Sunrise

di Seeph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Who's gonna save the world tonight? ***
Capitolo 2: *** Who’s gonna bring it back to life? ***
Capitolo 3: *** Yoongi's letter. ***



Capitolo 1
*** Who's gonna save the world tonight? ***


{ Quella che seguirà, sarà una brevissima storia (di soli due capitoli + un extra) legata alla fan fiction Remains,
che trovate sempre sul mio profilo. Sunrise, seppure in terza persona, seguirà le vicende narrate subito dopo Remains
ma dal punto di vista di Jimin questa volta, e non quello di Taehyung. In seguito, non so ancora tra quanto tempo,
pubblicherò anche una sorta di fan fiction what if? (ossia cosa sarebbe successo se?) dove gli avvenimenti di Remains
vengono stravolti e quelli di Sunrise totalmente cancellati. My salvation, che andrà a chiudere il cerchio,
sarà il titolo di quest'ultima storia. }

 



 
Who's gonna save the world tonight?




Jimin gettò un’occhiata alla sveglia posata sul comodino: mezzanotte e tre minuti. Sbadigliò rumorosamente gettandosi di peso sul proprio letto e chiuse gli occhi. Ritornò a pressare il cellulare contro l’orecchio e sospirò.
Una voce profonda rise divertita dall’altra parte della linea. “Jiminie, hai sonno?” chiese poi premurosa.
Jimin annuì come se il suo interlocutore potesse vederlo prima di realizzare che non avrebbe potuto. “Un po’” rispose.
“Allora su, vai a dormire.”
“Ma voglio farti ancora compagnia” si lamentò il ragazzo nonostante le sue palpebre facessero persino fatica a rimanere sollevate. “Sono il tuo migliore amico, è tuo diritto e dovere tenermi sveglio per notti intere.”
L’altro rise ancora. “Sì, hai ragione. Ma...”
“Ma?”
“Sei davvero stanco e io non voglio che tu stia sveglio solo per far contento me” confessò adottando un tono dolce e gentile. “Soprattutto non voglio essere la causa del paio di brutte occhiaie che ti ritroverai domattina.”
Jimin sorrise debolmente prima di mormorare in assenso.
“Buona notte, Jiminie. Ti voglio bene.”
“Buona notte, Taehyung-ah” rispose Jimin ricambiando l’augurio. “Anche io ti voglio bene, tanto.”




Il mattino dopo Jimin si risvegliò intorno alle cinque, quasi due ore prima del suono della sveglia, accompagnato da uno strano, quanto accentuato, senso di turbamento. Non riuscì a capirne la causa e dopo aver tentato inutilmente di tranquillizzarsi, il suo cellulare squillò. Taehyung.
“Tae Tae, che ci fai già sveglio?” domandò con la voce ancora assonnata dopo aver accettato la chiamata, portando il cellulare all’orecchio.
Sorrise e attese risposta, ma quando la voce che parlò dall’altra parte della linea risultò non essere affatto quella del suo migliore amico, il sorriso di Jimin morì all’instante.
“Jimin...” lo richiamò Namjoon e il diretto interessato, ormai completamente sveglio, corrucciò la fronte confuso. “Mi dispiace disturbarti a quest’ora ma potresti venire a casa di Taehyung?”
“Ehm... sì, va bene” acconsentì poco convinto mettendosi a sedere sul letto. “Mi vesto e arrivo.”
L’ansia cominciò pian piano a logorarlo dentro nel momento in cui la chiamata con Namjoon s’interruppe. Jimin scese dal letto, si vestì velocemente e, senza nemmeno darsi una sistemata ai capelli, uscì di casa. Durante l’intero tragitto dalla sua abitazione a quella del suo migliore amico, il ragazzo non poté fare a meno di rimuginare sul perché Namjoon l’avesse chiamato ad un orario così insolito, da un cellulare che non era il suo, chiedendogli in tono tutt’altro che tranquillo di raggiungerlo a casa di Taehyung.
Appena svoltò l’angolo, Jimin scorse Yoongi e Seokjin in piedi sotto il portico della villetta a schiera, Namjoon alla fine del viale con il capo basso ed entrambe le mani affondate nelle tasche anteriori dei jeans.
“Hyung...” lo richiamò Jimin, e nonostante la voce gli uscì più bassa di quanto avesse voluto, Namjoon lo sentì.
Il maggiore alzò il proprio sguardo sulla figura di Jimin e la prima domanda che gli venne posta quando fu raggiunto da Jimin fu: “Hyung, dov’è Tae?”
“Jimin...” cominciò, solo per poi interrompersi.
“Cosa?” domandò allarmato il minore, ormai in preda al panico. “Dov’è Taehyung?! Dimmelo!” ordinò allora alzando la voce.
“Lui...” tentò ancora Namjoon ma senza riuscire a concludere la frase ancora una volta.
Dopo di ciò non servirono altre parole, perché Jimin capì e tutto ciò che poté fare Namjoon fu accoglierlo in un abbraccio e lasciarlo piangere e sfogarsi.
Jimin in quel momento capì a cos’era dovuto il brutto presentimento col quale si era risvegliato quella stessa mattina e l’aveva accompagnato fino a quel momento. Inizialmente non era riuscito ad attribuirlo a nulla ma quando l’aveva fatto, si era sentito morire lui stesso. Pregò di star vivendo solamente un incubo e di risvegliarsi presto. Non successe nulla di tutto ciò ovviamente. Jimin continuò ad aggrapparsi alle spalle di Namjoon, il quale gli accarezzò premuroso la schiena con una mano e la chioma scura con l’altra, singhiozzando rumorosamente mentre da sotto il portico Yoongi e Seokjin, assieme a Hoseok che li aveva raggiunti dopo aver sentito del trambusto, assistettero alla scena impotenti.
“Q-quando è successo?” chiese Jimin scostandosi dall’amico e asciugandosi il volto con le maniche lunghe della felpa.
“Probabilmente la notte scorsa. Mezz’ora fa ci ha chiamati sua madre, ma quando siamo arrivati era già... freddo.”
Namjoon lo condusse in casa e, dopo aver varcato l’ingresso, quando il profumo di Taehyung gli riempì le narici, il ragazzo fu convinto del fatto che il suo migliore amico sarebbe spuntato alla fine del corridoio con solo la biancheria e una felpa sformata a coprirlo, sorriso in vista e capelli arruffati.
Fissò a lungo quel punto, aspettandosi davvero di vederlo arrivare nonostante le parole di Namjoon, e quando realizzò che non avrebbe scorto nessun buffo sorriso dalla forma vagamente rettangolare, gli mancò il respiro per qualche attimo.
Jimin ricordava di come avessero parlato tranquillamente solo qualche ora prima. Taehyung l’aveva tenuto per due ore e mezzo al cellulare, senza però dirgli nulla di davvero importante; parlarono di sciocchezze, di tutto e di nulla. Durante quel lasso di tempo, il minore gli aveva ripetuto almeno quindici volte di volergli bene e Jimin aveva sorriso ogni singola volta, ricambiando il gesto. ‘Anche io ti voglio bene, Tae Tae, tanto’ gli aveva risposto Jimin ad un’ennesima dimostrazione d’affetto da parte del suo migliore amico. Quanto avrebbe voluto dirglielo di nuovo, anche se fosse stato per l’ultima volta.
Sobbalzò quando una mano gli si posò sulla spalla e immediatamente Jimin si voltò, incontrando lo sguardo rassicurante, ma al contempo triste, di Hoseok. Questi gli sorrise, o almeno ci provò, prima di stringere Jimin in un abbraccio.
“Mi dispiace...” mormorò Hoseok.
Jimin affondò il viso contro la sua spalla. “Com’è?” domandò poi riferendosi a Taehyung.
“Bello, come sempre” rispose Hoseok sorridendo. Si scostò appena dall’abbraccio e posò il suo sguardo in quello del minore. “Vuoi vederlo?”
Jimin, a quelle parole, fu sul punto di scappare via. Voleva davvero vedere il suo migliore amico... senza vita? Voleva davvero far morire, assieme a lui, anche quel briciolo di raziocinio rimastogli dopo aver appreso quell’orrenda notizia? Sapeva bene che non ce l’avrebbe mai fatta, eppure annuì.
Hoseok lo condusse in soggiorno, seguito dagli altri tre ragazzi, e accadde nel momento in cui lo vide che Jimin perse ogni certezza. Ogni pensiero si arrestò nella sua testa; il mondo parve fermarsi di colpo e perdere i propri colori, i propri suoni. Tutto divenne statico e il ragazzo, per un attimo, credette di sentire persino il suo cuore martellare furiosamente contro la cassa toracica e poi, d’improvviso, smettere.
Jimin lo guardò a lungo, adagiato sul divano chiaro del soggiorno, non capacitandosi di come riuscisse ad essere così bello nonostante tutto. Era bello, bello davvero, proprio come gli aveva detto Hoseok qualche momento prima.
Sembrava così sereno, come se stesse dormendo e nessun pensiero potesse sfiorarlo. Le lunghe ciglia scure ad accarezzare le guance, le labbra esangui leggermente schiuse e il volto pallido, i polsi fasciati da alcune bende macchiate di rosso nella parte interna.
Jimin non credeva che ci fosse qualcosa che non andava in Taehyung, semplicemente pensava che quello che stava attraversando il suo migliore amico fosse un periodo un po’ triste. Tutto qui. In fin dei conti erano ancora adolescenti o poco più, perciò era quasi una loro prerogativa sentirsi costantemente depressi o sbagliati. Ma Taehyung, a parte sembrare un po’ giù di corda, non aveva fatto trapelare nessun altro segnale significativo.
Io ero il suo migliore amico”, si ripeteva continuamente Jimin, “era mio dovere accorgermene”. E si odiava così tanto per non esserci riuscito, si sarebbe odiato per molti altri giorni a venire.
E da quel momento anche compiere una semplice azione come quella di respirare, per Jimin diventò difficile. Venne risucchiato dal rimorso e dal senso di colpa precipitando nel baratro oscuro della sua anima a pezzi e relegò la luce. Perché la sua luce, ossia Taehyung, si era spenta per sempre e Jimin, nonostante fosse terrorizzato da quel pensiero, per un po’ credette di doversi spegnere assieme a lei.
Tutto attorno a lui prese a girare vorticosamente e Yoongi, che era stato in disparte fino a quel momento, lo afferrò per le spalle prima che potesse cedere sotto il suo stesso peso. Jimin voltò appena il viso per incontrare lo sguardo del suo soccorritore e quando ci riuscì, per un brevissimo istante, ogni traccia di dolore attanagliata al suo cuore parve sparire. Quegli occhi così spaventosamente carichi di sentimento riuscirono a raggiungerlo.
‘Io ci sono.’ Fu ciò che gli trasmise quello sguardo. ‘Adesso affidati a me.’
E Jimin, da quel momento in poi, lo fece. Completamente.

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Capitolo 2
*** Who’s gonna bring it back to life? ***



Who's gonna bring it back to life?





Il funerale si tenne il giorno dopo nel primo pomeriggio e Yoongi rimase al fianco di Jimin, sempre. Non lo abbandonò nemmeno quando, in un momento poco lucido, fu lui stesso a chiedergli di farlo. Il maggiore aveva paura che se l’avesse fatto, oltre a Taehyung, avrebbe perso anche lui. E di ciò ne era terrorizzato.
Jimin, Yoongi e i loro amici rincontrarono alcuni compagni di scuola che durante il periodo del liceo, delle medie e persino delle elementari avevano conosciuto Taehyung. Sapevano quanto il loro amico fosse estroverso e gli piacesse fare amicizia, perciò non si stupirono di quanti volti scorsero quel pomeriggio, anche persone che non avevano mai incontrato ma che, evidentemente, avevano in qualche modo conosciuto Taehyung.
Erano anni che Jimin non metteva più piede in un cimitero. Nonostante avesse qualcuno da andare a trovare, aveva sempre preferito evitare di andarci. Tanto i morti erano morti, appunto, da lì non si sarebbe di certo mosso nessuno. Non immaginava minimamente però che sarebbe stato costretto a ritornarci per veder seppellire il suo migliore amico a soli diciannove anni.
La signora Kim chiese che il discorso venisse fatto da uno degli amici più cari di suo figlio e Namjoon si fece avanti, armandosi di tutto il coraggio concessogli. Parlò anche a nome dei suoi amici e nonostante gli occhi colmi di lacrime, la sua voce non divenne mai insicura.
“Tanto un giorno, presto o tardi, ci rincontreremo tutti da qualche parte. Aspetteremo fino ad allora, aspettaci anche tu.”
Namjoon concluse il suo discorso volgendo il proprio sguardo al cielo e Jimin dovette coprirsi il volto con le mani per soffocare i singhiozzi.
Il momento più duro fu quando Jimin vide la sua bara essere calata tre metri sottoterra e venire pian piano ricoperta. La consapevolezza di averlo perso per sempre lo colpì. Fu come ricevere una coltellata nel centro del petto. Il respiro si fece più affannoso e per qualche secondo la sua vista si oscurò completamente. L’unica cosa che riuscì a non farlo crollare definitivamente fu la mano di Yoongi stretta saldamente nella sua e la consapevolezza di avere tutti i suoi amici attorno a lui.
Seokjin, che era in piedi dietro di lui, dopo avergli posato una mano sulla spalla, si sporse verso il suo orecchio e sussurrò: “Ora sei tu il maknae del gruppo. Rendigli onore.”
Jimin annuì senza preoccuparsi più di trattenere le lacrime. L’avrebbe fatto, ad ogni costo.


Una volta terminato il rito funebre, la folla si diradò fino a svuotare il luogo. Prima di cominciare ad avviarsi verso l’uscita, Jimin, poco lontano dal luogo in cui era stato seppellito Taehyung, scorse su una delle tante lapidi attorno a lui una foto raffigurante un ragazzino sorridente. 1 settembre 1997 era l’anno di nascita, l’epitaffio riportava il nome di Jeon Jungkook. Jimin osservò avvilito il viso raggiante di quel ragazzo poco più piccolo di lui, chiedendosi come si potesse morire così giovani, ancora nel fiore degli anni e con un’intera vita da vivere.


Jimin e Yoongi, dopo aver salutato tristemente gli altri ed essersi fatti coraggio a vicenda, ritornarono a casa del maggiore. Varcarono silenziosamente l’ingresso avvolto nella penombra, si sfilarono le scarpe abbandonandole in un angolo e dopo ciò rimasero immobili.
Yoongi, a differenza di Jimin, non pianse mai. Non lo fece quando vide il corpo senza vita di uno dei suoi migliori amici, non lo fece quando seppe della sua tragica scomparsa e nemmeno quando vide scomparire la sua bara sotto metri e metri di terra. Quel giorno però pianse, e fu proprio un Jimin ormai svuotato e senza nemmeno più lacrime da versare ad abbracciarlo e provare a trasmettergli un po’ di conforto.
Durante le lunghe ore che avevano preceduto quel momento era stato Yoongi ad essere la sua roccia e Jimin, in un ultimo disperato tentativo di non soccombere al dolore, si era aggrappato a lui con tutte le sue forze. Ora toccava a Jimin far sì che Yoongi potesse aggrapparsi a lui.
Non sapeva per quanto ancora avrebbe retto prima di ritornare al suo precedente stato. Le lacrime erano ancora lì, più che pronte a ripercorrere le sue guance già arrossate, aspettando solo un nuovo pretesto per ricominciare a solcarle incontrollatamente.
Jimin circondò il viso di Yoongi con le sue mani, gli lasciò un delicato bacio sulle labbra bagnate di lacrime e poi lo lasciò da solo, avviandosi verso la camera da letto.


Dopo che Taehyung morì, per un po’ Jimin perse il contatto con la realtà. Tutto intorno a lui cominciò ad apparire meno interessante e non si stupì di come risultassero sbiaditi i colori attorno a lui. Sembrava che lui stesso stesse pian piano svanendo nei ricordi del suo migliore amico. E a Jimin non importava di se stesso, quando proprio una metà di lui non c’era più. Non passava giorno che non pensasse a Taehyung, e notte che non si ritrovasse a piangere.
Jimin si chiese più volte se si potesse morire per il troppo dolore. Quel dolore che gli mozzava il respiro in gola e lo faceva urlare mentre dormiva nel cuore della notte. A volte pregò affinché succedesse.
Aveva perso il suo migliore amico e non poteva accettarlo. Era come un fratello per lui, sangue del suo sangue sebbene nessuna parentela li legasse. Ma era il sentimento a legarli, un sentimento così grande da valicare qualsiasi cosa.
Più volte, nell’arco degli anni, era stato chiesto a Jimin e Taehyung se ci fosse del tenero fra loro. I due giovani avevano riso ogni volta, lasciando basiti i propri interlocutori, perché no, loro non erano innamorati l’uno dell’altro. Erano semplicemente amici. Migliori amici. Sul serio non c’era mai stato nulla tra loro di vagamente riconducibile a un sentimento diverso dal profondo amore fraterno. Nessuno aveva mai cercato di approcciarsi all’altro in modo diverso da com’erano soliti fare.
Spesso si erano ritrovati a prendersi per mano o abbracciarsi. Taehyung aveva un debole per le guanciotte di Jimin e gli lasciava un bacio ogni volta che ne aveva occasione, e Jimin adorava infinitamente quelle dimostrazioni d’affetto.
Erano questi i gesti che portavano gli estranei per strada a giudicarli e i loro amici ad uscirsene con quel quesito di tanto in tanto.


Trascorsero i giorni, le settimane, i mesi, e Jimin non riusciva ancora a capire. Più ci pensava, più si arrabbiava. Perché Taehyung non gli aveva detto nulla? Perché aveva fatto quel che aveva fatto? S’infuriava con se stesso, con i suoi amici e anche con il suo migliore amico ormai defunto.
La tanto agognata risposta però giunse finalmente quattro mesi dopo la sua scomparsa.
Quel giorno, dopo aver avuto il consenso della madre di Taehyung, si ritrovò a vagare per la sua stanza e curiosare tra le sue cose che, non essendo più state toccate da quel giorno, ritrovò lievemente impolverate.
Jimin camminò a lungo in quella stanza con le pareti tinteggiate d’un azzurro tenue, sedendosi sul letto e stringendo a sé il cuscino, passando in rassegna ogni felpa nell’armadio, sfogliando i libri sulle mensole.
Fu proprio lì, tra le pagine di uno di quei libri -il preferito di Taehyung- che il ragazzo trovò una lettera ripiegata indirizzata a lui. La lesse e quando, in seguito, la madre di Taehyung gli affidò le ultime pagine di diario di suo figlio, Jimin finalmente capì.





Passeggiavano sulla spiaggia mentre il sole sorgeva, e Jimin stringeva la mano di Yoongi nella sua, sorridendo e beandosi del lieve tepore emanato dai primi raggi solari.
Era passato più di un anno dalla morte di Taehyung e finalmente sentiva di star cominciando a lasciarlo andare. Era stato male per così tanto tempo... Si era dato colpe che il suo migliore amico non gli aveva mai attribuito e questo l’aveva portato ad allontanare tutti e lasciarsi pian piano morire. Ma dopo tanto tempo aveva finalmente compreso che non era stata una sua mancanza di attenzione se Taehyung non c’era più, era stato lui a volerlo e Jimin aveva imparato ad accettarlo.
Il ragazzo riportò alla memoria le ultime parole di Taehyung nella lettera indirizzata a lui e allora sorrise tra sé. Avrebbe esaudito il suo desiderio, non importava cosa sarebbe successo dopo allora, avrebbe vissuto senza rimpianti e il suo migliore amico sarebbe comunque rimasto sempre con lui, ad occupare un angolo del suo cuore.
Jiminie, vivi felicemente insieme a lui e a tutti gli altri, sorridendo e divertendovi come avete sempre fatto quando c’ero anche io.”
Yoongi richiamò la sua attenzione e Jimin distolse lo sguardo dallo spettacolo all’orizzonte per rivolgerlo ad uno spettacolo ancor più meraviglioso: il ragazzo al suo fianco.
“Forse adesso anche lui è felice con Jungkook da qualche parte, come io e te lo siamo qui” gli disse.
Jimin sospirò. “Credi davvero che esista ancora?”
Il maggiore annuì prima di regalargli un bacio a fior di labbra. Le guance di Jimin s’imporporarono appena, ma ricambiò subito il gesto per poi ritornare a guardarlo negli occhi.
“Ne sono convinto” rispose il maggiore. Jimin posò la testa sulla sua spalla e gli accarezzò il dorso della mano con il pollice. “Ci sono tante cose che ancora non conosciamo, Jimin.”
Il ragazzo annuì alle parole del suo amato lasciando poi cadere la conversazione. Rimasero perciò in silenzio per i minuti successivi ad osservare il sole sorgere e tingere il cielo delle sue sfumature calde, avvolti in quell’atmosfera surreale, in quel momento solo ed unicamente loro.


E Jimin, dopo aver brancolato nel buio per tanto tempo rifugiandosi nella notte, finalmente un giorno rivide l’alba. Riscoprì la vita negli occhi di Yoongi e, in quel giorno di metà luglio, il radioso sorriso di Taehyung in quell’alba così stupenda.

Perché non importa quanto tempo passerà,
Jimin ricorderà sempre Taehyung,
vivrà anche per lui, proprio come gli ha promesso,
ma nonostante ciò attenderà con trepidazione il momento
in cui potrà finalmente riabbracciarlo.
 


Buona notte, Jiminie. Ti voglio bene.”
Buona notte, Taehyung-ah. Anche io ti voglio bene, tanto.”

 

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Capitolo 3
*** Yoongi's letter. ***



Yoongi’s letter.
- extra -


Yoongi ritrovò la propria lettera molto tempo più tardi rispetto a tutti gli altri. Chiese svariate volte alla madre di Taehyung di poter rovistare fra le cose appartenute a suo figlio e finalmente, dopo aver controllato ogni angolo di quella stanza per settimane intere, riscoprì la lettera ripiegata nella tasca di una felpa che lui stesso, anni addietro, gli regalò per il suo dodicesimo compleanno.
Gli occhi di Yoongi si riempirono di lacrime quando realizzò che Taehyung aveva conservato il suo regalo per tutto quel tempo, nonostante fosse cresciuto molto e quell’indumento fosse ormai inutilizzabile.
Dopo aver letto il contenuto della lettera, strinse il foglio al petto e continuando a piangere si ritrovò seduto sul pavimento con la schiena poggiata contro le ante dell’armadio. Con la vista ancora annebbiata per colpa delle lacrime e i singhiozzi a scuoterlo, chiamò Jimin al cellulare.
“J-Jimin?” Yoongi chiamò il suo nome appena la chiamata venne accettata.
“Yoongi,” lo richiamò a sua volta Jimin, preoccupato di sentire la sua voce interrotta dai singhiozzi. “Che succede, perché piangi?”
“I-io... Ho trovato l-la lettera e... Jimin, t-tu mi piaci- Cioè- Io ti...”
Yoongi continuò a parlare a raffica e balbettare in modo incontrollato, fino a ché un ‘ti amo’ non scivolò dalle sue labbra.
Jimin rimase in silenzio per qualche secondo e poi, dopo aver tirato su col naso e aver sorriso, intenerito, rispose. “Anche io” confessò, asciugando una lacrima che Yoongi non poté vedere. “Ma adesso vieni a casa, ti prego, voglio dirtelo guardandoti negli occhi.”
“Sto arrivando, aspettami.”



 

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