A simple love di Happy_Pumpkin (/viewuser.php?uid=56910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Premessa:
questa è una Soulmate!Au, ambientata in un universo simile
al nostro
ma con una situazione politica un po' diversa, è di sfondo
però può
essere utile per capire il clima. Oltrettutto ho utilizzato certi
tratti della Soulmate!Au ma a modo mio: il mondo infatti si divide da
una parte in Marchiati, che hanno una determinata frase o parola
incisa sulla pelle, destinata a cancellarsi se pronunciata dal
proprio soulmate; dall'altra ci sono i Macchiati, i quali hanno in un
punto determinato una macchia nera, come d'inchiostro,che si
potrà
eliminare solo se toccata dal proprio Soulmate che ne avrà a
sua
volta una, tendenzialmente nello stesso punto.
A
simple
love
1
Se
qualcuno avesse chiesto a Sasuke Uchiha di
parlare
di sé, questi si sarebbe definito un uomo tranquillo, con
una vita
semplice e interessi modesti,
un bozzolo di confortanti abitudini cadenzate da ritmi altrettanto
scanditi, simili
all’ondeggiare
placido di una barca mai
distante dal
suo porto sicuro. Per tali ragioni, egli
non credeva, né
desiderava
che qualcuno potesse
interessarsi alla
propria noiosa, abitudinaria, vita privata e ciò
rappresentava un
immenso sollievo in termini di dispendio di energie mentali.
Se
invece la
stessa identica richiesta fosse stata fatta
a Naruto Uzumaki, beh, lì era tutt’altra faccenda;
non che ci
fosse granché di particolarmente straordinario nella vita di
un
taxista, ma questi
poteva ammettere con ogni ragionevole certezza di aver sperimentato
in trent’anni di esistenza molte più cose di un
suo coetaneo, o
forse addirittura di chi portava persino
maggiori
anni sulle spalle. Ma non era il proprio lavoro nello specifico a
renderlo felice – in fondo era un mestiere come un altro, sebbene
stressante e per certi versi rischioso: avrebbe infatti
potuto caricare in auto uno serial killer e saperlo solo in procinto
di morire – era
più in generale il modo in cui affrontava la vita, con
uno stato d’inguaribile ottimismo verso il futuro. Le cose
sarebbero migliorate, la crisi economica e
i dissidi
del proprio paese rientrati,
avrebbe conosciuto il suo soulmate, un giorno, nutrendosi
nel frattempo di amori momentanei mischiati
a
flebili
speranze
che
forse, ma proprio forse, quel cliente portato all’aeroporto
sarebbe
stato... lui,
nessun altro che lui, quello giusto insomma.
Al
contrario di Sasuke, dunque, Naruto attendeva una chiacchiera
casuale, qualcuno che gli chiedesse della sua vita e lui avrebbe
avuto tempo extra per raccontarla, nella propria
quotidianità piccola ma a suo modo straordinaria.
Era
conscio che esistevano tante tipologie di manifestazione del
soulmate, segno della fantasiosa varietà della genetica
umana,
alcune squisitamente realizzabili, altre un po’ meno,
ulteriori
ancora destinate sin dal principio a finire in tragedia. Dal suo
canto poteva ritenersi fortunato: nel proprio caso la
probabilità
del trovare il soulmate era una mera condizione di attesa ricca di
persin troppe possibilità e, di conseguenza, di illusioni.
In
una di quelle attese, Naruto si coprì il braccio
assicurandosi che
non si potessero vedere le proprie parole scritte sopra. Ricordavano
un graffio ma non gli causavano alcun dolore, eccetto il fremere
della pelle quando qualcuno le pronunciava, brividi leggeri
sull’epitelio arrossato.
“Niente
zucchero, grazie.”
Tese
l’orecchio dopo averle sentite, sollevando lo sguardo verso
chi le
aveva pronunciate. Si ricordò dov’era in quel
momento di pausa, il
taxi posteggiato fuori in doppia fila, sotto i fiocchi di neve spessi
come matasse di lana che dall’alba avevano cominciato a
cadere
pigri sulla città, risucchiando i rumori della strada come
se
volessero mangiarli.
Una caffetteria qualsiasi, anche se sempre la solita, in cui vi si
recava ogni mattina, ogni giorno della sua straordinaria esistenza:
con le sedie in ecopelle un po’ consunte, il bancone ampio
dove la
gente si appoggiava, i tavoli in formica su cui, come in un rituale,
erano
disposte
le salse e lo zucchero, mentre
l’odore
intenso del caffè si
mischiava
a quello delle torte burrose che s’incollavano al
palato.
Vide
la
donna che
aveva appena ordinato
prendere il resto dalla commessa. Contemplò
il suo sorriso e pensò che poteva innamorarsene. Poi
sbirciò la
scritta sul proprio braccio, quello stupido, banale, ridicolo
niente
zucchero, grazie
inciso sulla sua pelle; sospirò, neanche troppo deluso quando
constatò
che non stava sparendo.
“Non sei
tu.”
Ciononostante,
sorreggendosi il
mento con la mano, osservò la donna un’ultima
volta uscire dalla
porta con il proprio caffè take-away senza zucchero.
Accennò un
sorriso, scuotendo la testa. Finì di bere il proprio
cappuccino e
lasciò una mancia a Dorothy, la ragazza della caffetteria
che
ringraziandolo gli domandò:
“Niente
fortuna?”
Naruto
schioccò la lingua,
aggiustandosi il cappuccio imbottito sopra la testa dopo aver chiuso
la zip del giaccone: “No, nemmeno oggi. Ma era una bella
persona,
questo si vedeva.”
Sorrise e la cameriera
sorrise di
riflesso. Allora Uzumaki con un cenno del mento le domandò:
“Tu?”
Lei si
portò una mano sul collo
dove, nascosto da un fazzoletto abbinato alla divisa, Naruto sapeva
esserci una macchia nera – un’altra di quelle
mirabolanti
varianti genetiche del trovare un soulmate – e scosse la
testa:
“No, no, non succederà mai. Dovrebbe strozzarmi
per farmi andar
via il segno e io forse dovrei strozzare lui. Te l’ho detto,
è
impossibile.”
“E io ti
dico che forse,
magari, deve solo baciarti sul collo” replicò
l’altro,
sollevando le sopracciglia con un sorriso sornione.
Dorothy
scosse nuovamente
la testa, sorridendo con affetto: “Naruto, vorrei
sinceramente
avere la tua visione positiva delle cose.”
Il
sorriso si fece maggiormente
schivo, persino triste, e il ragazzo si dispiacque una volta di
più
che mai, nemmeno tra anni, loro
due avrebbero
potuto scoprire di essere soulmate: i
Macchiati,
come Dorothy, non avrebbero mai visto cancellato il proprio
inchiostro da qualcuno come Naruto, Marchiato
da lettere incise nella carne; così come Naruto non avrebbe
mai
visto sparire i propri segni per mano della triste ma gentile
cameriera della caffetteria. Un’incompatibilità
di modi con
cui il fine ultimo si realizzava, o così sostenevano
i
saggi scientifici
che
ancora tentavano
di spiegare il fenomeno più complesso della razza umana.
Uscendo,
il
taxista si riparò meglio il collo e con una corsetta rapida
si
affrettò a entrare in macchina, scrollando qualche fiocco di
neve
caduto su maniche e cappuccio. Sbuffò appena per il freddo
intenso
della giornata, poi avviò il motore e posizionò
il telefono per
vedere le nuove prenotazioni
tramite l’applicativo.
Scelse
il richiedente più vicino e si mise
in marcia, godendo del tepore che iniziava a scaldare
l’abitacolo,
espandendo l’odore di cannella e arancia del profumatore
incastrato
nelle griglie del riscaldamento. Naruto
forse
non era una delle persone più ordinate sulla faccia della
terra, ma
gli piaceva lavorare in un ambiente pulito e avvolto da aromi capaci
di coccolarlo, specie quando la
morsa del
freddo incalzava, così come la minaccia di smascherare ai
suoi
stessi occhi la reale pacatezza
della sua vita.
Percorsi
un paio di isolati, vide sostare all’indirizzo segnalato un
tizio
con un cappotto lungo e nero, una sciarpa altrettanto lunga e capelli
scuri schiacciati sotto a un cappello di lana coperto da qualche
fiocco. Questi
gli
tese il braccio per assicurarsi che si fermasse, cosa che Naruto
fece, tirando giù il finestrino dal lato passeggero per tendersi
e domandargli con un sorriso cordiale:
“Buongiorno!
Chiamato un taxi?”
Notò che
aveva una borsa a
tracolla strapiena e, quando il cliente si abbassò a sua
volta, vide
anche che il naso arrossato per il freddo spiccava adorabilmente
sulla carnagione bianca.
“Sì.
Può portarmi al 112 di
Eight Street?”
Il taxista lo
fissò un istante,
come incerto di aver capito bene: “Eight Street? È
la periferia
della zona ovest, sicuro di sapere quello che fa?”
Fu
certo di essere riuscito a scorgere
anche sotto metri e metri di sciarpa le labbra contrarsi in quello
che sembrava disappunto, anche se gli occhi scuri lo fissavano
immutati: “Sicurissimo. Lei è sicuro invece di
saperci arrivare?”
Piccato, Naruto
schioccò la
lingua. Guarda te ‘sto stronzetto quanto se la crede.
Gli
aprì la portiera ed esordì: “Salti su,
ci arriverà senza nemmeno
rendersene conto.”
Udì
un impercettibile sospiro, poi mentre lo sconosciuto richiudeva la
portiera e si allacciava la cintura, tenendo la borsa sulle gambe,
Naruto avviò il tachimetro immettendosi
in strada.
“Ci va per
lavoro? Non mi
capitava da diverso tempo di accompagnare qualcuno da quelle
parti.”
La periferia ovest era
una delle
zone dove la giurisdizione del governatore delegato faceva
più
fatica ad arrivare: i ribelli antimonarchici, quelli che imputavano a
un monarca inetto la colpa del calo del lavoro, della
povertà e
della conflittualità con nazioni di stampo repubblicano; un
re senza
polso che delegava troppo il controllo delle provincie a governatori
ancora peggiori. Così ormai era la situazione da anni,
Naruto se ne
era fatto una ragione, anche se da diversi mesi gli attentati e le
rappresaglie per le nuove leggi, che oltretutto mal tutelavano chi
non aveva ancora avuto la fortuna di incontrare il proprio soulmate,
si erano intensificate.
“Quando
è stata l’ultima
volta?”
“Prego?”
domandò Naruto,
interdetto.
“Che ha
accompagnato qualcuno
lì” spiegò l’estraneo,
abbassandosi la sciarpa. Le labbra
pallide disegnavano una sorta di mezzo sorriso, con l’aria
vagamente ironica.
“Bah,
sarà stato tre mesi fa.”
“Capisco. Ha
paura, adesso?”
Fermo al semaforo
Naruto si voltò
a guardarlo. Non riusciva a capire se lo stesse semplicemente
provocando o se lo chiedesse con interesse quasi scientifico,
perché
il sorrisetto di prima era sparito.
“Onestamente?
Sì. Possono
spararmi, o possono sparare a lei. Potremmo essere coinvolti in
un’esplosione di qualche bomba. Ma d’altronde il
mio lavoro è
anche questo, la consapevolezza del rischio.”
Scrollò le
spalle, svoltando.
L’autoradio trasmetteva una canzone tranquilla, di quelle da
giorni
spensierati.
Con la coda
dell’occhio colse
un movimento del corpo dell’altro e poco dopo
arrivò il suo
interrogativo:
“La
consapevolezza del
rischio?”
Uzumaki sorrise:
“Sì. So che
non è un mestiere esente da pericoli, capisce? Per esempio,
la sua
borsa – gliela indicò con un cenno ma
l’altro non mosse un
muscolo – potrebbe contenere una pistola, è bella
piena
d’altronde. E lei essere un terrorista del FLA, il temibile
Fronte
di Liberazione Antimonarchico, che mi odia semplicemente
perché
esisto, perché sono un simbolo di un lavoratore super partes
che
porta chiunque, senza distinzioni, compresi i disgustosi funzionari e
compagnia cantante; dunque, sempre parlando per ipotesi, potrebbe
decidere di tirare fuori da quella borsa la sua pistola e spararmi,
bam, così, dritto in faccia. E io non
avrei modo di
difendermi, sono qui, legato da una cintura, in macchina solo con
lei.”
Gli sorrise,
continuando a
guidare.
Ma
l’uomo non sorrise a sua volta. Occhieggiò
anzi
la borsa, poi tornò a posare il suo sguardo sul taxista e
solo
allora replicò: “Penso sia
la
cosa più interessante che ho sentito oggi. E con il lavoro
che
faccio, mi creda, di
cose interessanti ne sento parecchie.”
Cadde
il silenzio. Con crescente nervosismo Naruto
strinse le mani sul volante, lanciò un’occhiata
alla borsa che
l’altro iniziò ad aprire, facendo scattare i
lacci, e spalancò
un istante la bocca, scoprendo di non avere più salivazione.
Accennò
un sorriso incerto, dandosi dell’idiota per la sua smania di
parlare, infine
riuscì a
domandare:
“E che lavoro fa? Spero non il terrorista.”
Rise,
nervoso. Si fermarono in coda al semaforo. Attorno a loro le strade
erano meno frequentate, cartelli di protesta appesi ai muri
più
fatiscenti, come se ogni cosa, ogni centimetro di marciapiede, di
strada, di insegne decadenti fosse stato via
via
dimenticato da quella
fetta di umanità
che si definiva importante e che quindi, di
riflesso,
si
fregiava
del
potere di decidere a
sua volta
cosa fosse
importante e cosa no.
Ma
Naruto non era davvero idiota: era un chiacchierone, certo, un
ottimista inguaribile, un amante del caffè e dei piccoli
rituali
alla ricerca di un soulmate che non avrebbe mai trovato – non
così
almeno, la vita era troppo imprevedibile per piegarsi a un certosino
lavoro fatto di ripetizioni – però
conosceva il mondo, nonostante il mondo non conoscesse lui, taxista
tra i tanti in una città piegata da quelli che, a conti
fatti, era
una microscopica, degenerante, guerra civile.
Non
si sarebbe fatto uccidere sul suo taxi da un colpo di pistola.
Mise la mano sulla
cintura,
pronto a far scattare il gomito prima che l’altro, con il suo
cappotto pulito, i suoi guanti di lana, il cappello bagnato di neve,
potesse tirare fuori l’arma.
Lo scorse armeggiare
nella borsa
fino a che, al click della cintura che rapido
Naruto fece
scattare, l’uomo tirò fuori... un
tesserino.
Un banalissimo,
innocuo
tesserino.
Il taxista si
bloccò. Qualcuno
dietro di lui suonò il clacson, così
avanzò sebbene a rilento, con
i muscoli in tensione che cercavano di rilassarsi senza riuscirci.
Poi il passeggero
spiegò, in un
fluire morbido di parole, ma allo stesso tempo espresse con decisione
quasi guerriera, antica, di chi si prepari con ascia e scudo a
proteggere terre selvagge: “Sono un giornalista.”
Sentendo il nervoso
defluirgli
simile a veleno dalla punta delle dita, persino da quelle dei piedi,
Naruto balbettò qualcosa di inconsistente fino a che nel
mezzo del
traffico rise, una risata un po’ sconnessa, e scosse la testa
quasi
lacrimando: “Oh... oh, ok, capisco, cavoli. Phew, un
giornalista.”
Ignorando il
sopracciglio
sollevato con disappunto dell’altro, Naruto lanciò
un’occhiata
al tesserino con il numero di appartenenza all’Ordine:
“Sasuke
Uchiha. Giornalista.”
Gli piacque come
suonarono quelle
parole, preannunciavano l’inizio di qualcosa. Ogni nome e
cognome
secondo Naruto possedeva musicalità nascoste, da pronunciare
così,
durante una conversazione, similmente a un incantesimo.
Il giornalista in
questione
ritrasse il tesserino, forse non aspettandosi che il guidatore
leggesse così in fretta, e dopo aver assottigliato gli
occhi,
pensoso, ribadì con un mezzo sorriso trionfante di
realizzazione:
“Aspetta. Ah, la pistola. Pensava che davvero avessi una
pistola?”
Colto in fallo, ma
troppo
orgoglioso per cedere terreno, Naruto sentì suo malgrado di
arrossire fino alla punta delle orecchie, però fu veloce a
replicare: “Sasuke, vai in giro nel peggio quartiere della
città,
troverei strano il contrario casomai, che tu non abbia una
pistola.”
Non si rese nemmeno
conto di
avergli dato del tu, né di aver adottato un sorriso sornione
che
faceva venire all’altro voglia di prenderlo a schiaffi. Fu
forse
per questo che Uchiha incrociò le braccia al petto, o forse
perché
più schivo di quanto volesse far intendere.
“Certo che
hai sempre da
ribattere, eh?”
“Beh, non
sono il solo qui
dentro” rispose l’altro, sbattendo le palpebre
senza smettere di
sorridere.
Non
gli era sfuggito che pure Sasuke gli aveva dato del tu, sebbene in
quel momento avesse
roteato gli occhi apparentemente spazientito, o rassegnato, magari
ambedue le cose. Tutto sommato, non sapeva bene perché,
però si
sentiva di sorridere di
fronte a quel gesto:
non ridere di lui, o della situazione, bensì semplicemente
provare
quell’istintivo bisogno di esternare una propria condizione
di
felicità, più genericamente di benessere. Un
inclinarsi
delle labbra verso l’alto. Assurdo quanti sentimenti vi
fossero
racchiusi in un movimento muscolare.
Prima
che potesse aggiungere altro, però, il giornalista si
abbassò per
vedere meglio attraverso il vetro e confermò che erano
arrivati a
Eight Street. Le macchine parcheggiate erano più che altro
utilitarie, quasi volessero mimetizzarsi con l’asfalto per
essere
ignorate, come il resto della gente che passava lungo i marciapiedi,
affollati a tratti di bancarelle, a tratti di spettatori casuali
della vita che, con atteggiamenti curiosi ma ostili, vicino alle
porte di case e negozi sostavano quasi in attesa che capitasse
qualcosa di grosso; era come se ne avessero la certezza assoluta, con
quelle facce indurite
che squadravano chiunque non fosse memorizzato nel loro sistema di
riconoscimento del vicinato, e volessero essere certi di trovarsi in
prima linea quando tale evento si fosse presentato.
“Non mi
sembra troppo cambiata”
ammise Naruto, meditabondo.
“Lasciami
pure qui” replicò
l’altro, con la mano già sulla maniglia. Ma si era
bloccato,
fissando la strada davanti a sé, come colto da una
riflessione
complessa.
“Sicuro?”
Spostò poi
lo sguardo verso
Naruto, il quale lesse nei suoi occhi una difficoltà quasi
inumana,
ma al tempo stesso una vulnerabilità che gli strinse il
cuore e lo
fece sentire in colpa, come se avesse violato inavvertitamente
qualcosa di privato. Allora Sasuke gli chiese:
“Ti
spiacerebbe attendere che
finisco l’intervista? Mi hanno concesso dieci minuti, sicuro
riuscirò a strapparne di più, ma comunque non ci
metterò molto.”
La
vulnerabilità era sparita,
lasciando solo un’eleganza fiera sul volto dalla pelle
chiara,
forse per gli occhi intensi, notturni, in qualche modo saggi.
Fu in quel momento,
davanti a
quella richiesta, che Naruto si ritrovò a chiedersi se lo
sconosciuto di nome Sasuke Uchiha avesse un soulmate. Se fosse un
marchiato o un tatuato, se cercasse disperatamente, se odiasse farlo,
o se, come lui, avesse preso il tutto come un gioco d’attesa
tra un
caffè e l’altro, un blando intrattenimento, il
gratta e vinci su
cui non si scommetteva più di un dollaro.
Scrollò le
spalle, prima di
rispondere: “No, no, tranquillo. Sai già dove ti
riporterò dopo?”
“Alla mia
sede del giornale. Ti
ringrazio – tirò nuovamente fuori il portafoglio e
gli sporse un
biglietto da visita – questo è
l’indirizzo.”
Naruto lo prese,
osservandolo, e
annuì dopo esserselo messo nella tasca del giaccone:
“Ok, nessun
problema. Ehi, se lì dentro hai bisogno di una mano fammi un
fischio, sosto qui davanti.”
Sasuke
sembrò
ponderare quanto potesse essere udibile un fischio nel mezzo di una
casa, per quanto costruita
con
sommaria edilizia, ma non obiettò, limitandosi
invece a ringraziarlo
con un cenno. Fece un breve sospiro ma
prima di uscire si tolse cappello e guanti, quasi per nobilitare la
propria figura rispetto al freddo invernale, dunque
si ravvivò i capelli umidi schiacciati e
aprì lo sportello.
Si
voltò verso il taxista e gli chiese: “Come ti
chiami?”
“Naruto
Uzumaki.”
Sperò che
il suo nome e cognome
suonassero altrettanto musicali. Si sentì un po’
sciocco, un
trentenne sognatore nel ben mezzo di un quartiere al tracollo. Ma gli
piacque sentirsi così, vivo.
“Piacere,
Naruto Uzumaki.
Grazie del favore, ci vediamo dopo” rispose
l’altro, dopo averlo
guardato un istante.
Il
taxista lo osservò
scendere: fu allora, nel
movimento fluido prima di chiudere la portiera,
che gli vide il palmo delle mani. E
una macchia nera su quello destro.
Sasuke
era un Macchiato.
Naruto sentì lo stomaco contrarsi, affossato fin dentro le
viscere.
Provò
un senso così profondo di delusione e
d’ingiustizia cosmica di
fronte alla lampante consapevolezza, arrivata come uno schiaffo in
pieno viso, che Sasuke sì cercava un soulmate ma…
non sarebbero
mai stati l’uno dell’altro. Si dette
dell’idiota per quella sua
facilità a illudersi, quel suo interesse momentaneo che con
altrettanta rapidità poteva mutare in amore senza speranze.
Con
un nodo allo gola
tirò giù il finestrino e gli urlò,
prima che l’altro entrasse:
“Ti vado a
prendere un caffè
nel frattempo? Io ne berrei uno per ammazzare il tempo.”
Un’ultima,
stupida conferma.
Scoprì di
non voler sentire la
risposta. Ma tanto valeva scivolare un po’ di più.
Sasuke lo
guardò un istante
stranito, poi scrollò le spalle e gli urlò:
“Ok, va bene – ci
pensò un istante – un americano. Con almeno due
bustine di
zucchero. Quando arrivo ci aggiustiamo per quello che hai speso
assieme a quanto già ti devo.”
Con la voglia di
piangere Naruto
gli sorrise, annuendo, meravigliandosi per quel senso impeccabile di
correttezza dell’altro, ma al tempo stesso avvertendo il
groppo
alla gola tramutarsi in una morsa. Appoggiò le mani sul
volante dopo
aver richiuso il finestrino, appoggiandovi la fronte sopra.
Sentì
l’ironia profonda di
tutta quella situazione, perché non solo aveva avuto la
conferma
definitiva che il giornalista Sasuke Uchiha, incontrato per caso in
una città di milioni di abitanti, non avrebbe mai cancellato
le
scritte dal suo braccio, né lui il suo inchiostro, ma ora si
ritrovava lì, da solo, in un quartiere dimenticato da una
buona
parte di quei milioni di esseri umani della metropoli a dover cercare
un caffè promesso, nonostante la sola idea di berlo ormai lo
faceva
vomitare.
Ciononostante si
ricompose.
Riaprì gli occhi e uscì dopo aver parcheggiato
meglio l’auto,
sperando che nessuno dei molteplici osservatori sui vari marciapiedi
gliela rubasse, dunque andò alla prima caffetteria trovata
all’angolo, prese quel che doveva, e dopo aver messo le
bevande
nell’abitacolo si risolse ad aspettare.
Non finì
neanche di pensare a
come avrebbe ingurgitato del caffè amaro come la sua vita in
quel
momento che sentì all’improvviso degli spari.
Sollevò la testa di
scatto e di riflesso avviò il motore, sentendosi
scioccamente come
il complice di una rapina, pronto a scappare col bottino e il suo
socio in arrivo correndo con un sacco di bigliettoni. E in effetti il
suo socio arrivò, anche correndo, ma senza bigliettoni
bensì
gridandogli secco:
“Riparti,
Naruto, riparti!”
Dimentico dei
caffè, del groppo
in gola e della sequela di disillusioni della sua esistenza,
galvanizzato dall’adrenalina Naruto aprì lo
sportello a Sasuke che
si infilò dentro con il cappotto aperto, la sciarpa che
minacciava
di cadergli a terra e la borsa sempre strabordante ma con carte che
uscivano come se cercassero di scappare.
Qualcuno lo aveva
inseguito,
rapido, feroce e, prima che Naruto riuscisse a immettersi in
carreggiata, sparò loro dietro. Fu Sasuke a fargli abbassare
la
testa.
In quel preciso
istante vennero
inondati da schegge di vetro schizzate dal parabrezza infranto: un
proiettile aveva perforato il parabrezza posteriore, percorso in
lunghezza l’abitacolo per poi uscire attraverso il parabrezza
anteriore, mancando i due passeggeri per un soffio.
“Cazzo!”
esclamò Naruto, schiacciando però
sull’acceleratore mentre si
sparava
in strada con la macchina, ricevendo colpi di clacson di chi non
aveva ancora realizzato di trovarsi nel mezzo di una sparatoria e
urla di chi, invece, l’aveva capito eccome.
“Porcaputtana!
Porca di quella
puttana!” esclamò ancora, ma quasi in un
guazzabuglio confuso di
parole mentre il cuore gli stava esplodendo in petto e
nell’abitacolo
aveva iniziato a diffondersi aroma di caffè rovesciato,
mischiato al
freddo della neve che penetrava attraverso i fori del vetro.
Sasuke si era girato
per guardare
se li stessero inseguendo ma scorse solo lo stronzo che gli aveva
sparato diventare un puntino minuscolo nel mezzo del caos. Cercando
di trovare il controllo del proprio respiro si rimise seduto
normalmente, allacciando maldestramente le cinture perché
ancora,
nonostante gli anni e i rischi, le mani gli tremavano.
“Stai
bene?” domandò infine
spostando lo sguardo verso Naruto.
Questi non si
voltò a guardarlo,
impegnato a schivare macchine e allontanarsi il più
velocemente
possibile da lì, anche se avrebbe tanto voluto fissarlo
negli occhi:
“Tu mi chiedi se sto bene? Cazzo, ho… –
cercò di trovare le
parole ma vedere un buco di fronte a lui dove era poco fa passato un
proiettile destinato alla sua testa non lo stava aiutando –
ho la
macchina a pezzi perché ci hanno appena sparato. Sparato!
Sto bene
nel senso che sono vivo, ma se non mi devo cambiare le mutande
è
solo perché… non lo so, perché ero
troppo impegnato a non venire
traforato per aver tempo di cagarmi addosso! Chi dovevi intervistare,
eh, il leader del FLA con tutto il suo corteo di terroristi al gran
completo?”
Domandò,
quella volta voltandosi
con gli occhi azzurri spalancati e una specie di sorriso isterico.
Tutto sommato, nel
sentirlo
parlare e per la complessa assurdità della situazione, senza
volerlo
a Sasuke scappò una mezza risata.
“E
che cazzo ti ridi?!” gridò
ancora Naruto, esasperato, anche se il sorriso isterico permase,
trasformandosi contro la sua volontà in un sorriso vero e
proprio.
Al
che Sasuke rise definitivamente e scosse la testa, muovendo una mano
come per fermarsi: “Ok, ok, scusa, è inappropriato
ma fai delle
facce assurde e quello che hai detto, beh, mi ha fatto ridere
– si
umettò le labbra, ritrovando una parvenza di
tranquillità per poi
ammettere con serietà eccessiva, come per bilanciare
– comunque
sì, stavo intervistando Edward Johnson, che
secondo molteplici fonti potrebbe essere il vice.”
Si morse un labbro.
Finalmente
ormai lontano dalla zona ovest, Naruto inchiodò vicino a un
marciapiede e si voltò a guardare Sasuke, incerto se
ammirarlo, se
mandarlo a fanculo, se mordergli a sua volta il labbro e
strapparglielo via perché... cazzo, era più bello
di quanto potesse
tollerare, o se chiedergli cosa gli passasse per la testa per
decidere di
andare direttamente nella bocca dell’inferno.
“Che cazzo
gli hai detto per
farti sparare addosso?” fu invece tutto quello che
riuscì a dire.
Con
serietà ritrovata e una sorta di profonda riflessione,
l’altro gli
rispose: “Che approvavo il suo pensiero per quanto riguarda
la
disparità delle leggi tra chi ha il
soulmate e chi no, ma la sua piega terroristica era inaccettabile e
prima o poi lo avrebbero fatto fuori – schioccò la
lingua,
apparentemente imperturbato – ecco, forse questo non dovevo
dirglielo, ma rimanere imparziale, credimi, è difficile.
Però ho
l’intervista registrata, verrà fuori un
bell’articolo”
constatò
ancora, tirando un breve sospiro e riprendendo ad assumere
quell’aria
di superiore intelligenza, come se la sua mente brillante
fosse destinata consapevolmente a grandi cose. Pur trovandosi in
un’auto ammaccata, che puzzava di caffè e
vagamente di polvere da
sparo.
Naruto
appoggiò la testa contro
il sedile e dopo un istante scoppiò a ridere, quella volta
senza
trattenersi.
“Tutto
questo ti fa ridere?”
sbottò l’altro, dimentico che prima aveva fatto la
stessa cosa.
“Sì
– ammise tra una risata
e l’altra, asciugandosi le lacrime dagli occhi –
è che, sai, ti
vedo arrivare quando ti ho preso tutto molto figo e composto, con il
tuo può portarmi al 112
di Eight Street –
scimmiottò divertito la voce impostata di Sasuke
– e poi te ne
esci con queste dichiarazioni arrabbiate, convinte, sai, di chi non
ci sta e ti fai addirittura sparare addosso.
Insomma…” lo guardò,
la risata divenne un morbido sorriso e la voce più
contenuta, quasi
una confessione detta sulla punta delle labbra “sei proprio
un bel
tipo.”
Anche
se non berrai mai il caffè senza zucchero, anche se non
sarò certo
io a farti sparire la macchia scura sulla tua mano.
Sasuke
sorrise. Un sorriso schivo, dopo il quale scosse appena la testa e,
per effetto, più
cercava di contenerlo, più il sorriso si allargava,
quasi di chi non fosse abituato a farlo ma gli piacesse troppo
per rinunciarvi:
“Ce lo ricorderemo per anni, eh? Anche tu non sei stato male,
sei
partito con un bello sprint.”
“Non
sono stato male? Sono stato leggendario vorrai dire, già
solo per il
fatto che non ti ho lasciato a piedi appena sentiti gli
spari”
ammise Uzumaki
con orgoglio, per poi chiedergli dove accidenti Sasuke volesse ancora
andare, se a farsi sparare da qualcun altro giusto per completare
l’opera d’arte sul suo taxi scassato, o tornare
effettivamente
alla sede del giornale.
Sasuke optò
per la seconda
scelta, aggiungendo: “Ti porterò a riparare
l’auto. E… a
lavare. Mi spiace per il caffè, quanto ti devo?”
Di nuovo la sua
correttezza
precisa. Naruto sospirò mentre proseguiva lungo la strada,
sentendo
l’impulso frivolo, di chi amava la vita e le persone, di
baciarlo
per la serietà e la correttezza che Sasuke ci metteva.
“Lascia
stare il caffè. Se
vuoi possiamo vederci per una birra un giorno”
buttò lì con fare
casuale.
Pensò
che magari il giornalista gli avrebbe risposto che era troppo preso
a farsi uccidere anche dai filomonarchici per bilanciare gli
equilibri karmici della sua persona.
“Una birra,
eh? Stasera sei
impegnato?”
Per poco
l’altro non si strozzò
con la sua stessa saliva: “Beh, stasera pensavo di andare al
Murphy’s con alcuni amici, ma…”
“Il
Murphy’s quello su
l’Adison Avenue?” lo interruppe l’altro.
“Sì.”
“Beh,
è un pub, c’è la
birra, mi pare perfetto. Ti raggiungo lì, il tempo oggi di
preparare
l’articolo, mettermi d’accordo con la carrozzeria
per la tua auto
e lavarmi.”
“Oh.
Wow, ok – il cuore gli aveva fatto una capriola assieme allo
stomaco, o forse viceversa, non capiva bene e tutto stava accadendo
parecchio in fretta per uno abituato ad attendere l’amore
della sua
vita un caffè alla volta – andata. Ci
sto” annuì, con
gli
occhi luminosi.
La
sua vocina interiore gli ripeteva di non essere stupido, di non
innamorarsi come al suo solito di cause perse, ricordandogli
che
Sasuke agiva
con tanta urgenza solo per mettere a posto la faccenda della
macchina,
ma la mise a tacere, soffocata da quel senso di trionfante
felicità
che gli chiedeva, affamato
d’amore,
di godersi il momento e basta.
“Sempre
che non
ti scocci, prometto
che
non ti ruberò molto tempo dagli altri”
rettificò l’altro, come
ripensandoci.
“Ma
va – esclamò in fretta Naruto – noi
saremo lì dalle 20,00 per mangiare qualcosa. Ti
aspetto.”
Erano arrivati di
fronte alla
sede del giornale, un bell’edificio elegante incassato tra
alti
grattacieli e strutture importanti, di quelle dove sembrava dovesse
decidersi il destino del mondo.
Per un istante nessuno
dei due
parlò, infine Sasuke si slacciò la cintura e
confermò: “Ti
raggiungerò dopo allora – sembrò
tentato di chiedergli qualcosa,
lo guardò, poi ci ripensò – grazie
ancora per oggi. So che se ci
fosse stato qualcun altro al posto tuo con ogni probabilità
non mi
avrebbe aspettato. Ti devo molto più di un
caffè.”
Aprì
lo sportello prima che Naruto potesse dire qualcosa. Questi
recepì
nuovamente
quella sfumatura di carattere schivo che si apriva di
rado,
ma quando lo faceva intendeva ogni singola parola pronunciata.
Sorrise, per poi sospirare dopo che si salutarono.
Se, chiedendo a Naruto
Uzumaki di
parlare di sé, questi avesse detto di trovare straordinaria
la
propria modesta esistenza, avrebbe detto il vero.
Se
a Sasuke Uchiha avessero chiesto la stessa cosa, nell’affermare
di essere una persona modesta con una vita semplice… beh, Sasuke
Uchiha
avrebbe mentito.
Ma
d’altronde va così: non sempre si rivela tutto
quello che si
pensa. Soprattutto, a
volte
nemmeno la scienza postulava
teorie corrette, per questo a volte occorreva
rivederle sulla base di casuali, complicate e imprevedibili
eccezioni. Naruto e Sasuke, infatti,
sarebbero stati una di quelle.
Sproloqui di una zucca
Questa fanfiction, che
sarà di quattro capitoli piuttosto lunghetti, è
per Angelica che mi ha ispirato tantissimo e, inconsapevolmente,
spronata a tornare a scrivere, soprattutto di personaggi di cui ogni
volta credo di averne abbastanza e che invece finiscono per non
stancarmi mai. Tanti auguri di Buon Natale, Angelica, spero davvero che
questa storia ti piaccia e possa trasmetterti qualcosa.
Grazie a tutti per
aver letto <3
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Capitolo 2 *** 2 ***
2
Naruto
amava andare al pub: era
un posto comodo per vedersi
con amici e amiche, l’ideale
per
chiacchierare senza
fatica,
magari alzando
la voce con tanto di risate scroscianti quand’era un
po’ più
esaltato, o brillo, il cibo era semplice ma buono e le birre
quell’accompagnamento alcolico non eccessivo che scandiva
perfettamente le serate.
Per
tutta quella serie di ragioni ormai
da anni era diventata un’abitudine trovarsi al
pub
con i suoi amici di una vita; ciascuno
di essi aveva i propri
impegni tra famiglia e lavoro, dunque rispetto a un tempo sembrava
un’impresa titanica combinare in modo che ci fossero tutti,
ma con
un po’ di forza di volontà e qualche piccolo
sacrificio erano
stati in grado di mantenere una frequenza regolare di uscite.
“E quindi
stasera ci presenti
il tipo con cui stai bombando.”
Naruto fu in procinto
di sputare
la birra. Sollevò lo sguardo incrociando quello di uno dei
suddetti
amici di una vita, pentendosi di aver pensato anche solo lontanamente
che sarebbero stati civili con un perfetto sconosciuto, e scosse
appena la testa, simulando un sorriso:
“Kiba, no,
non ci sto bombando.
Cazzo, l’ho conosciuto oggi e non so manco quanti anni abbia,
come
posso averci fatto qualcosa di più che portarlo a rischiare
di farsi
uccidere?”
L’altro
gli fece la linguaccia prendendolo in giro mentre si girava una
sigaretta. Avevano
da poco finito
di mangiare, c’erano
ancora delle patatine nelle ciotole portate come contorno, alcuni
erano al secondo o terzo giro di birra e l’atmosfera era
giocosa,
serena, di quelle che promettevano una serata forse non esuberante ma
comunque vitale, capace di far provare
gratitudine
per
avere amici del genere e... pentire allo stesso tempo di non
ringraziarli
mai abbastanza per esserci.
Proprio
perché li conosceva da tempo, Naruto aveva raccontato loro
cosa gli
era capitato quel
giorno,
della sparatoria e tutto il resto, generando commenti ilari misti ad
esclamazioni di stupore. Per quanto ormai tristemente si fossero
abituati a sentire di numerosi episodi violenti perpetrati nel tempo
dal
clima di rivolta di quegli anni, per fortuna ancora riuscivano a
provare sgomento di fronte alla realizzazione che la disperazione
umana pareva non avere mai fine. Disperazione e violenza che
proveniva in realtà da
chiunque,
indiscriminatamente:
da
opponenti
alla monarchia, ma anche da
filomonarchici che
credevano il re Sargon
sarebbe sopravvissuto a quel travagliato periodo,
o semplicemente da chi si accorpava ai primi per far valere la
propria ferma opposizione a regole che privilegiavano chi aveva avuto
la fortuna di incontrare il soulmate, trovando
assurdo che
quel legame rappresentasse la
stabilità agognata dal sistema e per questo meritevole
di
essere premiata. Come se la gente avesse scelta
sull’incontrare o
meno il soulmate, o fossero tutti entusiasti all’idea di
poterlo
conoscere.
I
commenti deviarono però
presto
su altri argomenti, sfiorando solo per un istante la politica per poi
vertere su altre tematiche più piacevoli, come gli ultimi
videogiochi usciti, o anche se fosse il caso di andare al cinema a
vedere qualche pellicola particolarmente ignorante fatta di
sparatorie e inseguimenti, quasi
per distrarsi dalla violenza vera con quella esagerata e roboante
proiettata su di uno schermo gigante:
“No,
non ce la posso fare a vedere il…
cos’è, il tredicesimo Shoot &
Pray?” borbottò Shikamaru, roteando gli occhi
verso il soffitto,
per poi sbadigliare. Il bambino avuto da qualche mese con la sua
compagna Temari gli regalava splendide ore di esperienza
paterna condite da
assenza
di sonno miste
a urla disperate per
le coliche; un mix
non male per uno che fino a qualche anno prima sosteneva
di non
volere
figli, nemmeno sotto tortura, e che
ora
invece,
nemmeno viste le condizioni di schiavitù genitoriali,
avrebbe mai
pensato di rinunciare
all’amore della sua vita, oltre
a Temari ovviamente.
“Ma dai
– lo incoraggiò
Naruto, assieme a Kiba – Shoot & Pray non invecchia
mai: un
agente segreto tra le fila del vaticano che argina le cospirazioni
di… in questo capitolo credo siano templari, forse alieni
templari,
non si è capito bene dal trailer ma sembrano stare a bordo
di
piramidi volanti.”
“Non sono
piramidi, sono
Ziggurat. Gli sceneggiatori di Shoot & Pray sono sempre
sorprendentemente accurati per queste cose” si
inserì una voce
nuova nella conversazione. Così, all’improvviso,
come se ne avesse
sempre fatto parte.
Il
tavolo di amici si zittì, immobilizzandosi, eccetto Choji
che finì
di masticare l’abbondante manciata
di patatine.
Si voltarono per
vedere sostare
in piedi un tizio dall’aria un po’ pallida, i
capelli neri
disordinati che a tratti gli andavano sugli occhi e un cappotto forse
più largo della sua taglia lasciato sbottonato; nonostante
quella
generale casualità nel vestirsi, una sciarpa calda era
avvolta
accuratamente attorno al collo, coprendoglielo come i guanti
indossati sulle mani.
Senza volerlo, Naruto
si trovò a
sorridere, fu come un moto istantaneo, di quelli incontrollati:
“Sasuke!
Grande, ce l’hai
fatta!”
Che
frase del cazzo da dire, sembrava
così banale dopo quello che avevano visto assieme.
Ma
Sasuke sembrò non lamentarsene, accennò infatti
una
specie di sorriso su quella ferita che si trovava al posto delle
labbra, scrollò le spalle e annuì: “Mi
sono liberato un po’
prima. Se
hai tempo ti do tutti i contatti per carrozzeria e lavaggio, ho
già
organizzato: devi solo portare il
taxi,
faranno tutto in giornata per non farti perdere tempo.”
Aveva parlato con fare
pratico,
organizzato, mentre si toglieva del tutto il cappotto e in un ultimo
gesto quasi inconsapevole si ravvivava i capelli.
Inebetito,
Naruto rimase a fissarlo senza dire nulla, poi annuì,
intimamente
quasi deluso, come aspettandosi, anzi, desiderando, che le cose
sarebbero
state più
lente, un’eterna lotta con il carrozziere pigro e quindi la
possibilità di sentirsi
con
Sasuke per molto più tempo. Quel giornalista era decisamente
troppo
bravo e, ancora una volta, troppo incapace di tenersi i problemi un
po’ più a lungo, Naruto compreso.
“Ok,
grazie, ma non c’era fretta” lo
tranquillizzò
infine, sentendo le sue stesse parole suonargli tremendamente
stupide.
Infatti non
tardò ad arrivare
Sasuke con il sopracciglio sollevato che, prendendo una sedia mentre
gli altri fingevano di mangiare con interesse qualche patatina
residua, replicò ironico: “Non c’era
fretta? Mi sembra poco
rassicurante per dei passeggeri girare in un taxi con buchi di
proiettile e senza parabrezza.”
Giusto,
giusto. Perché Sasuke
doveva avere così tanta ragione? Dannazione.
“Già,
però ammettilo: fossimo
stati in Shoot & Pray avrebbero fatto la fila per salirci
sopra”
ribatté Uzumaki, scherzoso.
Fu allora che Sasuke
finalmente
sorrise d’istinto e sembrò sciogliere la patina di
ghiaccio fatta
d’insospettabile timidezza di cui in realtà era
rivestito. Annuì
e confermò: “Decisamente, ci risalirei io per
primo. Comunque vi
consiglio il nuovo film, decisamente all’altezza delle
aspettative,
tante o poche che siano. Non il migliore della serie ma…
beh, quei
templari sanno il fatto loro.”
Prima
ancora che Naruto potesse esprimere la sua meraviglia e la sua
felicità – oltre a quel senso di viscerale
emozione all’idea che
qualcuno, un perfetto estraneo, gli parlasse con altrettanto affetto
di qualcosa che lo faceva stare bene, persino se
si trattava un
film idiota di sparatorie e scazzottate
– però intervenne Kiba che commentò
ammirato: “L’hai già
visto? Sapevo che meritava, sentito
Shikamaru?”
L’altro fece
una specie di
smorfia ma si mostrò incuriosito. Sasuke
minimizzò: “Sì, una mia
collega giornalista mi ha regalato dei biglietti per
l’anteprima. A
conoscervi prima vi avrei invitato. Da appassionato ad
appassionato.”
Lanciò
un’occhiata a Naruto,
poi afferrò il menù, senza aggiungere altro.
Aveva un’espressione
seria ma non arrabbiata, bensì di quelle da persona
riflessiva.
Kiba mimò
un fischio, il taxista
allora gli lanciò un’occhiata fulminante e si
chiese una volta di
più per quale stupido motivo avesse accettato di far
incontrare il
pacchetto completo del suo caotico universo con quello controllato
–
era davvero controllato? si chiese – di Sasuke. A quel punto
schioccò le dita e ricordò le norme della civile
educazione:
“Ragazzi, vi
presento Sasuke
Uchiha, Sasuke, i ragazzi: Kiba, Shikamaru, Choji.”
Questi
salutarono e come sempre senza filtri Kiba commentò:
“Piacere,
Sasuke. Se già ti interessi
di
certi film e casi umani come Naruto non puoi essere una cattiva
persona, quindi
benvenuto nel club.”
Il
giornalista assottigliò
gli occhi, quasi stesse elaborando l’intera affermazione,
dunque
Naruto si affrettò nell’ordine a tirare un calcio
sotto il tavolo
a Kiba, poi a correggere il tiro: “Ma che simpatico! Già,
meno
male che almeno hai la simpatia a compensare
tutto il resto, eh Kiba?
–
tornò
a rivolgersi al suo ex-passeggero vertendo la conversazione su
argomenti meno compromettenti – Comunque
Sasuke quando vuoi ordiniamo, un altro giro di birra lo
faccio volentieri.”
Fu
solo a quel punto che, facendo finta di nulla, il giornalista si
tolse anche i guanti, come rendendosi conto all’ultimo di averli
ancora addosso.
Lo fece dopo aver appoggiato il menù, infilandoli
ancora
appallottolati nella tasca della giacca appesa alla sedia, per
poi strofinarsi
appena i palmi nudi,
quasi avesse ancora freddo. Inevitabilmente lo sguardo di Naruto
cadde sulla macchia nera del palmo, ma lo deviò subito, in
attesa di
una riscontro
alla propria proposta.
Eppure era sicuro che anche agli altri non fosse sfuggito quel
dettaglio: si
trattava a malapena
di
uno
spiraglio tra pelle e tessuto che però colpiva come un faro
luminoso, tanto
sarebbe
bastato
agli amici
per capire che il
nuovo arrivato
davanti a loro non avrebbe mai potuto trovare in Naruto un soulmate
e viceversa.
Il taxista
sospirò, chiedendosi
se Sasuke l’avesse notato a sua volta, o se gli importasse.
Poi lo
vide guardarlo dritto negli occhi e accennare un sorriso quando
confermò:
“Ordiniamo.
Dimmi
che prendi, vado al bancone. Io ho scelto, voi
volete qualcosa?” domandò abbracciando gli altri
con lo sguardo.
Kiba prese la sigaretta rimasta in sospeso e scosse la testa,
ringraziandolo dicendo che aveva bisogno di nicotina – lo
guardò
negli occhi a sua volta, ignorando la macchia nera –
Shikamaru
rifiutò con
gentilezza,
invece
Choji si unì volentieri
al
giro con un’altra media.
Prima
che
Sasuke parlasse l’atmosfera
era quasi ingabbiata, come sospesa in un’ansiosa attesa che
qualcuno potesse fare o dire qualcosa: di sbagliato, o di
clamorosamente perfetto, qualsiasi
cosa sarebbe
andata
bene pur di
districarsi da quell’impressione scomoda di aver visto
troppo; ora
invece
quella stessa atmosfera era più leggera
e tutti ringraziarono che Sasuke fosse stato
così accorto
da
ignorare buona
parte del mondo attorno a sé, pronto
a riconsiderarlo
al
momento più opportuno.
Il
giornalista
annuì, annotò mentalmente anche la rossa media di
Naruto, infine si
alzò senza attendere oltre, annunciando a Kiba che
nell’attesa
avrebbe fumato
una sigaretta
una a sua volta. L’altro sembrò esserne contento,
prendendo il
cappotto mentre decideva di anticiparlo fuori, invece Naruto lo
guardò allontanarsi, ritrovandosi a sorridere instupidito:
di tutte
le cose, non avrebbe mai pensato che Uchiha fumasse. Né che
guardasse film action piuttosto trash a
dire il vero,
ma l’aveva sorpreso anche in quello. Si erano salvati la vita
a
vicenda, questo
era vero, però doveva
comunque
tenere a mente
che erano lo
stesso
perfetti estranei, legati sì
da
un’esperienza
tanto
viscerale e improbabile, ma pur sempre terribilmente sconosciuti
l’uno all’altro.
“Certo che
è un tipo piuttosto
sicuro di sé – commentò Shikamaru una
volta che furono rimasti
solo loro tre al tavolo – insomma, si vede che non
è socievole ma
sa cosa dire. Immagino tu abbia notato che è un
Macchiato.”
“Impossibile
non vederlo, persino
per Naruto” bonfochiò Choji, pulendosi poi la
bocca dopo aver
mangiato le
ultime briciole.
“Grazie
tante eh, Choji –
sospirò il taxista, preso in causa – sentite, lo
so, so benissimo
quello che Sasuke è o non è. E allora? Ci siamo
conosciuti, tutto
qui, mica uno è obbligato ad avere a che fare solo con un
soulmate,
no?”
Enfatizzò
con
punta di disprezzo, anche se non avrebbe voluto, soprattutto non nel
rivolgersi
a Shikamaru, unico tra
tutti loro ad aver trovato un soulmate, per quanto Choji fosse in una
relazione stabile e Kiba si rifiutasse
che divenisse tale, dopo che il suo compagno l’aveva lasciato
trovando a sua volta un soulmate. D’altronde
l’esistenza di tutti
era un costante provarci, almeno finché durava,
come se ci fosse un minuscolo meccanismo a tempo che decretava presto
o tardi la fine di qualcosa: di una relazione, di un amore, di un
interessamento, di loro stessi.
“No, non
è obbligatorio”
convenne Shikamaru calmo, soprassedendo lo scatto di rabbia
dell’altro.
Pochi
istanti dopo arrivò il cameriere con le ordinazioni e in
breve
giunsero sia Kiba che Sasuke; questi aveva il naso arrossato per il
freddo e nel suo respiro emanò un leggero odore di neve e
tabacco.
Naruto pensò che avrebbe potuto risucchiargli
l’aria per poter
percepire
ancora
l’ondata di profumi che caratterizzava quell’uomo,
coi suoi
cappotti larghi e le
mani nascoste nei tasconi quasi ci si fossero tuffate.
“Avevo
giusto sete!” esclamò Kiba sedendosi di peso.
Sasuke si rimise al
suo posto dopo essersi tolto il giaccone e Naruto gli
accennò un
sorriso che inaspettatamente l’altro ricambiò.
Sentì che avrebbe
potuto baciarlo, accarezzarlo per scoprirgli meglio il volto dai
ciuffi neri che gli ricadevano ribelli sulla fronte, chiedergli tra
una coccola e l’altra di parlargli ancora, di qualsiasi cosa,
senza
smettere però di guardarlo, come se davvero gli importasse
di lui,
sì, solo di lui
e nessun altro
in quel piccolo pub affollato.
“Te ne dovevo una” disse all’improvviso
Uchiha passandogli la
birra. Per un istante Naruto la guardò, poi annuì
e la prese: “Se
fosse più di una non mi dispiacerebbe.”
Basta che
rimani. Ancora, solo
un altro po’, fa che non finisca così.
Brindarono, facendo
tintinnare i
loro bicchieri: una goccia scivolò lungo il vetro freddo,
poi la
schiuma sulle labbra, come un bacio.
*
Fuori dal locale aveva
ripreso a
nevicare. Naruto e Kiba ridevano a crepapelle per qualche battuta,
mentre Shikamaru già chiamava un taxi e Choji mandava un
messaggio
alla sua ragazza avvisandola che stava per rientrare. La strada era
silenziosa, le auto stesse sembravano muoversi a rallentatore,
pattinatori meccanici in una notte invernale.
Guardando il
gruppetto, Sasuke si
accese una sigaretta e rifletté sul da farsi, agitando
appena i
piedi per scaldarseli e affrettandosi a mettere la mano libera in
tasca, con ancora l’accendino stretto tra le dita.
Naruto
era un tipo a posto, convenne mentre si chiedeva se sarebbe stato
tanto terribile ritrovarsi da solo dopo
una serata come quella:
simpatico, forse troppo, troppo,
esagitato, entusiasta, carico di racconti e aneddoti, un uomo di
spettacolo – a pensarci bene era troppo in generale, non
credeva di
riuscire a processarlo, o
inscatolarlo nella sua pretesa di una vita anonima, organizzata,
semplice, ciò di cui aveva bisogno per ricordarsi che di
non essere solo il proprio
lavoro, bensì
che
c’era altro nelle mura silenziose del piccolo appartamento a
cui
rientrava. O rischiava di non rientrarci affatto e si era ripromesso
di non essere così, di non finire pieno
di rancore come
sua madre.
I
suoi amici erano allo
stesso modo simpatici,
alcuni più contenuti, altri
meno,
anche
se
aveva avuto l’impressione che fosse scattato qualcosa in loro
quando gli avevano scorso i palmi delle mani; con ogni
probabilità
Naruto non era un Macchiato, a giudicare dalla loro reazione mista a
dispiacere e disappunto, e il fatto che sperassero così
palesemente in
qualcos’altro significava che forse quel ragazzo
che ora rideva come un matto a una battuta stupida era più
solo di
quanto Sasuke avrebbe mai potuto immaginare. E si chiese come fosse
possibile, come accidenti fosse possibile che un tipo così gentile,
sorridente e
vitale – cazzo, gli sarebbe bastata anche una goccia di quel
modo
scintillante di porsi –
potesse
non aver trovato ancora nessuno, fosse stato anche il più
idiota
degli idioti.
Lo vide poi ridere
ancora e
scuotere la testa: “Un taxista che è costretto a
chiamare un taxi,
non s’è mai visto” lanciò
un’occhiata scherzosa a Sasuke, il
quale rimase ancora qualche istante silenzioso, con la sigaretta
mezza consumata che ondeggiava tra le labbra.
Sentì il
peso delle chiavi della
macchina in tasca, tra il portafoglio e lo scontrino della birra
offerta.
Pochi minuti dopo
arrivò il
taxi, quello chiamato da Shikamaru che a quanto pareva era destinato
a riportare un po’ tutti a casa.
Naruto aprì
la portiera e chiese
rivolgendosi a Sasuke: “Dai, immagino tu non abbia la
macchina.
Dove devi andare?”
Il
diretto interessato
aprì la bocca, mentre gli altri stavano già
entrando, poi
la
richiuse, fece una breve corsa e appoggiò a sua volta le
mani sulla
portiera del
taxi,
proponendo a Naruto: “Ti porto io. Fammi fare almeno
quest’ultimo
favore – vide gli occhi dell’altro sgranarsi e
cercare di dire
qualcosa, dunque si abbassò comunicando agli altri nell’abitacolo
– qualcun altro vuole venire con me? La mia macchina fa
schifo, è
un rottame, ma vi può portare.”
“Cos’è,
ti vergognavi a
darci un passaggio?” scherzò Kiba, ridendo allegro.
“Sì”
ammise invece serio
Sasuke. Anche se non era propriamente quello, ma era felice di averci
ripensato.
“Tranquillo,
noi ci arrangiamo. Però
è sacrosanto che Naruto non debba andare dalla
concorrenza”
intervenne
Shikamaru e Kiba annuì con qualche presa in giro diretta nei
confronti dell’amico appiedato.
Questi
scosse la testa: “Ma no Sasuke, non… –
sospirò, chi voleva
prendere in giro? Ovvio che sarebbe andato anche in monopattino con
Sasuke pur di guadagnare un altro istante in più in sua
compagnia –
ok
sì, va bene, se non è un disturbo.”
“Non te
l’avrei proposto
fosse stato così” replicò
l’altro, quasi asciutto, trovando
stupide formalità simili.
Si
salutarono con
gli altri
e, una
volta rimasto solo con Naruto,
Sasuke direzionò il ragazzo dove aveva parcheggiato,
spiegandogli
quasi per prepararlo alla visione non proprio idilliaca della sua
macchina: “Considera che la chiamo Scassone.
Perché è un pezzo di
ferro con le sospensioni irrigidite
e la struttura che, mah,
cigola in maniera misteriosa quando sterzo a sinistra. Non ho ancora
capito bene perché. Però dopo più di
dieci anni di onorato
servizio non mi ha ancora lasciato a piedi, dunque è comunque
affidabile.”
“E non hai
mai pensato, chessò,
di portare Scassone dal meccanico, come hai fatto col mio
taxi?”
propose con fare casuale Naruto, camminandogli accanto.
“Non
ci penso nemmeno, non ne
vale il
tempo e la
uso poco,
visto
che prendo quella aziendale per le trasferte; sono sicuro che se
vado dal meccanico rischia di mandarla a rottamare.”
Sembrò
risentito.
“Capisco che
è vecchia, ma
mica te la distrugge. Ci sei tanto affezionato?”
domandò il
taxista con maggiore dolcezza.
Sasuke
spostò lo sguardo verso di lui, poi tornò a
guardare davanti a sé.
Tirò fuori le
chiavi
e, quando tolse l’allarme, una macchina poco più
avanti si
illuminò delle quattro frecce per poi tornare a confondersi
con il
buio del quartiere.
“Era
l’auto di mia madre e
mio padre. Ci portavano ovunque, a me e mio fratello: in gita il
weekend, a scuola, dagli amici.”
Non aggiunse altro,
chiudendo
all’improvviso il discorso. Naruto fece per dire qualcosa, ma
fu
distratto dall’imponente vetustà di Scassone che
spiccò nella
penombra rispetto alle altre auto per la sua vernice color canna di
fucile saltata in alcuni punti, le gomme probabilmente lisce, una
portiera di colore diverso e l’antenna mancante.
“Non male
Scassone” commentò
con un fischio.
“Si
difende” annuì Sasuke, dando poi una leggera
spallata alla
portiera del passeggero per
aprirla,
spiegando “la maniglia ogni
tanto si blocca,
bisogna conoscere il trucco per farla scattare.”
“Capisco”
rispose Naruto
attento, divertito e deliziato allo stesso tempo.
Si sedettero ai
rispettivi posti,
con le portiere che cigolarono una volta richiuse, e lo
investì un
piacevole odore vanigliato: la macchina era infatti pulita, si vedeva
che Sasuke a modo suo se ne prendeva cura, anche se i sedili sul
retro avevano un paio di borse contenenti fascicoli e forse bozze di
articoli o documenti.
“Dove ti
accompagno?”
“Abito
nel quartiere di Barley, una ventina di minuti da qui. Alla ventesima
di Miles Standford Street. Sai come arrivarci?”
domandò dopo un
istante.
“Assolutamente
no. Ma confido
che tu sappia come fare” replicò asciutto
l’altro, mettendo in
moto.
Dopo
un paio di avvii e borbottii di motore affaticati, finalmente
Scassone si accese. E Naruto fu felice di poter indirizzare
Sasuke ovunque egli gli
avesse
chiesto.
Lungo la strada
chiacchierarono.
Furono venti minuti intensi, fatti di ingorde chiacchiere che
fluivano incontrollate da entrambi, naturali com’era naturale
svoltare a un’indicazione, mentre i loro passati si
mischiavano,
divenendo ricordi e narrazioni, semaforo dopo semaforo, con
l’auto
che scivolava sulla strada e i loro sguardi si incrociavano
chiedendosi perché, dannazione, perché la vita
non poteva essere
più semplice e loro capaci di cancellare uno il marchio
dell’altro,
per sempre, colmando il vuoto di non potersi avere.
Arrivarono
sotto casa di Naruto, un piccolo appartamento al quarto piano di un
edificio non recente ma ben tenuto, in cui gli inquilini cambiavano
spesso ma quei pochi orgogliosi reduci rimasti si conoscevano tra
loro. Naruto era uno di questi, abitudinario nel trovarsi una casa da
poter definire una tana esattamente com’era
abitudinario
nel prendere
il caffè
la
mattina,
lo spezzone di ordinarietà nella propria
vita imprevedibile.
Sasuke spense il
motore e nella
strada ci fu il silenzio. La neve aveva smesso di cadere, lasciando
una piacevole distesa bianca che rendeva ogni angolo uguale
all’altro, un bosco incantato fatto di mattoni e cemento.
Naruto
lo guardò.
Avrebbe voluto confessargli
che si era trovato bene e no, non se lo aspettava, non voleva
aspettarsi proprio un bel niente dannazione, invece quell’uomo
seduto accanto a sé
lo aveva fregato clamorosamente, su tutta la linea. Si
tenne però per sé quel pensiero e
gli propose invece,
parlando troppo veloce, al
punto da mangiarsi
le parole:
“Ti va di
venire su da me?
Cavoli, ehi, sembra proprio una proposta pessima
d’abbordaggio, di
quelle di categoria zeta, ma davvero è giusto per un
caffè, la cena
era pesante e…”
“Sì.”
“Come?”
“Sì
– ripeté Sasuke, quella
volta girandosi verso di lui, togliendo le mani dal volante –
ci
sto. Salgo da te.”
Lo disse con il cuore
in gola. E
la paura ancestrale di star sbagliando, di essere stato presuntuoso a
credere fino a quella sera di non aver bisogno di nessuno, soulmate o
essere umano che fosse.
Poi lo vide sorridere,
gli occhi
illuminarsi, e allora Uchiha sigillò le labbra per non
sospirare, ma
anche per tenersi per sé, nascosto, privato, un sorriso
immenso
all’idea di quella che poteva essere la felicità
per una persona,
per Naruto, il quale era contento semplicemente perché uno
come lui,
un anaffettivo di merda come Sasuke, avesse accettato di salire.
“Ok, wow,
fantastico! Cerco le
chiavi.”
In un tintinnio
metallico le
prese dalla tasca interna del giaccone e ispezionò quella
giusta per
aprire forse il portoncino. Silenzioso, Sasuke lo osservò,
per poi
scendere entrambi quando il proprietario di casa ebbe trovato
ciò
che cercava.
Il rumore ovattato
delle scarpe
sul terreno innevato era piacevole ma poco rassicurante, dava
l’idea
di qualcosa di fragile che poteva rompersi con un peso troppo forte,
quasi al di sotto ci fosse ghiaccio e una distesa d’acqua al
posto
dell’asfalto rattoppato di una città.
Senza
parlare, entrarono nell’androne che sapeva
di disinfettante e cavoli, l’odore del cibo che aleggiava
simile a
un ricordo sbiadito incapace di andar via. L’ascensore non
funzionava, dunque salirono le scale a piedi, ansimando appena mentre
i corpi freddi si scaldavano.
Sasuke
avrebbe potuto distinguere l’appartamento di Naruto anche
senza
indicazioni o targhette: l’unica porta con un cartonato
decorativo
che ricordava una ghirlanda era infatti la sua, per non parlare di
una serie di ombrelli a quanto pareva dimenticati da tempo immemore
nel portaombrelli nell’angolo e un
tappeto con scritto whellcome
con tanto di fiamme stilizzate.
Con un altro giro di
chiavi,
Naruto fece scattare la serratura ma, prima di aprire,
avvisò: “Non
spaventarti del disordine. È tutto normale,
fidati.”
Sasuke
inarcò un sopracciglio;
non sapeva che Naruto avrebbe voluto mangiarglielo quel sopracciglio.
E baciare Sasuke lì, sul pianerottolo, per poi trascinarlo
dentro e
farci l’amore.
“Non vengo
per vedere casa tua”
gli rispose un po’ troppo secco. Avrebbe voluto essere
simpatico,
con la battuta giusta come i suoi amici, ma gli uscì solo
una frase
stronza.
“Oh beh, mi
fa piacere”
scherzò comunque l’altro, ridacchiando.
Aprì
allora la porta e rivelò una stanza piuttosto ampia con un
angolo
cottura, un divano dotato di poggiapiedi su
cui vi era
una coperta, oltre
a
vari cuscini colorati, e una televisione con accanto la consolle,
poco distante dalla quale troneggiava una pila piuttosto corposa di
videogiochi.
Le narici di Sasuke
furono
investite da un profumo di cannella e arancia, come quello del taxi,
misto a quello di cibo, forse uno spuntino consumato alla veloce
prima di uscire di casa. C’erano libri in giro, qualche
fumetto, un
piatto sporco sul tavolo appoggiato contro il muro, ma nulla del
disordine terribile paventato dal ragazzo.
“Non
è affatto disordinato” commentò infatti,
con le mani in tasca nel cappotto, senza muovere un passo.
“Cerco
di non far esplodere l’appartamento, anche se gli altri e i
miei
dicono che conservo anche troppe cose. Ne finirò inondato un
giorno.
Dammi la giacca, dai, lancia via qualche cuscino e siediti.
L’offerta
del caffè è ancora più che
valida.”
Allora
Sasuke si tolse la giacca, muovendosi quasi con cautela, come
se il ghiaccio della strada li avesse inseguiti sino a lì.
Si guardò un po’ attorno, contemplando nel
passaggio
qualche foto di Naruto bambino – gli venne da sorridere nel
vederlo
ridere
con le guance gonfie da criceto, abbracciando
un uomo e una donna che dovevano essere i suoi genitori – o
altre
con amici e amiche, dove
cambiavano
o rimanevano le stesse persone,
in varie fasi della sua vita. C’erano poi ancora altri libri,
blu
ray di film che Sasuke stesso adorava, come
Shoot & Pray che
faceva
bella mostra di sé addirittura con edizioni speciali.
Si
distrasse solo
quando Naruto gli chiese conferma
che
volesse lo zucchero. Annuì e si sedette sul divano,
intercettando un
pupazzo a forma di volpe che posò accanto per poi prendere
la tazza
di caffè fumante offerta dall’altro.
Questi gli si sedette
accanto e
per qualche istante entrambi rimasero in silenzio, vicini, con la
nuvola di vapore delle rispettive bevande che ondeggiava placida,
involandosi verso il soffitto come se qualcuno tirasse un filo
misterioso.
“Sto davvero
bene con te,
Sasuke. Sei un bel tipo, di quelli convinti ma… come
dire…
modesti, che non devono apparire. Con poco riesci a dare
così
tanto.”
Bevve un sorso, poi
strizzò gli
occhi e scosse la testa, aggiungendo: “Che cose assurde che
dico,
cazzarola, scusa, non voglio metterti in imbarazzo.”
Uchiha non
parlò. Strinse più
forte la mano attorno alla ceramica e seppe, seppe perfettamente, che
quello sarebbe stato un momento decisivo della sua vita, fondamentale
forse. Fu felice ma allo stesso tempo terrorizzato di aver avuto il
privilegio e l’acutezza di essersene reso conto.
All’improvviso,
appoggiò il
caffè per terra e gli disse, con lo sguardo attento, gli
occhi scuri
che non battevano ciglio: “Naruto, lo sai che io ho una
macchia sul
palmo, vero?”
Gliela
mostrò, come uno
schiaffo.
Il sorriso di Naruto
si bloccò:
“Sì… insomma, certo che lo so,
l’ho notato.”
Inconsapevolmente si
coprì
l’avambraccio con una mano, sulla difensiva.
“E so che tu
non hai una
macchia lì, né credo tu sia in generale un
Macchiato.”
“E allora?
Ti ho invitato a
prendere un caffè, mica a giurarci amore eterno!”
esclamò
l’altro, esasperato, solo per poi sigillare le labbra e
scuotere la
testa.
“Ne
sono consapevole
– rispose invece Sasuke, quella volta con tono più
mite, quasi
morbido – non
cerco l’amore eterno. Non cerco nulla a dire il vero, ma...
ti ho trovato lo stesso.”
Lo disse in un soffio
e fu
convinto di averci messo l’anima in quelle parole. Non sapeva
quello che stava facendo, non poteva, o sarebbe stato più
accorto
nei propri sentimenti.
Naruto
sentì il labbro tremare e
quegli stessi sentimenti spingere alla base della gola, incastrandosi
sotto l’epiglottide fino a bloccargli il respiro; doveva
stare
attento: se avesse osato rubare altra aria dalla stanza quel fragile
meccanismo di controllo sarebbe scattato, portandolo a commuoversi.
Fu
per questo che contenne il tremito mordendosi il
labbro, per poi umettarselo e passarvi le dita sopra, socchiudendo
gli occhi.
“Sono
Marchiato. E... dannazione,
credo proprio di essere già follemente
innamorato di te, Sasuke – li riaprì, scoprì
che lui
lo fissava, con occhi altrettanto sgranati – vero,
praticamente non ci conosciamo, ma... mi piaci
da morire: con i tuoi cappotti troppo grandi, le tue sciarpe, le mani
che ci spariscono dentro e che vorrei stringere, con o senza
inchiostro, il modo in cui fumi, al freddo, come se dovessi
mangiartelo quel fumo mentre pensi e ripensi a
chissà cosa,
la
tua correttezza così fastidiosamente precisa e...
oh, i film, penso ai film stupidi che potremmo guardare assieme
–
si interruppe un istante, accennò un sorriso e con voce
più flebile
aggiunse – il tuo naso. Come si arrossa con il
freddo.”
Di riflesso, Sasuke se
lo toccò
per poi mettere via la mano. Allora Naruto gliela prese, con
delicatezza, e abbassò il capo mettendosela tra i propri
capelli:
“Non andartene. Non spaventarti per quello che ti ho detto:
ci
metto troppo di me, troppi sentimenti, ma non posso fare
diversamente.”
Per qualche istante,
coi propri
capelli a ondeggiargli davanti agli occhi, Naruto pensò che
la
stanza fosse più buia, forse anche per via del corpo di
Sasuke che
lo sovrastava così come il suo silenzio, immenso rispetto al
fluire
rapido delle parole che aveva pronunciato.
Ma il giornalista non
ritrasse la
mano, anzi, la rilassò ed emise un breve sospiro. Fu allora
che
Uzumaki lo sentì abbassarsi in un frusciare di vestiti e,
con il
naso che oltre i capelli sfiorava il proprio, dirgli:
“Io non sono
spaventato, Naruto
Uzumaki. Ma non sono nemmeno corretto: ho fatto tutto così
in
fretta, con la macchina, con il cercare di rivederti, perché
– la
voce gli tremò appena e Naruto sollevò lo
sguardo, incrociando a
pochi centimetri gli occhi chiari con quelli scuri dell’altro
–
avevo paura che se avessi fatto passare troppo tempo ti saresti
dimenticato di me.”
Naruto quella sera
scoprì una
volta di più le fragilità di Sasuke, le sue
insicurezze nascoste
sotto un atteggiamento maturo e risoluto, ma anche il modo devoto,
pieno in cui sapeva amare. Non il torrente esplosivo di Uzumaki,
bensì l’abbraccio notturno nel letto, quando si
è soli e al tempo
stesso vicini, la protezione e l’amore senza pregiudizio
né
interferenze.
“Mai
– le sue labbra
sfiorarono quelle di Sasuke – non potrei mai dimenticarmi di
te.”
Lo baciò.
Sentì quei sentimenti
trattenuti scivolare finalmente lungo la gola ed esplodergli in
petto, desiderando come non mai la compagnia di quell’uomo di
fronte a sé, la sua presenza nella propria vita, rivederlo
il giorno
dopo e quello dopo ancora, sapere di trovarlo rientrando a casa,
qualunque casa essa fosse, qualunque vita avessero: erano assieme e
tanto gli bastava.
La
mano di Sasuke passò tra i capelli dell’altro,
glieli accarezzò e poi strinse, cercandolo per averlo
più vicino,
da
una parte con
quella paura viscerale che nulla era eterno, lo aveva visto coi suoi
genitori, con l’egoismo della specie idiota e confusa che li
caratterizzava, dall’altra
con
un’attrazione
impossibile da imbrigliare, forse
a causa dell’euforia
vitale all’idea che poteva farlo, che
poteva sentire
ancora così tanto ed essere libero di
provarci.
D’altronde
non
doveva niente a nessuno, eccetto a se stesso e alla persona che aveva
davanti, che gli aveva confessato
con schiettezza semplice
di amarlo, quasi
a scatola chiusa,
senza nemmeno sapere
quanto Sasuke avesse visto in lui, quanto splendore accecante vi
fosse
in un uomo sì troppo carico di sentimenti, ma proprio per
questo
capace di detonare e far scoppiare la
barriera di solitudine dietro la quale Sasuke
stesso aveva
creduto di poter restare per sempre.
“Grazie”
sussurrò,
baciandolo ancora e venendo baciato. Non rivolse quel grazie solo a
Naruto, ma anche al cosmo e ciò che lo animava.
Fecero
l’amore, in un salotto
che sapeva di Naruto, della sua vita, del toast mangiato, dei
caffè
di entrambi abbandonati accanto al divano, dell’incertezza
curiosa
per ciò che sarebbe accaduto prima di uscire la sera, con le
luci
soffuse della notte attorno e la sensazione splendida del calore
altrui sulla pelle fredda, del respiro capace di far rabbrividire di
piacere, dell’abbraccio prolungato che non chiede altro se
non
sperare che duri ancora un altro po’.
Sasuke vide la scritta
sull’avambraccio di Naruto e capì quanto
l’altro avesse dovuto
attendere che una persona qualunque, chiunque, pronunciasse quelle
parole per fargliele sparire per sempre. Una ripetuta e troppo
frequente serie di illusioni.
Erano
sdraiati per terra, sul tappeto che solleticava leggermente la pelle,
con il lampadario spento sopra di loro e il poggiapiedi
spostato di lato, quasi avessero conquistato qualcosa espandendosi
coi loro corpi.
Il giornalista
appoggiò la
guancia sull’avambraccio scritto dell’uomo e
rimanendo così, con
una mano davanti a sé, lo fissò senza sbattere le
palpebre: “Lo
prendi senza zucchero, il caffè?”
Le prime parole
pronunciate dopo
aver fatto sesso. Erano nudi e così vicini, con i toraci che
si
alzavano e abbassavano lentamente, colline dentro le quali si celano
vulcani.
Naruto
impiegò un attimo a elaborare una
domanda tanto improvvisa, capace di rompere il silenzio armonioso
della stanza, poi sorrise e annuì: “Sì,
da sempre – guardò
Sasuke, la scritta marchiata sul proprio
avambraccio coperta dalla guancia dell’altro,
la cui pelle si era
piegata
appena, conferendo un leggero e splendido broncio sulle labbra
sottili dell’uomo – mi è capitata una
frase bella stupida, eh?”
“Un
po’ – poi lo vide sorridere, incapace di trattenersi,
e correggersi
– sì... cavolo, sì, è
terribilmente stupida.”
Rotolò
sul ventre, coprendosi il volto con le mani mentre rideva appena, la
sua schiena leggermente incurvata che tracciava una linea armoniosa
fino alle natiche perfette che Naruto avrebbe voluto stringere,
incredulo di averlo già fatto quella
notte.
Rise a sua volta e si mise sul fianco, sfiorando con il naso i
capelli scuri e sottili di Sasuke che, nel frattempo, lentamente
aveva smesso di ridere, per spostare il volto così da guardare
il compagno
attraverso
la ciocca scura
caduta
sugli occhi. Il suo respiro calmo scaldava la pelle
dell’avambraccio
di Naruto che per un attimo, invece, non respirò,
contemplando
l’uomo accanto a sé, su di sé. Con
sé.
“Abbiamo
davvero fatto l’amore, io e te?” gli chiese lui
invece. Scostò i
capelli da davanti gli occhi di Sasuke. Non avvertì
più il suo respiro sulla pelle. Lo percepì
solo qualche istante dopo quando Uchiha
confermò: “Sì.”
“Non
lo facevo da tanto” ammise, quella
volta serio,
senza distogliere lo sguardo.
“Anche io.
Come ti ho detto,
non cercavo affatto.”
“Al
contrario di me, suppongo
quindi di aver sbagliato un sacco di cose fino
a ora”
replicò Naruto. Per un attimo sorrise.
Sasuke
spostò la mano da sotto la testa e la mise sul braccio di
Uzumaki.
Tacque ancora un istante poi gli sussurrò, piano,
così piano che la
penombra della stanza sembrò
voler divorare l’unico suono umano a infrangere il silenzio:
“Non
voglio che tu sia ancora solo. Non lo meriti, non me ne capacito,
capisci? Sei tutta la luce, la vita, che mancava nella mia esistenza:
è
assurdo che nessun altro abbia provato lo stesso.”
“No…
no – Naruto
scosse appena la testa, con il cuore che gli martellava feroce in
petto –
no Sasuke io non posso più pensare di stare così,
senza di te. Sto
scoprendo adesso, in questo momento, di non riuscirci
più.”
Forse
suonò patetico, terribile, persino
infantile
caricare qualcuno di parole simili a oltre trent’anni,
così, su di
un tappeto nel buio di un minuscolo appartamento. Ma dopo quello che
Sasuke gli aveva detto – Naruto non lo sapeva ma erano le
parole
più belle che egli
avesse mai avuto modo di pronunciare in vita sua – decise
che sarebbe stato meschino
tacere.
Lentamente
ma con un
movimento fluido
Uchiha
allora
si sollevò a sedere e
spostò il volto verso il soffitto, con le mani appoggiate
sulle
cosce. Si portò infine dietro le orecchie una ciocca di
capelli e
abbassò lo sguardo su Naruto che, steso sul fianco, ancora
non si
era mosso ma lo osservava
in attesa,
con gli occhi azzurri così onesti, lucidi di commozione e
vita.
“Non
mi interessa, né voglio trovare un soulmate. Se smetti di
cercarlo
possiamo stare assieme” decretò
alla fine Sasuke.
“Lo
farò.”
Non
ebbe un istante di esitazione. Uchiha
non voleva suonare minaccioso, ma era
consapevole
di essere tremendamente
piccolo e insignificante di fronte al destino: proprio
per questo doveva
lottare con tutte le sue forze se
voleva
avere una minima speranza di vittoria; accidenti,
in
realtà nemmeno
capiva per quale
ragione
dovesse metterci tutto quell’impegno per un uomo che
conosceva così
poco. Forse perché in
quel poco gli
aveva dato tanto e a sua volta Sasuke
sentiva
di potergli offrire
molto
più che
un paio di risposte secche o una notte d’amore.
“I
tuoi genitori
sono
soulmate?” domandò in
risposta,
lanciando un’occhiata alle foto scorte prima.
“Sì.
Mi hanno fatto sperare,
capisci? – si massaggiò gli occhi, passandosi poi
una mano tra i
capelli – ah, accidenti, non so perché, ma ho la
sensazione di
apparire uno sciocco sognatore ai tuoi occhi.”
L’espressione
di Sasuke mutò in qualcosa che sembrava tenerezza,
nonostante le
sopracciglia fossero ancora contratte, nell’espressione seria
che
metteva in ogni aspetto della sua vita: “Sognatore
sì. Sciocco?
No, non direi – si abbassò con la schiena, fino
ad arrivare
a pochi centimetri dal volto di Naruto – non voglio
costringerti in
nulla. Solo…”
“Non mi
cos…”
“Solo non
voglio lasciarti
andare se trovassi il tuo soulmate.”
Parlò
rapido, in un sussurro.
“Potresti
essere tu a trovare un soulmate – obiettò
l’altro dopo un istante –
non lo
vorrei, per nulla, niente, al mondo. Ne avrei una paura
fottuta.”
Sasuke
sgranò gli occhi:
“Anch’io. Anch’io ho paura di perderti
per questo.”
Ed
è stupido. Così stupido.
Non ci conosciamo, potremmo ancora scappare da tutto questo.
Ma…
come? Come faccio ora ad andarmene e fingere che non esistiamo
più
l’uno per l’altro?
Allora
Naruto, colmo
d’amore e comprensione,
abbracciò Sasuke,
trascinandoselo giù con sé in una presa goffa e appunto
innamorata;
cominciò
a baciarlo sulla testa, intrecciando
le gambe alle sue mentre
gli mormorava
parole d’amore.
“Non posso.
Nono, nossignore,
mai più senza. Mai – lo baciò sulla
fronte e l’altro strizzò
appena gli occhi ma non si divincolò –
più – un nuovo bacio
sulla guancia e Sasuke fece una mezza smorfia che era un sorriso, il
volto arrossato da tutti quei baci – senza Sasuke.
Mai.”
Strofinò il
mento sul suo capo,
affondando poi il volto tra i capelli, respirandoli.
Solo allora, in quella
quiete
d’amore, Sasuke fu capace di abbracciarlo a sua volta.
Credo
di essermi innamorato. E di essere felice ma
allo stesso tempo così spaventato: forse
è questo il prezzo da pagare.
E
mi sta bene, destino, prendi tutto quello che ho.
*
Dopo essersi
sciacquato alla
buona e rivestito, Sasuke uscì dal bagno e trovò
Naruto vestito in
tuta che lo guardò un po’ sorpreso.
Uchiha mise le mani in
tasca,
scrutandolo con una certa perplessa esitazione: “Che
c’è?”
Lo
vide arrossire appena e passarsi una mano tra i capelli, per poi
scrollare le spalle: “Beh, dai, insomma, credevo
ti fermassi. Suppongo di aver pensato male, a giudicare da come ti
sei vestito.”
Colto
alla sprovvista, il giornalista si guardò poi
tornò a fissare
l’uomo e scosse
la testa: “No, non è che sto – allargò
le braccia, sollevando le spalle –
fuggendo o cose così. Si tratta di Cerbero.”
Deviò
un istante lo sguardo, le mani affondarono ancora di più
nelle
tasche quasi fossero calamitate ai pantaloni, ma il petto si
gonfiò
con orgogliosa fierezza. Si
trattò della
prima e storica volta in
cui fu
Naruto a sollevare un sopracciglio:
“Cerbero?”
“Sì
– Sasuke schioccò la lingua, dandosi
dell’idiota – scusa, non
potevi saperlo. È il mio cane. Devo rientrare a casa,
portarlo a
fare i bisogni, queste cose qui. Non posso fermarmi stanotte,
non
mi ero organizzato per l’evenienza.”
“Oh,
io...
Cerbero! – solo
allora Naruto si lasciò andare a una risata liberatoria
– Un
cane! Capisco,
cavoli,
spero che non abbia
patito troppo la tua assenza.
Ehi, è un bel nome, cos’è, tipo un
Dobermann da combattimento o
robe simili?” sembrava scherzare ma era davvero meravigliato
e
incuriosito
da un
nome
tanto
eccentrico, specie per uno come Sasuke.
Questi
lo capì perché stava cominciando a conoscere il
suo interlocutore,
dunque fu con maggiore accortezza del solito che smorzò l’entusiasmo
divertito
di quest’ultimo:
“Nah,
un
incrocio tra un bassotto e non so cos’altro. So che
è esagerato
rispetto
alla stazza”
aggiunse
sulla difensiva, abbassando un istante lo sguardo nonostante
avesse
mantenuto
una certa aria di sfida.
Naruto sorrise con
affetto:
“Nulla è mai esagerato come un nome. E suona
benissimo. Spero di
poter conoscere Cerbero presto allora.”
Al giornalista venne
da sorridere
a sua volta, al punto che si abbandonò più
facilmente all’ironia:
“Combiniamo un’uscita con il mio coinquilino
quattrozampe. Non so
perché ma già sento che vi starete simpatici a
prima vista.”
“Ci
conto!”
Si
guardarono negli occhi, poi sorrisero, rimanendo qualche secondo in
silenzio. Dopodiché Sasuke decise che era tempo di mettersi
il
cappotto e sebbene a malincuore andarsene, avvicinandosi alla soglia
della porta dove venne accompagnato da
Naruto con
addosso tuta e ciabatte, ma l’aria di chi avrebbe indossato
al volo
il primo paio di scarpe a portata di mano per uscire.
Sembrava esitante, quasi
avesse voluto saltare in macchina assieme a lui. Ed era
così: si
sentiva il petto dilaniato all’idea di separarsi da Sasuke,
come se standoci assieme quelle ore, nudi, a fare l’amore e a
parlare di loro, lui
gli avesse lanciato
un incantesimo, portandogli
via un pezzo di sé.
“Allora in
questi giorni…”
iniziò Naruto.
Ma
non riuscì a finire la frase: Sasuke lo
abbracciò. Non si
trattò di
un abbraccio irruento, però in
compenso Uchiha
lo strinse, una seconda pelle attorno alla sua cassa toracica. Si
racchiuse in un
breve istante,
ma sufficiente
a Naruto
per
ricambiare,
stringendo il
compagno
a sua volta fino
a che fu
quest’ultimo
a togliersi,
con
il desiderio di guardare
l’altro negli occhi quando gli propose:
“Vediamoci presto. Domani vai a ritirare il taxi e ci
organizziamo:
ho un servizio nella
città di Enkidu
ma per la sera rientro.”
“Okay,
fantastico. Ehi, se hai bisogno per Cerbero dimmelo, servizio taxi
lusso per i tuoi coinquilini”
gli fece l’occhiolino.
“C’è
il figlio del vicino che fa il dog-sitter per tutti quelli del
condominio a
cui serve ma…
se dovessi aver bisogno, perché no? Te lo farò
sapere, il ragazzo
non saprà che ogni tanto passo dalla concorrenza”
lo disse con
serietà, quasi stesse discutendo di affari sottobanco.
Sorrisero poi
entrambi con
complicità.
Si baciarono infine
per salutarsi
con un certo imbarazzo iniziale, quasi indecisi su come approcciarsi
o affrontare la faccenda. Per questo, sorrisero di più. E si
sentirono ragazzini.
Avrebbero continuato a
sentirsi
ragazzini per tanti, tanti anni a seguire, stando assieme. I migliori
della loro vita. Un amore iniziato per caso, semplice direbbero
molti, ma proprio per questo solido.
Non
potevano però ancora sapere come o quando le cose sarebbero
cambiate, né se a quel cambiamento improvviso sarebbero
sopravvissuti per ciò che erano; forse sarebbero mutati a
loro
volta, lasciandosi per sempre, o
avrebbero compreso che per quanto infinitamente piccoli rispetto al
destino
potevano ancora avere un’occasione per lottare. E vincere.
Sproloqui di una zucca
Come forse avrete notato,
all'interno del capitolo appaiono nomi come Enkidu e Sargon, li ho
inseriti per sfizio, con riferimento il primo all'Epopea di Gilgamesh
(Enkidu infatti era l'uomo selvaggio che accompagnò
Gilgamesh mel suo viaggio, narrato nel racconto sumero), mentre Sargon
è Sargon II , re di Sumer e Akkad. Detto questo,
c'è uno sviluppo bello importante tra Sasuke e Naruto che
decidono di stare assieme nonostante le insicurezze e le rispettive
vite, diverse ma per certi aspetti uguali. Spero di aver reso bene le
loro emozioni e il modo in cui si sono avvicinati, nonché le
vulnerabilità.
Avviso che dal prossimo capitolo ci sarà un salto temporale
necessario perché gli eventi cambieranno ancora, inoltre
verranno introdotti nuovi personaggi fondamentali.
Grazie per le recensioni al primo capitolo e a tutti coloro che hanno
intrapreso la lettura: mi hanno reso davvero felicissima; che dire,
spero che possa piacervi ancora, un abbraccio a tutti quanti e Buon
Anno Nuovo!
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Capitolo 3 *** 3 ***
3
Dopo le dimissioni del re
Sargon a favore del figlio ancora minorenne Sennacherib, la vicina
cittadina di Enkidu è ormai diventata centro focale delle
attività
del FLA, il Fronte di Liberazione Antimonarchica, dove il presidente
Madara Uchiha dichiara che, non essendo sufficienti le revisioni
legislative ed economiche a favore dei non-soulmate,
abbatterà anche
il nuovo governo a suo dire formato da arrivisti che tengono in pugno
quello che lui reputa essere un re fantoccio.
“È tempo che questa
pagliacciata di monarchia e l’oligarchia che
c’è dietro finisca.
Le prime controriforme fatte per paura del FLA sono insufficienti e
ridicole, oserei dire, in confronto a tutto quello che ancora
c’è
da fare: bisogna riformare anche e soprattutto la sanità e
l’apparato contributivo, basta a questo sistema statico di
vecchi
ancorati alle tradizioni che ci hanno portato alla recessione
economica più disastrosa degli ultimi secoli, oltre a un
divario
sociale esorbitante con la scusa di tutelare i soulmate, quando
invece gli unici che aiutano sono solo loro stessi. Essere soulmate
non deve però più fare la differenza sul piano
sociale, mai più.
Preparatevi!” così si chiudono le terrificanti
parole del
presidente Uchiha che pure gode di elevata popolarità, al
punto che
ha ottenuto l’immunità per…
Sasuke spense la televisione,
ignorando la breve protesta di sua madre che a quel punto si
limitò
a scuotere la testa.
“Ti interessa continuare a
vedere cos’ha fatto questo pazzo?” le
domandò asciutto, il volto
apparentemente neutro. A tavola acconto a lui Naruto trattenne un
istante il fiato ma, dopo aver lanciato un’occhiata a Itachi
e
Shisui di fronte a sé, prese un altro boccone e
continuò a
mangiare.
La donna tamburellò una volta le
dita sul tavolo, come riflettendo se rispondere, infine
confermò:
“Sì, mi interessa. Ed è grazie a questo
pazzo se siamo tutelati,
non tutti hanno la fortuna di incontrare il soulmate.”
Lanciò
un’occhiata a Itachi, il
quale
finse di non accorgersene,
bevendo un sorso d’acqua. Sasuke serrò le labbra,
inspirando una
volta a fondo con le narici dilatate. Avvertì Naruto
stringergli la
coscia da sotto il tavolo, dunque decise di non ribattere e accettare
il fatto che col
passare degli anni sua madre non avrebbe mai rimosso dal suo
carattere inasprito quella parte di sé che disprezzava i
soulmates.
E il fatto che il suo figlio maggiore Itachi avesse incontrato il
proprio in Shisui non cambiava le cose, anzi, forse addirittura
le
peggiorava: i due infatti
avevano avuto la sfortuna di essere cugini, pertanto
il
pesante legame di parentela a complicava
la questione.
Tutto sommato
però,
nonostante le ribellioni a
sfavore,
essere soulmate bypassava ugualmente
tutte
le leggi in merito a legami di parentela vicini ma non prossimi,
quindi i
due ragazzi avevano
potuto ufficializzare la loro unione senza troppi problemi, eccetto
forse quelli morali posti da Mikoto in primis.
Il
secondogenito Uchiha guardò il fratello e non seppe, proprio
non
capì come facesse questi ad accettare ancora quegli stupidi
pranzi
in famiglia, finti, perché entrambi
tentavano disperatamente di provare un attaccamento materno che in
realtà non avvertivano,
di certo non come un tempo.
Cercò di buttare giù un boccone di arrosto ma
scoprì di avere la
gola così secca da faticare a deglutire, talmente
tanta era la rabbia che provava.
Altroché mangiare, avrebbe voluto ribaltare il tavolo e urlare
a Itachi di andarsene, che Mikoto non lo meritava come figlio: si
prendeva cura di lei e tutto quello che riceveva era un pranzo ogni
tanto mai esente da frecciatine più o meno mirate.
Il
problema più grande di tutti però
– nonché quello che faceva in fin dei conti
desistere Sasuke dallo
scoppiare in quel modo – era che si trovava nella stessa
posizione
di Itachi quanto a incapacità di tagliare del tutto i
rapporti con
la madre. Sebbene
incattivita dal tempo e dalle delusioni era pur sempre il genitore
rimasto loro accanto, sempre, nel bene e nel male, nonché ad
aver
subito le ripercussioni di un marito
non soulmate il quale, dopo un matrimonio di dieci anni e ben due
figli, aveva improvvisamente trovato la
propria
soulmate e se ne era andato. Fugaku
Uchiha aveva
lottato per avere la custodia dei figli ma Mikoto si era rivelata una
leonessa disperata, spendendo tutto ciò che possedeva
– denaro, tempo, amore – pur
di
tenersi i figli. Il tribunale aveva stabilito presso di lei la
residenza
e custodia
principale dei
minori,
con regolamentazione dei giorni e dei periodi paterni secondo
calendario, ma né Itachi, né soprattutto Sasuke
avevano voluto
saperne nulla del padre: li aveva abbandonati, abbandonato la loro
madre, dall’oggi al domani, come se tutto ciò che
avevano creato
non contasse più nulla, quindi
non avevano ritenuto di dover rispettare alcun obbligo nei confronti
dell’uomo.
Per
questo, per non ripetere ciò che il loro padre Fugaku aveva
fatto,
né Sasuke, né Itachi se l’erano mai
sentita di prendere
le distanze da Mikoto.
Persino
quel giorno Sasuke arrivò
al punto da provare quasi compassione per lei e, in fondo, amarla
comunque: la sua mamma, invecchiata e così piena di rancore,
che
si sentiva quasi tradita da Itachi perché anche lui, come
suo padre,
aveva trovato un soulmate anziché restare per sempre vittima
di un
amore sospeso. Lo
invidiava e questo era terribile.
“Domani
partirò per Enkidu – cambiò
allora
improvvisamente argomento
il
giornalista, girando un paio di volte la purea nel piatto, per poi
pulirsi la bocca col tovagliolo e proseguire senza guardare nessuno
in particolare – visti i miei articoli di questi anni e
grazie alle
manovre del direttore, sono riuscito a ottenere un’intervista
con
Madara Uchiha. Mah,
forse
è perché portiamo lo stesso cognome.”
Nessuno
a tavola si mosse. Naruto appoggiò la forchetta e scosse la
testa,
consapevole
che
ovviamente il cognome identico c’entrava ben poco con tutta
la
faccenda: se Sasuke era riuscito nell’impresa era
perché in quei
due anni
e mezzo da quando stavano assieme egli aveva dedicato anima e corpo
alla questione del FLA, ma anche a tutte le forme di ribellione sorte
negli stati vicini che avevano un simile sistema monarchico,
viaggiando spesso come inviato in zone considerate a rischio.
Conosceva Madara, come Madara ormai conosceva lui. Era per questo che
persino
uno che amava rilasciare dichiarazioni ma non interviste come il
presidente del FLA
aveva concesso un colloquio a Sasuke, non certo per una casuale
omonimia.
Ovviamente Naruto sapeva del
viaggio, sapeva anche che non avrebbe rivisto il suo compagno se non
il giorno dopo, e allo stesso modo conosceva i rischi – non
si
sarebbe mai abituato all’idea di non sapere quando e se
Sasuke
sarebbe davvero tornato dai suoi viaggi.
“Spero
che non finirai per far
arrabbiare
anche il presidente come
hai fatto anni fa con il suo vice,
altrimenti stavolta mi sa che
non
te la caverai con una corsa in macchina” scherzò
Naruto, cercando
di alleggerire la tensione. Sorrise quando vide il sorriso spuntare
sul volto altrimenti corrucciato di Sasuke, era sicuro che si stava
spremendo in troppi pensieri come al suo solito.
“Farò
il possibile per tenere per me le mie posizioni
contro
il terrorismo” guardò sua madre quando lo disse.
La donna per
contro si alzò in piedi e
iniziò
a rassettare le prime cose dalla
tavola,
domandando: “Qualcuno vuole un caffè?”
“Per
me come sempre senza zucchero” disse Naruto, dopo che gli
altri
ebbero accettato. Sasuke e lui si guardarono un istante. Di riflesso
Uzumaki
tese
meglio la manica per assicurarsi che il proprio marchio fosse
coperto: come promesso aveva smesso di cercare. Non che gli fosse
costato alcuno sforzo seguire
la richiesta che tempo addietro, quella sera invernale a casa sua,
gli aveva fatto Sasuke,
semplicemente dall’oggi al domani non aveva ritenuto
più
necessario fermarsi in caffetteria durante la pausa, in attesa che
qualcuno pronunciasse la fatidica frase. La verità era che non
voleva che qualcuno eccetto
Sasuke dicesse quelle parole, più in generale non desiderava
in
alcun modo conoscere il suo soulmate, mai; assurdo, per uno abituato
a scommettere di trovarlo a ogni incontro casuale, ma
persino ovvio:
conoscerlo
significava perdere Sasuke, e lui non era pronto, non lo sarebbe mai
stato.
“Certo caro” confermò
Mikoto, con una nota di dolcezza. Forse perché vedeva in lui
una
speranza per il figlio, la coronazione di una vita felice possibile
anche senza soulmate, forse perché naturalmente capace di
star
simpatico, la donna aveva sviluppato un certo affetto per Naruto.
“Anche per Shisui senza
zucchero” intervenne Itachi.
Vergognandosi
senza averne il motivo, con la sensazione di aver rubato qualcosa,
forse
un posto nella scala gerarchica del voler bene, Naruto
guardò un
istante il fratello di Sasuke e il rispettivo compagno, stupendosi
una volta di più di come si potesse essere genitori
così ciechi,
incapaci di vedere i
figli
meravigliosi
davanti a sé.
Forse
era per questa consapevolezza dell’incapacità
materna che Itachi
aveva sì un volto splendido, perfetto avrebbe detto Naruto,
forse
persino troppo, quasi da copertina, ma ammantato da una sorta di
malinconia, come se la sua attenzione non fosse mai rivolta troppo a
lungo alla Terra, astronauta distante anni luce con il cuore
proiettato verso
la
sua personale stella: Shisui, che trovava sempre il modo di
sorridere, di mostrarsi
felice, di farlo ridere, di essere naturalmente complice con una
sintonia splendida, quasi i due avessero una connessione neuronale ed
emotiva costruita cancellando la macchia nera sul torace di entrambi;
abbracciandosi la prima volta, da ragazzini, si erano amati e legati
per sempre.
Non
avevano dovuto attendere, cercare e cercare ancora. L’uno era
sempre stato davanti all’altro. Ma questo li rendeva
meritevoli di
invidie o biasimo? Naruto pensava di no, riteneva
al
contrario
che avevano lottato esattamente come chiunque altro, anzi, forse di
più; era spaventoso che persino in un mondo come il loro, dove
essere soulmate restava a prescindere una fortuna,
dovessero comunque dimostrare qualcosa.
“Guarda che
me lo ricordo, Itachi, non è una cosa speciale”
ribatté la donna.
Serrò i denti, sembrò voler dire altro, ma si
girò andando verso
la cucina accanto.
In quell’istante Sasuke batté
un pugno. Leggero, ma le posate tintinnarono: “Non deve
parlarvi
così.”
Per contro Itachi sembrò calmo,
appoggiò le mani intrecciate sul tavolo e reclinò
appena la testa,
accennando una sorta di sorriso enigmatico: “Capisco che ci
tieni a
noi, fratellino, ma non prendertela. È fatta
così, infelice e
insoddisfatta, mi spiace solo che vivrà male gli ultimi anni
che le
restano.”
Sembrò esserci una nota
malvagia, mitigata però da una sorta di affetto remoto,
ancora
persistente, come una malattia recidiva.
“Non ti conoscessi nel sentirti
parlare così mi spaventeresti” ammise Shisui, con
gli occhi
sgranati e una faccia quasi buffa, in parte divertita. Naruto sorrise
e scorse Itachi fare lo stesso prima di ribattere quasi profetico:
“Magari non mi conosci poi così bene.”
“Seh, a chi vuoi darla a bere –
scherzò l’altro, dandogli un buffetto sulla
spalla, prima di dare
un colpo di tosse e cambiare argomento per non imbarazzare troppo il
compagno – ma Sasuke, smettiamola di elogiare Itachi che non
è
abituato, torniamo invece a te. Ah, Madara Uchiha. La città
di
Enkidu diventata praticamente la sua fortezza. Si prospettano due
giorni di fuoco! Complimenti però, sei davvero un osso duro
per
essere arrivato a tutto questo.”
Prese
il bicchiere, sollevandolo. Sasuke guardò un attimo il
proprio, con
Naruto che già glielo riempiva per brindare, cosa che alla
fine fece
anche
se
fu un gesto quasi accennato, a seguito del quale tenne la base del
vetro
tra le dita, girandola sulla tovaglia con fare pensoso. Dopo un
istante infatti
ribadì:
“Credo in quello che faccio,
tutto qui. E Naruto… – si bloccò,
respirò, poi proseguì – è
stato paziente con me.”
Colto alla sprovvista mentre era
in procinto di bere, l’altro si fermò e
posò il proprio
bicchiere, ridacchiando amabilmente in imbarazzo: “Ma non ho
fatto
nulla di che!”
Eccetto
che lo lasciava andare, come sempre, come in ogni viaggio; nonostante
la paura, il pericolo, l’ancestrale consapevolezza che un
giorno
forse
Sasuke non
sarebbe più tornato. Eppure
lo accettava ogni volta, come aveva detto anni fa era quella
la
consapevolezza
del rischio
dei
rispettivi
mestieri.
E del
rischio di amare, avrebbe aggiunto.
Shisui ridacchiò a sua volta:
“Allora dobbiamo brindare: a Naruto che ti
sopporta.”
Sasuke si
sfregò una volta con il pollice il palmo macchiato
d’inchiostro
indelebile, infine brindò
assieme agli altri guardando il suo compagno negli occhi.
Ripensò
alle nottate svegli a competere in qualche picchiaduro o nei giochi
di corsa in macchina, le litigate perché, secondo Naruto,
Sasuke si
allenava di nascosto e doveva dargli la rivincita; gli
incontri al pub con gli amici di Naruto che erano diventati anche
suoi, tra le sigarette consumate fuori, al freddo, in compagnia di
Kiba, le chiacchiere scarne ma sentite con Shikamaru che gli parlava
della figlia, emozionandosi, la sensibilità di Choji e le
risate
collettive;
i film visti allungando il divano mentre erano avvolti
d’inverno
dalla coperta e finivano per addormentarsi l’uno contro
l’altro;
le cene fuori
che si concedevano
nelle quali o l’uno o l’altro erano in ritardo a
causa del
lavoro, del traffico, di qualche strada chiusa perché era
stato
trovato un ordigno esplosivo, delle manifestazioni a favore o contro
il FLA, la monarchia, il governo, i privilegi e le disuguaglianze; i
piatti presi d’asporto le domeniche in cui erano liberi
entrambi e
non avevano voglia di uscire, dedicando il poco tempo che avevano
solo per loro, nessun altro.
Perché era vero: quando si amava
profondamente una persona le priorità cambiavano. Come
poteva avere
importanza la Terra e tutti i suoi abitanti quando si guardava
un’unica stella amata ma mai, davvero mai abbastanza vicina,
mai
abbastanza capace con la sua luce e il suo calore di annullare del
tutto il resto.
Per questo Sasuke amava le
mattinate pigre con Naruto, i piccoli battibecchi quotidiani, il
farci l’amore quand’erano solo in tuta e pigiama, a
volte con le
calze ancora addosso e in bocca col sapore della colazione, del
caffè, del pranzo non finito, negli occhi l’ultimo
fotogramma di
un film prima di baciarsi.
Per
preservare tutto questo non toglieva mai i guanti d’inverno,
d’estate indossava quelli tagliati in cotone, nessuno faceva
domande, sembrava una fissa come un’altra, quando invece non poteva
sopportare di
mostrare la propria macchia
a
qualcuno
Macchiato
come
lui e magari… trovarlo, trovare il soulmate che da qualche
parte in
quel mondo da cui Sasuke tentava di fuggire ancora lo cercava. Non
toccava nessuno, eccetto pochissime persone, ma
non sentiva la mancanza di un contatto: Naruto
era già quel contatto, la sua famiglia, oltre a Itachi e
Shisui. E a
sua madre che pure, nonostante tutto, continuava a tenersi
vicino.
Nel bagnare le labbra col vino
dopo aver brindato, in un pensiero subitaneo, di quelli involontari
come un guizzo muscolare, si chiese cosa ne fosse di suo padre. Ogni
tanto questi gli mandava un messaggio di auguri, o di buone feste, ma
Sasuke non rispondeva mai; farlo gli sembrava di portare a tradire
tutto ciò che era, che aveva conquistato sino ad allora: un
amore
per cui aveva lottato, ma persino una madre che a differenza
dell’uomo non aveva ancora abbandonato.
Mikoto
arrivò con i caffè, lo guardò e gli
sorrise, con la benevolenza di
chi avesse perdonato qualcosa. Forse lei
lo
sapeva. Forse comprendeva
meglio di chiunque altro la fragilità di quei momenti, dei
sentimenti, degli attimi irripetibili. Per questo gli sorrideva e
già
lo perdonava se avesse vacillato ancora.
*
La stanza era ampia, con le
pareti di un bianco puro che creava un contrasto quasi accecante coi
mobili in arte povera presenti, il cui legno scuro odorava di cera e
vagamente ancora di resina, come se fossero stati appena tagliati e
ricomposti per quell’occasione speciale.
Seduto al centro di un divano
bianco panna, quasi affondando nell’incavo tra un cuscino e
l’altro, con le gambe accavallate, i guanti tolti accanto a
sé e
il blocco per gli appunti appoggiato sulla coscia, in silenzio Sasuke
osservò prima Madara seduto davanti a lui, poi la donna con
eclettici capelli rosa accanto. Sakura, così
l’aveva presentata
quando si erano incontrati prima di accomodarsi nell’ampio
salotto,
al cui ingresso sostavano due uomini, probabilmente la scorta.
La stanza era inondata di luce
che passava attraverso le ampie porte-finestre collocate su di un bel
giardino verdeggiante, che rigurgitava vita nel pieno del risveglio
primaverile. La stanza stessa profumava di fiori oltre che di legno e
di pulito, i cui pavimenti lucidi restituivano i riflessi dorati del
sole attraverso i vetri.
Dopo aver appoggiato il
registratore sul tavolino, Sasuke si slacciò il primo
bottone della
camicia e senza cambiare posizione delle gambe introdusse
l’intervista come di rituale, coi primi riferimenti alla
situazione
politica attuale e le ultime dichiarazioni rilasciate da Madara
stesso.
“Dunque, supponendo che la
monarchia cessasse di esistere, come dovrebbe essere formato il
governo? Bisognerebbe creare una costituzione?”
Partì senza mezze misure. Non
era d’altronde conosciuto per compiacere chi avesse davanti,
ma
nemmeno incastrava con domande scomode che mettevano a disagio. Il
suo compito era informare e investigare, tirando fuori risposte oltre
a riflessioni, non confessioni o lodi; Madara Uchiha lo sapeva, forse
necessitava di quelle domande, o non si sarebbero mai trovati
così a
parlare nel cuore della sua casa.
In
effetti l’uomo fece una sorta di mezzo sorriso, gli occhi
infossati
in qualche ruga brillarono di una luce diversa, ma nel complesso
l’espressione rimase piuttosto neutra e attenta, di chi non
aveva
bisogno di fare la prima mossa e
studiava l’interlocutore per decidere solo in seguito come
agire.
Gli
occhi di
Sasuke tornarono
sulla donna un istante, la scorse emettere un breve sospiro anche se
il suo sguardo dalle iridi verdi non si distoglieva da lui, forse lo
stava studiando a sua volta. Una mano era appoggiata forse
inconsapevolmente sul ventre appena sporgente: doveva essere incinta
di diversi mesi, c’era infatti
un gesto di protezione in quel modo che aveva di racchiudere il
nascituro in un abbraccio. Indossava un vestito leggero ma di
eleganza semplice, con guanti raffinati che arrivavano fino al gomito
e scarpe dal tacco basso dal
gusto
vintage.
Quando
Madara cominciò a parlare, Sasuke lo seguì
appuntandosi parole
chiave, idee per ulteriori domande o approfondimenti; nel farlo, nel
vedere le lettere
confluire sulla carta tramite l’inchiostro, avvolto dal
silenzio
della stanza e dal tepore tardo-primaverile, una parte della mente
del giornalista si trasportò all’alba di quella
mattina, quando
aveva salutato Naruto prima di partire: il sole era forse
più
giallo, filtrato attraverso le nuvole pigre delle prime ore del
giorno e
in parte ostacolato dall’imponenza
delle montagne a ridosso dell’orizzonte, dai
profili degli edifici che in qualche modo sembravano cercare
disperatamente
di ritardare la salita dell’astro al vertice del cielo,
regalando
qualche ora ancora di sonno sotto le coperte, di momenti assieme, di
coccole prima di doversi alzare.
“Stasera
ti trovi con gli altri?” gli aveva domandato, posando
all’ingresso
il borsone con il cambio di vestiti.
“Sì, pensavamo di andare con
la metro fino alla steakouse, l’hanno riaperta
dopo…” aveva
lasciato in sospeso il resto della frase.
“Dopo
l’attentato di sei mesi fa? – proseguì
per lui Sasuke, diretto
come sempre,
senza distogliere lo sguardo da Naruto – ancora oggi penso sia
una
fortuna che l’ordigno fosse esploso prima del turno serale.
Sono
contento riapra, molte attività stanno riprendendo da quando
il FLA
ha allentato la presa, fa sembrare quasi che un’eventuale
impennata
lavorativa sia merito loro, pazzesco.”
Si abbassò per coccolare Cerbero
che era corso scodinzolando, quasi avesse intuito dal tono della
voce, dal modo forse in cui Sasuke aveva di muoversi, che il padrone
stava per partire. Gli accarezzò il pelo un po’
ruvido,
dispensandogli qualche grattino dietro le orecchie, per poi vederlo
correre ancora e portargli una pallina, sull’onda
dell’entusiasmo.
Sorrise. Gli sarebbe mancato, incredibile quanto un animale sapesse
entrare di prepotenza e con affetto strabordante nella vita di chi
decideva di adottarne uno. Riempivano tanti vuoti e lasciavano
voragini quando se ne andavano.
“Oggi pensavo di prendermi un
attimo e portarlo al parco, ti ricordi la cagnolina della settimana
scorsa? Magari la rivede” ipotizzò Naruto, per poi
prendere la
pallina e lanciarla attraverso il breve corridoio che dava verso lo
studio e la stanza da letto. Cerbero partì
all’inseguimento con la
rapidità di un missile e solo allora Sasuke si
alzò, prendendo la
mano di Naruto:
“Andiamoci assieme domani,
quando torno.”
“Ma sarà tardi, immagino sarai
stanco e…”
Scosse la testa: “No. Mi farà
bene.”
Naruto allora intrecciò le
proprie dita con quelle del compagno e annuì:
“Allora facciamo
domani sera – si voltò verso Cerbero che era
tornato con la
pallina – mi spiace Sbarbino, incontrerai la tua fiamma forse
questo weekend, però ti aspetta passeggiata extra-lusso al
chiaro di
luna.”
Lo
accarezzò facendo versi stupidi. Sasuke lasciò
lentamente la presa
e li guardò mentre si ringhiavano giocosi a vicenda: Naruto
era
fatto così, adorabilmente scemo, capace di soprannomi
assurdi da
dare persino al cane, un pilastro di serenità e fonte
costante di
risate; anche e soprattutto quando le cose si facevano difficili e
Sasuke temeva di chiudersi troppo, Naruto
gli ricordava di non farlo, di
tornare da lui.
“Stai
attento a Enkidu” gli disse all’improvviso Uzumaki
tra una carezza e l’altra al cane, continuando a guardare
quest’ultimo. Sembrò una cosa detta quasi per
caso, senza
importanza, ma il suo tono era serio, maturo, come se ci fosse
un’altra persona sotto lo strato giocoso che animava Naruto.
“Starò
attento” confermò Sasuke. Guardò il
soggiorno, i loro mobili, i
libri, le cose a terra da rimettere a posto con una sistemata veloce,
la custodia di un film in blu-ray guardata la sera prima, il pranzo
al sacco che Naruto avrebbe mangiato in giornata ancora da mettere
via, appoggiato sul tavolo assieme alla colazione appena consumata
assieme. Persisteva
l’odore
di caffè, di marmellata, dell’aria fresca
dell’alba entrata
attraverso le finestre lasciate ancora aperte in camera.
Si fotografò nella mente quel
momento, ciò che gli apparteneva e che amava, quasi per
portarselo
con sé in viaggio, anche se sarebbe stato breve ma non
abbastanza in
prospettiva a ciò che gli aspettava, a quanto gli era
costato e a
quanto gli altri richiedevano da lui.
E ora, mentre Madara parlava,
mentre la donna chiamata Sakura seduta composta lo osservava, Sasuke
davanti a sé vedeva casa sua, il suo compagno, il suo cane,
tutto
ciò che avevano creato nel tempo nonostante la paura sepolta
che un
giorno la loro bolla d’amore sarebbe magari scoppiata, o
forse
altro sarebbe stato perso nella metropoli immensa in cui vivevano,
per colpa di Madara, del FLA, delle rivolte, del bisogno
così
disperatamente umano di lottare, di perdere, di sacrificare per
ottenere libertà e diritti.
Mi
mancano.
Lo
scrisse sul blocco degli appunti, accanto a parole come diritti,
parlamento costituzionale, abrogazione, diplomazia estera.
“Lei
non ha conosciuto il proprio soulmate, vero?”
domandò
all’improvviso Madara, dopo che Sasuke ebbe chiuso il blocco
degli
appunti e spento il registratore. Il giornalista sollevò lo
sguardo,
desistendo dalla tentazione di guardarsi le mani nude e coprirsele.
Non rispose subito, aprì infatti
la borsa a tracolla ai piedi del divano e solo
allora
confermò:
“Non l’ho conosciuto.”
“Nemmeno
io – Sakura
lo guardò, sembrò in procinto di dire qualcosa ma
si zittì –
E mi sento libero. Questo negli anni è stato dimenticato, la
gente
prima delle ribellioni era ossessionata dal trovare il soulmate,
abbandonando
tutto il resto.”
Sasuke
finì di mettere via le cose, riflettendo
che un
tempo gli avrebbe dato ragione; forse, per certi versi, Madara aveva
ancora ragione, magari
era Sasuke ad aver smaltito una buona parte della rabbia tenuta in
corpo per quello che era accaduto con suo padre. Ripensò a
Itachi,
alla sua felicità nonostante la loro madre, così
come ripensò a
Naruto, alla frase semplice ma altrettanto essenziale ancora incisa
sul suo braccio.
“Questo
è vero, ma a che prezzo?” domandò
mettendosi la borsa a tracolla.
Non c’era provocazione nella domanda però
fu la seconda
volta che vide un bagliore diverso negli occhi di Sakura, la
prima era stata quando Madara aveva detto di non aver mai conosciuto
il suo soulmate.
Si rimise i guanti e tornò ad allacciarsi il bottone della
camicia.
“Mi assumo la responsabilità
di quel prezzo. Se non io, qualcun altro avrebbe iniziato tutto
questo. La violenza, i traumi, la perdita sono gli unici modi per
risvegliare un popolo dal torpore di una vita lobotomizzata”
asserì
Madara, alzandosi a sua volta in piedi imitato dalla moglie.
Erano splendenti, come se
attraverso le finestre di quella casa immersa nel verde, lontana dal
mondo di orrori che avevano creato, avessero potuto dialogare
direttamente con il Sole.
Se suo padre non se ne fosse
andato, forse Sasuke non avrebbe mai avuto il coraggio di iniziare la
relazione più felice della sua vita. Ma Naruto che traumi,
che
perdite aveva avuto? Cosa l’aveva spinto se non la sua forza
d’animo a smettere di cercare il soulmate?
“Non per tutti vale quello che
ha detto.”
“Davvero?”
accennò un sorriso, gli occhi erano attenti, così
come quelli della
donna.
“Ma
importa poco, immagino. Di fronte alla storia e al suo corso il
popolo è una massa, il singolo cessa
di esistere.
Il singolo conta solo quando prende decisioni per tutti gli
altri.”
Si preparò a prendere congedo.
Fu allora che Sakura,
all’improvviso, ancora accanto a Madara disse: “Tu
sei il
giornalista a cui oltre un anno fa Johnson ha sparato.”
Ci fu una nota divertita nella
sua realizzazione, appena percettibile nel suono serio eppure
armonioso delle sue parole. Madara fece un fischio e
applaudì un
paio di volte:
“Fai parte di quei non
lobotomizzati, immagino” notò, dandogli a sua
volta del tu.
“O forse anche io avevo bisogno
di far perdere qualcosa a qualcuno” risposte
l’altro, scrollando
le spalle come se non contasse.
Madara inspirò più a fondo,
quasi riflessivo, ma non rispose. Salutò Sasuke: non gli
tese la
mano, né ovviamente questi lo fece, anche se notò
subito che Madara
non aveva alcuna macchia sui palmi.
Fu Sakura ad accompagnarlo alla
porta dopo aver dato un cenno di congedo agli uomini vicini al
salotto, con il suo vestito semplice e che le stava così
perfetto,
quasi cucito addosso.
“La ringrazio, è stata
un’intervista interessante. Non siamo abituati devo
dire.”
“Partecipa sempre alle
interviste di suo marito? L’ho vista accanto a lui in ogni
dichiarazione” domandò incuriosito Sasuke.
La donna accennò un sorriso e
annuì: “Per quelle poche mai fatte…
sì. Il FLA è una creatura
di entrambi.”
“Perché allora solo Madara
Uchiha parla di sé come Presidente? Non dovrebbe essere lei
più
partecipe, anziché una spalla decorativa?”
Si morse un labbro, deviando lo
sguardo rabbuiandosi. Sorprendentemente, il sorriso della donna si
addolcì e ribatté, con altrettanta calma
nonostante gli occhi
fossero vividi e trasmettessero la carica del fuoco:
“L’abbiamo
deciso tanti anni fa, quando io non avevo che vent’anni e lui
era
soltanto un operaio qualsiasi. Sapevamo che sarebbe stato un percorso
difficile, per questo Madara mi ha voluto proteggere, prendendosi le
responsabilità di fronte al mondo delle scelte disumane. Ma
non lo
voglio lasciare solo di fronte a quel mondo, capisce?”
Si guardarono un istante, solo
loro, con la porta ancora chiusa in quell’atrio tanto
più piccolo
rispetto alla stanza immensa in cui erano stati a fissarsi.
“Certo che lo capisco. Forse
non lo accetto del tutto, ma lo capisco.”
“Madara è un uomo complesso e
tormentato. Lo siamo tutti in fondo. Ma è un combattente, lo
amo per
questo. Soprattutto… non odia chi ha un soulmate, lotta
anche per
loro.”
Sasuke sollevò un sopracciglio:
“Questa mi è nuova.”
La
vide arricciare appena il naso in una smorfia quasi giocosa di
disappunto, corredata da un indice sollevato in una posa ammonitrice:
“Non sia sempre così tagliente.
Il fatto è che prima di essere soulmate si è
anche persone,
individui, bisognerebbe essere riconosciuti come tali e non solo in
funzione del proprio compagno – sembrò voler
aggiungere altro, ma
sospirò e si portò le mani dietro la schiena
– arrivederci,
Sasuke Uchiha.”
Fu più asciutta nel dire quelle
ultime parole, quasi volendo rientrare in carreggiata e prendere le
distanze.
L’uomo allora la salutò a sua
volta e di riflesso allungò la mano per aprire la porta.
Sakura lo
anticipò, ma di poco, così finirono per bloccarsi
entrambi a
mezz’aria.
Risero, scaricando le tensioni, e
per un attimo la stanzetta vibrò di quelle risate. Senza
rifletterci
la donna tese allora quella stessa mano verso di lui:
“A prescindere da come andrà
il futuro, è stato un piacere conoscerla.”
Sasuke la strinse a sua volta
d’istinto, replicando: “Anche per me.”
I rispettivi palmi si toccarono e
le dita si strinsero... sigillando con la pelle
un’attesa di
oltre trent’anni.
Con un gesto così stupido e
semplice, Sasuke e Sakura scoprirono le loro carte e che quelle carte
erano identiche, un mazzo condiviso e poi riunito, realizzando di
aver trovato ciò che per tutto quel tempo avevano tentato
disperatamente di ignorare, di lasciare indietro, di non conoscere
perché già appartenevano a qualcuno che non erano
loro due.
Loro due. L’uno il soulmate
dell’altra.
Una scarica elettrica che partì
proprio dai rispettivi palmi e percorse il braccio in una risalita
pazza, meravigliosa, affamata, per arrivare fino in testa, una
folgorazione all’encefalo che fece battere loro i denti e
rabbrividire, prima gelo e poi caldo, i peli che si rizzarono e i
capelli che sembrarono sollevarsi, mentre l’epitelio
sensibile
captava ogni singolo atomo dell’altra persona, richiamandosi.
Entrambi si allontanarono di
scatto, ustionati, folgorati, colpiti, trasportati e terrorizzati.
Sasuke sbatté il gomito contro la porta e Sakura si
appiattì contro
il muro, ansimando entrambi. Non riuscirono a smettere di guardarsi,
gli occhi umidi non si chiusero una sola volta.
“No” mormorò Sasuke,
scuotendo appena la testa. Poi si guardò lentamente la mano,
costringendosi a distogliere lo sguardo da Sakura.
Vide il palmo, il proprio palmo
la cui macchia d’inchiostro cominciava lentamente a
dissolversi,
come se un solvente invisibile la stesse portando via. La
toccò, per
chiederle di restare, per non farla andare via e lasciarlo nudo,
esposto e vulnerabile.
Ringhiò,
serrò
i denti, mormorando con le lacrime di rabbia agli occhi:
“Idiota.
Stronzo. Come hai potuto abbassare la guardia, come hai potuto
permetterlo?”
Strinse
allora i pugni, sigillando
le
labbra, chiudendo gli occhi per cercare di contenere il proprio mondo
che si stava disgregando. E di seppellire quell’assurda
sensazione…
di completezza, sì, di completezza e quindi di pace che si
stava
facendo strada in lui, strisciando attraverso le distese
dell’orrore
e della paura, attanagliando ogni fibra di cuore colma
d’amore per
Naruto.
“Mi dispiace” mormorò
Sakura, a sua volta con gli occhi lucidi, stringendo con quella
stessa mano coperta ancora dal guanto il vestito al proprio petto.
Afferrò ansimando la maniglia della porta e la
spalancò, deglutì
infine chiese: “Non roviniamo tutto.”
Sasuke la fissò, incapace di
muoversi. Fu come se la sua testa caotica non riuscisse più
a
comandare il corpo. Voleva fuggire, ma al tempo stesso faticava ad
accettare di perdere ciò che aveva appena ritrovato,
strappando con
dolore qualcosa di sigillato in quella stretta, come se in
quell’ingresso fossero stati versati pelle e sangue.
Ripensò a Naruto, alla sua casa,
alla sua vera casa, e mosse un piede verso la
soglia. Poi un
altro. E un altro ancora. Anche se gli occhi verdi di Sakura alle sue
spalle lo fissavano, perforandogli la schiena per arrivare dritti al
cuore, quasi già lo avessero il pugno, e lui tenesse a sua
volta
quello della donna, stretto nel proprio palmo ancora serrato.
Arrivato sul marciapiede si
costrinse a non voltarsi per vedere Sakura – non la
conosceva, non
sapeva nulla di lei, eppure non sapevi nemmeno nulla di
Naruto ma
ci sei andato addirittura a letto, cosa cambia? – e
provò
quasi sollievo ma anche paradossale struggimento quando udì
la porta
di casa chiudersi.
Affondò
le mani nelle tasche e corse alla macchina, con il fiatone, quasi la
lontananza gli stesse rubando ossigeno. Cercò nella borsa a
tracolla
le chiavi ma faticò a trovarle, così la
svuotò sul marciapiede,
sul quale rotolarono le sue penne, i suoi appunti, il registratore,
la sua piccola stupida vita riversa su di una strada.
Afferrò le
chiavi, rimise alla buona le cose dentro la borsa e con le mani che
tremavano cercò di infilarle
nel quadrante d’accensione, una volta che si sedette al
volante.
L’auto
aziendale
partì, allora
Uchiha
si allacciò le cinture faticando anche in quel caso e si
diresse
verso il motel.
Avrebbe potuto guidare di notte e
rientrare a casa ma scoprì di non avere le forze, poi la
sola idea
che domattina gli sarebbe spettato anche il giro per Enkidu con
quelli del comitato di Madara gli faceva venire il voltastomaco.
Come poteva andare a casa in
quelle condizioni? Naruto avrebbe capito, avrebbe capito tutto. Si
guardò il palmo, fermo al semaforo, e si chiese cosa sarebbe
successo tra di loro. Ripensò a suo padre, quello stronzo
figlio di
puttana di suo padre, e all’improvviso provò
pietà per lui, pietà
e quasi compassione.
Che colpa ne avevi? Come
potevi resistere, come potevi stare lontano dal tuo soulmate dopo
aver provato così tanto, in così poco tempo e
così tanto
facilmente? Dobbiamo lottare talmente tanto nella vita che sembra
incredibile poter sentire tanta felicità senza il minimo
sforzo
eccetto lasciare che la natura faccia il suo corso.
“No!” gridò rauco Sasuke,
tirando un pugno al volante. Il clacson suonò in risposta,
riecheggiando per le vie di Enkidu, perdendosi oltre gli alberi e le
case a schiera della zona residenziale.
“Io ero felice. Ero
perfettamente felice” lo disse e immaginò che
anche Sakura potesse
sentirlo e rispondergli:
“Anch’io ero perfettamente
felice prima di stringerti la mano.”
*
Seduto sul letto del motel,
Sasuke guardò il cellulare. Il laptop era ancora aperto
sulla
scrivania, con le ultime mail e l’articolo
dell’intervista già
mandata al suo ufficio per una prima revisione; poco distante, il
posacenere in plastica restituiva fili leggeri di fumo mentre il nome
sbiadito del motel sul fondo era parzialmente coperto da diversi
mozziconi di sigaretta. Lesse il messaggio di Naruto, al quale non
era ancora riuscito a rispondere.
Come stai amore? Ahahah visto,
la distanza ci rende un po’ più teneri. Hai
insultato anche Madara
o è andata super bene come credo? Tra poco vado alla
steakhouse,
mangio carnazza anche per te, forse perché immagino solo di
averti
accanto. Mi manchi.
Si passò una mano sul volto, poi
tra i capelli.
Anche lui gli mancava, cazzo se
gli mancava. Avrebbe voluto abbracciarlo, sciogliersi da
quell’alterigia da stronzo di cui ogni tanto si rivestiva, e
chiedergli, implorarlo, che potesse dirgli che andava tutto bene, che
il mondo non sarebbe finito per una stupida macchia cancellata.
Ma cosa poteva scrivergli che non
fossero bugie? Come poteva scrivergli che gli mancava e che lo amava,
quando a pochi chilometri da lì, struggendosi,
c’era la sua
soulmate? Doveva dirglielo, doveva confessargli quello che era
successo, ma per telefono era da schifosi. E… poi?
Egoisticamente
aveva paura, paura che tutto sarebbe finito, non era ancora pronto,
anche se una parte di sé gli chiedeva di farlo, di lasciarlo
andare
e accettare che le cose sarebbero comunque andate bene, che la sua
felicità era semplice, a portata di mano. Anche il loro
amore in
fondo era semplice, senza troppe pretese, fatto di una
quotidianità
normale vissuta tra le mura di casa, con le spese di ogni giorno da
affrontare, le bollette, il mutuo, Cerbero da portare a passeggio e
le cene assieme sul divano mentre guardavano un film. Un amore come
tanti, che avrebbe potuto provare chiunque ma non per questo meno
valido: sapeva cosa comportava, poteva riprovarci.
Il palmo bruciava, come se tutto
ciò che era cercasse di ferirlo. Lo massaggiò,
con l’inchiostro
che stava svanendo sempre di più, rivelando lentamente la
nuda pelle
con tracce arrossate, quasi essa non fosse abituata a essere esposta
al mondo.
All’improvviso il telefono
suonò. Per un attimo Sasuke temette – e
desiderò – che fosse
Naruto, poi vide si trattava di un numero che non conosceva, un altro
cellulare.
Rispose.
“Pronto?”
Fu sorpreso di come la sua voce
suonasse seria, responsabile, nonostante il maremoto che lo stava
facendo affogare.
Trattenne il fiato quando udì
una voce di donna, di Sakura: “Sono io, Sasuke.”
“Come hai avuto il mio numero?”
domandò sul chi vive, alzandosi in piedi. Ma si
ritrovò a
sorridere. Di nuovo quel senso di sollievo. Del ritrovare dopo aver
perduto.
La sentì ridere, una risata un
po’ spenta: “Il tuo biglietto da visita quando ti
sei
presentato.”
“Capisco.”
La sua voce si spense. Anche
Sakura non parlò e per qualche secondo udirono solo i
rispettivi
respiri attraverso la linea.
“Io…” accennò la donna.
Sasuke disse la stessa identica parola. Tacquero entrambi.
Fu lei a proseguire dopo un
attimo, con fatica, come se ogni parola gli costasse sangue e dolore:
“Ho riflettuto e… non vorrei
ma…”
“Mi manchi.”
Lo dissero ancora una volta
assieme. Una volta di più, con più sentimento.
“Dove sei?” gli chiese.
Sasuke sentì un singhiozzo sommesso dall’altra
parte del telefono
che gli strinse il cuore.
“Madara cosa ti ha detto?”
domandò di fretta, preoccupato, disperato, quasi Sakura e la
sua
esperienza potessero essere una guida. E una speranza.
“Non
gli ho detto nulla – tacque, la voce le tremò
– Sasuke ancora
non ce la faccio a dirglielo. Ma lui lo sa, lo capirà
per forza,
ci conosciamo e…”
“Sono al motel sulla
principale, vicino all’ingresso alla statale”
rispose l’altro.
La sua voce suonò di nuovo calma, controllata, non seppe
perché,
sapeva solo che doveva vedere Sakura. Parlarle, capire se stava bene
e poi… si morse il labbro, serrando i denti.
“Arrivo a breve.”
Finirono la telefonata e allora
Sasuke si chiuse in bagno. Si fece una doccia, poi con ancora
l’asciugamano avvolto attorno alla vita e i capelli umidi che
gocciolavano, si guardò allo specchio. I contorni erano
appannati
dai residui del vapore, nella stanzetta faceva caldo, gli sembrava di
respirare acqua e odore di bagnoschiuma dozzinale.
Si portò i capelli all’indietro
e appoggiò le mani sul lavandino umido di condensa,
stringendo il
bianco lucido della ceramica.
Lo sguardo che vide era lo stesso
che aveva visto anche Naruto quel giorno in cui lo aveva fatto salire
sul suo taxi? Forse aveva qualche ruga d’espressione in
più,
qualche capello bianco, un chilo che non avrebbe mai smaltito. Una
macchia in meno sulla pelle.
“Mi spiace. Mi spiace Naruto –
tolse con il palmo le ultime tracce di appannamento, sentendo il
freddo del vetro contro la pelle – mi spiace papà,
per averti
giudicato senza sapere.”
Si asciugò i capelli, poi si
rivestì con fare quasi metodico, usando il cambio pulito che
sapeva
del suo detersivo e non del profumo di legno e fiori della casa di
Madara e Sakura. Gli sembrò di indossare una parte di
sé, di ciò
che era.
Quando si avvicinò al letto,
vide il registratore e accanto il blocchetto degli appunti. Lo
sfogliò distrattamente, così che le parole
d’inchiostro gli
scivolarono prive di significato davanti agli occhi.
Mi
manchi.
Le riconobbe in mezzo a mille
altre. Si bloccò, fissando i caratteri scritti di getto
sulla carta,
mentre pensava a Naruto, a Cerbero, alla loro casa, alla loro vita.
Non
tutti abbiamo bisogno di perdere per decidere di lottare.
Richiuse
il blocchetto e lo rimise al suo posto, alzandosi in piedi. In
quell’istante bussarono alla porta e con passi cadenzati,
come se
il suo corpo prima ancora della sua testa sapesse cosa fare, Sasuke
andò
ad aprire; Sakura
sostava
sulla soglia.
Aveva un cappello in testa e si tolse degli occhiali da sole quando
lo vide a sua volta. Gli sorrise, anche se aveva pianto, pertanto
Sasuke non riuscì a non sorridere a sua volta, un moto quasi
schivo,
ma sollevato, perché in fondo le cose con lei davanti gli
sembravano
meno terribili.
“Entra”
la
invitò,
spostandosi dalla soglia.
Ma io non sono come Naruto.
Io… forse ho bisogno proprio di perdere per decidermi a
lottare.
Ciononostante lo farò, fino in fondo.
Richiuse la porta.
*
La steakhouse era affollata ma
non troppo caotica, complici i tavoli ampi e ben distanziati, anche
se nell’aria si diffondeva l’odore di carne
grigliata, di salse e
delle patate lasciate a sfrigolare. Sembrava che tutti desiderassero
celebrare una nuova vita dopo mesi, addirittura anni, di buio,
lasciandosi per qualche ora alle spalle le atrocità del
passato
senza però dimenticarle mai del tutto.
“Ehi, Naruto? Sei con noi o
stai guidando un taxi immaginario verso Enkidu?”
Il taxista si riscosse e
ridacchiò appena, portandosi una mano dietro la testa:
“Scusatemi,
è che sono un po’ in pensiero per Sasuke, gli ho
scritto un
messaggio ore fa ma non mi ha ancora risposto.”
Loro nel frattempo avevano finito
la cena e i piatti dei dolci ordinati erano sul tavolo, già
spazzolati con golosità. In tutto questo, ancora nessuna
traccia di
Sasuke.
“Kiba, lascialo stare, anche io
sarei in pensiero se Shikamaru entrasse in silenzio stampa, specie
dopo aver intervistato non un signor nessuno, ma addirittura Madara
Uchiha” intervenne Temari lanciando un’occhiata
all’uomo che
annuì, consapevole di quanto potente potesse essere la furia
della
sua compagna se ignorata ingiustamente.
Nel mentre che Temari si era
girata a riprendere la figlia intenta a lanciare i residui di panna
col cucchiaino, Nara aggiunse guardando l’amico di una vita:
“Certo che non è da Sasuke,
sicuro non ti abbia magari inviato una mail o cercato con altri
mezzi? Sai, magari la connessione per qualche motivo è
debole.”
“Niente, nada, non pervenuto.
Silenzio radio totale – strinse il tovagliolo, ammettendo
– sono
tentato di prendere la macchina e andare a Enkidu.”
Choji giocherellò con la
guarnizione residua della fetta di torta e poi convenne: “Non
potrei darti torto, lo farei anch’io.”
Shikamaru gli lanciò un’occhiata
ma non se la sentì di entrare in aperto disaccordo, pur
consapevole
che Naruto non era certo nello stato d’animo di guidare:
“Se lo
fai, se vuoi davvero andare a vedere che succede, noi veniamo con
te.”
“Puoi scommetterci, cazzo!”
esclamò Kiba, sbattendo il bicchiere. Gli ultimi residui di
schiuma
si scossero brevemente per poi tornare a depositarsi sul fondo in
infinite bollicine. Temari sussultò, ma si limitò
a sospirare,
dando una leggera carezza alla figlia che si era bloccata a sua volta
guardando Kiba con occhi sgranati d’infante.
Quella sera Naruto ebbe il primo
sorriso spontaneo da quando si erano dati appuntamento, anche se
velato da un cenno di commozione. Se gli amici si vedevano nel
momento del bisogno, lui poteva proprio dire dopo così tanti
anni di
avere direttamente degli angeli custodi.
“Non vorrei farvi fare un
viaggio simile ma voglio essere onesto con me stesso e con voi: non
ce la farei a tornare all’appartamento da solo e attendere
senza
far nulla. Ma è anche vero che non avrei la
lucidità adatta per
guidare così lontano, mi secca ammetterlo, purtroppo non
sono un
supereroe.”
“Sei già super abbastanza”
ammise Shikamaru, con un mezzo sorriso. Fu Temari a suggerire di
potersi occupare di Cerbero prima di tornare a casa con la bambina.
Naruto avrebbe tanto voluto
provare un’autostima proporzionale almeno al complimento
prezioso
ricevuto dall’amico, ma si trovò parecchio in
difficoltà. La sua
mente già correva a una serie di scenari catastrofici, una
buona
parte dei quali includeva il timore di essere nient’altro che
materiale di scarto affettivo.
Allo stesso tempo però sentì
farsi strada dentro di sé una nuova energia, trasmessa forse
da
quella carica vigorosa di partecipazione data dagli amici, forse dal
suo naturale ottimismo. Pur nella solitudine immensa di quella serata
senza il suo compagno, Naruto realizzò di non sentirsi
affatto solo
e di essere bensì amato da tante persone, disposte a un
viaggio
notturno improvvisato pur di stargli accanto, con la speranza che a
Sasuke non fosse successo nulla.
“Grazie ragazzi, siete i
migliori.”
In quel ragazzi incluse
ovviamente anche Temari che annuì, facendogli
l’occhiolino.
Finirono le ultime cucchiaiate
dei dolci e si organizzarono per pagare il conto, tra Naruto che
insisteva per volerci pensare lui e gli altri che si opponevano. Nel
mentre si udì una musichetta leggera che si perse appena tra
le
chiacchiere del locale, il viavai dei camerieri e la musica di
sottofondo del locale, mischiata alle griglie sfrigolanti.
Fu Choji dopo un po’ a
chiedere: “Ma chi è che ha la colonna sonora di
Shoot & Pray
come suoneria del cellulare?”
Tutti guardarono Kiba che,
sorpreso e un po’ offeso, sollevò le mani
obiettando: “Ehi,
trash va bene, ma c’è un limite a tutto!”
Di riflesso gli sguardi si
spostarono su Naruto che aggrottò le sopracciglia,
perplesso, poi
sgranò gli occhi: “Ma sono io! L’ho
cambiata giusto l’altroieri
per le chiamate di Sasuke e…”
Si bloccò. Fu il turno degli
altri a sgranare gli occhi assieme a lui, mentre Temari
esclamò:
“Sasuke! Ti sta chiamando?”
Agitato, con il cuore che prese
stupidamente a battere più forte, la testa inondata di
centinaia e
centinaia di paure, di pensieri, di ipotesi differenti – starà
bene? Gli è successo qualcosa? È bloccato da
qualche parte? Perché
adesso, dove… con chi eri? – e le mani
quasi instupidite da
tutto quel pensare. Frugò sotto il tovagliolo dove
dispettosamente
sembrava aver deciso di nascondersi il cellulare, poi cercò
di
sbloccare lo schermo sbagliando due volte la combinazione,
sbuffò,
ci riprovò infine con successo e, senza nemmeno darsi tempo
di fare
altro, rispose quasi urlando:
“Pronto, Sasuke!”
Sentì un rumore di traffico e di
clacson, al punto che fece fatica a capirlo. Riuscì a
distinguere
delle parole confuse tipo scusami e Naruto.
“Aspetta che esco un attimo,
non ti sento.”
Gli altri lo guardarono uscire
preoccupati. Kiba fece per alzarsi ma Shikamaru fece un cenno
così
che l’amico si bloccò.
Uzumaki nel frattempo sbatté le
porte e si fiondò fuori, quasi incollandosi il volto al
telefono per
cercare di sentire, al punto che le parole di Sasuke fecero uno
strano eco:
“Alza gli occhi.”
Senza riflettere, Naruto obbedì
però in rapida successione aprì la bocca, con le
parole che avrebbe
dovuto dire incastrate sopra la lingua, lì, come su un
trampolino,
terrorizzate dal vuoto prima di saltare.
Vide davanti a sé Sasuke.
Sembrava diverso, gli occhi
avevano un taglio più deciso ancora, i capelli ricordavano
onice,
lucidi, splendidi, sotto la luce dei lampioni e quella ai neon
dell’insegna del ristorante.
“Cosa ci fai qui?” gli uscì
di getto, tutto d’un fiato. Fu tutto quello che gli venne in
mente,
anche se di domande, così come d’idee ne aveva
persin troppe. Ma
quell’interrogativo era l’unico che forse gli
piacesse.
“Devo spiegarti un sacco di
cose. Quello che è successo oggi, io…”
“Stai bene?” fu la seconda
cosa che Naruto gli chiese. Anche se provava una certa rabbia, dal
momento in cui la paura che gli fosse successo qualcosa era
parzialmente annichilita, consapevole che ora che ce lo aveva davanti
potevano risolvere qualunque problema Sasuke avesse avuto.
Colse un moto di disgusto sul
volto di Uchiha, non sapeva rivolto a chi di preciso, ma pareva quasi
a se stesso, infine l’altro rispose: “Non lo so se
sto bene. Ma
so che dovevo vederti e parlarti.”
Il tono di voce era controllato,
il viso calmo, serio e professionale come sempre. Puzzava di fumo,
Naruto lo immaginò divorare sigarette mentre guidava, con il
finestrino abbassato che schiaffeggiava il volto col freddo di quella
tarda serata primaverile. Il taxista infatti conosceva bene il suo
uomo, le sfumature e le ombre sul volto, e poteva recepire quasi a
pelle che Uchiha era agitato, pieno di cose da dire ma al tempo
stesso accorto, un ballerino pronto a saltare su di un lago
ghiacciato. Troppo, decisamente troppo accorto per una serata come
quella, in cui era piombato lì davanti quando il compagno
non lo
aspettava che per il giorno dopo.
“Neanche un messaggio –
sbottò infatti Naruto, scuotendo la testa – che ti
costava? Ero
preoccupato. Io… stavo per venire a Enkidu, ti rendi conto?
Ah,
cazzo!”
Si passò una mano tra i capelli,
per poi trarre un sospiro e ritrovare la calma. Quella volta lesse
chiaramente una profonda mortificazione sul viso di Sasuke e non gli
piacque per niente. Sasuke era fiero, tagliente, orgoglioso, timido e
capace di improvvise parole d’affetto dopo ore di silenzio,
ma...
mortificato? Mai. Dispiaciuto a volte, faticava a scusarsi
esattamente come Naruto, però in nessuna occasione si era
mostrato a
lui con l’aria così carica di senso di colpa,
anche se si trattò
di un moto subitaneo.
“Mi dispiace Naruto. Dovevo
vederti, non ce la facevo a scriverti.”
Con agitazione crescente l’altro
gli si avvicinò ad ampie falcate, afferrandolo per le
spalle:
“Sasuke, mi vuoi dire che è successo?”
Una voce nella sua testa gli
suggeriva che ormai era ovvio. Che chiedere a quel punto era da
perdenti vigliacchi. Ma Naruto non lo lasciò, né
mollò la presa,
attendendo.
“Andiamo a casa, vuoi? Mi
mancavi. È stata una giornata difficile, tutto
qui.”
Sasuke gli portò a sua volta le
mani sulle braccia. Solo allora Naruto notò che non
indossava i
guanti e una mano, quella con il marchio, era fasciata.
“Che… ti sei fatto male?”
Fece per toccargliela, ma Sasuke
la ritrasse: “Mi sono ferito in maniera stupida, tutto qui
–
lanciò un’occhiata alle spalle del suo ragazzo e
aggiunse, vedendo
i suoi amici uscire all’ingresso della steakhouse –
non vorrei
averti fatto perdere la serata con gli altri, anche se gli altri a
quanto pare ti hanno raggiunto comunque.”
Mosse il capo in un cenno rivolto
alle spalle di Naruto che, confuso, con troppe domande e dubbi, si
voltò quasi distrattamente per poi notare oltre la soglia
del
ristorante Kiba e tutti gli altri, con questi che fumava poco
distante e gli sguardi di tutti discreti ma preoccupati.
La figlia di Shikamaru e Temari
aveva sorriso nel vedere Sasuke che le sorrise a sua volta, togliendo
la presa dalle braccia di Naruto per rimettersi le mani nei tasconi
del giubbotto.
“Sei uscito senza giacca, avrai
freddo” gli fece notare infine.
“Il freddo è l’ultima cosa a
cui riesco a pensare in questo momento. Comunque… va bene,
ok,
andiamo a casa, ma parliamo poi, eh? Non so esattamente di cosa, sono
un ammasso di paura, di felicità per rivederti e ansia
stupida in
questo momento, ma non posso far finta che non sia
così.”
“Lo so, lo so, sono anche io un
concentrato di tante cose in questo momento.”
Sasuke si lasciò sfuggire un
sorriso involontario nel vedere Naruto sorridere agli altri e
rassicurarli, gli stessi altri che senza più il timore di
aver
interrotto un momento particolare si avvicinarono chiedendo a
entrambi se stavano bene.
E a quella vista, di fronte a
quel calore e alla consapevolezza che avrebbe potuto perderli tutti
per sempre, Sasuke si sentì rivoltare le viscere. Strinse la
mano
senza più marchio e bruciava, cazzo se bruciava. Ma gli
aveva
mostrato la realtà delle cose: stava a Sasuke renderle tali,
con
tutti i sacrifici del caso; soprattutto, si sentiva disgustato
all’idea di mentire ancora. Avrebbe voluto essere
più spietato,
con se stesso, coi sentimenti di entrambi e ignorare persino quel
senso etico di correttezza tanto insito nella sua persona, solo per
continuare a fingere per ancora un altro po’, cullandosi
nell’illusione temporanea che tra loro due non fosse cambiato
nulla, quando invece erano acrobati inesperti appesi a un filo
sottilissimo, un’esile tela di ragno carica di rugiada.
“Naruto” lo chiamò,
guardandolo negli occhi. Sentì un nodo alla gola
stringerglisi come
se la sua stessa pelle, divenuta troppo stretta, volesse strozzarlo.
“Dimmi” lo esortò l’altro.
Teneva ancora il cellulare in mano e sembrava sull’attenti,
vigile,
ma un pochino più sereno. Fu per questo che Sasuke non
riuscì a
esitare ancora e gli disse d’un fiato:
“Ho trovato il soulmate.”
Il cellulare cadde dalle mani di
Naruto e si schiantò a terra, con il vetro che si
frantumò in
centinaia di frammenti scintillanti, capaci di riflettere come
miriadi di cristalli il neon delle insegne e il buio del cielo senza
stelle sopra tutti loro.
Ma...
Stava per aggiungere Sasuke,
senza riuscire a proseguire. O forse fu Naruto che non
riuscì più
ad ascoltarlo, con le orecchie che gli fischiavano e il cuore che
scalpitava impaziente nel petto, anche se era impossibile che
battesse ancora con così tanta vita e forza: Naruto avrebbe
giurato
di averlo sentito volare a terra e spaccarsi in infinite schegge,
esattamente come il cellulare e le lacrime che avrebbe voluto
versare.
Sproloqui di una
zucca
Questo
è stato un capitolo per me difficilissimo da scrivere! In
parte perché la faccenda del separarsi dal compagno/a con
cui si ha convissuto per tanto è un'esperienza che mi ha
segnata tanto, in parte perché come sempre mi ritrovo a
scrivere di tematiche toste ma in realtà così
quotidiane: l'incertezza di una relazione o dell'esistenza in
sé, l'importanza degli amici, la voglia di lottare, anche se
in modi e con mezzi diversi. Che dire, spero tanto vi sia piaciuto, che
vi abbia lasciato qualcosa, in attesa del quarto e ultimo capitolo.
Spero anche che Sasuke non risulti particolarmente inviso :3
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Capitolo 4 *** 4 ***
4
4 ore prima
“Entra” invitò rivolgendosi
a Sakura che lo guardò un istante, quasi alla ricerca di
qualcosa
sul suo volto di cui sarebbe stata lettrice esclusiva.
“Mi spiace per tutto questo –
rispose mordendosi poi un labbro, senza accennare a muoversi, con la
porta chiusa alle sue spalle che sembrava braccarla – non
sarei
dovuta venire qui.”
Si tolse gli occhiali da sole
stringendoli in una mano, tutto il suo corpo pareva provare
l’impulso
di uccidere qualcosa. Sasuke notò che non era vestita degli
abiti
eleganti con cui l’aveva conosciuta, indossava anzi dei
semplici
jeans e una felpa con la zip parzialmente tirata giù, i
capelli
erano raccolti in una coda bassa.
“Ma ormai siamo qui tutti e
due” sospirò, prendendole il cappello per poi
tendere una mano
verso il letto e invitarla “siediti un attimo.”
Le appoggiò vicino il copricapo,
poi si sedette. La donna ondeggiò qualche istante sui piedi
tentennando, infine imitò Uchiha, mettendosi accanto a lui.
“Madara
dice di non aver mai conosciuto il proprio soulmate”
esordì la
donna all’improvviso dopo
qualche secondo di silenzio. Nel parlare aveva
intrecciato
le dita sottili, le cui unghie corte erano decorate da uno
smalto rosato e
leggero, quasi incarnasse lei stessa quel colore, la morbidezza
pastello di un mondo altrimenti orribile e troppo carico di
chiaroscuri.
“Non è la verità?”
domandò
Sasuke, voltandosi per guardarla. Si sentì curioso,
disgustato e al
tempo stesso in pace, un sentimento paradossale che gli annodava le
viscere.
Gli
occhi di Sakura per un solo attimo si abbassarono, guardando la
moquette della stanza, poi
tornarono a fissare Sasuke con determinazione: “In
parte.
Aveva
trovato il suo soulmate quindici anni fa, ma
l’ha perso dopo otto
anni di vita assieme. Otto.
Hashirama non è sopravvissuto alla malattia che
l’ha afflitto.
Madara ci ha provato a
combatterla con lui, al
punto che dopo la sua morte, sul petto, gli si è generato un
nuovo
marchio, con una parola assurda: perdonami;
sai, come un ricordo indelebile che lo tormenta ancora oggi. Tuttora
non ha mai capito perché gli è stata data di
nuovo la possibilità
di incontrare un soulmate, ma non gli interessa farlo.
Nel
combattere
questo male, infatti,
ha visto una volta di più tutti i privilegi di cui loro
hanno
goduto rispetto ad altre persone non soulmate, le priorità, ma
non è solo quello:
la disorganizzazione sanitaria, i tagli fatti per privilegiare nel
lavoro gli elementi cosiddetti stabili o parenti di qualcuno nella
famiglia reale. Tutto
questo purtroppo
non
è servito a nulla, ma riflettendoci
le
persone
senza
soulmate che
avrebbero potuto essere salvate sono state lasciate indietro, ultime
nelle liste, nelle terapie, nei posti letto. Ultime in tutto, se
prive di un buon reddito o degli agganci giusti.
Io ho conosciuto Madara
allora,
ero un’infermiera che non è mai riuscita a
diventare medico, c’era
sempre qualcuno in lista davanti a me,
anche se ho studiato e lavorato così tanto. Sono stata ingenua
a ben pensarci. Dove volevo andare?”
Accennò un sorriso ma gli occhi
divennero lucidi.
Sasuke trattenne il respiro, con
la paura di vederla piangere e non riuscire a sopportarlo. Cosa
poteva fare per le lacrime? E per le bugie, tutte quelle che si
raccontavano lui, Madara, Sakura, il mondo in chiaroscuri che non
avrebbero mai colorato, non così, non piangendo in una
camera
d’albergo.
“Non riuscirei mai a mentire
sul mio soulmate, specie se riguarda la sua morte. E anche la
scritta, forse significa che non sempre chi perde il proprio soulmate
è condannato a rimanere solo” ammise guardando
avanti, come per
non imbarazzarla in un momento di grande vulnerabilità.
“La
scritta. Ah, specie adesso mi allontana ancora di più da
lui, per
quanto userei io stessa quella parola, forse con intensità
ancora
maggiore di quanto avrebbe fatto Hashirama –
sospirò, riprendendo
poi con enfasi maggiore – non essere duro nel giudicare
Madara.
Sai, il
male che senti
quando
perdi la tua anima gemella
è...
privato. Perché lasciare che estranei lo conoscano per
il soulmate che ha perso?
Madara ricorderà
sempre
il
legame con Hashirama, è lui a doverlo tenere
in vita, lui e la sua famiglia, nessun altro.”
Il suo sguardo era appena
aggrottato, Sasuke pensò fosse involontario. La
immaginò corrugare
le sopracciglia tutte le volte che portava avanti le proprie idee.
Forse era stato così che Madara si era innamorato di lei: li
immaginò conversare attorno a un tavolo, con qualche
bicchiere di
vino e una cena raffreddata perché si erano persi a parlare,
poi
forse a far l’amore, con le guance arrossate dal bere e
dall’animosità di ciò in cui credevano.
“Non sei gelosa? Un soulmate è
qualcuno con cui non puoi competere. E capisco per esperienza
personale anche la questione della scritta: sembra ricordarti ogni
giorno che lui non sarà mai tuo per davvero.”
A quella dichiarazione lo sguardo
di Sakura si ammorbidì e gli occhi tornarono più
lucidi. Sasuke
sentì il cuore stringersi e battere allo stesso tempo troppo
forte,
come se fosse legato e lottasse per scappare.
La vide umettarsi le labbra, poi
guardare il soffitto e schioccare la lingua, forse cercava di
temporeggiare per trovare il modo di possedere una voce ferma. Fece
una specie di sorriso quando rispose:
“Certo che lo sono. Ma… io
non voglio competere, capisci? Hashirama è morto, mentre io
sono
viva, Madara anche, aspettiamo un figlio, una nuova vita ancora, e
tante volte, così tante volte il mio compagno mi ha
estirpato dal
petto le mie paure peggiori. Che a un certo punto fosse troppo
distante da questo mondo per amarmi, o io per amare lui –
sollevò
le spalle, inspirando per poi ammettere – eppure siamo ancora
qui e
lottiamo per quello in cui crediamo. Certo, di tanto in tanto vorrei
poter parlare con Hashirama, sentirlo, vederlo e chiedergli come
facesse, come accidenti facesse a far sorridere tanto Madara, a farlo
sentire così… vivo, quando
era con lui. Hashirama qual è
il tuo segreto?”
Imitò una voce un po’
baritonale, che tremò appena, infatti si morse il labbro e
in un
gesto quasi di conforto smise di stringere gli occhiali per
metterseli sulla testa, raccogliendo qualche ciocca scivolata sulla
fronte.
Sasuke appoggiò i gomiti sulle
cosce, intrecciando le dita delle mani mentre si chinava avanti con
la schiena; a quel cambio di posizione i capelli umidi ondeggiarono
appena. Accennò un mezzo sorriso ma non riuscì a
parlare, ironico
per lui, così abituato a far domande e lanciare ipotesi. La
verità
era che temeva di far risultare banale qualsiasi parola avesse
pronunciato.
Per questo infatti fu solo dopo
qualche istante che aprì bocca e si ritrovò a
confessare qualcosa
di molto personale, guardandosi i piedi nudi. In
quell’occasione li
trovò tanto magri da fargli impressione, si chiese cosa ne
pensasse
Naruto, se potesse amare anche un lato tanto malfatto di sé.
“Mio padre ha lasciato mia
madre dopo aver conosciuto la sua soulmate. L’abbiamo escluso
dalla
nostra vita, non lo vedo da allora. Ciononostante l’idiota
ogni
anno mi scrive ancora per Natale e per il compleanno.”
Schioccò la lingua, scuotendo
una volta la testa. Disse parole amare, ma la gola gli si strinse
all’idea di quanto fosse ipocrita e di quanto Fugaku avesse
perso
di loro, di tutti loro.
“Un idiota che non se ne frega
del tutto di voi, allora” notò Sakura,
abbassandosi per
intercettare lo sguardo di Sasuke. Questi spostò gli occhi
verso di
lei, sovrastato dalla sua ombra china, e non riuscì a
nascondere un
mezzo sorriso, anche se un po’ triste.
“All’inizio ha lottato per
vederci e stare con noi. Però con il tempo si è
arreso. Forse
perché noi l’abbiamo lasciato andare; eravamo così
arrabbiati, ci siamo sentiti traditi, capisci? Abbandonati. Eravamo
dei bambini. Ma a ben pensarci col senno di poi ha avuto un coraggio
immenso a portare avanti la sua scelta. O forse era solo un folle.
Lasciare tutto ciò che aveva, le sue certezze, la sua
stabilità per
stare con una sconosciuta ma in qualche modo predestinata. Non tutti
lo farebbero anche se si tratta di un legame trascendente, ne
avrebbero comunque paura.”
Si portò una mano sulle labbra e
Sakura uscì dal suo raggio visivo, perché la
donna si sollevò in
piedi. Se la trovò chinata di fronte a lui. Gli prese le
mani e lo
costrinse a sollevare il volto per guardarla:
“Chi ti attende a casa,
Sasuke?”
Ci fu una dolcezza struggente in
quelle parole. Uchiha si sentì così amato e
protetto, nel suo
immaginario avvolto da un abbraccio morbido che gli mancava
immensamente. Avrebbe voluto accartocciarsi, rimpicciolirsi e
mettersi in grembo a Sakura, come faceva da bambino con sua mamma,
quando ancora poteva addormentarsi in braccio a Mikoto mentre erano
fuori a cena con tutta la famiglia e il mondo al di fuori, ai suoi
occhi immenso rispetto al proprio minuscolo nucleo protetto,
continuava a vivere, con le sue chiacchiere e i suoi rumori caotici
che però per Sasuke erano ovattati, così
insignificanti rispetto
alla potenza del battito del cuore di sua madre: con gli occhi chiusi
e l’orecchio appoggiato contro il petto della donna, il
bambino
infatti lo sentiva rimbombare nella cassa toracica, un tamburo
ancestrale che scandiva lo scorrere del sangue. E lui incantato lo
sentiva fluire, battere, scalpitare, mentre si addormentava protetto
dal tocco materno che gli accarezzava i capelli.
“Naruto” disse il suo nome in
un sussurro.
La donna gli girò i palmi e
sgranò gli occhi. Ma non disse nulla, tornando a guardare
l’uomo
che sembrava non aver ancora realizzato.
Gli spostò i capelli scuri dalla
fronte e commentò:
“Tuo padre si era innamorato
della sua soulmate, tutto qui. Deve esserci amore. E tu sei
innamorato, Sasuke, lo vedo dal tuo sguardo. Ma… non di
me.”
“Sakura…” mormorò.
Scoprì
che non c’era altro da dire. Il suo nome racchiudeva
così tanto.
“Così come io amo Madara. Mi
spiace immensamente non averti conosciuto otto anni fa, Sasuke. Credo
che a quell’epoca, senza nessuno, ci saremmo potuti amare,
forse
invecchiare insieme tra parecchi anni, con una certa dose di fortuna,
la stessa che è stata negata a Madara e Hashirama.”
Sasuke chiuse gli occhi quando
sentì la mano di Sakura toccargli i capelli, poi
accarezzargli la
guancia e indugiare lì, sulla sua pelle.
“Anche io lo credo. Che ci
saremmo potuti amare – la guardò ed entrambi
rimasero per qualche
istante in silenzio, contemplandosi – sono contento di averti
conosciuta, anche se…”
“Anche se come faremo ora? Con
loro” precisò la donna,
riportando la propria mano in
grembo. Si era seduta a gambe incrociate. Sasuke allora scese dal
letto, mettendosi a sua volta a gambe incrociate davanti a lei. Gli
sembrò di avere uno specchio e di leggervisi dentro, di
trovare di
fronte a sé la sua parte migliore, la persona che non
sarebbe mai
stato. Si chiese se Sakura ammirasse qualcosa allo stesso modo,
trovando ridicolo che in lui potesse esservi altrettanto.
“Capiranno? Che li amiamo
nonostante tutto.”
Sakura sospirò: “All’inizio
ho avuto paura. Paura di perdere Madara, ma anche di perdere te, di
non rivederti mai più senza aver parlato faccia a faccia.
Certo, ero
agitatissima, perché una parte sperava di trovare non so
cosa
arrivando qui, qualche risposta a tutto, la soluzione perfetta a ogni
mio dubbio, un’altra era nel panico più totale
all’idea che
entrambi magari saremmo stati troppo pronti a dire addio al nostro
passato oppure, al contrario, a dirci addio anche troppo preso
–
rise, un po’ nervosa e un po’ realmente divertita
– non so se
capisci quello che intendo. Sì, dai, è chiaro,
sono ancora
agitata.”
“Lo sono anch’io – Sasuke
annuì e Sakura annuì a sua volta e una lacrima
iniziò a scivolarle
rapida sul volto, come qualcosa di fugace, allora Sasuke
annuì
ancora, guardandola, ripetendo – lo sono anch’io.
Ma ora sono
sicuro, anzi sicurissimo: non voglio perderlo. Non voglio andarmene,
non voglio fare come mio padre, io voglio lottare, fargli capire
che…
è lui. La mia scelta. Sempre la mia prima e unica
scelta.”
Sakura pianse di più. E anche
Sasuke, che sembrò qualcosa gli entrasse negli occhi e
glieli
sfregasse, iniziò a sua volta a piangere. Si guardarono, con
le
lacrime che scorrevano incontrollate sul volto, quasi come se non
piangessero da una vita, un lusso che forse non avevano più
potuto
permettersi, perché la società rammentava loro
che non erano più
bambini, erano stati privati del privilegio di addormentarsi tra le
braccia chi li faceva sentire al sicuro mentre al di fuori il mondo
giudicava ogni loro debolezza.
Piansero e risero, Sakura
portandosi una mano sulla bocca, Sasuke mordendosi appena il labbro,
tirando ogni tanto su col naso. Lentamente, la risata si
smorzò,
entrambi dettero qualche colpo di tosse e anche il pianto divenne
più
sommesso.
“Hai visto il tuo palmo? Ormai
l’inchiostro è andato via del tutto”
fece presente Sakura,
alzandosi in piedi dopo essersi asciugata gli occhi con il dorso
della mano.
Sasuke scrollò le spalle,
strizzando le palpebre come per togliersi le ultime lacrime
incastrate tra le ciglia. Prese un fazzoletto di carta sporto da
Sakura che poi si soffiò il naso, appallottolando il
fazzoletto per
metterselo in tasca e attendere, ancora in piedi.
“No, non ho visto.”
Sakura allora lo tirò su e
Sasuke si mise in piedi di fronte a lei. La donna con un cenno del
mento lo esortò. A quel punto con un sospiro senza fiducia,
nonostante il leggero bruciore, girò i palmi e quando li
vide rimase
a fissarli con la bocca semiaperta.
“Non capisco. Tutto questo non
ha senso.”
Sakura gli prese le mani dal
dorso e lo guardò: “Cosa ha senso in questa
vita?”
“E tu? Magari possiamo parlarne
con Shisui, è il compagno di mio fratello, fa studi di
genetica,
quindi sicuramente...”
“Magari sì, magari no. Per me
adesso non è la priorità. A prescindere da quello
che vedrò sui
miei palmi, voglio andare da Madara e parlargli.”
Sorrise, infine gli lasciò le
mani e gesticolò, domandando con maggiore urgenza:
“Ma,
soprattutto, cosa ci fai ancora qui?”
“Dovrei andarmene? – ah-ah
fece la donna in risposta, rivitalizzata da una nuova speranza e
forza, così, contagiato dalla sua carica, sulla stessa onda
Sasuke
proseguì – Dovrei prendere la macchina con il buio
incombente, non
fare le interviste previste domani, percorrere oltre tre ore di
strada e raggiungere Naruto all’improvviso ovunque si
trovi?”
“Ovvio” rispose ancora
Sakura, annuendo.
Sasuke tacque un istante. Poi
sospirò: “È la cosa più
sensata e spettacolare che abbia mai
fatto in vita mia.”
La donna sorrise, intrecciando le
mani dietro la schiena. Lo contemplò fare velocemente il suo
modesto
bagaglio, bendarsi la mano dove un tempo c’era il marchio con
il
kit di pronto soccorso della camera, controllare le ultime cose dopo
essersi passato le dita tra i capelli e pensò che Naruto
– ah,
quel nome pronunciato così, come un sussurro sofferto, prima
le
aveva lacerato il cuore – era un uomo fortunato. Anche se
forse
quella sera avrebbe pensato di essere tutt’altro.
Uscirono dalla stanza del motel,
Sasuke pagò il conto e al parcheggio di guardarono un
istante. Senza
goffaggini, come se si fossero letti dentro o avessero fatto scattare
un minuscolo meccanismo che connetteva le rispettive anime, i due si
abbracciarono, rimanendo così qualche istante, per poi
separarsi e
dirsi contemporaneamente:
“Digli la verità.”
“Lo farò” ripeterono ancora
assieme.
Sakura rise e Sasuke annuì: “Ok,
ok, in futuro dobbiamo esercitarci per questa cosa. Comunque non gli
nasconderò nulla. È giusto che Naruto sappia e
decida, consapevole
di quello che ho scelto io.”
“E quella benda?”
“Sarà per dopo. Se vorrà
avere ancora a che fare con me, magari assieme potremo capire cosa
significa tutto questo” spiegò l’uomo,
stringendo le mani a
pugno, con determinazione.
“Non gli renderai le cose
facili ma… come non potrebbe, non voler più avere
a che fare con
te?”
commentò Sakura per poi dargli
un leggero buffetto sulla guancia e indietreggiare di qualche passo
verso la propria macchina.
“Lo stesso vale per te. Madara
sarebbe uno stronzo idiota a cambiare idea. Insomma, sarebbe
più
stronzo di quello che è già. Idiota non
così tanto, devo
concederglielo” ammise, fingendosi piuttosto serio.
Sakura rise, annuì, poi lo
salutò e salì in macchina. Guardò
partire Sasuke e andarsene, solo
allora uscì a sua volta da parcheggio.
Si portò una mano sul ventre e
pensò una volta di più che…
sì, la vita era strana,
imprevedibile e nulla, davvero, nulla, doveva essere dato per
scontato.
*
Sasuke guardò il cellulare di
Naruto spaccato per terra e si chinò di scatto per
raccoglierlo, ma
l’altro lo fermò: “Faccio io.”
La voce era strozzata. Quasi un
singulto.
Incapace di smettere di
guardarlo, ancora a metà tra il chinarsi e tornare
completamente
dritto, Sasuke non riuscì a vedere il pugno che gli
arrivò dritto
in faccia e che lo stese a terra.
“Maledetto figlio di puttana!”
“Kiba!” esclamò Temari, ma
Shikamaru si mise davanti e afferrò Kiba per il braccio,
bloccandolo
prima che l’amico potesse concludere l’opera
saltando
direttamente addosso a Sasuke per scaricargli infiniti altri pugni
sul volto. Gli vide la mano tremare e le braccia che si tendevano
come corde di violino per liberarsi, mentre Kiba urlava:
“Che cazzo ti dice il cervello?
Hai trovato un soulmate? E glielo vieni a dire così, dopo
oltre un
anno che vivete assieme ogni singolo fottutissimo giorno, su una
strada del cazzo dopo non esserti fatto sentire tutto il giorno!
Tutto-il-giorno. Non una parola. Cristo, quanto mi fai
schifo.”
Allontanò Shikamaru con un gesto
del gomito e indietreggiò, portandosi una mano tra i
capelli, il
gesto di chi non ci crede e fa qualcosa di inutile per tenersi le
mani occupate.
Naruto non riuscì a guardare
Sasuke messo in quel modo, con il dorso della mano premuto contro le
labbra spaccate per arrestare il sangue. Sentì che una parte
di sé
avrebbe voluto tirare di persona quel pugno, ma era la sua parte
peggiore, quella vendicativa e profondamente arrabbiata, il resto era
solo rammarico e amore. Quello c’era ancora, come poteva
sparire
dall’oggi al domani? Fosse stato così facile non
avrebbe fatto
tanto male.
Si chinò per togliere la mano
con cui Sasuke si copriva il volto e, con un fazzoletto di carta,
tamponargli il sangue. Uchiha lo guardava, chiedendogli scusa senza
parlare, ma anche a quel modo, sconfitto a terra, possedeva un animo
forte, al punto che Naruto si ritrovò stupidamente a pensare
che era
andata più che bene fino ad allora, avevano avuto del tempo
per
godere l’uno dell’altro.
“Andiamo un attimo a – si
umettò il labbro, per poi dire – casa.”
Gli porse la mano che Sasuke
prese, alzandosi.
“Un attimo?” domandò il
giornalista.
Naruto gli lanciò un’occhiata
ma non rispose. Kiba sbottò: “Dovresti lasciarlo
in mezzo a una
strada.”
“Smettila” lo avvisò Naruto,
all’improvviso tagliente, prima ancora che Choji potesse
invitare
Kiba a tacere. Inuzuka strinse i denti, sembrò in procinto
di
ribattere, ma vide lo sguardo del suo migliore amico e, sgonfiato
forse dell’istinto primario di difesa, nel vederlo
così deciso
ancora, nonostante tutto, a prendere le difese del suo compagno, non
poté far altro che lasciar perdere. Alzò le
braccia in segno di
resa e annunciò agli altri che sarebbe rientrato a casa.
“Avete bisogno di un
passaggio?” domandò Shikamaru, con le mani in
tasca e lo sguardo
apparentemente imperturbabile, come se avesse deciso di ignorare
arbitrariamente quello che era successo. Naruto sentì la
domanda
implicita del se posso
fare qualcosa, dimmelo ma
si limitò ad annuire e poggiargli una mano sulla spalla,
rassicurandolo:
“No, grazie. Credo Sasuke abbia
una macchina, forse quella aziendale. Poi vediamo, se
c’è qualcosa
vi tengo aggiornati.”
“Mamma perché zio Sasuke è
finito a terra?” domandò all’improvviso
la bambina, tirando
l’orlo della giacca di Temari. Quest’ultima si
abbassò,
spostandole un ciuffo di capelli sbarazzini dietro le orecchie, e
dopo aver lanciato un’occhiata ai due amici si
limitò a
rispondere:
“A volte succede di cadere,
quando si fanno le cose un po’ troppo di fretta.”
“E zio Kiba l’ha aiutato?”
“Anche zio Kiba ha fatto le
cose di fretta e non ha aiutato affatto. Ma sai a volte agiamo
così,
di fretta, perché ci sono tanti sentimenti dietro che ci
fanno
ragionare con questo – le indicò il cuore,
appoggiandole il dito
sul petto e proseguì – piuttosto che con
questo.”
Spostò il dito sulla fronte e la
bimba aprì la bocca, emettendo un
“Ooooooh” di scoperta e
meraviglia, anche se forse avrebbe davvero capito quello che la sua
mamma le aveva detto solo molti anni più avanti.
Finirono per salutarsi, anche con
Sasuke, sebbene fosse più uno scambio di gesti un
po’ impacciati,
mossi da una sorta d’imbarazzo involontario.
Quando furono rimasti soli,
Naruto scrollò le spalle e sospirò:
“Allora, dove hai la macchina?”
Sasuke avrebbe voluto dire
qualcosa, iniziare a spiegare, ma comprese che non era quello il
momento: cercare di piantare nuovi semi in un terreno dove aveva
appena fatto esplodere una bomba sarebbe stato da stupidi, oltre a
non portare altro che uno sterile vuoto.
“Poco distante da qui. L’ho
parcheggiata com’è capitato”
usò un tono freddo, quasi
robotico, come se i suoi meccanismi di difesa fossero scattati senza
dargli nemmeno tempo di provare a tirare fuori la propria dolcezza,
intima e privata, per come Naruto davvero lo conosceva.
Questi sembrò non esserci
rimasto troppo male, quasi se lo aspettasse – aveva visto
ormai
tanti aspetti e sfumature del carattere introverso del compagno
– e
infatti si limitò a camminargli al fianco, senza parlare,
anche se
aveva le viscere annodate come se qualcuno gli avesse infilato in
grembo una corda aggrovigliata anziché l’intestino.
Fecero il viaggio in silenzio e
fu terribile, sembrò quasi di trovarsi in macchina con un
perfetto
estraneo, qualcuno di diverso rispetto a chi avevano conosciuto,
anche se entrambi avevano così tanto da dire
all’altro.
Quando giunsero all’appartamento,
Cerbero nel sentire scattare le chiavi della serratura corse loro
incontro facendo ticchettare le unghie scure delle zampe sul
pavimento, quasi una melodia di benvenuto, accompagnata da abbai
trattenuti, perché era chiaro che non fosse stato per il
rischio di
venir sgridato il cagnolino avrebbe volentieri svegliato
l’intero
palazzo per annunciare la sua gioia festaiola.
Con un groppo in gola, Sasuke
accarezzò con affetto il proprio cane, tirando un sospiro
nel
constatare una volta di più quanto anche il suo amico
quattrozampe
gli fosse mancato e quanto questi, con l’ingenuità
amorevole
canina, non avesse realizzato il dramma che c’era tra lui e
Naruto,
anche se forse, nell’irrequietezza della coda o nel modo in
cui li
annusava, qualcosa intuiva.
“Deve ancora fare la
passeggiata al parco, se hai voglia lo porterei adesso. Non so, se
magari devi parlarmi.”
Sasuke si rialzò, mentre Cerbero
fece un giro su se stesso e si sedette di fronte a Naruto, pronto a
prendere il guinzaglio e partire all’avventura.
Fissò un istante
il cane poi ribadì a Uzumaki, ignorando il gonfiore al
labbro che
stava cominciando a crescere:
“Certo che devo parlarti, di un
sacco di cose. E ti avevo chiesto io stesso di portare Cerbero
assieme, quando sarei tornato, no?”
Adottò un tono quasi arrabbiato
e sicuramente disperato. Anche se il volto era rimasto altero, meno
esposto al mutamento dei sentimenti. Naruto per contro
scrollò le
spalle, ribattendo con blanda ironia:
“Sai com’è pensavo che dopo
tutta la storia del… coso, lì, del soulmate
– faticò a
pronunciare quella parola – quanto avevi detto prima ormai
contasse
poco o nulla.”
“Beh, ti sei sbagliato,
evidentemente.”
“Già, mah, tendo a farlo solo
io qui dentro a quanto pare.”
Sasuke lo guardò infilare con
gesto stizzito il guinzaglio nel collare di Cerbero:
“Perché devi
fare così adesso?”
“Così come? Che ti importa di
come faccio io? Tanto hai trovato chi farà tutto in maniera
perfetta, proprio come desideri, finalmente puoi dire basta a quel
deficiente sbadato e casinista del tuo ragazzo, devi
festeggiare!”
Esclamò Naruto, sorridendogli.
Un sorriso tirato, esattamente com’era tirato e sempre
più
arrabbiato, deluso, triste, forte il tono di voce.
Il cuore perse un battito, tutta
la spavalderia data dalla rabbia e dal senso di trovarsi dalla parte
del giusto fu annientata nel vedere il volto di Sasuke, il modo in
cui contrasse le labbra già sottili fino a farle sparire e
la sua
risposta per contro fievole, di chi cercava di arginare qualcosa,
un’esplosione forse, che invece Naruto per contro aveva
cercato.
“Dammi il guinzaglio, lo tengo
io per un po’ mentre scendiamo.”
Senza parlare, sgonfiato
dell’acrimonia di prima, Naruto glielo tese ma non si
sfiorarono le
mani, anche se una parte di sé avrebbe voluto farlo, sentire
Sasuke,
chiedergli del labbro, togliergli il sangue rappreso e abbracciarlo
perché, cazzo, gli era mancato così tanto e ora
che ce l’aveva
finalmente davanti sapeva di averlo perso per sempre.
Nuovamente in silenzio, eccetto
per Cerbero che agitava la coda e guaiva di entusiasmo
nell’ascensore, impaziente di scendere, i due uscirono in
strada e
si incamminarono verso il parco a pochi isolati di distanza.
L’aria
era fresca, di quel freddo quasi frizzantino che accarezza le guance
senza morderle come il gelo dell’inverno, mentre sopra di
loro il
cielo era piuttosto pulito: date le poche luci attorno a loro, i due
ragazzi riuscivano a vedere le stelle principali. Sembrava che
immensi palazzi si fossero elevati fino al confine
dell’atmosfera,
avvolgendo la terra con le luminarie delle proprie finestre, divenuti
punti gialli incastonati nella volta immensa del cielo.
Irrequieto, Sasuke si accese una
sigaretta ma solo dopo vari tentativi in cui il pollice non sembrava
abbastanza fermo per far funzionare l’accendino. Quando
espirò, fu
l’unico suono che si percepì attorno a loro, oltre
al fruscio
leggero dei passi che ricordavano una timida carezza
sull’asfalto.
Quando furono nel parco,
illuminato da qualche lampione basso, in ferro battuto come le
panchine che lo popolavano, Cerbero iniziò ad annusare ogni
superficie, a marchiare il territorio e a raspare il terreno con
entusiasmo. I due lo guardarono qualche istante, fino a che
all’improvviso Sasuke annunciò:
“Non era mia intenzione
conoscerla. È capitato. Per tutti questi anni sono stato
così
attento – lo so Sasuke, lo so, tu non hai mai
voluto conoscere
il soulmate eppure… – forse è
davvero una questione di
destino. Ma io una volta di più so, so perfettamente
di…”
“Chi è? Come si chiama?” lo
interruppe all’improvviso Naruto. Non con voce
d’accusa, sembrava
bensì interessato, anche se triste. Pareva averlo accettato.
Interdetto, con la sigaretta che
bruciava lenta tenuta tra le dita, Sasuke rispose:
“Sakura.”
“Sakura – Naruto guardò
Cerbero, mentre parlava, fingendo che quella conversazione fosse con
Sasuke il suo amico, non il suo compagno – bel
nome.”
“Bel nome? Cos… cosa importa?
Chi se ne fotte, voglio dire!” esclamò
all’improvviso Sasuke.
Cerbero si fermò, osservandolo con le orecchie alzate.
Uchiha si
morse un labbro e, con l’espressione corrugata,
guardò davanti a
sé verso un punto indefinito. Schiacciò il
mozzicone nel primo
cestino a disposizione, spegnendolo prima di fare ancora qualche
tiro, sembrò un gesto fatto per il bisogno di concludere
qualcosa.
Fu allora che Naruto fissò Sasuke, non capendo proprio
perché
l’altro dovesse prendersela a quel modo.
“Cosa dovrei dire quindi? Farti
le congratulazioni? Sto cercando di… –
deglutì, ritrovandosi
ancora una volta ad alzare la voce e a dire cose che non voleva
–
di essere comprensivo qui! Di capirti, di incoraggiarti, cazzo!
Vorrei solo mandarti a ‘fanculo e raggiungere questa stronza
ovunque sia e… non so, merda, farle un incantesimo, farle
dimenticare chi sei, dove sei, ridisegnarle quella stupida macchia
sul palmo o dov’è e dirle che tu sei…
sei già mio.”
La voce gli si affievolì. Sentì
il labbro tremare, come tutte le volte che per rabbia o per dolore
stava piangendo. E lui non voleva. No. Oh no, non davanti a Sasuke,
già era patetico quello che aveva detto senza aggiungerci le
lacrime. Lui era quello sorridente, quello ottimista, quello che
combatteva anche per Sasuke se necessario. Che cosa gli aveva fatto
il suo ragazzo in quegli anni, per farlo sentire
così… perso
all’idea di perderlo a sua volta?
All’improvviso Sasuke gli
afferrò il braccio. Il cane sedette, paziente e comprensivo.
Naruto
gli guardò la mano che lo aveva afferrato, solo dopo
spostò lo
sguardo sul volto dell’altro e lo vide allarmato, ferito,
agitato.
Lo lasciò parlare, perché non seppe come reagire.
“Naruto, non mi hai dato il
tempo di spiegare! Non…”
Ansimò, con gli occhi sgranati.
E lucidi.
Naruto non riuscì a chiudere i
suoi. Fece per aprire bocca, fu un gesto istintivo, quasi le parole
potessero essere un cerotto per le loro ferite.
Ma Sasuke lo strinse, lo
abbracciò, lasciando cadere a terra il guinzaglio per poi
quasi
gridare, il volto così serio e malinconico trasformato in
qualcosa
di più animale, di disperato e quasi ironico:
“Non mi interessa lei! Io sono
qui per te, voglio stare con te. Amo te – gli
appoggiò la testa
sul petto, chinandosi, mentre stringeva la giacca dell’altro
–
te, te, te. Ma non potevo non dirti che l’ho
conosciuta.”
Per un attimo Naruto lo guardò
dall’alto, senza parlare. Poi si portò una mano
sul volto,
sentendo le proprie lacrime vincere la resistenza e finire per
bagnarlo. Se le asciugò in maniera brusca e
incrociò il proprio
sguardo con Sasuke:
“Come puoi dirlo? Ignorare che
esiste? Quando Sakura, chiunque e ovunque lei sia, sa a sua volta che
ci sei – gli fece male la gola, come se ci fosse un chiodo
conficcato sotto al palato, e si sentì morire quando
domandò con
voce fievole – quanto può durare a questo punto
tra di noi?”
Per distrarsi, afferrò il
guinzaglio di Cerbero che nel frattempo si era allontanato di qualche
metro e fece ancora due passi. In tutto questo Sasuke non si era
mosso.
Chiuse un istante gli occhi,
inspirando, cercando di mantenere il controllo, di riflettere e di
capire Naruto anche se era difficile, così difficile,
perché fino
ad allora pensava che potevano avere una possibilità.
Ciò che aveva
visto sul proprio palmo gli aveva dato una forza e un senso
d’illusione forse eccessivo.
Gli
si avvicinò: “Egoisticamente
vorrei
che mi dicessi che va bene provare, per tutto il tempo che
durerà,
perché io so che sarà lungo questo tempo anche se
mai abbastanza.
Ma – sollevò le spalle, abbassando qualche istante
la testa – mi
rendo conto che tu non ci
credi
affatto. Immagino,
e
lo dico a mio discapito, che agirei esattamente nella stessa maniera.
Anzi, sarei stato terribile: non sarei mai riuscito a fare quello che
hai fatto tu, fingere un interesse che ovviamente non provavi
riguardo il mio destino con questa persona.”
“Beh, d’altronde sono sempre
stato io quello più simpatico dei due, no?”
ironizzò Naruto, con
un mezzo sorriso un po’ smorto.
Non aggiunse altro, così
restarono in silenzio percorrendo ancora i viali del parco,
finché
Sasuke gli propose, senza più riprendere le redini del cane:
“Ti va se ci prendiamo un caffè
d’asporto prima di tornare a casa? Non ho mangiato nulla ma
non ho
nemmeno troppa fame, solo… vorrei mettere qualcosa di caldo
nello
stomaco – parve ripensarci – se vuoi tornare. A
casa. Casa
nostra.”
Affondò le mani nelle tasche del
giaccone.
Naruto sorrise. Con tenerezza.
Sbatté una volta le ciglia, lentamente, quasi con
stanchezza, infine
annuì: “Va bene – controllò
il cellulare, guardando l’ora –
non è ancora mezzanotte, troviamo aperto giusto in tempo.
Anche se…”
Si umettò la lingua, ma non
proseguì. Stupido. Poteva tacere e tenersi per sé
il suo rammarico,
smettere di farsi pungolare dal senso istintivo della vendetta
emotiva.
“Anche se?” lo incalzò
Sasuke, senza però arrestare la camminata al suo fianco.
“Forse dopo essere rientrati
faccio un giro. Sai – non ce la faccio a stare a
casa, ho
addosso un magone tremendo e un senso d’angoscia
– non riesco
a dormire molto bene dopo essere stato di servizio un po’ di
notti.”
Per un attimo Sasuke non respirò.
Ma si limitò ad annuire e replicare, con tono molto
più morbido:
“Capisco.”
Tutto quello che Naruto elaborò
a sua volta in risposta fu una sorta di sorriso stupido, con le
labbra inferiori in parte morse tra i denti.
Sostarono di fronte a una
caffetteria dove non c’erano altri clienti, ormai le sedie e
i
tavoli avevano cominciato a essere radunati in un angolo e le prime
luci spente. Uno dei camerieri stava pulendo il pavimento e
l’altro
era alla cassa, con un block notes in mano e una penna incastrata
sopra l’orecchio.
Sasuke si sporse dall’ingresso
e annunciò:
“Scusate, potete farci due
caffè da portar via, so che state chiudendo
ma…”
Il ragazzo alla cassa sollevò lo
sguardo. Per un attimo ebbe l’espressione di chi voleva
controllare
l’ora, ma invece sorrise e annuì, aveva qualcosa
di gentile, come
una mamma.
“No problem ragazzi, le
macchine sono ancora accese.”
“Grazie” rispose Sasuke, con
un cenno della testa, ed entrò. Naruto rimase sulla soglia,
con
Cerbero che prima fissava lui, poi il padrone.
“Come lo volete?”
“Uno zuccherato” rispose
Sasuke, tirando fuori il portafoglio. Uzumaki sospirò
appena, fece
per parlare ma si concesse della pigrizia malinconica, chinandosi per
accarezzare Cerbero.
“L’altro?”
Sasuke lanciò un’occhiata al
suo compagno, poi tornò a fissare il cameriere:
“Niente zucchero,
grazie.”
Naruto smise di accarezzare
Cerbero. Si bloccò così, stupidamente, con le
mani ancora tra il
pelo del cagnolino che reclinò appena la testa, sollevando
attento
le orecchie.
Uzumaki aprì la bocca, cercando
di ricordarsi come respirare. Poi sbatté una volta le
ciglia, una
soltanto, deglutì, respirò e senza muovere altro
muscolo eccetto
quelli strettamente necessari abbassò lo sguardo sul proprio
avambraccio.
“Tutto a posto?” domandò
Sasuke sulla soglia, osservandolo dall’alto. In mano aveva la
busta
di cartone coi caffè.
Naruto sollevò lo sguardo verso
di lui, ma per un attimo non si mosse. Poi si alzò di
scatto,
stringendo più forte il guinzaglio di Cerbero che
trotterellò di
qualche passo, scodinzolando.
“Sì – gli uscì una voce
flebile, dunque dette un colpo di tosse e ribadì con
maggiore
convinzione – tutto a posto. Andiamo.”
Sentì Sasuke scrutarlo, ma
questi non disse nulla. Senza nemmeno rendersene conto, nel silenzio
della via notturna finirono per bere i propri caffè mentre
camminavano, diretti verso casa. A dire il vero Naruto non se lo
gustò affatto, desiderò solo andarsene, prendere
tempo e distanze,
sconvolto, agitato e con la voglia di urlare, ridere forse, ma
sicuramente urlare. Non riuscì a non guardare Sasuke, a
scrutarlo a
sua volta, come in cerca di qualcosa, al punto che questi si
voltò e
gli domandò, non infastidito ma certamente dubbioso,
l’espressione
di qualcuno che aveva un tesoro da scavare:
“Sicuro che vada tutto bene?”
“Sì” si ritrovò a
rispondere Naruto prima ancora di pensarci.
Quando furono di fronte
all’ingresso della palazzina, dopo aver tratto un leggero
sospiro
il taxista annunciò:
“Inizia ad andare su. Io… non
ce la faccio – nel guardarlo, nel dirgli quelle parole, la
voce si
incrinò e lui si portò una mano tra i capelli
– Sasuke, tutto
questo è assurdo. Questa serata, questo caffè,
noi… noi siamo
assurdi, lo capisci? E adesso…”
Si morse una mano, respirando tra
i denti.
Vide Uchiha aprire la bocca e
cercare aria ma ciononostante il compagno non poté fermarsi:
“Ho
bisogno di tempo. Di un attimo, solo un attimo. Devo capire come
intendo andare avanti io e, Sasuke, non credo di riuscirci con te.
Non così, non a queste condizioni.”
Sasuke strinse il proprio caffè
vuoto, lo accartocciò, come se volesse ucciderlo.
“Aspetta. No. Un attimo.
Perché? Io voglio stare con te, tu e io, la nostra casa,
Cerbero, le
nostre serate assieme a guardare un film, noi due, al di fuori il
resto del mondo che….”
“Ma io no!” esclamò Naruto,
sgranando gli occhi.
Vide quelli lucidi di Sasuke,
bloccatosi, e anche i suoi lo furono di conseguenza.
“Mi stai lasciando…”
mormorò l’altro dopo qualche istante.
Sembrò capire, colto da una
rivelazione più grande. Ebbe l’aria di chi si
sentiva stupido e
già tremendamente solo.
Naruto reclinò la testa – Dio,
Dio, davvero doveva rinunciare a tutto quello che erano? La sua casa,
le sue abitudini, Cerbero, Sasuke, le sue sciarpe in giro, il suo
profumo, i suoi capelli contro al volto quando si appoggiavano
l’uno
all’altro sul divano – e poi, lentamente,
annuì:
“Ti lascio.”
Gli venne un conato di vomito
alla sola idea. Sasuke si guardò i palmi, li
fissò un istante,
respirando attraverso la bocca, secca e invisibile, poi li
lasciò
cadere. Cerbero guaì, accoccolandosi ai suoi piedi.
“Dammi una possibilità.
Combattiamo – la tazzina di cartone gli cadde a terra, mosse
un
passo avanti – non dovevamo fare così? Non
dovevamo combattere,
per noi? Non è questo che hai fatto fin
dall’inizio, che facciamo
da sempre in questa maledetta città dove per anni abbiamo
rischiato
di saltare in aria, di venire rapiti, di... perderci. Perché
ora ti
sei arreso?”
Naruto lo guardò, ansimante a
sua volta di rabbia, di voglia di piangere, mentre aveva ascoltato la
voce di Sasuke diventare sempre più roca.
Diglielo. Diglielo cazzo.
Falla finita per davvero, in grande stile. Magari lui capisce meglio
di te quello che è successo.
Si toccò l’avambraccio, ma
indietreggiò di un passo. Poi scosse la testa e
contrattò:
“Non è questione di
arrendersi.”
“Ah, no?”
“Adesso sei tu arrabbiato con
me? Davvero – sbatté una mano contro la coscia
– pazzesco! Sono
comprensivo e…”
“Ma
io non ho bisogno di comprensione! Ho bisogno di te! Sono qui, non
–
quel non gli uscì
come uno sfiato di un vecchio mantice – non con
lei!”
Puntò il dito oltre Naruto,
oltre la città e i suoi immensi edifici, diretto dal filo
invisibile
delle distanze.
“Ma per quanto?” sbottò
questi esasperato.
“Cosa
importa? Cosa? Da sempre abbiamo vissuto così, con un conto
alla
rovescia, e lo abbiamo accettato. Non… non
ti fidi di
me?”
Gli uscì un suono flebile.
Naruto sospirò, colmo di
tristezza. Scosse la testa, eppure non disse nulla. Raccolse la tazza
di Sasuke caduta a terra e nel rialzarsi spiegò:
“Sasuke… dammi tempo. Tutto
qui. Al momento non posso pensare di farcela. Già, non ce la
faccio,
provo a dirmelo, a ripetermelo ma – alzò le
spalle, allargando le
braccia – che ti devo dire, non ci riesco. Sali su con
Cerbero. Io
ho bisogno di farmi due passi, fuori, di schiarirmi le idee.”
Lo vide stringere il pugno
bendato. Sembrò in procinto di dire qualcosa, ma si
trattenne, come
per un ripensamento. Sasuke lo scrutò infatti in cerca di
qualcosa,
quasi volesse farlo parlare ancora, invece per contro Naruto non ebbe
altro da aggiungere. Sembrò mortificato e deluso.
Ciononostante Uchiha, corretto
fino all’ultimo, si limitò ad annuire e
assicurarsi: “Stai
attento per strada. Almeno questo. Io – guardò
Cerbero che guaì –
noi ti aspettiamo a casa, se vorrai tornare stanotte. Lo spero.
Possiamo… possiamo ordinare qualcosa d’asporto per
colazione la
mattina, come facciamo la domenica.”
Fece un mezzo sorriso, ma nulla
di più. Gli occhi erano tristi ma soprattutto stanchi.
Naruto si guardò un istante i
piedi però non prometté niente che non potesse
mantenere.
Guardò con il cuore in gola
Sasuke e Cerbero rientrare nella palazzina, diretti verso casa, e
provò un magone terribile. Gli mancavano già
così tanto. O forse
era la consapevolezza della perdita, della rottura profonda e
irrimediabile della sua vita, ad accentuare quel senso di precoce
nostalgia per ogni singolo istante e persona amata.
Dopo
aver gettato le tazzine che gli sembrarono macigni, fece
qualche passo, passandosi il dito sotto il naso per evitare che
colasse, senza in realtà la minima idea di dove andare.
Girato
l’isolato, si scoprì poi l’avambraccio,
lo guardò e chiuse gli
occhi. Sigillò
la bocca, con la voglia di urlare e l’impulso selvaggio di
tornare
indietro, però si costrinse a trarre un profondo respiro.
All’improvviso tirò fuori il
cellulare e scrisse:
Scusami. Scusami
infinitamente. Stiamo… bene, ma davvero stanotte
è successo di
tutto e di più. Io ho bisogno di parlarne con te. Sei
l’unica
persona che conosco che… lo so che è folle ma ci
saresti se faccio
un salto trapoco?
Spedì il messaggio su whatsapp,
senza nemmeno ricontrollare cosa aveva scritto o ci avrebbe
ripensato. Tamburellò qualche istante un piede, dicendosi
che era
un’immane stronzata. Fece per cancellarlo quando
all’improvviso
gli rispose:
Naruto! Mi spiace di sentirti
così. Siamo ancora svegli, film terribilmente lungo che ci
siamo
messi a vedere. Vieni pure, ti aspettiamo.
Per
la prima volta in tutta quella conclusione tremenda di serata, Naruto
sorrise genuinamente e, sciocco, si commosse. Di fronte alla
scrittura così pulita, gentile e pronta di Itachi che
sembrava
averlo capito e non aveva esitato un istante, non uno solo, a
rispondergli… che andava bene.
*
Sulla soglia dell’ingresso alla
palazzina dove vivevano Itachi e Shisui, Naruto esitò. Si
trattava
un’immensa follia, era da stronzi entrare a casa della gente,
peraltro in quella del fratello di Sasuke, nel cuore della notte; il
fatto che si sentisse uno schifo, oltre che in procinto di piangere
anche l’anima non era comunque una scusa sufficiente.
Doveva tornare da Sasuke e in
qualsiasi mondo andava dirgli che…
“Naruto!” sentì dire a voce
non alta ma sufficiente da farsi udire nel silenzio della strada. Il
ragazzo sollevò lo sguardo e vide Itachi affacciarsi alla
finestra.
Sospirò, elaborando suo malgrado un mezzo sorriso nel
sentirgli dire
poco dopo ti apro, come se avesse in qualche modo
intuito che
se ne stava per andare.
Udì il ronzio secco del
portoncino e lo scatto della serratura, dunque entrò e
salì le
scale perché non ricordava esattamente a che piano i due
ragazzi
abitassero, ma si sentiva già sufficientemente invadente
senza dover
chiedere a Itachi di ridirglielo.
Scorse finalmente lo scorcio di
una porta aperta dal quale si filtrava la luce dell’ingresso,
di un
giallo morbido, come progettata per gli ingressi notturni. Si
passò
i piedi sul tappetino e con delicatezza insolita per il suo carattere
spontaneo, Naruto sospinse la porta che prontamente Itachi gli
aprì
del tutto.
“Naruto. Hai una faccia
tremenda” ammise l’uomo, asciutto ma non scortese,
in quel modo
che aveva di essere diretto eppure mai all’apparenza cattivo.
“Lascia stare.”
“Non credo proprio di
riuscirci, perché altrimenti non saresti qua, ti
pare?” gli fece
presente lui, facendolo entrare per poi richiudere la porta.
“Cazzarola, so di essere
inopportuno e… mi spiace, forse posso passare
un’altra volta…”
iniziò a dire Naruto come ripensandoci.
“Metto su un the caldo, dai.
Shisui è crollato di là a letto, se si sveglia lo
metto su anche
per lui” non lo ascoltò Itachi, avanzando nel
piccolo salotto con
la cucina a vista. Naruto annuì, posò la giacca
sul divano e si
sedette al tavolo attento a non far troppo rumore con la sedia.
Con le mani nascoste tra le cosce
osservò in silenzio Itachi armeggiare con un pentolino in
cui
bollire l’acqua, per poi mettere sul tavolo delle tazze e una
scatola con tante bustine diverse di the. Nella penombra, aveva
scorto una parete di sughero dove erano appese con delle puntine
tante foto diverse, alcune polaroid, altre fatte stampare, che
ritraevano Itachi e Shisui, ma anche lui e Sasuke, Cerbero, una
vacanza. Ce n’era persino una con la loro madre. Oltre a
ritagli di
qualche articolo di Sasuke, degli estratti delle pubblicazioni per il
dottorando di Shisui come genetista, o biglietti di un eventuale
spettacolo o concerto. La loro vita, i loro ricordi, sogni e
ambizioni a portata di mano.
“Grazie” mormorò quando
Itachi gli versò l’acqua calda e gli si sedette al
lato accanto,
senza offrirgli lo zucchero perché conosceva i suoi gusti.
“Di nulla. Scegli il the che
vuoi, io sono piuttosto monotono. Shisui dice che rischio di
diventare un vecchio abitudinario” accennò un
sorriso e si mise
nella tazza una bustina di Earl Grey, una tra le tante di quella
miscela.
“Essere vecchio abitudinario
non è poi così male.”
“Nah, è più il vecchio che mi
spaventa. L’abitudinario fa paura di conseguenza,
perché temi che
ripetere sempre le stesse cose, senza mai uscire dalla comfort zone,
ti porterà un giorno a renderti conto troppo tardi di non
aver
approfittato del tempo che ti è stato concesso.”
Lo guardò negli occhi quando
glielo disse. Naruto prese la tazza e la tenne tra le mani, sentendo
il calore solleticare la pelle infreddolita dalla gita notturna.
Dopo un istante domandò:
“Com’è
stato per voi trovarvi tra soulmate? È quell’amore
perfetto,
quell’incontro celestiale tra anime gemelle che dicono
tutti?”
Itachi sembrò essersi aspettato
una domanda simile anche se dal tono quasi caricaturale, dunque
reagì
con pacatezza, appoggiando un piede scalzo sul bordo della sedia, per
poi scrollare una volta le spalle e spiegare: “Sì,
forse in
maniera meno epica, ma è comunque questo essere soulmate.
All’inizio
è come una sensazione che ti parte dalla pelle, sai? Un
formicolio
intenso alla base di dove hai il marchio o il tatuaggio, che poi si
amplifica e diventa totalitario. È il tuo corpo che realizza
di aver
trovato e richiamato a sé la propria anima gemella. E ci si
sente
perfettamente completi, sereni, qualcosa che non puoi aver provato
prima.”
Naruto lo osservò mentre Itachi
parlava e quella volta più che altre nel vederlo
così, semplice,
coi capelli sommariamente legati, una tuta un po’ allargata e
il
volto reso morbido dalla luce calda dell’angolo cucina,
l’unica
che li illuminasse, il primogenito Uchiha sembrò
tremendamente
umano, lontano da quella bellezza studiata che aveva sempre lasciato
perplesso Naruto. Forse perché Itachi era a casa sua, con le
sue
cose e circondato solo da chi amava, non doveva dimostrare nulla a
nessuno, né giustificarsi per avere un lavoro come tanti,
nonostante
probabilmente meritasse di più, e conducesse una vita
modesta.
“Capisco. Allora…” si morse
un labbro, stringendo le mani.
Itachi non disse nulla, continuò
a guardarlo nel silenzio del suo appartamento. Attese. E Naruto lo
guardò di rimando, disperato, rivelando di getto:
“Sasuke ha
trovato un soulmate. Ma… è tornato capisci?
Io…”
“Sasuke un soulmate?” domandò
Itachi, cauto. Ovviamente quella notizia era sconvolgente anche per
lui.
“Sakura.
Non so chi sia – accennò una risata triste
– né che faccia
abbia. Ma è tornato lo
stesso.
In casa nostra.
Come
ha fatto? A che cazzo sta pensando tuo fratello? Come può
aver
resistito a tutto questo, a tutta
questa pace, questo amore… per me?”
Si
portò una mano al petto, enfatizzando quasi con disperazione
quel
per
me.
Itachi
accennò un sospiro, poi prese il polso di Naruto e cercando
di
calmarlo riconobbe: “Non ho mai sentito di qualcuno che ha
resistito all’attrazione del soulmate, per
quanto come mi dice Shisui ci sono tanti studi genetici in merito,
però…
Sasuke non è qualcuno. Sa essere molto più
testardo e determinato
persino di un legame creato dal destino – si
appoggiò alla sedia,
domandandogli dopo aver dato un giro alla tazza – lui cosa
dice?
Voglio dire, cosa sente, cos’ha provato?”
“Non gliel’ho chiesto. Né
lui me lo ha detto. A un certo punto sono dovuto andar
via…” fece
per dire altro poi si bloccò, toccandosi
l’avambraccio.
Perplesso, Itachi inarcò un
sopracciglio. Poi accavallò la gamba cambiando posizione e
si umettò
leggero un labbro per suggerire con accortezza: “Ora
più che mai
però dovreste parlarvi, non trovi?”
Naruto lo guardò come se fosse
folle. Strinse i denti, infine esclamò, abbandonando ogni
timore di
disturbare che aveva provato prima:
“Non trovo? Come cazzo posso
parlargli quando io non capisco più che sta succedendo, o il
perché
proprio adesso, proprio in questa schifosa serata e parte della mia
vita, ho questa!”
Esclamò scoprendosi
l’avambraccio dove aveva il marchio.
Itachi abbassò lo sguardo di
riflesso, vedendolo, e sgranò gli occhi. Fu una delle prime
volte in
cui Naruto lo vide davvero sconvolto.
“Il
tuo marchio – mormorò, per poi alzare gli occhi e
incrociare
quelli azzurri, lucidi, di Naruto – è
sparito.”
Nella cucina cadde il silenzio.
“Esattamente” rispose
Uzumaki, cadenzando quasi le parole. Parlare gli costava fatica,
farlo significava ammettere come stavano le cose.
Che
lui non aveva più il marchio. Che appena
Sasuke aveva preso quei maledettissimi caffè
e pronunciato parole già dette e ridette infinite volte da
quando
stavano assieme – e che in
ogni occasione
facevano accapponare la pelle a Naruto con la stupida speranza che un
giorno agissero
come un incantesimo
– infine
avevano
funzionato: Naruto aveva provato tutto quello che Itachi gli aveva
detto, aveva sentito qualcosa di già solido saldarsi, al
punto che
andarsene, tacere, gli aveva dato la sensazione di essersi strappato
la pelle e averla lasciata lì, sulla strada, di fronte alla
loro
casa: un suo involucro vuoto da calpestare in attesa che Sasuke lo
raccogliesse.
“Cazzo…” mormorò
portandosi i polpastrelli sulla pelle senza più marchio.
Itachi si mise con ambedue i
piedi per terra. Era ancora seduto ma sembrava sul punto di scattare.
“Non gliel’hai detto”
realizzò, rimanendo con la bocca impercettibilmente aperta.
“No! Come potevo? Come potevo
dirgli quello che per qualche distorto evento, per qualche errore di
genetica o… di non so cos’altro, le sue parole
hanno fatto
scattare in me dopo tutto questo tempo? Non voglio farlo sentire
vincolato da questo! Se prova verso la sua soulmate anche solo la
metà di quello che ho sentito io si starà
lacerando e… mi sembra
di giocare sporco, capisci?”
“Ma tu non stai giocando
sporco. E Sasuke ha il diritto di sapere e di decidere da uomo
adulto. È tornato fin qui perché al di
là di tutto non dimentica
di amarti, glielo devi” ribadì Itachi, appoggiando
una mano sul
tavolo, come per dar enfasi alle sue parole.
Ci fu qualche istante di
silenzio. Poi Naruto ammise, appoggiando a sua volta una mano sul
tavolo:
“Sai, per un attimo ho pensato
che fosse tornato per non essere come vostro padre.”
Scrutò Itachi che non sembrò
ritenersi offeso da quell’insinuazione.
“Nostro padre non ha mai amato
nostra madre come Sasuke ama te” lo corresse infatti
l’altro con
pacata sicurezza. Mantenne un atteggiamento incredibilmente
ponderato, anche se si trattava di suo fratello e della sua
felicità.
Se Naruto avesse avuto a sua volta un fratello, immaginò che
non
sarebbe stato altrettanto imparziale: avrebbe preso a schiaffi
chiunque avesse ferito in quel modo il suo fratellino, specie se quel
chiunque stava cercando stupidamente di tenersi per sé
qualcosa di
fondamentale come il legame soulmate.
Al di là di quella riflessione,
si commosse nel sentirlo parlare così, quasi gli stesse
leggendo
dentro e potesse dissipare le sue paure: “Ma
perché adesso? Perché
il mio marchio è andato via e… e se fosse tutto
un gigantesco
sbaglio? Se il mio destino fosse rimanere solo, magari non sono fatto
per avere un soulmate” si coprì la bocca con il
palmo della mano.
Dar voce a quel pensiero fu come condannarsi.
Itachi sembrò più afflitto:
“Non lo so, Naruto, non lo so proprio.”
Una terza voce si inserì
all’improvviso nel discorso:
“So che a volte la genetica non
è perfetta e, lo ammetto, amo studiarla anche per questo.
Alla fin
fine anche essere soulmate è genetica, con un insieme di
meccanismi
biologici programmati per attivarsi dietro determinati
stimoli.”
I due al tavolo si girarono verso
il salotto. Sulla soglia videro Shisui che mise una mano avanti e si
scusò: “Non volevo origliare, solo che non sono
più riuscito a
riaddormentarmi e… insomma, ero preoccupato. E
dispiaciuto”
guardò un istante Naruto.
Questi scosse la testa,
tranquillizzandolo, per poi domandargli, non resistendo: “In
che
senso la genetica non è perfetta?”
“Che non tutti i soulmate sono
perfetti o si realizzano con le modalità che conosciamo.
Alcuni sono
destinati a non realizzarsi affatto, vedi per esempio quelli con
parole che si pronunciano magari in punto di morte, o che si trovano
a migliaia di chilometri di distanza e sono destinati a incontrarsi
solo da vecchi, se accade. Tutta la genetica e i processi chimici che
ci sono dietro il riconoscimento sono codificati, certo, ma non
esenti da errori o da varianti. Di queste ultime con il tempo,
credimi, se ne vedranno ancora di più. Si evolve, ci si
adatta, si
cercano soluzioni per facilitare il lavoro… di ricerca del
soulmate, se vogliamo chiamarlo così. Sono ancora al
dottorato come
genetista, ma qualcosa ne capisco” fece una mezza risata e si
sedette al lato del tavolo opposto a quello di Itachi, più
vicino a
Naruto.
Questi commentò: “Se io fossi
imperfetto o parte di quel cambiamento, non capisco cosa ha fatto
scattare tutto questo proprio adesso. Sasuke ha trovato il suo
soulmate, quindi non ha senso che io lo trovi in lui così,
ora.”
Shisui assottigliò gli occhi,
poi domandò riflessivo: “Il suo soulmate... aveva
anche lui un
tatuaggio?”
Faticando un istante a
comprendere il senso di quella domanda Naruto scrollò le
spalle e
commentò: “Sì, credo sulla mano come
lui.”
Per
un istante nella cucina calò il silenzio. Poi Itachi
e Shisui si scambiarono un’occhiata e il primo
sgranò gli occhi,
comprendendo con un’empatia irraggiungibile tra
comuni esseri umani,
e fu allora che chiese con urgenza:
“Naruto, hai visto per caso il
palmo di Sasuke?”
“No,
perché mai, tanto era senza tatuaggio, anche se se
l’era fasciato,
mi ha detto di essersi fatto… – tacque un istante,
sgranando a
sua volta gli occhi per poi fissare Itachi – male.”
Fissò Shisui, il cervello che
stava mettendo in moto una serie di deduzioni assurde, e questi con
cautela ipotizzò: “Non è la prima volta
che sento parlare di
quello che negli studi di ricerca è stato definito come
‘soulmate
pretender’ anche se si tratta di percentuali infinitesimali
rispetto ad altre varianti che vi dicevo. Come posso mettertela in
termini semplici – si scombinò i capelli mossi,
mentre Naruto lo
guardava senza fiatare, con gli occhi sconvolti ma attenti –
beh,
un legame molto forte tra due persone sembra il classico
riconoscimento tra soulmate ma scatena invece la mutazione genetica
necessaria per trovare o confermare un’affinità
pregressa
stimolata dal processo chimico dell’attrazione. Nei casi di
specie,
alcuni Macchiati hanno la formazione di un marchio al posto del
tatuaggio che è stato cancellato grazie al proprio soulmate
pretender, da lì di solito è immediato il
riconoscimento con il
vero soulmate.”
Trattenne il fiato, quasi avesse
sganciato una bomba. Tutto sommato fu Itachi quello che più
di
tutti, per carattere, mantenne un atteggiamento quasi rigoroso e fece
presente:
“Non sappiamo se le cose stanno
davvero così, ovviamente, ma è una
possibilità che dovresti
considerare. Dovete confrontarvi.”
Naruto guardò i due ragazzi,
assordato dal silenzio terribile caduto dopo, e indietreggiò
con la
sedia, per poi alzarsi in piedi di scatto, facendola cadere.
“No – scosse la testa – no,
non potete farmi credere una cosa simile. È una cazzata,
è una
cazzata e io mi sto illudendo!”
A quel punto Shisui gli si
avvicinò, mettendosi in piedi a sua volta:
“Sì tratta di una
delle numerose varianti che stanno emergendo, questo è vero,
ma
magari è andata così e in quel caso sarebbe
perfetto, la soluzione
a un dramma altrimenti irrisolvibile. Non aver paura di illuderti:
Naruto, se Sasuke ha a sua volta un marchio sotto al tatuaggio allora
lo devi sapere, così come lui deve sapere quello che
è successo a
te!”
Naruto si bloccò, strinse i
denti, cercò di ritrovare il controllo e alla fine,
lentamente,
annuì. Non doveva più fuggire per cercare di
guadagnare tempo: se
le cose fossero andate bene e realmente Sasuke rappresentava uno di
quei miracoli della genetica, allora avevano il mondo e il loro
futuro assieme per le mani; se invece non era quello il caso, se
Sasuke si era davvero fatto solo male e non aveva alcun marchio, a
prescindere potevano comunque provare a lottare, come il suo ragazzo
una volta di più gli aveva chiesto e come avevano sempre
fatto fin
dal principio. Il dolore in quel caso sarebbe stato una conseguenza
secondaria.
“Va bene. Hai ragione, avete
ragione, cazzo! Devo andare da lui. Stare qui, vivere
nell’incertezza
non è attuabile. Non è così che voglio
esistere. Sasuke merita di
sapere, così come lo merito io.”
A grandi falcate si diresse verso
il divano per afferrare la giacca, quando Itachi lo raggiunse:
“Ti accompagniamo noi, tu non
te ne vai da solo” decise e, senza attendere una replica di
Uzumaki, già andare verso l’ingresso.
“Itachi...” fece per dire
Shisui, abituato a essere quello irruento dei due.
“Grazie – annunciò
all’improvviso Naruto con risolutezza, facendoli fermare
– per
accompagnarmi. Sapete, non so cosa ne uscirà da tutto questo
ma
almeno saremo stati sinceri fino in fondo. E rispettosi,
l’uno
verso l’altro.”
Guardò Itachi che annuì con un
mezzo sorriso. Mostrò poi le chiavi, facendole tintinnare:
“Direi
che abbiamo perso anche troppo tempo.”
*
Sasuke era sdraiato sul divano,
con Cerbero ai suoi piedi che a ogni minimo rumore proveniente
dall’esterno scattava, in attesa di vedere Naruto comparire
alla
porta. Nemmeno il cane, come il suo padrone, a quanto pareva riusciva
a dormire. Sasuke strinse il pugno con la fasciatura e si mise
l’avambraccio sugli occhi.
A un certo punto però Cerbero
abbaiò e scattò giù dal divano,
correndo verso la porta per
cominciare a fare le feste. Con il cuore in gola Sasuke si
alzò a
sedere ma rimase immobile a fissare attraverso lo spiraglio sul
corridoio la porta aprirsi.
Aveva infatti sentito nella
penombra la serratura scattare e Naruto entrare con passi accorti,
mormorando qualche parola affettuosa a Cerbero mentre lo coccolava,
nonostante la coda agitata di quest’ultimo che batteva sul
pavimento contribuisse a rompere egregiamente il silenzio
dell’appartamento.
Sasuke si alzò in piedi quando
vide Naruto raggiungerlo. Aveva la faccia sconvolta e arrossata. Si
sentì travolto da infinite sensazioni e un brivido gli
percorse la
pelle, donandogli poi un senso di pace che ammorbidì per
qualche
istante il magone di ciò che erano in quel momento.
“Sei tornato?”
Naruto nemmeno si tolse la giacca
e avanzò, dicendogli: “Non potevo… non
potevo stare senza di te
e senza dirti niente.”
Gli guardò la fasciatura, fu
tentato di chiedergli ma lo prese per l’altra mano e gli
propose:
“Sediamoci un attimo. Ho bisogno che chiariamo un sacco di
cose
perché stasera la mia vita, la nostra vita, è
stata presa per i
piedi, messa a testa in giù, scossa di tutto ciò
che credevamo e
rigettata a terra. Possiamo riprendere a camminare, voglio che lo
facciamo ma non così. Meritiamo di essere del tutto onesti
l’uno
con l’altro.”
Sasuke si sedette, imitato da
Naruto; dopo aver lanciato un’occhiata al suo avambraccio,
cercando
di non scomporsi rispose guardingo: “Sì.
Sì, sono d’accordo.
Io…”
“Io…” disse a sua volta
Naruto.
Si bloccarono poi, nonostante il
dolore e la difficoltà di tutto ciò che stavano
vivendo, si
ritrovarono ad accennare un sorriso entrambi.
“Ho
un sacco di cose da dirti ma prima vorrei sapere qualcosa da te”
decise Uzumaki. Sasuke non riuscì a trovare subito la
parola. Quella
sincronia splendida l’aveva conosciuta e ora gli pareva
dolorosamente più perfetta. Si ritrovò con il
cuore in gola ad
ascoltarlo, per questo annuì e Naruto riprese:
“Sasuke,
cos’è successo davvero a quella mano?
Perché hai la fasciatura?”
Non ci fu un tono di accusa,
bensì di preoccupazione e allo stesso tempo di maggiore
consapevolezza. Di riflesso, come sulla difensiva, Sasuke strinse il
pugno e ritrasse la mano. Fu tentato per un attimo di ripetere che si
era fatto male mentre era in albergo, ma non riuscì a
mentire oltre,
anche se temeva che Naruto non gli avrebbe mai creduto.
“Non mi sono ferito” replicò,
all’improvviso. Si vergognò di aver mentito,
eppure non sapeva
cos’altro fare, consapevole che non sarebbe mai stato
preparato a
una cosa simile.
Cercò
di togliersi il bendaggio, anche
se
la mano tremava appena: scoprì di non avere una buona presa.
Allora,
con delicatezza e affetto, Naruto
gliela
afferrò
e
la tenne
tra le proprie,
quasi volesse proteggerla.
“Raccontami tutto” lo
incoraggiò con voce morbida, iniziando a svolgergli le bende
per
lui.
“Naruto, credimi. Cercherai, in
qualche modo, di credere a ciò che sto per dirti?”
gli prese la
mano e l’altro si fermò, guardando Sasuke:
“Crederò a tutto quello che mi
dirai. Sempre” replicò, senza esitazione, per poi
riprendere a
togliergli il bendaggio.
Allora il giornalista trasse un
sospiro e gli raccontò di com’era andata,
cominciando dal
principio, da come aveva scoperto di Sakura. Fu un racconto breve ma
difficile. La benda cadde a terra eppure Naruto non lasciò
la mano
ormai scoperta di Sasuke, bensì continuò a
tenerla, accarezzandogli
di tanto in tanto le dita asciutte.
Uchiha concluse: “Ho visto
quando il tatuaggio è andato via che il palmo non era vuoto
come
avrei pensato.”
Naruto strinse impercettibilmente
un po’ di più, ma continuò a guardare
la mano di Sasuke,
trattenendo il fiato, quasi temendo che un suo respiro potesse
impedirgli di sentire quello che l’altro stava per dirgli.
“C’era un marchio al di
sotto, Naruto.”
Girò il proprio palmo,
rivolgendolo verso l’alto. E se, per un attimo, Naruto fu
tentato
di fermarlo, alla fine lo accompagnò in quel movimento,
scoprendo il
palmo però ora privo persino di alcun marchio, eccetto
qualche
traccia di rossore. Espirò, incapace di parlare, cercando di
contenere il moto di profonda delusione, spinto da quel senso di
fiducia che il compagno gli aveva chiesto di avere nei propri
confronti.
Sollevò dopo un istante gli
occhi verso Sasuke e, con la voce mozzata, trovò il coraggio
di
domandargli:
“E cosa c’era scritto?”
Sasuke si morse un labbro, poi
gli rispose in un soffio:
“Ti
lascio.”
Naruto sgranò gli occhi, sembrò
urlare ma non lo fece.
“No…” mormorò infine. Ebbe
gli occhi lucidi quando realizzò: “Io…
Sasuke, io ti ho detto
che ti lascio. Io” si portò una mano al petto,
mentre con l’altra
continuava a tenere quella del compagno.
“Sì, l’hai proprio detto”
confermò Sasuke, con una specie di sorriso.
“Cazzo… no. È assurdo”
mormorò sconvolto, passandosi una mano tra i capelli, con il
cuore
che andava a mille e la salivazione ridotta a zero.
“Mi credi?” domandò Sasuke,
osservandolo. Sembrava calmo, come se avesse raggiunto il punto
fondamentale della sua esistenza.
Ma anziché rispondergli,
all’improvviso Naruto dette un bacio sul palmo della mano di
Sasuke, sospirò, infine scattò in piedi. Uchiha
ancora seduto,
interdetto, non si mosse e lo guardò dal basso.
“Sai
no, la mia scritta sul braccio?” domandò
a sua volta Uzumaki, con un sorriso più grande ma il volto
paradossalmente serio.
L’altro annuì, poi un po’
impaziente ribadì visto che il suo ragazzo aveva tratto un
profondo
sospiro: “Lo so, la conosco molto bene.”
“Ecco…
abbiamo preso il caffè, poche ore fa, dopo tutto quello che
ci siamo
detti e… beh,
è giusto che anche io ti dica la mia parte: l’hai
fatto – Sasuke aprì di più gli occhi,
gli si bloccò il respiro –
hai pronunciato quelle parole stupide, dette da te infinite altre
volte in questi anni, solo che, beh, questa volta hanno funzionato.
Mi hanno cancellato il marchio.”
Si
scoprì a
sua volta l’avambraccio, mostrando a Sasuke
l’assenza di scritte.
Anche Naruto, come, lui aveva giusto un leggero rossore dove
un tempo c’era stato
il marchio.
Il giornalista aprì la bocca,
sconvolto. Poi si alzò in piedi, prese il braccio di Naruto,
lo
guardò, guardò lui e commentò:
“Te lo avevo chiesto. Se
sentivi qualcosa di diverso. Non mi hai detto nulla”
sembrò
parlare di riflesso, per una volta senza ragionare, bensì
sull’onda
degli infiniti sentimenti che lo stavano travolgendo in quel momento.
“Beh, neanche tu mi hai detto
nulla di tutta la faccenda del marchio mi sembra”
ribatté Naruto,
con una specie di sorrisetto un po’ beffardo.
“Perché non credevo che avrei
mai potuto essere il tuo soulmate! Non sono mai riuscito prima a
cancellarti le scritte e non volevo peggiorare qualcosa di
già così
fragile” spiegò Sasuke, con più
agitazione del solito.
“Lo stesso mio pensiero –
confermò Naruto, prendendolo per le spalle – a
maggior ragione
dopo quello che è successo mai avrei potuto pensare che ci
fosse
altro sotto il tuo tatuaggio. E, credimi, sentire quello che ho
sentito quando hai pronunciato le parole del mio marchio e non
potertelo dire… credevo sarei morto.”
“Anche io. Anche io, cazzo,
prima che tornassi, dicendomi che mi avresti lasciato e sentire che
ogni cosa stava andando al proprio posto proprio quando in
realtà si
stava annientando tutto. Non volevo vincolarti a me, se in te non
fosse scattato nulla.”
Naruto disse quelle stesse
identiche parole. Terminarono la frase assieme.
Si
guardarono, di nuovo
in silenzio, dandosi il tempo di realizzare tutto quello che era
successo, quanto avevano fatto e detto, gli errori, così
come le
erronee convinzioni, agendo l’uno solo per il bene
dell’altro.
“Siamo… soulmate, Naruto.”
“Sì. Sì, lo siamo. Non so,
non capisco quello che è successo, il perché, o
forse davvero siamo
una di quelle tante varianti genetiche, di quegli errori e mutazioni
che diceva Shisui. Avremmo dovuto interessarci dei suoi studi un
po’
prima.”
Sasuke lo ascoltò, pensoso ed
estasiato, sentendo tutto ciò che erano e che sarebbero
stati
scorrergli nelle vene, un perfetto allineamento astrale, una
congiunzione di anime in un incastro altrettanto perfetto di epoca,
di momenti, di geografia benevola.
Pensò a Sakura. A ciò che aveva
sentito e, per quanto avesse provato un senso di pace, una voglia di
sedersi e godersi quel traguardo, nulla era paragonabile a quello che
recepiva adesso, che provava per Naruto. Sakura era stata un ponte,
un passaggio necessario per provare un’ultima stilla di
ciò che
già temeva, infine accettarlo e lottare, persino contro
ciò che lui
stesso era, se necessario. Seppe, lo sentì, che forse anche
per lei
era stato lo stesso: per lei e per Madara, per imparare a fare pace
col passato, con la morte e i suoi pesanti lasciti.
Un giorno lo avrebbe spiegato a
Naruto. Ma non quella notte, non dopo tutto quello che si erano
detti: dovevano esserci solo loro due, non avevano spazio per altro.
Nella loro casa piena di ricordi,
delle loro personali polaroid fatte di oggetti presi assieme, di
libri, di momenti e cene condivise.
Si baciarono e fecero l’amore,
sul divano, ancora affannati, con il gusto salato delle lacrime
seccate sulle guance, stanchi, spossati ed esausti, perché
la paura
di perdere per sempre chi si ama prosciuga davvero ogni energia, come
una fiamma che richiede troppo ossigeno per poter bruciare ancora.
Fu come la loro prima volta,
sebbene più completa ancora e più totalitaria,
perché erano
cresciuti e diventati consapevoli di ciò che si nascondeva
nelle
loro pelli, in attesa della coincidenza perfetta.
Molti, guardandoli nella vita di
tutti i giorni, avrebbero potuto dire che quello tra Sasuke e Naruto
era un amore semplice, fatto di giornate di lavoro, di rientri a
casa, di racconti a tavola mentre mangiavano o di attimi di gioco
prima di andare a letto. Qualche ambizione coltivata, degli hobby,
delle uscite con amici, piccoli intervalli in un’esistenza
ordinaria, a tratti finalmente pacata dopo le rivolte di un sistema
altrimenti destinato a marcire.
Ebbene, questi molti… mentono.
Perché non solo il loro, ma in
realtà nessun amore è mai veramente semplice.
Prima
ancora dell’essere soulmate, un amore è fatto infatti
di compromessi, di sacrifici, di scelte. Ma soprattutto è
fatto di
spazi, infiniti spazi da riempire, l’uno per
l’altro, colmandoli
di se stessi e anche di noi, in un insieme
di equilibri
mai davvero perfetto per
il quale, però, si fa il possibile, per tenerlo in piedi e
andare
avanti.
Uno sforzo troppo grande?
Probabile ma, credetemi, ne vale la pena. E se non lo pensate, che ne
valga la pena, beh... forse non è il momento, la persona,
l’occasione giusta. Allora non ve ne renderete nemmeno conto,
di
tutti i sacrifici fatti, e sarete anche voi dei bugiardi come Sasuke,
come Naruto, come tutti gli altri: ad affermare che il vostro
è un
amore semplice. E proprio per questo, perfetto.
Dodici anni dopo
Naruto attese che il semaforo
diventasse verde. Accanto a sé c’era una ragazzina
con lo zainetto
in spalle e il cellulare con la mappa attiva. La scorse perplessa,
intenta a controllare la posizione; per qualche istante non le disse
nulla, finché non la vide sollevare il volto verso di lui e
domandargli:
“Signore, scusi.”
Lo
fissava
con occhi verdi molto determinati, anche se un po’ sperduti.
Naruto
superò senza troppa fatica il trauma dell’essere
chiamato signore
a soli
quarantaquattro
anni d’età, praticamente
era ancora un adolescente.
“Mi dica” la invitò.
Notò i capelli folti e neri che
sparavano da tutte le parti, indomabili.
Ebbe come una sensazione.
“Avrei bisogno di andare qui,
maps mi dice che dovrei usare la metro ma è un casino
raggiungerla.
Rischio di arrivare tardi all’appuntamento con le mie amiche,
che
figuraccia.”
“Non sei un po’ giovane per
andartene in giro da sola?” fece presente, un po’
dubbioso.
Consapevole che in realtà lui da adolescente era esattamente
come da
adulto: propenso a lanciarsi in un sacco di casini.
“Mamma e papà dicono che è
giusto che mi responsabilizzi. Quando veniamo in visita da queste
parti mi piace poter esplorare, ho appunto degli amici sai, anche
qui” ribadì la ragazzina, orgogliosa.
Naruto sorrise.
“Ah beh, allora se la metti
così non ho più raccomandazioni da
farti” mise le mani avanti,
per poi spiegarle la via più breve e la tratta della metro
da
seguire, indicandole la strada.
“Wow, grazie signore, sei super
esperto!”
“Ti prego, smettila con quel
signore, puzza di responsabilità e di vecchiaia.”
La giovane ridacchiò e concesse:
“Ok, ok, mi scusi, non sembra per niente un vecchio, se
può
consolarla.”
“Una consolazione immensa”
replicò roteando gli occhi.
Scattò il verde. Prima di
avviarsi Naruto le chiese, quasi senza riflettere:
“Sakura. Tua mamma si chiama
Sakura per caso?”
La ragazzina reclinò la testa,
stupita: “Sì. La conosce?”
Naruto accennò un sorriso: “In
un certo senso… direi di sì.”
“Lei è parte di una delle
prime variazioni genetiche sui soulmate, ci fanno un sacco di studi.
Come mio padre. Se ti dico che mio padre è Madara Uchiha
svieni.”
“No! Proprio quel Madara Uchiha
del FLA?” si finse sorpreso.
“Proprio lui. E il FLA non
esiste più. Siamo tutti più uguali, soulmate, non
soulmate, niente
più monarchia, siamo al passo coi tempi qui.”
Sembrò di star leggendo uno
slogan pubblicitario. Naruto immaginò che doveva essere
stata
svezzata da politica e propaganda, al punto da far entrare quel credo
come parte fondamentale della sua vita. Ma sembrava spensierata in
fin dei conti, una ragazzina della sua generazione, frutto del
retaggio di un mondo stanco, dove la lotta alle disuguaglianze era
sorta col pretesto dei soulmate per poi abbattere una monarchia
incapace di stare al passo coi tempi.
Ma, forse perché più maturo,
forse perché aveva visto tante ribellioni e ingiustizie,
Naruto non
credeva nella perfezione di alcun sistema. Credeva solo ci fossero
momenti storici migliori e quello era uno di questi.
“Capisco”
si limitò a dire.
Si salutarono, una volta
attraversata la strada, andando dalle parti opposte. Per un attimo
Naruto si chiese come sarebbe stata la sua vita, se anche lui e
Sasuke, come Sakura, non fossero stati parte di quelle variazioni
genetiche scoperte nell’ultimo decennio. Magari quella
bambina,
così vicina all’essenza soulmate che aveva anche
Sasuke, avrebbe
potuto essere la loro e Naruto per contro, da quella rivelazione di
dodici anni fa, non avrebbe più rivisto Sasuke,
né Cerbero, che nel
frattempo era diventato un cagnetto vecchietto ma arzillo, perdendo
anche la sua casa e tutta la sua vita per come la conosceva.
Sorrise, fischiettando,
avvertendo il petto colmarsi d’amore e della sensazione
impagabile
di essere stato fortunato – nato al momento giusto, nel posto
giusto, con i geni come era necessario che fossero – la loro
vita
era quella, assieme, e avevano davvero lottato per averla.
In
fondo senza
una rivoluzione, che fosse la loro, del FLA, di altri uomini, donne,
esseri umani che si amavano, si
odiavano, si cercavano e allontanavano,
non poteva esservi pace.
E lui adesso
era
pace,
così come un tempo era stato guerra, vincitore
di un conflitto che l’aveva portato a realizzare il
valore di ciò che stava perdendo.
Sproloqui di una zucca
E anche questa storia si
è conclusa! Ci sarebbe tanto da dire, perché per
quanto semplice anch'essa come trama in realtà è
stata piuttosto complessa a livello di sentimenti dei protagonisti - e
non solo. Ho cercato di renderli credibili, umani, nelle loro reazioni
così come negli esiti di queste ultime. Entrambi si trovano
ad affrontare una crisi profonda nonostante l'amore che li lega e
immagino che nessuno, nemmeno il più perfetto degli esseri
umani, saprebbe comportarsi in maniera perfettamente corretta.
Se fosse stata una long vera e propria avrei potuto dare più
spazio e approfondimento alla tematica di scelta di governo, i problemi
istituzionali e organizzativi di un sistema fallimentare, ma non mi
sembrava questo il caso. Inoltre allo stato attuale ho immaginato una
sorta di amnistia ricondotta agli arresti domiciliari per Madara, una
volta stabilizzato il nuovo governo, ma ipotizzo una serie di
processi non indifferenti, perché per quanto le lotte
fossero legittime, non lo è l'uso della violenza o di azioni
terroristiche.
Altro punto importante, il 'soulmate pretender' me lo sono inventata
io, però suppongo che non sia così implausibile
che negli anni si vengano a creare varianti genetiche e difetti; viene
da chiedersi a questo punto se Naruto e Sasuke stessero assieme spinti
già da quell'essenza soulmate ancora non svelata o per
'semplice' amore che - essendo anch'esso frutto della chimica - ha poi
portato alla variante che ha subito Sasuke.
In conclusione, spero che questo scritto vi sia piaciuto,
così come spero soprattutto che Angelica abbia gradito
questa versione di una soulmate!Au un po' diversa dal solito, pur
sempre però con due protagonisti a cui è molto
affezionata.
Grazie per aver letto e seguito fino a qui, ogni commento che ho
ricevuto mi ha dato una grande carica e un'immensa felicità!
Alla prossima :3
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