Mowgli alla riscossa

di Dromeosauro394
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 libro giungla 2 supercorretto

 

Il villaggio degli uomini cominciava a risvegliarsi. Tra le casupole risuonavano i rumori degli abitanti che si alzavano per cominciare le attività giornaliere. Varie sagome iniziavano ad affollare le strade, deserte solo un’ora prima. Chi per andare nei campi chi al mercato chi verso la città vicina.

Una figura più piccola delle altre tentava di farsi strada fra le persone reggendo sulla testa una brocca d’acqua. Gli adulti non facevano molto caso alla bambina che temeva di rovesciare il contenuto della brocca prima di raggiungere la casa della sua padrona. Passò davanti al piccolo tempio del bramino accanto all’albero di manghi. I canti mattutini dell’uomo di fede e l’odore di incenso l’avvolsero mentre si dirigeva verso la sua destinazione. La casa della sua padrona Messua era la più grande del villaggio perché suo marito Rama era l’uomo più ricco. La bambina entrò silenziosamente dalla porta di servizio e poggiò la brocca in cucina dove sua madre stava preparando la colazione. “Shanti sei tu?”, sentì la voce pacata di Messua chiamarla dalla sala. “Sì, sono io. Ho portato l’acqua” “Brava. Per favore va a svegliare Nathoo, io devo correre al tempio per la preghiera del mattino” “Si, signora”, rispose obbediente Shanti. Messua era una donna molto credente.

Si addentrò per i corridoi della casa appena in tempo per vedere Messua che usciva dalla porta principale. La donna indossava dei grossi cerchi di rame ai polsi e alle caviglie ed era avvolta in un  elegante velo rosso. Shanti osservò meravigliata gli arredi della casa e si diresse verso la stanza di Nathoo: il figlio di Messua e suo marito. Aprì leggermente la porta e sussurrò il suo nome. “Nathoo”. Nessuna risposta. “Nathoo è ora di alzarsi”. Non ottenendo ancora una risposta Shanti entrò nella camera. Davanti a lei c’era il letto imbottito di Nathoo, ma nessuna traccia di lui. Preoccupata guardò in giro per la stanza ma non lo trovò. “Nathoo! Nathoo dove sei?” Un ronfare sommesso le giunse da fuori la finestra. La ragazzina si sporse e vide Nathoo che dormiva pacificamente su un ramo dell’albero accanto alla casa. Il ragazzino indossava solo un paio di mutande rosse. Come aveva fatto a passare la notte lì fuori con quel freddo? E come poteva preferire un ramo duro col rischio continuo di cadere a un materasso pieno di piume? Shanti sospirò pensando alla sottile coperta stesa sul pavimento dove era costretta a passare le proprie notti. Non era la prima volta che lo trovava così. Per quanto la padrona Messua cercasse di convincere a Nathoo a dormire in casa il ragazzino sembrava soffrire le lenzuola come il letto di chiodi di un fachiro. Perciò spesso lo si ritrovava a dormire sull’albero. Per fortuna quel lato della casa dava sulla giungla e non c’era il rischio che il villaggio spettegolasse. Shanti si sporse e lo chiamò di nuovo: “Nathoo. Nathoo svegliati, devi alzarti”. Il ragazzino alzò la testa piena di folti capelli neri. Sbadigliò e si mise a sedere sul ramo. “Buongiorno Shanti” “Mia madre sta preparando la colazione. Sbrigati a scendere, prima che qualcuno ti veda, Nathoo”. Il ragazzino aggrottò la fronte a quel nome e si girò dandole le spalle. “Oh, dai Nathoo non stamattina, per favore scendi” “Scendo solo se mi chiami col mio vero nome” “Ma... Tua madre ha detto che non devo più chiamarti così. Anche se me lo chiedi” “E allora io non scenderò”, rispose perentorio lui incrociando le braccia. Shanti si morse il labbro esasperata ma alla fine lo disse: “Va bene. Mowgli puoi scendere dall’albero per favore?”. Mowgli si girò contento e scese giù dall’albero con l’agilità di una scimmia. Atterrò in ginocchio sul davanzale e Shanti si ritrasse. “Bene ora vieni in cucina”. Il ragazzino la seguì. L’ aveva seguita fino dal loro primo incontro quando aveva raccolto la brocca e le era venuto dietro dentro il villaggio.

Shanti aveva pensato che fosse un altro dei bambini del villaggio che si era addentrato avventuroso sul limitare della giungla, non poteva sapere che in realtà Mowgli veniva proprio da lì. Appena arrivati nel villaggio aveva provato a parlargli e lui non sapeva spiccicare una parola. Quando gli altri abitanti del villaggio si erano accorti del bambino sconosciuto, c’era stata una grande frenesia e tutti lo avevano accerchiato. Mowgli si era ritratto spaventato e aveva ringhiato. Buldeo il vecchio cacciatore del villaggio aveva detto che doveva essere un ragazzino allevato dai lupi, come se ne trovano a volte.  A dimostrazione della sua tesi indicò i segni di morsi e artigli sulla pelle nuda del bambino. Quando aveva provato a toccarlo Mowgli gli aveva assestato un pugno in pancia sorprendentemente forte per uno scricciolo tutto pelle e ossa. Era arrivato svelto il bramino del villaggio, un omone grasso e vestito di bianco. Davanti a quella situazione si era grattato la fronte punteggiata dalla pittura bianca e rossa, incapace di trovare una soluzione.  “Quel ragazzino non porterà altro che guai, probabilmente è maledetto”, aveva borbottato Buldeo piegato in due. Poi si era fatta strada tra la folla Messua. “Fermi non fategli del male. Nathoo, Nathoo sei tu?” “Messua sta attenta è un animaletto che morde”, si era lamentato Buldeo massaggiandosi lo stomaco. La donna invece si era fatta avanti lentamente e aveva preso il viso di Mowgli tra le mani. Lui era rimasto fermo immobile. Messua lo aveva guardato dritto negli occhi poi lo aveva abbracciato stretto. “Sì, sì, è Nathoo, il mio bambino. Quello che credevamo morto nella giungla. Adesso è grande, ma i suoi occhi sono gli stessi di quando lo cullavo in fasce. Oh, sia ringraziato il cielo. È miracolo”. Il bramino si era accarezzato la barba bianca e aveva confermato che doveva trattarsi di un miracolo degli dei. In quel momento era arrivato anche il marito di Messua e l’aveva trovata in lacrime che stringeva il bambino dall’espressione spiazzata. Il bramino gli aveva spiegato quale miracolo avessero concesso gli dei a lui e a sua moglie nel restituirgli il figlio e che sarebbe stato un buon gesto ringraziarli con una generosa offerta al tempio. Il padrone aveva acconsentito e aveva detto che avrebbe accolto Mowgli in casa sua, ma non sembrava avere lo stesso entusiasmo di Messua per il ritorno del figlio. Mentre Messua lo aveva trascinato via per un braccio sempre accarezzandolo e coprendolo di baci, Mowgli aveva lanciato a Shanti un ultimo sguardo di smarrimento. 

Era trascorso poco più di un anno da quella giornata, ma Mowgli ancora si sentiva perso come quel primo giorno. Piano piano aveva imparato a parlare. Avevano visto che ogniqualvolta ci stesse Shanti  faceva progressi più velocemente. Non appena ebbe abbastanza dimestichezza, aveva provato a dire che il suo vero nome era Mowgli e non Nathoo, ma il marito di Messua non voleva sentire ragioni e aveva tentato di convincerlo che si sarebbe abituato al nuovo nome e avrebbe presto dimenticato il vecchio nome da lupo.

Shanti rise al pensiero di tutte le cose del villaggio che aveva dovuto insegnarli. Quando gli aveva mostrato per la prima volta una padella era rimasto affascinato dal suo stesso riflesso e si era messo a fare boccacce strane. Gli aveva anche dovuto spiegare le regole del villaggio, di cui Mowgli era decisamente insofferente. Non capiva perché ci si dovesse lavare così spesso, quando nella giungla poteva farlo solo e se ne aveva voglia gettandosi nel fiume a nuotare e non in una piccola tinozza con il sapone che pizzicava gli occhi e aveva un saporaccio. Quando gli avevano fatto provare vestiti e turbante gli davano un prurito terribile e continuava a tentare di levarseli, che fosse o no in pubblico. Alla fine lo avevano lasciato solo con mutande avendo attenzione che le cambiasse però ogni giorno. Nel villaggio non si poteva cacciare o cogliere la frutta dagli alberi liberamente ma tutto quanto aveva un prezzo, che si pagava con una strana roba di cui tutti erano ossessionati: il denaro. In particolare, il marito di Messua che l’ospitava in casa aveva una grande passione per il denaro e ogni volta era sconvolto e amareggiato che Mowgli non ne comprendesse l’utilità. Aveva provato a insegnarli a fare di conto ma a Mowgli i numeri propio non gli entravano in testa, il pover’uomo si metteva le mani nei capelli davanti a quelle situazioni.

I due bambini finirono la colazione.  Mowgli poi la seguì mentre svolgeva le commissioni nel villaggio. Non gli era permesso uscire di casa da solo dopo alcuni incidenti che si erano verificati.

Ad un certo punto passando nella piazza del villaggio sotto il grande albero di fichi videro Buldeo il cacciatore che stava raccontando una delle sue storie a un gruppetto intorno a lui. Buldeo era considerato l’esperto del villaggio sulla giungla. Ogni volta che Mowgli ascoltava doveva mordersi la lingua per non ridere alle sciocchezze che diceva, quando invece gli altri ragazzi del villaggio pendevano dalle sue labbra. “È così, vi dico. La tigre che sta infestando i boschi vicino a Oodyepure è posseduta dal demone di un usuraio. Quando era in vita l’uomo zoppicava per questo ora la tigre zoppica, ma nonostante ciò riesce comunque a ammazzare il bestiame dei villaggi vicini. E qualche volta anche i mandriani”. Nella piccola folla le donne si coprirono la bocca con le mani e bimbi si nascosero nelle loro sottane mentre gli uomini si scambiavano commenti arcigni. “Questo succede agli uomini che hanno troppo denaro fra le mani quando devono reincarnarsi”, disse Buldeo sollevando lo sguardo mentre passava Mowgli, un velato commento al suo ricco padre adottivo. Il ragazzino a quel punto si fermò e guardò torvo il cacciatore. Una cosa era quando veniva additato lui da Buldeo, il capo cacciatore non amava essere smentito sui suoi racconti della giungla e la sua missione era diventata di denigrare il ragazzino in ogni modo, ma era tutt’altra questione se diceva qualcosa contro l’uomo che lo aveva accolto in casa. “Quelle che dici sono tutte stupidaggini”, alzò la voce Mowgli fermandosi in mezzo alla piazza. Shanti si fermò preoccupata. “Nathoo dai non badargli, gli dai più soddisfazione così”. Mowgli non la ascoltò e continuò: “La tigre di cui parla Buldeo non è affatto posseduta, si chiama Shere Khan e zoppica perché si è bruciata una zampa dopo che lo scacciata via io” “Tu? Hahaha”, rise Buldeo. Altre risate si aggiunsero dal gruppetto. “Un filo d’erba come te che sconfigge una tigre. Hahaha, certo che da quando hai imparato a parlare ne sai raccontare di frottole, eh Nathoo? Come quella volta che hai detto di aver cavalcato un orso”. Altre risate si sollevarono dai membri del villaggio. “È vero”, protestò Mowgli, “Baloo è mio amico e mi faceva cavalcare sul suo dorso”. Buldeo sghignazzò ancora: “Comunque se hai già sconfitto questa... Shere Khan, perché non la vai ad acchiappare di nuovo? Il governo di Oodyepure ha messo una taglia di cento rupie sulla testa della tigre” “Quasi, quasi lo farò”, rispose sprezzante Mowgli. “Tale padre tale figlio”, sogghignò il cacciatore, “Non appena si nominano le rupie andrebbero anche in bocca a una tigre. Haha”. Shanti cominciò a tirare Mowgli per un braccio. Il ragazzino si lasciava intortare facilmente da Buldeo o da chi lo prendeva in giro. “Andiamo Nathoo” “No, non me ne vado finché questo vecchio bugiardo non la smette di dire cattiverie su Kamya”. Shanti abbassò la voce: “Andiamo Na... Mowgli, vieni via. Così fai solo peggio. Per favore”. A sentirsi chiamare con il suo vero nome e guardando gli occhioni scuri di Shanti, Mowgli annuì e se ne andò. Rosso di rabbia si allontanò seguendo Shanti che lo teneva per mano. “Bravo Nathoo, dai retta alla tua amichetta shudra. Haha”, gridò da lontano Buldeo prima che scomparissero alla sua vista.

Ecco un’altra cosa che Mowgli non riusciva a concepire: il nome con cui Buldeo aveva chiamato Shanti, shudra. Gli shudra erano la casta dei servitori. A quanto pare nel villaggio degli uomini le persone erano divise in categorie quasi fossero delle specie di animali diverse. C’era la casta più alta, quella dei bramini, c’era la casta dei nobili e dei guerrieri,  kshatriya, quella degli allevatori di bestiame, dei mercanti e contabili, vaishya, a cui appartenevano Mowgli e la sua famiglia e poi c’era la casta dei servitori, gli shudra, a cui apparteneva la famiglia di Shanti. Infine c’erano i paria, gli intoccabili, che erano considerati al di fuori delle caste, in realtà erano considerati quasi al di fuori del genere umano. A loro spettavano tutti i lavori più umilianti e vivevano nella miseria. Una volta Mowgli era corso in soccorso di un vecchio intoccabile che doveva tirare fuori l’asino del suo padrone dal fango. Mowgli era riuscito a parlare con l’animale che non voleva saperne di muoversi e lo aveva fatto uscire dal pantano. Le urla che aveva lanciato il bramino quando lo aveva visto! Kamya si era arrabbiato moltissimo e a casa gli aveva fatto una ramanzina sul fatto che non si deve mai aiutare un intoccabile, le caste dovevano rimanere separate. Quando Mowgli aveva chiesto il perché, lui aveva borbottato irritato e gli aveva raccontato una storia confusa su come gli uomini fossero venuti fuori dal corpo di un gigante: i bramini bianchi dalla bocca per recitare le scritture, i kshatriya rossi dalle braccia forti per governare e uccidere i nemici, i vahsya gialli dalle cosce grasse per portare cibo e abbondanza e gli shudra neri dai piedi sporchi e puzzolenti per servire le caste superiori. Mowgli non riusciva a raccapezzarcisi. Come poteva una creatura come Shanti, bella, delicata e profumata come un fiore, essere fatta del materiale dei piedi di qualcuno? Ma lì al villaggio avevano un sacco di storie strane sugli dei che abitavano nel tempietto del bramino. Mowgli ogni volta confondeva i nomi e non capiva la devozione che le persone provavano per quegli strani esseri. Uno aveva addirittura la testa di un elefante e Mowgli aveva detto che assomigliava a Hati. Per poco il bramino non lo aveva preso a schiaffi. Shanti vide lo sguardo pensieroso di Mowgli. “Dai, non ci pensare. Buldeo se la prende con te perché tu sei l’unico che lo mette al suo posto in mezzo a questo branco di creduloni” “Non è solo lui. Perché qui nessuno crede a quello che dico? Io l’ho combattuta davvero Shere Khan e sono anche stato nel palazzo di re Luigi” “Beh, Nathoo ...” “Mowgli! Per favore almeno tu chiamami col mio vero nome”. Shanti si guardò intorno: “Mowgli, è solo che le storie che racconti sembrano un po’ assurde” “Ma almeno tu mi credi, vero?”. Shanti si morse il labbro: “Io ...beh, suppongo che ...”. Non aveva il coraggio di dirgli di no con quello sguardo bisognoso che le lanciava. “Si, io ...ti credo. Però è meglio che smetti di raccontarle certe storie altrimenti qui al villaggio non ti prenderanno mai sul serio. Dai, ora andiamo al mercato”. I due bambini passarono dal mercato per sbrigare le commissioni. Quando ebbero finito Mowgli si offrì di portare il cesto di Shanti al posto suo. Un paio di altri ragazzini del villaggio lo videro e cominciarono a deriderlo. “Ehi Nathoo. Porti ancora la spesa alla servetta? Haha”. Mowgli tentò di ignorarli. “Che fai non rispondi Nathoo? Ah, giusto il tuo vero nome è Mowgli, non è vero? E balli insieme alle scimmie. Hahaha”. I ragazzi si misero a grattarsi il capo e a saltellare come se fossero scimmiotti. A Mowgli formicolarono le braccia. Sapeva che se avesse voluto li avrebbe stesi come niente. Nella giungla era considerato debole e indifeso ma qui nel villaggio era forte come un uomo adulto. “Dai non starli a sentire”, gli disse Shanti. Alla voce di lei tutta la rabbia di Mowgli si dissipò. A parte Shanti non aveva fatto amicizia con altri bambini della sua età. Lo prendevano in giro quando non riusciva a pronunciare qualche parola o se non capiva le regole dei loro complicati giochi umani. E poi trovavano esilarante se riprendeva qualche movenza animalesca.

Buono buono tornò dietro Shanti nella grande casa. Non riusciva a capire come gli uomini potessero chiudersi volontariamente così in quelle gabbie di pietra dove non si respirava. Gli mancava correre e arrampicarsi libero nei grandi spazi della giungla. Una volta aveva avuto così nostalgia di Baloo e tutti i suoi amici che aveva cercato di tornarci. Non voleva scappare per sempre, voleva solo tornarci per una notte.  Così era sgattaiolato dall’albero fuori dalla finestra al di là del fiume di nuovo nei suoi luoghi familiari. Quando era tornato il mattino dopo Messua era in lacrime e Kamya furioso. Gli strillò quanto la giungla fosse pericolosa e di come poteva venir divorato dagli animali selvatici. A Mowgli veniva da ridere. Come poteva essere pericolosa la giungla? La sua casa. Ma quando aveva visto quanto stava male Messua non ci aveva più riprovato. Sentiva quanto la donna gli volesse bene. Tutte le volte che aveva combinato qualche pasticcio al villaggio lei lo aveva sempre difeso e perdonato. Ogni volta che il marito si arrabbiava con lui e gli strillava, lei invece lo abbracciava e continuava a dire che non era colpa sua doveva ancora riabituarsi a vivere tra gli uomini. Ogni notte si stendeva accanto al suo letto e gli accarezzava i capelli cantandogli dolci ninnenanne. Gli aveva raccontato di come lei e suo marito nel venire ad abitare in quel villaggio avessero attraversato la giungla sul fiume Waingunga e la corrente li aveva trascinati via e rovesciati. La sua culla era rimasta sulla canoa portata alla deriva. A nulla erano servite le ricerche fatte nei giorni successivi. Gli occhi della donna si riempivano di lacrime mentre raccontava quante notti aveva speso pregando perché il suo piccolo Nathoo tornasse da lei. Per anni si era aggrappata al pensiero che il figlioletto fosse sopravvissuto nonostante tutti nel villaggio, compreso il marito, le avessero detto di rassegnarsi e andare avanti con la sua vita. E dopo dieci anni quando ormai aveva abbandonato ogni speranza, lui era tornato da lei. Lo stringeva forte al petto e gli sussurrava che ora nessuno glielo avrebbe più portato via. Mowgli accettava imbarazzato tutte quelle attenzioni anche se non riusciva a ricambiare pienamente l’affetto che quella sconosciuta gli riversava addosso. Eppure sentiva che in lei c’era qualcosa di familiare, qualcosa nel suo odore lo faceva sentire protetto. Però ancora non riusciva a chiamarla madre come avrebbe fatto con mamma lupa, né poteva chiamare padre Kamya, né abbracciarlo come avrebbe fatto con Baloo e più di tutto non riusciva a digerire quel nuovo nome che gli avevano dato: Nathoo. Lui era Mowgli, Mowgli il lupetto della tribù dei Seonee, non Nathoo del villaggio degli uomini. Ma per il momento gli occhi di Shanti e l’abbraccio di Messua lo tenevano lì. E poi se i racconti di Buldeo erano veri, allora Shere Khan era ancora in giro da qualche parte nella giungla. Mowgli però non aveva paura, l’aveva scacciata via una volta e lo avrebbe rifatto. Anzi ora sapeva come fare il fuoco. Era rimasto stupito quando aveva visto Messua che lo usava con tranquillità per cucinare. Il fuoco era usato nei modi più disparati dagli umani, per cucinare, per illuminare e riscaldare la notte. Buldeo lo lo usava per accendersi la pipa, un altro costume che per Mowgli era assurdo.

Tornati a casa aiutò Shanti nelle faccende domestiche. Pulisci, lava, spazza, riordina, durante il giorno c’erano sempre mille cose da fare senza poter stare mai fermi. Sognava come nella giungla invece avrebbe potuto restarsene a riposare sotto un albero ingozzandosi di frutta fresca. Nel villaggio era un periodo di magra e frutta non se ne vedeva più. Shanti ne soffriva molto, i manghi erano il suo cibo preferito. Quando tornò Messua Mowgli le chiese se si avevano notizie di manghi arrivati da fuori il villaggio. Lo faceva più per Shanti che per lui ma la madre adottiva gli rispose dispiaciuta che ancora non c’erano. Mowgli vide la delusione negli occhi di Shanti a quella notizia. Improvvisamente gli venne un’idea. C’era un posto nel villaggio dove ancora c’erano dei manghi: l’albero del tempio del bramino. Già immaginava la faccia di Shanti se glieli avesse portati. Chissà quanto sarebbe stata felice! Nel pomeriggio finse di non sentirsi bene e chiese di andare a letto.  Messua così apprensiva lo lasciò andare subito. Non reggeva il pensiero che il figlio potesse ammalarsi. Come al solito si mise accanto al suo letto e gli canticchiò qualche litania mentre si addormentava. Quando pensò che si fosse addormentato lasciò la stanza. A quel punto Mowgli sgusciò silenzioso fuori dal letto e uscì dalla finestra. Si arrampicò facilmente sull’albero e poi passò su per i tetti del villaggio col passo lesto e felpato di una pantera. Fece attenzione che nessuno lo vedesse ma gli abitanti del villaggio erano talmente occupati nelle loro faccende importanti che non alzavano mai gli occhi al cielo.

Arrivò sul tetto a cupola del piccolo tempio e tese le orecchie. Sentì il mormorare preghiere sommesso del bramino. Perfetto, l’uomo era distratto e poteva agire indisturbato. In punta di piedi strisciò lungo il cornicione del tetto fino a dove si stendevano i rami carichi di manghi. Mowgli tese il braccio ma i frutti succosi erano di qualche centimetro al di fuori della sua portata e per quanti sforzi facesse non riusciva a raggiungerli. Prese un bel respiro e si calò a testa giù  piano, piano, reggendosi con le cosce intorno a una scultura del tetto. Nel suo campo visivo capovolto apparve lentamente l’interno del tempio e vide il bramino intento a canticchiare con voce stridula ad occhi chiusi. Cercando di non fare alcun rumore Mowgli allungò le braccia per cogliere i manghi. Ne riuscì a prendere ben cinque, voleva fare Shanti molto contenta. I frutti però erano difficili da tenere tutti insieme, perciò ne teneva quattro stretti al petto con entrambe le braccia e uno premuto sotto il mento. Ora la parte difficile sarebbe stata risalire con la sola forza delle gambe. Si sforzò contraendo i muscoli delle cosce ma non riusciva a risalire. Riprovò un’altra volta e la pietra vecchia dello spuntone al quale si era aggrappato scricchiolò. Sbarrò gli occhi temendo che il materiale cedesse e lui fosse colto dal prete con la refurtiva ancora in mano. Riprovò ancora e ci fu uno scricchiolio più forte. Il bramino aprì un attimo gli occhi e Mowgli trattene il respiro. L’uomo rimase col capo teso qualche secondo poi ricominciò con le preghiere. Mowgli fece un ultimo sforzo e si tirò su con i manghi. In ginocchio sul cornicione tirò un sospirò di sollievo ma questo fece scivolare il mango che aveva sotto il mento. Veloce si mosse e riuscì a riacchiapparlo con una mano. Il movimento improvviso però fece scricchiolare la pietra ancora di più. Intuendo che non poteva reggere il suo peso ancora per molto si rimise svelto in piedi tentando di non perdere nessun mango. Lo spuntone alla fine cedette e crollò nel cortile con un rumore di pietra spezzata. Il bramino trasalì a quel rumore e vide cos’era successo. Sbuffando si alzò e andò veloce verso i resti di mattoni. Alzò lo sguardo per vedere cosa aveva potuto causare quell’incidente ma vide solo il punto in cui il testo era franato, per il resto era deserto.

 Mowgli era scappato via veloce e se la rideva sotto i baffi. Ora Shanti sarebbe stata contentissima. Forse gli avrebbe anche dato un bacio. A quanto pare gli esseri umani facevano così quando erano innamorati. Glielo aveva detto Messua quando l’aveva vista farlo con suo marito. Erano dei baci sulle labbra, d’amore, non dei baci affettuosi come quelli che gli dava sempre Messua. Perso nelle sue fantasticherie amorose però il ragazzino non fece attenzione a una tegola incrinata. Con un capitombolo cadde giù dal tetto in testa a qualcuno. Sia il bambino che il malcapitato urlarono di dolore all’impatto col terreno. Mowgli si massaggiò dolorante la schiena e vide davanti a sé nientemeno che Buldeo che tentava di tirarsi su il turbante conficcato sopra gli occhi.  “Ahi. Mpfh. Chi c’è? Appena vedo chi sei giurò che ti appendo al muro insieme alle mie teste di cervo”. Mowgli trattene il respiro e cercò veloce di recuperare i manghi sparpagliati. Buldeo intanto si era alzato in piedi ma cercava ancora di liberarsi dal turbante. “Ohi, ohi, la testa. Chiunque sei, la pagherai cara”. Mowgli riacchiappò in fretta l’ultimo mango e passò veloce accanto a un Buldeo che tastava in giro come un ceco. Il movimento improvviso fece sussultare di sorpreso l’uomo che cadde di nuovo a terra. Questa volta però il turbante si sollevò e riuscì a vedere Mowgli che girava l’angolo, con le braccia piene di manghi. “Ah, sei tu Nathoo. Piccolo delinquente, lo sapevo che eri un bugiardo e un ladro. Ehi, prendetelo presto. Al ladro! Al ladro! Nathoo sta rubando i manghi del tempio”. Mowgli corse ancora più veloce ma le urla di Buldeo stavano attirando altre persone in quella strada. Non appena videro Mowgli con i manghi esclamarono oltraggiati e inorriditi. Era un sacrilegio rubare i manghi del tempio e non era la prima volta che il ragazzino lupo faceva una cosa del genere. Quel Nathoo era decisamente indisciplinato, tutta colpa di Messua e suo marito se veniva su così. Che qualcuno chiamasse il bramino per punire quella blasfemia. Mowgli si trovò circondato mentre gli urlavano contro. In quel momento Buldeo venne fuori da dietro il vicolo col turbante di traverso. “Eccoti qua piccolo mascalzone della giungla. Questa volta un bel paio di legnate non te le leva proprio nessuno”. Prese brusco Mowgli per un braccio facendogli cadere i manghi a terra. “Ora andiamo dal bramino e vediamo cosa avrà da dire su tutto questo” “Che sta succedendo qui?”, tuonò una voce tra la folla. Le persone fecero si spostarono e spuntò Kamya il marito di Messua.

L’uomo era vestito con una giacca corta di tessuto giallo con ghirigori ricamati sopra e un turbante di seta verde. Indossava delle scarpe dalla punta arricciata. Non molti  usavano le scarpe al villaggio, o meglio non molti potevano permettersele. Questo a Mowgli piaceva perché così non era costretto a indossarle pure lui. Quando Messua gliene aveva regalato un paio e lo aveva osservato sognate che le incalzava si era ritrovato barcollante come su dei trampoli. Kamya aggrottò le sopracciglia e richiese a gran voce: “Allora, si può sapere cosa sta succedendo qua?”. Buldeo sogghignò: “È tuo figlio Nathoo, Kamya. A quanto pare i manghi gli piacciono così tanto che ha deciso di prendere quelli del tempio”, indicò la prova del misfatto sparsa ai piedi di Mowgli. “Ma d’altro canto cosa ne può sapere un bambino cresciuto nella giungla su cosa siano il rispetto e la sacralità degli dei”. Kamya vide i manghi per terra e guardò torvo il ragazzino. “Mowgli. Ne avevamo già parlato su come funzionano le cose qui nel villaggio. Non puoi prendere quello che trovi come ti pare e piace come se fosse tuo. Qui ogni cosa si paga se si vuole averla. Hai capito? Quante volte te lo devo ripetere”. Mowgli tenne lo sguardo basso vergognandosi. “Mi hai sentito?” “Si, signore”, rispose debolmente. “Ora andiamo via. Appena siamo a casa riceverai una punizione che non te lo faccia dimenticare di nuovo” “Un momento”, disse Buldeo tenendo il braccio di Mowgli più stretto, “Come sappiamo che lo punirai tornato a casa? Quel cuore tenero di tua moglie lo accarezzerà e coccolerà come un cucciolo ferito invece di bastonarlo come merita. Io dico che qui va dato un esempio davanti a tutto il villaggio” “Tu invece lo mollerai subito. Non permetterò che Nathoo venga malmenato in pubblico come il figlio di un servo. Me ne occuperò io a casa mia” “Cosa sono tutte queste urla?”, la folla fece spazio al bramino che si reggeva ansimando al suo bastone. “Cosa c’è da litigare tanto nel nostro tranquillo villaggio? Oh, per Visnu, i miei manghi. Ecco cos’erano quei rumori di prima”. Buldeo sogghignò trionfante. “L’ho beccato con le mani nel sacco bramino Purun. Il ragazzo merita una punizione per aver offeso gli dei in questo modo”. Altre voci si unirono in favore di Buldeo. Il bramino scosse la testa sconsolato: “Oh, Nathoo, Nathoo. Credevo che ormai questi incidenti fossero finiti. Ragazzo non hai paura che Kali venga a cercarti la notte dopo che combini queste offese contro il tempio?” Mowgli sbuffò arrabbiato: “Che venga pure questa Kali. Le darò un pugno da stendere un orso” “Nathoo, basta ora”, gli strillò Kamya. Mowgli non resistette più: “Smettila di chiamarmi con quel nome. Smettetela tutti. Il mio nome non è Nathoo, è Mowgli. Mowgli! Mowgli!” “Non una parola di più”, lo zittì Kamya. L’uomo sbuffò irritato e tirò fuori la borsa. “Ecco bramino Purun”, diede varie monete d’argento al santone, “Queste dovrebbero ripagare più che profumatamente l’errore madornale di Nathoo. Perdonatelo vi prego. È solo un ragazzo che ancora non conosce bene le regole del villaggio, sono certo che non intendeva farlo con malizia. Mia moglie viene ogni giorno a pregare da voi e sarà molto delusa e dispiaciuta dal gesto di nostro figlio. Io stesso ne sono sorpreso e deluso e mi occuperò della sua punizione”. Il bramino guardò con occhi scintillanti le monete d’argento poi parlò con voce pacata: “Oh, Kamya sono certo che il piccolo Nathoo si deve essere confuso” “Bramino non potete–“,protestò Buldeo ma l’uomo di fede continuò, “Ciononostante il tempio non è un banco del mercato dove si può pagare per mangiarsi un mango. Oltretutto Nathoo nel compiere il furto ha rotto un pezzo del tetto. Una parte sacra di un edificio ben più vecchio sia di lui che di te che anche di me”, sporse avanti la mano già piena. Kamya digrignò i denti ma diede altre monete d’argento al prete. “Bene dunque dicevo... Nathoo deve pagare per il suo crimine, un pagamento non in denaro questa volta. Andrò a meditare sulla faccenda e stasera verrò a parlarne con te e Messua. Buona giornata Kamya” “Buona giornata anche a voi”, disse il mercante a denti stretti guardando male Mowgli. Buldeo lasciò soddisfatto la presa e il ragazzino seguì lemme lemme Kamya.

Tornando a casa Mowgli non parlò ne lo guardò negli occhi. Kamya camminava a grandi falcate e sbuffava come un rinoceronte. “Quando saremo a casa facciamo i conti. E non andare a nasconderti tra le gonne di tua madre. Quella povera donna... Come se non avesse già abbastanza preoccupazioni per te. Si può sapere cosa ti è passato per la testa? Perché hai dovuto fare un gesto del genere? Non ti sfamiamo già abbastanza? Perché sei dovuto andare a rubare i manghi del tempio?” Mowgli mormorò qualcosa a bassa voce. “Cosa hai detto?”, tuonò Kamya. “Li volevo dare a Shanti” “Che? La piccola shudra? Tutto questo per lei? Cosa... Mpfh, meglio che stai zitto sono già abbastanza infuriato”. Appena entrarono in casa, Messua corse in lacrime ad abbracciare Mowgli. “Oh, Nathoo, Nathoo. Per fortuna stai bene. Ero passata per vedere se stavi meglio e ho trovato il letto vuoto. Oh, per un attimo ho temuto che fossi tornato di nuovo nella giungla, invece sei qui con me e stai bene”. Mowgli sentì stringersi la gola. “Messua lascia subito il ragazzo. Se sapessi cosa ha fatto preferiresti fosse di nuovo nella giungla” “Cosa? Che ha fatto? Che è successo?” , disse lasciando Mowgli guardando il marito spaesata. “Ha rubato i manghi del tempio ecco cosa è successo”. Messua lanciò un gemito sconvolto: “Oh, Nathoo, Nathoo. Perché lo hai fatto? Lo so che me li chiedi da giorni i manghi ma bisogna avere pazienza se in questo periodo non ci sono. Oh, mio piccolo Nathoo perché lo hai fatto?”. Mowgli non riuscì a guardare Messua negli occhi e in quel momento vide Shanti e sua madre sulla soglia della porta della cucina. Alla vista della bambina ogni parola gli morì in gola. “Perché lo ha fatto non importa”, tagliò corto Kamya. “Stasera Nathoo andrà a letto senza cena e non provare a arrampicarti di nuovo fuori dalla finestra. Lo devo far tagliare quel maledetto albero” “Oh, Kamya non essere così duro. È un bravo bambino, ancora non ha capito bene come funzionano le cose. Sono certa che non l’ha fatto apposta” “Non lo difendere come fai sempre Messua. È colpa tua sé ancora non ha capito come ci si comporta in mezzo agli uomini e non come se fosse ancora tra gli animali della giungla” “Ma Kamya ...” “Niente ma. Stasera il bramino passerà a casa nostra per dirci quale punizione spetta a Nathoo, fino ad allora non voglio più rivedere la sua faccia da ladruncolo di manghi. Vai in camera tua!” Mowgli con lo sguardo basso si avviò verso camera sua. Lanciò un ultimo sguardo vergognoso a Shanti per poi scomparire nella stanza.

Si gettò sul letto sconsolato. Sentì le lacrime che cominciavano a uscirgli dagli occhi. Non ne combinava mai una giusta. Qui tutto quello che aveva imparato nella giungla si era rivelato inutile. Il cuore gli stringeva allo sguardo di dolore che gli aveva lanciato Messua. Perché era dovuto finire in quel villaggio? Sarebbe potuto restare nella giungla ora che Shere Khan era scappato. Poi però si ricordò dello sguardo di Shanti e ci ripensò. Ciononostante però si sentiva terribilmente solo lì. Nessuno poteva capirlo. Neanche Shanti per quanto ci provasse poteva capire la vita che aveva nella giungla. Sospirò e alzò lo sguardo verso la finestra. Quanto avrebbe voluto poter stringere il pelo caldo di Baloo in quel momento. Chissà cosa stava facendo il suo papà orso in quel momento? Di sicuro lo avrebbe trovato intento a ballare e cantare.

 

 

Nda

 

Il libro della giungla era uno dei cartoni che amavo di più da bambino. E ho amato anche i libri di Kipling da cui è stato tratto. Adoravo anche la serie a cartone dei cuccioli della giugnla. Dei nuovi liveaction della disney quello sul libro della giungla è l’unico che si salva secondo me. In compenso il cartone scadente “Il libro della giugnla 2” non mi è mai piaciuto. E riguardandolo in quarantena ho rivisto un sacco di cose che non mi convincevano. Così ho pensato di scrivere un seguito diverso per il classico disney. La cosa mia aveva preso molto e in due settimane avevo scritto tantissimo poi è andata nel dimenticatoio. Ci ho inserito dentro vari elementi dei libri di Kipling, il titolo viene dal secondo il libro, il capitolo “Giungla alla riscossa”. Buldeo, Purun e Messua erano presenti nel libro e anche Kamya che però non aveva nome (l’ho preso da uno dei bufali della mandria che conduce Mowgli. Anche nella trama ci saranno altre cose dei libri ma anche tante sorprese che riprendono più lo stile del cartone. Questa è la mia prima long ed è abbastanza sono arrivato a 40000 parole e ancora non è finita. Spero che cominciando a pubblicare capitoli mi sbrigo a finirla. Buona caccia a chi è stato così gentile da arrivare fino a qui!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mowgli capitolo 2 supercoretta

 

Poche briciole, mh, mh, mh, mh, mh... e i tuoi malanni puoi dimenticar...”, la voce dell’orso Baloo, risuonava malinconica nel folto della giungla. Il grosso animale se ne stava sdraiato contro un tronco e disegnava pigramente su una piccola palma accanto a lui. Il tono di solito gioioso della sua canzone preferita ora era lugubre e funereo. Lo era a tal punto che gli avvoltoi si erano radunati sull’albero sopra di lui. Buzzie, basso e calvo, Flaps, biondo e lungo, Dizzy, il più alto con i capelli che gli coprivano gli occhi e Ziggy, castano con la personalità più estroversa dei quattro. Baloo continuava con la canzoncina: “E i tuoi malanni puoi dimenticar... ma non puoi farlo, se ti manca l’indispensabile... e il mio indispensabile sei tuuu”. Finì lo scarabocchio sulla palma che si rivelò essere un Mowgli stilizzato con un grosso sorriso disordinato. “Oh, mio cucciolo d’uomo. Ah, quanto mi manchi. Oh, se solo fossi qui. Ti stringerei forte, forte, forte”. Abbracciò il tronco dove era disegnato Mowgli fino a sradicare la palma. Continuò a stringere forte fino a che il legno non gli si spezzò fra le zampone. Guardò il tronco incrinato dove ora il Mowgli disegnato si era mezzo distrutto e una crepa nella corteccia gli creava un sorriso triste all’ingiù. Baloo scoppiò in lacrime. “Oh, qui si mette male ragazzi”, mormorò Buzzie, “Allora cosa facciamo?”

 “Non lo so”, rispose Flaps, “Tu cosa vuoi fare?”. Buzzie ringhiò e non provò neanche a controribattere con l’amico. Baloo intanto ululava steso per terra. “Ogni Mowgli che incontro mi abbandona. Destino crudele”.

“Poverino”, sussurrò Dizzy. “Venite ragazzi scendiamo a aiutarlo”, propose Buzzie e in un frusciare di penne gli avvoltoi scesero intorno all’orso. “Baloo, andiamo”, lo incitò Buzzie saltellandogli davanti, “La vita continua”.

 “No, no. Niente ha più senso senza il mio cucciolo”.

 “Andiamo pelosone, forza alzati”, disse Ziggy mentre cercava di sollevare il pesante posteriore dell’orso, “Stare tutto il giorno così non ti giova”.

 “Che senso ha alzarsi senza Mowgli?”.

 Buzzie si mise un’ala sotto il mento pensieroso: “Perché non cantiamo qualcosa tutti insieme. Forza ragazzi in posizione. Al mio tre ...”. Gli avvoltoi si misero in fila con un’ala sul petto pronti per uno dei loro famosi quartetti. “Siamo qui, qui per te, siam ...”

“No, basta, per favore. Non riesco più a cantare senza Mowgli. Non riesco più a dormire. Non riesco più a mangiare”.

“Ma se stamattina ti sei spazzato via tre caschi di banane”, ridacchio Ziggy.

“Appunto solo tre”, puntualizzo triste Baloo, “Ah, prima di quel cuccioletto potevo passare tutte le giornate a fare quel che mi pareva. Ora tutto quanto mi sembra inutile. Buuuhuuuuhuuu!”. I singhiozzi acuti di Baloo risuonarono nella giungla. Improvvisamente qualcosa spuntò tra i rami di un albero. Era Bagheera: “Cosa sta succedendo? Chi sta morendo?”, chiese disperata. Poi vide l’orso che piagnucolava per terra. “Oh, Baloo. Per favore basta con queste scenate. Orami è passato un anno da quando Mowgli se n’è andato. Fattene una ragione e pensa che ora è felice con quelli della sua specie”.

 “Oh, Baghy vorrei tanto poter esserlo. Ma non riesco ad andare avanti. E se fosse infelice in quel villaggio? Se non gli dessero abbastanza da mangiare?”

“Oh, Baloo...”, borbottò irritato Bagheera.

“Dico sul serio”, continuò l’orso, “Lo sai quanto crudeli sanno esseri gli umani. Che cosa pensi faranno al nostro piccolo Mowgli? Tutta colpa di quella ragazzina odiosa che lo ha attirato con l’inganno in quel covo di delinquenti. Se non fosse stato per lei a quest’ora Mowgli sarebbe ancora fra le mie braccia”.

 “Non mi sembrava così perfida come la descrivi l’ultima che l’abbiamo vista. E Mowgli sembrava più che contento di seguirla”, sogghignò Bagheera.

 “Ma è solo un cucciolo si è lasciato ingannare da quella piccola ...Grrr! Oh, già me lo immagino, gli insegneranno a dare la caccia col fucile”, Baloo si alzò sulle zampe posteriori, “Verrà qui e invece di riabbracciare il suo vecchio amico Baloo ...Pam!” Afferrandosi il petto come se fosse stato ferito barcollò in tondo. Gli avvoltoi continuarono a spostarsi per evitare di essere sepolti sotto l’orso quando sarebbe cascato. Infine Ballo si accasciò di schiena al suolo. Bagheera alzò gli occhi al cielo. “Baloo, Mowgli sta bene dove sta. E poi ricordati che c’è ancora Shere Khan in circolazione”.

 “Mpfh! Quella tigraccia”, borbottò Ballo tirandosi su sui gomiti, “Ormai è diventato un vecchio gatto zoppo dopo che lo abbiamo sistemato per le feste. È più di un anno che non si fa vedere da queste parti. Non oserà più tornare qui e mettersi contro il vecchio Baloo”, disse puntandosi il pollice artigliato contro il petto.  Bagheera sospirò: “Come credi Baloo”. Sollevò lo sguardo e vide il sole che tramontava: “Io devo scappare ora. Questa notte c’è una riunione dei lupi alla Roccia del Consiglio”.

 “Davvero perché?”, chiese Baloo.

“Il loro capo Akela è diventato molto vecchio e vogliono indire una votazione per eleggerne uno nuovo. Probabilmente il papà lupo di Mowgli: Rama. Sembra solo ieri che un anno fa in una notte come questa mi incaricarono di portare Mowgli al villaggio degli uomini”.

 “Oh, Mowgli ...Buuuhuuu!”, ricominciò Baloo. Bagheera si morse la lingua per aver nominato il cucciolo d’uomo. “Oh, Baloo scusa io non ...Bah. Sentì io ora scappo, tu non abbatterti. Voi tenetelo d’occhio e vedete che non si ammazzi”, disse Bagheera ai quattro avvoltoi. Detto questo in un fruscio di foglie lasciò l’orso piagnucolante insieme agli uccelli.

 

Mowgli intanto era ancora sul letto in camera sua. Ad un certo punto sentì la porta principale aprirsi. “Oh, bramino Purun. Lei ci fa un enorme onore a venire nella nostra umile dimora”, sentì dire Messua. Incuriosito e timoroso di quale sarebbe stata la sua punizione si accostò con l’orecchio accanto alla porta. “La prego si segga. Posso offrirle qualcosa, abbiamo latte e birra e ...”

“Una delle tue focacce andrà bene Messua. Però l’argomento che mi preme di più discutere è l’incidente di oggi con Nathoo”.

 “Oh, la prego non sia duro con lui. Nathoo non voleva fare nulla di male. Sa com’è, deve ancora abituarsi. Lui ...”, il bramino alzò una mano e Messua tacque. La donna corse in cucina a prendere una focaccia mentre il prete e il marito si sedevano su dei cuscini per discutere.

“La madre ci tiene molto al bambino”.

 “Si, anche troppo”, rispose Kamya, “Cosa deve fare?”

“Sii paziente Kamya ora ve lo dirò. Oh, ecco la mia focaccia”. L’uomo di fede prese il pane e lo addentò avidamente. “La mia opinione, munch ...è che, munch ...Nathoo non si sia ancora ambientato nel villaggio e quindi fa monellate come quella di oggi per dimostrare la sua sofferenza. E come biasimarlo? Un ragazzo della sua età tutto il giorno dietro a quella ragazzina shudra”

 “Se è per il bene di Nathoo la allontanerò subito”, affermò Kamya. A Mowgli si strinse il cuore al pensiero di perdere la sua unica amica. “No, no, niente del genere. Ma pensò che Nathoo dovrebbe passare il suo tempo a fare qualcosa di più costruttivo”.

“Quel bambino non sa contare neanche sulla punta delle dita. Non può venire al lavoro con me”.

 “Lasciami finire Kamya. Una volta avete detto che è scappato di nuovo nella giungla. Vero?”

 “Si, ma solo per una notte”, si affrettò a dire a Messua.

 “Beh, non c’è da stupirsi. Immagino che gli manchi poter scorrazzare in giro per la foresta. Ora è costretto a stare chiuso la maggior parte del giorno. Chi di noi alla sua età non sognava che correre e giocare?”

 “Io alla sua età già lavoravo per contribuire in casa”, rispose perentorio Kamya.

 “Ci stavo arrivando. Nathoo oggi ha rubato. Non capisce il significato del denaro, che bisogna faticare e sudare per ottenerlo e così comprare ciò che si vuole. Perché non farlo lavorare un po’? A controllare la mandria magari?”

 “Cosa?”, sussultò Messua, “Ma è solo un bambino. Un calcio di quei bufali e sarebbe ucciso. E poi andrebbe fuori dal villaggio e… E… Tutte quelle storie che girano sulla tigre zoppa mangia uomini”.

“Messua, figliola, calmati. Il ragazzo ci sa fare con gli animali come abbiamo visto con… l’altro incidente: l’asino dell’intoccabile”.

 “Non me lo ricordi”, disse Kamya irritato.

 Il bramino sorrise: “Nathoo potrà stare all’aria aperta tutto il giorno. Lontano da quella ragazzina, lontano dal villaggio e dai guai. Imparerà cosa vuol dire faticare e lavorare onestamente”. Kamya ci pensò su un attimo: “Si, in effetti non è una cattiva idea”.

 “Cosa? Kamya non puoi dire sul serio. Dopo che la giungla ci ha appena restituito nostro figlio, tu vuoi rigettarcelo dentro? E se ce lo prendessero di nuovo e questa volta non tornasse più?”, strinse forte il braccio del marito singhiozzando.

“La prego padre, un’altra punizione. Qualunque altra, ma non la giungla”.

 “Messua, calmati”, le disse Kamya accarezzandole la testa, “Sono certo che il bramino non farebbe mai una proposta del genere se ne andasse di mezzo l’incolumità di Nathoo. Questa è una buona occasione perché il ragazzo cominci a diventare uomo”.

“È solo un bambino”.

“Non lo sarà per sempre. E non lo potrai proteggere per sempre”.

“Ma l’ho riavuto da così poco. Dieci anni senza nostro figlio, non togliermelo di già”.

“Rischi di perderlo più se continua a fare stupidaggini come quella di oggi che se va a far pascolare i bufali”.

 Messua si rassegnò e lasciò il braccio del marito. “Va bene bramino Purun. Lo faccia andare di guardia al pascolo”.

 “Molto bene. Visto che la questione è risolta io torno al tempio per la preghiera della sera”.

I tre adulti si alzarono e il bramino fu accompagnato alla porta. “Preghi per mio figlio stasera padre”, lo prego Messua, “Preghi che domani non gli accada niente di male”.

“Preghi perché non rovini anche questa occasione”, rimarcò Kamya.

“Lo farò tranquilli”, disse rassicurante il prete, “Non crucciatevi troppo, state facendo del vostro meglio. Siete dei buoni genitori per quel bambino”, detto questo se uscì nell’aria della notte. Messua richiuse mesta la porta. Il marito la abbracciò e la bacio sulla fronte.

 “Vieni ora andiamo a dirglielo”.

 “Va bene”, disse lei.

 Mowgli sentendoli arrivare si rigettò subito sul letto sotto le coperte. Ora avrebbe dovuto fare del suo meglio per fingersi sorpreso. Non poteva crederci. Andare fuori dal villaggio, nella giungla! Non vedeva l’ora. Chissà forse avrebbe potuto anche rincontrare qualcuno, Baloo, Bagheera o il branco dei lupi. 

 

La luna splendeva sulla Roccia del consiglio. Il branco dei lupi era steso sulla pietra spoglia mentre su un masso si stagliava la figura del vecchio Akela. Bagheera stava steso su un ramo facendo dondolare avanti e indietro la coda. Il vecchio lupo iniziò a parlare: “Dunque. Tre settimane fa ho mancato il mio primo cervo. Sapete tutti che cosa significa: ormai sono troppo vecchio e debole per guidare il branco. È tempo che qualcun altro prenda il mio posto. Ci chiamiamo il Popolo Libero perché siamo liberi di scegliere chi ci governa. Io da parte mia propongo che sia Rama il nostro nuovo capo branco”. Il lupo dal pelo nero che era stato il padre di Mowgli si fece avanti. “Ma la scelta spetta a voi. Dunque c’è qualcun altro che si offre?”, chiese Akela all’assemblea. Il branco di lupi stette in silenzio.

 “Io mi offro”, risuonò una voce al di fuori del cerchio. Le teste canine si girarono in allerta per vedere di chi fosse quella voce. Dal limitare della foresta una zampa striata uscì dai cespugli. “Io Shere Khan, mi offro come nuovo signore del Popolo Libero”. Bagheera si alzò teso sul ramo dell’albero. Shere Khan!

Era più di un anno che non si vedeva più la tigre dopo che Mowgli l’aveva fatta scappare. La pantera osservò il grosso felino farsi strada tra i lupi. Zoppicava un po’ su una zampa posteriore ma per il resto incuteva ancora terrore. Rama digrignò i denti: “Vattene via bestiaccia bruciacchiata. Non hai niente a che vedere tu col Popolo Libero”

 “Ah, sì? Strano credevo che accettaste i membri di ogni specie visto che vi siete tenuti per dieci anni un cucciolo d’uomo. Beh, visto che siete liberi di scegliere, fatelo. Chi sceglierete come nuovo capo? Me o il lupo rognoso qui accanto che non ha avuto la forza di uccidere un poppante quando avrebbe dovuto?”

 Akela ringhiò a sua volta alla tigre: “Vattene via Shere Khan. Un anno fa potevi anche sconfiggerci tutti quanti, ma ora? Guardati, sei solo uno zoppo. Girano voci sul fatto che devi ammazzare il bestiame degli uomini perché non riesci più a cacciare”

 “Queste zampe anche se bruciate hanno ancora gli artigli, vecchio lupo. Ti darò la prova che so ancora uccidere, se vuoi”.

 “Vattene via”, lo minacciò Rama, “Questo è l’ultimo avvertimento”.

 “Ma come? Non vogliamo neanche sapere il risultato della votazione. Andiamo lupi, voi non ucciderete Shere Khan. Infatti voi eleggerete Shere Khan come nuovo capo branco”.

 “Stai vaneggiando tigre”, disse ringhiando Akela. Shere Khan continuò imperterrito: “Voi amate Shere Khan, voi ammirate Shere Khan, voi vi… fidate di Shere Khan”.

 I lupi all’inizio silenziosi cominciarono piano piano ad abbaiare annuendo.

“Sì, è vero”.

 “Votiamo Shere Khan”.

“Shere Khan è il nostro capo”.

“Sì noi amiamo Shere Khan”.

 “Lo ammiriamo”.

“Sì, ci fidiamo di Shere Khan”.

Bagheera non poteva credere alle proprie orecchie. Come potevano i lupi dire cose del genere? Fidarsi di Shere Khan? Guardò mentre tutti i lupi del branco a parte Rama, mamma lupa e i quattro fratelli di Mowgli, acclamavano la tigre. Guardò le bestie e notò qualcosa di strano nelle loro pupille. Appena realizzò di cosa si trattava provò a ruggire per avvertirli ma qualcosa gli tappo la bocca. In men che non si dica delle grosse spire si avvolsero intorno alla pantera imprigionandola in una morsa stretta. Un sibilo gli sfiorò l’orecchio: “Sssilenzio vecchio mio. Lasciamo che finisssca la votazione”. Kaa il serpente! Ecco come aveva fatto Shere Khan. L’intero branco era ipnotizzato! Da quando il pitone aveva un tale potere? I lupi ulularono forte alla luna mentre Shere Khan veniva nominato nuovo capo branco. “Grazie, grazie miei fedeli e mansueti sudditi”, la tigre fece far silenzio ai lupi, “Il mio primo decreto come nuovo signore del Popolo Libero sarà quello di punire la famiglia di lupi che ha accolto il piccolo cucciolo d’uomo tra di loro. Hanno infranto la legge della giungla tenendo qui un uomo e ora dovranno pagare”. Rama sua moglie Raksha e i loro figli ringhiarono contro la tigre mentre gli altri lupi del branco cominciavano ad alzarsi e a accerchiarli. “La sentenza per il crimine commesso è… morte!”, ruggì la tigre. Akela saltò giù dalla sua roccia. “Dovrai passare sul mio cadavere prima, vecchio gattaccio striato”. Shere Khan guardò con sufficienza il vecchio lupo grigio. “D’accordo, non sarà un grosso impedimento. Voi altri, uccidete Rama e la sua famiglia”. Shere Khan si gettò contro Akela. Il lupo e la tigre cominciarono azzannarsi e graffiarsi a vicenda sull’orlo della Roccia del Consiglio. Bagheera tentò invano di liberarsi dalla stretta di Kaa. Il serpente intanto rideva sibilando: “Mh, mh, mh. Tu chi pensi vincerà? Mh, mh, mh. Io punto sul felino”, disse puntando la coda verso Shere Khan. Intanto i lupi si erano avventati su Rama, la moglie e i figli. I sei lupi si battevano con coraggio ma avevano contro l’intero branco. Shere Khan e Akela intanto continuavano lo scontro. Il lupo grigio era vecchio ma anche coriaceo e avrebbe combattuto fino alla morte. Shere Khan inoltre era zoppo e non più così letale come in passato, ruggendo di rabbia raddoppiò gli sforzi contro quel cane insolente. Akela scattò e strinse le mascelle intorno al collo della tigre. Shere Khan ruggì di dolore e tentò invano di scrollarselo di dosso. Alla fine con una zampata sul muso del povero Akela lo spedì per terra con un guaito. Bagheera spalancò gli occhi gialli. Il vecchio lupo provò ad alzarsi ma ricadde con un lamento. Mentre cercava di rialzarsi di nuovo una pesante zampa di Shere Khan lo spinse a terra. Il felino sussurrò all’orecchio del lupo: “Te lo avevo detto che non saresti stato un grosso impedimento”. Chiuse le grosse mascelle nel collo di Akela e in uno scatto lo lanciò giù dalla rupe come fosse stato un lupo di pezza. Bagheera voleva ruggire indignato ma Kaa ancora gli tappava la bocca. La tigre si voltò soddisfatta verso la famigliola di Rama che veniva spinta in bilico sull’orlo della roccia. “Loro sono i prossimi”, proclamò Shere Khan. ‘Oh, no che non lo sono’, pensò furioso Bagheera. Con un enorme sforzo spalancò ancora di più le mascelle e infilò i denti nella carne squamosa del pitone. “Ahiiii!”, mugolò di dolore Kaa. Negli spasmi di dolore, il serpente allentò la presa e Bagheera si liberò dalla prigione delle spire. Con un balzo si gettò giù dall’albero e corse in aiuto di Rama e Raksha. Con gli artigli e con le zanne scacciò via alcuni lupi creando un corridoio per la famiglia di Mowgli. “Scappate. Andate via, li trattengo io”, ruggì continuando a menare unghiate.

“Presto cuccioli”, abbaiò Raksha. I quattro lupi sgusciarono via in un lampo seguiti dai genitori.

“No. Fermateli non lasciateli scappare “, urlò Shere Khan correndo zoppicante verso di loro. Alcuni lupi provarono a inseguire i sei fuggitivi ma in breve la famigliola si era sparpagliata ed era sparita nella foresta. Shere Khan pestò le possenti zampe a terra e lanciò un ruggito di indignazione. Si voltò verso la pantera che ormai veniva sopraffatta dal resto del branco. Almeno quella era stata presa. “Kaa”, chiamò calmo Shere Khan avvicinandosi all’albero. “S-s-s-sssi?”, bisbigliò impaurito il serpente abbassando mesto la testa.

“Ti avevo chiesto solo una cosa: di bloccare la pantera”.

“Lo ssso, ma mi ha morso e mi è sssgusciata via. Oh, ti prego di ssscusarmi. Giuro che non ti deluderò più”.

La tigre sospirò: “Sei perdonato Kaa. D’altronde sei riuscito a ipnotizzare tutto il branco come ti avevano chiesto. È sorprendete. Come ci sei riuscito?”

Kaa si lisciò compiaciuto le spire: “Oh, beh, sai ...le sssolite cossse. Un’ipnosi continua mentre dormivano per un paio di sssettimane. Ora non usciranno dalla trance a meno che io non dica la parola sssegreta” “Mh, impressionante”, commentò Shere Khan.

 “Oh, non essere così sssorpreso non è niente di che. Sssei vuoi potrei darti una dimossstrazione. Ssspera in me…” La tigre alzò gli occhi al cielo e gli diede una zampata con cui Kaa sbatté la testa contro un ramo. “Ahu, la mia sssinusite”.

“Per ora non ho bisogno di dimostrazioni. E puoi rispiegarmi perché non lo hai potuto fare con il vecchio lupo e la famiglia di quel lurido cucciolo d’uomo”.

Kaa si stava massaggiando la testa: “A quanto pare i sssentimenti verso il cucciolo d’uomo erano più forti delle mie capacità ipnotiche. Ahu, non avrebbero mai accettato il tuo comando dopo che avevi minacciato il loro piccolo. Ohi, non riuscirò più a dormire per un messse”.

Shere Khan ignorò i lamenti del rettile: “Ora con i lupi che sono scappati in poco tempo tutta la giungla saprà di questa storia. A quanto pare dovrò accelerare i miei piani… Ma prima, occupiamoci dell’amichetto del cucciolo d’uomo”.

Bagheera era stato spinto contro l’orlo della rupe dal branco di lupi ringhiati. La pantera sollevò la testa e vide il dirupo gettarsi nell’oscurità. Shere Khan si avvicinò con passò lento verso di lui. La pantera ringhiò contro la tigre: “Cos’hai intenzione di fare Shere Khan? Questo è contro tutte le leggi della giungla. Non appena si verrà a sapere verrai fermato”.

“Questo lo vedremo pantera”, rispose calma la tigre, “Per ora quello che mi interessa è ottenere la vendetta. Vendetta contro quel tuo cucciolo d’uomo che ha osato oltraggiarmi. E contro chiunque lo abbia aiutato a sfuggirmi la prima volta”, il felino avanzò e i lupi spinsero Bagheera ancora più sul bordo della rupe, “E ti assicuro che questa volta, Mowgli non scapperà un’altra volta. Salutami Akela sul fondo del dirupo”, con quell’ultima frase allungò una leggera zampata verso e Bagheera e quella bastò a farlo cadere giù dalla Roccia del Consiglio con un ruggito disperato. Kaa deglutì alla vista di quella scena. Shere Khan impassibile si girò e andò verso il serpente: “Come dicevo Kaa dobbiamo agire in fretta, quindi muoviti. Branco seguitemi, andiamo verso le rovine del tempio”.

“Le rovine?”, sibilò confuso Kaa, “Cosssa diavolo dobbiamo andarci a fare alle rovine? Non potresti dirmi qualche cosssa di più sul tuo favolossso piano. Anch’io voglio vendicarmi di quel piccolo, odiossso, missserabile, insssolente, detessstabile… deliziossso, ehm, di quel cucciolo d’uomo”.

“Per ora quello che sai è sufficiente. Dobbiamo andare alle rovine perché devo parlare con un certo orango. Ho sentito delle voci che dicono che potremmo avere un interesse comune”. La tigre seguita dai lupi e dal pitone abbandonò lentamente la Roccia del Consiglio. Intanto sul fondo della formazione in pietra giaceva Bagheera. Il corpo della pantera sembrava senza vita, ma se qualcuno avesse potuto avvicinarsi avrebbe visto che respirava ancora debolmente.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Mowgli capitolo 3 luigi

Il sole stava per sorgere sulle rovine del tempio. Un rumore di pietre spostate e grugniti di scimmia risuonava tra i resti degli edifici. “Forza. Forza, non fermatevi”, strillava re Luigi. Una scimmia con una criniera bianca lo seguiva reggendo una foglia di palma a mo’ di ventaglio. Davanti alle due figure si stagliava una torre traballante. Una fila di scimmie si stendeva ai piedi del cumulo di detriti. Ogni scimmia trasportava un blocco di dimensioni diverse e lo aggiungeva alla pila torreggiante. In alcuni punti la struttura era talmente inclinata che altre scimmie erano state messe come paletti o colonne e reggevano i mattoni con le facce arrossate. “Ancora, ancora. Non battete la fiacca, luridi scansafatiche. Voglio che per quando il sole sia sorto risplenda sul mio nuovo palazzo”.

“Sarà uno spettacolo magnifico immagino”, risuonò una voce in lontananza. L’orango girò la testa e vide una sagoma tra le ombre del tempio. Delle zampe artigliate e un manto striato entrarono in penombra, rivelando Shere Khan. La scimmia che reggeva la foglia di palma strillò, mollò la foglia e corse via. Le altre scimmie che stavano ricostruendo la torre strillarono a loro volta. “Tigre, tigre!”, esclamò una scimmia indicandola. In un parapiglia generale tutte le scimmie mollarono le pietre e fuggirono via. Quelle che reggevano in piedi le fondamenta scapparono a loro volta e in questo modo la torre si inclinò ancora di più fino a cedere e a crollare in frantumi. “Nooo”, gemette re Luigi, mentre con un rombo si distruggevano tutti gli sforzi delle ultime settimane. “No, no, brutti idioti. Che cosa avete fatto?”, disse pestando mani e piedi nella polvere della torre appena crollata. Con uno sguardo torvo si girò verso la tigre che aveva causato quel disastro. Appena vide il felino avvicinarsi zoppicando sogghignò. “Oh, ora capisco perché siete scappati. Guardate tutti è Shere Khan, il grande Shere Khan”. L’orango scosse il fondoschiena davanti alla tigre: “Sono Shere Khan, la tigre con le chiappe affumicate”. Le scimmie che poco prima erano scappate impaurite ora tornarono allo scoperto davanti allo spettacolo del loro re. Luigi si mise un dito sulle labbra con uno sguardo indifeso: “Oh no, come farò a sconfiggere questo felino indomabile. Nessuno può sconfiggere il potente Shere Khan... beh, a parte un soldo di cacio alto un metro e venti e pesante venti chili e mezzo. Oh, vi prego salvatemi dalla tigre mangia uomini, o dovrei dire mangia ragazzini o dovrei dire che non riesce a mangiare i ragazzini”. Le scimmie a quel punto stavano ridendo a crepapelle e additando la tigre completamente dimentiche della paura di prima. Shere Khan ringhiava sotto i denti irritato. Re Luigi intanto continuava nella sua pantomima e varie scimmie si erano unite. “Forza Shere Khan sono completamente indifeso e vulnerabile… come un bambino”. La tigre sbuffò ma mantenne la calma: “Re Luigi sono venuto qui per conferire con te su una questione importante. Da un signore della giungla a un altro”. L’orango smise di agitarsi e guardò confuso il felino: “Signore della giungla. E di chi saresti il capo, si può sapere? Delle tigri con le chiappe carbonizzate”. Shere Khan fece un sorriso amaro: “No, ho degli altri sudditi a dire il vero”. In quel momento tra i mucchi di pietre infestate dai rampicanti cominciarono a spuntare ad uno ad uno i lupi. Le scimmie si ritirarono di nuovo strillando sui muri ancora intatti del tempio. Re Luigi si ritrovò braccato dai lupi. L’orango corse e si rifugiò sul suo trono insieme alla scimmia dalla criniera bianca. I due primati si contendevano a vicenda la cima del sedile scolpito lontano dalle fauci dei lupi.

“Ho la tua attenzione adesso? Vostra maestà?”, chiese calmo Shere Khan.

“Gnnn, oh, sì, assolutamente. Benvenuto nel mio regno Shere Khan. E benvenuti anche i tuoi sudditi. Giù bello, giù”, disse a un lupo ringhiante. Shere Khan fece allontanare i lupi e si avvicinò al trono. “Siediti pure Luigi. Fa come se fossi a casa tua”, sorrise la tigre. L’orango si sedette impaurito sul trono abbracciato alla sua scimmia attendente. “Come vedi ora sono il nuovo capo branco dei lupi”.

“Lo vedo. Come diavolo hai fatto? Hai provato a uccidere il loro cucciolo d’uomo appena un anno fa”.

“Con un piccolo aiuto da parte di un viscido amico”, disse la tigre girando il capo. In quella direzione si sentì un sibilò e apparve il serpente Kaa che sghignazzava sibilando.

 “Ora, l’ultima volta che ero passato da queste parti, queste rovine sembravano… meno rovinate. O sbaglio?”

“No, non sbagli. Puoi ringraziare il tuo cucciolo d’uomo e quei suoi due compagni per questo. Cos’è un re senza il suo palazzo? Oh, se avessi quell’orso tra le zampe”, disse tirando su i piedi e facendo il gesto di stringere una gola, “giuro che… Come ha potuto tradirmi così quel cucciolo d’uomo? Lo ho accolto nella mia casa. Gli ho dato banane. Pensa che eravamo pure cugini”.

“Una storia terribile”, mormorò Shere Khan.

“Esatto”, continuò Luigi, “Tutto quello che gli avevo chiesto era di dirmi il segreto su come fare il fuoco, e lo avrei tenuto alla mia corte come ospite d’onore per sempre. Ti rendi conto che privilegio gli concedevo a invitarlo nel mio reame illuminato?” Shere Khan sollevò lo sguardo su una scimmia che si grattava il posteriore per poi annusarsi il dito e cadere svenuta. “Già, perle ai porci, re Luigi. Speravo che la pensassi proprio così quando ho deciso di venire qui. Sia io che te abbiamo subito un torto dal cucciolo d’uomo. Ed è mia intenzione porvi rimedio”. Luigi aggrottò la fronte: “Che vorresti dire?”

 “Intendo dire che voglio vendicarmi del cucciolo d’uomo”, Shere Khan si avvicinò a una piccola scultura ancora in piedi di un essere umano, “Ho intenzione di distruggere lui. E tutti coloro a cui ha tenuto”, con una zampata ridusse in briciole la testa della piccola statua, “Questo include l’orso e la pantera che hanno distrutto il tuo bel palazzo. Se ti fa piacere la pantera è stata eliminata stanotte”.

 “Cosa? Davvero?”, chiese saltellante l’orango.

“Certo. L’orso è un’altra questione ma penso che vorrai occupartene tu di persona. Altrimenti che divertimento ci sarebbe”.

“Oh, Khanny mi leggi nel pensiero. Posso chiamarti Khanny?”. La tigre lo guardò con uno sguardo tetro. “Va bene, al Khanny ci arriveremo col tempo. Tornando alla questione del cucciolo d’uomo, tutto questo è molto interessante, le mie orecchie reali ne sono compiaciute. Ma dimmi come pensi di attuare esattamente il tuo piano di vendetta? Il cucciolo d’uomo ora è nel villaggio degli uomini. Se non sei riuscito a battere lui che era solo un cucciolo come pensi di fare contro un villaggio intero armato di fiamme e fucili?”

“Ci stavo giusto arrivando”, disse il felino spaparanzandosi su un muretto lì accanto e lisciandosi il pelo, “Dovremmo trovare un modo per far uscire il piccolo dal villaggio. E prima di escogitare qualunque piano ci occorrono informazioni. Io vedi non sono… Come dire? Molto ben accetto vicino ai villaggi degli uomini. Specialmente in questi mesi, mi sono fatto una nomea ammazzando bufali. Neanche i miei lupi potrebbero avvicinarsi con discrezione o Kaa”. Sollevò lo sguardo in cerca del serpente e lo vide che stava ipnotizzando una scimmia e cominciava a spalancare le fauci. “Kaa!”, lo rimproverò calmo Shere Khan. Il serpente sentandosi chiamare dalla tigre interruppe all’istante l’ipnosi della scimmia che scappò via svelta. “Per favore Kaa, siamo ospiti. Non mangiare i sudditi del nostro nuovo amico. Dicevo che quindi non sono nella posizione di avere informazioni su Mowgli di qui a poco. Ma tu potresti. Le scimmie bazzicano spesso i villaggi dell’uomo. E se tu mandassi qualche spia a vedere, potremmo scoprire in breve tempo come far uscire Mowgli di lì”.

Re Luigi sogghignò: “Un idea eccellente mio caro Khan–  Voglio dire Shere Khan. Beh, dunque mi sembra un buon affare. Mi assicuri che quando avrai avuto il cucciolo d’uomo io potrò avere Baloo”.

“Avrai la testa dell’orso su un piatto d’argento. Adesso manda i tuoi servi, veloce. Purtroppo stanotte mentre prendevo il comando alla Roccia del Consiglio, qualcuno è scappato”, disse lanciando un’occhiataccia a Kaa. “Perciò i testimoni vanno trovati e isolati il prima possibile. Non vogliamo certo che l’intera giungla sappia di tutto questo, o non avremo più l’effetto sorpresa sulle nostre prede. Oh, e inoltre non vorrei che la cosa giungesse alle orecchie del colonnello Hati. Detesto ammetterlo, ma per quanto quell’elefante sia idiota neanche con tutti i lupi avrei molte chance di vincere contro un branco di pachidermi”.

 “Oh, non ti preoccupare allora. Quanti sono questi testimoni?”

“Sei lupi. L’ex famigliola del moccioso”.

“Hu, bene, me ne occupo subito. E ho anche un’ideuccia per la tua preoccupazione riguardo il caro vecchio colonnello”, disse re Luigi sfregiandosi le mani.

“Davvero? Quale sarebbe?”, chiese curiosa la tigre, non aveva ancora trovato una soluzione contro la pattuglia di pachidermi. “Te lo dirò a cose fatte. Intanto occupiamoci dell’immediato. Fiuuu, fiii”, fischiò forte Luigi. Tre scimmie si calarono ai piedi del trono, un po’ sull’attenti per via dei lupi. “Andate al villaggio degli uomini e scoprite tutto ciò che potete sul cucciolo d’uomo. Già che ci siete prendete anche qualche bel ogettuccio se lo trovate, eh? Bravi, e ora andate miei tesori, andate, andate”, disse sollevando le braccia pelose ridicolmente lunghe. “Sì, vostra maestà”, esclamarono le scimmie sparendo tanto velocemente quanto erano apparse. Shere Khan sorrise sotto i baffi: “Bene Luigi. Sembra che questa nuova alleanza porterà buoni frutti” “Adoro i frutti. Gradisci una banana?”, disse l’orango porgendogli uno dei frutti gialli tirandolo fuori da non si sa dove. “No, grazie”, disse Shere Khan, guardandolo confuso. Re Luigi fece spallucce e cominciò a divorarsi la sua banana. Kaa guardò l’orango ingozzarsi felice e gli brontolò lo stomaco. “Shere Khan”, sibilò avvicinandosi alla tigre, “Non potrei assaggiare sssoltanto una ssscimmiettina. Non prendo una preda da quando mi avevi ordinato di ipnotizzare i lupi e sssperavo che ieri notte mi sarei rimpinzato con la pantera. Ma ora sssono terribilmente affamato”.

“E di chi è la colpa per non aver trattenuto Bagheera come gli era stato ordinato?”, ringhiò Shere Khan al serpente tremante, “Ma suppongo che tu abbia fatto un buon lavoro finora. Ma non posso lasciarti fare uno spuntino delle nostre nuove compagne d’armi. Visto che era proprio la pantera che volevi, torna alla Roccia del Consiglio. Fai sparire il suo corpo insieme a quello di Akela non voglio che ci siano ulteriori prove di questa notte”.

 “Sssì, certamente. Ti assssicuro che non rimarrà alcuna traccia”. Il pitone sparì veloce tra i muri cadenti del tempio. La tigre si rilassò sul trono e allungò lo sguardo oltre i mucchi di macerie che lo circondavano, verso la distesa verde della giungla che cominciava ad essere illuminata dal sole. Gli occhi osservarono chiazze verdi di foresta fino a un puntolino marrone sulla riva del fiume: il villaggio degli uomini. ‘Mowgli’, pensò la tigre, ‘Presto tardi sarai mio, cucciolo d’uomo’.

 

Mowgli si svegliò frizzante al canto del gallo. Di solito non si alzava fino a che qualcuno non lo buttava giù dal letto ma questa mattina non vedeva l’ora di scendere giù dalle coperte. Coperte! Aveva dormito tutta la notte nel letto e non sull’albero, non voleva far arrabbiare ancora Kamya e rischiare di perdere la sua “punizione”. Fece colazione ingoiando tutto in fretta, non stava più nella pelle. Notò che Shanti non c’era quel mattino. Pensò che fosse uscita prima di casa o non fosse tornata dal torrente a prendere l’acqua. Messua lo guardava con espressione a metà tra il felice e il rattristato. Kamya lo aspettava sulla porta. “Allora Nathoo. Pronto per la tua punizione?”, chiese quando stavano per uscire.

“Sì”, rispose impaziente Mowgli, per poi cambiare in un sì dal tono più triste e decorso per l’occasione. Kamya soffocò un sorriso. Aveva capito quanto in realtà Nathoo fosse contento, ma era così felice e speranzoso anche lui per questa nuova esperienza del bambino che quasi non gli importava. Messua diede al figlio una sacca con dentro il pranzo e lo baciò sulla guancia. “Sta attento mio dolce Nathoo”, gli disse accarezzandogli il viso, “E se vedi una tigre o un altro animale feroce non fare come nelle storie che ci racconti sempre, ma scappa via, scappa più veloce che puoi. Capito?”, gli strinse la mano sulla spalla.

“Va bene”, sussurrò Mowgli, come sempre un po’ stranito dalla preoccupazione di Messua.

“Sono certo che andrà tutto bene e non avrà nulla di cui preoccuparsi”, disse Kamya alla moglie, “Forza ora andiamo o faremo tardi”, lo incoraggiò. Messua lo strinse in ultimo abbraccio poi lo guardò allontanarsi insieme al marito dalla soglia della casa. Si tormentò il velo mormorando una preghiera perché tutto, effettivamente, potesse andar bene. Il bramino intanto li stava aspettando all’uscita del villaggio accanto alla mandria di bufali. I grossi bovini azzurro ardesia erano degli animali imponenti dalle corna lunghe e ricurve. Il loro aspetto intimidiva ma avevano un’indole pigra e mansueta. Abituati com’erano al comando dell’uomo spesso si vedevano mandriani dell’età di Mowgli che nonostante non arrivassero al muso di quelle bestie li comandavano a bacchetta con un solo colpo di ramoscello. Quando Mowgli e Kamya arrivarono il bramino li accolse e guidò il ragazzino in mezzo alla mandria per illustrargli quello che avrebbe dovuto svolgere quel giorno. Avrebbe dovuto far pascolare gli animali per tutto il giorno e poi farla tornare verso sera. Niente di troppo complicato. I bufali erano animali pacifici e portati vicino a un torrente si mettevano a mollo nel fango per ore. Il bramino Purun diede a Mowgli una canna di bambù per dirigere la mandria. Ora ci fu il problema dei numeri. Siccome sapevano che Nathoo non era esattamente un genio con i numeri non volevano certo che si sbagliasse a contare nel riportare a casa i capi di bestiame, gli allevatori in particolar modo. Fra loro c’era anche Buldeo che possedeva un paio di capi e se da una parte gradiva l’idea di Nathoo fuori dal villaggio, dove magari sarebbe stato la cena di qualche animale, non gradiva l’idea di perdere una delle sue bestie. Ma il bambino li sorprese tutti quando elenco tutti i capi di bestiame dal primo all’ultimo, secondo le loro caratteristiche individuali. Un dente guasto, il pelo di un colore leggermente diverso, di ogni singolo bufalo sapeva qualcosa. Quando Buldeo ebbe finito di fare i conti sulla punta delle dita, tutti realizzarono che il numero era esatto.

“Come fai a ricordarli tutti?”, chiese sconvolto il bramino, “E come fai a sapere tutti questi dettagli? Di un bufalo neanche il suo proprietario sapeva del dente guasto”.

Mowgli sorrise imbarazzato: “Sono nel villaggio ormai da un anno e ogni tanto sono passato davanti le stalle. Così ho fatto un po’ di conversazione e ora so i loro nomi e qualche altro particolare. Per questo sono sicuro di non perderli anche se non so contare bene. Potrei chiedere direttamente a loro se ne manca qualcuno”.

A quella risposta Kamya sì scurì: “Nathoo”, sbuffò, “Io ...”

 “Scusa, scusa. Lo so ho sbagliato a dire quelle cose. Dimenticate quello che ho appena detto. Giuro che sarò attentissimo ai bufali per non perderne nessuno. Ti prego so che lo posso fare… papà”. Kamya di solito lo avrebbe redarguito di più su tutta la questione dei bufali parlanti, ma quel papà lo aveva lasciato senza parole. Mai prima di allora il bambino lo aveva chiamato padre, né a Messua l’aveva chiamata madre. L’uomo compiaciuto si affrettò a dire: “Va bene sei perdonato. Non parliamone più e corri a portare quei bufali sul fiume prima che cambi idea”.

Nathoo sorrise e tutto contento trotterellò in groppa a Mysa, il toro più grosso della mandria. Borbottò un paio di frasi che gli uomini in piedi lì accanto fecero fatica ad afferrare. Ma il loro stupore poi fu un altro. In men che non si dica l’intera mandria era partita spedita in fila ordinata e compatta.

Buldeo era rimasto a bocca aperta. Kamya sorrise felice sotto la barba. Il bramino si accarezzò la barba bianca. “Ogni volta vedo così lontano nelle vite degli uomini”: disse tronfio. 

 

 


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Mowgli capitolo 4 tre scimmie

Shanti entrò dalla porta di servizio portando la brocca d’acqua. Appena chiuse la porta alle sue spalle sentì dei singhiozzi dall’altra stanza. Trovò la padrona Messua che piangeva sommessamente seduta sui cuscini. Quando si res conto della presenza della ragazzina la donna si asciugò svelta le lacrime. “Oh, Shanti sei tu”. Di solito a quell’ora la padrona era al tempio. Shanti non sapeva come comportarsi avendola trovata in quella situazione. “Vuole, vuole che vada a svegliare Nathoo”, disse la bambina sperando di poter andarsene da quella scena.

“Oh, che sciocca”, disse la donna ripulendosi con un fazzoletto le guance bagnate, “Come ho potuto dimenticarmi di dirtelo? Specialmente a te poi”.

Un orribile pensiero chiuse la bocca a Shanti: il bramino aveva bandito Mowgli dal villaggio, sicuramente era così. Per questo Messua piangeva disperata. A suo marito, Mowgli non era mai piaciuto per questo se ne era liberato. Oh no, perché? Perché aveva dovuto dire che le piacevano tanto i manghi? Di sicuro era per lei che Mowgli aveva fatto quella stupidaggine. “La prego non lo faccia mandare via”, disse sull’orlo delle lacrime.

“Cosa?”, chiese confusa Messua. “È stata tutta colpa mia. I manghi al tempio li ha presi per me non per sé stesso. La prego, la prego punisca me, ma per favore non fate andare via Mowgli”, appena realizzò di aver detto quel nome si tappò la bocca con le mani. Ma invece della reazione furiosa che si aspettava vide la sua padrona sorridere sommessamente: “Stai tranquilla piccola Shanti. Non è successo niente del genere. Il tuo amico… Mowgli non è stato bandito. L’hanno solo mandato a pascolare i bufali. In effetti con questi lacrimoni avrai pensato il peggio. Sono proprio una vecchia sciocca e troppo sensibile”, un altro paio di lacrime le uscirono dagli occhi. Shanti tirò un sospiro di sollievo a quella notizia. Anzi pensò che fosse grandioso. Se c’era un modo per far venire fuori lo straordinario che c’era in Mowgli, era farlo lavorare con gli animali. “E Shanti?”, disse Messua tirando su un ultimo singhiozzo, “Non pensare assolutamente che la stupidaggine di mio figlio sia colpa tua. Kamya mi ha detto che ha confessato che erano per te ma questo non ti rende colpevole. Credo renda solo più ovvio quanto il mio bambino tenga a te”. Shanti sorrise contenta: “Scusi se ho usato… quell’altro nome prima. So che non vuole. Giuro non succederà più”. Messua la guardò stanca ma sorridente: “Non scusarti neanche per quello. Immagino che forse avremmo dovuto lasciargli usare quel nome dopotutto: Mowgli. Il fatto è che… ho passato dieci anni della mia vita nella speranza che il mio Nathoo tornasse. Dieci anni in attesa di un bambino e quando arriva, è un Mowgli invece del Nathoo che speravo”, tirò su col naso, “Non sono stupida, sai? So che quel bambino, molto probabilmente… anzi sicuramente, non è mio figlio. Ma anche se non fosse del mio sangue io lo amo con tutto il cuore, e ogni volta penso che se anche non è il mio Nathoo, c’è una Messua là fuori da qualche parte che ha sofferto come me per il suo bambino.  Oh, piccola Shanti, se diventerai madre io ti auguro di non provare mai cosa vuol dire perdere un figlio. E Kamya lui… ha sofferto quanto me quando abbiamo perso Nathoo, ma al contrario di me se n’era fatto una ragione. Ora invece c’è questo bambino che non è nulla di quello che sperava in un figlio. Probabilmente tutti e due vogliamo ancora il nostro Nathoo, ma il destino ci ha dato Mowgli. Forse dovremmo trattarlo più da Mowgli, non da Nathoo, o come avremmo voluto che Nathoo fosse. A cominciare dal nome. Grazie piccola Shanti. Ho deciso, stasera ne parlerò con Kamya. Da oggi tutti gli errori di Nathoo vengono cancellati e si apre una pagina bianca per il mio bambino, Mowgli”. Shanti annuì, non  molto sicura di ciò che era appena successo, però era felice. Mowgli sarebbe stato molto felice del cambio di nome. “Bene Shanti va in cucina ad aiutare tua madre. Stasera voglio una bella cena per festeggiare il primo giorno da mandriano di… Mowgli”, pronunciò l’ultima parola assaporandone le sillabe che avrebbero definito suo figlio da quel giorno in poi. “ Però di non dire ancora niente a nessuno. Voglio che sia una sorpresa. E prima dovrò convincere Kamya”. Shanti annuì felice e corse in cucina.

 

Tre teste pelose spuntarono su un albero fuori dalla palizzata del villaggio. Le tre scimmie di re Luigi si scambiarono uno sguardo di intesa e poi saltarono leggiadre oltre il muro di legno. Atterrate all’interno del villaggio si nascosero contro un muro e poi allungarono il collo per spiare gli strani esseri umani. Nessuno fece caso a loro, troppo impegnati com’erano nelle loro faccende.

Una scimmia spiò lungo le bancarelle del mercato: un sacco di uomini e cuccioli d’uomo, ma nessun Mowgli in vista. Bisognava allargare il campo di ricerca. Ma come?  Si grattò la testa pensierosa. Non potevano certo camminare liberamente per il villaggio come nulla fosse… a meno che. La scimmia adocchiò una bancarella che vendeva stoffe colorate. Ne vide un’altra poco lontana che vendeva stoviglie. Un lampo di genio le balenò nella sua testa da primate. Sussurrò qualcosa nell’orecchio alle altre. Le due scimmie annuirono. Poi tutte e tre insieme si arrampicarono sul tetto di paglia della casa. Senza che i poveri negozianti se ne accorgessero un paio di metri di stoffa rosa scomparirono dal banco del primo venditore e pentole, brocche e vasi da quello del secondo. Dietro un vicolo le tre scimmie armeggiarono scoordinate fino a che non ultimarono il loro travestimento. Messe una sulle spalle dell’altra si erano infagottate nella stoffa rosa tentando di imitare una figura umana. Doveva essere un a donna con il capo  e il viso addobbati da un velo. Solo gli occhi dell’ultima scimmia erano visibili per potersi orientare. Gli oggetti rubati erano stati messi a simulare le curve femminili. La scimmia più in basso reggeva con la coda una grossa pentola rotonda e panciuta.  La seconda scimmia invece reggeva un paio di brocche con le braccia come simulando un petto prosperoso.

“Pronti?”, disse la scimmia in cima, “Via!”. Dando indicazioni su quale direzione prendere la donna-scimmia si incamminò barcollando e sbandando. Buldeo intanto stava ritornando  irritato dopo aver visto il piccolo Nathoo che guidava la mandria. Il vecchio cacciatore camminava ad ampie falcate sbuffando. Non era certo quello il castigo che sperava per il figlio di Kamya.

Mentre continuava a rimuginare qualcuno lo urtò. “Ehi fa attenzione, imbecille”, si lamentò l’uomo. Chi l’aveva urtato non lo degnò di alcuna scusa e continuò dritto per la sua strada. Il cacciatore si voltò irato per dirgliene quattro a quel maleducato, ma si trovò davanti una visione magnifica. Una donna sconosciuta, mai vista al villaggio, avvolta in delle magnifiche vesti rosa si allontanava scuotendo i fianchi. E che fianchi! La donna si voltò un attimo a fissarlo. Il viso era coperto da un velo e poteva solo vedere i suoi bellissimi occhi marroni. Formosa e pudica, proprio il suo tipo di donna.

“Oh, mi scusi signorina. Non avevo visto che si trattava di lei, sarà stata senz’altro colpa mia”. La donna mugugnò qualcosa sotto il velo e poi si allontanò svelta dietro l’angolo. Oh, faceva la timida! Buldeo si affrettò sorridente dietro alla ragazza. Ma quando girò l’angolo era sparita. Si grattò il turbante perplesso. 

 

Le tre scimmie travestite continuarono ad aggirarsi tra le strade del villaggio, ma di Mowgli nessuna traccia. Ogni volta che incrociavano il vecchio cacciatore correvano subito nella direzione opposta e se le stava per mettere all’angolo scioglievano la formazione salivano sui tetti per poi ritravestirsi qualche strada più in là. Alla fine dopo aver fatto l’intero giro del villaggio tre volte, le povere scimmie salirono su un tetto, stremate.

“Nessuna traccia del cucciolo d’uomo”

“Ma cosa diciamo al re?”

“Già. Cosa diciamo al re e alla tigre?”

“Non lo so. Oh, tutta questa agitazione mi mette fame. Non tocco frutta da mesi da quando il re ci fa lavorare notte e giorno per ricostruire il suo stupido palazzo. Ah, come brontola il mio stomaco”, disse la scimmia massaggiandosi il ventre peloso. Un’altra scimmia improvvisamente spalancò gli occhi: “Guardate”, disse alle compagne puntando un dito, “Manghi!”. Le altre due voltarono la testa e videro un albero dei deliziosi frutti qualche casa più in là, accanto a un tetto di pietra a cupola. Le tre scimmie si guardarono e trovata subito l’intesa saltellarono verso l’albero. Il bramino Purun era immerso nelle preghiere come al solito, perciò non notò quando tre teste di scimmia spuntarono capovolte dal cornicione. Appurato che il padrone di casa era distratto le tre scimmie si calarono una legata all’altra dalla coda e cominciarono a passarsi i manghi che ammucchiarono sul tetto del tempio. In pochi minuti avevano ripulito l’albero. Con le braccia cariche di quelle delizie si allontanarono dal luogo del delitto. Una delle tre però nella fretta si fece scappare un mango che cadde con un sonoro splat sul terreno. Purun aprì gli occhi distratto da quel rumore vide il mango spiaccicato. Di solito non cadevano così presto, pensò incuriosito. Sollevò lo sguardo e vide sconvolto che l’intero albero era stato spogliato. Su tutte le furie si alzò e corse fuori.

Quel Nathoo era al pascolo. Che avesse abbandonato i bufali e fosse tornato solo per rubargli di nuovo i manghi? Questa volta non ci sarebbe andato leggero con il bambino. Cominciò a gridare “Al ladro! Al ladro!”. Fece appena in tempo a guardare sul tetto e vide l’ultima scimmia che scappava via. Borbottando imprecazioni il grasso prete uscì dal tempio tentando di inseguire dal suolo le tre ladre sui tetti. “Fermatele! Al ladro! Le scimmie mi hanno rubato i manghi, puff, pant! Fermatele!”.

Le scimmie rendendosi conto di essere state scoperte corsero a riprendere i loro travestimento rosa. Ancora più traballanti di prima per via dei manghi scapparono per le strade. Il bramino col fiatone si era fermato e guardava sui tetti lì intorno per ritrovare le scimmie.

Buldeo si aggirava in cerca della sua bella che non voleva lasciarsi prendere. Ad un certo quando proprio aveva abbandonato ogni speranza eccola che spuntava da dietro un angolo diretta proprio verso di lui. Sembrava ancora più formosa che al mattino, se era possibile. “Eccoti finalmente, è tutto il giorno che ti cerco”, le disse in tono sognante. La ragazza però non sembrava prestargli ascolto e continuò a tutta birra passandogli accanto. “Oh, no. Stavolta non mi scapperai”, disse con tono malizioso Buldeo e afferrò un lembo della stoffa rosa per costringerla a parlar con lui una volta per tutte. Al contrario di quello che pensava invece la stoffa si srotolò fino a restargli tra le sue dita lasciando la sconosciuta scoperta. Ma non era una sconosciuta realizzò paonazzo di rabbia, erano tre scimmie cariche di manghi. “Eccole”, risuonò una voce dietro Buldeo, “Sono loro. Hanno preso i miei manghi. Puff. Buldeo fermale”. Le tre scimmie erano rimaste un attimo spaesate quando la loro copertura era saltata, ma si ripresero subito e rompendo la formazione corsero via strillando.

Buldeo che ancora non voleva credere di aver corso una mattinata dietro a delle scimmie imbracciò il fucile e corse dietro alle tre ladre. “Tornate indietro maledette. Appena vi prendo mi faccio un turbante di scimmia”, urlò funesto. Le tre scimmie continuarono a correre per strada. Cominciarono a incrociare vari umani che strillavano e si ritraevano al loro passaggio. Il cacciatore invece gli stava alle costole. Correndo Buldeo caricò il fucile e sparò verso una delle scimmie. La poveretta sobbalzò e perse parte della refurtiva, ma continuò a correre.

Shanti era andata a prendere altra acqua per la cena speciale di quella sera e camminava tranquillamente. Dall’angolo spuntarono le tre scimmie e la bambina urlò sconvolta. Le tre landruncole le sgusciarono accanto alla gonna perdendo qualche mango e Shanti faticò a mantenere in equilibrio la pesante brocca. Proprio in quel momento Buldeo svoltò l’angolo e sparò un colpo di fucile che colpì proprio il recipiente d’acqua. Cocci e il liquido caddero sulla piccola inzuppandola. Qualche centimetro più un basso e sarebbe morta.

“Spostati shudra”, le urlò Buldeo incurante e la fece cadere a terra con uno spintone. Le scimmie passarono nella piazza affollata verso il grande albero di fico. La gente strillava spaventata o arrabbiata e alcuni cercarono anche di acchiappare le scimmie che però riuscivano sempre a scappare tra le gambe o saltare sul turbante del malcapitato. Tutti poi urlarono e si ritrassero quando arrivò Buldeo che continuava a sparare all’impazzata. Le tre scimmie salirono svelte sul fico mentre la corteccia veniva bucherellata da Buldeo. Dai rami dell’albero saltarono su un tetto e si trovarono a pochi metri dalla palizzata del villaggio e verso la libertà.

Nella fuga avevano perso vari manghi e perciò ora ne avevano solo uno a testa. Si fermarono di soprassalto quando videro che il punto da dove volevano uscire non era lo stesso da cui erano entrate nel villaggio. Lì il percorso del fiume fra villaggio e alberi era più distante e non sapevano se fossero in grado di saltare così lontano. Un altro sparo di Buldeo le convinse a tentare lo stesso. Con un balzo disperato una delle scimmie riuscì ad aggrapparsi a un ramo ma le altre due dovettero aggrapparsi invece alla sua coda e nel farlo persero i manghi. Quella attaccata al ramo dovette rinunciare al suo mango anche lei per sostenere il peso delle amiche con entrambe le mani. Guardarono oltre la palizzata e videro che Buldeo si era arrampicato sul muro di legno e stava ricaricando il fucile. Strillarono in allarme e si contorsero una sopra l’altra per rifugiarsi tra le foglie dell’albero. Alla fine un ultimo sparo colpì il ramo e le tre scimmie urlanti furono trascinate via dalla corrente. “E non tornate più”, strillò Buldeo agitando il pugno.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 

Mowgli intanto aveva condotto felice la mandria al fiume. I bufali si erano messi tranquilli a brucare o a fare il bagno. Mowgli aveva trovato un tronco comodo e si era steso con le braccia dietro la testa. “Questa sì che è vita”, citò felice Baloo, suo mentore in fatto di ronfate e penniche. L’orso in questione, a sua insaputa, si stava dirigendo proprio verso il fiume, spinto dai quattro avvoltoi. “Andiamo Baloo, un bel bagno ti tirerà su”, gli disse rassicurante Buzzie, mentre lo seguivano in volo. “Ah, non lo so ragazzi. Se non ho quel cuccioletto steso sulla pancia, stare a mollo nel fiume non è lo stesso”.

“Avanti amico. Da quant’è che non ti lavi? Ho annusato carogne che puzzavano di meno”, lo punzecchio Ziggy. Baloo non reagì ai loro commenti ma continuò a mettere lento un piede dopo l’altro verso il fiume. Con un ultimo sforzo scostò dei rami bassi e si ritrovò sulla sponda dello Waingunga. Sospirando apatico fece un saltino e stette seduto a mollo nell’acqua bassa. Gli avvoltoi gli planarono accanto. “Forza Baloo, vedrai che le cose si sistemeranno”, sussurrò Buzzie. “Già”, aggiunse Dizzy, “Il tuo valore come orso non è definito dal ricoprire o meno il ruolo di figura genitoriale per Mowgli. Sia lui che te eravate due individui separati e funzionanti prima di incontrarvi, perciò lo potete essere di nuovo anche se non state più insieme”. Gli altri tre avvoltoi guardarono straniti Dizzy. “Che c’è? È vero”, mormorò il rapace.

“Ah, vorrei tanto che fosse così”, esclamò sconsolato Baloo, “Invece non riesco più a riprendermi senza Mowgli. Ogni momento penso a lui. Ovunque mi giri vedo la sua faccia. Caspita mi sembra di vederlo steso laggiù proprio in questo istante”, disse sollevando piano una zampa. Gli avvoltoi si girarono in direzione degli artigli e rimasero a bocca aperta. Il cucciolo d’uomo era proprio dove stava indicando l’orso.

Buzzie si strofinò incredulo gli occhi. Ziggy sussurrò: “Ragazzi sono solo io o lo vedete anche voi?”

“No, no lo vedo anch’io”, disse Flaps muovendo la testa in modo affermativo”.

“Vedere cosa ragazzi?”, chiese Baloo con la testa accasciata all’indietro.

“Forse ti conviene dare un’altra occhiata Baloo”, suggerì Dizzy. L’orso alzò pigramente la testa e guardò dove indicavano gli uccelli. Rivide Mowgli e si rese conto che non era un’allucinazione, il suo cucciolo era proprio sotto l’albero dall’altra parte del fiume. “Mowgli”, sussurrò Baloo realizzando la situazione. “Mowgli!”, urlò pazzo di gioia. In fretta e furia si alzò e corse per attraversare il fiume inzuppando gli avvoltoi fini all’ultima piuma.

Mowgli che si era steso e aveva gli occhi socchiusi sentì una voce in lontananza. Si tirò su strofinandosi stanco gli occhi e la voce giunse più chiara. Qualcuno stava dicendo il suo nome. Che Kamya o qualcun altro del villaggio fosse venuto a controllare che stesse facendo un buon lavoro? Lì nessuno però lo chiamava Mowgli, per loro era Nathoo. Allora chi poteva essere?

“Mowgli”, giunse ancora la voce, questa volta chiaramente dal fiume. Il bambino si girò e vide non altri che il suo amico Baloo che usciva fradicio dal fiume. “Mowgli, soldo di cacio!”, gli urlò l’orso con la sua vociona. “Baloo”, sussurrò Mowgli mentre l’eccitazione lo percorreva da capo a piedi. “Papà orso”, strillò di gioia e corse verso di lui. Orso e bambino si precipitarono uno dietro l’altro e Mowgli gli saltò al collo felice. Baloo strinse felice il cucciolo al petto mentre Mowgli affondava il viso nella sua pelliccia. “Oh, Baloo, mi sei mancato così tanto”, sussurrò il bambino nel pelo dell’orso. “Oh, anche tu cucciolo d’uomo, anche tu”.

Gli avvoltoi sull’altra sponda del fiume avevano le lacrime agli occhi. “Sniff. Mi commuovo sempre davanti a queste scene”, disse Buzzie asciugandosi una lacrimuccia con le penne. “Andiamo ragazzi, non restiamo qui a piangerci addosso andiamo salutare l’esserino. Andiamo, andiamo”, disse Ziggy spintonandoli quasi dentro il fiume. I quattro avvoltoi si alzarono in volo verso Baloo che si era seduto con Mowgli a cavalcioni sul suo ventre. “Ehi, cucciolo d’uomo!”

“Ehi, Mowgli”.

“Come stai compagno?”

“Non ti sarai dimenticato di noi vero?”

“Già ricordati che sei praticamente un avvoltoio onorario”, gli dissero volandogli intorno gli avvoltoi. Mowgli continuò a stringere Baloo: “Certo che mi ricordo di voi. Oh, Baloo ci sono così tante cose che devo raccontarti. Non immagini le notti che ho passato sveglio pensando a te”.

“Soldo di cacio, anche tu mi sei mancato molto. Avanti allora, parla. Com’è la fantomatica vita nel villaggio degli uomini?”

Mowgli allora cominciò un lungo racconto sull’anno passato là, su come Kamya e Messua lo avessero accolto in casa loro, su come ora il suo nome fosse Nathoo e non Mowgli. Baloo storse il naso a quel nome così assurdo per il suo cucciolo. Il bambino parlò anche degli usi e costumi degli umani, delle loro regole impossibili, di come nessuno credesse ai suoi racconti della giungla e di come Shanti fosse la sua unica amica.

“Aspetta. È quella che ti ha attirato nel villaggio, vero?”

“Si. È lei”, confermò il ragazzino. Baloo si trattene dal dire cosa pensava di lei visto che sembrava che ora fosse diventata così amica del cucciolo. Mowgli poi parlò dell’incidente dei manghi e di come l’avessero spedito a fare da guardiano ai bufali, i quali continuavano a pascolare tranquilli lì accanto.

Appena i due amici si furono raccontati tutto ciò che dovevano non persero più altro tempo e si lanciarono in duetto della loro canzone preferita, ballando e cantando tra i bufali impassibili. Buzzie, Flaps e Ziggy tenevano il tempo a ritmo di fianchi e pensavamo di unirsi all’orso e al cucciolo d’uomo, ma il saggio Dizzy li convinse che forse era meglio lasciarli in pace dopo un anno di separazione, così i quattro si alzarono in volo.

Mowgli e Baloo stremati dopo il loro balletto si lasciarono sprofondare nel fiume come ai vecchi tempi.  Baloo si lasciò galleggiare e Mowgli si stese sul suo pancione. I due rimasero zitti senza bisogno di dirsi nulla per vari minuti.

In quel momento la corrente del fiume trascinò lì anche tre ignare spettatrici. Le tre scimmie che avevano fatto irruzione nel villaggio erano rimaste per un bel pezzo a dimenarsi nell’acqua incapaci di nuotare fino ad arenarsi contro un bufalo. Le tre poverette salirono sulla schiena dell’animale come fosse un salvagente, sputacchiando  e tossendo mezzo fiume. Erano distrutte, i manghi persi e nessuna notizia sul cucciolo d’uomo. Ma improvvisamente una delle scimmie lanciò un grido di sorpresa e scrollò le altre due indicando l’orso e Mowgli poco distanti.

“Ah, Mowgli. Ora che sei tornato da me non ci separeremo più. Vero, cucciolo mio?”, disse Baloo strofinandogli la testolina. Mowgli stette zitto un istante e poi rispose: “Si, beh, ecco Baloo io devo tornare al villaggio stasera”.

 “Cosa?”, disse l’orso smettendo di galleggiare facendo cadere in acqua Mowgli. Il cucciolo risalì e sputacchio un paio di volte: “Si, devo riportare la mandria al villaggio”.

“Ma Mowgli, cucciolo. Ci siamo appena ritrovati. Questi bufali pigri non vanno da nessuna parte. Resta con me almeno per un giorno. O una settimana. Beh, decideremo domattina”.

“No, Baloo”, continuò serio Mowgli, “Non posso restare. Ho promesso a papà ...”, a quella parola Baloo fece uno sguardo offeso. “Cioè ho promesso a Kamya di riportare tutti i bufali entro il tramonto. E questa volta non posso fare pasticci”. Baloo sospirò: “Ecco, già ti stanno facendo diventare uomo”.

“No, non è vero”, protestò il bambino schizzandolo. “È solo che... Ho fatto una promessa e devo mantenerla, tutto qua”. Baloo scosse il capo poco convinto. “Perciò è un altro addio Mowgli. Ah, va bene mi rassegnerò alla mia vita di solitudine e miseria. Nessuno vuole stare col vecchio Baloo”.

“Ma che addio e addio. Domani devo portare di nuovo la mandria al pascolo. Mi troverai qui!”

“Cosa? Davvero? È fantastico Mowgli”, disse l’orso stringendolo in un abbraccio.

“Cough, si”, mormorò stritolato dall’orso. “Anzi ora che sono un mandriano potrò uscire ogni giorno”.

“Questo è fantastico”, esultò l’orso. “Preferirei averti tutte le ore del giorno e della notte, ma penso che mezza giornata ogni giorno possa andare”. Mowgli sorrise contento e si avviò fuori dal fiume.

Le tre scimmie si guardarono sorridendo. Ora sapevano cosa riferire a sua maestà. Con un balzo saltarono sugli alberi.

 Baloo e Mowgli passarono insieme il tempo che gli restava dopodiché il cucciolo d’uomo si allontanò in groppa a Mysa. Il bambino salutò felice Baloo che ricambiò malinconico mentre Mowgli tornava dagli esseri umani. 

 

Nel frattempo Buzzie, Flaps, Dizzy e Ziggy stavano sorvolando sconsolati la giungla. “Ah, sempre la stessa storia”, sospirò Buzzie, “Quando non hanno più nessuno ci usano come una spalla con cui piangere, ma appena sono di nuovo felici nessuno vuole più intorno noi uccellacci della morte. Ora cosa facciamo?”

“Non lo so”, sospirò Flaps. “Tu cosa vuoi fare?”. Buzzie non ebbe neanche la forza di arrabbiarsi.

“Forza compagni. Groan, tutta quella riunione familiare mi ha messo un certo languorino. Ehi, guardate laggiù signori!”, indicò Ziggy.

“Dove?”, chiese stanco Dizzy.

“Propio là. A ore nove. Yum, sembra una bella carcassa”.

“Bah, non ho appetito”, si lamentò Buzzie, “E se è l’ennesimo nilgai, preferisco che spolpiate me”.

“No, no, molto meglio. È un predatore”.

“Cosa davvero?”, disse sorpreso Buzzie, era raro trovare la carogna di un animale che non fosse una preda.

“Sì, sì, sì, sì”, confermò Ziggy strofinando un attimo le ali. “Mh, e sembra anche che siamo i primi. Le frattaglie sono mie!”, detto questo si gettò in picchiata verso gli alberi. Dizzy e Flaps lo seguirono a ruota lasciando dietro il lento Buzzie. “Ehi, no, aspettate ragazzi. Ragazzi! Per favore una fila ordinata. Non siamo mica sciacalli”. Gli altri tre non lo ascoltarono e planarono verso l’animale steso sotto un grande dirupo. Gli uccelli necrofagi saltellarono verso il loro pasto che si rivelò essere un lupo grigio. “Pancia mia fatti capanna”, gongolò Ziggy.

“Guardate ce n’è che un altro”, indicò Flaps. Gli avvoltoi si avvicinarono incuriositi all’altro animale morto.  Dizzy abbassò il becco sconsolato quando vide che era una pantera nera. “Yum, yum, yum”, si leccò il becco Ziggy, “Da quanto tempo è che non mangiamo pantera?”

“Fermò amico”, disse pacato Dizzy, “Guarda meglio quella pantera. Non la riconosci?”

“Oh, no”, si strinse il becco fra le ali Flaps, “È Bagheera”.

“Allora ragazzi. Puff! Fermi… pant. Non cominciate senza di me. Beh, che sono quei becchi lunghi? Oh… Bagheera”.

Gli avvoltoi riservarono un minuto di silenzio all’amico defunto. Buzzie si portò un’ala al cuore: “Ricorderemo tutti Bagheera la pantera. Era troppo buono, troppo nobile per questa giungla”.

“Un vero amico”, aggiunse Dizzy.

“Sapeva dare sempre buoni consigli”, sospirò Flaps.

“Già”, disse Ziggy, “È sempre dura quando la tua cena è qualcuno che conoscevi. Beh, ora mangiamo. Io cominciò dalla coda”. L’avvoltoio senza troppi complimenti affondò il becco nella coda nera accasciata al suolo. “Groaaaar!”, ruggì di dolore Bagheera. Gli avvoltoi saltarono in aria terrorizzati perdendo una dozzina di penne ciascuno. Buzzie si accasciò fra le ali di Dizzy. Bagheera intanto risvegliatosi grazie allo shock di dolore alla coda stava scuotendo la testa rintronato. “Oh, ahi, la testa. Cosa è successo?”, sollevò lo sguardo e vide Ziggy che teneva ancora la sua coda nel becco, troppo scosso dalla resurrezione di Bagheera per mollare la presa. La pantera gli lanciò un’occhiataccia e l’avvoltoio abbassò gli occhi sulla coda. Fece un sorrisetto e la sputò: “Ahaha. Scusa credevamo che fossi già passato dalla parte dell’essere mangiato invece che mangiare gli altri”.

“Non ancora”, mormorò stanco Bagheera, “Ma ci è mancato poco. Mpfh, mi fa Male tutto. Oh, no!”

“Cosa c’è?”, chiese Dizzy.

“Sto cominciando a ricordare quello che è successo”.

“Ma cosa ti è successo?”, chiese Flaps mentre faceva aria al povero Buzzie che stava rinvenendo. “Sembravi proprio morto”.

“Shere Khan, ecco che mi è successo”.

“Shere Khan?!”, esclamò Buzzie e risprofondo nelle ali di Dizzy che non lo sostennero per lo stupore.

“Perciò è tornato?”, chiese Dizzy.

“Sì, ed è ancora più intenzionato a uccidere Mowgli. Si è presentato alla riunione del Consiglio e ha usato Kaa per ipnotizzare tutti. Ora è lui che guida i lupi”. Gli avvoltoi borbottarono indignati. “Quel povero cuccioletto”, mormorò preoccupato Buzzie.

“E proprio quando si era ricongiunto con Baloo. Erano così felici”, disse Flaps ancora più triste.

“Di che state parlando?”, chiese confuso Bagheera.

“Stamattina abbiamo portato l’orso al fiume per fare un bagno e abbiamo incontrato nientemeno che il cucciolo d’uomo”, gli spiegò Ziggy.

“Cosa?”, disse preoccupato. “Che ci faceva fuori dal villaggio?”

“Lo hanno mandato a fare la guardia ai bufali”, disse Dizzy.

“Oh, no. No, questo non va bene. Vuol dire che domani mattina sarà di nuovo là”, disse allarmato Bagheera che conosceva le abitudini degli uomini. “Se Shere Khan scopre che ora sta fuori dal villaggio, lontano da armi e fuoco avrà il campo libero per... Questa non ci voleva. Speravo che almeno Mowgli fosse al sicuro al contrario di noi altri”.

“Noi altri?”, chiese col cuore in gola Flaps.

“Sì. Shere Khan ha passato un anno a progettare la sua vendetta sul cucciolo d’uomo e ha deciso di includere tutti noi che lo avevamo protetto la scorsa volta”.

“Quindi siamo ricercati”, disse Ziggy. I quattro avvoltoi si strinsero l’un l’altro guardandosi intorno spaventati. Bagheera sbuffò: “Voi avete le ali idioti. Accidenti, se non sapevate niente di questa storia vuol dire che Rama e la sua famiglia non sono riusciti ad avvertire nessuno. Povero Baloo, non saprà niente. Dobbiamo avvertirlo prima che i lupi siano su di lui. E dobbiamo trovare un modo per fermare quella tigre. Di certo contro il colonnello Hati e i suoi elefanti non potrà nulla. Devo andare ad avvisarlo”, con un balzo corse nella giungla. “Voi intanto volate veloci ad avvertire Baloo!”, urlò prima di scomparire nel fogliame.

“Oh, ragazzi qui la vedo male”, piagnucolò Ziggy.

“Shere Khan! E i lupi”, squittì Flaps.

“Non è il momento di darsi agli isterismi”, borbottò combattivo Buzzie. “Forza ragazzi! Muovete quei didietri piumati e andiamo ad avvertire Baloo”, ordinò l’avvoltoio tappo spiegando le ali.

“Ssse per voi non fossse un problema io avrei un’altra prpoposssta”, sibilò qualcuno alle loro spalle. Non appena i quattro uccelli si voltarono confusi i loro occhi si illuminarono di un bagliore psichedelico. La testa di Kaa spuntò sghignazzante tra i rami. “Voi non andrete ad avvertire Baloo. Quell’orso non è vostro amico. Il vostro più caro amico è… Shere Khan”

“Il nostro più caro amico è Shere Khan”, mormorarono in coro gli avvoltoi.

“Essssattamente”, sorrise il pitone.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Mowgli capitolo 6

Quando Mowgli arrivò al villaggio degli uomini mise tutti i bufali nelle stalle in modo ordinato e preciso. I mandriani che lo accolsero erano sconvolti da quanto fosse capace il ragazzino nel suo primo giorno. Il bramino confermò che nessun bufalo era andato perso. Kamya gonfiò il petto di orgoglio e mise una mano sulla spalla di Mowgli: “Sono molto fiero di te Nathoo. Visto che non è così difficile ambientarsi nel villaggio se scopri quello in cui sei dotato. Grazie mille bramino Purun, per l’occasione data a mio figlio. Nathoo su, ringrazia anche tu”.

“Grazie bramino Purun”, disse Mowgli e lo intendeva davvero.

L’uomo grasso sorrise: “Non ringraziate me, ma gli dei che mi hanno ispirato questa idea. Bene, ora vi lascio, vado a riposare. Il mio cuore non è più abituato e oggi ho fatto una corsa tremenda”, si diresse verso il tempio appoggiandosi al bastone. Mowgli aggrottò le sopracciglia: “Cos’è successo perché il bramino si sia messo a correre?”, chiese sbalordito a Kamya.

“Haha. Si in effetti il bramino Purun è più un uomo di preghiera che azione. Non ci crederai mai, ma sono passate tre scimmie nel villaggio e hanno rubato tutti i manghi del tempio. Buldeo le ha inseguite a suon di fucile ma gli sono scappate via. Dopo tutte le vanterie sul gran cacciatore che è. Tu invece? Niente di strano durante il pascolo di oggi?”

“Assolutamente niente”, mentì Mowgli ancora sovraeccitato dall’incontro con Baloo. Non vedeva l’ora di raccontarlo a Shanti, l’unica che gli avrebbe creduto.

Kamya e Mowgli si avviarono verso la grande casa. Quando entrarono furono accolti da un profumo invitante e trovarono la tavola imbandita delle leccornie più disparate. Messua li accolse con un sorriso: “Un mandriano che ha faticato tutto il giorno ha bisogno di una cena robusta”. Mowgli e Kamya restarono a bocca aperta davanti a quello spettacolo. Il bambino corse ad abbracciare Messua. Poi si scostò e lasciò che Kamya baciasse la moglie. “Grazie tesoro”.

“Aspetta non è finita. Shanti vieni”. La porta della cucina si aprì lasciando entrare Shanti e la madre. “Ho pensato che stasera visto che è un occasione speciale da festeggiare, Shanti e Uma potevano unirsi a noi”, disse felice la donna strofinando il braccio al marito. Kamya era un po’ restio a cenare con le serve ma era così contento che volle accontentare la moglie.

Le due shura si avvicinarono. La bambina teneva felice un grosso vassoio di manghi. Mowgli spalancò gli occhi: “Manghi? Ma come?”

“Quel bruto di Buldeo ha quasi preso Shanti con una pallottola oggi”, disse Messua accarezzando i capelli della bimba, “È tornata fradicia dopo che la brocca era andata in frantumi. Vero Uma?”

“Sì, signora”, disse pacata la madre di Shanti. Mowgli si scurì subito in volto. Shanti lo rassicurò che stava bene. “Comunque, sono andata da quel cacciatore da quattro soldi e l’ho messo al suo posto. Lui si giustificava dicendo che Shanti sia una serva, perciò la pallottola sparata valeva più della testa che avrebbe colpito. Riesci immaginare Kamya? Ad ogni modo, è arrivato il bramino Purun e mi ha dato ragione. E visto che ormai tutti i manghi del tempio erano stati colti mi ha dato tutti quelli che si erano salvati dall’inseguimento con le scimmie. Sei contenta Shanti? So quanto ti piacciono”. La bambina ringraziò mite.

“Beh, basta parlare e mangiamo”, disse Kamya sfregiandosi le mani.

I cinque mangiarono e risero a sazietà. Mowgli raccontò senza troppi dettagli la sua prima giornata da mandriano. Mentre gli adulti discutevano tra loro sussurrò a Shanti che l’indomani le avrebbe detto veramente cos’era accaduto. “Cosa?”, chiese Shanti a metà tra lo spavento e l’eccitazione. “Aspetta domani”, rispose beffardo lui.

Nel corso della cena poi, quando cominciarono a mordere i manghi succosi, le bisbigliò serio che la vita di lei valeva molto più che un cesto di manghi, la vita di Shanti valeva più di tutti i manghi del mondo, se fosse stato presente quel pomeriggio quando Buldeo le aveva sparato gli avrebbe fatto assaggiare la vera forza di un lupo. “Non è giusto”, protestò, “Perché una persona bella e buona come te deve essere trattata come uno scarto mentre persone orrende come Buldeo vengono rispettate e possono fare i loro comodi? Questa storia delle caste è sbagliata, sbagliata!

“Shhh. Ti prego non ti agitare Na–”, disse Shanti.  Non voleva che attirasse l’attenzione del padrone e rovinasse quella bella occasione, poi sussurrò ancora più piano: “Mowgli”. Il bambino rimase sorpreso che Shanti trovasse il coraggio di dire quel nome, anche se a sottovoce, con i genitori a pochi metri più in là. Lei sorrise alla sua espressione sconvolta: “Tua madre ha detto che posso usarlo. Anzi, forse non dovrei dirtelo ma credo voglia cominciare a usarlo anche lei”.

“Davvero?”, chiese incredulo Mowgli.

“Sì”, rispose Shanti, “Ha detto che hanno sbagliato a cercare di chiamarti Nathoo viso che non è il tuo vero nome. Vuole cercare di convincere Kamya a cambiare idea pure lui”.

“Che cosa state bisbigliando voi due?”, chiese Kamya.

“Oh, lasciali”, lo riproverò giocosamente Messua, “Lascia che si divertano. Si sono stufati di parlare con noi vecchi. Sono in quell’età in cui cominciano a fare tesoro di qualche segreto che i genitori non sanno. Piccoli segreti preziosi e non tanto pericolosi da doverglieli far confessare. Anzi se non gli lasciamo tenere quelli andranno di sicuro a nasconderci le cose più importanti quando saranno grandi”, disse Messua guardandoli con occhi scintillanti.

Mowgli sorrise alla donna che lo chiamava figlio. Era la prima volta che gli sembrava di sentire una lezione vera e importante in quel villaggio. Vedeva Messua come una donna molto dolce colma di amore e premure per lui ma finora non l’aveva mai sentita fare discorsi del genere.

“Già” le diede ragione Kamya, “Mi ricordo quando avevo la sua età e trovai anch’io il mio piccolo segreto” strinse la mano della moglie.

Finita la cena Shanti e la madre tornarono verso casa loro e Messua e Kamya mandarono a letto Nathoo  visto che doveva tornare al pascolo il mattino dopo.

Il cucciolo d’uomo si mise sotto le coperte incapace di dormire dopo tutte le emozioni di quella giornata. Domani avrebbe potuto rivedere Baloo. Lo avrebbe visto tutti i giorni. Kamya finalmente gli sorrideva ed era contento di lui, non vedeva più quella tristezza profonda negli occhi di Messua. Forse da lì in poi le cose sarebbero andate nel verso giusto.

Mentre si rigirava nel letto con quei pensieri sentì delle voci dalla stanza accanto. “No, questo no”. Era Kamya e sembrava un po’ alterato. “Andiamo Kamya. È un nuovo inizio per la nostra famiglia e per nostro figlio. Hai visto che il ruolo di Nathoo pensato per lui non gli sta bene. Ma la sua parte ancora legata alla giungla, il suo lato più… Mowgli, quello è ciò che lo ha fatto fare faville con la mandria”.

“Messua per favore non rovinare la prima giornata felice dopo tanto tempo. Andiamo a letto e basta”.

“Ma Kamya”.

“Niente ma. Una cosa è lasciarlo fraternizzare con la servetta. Per ora è solo e ha bisogno di un’amica. Una cosa è lasciare che giri mezzo nudo per il villaggio. Dopotutto è ancora bambino. Che faccia pure il mandriano se è l’unica cosa che sa fare, non c’è niente di vergognoso in un lavoro onesto. Ma mai, mai lascerò che se ne vada in girò chiamandosi mio figlio e portando quel nome ridicolo”. Seguirono alcuni attimi di silenzio.

“Perché Kamya? Perché amore mio? È soltanto un nome. Se tu non ti chiamassi più Kamya, ma Rajej o Kim o che so io, non cambierebbe l’uomo che sei, né l’amore che provo per te. Cambierebbe il tuo affetto per me se io non mi chiamassi più Messua?”, disse con tono dolce.

“Non è questo, e lo sai”.

“No invece, non lo so. Andiamo, dimmi cosa ti cambia tanto che tuo figlio si chiami Mowgli o Nathoo? Che problema c’è?”

“Perché...” il marito grugnì irritato e spazientito a doverle spiegare una cosa del genere, “Perché quel bambino non è Nathoo. Non è nostro figlio è lo sai bene anche tu”. Mowgli ascoltò ancora più attentamente la voce alta di Kamya. “Nostro figlio è morto dieci anni fa nella giungla. Quello lì è un trovatello che si sarà smarrito anche lui fino a dimenticare gli usi umani, ma non è nostro figlio. L’unico motivo per cui lo abbiamo accolto è perché il bramino sa quanto siamo ricchi e quanto tu sia ancora attaccata al ricordo di Nathoo. Anch’io ho sofferto come te ma sono andato avanti. Tu ti sei talmente tormentata dietro il pensiero del nostro bimbo...” la voce gli si incrinò, “... che ci è stato ingiustamente portato via, che non appena hai visto quel ragazzino nella piazza, hai voluto vedere Nathoo. Ma non è così. Ora in questo modo il bramino ha avuto dell’argento in più nelle sue tasche e tu l’infante che hai sempre voluto coccolare”.

Calò un silenzio terribile. Mowgli sentì la pelle d’oca sulle braccia. Il silenzio fu rotto dai singhiozzi di Messua: “Kamya io lo so. Sniff, ne sono consapevole. Ma perché questo dovrebbe rendere le cose meno belle che se fosse stato nostro figlio? Ci è stata donata una gioia immensa come puoi non esserne felice anche tu?”

“Perché io non ho scelto di accoglierlo in casa mia, sei stata tu. Se non ti fossi gettata subito al collo di quel bambino gridando a tutti che era nostro figlio qualcun altro si sarebbe appioppato quella mezza scimmia. Io non lo volevo, ma per amore del tuo cuore che si stava spegnendo nel lutto di Nathoo, ho acconsentito. Ora sono diventato lo zimbello del villaggio, con un figlio adottato che è sempre sulla bocca di tutti. Ma potrei passarci sopra. Su quello e sul mare di rupie speso per rimediare ai suoi errori. Ma Messua, il nome… Almeno quello me lo devi lasciare. Almeno le apparenze vanno mantenute. Sarà un ragazzo dalla mente semplice, irresponsabile e ingenuo, ma deve portare il nome di mio figlio. Dopo Nathoo speravo che avremmo potuto avere qualche altra benedizione che colmasse la sua perdita, per poter ricominciare. Invece il nostro matrimonio è stato arido di frutti come il deserto e prosciugato di ogni gioia come il letto del Waingunga in secca. Sono un uomo ricco Messua e questo allontana l’amicizia della gente e fa proliferare l’invidia e il biasimo. Tutto il lavoro che ho fatto per costruire quello che abbiamo e soddisfare ogni tuo desiderio, sarebbe scomparso con me, non lasciando alcun ricordo. Al massimo sarei diventato il prossimo usuraio fantasma dentro una tigre delle storie del Buldeo di turno. Ma con un figlio tutto ciò può andare avanti. Un figlio porterebbe avanti il mio lavoro, un figlio non mi disprezzerebbe per il mio lavoro. Tutto questo pensavo, quando ho stretto Nathoo fra le braccia la prima volta. E quello che ho sperato di mantenere almeno di facciata con quel bambino della giungla. Questo sarà il figlio che porterà avanti il nome della mia famiglia e preserverà la mia memoria e il mio onore contro tutte le malelingue. Grazie a questo figlio, nessuno ti giudicherà per i tuoi soldi, nessuno oserà sparlare alle tue spalle, Kamya. Ma appunto mio figlio deve essere: Nathoo. Il figlio che abbiamo avuto dieci anni fa, non Mowgli. Con quel nome ammetterei che sto facendo l’elemosina a un essere più animale che uomo, che per quanto ne sai potrebbe essere l’orfano di un intoccabile. Perciò, no Messua. Non lo chiamerò mai Mowgli. Questa è la mia decisione definitiva. E non voglio sentirti pronunciare quel nome mai più”.

Mowgli affondò la faccia nei cuscini soffocando i singhiozzi.

Kamya lanciò un lungo sospiro poi disse a Messua che non voleva che stessero arrabbiati prima di andare dormire e le sussurrò qualche parola per calmare la situazione. La donna lasciò impassibile che l’atmosfera si placasse poi si addormentò insieme a lui. Mowgli invece rimase ancora con gli occhi aperti e lucidi per molto tempo prima che la stanchezza avesse la meglio su di lui. 

 

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