Santa, don’t make me fall in love again

di CedroContento
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Camilla ***
Capitolo 2: *** Lorenzo ***
Capitolo 3: *** Camilla II ***



Capitolo 1
*** Camilla ***


 
 

38. Manca solo una notte a Natale, e Kevin vede qualcuno o qualcosa nascosto nel buio.
 

“Mamma ho visto un’ombra! Hai visto?! Io l’ho visto!” Kevin mi cerca veloce con gli occhi entusiasti, restio a distogliere lo sguardo, anche se solo per poco, dal vetro tappezzato di stelle di carta colorate.
Quando mi scorge alle sue spalle, accanto allo zio, e gli annuisco sorridendo, torna a concentrarsi sull’esterno buio, dove solo la neve, ormai rigida, sbrilluccica alla luce bianca dei lampioni del nostro quartiere tranquillo.
Per un momento mi perdo a guardare i suoi riccioli castani e sento il sorriso morirmi sulle labbra; a soli cinque anni questo è il suo primo Natale senza il padre, il farabutto se n’è andato con un’altra nove mesi fa.
Sento il braccio di mio fratello avvolgermi le spalle, quando alzo la testa su di lui mi sorride ammiccando, so che ha indovinato i miei pensieri, per fortuna, a differenza di mia madre, lui non sente il bisogno di sapere ogni due secondi come mi sento al riguardo.
“MAMMAAA! Questa volta l’ho visto davvero!!!” l’urlo di Kevin che si lancia su di noi ci fa trasalire entrambi. La piccola bestia, in preda all’euforia, comincia a giraci intorno saltellando, per poi tornare alla sua postazione, il nasino premuto sul vetro.
Io non ho visto proprio un bel niente, ma sono certa che mio figlio non abbia viaggiato troppo con la fantasia; il compagno di mia madre ha insistito per vestirsi da Babbo Natale e passeggiare in giardino intorno alla casa.
Improvvisamente Kevin mi si fionda ancora come un treno tra le braccia, questa volta in lacrime.
“Kevin, cosa succede amore?” chiedo preoccupata, chinandomi per guardarlo meglio e temendo già sia riuscito a farsi male in qualche modo, ha un vero e proprio dono per questo.
“Ma- ma- io l’ho visto,” cerca di articolare tra i singhiozzi “Ma…non aveva il sacco! Si è dimenticato tutti i regali!” esplode senza più riuscire a frenare i lacrimoni.
Io e mio fratello ci guardiamo ad occhi sgranati, non ci siamo affatto preoccupati di quel dettaglio. Lui in risposta si affretta a prendere una grande sorsata dal bicchiere di cola che ha in mano, cercando con lo sguardo l’aiuto di Paolo, il suo compagno, che però è troppo affaccendato ai fornelli, o meglio in quel momento a sculettare sulle note di Santa tell me di Ariana Grande, per badare a noi; si è messo in testa di voler fare colpo sulla suocera con le sue doti culinarie, dopo tutto questo tempo non si è ancora reso conto che mia madre lo adora già.
Alla fine l’onere di inventare qualcosa il prima possibile ricade su di me, ma non ho tempo di parlare.
“Come si è scordato i regali? Cazzo, una cosa doveva fare…” esordisce scocciata una voce profonda dal divano.
Fulmino mio fratello, a cui intanto è uscita la cola dal naso con un grande sbuffo, anche se non è stato lui a parlare, è comunque tutta colpa sua.
“Dai andiamo a vedere! Magari l’ha solo lasciato sulla slitta” continua intanto Raffa, alzandosi e infilando il cellulare nella tasca posteriore dei jeans.
Senza degnarmi di uno sguardo, o chiedermi il permesso, Kevin non pensa due volte a lasciare le mie gambe a cui si era stretto e fiondarsi all’uscita all’inseguimento del nuovo migliore amico di mio fratello.
“La giacca!!!” sbraito poco elegantemente, ma i due sono già fuori. “Dovevi proprio portarlo? La sera della vigilia?!” borbotto afferrando una giacca e un cappellino per Kevin prima che si prenda un accidente, e lo attacchi anche a me.
“E dai, è solo lo sai. Come fai a lasciare qualcuno solo alla vigilia?” si giustifica mio fratello, cercando di tamponare la macchia marrone che gli invade il maglione di natale musicale, abbinato a quello di Paolo.
In risposta non faccio che ringhiare, ma so che ha ragione, avrei fatto lo stesso. In famiglia abbiamo sempre sentito molto lo spirito natalizio, colpa di mia madre che sotto le feste perde la testa, va matta per il Natale.
In realtà non è che non sopporto Raffaele, anzi, quando lui è intorno Kevin non ha occhi che per lui, non una volta mi ha chiesto di suo padre, si dimentica che ci ha lasciati. Forse quello che mi duole ammettere è che ha lo stesso effetto su di me. Ma io non posso, non voglio, non voglio innamorarmi mai più e il mio stomaco che si aggroviglia a tradimento quando lo guardo mi disturba enormemente.
Spalanco la porta come una furia. Nella fretta di correre a cercare Kevin per mettergli qualcosa addosso non guardo dove vado e sbatto violentemente contro una schiena massiccia. La giacca di Kevin mi scivola di mano mentre mi afferro il naso dolorante.
“Porca puttana, stai bene?” Raffa si china su di me per capire se mi sono fatta realmente male.
“Non potresti evitare di essere così scurrile quando c’è il piccolo?!” sbotto sbattendo gli occhi per ricacciare le lacrime, approfittandone per sottrarmi al suo sguardo attraente, troppo troppo vicino. “Dov’è?” chiedo più allarmata rendendomi conto che Raffaele era lì solo.
Sorridendo mi indica Kevin in giardino, in braccio a mia madre, avvolto nella giacca di Babbo Natale che conversa con lui, sento la meraviglia nella sua vocina allegra. Subito mi rilasso e non posso fare a meno di sorridere anch’io.
Io e Raffaele rimaniamo così, l’uno accanto all’altra, fermi davanti alla porta d’ingresso. Incrocio le braccia mentre il freddo si infila sotto il mio maglione con le lucine, simile a quello di mio fratello e mio cognato; nonostante il freddo che mi punge la pelle e il naso che ancora pulsa, non posso fare a meno di godermi la tenerezza di quella scena. Dopotutto il primo natale senza il mio ex marito non è così tragico, in realtà è più facile di quanto mi aspettassi.
“Beh io rientro, sto congelando cazzo!”
Mi giro per protestare per l’ennesima parolaccia proprio nel momento in cui Raffa si china su di me. Le sue labbra si posano delicate sulle mie, lasciandoci un bacio stampo. Sorride impertinente prima di rientrare, fa spallucce e con un cenno della testa indica qualcosa sopra di noi. Stordita, ci metto un attimo a realizzare cosa è appena successo, poi mi decido ad alzare lo sguardo. Grande idea quella del vischio davanti alla porta mamma.
 

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Capitolo 2
*** Lorenzo ***


19. Il cenone di Natale prende una brutta piega
 
“Io e vostra madre abbiamo divorziato”.
Le parole del mio patrigno aleggiano sulla tavolata improvvisamente silenziosa.
Istintivamente cerco lo sguardo di Paolo, tentando di elaborare quello che ho appena sentito. Quando i nostri occhi si trovano mi rendo conto che mi sonda preoccupato, il vassoio con gli avanzi di semifreddo all'ananas, che era intento a sparecchiare, si inclina pericolosamente sospeso a mezz'aria, il mio compagno se ne accorge giusto in tempo. Ma il danno più grande ormai è fatto. La pena che gli ho letto nello sguardo mi ha innervosito ancora di più, non sopporto di sentirmi una vittima, Paolo lo sa bene, ma non è stato abbastanza veloce a dissimulare i suoi pensieri.
Mia sorella è più veloce di me a rispondere.
“E giustamente avete pensato che la Vigilia di Natale fosse il momento più ideale per informarci” commenta secca, scostando la sedia pronta ad alzarsi.
“No, infatti non era in programma, giusto Ivano?” interviene mia madre rimproverando l'ormai ex consorte. “Non avevamo deciso di aspettare almeno dopo le feste? Cami ti prego rimani qui...”
Mia sorella alza una mano dando ad intendere che non ascolterà oltre. Io intanto, ancora incapace di reagire, come in trance, la guardo rannicchiarsi sul divano accanto a Kevin che guarda i cartoni. Si stringe a lui guardando a sua volta lo schermo, mentre Kevin le spiega qualcosa che però non colgo. Camilla sorride e annuisce distratta, i suoi occhi vuoti tradisco la mente altrove.
“Non volevo più continuare con questa farsa Rosa, non posso più mentire. Mi rendo conto che non è il tempismo ideale...ma cavoli sono settimane che dovremmo dirglielo Rosa! Temporeggi sempre!”
Ho sentito abbastanza, non riesco a tollerare di rimanere in quella stanza un'istante di più.
“Lore...cerca di capire” sento mia madre implorare alle mie spalle.
Spalanco la porta che dà sul porticato esterno e inspiro a gran polmoni l'aria umida e fuligginosa di quella notte invernale. Non posso credere che i miei, alla loro età, si siano fatti venire in mente una sciocchezza del genere, dopo venticinque anni insieme, in cui Ivano è diventato come un padre per me tra il resto.
Sospiro pesantemente cercando di calmarmi; la fumera del mio respiro, condensato a contatto con l'aria gelida, mi avvolge. Il finale perfetto per un anno terribile, commenta una vocina sarcastica nella mia testa. Per quanto imperfetta la nostra famiglia è sempre stata unita, poi a Fabio viene la brillante idea di lasciare mia sorella per l'amante, e ora questo.
Mi appoggio alla balaustra stringendo il legno ormai provato dalle intemperie, ignoro le schegge che sento pungermi le mani e infilarsi fastidiosamente sotto la pelle.
“Toc Toc”
Non mi giro verso Paolo e lui non aspetta di sapere se mi va di parlare, mi si avvicina per avvolgermi le spalle in un cappotto e poi mi guarda, in attesa.
“Non posso crederci. E Cami... era già abbastanza in difficoltà così” scuoto la testa.
“Camilla è più forte di quanto tu non pensi, se la caverà” dice Paolo cercando di catturare i miei occhi, che ostinatamente tengo bassi. “Le saremo accanto noi, io e te” dice afferrandomi delicatamente il mento vedendo che non cedo.
“E poi se vuoi saperlo… prima che venissi a cercarti ho lasciato un certo Raffa in salotto con lei, e non credo fosse interessato a Frozen” aggiunge sorridendo furbescamente.
La sua ilarità mi contagia nonostante tutto, Paolo ha sempre avuto il dono di riuscire a mettermi di buon'umore in qualsiasi situazione, uno dei motivi per cui lo amo così tanto.
“Sai, volevo aspettare domani in realtà, ma magari salverà questa serata assurda” comincia estraendo un piccolo pacchetto quadrato incartato con cura.
Quando me lo porge mi prendo un attimo per godermi la bellezza di quell’incarto. La carta da regalo natalizia e i nastri rossi e verdi perfettamente abbinati, quasi mi spiace aprirlo, nel fiocco ha addirittura incastrato un piccolo bastoncino di zucchero. Ma lo sguardo di Paolo pieno di aspettativa mi fa decidere a togliere lo scotch, cerco comunque di preservare quel piccolo capolavoro. Quando apro la scatolina di velluto rimango di sasso, contiene una chiave.
“Ho trovato un appartamento più grande, per noi, ho venduto il mio,” mi spiega sorridendo raggiante. “Pensavo che dopo tutti questi anni siamo pronti, io sono pronto a fare il prossimo passo” ora vedo che cerca di decifrare ciò che penso, ma non lo so neanche io.
Non riesco a distogliere lo sguardo dalla scatoletta aperta sul mio palmo “Paolo io...” forse anche questo cambiamento, almeno oggi, è troppo, decisamente troppo. “Non so cosa dire” ne concludo.
La mia reazione poco entusiasta finisce per spegnere il sorriso di Paolo, il regalo mi viene strappato di mano bruscamente.
“Ho capito...” dice, ora è lui a sfuggire il mio sguardo.
“Possiamo parlarne domani? Io non ce la faccio, non sono lucido, mettiti nei miei panni”.
“Si, si ne parliamo domani, ho sbagliato io” dice Paolo affrettandosi a tornare dentro, non mi sfugge il modo in cui sbatte troppo spesso le palpebre, mi sento uno schifo per averlo ferito, ma non lo fermo, ho bisogno di stare solo.
“Grandioso” mi complimento con me stesso. 

 

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Capitolo 3
*** Camilla II ***


 
 
 
"And I want to believe you
When you tell me that it'll be okay
Yeah I try to believe you
Not today, today, today, today, today

 
Tomorrow it may change"

(Tomorrow, Avril Lavigne)

 
 



48. Camilla si ritrova a chilometri da casa, in mezzo alla neve e con l’auto in panne.

 
“No…no-no-no-no-no-no! Non fermarti!” supplico inutilmente la mia macchina. Non è possibile, anche lei ha deciso di abbandonarmi, finirà mai questo anno di merda?
Alzo appena la testa, il tanto che basta per sbuffare in direzione del cofano che fuma nella notte; ho avuto giusto il tempo di accostare in una piazzola, in mezzo al nulla e il buio più assoluti. Nel fascio di luce dei fari, ancora accesi, vedo i fiocchi di neve diventare sempre più giganti e ora arriverà un serial killer dal bosco, me lo sento.
“E dai!” incoraggio la mia utilitaria, girando con ostinazione, ma senza alcun successo, la chiave, nel disperato tentativo di riavviare il motore. Niente, è morta, alla fine si spengono anche le luci. Ora sono al buio.
Sconfitta dalla vita appoggio la fronte al volante, poi, già sull’orlo delle lacrime, comincio a frugare nella mia borsa alla ricerca del dannato telefono, maledicendo ogni singolo membro della mia famiglia.
In cima alla lista ci sono: mia madre, per aver lasciato Ivano e aver deciso di passare il resto delle feste da sua sorella, mia zia, dove ho dovuto accompagnarla la sera di Natale sotto la neve, e io odio guidare con la neve; subito dopo mio fratello, ancora arrabbiato con lei per questo divorzio, che si è rifiutato di passare due ore chiuso in macchina con lei -non che avesse torto- e ha almeno avuto la decenza di tenermi Kevin.
Al terzo tentativo di chiamata fallito i miei nervi cominciano ad essere decisamente provati.
“Oh grazie al cielo! Lore si può sapere perché non mi hai risposto?!” esclamo sollevata quando finalmente mi richiama. “Ho bisogno di te! La mia macchina si è fermata, non so cos'ha, esce fumo da davanti, non esploderà vero?” dico praticamente senza prendere fiato.
“Ehm Cami... non ti allarmare, ma non posso venire,” comincia mio fratello cauto. Conosco quel tono, non promette nulla di buono.
“Siamo all'ospedale,” confessa infatti subito dopo “Kevin sta bene!” si affretta ad aggiungere, e per fortuna perché credo di aver avuto un principio d'infarto.
“Come all'ospedale?! Cosa è successo? Tu e Paolo state bene? Parla Lore!!!”
“Se mi lasci parlare ti racconto!” borbotta infastidito mio fratello dall'altra parte dell'apparecchio, con una faccia tosta che mi fa serrare i denti per fermare gli improperi che ho proprio sulla punta della lingua.
“Siamo andati a pattinare, Paolo ha insistito, lo sai com’è...” racconta contrariato.
“Tu non sai pattinare” constato appoggiando ancora una volta la fronte al volante, sempre più sconfortata.
“Infatti. Mi sono rotto una gamba. Dovrai chiamare un carro attrezzi.”
“La sera di Natale?! Mi costerebbe un occhio della testa! Sono in mezzo al nulla più totale!” dico aggrappandomi al telefono disperata, sento le lacrime calde cominciare a bagnarmi le guance.
È tutto un incubo, adesso mi sveglierò e sarà tutto a posto. Fabio non mi avrà lasciata, mia madre e il mio patrigno non avranno mai divorziato, Lore non è ricoverato all’ospedale azzoppato e mio figlio non è con Paolo - oddio spero sia con lui - chissà dove.
“Cami, non ti aiuterà piangere” mi rimprovera mio fratello. “Senti mi è venuta un’idea! So chi può venirti a prendere, appena metto giù mandami la posizione dal telefono che ci penso io, ok?”
Ci penso io, mancava solo questa. “Ok” borbotto, non che io abbia molta scelta.
***
Arriva Raffa.
Non so quante volte ho riletto queste due parole nella mezz’ora appena passata. Odio me stessa perché appena Lore mi ha avvisata il mio cuore ha fatto un salto, il mio primo stupido pensiero è stato quello di darmi una rinfrescata al trucco. Il trucco cazzo. Sto diventando mia madre.
Passano circa 40 minuti quando intravedo due fari spezzare il buio e una Jeep farsi cautamente strada sull’asfalto ghiacciato. A questo punto ormai mi sento un’adolescente al suo primo appuntamento.
“Signorina, ha chiamato lei un Uber?” scherza Raffa scendendo dalla sua auto, avvicinandosi ad esaminare la mia.
“Molto divertente” brontolo, sbattendo troppo violentemente lo sportello. Devo darmi una calmata.
“Forza sali, starai congelando, da quanto sei qui?”
“Ma non gli dai neanche un’occhiata?” chiedo sorpresa, ormai assolutamente sicura che Raffa avrebbe aperto il cofano, che per fortuna almeno non fuma più, e risolto il problema da bravo cavaliere in mio soccorso.
“Sono un ingegnere non un meccanico,” fa spallucce. “E in ogni caso non credo che riusciremmo più ad uscire da quella piazzola” aggiunge, indicando con un’occhiata allusiva le ruote della mia macchina, ormai coperte per metà da un denso strato di neve, non ha smesso un secondo di fioccare.
Sbuffo, ma so che Raffa ha ragione. A questo punto anche se riuscissimo a mettere in moto sarebbe impossibile uscire con la mia citycar da quella piazzola senza spalare via la neve che si è accumulata, e io non ho una pala da neve nel cofano. Mi arrendo a recuperare tutte le mie cose e seguire il mio autista a bordo del suo SUV, anche perché comincio decisamente a congelare.
Un verso di sollievo mi scappa appena prendo posto sul sedile del passeggiero, è uno di quelli riscaldati. Chiudo gli occhi e mi lascio coccolare dal calore, facendomi una nota mentale di farli mettere sulla prossima macchina che comprerò, acquisto che effettivamente temo di aver rimandato già troppo.
Siamo ormai sulla via del ritorno da circa cinque minuti quando mi decido a riaprire gli occhi. La macchina di Raffa è ordinatissima oltre che pulitissima, decisamente molto più della mia. Un cd fuori posto attira la mia attenzione.
“Ah, questo scommetto che è di una ex” commento prendendo in mano Let Go, pentendomi della mia considerazione un istante dopo. Fortunatamente nell’oscurità dell’abitacolo Raffa concentrato com’è sulla strada non può vedermi diventare bordeaux, ma si mette a ridere.
“No, ammetto molto virilmente che quello è mio”
“Non hai la faccia di uno che ascolta Avril Lavigne,” dico inserendo il cd nel lettore. “Non so quanti anni sono passati dall’ultima volta che ho sentito questo CD, più di quindici sicuro”.
“Io ero innamorato perso di lei, e per la cronaca ero un vero sk8boy” mi confida sorridendo. “I was so alloooone yeeeeah!” intona poi, in uno stonatissimo falsetto che mi strappa una risata, la prima della giornata.
“Caspita il Mc è aperto, anche a Natale,” commento quando passiamo davanti ad un fast food. “Cosa fai?” chiedo quando Raffa svolta per entrare nel parcheggio.
“Beh ora di cena è passata da un pezzo, io ho fame e scommetto che neanche tu hai mangiato, o c’era un ristornate gourmet in quella piazzola che non ho notato?”
Non c’era, ed effettivamente anch’io ho fame.
“È così che conquisti le ragazze? Portandole al McDonald’s?”
“No, di solito cadono ai miei piedi quando intono per loro delle belle serenate” dice strizzandomi l’occhiolino.
Cerco di non pensare a quanto è svoltata la mia giornata in poco meno di mezz’ora in compagnia di Raffaele. Erano anni che non sentivo quella sensazione, quella piacevole ansia da prime uscite; lo stomaco aggrovigliato, l’imbarazzo mischiato al piacere di stare insieme. Ed è proprio questa sensazione a mandami improvvisamente nel panico.
Non potrei affrontare ancora una volta ciò che invece viene dopo. Io che cambio per accondiscendere lui, che soffoco me stessa, l’odio di quando mi guardo allo specchio e mi rendo conto di essere diventata qualcuno che non riconosco, le liti dopo aver accumulato tanta frustrazione.
Sto bene da sola, ho il mio equilibrio, il mio spazio; io e Kevin non siamo mai stati tanto sereni da quando siamo solo noi, sono di nuovo padrona di me stessa, del mio tempo. Non voglio un altro uomo nella mia vita, non lo voglio e basta, chicchessia, non sono disposta a far posto a nessuno.
“Forse è meglio tornare a casa, non mi va di fermarmi, voglio vedere Kevin,” comincio a dire prima ancora che Raffa abbia il tempo di aprire lo sportello.
Lui in risposta si gira e mi scruta con attenzione, con quei suoi occhi di ghiaccio, senza mostrare segni di sorpresa, quasi riuscisse a leggermi nel pensiero. Mi sento messa a nudo sotto quello sguardo.
“Camilla, tu mi piaci. So che ti piaccio anch’io, non ho nessuna intenzione di restare in disparte, se non sei pronta a fare sul serio aspetterò, ma non starò in disparte,” spiega pacato e risoluto, disarmante. “E ora muovi il tuo bel culo e a Kevin porteremo un Happy Meal, vedrai come si dimentica che sei stata via questi venti minuti in più”.
“Ma che…” interdetta non so neanche cosa rispondere a questa uscita. Anche se trovassi qualcosa di abbastanza decente per controbattere, per difendere il mio punto di vista, non ne avrei il tempo. Raffa non aspetta una mia risposta, è sceso e si fa strada, a testa bassa, tra la neve che cade fitta e insistente, verso l’entrata del fast food.
“Pazzesco” commento tirandomi in testa il cappuccio impermeabile della giacca, preparandomi a seguirlo mio malgrado. “Pezzesco!”
 

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