Non solo un anno in più

di Hoshi_10000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Guang Hong Ji ***
Capitolo 2: *** Christophe Giacometti ***
Capitolo 3: *** Yuri Plisetsky ***
Capitolo 4: *** Phichit Chulanont ***
Capitolo 5: *** Seung-gil Lee ***
Capitolo 6: *** Emil Nekola ***
Capitolo 7: *** Jean-Jacques Leroy ***
Capitolo 8: *** Leo de la Iglesia ***
Capitolo 9: *** Kenjirou Minami ***
Capitolo 10: *** Michele e Sara Crispino ***
Capitolo 11: *** Otabek Altin ***
Capitolo 12: *** Yuuri Katsuki ***
Capitolo 13: *** Victor Nikiforov ***
Capitolo 14: *** Georgi Popovich ***



Capitolo 1
*** Guang Hong Ji ***


Guang Hong Ji:        18esimo con famiglia, amici e fidanzato
18 anni,
07 gennaio
(martedì)
                                            
In occasione delle grandi feste mondane, siano queste matrimoni, party, comizi, si parte sempre a fare l’elenco degli invitati e dai previsti 30-40 al massimo si arriva in un nulla a 90-100.
Di questo Guang Hong aveva fatto diretta esperienza: dal voler invitare solo pochi amici intimi e un paio dei parenti più prossimi, una ventina di persone in tutto, in breve tempo aveva quadruplicato il numero sotto consiglio della madre e degli amici: zie, zii, cugini, nonni, fidanzati degli amici, compagni o ex-compagni di allenamento, semplici conoscenti, compagni di classe con cui non aveva mai parlato… basti dire che alla fine avevano dovuto affittare una sala ricevimenti.
Pur con tutta la buona volontà del mondo, Guang Hong era quantomeno scettico sulla riuscita finale e anche l’esorbitante costo lo aveva lasciato scettico e contrariato, ma più che essere felice lui, era sua madre ad essere euforica e nonostante i suoi molti tentativi non era davvero riuscito a dissuaderla.
Così si ritrovava all’ingresso del parco della villa ad accogliere gli invitati con giusto un paio di amici alle sue spalle a  tenergli compagnia, gelando per il freddo di gennaio e sforzandosi di mantenere un sorriso cordiale anziché battere i denti.
Fra l’accoglienza di una prozia con marito e figlio al seguito e quella di un compagno di classe con cui in due anni aveva scambiato forse 20 parole, benedì la decisione della Cina d’imporre un unico figlio ad ogni coppia, guardando l’elenco degli invitati che teneva in mano e che gli faceva presente che ancora mancavano due zii con le rispettive famiglie e un paio di suoi amici.
E Leo.
- Guang Hong, sei sicuro che non abbia avuto dei problemi in aeroporto? - domandò Li Ming, sbattendo le lunghe ciglia da cerbiatta e tirando su il malefico abito senza spalline che continuava a scivolare verso il basso, stringendosi nello scialle nel vano tentativo di riscaldarsi.
- Se hai freddo puoi  andare dentro, appena arriveranno gli ultimi invitati ti raggiungiamo. -
- Di certo non vado là dentro da sola, piuttosto mi iberno. - rispose decisa la ragazza con fare caparbio, quasi sciogliendosi quando Dewei le appoggiò la propria giacca sulle spalle, probabilmente spaventato dalla concreta possibilità di perdere la propria ragazza.
Il festeggiato sospirò, guardando un po’ geloso i due amici. Oh, adorava vederli così, attenti e premurosi, pronti ad arrivare dove l’altro non riusciva a giungere: sarebbero stati perfetti da mettere in copertina per un qualche romanzetto rosa.
- Ehi, Guang Hong, tutto bene? -
Assentì senza girarsi a guardarli soffiandosi sulle mani e sfregandole fra loro nel tentativo di scaldarle.
- Andate dentro, adesso arrivo, non preoccupatevi. -
Il gruppo alle sue spalle si scambiò occhiate preoccupate.
- Il freddo ha gelato la tua voglia di ridere per caso? Sei… non so, come dire… -
- Rigido -
- ...no, non rigido, ma non sei il solito te. -
Scrollò le spalle, cercando di dissimulare.
- Con 100 invitati da gestire? No, ma vi pare, sto un fiore. -
Scossero tutti la testa.
- Sembri agitato. O meglio, preoccupato. -
- Se è davvero per gli invitati guarda che non ti devi preoccupare, non sono loro a doversi divertire, è il TUO compleanno. - gli fece presente Li Rong mettendosi davanti a lui di modo da coprirgli la visuale e guardandolo sorridente, con l’appoggio del resto del gruppo.
- Andrà tutto benone e poi -
- Non sanno di Leo. - sputò tutto d’un fiato, e senza prendersi tempo per respirare continuò - Non sanno che io sia gay, non sanno che sono fidanzato. E non voglio che lo sappiano, perché non lo accetterebbero e non voglio creare una faida familiare, ma non sarà semplice. Ne ho parlato a Leo ed è ha capito la situazione, però -
- Guang Hong. - lo interruppero gli amici, disponendosi a capannello attorno a lui - Perché pensi siamo qui?-
- Siamo qui, perché ti vogliamo bene. -
- Siamo tuoi amici. -
- Non ci interessa chi tu frequenti, purché ti faccia stare bene. -
- E se il problema è nascondere la tua relazione ai parenti, non possiamo magari eliminarli tutti, a meno che tu non abbia nascosto delle armi qui in giro e preparato un po’ di fosse, ma almeno possiamo coprire eventuali gaffe. -
- Purché non iniziate a limonare in mezzo alla sala! -
Con una risata il cerchio si incrinò, mentre i ragazzi si piegavano in due tenendosi la pancia per l’uscita infelice di Jie, allungando l’altro arto per battere pacche sulle spalle all’amico.
- Andrà benone. - lo rassicurarono con sorrisi molto persuasivi.
E forse non avevano poteri magici né una tremenda attendibilità, stretti nei cappotti e mezzi congelati, ma i suoi amici, realizzò con un sorriso, erano un elemento indispensabile per uscire vivo da quella serata.
In mezzo a questo bel siparietto una macchina fece il proprio ingresso nel parcheggio e con un mezzo brivido il pattinatore indossò l’ormai consumato sorriso di benvenuto da propinare agli ospiti, quasi come se il discorso motivazionale di nemmeno due minuti prima non ci fosse mai stato.
Xian e Mingei scossero la testa sconsolate, sgridate da Li Ming, che con un micro movimento del capo indicò loro lo sguardo del pattinatore, carico della consueta allegria a dispetto del sorriso falso.
Che poi, falso lo fu finché la macchina non si fermò accanto all’ingresso, ad un paio di metri da loro e il tanto atteso Leo de la Iglesia fece la sua comparsa.
- Scusa il ritardo, ho avuto un po’ di problemi con i cartelli. - disse prendendo un sacchetto enorme dal sedile del passeggero e avvicinandosi al gruppo.
Per quanto scortese potesse risultare, la prima cosa che fece non fu presentarsi, ma abbracciare il festeggiato, rivolgendogli un sorriso che sarebbe bastato a scongelare i poli e strofinargli le mani sulla schiena per fargli raggiungere almeno i 35-36 gradi.
- Sei ghiacciato, entra e lascia che gli invitati trovino la strada da sé. - lo pregò, staccandosi da lui e presentandosi al resto del gruppo che, incurante delle proprie precedenti belle parole, ebbe un’improvvisa epifania realizzando che non parlava cinese e adattandosi con un pizzico di malcontento all’inglese.
- Guang Hong, vieni? -
La domanda di Jie risultò piuttosto calzante, visto che il festeggiato restava fermo al suo posto guardando Leo con un’aria smarrita, confusa, delusa, eppure rassegnata e in qualche modo come consapevole, che poco gli si addiceva, lasciando perplessi i suoi amici, mentre Leo parve capire il messaggio, adocchiando con preoccupazione le finestre alle sue spalle.
- Scusate, non è che potreste -
Prima che finisse la frase Li Ming alzò un braccio sfiorandogli appena le labbra con un dito, agitò elegantemente l’altra mano e quasi avesse fatto loro un incantesimo i ragazzi si disposero a mezza luna, nascondendoli da sguardi estranei.
Sorridendo loro riconoscente l'americano tornò sui suoi passi, davanti a Guang Hong, prendendogli il mento e sollevandogli il viso, sfiorando appena le sue labbra con le proprie, ignorando i sorrisi vagamente derisori che trovò quando si girò.
Preferì concentrarsi sul rinato sorriso del suo ragazzo e sulle dita gelate che si incastrarono con le sue.




- Tesoro, sei andato a salutare la zia? -
- L’ho salutata quand’è arrivata, non mi va di girare tutti i tavoli. - borbottò in cinese sotto lo sguardo rassicurante di Leo, che pure non capì una parola, e gli assensi dei compagni: la disposizione per tavoli aveva reso la festa in un certo senso molto dispersiva, ma al contempo più ordinata, in quanto bene o male la famiglia stava con la famiglia, la classe con la classe e lui si ritrovava attorno solo una decina di amici intimi.
La cosa interessante era come dopo i primi minuti, nessuno si era più avvicinato al loro tavolo, forse perché erano tutti troppo attratti dal buffet o forse perché sentirli parlare in inglese bastava a far passare loro la voglia, chissà.
Fatto sta che, dopo un paio di saccheggi al buffet, si era saldamente stabilito al tavolo, appoggiando la giacca del completo sullo schienale della sedia e limitandosi ad intrattenere il proprio gruppo. Se c’era una cosa che proprio non voleva fare era andare a salutare parenti di cui neppure sapeva i nomi, e con sua somma gioia la madre non gli fece pressioni, accarezzandogli i capelli e tornando al proprio tavolo.
Stentava a crederci, ma nascondere la sua relazione fino a quel momento non era stato poi così difficile...
- Fa attenzione Leo, di questo passo Shu ti ucciderà per averle rubato le attenzione del fotografo. - commentò Jie spezzando l'atmosfera e beccandosi un deciso pestone da parte della ragazza seduta al suo fianco, mentre il resto del tavolo rideva.
Con un risolino sommesso l’americano riprese in mano le bacchette precedentemente abbandonate a lato del piatto, aggredendo il proprio involtino primavera e cercando di tagliarlo, senza ovviamente riuscirci, rilanciando l’ilarità generale.
- Vuoi che te lo tagli io? Per quanto sia divertente vederti impossibilitato non m’interessa tu muoia di fame. - si offrì Dewei alla sua sinistra, ma con caparbia cortesia Leo rifiutò, determinato a riuscirci.
Il bello fu che, forse per gelosia o forse per pietà, Guang Hong si piegò al suo fianco, tagliando il diabolico involtino in quattro rapidi movimenti. E avendo avuto modo di vedere come nonostante ciò il ragazzo fosse in difficoltà, con scioltezza, senza distrarsi dalla conversazione, iniziò ad imboccarlo, come avrebbe fatto con un bambino.
- Ehi Guang Hong, perché non ci hai mai detto che eri così mamma chioccia? - sfottè Wen, facendo arrossire il festeggiato, beccandosi occhiatacce dagli amici e maledizioni silenti dalle ragazze che stavano assistendo alla scena con gli occhi a cuore. L’americano invece sorrise divertito.
Forse non avrebbe detto loro che era più che capace di mangiare con le bacchette.




Personalmente per Guang Hong avere un fidanzato americano non era mai stato un problema: le distanze erano difficili, certo, ma riuscivano sempre ad organizzarsi in qualche modo; erano entrambi di mente aperta per cui non avevano scontri culturali; entrambi parlavano inglese(americano) fluentemente.
Quello che nessuno dei due pareva aver mai considerato granché prima di allora erano le famiglie. Perché se i parenti più prossimi di Leo e sua madre ed il suo ristretto gruppo di amici sapevano della loro storia, il resto delle due famiglie, come i social, erano all'oscuro di tutto.
E passare una serata dovendo nascondere a 60 persone il tuo fidanzato non era una cosa facile, tanto più se questo, stanco morto per il fuso orario, appoggiava la testa sulla sua spalla e mugugnava frasi incomprensibili mezzo morto, appoggiando le labbra al tuo collo.
Aveva creduto che affidarlo a Kuan-yin, Xian e Mingmei perché lo accadissero mentre lui finiva di liquidare i parenti, giusto un quarto d'ora, fosse un'ottima idea: dovevano solo fargli prendere un po' d'aria e tenergli compagnia, magari traducendo un po' di ciò che sentivano in inglese per non escluderlo.
Mica pensava che Kuan-yin lo facesse ubriacare di nascosto dalle due ragazze, per l'amor del cielo!
Dove diavolo aveva trovato il Huangjiu necessario ad ubriacare due persone, e come aveva eluso la sorveglianza delle amiche?
Questo, pensò guardando Leo ridere come un demente alle parole di uno dei camerieri a sua madre, era un mistero.
Cosa lo portasse a ridere come un matto alla prima parola di cinese che sfiorava i suoi timpani era un vero mistero, ma anche Kuan-yin che tentava di aggredire Chen, due volte più grosso di lui, aveva un che di interessante.
- No ma li senti? parlano in modo assurdo, sembra arabo! -
Guang Hong sospirò, trattenendo l’istinto di spalmarsi una mano in faccia per la disperazione - Più che arabo è cinese. - lo corresse, provocando una rinata ilarità.
- È comunque buffissimo! -
Il cameriere che gli passò affianco lo guardò a dir poco schifato, avendo comunque la cortesia di non commentare.
- Ehi Guang Hong -
Preparandosi al peggio l’interpellato si sedette accanto a Leo, pronto ad ascoltare la prossima uscita imbarazzante da morire.
- Ma lo sai che quella ragazza è veramente carina? -
Aggrottò le sopracciglia, seguendo il suo sguardo e vedendo subito Li Ming.
- Dì, da ubriaco diventi etero per caso? - chiese piccato, ricordandosi subito che non doveva essere duro con lui, era sbronzo.
Nella buona e nella cattiva sorte,  recitavano i matrimoni: se mai si fossero sposati avrebbe chiesto la modifica da sobri o ubriachi.
Addolcendo il tono poggiò una mano fra i capelli di Leo, scompigliandoli a proprio piacimento, cercando di fargli una cresta in pieno stile pank, giusto per ridere un po’.
Peccato che a metà dell’opera Leo pensò bene di alzarsi, rischiando una rovinosa caduta, così che fu obbligato a scattare in piedi a sua volta e a sorreggerlo.
-Leo, pesi, tirati su!- cercò di convincerlo prendendolo per le spalle e rimettendolo dritto, ma quello del tutto incurante gli avvolse le braccia al collo aggrappandosi ancora di più a lui e biascicando qualcosa come “non mi va”.
Con un sospiro esasperato ci rinunciò, scendendo a patti col fatto che un Leo stanco che gli gravava addosso era meglio di uno che gli rideva a tutto volume nelle orecchie perforandogli i timpani.
Rassegnato guardò i suoi amici, gli unici invitati rimasti, che avevano aiutato i camerieri a sgombrare la sala dai tavoli per liberare lo spazio e mettere su un po’ di musica.
Perché “che diciottesimo è senza balli?
-Ehi, Leo.- esclamò dopo qualche minuto, ondeggiando appena in piedi in mezzo alla sala, sentendo uno dei pezzi del momento, proseguendo col discorso solo dopo aver ricevuto un mugugno interrogativo.
-Vuoi ballare?-
L'americano non rispose, limitandosi a strofinare il naso alla base del suo collo, muovendo un passo avanti, forse in segno d'assenso o forse alla ricerca di un più stabile equilibrio.
Nel dubbio Guang Hong scelse il significato che preferiva.
Non era abituato ai balli lenti, non gli erano mai piaciuti, ma a differenza sua Li Ming li adorava e lo aveva seriamente minacciato per settimane perchè ne voleva almeno uno, così alla fine aveva ceduto, visto che se nel gruppo avesse dovuto identificare un maschio alfa, quella di certo sarebbe stata lei, capace di farsi obbedire con il semplice sventolio di una mano.
Mai avrebbe immaginato che ondeggiare piano, tenendo saldamente Leo per i fianchi perchè non cadesse, avrebbe potuto essere tanto rilassante, e invece, nonostante la posizione scomodissima, con il ragazzo che tutto ingobbito poggiava la testa sulla sua spalla seguendolo docilmente e mugugnando parole incomprensibili, dovette ammettere che gli piaceva.
Non avrebbe saputo dire come o perché, ma quella melodia lenta che sembrava volerli cullare gli trasmetteva una pace ultraterrena, non facendogli notare come sua madre e i suoi amici lo guardavano rapiti e trasognati e perfino un paio di camerieri si attardavano a osservarli.
Accortosene dopo un attimo, arrossì, poggiando una mano sul petto di Leo nel tentativo di allontanarlo da sé. Sforzo inutile, il ragazzo pesava e sembrava essersi appiccicato a lui.
Con un mezzo sorriso i camerieri raccolsero gli ultimi piatti, sparendo in cucina seguiti dallo sguardo timoroso del festeggiato.
E se uno di loro avesse messo online qualche foto? Se la notizia della loro storia fosse trapelata, cosa avrebbero fatto? Gli atleti gay non è che fossero sempre sempre i benvenuti nel mondo dello sport…
Un pizzicotto al fianco lo riportò alla realtà, in cui si era fermato in mezzo alla stanza, tremando come una foglia e sudando freddo in evidente iperventilazione.
-Ricordi? Non sono gli altri a doversi divertire, sei tu a dover festeggiare.-
Dewei annuì alle parole della compagna, aspettando che lei riappoggiasse la mano sulla sua spalla per riprendere a ballare.
Oh, certo per loro era facile, loro non avevano nulla da nascondere, loro, come stavano appunto facendo, potevano baciarsi sotto lo sguardo di tutti senza dover temere nulla, ma lui e Leo come avrebbero affrontato la cosa?
-Guang Hong, ma li vedi?- chiese Leo con voce impastata, strizzando gli occhi per vedere meglio, e scoppiando in un immotivato risolino -Sono carini, vero?-
Sì, senza dubbio Li Ming e Dewei erano una bellissima coppia, ma
No, niente ma.
In fondo le persone che aveva attorno in quel momento sapevano bene chi era, ed erano tutti suoi amici, non sarebbe stato quello a traumatizzarle, riflette accarezzando i capelli a Leo e baciandogli una tempia, conscio che, probabilmente, una serata del genere non l’avrebbe rivissuta mai più.
E forse, ma non ne era per nulla certo, sarebbe stato meglio così.









 
生日快樂
 

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Capitolo 2
*** Christophe Giacometti ***


Christophe Giacometti: Niente alcol, niente festa
26 anni,
14 febbraio
(venerdì)

Essere uno sportivo significava fare allenamenti quotidiani di ore ed ore, avere uno stile di vita sano ed equilibrato, prepararsi per mesi in vista di una gara ed essere preparato per vincere, ma capace di perdere.
Logica conseguenza di questi semplici quattro precetti era la difficoltà più o meno accentuata a relazionarsi con la cosiddetta “gente comune”, un po’ per tutti, a meno che tu ti chiamassi Christophe Giacometti.
Perché se i 18 si fanno una volta sola, anche i 19, così i 20, i 21, i 22, i 23, poi i 24 e i 25 ed infine i 26. Quindi, così come i 18 meritano una festa degna di nota, anche i 26, ragion per cui incurante delle spese e delle difficoltà organizzative, il pattinatore svizzero aveva optato per affittare un albergo prossimo a passo San Gottardo, sulle alpi ticinesi, invitando alla festa, fra le altre persone, tutti i pattinatori senior della precedente stagione, senza curarsi che solo dall’aeroporto al luogo della festa ci volessero due ore, più il tempo di volo che variava di persona in persona.
Eppure, fra una cosa e l’altra, aderirono pressoché tutti, chi per amicizia al festeggiato, chi per vedere amici che altrimenti fuori dalle gare difficilmente vedeva, chi perché costretto.




-Mon cœur, bienvenue!-
-Chris, mon ami, bon anniversaire!-
Dovendo classificare l’amicizia di Victor e Chris, probabilmente Yuuri avrebbe usato il termine “goliardica”, perché da quel che Victor gli aveva raccontato negli anni ne avevano combinate di tutti i colori, ma ciò nulla toglieva al fatto che indubbiamente fossero grandi amici.
-Yuuri, bocconcino, benvenuto in Svizzera!- cinguettò il festeggiato svincolandosi dall’abbraccio di Victor ed avvicinandosi a lui, cingendolo con le braccia e tastandogli i fianchi.
Prima che riuscisse a riprendersi o dire qualsiasi altra cosa, compreso un banale auguri, Chris riprese a parlare -L’hai rimesso in forma che è una meraviglia Vitya, se non sapessi quanto ci tieni ti avrei chiesto di prestarmelo per la serata.-
Il giapponese si fece paonazzo, mentre Victor tornando al suo fianco gli avvolse i fianchi con un braccio, scrollando la testa con un radioso sorriso a cuore e assentendo con Chris circa la bellezza del suo compagno.
-Victor, a noi non presenti il tuo nuovo amico?- domandò una donna dai corti capelli viola tutti scarmigliati, con occhi da felino e un top cortino per il rigido clima invernale.
-Ma sicuro Marianne, lui è Yuuri, il mio compagno.- disse sorridendo all’intera compagnia, composta da una decina di persone, per lo più donne, tutte vestite in modo più o meno provocante e con sguardi più o meno maliziosi.
-È un peccato che tu non voglia condividere Victor, ci saremmo divertite tutte come ai vecchi tempi, non è vero Flora?-
Il volto di Yuuri assunse tonalità di rosso fino ad allora sconosciute all’uomo, rilanciando l’ilarità generale, finché agitando una mano fra le risate Chris lo rassicurò -Non preoccuparti Involtino, miagolano ma non graffiano.-
-Cosa ne sai Chris, non sei mai venuto con me quando ti ho invitato.- rispose una seducente bionda appoggiandosi maliziosamente alle sue spalle, premendogli il seno contro un braccio.
-Non so Vera, forse che negli anni hai baciato tutte le donne della Russia e non solo?-
Tra i sorrisi allegri del gruppo, finalmente, avrebbe osato dire Yuuri, Victor si decise a fare le presentazioni.
-Loro sono Elodie, Marianne, Lolita, Aalina, Selina, Vera, Galina, Volko, Neon e Iliana.-
-Victor, il tuo ragazzo sembra sul punto di morire, prima di dirgli i nostri nomi fossi stato in te gli avrei detto che tutte le ragazze qui presenti sono lesbiche.- replicò Volko, alzando una mano in segno di saluto, o forse sollevandola per controllarsi lo smalto.
-Guastafeste, rovini sempre il divertimento.- si lamentò Chris pizzicandogli un fianco, ricevendo uno sguardo stizzito e minacce di morte.
-Ehi Chris, hai invitato tutti?- domandò Victor, rincuorando Yuuri sul fatto che almeno era ancora vivo, ma si divertiva a vederlo soffrire.
-Assolutamente, vai, vai a salutare.-




-Senti JJ, levati dal cazzo, delle tue ultime vacanze non ce ne sbatte un cazzo.-
-Yurio, mio giovane russo, non erano vacanze, era un viaggio per festeggiare il nostro anniversario di nozze!-
-Mi interessa della tua vita quanto mi importa dei reumatismi di Yakov.- sbuffò la tigre russa, ignorando Georgi seduto accanto a lui che cercava di ricondurlo a un più elegante linguaggio.
-Prima o poi ti fidanzerai e allora-
-JJ, fa la prima cosa buona della tua vita e allontana tua moglie da me.- lo sguardo del giovane russo prometteva morte, ma i due canadesi non ci fecero caso, iniziando a copulare.
-Che vuoi farci Isabella, è ancora un bambino, quando troverà qualcuno di speciale come te capirà.-
-Sì ma con dei modi così non so quante possibilità possano esserci.- replicò con espressione sinceramente preoccupata e Yurio valutò di ucciderla con lo stuzzicadenti che aveva in mano. No, meglio a mani nude, si sarebbe tolto più soddisfazioni.
-Ma secondo voi a parte corsi di sci si può fare parapendio?-
Georgi scrollò le spalle, Yurio ringhiò un “non lo so e ci tengo alla pelle”, mentre la felice coppietta fu ben lieta di rispondere a Emil.
-Noi siamo venuti qui un paio di giorni fa per vedere un po’ la zona ed in effetti abbiamo notato un paio di paracadutisti.-
-Stavo giusto pensando che potremmo fare un volo, sai Bels?-
-Ma non sarà pericoloso?-
-No, in realtà- provò a spiegare Emil, esperto di sport estremi ed adrenalinici, ma JJ lo ignorò parlandogli sopra senza il minimo pudore -Non esiste nulla che possa spaventare il grande JJ, né l’altezza né i venti. Domani prenderemo un paracadute e voleremo insieme sopra i cieli.-
-Sapete dove li affittano?-
-No, ma lo sapranno alla reception.-
-E sapete che se non avete mai fatto dei corsi nessuno vi darà in mano alcunché?- chiese scettico il ceco, ricevendo in risposta un gesto stizzito di JJ e un “li convinco io”. Con garbo provò a spiegare loro come non fosse il caso di correre rischi così elevati, ma non ottenne un gran risultato.
-Lasciaglielo fare, se siamo fortunati si ammazzano.- borbottò Yurio, guardando in cagnesco i due piccioni e maledicendo ancora mentalmente Yakov che aveva ben pensato di mandare Georgi a fargli da balia. Sì, ok, se l’altro non fosse stato lì a bloccarlo avrebbe sicuramente già ucciso quei due pirla, ma era certo che la Russia avrebbe fatto costruire volentieri una pista da pattinaggio in carcere per permettergli di continuare ad allenarsi, pur di ottenere degli altri oro.
E per l’omicidio di quei due, fra l’altro, era più facile che gli dessero una medaglia che la galera.
Sentendosi toccare una spalla si preparò a sfoderare le unghie ed uccidere, galera o non galera, ma trovandosi di fronte Otabek fu sorprendentemente veloce a bloccare il colpo.
-Ah, sei arrivato finalmente.-
Il kazako annuì, senza salutare o giustificare il ritardo, e se altri sarebbero morti per questo lui se la cavò venendo preso per un polso e trascinato lontano da quel capannello di persone a passo di marcia da un russo stanco morto di cuoricini rosa e sport estremi.




-No, ma veramente?-
-Te lo giuro, una cosa mai vista prima. Voglio dire, ce ne sono di scuse assurde per lasciarsi, ma dire che “il mio nome è quello di un killer e teme io possa avere certi istinti” mi pare assurdo!-
Con uno sbuffo Michele si appoggiò al muro, ascoltando con scarso interesse la conversazione di sua sorella, Kira ed alcune delle ragazze incontrate lì.
-Lascia perdere, un pirla del genere non ti meritava.-
-Hai ragione, ma ho trent’anni, vorrei iniziare ad accasarmi e mi piacerebbe avere figli.-
-Ma trent’anni non è tanto, io aspetterei.-
-Io fossi in te adotterei, con Flora abbiamo da poco preso una bimba che è un tesoro!-
-Dite? Potrei anche farlo, ma poi sarei in difficoltà a scegliere. Cioè, voi cosa fareste, maschio o femmina!-
-Femmina!- risposero in coro le ragazze, facendo strabuzzare gli occhi a Michele: come diavolo facevano? Cioè sembravano quelle comari che si conoscono da una vita!
Con sguardo annoiato rimpianse il più mite clima di casa e la pacifica serata davanti alla TV che si era perso scegliendo di accompagnare Sara, così in modo piuttosto dinamico decise che bere un po’ non avrebbe fatto altro che aiutare il suo umore.
-Guardali, non sono carini?-
Per quanto la domanda non fosse stata direttamente rivolta a lui sollevò lo sguardo nella direzione indicata da Sara, notando Leo e Guang Hong appoggiati ad un muro tenersi per mano e chiacchierare, senza comprendere il motivo della frase della gamella avendo perso il filo del discorso.
-Ragazzi, su, su, venite qui un attimo per favore!- chiese Sara facendo loro segno, e con aria vagamente perplessa i due ragazzi si avvicinarono.
-Mh, devo ammettere che hai ragione.- commentò Marianne squadrando attentamente i due e dedicando uno sguardo particolarmente attento e minuzioso a Guang Hong.
-Ragione su cosa?- chiesero i due ragazzi con curiosità ed un pizzico di timore del tutto giustificato, stante la situazione.
-Discutevamo dei tratti più belli sui ragazzini.- rispose con sguardo rapace, del tutto fuori luogo, una delle donne.
-Ah, ecco-
Visto l’imbarazzo che si fece largo sul volto dei due pensò di dar loro una mano, alzandosi e fingendo di avere domande di vitale importanza da porre ai due, allontanandoli dalla arpie.




-Yurio, aspetta!-
-Smettila di tampinarmi Victor, torna a rompere le palle a Wernhard, Françoise o chi so io!- gli urlò dandogli le spalle, correndo nella sala scartando invitati e camerieri per evitare uno sgradito abbraccio, con Otabek e Yuuri che lo guardavano divertiti.
-Certo che ne hanno di energie.- commentò il giapponese vedendo Yurio scavalcare una sedia e Victor imitarlo, riuscendo grazie alle gambe notevolmente più lunghe a bloccarlo in un abbraccio che probabilmente il più giovane gli avrebbe fatto rimpiangere a caro prezzo.
-Yurio, sei un figlio talmente difficile, non sei contento di rivedere il tuo papa?- chiese continuando ad abbracciarlo a mezz’aria, portandoselo dietro come se non pesasse nulla.
Decisamente Yuuri faceva bene ad iniziare a documentarsi sulle difficoltà che comporta vivere con una persona senza braccia.
-Yuuri, non dici niente al nostro bimbo?- cantilenò riappoggiandolo a terra senza però liberarlo dal suo abbraccio.
Una persona che prendesse le cose dagli armadi in casa serviva.
-Come va Yurio?- chiese diplomatico ond’evitare di innescare un’esplosione, ottenendo in risposta un borbottio simile al “levamelo di dosso ora e giuro che non lo uccido”.
-Ah, ho visto Phichit, vado a salutarlo.-
Forse abbandonare Victor al suo destino era meschino, ma magari, visto la sottile gelosia che Victor nutriva per Phichit avrebbe lasciato Yurio e lo avrebbe seguito.
Per una volta in vita sua pregò che la gelosia avesse la meglio.




-Petit choux, venite, qui!-
Con un gemito strozzato Guang Hong e Leo si bloccarono, voltandosi lentamente verso Chris, impietriti. Quando usava nomignoli in francese era presagio di sventura.
-Oh dai, mica mordiamo!- risero tutti attorno al bancone, nascondendo ghigni e sorrisi nei bicchieri colmi d’alcool.
Con fare molto incerto si avvicinarono al gruppo, notando la presenza di almeno altre tre facce note, quali Victor, Georgi e Seun-gil.
-Ottimo, ottimo, bravissimi.- disse Chris avvolgendo le braccia attorno al collo dei due e trascinandoli nel bel mezzo del gruppo.
Con sguardo angosciato Guang Hong cercò lo sguardo del proprio ragazzo, tentando di svicolarsi dalla presa di Chris, mentre Leo rimpiangeva di non saper usare la telepatia per richiamare Michele affinché li aiutasse nuovamente a fuggire, e in alternativa ripiegava sul tentativo d’impietosire Georgi.
-Sai qui stavamo bevendo un po’- a giudicare dalla quantità di bicchieri sul tavolo e dal numero di bottiglie vuote alle loro spalle avevano bevuto ben più di “un po’” -E ci è venuta una domanda: ma davvero in America puoi guidare dai 16 anni e bere solo dai 18?-
Se veramente volevano sapere solo quello allora sarebbe stato semplice, ma dubitava della cosa, per cui provò ad agitare una gamba con naturalezza per attirare l’attenzione di Georgi, troppo concentrato a parlare con Victor per accorgersi dell’SOS che avevano lanciato.
-No, in verità dai 21.- disse forzando la voce per farsi sentire, rinunciando a chiedere aiuto a Georgi e ripiegando su Seung-gil.
-Cosa?! Ma è scandaloso!- strillò un uomo al suo fianco, poggiandosi una mano sul cuore con fare melodrammatico.
Nota per il futuro: evitare la Svizzera come eviteresti un lebbroso.
-Vi prego, qualcuno mi dia da bere, non posso pensare alla bestialità che ho appena sentito!-
Con una sincronia a dir poco terrificante il gruppo annuì, allungando le braccia verso alcune bottiglie e rabboccando i bicchieri.
-Ehi Chris non essere tirchio, prendi un altro paio di bicchieri.-
-Mais bien sûr mes amis!- ribatté quasi che lo avessero appena insultato, versando una generosa quantità di Merlot in due calici.
-Su, non siate timidi, prendete!- disse allungando i bicchieri ai due, che per la verità nel mentre che lui si era girato avevano subito provato a dileguarsi, venendo bloccati da una ragazza del gruppo.
-Veramente nessuno di noi due beve- tentarono debolmente di obiettare guardando con timore il liquido vermiglio.
-Oh sciocchezze, a 18 anni bisogna iniziare, su senza storie!- fecero pressione alle loro spalle.
-Mica lo diciamo in giro, su, su!-
Ormai erano spacciati.
-D'accordo, dammi qua.- disse Guang Hong allungando con decisione un braccio verso uno dei bicchieri che Chris gli cedette di buon grado, osservandolo stupido quando declinò la testa e lo mandò giù tutto d'un fiato.
-Ehi ehi, adesso non esagerare.- sghignazzò il festeggiato fra le risate generali mentre Leo batteva una mano sulla schiena all’amico per placare i colpi di tosse.
Incurante del bruciore alla gola allungò nuovamente il braccio, guardando il secondo bicchiere quasi con aria di sfida, e nonostante le proprie parole Chris glielo allungò senza la minima riserva.
-Guang Hong non esagerare, non-
-Tu non reggi l'alcool e da ubriaco sei difficile da gestire, quindi no, grazie, faccio io.- replicò trangugiando in un sol fiato il secondo bicchiere, piegandosi in due scosso dalla tosse e asciugandosi gli occhi con una manica.
-Mi piaci ragazzino, sei forte- commentò Marianne poggiandogli una mano sulla spalla e poi alzando il tono per richiamare l'attenzione di Chris e delle persone vicine.
-Ehi, facciamo una gara di bevute!-
Il coro che si levò mostrava un certo apprezzamento per la proposta e, insieme all'assenso di Etienne, segnò l'inizio della fine.




-Dai dai dai!-
-Micky tu reggi meglio di me, rialza il valore dell'Italia!-
-Sara, un conto è bere, un'altra cosa è ubriacarsi.- cercò di spiegarsi sorseggiando un Sauvignon accanto a Phichit che fra una foto ed una parola con Yuuri tracannava mica male.
Non che fosse il solo.
Tutti gli invitati, ma proprio tutti, sì, tutti, si erano radunati attorno al bancone, prendendo un bicchiere e servendosi liberamente.
-No non provarci, gli unici esentati sono i minorenni.-
-Seung-gil non è minorenne.- obiettò cortesemente Otabek alle continue insistenze di Selina, ma la donna ignorò le sue parole, insistendo nel propinargli un bicchiere di Martini.
Ammetteva senz'imbarazzo d'invidiare l'espressione da "vuoi morire?" di Seung-gil che aveva convinto le ragazze a lasciarlo in pace.
-Senti, smettila di rompere i coglioni al mio amico, no è no, punto.-
Alle parole di Yuri la donna mise su un broncio colossale, che si smontò nel secondo in cui lo vide, seduto su uno sgabello da bar intento a bere.
Quando diamine aveva preso quel bicchiere, e perché poi?
-Tu non sei minorenne?- chiese la donna, ottenendo in risposta una scrollata di spalle e, stranamente, nessun offesa. -E con ciò? Sono russo, io.-
No, non era permaloso, quello no, e neppure incapace di perdere, perché un atleta non può esserlo, ma non gli piaceva perdere, e ancor meno rifiutare le sfide, per cui con i suoi soliti modi pacati si versò un bicchiere di Vodka, come aveva fatto Yuri, e lo bevve.
-Mah, non mi è mai piaciuta la Vodka, troppo volgare, meglio del Gin- commentò JJ al suo fianco, supportando le proprie parole con i fatti.
-Beh JJ per un russo bere Vodka è naturale come per un messicano bere Tequila o per un giapponese Sakè.- rispose prontamente Victor, senza poi curarsi della risposta del canadese, ma continuando la sua opera di persuasione ai danni di Yuuri.
-Che vuoi che sia, giusto un goccio!-
-Non reggo l’alcool, lo sai benissimo.- rispose serio e duro, deciso a non crollare, perché avrebbe fatto di tutto per Victor, ma proprio non gli andava di finire come a quel famoso Galà.
Un conto era bere un bicchiere ogni tanto, a stomaco ben pieno, per gustarsi il sapore, ma bere così a gratis…
Eppure, come dirgli di no quando faceva quella faccia da cane bastonato?
Speriamo solo che almeno qualcuno resista.




-Chris, mi vuoi dire cosa ci facciamo qui?-
-Mon cher, ma allora non mi ascolti. Ho freddo, mi serve un maglione.-
-E cosa ha a che fare il tuo maglione con la mia camicia?- gli chiese guardandolo scettico mentre l'altro gli sbottonava suddetto indumento.
-Oh nulla, ho solo deciso che preferisco il calore umano a quello dato da un maglione.- rispose candidamente litigando con un bottone molto affezionato alla sua asola.
-E lo hai realizzato solo quando siamo arrivati qui, giusto?-
-Assolutamente.-
Sospirò esasperato, bloccandogli le mani a malincuore. Alle volte è proprio scomodo essere persone dotate di senno.
-Non credi di aver esagerato?-
-A fare cosa mon amour?- domandò Chris guardandolo con aria innocente.
Bugiardo infame.
-Hai ubriacato tutti gli ospiti.-
Il pattinatore saltò indietro come se gli avessero appena gettato un secchio di liquami addosso. -Io non ho fatto nulla, sono stati Neon, Marianne e Danièle!-
Come se non avessi organizzato la cosa con quella domanda sull'alcool in America.
-Sei comunque stato tu a dare da bere ai due piccoletti.-
-Etienne, mica sono stato io a costringerli a bere!- piagnucolò in tono lamentoso avvicinando le mani alla cintura del compagno.
-Ed è un caso che tu abbia fatto installare dei pali da lap dance?- s'interessò allontanando le mani di Chris dai propri pantaloni.
Chris era sempre troppo lento, avrebbe dovuto imparare a spicciarsi, riflette baciandolo con irruenza, per nulla interessato alla risposta alla propria domanda.
Quest'anno hai giocato bene Chris, ti sei preparato una risposta ad ogni mia domanda, non agendo mai in prima linea. Un punto per te.




-Non li si può vedere, non trovi anche tu?-
Mah, senz'altro non si era fatto 9 ore di volo per assistere a quell'esibizione, però doveva ammettere che si muovevano bene, indipendentemente dal fatto che non era la danza classica a cui Yuri era abituato.
-Tutte le feste a cui partecipano quei due finiscono sempre così, è allucinante!- proseguì imperterrito, forse insoddisfatto per la sua scarsa partecipazione al discorso -Poi hanno il fegato di dire a me fare il bravo, come se avessi 5 anni, ma ti rendi conto?-
Otabek lo guardò, non propriamente lucido, dopo che al primo bicchiere di Vodka ne erano seguiti almeno altri due, visto che gli era piaciuta parecchio, o forse voleva dimostrare qualcosa.
-Si può sapere come fai?- chiese massaggiandosi le palpebre, stanco.
-Mh? A fare cosa?- mugugnò il giovane russo staccando la propria attenzione dal palcoscenico su cui ballava il suo omonimo, girandosi a guardarlo sinceramente stranito.
-Reggere l'alcool dici? Mah, alle feste mio nonno mi ha sempre fatto bere un po' di Vodka, da prima ancora che camminassi. Ce l'ho nel sangue ormai.-
Ce l'ho nel sangue un corno.
Non aveva neanche 16 anni e si era scolato mezza bottiglia di Vodka senza batter ciglio, mentre lui che ne aveva 18 e un fisico ben più imponente era ubriaco dopo appena 3 bicchieri!
-Piuttosto sei tu che sei impressionante, non ti reggi in piedi, ma sei lucido e presente a te stesso. Non avevo mai visto una cosa del genere, è mostruoso.-
Lucido e presente a sé stesso, come no.
Magari visto da fuori dava quell'impressione, e in effetti pur non riuscendo a coordinare i propri movimenti articolava frasi di senso compiuto senza eccessivo sforzo e senza biascicare, però non è che fosse granché.
Aveva un caldo assurdo, tutto ciò che voleva era levarsi tutto fino a restare in boxer, e forse neanche quelli. Se fosse riuscito a camminare decentemente con buona probabilità si sarebbe unito a Yuuri, Victor ed il resto del gruppo solo per poter stare mezzo nudo senza essere guardato come un alieno.
-Yuri, sono stanco.-
E questa da dove usciva? Sì, era la verità, ma non intendeva dirlo ad alta voce!
-Per la verità anch'io, e poi non ho molto da fare qui, vuoi che ti accompagni in camera?-
E rinunciare così alla tua compagnia? No, mai.
-Sì-
Il biondo annuì, servizievole, una caratteristica che gli aveva visto usare solo con lui. -Vado a chiedere le chiavi delle nostre stanze alla reception e ti accompagno, aspettami qui.-
Ma cosa diavolo era, una maledizione? C'era senz'altro qualcuno che aveva preso il controllo del suo corpo, perché lui non si sarebbe mai comportato così.
Speriamo solo di non far danni.




-Io te l'avevo detto di non esagerare Sara.-
-Oh, andiamo Micky, non essere polemico!- ribatté solare abbracciandolo e scompigliandogli i capelli.
Ecco perché non potevo farti venire da sola.
-Sara, andiamo, meglio se vai a letto.-
-Ma io non ho sonno!-
Michele sospirò: gli piacevano i bambini e non gli dispiaceva prendersi cura dei piccoli, ma sua sorella non faceva parte della categoria. Sara non è piccola, è ubriaca, che è peggio.
-Vedrai che appena toccherai il letto crollerai che è un piacere.-
-Ah, guarda, ballano, andiamo anche noi!-
Già di solito non mi ascolti, da ubriaca poi…
E ballare cosa? Insieme al gruppo di Kira e le altre? Sara avrebbe dovuto passare sul suo cadavere prima di riuscire ad unirsi a quello spogliarello.
-Che ne dici di fare una passeggiata fuori a vedere le stelle invece?-
-Ma fa freddo, non mi va!-
-Vengo io!- strillò una ben nota voce dietro di lui, e quasi simultaneamente sentì qualcuno aggrapparsi alle sue spalle.
-Emil, sparisci, non è-
Il suo alito puzzava di alcool che neanche una distilleria.
No, due no, ti prego Dio, implorò sperando con tutto sé stesso che le invocazioni funzionassero anche se uno non era un devoto credente.
-Ah Emil, ciao!- l’urlo di Sara gli trapanò i timpani, e come se non bastasse fu costretto ad allungare le mani per afferrarle i fianchi ond’evitare che lo facesse cadere.
Ma cos’è, sono diventato un sandwich?
-Che ne direste se andassimo tutti di sopra a giocare a qualcosa?- ci doveva almeno provare, magari travolti dalla gioia di passare del tempo insieme avrebbero accettato, e gestire due ubriachi in una camera, da soli, senza stimoli esterni, avrebbe dovuto essere più semplice che gestirli in una sala piena di gente.
-Ma io voglio ballare!- protestò Sara.
-Sarebbe scortese abbandonare la festa!- rincarò Emil.
E Michele, semplicemente, rinunciò a combattere.




Possibile che ovunque andasse aveva qualcuno che doveva stressarlo?
Non chiedeva granché, voleva solo che la gente lo lasciasse in pace il più possibile. E invece all’università si ritrovava a condividere la camera con un rompipalle, la sua allenatrice cercava di rendere quella che era la sua passione un mezzo di propaganda politica e non contenta lo spediva a forza in quel covo di matti.
Avrebbe potuto restare in Corea e prepararsi per l'esame di giovedì, ed invece eccolo lì, in Svizzera perso in mezzo alle montagne con un gruppo di ubriachi, a sentire quel cretino di canadese tubare alle sue spalle.
Ringrazia che non mi piace la violenza e non mi va di sprecare il fiato a parlare con un arrogante del tuo calibro.
Eppure, per quanto quel malefico canadese gli desse ai nervi, forse restava meglio di Phichit che appoggiato al bancone praticamente spalla a spalla con lui non faceva che continuare a bere con espressione a dir poco depressa, squadrando la sala quasi con le lacrime agli occhi. Lui da solo si era scolato qualcosa come due bottiglie di vino e aveva la mano avvolto al collo della terza.
Ad andare avanti così avrebbero dovuto mandare un'ambulanza a prenderlo.
Spostò la mano da sotto il mento allungandola al suo fianco e sondando le reazioni di Phichit quando si avvicinò alla bottiglia. Sorpreso e un po’ perplesso, perfetto.
Afferrò la bottiglia e gliela tolse di mano, appoggiandola dietro il bancone a metà fra sé e Georgi.
Avrebbe anche potuto fare conversazione, valutò guardando con la coda dell'occhio in direzione del russo, ma lui non ne aveva voglia e il russo neppure, quindi a che pro?
Se avesse saputo cosa gli riservava la serata, probabilmente sarebbe scappato, ma ahi lui, non ne aveva alcun’idea.




Non si aspettava nulla di diverso da Chris, tre quarti della sala e forse di più sbronzi, ancora era andata bene.
Non erano mai stati amici, ma essendo lo svizzero sempre insieme a Victor ci aveva parlato un paio di volte ed era capitato anche che avesse incontrato parte della donne presenti in occasione di un paio di feste a cui Victor lo aveva portato: tutte teste matte.
Oh, simpatiche, nulla da dire, ma un po’ troppo spigliate per i suoi gusti, e non a caso erano amiche di Victor.
Sarebbe volentieri rimasto in Russia, e a giudicare dallo sguardo schifato di Seung-gil anche lui era dello stesso avviso. Chissà se pure lui è stato costretto dal suo coach.
Sospirò annoiato e guardò il bicchiere di fronte a lui, che seducente gli proponeva di bere ancora, mezzo pieno di Gin. Non si sarebbe ubriacato con così poco, però avrebbe bevuto solo per noia, e non era un atteggiamento da lui.
No, non avrebbe bevuto ancora, decise allontanando il bicchiere da sé e osservando la sala vagamente annoiato.
Yuri tornava dalla reception a passo di carica, segno che evidentemente aveva avuto uno scontro con qualcuno, ed ebbe l’istinto di alzarsi ed andare a sentire cosa era successo, ma per quello che aveva visto il migliore nel placare la piccola tigre era Otabek, per cui lasciò a lui il compito, ed in effetti quando il biondo raggiunse il suo amico i suoi modi cambiarono, facendosi molto più calmi e rilassati.
Beato tu che hai qualcosa di speciale.
Voltò lo sguardo vedendo Michele, pressato fra la sorella ed Emil in evidente difficoltà e di nuovo girò la testa verso i tavoli: se fingeva di non sapere nessuno avrebbe potuto criticarlo per non averlo aiutato.
Forse poteva procurare un dopo sbornia a Leo e Guang Hong: costretti a bere ancora e ancora, Guang Hong aveva bevuto per due a lungo, poi Leo era subentrato per evitargli il coma etilico.
Difficile dire se fossero entrambi sbronzi o solo uno dei due, ma di certo non erano messi bene, seduti praticamente uno in braccio all’altro su una minuscola poltroncina, con Guang Hong che a più riprese si sdraiava addosso all’altro.
Avrebbe anche potuto essere interessante sentire cosa diceva, pareva uno di quegli ubriachi simpatici, ma non erano fatti suoi.
No, non era per nulla interessato ai balli di Yuuri, non facevano per lui, conoscendo Victor capiva la sua scelta, ma il fatto che fosse perfetto per Victor non significava che dovesse piacere a lui. Che poi da sobrio non era male, ma da ubriaco…




-Meglio prendere l'ascensore, sulle scale farei fatica ad aiutarti.- rifletté Yuri sistemandosi meglio il braccio dell'amico attorno al collo e cambiando la propria direzione.
Diavolo, era sia scomodo che difficile, ma nulla in confronto a quando si era ritrovato a trasportare Victor ubriaco, un paio d’anni prima, perché pesava ed al contempo essendo così più alto di lui non riusciva nemmeno bene ad appoggiarsi, così per istinto cercava di camminare da solo, salvo poi inciampare nei propri piedi e ricadergli addosso. Quelle volte per lo più c’erano anche Mila e Georgi con loro, e di norma alla fine Georgi accorreva in suo aiuto e se lo caricava in spalla riportandolo a casa a piedi.
Con Otabek era molto più semplice, fra loro c’erano sì e no 5 centimetri di differenza, per cui nonostante fosse comunque piuttosto pesante riusciva ad aiutarlo. E poi non biascicava. Lamentarsi con qualcuno che ti capisce (non che approva, ma che almeno ti ascolta) era più soddisfacente che lamentarsi con un ubriaco prossimo al coma etilico quale di norma era Victor.
-Io lo voglio ammazzare. Sembra debba seguirmi ovunque vada, me lo sono trovato davanti anche alla reception, è una maledizione!-
Otabek non gli rispose, come sempre, ma lo ascoltava, Yuri sapeva che lo ascoltava, e gli bastava questo: non pretendeva che fosse d’accordo con lui, non voleva che gli rispondesse, basta che lo ascoltasse.
-Prima o poi me lo ritroverò anche sotto casa, e adesso che ha la moglie poi è pure peggio, sembra debbano battersi con la Victuri per il titolo di coppia più vomitevole!-
Perché in fondo sapeva che alle volte (non certo quella) era un po’ eccessivo, però odiava la gente che riteneva di avere il diritto di farglielo presente, per cui Otabek con i suoi silenzi e la sua espressione sempre storica era perfetto, non lo criticava e non lo incoraggiava, lasciandolo parlare liberamente di tutto ciò che voleva.
Imperterrito il russo continuò la sua invettiva su quanto e come JJ dovesse morire, finché l’ascensore non si fermò lasciandoli al terzo piano.
-Mi hanno dato due camere vicine, in fondo al corridoio.-
A Yuri piaceva parlare, in effetti sembrava avere un’avversione per il silenzio, ma a Otabek, che invece era sempre silenzioso, la cosa non dispiaceva. In un certo senso da che si erano conosciuti Yuri era diventato la colonna sonora della sua vita: quando erano insieme non faceva che parlare e parlare, non stava mai zitto, al punto che Otabek sospettava parlasse pure nel sonno, e anche quando erano lontani, ognuno a casa propria, Yuri gli inviava spesso messaggi vocali per raccontargli qualcosa della sua giornata o canzoni da ascoltare, e che fossero in inglese o in russo Otabek le ascoltava sempre, che fosse in un luogo pubblico, a casa o in palestra, con o senza auricolari.
Perché amava la voce di Yuri, con tutte quelle diverse sfumature che esprimevano immediatamente il suo umore, e non riusciva a smettere di chiedersi se nel sonno, perché ormai era veramente certo che parlasse nel sonno, parlava con quel suo tono così tranquillo che tanto lo affascinava o piuttosto sbraitava in quel modo che, per assurdo, amava alla follia.
Perfino i gemiti che sentiva in quel momento erano
-JJ, razza d’imbecille, chiudi la cazzo di porta!-
Yuri sollevò il braccio di Otabek poggiato sopra le sue spalle, portandosi in due passi a dir poco incazzati dal centro del corridoio alla stanza incriminata, afferrando la porta e chiudendola con tutta la rabbia di cui era dotato, mentre il rumore si diffondeva assordante in tutto l’albergo e Otabek barcollava, scorgendo solo di striscio cosa avesse provocato una reazione del genere nell’amico.
In effetti dubitava che vedere i due canadesi scopare rientrasse negli interessi di chicchessia, anche se forse Chris…
Yuri tornò indietro, risistemandosi il suo braccio attorno alle spalle e borbottando insulti in russo.
-Yuri.-
-Cosa?- per quando non fosse rivolta a lui, non gli piaceva vederlo in quello stato di rabbia.
-Perché non vieni in camera mia?-
Oh.Dio.No. Non l'ho detto davvero.
-I letti sono singoli.- ribatté semplicemente Yuri, scorbutico.
-Possiamo stringerci un po’.- propose senza riuscire a controllare la propria lingua e Yuri aggrottò le sopracciglia, guardandolo ancora arrabbiato, senza riuscire a comprendere, e ciò nonostante continuando a camminare.
-Tu mi piaci.- proseguì, incapace di controllare la propria voce mentre Yuri senza guardarlo apriva una porta e entrava.
Perché proprio a lui?
Stava buttando al vento mesi e mai di amicizia, confessando i propri sentimenti ad un ragazzo che al momento non sa cosa farsene.
Quando Yuri lo fece sedere sul letto Otabek si preparò a leggere nei suoi occhi il disprezzo, evoluzione ben peggiore della rabbia, e gli venne voglia di piangere.
Era solo una cotta, magari non sarebbe durata, però ci teneva sinceramente all'amicizia con Yuri e… e… non era da lui, lui non avrebbe mai pianto per una cosa del genere, non era così insicuro.
Tirò su col naso, senza riuscire a trattenere le lacrime e alzò la testa a guardare Yuri, ancora dritto di fronte a lui.
Sorprendentemente nel suo sguardo non c'erano rammarico né sdegno. Quando Yuri aprì la bocca non seppe cosa aspettarsi, e sentendo il suo responso finale non seppe se compiacere o meno. Tre, semplici, parole, e la diga si ruppe.
-Tu sei ubriaco.- dice con un mezzo sorriso, appoggiandogli una mano sulla spalla e sedendosi al suo fianco, incurante di tutto con un mezzo ghigno in faccia.
-Non solo perdi la coordinazione, a quanto pare straparli pure. Mah, domani verrà pure fuori che non ti ricorderai di questa sera. Con questo almeno so che sei anche tu un essere umano.- disse scrollando le spalle con naturalezza, e Otabek non seppe cosa pensare.
Ma in fondo era ubriaco, quindi non era tenuto a farlo, decise lasciandosi cadere all'indietro sul materasso.
Avrebbe avuto tempo per il resto, una seconda opportunità, ma magari la prossima volta meglio essere sobrio.




-Micky, voglio andare a ballare!-
-Micky, quando andiamo voglio fare una passeggiata?-
Il poveretto soffiò esasperato, domandandosi per l’ennesima volta cosa avesse fatto di male per ritrovarsi a gestire due ubriachi da solo, e non due pacifici ubriachi, o magari due che piangono e si disperano in solitudine, o anche due che si fanno bellicosi, no, ma magari! Lui doveva ritrovarsi con due marmocchi capricciosi incapaci di sintonizzare i propri desideri!
-Sara, tu non balli; Emil, nessuno ti vieta di andare.- rispose esausto, cercando con scarsi risultati di staccare da sé Emil che gli si era attaccato al braccio peggio di una piovra.
-Sei cattivo Micky!- ribatterono in coro, e a Michele salì un forte istinto omicida: certo, quando fa comodo a voi però vi accordate subito, ovvio.
Chiuse gli occhi inspirando ed espirando, e quando li riaprì dovette affrettarsi a bloccare Sara che stava tentando di darsi alla macchia, mentre Emil partiva a lamentarsi perché voleva assolutissimissimamente fare con lui l’ormai nota passeggiata fuori a guardare le stelle.
Se trovo il numero dei tuoi genitori o del tuo coach giuro che mi farò pagare la serata a fare da baby-sitter. Ma non potevo ubriacarmi anch’io e passare l’intera vita a pentirmene, ma una serata tranquilla?
Sopirò, sì, sospirare quella sera era la sua attività preferita, e per la centesima volta provò a proporre di andare a letto, ricevendo la stessa considerazione che riceve normalmente uno scarabeo stercorario.
Ma non c’era proprio un modo di liberarsi almeno di uno dei due?
-Micky, voglio vedere le stelle!-
-Voglio andare a parlare con Kira!-
Ma non ne poteva, più, erano
Aspetta, Sara aveva cambiato richiesta: non voleva ballare, voleva solo chiacchierare! Forse poteva trovare una soluzione che soddisfacesse capre e cavoli, doveva solo trovare qualcuno di abbastanza sobrio e affidabile! Cosa che in realtà era più difficile che non mandarla in isolamento sulla luna...
Squadrò tutta la sala con attenzione alla ricerca di una persona seria e affidabile. E il suo sguardo cadde su Seung gil intento a cercare di placare le lacrime di Phichit con delle amichevoli pacche sulle spalle.
Perfetto, aveva trovato l’uomo che faceva al caso suo.



Il freddo non lo toccava, era un pattinatore, ormai era abituato al ghiaccio, non sarebbe stata un po’ di neve a sfiorarlo. Non era un astronomo, ma non serviva aver studiato anni ed anni per apprezzare un bel panorama. Non avrebbe saputo indicare con precisione tutti i nomi delle varie stelle e delle varie costellazioni, ma sapeva i principali, e amava osservarle di tanto in tanto.
Era abbastanza fortunato per quello, vivendo in mezzo alla campagna fuori Napoli tutte le estati si sdraiava sul prato con suo padre e osservava le stelle. L’orsa maggiore, il grande carro, la stella polare… col buio aveva imparato a distinguerle, ma mai aveva avuto modo di scorgere anche solo vagamente la via lattea.
-Tu le conosci?- chiese Michele senza abbassare lo sguardo al proprio fianco dove Emil strascicando i piedi lo seguiva aggrappato al suo gomito.
Interpretò il mugugno del ragazzo al suo fianco come un dissenso e stanco di trascinarselo dietro spolverò una panchina e si sedette.
Non fu esattamente contento nel ritrovarsi Emil pressoché in braccio, però almeno si tenevano caldo, per cui giustificò la cosa con la sbronza del ragazzo, cercando di non dar peso al forte odore di alcool attorno a loro.
-Guarda, quella è la Stella Polare.- disse alzando una mano ad indicare l’astro, osservando Emil guardare dapprima lui piuttosto perplesso e poi sollevare lo sguardo nella direzione da lui indicata, sgranando gli occhi, entusiasta come un bambino.
-Quella costellazione è l’Orsa Maggiore invece- proseguì spostandolo il dito, assorto. Era più o meno come illustrare le cosa ad un bambino, e a lui piacevano i bambini.
-Lì invece c’è il grande carro.- in fondo preso da solo non era difficile da gestire, si faceva trascinare abbastanza docilmente e ascoltava quanto gli si diceva: molto meglio di Sara.
-E quello?- chiese infervorato il ceco indicando una vaga area.
Scrollò le spalle, convinto che probabilmente chiedergli informazioni più dettagliate sarebbe stato inutile -Non lo so, non sono un esperto.-
-So dirti solo che quella è Cassiopea, mentre quella credo sia la costellazione del Cancro.- indicò quasi trasognato da quello spettacolo.
-Quella invece è Venere, giusto?- girò il capo verso Emil a dir poco sorpreso.
-Non lo so, possibile.- rispose guardandolo sorpreso ed Emil rispose sorridendo radioso.
-Mi piacciono le stelle.- si giustificò e a Michele tornò la voglia d’insultarlo.
E quindi le conosci, eh canaglia? Probabilmente sapresti dirmi i nomi di tutte loro, se solo non fossi sbronzo.
Sbuffando riportò lo sguardo verso la volta celeste, ignorando lo sguardo fiducioso di Emil. Ma ti piace così tanto mettermi in difficoltà?
-Venere è la dea dell’amore?-
Con uno sbuffo aprì la bocca per rispondere ad Emil, girando il capo piuttosto seccato: era pronto a infondergli i due rudimenti che aveva di cultura greca, pronto a dirgli come Venere fosse la corrispondente di Afrodite per i greci, la dea della bellezza e madre di Cupido, vero dio dell’amore, ma non ci riuscì.
Non che avesse particolari scrupoli di coscienza a correggere un ubriaco, tanto meno uno molesto come lui, ma parlare con una lingua altrui che fa il comodo proprio con la tua non rendeva semplice la cosa.
Ci mise un attimo a realizzare, poi il sapore di alcool lo ridestò. O meglio, risvegliò i propri riflessi nervosi, che trasmisero il giusto impulso ai muscoli, che senza attendere oltre lo fecero scattare indietro, e vedendo Emil riavvicinarsi il sinolo di nervi e muscoli del tutto indipendenti, più che la sua coscienza, gli suggerirono di mollargli un pugno. Consiglio che seguì volentieri, centrando in pieno il naso, guardando Emil cadere dalla panchina nella neve.
Ansimando osservò il ragazzo steso a terra, con la neve che gli inzuppava gli abiti e il naso una mezza maschera di sangue che colando tingeva di rosso il bianco circostante.
E la rabbia montò insieme alla soddisfazione.
Gli sta solo che bene. Ubriaco o meno. Oh, la prossima volta ci penserà due volte.
Tornò dentro senza guardare nessuno, prendendo la chiave della propria stanza e andando a letto.
E al diavolo tutti, feste simili mai più.




-Ma lo sai che somigli proprio a Nong Youhui[*]? Hai gli stessi occhi.- disse l’ubriaca al suo fianco, sporgendosi verso di lui e cercando di cavargli l’occhio sinistro, per poterlo osservare meglio forse.
Sorvolò sulla minuzia che era il fatto che il bambino fosse cinese e lui coreano, quello era un errore ancora comprensibile, ma azzurro e nero? Davvero?! Oltre a renderla molesta l’alcool la faceva pure diventare daltonica?!
Le afferrò il polso con presa salda pur senza farle male, allontanando la mano di lei dal proprio viso e riportandolo sul balcone.
Ma come diavolo era potuto succedere?
Oh, certo a livello teorico era semplice, bastava dire che Michele, se ne andasse all’inferno, gliel’aveva scaricata: con naturalezza, praticamente trascinandola per un gomito, gli aveva chiesto di tenerla d’occhio e di “non farla unire ai dementi”, sparendo prima che potesse rifiutarsi, portando Emil pressoché in spalla fuori dall’albergo.
Gli aveva anche detto, dalla distanza, qualcosa come “torno a prenderla tra cinque minuti”, come se lui fosse una maestra d’asilo e lui un genitore affettuoso.
Al diavolo, di minuti ne erano passati almeno 12, che qualcuno gliela levasse di dosso!, fu il pensiero che attraversò le sue sinapsi quando il mostro praticamente si sdraiò su di lui, facendo quasi attenzione, o almeno così gli parve, a premergli il seno sul costato, praticamente naso a naso con lui.
No, no, no, no e poi NO! Ma sapete cosa? NO!!!! Che si levasse subito maledetta cozza!
-Io voglio ballare!- disse il demonio senza allontanarsi da lui nemmeno di un centimetro e anzi cercando di sederglisi in braccio.
Ah certo, perché se Michele si fosse degnato di tornare e li avesse visti così? Brutta sanguisuga ma vuoi forse farmi ammazzare? Come se la gelosia dei napoletani non fosse nota a livello pressoché mondiale!
Con stizza e malcelata preoccupazione poggiò le mani sui fianchi della ventosa (facendo attenzione a non scivolare troppo in alto né troppo in basso: ci teneva alla pelle) e provando a levarsela di dosso, senza il minimo risultato.
-Levati.- dubitava che funzionasse, ma doveva tentare: la russa si era convinta a smettere di offrirgli da bere, magari anche con quella disgrazia ambulante avrebbe funzionato.
Speranza vana, realizzò vedendola piegare il capo con fare perplesso, una marea di capelli corvini che amplificavano il movimento. Per quanto ubriaca di certo era bella, ma ingestibile. E poi bella o meno che fosse, comunque non era interessato, l’unica cosa che voleva era un piede di porco per staccarsela di dosso.
-Sara, vuoi un goccio?-
Non vide chi parlava, e non credette nemmeno per un secondo che sarebbe bastata un’offerta simile per levarsela di dosso, ed invece funzionò: quasi fosse una cavalletta la bestia allupata si allontanò da lui, cambiando bersaglio e praticamente saltando addosso a Georgi, che con una calma invidiabile, senza dare alcun cenno di disagio ma semplicemente alzando un sopracciglio, le domandò cortesemente di staccarsi.
E lei lo fece!
Ma perché con lui no? Non aveva senso, e nemmeno
-Con gli ubriachi usa toni il più gentile possibili, di norma sono più efficaci dei toni grossi.- gli suggerì il russo, staccando il gomito dal bancone e allungando la mano verso un bicchiere pulito e una bottiglia abbandonata.
-Sicuro di volergliene dare ancora?- domandò sottintendendo come non intendesse prendersi alcuna responsabilità per quel gesto, che riteneva alquanto stupido ed avventato.
Aveva sempre avuto un’idea diversa del russo, era sorpreso.
-È ben lontana dal coma etilico, solo un bicchiere non cambierà granché, Michele di certo non ci farà caso e se anche dovesse dirgli che le ho dato da bere difficilmente le crederà.- rispose scrollando le spalle con noncuranza -E poi di norma dopo un tot tutti gli ubriachi si addormentano.- rispose allungando il bicchiere alla piovra che ci si tuffò come fosse la sua salvezza.
-Prega solo che Michele non sappia nulla dell’accaduto, ed andrà benone.-
Seung-gil piegò appena l’angolo destro della bocca in un lieve sorriso equivalente ad un ringraziamento, pregando che il russo avesse ragione.
Cosa che ovviamente non accadde.




Occhieggiò la sala rapido, sorridendo appena nel vedere Georgi che si ritrovava Sara sdraiata sulla schiena con le braccia a cingergli il collo e Seung-gil che in palese difficoltà (espressa più dai suoi movimenti che dal suo sguardo) sorreggeva la testa al cinesino, piegato in due dai conati di vomito.
Alle loro spalle Phichit piangeva lamentandosi della propria vita e dell’abbandono di Yuuri, mentre Leo tentava di scrollarsi Aalina di dosso.
Sostanzialmente si erano creati due gruppi, ognuno con dei capi e delle precise dinamiche:
Uno quello presso il bancone, composto pressoché solo da pattinatori e gestito da Seung-gil, l’altro sulla rampe delle scale che portavano alla sala da pranzo, dove aveva fatto montare tre (perché crepassero la parsimonia e la sobrietà, lui amava lo sfarzo e l’abbondanza!) pali da lap dance, attorno ai quali a turno si esibivano il resto degli invitati, seguendo tutti le direttive di Victor, l’unico oltre a lui a conoscere tutti i partecipanti alla festa.
-Mon cœur, sapevo di potermi fidare di te.- lo ringraziò avvolgendogli un braccio attorno ai fianchi e strizzandogli una natica. Le buone abitudini non vanno perse, ed era suo compito controllare che Victor si tenesse in forma, perché quel culo sodo avrebbe meritato di diventare patrimonio mondiale.
-Ah Chris, bentornato, ti sei divertito?- chiese lanciando una fugace occhiata ai capelli scompigliati dello svizzero e alla camicia spiegazzata.
Istintivamente aprì la bocca pronto a narrare tutti i dettagli, ma un’aura omicida alle sue spalle lo dissuase -Come sta andando qui?- domandò allontanando anche la mano per non rischiare di trovarsela tranciata.
Era riuscito a convincere Etienne a non ucciderlo per essere stato il responsabile nell’ombra della sbronza collettiva, meglio non provocarlo oltre.
Victor scosse le spalle, indifferente all’atteggiamento di Lolita che appoggiò il mento sulla sua spalla aderendo alla sua schiena e porgendogli il seno prominente sul costato -Si stanno divertendo tutti- minimizzò agitando appena una mano per non disturbare la donna appoggiata a lui.
Il padrone di casa annuì e si risolse a chiedere di quegli invitati che non aveva visto, più per far credere a Etienne di essere una persona responsabile che per reale interesse.
-Non lo so, prima ho visto Michele salire in camera sua e ti giuro, era un toro!, ma per il resto- rispose scrollando le spalle a simboleggiare che non ne aveva idea.
Quando era ubriaco alle volte diventava una persona comune, e per quanto la cosa non lo entusiasmasse in quel caso tornava utile.
-E il nostro involtino?- chiese con tono malizioso, alzando lo sguardo in cima alle scale dove Yuuri continuava a ballare con molto poco ritegno e ancor meno pudore, piuttosto propenso a seguire l’esempio di Neon che continuava a combattere con Wernhard per il suo diritto di andarsene in giro nudo.
e di fronte al riferimento al proprio uomo l’orgoglio di Victor si svegliò. Gonfiò il petto, raddrizzò le spalle e ad alzò il mento, girando il capo a guardarlo ballare, orgoglioso. Quanto amava la metamorfosi che subiva da ubriaco.
-Andiamo a ballare anche noi?- propose a Chris e lo svizzero annuì, scrollandosi la camicia di dosso e calando i pantaloni.
Non poteva mica stonare!




Mai, mai più avrebbe rivolto la parola a quel bastardo di svizzero, pensò guardandolo furente mentre meccanicamente spostava la mano fra i capelli di Guang Hong per non farglieli ricadere in faccia.
Facile invitare il mondo e poi sbattersene, andando a ballare con tutti gli altri ninfomani, invitati probabilmente al solo scopo di fare casino.
-Sholo un ghocco Gorgi ddai!-
-È finito Sara, mi spiace.- rispose il russo incurante del fiato caldo che Sara badava bene di alitargli sul collo.
-Ma posshiamo chiedenne ancora a Crish!-
-Non penso sia una buona idea e-
L'ennesimo conato di vomito lo riportò a catalizzare tutta la sua attenzione sul ragazzino piegato accanto a lui, la faccia immersa in un secchiello da vino un tempo riempito di ghiaccio, ora di vomito.
Non so proprio se sia peggio questo odore o quello d'alcol che permea tutta la sala, riflette amaramente spostandosi i capelli dalla fronte con l'avambraccio.
-Как насчет меня пойти со мной дорогая?-
In generale le lingue gli piacevano, si divertiva a vedere come i suoni cambiassero di pari passo alla latitudine, come le culture fossero opposte nonostante distanze minime e altre piccolezze del genere.
In inglese e coreano non aveva crepe, però il russo gli mancava.
-Я мог бы научить вас пару интересных вещей … Мы повеселимся, вы увидите-
O, non che avesse bisogno di capire la lingua per comprendere le intenzioni, vedendo una donna adulta e matura sfilarsi la già succinta maglietta per esporre un reggiseno viola scuro.
-No davvero senti io-
Qualunque cosa Leo volesse dire la dimenticò quando la donna avvicinò le mani alla chiusura del reggiseno, posta sul torace giusto per semplificare le cose.
Dando delle pacche sulla schiena a Guang Hong Seung-gil continuò ad osservare incuriosito l'evolversi della vicenda.
Vedere la scena da fuori, senza avere interesse in nessuno dei due generi, rendeva il tutto molto interessante. Un po' come un documentario su Discovery Channel.
Sentendo un peso posarsi sulla sua spalla girò il capo, ritrovandosi a fissare Phichit che era sceso dal proprio sgabello per andare a piangere sulla sua spalla.
Sospirò all'ennesimo conato di Guang Hong, ignorando le lacrime di Phichit che gli bagnavano la camicia, i lamenti di Sara e i balbettii di Leo.
La differenza fra un interessante documentario sulla dura vita dei panda e quello non era tanto l'argomento, quanto la possibilità di spegnere la TV contro l'impossibilità di scaricare quei casi umani.




Dopo 10 anni che conosceva Victor ormai Yuri sapeva cos'era un ubriaco: lo aveva visto più volte, dalla festa di compleanno che gli aveva organizzato Yakov quando lui aveva 10 anni a quel giorno, e un paio di volte aveva avuto il raro privilegio di vedere anche Georgi brillo, per cui non era come se ci facesse molto caso.
La sbronza per lui era nulla più che un dato oggettivo: se esageri nel bere ti ubriachi, una piccola legge universale.
Beh, ciò non toglieva che non si aspettasse affatto di vedere Otabek ubriaco, ma il tutto era riconducibile alla regoletta sopracitata, quindi nessuna sorpresa, rifletté girandosi nel letto e portando una mano sotto il cuscino per sopperire alla piattezza dello stesso.
Pur non essendosi mai ubriacato conosceva i sintomi: estrema allegria o profonda depressione, paranoie assurde o incoscienza estrema, perdite di memoria, mancanza di coordinazione, malesseri vari…
Aveva sempre evitato di eccedere con l’alcool, quelle rare volte che il nonno glielo proponeva allungandogli una bottiglia di Vodka, forse proprio per paura di tutte quelle spaventose conseguenze.
Ha detto che gli piaccio rifletté ritornando a pancia in su con le braccia incrociate dietro la testa.
Strofinò la guancia contro la manica del pigiama ad occhi chiusi. Non ha un gran valore.
No, decisamente non lo aveva. Era ubriaco, aveva probabilmente intravisto i due aceri in condizioni deplorevoli -preferiva non scendere nei dettagli per fingere che non fosse mai successo- ed aveva fatto un qualche strano collegamento.
Non lo pensa davvero si ripeté chiudendosi a riccio e controllando la respirazione. Era ubriaco.
D'altronde se aveva visto Victor fare il filo a delle donne da ubriaco, cosa c'era di strano nel comportamento di Otabek?
Di certo ha buon gusto pensò ghignando, senza dar peso alle guance che si fecero rosse.
Tanto era in camera sua da solo che cercava di dormire, perché avrebbe dovrebbe importargli?
Con un colpo di reni si distese supino, con le braccia sotto il mento e l'orecchio poggiato sull'avambraccio.
No, siamo solo amici.
Già, solo amici.
Amici
-Beka, sei uno scemo.- biascicò ed un sottile rivolo di saliva gli colò sul polso, l'unico ad ascoltarlo il cuscino che vegliava sul suo sonno.




Maledicendo per l’ennesima volta il festeggiato, l’alcool e gli ubriachi Seung-gil allungò il braccio destro a prendere il telefono nella tasca sinistra dei pantaloni.
Dannazione a voi, pure il contorsionista mi tocca fare adesso, imprecò rivolto a Guang Hong addormentato sulla sua coscia destra e Phichit ancora appoggiato alla sua spalla sinistra.
Domani avrò un mal di schiena astronomico, ma tanto a voi che interessa?.
Con un grugnito seccato controllò l’ora dal cellulare. 2.54.
Splendido, in pratica erano almeno 2 ore che si ritrovava a gestire quei cadaveri ambulanti.
Alle volte sarebbe proprio utile essere meno coscienzioso, pensò guardando con dichiarato astio il festeggiato.
Oh, prega che non ti trovi in giro da solo o finisce male.
Tenendo la schiena dritta per non infastidire Phichit e far ripartire il torrente di lacrime, appoggiò il telefono accanto alla propria coscia, stropicciandosi stancamente gli occhi.
Fra il fuso orario e la musica piuttosto alta aveva un mal di testa notevole.
Con un sospiro si scompigliò i capelli, alzando lo sguardo su Georgi.
Erano simili, in effetti: entrambi vittime innocenti di un branco di alcolizzati. Se lui si ritrovava a gestire tutti i pattinatori maschi rimasti in sala, beh Georgi si era accaparrato Sara e la russa che aveva lungamente fatto proposte esplicite a Leo, che ora se ne stava semi-svaccato con la schiena poggiata al bancone, come lui, accarezzando la schiena a Guang Hong e lamentando un mal di testa allucinante.
Avrò un ubriaco in più a carico, ma almeno i miei non cercano di stuprarmi si consolò, alzando lo sguardo quando un refolo d’aria gelida lo investì, risvegliando i due ragazzi accasciati su di lui.
Con aria ben poco amichevole alzò lo sguardo verso le porte dell’hotel, intenzionato ad uccidere con lo sguardo il malaugurato invitato che voleva aggiungere al suo mal di testa anche un raffreddore, ma trovandosi di fronte Emil, fradicio e con la faccia coperta di sangue, parzialmente nascosta da una mano, rinunciò ai propositi violenti.
Appoggiando le mani a terra si sollevò, incurante delle lamentele di Phichit e Guang Hong, avvicinandosi al ceco.
-Che hai fatto?- chiese quando questi lo raggiunse e sorpassò, andando a sedersi vicino agli altri, sul pavimento.
Non ottenne risposta, né con le luci soffuse della sala riuscì a risolvere il suo enigma, finché Georgi non comparve al suo fianco, seguito dalle due ragazze, preoccupato almeno quanto lui.
-Alla reception non c’è nessuno, scavalco e guardo se c’è un kit di pronto soccorso, tu tienili d’occhio- sospirò senza guardare bene in faccia il russo, accontentandosi di un “d’accordo” come garanzia.
-Reggi questo.- ordinò una volta tornato dalla vana spedizione, raccattando il telefono e accendendo la torcia.
Con cautela si avvicinò al bancone, allungando cautamente un braccio verso Emil per scostargli una mano dal volto e poter valutare l’entità del danno, mentre Georgi reggeva il telefono mezzo scarico per fare luce.
Per fortuna il ragazzo non oppose resistenza, lasciando che Seung-gil gli togliesse la mano dalla faccia: il naso era rosso e incrostato di sangue, evidentemente rotto, e il viso era sporco di sangue conseguente alla rottura, ma a parte quello non aveva altri lividi evidenti.
Semi-sdraiato affianco a lui Guang Hong sollevò la testa sbattendo le palpebre confuso per mettere a fuoco l’immagine, Leo sibilò in un moto di empatia, o forse lamentandosi del proprio mal di testa, Phichit singhiozzando perché “nessuno si curava di lui” e si alzò uscendo dal suo campo visivo, Georgi espresse ad alta voce al capannello la sua stessa diagnosi e le due donne alle sue spalle vedendo il sangue urlarono schifate.
-Emil. Emil, mi senti?-
Emil mugugnò, fissando il russo che gli aveva posto la domanda.
Seung-gil non poté che osservare ammirato la calma con cui Georgi gli ripassò il telefono, avvicinandosi appena ad Emil per essere certo che lo sentisse e ponendogli la fatidica domanda.
-Che hai fatto al naso?-
Il ragazzo lo guardò confuso, e Georgi ripeté la domanda, senza perdere la propria compostezza. Ma per quando provò a chiederglielo, Emil continuò a non rispondere, forse troppo ubriaco per farlo o forse solo privo di voglia.
-D’accordo Emil, allora va bene se-
-No, Phichit non provarci neppure, dammi subito quella bottiglia.-
Con cipiglio perplesso il russo alzò lo sguardo su Seung-gil, insolitamente arrabbiato, che sbraitava addosso a Phichit: a ben guardare, aveva in mano una bottiglia di un qualche superalcolico.
-Phichit, passami la bottiglia.- intervenne Georgi con tono calmo, rassicurante, e con circospezione Phichit si avvicinò al russo, allungandogli la bottiglia, sotto lo sguardo irritato del coreano.
-Emil, dove siamo?-
-Svizzera- rispose flebile, e Georgi annuì.
-È indubbiamente ubriaco, però capisce ed è semi-consapevole di sé.- disse rivolto a Seung-gli, di nuovo accovacciato accanto a lui, in attesa di sentire il suo parere -Non ci conviene chiamare l'ambulanza o che, domani tornerà a casa e ci penserà da sé, limitiamoci a disinfettare.-
-Georgi, al bancone non c'era il kit di pronto soccorso.-
-Ma qui è pieno di alcolici: non sarà il top, ma un po' di Rum andrà bene.- replicò strappando la bottiglia datagli da Phichit e bagnando un fazzoletto.
-Credo che non ci mancherà la Svizzera.- commentò dopo un po', tamponando delicatamente il viso a Emil, che pur con smorfie infastidite non si ribellò, mentre il caos degli altri ubriachi li travolgeva, di nuovo.
Perché ci sono cose a cui si sceglie di partecipare, tipo il Grand Prix o un viaggio a San Pietroburgo con gli amici, perfino una gara di pisciata in lungo (non che l'avesse mai fatto), cose a cui si è costretti a partecipare, tipo una partita a Twister con Yuri e Mila, gli allenamenti la domenica mattina o il cenone di Natale con la famiglia, e poi ci sono cose che subisci, come la scuola fino ai 16 anni, le ramanzine di Yakov e le sedute di shopping con la tua ragazza.
E decisamente le feste di compleanno di Chris.




-L’anno prossimo scordati una cosa del genere.-
immerso dal sonno e dal silenzio, Chris spalancò gli occhi al tono velenoso di Etienne -Pourquoi mon amour?-
Etienne sollevò la testa dal cuscino fulminandolo con uno sguardo -Hai ubriacato tutti.-
-Mais non, sono stati-
-Oh, non prendermi in giro. Hai organizzato lo spogliarello e posso passarci sopra, sobri o meno metà del gruppo avrebbe agito allo stesso modo, ma hai ubriacato tutta la sala. La metà di quei ragazzini non hanno nemmeno 20 anni!-
-Sono tutti sopra i 18 possono-
Lo sguardo di fuoco che ricevette lo azzittì.
Non aveva paura di molte cose, ma l’ira del mansueto era terrificante, e quella di Etienne era decisamente difficile da gestire.
-Il cinese ha passato metà serata a vomitare, l’altro a piangere-
-Guang Hong e Phichit- s’intromise per dare un nome alle persone di cui il compagno parlava, ed Etienne lo fulminò: preferendo evitare di finire con il naso rotto come Emil s’azzittì.
-La sorella di Michele era a un passo dal coma etilico e Seung-gil le farà causa per molestie, il ceco aveva il naso rotto non si sa nemmeno bene come, e tu eri a ballare?! Ma ti vedi?! Hai 26 anni, dovresti essere una persona responsabile!-
Era furioso, era palese dal tono con cui parlava -Spendi oltre 3000 euro per questa discutibile festa senza curarti degli invitati. Sei un egoista.- commentò freddo, chiudendo la discussione e girandosi per dormire.
E Chris avrebbe dovuto davvero essere ferito dalle sue parole e profondamente pentito, ma non lo era.
E quindi gli pareva una buona idea sfrusciare il pacco contro le natiche di Etienne.
Il cuscino che gli volò in faccia parve un "no".
-Ti aspetta una settimana in bianco Chris.- lo ammonì indicandogli il divano, indifferente alla sua faccia sconvolta, così con uno sbuffo raccattò il cuscino che l'aveva colpito e se ne andò sul divano.
L'anno prossimo mi farò tutti quanti così almeno non mi peserà l'astinenza.
Perché se i galli erano irriducibili, beh, gli svizzeri erano la loro discendenza.











 


Alles gute zum geburtstag

Bon anniversaire

Buon compleanno























Nong Youhui : http://www.extremamente.it/2012/01/23/il-bimbo-cinese-che-stupisce-il-mondo-ha-gli-occhi-blu-e-vede-nel-buio/

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Capitolo 3
*** Yuri Plisetsky ***


Yuri Plisetsky: Gioia, euforia ed un pizzico di dovuta arroganza
16 anni,
1 marzo
(domenica)

Yuri Plisetsky, altresì conosciuto come Fata di Russia o Tigre dei ghiacci, era un adolescente isterico e ribelle, un Teppista russo indomabile, sempre arrabbiato col mondo intero senza sentire nemmeno il bisogno di una reale motivazione. Ma nessun essere umano può essere arrabbiato sempre, e lui non faceva eccezione.
Ad esempio, quel giorno, quello del suo compleanno, il primo marzo, era semplicemente euforico, seduto sul sedile del passeggiero accanto a suo nonno, diretto all’aeroporto per andare a prendere Otabek.
Normalmente, con gran disperazione di chiunque, sarebbe stato svaccato sul sedile con le gambe poggiate sul cruscotto intento ad aggiornare Instagram o simili, invece, quel giorno era seduto composto o, meglio, saltava sul sedile assillando il povero nonno su quanto fosse felice di rivedere il suo amico, su quanto gli fosse mancato, su come non fosse la stessa cosa vedersi su Skype…
Tanti genitori, dopo mezz’ora così si sarebbero esauriti e avrebbero sbottato, invece Nikolai, che si considerava genitore del ragazzo a tutti gli effetti, sorrideva, ascoltando il suo Yurochka e annuendo di tanto in tanto per dare a intendere che ancora lo seguiva, mentre guidava per le tranquille strade di San Pietroburgo, visto l’orario quantomeno “mattiniero”.
Arrivati in aeroporto parcheggiò l’auto, scendendo poi per seguire il neo-sedicenne che, presagli la mano, se lo tirava dietro ripetendo per forse la centesima volta di come il programma di Otabek al il gran Prix fosse stato meritevole almeno del terzo posto, di come fosse in qualche modo dispiaciuto che non avesse potuto imbarcare la moto e di come anche a lui sarebbe piaciuta una moto simile, senza minimamente curarsi del fatto che non avesse la patente.
Non appena raggiunsero il tabellone degli arrivi, il pattinatore alzò la testa in su, controllando scrupolosamente gli orari di atterraggio e concedendo al nonno una pausa caffè al bar, cosicché si potesse svegliare definitivamente in attesa del tanto atteso amico, il cui volo avrebbe dovuto atterrare di lì a un quarto d’ora.
Per quanto tener testa ad un adolescente fosse impegnativo, Nikolai ci riusciva piuttosto bene, solo le energie non erano più quelle di quando aveva 40 anni, i 73 si facevano sentire, e alzarsi alle 5:20 per fare da autista era piuttosto faticoso, per cui fu piuttosto grato al nipote quando questi rimase al gate in attesa, lasciandolo tranquillo a riposare le stanche membra.




Quel giorno Yuri, come ogni adolescente, era felice per il suo compleanno, e non tanto per i regali né per il diventare grande in sé, semplicemente era felice, senza un motivo preciso. D’altronde, mica occorre un motivo per essere felici. Ma se proprio preferivano poteva sempre mettersi a calciare porte e sbraitare alla foggia di Yakov, eh.
E invece quando vide la figura alta e slanciata di Otabek apparire con un borsone in spalla ed un trolley al seguito, si mise a correre facendosi largo tra gli altri passeggeri e, senza sapere come, quando o perché, si ritrovò abbracciato a koala ad Otabek, sentendo il tonfo del trolley che cadeva e il kazako indietreggiare alzando le braccia ad avvolgergli la vita nel tentativo di mantenere l’equilibrio.
Resosi conto di quello che aveva appena fatto, divenne bordeaux, e svolse le gambe dal busto di Otabek per farsi riappoggiare a terra, chinandosi a prendere il manico del trolley per dare una mano all’amico e, quando iniziarono a muoversi, si tenne sempre davanti a lui per nascondere il rossore che gli colorava le guance, senza far caso al medesimo rossore che campeggiava sul viso di Otabek.
– Com’è andato il volo? Sarai stanco: non avrai nemmeno dormito per prendere il primo volo. Vuoi qualcosa al bar? –
– Sono a posto, grazie. –
– Mh, bene. Allora andiamo a prendere mio nonno al bar, lasciamo le valigie a casa e poi ti faccio fare un giro veloce della zona visto che starai qui una settimana, va bene? –
Otabek annuì, e la conversazione si chiuse lì.




Il primo incontro con Nikolai fu tranquillo: il vecchio russo si sforzava di esprimersi in uno stentato inglese e Otabek a sorpresa gli rispose in russo, non impeccabile forse, ma perfettamente comprensibile. Così, fra le basiche conoscenze di russo del ragazzo e le impeccabili traduzioni del festeggiato, il viaggio in macchina fu all’insegna della convivialità.
Arrivati di fronte al cancello di casa Plisetsky, il nonno mise le chiavi in mano a Yuri, lasciandoli scendere, e con rinnovata energia il biondo saltò giù dall’auto correndo verso la porta con il borsone di Otabek in spalla, esaltato per la settimana che lo attendeva e per la cena a base di pirotzky che Nikolai gli aveva promesso.
Così, assuefatto dall’entusiasmo che non gli permise di accorgersi delle macchine parcheggiate nella via, quando aprì la porta, rimase traumatizzato da un gran numero di fischi che gli trapanarono le orecchie.
– С днем рождения Юрий!* –
Aprendo lentamente gli occhi, chiusi come reazione al rumore improvviso, trovò il soggiorno di casa invaso – sì, invaso – da Yakov, Lilia, Georgi, Mila, Viktor e il suo dannato omonimo, per un motivo non meglio specificato, ma che di certo non contribuì al suo buon umore.
– Yuriooooooooo!!! Buon compleanno! –
Con agilità scartò lateralmente l’abbraccio di Viktor, facendolo sprofondare nella neve sul vialetto, entrando in casa e spogliando la giacca per poi poggiare a lato dell’appendiabiti i bagagli e, solo dopo aver fatto entrare Otabek e chiuso la porta, indifferente alle proteste di Viktor rimasto chiuso fuori, alzò gli occhi sulla comitiva.
– Yakov, che è sta troiata? – Chiese con tono glaciale indicando i festoni colorati, i palloncini, le decorazioni varie e i cappellini di carta che tutti indossavano, incenerendo in particolare Lilia che teneva in braccio Potya e che mostrava di non disdegnare affatto le attenzioni dell’ex ballerina.
– Abbiamo pensato che una festa ti avrebbe fatto piacere. – tentò di approcciarlo Yuuri, nel tentativo di calmarlo, ma soprattutto di aggirarlo per aprire la porta a cui Viktor continuava a bussare, probabilmente prossimo all’ibernazione, a causa dello spiacevole “incidente” che lo aveva visto rimanere chiuso fuori senza giacca.
– Indovina un po’ invece? Non vi volevo affatto qui. Ora, fuori! – Disse girandosi bruscamente e aprendo la porta con un repentino scatto, tirandola sul naso a Viktor, senza alcuna remora.
Tuttavia, mentre tamburellava le dita sulla maniglia, impaziente che la comitiva levasse le tende, Nikolai ebbe la bella idea di fare la sua comparsa, scavalcando Viktor impegnato a rotolarsi a terra per il dolore con le mani sul naso, con uno Yuuri sconvolto al suo fianco intento a cercare d’assicurasi che non fosse rotto.
– Oh Yurotchka, vedo che gli invitati ci sono già tutti, perfetto. Che ne dici di farli accomodare? –
Dopo quelle parole, se prima il pattinatore covava una gelida ira, ora, se non fosse stato per Otabek, si sarebbe strozzato con la sua stessa saliva.
– Li hai invitati tu? – Chiese fra un colpo di tosse e l’altro, rischiando un prematuro infarto nel vedere l’uomo annuire e infilarsi uno degli orridi cappellini di carta, per poi passarne uno pure a Otabek –Quando mi ricapiterà di festeggiare i 16 anni di mio nipote? –




Dopo un primo momento, equivalente in questo caso a circa tre quarti d’ora, in cui Yuri aveva vagato per la sua stessa casa come un estraneo, guardando Yakov e suo nonno parlare di vini, Lilia seduta con Potya in grembo manco la gatta avesse deciso di farsi adottare, Mila parlare ora con questo ora con quello o sbavare dietro a Potya -e qui in effetti un po’ la capiva, Potya era effettivamente la più celestiale delle creature- Viktor parlare con polpetta di riso e polpetta di riso limonare con Viktor, senza aver più visto Georgi, che suppose fosse a fare da tappezzeria da qualche parte, e con sempre Otabek al suo fianco…… oh beh, il punto è che gli tornò il buon umore! Circa. Diciamo che tornò il solito.
– Ehi, vetusto! – Chiamò Viktor, che lo guardò con diffidenza, ancora offeso per l’accoglienza subita – Visto che avete deciso di spararvi ottomila chilometri per venire, che ne dici di darmi il mio regalo? –
Con espressione da bambino permaloso Viktor guardò altrove, incurante dell’ammonimento del suo compagno – Non ti ho portato nulla. Già ho sbagliato a fare un viaggio simile per un ingrato come te, figuriamoci se… –
Non terminò la frase, perché Yuri, con la solita finezza ed eleganza lo mandò al diavolo in modo colorito facendogli notare che era un “barbone incapace di attendere ai suoi doveri sociali” per poi andarsene a parlare con Yakov, commentando alacremente come di fronte ai suoi miglioramenti sul ghiaccio presto tutta la Russia si sarebbe dimenticata di Viktor, con un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire da questo.
– Beh se vuoi i regali è presto fatto, tutti in cucina! Georgi, smetti di fare da tappezzeria e vai a prendere le cose in macchina. – Gli ordinò Mila, allontanandosi dal bracciolo della poltrona dove Lilia sedeva con Potya. Obbediente, Georgi interruppe le sue attività di mimetismo e prese le chiavi della propria auto e di quella noleggiata da Viktor, mentre Yuri, prima di raggiungere gli invitati-in-attesa-di-giudizio-basato-sul-regalo in cucina, praticamente si tuffò su Lilya e le portò via di peso Potya, mettendosela sulle spalle come sciarpa e afferrandole subito le zampe prima che gli impiantasse le unghie nelle spalle in modo permanente. Vestirsi sarebbe diventato piuttosto complicato e gli sarebbe venuta la gobba in breve tempo; meglio evitare.
– Forza Georgi, muoviti! Voglio i miei regali e la torta! Perché sappiate che se qualcuno non ha portato almeno una torta gigante, di quelle con due o tre piani vi sbatto fuori tutti! Per festeggiare i 16 anni e la mia prossima vittoria merito questo ed altro! –
Georgi non si diede nemmeno pena di rispondergli, limitandosi a passare un sacchetto sul punto di esplodere e dal peso apparentemente pachidermico a Mila e un voluminoso pacco a Yuuri, visto che Viktor ritrasse le mani nel suo ostinato sdegno.
– Bene Yurio – Cominciò Mila guadagnandosi un’occhiataccia da record – Questo è da parte mia e del musone. – disse indicando Georgi, e poi mise il sacchetto sul tavolo, sollevandolo a due mani con fatica.
Col tempo Yuri aveva imparato a diffidare di Georgi, non perché fosse cattivo, solo troppo introverso, mentre Mila era al contrario fin troppo estroversa, per cui sbirciò nel sacchetto con circospezione, per poi infiammarsi d’entusiasmo in nemmeno un secondo. Fra tutti i vestiti a tema o motivo in qualche modo felino, in particolare di fronte ad una felpa con il retro completamente nero ed il davanti leopardato, con cappuccio con orecchie da gatto praticamente si sciolse, quasi strappandosi di dosso la felpa della nazionale russa, lanciandola da qualche parte, e indossando repentinamente il nuovo capo maculato.
– Te l’avevo detto Georgi, che sarebbe valsa la pena di accompagnarmi. – Commentò Mila guardando il festeggiato correre su per le scale alla ricerca di uno specchio.
– Più che scegliere il regalo per Yuri volevi fare shopping e mi hai portato con te perché ti facessi da tassista e portaborse. – Replicò atono ricordando la giornata, in cui quella peste appena diciottenne lo aveva trascinato per tutto il centro commerciale usandolo come facchino.
– Quello è un dettaglio insignificante. – Rispose a sua volta la ragazza, dandogli un pizzicotto sul braccio, e fosse stato per lei lo avrebbe punzecchiato per la successiva mezz’ora se Yuri non fosse ripiombato in cucina con la violenza di un uragano, investendo Lilia con malagrazia e allungando le mani in attesa dei successivi regali.




Per farla breve, ricevette soldi da Lilia, che senza imbarazzo alcuno dichiarò di “non aver avuto tempo e voglia di capire cosa gli potesse interessare”, e anche da Yakov, più l’autorizzazione di saltare ben tre giorni d’allenamento (due togliendo quello corrente) per mostrare a Otabek la città, mentre Nikolai dimostrò la grande conoscenza dei desideri del ragazzo, dandogli il permesso di prendere un secondo gatto e regalandogli numerosi completini per animali, con cui di sicuro in seguito Yuri si sarebbe divertito ad assillare Potya.
Viktor, con la consueta eccessiva generosità, o meglio mancanza di criterio e limite, decise di rifornire il suo pupillo con una PS5, ancora non fruibile sul mercato, e poiché la sola TV di casa, un modello vecchio ancora a tubo catodico, non era in grado di reggere la console, pensò bene di allegarvi un televisore da una quarantina buona di pollici, affibbiando su due piedi a Georgi il compito d’installarla. Se in un primo istante a Yuri quasi cadde la mascella alla vista di tanta opulenza, tempo un secondo per ricordarsi di essere Yuri Plisetsky, Teppista russo, e assunse una vaga aria di sufficienza e disinteresse, con gli occhi che ancora brillavano a tradimento delle parole cariche di arroganza che nonostante tutto si premurò di rivolgere a Viktor. Se solo fosse riuscito a mantenere quel contegno anziché, proprio all’ultimo, farsi scappare quel “grazie” carico di commozione….
E l’ultimo fu Otabek, che con atteggiamento timido ed impacciato che poco gli si confaceva allungò a Yuri una minuscola scatolina di cartone dal colore neutro con scritto sopra un laconico buon compleanno. Il giovane russo guardò con grande curiosità il minuscolo pacchetto, aprendolo esaltato e capovolgendolo per vedersi cadere in mano un ciondolo, una sorta di simbolo dello Ying e lo Yang formato da due gatti, che ad un’occhiata più attenta si rivelò essere smontabile.
Con occhi estasiati guardò le immagini dei due piccoli felini, passandoci sopra un dito con devozione e provando a separarli con cautela.
– Mi dispiace, è poca roba, però… –
– Lo adoro, Otabek. È splendido. – Lo interruppe il festeggiato, appoggiando la catenina col felino bianco sul tavolo, per avvicinarsi all’amico e allacciargli il ciondolo nero.
– Così ti ricorderai sempre di questa vacanza. – Disse con uno smagliante sorriso, le mani poggiate sulle sue spalle, girandosi poi e pretendendo che tirassero fuori la famosa torta a più piani.
Perché in fondo lo sapevano tutti, il loro Yurio era fatto così, era scostante, spesso arrogante, dispotico e violento, ma non per questo incapace di numerose premure e anaffettivo. Solo, aveva un modo tutto suo di dimostrare i propri sentimenti, e le persone che lo conoscevano, dopo il primo impatto, non potevano che amare quel Teppista russo.







 

с днем ​​рождения

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Capitolo 4
*** Phichit Chulanont ***


Phichit Chulanont: Può essere un bel compleanno anche se lo passi da solo!

21 anni,
30 aprile
(giovedì)

Per alcuni l’odio è un sentimento negativo, per altri è un motore che spinge a muoversi.
Per Phichit, ad essere vera era la seconda: odiava la sveglia, quindi istintivamente allungava il braccio fuori dalle coperte e scorreva un dito sullo schermo del cellulare a zittirla.
Non faceva mai a tempo a risistemare comodamente il capo sul cuscino che quella ripartiva a suonare.
Nelle giornate belle, quelle in cui vedeva arcobaleni ed unicorni ovunque, di norma ne occorrevano tre, in quelli in cui era di cattivo umore il doppio o anche il triplo, quando era stanco dormiva nonostante i rumori.
Quel giorno, nonostante fosse stanco e non particolarmente entusiasta, si svegliò dopo due.
Trascinò pigramente i piedi giù dal letto, preparandosi per prima cosa un caffè, elemento determinante per il suo buon umore, e sentendo la bevanda abbondantemente zuccherata riscaldargli la gola la sua fiducia nella vita e la sua spensierata allegria iniziarono a tornare.
Fuori il sole splendeva, i suoi criceti erano impegnati a rincorrersi, aveva valanghe di messaggi ad attenderlo su Instagram, e soprattutto, era il suo compleanno.




Attaccato ad uno dei pali, Phichit faceva del suo meglio per non farsi spappolare dalla quantità di pendolari stipati sul pullman che con rassegnazione si dirigevano al lavoro, mentre lui stringeva fra le gambe uno zaino e scorreva la bacheca di Instagram con gli auricolari nelle orecchie.
Scorse velocemente i commenti, tutti di auguri, dando una risposta generale e appoggiando la guancia al palo, incurante della ragazzina che lo guardò schifata.
Mica lo lecco eh!
Ignorò la ragazza, guardando le cime dei palazzi oltre le spalle dei pendolari, pensando a ciò che l’aspettava.
Allenarsi il giorno del proprio compleanno era ritenuta da molti atleti, lui compreso, una sorta di crimine, per cui, con la piena approvazione di Celestino, s’era preso un giorno di ferie ed aveva deciso di visitare Detroit una volta per tutte.
Dire che non l’avesse mai fatto era strano forse, dato che viveva lì da un paio d’anni, e in pochi ci avrebbero creduto visto che il suo profilo Instagram pullulava di selfie con questa o quella famosa attrazione di Detroit.
Ma la verità era che non l’aveva mai fatto, perché farsi una foto di fronte a un palazzo o mentre imiti una statua non significa visitare.
In tutti quegli anni aveva fatto poco più di ciò che fanno molti studenti in gita scolastica: andava in luoghi consigliati dalle guide turistiche o dall’opinione comune, dava una rapida occhiata e annuiva condividendo l’opinione generale, già proiettato verso la prossima meta o troppo immerso nei discorsi con i compagni anche per abbozzare.
Invece quel giorno, con calma, si sarebbe spostato a piedi per il centro, soffermandosi a guardare qualunque cosa lo avesse interessato nel suo peregrinare senza meta, non tanto per fare foto, ma per osservare la città in cui viveva.
Poi sarebbe tornato a casa e avrebbe dato da mangiare ai criceti.




A voler essere ottimisti, aveva fatto una cinquantina di chilometri.
Aveva camminato tutto il giorno, a passo tranquillo e rilassato, visitando un paio di musei e numerose chiese, ammirando le spiagge e godendosi brevemente il fresco riparo offerto dagli alberi di un parco incontrato lungo la via: non avrebbe saputo indicare il luogo di uno solo dei luoghi che aveva visitato, eppure non se ne dispiaceva.
Se avesse voluto tornarci, in fondo, avrebbe solo dovuto scendere ancora in città.
Stanco ma piuttosto soddisfatto si accasciò sui sedili a gambe larghe.
-Giornata dura?- domandò il tassista, un uomo tarchiato di mezza età. Aveva una voce profonda, che pure legava piuttosto bene con il tono vagamente canzonatorio usato per porgli la domanda e un viso non esattamente rasserenante, in contrasto con dei sagaci occhi grigi.
-Non immagina quanto.- rispose sorridente, senza lanciarsi in dettagli non tanto perché non ne avesse voglia, quanto piuttosto per non rischiare di distrarre l’uomo dalla guida.
-Eppure mi sembra piuttosto soddisfatto.- constatò l’altro guardandolo attraverso lo specchietto centrale, senza per questo distrarsi dalla strada, e Phichit stabilì che a pelle l’uomo gli piaceva, per cui decise di esporgli la sua giornata.
-Sembra l’ascesi attraverso l’arte di Schopenhauer.- commentò a un certo punto l’uomo, fermo ad un semaforo in prossimità della sua ultima destinazione della giornata, l’unica programmata fin dal mattino.
Phichit aggrottò le sopracciglia a quel commento e l’uomo scoppiò a ridere, di una risata profonda e piena.
-Non conosce Schopenhauer deduco. Per fargliela breve, era un filosofo tedesco della metà del 1800. Secondo il suo punto di vista il mondo intero era governato dalla Volontà, un essere cieco che spinge le persone a- e qui l’uomo lasciò volutamente la frase in sospeso, girando a destra al semaforo divenuto verde -Per lui l’uomo viveva illudendosi che il mondo fosse governato da leggi fisiche e così via per non accettare di essere sottomesso a questa forza invisibile, e in pratica c’erano solo tre modi per fuggire a questa forza, ossia arte, empatia e indolenza.-
-Non sto a spiegarle empatia e indolenza, ma nella contemplazione disinteressata dell’arte per lui non c’era volontà di, per cui era un modo di fuggire a questa forza. Ricorda un po’ ciò che lei ha fatto oggi: non l’ha fatto per poter dire che, ma solo per il gusto di osservare.-
Il pattinatore guardò l’uomo stupefatto: da dove spuntava fuori? Da quando insieme alle corse erano incluse le lezioni di filosofia?
-Wow, ma lei come lo conosce?-
Di nuovo la profonda risata dell’uomo si espanse nell’abitacolo e Phichit, proteso ora in avanti per poter vedere meglio il suo interlocutore, sorrise di rimando.
-Leggo, giovanotto, leggo.- rispose accostando e facendo aprire le portiere. -Siamo arrivati, comunque, fanno 15 dollari per la corsa.-
Il pattinatore estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, allungando una banconota da venti al tassista -È stata la corsa più divertente che io abbia mai fatto.- disse a mo’ di ringraziamento, e l’uomo gli sorrise canzonatorio -Non otterrai lo sconto coi complimenti, giovanotto. Ora sparisci, smetti di pensare a Schopenhauer e gustati la partita.-
E con queste parole se ne andò, alla ricerca del prossimo cliente, lasciando Phichit di fronte al Comerica Park.
Decisamente volenteroso di vedere la partita.



Uno degli argomenti più diffusi all’interno del campus, come Phichit aveva scoperto appena trasferitosi, era lo sport: c’era chi preferiva il baseball, chi non si perdeva una sola partita di basket e chi letteralmente impazziva per il rugby.
Lui, logicamente, amava il pattinaggio.
Ma al di là del suo sport preferito, che passava inosservato dai più, doveva ammettere che apprezzava la concezione dello sport in America, perché anche se alle volte i tifosi erano un po’ estremisti, almeno erano sport di squadra, a differenza del muay thai o del badminton.
Vedere tutta quella gente riunita allo stadio doveva essere una cosa veramente elettrizzante, da sportivo lo sapeva bene, e pure come pubblico lo esaltava.
Ecco, finché il suo vicino, un ragazzetto di 16 anni scarsi, alto due volte lui, non cercava di dargli una gomitata scattando in piedi per una buona battuta di Christin Stewart, magari.
Quello scoordinatissimo impiastro del suo vicino lo aveva portato a cambiare bandiera e tifare i Dodgers dopo nemmeno due innings, giusto per vendicarsi. Magari non era maturo, ma era divertente, e fra l’altro stava tifando la squadra che sembrava più promettente.
-Ehi Phichit!- urlò una voce al suo fianco, arrivandogli alle orecchie comunque non molto più alta del boato della folla. -Sai di meritare l’espulsione dal paese, vero?-
Sorrise. Jason di certo non era Yuuri, non erano dei così buoni amici, ma quando il ragazzo gli aveva proposto di andare a vedere una partita per festeggiare il suo compleanno aveva accettato volentieri. Sarebbe stato divertente, magari avrebbero legato, aveva pensato. Poi arrivato allo stadio aveva scoperto che c’era pure Jessica e aveva quindi capito di essere poco più che un ologramma, ma quello poco contava.
-Porta pazienza ancora un po’, il mio visto scade fra tre mesi, poi mi potrai imbarcare sul primo aereo.-
-Torni a casa?-
Annuì -Passo l’estate con i miei.-
La discussione si chiuse, e Jason tornò subito a concentrarsi sulla fidanzata, del tutto dimentico di lui. E forse avrebbe avuto tutti i diritti di sentirsi offeso o trascurato, ma non lo era.
Perché avrebbe dovuto, solo perché un suo compagno di corso non gli regalava la sua completa attenzione? Salvo il fatto che in quel momento erano appena entrati in pausa, lui si stava divertendo a guardare la partita, non aveva la necessità di parlare con la coppia, tutt’al più gli avrebbe fatto comodo un passaggio per tornare a casa.
Aprì lo zaino ai suoi piedi, tirando fuori una bottiglia di Coca Cola sgasata come non mai, bevendo a canna e passandola ai ragazzi al suo fianco, e proprio nel girare il tappo per chiuderla sentì il telefono vibrare nella tasca dei pantaloni.
-Pronto?- chiese accettando la chiamata, senza nemmeno guardare chi fosse, concentrato sul suo vicino che si stava mangiando da solo un pacchetto di pop corn per tre persone. Beata adolescenza, ma poi sfido che diventano tutti grassi.
-Phichit, scusa per il ritardo, buon compleanno!-
Essendo l’intervallo qualcosa si sentiva, ma mica troppo, eppure quel poco bastò.
-Yuuri!- rispose contento, appoggiando la bottiglia sul suo sedile e alzandosi per andare in bagno, o quantomeno in un luogo in cui si potesse capire qualcosa senza bisogno di urlare.
-Mi dispiace, non me ne sono dimenticato, ma con i fuso-orari e tutto non è facile e-
-Non dire scemenze, come stai?-
Non aveva dubitato di Yuuri, ma proprio non aveva pensato alla possibilità che lo chiamasse, perché uno, le chiamate internazionali costavano un rene, due, con tutte quelle ore di fuso orario era veramente difficile organizzarsi e tre, sapeva che l’amico era molto impegnato.
-Bene, ma dovrei chiederlo io a te, sei tu che festeggi. Dimmi, cos’è il rumore che sento, stai festeggiando in grande in qualche locale?-
Ghignò, raccontando a Yuuri tutta la sua giornata, attardandosi anche un paio di minuti dopo il fischio d’inizio dell’ottavo inning, perché si era assolutamente divertito quel giorno, a festeggiare in tranquilla solitudine, però condividere con un amico restava una delle cose che più preferiva.
Forse persino ai social.







 
สุขสันต์วันเกิด

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Capitolo 5
*** Seung-gil Lee ***


Seung-gil Lee: Grazie a tutti, ma adesso basta!

21 anni,
06 giugno
(sabato)

A essere sinceri, Seun-gil non aveva mai dato una grande importanza ai compleanni: per come la vedeva lui, erano solo la commemorazione della nascita di una nuova persona, e ok, ma questo quale valore aveva?
No, non era uno di quei depressi cronici che interpretavano il compleanno come una celebrazione del proprio avvicinamento alla morte, però gli davano noia le eccessive manifestazioni di sentimenti. Che bisogno c’era di schiamazzare, sparare coriandoli, spender soldi per decorazioni o che? Un compleanno era solo un compleanno, c’erano cose che aveva senso festeggiare, date che era importante ricordare, ma perché i compleanni?
Almeno su quel fronte in generale gli era andata abbastanza bene, col fatto che il suo compleanno cadeva lo stesso giorno di una festività nazionale*, molta gente finiva per non pensarci, dimenticandosene e risparmiandogli dei pacchiani quanto falsi gesti d’amicizia e auguri di buon compleanno.
Rotolandosi su un fianco per guardare il muro si domandò se era proprio necessario alzarsi. In quanto studente-atleta era abituato al duro lavoro, e non era certo l’alzarsi alle 7:30 del sabato mattina a pesargli, ma visto che quel giorno Min-so Park non gli aveva fissato allenamenti e non aveva lezioni, avrebbe potuto benissimo dormire un altro po’ e la cosa certo non gli sarebbe dispiaciuta.
Se non che aveva un compagno di stanza, che era l’incarnazione di ciò che più odiava in quelle circostanze.
- Auguri Seung-gil! - urlò infatti il ragazzo appena notò che era sveglio, praticamente saltandogli addosso.
Ma fra le migliaia di studenti garbati e a modo che vivano in quel campus, proprio a lui doveva capitare quel malefico mostro espansivo di Daehan?
Ringraziò con garbo, sprimacciando il cuscino e rituffandocisi sopra: finché il compagno fosse stato in giro non si sarebbe mosso di un millimetro dal suo letto per non rischiare di finire coinvolto in chissà quale dei giri della città che l’altro organizzava sempre nei week end.
Peccato che la cosa non bastò.
- Ma intendi dormire tutto il giorno? No perché sai -
Senza curarsi di interromperlo si premurò di rispondergli che sì, l’idea non era tanto male, ma Daehan, per nulla scoraggiato, ripartì subito a parlare, sproloquiando su come quel giorno avesse organizzato delle mirabolanti attività con Sooin, Seoil e un altro paio di cavallette che fra una cosa e l’altro si era ritrovato spesso in giro per camera.
- Ti conoscono tutti e gli piaci, gli farebbe piacere. -
Non commentò come la cosa non lo rallegrasse certo e tentò per dieci minuti buoni di levarselo di dosso con una qualsiasi scusa, ma alla fine rinunciò, ripromettendosi di trovare entro mezzogiorno una scusa valida per poterli abbandonare a loro stessi, con la speranza che un pullman li investisse.
La giornata, anche volendo togliere il mesto risveglio, iniziò male, con Daehan che riteneva indispensabile informare chiunque incontrassero per i corridoi che “ehi, era il compleanno del suo amico!”, con una certa disperazione sua, al punto che ormai aveva preso a ringraziare meccanicamente staccando il senso dell’udito.
E pultroppo non fu solo per i corridoi del campus, anche quando raggiunsero il gruppo in stazione fu la stessa identica pantomima, e così quando entrarono in un caffè. Alla fine esplose.
-Grazie, grazie a tutti, ma adesso basta! È mai possibile fare scene simili per una minuzia simile? No, non provare a rispondere Daehan, o non ti dico che fine faranno i tuoi amatissimi poster e tutte la action figure. Sì, è il mio compleanno, no, non m’interessa che lo sappia tutta la maledetta Corea!-
E con fare stizzito se ne andò.
Perché no, non riteneva di vitale importanza festeggiare il proprio compleanno, ma neppure aveva mai detto che per questo voleva sottoporsi alla purga.








 
생일 축하해




* non so pressoché nulla sulla Corea, ma non a detta di internet è festa nazionale, e io mi fido di Internet
http://www.corea.it/ricorrenze.htm

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Capitolo 6
*** Emil Nekola ***


Emil Nekola: Amici stupidi e divertenti, ma irrimediabilmente stronzi

19 anni,
08 luglio
(mercoledì)

-Auguri socio!-
-Cos?-
Qualcosa, o meglio qualcuno, gli prese un polso e lo strattonò con una violenza tale che cadde dal letto, dando una gran gomitata al pavimento e non di meno picchiando il fianco.
A farsi male era abituato a furia di cadute sul ghiaccio, però un conto era farsi del male, un altro era qualcuno che ti sbatteva sul pavimento.
-Tomas, non potevi ricorrere ad una secchiata d’acqua gelida piuttosto?- borbottò a mezza voce stropicciandosi gli occhi e guardando la sveglia a proiezione con gli occhi ancora socchiusi e cisposi -Sono le quattro-
-Oh hai bisogno del sonno di bellezza principessa? Muovi il culo, alzati!- di nuovo un paio di mani lo prese per un polso, tirandolo su questa volta.
-Si può sapere come siete entrati?- chiese raddrizzandosi e sbadigliando, mettendo per la prima volta a fuoco nella penombra i visi di Tomas e Vladislav.
I due ragazzi scrollarono le spalle. -Abbiamo chiesto le chiavi ai tuoi genitori.-
-Tua madre non voleva che tu passassi il compleanno da solo, quindi ce le ha date subito-
Tipico di Lenka, in effetti.
-Ed era necessario svegliarmi in piena notte?- chiese per cercare (vanamente, già lo sapeva) di far sentire in colpa quei due mostri che erano i suoi migliori amici.
E infatti -Oh piantala, tieni chiusa la checca che è in te, di là ci sono le birre e la play è accesa, muoviti!- ribattè prontamente Vladislav dandogli una pacca sul culo che lo fece praticamente cadere per la seconda volta in nemmeno cinque minuti, motivo per cui rinunciò ad opporsi.
Si era già rotto il naso una volta in occasione di una festa di compleanno, preferiva non ripetere, se possibile.



-Emil, hai mai pensato di tagliare le unghie a Snart?-
Inarcò un sopracciglio, senza staccare gli occhi dallo schermo e muovendo le mani come una sorta di velociraptor spastico per seguire la canzone. -No, perché dovrei?-
-Il tuo malefico furetto mi ha graffiato.-
-E tu perchè hai infilato le mani nella sua gabbia?- chiese piegando la schiena e mettendosi a novanta come la canzone richiedeva, valutando come probabilmente lo avrebbero sfottuto per quello.
Alle volte, per quanto sapeva che scherzavano, si pentiva di avergli detto di essere gay.
-Non ho infilato le mani nella gabbia, visto che voleva uscire gli ho aperto lo sportello, e lui per prima cosa mi ha morso, poi quando ho provato a prenderlo mi ha graffiato. Certo che hai proprio un furetto stronzo.-
-Per me gli hai fatto qualcosa, a me non morde.- lo difese, guardando il punteggio che dichiarava la sua netta vittoria e sfottendo Tomas. Una vittoria va celebrata.
-Dov’è adesso?- chiese girandosi dopo un attimo verso Vladislav che aveva preso una spremuta dal frigo e stava molto elegantemente bevendo a canna.
-Non lo so, penso in camera tua.- rispose grattandosi una natica dimostrando la parentela dell’uomo con la scimmia.
-Tu hai lasciato un furetto, maschio, giovane in una stanza da solo?- chiese per conferma e Vladislav annuì.
-Se piscia in giro pulisci tu.- rispose con indifferenza, girandosi e facendo partire YMCA.
-E se rovina qualcosa me lo ripaghi!- gli urlò dal salotto alla camera dove il ragazzo era corso, tornando con Snart attaccato ad un calzino mentre gli mordeva un piede.
E bravo Snart, aveva più cervello di lui.



-Mi stanno andando gli occhi a puttane, Tomas, pausa.-
-Pausa un cazzo, voglio la rivincita, torna subito qui!-
L’eleganza, quando ce l’hai ce l’hai.
-Sono 6 ore che giochiamo!- protestò Emil, ottenendo la stessa considerazione di uno scarafaggio.
-La pizza non è ancora arrivata, fino ad allora rimetti il culo qui e riprendi quel joystick!-
Anzi, forse lo scarafaggio ne otteneva di più.
-D’improvviso capisco perchè porti gli occhiali.- borbottò sedendosi sul divano e raccogliendo il joystick.
Se intendevano veramente fermarsi finché i suoi genitori non fossero tornati, sarebbe stata una settimana molto lunga, e decisamente molto alcolica.



-Emil, ma lo sapevi che Snart adora la pizza?-
Si alzò di scatto dal divano dove stava pacificamente riposando, approfittando del fatto che Tomas fosse uscito per andare a comprarsi le sigarette.
Aveva sempre sostenuto che Vladislav fosse scemo, ma non sapeva che fosse anche masochista, ed invece il ragazzo dopo il primo momento si era affezionato all’animale e ora pareva divertirsi a provocarlo, incurante dei morsi. Il loro cervello doveva davvero avere le stesse dimensioni.
-Vladislav ti prego, dimmi che non hai dato della pizza al furetto.-
-Non ho dato della pizza al furetto.- rispose il ragazzo scrollando le spalle indifferente, ed Emil imprecò.
-Cosa cazzo ti passa per la testa? Per un furetto la pizza è velenosa, se sta male che cazzo facciamo?-
-Non lo sapevo Emil, rilassati, gliene ho dato giusto un pezzetto, mica un po’ di pizza lo ammazza.-
-Mica lo ammazza, mica lo ammazza?!- forse la pizza non avrebbe ammazzato Snart, ma di sicuro Emil Nekola avrebbe ammazzato Vladislav Pavel Novotna -Se sta male poi tocca a me portarlo dal veterinario, porco cane!-
-Senti adesso non esagerare. Va bene insultare tutto ma-
-Vladislav, quanto era durato il tuo ultimo gatto?- chiese a bruciapelo, e il ragazzo scrollò le spalle -Penso due o tre mesi, non ricordo bene.-
Emil sospirò: poteva arrabbiarsi finchè voleva, ma pultroppo gli amici se li era scelti lui, e non c’era il diritto di reso.



Verso le quattro di pomeriggio le cose si erano un po’ acquietate, avevano “tranquillamente” giocato a Mario Kart e improvvisato una partita a nascondino nel cortile, perché non sempre i diciannovenni sulla carta hanno un cervello.
E poi Emil aveva avuto la pessima, pessima idea di andare in bagno.
-È una canna quella?- chiese entrando in salotto, vedendo i suoi amici seduti al tavolo intenti a fabbricare una rudimentale sigaretta.
-Vuoi un tiro?-
Quasi gli cadde la mascella. -Ma mi state prendendo per il culo?-
Tomas lo guardò inarcando un sopracciglio, Vladislav neanche staccò gli occhi dall’erba, concentrato.
-Ma siete fuori? Come spiego l’odore ai miei?-
-Non tornano prima di una settimana, lava un attimo le tende, spruzza un pizzico di deodorante per ambiente e non lo noteranno.- rispose Vladislav con pragmatismo, leccando una cartina per dare la forma cilindrica allo spinello. Ritrovò la capacità di muoversi solo dopo che il ragazzo si fu portato la canna alle labbra, prima che l’accendesse.
-Fumatela fuori di qui.- ringhiò minaccioso strappandogliela dalle labbra e guardandola con schifo.
-Emil non rompere, passa.-
Spostò lo sguardo su Tomas -Voi fumate pure, ma fatelo lontano da me, non ho intenzione di finire escluso dalle gare per colpa vostra. Fuori!-



Amava casa sua. Era solo un appartamento in centro, un po’ piccolo per tre persone, fra l’altro, ma era accogliente. Quando si erano trasferiti lì sua madre aveva comprato delle latte di vernice colorata, mettendo a frutto il suo diploma all’artistico per decorare le pareti con alcuni disegni. Nell’ingresso, partendo dallo stipite della porta, c’era mezzo alberello con dei passerotti sui rami, sul pavimento vicino alla TV un minuscolo praticello con una cucciolo di volpe e in camera sua aveva insistito per decorare un’intera parete con un villaggio coperto di neve.
Quando era piccolo l’aveva detestato, perché come tutti i bambini aveva fretta di crescere e la riteneva una cosa infantile, ma ora che aveva realizzato che “gli adulti” non devono necessariamente anche essere maturi le amava.
-Tomas, allontana quel pennarello da lì, se rovini quella volpe ti faccio ingoiare le palle.-
E non avrebbe permesso a nessuno di rovinare Mister Fox.



Il professor Zeyer quando entrava in classe, diceva sempre che erano un branco di babbuini e che se solo nella loro classe ci fossero un paio di ragazze libere in più si sarebbero comportati meglio, in una sorta di “rito del corteggiamento”.
Non ci aveva mai creduto granché, ma forse era solo perchè lui prestava attenzione alle lezioni di matematica, benché gli facesse schifo, solo perchè il prof aveva un bel culo, eppure a quanto pareva aveva ragione.
-Tesoro ben arrivata, vuoi qualcosa da bere?-
-Dammi la felpa, te la sistemo io.-
Non gli era ben chiaro quando aveva dato loro il permesso di invitare Jana e Marketa a casa sua, ma quand’anche mise Tomas all’angolo e glielo chiese, il ragazzo non diede una risposta chiara.
-In cinque sarà più divertente su, non fare il cafone, va a fare gli onori di casa!-
-Ma come, questa è casa mia? Non lo sapevo, pensavo foste voi due visto che vi prendete il lusso d’invitare.- soffiò e Tomas gli rise in faccia, prendendolo per il gomito che gli aveva fatto sbattere quella mattina, e che gli faceva un male cane.
Eppure, pur avendo le capacità per ammazzarli, non ci provò neanche, e anzi si comportò da buon padrone di casa, dimostrando che il professor Zeyer aveva veramente ragione: le donne hanno un effetto calmante, perfino per i gay, a quanto pareva.



Le due ragazze avevano portato con sé nuovi argomenti di conversazione e quindi parecchia confusione, ma avevano distratto rispettivi ragazzi, per cui in fondo era una cosa positiva. Avevano perfino smesso di maltrattare Snart.
Lui finalmente aveva un po’ di pace, ma in qualche modo faceva male vedere i suoi amici in compagnia e fare il confronto. Era felice per loro, avevano una sana relazione, ma era un pelo invidioso, tutto qui.
Quando lui aveva provato a baciare la sua crusch questa gli aveva rotto il naso!
Prese la sua tazza e fece per berne un po’ ma come un cretino se ne versò addosso. Corse in camera sua per asciugarsi e cambiarsi, ed ebbe la pessima idea di non bussare.
-Tomas!-
Ora, va bene tutto, non aveva il minimo dubbio sul fatto che Tomas e Vladislav avessero una vita sessuale ben più attiva della sua (non che servisse molto), ma ricordarglielo cercando di scopare sul suo letto era decisamente eccessivo.
-Emil, ma ti pare il modo di entrare?- protestò togliendo le mani dal reggiseno di Jana e incrociando le braccia al petto risentito.
-Ah e così la colpa sarebbe mia? Davvero?- questo era il colmo -Ma tu mi prendi per il culo!-
Tomas raccolse gli occhiali, pulendo le lenti mentre con assoluta calma, come se nulla fosse, Jana si rimetteva la canottiera e lisciava le pieghe -Sei tu che non hai bussato.-
Spalancò la bocca, sconvolto, e poi esplose, senza preavviso -Ma ti rendi conto che stavi per scopare in camera mia? Come cazzo posso essere io il colpevole?-
Alle volte desiderava veramente che Tomas avesse una coscienza, e invece, semplicemente, si alzò e tirò su i pantaloni.
-Almeno te lo collaudavo, se deve aspettare te…-
Alle volte, inoltre, desiderava veramente diventare un eremita.



Alle dieci aveva dovuto far presente ai suoi gentili e affabili ospiti di abbassare i toni prima che i vicini chiamassero la polizia, e ora Tomas ancora lo guardava seccato per aver bloccato i suoi roventi spiriti, mentre Vladislav rollava un paio di canne di scorta e le ragazze erano sparite in camera sua a cercare Snart, che probabilmente le avrebbe morse per averlo svegliato, ma che facessero come volevano.
Lui, per conto suo, era seduto sul divano a sentire il meteo del giorno dopo per capire cosa fare, visto che Vladislav e Tomas avevano deciso di fermarsi da lui e, cosa molto preoccupante, a dire il vero, Jana e Marketa stavano pensando di restare anche per quella notte ed il giorno successivo.
Alla fine sarebbe finita con lui che dormiva sul divano e Tomas, Vladislav, Jana e Marketa si sarebbero litigati camera sua e dei suoi genitori. E così al male al gomito e al mal di testa avrebbe aggiunto il mal di schiena.
E la cosa peggiore era che nonostante tutto, salvo un po’ di episodi, ma si stava divertendo!
Sentì il telefono suonare dalla cucina dove era in carica, per cui andò a prenderlo, uscendo sul terrazzo incurante del freddo della sera, rispondendo a Lenka.
-Ciao mamma.-
-Emil tesoro, come stai?-
Sorrise: una mamma è sempre una mamma, prima di tutto si preoccupa del benessere dei figli.
-Sto bene mamma, Vladislav e Tomas sono venuti a svegliarmi all’alba buttandomi letteralmente giù dal letto, ma sto bene.-
-Ti sei fatto male?- chiese con apprensione, ed Emil sorrise. Era proprio una belle persona sua madre, alta un metro e sessanta scarso, con un visino tondo e dolce, dimostrava almeno 10-15 anni in meno dei suoi 40 anni. Spesso e volentieri quando uscivano insieme li scambiavano per una coppia.
-Sto bene, davvero. Vladislav e Tomas hanno paura che io mi senta solo, per cui hanno deciso di fermarsi finché non tornate, per voi va bene?-
-Ma certo, dagli il nostro letto! Se hai bisogno di fare la spesa o prendere una pizza prendi pure i soldi dalla credenza.-
Scosse il capo, sorridendo divertito. -Sta tranquilla mamma, ce la caveremo.-
-Non ho dubbi tesoro. Divertiti e fa il bravo.-
Annuì -Lo farò mamma.-
Amava quella parola, mamma, perché sapeva di avere la miglior madre che potesse desiderare.
-Eh Emil. Buon compleanno.- concluse, mettendo in vivavoce perché anche Pavel potesse salutare.
Ringraziò, salutando i suoi genitori e tornando dentro, dandosi il cambio con Vladislav e Tomas che uscirono a fumare, lasciando la finestra aperta.
Solo dopo essersi seduto notò una chiamata persa da Sara, e prima che potesse richiamare il telefono riprese a squillare.
-Pronto?- rispose accettando la chiamata, e Sara gli trapanò prontamente i timpani -Auguri Emil! Come stai? Vieni a trovarmi? Così festeggiamo!-
Sorrise, portandosi il telefono all’altro orecchio e massaggiandosi il timpano. -Grazie Sara. Io sto bene, stavo festeggiando con un paio di amici,- -I tuoi migliori amici!- lo corresse Vladislav dal terrazzo, e lui lo ignorò, sebbene la risatina di Sara rivelò che con buona probabilità aveva sentito.
-Voi come ve la cavate?-
-Ah io sto bene, sono un po’ presa a studiare per i prossimi esami, e anche Michele se la cava, anzi, lo vuoi salutare?-
-Emil chi è?-
Ignorò Tomas, mentre Sara lo avvisava che passava il telefono a Michele, e a lui partivano le farfalle, coma ad un adolescente alla prima cotta.
-Pronto?-
-Ciao Michele.-
-Ah sono i Crispino?- ma quei due non potevano fumare in pace ed in silenzio?
-Auguri.- disse Michele senza eccessivo entusiasmo e Emil sorrise, strofinandosi il naso.
-Grazie, come va?- dopo la festa di compleanno di Chris avevano “chiarito”, ossia lui aveva finto di aver dimenticato tutto e che fosse tutta colpa dell’alcol.
-Sto bene, lavoro un po’ al negozio e sto pensando di uscire di casa, ma per il resto mi godo l’estate.-
-Ben per te, io invece-
-Senti ricchione del cazzo, vuoi piantarla d’ignoranci?-
Si congelò. Vladislav e Tomas erano due caproni, non sapevano una parola che fosse una d’inglese, e men che meno d’italiano, salvo appunto “ricchione”. E visto il tono con cui l’avevano detto non solo lui, ma sicuramente anche Michele l’aveva sentito, per cui si girò molto lentamente verso i due imbecilli, meditando di buttarli giù dal terrazzo, attonito. Il “tut tut” tipico della fine delle chiamate risuonava nel suo orecchio.
No, quei due non erano definibili idioti, perchè trascendevano la definizione di “idioti”: quei due erano proprio due stronzi.







 

Všechno nejlepší k narozeninám

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Capitolo 7
*** Jean-Jacques Leroy ***


Jean-Jacques Leroy: Bello, purché sia solo una volta l’anno
20 anni,
15 luglio
(mercoledì)

-Bella, tutto bene?-
-Sì tesoro, il tempo di asciugare i capelli e arrivo.-
JJ annuì, guardando la porta del bagno con la coda dell’occhio e sedendosi più comodamente sul letto con le spalle contro al muro.
Raccolse il telefono dal comodino, tracciando il segno di sblocco un paio di volte prima di riuscire ad aprire finalmente la schermata home. Per quanto si fosse divertito doveva riconoscere di essere terribilmente stanco, ma era determinato ad aspettare perlomeno il ritorno di sua moglie: aveva i capelli corti in fondo, non ci avrebbe messo troppo ad asciugarli dopo la doccia.
Aprì il menu delle applicazioni, senza una chiara idea di cosa fare, trovandosi in breve tempo a scorrere tutte le stories pubblicate su Instagram nell’arco della giornata: la colazione a letto che gli aveva portato Isabella, i suoi fratelli che entravano di slancio nella loro camera, la grande piscina della loro casa estiva addobbata a festa, Lancillotto con un cappello in testa e uno di quei fischietti da compleanno fra i denti.
La bacheca pullulava di messaggi di auguri di giovani fan e anche su Whatsapp molti compagni d’università e amici di Toronto gli avevano scritto per fargli gli auguri, così come alcuni pattinatori avevano risposto alle sue stories.
Pichit gli faceva gli auguri, la Victuri gli augurava buon compleanno, Chris gli aveva mandato quella mattina un pacco che ancora non aveva avuto il coraggio di aprire, e Yurio ringraziava il cielo che la sua morte fosse un anno più vicina.
-Cosa guardi?- domandò Isabella piegandosi sopra di lui per sbirciare il cellulare, stampandosi un grosso sorriso in faccia.
-È venuta proprio bene, non trovi?-
-Stavo pensando di metterla come foto profilo di facebook, in effetti.- replicò pensieroso guardando la foto di loro due che si baciavano al tramonto, tamburellando con un dito sullo schermo.
-Mi fai vedere anche le altre?-
Le fece spazio per farla sedere, e quando Isabella si fu seduta al suo fianco con la testa poggiata alla sua spalla riprese a scorrere la bacheca.
Sua sorella con il naso sporco di crema, suo fratello vestito di tutto punto buttato in piscina da suo padre, la gigantesca torta fatta preparare da Isabella apposta per l’occasione.
-Dunque che ne pensi, della casa?- le domandò dopo aver ripercorso a ritroso tutta la giornata e Isabella sorrise.
-È molto bella, mi piace il Quebec, e poi mi è sempre piaciuto passare un po’ di tempo con la tua famiglia.-
-Dici che lo potremmo rifare anche l’anno prossimo?-
-Penso di sì, ma che domande sono adesso? È il tuo compleanno, non pensare a me e dimmi, a te piuttosto è piaciuta la tua festa?-
-Tu me demandes s’il m'a plu ma fête? Mais bien sure madame!-
Isabella scoppiò a ridere, girandosi verso di lui a baciarlo.
-Allora direi che il resto è ininfluente, tu non trovi?-
-Trovo che un altro bacio aiuterebbe a chiudere la giornata in modo ancora migliore.-
-Soddisfatto?- soffiò Isabella sulle sue labbra dopo numerosi altri baci.
-Appagato, sì.-
Sbuffò una risata, scendendo dal letto per raggiungere la sua metà e mettersi a dormire, poggiando la testa sullo stesso cuscino di JJ e lasciando che lui le stringesse la vita, anche se il mattino dopo si sarebbe svegliato con un buon mal di gomito per quello.
-Buona notte tesoro.-
-À toi aussi mon cher, et encore bon anniversaire.-







 

Happy birthday

Bon anniversaire

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Capitolo 8
*** Leo de la Iglesia ***


Leo de la Iglesia:  Festa di compleanno o appuntamento?

20 anni,
02 agosto
(domenica)
 
Volare gli piaceva, ergersi sopra le nuvole, guardare il mondo dalla distanza… faceva sentire bene, ecco.
Gli piacevano gli stretti corridoi degli aerei, e la varietà di gente che viaggiava: le giovani mamme esaurite dall’entusiasmo dei figli, i burberi uomini d’affari seccati dalla mancanza di campo, i bambini troppo concentrati sui videogiochi per prestare attenzione alle meraviglie che si potevano scorgere affacciandosi a un finestrino. Tutte le volte che volava, ormai per lui era un abitudine chiedere il posto vicino ad esso, per poter osservare fuori.
-Quella nuvola sembra un gatto, guarda mamma!-
-Lo vedo Liang, ma adesso torna al tuo posto.-
Sorrise incoraggiante alla giovane madre -Non c’è problema signora, almeno finché non inizia l’atterraggio lo lasci guardare fuori, non mi da alcun fastidio.-
Volare per lui era un abitudine, con tutti gli aerei che aveva preso aveva avuto modo di affrontare svariate tempeste e trovarsi in diverse situazioni, da una donna, un paio d’anni prima, che si era addormentata sulla sua spalla, sbavandogli sulla felpa, a diverse ragazze che per farsi coraggio gli avevano stritolato la mano durante il decollo, fino a burberi uomini di mezza età che facevano i marpioni con le povere hostess.
Vivere nuove esperienze in generale gli piaceva, e quando alla partenza aveva visto un bimbo di sì e no cinque anni seduto al suo fianco contorcersi per guardare fuori gli era tornato in mente lui da piccolo, e gli era venuto naturale cercare di accontentare la curiosità del piccolo, prendendolo in braccio, con il consenso della madre, e giocando con lui a inventare storie sulle nuvole.
-Quella è un drago!-
-Hai proprio ragione, e quella pare una principessa.-
-Non è vero, è uno struzzo! E guarda, quella pare una palla!-
-Oh hai ragione, dici che il drago e lo struzzo stanno giocando?-
Il piccolo annuì, convinto.
-A calcio o a pallavolo?-
-Calcio!- strillò scandalizzato dalla menzione a un’alternativa a quello che, a giudicare dalla sua maglietta, doveva essere il suo sport preferito.
“Ladies and gentlemen…
-Liang, stiamo iniziando l’atterraggio, torna al tuo posto ora.-
…please make sure your seat backs and tray tables are in their full upright position.
Il piccolo annuì, obbedendo alla madre e scendendo dalle ginocchia del pattinatore, ritornando al proprio sedile ed allacciandosi diligentemente la cintura.
Please turn off all electronic devices until we are safely parked at the gate. Thank you.”
-Grazie.- disse il piccolo, incoraggiato dalla madre, e Guang Hong sorrise, scompigliandogli i capelli divertito.
Volare era fantastico, senza alcun dubbio, ma 13 ore di volo erano estenuanti per chiunque, e anche lui per quanto amasse volare non avrebbe mai fatto un viaggio del genere se non avesse avuto un buon motivo.
Come il compleanno di Leo, ad esempio.
 
 
 
Nella vita ci sono degli interrogativi destinati a rimanere senza risposta. A cosa serve la scuola?, come hanno fatto gli egizi a costruire le piramidi?, quando ha trovato mamma il tempo di fare la spesa? e doveva aggiungere alla lista “Perché le sale d’attesa degli aeroporti devono essere sempre così affollate?”
In un altro momento forse avrebbe trovato in qualche modo bello il clima di trepidante attesa che si respirava in mezzo alla folla, i genitori che riabbracciavano i figli dopo mesi, gente arrivata dopo un lungo viaggio che guarda al bar come guarderebbe al biglietto vincente della lotteria.
In un altro momento di certo gli sarebbe piaciuto, ma non ora che era in attesa di Guang Hong, dopo che non si vedevano da mesi.
Ricontrollò ancora il tabellone, battendo un piede a terra per cercare di smaltire lo stress: voleva solo riabbracciare il suo ragazzo, che il tabellone segnava essere atterrato da almeno 13 minuti, era forse chiedere troppo?
Riportò lo sguardo sul gate, spalancando le pupille quando vide arrivare un fiume di gente, perlopiù di origine asiatica, e in mezzo alla massa un trolley verde fluorescente coperto di adesivi.
Spostò lo sguardo lungo il manico della valigia, risalendo le magre braccia del proprietario, coperte da una leggera felpa rossa, e proseguendo fino al viso ovale incorniciato da soffici capelli castani e caldi occhi color cioccolata.
Scrollò il capo: decisamente quei sei mesi di lontananza avevano prodotto un loro effetto.
Sorrise, alzando un braccio e agitando una mano per farsi vedere, guardando Guang Hong avanzare verso di lui tirandosi dietro la valigia.
-Fatto buon volo?-
-Sì.-
Le relazioni a distanza erano complicate per tutti, ma ancor di più lo erano quelle fra gente “famosa”: il costante timore di una foto, una parola, un giornalista… il brutto della loro relazione era perlopiù non poter agire liberamente.
-È ora di pranzo, hai fame?-
Guang Hong si illuminò, annuendo in modo compulsivo e Leo scoppiò a ridere.
-Vieni, ti prendo qualcosa da mangiare.- sogghignò avvolgendogli le spalle con un braccio e guidandolo verso la più vicina area ristoro.
-Meglio?- chiese guardando il ragazzo divorare un trancio di pizza come se non mangiasse da settimane, mentre camminavano verso l’uscita.
-Infinitamente, i voli notturni sono così pesanti, il cibo dell’aereo fa schifo e te ne danno sempre poco.-
-Già, e poi i voli diretti non danno nemmeno la chance di fare molto movimento.-
Avrebbe voluto dirgli tante altre cose, come un “mi sei mancato”, oppure “questi sei mesi sono stati eterni”, o tante altre, ma conosceva l’ossessione di Guang Hong sul tenere la loro relazione segreta al mondo, e comprendeva l’importanza della cosa, però l’America non era la Cina.
-Guang Hong, aspetta.- lo fermò per un braccio, impedendogli di varcare le porte dell’aeroporto.
-Fuori fa un caldo assurdo, ti ho portato questo.- disse passandogli un cappello da sole e un paio d’occhiali che il cinese indosso, sfilando al contempo la felpa e legandosela in vita.
-Allora, come mi-
Non finì la frase, perché Leo si tuffò su di lui baciandolo con impeto
-Tranquillo, in America non segue quasi nessuno il pattinaggio.- soffiò sulle sue labbra.
Sei mesi erano davvero tanti, troppi, anche per Guang Hong, che provato almeno quanto Leo decise d’infischiarsene dei vari rischi, rispondendo con trasporto ai baci del proprio ragazzo.




-Non mi hai neanche dato il tempo di farti gli auguri da che sono atterrato-
-Come?-
-Dicevo che non mi hai neanche dato il tempo di farti gli auguri da che sono atterrato!-
Pretendere di parlare mentre erano in moto, con i caschi in testa e il vento contro non era una brillante idea, ma sprecare il tempo pareva un grosso peccato ad entrambi.
-Ma dai, che importa? Il semplice fatto che tu sia qui è di per sé un regalo.-
-Non sono affatto d’accordo Leo. Questa volta voglio conoscere anch’io i tuoi amici e la tua famiglia, chiaro?-
-Ogni tuo desiderio è un ordine.-
Poter parlare così, “faccia a faccia”, dopo tutti quei mesi, era davvero bello, come lo era per Guang Hong essere costretto a stringersi alla vita di Leo, tenendo in spalla lo zaino mentre il trolley restava fra le gambe di Leo. Sospettava che stessero infrangendo almeno un paio di leggi stradali, ma non ne sapeva molto, per cui l’unica scelta che aveva era fidarsi della parola di Leo. In fondo non aveva la minima voglia di preoccuparsene, stava così bene con la testa appoggiata sulla spalla del suo americano preferito che tutto il resto pareva distante e ovattato.
Continuava a guardare affascinato le vie della città, quando la voce di Leo gli arrivò alle orecchie -Fra un attimo entreremo in Olvera Street: raccoglie probabilmente la metà dei messicani che vivono a Los Angeles.-
-Ed è lì che abiti?-
-Esatto.-
Guang hong girò il capo, osservando le bancarelle colorate e la gente camminare per strada, finché Leo non si fermò davanti ad un condominio appartato.
Scese dalla moto, tirando giù il trolley e suonando un campanello, lasciando Guang Hong intontito.
-Quien es?- gracchiò il citofono, facendolo sussultare, e Leo sorrise -Soy yo, baja y abre Rafael.-
-¿Sabes que la puerta es electrónica?-
-Tengo que ir a estacionar la motocicleta, y necesito que alguien te lleve a Guang Hong.-
-Ok, ok, ya voy.-
-Gracias. Guang Hong, che succede?-
-Leo, posso aspettarti, oppure vengo con te.-
-Hai detto di voler conoscere la mia famiglia, no? Tranquillo, arrivo subito.- gli baciò una guancia, guardandolo rassicurante ma malgrado ciò Guang Hong restò teso.
Dai racconti di Leo sentiva di amare la sua famiglia, ma non era certo che la cosa fosse reciproca, e trovarsi da solo in un ambiente nuovo non era mai una cosa troppo piacevole per nessuno.
-Leo, non ho tutto il giorno, ti vuoi muovere?-
Il ragazzo sulla porta assomigliava solo nei tratti del viso a Leo, mentre i capelli erano neri e le spalle larghe come un armadio.
-Ti presento Rafael, lui-
-Le presentazioni falle dopo, muoviti.-
Leo alzò le mani, passando il trolley a quello che Guang Hong intuì essere il primo dei fratelli minori di Leo, risalendo a bordo della moto e andando a parcheggiarla senza una parola.
-Vieni, ti porto su.-
Intimidito eseguì, salendo le scale al seguito del ragazzo senza una parola, giungendo poi in un appartamento al quinto piano.
-Mamá, el novio de Leo ha llegado!-
-¿De verdad? Héctor, ven, ¡está aquí! Micaela, Ysabel, Miguel!
Ci fu un tripudio di suoni, grattare di sedie, sbattere di porte e scalpiccio di piedi, e poi dal nulla apparvero quattro persone.
Indietreggiò lievemente spaventato dalle due ragazze saltellanti, e dal ragazzino dai luminosi occhi grigi, ma più di tutti restò spiazzato dalla donna che gli afferrò una mano, abbracciandolo come se fosse figlio suo.
-¡Me alegro de conocerte, Leo nos ha hablado mucho de ti! ¿Tienes hambre, quieres algo de comer, o quizás quieres descansar un poco?-
Guardò la donna stordito, girando il capo verso gli altri ragazzi in cerca d’aiuto.
Una delle due ragazze alta più o meno quanto lui e con un faccino dispettoso gli sorrise.
-Mamá Guang Hong no habla español, ¡déjalo ir!- con riluttanza la donna lo lasciò andare -Piacere di conoscerti Guang Hong, io sono Micaela e loro sono Ysabel e Miguel. Lei è Apolinaria, nostra madre, ma non credo Leo si sia ricordato di dirti che non parla inglese.-
Annuì, ringraziando educatamente e stringendo le mani a tutti, in ultimo Miguel, il piccolo di casa.-
-Vuoi vedere la mia camera? Ho tutti i modellini di Star Wars, e il LEGO della morte nera!-
Annuì un po’ intontito ma prima che il bimbo potesse trascinarlo via con sé Ysabel lo fermò.
-Miguel Leo ha detto che lo deve portare ad una festa gli mostrerai la tua stanza più tardi, va bene?-
Lo sguardo del piccolo non fu molto convinto ma non obiettò e così prima ancora di essersi acclimatato venne richiamato in strada per una “breve passeggiata” che si concluse a sera, lasciandogli dentro un grosso punto interrogativo: avevano festeggiato il compleanno di Leo o avuto un appuntamento?








 
Happy birthday

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Capitolo 9
*** Kenjirou Minami ***


Kenjirou Minami:                Pur nella sfiga…

18 anni,
18 agosto
(martedì)
 
Le porte scorrevoli si dischiudono al suo passaggio, immettendola in un ampio ingresso di un bianco quasi accecante che in teoria dovrebbe dare confronto e invece pare solo aggravare la tensione di tutti. Che sciocco, gli aveva detto che quel giorno non ci sarebbe stata, avrebbe potuto anche saltare l’allenamento per un giorno, andare a festeggiare o concentrarsi su altro, e invece era voluto andare ad allenarsi comunque.
-Mi scusi, dove posso trovare Kenjirou Minami?-
-Lei è una parente?-
-No, sono la sua allenatrice.-
L’infermiera alza lo sguardo dal monitor, inarcando un sopracciglio.
-Ha il permesso dei genitori?-
-Il ragazzo è maggiorenne.-
-Il pc dice che-
-Fa oggi i 18 anni.- concede, sforzandosi di mantenere un tono educato -Se non è un problema vorrei vederlo.-
La donna al bancone la guarda con occhi ostili, facendole salire un forte istinto violento.
-Potrebbe, se avesse il permesso scritto dei genitori.-
Vorrebbe mettersi ad urlare, pur non essendo di natura irascibile, ma si trattiene, cercando di ragionare con quella fastidiosa civetta.
-Se potesse dirmi solo la stanza..-
-Non posso.-
Una mano si posa sulla sua spalla. Gira il capo e nota Yuuto scuotere lentamente la testa, facendole segno di lasciar stare, e di fronte alle rassegnazione dei due ragazzini che l’accompagnano decide di lasciar perdere o meglio di andare a farsi firmare il permesso dai genitori e tornare. Si dirige verso l’uscita, pronta a correre nell’ospedale in cui lavorano i genitori di Minami, ma una mano le afferra il polso, facendola voltare.
-Quarto piano, corridoio est, stanza 251.- la informa Hikaru con un mezzo sorriso, mostrandolo la chat di Line con Minami, che “li attende impaziente!”
Si dirige verso gli ascensori a passo sicuro, cercando di non farsi notare dalla receptionista, e chiudendo le porte dietro di sé e i due giovani atleti.
-Come funziona la cosa, si entra uno per volta, dobbiamo metterci un camice, chiedere ad un infermiera di sorvegliare la stanza o qualcosa di simile?-
Si lascia sfuggire una risatina, ben più tranquillizzata dalla presenza dei due giovani atleti di quanto non voglia dare a vedere.
-Nulla di tutto ciò, è orario di visita, e non è un reparto intensivo.- spiega loro, continuando a controllare i numeri delle stanze fin quando non trova il fatidico 251.
-Ah, ci sei anche tu Kanako!- li accoglie l’allegra voce di Kenjirou che nonostante la gamba sollevata pare quasi saltellare sul letto preda della sua solita irrefrenabile allegria.
-Minami, non ti avevo detto di lasciar perdere per oggi?-
Vederlo allegro la tranquillizza molto, ma che allenatrice sarebbe se non anteponesse un minimo di sana ramanzina al sollievo?
-Come stai?-
-Bene!- risponde allegro ai colleghi pattinatori, tenendo d’occhio la sua allenatrice, trattenendo un po’ d’entusiasmo a causa del senso di colpa.
Sospira esasperata: non è fatta per rimproverare i suoi atleti, così semplicemente si avvicina di più ai tre ragazzini, appoggiando il borsone d’allenamento di Minami recuperato al palazzetto ai piedi del letto.
-Che hai combinato?-
-Sono caduto in allenamento, e non sono più riuscito a stare in piedi. Mi hanno fatto una lastra, e pare che mi sia rotto una caviglia, però con un gesso dovrebbe andare a posto.- spiega solare, e i tre visitatori sorridono rasserenati.
Nulla di grave, ci vorrà del tempo perché le ossa vadano a posto, e un paio di settimane o più per riacquistare il tono muscolare perso, ma potrà tornare a pattinare senza gravi conseguenze. A tutti gli atleti di alto livello prima o dopo capita un infortunio, e per quanto non sia piacevole è abbastanza inevitabile.
-Non potevi fare una pausa, almeno il giorno del tuo compleanno?-
Scuote il capo con energia, gli occhi carichi di entusiasmo -Mi sto allenando nei quadrupli, e non volevo perdere nemmeno un giorno.-
-Credo che così ne perderai ben più di uno.- lo prende in giro Hikaru, e Minami incassa la testa nelle spalle punto sul vivo, solo per ricevere l’illuminazione il secondo successivo e rivitalizzarsi.
-Dov’è la mia torta?-
-Torta?-
-La mia torta di compleanno!- dice con ovvietà, spostando lo sguardo fra loro tre in attesa che qualcuno tiri fuori una torta da dietro la schiena o simili.
Yuuto e Hikaru paiono non capire, a differenza sua che è abituata ai modi di Minami e quindi si prende la briga di spiegargli bene un paio di dettagli.
-Non c’è nessuna torta. Sono corsa qui appena mi hanno detto che ti eri fatto male, e ho trovato loro due qui fuori che non sapevano bene se potessero entrare o no. Anche se avessi avuto il tempo per andare a comparti una torta, e non l’avevo, non te l’avrei comunque potuta portare in ospedale.-
La delusione attraversa gli occhi del giovane pattinatore, lasciando gli altri due avversari indecisi su come agire per tirargli su il morale: sembra quasi la considerino troppo severa, per il semplice fatto che tende ad essere schietta, e  la cosa la disturba un po’.
-Quando uscirai te ne prenderò una, al massimo adesso ti posso prendere una merendina alla macchinetta.-
Gli occhi di Minami s’illuminano di nuovo e la sua bocca si apre in un largo sorriso mentre annuisce convulso. Di fronte a un così palese entusiasmo annuisce anche lei, uscendo dalla stanza per andare a prendere qualcosa dai distributori, magari un muffin o un Kinder al cioccolato, tornando in camera dopo un momento.
Apre la plastica del muffin con semplicità, porgendolo al suo atleta ma Yuuto lo blocca prima che possa afferrarlo.
-Aspetta, manca una candelina.-
-Non si può accendere una candela in ospedale.-
-E come fai ad averne qui una?-
Il ragazzo sorride, tirando uno scontrino arrotolato fuori da una tasca e infilzandolo a qualche modo nella crosta del dolce. La fiamma che danza sulla punta è più piccola di quella prodotta da una candela, e la carta brucia velocemente, non farebbero in tempo nemmeno a cantargli tanti auguri, ma Minami pare entusiasta mentre inspira a pieni polmoni per fermare l’avanzata della fiamma, e così anche lei decide di lasciar perdere, sperando solo che nessuno li scopra.
-Buon compleanno Minami.-
-Come ci si sente a fare i 18 qui?-
-Sciocco, ma comunque felice.- risponde sorridente, sfilando la finta candelina dal muffin e dividendo il dolce in quattro parti approssimative, porgendone una a ciascuno.
-Mh, ti ho fatto un video mentre spegnevi la candelina, lo vuoi?-
Annuisce entusiasta alle parole di Hikaru, come se davvero non gli pesasse essere in ospedale con una caviglia rotta anziché a casa sua a festeggiare con la famiglia e Kanako sorride, accarezzandogli i capelli divertita mentre lui pubblica la foto su Instagram con il commento “sempre uno splendido 18”.
Attende un attimo prima di riappoggiare il telefono sul comodino e le prime risposte non si fanno attendere molto, come sempre da parte di Chris, Phichit o JJ, che nonostante i diversi fusi orari sembrano non dormire mai e allenarsi ad ore che non esistono tanto sono veloci e puntuali i loro commenti a qualsiasi cosa pubblicata su Instagram, ma la cosa più incredibile è il quarto commento.
“Spero non sia nulla di grave Minami, goditi i tuoi 18,
Yuuri Katsuki”
Ora dovrà quasi temere che Minami non si rifaccia male di proposito per parlare con Yuuri, ma almeno è certa che davvero per il suo giovane pupillo quella verrà ricordata come una giornata positiva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
お誕生日おめでとう

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Capitolo 10
*** Michele e Sara Crispino ***


Michele & Sara Crispino:                Festa forzata vs. W il party!

23 anni,
13 settembre
(domenica)
 
In tutto il mondo l’Italia è nota per il cibo, l’arte e la Mafia, forse non tutte cose positive ma due contro uno comunque non è tanto male… ma se bisogna dire un altro dei tratti distintivi della penisola a stivale era indubbiamente la varietà: Milano, Roma, Venezia, Firenze, Palermo, città che hanno ben poco in comune eppure sono parte di una sola nazione, pure se gli abitanti, tolti pasta e pizza, hanno abitudini alimentari molto diverse, dialetti propri, stili architettonici unici, valori differenti… eppure sono proprio queste differenze che rendono il bel paese una cosa unitaria, in cui ognuno può trovare il suo posto.
Ed emblema di questa diversità, era Napoli
 
In una via tranquilla, in mezzo ai campi, da una graziosa cascina che parlava di pace, serenità ed accoglienza, continuavano a provenire grida e urla.
– NON VOGLIO ANDARE A SCUOLA! –
– Piantala di urlare, che ti piaccia o meno è obbligatorio, quindi ci andrai. –
– MA NON MI PIACE! –
– E perché? Potrai rivedere i tuoi amici tutti i giorni, non sei contento? –
– STAVO MEGLIO IN VACANZA! –
– Samuele, adesso piantala –  intimò Maria voltandosi con un mestolo in mano e minacciando silentemente il figlio.
– Ma non ho finito i compiti! Non posso iniziare le medie così! –  strillò il ragazzino, esasperando i genitori.
– Allora Samu smettila di urlare e va su a farli anziché continuare a urlare, finirai per svegliare tutti. – rispose pragmatico il padre apparecchiando il tavolo per i restanti 4 figli. 
– Per quello è troppo tardi ormai – rispose il maggiore dei figli scendendo le scale con gli occhi impastati dal sonno.
– Micky amore auguri! – esclamò la donna abbandonando la pentola del ragù e andando ad abbracciare il figlio, accompagnata dal marito.
– Scusa Micky, non volevo svegliarti. – mugugnò il fratello, sedendosi a tavola e riprendendo a magiare.
– Fa nulla Sam, che cosa non hai fatto? – chiese scompigliandogli i capelli e sedendosi al suo fianco, allungando un braccio verso il caffè.
– Matematica, non la capisco. –
– Va a prendere il quaderno, te la spiego io. – disse mentre allungava il caffè con del latte.
– Grazie, ma non riuscirò comunque a finirli per domani – borbottò mogio.
– Vorrà dire che i più difficili te li farò io, ora però fammi fare colazione. –
– Sei il miglior fratello del mondo, ti voglio bene Micky! – strillò il bimbo buttandogli le braccia al collo e correndo a prendere i compiti, mentre il pattinatore approfittava del breve momento di quiete per bere il proprio caffè.
– Li vizi sempre tutti Micky. – commentò il padre senza particolare inclinazione nella voce, poggiandogli una mano sulla spalla e sorpassandolo per andare a bagnare l’orto.
– Non è un grosso problema, visto che non ho nulla da fare oggi aiuto Sam con i compiti, porto Caterina a comprare uno zaino per il primo giorno di scuola, faccio due tiri a canestro con Leonardo e porto a passeggio il cane. –
– Micky è il tuo compleanno, non hai bisogno di –
– Tranquilla mamma, sta sera mi occuperò io di portare a passeggio il mio disciplinato(scrupoloso) fratello. Segnatelo Micky, fa ciò che vuoi oggi, ma appena cala il sole tu sei sotto il mio comando, e io ti dico che andremo in discoteca a festeggiare. –
Con l’arrivo di Sara ogni discussione si chiuse: ribattere ciò che dice una donna è rischioso, ma se quella donna è napoletana la cosa non è rischiosa, passa direttamente al livello Letale.




– Micky? –
– Dimmi Caterina –
– Auguri. – cinguettò la bambina saltando accanto alla sua schiena.
– Grazie tesoro. – rispose meccanicamente accarezzando la testa della bambina con una mano, senza però staccare gli occhi dal foglio su cui stava facendo i compiti del fratello.
Dopo un secondo sentì una manina picchiettare sul suo ginocchio e spostò lo sguardo sulla bambina, guardandola interrogativo.
– Auguri Micky. –
Sorrise e le accarezzò la testa – Grazie piccola. –
Tempo 15 secondi e una manina si appoggiò alla sua spalla fino a che non si girò – Auguri Micky. –
– Di nuovo, grazie Caterina, ma ora vai a giocare. –
La piccola annuì e se ne andò.
Salvo che un minuto dopo tornò appendendosi alle spalle del pattinatore.
– Ma allora Cate, piantala una buona volta e lascia in pace Micky! – sbottò Samuele scostando la sedia e cercando di staccare a forza la piccola di casa dalle spalle del fratello.
– No! – fu il deciso grido della bambina che per dare maggior peso alle proprie parole si attaccò al braccio del festeggiato.
– Per quando ancora devi andare avanti con questi capricci? –
– Finché non gli avrò fatto gli auguri 23 volte! –
– Ah sì eh? E sentiamo, quanti auguri ti mancano ora che gliene hai fatti quattro? –
La bambina allontanò le braccia dal collo del fratello per poter contare a dovere e subito Samuele la prese e fece per portarla via, fra le strilla della piccola.
– Sam, Caterina, basta litigare. Tu, continua gli esercizi, e tu Caterina, grazie per gli auguri, ma non farmeli tutti ora, o questo pomeriggio non te ne resteranno più. – disse con tono calmo chinandosi a livello della bambina – Ora devo aiutare Sam a studiare –
– Perché è un asino!–  urlò la bimba guardando il fratello con le braccia al petto e un broncio adorabile. Inutile dire che l’asino non concordò con lei, girandosi pronto a dar battaglia, ma Mickey gli tappò subito la bocca.
– Per essere un asino è un po’ bassino, direi più una capretta, non trovi? –
La bimba scoppiò a ridere lasciando che Michele la prendesse in braccio accompagnandola a prendere una bambola, per poi scaricarla con una scusa alle attenzioni di Sara, che abbandonato il libro di economia che stava leggendo per prepararsi ad un esame si mise a giocare con la sorellina, ignorando i frequenti “Micky è più bravo”.
Battere il supereroe di un bambino è impossibile, e Sara, su questo fronte, aveva rinunciato da tempo.




– Allora Caterina, come lo vuoi questo zaino? – domandò varcando le porte del supermercato e guardando i cartelli alla ricerca della sezione per gli acquisti di inizio anno.
– Con Masha! – replicò immediatamente con gli occhi a cuore, e il fratello ingoiò l’antipatia istintiva che aveva per quella serie, stringendo la manina della piccola e dirigendosi verso la corsia. – E zaino con Masha e Orso sia allora! –
Per il suo stomaco fu un  duro colpo vedere la sorellina chiedergli quale dei due zaini con i suoi beniamini fosse il migliore, ma ingoiando la bile l’aiutò nella scelta, concedendo alla piccola di comprare anche un astuccio nuovo anziché dover riciclare quello appartenuto in precedenza ai due fratelli, pagando di tasca propria i vizi che concedeva ai fratelli e riportando a casa una bambina eccitatissima, che senza lasciargli il tempo di parcheggiare saltò giù dall’auto correndo in casa a mostrare il suo corredo.
In fondo bastava così poco per renderla felice.




– Sei migliorato Leo, un tempo non segnavi con tutta questa facilità. –
– Ho messo su cinque centimetri quest’estate, sarà per quello. – rispose concentrato marcandolo da vicino.
– Fortuna che sei in seconda liceo e che fra un paio d’anni la pianterai di crescere, altrimenti avremmo dovuto abbattere un paio di muri per farti entrare in casa. –
Il ragazzo ridacchiò – Oh andiamo Micky, alla mia età eri come me, non diventerò un colosso! –
– Questo è da vedere, però di certo intanto vinco io! – rispose scartandolo e saltando per schiacciare a canestro, esplodendo poi in un urlo di vittoria.
– Sei un imbroglione. – osservò con finto distacco, senza riuscire a nascondere un sorriso.
– E l’unico disposto a fare sport con te, quindi fossi in te mi terrei da conto, quando non ci sarò più mi rimpiangerai!–
Il terzo di cinque figli in casa Crispino scoppiò a ridere – Hai intenzione di farti tirare sotto da un trattore Micky? O forse vuoi fare pratica di paracadutismo senza paracadute? No perché in caso contrario direi che non morirai domani, in che significa che avrò tempo per allenarmi e batterti. –
– Ma mi sento vecchio, sai il peso degli anni… –
Di nuovo un violento attacco di risate scosse il ragazzo – Oh, i 23 si fanno sentire? –
– Eccome, non ci vedo più come una volta e anche la resistenza non è più quella di quando avevo 15 anni! –
– Già perché di fatto a 23 non hai più la forza per eseguire un quadruplo toe loop e così via, vero? –
– Non puoi capire, fra poco sarò da rottamare. – disse con una posa da prima donna di teatro, beandosi delle risate del fratello.
– Come vuoi, ma visto che ho sentito arrivare gli zii che ne dici se andiamo a mangiare la torta? –
– D’accordo, metti a posto la palla, e ricordati di non sbavare troppo davanti alla torta o finirà come al tuo compleanno. –
– Io non sbavavo! –  strillò lanciandogli la palla alla base della schiena, senza fargli male, e Michele rise.
Un adolescente ha SEMPRE energie da sfogare, e consumarle in compagnia era più divertente che non farlo da soli.




– Sara, dobbiamo proprio? Sono stanco e –
– Hai dedicato tutta la giornata agli altri, dovrei essere gelosa Micky? –
Sbuffò – Andiamo Sara, non essere sciocca! –
– E tu non prendermi in giro, potranno non piacerti le discoteche, ma oggi ti tocca, non campare scuse come la stanchezza o il mal di testa. –
– Ma Sara, è l’ultimo weekend prima della ripresa della scuola, sarà pieno così! – cercò di spiegarsi mentre lei lo spingeva giù dalle scale, incurante delle sue proteste.
– E dov’è il problema? Almeno se deciderai di fare da tappezzeria nessuno ti noterà! – rispose subito la sorella per poi urlare a Samuele di alzarsi dal divano ed aprirle la porta perché aveva per le mani un carico eccezionale molto restio.
– Ma siamo vecchi per questi cose e poi –
– Io non sono vecchia Micky, e visto che siamo gemelli se io non sono vecchia vuol dire che non lo sei neanche tu. –
– Ha ragione Micky, guarda che fino ai 30 anni non è strano frequentare discoteche, semmai il non frequentarle lo è! –  le diede man forte Samuele, che però si ammutolì e corse sull’uscio dove il resto della famiglia se la rideva, non appena Micky gli ricordò che non solo in matematica, ma anche in inglese aveva delle lacune da colmare, e il migliore a spiegare in casa era lui.
– Sara, lascia stare tuo fratello, se non vuole venire lascialo qui. –  intervenne infine Giuseppe, supportato dalla moglie, in difesa del proprio primogenito che ancora opponeva una strenua resistenza mentre la gemella si dannava per caricarlo in auto.
– È abbastanza adulto per decidere, e poi non puoi costringerlo ad andare in discoteca! –
– Posso e ne ho il dovere in quando sua gemella invece! –  ribatté sforzandosi per spingerlo sul sedile.
Con un risolino anche Leonardo, che fino a quel momento si era tenuto fuori dalla discussione cercando di spiegare a Caterina perché Micky faceva i capricci, prese parte alla conversazione.
– Guarda che mamma e papà hanno ragione, e poi dov’è il problema, lascialo a casa e va. La discoteca sarà piena di ragazzi, troverai di sicuro qualcuno disposto a ballare con te e anche ad offrirti un drink, specie perché con quel vestito sei una favola. –  disse alludendo all’aderente vestito nero e ai tacchi poco meno che a spillo.
– Bada solo a non bere troppo, la macchina ci serve intera. –
Sara parve pensarci un attimo, poi annuì e smise di spingere Michele, sospirando sconfitta.
– Va bene va bene, tutti contro una non è equo, andrò da sola. –
– Una ragazza sola in mezzo a quella folla? Non esiste! E se poi dovessi ubriacarti o prenderti una storta danzando, come tornerai a casa? –
Scosse le spalle – Speriamo non capiti nulla di male, sarebbe bello avere un cavaliere, ma tu non vuoi venire… –
– E va bene, hai vinto! Leo, sappi che me la paghi, per una settimana giù le mani dalla mia X-box. E se proprio devo venire Sara, aspetta almeno che metta una camicia. –
In una famiglia, si suppone ci si conosca l’un l’altro, l’abilità dello stratega sta nel celare i propri punti deboli e attaccare quelli altrui all’occorrenza, e l’accordo fatto con Sara “convinci Micky e ti lascio guidare la moto” valeva ben più di una settimana senza X-box.




– Gira a destra e ci siamo. Vedrai, ho scelto la discoteca meno affollata apposta per te, sei contento? –   
– Da morire guarda. – grugnì parcheggiando l’auto vicino all’università e seguendo Sara fino ad un locale poco distante chiamato “Napolike”. Osservando l’edificio con un briciolo di attenzione realizzò di esserci già passato davanti più volte in passato, quando portava i fratelli al McDonalds o Sara in università, ma la cosa non servì a tranquillizzarlo.
– Dai Micky vieni, non puoi tirarti indietro ora. – lo esortò la sorella, e con un sospiro rassegnato le diede ragione raggiungendola ed entrando nel locale.
Le luci soffuse, con sua sorpresa, non lo infastidirono granché e anche la musica, nonostante fosse ad alto volume, non impediva completamente una conversazione, pur complicandola notevolmente.
– Bene Micky, vieni a ballare o trovi un tavolo? –
– Dammi la borsa, trovo un tavolo e te la guardo io. –
Gli stampò un bacio sulla guancia, senza per una volta doversi allungare sulle punte grazie al rialzo fornito dai tacchi – È bello quando mi leggi nel pensiero. –
– Lo è pure quando non mi forzi a cose simili.– borbottò guardandola scendere in pista ed ingobbendo le spalle, andando a sedersi ad uno minuscolo tavolino, addossato al muro, stravaccandosi su uno dei divanetti.
Dopo che si fu accomodato non perse tempo e subito cercò Sara con lo sguardo, perché benché avesse promesso di non vessarla più con la sua protezione doveva comunque almeno sapere dov’era per agire in caso avesse avuto qualche problema. Personalmente continuava a ritenere che prevenire fosse meglio che curare, ma visto che Sara era del parere contrario si limitò ad osservarla ballare in mezzo alla folla con movenze ora plastiche, ora rigide e dinamiche, in base a ciò che la musica suggeriva.
Osservò i lunghi capelli corvini ondeggiare e le mani scendere sui fianchi evidenziando il fisico magro ed atletico, irrigidendosi quando un gruppo misto di ragazzi e ragazze le si avvicinò e cominciarono a ballare insieme.
Dalla distanza e con la folla che a tratti continuava a nasconderli alla vista non capiva granché bene cosa stesse succedendo, ma di tanto in tanto vedeva Sara danzare con un ragazzo, senza tuttavia riuscire a scorgere granché di lui.
L’anno prima si sarebbe tuffato in mezzo alla pista e gli avrebbe detto di stare alla larga da sua sorella, ma aveva promesso di astenersi, per cui intrecciò le mani sotto il mento e appoggiò i gomiti sul tavolo, osservando pigramente Sara ballare, e fermando una cameriera per farsi portare un drink.
A vederlo da fuori s’intuiva subito che era stato trascinato lì, e a giudicare dalla smorfia che fece trangugiando il suo Bloody Mary ci si sarebbe anche detti che non amava l’alcool, ma la verità era piuttosto che si annoiava: per quando fin da piccolo avesse sempre dedicato metà del suo tempo al pattinaggio e l’altra metà alla famiglia, in un paio di occasioni gli era già capitato di andare in discoteca, come per festeggiare i 18 anni, o la laurea di un paio di amici, e si era pure divertito, ma andare in discoteca da solo non lo allettava, non avendo lui il dono della loquacità con gli estranei, per cui quand’anche nel corso della serata una ragazza si avvicinò al suo tavolo proponendogli di bere insieme fece un mezzo disastro che lo portò a restare solo.
Era certo di essere riuscito a passare piuttosto inosservato, invece dopo che la ragazza si allontanò dal suo tavolo si trovò davanti Sara.
– Chi era? –
Scosse le spalle, perché nella sua goffaggine non gliel’aveva chiesto, e cercò di distrarre l'attenzione di Sara con un'altra domanda – Come sta andando? –
– Benone, ho fatto conoscenza con alcuni ragazzi veramente simpatici – rispose subito lei con grande entusiasmo – Perché non vieni con me, così te li presento? –
Scrollò il capo in segno di diniego: se anche l’avesse seguita, una volta presentatosi, di cosa avrebbe dovuto parlare?
– Dai Micky, poi sfido che ti annoi! –
– Non mi va Sara. –
La ragazza sbuffò, poggiandogli una mano sul braccio – Con i bambini sei fantastico, con i tuoi coetanei però sei proprio un disastro, poi sfido che sei single! –
– E questo che c’entra adesso? –
– Come che c’entra? Sei in un posto pieno di be –
Non sentì cosa disse, perché una ragazza dai corti capelli rossi-bruni, con uno striminzito abitino azzurro cielo si avvicinò al tavolo, chiedendo a Sara se le andasse di tornare in pista. Supponendo che facesse parte del gruppo con cui Sara aveva legato, Micky non pose obiezioni, guardandole tronare in mezzo alla pista e reclinando il capo all’indietro. Se avesse potuto probabilmente avrebbe fatto un pisolino.
– Hey Micky, how are you? –
In mezzo alla musica della discoteca ebbe come l’impressione che qualcuno gli stesse parlando, e con malavoglia aprì un occhio raddrizzando il collo.
Trovandosi accanto un sorridente Emil Nekola, seduto sul divanetto al suo fianco, per poco non si strozzò col suo stesso respiro.
Cosa diavolo ci fai TU qui?
Un sorriso a dir poco accecante si fece strada sulle labbra del ceco – Beh non ho fatto vacanze quest’anno, e avevo sentito che Napoli fosse fantastica, così sono venuto a visitarla.
Michele si fece cupo – Ed è un caso che tu sia venuto in questo locale stasera, immagino. –
Una risata si fece largo nell’aria – Assolutamente.
Per la disperazione l’italiano si mise a dar testate al tavolo, e vedendo una cameriera passargli vicino le ordinò un secondo drink, mentre Emil, che evidentemente comprese, le domandò una birra.
Fra tutte le persone che esistevano proprio lui doveva capitargli fra capo e collo?
Non è male questo posto, non trovi? –  domandò con naturalezza Emil, e Michele si maledì per non essere rimasto a casa.
Di sicuro non è silenzioso .– rispose alludendo più al suo interlocutore che alla musica.
Beh, quale discoteca lo è? Ehi, senti perché non balliamo?
Michele lo guardò come se fosse stato un folle – E con chi?
Di nuovo risate – Oh dai, mica avrai bisogno di una ragazza per ballare! È un po’ come pattinare, devi solo seguire la musica, e puoi farlo in due o da solo. Vieni? – propose alzandosi e tendendogli la mano, e, sospirando platealmente, dopo aver mandato giù il suo secondo drink ad una velocità tale per cui non ne sentì nemmeno il sapore, tanto per avere la scusa di essere brillo, Michele seguì l’altro ragazzo sulla pista.
 
Perché ti sei portato dietro la borsa di Sara? – chiese dopo un po’ che, vista la folla, danzavano ad un soffio l’uno dall’altro, finendo per scontrarsi di tanto in tanto.
Mica potevo lasciarla lì, se l’avessero rubata come mi sarei scusato poi?
Ma non ti senti ridicolo?
Vedi Micky – disse sorridendo a avvicinandosi più del dovuto al suo orecchio – questo è il vantaggio di non parlare italiano, tutti in questa sala possono dire di me ciò che vogliono, mica li capisco!
Michele ridacchiò – Gli sguardi sono internazionali però. –
Emil, per quanto gli fosse possibile, sventolò un mano in aria, appoggiandola poi sulla spalla di Michele – Basta ignorarli.
Mi fai venir voglia di tradurre ciò che sento solo per farti dispetto.
Fai pure se vuoi– rispose con nonchalance – Rispetto al tuo iniziale proposito d’ignorarmi è meglio, e almeno farò due risate.
E così, con una certa dinamicità, coordinando i propri movimenti per non doversi allontanare e parlando all’orecchio di Emil per non farsi sentire, rischiando fra l'altro d'interrompere la scia di commenti, Michele iniziò a tradurre parola per parola i commenti che udiva, ridendo per le cose più alternative.
Ah comunque –  domandò quando in sala tutti si stancarono di osservarli – hai avuto modo di fare gli auguri a Sara o non ancora?
Il ceco scosse la testa, e Michele, facendosi largo fra la folla più o meno a spallate, si avvicinò al centro della sala, dove poco prima aveva intravisto Sara che ancora ballava con la bruna di prima.
Essendo Sara di spalle non poteva vederlo e sentirlo con quella musica sarebbe stato difficile, per cui non tentò nemmeno di chiamarla. Se solo avesse avuto il dono della preveggenza…
Arrivati a un paio di metri dalle due, separati da giusto un paio di persone, Michele subì lo shock di vedere Sara allungarsi a baciare l’altra ragazza, e rimase di pietra.
Osservò senza nemmeno vederla davvero la sua gemella, colei che era certo di conoscere come le sue tasche, mettere una mano fra i capelli dell’altra, reagendo con entusiasmo quando questa aprì le labbra per approfondire il bacio.
Si riscosse solo quando Emil si frappose fra lui e la scena che stava osservando, sbattendo le palpebre sconvolto.
Tutto apposto? –  chiese con apprensione, e Michele non seppe rispondere, boccheggiando alla ricerca d’aria.
Vieni, andiamo a sederci. –  disse prendendolo sotto il gomito e trascinandolo al tavolo, attraverso la folla.
Come per una sorte di maledizione Sara e l’altra ragazza li raggiunsero un secondo dopo.
Oh, Emil, che bello vederti. – cinguettò candidamente abbracciandolo, notando poi lo sguardo del fratello rivolto alla sua amica – Micky, che succede? Perché quella faccia? –
Il ragazzo non diede segno d’averla sentita, osservando con occhi vacui la ragazza di fronte a lui, senza riuscire a dire nulla.
Potremmo aver assistito involontariamente ad un bacio .–  rispose per lui Emil, dandogli una pacca sulla spalla e invitando Adele(questo il nome della bruna) a prendere un drink per tutti.
Allontanatosi i due, rimasto solo con Sara, ora sedutasi di fronte a lui, Michele parve riprendere coscienza – Perché non me l’hai mai detto? – chiese in un soffio, e più che sentirlo Sara intuì dal movimento delle sue labbra.
– Mah – rispose scrollando le spalle, con espressione conciliante – fino all’anno scorso non saresti stato in grado di accettarlo, e poi boh, non mi è venuto in mente di dirtelo. –
– Quindi sei lesbica. – riassunse atono, osservando Sara scuotere il capo con un sorriso – Più bisessuale. – lo corresse.
– Va bene, buono a sapersi – disse senza alcuna intonazione, fissando il vuoto, e Sara sospirò accogliendo il ritorno di Emil e Adele con gioia, o forse rassegnazione, difficile dirlo. Notò appena che confabulava qualcosa con Emil, ma non ascoltò, allungando piuttosto il braccio verso un bicchiere di “non sapeva cosa, ma era alcolico” e buttandolo giù senza batter ciglio, accettando di riflesso la bottiglia di birra che Emil fece scivolare verso di lui subito dopo, quando le due ragazze riguadagnarono la pista da ballo.
Bevi Micky, domani sarà più semplice.
Non vedo come. –  disse con una risata forzata.
Beh, l’alcool aiuta.
Scrollò le spalle, reclinando il capo e portandosi la bottiglia alle labbra come avrebbe fatto un consumato alcolista, finché Emil non lo bloccò a metà bottiglia circa.
Facciamo due passi fuori, l'aria servirà a schiarirti le idee.
Non è che ci sia molto da chiarire semplicemente mia sorella gemella, con cui ho sempre condiviso ogni cosa, non mi ha mai detto che è per metà lesbica. La cosa ha un che di comico.
Continuarono così per un po', con Emil che cercava di distrarlo o di fargli prendere un pizzico di distacco dalla situazione con valide argomentazioni e lui che, al limite fra la sbronza e la lucidità, replicava punto per punto, per quanto la sua coscienza si stesse perdendo.
E senza sapere come, ad un certo punto si ritrovò a baciare Emil. Non come in al compleanno di Chris, questa volta lui ad avvicinarsi e cercare un contatto, che l'altro non gli negò, avvicinandosi a lui e accarezzandogli la nuca forse per tenerselo vicino o forse per dargli conforto.
 
Perché, la sera dei propri 23 anni, si possono fare scoperte migliori che non “tua sorella (gemella) è bisessuale”, vogliamo mettere un sano “è la seconda volta che bacio un ragazzo che a parole posso a malapena vedere, e la cosa mi piace”?









 
Buon  compleanno

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Capitolo 11
*** Otabek Altin ***


Otabek Altin:                                Indifferenza
19 anni,
31 ottobre
(sabato)
 
Driin Driin Driin Driin.
La sveglia suona come ogni giorno alle 6:53 e, anche se molti la ignorerebbero, Otabek no.
Come ogni giorno allunga il braccio verso il comodino, scorrendo il dito sullo schermo del cellulare per disattivarla, si siede sul bordo del letto e si alza attento a non fare rumore per non svegliare nessuno in casa.
Con passo tranquillo si dirige verso il bagno dove, con la tuta preparata il giorno prima, si prepara velocemente gettando giusto uno sguardo al proprio ciondolo per poi scendere a prepararsi la colazione, mettendo meccanicamente sul fuoco una teiera e scavando nella credenza alla ricerca di pane e marmellata.
Mangia da solo in tranquillità e per le 7:20 è in strada a correre, con una sciarpa a coprirgli naso e bocca e il borsone d’allenamento in spalla.
Arriva in palestra per le 8:30, come tutti i giorni rivolge un cenno col capo a chi lo saluta e fila a cambiarsi, pronto ad iniziare l’allenamento in vista dell’imminente competizione. Non si perde ad ascoltare gli auguri dei suoi compagni di allenamento e declina con fredda cortesia gli inviti ad uscire, raggiungendo il suo coach per discutere il programma.
Nulla di diverso dal solito: se è lì, è perché ha bisogno di allenarsi, non per fare amicizia.
L’allenamento è lungo e faticoso, ma non è una novità, così come le recriminazioni del coach che immancabilmente critica la sua “carenza d’espressività”.
Dopo una breve doccia si rinfila la tuta, mette la sciarpa nel borsone ed esce dalla palestra, aspettando il solito tram che passa a mezzogiorno e la vecchina che il mercoledì torna dalla spesa, e invece scopre un cambiamento nella solita routine: benché il tram stia passando e la vecchina sia ferma al semaforo in attesa di attraversare, seduto sulla scalinata fuori dal palazzetto intento a giocare col cellulare c’è Yuri.
– Yho Beka, è un’ora che ti aspetto. – Esordisce il giovane nel vederlo, infilandosi il telefono nella tasca della sua solita felpa, la sua preferita, quella della nazionale, per poi alzarsi in piedi con un sacchetto di carta in mano.
Magari a guardarlo non si direbbe, però di certo Otabek non si aspettava di trovarlo lì e la cosa lo sorprende parecchio. 
– Beh, non è più di moda salutare? – Riparte il russo con tono irritato, e per non innervosire ulteriormente la Ice Tiger of Russia si affretta ad alzare una mano in segno di saluto, osservando l’espressione del biondo farsi compiaciuta.
Nonostante il suo solito atteggiamento distaccato, però, non può trattenere una domanda.
– Cosa ci fai qui? –
– Non è ovvio? Sono venuto a farti gli auguri! – Risponde il russo con ovvietà, infilando una mano nel sacchetto ed estraendo un muffin comprato chissà dove, con sopra una singola candelina. Accartoccia il sacchetto e lo tira nel cestino a un paio di metri, cacciando poi una mano in tasca a prendere un accendino, e quando vede la fiammella danzare solleva il muffin all’altezza del viso dell’amico.
– Buon compleanno Otabek. – 
E per una volta, Otabek non riesce proprio a fare a meno di apprezzare apertamente, aprendosi in un minuscolo sorriso, nella speranza che anche tutti i successivi compleanni trascorrano nello stesso modo.








 
туған күнің құтты болсын

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Capitolo 12
*** Yuuri Katsuki ***


Yuuri Katsuki:                                   Il fascino della quiete
25 anni,
29 novembre
(domenica)
 
Sfrega la guancia contro il cuscino, troppo assonnato per aprire gli occhi, e spinge indietro la schiena per attaccarsi a Victor, la miglior fonte di calore durante l’inverno, ma non trova i familiari addominali del compagno dietro la sua schiena, solo lenzuola.
Mugola il nome del russo come una richiesta, ma non riceve risposta. Ora che ci fa attenzione le lenzuola sono fredde e non sente il rumore del respiro di Victor al suo fianco. Prova a cercarlo con un braccio, scandagliando il futon con cura, ma come sospettava non c’è traccia di lui.
Poco male, pensa vagamente, rotolandosi per cambiare lato d’appoggio, rimboccando il lenzuolo. Se Victor non c’è forse ha avuto qualcosa da fare, o magari aveva fame, ma la cosa vuol dire anche che lui potrà dormire un po’ più a lungo.
I sensi ancora addormentati, i pensieri vacui, inconsistenti, il tepore che lo ritrascina verso il sonno… chissà cos’ha preparato quel giorno sua madre per colazione.
-No Maccachin, non ancora.-
Sente la voce di Mari lontana anni luce, i passi misurati di suo padre e il profumo di Minako-sensei. È una combo bizzarra, non dovrebbe sentire tutte quelle cose, non a quell’ora.
Passi per Mari, che starà rassettando le camere degli ospiti, anche se di solito si limita ad aprire la porta a Maccachin incurante dell’ora, e forse anche suo padre è soltanto salito a prendere qualcosa in ripostiglio, ma Minako? Non è raro che la sua vecchia insegnante di danza venga all’onsen, ma non a quell’ora.
Che poi, non che lui sappia che ora sia, solo ha l’impressione che sia presto, troppo presto, e anche se così non fosse non ha intenzione di fare nulla per scoprirlo.
-Dov’è Victor?-
-Ha scritto che sarà qui in dieci minuti.-
A Victor piace andare a correre di prima mattina, di solito si alza alle sette apposta e sta fuori almeno un’ora, portandolo con sé. Devono essere almeno le otto e mezza, stabilisce, perché altrimenti la punta di preoccupazione nella voce di sua madre non avrebbe senso.
Le assi fuori da camera sua scricchiolano debolmente, senza che lui abbia sentito rumore di passi. Possibile che abbia ripreso a dormire? Per quanto intontito ha l’impressione di essere ancora sveglio.
Sente la porta di camera sua socchiudersi e d’istinto tira le lenzuola sopra la testa per proteggersi dalla lingua di Maccachin, ma poi non sente le unghie del cane ticchettare sul pavimento e la curiosità ha la meglio.
Fra la stanchezza, le ciglia e la sua miopia non vede granché, salvo tre minuscole figure alte su per giù un metro: troppo per essere il loro cane e troppo poco per un adulto.
-Via da lì voi!-
Riconosce la voce di Yuuko e d’istinto ricollega le tre figure a Axel, Lutz e Loop: perché sono lì?
Sbatte le palpebre cercando di mettere a fuoco la porta chiusa in tutta fretta.
A giudicare dalla luminosità della stanza è ancora presto, forse anche più del solito, ma in quel caso perché? Perché nessuno fa entrare Maccachin, perché sono tutti lì, e perché Victor non è lì con lui?
Perché?
Si sente come quei bambini di tre anni che si ostinano a ripetere quella domanda agli esasperati genitori nel tentativo di comprendere il mondo, poi dal nulla realizza.
È il suo compleanno!
Si lascia ricadere sul materasso, guardando le travi del soffitto. Sono tutti lì per organizzare la consueta festa di compleanno “a sorpresa”, salvo Victor che è da qualche parte.
Si rotola sulla pancia, sbadiglia e si strofina gli occhi. Apprezza le intenzioni e tutto, ma la sola cosa che vorrebbe, a dire il vero, è poter tornare a dormire.
 
 
 





 
お誕生日おめでとう

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Capitolo 13
*** Victor Nikiforov ***


Viktor Nikiforov:                                            Depressione cosmica
29 anni,
25 dicembre
(venerdì)
 
25 Dicembre, ovvero Natale: per le strade è tutto uno sfavillare di lucette e palline colorate rese ancora più vive in contrasto con il candido manto di neve che ha ricoperto senza sforzo le strade di San Pietroburgo. Victor si trovava ancora beatamente immerso nel calduccio delle sue coperte, quando un dispettoso e alquanto insolito raggio di sole, colpendo le veneziane della finestra, lo costrinse ad aprire lentamente gli occhi, mugugnando.
Sbadigliando, rotolò in posizione supina e scostò le coperte, facendo attenzione a non svegliare il bel moretto accanto a lui, che ancora dormiva beatamente. 
Si alzò e, come ogni mattina, strisciò pigramente i piedi diretto in bagno con l’intenzione di darsi una lavata, una sistemata e, perché no, radersi quei due peletti di troppo sul mento, ma quando vi arrivò e vide come prima cosa la sua figura stagliarsi nello specchio appeso sopra il lavandino, si trovò davanti ad un mostro che pensava di aver seppellito per sempre: la consapevolezza che, ahimè, il tempo passa inesorabile, per tutti, ma per lui in particolare!
Sospirò, appoggiato tristemente alla fredda ceramica del lavandino e si osservò inquieto: era per caso una rughetta quella, lì proprio vicino agli occhi? E quella macchiolina più scura che si stagliava sulla tempia, da quanto tempo stava là??  Era una sua impressione o il buchetto che si formava tra i capelli, quello che tanto divertiva Yuuri, era diventato improvvisamente più stempiato del solito!?!
Si allontanò quasi balzando all’indietro dalla malefica specchiera, una mano teatralmente aggrappata alla maglietta del pigiama, proprio all’altezza del cuore, quando un assonnato pigolio lo riportò alla realtà: “Vitya… va tutto bene…?”
Un Yuuri ancora tutto scarmigliato e intento a pulire frettolosamente gli occhiali contro la stoffa del pigiama, lo osservava preoccupato dalla soglia della camera da letto. “Yuuri, non era mia intenzione svegliarti- io, beh, sì sì sto bene…!” cercò di articolare, accompagnando il tutto con un sorriso falso come una moneta da 20 copechi*.
Il moro si limitò ad annuire, raggiungendolo in bagno. “Pensavo di preparare la colazione: c’è qualcosa che vuoi in particolare…?”
“Veramente io pensavo di farla fuori, sai così ho la scusa per farmi una corsetta, m-ma sentiti pure libero di preparare quello che vuoi eh! La cucina è a tua completa disposizione” rispose Victor, preparandosi e vestendosi a velocità record.
“Capisco. Oh, ma potremmo andarci insiem-”
“No no no no, tranquillo lyubimiy**, tanto ormai sono pronto, vado da solo, tu fai con calma e io sarò di ritorno presto, promesso~” e, afferrando le chiavi appese accanto alla porta, scomparve lasciando uno Yuuri confuso e sospettoso in piedi in mezzo al piccolo salotto.
Tornò in camera a grandi passi per recuperare il cellulare appoggiato sul comodino e lanciò un’occhiata alla data scritta in grande sul display: ”tutti gli anni è la stessa storia...” pensò scuotendo rassegnato la testa, quindi finì di velocemente di prepararsi, si diresse in cucina e si preparò una colazione frugale. Una volta finito, afferrò il cellulare: “Pronto Yurio? Sono Yuuri, ti chiamo per Victor... sì, sì, anche quest’anno… ok, ti aspetto, grazie.”

Nel frattempo anche il vincitore-per-5-anni-di-fila del Grand Prix consumava pensieroso la sua colazione. La filodiffusione del piccolo bar dove stava seduto ormai da una mezz’ora passava solo canzoni tremendamente natalizie, allegre e spensierate, ma Victor proprio non riusciva ad entrare nel mood festivo che lo circondava. Non c’è nulla da festeggiare, pensò, uscendo finalmente tra le fredde, freddissime strade di San Pietroburgo, dopo aver pagato il caffè e qualche vatrushki.
La corsa durò circa un’oretta, poi, rinvigorito dall’aria mattutina, decise di tornare a casa a testa alta e dimenticarsi di tutti quei brutti pensieri per godersi finalmente l’atmosfera natalizia, ma non appena mise piede oltre la porta si trovò davanti a due grossi problemi: Yuuri e un irritatissimo Yurio, entrambi fermi a braccia conserte sulla soglia.



Victor lanciò ad entrambi poco più di un’occhiata, in silenzio li superò e andò a sedersi mestamente sul divano.
“Victor...” provò a chiamarlo il moro, ma questo, dopo aver notato una coperta abbandonata tra i cuscini, vi si era già infilato sotto, come un bimbo che vuole evitare lo sguardo della mamma arrabbiata.
Yuuri lo guardò preoccupato per qualche minuto, sperando fosse solo un altro modo molto teatrale di manifestare il suo stato d’animo, ma quando non lo vide più riemergere si decise a sedersi accanto al piccolo morbido nascondiglio. “Victor… non vorrai passare tutto la giornata rintanato lì sotto? Ti prego, esci: parliamone, almeno” disse, passando delicatamente la mano su quella che, a vista, gli pareva essere la schiena ricurva del russo.
“Gno. нет.” la voce li raggiunse ovattata da sotto le coperte. Yurio tentò, allora, un approccio decisamente meno diplomatico, circumnavigando a grandi falcate il divano fino a trovarsi di fronte alla coperta per tirarla via con un gesto secco. “Basta fare i capricci vecchiaccio! Il maiale qui presente mi ha chiamato per aiutarlo a tirarti fuori da questa cazzo di depressione ed è quello che intendo fare!”
Ormai privato del suo scudo di protezione a Victor non rimase altro che mettersi seduto, gambe al petto, confortato solo dallo sguardo gentile del suo compagno.
“Avanti spiega una volta per tutte che cosa hai contro il tuo compleanno!! Che c’è, ti dà fastidio che sia a Natale, perché nessuno se ne ricorda??”
“Oh no no, niente di tutto questo… è solo che, beh, io non credo che ci sia niente da festeggiare…! Insomma sto invecchiando sempre più velocemente, a vista d’occhio, ecco!!”
“Hai veramente così tanta paura di invecchiare, Vitya?” domandò cautamente Yuuri, posando una mano sul ginocchio dell’albino, sporgendosi un poco nella sua direzione.
“...Sì. Sì, è così... e capisco quanto questo pensiero sia irrazionale, ma non riesco a superarlo” confessò, nascondendo un poco il viso.
“MA PERCHÉ’?!? Io non vedo l’ora!”
“Perché tu sei giovane Yurio, vuoi crescere ed è giusto così… Io-” sospirò, un lungo sospiro arrendevole, prima di alzare lo sguardo su un punto indefinito della stanza. “-sento di non potermelo permettere, sento di poter dare ancora molto! Ma il mondo dello sport è selettivo: vuole solo i più giovani, le “piccole leggende” e per noi… non c’è poi molto da fare: o si resta a fare le scimmie da palcoscenico nei vari Galà o si diventa allenatori per tutta la vita... come Yakov!” un leggero tremore si impossessò di lui quando nella mente gli si formò la raccapricciante immagine di un Victor completamente calvo se non per qualche ciuffetto di capelli sui tre lati.
Fu di nuovo Yuuri a riportarlo alla realtà, interrompendo quell’incubo ad occhi aperti. “Capisco, ma c’è dell’altro vero…?”
L’albino annuì e, prendendo le mani del compagno tra le sue, proseguì. “Ho paura di perderti, Yuuri… questo costante timore le cose possano cambiare tra di noi e- beh-” ma non riuscì a terminare la frase: Yuuri gli sorrise dolcemente, sporgendosi nella sua direzione fino a far incontrare le labbra in un bacio che durò un istante, e appoggiò con delicatezza la fronte contro la sua “Oh Vitya, non hai niente da temere: per me sarai sempre il pattinatore di fama mondiale per cui avevo una cotta da ragazzo e l’uomo con cui ho deciso di passare il resto della vita, dentro o fuori dal ghiaccio non ha alcuna importanza per me... l’unica cosa che conta è stare insieme ♥️”
Quelle semplici parole ebbero il potere di rischiarare finalmente la mente di Victor e far comparire sul bel volto il primo vero sorriso sincero della giornata.
“Grazie Yuuri… avevo veramente bisogno di sentirti dire questo” e, gettandosi sul povero moretto, lo strinse forte al petto “Я люблю тебя всем сердцем
A quella frase Yurio arrossì fino alle orecchie, recuperò i cuscini dal divano e li lanciò alla tenera coppietta con espressione inorridita, il tutto sotto lo sguardo confuso e preoccupato del giapponese che, ovviamente, non ci aveva capito un’acca.
“BASTA SMANCERIE INUTILI! Abbiamo risolto, bene, MA È’ NATALE NO?? E allora festeggiamo!! IO VOGLIO I MIEI REGALI  O R A”.








 
с днем ​​рождения









Note d’autore: anzitutto, buon natale gente!
Poi, poiché non mi piace prendermi meriti che non mi competono, devo dirvi che questa fanfiction è l’unica della raccolta a non essere opera mia, ma di un amica, gentilmente prestatami.
* copechi = centesimi di rublo, vale 0,025 centesimi di euro. Esistono solo le monete da 5,10, 50 e 100 copechi, perciò la “moneta da 20 copechi” è, appunto, inesistente. (lol)
** lyubimiy = darling (ho scelto questo perché il suono di dorogoi mi inorridisce)
*** vatrushki = dolcetti a base di tvorog un tipo di formaggio russo simile alla ricotta
**** Я люблю тебя всем сердцем (Ya lyublyu tebya vsem serdtsem) = I love you with all my heart

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Capitolo 14
*** Georgi Popovich ***


Georgi Popovich:                                       C’è sempre qualcuno che pensa a te
29 anni,
26 dicembre
(sabato)
 
Secondo i poeti del periodo del romanticismo, come ad esempio il celebre Leopardi, fin dalla nascita l’uomo non aveva davanti a sé altro che sofferenza. Ora, senza spingersi così in là, in parte aveva ragione: senza voler generalizzare, alcune nascite erano veramente tristi. No, Georgi non intendeva parlare delle morti di parto o dei bambini morti subito dopo la nascita, non si riferiva a quello. Magari usava il termine impropriamente, ma poco importava, nonostante questo lui continuava a ritenere il proprio compleanno triste.
A suo tempo il fatto che la madre lo avesse abbandonato con il presunto padre al momento della nascita lo aveva scosso molto, così come il distacco che il padre aveva mostrato per lui dopo che si era allontanato da casa, ma ormai non è che ci desse tutto questo peso. No, a ferirlo era un dettaglio molto più piccolo ed insignificante, una minuzia, ma come spesso capita è la somma di minuzie a ferire l’uomo.
E in questo caso era il freddo. No, di nuovo, no, non parlava tanto dei cinque o sei gradi sotto lo zero, quando del freddo portato dalle persone. Perché nel clima di festa di cui era ammantata la città, con il compleanno di Viktor il giorno prima, come ogni anno, tutti parevano essersi dimenticati di lui.
Come sempre.
D’altronde quando stai affianco a due luci abbaglianti come l’ex campione mondiale e la nuova promessa del pattinaggio, chi si metterebbe a guardare il “terzo classificato”?
Gli sarebbe anche piaciuto andare a pranzo fuori o vedere gli amici, ma il 26 dicembre tutti i locali erano affollatissimi e le famiglie festeggiavano, per cui non è che avesse una gran scelta, rifletté alzandosi dal divano. Non spense la tv, mise solo in pausa Il grinch, aggirando il divano per raggiungere la cucina, preparando una tazza di cioccolata calda. Fintanto che Yakov non fosse venuto a sapere che aveva trasgredito il suo rigido regime alimentare non ci sarebbero stati problemi, infondo, e poi poteva pur fare una piccola eccezione, era il suo compleanno diamine!
Con una tazza fumante in mano tornò a sedersi davanti alla TV, adocchiando l’orologio con la coda dell’occhio. L’una meno dieci. Onesto, poteva finire il film per le due e prepararsi da mangiare: qualche vantaggio c’era nel non dover rendere conto a nessuno.
Fare dei blinis veloci oppure riscaldare l’avanzo di borshch della sera precedete?
Mah, poteva sempre pensarci dopo, rifletté osservando pigramente i Nonsochì ballare, tanto aveva tutta la giornata per sé. Nessuno lo avrebbe cercato, nessuno lo avrebbe disturbato.
Il buono era che era libero di fare ciò che voleva.
 
 
Con fare pigro o forse solo annoiato si alzò tirando fuori “Polar express” dal lettore DVD e depositandolo sopra ad A Christmas Carrol, Il grinch e Nightmare before Christmas. Il quarto CD della giornata, e aveva ancora un paio di film prestatigli da Daniil da guardare.
Oppure avrebbe potuto fare qualcosa di utile. Tipo allenarsi, se non che la palestra e pure il palaghiaccio erano chiusi per ferie, o cucinare, se non avesse avuto il frigorifero vuoto, o forse…
No, inutile, non aveva nulla da fare.
Finiti i film più natalizi del natale stesso passò a Una poltrona per due, lasciando che il film cominciasse mentre andava a prepararsi un caffè.
Fra un film e l’altro alla fin fine non è che avesse mangiato granché, per cui presa la tazza con una mano e un pacchetto di biscotti con l’altra si girò per tornare a vegetare sul divano. Non è che gli piacesse magiare sul divano, di norma non lo faceva mai, però evidentemente quel giorno stava tentando di diventare un americano grasso e sedentario, e se le vacanze fossero durate ancora a lungo ci sarebbe senz’altro riuscito, bastava solo che…
Venne interrotto a metà della sua interessante riflessione dal trillo del citofono e accolse quasi con allegria l’idea di poter aiutare l’anziana signora che gli abitava affianco, prestandole lo zucchero, cambiandole una lampadina o anche solo buttando fuori un ragno dal suo salotto. Sarebbe comunque stato il primo (e unico) contatto umano della giornata.
Con malcelato zelo si diresse alla porta, lasciando il caffè ed i biscotti sul piano cucina. Aprì comunque con calma, timoroso che uno scatto improvviso potesse spaventare la povera vecchietta, e invece fu lui a spaventarsi.
Perché a meno che quella fragile donnina non avesse trovato il segreto dell’elisir di lunga vita, quella davanti a lui era Mila.
-Posso entrare?- domandò la ragazza con un ghigno, schernendolo mutamente per la sua reazione.
Grattandosi la nuca con imbarazzo si fece da parte per farla entrare, accendendo la luce e facendosi dare la giacca che appoggiò vicino alla propria sullo schienale del divano.
-Mi dispiace se ho fatto tardi, ero a cena coi parenti, hanno cancellato il treno per la neve e le strade sono bloccate.-
Georgi la guardò senza capire le sue parole, scettico e sorpreso che non lo stesse ancora perseguitando per la gaffe. Con curiosità e circospezione abbassò lo sguardo sulla scatola che Mila, seduta sul bracciolo della poltrona, teneva in grembo.
La risata della ragazzo lo ridestò.
-Smettila di guardarmi come fossi uno spettro, prendi due piatti e un coltello e mangiamo la torta, dovremo pur festeggiare in qualche modo il tuo compleanno, no?-
 
 
Mai, nemmeno sotto tortura, avrebbe ammesso di aver avuto voglia di piangere per quel semplice gesto. Perché sì, il mondo lo conosceva come un emo depresso e in attesa della morte, ma a dire il vero tutto ciò che desiderava era qualcuno che pensasse a lui, qualcuno che lo vedesse nonostante accanto a Viktor e Yuri fosse poco più di un parassita, quasi una persona comune e non un atleta.
E andava benissimo anche una mocciosa di nemmeno vent’anni che lo usava come taxista e facchino, spadroneggiando in casa sua e costandogli frequenti mal di testa.
 
 






 
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