Una Studentessa in Erasmus

di chiara_beri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'avventura ha inizio ***
Capitolo 2: *** Lavoro e amicizia ***
Capitolo 3: *** Presentazioni e conoscenze ***
Capitolo 4: *** Incontro fortuito ***
Capitolo 5: *** Turista per un giorno ***
Capitolo 6: *** Primo appuntamento ***
Capitolo 7: *** Un altro punto di vista ***
Capitolo 8: *** Felicità ***



Capitolo 1
*** L'avventura ha inizio ***


Ed eccomi qui, davanti all’Università Nazionale di Seoul. 
Sono Chloe Rinaldi, ho 23 anni e uno dei miei più grandi sogni si sta per avverare. Il mio anno di studio all’estero sta per cominciare. 
Ho lavorato tanto, faticato ancora di più per arrivare fino qui. "È stata dura, ma ce l'abbiamo fatta" della serie: pubblicità scadenti e dove trovarle. 
È il 30 Agosto e sono qui davanti al campus anche se manca ancora una settimana all'inizio delle lezioni e sono appena arrivata a Seoul. 
Devo ancora andare a lasciare la valigia e poi dovrò fare subito un po' di spesa, giusto per non morire di fame, e comprare un paio di cose per il miniappartamento che ho preso in affitto. Avrei preferito la residenza universitaria onestamente, per conoscere un po' più di persone, ma tutti i posti per stranieri sono occupati. 
 
Rimango per una buona decina di minuti a fissare l'Università, poi mi riprendo e mi avvio verso il minimarket per fare la spesa. 
Adoro i minimarket di Seoul. Sono super piccoli ma hanno dentro una quantità di cose che nessuno si immaginerebbe mai se non lo sapesse: da cose normalissime di prima necessità alle cose più inutili e assurde di questo mondo. Sono piuttosto incasinati e confusionari ma, alla fine, hanno un loro ordine e si riesce a trovare tutto ciò che serve. Inoltre, non hanno prezzi eccessivi. 
 
Passeggiando per la città mi rendo conto di adorarla già. È molto diversa da Milano, ma anche molto simile. L'aria è quella di città ma allo stesso tempo gli odori sono completamente differenti. Si sente aroma di carne alla piastra, soju e davanti alle caffetterie il profumo è dolce. Le persone sono serie ma allo stesso tempo sembrano abbastanza rilassate. Gli studenti si affrettano a tornare a casa per studiare e i lavoratori passeggiano tranquilli godendosi la fine della giornata. Chiacchierano con i colleghi o parlano al telefono. 
È pieno di edifici super moderni ma agli angoli si possono trovare dei gazebo con tavolini dove colleghi e amici si ritrovano per cenare e bere soju, discutere e chiacchierare. 
È tutto, in qualche modo, armonioso. 
Appena le luci del giorno scompaiono, si accendono le luci delle strade, delle case e dei negozi. Tutto acquista un'altra prospettiva. 
Sarà perché sono abituata alle scene in stile Drama, ma nonostante il via vai del giorno che risulta molto serio e professionale, la sera Seoul mi sembra molto romantica. 
Faccio la mia spesa e torno nel mio miniappartamento. Ha una camera da letto a cui dovrei riuscire ad aggiungere una mini-scrivania con libreria annessa, un piccolo bagno ma, per fortuna, con doccia (non a pavimento ma con un vero e proprio piatto doccia), e un cucinino con tavolo da pranzo. È piccolina ma diventerà super carina e poi sarà il mio posto sicuro per il prossimo anno. 
Già mi manca la mia famiglia e non sono sicura che per il prossimo anno riuscirò a vederla. I biglietti per e dalla Corea sono piuttosto costosi e il volo dura molte ore. 
In ogni caso, Seoul per ora mi sta piacendo davvero molto anche se sono appena arrivata. 
Apro la porta di casa, poso le borse della spesa sul tavolo della cucina e comincio a mettere a posto. Poi cucino qualcosa di veloce e ceno tranquilla. 
Quando mi stendo sul letto, comincio a guardare il soffitto con un sorriso ebete e poi, come un treno che salta la fermata in una stazione, mi ricordo di una cosa: ho tutti gli scatoloni da disfare e le cose ancora da sistemare. Così metto un po' di musica e comincio a riordinare canticchiando e, senza rendermene conto, sono le due del mattino. Mi preparo per dormire e, dopo aver controllato se c'è in zona un noleggio auto, do la buonanotte sul gruppo famiglia e vado a dormire.
 
Come si dice, il buongiorno si vede dal mattino… mi sveglio con i cani dei vicini che abbaiano come se non ci fosse un domani (probabile vendetta visto che ho canticchiato e fatto rumore fino alle due del mattino) e con un mal di testa lancinante. Guardo l'ora, sono le 11! È tardissimo e ho una marea di cose da fare. 
Per cercare di sistemare la giornata, faccio una buona colazione con caffè (rigorosamente della moka, anche se quando studio lo bevo anche americano) e pane con burro e marmellata. Dopodiché, prendo un'aspirina con la speranza che il mal di testa mi passi velocemente. 
Ormai è tardi per andare a noleggiare la macchina e recarmi a prendere i mobili, quindi faccio un po' di cose a casa: cerco i libri per l'università online e li compro e mi iscrivo ad un sito per cercare un lavoro part-time. Ho messo un po' di soldi da parte lavorando in Italia per finanziare questo Erasmus ma non riuscirò ad andare avanti un anno intero. 
Arriva mezzogiorno e decido di uscire a fare un giro così m'infilo un paio di jeans, una camicetta leggera e delle scarpe comode ed esco pronta per godermi una bella giornata a Seoul. 
Lungo la strada trovo una libreria e mi ci infilo subito per cercare un libro carino da leggere ed esco con ben tre volumi alti quanto 'Il Signore degli Anelli': un fantasy, un romanzo storico e una biografia sulla regina Myeongsong (che viene spesso paragonata all'Imperatrice cinese Cixi), ultima monarca di Corea. 
Dopo il giro in libreria, decido di andare a mangiare qualcosa e, così, arrivo in un ristorante moderno ma tranquillo e con piatti tradizionali. Come design sembra molto il ristorante di una catena americana di fast food. 
Mi siedo ad un tavolo e ordino il jajangmyeon, noodles con salsa di fagioli neri, carne e verdure e qualche contorno. Lo adoro. È super gustoso ma anche relativamente semplice come piatto. 
Mentre aspetto che la mia ordinazione arrivi, riguardo i libri appena comprati e poi prendo il cellulare per vedere che cosa fare dopo e giungo alla conclusione che, per oggi, mi limiterò ad un giro in centro ma presto farò un giro da vera turista organizzato nei minimi dettagli. 
Arriva il piatto e me lo gusto con calma con un sottofondo di musica coreana. Per ora mi sembra tutto così tranquillo e il cibo è a dir poco divino. 
Una volta finito di pranzare, torno al mio giro con le cuffie rigorosamente nelle orecchie. 
 
Passo il pomeriggio a entrare e uscire dai negozi. Compro l'ennesima cover per il cellulare, l'ennesimo prodotto skincare che voglio assolutamente provare e prenoto la macchina elettrica per domani. 
Mentre cammino continuo a guardarmi intorno osservando negozi super carini, ragazzi stupendi e vestiti super eleganti. E in più la speranza di vedere da lontano un personaggio famoso è tanta. 
Mentre cammino, all'improvviso, comincia a diluviare e, ovviamente, l'unica cosa che non ho preso da casa stamattina è l'ombrello e nessuno sembra venderne nel giro di qualche metro. Che gioia. A Milano, nelle vie del centro, ti vendono non solo ombrelli ad ogni angolo ma anche calzini. 
In lontananza vedo una caffetteria e così comincio a correre in quella direzione sperando che sia aperta. Entro di corsa e chiedo scusa perché sono bagnata come un pulcino. La ragazza che serve dice che non c'è problema e mi fa sedere andando a prendermi anche un asciugamano. 
Ordino un bubble tea caldo e spero che finisca presto di piovere. Arrivano le 20 e ancora sta piovendo alla grande e comincio a pensare di prendere un taxi per il ritorno. Doveva per forza finire così la giornata. 
«Dove abiti più o meno?», mi chiede la ragazza che mi ha servita prima con un sorriso gentile. 
«A venti minuti dall'Università Nazionale», rispondo senza capire bene il perché della domanda. 
«Qui fuori ho la macchina, se vuoi ti accompagno a casa. Non smetterà di piovere molto presto». 
La guardo un po' stranita e poi dico: «Ma no, tranquilla. Stai lavorando e poi non mi conosci». 
«Ho appena finito il mio turno a dire la verità - si gira e indica un ragazzo che è subentrato al suo posto dietro al bancone - per cui sono libera. E, a dirla tutta, non mi sembri proprio una serial killer», aggiunge scherzando. 
Scuoto la testa e le dico che non c'è bisogno, non la voglio disturbare ma lei insiste ancora e, alla fine, accetto. Va a prendere le sue cose nello spogliatoio del personale e poi usciamo insieme. 
«Innanzitutto mi presento, sono Park Jieun», dice la ragazza mentre saliamo in macchina. A mia volta mi presento e allaccio la cintura. 
«Che cosa ti porta nella Corea del Sud?»
«Sono venuta qui per fare il mio anno di studio all'estero. L'obiettivo è imparare meglio il coreano e, oltre a quello, avrò materie simili a quelle che faccio in Italia», le rispondo cordialmente. È strano parlare in coreano. A volte non mi vengono subito le parole per ora e ci devo pensare un attimo su. Devo prenderci la mano. 
«Ah, bello. Comunque, che cosa studi in Italia?», chiede incuriosita. 
«Relazioni Internazionali. L'obiettivo sarebbe la diplomazia». 
«Molto interessante. Ah, comunque il coreano lo parli già piuttosto bene. In ogni caso, se non ti vengono delle parole puoi dirmele direttamente in inglese». 
La ringrazio per il complimento e per la semplificazione nel parlare, ma voglio cercare di parlare coreano il più possibile prima di iniziare l'università, così poi non avrò troppi problemi a seguire le lezioni e a chiacchierare con gli altri studenti.
Piove ancora tantissimo e, quando stiamo in silenzio, guardo fuori dai finestrini. Park Jieun per sicurezza sta andando piuttosto piano, anche perché non si vede quasi nulla. 
«Invece tu che cosa fai?», le chiedo timidamente dopo qualche momento di silenzio. 
«Lavoro nella caffetteria di famiglia, dove ci siamo incontrate prima, e faccio la tutor per i ragazzi che devono fare i test d'ammissione all'università». 
Si, qui in Corea sono pazzi. Fanno corsi assurdi apposta per entrare nelle migliori università, cosa che può definire il volgere della loro vita sia lavorativa che personale. 
Rimaniamo ancora un po' in silenzio e poi, partendo con voce bassa, le dico: «Non avrei mai sperato di trovare subito una persona gentile come te. Mi ha fatto molto piacere e ti ringrazio davvero tanto per questo passaggio in auto. Prima, per un momento, stavo andando davvero verso lo sconforto più totale. Qui è tutto completamente nuovo e non sapevo assolutamente che cosa fare se non chiamare un taxi, ma in ogni caso non sapevo né dove e né come fare». 
Mi sorride gentilmente continuando a stare attentissima alla strada. 
«Non offro passaggi a chiunque - dice scherzando - Devo ammettere che mi sembravi molto disorientata e quindi mi è sembrato naturale offrirti un aiuto. Comunque basta ringraziarmi, penso che tu avresti fatto la stessa cosa». 
Annuisco e ci sorridiamo a vicenda. 
Mi godo il ticchettio della pioggia sulla macchina e osservo la città che scorre. Mi rilasso sentendo il calduccio del climatizzatore e non vedo l'ora di arrivare a casa per asciugarmi i piedi che stanno navigando nelle scarpe. 
 
Arriviamo davanti a casa e, per ringraziarla le offro di rimanere a cena. 
«Accetto molto volentieri», dice in risposta. 
Decidiamo di ordinare qualcosa visto che non sono molto fornita di cibo. 
Nell'attesa chiacchieriamo e colgo l'opportunità per chiederle se conosce qualcuno che cerca personale di qualsiasi tipo. 
«Ti dovrei confermare domani o nei prossimi giorni, ma forse ti posso dare un posto part-time nella mia caffetteria. Il ragazzo che hai visto tra poco se ne va e quindi sarò di nuovo sola. Dei turni li abbiamo insieme e, se vuoi, ti posso dare dei turni in più in base alle tue possibilità. Gli orari sono flessibili e ci possiamo comunque mettere d'accordo». 
«Sarebbe fantastico», le dico subito. 
«Perfetto, allora nei prossimi giorni ti faccio sapere». 
Arrivano le ordinazioni e mangiamo con gusto. Il posto me lo ha consigliato Park Jieun e direi che è approvato. È tutto super delizioso. 
Ceniamo con calma tra chiacchiere varie e, una volta finito di mangiare, ci salutiamo. 
«Grazie ancora per il passaggio», le dico sulla soglia. 
«Figurati. Ti accompagnerei anche domani per i mobili ma ho il turno in caffetteria e poi come tutor e poi di nuovo in caffetteria. Però domani fai un salto se puoi, così ti dico con certezza se il posto è libero oppure no». 
«Va bene, cercherò di passare ma sul tardi come oggi, circa». 
Annuisce e ci salutiamo. 
Chiusa la porta, sistemo le ultime cose che abbiamo lasciato in cucina e poi vado in camera da letto dove prendo il mio diario e scrivo della giornata appena trascorsa e del nuovo incontro. 
Dopo aver scritto tutto per filo e per segno mi addormento rilassata e felice. La giornata non è iniziata benissimo ma è finita molto bene e, dopotutto, ne sono soddisfatta. Magari ho trovato anche un lavoro e un'amica. 
 
Nota dall'Autrice: 
Eccovi il primo capitolo di "Una studentessa in Erasmus ". 
Vi svelo un segreto: è una Fanfiction. Perché? Beh, c'è davvero una lunga storia dietro che coinvolge uno spiacevole fenomene: il blocco dello scrittore (scrittrice nel mio caso). 
Grazie a questa Fanfiction, dopo anni di inattività, sono riuscita a sbloccarmi e ho pensato di rendere pubblico questo mio scritto per ricevere anche dei Feedback e ritornare in pista più attiva che mai. 
Grazie per aver letto questo capitolo e ci rivediamo qui lunedì prossimo con il secondo!

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Capitolo 2
*** Lavoro e amicizia ***


Driiin, driiin. 

Mi sveglio con il dolce suono, si fa per dire, della sveglia del mio cellulare. Mi alzo con calma e con il sorriso stampato sulle labbra. Dopo l'incontro di ieri mi sento un po' più a casa, meno disorientata da questa città a me completamente nuova. 
Preparo la mia super colazione: un buon caffè e fette biscottate con burro e marmellata. Mentre mangio, scrivo anche il programma della giornata: andare a comprare gli ultimi mobili per la casa e poi passare da Park Jieun per il lavoro. 
Dopo aver mangiato, riordino un po' e poi mi vesto per uscire. Prendo a noleggio la macchina elettrica per una mattina e comincio il mio giro di commissioni: mi reco in quattro negozi diversi per trovare una scrivania componibile che vada bene e poi compro anche qualche aggeggio, un set di pentole e altre piccole cose che mi servono per tutti i giorni. Infine, passo a prendere un regalino a Park Jieun per ringraziarla nuovamente della sua gentilezza. 
Terminate le compere, verso l'ora di pranzo, torno a casa e scarico tutto per poi riportare la macchina al noleggio auto. Una volta tornata all'appartamento, mi preparo un pranzo veloce, salmone e verdure in padella, e nel mentre guardo bene l'orario universitario. 
Questo semestre ho tre lezioni, quindi una media di 3/4 ore settimanali per ognuna e, in aggiunta, devo scegliere un Club per le attività extracurricolari per cui posso avere dei crediti extra. Ho tempo fino a lunedì per scegliere tutto, quindi mi posso prendere tranquillamente un pomeriggio per valutare ogni cosa. 
Metto via il mio blocchetto delle cose da fare, finisco di pranzare e poi sistemo i piatti e le cose appena comprate. Monto la scrivania, che ci sta a pelo, sistemo le pentole nuove e gli altri acquisti e, infine, faccio il pacchettino al regalo per Park Jieun. 

Esco di casa verso le cinque e mezza del pomeriggio e, fortunatamente, arrivo alla caffetteria che non c'è molta gente, quindi posso parlare tranquillamente con Park Jieun. 
«Ciao», la saluto appena entro trovandola al bancone a fare dei conti. Alza la testa e, con un sorriso, mi saluta facendomi cenno di avvicinarmi. 
«Sei arrivata al momento giusto. Non c'è mai molta gente a quest'ora», mi dice una volta che l'ho raggiunta. 
Ordino un bubble tea e ci sediamo ad un tavolino a parlare. 
«Dunque, il ragazzo mi ha confermato che dalla settimana prossima non ci sarà più, quindi c'è un posto vacante. Tu quando saresti disponibile per i turni?», mi chiede subito. 
«Ho 12 ore circa di lezione a settimana, quindi ho molti buchi ma ancora non ho l'orario preciso». 
«Va bene, non importa. Appena ce l'hai ci mettiamo bene d'accordo. Nel frattempo, ti va di fare qualche giorno di prova questa settimana?» 
«Si, va benissimo», e almeno carburo un po' prima di fare anche i turni da sola.
«Benissimo, allora se vuoi, puoi cominciare anche domani mattina dalle 8:30 alle 14:30 e vediamo come va». 
Annuisco energicamente. Non vedo l'ora. 
Finito l'argomento "lavoro", cominciamo a chiacchierare di altro e colgo l'occasione per consegnarle il pensierino che ho acquistato in giro. 
«È una scemenza ma mi sembrava super carino al momento dell'acquisto», dico rendendomi conto che un portachiavi, anche se raffigurante un unicorno carinissimo, non è la cosa migliore per ringraziare una persona che non conosco ma che mi ha aiutata così tanto. 
«Grazie mille!», esclama Park Jieun una volta scartato il regalino. Spalanco gli occhi, mi ha colta di sorpresa perché sembra davvero sincera. Di solito si vede subito quando un regalo non è del tutto gradito. 
In risposta le sorrido anche se un po' mi vergogno della scelta che, al momento, mi sembrava la più azzeccata. 

Alle 19.30, Park Jieun finisce il turno e decidiamo di fare un giro e fermarci a cena fuori. Camminando mi mostra delle parti di Seoul che da sola non avrei mai beccato e chiacchieriamo, senza interruzioni, del più e del meno scoprendo un sacco di cose l'una dell'altra: lei ha un nonno con una piantagione di aglio dietro casa e i suoi genitori lavorano come operatori televisivi, non ha molti amici ma quelli che ha sono molto importanti per lei (caratteristica che condivido) e le piacciono molto i k-Drama (altra cosa che condividiamo e per niente scontata). 
Io le racconto che i miei genitori hanno una libreria a Milano, che non sono figlia unica ma ho una sorella più piccola di me di 3 anni. Le spiego da dove è nato il mio desiderio di studiare in Corea del Sud e tutto il resto. 
Alla fine, giungiamo ad un punto cruciale: i gusti in fatto di ragazzi. Il mio tipo sono uomini come: Ji Changwook, Lee Minho, Jongkook dei BTS. Ovvero tipi dai tratti decisi ma con lineamenti dolci e armoniosi. Lei preferisce soggetti più come: Lee Jongsuk, Kim Myungsoo e Kim Woobin dallo sguardo affilato (epiteto cortesemente aggiunto da me medesima per cui Park Jieun ha riso per dieci minuti buoni). 
«Direi che, per fortuna, non abbiamo gli stessi gusti», afferma Park Jieun ridendo. 
«Vero», rispondo ridendo a mia volta. 
È parlando di questo che, tra una risata e l'altra, mi scontro con un ragazzo, o meglio, con un mezzo gigante. Quasi un metro e novanta di essere umano. 
Istintivamente mi inchino, come si fa qui in Corea, e chiedo scusa ma quando mi rialzo mi ritrovo davanti un tipo estremamente inquietante con: cappello, occhiali da sole scurissimi (e ormai è buio) e mascherina nera. Anche gli abiti sono neri e ha il cappuccio della felpa sopra il cappello. Giusto per restare nel personaggio, ha uno sguardo torvo, per quanto riesco a vedere, in ogni caso dalla tensione che si sente non sembra molto contento. 
Alle mie scuse risponde con un profondo: «Vedi di stare più attenta la prossima volta», e il tutto mentre si gira e ricomincia a camminare. 
«È tutto a posto?», mi chiede Park Jieun. Io riprendo a respirare e le rispondo che va tutto bene. 
«Certo che era un tipo strano, abbastanza inquietante. Tra l'altro ti ha risposto in modo molto sgarbato, mica lo hai fatto apposta», aggiunge indignata.
Nonostante l'incontro spiacevole, ci mettiamo poco a riprendere le nostre chiacchiere da dove le avevamo lasciate. 

Solo tornata a casa mi ritorna in mente il ragazzo contro cui mi sono scontrata e non so perché ma mi ricorda qualcuno. La voce richiama qualcosa nella mia mente perché era molto profonda e anche molto familiare come se l'avessi già sentita un'infinità di volte. 
Per cercare di non pensarci troppo, mi siedo sul letto e mi metto a guardare qualcosa con la convinzione che tanto se cerco di dormire ora sicuramente non ce la faccio.
Accendo la tv e mi ritrovo una puntata di un Drama con Lee Minho: "Legend of the Blue Sea", uno dei primi episodi. Andando avanti con la visione sento la voce di Lee Minho e, automaticamente, penso al ragazzo contro cui mi sono scontrata. Che cosa strana. 
Per togliermi il pensiero che mi martella in testa, scrivo un messaggio a Park Jieun: "Che strano. Sto guardando The Legend of the Blue Sea e la voce di Lee Minho assomiglia tantissimo a quella del tipo strano di prima". 
Dopo poco mi arriva la risposta: "Cavolo, hai ragione. Ma penso che sia abbastanza improbabile che sia lui il tipo contro cui ti sei scontrata perché era davvero scorbutico".
Una volta mandato un messaggio in cui auguro a Park Jieun di dormire bene, decido che è ora di non pensare più a questa storia e di mettermi a nanna, domani ho il mio primo turno in caffetteria. 

Mi sveglio alle 7 e ripenso ancora a quella voce così particolare ma poi, tra colazione e inizio del turno di lavoro, smetto e mi passa totalmente di mente. 
Park Jieun mi insegna il funzionamento di ogni singola macchina e la preparazione per le bevande principali. 
«Poi piano piano le imparerai tutte. Non c'è fretta e se hai bisogno sono qui», mi dice per poi andare a prendere delle scorte di latte e di perle di tapioca nella dispensa.
Servo le prime ordinazioni con un po' di sana ansia e con molta attenzione ma, presto, le preparazioni diventano abbastanza automatiche e comincio a rilassarmi. L'unica cosa che non diventa normale sono io che servo. I clienti, appena mi vedono, hanno un'espressione strana o stupita, non so bene ed è una cosa che mette abbastanza a disagio. 
Esprimo questo sentimento a Park Jieun.
«Tranquilla, è normale. Non si vedono molti europei che lavorano nelle caffetterie o, più in generale, in giro. Ma, comunque, presto non ci faranno più caso perché si abitueranno a te e si renderanno conto che non sei un qualche tipo strano di alieno». 
Sorrido alla battuta e mi tranquillizzo un po' continuando a servire. 
Senza che me ne renda conto arrivano le 14.30 e il ragazzo che sostituirò dalla prossima settimana prende il posto mio e di Park Jieun. 
Uscite dalla caffetteria decidiamo di pranzare insieme e andiamo in un locale dove fanno esclusivamente pollo fritto. 
Chiacchieriamo come sempre un sacco e mi faccio dare qualche dritta per l'inizio dell'Università. 
«Prima di tutto ti consiglio di scegliere un Club. Prendono molto tempo e devi essere presente e attiva ma al di là dei crediti extra ti può aiutare moltissimo a fare nuove conoscenze e così non parli in coreano solo con me», afferma spiegandomi poi i vari Club. 
«Pensavo di partecipare a quello di pallavolo. Ma anche cinema o canto devo dire che mi ispirano molto». 
«Si, lo sport è l'ideale ma mi ricordo che anche canto era fatto bene. Alla fine dell'anno poi si tiene una specie di concorso e parteciparvi è molto divertente». 
Mi spiega un po' come funzionano gli esami e mi fornisce consigli per quanto riguarda lo studio ma mi suggerisce, anche, di godermi l'anno. Le università coreane sono serie si, ma la vita universitaria è movimentata e divertente, devo solo trovare la compagnia giusta. 
«Comunque, se hai bisogno, puoi chiedermi qualsiasi cosa», dice in conclusione dell'argomento "Università". 
«Per ora è tutto chiaro, comunque grazie mille. Mi hai chiarito davvero tanti dubbi perché in Italia l'Università funziona diversamente, soprattutto per alcune facoltà. Per esempio, la mia facoltà funziona a trimestri quindi sembra che tra un esame e l'altro non ci siano pause ed è estenuante».
«Posso immaginare», risponde Park Jieun. 
Finito di pranzare, usciamo dal negozio e facciamo qualche giro. Non resisto e compro oggetti di cancelleria in vista dell'inizio delle lezioni e poi torniamo a casa. 
Park Jieun si ferma per un tè e poi ci salutiamo perché deve andare a lavorare. 

Gli ultimi giorni della settimana passano più o meno nello stesso modo. La mattina lavoro con Park Jieun, poi pranziamo insieme e, dopodiché, io vado a casa e lei al lavoro di nuovo. 
Sento i miei genitori, mia sorella e le mie migliori amiche più o meno ogni sera, anche perché per ora non ho molto altro da fare oltre a lavorare, leggere e continuare a sistemare al meglio il mio appartamentino. 
Comincio a guardare i libri e a farmi un'idea dei corsi che seguirò questo semestre, imposto le materie nei quaderni e controllo di avere abbastanza penne e post-it e mi rendo conto di averne almeno per cinque anni di fila, se non per il resto della vita.
I clienti in caffetteria, come aveva detto Park Jieun, piano piano si abituano alla mia presenza e non fanno più caso al fatto che sono europea. 
La domenica, che è il mio giorno libero, decido di andare al centro commerciale e di fare una vera spesa visto che sto andando avanti di fast food o pasta. Park Jieun mi accompagna e passiamo una bella giornata, come sempre quando sono con lei. 
Dopo il centro commerciale torniamo a casa mia insieme e mi dà un regalo: un libro di ricette di cucina coreana. 
«Ecco perché mi hai fatto prendere tutti questi ingredienti!», esclamo ripensando al lungo giro tra le corsie del supermercato. 
Lei sorride e ci mettiamo sotto per preparare una buona cena ed è la prima volta che mi viene fuori qualcosa di decente. 
Ed è così che finisce la settimana, con una bella giornata tra amiche e una serata con schifezze e Drama. 
L'errore? Non ricordarsi minimamente che è domenica e che l'inizio settimana, tra università e lavoro, potrà essere potenzialmente alquanto faticoso.

Nota dell'autrice:
Ed eccomi qui con il secondo capitolo. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Forse il tutto a primo impatto risulterà un po' lento ma sto cercando di introdurre tutti gli elementi nel modo più completo possibile e, in ogni caso, non temete: presto la storia diventerà (spero) molto interessante. 
Se avete voglia un commento e andate a visitare il mio profilo Instagram: @mybooksandwritingworld e il mio blog 
https://mybooksandwritingworld.home.blog/ .
Ci vediamo alla prossima settimana. 
Con affetto, 
l'Autrice. 

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Capitolo 3
*** Presentazioni e conoscenze ***


Mi sveglio alle 7 con molta ma molta fatica, abbiamo decisamente fatto tardi ieri sera ma, a parer mio, ne è valsa decisamente la pena.
Faccio la mia buona colazione, come tutte le mattine, e poi prendo la borsa e ci metto dentro l’impensabile per il mio primo giorno in Università: fogli a quadretti per gli appunti, penne colorate e normali, post-it, matite, evidenziatori e tutta la cancelleria possibile e immaginabile. Infine, prendo il mio thermos di caffè americano ed esco.
Lungo la strada comincia a battermi il cuore a mille e cominciano a passarmi per la testa mille mila pensieri: se non trovo l’aula magna dove faranno la presentazione? Se poi non trovo quelle per le lezioni di oggi? Conoscerò qualcuno o farò la solita ragazza asociale che passa per snob o antipatica? Riuscirò a spiccicare parola o mi impappinerò come sempre? E altre trecento cose assurde che mi vengono in mente una dietro l’altra impanicandomi sempre di più.
Arrivo davanti ai cancelli dell’Università alle 8 in punto e mi blocco, non riesco a muovermi. Oggi avrò solamente la presentazione dell’Università e dei vari corsi del primo semestre, ma sono comunque molto agitata. È un grande traguardo per me essere arrivata fino a qui e non voglio rovinare tutto in un secondo.
Alla fine, decido che mi devo muovere, così prendo un grande respiro e faccio il primo passo verso la Hall dell’Università. È un edificio imponente ma con uno stile abbastanza moderno e un sacco di piani e di finestre, abbastanza intimidatorio a prima vista.
Entro nella Hall e cerco le indicazioni per l’Aula Magna ma tra le mille scritte ovunque e gli studenti che brulicano nei corridoi, rimango un attimo spiazzata e non riesco a capire dove devo andare. Cerco di non andare in catalessi e di attivarmi così fermo il primo studente che trovo a portata di voce e gli chiedo dove posso trovare l’aula che sto cercando. Lui, gentilmente, me la indica e mi ci accompagna anche.
«Devo andarci anche io. In realtà ci dobbiamo andare tutti. La presentazione è rivolta a qualsiasi studente, è come un benvenuto e un augurio per l’inizio di un nuovo semestre», mi dice mentre camminiamo fianco a fianco cercando di non calpestare piedi ed evitando gomitate da studenti e studentesse che, dopo la pausa estiva, si salutano vigorosamente.
Entriamo in aula e ringrazio lo studente che mi ha aiutata che poi si dirige verso un gruppo di ragazzi che, presumibilmente, gli stavano tenendo il posto, e vado a cercare a mia volta un posto per sedermi.
Mentre aspetto che la presentazione inizi mi guardo un po’ intorno. Le pareti sono fatte di legno come nei teatri, per l’acustica immagino, le poltroncine sono molto comode e in tessuto divise come nei cinema. Sul palco è disposto un podio con microfono e dietro c’è una fila di sedie.
Ad un certo punto le sedie cominciano a riempirsi e al podio si presenta un uomo che richiama subito l’attenzione.
«Buongiorno miei cari studenti, sono il Rettore Kim Yongho e vi do il benvenuto ad un nuovo semestre all’Università Nazionale di Seoul», dice al microfono l’uomo.
In risposta gli studenti chinano il capo ma rimangono in silenzio, così il Rettore continua. Presenta l’Università raccontandone un po’ le origini, come il fatto che è stata fondata nel 1946, e poi presenta tutti i corsi e i professori che, a loro volta, si presentano uno ad uno parlando al microfono.
Ci vengono illustrati dipartimenti e sedi e poi le regole per quanto riguarda il comportamento.
Alla fine della presentazione di Rettore e insegnanti, un gruppo di studenti sale sul palco e si presenta come il gruppo dei Rappresentanti.
«All’uscita troverete un banco con i volantini dei vari Club ai quali vi chiediamo di iscrivervi entro le 20 di questo venerdì 11 settembre in modo che le attività potranno iniziare già dalla settimana prossimo», dice una ragazza passando poi la parola al suo vicino che ci fa segnare una mail a cui possiamo scrivere per informazioni o in caso di necessità universitarie.
La presentazione finisce alle 10.30 con un inchino dei professori e del Rettore e la risposta degli studenti che, quasi contemporaneamente, si alzano in piedi e si inchinano a loro volta.
Seguo il flusso di persone fuori dall’Aula Magna e faccio la fila al banchetto dei volantini.
«Piaciuta la presentazione?», chiede una voce alle mie spalle. Per la sorpresa sussulto e mi giro di scatto trovandomi davanti il ragazzo che mi ha così gentilmente mostrato la strada prima.
«Scusa, non volevo spaventarti», dice subito rendendosi conto della mia reazione.
«No, tranquillo. Ero solo persa nei miei pensieri», rispondo cortesemente anche se, in effetti, poteva evitare di saltar fuori così.
«Comunque, prima non mi sono presentato. Sono Choi Seojun, studente del quarto anno», dice sorridendomi e chinando la testa in segno di saluto.
«Piacere. Io sono Chloe Rinaldi», rispondo presentandomi a mia volta con un sorriso.
Lui, dopo un attimo di esitazione, me la stringe e si mette in fila di fianco a me. Vero, qui ci si inchina non ci si stringe la mano, soprattutto tra ragazza e ragazzo.
«Che Club hai intenzione di seguire?», mi chiede dopo un attimo di silenzio.
«Non saprei. Volevo vedere le varie possibilità e scegliere. Tu, invece? Che Club pensi di scegliere?», chiedo io.
«In realtà, ne faccio già parte essendo del quarto anno», risponde riuscendo ad arrivare con la mano ai volantini. Ne prende uno per ogni attività possibile e me li porge prima che possa farlo io.
«Giusto», rispondo un po’ imbarazzata e poi ringrazio prendendoli in mano e cominciando a guardarli.
«Dai, ti lascio alle tue riflessioni. Volevo solo presentarmi visto che prima non ne abbiamo avuto modo».
Lo ringrazio di nuovo e lo saluto poi decido di andare in caffetteria, così prendo una mappa dal magico tavolino delle informazioni e comincio a farmi strada.
Dopo 15 minuti buoni riesco ad arrivare nella caffetteria dell’Università e ad ordinare un caffè e due chapssalddeok (mochi coreani). Mi siedo ad un tavolino e guardo meglio le varie opzioni per quanto riguarda i Club. Ce ne sono davvero di interessanti: pallavolo, cinema, fotografia, disegno, lettura creativa, recitazione, calcio e molti altri. Ma uno mi ispira in particolar modo: quello di canto. Tra l’altro Park Jieun mi ha detto che a fine anno viene organizzato un concorso tipo talent e sarebbe molto divertente parteciparvi.
Però vedo altre possibilità che mi ispirano, come nuoto e pattinaggio sul ghiaccio, allora decido di rimandare la scelta per quando sarò a casa. Così metto i volantini in borsa e comincio a guardarmi in giro godendomi il mio caffè e i miei chapssalddeok ai fagioli rossi.
Ci sono un sacco di studentesse e studenti che si ritrovano a chiacchierare ai tavoli raccontandosi le ultime settimane prima dell’inizio dell’Università. Due studenti al tavolo di fianco a me chiacchierano sui prossimi eventi del Club di calcio e un gruppo di studentesse al tavolo davanti, invece, parla di lezioni e uscite la sera e, in qualche modo, si attiva il pulsante della solitudine.
Non so come iniziare a fare conoscenza. Sembrano tutti gruppi chiusi quelli che ho intorno e mi sembra brutto interrompere e intromettermi.
«Rieccoti!», esclama Choi Seojun prendendomi di sorpresa e spaventandomi per la seconda volta in un’ora. Prendo un profondo sospiro per calmarmi e cerco di sorridergli.
«Scusa, non volevo spaventarti di nuovo», dice desolato.
«No, tranquillo… ho questa strana capacità di essere sempre tra le nuvole. Mi spavento spesso per qualsiasi cosa», rispondo cercando di tranquillizzarlo. Non così spesso ma, in effetti, quando penso a qualcosa mi isolo completamente e quindi poi mi prende tutto un po’ alla sprovvista.
«Hai pranzato?», mi chiede senza troppi convenevoli.
«No, non ancora», rispondo io.
«Ti va se andiamo a mangiare qualcosa?», domanda allora senza un minimo di tensione, imbarazzo o indecisione.
«Va bene ma alle 14.30 devo essere al lavoro», gli rispondo. Allora mi chiede dove lavoro e gli dico la zona, così mi porta in un ristorante nelle vicinanze della caffetteria di Park Jieun simile a quello dove sono andata uno dei primi giorni dopo essere arrivata a Seoul.
Dopo aver ordinato, rimaniamo in silenzio per qualche minuto. Non so bene che cosa dire ma poi una domanda sorge spontanea: «Perché non sei andato a pranzo con i tuoi amici?». Mi pento subito di averla fatta perché suona sicuramente come presuntuosa o qualcosa del genere… in ogni caso non è una cosa carina da chiedere ad una persona che ho visto solo un paio di volte per quasi 10 minuti totali.
Lo guardo per cercare di capire come ha percepito la domanda. Non sembra averla presa male anzi, sta sorridendo credo.
«Ho immaginato non conoscessi nessuno e non è bello passare il primo giorno di università da soli, così ho salutato i miei amici e sono venuto da te», risponde con molta calma.
«Grazie», gli dico sinceramente riconoscente. In effetti, non è per niente bello non conoscere nessuno e iniziare da sola soprattutto quando non ho idea di come intavolare un discorso con qualcuno che non conosco.
Piano piano cominciamo a parlare e prendo sempre più confidenza. Scopro che frequenteremo alcuni corsi insieme e che Choi Seojun ha un anno in più di me, il che complica il mio parlare in coreano.
«Tranquilla, nel caso dovessi sbagliare non me la prenderò. Immagino che sia complicata la questione del linguaggio formale però, se vuoi ti posso dare una mano in coreano così non rischi di sbagliare con i professori e nella vita professionale», mi spiega tranquillo.
Gli rispondo che sarebbe una buona idea e lo ringrazio per l’ennesima volta.
Parliamo dei vari Club e mi spiega un po’ come funzionano nel dettaglio, poi mi fa vedere una mappa delle aule e mi dice dove dovrò andare mercoledì per seguire le mie lezioni.
«In ogni caso, se hai bisogno, chiedi che ti do una mano molto volentieri. Se vuoi, prima delle lezioni, ci possiamo prendere un caffè».
«Va bene», rispondo pensando che cominciare a conoscere anche una sola persona può essere molto utile per conoscerne altre.
Alle 14.15 circa, paghiamo e usciamo dal ristorante.
«Grazie mille per aver pranzato con me», gli dico riconoscente per non avermi abbandonata. Mi sa che, in fondo, ci speravo.
«Figurati. Ah, volevo avvisarti che sabato noi di Relazioni Internazionali, indipendentemente dal corso e dall’anno, ci ritroviamo al Karaoke per una serata insieme. Se vuoi venire anche tu, sei la benvenuta».
«Accetto molto volentieri», rispondo subito. È un’ottima occasione per mettermi in gioco.
«Perfetto, però dammi il tuo numero così ti posso contattare per avvisarti dove e quando», dice.
Così ci scambiamo i numeri velocemente e poi vado al lavoro.

«Com’è andato il primo giorno?», chiede Park Jieun appena entro in negozio.
«Direi molto bene. Ho già conosciuto un ragazzo, con cui tra l’altro ho parlato, e spero di conoscere altre persone nei prossimi giorni. Le premesse, comunque, sono molto buone», le rispondo soddisfatta della mia mattinata.
«Perfetto, ne sono felice. Qui sei tranquilla da sola?»
Annuisco.
«Perfetto, allora io vado. Ci sentiamo dopo così mi dici com’è andato anche il tuo primo turno da sola».
Annuisco di nuovo, ci salutiamo e Park Jieun mi lascia al mio lavoro.
Le ore passano alquanto veloci mentre penso alla mattinata, alle lezioni che non vedo l’ora inizino e al mio nuovo compagno di corso.
L’ho trovato piuttosto carino, ma stamattina ero troppo agitata per pensare a queste cose. È piuttosto alto o comunque più alto di me, tipici capelli e occhi scuri dei coreani con lineamenti ben definiti ma armoniosi e, inoltre, si veste molto bene, semplice ma curato e poi è stato molto gentile con me. Sarà un buon compagno di corso.
Alle 18.30, finisco il turno e, dopo essermi cambiata, torno a casa.
Appena metto piede nel mio miniappartamento, la stanchezza della giornata mi assale e, così, mi stendo una decina di minuti sul letto per rilassarmi. Sento la schiena che si distende e i nervi che si rilassano, la mente che smette di pensare ad ogni singola cosa ed entra in un piacevolissimo stato di vuoto.

Mi risveglio per le 20.00, quando sento il telefono squillare. Rispondo ed è mia madre che mi chiede com’è andata questa prima giornata di università. Le racconto tutto per filo e per segno mentre mi cucino della pasta alla carbonara per cena. È molto felice per me perché piano piano sto superando paure e insicurezze.
“Fino a qualche tempo fa saresti scappata a una richiesta del genere, come se fosse una cosa inaudita”, mi canzona lei e finiamo per ridere insieme.
“Sei stata molto brava oggi, e spero che le prossime giornate ti vadano ancora meglio. Non vorrei ma stai davvero crescendo”, aggiunge poi un po’ malinconica. Cominciano già a sentirsi la mancanza e la lontananza.
Cerco di rimanere serena e tiro un po’ su la mia mamma con qualche battuta poi ci salutiamo, metto a posto le poche cose che ho lasciato in disordine e poi me ne vado a dormire serena e aspettando con ansia mercoledì e l’inizio vero e proprio delle lezioni.

Nota dell’autrice:
Ed ecco il terzo capitolo della storia che sto scrivendo.
Se avete voglia lasciate un commento e andate a curiosare nel mio profilo Instagram: https://www.instagram.com/mybooksandwritingworld/
In ogni caso, ci vediamo lunedì prossimo con un nuovo capitolo!

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Capitolo 4
*** Incontro fortuito ***


Il martedì lo passo normalmente. La mattina, dalle 8.30 alle 12.30, ho il turno in caffetteria con Park Jieun. Dopo il turno pranziamo insieme e poi mi accompagna a fare un po’ di spesa. 
Il pomeriggio lo passo a preparare le intestazioni per le pagine di appunti delle materie del semestre e a decidere che Club frequentare. Alla fine, decido per il Club di canto così porto avanti una delle mie più grandi passioni e, inoltre, mi diverto anche. 
Sono tentata di scrivere a Choi Seojun per sapere se, alla fine, vuole prenderlo un caffè insieme prima delle lezioni ma, alla fine, desisto per paura di disturbarlo. 
Non sapendo bene come passare la giornata, comincio a programmare una gita da turista e così mi informo per il Palazzo Gyeongbokgung e il Bukhon Hanok Village, faccio un po' di ricerca per quanto riguarda la storia e prendo qualche appunto in modo da non andare a visitare i due luoghi del tutto impreparata. 
Chiamo i miei genitori e le mie migliori amiche a Milano che rispondono anche se da loro è ancora presto. Parliamo per un paio d'ore fino a quando il mio cellulare non si auto-spegne per surriscaldamento, non è un buon segno. Entro un attimo nel panico e per disperazione lo metto in frigorifero per un po' di tempo, sperando con tutta me stessa che si riprenda e, alla fine, lo fa. 
Appena si riaccende mi ritrovo un messaggio di Choi Seojun che mi chiede di prendere un caffè insieme domani mattina. Grazie frigorifero, davvero. 
Gli rispondo che va benissimo e ci mettiamo d'accordo per vederci nella caffetteria dell'università alle 7.45. Mostruosamente presto, ma anche le lezioni iniziano presto: la prima ce l'ho alle 8.15. 
Dopo aver ciondolato per casa ancora qualche ora, dopo aver cenato e dopo aver guardato qualcosa alla televisione, decido che è ora di andare a dormire puntando la sveglia alle 6.30. 

Non riesco a svegliarmi prima delle 7.00 ma, contando che faccio colazione con Choi Seojun, non è un problema infatti mi preparo ed esco con tutta calma.
Il mio cellulare sembra stare bene, e poi ho letto che certi programmi per videochiamate scaldano più di altre e che, quindi, è normale che si spenga ad un certo punto ed è meglio che lo faccia. L'auto-spegnimento è tipo una difesa, se non lo avesse esploderebbe direttamente. ottimo. 
Arrivo in caffetteria puntualissima e trovo Choi Seojun che mi aspetta fuori mentre legge un libro: un tomo, probabilmente di non meno di 600 pagine, sulla storia delle relazioni internazionali tra Cina, Giappone e Corea. 
«Buongiorno», gli dico un po' esitante cercando di non fare una voce troppo acuta per non disturbarlo. 
«Buongiorno», risponde Choi Seojun chiudendo il libro e sorridendomi. Mi fa cenno di entrare e ci sediamo ad un tavolino vicino alla finestra. 
«Come ti è andata la giornata ieri? Sei pronta per le lezioni di oggi?», mi chiede subito dopo aver ordinato la colazione. 
«Ieri ho sistemato un po' di cose e fatto qualche chiamata. Per quanto riguarda le lezioni di oggi, non vedo l'ora di iniziarle. Dalle introduzioni dei libri, sembrano molto molto interessanti», rispondo subito. 
«Leggi le introduzioni dei libri?», mi domanda quasi ridendo. 
«In realtà di solito neanche tanto ma ieri non avevo molto da fare e quindi si, le ho lette per occupare un po' il tempo», rispondo. 
«E io che pensavo che tu fossi una super secchiona e che avrei potuto sfruttarti per studiare, ripassare e per passare gli esami», fa serio lui. 
Ci penso un attimo, ma poi mi rendo conto che ha parlato in modo ironico e, così, ci mettiamo a ridere entrambi. 
«Alla fine che Club hai scelto?» 
«Il Club di canto, sembra molto divertente e poi mi piace molto cantare. Lo facevo anche alle superiori», rispondo. 
Ci alziamo e cominciamo a dirigerci verso l'aula della prima lezione: Politica e Affari Esteri nel Sud Est Asiatico. 
«Anche io frequento il Club di canto! Perfetto, avremo una componente in più, ne saranno tutti molto contenti». 
«Tu canti?», chiedo quasi sbalordita. Non so perché ma non mi sembrava tipo da Club di canto e talent onestamente. Ma, forse, mi sono resa maleducata per l'ennesima volta anche se lui, come sempre, non mostra grandi reazioni. 
«Davvero non te lo aspetteresti? Non mi sembro un energumeno da Club del fitness o un membro anziano di quello del gossip onestamente», dice ma non capisco in che modo. 
«Scusa, non volevo… ogni tanto rispondo davvero con le prime parole che mi vengono in mente senza pensarci, non so davvero perché». 
«Dai, scherzo. In effetti si stupiscono un po' tutti ma non tanto per come sono vestito o per come appaio esteticamente ma perché sono un maschio. Tutti vedono il Club del canto come il santuario delle ragazze quando, a dire la verità, non è assolutamente vero. C'è stato un anno, io ero al secondo, che eravamo più maschi che femmine e i duetti "romantici" li abbiamo fatti ugualmente senza troppe storie. Devo dire che è stato il saggio di fine anno più divertente della storia secondo me». 
Ridiamo insieme. Sono felice che faremo parte dello stesso Club almeno per un'altra cosa ancora non sarò sola e magari riuscirò a farmi altre amicizie.
Arriviamo in aula e ci sediamo vicino a dei ragazzi. Choi Seojun li saluta in modo informale, hanno la sua stessa età e sono amici, e poi presenta me. Ci metto un attimo a carburare la formalità adatta a dei ragazzi che come massimo avranno due anni più di me ma, alla fine, ci riesco senza offendere nessuno. 
Le lezioni iniziano anche se per ora i professori non entrano nel merito del discorso ma fanno una prima presentazione. Sarà molto molto interessante questo semestre. 
Le lezioni dureranno circa un'ora e un quarto e avrò quattro corsi al giorno per tre volte alla settimana: lunedì, mercoledì e venerdì. Le fasce orarie sono o alla mattina, il lunedì e il venerdì, o il pomeriggio, il mercoledì, il che è molto comodo per far conciliare studio, lavoro e Club, tra una lezione e l'altra c'è un quarto d'ora di pausa per cambiare aula o prendersi qualcosa dalle macchinette o in caffetteria. 

Finite le lezioni, pranzo e poi vado al lavoro. Come previsto, ho di nuovo il turno da sola ma tutto fila liscio come l'olio e, finito di lavorare, vado a casa tranquilla dopo aver salutato Park Jieun. 
«Ti va se venerdì ceniamo insieme?», mi chiede lei prima che me ne vada. 
Accetto molto volentieri e ci salutiamo. 
Uscita dalla caffetteria decido di farmi la strada a piedi. Ci metterò un'oretta ma ho davvero voglia di farmi una camminata e di godermi il bel tempo serale di settembre. Metto le cuffie nelle orecchie e comincio a camminare guardandomi in giro e godendomi l'atmosfera: la giornata è finita e il clima è rilassato e allegro. Prima di arrivare a casa, passo al minimarket più vicino per prendere dei mochi come dolce dopo cena e qualche gelato. 
«Ciao!», esclama qualcuno alle mie spalle ma, ormai, so benissimo chi è visto che fa sempre queste belle entrate del tutto inaspettate. 
«Ciao Choi Seojun», rispondo girandomi e rivolgendogli un sorriso. Ora, è stato sempre davvero gentile con me, ma comincia ad essere inquietante. 
«Abiti in zona?», mi chiede avvicinandosi con in braccio patatine e birra. 
«Si, non al dormitorio ma in un condominio molto vicino all'Università. Tu invece?», chiedo a mia volta. 
«Io vivo al campus universitario, non sono di Seoul ma di Busan», risponde lasciando la sua spesa alla cassiera che comincia a fare il conto. 
«Serata brava in programma?», chiedo facendo l'occhiolino e indicando patatine e birra. 
«Serata tra maschi del mio dormitorio, c'è una partita di calcio», risponde sempre sorridendo. Questo ragazzo sorride sempre, ma sempre davvero, e non capisco come faccia ogni tanto. 
«Si, ho sentito che anche qui è molto seguito. In Italia ne vanno tutti pazzi ma, a mio parere, fino al limite del possibile», dico appoggiando anche la mia spesa al bancone e aspettando che la cassiera mi faccia il conto. 
«Bene, allora io vado. - dice Choi Seojun una volta pagato - Ci vediamo domattina a colazione?», chiede poi. 
«Si, va bene. Solita ora?»
Annuisce e ci salutiamo. Come ho potuto pensare che l'incontro sia inquietante? Non è che adesso stanno tutti a seguire me. Ogni tanto mi vengono davvero idee talmente strane che non so nemmeno bene io che cosa pensare di me stessa. 

Tornata a casa ceno e sento la mia famiglia con una videochiamata di circa due ore, se non qualcosa di più. Stanno tutti bene e sono felici di sentire che mi sto ambientando un po' alla volta. 
Comincio a parlare delle lezioni e dei professori, dell'Università super tecnologica: all'entrata di ogni aula c'è un lettore tipo carte di credito e bisogna passare il badge universitario per segnalare la presenza. Non ci sono appelli o fogli volanti da firmare ma il badge da passare quando si entra e quando si esce da un'aula. 
«La cosa più incredibile è che non si forma la ressa, anzi, si mettono tutti in fila e ordinatamente escono dalla classe con eleganza e disciplina e, anche, molto velocemente», dico con entusiasmo. 
È impressionante il livello di organizzazione per qualsiasi cosa. 
«E pensavo di partecipare al Club di canto», affermo ad un certo punto. Mia sorella sorride e mi viene subito nostalgia pensando alle nostre serate passate a cantare a casaccio mentre facevamo il cambio stagione negli armadi. 
Mamma ne è molto contenta perché finalmente mi metto alla prova: non ho mai tentato di cantare da sola davanti a qualcuno e, invece, adesso ho intenzione di partecipare ad un concorso di canto a fine anno davanti ad un'intera università. 
Dopo esserci detti davvero qualsiasi cosa, ci diamo la buonanotte e chiudiamo la chiamata. Vado a dormire soddisfatta della mia giornata e, felice, mi addormento subito come un ghiro. 

Giovedì il mio turno in caffetteria è la mattina, dalle 8.30 alle 12.30, con Park Jieun. Come tradizione, finito il turno, usciamo a pranzo insieme e le racconto un po' la giornata precedente anche se non ci sono molte novità. 
Andiamo nel solito locale che fa un pollo fritto spettacolare e stiamo parlando quando entra un tizio strano che si siede in fondo alla sala e ordina qualcosa. 
«Ok, sta diventando davvero strano e inquietante», affermo subito e questa volta sono sicura di non star tirando su storie come con Choi Seojun. 
Park Jieun squadra il tipo con la coda dell'occhio e poi mi guarda. Senza dover dire nulla ci capiamo subito: è identico al ragazzo cupo contro cui sono andata a sbattere l'altro giorno.
«Sembra decisamente lui», dice alla fine Park Jieun. Dirlo a voce alta rende la cosa ancora più strana. Voglio dire, Seoul non è un paesino di montagna dove si conoscono tutti e, quindi, va bene che il mondo è piccolo ma fino a questo punto è strano. 
Ad un tratto, vediamo un flash proveniente dall'esterno del vetro del ristorante e il ragazzo si copre meglio il viso con il cappellino. 
Non gli è ancora arrivato l'ordine e i flash, probabilmente di fotografi e giornalisti, non lo lasciano stare. Si alza, percorre tre immense falcate verso me e Park Jieun e, dopo avermi rubato una coscia di pollo, va verso il retro. Tutto questo succede quasi in una frazione di secondo e mi lascia del tutto sbalordita. 
Park Jieun si alza di scatto e comincia ad andare verso il ragazzo strano chiamandolo in modo piuttosto aggressivo, io mi riscuoto dalla confusione e la seguo. 
«Ehi! Tu!», urla riuscendo a raggiungerlo e bloccandolo con il braccio. 
«Ti sembra educato rubare il cibo dai piatti altrui? Tra l'altro, qualche sera fa la mia amica ti è venuta addosso e, nonostante non l'abbia fatto apposta e si sia scusata, sei stato molto sgarbato. È straniera ma non è un'aliena», afferma Park Jieun. Spero davvero che sia lo stesso ragazzo o qui può anche venirne fuori una denuncia. 
«Che c'entra il fatto di essere straniera?», chiediamo insieme io e l'uomo misterioso. 
«Ci sono delle persone, qui in Corea, che non amano gli stranieri e quindi, quando ne vedono uno, fanno di tutto per farlo sentire il più a disagio possibile e fuori posto», risponde ma come se non volesse davvero credere che certe cose possano davvero succedere. 
«Tranquilla, non succede solo qui in Corea», le dico come rassicurazione ma anche come segno di sdegno verso le persone che alle volte possono davvero avere una mente talmente chiusa da non capire neanche quanto non abbiano senso i loro ragionamenti. 
Il ragazzo, finalmente, si gira a guardarci però senza mostrare il suo viso. Prova comunque a spiegarsi. 
«Dovete scusarmi ma sono alquanto di fretta quindi, se non vi dispiace, me ne vado», dice scuotendo il braccio e liberandosi dalla stretta di Park Jieun. 
«Anzi, per caso una di voi due ha una macchina?», chiede dopo averci pensato un attimo. 
Io e Park Jieun ci guardiamo esterrefatte poi lei, per cortesia, risponde che ce l'ha ma che, sicuramente non la presta a lui. 
«Non ho chiesto se me la puoi prestare ma se mi puoi dare un passaggio. Sono di fretta e quei giornalisti mi continuano a seguire». 
Ci guardiamo di nuovo. Non so davvero che cosa dirle, non avevo mai affrontato una situazione tanto strana prima d'ora. 
«Va bene, ma mi garantisci che non ci vuoi uccidere o fare del male?», chiede Park Jieun anche se un po' incerta. 
«Come se ti dicesse la verità se fosse così», affermo io con voce tagliente. Davvero ha intenzione di dargli un passaggio?
«Ma voi due che problemi avete? Un assassino secondo voi viene seguito dai giornalisti? E poi se avessi voluto farvi qualcosa, lo avrei già fatto», dice l'uomo con voce molto irritata. 
Senza dire altro, usciamo dal locale e, passando per vie piccole e anonime, arriviamo alla macchina. 
Park Jieun si mette alla guida mentre l'uomo misterioso si mette al posto del passeggero e io mi siedo dietro. Mi sembra molto stupida questa cosa ma, alla fine, Park Jieun lo ha fatto anche con me e non sono una serial killer. Forse ha naso per queste cose. 
«Dove devi andare?», chiede per impostare il navigatore. 
«Agli studi televisivi, grazie», risponde subito lui cercando di sollecitare la partenza. 
«Perfetto, però sarebbe carino se ti presentassi o, almeno, ti togliessi gli occhiali», afferma Park Jieun accendendo la macchina e prendendo la strada. 
L'uomo non dà segni di vita e così mi presento prima io: «Io sono Chloe Rinaldi mentre lei è Park Jieun». 
«Fa molto nome da nobile con la puzza sotto il naso», dice lui riferendosi a me con tono insolente. 
«Beh, almeno io un nome ce l'ho», gli rispondo sempre più irritata. 
Alla fine, dopo un sospiro di disappunto, si toglie gli occhiali e, a questo punto, lo riconosco subito. 
«Avrei preferito non saperlo», dico senza volerlo. 
Park Jiuen spalanca gli occhi ma rimane in silenzio mentre l'uomo si rimette in versione "in incognito". Io sono spiazzata e capisco perché mi ricordava qualcosa la sua voce. 
«Sei tu il ragazzo contro cui ho sbattuto la settimana scorsa?», chiedo conoscendo già la risposta ma desiderando ardentemente una conferma, o meglio, una non conferma. Ma lui, purtroppo, annuisce. 
Avrei davvero preferito non dare un volto a questo ragazzo inquietante perché, nella mia testa, Lee Minho è una persona sempre cortese e mai superba o fastidiosa. Nel mio immaginario da ragazzina, è sempre stato un attore dolce e amato da tutti. 
«Beh, mi spiace averti delusa», risponde lui scortesemente come sempre. 
Forse sono esagerata nella mia reazione ma non riesco a reprimere le lacrime che arrivano fino agli occhi anche se riesco a non piangere davvero. Mi ha appena distrutto un mondo, o meglio, un mito nato dal drama City Hunter e ora completamente sfumato. Un mito che mi faceva sperare nella gentilezza del genere maschile. Sapevo che personaggio e attore sono due persone completamente diverse ma pensavo anche che nessuno potesse recitare così bene. Mi sembrava di vedergli la gentilezza negli occhi, non solo nei comportamenti. 
«Park Jieun, dammi la tua mail così ti mando i soldi della benzina», le chiede Lee Minho appena si ferma davanti all'entrata degli studi televisivi. Lei gli fornisce i dati e poi lo saluta cordialmente, mentre io sono pietrificata e rimango a rimuginare in silenzio. 
«Dai Chloe, sicuramente c'è una spiegazione dietro al suo comportamento. Non ti abbattere così tanto», mi dice riprendendo a guidare. 
Annuisco e cerco di capire perché mi sento così abbattuta. Mi è crollato un personaggio ma non è la fine del mondo perché, appunto, era solo un personaggio. 
Ci penso e ci ripenso ancora per un po' fino a quando Park Jieun non mi porge un Bubble Tea e capisco che sto finendo fuori dal mondo perché non mi ero assolutamente accorta che nel frattempo ci siamo fermate a prendere qualcosa. 

Tornata a casa, ancora stralunata, ceno e poi mi metto a scrivere il mio diario personale. 
È vero, ho 23 anni. E forse si può pensare che sono un po' grande ormai per continuare a scrivere il mio “diario segreto”. Ma lo faccio dalla prima media, quando mia madre mi ha regalato il mio primo diario in assoluto per il compleanno (tutto rosa e pieno di cuoricini, senza lucchetto ma con un nastro di seta per chiuderlo). E poi, una volta finiti, li metto in una scatola e li conservo per leggerli quando ne ho voglia e vedere in che modo assurdo scrivevo e quali erano i miei grandi problemi. Ci rido un po' su e li rimetto via. 
Continuo a scrivere il mio diario, nonostante l’età, perché mi chiarisce le idee. Mi aiuta ad avere la mente più libera, serena e meno nebbiosa perché tutti i dubbi, le perplessità e quant’altro le esprimo con la penna e, magari, mentre scrivo le risolvo anche. Non mi sforzo a scrivere ogni singolo giorno ma solo quando ne sento il bisogno. 

Dopo aver scritto tutto quello che mi passa per la testa, vado a dormire un po' più serena e in pace di prima e, soprattutto, pronta per una nuova giornata. 

«Jieun, vieni qui. Da quella parte sembra esserci una marea di gente», le dico mentre Lee Minho cerca di guardare dall’altro angolo del vicolo per vedere dove possiamo passare senza essere visti troppo. 
«Hai ragione ma da qualche parte dobbiamo pur passare». 
Annuisco e guardo Lee Minho.
«Possiamo andare?», gli chiedo a bassa voce. 
«Dopo questa macchina si. Non sembra esserci nessun altro». 
Io e Jieun annuiamo e aspettiamo il segnale di Lee Minho che sembra quasi non respirare.
Dopo qualche minuto, riusciamo ad attraversare la strada e a infilarci nel vicoletto davanti a noi. C'è un minimarket e Park Jieun entra e compra al volo qualcosa per nascondere la nostra identità…


Driiiiin driiiiin.


Nota dell'autrice:
Eccomi qui con un nuovo capitolo per questo #lunestoria. 
Se vi va un commento e andate a visitare il mio profilo Instagram: https://www.instagram.com/mybooksandwritingworld/ o il mio Blog: https://mybooksandwritingworld.home.blog/ 
Grazie per la lettura, 
Alla settimana prossima con un nuovo capitolo!

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Capitolo 5
*** Turista per un giorno ***


Driin driin.
 
Che strano sogno… davvero uno strano sogno. Non lo ricordo bene nei minimi dettagli ma, non so, mi ha lasciato una sensazione davvero strana.
Se dovessi dare una definizione razionale al sogno, direi che è stato come un flashforward nei libri ovvero un'anticipazione di qualcosa. O forse come un flashback… ma non è mai successa quella cosa, credo. Non saprei, non ricordo bene. L'unica cosa che ricordo bene è che eravamo io, Lee Minho e Park Jieun e stavamo girando per delle vie ma non sembravano quelle di Seoul. Potrebbe essere, in effetti, semplicemente un flashback con quello che è successo ieri. L'unica cosa diversa è che era come se, nel sogno, ci conoscessimo molto bene tutti e tre, come se fossimo amici e questa cosa è abbastanza improbabile per due motivi: Lee Minho è un attore molto famoso e, soprattutto, ci ho litigato le due volte in cui mi ci sono imbattuta in qualche modo.
Mi ha lasciato davvero delle sensazioni strane e mi sento un po' annebbiata ma sembra anche come se tutto fosse successo davvero, o meglio, dovesse ancora succedere.
 
Arrivo in Università un pelo in ritardo ma Choi Seojun è comunque davanti alla caffetteria che mi aspetta. Sono rallentata stamattina per il sogno che non se ne va dalla mia testa.
«Tutto bene?», mi chiede Choi Seojun.
«Si, scusa. Ho solo un leggero mal di testa stamattina», gli rispondo subito cercando di sembrare un po' più serena di quello che sono, o meglio, un po' meno assente.
Facciamo colazione con relativa calma e poi andiamo dritti a lezione. Cerco di "risvegliarmi" tirandomi due manate in faccia ma non ha l'effetto sperato, anzi, sembro solo mezza pazza.
Non vedo l'ora di raccontare tutto a Park Jieun per poter esprimere quello che provo ad alta voce e liberarmi di questo sogno che sembra più una persecuzione.
«Se vuoi dopo ti mando gli appunti, chiaramente dopo averli sistemati», mi dice Choi Seojun mentre usciamo dall'aula una volta finita la lezione.
«Grazie, mi faresti un grande favore… è stato un disastro e mi rode tantissimo perché sono le prime lezioni!», gli dico frustrata. Va un po' meglio adesso ma sono stata molto approssimativa nelle annotazioni, quindi mi rassicura avere gli appunti di Choi Seojun.
Mi scuso con lui per non essere stata molto presente durante la mattinata ma dice di non preoccuparmi e di andare a casa a riposare.
«Dopo il lavoro, sicuramente», sorrido.
«Brava. Allora ci vediamo domani sera».
Annuisco e ci separiamo. Io corro in caffetteria da Park Jieun e le racconto tutto per filo e per segno. Nonostante non mi ricordi bene il sogno, mi ricordo molto bene le emozioni che ho provato e che mi ha lasciato. Mi fa un panino e poi, dopo di quello, mi dà una fetta di torta al cioccolato e un caffè americano buonissimo mentre io le racconto tutto.
«In effetti è un sogno molto strano ma alla fine è quello che è: un sogno. Prenditi ancora un donuts e poi rilassati un attimo», dice con voce calma.
Raccontarle tutto e vederla in carne e ossa in caffetteria mi riporta alla realtà e comincio a pensare a quanto sia stata stupida a farmi condizionare così tanto. Dopotutto sogno tutte le notti, semplicemente non mi ricordo quasi mai che cosa. Potrei anche aver sognato di essere rapita dagli UFO la settimana scorsa.
Alle 14.30, inizio il mio turno e sono del tutto calma per fortuna, sono tornata me stessa.
«Ti va di fare un giro turistico domani o domenica?», chiedo a Park Jieun prima che vada a fare tutoraggio.
«Mi dispiace ma dovrò lavorare anche nel week-end. Comunque ci possiamo sempre vedere la sera», mi risponde dispiaciuta.
«Si, certo. Poi possiamo organizzare anche più avanti».
Ci salutiamo e torno al mio lavoro. Come sempre, il tempo passa super veloce e in men che non si dica, sono le 18.30 e me ne torno a casa tutto sommato soddisfatta di come è continuata la giornata.
Passo la serata a chiamare amici e famiglia, a scrivere sul diario e finisco in bellezza guardando un Drama in televisione.
Prima di andare a dormire, programmo la giornata turistica di domani. Vorrei visitare il Palazzo Gyeongbokgung e poi, se mi resta del tempo, il Bukhon Hanok Village. Mi documento un po' per quanto riguarda architettura e storia e, dopo aver preparato tutto, vado a dormire senza puntare la sveglia.
 
Mi sveglio con calma verso le 9 del mattino, ben riposata e fresca come una rosa. Non mi piace non puntare la sveglia perché ho sempre paura di svegliarmi tardi e perdere un'intera giornata, ma ogni tanto ci sta soprattutto dopo due settimane intense e di grandi cambiamenti.
Faccio una bella colazione e poi preparo lo zaino per la mia giornata da turista riempiendolo con una borraccia d'acqua da un litro, il mio quadernino degli appunti dove ho scritto qualche informazione sul palazzo e sul villaggio, il caricatore portatile per il cellulare, la crema solare e altre mille cose che, sicuramente, non mi serviranno ma che ritengo siano sempre utili avere dietro.
Per le 11.00, sono fuori casa; imposto il navigatore e, con le cuffie nelle orecchie, inizio la mia camminata. A piedi la strada è bella lunga, ma adoro camminare e, in ogni caso, ho tutta la giornata e non ho assolutamente fretta.
All'entrata del Palazzo bevo un po' d'acqua poi compro il biglietto e una signorina del personale mi fornisce una mappa per spostarmi in modo più agevole.
Oltrepasso la prima entrata del Palazzo, Gwanghwamun, e arrivo al primo cortile. È immenso. Visito le prime stanze e oltrepasso la seconda entrata per ritrovarmi davanti a un altro immenso cortile e, dopo il cortile, la sala del trono dove l'imperatore teneva le udienze con la popolazione e gli incontri ufficiali con i diplomatici stranieri. È una pagoda impressionante divisa in tre navate, è costruita in legno rosso e verde ed è decorata con sculture di animali sia reali che inventati. È maestosa e mi riporta a tutti i Drama storici che ho visto negli anni.
Sono davvero qui. Mi trovo non solo dentro alle trame dei Drama ma dentro ad un pezzo di storia secolare della Corea del Sud, paese in cui non avrei mai pensato di arrivare se non nei miei sogni. Qui ci sono passati attori ma, soprattutto, grandi imperatori e imperatrici. Si sono susseguiti drammi e intrighi di corte, sono passati ambasciatori e, qui dove sono adesso, si è fatta la Storia. Mi emoziona sempre visitare luoghi storici ma devo ammettere che, al momento, mi sta venendo da piangere per una serie di emozioni che stanno entrando in convergenza tra di loro.
Cercando di trattenere le lacrime passo oltre ripromettendomi di ripassare dopo, quando magari sarò un po' più calma e lucida.
Continuo a camminare, visitare e fare milioni di foto quando arrivo alla Sala dei Banchetti: una sala come sospesa nell'acqua. Stupenda, se non fosse che è circondata di gente.
Cerco di mettere bene a fuoco ma ce n’è davvero troppa, sembra che stiano girando qualcosa perché ci sono delle cineprese e un tizio alto vestito con abiti d'epoca che ciondola in giro. Magari sono in pausa, ma penso che per ora sia chiusa al pubblico.
Mi avvicino il più possibile in modo da vedere bene tutti i dettagli almeno all'esterno: è rossa e verde con decorazioni d'oro e con il tetto blu. È come una palafitta e per arrivare alla Sala, che è interna, c'è una scala.
Guardo l'acqua con il riflesso, è davvero stupendo questo posto. Toglie il fiato.
Faccio una foto cercando di non comprendere la moltitudine di persone al piano di sotto e, mentre scatto la foto, sembra che il tipo alto mi stia fissando ma probabilmente mi sbaglio. In ogni caso metto via il cellulare, giro i tacchi e comincio a camminare per raggiungere la residenza del re.
Dopo qualche passo sento qualcuno che corre dietro di me e che rallenta ansimando. Mi giro per vedere se è tutto a posto, magari è uno della sicurezza che mi deve dire che non si possono fare foto.
Appena mi giro, però, spalanco gli occhi e mi blocco. Non me l'aspettavo, non me l'aspettavo proprio.
«Mi sembravi tu», dice con la sua voce profonda.
Lee Minho smette di ansimare con un gran respiro e si avvicina a me di qualche passo.
«Ciao», dico in modo molto formale e non molto sicura di ciò che dovrei fare. «Allora eri tu lo spilungone che ho visto», aggiungo dopo averlo squadrato dalla testa ai piedi. Ha un abito storico rosso e dorato da imperatore. Spoiler di un prossimo Drama con lui protagonista? Molto probabile.
«Allora sei tu la ficcanaso che stava fotografando il set», risponde lui sarcastico e subito in me monta rabbia pura. Ma quanto è simpatico…
«La cancello subito. Potevi anche non disturbarti e mandare il tipo della sicurezza che ti segue a vista», gli dico con noncuranza indicando un ragazzo che si sta avvicinando velocemente ma con contegno.
Lee Minho si gira e gli fa un segno come per dirgli di tornare indietro.
«Mi sembravi tu e volevo farlo di persona», risponde. Sembra un po' incerto, come se non sapesse bene come prendermi.
Prendo il telefono e gli faccio vedere che cancello la fotografia.
«Ne facciamo una insieme?», chiede in modo quasi arrogante. In risposta mi giro e comincio ad andarmene. Non ce la fa, proprio non ce la fa. Non chiedo tanto ma solo che una volta, nei nostri incontri casuali, sia carino.
«No, scusa. Dai, fermati», dice allora allungando il passo e riuscendo a fermarsi davanti a me.
Lo guardo torva. Non capisco, mi tratta male e poi mi trattiene. Ma che cosa vuole?
«Se il tuo intento è farmi irritare ogni volta che ci vediamo perché ridendo con un'amica ti sono venuta PER SBAGLIO addosso, allora posso anche andarmene senza tante cerimonie», gli dico seria e con tono fermo. Non ho voglia di discutere e comincio a essere stanca di questa condizione.
«No, hai ragione. Abbiamo proprio cominciato male. Ti va un caffè in segno di pace?»
Ok, non me l'aspettavo, per niente.
Lo guardo ancora, senza rispondere, per capire che cosa effettivamente vuole da me. Perché prima mi tratta male e poi mi offre un caffè? Perché mi ha rincorsa solo per una foto?
«Dai, per favore. Non volevo cominciare così male è solo che con tutte le fan pazze che ci sono, ho pensato che mi fossi venuta addosso di proposito per vedere una qualche reazione e io ho attivato il mio personale meccanismo di difesa… è davvero difficile capire le fan. Ce ne sono davvero alcune che oltrepassano il limite, e non poco».       
Mentre parla sembra serio e ha tono ed espressione che sembrano dire che gli dispiace davvero.
«Solo un caffè, davvero. Giusto per non lasciarti questo ricordo di me».
Ci penso ancora un attimo. Potrebbe essere una tragedia? Non credo. Potrei anche pensare di dargli un po' di fiducia, anche perché non voglio avere questa immagine del mio primo attore coreano preferito.
«Va bene», rispondo alla fine.
Sorride: un sorriso caldo e sincero. Mi sta sorprendendo, davvero. Ma siamo sicuri che non sia bipolare? Fare qualche controllino potrebbe fargli bene.
«Perfetto. Ci vediamo domani davanti al Gwanghwamun alle 20.30?», chiede dopo averci pensato un attimo.
Annuisco e, nel frattempo, il tizio di prima lo chiama da lontano.
«Ora devo andare, ci vediamo domani».
 
Lee Minho si allontana e io prendo atto di tutto ciò che è successo in meno di 15 minuti. Mando subito un messaggio a Park Jieun e le spiego a grandi linee. Tempo cinque minuti e mi chiama.
"Spiegami tutto bene ma in poco tempo. Ho 10 minuti di pausa. Muoviti!", ulula senza troppe cerimonie.
Le spiego tutto ciò che è successo e le cito le parole esatte che il bipolare-spilungone ha pronunciato.
"Mi raccomando, vestiti non troppo elegante ma con vestiti carini e il trucco leggero ma sofisticato".
Io le dico che è solo per un caffè ma lei mi ordina di fare come mi ha detto.
"Ho capito, domani alle 18 vengo da te che ti aiuto a prepararti se no finisce che vai senza fare come ti ho detto io, poi ti accompagno a Gwanghwamun in macchina", dice alla fine dopo aver visto che sono contro tutte queste cerimonie per un caffè con qualcuno che mi ha trattata male fino al giorno prima (quasi).
Non mi resta che rassegnarmi e accettare "l'offerta di aiuto" di Park Jieun.
Terminata la chiamata con lei, torno alla mia visita turistica ma non sono più concentrata come prima. Sono agitata e mi chiedo se tutto ciò è vero e com'è possibile.
Per tranquillizzarmi, torno nella Sala del Trono senza passare per quella dei Banchetti e mi ributto nella storia e nell'architettura di questo luogo magico.
Salto il pranzo per finire di vedere tutte le parti mancanti e riguardarle una seconda volta per trovare dettagli che prima non avevo notato, poi mi rendo conto che è ora di tornare a casa per prepararmi alla serata con i miei compagni di corso.
Uscita dal Palazzo, mi fermo in una caffetteria e prendo un caffè e una fetta di torta che mangio seduta a un tavolino mentre riguardo le foto fatte e ripenso a quella cancellata e a che cosa ha portato. Pubblico una foto che ho fatto alla Sala del Trono e poi chiamo un taxi. Sono esausta, non credo di riuscire a farmi tutta la strada a piedi ed essere in grado di uscire di nuovo dopo.
 
Arrivata a casa mi faccio una doccia, per scaricare la tensione, da cui esco solo dopo una buona mezz'ora.
Trovo un messaggio da parte di Choi Seojun che mi dice di trovarci alle 20 davanti all'entrata dell'Università. Sono le 18.30, quindi ho ancora tutto il tempo del mondo per fare con calma.
Scelgo di indossare un vestitino a fiori con le maniche lunghe a sbuffo ma molto leggero, lego i capelli in uno chignon disordinato e mi faccio un trucco molto leggero: ombretto leggermente rosato e tinta labbra nude, quasi del colore delle mie, non metto la matita ma solamente mascara e eyeliner leggero. Come scarpe scelgo delle sneakers bianche. Outfit semplice ma molto carino.
Esco di casa alle 19.30, in anticipo ma così mi posso fare la strada a piedi e con calma, la doccia mi ha rigenerata. Non vedo l'ora di incontrare i miei nuovi compagni di corso e passare una bella serata.
Arrivo davanti all'Università un po' in anticipo ma Choi Seojun c'è già.
«Ciao Kira!», esclama scuotendo il braccio per farsi vedere da lontano.
«Ciao Choi Seojun», lo saluto a mia volta.
«Sei molto carina stasera», dice sorridendo. Io sorrido a mia volta e lo ringrazio per il complimento.
«Chi dobbiamo aspettare?», chiedo per evitare un po' d'imbarazzo.
«Solo un paio di persone, gli altri ci raggiungono direttamente al karaoke», risponde controllando le notifiche dei messaggi per vedere se qualcuno gli ha scritto. «Dovrebbero essere qui a momenti», aggiunge.
Aspettiamo un po' chiacchierando. Mi introduce i personaggi che incontrerò stasera. Non essendo al primo anno si conoscono già più o meno tutti, ma ci saranno anche altri studenti in Erasmus di varie nazionalità, quindi non sono l'unica in assoluto a non conoscere nessuno.
Qualche minuto dopo le 20.00, arrivano due ragazzi. Li ho già visti, erano nel gruppo che il primo giorno ha tenuto il posto a Choi Seojun in Aula Magna.
Ci presentiamo a vicenda: uno ha la mia età e si chiama Kim Suyon, l'altro ha 24 anni e si chiama Oh Sekyong.
Dopo le presentazioni ci avviamo verso il parcheggio, raggiungeremo il karaoke con la macchina di Choi Seojun.
Per fortuna il percorso non è molto lungo perché mi sento un po' a disagio a non conoscere nessuno e questi tre non fanno altro che parlare dell'ultima partita di calcio vista in televisione. Cioè, Choi Seojun ha cercato di portare l'argomento su qualcosa che coinvolgesse me ma con scarsissimi risultati.
Nella sala del karaoke che è stata prenotata per noi, troviamo altre 15 o 20 persone. Mi presento a tutti ma dopo un secondo non mi ricordo più i nomi, in ogni caso ho tutta la serata per impararli.
Ci sediamo e ordiniamo da bere e da mangiare. Per fortuna le prime cose ad arrivare solo le bevande e, dopo uno cicchetto di soju, siamo tutti più propensi a rompere il ghiaccio.
Choi Seojun cerca di presentarmi tutti e di coinvolgermi nelle discussioni che vengono fuori in attesa della cena ma in qualche modo l'argomento svia sempre su qualcosa che non capisco o che non so, come viaggi passati che hanno fatto tutti insieme o insegnanti bastardi o strani. Così, dopo qualche tentativo di partecipare, mi allontano dal gruppo di amici e mi siedo in un angolo del divano, vicino a una ragazza e un ragazzo che stanno parlando in inglese. Mi sento già molto meglio.
Finalmente arriva il cibo e cominciamo a servirci. Tra un boccone e l'altro, la ragazza vicino cui sono seduta mi comincia a parlare. Si chiama Christelle e viene da Parigi e il ragazzo con cui sta parlando è Kevin, dagli Stati Uniti. Discutiamo dei corsi che frequentiamo e dei Club: Christelle ha scelto quello di pallavolo mentre Kevin quello di cinema ed entrambi vivono nella residenza studentesca dell'Università.
Dopocena si passa dalle chiacchiere al canto scatenato. Ognuno sceglie una canzone e nomina qualcun altro per quella dopo. Sembrano tutti molto abituati ad andare al karaoke mentre io, appena mi rendo davvero conto che devo cantare davanti a delle persone, comincio ad avere la mia solita fastidiosissima ansia.
Alla fine vengo scelta da Choi Seojun, disgraziato. Però sembra accorgersi del mio imbarazzo e mi propone un duetto con una canzone a mia scelta che ricade su Melting Me Softly di K.Will.
Facendo entrambi parte del Club di Canto, non siamo così scarsi come alcuni che ci hanno preceduti, anzi, mettiamo su decisamente un bello spettacolo.
Io, inizialmente molto titubante e timida, dopo qualche strofa mi lascio andare anche perché Choi Seojun mi mette estremamente a mio agio e, così, comincio davvero a divertirmi come si deve.
Dopo un primo giro di turni di canto e un secondo giro di cicchetti di soju e (forse) un terzo, si comincia a cantare a caso e chi vuole va sul palco. Canto un altro paio di canzoni di cui una con Christelle e una con Kim Suyon, uno degli amici di Choi Seojun, che però non è decisamente portato per il canto.
Ci facciamo un mucchio di risate e andiamo avanti fino alle 2, quando decido di tornare a casa perché non voglio essere troppo stanca domani. Choi Seojun, insiste per accompagnarmi con un taxi e poi ritorna alla festa dove, tra l'altro, ha lasciato la macchina. Appena metto piede in casa mi spoglio e vado nel letto dove mi addormento subito come un sasso.
La mattina mi sveglio abbastanza tardi e con un leggero mal di testa che, fortunatamente, passa dopo aver fatto colazione. Il resto della mattinata la passo leggendo, controllando le mail e sistemando gli appunti presi a lezione, soprattutto quelli presi male che integro con gli appunti del santo Choi Seojun, dovrò fare una statua in suo onore.
A pranzo mi faccio un'insalata molto leggera per sistemare e allo stesso tempo preparare lo stomaco per stasera.
Per le 18.00, arriva Park Jieun tutta eccitata per il mio imminente incontro e cominciamo a scegliere un outfit per la serata: semplice ma elegante anche. Mentre provo varie possibili combinazioni, le racconto della serata al karaoke e lei mi ascolta con attenzione.
«Ora, non vorrei dire, ma secondo me hai fatto leggermente colpo su quel povero ragazzo che ti gira sempre intorno», dice ad un tratto mentre mi fa la piega ai capelli.
«Choi Seojun? Ma va, figurati», esclamo io ridacchiando. È semplicemente molto amichevole e ospitale, penso tra me e me.
Alla fine, optiamo per un paio di jeans neri a vita alta e una maglietta bianca a mezze maniche, strette fino al gomito e che poi si allargano. Come accessori scelgo una borsetta nera e le mie comodissime sneakers bianche.
Una volta pronta, Park Jieun mi squadra dalla testa ai piedi per vedere se è tutto a posto e perfettamente in ordine. Dopo il suo consenso, riusciamo a uscire di casa.
Lungo la strada mi consiglia di tutto tra cui diversi modi per sedurre un uomo.
«L'obiettivo non è portarmelo a letto», affermo per chiarire subito.
«No, certo. Però se succedesse non sarebbe male», risponde. Poi mi fa l'occhiolino e mi indica l'entrata. Siamo arrivate.
Scendendo dall'auto continuo a chiedermi se sono pronta. Non ne sono molto convinta ma, alla fine, è solamente per un caffè.
Respiro profondamente per diminuire la velocità del mio battito cardiaco e saluto Park Jieun. Prendo un altro respiro e mi giro per andare verso le porte del Palazzo. Mi blocco subito.
Lui è lì, che mi guarda, con mascherina e occhiali scuri. Mi fa cenno di raggiungerlo.
Prendo un ultimo profondo respiro e mi avvicino fino a raggiungere il suo fianco.
«Ciao, sono felice che tu sia venuta davvero», mi dice molto gentilmente cominciando a camminare.
«Si, ne sono felice anche io», rispondo ma non capendo bene se intendo: sono felice che tu sia venuto o che sia venuta io ma, alla fine, il senso è simile.
 

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Capitolo 6
*** Primo appuntamento ***


Camminiamo e rimaniamo in un silenzio un po’ impacciato. Nel mentre, però, mi godo la vista. Seoul di sera, con il cielo scuro e le luci di case, auto e negozi che si vedono in giro per la città, è davvero splendida.
«Come sta la tua amica? Devo ancora ringraziarla per bene del passaggio», dice ad un tratto Lee Minho interrompendo quel silenzio per me piacevole ma a tratti anche imbarazzante.
«Sta bene», rispondo brevemente. Esattamente che cosa gli dovrei dire? Mi viene solo in mente qualcosa tipo: sta bene ma ti ha dato un passaggio e l’hai ringraziata solo in modo sgarbato.
«Ottimo», dice lui e poi ripiombiamo nel silenzio.
Ok, provo a dargli una possibilità. Non posso mettere su lo scudo antisociale senza nemmeno avergli realmente dato una vera occasione.
«Seoul è davvero bella di notte», affermo dicendo la prima cosa che mi è venuta in mente ma che penso davvero.
«Trovi?», chiede lui.
Lo guardo un attimo e sul viso ha una strana espressione, come se la sua città non lo emozionasse più ormai, come se niente lo emozionasse più.
«Si… non voglio che suoni strano ma mi piace osservare la gente e i posti in cui vado e notare cose come l’odore di carne grigliata e soju che esce dai baracchini frequentati da lavoratori d’ufficio che ci vanno con i colleghi per una bella bevuta oppure l’odore di Bubble Tea e caffè fuori dalle caffetterie. Adoro i minimarket in giro per la città così piccoli e disordinati… non so come dire ma sono cose che, seppur lontane da come sono abituata, mi fanno sentire un po’ più a mio agio e, in un certo senso, a casa», dico d’un fiato guardandomi intorno e indicando le cose che a cui faccio riferimento. Respiro e lo guardo.
Mi fissa con occhi sorpresi, come se gli avessi fatto scoprire un mondo che non conosceva e che non si aspettava. Rimane in silenzio.
«Che c’è?», gli chiedo dopo un po’ visto che rimane zitto ma continua a fissarmi. Distoglie lo sguardo e comincia a guardarsi intorno. Sembra che stia valutando se credere a ciò che dico oppure no, credo che stia cercando di vedere con i miei occhi le cose di cui gli ho parlato.
Ricomincia a guardarmi e per risposta, non sapendo che altro fare, gli sorrido.
«Sai, forse hai ragione. È che sono nato qui ed è facile prendere molte cose per scontate. Soprattutto perché ogni giorno corro sempre da una parte all’altra della città, se non della Corea, e non mi soffermo più molto sulle piccole cose».
«Anche io prendevo per scontata la mia città e mi sentivo spesso come se non appartenessi a casa mia. Poi ho preso a guardarmi intorno e a godermi anche le cose più piccole ed è così che Milano ha cominciato a piacermi davvero, ha cominciato ad essere casa», gli dico allora dopo averci pensato un attimo.
Mi guarda di nuovo e torniamo in silenzio ma in un silenzio diverso da prima: stiamo zitti non perché no sappiamo che cosa dire, ma perché osserviamo ciò che ci circonda e ci godiamo ogni momento e ogni minima cosa.

«Eccoci arrivati», afferma Lee Minho ad un tratto fermandosi di colpo. Gli vado contro perché ero soprappensiero e lui mi blocca per non farmi cadere. Ha una bella stretta.
«Mi sa tanto che diventerà una tradizione», dice ridacchiando riferendosi al nostro primo incontro-scontro.
Lo ringrazio per avermi presa e mi scuso per essergli andata addosso e, allo stesso tempo, non so come reagire alla sua battuta.
«Tranquilla», mi dice lui cercando di rassicurarmi.
Cerco di credergli e guardo l’insegna del locale davanti la quale ci siamo fermati. È un ristorante, non una caffetteria.
«Ma non dovevamo prendere solo un caffè?», chiedo subito perplessa.
«All’inizio l’idea era quella ma mi sembra che andiamo piuttosto d’accordo e, anche se una cena è più impegnativa, penso che potremo affrontarla ugualmente», risponde aprendo la porta e tenendola mentre entro per prima. Ringrazio e mi guardo intorno.
È un posto insieme molto elegante ma anche tradizionale. I tavoli sono a livello terra con dei cuscini giganti dove sedersi, la musica è tradizionale e suonata dal vivo, l’atmosfera è rilassata ma tranquilla. Non c’è baraonda o confusione, le chiacchiere sono pacate come se tutti parlassero a bassa voce. Per quanto riguarda i colori, è un contrasto di chiari-scuri: pareti color crema con tavolini e cuscini neri. Appese ci sono delle lampade fatte a lanterna e in fondo alla sala principale ci sono delle stanzette che si chiudono con porte di bambù scorrevoli.
Arriva subito un cameriere e Lee Minho gli indica che siamo in due. Il cameriere controlla la prenotazione e poi, accortosi di chi è colui che ha prenotato, fa cenno di seguirlo e ci porta in una delle stanzette in fondo alla sala dove i tavolini non sono neri ma rosso scuro, come gli abiti imperiali.
Il cameriere lascia due menù sul tavolo e se ne va per lasciarci il tempo di scegliere. Lee Minho mi fa cenno di sedermi.
«Che bel posto!», affermo entusiasta. «Sembra di essere in una di quelle sale del Palazzo imperiale», aggiungo continuando a guardarmi intorno.
«Si, è molto caratteristico ma anche molto molto buono», dice Lee Minho guardandomi e sorridendomi.
Scorro il menù. C’è talmente tanta roba che non so che cosa scegliere a parte il mio piatto preferito. Dopo un quarto d’ora di contemplazione senza decidere nemmeno che cosa bere, guardo Lee Minho con fare implorante.
«Non sai che cosa prendere?», chiede allora lui mentre chiude il menù. Avrà già deciso da mezzo secolo ma, evidentemente, non me lo voleva far notare.
«Esattamente. Anche perché non conosco proprio tutti i piatti», confesso io mezza disperata.
Lui fa una risatina simpatica e poi mi spiega tutto il menù consigliandomi alcune delle cose che preferisce. Alla fine scelgo dei piatti tra quelli consigliati ma basandomi sul livello di piccantezza che, per me, dev’essere abbastanza basso. Una volta che mi sono decisa, riusciamo finalmente a ordinare.
«Mi spiace averci messo così tanto», affermo desolata. Mannaggia la mia indecisione!
«Tranquilla, penso che sia più che normale anche perché non conosci tutte le pietanze. In ogni caso anche io ero molto indeciso le prime volte che sono venuto qui. I piatti sono davvero vari ed è dura sceglierne il giusto numero per non uscire rotolando. Vengo sempre qui sia perché è estremamente buono sia perché voglio provare ogni singolo piatto», risponde lui tranquillo. Mi sorride di nuovo e io gli sorrido a mia volta.
«E ci sei riuscito?», gli chiedo poi curiosa.
«Ammetto che mi manca ancora qualcosa», risponde lui dopo averci pensato un attimo.
Chiacchieriamo un po’ di tutto. Gli racconto della mia vita prima di arrivare in Corea e lui mi racconta qualche aneddoto divertente proveniente dai vari set. A mia volta gli racconto di quando il mio gatto si è lanciato, del tutto spontaneamente, sul fornetto della cera per la ceretta e lo abbiamo dovuto pelare tutto.
«Sembrava un leoncino dopo averlo rasato ma, poverino, è rimasto traumatizzato per giorni e adesso, quando vede qualcosa che anche solo lontanamente ci assomiglia, si allontana soffiando e inarcando la schiena».
Lee Minho ride di gusto per gli aneddoti che gli racconto con una profonda e genuina risata. Ne rimango incantata.
Smetto presto di pensare che sto cenando con un attore molto celebre e mio mito e mi ritrovo davanti un uomo incantevole che, nonostante l’avessi visto mille mila volte nei drama, non avevo mai visto. Non così.
Non riesco a smettere di fissare i suoi occhi. Sono così castani e profondi e non smettono di brillare di gioia, una gioia autentica. Non posso fare a meno di sentirmi sopraffatta e molto felice per quello che vedo e percepisco.
«Tutto bene?», mi chiede Lee Minho ad un tratto.
Io mi scuoto dai miei pensieri e, imbarazzata, rispondo di si. Mi sono persa nei meandri della mia mente e non ho smesso di guardarlo un attimo (probabilmente con sguardo trasognato).
«Ottimo, perché stanno arrivando le nostre ordinazioni», afferma indicando il cameriere che, ormai, è a pochi passi da noi.
Osservo i piatti che ha in mano e comincio ad avere l’acquolina in bocca.
«Ecco a voi», dice cordialmente il cameriere servendoci i piatti con estrema eleganza.
«Grazie mille», rispondiamo insieme.
Non riesco a distogliere lo sguardo dalle prelibatezze che ho davanti. I profumi sono spaziali. Si sente odore di spezie e soia fermentata, il tè caldo che abbiamo scelto come bevanda, emana un delicatissimo profumo di fiori: gelsomino e rosa, credo, e qualcosa che non riesco bene a identificare ma è molto dolce.
«Buon appetito!», esclamo con gli occhi a cuoricino. Non vedo l’ora di assaggiare tutto questo cibo, sembra davvero super-squisito.
«Buon appetito», risponde Lee Minho prendendo le bacchette.
Comincio dai miei amatissimi jajangmyeon, noodles coreani in salsa di fagioli neri fermentati. Sono favolosi, gustosissimi. Si sente un po’ di soia fermentata che dona al piatto un gusto aromatizzato e saporito con i fagioli.
«Ti piace?», chiede Lee Minho dopo qualche minuto di silenzio.
Annuisco senza riuscire a smettere di mangiare. I noodles si sciolgono in bocca ma senza essere mollicci anzi, sono cotti alla perfezione. Finisco il boccone e mi costringo a fermarmi un attimo.
«Scusa, è che sono deliziosi. Davvero, mi fa rimanere senza parole e non riesco a smettere di mangiare».
«Lo so, vale la pena assaggiare ogni singolo piatto in questo ristorante. Sono davvero felice che ti piaccia», dice lui. Riprendiamo a mangiare.
Finisco il primo piatto e passo a quelli successivi. Ceniamo con calma e in silenzio ma un silenzio goloso nel senso che ci gustiamo il pasto con calma, ogni tanto ci sorridiamo ma il tutto non è per niente impacciato.
«Dolce?», mi chiede Lee Minho una volta finiti i piatti ordinati.
Ci penso un attimo. Sono super piena ma forse un dolce ci può stare e così annuisco.
Mi consiglia di prendere i songpyeon, tipo mochi giapponesi: tortine di riso con marmellata di fagioli rossi all’interno.
«Grazie mille per la serata», gli dico mentre aspettiamo il dolce. Forse dovevo aspettare a dirlo.
«Grazie a te», risponde lui.
Rimango un attimo in silenzio e poi aggiungo: «Dopo averti incontrato quelle due volte, non avevo molta fiducia nella tua persona. Mi ero convinta a vederti solo come personaggio per evitare di far crollare l’ideale che mi ero fatta di te ma…», mi fermo un attimo. So come voglio continuare ma non sono convinta sul modo da usare.
«Ma?», m’incalza Lee Minho serio ma non teso o arrabbiato.
«Ma ammetto che sei una persona ancora migliore di quello che appari nei drama. Ho visto i tuoi occhi stasera, ho ascoltato le tue risate e ho trovato tutto molto sincero», rispondo in un soffio.
Lee Minho rimane un attimo in silenzio, sta pensando a come rispondere.
«Forse la risposta che ti sto per dare è un po’ un cliché ma ammetto che con tutte le fan che ho, e molte vanno davvero fuori di testa, quando vado in giro per rilassarmi mi travesto e metto su uno scudo per difendermi da attacchi esterni, come se entrassi in un altro personaggio, uno in incognito. Mi spiace averti creato disagio», dice.
«No, hai ragione. Non posso nemmeno immaginare come sia essere famoso e, in effetti, ho esagerato con la mia reazione e mi dispiace davvero molto».
Ci sorridiamo a vicenda e ci godiamo i songpyeon che, nel frattempo, sono arrivati. Sono morbidi e gommosi, dolci ma non troppo.
Finito il dolce, Lee Minho insiste per pagare tutto lui e, alla fine, cedo se non altro perché qui si usa così e non lo voglio offendere.
«Grazie, ma la prossima cena la pago io», dico senza pensarci un secondo in più. Ma non è detto che ci rivedremo ancora, mi ha invitata a cena per scusarsi dell’equivoco, non per altro.
«Uhm…Per un attimo mi sono dimenticata che sei un attore», dico ma senza volerlo. Lo volevo solo pensare.
«Al massimo ti posso concedere di fare a metà», risponde lui «E non vedevo l’ora che qualcuno non mi guardasse solo come un attore ma anche come una semplice persona», aggiunge con un sorriso. In fondo a quel sorriso c’è amarezza, ma a me vuole solo far vedere la sua gratitudine.
Lo guardo, sorpresa della reazione ma anche felice. Vuol dire che spera che ci vedremo di nuovo.
Non so bene che cosa rispondergli, così gli sorrido.
«Mi sono trovato davvero molto bene stasera, quindi spero che accetterai di uscire con me di nuovo anche se, onestamente, potrei avere poco tempo alla settimana da dedicarti. Ma accetteresti ugualmente di provare a vederci?», dice.
Mi dimentico sempre che qui in Corea, per queste cose, tendono ad essere estremamente chiari e diretti. Sorrido involontariamente, non so come rispondere ma sono felice che la pensi così.
«Quindi è un si?», chiede speranzoso.
Annuisco e, così, ci scambiamo i numeri di cellulare.
«Grazie mille per la serata, mi sono trovata davvero bene e quel ristorante è superbo», gli dico mentre salva il mio numero. Di nuovo penso che forse dovevo aspettare ma poi, alla fine, perché dovrei? Ogni tanto fa bene essere un po’ più spontanei.
«Grazie a te. Sono contento che siamo riusciti a ripartire da zero», risponde lui guardandomi con un sorriso.
«Allora ci vediamo la prossima volta», dico una volta rimesso via il cellulare.
«No, prima ti riporto a casa. Non ci torni da sola, ormai è piuttosto tardi», afferma con voce autoritaria.
«Posso prendere un taxi, non ti preoccupare», dico cominciando a vedere se c’è una fermata nelle vicinanze.
«Dove abiti?». Io gli rispondo e lui decide che, almeno un pezzo, lo possiamo fare tranquillamente a piedi.
«Mi piace passeggiare. E poi almeno possiamo stare insieme ancora un po’», dice. Io sorrido ma non dico nulla, sono bloccata. Cosa dovrei rispondere ad una frase tanto bella e dolce?
Gira i tacchi verso la direzione in cui dobbiamo andare, si rimette bene la mascherina e mi porge il braccio. Io, con il cuore che batte all’impazzata, metto il mio braccio attorno al suo e cominciamo a camminare.
Lungo la strada continuiamo a chiacchierare del più e del meno fino a quando troviamo una sala giochi all’aperto dove vedo una macchinetta pesca pupazzi pieno di panda e unicorni super-carini e, lasciando il braccio a Lee Minho, ci corro davanti con gli occhi sognanti.
«Lo vuoi fare?», chiede Lee Minho ridendo. Deve pensare che io sia una bambina al momento ma questi pupazzi sono troppo belli.
«Assolutamente!», esclamo tirando fuori le monetine dal portafoglio.
Dopo quattro tentativi ancora non sono riuscita a prendere nulla e comincio a desistere, anche perché sto finendo le monete.
«Vuoi che provo io?», mi chiede Lee Minho. Ci prova ma non riesce nemmeno lui.
Così andiamo avanti a tentativi ridendo come dei bambini e cercando tutte le tattiche possibili per prenderne almeno uno.
«Ok, questa è ufficialmente l’ultima monetina», dice Lee Minho controllando il portafoglio. Perfetto, non ho solo finito le mie ma gli ho finite anche le sue.
«Oddio, scusami. Non me ne sono davvero resa conto», gli dico desolata. «Andiamo che è meglio», aggiungo allontanandomi dalla macchinetta.
«No, ultima monetina e ultimo tentativo. Se non riusciamo poi ce ne andiamo davvero», dice serio. Vuole prendere il pupazzo con tutto se stesso, si sta impegnando tantissimo.
Accetto e ci mettiamo a pensare a un modo. Optiamo per provarci insieme nello stesso momento e… incredibile, ce la facciamo!
Appena vediamo il panda scendere nel buco esultiamo come se avessimo appena vinto le Olimpiadi e ci abbracciamo. Appena me ne rendo conto mi stacco subito imbarazzata e mi riprendo tribolando con lo sportello per ritirare il nostro premio.
Ancora con le guance rosse lo porgo a Lee Minho.
«No, tienilo. Hai vinto», dice sorridendo.
«Abbiamo vinto», ribatte lui e dà un buffetto alla guancia del panda e poi riprendiamo a camminare.
Io, ancora imbarazzata per l’abbraccio, non riesco a dire nulla.
«Grazie di nuovo», dice Lee Minho guardandomi e poi tornando a fissare la strada davanti a noi. «Le uniche volte che ho giocato con quelle macchinette è stato sempre girando qualcosa con le mie colleghe. Non l’ho mai fatto in modo davvero autentico e devo dire che è stato fantastico tornare per un attimo bambino».
È felice, lo vedo nei suoi occhi brillanti. Si è sentito, anche se solo per qualche minuto, un uomo normale e non un uomo costantemente sotto i riflettori a interpretare qualcun altro.
«È stato divertente», rispondo io ringraziandolo per aver, tra l’altro, usato anche tutte le sue monete.
Tra una chiacchiera e l’altra, senza rendercene conto, siamo davanti alla porta del condominio dove abito. Abbiamo fatto chilometri di strada a piedi senza rendercene minimamente conto.
Ci ringraziamo a vicenda per la bellissima serata e ci salutiamo dandoci la buonanotte.
«Ci sentiamo nei prossimi giorni», dice Lee Minho quasi chiedendomi una conferma.
«Certo, fammi sapere quando hai tempo per la prossima uscita», gli rispondo in modo stranamente sicuro.
Ci salutiamo di nuovo ed entro nel portone. Salgo fino al mio appartamento, entro in casa e mi sdraio sul letto.
Suona il cellulare, è Lee Minho.
«Hai dimenticato qualcosa?», chiedo subito.
“No, volevo solo assicurarmi che fossi entrata in casa”, dice lui.
«Si, sono appena entrata», gli rispondo non credendo alle mie orecchie. Può essere davvero così dolce una persona?
“Va bene, allora vado. Buonanotte”.
Gli do la buonanotte anche io e chiudiamo la chiamata.
Mi preparo per dormire ma prima di riuscirci mi rotolo sul letto ridacchiando ed emettendo suoni da scoiattolo per la felicità. Sbatto i piedi e mi pinzo le guance con le dita per cercare di capire se è tutto vero o è stato tutto un sogno.
«Ahi», dico quando arrivo a mordermi il labbro per assicurarmi che tutto è successo davvero.
Corro in bagno e mi guardo allo specchio, ho un sorriso a 85 denti, faccio qualche salto e poi decido che è ora di calmarmi e di andare a dormire. Domani ho lezione presto e poi devo andare a lavorare quindi devo essere riposata.
Così mi metto a letto e, dopo qualche profondo respiro per calmarmi bene, riesco ad addormentarmi.

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Capitolo 7
*** Un altro punto di vista ***


Chiudo la chiamata e sorrido come non succedeva da diverso tempo e da diverso tempo non mi sentivo così felice e senza pensieri e non ho nemmeno mai posto tutta questa attenzione alla persona che avevo davanti come, invece, ho fatto questa sera.

Adesso che so che è rientrata in casa, posso andarmene tranquillo anche io anche se, a dirla tutta, mi allontano a malincuore.
Riprendo a camminare in direzione del centro e ripenso al primo incontro con Chloe quando stavo camminando tranquillo e ad un tratto mi viene addosso ridacchiando con la sua amica.
Inizialmente ho pensato che l’avesse fatto apposta e mi sono subito messo sulla difensiva ma poi, alla seconda volta quando, ancora, non mi aveva riconosciuto ho capito che non era una fan pazza ma non è stato facile comportarmi normalmente.
Mi ricordo ancora le sue espressioni: quella di quando si è scontrata accidentalmente con me e quella di quando ha scoperto che il ragazzo misterioso e un po’ scontroso ero io. Ho pensato che fosse una fan squilibrata perché mi guardava in modo strano ma, ripensandoci bene, per com’ero vestito ero io quello strano.

Sto camminando tranquillo quando, ad un tratto, una ragazzina schiamazzante mi viene addosso con praticamente tutto il suo peso. Ride talmente tanto prima di scontrarsi con me che penso istintivamente sia io la causa. Spero non mi chieda una foto perché non sono decisamente dell'umore e poi, per attirare la mia attenzione poteva anche evitare di venirmi addosso… bastava chiedere con gentilezza.
La ragazzina però non mi chiede nulla, anzi, si inchina e mi chiede frettolosamente scusa. Ha un'espressione corrucciata, come se non si aspettasse di trovarsi qualcuno come me davanti. Sarà perché sa chi sono? Meglio che mi affretti prima che riesca a riprendersi dall'apparente stordimento.
«Vedi di stare più attenta la prossima volta», le dico con tono aspro allontanandomi prima che possa dire qualcos'altro. Continuo a camminare dritto di fronte a me e, ogni tanto, mi guardo alle spalle senza farmi notare troppo ma la ragazzina e la sua amica non mi stanno inseguendo.
Magari non lo ha fatto apposta ma non voglio rischiare. Oggi le riprese sono state molto faticose e l'unica cosa che voglio fare è andarmene a casa senza troppa confusione. Come se non bastasse mi arrivano ancora messaggi da parte della sasaeng* contro cui ho chiesto un ordine restrittivo che, a quanto pare, non sta funzionando.
(*Sasaeng = fan ossessivo che invade la privacy di una celebrità arrivando a stalkerarla o altro)

Il pensiero di quella ragazzina mi ha perseguitato per giorni e non riuscivo a capire perché mi era venuta addosso. Ero talmente preso dai miei problemi con le fan che non mi è nemmeno passato per l’anticamera del cervello il pensiero che fosse solo una ragazza che ridendo si è scontrata con quello che le dev’essere sembrato un tipo poco raccomandabile.
Di certo la seconda volta non è andata molto meglio anzi, devo averla proprio scossa e di questo mi sono pentito subito dopo essere uscito dalla macchina della sua amica.

I paparazzi mi continuano a seguire. È da stamattina, quando sono andato in tribunale a testimoniare contro la sasaeng, che mi seguono per sapere che cosa è successo e come intendo procedere ma non sono proprio dell'umore di rispondere a giornalisti sanguisughe che sicuramente modificheranno i fatti per trovare il loro grande scoop.
Ho semplicemente fatto causa ad una mia fan che più che una fan è diventata una stalker. Ha trovato i miei numeri di cellulare e le mie mail e ha cominciato a scrivermi arrivando anche a minacciarmi se non accettavo un incontro con lei e l'altro ieri sera me la sono ritrovata in casa piangente. Voleva stare con me e ha minacciato di suicidarsi se non avessi acconsentito. Per fortuna sono riuscito a chiamare la polizia ma questa cosa mi perseguiterà per molto tempo, non è un'esperienza piacevole.
I giornalisti, che più che giornalisti sono paparazzi, tireranno fuori chissà quale storia romantica precedente per far sembrare che io l'abbia abbandonata e tutto perché non mi vedono mai con delle donne. Non hanno materiale succoso su di me e lo vogliono creare e sono stanco di questa cosa.
Sono i giornalisti e le fan estremiste che mi hanno portato a non fidarmi più di nessuno. Nel mio ambiente o sei riservato o ti ritrovi ogni giorno su una pagina di qualche giornale scandalistico per una sola parola detta in eccesso. Non voglio che la mia vita privata venga messa in mostra alle persone in modo inappropriato e forzato perché, come mi è già successo, porta a scontri infiniti e a rotture.
Giro l'angolo e un flash mi acceca così giro subito i tacchi ed entro nella prima porta che vedo sulla mia sinistra. È un ristorante, pollo fritto. Devo aver girato un paio di scene qui dentro, forse non è il posto migliore ma se al momento uscissi mi troverebbero subito.
Vado in fondo alla sala e mi siedo in un angolo coprendomi bene. Ordino qualcosa sperando che nessuno faccia domande e mi guardo un po' in giro.
Fuori sembra non esserci nessuno per ora, la strada sembra libera ma non voglio ancora rischiare. Nella sala dove sono non c'è molta gente: un signore mezzo pelato e due ragazze che chiacchierano.
Con lo sguardo passo oltre le due ragazze ma subito ci ritorno e spalanco gli occhi. Non è possibile, è la ragazza che mi è venuta addosso giorni fa. Istintivamente mi spingo di più nell'angolo ma poi mi rendo conto che non poteva sapere che sarei venuto qui dentro perché non lo sapevo nemmeno io. È un incontro del tutto casuale ma molto strano.
Mi soffermo sulla ragazza che mi è venuta addosso e solo ora mi rendo conto che non è coreana. Cosa, in effetti, molto visibile visto che ha occhi azzurri e capelli castani ma non me n'ero accorto l'altra sera.
Abbasso lo sguardo nel momento in cui mi rendo conto che si è accorta che la sto guardando. Che strano il caso però. Insomma, quante probabilità c'erano di incontrarla di nuovo nel giro di qualche giorno? E in un posto completamente a caso.
Sorrido sotto la mascherina, anche se non so bene per cosa. Semplicemente, è una situazione piuttosto bizzarra.
Sto per riguardare dalla sua parte quando vedo un flash: i paparazzi mi hanno beccato.
Istintivamente mi alzo e, senza pensarci, passo di fianco alla ragazza straniera e le rubo un'aletta di pollo per attirare la sua attenzione e anche perché ho una certa fame. Magari mi può dare una mano anche se sto facendo una cosa alquanto bizzarra. Devo dire che City Hunter mi è rimasto dentro.
Sento subito la sua amica che urla e cerca di chiamarmi ma mi dirigo sul retro del negozio per cercare una via d'uscita. Come speravo, l'amica mi raggiunge e mi blocca.
«Ti sembra educato rubare il cibo dai piatti altrui? Tra l'altro, qualche sera fa la mia amica ti è venuta addosso e, nonostante non l'abbia fatto apposta, si è scusata e tu sei stato molto sgarbato. È straniera ma non è un'aliena», dice con voce molto stizzita.
Davvero ha pensato che tra tutte le cose possibili il problema fosse il fatto che non è coreana? Alquanto bizzarra.
Guardo la ragazza che mi è venuta addosso. Sembra desolata per la reazione dell'amica ma anche grata anche se non riesce a guardarmi. Chiede all'amica che cosa c'entra il fatto di essere straniera e quest'ultima le risponde che ad alcuni coreani gli stranieri non piacciono.
«Tranquilla, non succede solo in Corea», le risponde.
Continuo a osservarla fino a quando non mi ricordo che, però, sono di fretta. Così, come se niente fosse, chiedo un passaggio in macchina che, anche se malvolentieri, mi viene concesso.
Guida l'amica della ragazza-scontro che passa tutto il viaggio a osservarmi con sguardo circospetto come per assicurarsi che non abbia una qualche arma nascosta addosso.
Ad un certo punto mi chiedono chi sono e, in effetti, è una domanda più che legittima ma, grazie agli ultimi eventi burrascosi, sono un po' titubante. In ogni caso dopo un po' sono costretto a cedere e mi tolgo gli occhiali da sole.
La ragazza-scontro rimane inebetita e dice che avrebbe preferito non saperlo e io non capisco. Chi preferirebbe non sapere che è in macchina con me? Poi mi ricordo di essere un po' più umile… in questo periodo sono un po' acido.
Mi chiede se sono io il tipo contro cui si è scontrata, confermo. Sembra sempre più provata dalla rivelazione, come se le fosse crollato un mondo. In qualche modo mi dispiace tanto perché è un disagio che in fin dei conti le ho creato io con il mio modo di fare scontroso.
Istintivamente vorrei scusarmi e consolarla ma sono in ritardo, così chiedo la mail alla sua amica per il rimborso del passaggio ed esco dalla macchina correndo al lavoro.

Ripensando a quegli incontri vorrei davvero che non fossero accaduti. Vorrei che ci fossimo incontrati in modo più calmo e pacato o per lo meno vorrei averle risposto meglio la prima volta.
Però, per fortuna, il caso ci ha fatti incontrare per la terza volta e quella volta, finalmente, ho avuto il coraggio di farmi avanti.

Siamo in pausa. È due giorni che proviamo a girare questa scena e, finalmente, oggi ce l'abbiamo fatta. È una bella giornata, anche perché la causa con la sasaeng è terminata e sono a posto. Quella ragazza è stata ricoverata per problemi psicologici e spero davvero che riesca a ristabilirsi presto.
Mi guardo intorno, è sempre bella questa sala e ci ho girato ormai un gran numero di scene.
«Signore, c'è una ragazza che sta facendo delle foto. Vado a fermarla», mi dice la mia guardia del corpo. Annuisco e guardo verso la ragazza. Spalanco gli occhi.
In lontananza vedo una testolina castana molto famigliare e istintivamente comincio ad andare verso di lei.
Sono sicuro? Ho appena risolto un problema e me ne creo subito un altro? Non so se è esattamente la cosa giusta da fare.
La testolina castana si gira e comincia ad allontanarsi frettolosamente. Senza pensarci e quasi disperatamente comincio a correrle incontro. Vorrei riuscire a prendere posizione una buona volta e a cercare qualcosa per cui essere felice.
Sembra la corsa della speranza: io che la rincorro e non la raggiungo mai ma poi, alla fine, ce la faccio. Si ferma e si gira verso di me.
«Mi sembravi tu», le dico subito riprendendo il respiro.
«Ciao. Allora eri tu lo spilungone che ho visto», mi saluta lei con tono irritato.
D'istinto le rispondo: «Allora sei tu la ficcanaso che stava facendo foto al set», rispondo sarcastico pentendomi subito della mia risposta.
«La cancello subito. Potevi anche non disturbarti e mandare il tipo della sicurezza che ti sta seguendo a vista», mi dice noncurante come se la stessi disturbando. Mi colpisce il suo tono, ma cerco di non farmi prendere dallo sconforto.
Mi giro e faccio cenno al mio bodyguard di ritornare indietro.
«Mi sembravi tu e volevo farlo di persona», le dico cercando di risultare il più rilassato possibile.
Lei prende il telefono e mi fa vedere che cancella le foto che ha fatto. Le vorrei dire che potrei riportarla qui per fare altre foto quando sarà di nuovo possibile ma mi blocco. Non devo esagerare.
«Facciamo una foto insieme?», le chiedo… come se fosse la cosa giusta da chiedere in una situazione del genere. Ma che cosa mi passa per la testa alle volte?
Lei si gira e fa per andarsene ma riesco a bloccarla di nuovo.
«Se il tuo intento è farmi irritare ogni volta che ci vediamo perché ridendo ti sono venuta PER SBAGLIO addosso, allora posso anche andarmene senza tante cerimonie», dice lei molto scocciata. E ha ragione, in effetti non le ho mai dato tregua dallo scontro per strada e non so bene perché riesca sempre ad irritarla non volendo.
Devo sistemare le cose.
«No, hai ragione. Abbiamo proprio cominciato male. Ti va un caffè in segno di pace?», le chiedo sperando con tutto me stesso di non aver esagerato con una domanda del genere.
Mi sta fissando in silenzio ed è straziante questo silenzio. Mi rimbomba nelle orecchie.
«Dai, per favore. Non volevo cominciare così male», le inizio a dire e cerco di spiegarle che a causa delle mie fan che a volte sono pazze, appena mi è venuta addosso ho pensato che lo avesse fatto apposta e ho attivato il mio meccanismo di difesa.
«Solo un caffè, davvero. Giusto per non lasciarti questo ricordo di me», aggiungo sperando in una risposta veloce e, se possibile, affermativa.
«Va bene», mi risponde dopo un minuto che mi sembra lungo quanto un secolo.
Sorrido felice, ce l'ho fatta.
«Perfetto. Ci vediamo domani davanti al Gwanghwamun alle 20.30?», le chiedo dopo aver pensato ai miei orari. Vorrei andare subito ma devo girare ancora tutto il giorno e la stessa cosa anche domani.
Lei accetta e io sono soddisfatto. Vorrei, per lo meno, sistemare l'immagine che si è fatta di me. Quando ha scoperto che ero Lee Minho ha fatto un'espressione di pura delusione che mi ha lasciato atterrito.

Ed ecco che siamo arrivati ad oggi. Ho passato tutto il giorno non vedendo l’ora che arrivasse la sera e alle 20.30 l’ho vista, così carina. Mi ha rapito subito e non sono riuscito a portarla fuori solo per un caffè, ho subito sentito la necessità di passarci insieme più tempo possibile e così l’ho portata nel mio ristorante preferito.
Parlando, lungo la strada, mi ha fatto notare cose che non notavo da ormai molto tempo e ho riscoperto la bellezza di Seoul, la mia città che mi era diventata così estranea negli ultimi tempi e che mi sembrava solo un luogo dove lavoro tutti i giorni instancabilmente. Sono soddisfatto del mio lavoro, assolutamente, ma ho perso il senso delle piccole cose come le luci di Seoul o l’odore di carne e soju fuori dai baracchini per strada. Queste cose me le ha fatte riscoprire Chloe che è qui da poco ma ha già capito tutto.
Quella ragazza riesce a vedere qualcosa di bello in tutto, anche solo nell’odore di bubble tea e guardando i ragazzi che tornano a casa dopo la scuola. Riesce ancora a rimanere stupita e impressionata davanti al Palazzo imperiale.
È genuina e innocente, come quando è corsa alla macchinetta pesca-pupazzi. Mentre provava a prendere i peluche aveva un’espressione molto concentrata, ci ha messo tutto il suo impegno nonostante fosse solo un gioco per bambini. Ho visto la gioia nei suoi occhi quando siamo riusciti a prenderlo, occhi azzurri così lucenti di felicità, e poi il suo tenero imbarazzo quando esultando ci siamo abbracciati.
Ne sono rimasto folgorato anche la prima volta che l’ho vista nonostante avessi interpretato male i suoi gesti ma mi è sempre rimasto in mente il suo volto, la sua espressione e i suoi occhi così espressivi.
Ma è il suo sorriso a colpire al cuore, sincero e splendente. Quando sorride, tutto il resto scompare.
Per una sera mi ha fatto dimenticare della sasaeng, delle mie giornate così impegnate, della mia stanchezza e del fatto che sono un attore costantemente sotto gli occhi di tutti, un attore che deve sempre raggiungere il livello che gli altri si aspettano da lui, nonostante tutto quello che può succedere nella sua vita. È il mio lavoro, lo so, e non potrei vivere senza ma a volte annienta e annulla la mia persona, ciò che sono lontano da un set.
Per una sera ci siamo stati solamente io e Chloe, la pace e la gioia. Tutti i miei problemi, le mie perplessità e tutto ciò che può esserci di negativo sono scomparsi nel momento in cui l’ho vista scendere dall’auto.

Continuando a pensare a lei arrivo a casa senza rendermene conto. Mi stendo sul letto stanco per le ore di camminata ma felice ogni oltre previsione. Non pensavo che una sola persona potesse sconvolgerne un’altra in questo modo.
Non prendo subito sonno ma, senza pensarci, le scrivo un messaggio dandole di nuovo la buonanotte. Ne avevo bisogno per vedere che ho davvero il suo numero, che l’ho chiamata e che tutto è reale e non solo la scena molto romantica di un drama. Ogni tanto vita e scena si confondono e ho bisogno di rimettere a posto le cose e adesso l’ho fatto così, mandandole la buonanotte senza bisogno di una risposta ma felice comunque di averlo fatto.
Dopo un po’ di tempo a ripensare ancora e ancora alla serata, finalmente mi addormento e dormo un sonno tranquillo e riposante come non mai.

Nota dell'autrice: E' la prima volta che scrivo da un punto di vista maschile. Come vi sembra il capitolo? Lasciatemi un feedback in modo che possa migliorare nei prossimi capitoli! Grazie!

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Capitolo 8
*** Felicità ***


Mi sveglio felicissima e trovo un messaggio di Lee Minho in cui mi dà la buonanotte. Sorrido, ha pensato a me anche prima di andare a dormire.
Sono davvero al settimo cielo, e forse anche oltre, perché ieri ho passato una serata davvero stupenda e non perché sono uscita con il mio attore preferito ma perché sono uscita con Lee Minho, una persona fantastica. Anzi, devo ammettere che, in qualche modo, mi sto dimenticando che è un attore man mano che ci avviciniamo sempre di più. È davvero strano ma non penso affatto che sia una cosa negativa, anzi.
Faccio colazione canticchiando e vado a lezione saltellando. Sono talmente pimpante che Choi Seojun mi chiede se sto bene. Sto molto più che bene direi.
Non riesco a smettere di sorridere e leggere il messaggio di buonanotte di Lee Minho. A tempo perso guardo anche la chiamata di 30 secondi di quando mi ha chiesto se fossi entrata in casa.
È tutto successo davvero. Sembra impossibile ma sono davvero uscita con lui.
Il tempo passa super-veloce ma anche super-lento perché a volte sento l’impellente bisogno di correre da Park Jieun e raccontarle tutto nei minimi dettagli.
Quando le lezioni finalmente finiscono saluto Choi Seojun e i suoi amici in fretta e furia e corro in caffetteria.

«Allora? Com’è andata ieri sera?» mi chiede appena entro in caffetteria. Ottimo, c’è ancora.
Sorrido e le racconto tutto per filo e per segno quasi senza smettere di respirare un secondo. Lei si emoziona con me e scherza facendomi l’occhiolino ogni tanto.
«Beh, si vede che ieri è andata bene. Sembri così felice e hai uno sguardo trasognato», dice dopo che ho finito di raccontarle l’uscita con Lee Minho della sera precedente.
Ed è proprio così che mi sento. Sono immensamente felice e sento come se il cuore potesse esplodere o uscirmi dal petto da un momento all’altro.
«E dire che hai fatto tante storie perché ti sembrava antipatico», dice Park Jieun ridacchiando.
«Ammetterai anche tu che i primi incontri non sono stati dei più piacevoli», le rispondo un po’ canzonatoria.
«In effetti… non ci aveva lasciato una buona impressione ma direi che ha migliorato la situazione».
«Si, direi proprio di sì».
Alle 14.30, Park Jieun mi saluta e io comincio il mio turno di lavoro ancora in estasi. Se ne accorgono perfino i clienti abituali che mi chiedono che cosa è successo di così bello per essere tanto felice e io rispondo solo che mi sono svegliata bene, cosa che a pensarci è vera anche se dietro c’è un motivo meno sbrigativo.
Finito il turno decido di andare a fare un giro per la città, è inutile che mi rinchiudo in casa. Tra l’altro da domani iniziano anche i club, quindi è meglio girare adesso che ho ancora tanto tempo libero.
Mi squilla il telefono, è Park Jieun.
“Pronto, ciao Chloe. Volevo chiederti se hai voglia di fare un giro. Ho appena finito di lavorare e sono in centro”.
Le dico che anche io sono in centro e ci diamo appuntamento. La raggiungo alla caffetteria che mi ha indicato e ordiniamo due Bubble Tea e una fetta di torta da dividere e poi ci sediamo all’esterno, si sta davvero bene.
«Vedo che sei ancora felicissima», mi dice sorridendo. Io annuisco e prendo un sorso della mia bevanda.
«É stato sorprendente ieri sera, tra l’altro non sembrava neanche di uscire con un attore ma solo con un ragazzo stupendo», le dico molto sinceramente.
«Bene, ne sono molto felice», risponde lei e poi mi chiede se ci sono ulteriori dettagli che, magari, prima mi sono persa. Vuole semplicemente riascoltare tutta la storia con più calma e così gliela racconto di nuovo compiaciuta.
«Sembrano le scene di un Drama», afferma con tono sognante una volta che ho finito il racconto.
«È vero… è stato talmente da Drama che stamattina ho ricontrollato trecentomila volte che mi avesse chiamata e scritto davvero», le dico sconvolta.
Ridiamo e poi andiamo a fare un giro insieme comprando articoli di skincare coreana e io, causa la mia malattia per la cancelleria, prendo altre penne e quaderni carini e anche un’agenda con la scusa che la mia è consunta (non ci credo neanche io a dire la verità, ma va beh).
Mentre siamo sulla via del ritorno, mi arriva un messaggio.

“Ancora grazie per la cena di ieri sera. Nel weekend hai da fare? Forse domenica avrò la giornata libera, se ti va possiamo organizzare qualcosa.
Un bacio, Lee Minho.”

«Un bacio», mi canzona Park Jieun mimando il benedettissimo bacio. Le lancio un’occhiataccia.
«Non voglio pensare a chissà cosa quando non è ancora altro che un’uscita tra conoscenti», le dico subito.
«Ah, quante storie. Ti ha chiesto SUBITO una seconda uscita! Non mi sembra solo “qualcosa tra conoscenti”», risponde lei dopo aver sbuffato.
In realtà la penso nello stesso modo solo che non voglio immaginarmi cose che magari non saranno mai. Non voglio costruirmi castelli in aria e speranze su qualcosa che magari non succederà mai per poi doverne gestire la delusione.
Park Jieun mi squadra un attimo e poi, capendo ciò che sto pensando, smette di canzonarmi.
«Rispondigli almeno, dai».
E così gli rispondo che domenica ho la giornata libera, che devo prepararmi per l’Università ma che va bene, ci possiamo vedere.
«Bene bene. Presto credo che ti dirà dove andrete, così poi possiamo pensare a come ti dovrai vestire», dice cominciando subito a pensare a possibili outfit.
Io mi arrendo a questo suo aspetto autoritario, anche perché mi fa piacere. Pensavo che mi sarebbe mancata un’amica con cui fare queste cose ma, alla fine, l’ho subito trovata e gliene sono immensamente grata anche se non occorre che mi venga a controllare ogni volta che devo uscire.
«Ti va di cenare insieme?» chiedo a Park Jieun una volta arrivate alla macchina. Accetta e così andiamo a casa mia.
«Bene, adesso tiri fuori tutti i vestiti che hai così scegliamo qualcosa», afferma sfregandosi le mani.
«Non ti va di cenare prima?», chiedo affamata. Park Jieun, dopo averci pensato un attimo, concorda e così ordiniamo qualcosa.
Mentre aspettiamo, però, non mi risparmia e mi fa tirare fuori dall’armadio qualsiasi cosa.
Mi rassegno subito perché, alla fine, è una cosa che mi ha sempre divertita ed è piacevole così accendo la musica e, a passo di danza e cantando, formiamo dei possibili outfit per l’uscita di domenica. Tiriamo fuori qualcosa più o meno per qualsiasi occasione in modo da non essere colte impreparate e poi rimettiamo a posto l’armadio.
Quando arriva il cibo mangiamo con calma ma mi so benissimo che Park Jieun non vede l’ora di passare al prossimo step: scelta di trucco e parrucco.
Dopo aver selezionato delle possibilità anche per quest’ultimo step, ci spaparanziamo sul divano esauste.
È stato estenuante perché ho dovuto provare almeno una decina di outfit diversi e altrettanti abbinamenti make-up e acconciatura ma anche molto divertente.
«Grazie di tutto», dico ad un tratto a Park Jieun.
«Di nulla, è stato davvero una bella serata», risponde lei sorridendo.
Per rilassarci un po’ accendiamo la tv e, ovviamente, c’è un Drama romantico. Non poteva essere altrimenti…
«È assurdo», comincio a dire e Park Jieun si gira verso di me con fare interrogativo.
«Non è possibile», aggiungo.
«Ma che cosa?» chiede allora lei.
«Domenica esco con LUI. Cioè, è uno scherzo vero?»
Di punto in bianco comincio ad andare nel panico e non so nemmeno il motivo. Il cuore comincia a battermi tre volte più veloce e Park Jieun comincia a spaventarsi perché sono diventata tutta rossa.
Non riesco a dire nulla e comincio a pensare agli scenari peggiori: che sia tutto uno scherzo, che non si presenterà all’appuntamento, che non lo sentirò mai più. Comincio a vedere tutto offuscato e sento Jieun che mi fa stendere e mi tira in aria le gambe.
«Tranquilla», mi dice cercando di farmi respirare più lentamente. Mi porta un bicchiere d’acqua e comincio a calmarmi. Credo di averla davvero spaventata questa volta.
«Chloe, ma che ti è successo?» mi chiede una volta che ho ripreso fiato.
Ci penso un attimo e mi torna tutto in mente.
«Non sono mai uscita con un ragazzo seriamente. Non perché non lo abbia mai voluto ma perché i ragazzi non sono mai stati seri con me. A lungo andare questa cosa mi ha segnata: ho cominciato prima ad annullare gli appuntamenti all’ultimo minuto perché mi venivano colpi d’ansia pazzeschi e poi ho cominciato ad evitare di uscire con i ragazzi in assoluto. Questo attacco dev’essere stato così forte perché credo di tenerci più del solito», le dico. E non perché è un attore ma perché sembra un ragazzo stupendo (una novità per me).
«Capisco, ma ti prego di non farlo mai più. Mi hai davvero fatta preoccupare e bisogna risolvere questa cosa il prima possibile».
«Lo so», le rispondo prendendo un altro sorso d’acqua. «Ma mi chiedo, perché ieri sera non mi è successo?» domando più a me stessa che a Park Jieun.
«Forse perché, in fondo, non ci speravi proprio dopo gli incontri spiacevoli che avevi avuto con Lee Minho. Non avevi pensato che avrebbe potuto essere una bella serata e che, se anche non si fosse presentato, non sarebbe cambiato molto», risponde dopo averci pensato un attimo.
In effetti ha senso. In ogni caso, mi devo calmare. Non può succedermi anche domenica. E poi, se ci penso bene, non penso proprio che Lee Minho sarebbe capace di una cosa simile ed è così che mi dice anche Park Jieun mentre, per farmi riprendere del tutto, mi fa una tisana.
Quando decide che per lei è ora di andare via io mi sono placata del tutto.
«Se hai problemi chiamami. Comunque ci vediamo domani se vuoi o lunedì al lavoro. In ogni caso sentiamoci per gli orari».
«Va bene, grazie di tutto. E mi spiace per lo spavento che ti ho fatto prendere», le dico mentre scende le scale del condominio. Ci salutiamo un’ultima volta e poi rientro in casa.
Sono totalmente impazzita prima e adesso sono tranquilla ma scossa. Ho bisogno di sfogarmi, così chiamo a casa.
Con mia madre ometto il fatto che il ragazzo in questione è un attore, non so bene come potrebbe prendere la cosa, ma le racconto tutti per filo e per segno dall’inizio.
Lei mi dice di stare tranquilla, che ormai ho 23 anni e che non tutti i ragazzi sono uguali. Mi raccomanda di lasciarmi un po’ andare, non troppo però. E poi aggiunge che le sembra davvero un bravo ragazzo nonostante la prima impressione non sia stata ottima.
Saluto papà e poi mi metto a letto per provare a dormire. Ho fatto meno fatica ieri sera dopo un appuntamento stupendo ma improbabile. I pensieri non mi si cancellano dalla testa, non accennano neanche a mettersi da parte per la notte, così prendo il mio diario e comincio a scrivere tutto ciò che mi viene in mente.

Caro diario,
questi ultimi giorni sono stati davvero davvero strani. Potrebbero diventare una barzelletta da tramandare a figli e nipoti.
Sono uscita con Lee Minho dopo averlo incontrato al Palazzo Gyeongbokgung mentre girava delle scene, non ci credo neanche mentre lo scrivo.
Comunque, mi ha vista e mi ha rincorsa. Mi ha chiesto di prendere un caffè ma alla fine siamo andati a cena fuori ed è stato magnifico: il posto, lui, la nostra sintonia. Tutto perfettamente perfetto.
E poi oggi, dopo il lavoro, ho trovato un suo messaggio dove mi chiedeva di uscire insieme domenica e, tranquillamente, ho accettato. Ma poi, la sera, mi sono venute fuori tutte le mie paranoie, le mie infinite paure e insicurezze.
Sono andata nel panico e, sicuramente, ho spaventato a morte Jieun.
Ora sono più tranquilla ma ho paura che succeda tutto di nuovo. Sia l’attacco di panico che lui che mi prende in giro in qualche modo. Ho paura di soffrire ancora come l’ultima volta e non so se il gioco vale la candela anche se, da ieri sera, mi è sembrato di si.
In ogni caso, adesso devo dormire e solo domenica potrò decidere se ne vale la pena oppure no, se ho voglia di rischiare ancora, per l’ennesima volta.
Adesso provo a dormire,
Chloe.

Martedì, nel pomeriggio, comincia finalmente il Club.
Choi Seojun mi aspetta fuori dal teatro dove si riuniscono i membri e prima di aprire la porta mi chiede se sono pronta.
«Si, sono pronta», dico un po’ incerta. «Spero solo di non far subito pasticci», aggiungo preoccupata.
«Ma no, tranquilla. Poi per i primi incontri cerchiamo di fare delle attività che coinvolgano matricole e studenti stranieri in modo anche da farle conoscere tra di loro», mi spiega con un gran sorriso.
«Va bene, entriamo», dico allora.
Choi Seojun mi apre la porta e me la tiene mentre passo. Entro e trovo già una quindicina di persone sedute per terra sul palco. Ci sediamo con loro e Choi Seojun comincia a parlare.
«Bene, ora che siamo tutti qui possiamo cominciare», dice rivolgendosi a tutti. Ci sistemiamo in cerchio.
«Per oggi direi che ci possiamo concentrarci sulle presentazioni e su un paio di cose che ho da dirvi».
Tutti annuiamo obbedienti e così lui fa partire il giro, sventuratamente, da me.
Balbettando mi presento: «Io sono Chloe Rinaldi, dall’Italia. Studio relazioni internazionali».
Tutti mi guardano come aspettandosi che dica qualcosa in più ma non mi viene in mente nient’altro di intelligente da dire. Ringrazio con la mente Choi Seojun nel momento in cui passa la parola alla ragazza di fianco a me.
Visto che mi sono impappinata su una semplice presentazione, continuo a pensarci e non sto attenta ai nomi ma solo alla mia figuraccia. Ottima prima impressione devo dire, bene.
«Ora che ci siamo presentati tutti ho solo un paio di cose da dire», comincia Choi Seojun. Cavolo, sembra davvero un leader. È molto carismatico e piace a tutti perché ha davvero un buon carattere.
«A fine semestre organizzeremo un Contest di canto. Si potrà iscrivere chiunque, quindi anche se avete amici che vogliono partecipare. Potrete partecipare come singoli, con un duetto o anche come gruppo e la canzone è di vostra scelta. Ad organizzare e addobbare il tutto saremo esclusivamente noi del Club quindi richiedo la vostra attiva partecipazione. In ogni caso vi informerò di tutto nei minimi dettagli più avanti», inizia a spiegare.
Tutti annuiamo registrando le informazioni.
«Ci troveremo qui in teatro ogni martedì e, occasionalmente, anche il giovedì o il sabato in base alle vostre disponibilità», continua. Qualcuno si sta segnando tutto, forse avrei dovuto prendere appunti anche io.
«Ad ogni incontro, per ora, penseremo a esercitarci nel canto. Poi, verso la fine dell’anno, inizieremo anche a preparare il contest. C’è qualche domanda fin qui?», chiede.
Scuotiamo tutti la testa, è stato decisamente chiaro.
«Perfetto, allora se volete possiamo finire qui con le cose serie e dare inizio alla baldoria. In fondo alla sala abbiamo allestito un rinfresco quindi ora andate e sbizzarritevi», esclama con tono incitante.
Tutti si alzano e, chiacchierando, si dirigono verso il tavolo mentre io rimango ferma sul palco. Non so bene da dove iniziare per fare conoscenza.
«Tutto bene?», mi chiede Choi Seojun.
«Si si, adesso vado anche io», cerco di dire senza mostrare il mio turbamento.
«Dai, andiamo insieme. Non ti preoccupare se adesso i gruppetti sembrano già formati, presto diventeremo un gruppo unito», dice cercando di rassicurarmi.
In risposta sorrido e ci dirigiamo verso il rinfresco dove riconosco qualche volto dalla serata del karaoke. Prendo qualcosa da mangiare e mi unisco alle chiacchiere cercando di introdurmi in qualche discorso. Choi Seojun mi aiuta e, alla fine, comincio a conoscere un po’ tutti.
Chiacchieriamo tutti insieme per un paio d’ore e poi arriva il momento di lasciare il teatro per la chiusura.
Ci salutiamo e ci diamo appuntamento per il prossimo martedì alle 15.
Torno a casa contenta di com’è andata la giornata e pronta ad affrontare con grinta questa settimana. Alla fine sono riuscita ad aprirmi un po’ anche con persone che conosco poco e adesso sto facendo amicizia.
Arrivata a casa chiamo la mia famiglia e poi le mie amiche per raccontare un po’ le ultime novità. Un po’ mi mancano ma è ancora presto per la nostalgia.

Arriva il giorno dell’appuntamento. Lee Minho mi ha detto che mi viene a prendere sotto casa alle 18 e alle 17.45 sono pronta per uscire. Mi siedo rigida sulla sedia della cucina passando lo sguardo dal cellulare alla porta di casa. Sono in trepidante attesa e più aspetto più mi sale l’ansia e mi vengono tutte le paranoie che hanno fatto terrorizzare Park Jieun l’altro giorno.
Mi arriva un messaggio e prendo subito il cellulare. Il mio cuore salta un battito.
“In bocca al lupo per stasera. Mi raccomando, stai tranquilla e cerca di rilassarti. Goditi la serata senza pensare ad altro. Ciao”, è da parte di Park Jieun. Sorrido e le mando un messaggio di ringraziamento, in qualche modo mi ha tranquillizzata.
Arrivano le 18 e non c’è ancora ombra di Lee Minho. Cerco di rimanere calma ma non funziona molto, mi viene il fiatone e il cuore mi batte fortissimo. Non verrà? Avrà cambiato idea? Magari ha di meglio da fare, molto probabile.

Suona il citofono, corro a rispondere.
“Sono Lee Minho, perdonami per il ritardo”, dice la voce dall’altra parte.

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