorgere come una scintilla di consapevolezza attraversare il viso di Eric, che per un momento sembrò preoccupato. Quasi un po’ spaventato.

Poi riprese a ridacchiare, senza allegria. - Non è divertente? – chiese strusciando le mani sui pantaloni pieni di tasche e fissandolo con le labbra stirante in un sorriso.

- No, non credo sia divertente. E penso che non ti stia divertendo neanche tu! – disse, alzandosi e mettendosi seduto anche lui.

Si guardarono per un lungo attimo, durante il quale Eric sembrò sempre più sull’orlo di una crisi di nervi in piena regola che sul punto di scoppiare a ridere; ed era piuttosto strano, considerando che avrebbe dovuto già essersi sfogato a sufficienza.

Eric si alzò si scatto e iniziò a fare avanti e indietro, ad ogni falcata più agitato.

- Non capisci, eh? Jeanine come si tiene in contatto con me, secondo te? – gli chiese con la stessa espressione folle e divertita intrisa d’inquietudine.

Sean si grattò la testa, chiedendosi il perché di quella domanda. Intanto si era alzato un leggero venticello che sembrava ancora più fresco e frizzante contro la pelle sudata. Si passo rapidamente le mani sulle braccia per reprimere un brivido di freddo.

- Con il Cercapersone? Ma che c’entra Jeanine? Credevo che la prossima riunione per “tu sai cosa” fosse tra qualche giorno! – esclamò.

Eric sorrise un po’ e incrociò le braccia sul petto, guardandolo con accondiscendenza, come se dovesse spiegare qualcosa di molto semplice a un bambino particolarmente duro di comprendonio.

- Il Cercapersone è nel giubbotto. – disse. Non era una domanda, era una constatazione di fatto.

E quindi? Dove dovrebbe essere altrimenti?

Lo guardò senza capire, le sopracciglia inarcate e l’espressione confusa, esortandolo a proseguire e dargli delucidazioni.

- Il mio giubbotto ce l’ha Kaithlyn! – sbraitò Eric, prima di ricominciare a ridere in modo quasi isterico, rompendo il silenzio teso che si era venuto a creare.

Oh.

Oh merda.

Ecco, quello era un problema.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Frugò nella borsa scura per qualche secondo e ne estrasse un mazzetto di chiavi; infilò la chiave con l’impugnatura azzurra nella serratura ed entrò, cercando di concentrarsi il meno possibile sul dolore che provava dietro la scapola e sullo zigomo dolorante. Forse le era rimasto un sassolino nella ferita, mentre per quanto riguardava lo zigomo si aspettava un bell’ematoma per il giorno successivo.

Fece qualche passo all’interno dell’ingresso-salotto avvolto nell’oscurità prima di sfilarsi i tacchi e tornare alla sua consueta altezza. Fece scattare l’interruttore sulla parete adiacente alla porta e si diresse verso la finestra per far passare un po’ d’aria: c’era odore di chiuso.

Restò con i palmi appoggiati al davanzale per qualche secondo, beandosi della superficie fresca sotto le sue mani, prima di rendersi conto di avere ancora, ripiegata sull’avambraccio, la giacca nera di Eric.

La sollevò all’altezza del viso, ispezionandola attentamente prima di mettersi a frugare nelle tasche; era proprio curiosa di vedere cosa avesse lasciato a giro quell’idiota di Turner.

Estrasse il Cercapersone da una tasca interna, situata vicino a uno dei fori per le braccia e lo appoggiò sul davanzale, stando ben attenta a non lasciarlo cadere.

Continuò la sua ispezione con calma, trovando il portafoglio nella tasca opposta e le chiavi dell’appartamento di Eric in una tasca in basso.

Be’, sicuramente sarebbe dovuto tornare a riprendersela, perché lei non aveva la minima intenzione di riportargliela.

Ripiegò l’indumento in due e con calma si diresse verso la cucina dopo lo appoggiò allo schienale di una delle quattro sedie accomodandosi su quella opposta. Aveva ancora il vestito rosso, ma le faceva una gran fatica levarselo e cambiarsi, così appoggiò la testa sui palmi delle mani e restò lì, a fissare il vuoto per qualche secondo.

La spalla le bruciava dolorosamente, ma non poteva medicarsi da sola e non aveva voglia di andare in infermeria; forse avrebbe chiesto a Jason l’indomani, come compenso per ascoltarlo straparlare di Clarisse per ore.

Ripensando a Eric e alla piega che aveva preso il loro rapporto nelle ultime dodici ore si sentì invadere dalla rabbia e dalla frustrazione che riuscirono a rompere istantaneamente quel momento di calma; si alzò bruscamente, facendo strusciare in modo quasi fastidioso le gambe della sedia sul pavimento e si diresse verso la stanza che usava come sgabuzzino e nel quale aveva sistemato anche una lavatrice. Aprì il cestino azzurro chiaro dei panni sporchi, fece rapidamente una cernita di capi scuri, che comunque rappresentavano la maggioranza, e lì infilò nell’oblò dell’elettrodomestico che richiuse violentemente. Prese un misurino di detersivo e lo mise nel contenitore apposito, poi premette “avvio”.

Come una furia, sempre più arrabbiata, si diresse verso la camera e tolse tutte le lenzuola con rabbia, gettandole a terra. Tolse le federe ai cuscini e li buttò sulla cassettiera, mentre la biancheria da letto finiva tutta a terra.

Si diresse a passo di marcia verso l’armadio e spalancò le ultime due ante, prima d’infilarcisi con il busto e prendere da un ripiano in basso della biancheria pulita.

Mise il coprimaterasso matrimoniale e sistemò le lenzuola bianche e immacolate, poi si diresse verso la cassettiera e infilò le federe ai quattro cuscini con rabbia, come se fossero loro i colpevoli del suo malumore.

Chiuse accuratamente i bottoncini delle federe, prima di impilarli nuovamente sul mobile mentre finiva di rifare il letto.

Quando ebbe finito li risistemò con cura e tirò su la coperta blu scura, rimboccandola sotto i cuscini con precisione quasi maniacale.

Si passò le dita tra i capelli rossi ancora sciolti e si avviò verso il bagno dove iniziò a sistemare tutto ciò che trovava fuori posto o che non era perfettamente ripiegato.

Quando ebbe sistemato a una velocità impressionante tutto l’appartamento, tornò verso la cucina e si sedette di nuovo, nervosa.

Doveva trovare qualcosa da fare: era una vecchia abitudine che aveva preso da sua madre quella di fare le pulizie e tenersi impegnata quando aveva qualcosa per la testa. Sua madre lo faceva sempre, soprattutto quando discuteva con suo padre o si arrabbiava con lei o i suoi fratelli più grandi. L’unica differenza è che sua madre faceva le cose con calma e con metodo canticchiando come se non avesse niente. Diceva che, se avesse sempre tenuto a mente tutto quello che loro le combinavano, sarebbe rimasta vedova molto prima della sua nascita; se si aveva qualche problema, era meglio fare qualcosa per distrarsi, piuttosto che alimentarne la fiamma e peggiorare le cose. Diceva anche che rimettere in ordine tutta la casa, sistemare le loro stanze e quella che divideva con il marito era anche un modo per rimettere in ordine le proprie idee e trovare la soluzione migliore ai problemi che si erano venuti a creare, evitando ulteriori discussioni.

“Il torto appartiene al passato. Lascialo lì e dimenticalo.”

Parlava bene sua madre, da ex- Pacifica. Sempre così tranquilla ed equilibrata, sempre con le idee chiare.

Un vero peccato che lei assomigliasse a suo padre, vero?

Lei non era sua madre, e non riusciva a usare quel trucchetto per recuperare la calma. Per lei era semplicemente un modo per riavere il controllo della situazione. Sistemare, riordinare... le faceva sentire capace di riprendere le redini che le erano sfuggite di mano, ma non riusciva a calmarla.

Forse non funzionava sempre: forse serviva anche la volontà di lasciarsi le cose alle spalle e chiare con l’altro e lei non era sicura di volerlo fare, non in quel momento. Eppure voleva capire. Doveva capire; anche a costo di scannarsi fino al mattino seguente, di mandarsi al diavolo e maledire con tutte le proprie forza il giorno che avevano deciso di iniziare a frequentarsi con quell’idiota di Eric Turner.

Le venne quasi da ridere quando si rese conto di avere ancora il vestito addosso, che invece di stare su, le era calato mostrando il reggiseno a fascia che indossava sotto.

Pazienza tanto era sola.

Si spostò due ciocche di capelli dietro le orecchie e si alzò, innervosita dal rumore delle lavatrice che sembrava scandirle il tempo. Non aveva sonno e non voleva andare a letto. Il suo umore avrebbe potuto migliorare solo dopo aver tirato un altro paio di schiaffi a Eric e avergli fatto tornare in sede il cervello.

Ammesso e non concesso che funzionasse ancora.

Le prudevano le mani solo a pensarci; si risedette sulla punta della sedia pronta a schizzare in piedi, anche se non ne aveva motivo. Nonostante non fosse un’amante del rumore, tutto quel silenzio iniziava a darle sui nervi, così si rialzò nuovamente e si diresse in camera per infilarsi qualcosa di più comodo e ripartire alla ricerca di qualcosa da fare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Okay, manteniamo la calma… Eric? Eric! Maledizione torna qui! –

Sentì le urla di Sean arrivargli alle orecchie mentre si avviava a piedi verso la Residenza; non poteva aspettare neanche un fottuto secondo. Kaithlyn avrebbe potuto aver già letto tutti i messaggi e, come se non fosse già un problema quasi insormontabile, non aveva neanche la benché minima voglia di discutere con lei.

Si voltò vero l’altro, continuando a camminare all’indietro e picchiettando con l’indice sull’orologio. – Forse non è chiaro, Sean: se Evenson legge i messaggi, o per caso trova la password del mio pc e le viene la malsana voglia di curiosare sono fottuto okay? Irrimediabilmente, fottuto! Non ho tempo da perdere! – gridò in risposta.

Gli arrivò alle orecchie un verso esasperato, prima che sentisse i passi rapidi di Sean raggiungerlo e una mano stringergli un braccio e bloccarlo.

- Appunto, idiota! Perché diavolo pensi che abbia appena chiesto a Mia di venirci a prendere in macchina?! – domandò con ovvietà, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.

Si bloccò, smettendo immediatamente di provare a divincolarsi. In fin dei conti non era una cattiva idea.

Scrutò attentamente Sean: dopo tutto non aveva alternative, e tra una cosa e l’altra ci avrebbero impiegato meno tempo in macchina che a piedi… anche se correre un altro po’, magari fino a stramazzare al suolo, gli avrebbe fatto bene e gli avrebbe dato modo di riflettere su cosa inventarsi nel caso Kaithlyn avesse scoperto quello che di lì a tre settimane sarebbe accaduto.

- Sta già arrivando, guarda… - proseguì Sean, estraendo il suo di Cercapersone e mostrandogli lo scambio di messaggi tra lui e la ragazza. - … e ora mettiti tranquillo e pensiamo a cosa raccontare a quella psicopatica della tua ragazza! -.

Si lasciò trascinare passivamente verso il muricciolo su cui si erano fermati prima e si sedette, appoggiando gli avambracci sulle gambe.

Iniziava a sentire la testa pulsare fastidiosamente, come gli accadeva dopo ogni attacco d’ira. Provò a massaggiarsi le tempie, invano.

Sentì Sean sedersi accanto a lui, nella sua stessa posizione. – Che cosa succede se lei scopre quello che sta succedendo? – gli chiese, dopo un po’.

Non ci voleva neanche pensare. – Se lo scoprisse e gli altri Capofazione lo venissero a sapere, tecnicamente andrebbe eliminata. – rispose, come un automa, passandosi una mano sugli occhi.

No, decisamente non ci voleva pensare.

Sean diventò pensieroso. – Tecnicamente? Non ne sei sicuro? -.

Sospirò pesantemente dal naso, irrigidendo i muscoli. – No. Kaithlyn è un valido elemento, è la Prima Tiratrice Scelta, ha un’eccellente conoscenza informatica, scientifica e una mente brillante. Sarebbe uno spreco di potenziale non indifferente. E suo padre è uno degli uomini più influenti della città, secondo te lascerebbe correre se la figlia sparisse misteriosamente nel nulla? -.

Fece una pausa, mentre l’immagine del corpo senza vita di Kaithlyn gli balenava davanti agli occhi. Scacciò quell’immagine, che per quanto fulminea riuscì comunque fargli stringere lo stomaco in modo quasi doloroso e fargli salire il vomito. – No, non sarebbe possibile. Per quanto Jeanine potrebbe gioire della dipartita di Kaithlyn, non le conviene né da un punto di vista politico né pratico. – concluse.

L’espressione di Sean, in quel momento, era sconcertata. – Che gliene importa a Jeanine di Kaithlyn? Voglio dire… le due pazze si conoscono? -.

A quelle parole gli venne quasi da ridere, anche se non c’era niente di divertente in tutta quella situazione. Jeanine non aveva fatto altro, negli ultimi giorni, che lanciargli strane frecciatine su Kaithlyn, e non essere ancora venuto a capo di ciò che intendesse, lo faceva diventare pazzo.

Perché stuzzicarlo in quel modo? Doveva esserci dietro qualcosa, o sarebbe stato un comportamento assolutamente illogico e privo di fondamento.

Gli sembrava in impazzire ogni volta che ci pensava, che provava a comprendere cosa ci fosse dietro. Forse avrebbe dovuto fare uno sforzo e domandare a William se sapeva qualcosa in più di lui. Sapeva che anche lui era convolto in quella storia. Lo sentiva dentro la pelle, ed era una sensazione talmente tangibile e reale che gli sembrò quasi di vederlo, nel Quartier Generale, mentre dialogava con Jeanine esattamente come aveva fatto innumerevoli volte lui stesso.

Ghignò, girandosi lentamente verso l’altro. – Prima che si trasferisse qui Kaithlyn era la favorita per la carica di Capofazione degli Eruditi. Avrebbe sostituito Jeanine, un giorno. –

Sean spalancò la bocca e lo fisso incredulo. – In che senso? Jeanine è giovane, come avrebbe fatto a… - iniziò, evidentemente confuso.

Non aveva torto: negli Intrepidi i Capofazione veniva deposti solo per tradimento o a causa di impedimenti fisici che non gli permettessero di svolgere la loro funzione, ed in entrambi i casi venivano messi a morte o erano loro stessi a chiederla.

Era difficile, quasi impossibile che un Capofazione intrepido rinunciasse prima del tempo al suo ruolo.

- Negli Eruditi non è necessario che un Capofazione muoia, o si dimetta, affinché sia sostituito. È sufficiente che sia presente all’interno della fazione un candidato più idoneo al compito, e il “mandato” decade quasi automaticamente. Ovviamente ci sono diverti test da superare, e non è molto saggio tentare di occupare il posto di un Capofazione Erudito, ma può succedere. L’unico fattore importante, per gli Eruditi è il Q.I. e la conoscenza del candidato, altri fattori come ad esempio la popolarità o l’influenza che esercita sugli altri non sono neanche presi in considerazione. Kaithlyn ha ottenuto il massimo dei punteggi in ogni test psicoattitudinale dell’ultimo anno dei livelli superiori e questo l’ha resa per gli Eruditi un potenziale candidato. È per questo che si alzò tutto quel polverone quattro anni fa… solo un pazzo rifiuterebbe un’opportunità del genere e i suoi risultati erano talmente alti che nessuno avrebbe potuto pensare che in realtà fosse un’Intrepida. –

- Be’, magari non è risultata Intrepida. – commentò Sean, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Ebbe un attimo di smarrimento: Kaithlyn? La stessa Intrepida dal carattere indomabile e ingestibile? La stessa ragazza tanto talentuosa nel tiro al bersaglio da entrare nelle Forze Speciali a soli sedici anni? Un’Erudita?

Gli sembrava assurdo. Nessuno  risultato “Erudito” avrebbe potuto essere tanto perfetto per la carica che ricopriva Kaithlyn. O sembrare così ben collocato all’interno della fazione. Le armi, la palestra, il caos del Pozzo… sembravano perfette per lei così forte e indomabile.

Cercò d’immaginarsi Kaithlyn come Erudita, magari con paio di occhiali sul naso, senza il piercing sotto il labbro, sulla lingua e sull’ombelico, priva di orecchini vari e tatuaggi, vestita con una camicetta bianca e una gonna blu lunga fino al ginocchio con tanto di  giacchetta abbinata.

Era abbastanza intelligente? Assolutamente sì, era molto più che intelligente, lo sapeva bene e non aveva dubbi sul fatto che se fosse rimasta tra gli Eruditi sarebbe arrivata in alto.

Ma se fosse davvero risultata Erudita, perché rifiutare un futuro tanto brillante e ricco di soddisfazioni per gli Intrepidi? Per qualcosa d’incerto?

Lasciare una situazione familiare agiata e tranquilla, e un futuro brillante per lanciarsi dai treni in corsa, vivere da sola e doversi mantenere, non era un comportamento logico. Non era un comportamento da Erudito, un Erudito avrebbe fatto i salti di gioia e non si sarebbe spostato neanche morto da dove si trovava al posto di Kaithlyn.

No, era impossibile.

Potrebbe essere entrambe le cose.

No. Impossibile. Cercò di ignorare la vocina malefica nella sua testa che cercava di insinuare il dubbio.

Se Kaithlyn, la stessa Kaithlyn con cui aveva condiviso il letto per tutto quel tempo, avesse avuto dei comportamenti ambigui lui se ne sarebbe accorto. Sapeva riconoscere un divergente, e dopo mesi in sua compagnia…

Sei cieco…

Si prese la testa tra le mani, mentre gli sembrava che tutto iniziasse a ruotare vorticosamente nella sua mente, trascinandolo nel baratro dell’angoscia e della disperazione.

Non poteva essere… non poteva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano passate le undici da una decina di minuti quando udì bussare energicamente alla porta dell’ingresso.

Intuendo chi ci fosse dall’altra parte fece con calma: si alzò lentamente e si diresse scalza verso la porta, prendendosi tutto il tempo del mondo. – Chi è? – chiese educatamente, schiarendosi la voce e appoggiando un palmo alla superficie liscia della porta.

- Io. – disse una voce cupa dall’altro lato.

Il primo impulso fu di chiedere “io chi”, ma si trattenne: la situazione era già abbastanza tesa senza che incrementasse la dose.

Aprì lentamente la porta, ritrovandosi davanti Eric. Aveva le braccia rigide lungo i fianchi e alcuni ciuffi di capelli scuri gli coprivano il viso. Sembrava sudato, quasi febbricitante. Fuori di sé come e più di prima.

Inarcò un sopracciglio e si mise una mano su un fianco. – Sì? Che vuoi? – domandò.

Lui alzò gli occhi su di lei, e lo vide indugiare sul lato del viso su cui l’aveva colpita, ma non disse una parola. Si limitò a scansarla e a entrare di prepotenza.

- Prego, accomodati… fai pure come se fossi a casa tua! – sbottò riacquistando l’equilibrio e seguendo il tragitto di Eric con gli occhi fino alla stanza da letto. Lo seguì, appoggiandosi allo stipite della porta per vedere cosa aveva in mente.

- Non preoccuparti. Prendo la mia roba e me ne vado subito. – le disse senza voltarsi a guardarla. Aveva la voce vibrante come una corda tesa, come se stesse cercando di non urlare.

Fece una smorfia. –Bravo. È l’idea migliore che ti sia venuta nell’ultima settimana. –

Eric la fisso con un’espressione terrificante per interminabili istanti. I capelli neri gli ricadevano sugli occhi, dandogli l’aria fredda e letale di serpente che punta la sua vittima.

Gli scossò uno sguardo di sfida, avendo però il buon senso di rimanere zitta dopo quella che, doveva riconoscerlo, era stata l’ennesima uscita infelice.

Be’, lui le aveva dato della troia, dell’incapace e l’aveva pure sbatacchiata contro il muro. Quello era il minimo che potesse aspettarsi.

Il silenzio regnò per alcuni minuti durante i quali gli unici rumori che si udirono furono Eric che infilava la sua roba nel borsone e la lavatrice che continuava il suo lavaggio.

- Se non trovi quella stupida maglietta che ti piace tanto, sappi che è in lavatrice. – lo avvisò, dopo alcuni minuti vedendo che aveva smesso di armeggiare con i cassetti.

Eric si voltò e la guardò contrariato. – Perché? – chiese scandendo ogni sillaba come se lei avesse voluto fargli un dispetto.

Be’, in effetti…

- Perché puzzava e faceva schifo.  

- Perfetto, allora tornerò domani a prenderla. Piuttosto che passare un’altra ora qui, mi faccio una nuotata nel fiume sotterraneo. – disse, mentre finiva di sistemare la sua roba e sollevava il borsone uscendo dalla stanza.

Lo seguì stizzita fino all’ingresso, aspettando che avesse una mano sul gancio della serratura. – Non credo proprio, Turner. Se esci da quella porta, non voglio più vedere nemmeno la tua ombra da queste parti. Il massimo che posso fare per te è darti un sacchettino di plastica per infilarci la roba bagnata. –

Eric lasciò cadere pesantemente il borsone a terra. – Fantastico. Davvero grandioso. –

Fece marcia indietro, avvicinandosi a lei quanto bastava a guardarla in faccia. – Dimmi una cosa... – iniziò, la voce vibrante di rabbia. – Ti serve forse un po’ di spazio per farti i tuoi comodi con qualcuno? – le chiese, a pochi centimetri dal suo viso.

Inarcò le sopracciglia, fintamente perplessa. – Non so a cosa ti riferisci, Eric. Se magari ti sforzassi di parlare chiaramente anziché... -.

Senza darle preavviso, Eric la spinse contro il muro vicino alla porta e sbatté la mano a pochi centimetri dal suo viso. – A Miller! Ti sei divertita stasera con lui, eh? Non vedi l’ora che mi tolga dai piedi per... – le urlò, mentre sembrava che il sangue gli stesse salendo nuovamente alla testa.

Kaithlyn lo spinse all’indietro, stringendo i pugni per non prenderlo a schiaffi.

Di nuovo.

Si massaggiò gli occhi con una mano, cercando di mantenere la calma mentre sentiva la scintilla della rabbia e dell’irritazione riaccendersi pericolosamente. Era stanca di tutte quelle insinuazioni che la accompagnavano ovunque andasse da anni.

- Intanto vedi di darti una calmata, Turner. Io non sono uno dei tuoi patetici e ridicoli iniziati a cui puoi parlare come ti pare e piace, o puoi rendere partecipe delle stronzate che ti passano per la testa. – scandì con una strana calma nella voce, che però non sentiva dentro di sé.  

Le sembrava quasi di tremare, e che il tremore si diffondesse dallo stomaco al resto del corpo, fino al cervello impendendole di ragionare con lucidità.

Forse ancora doveva metabolizzare quello che era successo, o magari era solo una scusa per prendere tempo e riflettere sul da farsi: non poteva lasciar correre. Non quella volta. Non dove essere stata sbattuta al muro, quasi picchiata e insultata. Non era da lei, non era così che funzionava.

Nonostante ciò, Eric Turner era ancora lì davanti a lei, a guardarla con gli occhi intrisi di rabbia e rancore.

Sembrava, a guardarlo, che la gelosia e la rabbia lo stessero consumando eppure c’era qualcos’altro in fondo alle iridi d’acciaio. Come se stesse tramando e i suoi pensieri fossero in parte lontani, altrove.

Lo guardò attentamente, mentre la sua mente iniziava a lavorare e formulare ipotesi esattamente come le era stato insegnato a fare per risolvere i problemi e capire ciò che le stava intorno.

Lo vide lanciare un’occhiata furtiva verso la cucina, che lei aveva alle spalle.

Il giaccone. Aveva appoggiato il giubbotto nero di Eric sulla sedia, ed era in quella direzione che lui aveva puntato lo sguardo.

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso; presa da una furia irrazionale e priva di fondamento, perché era consapevole di starsi basando su un’idea infondata, si diresse speditamente verso il tavolo della cucina, scansando con una dolorosa spallata il ragazzo e raggiungendo il suo obiettivo in pochi attimi.

Fece scattare rapidamente lo sguardo dal giubbotto nero al Cercapersone, indecisa su cosa fare.

Lo schermo del dispositivo s’illuminò improvvisamente e vibrò, rivelando sul display il nome di Max; decise di assecondare la rabbia che sembrava essersi impadronita di lei e che in quel momento sembrava averle quasi anestetizzato la spalla dolorante. Afferrò bruscamente il Cercapersone e lo scagliò contro Eric, che nonostante l’avesse seguita silenziosamente si teneva a diverse decine di centimetri di distanza.

- Ecco cosa sei venuto a fare! – urlò guardando furente mentre lui afferrava al volo il dispositivo illuminato prima che cadesse a terra. Il display continuava a vibrare disperatamente, e poteva anche essere qualcosa d’importante, ma non le importava.

- Se venuto fin qui per questo, vero? Con chi devi chiacchierare? Con una di quelle sgualdrinelle da quattro soldi che ti sbavano dietro solo perché sei un Capofazione!? O perché la serata non è stata abbastanza soddisfacente e speravi di ottenere altro? – gridò, ancora. Ormai si sentiva incapace di frenare la lingua e l’unica cosa che desiderava era ferirlo e umiliarlo, come lui aveva fatto con lei… non importava che in quella stanza ci fossero solo loro due e non importava neanche che potesse aver travisato completamente i suoi gesti.

Voleva provocarlo, costringerlo a cedere… come stava facendo lei a causa della stanchezza.

Afferrò malamente il giaccone e lo guardò con aria critica, prima di iniziare a scuoterlo facendo cadere a terra il portafoglio, il budge per accedere a tutti i locali della Residenza, il distintivo di riconoscimento da Capofazione e un mazzo di chiavi.

Lanciò la giacca nera sul tavolo della cucina con un gesto di stizza e raccattò il portafoglio.

Con calma studiata lo aprì e iniziò a estrarne il contenuto, prima di lanciarlo addosso a Eric con rabbia.

Poi fu il turno delle chiavi, che afferrò quasi senza guardare prima di tirarle in faccia al ragazzo, che non sembrava reagire. – Ecco! C’è altro che ti serve qua dentro? – chiese facendo un gesto con le mani riferito a se stessa e senza attendere una risposta strinse le dita intorno al tessuto del giubbotto e lo tirò un paio di volte addosso a Eric, costringendolo a fare un paio di passi indietro per non ricevere un bottone o la cerniera in un occhio.

Fu quasi contenta di vedere un vago barlume di scintilla combattiva infondo alle iridi grigie e fredde. Lo sentì quasi ringhiare, prima che avanzasse verso di lei tanto da arrivare a pochi centimetri dal suo viso.

Era furiosa. Furiosa e confusa, e non sapeva dove battere la testa; in genere, quando aveva un problema o le capitava qualcosa cercava sempre la soluzione migliore per risolvere o aggirare l’ostacolo che si trovava davanti, che fosse fisico o mentale, cercando di non risentirne e ottenere il massimo. Così le avevano insegnato negli Eruditi e così continuava a fare anche dopo quattro anni dal giorno della sua Scelta. Funzionava, ed era un metodo che le era tornato utile in tutto: nei combattimenti, nei test teorici e nel valutare chi gli stava intorno.

Quella situazione faceva eccezione però: non capiva, non riusciva a comprendere, a trovare una spiegazione logica a quello che era accaduto poco prima. Aveva ipotizzato che si fosse trattata semplicemente di un attacco di rabbia, ma era strano: negli ultimi cinque mesi non l’aveva mai visto perdere il controllo, anche se aveva avuto dei momenti in cui non sembrava perfettamente in sé, come qualche giorno prima quando aveva accennato all’onnipresenza di rappresentanza Erudita nella Residenza, ma non era mai successo niente di serio. Niente che la potesse spaventare o toccare, e lui era sempre stato fin troppo protettivo nei suoi confronti.

Per quanto si sforzasse e stesse cercando di spremersi non riusciva a capite e la cosa la stava facendo diventare pazza: odiava perdere il controllo della situazione e non sapere come gestire ogni eventualità la rendeva nervosa e paranoica all’inverosimile. Non era mai stata il tipo che si fida del prossimo a priori e in quel momento, quella fiducia che era riuscita a concedere faticosamente ad Eric in quei pochi mesi di frequentazione vacillava pericolosamente.

Eric strinse le labbra. – Hai finito? – mormorò, abbassando la mano che reggeva la giacca che era riuscita a toglierle dopo il secondo colpo. La voce era tornata bassa e letale, come se la rabbia di pochi attimi prima fosse stata risucchiata improvvisamente.

Era incredibile come riuscisse a passare dall’ira più feroce e nera alla calma più assoluta e calcolata.

Eppure sembrava ancora febbricitante, gli occhi appannati da chissà cosa.

- No! Non ho finito per niente! – strillò, stringendo i pugni e allontanandosi da lui con un moto di stizza. – Che diavolo ti è preso, si può sapere eh? – gli ringhiò, voltandosi verso di lui infuriata.

- Guarda che hai iniziato te, stamattina. Se avessi tenuto quella boccuccia che ti piace tanto usare chiusa, non sarebbe successo niente. – commentò, la voce bassa e cupa, quasi ringhiosa.

Kaithlyn spalancò la bocca e si sentì infiammare fin dentro le viscere, era una rabbia che partiva dallo stomaco e si diffondeva rapidamente in tutto il resto del corpo fino ad annebbiarle la mente.

- Ora, se hai finito di fare la gallina isterica, rivorrei anche il resto della mia roba. – proseguì, con calma calcolata.

A quel punto non ci vide più. Tornò verso di lui, arrivandogli a pochi centimetri dal viso, prima di spintonarlo contro fino alla parete vicino alla porta.

- Non ti permettere. – sibilò mentre gli tirava un’ultima spinta.

- Stammi a sentire, se pensi io possa tollerare di sentirmi dare della puttana da uno stronzetto paranoico pieno di complessi,  al quale ho insegnato ad allacciarsi gli scarponi da addestramento e che solo per il fatto di essere diventato Capofazione credo di potersi permettere tutto… -

Eric sorrise un po’, nonostante gli occhi gli si fossero rabbuiati. – Certo. Dato che sei la mia istruttrice, devo stenderti il tappeto rosso. Quasi l’avevo dimenticato. – le sibilò e sembrò quasi che parlasse più a se stesso che a lei.

Kaithlyn lo guardò, gli occhi azzurri ardenti di rabbia e delusione.

Lo spintonò ancora contro il muro, facendogli sbattere la schiena. – Se volevi una brava ragazzina moccicosa che ti pulisse il naso e dicesse quello che vuoi sentire tu solo per alleviare la tua sensazione di essere un fallito, ha scelto la persona sbagliata! – gridò, ma Eric non la guardò nemmeno.

Gli prese il mento con gesto di rabbia e gli girò bruscamente il viso. – E guardami in faccia quando ti parlo! – strillò, ancora.

- Non toccarmi – ringhiò lui allontanando la sua mano con un gesto secco. – Non provare a toccarmi. –

Kaithlyn gli scoppiò a ridere in faccia. – Povero piccino… sono troppo cattiva per te? – lo derise, sporgendo il labbro inferiore.

L’espressione di derisione che aveva dipinta sul viso si tramutò in una smorfia di dolore quanto Eric la afferrò la testa con entrambe le mani e ribaltò le posizioni attaccandola al muro e schiacciandola con il suo corpo. Sentiva le sue mani tremare, come se si stesse trattenendo dallo stringergliele intorno al collo.

La costrinse ad alzare il viso verso di lui, e l’occhiata che le riservò ebbe il potere di farla tremare d’inquietudine.

Sembrava un pazzo. – Chiudi la bocca, o lo farò io per te. – le sibilò, come un serpente velenoso.

Fu costretta a inarcarsi leggermente verso di lui e allungarsi sulla punta dei piedi per mantenere l’equilibrio. Eric le stringeva con forza il viso e lo zigomo le pulsava dolorosamente, così come la spalla. – Non giocare a chi è più cattivo con me, Eric. So che ci sei abituato, ma perderesti miseramente ed io non voglio sorbirmi le tue lagne patetiche. – riuscì ad articolare.  

Eric sibilò tra i denti e le arrivò tanto vicino che per un attimo temette che volesse darle una testata in mezzo agli occhi. – E c’è qualcuno che ancora si domanda come tu, sia arrivata dove sei…- mormorò passandole senza delicatezza il pollice sul labbro inferiore e squadrandola crudelmente, con un’occhiata che lasciava intendere il significato di quell’affermazione.

Spalancò gli occhi. Tra tutto quello che si era sentita dire dietro, quella era la cosa che la mandava decisamente più in bestia.

Provò a divincolarsi. – Fottiti – gli sibilò in un lamento, provando a strattonarsi inutilmente, dalla sua presa.

Eric la fisso per un lungo secondo; gli occhi vuoti e freddi come il ghiaccio. – Va’ all’inferno. –

La lasciò bruscamente andare, facendole strusciare la schiena contro la parete, e se ne andò sbattendo la porta prima che lei avesse il tempo di rispondergli.

Il colpo alla schiena le fece quasi venire le lacrime agli occhi: era stanca, le scoppiava la testa e schiena e viso le pulsavano dolorosamente.

Se avesse avuto abbastanza energie l’avrebbe rincordo per prenderlo a pugni, ma non era la serata adatta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sentiva l’inquietudine dei suoi stessi pensieri avvelenarlo fin dentro le ossa. Era stato solo un pensiero quello di neanche due ore prima, che gli era passato nella mentre come un sottile, tenue filo di luce, ma aveva avuto la stesse potenza devastante di un veleno, che distrugge tutti i tessuti che incontra, corrodendoli. Aveva alimentato da solo i suoi incubi, e fino a quando non fosse riuscito a chiarirsi le idee, non avrebbe avuto pace.

Stava impazzendo: se non si fosse tolto quel dubbio atroce e logorante sarebbe diventato pazzo, ne era certo.

Le parole di Sean sembravano rimbombargli ancora nelle orecchie, e doveva assolutamente chiarirsi le idee. Avrebbe hackerato l’intero sistema di Chicago se fosse stato necessario… avrebbe fatto qualsiasi cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci mise qualche secondo per riordinarsi le idee una volta uscito dall’appartamento di Kaithlyn. Doveva assolutamente accedere all’archivio dati delle simulazioni degli anni precedenti e togliersi quel pensiero assurdo, che sembrava divorarlo dall’interno.

Non lei. Chiunque, ma non Kaithlyn.

Era fuori di sé dalla rabbia, amareggiato e deluso, ma sapeva di essersi spinto troppo oltre con lei. Non avrebbe dovuto lasciarsi sopraffare dall’ira che aveva preso a scorrergli come lava incandescente al posto del sangue e umiliarla in quel modo, ma in quel momento l’unica cosa che voleva era ripagarla con la stessa moneta.

Sapeva di essere riuscito a creare una crepa nell’orgoglio di Kaithlyn, e se ne compiaceva. Allo stesso tempo avrebbe voluto riavvolgere le ultime ore e tornare alla sera prima quando l’aveva trovata ad aspettarlo nella vasca da bagno.

Considerando chi era stato a insinuargli il dubbio, si diresse quasi correndo verso l’appartamento di Sean, al piano inferiore.

Scese le scale due gradini alla volta, e si appoggiò al muro per svoltare più in fretta possibile e raggiungere il suo obiettivo: sembrava che le sua gambe avessero vita propria, che si muovessero indipendentemente dalle sue idee confuse e deliranti e sapessero perfettamente dove andare.

Aveva la gola secca, talmente arida che gli sembrava quasi cha l’aria che entrava e usciva dai suoi polmoni gli stesse graffiando tutte le vie respiratorie. Era fradicio di sudore, e l’aria fredda del corridoio che gli passo sulla pelle bagnata lo vece rabbrividire nonostante la corsa.

I corridoi erano bui e deserti fortunatamente, e non impiegò che pochi secondi per raggiungere il portone dell’appartamento con il campanello al nome “Byrd”.

Batté con forza un pugno sulla porta di legno massiccio. Una, due, tre volte.

- Sean! Dannazione apri! APRI! – gridò, battendo un ultimo colpo più forte.

Quella che gli uscì non sembrava neanche la sua voce.

Il silenzio che aveva intorno sembrava riempire ogni angolo del corridoio, rendendolo ancora più opprimente. Gli fischiava nelle orecchie per il silenzio. Avrebbe preferito che ci fosse più rumore; magari un movimento, qualcuno di passaggio… qualsiasi cosa che lo distraesse dai suoi incubi.

Si guardò rapidamente intorno e strinse i pugni, mentre qualcosa di caldo, di cui non si era reso conto fino a quel momento, gli scorreva tra le dita.

Sangue.

Forse era stato a causa dell’adrenalina ma non si era reso conto, fino a quel momento, di avere un unico taglio all’attaccatura delle dita, abbastanza profondo da fargli tremare le mani e scorrere il sangue fino a sporcare il pavimento.

Si contemplò per un secondo i palmi, maledicendosi per non essere riuscito a controllarsi. Aveva il dorso di entrambe le mani incrostato di sangue, fuoriuscito dalla croste che si era già procurato e che si erano inevitabilmente riaperte quando aveva stretto le mani intorno alla ringhiera che dava sullo strapiombo e aveva preso a pugni il muro.

Ora che l’effetto quasi anestetizzante dell’adrenalina, che gli aveva permesso di ignorare il dolore, stava scemando gli facevano anche dannatamente male. Si maledisse mentalmente e si costrinse ad abbassare le mani e ignorare il dolore.

Scosse la testa. Se ne sarebbe occupato più tardi, in quel momento aveva cose più urgenti da fare.

Alzò nuovamente il braccio, pronto a colpire ancora la porta e anche a sfondarla, se necessario, con un paio di spallate. Aveva già tirato leggermente indietro la mano per colpire nuovamente la porta, quando questa si aprì.

Sulla soglia apparve Sean, a torno nudo e con la faccia di uno che è stato appena svegliato da un sonno piuttosto pesante. Alle sue spalle c’era Mia con quella che doveva essere la maglietta di Sean addosso e l’aria altrettanto sconvolta e assonnata.

- Devi venire con me. Adesso. – sibilò, con la solita espressione imperscrutabile che lo contraddistingueva.

Doveva avere un aspetto terrificante, perché entrambi lo guardarono come se avessero visto un fantasma.

Sean si riscosse, scrollando la testa. – Sì… - mormorò, cercando di nascondere uno sbadiglio. – Mi vesto e arrivo… - brontolò, tornando dentro strusciando le ciabatte sul pavimento.

- Veloce! È urgente! – ringhiò.

Era nervoso, non voleva aspettare. Non poteva, doveva sapere.

- Ciao Eric… - biascicò Mia, ancora sulla porta. – Vuoi entrare? -.

- No, grazie. Digli di muoversi. –

- Ti senti bene? – gli chiese, inclinando la testa da un lato e guardandolo attentamente.

- Sì. Digli di muoversi! – ringhiò ancora.

Lei gli lanciò un’occhiata poco convinta, si passò una mano tra i capelli castani, e rientrò.

La sentì borbottare qualcosa a Sean, e che pochi attimi dopo riapparve sulla soglia.

- Era l’ora! Muoviti, dobbiamo prima passare da me! – gli sibilò, afferrandolo per un braccio e iniziando a trascinarlo verso il suo appartamento.

Sean si passò una mano tra i capelli. – A fare cosa? Dove stiamo correndo? Si tratta di… - domandò, improvvisamente serio lasciando la domanda in sospeso.

- No… qualcosa del genere, vieni con me e non fare domande. – rispose evasivo, accelerando il passo.

Fecero le scale correndo, e quando arrivarono davanti alla porta, erano entrambi quasi senza fiato.

Eric infilò le chiavi nella serratura e aprì rapidamente la porta. Lanciò il giubbotto sul divano con poca delicatezza e senza neanche accendere la luce si precipitò in camera sua.

Il letto a una piazza e mezzo era ancora disfatto dalla mattina, le lenzuola aggrovigliate proprio come l’ultima volta che si era rotolato tra le lenzuola con Kaithlyn. Sentì lo stomaco stringersi in una morsa dolora a quel ricordo.

Sembrava impossibile che in così poche ore, da quando lei si era fatta trovare nella vasca da bagno nuda e invitante come la più seducente delle tentazioni, solo per lui, fossero arrivati a quello.

Aveva ancora le chiavi di casa sua però, costatò guardando il suo mazzo di chiavi.

Bene, gli sarebbero state utili più tardi dato che lei non gli avrebbe mai aperto.

Si guardò intorno, cercando di fare mente locale. Andò alla scrivania, situata accanto alla porta e aprì il cassetto, infilandoci una mano per cercare quello che gli serviva.

Forse nel comodino?

Montò sul letto e lo scavalcò per fare prima, aprì il cassetto, cercò quella stramaledetta chiavetta ma nulla.

- Che stai cercando come uno psicopatico schizzato, se posso chiedere? – domandò Sean alle sue spalle, appoggiandosi alla parete accanto alla porta.

- Una chiavetta. – rispose laconico, passandosi una mano sulla testa pensando a dove poteva averla cacciata. – Blu, c’è un’etichetta bianca con scritto il mio nome sopra. –

- Quella che usi per i file con gli Eruditi? – indagò l’altro.

- Non esattamente. –

- Attaccata al computer? –

- No. –

- Mmh… nella borsa per il computer? –

- No! – ribatté, pensieroso. – Aspetta… -

Forse aveva un’idea di dove poteva essere: si era ripromesso di utilizzarla solo in caso di emergenza, ed ogni volta che aveva dovuto apportare delle modifiche al suo contenuto l’aveva sempre rimessa al suo posto, deciso due anni prima.

S’inginocchiò sul pavimento e guardò sotto il letto, intravedendo la sagoma della sacca che aveva usato durante la sua iniziazione. S’infilò con la testa e metà del torace sotto il bordo del letto e strisciò fino a raggiungerla.

Afferrò la stoffa ruvida della borsa, sollevando un sottile strato di polvere e si ritrascinò fuori.

La appoggiò sul bordo del letto e la aprì, iniziando a tirare fuori i vestiti che aveva il Giorno della Scelta. Doveva tenerla dove nessuno avrebbe guardato: chi poteva andare a cercare sotto il suo letto in una vecchia sacca da palestra in cui erano contenuti i vestiti del suo Giorno della Scelta e poco altro?

Trovò quello che cercava nel taschino interno della giacca blu. – Prendimi il computer, accendilo e mettimelo sul tavolo di là, okay? – mormorò, rigirandosi la chiavetta tra le mani. – Stiamo per fare una cosa pericolosa. –

- Tu stai per fare una cosa pericolosa, amico. – precisò Sean, afferrando dalla scrivania il pc e dirigendosi nell’altra stanza.

Una delle cose positive di Sean, era che non faceva troppe domande.

Per quanto riguardava lui doveva essere veloce e invisibile se voleva ottenere le informazioni che cercava: poteva farcela, e sperava davvero che l’archivio dati non fosse nel sistema interno degli Eruditi, o avrebbe avuto bisogno di molto più che i nervi saldi.

Sean lo aspettava seduto sul divano, lo schermo del computer acceso sulla schermata che chiedeva la password dell’account.

Prima di raggiungerlo si diresse verso la porta e chiuse dall’interno, in modo da essere sicuro non poter essere disturbato. Se fosse venuto qualcuno a cercarlo, avrebbe fatto in tempo a chiudere tutto, levare il computer e fare finta di nulla. prese anche due bicchieri dalla credenza e lì riempì con un po’ di liquore, in modo che fosse tutto più convincente.

Poggiò il bicchiere davanti a Sean. – Non berlo. Serve se arriva qualcuno. – lo avvisò, dato che lui aveva già allungato la mano per bere.

Sean annuì, posando il bicchiere davanti a lui e sistemandosi nervosamente sul posto.

Si scrocchiò le dita mentre si sedeva facendo un bel respiro.

- È una cosa legale, almeno? – domandò l’altro, mentre lui accedeva al suo account.

Gli lanciò un’occhiata rapida. – No. Se ci beccano l’ipotesi migliore, è che mi licenzino in tronco. –

- Ah. Hai voglia di un po’ di adrenalina, eh? – lo provocò, strusciandosi le mani sui pantaloni. Era evidente che fosse nervoso anche lui e non lo biasimava per questo.

Scosse la testa, ignorando il tentativo di alleggerire la tensione.

Aspettò che l’hardware fosse installato correttamente, prima di cliccarci sopra.

Andò sulla cartella “EW”, e inserì la password. Erano in due a saperla in tutta Chicago… ed entrambi erano stati abbastanza bravi da rendere quasi impossibile indovinarla o risalirci in alcun modo.

Si aprì una lista di file, che scorse con lentezza, attento a non saltare quello che gli serviva. Quando lo trovò, sotto un nome fittizio, ci cliccò sopra un paio di volte lanciando finalmente il programma.

Gli apparirono due schermate piene di codici all’apparenza incomprensibili e una piccola finestra di dialogo blu in alto a destra su cui lampeggiava un lineetta bianca.

- Okay. – mormorò in un respiro.

- Io devo fare qualcosa? – chiese Sean, sporgendosi verso di lui. – posso guardare? – aggiunse.

- Sì. Ma non ci capirai niente. – lo avvertì laconico, cercando l’accesso al computer di Max.

Quando lo individuò, con sua grande sorpresa, lo trovò acceso e attivo. La freccetta bianca si muoveva sulle cartelle, e sembrava stesse cercando qualcosa.

Max non era esattamente un mago in quel genere di cose, ma aveva messo una password a ogni cartella.

Quella per l’accesso al pc era 084628.

Cercò il canale delle videocamere, fino a trovare quella dell’ufficio di Max scoprendo che era vuoto.

Quindi qualcun’altro stava provando ad accedere. Nessuno dei Capofazione, lui incluso, ne aveva motivo dato che avevano gli stessi identici file con l’inventario e i piani di attacco.

Per sicurezza bloccò il secondo utente, escludendolo dal computer e si appuntò di dire a Max di modificare la password al più presto.

Ricercò nella memoria interna i file degli anni precedenti, ritrovando solo quelli di tre anni prima, che erano i più vecchi.

- Maledizione… - mormorò, stringendo i pugni sulle ginocchia e allontanandosi un po’ dallo schermo.

- Che succede? È andata male? – indagò Sean, sbirciando sullo schermo.

- Max ha i dati d’iniziazioni solo fino alla classe di tre anni fa… - spiegò, - okay, a mali estremi… -

Si rimise al lavoro e per sicurezza bloccò l’accesso al computer di Max fino al giorno seguente.

Si sarebbe dovuto preoccupare di più dell’altro utente, ma in quel momento aveva pensieri più urgenti e cose più difficili da fare.

- Allora cosa vuoi fare? – sbadigliò Sean, senza curarsi di mettersi una mano davanti alla bocca.

- Entro nel sistema interno del Quartier Generale degli Eruditi, nell’archivio, faccio una copia di quel che mi serve ed esco. – rispose meccanicamente, mentre una goccia di sudore gli scivolava lungo una tempia.

- Non ci capisco granché. Che succede se ti beccano in questo caso? –

Non rispose, non volendo pensare anche a quello che fino a quel momento era risultato nella sua scala delle priorità come l’ultimo dei suoi problemi. Eppure non era da sottovalutare per niente. Jeanine non sarebbe stata contenta, ma non doveva neanche venirlo a sapere.

Si tirò indietro i capelli con una mano e rilanciò il programma. Doveva trovare una porta aperta ed entrare nel sistema, ma non era così ovvio: il sistema degli Eruditi era dotato di sistemi di sicurezza notevoli, e trovare una porta da cui passare per accedere proprio all’archivio dati, non era un’impresa da poco.

Sicuramente gli avrebbe fatto comodo una mano, dall’altra parte.

Cercò tutte le vie possibili fino a quando non ne trovò una. Era quasi per forzarla ed entrare, quando nella finestrella di dialogo in alto a destra, apparve un messaggio numerico tutto in grassetto.

Lì per lì iniziò a sudare freddo, prima di rendersi conto che non si trattava di un linguaggio numerico convenzionale o utilizzato.

- Che vuol dire? – s’intromise Sean, cercando un nesso logico.

Il cuore iniziò a martellargli velocemente nel petto.

- “NAVIGAZIONE IN INCOGNITO, IDIOTA.” – rispose, decifrando il codice che lui stesso aveva contribuito a inventare qualche anno prima.

- Ah, tipo linguaggio in codice! Come sai cosa c’è scritto? Non ho mai visto una sequenza di numeri simile, sembra piena di errori! – proseguì, cercando di capire dove stesse il nesso logico.

- Non c’è una sequenza logica… e non lo troverai nei libri. L’ho inventato io. Un po’ come quei giochetti che fanno le bambine di aggiungere una lettera davanti e dopo le vocali per avere il loro “linguaggio segreto”, hai presente? Ecco, è la stessa identica cosa, solo fatta con i numeri usati per la programmazione. Hanno una logica solo per chi conosce il trucco, che poi sarebbe una banalissima chiave di lettura. –

Sean intrecciò le mani davanti a sé, poggiando i gomiti sulle cosce. – Forte! Come i gemelli, che si capiscono anche senza… oh! Ah… ecco... – mormorò, come colto da un’improvvisa illuminazione.

Eric tirò su un angolo della bocca. – Sì beh… hai capito. A quanto pare ho avuto fortuna! –

Strano..

Inserì la navigazione in incognito e digitò un altro codice come risposta.

- Che cosa hai scritto, adesso? –

- Che ho seguito il suggerimento e ho chiesto se c’è una porta aperta per entrare nel sistema. – rispose senza staccare gli occhi dal monitor. Gli faceva uno strano effetto parlare dopo tutto quel tempo proprio con lui.

Eppure avrebbe dovuto essere contento: non si sarebbe fidato di nessun altro per quello che stava per fare, e non avrebbe potuto sperare in un aiuto migliore.

Sean annuì, affascinato.

- Figo pero! – si complimentò.

- Lo sapremo tra poco… – ribatté laconico. Gli tremavano le mani per il nervosismo. Da una parte non voleva sapere cosa ci fosse scritto in quei file, mentre dall’altra non vedeva l’ora di togliersi quel dubbio che lo stava letteralmente facendo impazzire.

*

- Ho trovato una porta. Fa’ in fretta, non posso stare qui tutta la notte a farti da balia virtuale.

- Vado, copio e sparisco. Rilassati, Einstein.

- Fatto, hai trenta secondi per entrare. Sbrigati.

*

Entrò rapidamente dove gli era stato indicato con una serie di tasti e finalmente fu nell’archivio dati.

Si sentì gelare il sangue: c’erano migliaia di cartelle.

Riaprì la conversazione.

*

- Renditi utile alla comunità: i file delle classi d’iniziazione di quattro anni fa.

- Cercatele, sto già cancellando tutti i dati che hai disseminato per la rete prima di mettere la navigazione in incognito. Sapevo che le tue erano braccia tolte all’agricoltura!

*

Fece una smorfia, mentre iniziava a pensare a come potesse chiamarsi quella benedetta cartella: non aveva tutta la notte, e quella storia cominciava renderlo nervoso. Sentiva il sudore colargli sulla schiena e sulle tempie.

Improvvisamente vide qualcuno ricercare qualcosa nella barra in alto a destra e la cartella cominciò la ricerca.

Ci vollero alcuni minuti prima che apparisse quello che cercava.

Copiò l’intera cartella e prima di pensare a cos’altro potesse tornargli utile uscì dal sistema come un moto di sollievo.

*

- Lo so, non c’è bisogno di ringraziarmi!

- ...

- Sei sempre così eloquente!

- Perché stavi entrando nell’archivio?

- Tengo sott’occhi questa connessione tutte le sere. Perché tu ti volevi fare un giro nell’archivio dati invece?

- Informazioni. Non mie.

- Tieni per te il resto.

- Volentieri.  

- Sei solo?

- No.

- Dobbiamo modificare la chiave?

- No.

- Perfetto. Vado a rassettare tutto.

*

- Imbecille…- borbottò, chiudendo anche lui e cancellando ogni dato rimasto.

- Conversazione interessante? – indagò Sean, che ovviamente non aveva potuto leggere niente non conoscendo la chiave di lettura.

- Non esattamente. Sicuramente utile. – ribatté, copiando la cartella sul suo desktop.

- È quella? –

- Sì. Vado? – chiese mettendo il cursore sulla cartellina con il nome di Kaithlyn. Si sentiva stranamente nervoso, nonostante il pericolo immeditato fosse passato.

Forse era per la conversazione avuta poco prima, o perché stava per scoprire qualcosa in più su Kaithlyn… e rischi che ne derivavano.

Sean deglutì e annuì, fissando intensamente lo schermo. – Vai e non pensiamoci più. -

Aprì la schermata, trovandosi davanti alla scheda dati di Kaithlyn.

- Ahaha, guarda com’era la Maledetta Stro... ehm… Kaithlyn a sedici anni! – esordì Sean, ridacchiando e correggendosi prima di chiamarla con l’appellativo poco lusinghiero che le avevano rifilato due anni prima quando era la loro istruttrice.

Non aveva tutti i torti: faceva uno strano effetto vederla così piccola. Aveva gli occhi un po’ più grandi, e l’espressione corrucciata sul viso più rotondeggiante, da ragazzina, creava uno strano contrasto con il viso da bambolina che si portava dietro ancora dopo quattro anni.

Sembrava ancora più piccola con le lentiggini sul naso e senza piercing sotto il labbro. O magari era semplicemente condizionato dal fatto di aver mai visto una sua foto prima che si trasferisse. Kaithlyn non era il tipo che amava farsi fotografare.

Sembrava proprio una bambina… però era carina anche allora. Se avessero fatto l’iniziazione insieme, probabilmente ci avrebbe provato. E avrebbe ucciso Jason Miller prima che si relazionasse con lei, poco ma sicuro.

Sembrava determinata e sicura di sé, una abituata a primeggiare, a vincere e a non essere seconda a nessuna; e quell’aria che aleggiava sul viso delle piccola Kaithlyn faceva quasi ridere considerando l’aria innocua che aveva.

Era la sedicenne dall’aspetto meno minaccioso che avesse mai visto. Bella anche allora, certo, ma senza quell’alone intrigante che doveva aver acquisto con il tempo.

L’unica cosa sempre uguale era lo spirito battagliero che aveva negli occhi azzurri.

Proseguì nella lettura.

Data di nascita, 23 Giugno.

- Ahah, non sapevo fosse anche lei una delle più piccole del suo anno! – commentò ancora Sean, leggendo i dati dell’anagrafica.

- In realtà doveva nascere nella seconda metà di Agosto, sarebbe potuta entrare direttamente l'anno successivo. – ribatté, quasi in automatico.

- Prematura? E tu come lo sai? Te l’ha detto lei? –

- No… mi sono informato. Un po’ di tempo fa. –

- Però: stalker, pirata informatico e carattere molto irritabile. Non hanno tutti i torti a trovarti un tipo inquietante, sai? – gli disse, poggiando una caviglia sul ginocchio e incrociando le braccia dietro la testa.

Lasciò stare quei dati irrilevanti e scorse con il mouse fino al responso del test attitudinale.

Quando lo lesse, tirò un primo sospiro di sollievo. Il responso di Kaithlyn era stato dato dal computer, nessuna sospetta trascrizione manuale. Era già qualcosa, anche se al contrario di quanto pensava Sean, il risultato assegnava a Kaithlyn gli Intrepidi.

- Ah. Pensavo di averci azzeccato… - brontolò Sean.

- Chi se ne frega! Guarda, è stato inserito dal computer… in genere quando c’è qualcosa di strano e viene coperto da uno degli addetti, il responso viene i riportato manualmente. Questo è stato inserito dal computer senza modifiche. – gli spiegò, anche se si rendeva conto di farlo più per se stesso che per la necessità di spiegazioni di Sean.

- Ed è sufficiente a sciogliere i tuoi dubbi? – gli chiese l’altro seriamente.

Eric deglutì. – No. Andiamo avanti…. E accendi la stampante. – gli disse.

Sean, capendo che voleva guardare quello che veniva dopo da solo, si alzò e andò nell’altra stanza ad accendere la stampante che era sistemata su un lato della scrivania.

Per prendere tempo si lesse con calma il resoconto del primo modulo. Kaithlyn aveva perso il primo e il secondo incontro, ma aveva dei punteggi che rasentavano la fantascienza nelle esercitazioni con i coltelli e al poligono e avendo vinto tutti gli incontri successivi al secondo si era comunque classificata in prima posizione. Aveva vinto a Ruba bandiera, e per merito le erano stati assegnati punti extra. Inoltre, secondo quanto c’era scritto lì, era stata anche in grado di seguire l’addestramento per i tiratori in contemporanea all’iniziazione, dopo cena e la mattina all’alba guadagnando altri punti extra.

C’era anche una foto, che lo lasciò vagamente turbato, in cui della ragazza del Gorno della Scelta non era rimasto che poco o nulla.

Sembrava stanca, esausta come non l’aveva mai vista. Il viso cereo, le occhiaie scure sotto gli occhi e diversi lividi rendevano il suo viso quasi irriconoscibile. Si era già fatta il piercing sotto il labbro inferiore, al centro, creando un altro elemento di distacco con la ragazzina appena traferita di poche pagine prima.

Ed era magra, magrissima. Il viso scavato faceva quasi effetto e dalla foto si potevano intravedere le spalle più spigolose; non credeva che qualcuno di costituzione tanto esile come lei, già magra di suo, potesse perdere tanti chili.

Andò avanti e iniziò a leggere, mentre sentiva il suo cuore aumentare i rapidamente i battiti per l’agitazione.

Nella prima simulazione del secondo modulo aveva fatto un tempo abbastanza regolare: 7 minuti e 48 secondi.

Non era male, ma non era neanche niente di eccezionale. Niente di sospetto, per lo meno.

Il secondo era più lungo di qualche decina di secondi, forse aveva affrontato una paura più ostica…. Continuò a leggere, fino a quando non decise che avrebbe fatto meglio a cercare il tempo più basso e togliersi il pensiero.

Il tempo migliore era registrato tra le ultime simulazioni, con un tempo di 4 minuti e 13.

Era una tempistica breve, ma non unica. In genere i divergenti arrivavano anche a due, tre minuti senza problemi. Chiunque poteva ottenere un miglioramento di quel genere, ne era sicuro.

Diede l’ordine di stampa prima di chiudere tutto con cura. Prima di cancellare i file diede un ultimo sguardo alle due foto di Kaithlyn a sedici anni, poi aspettò che la stampante terminasse il suo lavoro e spense il pc.

Si diresse verso la sua stanza, dove trovo Sean appoggiato alla parete accanto alla scrivania, al buio, che cercava di guardare da un’altra parte. Appoggiò il computer sulla scrivania con cura, prima di afferrare il foglio che aveva stampato e prendere un evidenziatore per sottolineare eventuali dettagli che tornassero poco con il profilo della ragazza.

Se non altro, in quel momento, aveva il cuore più leggero e la discussione di poco prima non sembrava che uno stupido ricordo lontano anni luce.

Tirò un sospiro di sollievo non trovando niente di rilevante da annotare e si lasciò cadere lungo disteso sul letto.

- Sei svenuto? –

La voce di Sean sembrava arrivare da un altro pianeta, tanto iniziava a essere su di giri. Si rendeva conto solo in quel momento di quanto l’avesse reso teso il pensiero che Kaithlyn potesse essere divergente; era vero che spesso ci si rende conto di quanto sia gravoso qualcosa solo quando ci viene tolto dalle spalle.

Avrebbe potuto proseguire con il piano con il cuore un po’ più leggero. Non gli importava del resto della fazione; per quel che lo riguardava, potevano anche morire tutti nell’attacco, ma non lei. Kaithlyn era l’unica che, nonostante l’incompatibilità che avevano caratterialmente, riuscisse a tenere insieme tutti i pezzi.

Senza nessuna ragione scoppiò a ridere, nascondendo il viso tra le mani.

Si sentiva euforico, carico di energia nonostante il dolore alle mani e il sapore del sangue in bocca; non si era reso conto di essersi morso in quel modo l’interno della guancia, e neanche gli importava. Non più almeno. Si alzò con un colpo di reni e guardò Sean, che lo fissava con le sopracciglia inarcate e una strana espressione a metà tra lo sconvolto e il comprensivo. Un po’ come se avesse davanti qualcuno che aveva completamente perso la testa e dovesse assecondarlo.

- Devo andare da Kaithlyn! – annunciò, tirandosi in piedi.

- Cristo Eric, non in quelle condizioni. Le prenderebbe un colpo! – lo fermò, afferrandolo per un braccio a trascinandolo in bagno.

Si fissò allo specchio per qualche secondo: aveva i capelli attaccati alla faccia per la sudata che si era fatto, il viso pallidissimo, le occhiaie violacee e le labbra completamente screpolate.

Era sporco si sangue in più punti, compresi i capelli e la faccia su cui aveva passato la mani ferite.

Le mani facevano quasi impressione: erano quasi completamente ricoperte di sangue, in parte incrostato sulle nocche e addirittura sui polsi.

Ora che la paura gli era passata si rendeva conto di quanto, effettivamente, gli provocasse dolore aprire e chiudere le dita e di quanto fossero innaturalmente rigide le sua mani.

Sean non aveva tutti torti, era in condizioni spaventose… ma quello non basto a lenire il senso di leggerezza che gli permetteva, finalmente, di respirare di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spalancò la porta, preparandosi a inveire contro Eric, o chiunque altro avesse avuto la faccia tosta di presentarsi alla sua porta, con gli insulti peggiori che era riuscita a pensare in quell’ora e mezzo, ma quello che si ritrovò davanti la lasciò per un attimo spaesata.

Jason la fissava oltre la soglia di casa, era ancora vestito come poche ore prima e le braccia erano abbandonate senza forze lungo i fianchi. Aveva i capelli sconvolti, come se ci avesse passato le mani più volte, tormentandoseli. Aveva il viso umido, anche se auna prima occhiata non gli sembrava sudore.

Lo guardò negli occhi, trovandoli appannati di lacrime: probabilmente non riusciva neanche a vederla, in quelle condizioni.

Aprì maggiormente la porta di casa, facendo un passo indietro e aprendo la bocca mentre pensava come interpretare quella scena.

Cercò lo sguardo di Jason, e quando lo trovò, lo vide portare le mani all’altezza dell’addome e tormentarsele, mentre si guarda intorno con aria smarrita e le lacrime iniziavano a scendergli copiosamente sul viso imbrattandogli la maglia.

Sembrava in cerca di qualcosa da dire e lo vide aprire e richiudere le labbra bagnate più volte, come se pensasse di dire qualcosa ma poi cambiasse idea.

- Che è successo? – mormorò. Non aveva la forza di alzare la voce, ma non poteva neanche lasciare lì l’unico amico che aveva. E poi non le andava di stare da sola a vagare per la casa per l’assenza di sonno.

Jason inspirò come se gli mancasse il fiato. – C..Cla..Cla.. – mormorò, guardandola quasi in cerca di aiuto, come se lei avesse la risposta, prima di portarsi le mani sul viso e scoppiare in un pianto disperato.

Riuscì a riscuotersi dallo stato d’indolenza in cui era stata fino a quel momento e lo afferrò per la stoffa della maglietta tirandolo dentro prima che qualcuno lo vedesse. Lui si lasciò tirare docilmente, prima di stringerla contro il petto e appoggiare la testa sulla sua spalla.

- Scu..scusa… scusa! – rantolò, stringendo tanto la presa che quasi le mancò il fiato, mentre la sua spalla protestava dolorosamente.

Di riflesso, non arrivando al collo, gli passò le mani sotto le braccia e gli accarezzò la schiena, dandogli delle pacchette con l’altra mano.

Che diavolo succedeva quella sera? Erano tutti impazziti? Eric dava i numeri più del solito, Jason piangeva disperato, lei era confusa. Mancava solo che si scoprisse che l’organizzatore di quel delirio di festa era Quattro e sarebbero stati a posto.

- Che.. ehm… che è successo? – domandò mentre aspettava che Jason e il suo pianto disperato si placassero un minimo. La strinse più forte, costringendola a montare con la punta dei piedi scalzi sui suoi scarponi per non farsi strozzare.

Lui si staccò dalla sua spalla, ormai fradicia di lacrime, e allontanò il viso quel tanto che bastava per permetterle di respirare. Si stropicciò gli occhi, mentre continuava a singhiozzare e sembrava cercare il fiato per raccontare cos’era accaduto.

Decise di prendere in mano la situazione. – Vieni con me. – ordinò, dirigendosi verso la cucina. Si allungò sulle punte per raggiungere lo sportello sopra il lavello e prendere due bicchieri, che riempì d’acqua fresca. Ne diede uno a Jason, che l’aveva docilmente seguita senza fare un fiato e sorseggiò il suo, beandosi della sensazione di freschezza alla gola.

Jason bevve tutto d’un fiato, come se non bevesse da mesi, poi si sporse sul lavandino per riempirsi ancora il bicchiere.

- Ho.. ho.. Clarisse.. – mormorò.

Kaithlyn notò che gli tremavano le mani mentre alzava per le seconda volta il regolatore dell’acqua. – Cerca di fare un discorso di senso compiuto. Clarisse, cosa? -.

Forse non era il modo più delicato di chiedere qualcosa a un ragazzo che si presentava disperato davanti al portone di casa, ma aveva mal di testa ed era stanca.

Quello che le aveva detto Eric, molto più di quello che aveva fatto, l’aveva colpita più di quanto potesse ammettere o volesse dare a vedere e non riusciva ad essere più delicata di così: non mentre si sentiva ferita e umiliata in quel modo senza comprenderne pienamente neanche il perché. Eric non era certo il primo a fare certe insinuazioni sul perché fosse arrivata tanto in alto tanto in fretta, ma le aveva comunque dato fastidio.

Si pentì della poca delicatezza dopo due secondi. Jason la fissò per un attimo, poi riscoppiò a piangere ancora più disperatamente di prima, lasciando quasi cadere il bicchiere che fortunatamente lei riuscì a riafferrare.

Si sentiva a disagio in quella situazione. Non era abituata a consolare la gente, non era mai stata molto empatica, e sicuramente Jason avrebbe trovato maggior conforto da uno qualunque dei suoi amici piuttosto che da lei, eppure era venuto lì. Al massimo poteva spronare qualcuno, maltrattarlo, demotivarlo… ma la consolazione e la comprensione non rientravano sicuramente tra le cose le riuscivano meglio.

Eppure una parte di lei sapeva che era proprio per quella ragione che era lì. Forse, qualsiasi cosa fosse successa con quella roba che si ostinava a chiamare ragazza, aveva bisogno di sentirsi dire le cose stavano e non di addolcire la pillola.

Jason veniva dai Candidi e per lui la sincerità era ancora un valore fondamentale: per quanto fosse sempre gentile e allegro con tutti, non sopportava le menzogne e le cose dette a metà. E forse era proprio per quello che riusciva ad andare d’accordo, tra tutti, proprio con lei.

- Okay, okay, scherzavo! – disse velocemente, posando i bicchieri e trascinandolo verso il divano. – Smetti di frignare e dimmi cosa è successo. –

Si mise accanto a lui, guardandolo mentre appoggiava i gomiti sulle ginocchia leggermente divaricate e nascondeva di nuovo il viso tra le mani.

Aspettò qualche secondo prima di levargli a forza le mani dal viso. – Okay.. – biascicò Jason, improvvisamente calmo prima di prendersi qualche secondo di silenzio. – Ho trovato Clarisse a letto con un altro. – confessò, mentre lo vedeva stringere la stoffa sopra le ginocchia con forza. – Ero andato a portarle… a portarle le chiavi, per andare a vivere insieme e…-.

Aprì la bocca, indignata, mentre iniziava sentire la rabbia montarle dentro, pronta a esplodere dopo tutto quello che era successo ma Jason non le permise di proferire parola. – Se… se m’interrompi non riuscirò più a continuare. Fammi… fammi finire… - implorò, guardandola disperatamente come se si trovasse a dover chiedere quasi perdono per un crimine che non aveva commesso.

Si morse le labbra e annuì, accucciandosi sui talloni davanti a lui e fissandolo insistentemente. Più tardi, avrebbe dovuto definire una terapia d'urto. Per entrambi.

Lo incitò a continuare con un gesto della mano, mentre appoggiava il mento sui palmi e già iniziava a riflettere su come farla scontare a quella sottospecie di babbuino con i tacchi.

Tra le varie differenze caratteriali che aveva con Jason, ce n’era una in particolare che forse, l’Idiota, non aveva preso in considerazione: lei, al contrario di Jason, era estremamente vendicativa.

Jason prese un altro bel respirò, mentre il pianto sembrava gorgogliargli dentro e scuoterlo tutto dall’interno. –’somma, sono entrato, okay? – ricominciò con la voce acuta per il pianto.

Annuì, impaziente di sapere com’erano andate le cose.

- Okay.. sono entrato e c’erano un sacco di candele accese… sul tavolo, sul pavimento, vicino al divano, sul davanzale e alcune in terra, verso la camera.- rantolò, mentre gli veniva un colpo di tosse secca.

Kaithlyn gli passò un pacchetto di fazzoletti che aveva appoggiato sul tavolino vicino al divano e che si era dimenticata di mettere a posto, ma lui li rifiuto con un gesto della mano e si passò una manica sugli occhi, mentre gli si dipingeva l’ennesima smorfia sulle labbra bagnate.

- Sono… sono entrato, e c’erano le candele anche in terra, fino alla camera… ho.. ho.. ho pensato, ho pensato che… che… mi volesse.. f-fare una... una… - singhiozzò, disperatamente, non riuscendo a completare la frase.

- Una sorpresa? – gli suggerì, mettendosi a gambe incrociate per terra e tenendosi le caviglie.

Jason annuì tra i singhiozzi, prima di respirare profondamente un altro paio di volte.

- Okay.. okay. Q-quindi ho seguito la.. la strada della candeline e sono arrivato in c-camera.. okay? E.. e… l’ho trovata a-a letto c-c-con… uno… - terminò, prima di farsi sopraffare di nuovo dai singhiozzi.

Si morse il labbro inferiore e si spostò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, a disagio.  – E... cosa hai fatto? – domandò, non riuscendo a farsi venire in mente niente di meglio.

Aspetto che lui si calmasse nuovamente. – Io… s-sono andato via. Non ho fatto nulla, non v-volevo vederla u-un secondo di più con l-lui… - mormorò, quasi si pentisse della sua reazione.

- S-so che tu avresti fatto in modo diverso… e.. e anch’io… m-ma non ci sono riuscito… - si giustificò, quasi cercasse assoluzione da parte sua.

Storse le labbra. – Be’, hai fatto bene. Non meritava neanche una bolla di fiato in più! – acconsentì, annuendo.

- S..so c-che non la sopporti… però io la amo. –

- Lo so. – mormorò, abbassando pensosamente lo sguardo, mentre qualcosa le si agitava dentro.

- K-kath...? – si sentì chiamare.

- Mmh? –

Jason si guardò intorno, quasi avesse paura di veder spuntare qualcuno da sotto il divano. – N-non non fare niente, okay? Sai che intendo.. – la implorò.

Le sarebbe piaciuto davvero moltissimo poterlo assecondare… peccato che fosse il tipo di persona incapace di lasciar correre o passare sopra alle cose: ne era un esempio lampante il suo rapporto di amore/odio con Eric, che per quanto infuocato sotto ogni punto di vista, ci aveva messo un po’ per solidificarsi abbastanza da permetterle di fidarsi quasi di lui e nonostante tutte le volte in cui si era lasciata coinvolgere, ancora non riusciva a lasciarsi andare del tutto.

- Non ti prometto niente. – rispose diplomaticamente.

Si alzò in piedi e la vista le si annebbiò per attimo a causa di un breve calo di pressione. Senza aggiungere niente fece dietrofront e tornò verso la cucina; si avvicinò al ripieno accanto ai fornelli e allungandosi un po’ sulle punte dei piedi scalzi, aprì lo sportello dei bicchieri, ne prese due e li riempì di liquore.

Una volta tornata in salotto ne diede uno a Jason. – Tu.. – iniziò lui, gli occhi verdi ancora più chiari a causa delle lacrime. – tu.. hai risolto? Con… con Eric, dico. Dopo… dopo che quell’idiota ti ha schiaffeggiata e insultata… -.

Fece una smorfia al ricordo della serata appena trascorsa mentre quel qualcosa che prima si agitava dentro di lei, iniziava a contorcersi sgradevolmente. – No. – disse laconica, sedendosi dall’altro lato del divano e piegando le gambe contro il petto, il bicchiere ancora in mano. – Mi ha dato della puttana arrivista e se n’è andato. -

Jason la guardò con lo sguardo vacuo prima di abbassare gli occhi tormentandosi le mani.

- Mi dispiace. So che è un tasto dol.. – mormorò, prima che la sua attenzione venisse catturata da un punto imprecisato sul suo viso. L’espressione di Jason cambiò, tingendosi di nervosismo e irritazione. – Cos’hai fatto alla faccia? – investigò, senza staccare gli occhi dal suo zigomo, e avvicinandosi a lei per vedere meglio.

Automaticamente portò una mano dove le nocche di Eric l’aveva quasi presa, o quasi mancata a seconda di come si vedeva la vicenda. Sentì sotto la punta delle dita un leggero, per il momento, gonfiore causato dall’ematoma.

Riportò lo sguardo sul ragazzo, mordendosi nervosamente le labbra.

- Ti ha picchiata? – chiese incredulo e con la bocca mezza aperta, mentre irrigidiva le spalle.

- No. – rispose subito. – Cioè, sì… insomma, non era molto in sé. – si corresse, prima di vedere Jason schizzare fuori dalla stanza e andare a darsene di santa ragione con Eric.

Non sarebbe stato un bello spettacolo.

- Ah. – commentò, guardandola con poca convinzione. – Che intendi dire? – chiese infine, aggrottando le sopracciglia.

Kaithlyn si passò nervosamente una mano tra i capelli, portandoli indietro, e si sistemò meglio nel suo angolo di divano.

- Dopo che è uscito dal Pozzo l’ho seguito, la sua giacca era rimasta per terra e volevo vedere cosa avesse in mente dato che non mi sembrava molto padrone di sé… -.

Si schiarì la voce. Non voleva dilungarsi troppo.

- Quando li ho trovati, Eric e Sean Byrd, mi sono avvicinata per chiedergli cosa diavolo gli prendesse e dopo uno scambio di battute poco civili mi sono ritrovata schiacciata contro il muro. Poi Eric ha riperso il controllo, ed ha iniziato a prendere a pugni alla parete, colpendomi di striscio sul viso. – terminò, tutto di un fiato.

- Ho capito. – annuì, anche se non sembrava molto convinto. – Non mi piace che ti metta le mani addosso, però. Anche se non l’ha fatto proprio volontariamente… poteva farti male sul serio! –

- Che c’è? Adesso fai il protettivo? – rise, stendendo le labbra in un sorrisetto per la prima volta in tutta la sera.

- Be’, sì. Un minimo devo farlo… alla fine mi dispiacerebbe se qualcuno ti asfaltasse su una parete. Credo. – disse, guardando in alto come se non fosse sicuro di ciò che stava dicendo.

- Be’, almeno ti sei calmato! – commentò Kaithlyn, pentendosi un secondo prima di aver dato fiato alla bocca.

Pensa sempre alle parole che dici e alle loro conseguenze.

Sua madre aveva ragione. Perché diamine non usava mai un minimo di quel bel cervellino che si ritrovava? Non avrebbe dovuto neanche sforzarsi, eppure riusciva sempre a infilarsi in situazioni imbarazzanti come quella.

Jason deglutì, prima che gli occhi gli si riempissero nuovamente di lacrimoni.

No, no, no... non di nuovo!

In quel momento, qualcuno aprì la porta d’ingresso ed entrò, costringendoli a girarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti!

Fiuuu, siete ancora tutti interi? È il capitolo più lungo che vi abbia mai propinato e non avete idea di quanto mi renda nervosa… l’ho ricambiato almeno cento volte. Non è mai abbastanza chiaro, abbastanza forte, o abbastanza in linea per me, quindi aspetto i vostri commenti impietosi, maltrattatemi pure!

Lo so, sono pessima. Vi ho fatto attendere più di un mese stavolta, ma avevo da fare questo tra maledetto test per l’accesso all’Università, e il mese Agosto- Settembre è stato un incubo!

Ho iniziato il capitolo e pensavo di farcela, ma poi il panico di fare un punteggio bassissimo ha avuto la meglio e ho lasciato perdere, riprendendo in mano la storia solo pochi giorni fa.

Finalmente sono libera, e prestissimo aggiornerò anche Mind’s Shades, che è ferma addirittura da Maggio.

(non sono riuscita a stare troppo ferma con questa… è più forte di me!)

Allora, che ne dite? Vi aspettavate una cosa del genere? Vi sembra una continuazione sensata per il capitolo precedente? So che l’ho già detto, ma questo capitolo mi innervosisce, cambio le cose all’ultimo e non mi sembra mai perfetto!  Ho paura di aver messo "troppa carne al fuoco" e quindi di aver fatto una gran confusione.

Diciamo che da ora iniziano a succedere un po’ di cose in più, importanti per il futuro, che non siano Kath che litiga con Eric, Eric che litiga con Kath, Kath che va a letto con Eric, Eric che inveisce contro tutti e si fa battere a Strappabandiera da Quattro, Kath che maltratta gli iniziati e ogni forma di vita che non le vada a genio, Eric che va a letto con Kath, Jason sempre nel mezzo, ecc…

Inserirò, e sono un po’ nervosa nel farlo, nuovi personaggi più o meno importanti, ma tutti avranno uno scopo, niente è lasciato al caso!

L’ultimo capitolo ha ricevuto tante recensioni, non me l’aspettavo! GRAZIE! È sempre bello ricevere nuove opinioni! Così com’è bello vedere nuovi preferiti!

A questo proposito ci tengo a ringraziare per le recensioni Kaimy11, che addirittura mi ha lasciato una recensione in notturna (*.*), Adeus, puntualissima, Alex_001 e BeDautless; e voglio ringraziare anche le 3 persone che hanno aggiunto la storia tra i “Preferiti”, ovvero Alex_001, Tris and Tobias e Lucas 3451.

Ovviamente un grazie va anche a tutte le persone che leggono, vedere tante letture mi fa emozionare dato che questa è la prima storia che scrivo seriamente non mi aspettavo tanto successo!

Che dire? WOW!

Ora passiamo alle “cretinate”!

Prima di tutto, che poi me ne dimentico, vi lascio come sempre il link della mia pagina facebook: https://www.facebook.com/Kaithlyn-J-Evenson-865334640156569/timeline/

Secondo di poi, dato che tutti hanno, più o meno, un “nomignolo” per le proprie coppie, ci ho pensato anche io.

Solo che le uniche due cose che mi sono venute in mente, per ora, sono Kaithric e Erithlyn… e non so se mi piacciono o sia giunto il momento di avvertire la neuro che sono scappata di nuovo.

Diciamo che non si prestano, voi che dite?

Ad ogni modo, sappiate che ne succederanno di cotte e di crude da qui alla fine della storia… finale per il quale mancano ancora taaanti capitoli. (Non spaventatevi… prima o poi finirò!)

Eh sì, mi dispiace per voi!

Spero di riuscire ad aggiornare presto entrambe le storie dato che ho già buttato abbondantemente giù il 13esimo capitolo, ho iniziato il 14 di BH e sto lavorando anche a Mind’s Shades. Approfitto di questi pochi giorni di libertà, poi staremo a vedere!

Grazie ancora a tutti e scusate se chiacchiero troppo… ma dopo mesi di reclusione devo ancora riprendermi e reintegrarmi con il resto del mondo.

Alla prossima, un bacione!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

 

 

 

Aprì il più velocemente possibile la porta ed entrò nell’appartamento senza troppi complimenti. Tirare giù la maniglia era stata una sofferenza per le sue mani e anche se erano passate poche ore faceva ancora fatica a muovere e a piegare le dita; il taglio che aveva su ciascuna mano gli bruciava e ogni movimento risultava piuttosto doloroso.

Era comunque riuscito a sciacquarsi il viso e a togliere il sangue incrostato che gli ricopriva le mani; certo, era stata un’operazione lenta e piuttosto dolorosa, ma almeno non sembrava che avesse fatto a pezzi qualcuno a mani nude.

Sean era tornato a casa da Mia dopo averlo aiutato a sistemare. Avrebbe dovuto offrirgli da bere per sdebitarsi della sopportazione che aveva nei suoi confronti, anche se nessuno l’aveva costretto ad assecondarlo per due anni consecutivi.

La scena che si trovò davanti non appena fu dentro l’ingresso lo lasciò impietrito per alcuni secondi.

Kaithlyn era seduta con le gambe piegate verso il petto in un angolo del divano e aveva tra le mani un bicchiere con del liquido trasparente all’interno. Si era cambiata, mettendosi una maglietta grigio scuro e pantaloni felpa della tuta nera; i capelli erano sciolti e ancora in disordine ma sul suo viso sembrava aleggiare qualcosa di diverso rispetto a poco prima. Sembrava quasi… sofferente.

Sofferenza presunta a parte, se le occhiate avessero potuto uccidere, lui sarebbe rimasto carbonizzato sul posto nell’esatto istante in cui aveva varcato la soglia, tanto era infuocata l’occhiata che ricevette dalla ragazza.

Le restituì la sua miglior occhiata risentita; anche se era lì per cercare di aggiustare il minimo sindacabile le cose, non aveva nessuna intenzione di farsi mettere i piedi in testa da un tipetta alta trenta centimetri in meno di lui e pesante la metà.

E, comunque, aveva iniziato lei tutta quella discussione eterna quindi non poteva accusarlo di esserne il responsabile. Non del tutto almeno, anche se forse ci aveva messo del suo.

In secondo luogo, non aveva minimamente voglia di discutere. L’unica cosa che desiderava, oltre alla polverizzazione istantanea di Jason, era mettersi a letto e dormire per i successivi tre giorni. Possibilmente con Kaithlyn. Nuda.

Dopo alcuni attimi di silenzio, in cui si scrutarono con circospezione, la sua attenzione fu attirata dall’altra figura accanto a Kaithlyn e un brivido d’irritazione, che anticipava una sfuriata con i controfiocchi, gli corse lungo la spina dorsale.

Le cose che gli saltarono all’occhio e lo costrinsero a fare appello a tutta la buona volontà che gli era rimasta per non saltare alla gola di Jason erano, prima di tutto, il fatto che fossero decisamente troppo vicini; e secondo che avesse la straordinaria capacità di apparire intorno a lei nell’esatto istante in cui discutevano e lui se ne andava incazzato come una bestia.

Un tempismo perfetto.

Aprì bocca per chiedere cosa, esattamente, ci facesse di nuovo lui lì e in più perché sentisse il bisogno di stare così vicino a quella che fino a prova contraria, anche se probabilmente sarebbe durata solo altri quattro secondi – forse anche meno – era la sua ragazza.

- Sta’ zitto! – sibilò Kaithlyn, interrompendolo ancora prima che le parole prendessero forma nella sua mente. – Che diavolo ci fai qui, eh? – aggiunse, stringendo le dita intorno al bicchiere e assottigliando gli occhi.

La fissò. – Io? Che stracazzo ci fa lui qui, vorrai dire! – ribatté, alzando le sopracciglia e lanciando a Jason un’occhiata raggelante. – Non posso neanche allontanarmi che corri da lui. –

Vide con la coda dell’occhio Jason aggrottare le sopracciglia e assumere una strana espressione a metà tra l’abbattuto e l’irritato; strano, in genere battutine imbecilli e uscite “brillanti” gli uscivano dalla bocca una volta sì e l’altra pure anche quando gli dava dell’idiota patentato.

Kaithlyn incrociò le braccia sul petto, alzandosi. – Questa è casa mia imbecille, e tu non hai nessun diritto di venire qua a farmi scenate di gelosia dopo quello che mi hai detto stasera.. quindi, ora, fai un favore a tutti e tre e togliti dai piedi. – disse in un ringhio basso e freddo.

- Ti vorrei ricordare che hai iniziato te a straparlare stamattina, quando nessuno ti aveva richiesto un parere. – ribatté, stringendo i pugni e soffocando un sibilo di dolore.

Kaithlyn lo fisso intensamente per un lungo istante. – Che vuoi Eric? – mormorò senza staccare gli occhi chiari e freddi da lui e ignorando la sua considerazione.

- La mia roba. – rispose immediatamente, rilasciando i pugni e sentendo la pelle rigida per le escoriazioni protestare. – E volevo parlare con te, ma sei troppo impegnata a quanto pare. Non importa, so essere paziente. – aggiunse, lanciando un’occhiata a Jason che fino a quel momento era stato in silenzio e continuava a guardare male il tavolino davanti a lui. Sembrava si stesse trattenendo.

- Congratulazioni! Potrai pazientare fuori da casa mia. – gli ringhiò, stringendo le dita sulla stoffa della felpa grigia, a braccia incrociate. La vide fare una smorfia, ma non ci presto troppa attenzione.

- Se resta lui, resto anch’io. – decretò.

- Scordatelo, non sei all’asilo e in casa mia decido io. Prendi la tua roba e sparisci. – gli intimò minacciosamente e stringendo con più forza le mani intorno alle sue stesse braccia, ancora incrociate sotto il seno.

La fisso duramente, mentre prendeva consapevolezza che, se voleva rimanere lì, avrebbe dovuto farlo indipendentemente dalla volontà di Kaithlyn.

Amen.

Magari avrebbe avuto anche modo di strapazzarla, quando gli si sarebbe avvicinata con l’unico intento di ucciderlo o trascinarlo per i capelli fuori da lì. Avrebbe potuto fingersi morto e costringerla a trascinare tutti e ottantaquattro i chili di muscoli che si portava dietro. Sarebbe stato divertente.

La fisso per alcuni istanti, indeciso sul da farsi. Aveva due possibilità: assecondarla per cercare di recuperare o imporle la sua presenza e avere così modo di controllare anche l’altro.

Se avesse assecondato Kaithlyn avrebbe sicuramente guadagnato punti preziosi, ma non avrebbe avuto sott’occhio lei e Jason e non avrebbe potuto controllare che lui tenesse le mani a posto e, di conseguenza,  non avrebbe neanche potuto amputargliele con un coltello da cucina in caso le avesse allungate troppo.

Imponendole però la sua presenza l’avrebbe fatta infuriare ancora di più, perdendo sicuramente terreno e ritrovandosi con un pugno di mosche in mano.

Alla fine cosa importava? Potevano essere più in crisi di così o darsi ancora più addosso?

Certo che sì, ma piuttosto che lasciare campo libero a riccioli d’oro sarebbe andato a fare bubù-settete a Quattro sotto la doccia.

- Se resta lui, rimango anch’io. – ripeté inflessibilmente piantando i piedi dove si trovava.

Kaithlyn dischiuse appena le labbra e se le umetto stringendole tra loro, mentre abbassava gli occhi e si mordeva l’interno del labbro inferiore.

Non era un buon segno. Forse avrebbe dovuto fare un’assicurazione sulla vita, lasciare qualcosa di scritto o firmare una liberatoria prima di infilarsi in casa della Nana Inferocita.

- Eric, ascolta. Io potrei anche farti rimanere qui e tutto quello che ti pare, d’accordo? Il problema è che non m’interessano né le tue patetiche scuse, ammesso che tu sia qui per questo, né tanto meno quello che hai da dire. Non ha senso che tu rimanga… - disse, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi. – ora vado di là a prendere le ultime cose e poi non ti voglio più vedere. – concluse. Lo guardava dritto in faccia, senza malanimo; sembrava solo molto stanca e la cosa lo turbò un po’: non pensava di essersi spinto tanto oltre da compromettere in quel modo il loro rapporto.

Alla fine le aveva detto cose peggiori, no? Perché prendersela tanto?

Non appena lei sparì nell’altra stanza, girò lentamente la testa verso Jason, ancora seduto sul divano con gli avambracci appoggiati alle ginocchia.

- Non dire un’altra parola. Ho avuto sicuramente una serata peggiore della tua. – gli disse, prima che le sue labbra potessero pronunciare il primo insulto o epiteto poco lusinghiero.

Quell’ammonimento, appena sibilato in tono rauco, lo lasciò spiazzato per un attimo. Da quanto lo rimbeccava?

Richiuse le labbra e assottigliò gli occhi. – Questo è tutto da vedere. – sibilò, studiandolo con attenzione.

Jason alzò e girò la testa verso di lui, guardandolo fisso. – Sono andato a fare una sorpresa alla mia ragazza per chiederle di andare a convivere e l’ho trovata a trombare con un altro. – disse. – la tua scusa qual è? -.

- Okay, per stasera l’hai vinta tu. – acconsentì cupamente. Non poteva certo raccontargli tutto; già convincere Max e gli altri Capofazione a mettere al corrente Sean era stata un’impresa… figuriamo altri elementi. E comunque lui era in fondo alla lista di persone alle quali avrebbe raccontato i fatti suoi.

Jason sembrò svuotato, come se quasi sperasse in una rispostaccia che gli fornisse una buona scusa per sfogarsi su di lui. Scosse la testa, come per riscuotersi, e lo guardò senza malanimo. – Dovresti scusarti, comunque. Non scherzava quando ha detto che non ti vuole più vedere. – mormorò apaticamente.

- Non volevo colpirla. –rispose, senza sapere neanche lui il reale motivo per cui lo diceva proprio a quell’imbecille che aveva davanti.

Jason corrugò le sopracciglia e lo fisso intensamente. – Vorrei ben vedere. Non ce l’ha con te per questo, ha capito subito che c’era qualcosa che non andava in quel momento… non è una stupida. –

Contrasse i muscoli di braccia e schiena in un guizzo d’irritazione. Come si permetteva di dargli lezione sulla sua ragazza?

- So perfettamente quanto sia intelligente, grazie tante. Non ho alcun bisogno che tu mi faccia la lezione. – ringhiò, avviandosi verso la cucina.

Jason lo seguì a brave distanza e si appoggiò a braccia incrociate alla parete della cucina. – Be’, fai come ti pare, non m’interessa. Io in genere parteggio per te, sai com’è, solidarietà maschile. Ad ogni modo, - proseguì, raddrizzando le spalle, - non mi piace che tu le metta le mani addosso… fa’ in modo che non ricapiti, okay? -.

Ghignò. – Cos’è? Una minaccia? – lo schernì, mentre prendeva un bicchiere e lo riempiva di acqua.

Jason scosse la testa. Non sembrava arrabbiato con lui. – No. Diciamo che è un avvertimento. So che stasera è stato un incidente e che non volevi farle del male, ma se dovesse, ecco, partirti un colpo… poi sarò io a renderle a te, e ti assicuro che non sono così morbido come sembro. –

Aveva parlato in tono tranquillo, posato.

Restarono alcuni attimi in silenzio; Eric bevve lentamente il suo bicchiere d’acqua mentre Jason si guardava intorno. Sembrava quasi che stesse cercando qualcosa da dire, da fare per rompere il silenzio. Una distrazione.

Non aveva la benché minima intenzione di torcere un solo capello a Kaithlyn, avrebbe gettato nello Strapiombo chiunque ci avesse anche solo provato, eppure si ritrovò a studiare Jason allo stesso modo in cui avrebbe studiato un rivale in un incontro.

Era più basso di lui solo si alcuni centimetri ma non era altrettanto slanciato. Aveva le spalle larghe ed era sicuramente ben piazzato a muscoli, e anche se dava l’impressione di essere il tipo che non avrebbe fatto male a una mosca, era abbastanza certo che sapesse anche farsi valere.

Contrasse i muscoli della schiena, teso, e assottigliò gli occhi. – Buon per te. – sibilò, appoggiandosi  al ripiano della cucina.

Jason storse la bocca. – Senti, io adesso vado a prendere la roba per rimanere a dormire qui. Hai dieci minuti per salvare il salvabile, okay? – disse, staccandosi dalla parete e avviandosi verso l’uscita.

In quel momento, mentre Eric lo seguiva con calma, Kaithlyn rientrò nell’ingresso-soggiorno con le braccia cariche di vestiti umidi.

- Dove vai? – chiese da dietro la montagna di panni. L’unica cosa che si vedeva erano gli occhi azzurri.

Eric trasformò abilmente una risatina in un colpo di tosse, guadagnandosi un’occhiata raggelante.

- A prendere la roba per rimanere a dormire. Non vorrai farmi stare tutto solo, vero? – le chiese con ovvietà.

Aveva la voce arrochita e leggermente impastata, anche se fino a quel momento non l’aveva notato, troppo innervosito dalla sua presenza vicino alla ragazza.

Lei fece una smorfia e alzò gli occhi al cielo, prima di estrarre da una tasca un sacchetto di plastica e infilarci dentro i suoi vestiti.

- Okay. Tu in compenso te ne stavi andando, vero? – chiese con naturalezza, rivolgendosi a lui.

Come no. Di corsa!

- A dopo ragazzi! – salutò Jason, prima di uscire quasi di corsa dalla porta d’ingresso, quasi si trovasse in una stanza piene di esplosivo.

Lui e Kaithlyn si fissarono e lei incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio in attesa che prendesse la sua roba e girasse i tacchi.

In tutta risposta la imitò e le restituì un’occhiata indifferente.

Dopo alcuni attimi, in cui erano rimasti entrambi silenziosi a fissarsi, Kaithlyn abbassò gli occhi e scosse la testa, storcendo la bocca in una smorfia scocciata. – Continua a fare l’infante, allora. – brontolò, prima di lanciare malamente il sacchetto con i vestiti a terra e avviarsi verso la sua stanza con la stessa smorfia che le aveva visto prima.

Eric sbuffò tra i denti, irritato da tanto poco spirito combattivo. Si aspettava di essere buttato fuori letteralmente a calci nel sedere e di ritrovarti almeno con un occhio nero.

- Tutto qui? – le disse, prima che lei sparisse nel corridoio. Kaithlyn si fermò e si girò verso di lui; sembrava stanca.

- Sì, - asserì con un’alzata di spalle. – Potrei anche buttarti fuori a pedate, ma continueresti a tormentarmi. Fai pure quello che ti pare, a me non interessa. Vuoi rimanere qui per controllarmi? Bene, sono curiosa di sapere dove dormirai dato che sul divano ci starà Jason. Se pensi che imponendo la tua presenza io cambi idea, sei fuori strada. –

Mentre parlava sembrava annoiata, rassegnata, come se avesse a che fare con un bambino particolarmente capriccioso che si ostinava a fare di testa sua, e non gli piaceva.

In genere si urlavano addosso, volavano schiaffi e s’insultavano fino a perdere quasi la voce per poi ritrovarsi a fare l’amore su una qualsiasi superfice agibile.

Il fatto che non stesse provando a opporsi lo irritava profondamente, era snervante e doveva assolutamente fare qualcosa prima di mettersi a urlare o di correre dietro a Jason per attaccarlo alle spalle a tradimento. Così, giusto per riversare le frustrazione su qualcuno.

Sentiva una strana sensazione risalirgli lungo il collo, come quando ci si prepara a una discussione particolarmente feroce. Strinse i pugni e irrigidì la mandibola, teso dall’atmosfera elettrica che si stava creando.

- Non vorrei rovinare il tuo bel discorso, Kaithlyn, ma non sono stato io a iniziare tutto questo casino. E non sono nemmeno quello che stamattina si è alzato con la luna storta, quindi, forse, dovresti iniziare a guardare anche quello che fai te, invece di dare tanta aria alla bocca. – disse, con voce misurata osservandola mentre s’irrigidiva e assottigliava gli occhi.

Ottimo.

Era un buon segno, dato che lo scopo era provocarla abbastanza da far cadere la facciata di calma calcolata che aveva messo su. Anche lui era nato e cresciuto negli Eruditi e con sua madre il controllo era all’ordine del giorno, e sapeva riconoscere a prima vista la calma fittizia, quella che ostentava spesso anche lui, da quella autentica. Non era difficile, lui era il primo a imporsi di mantenere il controllo quando sentiva la rabbia avvelenargli la mente, e sapeva quanto poco bastasse per far crollare l’apparenza in quelle situazioni.

Fece un passo in avanti. – Oppure, non vuoi rivangare qualcosa di cui non vai particolarmente fiera? – insinuò, malevolo.

Sapeva di starsi avventurando in un campo minato dal quale non era sicuro di uscire vincitore, ma la reazione spropositata che lei aveva avuto quando poche ore prima aveva insinuato che non fosse arrivata dov’era per suo merito gli aveva fatto tornare in mente un vecchio articolo degli Eruditi. Era talmente ovvio! Nei mesi passati insieme si erano detti cose peggiori, e una reazione del genere non poteva che nascondere un motivo personale. Intimo.

Tanto valeva sfruttare quel piccolo vantaggio che aveva su di lei per farla capitolare. Doveva fare alla svelta però; Kaithlyn era abbastanza sveglia da fare due più due molto più velocemente di quanto lui ci avrebbe impiegato a trovare un’altra argomentazione per provocarla.

Le piantò gli occhi grigi sul viso con la stessa violenza di un serpente che si ritrova finalmente davanti alla preda. Kaithlyn abbassò le sopracciglia sugli occhi, restituendogli un’occhiata altrettanto feroce e incrociò le braccia sul petto.

Fuoco alle polveri!

Fece due passi verso di lei senza interrompere neanche per un secondo il contatto visivo con il suo viso e ghignò.

- Allora… - esordì, scrocchiandosi le dita della mano destra sul palmo della mano sinistra e viceversa, ignorando la fitta di dolore che gli causò quel gesto.

Kaithlyn fece un sorrisetto a labbra stirate. – Allora non ci provare neanche. Se pensi che provocandomi otterrai qualcosa ti sbagli, idiota. – disse, la voce limpida e improvvisamente calma, nonostante mancasse una parte della solita grinta che tirava fuori quando discutevano.

- Mi chiedevo solo come mai tanto nervosismo per un’insinuazione velata. Hai la coda di paglia? – ridacchiò, curvando appena la sua traiettoria mentre si avvicinava lentamente a lei con la stessa studiata lentezza di uno squalo che vuole incastrare la preda.

Kaithlyn arricciò le labbra. – Sei davvero penoso. – sospirò, - ma immagino che di non potermi aspettare niente di più, giusto? -.

Stirò le labbra in un sorriso accondiscendente. – Andiamo, Kath. Ci siamo detti di peggio. Perché te la prendi tanto? Ho tirato fuori qualche scheletro nell’armadio? Di, diciamo, un annetto o poco più prima del tuo trasferimento? Per questo ti sei sentita punta sul vivo? – mormorò mellifluo.

Il sorriso stirato di Kaithlyn svanì e gli sembrò quasi di veder lampeggiare nei suoi occhi una scintilla di rabbia.

Sorrise; stava funzionando. Non gli importava delle conseguenze, voleva solo una buona scusa per farla arrabbiare, sfogare e poi trascinarla in camera.

Kaithlyn ricompose la sua espressione in pochi secondi e sospirò teatralmente. – Vuoi provocarmi – asserì.

Non era una domanda.

Lei scosse la testa. – Mi spiace deludere quelli che sono certa siano dei progetti interessanti e smontarti, ma non attacca. Non stasera. – disse, con lo stesso tono che avrebbe potuto avere spigando qualcosa a un bambino.

- Trovo invece più interessante parlare di te, che dici? Come mai tanto nervosismo per due piccole insinuazioni mattutine? – lo derise, ma non sorrideva più. Era seria e fredda come un pezzo di ghiaccio.

Qualcosa nella sua postura, nell’atteggiamento freddo e calcolatore gli fece considerare che, effettivamente, sarebbe stata un’eccellente Capofazione per gli Eruditi.

Fredda, pragmatica, calcolatrice e cinica.

Si morse appena la lingua, mentre pensava a come controbattere. Il fatto che quella carta lo mettesse in difficoltà nove volte su dieci lo irritava.

Ormai che aveva iniziato, valeva arrivare fino in fondo, giusto?

- Almeno i miei non hanno dovuto pagare un esercito di avvocati per mettere a tacere… - iniziò facendo di proposito una pausa per osservare la sua reazione.

A giudicare dall’espressione feroce della ragazza era abbastanza sicuro che, se avesse avuto un oggetto contundente a portata di mano, glielo avrebbe tirato dietro.

- … voci scomode. – terminò lentamente.

Kaithlyn strinse le labbra e i pugni, mentre lui faceva un altro passo verso di lei. – O, magari, tuo padre doveva mettersi la coscienza, come dire… a posto. – aggiunse. Sapeva di star varcando un limite, di esagerare, a valicare una linea di confine chiara e per la quale Kaithlyn non avrebbe chiuso un occhio. Lo capiva dal modo in cui lei lo stava guardando e dalla postura rigida del suo corpo. Fino a quel momento non ci aveva fatto caso, ma sul viso aveva un leggerissimo strato di sudore che non riusciva a spiegarsi e il rigonfiamento sul viso iniziava a farsi vedere.

- Non dire un’altra parola. Non una parola, Eric. – sibilò assottigliando leggermente gli occhi. – Dovresti tenere la bocca chiusa su cose che non sai e non capisci. Tieni mio padre e questa storia fuori da questa discussione, non lo ripeterò un’altra volta. -

Kaithlyn gli si avvicinò lentamente, mentre lui si immobilizzava dov’era e sentiva un piacevole sensazione di trionfo invaderlo.

Il sorriso vittorioso sparì dal suo viso non appena guardò bene in faccia la ragazza. Sembrava… fuori di sé. Forse aveva esagerato un po’ troppo nel ritirare fuori cose così vecchie e di cui non sapeva realmente niente; alla fine Kaithlyn era la sua ragazza e lui avrebbe dovuto essere dalla sua parte. Anche se per come si stavano mettendo le cose immaginò che non sarebbe stata la sua ragazza ancora per molti secondi. Forse non lo era già più.

Ormai non poteva più tornare indietro e non era certo il tipo da nascondere la mano dietro la schiena dopo aver lanciato il sasso, anzi: gli piaceva prendersi il merito, se così si poteva chiamare, di quello che faceva indipendentemente dalla bontà dell’azione.

- Altrimenti? -.

Fece appena in tempo ad afferrare il polso di Kaithlyn che era scattato con il chiaro intento di colpirlo e di fargli il più male possibile.

Le strinse le dita intorno al polso con forza e la sentì digrignare i denti, non sapeva se per la frustrazione o per il dolore.

L’altra mano di Kaithlyn scattò ma notò che ci aveva messo decisamente meno entusiasmo, era stato un movimento fiacco, debole.

- Piano, gattina, o ti farai male. – la derise con voce bassa e roca, distanziandole le mani e mettendo su un sorrisetto insolente.

Lei lo fisso con odio, dal basso verso l’alto. Nonostante il viso incominciasse a gonfiarsi e si trovasse decisamente in svantaggio non sembrava per niente intimorita, anzi: sembrava quasi che gli stesse concedendo di tenerla ferma.

- Ti credi tanto forte solo perché mi hai battuto una volta e in un incontro regolamentare. –

Non era una domanda neanche quella.

- Eppure credevo fossi meno stupido: ho quattro anni di addestramento speciale alle spalle. Pensi davvero che non sappia come stenderti? – insinuò, tra i denti.

Certo che lo sapeva. Anche lui, in quanto Capofazione, aveva seguito un addestramento specifico che equivaleva ai primi due anni di quello delle Forse Speciali degli Intrepidi.

Si allenava ancora, e sapeva quanto fosse duro e sfiancate ed era anche piuttosto sicuro che lei sapesse essere molto più cattiva di quanto desse a vedere sul ring e che dopo quattro anni nei Tiratori sapesse come asfaltarlo anche se con metodi poco ortodossi. Magari facendo leva su qualche nervo. Nei combattimenti regolari, quelli che comprendevano gli Aggiornamenti Professionali, le competizioni di primo livello e gli addestramenti ordinari non erano previste certe mosse, ma questo non significava che alcuni non le conoscessero o che non servissero in caso di necessità sul campo.

I Tiratori si addestravano nel corpo a corpo senza toccarsi per sviluppare al meglio la prontezza di riflessi nello schivare i colpi e nel bloccarsi prima di colpire l’avversario, e la velocità nello sferrargli. Aveva visto una parte di combattimento e alla fine, nonostante si rotolassero a terra anche per un’ora abbondante, nessuno dei due combattenti aveva un solo graffio: se si fossero veramente colpiti con tutta quella violenza e in quel modo, sarebbero finiti tutti in infermeria nove volte su dieci e non sarebbe stata una cosa molto produttiva per la fazione.

Ovviamente, nella situazione in cui si trovava in quel momento, non poteva certo ammettere una cosa simile.

Ghignò. – Mmh… non saprei. Immagino dipenda da come vuoi stendermi. – mormorò, afferrandole entrambi i polsi con una mano mentre con l’altra le prendeva il mento tra due dita.

Non fu una gran bella idea, considerò, e mentre sentiva il dolore irradiarsi sul viso e sullo stinco si diede dell’idiota: era ovvio che lei non aspettasse altro che un momento di eccessiva strafottenza da parte sua. Non si sarebbe sorpreso se anziché essere una reazione istintiva e dettata dalla rabbia, fosse stata ragionata dal momento stesso in cui aveva iniziato a provocarla volutamente.

Si sentì spintonare all’altezza dello stomaco, ma riuscì a incassare piuttosto facilmente. Una parte della sua mente gli stava dicendo che c’era qualcosa in Kaithlyn che non andava, che stonava e che avrebbe dovuto destargli un minimo di sospetto o preoccupazione, ma la mise subito a tacere.

Nonostante si sentisse lucido e padrone delle sue facoltà gli venne istintivo afferrarla per le braccia e attaccarla al muro per farla stare ferma.

Con sua grande sorpresa Kaithlyn urlò.

La guardò per un attimo stranito, mentre cercava di regolarizzare il battito cardiaco e non lasciarsi prendere la mano dall’enfasi della situazione. – Che cazzo hai da urlare? – domandò in un ringhio brusco arrivandole a due centimetri dal viso.

Strinse la presa sulle sue braccia, sicuro che lo stesse prendendo in giro, ma abbandonò la posizione aggressiva di un attimo prima. Le lasciò un braccio e tirò l’altro, rafforzando la presa.

Kaithlyn gridò ancora e per liberarsi gli tirò uno schiaffo sul braccio. Non che avesse sortito chissà quale affetto a parte un discreto bruciore sulla pelle.

Kaithlyn sapeva tirare dei man rovesci che avrebbero stero un mostro, che cos’era quella cosa che gli aveva tirato sul braccio?

- La spalla… la spalla… - gemette, mentre la squadrava in cerca della fonte del dolore.

- Ti sto tenendo per un braccio. – disse storcendo la bocca.

Kaithlyn emise un verso strozzato e lui la tirò in avanti. Urlò ancora, costringendolo a mollare la presa e farla sbattere contro il muro.

Kaithlyn si portò una mano sulla bocca e chiuse gli occhi, mentre Eric continuava a studiarla.

Le tremavano visibilmente le spalle e le gambe e sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.

Poteva averla stretta così forte?

Si guardò le mani e le aprì e chiuse distrattamente, mentre la sua attenzione veniva catturata da una macchiolina scura sul pavimento.

Si sentì sbiancare..

Sangue.

- Che ti sei fatta? – domandò brusco, riavvicinandosi a lei e afferrandola con più delicatezza. – Fammi vedere! – ordinò, afferrandola per le spalle e staccandola dalla parete.

Kaithlyn provò a divincolarsi. – Non toccarmi! – strillò, con voce strozzata. – Non ti avvicinare. –

Esitò per un secondo prima di prendere in mano la situazione, stringerle le braccia con fermezza e girarla contro il muro senza troppi complimenti.

Kaithlyn provò a liberarsi, continuando a lamentarsi.

Mentre la girava notò con orrore che anche  sulla parete c’era un macchia rossa e si affrettò. Le tenne ferma la schiena con il palmo di una mano mentre osservava con gli occhi spalancati la felpa sporca di sangue.

Deglutì, cercando di non pensare a come si potesse essere ferita. Aveva un’idea piuttosto chiara, ma preferiva ignorarla. – Spogliati, fammi vedere. – le ordinò, afferrando l’apertura della felpa e iniziando a sfilargliela.

- No! – ringhiò lei, - non toccarmi, lasciami stare! -.

Quello che stava per fare non gli piaceva e probabilmente dopo se ne sarebbe pentito, ma preferiva comportarsi in quel modo e prevenire qualcosa di più serio o che potesse compromettere lei piuttosto che fare bella figura e lasciarla stare come gli aveva gridato ben due volte.

- Scordatelo. – ribatté, stringendo la stoffa della felpa con una mano e iniziando a sfilargliela. Doveva vedere quel taglio.

Lei cercò di ribellarsi, ma erano tentativi deboli.

Gli sembrava maledettamente sbagliato spogliarla contro la sua volontà e il fatto che lei gemesse e cercasse di opporsi, in quel modo debole e sofferente, lo faceva sentire ancora peggio, ma non aveva scelta. Kaithlyn era testarda e orgogliosa e piuttosto che chiedere aiuto si sarebbe fatta morire per dissanguamento, poteva scommetterci.

Nonostante la foga del momento cercò di non esercitare troppa pressione per non peggiorare la situazione; non era facile con lei che cercava in tutti i modi ti ribellarsi e gli tirava calci sugli stinchi.

- Ferma! Sta’ ferma, maledizione! – la ammonì, stringendo i denti per evitare di restituirle una pedata particolarmente dolorosa.

Dopo aver lotteggiato per qualche secondo, riuscì a toglierle la felpa nera.

Lo spettacolo che si trovò davanti gli fece gelare il sangue nelle vene. La maglietta grigia era zuppa di sangue su tutto il lato destro, fin quasi al bordo dei pantaloni.

Restò a fissare come un’idiota la schiena di Kaithlyn prima di infilarle la mani sotto la maglietta per sfilarle anche quella.

- No… - gemette lei, spingendogli le mani verso il basso per allontanarle.

S’immobilizzò e fece un passo in avanti per intrappolarla tra il suo corpo e il muro.

Non pensava sul serio che si sarebbe approfittato di lei, vero? Era esattamente quello che sembrava, ma era un’idea talmente assurda che gli venne quasi da ridere.

Le riappoggiò le mani sui fianchi in una presa decisa, senza fare pressione, e avvicinò il viso al suo orecchio. – Non ti faccio nulla, voglio solo vedere… - le disse, cercando di tranquillizzarla e di farle passare il tremore.

Lo metteva profondamente a disagio sentirla tremare contro di lui mentre cercava di spogliarla. Era sbagliato, avrebbe dovuto tremare di desiderio, non di dolore o perché stava facendo qualcosa contro la sua volontà.

Kaithlyn scosse la testa, ancora girata verso il muro. – No… non voglio, non toccarmi... – mormorò.

- Devo vedere, poi me ne vado d’accordo? – provò. D’altronde una piccola bugia poteva essere giustificata in una situazione simile e dopo tutte quelle che le aveva detto su certe attività lavorative e tutte quelle che le avrebbe dovuto dire quell’innocente, piccola, bugia era il male minore.

- Bugiardo. – gli sibilò con voce rotta.

In altre circostanze l’essere colto in flagrante in quel modo lo avrebbe fatto sorridere, ma non in quel momento.

Fece scorrere le mani sui suoi fianchi, attento anche lì a non fare troppa pressione; non sapeva da dove venisse tutto quel sangue.

Le sfilò la maglia a maniche corte passando prima dal braccio sano e dalla testa, per poi togliergliela del tutto e lasciarla in reggiseno.

Deglutì quando si trovò davanti alla schiena pallida di Kaithlyn. Sulla scapola c’era un taglio piuttosto profondo dal quale usciva una discreta quantità di sangue, seppure lentamente.

Gli prese la spalla con una mano e passò il pollice accanto alla ferita aperta. – Questo… questo come te lo sei fatto? – chiese piano.

Kaithlyn aveva incrociato le braccia davanti al petto con l’intento, forse, di coprirsi da lui. – Indovina! – ringhiò, girando appena la testa verso di lui.

- Ti medico. –

- Non ci provare nemmeno! – gli intimò, ma lui aveva già afferrato il gancetto del reggiseno scuro, a fascia, e lo aveva slacciato.

Kaithlyn gemette, coprendosi i seni con le braccia con forza.

Dopo la medicazione l’avrebbe ringraziato.

Non era abituato a vederla così. Per lui Kaithlyn era indistruttibile, eppure la vedeva tremare e coprirsi mentre cercava di spogliarla. E non andava bene, era sbagliato… allo stesso tempo, però, non aveva alternative.

Mugolò qualcosa, mentre le alzava di forza le braccia per sfilargli l’ultimo indumento. – Piantala. Non è niente che non abbia già visto. – le borbottò in un orecchio, mentre ispezionava la ferita. Avrebbe avuto bisogno di qualche punto, poco ma sicuro.

- Hai un sassolino dentro il taglio. – costatò ad alta voce, osservando meglio la ferita e intravedendo qualcosa di scuro piuttosto in profondità. – Vado a prendere un paio di pinze per toglierlo e poi ti porto in infermeria. – le comunicò incurante delle sue proteste.

- Io ho un’idea anche migliore: perché non ti togli dalle palle e faccio da sola? -.

Eric la ignorò e le fece passare un braccio intorno al torace, coprendole i seni e le mani, e uno intorno ai fianchi nudi. La sollevò di peso e ignorando i tentativi di Kaithlyn di attentare alla sua virilità con i piedi e le gambe, la trasportò fino alla cucina.

- Ferma, ti fai male… dopo, se ti fa piacere, mi lascerò prendere a mazzate sui denti, ma prima fammi disinfettare la ferita. Dannazione, ferma! -.

Certo che per essere così piccola, ferita e all’apparenza così indifesa causava non pochi problemi. E aveva addirittura ancora energia per ribellarsi, nonostante sapesse da sola che era inutile.

Maledetta testona.

Riuscì a posarla davanti al tavolo della cucina, a girarla verso di sé e a metterla seduta sul ripiano.

Quando lasciò la presa intorno al suo corpo, Kaithlyn sbiancò e si portò una mano alla bocca, sudata e tremante.

- Hai la nausea? – investigò, guardandola attentamente.

Lei annuì, senza guardarlo.

- Aspetta qui. – disse semplicemente prima di dirigersi il più velocemente possibile verso il bagno e prendere quello che gli serviva: pinze sterili, una siringa di anestetico, disinfettante, un apio di garze e gli strip da mettere al posto dei punti.

Be’, non c’era che dire: Kaithlyn era decisamente organizzata.

Riuscì a portare tutto in cucina in un solo viaggio.

Kaithlyn era scesa dal tavolo e si teneva una mano sulla bocca, mentre l’altra era appoggiata sulla superficie del tavolo al quale dava le spalle. Non appena si accorse della sua presenza si portò le mani sul seno, coprendosi.

- Fai sul serio? – mormorò, avvicinandosi e girandola verso il tavolo.

Lei non rispose e non oppose resistenza, forse troppo concentrata sul malessere.

Disinfettò con cura la parte lesa, sentendola sussultare di tanto in tanto ma mai lamentarsi.

La verità è che si sentiva in colpa, anche se non era propriamente colpa sua; era intervenuto per difenderla e invece era quello che le aveva fatto più male.

- Non volevo farti del male. – mormorò dopo un paio di minuti di silenzio, accarezzandole con il pollice la spalla, con delicatezza.

Ora che era pulita, la ferita sembrava anche peggio. Dove diamine l’aveva fatta sbattere? Su una parete di coltelli?

Cercò di fare mente locale, ma i suoi ricordi di quella sera erano confusi, contaminati dalla rabbia incontrollabile che aveva preso possesso della sua mente e del suo agire.

Kaithlyn fece uno strano verso con la testa, che non riuscì a interpretare.

Sospirò dal naso. – Okay, ora ti tolgo la scheggia della parete… stai ferma, okay? – le annunciò, aprendo con cautela le pinzette e poggiandole una mano sulla schiena per tenerla ferma. Non sarebbe stato piacevole, data la profondità del taglio.

Quando inserì, il più delicatamente possibile, le pinzette all’interno della ferita, Kaithlyn tremò e sussultò visibilmente. – Ferma. Ci sono quasi. – le disse, cercando di tranquillizzarla e allargando leggermente la ferita con due dita. Se si fosse agitata avrebbe potuto danneggiare qualche terminazione nervosa e non sarebbe stato esattamente il massimo, dato che le braccia, alla Prima Tiratrice Scelta servivano eccome.

Andò un po’ più affondo e aveva quasi tolto quel sassolino maledetto, quando Kaithlyn sussultò talmente violentemente che quasi si spaventò, tanto da togliere immediatamente le pinzette dalla ferita e fare un passetto indietro, sorpreso e turbato.

La sentì ansimare, poi lei si girò verso di lui più pallida, sudata e tremante di pochi attimi prima se possibile. La fissò con le pinzette sollevate a mezz’aria per un attimo che parve eterno prima che lei si portasse una mano alla bocca e vomitasse sul pavimento.

Tossicchiò, barcollante, cercando di allontanarsi i capelli dal viso.

Eric si avvicinò repentinamente e gli scostò i riccioli scomposti dalla faccia, mentre veniva scossa da un altro conato.

Le accarezzò la fronte, mentre si rimetteva dritta, e le appoggiò una mano sul viso per costringerla a guardarlo. – Oh, ci sei? – chiese titubante, accarezzandole una guancia e con l'altra mano la schiena, ogni residuo di rabbia svanito nel nulla, dissolto.

Gli occhi di Kaithlyn vagarono persi per alcuni attimi sul suo viso, prima che la sentisse accasciarsi sul suo petto.

La afferrò da sotto le braccia, passandole una mano sotto le gambe, e la trasportò  sul divano in stato di semi incoscienza.

- Che c’è? Che ti senti? – domandò preoccupato, mentre la depositava sul divano e le accarezzava un braccio. Si tolse la felpa e gliela mise sopra, indeciso sul da farsi.

Se aveva toccato un nervo, prima di fare danni, era meglio portarla al pronto soccorso. Tutta la carriera di Kaithlyn si basava sulle braccia, era una Tiratrice!

S’inginocchiò accanto al divano, in difficoltà. – Kath? – la chiamò, con voce tremante. – Piccola, mi senti? – le mormorò, accarezzandole una guancia esangue.

Le scostò i capelli dalla faccia e andò a prendere un fazzoletto per pulirle le labbra.

Kaithlyn socchiuse appena gli occhi mentre le passava con delicatezza il tovagliolino sulla bocca. – Ehi. – mormorò, gettandolo sul tavolo e concentrandosi su di lei. – Ti porto al pronto soccorso prima di fare danni. – le comunicò facendo per alzarsi.

Kaithlyn girò la testa verso il soffitto, seguendolo con gli occhi. – No… - mormorò. Portandosi una mano sulla fronte e coprendosi gli occhi.

La guardò mettersi a sedere e stringersi la felpa sul seno mentre si guardava intorno spaesata. – Mi viene da vomitare. – disse con voce arrochita e debole, strozzata.

 Storse appena la bocca. – Hai bevuto? – chiese, piano. 

Si sentiva un'idiota a esercitare tanta premura, ma non era il suo problema principale in quel momento. 

Lei annuì e puntellando i gomiti sulle ginocchia si prese la testa ciondolante tra le mani.

Eric le sfiorò una spalla. – Aspetta qui, torno subito. – brontolò infine, prima di dirigersi quasi di corsa verso la camera della ragazza.

Spalancò l’armadio con violenza e ne ispezionò il contenuto alla ricerca di un borsone. Ne trovò uno in fondo all’armadio, in basso.

Era nero e con diverse tasche e sembrava contenere qualcosa di morbido e non eccessivamente pesante.

Lo afferrò bruscamente, esattamente come aveva fatto con la sua vecchia sacca che teneva sotto il letto, e lo svuotò sul materasso con poca delicatezza.

All’interno c’era una maglietta smanicata  di colore azzurro, con l’orlo intorno ai buchi per le braccia lavorato e uno scollo a cuore non troppo profondo, una paio di jeans e un paio di scarpe da ginnastica basse di un azzurro un po’ più chiaro della maglietta.

Guardò sotto le scarpe, per curiosità. Trentasei.

Quella nana aveva dieci numeri in meno di lui e pesava la metà. Come diamine faceva a creargli tutti quei problemi?

Era certo che quelli fossero i vestiti del suo Giorno della Scelta. Doveva essere carina vestita così ed era sicuro che gli sarebbe piaciuta anche tra i Lassi.

Svuotò anche le tasche, trovando un fermaglio e un paio di foto dell’iniziazione, che raccolse e mise sul comodino senza prestarci troppa attenzione.

Se non fosse stato tanto nervoso e, doveva ammetterlo, preoccupato, avrebbe curiosato un po’ di più ma prima portava Kaithlyn al pronto soccorso, prima si sarebbe calmano. Il pensiero di averle rovinato la carriera, seppur involontariamente, lo stava facendo impazzire.

Altro che Jeanine, quella ragazza lo avrebbe ucciso con molto meno di qualche incarico pericoloso. Sarebbe passato alla storia come il più giovane Capofazione Intrepido morto d’infarto della storia.

Fece una smorfia. Era colpa sua se stava male. Se qualcosa fosse andato storto, l’avrebbe odiato per sempre e avrebbe avuto anche ragione a farlo.

Scacciò quel pensiero con stizza, mentre cercava nei cassetti della biancheria pulita, un pigiama e un cambio di vestiti.

Afferrò senza pensarci troppo una maglietta rossa con delle scritte rockeggianti e un paio di jeans scuri come cambio. Le scarpe le avrebbe avute addosso.

Non sapeva bene cosa, esattamente, tra i miliardi di cose che teneva in bagno le fosse indispensabile. Prese una bustina di plastica trasparente, quella che teneva nella borsa da allenamento e ci infilò dentro lo spazzolino da denti, il dentifricio e una spazzola ma non gli venne in mente nient’altro che potesse esserle utile.

Uscì dal bagno, agitato, ma tornò indietro quasi subito  per prendere anche il suo spazzolino, nel caso fosse necessario rimanere in ospedale per qualche ragione; non l’avrebbe lasciata lì da sola neanche se fosse andata a fuoco la Residenza degli Intrepidi.

Avrebbe cotto i pop-corn sul Pozzo in fiamme, piuttosto. Dal soffitto in vetro.

Tornò a passo svelto verso l’ingresso ed estrasse dal suo borsone un cambio anche per sé.

Bene, era tutto pronto…peccato mancasse all’appello l’oggetto dei suoi problemi, costatò guardandosi intorno.

L’aveva lasciata su divano, semidistesa e ancora dolorante, ma né lei né i vestiti che le aveva tolto erano nell’ingresso.

Merda.

Dove diavolo era finita?

- Sono in cucina. – la sentì mormorare, con lo stesso tono cui si sarebbe rivolta a un’idiota. E forse era veramente così che lo vedeva e in quel momento non poteva neanche darle tutti i torti. Era un maledetto coglione.

La trovò di spalle, intenta a scrivere con la mano sinistra qualcosa su un foglietto.

Si sporse oltre la sua spalla, i suoi vestiti ancora in mano. – Cos’è? – chiese osservando il contenuto del bigliettino.

- Lascio un bigliettino a quell’altro. – mormorò, prima di posare la penna sul tavolo con un ticchettio. Si massaggiò il braccio destro, con una smorfia.

Eric aggrottò le sopracciglia. – Perché scrivi con la sinistra? – chiese, anche se non era sicuro di voler sapere la risposta.

Kaithlyn si voltò verso di lui e lo guardò mogia. Tirò per un attimo su un angolo della bocca. – Ho un po’ di atrofia muscolare al braccio destro. – mormorò, abbassando gli occhi e dirigendosi verso il soggiorno. - È indolenzito, credo. – aggiunse aprendo e chiudendo la mano.

Era ancora pallidissima e sudata, ma almeno camminava sulle sue gambe.

La seguì fino al soggiorno, dove aspettò che s’infilasse le scarpe. - Vuoi cambiarti il sopra? – le chiese. Non aveva pensato a prenderle un’altra maglietta.

Kaithlyn alzò gli occhi su di lui e lo fissò per un secondo prima di annuire con la testa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Seguì Eric con gli occhi mentre spariva nell’altra stanza prima di passarsi una mano tra i capelli. Sentiva ancora lo stomaco sottosopra e le pulsava la testa. Forse non avrebbe dovuto bere tutti quei drink, ma si stava divertendo e in genere era in grado di regolarsi senza troppi problemi.

Stupida.

Il braccio ogni tanto perdeva sensibilità e lo sentiva debole, privo di forze. Nonostante stesse cercando di tranquillizzarsi era preoccupata: se si fosse lesionata seriamente il nervo soprascapolare sarebbe stato un ben guaio. Non solo avrebbe dovuto operarsi, ma avrebbe avuto davanti a sé minimo un paio di lunghi mesi di riabilitazione e non ne aveva nessuna voglia.

Sentiva ancora gola il retrogusto disgustoso di poco prima, quando aveva vomitato, e quella sensazione le fece tornare la nausea.

Avrebbe dovuto restarsene in disparte e farsi gli affaracci suoi anziché insistere quando era evidente che non fosse il momento opportuno per discutere. Era stata stupida e impulsiva; un’Intrepida modello, in parole povere. Non aveva pensato, non aveva ragionato sulle conseguenze delle sue azioni, sul fatto che avvicinandosi a lui in una situazione del genere, per di più provocandolo – ancora – non avrebbe potuto ottenere che una reazione violenta e negativa. Soprattutto dopo la mattinata, anche se ormai sembrava lontana anni luce.

Si rese conto di aver chiuso gli occhi quanto si sentì toccare appena una spalla. Guardò nella direzione di Eric, osservando la maglietta rosso scuro che le aveva portato insieme a un’altra felpa.

Pantaloni grigi, maglia rossa, felpa e scarpe nere. Davvero un fiorellino, con la faccia che si ritrovava in quel momento.

Afferrò l’indumento senza ringraziare e si cambiò rapidamente, sfilando prima la parte del corpo sana e la testa e poi il resto.

L’atmosfera era ancora carica di tensione, e l’espressione vagamente preoccupata di Eric non aiutava la situazione.

- Dai… - la incoraggiò Eric, posandole una mano sulla schiena e accompagnandola alla porta.

In quel momento, il portone si aprì rivelando Jason sull’uscio con la mano alzata a mezz’aria.

Aveva gli occhi umidi di lacrime – di nuovo – ma non appena la vide spalancò gli occhi verdi e la fissò stranito, alternando lo sguardo da lei ad Eric che si era quasi automaticamente irrigidito.

- Che succede qui? -.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rieccomi, purtroppo per voi non vi libererete mai di me.

Vi chiedo scusa per il ritardo clamoroso, ma sono stata straimpegnata con l’Università e lo sono ancora, ma non potevo non aggiornare.

Inizialmente ero partita con un’idea del tutto diversa, ma poi mi è venuto in mente questo sviluppo e non ho resistito alla tentazione. Voglio dire, l’idea originale era sicuramente più assennata di questa e filava tutto… non potevo non complicare  la vita sia a me che ai miei personaggi, vi pare?

Voi che ne pensate? Vi piace? Cosa vi aspettavate? Opinioni o idee sul futuro?

Eric vi sembra un budino di riso o ha avuto una reazione “comprensibile”?

Mi rendo conto che sia un “pelino” più bipolare del solito in questo capitolo ma cos’altro potrebbe fare? È pur sempre Eric! In questo capitolo Kath non si fa sentire, ma lo farà prossimamente!

Forse sto un po’ esagerato con le conseguenze di una banale – per Kath ed Eric è quasi come darsi il “buongiorno”, se non si mandano al diavolo la giornata non inizia! – discussione, ma stranamente mi piace!

Come sempre ringrazio Kaimy_11 (il momento in cui Kath si comporterà “bene” arriverà, te lo prometto… ed arriverà anche tu-sai-chi!) e Alex001 per le recensioni. Lasciatevelo dire, per leggere quel capitolo lunghissimo vi meritereste una medaglia al valore!

Come al solito vi lascio anche l’indirizzo, a chi interessa, della mia pagina facebook.

Link à https://www.facebook.com/Kaithlyn-J-Evenson-865334640156569/?fref=ts

Alla prossima, aspetto i vostri commenti!

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

 

 

Si scambiarono un’occhiata, tutti e tre.

Eric inspirò pesantemente. Secondo Miller cosa stavano facendo alle due di notte, con un borsone in spalla e Kaithlyn in quelle condizioni? Una simpatica gita fuori programma? Andava a inseguire le lucciole e rotolarsi su un verde prato fiorito? Una bella nottata in campeggio per dormire sotto le stelle?

- Kath ma che diavolo ti è successo? Stai male? – chiese spaesato, spalancando gli occhi a fissando allibito il viso pallido di Kaithlyn e il borsone che lui reggeva in mano.

Eric cercò di calmarsi.

Come diceva la psicologa? Respirazione profonda? Inspira, espira, inspira…

Era sull’orlo di una crisi di nervi. Da una parte avrebbe voluto prendere a testate Kaithlyn, dall’altra si sentiva colpevole per il danno che le aveva ‘involontariamente’ causato.

La vide sospirare dalla bocca e deglutire, forse per idratarsi la gola secca per le grida e per l’alcol.

- Credo di essermi giocata il nervo soprascapolare.  – spiegò Kaithlyn, massaggiandosi il braccio destro e lanciando un’occhiata alla fine del corridoio buio, con il chiaro intento di controllare che nessuno potesse vederla in quello stato.

Jason fece per dire qualcosa, ma lei proseguì. – E ho vomitato. – aggiunse con un cenno del capo, a mo’ di spiegazione.

Jason la fisso vagamente confuso. – Non posso neanche allontanarmi due minuti che ti riduci così… – commentò quasi più a se stesso che a loro.

Corrugò le sopracciglia, come se gli si fosse improvvisamente accesa in mezzo alla fronte una lampadina. – In che senso ti sei giocata il nervo soprascapolare? – domandò in modo tanto serio che quella non sembrava neanche la sua voce. – Voglio dire, che significa? Cosa… cosa innerva? – chiese, con un velo di preoccupazione sul viso inespressivo.

Kaithlyn aprì bocca per rispondere ma lui lo precedette. – Secondo te cosa cazzo innerva il nervo soprascapolare? Un piede, imbecille? – ringhiò, stringendo i manici del borsone e iniziando a sentire il sangue salirgli rapidamente al cervello e le tempie ricominciare a pulsare. Doveva controllarsi, se non voleva saltargli alla gola prima del tempo ma imporsi la calma gli sembrava un’impresa troppo ardua per quella serata: effettivamente sarebbe stato molto più semplice seguire l’istinto e strozzarlo sullo stipite della porta di Kaithlyn e mollare lei lì, da sola e dolorante.

Gli sarebbe bastato che lui chi desse una scusa valida, anche banale, per saltargli alla gola, e sarebbe stato un ragazzo felice.

Forse felice no, dato che dopo Kaithlyn l’avrebbe fatto in pezzettini talmente piccoli da farlo entrare in un porta monete, ma almeno sarebbe riuscito a sfogarsi.

Jason lo guardò stordito. – Sì... immagino che…-.

Eric lasciò cadere a terra il borsone. – Ecco, bravo! “Che ti è successo Kath?” “Stai male?” – lo scimmiottò, - no, cazzo, non vedi che è il ritratto del benessere? Di’ un po’, ce li hai gli occhi? Hai bisogno che vada a prenderti un bastone da non vedenti? Un paio di occhiali con lenti spesse tre centimetri? Vuoi un certificato di cecità? – sbraitò.

Per un secondo regnò il silenzio totale e fu abbastanza sicuro di vedere Kaithlyn irrigidire la mandibola, mentre le usciva un respiro secco ed esasperato dal naso. Sembrava si stesse quasi trattenendo dal girarsi e suonargliene di santa ragione, ma immagina che non la ritenesse una mossa molto brillante. E per quanto fosse un’Intrepida, Kaithlyn, raramente se non mai, faceva qualcosa da ritenersi stupido.

Non se ne curò, ci avrebbe pensato più tardi, tanto peggio di così non poteva andare. Era umanamente impossibile le cose tra loro peggiorassero ancora. L’unica possibilità per cui una cosa del genere potesse accadere, era che uno dei due sopprimesse definitivamente l’altro. Se non altro era in vantaggio!

Jason aprì la bocca per dire qualcosa. – Io… - incominciò, momentaneamente sorpreso, prima di riacquistare l’espressione indifferente di poco prima.

Gli occhi di Eric ebbero un guizzo. – Sì, tu, vuoi fare qualcosa di utile? – sibilò, afferrandolo per un braccio e trascinandolo al suo posto, dentro l’appartamento. - Prendi un maledetto straccio e sistema questo disastro. Sempre che tu non voglia farti un giretto al pronto soccorso e stringerle la mano mentre le infilano un ago di venti centimetri nella schiena! Sai qual è la procedura non chirurgica per questo genere di danni? Si prende una siringa lunga più o meno… -.

Jason lo fermò con i palmi alzati verso di lui. – Sono sicuro che sia un racconto avvincente, ma non m’interessa, grazie. Dammi le chiavi e sbrigati, prima che… -.

Prima di che cosa?

- Basta, ci vado da sola al pronto soccorso. – decretò Kaithlyn visibilmente irritata, interrompendolo e raccattando con il braccio sano il borsone. Trascinò la sacca per un paio di metri prima di caricarsela sulla spalla sana e andare spedita verso il corridoio che portava ai piani inferiori.

Se non avesse fatto una strage quella sera, non l’avrebbe fatta mai più ne era certo. Avrebbe veramente avuto bisogno di un bravo psichiatra, se voleva continuare a frequentarsi con lei.

- E tu dove cazzo vai in quelle condizioni, eh? Vuoi andare a piedi? Magari a corsa, facciamo a chi arriva… Kaithlyn? KAITHLYN! – gridò, mentre l’unica risposta che gli arrivava era un dito medio alzato.

Si girò febbrilmente verso l’altro, che stirò la bocca nel sorriso accondiscendente di chi sapeva già come sarebbero andate le cose. Forse gli sarebbe passata la voglia di ridere, dopo avergli buttato giù tutti i denti uno per uno e aver scambiato il posto a naso e bocca.

Eric gli lasciò cadere le chiavi in mano. – Io te l’avevo detto. – ghignò Jason, stringendo il mazzetto nel pugno. – Ti conviene correre, per avere le gambe così corte sa essere inquietantemente rapida. – gli consigliò con un’alzata di sopracciglia prima di chiudergli la porta in faccia.

Non sfondare la porta, Eric. Non è proficuo ai tuoi scopi. Potrai ucciderlo con calma, nessuno ti corre dietro.

Si passò le mani tra i capelli per toglierseli dal viso e cercare di darsi una calmata, prima di avviarsi a grandi falcate dietro alla ragazza.

Per quanto detestasse ammetterlo Miller aveva maledettamente ragione: era inquietantemente rapida per avere le gambe tanto più corte delle sue. La raggiuse e la agguantò per la stoffa del borsone, poco prima dell’uscita che conduceva verso il parcheggio, sbilanciandola e facendo cadere la borsa a terra con un tonfo.

- Forza muoviti, non ho tutta la notte. – le sibilò, prendendo il borsone con una mano e afferrando il braccio sano di Kaithlyn con l’altra.

Lei si divincolò, strattonandosi all’indietro e riuscendo a liberarsi. – Io non vado da nessuna parte con te. – ringhiò, stringendo i pugni e scostandosi una ciocca di capelli rossi che le era caduta sul viso.

Eric diede un’alzata di sopracciglia. – Davvero? Bene, sono curioso di vederti arrivare fino al Quartiere degli Eruditi a piedi! Dovrei prendere degli stuzzichini da portarmi dietro per godermi lo spettacolo. Posso invitare un amico? Se aspetti un secondo mando un messaggino a Sean! -.

Kaithlyn arricciò il naso e lo squadrò con sufficienza. Poi infilò una mano in tasca e ne estrasse una chiave elettronica con due bottoncini. – Ho la macchina, imbecille. – disse, facendogliela ondeggiare davanti.

Eric si rabbuiò prima di tirare fuori un sorriso tagliente, strappargliela di mano e infilarla fulmineamente in una tasca interna della giacca.

- Ridammele. – sibilò subito Kaithlyn cercando di infilargli le mani nel giubbotto per recuperare le chiavi.

Eric si scansò, facendola incespicare nei suoi stessi piedi. – Cosa? – chiese, candidamente alzando le mani in seno di resa.

- Non fare l’idiota, rendimi le chiavi della mia auto! -.

Alzò le spalle. – Non so di cosa tu stia parlando, ma possiamo sicuramente discuterne in macchina. Forza, andiamo. – disse, mettendole una mano sulla schiena e spingendola verso l’uscita.

- No. – si ostinò Kaithlyn.

- Non cercare di convincermi che hai voglia di guidare con quel braccio. Non fare la bambina, ho il posto riservato e a quest’ora alla mia andatura arriveremo in meno di mezz’ora. – tentò, cercando di farla vacillare in quell’assurda convinzione di dover fare tutto da sola.

Contava sul fatto che fosse ancora un po’ frastornata dall’alcol.

Quanto poteva bere una ragazza minuta come lei, prima di perdere le inibizioni ed essere manovrabile?

In condizioni normali, con una ragazza normale, avrebbe ipotizzato un paio, massimo tre drink, ma trattandosi di Kaithlyn sospettava che neanche il veleno per topi potesse avere effetto; se l’avesse morsa una vipera, ad esempio, non aveva dubbi su chi avrebbe avuto la peggio: la vipera sarebbe morta tra atroci sofferenze.

Kaithlyn fortunatamente esitò per quel secondo che diede a Eric il tempo di riafferrarla per un braccio e di trascinarla, nonostante puntasse i piedi come una bambina capricciosa, fino alla sua auto parcheggiata sul lato destro del parcheggio.

Lasciò cadere il borsone a terra, estrasse le sue chiavi e aprì. Sempre tenendola ferma per un braccio e aiutandosi con un piede, spalancò lo sportello posteriore e ci lanciò il borsone, lo richiuse e poi andò agli sportelli anteriori. Infilare Kaithlyn di forza in macchina non fu esattamente una passeggiata dato che lei non era per niente collaborativa e continuava a piantare i piedi per non assecondarlo, oltre ai tentativi di colpirlo in parti del corpo non meglio identificate.  Alla fine, stufo di quella situazione la prese in braccio e la gettò di peso e senza nessuna delicatezza all’interno dell’abitacolo. In pochi secondi fu al posto di guida ed ebbe giusto il tempo di chiudere la macchina con il pulsantino che aveva sul volante per non farla uscire. Mise in modo e partì.

Kaithlyn si massaggiò un po’ il sedere e passò i primi minuti in silenzio, la fronte corrugata e l’espressione arrabbiata e stanca. Era uno strano connubio di emozioni, sul suo viso: difficilmente sembrava spossata, particolarmente amareggiata o arrabbiata in modo non disinteressato. Anzi, non l’aveva mai vista in alcun modo vulnerabile.

Qualche volta sembrava quasi impossibile smuovere una vera emozione dentro di lei, qualcosa che la toccasse sul serio e la facesse vacillare.

Era snervante, perché lui ogni tanto, quando erano da soli, si lasciava anche andare, un pochino.

La presenza di Kaithlyn, fino  a quel momento, nonostante le liti frequenti, aveva avuto un effetto perlopiù benefico su di lui: era più tranquillo, non aveva due dita ingessate per i troppi pugni alle pareti della Residenza e stava iniziando a gestire gli incubi. Quello di quella sera era stato il primo attacco d’ira serio da mesi, e ormai pensava di poterli gestire pienamente, di non aver più bisogno di sforzarsi di ricordare come aveva agito o di dover chiedere a Sean quello che aveva combinato perché non se lo ricordava.

Aveva addirittura progettato di non dirle niente, di lasciar correre. Perché avrebbe dovuto tirare fuori qualcosa che sembrava essere svanito e tanti vecchi ricordi? Con lei, per di più!

Già aveva fatto fatica a parlare con Sean, figurarsi con la ragazza per cui aveva, doveva purtroppo ammetterlo, preso completamente la testa. Gli era sembrato inutile e contro producente, ma aveva finito per sopravvalutare se stesse e il suo carattere iroso: avrebbe dovuto mettere in conto che, con una donna del genere, alla fine sarebbe accaduto qualcosa del genere. Invece aveva continuato a ignorare quella vocina fastidiosa, tanto simile a quella di William, che sembrava dirgli di avvertire la ragazza che aveva accanto del problema. Effettivamente sarebbe stata una cosa intelligente, matura e responsabile.

Peccato che nessuna di quelle tre caratteristiche facesse pienamente parte di lui. Certo, non era stupido. O ignorante o incapace. Non era mai riuscito a conformarsi del tutto alla sua fazione d’origine per la quale ogni comportamento, ogni azione, doveva avere un senso ed essere ben ponderata per valutarne ogni aspetto. Lui era sempre stato impulsivo, incostante e iperattivo facendo dannare i suoi genitori dal momento stesso in cui era nato, al contrario di suo fratello: riflessivo, equilibrato – anche se riteneva quell’aspetto quantomeno discutibile – e tranquillo. Un Erudito perfetto, in parole povere. Era sicuro che si trovasse perfettamente a suo agio in quella fazione che a lui era sempre andata troppo stretta.

Le strade erano deserte e sarebbe stata anche una bella serata per uscire a prendere una boccata d’aria o per un’escursione fuori porta, se non fosse stato tanto teso e la sua ragazza non gli avesse tenuto il muso, anche se forse “tenere il muso” era un eufemismo: era incazzata come non mai.

La luna era a meno di un quarto e almeno fino a quando non fossero arrivati nei pressi dell’ospedale, non c’erano altre fonti di luce se non i fari dell’auto. I vetri appannati per il freddo esterno avrebbero dato quasi un tocco di bellezza, di intimità, a quella serata, se non fosse che sembrava di poter tagliare la tensione con un coltello.

L’atmosfera gli ricordava quella della mattina, quando aveva litigato con Kaithlyn. Sembravano passati dei giorni e invece erano trascorse meno di ventiquattr’ore. L’aria tra loro sembrava quasi elettrica, ma non avvertiva lo stesso dinamismo, la stesse sensazione d’incombenza della mattinava che sembrava urlare a entrambi che stavano sovraccaricando l’aria, come se questa potesse prendere fuoco e distruggere entrambi. Era una tensione diversa: se quella mattina Kaithlyn, anziché proseguire con quella storia avesse bussato alla porta dopo che l’aveva chiusa e gli avesse strappato i vestiti di dosso, in quel momento, probabilmente, sarebbero stati entrambi mezzi ubriachi ad amoreggiare da qualche parte o già a casa, al caldo sotto le coperte a darsi piacere. Lei non si sarebbe fatta male – non le avrebbe fatto dal male – e non si sarebbe trovati sull’orlo di rompere i rapporti. Sarebbe stati bene, ma la ragazza che aveva accanto e per quale aveva straveduto per un anno e mezzo prima di chiederle di uscire, era estremamente orgogliosa e ostinata, e non sarebbe mai tornata sui suoi passi.

Voltò appena la testa verso di lei, per ripiantare gli occhi sulla strada non appena si rese conto che lei aveva fatto la stessa cosa. L’unica differenza era che l’occhiata che gli aveva riservato non era neutra come la sua ma truce. Ciò nonostante, la vide comunque abbassare gli occhi sulle braccia incrociate e imbronciarsi ancora di più. Era come se entrambi avessero qualcosa da dire, ma nessuno dei due volesse farlo, lasciando le parole non dette premere sul silenzio teso che si era creato.

Dopo i primi minuti notò Kaithlyn, che era rimasta fino a quel momento immobile e appoggiata allo schienale con tutto il peso, stringersi le gambe al petto e tirarsi più giù possibile le maniche della felpa prima di appoggiare il mento sulle proprie ginocchia e trattenere un smorfia di dolore: forse le tiravano i muscoli della schiena.

Allungò una mano verso i pulsanti del riscaldamento e lo accese, impostandolo intorno ai ventiquattro gradi. Approfittò del primo semaforo per togliersi il giaccone; osservò l’indumento per alcuni secondi, indeciso se darglielo o meno. Lei avrebbe preferito perdere tutte le dita dei piedi piuttosto che accettare una cosa idiota come un giaccone pesante, ma doveva riguadagnare terreno in fretta e cercare di essere il meno stronzo possibile poteva essere una soluzione. O fingere di pensare che lei avesse ragione. Il problema di quell’ultima opzione è che, se si fosse accorta che la stava assecondando, si sarebbe incazzata ancora di più: Kaithlyn aveva la strana abitudine di pretendere attenzione e di pensare che gli altri dovessero assecondare ciò che le passava per la testa e ciò che diceva ma, allo stesso tempo, non tollerava chi lo faceva perché si sentiva presa in giro.

Non era un comportamento molto equilibrato, alla fine dei conti. Almeno lui si comportava da stronzo con tutti, senza neanche sforzarsi, ma non esigeva certo che gli altri facessero volentieri ciò che gli veniva ordinato da lui. Non che gliene importasse qualcosa, le persone di cui poteva anche solo pensare di tenere in considerazione l’opinione si potevano contare sulle dita delle mani.

Inoltre non osava pensare a quando Kaithlyn potesse rompere i coglioni da malata, considerando quanto lo faceva quando stava bene. Sarebbe stato un incubo. Un incubo che gli avrebbe fatto scoprire nuovi orizzonti della pazienza e milioni di metodi fantasiosi per uccidere qualcuno e farlo passare per un incidente. In più, avrebbe potuto attaccargli qualcosa e non era il caso con l’azione di contenimento che stavano progettando. Con cosa avrebbe ucciso ribelli e divergenti? A suon di starnuti?

Aggrottò le sopracciglia e storse le labbra, come se il suo stesso giaccone potesse sussurragli la soluzione ai suoi problemi. Compreso il piccolo, insignificante dettaglio, del dover tenere all’oscuro la Nana Malefica dai piani dei Capofazione Intrepidi; perché lei lo avrebbe scoperto. Era troppo intelligente per bersi tutte le cazzate che le avrebbe rifilato nelle settimane successive; era troppo attenta ai dettagli, troppo paranoica per farsi fregare sotto il naso in quel modo o farsi iniettare un fiala di liquido sconosciuto.

E quella era la ragione per cui aveva chiesto un incontro con Jeanine: sapeva che la Capofazione degli Eruditi non aveva alcuna simpatia per Kaithlyn, un po’ perché la irritava il fatto di essere una seconda scelta. Era ancora al suo posto solo perché una ragazzina appena sedicenne aveva ignorato l’occasione che le si prospettava davanti per lanciarsi da treni in corsa, buttarsi legata a un cavo di metallo da un palazzo alto oltre trecento metri e sparare a un bersaglio.

Si riscosse dai suoi pensieri e scoccò un’occhiata di sottecchi all’oggetto dei suoi pensieri che, in quei pochi secondi si era adagiato contro il sedile con gli occhi semichiusi ma l’espressione ancora imbronciata.

- Tieni. – brontolò senza guardarla, allungandole il giaccone. In tutta risposta ricevette uno schiaffo sulla man o e un’occhiata che avrebbe polverizzato sul posto anche Jack Kang, il Capofazione dei Candidi, facendolo vergognare anche di esistere.

Sbuffò dal naso. – Fai come ti pare, muori di freddo. – sbottò con un’alzata di spalle. - Se ti congeli prima di essere arrivati ti scarico alla prima fila di cassonetti. –aggiunse, infilando l’indumento tra il vetro anteriore dell’auto e il cruscotto, evitando sempre accuratamente il suo sguardo truce. Kaithlyn seguì i suoi movimenti quasi come se volesse morderlo: aveva quasi timore a passarle un braccio davanti.

Ripartì senza curarsi del semaforo rosso, dato che a giro non c’era un’anima a parte loro due. Seguirono altri minuti di silenzio, durante i quali Kaithlyn guardò fuori dal finestrino e lui si concentrò sulla guida. – Non devi accompagnarmi solo perché ti ho fatto pena, sono in grado di badare a me stessa. – esordì dopo un po’, senza guardarlo.

Storse la bocca in una smorfia. – Non mi fai pena. – precisò. - Penso ancora che sia tu in torto. – assicurò tenendo gli occhi puntati sulla strada e stringendo maggiormente il volante.

- E allora perché tanta premura? Se sono così pessima, forse non ti valgo la benzina che stai sprecando per accompagnarmi. Ci hai pensato? – mormorò velenosamente poggiando il viso sul palmo della mano e il gomito sulla base del vetro.

Respirò pesantemente, indeciso su cosa rispondere. – Perché da sola non saresti durata un secondo e non mi diverto a scannarmi con te ogni giorno che Dio manda in terra, io. E poi siamo ancora insieme ed è mio compito evitare che tu muoia per una stronzata del genere. Non sarebbe un granché, credo. – rispose evasivamente. Certi discorsi l’avevano sempre messo in grossa difficoltà e dirle che gli dispiaceva per il male che le aveva fatto non rientrava tra le cose che si sentiva capace di fare quella sera.

Kaithlyn ridacchiò. – Contento te di stare una puttana arrivista, che pensa solo a se stessa e si diverte a mortificarti… De gustibus, giusto? – disse con cattiveria.

- Io non penso questo di … - incominciò, girando appena la testa verso di lei e lanciandole un’occhiata risentita.

Kaithlyn sembrò infiammarsi e finalmente si voltò verso di lui con uno scatto. – Davvero? Mi sembrava il contrario, poco fa! Se non altro io posso parlare con cognizione di causa quando dico quanto tu sia stato patetico l’altro giorno e stupido durante l’iniziazione, facendo l’arrogante quando non potevi permetterti di farlo! – gridò, tutto d’un fiato.

Eric respirò tra i denti, stringendo le dita intorno al volante per non cedere alla tentazione di colpirla. – Queste, - ringhiò cercando tuttavia di controllare la voce, - sono solo tue deduzioni. Io non ho mai detto… quelle cose di te. – concluse, la voce tremante di rabbia.

Stava facendo uno sforzo non indifferente per non cedere alla tentazione di inchiodare e farla scendere.

Lei lo guardò con le sopracciglia inarcate, in una finta espressione scettica. – Mie deduzioni? Che strano: mi sembrava di aver inteso perfettamente il tuo atteggiamento e i tuoi gesti. Mi sono immaginata tutto? – lo schernì, - non mi hai sollevata di peso, insinuando che per arrivare dove sono, è stato necessario abbassarmi davanti ai pantaloni dei miei superiori? Perché magari ho le allucinazioni! Sai cos’è un’allucinazione? In quel caso dovresti farti vedere da… - ribatté parlando con calma e con voce chiara, come se stesse ripetendo una lezione o stesse spiegando un argomento sul quale aveva delle conoscenze più approfondite.

Un ringhio gli uscì dalle labbra, mentre una scossa di rabbia gli percorreva tutta la schiena e lo costringeva a irrigidirsi.

- Bene! – sbottò, - vuoi parlare di deduzioni? Di impressioni? - la provocò, concitato.

Kaithlyn gli fece un cenno di sfida con il mento e incrociò le braccia.

- Perché se la mettiamo così, per quanto tu dica il contrario e neghi che ci sia qualcosa sembra proprio che tu e quel povero demente biondo che ti porti appresso abbiate scopato! – sbottò, lanciandole un’occhiata vittoriosa.

La risata di Kaithlyn lo lasciò per un momento smarrito e confuso.

Che diavolo c'era di divertente? Voleva ridere anche lui!

- Che cazzo ridi? Lo trovi divertente? Perché io non mi sto divertendo per niente! – ringhiò, mentre Kaithlyn si copriva la bocca con una mano.

Strinse il volente con forza, aspettando che smettesse. Era come se un leggero tremore gli si stesse diffondendo dal collo nel resto del corpo. Era la voglia di colpire qualcosa, di farle male.

- Be'? Se me lo dici, rido anch'io! – insistette in un sibilo.

Kaithlyn tirò fuori un sorrisetto derisorio. – In effetti, è molto divertente. Rido perché, a quando pare, non sei stupido come sembri! – mormorò allungandosi per accarezzargli una guancia con il dorso della mano, che allontanò con un gesto di stizza.

Eric spalancò gli occhi e aprì la bocca, mentre il significato di quelle parole aveva su di lui l’effetto di una doccia fredda.

Inchiodò, facendo sbattere Kaithlyn sul cruscotto davanti a lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si portò una mano sul naso, mentre il dolore per la botta s’irradiava a tutta la faccia.

Eric la fissava con la bocca semi aperta e gli occhi spalancati, come se gli avesse rivelato chissà che cosa.

Ghignò. La reazione sconcertata di Eric era esattamente quello che voleva. Sapeva quanto il suo rapporto con Jason lo rendesse insicuro ed era la ragione per un cui aveva avanzato di raccontargli alcuni episodi degli ultimi quattro anni.

- Stai mentendo. – le sibilò, assottigliando gli occhi nell’espressione diffidente di chi non si sarebbe fatto prendere in giro. Era incredibile come riuscisse a passare da un’emozione all’altra in così pochi secondi.

- No, certo che no! – ridacchiò. – come vedi, le impressioni che spesso ci sembrano errate in un primo momento, qualche volta si rivelano corrette. – disse pragmaticamente, un ghigno di sufficienza ancora stampato sul viso.

Lui aprì e richiuse la bocca, basito.

- Be’? Non hai niente da dire? - lo stuzzicò, sistemandosi meglio sul seggiolino e guardandolo in attesa, le mani intrecciate davanti agli stinchi.

Lo vide irrigidire la mandibola. – Quando? – chiese cupamente, stringendo il volante e fissandola con espressione quasi idrofoba.

Si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio, con non curanza. – Vuoi sapere l’ultima, la prima…? – infierì, spietata parlando lentamente in modo che gli arrivasse chiara alle orecchie ogni sillaba.

Eric pareva sul punto di mettersi a urlare. O di metterle le mani alla gola, immaginò dipendesse dal momento.

Lui andava a momenti: un attimo prima era tranquillo e l’attimo dopo era ai pazzi.

Respirò affannosamente per un attimo e si mise le mani sul viso, lasciandosi cadere contro il sedile. La macchina ebbe un sussulto e si spense, ma non infierì: voleva aspettare che prendesse consapevolezza di quello che gli aveva detto per rendere tangibili quelli che sapeva essere i suoi timori. Sapeva che Eric, nonostante all’apparenza sembrasse anche troppo spavaldo, e per certi versi lo era, nascondeva una profonda insicurezza per se stesso e per gli altri, anche se non era ancora riuscita a capirne a pieno il motivo.

Lo spegnimento improvviso sembrò riportarlo gradualmente con i piedi per terra, distogliendolo dall’immagine di lei e Jason avvinghiati da qualche parte. Magari stava proprio pensando al suo letto matrimoniale, dove erano stati tante volete insieme.

Ne sarebbe stata contenta, perché era esattamente quello a cui voleva che pensasse per le successive ore. Voleva che il tarlo del dubbio lo tormentasse fino allo stremo.

Sapeva di stargli facendo del male e sapeva anche che avrebbe dovuto dispiacerle. Ma non era così. Avere gli strumenti per sopraffarlo, come aveva fatto lui con lei poco prima, le dava una piacevole sensazione di predominanza. Era lei ad avere il coltello dalla parte del manico e avrebbe continuato ad affondarlo crudelmente in una ferita aperta e tanto delicata fintanto che non si sarebbe stancata.

Detestava essere sopraffatta e le poche volte in cui le era capitato aveva sempre reagito sfruttando quello che sapeva dell’altro, chiunque fosse, per ricambiare il favore non con una, ma con dieci volte la cattiveria che aveva ricevuto. Era così che si era fatta spazio nelle Forze Speciali, anche se era la più piccola, la più debole fisicamente e l’unica donna.

Era stata la più intelligente, anche se non era un grande sforzo essere più svegli della maggior parte degli Intrepidi, e aveva ottenuto tutto ciò che si era prefissata di ottenere.

Negli Eruditi era stata viziata e abituata a non essere seconda a nessuna, mai e per nessuna ragione. Suo padre era più esigente con lei che con tutti e quattro i suoi fratelli maggiori messi insieme e lo era stato in particolare dal momento in cui aveva espresso la sua volontà di cambiare fazione pretendendo da lei niente di meno che l’eccellenza.

Lei ed Eric non parlavano granché di quello che c’era stato prima, o della vita che entrambi avevano condotto tra gli Eruditi; lui s’innervosiva, diventava cupo e scontroso, cambiava discorso e lei non aveva mai cercato di scavare più a fondo. O di renderlo partecipe di quello che riguardava lei.

Lo vide riafferrare il volante e fare un respiro profondo. – Bene, - disse prima di schiarirsi la voce, riaccendere la macchina e ripartire come se nulla fosse, forse, rifletté, per non darle soddisfazione.

Non aggiunse altro mentre percorrevano il viale buio e deserto; ogni tanto lanciava qualche occhiata a Eric, che sembrava, via via che si avvinavano sempre più nervoso e pallido. Notò che gli stremavano impercettibilmente le mani, e si chiese cosa lo spaventasse o lo innervosisse tanto.

Arrivati a uno degli stradoni principali che collegava diverse strade diramate per tutta la città, Eric, anziché percorrerlo e prendere la via più breve svoltò improvvisamente in una strada secondaria e fece il giro.

Lo guardò con sufficienza. – Si può sapere che fai? Ti si è guastato il GPS? – mormorò altezzosamente.

Eric non rispose e si limitò a deglutire appena e fissare insistentemente la strada, stringendo con ancora maggior vigore il volante e riaprendosi, piano e dolorosamente, le nocche. Quel gesto gli fece stringere le labbra, ma non lo udì emettere neanche un lamento nonostante fossero ridotte veramente, veramente male.

A causa di alcune strade chiuse furono costretti a tornare indietro e ad allungare ancora di più la strada. Quella faccenda inizia a irritarla più del dovuto e il dolore al braccio e alla spalla stava piano piano diventando globale e sordo.

Quando furono a poche centinaia di mentre dal parcheggio del retro dell’ospedale, dove si trovava anche l’ingresso delle ambulanze e l’entrata del pronto soccorso, Eric inchiodò nuovamente.

Kaithlyn mise il braccio sano in avanti, riuscendo a evitare di battere un’altra testa sul cruscotto della macchina. – Che c’è? –ringhiò, vedendo che non aggiungeva nulla. – Ti sei incantato? Vuoi una mano a riaccendere la macchina o…? -.

– Voglio sapere quando ti sei fatta sbattere da… da lui. Magari l’ultima volta che è rimasto da te, eh? – ringhiò improvvisamente di nuovo preda della furia, afferrandola per un braccio e tirandola verso di sé per arrivarle a due centimetri dal viso.

Kaithlyn non rispose. Tutto sommato se l’era cercata, ma il fatto che ogni scusa fosse buona per darle della poco di buono cominciava a diventare snervante e non aveva nessuna voglia di sopportare ancora. Era stato già abbasta strano, per lei, lasciar correre con l’episodio di qualche giorno prima e non aveva nessuna intenzione di ripetere l’esperienza.

La spalla le faceva male e lo strattone che le diede sembrò intensificare il dolore, facendola gemere. – Mollami. – sibilò.

- Lasciami indovinare. – disse, ignorandola e rafforzando la presa, spezzandole il fiato per il dolore. – Eri tanto scocciata perché ho interrotto la vostra seratina? Magari ti sei fatta scopare anche durante il turno di guardia, vero?! Dimmi un po’, almeno ti è piaciuto? O magari sei talmente abituata che uno vale l’altro – proseguì in un mormorio basso e letale.

Aveva appurato con se stessa di essersela cercata, di averlo provocato e spinto al limite… ma ciò non le impedì di caricare un pugno con la mano destra e colpirlo sul viso, costringendolo a lasciarla.

Sentì il naso di Eric scrocchiare sotto il suo colpo e, per solo un momento, temette di averglielo rotto di nuovo. Se così fosse stato, dato che conosceva il dolore, non si sarebbe sorpresa di ricevere una testata sui denti e un man rovescio tanto forte da rigirarle la faccia.

Si alzò comunque di scatto, scalciando il giubbotto di Eric che le era caduto sulle gambe raccolte, si alzò sulle ginocchia e prima che lui potesse fermarla premette il pulsante per aprire la macchina.

Scese come una furia, spalancò lo sportello posteriore con un’energia che non credeva di avere e si buttò la sacca in spalle, sbattendo la portiera con tutte le sue forze per poi avviarsi a piedi per l’ultimo chilometro di strada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Kaithlyn?! Kaithlyn?! KAITHLYN! – le urlò dietro, senza tuttavia ricevere alcuna considerazione.

Lei non lo ascoltò e proseguì per la sua strada, a piedi.

- Cazzo! – imprecò, colpendo ripetutamente il volante con i palmi delle mani.

Ansimò, cercando di riacquistare il controllo della situazione e non gettarsi all’inseguimento della ragazza per finire l’opera che aveva involontariamente iniziato.

Kaithlyn era sparita, avvolta nell’oscurità e fuori dal raggio d’azione dei fari, così accese gli abbaglianti e la individuò, una centinaio di metri più avanti. Camminava spedita, trascinando il borsone per terra. Era incredibile quante energie avesse da sprecare, in quello stato. Quasi la invidiava.

Era ancora teso come una corda di violino, e percepiva, dietro la testa, ancora il formicolio della tensione che, lo sapeva, se avesse aspettato ancora lo avrebbe spinto e farle del male.

Continuavano a venirgli in mente immagini di lei con Miller, avvinghiati sul suo letto, dove tante volte erano stati insieme. Lo vedeva accarezzarle il viso, baciarle il collo con dolcezza e stringerla contro di sé. Lo vedeva spogliarla con calma, con quella complicità e quella confidenza fisica che loro due avevano dovuto costruire passo dopo passo, la stessa che per l’altro sembrava naturale. Lo vedeva accarezzarla, toccarla, premerla contro il suo petto e ridere insieme a lei, come se si conoscessero da sempre. Lo vedeva fare l’amore con lei, con una dolcezza che lui non avrebbe mai avuto e si sentì sprofondare.

Sarebbe stata meglio con lui. La conosceva bene, forse, per certi versi, anche meglio di lui ed era tranquillo, equilibrato e l’avrebbe trattata riservandole tutte le attenzioni che le servivano. La complicità c’era già, a letto insieme erano già andati… era sufficiente che si facesse da parte lui.

Quello che gli aveva detto Kaithlyn era stato come una doccia fredda, uno schiaffo. Più volte aveva pensato che, in effetti, ci potesse essere stato qualcosa tra loro, ma pensava anche, dato che erano in buoni rapporti, che fosse stato troncato sul nascere o che il fatto di essere l’uno la nemesi dell’altra gli avesse impedito di avvicinarsi in quel modo.

Si sbagliava, come sempre quando si trattava di Kaithlyn.

Deglutì, ingoiando l’amarezza di quella realizzazione e rimise in moto l’auto. Non appena fossero tornati alla Residenza, avrebbe dovuto mettere un paio di punti in chiaro con Jason. E sarebbe stato meglio che lui l’avesse ascoltato, perché sentiva in non star aspettando altro se non una buona scusa per sfogarsi su di lui, dato che su Kaithlyn non poteva. O meglio, poteva: ma le conseguenze erano ben peggiori di quelle che avrebbe subito per una bella scazzottata tra uomini e prendere a pugni un ragazza malconcia, che pesava meno della metà di lui non gli sembrava molto virile. Inoltre gli sarebbe dispiaciuto fare del male a Kaithlyn, mentre picchiare a sangue Jason fino a fargli sputare tutti i denti, gli avrebbe provocato un certo piacere.

Ripartì piano, seguendo Kaithlyn da una certa distanza per assicurarsi che non collassasse in mezzo di strada o infilasse in un tombino aperto, dato che in quella zona spesso facevano controlli e lavori. Gli sarebbe toccato soccorrerla, e non ne aveva alcuna voglia.

Sembrava stare meglio, comunque, o almeno così sembrava dato l’impegno che ci stava mettendo per seminarlo.

Era ancora assorto nei suoi pensieri, lasciati a vagare da una considerazione all’altra nel tentativo di calmarsi, quando la ricetrasmittente dell’auto gli comunicò con un trillo che aveva una chiamata in entrata dalla Residenza.

Premette il pulsante di risposta, prima di rinchiodare gli occhi sulla strada e sulla figura della ragazza.

- Che c’è? – ringhiò, incurante di chi ci fosse dall’altra parte.

- Dove diavolo sei? – gli rispose, quello che identificò come Sean.

Non aveva niente di meglio da fare alle due e mezzo di notte?

- Quasi al pronto soccorso, la Stronza si è sentita male. Sto aspettando che cada accidentalmente in un pozzo lasciato aperto per andarmene. – sbottò.

Dall’altra parte ci furono un paio di secondi di silenzio. – Quindi non è andata granché, eh? -.

Ma cosa andava a pensare? Chiunque avrebbe scelto quella zona per fare una piacevole escursione romantica, alle due e mezzo di notte e con quel freddo da lupi.

Non rispose.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era una persona molto orgogliosa e anche molto ostinata. Forse era per quella ragione che, nonostante le girasse la testa, sentisse freddo e le venisse da vomitare, oltre al dolore alla schiena, non si era ancora rassegnata ad aspettare che Eric la raggiungesse in macchina e a farsi portare al pronto soccorso comodamente seduta sul sedile del passeggero della sua auto. Con il riscaldamento acceso e un bel giaccone sulle spalle.

Preferiva soffrire, collassare a terra o arrivare alla meta strisciando piuttosto che fare un passo indietro, indipendentemente dall’essere nel torto o nella ragione, anche se a quel punto era difficile dire cosa fosse colpa di chi e perché; avrebbero potuto metterci una pietra sopra, cercare di andare d’accordo per qualche ora e riappacificarsi, ma lei non era intenzionata a fare un solo passo per migliorare le cose.

Piuttosto la vivisezione.

Ringhiò dal dolore per l’ennesima fitta alla schiena e lasciò andare il borsone inciampando per terra e frenando la caduta con i palmi delle mani. Una scossa le percorse la schiena e la costrinse a mordersi le labbra per soffocare un gemito di dolore.

Si mise in ginocchio e facendo leva sulle mani riuscì ad alzarsi, mentre la sensibilità ai muscoli della spalla diminuiva e un’altra fitta le faceva stringere i denti tanto da farsi male.

Strinse le labbra e si alzò: non era troppo lontana e continuando di quel passo sarebbe arrivata nel giro di pochi minuti. Forse una quindicina. Poteva farcela, non aveva bisogno di Eric o di chi per lui.

Non aveva bisogno di nessuno.

Forte di quella convinzione riafferrò il borsone per i manici e se lo mise in spalla a fatica; non era particolarmente pesante e l’avrebbe portato senza problemi se non le fosse girata in quel modo alla testa e se il dolore che andava e veniva a schiena e braccio non avesse distolto la sua attenzione da tutto il resto.

Scosse la testa, cercando di scacciare la sensazione d’impotenza che sembrava volersi impossessare di lei e riprese a camminare lentamente.

Non si sarebbe fatta mettere fuori gioco da una stupida, inutile scheggia di pietra.

La verità, nonostante avesse fatto la spavalda fino a pochi minuti prima in presenza di Eric, era che era preoccupata seriamente per il suo braccio: sapeva che non era colpa di Eric, ma non poteva fare a meno, in qualche modo, in imputargli un margine di responsabilità. Lei lavorava con le braccia, era la miglior Tiratrice degli Intrepidi e aveva davanti una carriera sfavillante, tecnicamente. Ma se non fosse stato possibile recuperare del tutto il braccio, cosa avrebbe fatto? Sarebbe finita al Centro di Controllo? A fissare un monitor per tutto giorno, lei? O magari in palestra, a misurare il pavimento e a insegnare a ragazzini che a malapena sopportava come allacciarsi gli scarponi.

Stare alla recensione o pattugliare la città le dava lo stesso entusiasmo che avrebbe avuto nel mettersi a fare un girotondo in un campo di grano e con una stupida corona di fiori in testa.

Avrebbe dovuto valutare e decidere: forse addirittura di andarsene. Sarebbe dipeso esclusivamente da chi avesse predominato tra orgoglio e intelletto.

Rise istericamente, a quel pensiero. Se non altro era riuscito a liberarsi di lei una volta per tutte.

Era abbastanza sicura, per quel che capiva lei di quella roba, che non fosse niente di troppo serio; sarebbe stato sufficiente estrarre il corpo estraneo dalla sua maledettissima scapola e prendere per qualche giorno gli altrettanto stramaledetti antidolorifici, o al massimo fare qualche iniezione. Eppure il tarlo del dubbio la rendeva nervosa, instabile e incredibilmente suscettibile.

Lo detestava in quel momento, e l’unica cosa che sembrava farla stare meglio era ferirlo e umiliarlo, esattamente come aveva fatto lui per tutta la sera. Sapeva che il tasto “Jason” era fastidiosamente dolente e che non avrebbe dovuto dirgli una cosa del genere in quel modo; sapeva che avrebbe dato i numeri e ne godeva.

Rabbrividì fin dentro le ossa per il freddo pungente della notte e si strinse per quanto possibile la felpa addosso. Aveva pensato, nei pochi secondi di cui aveva avuto bisogno per colpire Eric e scendere dall’auto, di afferrare anche il suo giaccone: non era una mossa intelligente arrancare in quelle condizioni e con quel freddo, ma era troppo orgogliosa per ammettere di aver bisogno di qualcosa di suo, anche se si trattava di una cosa stupida come un giaccone pesante. Sarebbe stato come ammettere di aver bisogno di aiuto, di essere accudita o, ancora peggio, di aver bisogno di lui. E piuttosto che riconoscere quell’eventualità, sarebbe morta di freddo e si sarebbe fatta trovare la mattina dopo come una bella statuina di ghiaccio; tutto, qualsiasi cosa pur di non fasi tendere la mano da Eric Turner.

Incespicò nei suoi stessi piedi, mentre sentiva la pressione calarle bruscamente e le ginocchia cederle. Cadde in ginocchio e fece appello a tutta la forza di cui disponeva per rimanere ancorata alla realtà e non svenire. Quando fu abbastanza sicura di essere in grado di alzarsi, cercò di tirarsi su facendo forza sulle gambe, ma un altro giramento la colse impreparata e la fece cadere in avanti.

Kaithlyn mise le mani avanti per non battere la testa e non finire distesa. Non sarebbe svenuta in mezzo di strada come la prima imbecille passata per caso. Che figura ci faceva? Era un soldato, nelle Forza Speciali da quasi quattro anni e sveniva per una sciocchezza del genere? Che cosa avrebbe fatto se ci fosse stata una guerra, una battaglia, e fosse rimasta ferita? Si sarebbe fatta portare in braccio da uno dei suoi compagni come una ragazzina piagnucolosa?

Riprovò ad alzarsi, ma il movimento le causò una stretta nauseante alla bocca dello stomaco. Riuscì a rimettere le mani avanti a sé giusto in tempo per bloccare nuovamente la caduta, ma un dolore pungente e frizzante le pervase la mano sana.

Ritrasse la mano dal terreno cercando di mettersi seduta sulle ginocchia e per non perdere l’equilibrio. Si guardò la mano nella quale era piantano, anche se non in profondità, un pezzo di vetro forse proveniente da un auto o da un incidente avvenuto in giornata.

Le braccia e le mani le tremavano e sentì le lacrime venirle quasi automaticamente agli occhi ma le ricacciò indietro. Afferrò il vetro con due dita informicolate e tirò appena, soffocando un gemito di dolore.

Doveva fare una cosa rapida, uno strappo e sarebbe finito tutto. Poteva tamponare il sangue con uno dei fazzoletti che teneva nel borsone e ormai era abbastanza vicino al pronto soccorso.

Contava di non morire dissanguata nel tragitto, sarebbe stato piuttosto imbarazzante: forse anche peggio di svenire.

Respirò profondamente dal naso ed estrasse la scheggia con uno strattone. Il dolore le fece mordere a sangue le labbra e la fece boccheggiare, mentre il sangue iniziava a zampillare dalla ferita. Aveva un taglio di cinque centimetri sul palmo della mano. Bene, c’era dell’altro? Magari poteva cadere in terra e procurarsi una commozione cerebrale, o poteva collassarle un polmone, così, giusto per non farsi mancare niente.

Si passò l’avambraccio del braccio ferito sugli occhi, cercando di controllare il tremore diffuso in tutto il corpo e iniziò a respirare profondamente, facendo entrare l’aria dalla bocca con lentezza e facendola uscire dal naso. Dopo circa un minuto sentì il rumore della macchina che si fermava in lontananza e s’impose di alzarsi. Sarebbe rotolata o strisciata prima di farsi vedere tra tutti, proprio da lui in quel modo. Anche se forse, gli avrebbe fatto più male vederla così, che pensare che stesse meglio.

Si alzò quasi di scatto, senza curarsi di tamponare la ferita come si era prefissata.

Lo sbalzo repentino di pressione le fece girare vorticosamente la testa e le provocò un’altra stretta allo stomaco. Le veniva da vomitare, maledizione. Avrebbe dovuto bere meno o coprirsi di più; di quel passo le sarebbe venuta una congestione.

Riuscì a mantenere l’equilibrio senza sapere neanche lei come, ma non riuscì a impedire alla bile di risalirle la gola.

Vomitò sull’asfalto, tenendosi lo stomaco come ad arginare la nausea. Un colpo di fosse la fece piegare in avanti, ma riuscì a rimanere in piedi divaricando leggermente le gambe per reggersi meglio.

Non sarebbe caduta di nuovo per terra, nel suo vomito per giunta.

Stava sudando freddo mentre iniziava a tramare visibilmente. Si passò una mano sulla fronte, trovandola madida di sudore, mentre le si annebbiava la vista di lacrime dovute alla tosse.

Si chinò cautamente per prendere i fazzoletti nella tasca interna del borsone: era un’operazione lenta e dolorosa, e impiegò alcuni minuti per portala a compimento; estrasse un fazzolettino di carta bianco e si pulì le labbra prima di gettarlo malamente a terra.

Si appoggiò una mano sulla fronte e spostò i capelli dal viso sudato prima di imporre alle sue gambe di muoversi nuovamente.

Riprese a camminare lentamente. Non si sentiva più il braccio, quindi l’unica soluzione fu trascinare il borsone per i manici. Avrebbe dovuto aspettare che le tornasse la sensibilità, ma era contenta che Eric non fosse corso ad aiutarla. Avrebbe dovuto insultarlo ancora e non era sicura di avere voce a sufficienza.

Stufa di trascinare il suo bagaglio se lo caricò in spalla, soffocando un ringhio di dolore. Non riusciva a chiudere la mano tagliata e trascinare quel peso iniziava a diventare più doloroso del consentito.

Malauguratamente, il borsone le scivolò, strattonandole il braccio verso il basso.

Il dolore durò poco, ma la fitta iniziale le riempì la testa e le sembrò quasi si sentire il suo sangue pulsare nelle vene, mentre le si annebbiava nuovamente la vista e barcollava pericolosamente all’indietro. Lasciò andare il borsone, senza più forza nella braccia e si sporse in avanti per mantenere l’equilibrio, come aveva fatto poco prima.

Mancava poco, era quasi arrivata. Un ultimo sforzo, doveva solo attraversare la strada intorno alla rotonda riservata alle ambulanze ed entrare dalle porte automatiche. Non era lontano, anche se salire e scendere i gradini del marciapiede mattonellato sarebbe stato doloroso.

Il passo che fece in avanti le causò un conato di vomito più forte dei precedenti, costringendola a piegarsi in avanti per non sporcarsi.

Tossì, mentre al primo conato ne seguiva un altro abbastanza forte da costringerla a cadere sulle ginocchia e a tenersi spasmodicamente allo stomaco con le mani.

Ora sentiva chiaramente i brividi su tutto il corpo e si accorse di tremare come una foglia. La testa le pulsava dolorosamente e sentì salirle agli occhi lacrime di frustrazione.

Era patetica, ecco cos’era.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- E quindi? -.

- E quindi nulla, mi ha mandato al diavolo ed è scesa di macchina. – ripeté, per la seconda volta. Quando ci si metteva Sean era più curioso di una donnicciola e nonostante fosse ormai un Intrepido, continuava a voler essere messo al corrente e a voler conoscere ogni aspetto di quello che succedeva.

“Se devo farti da avvocato difensore, devo conoscere ogni aspetto degli avvenimenti.”

Tralasciando le ovvie considerazioni sul fatto che, professandosi come suo migliore amico, avrebbe dovuto prendere le sue parti a prescindere dalle circostanze.

Ma quelli erano dettagli, giusto?

Osservò con più attenzione davanti a sé, sporgendosi leggermente in avanti per vedere nell’oscurità. Andava talmente piano che non aveva neanche bisogno di tenere le mani sul volante.

- Aspetta un attimo: forse sta collassando. – comunicò all’amico. In effetti, Kaithlyn era caduta. La vide provare ad alzarsi un paio di volte e dopo la seconda, vendendola rimanere a terra, spense il motore preparandosi a scendere per andare a raccattarla.

Le vide drizzare la testa e alzarsi repentinamente, forse sentendo il motore della macchina spengersi e immaginando che sarebbe andato ad aiutarla. Forse si alzò troppo velocemente, perché la vide piegarsi in avanti e vomitare anche l’anima. Non la vedeva chiaramente, era buio e lei si trovava a diverse decine di metri da lui.

Da un punto di vista teorico avrebbe dovuto correre da lei, caricarsela in spalle e portarla in ospedale, prima che avesse una congestione e restasse lì.

Aspetto diversi secondi, poi la vide rialzarsi barcollante, così riaccese la macchina e ripartì. La vide girata verso il borsone, che fisso per diversi secondi prima di afferrarlo per i manici e iniziare a trascinarlo.

- Mmh… falso allarme, respira ancora. – aggiunse rivolto a Sean.

Sean, dall’altra parte, ridacchiò. – Tu non vuoi veramente che ci resti secca. Contieniti e va ad aiutarla. -.

Lo ignorò, osservando dove stava camminando la ragazza. Non si sarebbe congelato per aiutare qualcuno che a) ce l’aveva a morte con lui b) lo trattava di merda da giorni e c) non voleva essere aiutato.

Perché forzarla? Se aveva deciso che la sua ora sarebbe arrivata proprio lì erano affari suoi… de gustibus. Se la strada nei dintorni dell’ospedale cittadino le piaceva come ultimo luogo da visitare prima di morire, avrebbe rispettato i suoi desideri.

- Lì spesso c’è un tombino aperto, forse stasera sono fortunato e… no, ovviamente no. – brontolò, mentre Kaithlyn sorpassava uno dei tanti tombini soggetti a manutenzione della zona.

Sean sospirò. – Eric. -.

Inarcò le sopracciglia. – Che c’è? Mi pareva che la speranza fosse l’ultima a morire! – protestò con indifferenza corrugando le sopracciglia e acuendo lo sguardo per individuare le sagome della ragazza.

- Certo, - gli concesse ironicamente l’altro. – è ancora in piedi? – indagò, dopo alcuni secondi di pausa.

- Ovviamente. Chi la ammazza quella? Se dovessero sequestrarla, mi preoccuperei di più per i sequestratori che per lei. Aveva ragione boccoli d’oro: avrei dovuto portarmi una mazza chiodata e finirla. Forse la decapitazione funziona davvero…– mormorò, senza tuttavia staccare gli occhi dalla figura barcollante che camminava a poche decine di metri da lui e che sembrava intenzionata a continuare per la sua strada anche a costo di strisciare sull’asfalto.

Era grande e vaccinata, se voleva arrivare in coma al pronto soccorso non poteva certo essere un problema suo. Non si sarebbe fatto esplodere le coronarie per quello e non glielo avrebbe impedito.

Sean rise. –Ti credo. –

- Tu, comunque, perché mi chiami a quest’ora? Non hai proprio niente di meglio da fare? – indagò, mentre osservava attentamente ogni movimento di kaithlyn che stava assumendo un’andatura quasi moribonda.

- Ho discusso con Mia e lei mi ha gentilmente invitato a trovarmi un altro letto, nella fattispecie il tuo. A quanto pare le tue discussioni con la tua ragazza hanno contagiato anche lei…. Comunque sono andato a casa tua, ma tu non c’eri, come ben sai… allora… - spiegò, con tutta calma.

- Io stasera sarei comunque rimasto da Kaithlyn, dato che aveva come “ospite” Mister Simpatia; avresti dormito fuori. – lo interruppe. Dopo quello che gli aveva schiaffato in faccia, tra l’altro, non avrebbe più passato una sola notte senza sapere esattamente dove fosse e cosa stesse facendo. Si sarebbe accampato nel suo salotto, se necessario, ma Miller doveva stare ad almeno trenta metri da lei. Avrebbe scritto un’ordinanza restrittiva facendolo passare per un maniaco pervertito che si divertiva a torturare le donne con giochetti sadici, per tenerlo alla larga da ciò che era solo ed esclusivamente suo.

Sean si zittì un attimo. – Mi lasci finire? Grazie. Comunque sono andato da Robert e Annie, i nostri compagni d’iniziazione, hai presente Re degli Asociali Patologici? Esatto proprio quei due tipi simpatici con cui abbiamo condiviso il bagno per un mese in quella topaia di dormitorio! Insomma, sono andato da loro e dato che non avevo il cercapersone mi hanno fatto chiamare con il telefono di casa. Ora sai che hai disturbato quasi tutta la nostra classe d’iniziazione, contento? – concluse, come se fossero entrambi in salotto e bere una birra.

Eric storse la bocca: non era particolarmente entusiasta del fatto che anche gli altri due sapessero di quel casino. – Non tutti. Se davvero vuoi fare una cosa come si deve, fammi un regalo e versa del cemento armato e rinforzato davanti alla porta di Quattro. – suggerì con un ghigno.

Il sogno della sua vita: sbarazzarsi per sempre di Tobias Eaton. Quattro. Come diavolo si chiamava.

Che poi, riflettendoci, farsi chiamare come un numero gli sembrava una cosa piuttosto idiota. Negli Eruditi gli avrebbero riso in faccia per… be’, per sempre. A malapena sopportavano gli abbreviativi. Lui, ad esempio, almeno quando era in casa e i suoi erano a portata d’orecchio doveva chiamare suo fratello William… avevano tollerato, sua madre in particolare, che lo chiamasse Will solo fino all’inizio dei Livelli Inferiori ed esclusivamente perché ancora non poteva parlare in modo del tutto corretto. Anche se sospettava che ci fosse lo zampino di suo padre, che era sempre stato più incline ad assecondarli di sua madre e il più delle volte si ritrovava a fare da mediatore.

Un movimento brusco, davanti a lui, lo distolse dai suoi pensieri. Il borsone di Kaithlyn era caduto a terra e lei era piegata in due e stava vomitando di nuovo. Aspettò alcuni secondi che si rialzasse, ma lei continuò a piegarsi sempre più su se stessa, scossa da conati e tosse.

Spense il motore ma non la macchina per mantenere la comunicazione e sentire lei nel caso l’avesse chiamato per aiutarla.

Kaithlyn si piegò in avanti, reggendosi con gli avambracci e continuando a tossire. La vedeva tremare anche da lì, forse le stava prendendo una congestione.

- Sean, ci sentiamo dopo, devo andare. – comunicò, slacciandosi la cintura.

- Kaithlyn? L’hai recuperata? – chiese, l’altro con una punta di interesse.

- No, ma sta rantolando. Ti richiamo. – disse prima di riattaccare e scendere velocemente dall’auto.

Si mise le chiavi in tasca, afferrò il suo giaccone e si avvicinò a passo svelto da lei, semi accasciata sull’asfalto.

Si chino su di lei e le scostò i capelli dal viso. Non l’aveva mai vista tanto stravolta: era sudata, tremante e aveva le mani coperte si sangue. Non sembrava neanche la stessa ragazza di poche ore prima, in quelle condizioni.

Lei scansò la sua mano con la testa, e due secondi dopo Eric, aveva infilato un braccio sotto le ascelle di Kaithlyn per non farla finire con la faccia  terra.

Si sedette a terra e le fece appoggiare la testa e la schiena sul suo torace, poi la coprì con la giacca, massaggiandole piano la pancia.

Kaithlyn scuoteva debolmente la testa e non appena gli sembrò stesse un po’ meglio, la sentì muoversi e la aiutò a mettersi in piedi.

- Tieni, infilati questo… - mormorò, mettendole il giaccone pesante sulle spalle.

La tenne una mano sulla pancia, per scaldarle lo stomaco congestionato e le passò l’altra sulla schiena.

Kaithlyn si divincolò con tutta la forza che le rimaneva e si voltò verso di lui, barcollante, sudata e ricoperta di sangue ma decisa. – Non toccarmi… - biascicò, con la voce impastata e debole come quella di un’ubriaca.

Eric la ignorò. – Ti porto all’entrata e poi torno a prendere la macchina. Non arriverai mai neanche all’aiuola centrale, di questo passo. – disse, cercando di farla ragionare. Se si ribellava rischiava di farle più male di quanto già non avesse fatto.

Kaithlyn lo allontanò con le braccia. – Non ho bisogno né di te né di nessun altro… non voglio che… che tu mi tocchi. – protestò con veemenza facendo altri due passi barcollanti all’indietro.

Fece appena in tempo ad afferrarla, prima che cadesse in terra e battesse una testa sull’asfalto.

– Se ci tieni tanto a fare la dura ti faccio arrivare all’entrata del pronto soccorso da sola mentre parcheggio, che dici? – la schernì, spingendola verso la macchina e afferrando il borsone con l’altra mano.

- Io non voglio fare “la dura”, idiota. Voglio solo arrivare al pronto soccorso e vedere cosa diavolo mi sono fatta e, se possibile, non sentire la tua voce. M’infastidisce. – ansimò con la voce arrochita dal freddo e ancora impastata.

Eric scosse la testa. Non riusciva a spiegarsi come potesse pensare ancora a qualcosa che non fosse il bisogno di farsi aiutare in quelle condizioni. Era incredibile. Dove trovava l’energia per discutere e per rimbeccarlo in quel modo?

Aveva ragione Miller: forse per uccidere Kaithlyn, l’unico modo era la decapitazione, un colpo netto e via. Qualsiasi altra cosa le avrebbe fatto il solletico, ne era sicuro.

- Ti porto fino all’ingresso, poi puoi fare quello che vuoi. – le comunicò stringendo i denti.

Aveva i brividi e non voleva restare un minuti di più lì. Kaithlyn si divincolò ancora, riuscendo a sgusciare dalla sua presa e tornado sui suoi passi.

E pensare che si era illuso che fosse finalmente fuori gioco. Era da quello che si distingueva un combattente: era ferita, stanca e piena di dolori ma nonostante sapesse che a lui sarebbe bastato un nulla per fermarla, caricarla in macchina e trascinarla di peso fino al pronto soccorso insisteva a seguire il suo obiettivo, inarrestabile. Forse iniziava a capire come mai Frederick, tra tutti i validi elementi presenti tra le Forse Speciali degli Intrepidi, insistesse a voler nominare proprio Kaithlyn come suo successore al Comando.

Lui però non era il vecchio e saggio Frederick Wood e non gli interessava quanto fosse straordinariamente ostinata Kaithlyn Evenson o quanto avrebbe resistito su un ipotetico campo di battaglia e con quanta freddezza e determinazione avrebbe condotto la sua Squadra alla vittoria. Lui era Eric Turner, e l’avrebbe trascinata per i capelli fino all’auto e infilata nel bagagliaio se l’avesse ritenuto necessario.

Gli bastarono poche falcate per raggiungere Kaithlyn, afferrarla per un braccio e girarla verso di sé.

Era mortalmente pallida, gli occhi circondati da occhiaie bluastre, la bocca screpolata e un’espressione stravolta. Aveva anche gli occhi lucidi, ma immagino fosse per i conati di poco prima.

- Non toccarmi! – urlò Kaithlyn facendolo quasi sussultare. – Non vedi che non sto bene? – disse con voce strozzata.

Era evidente che stesse da cani, anche un cieco se ne sarebbe accorto.

- Voglio solo portarti al pronto soccorso, non fare la bambina: se proprio ci tieni poi ti lascio lì e te ne puoi tornare a casa tua a piedi. O a corsa. A zoppino, camminando sulle mani o anche rotolando se ti aggrada. – le assicurò in tono pratico.

Kaithlyn rise istericamente, gli occhi appesantiti. – Vuoi rattopparmi per lenire i sensi di colpa? – lo schernì facendo roteare gli occhi verso l’alto.

Eric scosse appena la testa. – Non mi sento in colpa per te, stupida. – ribatté sprezzante, con un ghigno di sufficienza. - Non volevo colpirti, ovviamente, altrimenti non cammineresti. Ti sei trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, come al solito. -.

- Ha importanza? – lo interruppe. – Mi hai vista? Non sei tu quello che non sa se domani potrà riprendere a fare il suo lavoro solo perché uno di noi due ha perso la testa! – sibilò. – Non m’interessano le tue intenzioni, quello che preoccupa me è il risultato. -

Eric fece una pausa per cercare di mantenere quella poca calma che sembrava ancora appartenergli. Si meravigliava quasi di se stesso.

- Ero venuto al Pozzo per parlarti. Poi ti ho vista amoreggiare con… - iniziò, mentre la rabbia lo infiammava, mettendo da parte la sensazione di disagio di un attimo prima.

Kaithlyn spalancò la bocca. – Amoreggiare? AMOREGGIARE? ANCORA? – gridò con voce stridente, facendo un passo verso di lui e guardandolo dritto negli occhi.

Aprì la bocca per urlarle qualcosa, ma lei fu più veloce.

- Perché non fai una bella cosa e la pianti di insistere, quando qualcosa non va, eh? Smetti di insistere con me, con questa maledetta storia da piagnone del secondo stramaledetto posto e smetti di insistere nel voler forzatamente far andare le cose come vuoi! Non toccarmi, non parlarmi e non cercarmi più. Non peggiorare ancora la situazione, tanto come al solito non ottieni niente! – urlò arrabbiata ed esasperata.

S’irrigidì. – Bene. Muori pure nei prossimi cinquanta metri se ti fa piacere o aspetta che qualcuno venga a raccattarti; vuoi che ti lasci il telefono per chiamare il tuo amichetto neo depresso o il tuo paparino? – sibilò ferito.

Kaithlyn sembrò esplodere. – NON NOMINARE MIO PADRE! – gridò, barcollando in avanti. Nonostante il fisico fosse mal ridotto, gli occhi di Kaithlyn erano ancora vigili e battaglieri e lei riuscì a rimanere in piedi. Tanta cocciutaggine era da ammirare.

Non ce la faceva più: era esausto, gli era tornato mal di testa e non riusciva a capacitarsi della piega che aveva preso il loro rapporto. Si sentiva sul punto di esplodere, di nuovo e peggio di poco prima, ma doveva cercare di mantenere la calma. Se avesse perso di nuovo, il controllo avrebbe potuto benissimo strozzarla a mani nude e lasciarla agonizzante sull’asfalto senza quasi accorgersene e non voleva.

Strinse le labbra. – Stammi a sentire: non importa un cazzo di tuo padre, di Miller e della tua stupidissima spalla della quale l’unica responsabile sei tu e la tua mania di voler sempre controllare ogni cosa. Per quel che mi riguarda, sono beatissimi cazzi tuoi, Kaithlyn. – ringhiò, raddrizzando le spalle.

- Se ora però non muovi il culo e monti in macchina, ti giuro su Dio che ti prendo di peso e ti ci trascino per i capelli. – intimò la voce bassa e tagliente.

Kaithlyn rise, sprezzante. – Non hai ancora capito? Cazzo, ci credo che te ne sei andato dagli Eruditi! -.

Eric strinse i pugni e fece un passo verso di lei lasciando solo una cinquantina di centimetri a dividerli e cercando di imporsi di non piazzarle un pugno in pieno viso anche se la tentazione diventava più forte ogni secondo che passava.

Kaithlyn respirò profondamente e si schiarì la voce. – Io non posso stare con qualcuno che approfitta di ogni discussione per darmi della troia. E non posso stare con qualcuno tanto instabile da non rendersi conto di quello che fa. La prossima volta che mi vedrai parlare o respirare la stessa aria di un altro ragazzo cosa farai? Mi spaccherai la testa contro un muro e poi dirai “non ti volevo colpire”? “Ti sei trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato”? “Scusa, sai, ogni tanto parto con la testa e poi non ricordo più che cazzo ho fatto?” – infierì scimmiottandolo istericamente. – Quale sarà la prossima scusante? Che non volevi mettermi le mani alla gola e strangolarmi? Forse non ti è chiaro, ma non sono il tipo che sopporta in silenzio! – gridò.

Proseguì. – Davvero, riuscissi a capire cosa vuoi, cosa pretendi da me, forse potremo anche parlarne. Ma a te basta portami a letto e farti una scopata come si deve ogni tanto, giusto? -.

Fu come se la miccia di una bomba fosse arrivata alla fine del suo ardere e avesse innescato il meccanismo. Ci fu un lungo secondo di silenzio e poi esplose.

–NO! NON SONO IO, SEI TU! TU CHE CAZZO VUOI?! – ruggì, arrivandole a pochi centimetri dal viso, sovrastandola con la sua furia e facendola indietreggiare - Vuoi l’uomo zerbino, qualcuno che baci la terra su cui cammini e ti assecondi in ogni stronzata che ti esce dalla bocca? – urlò, - perché in questo caso avevi a rimanere negli Eruditi, con il tuo paparino a coprire tutte le porcate che hai fatto e ad assecondarti in tutto! Hai scelto la persona sbagliata per questo, stronzetta! E poiché l’unico momento in cui non rompi il cazzo commentando ogni aspetto della vita degli altri è quando ti scopo, forse non sarebbe male se tu ti facessi sbattere anche dal resto della fazione! – si sgolò. – Pensi di saperne qualcosa, eh? Tu e la tua perfetta esistenza tra gli Eruditi mi avete rotto i coglioni, viziatella del cazzo. Ora perché non chiami il tuo innamoratino e lasci che sia lui ad occuparsi di te? Ecco, tieni! – gridò, lanciandole addosso il Cercapersone di Kaithlyn, che si era premunito di acciuffare all’ultimo minuto prima di uscire.

Gli bruciava la gola, i muscoli e gli occhi. Non aveva neanche sbattuto le palpebre e le urla gli avevano prosciugato la gola.

- E la prossima volta che ti senti male crepa sull’asfalto già che ci sei! – ringhiò, fuori di sé.

Kaithlyn si scagliò contro di lui e lo colpì con entrambe le braccia.

Incassò il colpo: non aveva abbastanza forza da fargli male e sentì nascergli in petto una risata di schermo.

Lei però si girò quasi come riflesso all’impatto e la vide avanzare per qualche metro con le ginocchia piegate e il braccio stretto contro il patto, poi la sentì esalare un singhiozzo. Era un pianto esasperato, liberatorio. Come se le fosse rimasto impigliato in gola fino a quel momento e finalmente avesse trovato una buona scusa per liberarlo.

Sbuffò dalle narici, fissandola intensamente, come a scandagliarla dalla testa ai piedi per verificare che non stesse fingendo. Kaithlyn non era il tipo di ragazza che dopo una discussione si metteva a frignare per suscitare pena o far sentire in colpa gli altri… anche perché, lo sapeva, se si metteva al voi con qualcuno, era perché si sentiva fermamente dalla parte della ragione. Se avesse pensato di essere in torto, conoscendola, se ne sarebbe fregata e basta.

La vide stringersi le braccia intorno al corpo, poggiando anziché le dita, i polsi per via delle mani insanguinate. Si avvicinò a lei, camminando rigidamente per non cedere alla tentazione pulsante di caricarsela in spalle e trascinarla di forza, con il rischio di peggiorare la situazione, fino a quel dannatissimo pronto soccorso.

Non fece neanche in tempo a poggiarle una mano sulla spalla per girarla, che lei, nel tentativo di scansarlo, si voltò troppo velocemente e per poco non cadde a terra.

- Non toccarmi! – gridò Kaithlyn. – Non ti rendi conti che come ti muovi mi fa del male? Lasciami in pace, vattene. –

- Kaithlyn… - espirò, mentre il tremore che annunciava la perdita completa delle sue facoltà, tanto simile a quello che aveva avvertito poche ore prima iniziava a diffondersi alle braccia.

- No! Pensi che mi diverta? Pensi che io voglia stare con te così, con qualcuno che ha un’opinione tanto bassa e scadente di me? – gridò, nonostante avesse la voce rotta e ruvida come carta vetrata dalle lacrime e dalla rabbia.

- Da che pulpito. Pensavo di essere io il fallito. A quanto pare mi sbagliavo…– commentò gelidamente prima di darle un leggero colpetto con una mano che la fece finire a terra, in ginocchio.

Kaithlyn nella caduta, per parare l’impatto mise avanti il braccio dolorante.

Ci furono un paio di secondi di silenzio, poi scoppiò a piangere, piegata in avanti e con le braccai strette al petto.

Sentirla singhiozzare in quel modo lo fece rabbrividire fin dentro le ossa, ma ignorò l’istinto di chinarsi a terra e consolarla e fece due passi indietro mettendo su un ghigno cinico, mentre la parte più incontrollabile e sadica di lui prendeva il sopravvento per la seconda volta.

- Guardati: sei veramente patetica. – sorrise divertito.

Kaithlyn respirò affannosamente per calmare i singhiozzi e poi alzò il viso insanguinato dalle mani e rigato di lacrime su di lui. È questo, l’unico modo in cui poi sentirti qualcuno, vero? Approfittane finché puoi, perché in altre circostanze potresti solo pulirmi le scarpe. – esalò.

Eric rise, anche se il suo ghigno si affievolì leggermente. – Bene, allora ti lascio qui a goderti il tuo momento di gloria. – commentò mentre la tensione iniziava ad andarsene rapidamente com’era arrivata.

- Se non altro non mi faccio scoppiare le tempie e prendo a pugni chi mi sta intorno solo per un paio di pugni… - mormorò, - comunque sia, non voglio più vederti. Puoi considerarmi un capitolo chiuso, piccolo Turner. È stato divertente costatare quanto sei realmente patetico. –

Eric si congelò sul posto per un paio di secondi, la mandibola contratta e gli occhi brucianti di frustrazione. Ecco a cosa si riferiva quando rimuginava sul fatto che Kaithlyn sapesse essere inequivocabilmente più stronza di chiunque.

Afferrò senza pensarci il borsone nero abbandonato per terra e quando arrivò alla macchina lo scaraventò sul sedile del passeggero.

Si sentiva frustrato, infuriato e amareggiato.

Urlò di frustrazione, battendo con violenza mani e piedi contro il volante e il tappetino per i piedi.

Si dimenò per alcuni secondi, prima di stringere il volante fino a farsi riaprire le nocche incrostate di sangue, mettere in moto e partire con uno stridio di gomme verso l’ospedale.

Passò davanti a Kaithlyn lanciandole solo un’occhiata di sbieco dallo specchietto retrovisore. Sembrava stare anche peggio di prima e per un momento ne godette in modo cinico.

Bene, ne godeva.

Le stava bene, se l’era meritato. Avrebbe tanto voluto far provare a quella che in quel momento gli sembrava solo una ragazzina viziata anche solo un decimo di quello che aveva passato lui tra gli Eruditi durante l’infanzia e l’adolescenza. Solo un decimo e sarebbe stato contento perché forse le si sarebbe accesa in testa un tenue lucina di comprensione e si sarebbe ridimensionata. Avrebbe voluto, anche solo per un minuto, chiuderla in una stanza e farle provare un po’ della paura e della disperazione che aveva provato lui qualche anno prima, ma immaginava fossero sentimenti troppo distanti da lei, da qualcuno a cui non era mai mancato niente, mai una tragedia, qualcosa di storto.

Faceva tante storia per quell’articolo, ma se non fosse stata al suo posto non le sarebbe sembrato nulla. Stronzate, ecco cos’erano quei piagnistei. Una vagonata senza fine di stronzate.

Parcheggiò sgommando davanti all’entrata del pronto soccorso e dopo aver afferrato il borsone entrò.

Cercò con gli occhi qualcuno del personale e quando un’infermiera gli passo davanti lanciò il borsone ai suoi piedi. – Tra qualche minuto dovrebbe arrivare la proprietaria: ha i capelli rossi, una felpa nera ed è piuttosto mal ridotta. Glielo lascio qui. – disse, prima di fare dietro front verso la macchina.

Ripartì a tutta velocità, come se andare più forte potesse farlo sentire meglio, come se la scarica di adrenalina che gli data l’alta velocità, l’eccedere oltre i limiti consentiti, potesse riempire tutto quel vuoto che sentiva invadergli il petto e la mente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sono puntuale, anzi, rispetto agli ultimi mesi in super anticipo! Ci credete? Io no!”

Quando ho scritto questa come prima frase dello spazio finale, dovevo essere in un momento di profondo ottimismo, non c’è che dire.

So che divento ripetitiva, ma mi dispiace veramente moltissimo per i ritardi degli ultimi aggiramenti. Il fatto è che parto in quarta con i nuovi capitoli, lì butto giù quasi istantaneamente, spesso mentre sistemo l’aggiornamento ma poi ci sono un milione di cose che non mi tornano e nelle ultime due settimane di Novembre, non ho avuto veramente tempo per respirare, figuriamoci per scrivere! E vi chiedo anche scusa, mille volte, per eventuali orrori ma il capitolo è piuttosto denso di particolari e a forza di leggere è come se la mia mente "sapesse già"  cosa c'è scritto... quindi ci sta che qualcosa mi sia sfuggito... se trovate strafalcioni non esitate farmelo notare!

Quindi scusate ancora, cercherò di velocizzarmi anche se si avvicina la famigerata sessione invernale e, oggi stesso pubblicherò il terzo capitolo di Mind’s Shades che un po’ per mancanza di ispirazione un po’ per mancanza di tempo, è ferma da mesi.

Preparatevi a una serie di capitoli con una serie di domande, perché saranno tutti piuttosto… particolari. Scopriremo alcuni avvenimenti del passato di Eric e qualcosa di quello di Kaithlyn e inserirò un “nuovo” personaggio che farà la sua comparsa proprio nel prossimo capitolo. Sono curiosa di sapere se qualcuno di voi indovina chi è, anche se non ho lasciato nessuna indicazione.

Vi lascio un indizio: in questa storia ancora non è comparso... neanche in forma “virtuale”!

Da qui, parte il mio solito interrogatorio.

Vi aspettavate una cosa del genere? Sembra esagerata? È stata una bella litigata, secondo voi come prosegue?

Idee? Sono curiosissima di sapere cose pensate e cosa immaginate per i futuri capitoli! A cosa si riferisce Eric quando parla del suo passato? Cosa c’entra il padre di Kaithlyn con quello che le è successo? Chi compare tra poco? Secondo voi riusciranno a ricucire il rapporto? Per farlo è necessario che qualcuno faccia un passo indietro… vi sembra possibile che accada? Se sì, chi è tra i due testoni?

Spero il capitolo vi sia comunque piaciuto e aspetto i vostri pareri per sapere se tutto questo casino secondo voi funziona o devo farmi internare una volta per tutte!

A me è piaciuto molto scriverlo e immaginarlo, ora a voi “l’ardua” sentenza!

Ringrazio tantissimo Kaimy_11 e CloveRevenclaw per la recensione, Yerinh per averla inserita tra le preferite e tutti i lettori silenziosi!

E, abbiate pazienza ma ormai è un’abitudine, vi lascio il link della mia pagina facebook!

Link à https://www.facebook.com/Kaithlyn-J-Evenson-865334640156569/

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

Salve a tutti, generalmente non scrivo a inizio capitolo dato che nell’”angolo autrice” non mi risparmio… ma questo capitolo è un po’ diverso dagli altri, capire leggendo, ed è molto importante perché crea un allacciamento con due episodi, uno in particolare, di Mind’s Shades.

Buona lettura!

 

Capitolo 15

 

 

La detestava. E in quel momento detestava ancora di più se stesso, e non per averle dato addosso in quel modo ma per il bruciore agli occhi e per la consapevolezza che non avrebbe dovuto lasciarla lì. Che non voleva lasciarla lì; tutto quello schifo sarebbe stato anche sopportabile se, proprio in quel preciso istante, non avesse inconsciamente deciso di fare manovra e caricarsela in macchina con o senza il suo consenso.

Non era solo una questione di… affetto, ma di principio: si era fatto mettere sotto e rivoltare come un calzino da poco più di quaranta chili di Intrepida tutta occhi e capelli. Non era da lui. Non poteva dargliela vinta di nuovo e così facilmente.

Aveva guidato... sì, per circa novanta secondi, li aveva meticolosamente contati nel tentativo di calmarsi, durante i quali, nonostante la rabbia e l’amarezza per quello che era successo, si era sentito soddisfatto per quella vittoria, per averla spuntata.

Si sbagliava. Perché non era lei quella che sentiva l’impulso irrefrenabile di tornarsene indietro, caricare l’altro in macchina, tornarsene alla Residenza e chiudersi in camera per rimettere le cose al loro posto. No, era lui il rincoglionito le cui dita stavano dolorosamente sterzando il volante, mentre il piede destro frenava bruscamente per fare inversione in una sola manovra, in barba alle norme stradali.

Lo aveva manipolato abbastanza bene da fargli credere di agire per sua iniziativa… ma la conclusione era che, alla fine dei conti, aveva fatto quello che voleva lei. Come al solito.

Iniziò a vedere la sagoma di Kaithlyn dopo alcuni secondi, ancora inginocchiata a terra e con le spalle scosse dai singhiozzi.

Se per un istante aveva provato qualcosa di molto simile al senso di colpa, questo, aveva impiegato solo pochi secondi a trasformarsi in rabbia, irritazione. Lei non era debole.

Faceva tante storie per fare di testa sua e poi rimaneva lì? Rannicchiata come una ragazzina a frignare con l’ingresso di quel posto maledetto a poco più di cinquanta metri?

Si fermo a una ventina di metri da lei, spense il motore, si appellò a una pazienza e a un autocontrollo che probabilmente non aveva e scese, sbattendo la portiera.

Rabbrividì quando l’aria fredda della notte gli sferzò contro le braccia nude, facendogli venire la pelle d’oca. Era doppiamente stupido: non solo era tornato indietro, ma le aveva anche dato il suo giaccone restando scoperto; la povera, piccola Kaithlyn.

Si passò sbrigativamente le mani sulle braccia e chiuse l’auto, prima di avviarsi verso la figura minuti inginocchiata a terra.

- Alzati! – ordinò, con voce ruvida.

Kaithlyn sussultò e alzò gli occhi su di lui, sorpresa, fissandolo per un lungo istante e smettendo di piangere. Tirò su con il naso, mentre la scintilla della rabbia si riaccendeva dietro ai suoi occhi e stringeva le labbra in una linea dritta.

- Avanti! –insistette, schiarendosi la voce con un colpo di gola, mentre si piegava su di lei e la afferrava per le braccia, mettendola in piedi senza sforzo. Kaithlyn si lasciò sollevare passivamente, sulla difensiva.

- Ed io che speravo di essermi liberata di te… - gracchiò con voce impastata, deglutendo, le sopracciglia chiare abbassate sugli occhi. La teneva ancora per le braccia: non era sicuro che potesse stare in piedi da sola, senza un appoggio.

Roteò gli occhi al cielo. – Hai cantato vittoria troppo presto, Katy. Ora smetti di piagnucolare e vieni con me. – sillabò, cercando di controllare la voce e il tremore alle mani. Le passò un braccio dietro la schiena, per sospingerla verso l’ingresso dell’edificio.

Sulle prime lo seguì, un passetto alla volta. Sembrava confusa sul da farsi e anche lui lo era. Perché diavolo non se n’era andato e tanti saluti?

Sentì le dita sottili poggiarsi sul suo avambraccio e si affretto e stringerle il gomito, per tenerla in piedi. Non voleva che cadesse.

Aveva lo straordinario potere di tirargli fuori le migliori e le peggiori intenzioni in un colpo solo. Lo confondeva. Riusciva a farlo passare dalla voglia di ucciderla a quella di baciarla e passare ogni secondo con lei in pochi attimi, se non a fargli provare entrambe le sensazioni contemporaneamente.

Lei scosse la testa, facendo un altro paio di passi incerti accanto a lui. – Allora hai la testa dura. – disse, flebilmente. – Cosa c’è di poco chiaro nella frase “togliti dai piedi”? – chiese, arrestandosi.

Si fermò anche lui: se avesse proseguito tenendole la mano sulla schiena, sarebbe finita faccia a terra.

Si voltò verso di lei: non sarebbero andati molto lontano di quel passo... – Bene. Mi sono rotto i coglioni! – annunciò, stringendosi nelle spalle. Il passo successivo fu quello di piegarsi verso le sue gambe e caricarsela in spalla come un sacco di patate.

Era una fortuna che fosse tanto minuta e leggera: completamente inerme rispetto a lui. Non avrebbe potuto forzarlo a mollare la presa neanche nei suoi sogni più entusiasti, con quelle braccine.

Come ben sapeva, la teoria è da sempre molto diversa dalla pratica: forse fu per quello che non si sorprese nel doversi sforzare più del dovuto. Kaithlyn aveva le braccia fuori uso, certo, ma non le gambe e sembrava decisa a fare quello che poteva per sgusciare via.

Le mise una mano sulla schiena, sentendo il suo ventre contrarsi spasmodicamente contro la sua spalla. Non fosse mai che gli venisse una sincope sul più bello.

Gli sembrava talmente piccola e indifesa che non si preoccupò neanche di tenerle ferme le gambe. Era troppo debole per ribellarsi.

Non finì di formulare quel pensiero che ricevette un calcio nello stomaco: non abbastanza forte da fargli mollare la presa, ma abbastanza fastidioso da fargliela allentare per un istante.

La mano che le teneva sulla schiena strusciò in modo doloroso contro il giaccone che le aveva dato, facendogli stringere i denti mentre lei gli scivolava sul petto, tra le braccia.

Il taglio gli bruciava maledettamente.

Doveva disinfettarsi al più presto: probabilmente la ringhiera dello Strapiombo era popolata da chissà quali strani batteri letali e sconosciuti al pianeta… e lui, nel delirio dell’attacco di rabbia, era riuscito a tagliarsi all’attaccatura delle dita di entrambe le mani.

Forse si sarebbe ricoperto di macchie verdi. Prima, comunque, doveva liberarsi del problema indisponente che teneva tra le braccia.

Ne andava della sua dignità.

- Mettimi giù! –strillò, premendogli le mani sul petto per allontanarlo, scendere e rimettersi in piedi.

La ignorò. Strinse i denti e la presa sul suo corpo, ricaricandosela in spalla. La gomitata che gli arrivo dietro la testa, riuscì quasi a fargli il solletico.  

Nel giro di pochi attimi successero più cose contemporaneamente: Kaithlyn gli assestò una seconda pedata in mezzo al ventre, costringendolo a piegarsi in avanti e si udirono delle voci concitate e dei passi in lontananza. Qualcuno che correva in quella direzione.

Lei raddrizzò la schiena cadendo all’indietro, e si sarebbe spaccata la testa sull’asfalto se non avesse avuto la prontezza di riflessi di riafferrarla. Inavvertitamente, un bottone gli passo sulle mani e sulle ferite, annebbiandogli la vista per il dolore.

Boccheggiò e strinse la presa su di lei, rimettendola in terra con tanta forza da farla impallidire, se possibile, ancora di più.

Sentiva di nuovo un’ondata di furia cieca partire dalla testa e diffondersi al resto del corpo. Era stanco, di essere allontanato e non gli interessava, non in quel momento, se le aveva fatto di nuovo male. Non mentre lui cercava, con le su penose e pressoché inesistenti capacità empatiche di comportarsi abbastanza bene da rasentare appena la decenza. Era stanco. Esausto. Umiliato. Demoralizzato. La testa gli pulsava in modo doloroso. Gli occhi gli bruciavano e sentiva crescere dentro il petto la voglia di urlare e distruggere qualcosa e, l’intento, era quello di non far diventare quel “qualcosa” da distruggere il bel visino di Kaithlyn.

Sul serio, non voleva farle ancora più male. Se si fosse trattato di chiunque altro, un pugno in mezzo agli occhi non glielo avrebbe tolto nessuno. Lei, però, non era tutti gli altri.

Strinse i pugni, provocandosi un’altra scarica di dolore. Aprì la bocca per urlarle qualcosa, ma non ne ebbe il tempo.

Prima che potesse anche solo prendere fiato per parlare, si sentì spintonare all’indietro: non aveva sentito nessuno arrivare. Riacquistò l’equilibrio, ritrovandosi a fronteggiare un paio di occhi chiari e furenti.

- Non toccarla! – gli urlò lo sconosciuto, spingendolo ancora all’indietro e facendolo barcollare di nuovo.

Non reagire. Non reagire.

Impiegò un paio di secondi per racimolare il poco buon senso che aveva a disposizione e limitarsi a spintonarlo all’indietro, anziché saltargli alla gola. – E tu, - sputò, riacquistando l’equilibrio. – Chi cazzo sei, eh? -.

Vide Kaithlyn girarsi con il chiaro intento di mettersi nel mezzo e fece per raggiungerla. Non aveva la più pallida idea di chi fosse quel tizio, ma sicuramente non lo avrebbe fatto avvinare a lei. Con sua grande sorpresa il nuovo arrivato, anziché lasciarla fare, la spinse all’indietro con braccio, facendola finire con il sedere per terra.

Quel gesto, seppur fatto con il chiaro intento di difenderla, gli fece oscurò la vista per un istante e, in una sola falcata lo raggiunse, agguantandolo per la camicia e sollevandolo di dieci centimetri da terra.

Sentiva la stoffa leggera e liscia della camicia tendersi sotto le dita, mentre il peso del proprietario trascinava in giù il corpo. Era massiccio, per essere un Erudito, ma non abbastanza da potersi anche solo sognare di metterlo in difficoltà.

Lo lasciò andare con un gesto di stizza e lui, per poco, non cadde addosso a Kaithlyn ancora con il sedere per terra e il viso imbrattato di lacrime e sangue. Solo in quel momento notò che non sembrava turbata. Nervosa, magari. Irritata dalla presenza del nuovo arrivato ma non abbastanza. Se fosse stato uno sconosciuto si sarebbe alzata prima di lui per dirgli di farsi i fatti i suoi. Ne era assolutamente certo. Il giorno in cui Kaithlyn Evenson avesse taciuto su qualcosa che la disturbava anche in minima parte, il sole sarebbe sorto a Ovest e Quattro, forse, avrebbe organizzato un Rave Party.

Lei gli lanciò un’occhiata strana, mentre si alzava con una smorfia. Face un paio di passi verso l’Erudito, immobile ma evidentemente pronto a scattare e strinse le dita intorno alla stoffa del camice.

- Lucas… - gracchiò, con voce strozzata. – Calmati –. Sfruttò la presa sul camice per avanzare più rapidamente e mettersi in mezzo, dandogli le spalle.

Sembrava ancora più piccola e fragile con quel giaccone troppo grande per lei, ma la sua voce, per quanto provata era ferma. Decisa.

L’Erudito sembrò perdere le staffe. – Stai scherzando? – le urlò, a pochi centimetri dal viso, con gli occhi spalancati d’incredulità. Poi si rivolse a lui, sporgendosi oltre la spalla di Kaithlyn e puntandogli un dito contro, l’espressione deformata dalla rabbia. – Se ti azzardi a toccarla un’altra volta te ne pentirai. – sibilò, posandole una mano su un braccio.

Sentiva sulla pelle il desiderio pulsante di colpirlo, come una leggera carica elettrica. E l’avrebbe fatto, se non fossero stati quasi attaccati: così vicini, avrebbe fatto fatica a spostare Kaithlyn dalla traiettoria della raffica di botte con cui stava per omaggiare il nuovo venuto.

Kaithlyn posò le mani sul petto dell’Erudito, in un chiaro invito a indietreggiare.

Lo osservò, valutando quanti problemi avrebbe potuto creare. Era diversi centimetri più basso di lui, ma aveva le spalle larghe e sembrava piuttosto solido per essere un Lasso, la cui vita veniva trascorsa principalmente sui libri. Le uniche attività fisiche per cui gli Eruditi stravedevano erano quelle che davano crediti extra.

Non riusciva a distinguere bene i colori con la sola, lontana, illuminazione di qualche sporadico lampione e dell’ingresso del pronto soccorso, ma i capelli arruffati, all’apparenza castano chiaro e la tonalità evidentemente azzurra degli occhi lo bloccarono, impedendogli di scagliarsi definitivamente contro di lui. 

Lui conosceva quell’iride. Così come aveva già visto la punta del suo naso e c’era qualcosa, anche, del suo viso che era familiare, vicino. Forse era la stanchezza ma l’espressione furiosa sul suo volto e il modo in cui aveva abbassato le sopracciglia, non gli lasciarono neanche l’ombra del dubbio: Kaithlyn.

Avrebbe riconosciuto le sue espressioni su chiunque e quello non poteva che essere uno dei suoi fratelli maggiori. Tra l’altro, aveva senso: quale altro Erudito si sarebbe preso la briga o avrebbe avuto il fegato di picchiarlo, anziché chiamare il Centro di Controllo, se non un parente, qualcuno a lei abbastanza vicino da non limitarsi a desiderare di allontanarla da lui per una questione d’incolumità? Nessuno. I Lassi non intervenivano nelle dispute fisiche, era molto difficile; soprattutto se si trattava di Intrepidi, dai quali in linea di massima potevano solo prenderle di santa ragione, come in quel caso.

Non portava gli occhiali. Strano: erano come un segno di riconoscimento, tra gli Eruditi e l’unica altra persona che non ne aveva bisogno e non portava neanche quelli senza gradazione, era sua madre. Un caso umano che non avrebbe dovuto fare testo, a suo dire.

Il nuovo arrivato lo fissò a lungo, prima di spostare gli occhi su Kaithlyn e aggirarla, arrivandogli a pochi centimetri dal viso.

- Se ti avvicini di nuovo a mia sorella… - gli intimò in tono basso, tanto vicino che avrebbe potuto contargli le lentiggini sul naso.

Da che ne aveva ricordo, non era mai stato un amante del contatto fisico: anzi, lo evitava il più possibile se non in particolari situazioni. Detestava essere toccato troppo, ciancicato o sentire le mani di qualcuno addosso.

- Tu cosa? – lo schernì, in un soffio. - mi prendi a pugni? –.

Avrebbe proprio voluto vederlo. Forse non se ne sarebbe neanche accorto, se l’avesse colpito.

- Smettetela! – sibilò Kaithlyn allontanandosi di un passo dal fratello e mettendosi di lato, tra loro.

Il ragazzo continuò a guardarlo in cagnesco. Non sapeva se considerarlo coraggioso o molto stupido. Immaginava ci fosse una linea molto sottile, tra le due cose.

Roteò gli occhi al cielo e fissò l’altro con un ghigno, prima di muoversi verso Kaithlyn. Vide con la coda dell’occhio l’altro seguire ogni suo movimento e voltarsi con lui.

Sentiva ancora la sensazione di una tenue corrente a fiori di pelle che, lentamente, si stava caricando. Avrebbe dovuto sfogarsi in palestra, più tardi. O sfiancarsi con una bella corsa.

- Kaithlyn. – la chiamò il fratello, in tono duro. - Tu, lasciala stare. Ci penso io a lei. – disse, raggiungendoli e stringendogli un polso.

Chiuse gli occhi e inspirò. – Hai tre secondi per lasciarmi il braccio.  – lo minacciò. – Poi ti riempio di botte. –

L’Erudito non parve turbato e mantenne un’espressione impassibile, senza mollare la presa.

- La stavi portando qui, è corretto? – gli domandò, improvvisamente in tono calcolato, professionale.

Annuì. – No, pezzo d’idiota. Stiamo facendo una passeggiata al chiaro di Luna, è una zona così bella. – lo schernì, sarcasticamente.

Le labbra di Kaithlyn ebbero un guizzo, mentre quelle di suo fratello si piegarono in un’espressione fintamente accondiscendente. – Eccellente. Ci penso io. Sono di turno, se sai di cosa sto parlando e, precisamente, al pronto soccorso. –

Eric lo fissò. – Tu? O sei molto più vecchio di quanto sembri o c’è qualcosa che non torna: hanno portato le matricole universitarie a fare una visa guidata in notturna? – domandò, accentuando un’espressione di finta simpatia.

- Taci. Non sapresti neanche da che parte iniziare. – sibilò, l’altro, stringendo i pugni.

Eric ghignò. – Dici? -.

Si fissarono in cagnesco per un lungo istante.

- Ad ogni modo, - proruppe in tono professionale il fratello di Kaithlyn. – La tua presenza è superflua al fine che ti eri prefissato di raggiungere accompagnandola. È arrivata e tu non disponi di alcuna competenza pregressa o non per renderti utile. –

- L’inutile se superfluo al raggiungimento di un risultato ottimale, va evitato. Ergo, ci serve un medico non un tirocinante che non ha niente di meglio da fare. Non mi farei toccare da te neanche in punto di morte. – lo interruppe, Eric.

L’altro richiuse le labbra e lo osservò con circospezione.

Eric si avvicinò. – Fai un favore a te stesso e a me ed evita di rifilarmi queste cazzate, okay? – disse, inarcando le sopracciglia e sollevando un angolo della bocca.

Tornò vicinò a Kaithlyn che però non sembrava intenzionata a muoversi e continuava a fissarlo con due occhi enormi. – Devi medicarti anche tu – mormorò, abbassando gli occhi sulle sue mani insanguinate.

- Sì, be’. Non è il mio primo problema al momento. – ribatté. – Vuoi andare con lui? – aggiunse, vedendola indecisa sul da farsi.

Annuì. – Bene. Allora posso andare. – mormorò, sentendo la delusione farsi largo dentro di lui. Era una cosa stupida e si rendeva perfettamente conto che sarebbe stato molto più logico non imbastire una discussione solo per chi la accompagnava dentro con il suo fratello tirocinante.

Era infantile, ma arrivati a quel punto avrebbe voluto finire. Averla vinta almeno nel confronto con uno suo fratello.

Kaithlyn gli si avvicinò camminando instabilmente e gli strinse appena un polso. Sentiva tra le loro pelli qualcosa di umido, forse sangue. Le prese la mano, fissando il terreno.

- Vai tu. – disse, dopo qualche secondo. - Avrei dovuto lasciarti in mezzo di strada tre chilometri fa, invece di insistere. A questo punto immagino che potrai cavartela da sola. –

Kaithlyn alzò gli occhi su di lui, l’espressione dispiaciuta. – Non fare l’idiota, - gracchiò, mentre il fratello la affiancava e le metteva una mano sulla schiena, con fare protettivo. – Non puoi lasciarle così – asserì stringendogli un po’ il polso e costringendolo a togliere le dita dal dorso della sua. – Guarda come ti sei ridotto. -

- Mi pareva di aver intuito che non dovesse interessarti più, il mio stato di salute. Sei stata piuttosto chiara, circa dieci minuti fa. Premesso questo, se hai qualcosa da dire fammi il sacrosanto piacere di cucirti la bocca, una buona volta, e tenerla per te. – disse, freddamente, scostandosi e facendo sì che la sua mano le ricadesse lungo il fianco lasciandogli una piccola chiazza di sangue sul polso.

- Come scusa? – intervenne, Lucas voltandosi verso di lui.

- Fatti gli affari tuoi. – lo zittì Kaithlyn, girando appena la testa.

Si girò di nuovo verso di lui. Sembrava più tranquilla, anche se era pallida e tremante. Non era una tranquillità che condivideva. Quello era il vero punto di rottura, di stacco. La frattura definitiva.

Prese un bel respiro. – Sono stanco di discutere con te. – disse, guardandola. Lei abbassò gli occhi. – Sì, anch’io. – concordò, stringendosi il giaccone addosso.

- Possiamo parlarne, dopo? – gli chiese.

Eric scosse la testa. – Ci siamo già detti tutto e non ho intenzione di darti altre munizioni da usare contro di me. Va’ con lui. Ci vediamo in giro. – biascicò, sentendo un nodo all’altezza dello stomaco stringere fastidiosamente.

Kaithlyn contrasse il viso in una smorfia. – Le tue mani. – mormorò.

- Non è affare tuo. Ho fatto male a tornare indietro: se ti avessi lasciato lì come volevi avrei fatto il mio. Nel caso avessi bisogno di un passaggio fino a casa, quindi, sei liberissima di chiamare il tuo amichetto, io non ho intenzione di fare nient’altro, per te. –

Quella era la fine: ne era conferma l’espressione dispiaciuta di Kaithlyn e quasi si sorprese nel costatare che, a quanto pareva, provava qualcosa anche lei.

Eureca. Erano dovuti arrivare a quel punto, per quello.

La lasciò lì, tornando sui suoi passi senza rivolgere un solo sguardo al fratello di lei.

Si sentiva sconfitto e briciava terribilmente, anche se ormai avrebbe dovuto esserci abituato.

Raggiunse l’auto, salì, mise in moto e partì sgommando. Girò per diversi minuti, senza fare troppo caso al tragitto: a quell’ora era quasi facile confondersi, per le strade ordinate nel quartiere; poi imboccò una strada secondaria che lo condusse fino a un grosso stradone.

Era abbastanza inquietante, con i pochi lampioni e l’oscurità che si prospettava davanti all’auto. Alla sua destra c’erano a intervalli regolari di qualche decina di metri degli alberi dal fusto alto e grosso e, dietro di loro, un fosso non troppo profondo delimitato dal guardrail e dai paletti catarifrangenti che delimitavano il percorso rettilineo. Aveva la strana sensazione di conoscere quella strada, di esserci già passato in un momento particolare, ma era troppo arrabbiato per farci caso.

Ingranò la prima, e ripartì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Ciao Kaithlyn! –.

Alzò gli occhi sull’uomo slanciato che le dava le spalle: Andrew.

Aveva il naso tappato, la testa ovattata e faticava a reggersi in piedi. La spalla continuava a lanciarle fitte dolorose e sentiva il braccio con il palmo tagliato freddo.

La mano di Lucas, sul suo fianco, la sorresse stringendola, mentre avanzavano. Suo fratello si era caricato in spalla il suo borsone appena entrati poi si era seduto con lei e avevano aspettato insieme, in silenzio, il suo turno.

Non c’era molta gente, per cui era stata un’attesa breve.

Andrew si voltò verso di lei e la squadrò dalla testa ai piedi da dietro gli occhiali dalla montatura nera e rettangolare. – Che diavolo ti è successo? -.

Aprì la bocca per rispondere, aggrappandosi al braccio di Lucas per non cadere, ma sentiva le forze venirle meno e il sangue defluire rapidamente verso il basso, mentre le calava la pressione a picco.

La testa le pulsava… perché non poteva semplicemente stendersi e dormire? Solo un po’.

Cercò di concentrarsi sul fratello e sulla sua aria preoccupata, mentre il suo campo visivo diventava sfarfallante.

Sentì le gambe cedere mollemente e sarebbe caduta se il braccio di Lucas non si fosse prontamente infilato sotto le sue ginocchia. Sentì il borsone scivolare lungo il braccio del fratello e dondolare sotto le sue gambe mentre veniva sollevata da terra.

Ci furono un paio di secondi di silenzio, durante i quali sentì il rumore delle carta che ricopriva il lettino venire strappata per essere sostituita con altra carta pulita. Poi avvertì la superficie ruvida della carta contro il corpo.

Poi, il buio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sentì la porta della cornetteria aprirsi e un brivido di disagio gli corse lungo la schiena. Abbassò la testa, anche se i capelli erano ancora troppo corti per coprirgli del tutto il viso; quelli davanti gli arrivavano poco oltre gli zigomi.

La sensazione di conoscere il cliente appena entrato sembrava scorrergli nelle vene fino ai capillari della punta delle dita; era una strana sensazione di familiarità quella che provava nell’ascoltare, immobile e teso, i passi dello sconosciuto sul pavimento di legno.

Il rumore dei passi s’interruppe bruscamente ed Eric s’irrigidì ancora di più, sentendosi osservato. Qualche altro passo esitante gli annunciò che l’uomo gli era arrivato alle spalle.

Doveva essere un cliente abituale, perché il barista di turno, un uomo alto e dagli atteggiamenti burberi rivolse un cenno di saluto alle sue spalle, mentre lui si sentiva sbiancare.

- Berry, - salutò il nuovo arrivato, in tono incerto.

Eric per poco non si strozzò con il caffè che stava bevendo: non poteva aver raggiunto livelli di sfortunata tanto elevati, gli sembrava utopistico. Impossibile. Di tutta la gente che frequentava quel posto non poteva esserci passato nell’unica notte in cui poteva incontrarlo, dopo, tra le tante cose, essere rimasto impantanato con l’auto a qualche chilometro di distanza.

Se qualcosa può andar male, lo farà.

Avrebbe dovuto farsi tatuare quel modo di dire da qualche parte, anche solo come promemoria.  

Azzardò a sbirciare di lato, affilando lo sguardo tra le ciocche di capelli scuri che si era fatto ricadere sul viso per coprirlo ma fu un errore; lo capì nell’esatto istante in cui i suoi occhi s’incrociarono un paio di occhi azzurri, sorpresi.

- Eric...! – boccheggiò, l’uomo accanto a lui.

A quel punto era inutile nascondersi, ma mantenne comunque lo sguardo puntato sul bancone, quasi volesse mettersi a memorizzare le linee morbide dei motivi del legno scuro.

- Pa’… -.

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando riprese i sensi, la prima cosa che avvertì, fu qualcosa che le tirava sulla schiena e la sua mano che si muoveva. Era semi seduta su un lettino, in una stanza tanto asettica che dovette stringere leggermente gli occhi per la luce.

La schiena le faceva male, ma non era più il dolore sordo di prima: era qualcosa di diverso, di attutito. Sentiva il sangue pulsare nella zona lesa della schiena e qualcosa frapporsi tra la sua pelle e la superficie del lettino. Una benda, forse: dovevano averla medicata.

Suo fratello era seduto accanto a lei: aveva gli occhi fissi sulla sua mano e gli occhiali sulla testa. Teneva in mano una pinzetta e indossava dei guanti in lattice bianco. Sotto le luci chiare del soffitto, i suoi capelli assumevano una strana sfumatura rossastra.

Alzò gli occhi su di lei, assottigliandoli appena nel guardarla. – Ti sei svegliata, finalmente. – costatò, accennando un sorriso.

Si sentiva confusa, con la testa ovattata forse da qualche antidolorifico o antiinfiammatorio, ma una cosa la sapeva.

- Se dici a papà che sono qui – biascicò, debolmente. – Ti uccido. –

Sentì una risatina e le venne da stendere appena le labbra, ma quello che ne uscì non fu altro che una smorfia, mentre lui tornava a occuparsi del taglio alla sua mano. Era completamente insensibile su tutto il braccio.

- Che ti è successo? – le chiese, senza staccare gli occhi dal suo lavoro mentre allungata una mano per prendere qualcosa dal mobiletto a più piani che aveva accanto. Aveva la mano sporca di qualcosa di rossastro… forse tintura di iodio, per metterle i punti.

- Il braccio… - mormorò, cercando di alzarsi per verificare la motilità dell’arto. Andrew si alzò in piedi e la rispinse gentilmente distesa.

- Stai buona. – le disse, passandole una mano sulla fronte. Aveva le mani freddissime e asciutte, ma era piacevole sentirle sulla pelle.

- Eric? – chiese, non vedendolo. Non era venuto con lei?

Suo fratello scosse un po’ la testa. – Chi? -.

Guardò Andrew, confusa: forse se n’era andato. Non ricordava con chiarezza gli ultimi minuti, prima di perdere i sensi. Ricordava solo di sentire un gran dolore più o meno ovunque.

- Eric. – ripeté. – Oh, era con me quando sono arrivata. Mi ha portata lui qui… in macchina. – aggiunse, dato che il fratello non poteva capire altrimenti.

Le rivolse un’occhiata strana e strinse le labbra. – Il tipo inquietante di cui mi ha parlato Lucas? -.

- Può darsi… è – prese fiato, mentre il fratello interrompeva quello che stava facendo per afferrare un garza dal mobiletto. – Molto alto, moro… è attraente e dovrebbe avere le mani insanguinate… è stata una serataccia anche per lui. –

Andrew annuiva, mentre parlava. - È andato via quando Lucas vi ha raggiunto fuori, allora. Qui non è entrato nessuno di alto, moro e attraente.

Portò l’altro braccio, indolenzito, alla fronte e si massaggiò le tempie. Le scoppiava la testa.

- È un tuo amico? – si sentì chiede dopo qualche secondo in cui aveva tenuto gli occhi chiusi lasciandosi accudire.

Aprì gli occhi e fissò il soffitto poi girò la testa verso il fratello e sorrise un po’. – Amico – disse, con un’alzata di sopracciglia.

Andrew scosse la testa e respirò dal naso. – Lo immaginavo. È il tuo ragazzo? – chiese, senza inclinazioni.

Quella sì che era una domanda interessante. Si erano lasciati? Non si erano lasciati? Immaginava di doverlo chiedere a lui, per capire se erano giunti a una conclusione o se si era trattato dell’ennesima litigata furiosa e inutile.

- Ottima domanda – commentò, tornando a guardare il soffitto bianco.

Suo fratello posò le pinzette con cui teneva il filo. – O lo è o non lo è, Kaithlyn. Non mi sembra difficile. –

- Geloso? – lo punzecchiò. Iniziava a sentirsi un po’ meglio e un po’ meno confusa.

Suo fratello scosse la testa. – No. Sei abbastanza grande da fare ciò che credi meglio, immagino. – affermò, ostentando indifferenza e stringendosi nelle spalle.

Anche se il sorriso non le arrivò alle labbra, iniziava a sentire la tensione allentarsi un po’ e stuzzicare il fratello era divertente. – Ci siamo lasciati venendo in qua. – disse, alla fine, anche se non era del tutto sicura che fosse esattamente così. Le cose, per lei, dovevano essere chiare e, al momento, non lo erano.

- Ah. –

- Già. Il mio borsone? – chiese, cambiando argomento.

- Sulla sedia nell’angolo. – rispose, prontamente quasi sapesse che glielo avrebbe chiesto. – È un po’ che vi frequentate. – commentò.

Kaithlyn scosse appena la testa, sentendo i capelli solleticarle il collo. – Qualche mese. Perché ti interessa? -.

Lui si strinse nelle spalle. – Curiosità. Non l’hai lasciato per non farlo conoscere a nostro padre, vero? -.

Rise, mentre un leggero dolore al petto le si irradiava ovunque. – Scherzi? Era il mio sogno presentarglielo: gli avrebbe fatto accapponare la pelle, altro che Jason! – esclamò, mentre suo fratello iniziava a fasciarle la mano. I punti le tiravano leggermente.

- Ad ogni modo, per rispondere alla tua velata minaccia di poco fa, no. Non sono stupido, quindi non dirò niente a nostro padre. – le disse.

- Bravo. Questo è lo spirito giusto. Ti ricordi forse di quanto mi sono rotta un braccio sull’albero? O di quando dovevi venirmi a prendere a scuola ed io sono scappata dalle sbarre del giardino e sono venuta qui da lui, da sola? – gli rammentò, ricordando chiaramente la sgridata che era seguita. Sia per lei, chiaramente, che per lui che si ritrovava sempre con la responsabilità di tenerla d’occhio. Fallendo, il più delle volte.

Andrew rabbrividì. – Indelebilmente. Ti avrei uccisa, Kaithlyn. Sei stata la sorella più dispettosa, indisponente, saccente e rompi scatole della storia. –

- Non essere cattivo, era piccola… - cercò di difendersi, mettendo su la sua miglior espressione innocente.

- Non incanti nessuno, signorina. Cosa pensi, che Samantha non si ricordi dei tuoi scherzetti? – insistette, assottigliando gli occhi.

Scoppiarono a ridere. - È stato divertente! Hai riso anche tu, traditore. – si difese, mentre lui la aiutava a mettersi seduta sul lettino e le spostava una ciocca di capelli da sopra la faccia.

- L’alternativa era mettermi a piangere, cerca di capirmi. – disse, in tono drammatico.

- Che disgrazia. – asserì, annuendo.

- Una piaga. Dove passavi te non cresceva più neanche un filo d’erba.* - rincarò.

Sorrise un po’. Andrew era il più grande dei suoi fratelli e quello a cui era toccato occuparsi più di lei, dati i quasi undici anni di differenza. Era anche quello di cui era più gelosa… Dylan, il secondo e oggettivamente più bello era un donnaiolo e con Lukas, il più piccolo, aveva sempre avuto un rapporto di amore-odio. Manuel, il terzo e forse il più sacrificato, se di sacrificio si poteva parlare, era invece tranquillo, gentile e posato. Spesso faceva da paciere, in particolare tra lei e Lucas che discutevano una volta sì e l’altra pure.

Ricordava, quando era più piccola, di aver storto il naso a ogni ragazza con ognuno di loro, ma per nessuno le si era contorto lo stomaco come per Andrew. Aveva fatto passare l’inferno a quella che, qualche anno prima, era diventata sua moglie. Se non altro era sicura che fosse amore: in nessun altro caso, avrebbe sopportato. Lei non l’avrebbe fatto.

Suo fratello la riportò con i piedi per terra. – Non raccontarlo a Michael. Non vorrei prendesse esempio, sua madre non potrebbe sopportarlo. –

- Ah! – esclamò. - È stato un bello scherzetto genetico, eh? – rise, pensando al nipotino.

Michael, cinque anni, era il bambino meno Erudito che avesse incontrato. Oltre a lei stessa, chiaramente.

Un mostriciattolo pestifero di poco meno di un metro che, ne era sicura, sarebbe diventato un Intrepido con i fiocchi. La madre, però, non l’aveva presa molto bene preferendo tenerglielo lontano affinché non si influenzasse troppo.

Che zia degenere, povero piccolo.

Suo fratello sorrise un po’.

- Aspetta che la nuova arrivata si metta a parlare di relatività ancor prima di nascere? – gli chiese.

Si strinse nelle spalle. – Non esagerare, non è così fissata. È più il pensare di avere gli anni contati con Michael a turbarla… non ricordarglielo troppo magari, okay? -.

Kaithlyn assottigliò gli occhi. – O forse è il fatto che, quando arriverà il momento, sarò io la figura di riferimento, per lui. – suggerì. – Non mentire, so che è così. –

Andrew annuì un po’, scoccandole un’occhiata complice. Per lui, da quel che ne sapeva, non sarebbe cambiato niente. Sua moglie, invece, era un altro paio di maniche e da quando aspettava il secondo genito, una femmina, era ancora meno ben disposta nei suoi confronti.

Se ne sarebbe fatta una ragione.

Uno… due… tre… fatto!

 

 

 

 

 

 

Stava tirando fuori i soldi per pagare, quando il barista gli mise in mano un sacchetto con quelle che sembravano paste calde e lo congedò sparendo nel retro bottega, lasciandolo lì, impalato, come un idiota.

Dal sacchetto bianco, con il logo della cornetteria, s’irradiò un tenue calore alla sua mano fredda, facendo rabbrividire.

Gli riportò alla mente una notte piovosa, di un tempo passato e imprecisato. Sicuramente non arrivava neanche al bordo del bancone, ancora, ma ricordava William e suo padre che li metteva a sedere sugli sgabelli girevoli e prendeva a entrambi una pasta calda, appena sfornata, nel tentativo di farli dormire. Sua madre non c’era, forse di turno in ospedale, e suo padre li aveva montati in macchina e portati a fare un giro notturno nella speranza, forse, di farli addormentare.

Doveva essergli sembrata chissà quale avventura uscire da casa al buio… invece, in quel momento, lo preferiva alla luce del Sole, lo sentiva più vicino.

Era un ricordo stranamente piacevole, anche se sbiadito dal tempo. Ricordava la sensazione del vetro freddo sotto i palmi e la musica tranquilla della radio dell’auto, intervallata dalla voce di suo padre e dalle occhiate che ricevevano dallo specchietto retrovisore lui e suo fratello.

Anche l’odore delle paste era simile a quello di tanti anni prima, ma anziché farlo contento, lo incupì.

Era in quel periodo che era iniziato il suo declino e quello che olfatto e tatto gli stavano riportando alla mente era qualcosa che non gli apparteneva più e che sarebbe dovuto restare seppellito nel passato.

Era solo un ricordo sbiadito di un bambino che non esisteva più.

Seguì suo padre oltre l’uscio, raggiungendolo a pochi passi dall’auto.

- Quanto ti devo? – chiese, trattenendolo per un braccio.

Suo padre abbassò gli occhi sul suo braccio con lentezza e strinse le labbra. – Prendile e basta. – rispose, scandendo le parole, mentre lui aumentava la presa.

- Io non voglio niente da te. – ringhiò, in tono basso. – Non m’interessa dei tuoi sensi di colpa o della pena che ti faccio. -

Suo padre corrugò le sopracciglia scure. – Non mi fai pena e, cosa più importante, non mi sento particolarmente colpevole di niente. Perciò, se potessi lasciarmi il braccio in modo da farmi ripartire la circolazione nell’arteria brachiale, te ne sarei grato. – scandì, accigliandosi.

Eric lasciò la presa.

Osservò suo padre sistemarsi la felpa: era vestino in modo piuttosto sportivo, con i pantaloni della tuta, una maglia bianca e le scarpe da ginnastica. Ed erano alti uguali. Non ci aveva fatto caso. Quand’era bambino suo padre gli sembrava l’uomo più alto del mondo, mentre in quel momento poteva guardarlo tranquillamente negli occhi. Forse era anche un centimetro o due più alto di lui o, forse, era solo il fatto di essere più grosso a dargli quell’impressione.

Strinse le labbra, frustrato. Era possibile che, quella sera, non ci fosse una cosa che andasse come doveva?

Suo padre salì in auto, la accese e abbassò il finestrino. – Vuoi un passaggio fino alla macchina? – domandò, seraficamente.

Eric scattò. – Ti ho detto che non voglio niente da te. Lasciami in pace e vattene, è qui vicino. – sbottò, facendo un passo indietro, dopo avergli lanciato sulle gambe il sacchetto con le paste, in un gesto di stizza.

Suo padre non si scompose, limitandosi a spostarle sul sedile del passeggero. - Talmente vicino che sei riuscito a sudare, in piena notte, e con le maniche corte? – gli chiese, candidamente.

Chiuse gli occhi. – Non sono fatti tuoi, comunque. –

Suo padre annuì. – Come non detto, va’ pure a piedi. Non ho voglia di discutere anche con te. – disse, stringendosi nelle spalle e ingranando la prima. – Sicuro, vero? Non torno indietro a prenderti, se cambi idea. – lo avvisò.

Annuì, con un gesto esasperato del capo e suo padre, dopo averlo salutato con una mano, ripartì.

Camminò percorrendo la strada a ritroso per qualche minuto poi, con un lampo, iniziò a diluviare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Suo fratello l’aveva accompagnata insieme a Lucas, che si era offerto di portare il borsone, fino alle macchinette a prendere qualcosa da mangiare.

- Andrew – lo chiamò, mentre un sottile dubbio iniziava a insinuarsi nella sua mente. – Per quale ragione non dovrei far pesare a tua moglie il fatto che ha un bel bambino Intrepido? -.

Suo fratello si voltò a guardarla seriamente, con un velo di colpevolezza sul viso.

Lucas face un paio di colpi di tosse. – Che giorno siamo, tonta? – chiese, girando la testa verso di lei.

Scosse la testa. – Non… oh. – balbettò, comprendo perché le era stato chiesto di non infierire sulla cognata.

Si appoggiò contro lo schienale della sedia di plastica, lasciando scivolarle gambe in avanti. – Ti rendi conto, vero, che tu hai trent’anni e nostro padre cinquantasei? Non vi sembra un po’ infantile, farmi il “sorpresone” per il Giorno delle Visite? – chiese, guardandolo senza espressione.

- Non sei felice di vederci? – la stuzzicò, Lucas dandole un colpetto con la spalla.

- Ahi! – sbottò, restituendogliela e facendosi quasi più male. – No. –

Entrambi risero.

- Voglio dire, perché dovete tendermi un agguato? – si difese, massaggiandosi il braccio con cui aveva restituito la spallata a suo fratello.

Lucas si rabbuiò. – Non chiederlo a me: nostro padre sta dando i numeri, ultimamente. – brontolò, in tono basso e ruvido.

Kaithlyn inarcò un sopracciglio, in attesa di spiegazioni. – Più del solito? – chiese, inclinando la testa e tirandosi su sulla sedia, in modo da poter incrociare le gambe: quelle non le facevano male, fortunatamente.

Suo fratello annuì gravemente, facendosi cadere una ciocca di capelli biondo scuro sulla fronte. La riportò indietro con un gesto di stizza. Suo fratello non era messo meglio di lei a capelli: ne aveva tantissimo, gonfi e arruffati.

- La stessa ragione per cui ho iniziato a lavoricchiare al locale qui vicino. – le disse, in tono basso.

Aggrottò le sopracciglia. – Lavorare? Ai nostri genitori non mancano certo i soldi per... -.

- Lo so benissimo, Kaithlyn! – sbottò lui. – Nostro padre, però, a quanto pare, ha deciso che vuole tutti medici in famiglia… ad eccezione tua, che non conti proprio perché sei tu e ti permette di fare ciò che preferisci. –

- Dovresti farlo anche tu, allora. Se non ti piace quello che fai, molla tutto e iscriviti a un’altra facoltà. Non ho capito perché devi anche lavorare, però. –

Suo fratello si voltò verso di lei, con lentezza. – Paparino mi ha tagliato tutti i fondi. – disse lentamente.

Era sorpresa. Suo padre era esigente, ma li aveva sempre lasciati liberi di fare ciò che sentivano più nelle loro corde… perché voleva spingere Lucas in una strada che non evidentemente la sua.

Suo fratello si tirò un pugnetto sul petto e assunse un’espressione austera. – Lucas, - esordì con voce più profonda. – Non comprendo per quale ragione tu voglia cambiare corso di studi. I tuoi fratelli non mi hanno dato mai dato di questi problemi, perciò, contro ogni buon senso, o prosegui con quello che hai iniziato o significa che sei abbastanza maturo da mantenerti. Non avrai un centesimo, d’ora in avanti. – disse, imitando il padre.

Kaithlyn rise. – Vuoi cinquanta dollari? – gli chiese, guardano le ombre scure che aveva sotto gli occhi.

- Non mi ridurrò a prendere la paghetta da mia sorella minore. – le sibilò, passandosi le mani tra i capelli.

- Be’, hai altri tre fratelli. Nessun buon samaritano? – gli chiese scoccando un’occhiata alla schiena di Andrew, intento a prendere un caffè.

- Tu sei sposato. Vivi da solo e ti mantieni. Dovresti fare il bravo fratello maggiore. –

- Lo fa. – lo difese, Lucas.

Kaithlyn si mise più comoda, sulla sedia, stringendo un po’ le gambe incrociate. – Cosa volevi fare, di tanto scandaloso? Lo sportellista? –.

Lucas sorrise un po’. – Il ricercatore. –

- Che delinquente. Che ragazzo degenere. Andrew, come puoi passare soldi sottobanco a un soggetto simile? – esclamò, scandalizzata.

Andrew si strinse nelle spalle. – Papà avrà le sue ragioni, comunque. – borbottò.

Lucas s’infiammò. – Ah sì? Stai dalla sua parte, ora? – ringhiò, alzandosi gli occhi accesi d’irritazione.

Kaithlyn gli tirò il camice verso il basso, un paio di volte. – Oh, rilassati. Ti sentono tutti. –

- Da che pulpito! – urlò. – Tu non puoi parlare, ti è sempre stato dato tutto senza… -.

- Lucas, - lo riprese seriamente il fratello. – Non prenderla per lei. Abbiamo avuto tutti le nostre diatribe e abbiamo dovuto fare tutti i conti con le fissazioni dei nostri genitori. Se lei si sbucciava le ginocchia, era colpa mia, ricordi? Non importava dove mi trovassi: a scuola, a letto o in giro. Dovevo raccomandarle di non correre, non esagerare e di stare brava prima di uscire se restava con la baby-sitter. Dylan ha la mamma che lo falcheggia da mesi, perché ha ventisette anni e non ha una ragazza fissa. Manuel, per nostro padre, dovrebbe essere più incisivo perché è troppo accomodante e Kaithlyn ha sempre dovuto essere una spanna sopra chiunque se voleva uscire di casa e date le sue inclinazione, magari, passare il suo tempo e studiare come se frequentasse tra classi avanti alla sua invece di uscire a correre non è stato esattamente il massimo della semplicità.–.

- Lei lo faceva a prescindere: se voleva uscire prendeva e andava, che papà fosse d'accordo o meno. Se ci provassi io, non durerei neanche per il tempo di arrivare alla porta. – sputò, stringendo i pugni mentre lei lo ritirava a sedere. – Non negare. –

- Non lo faccio. Dovresti farlo anche tu, non è difficile: entri in casa, annunci la tua decisione e agisci di conseguenza. Polso fermo! – lo spronò, stringendo il pugno e riabbassandolo con una smorfia.

Andrew annuì. – Ecco, questo giochetto di passare il pomeriggio fuori senza dare notizie e rientrare la sera prima di cena, lo potevi fare solo te perché sei una ragazza. Per noi ha funzionato solo fino agli undici anni. – le disse, stringendo le labbra.

Ci fu un momento di silenzio, poi Kaithlyn si voltò verso il fratello. – Ricordami di darti cinquanta dollari. – disse, dandogli una pacca con non troppa forza sulla schiena.

- Non li voglio soldi da te! – insistette con veemenza. – Come te lo devo dire? -.

Kaithlyn iniziava a sentirsi meglio: il dolore era decisamente più sopportabile e scherzare con loro lo stava aiutando a  non pensare a quello che era successo, poco prima.

- Sai quanto guadagno, come tiratrice e con tutti gli “extra” che faccio? – gli domandò, lentamente.

Lucas si girò a guardarla. – Sentiamo allora… - le disse, come se le stesse facendo un piacere.

- Più di te! – rise.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Probabilmente sarebbe annegato prima di raggiungere la sua auto impantanata, se avesse continuato a piovere con quel ritmo. Non mancava molto al punto in cui la sua auto l’aveva brutalmente abbandonato, ma iniziava a sentire freddo e mal di testa e non riusciva a vedere che a pochi metri di distanza, tanto era fitta la pioggia torrenziale che aveva iniziato a cadere con provvidenziale puntualità.

Avrebbe dovuto farsi accompagnare da suo padre e approfittarne per scoprire cosa diavolo ci faceva suo fratello a spasso per la Rete Centrale a quell’ora la sera. Di certo, non era lì per passare il tempo, poco ma sicuro.

Il suo Cercapersone probabilmente si sarebbe suicidato prima di riuscire a metterlo all’asciutto e, isolato, non poteva fare molto di più che camminare.

I lampioni non erano molto d’aiuto: i cerchi di luce che lasciavano sul terreno creavano quasi una barriera di pioggia luminosa che rendeva quello che c’era dopo anche più buio.

Non c’era un’anima, tranne lui.

Non riusciva a tenere le mani in tasca a causa del bruciore alle dita, per cui le incrociò davanti al petto, infreddolito. Aveva anche lasciato il suo giaccone a Kaithlyn.

Che genio del crimine.

Camminò per diversi minuti, cercando di acuire la vista per vedere oltre la punta del suo naso senza risultati. Riuscì a trovare la strada giusta tentoni, cambiando direzione di continuo.

La strada dove ricordava di essersi impantanato era naturalmente isolata, poco illuminata e di dubbia tranquillità. Il posto perfetto per commettere un omicidio efferato a suo parere. O come accampamento per Lupi Mannari. Il campo che la circondava sul lato alla sua destra, verso Est, sarebbe stato perfetto per un raduno di bestie inferocite e assetate di sangue.

Gli alberi erano ben distanziati e facevano sembrare, non che vedesse molto con quella pioggia, l’oscurità oltre di loro ancora più cupa e spaventosa. Se avesse avuto paura del buio, se la sarebbe fatta addosso.

I lampioni erano pochi ed erano stati accesi in modo alternato, per risparmiare corrente perché, nessuno sano di mente sarebbe mai andato a fare un giro in quel postaccio la notte e nessuno, teoricamente, era abbastanza sfigato da impantanarsi nell’unico spiazzo utile di quel primo tratto, di notte, senza la possibilità di comunicare e con una pioggia torrenziale. Nessuno a parte lui.

Quando ritenne di essere sufficientemente vicino alla sua auto, estrasse la chiave dalla tasca posteriore dei pantaloni e premette il pulsante di apertura a caso, indirizzandolo lungo il lato destro della strada, dalla parte del campo. Era l’unico modo per trovarla, ammesso che i circuiti della chiave funzionassero ancora.

Strizzo gli occhi, più volte, infastidito dalle gocce. Era talmente bagnato che iniziava anche a dubitare di riuscire a spogliarsi di nuovo, un giorno. Non che gli interessasse particolarmente: non aveva troppa considerazione della sua salute e, l’unica cosa che gli interessava, era tornare alla sua auto, prendere la Piccola Bastarda e tornarsene a casa a dormire.

Finalmente, vide qualcosa lampeggiare una decina di metri più avanti e si avviò in quella direzione.

Entrando nello spiazzo, sentì l’acqua entrargli dentro le scarpe e bagnarli i piedi in uno sciacquettio spugnoso.

Sentì il rumore dei sassolini sotto gli scarponi e arrancando riuscì a trovare lo sportello e a infilarsi dentro l’abitacolo, dalla parte del conducente.

Una botta di fortuna, ogni tanto: almeno non avrebbe allagato l’auto.

Richiuse con un tonfo la portiera. La pioggia era ancora più fitta e, in quelle condizioni, non poteva certo guidare. O sperare di uscire da quel pantano. Se ci avesse provato, alla cieca, sarebbe probabilmente finito giù nel canalino laterale.

Estrasse da una delle due tasche anteriori dei pantaloni il Cercapersone fradicio e, notò, spento.

Era morto, sicuro.

Premette il pulsante dell’accensione, senza risultati e imprecò, tirando un calcio sotto il volante.

Appoggiò l’oggetto sopra il piccolo ripiano davanti ai bocconi dell’aria condizionata e accese la macchina. Immediatamente i fari illuminarono davanti a lui… la pioggia. C’era solo quella in fin dei conti, ovunque.

Impostò il condizionatore sui ventitré gradi e aspettò, dando di tanto in tanto gas.

Riprovò ad accendere il Cercapersone dopo una decina di minuti, ma aveva le mani talmente infreddolite e irrigidite dal freddo che cadde rovinosamente sul tappetino della postazione del passeggero.

Si morse la lingua per non imprecare ancora e si allungò per raccattarne i pezzi. I muscoli della schiena, a quel gesto, si tesero in modo spiacevole facendogli stringere i denti.

Reinserì la piccola batteria e riprovò ad accenderlo.

Funzionava, almeno quello.

Reimpostò l’ora e la data e aspettò che ricaricasse tutti i messaggi, poi cercò il numero di Kaithlyn.

Lo ritrovò sotto Nana Malefica.

“Ti devo venire a prendere?”

Era una domanda stupida, dato che le aveva chiaramente detto di arrangiarsi con uno dei suoi fratelli o chiamando Jason. In realtà preferiva portala lui indietro, tanto per essere sicuro che arrivasse e avere anche modo di controllare il suo amico biondo. Più le stava alla larga, meglio si sarebbe sentito.

La risposta arrivò in meno di un minuto, come sempre.

“Fa’ come ti pare.”

Chiara e concisa.

Storse le labbra.

“… Per quando ne hai, ancora? Dammi un’ora!”

Posò il Cercapersone tra il cruscotto e il vetro e incrociò le braccia in attesa. Le mani gli lanciarono una fitta di protesta piuttosto dolorosa che ignorò.

Il taglio che si era fatto lungo l’attaccatura delle dita era peggio di quanto sembrasse: non abbastanza profondo da richiedere dei punti, ma abbastanza estero, sicuramente, da dove essere medicato e coperto al più presto. Peccato che non potesse muoversi e non avesse niente per lo scopo, oltre alla mancanza momentanea di manualità.

Il dispositivo s’illuminò e vibro con vigore. Si era ripreso bene, almeno lui.

“Non lo so, un po’.”

Chiuse gli occhi, imponendosi di non risponderle di getto.

“Allora ci vediamo lì davanti “tra un po’”.

Lanciò il Cercapersone contro il vetro e giro i direzionatori dell’aria condizionata verso di sé, infreddolito. L’avrebbero ritrovato il giorno dopo ibernato.

Lentamente la pioggia si affievolì fino a ridursi solo a qualche goccia sparsa. Guardò oltre il vetro del finestrino e considerò seriamente l’idea di portarsi dietro un gommone, la volta dopo. Giusto per rimanere sul sicuro.

Scese dall’auto e si chiuse la portiera alle spalle: si era impantanato perpendicolarmente alla strada e le ruote posteriori erano sprofondate di una quindicina di centimetri nel terreno acquoso.

Seguì con gli occhi la linea del guardrail che riprendeva cinque metri più in là, in direzione dell’ospedale e si sentì raggelare il sangue.

Chiuse distrattamente l’auto, lasciandole solo una brevissima occhiata e si avvicinò al bordo del guardrail, percependo in modo quasi amplificato lo scricchiolio dei sassolini sotto i suoi scarponi fradici.

Lo spiazzo era grande abbastanza da farci stare comodamente più di un’auto. Era usato spesso, da quando ne aveva memoria, per scambiarsi o per sostare. Lo faceva spesso con i suoi genitori e suo fratello e non erano certo gli unici, in quanto era molto pratico.

Lo spazio era un semicerchio impreciso e, notò solo in quel momento, lungo tutta la semicirconferenza o presunta tale, non c’era il guardrail. O meglio: ce n’era solo una parte, sul lato più a nord, mentre, per il resto era stato sostituito da travi di legno.

C’era anche un muricciolo basso, in pietra, a fare da base. Nessuno si preoccupava di quella strada, non più. Con tutti gli incidenti che c’erano stati, la gente, se non in caso di stratta necessità, se ne teneva alla larga e non si fermava certo lungo il percorso, preferendo di gran lunga tirare dritto.

Rabbrividì e sentì la gola seccarsi: non si era reso conto di dove si trovasse. Aveva evitato quella strada maledetta all’andata di proposito, beccandosi anche la derisione di Kaithlyn per aver allungato il percorso e aveva finito per impiantarcisi involontariamente. Lo scansava da cinque anni quel maledetto spiazzo.

C’erano delle assi, poggiate da una parte e notò qualcosa di lucido sotto di esse. Sapeva con assoluta certezza di cosa si trattasse e non voleva vederla.

Non in quel momento: aveva bisogno di tutte le sue facoltà per uscire da quel casino il prima possibile. Poteva mettere qualcosa sotto le ruote inferiori, poteva funzionare.

Si obbligò a muovere le gambe per fare il giro dell’auto e guardare il danno. Dietro le ruote posteriori, il terreno s’inclinava bruscamente conducendo a un canalino d’acqua nascosto da alcuni arbusti.

Gli vennero le vertigini, insieme alla nausea, mentre indietreggiava fino a battere le gambe contro il portabagagli dell’auto che si mosse appena dondolando in avanti.

Si passò le mani tra i capelli bagnati, cercando di calmarsi e controllare gli spasmi del freddo alla braccia. Doveva riprendere il controllo. Era un Capofazione Intrepidi. Doveva superarla, prima o poi, e agire senza timore. Niente poteva ferirlo, in quel momento. Se si fosse lasciato sopraffare dalla stanchezza e dal panico, non si sarebbe mosso da lì. Gli serviva controllo. Disciplina.

Disciplinati Eric.

Cercò con tutte le sue forze di imporsi la calma, senza successo. Non sapeva neanche da che parte iniziare, per ritrovare il raziocinio: di solito c’era Sean in quei momenti, a riportarlo con i piedi per terra anche a costo di prenderlo a schiaffi. E funzionava… per un po’. Ma era sciocchezze, cazzate, in confronto alla situazione in cui si trovava in quel momento.

Gli sembrava di essere precipitato in una voragine senza fine, stretta e buia come un tombino senza aver possibilità di risalita. Riusciva quasi a sentire le gambe strette e le braccia compresse contro il proprio corpo.

Sentiva l’aria mancargli e, improvvisamente, il freddo scomparve e iniziò a sudare mentre il suo stomaco si contraeva in modo quasi doloroso.

Era bloccato. Era bloccato. Bloccato. Non sarebbe riuscito a far niente, mai.

Si portò una mano alla fronte e spostò i capelli scuri indietro. Forse, se si comportava come nel suo scenario, sarebbe riuscito ad agire, a muoversi.

Era come sbagliare una postura, si disse. Doveva trovare il modo corretto. Stare in piedi, dritto. Come a scuola.

Invece si sentiva accartocciare su se stesso, come una pallina di carta che soccombe alla stretta di una mano, prima di essere lanciata nel cestino. O per terra.

Sembrava che il terreno avesse iniziato a tremare, ma erano le sue gambe a farlo sentire instabile, come se improvvisamente tutto intorno a lui avesse iniziato a ondeggiare pericolosamente.

Non è una simulazione. Non è una simulazione.

Si girò verso la macchina e appoggiò le braccia sul tettuccio per sorreggersi, seppellendo la testa tra le mani. Doveva calmarsi. Respirare.

Respira.

Era una cosa naturale, bastava far entrare l’aria, lasciando che scendesse lungo la trachea ed espandesse i polmoni, riempiendo ogni bronchiolo finale. Giù, fin dentro la pancia, con lentezza. Era naturale, una cosa che faceva ogni giorno in automatico e perlopiù senza accorgersene.

Poi doveva ributtarla fuori. Espirare. Con calma, nessuno gli sarebbe saltato alla gola. Con lentezza, anche quello prendendosi tutto il tempo per farla uscire.

Il macigno che sentiva sulla schiena era frutto della sua immaginazione. Solo quella.

Fu quasi doloroso fermare il tremore alle braccia, ma ci riuscì.

Non poteva restare lì, doveva muoversi.

Imponiti.

Strinse i pugni, sentendo contro la superficie ghiacciata e bagnata del tetto della macchina.

Un forte odore di bruciato gli arrivò alle narici. Anche quello, era frutto della sua mente. Niente bruciava, in quella nottata piovosa. Solo lui, ma era un fuoco fittizio limitato ai suoi ricordi.

Appoggiò le mani sul bordo del tettuccio, lasciandole scivolare con forza sulla superficie liscia, fredda e bagnata e si spinse indietro con un ringhio frustrato.

Il passo che fece indietro, sprofondò in un punto particolarmente melmoso.

Non appena fu in piedi, tirò un calcio alla ruota posteriore con tutta la forza che aveva.

Il dolore lo accecò per un momento, ma era quasi un toccasana. Lo riportava con i piedi per terra, facendogli disgiungere la realtà dai demoni che gli popolavano la mente.

Quello era reale.

Si passò le mani tra i capelli e sul viso, sentendo le unghie graffiargli l’attaccatura dei capelli. Respirare tra i denti non lo avrebbe aiutato.

Il cuore gli schizzò nel petto facendolo sobbalzare, voltare di scatto e sbattere con la schiena contro l’auto, quando sentì il suono leggero di un clacson e due fari lampeggiare da un’auto accostata sul ciglio della strada.

La sua mano andò istintivamente all’altezza della cintura, senza tuttavia trovare quello che cercava: la sua pistola. Dov’era? Perché non l’aveva presa, quando poteva tornargli utile?

Strinse i pugni, grattandosi la superficie delle dita con la stoffa del bordo dei pantaloni e preparandosi a uno scontro.

- Eric! -.

Cercò di calmarsi, riconoscendo la voce.

- Che è successo? – chiese la voce di suo padre, scendendo dall’auto e avvicinandosi a passo svelto. – Hai battuto la macchina? -.

- NO! – gridò, sentendo la voce graffiargli la gola. – No… - tossì, indietreggiando lungo il profilo dell’auto.

Suo padre aveva le mani alzate come a fargli vedere che non aveva niente in mano. Come si fa con i bambini o con qualcuno che vuole convincerti di non avere cattive intenzioni.

- Che è successo? – ripeté, calmo.

Un singulto gli risalì in gola e si coprì il viso con le mani. – Niente che ti riguardi. Vattene, che fai? Mi segui? Vuoi controllarmi anche adesso? – stridette, con i battiti alle stelle, in un ringhio che gli ricordò quello di un animale ferito.

Suo padre strinse le labbra. – No, certo che no. Sono riuscito per prendere una cosa a tua madre e per fare prima sono passato da qui. Sei ferito? – domandò.

Scosse la testa con forza. – Non… non ti deve interessare. Sto bene, vattene. Non voglio niente da te. – ringhiò, riuscendo finalmente a raddrizzarsi.

- Sei sicuro? – insistette, l’uomo davanti a lui.

- Non voglio – iniziò, alzando la voce, - il tuo aiuto. Non lo voglio. –

L’altro annuì piano. – D’accordo. – gli concesse, con cautela. – Puoi fare da solo. Se mi fossi impantanato con l’auto, - gli suggerì, facendo un cenno con la testa verso il bordo dello spiazzo. – Userei quelle assi di legno laggiù. Sei d’accordo? -.

Eric si avvicinò a lui, stringendo la mandibola tanto da farsi male. – Non fare questi giochetti con me. Risali in auto e vattene. – gli intimò.

C’erano solo poche decine di centimetri a dividerli. Quando si era avvicinato?

Suo padre non si scompose, mantenendo un tono controllato. – Allora agisci. Facendo il pazzo e prendendo a calci l’auto non la convincerai a ritornare in carreggiata. – lo sgridò.

Se chiunque altro gli avesse parlato in quel modo, facendolo sentire stupido, sarebbe stato già a terra con il naso rotto in attesa di ricevere il resto delle botte che gli avrebbe tirato.

Non lo voleva lì, ma l’arrivo di suo padre l’aveva distratto e iniziava a riprendere il controllo e a sentire la pressa opprimente che sembrava soffocarlo allentarsi. Si stava distraendo. Doveva sfruttare la cosa per calmarsi.

Doveva. Era l’unica possibilità.

Suo padre, un Erudito, non era spaventato. Non doveva esserlo neanche lui, che era un Intrepido.

- Non mi ero accorto di essermi fermato qui… - disse, velocemente, cercando di regolare il respiro, senza conoscere neanche lui il perché stesse dicendo quelle parole. – Io… me ne sono accorto adesso. Pioveva, prima. –

Suonava come una scusa, una giustificazione. Ma non lo era. Non aveva niente da giustificare all’uomo che si trovava davanti.

Suo padre annuì con lentezza, come dandogli manforte. – Certo, può succede. La pioggia era molto fitta. – convenne.

Eric annuì velocemente.

- Sono quasi le quattro. Forse dovresti tirarla fuori prima che ricominci a piovere. – gli suggerì, abbassando le mani.

Lo vide guardarsi distrattamente la felpa che portava addosso e stringere le labbra con disappunto, dopo avergli riservato un’occhiata. Non gli chiese se voleva la sua felpa: sapeva che non avrebbe accettato o che, eventualmente, gliela avrebbe tirata dietro.

Annuì di nuovo. – Sì… le assi. Le prendo. – farneticò, mentre la testa iniziava a pulsargli in modo fastidioso. Sentiva la schiena ancora rigida, i muscoli contratti. La confusione gli annebbiava la testa.

Deglutì e si diresse verso il lato da cui era arrivato, dove le assi erano più dismesse.

Respirò a fondo e, con le mani tremanti per il dolore e per il freddo, strinse un lato della prima e tirò. Ci fu un rumore forte, di qualcosa che si spezza, e il pezzo di legno intagliato gli rimase in mano. Grattava, sulla pelle secca. Avevano una consistenza umida, ma sembravano ancora abbastanza solide nonostante l’esposizione alle intemperie degli ultimi cinque anni.

Lasciò andare la trave, cercando di ignorare la targhetta luccicante che nascondeva e respirò profondamente. Sapeva che era lì. Era per quello che non voleva usarle, sapeva che vedere quell’oggetto l’avrebbe mandato nel panico.

Meno di quanto pensasse, comunque.

Era infantile, ma si sentiva più tranquillo con suo… padre, a pochi metri da lui.

La sua attenzione venne di nuovo attirata da quel tenue luccichio, forse opera del lampione poco più indietro a una ventina di metri da lì. Era difficile non guardare. Il contrasto con il muricciolo su cui era affissa era troppo evidente per essere ignorato del tutto e le lettere dorate risaltavano come fili di seta sullo sfondo chiaro.

In memoria di Rosalie Powell in Turner.

Deglutì, allungando debolmente le mani verso la seconda asse. Strinse le mani intorno al bordo, come aveva fatto poco prima e tirò, senza ottenere nulla. Era come se tutta la forza se ne fosse andata. Non riusciva a staccare gli occhi da lì.

Era un debole. Uno stupido. Un inetto.

Sentì dei passi dietro di lui. – Ce la faccio. – disse, in un gracidio mal articolato. Gli tremavano ancora le gambe. Respirò, per correggersi.  

- Oh Cristo Eric! – esclamò suo padre dopo un paio di tiri a vuoto.

Lo fece spostare senza troppa gentilezza da un lato, prese il suo posto, afferrò la trave e tirò, staccandola in un colpo solo e porgendogliela.

Eric lo guardò con astio, ricevendo un’occhiata severa. – La targhetta. – disse, raccogliendo l’altra asse e allungando la mano per farsi passare l’altra, le dita tremanti.

- Non credo sentirà freddo. È una targhetta, Eric. Una targhetta in lega metallica. – disse pragmaticamente, senza espressione.

Annuì. Aveva ragione. Era solo un pezzo di metallo. Non significava niente, farsi sopraffare da una cosa del genere era illogico e stupido. Da bambini. E lui non era più un bambino, era da considerarsi un adulto a tutti gli effetti.

Vedendolo indeciso, suo padre gli strappò le assi dalle mani. – Avanti, ti faccio vedere. – disse un po’ più gentilmente. Gli faceva rabbia, rendersi conto di avere ancora qualcosa da imparare, da lui.

Suo padre, senza un’altra parola “si” diresse dietro la sua auto. Sembrava tranquillo, composto. Anche se quel posto era intriso di brutti momenti anche per lui.

Eric si obbligò a muovere le gambe e a seguirlo, un passo alla volta, cercando di non concentrarsi sul posto. Se si estraniava, poteva farcela. Non voleva che lo vedesse in difficoltà. Aveva già visto abbastanza prima che si accorgesse della sua presenza.

L’aveva visto debole.

Lo raggiunse.

- Hai fatto una bella buca, eh? – commentò lui, abbassandosi all’altezza delle ruote e studiando la scavatura provocata dai suoi tentativi di uscire.

- Non mi serve il tuo aiuto. – insistette.

Suo padre lo ignorò e tornò a osservare la fossa che aveva scavato con le ruote posteriori. – Se pensi di tirarla fuori da quei con la forza del pensiero, tanti auguri. – commento, sedendosi sui talloni.

Dietro suo padre, il terreno s’inclinava bruscamente verso il basso, conducendo su un canalino d’acqua nascosto da sassi e arbusti. Cadere da lì equivaleva a spaccarsi la testa e a una fine lenta e penosa.

Ricordava ancora la sensazione di vuoto, di equilibrio precario che aveva provato in quella macchina, mentre iniziava a sentire odore di benzina. Ricordava il terrore nel non riuscire a slacciare la cintura, l’istinto di dibattersi e la paura alla vista del corpo accanto al suo. La sensazione d’impotenza, d’inutilità più assoluta.

Tremò, mentre sentiva il panico impadronirsi nuovamente di lui. Gli scorreva nelle vene come un liquido vischioso e pesante, facendolo sentire come se fosse di piombo e stesse affondando. Tutto lo tirava in basso, facendo sprofondare e agganciandolo con mille aghi di ferro, impedendogli di muoversi.

Suo padre si girò verso di lui e lo guardo per lungo secondo, poi si concentrò sulle ruote impantanate, poggiando le assi da un lato. – Solleva il retro dell’auto, così le infilo sotto. – gli disse, facendogli spazio sulla parte anteriore e riportandolo bruscamente con i piedi per terra. Poi si guardò alle spalle, come a valutare il rischio di cadere di sotto. Non sembrava turbato. Forse non era un’altezza tale da dargli fastidio.

- Anzi, facciamo al contrario: io sollevo il retro dell’auto e tu infila le travi sotto le ruote. – rettificò, mettendosi dietro l’auto e passandogli le due assi. – Non vorrei doverti riattaccare le dita, più tardi. – gli disse, con un cenno alle sue mani. Non sembrava molto contento di vederlo in quello stato.

Avevano un aspetto terribile, in effetti.

Annuì distrattamente, cercando di pensare a qualcos’altro che non fosse quel giorno. – Pronto? -.

– Appena le ruote posteriori si alzano, infilale sotto, okay? – lo istruì, asciugandosi le mani sui pantaloni.

Annuì e si spostò di lato. Suo padre infilò le dita sotto la parte posteriore dell’auto e fece forza. Per un momento penso che, nonostante la sua auto fosse relativamente leggera, non ce la facesse: poi il veicolo iniziò a sollevarsi.

Infilò la prima trave sotto la ruota sinistra e aggirò suo padre per infilare l’altra sotto la destra. Suo padre riappoggiò il retro della macchina a terra.

Aprì e chiuse le dita più volte, forse per allievare l’indolenzimento e riattivare la circolazione.

- Fatto. Vuoi finire da solo? – gli domandò, leggermente affannato, aggirando l’auto con lentezza e appoggiando la mano destra sul finestrino posteriore.

Annuì con la testa, convinto di riuscire a gestire la situazione da solo da quel momento in poi. Il più era già fatto.

Si sbagliava. Non appena inserì la chiave e accese il motore, l’angoscia iniziò nuovamente a strisciargli dentro come un serpente, attorcigliandosi intorno a tutti gli organi. Anche alla testa. Si sentiva schiacciare, di nuovo. Soffocare.

Suo padre raggiunse il finestrino e lo osservò con le sopracciglia aggrottate in un’espressione comprensiva.  - Devo girarla io? – domandò, forse vedendolo fissare il vuoto, alla ricerca di una soluzione.

Eric rabbrividì per il freddo. – No. – grugnì, stringendo le dita sul volante.

Mise in moto, inspirando dal naso.

Giù, fin dentro la pancia e poi fuori.

Ancora.

Ingranò la prima, con lentezza, sentendosi addosso gli occhi chiari di suo padre. Aveva già visto abbastanza, non voleva che lo vedesse perdere di nuovo la testa. Doveva controllarsi. Respirare. Far rallentare il cuore impazzito. Riprendere il controllo.

Respira, è solo aria.

Tolse con cautela il freno a mano, cercando il punto d’innesto della frizione. Quando lo trovò, premette nervosamente l’acceleratore, facendo girare a vuoto le ruote posteriori e sentendo le assi sprofondare. Sarebbe scivolato di sotto. Sarebbe rimasto lì, lo sapeva. Lo sentiva. Non riusciva a stare tranquillo, era come se avesse una spada di Damocle che gli penzolava dietro il collo, pronta a tagliargli la testa da un momento all’altro. Doveva uscire da quell’auto. Allontanarsi.

Come quando giocando a nascondino, capitava di nascondersi in un ripostiglio o in anfratto buio, la notte, e di sentire l’improvvisa e immotivata voglia di scappare. Era cosa sentirsi qualcuno alle spalle.

Suo padre bussò al finestrino, facendolo sobbalzare. – Scendi, la giro io. – gli disse, aprendogli la portiera.

- No! –urlò, furioso, richiudendola. – Ce la faccio, vattene. Hai già fatto abbastanza. –

- Scendi. – gli impartì duramente, senza più ombra di gentilezza sul viso.

- Altrimenti? – ringhiò, scendendo dall’auto e andandogli incontro a viso duro. Come faceva a non capire?

– Che fai? -.

Suo padre non si scompose e lo ignorò. – Smettila e vedi di usare un po’ la testa: ragiona e…-. S’interruppe bruscamente, fissandolo. – Che c’è? – chiese, forse notando la sua espressione sconvolta.

L’aveva sentito un attimo prima: pungente, e sembrava quasi doloroso percepirlo nelle narici. Sapeva che c’era qualcosa che non andava, dannazione. Avrebbe dovuto fidarsi di più del suo istinto, invece che fare considerazioni idiote sulle sue paure.

- Lo senti l’odore? – gemette, tachicardico. – Lo senti? –ribadì, ancora, portandosi una mano a coppa sotto la bocca.

Gli veniva da vomitare.

Suo padre cambiò espressione e si fece più vicino. – C’è odore di pioggia. Intendi quello? – chiese, con lentezza.

Scosse la testa. – Non lo senti? Come fai a non sentirlo? – gracchiò, cercando di capire se lo stesse prendendo in giro o meno.

- Che cosa dovrei sentire Eric? -.

- Bruciato. – boccheggiò, guardandosi le mani. – Po… potrebbe essere la macchina? -.

Sentì i battiti aumentare il ritmo esponenzialmente.

Suo padre abbasso le sopracciglia sugli occhi in un’espressione seria. – No, Eric non c’è puzza di bruciato. – lo tranquillizzò, stringendogli le braccia. – Non brucia niente. –

- Che ne sai tu?! Non eri lì, non sai cosa ha fatto la macchina, cosa ho… l’odore…- strillò, mentre iniziavano a susseguirsi come in un flashback tutti gli avvenimenti di quella dannata notte.

La macchina non si muoveva neanche quel giorno. Lui non sapeva neanche da che parte iniziare, ma quando aveva cercato di premere l’acceleratore, allungando oltre le gambe del guidatore nel disperato tentativo di uscire, la macchina non si era mossa. Aveva solo fatto girare a vuoto le ruote ed erano sprofondati con le ruote anteriori.

E lui, lui era arrivato dopo. Quando c’erano già le fiamme, non aveva idea di cosa avesse sentito. Dei rumori, anche minimi, del sibilo, del crepitio. Delle ruote che giravano a vuoto, nel terreno.

Perché lui non sapeva mettere una dannata retromarcia. Non lo sapeva fare.

Suo padre gli prese il viso con le mani. Sentiva il metallo freddo della fede che portava all’anulare sinistro contrastare con la sua tempia che sentiva calda. Forse era solo un’impressione. – Va tutto bene, Eric. La tua auto non ha niente, calmati. Ci sono io, adesso. Ci penso io. – lo tranquillizzò, abbassando una mano e stringendogli un braccio, mentre lo conduceva verso la sua auto, ancora posteggiata lì accanto e lo faceva sedere sul sedile del passeggero. Aveva un odore familiare.

Suo padre gli passò distrattamente una mano dietro la nuca, in un gesto quasi affettuoso.

Si scansò quasi a quel contatto inaspettato: non c’era più abituato e anche Kaithlyn, per quanta confidenza potessero avere dal punto di vista fisico, non si lasciva spesso andare a gesti affettuosi, nei confronti di nessuno.  

- Va tutto bene – ripeté, piano. – Vuoi dell’acqua? – aggiunse, abbassandosi su di lui per guardarlo.

Annuì. Non era una cattiva idea e poi gli faceva male la gola, dopo le urla e il freddo. Suo padre aprì la portiera posteriore e dopo qualche secondo piegato in avanti alla ricerca di qualcosa, tornò da lui con una bottiglietta d’acqua. – Bevi. – gli disse, poggiandogli una mano sulla spalla.

Eric la prese, titubante. – Se tornassi indietro dovresti fermarti da lei, prima che da me. – mormorò. – Faresti un affare – aggiunse, sfiorando appena il piccolo collo della bottiglietta con le labbra secche, prima di bere un piccolo sorso.

Le dita di suo padre gli strinsero una spalla, con forza. – Se potessi tornare indietro, non mi soffermerei: correrei più veloce e basta. – ribatté cupamente, sfiorandogli appena un orecchio.

Lo guardò dal basso, deglutendo.

Com’era finito in quella situazione? Come si era ritrova a discutere con suo padre, dopo due anni di silenzio, proprio lì e proprio di quella cosa?

Non doveva trovarsi lì, non voleva esserci. Sarebbe dovuto essere a casa o, al massimo, a discutere con gli altri Capifazione su come la presa di potere che stavano architettando con gli Eruditi. Non lì a farsi consolare da lui.

Quel tempo era finito da un pezzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Sei sicura? Una notte qui ti farebbe bene, solo per sicurezza… - insistette, per l’ennesima volta, mentre Kaithlyn si chiedeva cosa, esattamente, non fosse chiaro nella frase “torno a casa mia e fammi firmare i maledetti fogli delle dimissioni”.

Forse aveva sopravvalutato le capacità di comprensione di suo fratello che, da quando Lucas se n’era andato, sembrava più apprensivo del solito. Neanche fosse arrivata lì in coma, o con un proiettile infilato da qualche parte.  

- Sì, Andy, sì. Ora passami una penna e chiudiamo questa faccenda definitivamente, okay? – biascicò, allungando una mano e facendogli cenno di darle l’oggetto richiesto.

Sentiva la testa ovattata, come se fosse stata a lungo sott’acqua e avesse ancora le orecchie tappate, ma non aveva intenzione di rimanere in quel posto un solo secondo in più fintanto che era abbastanza lucida. Di lì a poco sarebbe stata troppo intontita per opporsi.

Il fratello le lasciò cadere la panna sul palmo e alzò gli occhi al cielo, prima di iniziare a rimettere le cose della sorella minore nel borsone nero.

Il silenzio regnò sovrano per qualche lungo istante, mentre Kaithlyn firmava i fogli delle dimissioni senza cercare di nascondere la sua impazienza di andarsene e lui chiudeva la cerniera del bagaglio scuro, prima di caricarselo in spalla e fare cenno alla sorella di seguirlo fuori dalla stanza.

Kaithlyn lo seguì in silenzio, tirandosi il più possibile le maniche della sua felpa sulle dita pallide. Si sistemò il giaccone di Eric addosso, stringendolo con le dita all’altezza della gola.

Aveva ancora il suo odore.

Non era sicura della sua decisione di rompere, ma che alternative aveva quando l’unico modo per restare con lui era azzerare ogni cosa? Cancellare le ultime ventiquattr’ore se non addirittura gli ultimi giorno e ripartire da lì, alla sera prima: dalla sua vasca da bagno, la stessa dove l'aveva aspettato per curare il suo orgoglio ferito.

Rimuginava da tutta la sera su di lui e suo fratello aveva ragione: non poteva. Non poteva ignorare lo scatto rabbioso che aveva avuto. Ricordava il modo cadenzato in cui faceva dondolare le sbarre cigolanti dello Strapiombo, la tesa china in avanti e i muscoli tesi, mentre faceva avanti e indietro come un pazzo.

Non era una cosa normale. Avrebbe voluto comprendere cosa fosse successo e, forse andargli incontro…

Non era giusto. Lui le piaceva.

Il pensiero di rompere le faceva venire uno strano groppo alla gola, ma era la scelta migliore per entrambi. Lei ed Eric avevano due personalità distruttive, come avrebbero potuto continuare a stare insieme se ogni volta che discutevano, il fine ultimo, anziché chiarire, diventava ferire e umiliare l’altro come se questo comportasse l’avere ragione? Come se, chi riusciva indenne dalla discussione avesse automaticamente ragione?

Scosse la testa: non potevano continuare così. Un taglio netto era la cosa migliore… lui l’avrebbe riaccompagnata a casa e lei, l’indomani, avrebbe recuperato le sue cose da casa sua; dal quel momento avrebbe tagliato ogni contatto e si sarebbero visti esclusivamente per l’ultimo giorno di combattimenti degli iniziati o incrociati nei corridoi.

Sapeva anche che all’inizio sarebbe stato difficile, perché si era abituata ad averlo intorno tutto il giorno. Eric non era particolarmente loquace o di compagnia e ci voleva un po’ per notarlo, nonostante fosse alto. Il fatto era che, se non si faceva caso alla sua presenza – sapeva essere incredibilmente silenzioso anche nel muoversi – sembrava riuscire a mimetizzarsi. Eric non era un tipo estroverso o entrante. Era silenzioso come un’ombra, taciturno e profondamente introverso. Ed era con la stessa facilità con cui lo fa un’ombra, che riusciva a non farsi vedere. Gli bastava appoggiarsi alla parete della palestra, arrivando senza far rumore, e nessuno si accorgeva della sua presenza. Dal momento però in cui faceva un appunto, o lo si vedeva, era impossibile ignorarlo. E non solo sul lavoro, ma ovunque. Anche nella quotidianità era così e quello le sarebbe sicuramente mancato, almeno all’inizio.

La cosa più divertente, anche se non era certa di essere in possesso di tutte le sue facoltà mentali, era che, dopo lo sfogo fuori dall’ingresso del pronto soccorso, aveva iniziato ad avvertire una pungente e fastidiosissima sensazione di disagio.

Il senso di colpa.

Non quello cui aveva accennato Jason, quando gli aveva parlato della discussione della mattina. Era diverso, più forte, e si contorceva all’altezza del suo stomaco da tutta la sera, per quanto avesse provato a ignorarlo il più possibile distraendosi con i suoi fratelli.

Non tanto per quello che si era urlati addosso alla Residenza, o per la scenata della mattina sui piagnistei insensati di Eric… ma per l’ultima discussione: era stata stupida, avventata e aveva finito per sragionare senza analizzare i fatti e finendo per farsi più male, testimoni i sei punti di sutura alla mano.

Alla fine non era niente che non si potesse risolvere con qualche iniezione e un po’ di riposo e lei aveva dato i numeri, incolpandolo di tutto. Se invece di andare lì a continuare la discussione avesse aspettato che si calmasse, non si sarebbe fatta niente. Nessuno le aveva puntato una pistola alla testa per costringerla ad avvinarsi a lui in quel momento mentre, evidentemente, non era in grado di ragionare come avrebbe dovuto.

Avrebbe voluto che lui l’avesse lasciata a metà strada, almeno non si sarebbe sentita così in difetto per essere stata accompagnata fin lì e averlo preso a schiaffi. E a calci. E a pugni. E averlo insultato, deriso e mortificato. E quell’idiota non l’aveva lasciata lì, ma l’aveva portata, in modo e nell’altro, fino alla meta. L’aveva aiutata, anche se si meritava di essere scaricata dall’altra parte della città con tanto di borsone a carico e le aveva dato il suo giaccone, per tenerla al caldo a sue spese.

Stupido.

Senza rendersene pienamente conto aveva arrancato meditabonda dietro al fratello fino all’uscita. L’aria all’esterno era fredda e a causa del buio era difficile distinguere l’esterno nella sua interezza. Solo alcuni lampioni, quelli del parcheggio per pazienti e personale erano accesi a illuminare un’aria circoscritta.

Ciò nonostante, la sua attenzione fu calamitata dal profilo di un’auto scura, posteggiata dall’altra parte della strada. Non ne distingueva bene i contorni, ma intravide la figura alta del proprietario poggiato al fianco della vettura a braccia conserte.

Suo fratello la precedette.

Si avvicinarono all’auto, attraversando rapidamente la strada deserta.

Eric non sembrava molto in sé. Nonostante da lontano sembrasse tranquillo, fermo come un statua non era così: era pallido, sudato e aveva l’aria di qualcuno che sta per mettersi a urlare.

Sembrava quasi spaventato e notò che, le braccia conserte, servivano a nascondere il tremore alle mani. Gli tremava leggermente anche la bocca.

Si sentiva un po’ rallentata, dopo la pasticca di antidolorifico che gli aveva dato suo fratello quando quelli per le medicazioni avevano iniziato a smettere di fare effetto. Si sfilò la giacca con lentezza e un brivido freddo le corse lungo il corpo, mentre la piegava sulle braccia e si avvicinava ancora.

Eric la guardò con gli occhi spalancati e preoccupati, quasi non capisse cosa stesse facendo. Le labbra non erano altro che una linea dritta.

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito come se si fosse dimenticato cosa stava dicendo e osservò i suoi movimenti.

Si avvicinò a lui e appoggiò la giacca sulle mani, mentre Eric continuava a guardarla come se avesse voglia di piangere. O urlare. O scappare. Vide le sue dita stringersi intorno al tessuto fino a fargli sbiancare quello che rimaneva, sotto le croste, delle nocche bianche.

Sembrava perso. Come se non sapesse cosa stava facendo, perché era lì.

Gli appoggiò una mano sul braccio e lo scrollò un po’ e, per istante, parve tornare con i piedi per terra.

Poi udirono le sirene di un’ambulanza rientrare e quello che le sembrava rimasto di lui sul suo viso, sparì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rieccomi, non sono morta!

Andiamo subito al sodo, così non vi annoio con le mie chiacchiere: che ne dite? Vi aspettavate una cosa del genere? Cosa pensate possa accadere, adesso? Idee? Teorie? Ditemi, ditemi!

La parte in cui c’è il padre di Eric come vi è smembrata? Ho sempre paura di essere troppo “tenera”, morbida, di andare fuori dai personaggi… anche se qualcuno, come la famiglia di origine di Eric, tutta quella di Kaithlyn eccetera, li ho inventati io! Insomma, non vorrei andare fuori dai miei stessi personaggi. E men che mai da quelli del libro e da come li ho resi finora, dato che mi reputo complessivamente abbastanza soddisfatta.

Insomma, placatemi, ditemi qualcosa di positivo, negativo… consigli, pareri, numeri di bravi specialisti… fatemi sapere!

Questo capitolo è stato piuttosto faticoso, lo confesso: mi ero bloccata, esattamente come con Mind’s Shades, l’anno scorso... poi il blocco è sparito e tutto sta riprendendo la piega giusta.

Vi chiedo scusa per l’attesa, ma spero che mi perdoniate data la lunghezza! Il prossimo è già a metà e in questi giorni non mi stacco dalla tastiera… quindi non perdete la speranza! Cercherò di velocizzarmi anche con gli esami che incombono.

Vi ricordo come sempre la mia paginetta facebook, della quale riuscirò a inserire il link diretto forse alla fine della storia: https://www.facebook.com/Kaithlyn24-865334640156569/?ref=bookmarks

Alla prossima!

 

 

 

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Capitolo 16
*** AVVISO! ***


Salve a tutti... Che posso dire? L'ultimo aggiornamento risale addirittura a Maggio! Avevo in programma di aggiornare tutte le storie la settimana scorsa, ma purtroppo é da dieci giorni che sono priva di internet, mentre il mio povero pc é in "rianimazione". Non so davvero come scusarmi e dato che dal cellulare non ho modo di pubblicare ci tenevo a dirvi, per chi ancora avesse voglia di seguire la storia (con prequel e spin-off annessi), che non ho abbandonato e che, non appena ne avrò modo, pubblicherò almeno un aggiornamento a storia. Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno messo la storia tra i preferiti, tra le seguite o che si sono semplicemente fermati per una lettura veloce! Un bacio a tutti, spero di poterci risentire il prima possibile per qualche aggiornamento... E scusate se manca il codice html, ma da questo aggeggio che mi hanno detto essere un cellulare non potevo fare proprio di meglio. A presto!

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Capitolo 17
*** AVVISO - A volte ritornano ***


Buon giorno a tutti, mondo di efp!

Lo so, lo so, lo so. Sono passati quattro anni.

Lo so: non quattro giorno, non quattro settimane, non quattro mesi ma anni.

Non so come scusarmi: i capitoli erano pronti, ma mancava l’ispirazione e alla fine ho lasciato perdere la storia.

Tuttavia – e qui magari chi la seguiva si metterà le mani nei capelli – l’ho ripresa in mano giusto qualche giorno fa e mi si è, per usare un gerco comune, accesa la lampadina.

Così ho deciso di revisionare – lavoro che avevo iniziato in tempi non sospetti – tutta la storia e poi proseguire con i nuovi capitoli che sono in parte già pronti: non resta che rileggerli e pubblicarli, no?

Non so se ancora ci sia qualcuno sul fandom, ma voglio provarci ugualmente.

Probabilmente – anzi, ormai è cosa praticamente decisa – cambierà anche il nome del profilo che era nato ormai cinque anni fa quasi esclusivamente per unirmi al fandom di divergent e pubblicare ‘Braveheart’. Avendo ‘allargato i miei orizzonti’, per la disperazione di tutto il sito, ho deciso di modificarlo.

Non so come mai (sarà la vecchiaia? Voi che dite?) ma avere il profilo con lo stesso nome di una delle protagoniste delle mie storie ha iniziato a farmi storcere il naso. Dopotutto, ognuno è vittima dei propri disagi, ed io ho i miei.

Quindi probabilmente – a meno che il nome non sia già preso – al 99,97% cambierò ‘Kaithlyn24’ in ‘Arlie_S’.

Non so perché, ma mi ispira.

Detto questo, spero di riuscire a pubblicare la revisione presto: sarà sempre in terza persona, gli avvenimenti salienti saranno gli stessi ma ho intenzione di correggere la forma, aggiungere delle parti e toglierne altre (quelle che secondo me non facevano funzionare la storia a dovere!).

A presto!

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