A simple love

di Happy_Pumpkin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Premessa: questa è una Soulmate!Au, ambientata in un universo simile al nostro ma con una situazione politica un po' diversa, è di sfondo però può essere utile per capire il clima. Oltrettutto ho utilizzato certi tratti della Soulmate!Au ma a modo mio: il mondo infatti si divide da una parte in Marchiati, che hanno una determinata frase o parola incisa sulla pelle, destinata a cancellarsi se pronunciata dal proprio soulmate; dall'altra ci sono i Macchiati, i quali hanno in un punto determinato una macchia nera, come d'inchiostro,che si potrà eliminare solo se toccata dal proprio Soulmate che ne avrà a sua volta una, tendenzialmente nello stesso punto.


A simple love


1



Se qualcuno avesse chiesto a Sasuke Uchiha di parlare di sé, questi si sarebbe definito un uomo tranquillo, con una vita semplice e interessi modesti, un bozzolo di confortanti abitudini cadenzate da ritmi altrettanto scanditi, simili all’ondeggiare placido di una barca mai distante dal suo porto sicuro. Per tali ragioni, egli non credeva, né desiderava che qualcuno potesse interessarsi alla propria noiosa, abitudinaria, vita privata e ciò rappresentava un immenso sollievo in termini di dispendio di energie mentali.

Se invece la stessa identica richiesta fosse stata fatta a Naruto Uzumaki, beh, lì era tutt’altra faccenda; non che ci fosse granché di particolarmente straordinario nella vita di un taxista, ma questi poteva ammettere con ogni ragionevole certezza di aver sperimentato in trent’anni di esistenza molte più cose di un suo coetaneo, o forse addirittura di chi portava persino maggiori anni sulle spalle. Ma non era il proprio lavoro nello specifico a renderlo felice – in fondo era un mestiere come un altro, sebbene stressante e per certi versi rischioso: avrebbe infatti potuto caricare in auto uno serial killer e saperlo solo in procinto di morire – era più in generale il modo in cui affrontava la vita, con uno stato d’inguaribile ottimismo verso il futuro. Le cose sarebbero migliorate, la crisi economica e i dissidi del proprio paese rientrati, avrebbe conosciuto il suo soulmate, un giorno, nutrendosi nel frattempo di amori momentanei mischiati a flebili speranze che forse, ma proprio forse, quel cliente portato all’aeroporto sarebbe stato... lui, nessun altro che lui, quello giusto insomma.

Al contrario di Sasuke, dunque, Naruto attendeva una chiacchiera casuale, qualcuno che gli chiedesse della sua vita e lui avrebbe avuto tempo extra per raccontarla, nella propria quotidianità piccola ma a suo modo straordinaria.

Era conscio che esistevano tante tipologie di manifestazione del soulmate, segno della fantasiosa varietà della genetica umana, alcune squisitamente realizzabili, altre un po’ meno, ulteriori ancora destinate sin dal principio a finire in tragedia. Dal suo canto poteva ritenersi fortunato: nel proprio caso la probabilità del trovare il soulmate era una mera condizione di attesa ricca di persin troppe possibilità e, di conseguenza, di illusioni.

In una di quelle attese, Naruto si coprì il braccio assicurandosi che non si potessero vedere le proprie parole scritte sopra. Ricordavano un graffio ma non gli causavano alcun dolore, eccetto il fremere della pelle quando qualcuno le pronunciava, brividi leggeri sull’epitelio arrossato.

Niente zucchero, grazie.”

Tese l’orecchio dopo averle sentite, sollevando lo sguardo verso chi le aveva pronunciate. Si ricordò dov’era in quel momento di pausa, il taxi posteggiato fuori in doppia fila, sotto i fiocchi di neve spessi come matasse di lana che dall’alba avevano cominciato a cadere pigri sulla città, risucchiando i rumori della strada come se volessero mangiarli. Una caffetteria qualsiasi, anche se sempre la solita, in cui vi si recava ogni mattina, ogni giorno della sua straordinaria esistenza: con le sedie in ecopelle un po’ consunte, il bancone ampio dove la gente si appoggiava, i tavoli in formica su cui, come in un rituale, erano disposte le salse e lo zucchero, mentre l’odore intenso del caffè si mischiava a quello delle torte burrose che s’incollavano al palato.

Vide la donna che aveva appena ordinato prendere il resto dalla commessa. Contemplò il suo sorriso e pensò che poteva innamorarsene. Poi sbirciò la scritta sul proprio braccio, quello stupido, banale, ridicolo niente zucchero, grazie inciso sulla sua pelle; sospirò, neanche troppo deluso quando constatò che non stava sparendo.

Non sei tu.”

Ciononostante, sorreggendosi il mento con la mano, osservò la donna un’ultima volta uscire dalla porta con il proprio caffè take-away senza zucchero. Accennò un sorriso, scuotendo la testa. Finì di bere il proprio cappuccino e lasciò una mancia a Dorothy, la ragazza della caffetteria che ringraziandolo gli domandò:

Niente fortuna?”

Naruto schioccò la lingua, aggiustandosi il cappuccio imbottito sopra la testa dopo aver chiuso la zip del giaccone: “No, nemmeno oggi. Ma era una bella persona, questo si vedeva.”

Sorrise e la cameriera sorrise di riflesso. Allora Uzumaki con un cenno del mento le domandò: “Tu?”

Lei si portò una mano sul collo dove, nascosto da un fazzoletto abbinato alla divisa, Naruto sapeva esserci una macchia nera – un’altra di quelle mirabolanti varianti genetiche del trovare un soulmate – e scosse la testa: “No, no, non succederà mai. Dovrebbe strozzarmi per farmi andar via il segno e io forse dovrei strozzare lui. Te l’ho detto, è impossibile.”

E io ti dico che forse, magari, deve solo baciarti sul collo” replicò l’altro, sollevando le sopracciglia con un sorriso sornione.

Dorothy scosse nuovamente la testa, sorridendo con affetto: “Naruto, vorrei sinceramente avere la tua visione positiva delle cose.”

Il sorriso si fece maggiormente schivo, persino triste, e il ragazzo si dispiacque una volta di più che mai, nemmeno tra anni, loro due avrebbero potuto scoprire di essere soulmate: i Macchiati, come Dorothy, non avrebbero mai visto cancellato il proprio inchiostro da qualcuno come Naruto, Marchiato da lettere incise nella carne; così come Naruto non avrebbe mai visto sparire i propri segni per mano della triste ma gentile cameriera della caffetteria. Un’incompatibilità di modi con cui il fine ultimo si realizzava, o così sostenevano i saggi scientifici che ancora tentavano di spiegare il fenomeno più complesso della razza umana.

Uscendo, il taxista si riparò meglio il collo e con una corsetta rapida si affrettò a entrare in macchina, scrollando qualche fiocco di neve caduto su maniche e cappuccio. Sbuffò appena per il freddo intenso della giornata, poi avviò il motore e posizionò il telefono per vedere le nuove prenotazioni tramite l’applicativo.

Scelse il richiedente più vicino e si mise in marcia, godendo del tepore che iniziava a scaldare l’abitacolo, espandendo l’odore di cannella e arancia del profumatore incastrato nelle griglie del riscaldamento. Naruto forse non era una delle persone più ordinate sulla faccia della terra, ma gli piaceva lavorare in un ambiente pulito e avvolto da aromi capaci di coccolarlo, specie quando la morsa del freddo incalzava, così come la minaccia di smascherare ai suoi stessi occhi la reale pacatezza della sua vita.

Percorsi un paio di isolati, vide sostare all’indirizzo segnalato un tizio con un cappotto lungo e nero, una sciarpa altrettanto lunga e capelli scuri schiacciati sotto a un cappello di lana coperto da qualche fiocco. Questi gli tese il braccio per assicurarsi che si fermasse, cosa che Naruto fece, tirando giù il finestrino dal lato passeggero per tendersi e domandargli con un sorriso cordiale:

Buongiorno! Chiamato un taxi?”

Notò che aveva una borsa a tracolla strapiena e, quando il cliente si abbassò a sua volta, vide anche che il naso arrossato per il freddo spiccava adorabilmente sulla carnagione bianca.

Sì. Può portarmi al 112 di Eight Street?”

Il taxista lo fissò un istante, come incerto di aver capito bene: “Eight Street? È la periferia della zona ovest, sicuro di sapere quello che fa?”

Fu certo di essere riuscito a scorgere anche sotto metri e metri di sciarpa le labbra contrarsi in quello che sembrava disappunto, anche se gli occhi scuri lo fissavano immutati: “Sicurissimo. Lei è sicuro invece di saperci arrivare?”

Piccato, Naruto schioccò la lingua. Guarda te ‘sto stronzetto quanto se la crede. Gli aprì la portiera ed esordì: “Salti su, ci arriverà senza nemmeno rendersene conto.”

Udì un impercettibile sospiro, poi mentre lo sconosciuto richiudeva la portiera e si allacciava la cintura, tenendo la borsa sulle gambe, Naruto avviò il tachimetro immettendosi in strada.

Ci va per lavoro? Non mi capitava da diverso tempo di accompagnare qualcuno da quelle parti.”

La periferia ovest era una delle zone dove la giurisdizione del governatore delegato faceva più fatica ad arrivare: i ribelli antimonarchici, quelli che imputavano a un monarca inetto la colpa del calo del lavoro, della povertà e della conflittualità con nazioni di stampo repubblicano; un re senza polso che delegava troppo il controllo delle provincie a governatori ancora peggiori. Così ormai era la situazione da anni, Naruto se ne era fatto una ragione, anche se da diversi mesi gli attentati e le rappresaglie per le nuove leggi, che oltretutto mal tutelavano chi non aveva ancora avuto la fortuna di incontrare il proprio soulmate, si erano intensificate.

Quando è stata l’ultima volta?”

Prego?” domandò Naruto, interdetto.

Che ha accompagnato qualcuno lì” spiegò l’estraneo, abbassandosi la sciarpa. Le labbra pallide disegnavano una sorta di mezzo sorriso, con l’aria vagamente ironica.

Bah, sarà stato tre mesi fa.”

Capisco. Ha paura, adesso?”

Fermo al semaforo Naruto si voltò a guardarlo. Non riusciva a capire se lo stesse semplicemente provocando o se lo chiedesse con interesse quasi scientifico, perché il sorrisetto di prima era sparito.

Onestamente? Sì. Possono spararmi, o possono sparare a lei. Potremmo essere coinvolti in un’esplosione di qualche bomba. Ma d’altronde il mio lavoro è anche questo, la consapevolezza del rischio.”

Scrollò le spalle, svoltando. L’autoradio trasmetteva una canzone tranquilla, di quelle da giorni spensierati.

Con la coda dell’occhio colse un movimento del corpo dell’altro e poco dopo arrivò il suo interrogativo:

La consapevolezza del rischio?”

Uzumaki sorrise: “Sì. So che non è un mestiere esente da pericoli, capisce? Per esempio, la sua borsa – gliela indicò con un cenno ma l’altro non mosse un muscolo – potrebbe contenere una pistola, è bella piena d’altronde. E lei essere un terrorista del FLA, il temibile Fronte di Liberazione Antimonarchico, che mi odia semplicemente perché esisto, perché sono un simbolo di un lavoratore super partes che porta chiunque, senza distinzioni, compresi i disgustosi funzionari e compagnia cantante; dunque, sempre parlando per ipotesi, potrebbe decidere di tirare fuori da quella borsa la sua pistola e spararmi, bam, così, dritto in faccia. E io non avrei modo di difendermi, sono qui, legato da una cintura, in macchina solo con lei.”

Gli sorrise, continuando a guidare.

Ma l’uomo non sorrise a sua volta. Occhieggiò anzi la borsa, poi tornò a posare il suo sguardo sul taxista e solo allora replicò: “Penso sia la cosa più interessante che ho sentito oggi. E con il lavoro che faccio, mi creda, di cose interessanti ne sento parecchie.”

Cadde il silenzio. Con crescente nervosismo Naruto strinse le mani sul volante, lanciò un’occhiata alla borsa che l’altro iniziò ad aprire, facendo scattare i lacci, e spalancò un istante la bocca, scoprendo di non avere più salivazione. Accennò un sorriso incerto, dandosi dell’idiota per la sua smania di parlare, infine riuscì a domandare: “E che lavoro fa? Spero non il terrorista.”

Rise, nervoso. Si fermarono in coda al semaforo. Attorno a loro le strade erano meno frequentate, cartelli di protesta appesi ai muri più fatiscenti, come se ogni cosa, ogni centimetro di marciapiede, di strada, di insegne decadenti fosse stato via via dimenticato da quella fetta di umanità che si definiva importante e che quindi, di riflesso, si fregiava del potere di decidere a sua volta cosa fosse importante e cosa no.

Ma Naruto non era davvero idiota: era un chiacchierone, certo, un ottimista inguaribile, un amante del caffè e dei piccoli rituali alla ricerca di un soulmate che non avrebbe mai trovato – non così almeno, la vita era troppo imprevedibile per piegarsi a un certosino lavoro fatto di ripetizioni – però conosceva il mondo, nonostante il mondo non conoscesse lui, taxista tra i tanti in una città piegata da quelli che, a conti fatti, era una microscopica, degenerante, guerra civile.

Non si sarebbe fatto uccidere sul suo taxi da un colpo di pistola.

Mise la mano sulla cintura, pronto a far scattare il gomito prima che l’altro, con il suo cappotto pulito, i suoi guanti di lana, il cappello bagnato di neve, potesse tirare fuori l’arma.

Lo scorse armeggiare nella borsa fino a che, al click della cintura che rapido Naruto fece scattare, l’uomo tirò fuori... un tesserino.

Un banalissimo, innocuo tesserino.

Il taxista si bloccò. Qualcuno dietro di lui suonò il clacson, così avanzò sebbene a rilento, con i muscoli in tensione che cercavano di rilassarsi senza riuscirci.

Poi il passeggero spiegò, in un fluire morbido di parole, ma allo stesso tempo espresse con decisione quasi guerriera, antica, di chi si prepari con ascia e scudo a proteggere terre selvagge: “Sono un giornalista.”

Sentendo il nervoso defluirgli simile a veleno dalla punta delle dita, persino da quelle dei piedi, Naruto balbettò qualcosa di inconsistente fino a che nel mezzo del traffico rise, una risata un po’ sconnessa, e scosse la testa quasi lacrimando: “Oh... oh, ok, capisco, cavoli. Phew, un giornalista.”

Ignorando il sopracciglio sollevato con disappunto dell’altro, Naruto lanciò un’occhiata al tesserino con il numero di appartenenza all’Ordine: “Sasuke Uchiha. Giornalista.”

Gli piacque come suonarono quelle parole, preannunciavano l’inizio di qualcosa. Ogni nome e cognome secondo Naruto possedeva musicalità nascoste, da pronunciare così, durante una conversazione, similmente a un incantesimo.

Il giornalista in questione ritrasse il tesserino, forse non aspettandosi che il guidatore leggesse così in fretta, e dopo aver assottigliato gli occhi, pensoso, ribadì con un mezzo sorriso trionfante di realizzazione: “Aspetta. Ah, la pistola. Pensava che davvero avessi una pistola?”

Colto in fallo, ma troppo orgoglioso per cedere terreno, Naruto sentì suo malgrado di arrossire fino alla punta delle orecchie, però fu veloce a replicare: “Sasuke, vai in giro nel peggio quartiere della città, troverei strano il contrario casomai, che tu non abbia una pistola.”

Non si rese nemmeno conto di avergli dato del tu, né di aver adottato un sorriso sornione che faceva venire all’altro voglia di prenderlo a schiaffi. Fu forse per questo che Uchiha incrociò le braccia al petto, o forse perché più schivo di quanto volesse far intendere.

Certo che hai sempre da ribattere, eh?”

Beh, non sono il solo qui dentro” rispose l’altro, sbattendo le palpebre senza smettere di sorridere.

Non gli era sfuggito che pure Sasuke gli aveva dato del tu, sebbene in quel momento avesse roteato gli occhi apparentemente spazientito, o rassegnato, magari ambedue le cose. Tutto sommato, non sapeva bene perché, però si sentiva di sorridere di fronte a quel gesto: non ridere di lui, o della situazione, bensì semplicemente provare quell’istintivo bisogno di esternare una propria condizione di felicità, più genericamente di benessere. Un inclinarsi delle labbra verso l’alto. Assurdo quanti sentimenti vi fossero racchiusi in un movimento muscolare.

Prima che potesse aggiungere altro, però, il giornalista si abbassò per vedere meglio attraverso il vetro e confermò che erano arrivati a Eight Street. Le macchine parcheggiate erano più che altro utilitarie, quasi volessero mimetizzarsi con l’asfalto per essere ignorate, come il resto della gente che passava lungo i marciapiedi, affollati a tratti di bancarelle, a tratti di spettatori casuali della vita che, con atteggiamenti curiosi ma ostili, vicino alle porte di case e negozi sostavano quasi in attesa che capitasse qualcosa di grosso; era come se ne avessero la certezza assoluta, con quelle facce indurite che squadravano chiunque non fosse memorizzato nel loro sistema di riconoscimento del vicinato, e volessero essere certi di trovarsi in prima linea quando tale evento si fosse presentato.

Non mi sembra troppo cambiata” ammise Naruto, meditabondo.

Lasciami pure qui” replicò l’altro, con la mano già sulla maniglia. Ma si era bloccato, fissando la strada davanti a sé, come colto da una riflessione complessa.

Sicuro?”

Spostò poi lo sguardo verso Naruto, il quale lesse nei suoi occhi una difficoltà quasi inumana, ma al tempo stesso una vulnerabilità che gli strinse il cuore e lo fece sentire in colpa, come se avesse violato inavvertitamente qualcosa di privato. Allora Sasuke gli chiese:

Ti spiacerebbe attendere che finisco l’intervista? Mi hanno concesso dieci minuti, sicuro riuscirò a strapparne di più, ma comunque non ci metterò molto.”

La vulnerabilità era sparita, lasciando solo un’eleganza fiera sul volto dalla pelle chiara, forse per gli occhi intensi, notturni, in qualche modo saggi.

Fu in quel momento, davanti a quella richiesta, che Naruto si ritrovò a chiedersi se lo sconosciuto di nome Sasuke Uchiha avesse un soulmate. Se fosse un marchiato o un tatuato, se cercasse disperatamente, se odiasse farlo, o se, come lui, avesse preso il tutto come un gioco d’attesa tra un caffè e l’altro, un blando intrattenimento, il gratta e vinci su cui non si scommetteva più di un dollaro.

Scrollò le spalle, prima di rispondere: “No, no, tranquillo. Sai già dove ti riporterò dopo?”

Alla mia sede del giornale. Ti ringrazio – tirò nuovamente fuori il portafoglio e gli sporse un biglietto da visita – questo è l’indirizzo.”

Naruto lo prese, osservandolo, e annuì dopo esserselo messo nella tasca del giaccone: “Ok, nessun problema. Ehi, se lì dentro hai bisogno di una mano fammi un fischio, sosto qui davanti.”

Sasuke sembrò ponderare quanto potesse essere udibile un fischio nel mezzo di una casa, per quanto costruita con sommaria edilizia, ma non obiettò, limitandosi invece a ringraziarlo con un cenno. Fece un breve sospiro ma prima di uscire si tolse cappello e guanti, quasi per nobilitare la propria figura rispetto al freddo invernale, dunque si ravvivò i capelli umidi schiacciati e aprì lo sportello.

Si voltò verso il taxista e gli chiese: “Come ti chiami?”

Naruto Uzumaki.”

Sperò che il suo nome e cognome suonassero altrettanto musicali. Si sentì un po’ sciocco, un trentenne sognatore nel ben mezzo di un quartiere al tracollo. Ma gli piacque sentirsi così, vivo.

Piacere, Naruto Uzumaki. Grazie del favore, ci vediamo dopo” rispose l’altro, dopo averlo guardato un istante.

Il taxista lo osservò scendere: fu allora, nel movimento fluido prima di chiudere la portiera, che gli vide il palmo delle mani. E una macchia nera su quello destro.

Sasuke era un Macchiato. Naruto sentì lo stomaco contrarsi, affossato fin dentro le viscere.

Provò un senso così profondo di delusione e d’ingiustizia cosmica di fronte alla lampante consapevolezza, arrivata come uno schiaffo in pieno viso, che Sasuke sì cercava un soulmate ma… non sarebbero mai stati l’uno dell’altro. Si dette dell’idiota per quella sua facilità a illudersi, quel suo interesse momentaneo che con altrettanta rapidità poteva mutare in amore senza speranze.

Con un nodo allo gola tirò giù il finestrino e gli urlò, prima che l’altro entrasse:

Ti vado a prendere un caffè nel frattempo? Io ne berrei uno per ammazzare il tempo.”

Un’ultima, stupida conferma.

Scoprì di non voler sentire la risposta. Ma tanto valeva scivolare un po’ di più.

Sasuke lo guardò un istante stranito, poi scrollò le spalle e gli urlò: “Ok, va bene – ci pensò un istante – un americano. Con almeno due bustine di zucchero. Quando arrivo ci aggiustiamo per quello che hai speso assieme a quanto già ti devo.”

Con la voglia di piangere Naruto gli sorrise, annuendo, meravigliandosi per quel senso impeccabile di correttezza dell’altro, ma al tempo stesso avvertendo il groppo alla gola tramutarsi in una morsa. Appoggiò le mani sul volante dopo aver richiuso il finestrino, appoggiandovi la fronte sopra.

Sentì l’ironia profonda di tutta quella situazione, perché non solo aveva avuto la conferma definitiva che il giornalista Sasuke Uchiha, incontrato per caso in una città di milioni di abitanti, non avrebbe mai cancellato le scritte dal suo braccio, né lui il suo inchiostro, ma ora si ritrovava lì, da solo, in un quartiere dimenticato da una buona parte di quei milioni di esseri umani della metropoli a dover cercare un caffè promesso, nonostante la sola idea di berlo ormai lo faceva vomitare.

Ciononostante si ricompose. Riaprì gli occhi e uscì dopo aver parcheggiato meglio l’auto, sperando che nessuno dei molteplici osservatori sui vari marciapiedi gliela rubasse, dunque andò alla prima caffetteria trovata all’angolo, prese quel che doveva, e dopo aver messo le bevande nell’abitacolo si risolse ad aspettare.

Non finì neanche di pensare a come avrebbe ingurgitato del caffè amaro come la sua vita in quel momento che sentì all’improvviso degli spari. Sollevò la testa di scatto e di riflesso avviò il motore, sentendosi scioccamente come il complice di una rapina, pronto a scappare col bottino e il suo socio in arrivo correndo con un sacco di bigliettoni. E in effetti il suo socio arrivò, anche correndo, ma senza bigliettoni bensì gridandogli secco:

Riparti, Naruto, riparti!”

Dimentico dei caffè, del groppo in gola e della sequela di disillusioni della sua esistenza, galvanizzato dall’adrenalina Naruto aprì lo sportello a Sasuke che si infilò dentro con il cappotto aperto, la sciarpa che minacciava di cadergli a terra e la borsa sempre strabordante ma con carte che uscivano come se cercassero di scappare.

Qualcuno lo aveva inseguito, rapido, feroce e, prima che Naruto riuscisse a immettersi in carreggiata, sparò loro dietro. Fu Sasuke a fargli abbassare la testa.

In quel preciso istante vennero inondati da schegge di vetro schizzate dal parabrezza infranto: un proiettile aveva perforato il parabrezza posteriore, percorso in lunghezza l’abitacolo per poi uscire attraverso il parabrezza anteriore, mancando i due passeggeri per un soffio.

Cazzo!” esclamò Naruto, schiacciando però sull’acceleratore mentre si sparava in strada con la macchina, ricevendo colpi di clacson di chi non aveva ancora realizzato di trovarsi nel mezzo di una sparatoria e urla di chi, invece, l’aveva capito eccome.

Porcaputtana! Porca di quella puttana!” esclamò ancora, ma quasi in un guazzabuglio confuso di parole mentre il cuore gli stava esplodendo in petto e nell’abitacolo aveva iniziato a diffondersi aroma di caffè rovesciato, mischiato al freddo della neve che penetrava attraverso i fori del vetro.

Sasuke si era girato per guardare se li stessero inseguendo ma scorse solo lo stronzo che gli aveva sparato diventare un puntino minuscolo nel mezzo del caos. Cercando di trovare il controllo del proprio respiro si rimise seduto normalmente, allacciando maldestramente le cinture perché ancora, nonostante gli anni e i rischi, le mani gli tremavano.

Stai bene?” domandò infine spostando lo sguardo verso Naruto.

Questi non si voltò a guardarlo, impegnato a schivare macchine e allontanarsi il più velocemente possibile da lì, anche se avrebbe tanto voluto fissarlo negli occhi: “Tu mi chiedi se sto bene? Cazzo, ho… – cercò di trovare le parole ma vedere un buco di fronte a lui dove era poco fa passato un proiettile destinato alla sua testa non lo stava aiutando – ho la macchina a pezzi perché ci hanno appena sparato. Sparato! Sto bene nel senso che sono vivo, ma se non mi devo cambiare le mutande è solo perché… non lo so, perché ero troppo impegnato a non venire traforato per aver tempo di cagarmi addosso! Chi dovevi intervistare, eh, il leader del FLA con tutto il suo corteo di terroristi al gran completo?”

Domandò, quella volta voltandosi con gli occhi azzurri spalancati e una specie di sorriso isterico.

Tutto sommato, nel sentirlo parlare e per la complessa assurdità della situazione, senza volerlo a Sasuke scappò una mezza risata.

E che cazzo ti ridi?!” gridò ancora Naruto, esasperato, anche se il sorriso isterico permase, trasformandosi contro la sua volontà in un sorriso vero e proprio.

Al che Sasuke rise definitivamente e scosse la testa, muovendo una mano come per fermarsi: “Ok, ok, scusa, è inappropriato ma fai delle facce assurde e quello che hai detto, beh, mi ha fatto ridere – si umettò le labbra, ritrovando una parvenza di tranquillità per poi ammettere con serietà eccessiva, come per bilanciare – comunque sì, stavo intervistando Edward Johnson, che secondo molteplici fonti potrebbe essere il vice.”

Si morse un labbro.

Finalmente ormai lontano dalla zona ovest, Naruto inchiodò vicino a un marciapiede e si voltò a guardare Sasuke, incerto se ammirarlo, se mandarlo a fanculo, se mordergli a sua volta il labbro e strapparglielo via perché... cazzo, era più bello di quanto potesse tollerare, o se chiedergli cosa gli passasse per la testa per decidere di andare direttamente nella bocca dell’inferno.

Che cazzo gli hai detto per farti sparare addosso?” fu invece tutto quello che riuscì a dire.

Con serietà ritrovata e una sorta di profonda riflessione, l’altro gli rispose: “Che approvavo il suo pensiero per quanto riguarda la disparità delle leggi tra chi ha il soulmate e chi no, ma la sua piega terroristica era inaccettabile e prima o poi lo avrebbero fatto fuori – schioccò la lingua, apparentemente imperturbato – ecco, forse questo non dovevo dirglielo, ma rimanere imparziale, credimi, è difficile. Però ho l’intervista registrata, verrà fuori un bell’articolo” constatò ancora, tirando un breve sospiro e riprendendo ad assumere quell’aria di superiore intelligenza, come se la sua mente brillante fosse destinata consapevolmente a grandi cose. Pur trovandosi in un’auto ammaccata, che puzzava di caffè e vagamente di polvere da sparo.

Naruto appoggiò la testa contro il sedile e dopo un istante scoppiò a ridere, quella volta senza trattenersi.

Tutto questo ti fa ridere?” sbottò l’altro, dimentico che prima aveva fatto la stessa cosa.

Sì – ammise tra una risata e l’altra, asciugandosi le lacrime dagli occhi – è che, sai, ti vedo arrivare quando ti ho preso tutto molto figo e composto, con il tuo può portarmi al 112 di Eight Street – scimmiottò divertito la voce impostata di Sasuke – e poi te ne esci con queste dichiarazioni arrabbiate, convinte, sai, di chi non ci sta e ti fai addirittura sparare addosso. Insomma…” lo guardò, la risata divenne un morbido sorriso e la voce più contenuta, quasi una confessione detta sulla punta delle labbra “sei proprio un bel tipo.”

Anche se non berrai mai il caffè senza zucchero, anche se non sarò certo io a farti sparire la macchia scura sulla tua mano.

Sasuke sorrise. Un sorriso schivo, dopo il quale scosse appena la testa e, per effetto, più cercava di contenerlo, più il sorriso si allargava, quasi di chi non fosse abituato a farlo ma gli piacesse troppo per rinunciarvi: “Ce lo ricorderemo per anni, eh? Anche tu non sei stato male, sei partito con un bello sprint.”

Non sono stato male? Sono stato leggendario vorrai dire, già solo per il fatto che non ti ho lasciato a piedi appena sentiti gli spari” ammise Uzumaki con orgoglio, per poi chiedergli dove accidenti Sasuke volesse ancora andare, se a farsi sparare da qualcun altro giusto per completare l’opera d’arte sul suo taxi scassato, o tornare effettivamente alla sede del giornale.

Sasuke optò per la seconda scelta, aggiungendo: “Ti porterò a riparare l’auto. E… a lavare. Mi spiace per il caffè, quanto ti devo?”

Di nuovo la sua correttezza precisa. Naruto sospirò mentre proseguiva lungo la strada, sentendo l’impulso frivolo, di chi amava la vita e le persone, di baciarlo per la serietà e la correttezza che Sasuke ci metteva.

Lascia stare il caffè. Se vuoi possiamo vederci per una birra un giorno” buttò lì con fare casuale.

Pensò che magari il giornalista gli avrebbe risposto che era troppo preso a farsi uccidere anche dai filomonarchici per bilanciare gli equilibri karmici della sua persona.

Una birra, eh? Stasera sei impegnato?”

Per poco l’altro non si strozzò con la sua stessa saliva: “Beh, stasera pensavo di andare al Murphy’s con alcuni amici, ma…”

Il Murphy’s quello su l’Adison Avenue?” lo interruppe l’altro.

Sì.”

Beh, è un pub, c’è la birra, mi pare perfetto. Ti raggiungo lì, il tempo oggi di preparare l’articolo, mettermi d’accordo con la carrozzeria per la tua auto e lavarmi.”

Oh. Wow, ok – il cuore gli aveva fatto una capriola assieme allo stomaco, o forse viceversa, non capiva bene e tutto stava accadendo parecchio in fretta per uno abituato ad attendere l’amore della sua vita un caffè alla volta – andata. Ci sto” annuì, con gli occhi luminosi.

La sua vocina interiore gli ripeteva di non essere stupido, di non innamorarsi come al suo solito di cause perse, ricordandogli che Sasuke agiva con tanta urgenza solo per mettere a posto la faccenda della macchina, ma la mise a tacere, soffocata da quel senso di trionfante felicità che gli chiedeva, affamato d’amore, di godersi il momento e basta.

Sempre che non ti scocci, prometto che non ti ruberò molto tempo dagli altri” rettificò l’altro, come ripensandoci.

Ma va – esclamò in fretta Naruto – noi saremo lì dalle 20,00 per mangiare qualcosa. Ti aspetto.”

Erano arrivati di fronte alla sede del giornale, un bell’edificio elegante incassato tra alti grattacieli e strutture importanti, di quelle dove sembrava dovesse decidersi il destino del mondo.

Per un istante nessuno dei due parlò, infine Sasuke si slacciò la cintura e confermò: “Ti raggiungerò dopo allora – sembrò tentato di chiedergli qualcosa, lo guardò, poi ci ripensò – grazie ancora per oggi. So che se ci fosse stato qualcun altro al posto tuo con ogni probabilità non mi avrebbe aspettato. Ti devo molto più di un caffè.”

Aprì lo sportello prima che Naruto potesse dire qualcosa. Questi recepì nuovamente quella sfumatura di carattere schivo che si apriva di rado, ma quando lo faceva intendeva ogni singola parola pronunciata. Sorrise, per poi sospirare dopo che si salutarono.

Se, chiedendo a Naruto Uzumaki di parlare di sé, questi avesse detto di trovare straordinaria la propria modesta esistenza, avrebbe detto il vero.

Se a Sasuke Uchiha avessero chiesto la stessa cosa, nell’affermare di essere una persona modesta con una vita semplice… beh, Sasuke Uchiha avrebbe mentito.

Ma d’altronde va così: non sempre si rivela tutto quello che si pensa. Soprattutto, a volte nemmeno la scienza postulava teorie corrette, per questo a volte occorreva rivederle sulla base di casuali, complicate e imprevedibili eccezioni. Naruto e Sasuke, infatti, sarebbero stati una di quelle.

Sproloqui di una zucca

Questa fanfiction, che sarà di quattro capitoli piuttosto lunghetti, è per Angelica che mi ha ispirato tantissimo e, inconsapevolmente, spronata a tornare a scrivere, soprattutto di personaggi di cui ogni volta credo di averne abbastanza e che invece finiscono per non stancarmi mai. Tanti auguri di Buon Natale, Angelica, spero davvero che questa storia ti piaccia e possa trasmetterti qualcosa.
Grazie a tutti per aver letto <3

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Capitolo 2
*** 2 ***


2


Naruto amava andare al pub: era un posto comodo per vedersi con amici e amiche, l’ideale per chiacchierare senza fatica, magari alzando la voce con tanto di risate scroscianti quand’era un po’ più esaltato, o brillo, il cibo era semplice ma buono e le birre quell’accompagnamento alcolico non eccessivo che scandiva perfettamente le serate.

Per tutta quella serie di ragioni ormai da anni era diventata un’abitudine trovarsi al pub con i suoi amici di una vita; ciascuno di essi aveva i propri impegni tra famiglia e lavoro, dunque rispetto a un tempo sembrava un’impresa titanica combinare in modo che ci fossero tutti, ma con un po’ di forza di volontà e qualche piccolo sacrificio erano stati in grado di mantenere una frequenza regolare di uscite.

E quindi stasera ci presenti il tipo con cui stai bombando.”

Naruto fu in procinto di sputare la birra. Sollevò lo sguardo incrociando quello di uno dei suddetti amici di una vita, pentendosi di aver pensato anche solo lontanamente che sarebbero stati civili con un perfetto sconosciuto, e scosse appena la testa, simulando un sorriso:

Kiba, no, non ci sto bombando. Cazzo, l’ho conosciuto oggi e non so manco quanti anni abbia, come posso averci fatto qualcosa di più che portarlo a rischiare di farsi uccidere?”

L’altro gli fece la linguaccia prendendolo in giro mentre si girava una sigaretta. Avevano da poco finito di mangiare, c’erano ancora delle patatine nelle ciotole portate come contorno, alcuni erano al secondo o terzo giro di birra e l’atmosfera era giocosa, serena, di quelle che promettevano una serata forse non esuberante ma comunque vitale, capace di far provare gratitudine per avere amici del genere e... pentire allo stesso tempo di non ringraziarli mai abbastanza per esserci.

Proprio perché li conosceva da tempo, Naruto aveva raccontato loro cosa gli era capitato quel giorno, della sparatoria e tutto il resto, generando commenti ilari misti ad esclamazioni di stupore. Per quanto ormai tristemente si fossero abituati a sentire di numerosi episodi violenti perpetrati nel tempo dal clima di rivolta di quegli anni, per fortuna ancora riuscivano a provare sgomento di fronte alla realizzazione che la disperazione umana pareva non avere mai fine. Disperazione e violenza che proveniva in realtà da chiunque, indiscriminatamente: da opponenti alla monarchia, ma anche da filomonarchici che credevano il re Sargon sarebbe sopravvissuto a quel travagliato periodo, o semplicemente da chi si accorpava ai primi per far valere la propria ferma opposizione a regole che privilegiavano chi aveva avuto la fortuna di incontrare il soulmate, trovando assurdo che quel legame rappresentasse la stabilità agognata dal sistema e per questo meritevole di essere premiata. Come se la gente avesse scelta sull’incontrare o meno il soulmate, o fossero tutti entusiasti all’idea di poterlo conoscere.

I commenti deviarono però presto su altri argomenti, sfiorando solo per un istante la politica per poi vertere su altre tematiche più piacevoli, come gli ultimi videogiochi usciti, o anche se fosse il caso di andare al cinema a vedere qualche pellicola particolarmente ignorante fatta di sparatorie e inseguimenti, quasi per distrarsi dalla violenza vera con quella esagerata e roboante proiettata su di uno schermo gigante:

No, non ce la posso fare a vedere il… cos’è, il tredicesimo Shoot & Pray?” borbottò Shikamaru, roteando gli occhi verso il soffitto, per poi sbadigliare. Il bambino avuto da qualche mese con la sua compagna Temari gli regalava splendide ore di esperienza paterna condite da assenza di sonno miste a urla disperate per le coliche; un mix non male per uno che fino a qualche anno prima sosteneva di non volere figli, nemmeno sotto tortura, e che ora invece, nemmeno viste le condizioni di schiavitù genitoriali, avrebbe mai pensato di rinunciare all’amore della sua vita, oltre a Temari ovviamente.

Ma dai – lo incoraggiò Naruto, assieme a Kiba – Shoot & Pray non invecchia mai: un agente segreto tra le fila del vaticano che argina le cospirazioni di… in questo capitolo credo siano templari, forse alieni templari, non si è capito bene dal trailer ma sembrano stare a bordo di piramidi volanti.”

Non sono piramidi, sono Ziggurat. Gli sceneggiatori di Shoot & Pray sono sempre sorprendentemente accurati per queste cose” si inserì una voce nuova nella conversazione. Così, all’improvviso, come se ne avesse sempre fatto parte.

Il tavolo di amici si zittì, immobilizzandosi, eccetto Choji che finì di masticare l’abbondante manciata di patatine.

Si voltarono per vedere sostare in piedi un tizio dall’aria un po’ pallida, i capelli neri disordinati che a tratti gli andavano sugli occhi e un cappotto forse più largo della sua taglia lasciato sbottonato; nonostante quella generale casualità nel vestirsi, una sciarpa calda era avvolta accuratamente attorno al collo, coprendoglielo come i guanti indossati sulle mani.

Senza volerlo, Naruto si trovò a sorridere, fu come un moto istantaneo, di quelli incontrollati:

Sasuke! Grande, ce l’hai fatta!”

Che frase del cazzo da dire, sembrava così banale dopo quello che avevano visto assieme.

Ma Sasuke sembrò non lamentarsene, accennò infatti una specie di sorriso su quella ferita che si trovava al posto delle labbra, scrollò le spalle e annuì: “Mi sono liberato un po’ prima. Se hai tempo ti do tutti i contatti per carrozzeria e lavaggio, ho già organizzato: devi solo portare il taxi, faranno tutto in giornata per non farti perdere tempo.”

Aveva parlato con fare pratico, organizzato, mentre si toglieva del tutto il cappotto e in un ultimo gesto quasi inconsapevole si ravvivava i capelli.

Inebetito, Naruto rimase a fissarlo senza dire nulla, poi annuì, intimamente quasi deluso, come aspettandosi, anzi, desiderando, che le cose sarebbero state più lente, un’eterna lotta con il carrozziere pigro e quindi la possibilità di sentirsi con Sasuke per molto più tempo. Quel giornalista era decisamente troppo bravo e, ancora una volta, troppo incapace di tenersi i problemi un po’ più a lungo, Naruto compreso.

Ok, grazie, ma non c’era fretta” lo tranquillizzò infine, sentendo le sue stesse parole suonargli tremendamente stupide.

Infatti non tardò ad arrivare Sasuke con il sopracciglio sollevato che, prendendo una sedia mentre gli altri fingevano di mangiare con interesse qualche patatina residua, replicò ironico: “Non c’era fretta? Mi sembra poco rassicurante per dei passeggeri girare in un taxi con buchi di proiettile e senza parabrezza.”

Giusto, giusto. Perché Sasuke doveva avere così tanta ragione? Dannazione.

Già, però ammettilo: fossimo stati in Shoot & Pray avrebbero fatto la fila per salirci sopra” ribatté Uzumaki, scherzoso.

Fu allora che Sasuke finalmente sorrise d’istinto e sembrò sciogliere la patina di ghiaccio fatta d’insospettabile timidezza di cui in realtà era rivestito. Annuì e confermò: “Decisamente, ci risalirei io per primo. Comunque vi consiglio il nuovo film, decisamente all’altezza delle aspettative, tante o poche che siano. Non il migliore della serie ma… beh, quei templari sanno il fatto loro.”

Prima ancora che Naruto potesse esprimere la sua meraviglia e la sua felicità – oltre a quel senso di viscerale emozione all’idea che qualcuno, un perfetto estraneo, gli parlasse con altrettanto affetto di qualcosa che lo faceva stare bene, persino se si trattava un film idiota di sparatorie e scazzottate – però intervenne Kiba che commentò ammirato: “L’hai già visto? Sapevo che meritava, sentito Shikamaru?”

L’altro fece una specie di smorfia ma si mostrò incuriosito. Sasuke minimizzò: “Sì, una mia collega giornalista mi ha regalato dei biglietti per l’anteprima. A conoscervi prima vi avrei invitato. Da appassionato ad appassionato.”

Lanciò un’occhiata a Naruto, poi afferrò il menù, senza aggiungere altro. Aveva un’espressione seria ma non arrabbiata, bensì di quelle da persona riflessiva.

Kiba mimò un fischio, il taxista allora gli lanciò un’occhiata fulminante e si chiese una volta di più per quale stupido motivo avesse accettato di far incontrare il pacchetto completo del suo caotico universo con quello controllato – era davvero controllato? si chiese – di Sasuke. A quel punto schioccò le dita e ricordò le norme della civile educazione:

Ragazzi, vi presento Sasuke Uchiha, Sasuke, i ragazzi: Kiba, Shikamaru, Choji.”

Questi salutarono e come sempre senza filtri Kiba commentò: “Piacere, Sasuke. Se già ti interessi di certi film e casi umani come Naruto non puoi essere una cattiva persona, quindi benvenuto nel club.”

Il giornalista assottigliò gli occhi, quasi stesse elaborando l’intera affermazione, dunque Naruto si affrettò nell’ordine a tirare un calcio sotto il tavolo a Kiba, poi a correggere il tiro: “Ma che simpatico! Già, meno male che almeno hai la simpatia a compensare tutto il resto, eh Kiba? tornò a rivolgersi al suo ex-passeggero vertendo la conversazione su argomenti meno compromettenti – Comunque Sasuke quando vuoi ordiniamo, un altro giro di birra lo faccio volentieri.”

Fu solo a quel punto che, facendo finta di nulla, il giornalista si tolse anche i guanti, come rendendosi conto all’ultimo di averli ancora addosso. Lo fece dopo aver appoggiato il menù, infilandoli ancora appallottolati nella tasca della giacca appesa alla sedia, per poi strofinarsi appena i palmi nudi, quasi avesse ancora freddo. Inevitabilmente lo sguardo di Naruto cadde sulla macchia nera del palmo, ma lo deviò subito, in attesa di una riscontro alla propria proposta. Eppure era sicuro che anche agli altri non fosse sfuggito quel dettaglio: si trattava a malapena di uno spiraglio tra pelle e tessuto che però colpiva come un faro luminoso, tanto sarebbe bastato agli amici per capire che il nuovo arrivato davanti a loro non avrebbe mai potuto trovare in Naruto un soulmate e viceversa.

Il taxista sospirò, chiedendosi se Sasuke l’avesse notato a sua volta, o se gli importasse. Poi lo vide guardarlo dritto negli occhi e accennare un sorriso quando confermò:

Ordiniamo. Dimmi che prendi, vado al bancone. Io ho scelto, voi volete qualcosa?” domandò abbracciando gli altri con lo sguardo. Kiba prese la sigaretta rimasta in sospeso e scosse la testa, ringraziandolo dicendo che aveva bisogno di nicotina – lo guardò negli occhi a sua volta, ignorando la macchia nera – Shikamaru rifiutò con gentilezza, invece Choji si unì volentieri al giro con un’altra media.

Prima che Sasuke parlasse l’atmosfera era quasi ingabbiata, come sospesa in un’ansiosa attesa che qualcuno potesse fare o dire qualcosa: di sbagliato, o di clamorosamente perfetto, qualsiasi cosa sarebbe andata bene pur di districarsi da quell’impressione scomoda di aver visto troppo; ora invece quella stessa atmosfera era più leggera e tutti ringraziarono che Sasuke fosse stato così accorto da ignorare buona parte del mondo attorno a sé, pronto a riconsiderarlo al momento più opportuno.

Il giornalista annuì, annotò mentalmente anche la rossa media di Naruto, infine si alzò senza attendere oltre, annunciando a Kiba che nell’attesa avrebbe fumato una sigaretta una a sua volta. L’altro sembrò esserne contento, prendendo il cappotto mentre decideva di anticiparlo fuori, invece Naruto lo guardò allontanarsi, ritrovandosi a sorridere instupidito: di tutte le cose, non avrebbe mai pensato che Uchiha fumasse. Né che guardasse film action piuttosto trash a dire il vero, ma l’aveva sorpreso anche in quello. Si erano salvati la vita a vicenda, questo era vero, però doveva comunque tenere a mente che erano lo stesso perfetti estranei, legati da un’esperienza tanto viscerale e improbabile, ma pur sempre terribilmente sconosciuti l’uno all’altro.

Certo che è un tipo piuttosto sicuro di sé – commentò Shikamaru una volta che furono rimasti solo loro tre al tavolo – insomma, si vede che non è socievole ma sa cosa dire. Immagino tu abbia notato che è un Macchiato.”

Impossibile non vederlo, persino per Naruto” bonfochiò Choji, pulendosi poi la bocca dopo aver mangiato le ultime briciole.

Grazie tante eh, Choji – sospirò il taxista, preso in causa – sentite, lo so, so benissimo quello che Sasuke è o non è. E allora? Ci siamo conosciuti, tutto qui, mica uno è obbligato ad avere a che fare solo con un soulmate, no?”

Enfatizzò con punta di disprezzo, anche se non avrebbe voluto, soprattutto non nel rivolgersi a Shikamaru, unico tra tutti loro ad aver trovato un soulmate, per quanto Choji fosse in una relazione stabile e Kiba si rifiutasse che divenisse tale, dopo che il suo compagno l’aveva lasciato trovando a sua volta un soulmate. D’altronde l’esistenza di tutti era un costante provarci, almeno finché durava, come se ci fosse un minuscolo meccanismo a tempo che decretava presto o tardi la fine di qualcosa: di una relazione, di un amore, di un interessamento, di loro stessi.

No, non è obbligatorio” convenne Shikamaru calmo, soprassedendo lo scatto di rabbia dell’altro.

Pochi istanti dopo arrivò il cameriere con le ordinazioni e in breve giunsero sia Kiba che Sasuke; questi aveva il naso arrossato per il freddo e nel suo respiro emanò un leggero odore di neve e tabacco. Naruto pensò che avrebbe potuto risucchiargli l’aria per poter percepire ancora l’ondata di profumi che caratterizzava quell’uomo, coi suoi cappotti larghi e le mani nascoste nei tasconi quasi ci si fossero tuffate.

Avevo giusto sete!” esclamò Kiba sedendosi di peso. Sasuke si rimise al suo posto dopo essersi tolto il giaccone e Naruto gli accennò un sorriso che inaspettatamente l’altro ricambiò. Sentì che avrebbe potuto baciarlo, accarezzarlo per scoprirgli meglio il volto dai ciuffi neri che gli ricadevano ribelli sulla fronte, chiedergli tra una coccola e l’altra di parlargli ancora, di qualsiasi cosa, senza smettere però di guardarlo, come se davvero gli importasse di lui, sì, solo di lui e nessun altro in quel piccolo pub affollato.

“Te ne dovevo una” disse all’improvviso Uchiha passandogli la birra. Per un istante Naruto la guardò, poi annuì e la prese: “Se fosse più di una non mi dispiacerebbe.”

Basta che rimani. Ancora, solo un altro po’, fa che non finisca così.

Brindarono, facendo tintinnare i loro bicchieri: una goccia scivolò lungo il vetro freddo, poi la schiuma sulle labbra, come un bacio.

*


Fuori dal locale aveva ripreso a nevicare. Naruto e Kiba ridevano a crepapelle per qualche battuta, mentre Shikamaru già chiamava un taxi e Choji mandava un messaggio alla sua ragazza avvisandola che stava per rientrare. La strada era silenziosa, le auto stesse sembravano muoversi a rallentatore, pattinatori meccanici in una notte invernale.

Guardando il gruppetto, Sasuke si accese una sigaretta e rifletté sul da farsi, agitando appena i piedi per scaldarseli e affrettandosi a mettere la mano libera in tasca, con ancora l’accendino stretto tra le dita.

Naruto era un tipo a posto, convenne mentre si chiedeva se sarebbe stato tanto terribile ritrovarsi da solo dopo una serata come quella: simpatico, forse troppo, troppo, esagitato, entusiasta, carico di racconti e aneddoti, un uomo di spettacolo – a pensarci bene era troppo in generale, non credeva di riuscire a processarlo, o inscatolarlo nella sua pretesa di una vita anonima, organizzata, semplice, ciò di cui aveva bisogno per ricordarsi che di non essere solo il proprio lavoro, bensì che c’era altro nelle mura silenziose del piccolo appartamento a cui rientrava. O rischiava di non rientrarci affatto e si era ripromesso di non essere così, di non finire pieno di rancore come sua madre.

I suoi amici erano allo stesso modo simpatici, alcuni più contenuti, altri meno, anche se aveva avuto l’impressione che fosse scattato qualcosa in loro quando gli avevano scorso i palmi delle mani; con ogni probabilità Naruto non era un Macchiato, a giudicare dalla loro reazione mista a dispiacere e disappunto, e il fatto che sperassero così palesemente in qualcos’altro significava che forse quel ragazzo che ora rideva come un matto a una battuta stupida era più solo di quanto Sasuke avrebbe mai potuto immaginare. E si chiese come fosse possibile, come accidenti fosse possibile che un tipo così gentile, sorridente e vitale – cazzo, gli sarebbe bastata anche una goccia di quel modo scintillante di porsi – potesse non aver trovato ancora nessuno, fosse stato anche il più idiota degli idioti.

Lo vide poi ridere ancora e scuotere la testa: “Un taxista che è costretto a chiamare un taxi, non s’è mai visto” lanciò un’occhiata scherzosa a Sasuke, il quale rimase ancora qualche istante silenzioso, con la sigaretta mezza consumata che ondeggiava tra le labbra.

Sentì il peso delle chiavi della macchina in tasca, tra il portafoglio e lo scontrino della birra offerta.

Pochi minuti dopo arrivò il taxi, quello chiamato da Shikamaru che a quanto pareva era destinato a riportare un po’ tutti a casa.

Naruto aprì la portiera e chiese rivolgendosi a Sasuke: “Dai, immagino tu non abbia la macchina. Dove devi andare?”

Il diretto interessato aprì la bocca, mentre gli altri stavano già entrando, poi la richiuse, fece una breve corsa e appoggiò a sua volta le mani sulla portiera del taxi, proponendo a Naruto: “Ti porto io. Fammi fare almeno quest’ultimo favore – vide gli occhi dell’altro sgranarsi e cercare di dire qualcosa, dunque si abbassò comunicando agli altri nell’abitacolo – qualcun altro vuole venire con me? La mia macchina fa schifo, è un rottame, ma vi può portare.”

Cos’è, ti vergognavi a darci un passaggio?” scherzò Kiba, ridendo allegro.

Sì” ammise invece serio Sasuke. Anche se non era propriamente quello, ma era felice di averci ripensato.

Tranquillo, noi ci arrangiamo. Però è sacrosanto che Naruto non debba andare dalla concorrenza” intervenne Shikamaru e Kiba annuì con qualche presa in giro diretta nei confronti dell’amico appiedato.

Questi scosse la testa: “Ma no Sasuke, non… – sospirò, chi voleva prendere in giro? Ovvio che sarebbe andato anche in monopattino con Sasuke pur di guadagnare un altro istante in più in sua compagnia – ok sì, va bene, se non è un disturbo.”

Non te l’avrei proposto fosse stato così” replicò l’altro, quasi asciutto, trovando stupide formalità simili.

Si salutarono con gli altri e, una volta rimasto solo con Naruto, Sasuke direzionò il ragazzo dove aveva parcheggiato, spiegandogli quasi per prepararlo alla visione non proprio idilliaca della sua macchina: “Considera che la chiamo Scassone. Perché è un pezzo di ferro con le sospensioni irrigidite e la struttura che, mah, cigola in maniera misteriosa quando sterzo a sinistra. Non ho ancora capito bene perché. Però dopo più di dieci anni di onorato servizio non mi ha ancora lasciato a piedi, dunque è comunque affidabile.”

E non hai mai pensato, chessò, di portare Scassone dal meccanico, come hai fatto col mio taxi?” propose con fare casuale Naruto, camminandogli accanto.

Non ci penso nemmeno, non ne vale il tempo e la uso poco, visto che prendo quella aziendale per le trasferte; sono sicuro che se vado dal meccanico rischia di mandarla a rottamare.”

Sembrò risentito.

Capisco che è vecchia, ma mica te la distrugge. Ci sei tanto affezionato?” domandò il taxista con maggiore dolcezza.

Sasuke spostò lo sguardo verso di lui, poi tornò a guardare davanti a sé. Tirò fuori le chiavi e, quando tolse l’allarme, una macchina poco più avanti si illuminò delle quattro frecce per poi tornare a confondersi con il buio del quartiere.

Era l’auto di mia madre e mio padre. Ci portavano ovunque, a me e mio fratello: in gita il weekend, a scuola, dagli amici.”

Non aggiunse altro, chiudendo all’improvviso il discorso. Naruto fece per dire qualcosa, ma fu distratto dall’imponente vetustà di Scassone che spiccò nella penombra rispetto alle altre auto per la sua vernice color canna di fucile saltata in alcuni punti, le gomme probabilmente lisce, una portiera di colore diverso e l’antenna mancante.

Non male Scassone” commentò con un fischio.

Si difende” annuì Sasuke, dando poi una leggera spallata alla portiera del passeggero per aprirla, spiegando “la maniglia ogni tanto si blocca, bisogna conoscere il trucco per farla scattare.”

Capisco” rispose Naruto attento, divertito e deliziato allo stesso tempo.

Si sedettero ai rispettivi posti, con le portiere che cigolarono una volta richiuse, e lo investì un piacevole odore vanigliato: la macchina era infatti pulita, si vedeva che Sasuke a modo suo se ne prendeva cura, anche se i sedili sul retro avevano un paio di borse contenenti fascicoli e forse bozze di articoli o documenti.

Dove ti accompagno?”

Abito nel quartiere di Barley, una ventina di minuti da qui. Alla ventesima di Miles Standford Street. Sai come arrivarci?” domandò dopo un istante.

Assolutamente no. Ma confido che tu sappia come fare” replicò asciutto l’altro, mettendo in moto.

Dopo un paio di avvii e borbottii di motore affaticati, finalmente Scassone si accese. E Naruto fu felice di poter indirizzare Sasuke ovunque egli gli avesse chiesto.

Lungo la strada chiacchierarono. Furono venti minuti intensi, fatti di ingorde chiacchiere che fluivano incontrollate da entrambi, naturali com’era naturale svoltare a un’indicazione, mentre i loro passati si mischiavano, divenendo ricordi e narrazioni, semaforo dopo semaforo, con l’auto che scivolava sulla strada e i loro sguardi si incrociavano chiedendosi perché, dannazione, perché la vita non poteva essere più semplice e loro capaci di cancellare uno il marchio dell’altro, per sempre, colmando il vuoto di non potersi avere.

Arrivarono sotto casa di Naruto, un piccolo appartamento al quarto piano di un edificio non recente ma ben tenuto, in cui gli inquilini cambiavano spesso ma quei pochi orgogliosi reduci rimasti si conoscevano tra loro. Naruto era uno di questi, abitudinario nel trovarsi una casa da poter definire una tana esattamente com’era abitudinario nel prendere il caffè la mattina, lo spezzone di ordinarietà nella propria vita imprevedibile.

Sasuke spense il motore e nella strada ci fu il silenzio. La neve aveva smesso di cadere, lasciando una piacevole distesa bianca che rendeva ogni angolo uguale all’altro, un bosco incantato fatto di mattoni e cemento.

Naruto lo guardò. Avrebbe voluto confessargli che si era trovato bene e no, non se lo aspettava, non voleva aspettarsi proprio un bel niente dannazione, invece quell’uomo seduto accanto a sé lo aveva fregato clamorosamente, su tutta la linea. Si tenne però per sé quel pensiero e gli propose invece, parlando troppo veloce, al punto da mangiarsi le parole:

Ti va di venire su da me? Cavoli, ehi, sembra proprio una proposta pessima d’abbordaggio, di quelle di categoria zeta, ma davvero è giusto per un caffè, la cena era pesante e…”

Sì.”

Come?”

Sì – ripeté Sasuke, quella volta girandosi verso di lui, togliendo le mani dal volante – ci sto. Salgo da te.”

Lo disse con il cuore in gola. E la paura ancestrale di star sbagliando, di essere stato presuntuoso a credere fino a quella sera di non aver bisogno di nessuno, soulmate o essere umano che fosse.

Poi lo vide sorridere, gli occhi illuminarsi, e allora Uchiha sigillò le labbra per non sospirare, ma anche per tenersi per sé, nascosto, privato, un sorriso immenso all’idea di quella che poteva essere la felicità per una persona, per Naruto, il quale era contento semplicemente perché uno come lui, un anaffettivo di merda come Sasuke, avesse accettato di salire.

Ok, wow, fantastico! Cerco le chiavi.”

In un tintinnio metallico le prese dalla tasca interna del giaccone e ispezionò quella giusta per aprire forse il portoncino. Silenzioso, Sasuke lo osservò, per poi scendere entrambi quando il proprietario di casa ebbe trovato ciò che cercava.

Il rumore ovattato delle scarpe sul terreno innevato era piacevole ma poco rassicurante, dava l’idea di qualcosa di fragile che poteva rompersi con un peso troppo forte, quasi al di sotto ci fosse ghiaccio e una distesa d’acqua al posto dell’asfalto rattoppato di una città.

Senza parlare, entrarono nell’androne che sapeva di disinfettante e cavoli, l’odore del cibo che aleggiava simile a un ricordo sbiadito incapace di andar via. L’ascensore non funzionava, dunque salirono le scale a piedi, ansimando appena mentre i corpi freddi si scaldavano.

Sasuke avrebbe potuto distinguere l’appartamento di Naruto anche senza indicazioni o targhette: l’unica porta con un cartonato decorativo che ricordava una ghirlanda era infatti la sua, per non parlare di una serie di ombrelli a quanto pareva dimenticati da tempo immemore nel portaombrelli nell’angolo e un tappeto con scritto whellcome con tanto di fiamme stilizzate.

Con un altro giro di chiavi, Naruto fece scattare la serratura ma, prima di aprire, avvisò: “Non spaventarti del disordine. È tutto normale, fidati.”

Sasuke inarcò un sopracciglio; non sapeva che Naruto avrebbe voluto mangiarglielo quel sopracciglio. E baciare Sasuke lì, sul pianerottolo, per poi trascinarlo dentro e farci l’amore.

Non vengo per vedere casa tua” gli rispose un po’ troppo secco. Avrebbe voluto essere simpatico, con la battuta giusta come i suoi amici, ma gli uscì solo una frase stronza.

Oh beh, mi fa piacere” scherzò comunque l’altro, ridacchiando.

Aprì allora la porta e rivelò una stanza piuttosto ampia con un angolo cottura, un divano dotato di poggiapiedi su cui vi era una coperta, oltre a vari cuscini colorati, e una televisione con accanto la consolle, poco distante dalla quale troneggiava una pila piuttosto corposa di videogiochi.

Le narici di Sasuke furono investite da un profumo di cannella e arancia, come quello del taxi, misto a quello di cibo, forse uno spuntino consumato alla veloce prima di uscire di casa. C’erano libri in giro, qualche fumetto, un piatto sporco sul tavolo appoggiato contro il muro, ma nulla del disordine terribile paventato dal ragazzo.

Non è affatto disordinato” commentò infatti, con le mani in tasca nel cappotto, senza muovere un passo.

Cerco di non far esplodere l’appartamento, anche se gli altri e i miei dicono che conservo anche troppe cose. Ne finirò inondato un giorno. Dammi la giacca, dai, lancia via qualche cuscino e siediti. L’offerta del caffè è ancora più che valida.”

Allora Sasuke si tolse la giacca, muovendosi quasi con cautela, come se il ghiaccio della strada li avesse inseguiti sino a lì. Si guardò un po’ attorno, contemplando nel passaggio qualche foto di Naruto bambino – gli venne da sorridere nel vederlo ridere con le guance gonfie da criceto, abbracciando un uomo e una donna che dovevano essere i suoi genitori – o altre con amici e amiche, dove cambiavano o rimanevano le stesse persone, in varie fasi della sua vita. C’erano poi ancora altri libri, blu ray di film che Sasuke stesso adorava, come Shoot & Pray che faceva bella mostra di sé addirittura con edizioni speciali.

Si distrasse solo quando Naruto gli chiese conferma che volesse lo zucchero. Annuì e si sedette sul divano, intercettando un pupazzo a forma di volpe che posò accanto per poi prendere la tazza di caffè fumante offerta dall’altro.

Questi gli si sedette accanto e per qualche istante entrambi rimasero in silenzio, vicini, con la nuvola di vapore delle rispettive bevande che ondeggiava placida, involandosi verso il soffitto come se qualcuno tirasse un filo misterioso.

Sto davvero bene con te, Sasuke. Sei un bel tipo, di quelli convinti ma… come dire… modesti, che non devono apparire. Con poco riesci a dare così tanto.”

Bevve un sorso, poi strizzò gli occhi e scosse la testa, aggiungendo: “Che cose assurde che dico, cazzarola, scusa, non voglio metterti in imbarazzo.”

Uchiha non parlò. Strinse più forte la mano attorno alla ceramica e seppe, seppe perfettamente, che quello sarebbe stato un momento decisivo della sua vita, fondamentale forse. Fu felice ma allo stesso tempo terrorizzato di aver avuto il privilegio e l’acutezza di essersene reso conto.

All’improvviso, appoggiò il caffè per terra e gli disse, con lo sguardo attento, gli occhi scuri che non battevano ciglio: “Naruto, lo sai che io ho una macchia sul palmo, vero?”

Gliela mostrò, come uno schiaffo.

Il sorriso di Naruto si bloccò: “Sì… insomma, certo che lo so, l’ho notato.”

Inconsapevolmente si coprì l’avambraccio con una mano, sulla difensiva.

E so che tu non hai una macchia lì, né credo tu sia in generale un Macchiato.”

E allora? Ti ho invitato a prendere un caffè, mica a giurarci amore eterno!” esclamò l’altro, esasperato, solo per poi sigillare le labbra e scuotere la testa.

Ne sono consapevole – rispose invece Sasuke, quella volta con tono più mite, quasi morbido – non cerco l’amore eterno. Non cerco nulla a dire il vero, ma... ti ho trovato lo stesso.”

Lo disse in un soffio e fu convinto di averci messo l’anima in quelle parole. Non sapeva quello che stava facendo, non poteva, o sarebbe stato più accorto nei propri sentimenti.

Naruto sentì il labbro tremare e quegli stessi sentimenti spingere alla base della gola, incastrandosi sotto l’epiglottide fino a bloccargli il respiro; doveva stare attento: se avesse osato rubare altra aria dalla stanza quel fragile meccanismo di controllo sarebbe scattato, portandolo a commuoversi.

Fu per questo che contenne il tremito mordendosi il labbro, per poi umettarselo e passarvi le dita sopra, socchiudendo gli occhi.

Sono Marchiato. E... dannazione, credo proprio di essere già follemente innamorato di te, Sasuke – li riaprì, scoprì che lui lo fissava, con occhi altrettanto sgranati – vero, praticamente non ci conosciamo, ma... mi piaci da morire: con i tuoi cappotti troppo grandi, le tue sciarpe, le mani che ci spariscono dentro e che vorrei stringere, con o senza inchiostro, il modo in cui fumi, al freddo, come se dovessi mangiartelo quel fumo mentre pensi e ripensi a chissà cosa, la tua correttezza così fastidiosamente precisa e... oh, i film, penso ai film stupidi che potremmo guardare assieme – si interruppe un istante, accennò un sorriso e con voce più flebile aggiunse – il tuo naso. Come si arrossa con il freddo.”

Di riflesso, Sasuke se lo toccò per poi mettere via la mano. Allora Naruto gliela prese, con delicatezza, e abbassò il capo mettendosela tra i propri capelli: “Non andartene. Non spaventarti per quello che ti ho detto: ci metto troppo di me, troppi sentimenti, ma non posso fare diversamente.”

Per qualche istante, coi propri capelli a ondeggiargli davanti agli occhi, Naruto pensò che la stanza fosse più buia, forse anche per via del corpo di Sasuke che lo sovrastava così come il suo silenzio, immenso rispetto al fluire rapido delle parole che aveva pronunciato.

Ma il giornalista non ritrasse la mano, anzi, la rilassò ed emise un breve sospiro. Fu allora che Uzumaki lo sentì abbassarsi in un frusciare di vestiti e, con il naso che oltre i capelli sfiorava il proprio, dirgli:

Io non sono spaventato, Naruto Uzumaki. Ma non sono nemmeno corretto: ho fatto tutto così in fretta, con la macchina, con il cercare di rivederti, perché – la voce gli tremò appena e Naruto sollevò lo sguardo, incrociando a pochi centimetri gli occhi chiari con quelli scuri dell’altro – avevo paura che se avessi fatto passare troppo tempo ti saresti dimenticato di me.”

Naruto quella sera scoprì una volta di più le fragilità di Sasuke, le sue insicurezze nascoste sotto un atteggiamento maturo e risoluto, ma anche il modo devoto, pieno in cui sapeva amare. Non il torrente esplosivo di Uzumaki, bensì l’abbraccio notturno nel letto, quando si è soli e al tempo stesso vicini, la protezione e l’amore senza pregiudizio né interferenze.

Mai – le sue labbra sfiorarono quelle di Sasuke – non potrei mai dimenticarmi di te.”

Lo baciò. Sentì quei sentimenti trattenuti scivolare finalmente lungo la gola ed esplodergli in petto, desiderando come non mai la compagnia di quell’uomo di fronte a sé, la sua presenza nella propria vita, rivederlo il giorno dopo e quello dopo ancora, sapere di trovarlo rientrando a casa, qualunque casa essa fosse, qualunque vita avessero: erano assieme e tanto gli bastava.

La mano di Sasuke passò tra i capelli dell’altro, glieli accarezzò e poi strinse, cercandolo per averlo più vicino, da una parte con quella paura viscerale che nulla era eterno, lo aveva visto coi suoi genitori, con l’egoismo della specie idiota e confusa che li caratterizzava, dall’altra con un’attrazione impossibile da imbrigliare, forse a causa dell’euforia vitale all’idea che poteva farlo, che poteva sentire ancora così tanto ed essere libero di provarci. D’altronde non doveva niente a nessuno, eccetto a se stesso e alla persona che aveva davanti, che gli aveva confessato con schiettezza semplice di amarlo, quasi a scatola chiusa, senza nemmeno sapere quanto Sasuke avesse visto in lui, quanto splendore accecante vi fosse in un uomo sì troppo carico di sentimenti, ma proprio per questo capace di detonare e far scoppiare la barriera di solitudine dietro la quale Sasuke stesso aveva creduto di poter restare per sempre.

Grazie” sussurrò, baciandolo ancora e venendo baciato. Non rivolse quel grazie solo a Naruto, ma anche al cosmo e ciò che lo animava.

Fecero l’amore, in un salotto che sapeva di Naruto, della sua vita, del toast mangiato, dei caffè di entrambi abbandonati accanto al divano, dell’incertezza curiosa per ciò che sarebbe accaduto prima di uscire la sera, con le luci soffuse della notte attorno e la sensazione splendida del calore altrui sulla pelle fredda, del respiro capace di far rabbrividire di piacere, dell’abbraccio prolungato che non chiede altro se non sperare che duri ancora un altro po’.

Sasuke vide la scritta sull’avambraccio di Naruto e capì quanto l’altro avesse dovuto attendere che una persona qualunque, chiunque, pronunciasse quelle parole per fargliele sparire per sempre. Una ripetuta e troppo frequente serie di illusioni.

Erano sdraiati per terra, sul tappeto che solleticava leggermente la pelle, con il lampadario spento sopra di loro e il poggiapiedi spostato di lato, quasi avessero conquistato qualcosa espandendosi coi loro corpi.

Il giornalista appoggiò la guancia sull’avambraccio scritto dell’uomo e rimanendo così, con una mano davanti a sé, lo fissò senza sbattere le palpebre: “Lo prendi senza zucchero, il caffè?”

Le prime parole pronunciate dopo aver fatto sesso. Erano nudi e così vicini, con i toraci che si alzavano e abbassavano lentamente, colline dentro le quali si celano vulcani.

Naruto impiegò un attimo a elaborare una domanda tanto improvvisa, capace di rompere il silenzio armonioso della stanza, poi sorrise e annuì: “Sì, da sempre – guardò Sasuke, la scritta marchiata sul proprio avambraccio coperta dalla guancia dell’altro, la cui pelle si era piegata appena, conferendo un leggero e splendido broncio sulle labbra sottili dell’uomo – mi è capitata una frase bella stupida, eh?”

Un po’ – poi lo vide sorridere, incapace di trattenersi, e correggersi – sì... cavolo, sì, è terribilmente stupida.”

Rotolò sul ventre, coprendosi il volto con le mani mentre rideva appena, la sua schiena leggermente incurvata che tracciava una linea armoniosa fino alle natiche perfette che Naruto avrebbe voluto stringere, incredulo di averlo già fatto quella notte. Rise a sua volta e si mise sul fianco, sfiorando con il naso i capelli scuri e sottili di Sasuke che, nel frattempo, lentamente aveva smesso di ridere, per spostare il volto così da guardare il compagno attraverso la ciocca scura caduta sugli occhi. Il suo respiro calmo scaldava la pelle dell’avambraccio di Naruto che per un attimo, invece, non respirò, contemplando l’uomo accanto a sé, su di sé. Con sé.

Abbiamo davvero fatto l’amore, io e te?” gli chiese lui invece. Scostò i capelli da davanti gli occhi di Sasuke. Non avvertì più il suo respiro sulla pelle. Lo percepì solo qualche istante dopo quando Uchiha confermò: “Sì.”

Non lo facevo da tanto” ammise, quella volta serio, senza distogliere lo sguardo.

Anche io. Come ti ho detto, non cercavo affatto.”

Al contrario di me, suppongo quindi di aver sbagliato un sacco di cose fino a ora” replicò Naruto. Per un attimo sorrise.

Sasuke spostò la mano da sotto la testa e la mise sul braccio di Uzumaki. Tacque ancora un istante poi gli sussurrò, piano, così piano che la penombra della stanza sembrò voler divorare l’unico suono umano a infrangere il silenzio: “Non voglio che tu sia ancora solo. Non lo meriti, non me ne capacito, capisci? Sei tutta la luce, la vita, che mancava nella mia esistenza: è assurdo che nessun altro abbia provato lo stesso.”

No… no – Naruto scosse appena la testa, con il cuore che gli martellava feroce in petto – no Sasuke io non posso più pensare di stare così, senza di te. Sto scoprendo adesso, in questo momento, di non riuscirci più.”

Forse suonò patetico, terribile, persino infantile caricare qualcuno di parole simili a oltre trent’anni, così, su di un tappeto nel buio di un minuscolo appartamento. Ma dopo quello che Sasuke gli aveva detto – Naruto non lo sapeva ma erano le parole più belle che egli avesse mai avuto modo di pronunciare in vita sua – decise che sarebbe stato meschino tacere.

Lentamente ma con un movimento fluido Uchiha allora si sollevò a sedere e spostò il volto verso il soffitto, con le mani appoggiate sulle cosce. Si portò infine dietro le orecchie una ciocca di capelli e abbassò lo sguardo su Naruto che, steso sul fianco, ancora non si era mosso ma lo osservava in attesa, con gli occhi azzurri così onesti, lucidi di commozione e vita.

Non mi interessa, né voglio trovare un soulmate. Se smetti di cercarlo possiamo stare assieme” decretò alla fine Sasuke.

Lo farò.”

Non ebbe un istante di esitazione. Uchiha non voleva suonare minaccioso, ma era consapevole di essere tremendamente piccolo e insignificante di fronte al destino: proprio per questo doveva lottare con tutte le sue forze se voleva avere una minima speranza di vittoria; accidenti, in realtà nemmeno capiva per quale ragione dovesse metterci tutto quell’impegno per un uomo che conosceva così poco. Forse perché in quel poco gli aveva dato tanto e a sua volta Sasuke sentiva di potergli offrire molto più che un paio di risposte secche o una notte d’amore.

I tuoi genitori sono soulmate?” domandò in risposta, lanciando un’occhiata alle foto scorte prima.

Sì. Mi hanno fatto sperare, capisci? – si massaggiò gli occhi, passandosi poi una mano tra i capelli – ah, accidenti, non so perché, ma ho la sensazione di apparire uno sciocco sognatore ai tuoi occhi.”

L’espressione di Sasuke mutò in qualcosa che sembrava tenerezza, nonostante le sopracciglia fossero ancora contratte, nell’espressione seria che metteva in ogni aspetto della sua vita: “Sognatore sì. Sciocco? No, non direi – si abbassò con la schiena, fino ad arrivare a pochi centimetri dal volto di Naruto – non voglio costringerti in nulla. Solo…”

Non mi cos…”

Solo non voglio lasciarti andare se trovassi il tuo soulmate.”

Parlò rapido, in un sussurro.

Potresti essere tu a trovare un soulmate – obiettò l’altro dopo un istante – non lo vorrei, per nulla, niente, al mondo. Ne avrei una paura fottuta.”

Sasuke sgranò gli occhi: “Anch’io. Anch’io ho paura di perderti per questo.”

Ed è stupido. Così stupido. Non ci conosciamo, potremmo ancora scappare da tutto questo. Ma… come? Come faccio ora ad andarmene e fingere che non esistiamo più l’uno per l’altro?

Allora Naruto, colmo d’amore e comprensione, abbracciò Sasuke, trascinandoselo giù con sé in una presa goffa e appunto innamorata; cominciò a baciarlo sulla testa, intrecciando le gambe alle sue mentre gli mormorava parole d’amore.

Non posso. Nono, nossignore, mai più senza. Mai – lo baciò sulla fronte e l’altro strizzò appena gli occhi ma non si divincolò – più – un nuovo bacio sulla guancia e Sasuke fece una mezza smorfia che era un sorriso, il volto arrossato da tutti quei baci – senza Sasuke. Mai.”

Strofinò il mento sul suo capo, affondando poi il volto tra i capelli, respirandoli.

Solo allora, in quella quiete d’amore, Sasuke fu capace di abbracciarlo a sua volta.

Credo di essermi innamorato. E di essere felice ma allo stesso tempo così spaventato: forse è questo il prezzo da pagare. E mi sta bene, destino, prendi tutto quello che ho.


*


Dopo essersi sciacquato alla buona e rivestito, Sasuke uscì dal bagno e trovò Naruto vestito in tuta che lo guardò un po’ sorpreso.

Uchiha mise le mani in tasca, scrutandolo con una certa perplessa esitazione: “Che c’è?”

Lo vide arrossire appena e passarsi una mano tra i capelli, per poi scrollare le spalle: “Beh, dai, insomma, credevo ti fermassi. Suppongo di aver pensato male, a giudicare da come ti sei vestito.”

Colto alla sprovvista, il giornalista si guardò poi tornò a fissare l’uomo e scosse la testa: “No, non è che sto – allargò le braccia, sollevando le spalle – fuggendo o cose così. Si tratta di Cerbero.”

Deviò un istante lo sguardo, le mani affondarono ancora di più nelle tasche quasi fossero calamitate ai pantaloni, ma il petto si gonfiò con orgogliosa fierezza. Si trattò della prima e storica volta in cui fu Naruto a sollevare un sopracciglio: “Cerbero?”

Sì – Sasuke schioccò la lingua, dandosi dell’idiota – scusa, non potevi saperlo. È il mio cane. Devo rientrare a casa, portarlo a fare i bisogni, queste cose qui. Non posso fermarmi stanotte, non mi ero organizzato per l’evenienza.”

Oh, io... Cerbero! – solo allora Naruto si lasciò andare a una risata liberatoria – Un cane! Capisco, cavoli, spero che non abbia patito troppo la tua assenza. Ehi, è un bel nome, cos’è, tipo un Dobermann da combattimento o robe simili?” sembrava scherzare ma era davvero meravigliato e incuriosito da un nome tanto eccentrico, specie per uno come Sasuke.

Questi lo capì perché stava cominciando a conoscere il suo interlocutore, dunque fu con maggiore accortezza del solito che smorzò l’entusiasmo divertito di quest’ultimo: “Nah, un incrocio tra un bassotto e non so cos’altro. So che è esagerato rispetto alla stazzaaggiunse sulla difensiva, abbassando un istante lo sguardo nonostante avesse mantenuto una certa aria di sfida.

Naruto sorrise con affetto: “Nulla è mai esagerato come un nome. E suona benissimo. Spero di poter conoscere Cerbero presto allora.”

Al giornalista venne da sorridere a sua volta, al punto che si abbandonò più facilmente all’ironia: “Combiniamo un’uscita con il mio coinquilino quattrozampe. Non so perché ma già sento che vi starete simpatici a prima vista.”

Ci conto!”

Si guardarono negli occhi, poi sorrisero, rimanendo qualche secondo in silenzio. Dopodiché Sasuke decise che era tempo di mettersi il cappotto e sebbene a malincuore andarsene, avvicinandosi alla soglia della porta dove venne accompagnato da Naruto con addosso tuta e ciabatte, ma l’aria di chi avrebbe indossato al volo il primo paio di scarpe a portata di mano per uscire. Sembrava esitante, quasi avesse voluto saltare in macchina assieme a lui. Ed era così: si sentiva il petto dilaniato all’idea di separarsi da Sasuke, come se standoci assieme quelle ore, nudi, a fare l’amore e a parlare di loro, lui gli avesse lanciato un incantesimo, portandogli via un pezzo di sé.

Allora in questi giorni…” iniziò Naruto.

Ma non riuscì a finire la frase: Sasuke lo abbracciò. Non si trattò di un abbraccio irruento, però in compenso Uchiha lo strinse, una seconda pelle attorno alla sua cassa toracica. Si racchiuse in un breve istante, ma sufficiente a Naruto per ricambiare, stringendo il compagno a sua volta fino a che fu quest’ultimo a togliersi, con il desiderio di guardare l’altro negli occhi quando gli propose: “Vediamoci presto. Domani vai a ritirare il taxi e ci organizziamo: ho un servizio nella città di Enkidu ma per la sera rientro.”

Okay, fantastico. Ehi, se hai bisogno per Cerbero dimmelo, servizio taxi lusso per i tuoi coinquilini” gli fece l’occhiolino.

C’è il figlio del vicino che fa il dog-sitter per tutti quelli del condominio a cui serve ma… se dovessi aver bisogno, perché no? Te lo farò sapere, il ragazzo non saprà che ogni tanto passo dalla concorrenza” lo disse con serietà, quasi stesse discutendo di affari sottobanco. Sorrisero poi entrambi con complicità.

Si baciarono infine per salutarsi con un certo imbarazzo iniziale, quasi indecisi su come approcciarsi o affrontare la faccenda. Per questo, sorrisero di più. E si sentirono ragazzini.

Avrebbero continuato a sentirsi ragazzini per tanti, tanti anni a seguire, stando assieme. I migliori della loro vita. Un amore iniziato per caso, semplice direbbero molti, ma proprio per questo solido.

Non potevano però ancora sapere come o quando le cose sarebbero cambiate, né se a quel cambiamento improvviso sarebbero sopravvissuti per ciò che erano; forse sarebbero mutati a loro volta, lasciandosi per sempre, o avrebbero compreso che per quanto infinitamente piccoli rispetto al destino potevano ancora avere un’occasione per lottare. E vincere.

Sproloqui di una zucca

Come forse avrete notato, all'interno del capitolo appaiono nomi come Enkidu e Sargon, li ho inseriti per sfizio, con riferimento il primo all'Epopea di Gilgamesh (Enkidu infatti era l'uomo selvaggio che accompagnò Gilgamesh mel suo viaggio, narrato nel racconto sumero), mentre Sargon  è Sargon II , re di Sumer e Akkad. Detto questo, c'è uno sviluppo bello importante tra Sasuke e Naruto che decidono di stare assieme nonostante le insicurezze e le rispettive vite, diverse ma per certi aspetti uguali. Spero di aver reso bene le loro emozioni e il modo in cui si sono avvicinati, nonché le vulnerabilità.
Avviso che dal prossimo capitolo ci sarà un salto temporale necessario perché gli eventi cambieranno ancora, inoltre verranno introdotti nuovi personaggi fondamentali.
Grazie per le recensioni al primo capitolo e a tutti coloro che hanno intrapreso la lettura: mi hanno reso davvero felicissima; che dire, spero che possa piacervi ancora, un abbraccio a tutti quanti e Buon Anno Nuovo!

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Capitolo 3
*** 3 ***


3


Dopo le dimissioni del re Sargon a favore del figlio ancora minorenne Sennacherib, la vicina cittadina di Enkidu è ormai diventata centro focale delle attività del FLA, il Fronte di Liberazione Antimonarchica, dove il presidente Madara Uchiha dichiara che, non essendo sufficienti le revisioni legislative ed economiche a favore dei non-soulmate, abbatterà anche il nuovo governo a suo dire formato da arrivisti che tengono in pugno quello che lui reputa essere un re fantoccio.
È tempo che questa pagliacciata di monarchia e l’oligarchia che c’è dietro finisca. Le prime controriforme fatte per paura del FLA sono insufficienti e ridicole, oserei dire, in confronto a tutto quello che ancora c’è da fare: bisogna riformare anche e soprattutto la sanità e l’apparato contributivo, basta a questo sistema statico di vecchi ancorati alle tradizioni che ci hanno portato alla recessione economica più disastrosa degli ultimi secoli, oltre a un divario sociale esorbitante con la scusa di tutelare i soulmate, quando invece gli unici che aiutano sono solo loro stessi. Essere soulmate non deve però più fare la differenza sul piano sociale, mai più. Preparatevi!” così si chiudono le terrificanti parole del presidente Uchiha che pure gode di elevata popolarità, al punto che ha ottenuto l’immunità per…

Sasuke spense la televisione, ignorando la breve protesta di sua madre che a quel punto si limitò a scuotere la testa.

“Ti interessa continuare a vedere cos’ha fatto questo pazzo?” le domandò asciutto, il volto apparentemente neutro. A tavola acconto a lui Naruto trattenne un istante il fiato ma, dopo aver lanciato un’occhiata a Itachi e Shisui di fronte a sé, prese un altro boccone e continuò a mangiare.

La donna tamburellò una volta le dita sul tavolo, come riflettendo se rispondere, infine confermò: “Sì, mi interessa. Ed è grazie a questo pazzo se siamo tutelati, non tutti hanno la fortuna di incontrare il soulmate.”

Lanciò un’occhiata a Itachi, il quale finse di non accorgersene, bevendo un sorso d’acqua. Sasuke serrò le labbra, inspirando una volta a fondo con le narici dilatate. Avvertì Naruto stringergli la coscia da sotto il tavolo, dunque decise di non ribattere e accettare il fatto che col passare degli anni sua madre non avrebbe mai rimosso dal suo carattere inasprito quella parte di sé che disprezzava i soulmates. E il fatto che il suo figlio maggiore Itachi avesse incontrato il proprio in Shisui non cambiava le cose, anzi, forse addirittura le peggiorava: i due infatti avevano avuto la sfortuna di essere cugini, pertanto il pesante legame di parentela a complicava la questione.

Tutto sommato però, nonostante le ribellioni a sfavore, essere soulmate bypassava ugualmente tutte le leggi in merito a legami di parentela vicini ma non prossimi, quindi i due ragazzi avevano potuto ufficializzare la loro unione senza troppi problemi, eccetto forse quelli morali posti da Mikoto in primis.

Il secondogenito Uchiha guardò il fratello e non seppe, proprio non capì come facesse questi ad accettare ancora quegli stupidi pranzi in famiglia, finti, perché entrambi tentavano disperatamente di provare un attaccamento materno che in realtà non avvertivano, di certo non come un tempo. Cercò di buttare giù un boccone di arrosto ma scoprì di avere la gola così secca da faticare a deglutire, talmente tanta era la rabbia che provava. Altroché mangiare, avrebbe voluto ribaltare il tavolo e urlare a Itachi di andarsene, che Mikoto non lo meritava come figlio: si prendeva cura di lei e tutto quello che riceveva era un pranzo ogni tanto mai esente da frecciatine più o meno mirate.

Il problema più grande di tutti però – nonché quello che faceva in fin dei conti desistere Sasuke dallo scoppiare in quel modo – era che si trovava nella stessa posizione di Itachi quanto a incapacità di tagliare del tutto i rapporti con la madre. Sebbene incattivita dal tempo e dalle delusioni era pur sempre il genitore rimasto loro accanto, sempre, nel bene e nel male, nonché ad aver subito le ripercussioni di un marito non soulmate il quale, dopo un matrimonio di dieci anni e ben due figli, aveva improvvisamente trovato la propria soulmate e se ne era andato. Fugaku Uchiha aveva lottato per avere la custodia dei figli ma Mikoto si era rivelata una leonessa disperata, spendendo tutto ciò che possedeva – denaro, tempo, amore – pur di tenersi i figli. Il tribunale aveva stabilito presso di lei la residenza e custodia principale dei minori, con regolamentazione dei giorni e dei periodi paterni secondo calendario, ma né Itachi, né soprattutto Sasuke avevano voluto saperne nulla del padre: li aveva abbandonati, abbandonato la loro madre, dall’oggi al domani, come se tutto ciò che avevano creato non contasse più nulla, quindi non avevano ritenuto di dover rispettare alcun obbligo nei confronti dell’uomo.

Per questo, per non ripetere ciò che il loro padre Fugaku aveva fatto, né Sasuke, né Itachi se l’erano mai sentita di prendere le distanze da Mikoto. Persino quel giorno Sasuke arrivò al punto da provare quasi compassione per lei e, in fondo, amarla comunque: la sua mamma, invecchiata e così piena di rancore, che si sentiva quasi tradita da Itachi perché anche lui, come suo padre, aveva trovato un soulmate anziché restare per sempre vittima di un amore sospeso. Lo invidiava e questo era terribile.

Domani partirò per Enkidu – cambiò allora improvvisamente argomento il giornalista, girando un paio di volte la purea nel piatto, per poi pulirsi la bocca col tovagliolo e proseguire senza guardare nessuno in particolare – visti i miei articoli di questi anni e grazie alle manovre del direttore, sono riuscito a ottenere un’intervista con Madara Uchiha. Mah, forse è perché portiamo lo stesso cognome.”

Nessuno a tavola si mosse. Naruto appoggiò la forchetta e scosse la testa, consapevole che ovviamente il cognome identico c’entrava ben poco con tutta la faccenda: se Sasuke era riuscito nell’impresa era perché in quei due anni e mezzo da quando stavano assieme egli aveva dedicato anima e corpo alla questione del FLA, ma anche a tutte le forme di ribellione sorte negli stati vicini che avevano un simile sistema monarchico, viaggiando spesso come inviato in zone considerate a rischio. Conosceva Madara, come Madara ormai conosceva lui. Era per questo che persino uno che amava rilasciare dichiarazioni ma non interviste come il presidente del FLA aveva concesso un colloquio a Sasuke, non certo per una casuale omonimia.

Ovviamente Naruto sapeva del viaggio, sapeva anche che non avrebbe rivisto il suo compagno se non il giorno dopo, e allo stesso modo conosceva i rischi – non si sarebbe mai abituato all’idea di non sapere quando e se Sasuke sarebbe davvero tornato dai suoi viaggi.

Spero che non finirai per far arrabbiare anche il presidente come hai fatto anni fa con il suo vice, altrimenti stavolta mi sa che non te la caverai con una corsa in macchina” scherzò Naruto, cercando di alleggerire la tensione. Sorrise quando vide il sorriso spuntare sul volto altrimenti corrucciato di Sasuke, era sicuro che si stava spremendo in troppi pensieri come al suo solito.

Farò il possibile per tenere per me le mie posizioni contro il terrorismo” guardò sua madre quando lo disse. La donna per contro si alzò in piedi e iniziò a rassettare le prime cose dalla tavola, domandando: “Qualcuno vuole un caffè?”

Per me come sempre senza zucchero” disse Naruto, dopo che gli altri ebbero accettato. Sasuke e lui si guardarono un istante. Di riflesso Uzumaki tese meglio la manica per assicurarsi che il proprio marchio fosse coperto: come promesso aveva smesso di cercare. Non che gli fosse costato alcuno sforzo seguire la richiesta che tempo addietro, quella sera invernale a casa sua, gli aveva fatto Sasuke, semplicemente dall’oggi al domani non aveva ritenuto più necessario fermarsi in caffetteria durante la pausa, in attesa che qualcuno pronunciasse la fatidica frase. La verità era che non voleva che qualcuno eccetto Sasuke dicesse quelle parole, più in generale non desiderava in alcun modo conoscere il suo soulmate, mai; assurdo, per uno abituato a scommettere di trovarlo a ogni incontro casuale, ma persino ovvio: conoscerlo significava perdere Sasuke, e lui non era pronto, non lo sarebbe mai stato.

“Certo caro” confermò Mikoto, con una nota di dolcezza. Forse perché vedeva in lui una speranza per il figlio, la coronazione di una vita felice possibile anche senza soulmate, forse perché naturalmente capace di star simpatico, la donna aveva sviluppato un certo affetto per Naruto.

“Anche per Shisui senza zucchero” intervenne Itachi.

Vergognandosi senza averne il motivo, con la sensazione di aver rubato qualcosa, forse un posto nella scala gerarchica del voler bene, Naruto guardò un istante il fratello di Sasuke e il rispettivo compagno, stupendosi una volta di più di come si potesse essere genitori così ciechi, incapaci di vedere i figli meravigliosi davanti a sé.

Forse era per questa consapevolezza dell’incapacità materna che Itachi aveva sì un volto splendido, perfetto avrebbe detto Naruto, forse persino troppo, quasi da copertina, ma ammantato da una sorta di malinconia, come se la sua attenzione non fosse mai rivolta troppo a lungo alla Terra, astronauta distante anni luce con il cuore proiettato verso la sua personale stella: Shisui, che trovava sempre il modo di sorridere, di mostrarsi felice, di farlo ridere, di essere naturalmente complice con una sintonia splendida, quasi i due avessero una connessione neuronale ed emotiva costruita cancellando la macchia nera sul torace di entrambi; abbracciandosi la prima volta, da ragazzini, si erano amati e legati per sempre.

Non avevano dovuto attendere, cercare e cercare ancora. L’uno era sempre stato davanti all’altro. Ma questo li rendeva meritevoli di invidie o biasimo? Naruto pensava di no, riteneva al contrario che avevano lottato esattamente come chiunque altro, anzi, forse di più; era spaventoso che persino in un mondo come il loro, dove essere soulmate restava a prescindere una fortuna, dovessero comunque dimostrare qualcosa.

Guarda che me lo ricordo, Itachi, non è una cosa speciale” ribatté la donna. Serrò i denti, sembrò voler dire altro, ma si girò andando verso la cucina accanto.

In quell’istante Sasuke batté un pugno. Leggero, ma le posate tintinnarono: “Non deve parlarvi così.”

Per contro Itachi sembrò calmo, appoggiò le mani intrecciate sul tavolo e reclinò appena la testa, accennando una sorta di sorriso enigmatico: “Capisco che ci tieni a noi, fratellino, ma non prendertela. È fatta così, infelice e insoddisfatta, mi spiace solo che vivrà male gli ultimi anni che le restano.”

Sembrò esserci una nota malvagia, mitigata però da una sorta di affetto remoto, ancora persistente, come una malattia recidiva.

“Non ti conoscessi nel sentirti parlare così mi spaventeresti” ammise Shisui, con gli occhi sgranati e una faccia quasi buffa, in parte divertita. Naruto sorrise e scorse Itachi fare lo stesso prima di ribattere quasi profetico: “Magari non mi conosci poi così bene.”

“Seh, a chi vuoi darla a bere – scherzò l’altro, dandogli un buffetto sulla spalla, prima di dare un colpo di tosse e cambiare argomento per non imbarazzare troppo il compagno – ma Sasuke, smettiamola di elogiare Itachi che non è abituato, torniamo invece a te. Ah, Madara Uchiha. La città di Enkidu diventata praticamente la sua fortezza. Si prospettano due giorni di fuoco! Complimenti però, sei davvero un osso duro per essere arrivato a tutto questo.”

Prese il bicchiere, sollevandolo. Sasuke guardò un attimo il proprio, con Naruto che già glielo riempiva per brindare, cosa che alla fine fece anche se fu un gesto quasi accennato, a seguito del quale tenne la base del vetro tra le dita, girandola sulla tovaglia con fare pensoso. Dopo un istante infatti ribadì:

“Credo in quello che faccio, tutto qui. E Naruto… – si bloccò, respirò, poi proseguì – è stato paziente con me.”

Colto alla sprovvista mentre era in procinto di bere, l’altro si fermò e posò il proprio bicchiere, ridacchiando amabilmente in imbarazzo: “Ma non ho fatto nulla di che!”

Eccetto che lo lasciava andare, come sempre, come in ogni viaggio; nonostante la paura, il pericolo, l’ancestrale consapevolezza che un giorno forse Sasuke non sarebbe più tornato. Eppure lo accettava ogni volta, come aveva detto anni fa era quella la consapevolezza del rischio dei rispettivi mestieri. E del rischio di amare, avrebbe aggiunto.

Shisui ridacchiò a sua volta: “Allora dobbiamo brindare: a Naruto che ti sopporta.”

Sasuke si sfregò una volta con il pollice il palmo macchiato d’inchiostro indelebile, infine brindò assieme agli altri guardando il suo compagno negli occhi.

Ripensò alle nottate svegli a competere in qualche picchiaduro o nei giochi di corsa in macchina, le litigate perché, secondo Naruto, Sasuke si allenava di nascosto e doveva dargli la rivincita; gli incontri al pub con gli amici di Naruto che erano diventati anche suoi, tra le sigarette consumate fuori, al freddo, in compagnia di Kiba, le chiacchiere scarne ma sentite con Shikamaru che gli parlava della figlia, emozionandosi, la sensibilità di Choji e le risate collettive; i film visti allungando il divano mentre erano avvolti d’inverno dalla coperta e finivano per addormentarsi l’uno contro l’altro; le cene fuori che si concedevano nelle quali o l’uno o l’altro erano in ritardo a causa del lavoro, del traffico, di qualche strada chiusa perché era stato trovato un ordigno esplosivo, delle manifestazioni a favore o contro il FLA, la monarchia, il governo, i privilegi e le disuguaglianze; i piatti presi d’asporto le domeniche in cui erano liberi entrambi e non avevano voglia di uscire, dedicando il poco tempo che avevano solo per loro, nessun altro.

Perché era vero: quando si amava profondamente una persona le priorità cambiavano. Come poteva avere importanza la Terra e tutti i suoi abitanti quando si guardava un’unica stella amata ma mai, davvero mai abbastanza vicina, mai abbastanza capace con la sua luce e il suo calore di annullare del tutto il resto.

Per questo Sasuke amava le mattinate pigre con Naruto, i piccoli battibecchi quotidiani, il farci l’amore quand’erano solo in tuta e pigiama, a volte con le calze ancora addosso e in bocca col sapore della colazione, del caffè, del pranzo non finito, negli occhi l’ultimo fotogramma di un film prima di baciarsi.

Per preservare tutto questo non toglieva mai i guanti d’inverno, d’estate indossava quelli tagliati in cotone, nessuno faceva domande, sembrava una fissa come un’altra, quando invece non poteva sopportare di mostrare la propria macchia a qualcuno Macchiato come lui e magari… trovarlo, trovare il soulmate che da qualche parte in quel mondo da cui Sasuke tentava di fuggire ancora lo cercava. Non toccava nessuno, eccetto pochissime persone, ma non sentiva la mancanza di un contatto: Naruto era già quel contatto, la sua famiglia, oltre a Itachi e Shisui. E a sua madre che pure, nonostante tutto, continuava a tenersi vicino.

Nel bagnare le labbra col vino dopo aver brindato, in un pensiero subitaneo, di quelli involontari come un guizzo muscolare, si chiese cosa ne fosse di suo padre. Ogni tanto questi gli mandava un messaggio di auguri, o di buone feste, ma Sasuke non rispondeva mai; farlo gli sembrava di portare a tradire tutto ciò che era, che aveva conquistato sino ad allora: un amore per cui aveva lottato, ma persino una madre che a differenza dell’uomo non aveva ancora abbandonato.

Mikoto arrivò con i caffè, lo guardò e gli sorrise, con la benevolenza di chi avesse perdonato qualcosa. Forse lei lo sapeva. Forse comprendeva meglio di chiunque altro la fragilità di quei momenti, dei sentimenti, degli attimi irripetibili. Per questo gli sorrideva e già lo perdonava se avesse vacillato ancora.


*


La stanza era ampia, con le pareti di un bianco puro che creava un contrasto quasi accecante coi mobili in arte povera presenti, il cui legno scuro odorava di cera e vagamente ancora di resina, come se fossero stati appena tagliati e ricomposti per quell’occasione speciale.

Seduto al centro di un divano bianco panna, quasi affondando nell’incavo tra un cuscino e l’altro, con le gambe accavallate, i guanti tolti accanto a sé e il blocco per gli appunti appoggiato sulla coscia, in silenzio Sasuke osservò prima Madara seduto davanti a lui, poi la donna con eclettici capelli rosa accanto. Sakura, così l’aveva presentata quando si erano incontrati prima di accomodarsi nell’ampio salotto, al cui ingresso sostavano due uomini, probabilmente la scorta.

La stanza era inondata di luce che passava attraverso le ampie porte-finestre collocate su di un bel giardino verdeggiante, che rigurgitava vita nel pieno del risveglio primaverile. La stanza stessa profumava di fiori oltre che di legno e di pulito, i cui pavimenti lucidi restituivano i riflessi dorati del sole attraverso i vetri.

Dopo aver appoggiato il registratore sul tavolino, Sasuke si slacciò il primo bottone della camicia e senza cambiare posizione delle gambe introdusse l’intervista come di rituale, coi primi riferimenti alla situazione politica attuale e le ultime dichiarazioni rilasciate da Madara stesso.

“Dunque, supponendo che la monarchia cessasse di esistere, come dovrebbe essere formato il governo? Bisognerebbe creare una costituzione?”

Partì senza mezze misure. Non era d’altronde conosciuto per compiacere chi avesse davanti, ma nemmeno incastrava con domande scomode che mettevano a disagio. Il suo compito era informare e investigare, tirando fuori risposte oltre a riflessioni, non confessioni o lodi; Madara Uchiha lo sapeva, forse necessitava di quelle domande, o non si sarebbero mai trovati così a parlare nel cuore della sua casa.

In effetti l’uomo fece una sorta di mezzo sorriso, gli occhi infossati in qualche ruga brillarono di una luce diversa, ma nel complesso l’espressione rimase piuttosto neutra e attenta, di chi non aveva bisogno di fare la prima mossa e studiava l’interlocutore per decidere solo in seguito come agire.

Gli occhi di Sasuke tornarono sulla donna un istante, la scorse emettere un breve sospiro anche se il suo sguardo dalle iridi verdi non si distoglieva da lui, forse lo stava studiando a sua volta. Una mano era appoggiata forse inconsapevolmente sul ventre appena sporgente: doveva essere incinta di diversi mesi, c’era infatti un gesto di protezione in quel modo che aveva di racchiudere il nascituro in un abbraccio. Indossava un vestito leggero ma di eleganza semplice, con guanti raffinati che arrivavano fino al gomito e scarpe dal tacco basso dal gusto vintage.

Quando Madara cominciò a parlare, Sasuke lo seguì appuntandosi parole chiave, idee per ulteriori domande o approfondimenti; nel farlo, nel vedere le lettere confluire sulla carta tramite l’inchiostro, avvolto dal silenzio della stanza e dal tepore tardo-primaverile, una parte della mente del giornalista si trasportò all’alba di quella mattina, quando aveva salutato Naruto prima di partire: il sole era forse più giallo, filtrato attraverso le nuvole pigre delle prime ore del giorno e in parte ostacolato dall’imponenza delle montagne a ridosso dell’orizzonte, dai profili degli edifici che in qualche modo sembravano cercare disperatamente di ritardare la salita dell’astro al vertice del cielo, regalando qualche ora ancora di sonno sotto le coperte, di momenti assieme, di coccole prima di doversi alzare.

Stasera ti trovi con gli altri?” gli aveva domandato, posando all’ingresso il borsone con il cambio di vestiti.

“Sì, pensavamo di andare con la metro fino alla steakouse, l’hanno riaperta dopo…” aveva lasciato in sospeso il resto della frase.

Dopo l’attentato di sei mesi fa? – proseguì per lui Sasuke, diretto come sempre, senza distogliere lo sguardo da Naruto – ancora oggi penso sia una fortuna che l’ordigno fosse esploso prima del turno serale. Sono contento riapra, molte attività stanno riprendendo da quando il FLA ha allentato la presa, fa sembrare quasi che un’eventuale impennata lavorativa sia merito loro, pazzesco.”

Si abbassò per coccolare Cerbero che era corso scodinzolando, quasi avesse intuito dal tono della voce, dal modo forse in cui Sasuke aveva di muoversi, che il padrone stava per partire. Gli accarezzò il pelo un po’ ruvido, dispensandogli qualche grattino dietro le orecchie, per poi vederlo correre ancora e portargli una pallina, sull’onda dell’entusiasmo. Sorrise. Gli sarebbe mancato, incredibile quanto un animale sapesse entrare di prepotenza e con affetto strabordante nella vita di chi decideva di adottarne uno. Riempivano tanti vuoti e lasciavano voragini quando se ne andavano.

“Oggi pensavo di prendermi un attimo e portarlo al parco, ti ricordi la cagnolina della settimana scorsa? Magari la rivede” ipotizzò Naruto, per poi prendere la pallina e lanciarla attraverso il breve corridoio che dava verso lo studio e la stanza da letto. Cerbero partì all’inseguimento con la rapidità di un missile e solo allora Sasuke si alzò, prendendo la mano di Naruto:

“Andiamoci assieme domani, quando torno.”

“Ma sarà tardi, immagino sarai stanco e…”

Scosse la testa: “No. Mi farà bene.”

Naruto allora intrecciò le proprie dita con quelle del compagno e annuì: “Allora facciamo domani sera – si voltò verso Cerbero che era tornato con la pallina – mi spiace Sbarbino, incontrerai la tua fiamma forse questo weekend, però ti aspetta passeggiata extra-lusso al chiaro di luna.”

Lo accarezzò facendo versi stupidi. Sasuke lasciò lentamente la presa e li guardò mentre si ringhiavano giocosi a vicenda: Naruto era fatto così, adorabilmente scemo, capace di soprannomi assurdi da dare persino al cane, un pilastro di serenità e fonte costante di risate; anche e soprattutto quando le cose si facevano difficili e Sasuke temeva di chiudersi troppo, Naruto gli ricordava di non farlo, di tornare da lui.

Stai attento a Enkidu” gli disse all’improvviso Uzumaki tra una carezza e l’altra al cane, continuando a guardare quest’ultimo. Sembrò una cosa detta quasi per caso, senza importanza, ma il suo tono era serio, maturo, come se ci fosse un’altra persona sotto lo strato giocoso che animava Naruto.

Starò attento” confermò Sasuke. Guardò il soggiorno, i loro mobili, i libri, le cose a terra da rimettere a posto con una sistemata veloce, la custodia di un film in blu-ray guardata la sera prima, il pranzo al sacco che Naruto avrebbe mangiato in giornata ancora da mettere via, appoggiato sul tavolo assieme alla colazione appena consumata assieme. Persisteva l’odore di caffè, di marmellata, dell’aria fresca dell’alba entrata attraverso le finestre lasciate ancora aperte in camera.

Si fotografò nella mente quel momento, ciò che gli apparteneva e che amava, quasi per portarselo con sé in viaggio, anche se sarebbe stato breve ma non abbastanza in prospettiva a ciò che gli aspettava, a quanto gli era costato e a quanto gli altri richiedevano da lui.

E ora, mentre Madara parlava, mentre la donna chiamata Sakura seduta composta lo osservava, Sasuke davanti a sé vedeva casa sua, il suo compagno, il suo cane, tutto ciò che avevano creato nel tempo nonostante la paura sepolta che un giorno la loro bolla d’amore sarebbe magari scoppiata, o forse altro sarebbe stato perso nella metropoli immensa in cui vivevano, per colpa di Madara, del FLA, delle rivolte, del bisogno così disperatamente umano di lottare, di perdere, di sacrificare per ottenere libertà e diritti.

Mi mancano.

Lo scrisse sul blocco degli appunti, accanto a parole come diritti, parlamento costituzionale, abrogazione, diplomazia estera.

Lei non ha conosciuto il proprio soulmate, vero?” domandò all’improvviso Madara, dopo che Sasuke ebbe chiuso il blocco degli appunti e spento il registratore. Il giornalista sollevò lo sguardo, desistendo dalla tentazione di guardarsi le mani nude e coprirsele. Non rispose subito, aprì infatti la borsa a tracolla ai piedi del divano e solo allora confermò:

“Non l’ho conosciuto.”

Nemmeno io – Sakura lo guardò, sembrò in procinto di dire qualcosa ma si zittì – E mi sento libero. Questo negli anni è stato dimenticato, la gente prima delle ribellioni era ossessionata dal trovare il soulmate, abbandonando tutto il resto.”

Sasuke finì di mettere via le cose, riflettendo che un tempo gli avrebbe dato ragione; forse, per certi versi, Madara aveva ancora ragione, magari era Sasuke ad aver smaltito una buona parte della rabbia tenuta in corpo per quello che era accaduto con suo padre. Ripensò a Itachi, alla sua felicità nonostante la loro madre, così come ripensò a Naruto, alla frase semplice ma altrettanto essenziale ancora incisa sul suo braccio.

Questo è vero, ma a che prezzo?” domandò mettendosi la borsa a tracolla. Non c’era provocazione nella domanda però fu la seconda volta che vide un bagliore diverso negli occhi di Sakura, la prima era stata quando Madara aveva detto di non aver mai conosciuto il suo soulmate. Si rimise i guanti e tornò ad allacciarsi il bottone della camicia.

“Mi assumo la responsabilità di quel prezzo. Se non io, qualcun altro avrebbe iniziato tutto questo. La violenza, i traumi, la perdita sono gli unici modi per risvegliare un popolo dal torpore di una vita lobotomizzata” asserì Madara, alzandosi a sua volta in piedi imitato dalla moglie.

Erano splendenti, come se attraverso le finestre di quella casa immersa nel verde, lontana dal mondo di orrori che avevano creato, avessero potuto dialogare direttamente con il Sole.

Se suo padre non se ne fosse andato, forse Sasuke non avrebbe mai avuto il coraggio di iniziare la relazione più felice della sua vita. Ma Naruto che traumi, che perdite aveva avuto? Cosa l’aveva spinto se non la sua forza d’animo a smettere di cercare il soulmate?

“Non per tutti vale quello che ha detto.”

Davvero?” accennò un sorriso, gli occhi erano attenti, così come quelli della donna.

Ma importa poco, immagino. Di fronte alla storia e al suo corso il popolo è una massa, il singolo cessa di esistere. Il singolo conta solo quando prende decisioni per tutti gli altri.”

Si preparò a prendere congedo.

Fu allora che Sakura, all’improvviso, ancora accanto a Madara disse: “Tu sei il giornalista a cui oltre un anno fa Johnson ha sparato.”

Ci fu una nota divertita nella sua realizzazione, appena percettibile nel suono serio eppure armonioso delle sue parole. Madara fece un fischio e applaudì un paio di volte:

“Fai parte di quei non lobotomizzati, immagino” notò, dandogli a sua volta del tu.

“O forse anche io avevo bisogno di far perdere qualcosa a qualcuno” risposte l’altro, scrollando le spalle come se non contasse.

Madara inspirò più a fondo, quasi riflessivo, ma non rispose. Salutò Sasuke: non gli tese la mano, né ovviamente questi lo fece, anche se notò subito che Madara non aveva alcuna macchia sui palmi.

Fu Sakura ad accompagnarlo alla porta dopo aver dato un cenno di congedo agli uomini vicini al salotto, con il suo vestito semplice e che le stava così perfetto, quasi cucito addosso.

“La ringrazio, è stata un’intervista interessante. Non siamo abituati devo dire.”

“Partecipa sempre alle interviste di suo marito? L’ho vista accanto a lui in ogni dichiarazione” domandò incuriosito Sasuke.

La donna accennò un sorriso e annuì: “Per quelle poche mai fatte… sì. Il FLA è una creatura di entrambi.”

“Perché allora solo Madara Uchiha parla di sé come Presidente? Non dovrebbe essere lei più partecipe, anziché una spalla decorativa?”

Si morse un labbro, deviando lo sguardo rabbuiandosi. Sorprendentemente, il sorriso della donna si addolcì e ribatté, con altrettanta calma nonostante gli occhi fossero vividi e trasmettessero la carica del fuoco: “L’abbiamo deciso tanti anni fa, quando io non avevo che vent’anni e lui era soltanto un operaio qualsiasi. Sapevamo che sarebbe stato un percorso difficile, per questo Madara mi ha voluto proteggere, prendendosi le responsabilità di fronte al mondo delle scelte disumane. Ma non lo voglio lasciare solo di fronte a quel mondo, capisce?”

Si guardarono un istante, solo loro, con la porta ancora chiusa in quell’atrio tanto più piccolo rispetto alla stanza immensa in cui erano stati a fissarsi.

“Certo che lo capisco. Forse non lo accetto del tutto, ma lo capisco.”

“Madara è un uomo complesso e tormentato. Lo siamo tutti in fondo. Ma è un combattente, lo amo per questo. Soprattutto… non odia chi ha un soulmate, lotta anche per loro.”

Sasuke sollevò un sopracciglio: “Questa mi è nuova.”

La vide arricciare appena il naso in una smorfia quasi giocosa di disappunto, corredata da un indice sollevato in una posa ammonitrice: “Non sia sempre così tagliente. Il fatto è che prima di essere soulmate si è anche persone, individui, bisognerebbe essere riconosciuti come tali e non solo in funzione del proprio compagno – sembrò voler aggiungere altro, ma sospirò e si portò le mani dietro la schiena – arrivederci, Sasuke Uchiha.”

Fu più asciutta nel dire quelle ultime parole, quasi volendo rientrare in carreggiata e prendere le distanze.

L’uomo allora la salutò a sua volta e di riflesso allungò la mano per aprire la porta. Sakura lo anticipò, ma di poco, così finirono per bloccarsi entrambi a mezz’aria.

Risero, scaricando le tensioni, e per un attimo la stanzetta vibrò di quelle risate. Senza rifletterci la donna tese allora quella stessa mano verso di lui:

“A prescindere da come andrà il futuro, è stato un piacere conoscerla.”

Sasuke la strinse a sua volta d’istinto, replicando: “Anche per me.”

I rispettivi palmi si toccarono e le dita si strinsero... sigillando con la pelle un’attesa di oltre trent’anni.

Con un gesto così stupido e semplice, Sasuke e Sakura scoprirono le loro carte e che quelle carte erano identiche, un mazzo condiviso e poi riunito, realizzando di aver trovato ciò che per tutto quel tempo avevano tentato disperatamente di ignorare, di lasciare indietro, di non conoscere perché già appartenevano a qualcuno che non erano loro due.

Loro due. L’uno il soulmate dell’altra.

Una scarica elettrica che partì proprio dai rispettivi palmi e percorse il braccio in una risalita pazza, meravigliosa, affamata, per arrivare fino in testa, una folgorazione all’encefalo che fece battere loro i denti e rabbrividire, prima gelo e poi caldo, i peli che si rizzarono e i capelli che sembrarono sollevarsi, mentre l’epitelio sensibile captava ogni singolo atomo dell’altra persona, richiamandosi.

Entrambi si allontanarono di scatto, ustionati, folgorati, colpiti, trasportati e terrorizzati. Sasuke sbatté il gomito contro la porta e Sakura si appiattì contro il muro, ansimando entrambi. Non riuscirono a smettere di guardarsi, gli occhi umidi non si chiusero una sola volta.

“No” mormorò Sasuke, scuotendo appena la testa. Poi si guardò lentamente la mano, costringendosi a distogliere lo sguardo da Sakura.

Vide il palmo, il proprio palmo la cui macchia d’inchiostro cominciava lentamente a dissolversi, come se un solvente invisibile la stesse portando via. La toccò, per chiederle di restare, per non farla andare via e lasciarlo nudo, esposto e vulnerabile.

Ringhiò, serrò i denti, mormorando con le lacrime di rabbia agli occhi: “Idiota. Stronzo. Come hai potuto abbassare la guardia, come hai potuto permetterlo?”

Strinse allora i pugni, sigillando le labbra, chiudendo gli occhi per cercare di contenere il proprio mondo che si stava disgregando. E di seppellire quell’assurda sensazione… di completezza, sì, di completezza e quindi di pace che si stava facendo strada in lui, strisciando attraverso le distese dell’orrore e della paura, attanagliando ogni fibra di cuore colma d’amore per Naruto.

“Mi dispiace” mormorò Sakura, a sua volta con gli occhi lucidi, stringendo con quella stessa mano coperta ancora dal guanto il vestito al proprio petto. Afferrò ansimando la maniglia della porta e la spalancò, deglutì infine chiese: “Non roviniamo tutto.”

Sasuke la fissò, incapace di muoversi. Fu come se la sua testa caotica non riuscisse più a comandare il corpo. Voleva fuggire, ma al tempo stesso faticava ad accettare di perdere ciò che aveva appena ritrovato, strappando con dolore qualcosa di sigillato in quella stretta, come se in quell’ingresso fossero stati versati pelle e sangue.

Ripensò a Naruto, alla sua casa, alla sua vera casa, e mosse un piede verso la soglia. Poi un altro. E un altro ancora. Anche se gli occhi verdi di Sakura alle sue spalle lo fissavano, perforandogli la schiena per arrivare dritti al cuore, quasi già lo avessero il pugno, e lui tenesse a sua volta quello della donna, stretto nel proprio palmo ancora serrato.

Arrivato sul marciapiede si costrinse a non voltarsi per vedere Sakura – non la conosceva, non sapeva nulla di lei, eppure non sapevi nemmeno nulla di Naruto ma ci sei andato addirittura a letto, cosa cambia? – e provò quasi sollievo ma anche paradossale struggimento quando udì la porta di casa chiudersi.

Affondò le mani nelle tasche e corse alla macchina, con il fiatone, quasi la lontananza gli stesse rubando ossigeno. Cercò nella borsa a tracolla le chiavi ma faticò a trovarle, così la svuotò sul marciapiede, sul quale rotolarono le sue penne, i suoi appunti, il registratore, la sua piccola stupida vita riversa su di una strada. Afferrò le chiavi, rimise alla buona le cose dentro la borsa e con le mani che tremavano cercò di infilarle nel quadrante d’accensione, una volta che si sedette al volante. L’auto aziendale partì, allora Uchiha si allacciò le cinture faticando anche in quel caso e si diresse verso il motel.

Avrebbe potuto guidare di notte e rientrare a casa ma scoprì di non avere le forze, poi la sola idea che domattina gli sarebbe spettato anche il giro per Enkidu con quelli del comitato di Madara gli faceva venire il voltastomaco.

Come poteva andare a casa in quelle condizioni? Naruto avrebbe capito, avrebbe capito tutto. Si guardò il palmo, fermo al semaforo, e si chiese cosa sarebbe successo tra di loro. Ripensò a suo padre, quello stronzo figlio di puttana di suo padre, e all’improvviso provò pietà per lui, pietà e quasi compassione.

Che colpa ne avevi? Come potevi resistere, come potevi stare lontano dal tuo soulmate dopo aver provato così tanto, in così poco tempo e così tanto facilmente? Dobbiamo lottare talmente tanto nella vita che sembra incredibile poter sentire tanta felicità senza il minimo sforzo eccetto lasciare che la natura faccia il suo corso.

“No!” gridò rauco Sasuke, tirando un pugno al volante. Il clacson suonò in risposta, riecheggiando per le vie di Enkidu, perdendosi oltre gli alberi e le case a schiera della zona residenziale.

“Io ero felice. Ero perfettamente felice” lo disse e immaginò che anche Sakura potesse sentirlo e rispondergli:

“Anch’io ero perfettamente felice prima di stringerti la mano.”


*


Seduto sul letto del motel, Sasuke guardò il cellulare. Il laptop era ancora aperto sulla scrivania, con le ultime mail e l’articolo dell’intervista già mandata al suo ufficio per una prima revisione; poco distante, il posacenere in plastica restituiva fili leggeri di fumo mentre il nome sbiadito del motel sul fondo era parzialmente coperto da diversi mozziconi di sigaretta. Lesse il messaggio di Naruto, al quale non era ancora riuscito a rispondere.

Come stai amore? Ahahah visto, la distanza ci rende un po’ più teneri. Hai insultato anche Madara o è andata super bene come credo? Tra poco vado alla steakhouse, mangio carnazza anche per te, forse perché immagino solo di averti accanto. Mi manchi.

Si passò una mano sul volto, poi tra i capelli.

Anche lui gli mancava, cazzo se gli mancava. Avrebbe voluto abbracciarlo, sciogliersi da quell’alterigia da stronzo di cui ogni tanto si rivestiva, e chiedergli, implorarlo, che potesse dirgli che andava tutto bene, che il mondo non sarebbe finito per una stupida macchia cancellata.

Ma cosa poteva scrivergli che non fossero bugie? Come poteva scrivergli che gli mancava e che lo amava, quando a pochi chilometri da lì, struggendosi, c’era la sua soulmate? Doveva dirglielo, doveva confessargli quello che era successo, ma per telefono era da schifosi. E… poi? Egoisticamente aveva paura, paura che tutto sarebbe finito, non era ancora pronto, anche se una parte di sé gli chiedeva di farlo, di lasciarlo andare e accettare che le cose sarebbero comunque andate bene, che la sua felicità era semplice, a portata di mano. Anche il loro amore in fondo era semplice, senza troppe pretese, fatto di una quotidianità normale vissuta tra le mura di casa, con le spese di ogni giorno da affrontare, le bollette, il mutuo, Cerbero da portare a passeggio e le cene assieme sul divano mentre guardavano un film. Un amore come tanti, che avrebbe potuto provare chiunque ma non per questo meno valido: sapeva cosa comportava, poteva riprovarci.

Il palmo bruciava, come se tutto ciò che era cercasse di ferirlo. Lo massaggiò, con l’inchiostro che stava svanendo sempre di più, rivelando lentamente la nuda pelle con tracce arrossate, quasi essa non fosse abituata a essere esposta al mondo.

All’improvviso il telefono suonò. Per un attimo Sasuke temette – e desiderò – che fosse Naruto, poi vide si trattava di un numero che non conosceva, un altro cellulare.

Rispose.

“Pronto?”

Fu sorpreso di come la sua voce suonasse seria, responsabile, nonostante il maremoto che lo stava facendo affogare.

Trattenne il fiato quando udì una voce di donna, di Sakura: “Sono io, Sasuke.”

“Come hai avuto il mio numero?” domandò sul chi vive, alzandosi in piedi. Ma si ritrovò a sorridere. Di nuovo quel senso di sollievo. Del ritrovare dopo aver perduto.

La sentì ridere, una risata un po’ spenta: “Il tuo biglietto da visita quando ti sei presentato.”

“Capisco.”

La sua voce si spense. Anche Sakura non parlò e per qualche secondo udirono solo i rispettivi respiri attraverso la linea.

“Io…” accennò la donna. Sasuke disse la stessa identica parola. Tacquero entrambi.

Fu lei a proseguire dopo un attimo, con fatica, come se ogni parola gli costasse sangue e dolore: “Ho riflettuto e… non vorrei ma…”

“Mi manchi.”

Lo dissero ancora una volta assieme. Una volta di più, con più sentimento.

“Dove sei?” gli chiese. Sasuke sentì un singhiozzo sommesso dall’altra parte del telefono che gli strinse il cuore.

“Madara cosa ti ha detto?” domandò di fretta, preoccupato, disperato, quasi Sakura e la sua esperienza potessero essere una guida. E una speranza.

Non gli ho detto nulla – tacque, la voce le tremò – Sasuke ancora non ce la faccio a dirglielo. Ma lui lo sa, lo capirà per forza, ci conosciamo e…”

“Sono al motel sulla principale, vicino all’ingresso alla statale” rispose l’altro. La sua voce suonò di nuovo calma, controllata, non seppe perché, sapeva solo che doveva vedere Sakura. Parlarle, capire se stava bene e poi… si morse il labbro, serrando i denti.

“Arrivo a breve.”

Finirono la telefonata e allora Sasuke si chiuse in bagno. Si fece una doccia, poi con ancora l’asciugamano avvolto attorno alla vita e i capelli umidi che gocciolavano, si guardò allo specchio. I contorni erano appannati dai residui del vapore, nella stanzetta faceva caldo, gli sembrava di respirare acqua e odore di bagnoschiuma dozzinale.

Si portò i capelli all’indietro e appoggiò le mani sul lavandino umido di condensa, stringendo il bianco lucido della ceramica.

Lo sguardo che vide era lo stesso che aveva visto anche Naruto quel giorno in cui lo aveva fatto salire sul suo taxi? Forse aveva qualche ruga d’espressione in più, qualche capello bianco, un chilo che non avrebbe mai smaltito. Una macchia in meno sulla pelle.

“Mi spiace. Mi spiace Naruto – tolse con il palmo le ultime tracce di appannamento, sentendo il freddo del vetro contro la pelle – mi spiace papà, per averti giudicato senza sapere.”

Si asciugò i capelli, poi si rivestì con fare quasi metodico, usando il cambio pulito che sapeva del suo detersivo e non del profumo di legno e fiori della casa di Madara e Sakura. Gli sembrò di indossare una parte di sé, di ciò che era.

Quando si avvicinò al letto, vide il registratore e accanto il blocchetto degli appunti. Lo sfogliò distrattamente, così che le parole d’inchiostro gli scivolarono prive di significato davanti agli occhi.

Mi manchi.

Le riconobbe in mezzo a mille altre. Si bloccò, fissando i caratteri scritti di getto sulla carta, mentre pensava a Naruto, a Cerbero, alla loro casa, alla loro vita.

Non tutti abbiamo bisogno di perdere per decidere di lottare.

Richiuse il blocchetto e lo rimise al suo posto, alzandosi in piedi. In quell’istante bussarono alla porta e con passi cadenzati, come se il suo corpo prima ancora della sua testa sapesse cosa fare, Sasuke andò ad aprire; Sakura sostava sulla soglia. Aveva un cappello in testa e si tolse degli occhiali da sole quando lo vide a sua volta. Gli sorrise, anche se aveva pianto, pertanto Sasuke non riuscì a non sorridere a sua volta, un moto quasi schivo, ma sollevato, perché in fondo le cose con lei davanti gli sembravano meno terribili.

Entra” la invitò, spostandosi dalla soglia.

Ma io non sono come Naruto. Io… forse ho bisogno proprio di perdere per decidermi a lottare. Ciononostante lo farò, fino in fondo.

Richiuse la porta.


*


La steakhouse era affollata ma non troppo caotica, complici i tavoli ampi e ben distanziati, anche se nell’aria si diffondeva l’odore di carne grigliata, di salse e delle patate lasciate a sfrigolare. Sembrava che tutti desiderassero celebrare una nuova vita dopo mesi, addirittura anni, di buio, lasciandosi per qualche ora alle spalle le atrocità del passato senza però dimenticarle mai del tutto.

“Ehi, Naruto? Sei con noi o stai guidando un taxi immaginario verso Enkidu?”

Il taxista si riscosse e ridacchiò appena, portandosi una mano dietro la testa: “Scusatemi, è che sono un po’ in pensiero per Sasuke, gli ho scritto un messaggio ore fa ma non mi ha ancora risposto.”

Loro nel frattempo avevano finito la cena e i piatti dei dolci ordinati erano sul tavolo, già spazzolati con golosità. In tutto questo, ancora nessuna traccia di Sasuke.

“Kiba, lascialo stare, anche io sarei in pensiero se Shikamaru entrasse in silenzio stampa, specie dopo aver intervistato non un signor nessuno, ma addirittura Madara Uchiha” intervenne Temari lanciando un’occhiata all’uomo che annuì, consapevole di quanto potente potesse essere la furia della sua compagna se ignorata ingiustamente.

Nel mentre che Temari si era girata a riprendere la figlia intenta a lanciare i residui di panna col cucchiaino, Nara aggiunse guardando l’amico di una vita:

“Certo che non è da Sasuke, sicuro non ti abbia magari inviato una mail o cercato con altri mezzi? Sai, magari la connessione per qualche motivo è debole.”

“Niente, nada, non pervenuto. Silenzio radio totale – strinse il tovagliolo, ammettendo – sono tentato di prendere la macchina e andare a Enkidu.”

Choji giocherellò con la guarnizione residua della fetta di torta e poi convenne: “Non potrei darti torto, lo farei anch’io.”

Shikamaru gli lanciò un’occhiata ma non se la sentì di entrare in aperto disaccordo, pur consapevole che Naruto non era certo nello stato d’animo di guidare: “Se lo fai, se vuoi davvero andare a vedere che succede, noi veniamo con te.”

“Puoi scommetterci, cazzo!” esclamò Kiba, sbattendo il bicchiere. Gli ultimi residui di schiuma si scossero brevemente per poi tornare a depositarsi sul fondo in infinite bollicine. Temari sussultò, ma si limitò a sospirare, dando una leggera carezza alla figlia che si era bloccata a sua volta guardando Kiba con occhi sgranati d’infante.

Quella sera Naruto ebbe il primo sorriso spontaneo da quando si erano dati appuntamento, anche se velato da un cenno di commozione. Se gli amici si vedevano nel momento del bisogno, lui poteva proprio dire dopo così tanti anni di avere direttamente degli angeli custodi.

“Non vorrei farvi fare un viaggio simile ma voglio essere onesto con me stesso e con voi: non ce la farei a tornare all’appartamento da solo e attendere senza far nulla. Ma è anche vero che non avrei la lucidità adatta per guidare così lontano, mi secca ammetterlo, purtroppo non sono un supereroe.”

“Sei già super abbastanza” ammise Shikamaru, con un mezzo sorriso. Fu Temari a suggerire di potersi occupare di Cerbero prima di tornare a casa con la bambina.

Naruto avrebbe tanto voluto provare un’autostima proporzionale almeno al complimento prezioso ricevuto dall’amico, ma si trovò parecchio in difficoltà. La sua mente già correva a una serie di scenari catastrofici, una buona parte dei quali includeva il timore di essere nient’altro che materiale di scarto affettivo.

Allo stesso tempo però sentì farsi strada dentro di sé una nuova energia, trasmessa forse da quella carica vigorosa di partecipazione data dagli amici, forse dal suo naturale ottimismo. Pur nella solitudine immensa di quella serata senza il suo compagno, Naruto realizzò di non sentirsi affatto solo e di essere bensì amato da tante persone, disposte a un viaggio notturno improvvisato pur di stargli accanto, con la speranza che a Sasuke non fosse successo nulla.

“Grazie ragazzi, siete i migliori.”

In quel ragazzi incluse ovviamente anche Temari che annuì, facendogli l’occhiolino.

Finirono le ultime cucchiaiate dei dolci e si organizzarono per pagare il conto, tra Naruto che insisteva per volerci pensare lui e gli altri che si opponevano. Nel mentre si udì una musichetta leggera che si perse appena tra le chiacchiere del locale, il viavai dei camerieri e la musica di sottofondo del locale, mischiata alle griglie sfrigolanti.

Fu Choji dopo un po’ a chiedere: “Ma chi è che ha la colonna sonora di Shoot & Pray come suoneria del cellulare?”

Tutti guardarono Kiba che, sorpreso e un po’ offeso, sollevò le mani obiettando: “Ehi, trash va bene, ma c’è un limite a tutto!”

Di riflesso gli sguardi si spostarono su Naruto che aggrottò le sopracciglia, perplesso, poi sgranò gli occhi: “Ma sono io! L’ho cambiata giusto l’altroieri per le chiamate di Sasuke e…”

Si bloccò. Fu il turno degli altri a sgranare gli occhi assieme a lui, mentre Temari esclamò:

“Sasuke! Ti sta chiamando?”

Agitato, con il cuore che prese stupidamente a battere più forte, la testa inondata di centinaia e centinaia di paure, di pensieri, di ipotesi differenti – starà bene? Gli è successo qualcosa? È bloccato da qualche parte? Perché adesso, dove… con chi eri? – e le mani quasi instupidite da tutto quel pensare. Frugò sotto il tovagliolo dove dispettosamente sembrava aver deciso di nascondersi il cellulare, poi cercò di sbloccare lo schermo sbagliando due volte la combinazione, sbuffò, ci riprovò infine con successo e, senza nemmeno darsi tempo di fare altro, rispose quasi urlando:

“Pronto, Sasuke!”

Sentì un rumore di traffico e di clacson, al punto che fece fatica a capirlo. Riuscì a distinguere delle parole confuse tipo scusami e Naruto.

“Aspetta che esco un attimo, non ti sento.”

Gli altri lo guardarono uscire preoccupati. Kiba fece per alzarsi ma Shikamaru fece un cenno così che l’amico si bloccò.

Uzumaki nel frattempo sbatté le porte e si fiondò fuori, quasi incollandosi il volto al telefono per cercare di sentire, al punto che le parole di Sasuke fecero uno strano eco:

“Alza gli occhi.”

Senza riflettere, Naruto obbedì però in rapida successione aprì la bocca, con le parole che avrebbe dovuto dire incastrate sopra la lingua, lì, come su un trampolino, terrorizzate dal vuoto prima di saltare.

Vide davanti a sé Sasuke.

Sembrava diverso, gli occhi avevano un taglio più deciso ancora, i capelli ricordavano onice, lucidi, splendidi, sotto la luce dei lampioni e quella ai neon dell’insegna del ristorante.

“Cosa ci fai qui?” gli uscì di getto, tutto d’un fiato. Fu tutto quello che gli venne in mente, anche se di domande, così come d’idee ne aveva persin troppe. Ma quell’interrogativo era l’unico che forse gli piacesse.

“Devo spiegarti un sacco di cose. Quello che è successo oggi, io…”

“Stai bene?” fu la seconda cosa che Naruto gli chiese. Anche se provava una certa rabbia, dal momento in cui la paura che gli fosse successo qualcosa era parzialmente annichilita, consapevole che ora che ce lo aveva davanti potevano risolvere qualunque problema Sasuke avesse avuto.

Colse un moto di disgusto sul volto di Uchiha, non sapeva rivolto a chi di preciso, ma pareva quasi a se stesso, infine l’altro rispose: “Non lo so se sto bene. Ma so che dovevo vederti e parlarti.”

Il tono di voce era controllato, il viso calmo, serio e professionale come sempre. Puzzava di fumo, Naruto lo immaginò divorare sigarette mentre guidava, con il finestrino abbassato che schiaffeggiava il volto col freddo di quella tarda serata primaverile. Il taxista infatti conosceva bene il suo uomo, le sfumature e le ombre sul volto, e poteva recepire quasi a pelle che Uchiha era agitato, pieno di cose da dire ma al tempo stesso accorto, un ballerino pronto a saltare su di un lago ghiacciato. Troppo, decisamente troppo accorto per una serata come quella, in cui era piombato lì davanti quando il compagno non lo aspettava che per il giorno dopo.

“Neanche un messaggio – sbottò infatti Naruto, scuotendo la testa – che ti costava? Ero preoccupato. Io… stavo per venire a Enkidu, ti rendi conto? Ah, cazzo!”

Si passò una mano tra i capelli, per poi trarre un sospiro e ritrovare la calma. Quella volta lesse chiaramente una profonda mortificazione sul viso di Sasuke e non gli piacque per niente. Sasuke era fiero, tagliente, orgoglioso, timido e capace di improvvise parole d’affetto dopo ore di silenzio, ma... mortificato? Mai. Dispiaciuto a volte, faticava a scusarsi esattamente come Naruto, però in nessuna occasione si era mostrato a lui con l’aria così carica di senso di colpa, anche se si trattò di un moto subitaneo.

“Mi dispiace Naruto. Dovevo vederti, non ce la facevo a scriverti.”

Con agitazione crescente l’altro gli si avvicinò ad ampie falcate, afferrandolo per le spalle: “Sasuke, mi vuoi dire che è successo?”

Una voce nella sua testa gli suggeriva che ormai era ovvio. Che chiedere a quel punto era da perdenti vigliacchi. Ma Naruto non lo lasciò, né mollò la presa, attendendo.

“Andiamo a casa, vuoi? Mi mancavi. È stata una giornata difficile, tutto qui.”

Sasuke gli portò a sua volta le mani sulle braccia. Solo allora Naruto notò che non indossava i guanti e una mano, quella con il marchio, era fasciata.

“Che… ti sei fatto male?”

Fece per toccargliela, ma Sasuke la ritrasse: “Mi sono ferito in maniera stupida, tutto qui – lanciò un’occhiata alle spalle del suo ragazzo e aggiunse, vedendo i suoi amici uscire all’ingresso della steakhouse – non vorrei averti fatto perdere la serata con gli altri, anche se gli altri a quanto pare ti hanno raggiunto comunque.”

Mosse il capo in un cenno rivolto alle spalle di Naruto che, confuso, con troppe domande e dubbi, si voltò quasi distrattamente per poi notare oltre la soglia del ristorante Kiba e tutti gli altri, con questi che fumava poco distante e gli sguardi di tutti discreti ma preoccupati.

La figlia di Shikamaru e Temari aveva sorriso nel vedere Sasuke che le sorrise a sua volta, togliendo la presa dalle braccia di Naruto per rimettersi le mani nei tasconi del giubbotto.

“Sei uscito senza giacca, avrai freddo” gli fece notare infine.

“Il freddo è l’ultima cosa a cui riesco a pensare in questo momento. Comunque… va bene, ok, andiamo a casa, ma parliamo poi, eh? Non so esattamente di cosa, sono un ammasso di paura, di felicità per rivederti e ansia stupida in questo momento, ma non posso far finta che non sia così.”

“Lo so, lo so, sono anche io un concentrato di tante cose in questo momento.”

Sasuke si lasciò sfuggire un sorriso involontario nel vedere Naruto sorridere agli altri e rassicurarli, gli stessi altri che senza più il timore di aver interrotto un momento particolare si avvicinarono chiedendo a entrambi se stavano bene.

E a quella vista, di fronte a quel calore e alla consapevolezza che avrebbe potuto perderli tutti per sempre, Sasuke si sentì rivoltare le viscere. Strinse la mano senza più marchio e bruciava, cazzo se bruciava. Ma gli aveva mostrato la realtà delle cose: stava a Sasuke renderle tali, con tutti i sacrifici del caso; soprattutto, si sentiva disgustato all’idea di mentire ancora. Avrebbe voluto essere più spietato, con se stesso, coi sentimenti di entrambi e ignorare persino quel senso etico di correttezza tanto insito nella sua persona, solo per continuare a fingere per ancora un altro po’, cullandosi nell’illusione temporanea che tra loro due non fosse cambiato nulla, quando invece erano acrobati inesperti appesi a un filo sottilissimo, un’esile tela di ragno carica di rugiada.

“Naruto” lo chiamò, guardandolo negli occhi. Sentì un nodo alla gola stringerglisi come se la sua stessa pelle, divenuta troppo stretta, volesse strozzarlo.

“Dimmi” lo esortò l’altro. Teneva ancora il cellulare in mano e sembrava sull’attenti, vigile, ma un pochino più sereno. Fu per questo che Sasuke non riuscì a esitare ancora e gli disse d’un fiato:

“Ho trovato il soulmate.”

Il cellulare cadde dalle mani di Naruto e si schiantò a terra, con il vetro che si frantumò in centinaia di frammenti scintillanti, capaci di riflettere come miriadi di cristalli il neon delle insegne e il buio del cielo senza stelle sopra tutti loro.

Ma...

Stava per aggiungere Sasuke, senza riuscire a proseguire. O forse fu Naruto che non riuscì più ad ascoltarlo, con le orecchie che gli fischiavano e il cuore che scalpitava impaziente nel petto, anche se era impossibile che battesse ancora con così tanta vita e forza: Naruto avrebbe giurato di averlo sentito volare a terra e spaccarsi in infinite schegge, esattamente come il cellulare e le lacrime che avrebbe voluto versare.

Sproloqui di una zucca

Questo è stato un capitolo per me difficilissimo da scrivere! In parte perché la faccenda del separarsi dal compagno/a con cui si ha convissuto per tanto è un'esperienza che mi ha segnata tanto, in parte perché come sempre mi ritrovo a scrivere di tematiche toste ma in realtà così quotidiane: l'incertezza di una relazione o dell'esistenza in sé, l'importanza degli amici, la voglia di lottare, anche se in modi e con mezzi diversi. Che dire, spero tanto vi sia piaciuto, che vi abbia lasciato qualcosa, in attesa del quarto e ultimo capitolo. Spero anche che Sasuke non risulti particolarmente inviso :3


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Capitolo 4
*** 4 ***


4


4 ore prima


“Entra” invitò rivolgendosi a Sakura che lo guardò un istante, quasi alla ricerca di qualcosa sul suo volto di cui sarebbe stata lettrice esclusiva.

“Mi spiace per tutto questo – rispose mordendosi poi un labbro, senza accennare a muoversi, con la porta chiusa alle sue spalle che sembrava braccarla – non sarei dovuta venire qui.”

Si tolse gli occhiali da sole stringendoli in una mano, tutto il suo corpo pareva provare l’impulso di uccidere qualcosa. Sasuke notò che non era vestita degli abiti eleganti con cui l’aveva conosciuta, indossava anzi dei semplici jeans e una felpa con la zip parzialmente tirata giù, i capelli erano raccolti in una coda bassa.

“Ma ormai siamo qui tutti e due” sospirò, prendendole il cappello per poi tendere una mano verso il letto e invitarla “siediti un attimo.”

Le appoggiò vicino il copricapo, poi si sedette. La donna ondeggiò qualche istante sui piedi tentennando, infine imitò Uchiha, mettendosi accanto a lui.

Madara dice di non aver mai conosciuto il proprio soulmate” esordì la donna all’improvviso dopo qualche secondo di silenzio. Nel parlare aveva intrecciato le dita sottili, le cui unghie corte erano decorate da uno smalto rosato e leggero, quasi incarnasse lei stessa quel colore, la morbidezza pastello di un mondo altrimenti orribile e troppo carico di chiaroscuri.

“Non è la verità?” domandò Sasuke, voltandosi per guardarla. Si sentì curioso, disgustato e al tempo stesso in pace, un sentimento paradossale che gli annodava le viscere.

Gli occhi di Sakura per un solo attimo si abbassarono, guardando la moquette della stanza, poi tornarono a fissare Sasuke con determinazione: “In parte. Aveva trovato il suo soulmate quindici anni fa, ma l’ha perso dopo otto anni di vita assieme. Otto. Hashirama non è sopravvissuto alla malattia che l’ha afflitto. Madara ci ha provato a combatterla con lui, al punto che dopo la sua morte, sul petto, gli si è generato un nuovo marchio, con una parola assurda: perdonami; sai, come un ricordo indelebile che lo tormenta ancora oggi. Tuttora non ha mai capito perché gli è stata data di nuovo la possibilità di incontrare un soulmate, ma non gli interessa farlo.

Nel combattere questo male, infatti, ha visto una volta di più tutti i privilegi di cui loro hanno goduto rispetto ad altre persone non soulmate, le priorità, ma non è solo quello: la disorganizzazione sanitaria, i tagli fatti per privilegiare nel lavoro gli elementi cosiddetti stabili o parenti di qualcuno nella famiglia reale. Tutto questo purtroppo non è servito a nulla, ma riflettendoci le persone senza soulmate che avrebbero potuto essere salvate sono state lasciate indietro, ultime nelle liste, nelle terapie, nei posti letto. Ultime in tutto, se prive di un buon reddito o degli agganci giusti. Io ho conosciuto Madara allora, ero un’infermiera che non è mai riuscita a diventare medico, c’era sempre qualcuno in lista davanti a me, anche se ho studiato e lavorato così tanto. Sono stata ingenua a ben pensarci. Dove volevo andare?”

Accennò un sorriso ma gli occhi divennero lucidi.

Sasuke trattenne il respiro, con la paura di vederla piangere e non riuscire a sopportarlo. Cosa poteva fare per le lacrime? E per le bugie, tutte quelle che si raccontavano lui, Madara, Sakura, il mondo in chiaroscuri che non avrebbero mai colorato, non così, non piangendo in una camera d’albergo.

“Non riuscirei mai a mentire sul mio soulmate, specie se riguarda la sua morte. E anche la scritta, forse significa che non sempre chi perde il proprio soulmate è condannato a rimanere solo” ammise guardando avanti, come per non imbarazzarla in un momento di grande vulnerabilità.

La scritta. Ah, specie adesso mi allontana ancora di più da lui, per quanto userei io stessa quella parola, forse con intensità ancora maggiore di quanto avrebbe fatto Hashirama – sospirò, riprendendo poi con enfasi maggiore – non essere duro nel giudicare Madara. Sai, il male che senti quando perdi la tua anima gemella è... privato. Perché lasciare che estranei lo conoscano per il soulmate che ha perso? Madara ricorderà sempre il legame con Hashirama, è lui a doverlo tenere in vita, lui e la sua famiglia, nessun altro.”

Il suo sguardo era appena aggrottato, Sasuke pensò fosse involontario. La immaginò corrugare le sopracciglia tutte le volte che portava avanti le proprie idee. Forse era stato così che Madara si era innamorato di lei: li immaginò conversare attorno a un tavolo, con qualche bicchiere di vino e una cena raffreddata perché si erano persi a parlare, poi forse a far l’amore, con le guance arrossate dal bere e dall’animosità di ciò in cui credevano.

“Non sei gelosa? Un soulmate è qualcuno con cui non puoi competere. E capisco per esperienza personale anche la questione della scritta: sembra ricordarti ogni giorno che lui non sarà mai tuo per davvero.”

A quella dichiarazione lo sguardo di Sakura si ammorbidì e gli occhi tornarono più lucidi. Sasuke sentì il cuore stringersi e battere allo stesso tempo troppo forte, come se fosse legato e lottasse per scappare.

La vide umettarsi le labbra, poi guardare il soffitto e schioccare la lingua, forse cercava di temporeggiare per trovare il modo di possedere una voce ferma. Fece una specie di sorriso quando rispose:

“Certo che lo sono. Ma… io non voglio competere, capisci? Hashirama è morto, mentre io sono viva, Madara anche, aspettiamo un figlio, una nuova vita ancora, e tante volte, così tante volte il mio compagno mi ha estirpato dal petto le mie paure peggiori. Che a un certo punto fosse troppo distante da questo mondo per amarmi, o io per amare lui – sollevò le spalle, inspirando per poi ammettere – eppure siamo ancora qui e lottiamo per quello in cui crediamo. Certo, di tanto in tanto vorrei poter parlare con Hashirama, sentirlo, vederlo e chiedergli come facesse, come accidenti facesse a far sorridere tanto Madara, a farlo sentire così… vivo, quando era con lui. Hashirama qual è il tuo segreto?

Imitò una voce un po’ baritonale, che tremò appena, infatti si morse il labbro e in un gesto quasi di conforto smise di stringere gli occhiali per metterseli sulla testa, raccogliendo qualche ciocca scivolata sulla fronte.

Sasuke appoggiò i gomiti sulle cosce, intrecciando le dita delle mani mentre si chinava avanti con la schiena; a quel cambio di posizione i capelli umidi ondeggiarono appena. Accennò un mezzo sorriso ma non riuscì a parlare, ironico per lui, così abituato a far domande e lanciare ipotesi. La verità era che temeva di far risultare banale qualsiasi parola avesse pronunciato.

Per questo infatti fu solo dopo qualche istante che aprì bocca e si ritrovò a confessare qualcosa di molto personale, guardandosi i piedi nudi. In quell’occasione li trovò tanto magri da fargli impressione, si chiese cosa ne pensasse Naruto, se potesse amare anche un lato tanto malfatto di sé.

“Mio padre ha lasciato mia madre dopo aver conosciuto la sua soulmate. L’abbiamo escluso dalla nostra vita, non lo vedo da allora. Ciononostante l’idiota ogni anno mi scrive ancora per Natale e per il compleanno.”

Schioccò la lingua, scuotendo una volta la testa. Disse parole amare, ma la gola gli si strinse all’idea di quanto fosse ipocrita e di quanto Fugaku avesse perso di loro, di tutti loro.

“Un idiota che non se ne frega del tutto di voi, allora” notò Sakura, abbassandosi per intercettare lo sguardo di Sasuke. Questi spostò gli occhi verso di lei, sovrastato dalla sua ombra china, e non riuscì a nascondere un mezzo sorriso, anche se un po’ triste.

“All’inizio ha lottato per vederci e stare con noi. Però con il tempo si è arreso. Forse perché noi l’abbiamo lasciato andare; eravamo così arrabbiati, ci siamo sentiti traditi, capisci? Abbandonati. Eravamo dei bambini. Ma a ben pensarci col senno di poi ha avuto un coraggio immenso a portare avanti la sua scelta. O forse era solo un folle. Lasciare tutto ciò che aveva, le sue certezze, la sua stabilità per stare con una sconosciuta ma in qualche modo predestinata. Non tutti lo farebbero anche se si tratta di un legame trascendente, ne avrebbero comunque paura.”

Si portò una mano sulle labbra e Sakura uscì dal suo raggio visivo, perché la donna si sollevò in piedi. Se la trovò chinata di fronte a lui. Gli prese le mani e lo costrinse a sollevare il volto per guardarla:

“Chi ti attende a casa, Sasuke?”

Ci fu una dolcezza struggente in quelle parole. Uchiha si sentì così amato e protetto, nel suo immaginario avvolto da un abbraccio morbido che gli mancava immensamente. Avrebbe voluto accartocciarsi, rimpicciolirsi e mettersi in grembo a Sakura, come faceva da bambino con sua mamma, quando ancora poteva addormentarsi in braccio a Mikoto mentre erano fuori a cena con tutta la famiglia e il mondo al di fuori, ai suoi occhi immenso rispetto al proprio minuscolo nucleo protetto, continuava a vivere, con le sue chiacchiere e i suoi rumori caotici che però per Sasuke erano ovattati, così insignificanti rispetto alla potenza del battito del cuore di sua madre: con gli occhi chiusi e l’orecchio appoggiato contro il petto della donna, il bambino infatti lo sentiva rimbombare nella cassa toracica, un tamburo ancestrale che scandiva lo scorrere del sangue. E lui incantato lo sentiva fluire, battere, scalpitare, mentre si addormentava protetto dal tocco materno che gli accarezzava i capelli.

“Naruto” disse il suo nome in un sussurro.

La donna gli girò i palmi e sgranò gli occhi. Ma non disse nulla, tornando a guardare l’uomo che sembrava non aver ancora realizzato.

Gli spostò i capelli scuri dalla fronte e commentò:

“Tuo padre si era innamorato della sua soulmate, tutto qui. Deve esserci amore. E tu sei innamorato, Sasuke, lo vedo dal tuo sguardo. Ma… non di me.”

“Sakura…” mormorò. Scoprì che non c’era altro da dire. Il suo nome racchiudeva così tanto.

“Così come io amo Madara. Mi spiace immensamente non averti conosciuto otto anni fa, Sasuke. Credo che a quell’epoca, senza nessuno, ci saremmo potuti amare, forse invecchiare insieme tra parecchi anni, con una certa dose di fortuna, la stessa che è stata negata a Madara e Hashirama.”

Sasuke chiuse gli occhi quando sentì la mano di Sakura toccargli i capelli, poi accarezzargli la guancia e indugiare lì, sulla sua pelle.

“Anche io lo credo. Che ci saremmo potuti amare – la guardò ed entrambi rimasero per qualche istante in silenzio, contemplandosi – sono contento di averti conosciuta, anche se…”

“Anche se come faremo ora? Con loro” precisò la donna, riportando la propria mano in grembo. Si era seduta a gambe incrociate. Sasuke allora scese dal letto, mettendosi a sua volta a gambe incrociate davanti a lei. Gli sembrò di avere uno specchio e di leggervisi dentro, di trovare di fronte a sé la sua parte migliore, la persona che non sarebbe mai stato. Si chiese se Sakura ammirasse qualcosa allo stesso modo, trovando ridicolo che in lui potesse esservi altrettanto.

“Capiranno? Che li amiamo nonostante tutto.”

Sakura sospirò: “All’inizio ho avuto paura. Paura di perdere Madara, ma anche di perdere te, di non rivederti mai più senza aver parlato faccia a faccia. Certo, ero agitatissima, perché una parte sperava di trovare non so cosa arrivando qui, qualche risposta a tutto, la soluzione perfetta a ogni mio dubbio, un’altra era nel panico più totale all’idea che entrambi magari saremmo stati troppo pronti a dire addio al nostro passato oppure, al contrario, a dirci addio anche troppo preso – rise, un po’ nervosa e un po’ realmente divertita – non so se capisci quello che intendo. Sì, dai, è chiaro, sono ancora agitata.”

“Lo sono anch’io – Sasuke annuì e Sakura annuì a sua volta e una lacrima iniziò a scivolarle rapida sul volto, come qualcosa di fugace, allora Sasuke annuì ancora, guardandola, ripetendo – lo sono anch’io. Ma ora sono sicuro, anzi sicurissimo: non voglio perderlo. Non voglio andarmene, non voglio fare come mio padre, io voglio lottare, fargli capire che… è lui. La mia scelta. Sempre la mia prima e unica scelta.”

Sakura pianse di più. E anche Sasuke, che sembrò qualcosa gli entrasse negli occhi e glieli sfregasse, iniziò a sua volta a piangere. Si guardarono, con le lacrime che scorrevano incontrollate sul volto, quasi come se non piangessero da una vita, un lusso che forse non avevano più potuto permettersi, perché la società rammentava loro che non erano più bambini, erano stati privati del privilegio di addormentarsi tra le braccia chi li faceva sentire al sicuro mentre al di fuori il mondo giudicava ogni loro debolezza.

Piansero e risero, Sakura portandosi una mano sulla bocca, Sasuke mordendosi appena il labbro, tirando ogni tanto su col naso. Lentamente, la risata si smorzò, entrambi dettero qualche colpo di tosse e anche il pianto divenne più sommesso.

“Hai visto il tuo palmo? Ormai l’inchiostro è andato via del tutto” fece presente Sakura, alzandosi in piedi dopo essersi asciugata gli occhi con il dorso della mano.

Sasuke scrollò le spalle, strizzando le palpebre come per togliersi le ultime lacrime incastrate tra le ciglia. Prese un fazzoletto di carta sporto da Sakura che poi si soffiò il naso, appallottolando il fazzoletto per metterselo in tasca e attendere, ancora in piedi.

“No, non ho visto.”

Sakura allora lo tirò su e Sasuke si mise in piedi di fronte a lei. La donna con un cenno del mento lo esortò. A quel punto con un sospiro senza fiducia, nonostante il leggero bruciore, girò i palmi e quando li vide rimase a fissarli con la bocca semiaperta.

“Non capisco. Tutto questo non ha senso.”

Sakura gli prese le mani dal dorso e lo guardò: “Cosa ha senso in questa vita?”

“E tu? Magari possiamo parlarne con Shisui, è il compagno di mio fratello, fa studi di genetica, quindi sicuramente...”

“Magari sì, magari no. Per me adesso non è la priorità. A prescindere da quello che vedrò sui miei palmi, voglio andare da Madara e parlargli.”

Sorrise, infine gli lasciò le mani e gesticolò, domandando con maggiore urgenza: “Ma, soprattutto, cosa ci fai ancora qui?”

“Dovrei andarmene? – ah-ah fece la donna in risposta, rivitalizzata da una nuova speranza e forza, così, contagiato dalla sua carica, sulla stessa onda Sasuke proseguì – Dovrei prendere la macchina con il buio incombente, non fare le interviste previste domani, percorrere oltre tre ore di strada e raggiungere Naruto all’improvviso ovunque si trovi?”

“Ovvio” rispose ancora Sakura, annuendo.

Sasuke tacque un istante. Poi sospirò: “È la cosa più sensata e spettacolare che abbia mai fatto in vita mia.”

La donna sorrise, intrecciando le mani dietro la schiena. Lo contemplò fare velocemente il suo modesto bagaglio, bendarsi la mano dove un tempo c’era il marchio con il kit di pronto soccorso della camera, controllare le ultime cose dopo essersi passato le dita tra i capelli e pensò che Naruto – ah, quel nome pronunciato così, come un sussurro sofferto, prima le aveva lacerato il cuore – era un uomo fortunato. Anche se forse quella sera avrebbe pensato di essere tutt’altro.

Uscirono dalla stanza del motel, Sasuke pagò il conto e al parcheggio di guardarono un istante. Senza goffaggini, come se si fossero letti dentro o avessero fatto scattare un minuscolo meccanismo che connetteva le rispettive anime, i due si abbracciarono, rimanendo così qualche istante, per poi separarsi e dirsi contemporaneamente:

“Digli la verità.”

“Lo farò” ripeterono ancora assieme.

Sakura rise e Sasuke annuì: “Ok, ok, in futuro dobbiamo esercitarci per questa cosa. Comunque non gli nasconderò nulla. È giusto che Naruto sappia e decida, consapevole di quello che ho scelto io.”

“E quella benda?”

“Sarà per dopo. Se vorrà avere ancora a che fare con me, magari assieme potremo capire cosa significa tutto questo” spiegò l’uomo, stringendo le mani a pugno, con determinazione.

“Non gli renderai le cose facili ma… come non potrebbe, non voler più avere a che fare con te?”

commentò Sakura per poi dargli un leggero buffetto sulla guancia e indietreggiare di qualche passo verso la propria macchina.

“Lo stesso vale per te. Madara sarebbe uno stronzo idiota a cambiare idea. Insomma, sarebbe più stronzo di quello che è già. Idiota non così tanto, devo concederglielo” ammise, fingendosi piuttosto serio.

Sakura rise, annuì, poi lo salutò e salì in macchina. Guardò partire Sasuke e andarsene, solo allora uscì a sua volta da parcheggio.

Si portò una mano sul ventre e pensò una volta di più che… sì, la vita era strana, imprevedibile e nulla, davvero, nulla, doveva essere dato per scontato.


*

Sasuke guardò il cellulare di Naruto spaccato per terra e si chinò di scatto per raccoglierlo, ma l’altro lo fermò: “Faccio io.”

La voce era strozzata. Quasi un singulto.

Incapace di smettere di guardarlo, ancora a metà tra il chinarsi e tornare completamente dritto, Sasuke non riuscì a vedere il pugno che gli arrivò dritto in faccia e che lo stese a terra.

“Maledetto figlio di puttana!”

“Kiba!” esclamò Temari, ma Shikamaru si mise davanti e afferrò Kiba per il braccio, bloccandolo prima che l’amico potesse concludere l’opera saltando direttamente addosso a Sasuke per scaricargli infiniti altri pugni sul volto. Gli vide la mano tremare e le braccia che si tendevano come corde di violino per liberarsi, mentre Kiba urlava:

“Che cazzo ti dice il cervello? Hai trovato un soulmate? E glielo vieni a dire così, dopo oltre un anno che vivete assieme ogni singolo fottutissimo giorno, su una strada del cazzo dopo non esserti fatto sentire tutto il giorno! Tutto-il-giorno. Non una parola. Cristo, quanto mi fai schifo.”

Allontanò Shikamaru con un gesto del gomito e indietreggiò, portandosi una mano tra i capelli, il gesto di chi non ci crede e fa qualcosa di inutile per tenersi le mani occupate.

Naruto non riuscì a guardare Sasuke messo in quel modo, con il dorso della mano premuto contro le labbra spaccate per arrestare il sangue. Sentì che una parte di sé avrebbe voluto tirare di persona quel pugno, ma era la sua parte peggiore, quella vendicativa e profondamente arrabbiata, il resto era solo rammarico e amore. Quello c’era ancora, come poteva sparire dall’oggi al domani? Fosse stato così facile non avrebbe fatto tanto male.

Si chinò per togliere la mano con cui Sasuke si copriva il volto e, con un fazzoletto di carta, tamponargli il sangue. Uchiha lo guardava, chiedendogli scusa senza parlare, ma anche a quel modo, sconfitto a terra, possedeva un animo forte, al punto che Naruto si ritrovò stupidamente a pensare che era andata più che bene fino ad allora, avevano avuto del tempo per godere l’uno dell’altro.

“Andiamo un attimo a – si umettò il labbro, per poi dire – casa.”

Gli porse la mano che Sasuke prese, alzandosi.

“Un attimo?” domandò il giornalista.

Naruto gli lanciò un’occhiata ma non rispose. Kiba sbottò: “Dovresti lasciarlo in mezzo a una strada.”

“Smettila” lo avvisò Naruto, all’improvviso tagliente, prima ancora che Choji potesse invitare Kiba a tacere. Inuzuka strinse i denti, sembrò in procinto di ribattere, ma vide lo sguardo del suo migliore amico e, sgonfiato forse dell’istinto primario di difesa, nel vederlo così deciso ancora, nonostante tutto, a prendere le difese del suo compagno, non poté far altro che lasciar perdere. Alzò le braccia in segno di resa e annunciò agli altri che sarebbe rientrato a casa.

“Avete bisogno di un passaggio?” domandò Shikamaru, con le mani in tasca e lo sguardo apparentemente imperturbabile, come se avesse deciso di ignorare arbitrariamente quello che era successo. Naruto sentì la domanda implicita del se posso fare qualcosa, dimmelo ma si limitò ad annuire e poggiargli una mano sulla spalla, rassicurandolo:

“No, grazie. Credo Sasuke abbia una macchina, forse quella aziendale. Poi vediamo, se c’è qualcosa vi tengo aggiornati.”

“Mamma perché zio Sasuke è finito a terra?” domandò all’improvviso la bambina, tirando l’orlo della giacca di Temari. Quest’ultima si abbassò, spostandole un ciuffo di capelli sbarazzini dietro le orecchie, e dopo aver lanciato un’occhiata ai due amici si limitò a rispondere:

“A volte succede di cadere, quando si fanno le cose un po’ troppo di fretta.”

“E zio Kiba l’ha aiutato?”

“Anche zio Kiba ha fatto le cose di fretta e non ha aiutato affatto. Ma sai a volte agiamo così, di fretta, perché ci sono tanti sentimenti dietro che ci fanno ragionare con questo – le indicò il cuore, appoggiandole il dito sul petto e proseguì – piuttosto che con questo.”

Spostò il dito sulla fronte e la bimba aprì la bocca, emettendo un “Ooooooh” di scoperta e meraviglia, anche se forse avrebbe davvero capito quello che la sua mamma le aveva detto solo molti anni più avanti.

Finirono per salutarsi, anche con Sasuke, sebbene fosse più uno scambio di gesti un po’ impacciati, mossi da una sorta d’imbarazzo involontario.

Quando furono rimasti soli, Naruto scrollò le spalle e sospirò:

“Allora, dove hai la macchina?”

Sasuke avrebbe voluto dire qualcosa, iniziare a spiegare, ma comprese che non era quello il momento: cercare di piantare nuovi semi in un terreno dove aveva appena fatto esplodere una bomba sarebbe stato da stupidi, oltre a non portare altro che uno sterile vuoto.

“Poco distante da qui. L’ho parcheggiata com’è capitato” usò un tono freddo, quasi robotico, come se i suoi meccanismi di difesa fossero scattati senza dargli nemmeno tempo di provare a tirare fuori la propria dolcezza, intima e privata, per come Naruto davvero lo conosceva.

Questi sembrò non esserci rimasto troppo male, quasi se lo aspettasse – aveva visto ormai tanti aspetti e sfumature del carattere introverso del compagno – e infatti si limitò a camminargli al fianco, senza parlare, anche se aveva le viscere annodate come se qualcuno gli avesse infilato in grembo una corda aggrovigliata anziché l’intestino.

Fecero il viaggio in silenzio e fu terribile, sembrò quasi di trovarsi in macchina con un perfetto estraneo, qualcuno di diverso rispetto a chi avevano conosciuto, anche se entrambi avevano così tanto da dire all’altro.

Quando giunsero all’appartamento, Cerbero nel sentire scattare le chiavi della serratura corse loro incontro facendo ticchettare le unghie scure delle zampe sul pavimento, quasi una melodia di benvenuto, accompagnata da abbai trattenuti, perché era chiaro che non fosse stato per il rischio di venir sgridato il cagnolino avrebbe volentieri svegliato l’intero palazzo per annunciare la sua gioia festaiola.

Con un groppo in gola, Sasuke accarezzò con affetto il proprio cane, tirando un sospiro nel constatare una volta di più quanto anche il suo amico quattrozampe gli fosse mancato e quanto questi, con l’ingenuità amorevole canina, non avesse realizzato il dramma che c’era tra lui e Naruto, anche se forse, nell’irrequietezza della coda o nel modo in cui li annusava, qualcosa intuiva.

“Deve ancora fare la passeggiata al parco, se hai voglia lo porterei adesso. Non so, se magari devi parlarmi.”

Sasuke si rialzò, mentre Cerbero fece un giro su se stesso e si sedette di fronte a Naruto, pronto a prendere il guinzaglio e partire all’avventura. Fissò un istante il cane poi ribadì a Uzumaki, ignorando il gonfiore al labbro che stava cominciando a crescere:

“Certo che devo parlarti, di un sacco di cose. E ti avevo chiesto io stesso di portare Cerbero assieme, quando sarei tornato, no?”

Adottò un tono quasi arrabbiato e sicuramente disperato. Anche se il volto era rimasto altero, meno esposto al mutamento dei sentimenti. Naruto per contro scrollò le spalle, ribattendo con blanda ironia:

“Sai com’è pensavo che dopo tutta la storia del… coso, lì, del soulmate – faticò a pronunciare quella parola – quanto avevi detto prima ormai contasse poco o nulla.”

“Beh, ti sei sbagliato, evidentemente.”

“Già, mah, tendo a farlo solo io qui dentro a quanto pare.”

Sasuke lo guardò infilare con gesto stizzito il guinzaglio nel collare di Cerbero: “Perché devi fare così adesso?”

“Così come? Che ti importa di come faccio io? Tanto hai trovato chi farà tutto in maniera perfetta, proprio come desideri, finalmente puoi dire basta a quel deficiente sbadato e casinista del tuo ragazzo, devi festeggiare!”

Esclamò Naruto, sorridendogli. Un sorriso tirato, esattamente com’era tirato e sempre più arrabbiato, deluso, triste, forte il tono di voce.

Il cuore perse un battito, tutta la spavalderia data dalla rabbia e dal senso di trovarsi dalla parte del giusto fu annientata nel vedere il volto di Sasuke, il modo in cui contrasse le labbra già sottili fino a farle sparire e la sua risposta per contro fievole, di chi cercava di arginare qualcosa, un’esplosione forse, che invece Naruto per contro aveva cercato.

“Dammi il guinzaglio, lo tengo io per un po’ mentre scendiamo.”

Senza parlare, sgonfiato dell’acrimonia di prima, Naruto glielo tese ma non si sfiorarono le mani, anche se una parte di sé avrebbe voluto farlo, sentire Sasuke, chiedergli del labbro, togliergli il sangue rappreso e abbracciarlo perché, cazzo, gli era mancato così tanto e ora che ce l’aveva finalmente davanti sapeva di averlo perso per sempre.

Nuovamente in silenzio, eccetto per Cerbero che agitava la coda e guaiva di entusiasmo nell’ascensore, impaziente di scendere, i due uscirono in strada e si incamminarono verso il parco a pochi isolati di distanza. L’aria era fresca, di quel freddo quasi frizzantino che accarezza le guance senza morderle come il gelo dell’inverno, mentre sopra di loro il cielo era piuttosto pulito: date le poche luci attorno a loro, i due ragazzi riuscivano a vedere le stelle principali. Sembrava che immensi palazzi si fossero elevati fino al confine dell’atmosfera, avvolgendo la terra con le luminarie delle proprie finestre, divenuti punti gialli incastonati nella volta immensa del cielo.

Irrequieto, Sasuke si accese una sigaretta ma solo dopo vari tentativi in cui il pollice non sembrava abbastanza fermo per far funzionare l’accendino. Quando espirò, fu l’unico suono che si percepì attorno a loro, oltre al fruscio leggero dei passi che ricordavano una timida carezza sull’asfalto.

Quando furono nel parco, illuminato da qualche lampione basso, in ferro battuto come le panchine che lo popolavano, Cerbero iniziò ad annusare ogni superficie, a marchiare il territorio e a raspare il terreno con entusiasmo. I due lo guardarono qualche istante, fino a che all’improvviso Sasuke annunciò:

“Non era mia intenzione conoscerla. È capitato. Per tutti questi anni sono stato così attento – lo so Sasuke, lo so, tu non hai mai voluto conoscere il soulmate eppure… – forse è davvero una questione di destino. Ma io una volta di più so, so perfettamente di…”

“Chi è? Come si chiama?” lo interruppe all’improvviso Naruto. Non con voce d’accusa, sembrava bensì interessato, anche se triste. Pareva averlo accettato.

Interdetto, con la sigaretta che bruciava lenta tenuta tra le dita, Sasuke rispose: “Sakura.”

“Sakura – Naruto guardò Cerbero, mentre parlava, fingendo che quella conversazione fosse con Sasuke il suo amico, non il suo compagno – bel nome.”

“Bel nome? Cos… cosa importa? Chi se ne fotte, voglio dire!” esclamò all’improvviso Sasuke. Cerbero si fermò, osservandolo con le orecchie alzate. Uchiha si morse un labbro e, con l’espressione corrugata, guardò davanti a sé verso un punto indefinito. Schiacciò il mozzicone nel primo cestino a disposizione, spegnendolo prima di fare ancora qualche tiro, sembrò un gesto fatto per il bisogno di concludere qualcosa. Fu allora che Naruto fissò Sasuke, non capendo proprio perché l’altro dovesse prendersela a quel modo.

“Cosa dovrei dire quindi? Farti le congratulazioni? Sto cercando di… – deglutì, ritrovandosi ancora una volta ad alzare la voce e a dire cose che non voleva – di essere comprensivo qui! Di capirti, di incoraggiarti, cazzo! Vorrei solo mandarti a ‘fanculo e raggiungere questa stronza ovunque sia e… non so, merda, farle un incantesimo, farle dimenticare chi sei, dove sei, ridisegnarle quella stupida macchia sul palmo o dov’è e dirle che tu sei… sei già mio.”

La voce gli si affievolì. Sentì il labbro tremare, come tutte le volte che per rabbia o per dolore stava piangendo. E lui non voleva. No. Oh no, non davanti a Sasuke, già era patetico quello che aveva detto senza aggiungerci le lacrime. Lui era quello sorridente, quello ottimista, quello che combatteva anche per Sasuke se necessario. Che cosa gli aveva fatto il suo ragazzo in quegli anni, per farlo sentire così… perso all’idea di perderlo a sua volta?

All’improvviso Sasuke gli afferrò il braccio. Il cane sedette, paziente e comprensivo. Naruto gli guardò la mano che lo aveva afferrato, solo dopo spostò lo sguardo sul volto dell’altro e lo vide allarmato, ferito, agitato. Lo lasciò parlare, perché non seppe come reagire.

“Naruto, non mi hai dato il tempo di spiegare! Non…”

Ansimò, con gli occhi sgranati. E lucidi.

Naruto non riuscì a chiudere i suoi. Fece per aprire bocca, fu un gesto istintivo, quasi le parole potessero essere un cerotto per le loro ferite.

Ma Sasuke lo strinse, lo abbracciò, lasciando cadere a terra il guinzaglio per poi quasi gridare, il volto così serio e malinconico trasformato in qualcosa di più animale, di disperato e quasi ironico:

“Non mi interessa lei! Io sono qui per te, voglio stare con te. Amo te – gli appoggiò la testa sul petto, chinandosi, mentre stringeva la giacca dell’altro – te, te, te. Ma non potevo non dirti che l’ho conosciuta.”

Per un attimo Naruto lo guardò dall’alto, senza parlare. Poi si portò una mano sul volto, sentendo le proprie lacrime vincere la resistenza e finire per bagnarlo. Se le asciugò in maniera brusca e incrociò il proprio sguardo con Sasuke:

“Come puoi dirlo? Ignorare che esiste? Quando Sakura, chiunque e ovunque lei sia, sa a sua volta che ci sei – gli fece male la gola, come se ci fosse un chiodo conficcato sotto al palato, e si sentì morire quando domandò con voce fievole – quanto può durare a questo punto tra di noi?”

Per distrarsi, afferrò il guinzaglio di Cerbero che nel frattempo si era allontanato di qualche metro e fece ancora due passi. In tutto questo Sasuke non si era mosso.

Chiuse un istante gli occhi, inspirando, cercando di mantenere il controllo, di riflettere e di capire Naruto anche se era difficile, così difficile, perché fino ad allora pensava che potevano avere una possibilità. Ciò che aveva visto sul proprio palmo gli aveva dato una forza e un senso d’illusione forse eccessivo.

Gli si avvicinò: “Egoisticamente vorrei che mi dicessi che va bene provare, per tutto il tempo che durerà, perché io so che sarà lungo questo tempo anche se mai abbastanza. Ma – sollevò le spalle, abbassando qualche istante la testa – mi rendo conto che tu non ci credi affatto. Immagino, e lo dico a mio discapito, che agirei esattamente nella stessa maniera. Anzi, sarei stato terribile: non sarei mai riuscito a fare quello che hai fatto tu, fingere un interesse che ovviamente non provavi riguardo il mio destino con questa persona.”

“Beh, d’altronde sono sempre stato io quello più simpatico dei due, no?” ironizzò Naruto, con un mezzo sorriso un po’ smorto.

Non aggiunse altro, così restarono in silenzio percorrendo ancora i viali del parco, finché Sasuke gli propose, senza più riprendere le redini del cane:

“Ti va se ci prendiamo un caffè d’asporto prima di tornare a casa? Non ho mangiato nulla ma non ho nemmeno troppa fame, solo… vorrei mettere qualcosa di caldo nello stomaco – parve ripensarci – se vuoi tornare. A casa. Casa nostra.”

Affondò le mani nelle tasche del giaccone.

Naruto sorrise. Con tenerezza. Sbatté una volta le ciglia, lentamente, quasi con stanchezza, infine annuì: “Va bene – controllò il cellulare, guardando l’ora – non è ancora mezzanotte, troviamo aperto giusto in tempo. Anche se…”

Si umettò la lingua, ma non proseguì. Stupido. Poteva tacere e tenersi per sé il suo rammarico, smettere di farsi pungolare dal senso istintivo della vendetta emotiva.

“Anche se?” lo incalzò Sasuke, senza però arrestare la camminata al suo fianco.

“Forse dopo essere rientrati faccio un giro. Sai – non ce la faccio a stare a casa, ho addosso un magone tremendo e un senso d’angoscia – non riesco a dormire molto bene dopo essere stato di servizio un po’ di notti.”

Per un attimo Sasuke non respirò. Ma si limitò ad annuire e replicare, con tono molto più morbido: “Capisco.”

Tutto quello che Naruto elaborò a sua volta in risposta fu una sorta di sorriso stupido, con le labbra inferiori in parte morse tra i denti.

Sostarono di fronte a una caffetteria dove non c’erano altri clienti, ormai le sedie e i tavoli avevano cominciato a essere radunati in un angolo e le prime luci spente. Uno dei camerieri stava pulendo il pavimento e l’altro era alla cassa, con un block notes in mano e una penna incastrata sopra l’orecchio.

Sasuke si sporse dall’ingresso e annunciò:

“Scusate, potete farci due caffè da portar via, so che state chiudendo ma…”

Il ragazzo alla cassa sollevò lo sguardo. Per un attimo ebbe l’espressione di chi voleva controllare l’ora, ma invece sorrise e annuì, aveva qualcosa di gentile, come una mamma.

“No problem ragazzi, le macchine sono ancora accese.”

“Grazie” rispose Sasuke, con un cenno della testa, ed entrò. Naruto rimase sulla soglia, con Cerbero che prima fissava lui, poi il padrone.

“Come lo volete?”

“Uno zuccherato” rispose Sasuke, tirando fuori il portafoglio. Uzumaki sospirò appena, fece per parlare ma si concesse della pigrizia malinconica, chinandosi per accarezzare Cerbero.

“L’altro?”

Sasuke lanciò un’occhiata al suo compagno, poi tornò a fissare il cameriere: “Niente zucchero, grazie.”

Naruto smise di accarezzare Cerbero. Si bloccò così, stupidamente, con le mani ancora tra il pelo del cagnolino che reclinò appena la testa, sollevando attento le orecchie.

Uzumaki aprì la bocca, cercando di ricordarsi come respirare. Poi sbatté una volta le ciglia, una soltanto, deglutì, respirò e senza muovere altro muscolo eccetto quelli strettamente necessari abbassò lo sguardo sul proprio avambraccio.

“Tutto a posto?” domandò Sasuke sulla soglia, osservandolo dall’alto. In mano aveva la busta di cartone coi caffè.

Naruto sollevò lo sguardo verso di lui, ma per un attimo non si mosse. Poi si alzò di scatto, stringendo più forte il guinzaglio di Cerbero che trotterellò di qualche passo, scodinzolando.

“Sì – gli uscì una voce flebile, dunque dette un colpo di tosse e ribadì con maggiore convinzione – tutto a posto. Andiamo.”

Sentì Sasuke scrutarlo, ma questi non disse nulla. Senza nemmeno rendersene conto, nel silenzio della via notturna finirono per bere i propri caffè mentre camminavano, diretti verso casa. A dire il vero Naruto non se lo gustò affatto, desiderò solo andarsene, prendere tempo e distanze, sconvolto, agitato e con la voglia di urlare, ridere forse, ma sicuramente urlare. Non riuscì a non guardare Sasuke, a scrutarlo a sua volta, come in cerca di qualcosa, al punto che questi si voltò e gli domandò, non infastidito ma certamente dubbioso, l’espressione di qualcuno che aveva un tesoro da scavare:

“Sicuro che vada tutto bene?”

“Sì” si ritrovò a rispondere Naruto prima ancora di pensarci.

Quando furono di fronte all’ingresso della palazzina, dopo aver tratto un leggero sospiro il taxista annunciò:

“Inizia ad andare su. Io… non ce la faccio – nel guardarlo, nel dirgli quelle parole, la voce si incrinò e lui si portò una mano tra i capelli – Sasuke, tutto questo è assurdo. Questa serata, questo caffè, noi… noi siamo assurdi, lo capisci? E adesso…”

Si morse una mano, respirando tra i denti.

Vide Uchiha aprire la bocca e cercare aria ma ciononostante il compagno non poté fermarsi: “Ho bisogno di tempo. Di un attimo, solo un attimo. Devo capire come intendo andare avanti io e, Sasuke, non credo di riuscirci con te. Non così, non a queste condizioni.”

Sasuke strinse il proprio caffè vuoto, lo accartocciò, come se volesse ucciderlo.

“Aspetta. No. Un attimo. Perché? Io voglio stare con te, tu e io, la nostra casa, Cerbero, le nostre serate assieme a guardare un film, noi due, al di fuori il resto del mondo che….”

“Ma io no!” esclamò Naruto, sgranando gli occhi.

Vide quelli lucidi di Sasuke, bloccatosi, e anche i suoi lo furono di conseguenza.

“Mi stai lasciando…” mormorò l’altro dopo qualche istante. Sembrò capire, colto da una rivelazione più grande. Ebbe l’aria di chi si sentiva stupido e già tremendamente solo.

Naruto reclinò la testa – Dio, Dio, davvero doveva rinunciare a tutto quello che erano? La sua casa, le sue abitudini, Cerbero, Sasuke, le sue sciarpe in giro, il suo profumo, i suoi capelli contro al volto quando si appoggiavano l’uno all’altro sul divano – e poi, lentamente, annuì:

“Ti lascio.”

Gli venne un conato di vomito alla sola idea. Sasuke si guardò i palmi, li fissò un istante, respirando attraverso la bocca, secca e invisibile, poi li lasciò cadere. Cerbero guaì, accoccolandosi ai suoi piedi.

“Dammi una possibilità. Combattiamo – la tazzina di cartone gli cadde a terra, mosse un passo avanti – non dovevamo fare così? Non dovevamo combattere, per noi? Non è questo che hai fatto fin dall’inizio, che facciamo da sempre in questa maledetta città dove per anni abbiamo rischiato di saltare in aria, di venire rapiti, di... perderci. Perché ora ti sei arreso?”

Naruto lo guardò, ansimante a sua volta di rabbia, di voglia di piangere, mentre aveva ascoltato la voce di Sasuke diventare sempre più roca.

Diglielo. Diglielo cazzo. Falla finita per davvero, in grande stile. Magari lui capisce meglio di te quello che è successo.

Si toccò l’avambraccio, ma indietreggiò di un passo. Poi scosse la testa e contrattò:

“Non è questione di arrendersi.”

“Ah, no?”

“Adesso sei tu arrabbiato con me? Davvero – sbatté una mano contro la coscia – pazzesco! Sono comprensivo e…”

Ma io non ho bisogno di comprensione! Ho bisogno di te! Sono qui, non – quel non gli uscì come uno sfiato di un vecchio mantice – non con lei!”

Puntò il dito oltre Naruto, oltre la città e i suoi immensi edifici, diretto dal filo invisibile delle distanze.

“Ma per quanto?” sbottò questi esasperato.

Cosa importa? Cosa? Da sempre abbiamo vissuto così, con un conto alla rovescia, e lo abbiamo accettato. Non… non ti fidi di me?

Gli uscì un suono flebile.

Naruto sospirò, colmo di tristezza. Scosse la testa, eppure non disse nulla. Raccolse la tazza di Sasuke caduta a terra e nel rialzarsi spiegò:

“Sasuke… dammi tempo. Tutto qui. Al momento non posso pensare di farcela. Già, non ce la faccio, provo a dirmelo, a ripetermelo ma – alzò le spalle, allargando le braccia – che ti devo dire, non ci riesco. Sali su con Cerbero. Io ho bisogno di farmi due passi, fuori, di schiarirmi le idee.”

Lo vide stringere il pugno bendato. Sembrò in procinto di dire qualcosa, ma si trattenne, come per un ripensamento. Sasuke lo scrutò infatti in cerca di qualcosa, quasi volesse farlo parlare ancora, invece per contro Naruto non ebbe altro da aggiungere. Sembrò mortificato e deluso.

Ciononostante Uchiha, corretto fino all’ultimo, si limitò ad annuire e assicurarsi: “Stai attento per strada. Almeno questo. Io – guardò Cerbero che guaì – noi ti aspettiamo a casa, se vorrai tornare stanotte. Lo spero. Possiamo… possiamo ordinare qualcosa d’asporto per colazione la mattina, come facciamo la domenica.”

Fece un mezzo sorriso, ma nulla di più. Gli occhi erano tristi ma soprattutto stanchi.

Naruto si guardò un istante i piedi però non prometté niente che non potesse mantenere.

Guardò con il cuore in gola Sasuke e Cerbero rientrare nella palazzina, diretti verso casa, e provò un magone terribile. Gli mancavano già così tanto. O forse era la consapevolezza della perdita, della rottura profonda e irrimediabile della sua vita, ad accentuare quel senso di precoce nostalgia per ogni singolo istante e persona amata.

Dopo aver gettato le tazzine che gli sembrarono macigni, fece qualche passo, passandosi il dito sotto il naso per evitare che colasse, senza in realtà la minima idea di dove andare. Girato l’isolato, si scoprì poi l’avambraccio, lo guardò e chiuse gli occhi. Sigillò la bocca, con la voglia di urlare e l’impulso selvaggio di tornare indietro, però si costrinse a trarre un profondo respiro.

All’improvviso tirò fuori il cellulare e scrisse:

Scusami. Scusami infinitamente. Stiamo… bene, ma davvero stanotte è successo di tutto e di più. Io ho bisogno di parlarne con te. Sei l’unica persona che conosco che… lo so che è folle ma ci saresti se faccio un salto trapoco?

Spedì il messaggio su whatsapp, senza nemmeno ricontrollare cosa aveva scritto o ci avrebbe ripensato. Tamburellò qualche istante un piede, dicendosi che era un’immane stronzata. Fece per cancellarlo quando all’improvviso gli rispose:

Naruto! Mi spiace di sentirti così. Siamo ancora svegli, film terribilmente lungo che ci siamo messi a vedere. Vieni pure, ti aspettiamo.

Per la prima volta in tutta quella conclusione tremenda di serata, Naruto sorrise genuinamente e, sciocco, si commosse. Di fronte alla scrittura così pulita, gentile e pronta di Itachi che sembrava averlo capito e non aveva esitato un istante, non uno solo, a rispondergli… che andava bene.


*


Sulla soglia dell’ingresso alla palazzina dove vivevano Itachi e Shisui, Naruto esitò. Si trattava un’immensa follia, era da stronzi entrare a casa della gente, peraltro in quella del fratello di Sasuke, nel cuore della notte; il fatto che si sentisse uno schifo, oltre che in procinto di piangere anche l’anima non era comunque una scusa sufficiente.

Doveva tornare da Sasuke e in qualsiasi mondo andava dirgli che…

“Naruto!” sentì dire a voce non alta ma sufficiente da farsi udire nel silenzio della strada. Il ragazzo sollevò lo sguardo e vide Itachi affacciarsi alla finestra. Sospirò, elaborando suo malgrado un mezzo sorriso nel sentirgli dire poco dopo ti apro, come se avesse in qualche modo intuito che se ne stava per andare.

Udì il ronzio secco del portoncino e lo scatto della serratura, dunque entrò e salì le scale perché non ricordava esattamente a che piano i due ragazzi abitassero, ma si sentiva già sufficientemente invadente senza dover chiedere a Itachi di ridirglielo.

Scorse finalmente lo scorcio di una porta aperta dal quale si filtrava la luce dell’ingresso, di un giallo morbido, come progettata per gli ingressi notturni. Si passò i piedi sul tappetino e con delicatezza insolita per il suo carattere spontaneo, Naruto sospinse la porta che prontamente Itachi gli aprì del tutto.

“Naruto. Hai una faccia tremenda” ammise l’uomo, asciutto ma non scortese, in quel modo che aveva di essere diretto eppure mai all’apparenza cattivo.

“Lascia stare.”

“Non credo proprio di riuscirci, perché altrimenti non saresti qua, ti pare?” gli fece presente lui, facendolo entrare per poi richiudere la porta.

“Cazzarola, so di essere inopportuno e… mi spiace, forse posso passare un’altra volta…” iniziò a dire Naruto come ripensandoci.

“Metto su un the caldo, dai. Shisui è crollato di là a letto, se si sveglia lo metto su anche per lui” non lo ascoltò Itachi, avanzando nel piccolo salotto con la cucina a vista. Naruto annuì, posò la giacca sul divano e si sedette al tavolo attento a non far troppo rumore con la sedia.

Con le mani nascoste tra le cosce osservò in silenzio Itachi armeggiare con un pentolino in cui bollire l’acqua, per poi mettere sul tavolo delle tazze e una scatola con tante bustine diverse di the. Nella penombra, aveva scorto una parete di sughero dove erano appese con delle puntine tante foto diverse, alcune polaroid, altre fatte stampare, che ritraevano Itachi e Shisui, ma anche lui e Sasuke, Cerbero, una vacanza. Ce n’era persino una con la loro madre. Oltre a ritagli di qualche articolo di Sasuke, degli estratti delle pubblicazioni per il dottorando di Shisui come genetista, o biglietti di un eventuale spettacolo o concerto. La loro vita, i loro ricordi, sogni e ambizioni a portata di mano.

“Grazie” mormorò quando Itachi gli versò l’acqua calda e gli si sedette al lato accanto, senza offrirgli lo zucchero perché conosceva i suoi gusti.

“Di nulla. Scegli il the che vuoi, io sono piuttosto monotono. Shisui dice che rischio di diventare un vecchio abitudinario” accennò un sorriso e si mise nella tazza una bustina di Earl Grey, una tra le tante di quella miscela.

“Essere vecchio abitudinario non è poi così male.”

“Nah, è più il vecchio che mi spaventa. L’abitudinario fa paura di conseguenza, perché temi che ripetere sempre le stesse cose, senza mai uscire dalla comfort zone, ti porterà un giorno a renderti conto troppo tardi di non aver approfittato del tempo che ti è stato concesso.”

Lo guardò negli occhi quando glielo disse. Naruto prese la tazza e la tenne tra le mani, sentendo il calore solleticare la pelle infreddolita dalla gita notturna.

Dopo un istante domandò: “Com’è stato per voi trovarvi tra soulmate? È quell’amore perfetto, quell’incontro celestiale tra anime gemelle che dicono tutti?”

Itachi sembrò essersi aspettato una domanda simile anche se dal tono quasi caricaturale, dunque reagì con pacatezza, appoggiando un piede scalzo sul bordo della sedia, per poi scrollare una volta le spalle e spiegare: “Sì, forse in maniera meno epica, ma è comunque questo essere soulmate. All’inizio è come una sensazione che ti parte dalla pelle, sai? Un formicolio intenso alla base di dove hai il marchio o il tatuaggio, che poi si amplifica e diventa totalitario. È il tuo corpo che realizza di aver trovato e richiamato a sé la propria anima gemella. E ci si sente perfettamente completi, sereni, qualcosa che non puoi aver provato prima.”

Naruto lo osservò mentre Itachi parlava e quella volta più che altre nel vederlo così, semplice, coi capelli sommariamente legati, una tuta un po’ allargata e il volto reso morbido dalla luce calda dell’angolo cucina, l’unica che li illuminasse, il primogenito Uchiha sembrò tremendamente umano, lontano da quella bellezza studiata che aveva sempre lasciato perplesso Naruto. Forse perché Itachi era a casa sua, con le sue cose e circondato solo da chi amava, non doveva dimostrare nulla a nessuno, né giustificarsi per avere un lavoro come tanti, nonostante probabilmente meritasse di più, e conducesse una vita modesta.

“Capisco. Allora…” si morse un labbro, stringendo le mani.

Itachi non disse nulla, continuò a guardarlo nel silenzio del suo appartamento. Attese. E Naruto lo guardò di rimando, disperato, rivelando di getto: “Sasuke ha trovato un soulmate. Ma… è tornato capisci? Io…”

“Sasuke un soulmate?” domandò Itachi, cauto. Ovviamente quella notizia era sconvolgente anche per lui.

Sakura. Non so chi sia – accennò una risata triste – né che faccia abbia. Ma è tornato lo stesso. In casa nostra. Come ha fatto? A che cazzo sta pensando tuo fratello? Come può aver resistito a tutto questo, a tutta questa pace, questo amore… per me?”

Si portò una mano al petto, enfatizzando quasi con disperazione quel per me.

Itachi accennò un sospiro, poi prese il polso di Naruto e cercando di calmarlo riconobbe: “Non ho mai sentito di qualcuno che ha resistito all’attrazione del soulmate, per quanto come mi dice Shisui ci sono tanti studi genetici in merito, però… Sasuke non è qualcuno. Sa essere molto più testardo e determinato persino di un legame creato dal destino – si appoggiò alla sedia, domandandogli dopo aver dato un giro alla tazza – lui cosa dice? Voglio dire, cosa sente, cos’ha provato?”

“Non gliel’ho chiesto. Né lui me lo ha detto. A un certo punto sono dovuto andar via…” fece per dire altro poi si bloccò, toccandosi l’avambraccio.

Perplesso, Itachi inarcò un sopracciglio. Poi accavallò la gamba cambiando posizione e si umettò leggero un labbro per suggerire con accortezza: “Ora più che mai però dovreste parlarvi, non trovi?”

Naruto lo guardò come se fosse folle. Strinse i denti, infine esclamò, abbandonando ogni timore di disturbare che aveva provato prima:

“Non trovo? Come cazzo posso parlargli quando io non capisco più che sta succedendo, o il perché proprio adesso, proprio in questa schifosa serata e parte della mia vita, ho questa!”

Esclamò scoprendosi l’avambraccio dove aveva il marchio.

Itachi abbassò lo sguardo di riflesso, vedendolo, e sgranò gli occhi. Fu una delle prime volte in cui Naruto lo vide davvero sconvolto.

Il tuo marchio – mormorò, per poi alzare gli occhi e incrociare quelli azzurri, lucidi, di Naruto – è sparito.”

Nella cucina cadde il silenzio.

“Esattamente” rispose Uzumaki, cadenzando quasi le parole. Parlare gli costava fatica, farlo significava ammettere come stavano le cose.

Che lui non aveva più il marchio. Che appena Sasuke aveva preso quei maledettissimi caffè e pronunciato parole già dette e ridette infinite volte da quando stavano assieme – e che in ogni occasione facevano accapponare la pelle a Naruto con la stupida speranza che un giorno agissero come un incantesimoinfine avevano funzionato: Naruto aveva provato tutto quello che Itachi gli aveva detto, aveva sentito qualcosa di già solido saldarsi, al punto che andarsene, tacere, gli aveva dato la sensazione di essersi strappato la pelle e averla lasciata lì, sulla strada, di fronte alla loro casa: un suo involucro vuoto da calpestare in attesa che Sasuke lo raccogliesse.

“Cazzo…” mormorò portandosi i polpastrelli sulla pelle senza più marchio.

Itachi si mise con ambedue i piedi per terra. Era ancora seduto ma sembrava sul punto di scattare.

“Non gliel’hai detto” realizzò, rimanendo con la bocca impercettibilmente aperta.

“No! Come potevo? Come potevo dirgli quello che per qualche distorto evento, per qualche errore di genetica o… di non so cos’altro, le sue parole hanno fatto scattare in me dopo tutto questo tempo? Non voglio farlo sentire vincolato da questo! Se prova verso la sua soulmate anche solo la metà di quello che ho sentito io si starà lacerando e… mi sembra di giocare sporco, capisci?”

“Ma tu non stai giocando sporco. E Sasuke ha il diritto di sapere e di decidere da uomo adulto. È tornato fin qui perché al di là di tutto non dimentica di amarti, glielo devi” ribadì Itachi, appoggiando una mano sul tavolo, come per dar enfasi alle sue parole.

Ci fu qualche istante di silenzio. Poi Naruto ammise, appoggiando a sua volta una mano sul tavolo:

“Sai, per un attimo ho pensato che fosse tornato per non essere come vostro padre.”

Scrutò Itachi che non sembrò ritenersi offeso da quell’insinuazione.

“Nostro padre non ha mai amato nostra madre come Sasuke ama te” lo corresse infatti l’altro con pacata sicurezza. Mantenne un atteggiamento incredibilmente ponderato, anche se si trattava di suo fratello e della sua felicità. Se Naruto avesse avuto a sua volta un fratello, immaginò che non sarebbe stato altrettanto imparziale: avrebbe preso a schiaffi chiunque avesse ferito in quel modo il suo fratellino, specie se quel chiunque stava cercando stupidamente di tenersi per sé qualcosa di fondamentale come il legame soulmate.

Al di là di quella riflessione, si commosse nel sentirlo parlare così, quasi gli stesse leggendo dentro e potesse dissipare le sue paure: “Ma perché adesso? Perché il mio marchio è andato via e… e se fosse tutto un gigantesco sbaglio? Se il mio destino fosse rimanere solo, magari non sono fatto per avere un soulmate” si coprì la bocca con il palmo della mano. Dar voce a quel pensiero fu come condannarsi.

Itachi sembrò più afflitto: “Non lo so, Naruto, non lo so proprio.”

Una terza voce si inserì all’improvviso nel discorso:

“So che a volte la genetica non è perfetta e, lo ammetto, amo studiarla anche per questo. Alla fin fine anche essere soulmate è genetica, con un insieme di meccanismi biologici programmati per attivarsi dietro determinati stimoli.”

I due al tavolo si girarono verso il salotto. Sulla soglia videro Shisui che mise una mano avanti e si scusò: “Non volevo origliare, solo che non sono più riuscito a riaddormentarmi e… insomma, ero preoccupato. E dispiaciuto” guardò un istante Naruto.

Questi scosse la testa, tranquillizzandolo, per poi domandargli, non resistendo: “In che senso la genetica non è perfetta?”

“Che non tutti i soulmate sono perfetti o si realizzano con le modalità che conosciamo. Alcuni sono destinati a non realizzarsi affatto, vedi per esempio quelli con parole che si pronunciano magari in punto di morte, o che si trovano a migliaia di chilometri di distanza e sono destinati a incontrarsi solo da vecchi, se accade. Tutta la genetica e i processi chimici che ci sono dietro il riconoscimento sono codificati, certo, ma non esenti da errori o da varianti. Di queste ultime con il tempo, credimi, se ne vedranno ancora di più. Si evolve, ci si adatta, si cercano soluzioni per facilitare il lavoro… di ricerca del soulmate, se vogliamo chiamarlo così. Sono ancora al dottorato come genetista, ma qualcosa ne capisco” fece una mezza risata e si sedette al lato del tavolo opposto a quello di Itachi, più vicino a Naruto.

Questi commentò: “Se io fossi imperfetto o parte di quel cambiamento, non capisco cosa ha fatto scattare tutto questo proprio adesso. Sasuke ha trovato il suo soulmate, quindi non ha senso che io lo trovi in lui così, ora.”

Shisui assottigliò gli occhi, poi domandò riflessivo: “Il suo soulmate... aveva anche lui un tatuaggio?”

Faticando un istante a comprendere il senso di quella domanda Naruto scrollò le spalle e commentò: “Sì, credo sulla mano come lui.”

Per un istante nella cucina calò il silenzio. Poi Itachi e Shisui si scambiarono un’occhiata e il primo sgranò gli occhi, comprendendo con un’empatia irraggiungibile tra comuni esseri umani, e fu allora che chiese con urgenza:

“Naruto, hai visto per caso il palmo di Sasuke?”

No, perché mai, tanto era senza tatuaggio, anche se se l’era fasciato, mi ha detto di essersi fatto… – tacque un istante, sgranando a sua volta gli occhi per poi fissare Itachi – male.”

Fissò Shisui, il cervello che stava mettendo in moto una serie di deduzioni assurde, e questi con cautela ipotizzò: “Non è la prima volta che sento parlare di quello che negli studi di ricerca è stato definito come ‘soulmate pretender’ anche se si tratta di percentuali infinitesimali rispetto ad altre varianti che vi dicevo. Come posso mettertela in termini semplici – si scombinò i capelli mossi, mentre Naruto lo guardava senza fiatare, con gli occhi sconvolti ma attenti – beh, un legame molto forte tra due persone sembra il classico riconoscimento tra soulmate ma scatena invece la mutazione genetica necessaria per trovare o confermare un’affinità pregressa stimolata dal processo chimico dell’attrazione. Nei casi di specie, alcuni Macchiati hanno la formazione di un marchio al posto del tatuaggio che è stato cancellato grazie al proprio soulmate pretender, da lì di solito è immediato il riconoscimento con il vero soulmate.”

Trattenne il fiato, quasi avesse sganciato una bomba. Tutto sommato fu Itachi quello che più di tutti, per carattere, mantenne un atteggiamento quasi rigoroso e fece presente:

“Non sappiamo se le cose stanno davvero così, ovviamente, ma è una possibilità che dovresti considerare. Dovete confrontarvi.”

Naruto guardò i due ragazzi, assordato dal silenzio terribile caduto dopo, e indietreggiò con la sedia, per poi alzarsi in piedi di scatto, facendola cadere.

“No – scosse la testa – no, non potete farmi credere una cosa simile. È una cazzata, è una cazzata e io mi sto illudendo!”

A quel punto Shisui gli si avvicinò, mettendosi in piedi a sua volta: “Sì tratta di una delle numerose varianti che stanno emergendo, questo è vero, ma magari è andata così e in quel caso sarebbe perfetto, la soluzione a un dramma altrimenti irrisolvibile. Non aver paura di illuderti: Naruto, se Sasuke ha a sua volta un marchio sotto al tatuaggio allora lo devi sapere, così come lui deve sapere quello che è successo a te!”

Naruto si bloccò, strinse i denti, cercò di ritrovare il controllo e alla fine, lentamente, annuì. Non doveva più fuggire per cercare di guadagnare tempo: se le cose fossero andate bene e realmente Sasuke rappresentava uno di quei miracoli della genetica, allora avevano il mondo e il loro futuro assieme per le mani; se invece non era quello il caso, se Sasuke si era davvero fatto solo male e non aveva alcun marchio, a prescindere potevano comunque provare a lottare, come il suo ragazzo una volta di più gli aveva chiesto e come avevano sempre fatto fin dal principio. Il dolore in quel caso sarebbe stato una conseguenza secondaria.

“Va bene. Hai ragione, avete ragione, cazzo! Devo andare da lui. Stare qui, vivere nell’incertezza non è attuabile. Non è così che voglio esistere. Sasuke merita di sapere, così come lo merito io.”

A grandi falcate si diresse verso il divano per afferrare la giacca, quando Itachi lo raggiunse:

“Ti accompagniamo noi, tu non te ne vai da solo” decise e, senza attendere una replica di Uzumaki, già andare verso l’ingresso.

“Itachi...” fece per dire Shisui, abituato a essere quello irruento dei due.

“Grazie – annunciò all’improvviso Naruto con risolutezza, facendoli fermare – per accompagnarmi. Sapete, non so cosa ne uscirà da tutto questo ma almeno saremo stati sinceri fino in fondo. E rispettosi, l’uno verso l’altro.”

Guardò Itachi che annuì con un mezzo sorriso. Mostrò poi le chiavi, facendole tintinnare: “Direi che abbiamo perso anche troppo tempo.”


*


Sasuke era sdraiato sul divano, con Cerbero ai suoi piedi che a ogni minimo rumore proveniente dall’esterno scattava, in attesa di vedere Naruto comparire alla porta. Nemmeno il cane, come il suo padrone, a quanto pareva riusciva a dormire. Sasuke strinse il pugno con la fasciatura e si mise l’avambraccio sugli occhi.

A un certo punto però Cerbero abbaiò e scattò giù dal divano, correndo verso la porta per cominciare a fare le feste. Con il cuore in gola Sasuke si alzò a sedere ma rimase immobile a fissare attraverso lo spiraglio sul corridoio la porta aprirsi.

Aveva infatti sentito nella penombra la serratura scattare e Naruto entrare con passi accorti, mormorando qualche parola affettuosa a Cerbero mentre lo coccolava, nonostante la coda agitata di quest’ultimo che batteva sul pavimento contribuisse a rompere egregiamente il silenzio dell’appartamento.

Sasuke si alzò in piedi quando vide Naruto raggiungerlo. Aveva la faccia sconvolta e arrossata. Si sentì travolto da infinite sensazioni e un brivido gli percorse la pelle, donandogli poi un senso di pace che ammorbidì per qualche istante il magone di ciò che erano in quel momento.

“Sei tornato?”

Naruto nemmeno si tolse la giacca e avanzò, dicendogli: “Non potevo… non potevo stare senza di te e senza dirti niente.”

Gli guardò la fasciatura, fu tentato di chiedergli ma lo prese per l’altra mano e gli propose: “Sediamoci un attimo. Ho bisogno che chiariamo un sacco di cose perché stasera la mia vita, la nostra vita, è stata presa per i piedi, messa a testa in giù, scossa di tutto ciò che credevamo e rigettata a terra. Possiamo riprendere a camminare, voglio che lo facciamo ma non così. Meritiamo di essere del tutto onesti l’uno con l’altro.”

Sasuke si sedette, imitato da Naruto; dopo aver lanciato un’occhiata al suo avambraccio, cercando di non scomporsi rispose guardingo: “Sì. Sì, sono d’accordo. Io…”

“Io…” disse a sua volta Naruto.

Si bloccarono poi, nonostante il dolore e la difficoltà di tutto ciò che stavano vivendo, si ritrovarono ad accennare un sorriso entrambi.

Ho un sacco di cose da dirti ma prima vorrei sapere qualcosa da te” decise Uzumaki. Sasuke non riuscì a trovare subito la parola. Quella sincronia splendida l’aveva conosciuta e ora gli pareva dolorosamente più perfetta. Si ritrovò con il cuore in gola ad ascoltarlo, per questo annuì e Naruto riprese:

Sasuke, cos’è successo davvero a quella mano? Perché hai la fasciatura?”

Non ci fu un tono di accusa, bensì di preoccupazione e allo stesso tempo di maggiore consapevolezza. Di riflesso, come sulla difensiva, Sasuke strinse il pugno e ritrasse la mano. Fu tentato per un attimo di ripetere che si era fatto male mentre era in albergo, ma non riuscì a mentire oltre, anche se temeva che Naruto non gli avrebbe mai creduto.

“Non mi sono ferito” replicò, all’improvviso. Si vergognò di aver mentito, eppure non sapeva cos’altro fare, consapevole che non sarebbe mai stato preparato a una cosa simile.

Cercò di togliersi il bendaggio, anche se la mano tremava appena: scoprì di non avere una buona presa. Allora, con delicatezza e affetto, Naruto gliela afferrò e la tenne tra le proprie, quasi volesse proteggerla.

“Raccontami tutto” lo incoraggiò con voce morbida, iniziando a svolgergli le bende per lui.

“Naruto, credimi. Cercherai, in qualche modo, di credere a ciò che sto per dirti?” gli prese la mano e l’altro si fermò, guardando Sasuke:

“Crederò a tutto quello che mi dirai. Sempre” replicò, senza esitazione, per poi riprendere a togliergli il bendaggio.

Allora il giornalista trasse un sospiro e gli raccontò di com’era andata, cominciando dal principio, da come aveva scoperto di Sakura. Fu un racconto breve ma difficile. La benda cadde a terra eppure Naruto non lasciò la mano ormai scoperta di Sasuke, bensì continuò a tenerla, accarezzandogli di tanto in tanto le dita asciutte.

Uchiha concluse: “Ho visto quando il tatuaggio è andato via che il palmo non era vuoto come avrei pensato.”

Naruto strinse impercettibilmente un po’ di più, ma continuò a guardare la mano di Sasuke, trattenendo il fiato, quasi temendo che un suo respiro potesse impedirgli di sentire quello che l’altro stava per dirgli.

“C’era un marchio al di sotto, Naruto.”

Girò il proprio palmo, rivolgendolo verso l’alto. E se, per un attimo, Naruto fu tentato di fermarlo, alla fine lo accompagnò in quel movimento, scoprendo il palmo però ora privo persino di alcun marchio, eccetto qualche traccia di rossore. Espirò, incapace di parlare, cercando di contenere il moto di profonda delusione, spinto da quel senso di fiducia che il compagno gli aveva chiesto di avere nei propri confronti.

Sollevò dopo un istante gli occhi verso Sasuke e, con la voce mozzata, trovò il coraggio di domandargli:

“E cosa c’era scritto?”

Sasuke si morse un labbro, poi gli rispose in un soffio:

Ti lascio.”

Naruto sgranò gli occhi, sembrò urlare ma non lo fece.

“No…” mormorò infine. Ebbe gli occhi lucidi quando realizzò: “Io… Sasuke, io ti ho detto che ti lascio. Io” si portò una mano al petto, mentre con l’altra continuava a tenere quella del compagno.

“Sì, l’hai proprio detto” confermò Sasuke, con una specie di sorriso.

“Cazzo… no. È assurdo” mormorò sconvolto, passandosi una mano tra i capelli, con il cuore che andava a mille e la salivazione ridotta a zero.

“Mi credi?” domandò Sasuke, osservandolo. Sembrava calmo, come se avesse raggiunto il punto fondamentale della sua esistenza.

Ma anziché rispondergli, all’improvviso Naruto dette un bacio sul palmo della mano di Sasuke, sospirò, infine scattò in piedi. Uchiha ancora seduto, interdetto, non si mosse e lo guardò dal basso.

Sai no, la mia scritta sul braccio?” domandò a sua volta Uzumaki, con un sorriso più grande ma il volto paradossalmente serio.

L’altro annuì, poi un po’ impaziente ribadì visto che il suo ragazzo aveva tratto un profondo sospiro: “Lo so, la conosco molto bene.”

Ecco… abbiamo preso il caffè, poche ore fa, dopo tutto quello che ci siamo detti e… beh, è giusto che anche io ti dica la mia parte: l’hai fatto – Sasuke aprì di più gli occhi, gli si bloccò il respiro – hai pronunciato quelle parole stupide, dette da te infinite altre volte in questi anni, solo che, beh, questa volta hanno funzionato. Mi hanno cancellato il marchio.”

Si scoprì a sua volta l’avambraccio, mostrando a Sasuke l’assenza di scritte. Anche Naruto, come, lui aveva giusto un leggero rossore dove un tempo c’era stato il marchio.

Il giornalista aprì la bocca, sconvolto. Poi si alzò in piedi, prese il braccio di Naruto, lo guardò, guardò lui e commentò:

“Te lo avevo chiesto. Se sentivi qualcosa di diverso. Non mi hai detto nulla” sembrò parlare di riflesso, per una volta senza ragionare, bensì sull’onda degli infiniti sentimenti che lo stavano travolgendo in quel momento.

“Beh, neanche tu mi hai detto nulla di tutta la faccenda del marchio mi sembra” ribatté Naruto, con una specie di sorrisetto un po’ beffardo.

“Perché non credevo che avrei mai potuto essere il tuo soulmate! Non sono mai riuscito prima a cancellarti le scritte e non volevo peggiorare qualcosa di già così fragile” spiegò Sasuke, con più agitazione del solito.

“Lo stesso mio pensiero – confermò Naruto, prendendolo per le spalle – a maggior ragione dopo quello che è successo mai avrei potuto pensare che ci fosse altro sotto il tuo tatuaggio. E, credimi, sentire quello che ho sentito quando hai pronunciato le parole del mio marchio e non potertelo dire… credevo sarei morto.”

“Anche io. Anche io, cazzo, prima che tornassi, dicendomi che mi avresti lasciato e sentire che ogni cosa stava andando al proprio posto proprio quando in realtà si stava annientando tutto. Non volevo vincolarti a me, se in te non fosse scattato nulla.”

Naruto disse quelle stesse identiche parole. Terminarono la frase assieme.

Si guardarono, di nuovo in silenzio, dandosi il tempo di realizzare tutto quello che era successo, quanto avevano fatto e detto, gli errori, così come le erronee convinzioni, agendo l’uno solo per il bene dell’altro.

“Siamo… soulmate, Naruto.”

“Sì. Sì, lo siamo. Non so, non capisco quello che è successo, il perché, o forse davvero siamo una di quelle tante varianti genetiche, di quegli errori e mutazioni che diceva Shisui. Avremmo dovuto interessarci dei suoi studi un po’ prima.”

Sasuke lo ascoltò, pensoso ed estasiato, sentendo tutto ciò che erano e che sarebbero stati scorrergli nelle vene, un perfetto allineamento astrale, una congiunzione di anime in un incastro altrettanto perfetto di epoca, di momenti, di geografia benevola.

Pensò a Sakura. A ciò che aveva sentito e, per quanto avesse provato un senso di pace, una voglia di sedersi e godersi quel traguardo, nulla era paragonabile a quello che recepiva adesso, che provava per Naruto. Sakura era stata un ponte, un passaggio necessario per provare un’ultima stilla di ciò che già temeva, infine accettarlo e lottare, persino contro ciò che lui stesso era, se necessario. Seppe, lo sentì, che forse anche per lei era stato lo stesso: per lei e per Madara, per imparare a fare pace col passato, con la morte e i suoi pesanti lasciti.

Un giorno lo avrebbe spiegato a Naruto. Ma non quella notte, non dopo tutto quello che si erano detti: dovevano esserci solo loro due, non avevano spazio per altro.

Nella loro casa piena di ricordi, delle loro personali polaroid fatte di oggetti presi assieme, di libri, di momenti e cene condivise.

Si baciarono e fecero l’amore, sul divano, ancora affannati, con il gusto salato delle lacrime seccate sulle guance, stanchi, spossati ed esausti, perché la paura di perdere per sempre chi si ama prosciuga davvero ogni energia, come una fiamma che richiede troppo ossigeno per poter bruciare ancora.

Fu come la loro prima volta, sebbene più completa ancora e più totalitaria, perché erano cresciuti e diventati consapevoli di ciò che si nascondeva nelle loro pelli, in attesa della coincidenza perfetta.

Molti, guardandoli nella vita di tutti i giorni, avrebbero potuto dire che quello tra Sasuke e Naruto era un amore semplice, fatto di giornate di lavoro, di rientri a casa, di racconti a tavola mentre mangiavano o di attimi di gioco prima di andare a letto. Qualche ambizione coltivata, degli hobby, delle uscite con amici, piccoli intervalli in un’esistenza ordinaria, a tratti finalmente pacata dopo le rivolte di un sistema altrimenti destinato a marcire.

Ebbene, questi molti… mentono.

Perché non solo il loro, ma in realtà nessun amore è mai veramente semplice.

Prima ancora dell’essere soulmate, un amore è fatto infatti di compromessi, di sacrifici, di scelte. Ma soprattutto è fatto di spazi, infiniti spazi da riempire, l’uno per l’altro, colmandoli di se stessi e anche di noi, in un insieme di equilibri mai davvero perfetto per il quale, però, si fa il possibile, per tenerlo in piedi e andare avanti.

Uno sforzo troppo grande? Probabile ma, credetemi, ne vale la pena. E se non lo pensate, che ne valga la pena, beh... forse non è il momento, la persona, l’occasione giusta. Allora non ve ne renderete nemmeno conto, di tutti i sacrifici fatti, e sarete anche voi dei bugiardi come Sasuke, come Naruto, come tutti gli altri: ad affermare che il vostro è un amore semplice. E proprio per questo, perfetto.



Dodici anni dopo


Naruto attese che il semaforo diventasse verde. Accanto a sé c’era una ragazzina con lo zainetto in spalle e il cellulare con la mappa attiva. La scorse perplessa, intenta a controllare la posizione; per qualche istante non le disse nulla, finché non la vide sollevare il volto verso di lui e domandargli:

“Signore, scusi.”

Lo fissava con occhi verdi molto determinati, anche se un po’ sperduti. Naruto superò senza troppa fatica il trauma dell’essere chiamato signore a soli quarantaquattro anni d’età, praticamente era ancora un adolescente.

“Mi dica” la invitò.

Notò i capelli folti e neri che sparavano da tutte le parti, indomabili.

Ebbe come una sensazione.

“Avrei bisogno di andare qui, maps mi dice che dovrei usare la metro ma è un casino raggiungerla. Rischio di arrivare tardi all’appuntamento con le mie amiche, che figuraccia.”

“Non sei un po’ giovane per andartene in giro da sola?” fece presente, un po’ dubbioso. Consapevole che in realtà lui da adolescente era esattamente come da adulto: propenso a lanciarsi in un sacco di casini.

“Mamma e papà dicono che è giusto che mi responsabilizzi. Quando veniamo in visita da queste parti mi piace poter esplorare, ho appunto degli amici sai, anche qui” ribadì la ragazzina, orgogliosa.

Naruto sorrise.

“Ah beh, allora se la metti così non ho più raccomandazioni da farti” mise le mani avanti, per poi spiegarle la via più breve e la tratta della metro da seguire, indicandole la strada.

“Wow, grazie signore, sei super esperto!”

“Ti prego, smettila con quel signore, puzza di responsabilità e di vecchiaia.”

La giovane ridacchiò e concesse: “Ok, ok, mi scusi, non sembra per niente un vecchio, se può consolarla.”

“Una consolazione immensa” replicò roteando gli occhi.

Scattò il verde. Prima di avviarsi Naruto le chiese, quasi senza riflettere:

“Sakura. Tua mamma si chiama Sakura per caso?”

La ragazzina reclinò la testa, stupita: “Sì. La conosce?”

Naruto accennò un sorriso: “In un certo senso… direi di sì.”

“Lei è parte di una delle prime variazioni genetiche sui soulmate, ci fanno un sacco di studi. Come mio padre. Se ti dico che mio padre è Madara Uchiha svieni.”

“No! Proprio quel Madara Uchiha del FLA?” si finse sorpreso.

“Proprio lui. E il FLA non esiste più. Siamo tutti più uguali, soulmate, non soulmate, niente più monarchia, siamo al passo coi tempi qui.”

Sembrò di star leggendo uno slogan pubblicitario. Naruto immaginò che doveva essere stata svezzata da politica e propaganda, al punto da far entrare quel credo come parte fondamentale della sua vita. Ma sembrava spensierata in fin dei conti, una ragazzina della sua generazione, frutto del retaggio di un mondo stanco, dove la lotta alle disuguaglianze era sorta col pretesto dei soulmate per poi abbattere una monarchia incapace di stare al passo coi tempi.

Ma, forse perché più maturo, forse perché aveva visto tante ribellioni e ingiustizie, Naruto non credeva nella perfezione di alcun sistema. Credeva solo ci fossero momenti storici migliori e quello era uno di questi.

Capisco” si limitò a dire.

Si salutarono, una volta attraversata la strada, andando dalle parti opposte. Per un attimo Naruto si chiese come sarebbe stata la sua vita, se anche lui e Sasuke, come Sakura, non fossero stati parte di quelle variazioni genetiche scoperte nell’ultimo decennio. Magari quella bambina, così vicina all’essenza soulmate che aveva anche Sasuke, avrebbe potuto essere la loro e Naruto per contro, da quella rivelazione di dodici anni fa, non avrebbe più rivisto Sasuke, né Cerbero, che nel frattempo era diventato un cagnetto vecchietto ma arzillo, perdendo anche la sua casa e tutta la sua vita per come la conosceva.

Sorrise, fischiettando, avvertendo il petto colmarsi d’amore e della sensazione impagabile di essere stato fortunato – nato al momento giusto, nel posto giusto, con i geni come era necessario che fossero – la loro vita era quella, assieme, e avevano davvero lottato per averla.

In fondo senza una rivoluzione, che fosse la loro, del FLA, di altri uomini, donne, esseri umani che si amavano, si odiavano, si cercavano e allontanavano, non poteva esservi pace. E lui adesso era pace, così come un tempo era stato guerra, vincitore di un conflitto che l’aveva portato a realizzare il valore di ciò che stava perdendo.

Sproloqui di una zucca

E anche questa storia si è conclusa! Ci sarebbe tanto da dire, perché per quanto semplice anch'essa come trama in realtà è stata piuttosto complessa a livello di sentimenti dei protagonisti - e non solo. Ho cercato di renderli credibili, umani, nelle loro reazioni così come negli esiti di queste ultime. Entrambi si trovano ad affrontare una crisi profonda nonostante l'amore che li lega e immagino che nessuno, nemmeno il più perfetto degli esseri umani, saprebbe comportarsi in maniera perfettamente corretta.
Se fosse stata una long vera e propria avrei potuto dare più spazio e approfondimento alla tematica di scelta di governo, i problemi istituzionali e organizzativi di un sistema fallimentare, ma non mi sembrava questo il caso. Inoltre allo stato attuale ho immaginato una sorta di amnistia ricondotta agli arresti domiciliari per Madara, una volta stabilizzato il nuovo governo,  ma ipotizzo una serie di processi non indifferenti, perché per quanto le lotte fossero legittime, non lo è l'uso della violenza o di azioni terroristiche.
Altro punto importante, il 'soulmate pretender' me lo sono inventata io, però suppongo che non sia così implausibile che negli anni si vengano a creare varianti genetiche e difetti; viene da chiedersi a questo punto se Naruto e Sasuke stessero assieme spinti già da quell'essenza soulmate ancora non svelata o per 'semplice' amore che - essendo anch'esso frutto della chimica - ha poi portato alla variante che ha subito Sasuke. 
In conclusione, spero che questo scritto vi sia piaciuto, così come spero soprattutto che Angelica abbia gradito questa versione di una soulmate!Au un po' diversa dal solito, pur sempre però con due protagonisti a cui è molto affezionata.
Grazie per aver letto e seguito fino a qui, ogni commento che ho ricevuto mi ha dato una grande carica e un'immensa felicità!

Alla prossima :3

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