Momenti Rubati

di LazySoul
(/viewuser.php?uid=126100)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Teiera gialla ***
Capitolo 2: *** Promozione ***
Capitolo 3: *** In vino veritas ***
Capitolo 4: *** Sbavatura ***
Capitolo 5: *** Tè con limone ***
Capitolo 6: *** Un consiglio di Pansy al giorno... ***
Capitolo 7: *** ... Toglie Ronald di torno ***
Capitolo 8: *** Un po' di spensieratezza ***
Capitolo 9: *** Pausa pranzo ***
Capitolo 10: *** Zabini's Atelier ***
Capitolo 11: *** Sorprese ***
Capitolo 12: *** Tortino al cioccolato ***
Capitolo 13: *** Acquisti in Regent Street ***
Capitolo 14: *** Cicatrici ***
Capitolo 15: *** Lunedì mattina ***
Capitolo 16: *** Sexting ***
Capitolo 17: *** San Mungo ***
Capitolo 18: *** Libertà ***
Capitolo 19: *** Resta ***
Capitolo 20: *** Contemplazione ***
Capitolo 21: *** Sangue ***
Capitolo 22: *** Invito ***
Capitolo 23: *** Cocomero ***
Capitolo 24: *** Regalo ***
Capitolo 25: *** Cena alla Tana ***
Capitolo 26: *** La Gazzetta del Profeta ***
Capitolo 27: *** Confronto ***
Capitolo 28: *** Famiglia ***
Capitolo 29: *** Salvatore del Mondo Magico ***
Capitolo 30: *** Ti va di ballare? ***
Capitolo 31: *** Nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Teiera gialla ***


 

ATTENZIONE: Se siete capitati qui e non avete letto "Gioco di Sguardi", vi consiglio di fare un salto nella mia pagina autore e cercarla, dato che questo è il continuo.

Altra cosa: questa storia non terrà conto né dell'epilogo "19 anni dopo" del settimo libro della saga di Harry Potter, né de "La maledizione dell'erede" (che tra l'altro ammetto di non aver mai letto), ma per quanto riguarda gli altri avvenimenti del sesto e settimo libro di cui non parlo nello specifico (per esempio: morte di Silente, Dobby, Remus, Tonks, Fred, Voldemort, ecc.), a meno che non vi dica il contrario, date per scontato che siano successi.

Buona lettura!







1. Teiera gialla




 

Era da qualche tempo che Draco Malfoy aveva iniziato a passeggiare per la Londra babbana.

Provava ancora un misto di meraviglia e orrore ogni volta che vi metteva piede, ma aveva imparato a dominare i propri sentimenti, e a superare i pregiudizi che aveva nutrito per anni nei confronti di quella parte di mondo che non conosceva.

La prima volta che aveva messo piede in Piccadilly Circus, aveva rischiato di svenire a causa del rumore, delle luci e del numero di persone, di babbani, che si era trovato di fronte.

Si era Materializzato a casa sua dopo pochi secondi, con il cuore in gola e le mani che gli tremavano, infischiandosene altamente se qualcuno in mezzo a quella folla avesse assistito alla sua improvvisa scomparsa.

Dalla volta dopo aveva optato per una via meno trafficata e aveva iniziato, lentamente, il suo viaggio di scoperta e rinascita.

Dopo la guerra e la morte del Signore Oscuro, si era rifiutato di tornare a Hogwarts, optando per un'educazione privata che, malgrado i tempi bui per la sua famiglia, si era potuto permettere tranquillamente e si era presentato nella sua vecchia scuola solo per sostenere e superare con ottimi voti gli esami finali dei M.A.G.O.

Si era poi avvalso di numerose sedute da un medimago specializzato nel funzionamento della psiche umana e aveva iniziato il suo percorso di apertura mentale e di allontanamento dai vecchi pregiudizi e insegnamenti bigotti, che gli erano stati inculcati fin da piccolo.

C'erano voluti mesi prima di imparare a mettere in dubbio la realtà che aveva accettato fin da piccolo come unica e universale, ma alla fine c'era riuscito.

A volte gli capitava ancora di fare dei commenti o dei pensieri sbagliati, ma stava imparando ad ammettere, per quanto gli era possibile, i propri errori e a imparare da essi.

I genitori di Draco e la sua fidanzata, Astoria, non sapevano niente delle sue visite a zia Andromeda e al cugino Teddy, o delle passeggiate che compiva settimanalmente nella Londra non magica.

Gli unici che ne erano a conoscenza erano Blaise Zabini, che accettava con condiscendenza quella stramberia dell'amico, dicendogli di fare attenzione e di non finire bruciato al rogo, e Pansy Parkinson, che sfruttava le passeggiate dell'amico per farsi comprare settimanalmente riviste di gossip babbane, dalle quali prendeva spunto per la sua rubrica di consigli d'amore: "Cuori infranti: filtri d'amore e altri rimedi".

Sarebbe arrivato il giorno in cui Draco Malfoy avrebbe raccontato ai suoi genitori di aver visitato la British Gallery e di essersi innamorato dei quadri babbani, dove le persone ritratte erano immobili, congelate in quell'istante e spettava alla mente dell'osservatore immaginare il prima e il dopo del momento raffigurato. O avrebbe raccontato loro di essere stato a Birmingham ad osservare i gabbiani sulla spiaggia e i babbani, che ammiravano le onde del mare e i colori del tramonto.

Aveva anche assistito ad alcuni sport babbani, faticava a ricordarne i nomi, che per lui avevano un suono assurdo e poco orecchiabile, ma aveva apprezzato lo sport in sé, il modo in cui i giocatori correvano dietro a quella che a lui aveva ricordato la pluffa del Quidditch. 

Erano molte le usanze dei babbani che lo avevano lasciato perplesso, ma aveva seguito i consigli del medimago specializzato nella psiche umana e aveva mantenuto la mente aperta e aveva cercato di non scandalizzarsi troppo, soprattutto quando aveva visto il modo in cui alcuni babbani si vestivano.

In quel momento stava percorrendo una via nel quartiere di Camden Town e cercava di non scandalizzarsi troppo del vestiario babbano o dell'esuberanza dei colori e dei negozi.

Passando di fronte a un negozio d'antiquariato, si fermò a osservare assorto la vetrina, dove una teiera gialla, dall'aspetto tremendamente ordinario, aveva attirato la sua attenzione.

Sentì un brivido percorrergli la schiena mentre un ricordo specifico si faceva strada nella sua mente e, senza pensarci, entrò nel negozio.

Sussultò appena all'udire il suono del campanello che risuonò lungo le pareti del locale per avvisare chi di dovere della sua presenza nel negozio e attese qualche istante sulla porta, un piede dentro e uno fuori, chiedendosi se avesse fatto bene ad essere così avventato.

Si era appena chiuso la porta alle spalle, muovendo i primi passi nel negozio, quando comparve da una porticina di servizio una signora col volto segnato da profonde rughe e i capelli argentei acconciati in uno stretto chignon; a Draco ricordò in modo impressionante Madama Chips, l'infermiera di Hogwarts.

«Buongiorno, posso aiutarla?», chiese la donna, con tono amabile, sistemandosi gli occhiali tondi sul naso.

«Salve», disse lui, nascondendo il nervosismo dietro ad un sorriso di circostanza: «Sono entrato per... ho visto la teiera gialla in vetrina e vorrei comprarla».

Malgrado il tentennamento iniziale, Draco Malfoy era fiero di esser riuscito a parlare con tanta facilità alla donna. Non era la prima volta che parlava con un babbano, ma aveva sempre il terrore di dire qualcosa di sbagliato o di rivelare involontariamente di essere un mago.

«Certo, caro!», esclamò la donna, sorridendo affabile: «Te la prendo subito».

Quando arrivò il momento di pagare, Malfoy estrasse il suo portafoglio babbano, ricordandosi della volta in cui, in un negozio di musica babbana il proprietario gli aveva riso in faccia quando aveva provato a pagare con dei galeoni. Da quel momento in poi aveva iniziato a portarsi sempre il suo portafoglio babbano, con dentro sterline, quando gli capitava di fare una delle sue passeggiate in incognito.

La signora ripose la teiera in una scatola in cartone, che poi infilò in un sacchetto di plastica.

Malfoy aveva talmente tanti sacchetti simili a casa che non sapeva che farsene quindi, a costo di risultare scortese, disse alla signora che non ne aveva bisogno, dato che avrebbe portato la scatola sottobraccio.

La donna non sembrò stupirsi della richiesta e Malfoy tirò un sospiro di sollievo; forse anche quella volta avrebbe evitato di Obliviare la mente di qualche ignaro babbano.

Una volta pagato uscì dal negozio e, appena trovò un vicolo buio deserto, si Smaterializzò.

Come sempre lo strappo della Materializzazione gli provocò una leggera nausea, ma cercò di non pensarci e posò il suo nuovo acquisto sul tavolo basso del salotto di casa sua.

Aveva acquistato quell'appartamento da meno di un anno, quando si era reso conto che continuare a vivere a casa con sua madre era diventato impossibile e si era reso conto di aver bisogno di un proprio spazio personale.

Astoria ci aveva messo piede un paio di volte, da quando avevano ufficializzato il fidanzamento, ribadendo ogni volta che non avrebbe vissuto in un luogo simile una volta che si fossero sposati, perché non si addiceva al suo stile di vita.

Era da un paio di mesi, all'incirca da quando sua madre l'aveva costretto a comprare un anello di fidanzamento per Astoria e a farle la proposta, che si rendeva conto di non volere quello che sua madre e la sua fidanzata si aspettavano da lui.

Stava ancora cercando il coraggio di rompere il recente fidanzamento e dire a sua madre che lui e Astoria non erano fatti per vivere insieme; sapeva che gli ci sarebbe voluto del tempo.

Si tolse il cappotto scuro e lo appesa all'appendiabiti nell'ingresso, poi salì le scale che portavano al soppalco, che era la sua camera da letto.

Ebbe giusto il tempo di indossare degli abiti più comodi, quando sentì qualcuno suonare al campanello.

Scese le scale con la bacchetta in mano, e osservò con sguardo curioso dallo spioncino sulla porta.

Blaise Zabini, con in mano un paio di bottiglie di burrobirra, sorrideva da orecchio a orecchio.

Draco si colpì la fronte con la mano, si era dimenticato che, essendo sabato pomeriggio, Blaise si sarebbe presentato come suo solito a casa sua per passare la serata insieme.

Fino alla settimana scorsa anche Pansy partecipava a quegl'incontri, ma dato che lei e Blaise avevano litigato recentemente, dubitava che l'amica si sarebbe fatta vedere.

Appena aprì la porta, venne invaso dall'odore del dopobarba di Blaise e non poté fare a meno di storcere appena il naso. Prima o poi avrebbe dovuto dire all'amico di non esagerare con i profumi, se non voleva essere scambiato per un fiore da qualche Golden Snidget (*).

«Ho portato le burrobirre!», esclamò il moro, appoggiandole sul tavolino basso del salotto, che si trovava vicino all'ingresso.

Blaise si tolse il soprabito, gettandolo a Malfoy, mentre prendeva posto sul divano e iniziava ad aprire la prima burrobirra.

«Oh, hai fatto acquisti?», chiese Blaise, mettendo le mani sulla scatola in cartone che conteneva la teiera gialla.

Il biondo ripose con un veloce incantesimo il soprabito dell'amico sull'appendiabiti, poi tolse dalle grinfie del moro il suo recente acquisto: «Sì, vado a prendere dei bicchieri».

Avrebbe potuto in realtà usare un semplice incantesimo, ma Draco aveva bisogno di un attimo di solitudine prima di essere travolto dal tornado Blaise Zabini.

Una volta in cucina, il proprietario di casa posò vicino ai fornelli la scatola contenente la teiera gialla, poi recuperò due bicchieri dalla credenza e prese un profondo respiro per calmare i suoi nervi tesi.

Avrebbe voluto che Pansy fosse lì con loro, lei sì che sarebbe riuscita a smorzare, con poche parole, l'entusiasmo di Zabini.

Tornato in salotto, trovò Blaise che osservava con occhi affascinati il poster acquistato alla British Gallery, raffigurante "La valorosa Téméraire" di Turner, che aveva colpito particolarmente Draco durante la sua ultima visita al museo.

«Come va la tua osservazione dei babbani? Continuano a crederti uno di loro?», chiese Blaise, versando della burrobirra in entrambi i bicchieri che aveva portato Draco dalla cucina.

«Direi di sì, ancora non mi hanno messo al rogo», rispose il biondo, sorridendo appena: «Come va il tuo atelier?»

Gli occhi di Blaise sembrarono brillare per qualche secondo: «Ho una nuova idea per ampliare gli affari! So che la scorsa settimana volevo lanciarmi sulla creazione di un profumo, ma ho avuto un'idea migliore: gioielli».

L'entusiasmo di Blaise era qualcosa a cui Draco dubitava si sarebbe mai abituato.

Era un mese circa che l'amico parlava di "ampliare gli affari", ma ogni settimana cambiava idea su cosa effettivamente volesse fare. In un primo momento aveva parlato di scarpe, poi di parrucche, successivamente di profumi e quella settimana era arrivato il turno dei gioielli.

«Brindiamo ai gioielli, allora!», disse Draco, leggermente perplesso, sollevando il bicchiere e facendolo scontrare con quello dell'amico.

«Sì, brindiamo!»

Il biondo bevve un sorso di burrobirra e sentì quasi istantaneamente i nervi rilassarsi.

In quel momento qualcuno suonò al campanello.

Malfoy fissò la porta, poi Blaise: «Avete fatto pace?», gli chiese a bassa voce, intuendo chi si dovesse trovare sul pianerottolo.

Zabini scosse il capo, all'improvviso sembrava nervoso: «Non ancora».

«Ottimo», commentò a mezzo voce Draco, prima di aprire la porta.

Il sorriso che aveva sulle labbra, morì istantaneamente alla vista dello sguardo scocciato di Pansy Parkinson.

«Ho portato dell'idromele», disse lei scontrosa, lasciando bottiglia e cappotto in mano al padrone di casa mentre entrava.

Blaise sorrise alla nuova arrivata, pronto a salutarla, me lei non lo degnò di uno sguardo.

Draco intuì che dovessero aver litigato pesantemente.

«Hey, Pan», disse il moro, non prestando attenzione al fatto che la nuova arrivata lo stesse palesemente ignorando: «Ho una nuova idea per l'atelier: gioielli!»

Pansy andò in cucina a prendersi un bicchiere e, una volta tornata, riprese dalle mani di Draco la bottiglia di idromele, aprendola con un incantesimo: «Strano, di solito sei sempre così sicuro, non pensavo avresti cambiato idea per la quarta volta», il suo tono di voce grondava sarcasmo.

Draco si servì una generosa porzione di idromele e si sedette sulla poltrona che fronteggiava il divano, pronto a godersi lo spettacolo che, ne era certo, si sarebbe svolto nell'arco di pochi secondi.

«E con questo cosa vorresti dire?», chiese Zabini, seduto su un lato del divano, lanciando occhiate di fuoco alla ragazza.

Pansy, seduta sul lato opposto del divano, accavallò le gambe, e si passò distrattamente una mano tra i capelli corti, prima di voltarsi verso il moro: «Quello che ho appena detto».

Blaise si alzò in piedi: «Io so quello che voglio!»

Pansy sorrise, bevendo un piccolo sorso di idromele, la tinta rossa che copriva le sue labbra non lasciò alcun segno sul vetro: «No, tu credi si saperlo, ma poi sei talmente indeciso che finisci col cambiare idea altre cento volte».

Blaise la fissò interdetto per qualche secondo, poi scoppiò a ridere, facendo sussultare per la sorpresa sia Draco che Pansy.

Appena si riprese dallo scoppio ilare, il moro esclamò: «Adesso è tutto chiaro! É perché ti ho detto che ti amo e tu hai paura che cambi idea, vero? É per questo che abbiamo litigato?»

Draco rischiò di strozzarsi con l'idromele. 

Avere il sospetto che i suoi due migliori amici avessero una relazione, era ben diverso dal riceverne la conferma in un modo tanto improvviso e inaspettato.

Pansy si fece rossa in viso e, posato il bicchiere di idromele sul tavolino basso di fronte a sé, si alzò a sua volta, così da fronteggiare il ragazzo, occhi negli occhi.

«Abbiamo litigato perché io non voglio una relazione, mentre tu sì», gli ricordò la Parkinson, i lineamenti del volto stravolti dalla rabbia: «Il fatto che tu cambi idea ogni pochi giorni è un dettaglio che dimostra soltanto che anche tu, in realtà, non sei pronto per una relazione seria».

«E immagino che tu, dato che dai consigli d'amore alle lettrici di Strega Moderna, sappia più di me quello per cui sono o non sono pronto, giusto?», ribatté Blaise con sarcasmo, bevendo l'ultimo sorso di burrobirra, prima di posare il bicchiere sul tavolo basso, accanto a sé.

«Esatto», disse Pansy, portandosi le mani ai fianchi: «Sono felice che tu l'abbia capito, finalmente».

«Sei impossibile», si lamentò Blaise, alzando le mani al cielo: «Perché devi sempre comportarti così?»

Draco venne distratto dalla conversazione tra i suoi due migliori amici, quando notò un gufetto fuori dalla finestra del salotto, che si affacciava sulla via principale di Diagon Alley.

Bevve l'ultimo sorso di idromele e posò il bicchiere sul tavolo di fronte a sé, prima di aprire le ante per permettere al rapace di porgergli la zampa.

Lesse velocemente il messaggio e, con la mente altrove, prese dal barattolo in vetro sulla mensola accanto alla finestra uno snack per gufi da dare al volatile.

«Draco, stai bene?», chiese Pansy, avvicinandosi preoccupata all'amico.

Il biondo annuì distrattamente: «É l'ufficio, a quanto pare da lunedì inizieranno dei lavori al mio livello e sarò trasferito per un paio di settimane al quarto».

Il gufato volò via e Pansy chiuse la finestra, impedendo alla fresca aria di Marzo di entrare nell'appartamento.

«Beh, non è mica un dramma», disse lei, prendendo dalle mani dell'amico la pergamena su cui era scritto il messaggio.

«Oh, Pan...», disse Blaise, avvicinandosi ai due amici: «Questa è la dimostrazione che di amore non ne capisci proprio niente».

La ragazza gli lanciò un'occhiata di fuoco: «Come, scusa?»

«Se Draco verrà trasferito al quarto livello al Minstero, vorrà dire che sarà per due settimane a stretto contatto con... Hai capito, no?»

«Oh», disse semplicemente Pansy, capendo il perché dello sguardo allucinato del biondo.

Gli occhi di Draco intanto erano fissi sul bancone della cucina, dove poteva vedere chiaramente, accanto ai fornelli, la scatola in cartone dentro alla quale si trovava la teiera gialla che aveva comprato quel pomeriggio a Camden Town.

La teiera che aveva comprato unicamente perché somigliava in modo impressionante a quella che aveva usato sei anni prima, nella Stanza delle Necessità.

La teiera che gli aveva ricordato subito la persona che non riusciva a togliersi dalla mente: Hermione Granger.






 

(*) Golden Snidget è una creatura esistente nel mondo di Harry Potter, non viene specificato di cosa si nutra sul sito di Potterpedia, quindi mi sono presa la libertà di renderlo nettarivoro come i colibrì.


 

***


Buongiorno popolo di EFP!

Come vi avevo promesso, eccomi tornata con il continuo di "Gioco di Sguardi"!

Siete emozionati/e? Io sì!

Spero davvero che la storia vi piaccia, ovviamente questo è solo il primo capitolo, ma confido nei prossimi di farvi innamorare ancora una volta di Draco ed Hermione.

Intanto vi faccio qualche domanda, giusto per non perdere le buone abitudini di un tempo:

Cosa pensate del fatto che Draco stia cercando di essere una persona migliore?

Da 1 a 10 quanto sono carini Blaise e Pansy che litigano?

Cosa vi aspettate nel prossimo capitolo?

Detto ciò, spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere la vostra e se avete domande, chiedete pure!

Cercherò di pubblicarvi un capitolo a settimana, diciamo che indicativamente ogni mercoledì avrete qualcosa di nuovo da leggere (in caso non dovessi farcela ve lo farò sapere)!

Come sempre ricordo, per chi volesse, che è possibile seguirmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Vi auguro una buona giornata!

Un bacio,

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Promozione ***


2. Promozione
 



Quel lunedì mattina Hermione si svegliò con un'enorme sorriso in volto.

Nemmeno Grattastinchi e i suoi fastidiosi miagolii per attirare la sua attenzione e avere del cibo, mutarono il suo buon umore.

Era certa che quel giorno avrebbe ottenuto la promozione che aspettava ormai da tre mesi. Era da Gennaio che giravano voci in ufficio che qualcuno sarebbe stato promosso e Hermione sapeva con certezza che sarebbe stata lei la fortunata ad ottenere un'avanzamento nella carriera.

Era sempre puntale, ineccepibile nel suo lavoro e non dava mai motivo ai suoi superiori di essere  scontenti: era un'impiegata esemplare e non c'era nessuno in ufficio che meritasse più di lei quella promozione.

Afferrò dalla sua scrivania il foglietto su cui si era segnato, ormai da un paio di mesi, il discorso che avrebbe detto quando il signor Quintt le avrebbe assegnato un ufficio tutto suo. 

Rilesse velocemente le righe che aveva scritto, poi si diresse in bagno.

Si lavò velocemente il corpo, poi indossò il suo completo da lavoro e si legò i capelli in un uno chignon stretto.

In salotto sorrise ulteriormente, quando notò la rosa appassita, che si ostinava a tenere, ormai da San Valentino. Era stato Ron a regalargliela e, per quanto avesse sospettato che fosse stato Harry a ricordare al rosso la festa degli innamorati, Hermione era stata più che felice di ricevere quel semplice dono.

Bevve come ogni mattina una tazza di tè con una fettina di limone e un cucchiaino di zucchero, accompagnata da qualche fetta di pane tostato con marmellata e una mela, e iniziò a leggere il romanzo che aveva comprato durante la sua ultima passeggiata nella Londra babbana: "Il Maestro e Margherita".

Dopo essersi lavata i denti e aver indossato un paio di scarpe eleganti, col tacco basso, si posizionò di fronte al camino di casa, pronta a utilizzare la metropolvere per raggiungere il Ministero della Magia.

Venne distratta per qualche secondo dalla foto appesa sopra il camino, che raffigurava sua madre e suo padre il giorno del loro matrimonio e si lasciò, per qualche secondo, sopraffare dalla tristezza; erano cinque anni e mezzo che non vedeva i suoi genitori. 

Dopo la morte di Voldemort, il 2 Maggio del 1998, era stata più volte tentata di prenotare un biglietto aereo e andare in Australia a cercarli.

Inizialmente aveva rimandato perché si era sentita in dovere di rimanere a dare una mano.

Ai tempi non avrebbe saputo dire nemmeno lei a chi, le bastava essere presente, potersi sentire utile.

C'era stata per Molly, che aveva impiegato mesi a superare la morte di Fred, c'era stata per Andromeda Tonks e per Teddy Lupin, c'era stata per Harry e per Ginny, ma c'era stata soprattutto per Ron, il suo ragazzo.

Quando poi Hogwarts aveva riaperto e la Preside McGranitt aveva dato la possibilità agli studenti che l'anno precedente non avevano potuto seguire le lezioni, per un motivo o per un altro, di tornare per completare gli studi; Hermione era salita sull'espresso per Hogwarts e aveva deciso di rimandare di un anno ancora il suo viaggio in Australia.

Quando, superati con ottimi voti i M.A.G.O. era stata contattata dal Ministero per un tirocinio che le avrebbe permesso, una volta terminato, l'inserimento immediato nel mondo del lavoro, non era riuscita a dire di no, certa che quella fosse un'occasione da non lasciarsi sfuggire.

E quindi aveva rimandato il viaggio di ancora un anno, poi di un altro e un altro ancora.

Cominciava a pensare che non avrebbe mai trovato il tempo di partire alla ricerca dei suoi genitori e non perché non li amasse profondamente o non sentisse la loro mancanza ogni giorno della sua vita, ma per il semplice fatto che la paura continuava a trattenerla.

Non la paura di non trovarli o di non riuscire ad annullare l'incantesimo di memoria col quale aveva cancellato il ricordo di se stessa dalle loro vite, ma la paura che il male potesse tornare, che i Mangiamorte, che Voldemort o che qualcuno che s'ispirava a lui potesse riportare il terrore nella sua vita. 

E a quel punto come avrebbe fatto a separarsi nuovamente dai suoi genitori?

Preferiva saperli lontani e felici, nell'Australia che avevano sognato per anni di visitare e che non avevano mai avuto l'occasione di raggiungere.

Preferiva saperli al sicuro, senza di lei.

Si asciugò le poche lacrime che erano sfuggite al suo autocontrollo e tirò su col naso, prese una manciata di metropolvere e dopo aver detto il luogo dove voleva dirigersi, venne avvolta da tiepide fiamme verdi. 

L'istante successivo si trovò nell'ampio salone all'ingresso del Ministero e passò accanto alla statua che raffigurava Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico. Hermione sollevò teatralmente gli occhi al cielo come ogni giorno e si diresse agli ascensori.

Trovava quella statua pacchiana. In un momento di confidenza, l'aveva anche detto a Harry e l'amico le aveva dato immediatamente ragione, solo Ronald pensava invece che fosse una "figata".

Raggiunto il quarto livello raggiunse subito la sua scrivania, dove spiccavano il mini cactus che le aveva regalato Ginny per il suo primo giorno di lavoro, una foto di lei, Harry e Ron a quattordici anni e le nuove pratiche che avrebbe dovuto svolgere nell'arco della giornata.

Si sedette e iniziò il suo lavoro con la precisione di ogni giorno.

Salutò Penelope Cross, la sua vicina di scrivania, quando arrivò con cinque minuti di ritardo e il volto sorridente ed eccitato.

Penelope aveva qualche anno più di Hermione ed era la pettegola numero uno all'interno del Ministero (dato che Blaise Zabini non lavorava per il Ministero, altrimenti sarebbe stato lui il numero uno). 

C'era solo un motivo per cui potesse essere così felice il lunedì mattina: doveva essere a conoscenza di un qualche scoop sensazionale.

«Hai saputo?», chiese infatti Penelope a Hermione, appena si fu seduta al suo posto.

L'ex Grifondoro avrebbe voluto fermare sul nascere qualsiasi pettegolezzo la vicina di scrivania stesse per raccontarle, ma sapeva per esperienza che era meglio lasciarla parlare e fingere di ascoltarla, piuttosto che impedirle di dare fiato ai polmoni.

«Temo di no», disse quindi, Hermione, sollevando appena il capo, in modo da osservare lo stato di agitazione della collega.

Penelope faticava a stare seduta ferma al suo posto; brutto segno, lo scoop doveva essere davvero succulento.

«Sono mesi che si parla in ufficio del fatto che il signor Quintt dovrà scegliere a chi assegnare l'ufficio lasciato libero a Gennaio da... come si chiamava?»

«Copper», disse subito Hermione, sentendo le dita della mano destra iniziare a tremarle appena per la trepidazione.

«Ah, sì, giusto, Copper... Beh, da quello che ho sentito il signor Quintt deciderà oggi stesso!», esclamò Penelope, sollevando i pugni al cielo dall'eccitazione.

«Davvero?», chiese Hermione, pacatamente, cercando di nascondere il proprio entusiasmo.

Non voleva rischiare di alzare troppo le proprie aspettative, per poi essere doppiamente delusa nel caso in cui non avesse ottenuto l'agognata promozione nemmeno quel giorno.

«Sembra proprio di sì!», esclamò Penelope, ottenendo un'occhiataccia da Richard Bias a qualche scrivania di distanza.

Hermione sorrise alla collega, sussurrando un: «Che bello!», fingendo entusiasmo, poi tornò alle pratiche sulla sua scrivania.

Quando, dopo circa venti minuti dall'inizio del suo turno di lavoro, Hermione vide il signor Quintt uscire dal suo ufficio e dirigersi verso di lei, le mani iniziarono a sudarle per il nervosismo.

«Signorina Granger, buongiorno», disse l'uomo, sorridendole appena, prima di rivolgere un saluto anche a Penelope.

Il signor Quintt aveva cinquantacinque anni, occhietti piccoli e attenti e una calvizie che nascondeva con lozioni profumate che gli permettevano di avere una fluente chioma grigio topo che pettinava all'indietro e fissava con un incantesimo che gli permetteva di avere sempre i capelli in ordine. 

Solitamente non si mescolava ai comuni mortali che lavoravano per lui, preferendo rimanere chiuso nel suo ufficio. Il fatto che si trovasse, in quel momento, accanto a Hermione Granger era da considerarsi un evento più unico che raro.

«Mi dispiace disturbarla, signorina Granger, dal lavoro eccellente che sono certo starà svolgendo, ma gradirei parlarle un attimo», disse il signor Quintt, spostando il peso dalla punta dei piedi ai talloni.

«Certo», disse Hermione, alzandosi con un sorriso speranzoso in volto.

Era inutile che cercasse di non alimentare troppo le sue aspettative, ormai era certa di ottenere la promozione e un ufficio tutto suo, altrimenti per quale motivo il signor Quintt avrebbe dovuto abbandonare la sua scrivania per parlare con lei, invece di inviarle un messaggio?

Le speranze nutrite dalla ex Grifondoro schizzarono alle stelle, quando il superiore la portò nell'ufficio che era appartenuto a Copper, per parlarle.

«Signorina Granger, lei è un'impiegata modello. In trent'anni di carriera non penso di aver mai assistito a un impegno simile, per questo vorrei premiarla dei suoi sforzi e incentivarla a fare sempre meglio, offrendole la possibilità di trasferirsi in quest'ufficio».

Hermione venne attraversata da un'ondata di gioia mista a orgoglio all'udire quelle parole e sorrise radiosa, allungando la mano per stringere quella del signor Quintt.

Gli appunti che si era preparata da mesi con frasi altisonanti da dire in quel contesto, non le tornarono in mente e tutto quello che riuscì a dire fu: «Grazie per l'opportunità, non la deluderò!»

«Sono certo che sarà così, signorina Granger, devo però aggiungere che, per le prossime due settimane, è a sua discrezione scegliere se continuare a usare la sua solita scrivania o occupare parte dell'ufficio», l'espressione allibita e delusa di Hermione fece innervosire il signor Quintt, che per qualche secondo perse il filo del discorso: «Quello che sto cercando di dirle è che a causa di lavori di ristrutturazione al terzo livello, per le prossime due settimane dovremo ospitare parte del Quartier Generale degli Obliviatori. Per questo le chiederei di condividere l'ufficio con qualche collega del piano superiore...»

«Oh, ma certo», disse Hermione, osservando l'ufficio in cui si trovava: «Possiamo starci comodamente in tre o quattro qua dentro», disse, disposta a fare quel piccolo sacrificio per dimostrare al signor Quintt di essere in grado di adattarsi anche alle situazioni meno favorevoli.

«Ottimo, se vuole iniziare a spostare i suoi oggetti personali su questa scrivania», disse l'uomo indicando la superficie in legno scuro che occupava un lato dell'ufficio: «Faccia pure, più tardi arriveranno il capo e il vice capo del Quartier Generale degli Obliviatori, che penso potrebbero essere comodamente trasferiti qua con lei».

Il signor Quintt se ne andò con passetti veloci e nervosi, lasciando Hermione da sola nel suo nuovo ufficio.

La ragazza fece un contenuto balletto di gioia, girando più volte su se stessa e sollevando le braccia al cielo, poi prese un profondo respiro, si sistemò la camicia bianca e uscì dall'ufficio.

Con un veloce incantesimo spostò tutti gli oggetti dalla sua vecchia scrivania alla sua nuova scrivania, sorridendo entusiasta a Penelope, che sembrava delusa di non esser stata scelta per la promozione.

«Ho saputo che alcuni del Quartier Generale degli Obliviatori staranno con noi per un paio di settimane», disse Hermione alla sua ex vicina di scrivania, per cercare di sollevarle il morale con quello scoop fresco fresco.

Gli occhi annoiati di Penelope brillarono per qualche istante: «Oh, speriamo! Ho sentito dire che ci sono dei bei ragazzi al terzo livello!», disse, facendo l'occhiolino a Hermione.

Hermione mostrò un sorriso di circostanza, poi si allontanò, sollevata all'idea di non dover più avere a che fare con i pettegolezzi e i commenti frivoli di Penelope Cross.

Impiegò pochi minuti a sistemarsi nel suo nuovo ufficio, dato che non possedeva molti oggetti personali da sistemare sulla scrivania. Fece poi una breve passeggiata lungo le quattro pareti della stanza, in parte per cercare di scaricare la tensione, in parte per studiare nel minimo dettaglio quello che sarebbe stato da quel giorno il suo ufficio, poi si sedette al suo nuovo posto dietro alla scrivania e riprese il lavoro da dove l'aveva interrotto poco prima.

Era talmente assorta dalle pratiche che stava leggendo che non si rese subito conto del leggero trambusto fuori dall'ufficio e, anche quando se ne accorse, non vi prestò molto caso.

Si era lasciata trasportare talmente tanto dall'entusiasmo della promozione da essersi completamente dimenticata di quello che il signor Quintt le aveva detto a proposito della condivisione dell'ufficio per le due settimane successive. Per questo quando udì qualcun bussare alla porta, pensò che fosse qualcuno del suo livello e, senza pensarci, borbottò un: «Avanti», mentre leggeva di fretta le ultime righe del paragrafo.

Quando alzò lo sguardo, rimase senza parole.

Draco Malfoy era appena entrato nel suo ufficio, con uno scatolone che levitava accanto a lui e un'espressione annoiata in volto: «Granger», disse semplicemente, prima di posare la scatola a terra con un veloce incantesimo e guardarsi intorno: «Carino».

Subito dietro di lui apparve uno scocciato ometto di mezza età con spessi occhiali e radi capelli scuri: «Oh, mi sentiranno, eccome se mi sentiranno! Avevo acconsentito al momentaneo trasferimento solo se avremmo ottenuto uno spazio tutto nostro! Signor Malfoy, la lascio ad ambientarsi, io vado a cercare chi di dovere per fargli una bella strigliata!»

L'ometto lasciò a terra una scatola e si chiuse la porta dell'ufficio alle spalle, mentre se ne andava a passo di marcia.

L'aria nella stanza si fece improvvisamente pesante.

Hermione non era in grado di staccare gli occhi dalla figura, ancora accanto alla porta, di Malfoy.

Non riusciva a ricordare quand'era stata l'ultima volta che l'aveva visto. Forse alla festa di Natale che si era tenuta nell'atrio del Ministero? O forse l'aveva intravisto sugli ascensori?

Da quanto tempo non si trovavano così vicini, nella stessa stanza, da soli?

Un brivido percorse la schiena della ragazza; ricordava fin troppo bene come occupavano il tempo sei anni prima lei e l'ex Serpeverde, quando si trovavano da soli nella stessa stanza.

«Non sapevo lavorassi nel Quartier Generale degli Obliviatori», ammise Hermione, dicendo la prima cosa che le passò per la mente, per spezzare quel silenzio pesante.

Malfoy sorrise e Hermione sentì chiaramente una fitta al petto: «Non ci credo: Hermione Granger che non sa qualcosa...»

La ragazza s'indispettì subito per il tono ironico e arricciò leggermente le labbra, prima di abbassare nuovamente lo sguardo sulle pratiche che aveva sulla scrivania.

Passarono alcuni minuti, durante i quali lei cercò di leggere, riscoprendosi incapace a farlo, mentre Draco non distoglieva lo sguardo da lei.

«Granger?», disse lui alla fine, facendole sollevare nuovamente il capo: «Dato che dovremo dividere l'ufficio per due settimane, proporrei di vederci dopo il lavoro per chiarire la situazione».

«Chiarire? Cosa vorresti chiarire?», chiese lei, ridendo nervosamente.

Malfoy cancellò la distanza che li separava in poche falcate, facendo scomparire all'istante il sorriso dal volto dell'ex Grifondoro. Appoggiò le mani sulla scrivania della ragazza e si sporse leggermente verso di lei, nascondendo dietro ad una maschera d'indifferenza il turbamento che starle così vicino dopo tanto tempo gli provocava.

«É paura quella che leggo nei tuoi occhi, Granger? O forse è desiderio?»

«Vedo che non sei cambiato, sei sempre il solito arrogante», disse lei, osservando il volto del ragazzo che si trovava a una quarantina di centimetri dal suo. Conosceva talmente bene quel viso, che, se fosse stata dotata di creatività, era certa sarebbe stata in grado di dipingerlo a occhi chiusi. 

«Forse, forse no, non è questo il punto. Il punto è che per quanto tu possa pensare il contrario, credo che sarebbe meglio se ci vedessimo dopo il lavoro per parlare e chiarire la situazione», disse il ragazzo, trattenendosi a stento dall'allungare le dita per sfiorare il riccio che era sfuggito all'acconciatura della ragazza e ora le sfiorava la guancia destra.

«Ho un ragazzo, Malfoy, e sono abbastanza sicura che tu stia ancora con Astoria Greengrass, quindi...»

Malfoy rise, inclinando leggermente il capo verso sinistra: «Oh, Granger, mi ero dimenticato di quanto fosse facile per te giungere alle conclusioni sbagliate. Cosa ti fa pensare che io voglia chiarire quello che è successo al sesto anno e non parlare, piuttosto, della Guerra che c'è stata dopo?»

Il volto dell'ex Grifondoro si fece rosso per l'imbarazzo e si ritrovò a non saper cosa dire per qualche secondo: «Sei tu che hai parlato di desiderio poco fa, Malfoy, per questo mi sono sentita in dovere di...»

«Sì, certo», disse lui, allontanandosi dalla scrivania di un paio di passi. Hermione ebbe la netta sensazione che Malfoy stesse ridendo di lei.

«Vado a cercare una sedia, posso occupare un angolino della tua enorme scrivania, vero?»

Hermione non ebbe il tempo di ribattere che il ragazzo era già uscito dall'ufficio.

Il resto della giornata lavorativa fu un vero inferno, tanto che Hermione iniziò a chiedersi se sarebbe stato tanto strano chiedere al signor Quintt di tornare per quelle due settimane alla sua solita scrivania accanto a Penelope Cross, piuttosto che subire ancora una tortura simile.

Draco Malfoy era una distrazione, una terribile distrazione, e lei non poteva permettersi di perdere la concentrazione durante il lavoro.

Non era passato giorno che non avesse pensato a lui negli ultimi cinque anni, a volte con rabbia, altre con rimpianto, altre ancora con odio. Aveva sofferto molto alla fine del sesto anno, ancora di più quando aveva scoperto che il ragazzo di cui era innamorata era un Mangiamorte.

Trovarselo all'improvviso nello stesso ufficio dopo tutto quello che avevano passato era a dir poco destabilizzante.

Sapeva che Malfoy aveva ragione: dovevano parlare, chiarirsi, trovare un punto d'incontro così da vivere serenamente le due settimane successive.

Ma Hermione non era sicura di essere pronta.

Per questo, quando alla fine della giornata lavorativa, mentre prendevano lo stesso ascensore per tornare al piano terra, Malfoy le chiese dove volesse andare a parlare, lei gli disse che aveva già un impegno e che avrebbero dovuto rimandare il loro incontro al giorno dopo.

«Oggi o domani non cambierà niente, Granger», disse Draco, mostrandole il suo tipico ghigno strafottente: «Buona serata, porta i miei saluti a San Potty e Lenticchia».

Hermione rimase ferma ad osservare la schiena dell'ex serpeverde, che si allontanava verso i camini dell'ingresso.

"Porta i miei saluti a San Potty e Lenticchia".

L'ultima volta che Malfoy le aveva detto quella stessa identica frase avevano da poco fatto sesso per la prima volta, nella Stanza delle Necessità.

Hermione riprese a camminare, tormentata dai dubbi.

Era stato un caso o il ragazzo aveva scelto apposta quelle parole per ricordarle quel momento specifico di sei anni prima? 




 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Eccoci alla fine del secondo capitolo!

Come potete notare i capitoli sono più lunghi rispetto a "Gioco di Sguardi", cosa ne pensate di questa cosa? Meglio capitoli lunghi o capitoli brevi?

Vorrei subito specificare che i nomi citati nel capitolo (Penelope Cross, il signor Quintt e Richard Bias) sono stati inventati da me, sto provando ad informarmi sul maggior numero di dettagli possibili per quanto riguarda il Ministero della Magia, ma non è facile, quindi mi toccherà inventarmi alcune cose coll'andare avanti della storia. Se notate errori a proposito, fatemelo pure sapere e mi premurerò di correggere!

Abbiamo assistito al primo incontro tra Draco ed Hermione, cosa ne pensate? Era come ve lo aspettavate?

Spero abbiate tempo e voglia di farmi sapere il vostro parere!

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** In vino veritas ***


3. In vino veritas
 


 

Hermione, con un calice di vino rosso in una mano, sedeva sul divano della casa che un tempo apparteneva ai suoi genitori e osservava il camino spento di fronte a sé, con sguardo assente.

Stava cercando di calmare i suoi nervi tesi con dell'alcol, cosa che solitamente non faceva mai.

Si ritrovò a ringraziare che Ronald fosse in missione segreta con Harry, perché era certa che non sarebbe stata in grado di nascondergli il proprio turbamento.

Conosceva talmente bene il suo ragazzo, da essere certa che in una situazione simile avrebbero finito col litigare aspramente.

Ron non sapeva niente di quello che era successo con Malfoy durante il sesto anno, così come non sapeva che ogni tanto Hermione pensava ancora all'ex Serpeverde.

Il giovane Weasley solitamente non era molto bravo a captare i sentimenti della propria ragazza o a capire cosa le passasse per la testa, ma sarebbe apparso chiaro anche a lui, dal comportamento strano di Hermione, che qualcosa non quadrava.

Le avrebbe chiesto spiegazioni, lei avrebbe mentito per proteggere il segreto che ormai si portava dietro da sei anni e lui l'avrebbe capito che la ragazza gli stava nascondendo qualcosa, qualcosa che doveva avere un significato particolare.

A quel punto sarebbe stato impossibile non litigare, rinvangando scene passate, vecchi rancori e parole mai dette. Probabilmente sarebbero anche arrivati a lanciarsi contro qualche incantesimo e poi lui se ne sarebbe andato infuriato.

Si sarebbero evitati per qualche giorno, al massimo una settimana e poi avrebbero fatto pace.

Hermione prese un sorso di vino e decise che sì, era davvero contenta che Ron non fosse nei paraggi in quel momento, perché non aveva la forza psicologica per litigare con nessuno in quel momento.

Continuava a pensare a quello che era successo in ufficio quel giorno e più analizzava gli avvenimenti, più si sentiva una stupida.

Perché era rimasta senza parole alla vista di Malfoy? Perché aveva sentito il bisogno di specificare al suo amante di un tempo di essere già impegnata in una relazione?

Hermione bevve tutto d'un fiato il vino rosso che rimaneva nel calice e si alzò, diretta in cucina, dove aveva intenzione di recuperare la bottiglia di Barbera per versarsene ancora.

Doveva fare i conti con quello che aveva nascosto a se stessa e agli altri per sei lunghi anni: lei era stata innamorata di Draco Lucius Malfoy.

E per quanto la cosa la turbasse, quel sentimento era esistito ed esisteva tutt'ora.

Distratta dai suoi pensieri, finì col pestare la coda di Grattastinchi, che dopo un miagolio di dolore, le graffio la caviglia, per poi allontanarsi con il pelo arruffato e la la schiena arcuata.

«Merlino e Morgana!», esclamò Hermione, il cuore che le batteva forte in petto per lo spavento appena provato.

Posò il bicchiere vuoto sul tavolo della cucina e si portò entrambe le mani al capelli, iniziando a ridere istericamente.

Il suo scoppiò d'ilarità durò giusto qualche secondo, poi recuperò sia il calice che la bottiglia di vino rosso e tornò in salotto.

Dopo essersi versata una generosa quantità di Barbera, posò la bottiglia sul tavolo basso di fronte al divano e iniziò a camminare nervosamente per la stanza.

Il suo attuale stato di confusione era inconcepibile per una persona razionale e controllata come lei.

Prese un altro sorso di vino.

C'era stato un periodo, subito dopo la morte di Silente in cui aveva odiato profondamente Draco Malfoy, il ragazzo che si era preso gioco di lei.

Era stato piuttosto facile seppellire tutti i momenti che avevano passato insieme, i brevi attimi d'intimità che avevano condiviso, per sostituirli con quello che aveva scoperto essere il vero Malfoy.

Draco Malfoy non era il ragazzo che le aveva preparato un tè per sollevarle il morale, ma il Mangiamorte che aveva cercato di fare entrare a Hogwarts una collana di opali maledetta, finendo col mandare una ragazza innocente al San Mungo per mesi.

Draco Malfoy non era il ragazzo che l'aveva abbracciata mentre dormivano nello stesso letto, ma il Mangiamorte che aveva tentato di avvelenare Silente con una bottiglia di idromele, di cui aveva bevuto un bicchiere Ronald, rischiando di morire.

Draco Malfoy non era il ragazzo che le aveva raccontato della sua difficile situazione familiare, ma il Mangiamorte che aveva fatto entrare ad Hogwarts dei Mangiamorte, tra cui Fenrir Greyback, mettendo in pericolo degli studenti innocenti.

Dopo la morte di Silente, aveva finito col mettere in dubbio ogni gesto, ogni parola vagamente gentile che il ragazzo le aveva detto, preferendo tenere in conto le sue azioni, più che le sue parole.

Demonizzarlo, in quel momento difficile della sua vita, era stato fin troppo facile.

Tanto che, dopo aver analizzato ogni singolo ricordo legato a Draco Malfoy, più e più volte, era giunta a vedere solo la follia che sembrava aver dettato i loro gesti e l'insensatezza delle emozioni che aveva provato tra le braccia del biondo.

Quando poi era fuggita con Harry e Ronald, dopo l'attacco di Voldemort al Ministero, nella sua vita non c'era più stato posto per tutto il dolore che Draco le aveva causato; aveva dovuto chiudere definitivamente quel capitolo della sua vita, per potersi concentrare completamente sul rimanere in vita e fare in modo che anche i suoi amici non perissero in quella loro missione suicida.

Ai tempi, era quasi riuscita a dimenticare completamente il biondo Serpeverde, poi Harry commise l'errore di pronunciare il nome di Voldemort, attirando su di loro l'attenzione dei Ghermidori.

Era stato a Villa Malfoy che Hermione aveva vissuto l'incubo che ogni tanto le impediva ancora di dormire la notte.

Le torture di Bellatrix Lestrange erano state terribili, ma con sua grande sorpresa quando aveva incrociato gli occhi di Draco tra una Maledizione Cruciatus e l'altra, aveva percepito chiaramente il dolore diventare quasi sopportabile.

Non aveva idea di quale incantesimo avesse usato il ragazzo, ma aveva visto chiaramente la smorfia di dolore sul suo volto. Che si fosse sobbarcato di metà della sua sofferenza per renderla meno atroce?

Hermione ancora non sapeva spiegarsi quell'avvenimento.

Aveva riflettuto per mesi e anni al riguardo, chiedendosi per quale motivo Draco avesse rischiato di essere scoperto e di finire in guai atroci solo per rendere la tortura di sua zia Bellatrix più sopportabile per una Mezzosangue, amica di Potter.

Era giunta alla conclusione che Draco avesse provato pietà per lei, per la ragazza che si era portato a letto qualche volta, per la compagna di scuola che aveva sempre disprezzato.

Ecco perché lei non aveva esitato e aveva testimoniato a favore della liberazione di Draco Malfoy dopo la guerra.

Hermione bevve un altro sorso di vino e si rese conto che cominciava a sentire la testa farsi leggera.

Forse aprire la bottiglia di Barbera poco prima non era stata un'idea geniale, forse avrebbe dovuto andare a fare una passeggiata, oppure andare da Ginny e chiederle come andavano i preparativi per il matrimonio; invece di sprecare così la serata.

Tornò in cucina per cercare qualche snack da sgranocchiare, dato che l'alcol le stava facendo venire fame e per qualche secondo pensò a qualcosa che non fosse Draco Malfoy.

Recuperò con un incantesimo, dal ripiano più alto della dispensa, un pacchetto di patatine babbane e, appena lo aprì, l'odore salato così familiare le fece venire l'acquolina in bocca.

Iniziò a sgranocchiarle con gioia, accompagnandole con un altro sorso di Barbera.

Se da un lato aveva paura di parlare con Malfoy il giorno successivo, quando si sarebbero visti per "chiarire", dall'altra non vedeva l'ora di capire il perché delle azioni del biondo.

Doveva ammettere a se stessa che, quando aveva scoperto che era Draco Malfoy, la mente dietro agli attentati a Silente, oltre all'odio, aveva provato anche un profondo imbarazzo e senso di colpa.

Si era chiesta come avesse fatto a non notare niente.

Certo, aveva visto il viso pallido e le occhiaie profonde sotto agli occhi del ragazzo, soprattutto nei mesi successivi alle vacanze di Natale, ma non aveva mai pensato, diversamente da Harry, che dietro all'aspetto di Malfoy o i suoi comportamenti, si potesse nascondere una motivazione simile a quella reale.

Non aveva mai preso in considerazione l'idea che Draco potesse essere davvero un Mangiamorte.

Forse perché dopo i momenti che avevano condiviso aveva iniziato a vederlo sotto una luce diversa, forse perché aveva finito col convincersi che Draco potesse essere diverso dal bulletto bigotto che aveva conosciuto per tutta la sua vita.

Se avesse avuto di fronte il suo ex amante in quel momento, probabilmente glielo avrebbe chiesto; gli avrebbe chiesto perché non le avesse mai detto nulla di quello che realmente succedeva nella sua vita. 

Hermione poteva cercare di demonizzare il ragazzo che aveva amato quanto voleva, poteva continuare ad aggrapparsi ai sentimenti di odio e ribrezzo che aveva provato nei suoi confronti, ma dentro di sé si sentiva in colpa per non esser riuscita ad aiutarlo.

Era facile dimenticarsi che Draco era solo un ragazzo di appena diciassette anni, quando aveva compiuto terribili azioni per ordine di Lord Voldemort.

L'ex Grifondoro avrebbe voluto esser stata più attenta, forse se l'avesse spinto ad aprirsi un po' di più le cose sarebbero andate diversamente, magari anche Draco avrebbe potuto fare il doppio gioco come Piton e entrare segretamente a far parte dell'Ordine della Fenice.

Un sorriso amaro comparve sulle labbra della ragazza, mentre cercava di trattenere le lacrime che minacciavano di bagnarle il viso.

Tirò su col naso e bevve in un solo sorso il vino che rimaneva nel calice.

Severus Piton era solo uno dei tanti nomi che in quel momento si ricorrevano nella sua mente, uno dei tanti volti che non avrebbe più visto, se non in foto.

Cercava di non pensare alla guerra, a quel periodo buio che aveva aperto numerose ferite invisibili nel suo cuore, perché sapeva che non poteva farlo senza sentire subito un groppo in gola e il forte desiderio di essere abbracciata.

Abbandonò calice e patatine sul tavolo della cucina e tornò in salotto, barcollando appena.

Si gettò sul divano, ignorando le molle che scricchiolarono sinistramente e affondò il volto contro il cuscino, cercando nell'odore della federa il profumo di sua madre e di suo padre.

Quando non riuscì a sentire nulla, oltre al familiare aroma del detersivo e dell'ammorbidente, scoppiò in lacrime, portandosi in posizione fetale, le braccia intorno al cuscino.

L'ultima volta che aveva avuto un simile attacco di pianto, aveva abbracciato Ron per minuti interi, inzuppandogli la maglietta di lacrime.

Avevano litigato poco dopo, perché a Ronald non piacevano i piagnistei e trovava assurdo che lei piangesse tanto, quando quello ad aver perso un fratello era stato lui, non lei.

Hermione l'aveva scacciato di casa, dicendogli che era finita e che non si sarebbe dovuto far più vedere. La loro rottura era durata un mese, poi Ron era tornato a chiederle scusa e lei lo aveva perdonato, ma da quel momento Hermione aveva cominciato a chiedersi se stessero ancora insieme perché si amavano o per abitudine.

Era innegabile il profondo affetto che la legava al suo ragazzo ed era anche normale che litigassero, ma a volte si chiedeva se Ronald la capisse davvero.

Quando le lacrime cessarono di rigarle le guance, Hermione rimase immobile, gli occhi fissi sul camino di fronte a lei, le braccia ancora a circondare il cuscino che da anni, ormai, non aveva più l'odore dei suoi genitori.

Il pensiero tornò a Draco Malfoy e lei chiuse gli occhi, cercando di ricordare la sensazione delle braccia del ragazzo intorno al suo corpo e il suo profumo, che aveva sentito quel giorno in ufficio, quando Draco le si era avvicinato.

Senza rendersene pienamente conto, forse per colpa del vino che aveva bevuto, forse per la spossatezza che aveva seguito lo scoppio di pianto; Hermione si trovò a immaginare cosa sarebbe successo se quel giorno, quando Malfoy si era appoggiato alla sua scrivania per parlarle, lei si fosse avvicinata per baciarlo, invece di dirgli di aveva un ragazzo.

Draco si sarebbe scostato? O avrebbe approfondito il bacio?

Hermione socchiuse le labbra e affondò il viso contro il cuscino, le guance arrossate a causa dei pensieri che stava facendo.

Ricordava perfettamente le sensazioni che provava il sesto anno quando Draco la baciava; la dolce frenesia che la spingeva a volerne sempre di più.

Ricordava la consistenza dei capelli fini del ragazzo tra le sue dita, il suo corpo contro il suo...

La scena di quello che era successo quella mattina in ufficio venne sostituita da un'altra immagina, dove Hermione non diceva a Draco di avere un ragazzo, ma si sporgeva verso di lui e lo baciava e l'ex Serpeverde rispondeva a quel bacio, senza allontanarla.

Forse avrebbero fatto sesso sulla sua nuova scrivania, o magari Malfoy avrebbe preferito trasfigurare un qualsiasi oggetto in un divano e dopo aver insonorizzato la stanza e chiuso la porta chiave, l'avrebbe spogliata e si sarebbe a sua volta denudato... o forse no, forse avrebbero tenuto i vestiti e si sarebbero limitati ad abbassare i pantaloni di lui e ad alzare la gonna di lei...

Hermione ricordava com'era fare sesso con Draco Malfoy, ricordava il modo in cui si preoccupava che lei venisse prima di lui, come la guardava, come la faceva sentire...

Quando la ragazza si rese conto della stretta che provava al basso ventre, causata certamente dai pensieri che stava facendo, si sentì profondamente imbarazzata.

Ripensò a quella volta di qualche mese prima, quando si era svegliata da un sogno erotico ed era letteralmente saltata addosso a Ronald, che le dormiva accanto. Il suo ragazzo era stato felice di accontentarla in quel frangente, ma Hermione aveva passato i giorni successivi a sentirsi sbagliata e in colpa, perché il protagonista del sogno erotico che aveva fatto non era stato Ron, ma Draco.

In quel momento, sdraiata mezza ubriaca sul divano, col volto ancora bagnato dalle lacrime che aveva versato fino a poco prima, si sentiva allo stesso modo di qualche mese prima; eccitata, insoddisfatta, sbagliata.

Lei stava con Ronald, non avrebbe dovuto pensare a Draco.

Hermione si asciugò le lacrime dal viso, osservando il muso del suo gatto che era appena entrato nel suo campo visivo, posizionandosi di fronte al camino.

«Ce l'hai la pappa nella ciotola», gli disse, con la voce spezzata ancora dal pianto che l'aveva scossa fino a pochi minuti prima.

Il gatto, seduto compostamente, con la coda che si muoveva appena, non si spostò, continuando a fissarla con quello sguardo che faceva sempre sentire Hermione sotto esame.

«Smettila», borbottò la ragazza, prima di coprirsi il volto col cuscino, così da non vedere il giudizio negli occhi gialli di Grattastinchi.

Le tornarono in mente i processi ai Mangiamorte, svoltisi pochi giorni dopo quel fatidico due Maggio.

Ricordava soprattutto i volti dei prigionieri, ricordava la rabbia, il dolore, ricordava il pallore del viso di Draco.

Lei e Harry avevano testimoniato a favore della scarcerazione di Draco, malgrado Ronald non fosse d'accordo, permettendo all'ex compagno di scuola di non finire dietro le sbarre di Azkaban.

Harry aveva anche testimoniato a favore della madre di Draco, il cui aiuto era stato fondamentale per la vittoria.

La signora Malfoy e suo figlio furono gli unici sostenitori del Signore Oscuro che vennero graziati durante i processi ai Mangiamorte.

Hermione finì coll'addormentarsi nell'arco di pochi minuti.

Cadde in un sonno profondo, dal quale si svegliò soltanto la mattina dopo, intorno alle cinque, quando Grattastinchi, piazzatosi a due passi dal divano e dal viso della sua padrona, iniziò a miagolare rumorosamente, attirando su di sé l'attenzione della ragazza.

Hermione si svegliò con un forte mal di testa, dovuto probabilmente alla quantità di vino che aveva bevuto la sera prima a stomaco praticamente vuoto.

Si premurò di dare a Grattastinchi la sua porzione mattutina di crocchette, poi andò a lavarsi i denti, schifata dal suo alito pesante e si fece una lunga doccia bollente.

Provava una forte vergogna, ripensando a come la sera prima si fosse ubriacata e fosse poi crollata sul divano, dormendovi tutta la notte.

Ma ciò che la turbava maggiormente erano i pensieri che aveva fatto, i ricordi che aveva lasciato riaffiorare. 

Come avrebbe fatto ad affrontare un'intera giornata di lavoro con Draco Malfoy nel suo stesso ufficio, dopo quello che aveva pensato meno di otto ore prima?

Hermione avrebbe voluto fuggire in capo al mondo. 

Per qualche secondo pensò seriamente alla possibilità di darsi malata o di prendere delle ferie per le successive settimane e andare in Australia a cercare i suoi genitori.

Sapeva che ottenere tanti giorni di permesso con così poco preavviso era altamente improbabile, ma forse avrebbe potuto giocare la carta "Salvatrice del Mondo Magico" o quella "Amica di Harry Potter" e ottenere velocemente quello che voleva...

Hermione si vergognò ancora di più di se stessa e cancellò quei pensieri.

Non sarebbe fuggita, poteva fantasticare quanto voleva, ma era una ex Grifondoro e non avrebbe fatto la codarda e non si sarebbe comportata in modo disonesto.

Bevve, come ogni mattina, il suo tè con zucchero e limone, mangiucchiò una fetta di pane tostato e fece ordine in cucina e salotto, dove la sera prima aveva lasciato tutto in disordine.

Indossò un completo per il lavoro, blazer e pantalone verde scuro e una camicetta bianca e osservò il proprio riflesso allo specchio.

Solo dopo aver finito di stendere sulle labbra un rossetto babbano a lunga tenuta, che aveva comprato qualche mese prima, si rese conto di quello che stava facendo e inorridì.

Ripose subito il rossetto nel cofanetto di trucchi che usava molto raramente e passò il minuto successivo a pulirsi con uno struccante le labbra.

Non poteva credere che fino a pochi secondi prima si stesse facendo bella per andare al lavoro; lei che non ne aveva mai sentito l'esigenza, lei che aveva sempre considerato più importante l'intelligenza alla bellezza.

Sapeva cosa l'aveva spinta a quel gesto così inusuale e frivolo, e si sentiva tremendamente imbarazzante nel constatare di voler piacere a quello che non era il suo ragazzo, a quello che non era mai stato il suo ragazzo.

Si pulì il volto con dell'acqua e non degnò il proprio riflesso di un ulteriore sguardo, dirigendosi verso il camino, pronta alla giornata di lavoro che l'attendeva.

 

 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Eccoci alla fine del terzo capitolo di questa storia.

Se siete arrivati fino a qui gradirei che mi diceste se avete trovato troppo pesante il capitolo, per il fatto che non ci sono dialoghi, a parte Hermione che parla con Grattastinchi.

Spero di esser riuscita a rendere i pensieri confusi di Hermione senza aver confuso troppo voi lettori con i vari salti temporali nelle reminiscenze della nostra ex Grifondoro.

Nel caso aveste dei dubbi chiedete pure.

So che in questo capitolo non succede nulla di entusiasmante, tranne forse i pensieri maliziosi di Hermione che mezza ubriaca pensa a Draco e a quanto le piacevano i loro momenti d'intimità, questo capitolo era comunque necessario per fare un quadro della situazione dal punto di vista di Hermione e spiegare come si è sentita in passato nei confronti di Draco e anche quello che prova per Ron.

Prometto che il prossimo mercoledì avremo un capitolo un po' più movimentato.

Come al solito vi ricordo che potete seguirmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Vi auguro una buona settimana, io ora torno a studiare per l'esame che ho questo sabato e per cui non mi sento affatto pronta.

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sbavatura ***


4. Sbavatura


 


Quando Draco Malfoy mise piede al Ministero, si diresse come d'abitudine al terzo livello.

Dovette poi scendere di un'ulteriore piano quando venne fermato da un paio di maghi, che gli ricordarono che il suo solito ufficio era inagibile e che doveva raggiungere quello di una certa ex Grifondoro al quarto livello.

Hermione Granger stava parlando con un uomo di mezza età, probabilmente il suo responsabile, il quale continuava a ciondolare sui piedi, come se non riuscisse a stare fermo.

Mentre le passava accanto, Draco non poté fare a meno di notare che quel giorno la ragazza non si era legata i capelli, che le ricadevano sulle spalle e le incorniciavano il volto, dai lineamenti induriti da un'espressione seria

Il completo color verde che indossava gli ricordava il colore della trapunta del suo letto ad Hogwarts e... era rossetto quello che aveva all'angolo della bocca?

Draco sentì chiaramente un nodo allo stomaco, mentre pensava che Ronald Weasley fosse un uomo fortunato.

Draco entrò nello studio dell'ex Grifondoro, dove il suo capo, il signor Dibert, seduto alla sua scrivania, sembrava sul punto di implodere.

«Buongiorno», lo salutò Malfoy, nascondendo le mani che gli tremavano per il nervosismo dietro alla schiena.

L'ufficio era stato allargato con la magia per permettere alle tre scrivanie che lo occupavano di non stare troppo ammassate l'una sull'altra. 

Senza pensarci Draco occupò quella di fronte al suo capo, che era perpendicolare a quella della Granger.

«Buongiorno», disse l'ometto, senza distogliere lo sguardo dal foglio che stava leggendo: «È appena arrivata una comunicazione, io e un paio dei ragazzi dobbiamo andare a Oxford per sistemare un caso 3».

"Uso di magia involontaria da parte di un minorenne, a cui hanno assistito dei babbani", pensò Malfoy, annuendo.

«Secondo i miei calcoli non dovrei impiegarci più di due orette, mentre sarò via dovrà occuparsi lei di qualsiasi emergenza dovesse sopraggiungere», aggiunse il signor Dibert, scrivendo frettolosamente qualcosa su un foglio.

«Certo, signore», disse Draco, iniziando a leggere con finta attenzione alcune delle lettere e pratiche che aveva sulla sua scrivania.

Le dita continuavano a tremargli appena.

Quando il capo del Quartier Generale degli Obliviatori abbandonò l'ufficio, Draco smise di fingere e prese un profondo respiro per calmarsi.

Possibile che la vista di qualcosa di tanto banale come il rimasuglio di un po' di rossetto all'angolo della bocca di Hermione Granger potesse fargli avere una reazione simile?

Chissà come doveva esserselo tolto...

L'immagine della bocca della ragazza premuta con foga contro quella di Ronald Weasley gli provocò un conato di vomito e un brivido di ribrezzo.

In quel momento Hermione entrò nell'ufficio e i loro sguardi s'incrociarono.

Draco usò l'Occlumazia per nascondere il suo turbamento e sfoggiò il suo tipico sorriso arrogante: «Buongiorno, Granger».

Hermione distolse lo sguardo, tenendo mento e naso ben alti, mentre raggiungeva la sua scrivania e ci si sedeva: «Buongiorno», disse, nascondendo il volto dietro una pergamena.

Draco rimase in silenzio per qualche secondo, chiedendosi come intavolare una conversazione e scoprire ciò che realmente lo interessava: come era scomparso il resto del rossetto dalle labbra della ragazza. 

Era consapevole che la sua curiosità conteneva una punta di masochismo, ma non aveva intenzione di lasciarsi intimorire da nulla, tantomeno dai modi freddi e calcolati di Hermione.

«Non ti facevo il tipo da sveltina prima del lavoro», mentì Draco, attirando istantaneamente l'attenzione della ragazza su di sé.

Hermione sembrava sconvolta e imbarazzata: «Come, scusa?»

«Vuoi dirmi che non hai fatto sesso con Weasley prima di venire in ufficio?», chiese Malfoy, osservando con interesse il modo in cui le guance della ragazza avevano assunto un color rosa acceso.

«No», disse Hermione, con un'espressione che il ragazzo non riuscì a decifrare: «E comunque non penso che siano affari tuoi!»

Draco Malfoy rimase per qualche secondo a corto di parole, mentre posava lo sguardo sul segno rosso all'angolo della bocca della ragazza.

«E allora perché hai una sbavatura di rossetto, Granger?», un pensiero improvviso, una punta di insensata speranza, lo spinse a porre un'altra domanda: «Volevi forse farti bella per me?»

Hermione si portò subito una mano a coprirsi la bocca, mentre gli occhi le si spalancarono.

Draco rimase folgorato da quello sguardo e dalla consapevolezza che sì, Hermione Granger si era fatta bella per lui quella mattina.

L'ex Grifondoro uscì dall'ufficio con passo di marcia prima che lui potesse bloccarla in qualche modo.

Draco sentiva il cuore nel suo petto battere con forza, mentre si alzava in piedi, indeciso se seguirla o aspettare che la ragazza tornasse.

Non sapeva cosa pensare in quel momento.

Era possibile che avesse interpretato in modo errato la reazione della Granger? Possibile che si fosse sbagliato?

Non voleva alimentare troppo le proprie speranze, per paura di realizzare poi troppo tardi di essersi illuso inutilmente.

Il fatto che lui provasse ancora qualcosa per lei, il fatto che per tutti quegli anni si fosse aggrappato ai ricordi della loro relazione segreta, non voleva dire che anche lei l'avesse fatto.

Quando Hermione tornò, pochi secondi dopo, aveva le labbra pulite da ogni sbavatura e le guance rosse per quello che Draco pensò essere imbarazzo.

«Granger», iniziò lui, pronto a chiederle spiegazioni, ma l'ex Grifondoro lo interruppe, alzando una mano per zittirlo: «Malfoy, dovrei lavorare, non parlare con te», disse con tono aspro, raggiungendo in pochi passi la sua scrivania.

«Parleremo dopo l'orario di lavoro», aggiunse, lanciando una veloce occhiata al ragazzo, prima di dedicare la propria attenzione alle pergamene che aveva sulla scrivania.

Draco si scoprì in un primo momento infastidito dalle maniere sbrigative della ragazza, ma non si oppose, rendendosi conto che Hermione aveva ragione.

Si sedette alla sua scrivania e riprese a leggere i documenti che aveva di fronte, cercando di non lasciarsi distrarre dalla presenza della sua ex amante a pochi passi di distanza.

Il lavoro di Draco era piuttosto semplice, doveva principalmente compilare rapporti, leggere lettere e portare all'attenzione del signor Dibert ciò che riteneva importante. Erano rare le volte che veniva mandato sul campo ad Obliviare qualche babbano, malgrado avesse dimostrato più volte la propria bravura nel rimuovere ricordi indesiderati, senza creare danni permanenti al cervello.

Solitamente era molto attento e preciso nel suo lavoro, ma era dal giorno prima che faticava a svolgere il proprio lavoro come avrebbe dovuto ed era consapevole che era tutta colpa sua.

Avrebbe potuto incolpare Hermione, ma sarebbe stato sbagliato.

La colpa della sua distrazione era solo sua, dettata dai sentimenti contrastanti che la ragazza, a pochi passi da lui, gli causava.

La Granger si alzò e uscì dall'ufficio un paio di volte, ogni volta rientrava con un sorriso soddisfatto e numerose pergamene strette al petto. Draco immaginò che stesse svolgendo al meglio il suo lavoro, diversamente da lui.

Quando giunse la pausa pranzo non poté essere più felice, stava prendendo in considerazione di chiedere alla Granger di andare insieme da qualche parte, ma desistette quando la vide afferrare la sua borsa e scomparire oltre la porta dell'ufficio; molto probabilmente diretta verso la piccola sala mensa del piano.

Fu in quel momento che Astoria Greengrass mise piede nell'ufficio, guardandosi intorno con aria nervosa e circospetta.

«Draco! Non mi avevi detto che eri stato trasferito al quarto livello! Ho dovuto litigare con un signore al terzo livello per trovarti!», disse la ragazza, guardando il proprio fidanzato con disappunto.

«Devo essermi dimenticato», fece spallucce Draco: «A cosa devo il piacere della tua visita?»

«Sono la tua futura sposa, tesoro», disse lei, avvicinandosi alla sua scrivania: «Sono qua per pranzare con te».

A Draco l'idea non entusiasmava particolarmente, ma pensò che quella poteva essere la giusta occasione per iniziare ad accennare alla propria fidanzata che non si sentiva pronto per il matrimonio e che stava seriamente mettendo in discussione la loro relazione, ormai da qualche mese.

«Mi sembra un'ottima idea», disse quindi Draco, alzandosi e afferrato il proprio cappotto, fece il giro della scrivania per raggiungere la propria ragazza e porgerle il braccio.

Astoria si appoggiò a lui con un sorriso e insieme uscirono dal Ministero, prendendo la metropolvere per raggiungere un piccolo raffinato ristorante in Diagon Alley.

Presero posto nell'unico tavolo libero in sala e ordinarono, come d'abitudine, alcuni piatti dal nome fantasioso che, Draco ne era certo, non l'avrebbero soddisfatto.

«Allora, come va il lavoro oggi?», chiese Astoria, congiungendo le mani sotto al mento, gli occhi puntati in quelli di Draco.

Sembrava nervosa.

«Niente di che, tutto nella norma», disse lui, osservando le spalle rigide della ragazza di fronte a sé, convincendosi che sì, Astoria era nervosa: «A te come sta andando la giornata?»

La giovane Greengrass fece una smorfia e distolse lo sguardo: «Bene», disse con tono asciutto.

Rimasero in silenzio per qualche secondo; Astoria persa a studiare la trama della tovaglia, mentre Draco era intento ad osservare la propria fidanzata.

Negli ultimi mesi il loro rapporto sembrava essere ancora più difficili di un tempo.

Draco non aveva mai nutrito particolari sentimenti nei confronti della ragazza, mentre lei aveva sempre fatto il possibile per tenere unita quella loro relazione.

Quando avevano iniziato a frequentarsi a Draco era apparso subito chiaro come il sole che Astoria avesse una cotta per lui; ai tempi era abbastanza palese e semplice da notare nel modo in cui la ragazza sembrava imbarazzarsi ogni volta che lui la guardava e dai sorrisi dolci che dedicava solo a lui.

Allo stesso modo in cui era stato facile per lui individuare quei sentimenti all'inizio, gli era stato altrettanto facile rendersi conto della loro scomparsa.

Era certo che qualsiasi cosa avesse provato la sua fidanzata per lui, non esisteva più da tempo ed era per quello che Draco non riusciva a spiegarsi, perché Astoria Greengrass continuasse a voler tenere in vita la loro disastrosa relazione.

«Stai bene?», chiese Malfoy, osservando le guance della ragazza arrossire leggermente.

«Certo!», disse lei, sorridendo.

Peccato che Draco la conoscesse abbastanza bene da rendersi conto quando mentiva: «Non è vero. Cosa ti turba?»

Astoria avrebbe voluto essere sincera, lo scopo dell'intero pranzo era proprio quello di essere sincera e dire al suo fidanzato quello che pensava, quello che voleva, ma ancora una volta ebbe paura e fece quello che le riusciva meglio, quello che faceva ormai da anni: mentì.

«Stavo pensando che ancora non abbiamo fissato una data per il matrimonio e sai quanto sono impazienti i miei genitori! L'altro giorno mamma mi ha tormentato per ore con questa questione, chiedendomi quando sarei venuta a parlartene e mio papà anche è preoccupato... Sai vorrebbero tanto diventare nonni. Immagino che anche i tuoi siano impazienti! A proposito, come sta tuo padre?»

Astoria sentì il macigno sulle sue spalle farsi ancora più pesante e soffocante, ma strinse i denti e finse di essere quella che tutti pensavano fosse: una stupida ragazzina abbagliata dall'idea di elevarsi a Signora Malfoy.

Draco s'irrigidì leggermente, abbassando lo sguardo: «Bene», disse aspramente, cercando di non pensare al fatto che era impossibile che suo padre stesse bene; non quando erano quasi cinque anni che si trovava dietro le sbarre di una cella ad Azkaban.

«Immagina quanto lo renderesti felice», disse Astoria, fin troppo consapevole di star facendo leva sulle debolezze del ragazzo che gli stava di fronte, pur di allontanare i riflettori su di sé e i propri problemi: «Non è quello che i padri vogliono per i propri figli? Che si sposino e siano felici per il resto della loro vita?»

Draco scoppiò a ridere, attirando su di sé gli sguardi di molti degli astanti: «Ash, chi ti ha raccontato che i matrimoni rendono felici le persone?»

Astoria odiava quel soprannome, pronunciato da quelle labbra, ma ciò che odiava maggiormente era quel tono condiscendente, quel modo sottile di prenderla in giro.

La ragazza assottigliò lo sguardo e si rese conto che non poteva sopportare oltre la presenza del suo fidanzato.

Si alzò, provocando con la sedia un rumore fastidio che spinse le persone intorno a loro ad osservarla con un misto di sorpresa e curiosità: «Mi è passata la fame», disse semplicemente, lanciando un'ultima occhiata a Draco che la studiava con un sorriso arrogante sulle labbra: «Buona giornata».

Quando Astoria uscì dal locale prese la via principale, diretta verso un piccolo negozietto di profumi e prodotti di bellezza che frequentava, secondo sua sorella Daphne, un po' troppo negli ultimi tempi.

Appena vi mise piede, si sentì avvolgere dal profumo di fiori di campo e le sue spalle tese sembrarono rilassarsi all'istante.

«Posso a... Astoria, ciao», disse Delilah, la proprietaria del negozio, sorpresa.

La giovane donna si trovava su una scala e stava sistemando con veloci incantesimi l'ordine dei barattoli in vetro, che contenevano fiori essiccati, sullo scaffale.

«Ciao», disse Astoria, osservando Delilah, che quel giorno indossava una lunga veste gialla che metteva in risalto la sua carnagione scura e il nero corvino dei suoi capelli ricci.

«A cosa devo questo piacere?», disse Delilah, scendendo dalla scala, goffamente, rischiando di cadere un paio di volte, a causa dell'orlo del vestito che continuava a incastrarlesi sotto i piedi.

«Ero nei paraggi», disse Astoria, avvicinandosi alla giovane donna. 

«È da un po' che non ti fai vedere», disse la proprietaria del locale, con una punta di accusa nel tono di voce, mentre con un incantesimo spostava la scala in un angolo buio del negozio.

Quel piccolo locale era quasi claustrofobico da quando era lungo e stretto. Ogni parete era ricoperta di scaffali, sui quali c'erano ogni sorta di prodotto; dai profumi alle saponette, dagli shampoo alle creme, dalle candele profumate ai prodotti per la pelle. Dal soffitto pendevano ghirlande di fiori essiccati e il pavimento era stato incantato in modo tale da sembrare in ogni stagione un prato verde maniacalmente curato.

Il negozio era passato a Delilah quando sua madre, in quanto nata babbana, era stata uccisa durante i tempi bui che avevano preceduto la Seconda Guerra Magica. Ai tempi Delilah aveva a mala pena diciannove anni ed era sopravvissuta ai sequestri nascondendosi in quell'appartamento per mesi.

Quando il Mondo Magico era tornato ad una parvenza di normalità, Delilah aveva riaperto il negozio a cui sua madre teneva molto, così da celebrarne la memoria.

«Mi dispiace per l'ultima volta», disse Astoria, con gli occhi basso, incapace di sostenere lo sguardo serio della giovane donna che aveva di fronte.

«Ti sei comportata da stronza», disse Delilah, senza peli sulla lingua, facendo un veloce incantesimo per pulire una ragnatela che aveva appena individuato tra le ghirlande di fiori essiccati che pendevano dal soffitto.

«Vero», disse Astoria, sorridendo timidamente: «Mi sono lasciata prendere dal panico», ammise.

L'orlo della veste lunga e gialla di Delilah entrò nel campo visivo di Astoria, che spostò lo sguardo dal prato stregato ai suoi piedi, per posare i suoi occhi in quelli scuri della proprietaria del negozio.

«Vieni, parliamone di là», disse Delilah, che con un veloce gesto della mano chiuse la porta a chiave, lasciando per i clienti un messaggio che diceva "Torno subito".

Astoria seguì Delilah sul retro, dove c'erano il suo appartamento stretto ed essenziale e, al piano superiore, il suo studio, talmente profumato da causare la nausea, in cui venivano creati i prodotti che vendeva.

«Hai già mangiato?»

«No», ammise Astoria, ricordando il modo imbarazzante e infantile in cui si era allontanata dal ristorante in cui stava per pranzare con il suo fidanzato, poco prima.

La cucina di Delilah era molto piccola e accogliente, le pareti erano dipinte di un azzurro pastello e i mobili in legno chiaro presentavano tracce di vecchia pittura rossa.

Astoria si tolse il cappotto e lo appoggiò su una delle tre sedie che circondavano il tavolo della cucina. Rimase in piedi, ad osservare i movimenti di Delilah che apriva cassetti e ante, racimolando ingredienti per cucinare.

«Da cosa, nello specifico, ti sei "lasciata prendere dal panico"?», chiese la proprietaria del negozio, guardando brevemente alle sue spalle per incrociare gli occhi di Astoria.

«Lo sai perfettamente», disse l'ex Serpeverde, avvicinandosi con passi incerti alla figura di Delilah, che stava preparando quella che sembrava una pastella.

Ad Astoria bastarono tre passi per raggiungere la ragazza, che smise di cucinare, voltandosi verso di lei.

Le due ragazze rimasero a studiarsi per qualche secondo, poi Astoria allungò una mano e  accarezzò la pelle dell'avambraccio della giovane donna, scendendo fino a quando le sue dita non s'intrecciarono con quelle affusolate di Delilah.

«È per quello che ti ho detto, quindi?»

«Sì», ammise Astoria, appoggiando la fronte contro la tempia della ragazza, inebriandosi del profumo di vaniglia e lamponi della sua pelle.

«Se ti terrorizza quello che ti ho detto perché sei qui, allora?», chiese Delilah, nel tono di voce sembrava esserci una punta di malcelato dolore.

Astoria si scostò abbastanza per poter guardare la ragazza negli occhi e sorrise appena: «Sono qui perché anche io ti amo».

Delilah rimase senza parole per qualche secondo, sorpresa, poi sorrise, sporgendosi per premere le proprie labbra carnose contro quelle di Astoria.

«Ti vanno dei pancake?»

L'ex Serpeverde sorrise, lasciando un ultimo bacio sulla guancia della ragazza: «Altroché».

Astoria cercò di godersi il momento, ignorando tutto il resto, ma non poteva fare a meno di sentirsi terribilmente in colpa e provare una profonda vergogna.

Ancora una volta non era riuscita a dire la verità al proprio fidanzato, ossia che voleva annullare il matrimonio perché innamorata di un'altra donna.

Era certa che a Draco non interessasse molto di lei; con gli anni avevano instaurato una specie di amicizia, ma nulla di più. Per questo Astoria pensava che molto probabilmente anche lui sarebbe stato felice di sciogliere il loro fidanzamento, se solo gliene avesse dato occasione.

Erano mesi che cercava di essere il più odiosa possibile, nella speranza di essere lasciata, ma Draco sembrava non notarlo nemmeno, perso com'era nel suo mondo.

Avrebbe dovuto prendere una posizione, avrebbe dovuto andare da lui e dirgli una volta per tutte che era finita; peccato che avesse paura e non solo dei suoi genitori e di quello che ne sarebbe conseguito, ma del giudizio della gente.

Essere una strega innamorata di un'altra strega non era propriamente la norma e questo Astoria lo sapevo fin troppo bene.

Lei conosceva il modo superficiale in cui le persone "comuni" giudicavano altre persone solo perché non conformi a quello che veniva giudicato "normale". Lei conosceva fin troppo bene quel pensiero perché era quello con cui era stata cresciuta e la vergogna che provava derivava proprio da quello: dall'essere ciò che le era stato insegnato fin da piccola a giudicare sbagliato.

Eppure non c'era niente che potesse fare per cambiare le cose.

Lei era diversa. Lei era sbagliata.

Astoria sospirò, scacciando quei pensieri che le lasciavano un retrogusto amaro in bocca, e si lasciò contagiare dall'allegria di Delilah e dal suo sorriso radioso, sentendosi, malgrado tutto, la donna più fortunata del Mondo Magico.

 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Scusate se non ho pubblicato questo capitolo prima, in realtà non credevo neanche che sarei riuscita ad aggiornare la storia entro oggi, quindi ritenetevi fortunati!

Come potete notare sto continuando a fare i capitoli lunghi e, diversamente da "Gioco di Sguardi" ho iniziato ad occuparmi non sono di Draco ed Hermione, ma a dare spazio anche a personaggi secondari, così da darvi una panoramica più completa di quella che è la vicenda.

Scommetto che non vi aspettavate che Astoria avesse un'amante. Ho ragione?

Dato che Giugno è il mese del Pride ho voluto inserire un personaggio bisessuale all'interno della storia. Astoria è un personaggio più complicato di quello che credevate fino ad ora e, senza ovviamente togliere troppo spazio a Draco ed Hermione che sono i veri protagonisti, mi piacerebbe inserire alcune riflessioni su come sia essere una strega bisessuale per Astoria (ispirandomi un po' a quella che può essere l'esperienza per una babbana nella società in cui viviamo noi e ad alcune riflessioni che fa Hannah Gadsby in "Nanette", che potete trovare su Netflix).

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!

Un bacio,

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Tè con limone ***


 

5. Tè con limone

 

 

 

Quando Hermione Granger terminò la propria giornata di lavoro e si rese conto che il momento che tanto aveva temuto era arrivato, venne colta da un inaspettato senso di pace.

 

Draco la stava guardando, mentre indossava il cappotto, e Hermione sentì un familiare languore al basso ventre, qualcosa che non aveva provato per molto tempo, ma che ricordava fin troppo bene: il desiderio.

 

Hermione coprì il suo completo verde scuro con uno spolverino nero e raggiunse Malfoy sulla porta: «Hai preferenze?»

 

Draco nascose dietro un colpo di tosse, il sorriso che gli era comparso in volto al sentire la domanda della ragazza; non ci poteva fare niente se in quelle due parole ci aveva visto un doppio senso.

 

«No», disse Draco, tenendo per sé i pensieri poco casti che avevano invaso la sua mente.

 

«Potremmo andare in quel bar a Diagon Alley, quello vicino alla Gringott», propose Hermione, camminando di fronte a Malfoy, dirigendosi verso gli ascensori.

 

«Pensavo avresti proposto di andare nella Londra babbana», disse Draco, sinceramente stupito, aggrottando leggermente la fronte.

 

«Non ho intenzione di farti avere un infarto», ribatté lei, sorridendo divertita dalle sue stesse parole, non notando l'espressione ferita sul volto di Malfoy.

 

L'ex Serpeverde decise di non contraddire la ragazza, tenendosi per sé il fatto che negli ultimi tempi avesse iniziato a visitare la Londra babbana e quindi fosse poco probabile che avesse una reazione simile nel caso si fossero avventurati in qualche locale non magico.

 

Arrivati ai camini, Hermione lo guardò dritto negli occhi: «Hai capito a quale bar mi riferisco? O preferisci andare da qualche altra parte?»

 

Se Draco avesse potuto Smaterializzarsi in quel momento avrebbe preso la ragazza e l'avrebbe portata in un locale della Londra babbana in cui era stato due settimane prima, dove aveva potuto ascoltare musica babbana suonata dal vivo e bere alcolici di cui non aveva mai sentito parlare; ma non era possibile usare la Materializzazione all'interno del Ministero, quindi desistette e annuì semplicemente.

 

Draco era certo che ci sarebbe di sicuro stata un'altra occasione in futuro, che gli avrebbe permesso di mostrare alla ragazza che gli stava di fronte di non essere più il ragazzino bigotto di un tempo, ma un giovane adulto che aveva combattuto e combatteva ogni giorno contro i propri pregiudizi, per essere una persona migliore.

 

«Va bene, andiamo».

 

Presero camini diversi, ma comparvero entrambi, a pochi secondi di distanza all'ingresso del bar che aveva suggerito la Granger, dove un cameriere giovane li accolse con un caloroso sorriso: «Un tavolo per due?»

 

Il bar scelto dall'ex Grifondoro solitamente, a quell'ora, era pieno di persone, in parte perché si trovava in un punto nevralgico di Diagon Alley, in parte perché era conosciuto per il suo servizio impeccabile e la qualità dei piatti e delle bevande.

 

Essendo martedì però, il cameriere non faticò a trovare loro un posto a sedere: «A breve arriverà la mia collega a prendere le vostre ordinazioni», disse continuando a sorridere calorosamente.

 

Appena il ragazzo si fu allontanato, una sfera rossastra comparve poco sopra le teste di Draco ed Hermione, ad indicare che erano appena arrivati e aspettavano che qualcuno li servisse.

 

«Idromele? Burrobirra?», chiese Draco, leggendo distrattamente il menù.

 

«No, niente alcolici», disse Hermione, memore della sera precedente e della quantità esagerata di vino rosso babbano che aveva bevuto: «Prenderò un tè».

 

Draco osservò l'orologio appeso alla parete, constatando che erano da poco passate le cinque.

 

«Che tè sia», disse, posando il menù.

 

Hermione si pentì di aver scelto quel bar quando la cameriera arrivò e in modo molto poco professionale iniziò a urlare, chiedendole un autografo.

 

Draco assistette alla scena con un sorriso a metà tra lo stupito e il divertito, osservando le guance rosse di Hermione mentre cercava di calmare la donna che invece di servirli stava facendo una scenata, attirando l'attenzione di tutti gli astanti.

 

«Oddio, quando lo racconterò a mio marito non ci crederà!», disse la cameriera, premendosi l'autografo che Hermione aveva appena scritto su un pezzetto di pergamena, al petto: «Lei è una delle persone che ammiro di più al mondo!»

 

«Grazie», disse Hermione, a disagio, lanciando veloci occhiate a Malfoy e alle persone intorno.

 

«Potremmo ordinare?», chiese Draco, cercando di far tornare la cameriera in sé.

 

«Oh, certo!», disse la donna, colpendosi la fronte con la mano aperta: «Scusatemi, è stato molto poco professionale».

 

«Prendiamo due tè neri, uno con una fetta di limone e, se possibile, del latte freddo a parte, per favore», disse Draco, senza consultarsi con Hermione, che lo guardava sconvolta.

 

«Certo, torno subito!», disse la cameriera, allontanandosi.

 

La sfera di luce sopra alle loro teste cambiò colore, diventando di un giallo chiaro.

 

Malfoy sollevò un sopracciglio: «Stai bene, Granger?»

 

La ragazza continuava a guardarlo come se avesse avuto di fronte un alieno e non l'ex compagno di scuola che, per un certo periodo, aveva quasi pensato di amare.

 

«Hai ordinato anche per me», disse lei alla fine, ancora stupita.

 

Nemmeno Ronald sembrava ricordarsi che a lei il tè piacesse col limone e lei e Ron, malgrado gli alti e bassi, stavano insieme da anni.

 

«Sì, hai detto che volevi un tè, non pensavo ti avrebbe dato fastidio», disse Draco, muovendosi leggermente a disagio sulla sedia.

 

«Non mi ha dato fastidio», disse lei: «Mi sorprende solo che tu ti sia ricordato del limone».

 

Tra loro calò per qualche secondo un silenzio teso.

 

Draco si ritrovò per qualche minuto a corto di parole e tutto quello che riuscì a fare fu osservare l'espressione indecifrabile della ragazza che gli sedeva di fronte.

 

«Ho una buona memoria», disse alla fine Draco, costringendosi a rimanere fermo e a nascondere il proprio turbamento dietro un muro d'indifferenza, piuttosto che iniziare a tamburellare con le dita sulla superficie del tavolo o iniziare a muovere il piede destro contro il pavimento.

 

Hermione non riuscì a trattenere un sorriso: «Di cosa vuoi parlare?», chiese, mettendosi comoda sulla sedia.

 

«Per prima cosa vorrei ringraziarti», disse il ragazzo, sconvolgendo per la seconda volta nell'arco di pochi minuti l'ex Grifondoro, che gli stava di fronte.

 

«Ringraziarmi?», ripeté lei, in un sussurro a malapena udibile.

 

«Sì, se non fosse stato per te e per la tua testimonianza in mia difesa, dubito che mi sarei risparmiato una gita di qualche mese o anno ad Azkaban», ammise lui, gli occhi chiari in quelli scuri e leggermente sbarrati di lei: «Grazie, Hermione».

 

In quel momento la cameriera arrivò con la loro ordinazione, che dispose di fronte a loro, Draco spinse verso di sé il tè senza fetta di limone, allungando a Hermione l'altra tazza.

 

Appena la cameriera se ne fu nuovamente andata la sfera sopra le loro teste divenne verde.

 

Draco mise un cucchiaino di zucchero nel proprio tè, poi aggiunse un po' di latte.

 

«Non hai bisogno di ringraziarmi, anzi se non fosse stato per te, che hai mentito quando hai visto il volto sfigurato di Harry...», iniziò a parlare Hermione, ma venne interrotta da Draco: «Non ringraziarmi per quello. Avrei dovuto fare di più, molto di più, ma...»

 

Calò il silenzio al tavolo, interrotto soltanto dallo sfregare dei cucchiaini contro il bordo delle loro tazze, fu Hermione a parlare per prima: «Posso ringraziarti almeno per aver reso più sopportabili i Cruciatus di Bellatrix mentre m'interrogava? Se non fosse stato per te probabilmente non avrei avuto la stessa prontezza nel mentirle a proposito della spada di Godric Grifondoro».

 

Draco non disse niente in un primo momento, poi smise di muovere il cucchiaino nella tazza: «Non potevo sopportare di vederti soffrire in quel modo», ammise, sollevando gli occhi chiari sul volto della ragazza di fronte a sé.

 

Sorseggiarono il tè in silenzio per qualche secondo, entrambi incerti su come comportarsi in quella situazione che appariva ai loro occhi delicata; sarebbe bastata una parola sbagliata per distruggere i pochi progressi che stavano facendo.

 

«Eravamo solo dei ragazzi, non meritavi di finire ad Azkaban per qualcosa che sei stato costretto a compiere contro la tua volontà», mentre parlava lo sguardo di Hermione si era spostato dal volto del ragazzo al suo avambraccio sinistro, dove sapeva trovarsi il Marchio Nero.

 

Draco notò dov'era diretta l'attenzione della Granger e una punta di cattiveria, dettata dalla vergogna che provava, lo spinse a dire: «Lo vuoi vedere, Granger?»

 

Hermione portò lo sguardo in quello duro del ragazzo e sentì le guance colorarlesi per l'imbarazzo: «No».

 

Si guardarono per qualche secondo, incerti su cosa dire.

 

«Come va la vita?», chiese Hermione, sperando di non risultare indelicata.

 

«Direi bene», disse Draco, bevendo un sorso di te, felice che la Granger avesse cambiato argomento: «Il mio indirizzo non è una cella di Azkaban e, anche se avere Zabini che mi tormenta notte e giorno potrebbe sembrare una tortura peggiore, non mi lamento».

 

Hermione sorrise appena: «So che Zabini ha aperto una atelier qua in centro».

 

«Vero, dovresti passarci, penso che si divertirebbe a crearti abiti su misura», disse Draco, immaginandosi la scena con un sorriso divertito in volto.

 

L'ex Grifondoro rimase a contemplare quel sorriso per qualche secondo, incantata: «Ci penserò», disse, anche se era abbastanza certa che gli abiti confezionati da Zabini non fossero nel suo stile.

 

«E tu, Granger? Come va la vita?», chiese Draco, ancora divertito dall'immagine mentale che si era creato di Hermione e Blaise nella stessa stanza a discutere animatamente per qualche sottigliezza relativa a stile o moda.

 

«Bene, penso... ho ricevuto una promozione a lavoro», disse la ragazza, guardando la sua tazzina di tè mezza vuota, incerta su cosa dire.

 

«Congratulazioni», disse Draco, osservandola con sguardo ammirato.

 

A Hermione non sembrava il caso di parlare dei suoi genitori sperduti in Australia e nemmeno della sua relazione complicata con Ronald, così optò per un argomento più leggero: «Sai che Harry e Ginny stanno organizzando di sposarsi entro l'estate?», domandò alla fine, cambiando discorso ancora una volta.

 

Draco non riuscì a trattenersi dal fare una smorfia: «Wow», disse semplicemente, fingendo un entusiasmo che non provava.

 

Hermione sorrise: «Sono certa che tu sappia mentire meglio».

 

«Vero», disse lui: «Ma non volevo sprecare energie inutilmente».

 

Si trovarono entrambi a ridere, Hermione allungò una mano per dare un colpetto sulla mano più vicina di Draco, rischiando di fargli rovesciare addosso del tè e per qualche minuto l'atmosfera tra di loro fu perfetta.

 

Hermione raccontò a Draco dei livelli di pazzia a cui era giunta Ginevra da quando lei e Harry avevano stabilito la data del matrimonio e Draco propose di chiedere a Blaise di confezionare un'abito per la futura sposa.

 

Si ritrovarono a scherzare come amici di vecchia data e a ridere come a entrambi non capitava da un po' di tempo.

 

L'ultima volta che Draco si era sentito così spensierato era stato due settimane prima, quando era stato a cena da sua zia Andromeda e Teddy gli si era addormentato in braccio, mentre gli leggeva una storia nella raccolta delle fiabe di Beda il Bardo.

 

L'ultima volta che Hermione si era sentita così leggera era stato quando era andata a trovare Ginny la settimana precedente e l'amica l'aveva tartassata di immagini su immagini di abiti da sposa, fino a quando entrambe non si erano ritrovate a ridere in modo isterico sul pavimento del salotto, circondate da riviste e pagine strappate.

 

«Dovremmo farlo più spesso», disse Draco, sincero come era stato poche volte in vita sua, osservando il volto sorridente di Hermione.

 

«Cosa?», chiese lei, finendo l'ultimo sorso di tè nella tazza.

 

«Parlare».

 

Hermione tenne lo sguardo basso, fisso sul fondo della tazza, dove rimanevano soltanto la fettina di limone e qualche granello di zucchero.

 

Non era sicura di poter accettare la proposta di Draco.

 

Si era già innamorata di lui una volta e continuava a provare una forte attrazione fisica nei suoi confronti; forse l'idea di vedersi altre volte non era propriamente geniale.

 

Ma quando sollevò lo sguardo dalla tazza e lo puntò negli occhi chiari, così limpidi, di Draco, tutto quello che poté dire fu: «Sì, mi farebbe piacere».

 

Forse fu arrogante da parte sua accettare di vederlo ancora, convinta di essere in grado di controllare i propri sentimenti e di non cadere nuovamente nella trappola, dalla quale già una volta si era liberata a fatica e con dolore. O forse fu semplicemente stupido, ma in quel momento Hermione non si fermò a rifletterci, decisa a non esplodere la bolla di calma e felicità in cui si trovava.

 

«Chi l'avrebbe mai detto che San Potty si sarebbe sposato prima di tutti noi», disse Draco, prima di correggersi: «Potter, volevo dire Potter... le brutte abitudini sono dure a morire».

 

Hermione sorrise: «Lui e Ginny convivono ormai da anni, penso che vogliano ufficializzare per far felice Molly... voglio dire, la signora Weasley».

 

Draco annuì distrattamente, trattenendosi dal chiedere quello che avrebbe voluto: "E tu quando dovrai far felice mamma Weasley sposandoti con suo figlio, Granger?"

 

Malfoy optò alla fine per una domanda meno invadente: «Ti andrebbe una passeggiata?»

 

Hermione, incerta, osservò l'orologio che si trovava appeso alla parete accanto al loro tavolo; non erano nemmeno le sei, forse avrebbe potuto concedere ancora qualche minuto all'ex Serpeverde.

 

«Va bene», concesse alla fine, sentendo una punta di nervosismo all'idea di prolungare quella "specie di appuntamento".

 

Estrasse dalla borsa un paio di galeoni, ma Malfoy la bloccò: «Ti ho invitato io a uscire, offro io»

 

«Preferirei dividessimo il conto», disse lei, determinata.

 

Draco non si oppose, rendendosi conto che il suo voler pagare per entrambi potesse essere interpretato dalla ragazza che gli stava di fronte come un gesto esagerato o inopportuno, considerata la strana situazione in cui si trovavano.

 

Divisero il conto a metà e dopo aver pagato, uscirono dal bar.

 

Iniziarono a passeggiare seguendo la via principale, piena di negozi e di maghi e streghe intenti a fare acquisti o a chiacchierare tra di loro in tono concitato.

 

Rimasero in silenzio inizialmente, poi Malfoy si avvicinò un po' di più a Hermione, così da poterle parlare ed essere facilmente udito sopra al vociare: «Seguimi», le disse, indicando col capo l'atelier poco distante di Blaise Zabini.

 

Il negozio aveva una vetrina ben curata in cui erano esposti un paio di manichini incantati; uno dei due indossava un abito da donna con stampa floreale; l'altro invece indossava un completo elegante da uomo color celeste.

 

I manichini incantati si distinguevano da quelli babbani, perché si muovevano, nel tentativo di attirare l'attenzione e lo sguardo dei passanti.

 

Sulla porta c'era un'insegna che recitava: "Zabini's Atelier", che Hermione trovò a dir poco pacchiana.

 

Quando entrarono nel negozio Hermione storse il naso nel sentire il forte odore di dopobarba da uomo, di cui sembravano impregnati i manichini incantati che passeggiavano tranquillamente, mostrando gli abiti da ogni angolazione.

 

Ogni superficie dell'atelier era bianca, il che accecava inizialmente gli occhi, ma permetteva ai vestiti in vendita di spiccare grazie ai loro colori sgargianti e dai tagli particolari.

 

Draco Malfoy non era sicuro di aver fatto bene a portare la Granger nell'atelier di Zabini. Iniziava a temere che l'amico potesse mettere a disagio la ragazza, il che non lo entusiasmava più di tanto.

 

Stava quasi per invitare la ragazza a fare un salto nella libreria accanto, certo che la Granger avrebbe apprezzato, quando Blaise Zabini comparve dal suo studio.

 

Il ragazzo indossava uno degli abiti di sua più recente creazione, un tradizionale completo composto da giacca e pantaloni con una stampa blu cobalto con fiori gialli e rossi. Sotto la giacca non indossava una camicia, il che permetteva di vedere buona parte del suo petto. Ai piedi indossava dei mocassini gialli e all'orecchio sinistro portava un orecchino pendente in cui erano incastonati dei rubini.

 

«Sta cercando di lanciare una nuova moda», sussurrò Draco ad Hermione, come se quelle parole potessero bastare a spiegare l'eccentricità dell'amico.

 

«Draco, non ti aspettavo! Che bella sorpresa! E...», l'espressione entusiasta di Zabini si trasformò, mostrando quanto fosse sorpreso di vedere chi accompagnava Malfoy in quel momento: «Hermione Granger».

 

Blaise Zabini rimase a studiare la situazione che gli si presentava davanti con un misto di sorpresa e di titubanza, poi osservò nello specifico l'abbigliamento della ragazza e sorrise: «Granger, il verde ti dona, il cappello parlante deve averti smistato nella casa sbagliata ad Hogwarts».

 

Hermione sollevò gli occhi al cielo: «È un piacere anche per me rivederti Zabini».

 

Draco percepì un po' di tensione nell'aria e decise di alleggerirla, portando l'attenzione su Blaise: «Vedo che stai lavorando ai gioielli», disse, indicando l'orecchino di rubini che indossava l'amico.

 

Zabini annuì entusiasta e per qualche secondo quella felicità così genuina ricordò ad Hermione quella di un bambino.

 

«Sì, questa è la mia prima creazione, cosa ne pensi?», Blaise si avvicinò, voltando il capo in modo da mostrare quell'unico orecchino.

 

«Non sono un esperto di gioielli», disse Draco, osservando l'oggetto con aria critica: «Però mi sembra carino».

 

«Carino?», chiese con tono deluso Blaise: «Solo carino?»

 

«Pensavo ti occupassi di vestiti, perché gioielli?», domandò Hermione, osservando un manichino incantato che indossava una camicetta blu semi trasparente e una gonna aderente rossa; non si poteva certo dire che Zabini non osasse nelle sue creazioni.

 

«Per ampliare gli affari», disse il ragazzo, seguendo lo sguardo della ragazza: «Non credo ti starebbe bene, Granger»

 

La ragazza sentì le proprie guance colorarsi per l'imbarazzo e l'indignazione; imbarazzo perché sembrava quasi che Zabini le avesse letto nello sguardo l'interesse che nutriva per quegli abiti tanto belli che non sentiva alla sua portata; e l'indignazione perché le parole del ragazzo l'avevano ferita nell'orgoglio.

 

«Ma quello sì», proseguì il ragazzo, indicando un manichino incantato che indossava una camicia bianca con le maniche a sbuffo e pantaloni a palazzo color borgogna.

 

Hermione dovette ammettere, almeno a se stessa, che Zabini aveva ragione e sorrise appena: «Hai occhio per certe cose».

 

«È il mio lavoro, Granger. Se vuoi provarlo, ci sono dei camerini».

 

Hermione scosse la testa e decise che quel giorno aveva messo abbastanza alla prova il suo autocontrollo e non era il caso di continuare a sfidare la sorte stando così vicino al suo ex amante per cui provava sentimenti contrastanti.

 

«Grazie, ma devo andare. È stato un piacere rivederti, Zabini», disse, facendo un passo indietro, verso la porta del negozio: «Ci vediamo domani al lavoro», aggiunse, rivolta a Malfoy, prima di uscire e scomparire poco dopo tra i passanti.

 

Draco avrebbe voluto rincorrerla, ma non lo fece, rispettando la sua scelta. Poteva capire che avvicinarsi nuovamente a lui fosse difficile e non voleva rischiare di rovinare tutto.

 

«Allora, siete tornati a fare le cosacce o questa volta punti ad una relazione platonica?», chiese Zabini, sorridendo in modo malizioso, mentre studiava l'espressione impassibile dell'amico.

 

Draco sollevò gli occhi al cielo, sorridendo appena: «Ha un ragazzo, Blaise».

 

«Certo, e tu sei fidanzato ufficialmente, eppure la tensione sessuale tra voi due sembra essere la stessa di sei anni fa», constatò Zabini, certo di colpire un nervo scoperto.

 

«Cosa speri che ti dica, che tu già non sai?», chiese Draco, arrendendosi alla curiosità dell'amico.

 

«È per lei che vai nella Londra babbana? Conti di impressionarla con le tue conoscenze sul suo mondo?», domandò Zabini, studiando con attenzione il biondo: «Io leggo ogni articolo, ogni rubrica di Pansy nella speranza di capirla quando ha i suoi attacchi di follia. È quello che stai cercando di fare anche tu? Capirla?»

 

«In parte. In parte sto solo cercando di essere una persona migliore», ammise Draco, sospirando: «Devo andare, mamma vuole che passi da lei prima di cena».

 

«Oh, salutamela e dille che quando vorrà migliorare il suo guardaroba sa dove trovarmi!», disse Zabini, prima che anche Draco uscisse dal suo atelier.

 

Una volta solo, Blaise Zabini tornò nel suo studio con un gran sorriso in volto, ispirato.

 

 

 

 

***

 

Buongiorno popolo di EFP!

 

Eccoci alla fine di un altro capitolo!

 

So che attendevate da tempo questo fatidico "appuntamento", spero di non avervi deluso.

 

Per chi si aspettava qualcosa di più "romantico" o "sentimentale", mi dispiace aver deluso le vostre aspettative, ma sarebbe stato troppo improvviso e Draco ed Hermione hanno bisogno di un po' di tempo ancora per conoscersi di nuovo.

 

Per qualsiasi dubbio chiedetemi pure!

 

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!

 

Per chi volesse, mi potete trovare su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

 

Un bacio,

 

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Un consiglio di Pansy al giorno... ***


6. Un consiglio di Pansy al giorno...


 

La tregua, traballante e instabile, che avevano stabilito martedì pomeriggio, andando a prendere un tè insieme, permise a Draco Malfoy e ad Hermione Granger di convivere pacificamente in ufficio fino a giovedì, senza che nessuno dei due sentisse la necessità di parlare con l'altro di qualcosa che non fosse il clima o l'andamento del lavoro.

Avevano anche iniziato a salutarsi cordialmente, cosa che lasciava ogni volta genuinamente felici entrambi.

Hermione cercava di pensare al suo ex amante come a un giovane uomo che non era adatto a lei, un giovane uomo con il quale condivideva momentaneamente l'ufficio e niente altro. 

Draco invece era soddisfatto del piccolo passo che avevano compiuto l'uno verso l'altra. Parlare, anche se brevemente, con Hermione durante quel pomeriggio di due giorni prima lo aveva aiutato a capire che aveva ancora molta strada da fare per riconquistare il cuore di Hermione, ma non aveva intenzione di tirarsi indietro o affrettare le cose, terrorizzato all'idea di spaventarla e allontanarla una volta per tutte. 

Quel giovedì iniziarono a lavorare come i giorni precedenti; erano entrambi impegnati con le pratiche che avevano di fronte, eppure non potevano fare a meno di lanciarsi qualche occhiata ogni tanto, per poi tornare con lo sguardo sulle rispettive scrivanie.

Il signor Dibert li lasciava spesso soli durante le giornate lavorative, perché gli piaceva scendere al quinto e sesto livello, dove si trovava il resto degli Obliviatori sotto la sua supervisione. La parte che il signor Dibert preferiva del suo lavoro era terrorizzare i nuovi assunti o porre domande a trabocchetto agli impiegati, così da testare le loro conoscenze teoriche. L'unico che il signor Dibert non era mai riuscito a cogliere in fallo era stato Draco Malfoy, che aveva studiato molto per entrare nella squadra degli Obliviatori e si impegnava il doppio degli altri nel tentativo di riscattare il proprio cognome — che la caduta di suo padre aveva reso un tabù nel Mondo Magico.

Come il giorno precedente, il signor Dibert abbandonò la sua scrivania poco prima della pausa pranzo, diretto ai piani inferiori per una delle sue ispezioni.

Il silenzio nell'ufficio che condividevano Draco ed Hermione si fece improvvisamente pesante.

Malfoy faticava a mantenere la concentrazione sulla pratica che stava leggendo, mentre l'ex Grifondoro continuava a pensare a quanto odiava il signor Dibert e le sue continue assenze; ogni volta che quell'uomo abbandonava l'ufficio per lei era impossibile non rendersi conto di quando poco spazio la separasse da Draco Malfoy, il ragazzo per cui provava ancora una forte attrazione, malgrado fosse fidanzata con un altro.

«Oggi fa caldo per essere Marzo», disse Draco, nascondendo il proprio nervosismo dietro ad un muro d'indifferenza, mentre spostava il capo a destra, in modo da incrociare lo sguardo di Hermione.

La ragazza quel giorno indossava una semplice camicia bianca e dei pantaloni scuri, eppure Draco la trovava bella e irresistibile come sempre.

«Sì, ho sentito che è dovuto ad una corrente d'aria che arriva dall'Africa, per questo ci sono queste temperature inusuali, però entro lunedì dovrebbe tornare il freddo», disse Hermione, rendendosi conto troppo tardi di aver iniziato a parlare a raffica solo per riempire il silenzio tra di loro.

Malfoy sorrise, spostandosi leggermente sulla sedia, in modo da osservare meglio la donna a pochi metri da lui: «Ancora affetta da parlantinite acuta, Granger?», le chiese, divertito dalle sue stesse parole.

In un primo momento Hermione venne colta da un senso d'imbarazzo e d'indignazione, convinta che il commento di Malfoy volesse essere una critica, si rese però conto che sul volto del biondo non c'era alcuna traccia di malizia e capì che la sua voleva essere una semplice battuta per ridere insieme. 

«Sembra di sì», disse Hermione, sorridendo.

Draco, fiero di esser riuscito ad alleggerire la tensione nell'aria sorrise maggiormente, mostrando i denti: «Troveranno una cura prima o poi».

«Non credo», disse lei, portando una ciocca sfuggita alla sua acconciatura dietro all'orecchio.

Il sorriso sul volto di Draco scomparve, al pensiero di come avrebbe voluto avere la possibilità di baciare Hermione ogni volta che aveva uno dei suoi attacchi di "parlantine acuta", così da interromperli sul nascere e aiutarla a "guarire".

«Tutto bene, Malfoy?», chiese l'ex Grifondoro, aggrottando leggermente le sopracciglia; non riusciva a spiegarsi l'improvviso cambiamento d'espressione del biondo.

«Sì, stavo solo pensando...»

Draco Malfoy non riuscì a terminare la frase perché proprio in quell'istante una nervosa Pansy Parkinson mise piede nell'ufficio, chiudendosi con forza la porta alle spalle.

«Ho dovuto girare mezzo Ministero per trovarti, mi ero dimenticata del tuo trasferimento», disse, posando la borsa sulla scrivania di Draco, mentre si guardava intorno.

«Oh, Granger», disse, facendo una piccola smorfia che probabilmente voleva essere un saluto.

«Ciao, Parkinson», rispose Hermione, decisa a dimostrare di essere una persona educata e matura, cosa che non si poteva certo dire dell'ex Serpeverde.

«Pansy, cosa ci fai qui?», chiese Draco, confuso dalla presenza dell'amica di fronte a sé; non era mai passata a trovarlo sul posto di lavoro.

«Ho bisogno di parlarti», disse la mora, sfilandosi il cappotto dall'aspetto costoso, lasciando anche quello sulla scrivania di Malfoy, mentre muoveva qualche passo nell'ufficio, osservando con occhio critico l'ambiente spoglio.

«Granger, questo ufficio non ha personalità», disse con una smorfia prima di voltarsi verso Draco e fulminarlo con un'occhiata scocciata: «Sei in ritardo di quattro giorni, dove sono le riviste che ti avevo chiesto?»

Il volto di Hermione assunse i toni del rosa acceso, sentendosi colpita nel vivo da quel commento. In realtà non le era mai importato molto di arredamento, ma l'idea di essere criticata per quello la lasciava comunque con l'amaro in bocca. Le era sembrato quasi che le parole di Pansy significassero che non solo l'ufficio, ma anche lei mancava di personalità.

«Sei più antipatica del solito, cos'è successo?», chiese Draco, mentre studiava la sua amica e i suoi movimenti nervosi.

Malfoy conosceva abbastanza bene Pansy da essere certo che il comportamento strafottente della ragazza non fosse direttamente collegato a lui e al fatto che si fosse dimenticato di portarle le riviste babbane che gli aveva chiesto.

Ci doveva essere qualcos'altro sotto.

«Hai litigato di nuovo con Blaise?», chiese Draco, osservando l'espressione dell'amica farsi più pallida e le sue spalle irrigidirsi ulteriormente.

«Non ho intenzione di parlarne di fronte a... lei», disse Pansy, indicando con un veloce gesto della mano Hermione alle sue spalle.

«Ne parleremo un'altra volta, allora», propose Malfoy, cercando di essere conciliante.

«Vi lascio soli», disse Hermione, decisa ad anticipare di qualche minuto la pausa pranzo, mostrando un sorriso stirato, mentre raccoglieva la propria borsa e si alzava in piedi.

«A dopo», disse Draco, cercando di lasciar trapelare nei suoi lineamenti la riconoscenza che provava in quel momento.

«È stato... interessante rivederti, Parkinson», disse Hermione, ricevendo in risposta un'occhiata impassibile e uno scocciato: «Anche per me».

Quando l'ex Grifondoro scomparve oltre la porta del proprio ufficio, Draco tornò a posare lo sguardo sulla sua amica: «Cosa succede, Pansy?»

La ragazza sospirò sonoramente, portandosi una mano tra i corti capelli scuri, sistemandoseli dietro alle orecchie; sui suoi lobi Malfoy riconobbe gli orecchini, che Blaise stava creando nel suo Atelier due giorni prima e sorrise.

«Succede che ho bisogno delle riviste che ti ho chiesto», disse la Parkinson, cercando di nascondere il proprio nervosismo. Non aveva bisogno che Draco Malfoy ficcasse il naso nella sua vita privata, soprattutto quando lei era la prima a non capirci più nulla.

«Non ce le ho qui, sono a casa mia», rispose Malfoy, aggiungendo subito, certo così di limitare le lamentele: «Puoi passare più tardi a prenderle».

«No, ne ho bisogno ora. Andiamo», disse con tono che non ammetteva repliche la mora, prendendo il cappotto e la borsa, facendo segno all'amico di sbrigarsi.

Malfoy sbuffò e recuperata la propria valigetta seguì la mora fuori dall'ufficio: «La mia pausa pranzo non dura molto, dobbiamo sbrigarci», disse all'amica, seguendola lungo il corridoio che conduceva agli ascensori.

Fu in quel momento che Draco vide Hermione seduta da sola a un tavolo della mensa, un vassoio di cibo davanti a sé e un libro tra le mani, e provò il forte desiderio di raggiungerla e tenerle compagnia durante il pasto.

Venne riportato alla realtà da Pansy che lo afferrò per la manica del blazer che indossava e lo trascinò verso gli ascensori: «Pensavo non avessimo tempo da perdere», gli disse per canzonarlo, sorridendo appena.

«Sei insopportabile», borbottò Draco, fulminandola con un'occhiataccia: «Non penso che ti meriti le riviste che ho comprato per te».

Pansy sollevò gli occhi al cielo: «Oh, no, come farò?», chiese con tono annoiato, nel palese tentativo di prendere in giro l'amico.

«Appena arriviamo a casa mia pretendo che tu mi dica cos'è successo, non è da te essere tanto indisponente», disse infastidito Malfoy.

Raggiunsero in pochi minuti i camini nell'atrio del Ministero poi, tramite la metropolvere, arrivarono al piano terra del palazzo dove abitava Draco.

Salirono le scale in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri e una volta messo piede nell'appartamento del ragazzo, Pansy si gettò a peso morto sul divano, lasciando accanto a sé la borsa e la giacca.

La ragazza si ricordava chiaramente dell'ultima volta che era stata in quell'appartamento, il sabato sera precedente, la stessa sera in cui lei e Blaise avevano litigato di fronte a Malfoy, rivelandogli la relazione segreta che portavano avanti ormai da quasi un anno.

Inizialmente erano stati entrambi d'accordo nel non dire nulla a nessuno, in parte perché era eccitante il rischio di essere scoperti, in parte perché non erano sicuri di come si sarebbe evoluta la loro relazione e non volevano rischiare che la notizia giungesse alle orecchie sbagliate; sia Blaise che Pansy avevano rapporti complicati con i genitori e cercavano di tenerli il più lontani possibile dalle loro vite private.

Pansy litigava con sua madre e suo padre ogni due settimane, quando passava a trovarli. Il signore e la signora Parkinson vedevano nella figlia emancipata la fine della loro discendenza e per quanto cercassero di organizzare incontri e appuntamenti con altri giovani rampolli purosangue, si erano ormai rassegnati e non diventare nonni e a non vedere la loro bambina sposarsi.

Blaise invece riceveva continue lettere dalla madre, che era al suo terzo viaggio in giro per il mondo col suo sesto o settimo marito, lei non pretendeva che il figlio si sposasse, ma voleva a tutti i costi un nipotino o una nipotina a cui lasciare il suo immenso patrimonio.

Entrambi avevano quindi acconsentito a mantenere segreta la loro storia, limitando le loro uscite insieme ed evitando effusioni in pubblico.

Blaise aveva rovinato tutto meno di dieci giorni prima, durante uno dei loro incontri segreti.

Si trovavano nell'appartamento di Pansy, lui le aveva portato una costosa bottiglia di idromele e avevano iniziato a bere, chiacchierando delle rispettive giornate lavorative.

Era successo senza preavviso, Pansy non avrebbe avuto modo di prevederlo nemmeno se fosse stata una Legilimens. Prima stavano parlando di quando fosse insopportabile Fiamma De Longhi, la nuova collega di Pansy a Strega Moderna, l'istante dopo Blaise le aveva preso il viso tra le mani e le aveva detto senza tanti preamboli: «Ti amo, Pan».

Era scoppiato il finimondo, Pansy lo aveva scacciato urlando frasi senza senso e poi si era ritrovata a piangere da sola sul divano.

La ragazza sfiorò distrattamente uno dei due orecchini che indossava, pensando a quando era stata a trovare Blaise il giorno prima.

Aveva accettato gli orecchini che il moro aveva creato apposta per lei nella speranza che le cose potessero tornare come prima, ma ora sentiva sulle proprie spalle una tensione nuova: Blaise voleva che tutto il mondo sapesse di loro, voleva avere normali appuntamenti con lei, voleva che sfilasse per lui alcuni degli abiti che aveva creato per la nuova collezione; voleva metterla in vetrina come un trofeo, come un oggetto luccicante che avrebbe fatto provare invidia al resto del Mondo Magico. 

Pansy si sentiva a disagio al solo pensiero.

«Eccole!», esclamò Draco tornando dal soppalco con in mano le ultime uscite di alcune delle più famose riviste di gossip babbane: «Ora vuoi spiegarmi cosa c'è che non va?»

Pansy strinse le labbra in una linea sottile e chiuse gli occhi per tre secondi, prima di riaprirli e fissare lo sguardo sul volto curioso di Draco.

«Sempre che tu ne voglia parlare», aggiunse il ragazzo, sedendosi accanto all'amica sul divano.

«Non c'è molto di cui parlare», disse Pansy, stringendo contro il petto le riviste che Malfoy le aveva appena portato: «Blaise vuole che tutti sappiano che stiamo insieme, io no».

«Da quanto va avanti?», chiese Draco, prima di dirigersi in cucina per recuperare alcuni biscotti, che aveva comprato qualche giorno prima in un supermercato babbano.

«Dieci mesi», ammise Pansy, guardandosi intorno, l'occhio le cadde sul poster che Malfoy amava tanto, quello che aveva acquistato nel museo d'arte babbano.

Pansy Parkinson di solito non si preoccupava molto della vita altrui. Le piaceva spettegolare, le piaceva giudicare gli abiti fuori moda, ma tendenzialmente si riteneva troppo superficiale per interessarsi a qualcosa che non fosse se stessa.

Eppure in quel momento non poté fare a meno di provare pena per quello che considerava il suo migliore amico.

«Come va con la Granger?», gli chiese, osservando i lineamenti sul viso di Draco irrigidirsi appena: «Quando hai intenzione di dirle che non hai mai smesso di amarla?»

«Pensavo stessimo parlando di te e Blaise», cercò di deviare il discorso Malfoy, sgranocchiando un biscotto con aria assente.

«Esatto, stavamo parlando di me e Blaise, fino a quando io non ti ho chiesto della Granger», disse la ragazza, sorridendo furbescamente.

«Non c'è nulla da dire, Pansy. Hermione è fidanzata con Weasley e io con Astoria», borbottò con la bocca piena Draco, spargendo qualche briciola intorno a sé.

«Questo perché siete due idioti», constatò l'ex Serpeverde, stringendosi le riviste babbane al petto, mentre si alzava in piedi: «Draco, voglio essere sincera con te: la Granger non mi è mai piaciuta molto, troppo saputella, troppo arrogante e poi è stata una Grifondoro, la peggior specie presente ad Hogwarts. Ma ricordo molto bene il modo in cui sorridevi dopo aver passato del tempo con lei il sesto anno. Astoria non ti ha mai reso veramente felice, prima lo ammetterai con te stesso meglio sarà per tutti».

Malfoy sorrise, puntando i suoi occhi chiari in quelli seri di Pansy: «Pensi che non lo sappia? Ho passato anni a cercare di dimenticarla, convincendomi che Astoria fosse abbastanza. Ho smesso di fingere da tempo ormai, all'incirca da quando ho iniziato a visitare la Londra babbana per allontanarmi da tutti i pregiudizi e gli insegnamenti bigotti che per anni mi hanno reso uno stronzo. E ora che ce l'ho così vicina mi rendo conto di non essere abbastanza per lei. Io potrei anche avere bisogno di lei, ma lei è abbastanza forte da non aver bisogno di nessuno».

«Stronzate!», esclamò Pansy, strappando dalle mani dell'amico il pacco di biscotti di cui continuava a ingozzarsi, posandolo sul tavolino basso di fronte al divano: «Quelle che stai dicendo sono solo stronzate. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno nella vita; che siano amici, parenti, persone di cui possiamo fidarci, non importa. Tutti hanno bisogno di qualcuno e la Granger non è diversa. Per quanto Blaise sia convinto che non ne sappia nulla di amore so una cosa per certo: Hermione Granger e Ronald Weasley sono compatibili tanto quanto te e Astoria Greengrass».

Con quella parole Pansy recuperò cappotto e borsa e, con le riviste ancora premute contro il petto, si diresse verso la porta: «Ora devo andare perché non ho tutto il giorno da perdere dietro alle tue paranoie prive di senso. Ascolta molto attentamente il mio consiglio: torna in ufficio e parla con la Granger. Non m'importa quello che le dirai, ma devi ottenere una cosa ben precisa: devi farle crollare tutte le convinzioni che credeva di avere. Buona giornata».

Pansy uscì dall'appartamento di Malfoy con una calda sensazione nel petto, un misto di soddisfazione e orgoglio, che provava ogni volta che, grazie alla sua rubrica su Strega Moderna, qualche mago o strega otteneva la tanto agognata felicità.

Draco rimase a riflettere sulle parole dell'amica per qualche secondo, poi tornò al Ministero poco prima che la pausa pranzo finisse.

Sapeva che Pansy aveva ragione, poteva essere fastidioso ammetterlo per una persona come lui, ma era abbastanza intelligente da riconoscerlo.

Doveva stupire Hermione, doveva dirle qualcosa che le avrebbe fatto capire che lui a lei teneva ancora, senza però esporsi troppo, dato che non voleva fare la figura dell'idiota.

Il signor Dibert entrò in ufficio giusto il tempo necessario per informare Malfoy che avrebbe portato alcune delle reclute più giovani nel Cheshire, dove era stato segnalato un Caso Uno, poi scomparve con il suo tipico passetto nervoso.

Pochi minuti dopo Hermione tornò dalla sua pausa pranzo, stringeva tra le mani lo stesso libro che Draco le aveva visto leggere in mensa e non riuscì a trattenersi dal chiederle di cosa si trattasse.

«È un romanzo babbano, Malfoy, s'intitola il "Maestro e Margherita"», disse Hermione, convinta con quelle parole di provocare una smorfia di disgusto sul volto del biondo.

Draco sorrise, e alla ragazza sembrò di sentire il pavimento tremarle sotto ai piedi.

«A proposito di romanzi babbani, ho letto quello che mi avevi prestato. Penso sia arrivato il momento di restituirtelo», disse Malfoy, certo di fare breccia con quelle parole nella corazza della Granger.

Hermione socchiuse le labbra, sorpresa: «L'hai letto davvero?», chiese con un filo di voce, faticando a riconoscere nel giovane uomo che le si trovava a pochi metri di distanza, il bulletto che l'aveva tormentata per anni.

«Certo, l'ho trovato interessante, alcune scene mi hanno fatto riflettere molto. Ho finito coll'immedesimarmi — più di quanto mi sarebbe piaciuto — col personaggio di Raskol'nikov», ammise Draco, abbassando lo sguardo sulla pratica che aveva di fronte.

Hermione, seduta dietro alla sua scrivania, col romanzo di Bulgakov ancora tra le mani non trovava le parole per esprimere la sorpresa, l'orgoglio e l'ammirazione che provava in quel momento.

Quando aveva prestato "Delitto e castigo" a Malfoy il sesto anno, l'aveva fatto per metterlo alla prova e per condividere con lui la passione della lettura. Eppure non aveva mai pensato che Draco accettasse la sfida e apprezzasse tanto uno dei suoi romanzi preferiti.

Le convinzioni di Hermione stavano cominciando a creparsi.

Draco sollevò nuovamente lo sguardo, puntando i propri occhi chiari in quelli di Hermione, l'incertezza e il timore ben visibili nei suoi lineamenti pallidi: «Non so quanto possa interessarti, ma non sono più il ragazzo di un tempo. Dopo la guerra le cose sono cambiate. Sento di doverti ringraziare, sei stata la prima a farmi dubitare dei pregiudizi che avevo sul mondo babbano e i babbani. Forse, senza di te, non sarei mai riuscito a mettere tutto da parte e ricominciare da capo».

Nell'ufficio calò il silenzio, interrotto dal signor Dibert che entrò e con aria sbrigativa chiese a Draco di unirsi a lui per il Caso Uno nel Cheshire.

Malfoy recuperò il cappotto, la sua valigetta e dopo un saluto incerto ad Hermione, se ne andò, tormentato dal dubbio di aver detto qualcosa di sbagliato.

 

 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Eccoci alla fine di un altro capitolo, cosa ve ne pare?

Draco finalmente si è esposto un po', non troppo ovviamente, ma penso che sia già un bel passo avanti.

Secondo voi sono crollate le convinzioni di Hermione? O ci vorrà ancora del tempo? 

E Pansy? Cosa ne pensate dei suoi pensieri?

Se avete tempo e voglia di lasciarmi dei commenti, sarò più che felice di leggerli.

Ora, devo parlarvi di una cosa che per me è molto bella, ma per voi lo sarà di meno.

Venerdì 10 Luglio parto per fare una quindicina di giorni di vacanza e non penso che riuscirò a pubblicare nuovi capitoli. Mi spiego: 

Dove vado avrò il wifi? Sì. 

Avrò il computer? Sì.

Avrò tempo di scrivere? Forse.

Avrò voglia di scrivere? Non lo so.

Quindi, cercherò di scrivere come sempre un capitolo per l'8 Luglio, il prossimo mercoledì, ma non vi posso promettere l'aggiornamento della settimana dopo e di quella dopo ancora. Spero che non ve la prendiate troppo, ma se vado al mare voglio godermi il mare e non stare di fronte al computer per ore. Questo non vuol dire che io non passerò comunque del tempo a scrivere, ma dato che so già che sarà meno tempo rispetto a quello che passo ora, metto le mani avanti e vi preparò all'eventualità di non avere nuovi capitoli per un po'.

Ovviamente quando tornerò a casa riprenderò la mia routine e torneranno ad esserci nuovi aggiornamenti ogni settimana.

Come sempre vi ricordo che, se volete, potete seguirmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** ... Toglie Ronald di torno ***



7. ... Toglie Ronald di torno
 



Hermione Granger trascorse il resto del pomeriggio lavorativo in uno stato di confusione che mal di sposava con la sua tipica razionalità.

Il motivo era solo uno: continuava a ripetersi le parole che le aveva detto Malfoy, prima di esser chiamato dal suo capo per andare nello Cheshire.

Si sentiva a disagio al pensiero che fosse bastato così poco per farla sentire tanto spaesata. 

Pensava inoltre che, se Draco Malfoy le avesse detto qualcosa di simile durante il sesto anno, probabilmente non gli avrebbe creduto; avrebbe pensato che lo dicesse solo per convincerla a fare sesso o per "tenerla buona". 

Eppure non erano più ad Hogwarts, non erano più i ragazzini che, dominati dagli ormoni, si incontravano nella Stanza delle Necessità, per esplorarsi e conoscersi da un punto di vista prettamente fisico.

Sia lei che Draco erano cresciuti in quei sei anni di lontananza, erano diventati adulti.

Lo scopo di Malfoy non poteva essere quello di riconquistarla, non quando lei aveva Ronald e lui aveva la Greengrass. O forse sì?

Cosa sperava di ottenere l'ex Serpeverde con quella confessione, di mandarla nella più totale confusione?

In tal caso, ci era riuscito.

Hermione non aveva mai trovato tra i suoi amici, qualcuno con cui condividere la passione per la lettura, soprattutto quando si trattava di romanzi babbani. 

Ronald era già tanto se leggeva il trafiletto della Gazzetta del Profeta che parlava di Quidditch, Harry non era mai stato particolarmente interessato alla lettura in generale e Ginevra s'interessava solo di quelli che Hermione definiva "gli Harmony per le streghe e i maghi".

Anche tra i suoi colleghi di lavoro non era riuscita a trovarsi dei veri e propri amici, tranne Penelope, l'inguaribile pettegola.

Hermione non doveva quindi sorprendersi della calda sensazione, che sentiva all'altezza dello stomaco, al pensiero di poter condividere con Malfoy qualcosa che per lei era molto importante; così come non si sarebbe dovuta stupire dell'orgoglio, che provava all'idea di aver spinto Draco a rivalutare tutto quello che aveva dato per scontato un tempo.

Avrebbe dovuto indagare su quanto fosse realmente profondo il cambiamento di Malfoy, forse avrebbe dovuto invitarlo a prendere un altro tè uno di quei giorni e...

Hermione inorridì dei suoi stessi pensieri e cercò di tornare a dedicare maggiore attenzione al proprio lavoro.

I suoi pensieri stavano prendendo una piega pericolosa che non poteva permettersi, non in quel momento.

Era sbagliato approfittare della lontananza di Ronald e del periodo non proprio roseo che stava vivendo la loro storia d'amore, per pensare a un altro ragazzo, nello specifico il suo ex ragazzo, al quale non aveva mai veramente smesso di pensare.

Più avrebbe continuato ad analizzare il comportamento recente di Draco, il loro appuntamento di qualche giorno prima e la dolce impazienza che provava ogni mattina nel mettere piede in ufficio, più si sarebbe sentita in dovere di fare paragoni con quello che le faceva provare Ronald.

Hermione non voleva fare paragoni tra due relazioni completamente diverse tra loro, perché sapeva che sarebbe stato poco utile e deleterio.

Rimaneva però il fatto che stare con Ron non la faceva sentire particolarmente stimolata intellettualmente e culturalmente. 

Da quando stava con quello che un tempo era stato uno dei suoi migliori amici, Hermione aveva proposto di assistere a delle mostre, andare a teatro, partecipare a qualche evento che non riguardasse il Quidditch e, ogni volta, Ronald aveva finto di stare male, aveva accampato scuse assurde oppure si era limitato a dirle che aveva già preso degli impegni, suggerendo le di andare da sola.

All'inizio della loro relazione Hermione non si era fatta problemi a partecipare senza di lui a simili avvenimenti culturali, preferendo arricchire le proprie conoscenze, piuttosto che passare pomeriggi a rinvangare vecchi ricordi e a litigare su quale fosse il ruolo più importante nel gioco del Quidditch.

Aveva smesso, quando si era resa conto, che il bello di partecipare a mostre e andare a teatro era quello di condividere le emozioni e i pensieri, che tali eventi suscitavano, peccato che Ronald si rivelasse sempre molto annoiato dai suoi racconti. Così Hermione, aveva finito coll'adagiarsi in una quotidianità monotona e sicura, in cui Ronald passava ore a studiare i casi che gli venivano assegnati in quanto Auror e lei, acciambellata sul divano, leggeva libri su libri, sognando vite diverse, avventure e amori impossibili.

Hermione si era talmente abituata a quella routine che l'idea di fare nuovamente qualcosa di diverso, come invitare Malfoy per un altro tè, durante il quale avrebbero potuto parlare di libri, le metteva addosso una strana agitazione.

Ronald si sarebbe arrabbiato se fosse venuto a sapere delle due orette scarse che aveva passato con Malfoy il martedì, dopo il lavoro? Si sarebbe ingelosito?

Forse no, forse si sarebbe limitato a guardarla come se fosse una pazza e basta; in fondo il suo ragazzo non sapeva nulla di quello che c'era stato tra lei e Draco il sesto anno, era improbabile che percepisse un ex Serpeverde come una minaccia.

Hermione aveva sempre pensato che il rapporto che aveva con Ron fosse, perfetto perché semplice e privo di limitazioni assurde. 

Ronald non le aveva mai impedito di indossare un vestito perché geloso, Ronald non le aveva mai impedito di andare da sola a fare una passeggiata o a bere un caffè in un bar perché spaventata da quello che sarebbe potuto succedere; Ronald si fidava di lei e non aveva bisogno di nascondersi dietro a scuse patetiche per impedirle di essere libera e felice.

Allo stesso tempo però non sembrava mai particolarmente interessato al lavoro della propria ragazza o a quello che leggeva o a quello che pensava. Hermione sapeva che non lo faceva per cattiveria o perché considerava poco valide le sue opinioni, Ronald viveva semplicemente nel proprio mondo, dove si perdeva così spesso che a Hermione sembrava di essere più single che in una relazione.

Solo quando passavano del tempo con Harry e Ginny, la loro relazione sembrava essere reale.

Hermione aveva cominciato a sospettare che Ronald si sentisse in dovere, di fronte al loro migliore amico da una vita e a sua sorella, di dimostrare di essere un ragazzo premuroso, dolce e attento più del solito, anche se non avrebbe saputo dire perché.

Continuare a pensare a Ron la portò a chiedersi quando sarebbe tornato dalla missione da Auror, che aveva intrapreso con Harry ormai da dieci giorni.

Hermione ricordò quando, un annetto prima, lei e Ginny avevano dovuto aspettare un mese intero prima di rivedere i rispettivi ragazzi che, di ritorno da una pericolosa missione, avevano riportato poche cicatrici e un numero illimitato di racconti su quali avventure avessero dovuto affrontare in quei trenta giorni.

Ronald non aveva fatto altro che parlarle, per giorni e giorni, sempre della stessa battaglia, combattuta in Scozia con una giovane strega che diceva di essere la figlia di Voldemort. 
Non era la prima volta che al suo ragazzo era capitato un caso simile, a quanto pareva erano molti i fanatici che ancora cercavano, in varie zone della Gran Bretagna, di riportare le idee malate del Signore Oscuro alla gloria di un tempo

Quando la giornata lavorativa terminò, Hermione si sentì spaesata per qualche minuto; ferma alla scrivania a guardare quella vuota di Malfoy e a chiedersi se avrebbe dovuto aspettarlo per salutarlo prima di tornare a casa.

Stupita e in parte inorridita dai suoi stessi pensieri si era alzata e aveva raccolto le proprie cose, decisa ad andare senza aspettare Draco. 

Una volta agli ascensori, Hermione aveva incontrato poi il signor Quintt, che le aveva chiesto come andassero le cose nel suo nuovo ufficio e se i momentanei "coinquilini" la distraessero dal lavoro.

L'ex Grifondoro non faticò a mentire, dicendogli che andava tutto bene e che non aveva riscontrato alcun tipo di problema con gli Obliviatori. Quello che avrebbe dovuto dire, in realtà, era l'esatto opposto.

Mentre si dirigeva verso i camini, Hermione prese in considerazione l'idea di raggiungere Ginny per un pomeriggio meno solitario di quelli precedenti e, senza pensarci, invece di dire il proprio indirizzo di casa, usò la metropolvere per raggiungere l'appartamento dove Ginevra Weasley e Harry Potter convivano ormai da tempo.

In un primo momento provo un po' di senso di colpa a comparire nel salotto senza aver prima avvisato, ma si sentì subito meglio quando vide Ginny comparire di fronte a lei con un enorme sorriso in volto.

«Hermione, che bella sorpresa!», esclamò la rossa, gettando le braccia intorno al collo dell'amica: «Stavo giusto pensando di scriverti una lettera e chiederti se ti andava di passare del tempo assieme questa sera o domani... la casa mi sembra sempre troppo vuota quando Harry non c'è».

Hermione ricambiò l'abbraccio, sentendo il familiare profumo agrumato di Ginny, che la portò quasi alle lacrime. Avrebbe voluto raccontarle l'immensa confusione che la accompagnava da qualche giorno ormai, confusione che non faceva altro che aumentare, ma non era certa di essere pronta ad ammettere di aver avuto una relazione con Malfoy il sesto anno.

«Come vanno i preparativi per il matrimonio?», le chiese invece, mettendo da parte le lacrime e la confusione, decisa a passare un pomeriggio il più normale possibile.

«Vuoi davvero saperlo? Potrei parlare per ore», mi avvertì, facendomi gesto di sedermi sul divano di fronte al camino con lei. 

La casa che entro pochi mesi sarebbe stata la dimora dei coniugi Potter, era molto grande e accogliente. Alte pareti bianche, ritratti di famiglia sulle pareti del salotto, foto babbane nella libreria accanto al camino, una sala da pranzo abbastanza grande da contenere l'intera famiglia Weasley, una cucina dotata di ogni comfort babbano o magico e tre ampie stanza da letto al piano superiore.

Ginny e Harry avevano comprato quella casa con i risparmi di una vita, che i defunti signori Potter avevano lasciato in eredità al figlio. Grazie ai cospicui stipendi che i due futuri sposi ricevevano ogni mese, non avevano mai avuto problemi a mantenere la casa e uno stile vita agiato.

«Ancora non ho trovato un abito da sposa, ci credi?», si lamentò Ginny, afferrando la pila di riviste che si trovavano accanto al camino, per posarla sul grembo di Hermione: «Ho sfogliato ogni catalogo di ogni atelier di abiti da sposa che ho trovato e ancora non ho visto un abito che mi faccia dire: "Sì, è lui!". Sto cominciando a perdere la speranza».

Hermione non poté non sorridere nell'udire il tono melodrammatico della propria amica e pensò subito alla conversazione che avevano avuto martedì lei e Draco e voltandosi verso Ginny le disse: «E se ti facessi fare un abito su misura?»

«Non ho intenzione di spendere tutti i galeoni del budget per un semplice abito, Herm».

«Certo che no, ma secondo me c'è un Atelier che non hai preso in considerazione», disse Hermione, posando le riviste sul tappeto ai suoi piedi.

«Ah si? Quale?»

«Zabini's Atelier», disse Hermione, con tono mortalmente serio per fare capire alla sua amica che non stava scherzando: «Ci sono entrata qualche giorno fa, casualmente, e non sono male i vestiti che disegna. Potrebbe anche farti uno sconto, dato che gli faresti una grande pubblicità, in quando giocatrice di punta delle Holyhead Harpies».

Ginevra iniziò a grattarsi pensierosa il mento, segno che stava genuinamente prendendo in considerazione le parole dell'amica: «Perché sei entrata nell'Atelier di Zabini?»

Hermione fece spallucce, nascondendo il disagio che provava, all'idea di non poter dire la completa verità a Ginevra, dietro a un sorriso tirato: «Ci sono passata davanti e gli abiti in vetrina mi hanno incuriosito, così sono entrata a dare un'occhiata. Zabini è ancora più particolare di quanto lo ricordassi ad Hogwarts».

Ginevra sorrise: «E immagino sia sempre tremendamente bello e arrogante».

Hermione sollevò un sopracciglio, osservando incuriosita la propria amica: «Devi dirmi qualcosa, Ginny?»

La rossa rise, gettando il capo all'indietro, le guance soffuse da un tenue rossore: «Avevo una cotta per lui, prima di mettermi con Dean Thomas. Niente di che».

Hermione sorrise: «Beh, potresti farti disegnare un abito su misura dalla tua cotta segreta, allora», disse, prendendo un po' in giro la propria amica, nascondendo dietro alla propria giocosità il disagio, che provava all'idea di non essere mai riuscita ad ammettere a Ginny della propria "cotta segreta".

«Perché no? Se dici che è bravo, tanto vale provare a parlarci. Ti va di fare un salto con me domani pomeriggio? Tanto io ho gli allenamenti con la squadra fino alle quattro, tempo che mi faccio una doccia... possiamo incontrarci di fronte all'Atelier per le cinque».

«Certo, vengo molto volentieri, magari ne approfitto per comprare il completo da lavoro che avevo adocchiato...»

Un rumore, simile allo strappo di un vestito, oltre alla porta d'ingresso fece voltare entrambe, preoccupate, verso l'origine del suono.

L'istante successivo una chiave veniva girata nella toppa e oltre il legno scuro della porta apparve il volto sorridente di Harry Potter.

Ginevra si lanciò tra le braccia del proprio fidanzato e Harry iniziò a tempestarla di baci.

«Sei tornato, mi sei mancato tanto», disse Ginny: «La barba mi fa il solletico», aggiunse, iniziando a ridere, mentre cercava di limitare i baci ricevuti.

«Ciao, Harry», disse Hermione, raggiungendo i due, per farsi scoccare un sonoro bacio sulla guancia e ricevere un caloroso sorriso da parte del suo migliore amico.

«Che bello vederti, Hermione. Ho lasciato Ronald poco fa a casa tua».

All'udire quella parole la ragazza sentì una fitta dolorosa al petto, che non riuscì in un primo momento a identificare, indecisa se fosse stata causata dal piacere o dalla vergogna.

Ron era tornato e lei continuava a pensare a Draco e alle poche parole che si erano detti.

Cosa c'era di sbagliato in lei?

«Allora se non vi dispiace, rubo un po' di metropolvere e vado ad accoglierlo», disse Hermione, avvicinandosi al camino.

«Fai pure», disse Harry, mentre Ginny aggiungeva: «Io e te ci vediamo domani, Herm, non te lo dimenticare!»

La ragazza sorrise ai suoi amici, rassicurò Ginevra e poi, presa una manciata di metropolvere entrò nel camino, diretta verso casa.

Nel salotto trovò ad aspettarla un imbronciato Grattastinchi, che come sempre  muoveva nervosamente la coda e sembrava voler giudicare la propria padrona con quegli occhietti socchiusi.

«Ron?», chiamò Hermione, muovendo i pochi passi che la separavano dalla cucina, dove notò subito la rosa appassita che le aveva regalato il proprio ragazzo per il San Valentino appena passato.

«Ron?», provò a chiamare nuovamente, questa volta con tono più forte.

Solo quando fece l'intero giro della casa e non trovò nessuno, Hermione si sedette sul divano, indecisa sul da farsi.

Harry aveva detto di aver lasciato Ronald di fronte a casa sua prima di tornare da Ginevra, Ron aveva le chiavi, dove poteva essere andato?

In un primo momento Hermione pensò al peggio e controllò la strada fuori dalla porta di casa, rendendosi conto che no, non c'era alcun cadavere per strada.

Il secondo pensiero fu che Ronald fosse andato da sua madre per farle sapere che stava bene, ma accantonò subito quell'opzione, dato che la signora e il signor Weasley erano partiti la domenica prima per una vacanza di un paio di settimane in Brasile.

Successivamente Hermione iniziò a prendere in considerazione l'idea che Ronald potesse essere andato a comprarle una rosa, dei cioccolatini o a prenotare una cena romantica in qualche ristorante per festeggiare il suo ritorno.

Rassicurata da quel pensiero, Hermione diede da mangiare al suo gatto poi, acciambellata sul divano, riprese in mano "Il Maestro e Margherita", riprendendo dal capitolo su Ponzio Pilato, che non era riuscita a terminare, durante la pausa pranzo, quella mattina.

Si distrasse dalla lettura, tornando a pensare a Ronald, quando si fecero le sette e mezza di sera e di lui non aveva ottenuto ancora alcun tipo di notizia.

Fu in quel momento, mentre si rendeva conto che molto probabilmente non era in giro a comprarle un regalo o a organizzare un appuntamento romantico, che iniziò a chiedersi se per caso Ronald non avesse un'amante.

Non aveva mai pensato che Ron fosse il tipo da tradirla, ma forse doveva rivalutare le sue credenze.

Dopo una doccia, durante la quale Hermione aveva nascosto sotto il getto d'acqua le proprie lacrime, dovute all'insicurezza che provava in quel momento, mangiò alcuni avanzi che aveva recuperato dal frigo.

Stava per andare a letto, dopo aver passato numerosi minuti a interrogarsi se avesse mai notato comportamenti sospetti da parte di Ronald, che avrebbero potuto avvalorare la sua tesi sul tradimento, quando la porta d'ingresso si aprì.

Hermione si alzò dal divano, andando in contro al proprio ragazzo, con il volto paonazzo dalla rabbia e le mani strette a pugno.

Non gli diede neanche il tempo di salutarla, chiedendogli senza mezzi termini dove fosse stato.

«Herm, ma di cosa stai parlando?», chiese Ronald, posando a terra la borsa che si era portato dietro per la missione.

«Sono ore che ti aspetto. Ero da Ginny quando Harry è tornato, dicendomi che tu dovevi essere qua ad aspettarmi. Perché sei arrivato solo ora? Dove sei stato?»

Ron sembrò diventare più pallido del solito, mentre abbassava lo sguardo sul pavimento e si grattava la testa: «Non ti ho trovata a casa e ho pensato che avessi fatto tardi al lavoro, allora sono andato a bere una burrobirra con Dean e Seamus».

Hermione non temette che Ronald le stesse mentendo, non sarebbe stata la prima volta che il suo ragazzo preferiva passare del tempo con i suoi amici piuttosto che con lei.

«Avresti potuto avvertirmi, ho temuto che fossi morto!», disse Hermione, alzando la voce: «Ho pensato che fossi con un'altra».

Ron aggrottò le sopracciglia, scuotendo la testa: «Per chi mi hai preso, Herm? Perché mai dovrei tradirti?»

«Perché siamo come due calzini spaiati, Ron, e non andiamo bene insieme».

Nella stanza cadde un silenzio teso dopo quella parole, pronunciare con un filo di voce da una sconsolata Hermione Granger.

«Di cosa stai parlando 'Mione?», chiese il rosso, guardandola con gli occhi sbarrati.

«Sto parlando del fatto che non abbiamo interessi in comune, non riusciamo ad andare d'accordo per più di qualche ora, non riusciamo a sopportare l'uno la presenza dell'altra e finiamo sempre con organizzare uscite con Harry e Ginny, perché solo con loro riusciamo a fingere che vada tutto bene. Ma non va tutto bene, Ron».

«Mi stai lasciando?», chiese il ragazzo, muovendosi a disagio sui talloni, gli occhi fissi sul volto pieno di sofferenza di Hermione.

«Sì, ti sto lasciando».

Ron annuì, afferrando nuovamente il borsone che poco prima aveva appoggiato a terra, issandoselo a spalle: «È finita per davvero questa volta?»

Hermione si asciugò le lacrime che percorrevano il suo viso e annuì, nella sua mente il volto di Draco e nel petto la calda speranza che quella volta le cose sarebbero potute andare diversamente tra di loro: «Temo di sì».

«Siamo comunque amici, vero?», riuscì ad articolare Ronald, malgrado il groppo in gola e il pianto che non riusciva a contenere; quella volta capiva che non avrebbero fatto pace, che quella rottura era quella definitiva. Avevano cercato di far funzionare per anni la loro relazione, ma era d'accordo con Hermione, non aveva più senso continuare a fingere che andasse tutto bene.

«Certo, Ronald. Io ci sarò sempre per te, per Harry e Ginny», disse Hermione, appoggiando la mano sulla spalla del rosso.

«Ci vediamo, allora: Ciao, Hermione», mormorò Ron, lasciando nella mano di Hermione la copia della chiave della porta d'ingresso, prima di percorrere il corridoio e uscire.

«A presto, Ronald», disse Hermione con un filo di voce, prima di trascinarsi fino al divano e, abbracciando il cuscino adagiato contro il bracciolo, scoppiare in un pianto pieno di rassegnazione e tristezza.

Eppure, malgrado Hermione si sentisse annientata in quel momento, sapeva di aver fatto la cosa giusta, per lei e per Ronald.

 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Eccoci alla fine del capitolo.

Spero che la rottura di Hermione e Ronald non sembri troppo affrettata, anche perché è dall'inizio della storia, che ho lasciato intendere che, per quanto Hermione si aggrappi alla sua relazione con Ron, in realtà i due non sono propriamente compatibili e in questo capitolo ho mostrato ulteriori motivi per avvalorare questo concetto.

Spero inoltre abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate della storia fino ad ora!

Vi ricordo che la prossima settimana non penso di riuscire a pubblicare, dato che sarò in vacanza.

Per chi fosse interessato, mi può trovare su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Un po' di spensieratezza ***


8. Un po' di spensieratezza
 

 

Il Caso Uno, per il quale Malfoy era stato spedito nel Cheshire, si rivelò meno complicato di quanto il signor Dibert avesse sospettato.

Il mago, che aveva involontariamente usato la magia, era un diciannovenne di origini babbane, si chiamava Robbie e, quando venne interrogato da Malfoy su quanto fosse successo, ammise di non essersi reso conto subito di aver lanciato un incantesimo per evitare la disgrazia, che si stava per realizzare di fronte ai suoi occhi: un uomo di mezza età, pronto a buttarsi da un ponte per suicidarsi.

Malfoy aveva abbastanza esperienza nel suo campo per sapere che il ragazzo non stava mentendo. Era più comune di quanto si pensasse, usare la magia senza nemmeno rendersene conto, soprattutto quando si era ancora giovani e piuttosto inesperti.

Il babbano, la cui vita era stata salvata con un incantesimo, che gli aveva incollato le scarpe al parapetto in pietra da cui si voleva gettare, si trovava in uno stato di shock, mentre una signora anziana con in braccio un barboncino, il cui pelo voluminoso ricordava la pettinatura della padrona, che aveva assistito all'intera faccenda, non faceva altro che sbraitare che lei l'aveva sempre detto che esistevano gli alieni

Ad assistere alla scena c'erano inoltre due ragazzine che dovevano aver saltato la scuola per trovarsi a quell'ora su quel ponte, dalle borse in plastica che stringevano tra le mani, Draco dedusse che dovevano aver preferito lo shopping alle lezioni del primo pomeriggio.

«Signor Malfoy, affido a lei la rimozione della memoria della babbana anziana. Ci penso io a prendere la testimonianza del signor Sullivan», disse il signor Dibert, con uno scocciato gesto della mano, mentre estraeva dalla propria valigetta un bloc-notes e una piuma incantata che scriveva da sola.

Draco eseguì gli ordini senza ribattere, lanciando qualche occhiata veloce ai suoi colleghi che si occupavano del babbano che aveva tentato di suicidarsi e delle due ragazzine che, spaventate, avevano iniziato a piangere, promettendo di non saltare mai più la scuola.

«Buon pomeriggio, signora, mi chiamo...», tentò di presentarsi alla babbana anziana, nel tentativo di calmarla prima di modificarle la memoria, ma venne subito interrotto dal guaito spaventato del barboncino e da un colpo di borsetta che gli arrivò in pieno petto.

«Non ho paura di te, alieno! Avrò anche sessantotto anni, ma so ancora difendermi dai mascalzoni!», disse con voce stridula la donna, la fronte aggrottata e la borsetta alzata, pronta a colpire ancora.

Malfoy si portò una mano a massaggiare la zona offesa dall'anziana, mentre sorrideva appena; il coraggio e la fierezza di quella donna gli avevano ricordato Hermione Granger e gli era impossibile pensare alla sua ex amante senza che gli comparisse, ogni volta, quel triste sorriso sulle labbra.

«Non sono un alieno, signora», disse, estraendo la bacchetta.

L'istante successivo, prima che la donna potesse nuovamente colpirlo, le lanciò un Petrificus Totalus, che finì coll'immobilizzare anche il cagnetto che l'anziana teneva tra le braccia. 

Ci impiegò pochi minuti a plasmare i ricordi della signora dai vaporosi capelli bianchi, così da cancellare la sua convinzione di aver visto degli alieni, sostituendola con l'impressione che quella che stava vivendo fosse proprio una bella giornata e che si meritasse un nuovo paio di scarpe.

Dopo di che andò ad osservare il lavoro che alcuni neo assunti stavano svolgendo con le due ragazzine e assistette la sua collega Amanda Bianchi, suggerendole di inserire nella mente dell'uomo che aveva tentato il suicidio il desiderio di prendere appuntamento da uno psicologo per chiedere aiuto.

Complessivamente la missione non durò molto e Malfoy stava per chiedere al signor Dibert il permesso di tornare in ufficio, quando il suo capo gli disse che poteva prendersi il resto della giornata di riposo, ma di rimanere a disposizione in caso fossero sopraggiunte delle emergenze.

In un primo momento Malfoy pensò di tornare comunque in ufficio, con l'unico scopo di palare con Hermione e scoprire se le parole che le aveva detto avessero o meno rovinato quel fragile equilibrio che avevano creato.

Draco ebbe però paura.

Non avrebbe saputo dire con precisione di cosa, in fondo non aveva confessato ad Hermione il suo amore eterno e non aveva nemmeno ammesso di non aver mai smesso di pensarla, malgrado i lunghi anni che avevano passato ognuno a costruirsi la propria vita. 

La confessione che le aveva fatto riguardava la sua crescita e apertura mentale, che gli aveva permesso di mettere da parte molti dei pregiudizi che lo avevano accompagnato in giovane età. A suo parere, niente che lo mettesse in una posizione scomoda o critica.

Eppure non trovò il coraggio di tornare in ufficio come avrebbe voluto; non trovò il coraggio di comparire di fronte ad Hermione e farle crollare, una volta per tutte, tutte le convinzioni che credeva di avere, proprio come gli aveva suggerito Pansy.

Appena trovò un vicolo appartato in quella piccola cittadina del Cheshire, si smaterializzò.

Tornare a Villa Malfoy gli provocava sempre una forte sensazione di smarrimento e inadeguatezza. 

Si trovava in mezzo alle pareti che lo avevano visto crescere, in mezzo ai quadri, i mobili, le tende e i servizi da tè che lo avevano accompagnato nell'infanzia e nell'adolescenza.

Quello era il luogo dell'innocenza, della spensieratezza, e lo sarebbe sempre stato; avrebbe sempre avuto dei bei ricordi di quelle stanze pulite e impeccabilmente arredate.

Tuttavia tutto quello che c'era stato di buono e bello non poteva cancellare l'orrore di altri momenti altrettanto segnanti.

Villa Malfoy non era solo la casa dell'innocenza, era anche la casa che aveva assistito alla marchiatura del suo braccio e al dolore dei prigionieri, la cui unica colpa era stata quella di credere in un mondo magico migliore, dove il Signore Oscuro non esisteva.

Anche Hermione aveva sofferto tra quelle mura, quando sua zia Bellatrix Lestrange l'aveva Cruciata e torturata per ottenere informazioni riguardo alla spada di Godric Grifondoro.

Ripensare a quel momento, al momento in cui aveva messo in pericolo la sua stessa vita, solo per alleviare le pene che stava soffrendo la ragazza che amava, per mano della zia pazza di cui aveva sempre avuto paura, lo portarono a desiderare di abbandonare quelle mura troppo cariche di ricordi e raggiungere un luogo meno infelice.

«Signorino Malfoy», lo accolse la roca voce del vecchio elfo domestico Flick, il cui naso a patata era stato più volte vittima di scherzi da parte di un Draco giovane e irrispettoso.

«Buon pomeriggio, Flick. Mia madre è in casa?»

L'elfo, come ogni volta che qualcuno lo trattava con riguardo, si tirò le orecchie a punta, osservando a disagio il pavimento a scacchiera dell'ingresso: «La Padrona si trova nella sala degli argenti, signorino Malfoy».

Draco annuì distrattamente e borbottò un veloce: «Grazie, Flick», prima di dirigersi con passo sostenuto nella direzione indicatagli.

La sala degli argenti era un salotto le cui pareti erano interamente coperte da credenze con le ante in vetro che esponevano i più impeccabili servizi di argenteria, i piatti decorati da rifiniture d'oro e acquerelli di pavoni o piante esotiche, i bicchieri delle più svariate misure e i servizi da tè più raffinati. Al centro della sala si trovava una piccola zona lettura, con un tavolino basso e due poltroncine rivestite da fodere blu cobalto decorate da fiori gialli e rossi. Una parte della stanza era dedicata alla collezione di vasi che era appartenuta ad una lontana zia di sua madre.

Draco non ricordava l'ultima volta che era stato nella sala degli argenti; fin da piccolo gli era stato inculcato il timore di rovinare, per sbaglio, qualcuno dei tesori contenuti al suo interno e di conseguenza si era sempre tenuto a distanza, anche quando era diventato grande.

Quando arrivò a destinazione riconobbe subito la voce di sua madre, la quale stava elogiando la bellezza di un servizio di piatti.

«... A mio parere questi sarebbero perfetti! Sono così semplici ed eleganti... Tu cosa ne pensi? Potrebbero andare bene per il matrimonio?».

Draco entrò nella stanza e desiderò immediatamente scomparire.

Astoria, seduta compostamente su una delle poltroncine della sala degli argenti, stava osservando con attenzione quanto le stava mostrando Narcissa.

Entrambe le donne si voltarono verso la porta, prima che Draco potesse fare dietrofront e tornare da dove era arrivato e il giovane uomo ebbe la conferma di quanto temeva, ormai da qualche secondo: fare visita a sua madre, quel giorno, era stata una pessima idea.

«Draco!», esclamò Narcissa, osservando il figlio con gli occhi chiari colmi da gioiosa sorpresa: «Non ti aspettavo».

«Ho finito prima al lavoro e ho pensato di passare a trovarti», spiegò lui, avvicinandosi alle due donne.

Astoria si alzò in piedi e appena Draco fu abbastanza vicino avvolse la sua mano fredda in quella calda di lui.

«Vedo che sei in buona compagnia, madre, forse è meglio se vi lascio...»

Narcissa scosse furiosamente la testa: «No, non  andare, rimani con noi. Stavamo cercando tra i servizi migliori quello più adatto per le vostre nozze, dovresti avere voce in capitolo anche tu», disse la donna, sorridendo con orgoglio nel notare il modo in cui la guancia di Astoria, la sua futura nuora, si appoggiava alla spalla di suo figlio.

«Non ti sembra troppo presto per prendere decisioni simili? In fondo non abbiamo ancora deciso una data», fece notare Draco, trattenendo la smorfia d'irritazione che stava per sorgergli sulle labbra.

C'erano dei momenti in cui Draco si dimenticava di avere una fidanzata, momenti in cui s'illudeva che la sua vita fosse a dir poco perfetta. 

E poi ce n'erano altri in cui la realtà lo colpiva con la stessa forza del pugno che Hermione Granger gli aveva lanciato il terzo anno.

«Hai assolutamente ragione, caro. Forse è arrivato il momento di scegliere quando sposarci», disse la giovane Greengrass, sollevando lo sguardo sul volto pallido del proprio fidanzato.

Astoria si trovava in una posizione scomoda e non aveva idea di come uscirne, senza rovinare la sua impeccabile reputazione e di conseguenza macchiare anche quella di sua sorella e dei suoi genitori.

Astoria, in quanto strega, doveva sottostare ai voleri dei suoi genitori, nello specifico di suo padre, e del proprio fidanzato, a meno che non volesse creare uno scandalo e rovinare irrimediabilmente la propria vita.

Per quanto Astoria volesse gridare in faccia al mondo intero che lei non aveva intenzione di sposare Draco Lucius Malfoy, il timore delle conseguenze la rendeva muta e tremante di rabbia.

Tutto quello che le rimaneva da fare era sperare; sperare che Draco la lasciasse, sperare che annullasse le nozze.

Continuava a ripetersi, per calmare i nervi tesi e le dita tremanti, che Draco non avrebbe mai permesso a se stesso di sposare la ragazzina, che l'aveva ricattato per ottenere un contratto di matrimonio vantaggioso.

No, Draco non l'avrebbe permesso.

«Penso che sarebbe meglio aspettare a scegliere una data», disse Draco, scostandosi dalla propria ragazza, muovendo alcuni passi verso la poltrone, come se avesse voluto sedercisi.

Astoria non si offese dell'allontanamento del proprio fidanzato e rimase con il fiato sospeso ad osservare i movimenti di lui, nella speranza che con poche brevi frasi mettesse fine al suo tormento.

«Perché mai?», chiese con gli occhi assottigliati Narcissa, stringendo al proprio petto il piatto che fino a poco prima stava mostrando alla sua futura nuora.

«Perché quest'anno si sposa Harry Potter, madre, e le mie nozze sarebbero automaticamente messe in secondo piano», disse Draco, esponendo la scusa che già una volta aveva zittito le richieste assillanti di sua sua madre e quelle dei genitori di Astoria.

Le labbra di Narcissa si strinsero in una linea sottile e con un incantesimo veloce ripose nella credenza il piatto che stringeva ancora tra le braccia: «Molto bene. Penso che andrò a riposare, se voi volete rimanere a bere una tazza di tè, non fate complimenti».

«Buon riposo, madre», disse Draco, cercando di nascondere il profondo senso di colpa che provava in quell'istante, certo di aver appena deluso sua madre.

Narcissa si allontanò con passo nervoso verso le scale che l'avrebbero condotta alla camera, che un tempo condivideva con suo marito; le labbra pallide, strette in una linea, e il volto amareggiato.

«È solo per questo?», chiese Astoria, incrociando le braccia al petto: «È solo perché Potter si sposa tra qualche mese che non vuoi fissare una data?»

Draco non rispose, si limitò a sollevare lo sguardo e incrociare gli occhi scuri della propria fidanzata, la donna che sembrava aggrapparsi al loro matrimonio per masochismo, più che per vero affetto nei suoi confronti.

«Che altre motivazioni pensi che ci siano?», chiese Draco, con tono freddo e scostante, dirigendosi verso la porta, deciso ad uscire nel minor tempo possibile dalla casa della sua infanzia e adolescenza, la casa dell'innocenza e del dolore.

«Tu non mi ami, Draco, e questo fidanzamento è nato da un ricatto. Pensi siano motivazioni abbastanza valide?»

Astoria pronunciò quelle parole in un sussurro, quando ormai Draco era troppo distante per percepire qualcosa oltre ad un borbottio indistinto.

Era stata lei a creare tutta quella farsa.

Era stata lei a spingere il ragazzo che credeva di amare e che pensava avrebbe amato per sempre  ad accettare un contratto di matrimonio, il quale era convinta l'avrebbe resa felice per il resto della sua vita.

Ma come avrebbe potuto sapere a quindici anni che l'infatuazione che provava era appunto solo quello, un'infatuazione, e non qualcosa di più profondo?

Astoria aspettò qualche secondo, poi a sua volta fuggì da Villa Malfoy; aveva bisogno di stare un po' da sola, magari avrebbe fatto una passeggiata per Diagon Alley e poi... Poi sarebbe andata da Delilah e avrebbe cercato nei suoi occhi color carbone la forza necessaria per spezzare le catene da cui era costretta.

Draco Malfoy invece si smaterializzò fuori da un piccolo cottage rivestito di bianco e circondato da un prato verde curato in modo maniacale, in cui un bambino dai capelli blu rincorreva un gatto nero.

Andromeda Tonks stava bagnando i roseti nelle aiuole e un dolce sorriso le comparve sulle labbra quando vide la figura di suo nipote all'orizzonte. 

«Draco! Che bella sorpresa», disse la donna, posando la bacchetta nella tasca del lungo vestito che indossava, mentre andava incontro all'ospite.

«Draco!», urlò Teddy, perdendo il precedente interesse per la coda in movimento del gatto nero, così da correre incontro al cugino.

Draco Malfoy prese un profondo respiro e tutta la tensione e irritazione che aveva accumulato, durante la breve visita a sua madre, scomparve.

Andò in contro al cuginetto, sollevandolo in aria per qualche secondo, prima di metterselo sulle spalle, certo che a Teddy sarebbe piaciuto il cambiamento di prospettiva.

«Sei sempre più pesante, giovanotto», disse, sulle labbra un sorriso spensierato, mentre teneva tra le mani i piedi del bambino e li faceva dondolare.

«Come mai da queste parti?», chiese Andromeda, accostandosi al nipote.

«Avevo bisogno di un po' di spensieratezza», ammise Draco, non opponendosi alle mani del cugino che giocavano con i suoi capelli o gli tiravano le orecchie.

«Al galoppo!», disse Teddy, sporgendo il corpo in avanti, come se si trovasse effettivamente su un destriero e non sulle spalle di suo cugino: «Dobbiamo prendere Blacky!»

Draco non si oppose, accolse con una risata l'ordine e iniziò a correre verso il gatto nero, che la zia aveva adottato da pochi mesi per tenere compagnia al bambino di cinque anni che stava crescendo come un figlio.

«Mettimi giù!», si lamentò Teddy dopo qualche minuto e, una volta ottenuto ciò che voleva, iniziò a correre lui stesso dietro al gatto, dicendo a Draco di aspettarlo e di non avvicinarsi troppo; Blacky poteva essere pericoloso.

«Abbiamo visto un documentario sui grandi felini, è convinto che Blacky crescendo diventerà una pantera nera», spiegò zia Andromeda, estraendo la bacchetta per riprendere a innaffiare i cespugli di rose.

«La fantasia di quel bambino è davvero molto fervida», disse Draco, osservando con un sorriso il cuginetto rincorrere il gatto.

«Come va il lavoro?», chiese Andromeda, curiosa di scoprire perché il nipote avesse sentito il bisogno di "spensieratezza" quel giorno.

«Bene», disse Draco, pensando automaticamente ad Hermione e un triste sorriso gli comparve sulle labbra: «Zia, so che è un argomento delicato, ma ti sei mai pentita di aver scelto la vita che hai scelto? Hai mai desiderato tornare indietro?»

Andromeda smise di bagnare i fiori e osservò il nipote con occhi attenti e un'espressione seria in volto; la zia, in quel momento, ricordò a Draco Bellatrix Lestrange, poi la donna sorrise e la somiglianza svanì: «Che domande, certo che sì».

Draco socchiuse le labbra dallo stupore, non si era aspettato quella risposta.

«Capita a tutti di pentirsi di qualcosa, è normale. Io sono stata fortunata, i miei rimpianti non mi hanno mai impedito di essere felice e non sono mai durati più di qualche secondo», spiegò la donna, avvicinandosi al nipote, così da appoggiargli una mano sulla spalla: «Cosa ti affligge, caro?»

Draco sospirò, lo sguardo perso ad osservare Teddy che continuava ad inseguire Blacky lungo il prato: «Sono fidanzato con la persona sbagliata, zia».

«Questo è un problema», disse la donna, facendo comparire con un veloce incantesimo due sedie di legno scuro, così da sedersi e invitare il nipote a fare o stesso.

«Non so come dirlo a mia madre senza spezzarle il cuore», aggiunse Draco, sospirando: «Anche perché sono innamorato di un'altra».

Andromeda annuì, pensierosa: «Penso che tua madre e la tua fidanzata meritino di conoscere la verità».

«Sono innamorato di una Nata Babbana».

Zia Andromeda smise di annuire, voltando il capo nella direzione del nipote, negli occhi sembrava esserci una punta di sorpresa, oltre che di orgoglio: «Una Nata Babbana?»

«Già», confermò Draco, sentendo il peso di quanto appena confermato scivolargli appena dalle spalle: «Solo che temo di essere in ritardo, credo che lei ami un altro e che non ci sia niente che possa fare».

«Voglio esserci quando dirai a tua madre che rovinerai per sempre l'immacolato albero genealogico dei Black e dei Malfoy», disse Andromeda, una punta di cattiveria nello sguardo e un sorriso soddisfatto ad illuminarle il volto.

Draco scrollò le spalle: «Non è detto che arriverà mai quel giorno».

Teddy, con in braccio Blacky, corse in contro alla nonna e al cugino con un sorriso enorme stampato in volto e la salopette che indossava sporca di erba e terra sulle ginocchia: «Preso!»

Draco scacciò tutti i pensieri poco piacevoli che gli affollavano la mente e sorrise; aveva proprio bisogno di un po' di spensieratezza.

 

 

***

 

Ciao popolo di EFP!

Sono tornata, vi sono mancata?

So di essermi fatta attendere, ma confido nel fatto che ne sia valsa la pena, anche se effettivamente in questo capitolo non succede nulla di particolarmente esaltante, mi dispiace.

Vi farò però un piccolo spoiler per quanto riguarda il prossimo: Draco ed Hermione passeranno un bel po' di tempo assieme ;)

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di lasciarmi qualche commento per farmi sapere cosa ne pensate.

Come sempre ricordo, per chi volesse, che esisto anche su Instagram e il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Pausa pranzo ***


9. Pausa pranzo
 



Hermione Granger si svegliò con un forte mal di testa e gli occhi ancora gonfi per il pianto della sera prima.

Grattastinchi l'aveva svegliata un paio di volte nell'arco della nottata, fino a quando lei non aveva deciso di trasferirsi in camera da letto, così mettere tra sé e il gatto una porta chiusa.

Così facendo aveva reso molto felice Grattastinchi, il cui scopo era proprio quello di portare la padrona all'esasperazione, così da potersi acciambellare lui sul divano e dormire beatamente per qualche oretta.

In un primo momento, appena Hermione aprì gli occhi, pensò che la sua voglia di alzarsi e prepararsi per andare al lavoro, quel giorno, erano talmente basse da tendere allo zero. Quando si ricordò che era venerdì e che dopo quella giornata ci sarebbe stato il weekend, decise di fare uno sforzo e non mandare un gufo per darsi malata.

Indossò una semplice gonna nera da ufficio, che le arrivava a coprire il ginocchio, e una camicia color tabacco, senza preoccuparsi di nascondere con la magia o con qualche prodotto babbano le profonde occhiaie sotto ai suoi occhi. Legò i capelli in una coda alta e fece colazione con la lentezza di chi ha dormito poco e male.

Non era la prima volta che Hermione lasciava Ronald; negli anni in cui erano stati insieme era successo qualche volta, così come era successo qualche volta che fosse Ronald a lasciare Hermione.

Quella della sera prima però, per quando sbrigativa e meno violenta del solito, era la separazione definitiva, o almeno così la percepiva Hermione.

Dire addio a Ronald e agli anni che aveva dedicato a costruire con lui una relazione stabile, la faceva sentire sola e insicura.

Mentre beveva il suo tè con limone, provò ad aprire "Il Maestro e Margherita", così da distrarsi con la lettura, ma finì col chiudere il romanzo dopo poco, rendendosi conto di non essere nella giusta predisposizione d'animo per leggere.

Era talmente assorta dai propri pensieri e dal rimpianto, che Grattastinchi fu costretto a strusciarsi più volte contro le sue gambe, così da ricordarle di essere affamato e di necessitare cibo.

Hermione prese la metropolvere soprappensiero, cosa che, lei lo sapeva bene, non si dovrebbe mai fare, a meno che non si volesse finire perduti in chissà quale luogo lontano. Per sua fortuna raggiunse l'atrio del Ministero sana e salva e scese al quarto piano con Penelope Cross che, forse per la prima volta in vita sua, era puntuale al lavoro.

«Non sai quanto ti invidio l'ufficio! Per non parlare dell'interessante compagnia di quel gran pezzo di mago di Malfoy», disse la sua ex vicina di scrivania, con un sorriso malizioso e gli occhi sognanti: «Hai già arredato l'ufficio? Io non vedo l'ora di averne uno tutto per me, lo riempirei di foto delle mie amiche».

Fu in quel momento che ad Hermione tornarono in mente le parole pungenti di Pansy Parkinson, proprio relative al suo ufficio spoglio, e lo sconforto e la tristezza che aveva provato fino a quel momento vennero sostituiti da una calma risoluzione.

Si era pianta abbastanza addosso, o almeno stava cercando di convincersene, probabilmente la tristezza per la rottura con Ron sarebbe tornata, ma aveva la forte necessità di concentrarsi su qualcosa di diverso, così da incanalare tutti quei sentimenti negativi in qualcosa di positivo.

Prese la decisione di passare la sua pausa pranzo a cercare, nei pochi negozi che facevano orario continuato a Diagon Alley, qualcosa per abbellire il suo ufficio e renderlo più suo, più personale. 

Non aveva ben chiaro cosa volesse effettivamente comprare, ma aveva intenzione di iniziare a guardarsi intorno.

«Penelope, conosci dei negozi d'arredamento a Diagon Alley?», le chiese, rendendosi conto di essere davvero ignorante sull'argomento.

«Ce n'è uno molto carino che ha aperto da poco, ora mi sfugge il nome, ma si trova vicino a Madama McClan», disse Penelope, grattandosi pensosa dietro l'orecchio: «Se mi viene in mente altro ti faccio sapere», aggiunse, fermandosi con Hermione di fronte all'ufficio di quest'ultima: «Hai deciso di cambiare qualche mobile a casa?»

«No, stavo pensando più che altro al fatto che non ho ancora avuto modo di arredare il mio ufficio», ammise Hermione, facendo spallucce: «Grazie comunque, ora sarà meglio che mi metta al lavoro».

L'ex Grifondoro stava per accomiatarsi, quando Penelope la afferrò per il braccio e si sporse per sussurrarle all'orecchio: «Hermione, secondo te Malfoy fa sul serio con la sua fidanzata o pensi che potrei provare a sedurlo?»

Con qualche minuto di ritardo Hermione registrò le parole che Penelope aveva detto in ascensore, relative a Malfoy e al fatto che fosse un "gran pezzo di mago".

Una punta di insensata gelosia le fece, per qualche secondo, provare il forte impulso di allontanarsi da Penelope con uno strattone. Quando riprese il controllo delle sue emozioni fece spallucce e scosse la testa: «Non ne ho idea, ma dato che sono fidanzati ufficialmente dubito che tu possa sedurlo facilmente».

Penelope annuì, lasciando la presa sul braccio di Hermione: «Le sfide non mi spaventano», disse, facendole l'occhiolino, prima di dirigersi verso la sua scrivania.

Mentre metteva piede in ufficio, incrociando lo sguardo del signor Dibert, che la salutò con un cortese: «Buongiorno», Hermione avrebbe voluto avere la possibilità di cancellare gli ultimi minuti, così da dare a Penelope una risposta diversa; era palese che le parole, che avrebbero dovuto farla desistere dal correre dietro a Malfoy, non sembravano aver sortito l'effetto desiderato.

«Buongiorno, signore», disse Hermione, prima di sedersi alla sua scrivania, dove ad attenderla c'erano già alcune pratiche da sistemare.

«Signorina, so che lei appartiene ad un altro dipartimento, ma sarebbe così cortese da riferire al signor Malfoy, quando tornerà dalla missione nell'Essex, che sono stato convocato per una consulenza a Parigi? Sarò di ritorno lunedì o martedì in giornata», disse il signor Dibert, sorridendo affabile, mentre raccoglieva con gesti nervosi alcuni fogli in una ventiquattrore.

Hermione segnò, sulla pergamena più vicina, le informazioni che le erano appena state riferite e annuì: «Certo, signore, nessun problema».

Pochi secondi dopo il signor Dibert uscì dall'ufficio con un veloce saluto, lasciando Hermione sola.

Sbrigare le pratiche e leggere la documentazione che le era stata portata dal signor Quintt, poco dopo il suo arrivo in ufficio, non riuscirono a tenerle completamente la mente occupata, come aveva sperato.

Era incredibile come il ricordo della rottura con Ronald continuasse ad assillarla ogni pochi minuti. Quel tormento le ricordava il fastidio che provava, quando veniva punta da una zanzara; stessa sensazione di prurito, stessa voglia di grattare via l'irritazione, fino a far sanguinare la pelle.

Poi pensò a Penelope e alla loro recente conversazione e il prurito peggiorava, diventando un bruciore che le serrava la gola.

Non aveva alcun diritto di essere gelosa di Draco Malfoy.

Non era la sua fidanzata e per lui non era mai stata altro che una ragazza disposta a tenergli compagnia nei momenti di solitudine.

Per quanto le piacesse pensare a Malfoy come al suo ex ragazzo, Hermione sapeva che tra di loro non c'era mai stato un vero e proprio rapporto, anche se in certi momenti si era illusa che ci sarebbe potuto essere molto di più tra di loro, se solo avessero fatto il passo avanti necessario.

A Hermione non piacevano i rimpianti; per questo cercava di non pensare troppo al passato.

Sfortunatamente, non sempre era in grado di controllare i propri pensieri e impedire alla malinconia di farle ripensare a quando lei e Draco erano solo dei ragazzini, a cui piaceva rotolarsi nudi tra le coperte nella Stanza delle Necessità.

Hermione si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo.

Aveva mentito a Ron per anni, senza mai trovare il coraggio di raccontargli di quei mesi del sesto anno, passati a rincorrere e a farsi rincorrere da Malfoy. Non era nemmeno riuscita a dirgli la verità riguardo alla sua prima volta; aveva preferito mentire a Ronald e fargli credere di non aver mai fatto sesso prima di mettersi con lui, piuttosto che dirgli la verità.

Eppure Hermione ricordava fin troppo bene la sua prima volta, nella Stanza delle Necessità, con Draco Malfoy. Ricordava la reticenza di Malfoy nell'indossare il preservativo, ricordava le attenzioni di lui, il modo in cui si era preoccupato di farle raggiungere l'orgasmo, quando avrebbe potuto fregarsene e limitarsi a raggiungere il proprio piacere.

Hermione sospirò e si portò le mani a coprirle il volto arrossato.

Il prurito e bruciore, che aveva provato fino a poco prima, erano stati sostituiti da una fastidiosa sensazione a metà strada tra il dolore e il piacere. Hermione strinse le gambe, sentendo la fitta di doloroso piacere aumentare.

Non poteva eccitarsi con vecchi ricordi di Draco nel bel mezzo di una mattinata lavorativa, non era professionale, non era da lei.

Fissò senza vedere le pratiche sulla scrivania di fronte a sé, poi osservò la porta del suo ufficio: era chiusa.

Senza pensarci Hermione lanciò un incantesimo non verbale per girare la chiave nella serratura, così da chiudersi dentro al proprio ufficio, poi un incantesimo per insonorizzare la stanza.

Si sollevò la gonna lentamente, le mani le tremavano appena, mentre cercava di chiedersi se valesse davvero la pena essere beccata a masturbarsi nel proprio ufficio. 

Draco Malfoy sarebbe potuto tornare in qualsiasi momento e beccarla con le mani nel sacco (o meglio, nelle mutande).

Hermione non si sorprese più di tanto quando il pensiero di essere scoperta da Malfoy non la fece desistere, ma aumentò ulteriormente la sua eccitazione.

Era più di una settimana che non si masturbava, sapeva che ci avrebbe messo poco a raggiungere l'orgasmo, soprattutto se continuava a pensare a Draco Malfoy e a quanto le sarebbe piaciuto essere scopata da lui, proprio sulla sua scrivania.

«Merlino», sussurrò Hermione, cercando di prendere un profondo respiro e calmarsi.

Inserì una mano nelle proprie mutande, gli occhi fissi alla porta chiusa, ma tutto quello che vedeva la sua mente era il volto e il corpo nudo di Draco Malfoy.

Sospirò, quando iniziò a toccarsi e si rese conto di essere più eccitata di quanto avesse pesato fino a qualche secondo prima.

Chiuse gli occhi per qualche istante, lasciandosi sfuggire un gemito, mentre s'immaginava la bocca di Malfoy farle quello che si sta facendo da sola.

Quando riaprì gli occhi vide una figura oltre la porta del proprio ufficio e con gesti veloci si sistemò mutande e gonna, pulendosi le dita umide con un veloce incantesimo, mentre accavallava le gambe sotto alla scrivania, ignorando il pungente piacere che sentiva in mezzo alle gambe.

Cancellò l'incantesimo di insonorizzazione e tornò alle proprie pratiche.

Pochi secondi dopo la porta del suo ufficio si aprì e Draco Malfoy entrò, indossava un mantello lungo e scuro e aveva un'espressione tesa in volto.

«Buongiorno, Granger», disse, posando la ventiquattrore sulla sua scrivania.

«'Giorno», riuscì ad articolare Hermione, cercando di tenere a bada la frustrazione che provava in quel momento.

Per qualche minuto, mentre Malfoy si sedeva ed Hermione cercava di non pensare a quanto avrebbe voluto passare le dita tra i capelli fini e biondi del suo momentaneo compagno d'ufficio, ci fu il silenzio.

Fu Hermione a spezzarlo: «Il signor Dibert mi ha detto di comunicarti, che è stato contattato per una consulenza a Parigi e che tornerà lunedì o martedì».

Draco portò i suoi occhi chiari in quelli scuri di Hermione e la ragazza sentì la situazione in mezzo alle sue gambe peggiorare.

«Va bene, grazie», disse semplicemente, osservando il volto arrossato della ragazza.

Malfoy non riusciva a capire perché Hermione sembrasse imbarazzata; era forse per quello che si erano detti il giorno prima?

«Merlino», borbottò l'ex Serpeverde, portandosi una mano alla fronte: «Mi sono dimenticato di riportarti "Delitto e castigo"».

«Non ti preoccupare», disse Hermione, scrollando le spalle, mentre sentiva il battito impazzito del suo cuore tornare ad una velocità meno preoccupante e il fastidioso piacere in mezzo alle sue gambe scemare, lentamente.

«Senti», disse Malfoy, spostando la sedia della propria scrivania, così da avere una maggiore visuale della Granger: «Hai da fare questo weekend?»

La guance di Hermione tornarono a farsi incandescenti: «Perché?»

«Potremmo prendere un tè e io potrei restituirti il libro», disse Malfoy, mordendosi l'interno della guancia. Aveva appena usato una scusa a dir poco patetica per spingere la ragazza che amava ancora ad uscire con lui; si sentiva un idiota.

Hermione in un primo momento pensò di fargli notare, che non aveva problemi ad aspettare fino a lunedì per riavere il libro che non vedeva ormai da sei anni, ma le parole le morirono in gola e, prima che potesse rendersene conto, si trovò a fare qualcosa di molto impulsivo: «Certo, volentieri! Hai impegni oggi, per pranzo?»

Malfoy rimase con le labbra socchiuse ad osservare l'ex Grifondoro: «No».

«Ti andrebbe di accompagnarmi a Diagon Alley? Volevo iniziare a cercare qualcosa per l'ufficio. Pansy Parkinson ha ragione: non ha personalità», disse Hermione, le mani che le sudavano leggermente per il nervosismo.

«Conosco un negozio a Diagon Alley, che potrebbe piacerti», disse Draco, pensando al luogo in cui aveva comprato la maggior parte del mobilio e degli elementi decorativi che occupavano il suo appartamento.

«Ottimo».

Hermione e Draco rimasero ad osservarsi per qualche secondo, persi entrambi nei propri pensieri. Se solo avessero avuto l'occasione di leggersi nel pensiero, in quel momento, si sarebbero resi conto che quello che c'era nella loro menti non era poi tanto diverso; entrambi non vedevano l'ora di passare del tempo insieme, convinti di dover approfittare di quella che sembrava una seconda chance.

Draco pensava che non si sarebbe lasciato spaventare, come sei anni prima, dal mondo e da quello che avrebbe pensato vedendolo insieme ad una mezzosangue.

Hermione pensava che gli anni sprecati con Ronald erano stati, appunto, uno spreco, ma che era ancora giovane e che, forse, la decisione di approfondire la conoscenza di Malfoy poteva non essere una cattiva idea.

Tornarono entrambi ai rispettivi lavori e, prima che si potessero rendere conto dello scorrere veloce del tempo, arrivò la pausa pranzo.

Indossarono entrambi i loro mantelli, uscendo insieme dall'ufficio.

In un primo momento l'aria tra di loro rimase tesa e imbarazzata, poi Hermione gli chiese della famiglia e, per quanto non fosse un argomento particolarmente felice, Draco rispose.

«Papà è in una cella ad Azkaban e penso che ci rimarrà ancora per un bel po', mamma sta bene, penso. È difficile parlare con lei».

Hermione si strinse nel cappotto, anche se dentro l'atrio del Ministero non faceva freddo: «Mi dispiace, avrei dovuto fare una domanda meno...»

«Meno cosa? Meno personale?», chiese Malfoy, scrollando le spalle: «Non devi scusarti».

Rimasero in silenzio per il resto del tragitto verso i camini.

«Ci vediamo al Ghirigoro? Da lì ci si mette poco a raggiungere Aeki Arredamenti, potremmo prendere qualcosa da mangiare per strada», disse Draco, accennando un sorriso.

Hermione annuì, prese una manciata di metropolvere ed entrò nel camino più vicino.

Pochi secondi dopo si trovavano entrambi nella famosa libreria di Diagon Alley, il Ghirigoro.

«Ti ricordi il secondo anno?», chiese Hermione, osservando distrattamente le centinaia di volumi che affollavano ogni scaffale: «Ti ricordi Gilderoy Allock?»

«Sì, Granger, ricordo», disse Draco, affiancando la ragazza, trattenendosi dal desiderio di poggiare la mano sulla schiena di lei per indirizzarla verso l'uscita.

Gli occhi scuri di Hermione si fissarono in quelli di Draco: «Ti ricordi? Quell'anno mi hai chiamata per la prima volta "sporca mezzosangue"».

Malfoy annuì, sentendosi a disagio sotto quello sguardo: «Me lo ricordo, mi dispiace», disse: «A mia discolpa posso dire che il tuo commento sul "comprarsi l'ammissione" mi aveva ferito molto, per questo ti ho insultata, volevo ripagarti con la stessa moneta».

Hermione annuì: «Eravamo due ragazzini piuttosto crudeli, non è vero?»

Draco sorrise tristemente: «Vero».

Hermione avvolse la mano in quella di Draco, dirigendosi verso l'uscita del Ghirigoro.

Il primo impulso di Malfoy fu quello di sciogliere quella stretta improvvisa, sentendosi a disagio. Non voleva che qualcuno notasse quel gesto e lo riferisse ad Astoria o sua madre. Per quanto prendere la mano di un'altra persona potesse essere un gesto casto, sapeva quanto era facile per la gente ricamarci sopra una storia dai retroscena scandalosi.

Draco Malfoy resistette a quel primo impulso e strinse maggiormente le dita intorno alla mano di Hermione, facendo attenzione a non farle male. Gli era mancata quella pelle contro la sua, gli era mancato sentirsi così sereno.

«Prendiamo qualcosa dalle bancarelle da mangiare?», chiese Hermione, indicando un paio di stand che vendevano mele caramellate, panini e crêpes d'asporto.

«Certo», disse Draco, seguendola.

Quando la stretta delle loro mani si sciolse, per permettere loro di prendere i panini ordinati, entrambi provarono una dolorosa sensazione di mancanza.

Una volta muniti di cibo per il pranzo, Draco iniziò a fare strada verso la zona di Diagon Alley dove si trovava Aeki Arredamenti. 

Rimasero a fissare la vetrina del negozio per qualche minuto, mentre mangiavano e commentavano la bellezza degli oggetti esposti.

«Carino quel lampadario», disse Hermione, indicando un intricato lavoro d'oreficeria, dove i bracci del lampadario erano a forma di rospo con la lingua protesa in una curva che terminava con delle candele accese.

«Sai qual è l'indirizzo di Paciock? Se ha ancora quella fissa per il suo rospo, potremmo inviarglielo come regalo», disse Malfoy, ghignando soddisfatto di quanto appena detto.

Hermione rise, scuotendo appena la testa: «Questo era un commento cattivo».

«Eppure stai ridendo», le fece notare Draco, colpendole il fianco con una leggera gomitata.

«Questo perché continuiamo ad essere due ragazzini crudeli», disse Hermione, facendo spallucce.

Appena finirono i panini, Draco aprì la porta del negozio e si fece da parte per far entrare prima Hermione: «Dopo di te».

«Quanta galanteria», disse Hermione, sorridendo.

All'interno di Aeki Arredamenti, Hermione rimase affascinata da come lo spazio fosse stato incantato, così da contenere molti più oggetti di quanti ci si sarebbe aspettati, guardando la vetrina dalla strada.

Vennero accolti da una commessa fin troppo gentile, che si propose di mostrare loro ogni singola cosa in vendita, ma Draco fu veloce a declinare la sua offerta, dicendole che volevano solo dare un'occhiata in giro.

La commessa si allontanò con un sorriso e un cortese: «Chiamatemi nel caso cambiaste idea», lasciandoli nuovamente soli.

«Cosa stiamo cercando nello specifico, Granger?», chiese a quel punto Draco, osservando con attenzione alcune cornici per foto esposte.

«Non lo so», ammise la ragazza: «Qualsiasi oggetto che mi faccia venire voglia di comprarlo e di esporlo nel mio ufficio».

Draco indicò un poster, su cui erano raffigurati alcuni gatti variopinti in varie posizioni rilassate: «Che ne dici di quello?»

Hermione sorrise: «Mi piacciono i gatti, ma non così tanto».

«Davvero? Il sesto anno mi hai sfidato a duello per riavere il tuo gatto. Ero convinto che i gatti ti piacessero molto...», disse Draco, aggrottando leggermente la fronte.

«Io ti ho sfidato a duello? Sei stato tu a rapire il mio gatto e, invece di restituirmelo, mi hai proposto di combattere per decidere chi dovesse tenerlo», gli ricordò Hermione, distogliendo lo sguardo dall'orologio da parete a forma di girasole che stava osservando, per puntare gli occhi su Malfoy.

Draco sorrise: «Giusto, mi ricordavo male... Sai cosa mi ricordo fin troppo bene di quel duello?»

Hermione arrossì, comprendendo subito dove Malfoy volesse andare a parare, eppure fece finta di niente, e col tono più casuale che riuscì a trovare chiese: «Cosa?»

«Il nostro primo bacio», disse Draco, gli occhi intenti ad osservare la reazione di Hermione alle sue parole: «Te lo ricordi?»

«Come potrei? Mi hai baciata con l'inganno», borbottò Hermione, provando di nuovo lo smarrimento di quella notte e il desiderio misto al ribrezzo; ribrezzo per se stessa e quello che aveva provato per il bacio inaspettato di un Serpeverde.

«Non ne vado fiero, ma sono comunque felice di averlo fatto».

Hermione, spaventata dalla piega che stava prendendo la loro conversazione, afferrò una statuina in legno che raffigurava un Folletto della Cornovaglia: «Penso che prenderò questo», disse, allontanandosi verso la cassa, lasciando Malfoy indietro.

Draco, con la fronte aggrottata, si chiese se Hermione avesse scelto quella specifica statuina per ricordargli dello stupido scherzo che le aveva fatto il sesto anno, quando aveva introdotto illegalmente un Folletto della Cornovaglia nella camera da letto della ragazza.

O forse Hermione aveva una passione segreta per quella peculiare creatura del mondo magico, e lui non lo sapeva?

Draco, titubante, realizzò di aver paura a chiedere; aveva paura di rinvangare troppo il passato e ricordare a Hermione quanto fosse stato crudele in certe occasioni.

«Penso che dovremmo tornare, la pausa pranzo è quasi finita», disse Hermione, stringendo tra le mani il sacchetto di carta, che conteneva la statuina appena comprata.

Draco annuì: «Hai ragione».

Durante il tragitto di ritorno commentarono brevemente il tempo, ma per il resto rimasero nel più assoluto silenzio.

Hermione era convinta che Draco si fosse reso conto, che l'acquisto della statuina era stato un diversivo, dettato dal timore di affrontare argomenti, che non era pronta ad affrontare.

Draco era invece convinto che Hermione, comprando quella statuina, avesse voluto fargli sapere di essere ancora arrabbiata con lui, per quello scherzo di sei anni prima.

Entrambi passarono il viaggio di ritorno al Ministero a chiedersi cosa dire, per allentare la tensione. 

Arrivarono in ufficio prima di riuscire ad inventarsi qualcosa, poi quando ripresero a lavorare era ormai troppo tardi per iniziare una conversazione seria e entrambi desistettero, preferendo il silenzio a un possibile litigio.


 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Eccoci alla fine del nono capitolo di questa storia. 

Vi avevo promesso che Draco ed Hermione avrebbero passato del tempo insieme e così è stato. Inoltre abbiamo all'orizzonte un appuntamento che non vedo l'ora di scrivere!

Pian pianino si stanno riavvicinando, lo so che sono molto lenti, ma portate pazienza.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate.

Come sempre vi ricordo che potete seguirmi su Instragram, se vi va, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Zabini's Atelier ***


 

10. Zabini's Atelier


 

Pansy Parkinson prese un profondo respiro e aprì la porta del negozio.

Le sue narici vennero subito invase dal forte profumo da uomo di cui Blaise faceva un uso spropositato, poi gli occhi scuri della ragazza studiarono le pareti di un azzurro pastello, chiedendosi quando Blaise avesse avuto tempo di ritinteggiare tutto.

Il suo sguardo venne catturato da un paio di manichini della nuova stagione, i cui abiti erano stravagantemente adorabili, o almeno era così che Pansy definiva la maggior parte dei modelli disegnati dal suo amante.

Pansy Parkinson era più nervosa del giorno prima, quando si era presentata nell'ufficio di Malfoy per ottenere le sue riviste babbane. Considerando il bagno rilassante della sera prima e la tranquilla lettura di alcuni articoli di gossip quella mattina, Pansy avrebbe dovuto essere serena e accomodante. Sfortunatamente così non era.

Draco Malfoy avrebbe commentato, con il suo tipico tatto inesistente, che la sua amica aveva il ciclo, ed era per questo che risultava insopportabile. Peccato che così non fosse; Pansy non aveva le mestruazioni quel giorno.

Il motivo, per cui si trovava nell'Atelier del suo amante, a Pansy era in parte sconosciuto. 

Sapeva di aver bisogno di vederlo e di parlargli, ma non aveva messo in conto di farlo quel giorno. Eppure era lì, circondata da manichini danzanti e dal profumo preferito di Blaise Zabini, profumo che lei conosceva fin troppo bene, dato che più volte ne erano rimasti impregnati i suoi vestiti, le sue lenzuola e la sua pelle.

Pansy Parkinson aveva messo in conto di parlare con Blaise durante il weekend, così da prendersi il venerdì pomeriggio per abbozzare il suo prossimo articolo per Strega Moderna e poi andare alla sua lezione di pilates.

Invece era venerdì pomeriggio e lei si trovava nell'Atelier di Zabini.

Osservò il suo riflesso nello specchio più vicino e constatò di aveva un aspetto orribile, tutta colpa del poco sonno di quella notte e del pessimo prodotto per nascondere le occhiaie che aveva deciso di utilizzare quella mattina; doveva assolutamente comprarne uno migliore.

Un rumore alla sua sinistra la distrasse e, voltandosi, si trovò a pochi metri il proprietario del negozio.

Blaise Zabini quel giorno indossava una camicia color salmone con il collo alla coreana, sulla quale erano disegnati in nero dei fiori stilizzati, dei pantaloni eleganti bianchi e ai piedi aveva dei calzini azzurri con nuvolette bianche.

«Pan, che bella sorpresa!», disse il ragazzo, percorrendo la breve distanza tra di loro in pochi silenziosi passi: «Stavo giusto pensando a te».

Blaise strinse la ragazza in un abbraccio, mentre lei lo salutava con un: «Hey», poco convinto.

Pansy, che si era trattenuta fino a quel momento dal fare domande, non riuscì a resistere oltre e, sciogliendo l'abbraccio, chiese: «Dove sono finite le tue scarpe?»

Il ragazzo abbassò lo sguardo, osservando le sue calze azzurre con le nuvole bianche e scrollò le spalle: «Le ho tolte prima mentre lavoravo a dei nuovi disegni», disse, poi sorrise: «Devo essermi dimenticato di rimetterle».

Pansy non sembrò stupita da quel racconto e annuì, persa nei suoi pensieri: «Stai ancora lavorando ai gioielli?», gli chiese, dirigendosi verso il suo studio.

«Sì, continuo ad essere molto ispirato», disse, mostrandole gli anelli che portava alle dita, mentre la seguiva. 

Lo studio di Blaise era molto spazioso e ordinato, una parte era piena di manichini non incantati, sui quali pendevano abiti incompleti o che erano stati scartati in fase di produzione, un ampio tavolo in legno era invaso da fogli e progetti di abiti e gioielli, mentre in un angolo si trovava il calderone, uno degli ultimi oggetti acquistati da Zabini, che il ragazzo utilizzava per fondere l'oro o l'argento, che gli serviva per i suoi capolavori d'oreficeria.

Pansy si fermò accanto alla scrivania ad osservare con sguardo serio alcune bozze, ma la sua mente era da tutt'altra parte.

Quello di cui doveva parlare con Blaise era molto importante e necessitava di essere detto al più presto, peccato che le mancassero le parole. Erano già due giorni che voleva parlare con il suo amante, ma ogni volta non trovava il coraggio, oppure veniva interrotta da qualcuno o qualcosa.

Le mani di Zabini si appoggiarono sulle sue spalle e iniziarono a massaggiarla con movimenti precisi, che ben presto la fecero sospirare dal piacere.

«Sei molto tesa, Pan», disse lui, facendo scorrere le mani lungo la schiena della ragazza, fermandosi all'altezza dei fianchi: «Penso di sapere di cosa hai bisogno», aggiunse, premendo le labbra sotto l'orecchio della ragazza.

«E di cosa avrei bisogno?», chiese lei, appoggiando la nuca contro la spalla di Blaise.

«Di un orgasmo», sussurrò lui contro l'orecchio della ragazza, portando entrambe le mani sull'orlo della gonna a sigaretta che indossava Pansy.

Blaise le sollevò la gonna fino a quando fu completamente raccolta sui fianchi della ragazza e le sue mutande in mostra.

«Vuoi farlo sulla scrivania?», le chiese, voltandola in modo da poterla guardare in volto.

Pansy, con i capelli leggermente scarmigliati e le guance arrossate dal desiderio, annuì: «La scrivania va benissimo».

Nell'arco di pochi minuti i pantaloni di Blaise erano a terra in un mucchio indistinto di stoffa bianca, così come le sue mutande e quelle di Pansy. 

Non era la prima volta che Zabini utilizzava impropriamente il proprio studio e probabilmente non sarebbe stata nemmeno l'ultima.

Alcuni fogli volarono a terra quando il ragazzo aiutò Pansy a sedersi sulla scrivania e le allargava le gambe, così da potercisi posizionare in mezzo.

«Non hai chiuso il negozio», gli fece notare lei, tra un bacio e l'altro, mentre lui le stuzzicava con gesti esperti il clitoride.

«Non ti eccita la possibilità di essere scoperti da qualche ignaro cliente?», le chiese lui, mordendole il capezzolo turgido attraverso la camicetta semi aperta.

«Basta preliminari», disse lei, allacciando le gambe intorno ai fianchi del ragazzo spingendo la propria intimità contro quella di lui: «Dobbiamo fare in fretta, prima che entri qualcuno».

Blaise non se lo fece ripetere e si prodigò subito ad accontentare la richiesta di Pansy.

Ancora una volta, Pansy si trovò a pensare di essere una codarda e di avere probabilmente un problema di libido.

Era mai possibile che ogni volta che Blaise le si avvicinava lei provasse l'insostenibile desiderio di saltargli addosso?

Era mai possibile che ogni volta che andava da lui per parlargli seriamente non ci riusciva?

Ben presto i pensieri coerenti vennero messi da parte e Pansy e Blaise si dedicarono l'uno al piacere dell'altra.

Per loro fortuna, la sveltita fu abbastanza veloce da permettere a entrambi di venire poco prima che Hermione Granger e Ginevra Weasley s'incontrassero di fronte all'Atelier di Zabini.

I due amanti si stavano giusto rivestendo e Pansy aveva sulla punta della lingua le parole importanti che aveva bisogno di dire a Blaise, quando la porta del negozio si aprì e un leggero campanello trillò nello studio di Zabini, per avvisare della presenza di clienti nell'atelier.

«Vieni a cena da me questa sera?», chiese Zabini, aiutando la ragazza ad abbassare la gonna a sigaretta sulle gambe nude.

Pansy annuì in un primo momento, poi scosse la testa, ricordandosi di avere un lavoro e dei termini da rispettare: «Devo scrivere un articolo questa sera, la scadenza è domani mattina».

«Vieni domani sera allora», disse lui, baciandola brevemente sulle labbra.

«Va bene», acconsentì Pansy alla fine, dirigendosi verso la porta che dava sul negozio, prima di aprirla si voltò Blaise alle sue spalle e aggiunse: «Magari dovresti accogliere i clienti con le scarpe», aggiunse, osservando i calzini azzurri con le nuvole ai piedi del ragazzo.

Zabini sorrise, pizzicandole il fianco: «Non ti preoccupare, gli affari andrebbero alla grande anche se servissi i clienti in mutande».

Pansy sollevò gli occhi al cielo: «Questo perché sei un bel ragazzo e la maggior parte della clientela è composta da donne», gli fece notare, con la mano ancora sulla maniglia della porta.

Blaise le diede un bacio a stampo e le fece l'occhiolino: «Non fare la gelosa, Pan, lo sai che il mio cuore ti appartiene».

Pansy aprì la porta indispettita; lei non aveva mai detto di essere gelosa e la supposizione di Blaise l'aveva innervosita più di quanto le sarebbe piaciuto. Appena mise piede nel negozio i suoi occhi si posarono sulle figure leggermente spaesate di Ginevra Weasley e Hermione Granger, la smorfia sulle sue labbra si accentuò.

«Ma che bella sorpresa», disse Blaise alle spalle di Pansy, osservando con un sorriso genuino le due ex Grifondoro: «Non pensavo saresti tornata così presto, Granger... e hai portato un'amica. Come stai Weasley?»

«Ci vediamo domani sera», disse Pansy, salutando co un veloce gesto della mano Blaise, prima di mostrare un sorriso di circostanza alle due ragazze di fronte a lei: «Granger, Weasley».

«Parkinson», la salutarono all'unisono le due ex Grifondoro, osservandola uscire dal negozio con passo deciso.

«Zabini, siamo qua per chiederti se saresti interessato a disegnare un vestito da sposa per il matrimonio di Ginny», disse Hermione, distogliendo per prima lo sguardo dalla schiena di Pansy, per portare gli occhi sul proprietario del locale.

Fu in quel momento che Hermione si rese conto dei piedi scalzi di Zabini e delle calze azzurre con nuvole bianche che indossava, un sorriso confuso le si formò sulle labbra, ma decise di non dire niente.

«Sono più che interessato, penso di essere l'uomo giusto per voi», rispose l'ex Serpeverde, sorridendo: «Hai già un'idea di come vorresti l'abito?»

Ginevra annuì: «È tutto qua dentro», disse indicandosi con l'indice la tempia.

«Ottimo, allora perché non vieni nel mio studio e ci occupiamo di buttare giù una prima bozza del modello?», disse, mostrando con un ampio gesto del braccio la strada.

Hermione seguì Blaise e Ginevra verso lo studio, ma venne bloccata sulla porta da Zabini: «Cosa credi di fare, Granger?»

Hermione, con la fronte aggrottata, incrociò le braccia al petto: «Entrare a dare una mano», disse, constatando l'ovvio.

Zabini scosse lentamente la testa, continuando a sorridere, accondiscendente, come se si fosse trovato di fronte ad una bambina capricciosa: «Non c'è bisogno, mi basta la presenza di Weasley».

Hermione schiuse la bocca, pronta a protestare, ma Zabini le posò l'indice sulle labbra: «Sshh. Perché non provi il completo che ti ho suggerito l'altro giorno e qualsiasi altra cosa sia di tuo gradimento? Sarò da te a consigliarti in men che non si dica», disse, indicando con un gesto vago della mano i manichini danzanti

Ginny le fece un cenno di saluto, poi la porta dello studio si chiuse ed Hermione si ritrovò da sola.

Aveva sperato che l'uscita con Ginevra potesse essere abbastanza stimolante da farle pensare a qualsiasi cosa, tranne la recente rottura con Ronald o i sentimenti confusi che provava ogni volta che Draco Malfoy le era accanto.

E invece si trovava da sola con i suoi pensieri, circondata da manichini vestiti meglio di lei.

Rassegnata, si diresse verso il completo che Zabini le aveva proposto di provare la prima volta che aveva messo piede in quell'Atelier.

Osservò rapita la camicia bianca con le maniche a sbuffo e, senza pensare a quanti stipendi avrebbe dovuto sganciare per poterla portare a casa, decise di provarla.

Con un veloce incantesimo denudò il manichino, che continuò a passeggiare per la stanza come se niente fosse e seguì il cartello dorato che indicava i camerini.

Incapace di pensare a qualcosa di diverso, Hermione finì col pensare alla giornata che era appena trascorsa, da quando aveva rischiato di farsi beccare da Malfoy, mentre si stava masturbando, alla pausa pranzo che era sfociata in conversazioni che avevano finito col metterla a disagio.

Hermione non riusciva a capire il comportamento di Malfoy, o meglio, lo capiva fino a un certo punto. 

Era palese che ci stesse provando con lei, ormai Hermione non aveva più motivo di credere diversamente. Quando Draco le aveva ricordato del loro primo bacio poche ore prima, l'aveva fatto con il chiaro intento di riportarle alla mente i momenti che avevano condiviso durante il sesto anno: i baci, il sesso...

Hermione sospirò pesantemente, mentre si spogliava nei camerini puliti dalle pareti color panna, nascosta da occhi indiscreti grazie ad una pesante tenda color Borgogna.

Eppure Hermione non capiva: perché provarci con lei quando Malfoy era fidanzato con un'altra?

La camicia con le maniche a sbuffo era di un tessuto che pareva impalpabile, incredibilmente sottile e morbido. Indossandola Hermione si sentì avvolgere da un leggero profumo di lavanda e si sentì immediatamente fresca e rilassata.

Non ci voleva un genio per capire che Zabini aveva impregnato gli abiti di qualche pozione o incantesimo, che permettesse al cliente di sentirsi incredibilmente a proprio agio. 

Eppure, Hermione era certa che avrebbe amato quella camicia e quei pantaloni a palazzo anche se non fossero stati incantati.

Scostò la tenda, per osservare il proprio riflesso nell'enorme specchio, che riempiva la parete parallela ai camerini e un sorriso soddisfatto le illuminò le labbra.

Non era una grande appassionata di shopping e di solito preferiva la comodità all'eleganza, ma quei pantaloni e quella camicia, per quando semplici, le fecero desiderare di spendere anche tutti i propri risparmi, pur di poterli comprare.

Un rumore di passi alla sua sinistra la fece voltare.

Draco Malfoy, a pochi metri da lei, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni scuri la osservava stupito. 

Draco aveva da poco ricevuto un biglietto di Blaise che gli chiedeva di passare da lui in negozio per una questione importante, quando era arrivato però aveva trovato la porta dello studio chiusa e un cartello incantato che gli intimava di non disturbare l'estro creativo

Non era la prima volta che Zabini gli chiedeva di passare e poi lo faceva aspettare qualche minuto, quindi aveva iniziato a passeggiare per il negozio senza meta. 

Era così che aveva trovato Hermione Granger, più bella che mai, con addosso uno degli outfit creati da Blaise.

«Ciao», spezzò il silenzio lui, rimanendo però a distanza; non si fidava di se stesso in quel momento, non quando tutto quello che avrebbe voluto fare era raggiungere Hermione e baciarla.

«Ciao», disse lei, lisciandosi nervosamente la camicetta: «Sono qua con Ginevra, lei e Zabini sono nello studio a parlare di abiti da sposa... io a quanto pare non posso partecipare».

Fu in quel momento che Draco si chiese se Zabini avesse davvero bisogno di lui, o l'avesse attirato nell'Atelier con quella scusa, proprio per fargli incontrare Hermione.

«Ora si spiega il cartello sulla porta dello studio», disse Draco, scuotendo leggermente la testa: «Quando Zabini crea, nessuno lo può disturbare».

«Già», confermò Hermione, spostando lo sguardo sullo specchio di fronte a lei, solo in quel momento si ricordò che indossava ancora la camicia e i pantaloni più comodi ed eleganti che avesse mai provato.

«Ti sta molto bene», disse Draco, facendo arrossire vistosamente la ragazza.

Hermione sorrise: «Grazie, ma non credo di avere abbastanza soldi nel mio conto alla Grincott per potermelo permettere».

«È un vero peccato», disse Draco, abbassando lo sguardo.

Quello che Malfoy avrebbe voluto dire in realtà era: «Te lo compro io, Granger», ma era certo che lei non avrebbe mai accettato e che, anzi, si sarebbe potuta offendere di fronte alla sua ostentata ricchezza, ecco perché si era morso la lingua e non aveva detto nulla.

«Sarà meglio che vada a cambiarmi», disse Hermione, tornando nel camerino.

Mentre Draco Malfoy pensava a un modo per invitare a cena la Granger senza sembrare troppo disperato o assillante, Hermione si spogliava e tutto quello a cui riusciva a pensare era a quanto desiderasse che Draco Malfoy irrompesse nel suo camerino e la baciasse.

Il sogno ad occhi aperti di Hermione non si avverò e, una volta uscita, usò un veloce incantesimo per riportare l'outfit che aveva appena indossato al suo posto, ossia sul corpo dell'unico manichino nudo del negozio.

Non sapendo quanto ancora avrebbe dovuto aspettare la sua migliore amica, Hermione decise di sedersi su una delle due poltroncine che si trovavano appena fuori dai camerini.

Malfoy la raggiunse, sedendosi accanto a lei.

«Hai impegni questa sera?», le chiese Draco, senza pensarci, osservando il profilo della ragazza.

Le spalle di Hermione si irrigidirono appena, ma cercò di non lasciar trapelare il nervosismo mentre scuoteva la testa, portando i suoi occhi sul volto di Malfoy: «Non credo, non so cosa vuole fare Ginny dopo».

Malfoy annuì distrattamente, poi affondò nuovamente le mani nelle tasche dei pantaloni scuri: «E domani sera?», chiese, dicendo addio alla sua speranza di non sembrare disperato.

«Ho come l'impressione che tu voglia invitarmi a uscire, Malfoy», disse lei, sorridendo appena, allentando con quelle parole un po' della tensione tra di loro.

«Davvero? Non capisco come tu abbia fatto a giungere a una tale conclusione».

Hermione sorrise apertamente e Draco si ricordò perché amasse tanto quel sorriso.

«Domani sera non ho impegni», disse, Hermione, mordendosi il labbro inferiore: «Vuoi andare a bere un tè?»

Malfoy scosse il capo, divertito: «No, pensavo a qualcosa di diverso».

«A cosa?», chiese curiosa Hermione, spostando leggermente il capo verso di lui.

«È una sorpresa», disse lui, sorridendo: «Ti piacerà».

Hermione sollevò un sopracciglio: «Come fai ad esserne tanto sicuro?»

Fu in quel momento, quando Hermione accavallò le gambe e provò il forte impulso di sporgersi ulteriormente verso di lui, che si rese conto di quello che stavano facendo: stavano flirtando.

«Tu fidati e basta», disse lui, passandosi una mano tra i capelli fini: «Vestiti casual e non cenare, verrò a prenderti per le sette e mezza».

«Come fai a venirmi a prendere se non conosci il mio indirizzo?», chiese lei, mettendo da parte i sensi di colpa che provava in quel momento. Si era lasciata il giorno prima con Ronald e già aveva un appuntamento con un uomo. E non un uomo qualsiasi, ma Draco Malfoy, il suo ex amante.

«Questo potrebbe effettivamente essere un problema, ti toccherà darmi il tuo indirizzo», disse Draco, le guance gli facevano male da quanto sorrideva in quel momento.

«Vivo in un quartiere babbano, Malfoy, non vorrei mai che qualcuno ti o ci vedesse smaterializzare, anche perché poi dovresti occupartene tu, in quanto esperto Obliviatore», gli fece notare Hermione, scrollando le spalle.

«C'è un'unica soluzione allora», disse Draco, sospirando: «Dovrò darti il mio indirizzo».

Hermione fece una piccola smorfia: «Se intendi Villa Malfoy, penso di ricordarmi dove si trova».

«Non vivo più con mia madre, Granger», disse lui, seriamente, abbassando lo sguardo: «Troppi brutti ricordi».

Hermione non disse niente e si limitò ad aprire la propria borsa del lavoro e ad estrarre un foglio bianco e una matita, porgendoli al ragazzo: «In tal caso, ecco qua».

Malfoy segnò in pochi secondi l'indirizzo del proprio appartamento, poi restituì foglio e matita alla ragazza.

In quel momento la porta dello studio di Zabini si aprì e ne uscì una raggiante Ginevra Weasley: «Hermione, avrò il vestito più stupendo di sempre!», disse emozionata, correndo incontro all'amica.

Ginny iniziò subito a descrivere a grandi linee quello che sarebbe stato il suo futuro abito da sposa, mentre Hermione raccoglieva le sue cose e cercava di stare dietro al fiume di parole dell'amica.

Zabini intanto, appoggiato allo stipite della porta del suo studio, aveva un'espressione soddisfatta in volto.

«Grazie ancora di tutto, appena avrai qualcosa di pronto mandami un gufo, Zabini!», disse Ginevra, prendendo a braccetto l'amica. 

«Oh, Malfoy», disse la giovane Weasley, quando si rese conto della presenza del biondo.

Per qualche secondo ci fu della tensione nell'aria, ma Hermione si premurò subito di allentarla: «Io e Malfoy condividiamo l'ufficio da qualche giorno, non te l'ho detto?»

Ginevra aggrottò la fronte: «Non mi sembra», disse, rilassando leggermente le spalle tese; vedere Malfoy in giro le riportava sempre alla mente brutti ricordi e vecchi pregiudizi tornavano a oscurarle la mente.

«Beh, Malfoy, mi ha fatto piacere vederti, ci vediamo poi lunedì al lavoro», disse Hermione, trascinando verso l'uscita la sua amica: «Arrivederci, Zabini!»

Una volta che le due ragazze furono scomparse tra la gente che affollava Diagon Alley, Zabini si sedette sulla poltrona accanto a Draco, osservando la sua espressione pensierosa.

«Vedo che hai ricevuto il mio messaggio», gli disse, giocherellando con uno degli anelli che aveva al dito: «Ho creato questi oggi», aggiunse, aprendo la mano di fronte al viso dell'amico: «Ti piacciono?»

Malfoy mise da parte i suoi pensieri e dubbi, soprattutto la vocina nella sua testa che si chiedeva perché Hermione, poco prima, sembrava essersi vergognata di avere un qualche tipo di rapporto con lui, anche se solo lavorativo, e mise a fuoco gli anelli che Zabini indossava.

«Non male», disse, poi notò cosa aveva Blaise ai piedi e scoppiò a ridere: «Hai ancora quelle calze? Te le ho regalate per scherzo... quando? Due Natali fa?»

«Sì, e ti ricordi cosa mi hai scritto nel biglietto?»

«Certo, ti ho scritto che eri un elfo libero e che non avevi più bisogno di starmi appiccicato», disse Malfoy, sorridendo orgoglioso al ricordo dell'espressione confusa di Zabini quando aveva aperto quel regalo.

«Beh, amico, oggi mi sentivo un elfo libero, quindi sono venuto al lavoro senza scarpe».

Draco, ancora sorridente, scosse fintamente sconsolato il capo: «Sei unico, Blaise».

«Lo so».

 

 

***

Buon pomeriggio popolo di EFP!

Eccoci alla fine del decimo capitolo di questa storia! Sì, siamo già al decimo, anche io non riesco a crederci.

Or dunque, in questo capitolo succedono un bel po' di cose e penso di avere qualche domanda per voi:

Cosa dovrà dire di così importante Pansy a Blaise?

Come andrà l'uscita di Draco ed Hermione?

Ma soprattutto: quanto sono belli i calzini di Blaise da 1 a 394?

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate del capitolo e della storia in generale e in caso doveste avere domande, chiedetemi pure!

Come sempre vi ricordo che potete trovarmi su Instragram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Sorprese ***


11. Sorprese 
 
 


 

Blaise Zabini aveva espressamente richiesto al suo elfo domestico, Otto, di preparare qualcosa di speciale per quella sera e di apparecchiare per due, facendogli capire che quella cena doveva essere perfetta.

Otto aveva optato per un menù a base di pesce: risotto al nero di seppia e per seguire salmone alla griglia, accompagnato da patate al forno. Per dolce aveva invece scelto di preparare un semplice, ma delizioso, tiramisù.

Blaise aveva fatto arrivare Otto direttamente dall'Italia, affascinato dalla capacità dell'elfo di cucinare qualsiasi piatto con impeccabile maestria e approfittava di questa sua bravura ogni volta che voleva impressionare qualcuno.

In un primo momento Blaise Zabini aveva pensato di cucinare personalmente la cena, ma dato che ancora non aveva finito il disegno dell'abito da sposa che doveva cucire per Ginevra Weasley, aveva deciso di lasciare ad Otto le redini della cucina.

Il lavoro che gli aveva commissionato la futura moglie di Harry Potter, nonché giocatrice delle Holyhead Harpies, era l'occasione che Blaise aspettava da quando aveva aperto l'Atelier; era l'occasione per farsi conoscere, per diventare famoso e sbaragliare la concorrenza, nello specifico Madama McClan e i suoi modelli di abiti antichi e superati da tempo.

Tutto quello che Blaise doveva fare era studiare attentamente gli appunti, che aveva preso durante l'incontro con la giovane Weasley il giorno prima, e creare per lei l'abito perfetto.

Trascorse l'intero pomeriggio nello studio a casa sua, che somigliava molto a quello che aveva nel suo Atelier, a creare bozze su bozze, con una compilation di musica tradizionale irlandese di sottofondo per ispirarlo.

Quando arrivò l'ora di cena non aveva ancora avuto un'idea geniale, come si poteva evincere dai fogli accartocciati intorno a lui, ma senza perdere il buon umore, Zabini si diresse in camera da letto per togliere il leggero kimono di seta dorata che indossava e scegliere nel proprio armadio quattro stagioni qualcosa di elegante, ma non troppo formale, per la serata che avrebbe trascorso con Pansy.

Rimase per qualche secondo nudo come un verme a scorrere con le dita i diversi completi e le camice, decidendo infine per un semplice maglione di lana bianca, che metteva in risalto il nero dei suoi capelli, e un paio di pantaloni azzurro pastello con le tasche gialle.

Si sistemò i capelli davanti allo specchio e si spruzzò sul polso e il collo il suo profumo preferito.

Fu tentato più volte di tornare sui suoi passi e cambiare outfit, ma si costrinse a non farlo, dato che ormai non aveva più tempo e, prima di uscire da camera sua, recuperò dal cassetto del suo comodino l'ultimo gioiello che aveva creato e che aveva intenzione di regalare a Pansy quella sera.

Il campanello suonò prima del previsto e Blaise ne rimase piacevolmente sorpreso, Pansy era famosa per i suoi ritardi, se era arrivata con quindici minuti d'anticipo doveva esser stata impaziente di vederlo.

Esaltato da quel pensiero, Blaise precedette Otto e aprì la porta d'ingresso con un sorriso radioso in volto.

Pansy Parkinson indossava un aderente abito blu notte, che si sposava magnificamente con la sua carnagione e le arrivava al ginocchio, lasciando scoperte le gambe pallide e affusolate.

Blaise soffermò per qualche secondo l'attenzione sulle scarpe col tacco della ragazza, sentendo improvvisamente molto caldo, poi spostò lo sguardo sulle labbra rosse di lei: «Benvenuta, vuoi lasciarmi il soprabito?»

Pansy aveva indossato le prime cose che aveva trovato nell'armadio, puntando sulla sua spiccata capacità di essere sempre elegante e impeccabile, senza realmente preoccuparsi di esserlo. Era talmente agitata mentre si preparava, che non si era nemmeno resa conto di aver indossato le "scarpe del sesso", come le aveva soprannominate Blaise qualche mese prima.

Le "scarpe del sesso" erano delle normalissime décolleté gialle col tacco a spillo che, casualmente, erano le scarpe che indossava Pansy la prima volta che lei e Blaise avevano fatto sesso, mesi prima. 

Avevano su Blaise un riflesso condizionato che non riusciva a spiegarsi razionalmente; a lui bastava vedere quelle scarpe per eccitarsi, ecco perché le aveva soprannominate "scarpe del sesso".

Pansy porse il soprabito a Blaise senza rendersi conto di nulla, troppo assorta nei propri pensieri e si diresse con passo deciso verso il mobiletto degli alcolici collocato nel salotto del ragazzo, per poi fermarsi a metà strada e scuotere la testa; bere non l'avrebbe aiutata a rimanere lucida e lei doveva esserlo.

Otto comparve nel salotto e invitò, con un sommesso: «La cena è servita», il padrone di casa e l'ospite a spostarsi in sala da pranzo.

Blaise scostò la sedia a Pansy, poi si sedette di fronte a lei, soddisfatto di come l'elfo domestico aveva apparecchiato la tavola, ponendoci al centro una candela che rendeva l'ambiente ancora più romanico.

Prima che Pansy potesse parlare, Otto ricomparve con due piatti tra le mani, nei quali si trovava la prima portata della cena: il risotto al nero di seppia.

«Buon appetito», disse Blaise, sorridendo.

«Grazie, altrettanto», rispose Pansy, osservando con una smorfia il piatto che le era appena stato servito.

Dopo qualche secondo di silenzio, in cui Pansy non diede segno di aver intenzione di mangiare, Blaise prese la parola: «Stai bene, Pan?»

La ragazza alzò lo sguardo su quello che era stato il suo migliore amico per anni, l'uomo che malgrado tutto amava più di se stessa, e scosse lentamente la testa: «No, Blaise, non sto bene».

Zabini fece per aprire bocca, ma lei lo precedette: «Devo dirti una cosa, è importante».

Calò il silenzio e durò talmente tanto, che Blaise iniziò a sospettare di essersi immaginato le parole appena pronunciate dalla ragazza che gli stava di fronte. Aveva davvero detto che voleva parlargli di una cosa importante? O lo aveva sognato?

Alla fine Blaise, innervosito dal silenzio, iniziò a parlare a vanvera: «Se non ti piace il risotto al nero di seppia possiamo passare direttamente al secondo, oppure possiamo farci preparare altro da...»

«Sono incinta».

Blaise rimase con la bocca socchiusa ad osservare il volto pallido della donna che amava, incapace di riempire il silenzio come aveva cercato di fare poco prima.

«L'ho scoperto l'altro giorno. Sono andata dal medimago per farmi prescrivere altra PC (Pozione Contraccettiva) e come sempre mi ha sottoposto a qualche controllo e...», Pansy tentennò per una manciata di secondi, le parole le si erano momentaneamente incastrate in gola: «A quanto pare aspetto un bambino».

Blaise si alzò dal proprio posto e raggiunse la sedia di Pansy, inginocchiandosi accanto a lei, gli occhi resi lucidi dalle lacrime e il pomo d'Adamo che saliva e scendeva come impazzito.

«Non so cosa dire», sussurrò il ragazzo, osservando il ventre di Pansy come se si aspettasse di notare qualcosa di diverso dal solito, poi spostò lo sguardo sul volto sconvolto della donna: «In questo momento penso di essere troppo felice e sopraffatto per riuscire a dire qualcosa d'intelligente».

«Non so se voglio tenerlo», sussurrò Pansy, con la voce che le tremava appena.

«Oh», disse Blaise, abbassando lo sguardo e annuendo lentamente.

Per quanto lo facesse soffrire il pensiero, era giusto che fosse Pansy a decidere.

Era lei quella che avrebbe dovuto portare in grembo un'altra vita per nove mesi, lei che avrebbe dovuto sottoporsi a visite periodiche, lei che avrebbe dovuto partorire.

Spettava a lei scegliere, non a lui.

«Rispetterò qualsiasi cosa tu decida, Pan», sussurrò lui, appoggiando la mano sul ginocchio nudo di lei: «Ma se dovessi decidere di non abortire, sappi che mi renderesti l'uomo più felice dell'Universo».

Pansy si asciugò con gesti nervosi gli occhi lucidi: «È troppo presto, Blaise, non stiamo neanche ufficialmente insieme e lo sai che io non voglio sposarmi, non ora almeno! Avere un bambino a ventitré anni, Blaise... non credo di essere pronta».

Il ragazzo si alzò e condusse una scossa Pansy Parkinson fino al divano, dove la fece accoccolare contro di sé, accarezzandole la schiena e i capelli per farla calmare.

«Va tutto bene, Pan, ci sono qua io con te, qualsiasi cosa tu decida di fare», le disse, sincero.

Pansy sentì il proprio cuore stringersi dolorosamente e, se mai aveva avuto dubbi sui suoi sentimenti per Blaise, quel momento la aiutò a capire che era inutile continuare a mentire a se stessa. 

Pansy Parkinson era innamorata di Blaise Zabini.

L'anello di fidanzamento che il ragazzo aveva nella tasca dei pantaloni sembrava pesare come un macigno, ma Pan era troppo sconvolta e lui non aveva intenzione di litigare con lei, non quella sera.

Blaise si limitò a stringere maggiormente la ragazza a sé, scosso dalla recente rivelazione.

Non aveva mai seriamente pensato di diventare genitore, Pansy aveva ragione, erano ancora giovani per prendere in considerazione di mettere su famiglia. Eppure, ora che c'era quella possibilità, l'idea di diventare padre lo emozionava quanto una sfilata di moda del mago e stilista francese Pomme de Terre, genio indiscusso le cui creazioni erano il motivo per cui Blaise si era dedicato alla carriera di stilista.

«Ti amo», disse Blaise.

Pansy non si mise ad urlare e non se ne andò, si limitò a chiudere gli occhi e a stringere maggiormente la presa intorno al corpo del ragazzo, grata di averlo nella sua vita.

 

 

***

 

 

Hermione Granger passò l'intera giornata di sabato a fare pulizie in casa.

In parte lo aveva fatto per non pensare alla recente rottura con Ron, anche se ogni oggetto del suo ex che trovava in casa equivaleva ad una pugnalata nello stomaco; la confezione di pastiglie "Sorriso Smagliante 24 Ore", i calzini di lana grigi con la R di Ronald in rosso, il manuale di manutenzione per manici di scopa, una vecchia piuma consumata, una semplice maglietta bianca...

Senza lasciarsi cogliere troppo da sentimentalismi, Hermione finì per riporre ognuno di quegli oggetti in una scatola di cartone, che avrebbe spedito alla Tana, appena fosse stata certa di aver raccolto tutto ciò che Ron aveva lasciato dietro di sé, a casa sua.

L'altro motivo per cui aveva deciso di passare il suo sabato a fare le pulizie era legato all'uscita di quella sera con Draco Malfoy.

Hermione aveva bisogno di scaricare il nervosismo e l'unico modo che le era venuto in mente per impegnare la sua mente in modo proficuo, era stato quello di iniziare a dedicarsi alle pulizie di primavera.

Per rendere l'attività più faticosa aveva deciso di utilizzare la magia solo in caso di estrema necessità, dedicandosi quindi alle pulizie "alla maniera babbana".

Hermione Granger non si era mai resa conto di quanto fosse piccola e generalmente pulita la sua casa fino a quel sabato, quando terminò le pulizie generali nell'arco di poche ore.

Decisa a tenersi impegnata ancora per un po', iniziò a dedicarsi all'impresa più estenuante di tutte: mettere ordine nei cassetti e ripiani pieni di cancelleria e nella libreria.

Se la maggior parte delle persone aveva un problema con l'acquisto smodato di vestiti che poi non venivano realmente utilizzati, Hermione aveva la stessa mania impulsiva di acquisto, ma con la cancelleria e i libri.

Aveva constato negli ultimi anni che per ogni indumento acquistato da Ginny, lei comprava due libri o delle piume dai colori improbabili o pergamene dalla consistenza e colori variabili.

Allo stesso modo in cui Ginny accumulava vestiti, lei accumulava oggetti di cancelleria e libri.

Passò il primo pomeriggio a sistemare la libreria, dedicandosi all'impresa che aveva iniziato qualche settimana prima, ma che non aveva mai portato a termine: mettere i libri in ordine alfabetico a seconda del cognome dell'autore. Mentre si dedicava in modo certosino a quel compito, cercò di non pensare né a Ronald, né a Draco.

In un primo momento ce la fece senza intoppi, ma arrivata alla lettera D, e quindi a "I fratelli Karamazov" di Fëdor Dostoevskij, non riuscì contenere i ricordi e il pensiero corse subito al suo ex amante, il ragazzo con cui aveva un appuntamento quella sera.

Hermione non aveva idea di cosa aspettarsi da Draco Malfoy, per la cena che avevano in programma e la cosa la elettrizzava e spaventava allo stesso tempo. Era rassicurata dal fatto di doversi vestire casual, ma cominciava a chiedersi se lei e Draco avessero la stessa concezione del termine "casual".

Si sentiva inoltre in colpa. Non era un sentimento che riusciva a spiegarsi razionalmente, ma le sembrava quasi di tradire Ronald, anche se si erano lasciati da un paio di giorni ormai e non aveva intenzione di ricascare in quella relazione sconclusionata.

Hermione riuscì a sistemare i libri fino alla lettera G, poi decise di dedicarsi alla cancelleria.

Quando aprì il primo cassetto del basso mobile che fungeva da magazzino per tutti i suoi articoli per scrivere, si sentì male dal numero di piume che vi erano ammassate, ma non si fece prendere dal panico e le estrasse una a una, analizzandole con occhio critico per valutare se meritavano di essere tenute o meno.

Seduta a terra, circondata da piume di gufo e civetta di ogni forma e colore, si chiese cosa avrebbe pensato uno sconosciuto, magari un babbano, entrando nel suo salotto in quel momento; come minimo le avrebbe dato della pazza.

Una scatolina in cartone sul fondo del cassetto le fece aggrottare la fronte, incuriosita.

Si stava giusto chiedendo da dove spuntasse quel pacchetto, quando, aprendolo, sentì un tuffo al cuore.

Il biglietto che stringeva tra le mani le era fin troppo familiare, così come la piuma nera e inutilizzata che giaceva all'interno della scatola, insieme a una boccetta di inchiostro multicolore e un barattolo di polvere di Fata.

 

Hermione,

So che questo regalo non cambierà niente, ma l'ho comprato tempo fa pensando a te e non mi sembra giusto tenerlo. 

Buon Natale,

Draco Lucius Malfoy

 

Hermione gettò un'occhiata all'orologio sulla parete e decise di aver ammazzato abbastanza il tempo e di necessitare assolutamente di una doccia.

Lasciò a terra le piume, la scatola e il biglietto, troppo scossa per continuare a fare pulizie.

Ritrovare il regalo di Natale che le aveva spedito Malfoy sei anni prima era stato troppo, troppo per il suo cuore incerto, che agognava e allo stesso tempo temeva le attenzioni di Draco.

Aveva già sofferto una volta, sei anni prima, era davvero sicura di volerci ricascare?

Una volta sotto la doccia, Hermione lasciò che l'acqua bollente scorresse sulla sua pelle, insaponandosi con gesti meccanici, distratta.

Più cercava di non pensare a Malfoy, più si trovava con i pensieri intasati da ricordi recenti o meno, il cui protagonista indiscusso era lui.

Il pomeriggio che avrebbe dovuto trascorrere in tranquillità, facendo ordine tra i suoi oggetti, si era rivelato una montagna russa di emozioni contrastanti.

Dopo la doccia, mentre si asciugava, stringendosi nell'accappatoio, si sorprese nel constatare che il nervosismo, per l'appuntamento di quella sera, era quasi del tutto scomparso, sostituito dall'impazienza.

Si ricordava quel nodo allo stomaco e il desiderio che le scorreva nelle vene, l'aveva già provato sei anni prima e lo aveva provato ogni giorno prima di andare al lavoro quella settimana, all'idea di vedere Draco Malfoy.

Hermione Granger, ancora stretta nel suo accappatoio, osservò i pochi indumenti appesi nel suo armadio per qualche minuto, cercando qualcosa che fosse abbastanza casual.

Optò infine per una blusa leggera color mattone, un paio di jeans scuri a vita alta, tenuti su da una cintura in pelle marrone, un cardigan nero e un paio di stivaletti scamosciati marroni.

Una volta pronta osservò con occhio critico il proprio riflesso nello specchio del bagno, chiedendosi se dovesse truccarsi o meno.

Osservò il cofanetto dei trucchi e lo aprì con gesti incerti, il rossetto rosso sembrava prendersi gioco di lei, ricordandole della pessima figura che aveva fatto qualche giorno prima, quando Malfoy le aveva fatto notare la sbavatura rossa sulle labbra.

Indossò un filo di mascara, rendendo più voluminose le ciglia scure e poi si lavò i denti, ignorando volutamente di posare nuovamente gli occhi sul tubetto di rossetto.

Hermione recuperò la sua borsetta e infilò la bacchetta nella tasca del cappotto. 

Prese dal comodino il foglietto su cui Draco le aveva scritto l'indirizzo di casa sua e si diresse verso il camino, decisa ad usare la metropolvere.

Ignorò il disastro in salotto, dove pile di libri e piume sparse a terra le ricordavano che non aveva portato a termine le attività che l'avevano tenuta impegnata gran parte del pomeriggio, ed entrò nel camino.

Dopo aver detto con voce chiara l'indirizzo, venne avvolta da fiamme verdi e l'istante successivo si ritrovò in un atrio di modeste dimensioni, con il pavimenti in marmo e una scala che portava ai piani superiori.

Osservando l'ambiente che la circondava, notò una bacheca, sulla quale erano riportate su una pergamena alcune regole condominiali e altri avvisi relativi a futuri lavori di ristrutturazione nell'appartamento del primo piano.

Quando Hermione si rese conto che le targhette di ottone, che si trovavano sulle porte, dovevano indicare il cognome dei proprietari, decise di partire alla ricerca dell'appartamento di Malfoy.

Dovette salire fino all'ultimo piano, prima di notare su una porta in legno scuro la targhetta su cui spiccava in corsivo il cognome di Draco.

Suonò il campanello e rimase in attesa, col cuore che le batteva forte nel petto.

Sentì un rumore di passi, dei borbottii indistinti e la porta si aprì, rivelando un Draco Malfoy che si stava abbottonando gli ultimi due bottoni della camicia bianca che indossava.

«Ciao, sei in anticipo», disse lui, sistemandosi il colletto della camicia e i polsini: «Recupero la giacca e arrivo», aggiunse, prima di lasciare la porta aperta alle sue spalle e scomparire momentaneamente.

Hermione sbirciò quel poco che poteva vedere dell'appartamento: una porta aperta che dava su un bagno i cui colori dominanti sembravano essere il bianco e il verde chiaro, un appendiabiti, una modesta libreria e una scala che sembrava portare su un piano mansardato.

La ragazza stava per entrare nell'appartamento, anche se non era stata invitata, per studiare con più attenzione l'ambiente, ma Draco comparve di fronte a lei e senza tante cerimonie si chiuse la porta alle spalle, incantandola poi con un incantesimo di protezione.

Rimasero per qualche secondo a guardarsi in quel corridoio poco illuminato da una manciata di candele fluttuanti, poi Draco sorrise divertito, sollevando un sopracciglio, ed Hermione si riscosse dalla sua inopportuna contemplazione.

Hermione Granger si ritrovava ancora una volta con un quesito irrisolto: come faceva Draco Malfoy ad essere impeccabile con una semplice camicia bianca e un paio di pantaloni neri?

«Allora», disse lei, muovendosi con passi incerti verso le scale: «Posso sapere dove siamo diretti?»

«Se te lo dicessi ora, non sarebbe più una sorpresa», disse lui, affiancandola mentre scendevano i gradini leggermente irregolari.

Le scale non erano molto larghe ed Hermione si ritrovò spalla contro spalla con Draco e, di conseguenza, il cuore che le batteva furioso in gola.

La ragazza si ritrovò a ringraziare di aver deciso di tenere i capelli sciolti quella sera, dato che le stavano permettendo di nascondere le sue guance arrossate.

«Non posso avere neanche un indizio?», gli chiese, riempiendo il silenzio.

«No», disse Draco, sorridendole apertamente: «Devi resistere ancora pochi minuti».

Arrivati nell'atrio della palazzina, Hermione si fermò accanto al camino, ma Draco le afferrò la mano, trascinandola verso la porta d'ingresso, che dava sulla trafficata Diagon Alley.

«Pensavo prendessimo la metropolvere», disse Hermione, osservando il volto divertito di Draco.

Le mani del ragazzo si appoggiarono sugli avambracci di lei: «Pensavi male».

L'istante dopo Hermione percepì il familiare strappo della smaterializzazione e sentì lo stomaco contorcerglisi fastidiosamente.

Una volta arrivati a destinazione Hermione appoggiò la fronte contro la spalla di Draco, respirando profondamente il profumo di lui per calmare la sensazione di nausea che provava.

«Tutto bene?», le chiese Malfoy, trattenendosi dal portare entrambe le braccia a circondare la figura, in quel momento fragile, di Hermione.

L'ex Grifondoro annuì, scostandosi dopo pochi secondi dal corpo del ragazzo.

«Dove siamo?», chiese, non riconoscendo il vicolo deserto e poco illuminato in cui si trovavano.

La mano di Draco tornò a stringersi intorno alla sua: «Ora lo vedrai», le disse, iniziando a farle strada.

Quando sbucarono nella strada principale, Hermione si sentì in un primo momento spaesata, poi la consapevolezza di non essere più nella Londra magica la sorprese talmente tanto da lasciarla senza parole.

Draco l'aveva portata nella Londra babbana per il loro appuntamento.

«Sopresa?», chiese lui, sorridendole entusiasta.

Hermione annuì, chiedendosi dove fosse finito il ragazzino che sei anni prima le aveva parlato della sua paura per i babbani.

«Non sai quanto», disse con un filo di voce, lasciandosi guidare da quel Draco Malfoy, simile a come lo ricordava, eppure completamente diverso; che non vedeva l'ora di conoscere.


 

 

***

Buon pomeriggio popolo di EFP!

Alzi la mano chi aveva intuito che Pansy fosse incinta (sinceri mi raccomando)!

E ora alzi la mano chi vorrebbe venirmi a prendere sotto casa perché ho interrotto il capitolo sul più bello!

Prometto che nel prossimo capitolo vedremo l'appuntamento nei minimi dettagli, ho preferito non inserirlo in questo perché l'appuntamento merita il giusto spazio e qua non gli avrei reso giustizia.

Secondo voi cos'avrà in mente di fare Draco nella Londra babbana?

Parlando un attimo della prima parte con Pansy e Blaise e il loro appuntamento, volevo solo farvi sapere che lo stilista Pomme De Terre nasce dalla mia mente malata e probabilmente apparirà nuovamente nei capitoli futuri. Scusate, ma non ho saputo resistere alla tentazione di chiamate uno stilista "patata" in francese. Lo so, ho un senso dell'umorismo pessimo, ma dopo Aeki non dovreste farci nemmeno caso, ormai!

Sono piuttosto soddisfatta di quanto ho scritto, fatemi sapere cosa ne pensate e se trovate degli errori fatemeli notare, vedrò di correggerli asap (as soon as possible = il prima possibile).

Ovviamente, nel caso aveste domande, non esitate a chiedere!

Come sempre vi ricordo che potete seguirmi anche su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp!

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Tortino al cioccolato ***


12. Tortino al cioccolato
 

 

 

Draco Malfoy fece strada a Hermione Granger fino ad un pub della Londra babbana, dove all'interno si respirava odore di tabacco, birra e pesce fritto. In un angolo del locale c'era un piccolo palco vuoto e gli astanti chiacchieravano animatamente tra di loro, sovrastando il suono della musica jazz di sottofondo.

Hermione osservò con gli occhi colmi di meraviglia il modo rilassato con cui Draco parlava con un cameriere dall'accento irlandese, dicendogli di aver prenotato un tavolo per due.

All'ex Grifondoro sembrava di trovarsi in un sogno, anche se non era certa che la sua fantasia potesse arrivare a creare qualcosa di così vivido e assurdo.

Draco le stringeva ancora la mano e si voltò a sorriderle quando il camerieri confermò la prenotazione e li invitò a seguirlo.

Attraverso uno stretto corridoio giunsero in una saletta meno affollata, dove una manciata di tavolini erano apparecchiati e sulle pareti scure erano appesi ritratti dall'aspetto antico.

Hermione non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di meraviglia che provava.

Draco le scostò la sedia per farla sedere e lei accettò quel gesto con un sorriso impacciato.

Il cameriere lasciò sul tavolo due menù, poi chiese al signore a due tavoli di distanza se desiderasse altro e, ricevendo una risposta negativa, tornò nella sala principale del locale.

«Stai bene?»

Hermione spostò lo sguardo dal signore che leggeva il Daily Telegraph, per posarlo su Draco che, seduto di fronte a lei, la guardava divertito.

«Sì», disse la ragazza, prendendo il menù, così da tenere le mani impegnate: «Sono solo...»

«Sei solo?», la incitò Draco, afferrando a sua volta uno dei menù.

«È la prima volta che vieni qui?», chiese Hermione, osservando con curiosità il ragazzo che aveva di fronte.

Draco aprì il menù, scorrendo con occhi attenti le descrizioni delle portate, poi sollevò lo sguardo e si rese conto che lo scopo di quella serata, "sorprendere Hermione Granger", era stato raggiunto con successo.

«No, penso che sia la quinta o sesta», disse, osservando gli occhi della ragazza sbarrarsi leggermente: «Quando mi piace un posto tendo a tornarci spesso, ogni volta mi rendo conto di qualcosa che prima non avevo mai notato».

«Da quanto frequenti il mondo babbano?», chiese Hermione, il menù aperto davanti a lei, ma gli occhi troppo impegnati a studiare le espressioni di Malfoy per potersi dedicare ad altro.

«Un po'», ammise Draco, con un tono che non riusciva a celare l'orgoglio che provava nell'essere diverso, migliore, rispetto a sei anni prima: «Ho scoperto che la paura che provavo un tempo era irrazionale e che questo mondo non è poi tanto diverso da quello magico».

Hermione annuì, indecisa su cosa dire, poi abbassò lo sguardo sul menù, leggendo distrattamente le proposte del pub.

Fu in quel momento, mentre non riusciva a concentrarsi su quello che stava leggendo, che si rese conto del pericolo che quel "nuovo" Draco Malfoy rappresentava. Sei anni prima si era ingenuamente innamorata di un ragazzo arrogante e bigotto, che le aveva fatto provare il forte desiderio di svelare ogni suo segreto e dargli tutta se stessa. Sei anni prima, per quanto avesse sofferto in privato, aveva superato la rottura della loro particolare relazione con stoicismo, senza lasciare intendere a Malfoy quanto fosse stata male.

Ora si trovava di fronte a quello stesso ragazzo, solo che questa volta lui era diverso; più maturo, meno chiuso mentalmente... 

Si era innamorata di lui quando era un acerbo ragazzino che si credeva superiore a tutto e tutti, quanto le ci sarebbe voluto prima di innamorarsi di nuovo completamente di lui? 

«Se devo essere sincero, senza l'aiuto di un medimago specializzato nella psiche umana probabilmente avrei fatto molta più fatica ad accettare molte delle cose che ora non mi turbano più», disse lui, attirando nuovamente l'attenzione di Hermione su si sé: «Come per esempio il fatto di trovarmi in un pub pieno di babbani, nella Londra babbana, a cena con una nata babbana...»

Calò un momentaneo silenzio, Draco sembrava osservare la parete alle spalle di Hermione, come se avesse notato qualcosa d'interessante, mentre la ragazza studiava l'espressione del suo accompagnatore con interesse a ammirazione.

Nel mondo babbano, ammettere di andare da uno psicologo, soprattutto per un uomo, era visto come segno di debolezza, qualcosa da tenere nascosto, perché non compatibile con l'immagine di "virilità" che si voleva mostrare al mondo. Sentire Draco parlare con naturalezza e calma dell'aiuto che aveva ricevuto, per superare le idee sbagliate che gli erano state inculcate fin da piccolo, suscitò in Hermione un moto di orgoglio e apprezzamento.

«All'inizio non è stato facile», continuò a raccontare Draco, sorridendo appena: «La prima volta che mi sono smaterializzato nella Londra babbana sono stato arrogante e sono finito in un'affollata e rumorosa Piccadilly Circus, sono durato meno di due minuti e poi sono fuggito».

Hermione sorrise, immaginandosi la scena in modo fin troppo nitido: un pallido Draco Malfoy che osservava con ribrezzo e orrore i palazzi e i babbani che lo circondavano e, con la fronte imperlata di sudore e le labbra che gli tremavano, scompariva nel nulla, allo stesso modo in cui era comparso.

«Eppure non ti sei arreso», disse Hermione, nella speranza di incoraggiarlo a raccontarle altre vicende, altre avventure.

In quel momento il camerieri tornò con un bloc-notes e un sorriso di circostanza: «Cosa posso portarvi?»

Hermione si trovò colta in contropiede; si era lasciata distrarre dai racconti di Draco e si era completamente dimenticata del menù che stringeva, ora chiuso, tra le mani.

Malfoy le lanciò un'occhiata rassicurante e ordinò anche per lei: «Prendiamo due porzioni di fish and chips e due pinte di birra, grazie».

Il cameriere segnò tutto, poi recuperò i menù e si allontanò.

Hermione si ritrovò a pensare all'ultima volta che Draco aveva ordinato per lei, in quel bar dove avevano preso un semplice tè e lui si era ricordato del limone.

«Spero che il fish and chips qua sia buono, altrimenti pretenderò delle scuse», disse lei, appoggiando il mento sulla mano, con tono mortalmente serio.

«Posso assicurarti che è il piatto migliore del menù», la rassicurò Draco.

«Lo spero per te», disse lei, per stuzzicarlo.

Calò brevemente il silenzio tra di loro, poi Draco parlò: «Come hai trascorso il tuo sabato? Hai fatto qualcosa d'interessante?»

Hermione prese seriamente in considerazione l'idea di mentire, poi fece una piccola smorfia e decise di dire la verità: «Niente di entusiasmante, mi sono dedicata alle pulizie di casa. Tu?»

La ragazza omise intenzionalmente la parte del racconto in cui aveva iniziato a mettere in ordine alfabetico i libri della libreria — senza terminare — per poi dedicarsi ad un'analisi minuziosa della sua collezione di piume — anch'essa non portata a termine, come potevano testimoniare le piume che si trovavano ancora in giro per il pavimento del salotto.

«Ho fatto la spesa nel negozio di alimentari a due passi da casa, poi mi sono riposato leggendo un volume sulle Arti Oscure», disse Draco, sorridendo appena: «Non so chi tra noi due vince per il sabato più noioso».

«Penso che siamo pari», disse la ragazza, stando al gioco, scrollando leggermente le spalle.

Una cameriera arrivò con le loro birre, per poi dileguarsi nuovamente

Hermione, che non aveva registrato poco prima l'ordinazione completa del biondo fece una piccola smorfia divertita e guardò Draco negli occhi: «Hai intenzione di farmi ubriacare, Malfoy?», chiese, mentre sollevava appena il boccale colmo di birra di fronte a lei.

«Forse», rispose lui, facendo spallucce, le labbra sollevate in un mezzo sorriso malizioso.

«Propongo un brindisi», disse Hermione, sporgendo il proprio boccale verso quello di Draco: «Ai modi subdoli per far ubriacare le persone!»

Draco sorrise: «Propongo un ulteriore brindisi: al mondo babbano!»

I boccali di scontrarono ed entrambi bevvero un sorso di birra.

Il signore, seduto a leggere il Daily Telegraph, starnutì un paio di volte, poi si alzò dal tavolo e, dopo aver rivolto un garbato gesto del capo a Draco ed Hermione, percorse lo stretto corridoio che portava alla sala affollata dove si trovava il bancone del bar.

«Allora, non mi hai raccontato come hai trovato questo posto», disse Hermione, sporgendosi leggermente sul tavolo, impaziente di sentire parlare ancora Draco.

L'ex Serpeverde scoppiò a ridere, scuotendo leggermente la testa: «Ti ho già raccontato di Piccadilly Circus, vuoi proprio sapere ogni brutta figura che mi sono fatto nel mondo babbano?»

Hermione non ci pensò nemmeno per un secondo e annuì: «Certo che sì!»

«Va bene, ma poi tocca a me farti una domanda», contrattò Draco, prendendo un sorso di birra.

«Affare fatto!», accettò Hermione, sporgendo la mano sul tavolo, così da stringere quella di Draco e suggellare il patto.

«Ho trovato questo posto qualche mese fa, faceva freddo e io avevo perso il mantello in una lotto all'ultimo sangue con un cane», notando l'espressione incuriosita di Hermione, Draco decise di approfondire il racconto: «In poche parole, mi sono intrufolato nel giardino sbagliato e quel cane mi ha attaccato, gli ho lanciato contro il mantello come diversivo e sono corso via. Ho salvato la mia vita, ma poi mi sono pentito di non avergli lanciato altro, invece del mantello».

«Non potevi usare la magia?», chiese Hermione, trattenendo a stento la risata che le sorgeva spontanea, immaginandosi la scena.

«Sì, avrei potuto, ma non volevo rischiare di esser visto da qualcuno», spiegò lui, prima di tornare al racconto: «Stavo vagando a caso, senza una meta, alla ricerca di un posto dove scaldarmi oppure di un vicolo nascosto e deserto dove smaterializzarmi, quando noto l'insegna di questo pub e decido di entrare».

Malfoy interruppe il racconto per una manciata di secondi, per creare un po' di suspense, poi aggiunse, notano l'espressione impaziente di Hermione: «Ero terrorizzato all'idea di parlare con dei babbani, non che fosse la prima volta, ma era comunque tutto ancora molto nuovo per me. Vengo accolto da una cameriera che mi chiede se voglio sedermi, e fin lì tutto bene: mi siedo, riesco ad ordinare qualcosa da bere e mangiare, poi una sconosciuta si siede al mio tavolo e inizia a parlarmi. Capivo la metà delle cose che mi diceva, ma cercavo comunque di stare al passo con la conversazione, stranito da quella che mi sembrava un'usanza babbana».

«Vuoi dirmi che una ragazza si è seduta al tuo tavolo per provarci con te e tu hai pensato fosse normale?», chiese Hermione, sorridendo nel figurarsi un impacciato Draco Malfoy, che flirtava con una babbana senza rendersene nemmeno conto.

«Esatto, Granger, gradirei se non mi prendessi in giro», disse lui, con una smorfia.

In quel momento comparve nuovamente la cameriera di poco prima e portò loro due piatti abbondanti di fish and chips.

«Spero che tu abbia fame, Granger», disse il ragazzo, prendendo con le mani una patatina e addentandola con convinzione.

L'istante successivo Malfoy aggrottò la fronte e aprì la bocca, formando con le labbra una "O": «È bollente», avvertì la ragazza, prima di prendere un sorso di birra, per portare sollievo alla sua lingua dolorante.

Hermione scoppiò a ridere, ottenendo un: «Non è divertente, Granger», borbottato tra i denti da un imbarazzato Malfoy.

Si dedicarono per qualche minuto al pasto in un religioso silenzio, entrambi affamati, poi Hermione riportò l'attenzione di Draco sul racconto che non aveva terminato.

«Oh, non c'è molto altro da dire, lei mi parlava del concerto di un cantante babbano che ci sarebbe stato a Maggio, della sua migliore amica che non voleva saperne di uscire con suo fratello e altre cose che non mi ricordo e io cercavo di parlare il meno possibile per non fare danni», raccontò il ragazzo, con una smorfia divertita: «Mi ha chiesto che lavoro facessi e le ho detto che non ne avevo uno, dato che non avevo idea di quali fossero i tipici lavori dei babbani, dopo un po' è comparsa una ragazza, probabilmente un'amica, e l'ha trascinata a prendere qualcosa al bar. Quando stavo per andarmene, la ragazza mi ha dato un foglietto di carta e mi ha detto di chiamarla. Sto ancora cercando di capire cosa volesse dire con quelle parole».

Hermione rischiò di strozzarsi con la birra che stava bevendo e scoppiò in una risata fragorosa: «Vuoi dirmi che ti ha anche dato il suo numero di telefono? Merlino, questa è una delle storie più divertenti che io abbia mai sentito!»

Draco in un primo momento si chiese se avrebbe dovuto offendersi dell'ilarità della Granger, ma il pensiero durò un istante, sostituito ben presto da una sensazione di calore nello stomaco. Prima che se ne rendesse conto si trovò a ridere a sua volta, anche se non aveva ancora capito cosa fosse un "numero di telefono".

Hermione prese la sua borsa ed estrasse il suo Nokia 3310, oggetto babbano che non usava spesso, ma che le era utile quando voleva chiamare per farsi tagliare i capelli dalla sua parrucchiera babbana preferita, o prenotare in qualche ristorante non magico.

«Questo, Malfoy, è un telefono», disse Hermione, appoggiandolo sul tavolo: «Viene utilizzato dai babbani per comunicare tra di loro, si possono mandare messaggi, oppure telefonare».

Draco osservò quell'oggetto con la fronte aggrottata: «Tipo un gufo?», chiese, facendo sorridere Hermione.

«Guarda, ti faccio vedere».

Hermione recuperò il cellulare e aprì la rubrica, dove aveva una manciata di numeri salvati, chiamò il ristorante indiano dove era stata alcune volte con i suoi genitori, e dal quale ogni tanto ordinava qualche piatto da asporto, e avvicinò il telefonino all'orecchio di Malfoy, che la guardava con la fronte aggrottata: «Si sente solo un tuuu fastidioso, è normale?», le chiese.

Pochi secondi dopo, Malfoy si scostò dal cellulare, guardandosi intorno con aria smarrita: «Chi parla?»

Una voce dal cellulare gli rispose con un marcato accento indiano.

Draco, con occhi e bocca spalancati, osservò prima il cellulare, poi Hermione: «Che stregoneria è mai questa, Granger?»

Per il resto della cena, Hermione si prodigò a spiegare il funzionamento del cellulare a Malfoy, rendendosi conto di non aver mai parlato apertamente di quell'invenzione babbana con un mago. 

«Puoi salvare dei numeri? Tu che numeri hai salvato?», chiese Draco, sbirciando curioso il piccolo schermo del cellulare.

«Ho il numero di qualche ristorante, quello della mia parrucchiera babbana, quello di Harry...»

«Harry Potter ha un cellulare?», chiese Malfoy, stupito: «E cosa se ne fa?»

«Lo usa per tenersi in contatto con gli zii e il cugino babbani, a loro non piacciono molto i gufi», spiegò la ragazza, facendo spallucce: «Ogni tanto chiama me e chiacchieriamo».

«E qual è il tuo numero, Granger?», chiese lui, prendendo seriamente in considerazione l'idea di comprarsi uno di quegli arnesi babbani, così da poter chiamare Hermione quando voleva e sentire la sua voce.

La ragazza sorrise ed estrasse dalla borsa un pezzo di carta e una penna.

Scrisse le undici cifre che componevano il suo numero di telefono, poi diede il foglietto a Malfoy, il quale lo osservò per qualche secondo, poi lo piegò e lo mise nella tasca dei pantaloni.

I piatti di entrambi erano vuoti da una manciata di minuti e anche i boccali di birra erano quasi completamente asciutti.

«Avevi ragione», disse Hermione: «Il fish and chips di questo ristorante è molto buono».

«Prendiamo un dolce?», chiese Draco, ricordando il tortino al cioccolato che aveva mangiato, qualche settimana prima, in quel locale.

«Da dividere?», propose la ragazza, posando nella borsetta il cellulare.

«Certo», acconsentì Draco, sentendo la calda sensazione nello stomaco salire fino a serrargli la gola.

Quando comparve il cameriere per prendere i loro piatti vuoti, Draco gli chiese gentilmente un tortino al cioccolato da dividere, poi la musica d'atmosfera che avevano sentito fino a quel momento venne interrotta, sostituita dal suono di una chitarra.

Hermione si sporse dal suo posto a sedere, notando sul piccolo palco dell'altra sala un ragazzo che, seduto su un alto sgabello, stava strimpellando qualche nota di una canzone che non conosceva.

«Musica dal vivo?», chiese lei, tornando a posare lo sguardo su Draco.

Il ragazzo annuì, sorridendo: «Dopo possiamo andare a ballare se ti va».

«Sai dov'è il bagno?», chiese Hermione, guardandosi intorno.

Draco le indicò una porta nascosta da un paravento in legno e lei vi si diresse con passo sicuro.

Hermione Granger, non per la prima volta da quando Draco Malfoy era tornato nella sua vita, aveva trovato un diversivo per allontanarsi da una situazione scomoda.

Non ne andava fiera, lei era un'ex Grifondoro e non era nella sua natura fuggire come una codarda, eppure aveva dovuto farlo.

Dopo aver fatto la pipì, rimase qualche istante davanti al piccolo specchio che si trovava sul lavandino ad osservare il proprio riflesso.

Aveva le guance arrossate, dall'alcol probabilmente, che cominciava a farle sentire la testa più leggera, ma anche per l'emozione.

Nemmeno nelle sue fantasia più sfrenate aveva mai immaginato un appuntamento così perfetto.

Non c'era stato imbarazzo, avevano riso, avevano parlato...

E ora Draco le proponeva di andare ad ascoltare musica dal vivo e di ballare con lui.

Hermione uscì dal bagno e tornò a sedersi di fronte a Malfoy, sentendosi la donna più fortunata del mondo.

«Devi ancora rispondere a una mia domanda», disse il ragazzo, ricordando ad Hermione l'accordo che avevano fatto a inizio serata.

«Hai ragione, chiedi pure», disse lei, appoggiando il mento sul palmo della mano.

«Io ti ho parlato della mia prima volta in questo pub, quindi mi sembra giusto chiederti della tua prima volta a Diagon Alley: cos'è successo?»

Hermione scoppiò a ridere: «Sono passati anni, Draco! Non penso di ricordarmi molto», ammise la ragazza.

«Raccontami quello che ricordi», la incoraggiò lui, appoggiandosi con le braccia al tavolo.

«Va bene», disse Hermione, cercando di riportare alla mente quel giorno di dodici anni prima: «Ero molto nervosa ed emozionata, mamma e papà erano con me, ma per la prima volta non erano padroni della situazione, non sapevano come comportarsi e dove andare a cercare quello che ci serviva, proprio come me. Ricordo che ci siamo persi qualche volta per le vie, ogni volta dovevamo chiedere indicazioni. Penso fosse ovvio che fossimo "turisti", dato che ci fermavamo a guardare ogni vetrina e ogni avvenimento vagamente anormale diventava per noi uno spettacolo incredibile».

Hermione interruppe il racconto, quando il cameriere portò loro il tortino che avevano ordinato, con due forchette da dolce.

«Ricordo di aver pensato che quello sarebbe stato il mio nuovo mondo e che dovevo assolutamente scoprire tutto quello che potevo, prima dell'inizio della scuola», continuò, mentre affondava la forchetta nel tortino, dal quale fuoriuscì un cuore caldo di cioccolato.

«Oh», sussurrò Hermione, sorpresa, prima di portare alla bocca un pezzo di dolce.

Draco osservò la scena con attenzione, studiando il modo in cui le labbra della ragazza si chiusero intorno alla forchetta, mentre le palpebre di lei si abbassavano, così che la mancanza di vista potesse aiutarla da assaporare appieno il gusto ricco del cioccolato.

«È buonissimo», mormorò lei, riaprendo gli occhi per incontrare lo sguardo febbricitante di Draco.

Il ragazzo prese la sua forchetta da dolce e la affondò a sua volta nel tortino morbido, per poi portarsela alle labbra.

Mangiarono quel dolce in silenzio, continuando a guardarsi negli occhi, abbassandoli solo quando quella gara di sguardi si faceva troppo intensa.

Entrambi stavano pensando al sesso, al desiderio di riscoprirsi che, rispetto ai giorni precedenti, sembrava amplificato dall'alcol che scorreva nelle loro vene, dall'atmosfera intima e da quel dolce al cioccolato afrodisiaco.

Hermione si era tolta da tempo il cardigan che portava sopra alla blusa color mattone, Draco aveva arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti.

Senza dire niente, quando il colle finì, Malfoy si alzò e porse la mano alla ragazza: «Balliamo?»

Hermione annuì e afferrò l'arto teso, lasciandosi guidare lungo lo stretto corridoio poco illuminato, fino a quando non si trovarono vicino al palco.

Il ragazzo con la chitarra aveva appena iniziato a cantare "Hanging by a Moment" dei Lifehouse, rendendo quel brano ancora più struggente dell'originale.

Draco avvolse i fianchi di Hermione con le braccia, mentre lei intrecciava le dita sulla nuca di lui.

Dondolarono, la fronte di Hermione contro la guancia di Draco, per tutta la durata della canzone, senza dire niente, lasciandosi semplicemente guidare dalle note e dalla voce del cantante.

Hermione si sentiva leggera come una piuma e cominciava a pensare che non fosse tutta colpa dell'alcol, Draco invece cercava di pensare a un modo per prolungare quel momento all'infinito.

Erano gli unici che ballavano in tutto il pub e il cantante sul palco sembrava contento di avere qualcuno interessato al suo lavoro, così, invece di passare ad una canzone più allegra, come aveva prefissato nella scaletta, decise di passare ad un altro brano malinconico, così da permettere alla giovane coppia di continuare a ballare.

Fu in quel momento che Draco parlò: «Sei ubriaca, Granger?», le sussurrò contro la tempia.

Hermione sorrise: «No, ma sono un po' brilla», ammise, spostando il volto, in modo da guardare il ragazzo negli occhi: «Tu?»

«Sono un po' brillo pure io», disse Draco, sorridendo.

Tornarono a dondolare in silenzio per qualche secondo, fu nuovamente Draco a parlare: «Hermione?»

La ragazza distolse lo sguardo dal cantante sul palco, per guardare Draco.

«Posso baciarti?»

Le labbra di lei si socchiusero per la sorpresa e le guance le si arrossarono per l'emozione.

«Sì».

Si avvicinarono con gesti impacciati, i loro nasi si sfiorarono, poi le labbra di Draco erano su quelle di Hermione, morbide e delicate.

Le loro bocche sapevano di tortino al cioccolato, mentre si cercavano con dolce impazienza, riscoprendo, in quell'incontro di labbra, emozioni del passato e desideri mai sopiti completamente. 

Quando anche la seconda canzone finì, Draco ed Hermione interruppero il bacio, rimanendo ad osservarsi, incerti su come comportarsi.

Fu in quel momento che Hermione si rese conto di aver appena baciato un ragazza fidanzato e sciolse definitivamente il contatto tra di loro: «Forse, dovremmo andare», disse, dirigendosi sbrigativamente verso il corridoio, che portava alla saletta dove avevano mangiato.

Draco la seguì, terrorizzato all'idea di aver rovinato tutta la serata per colpa di un semplice bacio.

Hermione recuperò le proprie cose, cercando di celare il proprio turbamento, mentre Draco cercava di trovare le parole che avrebbero sistemato ogni possibile dubbio o paura provata dalla ragazza in quel momento.

«Hermione, se ho fatto qualcosa di sbagliato mi dispiace».

La ragazza rimase con una sola manica del cappotto infilata, mentre alzava lo sguardo sul volto di Malfoy: «Sono solo stanca», disse una mezza verità, per tenere celato il dolore che provava nel saperlo fidanzato ufficialmente con un'altra donna.

«Vuoi che ti accompagni a casa?», chiese lui, aiutandola ad indossare il cappotto.

Hermione scosse la testa: «Sarebbe meglio di no», disse, rendendosi conto di quanto fosse debole la sua forza di volontà in quel momento. Era certa che, se Draco glielo avesse chiesto, avrebbe potuto concedersi a lui senza pensarci due volte in quella stanza, in cui chiunque sarebbe potuto entrare e scoprirli.

Frastornato, Draco recuperò la giacca e seguì la ragazza nella sala principale del pub.

Decisero di dividere il conto a metà, poi uscirono nell'aria fresca della sera, dirigendosi verso il vicolo buio in cui si erano smaterializzati un paio di ore prima.

«Buona notte, Malfoy», disse lei, pronta a smaterializzarsi.

La mano del ragazzo si appoggiò sul suo braccio: «Hai da fare domani?»

Hermione si voltò a guardarlo negli occhi, incerta su quale fosse la risposta giusta da dargli.

«Mi chiedevo», disse Draco, lasciando la presa sul braccio di lei: «Se ti andrebbe di accompagnarmi a comprare un cellulare, andrei da solo, ma ho paura di combinare un casino».

Hermione smise di chiedersi cosa avrebbe dovuto rispondere e si limitò a seguire l'istinto: «Va bene. A che ora ci vediamo?».

«Dopo pranzo?», propose Draco, mordendosi l'interno guancia per trattenersi dal sorridere vittorioso.

«Va bene, passo da te per le due del pomeriggio», disse Hermione, cercando di non mostrare troppo apertamente la felicità che provava.

«Perfetto», rispose lui, sporgendosi per lasciare un bacio sulla guancia alla ragazza: «Buona notte».

«'Notte, Draco».

L'istante successivo il corpo di Hermione era scomparso, risucchiato da uno strappo luminoso nella notte.

Draco Malfoy sorrise, smaterializzandosi a sua volta.

 

 

***

Buon pomeriggio popolo di EFP!

Non abituatevi a questo evento più unico che raro, avevo questo capitolo ormai delineato nella mente da ieri e avevo bisogno di scriverlo prima che mi dimenticassi qualcosa, quindi prego, è stato un piacere pubblicarvi un altro capitolo 24 ore dopo l'ultimo aggiornamento.

Cosa ne pensate dell'appuntamento di Draco ed Hermione? 

È come ve lo eravate immaginato?

Meglio?

Peggio?

Un paio di precisazioni d'obbligo: il cellulare di Hermione è un Nokia 3310 per il semplice fatto che questa storia è ambientata cinque anni dopo la morte di Voldemort, quindi nel 2003. Ecco perché Hermione non mostra a Malfoy un Iphone di ultima generazione o un Huawei. Ecco perché invece di far cantare al nostro sconosciuto cantante una canzone di Ed Sheeran, ho optato per un brano uscito nel 2000.

Cercherò di fare attenzione a questi dettagli, ma se dovessi sbagliare qualcosa, fatemelo notare e correggerò.

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate fino ad ora della storia e, soprattutto, come credete che andrà l'uscita per la Londra babbana a cercare un cellulare per Draco Malfoy?

Non aspettatevi un altro aggiornamento prima di Mercoledì, come ho detto all'inizio questo è un evento più unico che raro.

Per chi volesse, è possibile trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp!

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Acquisti in Regent Street ***


13. Aquisti in Regent Street
 
 

 

Hermione Granger si svegliò con un leggero mal di testa e un sorriso radioso.

Grattastinchi l'aveva sgridata a suon di miagolii arrabbiati la sera prima, quando era tornata a casa ben oltre l'orario della pappa a cui lui era abituato. Quella mattina, il gatto era altrettanto nervoso e non ci pensò due volte prima di salire sul letto della sua padrona — zona che sapeva essere proibita — iniziando a farsi le unghie sul copriletto.

Il sorriso sul volto di Hermione venne sostituito da una smorfia, mentre fulminava l'animale con un'occhiata assassina: «Scendi immediatamente o...»

Hermione non dovette concludere la frase, dato che Grattastinchi percepì l'ammonimento da quelle poche parole e si allontanò con la pancia che ballonzolava in modo buffo e la coda dritta, puntata verso il soffitto.

L'ex Grifondoro si alzò poco dopo e si diresse in cucina, dove mise il bollitore per il tè sul fuoco, poi servì la porzione mattutina di croccantini ad un imbronciato Grattastinchi, che sembrava essersi offeso per il rimprovero ricevuto.

Mentre passava per il salotto, Hermione fece una smorfia alla vista del disastro che aveva lasciato dal pomeriggio prima — quando aveva avuto la brillante idea di mettere i libri in ordine alfabetico e fare una cernita tra le piume da tenere e quelle da buttare — ma decise di ignorarlo e di comportarsi come se non esistesse.

Mentre si sciacquava il volto, ancora mezza assonnata, si ritrovò a fischiettare un motivetto allegro, e scoprì di essere più felice di quanto fosse stata nell'ultimo periodo.

Una volta in cucina versò l'acqua bollente in una tazza, vi immerse una bustina di tè nero, poi recuperò dal frigo una fettina di limone.

Fu in quel momento, mentre osservava il contenuto del suo frigo, che si ricordò di non esser stata a fare la spesa il giorno prima e di avere ben poco da mangiare.

Munendosi di molta buona volontà, una volta terminata la colazione e aver ignorato i miagolii di supplica del suo gatto per avere altro cibo, Hermione andò a vestirsi e si diresse al supermercato a pochi passi da casa sua, aperto ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette.

Comprò l'essenziale per la settimana, senza lasciarsi distrarre troppo dalle offerte speciali, limitandosi a percorrere il solito itinerario di sempre.

Si sentì le guance in fiamme, quando passò accanto alla selezione di barrette al cioccolato e specifici ricordi della sera prima le invasero la mente.

Le mani di Draco contro la sua schiena, mentre la stringeva a sé, le labbra morbide e incerte contro le sue, il sapore di tortino al cioccolato...

Hermione scacciò il ricordo, tornando alla sua spesa, cercando di non dimenticare che quello della sera prima era stato uno sbaglio: baciare un ragazzo fidanzato con un'altra donna non poteva essere classificato in nessun altro modo.

Sentiva, come il giorno prima, una dolce impazienza, mista a nervosismo, all'idea di vedere Draco dopo pranzo.

Dopo l'appuntamento perfetto della sera prima, non poteva aspettarsi niente di meno, anche se quella che avevano organizzato era una semplice uscita per comprare un cellulare e niente di più.

Questo era quello che continuava a ripetersi Hermione mentre tornava a casa, con le borse della spesa che la sbilanciavano sul marciapiede.

Doveva essere forte quel giorno, più di quanto fosse stata la sera prima, e non lasciare che i sentimenti che stavano riaffiorando, quei sentimenti che appartenevano ad un periodo più spensierato della sua vita, la spingessero a commettere nuovamente l'errore di dimenticare come stavano realmente le cose.

Draco Malfoy era fidanzato e lei non era interessata al ruolo di amante, quindi quell'uscita non doveva sfociare in altri baci o contatti intimi.

Hermione era convinta di avere abbastanza autocontrollo da non lasciarsi tentare dai modi dolci e irresistibili del suo ex ragazzo, così come non poteva immaginarsi come una semplice uscita per comprare un cellulare potesse sfociare in qualcosa di diverso da un'incontro puramente platonico.

Doveva però considerare di non aver visto alcun tipo di pericolo nemmeno nell'appuntamento della sera prima, eppure si era trovata a baciare Draco Malfoy, nel bel mezzo di un locale babbano, sentendosi di nuovo un'adolescente in piena crisi ormonale.

Hermione entrò in casa e iniziò a ritirare i suoi recenti acquisti con gesti nervosi.

Più pensava all'appuntamento della sera prima e a quello di quel giorno, che si avvicinava ad ogni minuto che passava, più si rendeva conto di essere talmente brava a mentire, da riuscire a convincere facilmente pure se stessa delle cose più assurde.

Non poteva essere sicura che avrebbe mantenuto le dovute distanze.

Non poteva essere sicura che non si sarebbe trovata a baciare il suo ex ragazzo.

Non poteva essere sicura di niente quando si trattava di Draco Malfoy, malgrado le sue buone intenzioni.

Una volta finito di riporre gli alimenti nel frigorifero e nella dispensa, Hermione recuperò il romanzo di Bulgakov che stava leggendo da qualche giorno e si sedette sul divano, ignorando il disordine intorno a lei, lasciandosi distrarre dalle parole stampate, che creavano nella sua mente vivide immagini di luoghi lontani.

Rilesse, con espressione sognante, parte del capitolo che aveva lasciato a metà l'ultima volta che aveva trovato un momento per leggere, perdendosi nella descrizione del primo incontro tra il Maestro e Margherita, e dal racconto dei fiori gialli.

Si sentì stranamente presa in causa in quel racconto, anche se lei e Draco non avevano mai parlato di fiori e certamente il loro primo incontro non era stato lungo le strade di Mosca.

Eppure le emozioni che venivano raccontate e quell'amore improvviso provato dai due protagonisti, ricordavano ad Hermione il sesto anno e quello che lei e Draco avevano condiviso.

La mattinata trascorse fin troppo in fretta per Hermione, tra reminiscenze del passato, i ricordi più recenti dell'appuntamento della sera prima e la lettura de "Il Maestro e Margherita" e, prima di quanto avesse immaginato, arrivò l'ora di pranzo.

Ignorò lo stomaco chiuso per il nervosismo e si costrinse a mangiare un'insalata con tonno e pomodori, mentre conversava con Grattastinchi, che acciambellato sulla sedia su cui un tempo si sedeva solitamente Ronald, muoveva infastidito la coda e cercava di ignorare la padrona.

«Sono stata una stupida, come ho potuto convincermi, che uscire a cena con Malfoy non sarebbe potuto sfociare in qualcosa di più che un semplice appuntamento tra colleghi d'ufficio?»

Grattastinchi sbadigliò.

«E pensare che ho sempre pensato di essere la più intelligente del mio anno ad Hogwarts, forse mi sono sempre sopravvalutata. E oggi?», Hermione puntò lo sguardo sull'orologio da parete, che segnava mezzogiorno e quaranta minuti: «Tra meno di un'ora e mezza ho un altro appuntamento con Malfoy! Perché ho accettato di accompagnarlo a comprare un cellulare?»

Grattastinchi si coprì il muso con una delle zampe anteriori, nella speranza di nascondersi dalla propria padrona ed essere lasciato in pace.

«Hai ragione, so perché ho accettato, perché sono una stupida che non è in grado di resistergli!», Hermione masticò alacremente un boccone di insalata, poi riprese a parlare da sola: «Avresti dovuto esserci per capire, allora forse non mi giudicheresti... Come potevo dirgli di no? Non ho avuto la forza per allontanarmi quando mi ha chiesto se poteva baciarmi, in quale modo avrei mai potuto dire di no al suo invito ad uscire oggi?»

Grattastinchi aprì svogliatamente gli occhi, osservando la padrona con aria contrariata.

«Ma poi la vera domanda è una sola: cosa se ne fa Malfoy di un cellulare?»

Grattastinchi, senza produrre il minimo suono, scese dalla sedia e si diresse verso il divano, allontanandosi con passo deciso dalla cucina.

«E perché non può chiedere alla sua fidanzata di accompagnarlo a fare acquisti? Perché chiedere a me?»

Quando Hermione si rese conto dell'assenza di Grattastinchi sulla sue sedia preferita, aggrottò le sopracciglia e iniziò a guardarsi intorno. Una volta individuata la palla di pelo arancione sul divano, la ragazza si sentì oltraggiata.

«Grazie, Grattastinchi. È sempre un piacere parlare con te», disse, prima di dedicarsi nel più completo silenzio alla sua insalata quasi finita.

Dato che l'uscita con Malfoy sarebbe dovuta essere nella Londra babbana, Hermione indossò dei semplici jeans a zampa di elefante, gli stivaletti scamosciati della sera prima e un maglione bianco. Si portò dietro la sua fedele borsa, incantata in modo da essere più capiente di quanto avrebbe dovuto, e decise di lasciare a casa il cappotto, dato che le previsioni sembravano promettere temperature miti per quel pomeriggio.

Grazie alla metropolvere arrivò nell'atrio del palazzo in cui viveva Malfoy in pochi secondi.

Salì le scale cercando di tenere sotto controllo l'impazienza, ma fallì ben presto e, una volta di fronte alla porta dell'appartamento di Malfoy, si rese conto di avere il fiatone.

Solo quando il suo respiro tornò alla normalità suonò il campanello, rendendo la sua presenza conosciuta al padrone di casa.

Draco Malfoy le aprì la porta pochi secondi dopo, sorridendole caldamente: «Sei più puntuale di un orologio».

Hermione osservò la tenuta del ragazzo, composta da un paio di jeans e una felpa grigia senza cerniera e sollevò un sopracciglio, impressionata: «Sembri un vero e proprio babbano, Malfoy».

«Davvero?», chiese lui, con una punta d'orgoglio nella voce, mentre sollevava la felpa e mostrava il marsupio nero che aveva intorno alla vita: «Questo ancora non ho capito a cosa serve», ammise con una smorfia.

Hermione sorrise: «Quello serve per metterci dentro il portafoglio, il cellulare, le chiavi di casa e qualsiasi altra cosa utile tu riesca a farci stare».

Draco annuì pensieroso e estrasse dalla tasca dei jeans il portafoglio per riporlo nel marsupio, accanto alla propria bacchetta: «Andiamo?»

I due ragazzi scesero le scale l'uno affianco all'altra come la sera prima, con le loro spalle che si scontravano e sfioravano.

«Tu dove hai comprato il tuo cellulare?», chiese Malfoy, spezzando il silenzio tra di loro.

«In un negozio di telefonia poco distante da casa mia, ma oggi è chiuso. Sono però certa che nel centro di Londra dovrebbe esserci qualcosa di aperto che fa al caso nostro», disse Hermione, fiduciosa.

«Servono molti soldi babbani?», chiese lui, frugando nel portafoglio.

«Abbastanza», rispose Hermione, ricordando che il suo l'aveva pagato più di cento sterline.

«Questi possono bastare?»

La ragazza osservò con gli occhi leggermente sbarrati la consistente mazzeta di banconote da venti e cinquanta sterline che Malfoy stringeva tra le dita e annuì, leggermente a disagio.

Hermione aveva sempre saputo della ricchezza della famiglia Malfoy, eppure solo in quel momento sembrò rendersi veramente conto di cosa doveva significare per Malfoy avere abbastanza soldi da non doversi mai preoccuparsi di non avere entrate mensili.

«Non dovresti girare con tutte quelle sterline, Malfoy, rischi che qualcuno li noti e cerchi di derubarti», disse la ragazza, sinceramente preoccupata per il ragazzo.

Draco ripose i soldi nel portafoglio e la osservò con espressione pensierosa: «Un paio di volte sono stato attaccato da dei babbani che volevano i miei soldi, effettivamente».

Hermione sbarrò gli occhi e afferrò il braccio di Malfoy, interrompendo la loro avanzata verso il portone che dava su Diagon Alley: «Cosa!?»

Draco si sentì il cuore battere forte in petto nel constatare la genuina preoccupazione che aveva spinto l'ex Grifondoro a reagire in un modo tanto eclatante. 

«Sì, me la sono cavata con qualche veloce incantesimo, come puoi notare sono vivo», la rassicurò Malfoy, sistemando una ciocca di capelli ricci dietro all'orecchio della ragazza, per poi indugiare con le dita sulla guancia morbida di lei: «Dalla prossima volta mi porterò dietro meno banconote, promesso».

Hermione annuì, allontanando il viso da quel gesto affettuoso, che le stava facendo perdere contatto con la realtà, per poi allentare la presa intorno al braccio del ragazzo: «Avresti potuto incappare in qualcuno abbastanza disperato da minacciarti con una pistola e rimanere ferito gravemente, Malfoy».

«Ma non è successo», le fece notare lui, riprendendo ad avanzare verso il portone.

«Perché hai avuto fortuna», ribatté lei, non riuscendo a comprendere la rabbia mista a preoccupazione che provava in quel momento.

Prima che riuscisse ad aprire il portone, Malfoy l'aveva presa per la mano, voltandola verso di sé.

L'istante successivo Hermione si trovò in un caldo abbraccio, circondata dalle braccia e dall'odore di Malfoy.

Rispose all'abbraccio, sentendo distintamente il suo nervosismo e la sua rabbia scemare lentamente, mentre affondava il volto contro la morbida felpa che indossava Draco quel giorno.

«Sto bene, Hermione», le disse, stringendola a sé.

Draco comprendeva quel sentimento derivato dalla preoccupazione mista a impotenza che doveva provare Hermione in quel momento, scoprendo i pericoli che lui aveva incontrato nel mondo babbano. Draco capiva quel sentimento, perché era lo stesso che sperimentava ogni volta che pensava alle pericolose situazioni in cui lei si era trovata nel corso degli anni passati ad Hogwarts. Situazioni che lui non aveva vissuto o che lo avevano visto dalla parte sbagliata della battaglia; situazioni in cui lui non aveva potuto fare niente per proteggerla, per aiutarla.

Hermione prese un ultimo profondo respiro e sciolse l'abbraccio, sorridendo: «Grazie», disse, sistemandosi con gesti impacciati i capelli dietro alle orecchie.

Draco aprì il portone e, una volta fuori prese la mano di Hermione: «Mi affido a te», le disse.

La ragazza non perse tempo e smaterializzò entrambi in una piccola via poco trafficata, vicino a Regent Street, dove un gatto bianco soffiò loro contro, prima di correre a nascondersi dietro a dei cassonetti dei rifiuti.

Percorsero Regent Street, diretti verso Piccadilly Circus, Draco aveva un sorriso rilassato in volto e si godeva i timidi raggi del sole sulla pelle pallida.

Hermione si rese conto, solo quando raggiunsero il negozio d'informatica, che avevano percorso quel tratto di strada continuando a tenere la propria mano intrecciata a quella di Malfoy e, cercando di non essere troppo brusca, sciolse la stretta.

Draco Malfoy non ci fece molto caso, distratto dagli oggetti babbani in vendita in quell'ambiente a lui sconosciuto.

«Che posto è mai questo, Granger?», chiese lui, con gli occhi leggermente sbarrati: «A cosa servono tutte queste cose babbane».

Hermione non riuscì a trattenere il sorriso intenerito sulle sue labbra, nel constatare che Draco, in quel negozio d'informatica, sembrava reagire come un bambino di pochi anni che vedeva per la prima volta tante PlayStation 2 tutte insieme su un solo scaffale.

«Qui vendono cellulari e altre apparecchiature elettroniche», disse Hermione sotto voce, afferrando la manica della felpa di Malfoy per attirare la sua attenzione: «Cerca di non sembrare troppo sconvolto, non dobbiamo attirare troppa attenzione su di noi».

Draco annuì, schiarendosi la voce e irrigidendo i lineamenti del suo viso: «Hai ragione», disse, annuendo, gli occhi che continuavano a scrutare il mondo intorno a lui con curiosità: «Sai a cosa servono tutte queste cose?»

Hermione si scoprì stranamente divertita da tutta quell'assurda situazione, e iniziò a indicare, scaffale dopo scaffale, il funzionamento degli elettrodomestici, dei video giochi, delle televisori, delle aspirapolvere, delle lavatrici e delle lavastoviglie.

Ad ogni oggetto di cui veniva svelato lo scopo, Draco appariva sempre più affascinato.

Quando arrivarono nella sezione del negozio dedicato alla telefonia, Hermione spiegò la differenza tra telefono fisso e cellulare a Malfoy, poi fermò un commesso di passaggio per chiedergli se fosse possibile comprare un Nokia 3310.

«Certo!», esclamò il ragazzo, sulla cui targhetta identificativa aveva scritto il nome "Carl", dirigendosi verso una sezione degli scaffali dedicata esclusivamente ai Nokia: «Sono rimasti di colore nero, blu, grigio o rosso», disse, indicando le diverse scatole: «Avete domande inerenti al prodotto?»

Hermione scosse la testa: «No, grazie», rassicurò il ragazzo, desiderosa di rimanere nuovamente sola con Malfoy.

Appena Carl se ne fu andato, Hermione chiese a Draco quale colore preferisse.

«A seconda del colore cambia il modo in cui funziona?», domandò l'ex Serpeverde, osservando con occhio critico la scatola colorata, sulla quale era riportata una foto del cellulare che gli aveva mostrato la sera prima Hermione.

La ragazza sorrise, divertita da quella domanda assurda: «No, è una questione puramente estetica».

«Tu che colore prenderesti?», chiese Malfoy, deciso ad affidarsi alle maggiori conoscenze della ragazza su quel campo.

«Blu?», propose Hermione, prendendo la confezione su cui era raffigurato un Nokia 3310 blu scuro.

«Perfetto», disse Draco, guardandosi intorno con aria corrucciata: «Dove si paga?»

Hermione accompagnò Draco fino a una delle casse aperte e gli rimase accanto durante tutta la procedura di acquisto, parlando lei con la cassiera per farle sapere che necessitavano anche di una scheda telefonica.

La signora espose le tariffe di alcune delle principali compagnie telefoniche ed Hermione scelse l'offerta più conveniente.

Draco pagò e firmò i documenti necessari, poi prese la sua busta della spesa con un'espressione orgogliosa in viso.

Mentre si dirigevano verso l'uscita Malfoy si voltò verso Hermione e le sorrise: «Grazie per l'aiuto, ora temo che avrò bisogno di ulteriore assistenza per capire come usarlo».

La ragazza socchiuse le labbra, incerta su cosa dire.

Era forse finita in un diabolico piano di Malfoy, architettato per spingerla a passare più tempo con lui? E se sì, doveva forse sentirsi ingannata e infastidita? Possibile che Malfoy avesse sperperato parte dei suoi soldi solo per avere una scusa che permettesse loro di passare più tempo insieme?

Mise da parte quei dubbi e lasciò che la gioiosa trepidazione che provava in quel momento fosse visibile sul suo viso.

Non sapeva se quello fosse un piano o una fortuita casualità, ma era disposta a godersi ogni secondo che lei e Draco potevano condividere.

«Come prima cosa bisogna caricare la batteria del cellulare», disse lei, posando lo sguardo su Malfoy: «Hai delle prese di corrente a casa tua?»

Draco aggrottò le sopracciglia, pensieroso, poi il suo volto si illuminò: «Sì! Sono abbastanza certo di averle, i precedenti proprietari erano nati babbani e quando mi hanno venduto la casa mi hanno detto alcune cose assurde a proposito di una certa corrente elettronica».

«Corrente elettrica, Malfoy», lo corresse lei, trattenendosi dal ridere.

Draco prese la mano della ragazza, accarezzandone il dorso con il pollice: «Posso mostrarti un posto?», le chiese, speranzoso.

Hermione sapeva che avrebbe dovuto dirgli di no, così da non alimentare ulteriormente quell'attrazione che provavano l'uno per l'altra, ma si scoprì troppo debole per fare qualcosa che non fosse annuire.

La ragazza seguì Malfoy in una parallela poco trafficata di Regent Street.

Sentì il familiare strappo della smaterializzazione, la nausea e, quando aprì gli occhi, si trovò in un tipico bagno pubblico babbano.

Con la fronte aggrottata per la confusione, Hermione puntò lo sguardo sul volto sorridente di Malfoy: «Volevi mostrarmi un bagno?»

Il ragazzo scoppiò a ridere e scosse la testa: «No, voglio mostrarti quello che c'è oltre quella porta», disse, appoggiando le mani sulle spalle della ragazza, indirizzandola verso l'uscita dei bagni.

Prima che Hermione potesse aprire la porta, sentì le mani calde di Malfoy spostarsi dalle sue spalle per coprirle gli occhi. 

«Lasciati guidare», disse Draco alle sue spalle: «Tieni gli occhi chiusi».

Hermione decise di stare al gioco, resistendo alla tentazione di sbirciare, quando percepiva le dita di Malfoy lasciare degli spiragli liberi.

«Siamo in un museo, vero?», chiese Hermione, dopo aver percorso qualche passo, riconoscendo nelle voci che li circondavano idiomi diversi, tutti intenti a commentare la bellezza e l'esecuzione di oggetti che lei non poteva vedere.

«Smettila di fare la saccente so-tutto-io-Granger per una volta», le disse Draco nell'orecchio, dal tono di voce Hermione capì che doveva essere scocciato.

«Ho indovinato, vero?»

«Ora puoi aprire gli occhi», disse Draco, spostando le mani dal viso della ragazza, tornando ad appoggiarle sulle spalle di lei.

La luce, in un primo momento, le ferì gli occhi, poi Hermione mise a fuoco la cornice del quadro a un metro da lei e l'immagine raffigurata.

Si lasciò incantare dei colori caldi di quel tramonto, che sembrava appartenere ad un sogno, poi sbirciò il cartellino che si trovava accanto al quadro, scoprendo il titolo di quell'opera di Turner.

«Cosa ci facciamo alla National Gallery?», chiese lei con un filo di voce, non riuscendo a nascondere le forti emozioni che provava in quel momento: sgomento, eccitazione e ammirazione.

«Volevo mostrarti il mio quadro babbano preferito», disse Draco, abbracciandola da dietro, così da sentire il calore del corpo di lei contro il suo.

Hermione si lasciò avvolgere da quelle familiari braccia senza protestare, rendendosi conto che quel lato di Draco Malfoy, che apprezzava l'arte babbana, l'affascinava più de "La valorosa Téméraire" di fronte a lei.

«Grazie», sussurrò lei, muovendosi in quell'abbraccio, così da guardare Draco e dare le spalle al dipinto.

«Per cosa?», chiese lui, con gli occhi che per un istante scesero sulle labbra di lei, vicine ed invitanti — le stesse labbra che aveva baciato la sera prima e che aveva sognato per tutta la notte — prima di tornare sugli occhi scuri di Hermione.

«Per avermi portata qui e avermi mostrato il tuo quadro babbano preferito», disse la ragazza, sorridendo.

«È stato un piacere», sussurrò lui, orgoglioso di come quell'uscita si stesse rivelando perfetta, proprio come l'aveva immaginata.

Camminarono per le varie stanze della National Gallery, fermandosi ad osservare solo i quadri che piacevano loro di più. Hermione mostrò a Draco "Gli ombrelli" di Renoir e "Bagnanti ad Asnières" di Seurat, due dei dipinti che più l'avevano colpita la prima volta che aveva visitato la National Gallery coi suoi genitori, anni prima.

«Si sta facendo tardi», disse Draco, nel bel mezzo del loro vagare senza meta, osservando un orologio a parete: «Hai altri impegni?»

Hermione scosse la testa, pronta ad accettare qualsiasi proposta sarebbe uscita dalle labbra del suo accompagnatore.

«Ti andrebbe un tè a casa mia?», chiese lui, mettendo da parte gli ovvi motivi per cui non avrebbe dovuto invitarla da lui quella domenica pomeriggio.

Hermione esitò un istante, ma decise di ignorare i campanelli d'allarme che sentiva squillare fastidiosamente nelle orecchie, e annuì: «Volentieri».

Draco, mentre accompagnava la Granger verso i bagni da cui erano arrivati, cercò di non pensare al fatto che lei avesse un ragazzo, allo stesso modo in cui Hermione, mentre chiudeva gli occhi, poco prima della smaterializzazione, cercò di non pensare al fatto che lui avesse una fidanzata.

 

 

 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Eccoci alla fine del capitolo, che ovviamente termina con un cliffhanger, dato che sono molto cattiva.

Ho cercato di mostrare, e spero di esserci riuscita in modo decente, il conflitto interiore che sta vivendo Hermione per quanto riguarda l'attuale situazione con Malfoy. Da una parte vorrebbe essere abbastanza forte da non lasciarsi coinvolgere da lui, dall'altra parte è consapevole di non esserlo.

Cosa pensate che succederà nel prossimo capitolo? 

Riusciranno a prendere un tè insieme senza cadere in tentazione?

E Draco imparerà ad utilizzare il cellulare che ha comprato?

Non ci dovrebbero essere inesattezze storiche in questo capitolo, ma in caso doveste notare qualcosa che non vi torna, fatemelo presente e correggerò subito. Anche in caso di dubbi, non esitate a chiedere!

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa pensate del capitolo!

Vi ricordo che potete trovarmi anche su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Cicatrici ***


14. Cicatrici

 



Draco Malfoy aprì la porta di casa con le mani che gli tremavano appena per l'emozione.

Hermione Granger era alle sue spalle, con il volto arrossato e la mente piena di dubbi.

Quando entrarono nell'appartamento del ragazzo, Hermione si guardò intorno con occhi avidi, studiando ogni elemento che non le era stato possibile individuare il giorno prima, quando aveva osservato un misero scorcio di quella casa.

Draco rimase accanto a lei per tutto il tempo ad analizzare le emozioni che passavano sul suo volto.

«"La valorosa Téméraire"», disse Hermione, indicando la riproduzione dell'opera di Turner che si trovava sul muro di fronte al divano: «Hai comprato il poster».

«La prima volta che sono stato al National Gallery sono rimasto di fronte a quel quadro per minuti interi ad osservare le sfumature del cielo mescolarsi con quelle del mare, non potevo non prendere un souvenir», disse Draco, avvicinandosi alla ragazza, tanto da sentire il calore del corpo di lei attraverso la barriera dei vestiti: «Accomodati», disse indicando a Hermione il divano.

L'ex Grifondoro non se lo fece ripetere due volte e si sedette, accavallando le gambe: «Mi piace il tuo appartamento», disse, riportando lo sguardo sul viso del suo ospite.

Draco, senza pensarci, dimentico del tè che avrebbe dovuto preparare, si accomodò a sua volta sul divano, accanto alla ragazza: «Grazie, ho provato ad arredarlo da solo, Blaise mi ha in parte aiutato».

«Capisco», disse Hermione, spostando il busto verso di lui: «O almeno, penso di capire quello che mi hai detto, a proposito di Villa Malfoy e dei troppi ricordi. Come l'ha presa tua madre?»

Draco scrollò le spalle, ricordando il volto dispiaciuto della donna, che l'aveva messo al mondo, il giorno in cui le aveva detto che non avrebbe più vissuto con lei: «Non particolarmente bene, ma non ha provato a fermarmi».

Hermione annuì e distolse leggermente lo sguardo, posandolo sulla libreria accanto all'ingresso, che aveva già notato il giorno prima: «Immagino che "Delitto e Castigo" sia lì in mezzo», disse, poi un pensiero la fece sorridere: «Sbaglio, o avresti dovuto portarmelo ieri sera?»

Draco si ricordò della scusa che aveva usato per invitare Hermione a uscire e arrossì leggermente: «Non sbagli, devo essermene dimenticato», ammise, alzandosi, deciso a restituire alla ragazza, una volta per tutte, quel romanzo babbano che aveva tenuto con sé per sei anni.

«Sì, anche io», disse lei, abbassando lo sguardo.

Mentre Draco cercava "Delitto e Castigo" in mezzo agli altri volumi, Hermione pensava a come la sera prima fosse stata talmente tanto ammaliata dalla presenza di Malfoy da dimenticarsi, o forse sarebbe stato meglio dire costringersi a dimenticare, il motivo per cui si erano dati quell'appuntamento.

Draco era accovacciato di fronte alla libreria, le mani che scorrevano lungo le coste dei libri, quando sentì la voce di Hermione alle sue spalle chiedere: «Cosa stiamo facendo?»

Le dita di Malfoy si congelarono nel bel mezzo del movimento, tra la costa consumata di un libro di incantesimi e quella più recente di un romanzo babbano.

«Cosa intendi?», chiese lui, spostando il busto verso la ragazza, rimanendo accovacciato, con un ginocchio sul pavimento e una mano ancora appoggiata ai volumi alle sue spalle.

Hermione sorrise, ma non sembrava particolarmente divertita: «Sai perfettamente a cosa mi sto riferendo, Draco», disse lei, sottolineando il nome del suo ex amante con disappunto.

Malfoy sostenne lo sguardo della ragazza per qualche interminabile secondo, incerto su come reagire, poi si sollevò e percorse i pochi passi che lo separavano dal divano, sedendosi accanto a lei: «Hai ragione, so a cosa ti stai riferendo», disse lui, stringendo le mani a pugno, sul grembo, per resistere alla tentazione di toccarla: «Ma non penso di avere una risposta alla tua domanda. Non so cosa stiamo facendo, Hermione, ma passare del tempo con te è piacevole e mi fa sentire come se fossi ancora un ragazzino di sedici anni».

Si osservarono intensamente per qualche secondo, poi lei si sporse verso di lui, così da cancellare la distanza tra i loro visi e premere le proprie labbra contro quelle di lui.

Draco non si tirò indietro e affondò una mano tra i capelli della ragazza all'altezza della sua nuca, così da tenerla vicina, mentre con l'altra mano le accarezzava la pelle morbida della guancia.

In quel momento non esistevano né Astoria, né Ronald. 

Le dita di Hermione tremavano appena, mentre si muovevano tra i capelli fini di Malfoy, per poi scorrere lungo le spalle e le braccia del ragazzo, impazienti.

Il silenzio dell'appartamento si riempì ben presto del rumore dei loro respiri pesanti e dei sottili gemiti che sfuggivano al loro controllo.

Draco Malfoy cercava di non muoversi troppo in fretta o con movimenti troppo bruschi, godendosi quell'intimo contatto con il terrore che svanisse troppo presto.

Draco non voleva rivivere la stessa sofferenza della sera prima, provata nel momento in cui Hermione si era allontanata da lui con orrore, dopo il bacio che si erano scambiati, quindi si muoveva cauto, riempiendo quelle effusioni di tutta la dolcezza di cui era capace, convinto di poterla trattenere tra le sue braccia più a lungo, se non avesse compiuto alcun gesto azzardato.

«Cosa stiamo facendo?», sussurrò Hermione a pochi centimetri dalle labbra di lui, prima di rubargli un bacio, e poi un altro.

L'ex Serpeverde sorrise appena, inebriato dall'odore della ragazza e dall'adrenalina che gli scorreva in corpo: «Ci stiamo baciando».

Hermione ridacchiò, inclinando leggermente il capo.

Draco deglutì rumorosamente, il pomo d'Adamo che si sollevava e abbassava come impazzito, quando la ragazza sollevò le braccia in alto e si sfilò il maglione che indossava, mettendo in mostra un semplice reggiseno a balconcino in pizzo bianco.

Le mani di Hermione scomparvero poi dietro alla schiena di lei e liberarono dalla costrizione dell'intimo i seni.

Il reggiseno cadde a terra, poco distante dal divano, ma Draco era troppo concentrato ad osservare la pelle esposta della ragazza per rendersi conto di qualsiasi altra cosa.

«Sbaglio o sono più grandi?», chiese all'improvviso, portando entrambe le mani a coppa sui caldi seni di lei.

Hermione si trovò per qualche secondo presa alla sprovvista da quella domanda: «Non sbagli», rispose alla fine in un sussurro: «Sono un po' ingrassata dalla fine della scuola», ammise, sentendosi leggermente a disagio.

Gli occhi di Draco tornarono nei suoi e Hermione si sentì all'improvviso molto sciocca. Come poteva sentirsi poco attraente quando il ragazzo che voleva sembrava volerla con la stessa identica forza e lo stesso desiderio?

«Cosa stiamo facendo?», fu il turno di Draco di porre quella domanda, spaesato dalla velocità in cui le cose stavano cambiando tra di loro.

Hermione si spostò sul divano, affondando le ginocchia nei morbidi cuscini, poi si sedette a cavalcioni sul ragazzo e avvolse le braccia intorno al suo collo.

«Preliminari», sussurrò lei, un sorriso furbesco ad incurvarle le labbra.

Draco si lasciò contagiare dalla spensierata sicurezza di lei e smise di porsi domande.

Tornarono a baciarsi con una voracità e una smania che non avevano dimenticato. Erano passati anni dall'ultima volta che erano stati così vicini, ma i ricordi di quei momenti insieme erano impressi a fuoco nelle loro menti e li guidavano nella reciproca riscoperta.

Hermione sganciò il marsupio stretto intorno ai fianchi del ragazzo e lo lanciò sul tavolino basso alle sue spalle, poi afferrò il bordo della felpa di lui e lo aiutò a sfilarla.

Fu in quel momento, mentre lei appoggiava le dita affusolate sul ventre esposto di lui, e iniziò a saggiare la pelle tesa dei suoi muscoli, che Draco si ritrasse, nascondendo il braccio sinistro dietro la schiena.

Hermione sussultò per quel movimento brusco e osservò con sguardo confuso l'espressione sofferente di lui. Socchiuse le labbra, pronta a chiedere cosa avesse scatenato quella reazione, poi capì e si ritrasse leggermente anche lei.

Draco aveva nascosto dietro alla schiena il braccio su cui era impresso il Marchio Nero.

Per qualche secondo rimasero entrambi con gli occhi bassi, vicini fisicamente, ma con le menti che si perdevano in recessi bui, a riesumare ricordi dolorosi.

Hermione spostò il braccio sinistro, abbastanza da mettere in mostra la cicatrice pallida, che le era stata inferta da Bellatrix Lestrange durante le torture a Villa Malfoy.

Draco lesse la parola "Mezzosangue" sulla pelle di Hermione e provò una forte rabbia e vergogna; non era stato in grado di salvarla quel giorno, era rimasto impotente a guardarla soffrire, incapace di fermare sua zia, troppo spaventato, troppo succube.

Hermione prese la mano destra del ragazzo e la portò sul proprio braccio sinistro: «Toccami».

Draco deglutì e strizzò gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime, mentre percorreva con le dita tremanti i contorni di quella sottile cicatrice, che un tempo non deturpava la morbida pelle di quel braccio.

La mano libera di Hermione si appoggiò sulla guancia di lui, accarezzandola dolcemente: «Non è colpa tua, Draco».

Un singhiozzò eruppe dalle labbra del ragazzo, le braccia di Hermione gli circondarono le spalle e calde lacrime le bagnarono la spalla e il seno.

«Mi dispiace», disse Draco, con la voce rotta dal pianto, aggrappandosi al corpo della ragazza con tutta la forza che aveva.

«Non è colpa tua», ripeté lei, baciandogli la fronte e i capelli: «Eravamo solo dei ragazzi, non potevi fare nulla».

Draco sciolse quell'abbraccio, puntando gli occhi lucidi e colmi di dolore in quelli di Hermione: «Ti sbagli, avrei potuto fare qualcosa», disse, la voce che gli tremava appena: «Avrei dovuto fare qualcosa».

Hermione scosse la testa e appoggiò entrambe le mani sulle guance di Draco: «Non vale la pena piangere sul latte versato», disse, asciugando le lacrime che continuavano a scorrere sul volto arrossato di lui: «È tutto passato, è tutto finito».

Draco si liberò da quelle carezze e appoggiò le spalle contro lo schienale del divano, aumentando la distanza tra di loro.

«Di che latte stai parlando?», chiese, con la fronte aggrottata dalla confusione.

Hermione sorrise, colta alla sprovvista da quella domanda: «È un modo di dire babbano», spiegò: «Significa che non vale la pena piangere per qualcosa che non si può cambiare o aggiustare».

«Non lo conoscevo», ammise lui, lo sguardo basso. 

Senza dire niente, con movimenti lenti e calcolati, Draco spostò il braccio da dietro la schiena, mostrando l'orrore che aveva impresso sulla pelle.

Spiccava, sulla carnagione chiara del ragazzo, una cicatrice nera, slabbrata e irregolare che copriva quello che un tempo doveva essere stato il Marchio Nero.

Hermione rimase con la bocca socchiuse, incerta su cosa dire.

«Ho provato a cancellarlo», disse Draco, percorrendo con le dita della mano destra i contorni neri della cicatrice: «Sapevo che non ci sarei riuscito facilmente, ho passato mesi a cercare incantesimi di magia nera che potessero fare al caso mio. Alla fine sono riuscito a nascondere l'immagine, ma è rimasto il nero dell'inchiostro. In Estate uso incantesimi di disillusione, faccio in modo che nessuno si soffermi a guardare la mia vergogna, ma è sempre qui, con me».

«Posso?», chiese Hermione, allungando titubante una mano verso la cicatrice.

Draco non disse niente, per qualche secondo, chiedendosi se sarebbe stato in grado di sopportare il tocco della ragazza sulla sua pelle deturpata, poi annuì.

La mano di Hermione si appoggiò su quella di Draco, poi sui contorni aspri della cicatrice verticale che nascondeva quello che ci sarebbe dovuto essere; l'immagine di un serpente che strisciava fuori dalla cavità orale di un teschio.

«Fa male?», gli chiese in un sussurro, studiando l'espressione sofferente di Draco.

«No, non fisicamente», rispose lui, abbassando il capo di lato, nel tentativo di nascondere le nuove lacrime che scorrevano sul suo viso.

Hermione si piegò in avanti e lasciò un bacio sulla cicatrice nera, poi portò nuovamente le braccia intorno al collo di Malfoy, stringendolo al proprio petto nudo in un dolce abbraccio. 

Draco ricambiò l'abbraccio e cercò di regolarizzare il suo respiro, spezzato dal pianto, inebriandosi dell'odore fresco e delicato di Hermione.

Rimasero in quella posizione per qualche minuto, fino a quando le lacrime non si asciugarono completamente sulla pelle e i loro respiri si sincronizzarono.

Poi Draco morse piano la spalla di Hermione: «Sono stati dei preliminari strani», disse con un sorriso divertito sulle labbra.

La ragazza scoppiò a ridere, alleggerendo tutta la tensione che si era creata tra di loro e si sporse per baciarlo: «Anche io me li ricordavo diversi».

Si scambiarono effusioni dolci e rassicuranti, accarezzandosi la pelle esposta con la concentrazione e la reverenza che avrebbero utilizzato per toccare una fragile opera d'arte.

Bastarono pochi minuti per mettere da parte il dolore che avevano appena condiviso e far divampare nuovamente il bruciante desiderio di fondersi in un unico essere.

Draco gemette, quando Hermione iniziò a dondolare i fianchi contro i suoi, facendo scontrare le loro intimità attraverso i jeans, poi strinse con forza le braccia intorno al busto della ragazza e capovolse le loro posizioni, facendola sdraiare sul divano.

Si prodigò subito a slacciare i pantaloni di Hermione, per poi abbassarglieli, insieme alle mutande, lungo le gambe.

«Draco?», ansimò lei, sollevandosi a sedere per aiutarlo nell'impresa: «Mi piaceva stare sopra».

Malfoy ridacchiò, mentre sfilava gli stivali dai piedi della ragazza: «Come preferisci».

Quando furono entrambi nudi, Draco si sedette nuovamente sul divano, con Hermione a cavalcioni sul suo grembo.

«Prendi la Pozione Contraccettiva? Perché temo di non avere preservativi in casa».

Hermione annuì: «Sì, non ti preoccupare», poi si lasciò sfuggire un mezzo sorriso divertito.

«Cosa?», chiese Draco, incuriosito.

Hermione riprese a muovere i fianchi contro quelli di lui, per dilatare ulteriormente il tempo dei preliminari: «Mi è venuta in mente la nostra prima volta e la tua faccia quando ho provato a infilarti il preservativo».

Draco fece una piccola smorfia e pizzicò il fianco della ragazza: «Come avrei dovuto reagire? Non avevo mai fatto sesso con quel "coso babbano"».

Hermione sorrise e gli diede un bacio sulla punta del naso: «Penso che i preliminari siano finiti».

La mano di Draco si insinuò tra le gambe di lei, i polpastrelli freddi rispetto alla carne bollente di lei, e iniziò a masturbarla con movimenti cadenzati e precisi, leggendo dalle espressioni sul viso di lei cosa le piacesse di più.

«Possiamo farli durare ancora un po'», disse lui, un sorrisetto compiaciuto sulle labbra, mentre la ragazza gemeva e si contorceva per il piacere.

Hermione si godette quelle speciali attenzioni per qualche secondo, poi decise di ricambiare e portò una mano intorno all'erezioni di lui.

La stanza si riempì dei loro gemiti e ansiti non trattenuti e del rumore della loro pelle sudata che sfregava e cozzava.

Si torturarono a vicenda per una manciata di minuti, poi Hermione allontanò la mano di Draco dalla propria intimità e guido la sua erezione dentro di sé.

Un gemito gutturale sfuggi dalle labbra di Draco, subito soffocato da un bacio famelico.

Era da più di tre settimane che Hermione non faceva sesso, l'ultima volta che lei e Ron si erano trovati a rotolare nel letto era stato veloce e poco soddisfacente per entrambi; niente a che vedere con le sveltine che ricordava del sesto anno. 

Erano incredibili le forti emozioni che provava in quel momento, trovandosi nuovamente tra le braccia di Malfoy, il ragazzo di cui si stava innamorando per la seconda volta, il ragazzo fidanzato con un'altra che non avrebbe dovuto desiderare tanto.

«Merlino, Granger», ansimò lui, appoggiando il capo sullo schienale del divano, gli occhi chiusi e le labbra socchiuse: «Ho bisogno di un attimo, altrimenti rischio di far finire tutto troppo presto».

Erano mesi che Draco non faceva sesso, aveva smesso di contare i giorni precisi da dopo Natale, ma ricordava chiaramente che l'ultima volta che l'aveva fatto si trovava a Villa Malfoy; Astoria gli era letteralmente saltata addosso di ritorno da qualche negozio, che aveva lasciato su di lei un forte profumo di fiori di campo. Era stata l'ultima volta che lui e Astoria avevano passato del tempo insieme  come una normale coppia. Dalla settimana dopo le cose avevano iniziato a precipitare e Astoria aveva smesso di provare a far quadrare qualcosa che non quadrava da anni, qualcosa che non era mai riuscito veramente a quadrare.

Mentre Draco cercava di regolarizzare il respiro, Hermione iniziò a tempestare di baci le sue spalle e braccia, compresa la cicatrice che deturpata il suo avambraccio sinistro e sorrise tristemente, nel notare quanto il nero della cicatrice di lui contrastava con il pallore della scritta "Mezzosangue" sulla sua pelle.

Le mani di Draco aumentarono la presa sui fianchi di lei e iniziarono a far dondolare i loro bacini, creando una dolce tensione tra i loro corpi, una tensione che montava ad ogni spinta.

Consapevole di non poter durare a lungo, Draco stimolò il clitoride della ragazza e prese uno dei suoi capezzoli tra le labbra, deciso a farle raggiungere l'orgasmo nel minor tempo possibile.

Essendo anche Hermione in astinenza da settimane, tutte quelle attenzioni la portarono in pochi minuti all'apice del piacere, che la lasciò senza fiato per qualche secondo.

Rimasero stretti l'uno all'altra, infiacchiti dall'orgasmo appena provato, per lunghi minuti.

«È meglio di come ricordassi», sussurrò lei, rendendosi conto che la memoria non riusciva a proporle altro che una versione sbiadita e poco accurata della passione che era divampata tra di loro poco prima.

Draco sorrise sornione: «E sono fuori allenamento, aspetta che torno in forma e poi ne riparliamo».

Hermione rise, divertita dalla tracotanza del ragazzo: «Io starei ancora spettando il tè che mi aveva promesso».

Draco scosse la testa e osservò il cielo scuro fuori dalla finestra: «Si sta facendo buio, se vuoi ti posso offrire la cena».

«Mi sembra un'ottima proposta», disse lei, mordendosi il labbro inferiore: «Draco?»

Gli occhi di lui si puntarono in quelli di lei, vigili. Quello era il momento che Malfoy aveva temuto di più; il momento in cui l'impazienza e il desiderio bruciante, ormai sedati, sarebbero stati messi da parte dalla ragione.

«Quello che è appena successo fa di me la tua amante?», chiese lei, pensierosa.

«Sì», disse lui, deciso ad essere il più sincero possibile: «Ma solo fino a quando non avrò annullato il fidanzamento con Astoria, da quel momento in poi sarai la mia ragazza».

Hermione sorrise: «Cosa ti fa pensare che io voglia essere la tua ragazza?»

«Lasceresti Weasley per me?», controbatté lui, all'improvviso incerto.

«Io e Ron non stiamo più insieme da tre giorni», disse lei, inclinando leggermente il capo: «Quindi la risposta alla tua domande è sì, ho lasciato Ron per te».

Draco sentì il cuore battergli forte in petto a quelle parole e un enorme sorriso compiaciuto gli comparve in volto: «Vorresti essere la mia ragazza?»

«Forse», rispose Hermione: «Se supererai il periodo di prova».

«Quale periodo di prova?», chiese Draco, aggrottando la fronte.

Hermione si sollevò in piedi sgranchendosi la schiena e le gambe: «Lo vedrai».

 

 

 

***

Buonasera popolo di EFP!

Scusate se vi ho fatto attendere per la pubblicazione di oggi, ma volevo cercare di rendere perfetto questo capitolo, non penso di esserci riuscita, ma spero comunque che vi sia piaciuto.

Che dire, in questo capitolo non succede poi molto, lo ammetto, ma quelle poche cose che succedono è stata dura trovare le parole giuste per descriverle senza risultare banale. 

Detto ciò, spero che abbiate voglia di dirmi cosa ve ne pare e se vi è scesa la lacrimuccia leggendo il capitolo.

Per chi volesse mi può trovare su Instagram (dove vi aggiorno in tempo reale sulle pubblicazioni e eventuali ritardi) il nome dell'account è lazysoul_efp!

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Lunedì mattina ***



15. Lunedì mattina





Il lunedì mattina iniziò nel migliore dei modi per Hermione Granger e Draco Malfoy.

Lo stesso non si poteva dire per il resto del mondo magico, nello specifico per una preoccupata Pansy Parkinson e un pensieroso Blaise Zabini, che non si parlavano da sabato sera, e avevano un unico pensiero fisso: "cosa dovevano fare?"

Mentre Pansy Parkinson aveva difficoltà ad accettare il fatto che una vita stesse crescendo dentro di lei, Blaise Zabini aveva recuperato da un vecchio diario, che aveva scritto negli anni dell'adolescenza, la lista dei nomi che gli piacevano di più, così da aggiornarla e farla vedere a Pansy appena avesse deciso se portare a termine la gravidanza. 

Il lunedì mattina iniziò in modo pessimo anche per Ronald Bilius Weasley. Erano ormai quattro giorni che si svegliava da solo nella Tana, con un forte mal di testa dovuto ad un'assunzione esagerata di Burrobirra e Firewhiskey e gli occhi rossi per il pianto. Stava approfittando dell'assenza dei genitori, che si trovavano ancora in Sud America, per condurre uno stile di vita poco pulito e sano, senza dover sentire mamma Molly urlargli dietro. Sapeva di non poter indugiare troppo in quella decadenza, che gli permetteva di non pensare alla recente rottura con Hermione, ma al momento sembrava ancora troppo sofferente per poter superare il recente evento.

Il dolore di Ronald non era però paragonabile alla rabbia mista a impotenza che provava Astoria Greengrass quel lunedì mattina. Erano due notti che dormiva poco e male e le visite a Delilah, per quanto piacevoli, le causavano anche una profonda malinconia, che riviveva prima di andare a dormire e che le impediva di essere serena. Più tempo passava incastrata in quella vita di bugie e segreti, più si rendeva conto che non sarebbe riuscita a sopportarla ancora per molto. I suoi genitori aspettavano impazienti di sapere la data del matrimonio, la sua futura suocera la invitava quasi ogni giorno a prendere il tè da lei e cercava di carpirle qualsiasi informazione utile su suo figlio e sulla loro relazione. Astoria ogni tanto mentiva, ogni tanto sviava il discorso oppure inventava impegni per non andare a Villa Malfoy.

La giovane sorella Grrengrass aveva provato a raggiungere Malfoy nel suo appartamento sabato sera, decisa a parlargli e trovare una soluzione, una volta per tutte, a quel fidanzamento senza senso in cui si trovavano incastrati, ma non l'aveva trovato in casa e nemmeno domenica pomeriggio. Quel lunedì mattina prese in considerazione l'idea di raggiungerlo in ufficio e proporgli di pranzare insieme, ma dato che la settimana prima aveva avuto la stessa idea e non era riuscita a concludere nulla, decise di rimandare il loro incontro alla sera e di passare il lunedì da Delilah, nella speranza di migliorare quella giornata, iniziata malamente.

Hermione Granger e Draco Malfoy quel lunedì mattina si svegliarono entrambi con un sorriso stampato sulle labbra e una bruciante impazienza.

La sera prima, dopo una semplice cena, Hermione era tornata a casa, e aveva passato lunghi minuti, prima di andare a dormire, a riflettere su quanto era accaduto.

Aveva creduto, ingenuamente, di poter resistere al desiderio che provava per Draco; un desiderio che si portava dietro da anni e che aveva ignorato per troppo tempo. Faceva male rendersi conto di non esser mai riuscita veramente a superare quella sconclusionata relazione segreta, che avevano avuto lei e l'ex Serpeverde durante il sesto anno ad Hogwarts. Era stata con Ronald per anni, l'aveva amato per un certo periodo, ma solo in quel momento realizzava che il ricordo di Draco era sempre rimasto dentro di lei, come un virus dormiente, pronto a svegliarsi con meticolosa regolarità.

Non si pentiva di quello che era successo tra lei e Draco domenica sera, non si pentiva di aver fatto sesso con lui — malgrado fosse fin troppo consapevole che lui era fidanzato con un'altra. 

Provava un senso di esaltazione e desiderio nel ripensare a quanto era accaduto: lei aveva fatto sesso con Draco Malfoy, infischiandosene di tutto e tutti, mettendo al primo posto nella classifica delle sue priorità il proprio piacere personale, invece che i desideri altrui e la morale.

Forse non avrebbe dovuto andarne fiera, ma non poteva impedirsi di essere felice.

Draco Malfoy aveva provato qualcosa di molto simile prima di andare a dormire domenica sera, solo che la sua incontenibile felicità, presentava un pizzico d'incredulità. 

Dopo la reazione di Hermione al semplice bacio che si erano scambiati sabato sera, aveva creduto che la ragazza fosse frenata dalla presenza di Astoria nella sua vita e non avesse intenzione di far evolvere la loro relazione da un punto di vista fisico.

Non gli dispiaceva ammettere di essersi sbagliato.

Riscoprire il corpo di Hermione dopo cinque anni, trovandolo molto simile a quello che ricordava; riscoprire la chimica tra di loro, la semplicità con cui riuscivano ad essere loro stessi quando erano entrambi nudi e fragili, era stato per Draco come risvegliarsi da un lungo sonno e trovare un bicchiere d'acqua fresca per la sua gola secca. 

Hermione lo voleva ancora, Hermione aveva lasciato Ronald per lui, Hermione sembrava essere disposta a concedergli una seconda chance, e Draco non poteva essere più felice.

La solita routine mattutina di Hermione Granger venne portata a compimento in pochi semplici passi: colazione, vestizione, lavaggio dei denti e momento di contemplazione davanti allo specchio. Aveva scelto una blusa color tabacco con le maniche lunghe e la scollatura accentuata e una gonna a tubino nera. Era consapevole di essersi vestita con maggiore attenzione del solito, ma diversamente dalla settimana prima la cosa non la infastidiva e non la faceva sentire a disagio. L'idea di voler apparire bella agli occhi di Draco non era più molesta come pochi giorni prima, ma stranamente esaltante.

Prese, come ogni mattina, la metropolvere per arrivare al Ministero e scese al piano dove si trovava il suo ufficio con le mani che le tremavano per l'impazienza.

Venne accolta dal proprio capo, il signor Quintt con un veloce e nervoso saluto, prima che l'uomo scomparisse oltre la porta del proprio ufficio.

Hermione notò, con sollievo, che Penelope Cross non si vedeva alla sua scrivania e non poté fare a meno di esserne sollevata; non aveva dimenticato la conversazione che avevano avuto in ascensore la settimana prima e dell'interesse della collega per Draco Malfoy e, per quanto Hermione non si ritenesse una ragazza particolarmente gelosa, non era neanche abbastanza masochista da aiutare quella ragazza a entrare nelle grazie dell'ex Serpeverde.

Il sorriso sul volto di Hermione s'incrinò leggermente, quando non trovò Draco Malfoy alla sua scrivania e si chiuse la porta dell'ufficio alle spalle con una punta di mestizia.

Cercando di non farsi distrarre troppo dalla mancanza del ragazzo, raggiunse la propria postazione di lavoro e si immerse nella lettura di una circolare su nuove e aggiornate misure di sicurezza all'interno del Ministero.

Draco Malfoy quel lunedì mattina aveva messo piede nell'atrio del Ministero con un radioso sorriso stampato in volto e la sicurezza di vedere presto Hermione ad animarlo.

Prima di poter raggiungere gli ascensori venne fermato da un messaggio, che volò fino a scontrarsi contro la sua camicia bianca. Si fermò a leggere la comunicazione con la fronte aggrottata, pensieroso, poi un sorriso sornione tornò a illuminargli il volto.

Quello che aveva appena letto era un messaggio dal signor Dibert, che gli comunicava la sua assenza a lavoro per un altro paio di giorni, dato che era stato trattenuto in Francia. Momentaneamente sarebbe stato Draco a ricevere le comunicazioni che normalmente sarebbero giunte al signor Dibert e la signorina Amanda Bianchi, valida collega e ottima obliviatrice, sarebbe stata a disposizione di Draco come assistente, se Malfoy l'avesse ritenuto necessario. 

Prima di raggiungere l'ufficio che condivideva con Hermione, Draco trovò opportuno raggiungere Amanda al quinto piano per informarla delle disposizioni del signor Dibert, dicendole che l'avrebbe fatta chiamare se avesse necessitato aiuto e di continuare a svolgere le proprie normali mansioni fino a quel momento.

Dopodiché Malfoy riprese l'ascensore per tornare al quarto piano, dove una giovane e graziosa strega lo accolse con un caloroso sorriso e una mano protesa verso di lui: «Buongiorno, sono Penelope Cross, ero la vicina di scrivania di Hermione Granger prima che venisse promossa e non ho avuto occasione di presentarmi la scorsa settimana, chiedo scusa per questa mia imperdonabile mancanza di educazione».

Draco Malfoy era mediamente abituato ad attirare l'attenzione femminile. Durante gli anni ad Hogwarts aveva avuto un considerevole successo con alcune ragazza di Serpeverde, e più in generale con le giovani purosangue che gli venivano presentate dai genitori durante feste e banchetti tenuti dall'alta società magica.

Erano anni però che non otteneva quel tipo di attenzioni; dalla fine della guerra e la caduta in disgrazia della sua famiglia — nello specifico del suo cognome — Draco non aveva più ricevuto particolari attenzioni dal gentil sesso.

«Buongiorno, signorina Cross, mi chiamo...»

«Oh, lo so come si chiama», lo interruppe lei, sorridendo affabile: «La prego di chiamarmi Penelope e, se non sono troppo sfacciata, mi piacerebbe che ci dessimo del tu».

Draco sbatté le palpebre un paio di volte, preso in contropiede dalla sfrontatezza della ragazza: «Non so se...», iniziò lui, ma la mano di Penelope Cross si appoggiò sul sul braccio sinistro e per qualche secondo fu troppo sconvolto per dire qualcosa. Gli sembrò quasi di sentire il Marchio Nero bruciare, anche se sapeva che era impossibile, e d'istinto ritrasse l'arto.

La giovane donna non sembrò rendersi conto del turbamento di Draco o, molto più probabilmente, decise di non farci caso, e gli fece l'occhiolino: «Magari possiamo continuare questa conversazione a pranzo, ora devo andare al lavoro».

Appena Penelope Cross si fu allontanata, diretta alla sua scrivania, Draco Malfoy riprese a respirare normalmente. Con passi nervosi raggiunse l'ufficio di Hermione Granger e vi si chiuse dentro con le dita che gli tremavano appena.

Se in un primo momento l'ex Serpeverde aveva provato quasi piacere nello scoprire di essere abbastanza attraente da attirare ancora le attenzioni del sesso opposto, si era sentito ben presto a disagio con i modi sfacciati di Penelope Cross.

Draco aveva passato anni a nascondere la propria vergogna, il Marchio Nero, anni ad impedire a sua madre e ad Astoria di toccargli l'avambraccio sinistro.

Solo ad una persona aveva permesso un contatto più intimo.

«Buongiorno».

Sentire la voce di Hermione alle sue spalle, lo fece rilassare quasi istantaneamente e un dolce sorriso gli comparve sulle labbra al ricordo della sera prima, nello specifico della cena, durante la quale la ragazza gli aveva fatto un breve corso accelerato, su come utilizzare il cellulare che avevano acquistato insieme quel pomeriggio.

«Buongiorno», ricambiò lui il saluto, voltandosi verso l'ex Grifondoro.

Draco Malfoy rimase per una manciata di secondi incantato dall'espressione radiosa di Hermione e dalla scollatura accattivante che mostrava, più del solito, il décolleté della ragazza.

«Stai bene?», chiese lei, sollevando un sopracciglio inquisitorio.

Draco sospirò e scrollò brevemente le spalle: «Sono appena stato molestato sul posto di lavoro, non sono sicuro di come mi dovrei sentire in questo momento».

Hermione si sollevò in piedi, gli occhi sbarrati: «Molestato? Da chi? Cos'è successo?», chiese, raggiungendo Malfoy alla porta, le mani di lei che gli sfioravano il volto pallido.

«Una certa Penelope Cross», Hermione storse il naso nel sentire quel nome: «Si è presentata, poi mi ha proposto di pranzare insieme e mi ha toccato il braccio», Draco si portò la mano sul Marchio Nero, un'espressione sofferente in volto: «Il braccio sbagliato», specificò.

Hermione annuì, comprensiva: «Ci parlo io con lei, se vuoi. La scorsa settimana mi aveva detto che voleva "sedurti", ma pensavo di averla dissuasa».

«Dissuasa?», chiese Draco, osservando incuriosito la ragazza di fronte a lui, che aveva iniziato ad accarezzargli i capelli con gesti dolci e misurati.

«Sì, le ho ricordato che sei fidanzato».

Draco socchiuse le labbra, momentaneamente senza parole, poi ridacchiò: «Non credi di essere un po' ipocrita?»

«Ipocrita?», chiese lei, aggrottando le sopracciglia, le dita congelate tra i capelli morbidi di Draco.

«Ricordi alle altre ragazze che sono fidanzato, ma tu non ti fai problemi a sedurmi», disse lui, con tono scherzoso.

Hermione sapeva che Draco aveva ragione ed era per questo, per questa sua consapevolezza, che si sentì profondamente in colpa e si allontanò verso la sua scrivania, nel più completo silenzio.

Se fino a poco prima la ragazza aveva creduto di essere sopra la morale e di non avere alcun problema con quello che era successo con Draco il giorno prima, all'improvviso non era più così convinta di voler essere "quel tipo di persona"; quella che distrugge fidanzamenti, matrimoni e famiglie senza battere ciglio.

«Hermione?», la chiamò lui, con la fronte aggrottata, confuso.

Si era reso conto del repentino cambiamento d'umore nella ragazza, meno chiaro gli era il motivo scatenante di quell'improvvisa freddezza sul volto di Hermione.

L'ex Grifondoro non rispose e voltò la sedia della propria scrivania, in modo da dare le spalle al suo amante.

Draco abbandonò giacca e ventiquattrore, poi raggiunse Hermione, deciso a capire cosa fosse successo.

«Cos'ho detto di sbagliato?», chiese, accovacciandosi di fronte alla ragazza.

Hermione scosse la testa: «Non hai detto niente di sbagliato», disse lei, abbassando lo sguardo per incrociare lo sguardo di lui: «Hai ragione, sono un'ipocrita: ti ho sedotto e ora mi indigno se un'altra ragazza prova a fare lo stesso. Sono una persona orribile».

«No, Hermione», sussurrò lui, appoggiando le mani sulle ginocchia nude di lei: «Non sei una persona orribile».

Prima che la ragazza potesse ribattere, Draco riprese la parola, deciso a farla sentire meglio e a non farle provare le emozioni che la stavano tormentando in quel momento: «Penso di doverti raccontare una storia», disse, mordendosi nervosamente il labbro inferiore: «Ti ricordi il sesto anno? Quando io e Astoria ci siamo fidanzati e tu hai detto che la nostra non era una relazione perché da parte mia c'era solo indifferenza?»

Hermione annuì, chiedendosi dove quel discorso volesse andare a parare.

«Avevi ragione: quello tra me e Astoria è un contratto di matrimonio nato da un ricatto, che per me non ha alcun valore sentimentale».

Hermione osservò il ragazzo accovacciato di fronte a lei con un misto di stupore e sollievo: «Vuoi dirmi che il fidanzamento tra te e Astoria è una farsa?»

«Non proprio», disse lui, sospirando: «Il sesto anno, Astoria sapeva di noi, Hermione, ci aveva visti insieme e mi ha ricattato per ottenere un vantaggioso contratto di matrimonio».

«Non capisco... Perché ti sei fatto ricattare? Se avessero iniziato a girare strane voci, ci sarebbe bastato smentirle», disse lei, in parte ferita da quanto appena scoperto.

«Avevo paura che il Signore Oscure sentisse quel pettegolezzo e usasse l'Occlumazia per carpirmi la verità. Sono bravo a schermare i miei pensieri, ma con la tortura sapevo che avrei ceduto: non potevo permettermi che avesse alcun dubbio, ne andava della vita dei miei genitori, Hermione. Ne andava della mia vita, ne andava della tua vita», ammise lui, lo sguardo basso ad osservare le ginocchia della ragazza: «E poi avevamo litigato da poco, stavo male, e ho pensato di usare a mio vantaggio quel ricatto. Ho provato a dimenticarti, ma non ci sono mai veramente riuscito».

Hermione rimase con le labbra socchiuse a quella rivelazione, rendendosi conto che, come lei aveva cercato di sfruttare Ronald per dimenticare lui, lui aveva usato Astoria per dimenticare lei.

«Siamo stati degli sciocchi», sussurrò Hermione, scuotendo lentamente la testa, allibita: «Mi stai dicendo che abbiamo sprecato un sacco di tempo, che avremmo potuto sfruttare per stare insieme... E tutto per cosa

«Tutto perché ero un ragazzino crudele che non sapeva chiedere scusa e non riusciva nemmeno a capire per cosa si dovesse scusare», disse Draco, un triste sorriso a incurvargli le labbra: «Ci ho messo molto tempo a capirlo e per questo ti chiedo scusa, così come ti chiedo scusa per tutti gli insulti e le prese in giro, per averti lanciato quell'incantesimo che ti ha fatto crescere a dismisura i denti il quarto anno, per averti chiamata "Mezzosangue" troppe volte per sapere il numero esatto e per non esser stato in grado di vedere tutto il male che ti facevo...»

Hermione appoggiò la mano sulla bocca di Draco, interrompendo il suo discorso, gli occhi della ragazza erano pieni di lacrime non versate, che facevano brillare le sue iride calde e scure. 

Draco baciò le dita contro le sue labbra, poi mosse le mani sul volto della ragazza, così da asciugare le lacrime che sfuggivano al controllo di Hermione.

Rimasero in quella posizione, in silenzio, per qualche secondo, poi Hermione sorrise.

«Sono felice di informarti che il periodo di prova sta andando molto bene», disse lei, sporgendosi per lasciare un bacio sulla fronte del ragazzo, ancora accovacciato di fronte a lei.

Draco sorrise: «Posso sapere quanto durerà il periodo di prova?»

«La durata dipenderà soltanto da te», disse Hermione, scrollando le spalle, dalla sua espressione sembrava dispiaciuta quanto lui da quell'affermazione.

«E immagino di non avere alcuna possibilità di dire la mia al riguardo».

«No, al momento no, ma ce l'avrai quando non sarai più fidanzato», disse lei, sporgendosi per avvicinare ulteriormente il proprio viso a quello di lui: «Mi stai dimostrando di essere cresciuto, Draco, ma devo assicurarmi che tu lo sia davvero, prima di diventare la tua ragazza».

Draco si sporse per lasciare un bacio delicato sulle labbra di Hermione, poi annuì: «Mi sembra giusto».

Si baciarono ancora, suggellando quell'accordo, poi Hermione si scostò con una triste smorfia sulle labbra: «Ora però dovremmo lavorare».

«Sei una guastafeste», disse lui, pizzicando il fianco della ragazza, prima di alzarsi e dirigersi verso la scrivania con passo svogliato.

Hermione si prese qualche minuto, prima di tornare effettivamente a lavorare, come avrebbe dovuto.

Le parole che le aveva detto Draco avevano toccato corde profonde del suo animo e aveva bisogno di qualche minuto per elaborare le emozioni che stava provando.

Sentire quelle scuse, pronunciate con quel tono colmo di rammarico e dolore, era stata una svolta che Hermione non si era aspettata.

Le scuse di Draco, riferite a tutti i torti e gli insulti del passato, erano qualcosa a cui Hermione aveva temuto di non assistere mai nel corso della sua vita; non perché non si fosse resa conto del profondo cambiamento del ragazzo, ma perché aveva creduto che lui non avrebbe rinvangato certi eventi del passato di sua spontanea volontà.

Hermione osservò il profilo di Malfoy, la sua espressione concentrata nella lettura di una pergamena e si sentì la donna più fortunata del Mondo Magico.

 

 

 

***

Buon pomeriggio popolo di EFP!

Eccoci alla fine del quindicesimo capitolo!

Personalmente mi è sembrata necessaria la panoramica all'inizio su alcuni personaggi secondari, ossia Pansy, Blaise, Ron e Astoria. I quali, anche se non appaiono in tutti i capitoli, rimangono importanti, insieme a Ginny, Harry, Narcissa, Andromeda e Teddy.

Come c'era da aspettarsi, la nostra cara Penelope Cross ha fatto la sua prima mossa, che non è andata propriamente benissimo (per lei), dato che Draco non sembra interessato a nessuno tranne Hermione.

In questo capitolo viene svelato un ulteriore fatto di cui la nostra protagonista non era a conoscenza, ossia la questione ricatto che c'è alla base del fidanzamento di Draco e Astoria.

Che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!

Se volete mi potete trovare su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Sexting ***


16. Sexting 


 

 

Poco prima di pranzo Hermione sentì il proprio cellulare vibrarle in borsa e con la fronte aggrottata lo recuperò, curiosa.

 

Quando lesse il nome di chi le aveva mandato un messaggio sollevò lo sguardo su Draco, un sorriso sorpreso a incurvarle le labbra: «Mi hai mandato un messaggio?»

 

Draco non disse niente, limitandosi a sorridere.

 

 

 

"Quella camicia è molto bella, ma non mi permette di concentrarmi..."

 

 

 

Hermione arrossì leggermente, poi digitò una risposta:

 

 

 

"Come mai?"

 

 

 

Draco si leccò il labbro inferiore mentre scriveva il successivo messaggio, poi lo inviò e puntò lo sguardo sul volto della ragazza, deciso a studiarne ogni minima reazione.

 

Le guance di Hermione si fecero incandescenti e le sue labbra di socchiusero mentre leggeva la risposta di Draco:

 

 

 

"Perché tutto quello che riesco a pensare è a quanto mi piacerebbe togliertela". 

 

 

 

Hermione si morse il labbro, poi spostò lo sguardo dal cellulare al volto del ragazzo, che si trovava a un paio di metri da lei. Stava per rispondergli a voce, quando decise di rispondere con un messaggio.

 

 

 

"Non penso che mi dispiacerebbe. "

 

 

 

"Siamo in ufficio, non mi tentare."

 

 

 

"Guastafeste."

 

 

 

Draco ridacchiò, ricordando che qualche ora prima era stato lui a dire quella stessa parola alla ragazza. Convinto che la conversazione non sarebbe andata avanti, l'ex Serpeverde tornò al proprio lavoro. Quando sentì la vibrazione di quel piccolo arnese babbano, nella tasca dei suoi costosi pantaloni da ufficio, un sorriso impaziente gli incurvò le labbra.

 

 

 

"Ricordi la sera dello smalto?"

 

 

 

Draco aggrottò le sopracciglia a quel messaggio e si chiese per qualche secondo a cosa si riferisse la ragazza, poi una piccola smorfia, tra il divertito e l'infastidito gli modellò i lineamenti.

 

 

 

"Ricordo. Pansy ancora non mi ha confessato di essere stata lei, ma io non ho dubbi al riguardo."

 

 

 

Rispose Draco, sollevando lo sguardo per incontrare quello di Hermione, ma la ragazza aveva gli occhi scuri puntati sullo schermo del proprio cellulare, le guance arrossate e le dita che si muovevano velocemente sui tasti.

 

Malfoy non aveva idea di cosa stesse scrivendo la ragazza in risposta alle sue parole, ma all'improvviso sentì molto caldo.

 

 

 

"Non ho mai fatto sesso su una scrivania durante il lavoro, ma la scorsa settimana ero sul punto di masturbarmi pensando a te. Mi hai interrotto, entrando."

 

 

 

Draco deglutì e la saliva gli rimase incastrata in gola, facendolo tossire convulsamente per una manciata di secondi. Hermione lo osservava dalla sua scrivania con uno sguardo a metà strada tre il preoccupato e il compiaciuto.

 

 

 

"Pensavo alla nostra prima volta, pensavo alla tua bocca su di me, pensavo alla sera dello smalto..."

 

 

 

Dracò si sentì febbricitante nel leggere quelle parole e comprendere quanto profondamente Hermione lo volesse, quasi quanto lui voleva lei.

 

Il ragazzo si alzò rumorosamente dalla sedia, deciso a raggiungere la scrivania della ragazza e porre così fine a quel gioco, dove non c'erano vincitori né vinti.

 

«No», disse Hermione, fermando la sua avanzata sul nascere.

 

Draco, con la fronte aggrottata e le labbra strette in una linea sottile, guardò la ragazza con aria confusa: «No, cosa?»

 

«Non ti avvicinare, scrivimi quello che vorresti fare», disse lei, gli occhi appannati dal desiderio e le labbra arrossate per i morsi che continuava ad auto infliggersi.

 

Draco non comprendeva appieno quel gioco, ma non aveva intenzione di tirarsi indietro e, preso in mano il cellulare e tornatosi a sedere, descrisse a parole quello che gli frullava nella mente in quel momento.

 

 

 

"Vorrei farti salire su quella scrivania, sfilarti la camicia e mettere in mostra il tuo seno perfetto, poi leccarti i capezzoli."

 

 

 

Hermione sorrise nel leggere quella risposta, eccitata dalla piega che stavano prendendo gli eventi.

 

 

 

"Li senti i miei gemiti? Mi piace quello che mi stai facendo."

 

 

 

Digitò lei, poi ci pensò giusto qualche secondo e aggiunse: 

 

 

 

"Senti come muovo i fianchi contro i tuoi? Senti la mia mano sui suoi pantaloni?"

 

 

 

Draco gemette nel leggere quelle parole e cominciò a capire il perché di quel gioco, che aveva creduto sciocco fino a poco prima. Si portò una mano in mezzo alle gambe per sistemare i pantaloni, che sentiva premere contro la sua erezione e portò tutta la sua attenzione sul piccolo schermo del cellulare, deciso a portare Hermione a un punto di eccitazione tale da farle dimenticare di essere al lavoro.

 

 

 

"Mi piacciono i tuoi gemiti, vorrei sentirli in eterno. Vorrei stenderti sulla scrivania, far scomparire tutti i tuoi vestiti e leccarti fino a farti venire più e più volte, fino a quando la tua pelle è ricoperta di sudore e non ce la fai più."

 

 

 

Hermione avvampò nel leggere quelle parole e la fitta di piacere che provò in mezzo alle gambe le fece accelerare il respiro e il battito cardiaco. 

 

Sollevò lo sguardo e incontrò quello rovente di Draco e per qualche secondo vacillò; Hermione era sul punto di alzarsi e raggiungerlo per mettere in pratica quella dolce fantasia, poi s'impose di non farlo, decisa a proseguire ancora un po' con quel nuovo ed eccitante gioco.

 

 

 

"Mi piacerebbe, ma sai cosa mi piacerebbe ancora di più?"

 

 

 

Rispose lei, osservando l'espressione curiosa e impaziente di Draco.

 

 

 

"Cosa?"

 

 

 

"Sentirti dentro di me, mentre mi prendi sulla scrivania, facendomi urlare dal piacere."

 

 

 

Draco rimase a osservare quel messaggio per qualche secondo, poi sollevò lo sguardo su Hermione e parlò: «Tu mi vuoi morto».

 

La ragazza rise e scosse la testa: «Esagerato».

 

«Quanto durerà ancora questo gioco?», chiese lui, spostando lo sguardo dal cellulare tra le sue mani, al volto arrossato di Hermione.

 

«Non ti sta piacendo?», domandò lei, aggrottando la fronte. Aveva interpretato i gemiti di Draco come segno che anche lui stesse apprezzando i messaggi che si stavano scambiando, ma cominciava a temere di essersi sbagliata.

 

«Mi sta piacendo troppo», disse lui, aprendosi la patta dei pantaloni per liberare dalla costrizione della stoffa la sua erezione dolorante.

 

«Sei eccitato?», chiese lei, intuendo cosa stesse facendo Malfoy con le mani in mezzo alle gambe, quando sentì il familiare suono della zip, ebbe la conferma dei suoi sospetti.

 

Draco ridacchiò: «Tu cosa dici?», le chiese con una punta d'ironia, stringendo le dita della mano destra intorno alla sua eccitazione.

 

Hermione si morse il labbro inferiore, poi riprese in mano il cellulare e digitò con le dita veloci.

 

 

 

"Chiudi gli occhi e inizia a masturbarti, piano. Immagina che sia io a farlo."

 

 

 

Draco emise un suono strozzato e fece ciò che gli era stato detto, iniziando a sentire la pressione dell'orgasmo montargli dentro.

 

Quando il ragazzo sentì la ragazza pronunciare un incantesimo per chiudere a chiave la porta e uno per insonorizzare la stanza, il respiro gli divenne ancora più corto, al pensiero di quello che sarebbe successo di lì a poco.

 

Draco non aprì gli occhi, nemmeno quando sentì chiaramente le mani della ragazza afferrare i braccioli della sua sedia a rotelle e sospingerlo verso il vuoto. L'odore della pelle di Hermione lo avvolse e il respiro di lei vicino all'orecchio gli fece muovere leggermente il capo verso quella direzione.

 

Era sul punto di baciarla a tentoni, al buio dei suoi occhi chiusi, quando si rese conto che il respiro di Hermione non era più vicino al suo orecchio.

 

«Fermati», disse la voce della ragazza, sembrava giungere da un posto non ben definito di fronte a lui, Draco smise di masturbarsi, eccitato da quel nuovo gioco.

 

Dopo qualche secondo gli sembrò di sentire il fruscio di abiti che venivano sfilati e al solo pensiero di quello che sarebbe successo di lì a poco deglutì rumorosamente.

 

«Ora puoi aprire gli occhi», disse la voce spezzata dal desiderio di Hermione e lui ubbidì.

 

Quando Draco sollevò le palpebre e si abituò alla luce della stanza, gli si socchiusero le labbra alla vista del corpo completamente nudo di Hermione che, seduta sulla sua scrivania a gambe larghe, lo osservava con impazienza.

 

«Vieni a prendermi, Draco», disse lei, le gambe che le tremavano appena.

 

L'ex Serpeverde si sollevò subito in piedi e percorse in due nervose falcate il poco spazio che lo separava dal corpo nudo e bollente di Hermione.

 

«Sono sempre più convinto che il tuo intento sia di causarmi un infarto», disse lui, affondando con desiderio le dita nella morbida carne delle cosce della ragazza, così da allargarle ulteriormente e potercisi mettere comodamente in mezzo.

 

Hermione gettò le braccia intorno al collo di Draco e sollevò gli occhi al cielo: «Perché mai dovrei volerlo?»

 

«Non lo so, per vendetta?», propose lui, mentre portava una mano nell'interno coscia di lei.

 

«Vendetta per cosa?», chiese lei, gemendo rumorosamente quando Draco iniziò a masturbarla ad un ritmo serrato.

 

«Non lo so, dovresti dirmelo tu», mormorò lui contro la pelle della gola di Hermione, inspirando a fondo il suo profumo, poi circondò con le labbra impazienti uno dei capezzoli della ragazza.

 

Hermione, con la testa gettata all'indietro, la bocca aperta nel tentativo di respirare e gli occhi chiusi, non rispose, limitandosi a muovere i fianchi per aumentare la frizione delle dita di Draco su di lei.

 

Erano entrambi rossi in volto, col fiato corto e la fronte che iniziava a imperlarsi di sudore, quando Draco interruppe quella dolce tortura per spingere la propria erezione nella carne rovente e tremante di Hermione.

 

Fu un amplesso meno dolce rispetto a quello del giorno prima e anche meno frettoloso.

 

Stretti l'uno all'altra su quella scrivania, eccitati al pensiero di essere in ufficio, nel bel mezzo della giornata lavorativa e inebriati dal pensiero di essere insieme e di essere felici, iniziarono a muoversi, facendo scontrare rumorosamente i loro fianchi.

 

Hermione non trattenne i propri gemiti di piacere e Draco non si preoccupò del suono della scrivania che colpiva la sedia e scivolava leggermente sul pavimento.

 

«Ti piace?», chiese lui con la voce spezzata e gli occhi incantati ad osservare il seno generoso di Hermione, che ad ogni spinta si muoveva.

 

«Sì, non ti fermare», supplicò la voce stranamente acuta della ragazza, ormai vicina al proprio orgasmo.

 

Quando Hermione raggiunse il culmine del piacere affondò il capo contro la spalla di Draco, soffocando un grido contro la pelle sudata del ragazzo.

 

Le gambe di Hermione tremavano incontrollabilmente intorno ai fianchi di Draco, che dopo poche spinte raggiunse a sua volta l'orgasmo.

 

Stretti tanto forte da sentire il cuore dell'altro battere furiosamente a poca distanza dal proprio, rimasero in silenzio, entrambi intenti ad assaporare la dolcezza e spossatezza dei secondi che seguivano l'orgasmo.

 

«Tu mi vuoi davvero morto», riuscì a dire Draco, il fiato ancora corto e le mani che iniziavano a vagare sulla schiena e le cosce della ragazza, per saggiarne la consistenza.

 

«Senti chi parla», borbottò lei, lasciando una scia di soffici baci sulla spalla e la gola esposta dell'amante.

 

Draco sorrise, poi premette con forza le labbra contro quelle di Hermione: «Ti va di pranzare insieme oggi?»

 

L'ex Grifondoro sorrise pigramente e annuì, lasciando un bacio sulla guancia del ragazzo: «Cos'hai in mente?»

 

«In realtà nulla di specifico, vorrei solo passare del tempo con te», ammise lui, scostandosi leggermente dal corpo caldo di Hermione.

 

La ragazza sorrise: «Il tempo che abbiamo appena passato insieme non basta?», gli chiese, un sorriso malizioso a incurvarle le labbra, arrossate dai baci e morsi.

 

«No, il tempo con te non è mai abbastanza», confessò lui, sfiorando con la punta del proprio naso quello di Hermione.

 

Usarono la magia per pulire i loro corpi sudati, poi si rivestirono con calma, aiutandosi a vicenda.

 

Quando sbloccarono la porta e cancellarono l'incantesimo insonorizzante, avevano entrambi un sorriso rilassato in volto e il bruciante desiderio di toccarsi non del tutto svanito.

 

«Stavo pensando», disse Hermione, la borsa tra le mani e i capelli irrimediabilmente spettinati raccolti in una spessa treccia: «Che penso di conoscere un posto molto carino dove potremmo pranzare».

 

Draco anche recuperò la sua ventiquattrore e allungò la sua mano libera per afferrare quella di Hermione.

 

«Nel mondo babbano?», chiese lui, dirigendosi verso la porta.

 

«No, a Diagon Alley, probabilmente lo conosci, si chiama "Le canzoni della mandragola"».

 

Draco aggrottò le sopracciglia pensieroso e si portò la mano di Hermione alle labbra: «Il nome mi è familiare, ma non penso di esserci mai stato».

 

In quell'istante la porta dell'ufficio si aprì, facendo esplodere la bolla di gioia e intimità in cui si erano rinchiusi per tutta la mattina.

 

Penelope Cross era sulla soglia, il suo sorriso incrinato dall'incertezza e gli occhi puntati sulle labbra di Draco premute sul dorso della mano di Hermione.

 

Penelope, che non era stupida come le piaceva lasciare credere ai proprio colleghi, ci mise ben poco a capire il livello d'intimità che c'era tra quella che era stata la sua compagna di scrivania e quello che sperava poter essere la sua futura conquista in ufficio.

 

Le sfide non avevano mai demoralizzato Penelope, ma in quel caso, la faccenda le appariva troppo complicata anche per lei.

 

Penelope si chiese da quanto andasse avanti quella storia e realizzò che la reticenza, che le aveva mostrato Malfoy quella mattina, doveva essere dettata dalla fedeltà che nutriva nei confronti di Hermione più che per la sua fidanzata.

 

«Penelope», disse Hermione, sfilando con un gesto impacciato la mano dalla stretta di Malfoy, gli occhi leggermente sbarrati dalla preoccupazione: «Posso aiutarti?»

 

Penelope scosse la testa mestamente, poi sospirò e sorrise: «Ora capisco perché cercavi di convincermi a desistere la scorsa settimana», disse, riferendosi alla breve conversazione che le due ragazze avevano avuto in ascensore, prima del lavoro.

 

«Non è come sembra», cercò di dire Hermione, ma Penelope la interruppe: «Posso mantenere un segreto se voglio, non devi preoccuparti. Ora devo andare, penso che chiederò a Robert di pranzare con me».

 

Prima che Draco o Hermione potessero aggiungere altro, Penelope Cross era scomparsa e si era richiusa la porta alle spalle.

 

«Mi sento sporca», sussurrò Hermione, appoggiandosi alla parete più vicina del suo ufficio.

 

Draco la guardò con apprensione, incerto su cosa fare o dire.

 

Sentire il peso del giudizio nello sguardo di Penelope Cross, anche se solo per un istante, l'aveva fatta sentire profondamente a disagio e insicura. 

 

Hermione non si era mai veramente preoccupata del giudizio altrui, ma in quel caso era consapevole di aver fatto qualcosa di orribile, anche se il fidanzamento di Draco e Astoria era tutto una farsa, e di meritarsi gli sguardi di rimprovero e disapprovazione altrui. 

 

Forse non si era aspettata che il giudizio arrivasse così presto.

 

Draco intrecciò nuovamente le loro dita in una stretta solida e le baciò la fronte: «Stai bene?»

 

Hermione annuì e prese un profondo respiro: «Mi ci devo solo abituare».

 

«A cosa?», chiese lui, confuso.

 

«Ed essere giudicata», ammise lei, guardando gli occhi chiari di Malfoy assottigliarsi appena a quelle parole.

 

«Non dire sciocchezze, Hermione, nessuno ha il diritto di giudicare qualcosa che non conosce, inoltre c'è ben poco da giudicare quando parlerò con Astoria», disse lui, lo sguardo mortalmente serio e irremovibile.

 

Hermione gli accarezzò la guancia: «Non mi vergogno di noi», disse, con voce sottile: «Non mi vergogno di quello che provo».

 

Draco socchiuse le labbra, poi le richiuse. Era troppo presto per chiederle cosa provasse, era troppo presto per ammettere i propri sentimenti.

 

«Andiamo?», chiese, soffocando le altre domande, troppo pericolose, che avrebbe voluto fare.

 

Hermione annuì, uno sguardo determinato in volto.

 

Uscirono dall'ufficio per mano.

 

Pochi maghi e streghe si trovavano per i corridoi e gli uffici del piano, la maggior parte era già ammassata in mensa o era uscita per pranzo.

 

Hermione sentiva il cuore batterle forte in petto ogni volta che lo sguardo di qualcuno si posava su di loro per qualche secondo di troppo, ma aveva intenzione di dimostrare a Draco di essere abbastanza forte da sopportare qualunque cosa per lui, anche il giudizio della gente.

 

Draco Malfoy era teso, mentre salivano sull'ascensore, continuando a tenersi per mano. 

 

Hermione sembra avere abbastanza coraggio per entrambi e la stretta delle dita di lei impediva a Draco di mettere un po' di distanza tra di loro.

 

«Sei sicura di voler essere vista in compagnia di un ex Mangiamorte», le chiese con voce tesa Malfoy, una volta nell'atrio principale del Ministero.

 

La stretta di Hermione intorno alle sue dita aumentò e i suoi occhi scuri lo guardarono con serio rimprovero: «Il tuo passato non definisce la persona che sei ora. Ti sei pentito delle tue azioni e sei stato giudicato innocente».

 

Draco le diede un bacio sulla fronte: «Non tutti la pensano così, Hermione», sussurrò contro la sua pelle: «Molti vedono in me mio padre e tutti i suoi errori».

 

«Molti sbagliano allora», disse lei, con voce sicura, i lineamenti contratti e inflessibili.

 

Draco le sorrise lievemente: «Non credi di essere un po' di parte?»

 

«Di parte? È perché mai?», chiese Hermione, con una punta d'ironia nella voce.

 

«Forse perché sei la mia amante», le sussurrò Draco all'orecchio.

 

Hermione sorrise e sciolse la stretta delle loro dita solo quando si trovarono davanti ai camini: «Il locale si chiama "Le canzoni della mandragola"», gli ricordò, prima di prendere una manciata di metropolvere.

 

Nell'arco di pochi secondi emersero entrambi da due camini vicini che si trovavano all'ingresso di un piccolo ristorante a conduzione familiare, dove vennero accolti dall'odore di soffritto e basilico fresco.

 

Una giovane strega, con un grembiule bianco e un sorriso di circostanza apparve di fronte a loro: «Benvenuti! Avete prenotato?»

 

«No», disse Hermione, stringendo nuovamente la mano di Malfoy nella sua.

 

«Un tavolo per due?», s'informò la donna, prendendo da un tavolo due menù.

 

«Sì», confermò Draco, guardandosi intorno.

 

Le pareti erano color ocra e vi erano appese piccole statuette in legno, raffiguranti creature immaginarie, uno gnomo era appisolato dietro alla cassa e indossava un gilet a quadri neri e rossi e una bombetta sul capo.

 

La sala era anch'essa decorata da particolari statuette e quadretti in legno, che si sposavano bene con l'ocra delle pareti e delle tovaglie. Su ogni tavolo si trovava un vaso trasparente con all'interno una mandragola addormentata.

 

Draco ricordò all'improvviso che era stato Blaise a parlargli di quel locale qualche settimana prima; c'era stato per pranzo e aveva trovato il cibo ottimo, anche se l'arredamento — a detta sua — lasciava un po' a desiderare.

 

La cameriera li accompagnò a un tavolino per due, poi lasciò loro i menù e si allontanò.

 

«Eri già venuta qua?», chiese Draco, osservando il menù con particolare attenzione.

 

Il silenzio di Hermione si protrasse per molto tempo e, quando Malfoy sollevò lo sguardo per capirne il motivo, trovò la ragazza con le guance soffuse da un tenue rossore e il capo basso. Sembrava in imbarazzo.

 

«Sì», disse alla fine, mordendosi pensosamente il labbro: «Sono venuta all'inaugurazione del locale, un anno fa circa».

 

Draco capì, senza che Hermione dicesse altro è una punta di gelosia gli fece distogliere lo sguardo, per posarlo nuovamente sul menù.

 

Hermione doveva essere stata in quel locale con Weasley, quando magari erano ancora felici, quando...

 

Il pensiero di Hermione e il suo ex ragazzo in atteggiamenti intimi fece sentire Draco profondamente a disagio.

 

«Le statuette alle pareti le ha create Luna Lovegood, ti ricordi di lei? Era di un anno più giovane, Corvonero», disse Hermione, selezionando ogni parola con cura, desiderosa di riportare l'atmosfera tra lei e Draco alla calma che c'era stata fino a poco prima: «Suo padre era il proprietario de "Il Cavillo"».

 

L'immagine della ragazzina bionda, sempre tra le nuvole, che più volte si era divertito a tormentare con i suoi compagni di casa, gli apparve nitidamente tra i pensieri.

 

«Sì, mi ricordo di lei, non sapevo fosse diventata un'artista», disse Draco, osservando quelle decorazioni con occhi diversi. 

 

«Intaglia il legno nel tempo libero, gestisce ancora il giornale del padre, ma ci pubblica principalmente racconti e romanzi a puntate», disse Hermione, scorrendo il menù, tesa.

 

Portare Draco in quel ristorante era stato un errore. Non ci aveva pensato fino a quando non aveva messo piede nella sala e i ricordi dell'inaugurazione della mostra e del locale non l'avevano bombardata senza pietà, facendole rivivere quella serata di quasi un anno prima.

 

Ricordava i sorrisi di Ginny, le battute di Ronald, Luna raggiante che spiegava agli ospiti i nomi delle creature raffigurate e il fastidio sul volto di Harry ogni volta che qualcuno gli chiedeva un autografo. 

 

Quella era stata una bella serata, lei e Ron non avevano litigato, nessun ricordo di Draco le era comparso a tradimento nell'arco dell'inaugurazione e per qualche ora Hermione era stata felice. Poi era tornata a casa, Ron si era rintanato subito a letto, stanco e mezzo ubriaco, mentre lei era rimasta seduta in salotto ad osservare il camino spento di fronte a lei. Aveva pianto, ai tempi non era riuscita a spiegarsi perché, e si era addormentata da sola, sul divano.

 

Quella notte, non per la prima volta, aveva sognato Draco e, una volta sveglia, aveva litigato pesantemente con Ronald per una sciocchezza.

 

Ai tempi aveva pensato di essere emotiva a causa del ciclo, solo con il senno di poi aveva capito di esserci accanita su Ron e la loro relazione per  una questione d'insoddisfazione.

 

Quando tornò la proprietaria del locale ordinarono due porzioni di lasagna e decisero di dividere un tiramisù. 

 

«Abbiamo iniziato una nuova tradizione», disse Draco, attirando l'attenzione della ragazza.

 

«Tradizione?», chiese Hermione, appoggiando i gomiti al tavolo, per sporgersi leggermente verso di lui.

 

«Sì, dividere il dolce», spiegò Draco, sorridendole apertamente.

 

Hermione sentì una familiare sensazione di calore al petto, sensazione che aveva provato spesso da quando Draco era tornato nella sua vita e si sporse sul tavolo per lasciare al suo accompagnatore un breve bacio a stampo.

 

«E questo per cos'era?», chiese lui, inarcando un sopracciglio.

 

Hermione scrollò le spalle: «Per le nuove tradizioni», disse, tornando al suo posto, mentre Draco la osservava dall'altra parte del tavolo con gli occhi colmi di affetto.

 

Pranzarono con calma, cullati dalla bruciante felicità che sentivano sotto pelle, certi che quella piccola tradizione fosse solo l'inizio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

Buongiorno popolo di EFP!

 

Chiedo intanto scusa per il ritardo! 

 

Questa settimana ho fatto una breve vacanza in Sardegna con i miei zii e pensavo che avrei avuto più tempo per scrivere, per questo non sono riuscita a pubblicare prima questo capitolo.

 

Spero che per il momento la storia continui a piacervi!

 

Per il nome del locale "Le canzoni della mandragola", mi sono ispirata al libro di Mo Yan che sto leggendo in questi giorni "Le canzoni dell'aglio" (che consiglio a tutt* coloro che non sono deboli di stomaco e sono dispost* a leggere certe descrizioni crude e cruente).

 

Vi auguro un buon weekend e vi aspetto il prossimo mercoledì per il nuovo capitolo 🤗

 

Ricordo, per chi fosse interessat*, che mi potete trovare su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp!

 

Un bacio,

 

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** San Mungo ***


17. San Mungo
 


 

Blaise Zabini stava lavorando all'abito da sposa di Ginevra Weasley, quando un piccolo e anonimo assiolo gli si appoggiò su un manichino vuoto dello studio.

Lo osservò distrattamente, poi sospirò, indispettito da quell'interruzione, e recuperò la lettera legata alla zampa del volatile.

Quando, leggendo il suo nome sulla busta, riconobbe la calligrafia di Pansy, il cuore iniziò a battergli furiosamente in petto.

Le aveva scritto una lettera lunedì pomeriggio, per chiederle come stesse e se avesse voglia di cenare insieme. Non si era stupito di non ricevere risposta, ormai si era abituato alla freddezza di Pansy e al suo bisogno di solitudine ogni tanto.

Avevano litigato qualche volta al riguardo.

Lui le aveva fatto notare che si preoccupava e si sentiva escluso, quando lei non gli rispondeva prontamente ai messaggi via gufo, mentre lei gli aveva detto che se non si sentiva di rispondere aveva tutto il diritto di non farlo.

Blaise aveva capito col tempo qualcosa del carattere di Pan che aveva sempre saputo, ma che non aveva mai sperimentato sulla propria pelle: Pan si prendeva quello che voleva senza chiedere scusa. Se era del tempo libero, un nuovo abito o una promozione non faceva differenza; lei trovava sempre il modo di ottenere, con impegno e caparbietà, qualsiasi cosa desiderasse. 

Blaise aprì la busta con movimenti nervosi e ne lesse il contenuto con avidità.

 

Ciao, Blaise. 

Ho un appuntamento al San Mungo alle tre, tu sai per cosa.

Se non volessi venire, lo capirei, ma mi piacerebbe averti accanto.

Pansy

 

Una smorfia di dolore incrinò i lineamenti armoniosi di Blaise Zabini, probabilmente una pugnalata al cuore gli avrebbe fatto meno male, rispetto alle parole che aveva appena letto.

Erano passati solo due giorni e mezzo, dal sabato sera in cui Pansy gli aveva confessato di essere incinta e di non essere sicura di volerlo tenere.

Troppo poco per potersi abituare all'idea di essere un padre in potenza, troppo poco per prendere una decisione così importante.

Blaise sì asciugò le lacrime di dolore dal viso, poi prese il foglietto che aveva scritto anni prima, dove aveva elencato quattro nomi: Ofelia, Enea, Agnese e Gabriele.

Li aveva segnati quando era ancora giovane e l'idea di diventare genitore era un sogno lontano e nebuloso.

Non aveva mai veramente pensato però a cosa potesse comportare la paternità e nemmeno in quel momento aveva le idee chiarissime.

Avrebbe dovuto lasciare il suo lavoro per aiutare Pansy col bambino? Avrebbe dovuto lavorare di più per guadagnare abbastanza per sostenere sul figlio? Sarebbe stato un padre troppo preso dal lavoro per avere tempo da dedicare al proprio figlio?

Lesse nuovamente le poche righe che gli aveva scritto Pansy e si rese conto che tutti quei quesiti non avevano ragione di esistere. 

Presto non sarebbe stato nemmeno un padre in potenza, che senso aveva chiedersi se sarebbe stato un buon padre?

Quando rilesse l'orario scritto sulla lettera, s'irrigidì.

Blaise si guardò intorno, alla ricerca di un orologio. 

Si ricordò ben presto di non averne nel suo studio, così da non potersi distrarre con questioni futili, come il trascorrere del tempo, durante le sue creazioni artistiche e un gemito di frustrazione gli sfuggì dalle labbra.

Si diresse con passi nervosi verso il negozio, dove aveva appeso alla parete un orologio che riproduceva in modo piuttosto fedele il Big Ben della Londra babbana, anche se di dimensioni più contenute.

Erano da poco passate le due e mezza e non riusciva a decidere se Pansy gli avesse scritto all'ultimo, perché indecisa, o se fosse stata colpa dell'assiolo se la missiva gli era arrivata così all'ultimo. 

«Merlino sbarbato!», imprecò, correndo nel suo studio per recuperare i pantaloni e le scarpe, dato che aveva lavorato fino a quel momento in mutante e camicia.

Con sguardo dispiaciuto abbandonò il disegno, che aveva quasi concluso,  per l'abito da sposa di Ginevra Weasley e fece uscire l'assiolo dalla finestrella leggermente aperta del suo studio, la stessa da cui era entrato poco prima.

Presa la giacca e il suo fedele ombrello babbano, un regalo di Malfoy della collezione Gucci degli anni '80, Blaise chiuse il negozio, affiggendo un cartello incantato che diceva "Torno presto" in ogni lingua esistente.

La pioggia di quel martedì picchiettava allegramente sulla stoffa dell'ombrello, calmando istantaneamente con quel suono continuo i nervi tesi di Blaise.

Il ragazzo pensò in un primo momento di correre a piedi fini all'ospedale, poi si rese conto che non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo e, estratta la bacchetta, si smaterializzò nel giardino curato all'ingresso del San Mungo.

L'ultima volta che era stato in quell'imponente e minaccioso edificio era stato qualche mese prima, per un controllo di routine, che gli aveva confermato di essere sano come un pesce.

Entrò dall'ingresso principale quindici minuti prima delle tre e si sedette su una seggiola in legno che gli permetteva di avere una buona visuale dell'intero atrio.

Conosceva abbastanza Pansy da sapere che la puntualità non faceva parte del suo vocabolario e che aveva tutto il tempo di calmare il battito impazzito del suo cuore e di sedare il tremore delle dita, prima che lei arrivasse.

Prese un profondo respiro e iniziò ad osservare la gente intorno a sé, nel tentativo di calmarsi.

Una strega anziana, seduta di fronte a lui, dall'altra parte dell'atrio, leggeva una rivista con gli occhiali spessi appoggiati sulla punta del naso.

Accanto a lei un bambino dondolava le gambe nel vuoto e si lamentava con una giovane donna alla sua sinistra dell'attesa.

Blaise Zabini distolse lo sguardo, abbassandolo sui mocassini che indossava quel giorno.

Blaise non ebbe tempo di rattristarsi, pensando a quello che sarebbe potuto essere, perché in quell'istante una pallida Pansy Parkinson mise piede nell'atrio del San Mungo, diretta al banco d'accettazione.

Blaise rimase ad osservarla da pochi metri di distanza, studiando i pantaloni neri, abbinati ad una blusa rossa e una mantellina leggera. Pansy aveva i capelli scuri perfettamente pettinati, il volto struccato e le labbra tese in una linea sottile.

Blaise pensò che fosse bellissima, poi si alzò dal suo posto a sedere per raggiungerla.

Quando gli occhi scuri di Pansy si posarono sul volto teso di Blaise, le labbra si distesero in un triste sorriso e la sua mano si agganciò a quella di Blaise.

Non dissero nulla, si guardarono semplicemente negli occhi per qualche secondo.

«La dottoressa Szabò non è ancora arrivata, ha avvisato via gufo che ha avuto problemi con la madre oggi», disse la ragazza al banco d'accettazione: «Dovrà aspettare signorina Parkinson, la avviserò appena la dottoressa sarà disponibile».

Pansy annuì e rimase ferma ad osservare il pavimento bianco dell'atrio per qualche secondo, poi sollevò lo sguardo sul viso di Blaise e gli occhi le si riempirono di lacrime: «Ho bisogno di aria», sussurrò, dirigendosi con passo malfermo verso l'ingresso del San Mungo.

Blaise la seguì, preoccupato del colorito giallognolo sul viso della ragazza, le loro dita ancora intrecciate in una morsa nervosa.

Una volta all'aria aperta Pansy iniziò a frugare nella borsetta che aveva a tracolla, da cui estrasse un pacchetto di sigarette Morgana e un accendino.

«Pensavo avessi smesso», disse Blaise, aggrottando le sopracciglia, leggermente contrariato.

Pansy emise un suono strozzato a metà strada tra un gemito di dolore e un verso d'indignazione, poi sollevò lo sguardo lucido sul viso di Blaise: «Pensavi male», disse con tono rabbioso, portandosi la sigaretta alle labbra.

Blaise le rubò di mano l'accendino con un silenzioso "Accio" e lo fece evanescere il secondo successivo.

Pansy lo guardò con rabbia: «Perché l'hai fatto?», urlò, asciugandosi le lacrime con le dita che le tremavano: «Perché?!»

Pansy tirò uno spintone al ragazzo, facendolo indietreggiare di un paio di passi, fece per colpirlo in viso, poi strinse le mani a pugno e le portò rigide lungo i fianchi e si allontanò di pochi metri, poi tornò indietro, il volto stravolto dal pianto: «Perché non dici niente?! Di solito non riesci a stare zitto per più di due secondi! Perché non parli?»

Blaise sospirò e si sedette per terra a gambe incrociate, ignorando lo sporco e i germi che gli avrebbero sicuramente contaminato i pantaloni perfettamente stirati da Otto: «Cosa vuoi che ti dica, Pan?», chiese esasperato, passandosi le mani tra i capelli, spettinandoli.

Pansy chiuse gli occhi per qualche istante, poi si sedette accanto a lui: «Qualsiasi cosa, Blaise».

Il ragazzo allungò un braccio, così da stringere le spalle sottili di Pansy e avvicinarla a sé. Lei non si oppose.

«Ho quasi terminato il modello per l'abito da sposa di Weasley, oggi ero particolarmente ispirato... sono piuttosto certo che quest'abito sarà la svolta e sbaraglierò la concorrenza», disse Blaise accarezzando il braccio di Pansy attraverso i vestiti: «Questa notte ho sognato mio padre».

Pansy portò una mano sulla gamba del ragazzo e strinse leggermente le dita sul tessuto dei pantaloni. 

Blaise non parlava molto del suo padre biologico, aveva pochi ricordi di lui e quei pochi che aveva erano sfocati dal tempo. Sua madre si era sempre rifiutata di parlargli di Riccardo Zabini, il suo primo marito, e la zia Arianna, sorella di Riccardo, raramente rinvangava il passato. Per questo Blaise crescendo, aveva costruito da solo quella che credeva essere la storia di suo padre.

Riccardo Zabini era nato a Firenze, dove aveva trascorso gran parte della sua vita. Era l'unico erede maschio di un'illustre casata di maghi purosangue e per questo motivo godeva di grandi privilegi.
A trent'anni aveva conosciuto Delphine Blanche Urray e si era innamorato follemente di lei, tanto da sposarla dopo pochi mesi di fidanzamento.

Riccardo e Delphine avevano avuto un figlio a due anni dal matrimonio, che avevano deciso di chiamare Blaise.

La vita di Riccardo Zabini si era conclusa all'età di quarant'anni a causa di un grave problema al cuore che nessuna pozione o medicina babbana aveva potuto risolvere.

Questa era la storia che Blaise sapeva, quella che aveva cucito pezzo dopo pezzo, basandosi sulle poche parole di sua zia Arianna e sulle poche foto datate in suo possesso.

Quella che conosceva meglio era la storia di sua madre, Delphine, che dopo un anno di lutto, aveva ripreso marito. 

Molti maghi e streghe conoscevano la signora Zabini come "La vedova nera" e si diceva in giro che fosse talmente avida da uccidere gli sposi per arricchire il proprio patrimonio.

A Blaise piaceva pensare che sua madre fosse solo tanto sfortunata quando si trattava di uomini.

Pansy tremò appena tra le braccia di Blaise, poi scoppiò in un pianto silenzioso che fece tornare il ragazzo alla realtà.

«Stai bene?», le chiese lui, mettendo da parte suo padre e sua madre, per tornare a concentrarsi sul presente.

«Come mi puoi chiedere se sto bene?», chiese Pansy tra le lacrime, soffiandosi il naso con un fazzoletto ricamato: «Come potrei stare bene?»

Blaise aggrottò la fronte e stringendo maggiormente il corpo sottile di Pansy a sé, le chiese in un sussurro: «Sei sicura di volerlo fare, Pan?»

La ragazza non rispose, limitandosi a piangere in silenzio.

«Perché se non sei sicura, possiamo tornare un altro giorno», mormorò lui: «E se hai cambiato idea, sai che sono disposto a rimanerti accanto e a...»

«Stiamo parlando di un bambino Blaise, non di prendere un girino di rana da crescere insieme», disse lei con tono duro, per quanto le lacrime glielo permettessero.

«Lo so, ma io sono disposto a prendere quest'impegno e sai perché sono così sicuro?», Blaise rimase in silenzio per qualche secondo, poi disse: «Perché ti amo e crescere un figlio con te sarebbe il tipo di avventura che mi piacerebbe vivere, Pan».

Pansy Parkinson singhiozzò e si soffiò nuovamente il naso:«Non ho intenzione di lasciare il mio lavoro o mettere da parte la mia carriera. Mi piace il mio lavoro e tu adori il tuo. Chi si prenderà cura di lui mentre noi non ci saremo?»

«Troveremo un compromesso, Pan. Siamo una buona squadra, sono certo che ce la caveremo», provò a rassicurarla lui, posandole un bacio sul capo: «Inoltre, non so se lo hai notato, ma io non ho superiori a cui render conto; potrei riempire lo studio di giocattoli e passare tutto il tempo a giocare con nostro figlio».

«E chi si prenderà cura del negozio e i clienti?», chiese la ragazza, aggrottando la fronte.

«Assumerò una commessa», disse con nonchalance Zabini, scrollando appena le spalle.

L'immagine di Blaise nel suo ufficio sacro e personale alle prese con pannolini, biberon e giocattoli rumorosi la fece sorridere di tenerezza per qualche secondo e una calda sensazione di pace calmò i singhiozzi che le sconquassavano il petto, permettendole di tornare a respirare normalmente.

Pansy spostò il volto, così da poter studiare con attenzione l'espressione di Blaise. 

Aveva preso appuntamento al San Mungo per abortire, perché spaventata e insicura. Aveva passato gli ultimi giorni nell'insonnia, tormentata da possibili scenari futuri e ogni volta che si era immaginata con in braccio un bambino, suo figlio, era stata colta da forti attacchi di ansia e nausea.

In quel momento invece, immaginarsi accanto a Blaise con un bambino, loro figlio, sembrava causarle solo un'irragionevole impazienza e una felicità sconfinata.

«Sei sicuro, Blaise?»

«Non sono mai stato tanto sicuro di qualcosa in vita mia», disse lui, accarezzando via le lacrime dal volto di Pansy: «Tranne per quella scommessa che avevamo fatto il sesto anno su Malfoy, in quel caso ero sicurissimo di vincere».

Pansy ridacchiò, scuotendo la testa: «Ti rendi conto che avere un figlio vorrà dire diventare adulti responsabili?»

Blaise fece una piccola smorfia: «Pan, devi smetterla con questa storia; non sono un bambino, vorrei ricordarti che ho un appartamento tutto mio...»

«Che Otto mette in ordine per te», gli ricordò Pansy, decisa a punzecchiarlo un po', per allentare la tensione.

«Ho un atelier...»

«Che è anche gioielleria, o hai di nuovo cambiato idea?»

Blaise sbuffò, infastidito: «E con questo cosa vorresti insinuare?»

Pansy distolse lo sguardo: «Sei sicuro che non cambierai idea? Tra qualche settimana? Sei sicuro di volerti prendere questo tipo di responsabilità?»

Blaise prese con infinita delicatezza il volto di Pansy tra le mani e parlò solo quando gli occhi scuri di lei, arrossati per il pianto, furono nei suoi: «Sono spaventato anche io, Pan, ma l'idea di diventare padre e di vivere quest'esperienza con te... Come potrei cambiare idea?»

Rimasero in silenzio per qualche istante, fu Blaise a spezzare il silenzio: «E tu? Sei sicura, Pan?»

La ragazza gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò forte: «Ho paura, ma penso di volerlo tenere».

Blaise sentì calde lacrime rigargli le guance e il cuore esplodergli di felicità: «Ho già pensato a dei nomi».

Pansy sollevò gli occhi al cielo, ma non disse niente e lasciò che Blaise la stritolasse in un dolce abbraccio.

 

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci alla fine del diciassettesimo capitolo, che spero vivamente vi sia piaciuto!

Metà l'ho scritto durante la traversata Olbia-Genova di qualche giorno fa (dovevo pur trovare un modo per impiegare otto ore di ritardo), il resto oggi. 

Chiedo scusa se vi sembra un po' frettoloso o poco curato rispetto a quelli precedenti, ma oggi ho mille pensieri per la testa e non sono in grado di occuparmi serenamente della rilettura come vorrei. Cercherò di rileggere e magari modificare qualche frase poco riuscita entro la prossima settimana, quindi entro il prossimo capitolo.

Per quanto riguarda il background familiare di Zabini mi sono inventata tutto di sana pianta, così come le sigarette della marca Morgana.

Se volete mi potete trovare su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Libertà ***


18. Libertà

 

Astoria Greengrass, di fronte alla porta chiusa dell'appartamento di Malfoy, prese un profondo respiro per calmare i nervi tesi e bussò.

Aveva in tasca la lettera che gli era arrivata poche ore prima, dove il suo fidanzato le chiedeva di raggiungerlo nel tardo pomeriggio a casa sua, per parlare. Quel semplice pezzo di carta le pesava infinitamente nella tasca del cappotto inumidito dalla pioggia di quel martedì pomeriggio.

Lei non poteva saperlo, ma a poche strade di distanza, Blaise Zabini e Pansy Parkinson erano insieme, in un'enorme vasca da bagno colma d'acqua calda e bolle di sapone e parlavano di tutto quello che passava loro per la mente, sentendosi come gli adolescenti che erano stati e non come i genitori in potenza che erano.

Astoria non poteva sapere che Hermione Granger in quel preciso momento era a casa sua a sistemare la libreria che dal weekend aveva lasciato incompleta, con decine e decine di libri abbandonati per terra, in attesa di essere sistemati.

Astoria non poteva sapere che Hermione stava sistemando il proprio salotto perché aveva invitato Draco a cena quella sera.

Quando la porta di fronte a lei si aprì, Astoria sollevò appena le labbra in un sorriso di circostanza alla vista del volto teso di Draco. 

«Entra pure», disse lui, scostandosi abbastanza dall'ingresso per far passare la ragazza.

Astoria si tolse il cappotto e lo appese all'appendiabiti che si trovava all'ingresso e si accomodò sul divano del salotto, le dita che giocherellavano con l'orlo del maglione di cachemire che indossava e lo sguardo basso.

«Grazie per essere venuta», disse Draco, rimanendo in piedi, accanto al divano: «Gradisci qualcosa da bere?»

«Hai dell'idromele?»

Draco, stupito da quella richiesta, ci mise qualche secondo più del solito a raggiungere il mobiletto degli alcolici ed estrarre una bottiglia aperta di idromele.

«Non pensavo bevessi», disse lui, versandole il liquido in un calice.

Astoria sorrise, avrebbe voluto ricordare al proprio fidanzato che erano poche le cose che sapevano l'uno dell'altra e che non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto, ma decise di rimanere in silenzio e allungare semplicemente la mano per afferrare il calice.

Draco Malfoy si sedette sul divano, accanto alla ragazza e cercò di contenere il forte disagio e imbarazzo che provava in quel momento. L'ultima volta che si era seduto con qualcuno su quei cuscini aveva finito col tradire la ragazza che sorseggiava idromele accanto a lui.

«Come stai?», chiese lui, asciugandosi sui pantaloni le mani sudate per il nervosismo.

Astoria scrollò le spalle e prese un altro sorso di idromele.

Draco sospirò e annuì: «Ti ho invitata qua per parlare del nostro fidanzamento», disse senza mezzi termini o giri di parole, cercando dentro di sé il coraggio e il tatto necessario per occuparsi di quella faccenda senza ferire troppo i sentimenti della ragazza.

Astoria provò un moto di gioia improvviso, che cercò di celare dietro un'espressione impassibile.

«Sei felice?», chiese lui, voltando il capo verso la propria fidanzata, gli occhi malinconici: «Sei felice con me?»

Astoria non disse niente per qualche secondo, incerta: «Perché me lo chiedi? Il nostro è un matrimonio d'interesse, la mia felicità non dovrebbe importare molto...»

«Lo so», sospirò Draco, spostando lo sguardo sulle sue mani congiunte in grembo: «Ma a me interessa. Penso che la mia felicità e la tua felicità siano importanti».

Astoria rifletté su quelle parole, prese un sorso di idromele e annuì: «Cosa stai cercando di dirmi, Draco?»

«Penso che dovremmo lasciarci».

Astoria sentì le spalle rilassarsi e la presa nervosa intorno al calice allentarsi leggermente: «Mi stai proponendo di distruggere il contratto di matrimonio?»

«Sì, se sei d'accordo», disse Draco, scegliendo con cura le parole.

Astoria annuì: «Sono d'accordo».

Si guardarono negli occhi per qualche secondo, studiando le rispettive reazioni alle parole che erano appena state dette.

«Come faremo con le nostre famiglie?», sussurrò Astoria, ponendo la domanda che più la tormentava, mordendosi il labbro inferiore.

«Manderò una lettera a tuo padre, gli dirò di voler recedere dal contratto, pagherò qualsiasi somma ritenga necessaria per i danni che posso avervi causato e saremo liberi».

Astoria abbassò lo sguardo, pensierosa: «E tua madre?»

«Me ne occuperò io», disse Draco, appoggiando una mano sulla spalla di quella che entro breve, sperava, sarebbe stata la sua ex fidanzata: «Vorrei che rimanessimo amici, Astoria. Il fatto che io non abbia trovato la felicità con te, non vuol dire che io non ti voglia bene».

Gli occhi pieni di lacrime della ragazza si puntarono in quelli chiari e sereni di Malfoy: «Certo che rimarremo amici».

Draco aggrottò le sopracciglia: «Perché piangi, Ash?»

La ragazza abbassò lo sguardo, sorpresa lei stessa da quelle lacrime, poi venne scossa da un singhiozzo e si allungò per stringere Malfoy in un abbraccio. Draco portò una mano sulla schiena di Astoria e iniziò ad accarezzarla, nel tentativo di consolarla.

«Stai bene?», chiese lui, preoccupato.

«Oh, Draco», singhiozzò lei, affondando il volto contro la spalla di lui: «Non so se sto bene».

«Vuoi parlarne?», chiese Malfoy, percependo nella voce di lei un'esitazione, che gli sembrava di riconoscere.

«Mio padre sarà furioso», mugugnò lei, contro la camicia bianca di Draco: «Mia madre delusa... Penseranno che tu mi abbia lasciato per qualcosa che ho fatto o detto, qualcosa di sconveniente e...»

«Sono innamorato di un'altra», disse Draco, interrompendo il fiume incontrollato di parole che uscivano dalle labbra di Astoria: «Non è colpa tua».

La ragazza si scostò, puntando gli occhi colmi di lacrime in quelli chiari di Malfoy: «Mi stai lasciando per un'altra?», chiese, quasi divertita da quell'assurda situazione; anche lei era innamorata di un'altra.

Draco abbassò lo sguardo, si sentiva in colpa per aver tradito Astoria: «Sì».

«Non sono arrabbiata», disse lei, accarezzando il volto pallido del ragazzo: «Anche io...»

Astoria si morse il labbro e le parole le morirono in gola. Avrebbe voluto avere la forza per ammettere di essere innamorata di un'altra strega, ma temeva profondamente il giudizio di Malfoy e di chiunque altro.

«È Hermione, Astoria», sussurrò lui, deciso ad essere il più sincero possibile con lei, così da espiare il senso di colpa che provava per averla tradita: «È sempre stata Hermione».

La giovane Greengrass annuì, sorridendo appena: «Avrei dovuto immaginarlo», sussurrò: «Come farai? Hai intenzione di dirlo a tua madre?»

Draco scosse la testa deciso: «Per il momento no, aspetterò ancora un po'».

Astoria abbassò lo sguardo sulle proprie mani e si sfilò, con le dita che le tremavano appena, l'anello che Malfoy le aveva regalato per il fidanzamento, porgendoglielo: «Immagino che tu rivoglia questo».

Draco prese quel cimelio di famiglia, che era appartenuto a nonna Druella e lo mise nella tasca dei pantaloni scuri che indossava.

«Come farai a dirlo a tua madre?», chiese all'improvviso Astoria, spezzando il silenzio: «Voglio dire, lei è una Mezzosangue».

Draco arricciò leggermente il naso: «Lo so, Ash, lo so che Hermione non è la strega che i miei genitori vorrebbero vedermi sposare, ma questo non cambierà le cose: io la amo».

Calde lacrime riempirono nuovamente gli occhi di Astoria: «Vorrei essere altrettanto coraggiosa, Draco», ammise, sospirando: «Anche io sono innamorata di qualcuno che i miei genitori non vorrebbero che sposassi».

Dire quelle parole ad alta voce tolse un grosso peso dalle spalle di Astoria, che, preso un profondo respiro, continuò: «Non ne vado fiera, Draco, ma ti ho tradito e mi sembra corretto dirtelo».

Malfoy rimase con la bocca socchiusa dalla sorpresa per qualche secondo: «Anche io ti ho tradito», ammise.

Astoria annuì pensierosa, poi un accenno di sorriso le comparve sulle labbra: «Ora mi sento meno in colpa».

Draco rise, scuotendo enfaticamente la testa: «A chi lo dici! Rimaniamo, quindi, amici?»

La ragazza annuì: «Sì, amici», confermò, prima di prendere un profondo respiro e continuare: «In quanto tua amica, ho bisogno di confessarti di essere innamorata di una strega».

Draco pensò di aver sentito male in un primo momento, poi notò nell'espressione contrita di Astoria e nelle sue guance rosse per l'imbarazzo che probabilmente aveva sentito bene. 

Non si era aspettato una rivelazione simile e per qualche secondo si chiese come avrebbe dovuto reagire a quella notizia, senza ferire i sentimenti di Astoria. Esisteva una risposta giusta?

Il Draco Malfoy di un tempo, il bulletto bigotto dell'adolescenza, avrebbe preso in giro la ragazza che gli stava davanti in quel momento, avrebbe deriso il suo orientamento sessuale e avrebbe fatto di tutto pur di farla sentire sbagliata.

Ma Draco non era più quella persona. 

«È per questo che hai paura di parlarne con i tuoi genitori? Temi la loro reazione quando scopriranno che ami una strega?», chiese Draco, rendendosi conto che le loro situazioni sentimentali erano più simili di quanto avesse pensato.

La ragazza annuì: «Ho cercato di combatterlo, Draco, ma la amo e c'è ben poco da combattere».

«Ti capisco, Astoria», ammise lui, gli occhi malinconici puntati in quelli colmi di lacrime di lei: «L'importante però è essere felici, no? Non è quello che vogliono i tuoi genitori; che tu sia felice?»

Astoria scrollò le spalle: «Non ne sono tanto sicura».

«Cosa pensi di fare?», chiese Draco, prendendo la mano della ragazza tra le sue, così da trasmetterle la sua vicinanza e supporto.

«Ancora non lo so. Penso che andrò a trovare Delilah più tardi e le dirò di non essere più fidanzata, penso che saremo felici per qualche giorno, poi dovrò decidere», disse Astoria, grata di potersi confidare con qualcuno: «Dovrò decidere se tenere nascosta la mia relazione per sempre o se confessare tutto ai miei genitori».

«Non pensi che abbiano il diritto di sapere chi sei veramente? Di conoscere la strega che ami?», chiese Draco, il quale era tormentato dagli stessi pensieri di Astoria: avrebbe mai avuto il coraggio di presentare Hermione a sua madre?

«Sì, penso che meriterebbero di saperlo, ma ho paura che non possano accettarlo», disse lei, appoggiando la nuca sulla spalliera del divano, lo sguardo perso nelle sottili crepe del soffitto: «E se dovessero diseredarmi? E se mi cancellassero dall'albero genealogico? Non ho soldi miei, Malfoy, dove andrei? Da Delilah? E se lei non volesse?»

«Dovresti parlarne con lei», disse Draco, riflettendo sulle domande di Astoria: «Intanto potresti cercare un lavoro».

La ragazza fece una smorfia: «Certo, un lavoro... Non ho molte competenze».

«Posso chiedere a Blaise se ha bisogno di una commessa».

«Zabini mi odia, pensi che non l'abbia mai sentito chiamarmi Greeny Due?», borbottò Astoria, sollevando un sopracciglio sottile.

«Blaise non ti odia», cercò di sdrammatizzare lui, sorridendo: «Ha solo un modo tutto suo di rapportarsi con gli altri e non sempre risulta piacevole».

«Sei un buon amico, Draco, ma non hai bisogno di giustificarlo, conosco abbastanza Zabini da sapere di non essergli particolarmente simpatica».

«Ci parlo io con Blaise, sono certo che un aiuto in negozio gli farebbe piacere averlo».

Astoria annuì: «Va bene, ti ringrazio. Hermione è una donna fortunata ad avere te nella sua vita».

Draco arrossì leggermente e scosse il capo: «Penso di essere io quello fortunato».

«Hai bisogno di una mano per scrivere la lettera a mio padre? Se vuoi rimango ad aiutarti», propose la ragazza.

Lui scosse il capo: «Non ti preoccupare, ci penso io alla lettera», sciolse la presa intorno alla mano di Astoria e le sorrise: «Tu vai dalla tua ragazza a darle la buona notizia».

La giovane sorella Greengrass non se lo fece dire due volte e si alzò, diretta all'appendiabiti per recuperare il suo cappotto: «Grazie di tutto, Draco, ci sentiamo presto».

«Ti manderò un gufo appena parlerò con Blaise», disse lui, accompagnandola alla porta: «Stammi bene, Ash».

Astoria provò una fitta al cuore nel sentire quel nomignolo e abbracciò brevemente Draco, prima di sorridergli e uscire sul pianerottolo.

La ragazza scese le scale con passi frettolosi, pensando a quello che era appena successo. 

Se da una parte provava una forte malinconia, dettata dai ricordi della sua relazione con Malfoy, che, malgrado gli alti e bassi, era sempre stata un punto fisso e importante della sua vita; dall'altra provava una gioia immensa al pensiero di essere libera, finalmente, di poter amare Delilah senza il senso di colpa.

Astoria uscì dal palazzo in cui viveva Malfoy e percorse Diagon Alley fino a quando non si trovò di fronte al negozio di profumi e prodotti di bellezza di cui era ormai un'assidua frequentatrice da mesi.

Delilah quel giorno indossava una blusa bianca e una gonna lunga, i capelli sciolti parevano una criniera per il modo in cui le incorniciavano il viso sorridente e gli occhi le brillavano, allegri.

«Ciao, che bella sorpresa!», esclamò Delilah, smettendo di etichettare alcuni barattoli in vetro che si trovavano sul bancone di fronte a lei.

Astoria le sorrise e s'intrufolò accanto a lei, così da rubarle un bacio a fior di labbra: «Ciao, Deli».

«A breve chiudo, vuoi fermarti a cena da me?»

«Volentieri», acconsentì la giovane sorella Greengrass, senza pensarci una seconda volta: «Dobbiamo festeggiare».

Delilah guardò con un misto di sorpresa e aspettativa il volto raggiante di Astoria, chiedendosi cosa intendesse: «Festeggiare?»

L'ex Serpeverde sollevò le mani, mostrando agli occhi stupiti della sua amante l'assenza dell'anello di fidanzamento: «Sono una donna libera, Deli».

Le due ragazze si abbracciarono, le labbra di Astoria premettero contro il collo di Delilah, lasciandole brevi baci colmi d'amore.

«Non ci credo, hai davvero parlato con Malfoy?»

Astoria annuì: «A quanto pare è innamorato di un'altra, quindi interessava anche a lui spezzare quello stupido contratto di matrimonio».

Delilah scosse il capo, i capelli che danzavano intorno al suo volto, gli occhi neri colmi d'emozione: «Sono così felice...»

«Lo so. Ti amo».

Delilah fece un veloce incantesimo, così da chiudere il negozio, poi afferrò la mano di Astoria e, tra le risate di gioia, la portò fino al proprio appartamentino, superando la piccola cucina dalle pareti azzurre, per entrare nella camera da letto, composta da un semplice letto matrimoniale con la testiera d'ottone, due comodini e un armadio a due ante. Le pareti della stanza erano verde muschio, decorate da rampicanti dorati, e piccole candele incantate fluttuavano a due metri da terra, illuminando fiocamente l'ambiente.

«Vuoi passare subito al dessert?», chiese Astoria, sfilandosi il cappotto.

Delilah rise a quelle parole e in pochi gesti impazienti si sfilò la blusa e la gonna, rimanendo in intimo: «Lo sai che sono golosa».

Astoria sentì una fitta di piacere nel basso ventre a quell'allusione e sorrise tanto da sentire male alle guance: «Lo sai che non sono capace a dirti di no».

Quando le labbra carnose di Delilah si appoggiarono su quelle più sottili di Astoria, il resto del mondo cessò di esistere e tutto quello che rimase fu un fuoco inestinguibile.




 

***
 

Buongiorno popolo di EFP!

Eccoci alla fine: sembra che Draco e Astoria siano riusciti finalmente a parlare seriamente e a rendersi conto di essere infelici e di dover spezzare il contratto di matrimonio che li teneva uniti.

Vedremo poi come reagiranno i genitori della Greengrass e Narcissa a questa notizia e se ci saranno conseguenze per Draco Astoria.

Cosa ve ne pare del capitolo? 

Vi è piaciuto? 

Cosa pensate che riserverà il futuro ai nostri personaggi? 

Ma soprattutto: Blaise assumerà Astoria come commessa nel suo atelier, sotto consiglio di Draco?

Scopriremo questo e altro ancora nei prossimi capitoli!

Come sempre, ricordo che è possibile trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Resta ***


19. Resta


 

Hermione Granger non era una cuoca provetta, di questo era fin troppo consapevole.

Ronald glielo aveva ripetuto più volte durante gli anni della loro relazione, aggiungendo che l'unico nemico, che per la strega sembrava impossibile sconfiggere, fosse proprio la cucina.

Hermione non si era mai offesa particolarmente, anche perché era consapevole che, per quanto dure, le parole dell'ex ragazzo erano fin troppo veritiere; l'unica cosa che le riusciva sui fornelli era scaldare l'acqua per il tè.

Quel pomeriggio, dopo aver riordinato l'intera casa, Hermione si trovava proprio in cucina, appoggiata col fianco al tavolo e le braccia incrociate al petto.

La ragazza non riusciva a distogliere lo sguardo dai fornelli, mentre la mente la riportava a ricordi lontani, che sembravano appartenere ad un'altra vita.

L'immagina di sua madre, intenta a cucinare, aiutata dal padre, era marchiata a fuoco nella sua mente e non le permetteva di pensare ad altro.

Gli occhi le si riempirono di lacrime — non per la prima volta, da quando aveva detto addio ai suoi genitori — e la gola le si chiuse dolorosamente.

Tirò su col naso e lasciò che il pianto le bagnasse il viso per qualche secondo.

Hermione cercava sempre di essere forte, così da mostrare poco i propri veri sentimenti alle persone che la circondavano, soprattutto quando si trattava di emozioni come la tristezza, il dolore o la solitudine.

Asciugandosi con gesti nervosi il volto e gli occhi, Hermione aprì un cassetto della cucina che non veniva aperto da anni ed estrasse un quaderno con la copertina color blu notte, sulla quale c'era un'etichetta bianca e, nella svolazzante calligrafia di sua madre, la scritta "Ricette".

Sfiorò con le dita, che le tremavano appena per l'emozione, la copertina del ricettario di sua madre e prese un profondo respiro.

Era arrivato il momento di mettere da parte la tristezza e la nostalgia.

Mamma e papà non sarebbero più tornati a fare parte della sua vita, ma questo non voleva dire che lei non potesse continuare a mantenere vivo il loro ricordo, celebrando una delle cose che amavano di più fare insieme: cucinare.

Hermione scavalcò Grattastinchi, che cercava di strusciarsi contro le gambe della padrona per farsi dare qualcosa da mangiare, e si sedette al tavolo della cucina.

Una volta aperto il ricettario, la ragazza iniziò a cercare qualcosa di abbastanza facile da poter preparare per cena.

Le sarebbe piaciuto essere abbastanza brava in cucina da potersi mettere alla prova con qualche piatto particolare, ma sapeva di non avere le competenze di base necessarie, così saltò tutte le ricette che sembravano contenere troppi procedimenti a lei sconosciuti o che necessitavano di più di un'ora di preparazione.

Decise alla fine, tenendo conto di quello che aveva in frigo, di preparare degli spaghetti al sugo e una torta di mele.

Iniziò dal dolce; mescolando in una terrina le uova, lo zucchero, il latte e la farina necessari, così da formare l'impasto della torta. In un secondo momento ci aggiunse il lievito e un pizzico di cannella, il cui odore le ricordava il Natale e la felicità che quel periodo dell'anno solitamente le trasmetteva

Grattastinchi continuò per qualche minuto a strusciarsi contro le gambe della padrona poi, quando si rese conto che non stava avendo la fortuna che sperava, smise e, indispettito, si diresse il salotto.

Hermione non ci fece molto caso, troppo intenta a seguire per filo e per segno tutti i procedimenti indicati nella ricetta; era intenzionata a preparare la torta di mele più buona che Malfoy avesse mai assaggiato in vita sua.

Un dolce sorriso le apparve sulle labbra al pensiero del ragazzo che le aveva bruscamente stravolto la vita nell'ultima settimana.

Le sembrava incredibile che in così poco tempo potessero cambiare così tante cose, in modo così radicale.

Usò un incantesimo per sbucciare e tagliare a fettine sottili le mele da disporre a raggiera sopra all'impasto della torta. Una volta terminato quel lavoro certosino, controllò che il forno fosse alla giusta temperatura e vi infilò il dolce.

Era certa che sua madre sarebbe stata fiera di lei e del suo lavoro.

Deglutì, cercando di sciogliere il groppo alla gola e, con la vista offuscata dalle lacrime si sedette al tavolo della cucina, sfogliando come una reliquia antica, le delicate pagine del ricettario che era appartenuto a sua madre.

Singhiozzò, portandosi una mano alla bocca e pianse, sfogando il dolore che poco prima aveva cercato di domare con l'autocontrollo.

In quel momento sarebbe stata disposta a tutto pur di ricevere uno degli abbracci consolatori di sua madre, sentire le sue braccia sottili stringerla forte e il suo profumo delicato di fiori di ciliegio invaderle le narici.

In quel momento sarebbe stata disposta a tutto pur di ricevere uno degli abbracci protettivi di suo padre, sentire le sue braccia lunghe cullarla dolcemente e il suo profumo muschiato entrarle nelle narici.

Grattastinchi, attirato dagli strani rumori, tornò in cucina, la coda che si muoveva sinuosa e la pancia che ballonzolava ad ogni passo. Il gatto si sedette di fronte alla figura in lacrime della padrona e la osservò con i grandi occhi gialli, spalancati e incuriositi. 

Hermione osservò infastidita il gatto: «Cosa vuoi?», gli chiese, quasi si aspettasse una risposta dall'animale.

Grattastinchi mosse semplicemente la coda a destra e a sinistra, poi spostò lo sguardo verso la sua ciotola, vuota. 

La ragazza scosse la testa: «Possibile che tu non riesca a pensare ad altro che al cibo?», borbottò, prima di alzarsi, lasciando il ricettario della madre sul tavolo, diretta verso la confezione di crocchette sul bancone della cucina.

Hermione servì una generosa cena a Grattastinchi, dopodiché controllò l'ora e si rese conto che mancava ormai poco all'arrivo di Draco.

Con passi velici e nervosi, l'ex Grifondoro si diresse in bagno, dove controllò che il proprio aspetto fosse come minimo decente.

Cercò con gesti precisi di sistemare i propri capelli in una coda alta, ma ben presto si arrese, insoddisfatta del risultato, e si accontentò di lasciarli sciolti e disordinati intorno al proprio volto struccato.

Prese in considerazione l'idea di indossare un filo di rossetto, ma cambiò subito idea, pensando che mangiando si sarebbe molto sicuramente rovinato e si diresse in camera.

Cambiò i semplici e rovinati abiti che indossava solitamente in casa, con un abito blu a maniche lunghe a tubino, dal taglio semplice e la scollatura a barca. 

Ai piedi indossò delle comode ballerine e ancora una volta controllò il proprio riflesso, pensierosa.

Non si era mai preoccupata troppo del proprio aspetto esteriore, soprattutto durante i suoi anni ad Hogwarts. Aveva iniziato a fare più attenzione quando aveva iniziato a lavorare al Ministero, dove era tenuta ad essere vestita in modo consono, eppure non si era mai preoccupata tanto, come nell'ultima settimana, di apparire bella ad occhi esterni ai suoi.

Sorrise emozionata all'idea di vedere presto Draco e tornò in cucina, dove mise a bollire l'acqua per gli spaghetti, poi apparecchiò tavola per due, provando un brivido di gioia e impazienza.

Era incedibile, ma il tempo che passava con l'ex Serpeverde non sembrava bastarle mai.

Lo vedeva al lavoro, dato che condividevano lo stesso ufficio, e negli ultimi giorni avevano anche pranzato insieme, oltre a inventarsi ogni scusa possibile e immaginabile per parlare e stare un po' insieme oltre all'orario di lavoro.

Eppure non vedeva l'ora di averlo lì con lei e di vedere come avrebbe reagito alla cena che stava provando a preparare al massimo delle proprie capacità, ma, soprattutto, se avrebbe apprezzato il dolce che avrebbero condiviso quella sera, come era ormai loro tradizione.

Hermione sentì un dolce calore espandersi all'altezza del proprio petto; il pianto e la tristezza di poco prima erano soltanto un vago ricordo ormai.

Accese con un incantesimo la radio babbana e sorrise ulteriormente, nel sentire la voce familiare di un cantante che apprezzava particolarmente: Michael Bublé. 

Mentre finiva di preparare iniziò a ballare per la cucina, profondamente emozionata all'idea della serata magica, che non vedeva l'ora di trascorrere con Draco.

Era talmente assorta dalla voce di Michael Bublé e dagli spaghetti che cuocevano nella pentola, che non si rese conto del rumore che proveniva dal salotto; il chiaro sfrigolio del fuoco nel camino, poi i passi di qualcuno.

Quando Draco mise piene in cucina, si trovò di fronte al magnifico e inaspettato spettacolo di una distratta e spensierata Hermione che ballava a ritmo di musica, muovendo sinuosamente i fianchi larghi, fasciati in un vestito che sembrava esser stato creato apposta per abbracciare la sua silhouette.

Il ragazzo non rese subito palese la sua presenza, decidendo di rimanere ad osservare la scena di fronte a sé per ancora una manciata di secondi, poi si schiarì la gola e gli occhi di Hermione si puntarono immediatamente su di lui, le guance le si colorarono di una scura sfumatura di rosa e le labbra si schiusero in un'espressione stupita.

«Non ti ho sentito arrivare», disse lei, posando il mestolo che aveva in mano, per poi avvicinarsi a Draco.

«L'avevo notato», ribatté lui, facendo diventare ancora più rosate le guance della ragazza.

«Benvenuto a casa mia», disse Hermione, avvicinandosi a lui per porgergli un lungo e suggestivo bacio sulla guancia.

Draco sorrise e si mosse in modo da premere le labbra contro quelle di lei per qualche secondo, poi si allontanò: «Ho portato un pensierino», disse, porgendo alla padrona di casa una costosa bottiglia di idromele.

Hermione sorrise genuinamente, incapace di riconoscere il vero valore del liquido ambrato racchiuso nella bottiglia. Se c'era una cosa che la ragazza conosceva poco, erano le diverse tipologia di vino e i rispettivi prezzi. Ecco perché non provò imbarazzo nell'accettare quel presente, che per lei era un vino come un altro.

«Siediti pure», disse la padrona di casa, indicandogli la tavola già apparecchiata: «Sarà pronto a momenti».

Draco seguì la ragazza ai fornelli, osservando con sguardo curioso quello che stava preparando: «È odore di torta di mele quello che sento?», chiese dopo poco Draco, spostando gli occhi verso il forno, al cui interno il dolce preparato da Hermione aveva un aspetto delizioso.

L'ex Grifondoro sorrise, orgogliosa e annuì: «Esatto».

Quando suonò il timer da cucina, Hermione scolò gli spaghetti, poi vi aggiunse il sugo.

«È pronto!», annunciò, sorridendo tanto da sentire male alle guance.

Draco prese posto a tavola e si fece servire una generosa porzione di spaghetti, impaziente di parlare con Hermione e raccontarle della conversazione che aveva avuto con Astoria quel pomeriggio.

Quando la ragazza si sedette a tavola, rimase incantata dal sorriso radioso sul volto di Draco: «Stai bene?», gli chiese, sorridendo a sua volta.

Draco scosse la testa: «Sto più che bene», ammise, iniziando a raccogliere con la forchetta un po' di spaghetti.

«Come mai?», chiese Hermione, un sorriso malizioso sulle labbra; stava già pregustando il momento in cui il ragazzo le avrebbe detto che la sua felicità era dovuta al fatto che fossero insieme.

«Ho parlato con Astoria questo pomeriggio».

In un primo momento, Hermione aggrottò la fronte, confusa da quelle parole, che non erano quelle che si era immaginata avrebbe udito. Poi una punta di gelosia la colse alla sprovvista, facendole chiudere lo stomaco in una morsa dolorosa. Gli occhi di Hermione, seri e confusi si puntarono sul volto sorridente di Draco, in attesa che dicesse altro.

«Non te l'ho detto prima perché volevo che fosse una sorpresa», disse il ragazzo, posando la forchetta nel piatto, troppo emozionato per poter mangiare in quel momento: «Abbiamo deciso di sciogliere il fidanzamento».

L'espressione di Hermione cambiò, la fronte le si distese e la gelosia scomparve all'istante, sostituita da una genuina felicità: «Quindi non sono più la tua amante?», chiese, emozionata.

«Esatto», disse Draco, raggiante.

Hermione si alzò e fece il giro del tavolo per raggiungere Malfoy, che si era a sua volta alzato in piedi.

Rimasero l'uno di fronte all'altra per qualche secondo, troppo emozionati per parlare, poi si abbracciarono stretti, il volto di lei premuto contro la spalla di lui, il viso di lui immerso tra i capelli di lei.

«Ora puoi essere la mia ragazza, se vuoi», sussurrò Draco, con un tono di voce leggermente incerto.

Hermione scoppiò a ridere e si scostò dalla stretta solo per poter puntare gli occhi in quelli chiari del ragazzo di cui si stava innamorando, di nuovo.

«Mi piacerebbe molto».

Draco osservò l'espressione radiosa di Hermione e si sentì l'uomo più fortunato al mondo: «Ti va di ballare?»

Solo in quel momento Hermione si rese conto che la voce di Michael Bublé continuava a riempire la sua cucina con le dolci note di una delle sue nuove canzoni.

«Va bene, ma poi mangiamo, che se no si raffredda», disse, gettando una veloce occhiata agli spaghetti fumanti nei loro piatti.

«Certamente», la rassicurò lui, prima di iniziare a dondolare a ritmo di musica.

«È un cantante babbano?», chiese Draco dopo qualche secondo, le labbra premute leggermente contro la tempia di Hermione.

«Sì, si chiama Michael Bublé e questa canzone s'intitola "Moondance"».

«Mi piace», disse lui, guardandosi intorno: «Ma non riesco a capire da dove arrivi la musica».

Hermione gli indicò la radio appoggiata sul bancone della cucina.

«Devo comprarmene una, mi accompagneresti?»

La ragazza sorrise ampiamente e annuì: «Molto volentieri».

Quando la canzone finì, tornarono entrambi a sedersi e ripresero la cena.

Hermione si rese conto, appena addentò la prima forchettata di spaghetti, che il sapore non era buono come se l'era aspettato e si rese conto di essersi dimenticata di salare la pasta prima di metterla a cuocere.

«È insipida, scusa», disse, allungando a Draco la saliera.

Il ragazzo scrollò le spalle: «È molto buona».

Hermione sorrise e scosse la testa: «Sei un terribile bugiardo, non mi offendo se aggiungi del sale, anzi».

Draco ignorò le parole della ragazza e cambiò argomento: «Mi piace molto il tuo vestito questa sera».

Hermione sorrise soddisfatta, dimenticandosi improvvisamente della precedente conversazione: «Sono felice che ti piaccia, piace molto anche a me».

La ragazza studiò la camicia che indossava Draco, poi abbassò lo sguardo sul proprio piatto: «Non sono molto brava a cucinare», ammise, mordendosi nervosamente il labbro inferiore: «Avrei voluto che questa cena fosse perfetta».

Draco allungò una mano sul tavolo e accarezzò il braccio destro di Hermione: «Per il momento lo è».

Hermione sollevò gli occhi al cielo: «Bugiardo adulatore».

«Non sto mentendo», l'assicurò Draco, sorridendole: «Come hai trascorso il pomeriggio?»

«Ho pulito casa, ho cucinato... Niente di che», raccontò Hermione, scrollando le spalle.

In quel momento Grattastinchi, che dopo aver cenato si era addormentato pesantemente in salotto, si svegliò e, sentendo una voce sconosciuta, oltre a quella della sua padrona, andò in cucina ad osservare la situazione.

Soffiò allo sconosciuto, lasciandogli intendere di non essere il benvenuto e ricevette un aspro rimprovero da parte di Hermione.

«Grattastinchi!»

Draco scoppiò a ridere: «Non ci posso credere, non sapevo avessi ancora questo gatto, Hermione», poi, con uno sguardo a metà strada tra il serio e il divertito si rivolse al gatto: «Non sono qua per rapirti, tranquillo».

Hermione, ricordandosi di quello che era successo il sesto anno scoppiò a ridere: «Dici che è per quello che sembra avercela con te?»

«Certo, è comprensibile», disse il ragazzo, tornando al piatto di spaghetti di fronte a sé, un sorriso malizioso a incurvargli le labbra: «Ti ricordi di come sei entrata di soppiattò in camera mia?»

Hermione addentò una forchettata di spaghetti e annuì: «Ricordo anche che hai pensato bene di bagnarmi tutta».

Draco scoppiò a ridere di gusto, gettando la testa all'indietro.

Hermione lo seguì a ruota, sorridendo apertamente: «Tu cos'hai fatto oggi? Oltre a parlare con Astoria, intendo».

«Ho spedito una lettera al padre di Astoria, per fargli sapere che non ho intenzione di sposare sua figlia, poi sono venuto qua».

«Pensi che il signor Greengrass prenderà bene la notizia?»

«No, ma non m'importa. Sono stanco di vivere la vita che gli altri vogliono che io viva, d'ora in poi sceglierò da solo il mio destino».

Hermione inclinò leggermente il capo, gli occhi scuri fissi in quelli chiari di Draco: «Come pensi che la prenderanno i tuoi genitori?»

Draco terminò gli spaghetti che aveva nel piatto e scrollò il capo: «Non lo so, di sicuro non faranno i salti di gioia quando scopriranno che la mia ragazza è una nata babbana».

«Non conosco molto bene i tuoi genitori, ma lo penso pure io», disse Hermione, ricordando i volti pallidi ed austeri del signore e della signora Malfoy.

«I tuoi genitori invece cosa diranno quando scopriranno che non stai più con Weasley, ma con un ex Mangiamorte pentito?»

Hermione tenne lo sguardo basso e cercò di scacciare le lacrime.

Draco si rese subito conto del repentino cambiamento nell'espressione di Hermione e si chiese cosa avesse detto di sbagliato. Possibile che la Granger stesse ancora male all'idea di aver lasciato Weasley?

«Non credo che i miei genitori lo verranno mai a sapere», mormorò Hermione, asciugandosi con la manica del vestito la lacrima, che era sfuggita al suo autocontrollo.

In un primo momento, Draco pensò che quelle parole volessero indicare la decisione di Hermione di non dire ai propri genitori della loro relazione. Poi, osservando lo sguardo della ragazza, si rese conto che doveva aver mal interpretato.

«Vuoi parlarne?», chiese Draco, allungando una mano verso Hermione.

«Non c'è molto da dire», sussurrò la ragazza, incapace di sollevare lo sguardo e incrociare quello di Malfoy.

Draco non disse nulla, rimase con la mano appoggiata al braccio di Hermione e il pollice che si muoveva lentamente, nel vano tentativo di consolarla.

«Non sono morti, se è questo che pensi», sussurrò la ragazza, riuscendo finalmente a sollevare gli occhi arrossati sul viso di Draco: «Ho dovuto usare un incantesimo di memoria e cancellarmi dai loro ricordi l'estate del '97. Dovrebbero essere in Australia, non so altro, non so nemmeno se stanno bene...»

Draco strinse maggiormente la presa intorno al braccio di Hermione.

«Prima o poi vorrei andare a cercarli, vedere se sono felici... ma ho paura».

«Paura di cosa?», chiese Draco, colpito dal racconto della ragazza.

«Paura di rovinare la loro felicità, paura di illudermi di poterli riavere nella mia vita, per poi realizzare che non è possibile... paura che non abbiano bisogno di me come io ne ho di loro».

Le lacrime ormai scorrevano copiose sulle guance di Hermione e la sua voce era spezzata dai singhiozzi.

Draco le accarezzò il braccio: «Se sei riuscita a fare un incantesimo tanto complicato sei anni fa, penso che tu sia più che in grado ora di usare il contro incantesimo per far tornare loro la memoria», disse: «Sei la strega più brillante che conosco e sono convinto che non esista nulla che tu non sia in grado di compiere».

Hermione avrebbe voluto dirgli che si sbagliava, ma i singhiozzi erano troppo forti per permetterle di parlare.

«Se pensi di non potercela fare da sola, posso accompagnarti; prenderemo una passaporta e andremo a cercare insieme».

Hermione rimase incantata ad osservare l'espressione sincera sul volto di Draco e scosse la testa: «Verresti con me in Australia a cercare i miei genitori? Perché mai?»

Draco sorrise e le guance gli si tinsero di un tenue rossore: «Non è ovvio?»

Hermione scosse il capo: «Non per me».

«Verrei con te in capo al mondo, Hermione, se questo volesse dire renderti felice».

Prima che la ragazza potesse rispondere, l'odore di bruciato che aleggiava nella stanza la fece tornare alla realtà e un'espressione colma d'orrore le comparve in volto: «La torta!»

Sciolse la stretta di Malfoy sul suo braccio e corse a spegnere il forno, estraendone il dolce, dove i bordi delle mele avevano cominciato ad annerirsi.

«Oggi non me ne riesce una giusta», disse Hermione, appoggiando la tortiera sui fornelli, il volto nuovamente stravolto dalle lacrime.

Malfoy si alzò in piedi e abbracciò stretto la ragazza: «Vuoi che vada?», le chiese, incerto di fronte alla sofferenza della ragazza.

Hermione scosse violentemente la testa: «No», disse, gli occhi colmi di lacrime e le mani strette intorno al tessuto della camicia di Draco: «Resta».

Il ragazzo annuì: «Va bene, resto».







 

*****

Buonasera popolo di EFP!

Vorrei intanto ringraziarvi per la pazienza e scusarmi per il terribile ritardo. 

Chi mi segue su Instagram sa che ho avuto un periodo un po' difficile ultimamente, ma sembra essermi passato e oggi sono riuscita finalmente a tornare a scrivere.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate.

Draco ha raccontato ad Hermione di aver rotto il fidanzamento con Astoria ed Hermione gli ha raccontato dei suoi genitori e delle sue paure. Dopo il capitolo "Cicatrici", dove abbiamo Hermione che consola Draco in un momento di debolezza, mi sembrava giusto inserire una scena simile, ma, questa volta, con Hermione in lacrime.

Cosa pensate che succederà nei prossimi capitoli?

Tante scene dolciose o drama? 

(Fatemi sapere le vostre previsioni, che sono curiosa!)

Non so quando riuscirò a pubblicarvi un nuovo capitolo, anche se spero di non farvi aspettare troppo. Come sempre vi terrò aggiornati al riguardo su Instagram (il nome dell'account è lazysoul_efp)!

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Contemplazione ***


20. Contemplazione


 

Draco Malfoy, girato su un fianco, con il gomito puntellato contro il materasso, contemplava nel più assoluto silenzio Hermione Granger, addormentata accanto a sé.

La ragazza aveva i capelli scuri e ribelli sparsi sul cuscino, le labbra socchiuse e le guance soffuse di un tenue rossore.

Draco sorrise quando Hermione cambiò leggermente posizione, girandosi sul fianco, e iniziò a russare.

Per quanto tempo aveva sognato un risveglio simile? Per quanti anni era rimasto in disparte, osservandola da lontano, senza avere mai il coraggio di avvicinarsi?

Ricordava la festa di Natale al Ministero quell'anno, le risate, i calici di idromele scadente, Hermione Granger con un abito dal taglio raffinato che sorrideva a Ronald Weasley ed Harry Potter, mentre Draco la guardava da un angolo remoto dell'atrio e fantasticava.

S'immaginava di raggiungerla con passi sicuri e, ignorando gli sguardi torvi di Potter e Weasley, le avrebbe chiesto un minuto del suo tempo per parlare di un importante caso che avrebbe coinvolto i loro due dipartimenti.

Era certo che Hermione lo avrebbe seguito, anche solo per curiosità, anche solo per il suo spiccato senso del dovere.

E lui l'avrebbe portata in un posto tranquillo, in modo da non attirare su di loro sguardi indesiderati, e le avrebbe detto, in un sussurro nell'orecchio, che l'abito che indossava quella sera le stava divinamente e che non passava giorno o notte che non pensasse a lei e al sesto anno e a quanto gli sarebbe piaciuto tornare indietro nel tempo per rivivere, anche se solo per pochi secondi, il tepore del suo corpo contro il suo la mattina e il loro gioco di sguardi per i corridoi.

Ogni volta che Draco s'immaginava scenari simili, non sapeva mai come la ragazza avrebbe risposto. Forse gli avrebbe detto di non avvicinarsi mai più a lei, di dimenticarla e farsi una vita; oppure l'avrebbe guardato dritto negli occhi e gli avrebbe confessato di provare le stesse cose.

A volte i suoi sogni ad occhi aperti finivano con Hermione che lo baciava appassionatamente, stringendolo forte a sé, altre volte la fantasia terminava con Hermione che gli rideva in faccia e gli diceva che era troppo tardi.

Draco allungò una mano e la posò sul capo di Hermione, saggiando la consistenza ruvida dei suoi capelli contro la pelle del suo palmo.

La ragazza si mosse appena e gemette, tornando a pancia in su, gli occhi ancora chiusi e le labbra socchiuse.

Draco non riusciva a credere alla propria fortuna: era con lei, erano felici e tutto sembrava andare per il meglio. 

Con la mano ancora sul capo di Hermione, Draco iniziò ad accarezzarle con lievi gesti circolari la fronte e le guance.

Era mattina presto, e i primi raggi del sole filtravano dalla tenda alla finestra, permettendo a Draco di vedere chiaramente ogni minimo cambiamento sul volto di Hermione.

Si era svegliato già da qualche minuto a causa di un incubo ricorrente che, malgrado la terapia, faticava a lasciarsi alle spalle.

Almeno due volte a settimana sognava gli occhi rossi e il viso pallido dell'uomo che aveva sfregiato il suo avambraccio, rendendolo uno schiavo.

Sognava quel volto, il dolore che aveva provato e rivedeva Hermione, riversa sul pavimento di casa sua, torturata da Bellatrix Lestrange, sua zia.

Il medimago specializzato in psicologia lo aveva rassicurato, dicendogli che rivivere nel sonno eventi traumatici del passato era assolutamente normale, eppure Draco avrebbe voluto che esistesse un modo per estirpare per sempre quei sogni atroci e passare le notti nell'oblio più totale.

Svegliarsi accanto a Hermione era stato però talmente sorprendente e piacevole da fargli dimenticare in poco tempo il sogno, permettendogli di iniziare quella giornata con una serenità, che raramente provava.

La ragazza si mosse appena e socchiuse un occhio, poi una piccola smorfia le stropicciò il viso e sorrise: «'Giorno».

«Buongiorno», ricambiò il saluto Draco, sporgendosi per lasciare un bacio a fior di labbra alla ragazza.

Hermione lo allontanò con un verso di protesta: «Ho l'alito cattivo la mattina».

Draco scoppiò a ridere e scosse la testa: «E allora?», le chiese, lasciandosi scivolare più vicino a lei tra le coperte: «Il tuo alito cattivo non mi spaventa».

«Dovrebbe», borbottò Hermione, sorridendo.

Il ragazzo si sporse per lasciare una scia di baci sul viso arrossato dell'ex Grifondoro e, non per la prima volta quella mattina, si rese conto di quanto fosse fortunato.

«Hai dormito bene?», gli chiese Hermione, lasciandosi baciare senza più protestare.

«Sì, tu?»

«Mmh», annuì la ragazza, prima di voltarsi a guardare l'ora sulla sveglia che aveva sul comodino: «Vuoi fermarti per colazione?»

Draco premette con forza le labbra contro quelle di Hermione, approfondendo il bacio, tanto da rimanere ben presto senza fiato.

«Mi piacerebbe, ma è meglio che torni a casa a cambiarmi. Se rimango ancora qua, finiremo coll'arrivare entrambi in ritardo al lavoro questa mattina», disse, scostandosi abbastanza per osservare comparire, sul volto arrossato di Hermione, un sorriso malizioso.

«Non sarebbe la fine del mondo», mormorò la ragazza, allungando una mano per accarezzare il viso di Draco.

L'ex Serpeverde sorrise: «Tentarmi non servirà a niente», mormorò, sollevandosi a sedere: «Possiamo organizzare una sveltina prima di andare in ufficio domani mattina, se vuoi».

«Potremmo organizzarne una in ufficio», propose Hermione, stiracchiandosi pigramente tra le coperte.

Draco scoppiò a ridere: «Si potrebbe fare».

La ragazza si sedette, lasciando che le coperte le scivolassero in grembo, scoprendole il torso nudo.

Gli occhi di Draco scivolarono sulla pelle esposta di Hermione e per qualche secondo i suoi propositi vacillarono.

«Sei sempre sicuro di voler andare?», gli chiese Hermione, sorridendogli in modo accattivante.

Draco scoppiò a ridere: «Smettila», le disse, alzandosi in piedi, deciso a mettere più spazio possibile tra sé e la ragazza.

Hermione, comodamente seduta sul letto si godette il meraviglioso spettacolo che le si presentava di fronte: Draco Malfoy nudo che recuperava i suoi vestiti in giro per la stanza e iniziava a vestirsi.

In quel momento la porta socchiusa della camera da letto si aprì leggermente e fece il suo ingresso nella stanza un affamato Grattastinchi.

«Granger, penso che il gatto abbia bisogno di te», disse Draco, sorridendo, quando l'animale gli soffiò contro.

«Hai voglia di mettergli una manciate di crocchette nella ciotola, prima di andare? Non ho voglia di alzarmi».

Fu in quel momento che Draco si rese pienamente conto della confidenza che già avevano instaurato e non poté fare a meno di sentire il proprio cuore battergli più velocemente nel petto.

«Certo, nessun problema», disse, finendo di abbottonarsi la camicia.

Si sporse per lasciare un bacio a stampo sulle labbra di Hermione, ma la ragazza lo trattenne per approfondire quel contatto.

«Ci vediamo più tardi al lavoro», gli disse, prima di sdraiarsi e avvolgersi nuovamente nelle calde coperte del suo letto, che ora erano impregnate dell'odore di Draco.

Malfoy, prima di prendere la metropolvere per tornare a casa, diede da mangiare al gatto, che lo fissava con sospetto.

«Non ho intenzione di avvelenarti, tranquillo», borbottò Draco, notando il modo in cui l'animale sembrava studiare ogni sua mossa con estrema attenzione.

Grattastinchi dovette infine giudicare genuine le intenzioni dell'umano che aveva invaso il suo territorio, perché si fiondò sul cibo senza esitazioni.

Draco, soddisfatto di quella che gli sembrava una piccola vittoria, si diresse verso il camino e tramite metropolvere tornò a casa.

Una volta comparso nell'atrio del palazzo dove viveva, Malfoy non perse tempo e salì in fretta le scale verso il proprio appartamento, così da rimanere il meno possibile in quell'ambiente freddo e umido.

Una volta in casa, Draco si rese subito conto del gufo appollaiato fuori dalla finestra; tra le zampe aveva una lettera. Draco capì subito chi doveva essere il mittente e sospirò, certo che non gli sarebbe piaciuto il contenuto della busta.

Draco permise al gufo di appollaiarsi sul trespolo che aveva apposta installato vicino alla finestra e gli diede un pezzo di carne secca, mentre apriva la lettera.

Diversamente da come s'immaginava, la missiva speditagli dal padre di Astoria non era colma di insulti velati e accuse, ma pacata ed educata, e invitava Draco a presentarsi a casa Greengrass appena avesse potuto.

Malfoy non poteva credere ai suoi occhi.

Nei sei anni di fidanzamento con Astoria, Draco aveva avuto il dispiacere d'incontrare più volte il signor Greengrass, un uomo burbero e di strette vedute che a volte sembrava rivaleggiare con suo padre, Lucius Malfoy, in quanto bigottismo. 

Per questo non riusciva a spiegarsi quei toni quasi gentili nei confronti del ragazzo che gli aveva appena comunicato di non essere intenzionato a sposare sua figlia.

Senza perdere tempo, Draco, deciso a risolvere al più presto la questione, andò in camera per cambiarsi d'abito e recuperare la borsa del lavoro e, senza fare colazione, raggiunse nuovamente il camino nell'atrio del palazzo; deciso a raggiungere casa Greengrass e parlare con il padre di Astoria per capire cosa stesse succedendo.

Grazie alla metropolvere impiegò pochi secondi a raggiungere il grande camino all'ingresso di casa Greengrass, un edificio di recente costruzione che, malgrado i proprietari non ne fossero a conoscenza, richiamava nello stile l'architettura babbana contemporanea.

Un anziano elfo domestico lo accolse con un inchino: «Signor Malfoy, vado ad annunciare il vostro arrivo alla signorina Astoria».

«Sono qua per vedere il signor Greengrass», specificò Draco, uscendo dal camino, sempre più nervoso, al pensiero dell'incontro che lo attendeva.

«Vado a informarlo, attendete» disse l'elfo, prima di scomparire con un sonoro "plop".

Draco prese un profondo respiro e un involontario sorriso gli comparve sulle labbra; gli sembrava di sentire ancora il delicato profumo della Granger sulla sua pelle.

L'ex Serpeverde si soffermò ad ammirare la cornice vuota di quello che doveva essere un ritratto, anche se il suo occupante in quel momento non c'era, e si meravigliò di come una giornata iniziata in modo a dir poco perfetto, si stesse rivelando più complicata di quanto avesse anticipato.

Quando l'anziano elfo domestico ricomparve di fronte a lui, Draco sussultò.

«Il padrone vi attende. Seguitemi».

Draco non se lo fece ripetere due volte e andò dietro all'elfo, cercando di contenere il nervosismo. 

Venne condotto nell'ufficio del signor Greengrass, luogo che conosceva abbastanza da non sentirsi completamente spaesato e venne accolto dal padrone di casa che, sorridente, gli disse di sedersi.

Il padre di Astoria aveva, come al solito, i folti baffi e la barba ben curati e i capelli bianchi ordinatamente pettinati all'indietro. Indossava una vestaglia dall'aria molto costosa color borgogna e le dita ingioiellate emanavano bagliori ogni qual volta catturavano i raggi del sole che filtravano dalle alte finestre dello studio.

«Buongiorno, Draco, speravo riuscissi a raggiungermi ieri sera, ero pronto ad offrirti un buon brandy, ma penso che dovremo accontentarci di un buon caffè», disse l'uomo, dando disposizione all'elfo, affinché procurasse al più presto la colazione ad entrambi.

«Grazie, signore», disse Draco con tono di voce leggermente incerto: «Posso sapere il motivo di questo vostro generoso invito?»

Il signor Greengrass sorrise affabile: «Ti ho convocato per congratularmi con te, non ti facevo tipo da partecipare a ricorrenze e festeggiamenti simili, ma mi fa piacere sapere che mia figlia andrà in sposa a un uomo che sa essere anche spiritoso».

«A cosa vi riferite?», chiese Draco, con la fronte aggrottata; all'improvviso gli era venuto un forte mal di testa.

Il signor Greengrass esplose in una fragorosa risata e indicò, con un caleidoscopio di luccichii dorati, il calendario appeso alla parete alle sua spalle: «Non mi freghi ragazzo! Tra pochi giorni è il Primo Aprile, la festa degli scherzi, puoi anche smettere di recitare, anche se devo dire che sei stato proprio bravo!»

Draco Malfoy si sentì perso per qualche istante, mentre osservava il volto rubicondo del signor Greengrass con orrore.

«Oh, ecco il nostro caffè!», esclamò l'uomo, indicando con un sfolgorio il vassoio comparso di fronte a sé, sull'imponente scrivania in mogano.

«Signore, penso che ci sia stato un malinteso», riuscì infine ad articolare Draco, con la voce leggermente strozzata dall'apprensione.

«Un malinteso, figliolo? Desideravate forse un tè?», chiese l'uomo.

Ad ogni minimo movimento del padre di Astoria, un balenio di luce feriva gli occhi di Draco, irritandolo enormemente.

«Sì, un malinteso e no, non desidero un tè», disse Draco, cercando di mantenere la calma: «Mi riferisco alla missiva che vi ho spedito ieri sera, non era mia intenzione che venisse interpretata come uno scherzo».

Il signor Greengrass sembrò non udire quelle parole, intento com'era a far sciogliere nel tè una generosa quantità di zucchero e a osservare la prima pagina della "Gazzetta del profeta".

Al balenio degli anelli si aggiunse l'irritante rumore del cucchiaino che sfregava con uno stridio contro la parete in ceramica della tazzina, Draco non riuscì a trattenersi oltre e si alzò in piedi, poggiando le mani sulla scrivania che lo divideva dal padre di Astoria.

«Signore, non è mia intenzione sposare vostra figlia, questa non è una recita, né uno scherzo di pessimo gusto».

Il silenziò calò nell'ufficio e l'uomo smise di girare il cucchiaino nella tazza, interrompendo il carosello di balenii dorati, sul suo volto non c'era più il sorriso spensierato di poco prima, ma un'espressione mortalmente seria.

«Esiste un contratto, ragazzo», disse l'uomo con tono pacato e condiscendente, come se stesse parlando a un bambino capriccioso.

«Un contratto che non ha alcun valore legale», ribatté Draco, fermo nella sua posizione, deciso a non permettere a quell'uomo di distruggere o anche solo incrinare la felicità che provava quel giorno.

«L'accordo preso tra me e tuo padre...», iniziò a dire l'uomo, ma Draco lo interruppe subito: «Dite bene, signore. Quel contratto è stato deciso da voi e mio padre quando io e Astoria eravamo ancora minorenni e non avevamo possibilità di scelta. Sono cresciuto, signore, ho intenzione di scegliere da solo la mia vita d'ora in poi e temo che voi non possiate fare molto per impedirmelo».

Il volto del signor Greengrass si fece paonazzo e le sue iridi chiare si assottigliarono, come la punta di uno spillo.

Draco indietreggiò di un passo quando l'uomo si alzò in piedi, gettando a terra la tazzina di caffè che stringeva ancora tra le mani.

Il suono della ceramica che si rompeva contro il pavimento in marmo ferì i timpani di Draco.

«Vi invito a riconsiderare le vostre intenzioni, ragazzo, può essere spiacevole avermi come nemico», disse l'uomo, sbattendo con forza le mani sulla superficie della scrivania.

«Nemico? Perché dovremmo essere nemici? Sono disposto a pagarvi un indennizzo, se lo riterrete necessario, ma non sposerò vostra figlia, nemmeno sotto minaccia. Considerate le mie parole, signore, e vi prego di ricordare che non siete l'unico ad avere un cognome che possiede ancora una certa reputazione. Potrei non esser visto di buon occhio dai maghi benpensanti, ma il nome Malfoy ha ancora degli amici potenti», disse Draco, la voce tagliente che non ammetteva repliche: «E ora, se non vi dispiace, devo accomiatarmi. Vi auguro una buona giornata».

Dopo aver pronunciato quelle parole, Draco recuperò la propria ventiquattrore e si diresse verso il camino all'ingresso, ignorando lo sbraitare confuso e il rumore di altri oggetti che venivano scaraventati a terra alle sua spalle.

L'ex Serpeverde si lasciò circondare dalla fiamme verdi sprigionate dalla metropolvere e in pochi secondi comparve nell'atrio del Ministero.

A Draco tremavano leggermente le mani per l'adrenalina che ancora aveva in circolo, dopo la conversazione che aveva appena avuto con il signor Greengrass.

Faticava a credere al coraggio e alla determinazione che aveva appena dimostrato di possedere, sfidando apertamente l'autorità di un uomo che rispettava, ma per cui non provava alcun sentimento di affetto. 

Era abbastanza certo che la questione non si fosse ancora conclusa.

Sicuramente il signor Greengrass non si sarebbe arreso così presto e senza provare a combattere, ma Draco era sicuro della propria posizione e non aveva intenzione di cedere terreno; non quando cedere terreno avrebbe significato la possibilità di perdere nuovamente Hermione.

Draco scese al quarto piano con la mente colma di pensieri e dubbi. Le dita che gli tremavano ancora per l'adrenalina e un'improvvisa voglia di stringere la Granger in un abbraccio.

Quando arrivò in ufficio e posò lo sguardo sul volto di Hermione, che gli sorrise calorosamente, tutta l'ansia e le preoccupazioni svanirono.

Lei era lì e stava sorridendo proprio a lui, e Draco non poteva pensare che potesse esistere una serenità maggiore di quella che provava in quel momento, con lei.




 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!

Dite che il signor Greengrass porterà scompiglio nella vita dei nostri due protagonisti?

Come sempre vi ricordo che potete trovarmi anche su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp!

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Sangue ***


21. Sangue

 

Hermione Granger si trovava di fronte alla porta chiusa dell'appartamento di Draco Malfoy, con la mano stretta a pugno sollevata, pronta a bussare.

 

Aspettò qualche secondo, prendendo lunghi respiri per riempire i polmoni stremati dalla corsa, poi con un enorme sorriso sulle labbra, bussò.

 

Era stata così impaziente di vedere Draco, quando era uscita dal camino nell'atrio del palazzo, che aveva iniziato a correre su per le scale, così da arrivare più in fretta al piano giusto; ecco perché in quel momento aveva il fiato corto e le ginocchia che le tremavano appena.

 

Dopo aver bussato la ragazza si passò una mano tra i capelli, per sistemarli, ma si arrese ben presto, convinta di non poter fare miracoli, e rimase semplicemente in attesa, col cuore in gola e le dita che le pizzicavano per l'impazienza.

 

Quando la porta si aprì, sull'uscio comparve la silhouette di Draco; quel sabato pomeriggio indossava una felpa grigia con la scritta London sul davanti e un paio di pantaloni della tuta neri, ai piedi aveva dei calzini bianchi e sul viso un sorriso mozzafiato.

 

«Pensavo avresti ritardato», disse Draco, accarezzando con lo sguardo i capelli spettinati di Hermione, il suo volto arrossato e le labbra socchiuse che inspiravano generose boccate d'aria.

 

«Mi sono liberata prima del previsto», disse Hermione, scrollando le spalle.

 

«Com'è andato il pranzo?», chiese il ragazzo, aiutando Hermione a sfilarsi il cappotto, per poi appenderlo sull'appendiabiti e sedersi a gambe incrociate sul divano, accanto a quella che, da qualche giorno ormai, poteva definire la sua ragazza.

 

Una piccola smorfia apparve sul volto di Hermione: «Bene, dai. Harry e Ginny sono stati molto carini, come sempre, ed è stato piacevole pranzare con loro, però non mi hanno preso molto sul serio, quando ho detto loro che non sto più con Ronald».

 

«In che senso?», chiese Draco, aggrottando le sopracciglia.

 

«Nel senso che sono talmente abituati a vedere me e Ronald lasciarci per poi rimetterci insieme, come se niente fosse, che quando ho detto loro che tra me e Ron è finita, mi hanno detto: "Tranquilla, vedrai che tornerà tutto come prima" e poi hanno cambiato argomento».

 

Draco Malfoy, con lo sguardo basso, si morse il labbro per trattenere la domanda che avrebbe tanto voluto porre ad Hermione.

 

«Ginevra era talmente felice di parlare dei preparativi delle nozze e Harry del lavoro, che non me la sono sentita di insistere più di tanto e ho lasciato che credessero quello che volevano», continuò Hermione, sfilandosi dai piedi le scarpe, così da poter raccogliere le gambe sui cuscini del divano: «Col tempo capiranno che questa volta è diversa dalle altre».

 

Draco annuì pensieroso, osservando il viso serio della ragazza accanto a sé e non riuscì a trattenere la domanda che premeva per essere posta: «Lo è davvero? È davvero diversa questa volta, Granger?»

 

Hermione distolse lo sguardo dal poster de "La valorosa Téméraire", per puntare i propri occhi scuri in quelli chiari di Draco.

 

"Come puoi chiedermelo?", avrebbe voluto dire, ma realizzò ben presto che la domanda di Draco era fin troppo comprensibile e si sentì un po' in colpa per aver dato, anche se involontariamente, al proprio ragazzo motivo di dubitare della genuinità delle sue intenzioni.

 

L'ex Grifondoro allungò una mano verso l'ex Serpeverde, così da sfiorare il suo ginocchio, coperto dal tessuto morbido e caldo della tuta: «Sì, Draco, questa volta è diversa. È diversa perché ci sei tu».

 

«Quindi non rischio di essere scaricato per Weasley tra pochi giorni?»

 

«È insicurezza quella che leggo nel tono della tua voce? O forse gelosia?», domandò Hermione, mentre spostava la mano più in alto, verso la coscia del ragazzo.

 

Sul volto di Malfoy comparve una smorfia infastidita: «Gradirei una risposta, Granger».

 

«Non essere sciocco, Draco», disse Hermione, sporgendosi col busto, così da portare il proprio viso pericolosamente vicino a quello di lui: «Se volessi stare con Ronald non mi troverei qua in questo preciso momento, non credi?»

 

La mano di Malfoy si appoggiò sulla guancia della ragazza e iniziò ad accarezzarne la pelle vellutata, gli occhi persi nelle iridi scure di lei: «Siete stati insieme tanti anni, sei sicura che essere qui, con me, in questo momento, sia quello che vuoi?».

 

«Sì, Draco, sono sicura», sussurrò lei, abbassando lo sguardo sulle labbra tentatrici di Draco, per poi riportarlo negli occhi chiari di lui: «E tu sei sicuro?»

 

«Sì, sono sicuro».

 

Hermione sorrise e lasciò un dolce bacio sulle labbra di Draco.

 

«Tu che hai fatto oggi, mentre io venivo rimpinzata di manicaretti da Ginny e Harry?»

 

Sul volto di Draco comparve un'espressione divertita ed emozionata allo stesso tempo, mentre si alzava da divano, diretto verso l'ingresso.

 

«Ho fatto acquisti!», esclamò il ragazzo, recuperando una grossa borsa in plastica, che si trovava proprio ai piedi dell'attaccapanni.

 

Hermione non poté fare a meno di sorridere entusiasta, influenzata dalla felicità di Draco.

 

«E cos'hai comprato?»

 

«Chiudi gli occhi».

 

Hermione assecondò Draco e abbassò le palpebre, costringendosi a non sbirciare, anche se la tentazione era molto forte.

 

«Aprili».

 

Draco aveva tra le mani una scatola bianca e blu sulla quale spiccava in rosso una scritta che Hermione conosceva fin troppo bene.

 

«Hai comprato una PlayStation?», chiese la ragazza, divertita.

 

Draco annuì: «Dovrai aiutarmi a collegarla alla... al... oh, Merlino, come si chiama quell'affare babbano?»

 

«Intendi il televisore?», chiese la ragazza, guardando la parete vuota di fronte al divano: «Ma tu non hai un televisore, Malfoy!»

 

Quando Hermione tornò a guardare Draco, il ragazzo le stava sorridendo furbescamente: «Sì, invece».

 

Hermione seguì lo sguardo di Malfoy e rimase stupita nel constatare che vicino all'ingresso si trovava effettivamente uno scatolone dalle dimensioni impressionanti, che aveva tutta l'aria di contenere un televisore nuovo di zecca.

 

«Spese folli oggi, eh?», disse lei, ridendo sommessamente, prima di alzarsi e raggiungere Draco all'ingresso: «E va bene, vediamo se riusciamo a installare tutto senza fare disastri».

 

Nell'arco di un'ora erano entrambi seduti sul divano con i joystick tra le mani, intenti a sfidarsi ad una gara di rally.

 

«Questa volta vincerò io, Granger».

 

«Illuso!», esclamò lei, con una piccola smorfia in viso; le faceva male il pollice a forza di tenere premuta la "x" dei controlli, ma non aveva intenzione di arrendersi.

 

La macchina di Malfoy superò quella di Hermione, per poi essere nuovamente superata dalla vettura della ragazza.

 

Draco sbirciò con la coda dell'occhio la ragazza e sorrise: «Sei troppo competitiva, Granger», le disse, nel tentativo di distrarla.

 

«Ah, senti chi parla!», rispose lei, senza distogliere lo sguardo dallo schermo.

 

Draco abbandonò il joystick sul divano e si lanciò su Hermione, facendole perdere la presa sul control stick, che cadde sul tappeto con un suono sordo.

 

«Cosa fai?!», esclamò lei, cercando di divincolarsi dalla presa di Draco.

 

Il ragazzo, ridendo, iniziò a farle il solletico.

 

«No, basta», disse Hermione tra le risate, contorcendosi tra le braccia di Draco: «Non vale!»

 

Malfoy smise di pizzicarle i fianchi e la ragazza smise di ridere, respirando a fondo per recuperare il fiato: «Non potevi sopportare di perdere ancora?»

 

Malfoy fece una smorfia e riprese a fare il solletico alla ragazza, che tornò a contorcersi sul divano.

 

«Vuoi che smetta, Granger?»

 

Hermione cercò di rispondere all'attacco, facendo a sua volta il solletico a Draco, ma il ragazzo le bloccò ben presto le mani sopra la testa.

 

Rimasero a guardarsi negli occhi, mentre riprendevano entrambi fiato.

 

Draco le sorrise: «Ti arrendi?»

 

Hermione si mosse appena sotto di lui, allacciando le gambe intorno ai fianchi del ragazzo: «Se dico di sì, facciamo l'amore?»

 

Draco rimase senza parole per qualche secondo, poi sorrise: «Hai una fissa per questo divano o è una semplice coincidenza che ogni volta che siamo qua, cerchi di attentare alla mia virtù?»

 

Hermione scoppiò a ridere e gettò il capo all'indietro, esponendo la gola sulla quale spiccava, rossastro, il succhiotto che Draco le aveva fatto qualche giorno prima.

 

«Non vale rispondere a una domanda con un'altra domanda», disse lei, sorridendogli.

 

Draco non rispose e si limitò a sporgersi fino a far scontrare le proprie labbra contro quelle di Hermione, dando vita a un bacio lento e incredibilmente passionale.

 

Le mani di Draco lasciarono la presa intorno ai polsi di Hermione, così da poter scivolare lungo le braccia e il torso della ragazza.

 

«Qui o in camera?», chiese Draco, interrompendo il bacio giusto il tempo necessario di porre quella domanda, prima di tornare a divorare con passione le labbra rosse della ragazza.

 

Hermione, con le braccia allacciate intorno al collo di Draco pensò che non era mai stata nella camera da letto del ragazzo e interruppe il bacio per dirglielo.

 

Draco, con la fronte aggrottata scosse brevemente la testa, allibito. 

Aveva sognato talmente tante volte Hermione sdraiata accanto a sé, nel suo letto, che aveva finito col convincersi che fosse successo davvero.

 

«Hai ragione, ero convinto del contrario, ma hai ragione».

 

Abbandonarono il salotto e la gara di rally ancora incompiuta e con le dita intrecciate in una stretta delicata salirono le scale, che portavano alla mansarda.

 

La camera da letto di Draco era proprio come Hermione se l'era immaginata: i colori predominanti erano il verde scuro e il nero, il letto matrimoniale sembrava nuovo e molto comodo e l'armadio quattro stagioni era abbastanza ampio da poter contenere gli abiti di un'intera famiglia. 

 

Quello che attirò l'attenzione di Hermione fu un quadretto appeso accanto al letto, dentro al quale era incorniciato un foglio di pergamena leggermente ingiallita, su cui era riportata una frase che lei riconobbe all'istante: "Non disturbare, o mio padre lo verrà a sapere".

 

«Sbaglio o questo foglio era appeso sulla porta della tua stanza ad Hogwarts?»

 

«Non sbagli. È un regalo di Blaise», disse Draco sfilandosi la felpa con un gesto fluido: «Il quarto anno, Blaise l'ha scritto per prendermi in giro e l'ha incantato in modo che nessuno potesse toccarlo o modificarlo, per poi appenderlo fuori dalla porta della nostra stanza. Quando mi sono trasferito qua mi ha regalato quello stesso foglio incorniciato e mi ha fatto promettere di appenderlo in camera».

 

Hermione sorrise, divertita da quel racconto: «Tu e Blaise siete molto legati, vero?»

 

Draco fece spallucce e aiutò la ragazza a sfilarsi la camicetta a fiori che indossava: «A volte vorrei strozzarlo, altre ucciderlo lentamente e tra le più atroci sofferenze, ma rimane comunque il mio migliore amico e so che potrò sempre contare su di lui».

 

«Capisco, è bello avere amicizie simili, ti fanno sentire particolarmente fortunato, non trovi?»

 

Draco annuì: «Concordo, ma penso che sia arrivato il momento di cambiare argomento, non mi sembra il caso di pensare a Blaise mentre siamo qua, mezzi nudi, sul punto di fare l'amore sul mio letto».

 

Hermione scoppiò a ridere e gettò le braccia intorno alle spalle del ragazzo: «Sono d'accordo, non voglio che pensi a Blaise. Sei qui con me, dovresti pensare a me».

 

«Hai ancora il ciclo?», chiese il ragazzo, mentre iniziava a sbottonarle i jeans.

 

«Temo di sì. Mi è arrivato mercoledì pomeriggio, oggi è solo sabato...», disse Hermione, con una piccola smorfia in viso: «Oggi il flusso dovrebbe essere meno abbondante rispetto agli altri giorni».

 

«Hai male?», domandò lui, le mani che delicatamente le abbassavano i pantaloni lungo le cosce.

 

Hermione scosse la testa e gli sorrise: «Sto bene».

 

Draco annuì e posò le labbra sul collo e le spalle esposte della ragazza, saggiando la sua pelle morbida e profumata.

 

Hermione gemette piano e sorrise: «Come fai?», chiese, iniziando a disegnare forme immaginarie sulla schiena esposta del ragazzo.

 

«Come faccio cosa?»

 

«A svuotarmi di ogni pensiero e a farmi sentire così bene...»

 

Hermione non aveva le parole, lei che solitamente era molto brava a costruire frasi, per descrivere la sensazione di dolce desiderio che le stringeva lo stomaco e il fastidio di sentire il proprio cuore all'altezza della gola.

 

Hermione non avevo le parole, ma Draco non aveva bisogno di sentirle, perché capiva perfettamente cosa intendeva la ragazza; era quello che provava anche lui, ogni volta che Hermione si trovava nella sua stessa stanza.

 

Malfoy premette le labbra contro quelle socchiuse dell'ex Grifondoro, dettando a quel bacio un ritmo serrato, dovuto alla passione e il desiderio.

 

Hermione non riusciva a tenere ferme le mani, che continuavano a vagare sul corpo di Malfoy.

 

Draco s'irrigidì leggermente quando la mano di Hermione si posò sul suo avambraccio sinistro, dove quello che rimaneva del Marchio Nero gli sfigurava la pelle pallida, ma non disse niente e non si allontanò da quel tocco.

 

«Non ho mai fatto sesso con il ciclo», disse Hermione con un pizzico di apprensione, mentre aiutava Draco a sfilarsi i pantaloni della tuta.

 

«Anche per me è una situazione nuova, ma penso che basterà usare un "Gratta e Netta", se le cose dovessero sfuggirci di mano», mormorò contro la clavicola della ragazza, sulla quale stava lasciando una scia umida di baci.

 

«Non ti fa schifo il mio sangue impuro?»

 

Draco interruppe i baci per guardare Hermione dritto negli occhi:  «Impuro?», chiese, mentre la sua mano s'intrufolava nelle mutande della ragazza e le dita esperte iniziavano a masturbarla.

 

Hermione gemette e, per paura di perdere l'equilibrio o non avere abbastanza forza nelle gambe per sostenersi, strinse maggiormente la presa intorno alle spalle di Malfoy.

 

«Il tuo sangue non è impuro, tu non sei impura», disse Draco, sospingendola verso il letto, dove la fece sdraiare e le sfilò le mutande, per poi tornare a dedicarsi al piacere di Hermione: «Non sono più quel ragazzino, Granger, non sono più lo stupido bambino che ti insultava i primi anni ad Hogwarts e non sono neanche il ragazzo del sesto anno che si chiudeva con te nella Stanza delle Necessità. Sono cresciuto e quello che provo nei confronti del tuo sangue non è schifo».

 

Hermione aprì gli occhi, che non si era resa conto di aver chiuso, e osservò con attenzione il volto di Draco, a pochi centimetri dal proprio: «E cosa provi allora?»

 

Malfoy lasciò un tenue bacio sulle labbra di Hermione e le sorrise: «Ammirazione, rispetto e gratitudine».

 

«Provi tutto questo per del sangue?»

 

«Per il tuo sangue», specificò Draco, aumentando la pressione delle proprie dita sull'intimità di Hermione: «E ora basta parlare, devi concentrarti e venire per me».

 

L'ex Grifondoro spostò la mano di Draco, interrompendo le dolci ondate di piacere che le stava facendo provare e si sollevò a sedere, troppo incuriosita dal discorso che stavano avendo per riuscire a concentrarsi su qualcos'altro: «Come puoi provare rispetto e gratitudine per il mio sangue, Malfoy? È solo sangue».

 

Draco guardò brevemente le dita sporche della sua mano, poi osservò il volto serio della ragazza di fronte a sé: «Perché è il tuo sangue, ti mantiene in vita, scorre nelle tue vene e permette al tuo viso di arrossire quando ridi. Ti ho chiamata Sanguesporco e Mezzosangue per anni, convinto che ci fosse davvero qualcosa che non andava nel tuo sangue, invece non è così, il tuo sangue è perfetto e ti rende la strega straordinaria che sei».

 

Hermione non disse niente per qualche secondo e rimase semplicemente a guardare l'espressione seria sul viso di Draco.

 

«Non so cosa dire», ammise alla fine, incapace di esprimere a parole le emozioni che provava in quel momento.

 

Faceva uno strano effetto avere Draco Malfoy, il ragazzino che l'aveva derisa e insultata per anni, pronunciare quelle parole, anche se non era la prima volta che le dimostrava di essere cambiato e di essere diventato una persona migliore.

 

«Non c'è bisogno che tu dica qualcosa», la rassicurò Draco, leggermente spaventato dall'intimità che stavano creando, senza il minimo sforzo, giorno dopo giorno.

 

Hermione abbassò lo sguardo sulle dita sporche di sangue del ragazzo e una piccola smorfia le comparve in volto: «Forse dovremmo fare la doccia insieme, invece di...»

 

Draco abbassò gli occhi sulla propria mano e scrollò le spalle: «Te l'ho detto, basterà un "Gratta e Netta" più tardi...», disse, portando nuovamente le dita contro la pelle bollente di Hermione: «Ora rilassati».

 

 

 

 

 

***

 

Buonasera popolo di EFP!

 

Eccoci alla fine di un nuovo capitolo, che spero vi sia piaciuto, malgrado l'ultima parte e l'argomento sangue.

 

Se avete tempo e voglia, sapete che i commenti sono sempre ben graditi!

 

Come sempre vi ricordo che mi trovate anche su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.
 

Al prossimo capitolo!

 

Un bacio, 

 

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Invito ***


22. Invito


 

Quando Hermione Granger mise piede nel suo ufficio quel lunedì mattina, non poté impedirsi di provare una punta di tristezza.

Dopo aver passato due settimane a stretto contatto con Malfoy, con il quale aveva condiviso quello spazio che ora era solo suo, si chiese quante volte nell'arco della giornata si sarebbe distratta a pensare a lui, piuttosto che sollevare semplicemente lo sguardo e trovarselo di fronte.

Quella giornata era iniziata, tutto sommato, bene.

Si era svegliata con Grattastinchi che le leccava la guancia e le mordeva i capelli, poi aveva sentito l'acqua che scrosciava nella doccia e non ci aveva pensato due volte prima di abbandonare il gatto, per raggiungere Draco.

Dopo la doccia insieme, avevano fatto colazione, conversando amabilmente del più e del meno, poi avevano preso la metropolvere a avevano percorso l'atrio del Ministero insieme.

Draco aveva ricevuto, ancora prima di salire sull'ascensore, un biglietto a forma di aeroplanino di carta dal signor Dibert, che gli comunicava di raggiungerlo il prima possibile a Liverpool.

Hermione, ripensando a quel momento sentì le guance andarle a fuoco.

Era stato fin troppo naturale sporgersi per lasciare un bacio a fir di labbra a Draco e augurargli una buona giornata, Hermione non ci aveva dovuto nemmeno riflettere sopra.

Aveva baciato Draco Malfoy davanti a un numero imprecisato di maghi e streghe che lavoravano al Ministero, senza pensare al fatto che lui fosse un ex Mangiamorte pentito e lei la migliore amica di Harry Potter, Salvatore del Mondo Magico.

Aveva baciato Draco Malfoy e non se ne pentiva, non se ne vergognava.

Draco sembrava ancora titubante all'idea di far sapere a tutti della loro relazione e lei sapeva perché.

Le aveva raccontato della conversazione che aveva avuto con il signor Greengrass e le aveva anche confessato i suoi crescenti timori ed Hermione non poteva fare a meno di essere d'accordo con lui. 

Eppure, dopo aver passato l'intero weekend a stretto contatto, prima nell'appartamento di lui a Diagon Alley e poi in quello di lei nella Londra Babbana, dove non avevano avuto bisogno di nascondersi o fingere; Hermione non aveva pensato che baciare Draco nell'atrio del Ministero potesse essere una pessima idea.

Solo quando mise piede nel suo ufficio, Hermione rifletté seriamente sull'accaduto e si chiese se Draco potesse avercela con lei per quel semplice bacio, dato in un momento di spensieratezza.

La ragazza si tolse la giacca e la appese all'appendiabiti all'ingresso dell'ufficio, poi si diresse alla sua scrivania, pensierosa.

Ripensò al momento dei saluti, al bacio, al sorriso che aveva illuminato il volto di Draco, mentre le augurava a sua volta una buona giornata e le diceva che le avrebbe scritto, per farle sapere se quella sera sarebbe riuscito a passare da lei come da programma.

No, più Hermione ripensava all'accaduto, più si convinceva che le probabilità che Draco ce l'avesse con lei erano molto basse, quasi nulle.

Una volta che si sentì abbastanza rassicurata da potersi concentrare sul proprio lavoro, senza rischiare di essere ulteriormente distratta dal pensiero di Draco, iniziò a leggere le pratiche che si trovavano sulla sua scrivania quella mattina.

La sua attenzione venne subito attirata da una lettera, sul cui dorso, in una calligrafia a lei familiare era riportato il suo nome e il suo ufficio al Ministero.

Senza aspettare, incuriosita, Hermione aprì la busta e lesse con avidità la lettera, che scoprì essergli stata spedita da Molly Weasley, direttamente dal Brasile.

La madre di Ronald la informava della sua salute e quella del marito, dicendole che sarebbero tornati giovedì e che speravano di vedere presto lei e Ron... 

Magari per cena alla Tana, venerdì sera?

Fu in quel momento, leggendo quella lettera, che Hermione si rese effettivamente conto che né lei né il suo ex ragazzo dovevano aver comunicato ai signori Weasley della loro recente e definitiva rottura.

L'ex Grifondoro si passò una mano tra i capelli, ancora leggermente umidi dalla doccia di quella mattina, e una smorfia colma di sconforto le contrasse i lineamenti.

Aveva erroneamente pensato che Ronald si sarebbe occupato di informare i suoi genitori della loro recente rottura, un po' come lei aveva informato Harry e Ginny dell'accaduto alla prima occasione.

Doveva ammettere con se stessa di esser stata ingenua.

Conosceva Ron, era stata con lui per anni e prima ancora era stato un prezioso amico ad Hogwarts, e se c'era una cosa che gli mancava, era la capacità di affrontare i propri genitori, soprattutto sua madre, in relazioni a questioni importanti che avrebbero potuto deluderli o infastidirli.

Era stata Hermione, l'anno prima a dire ai signori Weasley che per il momento lei e Ronald non avevano intenzione di sposarsi o mettere su famiglia, perché ancora troppo giovani. Sempre lei aveva declinato l'invito di Molly l'estate precedente a trascorrere qualche settimana alla Tana in memoria dei vecchi tempi. 

Più ci rifletteva, più Hermione si rendeva conto di tutte le volte in cui Ron si era nascosto dietro di lei per affrontare questioni spinose con i signori Weasley e più ci rifletteva, più sentiva montarle dentro una rabbia mista a sconforto che conosceva fin troppo bene, era la delusione che aveva provato per anni, ogni volta che Ronald si comportava come un bambino e non come l'adulto che avrebbe dovuto essere.

Hermione osservò la missiva di fronte a sé con espressione sconsolata, poi si riscosse e prese una decisione: da quel momento in poi, dato che lei e Ron non stavano più insieme, non era più suo dovere fare la persona adulta della relazione. Ronald avrebbe dovuto gestire da solo i suoi genitori.

Risoluta, Hermione recuperò un foglio di carta e scrisse una veloce lettera da indirizzare al suo ex, in cui lo informava della cena alla Tana di quel venerdì, del fatto che lei non ci sarebbe andata e che spettava a lui, quella volta, informare i suoi genitori della loro rottura.

Hermione rilesse la missiva appena scritta, la imbustò e la incantò, in modo che volasse fino al piano in cui venivano smistate le lettere e i messaggi interni al Ministero.

Per il resto della mattinata lavorativa Hermione si dedicò alle pratiche sulla propria scrivania, cercando di pensare il meno possibile a Draco e ancora meno a Ronald e alla lettera di Molly.

I suoi buoni propositi crollarono quando un breve messaggio le volò sulla scrivania, poco prima della pausa pranzo.

Era da parte di Ronald, che quel giorno doveva occuparsi di questioni d'ufficio e le chiedeva di vedersi per discutere della questione "cena alla Tana" e su "chi spettasse dire della rottura a mamma".

Hermione sospirò affranta e capì subito che Ron non sarebbe mai cresciuto.

Gli propose di pranzare insieme, così da togliersi subito il pensiero e quando le arrivò il messaggio di conferma, si diresse in mensa con passo di marcia e un'espressione agguerrita in volto.

Ronald la raggiunse poco dopo, la divisa da Auror era particolarmente stropicciata e la sua zazzera di capelli color fuoco vivo era meno curata rispetto al solito. Hermione si stupì quando notò gli accenni di barba sul mento e la mascella, che solitamente erano sempre impeccabilmente rasati, e pensò che Ron dovesse aver preso davvero male la loro recente rottura.

«Ciao», disse lui, con tono titubante, prima di sedersi di fronte alla ragazza, tra le mani aveva il suo pranzo, che consisteva in un semplice panino.

Hermione aprì il contenitore in cui si era preparata del cous-cous con verdure saltate in padella e iniziò a mangiare, salutando il suo ex con uno sbrigativo gesto del capo.

La ragazza non poteva mostrare al giovane Weasley la tristezza che provava, nel constatare il pessimo stato in cui lui si trovava. Non doveva mostrare la propria pietà, altrimenti Ronald ne avrebbe approfittato. Proprio come faceva ad Hogwarts, quando puntava sul buon cuore della riccia per ottenere da lei dei suggerimenti per i compiti o addirittura la possibilità di copiarli.

«Ti trovo bene», disse lui, prendendo un morso di panino.

Hermione puntò lo sguardo, risoluto, in quello del ragazzo e si ricordò di dover essere ferrea e decisa: «Grazie, non posso dire lo stesso di te».

Ronald abbassò lo sguardo sul suo panino e scrollò le spalle: «È un brutto periodo, ma passerà».

Hermione annuì, senza dire niente per qualche secondo, mentre masticava; una volta deglutito tornò a parlare: «Io non verrò alla Tana venerdì, dovrai occuparti da solo dei tuoi genitori. Io l'ho già detto ad Harry e Ginny».

Ronald aprì bocca per ribattere, poi la richiuse e si morse l'interno guancia.

Tornarono entrambi a mangiare, poi Ron, appena trovò abbastanza coraggio per parlare disse: «Non potresti venire e fingere?»

Hermione rimase con la forchetta a mezz'aria e la bocca aperta per qualche secondo, poi interruppe il proprio pranzo per osservare sconvolta il volto di Ron: «Fingere? Fingere cosa?»

«Fingere che stiamo ancora insieme».

Hermione si trattenne dall'urlare contro il ragazzo solo perché si trovavano in un luogo affollato.

«Ronald Billius Weasley, sei serio?»

Il rosso sbuffò e abbassò lo sguardo sul proprio panino mezzo mangiato: «Sì, Hermione Jane Granger, sono serio».

«Perché mai dovrei fingere?», domandò la ragazza, incapace di comprendere le nebulose ragioni che potevano trovarsi dietro quell'assurda richiesta.

«Mamma e papà saranno appena tornati da una bellissima vacanza, che aspettavano da tutta la loro vita di poter fare», disse Ron, sollevando lo sguardo in quello allibito di Hermione: «Io non me la sento di rovinare subito la loro felicità, tu?»

Hermione strinse i denti e non disse niente, abbassando lo sguardo.

All'improvviso si sentì incredibilmente egoista e faticò a trovare le parole necessarie per difendere la propria posizione.

«Non ti sto chiedendo di fingere all'infinito, Hermione, immagino che tu voglia andare avanti con la tua vita...»

«Immagini bene», disse la ragazza, portandosi una mano sul torace; le sembrava di non riuscire a respirare bene.

«Ecco, ti chiedo di mentire solo venerdì sera. Ci penserò io a dire tutto ai miei genitori, ma vorrei dare loro un paio di giorni per, lo sai, tornare alle loro normali routine».

Hermione annuì debolmente, incapace di dire nulla.

Nella mente della ragazza continuavano a susseguirsi i più svariati pensieri.

Pensava a Molly e a quanto avrebbe preso male la notizia, pensava a Harry e Ginny entrambi erroneamente convinti che la rottura tra lei e Ron fosse soltanto momentanea, pensava a Draco e a come avrebbe preso la notizia di quello sciocco teatrino e pensava a se stessa, pensava alla sensazione di soffocamento che provava in quel momento e si chiese se sarebbe mai riuscita a liberarsi dal senso di colpa che la spingeva, volta dopo volta, a cedere ad ogni richiesta di Ronald, anche quelle più assurde.

«Nessuna effusione», disse la ragazza, trovando un po' della risolutezza di poco prima, gli occhi scuri puntati in quelli chiari di Ron: «Fingerò, ma non ho intenzione di baciarti, chiaro?»

«Certo», disse il ragazzo, sorridendole, con le mani sollevate in segno di resa: «Assolutamente, niente baci».

Hermione annuì, leggermente più rilassata rispetto a poco prima e tornò al proprio pranzo.

«Come sta Grattastinchi?»

Hermione sorrise: «Fin troppo bene, come sempre. Passano gli anni e invece di invecchiare e infiacchirsi diventa sempre più lagnoso e affamato».

Ronald sorrise, masticando alacremente un boccone del panino: «Il lavoro?»

«Ti ho detto che mi hanno promosso? Finalmente ho un ufficio tutto mio!», disse Hermione, la sensazione di soffocamento completamente scomparsa e un sorriso orgoglioso in volto.

«Davvero? Complimenti! Non avevo dubbi che quel posto sarebbe stato tuo!»

Sentendosi leggermente in colpa per non essersi interessata a Ronald quanto lui si stava interessando a lei, Hermione gli pose qualche domanda relativa al lavoro, poi gli chiese se avesse trovato un appartamento.

Ron le mentì, dicendole che aveva affittato una stanza per un paio di settimane, mentre cercava un nuovo posto dove stare.

Quello che Hermione non sapeva era che le motivazioni di Ronald, dietro alla richiesta di mentire di fronte ai genitori, erano più egoistiche di quanto sembrassero. Ron era certamente preoccupato all'idea di raccontare a sua madre della recente rottura con Hermione ed era pronto a rimandare l'inevitabile più a lungo possibile, ma tra le speranze che il ragazzo nutriva, riguardo alla cena di venerdì sera, c'era quella di riuscire a sistemare le cose con Hermione, in modo tale da non avere proprio nulla da dover dire ai suoi genitori.

Ronald non poteva sapere che Hermione si stava frequentando con un altro ragazzo, né che quest'altro ragazzo era stato il suo primo grande amore adolescenziale.

Ron pensava di conoscere Hermione abbastanza bene, da poterla portare, con un po' di sforzo e di pazienza, a ricordare tutti i bei momenti che avevano condiviso e tutta la felicità che potevano provare insieme.

La Tana conservava ricordi insostituibili ed Hermione, ritrovandosi tra quelle mura familiari, circondata e cullata dall'affetto dei signori Weasley, si sarebbe ricordata che quella era l'unica famiglia che le era rimasta, l'unica famiglia su cui poteva contare, sia nei momenti di gioia che in quelli di dolore. 

Una volta che si fosse resa conto di quanto avrebbe perso, voltando le spalle a Ron, sarebbe corsa da lui e gli avrebbe chiesto di fare pace e trovare un modo per sistemare ogni cosa e Ronald, dopo averle chiesto se fosse sicura di quella scelta, l'avrebbe accolta tra le proprie braccia e non ci sarebbe più stato bisogno di fingere o di raccontare cose scomode a mamma.

«Sai se saremo solo noi quattro? Intendo, io, te, i tuoi genitori e basta», chiese Hermione, ignara dal piano di Ron, intenta a prepararsi psicologicamente a dover recitare la parte della perfetta fidanzatina di lì a pochi giorni.

Ronald le sorrise e scrollò le spalle: «Non se sono sicuro, penso che mamma e papà saranno stanchi dopo il viaggio, probabilmente non organizzeranno niente di troppo impegnativo».

Ron non si sentì in colpa per quell'ennesima bugia, più ne diceva, più gli sembrava normale dirne. Sapeva, che Hermione voleva sapere davanti a quante persone avrebbe dovuto recitare e sapeva anche che al solo accenno al fatto che, venerdì sera, fossero invitati tutti i Weasley con consorti e figli, la ragazza sarebbe tornata sui suoi passi e gli avrebbe detto di partecipare da solo a quella serata in famiglia.

Hermione sorrise: «Bene, meno persone invitate più sarà facile fingere».

Ronald annuì, le orecchie, nascoste dalla massa di capelli, erano rosse per la vergogna di doversi abbassare a mentire pur di passare una serata con Hermione.

Ron avrebbe voluto chiedere a Hermione se aveva già iniziato a uscire con altri ragazzi, ma aveva paura della risposta e gli mancò il coraggio necessario per porgerla.

«Devo tornare in ufficio, il lunedì sembra sempre esserci troppo lavoro da svolgere e troppo poco tempo per...»

«Hermione, ciao!», disse Penelope Cross, accostandosi al tavolo in cui lei e Ron stavano mangiando, tra le mani aveva una mela intatta e i capelli erano acconciati in un ordinatissimo chignon.

«Ciao, Penelope», ricambiò il saluto Hermione, sentendo chiaramente il suo cuore iniziare a batterle scompostamente nel petto. Penelope sapeva di lei e Draco e Hermione aveva paura che la sua ex vicina di scrivania potesse lasciarsi sfuggire qualcosa, che avrebbe potuto turbare l'umore già precario di Ronald.

«Come stai?», chiese Penelope, addentando la mela: «Com'è stare tutta sola in quel grande ufficio? Ti manca la compagnia?»

Le schiena di Hermione si tese per qualche istante, poi si rese conto che solo lei e Penelope potevano sapere il doppio senso che celavano quelle parole e si rilassò all'istante: «Sto bene, cerco di non sentirmi troppo sola».

Penelope sorrise e si allontanò: «Chiamami se hai bisogno di compagnia».

«Lo farò», disse Hermione, prima di tornare a guardare Ronald di fronte a sé.

«Ora devo tornare a lavorare, ci vediamo venerdì e fammi sapere se devo portare qualcosa per la cena», disse Hermione, decisa a chiudersi nel minor tempo possibile nel suo ufficio, così da rimanere sola a riflettere.

«Certo, a venerdì», disse Ron, sorridendole calorosamente.

Una volta sola, Hermione ringraziò Merlino e Morgana per aver fatto tenere la bocca chiusa a Penelope poco prima. Non era pronta ad ammettere, di fronte al suo ex ragazzo, di avere una relazione con un ragazzo che si era fatto particolarmente odiare durante i loro anni ad Hogwarts.

Ron non avrebbe capito.

Ginny non avrebbe capito.

Harry non avrebbe capito.

Tutto quello che avrebbero potuto fare, una volta che lei avesse ammesso ogni cosa, sarebbe stato giudicarla e crederla pazza.

"Ma Herm, è Malfoy", le avrebbero detto, riempiendo quel cognome di tutto l'odio e il ribrezzo di cui erano capaci.

"Ma Herm, ti sei dimenticata ogni cosa? Ti sei dimenticata di tutte le volte che ti ha chiamata Mezzosangue?", le avrebbero chiesto, sottolineando quell'insulto, facendole ricordare ogni brutto ricordo legato a Draco che la sua mente potesse proporle.

E lei cosa poteva rispondere di fronte a quelle giuste considerazioni e domande?

Sarebbe bastato dire loro che Draco era cambiato, che era stato da un medimago e che aveva imparato dai suoi errori? Sarebbe bastato dire loro che Draco le aveva chiesto scusa e ogni giorno le dimostrava di tenere a lei?

Più ci pensava, più Hermione temeva che no, non sarebbe bastato; non per la puntigliosa Ginny o il protettivo Harry o il geloso Ron.

Hermione tirò su col naso e si asciugò le guance bagnate di lacrime salate e cercò di scacciare quei pensieri, così da potersi concentrare sul proprio lavoro.

Le tornò il sorriso in volto solo quando, dopo qualche ora di stressante lavoro, ricevette un messaggio sul cellulare da Draco, che era tornato da Liverpool e si stava ambientando nel nuovo ufficio al terzo piano del Ministero. 

Messaggiarono brevemente, giusto il tempo necessario per far tornare entrambi felici come quella mattina, poi Draco le disse che l'avrebbe raggiunta per cena quella sera ed Hermione sentì un nodo nello stomaco, all'idea di quello che avrebbe dovuto dire al ragazzo, riguardo alla serata a cui era stata recentemente invitata. 

Una cosa era certa, non aveva intenzione di mentirgli o omettere qualcosa; sarebbe stata sincera con lui, gli avrebbe raccontato della richiesta di Ron e gli avrebbe assicurato che poteva fidarsi di lei.

Sperava soltando che Draco fosse abbastanza maturo da non prendersela con lei e farle una scenata di gelosia, altrimenti temeva che un evento simile avrebbe finito coll'incrinare il nuovo e precario equilibrio in cui si trovava la loro relazione.



 

***

Buonasera popolo di EFP!

Come state? Spero bene e spero anche che questo capitolo vi sia piaciuto!

Cercate di non prendervela troppo con Ronald, sta passando proprio un brutto periodo.

Come sempre ricordo il mio account su Instagram, lazysoul_efp, dove vi racconto cose e posto foto di libri.

Un bacio,

LazySoul

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Cocomero ***


23. Cocomero



 

«Blaise, ho bisogno di... cosa stai facendo?»

L'immagine che si presentava di fronte allo sguardo sconvolto di Draco Malfoy era particolarmente assurda. Il ragazzo conosceva l'amico da anni ed era abituato alle stranezze, ma quel giorno doveva ammettere di essere più sconvolto del solito.

Blaise Zabini, con indosso una vestaglia celeste con sopra disegnati fiori color magenta e i piedi nudi, aveva tra le braccia quello che a Draco sembrava un fagotto, che stava cullando, mentre gli canticchiava una ninnananna.

«Shhh», disse il moro, lanciando un'occhiata di profondo rimprovero a Malfoy, che osservava quella scena assurda poco oltre la soglia dell'atelier. 

«Torno subito».

Blaise si diresse, con passi lenti e cadenzati, verso il suo studio, dove rimase per una manciata di minuti; giusto il tempo necessario per Draco di togliersi il cappotto e chiedersi il senso della scena a cui aveva appena assistito.

Perché mai Blaise avrebbe dovuto cullare un cocomero avvolto in una copertina rosa?

Draco non riusciva proprio a trovarvi un senso.

Quando il moro tornò, si chiuse con delicatezza la porta dello studio alle spalle e sospirò, lasciandosi cadere su una delle poltrone del negozio.

«Blaise, stai bene?», chiese Draco, avvicinandosi con passi circospetti, chiedendosi se ci fossero stati segnali, di qualsiasi tipo, che lui non aveva colto, e che avrebbero potuto prepararlo al palese crollo mentale dell'amico: «Vuoi che ti chiami un medimago?»

Zabini, con la fronte aggrottata dalla confusione, osservò l'amico con lo stesso sguardo che avrebbe riservato a una macchia ostinata su una delle sue camice preferite: «Un medimago? Perché mai?»

Draco si bloccò sui suoi passi e si grattò pensieroso il capo. 

Quella era certamente una situazione spinosa: come avrebbe dovuto comportarsi con un pazzo? Avrebbe dovuto fargli notare la follia dei suoi gesti, o assecondarlo? 

Draco non ne era sicuro. 

«Ho visto che stavi cullando un cocomero, poco fa», disse, nella speranza, con quelle parole, di ottenere qualche informazione, possibilmente sensata, dall'amico.

«Sì, è una lunga storia, pensavo di invitarti a cena una di queste sere e parlartene, ma sono stato impegnato con l'abito da sposa della futura signora Potter», disse, Blaise, sfregandosi il volto. 

«Quindi non sei impazzito?»

Blaise sorrise e scrollò le spalle, sembrava particolarmente divertito da quella domanda: «Non più del solito, no».

Draco Malfoy provò un viscerale sollievo e sorrise: «Bene, perché ho bisogno di sfogarmi con qualcuno, altrimenti rischio di esplodere, e, per tua fortuna, ho scelto te».

«Quale onore», rispose sarcastico il moro, appoggiando il gomito sul bracciolo della poltrona, gli occhi che osservavano attentamente il volto preoccupato dell'amico: «Racconta».

«Mi sto innamorando, Blaise, e più mi innamoro, più mi sento stupido e non so cosa sto facendo la metà del tempo», disse Draco, sedendosi sulla poltrona accanto all'amico: «Io e Hermione stiamo insieme, è ufficiale, o almeno lo è per noi, ma non per il resto del mondo... ed è questo il problema».

Blaise avrebbe voluto dire molte cose in quel momento, avrebbe voluto dire a Draco che lo sapeva e che l'aveva sempre saputo che Hermione era la strega adatta a lui. Avrebbe voluto dirgli che lo capiva, lo capiva meglio di chiunque altro perché aveva vissuto e stava vivendo la stessa situazione, dato che Pansy continuava ad impuntarsi sul voler tenere la loro relazione un segreto. Blaise aveva cercato di farle notare che una gravidanza era difficile da nascondere, ma tutto quello che aveva ottenuto era stata un'occhiataccia.

«Posso dirti per esperienza che forzarle la mano potrebbe essere controproducente», disse alla fine Blaise, grattandosi pensieroso il mento: «Rischi soltanto di allontanarla e...»

«Non voglio forzarla a fare nulla che non voglia fare, infatti», disse Draco, interrompendo l'amico, mentre si sporgeva sulla sedia e iniziava a gesticolare come un folle: «Ma più teniamo questo segreto, più sembra che Merlino e Morgana si divertano a mettere degli ostacoli sulla nostra strada. Ho lasciato Astoria, non so se te l'avevo già detto...»

«Musica per le mie orecchie», sussurrò Blaise, un genuino sorriso sulle labbra e lo sguardo perso ad osservare il viavai di gente fuori dall'atelier.

«Sì, immaginavo ne saresti stato felice, non ti è mai andata a genio...»

«Ovvio che no, e sai perché? Perché Greeny Due non è adatta a te».

«Sì, lo so, ne abbiamo già parlato, non è questo il punto. Il punto è che ho parlato col signor Greengrass e mi ha minacciato, dicendomi di avere amici potenti... ma non è finita qui». 

Draco estrasse dalla tasca del cappotto una lettera stropicciata e la sventolò in aria, il volto contratto in un'espressione furiosa: «Poco fa mi è arrivata questa: a quanto pare mi sta facendo seguire, sa che ho una relazione con una Nata Babbana e non vede l'ora di dirlo a mia madre e mio padre!»

Blaise prese dalle mani dell'amico la lettera, la scorse velocemente, col viso che gli si adombrava mano a mano che procedeva nella lettura: «Pensi che stia bluffando?»

«Non lo so, non credo», disse Draco, sfregandosi con aria affranta il volto.

«Potresti parlarne a tua madre...», suggerì Blaise, osservando con la coda dell'occhio la reazione del ragazzo alle sue parole.

Draco sospirò e annuì: «È quello che sto pensando di fare, ma devo prima parlarne con Hermione».

«Se le minacce dovessero peggiorare, puoi sempre approfittare delle amicizie della tua ragazza e far arrestare il signor Greengrass da Potter e compagnia bella», disse Blaise, riconsegnando la lettera al proprietario.

Sul volto di Draco comparve un ghigno che Blaise non vedeva da tempo e che gli fece ricordare il ragazzino biondo e crudele con cui andava a scuola anni prima.

«Hai ragione, potrei fruttare le mie conoscenze a mio vantaggio...»

In quel momento dallo studio di Blaise giunse l'inconfondibile suono del pianto straziante di un bambino e il moro abbandonò il suo posto a sedere, la vestaglia celeste che sventolava intorno alla sua figura, mentre correva in soccorso al "bambino".

Il cocomero incantato era stata un'idea di Pansy.

La ragazza aveva letto in qualche rivista sulla maternità, alla quale si era abbonata da pochi giorni, che era fondamentale sia per la futura madre, che per il futuro padre, immergersi in quella che era definita "simulazione di genitorialità". 

Per questo avevano comprato un piccolo cocomero di circa tre chili e lo avevano incantato in modo tale che si comportasse come un bambino, richiedendo attenzioni, cibo e cure. 

Non era stato facile, per la prima ora il cocomero non aveva smesso di piangere un solo istante, dato che Blaise aveva sbagliato qualcosa nel lanciare l'incantesimo, ma dopo vari tentativi erano finalmente giunti a "dare vita" a Cocomero, il loro pseudo-bambino.

Subito dopo avevano deciso gli orari in cui sarebbe toccato a ciascuno tenere il bambino, spartendosi le giornate in modo tale da permettere a entrambi di continuare a lavorare il più normalmente possibile.

Malgrado la stanchezza di dover badare a un cocomero urlante che richiedeva un sacco di attenzioni e cibo — il cui nutrimento consisteva in incantesimi "Lumos" — Pansy e Blaise si ritenevano molto soddisfatti di quei primi due giorni di simulata genitorialità.

Una volta nello studio Blaise sollevò il cocomero con attenzione e se lo strinse al petto, iniziando a cullarlo e a sussurrare paroline dolci per calmarlo.

Per sicurezza utilizzò un incantesimo "Lumos", ma il "bambino" non si calmò, segno che doveva aver semplicemente bisogno di essere coccolato, dato che, essendo un cocomero, non aveva bisogno di cambi di pannolino.

Blaise, col fagottino tra le braccia, abbandonò lo studio e tornò in negozio, sedendosi sulla poltrona, accanto a un perplesso Draco Malfoy.

«Quindi devo aspettare un tuo futuro invito a cena per capire cosa sta succedendo?»

«Diciamo che io Pansy stiamo cercando di capire quanto possa essere complicato avere un bambino e mantenere entrambi i nostri lavori, è un esperimento, dice che vuole scriverci anche un articolo».

Draco sussultò, col cuore che gli martellava in gola e sbarrò gli occhi, osservando sconvolto l'amico: «Mi stai dicendo che... Blaise, perché non me l'hai detto prima!?»

Blaise scrollò le spalle: «Non abbiamo ancora superato il terzo mese, a dirla tutta non abbiamo nemmeno superato il primo e Pansy dice che non vuole farlo sapere a nessuno perché ha paura di possibili complicazioni».

«Quando l'avete saputo?»

«Pansy lo sa da tre settimane ormai, io da una e mezza».

Blaise omise di parlare dell'appuntamento della settimana prima, quello per abortire a cui Pansy aveva deciso di non presentarsi all'ultimo momento. Decise di tralasciare quel particolare perché gli sembrava qualcosa di troppo intimo per essere condiviso a cuore leggero, anche se quello che aveva di fronte era il suo migliore amico.

L'ultima settimana non era stata facile, ma Pansy sembrava essere decisa nella sua decisione di tenere il bambino e, anche se cercava di non darlo troppo a vedere, Blaise aveva capito che ormai si era aggrappata con tutte le sue forze e le sue speranze alla possibilità di diventare madre e l'eventualità di perdere il bambino la terrorizzava.

Erano entrambi consapevoli che quel periodo era particolarmente delicato e cercavano di non illudersi troppo che quella gravidanza appena iniziata potesse giungere al termine senza complicazioni, eppure non potevano fare a meno di sperare.

«Sono così felice per voi!», esclamò Draco, un enorme sorriso a illuminargli il volto: «Dici che Pansy sarà tanto furiosa quando scoprirà che me l'hai detto?»

«Sì, ma potresti essere un bravo amico e fingere di non sapere niente almeno fino a venerdì; cercherò di convincerla a organizzare una cena solo noi tre per parlarne».

Draco abbassò lo sguardo e sospirò al pensiero di quello che sarebbe successo quel venerdì.

Blaise notò subito quell'improvviso cambiamento d'umore dell'amico e, mentre continuava a cullare il suo bambino-cocomero, appoggiò una mano sulla spalla di Draco: «Cos'hai?»

Draco scrollò le spalle, poi sospirò nuovamente: «Sono un po' preoccupato».

«Hai intenzione di fare un discorso di senso compiuto o dovrò cavarti le informazioni una ad una?»

Draco sorrise appena e tornò a guardare l'amico: «Venerdì Hermione è stata invitata ad una cena a casa Weasley, per festeggiare il rientro in patria dei signori Weasley, che a quanto pare erano in Brasile in vacanza».

Blaise aggrottò la fronte: «E quindi?»

«Quel codardo di Weasley non ha detto ai genitori che lui ed Hermione si sono lasciati e le ha chiesto di fingere soltanto per una sera che le cose tra loro due vadano a gonfie vele».

Blaise, con la bocca spalancata per la sorpresa, osservò il suo amico e intuì cosa dovesse provare in quel momento: «Hai paura che possa cambiare idea e tornare da Weasley?»

Draco annuì, lo sguardo di nuovo basso.

«E tu gliel'hai detto?»

«No».

«Le hai fatto una scenata?»

Draco sollevò lo sguardo, sembrava ferito: «Certo che no, Blaise! Non ho intenzione di fare scenate di gelosia per una cosa simile, però mi innervosisce molto questa situazione. Le ho detto che mi fido di lei, ed è vero, ma Weasley non mi è mai piaciuto e secondo me ha in mente qualcosa».

Blaise annuì, pensieroso: «Concordo, Weasley starà di sicuro architettando qualcosa, ma ho la soluzione perfetta».

Draco sbuffò: «Non ho intenzione di ucciderlo e finire ad Azkaban a tenere compagnia a mio padre, Blaise».

Il moro mise il broncio: «Uffa, allora dovremo passare al piano B: hai due giorni e mezzo per far innamorare la Granger di te, così che venerdì sera lei non riesca a toglierti un solo istante dalla mente e il rischio di una possibile ricaduta tra le braccia di Weasley sia pari a zero».

Draco sorrise: «Ci avevo già pensato, ma non ho intenzione di rifilarle un filtro d'amore. Mi comporterò normalmente, cercando di non assillarla troppo... Oh, Blaise, tu non hai idea di quanto sia semplice e piacevole passare il tempo con lei; è come respirare aria fresca, necessario e ovvio».

Blaise, che in realtà un'idea su quello che doveva provare Draco ce l'aveva, sorrise comprensivo: «Potresti farle un regalo», gli suggerì, puntando lo sguardo sul manichino, che proprio in quel momento passò loro accanto, sfoggiando un elegante paio di pantaloni palazzo e una camicetta bianca con le maniche a sbuffo.

Draco puntò a sua volta lo sguardo sul manichino e ricordò chiaramente il giorno in cui era entrato in quell'atelier e aveva visto Hermione con indosso quegli abiti. Gli sembrava fosse passata una vita, invece che pochi giorni, ma non poteva dimenticare l'espressione delusa della ragazza quando aveva dovuto dire addio a quei pantaloni e quella camicia, troppo cari per lei.

Draco non era certo che farle un regalo tanto costoso fosse una buona idea; aveva paura che la ragazza avrebbe potuto rifiutarlo per orgoglio o magari indispettirsi per quella che avrebbe potuto interpretare come carità...  Eppure, allo stesso tempo, non poteva fare a meno di pensare che quello poteva essere il regalo perfetto per farle capire quanto tenesse a lei.

«Sì, potrei», disse alla fine Draco, distogliendo lo sguardo dal manichino, per posarlo sull'amico, che era ancora intento a cullare il cocomero-bambino, che aveva da poco smesso di lamentarsi e sembrava essersi addormentato.

All'improvviso Draco sembrò ricordarsi dell'altra questione di cui voleva parlare a Blaise e sorrise: «Potresti assumere una commessa per aiutarti qua in Atelier, sai, per quando avrai un figlio a cui badare».

«Sì, ci stavo pensando già da qualche giorno, dovrò mettere un annuncio sulla Gazzetta del Profeta e...»

Draco interruppe l'amico: «E se ti dicessi che conosco la persona perfetta per darti una mano in negozio?»

«Pensavo ti piacesse il tuo lavoro al Ministero, Draco, ma se ci tieni tanto va bene, il lavoro è tuo».

Malfoy scoppiò a ridere e si alzò in piedi, stiracchiandosi la schiena: «Non mi riferivo a me, Blaise, ma ad Astoria».

Il moro aggrottò la fronte e scosse la testa: «Perché mai dovrei assumere la tua ex ragazza, che non sopporto, e forse odio anche un po'?»

Draco sospirò e si portò le mani ai fianchi, tentennò per qualche istante, indeciso su quanto potesse condividere della situazione di Astoria coll'amico, poi parlò: «Perché è in difficoltà. Suo padre è furioso con me per aver sciolto il fidanzamento, ma è Astoria che vive sotto il suo stesso tetto e dovrà sopportare accuse e privazioni. Le ho suggerito di fuggire e trovarsi un appartamento da qualche parte, ma mi ha detto di non avere soldi e di dipendere dal padre. Dandole questo lavoro le permetteresti di guadagnare qualcosa e di essere abbastanza indipendente da prendere le proprie decisioni, senza l'influenza di suo padre».

Blaise continuò a cullare il fagotto che stringeva tra le braccia, la fronte aggrottata, mentre rifletteva sul da farsi.

Poco prima aveva esagerato; non era vero che odiava Astoria, ma era vero che non l'aveva mai potuta soffrire molto, principalmente perché la trovava un'approfittatrice e un'arrampicatrice sociale. Le parole appena pronunciate da Draco cambiavano però tutto. 

Blaise iniziava a vedere lati di Astoria che non pensava esistessero e la cosa lo incuriosiva e lo faceva sentire un po' in colpa per averla sempre giudicata senza averla mai davvero conosciuta.

«Dille che dal prossimo lunedì inizierà due settimane di prova, al fine delle quali deciderò se assumerla o meno», disse alzandosi, la cintura allentata della vestaglia mostrava il suo torso nudo e i boxer leopardati che indossava: «Ora se non ti dispiace devo mettere Cocomero a letto, poi preparerò il pacchetto che ti spedirò a casa con il regalo per la Granger, in totale, con lo sconto amicizia, sono 253 galeoni, puoi portarmeli appena avrai tempo».

Blaise si fermò, prima di chiudersi la porta dello studio alle spalle e lanciò un'ultima occhiata all'amico: «Ti farò sapere per la cena di venerdì e ricorda che tu non sai niente della gravidanza, ciao».

«Signorsì signore», disse Draco, con un'espressione divertita, mentre si appuntava su un angolo della lettera, speditagli dal signor Greengrass, quanto doveva al suo amico.

Uscì dall'atelier più felice e rilassato rispetto a quando era entrato e percorse Diagon Alley, diretto verso casa, con un sorriso stampato in faccia.

Appena arrivato a casa avrebbe messo da parte i soldi da far avere a Blaise, poi avrebbe scritto ad Astoria per comunicarle la buona notizia e avrebbe atteso con impazienza di andare da Hermione per cena, cosa che era diventata ormai una tradizione.

La sua felicità venne adombrata da un unico pensiero: sua madre.

Come avrebbe fatto a dirle che aveva lasciato Astoria per stare insieme ad una Nata Babbana?

Doveva trovare un modo per tenerle lontano le missive del signor Greengrass, così da avere tempo per pensare ad un piano per informarla della sua vita sentimentale senza farle aveva un infarto.

Decise che le avrebbe scritto una lettera, dove le avrebbe suggerito di approfittare dell'inizio della bella stagione per passare una settimana o due alla casa al mare, dove avrebbe potuto rilassarsi e leggere un buon libro. Così facendo, sperava, avrebbe potuto tenerla lontana da Londra, dal signor Greengrass e dai pettegolezzi per un po' di tempo e affrontare la questione spinosa una volte che fosse tornata.

Draco si scoprì particolarmente soddisfatto del piano e il sorriso tornò sul suo volto.




 

***

Buonasera popolo di EFP!

Eccoci alla fine del capitolo, non sono riuscita a rileggerlo prima di pubblicarvelo, ma domani lo ricontrollerò per correggere eventuali errori di distrazione o battitura (che spero non siano troppi).

Cose ne pensate del capitolo?

Personalmente penso che sia venuto piuttosto bene e amo profondamente Cocomero e Blaise, ovviamente non sarà l'ultima volta che li vedremo...

Detto ciò spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa pensate del capitolo.

Come sempre ricordo che potete trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp e se volete supportare il mio lavoro con una simbolica donazione, trovate il link della mia pagina Ko-fi nella mia bio.

Un bacio,

LazySoul

 


Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Regalo ***


24. Regalo
 



Acciambellata sul divano, Hermione stringeva tra le mani "Il Maestro e Margherita" e si godeva quel giovedì pomeriggio nella più totale solitudine.

Aveva la fronte aggrottata mentre leggeva del terribile mal di testa di Ponzio Pilato e interruppe brevemente la lettura, quando si rese conto che più andava avanti, più le sembrava di avere a sua volta un terribile cerchio alla testa.

Posò il libro e si diresse in cucina per prepararsi una tazza di tè, quando si ricordò di non essere veramente sola; Grattastinchi, acciambellato su una sedia troppo piccola per la sua mole, la seguiva con occhi attenti.

Quando Hermione si avvicinò un po' troppo alla sua ciotola del cibo vuota, per recuperare il bollitore, Grattastinchi scattò e in pochi secondi si trovò a strusciarsi, sinuoso, tra le gambe della padrona.

Hermione sbuffò divertita e si accovacciò per accarezzare l'animale.

«Lo so che hai fame, tu hai sempre fame, ma siamo stati dal veterinario l'altro giorno, ricordi? Dobbiamo stringere la cinghia per un po', altrimenti rischi di non arrivare al tuo dodicesimo anno di vita», disse Hermione, dando un ultima carezza a Grattastinchi, prima di tornare a cercare il bollitore.

In quel momento sentì vibrare il proprio Nokia 3310 e lo prelevò dalla tasca dei pantaloni della tuta che indossava, per controllare chi le avesse mandato un messaggio.

 

"Ciao, ti andrebbe un tè da me?"

 

Nel leggere il messaggio di Draco, un enorme sorriso era comparso sulle labbra di Hermione, che abbandonò la ricerca del bollitore per correre in camera a cercare qualcosa di più carino da mettere.

Negli ultimi giorni aveva constatato più volte che non importava cosa indossasse quando si trovava con Draco, l'ex Serpeverde trovava sempre un modo per farla sentire bella e unica; anche quando indossava una tuta sbiadita e rovinata dal tempo o aveva i capelli scompigliati.

Quel giorno però, dopo aver risposto al ragazzo, dicendogli che lo avrebbe raggiunto presto, Hermione si trovava di fronte al proprio armadio, indecisa su cosa mettere.

Avrebbe voluto indossare qualcosa di carino per Draco, forse per mostrargli che teneva a lui e ad essere bella per lui, o forse semplicemente perché il senso di colpa non la abbandonava; da quando aveva accettato l'invito a cena alla Tana, non riusciva a trascorrere serenamente le proprie giornate, soprattutto quando passava del tempo con Malfoy.

Gli aveva raccontato ogni cosa alla prima occasione, dopo il pranzo con Ronald e aveva provato sollievo nel constatare che Malfoy non era arrabbiato, forse un po' deluso, forse un po' geloso, ma non le aveva fatto una scenata e si era dimostrato molto comprensivo.

Hermione in quel frangente lo aveva amato un po' di più di quanto pensava fosse possibile amare un altro essere umano, ma non aveva avuto il coraggio di dirglielo, per paura di spaventarlo. Sapeva che anche Draco provava qualcosa per lei, qualcosa di molto profondo e serio e tenero, ma si frequentavano da poco, ed entrambi erano troppo spaventati dai loro stessi sentimenti per ammetterli ad alta voce.

Hermione selezionò, dopo un'attenta analisi una semplice gonna di jeans che le arrivava alle ginocchia e una camicia, di cui lasciò slacciati un paio di bottoni in più rispetto al solito, certa che Draco avrebbe apprezzato.

Avrebbe voluto portargli un presente, ma in casa non aveva molto, a parte una confezione di cookies con cioccolato fondente e scorza d'arancia, che aveva comprato al supermercato il giorno prima, così indossò il cappotto, prese i biscotti e fatta una veloce ramanzina a Grattastinchi, per ricordargli di non farsi le unghie sul divano, prese la metropolvere per raggiungere casa di Draco.

Era dalla sera prima che non si vedevano, da quando Draco le aveva raccontato della lettera minacciosa del signor Greengrass e di aver scoperto che Blaise e Pansy aspettavano un bambino.

La prima reazione di Hermione a quella notizia era stata inorridire, forse perché si sentiva ancora troppo giovane per mettere su famiglia e l'idea che due suoi coetanei stessero per diventare genitori la lasciava piuttosto perplessa. Poi aveva notato l'espressione sul volto di Draco, la felicità che traspariva dai suoi lineamenti, mentre parlava dei suoi amici e di come sarebbero stati due ottimi genitori, e si era ritrovata a sua volta impaziente di conoscere la nuova vita che di lì a otto mesi sarebbe nata.

All'improvviso non le era più importato ciò che era successo in passato; il fatto che Pansy non le fosse mai andata particolarmente a genio, troppo brusca e snob per i suoi gusti; o il fatto che Blaise le fosse sempre apparso troppo eccentrico e poco affidabile per poterci andare d'accordo.

La Parkinson e Zabini erano amici di Draco, e in quanto tali, Hermione avrebbe fatto il possibile per instaurare con loro un rapporto basato sul rispetto e magari, col tempo, sarebbe riuscita a conoscerli meglio, tanto da poterli considerare suoi amici.

L'ex Grifondoro bussò alla porta di Draco, provando un forte senso di déjà vu, per tutte le volte che si era ritrovata di fronte a quello stesso uscio negli ultimi giorni e sorrise, impaziente.

Malfoy le aprì poco dopo, indossava dei pantaloni della tuta e un maglione, sul mento e la mascella cominciava a intravedersi un accenno di barba bionda e i capelli corti erano perfettamente pettinati.

Hermione entrò nell'appartamento e lo salutò premendo con forza le labbra sulle sue, mentre si chiudeva la porta alle spalle con un movimento del piede.

Le mani di Draco si avvolsero, protettive, intorno alla vita e i fianchi della ragazza, stringendosela al petto.

Quando Hermione interruppe il bacio, Draco sorrideva ampiamente e gli occhi erano illuminati da una punta di malizia: «Dimmi cosa ho fatto per meritarmi un saluto simile, perché ho intenzione di rifarlo».

La ragazza rise, lusingata da quella parole e pizzicò il fianco del ragazzo, liberandosi dalla sua stretta: «Ho apprezzato il tuo invito per un tè».

«Ti inviterò più spesso, allora», disse lui, prima di voltare il capo verso la cucina: «Ho già messo la teiera sul fuoco, a breve l'acqua dovrebbe essere abbastanza calda... accomodati».

Hermione appoggiò sul tavolino basso del salotto i biscotti che aveva portato e disse a Draco di averli comprati in un supermercato babbano, mentre il ragazzo appendeva la giacca dell'ospite sull'appendiabiti dell'ingresso.

«Babbani? E come sono?», chiese Malfoy, recuperando la scatola dal tavolino per osservare le scritte sulla confezione.

«Cioccolato fondente e scorza d'arancia, sono molto buoni», lo rassicurò lei, sfilandosi le scarpe dai piedi, mentre si metteva comoda sul divano.

Draco sollevò appena lo sguardo dalla confezione di biscotti che aveva tra le mani, per osservare l'orlo della gonna della Granger sollevarsi abbastanza da mostrare una generosa porzione di coscia, poi tornò alle scritte che indicavano numeri relativi a ingredienti a lui poco familiari.

«Cosa sono tutte queste informazioni?», chiese, porgendo la scatola ad Hermione.

«È l'apporto calorico... I babbani vogliono sapere quanti grassi, sali, proteine o fibre sono contenuti nei loro pasti, così da sapere quanto mangiare», cercò di spiegare Hermione.

Draco sollevò il capo verso la cucina e fece un veloce gesto della mano, mentre andava a controllare l'acqua sul fuoco: «Certo che i babbani sono strani», disse: «Non possono fare come noi maghi e mangiare fin a saziare la fame? Devono per forza avere tutte quelle informazioni su una scatola di biscotti?»

Hermione sorrise e appoggiò i cookies sul tavolino, mentre si alzava per raggiungere Draco in cucina: «Ad alcuni babbani piace avere tutto sotto controllo».

Qualsiasi altra cosa Hermione avesse voluto dire, le rimase incastrata tra le corde vocali, mentre osservava con stupore la teiera gialla, di cui Draco stava svuotando il contenuto in due tazze.

Il ragazzo inserì una fettina di limone in uno dei due tè e sorrise: «Vuoi rimanere lì impalata o lo beviamo di là?»

Hermione distolse lo sguardo dalla teiera e portò gli occhi, colmi di emozioni, sul volto sereno di Draco: «Dove l'hai presa?»

L'ex Serpeverde impiegò qualche secondo a capire cosa avesse turbato tanto Hermione, poi portò a sua volta gli occhi sulla teiera gialla comprata tre settimane prima, anche se sembrava essere passato molto più tempo, e gli comparve un tenue sorriso sulle labbra: «Londra babbana».

Calò un breve silenzio tra di loro, poi Hermione si portò una mano al viso per asciugarsi la lacrima che era sfuggita al suo autocontrollo e si schiarì la gola: «È uguale a...»

«Sì», confermò Draco, incerto su come reagire di fronte agli occhi lucidi della ragazza e alla sua postura rigida.

«È per questo che l'hai presa? Perché è uguale...»

«Sì».

Hermione si morse l'interno guancia e scosse leggermente la testa, stupita.

Se aveva pensato, anche solo per un secondo, che i sentimenti che Draco provava nei suoi confronti potessero essere inferiori a quelli che lei provava per lui, si era sbagliata.

La prova era di fronte a lei.

A molti sarebbe apparsa come una semplice teiera gialla, niente di speciale, niente di valore, ma per lei e per Draco quel semplice oggetto ricordava una serata felice nella Stanza delle Necessità; un momento di spensieratezza, uno dei pochi momenti insieme in cui non avevano sfogato le rispettive frustrazioni nel sesso, ma che avevano sfruttato per parlare, confidarsi e stare semplicemente insieme, abbracciati su un divano, circondati dall'aroma della Tisana di Natale.

«Quando l'ho vista ho pensato a quella sera, ho pensato a te e... non ho potuto non comprarla», disse Draco, sembrava stesse cercando di giustificarsi, mentre Hermione combatteva contro le lacrime.

«Ho ripensato spesso a quella sera, o a quella in cui abbiamo giocato a scacchi magici, ricordi?»

«Sì, ricordo», ammise Draco, muovendo un passo verso Hermione, che non riusciva a distogliere gli occhi lucidi dalla teiera gialla.

«Quando ci ripenso mi chiedo cosa avrei potuto fare di diverso per spingerti a confessarmi tutto quello che stavi passando. Avrei voluto che ti fossi confidato con me, invece di allontanarmi e farti consolare dalla Greengrass... Mi chiedo come sarebbero stati i mesi prima della Guerra, come sarebbero stati questi ultimi anni, se tu ti fossi fidato di me abbastanza da confidarmi tutto...», lo sguardo di Hermione si posò sul viso serio di Draco: «Avresti mai rinnegato Voldemort, per me?»

Draco abbassò lo sguardo e provò una profonda vergogna: «No, Hermione, ero troppo immaturo e stupido e spaventato. Il Draco Malfoy che ero il sesto anno ad Hogwarts non avrebbe meritato il tuo aiuto, perché non l'avrebbe accettato, non l'avrebbe capito, l'avrebbe soltanto denigrato».

Hermione sospirò: «Hai ragione, a volte lo dimentico, ma hai ragione. Non eri come sei ora... Ora rinnegheresti Voldemort per me?»

Draco allungò una mano e l'appoggiò sul volto teso della ragazza: «Coraggio permettendo, ucciderei Voldemort per te».

Hermione sollevò gli occhi al cielo, divertita: «Adesso non esagerare», disse, gettando le braccia intorno al collo dell'ex Serpeverde: «Mi basta sapere che hai imparato dai tuoi errori e d'ora in poi mi parlerai di ogni cosa, senza avere paura del mio giudizio».

«Te lo prometto: nessun segreto».

«Bene, anche io te lo prometto», disse Hermione, baciando la guancia ispida del ragazzo: «Nessun segreto».

Rimasero abbracciati per qualche secondo, stretti tanto da respirare con fatica.

Draco, con le labbra socchiuse, prese fiato e si chiese se avrebbe avuto il coraggio di ammettere i propri sentimenti alla ragazza, poi sospirò e affondò il capo tra i ricci ruvidi di Hermione, incapace di dare voce all'emozione che gli stringeva la gola in quel momento, impedendogli di parlare.

«Il tè si sta freddando», disse Hermione, sciogliendo l'abbraccio; il volto illuminato da un sorriso radioso.

«Hai voglia di portare le tazze sul tavolo in salotto? Ho qualcosa per te di sopra», disse Draco, dirigendosi verso la mansarda.

Hermione, incuriosita, trasportò con impazienza le tazze fino a posarle accanto alla confezione di biscotti babbani, poi mosse alcuni passi verso la scala che portava alla camera di Draco.

Il ragazzo la raggiunse in quell'istante con un pacchetto delicatamente incartato tra le mani, pacchetto che emanava un profumo che Hermione riconobbe all'istante.

«Non l'hai fatto davvero», disse Hermione, capendo subito cosa dovesse contenere il regalo che le stava porgendo Draco in quel momento.

Hermione lesse la scritta dorata e svolazzante che si ripeteva sull'incarto e scosse la testa, incapace di dire alcunché.

«Aprilo», la incitò lui, mettendole tra le mani protese il pacchetto.

«Non dovevi», disse lei, sedendosi sul divano e appoggiando il regalo sulle proprie cosce, mentre ne accarezzava il nastro di stoffa dorato che lo decorava: «Quel completo costava un occhio della testa, Draco, è un regalo fin troppo costoso...»

«Blaise mi ha fatto lo sconto amicizia», la rassicurò lui, decidendo di omettere quanto effettivamente avesse risparmiato grazie a quello "sconto amicizia".

Hermione lanciò un'ultima occhiata di rimprovero a Draco poi, incapace di attender oltre, aprì il pacchetto, trovandoci all'interno il completo che aveva provato tempo prima nell'atelier di Zabini e che non aveva acquistato perché troppo costoso.

«Non dovevi», disse per l'ennesima volta, a disagio, poi sorrise e decise di mettere da parte la questione soldi: «Ma è bellissimo, grazie».

Draco si sporse per lasciarle un bacio a fior di labbra: «Figurati, vuoi provarlo?»

Hermione arricciò il naso: «Ho paura di rovinarlo, magari dopo aver bevuto il tè».

L'ex Grifondoro e l'ex Serpeverde si sedettero sul divano, le gambe che si sfioravano, mentre sorseggiavano il tè, mangiavano i biscotti babbani e si godevano semplicemente la compagnia l'uno dell'altra, inebriandosi della felicità che provavano.

«Grazie davvero per il regalo, mi mette un po' a disagio il fatto che tu mi faccia regali costosi», ammise la ragazza, osservando con la coda dell'occhio il pacchetto aperto, che aveva lasciato sul tavolo basso di fronte a loro.

«Temevo che ti saresti sentita a disagio, ma speravo anche che ti potesse piacere tanto da non pensare al prezzo», disse Draco, addentando con gusto il suo terzo cookie: «Questi biscotti sono molto buoni».

Hermione sorrise e prese un lungo sorso di tè, mentre osservava con profondo affetto il ragazzo che le sedeva accanto, che in quel momento le sembrava un bambino, sporco com'era d cioccolato sulla guancia: «Cercherò di non pensare al prezzo, ma tu devi promettermi di limitare i regali costosi, altrimenti rischi di farmi sentire in colpa».

«Te lo prometto», disse sporgendosi per lasciarle un bacio sulla guancia.

«Hai impegni questa sera?», chiese lei, sperando di ricevere una risposta negativa.

«No, sarei dovuto andare a cena da mamma, ma l'ho convinta ad andare alla casa al mare per qualche giorno, così sarà meno facile per il signor Greengrass contattarla», disse Draco, con un sorriso soddisfatto in volta: «Spero che quell'uomo getti presto la spugna».

«Tu conserva la lettera dove ti ha minacciato, potremmo usarla come prova in caso dovesse provare a farti del male», disse Hermione, pensierosa, poi sorrise: «Ma quindi, dato che non hai impegni, potremmo cenare insieme?»

«Certo che sì».

Hermione sorrise soddisfatta: «Ottimo, cucini tu?»

Draco scoppiò a ridere: «Ti stai approfittando di me, Granger? E della mia bravura in cucina?»

«Forse», disse lei, facendo spallucce, prima di bere l'ultima sorso di tè.

Draco posò la sua tazzina, proprio mentre Hermione faceva lo stesso e rimasero a guardarsi per qualche secondo.

«Cosa?», chiese Hermione, portandosi una mano ai capelli, sentendosi leggermente a disagio sotto lo sguardo attento del ragazzo.

«Hai lasciato quei due bottoni slacciati apposta, vero?», sussurrò lui, gli occhi che scendevano, non per la prima volta da quando era arrivata, ad osservare il corpo della ragazza.

Hermione si morse appena il labbro inferiore, poi annuì, decisa ad essere sincera: «Mi piace stuzzicarti», ammise.

Draco sorrise e si alzò, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi, poi la condusse fino alla camera da letto dove, con un incantesimo veloce, accese le candele profumate che aveva sparso su ogni superficie disponibile.

«Non ti facevo tanto romantico», disse lei, stupita.

Draco la abbracciò da dietro e appoggiò il mento sulla spalla della ragazza: «Ho comprato un orribile teiera gialla solo perché mi fa pensare a te, penso che tu abbia sottovalutato il livello di romanticismo a cui potrei arrivare, se solo m'impegnassi...»

Le labbra di Draco iniziarono a riempire il collo della ragazza di baci dolci, mentre lei gemeva piano: «Credo che tu abbia ragione, ti ho sottovalutato».

Hermione sciolse l'abbraccio, in modo da potersi voltare e osservare Draco negli occhi.

Appena i loro sguardi s'incrociarono, Hermione iniziò a slacciarsi la camicia, fino a mostrare il seno nudo, privo della copertura del reggiseno, al ragazzo. Poi si sfilò la gonna e rimase con addosso un semplice paio di mutande nere.

Draco si spogliò a sua volta, senza perdere il contatto visivo con Hermione, che stava indietreggiando lentamente, attenta alle candele a terra, verso il letto.

Si rotolarono sul materasso a lungo, facendosi il solletico, stuzzicandosi e dandosi piacere reciprocamente, fino a quando, sudati e impazienti, non smisero di giocare.

Hermione era sopra di lui e Draco osservava i movimenti lenti e seducenti della ragazza — della sua ragazza — con desiderio e ammirazione.

Le mani di lei erano strette intorno alle spalle di lui e ogni tanto lasciavano la presa per scorrere sul petto imperlato di sudore del ragazzo — del suo ragazzo — o per accarezzare quel volto i cui lineamenti erano stravolti da un piacere tanto forte da non poter essere descritto a parole.

Quando Hermione aumentò la velocità dei suoi movimenti, alla rincorsa di quello che, ne era certa, sarebbe stato uno dei migliori orgasmi della sua vita, Draco portò una mano sul suo seno, a stuzzicare quel capezzolo turgido, che sembrava implorarlo di essere toccato.

Una volta che entrambi ebbero raggiunto il picco massimo di piacere, si accasciarono sul materasso, stretti, i respiri che si mescolavano e gli occhi troppo appesantiti dall'orgasmo per riuscire a stare aperti.

«Non so se avrò le forze per cucinare», disse Draco, mentre cercava di prendere profondi respiri, per calmare il suo cuore impazzito.

«Possiamo ordinare qualcosa d'asporto», lo rassicurò Hermione, iniziando a giocare con i fini capelli biondi del ragazzo, il cui volto era sepolto contro il suo petto.

«Oppure potrei mangiare te per il resto della sera», propose lui, spostando le dita esperte verso il clitoride ancora sensibile della ragazza.

Lei gemette, poi rise: «Non pensi che avrai bisogno di vero cibo primo o poi?»

«Forse, ma prima vorrei vedere quante volte riesco a farti venire in un'ora, usando solo la bocca».

Hermione sentì un brivido attraversarle la schiena e si ritrovò incapace di dire alcunché, mentre il volto del ragazzo lasciava la pelle del suo petto, spostandosi verso il basso.

«Io dico quattro, tu?»

«Quattro cosa?», chiese lei, mordendosi le labbra per non gemere quando sentì il respiro di Draco contro la carne bollente della sua intimità.

«Quattro orgasmi in un'ora. Tu che dici?»

«Due».

«Pensavo dovessi smettere di sottovalutarmi, Hermione», disse lui, sorridendo con malizia: «Pronta a perdere?»

Hermione smise di pensare, nell'istante in cui la bocca di Draco inizia a riempirla di attenzioni.



 

***

Buonasera popolo di EFP!

Come molti di voi sono certa si aspettassero, da un po' ormai, finalmente Hermione ha scoperto la famosa teiera gialla comprata da Draco, nel primo capitolo di questa storia. 

Teiera che le ha dato la conferma, nel caso avesse avuto ancora dei dubbi al riguardo, sulla sincerità dei sentimenti provati da Draco, anche se non ancora espressi a voce.

So che non vedete l'ora che si confessino amore eterno, ma concedete loro ancora un po' di tempo, in fondo si sono ritrovati da meno di tre settimane e in amore non bisogna essere troppo avventati... o almeno credo.

Sembra comunque che le cose vadano a gonfie vele: sono felici, non hanno segreti tra di loro e le uniche ombre sono la cena alla Tana, che potrebbe portare scompiglio, e la determinazione del signor Greengrass a rovinare la vita di Draco. 

Voi come pensate che si risolverà la questione?

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cose ne pensate!

Come sempre, ricordo che mi potete trovare anche su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp, e nel caso foste interessati a sostenermi con un simbolico caffè, trovate il link della mia pagina Ko-fi nella mia bio.

Un bacio,

LazySoul

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Cena alla Tana ***


25. Cena alla Tana
 



Hermione Granger, con indosso un vestito blu, che le era stato regalato da Ginny l'anno prima, bussò alla porta d'ingresso della Tana, sistemandosi un'ultima volta, con un gesto nervoso, una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Fu la signora Weasley ad accoglierla in casa, inglobandola in un abbraccio materno che quasi la commosse.

«Oh, cara, sono così felice di vederti!»

Hermione sbirciò oltre la spalla di Molly e s'irrigidì, notando numerosi occhi puntati su di sé.

C'era ovviamente il signor Weasley, che le sorrideva con affetto e si stava avvicinando per liberarla dalla stretta mortale della moglie, poi c'erano George con al fianco Angelina, Ginny con Harry, Percy con Audrey, la quale sfoggiava un pancione che Hermione era certa non ci fosse l'ultima volta che si erano viste, a Natale, Bill con la bellissima Fleur, tra le braccia della quale c'era la piccola Victoire.

Gli occhi di Hermione si fissarono in quelli chiari di Ronald e, prima che lui potesse distogliere lo sguardo, la ragazza poté leggervi chiaramente il senso di colpa e l'imbarazzo.

Era stato il suo ex ragazzo a farle credere che alla cena fossero stati invitati solo loro due, invece alla Tana era presente l'intera famiglia Weasley quella sera.

Hermione rifletté che quell'imprevisto poteva essere sfruttata a suo vantaggio: con così tante persone presenti, Molly avrebbe avuto meno tempo da dedicare a lei e Ron, il che avrebbe portato a meno domande scomode a cui dover rispondere.

Il lato negativo era che avrebbe dovuto recitare la parte della fidanzatina innamorata di fronte a più spettatori di quanti avesse pensato inizialmente, ma era convinta di potercela fare senza troppi problemi.

«Hermione, cara, sei incantevole!», disse Molly, una volta che la liberò dall'abbraccio ed ebbe effettivamente la possibilità di osservare l'aspetto della ragazza: «Il blu ti dona».

Dopo l'estenuante giro di baci e abbracci e saluti e cenni del capo, Hermione si trovò accanto a Ronald, appoggiata alla patere della sala da pranzo. Il ragazzo le diede un bacio sulla guancia, e le sussurrò appena un grazie all'orecchio, prima di raggiungere Harry e iniziare a discutere di lavoro.

Hermione si sentì leggermente più tranquilla, rispetto a come si era sentita quando aveva — poco prima, una volta entrata nella Tana — lasciato vagare lo sguardo e si offrì di dare una mano alla signora Weasley in cucina.

Nell'arco di pochi secondi Hermione si trovò con Victoire tra le braccia, mentre Fleur si affrettava verso il bagno, e Audrey e il suo enorme pancione accanto a sé.

«Congratulazioni, a che mese sei?», chiese Hermione, nel tentativo di fare conversazione con la moglie di Percy.

«Settimo».

Hermione sorrise e posò gli occhi su Victoire, che stava giocando con una ciocca dei suoi ricci.

Prima che potesse lamentarsi e dirle di smetterla, la bambina venne presa tra le braccia di George, che se la mise in spalle e iniziò a portarla in giro per la cucina e la sala da pranzo, facendola ridere di gusto.

Hermione sospirò, si guardò intorno e le sembrò quasi di sentirsi soffocare in quel piccolo ambiente, circondata dalla famiglia a cui aveva voltato le spalle, quando aveva lasciato Ronald.

Le sembrava ingiusto trovarsi lì, si sentiva un'intrusa che godeva del calore di un affetto che non meritava più.

«Ho scelto proprio bene! Questo vestito ti sta d'incanto», disse Ginny, affiancandola e porgendole un bicchiere di quello che Hermione scoprì essere idromele.

«Grazie», la riccia abbassò lo sguardo sul proprio corpo, fasciato in quel tubino blu e pensò a Draco; era certa che quell'abito sarebbe piaciuto molto anche a lui.

«Come vanno i preparativi per le nozze?»

Fu certa di aver scelto il giusto argomento di conversazione, quando il viso di Ginny s'illuminò e le parole iniziarono a sgorgare, implacabili e infinite, dalle sue labbra.

«Sono stata da Zabini per vedere come procede l'abito e devo dire di essere a dir poco innamorata, non vedo l'ora che sia terminato per fartelo vedere! Comunque sono sempre più convinta che Zabini sia pazzo, sono abbastanza certa di aver visto un cocomero in una culla, l'ultima volta che sono stata nel suo studio...»

Hermione sorrise divertita; Draco le aveva parlato di Cocomero e di quanto l'amico fosse ossessionato da quel finto bambino.

«Sono certa che tu abbia visto bene, Zabini è a dir poco stravagante», disse Hermione, certa che Blaise Zabini avrebbe considerato un grande complimento, un commento simile.

«Stravagante, ma geniale», aggiunse Ginny, prima di lanciarsi nel racconto di come fosse dovuta andare di persona, tre volte, dal fioraio che aveva scelto per le nozze, per ricordare al proprietario tutti i dettagli, dato che l'uomo, un signore molto anziano, aveva problemi d'udito e ogni volta sembrava capire male e portarle campioni di bouquet sbagliati.

«A tavola!»

Il richiamo della signora Weasley, distolse Ginny dal suo racconto, portandola a dirigersi con passo spedito verso il tavolo imbandito.

Ci fu un momento di confusione, poi, quando tutti gli invitati riuscirono a trovare il loro posto a tavola, Molly arrivò con il pasticcio di carne, le patate arrosto, il fish pie e il pudding dello Yorkshire.

Iniziarono a mangiare nel più completo silenzio, poi Harry e Ron, ai lati di Hermione, tornarono a discutere di lavoro, tra un boccone e l'altro, Molly chiese a Ginny del matrimonio e a Audrey della gravidanza, Arthur domandò a George come andasse il lavoro e Angelina iniziò a chiacchierare con Fleur.

Mentre soffiava sulla porzione di fish pie che si ero servita, Hermione si sentì in pace e si alienò, per qualche minuto, dalle conversazioni che la circondavano.

Si chiese come si sarebbe sentito Draco, se l'avesse invitato ad una cena simile, probabilmente non sarebbe stato a suo agio in un primo momento, ma più ci pensava, più riusciva figurarsi Draco parlare dei suoi recenti acquisti nel mondo babbano con il signor Weasley e congratularsi con Molly per il pasticcio di carne, mentre dondolava Victoire sulle gambe, facendola ridere. 

Era talmente affascinata da quell'immagine, che ci mise qualche secondo di troppo a voltarsi verso Harry, che le stava sussurrato all'orecchio: «Visto che le cose con Ron si sono sistemate? Sapevo che la vostra rottura non sarebbe durata».

Hermione sorrise appena e borbottò un poco convinto: «Già», prima di tornare al proprio pasto.

Ascoltò distrattamente le conversazioni intorno a lei, rise quando George raccontò una barzelletta e si fece seria quando Harry raccontò della recente missione in Cina.

Per tutto il tempo, non riuscì a togliersi di dosso la sensazione di essere un'intrusa, sentimento che si amplificò, quando Molly decise di concentrare tutta la sua attenzione su lei e Ronald.

«Sono molto arrabbiata con te, Ronald Bilius Weasley! Quando hai intenzione di rendere la tua mamma molto felice e fare di Hermione una donna onesta, eh? Non capisco voi giovani, che andate a convivere prima del matrimonio!»

Hermione aveva sentito più volte quel discorso, circa tre o quattro volte l'anno, da quando lei e Ron avevano iniziato a vivere insieme. Aveva sempre trovato un modo per tergiversare, inventando scuse; una volta aveva ricordato a Molly che i suoi genitori erano ancora da qualche parte in Australia e che lei ci teneva ad averli con sé il giorno delle sue nozze, un'altra volta aveva parlato del lavoro, di quanto tenesse sia lei che Ronald molto impegnati, un'altra ancora aveva detto di voler mettere prima da parte qualche soldo, così da poter organizzare la cerimonia dei suoi sogni.

Quella sera, Hermione aveva la scusa perfetta, ma aveva fatto una promessa e non poteva usarla, quindi si morse la lingua e scrollò le spalle, lanciando un'occhiata al su ex ragazzo, che sembrava incapace di formulare una frase di senso compiuto.

«Oh, Molly, siamo ancora giovani, abbiamo tempo», disse alla fine Hermione, prima di prendere un boccone di fish pie e sorridere: «Devo farti i complimenti: questa sera è tutto delizioso!»

«Tempo? Oh, cara, il tempo vola e prima che tu te ne renda conto il momento è passato e non tornerà più. Perché non sposarvi con Ginny e Harry? Non sarebbe meraviglioso?», propose mamma Weasley, un sorriso radioso in volto, mentre osservava la reazione di sua figlia.

«Non so se è fattibile...», disse Ginny, spostando lo sguardo pensieroso su Hermione: «Però potremmo provarci».

Hermione scosse il capo; non avrebbe mai privato la sua migliore amica del magico giorno, che stava organizzando da tanto tempo ormai: «No, quello è il tuo giorno, Ginny, non mi sognerei mai di rubartelo».

Ginevra sembrò sollevata nell'udire la risposta dell'amica, ma Molly non sembrava voler desistere: «Hermione, cara, ma cosa vai dicendo? Non ruberesti nulla! Non sarebbe grandioso condividere il giorno più importante con Harry e Ginny?»

Hermione Granger con gli occhi sbarrati dal terrore iniziò a scuotere il capo, incerta su come rispondere per non dare un dispiacere a Molly. Ronald al suo fianco, rosso in viso, sembrava aver perso la parola e Harry, bianco come un cencio, sembrava a sua volta incerto su come reagire all'insistenza di Molly.

«Certo, mamma, ma se non vuole non puoi costringerla. Stiamo parlando del suo e del mio matrimonio, non del tuo», disse Ginevra piccata, osservando con sguardo torvo sua madre.

Molly fece una smorfia delusa e scrollò le spalle: «Lo so, però... Una madre non può che sognare la felicità per i suoi figli ed è evidente che Hermione rende felice il mio Ron. Tutto quello che vorrei è che ufficializzassero la loro relazione...»

Hermione, scombussolata, si rese conto di non poter rimanere in quella stanza, dove troppe paia di occhi erano fissi su di lei, un minuto di più. 

Farfugliando delle scuse, si alzò e si diresse verso la porta d'ingresso, ignorando gli sguardi apprensivi degli altri ospiti.

Una volta in cortile prese un profondo respiro e cercò di calmare il battito impazzito del suo cuore e l'ansia che le opprimeva il petto.

Hermione sapeva fin dall'inizio che partecipare a quella cena non sarebbe stata una buona idea, e si malediceva per aver dato retta a Ronald e aver acconsentito a recitare quell'assurda parte.

Per quanto amasse ogni membro della famiglia Weasley, non era più una di loro, e in fondo, forse, non lo era mai veramente stata.

Aveva amato Ronald, o meglio: aveva creduto di amarlo e si era aggrappata a quell'illusione, tanto che aveva finito col convincersene.

Ma lei e Ronald non erano compatibili e avrebbe dovuto ringraziare Draco, per averle permesso di aprire gli occhi e vedere la realtà dei fatti.

«Hermione, stai bene?»

Ron si trovava sulla porta e tirava nervosamente le maniche del proprio maglione, mentre osservava la sua ex ragazza camminare confusamente in giardino.

«Ti sembra che io stia bene, Ronald?»

Hermione sbottò e si sentì per qualche secondo in colpa per il tono di voce brusco che le era sfuggito, poi si ricordò che era colpa del ragazzo — che, a pochi passi da lei, sembrava volersi sotterrare piuttosto che parlarle — se si trovava in quell'assurda situazione e il senso si colpa svanì.

«Mi dispiace per mamma, lo sai com'è fatta».

Hermione non rispose e continuò ad andare avanti indietro, irrequieta.

«Però forse ha ragione, forse se ci spossassimo smetteremmo di litigare tanto».

Hermione si bloccò e guardò Ronald, studiando i suoi lineamenti per cercare di capire se credesse davvero in ciò che aveva appena detto, poi scoppiò a ridere.

«Non puoi essere serio», disse tra uno scoppio di risa e l'altro, portandosi una mano al fianco, che aveva cominciato a farle male.

«Perché no? Io ti amo, tu mi ami. Potremmo tornare insieme e sistemare le cose e magari sposarci in autunno».

L'ilarità scomparve con la stessa velocità con cui era apparsa ed Hermione si sentì all'improvviso molto stanca.

«No», disse semplicemente, portandosi le mani sulle braccia, per scaldarsi dal vento freddo che si era alzato col calare del sole.

«No cosa?», chiese lui, spazientito, incapace di decifrare l'espressione sul volto della ragazza.

Hermione sollevò lo sguardo al cielo e ammirò per qualche instante la bellezza delle stelle in quello sfondo nero, poi prese un profondo respiro e rispose: «No, non torneremo insieme e no, non ci sposeremo in autunno».

«Perché no? Di cosa hai paura?»

«Paura? Io non ho paura, Ron. Vorrei ricordarti che sei tu quello che ha paura. Sei tu che sei venuto a chiedermi di recitare questa sera e fingermi ancora la tua ragazza di fronte alla tua famiglia, quindi non dare a me della codarda, quando non sei stato nemmeno in grado di dire ai tuoi genitori che io e te non stiamo più insieme».

«Miseriaccia, non l'ho fatto per paura, pensavo che questa serata potesse farti cambiare idea, ok?»

Hermione rimase senza parole a fissare il volto arrossato di Ronald, dove le lentiggini sembravano tante piccole ferite aperte.

«Pensavo che passare la serata con me e la mia famiglia potesse farti ricordare gli anni passati insieme... Speravo che potesse tornare tutto come prima».

Hermione aprì la bocca, pronta a parlare, poi la richiuse, rendendosi conto di non sapere bene cosa dire di fronte alla confessione di Ronald.

«Io non capisco, ok? Io ti amo, tu mi ami, perché non siamo felici?»

«Perché non ci amiamo abbastanza», disse Hermione, abbassando per qualche secondo lo sguardo, triste, prima di tornare ad osservare gli occhi limpidi di Ronald: «Ti voglio bene, tu e Harry sarete per sempre i miei migliori amici e questa casa sarà sempre un luogo a cui penso con affetto, ma io e te non siamo fatti per stare insieme, Ronald».

«Stronzate! Sei la donna della mia vita e io...»

Hermione scosse il capo: «No, Ron, non siamo fatti l'uno per l'altra. Ci siamo aggrappati l'uno all'altra in un momento di difficoltà, perché ci sentivamo soli e avevamo bisogno di un appoggio, di un luogo sicuro dove rifugiarci, ma non siamo destinati a stare insieme per sempre».

«Come fai ad esserne tanto certa?»

Hermione si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo, incerta se confessare a Ronald ogni cosa, compresa la sua relazione con Draco Malfoy.

«Non mi ami più quindi?»

«No, l'amore che provo per te non è tipo di amore che intendi tu, Ron».

Il rosso scosse il capo e la tristezza venne sostituita dal dolore, poi dalla rabbia: «C'è un altro? Sei innamorata di un altro?»

Hermione sospirò e si passò le mani sul viso, prima di tornare a sfregarsi le braccia per non patire troppo il freddo della notte: «Se anche fosse? Cosa cambierebbe?»

Ron sbarrò gli occhi e osservò Hermione come se fosse stata la prima volta che la vedeva: «Stai con un altro!? Chi è? Da quanto va avanti? Lo conosco? Non sarà quel Robert o Micheal che lavora con te?!»

Hermione, che non conosceva nessun Robert o Micheal, aggrottò la fronte, confusa, ma decise di limitarsi a scuotere la testa, prima di rispondere: «Non penso che la mia vita privata sia più affar tuo, Ronald».

«Miseriaccia, Hermione, dimmi chi è!»

Fu in quel momento che un movimento alle spalle di Ronald, fece notare ad Hermione i volti pallidi dei parenti del suo ex ragazzo, che osservavano la scena dalla finestra, con gli occhi sbarrati e le bocche socchiuse, dalle quali uscivano sussurri, che Hermione non riusciva a sentire.

«Non ti devo nessuna spiegazione, Ron. Comunque, se è questo che ti preoccupa: no, non ti ho mai tradito. Ora, se non ti dispiace, sono stanca di dare spettacolo, penso che tornerò a casa. Ringrazia i tuoi genitori per la cena e salutami gli altri. Stammi bene, Ronald».

Con quella parole, Hermione estrasse la bacchetta dalla tasca nascosta, che si trovava nella manica del vestito, e si smaterializzò a Diagon Alley.

Senza rendersene quasi conto raggiunse il palazzo dove si trovava l'appartamento di Malfoy e suonò il campanello. Quando non le rispose nessuno si ricordò che Draco doveva essere ancora a cena da Zabini e si lasciò cogliere dallo sconforto.

Incerta su come agire, estrasse dalla piccola borsa a tracolla il suo cellulare e chiamò il suo ragazzo.

Draco Malfoy, con in braccio Cocomero, stava ascoltando con scetticismo il racconto di Blaise, che si vantava di essere il migliore al corso che lui e Pansy avevano iniziato a frequentare, per prepararsi a diventare genitori.

«Sono il più veloce a cambiare pannolini, il migliore nel far fare il ruttino ai bambolotti e, ovviamente, sono quello che si veste meglio».

Pansy sollevò gli occhi al cielo: «Ed è anche il più modesto del corso», disse, facendo scoppiare a ridere il biondo.

Quando iniziò a squillare il cellulare di Draco, Cocomero si svegliò e Blaise accorse per riprendere il bambino, mentre Pansy si guardava confusa intorno, non capendo da dove provenisse quel suono.

Appena Draco rispose al telefono, tutto quello che Parkinson riuscì a dire fu: «Che diavoleria babbana è mai quella?», prima che Blaise le affidasse Cocomero e si sporgesse per origliare la conversazione di Draco.

«Ciao, Hermione, stai bene?»

Blaise lanciò un'occhiata allusiva a Pansy, alla quale la ragazza rispose con un sorrisetto divertito: Blaise e i pettegolezzi sarebbero sempre stati una coppia inseparabile.

«Ti raggiungo, dove sei?»

Zabini aggrottò le sopracciglia, pronto a far notare all'amico, che la cena non era ancora finita, quando Draco si voltò verso di lui e gli chiese: «Hermione potrebbe venire qua?»

Blaise ci rifletté per qualche secondo, poi scrollò le spalle e acconsentì, impaziente di poter studiare con attenzione il modo in cui il suo migliore amico e la sua nuova ragazza si sarebbero comportati.

Cinque minuti dopo, quando squillò il campanello, fu il padrone di casa, seguito da Draco Malfoy, ad aprire la porta d'ingresso.

Blaise accolse un'agitata Hermione Granger con educazione e ammirazione, affascinato dal modo impeccabile in cui le stava l'abito blu che indossava.

«Buonasera, Zabini, mi dispiace imporre la mia presenza, ma avevo bisogno di...»

Blaise la abbracciò, cogliendo alla sprovvista la ragazza, che impiegò qualche secondo prima di rispondere all'inaspettato gesto d'affetto.

«Non oso immaginare come possa essere passare la serata in una casa piena di Weasley, sei al sicuro ora», disse il moro, sorridendole affabilmente, prima di chiudere la porta di casa e di urlare ad Otto, il suo elfo domestico, di aggiungere un altro posto a tavola.

Hermione, confusa da quelle parole, si avvicinò a Draco, che le posò un braccio sulle spalle e le diede un bacio sulla guancia, sussurrandole all'orecchio: «Lascialo perdere, è convinto che i Weasley non abbiano buon gusto e che quindi casa loro deve essere poco piacevole alla vista e all'olfatto».

Hermione sorrise, divertita da quell'assurda idea, e si lasciò condurre da Draco verso la sala da pranzo, felice di trovarsi con lui, tra le sue braccia, avvolta dal suo profumo.

Diversamente da quanto Hermione Granger aveva temuto, prima di entrare in quella dimora sconosciuta, non si sentiva a disagio e Pansy e Blaise non fecero nulla per turbarla.

Fu interessante trascorrere del tempo con i migliori amici di Draco; Hermione si trovò ben presto a ridere di gusto, nell'assistere ai battibecchi dei due, e a godersi il dessert, una torta a base di datteri e caramello, servita con crema alla vaniglia.

Draco non si allontanò mai dal suo fianco, accertandosi che stesse bene e che la situazione non fosse troppo da sopportare per lei, dopo la disastrosa cena a casa Weasley.

Quando Cocomero si svegliò, pretendendo l'attenzione di Blaise, Hermione non commentò l'assurdità della scena, limitandosi a congratularsi con Otto, che in quel momento stava sparecchiando, per il dessert.

Pansy Parkinson non parlò della sua gravidanza ed Hermione non fece domande scomode, limitandosi a parlare di lavoro e altri argomenti leggeri, come il tempo e il prezzo sempre in aumento della metropolvere.

A fine serata, quando Hermione si scusò un attimo per andare in bagno, Blaise ne approfittò per dire all'amico, che la Granger, malgrado tutto, era una ragazza piacevole con cui passare il tempo e per questo approvava la loro unione. Pansy si limitò ad annuire, ma Draco era abbastanza certo di aver visto un sorriso sulle sue labbra, segno che la fredda Parkinson era davvero felice per lui.

Draco ed Hermione si smaterializzarono nell'appartamento di Malfoy, appena Blaise disse loro di aver bisogno di andare a letto presto per il proprio sonno di bellezza.

L'ex Serpeverde si fece raccontare tutto quello che era successo a casa Weasley, di fronte a una fumante tisana calda, mentre erano entrambi accoccolati sul divano.

Hermione si sfogò, condividendo con Draco il nervosismo, la rabbia e l'imbarazzo che aveva provato e Malfoy si trattenne dal commentare, limitandosi ad ascoltare ogni parola, poi mise da parte la tisana e la abbracciò.

E per Hermione fu strano sentirsi a casa circondata da quelle braccia, strano e dolce allo stesso tempo. Tanto strano e tanto dolce, che avrebbe voluto scoppiare a piangere.

 

 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci alla fine del venticinquesimo capitolo, che spero vivamente vi sia piaciuto!

Hermione affronta la temuta cena alla Tana, che si rivela essere particolarmente disastrosa, per poi concludere la serata con Draco, il quale la ascolta e le sta vicino.

Cosa ve ne pare? La storia sta continuando a piacervi? Cosa pensate che succederà nei prossimi capitoli?

Spero che abbiate tempo e voglia di farmelo sapere con una recensione!

Secondo un mio recente calcolo, non manca molto alla fine della storia, penso che arriverò ad un totale di trenta capitoli circa, non ne sono certa al 100%, ma ve lo inizio a dire per prepararvi psicologicamente.

Come sempre vi ricordo che potete trovarmi anche su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp, e nel caso voleste offrirmi un simbolico caffè, per supportare il mio lavoro, trovate il link alla mia pagina Ko-fi nella bio.

Un bacio,

LazySoul

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** La Gazzetta del Profeta ***


26. La Gazzetta del Profeta


 

Blaise Zabini si svegliò quel giovedì mattina più riposato che mai.

Durante la notte aveva affidato Cocomero alle amorevoli cure di Otto, per non rischiare di rovinare il proprio riposino di bellezza e non vedeva l'ora di iniziare la nuova giornata con l'entusiasmo di sempre.

Era da qualche giorno che Astoria Greengrass, che lui continuava a chiamare Greeny Due — quando parlava di lei a Pansy e Draco — lavorava per lui e il moro doveva ammettere, che la ragazza era particolarmente portata nel trattare con i clienti e farli sentire a loro agio.

Da quando aveva assunto in prova l'ex compagna di Serpeverde, le vendite erano aumentate esponenzialmente e il moro aveva iniziato a chiedersi se le scarse vendite precedenti fossero in qualche modo legate ai suoi modo bruschi o alla sua aria di superiorità, che sfoggiava ogni volta che un cliente metteva piede nel suo Atelier.

Non poteva esserne certo, in fondo poteva anche essere un caso; quello che era certo era che aveva intenzione di tenersi stretta Greeny Due e non lasciarla andare mai più.

Incredibile come guadagnare qualche galeone gli avesse fatto cambiare completamente opinione sull'ex compagna di Serpeverde.

Aveva finito coll'apprezzare anche il suo modo di vestire e la sua riservatezza; da quando aveva iniziato a lavorare per lui, non gli aveva chiesto nemmeno una volta di Cocomero e del motivo per cui lui e Pansy si cedessero a turni il bambino.

Blaise sospirò e scostò le coperte, sedendosi sul bordo del letto.

Quel giorno avrebbe affrontato, per l'ennesima volta, un discorso che gli stava molto a cuore e di cui Pan non sembrava afferrare l'importanza.

Aveva provato a spiegarle in precedenza, che passarsi Cocomero come se fosse un giocattolo, rischiava di segnarlo a vita e fargli credere che i suoi genitori non si volessero abbastanza bene da vivere insieme, ma la ragazza si era limitata a fargli notare che quello per cui si stava preoccupando era soltanto un cocomero e aveva chiuso la questione dandogli del pazzo.

Blaise a volte proprio non riusciva a capire come funzionasse la mente di Pansy, ma la cosa non lo tormentava più di tanto: non doveva per forza capirla per amarla profondamente e rispettarla.

Quel giovedì avrebbe risollevato l'argomento e magari avrebbe avuto abbastanza coraggio da proporle, una volta per tutte, di trasferirsi da lui o magari di permettergli di trasferirsi da lei; l'attuazione di una delle due opzioni, non importava quale, avrebbe reso Blaise oltremodo felice.

Una volta in piedi, si vestì con la solita attenzione ai dettagli, selezionando una camicia gialla, che si accostava magnificamente alla sua carnagione, con volant sul davanti e i polsini a sbuffo, prese poi dei pantaloni a vita alta color pervinca dal taglio semplice e dei mocassini scamosciati.

Ammirò la sua immagine riflessa e come ultimo tocco si disegnò il contorno occhi con il kajal.

Tentennò brevemente, poi usò un incantesimo per modificare il colore dello smalto che gli colorava le unghie, trasformando il nero in un allegro celeste.

Una volta in sala da pranzo, recuperò dalle braccia di Otto, Cocomero, al quale sorrise amabilmente, iniziando a raccontargli tutto quello che avrebbero fatto insieme quel giorno, prima che Pansy sarebbe arrivata a prenderlo, per portarlo a casa sua.

Otto gli portò ben presto la colazione, accompagnata dalla Gazzetta del Profeta e la posta del giorno, il tutto riposto su un elegante vassoio d'argento.

Mentre con un braccio reggeva il peso di Cocomero, con l'altra mano scorse velocemente le buste sul vassoio, poi le raggruppò e le porse a Otto, chiedendogli gentilmente di leggerle per lui e di informarlo delle informazioni più importanti, tralasciando tutto il resto.

L'elfo domestico conosceva abbastanza il suo padrone da sapere per certo quali erano le lettere che Zabini avrebbe ritenuto importanti e iniziò subito ad aprire le buste e a leggere.

Dopo aver sistemato Cocomero nella culla accanto al tavolo, in modo da poterlo tenere d'occhio durante la colazione, Blaise afferrò la tazzina del caffè, tenendo ben alto il mignolo e iniziò a sorseggiarlo.

Con l'altra mano spostò il giornale, in modo da poter leggere la prima pagina della Gazzetta del Profeta.

Rischiò di sputare il sorso di caffè che aveva appena bevuto, quando notò l'enorme foto che occupava gran parte della pagina e il titolo che la sormontava.

Posò la tazzina con gesti impacciati, rovesciandone parte del contenuto sul vassoio d'argento e quindi sul giornale, poi si alzò in piedi e corse a recuperare il cappotto.

«Otto, esco prima oggi, mi parlerai delle lettere più tardi», disse, indossando con gesti febbrili il suo Chesterfield color panna, regalatogli da Malfoy per il suo compleanno.

Fece giusto in tempo a mettere un piedi fuori casa, quando si ricordò di Cocomero e tornò indietro per recuperarlo e stringerselo al petto, mentre con l'altra mano afferrava la copia della Gazzetta del Profeta, che sgocciolava in giro caffè.

«Padrone...», cercò di dire Otto, tra le mani una lettera della signora Zabini, che aveva tutta l'aria di essere molto importante; ma Blaise era già uscito di casa e l'elfo non poté fare altro che sospirare e iniziare a pulire.

Blaise Zabini corse per le vie di Diagon Alley, evento da considerarsi più unico che raro, dato che era solito pensare di dover sempre fungere da esempio di stile ed eleganza per il resto del Mondo Magico. Quel giorno però era di fretta e doveva mettere da parte l'eleganza e cercare di non pensare troppo a come dovessero apparire i suoi capelli, in quel momento.

In realtà, agli occhi delle persone che urtò quella mattina, i capelli parvero impeccabili, quello che lasciava loro basiti e incuriositi era il cocomero, che il ragazzo teneva tra le braccia.

Quando Blaise Zabini arrivò a destinazione, suonò il campanello, tenendo premuto il dito per un tempo a dir poco illegale, e quando il portone si aprì, corse su per le scale, con il fiato che iniziava a mancargli nei polmoni.

Arrivato di fronte al giusto appartamento, trovò la porta socchiusa, che aprì con gesto teatrale, annunciando la propria presenza con un: «Non crederai mai a cosa è successo!»

Draco Malfoy sussultò, versandosi parte del tè bollente sulla mano, mentre Hermione, seduta di fronte a lui si voltò incuriosita ad osservare il moro, che col volto paonazzo, stringeva tra le braccia Cocomero e un giornale.

Malfoy posò la tazza di tè e osservò con un misto di rassegnazione e fastidio l'amico: «Sentiamo, cosa c'è di così importante da portarti qui, alle sette e mezza di mattino, a disturbare la nostra colazione?»

Hermione lanciò uno sguardo di sottecchi al proprio ragazzo, un dolce sorriso le era apparso sulle labbra nel sentire quel "nostra".

«Siete sulla prima pagina della Gazzetta del Profeta!»

Blaise posò il giornale incriminato sul tavolo su cui Draco ed Hermione stavano facendo colazione, e prese a cullare Cocomero, che aveva scelto proprio quel momento per iniziare a piangere.

La coppia, coi volti pallidi per l'apprensione, osservò con gli occhi sbarrati la prima pagina della Gazzetta del Profeta.

«Non ci credo», sussurrò Hermione, coprendosi il viso con le mani, mentre Draco prendeva il giornale per cercare la pagina dov'era riportato l'intero articolo.

«Ci sono altre foto», disse, mostrandole a Hermione, la quale non poteva fare altro che scuotere la testa, sconvolta.

«Chi può esser stato?», chiese Draco, senza riferirsi a nessuno in particolare, per poi sollevare lo sguardo e osservare attentamente Blaise, che sembrava esser riuscito a calmare il frutto che stringeva tra le braccia.

«Mi offende il fatto che tu pensi, che io possa fare una cosa simile», disse il moro, sollevando il naso e il mento al cielo, con aria addolorata.

«Il signor Greengrass», disse Hermione, mordendosi nervosamente il labbro inferiore: «Ti aveva detto che si sarebbe vendicato, questo è il suo modo per vendicarsi».

Draco osservò il volto di Hermione, non per la prima volta, affascinato dalla sua capacità di deduzione.

«E cosa spera di ottenere?»

«Davvero non capisci?», chiese Hermione, appoggiandosi allo schienale della sedia, la gamba destra che non riusciva a stare ferma e si muoveva su e giù per il nervosismo: «È uno scandalo: tu sei uno dei pochi maghi al Mondo che può vantare un albero genealogico impeccabile, sei il purosangue per eccellenza e frequenti me, una Nata Babbana».

Draco scrollò le spalle: «Lo sai che non m'importa».

Blaise Zabini si sentì all'improvviso di troppo, ma non si mosse, troppo avido di pettegolezzi e dramma per anche solo pensare di andare via in un momento simile.

Hermione si sporse sul tavolo e afferrò la mano destra di Draco, avvicinandosela al viso, così da lasciarvi un bacio: «Lo so, Draco, ma questo il signor Greengrass non lo sa, pensa che comunicando al mondo intero questo scandalo, tu torni da lui strisciando, per implorarlo di poter nascondere la vergogna con un matrimonio combinato».

Draco annuì, pensieroso, e mosse la mano, intrappolata tra quelle di Hermione, per intrecciare strettamente le loro dita.

«Non gli permetterò di allontanarci», disse Draco, gli occhi chiari fissi in quelli scuri e colmi di affetto di Hermione.

«Me lo prometti?», chiese l'ex Grifondoro, terrorizzata da quello che quella prima pagina avrebbe potuto significare per la loro relazione.

«Te lo prometto».

«Non vorrei rovinare questo bellissimo quadretto, ma mi chiedevo: cosa si fa ora?», chiese Blaise, spostando l'attenzione della coppia su di sé.

«Mia mamma è alla casa al mare e dovrebbe restarci per una settimana ancora...», Draco posò nuovamente lo sguardo su Hermione: «Penso che dovrai dare qualche spiegazione ai tuoi amici».

La ragazza annuì e sospirò: «Sarà una lunga giornata».

In quel preciso momento, Ginevra Weasley stava per uscire di casa. 

Harry era andato al lavoro presto quel giovedì mattina, salutandola con un bacio sulle labbra e un buffetto sulla guancia.

Ginny, con addosso dei pantaloni dal taglio raffinato e un maglione verde mela, stava per prendere la metropolvere per raggiungere Diagon Alley, diretta per l'ennesima volta dal fioraio, il signor Kelly, per decidere una volta per tutte quale composizione ordinare per il matrimonio.

Era ancora indecisa tra le begonie bianche o le calle, e la colpa era del fioraio, che continuava a proporle composizioni impeccabili, ma diverse da quelle da lei richieste.

Una volta a Diagon Alley si fermò a comprare la Gazzetta del Profeta in un chiosco e se la mise sotto braccio, decisa a leggerla una volta che avesse risolto dal fioraio.

Il signor Kelly l'aspettava con un enorme sorriso e l'ennesima composizione floreale, bellissima e impeccabilmente equilibrata, ma diversa da quella che lei aveva ordinato

«Buongiorno, signorina, cosa ne pensate di questa?»

Ginevra Weasley non si lamentò, come aveva fatto le volte precedenti, forse perché, malgrado non ci fossero le rose bianche da lei richieste, quella composizione era talmente bella e raffinata da farla commuovere.

«Sono senza parole», ammise e pensò che avrebbe voluto condividere quel momento con Hermione, per chiederle un parere genuino sul bouquet.

Pensare all'amica la rattristò; era dalla cena alla Tana che non si parlavano.

Ginevra era stata particolarmente presa dal lavoro e dai preparativi per le nozze, nell'ultima settimana, e solo in quel momento si rese conto di non aver mandato la lettera che voleva spedire ad Hermione, per proporle di chiacchierare dell'accaduto di fronte a una tazza di cioccolata calda.

Ginny si adombrò per qualche secondo, poi decise che avrebbe mandato la lettera a Hermione quel giorno stesso, invitandola da lei nel pomeriggio.

«È perfetta», disse Ginny, prima di pagare un acconto al signor Kelly e assicurarsi che l'uomo scrivesse l'ordine correttamente.

In mattinata voleva passare anche da Zabini, per andare a controllare come procedeva la confezione del suo abito da sposa, ma decise di viziarsi e prendere un tavolo in un café elegante, dove ordinò un pain au chocolat e un latte caldo.

Mentre attendeva la seconda colazione di quel giovedì mattina, aprì a casaccio il giornale, abituata a saltare la prima pagina, sempre troppo vistosa per i suoi gusti, per andare a leggere la sezione dedicata allo sport.

Le informazioni sul Quidditch non erano particolarmente interessanti quel giorno, forse perché la stagione delle partite non era ancora iniziata e parlare degli scandali tra giocatori sembrava essere l'unica occupazione dei giornalisti, in quel periodo.

Quando arrivarono il latte e il pain au chocolat, chiuse il giornale, appoggiandolo sul tavolino, dedicandosi alla colazione.

L'aria era ancora fresca e le nuvole, che si rincorrevano in cielo, minacciavano costantemente pioggia, ma Ginevra si era resa conto dell'imminente risveglio della natura e dell'arrivo della primavera e si rallegrava, all'idea di poter osservare presto fiori sbocciare ad ogni angolo.

Proprio quando distolse lo sguardo dal viavai di maghi e streghe lungo Diagon Alley, l'occhio le cadde su parte della prima pagina della Gazzetta del Profeta e il titolo le fece aggrottare le sopracciglia per la curiosità.

Posò la tazza di latte e spiegò il giornale, rimanendo a bocca aperta e occhi sbarrati per lunghi secondi.

Se poco prima, dal fioraio, aveva sentito l'urgenza di scrivere a Hermione, in quel momento quell'urgenza era diventata una priorità.

Poco distante da dove si trovava Ginevra, nel quartiere generale degli Auror, Ronald Weasley ed Harry Potter stavano uscendo dalla sala in cui avevano passato le ultime due ore ad interrogare il maggior indiziato per un contrabbando illegale di Pozione Anti-Dolore.

Erano entrambi stremati e nervosi e non si tirarono indietro, quando una loro collega propose loro di prendere un caffè insieme.

L'aria sapeva di cavoli e formaggio, nella stanza adibita a caffetteria e Ronald storse il naso.

«Incredibile che si sia ancora questo odore», disse Harry, scuotendo sconsolato la testa.

Lewa Tangara sorrise e si legò i lunghi capelli intrecciati in fini treccine in una coda alta: «Ho sentito dire che è frutto di una maledizione».

Ron sorrise, sorseggiando il suo caffè americano: «E chi è la mente malvagia che potrebbe aver lanciato una maledizione simile?»

«Mio zio Vernon», disse Harry, facendo scoppiare a ridere Lewa e Ronald.

Era ormai tradizione per Harry inserire suo zio Vernon in ogni conversazione, aveva scoperto che faceva ridere i colleghi e a lui non dispiaceva sollevare gli animi al lavoro, ogni tanto.

Sul tavolino della caffetteria, qualcuno aveva abbandonato la Gazzetta del Profeta del giorno, di cui Lewa si impossessò, per cercare la sezione dedicata alla musica.

Ronald si scusò per andare in bagno, lasciando il suo caffè non ancora terminato sul bancone, mentre Harry sollevò lo sguardo, per sbirciare la prima pagina della Gazzetta del Profeta.

Il caffè che stava bevendo gli andò di traverso e si bagnò la divisa da Auror che indossava, mentre osservava con gli occhi sbarrati, oltre alle lenti degli occhiali tondi, la foto in movimento che occupava gran parte della pagina.

Quando Ron tornò dal bagno, Harry era ancora senza parole.

«Harry, ma che diavolo...?»

Le parole morirono sulle labbra di Ronald, mentre sussultava, alla vista della foto che raffigurava Hermione, la sua Hermione, mentre si sporgeva per baciare qualcuno che non era lui.

A causa dello shock impiegò qualche secondo a rendersi conto che quel qualcuno lui lo conosceva molto bene; quel qualcuno era Draco Lucius Malfoy.

Il titolo a caratteri cubitali che sormontava la foto era: "Amore segreto tra ex Mangiamorte ed eroina del Mondo Magico", nel trafiletto indicavano ulteriori approfondimenti a pagina cinque.

Ron si appoggiò con un braccio al bancone, incredulo di fronte alla prima pagina della Gazzetta del Profeta.

Per quanto quella vista lo facesse soffrire, non riusciva a distogliere lo sguardo e continuò a guardare la foto ancora e ancora, studiando il modo in cui Hermione, con un enorme sorriso, si sporgeva per lasciare un bacio proprio sulle labbra di Malfoy, che in risposta le accarezzava una guancia e apriva bocca per dire qualcosa.

Poi l'immagine tornava al punto di partenza: Hermione e Malfoy sorridenti, il bacio, la carezza.

Hermione e Malfoy sorridenti, il bacio, la carezza.

Ron chiuse con forza gli occhi, eppure quella sequenza sembrava esserglisi impressa a fuoco nelle retine e continuava a proporglisi con arroganza, facendolo sentire sempre più svuotato e spossato.

«Tu lo sapevi?», chiese alla fine a Harry, il quale si era appena pulito la divisa con un incantesimo ed era tornato a sorseggiare il suo caffè, con gli occhi persi ad osservare il muro bianco.

Il Salvatore del Mondo Magico scosse il capo: «No, non ne sapevo niente».

Lewa smise di leggere l'articolo sulla recente rottura delle Sorelle Stravagarie e posò il giornale.

«Tutto bene?», chiese, notando le espressioni tese e pallide dei colleghi.

Harry scosse il capo e Ron si coprì il volto con le mani.

A molti chilometri di distanza, a poca distanza da Wadebridge, in Cornovaglia, il sole splendeva a Port Isaac, rendendo la piccola baia ancora più pittoresca del solito.

Un gufo reale entrò dalla finestra socchiusa di un antico cottage e abbandonò nelle mani di Birdie, un'elfa domestica, una copia della Gazzetta del Profeta di quel giorno.

Birdie diede degli avanzi di carne al gufo, poi posizionò il giornale su un vassoio d'argento e portò la colazione in sala da pranzo.

Narcissa Black in Malfoy, con addosso una vestaglia color menta, osservava distrattamente la baia, dalla finestra della propria camera da letto, mentre pensava a suo figlio.

Più tempo passava, più le sembrava che Draco non fosse felice, tanto che aveva pensato più volte di suggerirgli di fare lui stesso una vacanza, per allontanarsi dalla frenesia di Londra.

Aveva pensato che la sua sofferenza potesse esser dovuta al fidanzamento con la giovane Greengrass, ma non aveva mai avuto il coraggio di affrontare l'argomento con lui; anche se non le erano di certo sfuggite le patetiche scuse a cui si aggrappava Draco pur di non sposarsi con la ragazza.

Mentre osservava il mare, Narcissa si chiedeva cosa avrebbe potuto fare per rendere felice suo figlio.

In quel momento entrò Birdie: «La colazione è pronta, signora», disse, tenendo lo sguardo basso, mentre si lisciava il tessuto liso dello straccetto che indossava.

«Arrivo, Birdie», disse Narcissa, scostandosi dalla finestra: «Il giornale?»

«È arrivato, signora».

«Molto bene», disse la signora Malfoy, chiudendo bene in vita la vestaglia, mentre seguiva Birdie nell'enorme sala da pranzo.

La donna si sedette di fronte ad una tazza fumante di tè verde, accompagnata da due toast imburrati e un uovo alla coque, riposto su un portauovo in argento, delicatamente decorato da altorilievi floreali. La Gazzetta del Profeta si trovava accanto alla colazione, ordinatamente piegata.

La signora Malfoy trovò subito le pagine dedicate ai pettegolezzi più piccanti e rimase a bocca aperta, quando si rese conto che suo figlio era il bersaglio dell'articolo a cui era dedicato più spazio.

«Birdie, prepara le valigie, voglio tornare al Manor entro questa sera», disse la donna, osservando con attenzione il sorriso di suo figlio, immortalato in quella foto, che lo ritraeva mano nella mano con Hermione Granger, eroina del Mondo Magico, amica di Harry Potter e Nata Babbana.




 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci alla fine di un capitolo molto importante, scriverlo è stato emozionante, spero che anche per voi, che lo avete letto, sia stato altrettanto coinvolgente.

Mi diverte molto scrivere capitoli con così tanti personaggi e i loro diversi punti di vista, e penso — modestamente — che mi vengano anche piuttosto bene, voi che dite?

Ovviamente nei prossimi capitoli avremo i confronti decisivi e definitivi. 

Draco manterrà la promessa fatta ad Hermione? Ginny, Harry e Ron accetteranno il fatto che Hermione stia con Draco, senza fare storie? E la signora Malfoy, come reagirà?

Questo e molto altro nei prossimi capitoli!

Come sempre ricordo che potete trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp e nel caso voleste offrirmi un caffè per supportare il mio lavoro, trovare il link per la mia pagina Ko-fi nella bio!

(In caso non sapeste cos'è Ko-fi: è un sito in cui "creators" come me possono essere supportati economicamente tramite l'acquisto di un "caffè virtuale" da parte di chi segue il creator, le transizioni avvengono tramite PayPal, quindi sono sicurissime)

Un bacio,

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Confronto ***


27. Confronto 

 

 

 

 

Quando quel fatidico giovedì pomeriggio Hermione ricevette una breve lettera da parte di Ginny, che la invitava a cena da lei ed Harry quella sera, la ragazza era certa che l'amica avesse visto la prima pagina della Gazzetta del Profeta. 

 

Non c'era nulla nella missiva che faceva riferimento all'articolo di gossip, eppure Hermione poteva intuire dalla concisione del messaggio e dal modo nervoso in cui sembrava esser stato scritto, che l'amica era a conoscenza del segreto, che per troppo tempo le era stato tenuto nascosto.

 

Rispose alla lettera affermativamente e mandò anche un messaggio tramite cellulare ad Harry, così da esser sicura che ricevessero entrambi la sua risposta.

 

Informò anche Draco dell'invito, dicendogli che non era certa sarebbe riuscita a raggiungerlo quella sera, ma che sperava vivamente di farcela, appena la cena si fosse conclusa.

 

Hermione Granger dopo aver indossato dei semplici jeans, un dolcevita e aver recuperato una bottiglia di vino rosso babbano, di cui Ginny andava matta, era fisicamente pronta per la serata che l'attendeva.

 

Da un punto di vista psicologico invece, si sentiva come una bambina messa di fronte ad un compito troppo difficile per la sua tenera età.

 

Si sentiva terribilmente in colpa per non aver detto nulla ai suoi amici, le dispiaceva che fossero giunti a conoscenza della sua relazione tramite un articolo su un giornale e non da lei, eppure non aveva senso piangere sul latte versato; non le rimaneva che parlare con loro e chiarire ogni cosa.

 

Hermione usò la metropolvere e si trovò nel camino di casa Potter-Weasley poco prima delle sette di sera.

 

 

Sentì Ginevra esclamare: «Vado io!», poi la sua amica comparve dalla cucina, indossava una semplice tuta e un grembiule e aveva i capelli rossi legati in una coda alta.

 

 

«Ciao, Hermione», disse la ragazza, appoggiandosi allo stipite della porta, che collegava la cucina al salotto.

 

«Ciao, Ginny, ho portato del vino», disse Hermione, uscendo dal camino e percorrendo quel salotto che conosceva come le sue tasche, fino a raggiungere l'amica.

 

Ginevra afferrò la bottiglia e si diresse in cucina, dove abbandonò il vino sulla tavola, già apparecchiata per quattro.

 

Hermione sospirò, quando si rese conto che il quarto posto doveva essere per Ronald e seguì l'amica fino ai fornelli, mantenendo una certa distanza di sicurezza; distanza che Ginevra sembrava necessitare in quel momento e che Hermione era disposta a concederle.

 

«Harry e Ron sono di sopra a parlare di lavoro, scenderanno a breve», disse Ginevra, mescolando con un cucchiaio di legno la purea.

 

Hermione annuì e smise di osservare la schiena della ragazza, studiando la disposizione dei posti a tavola: «È un'imboscata?»

 

«Siamo preoccupati per te, Hermione», sussurrò la rossa, voltando abbastanza il capo da poter lanciare una veloce occhiata all'amica.

 

«Davvero? E perché mai?», chiese Hermione, incrociando le braccia al petto, lo sguardo affilato fisso in quello genuinamente preoccupato di Ginevra.

 

«Abbiamo visto l'articolo», ammise finalmente la padrona di casa, voltandosi per affrontare faccia a faccia l'amica: «Per quanto tempo ancora pensavi di tenercelo nascosto?»

 

«Non lo so, probabilmente fino a quando avreste continuato ad avere stupidi pregiudizi», disse la riccia, scrollando le spalle.

 

Ginevra si sentì punta sul vivo e rimase per qualche secondo a corto di parole, prima di esplodere: «Pregiudizi, Hermione? Io non ho pregiudizi, ma ragionevoli preoccupazioni riguardo alla tua relazione con un ex Mangiamorte, un Serpeverde crudele e patetico che non ha pagato per ciò che ha fatto».

 

«E cosa avrebbe fatto, Ginny? Sentiamo, dato che tu non hai pregiudizi e sembri conoscerlo così bene: per cosa avrebbe dovuto pagare, secondo te?», chiese Hermione, con un tono di voce relativamente calmo, considerato l'argomento di conversazione.

 

«È un Mangiamorte!», disse Ginevra, scandendo ogni sillaba, come se avesse avuto davanti a sé una ragazza con qualche problema di udito e non la sua migliore amica: «Suo padre è un mostro! Sua zia...», un singhiozzo spezzò per qualche secondo la voce della ragazza: «Sua zia mi ha quasi uccisa!»

 

Hermione non abbassò lo sguardo e annuì: «Lo so, Ginny, e mi dispiace, ma questo cosa avrebbe a che fare con Draco?»

 

Ginevra, con gli occhi spalancati farfugliò per qualche secondo, poi le parole strariparono, come un fiume in piena: «"Cosa avrebbe a che fare con Draco?" Hermione, ma ti senti? Lo stai difendendo come se se lo meritasse, ti sei forse dimenticata tutto? Gli insulti, il sesto anno?»

 

Hermione per un attimo aggrottò la fronte, incerta su cosa "il sesto anno" avrebbe dovuto ricordarle, poi sorrise, ricordandosi che Ginevra non poteva sapere quello che c'era stato tra lei e Draco il sesto anno.

 

«Perché stai sorridendo? Ti fa tanto ridere ripensare a tutte le volte che ti ha chiamata "Sanguesporco" o "Mezzosangue"?», chiese Ginevra, sconvolta, incapace di capire.

 

«No, Ginevra, ma stai continuando a rinvangare cose di più di cinque anni fa, quando Draco era solo un ragazzo a cui erano state insegnate le cose sbagliate. Pensi davvero che starei con lui se fosse ancora così?»

 

 

Per la prima volta, da quando aveva iniziato a tormentarsi di non esser stata una buona amica, tanto da non esser riuscita ad impedire a Hermione di finire tra le grinfie di Malfoy, Ginny iniziò a tentennare e le spalle le si rilassarono leggermente.

 

«Se lo conoscessi ti renderesti conto che è molto diverso dal ragazzino borioso di un tempo», disse Hermione, un sorriso dolce ad incurvarle le labbra: «Al nostro primo appuntamento mi ha portata a cena nella Londra babbana. Ginny, ti rendo conto? La Londra babbana... Ci sono tante cose che non sai, perché te le ho tenute nascoste, proprio perché avevo paura di questa reazione... ma Draco non è il cattivo, non lo è mai veramente stato».

 

Ginevra si morse l'interno guancia e si sentì improvvisamente in colpa; aveva attaccato la sua migliore amica, convinta di doverlo fare per metterla di fronte alla realtà dei fatti, ma era stata lei a dover aprire gli occhi e rendersi conto che il mondo era diverso da quello che aveva immaginato.

 

«Sei felice?», chiese Ginny, tornando ad osservare il viso dell'amica: «Ti rende felice?»

 

Hermione annuì: «Sì, non ricordo l'ultima volta che sono stata tanto felice».

 

Ginevra annuì e sospirò, sentendosi più tranquilla: «Va bene, voglio che tu mi racconti ogni dettaglio, poi me lo farai conoscere e se riterrò che sia davvero cambiato in meglio, allora ti darò la mia benedizione».

 

Hermione cancellò la poca distanza, che la separava dalla sua migliore amica, e la strinse in un forte abbraccio, affondando il viso contro la sua spalla: «Grazie».

 

«Lo sai che sono solo preoccupata per te, vero?», chiese la rossa, contro la pelle dell'amica.

 

 

«Sì, ma sono grande, Ginny, so badare a me stessa».

 

Appena sciolsero l'abbraccio, Ginevra tornò a controllare la purea e spense il fuoco, mentre Hermione apriva la bottiglia di vino.

 

«Ci sei andata a letto?»

 

Hermione arrossì e sollevò lo sguardo, incontrando quello malizioso di Ginevra.

 

«Merlino, non ci credo!», esclamò la rossa, lasciando nuovamente la purea incustodita, per avvicinarsi all'amica: «Quando? Ricordo che giravano voci ad Hogwarts, tra le ragazze di Corvonero, che fosse molto bravo a letto».

 

Hermione si guardò intorno, titubante, e Ginny la rassicurò, dicendole che Harry e Ronald erano di sopra a parlare di lavoro e molto probabilmente sarebbero stati occupati ancora per un bel po'.

 

«In realtà ci sono delle cose del passato che non ti ho mai raccontato», disse Hermione, in un sussurro: «Il sesto anno, per un certo periodo, io e Draco siamo stati amanti».

 

Ginevra, con la bocca spalancata, scosse il capo: «Cosa?»

 

Hermione annuì, mordendosi il labbro: «È una lunga storia».

 

«Parti dall'iniziò», la incoraggiò Ginny, servendosi un generoso bicchiere di vino.

 

Hermione scoppiò a ridere ed era sul punto di iniziare a raccontare, quando un rumore di passi alle sue spalle la fece voltare verso i nuovi arrivati. Il sorriso le morì sulle labbra.

 

Ronald aveva gli occhi rossi, segno che doveva aver pianto recentemente, mentre Harry aveva uno sguardo molto duro e sembrava esser pronto — proprio come aveva provato a fare Ginevra poco prima — a farla ricredere sulle sue recenti scelte relazionali.

 

Hermione prese un profondo respiro e si preparò all'ennesima sfida della giornata.

 

 

 

 

Non così tanto lontano da casa Potter-Weasley, uno stremato Blaise Zabini era appena tornato a casa, dove ad accoglierlo trovò un concitato Otto, che lo aiutò a riporre il cappotto sull'appendiabiti.

 

«Padrone, c'è...»

 

Il povero Otto non fece in tempo a parlare, che Delphine Blanche Urray in Van Dijk si alzò dal proprio posto a sedere sul divano del salotto e sorrise affabilmente al suo primo e unico figlio.

 

«Blaise, caro, sei arrivato finalmente!»

 

Il ragazzo, colto alla sprovvista, impiegò qualche secondo a reagire a quel saluto, quando si riprese, sorrise: «Mamma, cosa fai qua? Ti credevo dall'altra parte del mondo».

 

«Vero, ma sentivo la mancanza di Londra, inoltre sono qua per sapere come vanno gli affari in Atelier e per passare una serata con il mio adorato bambino», disse, avvicinandosi al figlio, che strinse in un forte abbraccio materno.

 

Blaise sorrise: «Gli affari vanno molto bene, ho assunto una commessa!»

 

Delphine reagì col tipico entusiasmo di una madre, fiera del successo lavorativo del proprio unico figlio: «Oh, ne ero certa! Hai sempre avuto talento con la moda».

 

Madre e figlio si sedettero in salotto a chiacchierare, mentre Otto andava a preparare la cena.

 

Delphine si era sempre impegnata a non far mancare nulla al figlio e, anche se il rapporto che li legava non era sempre stato idilliaco, amava Blaise più della sua stessa vita.

 

Aveva sperato, quando si era invitata da sola a cena, mandando una semplice lettera quella mattina per avvisarlo della sua presenza, di imbattersi in una ragazza o un ragazzo o in un qualsiasi segno che suo figlio avesse qualcuno accanto, un interesse romantico...

 

Tutto quello che aveva trovato era stata una culla vuota in sala da pranzo; elemento che l'aveva lasciata a dir poco perplessa e non aveva saziato la sua curiosità.

 

Lasciò che Blaise le parlasse dell'Atelier, poi gli raccontò del suo viaggio in Giappone con suo marito, un ricco commerciante di legno per bacchette, di nome Daan Noah Van Dijk.

 

Quando Otto tornò per informare che la cena era pronta, madre e figlio si spostarono in sala da pranzo e Delphine ne approfittò per porre una delle tante domande che agognava tanto porre: «Tesoro, questa culla cosa ci fa qua?»

 

Blaise sospirò e si rese conto che avrebbe dovuto, ancora una volta, andare contro i desideri di Pansy, che gli aveva chiesto di mantenere la gravidanza segreta.

 

«Diventerai nonna, mamma».

 

Delphine, che nemmeno nei suoi sogni più sfrenati si era aspettata di diventare nonna così presto, sussultò e spostò lo sguardo dalla culla al figlio, incapace di parlare.

 

Gli occhi le si riempirono ben presto di calde lacrime: «Oh, Blaise, così all'improvviso! Perché non me l'hai detto prima? Chi è lei? La conosco? Oh, sono così felice!»

 

La donna abbandonò il suo posto a tavola per poter stringere nuovamente il figlio in un abbraccio materno.

 

«Sì, la conosci, è Pansy... ma, mamma, ancora nessuno lo sa, a parte Draco, quindi mantieni il segreto», disse Blaise, lasciandosi coccolare dalla madre.

 

Prima che la donna si allontanasse, Blaise aggiunse, con un filo di voce: «Ho paura, mamma, non so se riuscirò ad essere un buon padre».

 

Delphine sciolse l'abbraccio e avvolse le mani intorno al viso del proprio bambino, osservandolo dritto negli occhi: «Non dire così, tesoro, non riesco a pensare a nessuno che potrebbe essere un miglior padre di te».

 

Blaise, rincuorato, sorrise: «Dovrebbe nascere a fine Ottobre o inizio Novembre, ancora non sappiamo se è maschio o femmina... La culla è per Cocomero, abbiamo incantato un cocomero in modo che si comporti come un neonato, per vedere come ce la caviamo, e stiamo anche frequentando un corso per genitori alle prima armi».

 

«Sono fiera di te, tesoro», disse Delphine, asciugandosi le lacrime che le rigavano il volto: «Oh, ancora non riesco a crederci: il mio bambino diventerà papà!»

 

Pansy Parkinson si trovava fuori dalla porta dell'appartamento di Blaise Zabini, stringeva tra le braccia Cocomero e si chiedeva se avrebbe avuto il coraggio di bussare.

 

Quando sentì provenire dall'interno una risata femminile a lei sconosciuta, Pansy smise di cullare Cocomero e sbarrò gli occhi, avvicinando l'orecchio all'uscio.

 

Dopo qualche secondo, passato infruttuosamente ad origliare, Pansy bussò, animata da un dolore e una rabbia che faticava a contenere.

 

Non aveva mai pensato che Blaise potesse tradirla, in parte perché era sicura dei sentimenti che lui provava per lei, in parte perché era sempre stata abbastanza arrogante da credere che Blaise non potesse desiderare altre donne oltre a lei.

 

Messa di fronte alla possibilità di un tradimento, Pansy Parkinson si scoprì furiosa e gelosa.

 

La porta  venne aperta da Otto, che la ragazza superò con passo deciso, dirigendosi come una furia verso il salotto e successivamente in sala da pranzo.

 

Tutta la gelosia che le corrodeva il fegato scomparve appena si rese conto che la donna con cui Blaise stava cenando era sua madre.

 

«Pan!», esclamò lui, sorridendole radioso: «Cosa ci fai qua? Non ti aspettavo, faccio aggiungere un posto a tavola?»

 

Pansy iniziò a farfugliare delle scuse, rendendosi conto di essersi comportata in modo a dir poco maleducato, irrompendo in quel modo a casa di Blaise, ma il ragazzo e la madre sembravano non ascoltarla, mentre l'accoglievano tra di loro con baci e abbracci.

 

«Questo deve essere Cocomero», disse Delphine, prendendo in braccio il frutto, per poi adagiarlo nella culla: «Pansy, cara, Blaise mi ha raccontato tutto e voglio assicurarti che il vostro segreto è al sicuro con me».

 

La ragazza fulminò brevemente il ragazzo con un'occhiata di rimprovero: «Possibile che tu non riesca a mantenere un segreto per più di una settimana?», borbottò spazientita.

 

Blaise le chiese scusa e le diede un bacio sulla guancia e Pansy sentì il cuore batterle in modo anomalo in petto.

 

I tre cenarono insieme, chiacchierando affabilmente e trascorrendo una piacevole serata.

 

Subito dopo il dolce Delphine augurò ad entrambi la buona notte e disse a Blaise che gli avrebbe scritto presto e che si aspettava di esser tenuta aggiornata su tutte le future novità.

 

Una volta da soli, Pansy raccolse tutto il coraggio necessario e fece sedere Blaise sul divano, mentre lei camminava nervosamente di fronte a lui.

 

«Pan, mi stai facendo preoccupare», le disse il ragazzo, dopo due minuti di completo silenzio.

 

Pansy prese un profondo respiro e smise di camminare, fermandosi di fronte a Blaise.

 

«Pensi che non abbia capito, che tutti i tuoi commenti, su quanto sia strano crescere Cocomero come una coppia separata, servano soltanto a convincermi a trasferirmi da te?»

 

Blaise, colto alla sprovvista dalla schiettezza della ragazza, sorrise e scosse il capo: «So che non sei stupida, Pan».

 

«Bene», disse lei, annuendo per qualche secondo, poi si portò una mano a coprirsi il volto e sospirò.

 

«Stai bene, Pan?»

 

Passarono altri secondi di silenzio, poi il volto sorridente della ragazza sbucò oltre le mano che lo copriva: «Dovevi mantenere un piccolissimo segreto e nell'arco di qualche giorno l'hai detto a Draco, che lo avrà sicuramente detto alla Granger, e ora l'hai detto a tua madre, vuoi anche informare i miei genitori e il resto del Mondo Magico, già che ci sei?»

 

Il tono di voce della ragazza sembrava arrabbiato, ma il sorriso che sfoggiava confondeva Blaise.

 

«Mi dispiace, Pan, lo sai che sono un disastro con i segreti», borbottò lui, arricciando le labbra in una smorfia dispiaciuta.

 

«Ascoltami bene, Blaise, perché te lo dirò una volta sola e non ho intenzione di ripetermi», disse Pansy, sedendosi accanto al ragazzo sul divano.

 

«Ti amo e voglio venire a vivere con te».

 

Blaise Zabini, che si era aspettato una sfuriata o una ramanzina, rimase a bocca aperta, poi scoppiò a ridere dalla gioia e circondò Pansy in un abbraccio.

 

«Oh, Pan».

 

«Smettila di chiamarmi Pan».

 

«Ma se adori questo soprannome, è inutile che continui a fingere», le disse, riempiendole il volto di baci.

 

In quel momento Cocomero scoppiò a piangere nella camera accanto e sentirono Otto cullarlo fino a farlo riaddormentare.

 

«Pensi che saremo dei bravi genitori?», chiese Pansy, appoggiando il capo contro il petto del proprio ragazzo, così da sentire il battito calmo e sicuro del suo cuore.

 

«No, Pan, penso che saremo i migliori».

 

Pansy sollevò gli occhi al cielo e sorrise.

 

 

 

 

A poche vie di distanza, Draco Malfoy leggeva preoccupato la lettera di sua madre, che lo informava del suo rientro a Londra e di voler al più presto parlare con lui.

 

Doveva aver saputo dell'articolo sulla Gazzetta del Profeta, o magari il signor Greengrass aveva trovato un modo per contattarla fino a Port Isaac; in qualsiasi caso Draco non era particolarmente felice di sapere che anche sua madre, oltre al resto del Mondo Magico, era pronta a giudicare la sua relazione con Hermione.

 

Quel giorno a lavoro, quando aveva pranzato in mensa con la sua ragazza, aveva notato gli sguardi fissi su di loro e i sussurri a mezza voce e non poteva dire di esserne stato particolarmente felice.

 

Posò la lettera di sua madre e si alzò, percorrendo distrattamente il salotto, pensieroso, prima di recuperare una pergamena e una piuma Feder e di sedersi al tavolo per rispondere alla madre. 

 

Le chiese in poche righe se potesse andarle bene una cena, nel suo appartamento, la sera successiva per parlare.

 

Poi inviò una lettera d'invito a cena anche a zia Andromeda e Teddy, deciso a mantenere la promessa che aveva fatto tempo prima alla sorella della madre.

 

Nel momento in cui prese in mano il cellulare, indeciso de mandare un messaggio ad Hermione per informarla dell'accaduto, sentì bussare oltre la porta del suo appartamento.

 

Hermione Granger si trovava oltre la soglia, aveva gli occhi rossi, il volto stremato e senza dire nulla lo abbracciò, affondando il viso contro il suo petto.

 

«Stai bene?», chiese Draco in un sussurro, chiudendo la porta alle spalle di Hermione, per poi avvolgere le braccia intorno alla vita della ragazza.

 

«Sì, è andata bene, credo».

 

«Vuoi parlarne?»

 

Hermione scosse il capo: «Non ora, ora vorrei soltanto immergermi in una vasca di acqua bollente con te».

 

Draco sorrise: «Si può fare».

 

 

Hermione sciolse l'abbraccio e diede un bacio a fior di labbra al ragazzo: «I miei amici voglio prendere un tè con noi, uno di questi giorni».

 

Le spalle di Draco si tesero leggermente a quelle parole.

 

«Ho fatto promettere loro che si comporteranno bene», aggiunse la ragazza, sorridendo: «Pensi di potercela fare?»

 

«Solo se tu pensi di poter sopravvivere ad una cena con mia madre e zia Andromeda domani sera».

 

 

Hermione Granger scoppiò a ridere e diede un altro bacio al ragazzo: «Mi annoierò mai con te?», chiese lei, accarezzando con dolcezza la guancia del ragazzo.

 

«No, non credo», rispose Draco, prima di prenderla in braccio e, tra le risate e le proteste, portarla in bagno, dove aveva intenzione di esaudire il suo desiderio e prepararle il miglior bagno caldo della sua vita.

 

 

 

 

 

 

 

***

 

Buonsalve popolo di EFP!

 

Ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine, per questo lo scorso e questo capitolo (e molto probabilmente anche il prossimo) presentano più punti di vista; sto cercando in poche parole di tirare le somme di tutte le sotto-trame che vi ho presentato, cosa non facile, se devo essere sincera.

 

Nel prossimo capitolo ci sarà da superare l'ultimo scoglio: Narcissa. 

 

Dite che ce la faranno? 

 

Per quanto riguarda Blaise e Pansy, spero che apprezziate il momento colmo di dolcezza cha hanno condiviso in questo capitolo. 

 

Spero che la storia continui a piacervi e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!

 

Come sempre, vi ricordo che potete trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp, e in caso voleste supportare il mio lavoro con un simbolico caffè, potete trovare nella bio il link alla mia pagina Ko-fi!

 

Un bacio,

 

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Famiglia ***


28. Famiglia

 
 

Il piccolo tavolino, su cui Draco ed Hermione facevano colazione quasi ogni giorno, era stato trasfigurato da quest'ultima in un elegante tavolo in legno massello, abbastanza grande da poter comodamente ospitare un massimo di sei commensali.

Hermione era uscita prima dal lavoro per dare una mano a Draco, il quale aveva deciso di prendersi tutto il pomeriggio per riordinare casa e iniziare a cucinare.

Erano entrambi molto tesi e cercavano di mantenere la conversazione su toni leggeri, mentre tenevano d'occhio il pollo che cuoceva in forno, friggevano patatine e aspettavano che la panna cotta con topping al caramello si solidificasse in frigo.

Draco aveva già preparato degli antipasti: pane tostato con burro e salmone, una torta salata con prosciutto e spinaci e un vassoio di affettati acquistato in una macelleria babbana, che secondo Draco era gestita molto meglio, rispetto a quella in cui acquistava solitamente carne nel mondo magico.

«Ho mandato una lettera a mio padre», disse Draco, spezzando il momentaneo silenzio in cucina.

A Hermione rischiò di sfuggire di mano la forchetta, che stava usando per tastare la cottura del pollo, per la sorpresa.

«Oh», disse, chiudendo lo sportello del forno e posando i grandi occhi scuri sul viso preoccupato di Draco: «Gli hai detto di noi?»

Il ragazzo annuì, lo sguardo perso ad osservare l'olio sfrigolare nella padella.

Hermione gli appoggiò una mano sulla spalla: «Stai bene?»

Draco annuì e portò la mano a coprire quella della Granger sulla sua spalla: «Sì, sto bene; non è stato facile, penso che se tutti questi anni ad Azkaban non l'hanno ucciso, la mia lettera potrebbe essere il colpo di grazia».

Draco spostò lo sguardo dalla padella in cui friggevano le patatine, al volto di Hermione: «Ho paura che mamma faccia una scenata questa sera. Lei non sa che ho invitato anche Andromeda e Teddy».

Hermione scosse la testa e gli sorrise: «Vedrai che andrà bene. Ne abbiamo già parlato, hai detto che tua madre ha sempre e solo voluto il meglio per te, basterà convincerla che io sono il meglio e non avrà motivo di fare una scenata».

Draco sorrise e spostò la mano, appoggiandola sulla guancia della ragazza: «Un po' come hai fatto tu ieri con i tuoi amici?»

Hermione fece una piccola smorfia, arricciando il naso: «Più o meno», disse, ricordando le lacrime di Ronald e la delusione di Harry.

Era stata più dura vedersela con loro, rispetto a parlare con Ginny, ma era felice del risultato che aveva ottenuto; i suoi amici le avevano dato il beneficio del dubbio e le avevano concesso la possibilità di dimostrare che Malfoy fosse davvero cambiato.

Parlare con Ronald era stata la parte più difficile; dirgli che lei era felice con Draco e che non aveva intenzione di perderlo, mentre il rosso la osservava con gli occhi colmi di lacrime, l'aveva portata a piangere a sua volta.

Ron avrebbe sempre occupato una parte del suo cuore, sarebbe sempre stato un caro amico, una persona con cui aveva condiviso molti momenti felici e molti momenti difficili. 

Era certa che se non ci fosse stato Draco nella sua vita, avrebbe fatto fatica a lasciare andare Ronald, che era stato per anni un porto sicuro.

«A proposito, sai già quando vogliono incontrarmi?», chiese il ragazzo, riportando Hermione alla realtà e al viso preoccupato d Draco.

«No, non c'è ancora una data, ma prima è, meglio è».

«Concordo, magari domani? Un bel tè in quel posto carino al centro di Londra?», propose Draco, tornando a osservare le patatine nella padella, che stavano cominciando ad assumere un colore più dorato.

«Non esageriamo, a Ron non piacciono tanto i babbani, meglio un posto qua a Diagon Alley... Potremmo andare in quel posto dove siamo stati a prender un tè, quella volta, quando mi hai convinto a uscire con te per "chiarire"», disse Hermione, mimando le virgolette con le dita.

Draco sorrise: «Intendi il posto dove la cameriera ti ha tormentato per un autografo?»

«Proprio quello», confermò Hermione, annuendo: «Magari se le porto il Salvatore del Mondo Magico importuna lui e non me».

«Secondo me finirà per chiedere una foto con tutti voi, eroi, e io dovrò essere colui che scatta la foto», disse Draco con una piccola smorfia in volto.

«Non lo permetterei mai: tu saresti nella foto con noi, accanto a me».

Draco distolse nuovamente lo sguardo dalla padella sfrigolante, per osservare l'espressione sorridente e decisa sul volto della ragazza: «E chi farà la foto, allora?»

«Qualche altro astante», disse lei, gettando le braccia intorno al collo di Draco, per poi sporgere il volto fino a fare scontrare le proprie labbra contro quelle del ragazzo.

Draco approfondì il bacio, premendo una mano contro la base della schiena di Hermione, mentre l'altra si immergeva nei capelli ricci e folti di lei.

Con gli occhi chiusi, così da vivere quel momento con maggiore intensità, i nasi che si sfioravano appena, circondati dall'aroma del pollo al forno e le patatine che friggevano in padella, sorrisero e si dimenticarono della cena imminente e della paura.

«Ne avevo bisogno», disse Draco, appena interruppero il bacio, per stringersi in un abbraccio.

«Concordo», mormorò Hermione, premendo il volto contro la spalla del ragazzo.

«Dici che sono abbastanza carina per l'occasione?», chiese Hermione, domandandosi, non per la prima volta, se il semplice abito nero che indossava potesse essere all'altezza della serata che li attendeva.

Draco sciolse l'abbraccio per poter osservare meglio il vestito a maniche lunghe e con lo scollo a barca, che fasciava perfettamente il corpo della ragazza. I suoi occhi chiari si soffermarono più del dovuto sulla curva generosa del seno, ma Hermione non se ne rese conto.

«Dico che sei molto elegante, non solo carina», la rassicurò, percorrendo con le mani i fianchi e poi i seni della ragazza, prima di circondarle il volto: «Dici che abbiamo tempo per una sveltina?»

Hermione sorrise, con le guance arrossate per l'eccitazione, incerta su cosa rispondere: «Dico che dovremmo fare i bravi».

Le labbra di Draco si atteggiarono in una piccola smorfia: «Guastafeste».

«Abbiamo solo venti minuti», gli ricordò Hermione, liberandosi dall'abbraccio, per togliere le patatine dall'olio bollente e riporle a scolare.

Mentre la ragazza metteva a friggere un altro paio di manciate di patatine, le mani di Draco si posarono sui fianchi di lei e l'avvicinarono a sé, da dietro.

Le morse piano il collo, poi le sussurrò all'orecchio: «Vorrei ricordarti che l'ultima volta che mi hai sottovalutato, ho vinto io».

Hermione arrossì ancora più vistosamente di prima, al ricordo della bocca di Draco che, implacabile, era riuscita a causarle quattro orgasmi nell'arco di un'ora.

«Hai avuto fortuna», disse lei, con un tono di voce leggermente stridulo.

«La fortuna non c'entra niente e lo sai, la mia è bravura», ribatté lui, ridacchiando contro la pelle esposta della sua spalla, prima di lasciarvi un bacio e porre qualche centimetro tra i loro corpi: «Non ho intenzione di insistere comunque, so accettare un no come risposta», continuò lui, prima di abbandonare la cucina e raggiungere il salotto, che era stato trasformato in una piccola sala da pranzo.

Hermione, accaldata dalle allusioni del ragazzo, si dedicò anima e corpo alle patatine, decisa a dimostrare di essere in grado di friggere qualche tubero senza bruciare niente, mentre Draco sistemava al limite della pignoleria ogni elemento sul tavolo e si accertava che tutto fosse perfetto.

Cinque minuti dopo il campanello suonò ed Hermione tirò un sospiro di sollievo, rendendosi conto di aver fatto bene a rifiutare le avances di Malfoy.

Poco dopo entrarono in casa Andromeda e Teddy, entrambi sorridenti e con i nasi e le guance arrossate, a causa dell'aria gelata di quel tardo pomeriggio.

Draco li aiutò a togliersi sciarpe e cappotti, mentre Hermione compariva dalla cucina e li salutava con affetto.

Andromeda indossava una gonna larga color mattone e una blusa bianca a maniche lunghe, mentre Taddy aveva un paio di pantaloni blu e una camicia bianca con un papillon rosso.

Hermione non vedeva Andromeda da dopo la Guerra, al funerale di Remus Lupin e Ninfadora Tonks. Aveva un ricordo molto preciso della donna, un'immagine che le si era impressa a fuoco: Andromeda, sola, col volto segnato dalle rughe e dalla stanchezza, gli occhi rossi, ma le guance asciutte, mentre stringeva tra le braccia il nipotino, l'unica famiglia rimastale e osservava le tombe di sua figlia e suo genero.

Quella sera Andromeda era diversa, più serena, ma le rughe che le segnavano il viso raccontavano di un dolore troppo profondo per poter essere dimenticato tanto facilmente.

La donna, appoggiò la mano sul braccio di Draco e sorrise, baciandogli una guancia: «Draco, non mi avevi detto che avremmo avuto un ospite speciale questa sera».

Hermione aggrottò le sopracciglia e lanciò un'occhiata colma di disappunto al ragazzo. 

«Come no, zia? L'ho scritto nella lettera, che ti avrei presentato la mia ragazza e che come promesso ci sarebbe stata anche mia madre», disse Draco, osservando confuso la donna.

Andromeda scosse il capo e sorrise: «Non mi avevi detto che la tua nuova ragazza fosse Hermione Granger, però», gli disse, prima di raggiungere l'ex Grifondoro e baciarla sulla guancia.

«Pensavo avessi visto la prima pagine della Gazzetta del Profeta», ammise lui in un borbottio, prendendo tra le braccia il cuginetto di cinque anni.

«Come stai, cara?», chiese Andromeda, osservando il volto giovane e pieno di vita di Hermione.

«Bene, un po' nervosa», ammise, prima di gettare un'occhiata apprensiva all'orologio, che segnava le sette meno dieci di sera.

«Vedrai che andrà bene, Narcissa sembra molto più severa di quanto sia in realtà».

Rassicurata da quelle parole, Hermione tornò in cucina, per controllare le patatine. Teddy la raggiunse e si propose di aiutarla, mentre Andromeda aiutava Draco ad accendere le candele sulla tavola imbandita e a stregarle, in modo che la cera non cadesse.

Quando il campanello suonò di nuovo, Hermione aveva appena finito di friggere l'ultima padellata di patatine fritte e di sfornare il pollo, mentre Teddy la osservava attento e, nei momenti in cui Hermione era maggiormente distratta, rubava qualche patatina dal vassoio.

Andromeda si allontanò dalla porta di qualche passo, mentre Draco vi si avvicinava con le spalle tese dall'apprensione.

Quando Narcissa Black in Malfoy mise piede nell'appartamento del figlio, quasi le venne un infarto alla vista della sorella e del bambino dai capelli blu che comparve dalla cucina, accompagnato dalla Nata Babbana che si vociferava frequentasse Draco.

«Benvenuta, madre», disse il ragazzo, aiutando la donna a sfilarsi il mantello: «Non penso che ci sia bisogno che ti presenti Andromeda, ma sono abbastanza certo che tu non conosca Teddy Lupin, mio cugino di secondo grado, ed Hermione Granger, la mia ragazza».

Narcissa storse leggermente il naso, poi fece un cenno del capo ad Andromeda e uno ad Hermione, poi si voltò verso il figlio, una punta di disappunto nello sguardo: «Non mi avevi detto che ci sarebbero stati tanti ospiti, questa sera, figliolo».

«Non ero certo che saresti venuta, se te l'avessi detto , per questo ti ho tenuta all'oscuro, mamma», ammise lui, prima di scostare la sedia a capo tavola e invitarla a sedere.

Narcissa annuì rigidamente e si sedette, sistemandosi impeccabilmente l'abito lungo color lilla che indossava.

Teddy si sedette alla sua sinistra e le sorrise, mettendo in mostra, con orgoglio, lo spazio lasciato vuoto da un incisivo, caduto due giorni prima.

«Sono Teddy», le disse, allungando una manina e Narcissa, con un gesto titubante allungò la propria mano per stringere quella del nipote.

«Piacere, Teddy, sono Narcissa», disse la donna, cercando di calmare il suo cuore e di sciogliere la tensione che sentiva in tutto il corpo.

Narcissa non era felice di quello che le sembrava a tutti gli effetti un agguato e per buona parte della cena rimase in silenzio, ad ascoltare le conversazioni di Draco, Hermione e Andromeda e i fantasiosi racconti di Teddy, il buffo bambino dai capelli azzurri, che le sedeva accanto.

Solo quando arrivò il secondo, la donna si schiarì la voce, zittendo la conversazione in corso, e puntò i suoi occhi chiari, molto simili a quelli del figlio, in quelli di Hermione: «Immagino che lei lavori, signorina Granger».

L'ex Grifondoro annuì e la massa di capelli le si mosse intorno al viso: «Sì, lavoro al Ministero, Ufficio Regolamentazione e Controllo delle Creature Magiche».

Narcissa annuì, poi posò lo sguardo su Draco: «Mi ricordo di lei, signorina Granger; Draco non faceva altro che lamentarsi del fatto che fosse impossibile prendere voti più alti dei suoi», disse la donna, sorridendo appena: «Ma immagino che la vostra relazione sia cambiata da allora».

Hermione, col volto arrossato, osservò Draco, negli occhi le brillava una punta di divertimento: «Sì, signora, è cambiata».

Narcissa annuì e infilzò con i rebbi della forchetta una patatina fritta, per poi portarsela alle labbra e storcere appena il naso: «Manca il sale, figliolo, ti suggerisco di trovare un elfo domestico più competente in futuro».

«Non ho elfi domestici, madre, abbiamo cucinato io ed Hermione», disse Draco, aggrottando leggermente le sopracciglia.

«Sì, temo che sia colpa mia la mancanza di sale, tendo a dimenticarmene spesso», disse Hermione, arricciando leggermente il naso in una smorfia di scuse.

Draco sorrise apertamente e si portò la mano di Hermione alle labbra, per lasciarvi un bacio, prima di rivolgersi alla madre: «Non avrei dovuto affidarle un compito tanto arduo come preparare delle patatine fritte, è colpa mia».

Hermione tirò un calcio a Draco da sotto il tavolo e Andromeda sorrise sotto i baffi: «Anche io non sono mai stata particolarmente brava in cucina», ammise, prima di prendere la saliera e passarla alla sorella.

Narcissa osservò ogni cosa con attenzione, poi poso le posate e si pulì con un gesto aggraziato la bocca con il tovagliolo: «Figliolo, potrei parlarti in privato per qualche minuto?»

Draco annuì e portò sua madre nell'unica altra stanza disponibile, oltre il bagno: la sua camera da letto.

Narcissa osservò l'ambiente con la stessa attenzione con cui aveva studiato il salotto fino a poco prima, dove era rimasta delusa dalla quantità di oggetti babbani a lei sconosciuti che lo occupavano.

«Siamo soli, di cosa...?», iniziò Draco, ma venne subito interrotto dalla madre: «Cosa significa questa cena?»

Il ragazzo aggrottò la fronte e scelse con molta cura le parole: «Mi hai scritto che volevi vedermi, ho immaginato che la tua preoccupazione riguardasse l'articolo uscito sulla Gazzetta del Profeta ieri, quindi ho invitato a cena anche Hermione, per presentartela».

«Cosa ci fa qua Andromeda?»

Draco sospirò e si sedette sul fondo del letto, appoggiando i gomiti alle gambe: «È mia zia, è tua sorella. È l'unica famiglia che ci rimane ora che papà è ad Azkaban e zia Bellatrix è morta, ho pensato che potesse essere il momento giusto per seppellire vecchi rancori e unire una volta per tutte la famiglia».

Narcissa rimase in piedi, il corpo rigidamente congelato in una posa altezzosa e le labbra strette in una linea sottile: «Hai parlato con tuo padre?»

Draco annuì: «Gli ho mandato una lettera questa mattina».

Narcissa posò gli occhi sul letto a pochi passi da lei, poi sul viso di suo figlio e abbassò la maschera di alterigia che le induriva i lineamenti, mostrando a Draco la sua preoccupazione. 

Prima che la donna potesse parlare, il ragazzo la precedette: «Io la amo, mamma».

Narcissa non disse niente e si limitò a sedersi sul letto, accanto al figlio.

«I tempi sono cambiati e la signorina Granger è una donna intelligente, un'eroina del Mondo Magico e merita il mio rispetto; quindi non mi opporrò, se è questo che temi», disse, accarezzando i capelli biondi e fini di Draco: «Se ti rende felice, allora sono felice anche io».

Non fu facile per Narcissa pronunciare quelle parole. Non fu facile perché andavano contro a tutto quello che aveva creduto per anni, ma sapeva che erano le parole giuste da dire, se non voleva perdere l'unica famiglia che le era rimasta, suo figlio.

Draco abbracciò sua madre, un enorme sorriso sulle labbra: «Grazie, mamma».

«Pretendo però, se doveste avere figli, che la tradizione della famiglia Black continui», disse la donna, irremovibile: «E che ogni due settimane veniate a pranzo al Manor».

Draco sciolse l'abbraccio: «Va bene, ma non posso chiederle di venire al Manor, mamma; troppi brutti ricordi».

Narcissa annuì e abbassò lo sguardo, imbarazzata per la gaffe che aveva appena commesso: «Hai ragione, verrò io qua, oppure prenderemo una passaporta e andremo a Port Isaac», disse, soppesando le parole: «Oppure venderò il Manor e comprerò una nuova casa».

«Andromeda e Teddy?», chiese Draco, guardando di sottecchi sua madre: «Possono essere invitati anche loro a questi pranzi di famiglia?»

Narcissa ci pensò qualche secondo, poi sorrise: «Sì, certo che sì. In fondo fanno parte anche loro della famiglia».

 

Poco distante, Astoria stava percorrendo Diagon Alley, con una borsa per mano e un sorriso che sfidava il vento freddo e il buio della sera.

Blaise l'aveva informata quella mattina, che aveva intenzione di assumerla a tempo indeterminato allo scadere della prova e Astoria aveva subito capito che quelle parole avrebbero cambiato per sempre la sua vita.

Ora che aveva la sicurezza di guadagnare dei soldi e di poter contribuire con l'affitto, non aveva motivo di restare a casa dei suoi genitori un minuto di più; non quando poteva andare a vivere da Delilah ed essere felice.

Aveva trascorso la maggior parte del pomeriggio a preparare le due borse che stringeva in quel momento tra le mani, il resto del tempo l'aveva dedicato alla stesura di una lettera che aveva lasciato sul proprio letto, prima di indossare il mantello, prendere le borse e uscire di casa.

Aveva scritto al padre di lasciare in pace Draco, dicendogli che, se avesse continuato a minacciarlo e a farlo seguire, avrebbe mandato alla Gazzetta del Profeta delle foto che avrebbero rovinato l'immacolata reputazione della famiglia Greengrass, una volta per tutte.

La missiva terminava con poche parole di saluto alla madre e alla sorella e delle scuse:

"Mi dispiace di non essere una strega perfetta come Daphne e mi dispiace di non avere la forza di mentire ancora. Vi auguro ogni bene e spero che possiate perdonarmi, Astoria".

La ragazza aumentò il passo quando ormai c'erano solo pochi metri tre lei e il negozio di Delilah.

La sua nuova vita stava per iniziare; una vita senza bugie, fatta d'amore e spensieratezza.

Una vita con la famiglia che si era scelta.




 

***

Buonsalve popolo di EFP!

Eccoci alla fine del ventottesimo capitolo, ossia il quartultimo; ho deciso infatti di far finire la storia con trentun capitoli, invece di trenta.

Cosa ne pensate? Vi eravate aspettati una serata simile?

E la reazione di Narcissa? 

Secondo voi, Astoria ha fatto bene ad andarsene di casa?

Vi anticipo che nel prossimo capitolo ci sarà la famosa uscita per un tè dove Hermione presenterà ufficialmente Draco ai suoi amici, quindi preparatevi psicologicamente!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!

Come sempre vi ricordo che potete seguirmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp e che trovate nella mia bio il link per la mia pagina Ko-fi, nel caso voleste offrirmi un caffè o farmi un regalo di Natale.

Un bacio,

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Salvatore del Mondo Magico ***


29. Salvatore del Mondo Magico 

 

 

Nicholas Rudolph Greengrass sedeva alla sua scrivania e sorseggiava il suo primo caffè pomeridiano, quello che consumava subito dopo pranzo, isolato da tutto e tutti, nel suo ufficio.

 

Uno dei suoi elfi domestici doveva essersi dimenticato di chiudere bene la finestra che dava su un piccolo balconcino — luogo in cui il signor Greengrass ogni tanto si concedeva un sigaro — e un rivolo di aria fredda penetrava nella stanza, smuovendo appena le tende e le carte che si trovavano sulla scrivania.

 

L'uomo assottigliò gli occhi chiari e con un brusco incantesimo chiuse la finestra con tanta forza da farne tremare i vetri.

 

Da meno di un giorno non aveva notizie di sua figlia, Astoria, la quale sembrava essersi volatilizzata nel nulla.

 

Il signor Greengrass doveva ammettere di non conoscere a fondo le proprie figlie, il che poteva essere un problema quando una di loro scompariva senza lasciare alcun indizio.

 

L'unica cosa che conosceva della vita di Astoria era il lavoro di volontariato che aveva iniziato da qualche giorno al San Mungo; la figlia gli aveva raccontato di esser stata a visitare i malati di mente, in particolare un ragazzo poco più grande di lei che parlava con un cocomero e lo cullava come se fosse un bambino.

 

Il signor Greengrass aveva riso nel sentire alcuni racconti della figlia, ma non aveva mai indagato oltre; era stato troppo impegnato nella sua personale vendetta, per potersi concentrare su molto altro.

 

Ora si pentiva di non averle prestato maggiori attenzioni.

 

Aveva provato a mandare uno dei suoi uomini al San Mungo per scoprire qualcosa in più, ma nell'arco di poche ore di indagini era saltato fuori che Astoria non era mai stata al San Mungo come volontaria e inoltre non esisteva nessun ragazzo che parlava con un cocomero.

 

Le indagini erano, apparentemente, giunte a un punto cieco.

 

Il signor Greengrass sorseggiò il fondo del caffè e storse le labbra in una smorfia, nel constatare che fosse diventato ormai freddo.

 

Posò la tazzina sulla scrivania con un gesto scocciato e prese tra le mani la lettera lasciatagli dalla figlia, consumata dalle continue letture sua e di sua moglie.

 

Non si soffermava mai sulle ultime righe, quelle in cui Astoria si scusava di non essere "perfetta" come Daphne e augurava alla sua famiglia "ogni bene".

 

No, quello che tormentava davvero il signor Greengrass era non sapere quali foto fossero i segreti in possesso della figlia e quale scandalo era pronta a gettare in pasto al Mondo Magico, se lui non avesse smesso di tramare alle spalle di Draco Malfoy.

 

L'aveva forse fatto seguire? Astoria poteva avere foto che lo ritraevano nel losco bar di Notturn Alley, dove si incontrava per comprare illegalmente poche gocce di sangue di unicorno, che gli permettevano di rimanere in vita, malgrado la terribile malattia che lo consumava da dentro da anni. O forse in mano aveva soltanto qualche scatto di lui e la sua amante?

 

Il signor Greengrass non lo sapeva e dato che sua figlia sembrava essere introvabile, non aveva modo di scoprirlo.

 

Posò la lettera scritta da Astoria sulla sua scrivania e digrignò i denti, turbato.

 

Era un peccato che la sua secondogenita avesse deciso di rovinare ogni suo piano; aveva pensato di lanciare qualche malocchio a Malfoy e alla sua amata Mezzosangue o magari di far consegnare loro una bottiglia di idromele avvelenata, ma l'idea che Astoria potesse rovinare la sua reputazione se avesse osato tanto, lo frenava.

 

Poteva comunque ritenersi abbastanza soddisfatto di esser riuscito a far sapere a tutta Londra, che Draco Malfoy era un traditore del suo sangue. Sperava che la Narcissa e quel che rimaneva di Lucius, potessero farla pagare anche da parte sua a quel giovanotto impertinente.

 

 

 

 

Hermione Granger scompostamente sdraiata nel letto del suo ragazzo, cercava di non pensare troppo all'ultima sfida che avrebbe dovuto affrontare, quel giorno.

 

Era ancora nuda dalla notte precedente, avvolta tra le coperte che profumavano di lei e Draco e con lo stomaco che le brontolava rumorosamente per la fame.

 

Appena le cena della sera prima era terminata e gli ospiti se n'erano andati, lei e Malfoy non avevano perso tempo a sparecchiare, pulire o riordinare; tutto quello che erano riusciti a fare era stato scaricare tutta la tensione accumulata nell'unico modo che conoscevano meglio.

 

Quella che aveva appena trascorso era stata una delle notti e mattine di sesso più appaganti della sua vita ed Hermione si sentiva tanto indolenzita da temere di non potersi alzare per vestirsi come stava facendo Draco, a pochi passi da lei.

 

«Faremo tardi», le disse il ragazzo, legandosi ai fianchi il marsupio che amava tanto: «Non hai detto a Potter che ci saremmo visti al bar per le quattro?»

 

Hermione sbuffò e si mise a sedere.

 

Draco osservò dal riflesso dello specchio di fronte a lui le labbra arrossate dai troppi baci di Hermione, il suo collo e le sue spalle macchiati da leggeri succhiotti e i suoi capelli, che le incorniciavano selvaggiamente il volto soddisfatto, di chi aveva perso il conto degli orgasmi che aveva raggiunto nelle ultime ventiquattr'ore.

 

«Sì, ho detto a Harry che ci saremmo visti per le quattro e me ne pento amaramente», ammise Hermione, prima di scostare con un gesto svogliato le coperte e alzarsi.

 

Si stiracchiò brevemente, nuda, e Draco non si perse neanche un secondo di quello spettacolo, del quale era l'unico spettatore.

 

«C'è qualcosa che dovrei sapere prima di esser gettato in pasto ai tuoi amici ficcanaso?»

 

Hermione recuperò da terra i vestiti che le erano stati tolti la sera prima, poi si avvicinò a Draco e gli lasciò un leggero bacio sulle labbra: «A Harry e Ron non piace essere insultati o sminuiti, quindi non chiamarli Sfigato e Sfregiato o Potty e Weasel, e andrà tutto bene. Ginny è vanitosa; falle un complimento qualsiasi e l'avrai conquistata».

 

Dopo quelle parole Hermione si vestì in pochi secondi, mentre Draco la osservava con le sopracciglia leggermente aggrottate: «Tutto qua?»

 

Hermione studiò il proprio riflesso allo specchio e fece una smorfia nel constatare che il vestito metteva in bella mostra i succhiotti che Draco le aveva lasciato sul collo.

 

«Sì, basta che tu faccia il bravo e non tiri fuori vecchi rancori, a meno che il tuo intento non sia chiedere scusa», aggiunse Hermione, mentre con un veloce incantesimo di disillusione nascondeva i segni rossastri sulla sua pelle candida.

 

«Andiamo?», chiese Hermione, mentre si legava i capelli in una coda alta e iniziava a scendere le scale, verso l'ingresso.

 

Draco osservò la sua maglietta bianca con il logo della Nike, i suoi jeans della Levi's e il marsupio che accentuava i suoi fianchi stretti e si chiese se non avesse forse esagerato.

 

Il suo intento era sì, quello di voler apparire diverso, più maturo e più aperto ad altre culture, ma forse quell'agglomerato di vestiti babbani era un po' troppo.

 

Si affacciò sulle scale e lo sguardo di Hermione, che stava indossando le scarpe, si posò immediatamente su di lui: «Sto bene?»

 

La ragazza sorrise e sollevò le spalle: «Forse qualcosa di meno babbano?»

 

Draco annuì distrattamente e tornò ad osservare il contenuto del proprio armadio, incerto.

 

«Se tenessi i jeans, ma mettessi una camicia invece della maglietta?», gli consigliò Hermione dal piano di sotto, mentre iniziava a mettere in ordine il disastro che avevano lasciato sul tavolo e la cucina dalla sera prima.

 

Draco seguì il consiglio e ammirò un'ultima volto il proprio riflesso allo specchio, prima di rifare il letto e di scendere al piano di sotto.

 

«Meglio?», chiese alla ragazza, che nel mentre stava addentando una fetta di torta salata, avanzata dalla sera prima.

 

Sotto allo sguardo divertito di Draco, Hermione arrossi leggermente e giustificò la sua bocca piena con un borbottio che sarebbe dovuto essere un "Non abbiamo pranzato, ho fame!", ma che fu impossibile da decifrare e fece allargare ulteriormente il sorriso sulle labbra del ragazzo.

 

«Ho fame», disse alla fine Hermione, dopo aver mandato giù l'ultimo boccone di torta salata, poi si avvicinò al ragazzo e gli sistemò il marsupio, in modo che rimanesse nascosto dalla camicia: «Ora sì, direi che stai molto bene».

 

«Andiamo?»

 

Hermione annuì, ma approfittò della vicinanza con Draco per lasciargli un lungo bacio sulle labbra: «Andiamo».

 

Indossarono i rispettivi cappotti, poi uscirono di casa e scesero in strada.

 

Diagon Alley quel sabato pomeriggio era particolarmente affollata e molti occhi curiosi si posarono su di loro e le loro mani unite, mentre si dirigevano al bar a pochi passi dalla Grincotts.

 

L'articolo sulla Gazzetta del Profeta, che parlava della loro relazione, era di appena due giorni prima e né Draco né Hermione si stupirono delle attenzioni, che la folla dedicava loro; sguardi di sottecchi, commenti sussurrati a mezza voce e risatine maliziose.

 

Una volta di fronte al bar, che scoprirono chiamarsi, per un divertente scherzo del destino "Salvatore del Mondo Magico", in onore di Harry Potter, Draco scoppiò a ridere ed Hermione non poté trattenersi dal seguirlo a ruota.

 

«Tu lo sapevi che si chiamava così?», chiese Draco, tra una risata e l'altra, attirando ancora più sguardi di quanti ne avesse attirati fino a poco prima.

 

«No, ma trovo che sia perfetto», disse Hermione, prendendo Draco sottobraccio e conducendolo all'ingresso.

 

Diversamente dall'ultima volta che avevano messo piede nel bar "Salvatore del Mondo Magico", il cameriere sembrava meno affabile e il chiasso proveniente dai tavoli più insistente.

 

«Desiderate?», chiese il ragazzo, osservandoli con un pizzico d'impazienza che non sfuggì allo sguardo attento di Draco.

 

«Abbiamo prenotato un tavolo a nome Granger», disse Hermione, che si era preoccupata di essere previdente, quella mattina, e aveva chiamato per assicurarsi che avrebbero avuto un tavolo tutto per loro all'ora stabilita.

 

«Prego, seguitemi», disse il cameriere, mentre controllava su un taccuino che aveva in tasca la prenotazione.

 

Li accompagnò fino a un tavolo da cinque, a pochi passi dalla vetrata che dava proprio sulla stradina affollata di Diagon Alley.

 

«Grazie», disse Hermione, sedendosi in modo da dare le spalle alla finestra e Draco occupò il posto accanto a lei.

 

«Avrei potuto rimanere a poltrire a letto ancora un po'», borbottò Hermione, pizzicando il fianco di Draco, che rispose all'attacco pizzicandole la coscia: «Avresti preferito arrivare in ritardo e dover inventare una scusa ridicola di fronte ai tuoi amici?»

 

Hermione arricciò le labbra in una smorfia: «Forse».

 

In quel momento la sala si zittì di colpo e Draco ed Hermione sollevarono immediatamente lo sguardo, per cercare di capire cosa fosse successo per cambiare in modo così drastico l'ambiente intorno a loro.

 

Il cameriere, che poco prima li aveva accompagnati al tavolo, era tornato e questa volta stava facendo strada a Harry Potter e Ginevra Weasley.

 

Hermione si alzò per salutare entrambi gli amici con un abbraccio e un paio di baci sulle guance, mentre Draco si limitò a stringere loro le mani e a sorridere cordialmente. 

 

«Ronald arriverà a breve», disse Ginny, prima di puntare i suoi occhi colmi di curiosità in quelli chiari di Draco Malfoy.

 

Il silenzio al tavolo era assordante e innaturale quanto quello dell'intera sala.

 

Molti occhi erano puntati sulle spalle di Harry Potter o sul profilo di Ginevra Weasley, altri studiavano i volti vicini di Draco Malfoy ed Hermione Granger, volti che avevano visto recentemente sulla Gazzetta del Profeta.

 

«Forse non è stata una buona idea venire qua», disse Harry, spazientito dalle occhiate e dai sussurri alle loro spalle.

 

«Spero che ci sia la stessa cameriera della volta scorsa», ribatté Draco, provocando un sorriso involontario sulle labbra di Hermione.

 

«Oh, Harry, vedrai che la smetteranno», disse Ginny, per nulla preoccupata o disturbata dalle attenzioni, mentre osservava il menù: «Quindi siete già stati qua?»

 

Hermione fu grata all'amica per quel semplice tentativo di fare conversazione e includere Draco.

 

«Sì, tre settimane fa? O sono già quattro?», disse Malfoy, lanciando una veloce occhiata ad Hermione che scrollò le spalle, a sua volta incerta su quanto tempo fosse passato ormai.

 

«Comunque sì, è un posto carino, la cameriera è molto espansiva e, non so se lo avete notato, ma il nome del posto è "Salvatore del Mondo Magico", quindi non penso che avremmo potuto scegliere un bar più adatto per prendere un tè insieme», disse Draco, sorridendo divertito.

 

Harry lo guardò imbronciato, mentre a Ginevra s'illuminavano gli occhi: «Hai ragione: è il posto perfetto».

 

Harry Potter si sentì improvvisamente tradito dalla propria fidanzata.

 

Prima di uscire di casa era stato chiaro: dovevano studiare Malfoy, cercare di capire se avesse rifilato qualche pozione d'amore ad Hermione e fraternizzare con lui il meno possibile. Si era anche allenato davanti allo specchio a fare espressioni arcigne quella mattina e aveva preparato una lista di domande a cui sottoporre l'ex Serpeverde.

 

Ora bastava che Malfoy parlasse a vanvera del locale e Ginny già gli dava ragione e sorrideva come se niente fosse.

 

«Hermione mi dice che stai organizzando il matrimonio tutto da sola, deve essere un gran da fare, complimenti», disse Draco e sul volto di Ginevra si formò un'espressione a metà strada tra il compiaciuto e l'orgoglioso.

 

La più piccola di casa Weasley, fin da quella mattina, aveva avuto la certezza che quell'uscita sarebbe stata un disastro: si era aspettata un Draco Malfoy molto meno affabile e carismatico, una Hermione molto meno felice e qualche scenata da parte di Ronald.

 

Eppure suo fratello non era ancora arrivato, Malfoy le aveva appena servito su un piatto d'argento la scusa perfetta per potersi vantare del magnifico matrimonio che stava organizzando, e Ginevra Weasley non poteva essere più felice di trovarsi in quel bar in quel momento.

 

«Sì, è un lavoraccio, ma mi riempie di soddisfazioni: giusto l'altro giorno ho scelto le composizioni floreali e la prossima settimana proverò il mio abito da sposa!»

 

«Non siamo qua per parlare del matrimonio, Ginny», le disse a mezza voce Harry, con gli occhi leggermente spalancati, come se con quello sguardo volesse comunicarle il suo disappunto.

 

Ginevra sbuffò e prese in mano il menù, iniziando a sfogliarlo: «Scusa, se ho osato fare conversazione, parla tu allora».

 

Sul tavolo scese un silenzio ancora più pesante di quello iniziale e Draco decise di mettere da parte vecchie dispute o tensioni e fare il primo passo.

 

«Potter, vorrei ringraziarti per avermi concesso il beneficio del dubbio. L'articolo sul giornale ha colto tutti impreparati e immagino che sia stato triste sapere di Hermione e me, in quel modo. Non era nostra intenzione tenerlo nascosto, ma ci frequentiamo da poco e...», Draco lanciò uno sguardo veloce ad Hermione, che lo incitò a proseguire con un sorriso d'incoraggiamento: «Quello che credo di voler dire, in verità, è che non sono più il ragazzino di un tempo, so di non meritarmi il perdono per molte cose che ho fatto, ma vorrei ringraziarti per aver testimoniato a favore della mia scarcerazione e chiederti scusa».

 

Harry Potter, con la bocca socchiusa per la sorpresa, si sistemò gli occhiali sul naso e scrollò le spalle, incerto su come reagire a quelle parole.

 

«Ovviamente le scuse sono estese anche a te, Weasley», disse Draco, spostando lo sguardo sul volto di Ginevra, che lo osservava con espressione seria.

 

Hermione prese la mano di Draco tra le sue e gli sorrise, premendovi un bacio contro il dorso.

 

Harry assistette a quella scena in silenzio, poi annuì, si sistemò nuovamente gli occhiali sul naso e accennò un sorriso: «Temo di doverti anche io delle scuse, Malfoy, di sicuro non sei stato l'unico a comportarsi in modo infantile durante gli anni di Hogwarts».

 

Ginny sorrise e annuì: «Lasciamo il passato nel passato e concentriamoci sul presente: lavori, Malfoy?»

 

Draco sentì la tensione, che non si era reso conto di aver provato fino a quel momento, sciogliersi e sorrise: «Sì, al Ministero».

 

«Oh! Immagino che vi siate incontrati al lavoro, allora», disse Ginny, prima di arrossire leggermente e sbarrare gli occhi: «Aspetta! Ma certo! Quella volta che ci siamo incontrati all'atelier di Zabini, mi avevi detto che vi avevano messo nello stesso ufficio!», esclamò, osservando il volto di Hermione: «Me ne ero completamente dimenticata, ora che ci penso però ha senso che lavorare a stretto contatto abbia riacceso la fiamma».

 

Draco nascose dietro un colpo di tosse il sorriso, che gli era spuntato sulle labbra a quella parole, ed Hermione abbassò lo sguardo imbarazzata, mentre Harry aggrottò semplicemente le sopracciglia, confuso.

 

«Riacceso?»

 

Hermione sollevò lo sguardo sul volto di Ronald Weasley che in piedi, a pochi passi di distanza, nascosto in un cappotto troppo grosso per lui e un cappello fatto a mano da mamma Molly, osservava da qualche secondo la scena che gli si presentava di fronte: il suo migliore amico, sua sorella e la sua ex ragazza intenti a chiacchierare affabilmente con quello che per anni era stato il nemico.

 

Ginevra sembrò rendersi conto di aver detto qualcosa di sbagliato e si portò una mano alla bocca, quasi potesse cancellare con quel gesto le parole appena pronunciate.

 

Draco, che non si era resa conto della presenza del nuovo arrivato, concentrato com'era nell'ascoltare la giovane Weasley, si alzò in piedi, pronto a stringere la mano anche a lui.

 

Ma gli occhi di Ronald erano puntati in quelli scuri e sbarrati di Hermione, che con il volto arrossato non sapeva cosa dire.

 

«Riacceso?», ripeté il ragazzo.

 

Gli bastò leggere la colpa e l'imbarazzo nello sguardo della sua ex ragazza per capire che doveva esserci stato qualcosa che non sapeva, qualcosa che a quanto pare era stato importante, qualcosa che doveva esser successo prima che lui ed Hermione si mettessero insieme, sempre che la ragazza non gli avesse mentito, quando gli aveva detto di non averlo mai tradito.

 

«Io e Draco abbiamo avuto un flirt il sesto anno, per qualche mese», disse Hermione, spostando lo sguardo dagli occhi seri di Ron a quelli dolci di Draco: «Ma non ha funzionato e ci siamo persi di vista. Quando abbiamo iniziato a lavorare nello stesso ufficio, come ti ho già detto l'altra sera», proseguì, spostando nuovamente lo sguardo su Ron: «Ho avuto l'opportunità di conoscerlo meglio e sì, come dice Ginny, si è riaccesa una fiamma che pensavo fosse spenta».

 

Ron abbassò lo sguardo e annuì, borbottò qualcosa che assomigliava a un "Meno ne so, meglio è", poi scrollò le spalle e si avvicinò al tavolo.

 

Ron strinse la mano a Malfoy e si sedette accanto ad Harry, togliendosi il cappotto e il cappello.

 

Subito apparve una sfera rossa sopra al tavolo e Ginny sorrise: «Voi sapete già cosa prendere?»

 

«Burrobirra», disse subito Ron, sorridendo: «Ho bisogno di bere qualcosa che mi scaldi».

 

Harry gli diede una leggera pacca sulla schiena: «Penso che ti terrò compagnia, amico».

 

Draco sorrise: «Se non fossi a stomaco vuoto seguirei il vostro esempio».

 

Hermione, raggiante, osservò i propri amici e lesse nei loro sguardi l'affetto e l'amore che aveva temuto di perdere, una volta che avesse presentato loro Draco, come proprio ragazzo.

 

«Io penso che prenderò un tè verde», disse Ginevra, chiudendo il menù: «Tu, Hermione?»

 

La riccia sorrise e osservò di sottecchi Draco, che alla sua sinistra stava leggendo il menù: «Ordina Draco per me».

 

Il biondo sorrise: «Va bene, Hermione, ma poi non ti lamentare».

 

La cameriera sbucò in quell'istante con un enorme sorriso sul volto e un piccolo bloc-notes tra le mani: «Cosa posso...?»

 

Le parole le morirono in gola quando si rese conto che di fronte a lei c'era Harry Potter.

 

Hermione era pronta a sentire la cameriera, la stessa che aveva servito lei e Draco settimane prima, urlare o magari chiedere con un filo di voce al famoso Salvatore del Mondo Magico di farle un autografo; diversamente da quanto si aspettasse, la cameriera svenne tra le braccia di Harry, al quale caddero gli occhiali.

 

«Potter, vedo che fai ancora un certo effetto alle donne», disse Draco.

 

Con sorpresa di tutti, Ron scoppiò a ridere ed Hermione ebbe la conferma che le cose, col tempo, sarebbero andate bene.

 

 

 

A molti chilometri di distanza, Lucius Malfoy sedeva nella sua cella, incatenato a ceppi incantati, che gli impedivano di compiere anche il minimo incantesimo, avvolto nella più completa oscurità.

 

Ad ogni minuto, dei tanti, troppi, che era costretto a passare nella più totale solitudine, si chiedeva come sarebbe potuto sopravvivere al minuto successivo.

 

Eppure, malgrado il dolore e i rimpianti, malgrado il suo desiderio di morire, era ancora vivo.

 

Era sopravvissuto abbastanza a lungo da vedere il giorno in cui il suo cognome era stato accostato a quello di una Mezzosangue sulla Gazzetta del Profeta, il giorno in cui suo figlio gli aveva scritto di essere un traditore del proprio sangue e di non aver intenzione di chiedere scusa.

 

Lucius Malfoy, o quello che ne rimaneva ormai, dopo anni di torture e di incontri ravvicinati con i Dissennatori, non aveva più la forza per arrabbiarsi o per indignarsi di fronte all'idea che il sangue del suo sangue, suo figlio, il suo unico figlio, fosse sul punto di voltare definitivamente le spalle a tutto quello in cui avevano sempre creduto.

 

Tutto quello che Lucius poteva provare era un misto di rassegnazione e dolore; sentimento che lo accompagnava ogni giorno da cinque anni ormai e non lo abbandonava mai, nemmeno quando gli era concesso di vedere, per pochi brevi attimi — per troppo poco, sempre troppo poco — il volto della donna che aveva amato e che non era stato in grado di proteggere come aveva promesso.

 

Aveva promesso a Narcissa che le sarebbe sempre stato vicino e che l'avrebbe aiutata nel momento del bisogno, in salute e in malattia, finché morte non li avrebbe separati.

 

Eppure non era stata la morte a separarli; era stata la vita.

 

E Lucius Malfoy avrebbe vissuto nel rimpianto, fino a quando la morte non gli avrebbe portato via pure quello.

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

Buonsalve popolo di EFP!

 

Siamo arrivati alla fine del terzultimo capitolo, ormai!

 

Abbiamo visto che il signor Greengrass per il momento sembra essere soddisfatto della sua vendetta, anche se misera, e a quanto pare la paura di quello che potrebbe svelare Astoria su di lui lo terrà buono per un po'.

 

Cosa ne pensate dell'uscita al bar "Salvatore del Mondo Magico"?

 

Vi eravate aspettati reazioni simili?

 

Dato che non avevo ancora detto molto su Lucius, o comunque non avevamo ancora visto il suo punto di vista, ho deciso di dedicargli le ultime righe di questo capitolo, che spero vi siano piaciute.

 

Ancora due capitoli e questa storia sarà finita... quasi non riesco a crederci!

 

Il prossimo capitolo arriverà il prossimo mercoledì; mi piacerebbe invece pubblicarvi l'epilogo o alla vigilia o il giorno di Natale. Quando preferireste averlo? Per la vigilia o per Natale? 

 

Come sempre ricordo che potete trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp e, nel caso in cui voleste farmi un regalo di Natale, potete sempre donarmi un caffè tramite la mia pagina Ko-fi, di cui trovate il link nella bio.

 

Un bacio,

 

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Ti va di ballare? ***


30. Ti va di ballare?

 

 

 

Ginevra Weasley, ferma di fronte allo specchio, prendeva profondi respiri e cercava di calmare i nervi tesi, mentre si lisciava il vestito e si chiedeva se avesse o meno esagerato con il trucco.

 

Luna Lovegood, con un bicchiere di idromele in una mano e la macchina fotografica nell'altra, immortalava il nervosismo sul viso dell'amica con un misto di invidia e piacere.

 

Hermione Granger, testimone di nozze, stava parlando del catering con Molly Weasley, che si era offerta di cucinare per il giorno speciale della figlia.

 

Nel cortile della Tana, dove erano stati allestiti un capannone e un arco di fiori bianchi, che fungeva d'altare, molte teste rosse si muovevano impazienti, tra le quali spiccavano quella nera del futuro sposo, quella bionda di Draco Lucius Malfoy e quella blu di Teddy Tonks.

 

Una volta definiti gli ultimi dettagli con Molly, Hermione osservò il giardino e prese un profondo respiro di sollievo, nel constatare che il suo ragazzo si trovava ancora dove l'aveva lasciato, seduto tra Andromeda e Teddy, nella fila di sedie davanti a Blaise Zabini e Pansy Parkinson.

 

«Possiamo andare?», chiese un'impaziente Ginevra, osservando a sua volta gli invitati dalla finestra di quella che era stata, per molti anni, camera sua.

 

 

«Sei pronta?», chiese Hermione, prima di lanciare un'occhiata ad Angelina e alle altre tre Holyhead Harpies, compagne di squadra di Ginevra, ossia le quattro damigelle, che chiacchieravano allegramente in un angolo della stanza.

 

«Sì, sono pronta da ore», borbottò Ginny, afferrando dal letto il bouquet, che si strinse al petto.

 

Hermione annuì decisa e baciò la migliore amica sulla guancia: «Vado a controllare che sia tutto in ordine. Dammi cinque minuti e poi fai venire le damigelle».

 

Ginevra le sorrise: «Ci vediamo tra un po' all'altare».

 

Hermione rise e uscì dalla stanza, scendendo le scale della Tana con passo leggermente malfermo, a causa dei tacchi scomodi che Zabini l'aveva costretta ad abbinare all'abito verde muschio, che aveva creato apposta per lei.

 

Una volta in cucina, Hermione avvisò dell'imminente inizio la signora Weasley e Otto, l'elfo domestico di Zabini — che era stato generosamente offerto come aiuto in cucina in quel giorno speciale dal padrone, il quale da qualche mese stava prendendo in considerazione l'idea di ampliare gli affari e diventare un wedding planner.

 

Dopodiché Hermione uscì in cortile e molti occhi si puntarono su di lei, impazienti.

 

Sorrise a tutti e avvisò Fleur di iniziare a suonare l'arpa, che avrebbe accompagnato l'intera cerimonia, poi raggiunse l'altare e si mise nel posto dedicato ai testimoni, accanto a Ronald.

 

Lo sguardo di Hermione si posò per qualche secondo sul viso di Draco, che le fece l'occhiolino.

 

«A quando il vostro matrimonio, Herm?», chiese Ron, che aveva notato quel gioco di sguardi e stava trattenendo un involontario conato di vomito.

 

 

«Non essere ridicolo, Ronald, stiamo insieme da solo pochi mesi e non abbiamo intenzione di affrettare le cose; il matrimonio è l'ultimo dei nostri pensieri», rispose la ragazza, osservando che tutti fossero al proprio posto.

 

«Mi inviterai?»

 

Hermione distolse lo sguardo dalla prima damigella, che stava percorrendo il sentiero di fiori fino all'altare, e osservò il volto pieno di lentiggini del suo ex ragazzo: «Dove?»

 

«Al tuo matrimonio», specificò il rosso, gli occhi chiari molto seri.

 

«Che domanda ridicola, ovvio che sì, Ron. Riceverai un invito e potrai scegliere se venire o meno», disse Hermione, prima di tornare a dedicare la propria attenzione al matrimonio.

 

«Perché mai dovrei scegliere di non venire?»

 

Hermione sbuffò, spazientita: «Forse per lo stesso motivo per cui pensavi che non ti avrei invitato».

 

«Sono felice che siamo ancora amici, Hermione. Sai che Malfoy continua a non convincermi, ma se ti rende felice, io sono felice».

 

 

La ragazza sorrise al rosso e annuì: «Grazie, Ron, anche io sono felice che siamo ancora amici e ora taci, non voglio perdermi l'arrivo di tua sorella».

 

Ginevra uscì dalla Tana pochi attimi dopo, il volto coperto dal velo, il bouquet stretto al petto e l'abito confezionato da Blasie Zabini che la fasciava come una seconda pelle.

 

Lo stilista era seduto una fila dietro a Draco e stringeva nella mano destra un fazzoletto bianco su cui erano ricamate le sue iniziali, mentre osservava la sua creazione più bella, che sfilava verso l'altare. Pansy Parkinson, seduta accanto a lui, sfoggiava un leggero arrotondamento sull'addome, che sul suo fisico asciutto, spiccava abbastanza da attirare occhiate e pettegolezzi.

 

«È solo un vestito, Blaise», disse lei, lasciandogli qualche pacca consolatoria sulla spalla, quando lui appoggiò il volto alla sua spalla, bagnandole l'elegante jumpsuit che indossava di lacrime: «Solo un vestito».

 

«Pan, non puoi capire», disse lui, soffiandosi rumorosamente il naso, mentre ammirava il lungo velo, la forma a sirena dell'abito e la profonda scollatura sulla schiena, che metteva in risalto le lentiggini che tempestavano la pelle candida della ragazza: «È come se stessi dicendo addio al mio bambino».

 

Pansy si risentì nell'udire quella parole e pensò necessario ricordargli, con un borbottio rabbioso, che l'affetto per un abito e un bambino non erano neanche lontanamente paragonabili.

 

Blaise le posò la mano, che non stringeva il fazzoletto, sulla leggera rotondità del ventre e le baciò la guancia; bastarono quei semplici gesti perché Pansy si calmasse, mentre Blaise continuava a piangere silenziosamente.

 

Fu una cerimonia semplice, accompagnata dall'arpa suonato da Fleur e dall'aroma delicato che emanavano le piccole composizioni floreali che decoravano le sedie e i tavoli del buffet, ancora privi di pietanze.

 

 

Molly e Arthur scoppiarono a piangere poco dopo Blaise, seguiti poi dal resto della famiglia; chi più, chi meno, non poté fare a meno di commuoversi di fronte alle promesse d'amore che Harry Potter e Ginevra Weasley si scambiarono quel giorno.

 

Luna Lovegood si premurò di immortalare ogni espressione e ogni momento, decisa a mostrare che anche la fotografia poteva essere una forma d'arte.

 

Al primo bacio da marito e moglie, iniziarono i fischi e gli applausi, seguiti poi da una lunga sequela di fotografie di gruppo e di abbracci inondati di lacrime.

 

Nel mezzo di quel trambusto, Hermione riuscì a fuggire dopo alcune foto di rito e raggiunse Draco, che si stava proponendo di aiutare Otto a trasportare con la magia tutte le pietanze ai tavoli del buffet.

 

Hermione li aiutò nell'impresa, utilizzando a sua volta numerosi Wingardium Leviosa, poi si ritagliò un momento di solitudine con il suo ragazzo.

 

«Stai bene?», gli chiese, leggermente preoccupata della possibile risposta.

 

«Sì, sto bene», rispose, sorridendole calorosamente: «Vorrei ricordarti, che non sono io quello che fino a qualche giorno fa aveva paura di passare una giornata intera circondato da Weasley», aggiunse Draco, lanciando un'occhiata allusiva a Blaise Zabini, che indossava i guanti proprio per non rischiare di toccare per sbaglio la pelle "di un qualche Weasley".

 

Hermione sorrise e sospirò, poi diede un veloce bacio a stampo a Draco e senza pensare a quello che stava dicendo, sussurrò: «Ti amo».

 

Malfoy sbarrò leggermente gli occhi a quella dichiarazione, ma non ebbe tempo di rispondere, dato che Molly arrivò proprio in quel momento e, afferrata Hermione per il braccio, la portò vicino all'altare, per scattare altre foto con gli sposi e il resto della famiglia.

 

Draco imprecò contro Merlino e Morgana, mentre osservava mamma Weasley portare via Hermione e rovinare irreparabilmente il magico momento, che aveva aspettato per lungo tempo di condividere con la propria ragazza.

 

Hermione, ancora sconvolta per la dichiarazione che le era sfuggita dalle labbra, si sentiva molto insicura e preoccupata. Molly aveva, forse fortuitamente, interrotto quello che sarebbe potuto essere un momento molto imbarazzante, oppure uno dei momenti più felici della sua vita.

 

Luna Lovegood iniziò a comandare tutti a bacchetta, facendo sapere a ciascuno dove voleva che si disponessero per le fotografie di gruppo ed Hermione fu felice di potersi concentrare su quelle strane richieste e non rimuginare troppo su quello che sarebbe potuto essere.

 

Malgrado i mesi felici con Draco, non aveva mai sentito, se non in rare occasioni, la necessità di comunicare al ragazzo quanto i propri sentimenti per lui fossero forti.

 

Gli aveva detto che gli voleva bene, gli aveva detto che ogni giorno passato con lui era unico e inimitabile, gli aveva detto che quando non erano insieme pensava spesso a lui e si chiedeva cosa facesse e se anche lui pensasse a lei. 

 

Gli aveva detto molte cose dolci e ne aveva ricevute altrettante da lui, che non si era mai vergognato di mettere a nudo la propria anima.

 

Ma non erano mai arrivati a pronunciare il primo fatidico "Ti amo".

 

 

Hermione si ritrovò tormentata dai dubbi, mentre sorrideva alla macchina fotografica.

 

L'aveva detto nel momento sbagliato? Draco avrebbe ricambiato quelle parole, se Molly non l'avesse trascinata a scattare fotografie con gli sposi e la famiglia Weasley al completo? Erano troppo pochi tre mesi per dire a una persona di amarla?

 

Quando tutti iniziarono a perdere interesse per le fotografie e iniziarono a spandersi a macchia d'olio verso i tavoli del buffet, Hermione rimase vicina a Ginny, la quale sembrava intenzionata a condividere con lei ogni istante della giornata.

 

Draco Malfoy pensò più volte di allontanare Hermione dalla folla, per avere nuovamente un attimo solo per loro, ma a quel matrimonio intimo — al quale erano stati invitati solo i parenti e amici più stretti — c'erano troppe persone per poter permettere a Draco di trovare un momento di solitudine con la propria ragazza, soprattutto in quel momento di agitazione ed eccitazione generale.

 

 

Così Draco Malfoy prese un profondo respiro e smise di chiedersi quale sarebbe stato il momento giusto per rubare Hermione al resto degli invitati, e, con rassegnazione, decise di raggiungere zia Andromeda, Teddy, Pansy e Blaise al più vicino tavolo del buffet.

 

Hermione aveva seguito ogni movimento del proprio ragazzo con la coda dell'occhio, mentre ascoltava Ginny raccontare a mamma Molly e a una collega di Harry e Ronald, Lewa Tangara, l'emozione che aveva provato durante lo scambio delle promesse.

 

Luna Lovegood passò in quel momento e scattò una foto a Hermione, immortalando la sua espressione seria e nervosa.

 

«Quest'abito è... non penso esistano parole per descriverlo», disse Lewa, gli occhi scuri che ammiravano la purezza del tessuto e la precisione di ogni dettaglio: «Sembra calzarti come un guanto».

 

Ginny, col volto arrossato, sorrise ulteriormente e la ringraziò, dicendole che se voleva fare i complimenti allo stilista doveva solo cercare l'uomo con il completo a fantasia color ocra e lo smalto alle unghie.

 

All'udire la parola "smalto" Hermione pensò inevitabilmente al sesto anno e alla sera in cui Draco le aveva chiesto di aiutarlo a togliere lo smalto nero che qualcuno aveva usato per macchiare le sue unghie; per questo le spuntò un involontario sorriso sulle labbra, sorriso che Luna si premurò d'immortalare.

 

 

Ginny si guardò intorno e individuò facilmente Blaise Zabini e il suo eccentrico outfit, così da poterlo indicare a Lewa: «È più pazzo di quanto sembri, ma geniale quando si tratta di abiti e moda. Quella accanto è la sua compagna, che sono abbastanza certa sia incinta; sono una coppia molto chiacchierata recentemente: la madre di Zabini è famosa per il numero eccessivo di mariti che ha dovuto seppellire e i giornali si divertono a spargere cattiverie e a fare supposizioni su quanto vivrà Pansy Parkinson, prima che Zabini prenda dalla madre».

 

Hermione si sentì a disagio nell'ascoltare quello stupido pettegolezzo e le fu impossibile rimanere zitta: «Zabini è tante cose, ma di sicuro non un aspirante assassino».

 

Ginevra sussultò e scrollò le spalle: «Sto solo riportando i pettegolezzi», disse, nel tentativo di fuggire all'occhiata piena di rimprovero di Hermione.

 

La riccia, senza dire niente, si allontanò dalla sposa, decisa a non ascoltare altre cattiverie simili, e venne ben presto afferrata per un braccio da George, che la trascinò verso il giradischi portatile babbano di Harry, chiedendole come funzionasse quell'aggeggio.

 

Hermione aiutò George a mettere il primo disco e appena la musica iniziò a diffondersi nell'aria, Harry e Ginny si fecero larga tra gli invitati per dare il via alle danze, condividendo il loro primo ballo da marito e moglie.

 

Mentre Luna Lovegood si premurava di immortalare quel magico momento, Hermione si guardò intorno, alla ricerca di Draco.

 

La ragazza non era più preoccupata di quello che Draco avrebbe potuto dirle in risposta al "Ti amo", che le era sfuggito dalle labbra prima; tutto quello che voleva era stringere tra le braccia il proprio ragazzo e lasciarsi trasportare dalle note del lento.

 

Quando Hermione si rese conto che Draco non si trovava da nessuna parte, le si fermò un enorme macigno di paura nello stomaco e non poté fare altro, per pochi minuti infiniti, che rimanere in piedi, accanto al giradischi portatile, con gli occhi lucidi e il viso contratto in un'espressione di pura confusione; mentre si chiedeva quale potesse essere stato il motivo dietro a quell'improvvisa fuga. 

 

Draco aveva forse deciso di andarsene a causa di quel "Ti amo"? 

 

Hermione non poteva saperlo, ma più ci pensava, più non riusciva a trovare altra possibile motivazione.

 

In realtà Draco Malfoy non se n'era andato, ma aveva semplicemente accompagnato Teddy in bagno, il quale aveva preferito la compagnia del cugino a quella della nonna, per fare la pipì.

 

Appena Draco udì, dall'interno della Tana, le prime note di quel lento, incitò Teddy a sbrigarsi, mentre un dolce sorriso gli si formava sulle labbra: ballare con Hermione gli avrebbe permesso di parlare finalmente con lei e niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo.

 

Quando uscì dalla casa, con Teddy per mano, iniziò subito a cercare con lo sguardo Hermione.

 

La individuò vicino al giradischi portatile, sembrava triste, mentre si tormentava le labbra con i denti e giocherellava con il braccialetto che portava al polso.

 

Una volta consegnato Teddy ad Andromeda, Draco raggiunse Hermione e le si parò di fronte, facendola sussultare per la sorpresa.

 

Gli occhi di Hermione si spalancarono nel notare il sorriso sulle labbra del ragazzo.

 

«Sei tornato?», gli chiese, confusa, cercando in quei lineamenti familiari qualche risposta alle sue infinite domande.

 

«Tornato?», chiese Draco, allungando una mano per afferrare quella di Hermione e accompagnarla verso il resto dei ballerini: «Tornato da dove?».

 

«Non ti ho più visto in giro e ho pensato che te ne fossi andato», sussurrò Hermione, portando le braccia intorno al collo di Draco, mentre lui le avvolgeva la vita con le sue, dopodiché iniziarono a dondolare dolcemente a ritmo di musica.

 

«Ho accompagnato Teddy in bagno», spiegò Draco, lanciando una veloce occhiata al cuginetto, che stava ballando, poco distante, con la piccola Victorie, mentre zia Andromeda osservava i due bambini con gli occhi colmi di commozione.

 

«Pensavo te ne fossi andato», ripeté Hermione, mentre il macigno sullo stomaco sembrava scomparire, sostituito da un fastidioso groppo in gola.

 

«Perché mai me ne sarei dovuto andare?», chiese lui, sorridendole, sinceramente confuso dalle parole di Hermione.

 

«Pensavo di averti spaventato, dicendoti... dicendo quello che ho detto».

 

L'espressione di Draco si fece improvvisamente seria, poi scosse il capo e sospirò: «Questo perché mamma Weasel ha scelto il momento peggiore per intromettersi: sono sempre più convinto che ce l'abbia con me... Sai, per averti "rubata a Ronald"».

 

In quel momento Molly, tra le braccia del marito, alterava momenti di pura gioia, quando posava lo sguardo sulla figlia e il genero, ad altri di totale sconforto, mentre notava Ronald bere idromele con la sua collega di lavoro e Hermione ballare con Malfoy. Molly sospirò affranta, poi sorrise, poi sospirò di nuovo, finché Arthur non la sostenne in un leggero casqué e la baciò sulle labbra, dicendole di non pensare troppo a Ron.

 

«Vuoi sapere cos'avrei detto, se mamma Weasley non ti avesse portata via, Hermione?», chiese Draco, pronunciando quelle parole a pochi centimetri dalle labbra della ragazza, le cui guance si tinsero di un rosso intenso.

 

«Sì», rispose Hermione, la voce che le tremava appena per l'emozione.

 

«Ti avrei detto...», sussurrò Draco, senza distogliere gli occhi da quelli scuri e lucidi di Hermione: «Ti amo».

 

Hermione sorrise e premette con impazienza le labbra contro quelle di Draco, che rispose al bacio con altrettanta passione. Poi tornarono a danzare, entrambi sorridenti e spensierati; troppo felici per prestare attenzione a qualsiasi altra cosa, troppo felici per notare la macchina fotografica di Luna Lovegood, che immortalò per sempre il loro amore.

 

Poco distante, Blaise Zabini aveva ormai smesso di piangere e stava sorseggiando dell'idromele, mentre Pansy cercava di non vomitare ad ogni strano odore che raggiungeva le sue narici. Era da qualche settimana che gli odori sembravano causarle sempre nausee improvvise, malgrado cercasse di stare lontana da uova, formaggi stagionati, pesce e cavolfiori, la nausea trovava sempre un modo per tormentarla.

 

«Ti va di ballare?», le chiese Blaise, voltandosi abbastanza verso la ragazza da permetterle di respirare a fondo la sua colonia, uno dei pochi profumi al mondo che sembrava salvarla dai conati di vomito.

 

 

Pansy ci pensò per qualche secondo, poi annuì  e si alzò: «Facciamo vedere a questi incapaci cosa vuol dire ballare», disse, alludendo alle numerose lezioni di ballo che, in quanto Purosangue, erano stati tenuti a frequentare fin da piccoli.

 

Blaise sorrise soddisfatto e abbandonò il calice di idromele, accompagnando la sua dama in pista.

 

Mentre i due Serpeverde dimostravano, senza troppo sforzo, passi di danza complicati e particolari, Ronald Weasley si ubriacava con Lewa e cercava di non guardare Hermione e Malfoy, i quali avevano un aspetto troppo felice per i suoi gusti.

 

«È normale che i sentimenti cambino», disse Lewa, finendo l'ultimo sorso d'idromele che aveva nel calice: «Dovresti lasciarla andare».

 

Ronald spostò lo sguardo sulla collega, osservandone con attenzione i lineamenti. Aveva sempre pensato che Lewa fosse molto bella, ma non si era mai soffermato su quel pensiero per più di pochi secondi. Un tempo lo faceva quasi in automatico, se si rendeva conto che stava osservando i grandi occhi di Lewa o le sue labbra carnose o i suoi zigomi alti con anche solo un pizzico di desiderio, distoglieva lo sguardo e si sgridava aspramente, ricordando a se stesso di stare con un'altra. 

 

Da quando con Hermione era finita, si era ritrovato più volte ad osservare Lewa da lontano, quando la ragazza parlava con Harry, o quando, seduta alla scrivania, leggeva concentrata rapporti e documenti.

 

Era stato strano rendersi conto di provare una forte attrazione per Lewa, forse perché l'aveva sempre vista come una collega e basta, forse perché erano troppi anni che non si permetteva di provare altro che amicizia con ragazze che non erano Hermione.

 

«Hai ragione», disse Ronald: «Ti va di ballare?»

 

Lo sguardo di Lewa si spostò sul viso pieno di lentiggini del ragazzo e gli sorrise, timidamente, prima di posare il calice e afferrare la mano che gli porgeva: «Stavo per chiedertelo io», ammise.

 

Ronald sorrise a sua volta e scrollò le spalle: «Sono un ottimo legilimens», mentì.

 

Luna Lovegood immortalò il momento in cui, nel bel mezzo del ballo, Ronald e Lewa si baciarono per la prima volta, poi si servì un altro generoso bicchiere di idromele e fu in quel momento, che i suoi occhi incontrarono quelli azzurri e limpidi di un ragazzo tanto lentigginoso da sembrare abbronzato.

 

«Ci conosciamo?», chiese Charlie Weasley, osservando con espressione incuriosita il volto pulito e i grandi occhi della ragazza di fronte a lui.

 

Luna scosse il capo: «Non credo, sono Luna Lovegood, una compagna di scuola di Ron, Harry ed Hermione, ma oggi sono la fotografa».

 

Charlie annuì pensieroso e allungò una mano per presentarsi: «Sono Charlie, fratello della sposa».

 

Luna posò la macchina fotografica per stringergli la mano e fece una piccola smorfia: «Sei ricoperto di Gorgosprizzi, lo sai?»

 

Charlie scoppio a ridere e annuì: «Me lo dicono in tanti».

 

 

Scese un momentaneo silenzio, poi Luna sorrise: «Ti va di ballare?»

 

 

 

 

 

 

 

***

 

Buonsalve popolo di EFP!

 

Siamo al penultimo capitolo di questa Fanfiction e posso percepire il vostro malumore.

 

Devo ammettere di essermi affezionata molto a tutti i personaggi, il che significa che sarà dura anche per me abbandonarli così presto... Anche se forse presto non è la parola giusta, tra "Gioco di Sguardi" e "Momenti rubati" arriverò ad un totale di novantuno capitoli scritti, che non sono mica pochi!

 

Mi sono ancora una volta impegnata a far emergere quanti più punti di vista possibili e sono abbastanza soddisfatta del capitolo, spero che sia piaciuto anche a voi e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!

 

L'epilogo, che vi pubblicherò alla Vigilia, sarà leggermente più breve rispetto ai capitoli a cui siete stati abituati, ma penso che vi piacerà comunque!

 

Come sempre vi ricordo che potete trovarmi su Instagram (il nome dell'account è lazysoul_efp) e nel caso in cui voleste supportare il mio lavoro offrendomi un caffè, potete trovare il link per la mia pagina Ko-fi nella bio.

 

Un bacio,

 

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Nuovo inizio ***


31. Nuovo inizio
 

 

 

Blaise Zabini percorse con passo sostenuto il corridoio dell'ospedale, diretto verso la sala d'attesa. Il cuore gli batteva all'impazzata ed era talmente emozionato da non avere tempo di pensare a come il colore del camice stonasse con la sua carnagione o al fatto che i suoi bellissimi capelli erano stati nascosti dentro ad una imbarazzante cuffietta bianca.

 

Merlino, era tanto agitato da essersi addirittura scordato di avere i guanti in lattice sporchi di sangue!

 

Tutto quello che occupava la sua mente in quel momento era un numero, accompagnato da un nome; continuava a ripeterseli per paura di dimenticarli e più li ripeteva, più aumentava l'emozione che lo spingeva a percorrere con quel passo sempre più sostenuto i corridoi del San Mungo.

 

Spalancò le porte della sala d'attesa, svegliando un assopito Draco Malfoy e spaventando un'assorta Astoria Greengrass, Hermione Granger si limitò a sollevare lo sguardo dal libro che stava leggendo, gli occhi arrossati dalla stanchezza misero a fuoco con difficoltà il volto di Zabini.

 

«È nato!», urlò Blaise, sfoggiando un sorriso radioso, mentre saltellava felice sul posto.

 

Draco si alzò in piedi, all'improvviso sveglio, e Astoria si sporse sulla sedia che occupava, curiosa di sentire ulteriori dettagli.

 

«Pansy come sta?», chiese Draco, osservando il corridoio deserto alle spalle dell'amico, quasi si aspettasse di vederla comparire a breve.

 

«Pan sta bene, ora sta allattando il nostro bambino, poi farà un lungo pisolino. Io sono stato mandato qua dalla medimaga, che a quanto pare "non ce la faceva più ad avermi intorno" a comunicarvi la lieta notizia».

 

Hermione camuffò la risata che stava per sfuggirle, nel sentire l'ultima parte della frase, con un colpo di tosse.

 

Draco invece rise di gusto, fin troppo consapevole di quanto potesse essere fastidioso l'amico: «Possiamo venire a vedere la neomamma?»

 

«Certo!», esclamò Blaise, facendo dietro front e percorrendo nuovamente quei lunghi corridoi con passo concitato. 

 

A dire la verità Blaise non sapeva se fosse o meno possibile entrare in sala parto così presto, ma l'idea di infastidire qualche medimago non lo preoccupava più di tanto.

 

«Avete già scelto un nome?», chiese Astoria, la quale lavorava abbastanza a stretto contatto con Zabini da sapere che a quel bambino sarebbe stato dato un nome abbastanza originale ed unico da rovinargli l'intera esistenza; l'unica che poteva far ragionare Zabini era Pansy, ma probabilmente era troppo stanca in quel momento per potersi opporre alle idee folli del compagno.

 

«Sì! Enea Riccardo Aedus Zabini, tre chili e cinque grammi», disse Blaise, sorridendo soddisfatto per essersi ricordato non solo il nome, ma anche il peso del suo bambino. Alle sue spalle Astoria storse leggermente il naso, Draco sollevò gli occhi al cielo ed Hermione aggrottò le sopracciglia. 

 

«Nomi... interessanti», disse infine Hermione Granger, ottenendo un'occhiata divertita da parte di Draco.

 

«Non mi aspetto che voi capiate», disse Zabini, scrollando le spalle, mostrando la sua espressione da genio tormentato: «Appena l'ho visto ho pensato a questi nomi».

 

«In questo specifico ordine?», chiese Draco, sorridendo apertamente.

 

Blaise Zabini alzò il naso e il mento al cielo: «Sono troppo felice per prestare attenzione alle tue derisioni, mi vendicherò quando avrai a tua volta figli e darai loro nomi insulsi».

 

Draco circondò le spalle di Hermione e le diede un bacio sulla fronte: «Io ed Hermione non abbiamo intenzione di ampliare la nostra famiglia per il momento, ma mi ritengo avvisato».

 

A pochi passi dalla stanza in cui Pansy stava allattando, la Medimaga cercò di fermare quell'eccentrico neopadre e le due donne e l'uomo che lo seguivano, ma le fu impossibile quando Zabini sfoderò il suo migliore sorriso e le fece presente che aveva intenzione di donare molti galeoni al San Mungo come regalo anticipato di Natale.

 

Tutto quello che la Medimaga poté fare fu raccomandare quegli sconosciuti di non agitare troppo la neomamma e di provare ad essere il più silenziosi possibile.

 

Erano da poco passate le tre di notte del primo Novembre, quando Blaise rimise piede nella stanza in cui era nato il suo primogenito, accompagnato da Draco, Astoria ed Hermione.

 

Il volto sempre perfettamente truccato e impeccabile di Pansy era stremato dalle lunghe ore di travaglio e dolori, arrossato sulle gote e ancora abbastanza sudaticcio da permettere ad alcune ciocche di capelli di incollarsi disordinatamente alla sua fronte e alle sua guance.

 

Blaise si sfilò i guanti in lattice, li fece evanescere e, ignorando le occhiate ammonitrici della Medimaga, si sedette sul bordo del lettino ospedaliero su cui Pansy stava allettando Enea.

 

Blaise le sistemò con un gesto delicato della mano i capelli in viso e Pansy gli sorrise stancamente, prima di spostare lo sguardo sul resto degli spettatori e di sollevare gli occhi al cielo: «Era proprio necessario che mi vedessero in questo stato?», chiese al proprio compagno, fulminandolo con un'occhiataccia.

 

Blaise le sorrise: «Quale stato? Sei bellissima, Pan».

 

Pansy non ribatté, troppo stanca per discutere oltre, e appena le labbra di Enea si staccarono dal suo seno e il bambino le sembrò abbastanza sazio, tirò un sospiro di sollievo e cedette il fagotto a Blaise.

 

La neomamma sorrise appena a Draco, Astoria ed Hermione: «Grazie per essere qui, ma ora andatevene, ho bisogno di dormire», poi allungò un braccio per lasciare un buffetto sulla guancia a Blaise: «E tu non consumare troppo il nostro bambino».

 

Blaise le lasciò un bacio sulla fronte e con il figli avvolto in una copertina color panna uscì dalla stanza, seguito a ruota dal suo entourage.

 

Blaise cedette il bimbo a Draco per qualche minuto, mentre correva in bagno a darsi una sistemata, e Hermione e Astoria si sporsero per osservare il visetto roseo, le labbrucce socchiuse e gli occhi scuri spalancati che osservavano a loro volta quella moltitudine di visi.

 

«È uguale a Blaise», disse Draco, gli occhi lucidi per l'emozione, mentre faceva attenzione a tenere nel modo corretto il bambino.

 

«Sarà un piccolo rubacuori», disse Astoria, allungando un dito per sfiorare la manina piccina che sbucava dalla copertina bianca.

 

Un trambusto nel corridoio, li fece voltare, tutti e tre, verso il rumore.

 

All'orizzonte erano comparse le figure concitate di Delphine Blanche Urray in Van Dijk e Daan Noah Van Dijk, la madre e il patrigno di Blaise, seguiti a pochi passi dai signori Parkinson, i quali erano poco felici che la loro bambina avesse partorito un figlio purosangue fuori dal vincolo del matrimonio, ma allo stesso tempo avevano i cuori colmi di gioia all'idea di poter fare finalmente i nonni.

 

Draco cedette Enea a Delphine, che osservò il nipotino con gli occhi colmi di amore e lacrime: «Oh, è tutto suo padre», disse la nonna, sfiorando il nasino del bambino, che le sorrise.

 

Blaise tornò in quel momento, impeccabilmente vestito come suo solito e con un enorme sorriso in volto; sorrideva da talmente tanto tempo che cominciavano a fargli male le guance.

 

Mentre i nonni circondavano il neopapà e lo riempivano di domande e congratulazioni, Astoria si scostò e disse a Draco ed Hermione che sarebbe andata a casa a dare la buona notizia a Delilah, che aveva il negozio da aprire quella mattina e non se l'era sentita di passare gran parte della notte sveglia ad attendere.

 

Rimasti in disparte, Draco ed Hermione osservavano stanchi, ma felici, il siparietto di fronte a loro, decisi a non perdersi nemmeno un istante di quel momento tanto importante per Blaise. 

 

Draco passò un braccio intorno alle spalle di Hermione e se la strinse più vicina, così da poterle sussurrare più facilmente all'orecchio.

 

«Ho improvvisamente voglia di ampliare la nostra famiglia, Granger».

 

Hermione sorrise e sollevò lo sguardo per incontrare gli occhi stanchi e arrossati di Draco: «Pensavo avessimo deciso di non voler affrettare troppo le cose», gli ricordò, in un sussurrò.

 

«Vero, ma potremmo sempre cambiare idea», ribatté Draco, facendole l'occhiolino.

 

Hermione distolse lo sguardo dal volto di Draco, per posarlo nuovamente sul fagotto che Blaise stringeva tra le braccia e il cuore le batté disordinatamente in petto all'idea di diventare madre.

 

Non pensò al dolore del parto, né ai pianti che avrebbe dovuto sedare notte e giorno, ma alla pura, semplice e terrorizzante gioia che si doveva provare nel stringere tra le braccia il proprio bambino.

 

Con gli occhi lucidi tornò a guardare Draco: «Solo se mi prometti che il tuo gusto in fatto di nomi è migliore rispetto a quello di Zabini».

 

Anche gli occhi di Draco si riempirono di lacrime: «Non so se posso promettertelo, temo che dovremo seguire la tradizione e scegliere il nome di una stella o costellazione, ma avrai comunque tu l'ultima parola».

 

Hermione, ammutolita dal nodo che sentiva in gola e dal battito impazzito del proprio cuore, si sporse per baciare Draco sulle labbra e suggellare in quel modo la decisione che avevano appena preso, insieme.

 

«Dovremo chiedere a Pansy e Blaise di prestarci Cocomero per fare pratica».

 

Hermione scoppiò a ridere e gettò le braccia intorno al collo di Draco, mentre le mani di lui si avvolgevano intorno alla sua vita.

 

«Ti amo», gli sussurrò all'orecchio, lasciandogli un bacio sulla guancia.

 

In quel momento Blaise li raggiunse, seguito dai nonni e con gli occhi stanchi colmi di lacrime eclamò: «Draco, ci credi? Sono diventato papà!» 

 

Vennero scacciati verso la sala d'attesa dalla Medimaga, indispettita da tutto quel rumore, e, mentre percorrevano il corridoio spoglio, Draco ripensò per qualche secondo a come tutto era iniziato, all'odio privo di fondamento che si era costretto a provare per la ragazza che stringeva tra le braccia, al dolore che aveva provato quando aveva dovuto dirle addio il sesto anno e alla gioia che da mesi lo accompagnava, ovunque andasse, al pensiero di averla nuovamente nella sua vita.

 

Si rese conto, più che mai, di esser un uomo fortunato e senza pensarci lasciò un bacio sulla fronte di Hermione e sussurrò: «Ti amo».

 

 

 

 

 

 

 

***

 

Buonsalve popolo di EFP!

 

Nel caso non lo sapeste o aveste voluto fino ad ora negare l'evidenza: siamo arrivati all'ultimo capitolo.

 

Mi sembra ieri quando ho teminato di scrivere "Gioco di sguardi", e invece sono passati già sei mesi... come vola il tempo!

 

Approfitto di questo spazio per ringraziare di cuore chi ha letto questa storia silenziosamente, chi l'ha aggiunta tra le storie seguite, ricordate e preferite, ma soprattutto chi ha trovato il tempo per farmi sapere con un commento se la storia stava o meno piacendo. Grazie di cuore, spero di non avervi deluso con questo finale aperto, ma di avervi strappato ancora un sorriso, una risata e magari anche una lacrimuccia.

 

Se avete tempo e voglia, gradirei molto che mi lasciaste un commento per farmi sapere come avete trovato la storia, ora che è finita, cosa vi è piaciuto, cosa no e qualsiasi consiglio o critica costruttiva che vi sentiate di lasciarmi.

 

Vorrei inoltre rassicurarvi: sto lavorando a una nuova dramione, che descriverei come molto diversa da quelle che ho scritto fin'ora, ma che confido potrà comunque piacervi!

 

Ancora non so quando riucirò a pubblicarvela, dato che vorrei prendermi almeno una settimana di vacanza da Wattpad, ma confido per il nuovo anno di tornare molto carica e con le idee più chiare.

 

Come sempre ricordo, per chi fosse interessato, che potete trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp; se invece foste interessati a donarmi un caffè per sostenere il mio lavoro, vi ricordo che trovate il link alla mia pagina Ko-fi nella mia bio.

 

Auguro a tutt* voi un gioioso Natale e un felice anno nuovo!

 

Un bacio,

 

LazySoul

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3912109