California Dreamin

di JennyPotter99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I’ve been for a wolk on a winter’s day ***
Capitolo 2: *** California dreamin ***
Capitolo 3: *** All the leaves are brown and the sky is green ***
Capitolo 4: *** I’d be safe and warm if i was in L.A. ***
Capitolo 5: *** Well i got down on my knees and i pretend to pray ***
Capitolo 6: *** He knows i’m gonna stay ***
Capitolo 7: *** You know the preacher liked cold ***
Capitolo 8: *** I’d be safe and warm ***
Capitolo 9: *** You can count on me ***
Capitolo 10: *** I am ready for this ***
Capitolo 11: *** How do i leave? How do i breathe? ***
Capitolo 12: *** When you are not here, i’m soffocating ***
Capitolo 13: *** For you i have to risk it all ***



Capitolo 1
*** I’ve been for a wolk on a winter’s day ***


-Non ci posso credere che mi hai convinto a fare questa cosa!- esclamò Henry, mentre Tobias lo spingeva verso il palazzo.
Era una serata invernale: finalmente aveva smesso di piovere a Los Angeles, ma di sicuro non avrebbe nevicato.
Su quella strada i lampioni erano rotti e ciò che faceva luce erano gli addobbi di Natale ai balconi delle case.
Tobias li aveva iscritti ad uno di quegli appuntamenti di gruppo, dove ci si siede allo stesso tavolo per un massimo di tre minuti e ci si conosce.
-Non avevi detto tu di voler trovare una ragazza?- ribatté Tobias, aprendo la porta della sala.
-E come pensi che posso farlo in tre minuti?!- borbottò l’amico.
Henry e Tobias erano miglior amici fin dai tempi dell’asilo: non si erano mai persi di vista nemmeno un attimo, né alle elementari, né al liceo e né tantomeno al collage che frequentavano insieme.
Nonostante Henry fosse bravissimo con il pennello da disegno, aveva optato per la psicologia.
Forse avrebbe finalmente interpretato quegli strani sogni premonitori che faceva sua madre.
Tallulah era famosa nel loro quartiere per essere una medium: di fatti, fin da piccolo, lei era riuscito a mantenere suo figlio con i soldi che guadagnava leggendo le carte.
Crescendo, Henry aveva smesso di credere a quelle fantasie e iniziato a pensare che doveva esserci una spiegazione plausibile se le parole di sua madre, per il 70%, si realizzavano sempre.
-Non lo so, sei tu lo psicologo.- rispose Tobias, ridacchiando.
-Anche tu stai studiando con me, idiota!- borbottò Henry, togliendosi il montgomery nero e poggiandolo sul primo appendiabiti che vide.
Non appena i due si voltarono, capirono di esser arrivati per ultimi.
Tutti i presenti li guardarono male, già seduti ai loro posti.
Tobias arrossì.- Scusate il ritardo, sapete…Il traffico.-
Silenzio.
-Questo non ci aiuterà di sicuro.- commentò Henry, a bassa voce.
La sala era composta da un palco sopra cui c’era un signore in smoking cicciottello, che teneva in mano un microfono.
Vedendolo, Henry si pentì di non aver messo lo smoking, ma fino all’ultimo minuto si era detto che era fin troppo formale.
Perciò, aveva optato per dei pantaloni grigi, una camicia nera, aperta sul colletto e delle Clark scure.
Sotto il palco, erano stati posizionati 15 tavoli con due sedie dove le donne erano tutte sedute con il loro nome su un cartellino.
Tobias ne scrutò alcune: ce ne erano davvero di ogni genere, more, bionde, asiatiche, di colore e rosse.
Ciò lo fece entusiasmare ancora di più e diede una pacca sulla spalla dell’amico.- Buttiamoci!-
L’omino sul palco alzò un sopracciglio verso di loro.- Prego, sedetevi.-
Henry si schiarì la voce per l’imbarazzo e si sedette ad uno dei due posti liberi rimasti: davanti a lui c’era una ragazza asiatica.
Si vedeva lontano chilometri che aveva il naso rifatto, dalla sua perfezione e rigidezza.
A Tobias, invece, a due posti più in là, era toccata una bellissima rossa dalle guance rosee e gli occhi azzurri.
Henry si consolò a rivedere l’abbigliamento del migliore amico: jeans strappati e camicia hawaiana.
Accanto all’uomo in smoking, c’era un tavolino con sopra un timer a forma di cuore per l’occasione.
-Si comincia a partire da…Ora!- annunciò, facendo partire il tempo.
Henry aveva tre minuti per presentarsi ad ogni ragazza e viceversa.
Il motivo per cui, probabilmente e secondo la sua opinione, Henry non aveva trovato una ragazza all’università, era per il fatto che lui non fosse il tipico ragazzo che ci si aspetta trovare a Los Angeles.
Biondo, palestrato e con un sorriso mozzafiato.
Henry era tutt’altro che così: magro, con un ciuffo di capelli castano chiaro e degli occhi verdi.
Suo padre se ne era andato di casa quando Henry aveva 8 anni, perché non riusciva ad accettare la vita di Tallulah e non si era più fatto risentire.
Perciò, lui era diventato il cocco della mamma.
-Allora, vediamo, mi chiamo Henry, ho 20 anni, sono al secondo anno di psicologia e vengo da Battlecreek, in Michigan.- raccontò Henry.
-Battlecreek? Non ne ho mai sentito parlare.- disse la ragazza, sistemandosi i capelli neri sulla spalla.
Henry capì subito che erano finti, come il resto di lei.
Non gli sarebbe mai piaciuto avere una fidanzata rifatta: sarebbe stato come amare un pezzo di plastica, un’estranea, quasi.
-Lo so, non è molto conosciuta.- replicò Henry.
Subito dopo, fu lei a presentarsi, ma la prima cosa che notò era la sua voce fastidiosamente squillante, forse per via del naso rifatto.
Henry credeva che il bicchiere d’acqua davanti a loro sarebbe presto esploso in mille pezzi.
Riuscì a capire solo che si chiamasse Natalia, quando, poche sedie più in là, si rimise ad osservare la ragazza davanti Tobias.
Era bellissima.
I suoi capelli erano lunghi, ondulati e rosso acceso, però non finti come quelli di Natalia.
Aveva i denti perfettamente bianchi: glieli riuscì a vedere quando anche lei si voltò verso di lui a guardarlo.
Di sottofondo aveva Tobias che stava blaterando della sua famiglia e gli venne da ridere: sapeva essere davvero logorroico.
Si sorrisero di rimando e lei alzò gli occhi azzurri al cielo.
-Mi stai ascoltando?- gli chiese Natalia, alzando un sopracciglio.
Henry si era completamente dimenticato di lei.- Oh, c-certo, è tutto molto interessante.- balbettò, proprio nello stesso momento in cui il timer suonò e dovette cambiare posto.
Beh, come inizio non era stato un gran che.
Non vedeva l’ora di capitare davanti alla rossa.
Soli altri tre minuti.
Davanti a se, adesso, Henry aveva una russa pallida, con i capelli a caschetto neri e un bel po' di rossetto rosso sulle labbra.
-Ciao, sono Natasha.- si presentò, scrutandolo dalla testa ai piedi.- Mi piacciono i passerotti come te.- affermò, passandosi la lingua sui denti.
Henry l’aveva scambiata per una di quelle prostitute che si fanno pagare per sculacciare gli uomini.
Anche se le fosse interessata, Henry non sapeva proprio nulla di sesso.
Aveva perso la verginità a 16 anni, con una delle sue vecchie babysitter e non era nemmeno stato un gran che.
Tallulah era da sempre stata una madre molto apprensiva e fin che Henry non aveva compiuto 18 anni, lo aveva sempre fatto controllare, senza impedirgli di vivere la sua adolescenza.
Henry era rimasto a fissarla per tutti i tre minuti, senza sapere cosa dire.
Poi, finalmente, il suono della libertà.
Si fiondò sull’altra sedia, quando ancora l’altro ragazzo non si era completamente alzato, facendolo quasi cadere.
La ragazza ridacchiò silenziosamente.- Wow, che entusiasmo.-
Lui le sorrise.- Scusami, non è andata molto bene fin ora.- spiegò, storcendo la bocca in modo buffo.
-Mi chiamo Allison.- gli disse, stringendogli la mano.
-Henry, molto piacere.- replicò, senza riuscire a smettere di guardarla in quegli occhi azzurri.
Era una normale ragazza, con un bel fisico e un sorriso contagioso.
Per Henry, quei tre minuti sembrarono interminabili.
-Che cosa fai, Henry?-
-Studio psicologia qui a Los Angeles, sono al secondo anno e tu?-
Allison si strinse nelle spalle.- Ancora non lo so, sono un po' pigra, sai, non mi piace studiare quindi non sono andata al college. Devo ancora capire quale sia il mio posto.-
Henry assottigliò gli occhi, studiandola.- Beh, non significa che sei per forza pigra: magari non ti ispira niente o hai bisogno di un po' più di tempo.-
Allison poggiò una mano sotto al mento.- Mi stai psicanalizzando, Henry?-
Lui si grattò la guancia imbarazzato.- Scusa, è che lo faccio un po' con tutti, ormai è abitudine.-
-Non fa niente, è una cosa forte.- commentò, strizzando un occhio.- Hai qualche hobby?-
-Sì, mi piace molto disegnare: sulla parete della mia vecchia camera c’è un disegno che ho fatto quando avevo 15 anni.- spiegò, tirando fuori il telefono.- Dovrei avere qui una foto…-
-Interessante, anche mia sorella disegna.-
-Hai una sorella?- le domandò, cercando la foto.
-Sì, ma non è come me, se pensavi di fare una cosa a tre.-
Henry si irrigidì: aveva forse detto qualcosa di sbagliato e non se lo ricordava?- N-no, i-io…-
Allison scoppiò a ridere.- Ti sto prendendo in giro! Mia sorella è veramente una peste.-
Lui fece un sospiro di sollievo e le mostrò la foto.
Henry aveva fatto quel disegno dopo che Scott Fish lo aveva preso a spintoni per il corridoio della scuola.
Era sempre stato un ragazzo chiuso e, essendosi trasferito da Battlecreek dopo l’abbandono di suo padre, per Henry era stato un po' difficile integrarsi in una grande città come Los Angeles.
Il disegno raffigurava una piazza al tramonto, dove c’era un bar con dei tavolini di fuori e le persone che mangiavano.
La particolarità, era che aveva usato qualsiasi tonalità di rosso e nessun altro colore.
-Henry, è bellissimo…E dov’è questo posto?-
Il ragazzo scosse la testa, alzando le spalle.- Non lo so…Da qualche parte, nel mondo.-
-Hai davvero una bellissima immaginazione.-
Henry capì di aver avuto un vero e proprio colpo di fulmine con Allison.
In quell’istante, suonò il timer e fu l’ora di cambiare tavolo.
Henry ne fu quasi dispiaciuto, ma poi pensò che l’avrebbe potuta rivedere fuori e magari chiederle il numero.
La ragazza accanto ad Allison era pronta a conoscerlo, però lui decise di non sedersi. -Scusa, io ho finito così.-
Henry l’aveva trovata: la sua ragazza ideale e ci erano voluti davvero solo tre minuti.
Per lui, quella specie di esperimento, si era concluso.
Indossò il montgomery e uscì fuori, aspettando che tutti finissero di conoscersi.
Tobias venne fuori circa 20 minuti dopo, afflitto. -Niente nemmeno qui.- sbuffò.- E tu? Perché sei uscito?-
Henry lo guardò entusiasta.- Perché ho conosciuto una ragazza stupenda.-
-Per favore, non dirmi che è la russa malata di sesso.-
-No, è la rossa, quella che hai conosciuto per prima.-
Tobias fece un cenno con la testa.- Sì, belle tette.-
Henry gli diede una pacca nello stesso momento in cui Allison uscì dalla sala.
Non glielo aveva visto da seduta, ma indossava un dolce vestitino svolazzante azzurro e delle zeppe beige.
-Ciao, è stata una bella chiacchierata.- le disse subito, sorridendo.
Lei si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio.- Sì, è vero, sei praticamente l’unico con cui sono stata bene.- aggiunse, guardando poi Tobias.- Senza offesa.-
L’altro gesticolò.- Oh, non preoccuparti, sono senza speranze.-
-Mi piacerebbe molto avere il tuo numero.- intervenne Henry.
Allison frugò nella sua borsetta bordeaux. -Non ho la penna, per caso ne hai una tu?-
Henry si tastò le tasche velocemente, come per paura che scappasse.- No, neanche io. Ne vado a chiedere una dentro, non muoverti!-
Henry si precipitò dentro e afferrò la prima penna che vide sul tavolino.
Allison sembrava davvero quella giusta, dopo tanto tempo di ricerca.
Gli sembrava quasi impossibile.
Era stato quasi un colpo di fulmine.
Quando riuscì fuori, Allison era al telefono e dalla sua faccia, sembrò contrariata.
-Non mi interessa, non ci vengo al tuo cazzo di saggio!- esclamò, furiosa. -Spezzerai di nuovo il cuore alla mamma se non ti decidi a stare meglio! Fanculo la danza, fanculo tutto!-
Henry rimase in disparte, in attesa che attaccasse.
-Sì, ho preferito andare ad un appuntamento, d’accordo?!- borbottò, facendo per attraversare la strada e fermandosi a metà delle strisce pedonali per ascoltare quello che l’altro interlocutore aveva da dire.- Ti odio! Davvero! Ti odio!- gridò con voce spezzata.
Henry non sapeva con chi stesse parlando, ma Allison sembrava starci davvero male.
Poi, improvvisamente, un lampo di luci l’accecò e un furgone che stava trasportando pollame e correva   tutta velocità, decise di investirla in pieno.
Fu allora che Henry riaprì gli occhi.
Stesso sogno, puntuale come un orologio.
Eppure, ogni volta, sembrava fare più male.

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Capitolo 2
*** California dreamin ***


Come ogni mattina, Henry alzò il busto nudo dal materasso e scese dal letto.
Luke si era alzato qualche minuto prima di lui e stava alzando la serranda.
-Luke, fermo, devi aspettare che esco dalla stanza!- esordì Henry, allontanandosi in fretta dal sole.
-Ah, sì, scusa Henry, me ne ero dimenticato.- balbettò il compagno di stanza, tirando giù le tapparelle.
Henry sbuffò.- Sei qui da due mesi, è così difficile ricordarselo?- borbottò, indossando la vestaglia.
Mise i piedi dentro le ciabatte e scese di sotto, percorrendo la scala a chiocciola.
Stare senza porte non gli era mai dispiaciuto, tanto lui non aveva niente da nascondere tranne la sua amarezza e infelicità.
Come ogni mattina, fece capolino dalla finestra delle scale, l’unica dove non batteva mai il sole e guardava fuori le persone camminare.
-Buongiorno persone.- mormorò, avviandosi in soggiorno.
Successivamente, alla fine delle scale, passò una ragazza con un vestito giallo e i capelli marroni, con una ciocca viola.
Avevano praticamente la stessa espressione afflitta, come due zombie appena risvegliati dalla morte.
-Buongiorno Anna, come va oggi?- le chiese abbracciandola.
-Stesso giorno, stessa merda.- bofonchiò lei, trascinandosi in soggiorno.
-Alla grande.- commentò Henry, sedendosi a capo tavola come sempre.
Il soggiorno non era altro che un tappeto peruviano e un lungo tavolo in legno con 6 posti.
Una ragazza di colore, in carne, con le treccine sbarazzine, era già seduta al suo posto, con in mano un cucchiaio immerso dentro il barattolo del burro di arachidi.
Nello stesso momento, dalle cucine, arrivò una ragazza alta e bionda, con un piatto contenente tre pancakes e due uova fritte.
-Ecco a te Henry.-
-Grazie Megan.- le disse lui, riempiendosi il bicchiere di succo di frutta.
-Non è giusto, anche io voglio i pancakes.- borbottò la ragazza di colore.
-Cara Kendra, quando avrai raggiunto il tuo peso forma, ti prometto che ti darò un pancakes.- replicò Henry.
-Devi prima parlarne con Lobo.- intervenne la ragazza seduta accanto a lui, abbassando la rivista di gossip che stava leggendo.
Henry alzò gli occhi al cielo.- Dovrei parlare con Lobo anche di dove nascondi il vomito, Tracy.-
Lei afferrò una forchetta contro di lui, guardandolo male.- Non oseresti!-
-Ah, io oserei.- replicò Henry, alzando le sopracciglia.
Henry si guardò intorno e notò che mancava una persona che di solito era sempre puntuale.- Dov’è Pearl?-
Megan abbassò lo sguardo, dall’altro capo tavola.- L’hanno intubata ieri sera…-
Henry si passo una mano nei capelli, sospirando.- Cazzo.-
-Do you hear the peolpe sing?!- urlò improvvisamente Luke, scendendo dalle scale con voce stonata.
Tutti i presenti a tavola si irrigidirono, infastiditi.
-Perché non gli togli quel cazzo di DVD?!- esclamò Tracy, stringendo i pugni.
-E’ qui da pochi mesi Tracy, dagli tempo…- aggiunse Megan, storcendo la bocca.
Henry si coprì le orecchie.- Sì, ma tu non ti devi subire la sua voce tutte le sante sere!-
Luke corse giù per le scale e si sedette a tavola.- Buongiorno a tutti.-
-Sai Luke, se continuerai a vedere quel film, non è che la rivoluzione francese non sarà mai esistita!- commentò Tracy, mettendosi in bocca un cereale, uno per uno.
-Non lo hai nemmeno visto, se lo vedresti, ti piacerebbe di sicuro.- rispose Luke, sorseggiando il latte.
-Neanche morta!-
-E poi perché tu hai una rivista e io non posso averla?-
-Perché ho guadagnato punti, idiota. Presto potrò anche uscire, non vedo l’ora.-
In quello stesso momento, dalle cucine, uscì una donna di colore sui 30 anni con una divisa fucsia e lunghi capelli neri.
-Ciao ragazzi, come andiamo oggi?-
Henry le si avvicinò con il busto.- Buongiorno Lobo. Come sta Pearl?-
-Al letto con l’enorme peluche di unicorno che le hai comprato.- spiegò lei. – E’ sottopeso, abbiamo dovuto farlo per forza.-
-Posso andare a parlarle?-
Lobo gli sorrise, dandogli una pacca sulla spalla.- Lasciala riposare ancora un altro po'.-
Henry notò quasi subito che in mano avesse una tazza piena di rametti: sapeva già, dentro di se, cosa significasse.
-Allora gente, tra poco arriverà una nuova ragazza. Per favore, accogliamola come si deve, d’accordo?-
-Un’altra anoressica?- chiese Luke.
-Quando se la sentirà, vi dirà lei quali sono i suoi problemi. Per adesso, pescate una rametto per chi le mostrerà la casa.-
Henry era lì dentro da più tempo, di fatti era stato lui a far vedere la casa a Megan.
Megan l’aveva fatto con Pearl ed Anna.
Anna lo aveva fatto con Tracy.
Pearl lo ha aveva fatto con Kendra e infine Henry lo aveva fatto di nuovo con Luke, dato che era suo compagno di stanza.
Pearl, Anna e Kendra dormivano nella stessa stanza al piano di sotto, mentre Megan e Tracy al piano di sopra, accanto a Henry e Luke.
Lobo, la loro tutrice, stava nella stanzetta degli ospiti vicino alla cucina.
Il centro di riabilitazione California Dreamin poteva sembrare da fuori una baita tutta di legno, con un enorme prato che dava su un laghetto circondato da alberi.
La porta sul retro dava sul cortile, che le ragazze avevano abbellito con lucine e un’altalena.
Tutti pescarono un rametto dalla tazza.
Henry alzò gli occhi al cielo quando si guardò attorno e capì di aver preso quello più piccolo.- E ti pareva.-
Lobo fece un ghigno divertito e gli baciò la nuca.- Ricordati di prendere le tue medicine, tesoro.- gli sussurrò, scompigliandogli i capelli.
Henry si fece una doccia e poi si fermò a guardarsi allo specchio.
Gli specchi erano vietati per la casa, come le riviste, le lamette e qualsiasi apparecchio elettronico.
I bagni erano le uniche stanze ad avere le porte per la privacy e il bagno di Henry, al primo piano, l’unico ad avere uno specchio.
Tuttavia, anche se quelle ragazze, e Luke, non si potevano guardare allo specchio, ad Henry non piaceva affatto quello che ci vedeva riflesso ogni giorno.
Prese un bel respiro e mandò giù le sue medicine.
Indossò il completo della tuta blu, con una felpa a collo alto e le scarpe da ginnastica.
In quello stesso momento, anche se le serrande della camera erano tutte messe giù, sentì la macchina parcheggiare nel vialetto.
Allora scese di sotto e aspettò che la nuova ragazza entrasse in casa.
La prima cosa che notò, furono i suoi lunghi capelli rossi scuro ed ondulati.
No…
Tutto ma non i capelli rossi.
Il suo pensiero, per un attimo, andò inevitabilmente ad Allison.
-Henry, aiutala con le valige.- gli disse Lobo.
Henry attese che la ragazza varcasse la porta e poi si prese una borsa in spalla.
-Non serve, grazie.- esordì lei.
-Ho preso il rametto più piccolo, sono obbligato.- aggiunse Henry, sospirando.
Lei fece uno sguardo quasi dispiaciuto e lo seguì al piano di sopra con il suo zainetto giallo.
Sistemò la valigia a rotelle nella stanza di Megan e Tracy, dove c’era un letto libero.
-Loro sono Megan e Tracy.- le presentò Henry.- E lei è…Ehm, come hai detto che ti chiami?-
L’altra alzò un sopracciglio.- Non l’ho detto…Non me lo hai nemmeno chiesto.- rispose, infastidita. -Mi chiamo Ellen.-
-Ciao Ellen.- dissero all’unisono le altre due ragazze.
Subito dopo, entrò anche Lobo.- Benvenuta Ellen. Dunque, hai con te oggetti taglienti o lamette di qualsiasi tipo?-
Ellen scosse la testa.
-Perfetto, mi devi dare ogni oggetto elettronico che hai, non aiuta con la terapia.-
Ellen si strinse nelle spalle: Henry sapeva che quello era il momento più tragico per tutte.
-Ho un telefono, ma con l’Ipad ci disegno solamente.- bofonchiò.
-Mi dispiace tesoro, non posso fare eccezioni.-
Ellen sbuffò e consegnò tutto nelle sue mani.
-Bene, Henry ti farà fare un giro della casa.-
La ragazza aggrottò le sopracciglia.- Sempre se non ti dà fastidio…Henry.-
Henry fece una finta risata per la mia battuta.- Affatto, sei nel mio territorio.-
Anche lei rise.- Nel tuo territorio? Cosa siamo, nella savana?-
Henry capì che lo stesse sfidando: aveva sempre una risposta pronta.- Esatto e non bisogna mai disturbare il leone che dorme, cioè io.-
-Oddio Henry, falla finita.- borbottò Tracy, passando per il corridoio.
Lui alzò gli occhi la cielo.- Quella è la iena.- le sussurrò.
-Ti ho sentito!-
-Volevo che sentissi, vecchia bagascia!- esclamò Henry, facendole poi cenno di scendere di sotto. -Allora, a destra della porta d’entrata c’è la cucina, posto in cui non dovrai mai entrare, è vietatissimo.-
Ellen alzò le mani.- Non ci entro manco morta lì dentro.-
-Di qua c’è il salone, chiamato anche la stanza dell’inferno. La regola è che bisogna sedersi a tutti i pasti, non devi per forza mangiare, non sei costretta, ma devi essere comunque presente.- spiegò Henry, mostrandole la stanza col tavolo.
Proseguì poco più avanti, in una stanza ove c’era un lungo divano, diverse poltrone e una tv.
-Questo è il soggiorno, ci mettiamo qui dopo cena e a turno scegliamo cosa vedere.- continuò, indicandole la pila di DVD sotto la tv. -Inoltre, ogni mese alle 17 ci riuniamo tutti con la dottoressa Karen per raccontarci i nostri problemi, la nostra vita, ecc..ecc..-
Ellen sgranò gli occhi.- Devo dirlo davanti a tutti?!-
Henry alzò le spalle.- Karen dice che fa bene.-
Ellen si passò una mano nei capelli, quasi sconvolta e fu a quel punto che osservò le finestre con le tapparelle mezze abbassate e le tende chiuse. -Perché le finestre di questa casa sono praticamente serrate?-
Henry si morse un labbro nervosamente a quella domanda.- Perché la luce è cattiva.-
Ellen alzò le sopracciglia scoppiando a ridere.- La luce è cattiva? Quanti film di fantascienza ha visto?!-
Henry stava per controbattere con molte parolacce, quando giunse Luke.
-Ciao, io sono Luke!- esclamò, mettendosi davanti a lei. -Hai mai visto I Miserabili?-
Ellen ne fu spaventata e divertita allo stesso tempo.- No, mi spiace.-
-Ti va di vederlo?-
Henry, dietro di lui, le fece cenno di dire assolutamente di no, gesticolando.
-Ehm, ci penso su…Va bene?- balbettò Ellen, senza sapere cosa dire.
-D’accordo!- esclamò Luke, entusiasta.
Entrambi si allontanarono prima che riprendesse a parlare di quel film.
-Non dirmi che è qui perché è ossessionato dai musical.- continuò Ellen, proseguendo sul retro.
Henry ridacchiò leggermente.- No, è che era un cantante fino a qualche mese fa. Fin che non ha fatto un saggio importante, si è bloccato e questo lo ha distrutto. Non dormiva, né mangiava più e adesso pesa quanto un ramoscello d’ulivo.-
-Wow, deve essere stato orribile. Però so cosa significa.- commentò, aprendo la porta che dava sul cortile.
-Ah sì?-
Ellen annuì, abbassando lo sguardo.- Sono…Ero una ballerina.- affermò, uscendo al cortile e sedendosi sull’altalena.- Wow, che bella!- esclamò sorridendo, alzando lo sguardo su di lui.- Non vieni?-
Henry fece una smorfia, scuotendo la testa.
Se n’era dimenticata per un attimo.- Ah, giusto, scusa, luce cattiva.-
Solo in quel momento, avendola a qualche metro di distanza, Henry riuscì veramente a vederla.
Avrà avuto circa 20 anni come lui, era magrissima, tanto che i jeans strappati e la camicia rossa a quadri che indossava, le stavano tre taglie più grandi.
Aveva il viso ondulato, le labbra sottili e gli occhi verdi.
I capelli…Ah, lasciamo perdere i capelli.
Se Henry avesse potuto, glieli avrebbe strappati.
Aveva bisogno di ancora un po' di tempo per inquadrarla, come aveva fatto con tutti, d’altronde.
Non era mai più amico di qualcuno, erano tutti suoi compagni allo stesso modo.
Il motivo per cui Luke vedeva sempre quel musical era perché probabilmente ci vedeva se stesso, in particolare, nel ruolo del fuggitivo Jean Valjean.
Hugh Jackman scappava dalle sue colpe e Luke al suo disastroso saggio.
Tracy…Lei era arrabbiata con il mondo: credeva che la propria condizione sarebbe migliorata se avesse sfogato tutta la sua rabbia su Henry.
Però, lui credeva che nascondesse qualche segreto, solo che non sapeva quale.
La dolce Megan era solo vittima dell’arroganza degli uomini e preferiva aiutare gli altri, che se stessa.
Pearl era quella che stava peggio, per questo avevano dovuto intubarla.
Certe volte, Henry aveva anche pensato che soffrisse di schizofrenia e che la sua faccina adorabile fosse solo una maschera.
Anna era più o meno simile a Megan, ma era troppo chiusa per ammetterlo.
Kendra era stata cacciata di casa dai genitori e da quel momento in poi si era lasciata andare.
Tutti avevano dei problemi e ogni volta che Henry aveva dovuto parlare dei suoi, era stata una pugnalata al cuore.
Raccontare quella storia non era mai facile e non sapeva se ce l’avrebbe fatta di nuovo per Ellen.

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Capitolo 3
*** All the leaves are brown and the sky is green ***


Quando la dottoressa Karen entrò in casa, Henry capì che si erano fatte le 17 ed era ora della riunione.
In realtà, lui non guardava l’ora quasi mai, né tantomeno gli piaceva sapere che giorno fosse.
Dato che non guardava quasi mai di fuori, non sapeva che stagione fosse ed era meglio così: sapere che prima poi sarebbe arrivata l’estate, con il sole e la luce costante, gli faceva accapponare la pelle.
Le ragazze e Luke si riunirono nel soggiorno ed Henry salì di sopra per andare a chiamare Pearl.
Era ancora stesa nel letto, ma i suoi occhi erano aperti e nella narice sinistra aveva un sondino gastrico.
-Ciao Henry.- gli disse sorridendo, mostrandogli il peluche a forma di unicorno.- L’ho tenuto con me tutto il tempo, come mi avevi detto.-
Henry le sorrise, sedendosi accanto a lei.- Bravissima, sono orgoglioso di te.-
Pearl era paragonabile ad un grande stecchino di legno, il suo corpo danzava dentro quel pigiamino rosa e le si vedevano quasi gli zigomi del viso.
Il sorriso dolce e la chioma corta di capelli ricci marroni la facevano sembrare una bambina di 10 anni.
-Mi dispiace tanto di non esserci riuscita di nuovo, Henry.- continuò, abbassando lo sguardo.
Henry le accarezzò la guancia.- Sta tranquilla, io so che sei forte e ci riproverai di nuovo. Hai tutta la vita davanti.-
In realtà, Henry stava mentendo: se Pearl fosse andata avanti così, probabilmente sarebbe morta entro poche settimane.
Il suo cuore non avrebbe retto.
La ragazza mise la mano sulla sua, guardandolo negli occhi.- Sei davvero l’anima di questo posto, Henry.-
Nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere e i suoi occhi si inumidirono.
-Dai, scema, scendi di sotto, ti stanno aspettando tutti.-
Si asciugò l’angolo degli occhi mentre scendeva le scale.
La speranza di guarire lo aveva abbandonato qualche mese prima, però sperava sempre per gli altri.
Magari per loro sarebbe stato diverso.
Henry si andò a sedere in mezzo a Megan e Tracy, mentre la dottoressa Karen si prese una sedia per se.
Karen era una donna sulla quarantina, con i capelli corni castani e un abbigliamento sempre elegante.
-Allora, oggi diamo il benvenuto al nuovo membro Ellen. Come tutte le volte in cui arriva un nuovo arrivato, dobbiamo farci conoscere.- esordì la dottoressa.- So che è difficile per voi…-
-Perché? Lo abbiamo fatto già 5 volte.- intervenne Tracy.
-Hai ragione Tracy, vuoi cominciare tu?-
-D’accordo: mi chiamo Tracy, ho 17 anni e sono bulimica. Il mio ragazzo mi ha lasciato perché mi diceva che ero troppo grassa e così ho iniziato a ficcarmi due dita in gola regolarmente.-
-E come sanno che non lo rifarai nemmeno qui dentro?- domandò Ellen.
-Lobo cronometra ognuno di voi quando siete in bagno, massimo 30 minuti per ciascuno.- rispose Karen. -Vedrai che non ci sono specchi, tranne nel bagno di Luke ed Henry. Qualsiasi tipo di cosa che riguarda il corpo è bandita da questa casa.- spiegò. -Va bene, chi altro vuole raccontare?-
-Ehm, mi chiamo Megan e il mio ragazzo era un alcolizzato e drogato, per questo sono così magra. Mi picchiava, ma quando ho scoperto di essere incinta sono riuscita a scappare e a venire qui. Ora voglio solo che il mio bambino stia bene.- intervenne Megan, mordendosi le unghie nervosamente.
Ellen le sorrise.- Sei incinta?-
-Sì…11 settimane, la prossima settimana potrò finalmente sapere il sesso.- rispose Megan, entusiasta.
-Wow, congratulazioni.-
-Io sono Anna e quando andavo a scuola ero vittima di cryber-bullismo e bullismo in generale.- disse Anna, seduta accanto ad Ellen. Si alzò le maniche della vestaglia per mostrarle un paio di cicatrici che aveva sul polso.- Stanno guarendo e anche io, pian piano, cerco di tornare regolarmente a mangiare senza render conto a quello che dicono gli altri.-
-Molto bene Anna.- commentò la dottoressa.
-Io mi chiamo Luke, ho 23 anni e prima del disastro ero un cantante. Ho fatto un saggio e mi sono bloccato, un giorno, non ricordavo più le parole.- raccontò Luke, abbassando lo sguardo.- Così ho smesso di mangiare e ho perso 35 chili… Ma adesso ne ho ripresi 20! E punto alla vetta!-
Karen posò lo sguardo su Kendra.
-Uhm, io mi chiamo Kendra, ho 16 anni e sono lesbica.- affermò, arrossendo.- Che bello poterlo dire ad alta voce. I miei genitori mi hanno buttato fuori di casa quando gliel’ho detto: mia zia mi ha accolto, ma per lo stress ho iniziato a mangiare senza contegno e ho preso 89 chili…Se fossi ingrassata di un altro chilo, il mio cuore sarebbe esploso.-
-I-io invece sono Pearl.- bofonchiò alla destra di Ellen. – Sono ossessionata dalle calorie…Credo di star per impazzire, perché non ho idea di quante calorie ci siano dentro quel liquido che mi hanno messo.-
-1500.- rispose Ellen. – L’hanno messo anche a me una volta.-
Pearl sgranò gli occhi.- C-Cosa?-
Henry sospirò, mettendosi le mani sul viso.- Non ci posso credere che tu lo abbia detto!-
Pearl scoppiò a piangere e scappò di sopra.
Ellen divenne tutta rossa.- M-Mi dispiace, non volevo…-
-Ma che cazzo ti salta in mente?!- replicò Henry.
-Henry, che cosa abbiamo detto sull’aggressività?- intervenne Karen.
-Ah, parla di aggressività con me? Ha appena traumatizzato Pearl!- esclamò Henry, indicandola.
-Senti, va a fanculo! Mi stai dando contro da quando sono arrivata!- ribatté Ellen. -E qual è la tua storia? Sentiamo!-
Henry strinse i pugni. -Non ti meriti di ascoltarla.-
Ellen fece una ridarella. -Oh, perché adesso dovrei meritarmelo?-
-Ragazzi, calmatevi, per favore!- continuò Karen, intimandoli di smettere.
-Io adesso non parlo di me davanti a lui.- borbottò Ellen.
-Perfetto, allora me ne vado.- disse Henry, alzandosi dal divano per andare in camera.
C’erano determinate volte in cui odiava le persone, quelle dentro e quelle fuori dalla casa.
Sapevano essere infide, false e cattive: come Tobias, che non si faceva vedere da 5 mesi.
Salì le scale e si soffermò sulla finestra, osservando due bambini in monopattino.
Infine, origliando, stette ad ascoltare in piedi.
-Beh, io mi chiamo Ellen, vengo da Los Angeles e ho 19 anni. Ero una ballerina qualche tempo fa e diciamo che non sono riuscita a tenere la pressione, un po' come Luke e ho iniziato a mangiare di meno per entrare nei costumi, fin che non sono svenuta sul palco. Sono letteralmente ossessionata dalle calorie, una volta sono riuscita a capire quante calorie contenesse l’intera cena di Natale.- raccontò Ellen, rannicchiandosi sulla poltrona.
Karen le sorrise.- Grazie Ellen, grazie a tutti per aver condiviso la vostra storia.- commentò.- Allora Ellen, ti hanno spiegato come funziona qui?-
Ellen scosse la testa.
-Il telefono ti è stato tolto perché non vogliamo che usiate i social o qualsiasi altra cosa che potrebbe farvi stare ancora più male. Per questo non ci sono gli specchi nei bagni, né le porte.-
-Perché niente porte?- domandò lei.
-Perché ognuno di voi potrebbe farsi del male a porte chiuse, o costringersi a vomitare o tentare di bruciare le calorie facendo della ginnastica.- spiegò la dottoressa. -Tuttavia, se fai delle cose buone come lavare i piatti, pulire la tua camera o la casa, riceverai dei punti e perciò dei premi speciali. Perciò, potrai uscire, andare al cinema, fare una passeggiata, accompagnare Lobo a fare la spesa.-
-Wow, tutte cose entusiasmanti.- intervenne Ellen, facendo ridere tutti.
-Potrai vedere i tuoi amici.-
-Non ho amici.-
-Chissà perché!- aggiunse Henry, salendo al piano di sopra.
Ellen sbuffò.- Ma sei ancora qui?!-
Henry ridacchiò e le fece il dito medio, andando in camera di Pearl per consolarla, ancora.
***
La California Dreamin non era la sede principale della clinica.
Il vero ospedale era qualche chilometro più in là e a gestire il reparto di psicologia, era il dottor William.
Lobo era praticamente la sua seconda e faceva venire William la sera dopo cena.
Oltre alle regole che aveva spiegato Karen, le famiglie delle ragazze e dei ragazzi potevano fargli visita una volta al mese, in presenza di William, facendo una seduta tutti insieme.
Infine, almeno una volta alla settimana, si pesavano tutti nella camera di Lobo per controllare i progressi.
Quella sera, a cena, Henry mise al centro della tavola un piatto pieno di pollo panato e, con l’aiuto del guanto, delle patate al forno. -Ecco qui, buon appetito.-
Ellen alzò un sopracciglio.- Un momento, tu cucini? Avevi detto che nessuno poteva entrare in cucina.-
Luke ridacchiò.- Certo che possiamo entrarci, altrimenti come facciamo a lavare i piatti?-
-Mi hai preso in giro!-
-Tranquilla Ellen, sicuramente Henry intendeva che è meglio per il tuo bene che non ci entri.- intervenne Megan.
Henry scosse la testa con un ghigno.- No, la stavo davvero prendendo in giro.-
-Voi due mi avete proprio stancato oggi!- esclamò Lobo, portando a tavola la brocca d’acqua.- Avete 5 anni per caso?! Stasera laverete i piatti, tutti e due!-
Henry alzò gli occhi al cielo.- Va bene, mamma.-
Henry aveva capito che le anoressiche utilizzavano un diverso approccio con il cibo.
Pearl toglieva sempre la parte grassa con le mani, come quando prendevano la pizza e mangiava solo la crosta, togliendo tutto quello che c’era sopra.
Megan faceva sempre a pezzettini piccoli tutto quanto, così che quel poco che mangiasse, sembrasse di più.
Tracy mangiava qualcosa e poi, dato che non le era consentito vomitare al bagno, nascondeva il vomito dentro una busta di carta che Henry aveva scoperto sotto il suo letto.
Infine, Kendra fingeva di mangiare ordinatamente, mentre dentro di se avrebbe voluto abbuffarsi.
A Kendra era dato mangiare solo burro d’arachidi e pane in cassetta.
-Ma tu mangi solo quello?- le chiese Ellen, mettendosi una fetta di pollo nel piatto.
-E’ la mia dieta, punto ai 77 chili alla prossima pesata.- rispose Kendra, affondando il cucchiaino nel barattolo.
Henry osservò Ellen continuare a tagliuzzare il pollo e a fare rumore col piatto senza effettivamente mai mettere il boccone in bocca.
Un’attrice nata, pensò.
-Perciò tu sai quante calorie ci sono in tutta questa roba?- intervenne Pearl, con la sua voce pacata e bassa.
-93 calorie nelle patate al forno e 267 nel pollo panato.-
-Tsk, non puoi essere così precisa, secondo me te lo sei inventato.- commentò Henry, estraendo il cellulare dalla tasca.
Ellen sgranò gli occhi.- Hai anche il telefono?!-
-Te l’ho detto, io sono il leone in questo posto.- replicò Henry.
Luka aggrottò le sopracciglia.- Che significa?-
-Che tu sei un fottuto suricata, Luke.- rispose l’altro, leggendo su Google che in realtà Ellen avesse ragione.- Cazzo, è vero: sei una specie di Newton delle calorie.-
Ellen gli fece un occhiolino soddisfatto.

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Capitolo 4
*** I’d be safe and warm if i was in L.A. ***


Dopo cena, mentre Henry lavava i piatti ed Ellen li asciugava riponendoli nel cassetto, tra i due c’era un tombale silenzio.
Ellen non capiva perché Henry avesse tutti quei privilegi o perché indossasse quella buffa felpa a collo alto.
Si mise ad osservarlo per tutto il tempo ed Henry lo notò.- Se mi vuoi fissare, almeno pagami.-
Ellen voltò lo sguardo, arrossendo e lo abbassò sui suoi fianchi: i vestiti non sembravano stargli grandi come le stavano a lei.
A quel punto, di scatto, gli strizzò la pelle dei fianchi: c’era carne, non riusciva nemmeno a sentire l’osso.
Henry sobbalzò all’indietro.- Ma che cazzo fai?!-
-Ma non sei anoressico! Allora che ci fai qui?-
Henry divenne rosso in viso come un peperoncino.- Fatti i cazzi tuoi!-
-Henry!- esclamò una voce alla porta.
Era arrivato il dottor William e lo stava guardando male.
William era un uomo abbastanza robusto, sui 40 anni, con lo stesso taglio di capelli di Henry, solo che i suoi erano neri come la barba quasi folta.
Il ragazzo sbuffò e lasciò il piatto che aveva in mano, schizzandosi il sapone sulla felpa.- Io non ci vivo con lei!- borbottò, andando in soggiorno con passo duro.
-Io davvero non capisco che problema abbia.- commentò Ellen.
-Tranquilla, non è colpa tua, lui non è quasi mai così. E’ un ragazzo un po' complicato, ma ti posso assicurare che è una brava persona.- rispose William, poggiandosi al lavello. -Devi solo essere paziente.-
-Lui non è anoressico o bulimico come noi, allora che ci fa qui?-
-Quando lui sarà pronto, ti racconterà la sua storia come ha fatto con tutti, dagli tempo. È qui da più tempo di tutti, è praticamente l’anima di questo posto. Devi sapere che quando sono arrivate Pearl ed Anna, erano terrorizzate. Così, Henry è uscito a fare la spesa ed ha comprato un lecca lecca per Anna e un pupazzo a forma di unicorno per Pearl.-
Ellen la trovò una cosa molto dolce.
-Per non parlare di Luke, quando è arrivato non apriva bocca: poi Henry ha scoperto che gli piacevano i musical e gli ha preso il DVD dei Miserabili. Perciò adesso lui lo vede ad oltranza.- raccontò, facendo ridere entrambi.
Iniziò a pensare che Henry non fosse poi così male e perciò decise di utilizzare un approccio diverso, d’ora in poi.- D’accordo, avrò più pazienza.-
William le diede due pacca sulla spalla.- Ci parlo io. E…Benvenuta al California Dreamin.-
Ellen gli sorrise.- Grazie.-
Il dottore proseguì in salone, dove Anna, Tracy, Megan ed Henry stavano vedendo la tv.
-Scusate ragazze, ci date un momento?-
Le tre si alzarono ed Henry rimase sul divano a braccia conserte.
William si sedette accanto a lui.- Che cosa abbiamo detto riguardo all’aggressività?-
Henry alzò gli occhi al cielo, ricordandosi di quella tiritera di frase che gli aveva detto il dottore, tanto da poterci creare il ritornello di una canzone.- Il nostro malessere non è colpa delle altre persone.-
-Esattamente, quindi è inutile che te la prendi con Ellen.- continuò William.
-Lo so, ma è così prepotente…E…E quei capelli rossi, Dio! Non riesco a guardarli!- esclamò Henry, gesticolando.
-Potrebbe essere invece un buon esercizio per iniziare ad affrontare quello che ti è successo. Sono passati 6 mesi, Henry. Se non guarisci qui…- affermò il dottore, mettendogli un dito sulla tempia. -Non guarirai mai da nessun’altra parte.-
Allora Henry incrociò il suo sguardo.- Credi che io voglia rimanere sfregiato a vita?-
-No, certo che no. E per questo ti assegno il compito di essere come una specie di tutor per Ellen: aiutala a stare bene, come hai fatto con tutti gli altri senza che te lo chiedessi.- disse infine.
Henry si morse un labbro nervosamente.- Ci penserò.-
William gli sorrise e gli diede un buffetto sulla testa.- Ci vediamo domani, buonanotte.-
***
Quando la casa fu interamente buia e la luna alta in cielo, Henry sgattaiolò sul retro e andò verso il laghetto.
Solo quelli erano i momenti in cui poteva avere un contatto con il mondo esterno.
Era raro sentire gli uccellini cantare o le foglie muoversi, perché di notte era quando tutto taceva.
Tuttavia, la luce della luna era l’unica che non lo spaventava.
Si tolse i vestiti e si tuffò nel lago torpido.
Non c’erano pesci, né molluschi, solo muschio sul fondo che faceva il solletico ai piedi.
Henry si passò le mani nei capelli bagnati e prese un bel respiro, mettendosi a fare il morto a galla, con lo sguardo verso la luna.
Aiutare Ellen e così starle accanto, sarebbe stata una bella sfida per lui.
Però non era giusto che tutti gli altri ricevessero il suo aiuto e lei no.
Perciò si doveva far coraggio e poi, probabilmente, come aveva detto William, avrebbe fatto del bene anche a se stesso.
Con le orecchie immerse in acqua, Henry sentì il proprio cuore battere lentamente e si chiese per quale motivo stesse battendo.
-Va bene…Lo faccio.-
***
Il giorno successivo, Ellen avrebbe incontrato la sua famiglia in una delle sale dell’ospedale: William ed Henry sarebbero stati con lei.
Henry scese le scale per andare a fare colazione e notò che Ellen stesse fissando il sottoscala.
-Anche quella stanza ha la porta.- commentò Ellen.
-È la dispensa, solo io e Lobo abbiamo la chiave. L’abbiamo chiusa quando ci abbiamo trovato Kendra con la faccia dentro un sacchetto di carne essiccata. – spiegò Henry. -E poi perché io sono cioccolato dipendente.-
Ellen ridacchiò e si andò a sedere al suo posto.
-Oggi hai la seduta di gruppo con la tua famiglia, Will mi ha chiesto di farti da tutore, perciò verrò anche io.- continuò Henry, versandosi il latte.
Ellen assottigliò gli occhi.- Da tutore nel senso che adesso controllerai tutto quello che faccio?-
-Più o meno, controllerò che non cerchi di ucciderti.-
Quella frase la spiazzò.
-Solo Henry può far sembrare una frase così tetra come un modo per aiutarti.- intervenne Megan, dandogli un bacio sulla guancia.
-Sta tranquillo, non ho mai cercato di uccidermi. Niente lamette, o dita in gola, mi fa schifo.- spiegò Ellen, prendendo un biscotto, ma senza mangiarlo.
-D’accordo saputella: quante calorie nei biscotti, nel latte, nel succo e nell’acqua?- esordì Tracy.
-353 nei biscotti, 42 nel latte, 60 nel succo e…Domanda a trabocchetto, l’acqua non ha calorie.- rispose Ellen.
-E’ vera quella cosa che l’acqua ti riempie la pancia?- domandò Kendra.
-Sì, ma dura solo qualche minuto.-
-Okay, prima regola, basta parlare di calorie: è una parola vietata.- affermò Henry.
Ellen sorrise.- Va bene, tutor!-
***
Verso le 18, Henry ed Ellen si prepararono per andare alla clinica, con l’auto che avrebbe guidato Lobo.
Henry si chiuse la felpa e indossò l’orologio, senza smettere di fissarlo.
Ellen varcò la porta, ma Lobo la fermò.- Aspetta.-
Li guardò poi confusa.
-3…2…1…- contò Henry, seguendo la lancetta dei secondi.
Nello stesso istante, la luce del sole si oscurò e divenne sera.
Ellen ne fu sorpresa.- Sai l’ora esatta in cui tramonta il sole?-
-Certo, c’è scritto sul calendario: non sempre sono precisi, ma la maggior parte delle volte sì.- spiegò Henry, entrando in auto.
La sala dell’ospedale era interamente bianca e 5 sedie erano state messe vicine in circolo.
Vi sedevano Ellen, William, Judy, la madre di Ellen, Olive, la sua compagna e Kelly, la migliore amica di Ellen.
Henry se ne stava seduto in disparte ad ascoltare.
-Ho fatto coming out quando le mie figlie avevano 13 e 15 anni. Ellen era così piccola e credevo che fosse stato questo che avesse scatenato la sua ribellione.- esordì Judy.
-È solo triste…- intervenne Kelly, singhiozzando. -Certe volte è come se non avessi una migliore amica.-
-Beh, mi dispiace di avervi delusi tutti.- borbottò Ellen, sotto voce.
Judy le prese la mano.- Ellen no, tu non ci hai delusi.-
-Davvero? Allora dov’è papà?-
La mamma tirò su col naso.- Sai che è molto impegnato con il lavoro.-
-Certo, dicono tutti così: troppo lavoro, troppo studio, vado a comprare le sigarette.-
Henry trattenne una risata coprendosi la bocca, ma Ellen lo notò.
-Lo sai che tuo padre, quando è morta tua sorella…-
Henry riuscì a vedere la pelle di Ellen rabbrividire e che d’un tratto si irrigidì.
-Non dire quel nome, mamma, non devi nemmeno tirare fuori questa storia!- esclamò serrando i denti.
Henry non sapeva che Ellen avesse una sorella morta e dalla sua reazione capì che era una cosa che ancora non aveva superato.
Erano davvero più simili di quanto si immaginasse.
Forse era stato quello a scaturire in Ellen la reazione di non mangiare più.
-Credo che abbiamo trovato il problema, quindi.- intervenne William.
La ragazza lo guardò male.- Ma lei che cazzo ne sa?! Mi conosce nemmeno da tre giorni!- ribatté, alzandosi di scatto.- Andate tutti a fanculo!- bofonchiò, uscendo di fretta dalla stanza.
Da bravo tutore, Henry si alzò e la seguì fuori dall’ospedale, sedendosi accanto a lei su una panchina.
-È stato…-
-Uno schifo.- affermò Ellen, sospirando. -Loro non capiscono un cazzo, loro non possono sapere come mi sento.-
-È vero, solo tu sai come ti senti e sei l’unica che può salvarti. Will dice sempre che il vero nemico di te stesso sei tu.- continuò Henry. -Quelle ragazze…Vedi, loro hanno tutte un motivo per cui sopravvivere, devi trovarlo anche tu.-
Ellen scosse appena la testa.- Io non ce l’ho un motivo.-
-Se può consolarti, nemmeno io e sono in questa merda da 6 mesi, perciò capisco quanto possa essere difficile, ma dobbiamo farlo.- spiegò, alzando le spalle.- Dai, torniamo a casa passeggiando.-
Ellen alzò le sopracciglia.- Davvero? Non è tipo come fare ginnastica?-
Henry fece un ghigno.- E tu non dirlo a Lobo.-
Lei ridacchiò e i due si alzarono per iniziare a camminare sul marciapiede.
-Perciò sei una specie di pittore.-
Henry la guardò confuso, cercando di pensare a come lo avesse capito.
-Sì, scusa, ho visto i pennelli in camera tua.-
-Oh, beh, sì: mi è sempre piaciuto disegnare, a Battlecreek, dove sono cresciuto, in camera ma ho lasciato un enorme disegno con tutte sfumature di rosso…Ti sarebbe piaciuto.- raccontò l’altro.
Ellen storse la bocca.- Non credo…Sono daltonica.-
Henry si grattò la guancia, arrossendo.- Oh, scusa, non lo sapevo.-
-Non fa niente, sono principalmente quello che si definisce Protanomalia, cioè non riesco a vedere il colore rosso.-
Henry non sapeva cosa avrebbe fatto se non fosse stato in grado di vedere anche solo un colore.
-Tu hai mai fatto una seduta con i tuoi?- gli domandò.
Lui scosse la testa.- No, mio padre se n’è andato di casa, mia mamma sarebbe troppo ubriaca per arrivare fin qui e il migliore amico è sparito da più o meno 5 mesi. Però mia madre non è sempre stata così, quando ero piccolo amavo la Sirenetta, sai, il cartone e per farmi addormentare mi cantava la canzone di Ariel.-
-Ma se non sei anoressico, allora che ci fai qui?-
Per Henry era ancora troppo presto per dirglielo.- E’ complicato, più di quanto pensi.-
Ellen abbassò lo sguardo, arrivando davanti alla porta.- Capisco…Perciò, facciamo una tregua? Niente più battibecchi?- aggiunse, porgendogli la mano.
Henry le sorrise amichevolmente e la strinse.- Tregua.-

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Capitolo 5
*** Well i got down on my knees and i pretend to pray ***


Per Henry era una consolazione non dover litigare con Ellen e perciò far ritornare un buon equilibrio all’interno della casa.
Giunse il giorno della pesata settimanale: Henry faceva da assistente a Lobo e si segnava, su ognuna delle cartelle dei pazienti, il loro peso attuale e quello da raggiungere.
Henry scese dalle scale piuttosto di buon umore e incrociò Ellen che stava apparecchiando che gli fece un grande sorriso.
La trovò una cosa strana, nessuno gli aveva mai sorriso in quel modo e pensò anche fosse anche un bel sorriso.
Si sedette a tavola e, come sempre, sorseggiò il suo succo.
-Ah, finalmente estate, che bello!- esclamò Tracy, saltellando giù per le scale.
Il resto dei presenti sgranò gli occhi e Henry prese improvvisamente a tremare.
-Tracy!- borbottò Megan, sospirando.
La ragazza si mise la mano sulla bocca.- Cazzo Henry, scusa….-
La sua paura più grande era arrivata: ampie giornate di sole caldo che finivano tardissimo.
Henry sentì mancarsi il fiato e nella sua mente rivisse quel momento in cui si era accasciato al suolo, con quel dolore lancinante che non smetteva.
Lo risentì di nuovo come se non fosse mai passato.
Di scatto si alzò dalla sedia e aprì la dispensa, chiudendosi all’interno.
Tutti hanno un posto sicuro in cui rifugiarsi e la dispensa era quello di Henry.
Nessuna luce, poco spazio, niente che potesse ferirlo: se avesse potuto, sarebbe stata quella la sua stanza, senza letto, solo quattro strette mura.
Aveva anche tutto il cibo che si poteva desiderare.
Anna e Megan bussarono più volte. -Henry, esci di lì, per favore!- dissero all’unisono.
Lobo sospirò, cercando la chiave nel cassetto della sua camera.- Lo sapevo che non dovevo dargli quella chiave.-
-Aspettate, aspettate!- intervenne Ellen. – Così lo spaventiamo e basta.-
-E cosa hai in mente di fare, genio?- borbottò Tracy.
Ellen si inginocchiò davanti alla porta, strizzando gli occhi.- Com’è che faceva?- sussurrò fra se e se.- Ehm…Ma un giorno anche io, semmai potrò…Esplorerò la vita lassù…- canticchiò.
Henry sentì la sua dolce voce e il ricordo orribile si spostò a quando sua madre gliela cantava per farlo addormentare.
Da una parte non ci poteva credere che Ellen gliela stesse cantando: per una volta erano gli altri a fare qualcosa per lui.
-E parte del tuo mondo farò…- mormorò Ellen, poggiando la fronte sul legno.- Henry, mi fai entrare? Andrà tutto bene.-
Glielo avevano detto anche quando Allison era morta: gli avevano detto che lo avrebbe superato, tanto non si conoscevano nemmeno.
Eppure, lui non lo aveva mai fatto.
E nessuno lo aveva aiutato, né sua madre, né il suo migliore amico.
A quel punto, Henry aprì la porta e lasciò che Ellen entrasse.
-Ehi… Sai cosa stavo pensando?- esordì lei, sedendosi davanti a lui, per quel poco posto che era rimasto. -Pensavo che magari ci potessimo disegnare un ritratto a vicenda, che ne pensi?-
Lui sospirò.- Non usare questi trucchetti con me, non cambiare discorso, studiavo psicologia all’università.-
-Ascolta, so che la luce ti spaventa, ma nessuno di noi lascerà che ti faccia del male, va bene?- gli disse, mettendogli una mano sul ginocchio.
D’un tratto, Henry capì che quel contatto non era come qualsiasi altro.
Sentì uno strano calore quando Ellen lo toccò, anche se aveva sempre abbracciato le altre, con lei pareva diverso.
Si fidò di quella sensazione e annuì.- D’accordo.-
Entrambi vennero fuori dalla dispensa e Tracy roteò gli occhi.- Mammoletta.-
***
Nel pomeriggio, fecero tutti la fila con addosso solo l’intimo e una vestaglia, davanti la porta della camera di Lobo.
Henry se ne stava seduto sul letto con la cartella di Kendra, mentre la ragazza salì sulla bilancia.
Lobo usava una bilancia a colonna, l’unica che segnava il peso perfetto.
Secondo la cartella di Kendra, lei era alta un metro e 60, perciò sarebbe dovuta pesare massimo 60 chili.
-82, hai perso solo 3 chili questo mese, Kendra.- puntualizzò Lobo.- Dobbiamo incrementare anche l’attività fisica.-
La ragazza sbuffò.- Ma non sono capace!-
-Ehi, ti troverò qualche attività motoria e divertente da fare, ok?- intervenne Henry.
Lei gli sorrise.- Va bene Henry, mi fido di te.-
Lui le fece un occhiolino e le passò la vestaglia, per poi far entrare Megan.
-Allora, quasi 12 settimane! Sapremo finalmente il sesso!- esclamò Henry, aiutandola a salire sulla bilancia.
-Sì, sto già pensando a qualche nome.- continuò Megan, sorridendo entusiasta. -Pensavo Harriet se è femmina o Lucas se è maschio.-
-Sono entrambi dei bei nomi.-
Megan era alta un metro e 70, perciò doveva pesare massimo 70 chili, invece era arrivata a 49.
Se continuava così, probabilmente il suo bambino non sarebbe sopravvissuto.
Megan non sapeva cosa dire e afflitta si riprese la vestaglia, correndo via.
Henry si passò le dita sugli occhi, preoccupato, quando entrò Ellen per ultima.
Lo guardò confusa.- Devo spogliarmi davanti a lui?-
-Le altre fanno finta che sono gay in questi casi.- disse Henry.- Vuoi che metta il rossetto?-
Ellen ridacchiò.- Sì.-
Allora Henry prese un rossetto dai trucchi di Lobo e se lo mise sulle labbra, facendo scoppiare a ridere entrambe le donne.
Perciò Ellen si tolse la vestaglia e scoprì il suo intimo nero, seguito da un fisico magrissimo, dalla quale si potevano distinguere le costole.
Non era la prima volta che Henry vedeva un fisico del genere, ma con Ellen era diverso, gli dispiaceva per lei.
Henry prese una cartella vuota, dato che era la prima volta che si pesava.- Quanto sei alta?-
-Un metro e 65.-
Il ragazzo notò subito una peluria alle braccia.
-È da un po' che non mi faccio la ceretta…-
-No, non è questo…Da quant’è che ce l’hai?-
-Qualche anno, perché?-
-L’aumento di peluria significa che il tuo corpo sta letteralmente morendo di freddo, anche se tu non lo senti.-
-Henry, segna 31.- gli sussurrò Lobo.
Se Ellen era alta un metro e 65, avrebbe dovuto pesare almeno 67 chili, però ne pesava 34 in meno.
-Beh Henry, sei tu il suo tutore, quindi spiegale che cosa rischia.-
-Lo so cosa rischio, il sondino gastrico come Pearl.- affermò Ellen, rimettendosi la vestaglia.
-Quella è la prima opzione, ma quando il tuo peso arriverà sotto i 30 e l’organismo non riceverà quello che gli serve, come carboidrati, proteine ecc…Il tuo cuore non saprà più cosa pompare e si fermerà.- spiegò Henry.
Ellen sembrò spaventata dal suo discorso e abbassò lo sguardo.- Va bene, grazie per la sincerità.- balbettò, uscendo con gli occhi lucidi.
Lobo gli diede una pacca sulla spalla.- Tranquillo, sei andato bene: ha bisogno di un po' di schiettezza.-
Nonostante avesse voluto, Henry avrebbe voluto dirglielo con altre parole, ma a quel punto non avrebbe capito la gravità della cosa.
Non c’era quasi più un briciolo di carne sul corpo di quella ragazza e poteva cedere da un giorno all’altro.

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Capitolo 6
*** He knows i’m gonna stay ***


Mentre tutti gli altri si godevano la serata davanti alla tv con il film scelto da Luke, Henry osservò che Ellen era rimasta in camera.
Per tutto il pomeriggio aveva lavorato ad un nuovo disegno e aveva pensato che forse fosse stato troppo duro con lei.
Perciò, bussò allo stipite della sua camera e notò che anche lei stava disegnando.
Lei si voltò verso di lui.- Non sei alla serata film?-
-No, Luke costringe tutti a vedere i Miserabili, così almeno lo fanno contento.- rispose Henry, porgendole il foglio.- Ti ho fatto un ritratto oggi pomeriggio, come avevi chiesto stamattina.-
Ellen lo guardò abbastanza sorpresa e arrossì leggermente.- Wow, io sono davvero così?-
Nel disegno fatto a matita, così che lei lo vedesse chiaramente, c’era solamente il suo viso ondulato, i suoi capelli mossi e un’espressione felice e malinconica allo stesso tempo.
-…Anche dopo che mi hai vista in quel modo?-
-Mia mamma diceva sempre che non ha importanza come siamo fatti fuori, ma di quanto è grande il nostro cuore.- aggiunse, sedendosi accanto a lei. -Pensavo fosse una bella cosa, oppure si era fatta solo un bicchierino di troppo.- commentò ridacchiando.
Ellen sorrise e rigirò il foglio sopra cui stava disegnando con la penna, iniziando a squadrarlo dall’alto in basso.
Henry capì che gli stesse facendo un disegno e perciò rimase fermo, in silenzio.
Ad un certo punto, Ellen prese la lampada sul comodino e gliela mise vicino, così da illuminargli il viso.
Henry sentì il leggero calore della luce, ma non lo spaventò.
-Non è proprio come il sole, ma… E’ abbastanza.- commentò Ellen, riprendendo a disegnare, continuando a guardarlo negli occhi.
Uno strano scambio di sguardi, che lo fece rabbrividire.
Henry pensò che Ellen, quella mattina, si fosse messa a nudo con lui e perciò era il suo turno.
-Sai, non è che la odio, la luce del sole…E’ che…Mi fa male.- mormorò, arrossendo.
-In che senso?- domandò lei, aggrottando le sopracciglia.
Henry prese un bel respiro e si alzò, togliendosi prima la felpa e poi la maglietta a maniche corte, lentamente.
Ellen cercò di non fare nessun tipo di smorfia quando vide delle chiazze rosse sul corpo di Henry, come bruciature, che andavano dalla spalla sinistra, fin sopra il collo, poi dietro la schiena e si fermava ai fianchi.
-E’ successo improvvisamente: un minuto prima ero nella piscina di Tobias, il mio migliore amico e un attimo dopo ero un tacchino ustionato.- spiegò Henry.
Ellen si mise davanti a lui e lo osservò.- Posso?- gli sussurrò, chiedendogli di poterlo toccare.
Henry annuì appena e lei fece scivolare le dita sulle sue bruciature, studiandole. -Henry, sei…-
-Un mostro?- borbottò lui.
Ellen scosse la testa.- Sei bellissimo.-
Lei abbassò lo sguardo sul suo fisico snello, con un po' di grasso sui fianchi, quanto basta e la leggera peluria intorno ai capezzoli.
-Sei cieca, allora.-
-Beh, mi piacerebbe tanto poterti far vedere come ti vedo io.- mormorò Ellen, passandogli una mano nel ciuffo di capelli.
Nessuna ragazza lo aveva mai toccato così, era quasi piacevole.
Avrebbe voluto che continuasse in eterno.
-Bene, vedo che abbiamo smesso di litigare.- intervenne William, facendolo sobbalzare.
-Sì, abbiamo deciso di sotterrare l’ascia di guerra.- disse Ellen, arrossendo, mentre Henry si rivestiva.
-Molto bene, sono contento.- aggiunse il dottore.- Oh, potreste scendere a vedere il film con Luke, per favore, così lo fate contento una volta per tutte?-
Entrambi scoppiarono a ridere e fecero cenno di sì con la testa.
Qualche minuto dopo, erano tutti e 6 in salone, con le guance piene di lacrime.
-Era solo un bambino!- singhiozzò Anna, prendendo un fazzoletto e passando la scatola ad Henry.
Non poteva credere alle parole che gli stavano per uscire dalla bocca.- Questo film è bellissimo…-
***
-Cristo Santo! Tobias, chiama l’ambulanza!- gridò Henry, correndo in strada.
-Cazzo, cazzo, cazzo.- con le mani tremanti, Tobias afferrò il telefono e compose il numero.
Henry si accasciò davanti alle luci del camion, dove Allison era stesa a terra con varie ferite lungo il corpo e l’osso che fuoriusciva dalla gamba.
-Dio.- singhiozzò, cercando di tamponare da dove venisse il sangue.
Allison aveva degli spasmi, con il sangue che le usciva anche dalla bocca.
-Allison, guardami, andrà tutto bene, d’accordo? Sta arrivando l’ambulanza.- piagnucolò, prendendole il viso tra le mani.- Rimani sveglia, ti prego.-
Solo allora notò che il suo corpo si era fermato e la ragazza aveva gli occhi fissi verso il vuoto.
Henry le mise due dita sulla gola e capì che il suo cuore si era fermato.
Scoppiò in un mare di lacrime e la strinse a se, accarezzandole i capelli e annusandola per un ultima volta, così che il suo profumo gli rimanesse nelle narici per sempre.
Henry aveva avuto una possibilità per essere felice e gli era stata subito portata via.
Quando riaprì gli occhi e fissò il soffitto, non capì perché fare quel sogno proprio quella notte.
Forse anche la sua mente gli stava dicendo che era ora di andare avanti.
Alzò il busto dal materasso e notò un foglio sul comodino.
Era il ritratto che gli aveva fatto Ellen ed era anche molto bello.
Lo piegò e lo mise sotto il cuscino, osservando dall’orologio che erano le 11.
-Cazzo!-
Aveva dormito più di quanto pensasse e in fretta si vestì, tralasciando una volta per tutte quelle felpe a collo alto.
Quando scese di sotto, notò Ellen fare le pulizie.
-Buongiorno dormiglione.- gli disse sorridendo.
-Buongiorno, scusate, non mi ero accorto di aver dormito così tanto.- balbettò Henry, grattandosi la nuca.
-Ti sei perso il grande annuncio di Megan.- intervenne Anna.
-Oh, davvero? Sai il sesso del bambino?-
-Sì, è un maschio.- gli rispose, abbracciandolo.
-Oh, congratulazioni! Gli insegnerò a giocare a basket e a calcio e a come vestirsi.- aggiunse Henry, entusiasta.
Megan gli accarezzò una guancia dolcemente.- Lo chiamerò Henry.-
Henry rabbrividì più che felice.- D-Davvero? Oh, grazie.- bofonchiò, baciandole la fronte.
Era il Grazie più bello che avesse mai ricevuto in vita sua.
-Attenzione, attenzione, estrazione del mese!- intervenne Lobo, portando a tavola un contenitore con dentro dei foglietti piegati.
-Che estrazione?- chiese Ellen.
-Ogni mese Henry va al cinema a vedere un film ed una di noi viene estratta a sorte per andare con lui.- spiegò Kendra.
Pearl incrociò le dita.- Fa che sia io, fa che sia io. Voglio andare a vedere il film della Marvel!-
Henry chiuse gli occhi e prese un biglietto a caso.
Quando lesse il nome, fu stranamente contento.- Ellen.-
I due si scambiarono uno sguardo di complicità.
-Oh, ma per favore!- esclamò Tracy. – Scommetto che è truccato! C’è scritto Ellen su tutti i foglietti, solo perché vi sta simpatica! Io sono settimane che aspetto di uscire!-
Ellen alzò un sopracciglio, infastidita.- Beh, non è di certo colpa mia se fai la stronza con tutti.-
Tracy le si avventò contro.- Ma chi ti credi di essere!- gridò, tirandole i capelli.
-Ragazze, ferme!-
-Ma che fate!-
Henry afferrò Tracy tra una parte e Lobo prese Ellen dall’altra, separandole prima che si azzuffassero.
-Lei arriva, ti fa gli occhi dolci e improvvisamente diventa la tua preferita!- continuò Tracy, con gli occhi lucidi.
-Tracy, ma di che parli? Io non ho nessuna preferita!- replicò Henry.
-Cazzate!-
Tracy scappò in camera singhiozzando a dirotto.
Ellen aveva passato gran parte della sua adolescenza al liceo e sapeva riconoscere bene una ragazza gelosa.
Perciò sapeva cosa stesse succedendo.
-Vado a parlarle.-
Salì in camera e la sentì piangere ancora.
Bussò allo stipite della porta.- Ehi, posso entrare?-
Tracy tirò su col naso.- Se è per strapparmi i capelli no, io amo i miei capelli.-
Ellen ridacchiò e si sedette accanto a lei.- Tranquilla, non ti voglio strappare i capelli, sono molto belli.-
La ragazza si pulì dalle lacrime.- Uso dei saponi speciali, per questo volevo uscire, perché sono finiti.-
Ellen la guardò come se fosse ovvio.- Davvero Tracy? Solo per questo?-
Tracy capì di essere stata scoperta.- Io non ci so parlare con i ragazzi…L’unica cosa che mi esce dalla bocca sono insulti.-
Ellen sorrise, dandole una spintarella.- Posso darti qualche consiglio.-
-E’ inutile, tanto gli piaci tu.- borbottò, incrociando le braccia. -Non lo noti come ti guarda?-
L’altra arrossì.- No, in realtà no…-
Ad Ellen sembrava pazzesco che potesse piacere ad Henry.
Anche lui era un bel ragazzo e, dopo averlo visto senza maglietta, aveva confermato il suo pensiero.
Ma perché gli sarebbe dovuta piacere una come lei?
Una scheletrica che per mania usava misurarsi il tricipite per assicurarsi che fosse grande quanto la circonferenza della propria mano.
Tuttavia, quella sera, decise di non indossare la solita camicia a quadri.
Mise una canottiera bianca dentro i jeans neri, un coprispalle rosso e le converse.
Scendendo dalle scale, notò Henry che la stava aspettando vicino alla porta.
Dal salone, Luke fece un fischio di approvazione.
-Ho solo messo dei jeans.- commentò Ellen, arrossendo.
-Stai molto bene.- aggiunse Henry, sorridendole appena.
Ellen si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio timidamente.- Grazie.-
-Ti prego Ellen, raccontami tutto!- esclamò Pearl.
-Senz’altro, Pearl.-
-Ah e ricordati di rimanere dopo i titoli di coda.-
-Chi non lo farebbe in un film della Marvel?-
-Buona serata ragazzi.- intervenne Megan, facendogli un occhiolino.
Il cinema non era molto lontano dalla casa, perciò andarono a piedi.
-Non so come tu sia riuscita a calmare Tracy, non ci riesce mai nessuno.- esordì Henry, mettendosi le mani in tasca. -Neanche io.-
-Questo perché le piaci, Henry.-
Il ragazzo si fermò in mezzo al marciapiede, accigliato.- Che?-
Ellen rise per la sua espressione buffa.- Non lo hai mai notato?-
-Certo che no! Litighiamo in continuazione!-
-E’ il suo modo per dirti che ti vuole bene.-
-Tsk, voi donne!-
Ellen sorrise dandogli una spintarella.- Vuoi raccontarmi come ti sei fatto quelle ustioni?-
Henry alzò le spalle, continuando a camminare.- Non c’è molto da raccontare: Tobias aveva una casa con la piscina l’estate scorsa e insomma, sono sul gonfiabile a godermi il sole e un attimo dopo stavo bruciando. E’ stato orribile, credevo che sarei morto.- raccontò. -La guarigione mi ha portato ad essere un po' ipersensibile, perciò prendo dei farmaci e allo stesso tempo faccio delle cure della pelle, il che comprende non uscire alla luce del sole.-
Era strano raccontarlo ad una persona dopo così poco tempo che la conosceva.
-P-Possiamo parlare di altro?-
-Oh, ma certo, non volevo offenderti.- balbettò Ellen. -Vediamo…La cosa più imbarazzante che ti è successa.-
-Mh, beh, ce ne sono molte…Vediamo…Ho perso la verginità con la mia babysitter, a 16 anni.-
Ellen si mise una mano sulla bocca per evitare di ridere.- Con la tua babysitter?!-
-Sì, mia mamma era iperprotettiva, quando usciva mi lasciava sempre con una babysitter. Lei aveva delle tette enormi, non potevi guardarla in faccia!- spiegò Henry, ridacchiando.
-D’accordo, visto che si sta parlando di sesso…- esordì Ellen, mettendosi in fila per fare il biglietto.- Andavo al letto con il mio professore di danza l’anno scorso.-
Henry alzò le sopracciglia.- Cosa? E quanti anni aveva?-
-36…Sì, lo so, ammetto che è stata una stupidaggine, ma sai, io e lui avevamo una certa chimica sessuale. Una volta la donna delle pulizie ci ha beccati fare sesso nella palestra, è stato orribile!- esclamò Ellen, coprendosi il viso.
-Beh, spero almeno che ne sia valsa la pena!- aggiunse Henry, comprando due biglietti.
-Certo, solo che…Facevamo così tanto sesso che ad un certo punto ho avuto un’emorragia e se lo rifaccio di nuovo non so cosa potrebbe succedere.- continuò, assumendo uno sguardo serio. -E ci siamo lasciati.-
-Allora qualcuno ti deve salvare dal sesso!-
-Tu sei bravo a salvare la persone.-
Henry si fece fare dal barista dei popcorn con del burro sopra e la guardò confuso.- Che intendi?-
-Tutte quelle persone, alla casa, tu le aiuti tutti i giorni. E’ solo che ti vedo triste certe volte, come se ti mancasse qualcosa, come se ti fosse successo qualcosa di terribile.- gli disse, incrociando i suoi occhi. -Tu stai salvando loro, ma il punto è…Chi salverà te?-
Ellen aveva centrato il punto senza neanche conoscerlo a pieno.
Non seppe cosa dire e si limitò a prendere i popcorn e a sedersi in sala.
Non seguì molto il film, questo perché iniziò a rimuginare sulla propria vita.
Distrutta, noiosa, sempre uguale.
E poi era arrivata Ellen che stava sconvolgendo tutto, portandolo a farsi delle domande che non si era mai fatto.
Voglio davvero vivere così?
E se invece volessi innamorarmi di nuovo, farmi una famiglia, avere un lavoro?
Stava tutto nel combattere contro se stesso.
Ma sapeva di aver bisogno di una mano per fare quel passetto in più.
Abbassò gli occhi su quella di Ellen e gli venne istintivamente di stringerla.
Ellen non staccò gli occhi dallo schermo, ma fece un sorrisetto di nascosto e poggiò la testa sulla sua spalla.
Henry osservò anche che si era messa a mangiare i popcorn.
Era la prima volta che la vedeva mettere veramente del cibo in bocca.
Ciò voleva dire che, quel nuovo rapporto tra i due, non giovava solo ad uno di loro.

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Capitolo 7
*** You know the preacher liked cold ***


Passarono svariati giorni e Henry notava sempre di più che Ellen mangiava.
Non quanto avrebbe dovuto, ma era un inizio.
Sapere che era estate non lo spaventava più, però sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare la luce del sole.
Per iniziare, aveva smesso di mettere le felpe a collo alto e girava per la casa solo con la maglietta a maniche corte, a cui colletto fuori usciva la macchia rossa di cui ormai sapevano tutti.
Per lui, invece, esser venuto a conoscenza di piacere a Tracy, gli aveva fatto rivalutare il suo essere.
Si chiese se davvero fosse così carino.
Uscì dalla doccia, con l’asciugamano legato alla vita e si rasò quella poca peluria che gli cresceva sulle guance.
Passò una mano sulla V che aveva sui fianchi e si tastò i bicipiti: non c’era gran che, ma bastava.
Avrebbe comunque fatto gli esercizi con Kendra.
Da qualche giorno, Henry la cronometrava, rimanendo seduto sulla porta del cortile e Kendra correva in tondo al laghetto.
Sbatté il rasoio dentro l’acqua e si avvicinò col viso allo specchio, sistemandosi scrupolosamente i capelli.
Quando, d’un tratto, Ellen entrò senza bussare. -Ops, scusa, credevo fosse libero.- balbettò arrossendo.
-Tranquilla, puoi entrare, ho quasi finito.- le disse Henry, togliendo il tappo per far andare giù l’acqua.
Ellen lo affiancò timidamente e si spazzolò i capelli, osservandogli il petto.- Posso…Solo…?-
La ragazza prese il rasoio e delicatamente tolse via la peluria che Henry aveva attorno ai capezzoli.
Lui rabbrividì al suo tocco, succedeva sempre così, era una bella sensazione.
Soprattutto dopo che non veniva toccato da tanto tempo.
-Ecco, così è perfetto.-
-Grazie…-
Ellen si soffermò a sfiorargli le ustioni.- Fa male?-
Henry scosse appena la testa ed entrambi incrociarono lo sguardo dell’altro.
Ellen sembrava così bella quella mattina.
Lentamente, poggiò la fronte sulla sua, a così poco dal baciarla.
-Ellen, la spesa!- gridò Lobo, dal piano di sotto.
Henry si staccò, schiarendosi la gola.- Ah, prima volta al supermercato, buon divertimento.-
Ellen ridacchiò.- Grazie…C-Ci vediamo dopo.-
Henry annuì imbarazzato e sorrise tra se e se.
C’era decisamente qualcosa, qualcosa che voleva assolutamente esplorare.
***
-Babbo Natale è arrivato in anticipo!- gridò Ellen, entrando in casa con una busta.
Confusi, i ragazzi in salone accorsero da lei e Tracy notò la sacca piena.- Ci hai comprato dei regali.-
-Esatto.- affermò lei, estraendo una bottiglia di shampoo.- Shampoo super speciale per capelli super speciali.-
Tracy fece un enorme sorriso.- Grazie! Finalmente!-
Poi, consegnò a Kendra degli scaldamuscoli blu. -Per i tuoi esercizi.-
-Wow, come facevi a sapere che era il mio colore preferito?!-
Ellen osservò la sua tuta azzurra e ridacchiò, tirando fuori un abitino da neonato dello stesso colore.- Questo è per il piccolo Henry.-
-Oh, che dolce, grazie.- aggiunse Megan.
Con un ghigno divertito, tolse lentamente un DVD per Luke che sgranò gli occhi.- Mamma mia! Con la regina delle regine Meryl Streep!-
-Esattamente, questo sì che è un musical.-
-Oh, perfetto, un altro musical.- borbottò Tracy, a bassa voce.
-Un bellissimo cerchietto per Anna.- continuò Ellen. -E per ultimo, ma non meno importante: nuovi pennelli per Henry.-
Henry non si sarebbe mai immaginato che Ellen facesse una cosa del genere.
Erano anche pennelli molto buoni, a vedere la fattura. -Grazie.-
Perciò, Henry capì che Ellen avesse fato le pulizie casalinghe solo per uscire e andare a comprare quei regali.
Era raro vedere un sorriso sulle bocche di quelle persone e questo gli faceva piacere Ellen sempre di più.
Allora, usando i nuovi pennelli, Henry decise di disegnare sulla tavolozza lo stesso disegno che aveva fatto sul muro di casa sua.
Solo non usando il rosso, dato che Ellen non poteva vederlo.
Però, di diverso da quello di Battlecreek, Henry aggiunse il piccolo disegno di una donna che stava spargendo fiori in cielo.
Non sapeva esattamente perché l’avesse disegnata, era come se il pennello si fosse mosso da solo.
Qualcosa stava decisamente cambiando nella sua vita.
***
-71 tesoro, ci sei quasi!- esclamò Lobo, entusiasta.
-Davvero? Vuoi dire che tutte quelle dannate corse intorno al lago hanno funzionato?!- domandò Kendra, sgranando gli occhi.
-Sì, ti mancano solo 11 chili e ce l’hai fatta!-
-Sei stata bravissima Kendra!- intervenne Henry, abbracciandola.
-Oh, grazie Henry, non ce l’avrei mai fatta senza di te!- ricambiò Kendra, saltellando sul posto.
La ragazza uscì dalla stanza saltellando e fece entrare Ellen.
Henry le fece un piccolo sorriso che la fece arrossire mentre si toglieva la vestaglia.
Ormai tra loro era così, se si fossero incrociati per la casa, si sarebbero sorrisi a vicenda e durante i pasti, Ellen era così concentrata su Henry che non si accorgeva di mangiare qualcosa, di tanto in tanto.
-Qualcuno ha preso 5 chili questa settimana, molto bene.- commentò Lobo, notando poi gli sguardi ammiccanti che si scambiavano i due.
Henry osservò che Lobo non la stesse prendendo proprio bene.
-Molto bene Ellen, posso chiederti di uscire? Devo parlare con Henry.-
-C-Certo.- balbettò la ragazza, uscendo con la vestaglia.
Henry si morse un labbro nervosamente, ma cercò di rimanere calmo.- Qualche problema?-
Lobo sospirò, sedendosi accanto a lui.- Lo sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento.- borbottò. -Henry, avere una relazione con una paziente…-
Henry sapeva già cosa stesse per dire e sbuffò.- Oh Dio, Lobo, lo so. E’ pericoloso perché lei potrebbe non farcela.-
-Esatto, Henry, sei un ragazzo molto intelligente e io non voglio che tu soffra di nuovo.- ribatté la donna.
-Insomma, l’hai vista, sta migliorando!-
Henry voleva credere che fosse così.
-Migliorano sempre prima di peggiorare Henry, lo sai.-
Lui si alzò, sollevando le spalle.- Quindi non vuoi che io sia felice, non vuoi che io guarisca.-
-Se significa spezzarti il cuore, no, non voglio che tu guarisca.-
Henry doveva capire se questa cosa fosse abbastanza forte da poter andare avanti e rischiare.
Lobo incrociò le braccia come una mamma preoccupata.- Ma tanto non mi ascolterai, giusto?-
Henry abbassò lo sguardo, confermando la sua teoria.
-Io non sarò là a salvarti, Henry, dovrai farlo da solo.-

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Capitolo 8
*** I’d be safe and warm ***


Henry ci aveva rimuginato tutta la notte e non era riuscito a chiudere occhio.
Si erano aggiunti anche il caldo e Luke che non la smetteva di russare.
Un solo quesito lo tormentava: chi era la donna che aveva disegnato nel disegno, di spalle, che tirava in cielo i fiori?
È Allison?
Ancora non sono riuscito a superarlo?
O è Ellen?
E sto guarendo.
Quelle domande non lo avevano fatto dormire e, girandosi verso la sveglia, lesse che si erano fatte le 4 del mattino, anche se era ancora tutto buio.
Non aveva per niente sonno.
-Ehi.-
Henry sentì una vocina provenire dallo stipite della porta e si alzò con il busto per vedere meglio.
-Sei sveglio?- gli chiese Ellen, sorridendogli.
Indossava una camicia da notte color panna che le arrivava fin sopra le ginocchia e un coprispalle blu.
Henry annuì.- Sì, non riesco a dormire.- le sussurrò.
-Allora vieni con me, ti faccio vedere una cosa.-
Il più silenziosamente possibile, i due scesero le scale, con il legno che scricchiolava appena.
Ellen aprì la porta sul retro e lo condusse di fuori, in un angolo che era per metà coperto dall’ombra della casa e per metà da quella degli alberi.
Al centro, una tenda per campeggio verde.
-Ta daan!- esclamò Ellen, alzando le braccia.
Henry fu abbastanza confuso.- E’ una tenda da campeggio.-
-Esatto, vieni.- rispose lei, porgendogli la mano.
Solo allora lui si accorse che indossava il proprio orologio al polso.
Curioso, entrò dentro la tenda con lei e chiuse la zip dietro le loro spalle.
Era abbastanza stretta, adatta per due persone e fresca.
In uno dei lati, c’era una piccola finestrella bianca che dava sul lago.
-Perché siamo qui?- le domandò accigliato.
Ellen mise gli occhi sull’orologio.- E….4…3…2…1-
Alla fine del conteggio, Henry vide il sole salire dall’orizzonte.
Era l’alba ed era bellissima.
Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva visto sorgere il sole.
-Wow, mi ero dimenticato come fosse…- esordì, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso.
Sentì il suo cuore battere a mille, come mai prima d’ora.
Sia perché quello era un meraviglioso spettacolo, sia perché Ellen aveva fatto tutto quello per lui.
-Sta tranquillo, ho messo la tenda in un posto in cui non batte mai il sole.- affermò Ellen.
Henry non percepiva assolutamente nessun pericolo.- Mi sarei fidato comunque.- commentò sorridendole appena. -Grazie.-
D’un tratto, c’era qualcosa di più interessante dell’alba.
Henry la guardò dalla punta dei piedi con lo smalto nero, ai capelli rossi ed ondulati e gli piaceva ciò che stava vedendo.
Ellen lo guardò negli occhi e gli accarezzò la guancia, passandogli le dita nei capelli. -Fa male?- mormorò, riferendosi alle bruciature.
Henry scosse appena la testa, toccandole l’osso della scapola che le si vedeva sulla spalla.- E a te?-
-Non è il dolore fisico che mi affligge…-
-Ellen, sei bellissima.-
Lei abbassò lo sguardo sorridendo.- Ci crederò quando non avrai più paura del sole.-
Henry non si trattenne più e sfiorò il naso col suo, prima di baciarla dolcemente.
Le sue labbra erano fine e morbide, tanto da approfondire il bacio e continuare, mentre il sole sorgeva sopra le loro teste, ma la tenda rimaneva all’ombra.
-Ho bisogno che mi tocchi di nuovo.- sussurrò Henry, mettendole una mano nei capelli rossi.
Ellen lo fece adagiare sul pavimento e, senza smettere di baciarlo, mise una mano sotto la sua maglietta e gli accarezzò il petto.
Henry sussultò come fosse una specie di droga e non esitò a stringere tra le mani le sue cosce.
Lei gli si mise a cavalcioni sopra e lui usò le dita sul suo corpo come se già sapessero cosa fare, come col quadro.
Già pronti a spingersi oltre, Ellen gli sfilò la maglietta e lasciò dei baci a partire dal collo, fino all’ombelico.
Henry capì subito che Ellen era abbastanza esperta in quel campo e non aveva timore di poggiare le labbra anche sulle sue bruciature.
Ma poi, tutto d’un tratto, si udì un forte grido provenire dalla casa.
Henry riconobbe subito la voce.- Megan!-
Corse talmente veloce e così preoccupato, che non si accorse di esser passato sotto il sole per qualche secondo.
Di fretta, lui ed Ellen corsero al bagno di sopra ed Henry bussò forte.- Megan, aprimi, sono Henry!- le disse, sentendola piangere.
-Spostati.- intervenne Lobo, aprendo con la chiave di riserva.
Megan era a terra, con il suo vomito su tutta la maglietta e sulla tavoletta del water.
Dai suoi pantaloni stava uscendo molto sangue che aveva sporcato quasi tutto il pavimento.
-Henry, chiama l’ambulanza, sbrigati!- esclamò Lobo.
Ma lui non riusciva a muoversi, era una cosa terribile da vedere, soprattutto per lui.
Tutto quel sangue.
-Henry!-
-Faccio io.- balbettò Ellen, andando nella camera dei ragazzi per cercare il telefono di Henry.
-Credevo fosse al sicuro.- singhiozzò Megan. -Credevo fosse al sicuro.-
Henry fece qualche passo indietro, con gli occhi gonfi di lacrime, con il sottofondo di Ellen che chiamava il 911.
E mentre tutti piangevano preoccupati, Henry scese le scale, aprì la dispensa e ci si chiuse dentro.
Aveva bisogno di azzerare di nuovo tutto, ma non poteva far finta che non fosse successo niente.
Megan starà bene, si ripeteva.
Il bambino però, chissà.
Povero piccolo Henry.
Si rannicchiò su se stesso e mise la testa fra le gambe, urlando il più forte possibile e trattenendolo all’interno del suo corpo, facendolo vibrare.
Ecco, si sentiva già meglio.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma uscì dalla dispensa e decise di sedersi sul divano, senza calcolare cosa succedesse intorno a lui.
Ad un certo punto, Pearl si avvicinò lentamente e gli si sedette accanto, prendendogli la mano.
Kendra, dall’altro lato, gli poggiò la testa sulla spalla.
Tracy arrivò alle sue spalle, circondandogli il collo con le braccia.
Infine, Luke ed Ellen vennero dalla cucina, con una tazza di tè caldo.
Ellen gli si inginocchiò davanti, guardandolo negli occhi.- Henry, non è colpa tua.-
Henry spostò gli occhi dal vuoto ai suoi.- E’ sempre colpa di qualcuno.-
-Si può sputare fuori un bambino per il troppo vomito?- intervenne Anna.
Kendra sbuffò.- Sì, Anna, che domande fai?!-
-Stamattina dovevo farti i pancakes, Kendra.- continuò Henry.
-Non fa niente, Henry, non li voglio i pancakes se sei triste. Verrebbero dei pancakes tristi.-
Tutti intorno fecero una mezza risata e anche Henry sorrise, nello stesso momento in cui entrò William in casa.
-Ciao ragazzi.- li salutò.
-Come sta Megan?- gli chiese subito Anna.
-Megan sta meglio, è in ospedale adesso.-
-E il bambino?- aggiunse Pearl.
William abbassò lo sguardo.- Il bambino non ce l’ha fatta.-
Henry strizzò gli occhi per mandare via le lacrime e poi si coprì la faccia con la mano.
-Voglio che sappiate che non siete assolutamente responsabili: nessuno poteva prevedere quello che sarebbe successo.- aggiunse il dottore. -Megan adesso ha bisogno di riposare e tra qualche settimana voi sarete tutto ciò di cui avrà bisogno. Per adesso, voi, invece, avete bisogno di andare avanti.-
Henry si accigliò.- E cosa dovremmo fare? Dimenticarci di lei?-
-Assolutamente no, Henry, ma voglio che continuate con il vostro percorso perché state tutti andando molto bene.-
Lui ridacchiò.- Certo, io ho speranza di guarire quanto Pearl di non avere un attacco di cuore.-
Ellen si morse un labbro.- Ha ragione, Henry…Ti sei guardato allo specchio in questi giorni?-
In effetti no.
Henry era da qualche giorno che non si guardava allo specchio, né prendeva le medicine per l’ansia e aggressività.
Perciò corse di sopra, nel suo bagno e si tolse la maglietta.
Le bruciature sul suo petto e sul collo stavano meglio, stavano schiarendo.
Ne era più che sorpreso, non se ne era nemmeno accorto.
Vide Ellen dietro le proprie spalle.- Da quanto..?-
-Qualche giorno.- rispose lei, sorridendogli appena. -Stai finalmente guarendo, Henry.-
Henry pensò subito che fosse stata l’influenza di Ellen ad aiutarlo.
Da quando era arrivata lei, era cambiato tutto.
Le prese il viso tra le mani dolcemente e la baciò sulle labbra.- Grazie.- le sussurrò.
Ellen gli sorrise e lo abbracciò.
-Vieni, ti ho fatto una cosa.-
Henry la condusse nella propria stanza e le consegnò il quadro che aveva disegnato, senza alcuna tonalità di rosso.
-Wow Henry, è molto bello.- commentò.- Dov’è?-
-Non lo so, da qualche parte, nel mondo.-
Era la stessa risposta che aveva dato ad Allison.
Successivamente, Ellen indicò la ragazza di spalle.- E lei chi è?-
Henry si grattò il mento.- Non credo di esser pronto a parlartene.-
Ellen annuì e iniziò a capire che probabilmente, ciò che aveva segnato la vita di Henry, era collegato a quella ragazza.

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Capitolo 9
*** You can count on me ***


Quelle erano le giornate in cui Henry aveva bisogno di un bagno nel lago.
Così, dopo cena e quando erano tutti a dormire, Henry sgattaiolò di fuori, si tolse il pigiama con i boxer e si tuffò in acqua.
Lasciò che la corrente fresca gli attraversasse i capelli e il viso.
Ancora una volta, immerse le orecchie e sentì il suo cuore battere, ripensando a quello del bambino, che invece non batteva più.
-Quindi è qui che vieni di notte.-
Henry sobbalzò all’indietro e vide Ellen sul prato, in camicia da notte.
-Cazzo, mi hai spaventato!- borbottò a voce bassa.
Ellen ridacchiò.- Posso entrare?-
Henry capì che questo avrebbe voluto dire che si sarebbe dovuta spogliare: si bagnò le labbra nervosamente ed annuì.
Allora Ellen si tolse la camicia da notte, scoprendo un seno piccolo ed altro.
Si piegò per abbassarsi le mutandine e le lasciò davanti ai vestiti, per poi camminare lentamente verso di lui.
Henry si era quasi dimenticato come fosse una donna nuda, ma Ellen, anche se scheletrica, era pur sempre molto bella.
-Ah! E’ bellissimo!- commentò, nuotandogli intorno.
-Vieni, ti faccio sentire una cosa.- le disse, facendole fare il morto a galla con le orecchie immerse.
Ellen si lasciò andare sul bordo dell’acqua e sorrise, guardando il cielo.- Sento il mio cuore, è fantastico.- commentò, rimettendosi dritta.- Quindi è qui che sgattaioli di notte.-
Henry annuì.- Mi aiuta tanto a pensare.-
Ellen gli si avvicinò maliziosamente.- E a che stavi pensando?-
Lui le mise le dita tra i capelli bagnati, guardandola sinceramente negli occhi.- Se io adesso volessi fare l’amore con te, ti farei male?-
Henry non immaginava che gli sarebbero uscite quelle parole: era pronto, finalmente, a lasciarsi Allison alle spalle.
Lei gli sorrise, circondandogli il collo con le braccia. -No.- gli mormorò, baciandolo lentamente.
Henry le prese i fianchi ed Ellen si avvinghiò a lui con le gambe, facendo sfiorare le loro intimità.
Perciò, Henry la lasciò andare ed uscì dall’acqua.
Ellen si morse un labbro nell’ammirare i suoi glutei all’apparenza morbidi e sodi. -Puoi girarti adesso!-
Henry ridacchiò, arrossendo.- Devo proprio?-
-Sì, se vuoi che esca anche io.-
Prese un bel respiro e si voltò lentamente, con un sorrisetto imbarazzato. Ellen scoppiò a ridere e nuotò verso la riva, raggiungendolo. -Credevo che volessi che ti toccassi.- gli sussurrò, passandogli le mani sul petto, sul ventre, sulla V marcata e poi sui glutei, fissandolo intensamente negli occhi. -E poi non devi mai chiedere.- aggiunse, mordendogli il labbro inferiore.
Eccitato dalla situazione in cui si trovavano, Henry non si sentiva quasi più in se: le afferrò i fianchi e la fece saltare su di se, stringendole le cosce attorno al proprio bacino.
La adagiò sul prato e iniziò a baciarle il collo, fino al ventre, tenendo fra le mani il suo seno piccolo.
Ellen ansimò, tirando la testa all’indietro.
Intanto, Henry le allargò una gamba e passò la lingua sull’interno coscia e poi dritta tra le sue labbra, come fosse già esperto.
A quel punto lei fece un alto gemito e si coprì subito la bocca con la mano.
Henry si lasciò andare alla foga e le succhiò un lembo di pelle del collo, lasciandole un evidente segno.
Successivamente, mentre la guardava negli occhi, Henry prese il proprio sesso tra le mani e glielo infilò lentamente, facendo fare un verso di piacere ad entrambi.
Rimase prima un po' sul bordo, per farla abituare, spingendo avanti ed indietro con bacino, poi più a fondo, muovendosi con sinuosità.
Ellen gli tirò una ciocca di capelli, trattenendosi dal fare gemiti troppo alti.
Ad un certo punto, Henry sentì l’eccitazione crescere.- Credo di star per venire.- bofonchiò.
-Tranquillo, ho l’aspirale.- ansimò Ellen, stringendogli i glutei fra le mani.
-Che cazzo è l’aspirale?-
Ad Ellen venne da ridere.- E’ un contraccettivo, scemo.-
Sicuro di se, Henry si lasciò andare e le venne dentro, con i muscoli tutti contratti e infine rilassati.
Avrebbe voluto che quella fosse stata la sua vera prima volta.
-Stai bene?- gli chiese, accarezzandogli la guancia.
Henry annuì, con il fiatone e un piccolo sorriso. -Sto benissimo.-
***
Henry dormi serenamente per tutta la notte: era stata una delle più belle serate della sua vita.
L’indomani, infatti, mentre preparava i pancakes sia per se che per Kendra, era abbastanza di buon umore.
-Ecco a te!- le disse, posandole il piatto davanti.
Kendra si strofinò le mani.- Pancakes, evviva!-
-Buongiorno.- intervenne Ellen, scendendo dalle scale.
Henry si voltò verso di lei sorridendole.- Buongiorno.-
Ellen arrossì e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sedendosi al suo posto e scambiandosi continue occhiatine con Henry.
-Se volete nascondere che avete scopato, almeno copriti il succhiotto.- borbottò Anna, guardando Ellen.
Henry quasi non si strozzò con il latte ed Ellen sgranò gli occhi, coprendosi velocemente il collo con la vestaglia.
Il resto della tavola trattenne una risata.
-Nascondere cosa?- intervenne Lobo.
-Niente.- esclamarono Henry ed Ellen.
-Buongiorno a tutti.- esordì William, entrando dalla porta.
Era stano che venisse a trovarli di mattina.
-Salve ragazzi, allora, stasera andremo in un posto speciale a fare una gita.-
-Spero non sia al museo dell’Olocausto, quando mia madre mi ci ha portato mi sono sentita troppo in colpa.- borbottò Pearl.- Sapete, perché non mangiavo…-
William fece un ghigno divertito.- No Pearl, andremo in un posto più speciale.-
Perciò, non appena calò il sole, tutti i pazienti montarono su un furgone e raggiunsero un posto vicino al centro, che assomigliava ad una specie di baracca.
Non appena vi si entrava, era tutto buio, non c’era nemmeno una luce.
Poco più in là, un’altra stanza dove cadeva acqua a catinelle, come se stesse piovendo all’interno.
-Qualcuno sa dirci perché siamo qui?- domandò William, mettendosi sotto l’acqua, così da bagnarsi lentamente.
Luke gli sorrise.- Perché siamo vivi.- affermò, seguendolo a ruota.
Henry sentì una strana armonia dentro di se nel sentirgli pronunciare quelle parole.
Avevano ragione, erano vivi e dovevano essere grati per questo.
Henry gli mise una mano sulla spalla, annuendo.- Perché siamo vivi.-
Si unì a loro e percepì come una pioggia fresca che gli attraversò i capelli e il viso.
Tutti gli altri ci si buttarono dentro e iniziarono a saltellare divertiti.
Solo Ellen rimase indietro, un po' impaurita.
Henry le andò in contro con le braccia aperte, come quelle di una farfalla, ballando e poi le porse una mano, facendole un occhiolino.
Ellen ridacchiò e gliela prese, ballando insieme a lui, sotto una musica inesistente, se non nelle loro teste.
Si sentivano tutti così liberi, leggeri e privi di problemi.
Era da tanto tempo che Henry non si sentiva così e aveva l’opportunità di condividerlo con Ellen.
Così, davanti agli altri, le prese il viso tra le mani e la baciò a stampo per alcuni secondi.
I loro amici esultarono battendo le mani e perfino William ne era felice.
Anche ad Ellen sembrò di poter essere felice per sempre.
In seguito, i ragazzi si misero seduti ai tavolini di un bar di fuori per asciugarsi.
-Lo so che cosa cerca di fare.- intervenne Pearl. -La vita è meravigliosa ecc...ecc...-
-E perché questo ti dà così fastidio?- le domandò William, sedendosi accanto a lei.
-Perché…C’è quella voce dentro di me che mi dice che non…Non riesco a fermarmi.- spiegò Pearl, mordendosi le unghie per il nervoso.
-E tu mandala a fanculo.- intervenne Henry, con Ellen seduta sulle gambe.
William annuì.- Sì: Fanculo voce!- gridò verso l’alto.
-Fanculo voce!-
-Va a fanculo voce!-
-Fottiti voce!-
Fecero eco gli altri, ridacchiando.
Pearl abbassò le dita, arrossendo.- Fanculo voce…- bofonchiò timidamente.
C’erano davvero poche di giornate come quelle, giornate in cui si poteva tornare a sperare.

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Capitolo 10
*** I am ready for this ***


-Oh mio Dio! 75 chili!- esclamò Luke, alzando le braccia in cielo. -Non ci credo!-
Anche se Luke non gli stava particolarmente simpatico, Henry era comunque felice per lui.- Grande amico, torni a casa.- commentò, abbracciandolo.
-Avete sentito?! Torno a casa!- gridò l’altro, correndo per tutta la casa.
-Mh, ancora non ci siamo.- sospirò Lobo, facendo scendere Ellen dalla bilancia.
Ellen rimase fissa per un attimo a vedere quel maledetto numero e poi mise i piedi per terra.
Henry fu costretto a scriverlo, dispiaciuto quanto lei.
-Non capisco, aveva iniziato a mangiare.- commentò Henry, confuso.
-Non è abbastanza. Ti sei messa a fare attività fisica?- le chiese Lobo.
Ellen si strinse nelle spalle, guardando Henry.- N-No.-
Lobo la scrutò, mettendosi le mani sui fianchi.- Guarda me, signorina, hai fatto attività fisica?- ripeté, guardando poi Henry. -Lo sapevate che girano delle voci su voi due, vero? Credevate che non le avessi sentite, ma non sono così stupida.-
Henry sbuffò.- Siamo andati al letto insieme una volta e allora?-
-Henry, hai idea di quante calorie si brucino quando si fa sesso?!- esclamò la donna, contrariata.
-276 calorie in 25 minuti.- bofonchiò Ellen, abbassando lo sguardo.
Lobo alzò un sopracciglio.- Ah, vedo che lo sai bene.-
Improvvisamente, nella mente di Henry e in aggiunta allo sguardo colpevole di Ellen, iniziò a farsi qualche domanda.
E se fosse tutto finto?
Henry la guardò assottigliando gli occhi.- Sei venuta al letto con me solo per bruciare calorie?-
Ellen sgranò gli occhi.- Cosa? No! Assolutamente no! Ci sono venuta perché lo volevo. C-Come puoi pensare questo?-
Guardò i suoi occhi lucidi e capì che era sincera, perciò fece un sospiro di sollievo.
-Non hanno importanza i motivi, non potete farlo mai più, sono stata abbastanza chiara?!- replicò Lobo.
-Sto finalmente guarendo, guardami!- ribatté Henry. -Non sono mai stato così bene.-
-Ma a quale costo, Henry?- continuò Lobo, guardandolo negli occhi. -Henry, così la ucciderai.-
Quella particolare frase non gli piacque affatto e, offeso, se ne andò dalla stanza, sbattendo la porta.
Sarebbe stato inutile, come ricominciare da capo, se si sarebbe andato a nascondere nella dispensa.
No, niente più dispensa, basta nascondersi.
Si affacciò alla porta del cortile e urlò il più forte possibile, sfogandosi.
D’un tratto, Ellen lo strinse da dietro, affondando il viso nella sua schiena.- Henry, io sono innamorata di te, questo lo sai.- singhiozzò, stringendogli le mani.
Subito dopo il grido, gli occhi di Henry si erano inumiditi.- Lo sa che lo sono anche io di te.- mormorò: ancora ci si doveva abituare a quei nuovi sentimenti.
Tuttavia, c’era stata una cosa positiva quel giorno: Luke era guarito e sarebbe presto tornato a casa.
***
Quella notte, Henry rifletté su quello che era successo, ma questa volta non volle andare al lago.
Luke russava come un porcellino dopo la cena di Natale, ma Henry riuscì comunque a sentire dei passi per il corridoio.
Voltò lo sguardo verso la porta e vide Ellen avvicinarsi con timidezza.- Ciao.-
Henry le fece un mezzo sorriso.- Ciao.- ricambiò, facendole spazio sul materasso.
Ellen si sdraiò accanto a lui sotto il lenzuolo leggero.
-Stai bene?- gli domandò, accarezzandogli i capelli.
Lui annuì, poggiando le dita sulla sua guancia.
Ellen strofinò leggermente il naso al suo.- Davvero sei innamorato di me?-
-Credo proprio di sì, ancora non so esattamente cosa sia, ma è bello.- commentò a bassa voce, per non svegliare Luke.
Lei sorrise ampiamente e lo baciò dolcemente, accarezzandogli il petto.
La pelle e le bruciature di Henry rabbrividirono e come era solito fare, come gli piaceva sempre, le strinse la pelle delle cosce, qualcosa che lo eccitava da impazzire.
Però si ricordò anche di quello che le aveva detto Lobo.- Ellen, non voglio farti del male.- le sussurrò.
-Tu mi fai solo bene, Henry.- aggiunse lei, lasciandogli nei baci sul collo.
Henry l’attiro a se e silenziosamente le alzò la camicia da notte per abbassarle gli slip.
La stessa cosa fece Ellen con i pantaloni di lui e si girò di schiena, facendo strofinare le loro intimità.
Henry le prese i fianchi e le entrò lentamente dentro, con un gemito trattenuto.
Non poteva credere di star facendo sesso con lei mentre Luke era nella stessa stanza a dormire.
Di fatti, ad un certo punto, fu costretto a tappare la bocca di Ellen.
Lei gli prese la mano e iniziò a mordergli e succhiargli un dito.
Henry affondò il viso nei suoi capelli rossi e che profumavano di lavanda, gemendo così piano da essere quasi versi impercettibili.
Ellen strinse i suoi glutei tra una mano, forzandolo a spingere con più forza dentro di lei.
Henry non sapeva se le avrebbe fatto bene o male, ma sapeva che tutto ciò stava piacendo ad entrambi e perciò non poteva essere una cosa sbagliata.
***
Con sguardo un po' dispiaciuto, Luke mise le ultime cose in valigia e lo zainetto sulle spalle.
Il corridoio era stranamente deserto, dato che l’ora della colazione era passata da un po'.
Scese piano le scale e trovò tutti i ragazzi davanti alla porta, uniti come un coro di Natale, con Henry ed Ellen in cima.
Luke li guardò confuso.
-Do you hear the people sing?- canticchiò Ellen.
-Singing a song for angry man…- fecero eco gli altri, iniziando a cantare quella famosa canzone che Luke ripeteva quasi tutte le mattine, proveniente dal musical dei Miserabili, il suo preferito.
E vedendo i suoi compagni cantare, Luke scoppiò quasi a piangere.
-Buon rientro a casa, Luke.- aggiunse Ellen, alla fine della canzone.
-Vorrei precisare che non è stata una mia idea.- commentò Henry, arrossendo.
Luke gli sorrise.- Grazie ragazzi!- singhiozzò, mettendosi in mezzo al gruppo per abbracciarli tutti. -Non ce l’avrei mai fatta senza di voi.-
-Ti prego non tornare mai più, perché non ti voglio più sentir cantare!- esclamò Henry, ridacchiando.
Luke se ne andò nella macchina di sua madre e si voltò più volte a salutare i ragazzi sulla strada ed Henry che lo vedeva andar via dalla finestra sulle scale.
Anche se Luke era uno che rompeva le scatole, la casa era già diventata più fredda.
La stanza di Henry era diventata vuota per metà e finalmente non avrebbe più avuto quel russare assordante tutte le notti.
Proprio per non pensarci, Henry si offrì di cucinare il pranzo ed entrò nella dispensa per prendere l’occorrente.
Ripensando a quel posto, era da tanto che non ci si nascondeva più, né voleva farlo più.
Però, ad un certo punto, Ellen entrò in fretta e si chiuse la porta alle spalle, avventandosi su di lui per baciarlo.
Pareva che non si baciassero da un’eternità: quella specie di relazione si stava facendo più seria.
-Scusa, non ce la facevo più.- sussurrò Ellen, poggiando la fronte sulla sua.
Quando l’aveva vista per la prima volta, aveva pensato che fosse un’irritante ragazzina dai capelli rossi e adesso, tutto d’un tratto, era diventata simpatica, bella e addirittura abbastanza sexy da farlo eccitare ogni volta che veniva toccato.
Non era affatto da Henry avvinghiarsi ad una ragazza e metterle giù pantaloni e slip in pochi secondi.
Ellen si affrettò ad abbassargli la tuta e gli saltò addosso con un sol balzo.
Henry le fece appoggiare il sedere ad uno degli scaffali, stringendole i fianchi.
-Henry? Ma dove ti sei andato a cacciare?!- urlò Lobo.
Entrambi scoppiarono a ridere.
-Credo che dovremmo rimandare.- commentò Henry, ridacchiando.
Ellen annuì divertita e scese dallo scaffale, rivestendosi.
Henry fece capolino fuori e diede il via libera d’uscita quando non vide nessuno nei paraggi.
Qualche minuto dopo, i due si ritrovarono a cucinare della semplice pasta al pomodoro.
-Si dice che gli spaghetti siano pronti quando si appiccicano al muro.- esordì lei.
-Ah sì?-
Allora Henry ne prese un mucchietto e glielo tirò in faccia, notando che restava attaccato al suo naso.
Ellen se la tolse di dosso.- Non ci posso credere che tu l’abbia fatto!- esclamò, dandogli una spintarella e facendogli il solletico sui fianchi.
-No, no, il solletico no!-
Erano diversi mesi che Henry non rideva così tanto e poteva affermare che davvero stesse guarendo.
Dopo aver scolato la pasta, Henry prese una cucchiarella di legno per aggiungere il sugo dentro la padella e mescolare.
A quel punto, Ellen lo prese in mano e iniziò a leccare il bordo con malizia, fissandolo negli occhi.
Henry scoppiò a ridere.- Ah ah, sì, molto divertente.- borbottò, riempiendo i piatti per portarli a tavola.- Oggi spaghetti al pomodoro!- annunciò, entrando in salone.
-Wow, certo che scopare ti fa proprio bene.- aggiunse Tracy, facendo ridere tutti sotto i baffi.
Henry alzò gli occhi al cielo e notò che Pearl non era seduta al suo posto.- Dov’è Pearl?-
-Non lo so, non si è voluta alzare stamattina.- rispose Kendra, con l’acquolina in bocca.
Henry lasciò la pentola sul tavolo e salì di sopra per andarla a chiamare.
Bussò prima allo stipite della porta.- Pearl, andiamo, c’è il pranzo!- le disse, ma niente. Allora si sedette sul letto.- Pearl, andiamo, è la regola: devi venire a sederti con noi.- aggiunse, scuotendola un po'. Se ne stava girata dall’altro lato, con gli occhi chiusi. Henry iniziò a preoccuparsi che non rispondesse.- Pearl?- ripeté, portandole una mano sulla guancia. Era gelida. Henry si accigliò e la voltò verso di se: aveva gli occhi serrati e il corpo molle. -Pearl?- Con le mani tremanti, poggiò due dita sulla giugulare e capì che il suo cuore non stesse battendo.- Oddio! No, no, no!- Le tolse le lenzuola di dosso e prese il suo corpo.
Per esser così fredda doveva esser successo durante la notte e perciò troppo tardi per tentare di farle il massaggio cardiaco.
-Lobo!- gridò, con gli occhi pieni di lacrime. -Ti prego, svegliati, svegliati.- piagnucolò, prendendole il viso tra le mani.
Ma la piccola e dolce Pearl, nel suo vestitino rosa e pieno di unicorni, non si sarebbe più svegliata.

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Capitolo 11
*** How do i leave? How do i breathe? ***


Era passata circa mezz’ora ed Henry non aveva lasciato il suo corpo nemmeno un attimo.
Certe volte lo guardava con la coda dell’occhio e rivedeva Allison, piena di sangue e con gli occhi fissi verso il vuoto.
In compenso, Pearl invece sembrava un angelo, pallida e con gli occhi chiusi.
Nessuno degli altri pazienti era entrato nella stanza, ma Kendra stava piangendo interrottamente.
Sulla soglia della porta c’erano due ragazzi dell’ambulanza, in attesa che Henry lasciasse il cadavere.
Lobo era piegata sul letto, con una mano su quella di Henry.- Henry, adesso devi lasciarla andare.-
Con le lacrime secche sulle guance e sotto le narici, Henry non la stava né guardando né tantomeno ascoltando.
-Tesoro…- gli mormorò, con voce spezzata. -Tesoro lei non è Allison.-
Come si sarebbe potuto riprendere da una cosa del genere?
Era la seconda volta che teneva un corpo morto tra le sue braccia, come fosse diventata abitudine, come se lui fosse diventato quell’angelo che ti porta all’aldilà.
Passavano i minuti e diventava sempre più fredda.
Henry sapeva di doverla lasciar andare: le diede un bacio sulla fronte, tirando su col naso e poi si alzò, porgendola ai medici.
Era leggerissima: quasi sicuramente era morta per il poco peso, il suo cuore non aveva retto.
Uscì dalla stanza, dove per il corridoio Ellen lo chiamò, ma lui la ignorò e andò a sedersi sul proprio letto con un sospiro.
Se ci fosse stata la porta, l’avrebbe chiusa a chiave e sarebbe rimasto seduto lì fino a quanto avrebbe voluto.
Avrebbe lasciato che il tempo passasse, le stagioni e perfino che la luce del sole lo invadesse.
Senza rendersene conto, si alzò e con decisione andò verso le serrande tutte abbassate: afferrò la cordicella e iniziò a tirare su le tapparelle.
-No! Che fai?!- esclamò Ellen, entrando di corsa e allontanandolo subito dalla luce.
Henry la fissò negli occhi.- Ti hanno mentito Ellen, qui non si guarisce.-
Lei gli prese il viso tra le mani.- Sì invece, guarda come si è ripreso Luke.-
-Luke era forte, Ellen. Luke aveva qualcosa a cui tornare...Io e te cosa abbiamo? Un padre alla quale non gliene frega un cazzo di te, una madre sempre ubriaca, una sorella morta e un migliore amico che mi ha pugnalato alle spalle.- singhiozzò.
Ellen poggiò la fronte sulla sua.- Tu hai me e io ho te. Mi avevi detto di trovare un motivo e l’ho trovato, Henry, sei tu!-
Henry voltò lo sguardo, asciugandosi l’occhio con il dorso della mano.- Ellen, io e te siamo un casino. Tu non riesci a stare una giornata senza misurarti il braccio e assicurarti che non sia più grande di una moneta!-
Ellen si strinse nelle spalle.- Vedrai che guariremo tutti e due e tu potrai correre fuori senza paura.-
-Non è colpa della luce, Ellen, che cazzo!- gridò, balzando in piedi nervosamente. -Io non ho nessun’allergia, non è il sole! E’ tutto qui dentro!- affermò, indicandosi la tempia. -Queste non servono ad un cazzo!- continuò, tirando verso il muro la scatola delle medicine. Tremò, sedendosi sul suo letto.- Io non guarirò mai.- bofonchiò, coprendosi la faccia con le mani.- Non la dimenticherò mai, io la vedo sempre…Come faccio?-
Ellen non sapeva di cosa stesse parlando e si sedette accanto a lui, strofinandogli una mano sulla schiena.- Intendi la ragazza del dipinto?-
Ormai era fatta, Henry aveva vuotato il sacco senza volerlo.
Era ora di dire tutta la verità.
Si piegò sotto il letto e prese una scatola piena di disegni: li aveva fatti la prima settimana che era arrivato alla casa.
Non riusciva a smettere di disegnare il suo viso.
Quel sorriso e i capelli rossi.
Per un po' gli avevano fatto dimenticare l’incidente.
Ellen li guardò uno ad uno, con gli occhi lucidi.
-Si chiamava Allison.- esordì. -L’ho conosciuta ad una specie di incontro al buio, sai, quello dove ti siedi per 3 minuti davanti ad una donna e cerchi di conoscerla. Lei era bellissima e abbiamo chiacchierato tanto, credevo che lei fosse quella giusta.- raccontò. -Mentre era al telefono, litigando con qualcuno, un camion l’ha investita davanti ai miei occhi. Non sai come cazzo ci si sente a vedere qualcuno morire fin che non te lo ritrovi davanti. Ed improvvisamente non è così leggero come lo guardi in tv, perché non si rialzerà mai più.- continuò, senza notare lo sguardo sconvolto della ragazza. -Facevano 39 gradi quando mi sono addormentato sul gonfiabile della piscina di Tobias. Non mi ero accorto di aver dormito così tanto… Mi hanno detto che era un’ustione di secondo grado, come se mi fossi buttato in un cazzo di incendio e che ci avrebbe messo un po' a guarire. – spiegò, torturandosi le mani. -Ma non guarirà mai.-
Di scatto, Ellen si alzò, lasciando cadere i disegni a terra e si avviò di fretta nella sua camera.
Confuso, Henry la seguì e vide che stesse iniziando a riempire il suo zaino giallo con dei vestiti.- Che stai facendo?-
-Me ne devo andare di qui.- bofonchiò.
-C-Cosa? E tutto il discorso incoraggiante di 5 minuti fa?!- ribatté Henry, accigliato.
-Mi dispiace, non posso.- piagnucolò, scendendo di corsa le scale.
Lui le andò dietro, cercando di afferrarla per il braccio.- A-Aspetta, ti prego!-
Ellen aprì la porta e andò fuori, sul marciapiede, piangendo.- S-Scusami, non posso.-
Non poteva credere che lo stesse abbandonando sul serio.
-Ellen, io ho bisogno di te!- esclamò, andandole dietro.
Gli altri sentirono le sue urla dal salone e vennero a vedere cosa stesse succedendo.
Anna sgranò gli occhi.- Oddio, Henry!-
Henry si voltò verso lei.- Cosa?-
Anche Ellen si mise a fissarlo.- Henry…-
Il ragazzo guardò i propri piedi e notò che non erano dentro casa.
Henry capì di essere sotto il sole e non faceva affatto male come aveva sempre creduto.
Osservò ogni centimetro del suo corpo e stava bene, anzi, benissimo.
Gli venne da sorridere, era così bello stare finalmente all’aria aperta.
Sentiva gli uccellini cantare e il clacson delle macchine alla fine della strada.
Forse Ellen aveva davvero fatto un miracolo.
Anche Henry aveva trovato un motivo.
Ed era che voleva vivere.
Le andò in contro e dopo averle preso il viso tra le mani, la baciò intensamente.
-Ti prego, non andare via.- le sussurrò.
-Mi dispiace tanto Henry, mi dispiace.- singhiozzò lei, abbassando lo sguardo.
-Ma per cosa? Non capisco…-
A quel punto, lei lo guardò negli occhi.- Perché è colpa mia.-
***
Henry ed Ellen si ritrovarono nell’ufficio del dottor William, alla clinica, seduto uno accanto all’altro.
Henry non era mai stato così confuso in vita sua perché non capiva cosa stesse succedendo: Ellen non riusciva nemmeno a guardarlo e continuava a mangiucchiarsi le unghie.
-Ellen, vuoi raccontare quello che hai detto a me quando sei arrivata?- domandò William, dietro la scrivania davanti a loro.
Ellen prese un bel respiro e trovò il coraggio di parlare. -Erano due settimane che non mangiavo per quel saggio: volevo che quel vestito mi entrasse a tutti i costi, me lo sognavo la notte e desideravo che al pubblico piacesse il mio balletto. È per questo motivo che ballavo, per gli applausi. Niente mi faceva sentire così appagata, nemmeno il sesso. Mio padre, ovviamente, non sarebbe venuto: aveva detto che era pieno di lavoro. Mia madre aveva fatto questo sforzo, ma solo perché Olive l’aveva convinta.- spiegò Ellen, rannicchiandosi sulla sedia. -Volevo tanto che mi sorella ci fosse, ma l’avevo delusa troppe volte. Sono stata ricoverata due volte e una volta mi hanno dovuto inserire il sondino. Diceva che se avessi continuato così, sarei morta presto e che non voleva essere lì quando sarebbe successo. 5 minuti prima di entrare in scena, ho fatto capolino sulla sala e ho visto che lei non c’era, perciò l’ho chiamata al telefono e abbiamo litigato pesantemente.-
Ad un certo punto, Henry capì di averla già sentita quella storia.
-Aveva preferito uscire quella sera, invece di venire a vedere me. Credevo che lo avesse fatto per punirmi, ma solo ora capisco che cercava di aiutarmi. Ho ballato perfettamente al primo atto, poi ho ricevuto una chiamata dall’ospedale.- raccontò, con voce spezzata, guardando fuori dalla finestra. -Mi hanno detto che mia sorella era morta in un incidente stradale.-
Henry si mise le mani tra i capelli.
Era lei.
Era Ellen con la quale Allison litigava al telefono.
-L’ultima cosa che le ho detto è stata ti odio.- balbettò, scoppiando a piangere.
Henry serrò gli occhi per non piangere ancora.- Era tua sorella.-
A quel punto, Ellen si voltò di scatto a guardarlo.- Henry, mi dispiace tanto.-
-Ascoltatemi.- intervenne William.
Henry lo guardò male, rosso come un peperone in viso: aveva compreso il suo gioco.- Tu lo sapevi fin dall’inizio.-
Il dottore annuì lentamente. -Sì, lo sapevo e il motivo per cui non ve l’ho detto è perché ho subito pensato che avrebbe fatto bene ad entrambi. Guardatevi: Henry è uscito alla luce del sole e tu, Ellen, stai migliorando.-
-Ah, quindi pensava che la forza dell’amore potesse guarirci?- intervenne Henry, sbuffando.
-Sì, Henry, ed è stato così, solo che tu non te ne sei nemmeno reso conto.-
Gli scoppiava la testa: aveva davvero bisogno di staccare la spina.
La morte di Pearl e poi quella scoperta, erano troppo perfino per lui.
Quella stessa sera, William riunì tutti in soggiorno, probabilmente per affrontare la morte di Pearl.
-I suoi genitori hanno detto che vogliono fare un funerale intimo.- disse William.
Henry notò Tracy accanto a se, con il naso rosso dal pianto e gli occhi ancora lucidi.
Decise di stringerle la mano e lei si voltò a guardarlo, interrompendo una volta per tutte quel suo carattere sempre sulla difensiva.
-E’ vero che quando moriamo, ripercorriamo la nostra vita?- chiese Anna.
-Potete pensarla come volete, non c’è una regola per questo.- rispose William.
-Io vorrei rivedere i miei genitori…Poterli abbracciare di nuovo.- intervenne Kendra.
-A me non interessa cosa vedrò, ma vorrei essere circondata da persone che mi vogliono bene.- aggiunse Anna, guardandosi intorno.- Proprio come ora.-
-Acqua.- disse Tracy, sorridendo appena. -Non l’ho mai detto a nessuno, ma a scuola ero campionessa di apnea: 4 minuti e 22 secondi. Sapevo perfino fare la respirazione bocca a bocca.-
Henry chiuse gli occhi e tentò di ricordarsi di quando aveva visto l’alba insieme ad Ellen.- Il sole. Caldo e avvolgente.-
-Mia sorella.- disse infine Ellen, pulendosi gli occhi. -Mia sorella che mi dice che è fiera di me.-
Henry riaprì gli occhi e la guardò come un leggero sorriso.
D’un tratto capì che non voleva assolutamente stare da solo: ci era stato fin troppo a lungo.
Come fin troppo a lungo aveva fissato la luna nelle sue varie forme, immerso dentro l’acqua del lago.
Quella notte, infatti, aveva capito che lui e la luna non si sarebbero rivisti per un po'.
Almeno, non con quella frequenza.
Adesso Henry voleva salutare il sole e non esserne più spaventato.
A quel punto, sentì dei passi alle sue spalle e sapeva che fosse Ellen, che fosse venuta da lui.
Si voltò lentamente e la vide nella sua camicia da notte rosa, timida, con i capelli legati in una coda.
Per qualche tempo aveva pensato di vedere Allison, ma ora non era più così.
Le fece cenno di entrare in acqua, con un leggero sorriso.
Mosse i piedi verso di lui e gli arrivò vicino.
-Non è stata colpa tua…Neanche mia.- affermò Henry, guardandola negli occhi. -Poteva succedere a chiunque, è stato un incidente. Dobbiamo andare avanti, Ellen, per il nostro bene.-
Ellen annuì e gli prese le mani.- Sento che con te posso farlo.-
Era la prima volta che qualcuno faceva davvero conto su di lui e viceversa.
Poggiò la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi.- Anche io.- sussurrò, prima di baciarla dolcemente.
Ellen gli circondò il collo con le braccia e lo baciò appassionatamente, piegandosi poi sul bordo dell’acqua e infine, immergendo completamente la testa di entrambi.
Ed Henry non lo sapeva ancora, ma aveva appena interrotto la sua relazione con la luna.

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Capitolo 12
*** When you are not here, i’m soffocating ***


Una strana melodia svegliò Henry il giorno dopo.
Aprì gli occhi e sentì della musica provenire dal piano di sotto.
Strano, di solito non c’era musica se non quando Luke vedeva i musical.
Si infilò le pantofole e scese di sotto, aspettandosi che fossero tutti intorno al tavolo, quando invece erano in soggiorno, con una canzoncina pop, a ballare.
Perfino Lobo.
-Ciao Henry, fammi gli auguri!- esclamò Kendra, alzando le braccia.
-Non sapevo fosse il tuo compleanno!- replicò lui, abbracciandola.
-Le ho fatto scegliere qualcosa da fare e lei ha scelto questo.- intervenne Lobo, muovendo i fianchi divertita.
Le ragazze, tutte intorno, si stavano scatenando senza pudore: Henry non le aveva mai viste così.
Tuttavia, si ritrovò un po' imbarazzato, dato che non sapeva ballare.
Si limitò a muovere un po' i piedi, quando Ellen le si avvicinò con sguardo ammiccante e si strinse a lui, poggiando la testa sul suo petto.
Henry l’abbracciò e le baciò la fronte, dondolando insieme a lei.
Improvvisamente, Ellen barcollò.
-Ehi, stai bene?- le domandò Henry.
La ragazza si massaggiò la tempia.- Sì, forse ho esagerato.- bofonchiò.
Anna sgranò gli occhi verso di lei.- Ellen, stai sanguinando!-
Ellen si sentì bagnata sotto il ventre e, in effetti, notò che stesse sanguinando per tutte le cosce. -C-Cazzo.-
Alzò lo sguardo su Henry, spaventata.
Lobo spense subito la musica e afferrò il telefono. -Henry, che le hai fatto?!-
Henry la prese in braccio, mentre lei fece dei versi di dolore.- I-Io…N-non lo so…- balbettò, non sapendo cosa dire.
Lobo l’aveva avvertito che sarebbe potuto succedere, solo che la passione era più forte di qualsiasi altra cosa.
-Ti avevo avvertito Henry, dannazione!-
La voce di Lobo e la sirena dell’ambulanza gli risuonarono nella mente, senza dar conto che, questa volta, Henry stava tenendo in braccio una ragazza sanguinante, con i capelli rossi.
Un improvviso déjà-vu gli attraversò la testa e tremò dalla paura.
Prese però un bel respiro e cercò di reprimerla, affrontarla.
Ancora una volta, senza accorgersene, Henry uscì di fuori, alla luce del sole e poggiò Ellen sulla barella.
Lobo salì sopra con lei ed Henry vide andar via la macchina per strada, fino a che non diventò un piccolo puntino nell’orizzonte.
***
Non era nemmeno riuscito a farsi una doccia: si era sciacquato la faccia per riprendersi e aveva iniziato a fare sue giù per il soggiorno.
Una volta si era seduto sull’ultimo scalino delle scale, ma non era riuscito a rimanerci, era troppo nervoso.
Erano trascorse due ore da quando Ellen era stata portata in ospedale e, allo scoccare delle due ore e venti, William varcò la porta della casa.
-Come sta?- gli domandò, di getto.
-Sta meglio, non ti preoccupare.- gli rispose William, mettendogli una mano sulla spalla.
-Non dirmi che è stata colpa mia, ti prego.- bofonchiò Henry, passandosi una mano nei capelli.
-No, tu non potevi saperlo: l’aspirale che aveva inserito le stava lacerando le pareti vaginali e per questo ha sanguinato. Lo hanno rimosso e adesso le stanno facendo delle trasfusioni.- spiegò.
Henry fece un sospiro di sollievo e si sedette sul divano.- Non sarei mai dovuto…Insomma, ci sono andato piano.-
Will si piegò alla sua altezza.- Lo so, Henry, lo so.- affermò, abbassando lo sguardo.
Allora, in quel momento, Henry capì che non gli stesse dicendo tutto.- C’è altro?- gli chiese, in fretta.- Will, c’è altro?-
L’uomo si tirò su, poggiandosi al bracciolo della poltrona.- Facendole delle analisi, hanno visto che due delle tre valvole del cuore non funzionano bene. Ha bisogno di un trapianto entro pochi giorni, altrimenti, con i diminuire del peso, non reggerà più.-
-Cazzo!- esclamò Henry, dando un calcio al mobile della televisione.
-Henry, quel cuore arriverà: è la prima della lista, andrà tutto bene.- ribatté William.
Henry si voltò verso di lui, guardandolo male.- Andrà tutto bene? Sai quante volte ho sentito questa cazzo di frase?! Megan ha avuto un aborto, il cuore di Ellen sta per cedere, Pearl è morta!- sbottò, con gli occhi lucidi. -Pearl è…- singhiozzò, poggiando la fronte sulla parete. -Non l’ho neanche pianta…Non sono andato al suo funerale.-
-Pearl ti voleva bene, Henry…Hai fatto tutto il possibile per lei.-
Henry abbassò lo sguardo, tirando su col naso.- L’ho fatto?- mormorò, guardandolo.
William gli strinse la mano sulla spalla.- Sì.-
Henry si era sempre fidato di lui: lo aveva accolto quando non aveva un posto dove andare ed era grazie a lui che ora stava meglio.
-Le visite sono fino alle 16, ma…-
-No, vado ora.- affermò Henry, uscendo subito dalla porta.
Stavolta non lo avrebbe fatto senza accorgersene, ma doveva farlo e basta.
Mise prima una mano fuori e il sole caldo l’attraversò.
Prese un bel respiro e mise in avanti prima una gamba e poi l’altra, fino a che la luce non gli arrivò fin sopra la testa.
Era una piacevole sensazione, che lo fece sorridere.
Sentiva finalmente di esser guarito.
Fece una veloce corsa verso l’ospedale, dove tutte le altre ragazze erano già arrivate per andare a trovare Ellen.
-Ragazze, ciao, che bello, siete venute.- gli disse Ellen, sorridendogli.
Sapeva, ovviamente, che non avrebbe trovato Henry.
Ellen era pallida, con l’ossigeno nel naso e le occhiaie sotto le palpebre.
Anna l’abbracciò.- C’è una sorpresa per te, lì, di sotto.- le disse, indicandole la finestra.
Confusa, Ellen si alzò dal letto e fece capolino dalla finestra.
Da lì, si vedeva il parcheggio dell’ospedale ed Henry, sotto il sole, con le braccia in aria.
Ellen sgranò gli occhi, scoppiando a ridere.- Non ci credo!-
Henry strizzò un occhio per via del sole, sorridendole.- Ora ci devi credere che sei bellissima!-
Mentre Henry prendeva l’ascensore per raggiungere il piano, ripensò alla sua condizione.
Per avere un cuore, la povera ragazza avrebbe dovuto aspettare un incidente, un suicidio, o una morte per vecchiaia.
E se poi sarebbe stato troppo tardi?
Ellen doveva avere un cuore a tutti i costi.
Perciò, un pensiero gli balenò nella mente, qualcosa che nessuna persona normale avrebbe mai pensato.
Inoltre, capì di amare davvero quella ragazza.
Perché se pensava a come salvarla, magari rischiando se stesso, allora voleva dire che l’amava.
Henry sapeva che anche Megan era ancora in ospedale e sarebbe uscita a giorni.
Bussò alla porta della sua stanza per farle una sorpresa.
Di fatto, quando Megan lo vide, non poté crederci.- Henry! C-Come sei arrivato?-
-A piedi, in realtà ho corso, forse puzzo un po'.- rispose lui, correndo ad abbracciarla.
-Non ci posso credere, sei uscito!- continuò, prendendogli il viso tra le mani e notando la bruciatura sul collo che era guarita.- Tesoro, sei bellissimo.-
Henry arrossì timidamente.- Volevo solo dirti che mi dispiace per tutto quello che è successo, avrei voluto aiutarti di più…-
Megan scosse la testa.- Will diceva che ti saresti sentito in colpa, ma non devi. Henry, io sono viva grazie a te. Sono in pace con me stessa.-
Henry si sentiva quasi orgoglioso e commosso.
L’abbracciò ancora una volta.- Devo andare via per un po', Megan…- le disse, con gli occhi lucidi. -Ti prometto che ci rivedremo, però.-
La ragazza gli sorrise, accarezzandogli la guancia.- Allora ci vediamo presto, tesoro.-
Henry le baciò la guancia e chiuse la porta, dirigendosi nella stanza di Ellen.
Dopo averla salutata, le altre ragazze li lasciarono soli.
Henry la guardò, togliendole una ciocca di capelli dal viso e poi guardò il sole, capendo che non ci fosse alcuna differenza.
Anche Ellen sapeva essere raggiante come l’alba.
Solo guardandola negli occhi, capì che la scelta che aveva fatto, fosse quella giusta da fare.
-Sono davvero orgogliosa di te.- esordì Ellen.
-Non ce l’avrei mai fatta senza il tuo aiuto.- replicò Henry, poggiando la mano sulla sua.
Ellen arrossì.- No, io non ho fatto niente.-
-Sì, invece, mi hai amato come non mi ha mai amato nessuno.- le disse, guardandola negli occhi. -Come io, adesso, amo te.- mormorò.
Ellen si commosse e gli diede un piccolo bacio sulle labbra.
-Perciò, adesso devo ricambiare.-
-Henry, tu…-
-Devo.- affermò, con voce decisa. -Io non ho niente da perdere, Ellen, tu sì: hai una madre, un padre, degli amici che ti vogliono bene. Tu devi vivere.-
Ellen fece un piccolo sorriso.- E come farai? Chiederai alla tua amica luna se ti regala un cuore?-
Henry le strinse la mano.- Avrai quel cuore, te lo prometto.-
Successivamente, vedendola molto debole, decise di sdraiarsi accanto a lei ed Ellen si poggiò al suo petto.
-Starò via qualche giorno, okay? Voglio tornare a casa, ma poi tornerò da te e staremo insieme per sempre.- continuò, mettendo le dita nei suoi capelli.
Ellen alzò lo sguardo su di lui.- Sempre sempre?-
Henry annuì.- Sempre sempre.- sussurrò, prima di baciarla dolcemente.
Rimasero lì, in silenzio, solo con il bip delle macchine di sottofondo, fin che Ellen non si addormentò.
***
Henry mise nello zaino un paio di vestiti e se lo caricò in spalla.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto la sua camera, perciò impiegò qualche minuto per guardarla bene.
Decise di lasciare i disegni di Allison e quello senza il colore rosso, sul letto di Ellen, per quando sarebbe tornata.
Si guardò un’ultima volta allo specchio e notò che le bruciature erano quasi sparite.
Quando scese di sotto, tutti lo stavano aspettando per salutarlo.
Anna gli andò in contro e lo abbracciò di scatto.- Torna presto, va bene?-
Henry le passò una mano sulla schiena, sorridendo.  -Certo, Anna.-
Kendra gli diede un pugnetto sulla spalla.- Ricordati che mi devi ancora dei pancakes.-
Lui ridacchiò.- Lo terrò a mente.-
Henry sentì Lobo piangere silenziosamente e ne fu sorpreso.
-Scusa, è che…6 mesi sai…Sono tanti.- bofonchiò, pulendosi gli occhi.
Henry le sorrise, stringendo anche lei. -Lo sapevo che sotto sotto eri un pezzo di pane.-
Tracy gli si avvicinò timidamente.- Henry, io…-
Sapevo cosa gli stesse per dire, dato che Ellen gli aveva rivelato tutto.
-Lo so.- affermò. -Vedrai Tracy, un giorno troverai qualcuno che ti amerà davvero.- le disse, baciandole la guancia.
Henry aprì poi la porta, li salutò con la mano, un sorriso e si avviò per la sua strada.
Era da tanto tempo che non vedeva una strada urbana, che camminava vicino alle altre persone, attraversando semafori e passando accanto ai negozi.
Un aereo per Battlecreek non costava tanto e, dato che aveva dei risparmi, decise di tornare a casa.
Ebbe la fortuna di avere un posto accanto al finestrino e così di guardare le nuvole e il sole.
Il quartiere in cui abitava non era molto affollato, tant’è che si ricordava i nomi di quasi tutti i proprietari delle case che c’erano sulla propria via.
Ricordava che erano tutti gentili, quando faceva dolcetto o scherzetto, vestito da vampiro, riusciva a racimolare sempre molti dolci.
Non appena si girava per la via, c’erano il signor e la signora Lutz: quando Henry era piccolo, il marito la picchiava.
Ma poi, con il passar del tempo, si era calmato, soprattutto dopo esser stato dentro per un paio d’anni.
Henry ricordava che avrebbe voluto chiamare la polizia, ma che non avrebbero mai ascoltato un bambino.
Adesso, invece, sembravano in pace, seduti sul divano, a guardare la tv.
Alla casa accanto, la famiglia Young con il labrador bianco Klaus: credeva che non lo avrebbe visto perché probabilmente era morto, invece gli corse in contro verso il cancelletto del vialetto per fargli le feste.
-Ciao bello, quanto tempo!- esclamò, accarezzandolo per un po'.
Alla sinistra del marciapiede poi, l’officina di Arthur, l’unico adulto che aveva avuto un po' di considerazione per Henry quando Tallulah era troppo ubriaca.
Infine, quasi alla fine della strada, la propria casa.
Era l’unica con un piano solo, dove Henry era cresciuto fino a che non avesse finito le elementari.
Ad un certo punto, Henry notò che c’erano le luci accese e qualcuno al suo interno.
Era strano, perché Tallulah era sempre stata contraria nel venderla.
Confuso, salì le scalette e bussò alla porta.
Ad aprirgli, fu proprio sua madre.
-Mamma?-
Tallulah sgranò gli occhi sorridendo.- Henry! Bambino mio!- esclamò, posando velocemente il bicchiere di vino banco che aveva in mano. -Entra, entra! Lo sapevo che saresti tornato! Ti ho sognato tanto, ultimamente!-
Henry ricambiò l’abbraccio, alzando gli occhi al cielo.- Immagino.-
Tallulah si stava intrattenendo con un uomo della sua stessa età: sul tavolo c’erano le carte dei tarocchi, quindi era sicuramente un cliente.
-Va pure in camera tua, ti raggiungo a breve.- gli disse a bassa voce, facendogli un occhiolino.
Henry non voleva nemmeno sapere cosa significasse e si avviò in camera sua.
Era una casa umile, con un piccolo soggiorno, la cucina, due camere da letto e un bagno.
La stanza di Henry non aveva altro che un letto ad una piazza, un armadio e una finestra.
Però, sulla parete più larga di tutte, c’era il famoso disegno con le tonalità di rosso.
Henry lasciò lo zaino sopra il letto e vi ci sedette, guardandolo a lungo.
Avrebbe voluto farlo vedere a suo padre, ma quasi sicuramente non gliene sarebbe importato.
Qualche minuto dopo, sua madre si sedette accanto a lui con due bottiglie di birra.
Henry prima sorseggiò dalla sua e poi gliela tolse dalle mani.
Tallulah sorrise.- Sta tranquillo, sto cercando di darmi una regolata.-
-Ahn ahn, lo hai detto anche qualche anno fa.- borbottò Henry: si era completamente dimenticato del sapore, ma gli ricordava le serate passate con Tobias per i locali. -Mamma, secondo te perché papà se n’è andato?-
-Perché era un codardo…Alla prima difficoltà, ha deciso di scappare via.- rispose lei, accarezzandogli i capelli.- Ma tu non sei come lui, tu sei così coraggioso e gentile, bambino mio.- affermò, guardandolo negli occhi.- Mi ricordo quando avevi 4 anni e mezzo, dei ragazzi sfrecciarono davanti casa con le biciclette e tu vedesti un gattino camminare sulla strada che sarebbe stato investito. Allora ti buttasti con coraggio e lo acchiappasti prima che fosse troppo tardi.- raccontò, sorridendo. -Tu sei nato per aiutare le persone, tesoro mio…-
Henry si commosse.- Ma non sono riuscito ad aiutare te…O papà.- rispose, con voce spezzata.
-Non tutti possono essere salvati.- affermò Tallulah, asciugandosi l’angolo degli occhi.  -Ma dimmi, come mai sei tornato a Battlecreek?-
Henry si strinse nelle spalle.- Devo fare una cosa, mamma…Una cosa importante per una persona importante e volevo venire qui, a salutare casa mia un’ultima volta.-
La donna gli baciò la guancia.- Puoi restare qui quanto vuoi.- gli sussurrò, per poi lasciarlo solo.
Henry alzò gli occhi verso la lampada accesa sul comodino: decise di togliersi i vestiti e mettersi sotto le lenzuola, senza mai spegnerla.
Non avrebbe mai spento più la luce.

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Capitolo 13
*** For you i have to risk it all ***


A Los Angeles era un’altra calda giornata di sole ed Henry decise di godersi la città per tutta la mattinata.
I bambini, dato che era finita la scuola, se ne andavano in giro in bici o in monopattino.
La spiaggia pullulava di gente e ad ogni angolo dei marciapiedi c’erano chioschi che vendevano gelato e frutta fresca.
Henry si prese un gelato al pistacchio e si sedette su una panchina, ascoltando il suono delle onde del mare che battevano sulla sabbia.
Anche se la sua vita, fin ora, non era stata un gran che, non l’avrebbe cambiata con nessun’altra.
Se niente di tutto ciò fosse successo, Henry non avrebbe mai conosciuto tutte le ragazze ed Ellen.
E se Ellen non ce l’avesse fatta, se il suo cuore si fosse fermato a breve, non si sarebbe potuta godere esattamente quello che stava guardando lui.
Poco prima di pranzo, Henry giunse su una stradina e su una porta sul retro.
Lanciò lo zaino dall’altra parte e poi si arrampicò sul cancelletto, saltando all’interno di una villa.
C’era un curatissimo giardino, una grande piscina con dentro dei materassini e quattro lettini messi in fila.
Aveva sognato talmente tante volte quella piscina che se ne ricordava ogni minimo particolare.
Perfino quale era il lettino in cui Tobias preferiva prendere il sole, quello al centro.
Tobias si era abbastanza abbronzato, nel suo costume azzurro con i disegni delle angurie e, non appena vide Henry accanto a se, sobbalzò imprecando.
Si tolse velocemente gli occhiali da sole e alzò il busto.- Henry?-
-Felice che ti ricordi ancora come mi chiamo.- borbottò Henry, alzando le sopracciglia.
-Tesoro, tutto bene? Ti ho sentito urlare.- intervenne una ragazza, da dentro casa, con dei lunghi capelli neri.
Henry la riconobbe subito: era Natalie, la ragazza tutta rifatta degli incontri al buio.
-No baby, tutto apposto, torna dentro!- rispose Tobias, gesticolando.
Henry scoppiò a ridere e l’amico lo guardò con un sopracciglio alzato.- Che c’è?-
-Davvero? Il pezzo di plastica?-
-Beh, sì, ha le tette rifatte e allora?- borbottò Tobias.
-Solo le tette? Quella ha anche il cuore di plastica.- replicò Henry, sedendosi al lettino accanto.
-Henry, mi dispiace tanto per non esserti venuto a trovare, io…-
Henry si fece serio.- Lo so, lo capisco, eri troppo occupato a gonfiare la tua fidanzata.-
-Va a fanculo!-
-Sono stato di merda, Tobias!- ribatté l’amico, guardandolo male. -E mi aspettavo che il mio migliore amico mi sarebbe stato accanto.-
Tobias si mise le mani sulla faccia.- Henry, quando ti ho visto lì, per terra, agonizzante, che bruciavi…Io…Sai quanti incubi ho avuto?- spiegò.
Henry sospirò.- Sei un pappamolle, come quando ti dovevo proteggere da Scott, da ragazzini, che non riuscivi nemmeno a dire una parola.-
Tobias riuscì a trovare il coraggio di guardarlo negli occhi.- Mi dispiace tanto, Henry.-
-Anche a me.- aggiunse l’altro, avviandosi verso la porta. Si voltò un’ultima volta verso di lui.- Per quanto vale…Ti ho voluto bene.-
-Ti rivedrò?- gli chiese Tobias, mentre Henry aprì la porta.
L’altro abbassò lo sguardo.- Non credo.- affermò, lasciandosela chiudere alle spalle.
Ora era pronto: aveva fatto i conti con il passato e aveva chiuso definitivamente quei capitoli della sua vita.
***
Erano le 23.30 quando Henry entrò silenziosamente dentro la casa, dove stavano tutti dormendo.
Si avviò di sopra ed entrò nella camera di Tracy, scuotendola appena per svegliarla.
Lei aprì gli occhi ed Henry le coprì la bocca con la mano, facendole cenno di non parlare.
Tracy annuì e lui la portò di sotto.
-Sei tornato presto.- commentò.
-Devo chiederti un favore.- esordì, secco, porgendole il proprio orologio. -Un grosso favore, tu sei l’unica che può farlo.-
Tracy si strinse nelle spalle, timidamente.- Che devo fare?-
***
Henry si portò lo zaino fino alla riva del lago, dove la luna era alta in cielo.
-E’ ora di salutarsi.- le disse, togliendosi le scarpe.
Si sfilò anche tutti i vestiti, rimanendo in boxer.
Entrò per un’ultima volta dentro l’acqua, fino a dove poteva toccare con i piedi il muschio che gli faceva solletico.
Immerse le orecchie sul bordo e sentì il suo cuore battere lentamente, mentre si godeva la luna piena e bianca, come una vecchia amica.
Ripensò a Megan, Tracy, Luke, Lobo, Anna, Kendra, Pearl, sua madre ed infine ad Ellen.
-Ora il mio cuore è tuo, per sempre.-
***
-Lobo!- gridò Tracy, con il pigiama zuppo.
Ancora con l’orologio di Henry al polso che indicava la mezzanotte, Tracy si era tuffata dentro al lago e, dopo aver preso un bel respiro come sapeva fare lei, tolse la corda che Henry aveva legata al piede, collegata ad un grosso e pesante masso.
Lo aveva afferrato e trascinando sulla riva.
-Oddio!- esclamò Lobo, afferrando subito il telefono per chiamare l’ambulanza.
Henry giaceva a terra, con l’acqua nei polmoni e il corpo freddo.
Mentre sentivano le sirene in lontananza, Tracy soffiò aria dentro la sua bocca e poi iniziò a spingere con entrambe le mani sul suo petto.
-Andiamo Henry, andiamo.- sussurrò la ragazza, contando nella mente.
Dopo qualche minuto, Henry sputò tutta l’acqua, tossendo e poi venne trasportato sulla barella dentro l’ambulanza.
Tutte le altre ragazze erano uscite fuori, preoccupate.
-Vado con lui.- intervenne Lobo, salendo dietro.
-Lobo, aspetta!- disse Tracy, consegnandole una busta chiusa.- Dai questa ai medici, per favore.-
Lobo notò che Tracy avesse uno strano sguardo, come se qualcuno le avesse chiesto di farlo.
Osservò anche l’orologio di Henry al suo polso, ma non c’era tempo per le domande.
L’ambulanza sfrecciò via e Tracy la guardò con una lacrima che le scese lungo la guancia.
***
-Si chiama Ipossia: è quando il cervello non riceve abbastanza ossigeno. Quando sei una nuotatrice ti insegnano queste cose, perché se vai troppo a fondo e le orecchie iniziano a farti male, il tuo cervello rischia di esplodere.- spiegò Tracy, confusa sul perché glielo avesse chiesto.
-E’ perfetto.- affermò Henry, passando la lingua lungo la busta bianca per chiuderla.
-C-Cosa ci devo fare con il tuo orologio?-
Henry la guardò negli occhi.- Ascoltami, a mezzanotte in punto mi troverai immerso nel lago: voglio che ti tuffi e che mi vieni a fare la respirazione bocca a bocca.- rispose, estraendo una corda dal suo zaino. -Una volta che mi avrai rianimato, l’ambulanza verrà a prendermi e capirà che sarò cerebralmente morto.- continuò, mostrandole la busta.- Da questa ai medici, mi raccomando, è molto importante.-
Tracy osservò la corda e, collegando le varie cose, capì che cosa volesse fare.- H-Henry, non puoi chiedermi questo.- singhiozzò.
-Sì invece.- affermò, stringendole le spalle.- Tu sei l’unica con le palle da poterlo fare.-
-Henry…-
-Ti prego Tracy, ho bisogno di te. Promettimi che lo farai.-
Tracy tremò guardando i suoi occhi.
-Promettimelo!- replicò lui, a voce più alta.
Lei annuì, tirando sul col naso.- Te lo prometto.-
 
Un anno dopo
 
Ellen, Kendra, Tracy, Anna, Luke e Megan scesero dal trenino e si avviarono nella piazzetta.
Tirava una leggera brezza fresca, simbolo che l’estate era appena arrivata.
Ellen teneva una mano chiusa e l’altra lungo i fianchi, mentre i lunghi capelli rossi svolazzavano nell’aria.
Si guardò intorno: i tavoli con le persone che facevano colazione, gli alberi in fiore e i colori sgargianti del posto.
-E’ questa ragazzi.- affermò sorridendo.- Ci siamo.-
Tutti esultarono tra di loro, saltellando sul posto.
Allora Ellen aprì la mano con dentro petali di girasole gialli e con un unico gesto, li tirò in aria, facendoli andar via col vento.
Successivamente, si unirono in cerchio e si abbracciarono calorosamente.
-Vorrei che Henry e Pearl fossero qui.- commentò Kendra.
Ellen le strofinò la schiena.- Loro ci sono.-
Si sedettero ai tavolini di fuori ed Ellen prese la carta da lettera dentro la borsa, preparandosi a scrivere.
 
James Avenue 34
Battlecreek, Michigan
 
Mio caro Henry,
 
abbiamo trovato il posto del tuo bellissimo dipinto.
Si trova a Parigi, in una delle piazze meno conosciute dalla città.
Non so se la ragazza del disegno sia io, però, ho tirato in aria quei petali e mi sono sentita benissimo.
Luke, Megan, Kendra, Anna e Tracy sono venuti con me: la California Dreamin ha definitivamente chiuso i battenti.
Kendra è arrivato al suo peso ottimale e adesso è tornata a vivere con sua zia: sapessi che bei abiti indossa.
Luke ha ricominciato a cantare e non ha più paura.
Anna ha continuato gli studi e a scuola ha un sacco di amici che le vogliono bene.
Megan è uscita dall’ospedale e sta cercando di rimettere in ordine la sua vita.
Per quanto riguarda Tracy, ha deciso di tenersi il tuo orologio e adesso ha un gradevole fidanzato che si occupa amorevolmente di lei.
Tutto ciò per dirti che quello che hai fatto non è stato vano.
Anche se siamo poche persone, noi sappiamo che è esistito un dolce ragazzo che ci ha salvato come solo lui sapeva fare.
A me, forse, più di tutti.
Avere il tuo cuore nel petto fa una strana sensazione, ma ti prometto che stavolta me ne prenderò cura come si deve.
Non potrò mai ringraziarti abbastanza.
Mi manchi.
E ti amo.
Sempre sempre.
 
 
FINE.
 
Salve a tutti, spero che questa piccola farina del mio sacco vi sia piaciuta! Grazie a chi ha letto, alla prossima!

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