Rush

di 7kannibalk7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cambiamenti ***
Capitolo 2: *** Una tazza di tè ***



Capitolo 1
*** Cambiamenti ***


CAPITOLO 1
CAMBIAMENTI

“ 'Come on and lay with me, 'come on and lie to me, tell me you love me, say I'm the only one.”

Cambiamenti

 

La mia mente.
Non mi é possibile manovrare i pensieri verso direzioni opposte a lui. Ha invaso le mie sinapsi, i miei collegamenti nervosi, la mia percezione di mondo e quindi anche le mie circostanze.
Ogni cosa mi rimanda alla sua figura, la sua anima, il suo profumo... e la sua voce. Maledizione.

“Mi ha fatto così male.” - eppure non riesco a dimenticarlo, penso ad alta voce.

 

Immaginate di vivere in un piccolo paesino di provincia. 
Sono gli anni ottanta e mentre vorresti girare con i capelli cotonati e la matita nera sotto gli occhi, ci sono le tue compaesane vestite come se fossimo rimasti agli anni cinquanta.
A scuola nessuno sapeva cosa succedesse dall’altra parte del paese, a Londra. La rivoluzione sociale e musicale degli hippie venne schiacciata dai punk e a sua volta quest’ultimo ... dalla dark wave e new wave! Qualcosa stava cambiando. Non era solo un modo di vivere, non era solo un mood. Era arte. 
La musica era intrisa da nuove misteriose atmosfere, più sofisticate, quanto spesso semplici ed efficaci.

Dove abitavo da adolescente, era difficile trovare una stazione radio o un negozio di musica che proponesse le novità del momento, soprattutto se per certi versi potevano essere considerate “scandalose”. La chiesa cristiana del paese aveva il “dominio” sulle scelte di ogni concittadino. 
Una domenica mattina mentre ascoltavo i Sex Pistols venni assalita da un gruppo di cinque ragazze. Ero seduta al parco, con me il mio fedele walkman.

“Guardate! Così va trattato questo aggeggio!” - urlò la più grande di loro, mentre prese con violenza il mio Walkman e lo urtò a terra.

Era una sfida essere diversi.
Era un diritto essere diversi.

 

 

 

 
   

 

Mi era permesso ascoltare e conoscere ciò che accadeva dall’altra parte dell’Inghilterra grazie ad un mio cugino che oltre a vivere e lavorare a Londra, faceva anche il musicista. Ogni anno durante le festività veniva in paese, per stare con la famiglia; mi regalava cassette e riviste delle band più in voga.

Nel Natale del 1977 mi regalò “Rocket to Russia”, ricordo mi disse:

“Questi Ramones... Spero tu possa capire quanto siano rivoluzionari. Assapora ogni brano, ma studia. Un giorno so che anche tu potrai raggiungermi”.

 Per me il desiderio di andare via era un tormento, ma soprattutto un bisogno.
Ogni mattina litigavo con i miei genitori prima di andare a scuola. 
Non volevano per alcuna ragione al mondo che mi conciassi come “quelli punk!”, eppure io mi sentivo così vicina a quel mondo, così all’avanguardia, così fresco, così sexy.

 

“Dove credi di andare conciata così?!”

“Cosa penseranno i vicini!? Sembri una drogata!”

“Cambiati immediatamente o te le darò forti!”

Nessuno saprà mai quanto potessero farmi male queste parole, soprattutto quando a pronunciarle erano i miei genitori. Mi sentivo tradita, per niente compresa. Il loro livello di empatia risiedeva a zero. Erano tanto impegnati a farmi la ramanzina, affinché rientrassi nei canoni dettati dalla comunità cristiana che prendeva tutta Winwick, senza accorgersi che lentamente mi stavano perdendo.

All’età di ventidue anni, dopo aver lavorato per qualche anno in un negozio di alimentari ed aver racimolato qualche soldo, decisi di far le valigie. Ero stanca di vivere nel Medioevo, non essere capita, non potermi esprimere con l’arte.
Sapevo che Londra mi stesse aspettando, il suo ambiente artistico-musicale era al culmine... All'avanguardia.
Quella era la mia strada.

 

Chiusi la porta della casa dove crebbi e non guardai indietro, nemmeno una sola volta. Mi incamminai verso la stazione, che mi avrebbe portato all’aeroporto più vicino, osservando il paesaggio collinare che vidi mille volte, ma era diverso. I miei occhi erano diversi, io lo ero.Ogni cosa iniziava a sapere di libertà.
Quelle colline che anni prima delimitavano un confine, come delle sbarre di una cella, in quel esatto momento definivano l'oltre.


Questa non è altro che una breve prefazione di come son giunta qui, ma ancora non avete idea di come conobbi l’uomo che porto nei miei pensieri ogni giorno, come un fardello. Un dolce fardello.


Una volta arrivata a Londra mi adattai subito, iniziai a lavorare in una galleria d’arte contemporanea potendo esporre delle opere personali di tanto in tanto, frequentavo locali e discoteche dove si incontravano persone interessanti ed appassionati di musica e ovviamente, iniziai ad andare a molti concerti. Nonostante ciò, ebbi poche occasioni di incontrare rock star. Sono sempre stata attratta dal fascino degli artisti, della gente di spettacolo, ma l’effetto che mi davano le rock star era ben diverso. C’era adrenalina, sensualità, estetismo, passione, oscurità, tormento... un cocktail letale per una come me.

 

Mi incontrai con mio cugino, il parente di cui parlavo poc'anzi. 

Eravamo a Camden Town per prendere un caffè in un bar frequentato da artisti e gente che credeva di esserlo.
“Ti trovo bene! Sembra che ti sia ambientata bene qui, ma dimmi... Ti manca casa?” -  chiese con aria divertita.
Ovviamente sgranai gli occhi e risposi con un secco “No!” - proseguendo - “neanche per sogno! Non metterò mai più piede in paese, se é questo quello a cui ti riferisci!”.
“Neanche per ricevere a Natale i regali orribili di Zia Joanne?” - scoppiamo in una risata coinvolgente.
Mio cugino Tom era davvero una bella persona.  Era bello poter contare su di lui, avere vicino qualcuno  che sentissi davvero parte della mia famiglia.

“Perciò... Sta sera che farai?” - chiese con sguardo malizioso.
“Perché me lo chiedi con questa faccia?!” - lo interrogai perplessa, quanto curiosa.
“Beh... Diciamo che sta sera potrei portarti ad una festa che non dimenticherai mai!” - disse, poggiando il braccio sulla spalla della poltroncina del locale, con aria convinta.
“Addirittura? Che ne sai!” - esclamai divertita.
“Knightsbridge, numero 13, primo piano, porta in fondo a destra. Ci vediamo lì alle 11 di sta sera.” - lasciò i soldi del caffè sul tavolino e fece per andarsene, con il sorrisino di chi stava tramando qualcosa.
“Non verrò!” - esclamai, mentre Tom usciva dal bar.
Mentre gustavo le ultime gocce di caffè rimaste sul fondo della tazzina, pensavo a come mi sarei dovuta vestire la sera. Tom non mi aveva dato alcuna informazione! Solo il luogo dove avrei dovuto recarmi... che diavolo!
Mettere i pantaloni di pelle? O meglio i Jeans? No! La gonna con le frange?!
Tra un pensiero e l’altro si fecero le quattro di pomeriggio ed era già ora di ritornare a lavoro, quindi mi alzai e lascia scivolare via i pensieri, incamminandomi verso la galleria.

“Chissà...” - dissi quasi ad alta voce.

 

Dopo lavoro, mangiai qualcosa fuori e tornai a casa, erano le otto di sera. 
Aprì la porta del mio appartamento... Dio che puzza di umidità lì dentro! Era un pò sudicio, ma più o meno accogliente. 
Lasciai scivolare le chiavi sul tavolo, tolsi il cappotto e mi affrettai a raccogliere i capelli in una coda. In quel momento, ricordo di aver avvertito una strana sensazione di ansia... Mancavano poche ore alla festa, non avevo idea di cosa sarebbe successo, chi avrei conosciuto, che ambiente sarebbe stato! Iniziai ad ipotizzare che, trattandosi di Tom, sicuramente le persone alla festa sarebbero stati musicisti, artisti, rivoluzionari... Iniziai ad entrare nel panico totale! Chiamai Tom per saperne di più, ma ovviamente non rispondeva al telefono.

“Cazzo!” - esclamai, mentre mi accendevo una sigaretta - “Ok, calma...” - dissi tra me e me, mentre mi incamminavo verso l’armadio nella camera da letto.
Iniziai a tirar in aria magliette, jeans, camicette, giacche, gonne, scarpe... misi sottosopra l'armadio!

Dopo un’ora d'infiniti cambi d’abito per capire quale fosse il più opportuno per la festa, decisi di indossare una mini-gonna di pelle nera, una camicetta bianca e degli stivali in pelle nera, qualche accessorio, un pò di trucco e il mio outfit sarebbe stato pronto per cavalcare la cresta della serata.

 

 
   
 

 


La luna risplendeva sul buio della città. Presi la metro e arrivai a Knightsbridge in perfetto orario, la musica si sentiva dalla strada, mi sarebbe bastato seguirla per arrivare all'appartamento.

“...When I get to be in your arms, when we're all all alone, when you whisper sweet in my ear, when you turn, turn me on...”

Mentre salivo le scale sentivo i Dead or Alive con la loro cover di “that’s the way I like it”, pensai immediatamente che una festa con musica del genere sarebbe stata davvero una figata.
La porta era socchiusa, aprì senza esitare un attimo.


“Hey! Tu devi essere Claudia, la cugina di Tom! Vieni! Accomodati!” - disse un ragazzo dall’aspetto androgino, con dei capelli biondi cotonati e la matita nera sotto gli occhi. Aveva un aspetto familiare.
Mentre posavo il cappotto su una sedia del salone vidi arrivare dal corridoio mio cugino, il quale mi salutò con un caldo abbraccio.

“Eccola la mia cuginetta!” - che imbarazzo - “hai già conosciuto qualcuno?”
“Beh, sono appena arrivata, ma quel ragazzo là giù mi ha fatto accomodare!” - lo indicai a Tom.
“Martin! Hai idea di chi sia?!” - disse sgranando gli occhi.
“Ehm? No?” - ero più confusa che persuasa.
“Martin Gore! Dei Depeche Mode! Dai! Non mi dire che non li conosci!”
“Tom!!! Mi hai portato ad una festa con persone famose e non mi hai detto nulla! Davvero!?” - dissi scioccata - “Non credo nemmeno di conoscere questo gruppo, é imbarazzante!”
“Vieni!” - mi prese dal braccio, trascinandomi al centro della stanza dove vi erano altri invitati.
“Tom!...” - volevo sprofondare.

Uno dei ragazzi lì presenti abbassò un pò il volume della musica, mentre Tom mi annunciava a tutti, presentandomi come la sua cuginetta rock n' roll appena arrivata a Londra. 
Un ragazzo arrivò dal corridoio. Rimasi folgorata dal suo aspetto.
“Ciao, sono Dave. Piacere di conoscerti!” - disse mentre si accendeva una sigaretta - “Ti stai divertendo?”
“Claudia!... piacere mio!” - non sapevo che diavolo dire - “beh, sono appena arrivata... la musica é ottima.”
“Ti facevo più da Dark Wave” - disse divertito, con un sorrisino stampato sul viso.
“Beh, infondo non mi conosci, giusto?” - gli altri ci guardavano divertiti.
Lui mi guardò mentre aspirava la sigaretta, poi distolse lo sguardo altrove.
Me ne andai in cucina a vedere cosa ci fosse da bere, per fortuna c’era un pò di jägermeister, ma qualcuno interruppe la mia contemplazione verso l'odore di anice.
“Hey, me ne versi un pò?” - disse un altro ragazzo del gruppo.
“Certo!” - presi il suo bicchiere - “come hai detto che ti chiami?”
“Andy” - disse mentre prendeva il primo sorso di liquore dal suo bicchiere.
“Quindi... anche tu fai parte dei Depeche Mode?” - mi sentivo terribilmente a disagio, ma almeno provai ad integrarmi.
Andy sorrise e rispose “sembra proprio di sì, ma non preoccuparti eh. Abbiamo incominciato quattro anni fa... Non siamo mica i Led Zeppelin!”
Mi sentì sollevata, “per fortuna Andy, avevo paura di fare una grossa figura di merda!” - il sorriso ci contagiò a vicenda.

“Aahhh!” - urlai - “TOM! MA CHE CAZZO FAI?!”
Mi prese in braccio mentre ero indaffarata a finire il primo di una serie infinita di bicchieri di jäger. Mi portò nel salone dove tutti stavano ballando e cantando. L’aria era intrisa di odore di sigarette, erba, alcool.
La musica era fortissima, non riuscivo a sentire parlare nessuno, poi appresi che non serviva, bastava solo lasciarsi andare al ritmo della musica, dell'eccesso. Le luci erano spente, c’era solo qualche candela ad illuminare in maniera fiacca il salone. C’erano una ventina di persone, qualcuno di loro si baciava, qualcun altro era intento a scolarsi una bottiglia di vodka, ma la maggior parte di loro facevano l’amore con la musica, danzando e cantando. Mi lasciai totalmente andare, iniziai a scatenarmi.

 

“I'd sit alone and watch your light, my only friend through teenage nights and everything I had to know I heard it on my radio...”

Radio Ga Ga. Che capolavoro.
Sembrava ci conoscessimo tutti da una vita, ma era la musica il collante.
Andai a prendere una boccata d’aria nel balcone, sentivo la musica ovattata, il corpo scottava da quanto avessi ballato fino a perdere il fiato.
Il cigolio della portafinestra interruppe per un attimo il mio respiro affannoso, non ero più da sola.
“Hey” - una figura in penombra si avvicinò, la luce esterna illuminò il suo viso tutto ad un tratto.
“Dave!” - per un attimo sussultai.
Si avvicinò a me, mostrò il pacco di sigarette invitandomi a prenderne una con un gesto. Non esitai.
“Hai l'accendino? Devo averlo dimenticato dentro” - chiesi impacciata.
“Avvicinati” - accese la mia sigaretta con un bacio di fuoco con la sua. Non avevo mai visto nulla del genere. Rimasi colpita.
“Quindi è così che accendete le sigarette a Londra?” - dissi ironica.
“Solo con chi troviamo interessante...” -  fece per appoggiarsi sulla ringhiera del balcone.
“Interessante?” - Dave credeva fossi interessante? - “credi che lo sia? Abbiamo appena scambiato due parole”.
“Non importa” - espirò il fumo dalle narici e si sistemò un mano dentro la tasca dei jeans - “da quanto tempo ti sei trasferita qui a Londra?”
Aveva deviato il discorso.
“Da sei mesi più o meno, mi piace qui” - lo guardai.
“Da dove vieni?” 
“Winwick, Cheshire” 
“Uh, cattolici conservatori e torte alle mele” - disse sorridendo.
Scoppiai a ridere - “Esattamente... Non ti nascondo che sono rinata qui a Londra”.
Dave mi guardava con interesse, potevo sentire il suo sguardo curioso su di me.
“Quindi questi Depeche Mode? Mi piacerebbe potervi sentire qualche volta” 
“Posso accontentarti subito” - mise una mano dietro la mia schiena  - “vieni!”
Entrammo di nuovo dentro - “aspetta un attimo”.
Andò a parlare con gli altri del gruppo, Martin, Andy e un altro ragazzo che non avevo ancora avuto il piacere di conoscere. 
Staccarono lo stereo.

 
 
 

“Signori e Signore!” - urlò Martin, probabilmente ubriaco - “Come ben sapete circa un mese fa è uscito il nostro quarto album Some Great Reward, quindi ora voi figli di puttana ci starete ad ascoltare e guai a voi se non ballerete!”
Tutti urlarono in coro in segno di approvazione. Nel frattempo i ragazzi andarono a prendere la strumentazione per suonare nel salone. Dave mi passò accanto e accennò un sorriso. Non sapevo davvero come sentirmi, quindi andai a prendere un bicchiere di Vodka e mi feci qualche tiro dalla canna di Tom, mentre chiacchieravamo un suono interruppe le nostre futili discussioni.

 

“Take a look at unselected cases, you’ll find love had been wrecked by both sides compromising, amounting to a disastrous effect...”

 

Rimasi pietrificata.

La voce di Dave mi trafisse.
La musica che suonavano era qualcosa di totalmente nuovo, non avevo mai sentito nulla del genere. Sembrava tutto così etereo, come se tutto potesse svanire d’un tratto, come in un sogno.

 

“I really like you, I’m attracted to you... The way you move, the things you do! I’ll probably burn in hell for saying this, but I’m really in heaven whenever we kiss, but oh no! You won’t change me!...”

 

Non distolse lo sguardo da me nemmeno per un istante, mentre cantava queste parole, ed io non sapevo cosa fare, se non sfidare quello sguardo. Le sue movenze - per così dire - femminili, riusciva a renderle così attraenti e sensuali agli occhi di tutti.
Sapeva come giocare con la sua voce, con il suo corpo, aveva la stoffa di un grande performer, ma anche di una persona altamente “pericolosa”.
Quello che io non sapevo, ancora, era in quale situazione mi sarei ritrovata per colpa di Dave Gahan.

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Capitolo 2
*** Una tazza di tè ***


CAPITOLO 2
UNA TAZZA DI TE'

 

 

 

Non riesco a sentirti… A vederti. 
Qual è il tuo peccato? – scomparve. 
Dove sei? La tua voce… Cosa?  freddo. 


“Ritornerà il dolore”. 

 “Ma…” – mi svegliai frastornata da un sogno poco chiaro - ritornerà il dolore…?”. 
Man mano che la mia coscienza si risvegliava, ricordai di aver sognato Dave, ma non riuscivo a vederlo, né a sentirlo, fin quando all’ultimo udì delle parole. “Ritornerà il dolore”.  

 “Ma che diavolo…” – mi alzai dal letto, un forte mal di testa mi colpì in un attimo. Iniziai a forzare la mia mente per ricordare cosa fosse successo la sera precedente, perché francamente parlando non ricordavo nulla della parte finale della serata. Sarà stato l’alcool pensai. Ma come diamine ero ritornata a casa? Dubitai di aver preso la metro o un taxi. “Dio, che faccia di merda!” , esclamai alla visione del mio riflesso nello specchio. Avevo proprio l’aspetto di una persona sbronza! Lavai il viso e mi guardai per bene, mi accorsi di avere un ematoma sul braccio destro; Lo toccai ma non fu una grande mossa Ouch!”. 
Decisi di chiamare Tom, andai in salone e presi di scatto la cornetta del telefono. 

020 345…” – dissi, mentre componevo il numero – “Dai! Cazzo!”.  

“Pronto?” –  avevo quasi perso le speranze. 

“Tom! Ciao! Ehm… Devo chiederti una co-” – venni interrotta. 

“Claudia! So cosa vuoi sapere, ieri sera dopo la breve esibizione dei Depeche Mode hai bevuto e fumato parecchio! Credo tu abbia sbagliato a chi chiedere di condividere lo spinello, dato che stavi davvero di merda, penso tu abbia involontariamente fumato crack o che ne so! – disse tutto d’un fiato. 

“ COSA!? Ma stai scherzando!?” – persi per un attimo il controllo. 

“Beh, vedi…” – cercò in qualche modo di recuperare la situazione, ma ero davvero fuori di me. 

Ti rendi conto che non ricordo assolutamente NIENTE di ieri sera!?” – dissi furibonda. 

“Lo so! Lo immagino! Ma cosa posso farci io? Mica sono il tuo babysitter!” – si impuntò. 

“Hey! Non ho mai detto questo, però potevi per lo meno dirmi da chi dovevo tenermi a distanza!” 

“Beh, almeno hai trovato il principe azzurro!” – insinuò sarcastico. 

Per un attimo mi si mozzò il respiro. “…Di chi parli?”  sgranai gli occhi. Ah, che mal di testa! 

“Oh Cristo!” – sbuffò – “Si dia il caso che ieri sera oltre ad esserti drogata come unschifosa, abbia scatenato una rissa a casa di Martin!” 

Volevo urlare, ma mi limitai ad ascoltare il suo discorso: “E…?” – dissi prendendo un ampio respiro. 

“Ecco… Sei caduta sul tavolino di legno del salotto, lo hai rotto e ti sei fatta parecchio male al braccio…” –mi guardai il braccio – così dei ragazzacci presenti alla festa iniziarono a prenderti in giro e a dire cose del tipo «guardate che sfigata!», quindi a quel punto volevo difenderti e cercare di risolvere la questione in maniera pacifica, ma ecco..” – prese un attimo di respiro. 

“Cos’altro Tom?...” – chiesi con voce fiacca. 

Dave senza esitare li ha colpiti in faccia!”  spiegò con tono secco. 

“DAVE?” – spalancai le palpebre e per un attimo non ci rimasi secca. 

“Si! Ahahah, dovevi vederlo come gliele dava! 

“TOMMA CHE CAZZO RIDI!?” – strombazzai – “CHE È SUCCESSO DOPO?!?” 

Beh, anche lui le ha prese da parte loro, quindi Martin, Andy e Alan gli hanno dato una mano, anche se sinceramente Martin si limitò a guardare la scena divertito mentre si scolava una bottiglia di vodka e se la rideva. 

“Tom, non fartelo dire di nuovo…” – avevo bisogno che mi raccontasse tutto. 

“Ok, ti dirò tutto senza fermarmi un attimo. All’ultimo le domande!” – affermò – “Mentre pestavano quei quattro sfigati, io andai incontro a te per vedere se stessi bene. Eri svenuta, il colpo e tutte le sostanze che avevi in corpo ti avevamo messo al tappeto. Quindi ti presi e ti portai in camera da letto, per farti distendere e riprendere in una stanza, sicuramente, più tranquilla del salone in quel momento. Presi del ghiaccio dalla cucina e te lo passai dietro la nuca e sui polsi, sai è così che si fa di solito in certe situazioni… Comunque! Nel frattempo sentì dal salone una voce urlare: «non fatevi vedere mai più, stronzi!» ed un attimo dopo entrò Dave, aveva la guancia gonfia dalle botte e dal sangue pesto, era preoccupato in viso, mi chiese come stavi e si avvicinò a te, osservandoti. Gli passai del ghiaccio, qualora ne avesse bisogno, ma fece la sua parte da duro e lo rifiutò, accendendosi l’ennesima sigaretta”. – Tom prese un attimo di respiro, mentre io, dall’altra parte del telefono, non riuscivo a credere alle sue parole. Perché Dave reagì così violentemente? Era davvero necessario? – “Dove ero rimasto… Ecco! Passò poco tempo, qualche minuto e ti risvegliasti. Eri piena di dolori, non facevi che lamentarti per la testa e il braccio. Andy prese un bicchiere d’acqua e lo portò a te. Eravamo rimasti solo noi sei in casa, erano le tre del mattino. Nel giro di dieci minuti eri, quasi, cosciente… Anche se non eri, ovviamente in te. Dicevi così strane, non ricordo di preciso cosa… Facevi ridere parecchio Martin!” – concluse ridacchiando. 

Io…Non ci posso credere!”  esclamai – “mi inviti ad una festa senza darmi alcun tipo di informazione, se non l’indirizzo, arrivo e scopro di essere alla festa di una band abbastanza conosciuta qui in Inghilterra, che io non conosco! E non solo! Mi drogo pesantemente, involontariamente, per poco non mi rompo un braccio e per concludere il cantante, che per inciso è un gran figo, si fa spaccare la faccia per difendermi!...Sto sognando? È uno scherzo?” – conclusi estenuata. 

“Uh! Allora credi Dave sia un gran figo?” – chiese da impertinente quale egli é. 

“Non è questo il punto! Te ne rendi conto di cosa è successo?” – sentì Tom ridere dall’altra parte della cornetta del telefono, quando ad un tratto gli chiesi: “Ma… Come sono tornata a casa?”. 

Cugina cara, questa è la cosa più eccitante di tutta la sera! Il Signor Dave Gahan ti ha riaccompagnato a casa in sella alla sua moto!” – in quel esatto istante sentì passare dei motociclisti sotto casa, quel rumore sbloccò un ricordo della sera precedente nella mia mente. Mi ricordai di essere salita su una moto, di essere passata vicino all’Abbey Road e aver detto qualcosa sui Beatles, ma non riuscivo a visualizzare chi guidava, adesso sapeva che quella figura era Dave. 

Cazzo, è pazzesco…” – sorrisi come un’ingenua. 

“Eh lo è! Sei stata ad una festa di uno dei gruppi più in di Londra e il cantante ha fatto a botte per te, non ringraziarmi mica, eh!” – esclamò scherzoso. 

“Ma, a proposito… Come diavolo li conosci tu?!” – ad un certo punto iniziai a pormi un paio di domande sul tipo di legame che mio cugino avesse con loro. 

“Lo sai, lavoro nel mondo dello spettacolo anch’io, qui le voci girano in fretta. Quattro anni fa ebbi modo di andare a sentire una loro jam session presso la sala prove di un mio amico fonico. Sono tutti impazziti qui grazie alla loro tecnologia del suono… Sono anche dei bravi ragazzi! Ci sono uscito più volte.” – le parole di Tom mi abbindolavano, stavo viaggiando con la mente. – “Claudia, devo proprio chiudere adesso! Il lavoro chiama!”  

“Si, tranquillo! Grazie… Ehm, unultima cosa, cosa posso prendere per far passare la sbornia? . 

“Semplice, bevici su! Ciao!” – attaccò subito dopo. 

 

Ricordo di essere rimasta interdetta sul da farsi per almeno mezz’ora. Non facevo altro che pensare alle parole di Tom, più ci pensavo più il mal di testa incombeva, nello scarso tentativo di poter ricordare qualcosa. Avrei tanto voluto rivedere Dave, per parlargli, saperne di più e… per chiedergli scusa.  Non avevo idea di quello che sarebbe accaduto da lì a poco. Comunque rimuginarci troppo a lungo mi avrebbe distrutto, quindi mi tolsi i vestiti della sera precedente che avevo ancora addosso e decisi di fare un lunga doccia calda.
Mentre l’acqua mi scorreva addosso mi era inevitabile pensare a quei ricordi lucidi che avevo a disposizione. 
Il balcone. Le sigarette. La sua voce. Chiusi il rubinetto, mi asciugai per bene e misi i vestiti a lavare. 

“Ma che…?” – mentre sistemavo i vestiti nella lavatrice, qualcosa uscì fuori dalla tasca della gonna, era un pezzetto di carta piegato in due. Lo aprì. 

 

 «Wilton st 38  4 p.m. x Dave» 

 

 “Non ci posso credere…” – rimasi a guardare quel foglietto di carta incredula, poi scostai lo sguardo alla ricerca di un orologio che potesse aiutarmi a capire che ora fosse. Erano le 3 e mezza del pomeriggio!  “Porca puttana!” – esclamai, iniziando a correre da una parte a l’altra della stanza. 
Ma ad un tratto, presa da un momento di lucidità, pensai di lasciar perdere. Forse presentarmi lì, puntale come un orologio svizzero, avrebbe fatto credere a Dave di avermi in pugno. Dovevo farmi desiderare, pensai. 
“Ma a chi cazzo devo prendere in giro? Su!”  misi un paio di jeans e un maglione nero, degli stivali in pelle e infine sistemai il trucco che ancora avevo addosso dalla sera precedente. Decisi di presentarmi, dovevo chiedergli scusa. 
Per una volta nella vita, evitai il classico comportamento da stronza. 

 

 

 

Arrivai di fronte al suo appartamento alle quattro e dieci
Quel giorno decise di nevicare un po' a Londra, l’atmosfera mi caricò di energie positive. 
Con passo deciso entrai nel vialetto che portava alla porta principale, suonai il campanello. 
Con una mano sistemai i capelli, mentre aspettavo di essere accolta. 
Si aprì la porta, dall’altra parte vi era Dave; aveva un ematoma sulla guancia. 

“Ciao!” – sorrise – “entra”. 

Pensai di aver sfoggiato il sorriso più imbarazzante di sempre, poi esclamai “Ciao!” ed entrai dentro. 

La sua casa era molto accogliente, se pur molto minimale. Le pareti erano color pastello, i mobili di legno mogano. Vi era un odore piacevole, un misto tra sigarette ed incenso. Di sottofondo,  messo ad un volume moderato, David Bowie. 

“Posso offrirti qualcosa da bere?” – chiese, facendo gesto con la mano di voler appendere il mio cappotto. 

“Qualcosa per far calmare il mal di testa, ce l’hai?” – gli porsi il cappotto, mentre con lo sguardo vagavo per scovare curiosi dettagli nella sua dimora. 

“Penso che una tisana possa farti stare meglio” – disse premurosamente, continuando – “accomodati in salotto, arrivo tra due minuti”. 

Annuì e mi accomodai in salotto. 
Moquette beige, carta da parati verde pastello. Mi adagiai su una comoda poltrona di pelle color petrolio, mentre studiavo attentamente l’ambiente circostante. Davanti a me un tavolino basso di vetro, al di sopra di esso qualche rivista e un posacenere con due sigarette fumate a metà. 
Notai il giradischi che suonava “Heroes” di Bowie, mi avvicinai per dargli un’occhiata. 

 

Then we could be heroesjust for one day – canticchiò Dave mentre arrivava in salone con una tazza di tè. 

Mi girai di scatto.  “Scusa, ti ho spaventata?” – disse divertito. 

“No, no… mi hai solo sorpresa” – ribatté la mia voce, mentre mi avvicinavo per poter gustare la tisana. Dave fece segno di sedermi con la mano, allungandola verso il divano. Presi un sorso. 

“Grazie.” – posai la tazza sul tavolino  Penso tu possa immaginare perché sono qui…” 

“Non lo so, dimmelo tu” – chiese impertinente. 

Sta mattina mi sono ritrovata nel mio letto e non avevo idea di come ci fossi finita. Inoltre, guarda…” – mostrai il livido nel braccio, abbassando leggermente la maglia dalla spalla. “So cos’è successo, ho parlato con Tom, mi ha detto tutto ed ecco… volevo chiederti scusa.”  dissi mortificata. 

“Per cosa?” – chiese Dave fingendosi ingenuo. 

“So come te lo sei procurato quel livido sulla guancia… È stata colpa mia!”  scrollai la testa. 

“È ok, non preoccuparti di questo. Meritavano una lezione quegli idioti.” – concluse, accendendosi una sigaretta – “come va con il mal di testa?” – incontrò il mio sguardo, spaesato. 

“Uhm, meglio, grazie.” – ero terribilmente in imbarazzo, ma dovevo sapere altro da Dave.  

“Dave.”  dissi con tono serio e deciso. Alzò le sopracciglia, come segno di interesse in ciò che avevo da dirgli. “Cos’è successo quando mi hai accompagnato a casa? Scusa la domanda, ma… Davvero, non ricordo nulla! Tom insinua che io abbia preso involontariamente qualche droga pesante… Non so che di-“ – la sua risata interruppe il mio disagio. 

“Tranquilla!” –continuò sorridendo – “Siamo saliti in moto, temevo cadessi perché non avevi neanche la forza per tenerti stretta a me… Per non cadere, sai.” – per un attimo suonò quasi imbarazzato. Continuò. 

L’indirizzo di casa tua me lo diede Tom. Arrivati a destinazione, ti presi in braccio, eri collassata di nuovo e dovevo portarti dentro, quindi…” – prese un attimo di respiro. “Cercai le chiavi nella tua borsa e aprì la porta Una volta entrati ti feci distendere sul divano del salotto e cercai il bagno per prendere delle pezze umide, in modo da potertele passare sui tuoi polsi e dietro il collo. Sono stato accanto a te per tutto il tempo, dopo circa cinque minuti ti sei ripresa un po', anche se non del tutto. Sarò sincero, ero un pò preoccupato! – ridacchiò. 

Il fatto che un estraneo potesse essere tanto empatico verso una sconosciuta mi sembrava surreale. Io che non avevo mai ricevuto attenzioni. Mai una carezza, un “come stai?” sincero. Rimasi ad ascoltarlo senza parole. Si schiarì la voce e continuò 

“Quando ti risvegliasti, ti chiesi subito cosa desideravi fare; cosa potesse farti stare meglio… Rispondesti che avevi bisogno di distenderti a letto ed ascoltare l’album “Pornography” dei Cure, il che mi fece sorridere! Ti avevo inquadrato bene ad inizio serata, sei un tipo da Dark Wave!” – il sorriso apparve sui nostri volti contemporaneamente. “Così ti ho aiutata ad alzarti dal divano e ti ho portato in camera da letto per farti distendere, nella stessa stanza notai la presenza di un giradischi e tanti vinili accanto, riposti in una scatola. Cercai il disco che desideravi e lo misi su. Alle prime note di “one hundred years” ti vidi sorridere, mentre ad occhi chiusi chissà quanto stavi viaggiando. Mi distesi dall’altro lato del letto mentre ascoltavamo insieme la musica… Ogni tanto canticchiavi qualcosa o facevi finta di suonare la chitarra, era divertente, te lo assicuro!” – si mise a ridere di gusto, mentre io sgranai gli occhi, incredula da ciò che stessi ascoltando. 

“Ah-ah! Bravo, prendimi pure in giro!” – esclamai ironica – “Quindi sei rimasto con me fino alla fine dell’album?” 

“In un certo senso si.” - disse con un sorrisino incurvato a sinistra. 

“In un certo senso?” - si leggeva chiaramente la mia perplessità. 

“Si, perché ad un certo punto ci siamo addormentati entrambi nel bel mezzo di “cold”, se non erro. Ricordo di essermi svegliato e il disco era finito.” - aspirò il fumo della sigaretta - “Dormivi, quindi mi preoccupai di lasciarti in pace. Immaginavo che l’indomani non avresti ricordato nulla, per questo ho lasciato quel biglietto.” 

“Quindi poi te ne se andato.” - dissi sollevata. 

Annuì con la testa. 
Calò un silenzio piacevole, accarezzato dalla musica di sottofondo. 
Dave si godeva quel che ne rimaneva della sua ennesima sigaretta e io finivo di gustare il tè, mentre il mal di testa pian piano si dissolveva. 

“Ti andrebbe di fare un giro in moto?” - domandò tutto ad un tratto, mentre osservava il sole che oltrepassava la finestra del soggiorno e si posava pacatamente sul suo casco, poggiato sul tavolo. 
Sorrisi. - “Non ho il casco”. 
“Prenderai il mio, non preoccuparti”. 

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