We are all a story, but it a good one

di Anonimadelirante
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #Gennaio. A piedi nudi nel deserto ***
Capitolo 2: *** #Febbraio. Frammenti ***
Capitolo 3: *** Fino alla fine del viaggio ***



Capitolo 1
*** #Gennaio. A piedi nudi nel deserto ***



#Gennaio — C. S. Lewis, Il viaggio del Veliero. Edumund Pevensie

Non c'è nulla di particolarmente eccitante a vivere in un mondo rotondo, soprattutto se è il tuo.

 



 

I. 
A piedi nudi nel deserto



 

Camminerò nella sabbia, gli ha assicurato. E l’ha fatto. A piedi nudi nel deserto del Marocco ha alzato gli occhi al cielo e ha contato le stelle fino a non poterne più. Poi, è tornata a casa. Non sembra così eccitante, l’idea di viaggiare, da questo lato del racconto: certo, riflessa negli occhi del Dottore, correndo a zig zag per le strade di Londra, l’una con un vestito senza tasche e l’altro con una giacca con tasche più grandi all’interno, Donna aveva pensato-- ma ovviamente si era sbagliata. Si è sbagliata su così tante cose, quel giorno.
Si era anche detta che forse non era davvero innamorata di Lance, perché dopotutto, dopo averlo perso, dopo esserne stata tradita, dopo averlo visto cadere cadere cadere (dopo averlo sentito urlare, dilaniato da giganteschi insett-alieni) era ancora riuscita a ridere – anzi: non era riuscita a trattenersi di ridere. Abbracciata ad un uomo buffo, troppo magro e troppo triste, aveva fissato il letto del Tamigi senza più una sola goccia d’acqua, i pochi peschi, le carcasse d’auto, un paio di cadaveri ed aveva pensato Non è giusto, eppure non aveva smesso di ridere un istante. Si era detta, quindi, che se poteva ancora ridere, non l’aveva amato poi tanto. Per dire l’idiozia. I giorni dopo il Dottore erano stati una lunga agonia senza colore. Non per via del Dottore, ovviamente. Non soffriva la sua mancanza. Sarebbe stato assurdo, lo conosceva appena. (Un po’, però, in fondo, forse era così.) Ma per via di Lance. E il fatto che i giorni dopo Lance coincidessero con i giorni dopo il Dottore era solo questo, per l’appunto – una coincidenza. Si era messa a letto ed aveva pianto a lungo, senza prendere fiato, senza singhiozzare, ma soffocando comunque il dolore del tradimento e della perdita in morsi umidi contro il cuscino. A sua madre aveva detto Mi tradiva. Non tornerà più, ne sono certa. Sto bene, smettila di assillarmi. A suo padre aveva detto Sì, sono sicura. Sì, sono sicura che mi-- oddio, papà, l’ho visto, va bene? Basta. Abbiamo rotto, se ne è andato. Ma a suo nonno-- a suo nonno non era riuscita a mentire. Non era riuscita a dirgli la verità. Andato aveva pigolato soltanto, contro il suo petto, sere dopo, seduta su una collina in periferia, mentre lui abbandonava le levette del telescopio per stringerla a sé. Oh, bambina mia, le aveva sussurrato. Per un po’, erano rimasti così, abbracciati, senza dir nulla, come se lei fosse stata davvero ancora una bambina. Poi, Donna si era districata dalle sue braccia, si era ripulita la gola dal pianto con un colpo di tosse ed aveva sospirato: «Quale evento straordinario stiamo aspettando, adesso?»
Suo nonno aveva scrollato le spalle, fissandola con un sorrisetto furbo, affettuosissimo, solo per lei: «Nessuno» le aveva confidato con un occhiolino. «Ma non saresti venuta quassù a sfogarti col tuo povero vecchio, se non avessi creduto che Venere fosse sul punto di caderci addosso.»
Donna aveva alzato gli occhi al cielo, ed aveva riso col cuore più leggero che nelle ultime due settimane, ma non gli aveva detto che non era vero e che di Venere le importava assai poco. Si era seduta vicino a lui, invece, ed aveva sorseggiato il suo termos di tè.
«E quell’altro, invece? Quell’uomo di cui mi parlava tua mamma, quello che ti ha riaccompagnato alla festa, quando te ne sei andata dal matrimonio?»
Donna aveva scosso la testa, ma non l’aveva contraddetto neanche quella volta. Non gli aveva svelato: Non sono scappata, è che Lance mi aveva drogato di queste particelle antichissime--. Chissà perché. Forse avrebbe dovuto. Aveva sospirato soltanto, invece, ed aveva scosso la testa: «Andato anche lui» aveva bisbigliato dopo un po’. «È colpa mia.»
«Oh, no, no, Donna, non dire così, non è--»
«È vero, però» l’aveva interrotto lei. «Se n’è andato per colpa mia, gliel’ho detto io. Lance non--Lance, no. È stata una sua scelta, ha fatto tutto lui. Ma quell’altro-- quell’altro mi ha chiesto se volevo andare via con lui. E io gli ho detto no.»
Suo nonno aveva annuito, gli occhi fissi al cielo. Non le aveva chiesto E te ne penti?, perché era un uomo intelligente e la conosceva meglio delle proprie tasche rammendate senza talento (tanto per rimanere in tema di tasche), come aveva imparato a fare in guerra.
«Tornerà» le aveva promesso, dopo un po’. Aveva abbassato lo sguardo su di lei e le aveva sorriso di nuovo. «Se ha visto la metà di quanto sei straordinaria, allora tornerà.»
Donna non ci aveva creduto neanche per un istante, ma. Aveva chiuso gli occhi, si era appoggiata a lui, ed aveva finto, soltanto finto, per un lungo momento.
«Sai» gli aveva detto dopo molto. Si era dovuta schiarire di nuovo la voce. «Sai, non è davvero importante, che torni o meno. Non starò qui ad aspettare, comunque.»
E si era immaginata di partire, zaino in spalla e urla di sua madre nelle orecchie, solo la mattina dopo.


Non l’aveva fatto, ovviamente. Era una donna adulta, con delle responsabilità, delle pretese di comodità e nessuna esperienza in fatto di viaggi. Si era affidata ad un’agenzia, quindi. Voglio, sa, vedere tutto, aveva detto alla giovane seduta dietro il banco. Lei le aveva lanciato un’occhiata disinteressata, Certo, aveva masticato attorno alla sua gomma. Sicuro, signora Noble, che ne dice di partire dalla Francia?
Signorina, l’aveva corretta lei. E, non so, preferirei qualcosa di più esotico..?
Il Marocco, allora.


Così. Aveva camminato a piedi nudi nel deserto, coi capelli coperti da un turbante dai colori sgargianti. Aveva chiuso gli occhi, la testa rovesciata all’indietro, mentre il cammello su cui l’avevano issata caracollava nel tramonto, e si era ricordata del Dottore, del suo sguardo triste, della sua eccitazione per cose incomprensibili e prive di senso. Camminerò nella polvere, sai, cose così, gli aveva detto. Era scesa, quindi, aveva scalciato via le proprie scarpe. Aveva scorrazzato un po’ nelle vicinanze della carovana, ignorando gli sguardi e i mormorii degli altri.
Sarà divertente, aveva pensato, divertente.
Ma nessun marziano aveva riso di lei, nessuno stupido senzatetto vagabondo le era corso incontro con una spiegazione raffazzonata e completamente senza filo logico: era stato un po’ deludente, dopotutto.

 

 


Ma poi, contro ogni previsione, contro ogni logica, contraddicendo ogni possibilità, il Dottore era tornato – non era tornato per lei, ma erano andati a sbattere l’uno contro l’altra in maniera non del tutto casuale (lei, ah, lei lo aveva cercato, perché magari non soffriva esattamente la mancanza del suo esasperante entusiasmo, ma-- e ad ogni stella cadente aveva supplicato di poterlo ritrovare, perché viaggiare da sola non era divertente, ma viaggiare col Dottore, oh, viaggiare col Dottore sarebbe stato fantastico, ne era sicura). E che importava chi dei due stesse cercando l’altro, alla fine? Suo nonno aveva ragione, lui l’aveva aspettata, dopotutto.


«Ah, non lo so» dice adesso, agitando i piedi nel vuoto. «Voglio dire, capisco il tuo punto di vista, ma io ci sono nata, su un mondo rotondo, e ti posso assicurare che non è poi così divertente
«Quello che Donna vuole dire» la riprende il Dottore, fissando senza vergogna il Triangolo bidimensionale che si sta lamentando della piattezza della sua vita con loro. «È che è la compagnia che rende un mondo interessante. E su un mondo rotondo il Signor Quadrato non potrebbe proprio accompagnarti, sai com’è. Be’--» esclama un instate dopo, spingendo la punta della lingua contro il palato. «Sferico, ma comunque
«Non è affatto quello che cercavo di dire» gli sussurra stizzita, tirandogli una gomitata.
Il Dottore le fa una smorfia, ma la ignora caparbiamente, mentre cerca di convincere il Triangolo a non invadere altri pianeti nel tentativo di sopperire alla mancanza di profondità del suo.


(Quando riescono finalmente a tornare sulla TARDIS, però, un po’ acciaccati, ma tutto sommato salvi – e con tutte le dimensioni al posto giusto, per fortuna – prepara il tè per entrambi, ignorando le sue proteste – cosa-- Donna! Fai bollire l’acqua nel cuore del TARDIS? Ma stai scherzando? Non sai che potrebbe offendersi? – e mentre lo condividono in silenzio in due tazze spaiate con incise lettere tondeggianti d’un linguaggio ormai perduto guarda il Dottore ridisegnare quelle parole illeggibili con le dita, la testa completamente persa in un tempo che lei non può raggiungere, e pensa che forse, forse, era precisamente quello che intendeva, in realtà.)

 

 

 

 

 

Questa storia partecipa alla challenge “I like that quote, said the month” indetta da Mari Lace sul forum di EFP.


N/A: Donna è IN ASSOLUTO il mio personaggio preferito di DW. Più del Dottore, lo so, sembra assurdo. Ma è così. Così, quando ho cominciato a scribacchiare sui prompt di Mari Lace, non ho potuto non pensare a lei, leggendo quello di gennaio 2020. E-- niente, in realtà. Ah, sono così arrugginita: è più di un anno che non pubblico, sono, ugh, così disorientata. Da quando sono iscritta su EFP non credo sia mai passato tanto tempo. È anche un sacco che non scrivo niente di senso compiuto (più di un anno, forse due? Ultimamente crosspostavo vecchie sciocchezze e basta) – con un inizio, una fine, ed uno svolgimento, vale a dire, e credo si veda. È tutto un po’ sintatticamente incasinato e con frasi eccessivamente lunghe, shame on me. A mia discolpa, ho letto molto più in lingua che in italiano ultimamente e questa quarantena intermittente mi sta disabituando a parlare come un essere umano :P
Sì, è Natale e questo vuol dire solo una cosa: eNnEsImO ReWaTCh Di DoTtOr WhO. Quindi, presumibilmente, mi rivedrete presto con altre mini-robe semi-sensate. Enjoy!
(Con presumibilmente intendo che questa sarà una raccolta, sì, di cui ho già plottato la maggior parte degli altri capitoli, sì, e qualche settimana fa anche scritto un’altra flash che non c’entra niente con la challenge, ma è sempre su Dottor Who, sì) (SOS) (No, scherzo, non salvatemi, mi piace tanto sobbollire nei feels)
PS: le tazze dell’ultimo paragrafo sono ovviamente tazze di Gallifrey, perché se il Dottore scrive post-it in Gallifreyano, mi sono detta, perché no? Sul loro pianeta non ci sarà stato Tiger, ma non è che i Signori del Tempo fossero esseri superiori a TAL PUNTO da non avere tazze come Al miglior papà dell’universo o con pessimi giochi di parole tipo A great coffè for my grandad (sparatemi) (oppure createmi una tazza con queste scritte in gallifreyano, delle due l’una, ma fate presto) (perché non fa mai male che il Dottore ha avuto figli&nipoti che sono morti male, anche se spesso sembra un régazzino).

Titolo della raccolta rubacchiato senza grazia ad Eleven, mi pare ovvio > I'll be a story in your head. But that's OK: we're all storiesin the end. Just make it a good one, eh? *piagnucola* ma in realtà ho sempre come l'impressione che quella quote fosse a sua volta un rimaneggiamamento di altre battute precedenti del Dottore (una su tutte, “You too, who are you?” “Oh! Stuff of legend” – o anche l'intero concetto su cui girano le ultime puntate della terza stagione, quando Martha vaga raccontando la storia del Dottore eccetera eccetera)

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Capitolo 2
*** #Febbraio. Frammenti ***


Occhio!, perché questa raccolta di sette doubledrabble fa rivelazioni salienti (e scempio) sull’intera storyline di River Song (vale a dire, a spizzichi e balzi, dalla 4x08 all’undicesimo speciale di Natale).
Per cui, tanto per citare a sproposito, Spoiler, dolcezze!

 

 

 

 

 

 


#febbraio: Thomas Mann, Giuseppe il Nutritore


Ella aveva vissuto e amato. 
Infelicemente amato, certo: 
ma si può veramente amare ed essere felici?

 

 

 

II.

Frammenti

(cronaca atemporale d’un lieto fine a scadenza)

 

 

 

 

Sa da sempre che arriverà quel momento: le loro strade s’incroceranno e lui sarà così occupato a correre e saltare di qua e di là salvando pianeti e fuggendo alle guerre che gli esplodono fra le mani come fiori destinati a sbocciare da non riconoscerla. Farà male, ma lo accetterà: sa da sempre che il Dottore non l’amerà mai come lei ama lui – con la stessa fame di un sole che muore. I suoi cuori sono antichi e forse è per quello che non la può ricambiare come desidererebbe da sciocca: non si chiede alle sequoie millenarie della Foresta di Gamma d’amare le proprie termiti come amano il cielo – non si chiede agli dèi di amare gli uomini, ma solo di giocarci, di riservare loro un po’ d’attenzione.
Allo stesso modo, lei non può pretendere da lui un amore diverso. Non si chiede ad un tramonto di ricambiare.


(Non si chiede all’Ultimo dei Signori del Tempo di far altro che ridere dei suoi baci e scuotere la testa e mormorare No no no, spoiler, dolcezza, oppure River! Questo viola la regola numero ventisette-- 
Al contrario di quello che sembrano pensare mamma e papà, di quello che sembra pensare lui, Madame Kovan le ha insegnato la disciplina: non urla, non piange, non lo supplica di guardarla – guardarla davvero – neanche una volta.)

 

 

 

 


Il Dottore non le ha mai regalato nulla (tranne un’intera esistenza passata a rincorrersi per il verso sbagliato del tempo, la certezza che anche un’assassina può innamorarsi ed ogni stella del firmamento), fino a quando non le regala un diario.
«È vuoto» commenta lei, ed è ancora così giovane, a guardarla il Dottore non può vedere quella River che ha supplicato mentre moriva nello studiolo di Hitler. 
«È perché devi ancora riempirlo.»
River non gli dice che è un po’ delusa, che sperava che fosse il suo diario, un modo stupido e contorto e così suo di donarle sé stesso. Alza le sopracciglia e sbotta: «E di cosa, esattamente?»
Il Dottore scuote le spalle: «Sul mio scrivo di te» dice, ed è immediatamente chiaro che non sa cosa stia facendo. River sorride lo stesso, però, scurissima: «Mi stai studiando, Dottore?» bisbiglia, avvicinandolo con uno sguardo da gatta.
«Certo» replica lui, aggrottando la fronte. «Sei un mistero che non riesco a risolvere.»
Lei ride a questo perché non è divertente? L’unico mistero che l’uomo più intelligente dell’universo  non può svelare è quello di un amore non corrisposto: «Fammi sapere quando arrivi a qualche conclusione.»
(La copertina è blu come il TARDIS, come lo spazio profondo, come tutte le corse che correranno fianco a fianco.
Scrive di lui su pagine contate.)

 

 

 

 

A volte pensa che sia inutilmente crudele, che l’unica a cui tenga davvero sia Amy (quelle volte ride di sé stessa, perché si può essere così stupide da essere gelose della propria madre – della propria migliore amica? Come possa essere così sciocca da sperare che un uomo come lui possa amare qualcuno come lei – così giovane, così insignificante – solo perché sarebbe un bel finale per un libro: l’Ultimo dei Signori del Tempo e River Song, sua moglie, la sua assassina, l’unica donna che riuscirà mai a sorpenderlo.
Ma è un’archeologa, non è stupida, ha studiato: ha disseppellito resti d’intere civiltà, e sa di ognuna a cui il Dottore abbia mai tenuto – non è gelosia, è brama di conoscenza. Il Dottore ha bruciato un sole per Rose Tyler, ha cancellato i ricordi di Donna, ha reso Martha un soldato – la dimostrazione della tesi di River finisce con una stretta di mano ed uno sputo accademico alla maniera degli Studiosi di Onyx, Complimenti signorina, la sua ricostruzione della Caduta del Silenzio è davvero perfetta, sembrerebbe che ci sia stata.)
A volte, conta le pagine che le rimangono sul diario e si dice Sono molte, e poi le viene voglia di tirargli un pugno: come osa regalarle una vita senza di lui.
Ma l’indifferenza è l’unica forma di gentilezza che conoscono gli angeli.

 

 

 

 

 

Un giorno, le loro strade s’incroceranno e lui sarà così occupato a correre fuggendo dalle guerre che gli esplodono fra le mani come fiori che sbocciano in primavera da non riconoscerla: farebbe già male se fosse così, ma non sarà così. Sarà anche peggio: perché arriverà un giorno (arriverà, è sempre più vicino ogni minuto che passa e non è ironico, essere concepiti al tepore aranciato del Vortice del Tempo ed essere lo stesso vittima degl'attimi che scorrono?) in cui il Dottore le inciamperà addosso e—
(Potrebbe fingere di non conoscerlo, re-incontrarlo per la prima volta – per l’ultima volta – bearsi nell’illusione di avere ancora una vita di fughe da correre con lui, recitare la parte di un’altra)
—e si presenterà, Ciao, sono il Dottore. Adesso, scusami ma non c’è proprio tempo: corri!, e quando chiederà perché stia piangendo, lei dirà—
(Non piangerà. No. Non gli dirà Ti conosco, lo so chi sei, perché tu non sai chi sono io? No. Quel che farà sarà alzare gli occhi al cielo, prenderlo per mano, chiedere Da chi stiamo scappando e perché l’hai fatto arrabbiare?, e lui sarà così stupito, così giovane, e ancora non avrà idea, ma non ci sarà tempo per le spiegazioni, non ce n’è mai, e così correranno insieme e.
Così. Per un’ultima volta. Come fosse per sempre.)

 

 

 

 

 

 

«Ciao, dolcezza» dice alla fine. Lui è sempre lui, anche se in questa versione porta un buffo paio d’occhiali da professore ed un completo, la cravatta, le sneaker ai piedi (e, sul serio? La prossima volta cosa avrà, lo scratch?) ed è davvero troppo magro. È sempre saccente, ma un tipo diverso di saccenza, più colpevole, qualcosa alla Sono consapevole di star facendo sentire tutti quanti, qua, nella stanza, davvero molto stupidi, ma oh, amo così tanto il suono della mia voce e la sua compagna non è una ragazzina, come capita ultimamente, no, è una donna adulta, wow, straordinario, forse quella sua ridicola crisi da mezzo millennio è finalmente finita e—
(«Guardati» bisbiglia pianissimo, ed ogni respiro è un poco più doloroso. «Come sei giovane.»)
—e la guarda come se il suo viso non gli dicesse nulla.
(«Non lo sono davvero» replica lui, fissandola come fosse un rebus, un rompicapo da risolvere, e non--
«No» ammette, perché lo sa, ovviamente – centinaia d’anni, molte facce, tantissimi pianeti distrutti e giusto un paio in più salvati in corner. «Ma lo sei.»
E poi – ed era andata così bene, fino adesso, non aveva né pianto né urlato né supplicato mai, non per questo, comunque: ««Dottore, ti prego, dimmi che sai chi sono.»)


«Chi sei?»


Ha sempre saputo che sarebbe arrivato quel giorno.

 

 

 

 

 


«Il tempo può essere riscritto!»
«Non il nostro, non una riga, non osare


C’è qualcosa di rovinoso e struggente nel supplicare qualcuno di farsi spezzare il cuore – finalmente capisce perché il Dottore l’abbia guardata in quel modo, mentre lei piangeva pregandolo di ucciderla, di mettere sé stesso prima dell’universo per una volta, una sola volta. 
Lo guarda strattonare, tirare, implorarla. Non questa volta. Questa volta, sarà lei a scegliere per lui – una sola volta, l’unica che conti: il Dottore ha una vita di fughe rocambolesche da correre con lei, e lei le ha già corse tutte, d’accordo, è vero, ma non è triste come sembra nei suoi occhi scurissimi di lacrime e terrore, River, no! C’è un solo motivo per cui io dovrei dirti il mio nome ed è--, è solo qualcosa di già scritto, già raccontato: lui l’ha sempre saputo, lei s’è sempre sentita pesare addosso il respiro acre della tragedia – ha sempre creduto che alla fine lo avrebbe ucciso. E invece. Dopotutto. Lo salverà. L’eroe dai mille volti delle favole di sua madre.
Per una volta, anche se sta urlando e ancora non capisce e di certo per un po’ avrà i cuori spezzati, sarà lei a regalargli un diario: Scrivi di noi, pensa, Ma non leggere gli spoiler. Da quelli fatti sorprendere, come mi hai sorpresa tu.

 

 

 

 

 

 

 

 

Affacciati sulla terrazza del ristorante più chic dell’universo, guardano le Torri splendere affogando nei soli che tramontano per più tempo di quanto non siano mai stati insieme senza far esplodere qualcosa. Poi, River si volta e: «Perché stai piangendo?» domanda.
(Non piangerà, no, non piangerà e non urlerà Io ti conosco, ti amo, perché tu non mi riconosci? Perché sei così giovane?)
Il Dottore non piange, mai, neanche quando pensa al suo popolo ormai perduto: «Non sto piangendo» replica, ma la voce gli esce come vetro in frantumi. «È il vento. Dev’essermi arrivato qualcosa nell’occhio.»
(Le senti, le Torri di Darillium cantare? Dicono che siano innamorate: è una storia tragica. Guardale, così, granitiche e lontane – la prospettiva le fa sembrare vicinissime, ma sono a chilometri di distanza, in realtà. Si dice che non si possano toccare e cantino l’una per consolare l’altra.
È il vento, in realtà, ovviamente. Nulla di così poetico – scienza, sai.)
River abbassa lo sguardo sul cacciavite che le ha regalato. Il Dottore non le fa regali, mai, ma quando succede finisce sempre con lei che lo odia.
È un addio – lo sapeva già, ma: è un addio. Il Dottore detesta gli addi, ma per lei ha fatto un’eccezione. Il peggior primo appuntamento di sempre, i suoi più sentiti complimenti, davvero: «Quanto dura una notte su Darillium?»

 

 

 

 

 

 


Questa storia partecipa alla challenge “I like that quote, said the month” indetta da Mari Lace sul forum di EFP.


N/A: quanto voglio bene a River <3
Btw, all’alba di seimila anni dopo, ecchime!, con il secondo capito della raccolta. Questa storia fa spoiler di, be’, un po’ tutta la storyline di River Song dalla sua prima comparsi in Silence in the Library allo speciale di Natale con lei e Twelve. Le doubledrabble (sì, sono tutte 220 w. E allora? Avrei potuto dormire invece di scrivere/cancellare/riscrivere finché non quadravano? Sì. E allora?) (Non sto proprio benissimo, va bene, ve lo concedo) (perché improvvisamente ‘sta fissa con le doubledrabble, Delì? Perché sto scrivendo crack su GoT, se può essere una risposta) non sono in ordine cronologico né dal punto di vista del Dottore, né da quello di River (ma il tempo wibley-wobley, quindi.), ma sono P.O.V. River e-- spero non risulti OOC. Davvero, ci spero, perché volglio tanto bene a Mel ed era da Natale che èprovavo a conciliare questo prompt bellissimo con la sua storia (d'amore).
Avrei tanto voluto, ma non ho scritto su The Angels Take Manhattan percHÉ SONO DEBOLE DI CUORE, VA BENE? Non ce la posso fare, il momento in cui River si rompe il polso è il momento preciso in cui scoppio in lacrime OGNI VOLTA. Comunque. * si ricompone*

Tutte le citazioni fanno esclusivo affidamento sulla mia memoria, perché ho scritto questa roba invece di dormire, appunto, e. Niente, se non sono proprio-proprio esatte, la chiameremo licenza poetica e ci accontenteremo, okay?

 

Spero sia stata una lettura piacevole, alla prossima!

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Capitolo 3
*** Fino alla fine del viaggio ***


#Giugno: Lakoff
Stiamo viaggiando sulla quarta corsia dell’autostrada dell’amore.

 

 

 

 

 

III. 
Fino alla fine del viaggio

 

 

 


La prima volta che s’incontrano (non esattamente la prima volta, borbotterebbe il Dottore se interpellato – la terza, ma la prima volta se non si contano i viaggi nel tempo e la più confusa visita medica a cui abbia mai assistito, cosa che Martha non farà, per il bene della propria sanità mentale) lui le dice che è brillante e poi la bacia.
Non lo definisce un bacio, ovviamente – è il Dottore, le cose non sono mai semplici, con lui, mai come sembrano, o per lo meno: sempre più di quello che appaiono – ma un trasferimento genetico. Non ne fa davvero un grande affare: sono in piedi, nel corridoio dell’ospedale in cui Martha lavora e conosce ogni piastrella venata ogni bagno ogni camerata di quel posto, perché passa più ore lì – a svuotare cateteri e leggere lastre e fare ogni genere di attività di cui i tirocinanti in realtà si occupano quando non sono in una serie tv di Shonda Rimes – che a casa, ma in qualche modo è tutto nuovo, diverso, magnifico e grandioso: la pioggia sale invece che scendere e lei può respirare a pieni polmoni nonostante si trovi sulla Luna.

E accanto a lei c’è un uomo alto e un po’ troppo magro, piuttosto entusiasta, ma anche molto poco stupito del teletrasporto, che dice Brillante, assolutamente brillante, e per qualche ragione sorride quando gli dice che fa Jones di cognome.


Dice anche, con una voce vuota e lontana, che era al Torchwood, il giorno in cui c’è morta sua cugina: dice È stata una grande battaglia, terribile, ed il suo viso illuminato dalla luce della Terra è tutto spigoli ed ombre, gli occhi che gli brillano di nostalgia. (Rose, ovviamente – questo, lì sulla terrazza del terzo piano del Royal Hope, affacciata sui crateri della Luna Martha ancora non lo sa, ma il Dottore ha sempre quell’espressione, quando pensa a Rose Tyler. O a Gallifrey, la sua casa perduta. Il che, be’, immagina abbia piuttosto senso, nella semiotica emotiva dei suoi cuori spezzati.)


A posteriori, Martha si domanderà perché non si sia spaventata, di fronte a quello sguardo; perché non sia scappata, di fronte ad un uomo che affermava di essere sopravvissuto ala Guerra dei Fantasmi, nonostante i TG dicessero che nessuno fosse uscito vivo dal Torchwood, dopo quel giorno terribile. Come mai, invece di sentire brividi di presentimento, si sia presa una cotta per l’uomo che avrebbe fatto di lei un soldato. Cosa dica di lei questo.

 

 


 


La prima volta che si incontrano – seconda – lui si presenta come Signor Smith, e poi – terza – si smentisce. Dice: Non è vero. Mi chiamo il Dottore. Solo... il Dottore. Le persone mi chiamano così.
E Martha, che ha passato davvero troppe ore della sua vita ad avere crisi di nervi su testi di anatomia scritti per due quinti in latino per accettare che uno squilibrato qualsiasi si faccia chiamare in questo modo senza averne il diritto, raddrizza le spalle e assottiglia gli occhi e scuote la testa: Be’, non io, dice. Con me questo titolo dovrai guadagnartelo.
Lui sorride con un solo angolo della bocca, un lampo di sfida nello sguardo, e procede a salvare il mondo.

 


Ah, Martha Jones, riderebbe di lei la sua sorellina Tish se le raccontasse tutta la storia. Così tristemente banale. Ad un uomo basta impedire che il pianeta venga distrutto, saltellare scalzo per una stanza, baciarti ed essere un mitomane che prende un po’ troppo sul serio il topos letterario del sacrificio dell’eroe per averti ai suoi piedi? Un po’ banale, non credi?
Per fortuna, Martha si guarda bene dal raccontargliela.
(Così, quando lo incontra, Tish fissa il suo completo alla James Bond, sbatte le palpebre e commenta, a voce un po’ troppo alta, quanto sia carino il suo accompagnatore. Martha smette di cercare di convincerla che non è come crede, dopo che il Dottore le ha salvate entrambe da una mutazione genetica cannibale ed un poco viscida in una cattedrale gotica. Tish la conosce da tutta la vita, dopotutto, sarebbe inutile e sciocco fingersi indifferente.)

 


Il fatto, però, è che davvero non è come sembra: lei ed il Dottore non sono-- be’, suppone siano compagni, in un certo senso. Di viaggio. Di avventura.
Tutto qui.


(Tutto qui?, sbotterebbe il Dottore se la sentisse sminuire così il loro rimbalzare casualmente da un disastro e l’altro, disinnescando per pura fortuna una bomba ad antimateria il cui timer era pericolosamente vicino allo zero, qui, salvando la razza umana, lì, ed affondando con tutte le scarpe nella cupa preparazione alla prima Guerra Mondiale, qua.
Tutto qui, Martha Jones? E cosa potrebbe mai esserci di più, sentiamo?
Se mi amassi, non avrebbe il coraggio di rispondere lei. Come ami Rose Tyler, come avresti potuto amare Joan Redfern se non fossi stato l’ultimo dei Signori del Tempo, ma solo un semplice umano, un semplice professore di campagna.)

 

 


 


Più avanti, tutto il pianeta saprà quanto meraviglioso e brillante sia il Dottore. Che fortunata lei sia stata a conoscerlo quando ancora non era prigioniero.
Lo racconterà a chiunque sia disposto ad ascoltarla, e dovunque su tutta la Terra uomini, donne e bambini si sentiranno il cuore tremare al pensiero di quest’uomo solo, stoico e magnifico, che s’interpone fra l’umanità ed il Maestro, fra l’umanità e qualunque pericolo mortale decida di schiantarsi sul loro pianeta.


Più avanti – o, be’, forse più indietro, vista la storia dell’Anno Che Non C’È Mai Stato, per quel che vale – il Dottore l’abbraccerà, forte, ed il suo viso sarà di nuovo il suo viso, tutto ombre e nostalgia  ed affettuoso entusiasmo per le cosa più ridicole, di nuovo il viso di un trentenne, nonostante la sua vera età sbirci da quei suoi occhi liquidi e scurissimi. Martha Jones!, mormorerà, baciandole la fronte. Sapevo che ce l’avresti fatta. Che ci avresti salvato. Be’. Che avresti salvato l’intero pianeta. E con nient’altro che una storia da raccontare – nessun’arma è più potente della fede. Brillante, assolutamente brillante!


Martha non potrà fare a meno di sorridere, abbracciandolo a sua volta.
Non gli dirà: È stato l’amore che provo per te a salvarci, Dottore. Nient’altro.
Si limiterà a ridere, le guance umide di lacrime, e stringerlo a sé correggendolo in un bisbiglio Una bella storia da raccontare. Cos'altro potrebbe esserci di meglio?


(E quando, anni dopo, il Dottore e la sua nuova compagna – Donna Noble, capelli rossissimi e occhi perennemente alzati al cielo per via delle buffonate del loro conoscente comune – la fisserà con pena e dolore, qualcosa di simile al disgusto a scivolare oltre le crepe della voce: Cosa saresti, adesso? Un soldato? Cosa sei diventata, Martha Jones?, non gli risponderà Quell’anno che tutti hanno dimenticato è l’unico che ricordo con chiarezza, Dottore. Non si guarisce, da una cosa del genere.
Non gli dirà neanche È colpa tua.
Non avrebbe senso, dopotutto: il Dottore, questo, lo sa benissimo.

 


Donna Noble guarda prima lei e poi lui e poi alza gli occhi al cielo – per, tipo, la quinta volta da quando si sono incontrate – e poi la prende sottobraccio come se fossero vecchie amiche e comincia a prendere in giro senza pietà l’alieno centenario che ha salvato il mondo un migliaio di volte per la sua magrezza ed il suo naso e le scarpe da ginnastica ed i vestiti e più o meno qualunque altra cosa lo riguardi.
Martha l’apprezza un po’.)

 


 

 


A Mickey dirà che si è innamorata di lui a prima vista.
Dirà: Eravamo sulla luna e mi ha baciata e, eh, non lo so. Avevo ventisei anni e cinque ore scarse di sonno... voglio dire, come avrei potuto non innamorarmi?
Mickey si strozzerà nella birra: Non anche tu, piagnucolerà. Non anche tu, Martha Jones. Ma che problemi avete, tutti quanti? Tu, Jack, Rose... il Dottore è un idiota, perché lo trovate così figo?
E Martha, ridendo, scuoterà la testa: Anche tu lo trovi figo, dirà, per il solo gusto di prenderlo in giro.
, ammetterà Mickey con molte meno remore di quelle che dovrebbe averne in apparenza uno la cui fidanzata è scappata con un alieno per saltellare qui e lì nel tempo e nello spazio. Sì, ma non in quel senso.
Quale senso?, domanderà lei allora, con un sorriso largo e strafottente, perché Mickey Smith che balbetta e tossisce, imbarazzantissimo, è qualcosa di semplicemente troppo adorabile per farsi sfuggire l’occasione.


(Il loro primo appuntamento: patatine molli e fredde, fritte in un olio davvero scadente, seduti sul bordo di un marciapiede a notte fonda, i vestiti che puzzano di fumo e polvere da sparo, una brutta bruciatura sull’avambraccio sinistro per via dei motori surriscaldati dell’astronave che hanno dovuto riparare per convincere la verdissima razza aliena di turno che non era proprio il caso di invadere questo pianeta, quando avrebbero potuto benissimo fare dietro front e tornare a casa.
Terzo, la correggerà Mickey, un manciata di mesi dopo, mentre Martha sta provando a tenere un brindisi durante il loro stupido matrimonio. Mio dio, sbotterà lei. Non conteremo l’Incidente della Marmellata di Praxi e la Rivolta dei Sontaran come i primi due!
Comunque, la vita-dopo-il-Dottore ha alti e bassi: Martha si godrà i bei momenti, decide mentre bacia Mickey Smith, e stringerà i denti e supererà quelli brutti.)

 

 


 

 


A Mickey dirà che si è innamorata di lui a prima vista, e di certo non è una bugia: si invaghisce un po’ dell’uomo che la bacia nel bel mezzo del corridoio di un ospedale sulla luna e poi precisa Non è un bacio, è un trasferimento genetico. Non significa niente.
(Per te, forse!, vorrebbe urlargli contro Martha, ma poi un rinoceronte vestito da poliziotto avanza verso di lei, quindi, eh. Priorità, suppone.)
Non è una bugia, ma non è neanche del tutto la verità: si accorge di amarlo mentre tossisce soffocata dai gas di scarico di New New New New New – una decina d’altre volte New – York.
Verrà, pensa, di colpo. Lui verrà. A salvarmi. A salvare tutti noi: è quello che fa. E non c’è assolutamente nessuna ragione per cui dovrebbe pensare una cosa del genere – il Dottore non sembra affezionato a lei più di quanto non sembri affezionato a qualunque passante abbiano incrociato mentre schivano catini di piscio cercando di salvare Shakespeare (ed incidentalmente l’umanità intera) – ma in qualche modo sa che verrà davvero. Perché è il Dottore.
E non importa che a quanto pare i baci non siano baci, per lui, e che non ci sia spazio per nessun’altra, nei suoi insensati due cuori, oltre che per Rose Tyler, e che quando parla di casa il suo sguardo è vitreo e lontano: verrà. Certo che verrà.
Forse sono i gas di scarico che le danno un po’ alla testa, o l’adrenalina dovuta al rapimento, ma Martha non ha alcun dubbio in proposito: salverà lei e questi due stupidi con cui si trova.
Voi avete la vostra fede, dice loro, senza neanche pensare quanto sia vero – assolutamente, terrificantemente vero. E io ho il Dottore.


Ovviamente, le cose vanno esattamente così. Il Dottore cracca i firewall dell’intera città, chiacchiera allegramente con un gatto vestito da aviatore e le salva la vita – la salva a tutti loro. Salva l’intera umanità, e piange per l’unico per cui non può fare nulla.
Non è il momento, supplica, in ginocchio fra i cadaveri del Senato, chino sull’enorme viso di Faccia di Boe, non ancora. E poi io odio i segreti, ma Faccia di Boe sta morendo, per cui: Sono l’ultimo della mia specie, gli confessa. Come tu sei l’ultimo della tua, Dottore. È giunta l’ora, per me, ma sappi, Signore del Tempo, che non sei solo.
Martha sbatte le palpebre per scacciare le lacrime e lo guarda, scioccata.
È qui, su Nuova Terra, che scopre che in effetti sì, è un po’ più che una cotta, quella che ha – è folle, assoluta fiducia: è amore; poco importa se chiaramente, spietatamente, assolutamente non corrisposto: non si muore di un cuore spezzato – e che il Dottore è un bugiardo.
Questo – be’, questo non dovrebbe essere esattamente nuovo. Si è presentato con un nome falso, la prima volta che si sono conosciuti. Dovrebbe vergognarsi di quanto sia stupita. Il fatto che un uomo preferisca non parlare dello sterminio della sua gente non dovrebbe essere così strano, in fondo.

 


(Svariati anni dopo, seduta con lui di fronte ad un castello di carte costruito da Ianto, guarderà Jack fare la mutazione del suo Manipolatore del Vortice con la riverenza con cui le persone comuni pregano in chiesa e poi dirà, tutto d’un fiato: TI ho visto morire, sai? Non... per l’ultima volta, intendo. Il Dottore sarà lì, piangerà per te: ecco cosa dovrai dirgli, perché i viaggi nel tempo sono un po’ un casino e la vita è davvero strana.
E se c’è una cosa che imparato, dall’Anno Che Non C’È Mai Stato, è ad essere un soldato. A raccontare storie. A travestire da religioni amori non corrisposti.)

 


Un po’ pateticamente gli dice: Tu hai me. È questo che intendeva Faccia di Boe con “Non sei solo”. Stanno camminando per i vicoli deserti dei bassifondi, e la strada è bagnata di pioggia, scivolosa – la coda letale in cui è rimasta intrappolata, i gas di scarico così densi da soffocare, e le feroci creature che volevano mangiarla già soltanto un ricordo. Lui le sorride – triste, intenerito – e Non credo proprio, mormora. Mi dispiace.
Tutto quello che succede poi è solo una ripetizione di questa scena ancora ed ancora ed ancora, fino a quando un giorno Martha ha il cuore esploso nel petto come una granata, tante piccole schegge incastrate nella carne, e si sta dissanguando, scopre, si sta dissanguando da mesi, da più di un anno, da quel momento intrappolata in un ingorgo mortale, sull’autostrada della futura New York, in cui ha scoperto di amarlo. Si può morire, dopotutto, di un cuore spezzato, pensa improvvisamente, gli occhi asciutti, ma il sangue che le romba come impazzito nelle orecchie, solo, molto lentamente. Solo, non sul colpo, ma di una lunga agonia. La sua famiglia è salva, la Terra è salva, il Dottore è di nuovo lì, di nuovo lui, di nuovo in piedi, con le guance bagnate di lacrime per l’unico che non ha potuto salvare in tutto il pianeta – l’ultimo dei Signori del Tempo a parte lui, il Maestro, la persona che Martha odia di più al mondo: lo guarda, mentre ciondola nel ventre aranciato della sua cabina telefonica mormorando insensatezze su possibili viaggi, e si dice Non posso più farlo. Non posso più fingere che non importi. Lei lo ama e lui non può darle nient’altro che, be', che l'intero universo. Ma l’universo non basta, l’universo non è fatto di baci e sorrisi e balli lenti al ritmo del respiro della TARDIS. Non per lei. Martha Jones non è Rose Tyler e lui non può ricambiarla, per quanto ci provi. Il suo nome, fra le sue labbra, non avrà mai lo stesso suono che ha la parola casa – i soli gemelli, e l'erba rossa, la luce che si riflette sulla cupola della cittadella... ti ho mai ricordato di quella che volta che Rose Tyler ha salvato l'universo dalla cosa più vicina a Satana che abbia mai visto?
Non dice nulla di tutto questo. Dice: È finita. Mi dispiace, davvero. Ma questa è la fine del mio viaggio. Dice qualcosa sulla sua famiglia, tortura e distrutta, traumatizzata – non sono bugie, ma neanche esattamente la verità.
(Anni dopo, quando il Dottore guardandola non vedrà che un soldato, lei raddrizzerà le spalle e si sforzerà molto di non dire E da chi ho imparato, secondo te?)
Dice Ho spesso pensato di essere la seconda scelta, ma sai cosa? Sono proprio brava. E poi gli racconta di Vicky, la sua migliore amica durante gli anni dell’università, e del tempo che ha sprecato correndo dietro ad un ragazzo a cui piaceva, ma che non l’amava.
Io glielo dicevo, ma lei non sentiva, glielo ripetevo continuamente, conclude. Cercane un altro, Vicky. Ed è quello che farò io. Me ne cercherò un altro.
Esce dalla porta e non si guarda indietro.

 

 


 

 

 


Non troppo tempo dopo, il mondo sta finendo per l’ennesima volta ed il Dottore e Donna ed una quantità di altra gente – fra cui, apparentemente, anche Rose Tyler, ovvero la ragione per cui per una volta i sorrisi del Dottori sono così larghi e aperti e i suoi occhi brillano d’incredula felicità – guida la TARDIS attraverso una rocmabolesca vittoria contro i Dalek.
È così che Martha incontra Mikey Smith.
Due mesi dopo, Mickey atterra il capo della sommossa dei Sontar con una fionda ed una biglia e poi ride: Non malissimo, eh, per essere la seconda scelta, urla in direzione del Capitano Jack. Lui sbuffa e scuote la testa: La supererai mai?, s’informa. Avevo bisogno di un portiere, non ho scelto Gwen perché la preferisco, ma perché è più brava. Se mai mi si dovesse fermare la macchina chiamerei te.


(C’è una storia, dietro, che ha poco a che fare con le partite di calcetto del Torchwood e molto con Rose Tyler, il Dottore ed un universo parallelo, in realtà. Mickey gliela racconterà davanti ad un cartoccio di pessime patatine, i vestiti che puzzano di cenere e sudore, e Martha ricambierà raccontandogli di come si sia innamorata di un uomo impossibile e abbia passato un Anno Che Non C’È Mai Stato a dire a tutti quello che provava per lui.
Essere la seconda scelta, mormora sulle labbra di Mickey, non sembra poi male, dopotutto, non è vero?)

 


 


 


 


N/A: chi ha due pollici, il computer ANCORA in assistenza, perso tre ore abbondanti ad aggiustare manualmente l'htlm di questa fic scazzando diverse volte col testo intero e la vita offline completamente a puttane? EH. Questa storia partecipa a alla TBW @BellaLuna, Feriscelapenna, per la categoria Unrequied Love e alla I like that quote, said a month, @Mari Lace, sul forum di EFP, col prompt di Lakoff “Stiamo viaggiando sulla quarta corsia dell'autostrada dell'amore”, che spero non si sia perso per strada come invece pare a me. Questo perché, andiamo!, con una citazione del genere la tentazione di scrivere un mm su Gridlock (...la terza puntata della terza stagione, se la memoria non m'inganna) era troppa per non assecondarla. E poi! Martha Jones! La regina incontrastata della frienzone! [Il titolo, sì, viene da 3x03 (again: se la memoria non m'inganna). Il Dottore domanda ad uno dei viaggiatori una roba tipo “e fino a quando andrete avanti” e quello risponde “fino alla fine del viaggio”, ehm] Btw, spero che la lettura risulti piacevole, o quanto meno scorrevole. Ci si becca in giro, bacini, bacetti, buon maggio a tutt* <3

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