A year with the Oathkeepers

di pampa98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il patto ***
Capitolo 2: *** Life in Winterfell I - Restare ***
Capitolo 3: *** Life in Winterfell II - Il modo normale ***
Capitolo 4: *** Life in Winterfell III - La cosa giusta ***
Capitolo 5: *** Finestra sul passato ***
Capitolo 6: *** L'occasione di ricominciare ***
Capitolo 7: *** In another life ***



Capitolo 1
*** Il patto ***


Prompt. Estate #38: "Non hai nessun altro da andare ad importunare? Amici? Parenti? Serpenti velenosi?" (Manny, “L’era glaciale”)


IL PATTO
 



Per Brienne era stato un onore essere invitata a Grande Inverno per addestrare la figlia minore di Eddard Stark. Quando suo padre le aveva parlato di quell’incarico, aveva descritto Arya come una ragazza incline ai dispetti e alla lotta, per niente interessata a rivestire il suo ruolo di lady. Le aveva detto che avrebbero legato senza problemi e così era stato.
La statura e il fisico di Arya la rendevano estremamente agile, anche se il suo stile di combattimento era molto scoordinato e non era ancora abbastanza forte per sollevare le spade da allenamento con una mano sola. Tuttavia Brienne era fiduciosa: l’impegno che mostrava, unito a un’abilità naturale, avrebbero fatto di Arya un’ottima spadaccina un giorno.
Sfortunatamente i loro allenamenti si erano dovuti interrompere dopo una sola settimana a causa dell’inaspettata visita del re e della sua corte. Lady Stark aveva proibito alla figlia di presentarsi sporca e disordinata di fronte ai regnanti e, soprattutto, desiderava che la bambina facesse amicizia con la principessa Myrcella, sua coetanea, e che magari assorbisse dentro di sé anche parte della sua grazia.
Andando a Nord, Brienne non si sarebbe mai aspettata di trovarsi in una situazione simile e la cosa l’aveva scombussolata per più di un motivo. Non aveva mai incontrato i membri della famiglia reale e se già si era sentita goffa e impacciata con gli Stark, i quali si erano comunque dimostrati delle persone alla mano, non osava immaginarsi a tentare un inchino di fronte alla regina.
Da un lato però sperò con tutto il suo cuore che anche Renly fosse in viaggio con la corte. Speranza che venne distrutta non appena Re Robert giunse a Grande Inverno con le sue guardie e la sua famiglia.
Brienne assistette al loro arrivo assieme a Ser Rodrick e Jon Snow. Il re era tutto il contrario di ciò che si aspettava: un uomo grasso, lento e con una lunga barba poco curata. Aveva sentito molte storie sul guerriero che aveva sconfitto il principe Rhaegar al Tridente e non riusciva a credere che l’uomo davanti a lei fosse la stessa persona. La regina, invece, era ancora più bella e aggraziata di quanto credesse, e si ritrovò ad arrossire, consapevole che si sarebbe sicuramente resa ridicola di fronte a lei.
Il suo sguardo si spostò poi sugli altri arrivati: sapeva che doveva esserci anche il Folletto, ma non riuscì a vederlo, mentre riconobbe Sandor Clegane dal suo elmo e alcune cappe bianche. Una in particolare catturò la sua attenzione per il fascino che emanava, in un certo senso ancora più potente di quello di sua sorella: Jaime Lannister. Lo Sterminatore di Re.
E di Renly nessuna traccia.
 
Brienne decise che avrebbe porto i suoi omaggi al re e alla regina quella sera a cena e poi avrebbe fatto in modo di evitarli per il resto del loro soggiorno, sperando che non si prolungasse per troppo tempo.
Aspettò il momento opportuno per presentarsi, ma quando fu evidente che Robert non avrebbe fatto altro che bere e importunare le servette, Brienne decise di parlare solo con la regina.
Cersei era seduta al tavolo principale accanto a Lady Catelyn, la quale quando la vide avvicinarsi le rivolse un sorriso incoraggiante e fu proprio lei a presentarla.
«Altezza, permettimi di presentarti Lady Brienne di Tarth. È arrivata una settimana prima di voi come… insegnante della mia figlia minore.»
Brienne piegò il busto in un inchino e sentì il volto andarle a fuoco di fronte alla risatina mal celata della regina.
«Mia… Mia regina.»
«È un piacere conoscerti, Lady Brienne» rispose Cersei, con un mezzo sorriso in volto. «Sei davvero molto alta.»
«G-Grazie…»
«Posso chiedere che tipi di insegnamenti impartite alla bambine qui al Nord da richiedere a una fanciulla di una terra lontana di venire fin qui al posto di una septa?»
Quella domanda mise evidentemente a disagio Lady Catelyn, la quale, sebbene fosse sempre stata gentile con Brienne, era assolutamente contraria alla scelta di suo marito. Mentire però non sarebbe stata una buona idea e, forse, se Cersei avesse saputo degli allenamenti di Arya, sua madre le avrebbe permesso di riprenderli.
«Mi è stato chiesto di insegnarle a combattere» rispose Brienne.
Cersei si lasciò sfuggire un risolino.
«Perdonami, non c’era un maestro d’armi per questo?»
«Naturalmente, maestà» intervenne Catelyn. «Tuttavia non volevamo disturbare Ser Rodrick per una cosa di così poco conto.»
La regina annuì.
«Sì, mi sembra ragionevole. È stato un piacere, Lady Brienne» aggiunse, rivolgendosi di nuovo a lei. «Ti prego di porgere i miei saluti a tuo padre e sappi che se mai vorrete fare un viaggio nella capitale sarete sempre i benvenuti.»
Brienne annuì, arrossendo.
«G-Grazie, altezza. Sei molto gentile.»
Fece un altro inchino e se ne andò. Lady Catelyn le aveva offerto di sedere vicino alla famiglia, ma Brienne aveva declinato l’invito, preferendo sedersi in una zona più appartata. Si diresse al suo tavolo a passo spedito, camminando a testa bassa, anche se così sapeva che poteva dare l’impressione di star scappando.
«Attento.»
Riuscì a evitare lo scontro grazie all’avvertimento dell’uomo.
«S-Sì, chiedo…»
Jaime Lannister. L’imbarazzo svanì subito quando vide che si trattava di lui, lasciando posto al disgusto e alla rabbia quando lui le scoppiò a ridere in faccia.
«Per tutti gli dei. Chiedo scusa, donzella, ma ti avevo scambiato per un uomo.»
«Con permesso» disse lei, cercando di allontanarsi. «Me ne stavo andando.»
Jaime si fece da parte, allargando le braccia per indicarle il cammino.
«Prego, donzella. Non vorrei mai esserti d’intralcio.»
Brienne strinse i pugni: non era una buona idea litigare con il fratello della regina proprio di fronte a lei, ma quell’uomo era ancora più arrogante e irrispettoso di quanto avrebbe creduto. E la sua opinione di lui era già molto bassa.
«Non mi chiamo donzella» ribatté.
«Non so come altro chiamarti. Non ci siamo presentati in effetti. Io sono…»
«Lo Sterminatore di Re» concluse Brienne. «Lo so già.»
Lo sguardo di Jaime si incupì per un momento e ritrasse la mano che le aveva offerto. Poi un ghigno divertito tornò a fare capolino sul suo volto.
«Allora suppongo che sia sufficiente, donzella. Buona serata.»
Se ne andò, impedendole di ribattere. Per un momento Brienne fu tentata di seguirlo e dirgli il suo nome, così avrebbe smesso di usare quello stupido appellativo, ma poi si disse che non ne aveva motivo: dubitava che si sarebbero incontrati spesso, perciò non era necessario prendersi quel disturbo.
Uscì dalla sala in cerca di aria fresca e silenzio.
 
Arya non poteva allenarsi, ma questo non impediva anche a lei di farlo. Brienne era una buona combattente, ma come le aveva ricordato Ser Goodwin prima di partire, lei era ancora una fanciulla e erano molte le cose che doveva imparare. Il suo addestramento con Arya era di lezione tanto alla bambina quanto a lei e Brienne era abituata a esercitarsi da sola: le bastava trovare una radura abbastanza appartata in cui potersi muovere liberamente.
Il parco degli Dei all’alba era il luogo ideale. L’albero diga la metteva in soggezione, ma l’area era abbastanza grande da non essere costretta a incontrare il volto insanguinato mentre si allenava.
Quella mattina era riuscita a esercitarsi in poche mosse prima di sentire dei passi dietro di lei. Un suono flebile, ma chiaro. Quando si voltò per vedere chi fosse il nuovo arrivato non riuscì a trattenere uno sbuffo di disappunto.
«Non volevo disturbarti. Continua pure, donzella.»
«Cosa vuoi?» esclamò bruscamente Brienne.
Jaime rise, alzando le mani in segno di resa.
«Scusa. Non sapevo di non poter venire qui, donzella.»
Brienne strinse la presa sull’elsa della spada, mentre il volto le si scaldava per la frustrazione.
«Ti ho già detto che non è il mio nome.»
«Lo so» rispose Jaime, sedendosi su una roccia vicino a lei. «Ma credevo che stessimo usando i nostri soprannomi.»
«Non ho un soprannome. Mi chiamo Brienne.»
«Hai anche un cognome?»
Brienne sospirò.
«Brienne di Tarth.»
Jaime sembrò rifletterci su.
«Tarth, Tarth… È molto lontana da qui.»
«Anche Approdo del Re lo è» ribatté lei.
«Vero, ma io sono venuto in questo buco gelido per accompagnare le loro maestà. La tua scusa qual è? Gli Stark vogliono reclutare il loro Gregor Clegane personale?»
«Sono stata invitata per insegnare l’arte della spada alla giovane Arya.»
«Il maestro d’armi non poteva farlo?»
“È uguale alla sorella nell’aspetto e nel carattere”, pensò Brienne.
Scosse le spalle e riprese ad allenarsi, anche se non era semplice: non si fidava a dare la schiena allo Sterminatore di Re e, allo stesso tempo, non riusciva a concentrarsi avendolo di fronte.
«Non ti muovi troppo male» commentò lui.
Brienne lo ignorò. Non le servivano consigli o complimenti da parte sua.
«Certo è facile essere bravi a combattere contro l’aria» continuò lui. «Con un avversario in carne e ossa verresti sconfitta in poco tempo. Avresti qualche possibilità contro uno scudiero forse. Io ti batterei senza alzare un dito.»
«Non hai nessun altro da andare a importunare?» sbottò lei, non riuscendo più a ignorare il suo chiacchiericcio. «Amici? Parenti? Serpenti velenosi?»
Jaime rise e quel suono le sembrò sincero.
«Temo di non avere molti amici da importunare e i miei fratelli sono sicuramente molto occupati. Potrei andare a cercare qualche serpente però.»
«Ottima idea. Ti auguro di trovarne.»
«Lo sai» disse Jaime, avvicinandosi a lei. «Tu sei l’unica che ha il coraggio di minacciare il fratello della regina e chiamarlo addirittura Sterminatore di Re in faccia.»
Brienne fece spallucce.
«Lo prenderò per un complimento.»
«In effetti lo era, più o meno. Dunque, stai aspettando Arya Stark per gli allenamenti?»
Brienne abbassò lo sguardo.
«N-No. Sono sospesi per adesso.»
«Capisco. Questo significa che hai tempo di farti mandare al tappeto da un vero cavaliere.»
Brienne gli rivolse uno sguardo torvo.
«Ti senti tanto sicuro di te, vedo. Non è che forse gli altri ti lasciano vincere perché sei il fratello della regina?»
Jaime ridacchiò.
«Ne dubito, specie perché lo fanno fin da quando ero bambino. Ma puoi sempre provare a smentirmi. Stasera al tramonto?»
«Non hai proprio nient’altro da fare?»
«Uh, è paura quella che percepisco? Parli tanto, ma non sembri intenzionata a trasformare le parole in fatti.»
Brienne sbuffò, tuttavia una parte di lei si sentì eccitata: Jaime Lannister sapeva combattere e poteva essere un degno avversario per lei. Inoltre, se lo avesse sconfitto avrebbe assegnato un duro colpo al suo ego e il solo pensiero la rendeva euforica.
«Come desideri» rispose. «Stasera al tramonto. E dopo che ti avrò fatto mangiare la polvere, tu la smetterai di importunarmi.»
«Un patto? Sei più interessante di quanto credessi.» Jaime allungò la destra verso di lei. «Se invece, come sicuramente accadrà, sarò io a farti mangiare la polvere, tu mi terrai compagnia per il resto del mio soggiorno qui.»
Brienne ponderò la scelta per un momento prima di stringergli la mano. Jaime le rivolse un ghigno soddisfatto e lei si ripromise che quella sera glielo avrebbe strappato dalla faccia.

 
 
 

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Capitolo 2
*** Life in Winterfell I - Restare ***


Prompt. Primavera #49: Incubi.

 
RESTARE




Brienne fu svegliata da dei lamenti e con il letto che si muoveva sotto di lei. In un primo momento pensò a un terremoto o – peggio – a un ritorno dell’esercito della morte, ma quando un braccio la colpì sulla schiena ricordò di non essere sola in quella stanza.
«Jaime» lo chiamò, scuotendolo per la spalla. Il suo volto era contratto in una smorfia di dolore e continuava a ripetere: “No! Ti prego, non farlo!”
«Jaime! Svegliati, Jaime!»
Jaime spalancò gli occhi, tirandosi su di scatto. Ansimava e sembrava terrorizzato, come se fosse ancora all’interno del suo incubo.
«Jaime?» lo chiamò dolcemente Brienne, allungando una mano verso il suo braccio.
Lui si voltò, sorpreso nel sentire la sua voce, ma non appena la vide il suo corpo emise un sospiro di sollievo. Si sporse verso di lei, prendendole il volto tra la mano e il moncone, e la fissò come se non credesse che fosse reale.
«Brienne» disse in un sussurro. «Stai bene?»
Lei annuì, portando una mano sopra la sua.
«Va tutto bene, Jaime. Era solo un incubo.»
Lui sospirò, sdraiandosi nuovamente sul letto.
«Solo un incubo» rise. «Cazzo, che figuraccia. Perdonami. Ti sarò sembrato un idiota.»
«Niente affatto» rispose decisa lei, sdraiandosi a sua volta. «Non è una cosa di cui devi vergognarti o scusarti. Anch’io faccio spesso degli incubi. Suppongo che sia normale con tutto quello che abbiamo passato.»
Jaime voltò la testa verso di lei e le sorrise.
«Sì, suppongo che tu abbia ragione.»
«Ne vuoi parlare?» gli chiese.
Lui scosse la testa.
«No, ma ti ringrazio per avermelo chiesto.»
«Va bene.»
Prima il sonno l’aveva colta subito, ma in quel momento sentiva la presenza di Jaime vicino a sé, più forte di prima, e avvertiva soprattutto il suo sguardo addosso.
«Che c’è?» sbottò alla fine.
«Prima ci siamo addormentati senza… parlare.»
Brienne sospirò, tenendo lo sguardo fisso sul soffitto. Si era sorpresa nel trovare Jaime ancora nel suo letto, ma probabilmente anche lui come lei era stato vinto dalla stanchezza e si era addormentato. Ora che era tornato lucido e che l’alcol aveva iniziato a esaurire il suo effetto, probabilmente le avrebbe detto che era stato un errore.
«Io sono rimasto» disse, «ma non sapevo se potevo farlo.»
Brienna aggrottò le sopracciglia.
«Che intendi dire?»
«Posso restare qui, Brienne? Per stanotte e… Anche per le prossime?»
Brienne spostò lo sguardo verso di lui, incredula per quelle parole. Per un momento temette che la stesse prendendo in giro, ma i suoi occhi erano sinceri.
«Sì» rispose automaticamente, aggiungendo poi: «Se… Se è quello che vuoi. Non devi sentirti obbligato.»
Jaime scosse la testa, mettendosi sopra di lei. La baciò sulle labbra, un tocco più casto di quelli che si erano scambiati poco prima, ma in qualche modo più intimo.
«Ormai dovresti conoscermi, donzella» soffiò sulla sua bocca. «Non faccio mai niente che non voglia fare. E io voglio restare qui con te, se sei d’accordo ovviamente.»
Brienne sorrise, passando una mano tra i suoi capelli.
«Una volta tanto sono pienamente d’accordo con te.»
 
 
 

 

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Capitolo 3
*** Life in Winterfell II - Il modo normale ***


Prompt: Estate #96. "Volevo nascere in una famiglia normale, e crescere come una ragazza normale, e poi incontrare un ragazzo normale e diventare amici normalmente… Volevo innamorarmi in quel modo." (Taiga, “Toradora”)

 
IL MODO NORMALE




«Avresti mai creduto che ci saremmo ritrovati qui insieme?»
Jaime si voltò verso di lei. Avevano consumato la cena nella loro stanza e si erano poi accovacciati di fronte al caminetto, stretti l’uno all’altra sotto le spesse pellicce. Erano rimasti in silenzio a guardare la danza delle fiamme finché Brienne non gli aveva posto quella domanda.
«Sapevo che ti avrei trovata qui quando sono partito» rispose.
«Non intendevo quello. Volevo dire…»
«So cosa volevi dire.»
Jaime le prese una mano e vi posò sopra un leggero bacio.
«Onestamente non lo so. Non credevo che… Sapevo di provare dei sentimenti per te già da tempo, ma pensavo che non sarei mai riuscito ad allontanarmi abbastanza da Cersei per dare loro una possibilità. E non sapevo nemmeno se tu mi avresti voluto.»
«Sul serio?» esclamò Brienne, sorpresa.
«Be, non mi sembrava di essere il tuo tipo. Ti piaceva Renly.»
«E che c’entra?» sbottò lei. Si adirava facilmente quando c’era in gioco il suo re.
«Niente. Solo… Non credevo che io fossi quello che volevi.»
«Certo che non lo eri» rispose. «Io volevo nascere in una famiglia normale, crescere come una ragazza normale, poi incontrare un ragazzo normale e diventare amici normalmente… Volevo innamorarmi in quel modo. Ma non è andata così, soprattutto la parte del ragazzo.»
«Già» convenne Jaime, tornando a fissare le fiamme.
«È andata molto meglio» continuò lei. «Se ci fossimo conosciuti normalmente non credo che mi sarei innamorata di te. Non fino a questo punto almeno.»
«Come, donzella? Credi che il mio fascino ti sarebbe stato indifferente?»
Brienne sbuffò.
«Non sei così attraente come credi, Jaime.»
«Davvero? Allora forse è meglio se smetto di spogliarmi vicino a te, se ti do così fastidio.»
Brienne rise, dandogli un pugno sul braccio.
«Tanto per cominciare, non puoi decidere tu se spogliarti o meno dal momento che non ne sei in grado…»
«È successo solo una volta!»
«…inoltre quello che sapevo su di te mi disgustava, per questo il tuo aspetto non avrebbe cambiato le cose. E poi, se ci fossimo incontrati in circostanze normali, non mi avresti nemmeno notata.»
«È difficile non notarti. Sei piuttosto alta.»
«Giusto. Mi avresti notata per schernirmi e ti saresti dimenticato di me.»
«Mi ferisce la poca fiducia che riponi in me, donzella» si lamentò Jaime, portandosi la mano sul cuore in un gesto teatrale.
«È solo la verità. Puoi dirmi il contrario?»
Jaime sospirò.
«In effetti no. Ma non ti avrei dimenticata, questo posso assicurartelo.»
Le baciò una guancia, passandole il braccio intorno alle spalle.
«Dunque sei contenta di quello che è successo per arrivare fino a qui? Essere stati rapiti, aver combattuto un orso, eccetera?»
«Non ho detto che mi è piaciuto tutto. Suppongo che lo stesso valga anche per te» aggiunse, lanciando un’occhiata al suo moncone.
«Ormai mi sono abituato» rispose, scuotendo le spalle. «E questo fa parte dello sviluppo non normale del nostro rapporto, perciò tutto sommato non mi dispiace troppo.»
Le sorrise, poggiando la fronte contro la sua.
«Non mi pento di quello che abbiamo passato insieme, Brienne.»
«Nemmeno io, Jaime.»
Chiuse gli occhi, sorpresa e felice per quel sentimento indesiderato inaspettatamente ricambiato, e pregò in cuor suo che quel momento non finisse mai.
 

 

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Capitolo 4
*** Life in Winterfell III - La cosa giusta ***


Prompt: Estate #36. "È solo di un’ombra e un pensiero che sei innamorata. Non posso darti quello che cerchi." (Aragorn, “Il signore degli anelli”)

 
LA COSA GIUSTA




«Te ne stai andando?»
Jaime si era rivestito velocemente e in silenzio, ma gli ultimi dubbi che ancora resistevano nella sua mente lo avevano fatto attardare qualche minuto di troppo. Non si voltò a guardarla. La sua decisione era giusta e non sarebbe mutata: amava ancora Cersei e non l’avrebbe lasciata morire da sola.
Doveva fare la cosa giusta.
Ma amava anche Brienne e desiderava restare con lei, ed era stato quel desiderio ad averlo trattenuto fino a quel momento.
Si alzò dalla sedia e cominciò a raccogliere le sue cose.
«Non puoi salvarla, Jaime» gli disse. Era talmente ovvio ciò che stava accadendo che non aveva nemmeno avuto bisogno di chiedergli perché lo stesse facendo.
Sentì un fruscìo alle sue spalle, segno che lei si era alzata, e difatti sentì due mani calde prendergli il viso e costringerlo a guardare i suoi occhi.
«Sei un brav’uomo. Non sei come lei, non lo sei affatto. Non sei costretto a morire con lei. Resta qui, con me.»
Sarebbe stata una supplica convincente, se non vi avesse aggiunto una falsità.
Jaime non era costretto a morire con Cersei – erano venuti al mondo insieme e se ne sarebbero andati insieme, ma più volte avevano rischiato di morire lontani l’uno dall’altra e lui non se ne era mai preoccupato.
Jaime non era come Cersei – era fedele ai suoi sentimenti e ai suoi voti, anche quando uno escludeva l’altro.
Ma Jaime non era un brav’uomo. Aveva compiuto innumerevoli atrocità per quell’amore che aveva condizionato la sua intera esistenza – una di quelle si trovava a poche camere da loro – e Brienne questo non riusciva a vederlo.
O forse era semplicemente lui ad aver perso la capacità di vedere il buono che albergava nel suo cuore. Era troppo tardi per cominciare a farlo in quel momento.
Sollevò la mano sinistra su quella di lei, ancora poggiata contro il suo volto, lasciandosi sfuggire un’ultima carezza.
«Pensi che sia un brav’uomo?» sospirò. «Ti sbagli. So che è quello che vorresti, ma non è così.»
«Sì, invece» insistette lei, mentre le lacrime iniziavano a velarle gli occhi. «Non sei perfetto, ma non sei nemmeno il mostro che tutti credono. Tu sei l’uomo che amo e…»
«È solo di un’ombra e un pensiero che sei innamorata» la interruppe, trovando la forza di allontanarsi da lei. «Non posso darti quello che cerchi, mi dispiace. Ti auguro ogni bene Brienne, perché sei la persona migliore che abbia mai conosciuto. Ma io non sono quel bene, non lo sono mai stato.»
Afferrò Lamento di Vedova, appoggiata accanto a Giuramento, e uscì dalla camera senza guardarsi indietro, dividendo per sempre l’unicità delle due spade.
Stava facendo la cosa giusta.
Se lo ripeté per ignorare i singhiozzi di Brienne alle sue spalle e il loro ricordo mentre cavalcava verso sua sorella. Continuò a ripeterselo anche mentre la città cadeva sopra di lui, consapevole che il suo posto era tra le braccia di Cersei.
Aveva fatto la cosa giusta.

 

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Capitolo 5
*** Finestra sul passato ***


Prompt: Estate #69. La fine di un amore non è la fine del mondo. E un giorno riusciremo a pensare “Sono felice di essermi innamorato di te”. (Rockin’Heaven)
 

FINESTRA SUL PASSATO




Si era ambientata in quella sua nuova, inaspettata vita più in fretta di quanto avrebbe creduto. Forse era stato per la quantità di compiti che aveva – ufficiali e non – e la vicinanza di Podrick che, pur essendo finalmente diventato un cavaliere e dunque suo pari, continuava a venerarla e ad essere il giovane impacciato che era partito con lei da Approdo del Re anni prima.
Riusciva a guardare al futuro senza paura o preoccupazione, dimenticando il passato. Non era difficile: aveva completato la pagina di Jaime pochi giorni dopo il suo ingresso nella Guardia Reale e da allora non aveva più posato gli occhi su quelle parole; Giuramento era riposta insieme alla vecchia armatura nel suo armadio – non ne aveva più bisogno e non muoversi con la sua presenza costantemente accanto le rendeva più semplice allontanarne la memoria.
La parte più difficile era evitare Tyrion Lannister. Brienne si era sempre assicurata di non restare sola con lui e, se proprio non poteva farne a meno, parlava della ricostruzione delle fogne e della gestione dei rapporti con le città confinanti per tenere la conversazione lontana da suo fratello. Sapeva che lui voleva parlarne, ma lei non era pronta ad ascoltarlo, principalmente perché sapeva cosa avrebbe detto. Bugie. Bugie a cui lei – o forse anche lui – avrebbe voluto credere e ci aveva creduto quando Jaime era al suo fianco, ma ormai la realtà era troppo evidente per poterla ignorare.
“È morto per proteggere la sua regina.”
Quella era la verità, l’unica che contasse. E nessuna parola di Tyrion sul suo amato fratello l’avrebbe cambiata.
 
Quando sentì bussare alla porta, Brienne andò ad aprire chiedendosi chi potesse essere a quell’ora.
«Posso contare sulla tua compagnia?»
Tyrion Lannister era di fronte a lei, con una bottiglia di vino in mano e uno strano sorriso dipinto in volto.
«Non bevo» sentenziò Brienne.
«Puoi farmi compagnia anche senza farlo. Per favore.»
Qualcosa nel tono con cui pronunciò quelle due parole la fece spostare di lato, permettendo al Primo Cavaliere di entrare.
«Appartamento molto sobrio» notò, dirigendosi verso il tavolo. «Un po’ piccolo per la Lady Comandante.»
Brienne arrossì, chiudendo la porta senza voltarsi verso di lui.
«Non ho bisogno di grandi spazi» si giustificò.
«Già, suppongo sia una prerogativa di tutte le Spade Bianche. Jaime diceva sempre che la sua stanza era troppo grande per i suoi gusti.»
«Che cosa vuoi, Lord Lannister?»
Brienne era disposta a mettere da parte la buona educazione se si fosse rivelato l’unico modo per liberarsi del suo indesiderato ospite e del fantasma che portava con sé.
«Immagino tu sappia che giorno è oggi» le disse, guardandola negli occhi.
Brienne sostenne il suo sguardo. Strinse le mani a pugno per impedire loro di tremare contro la sua volontà. Era il passato e non faceva più male.
«Il giorno della disfatta di Approdo del Re.»
Tyrion annuì cupamente. Si sedette, riempiendo due bicchieri di vino e allungandone uno verso di lei, nonostante Brienne fosse ancora ferma davanti alla porta.
«Brinda con me.»
«Non mi piace il vino.»
«Lo so. Ma questa è un’occasione che lo merita, non trovi?»
«Sei tu ad aver perso i tuoi fratelli, mio signore» disse con voce ferma. «Non io.»
Tyrion sospirò, svuotando il suo bicchiere prima di riempirlo nuovamente.
«Oggi ho scoperto che la mia prima moglie si è risposata.»
Brienne non era certa che quell’argomento fosse uscito privo di secondi fini, ma si avvicinò comunque a lui per sentire cos’aveva da dire.
«L’hai incontrata?»
«No. Me ne vergogno, ma ho usufruito dei poteri del nostro re per sapere se fosse viva e… e felice. Sembra che lo sia.»
«Mi fa piacere. A te no?»
Tyrion sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Certo, sì. E anche no. Sai, il fatto è che c’era una piccola parte di me che sperava di avere ancora un’opportunità con lei. Ma mi sono mosso troppo tardi e mi è sfuggita dalle mani. La nostra storia è finita per sempre. Credevo che questo pensiero mi avrebbe rattristato, e in parte è così, ma ho anche capito una cosa importante.»
«Cioè?»
«La fine di un amore non è la fine del mondo. E un giorno riusciremo a dire “Sono felice di essermi innamorato di te”.»
Brienne sbuffò, scuotendo la testa. Ovviamente sarebbe andato a parare lì.
«Non paragonare le due cose. Tu non… Tu non l’hai abbandonata a se stessa dopo aver finto di amarla per tornare dalla donna che amavi davvero.»
«No. Io ho fatto una cosa decisamente peggiore.»
Calò il silenzio sulla stanza, mentre entrambi ripensavano ai fantasmi dei loro amori passati. Brienne tenne la testa bassa, non volendo mostrare le sue lacrime. Era stanca di soffrire per Jaime. Era stanca di amarlo.
«Sai che sono stato io a liberarlo?»
«Tyrion, non voglio parlare di lui!»
«Abbiamo parlato un po’» continuò, ignorando le sue proteste. «E mi ha detto di dirti…»
«Niente!» Brienne si alzò in piedi, sbattendo le mani sul tavolo. «Non ti ha detto di dirmi niente! Quello che conta me lo aveva già detto a Grande Inverno, non c’è bisogno che tu ora venga a inventarti che mi amava o voleva proteggermi, perché sarebbero solo delle cazzate! E voglio credere che tu mi rispetti abbastanza da non mentirmi così spudoratamente.»
«Non voglio mentirti, né ferirti, Brienne. Davvero non è mia intenzione. Ero felice che Jaime restasse con te, felice di vederlo finalmente libero di amare ed essere amato come meritava. Il problema è che nessuno di noi due è mai stato in grado di comprendere a fondo il legame che lo univa a Cersei. Forse nemmeno lo stesso Jaime c’è riuscito.»
Brienne sospirò, asciugandosi le guance dalle lacrime che erano scese.
«Non ha importanza ora» disse. «Lui… Lui è morto con lei. Non c’è altro da dire.»
«Quei giorni sono stati reali.»
«Te lo ha detto lui?» chiese, tornando a sedersi.
Tyrion annuì.
«In fondo lo sapevi anche tu. Se avesse potuto scegliere, sarebbe rimasto.»
“Lui poteva scegliere”, pensò. Probabilmente non era vero. Aveva potuto farlo fintanto che Cersei non era in evidente pericolo, ma dopo la strada era una sola. Forse se lo avesse capito subito, dopo che era giunta quella lettera, avrebbe potuto convincerlo a restare.
«Che sarebbe successo» chiese con voce rotta, «se lei fosse morta da sola?»
Tyrion scosse la testa.
«Non ne ho idea.»
Brienne prese il suo bicchiere, sollevandolo verso di lui. Sospirò.
«In questo momento non riesco a essere felice del mio amore.»
«Lo so» Tyrion batté il bicchiere contro il suo, rivolgendole un sorriso triste. «A me sono serviti vent’anni.»
 

 

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Capitolo 6
*** L'occasione di ricominciare ***


Prompt: Inverno A #22. A ha creduto a lungo che B fosse morto… ma B alla fine ritorna, ed è vivo e vegeto.


L'OCCASIONE DI RICOMINCIARE





«Ho bisogno di parlarti.»
Brienne aggrottò le sopracciglia, sapendo che quando Tyrion Lannister esordiva in quel modo non si trattava mai di buone notizie.
«Che succede?»
Lui strinse e aprì i pugni più volte, guardando ovunque tranne che verso di lei.
«Tyrion? È successo qualcosa a Joanna?»
«No, no. Lei sta bene, ma… È meglio se vieni con me.»
«Sta bene, ma cosa?» esclamò Brienne. «L’hai lasciata di nuovo con Bronn?»
Tyrion scosse la testa.
«No, tranquilla. Joanna è al sicuro nella sua camera. Forza, vieni con me.»
Titubante, Brienne lo seguì.
Si fermarono di fronte alla porta della camera di Tyrion e solo allora lui tentò di nuovo di parlare.
«Prendi un bel respiro» le disse, «e cerca di non dare di matto.»
«Perché dovrei dare di matto? Hai detto che mia figlia sta bene, no?»
«Sì, sì. Joanna non è coinvolta in questa storia. Non ancora» sospirò, e aprì la porta.
In un primo momento Brienne non vide niente. Entrò nella stanza, cercando di trovare qualcosa fuori posto. C’era un unico elemento dissonante nella camera: un fantasma, seduto sul letto.
L’uomo scattò in piedi appena la vide, in quel modo brusco e impacciato con cui l’aveva accolta molte volte in passato. Qualche ciocca dorata resisteva ancora tra i suoi capelli grigi e la barba ben curata era poco più corta di quella che aveva avuto a Grande Inverno. Era vestito di abiti semplici, non adatti al suo rango.
«Ciao, Brienne.»
La sua voce era reale, il suo corpo era reale. Gli occhi verdi brillavano ancora con quella luce che aveva sempre rivolto a lei – la stessa luce che un tempo Brienne aveva osato chiamare amore.
Dopo quasi sette anni, Jaime Lannister era di nuovo di fronte a lei. Vivo.
«Lieta che tu abbia ritrovato tuo fratello, Lord Tyrion» disse. Aveva un piede fuori dalla porta prima ancora di finire la frase.
Evitò i tentativi del nano di trattenerla, ignorò le richieste di Jaime – «Brienne, aspetta…» – e quando fu abbastanza lontana da loro iniziò a correre verso la sua stanza.
Si chiuse la porta alle spalle e si appoggiò contro di essa nel tentativo di riprendere fiato. Si disse che il batticuore e il tremore erano dovuti alla corsa e che le sarebbe bastato un minuto di riposo per riprendersi.
Jaime è vivo.
La testa iniziò a girarle vorticosamente e Brienne riuscì appena a raggiungere il letto prima che le sue ginocchia cedessero sotto il peso dei suoi sentimenti.
Jaime è vivo.
Un singhiozzo, poi un altro e un altro ancora. Le sembrò di essere tornata nella sua stanza a Grande Inverno, quando aveva versato tutte le sue lacrime, sfogando il dolore e la rabbia. A distanza di anni e di miglia, stava piangendo per lo stesso motivo, ma la rabbia stavolta non era dovuta all’odio che Jaime provava per se stesso: era furiosa perché, nonostante tutto, una parte di lei si sarebbe voluta gettare tra le sue braccia appena lo aveva visto.
 

Quella sera chiese a Pod di cenare con Joanna, inventando dei finti impegni, sapendo che la bambina adorava passare del tempo con il cavaliere. Aveva bisogno di riorganizzare le idee per il suo successivo incontro con Jaime.
«Lo vedrò stasera» aveva detto a Tyrion, dopo essersi calmata. «È padre. Ha il diritto di saperlo.»
Quando Jaime bussò alla sua porta, lei rimase alla finestra. Lo sentì andarle vicino, ma mantenendo comunque una distanza rispettosa. Un tempo le avrebbe cinto la vita, baciandole il collo e sussurrandole all’orecchio promesse di passione.
«Non sono qui per scusarmi o per implorare il tuo perdono» disse. «So di non meritarlo ancora. Ma vorrei che mi ascoltassi. Vorrei raccontarti cos’è successo e perché ho fatto quello che ho fatto.»
Brienne annuì e Jaime raccontò.
L’inizio lo conosceva, tranne per un particolare. Jaime aveva deciso di andare a morire con Cersei – “Siamo nati insieme e moriremo insieme” – perché non credeva fosse giusto che lei pagasse da sola. E perché sapeva di non essere abbastanza per Brienne. Sapeva che lei meritava di meglio.
Brienne avrebbe voluto dirgli che non sapeva niente, ma lo lasciò proseguire.
Ad Approdo del Re le cose erano cambiate. Tyrion gli aveva offerto un’opzione per salvare Cersei e, di conseguenza, se stesso. Gli raccontò del duello con Euron e delle ferite che aveva riportato, del terrore di sua sorella di fronte alla morte inevitabile, di come fossero riusciti a ripararsi vicino a una delle colonne portanti dei sotterranei e dell’arrivo di Tyrion. Li credevano tutti morti, nessuno presidiava la Fortezza Rossa, perciò non era stato difficile per loro tre sgattaiolare fino alla spiaggia e fuggire.
Aveva lasciato la mano d’oro a suo fratello, come prova che lui e Cersei erano effettivamente morti. Brienne dovette constatare che era risultato credibile, mentre il suo sguardo vagò verso l’oggetto incriminato, posato sul ripiano accanto a Lamento di Vedova.
Jaime le parlò poi del difficile viaggio fino a Pentos, in cui lui aveva lottato tra la vita e la morte, mentre Cersei cercava di remare il più in fretta possibile. Giunti nelle città libere erano stati aiutati da una famiglia di pescatori, verso cui Jaime sarebbe sempre stato debitore. Sporchi e feriti, nessuno aveva sospettato che fossero i Leoni di Lannister ed erano stati trattati gentilmente e soccorsi come meglio avevano potuto. Jaime era stato fortunato: Euron aveva mancato gli organi vitali e, nel giro di qualche mese, era riuscito a rimettersi.
A quel punto erano iniziati i veri problemi e Brienne non ebbe difficoltà a credergli. Il piano di Jaime era contorto, basato su supposizioni labili, e aveva riposto troppe speranze nel buonsenso della sorella.
Disse che le aveva raccontato tutto: di quello che provava per lei, di ciò che era successo a Grande Inverno, del perché fosse tornato indietro e di quale sarebbe stato il loro futuro. Chiunque si fosse seduto sul Trono di Spade, Cersei sarebbe stata giustiziata se mai fosse tornata a Westeros. Jaime aveva una speranza e un valido motivo per tornare. L’avrebbe aiutata a costruirsi una vita a Pentos o a Braavos o dovunque avesse voluto lei, tranne che nel continente.
Erano serviti sette anni e la conoscenza di una coppia di nobili, i Merryweather, per convincere Cersei a cedere e assecondare Jaime. Non appena era stato sicuro che sua sorella non avrebbe cambiato idea, tentando di tornare a casa, Jaime le aveva detto addio e aveva preso la prima nave per Approdo del Re.
«Non eravamo completamente fuori dal mondo» le disse. «Sapevamo che era Brandon Stark a regnare, così come siamo venuti a conoscenza dei membri del concilio ristretto. Suppongo che sia tu quella che lo tiene in piedi.»
Un piccolo sorriso comparve sul volto di Brienne, ma lo fece sparire quando si voltò verso Jaime.
«Non ho ancora capito perché sei tornato.»
L’uomo abbassò lo sguardo.
«Mentre cavalcavo verso sud, sentivo le tue parole rimbombare nella mia testa. Suppongo che tu non le pensi più, ma… Alla fine credo che mi abbiano convinto. Volevo tornare da te, Brienne. Cancellare quello che avevo fatto, quello che avevo detto.
«Ma sapevo che non sarei mai stato in pace con me stesso se non avessi rivisto Cersei. Se non avessi provato almeno a salvarla. Non potevo definirmi un brav’uomo se avessi lasciato morire mia sorella. Così sono andato avanti per la mia strada. Ho fatto ciò che ritenevo giusto, ciò che dovevo fare e adesso… Adesso sono di nuovo dove volevo essere fin dall’inizio.»
Alzò gli occhi verso di lei. Brienne ricambiò lo sguardo: non tremò, non sospirò. Rimase immobile con le braccia incrociate sul petto, affondando le dita nella carne nel tentativo di impedirsi di fare qualcosa di sciocco.
«Ero incinta» disse semplicemente.
Jaime sgranò gli occhi. Evidentemente nel suo piano non aveva incluso questa incognita.
«Eri…?»
«Si chiama Joanna. Compirà sette anni tra due lune. Sa che sei morto.»
Per qualche minuto, Jaime non parlò. La notizia lo aveva sconvolto. Brienne ne fu quasi soddisfatta: lei aveva avuto bisogno dell’aiuto di Podrick e Sansa quando aveva ricevuto la stessa notizia. Le era sembrata una crudeltà, una punizione che non credeva di meritare. Alla fine si era semplicemente rivelato un miracolo.
Joanna era la sua luce, la sua ragione di vita. Si era chiesta spesso se Jaime avrebbe provato lo stesso. Ora aveva paura di conoscerne la risposta.
«Le hai dato il nome di mia madre» disse infine. Aveva gli occhi lucidi, ma la sua voce era ferma.
Brienne si strinse nelle spalle.
«Mi piaceva. Tyrion era d’accordo.»
Jaime annuì. «Il suo cognome…»
«Tarth. Anche se… Tutti sanno chi è il padre. Semplicemente non sapevo se avresti voluto… Se l’avresti voluta.»
«Non sapevi… Come hai potuto pensare che non l’avrei voluta?»
«Sei arrabbiato?» Brienne era incredula. «Ti sconsiglio di rispondere di sì. Non ne hai il diritto.»
Jaime sospirò, passandosi la mano tra i capelli.
«No, non… Mi dispiace che tu lo abbia pensato. Posso… Posso incontrarla?»
«No. Non ancora» aggiunse, di fronte al suo sguardo ferito. «Te l’ho detto, lei sa che sei morto. Prima dovrò parlarle e spiegarle la situazione.»
Jaime annuì.
«Sì, hai… Hai perfettamente ragione.»
Di nuovo silenzio.
«È meglio se vai» disse Brienne. «Joanna arriverà a momenti e…»
«Sì, certo» Jaime però rimase immobile. «Sei felice? Di rivedermi.»
Lo era? Non lo sapeva per certo nemmeno lei. Una parte aveva desiderato averlo accanto a sé in tutti quegli anni, ma un’altra si era abituata alla sua assenza e aveva iniziato a conviverci con relativa serenità. Il suo ritorno destabilizzava tutto.
«Non lo so» rispose sinceramente. «Un po’ sì, un po’… È complicato.»
Jaime annuì, rivolgendole un sorriso triste.
«Almeno non è stato un no secco.»
Le augurò la buonanotte e se ne andò.
 

Quella notte Jaime Lannister sognò di trovarsi sui prati di Tarth, sotto il sole estivo, con sua moglie accanto e loro figlia addormentata tra le sue braccia. Aveva sognato spesso scenari impossibili accanto a spettri antichi, eppure quello che vedeva in quel momento poteva essere stato la sua realtà.
Se si fosse dimostrato davvero un brav’uomo, poteva ancora diventarla.
 

«In teoria dovrebbe essere a lezione adesso» gli disse Tyrion, dopo che Jaime lo aveva costretto a dirgli dove fosse Joanna. «Ma è più probabile che la trovi al parco degli dei con una spada in mano.»
Jaime capiva la preoccupazione di Brienne ed era d’accordo che dovesse essere lei a spiegare con calma alla bambina che suo padre era ancora vivo. Tuttavia lui desiderava vederla. Anche solo da lontano, anche solo per un momento.
Raggiunse la terrazza che dava sul parco, ripensando a quando lui e Brienne andavano lì per osservare Sansa Stark. Erano passati almeno dieci anni, eppure a lui sembravano ricordi recenti. Si appoggiò alla ringhiera, osservando la zona sottostante: non c’era nessuno.
Forse quella mattina Brienne l’aveva obbligata a seguire le sue lezioni per evitare che Jaime la vedesse. Non avrebbe potuto biasimarla: se Joanna lo avesse avvicinato, non era certo di quello che avrebbe fatto.
Decise che era meglio lasciar perdere e sopportare l’attesa, fino a quando Brienne non li avesse fatti conoscere. Lei aveva dovuto affrontare una gravidanza e la maternità da sola, un piccolo sforzo avrebbe dovuto compierlo anche lui.
Si voltò per tornare nella sua camera quando sentì un urlo provenire dalla sua destra. Corse a vedere di cosa si trattasse e vide una bambina sul bordo della scogliera che guardava sotto di sé. Aveva i capelli biondi raccolti in una coda e indossava abiti da scudiero.
«È pericoloso stare lì!» la avvertì Jaime.
Lei si voltò e lui scoprì che Joanna aveva preso gli occhi da sua madre. Per un momento gli sembrò di trovarsi di fronte a una Brienne in miniatura.
«S-Scusa» disse lei. «Ma mi è caduta la spada. Si è incastrata tra i cespugli. La mamma non ne sarà contenta.»
Jaime si avvicinò per vedere quanto fosse drastica la situazione. Le sorrise.
«Allora basterà che tua mamma non lo sappia.»
La spada non era a più di due metri in basso, così Jaime si calò aggrappandosi ai rami circostanti e la prese, riportandola a sua figlia.
«Ecco» le disse, porgendogliela.
«Ah, grazie! Grazie!» esclamò lei, saltellando e stringendo la spada di legno a sé. «Grazie davvero!»
«Figurati. Tua madre è una che si arrabbia spesso?»
«Solo quando finisco in pericolo. Di solito è colpa di zio Bronn, ma oggi mi ci sarei potuta mettere da sola.»
Jaime si segnò mentalmente di fare un bel discorsetto con Bronn quando lo avrebbe rivisto.
«Se dovesse succederti di nuovo una cosa simile, vai a chiamare un adulto» le consigliò Jaime. «È pericoloso per te fare quello che ho fatto io.»
«Va bene» annuì lei, abbassando lo sguardo. I suoi occhi si fissarono sul braccio destro di Jaime.
«Anche tu non hai una mano?»
Jaime si coprì subito con il mantello, sperando che quella vista non l’avesse disgustata.
«Anche il mio papà aveva perso la mano destra per salvare mamma. A te com’è successo?»
“Nello stesso modo”, pensò Jaime.
«Stavo scaricando delle botti al porto e una mi è caduta sulla mano. La ferita era talmente grave che è stato necessario tagliarla.»
Lei annuì.
«Mi dispiace. Sei un pescatore?»
«Sì, più o meno.»
«Joanna!»
La bambina si voltò verso la voce di sua madre, mentre Jaime non ebbe il coraggio di incontrare il suo sguardo.
«Ciao, mamma» Joanna le corse incontro, cominciando a raccontarle quello che era successo. «… E poi… ehm, come ti chiami?» chiese, rivolta a lui.
«Arthur» mentì nuovamente Jaime. Se non avesse visto il moncone, avrebbe potuto tentare di dirle il vero nome, ma data la situazione avrebbe sicuramente capito chi era.
«E poi Arthur ha scalato la parete e me l’ha riportata» concluse Joanna.
«Fortuna che c’era Arthur, allora. Sbaglio o ti avevo detto di non allenarti così vicino al bordo? Rischi di cadere.»
«Ho un buon equilibrio.»
«O di perdere la spada.»
A quello Joanna non poté ribattere.
«Ti alleni un po’ con me, mamma?» chiese per cambiare argomento.
«Ora no, tesoro. Ho delle cose da fare e tu hai una lezione da seguire» disse, prendendole la spada.
«Ma hai detto che non sono obbligata!»
«Non sei obbligata a ricevere tutte le lezioni che dovrebbe seguire una lady. Ma almeno la Storia voglio che tu la conosca, lo sai. Non vuoi fare bizze davanti al tuo nuovo amico, vero?»
Joanna si voltò verso di lui, in cerca di un sostegno che non trovò.
«La mamma va sempre ascoltata, Joanna» le disse.
Lei si esibì in uno sbuffo teatrale. Salutò Jaime e diede un bacio sulla guancia di sua madre prima di dirigersi a passo lento verso la sua lezione.
I due cavalieri rimasero per qualche momento a fissarla e, quando la sua figura non fu più visibile, Jaime si preparò ad affrontare la furia di Brienne.
«Ti avevo chiesto di non avvicinarti a lei per il momento» disse. La rabbia che credeva avrebbe riempito la sua voce era stata sostiuita da semplice tristezza.
«Mi dispiace. Non era mia intenzione rivolgerle la parola, ma l’ho vista in difficoltà e… Per aiutarla temo di aver peggiorato le cose.»
«Sì, forse. Potevi almeno non averle mentito sul tuo nome.»
Jaime sollevò il moncone.
«Ha detto che anche suo padre ha perso la mano, per proteggere sua madre» disse. «Temevo che avere anche il suo nome sarebbe stata una coincidenza troppo strana per non farle destare sospetti.»
Brienne annuì. Non lo aveva ancora guardato negli occhi.
«Le hai parlato di me.»
«Te l’avevo detto» rispose, arrossendo.
«Credevo le avessi solo spiegato perché non aveva un padre. Le hai detto altro invece.»
Quando lei rimase in silenzio, aggiunse:
«Perché?»
«Ancora non lo capisci, vero?» sospirò lei. «Non è una sola azione a definire chi sei, Jaime. Hai fatto tanto per cui vali la pena essere ricordato. E io…» si fermò, alzando lo sguardo su di lui. Aveva gli occhi lucidi e Jaime avrebbe solo desiderato poterle baciare quelle iridi azzurre e far svanire la tristezza e, con quella, tutto il male che le aveva fatto. «Comunque molte cose gliele ha dette anche Tyrion» concluse con tono fermo.
Jaime annuì.
 

Quella sera, mentre aspettava Tyrion nella loro stanza, sentì bussare alla porta e, con sua enorme sorpresa, vide entrare Joanna e Brienne. La bambina sembrava meno entusiasta di quella mattina e lo fissava incerta, spostando lo sguardo da lui a sua madre.
«Ciao» le salutò Jaime, cercando negli occhi di Brienne una spiegazione a quella situazione.
«Visto quello che è successo stamattina, ho pensato… Ecco, beh… Non aveva senso aspettare oltre. Jaime, Joanna… ora vi conoscete.»
Un sospiro attraversò le labbra di Jaime: non solo Brienne non si era arrabbiata per ciò che era successo, ma aveva addirittura parlato subito a Joanna di lui. Non gli sembrava vero.
«Ciao» lo salutò Joanna, muovendo una mano verso di lui. Jaime si accovacciò di fronte a lei e le sorrise.
«Ciao. Mi… Mi dispiace di averti mentito e… per tutto. Ti va di ricominciare da capo?»
Le tese la mano e lei ricambiò il gesto. Affrontate le formalità, gli sorrise e gli gettò le braccia al collo. Jaime si gelò, sorpreso e spaventato per quella dimostrazione di affetto inaspettata. Guardò verso Brienne per cercare supporto e lei gli fece cenno di ricambiare l’abbraccio. È così che si fa con i figli, sembrava dire.
Le sue braccia andarono a circondare il corpo minuto della bambina – e il ricordo di un’altra gli venne alla mente, nella prima e unica occasione in cui aveva potuto essere suo padre. Strinse la presa intorno a lei, mentre nella sua mente si ripeteva che non era Myrcella e non sarebbe morta tra le sue braccia.
Ci fu un brontolio nella stanza. Brienne si sforzò di trattenere una risata, mentre Jaime non ne fu in grado.
«Che c’è? Tu non hai mai avuto fame?» sbottò Joanna, allontanandosi da lui. Incrociò le braccia al petto, mettendo il broncio.
«Scusa» disse Jaime, cercando di calmarsi. «Hai ragione, la fame è una cosa molto seria e non dovremmo scherzarci sopra. Giusto, donzella?»
Brienne aveva una mano davanti alla bocca per trattenersi dal ridere. Quando pronunciò quella parola – prima che lui stesso si rendesse conto di ciò che aveva fatto – il suo sguardo mutò, divenendo nostalgico e quasi… dolce. Jaime le rivolse un sorriso timido.
«Dunque… Joanna ha fame. Come possiamo risolvere?»
«Zio Pod non stava per portare la cena in camera?» chiese la bambina.
Brienne annuì.
«Sì, dovrebbe essere già tutto pronto» le disse. Poi sollevò lo sguardo verso Jaime. «Vuoi…»
Jaime rispose lentamente di sì con la testa.
«Allora vado ad avvisare che c’è anche papà!» esclamò Joanna, correndo fuori dalla stanza, mentre Brienne le urlava di andare piano.
«Grazie» le disse Jaime.
«Figurati. E poi, hai visto, a Joanna ha fatto molto piacere.»
«E a te?»
Sapeva che non gli avrebbe dato una risposta affermativa, ma fino a quando non lo avrebbe nemmeno respinto, Jaime sapeva di avere ancora una possibilità.
Brienne sospirò.
«Lo sai. Non sono ancora… Per ora pensiamo solo a Joanna, va bene?»
«Va bene.»
La sorpassò, uscendo dalla stanza. Le porse il braccio sano, rivolgendole un sorriso incoraggiante.
«Vogliamo andare, donzella?»
«Ora sono la Lady Comandante.»
«Perciò hai smesso di essere una donna?»
Alzò gli occhi al cielo e il sorriso di Jaime si allargò. Gli avvolse la mano intorno all’avambraccio, lanciandogli uno sguardo ammonitore.
«Non adagiarti sugli allori, cavaliere.»
«Mai. Concedimi di essere solo felice» le disse, serio.
Il suo sguardo si ammorbidì e la bocca di Brienne si aprì in un piccolo sorriso mentre raggiungevano la loro primogenita.
 

 

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Capitolo 7
*** In another life ***


Prompt: Time travel --> Per colpa di un incantesimo/pozione/altro X si ritrova a viaggiare nel tempo (da solo o in compagnia).


IN ANOTHER LIFE





Sentiva delle voci intorno a sé e l’aria fredda della sera gli colpiva il volto. Le palpebre erano attaccate agli occhi e Jaime fece fatica ad aprirle per osservare il paesaggio circostante.
Non era nei sotterranei della Fortezza Rossa – non era nemmeno ad Approdo del Re. Davanti a lui vi erano delle sbarre e le torce sparse lungo la strada illuminavano quello che aveva tutta l’aria di essere un accampamento. Sbatté le palpebre, confuso. Era certo che fosse pomeriggio: Tyrion gli aveva permesso di raggiungere Cersei e insieme avevano cercato di fuggire, senza successo. Il passaggio che conduceva alla spiaggia era crollato e, poco dopo, le intere fondamenta del palazzo li avevano sommersi.
Erano morti.
Lui era morto.
Eppure aveva ancora un corpo, sentiva l’ambiente intorno a sé; respirava. Allora forse non era morto. Forse era solo svenuto, oppure lui e Cersei erano riusciti a ripararsi – anche se era quasi certo di essere rimasto immobile, con sua sorella in lacrime stretta tra le braccia. Forse qualcuno li aveva trovati e ricondotti fuori, incatenati in attesa che la regina dei draghi li giudicasse. Se era così, Cersei doveva essere vicino a lui.
Voltò la testa per guardarsi intorno e si rese conto che i suoi movimenti erano estremamente limitati: delle catene lo tenevano ancorato a un palo, con la mani legate dietro la schiena. Sentì il polso destro leggero, segno che probabilmente lo avevano privato dalla sua mano d’oro – anche se sembrava che l’avessero sostituita con qualcos’altro.
Superato lo smarrimento iniziale, Jaime notò un nauseante odore intorno a sé. “Merda” pensò. Sperò che non fosse la sua: non poteva essere lì da più di qualche ora e sarebbe stato imbarazzante essersi defecato nei pantaloni. Ricordò un tempo in cui, alla fine, era stato costretto a farlo; mesi di prigionia in una gabbia, senza possibilità di muoversi, non gli avevano lasciato altra scelta. “Questo posto somiglia all’accampamento di Robb Stark.”
Non lo aveva pensato quando lo aveva visitato, la prima volta. Forse perché era stato scortato dentro una tenda e non in mezzo al fango; perché non c’era la puzza di sterco e sudore che aleggiava in quel momento intorno a lui; perché a pattugliare la zona c’erano gli Immacolati e non i soldati del Nord. I soldati di Robb Stark.
Quello non era l’accampamento di Daenerys Targaryen, fuori dalle mura di Approdo del Re; la capitale era miglia più a sud. Il suo corpo era indolenzito per la posizione scomoda in cui si trovava e, cercando di ruotare il capo per alleviare parte del fastidio, si rese conto che lunghe ciocche di capelli sporchi gli cadevano lungo il volto. La sua mano sinistra stava sfiorando qualcosa – carne viva, forte: la sua gemella, perduta anni prima ma che, in quell’universo, era ancora al suo posto.
Un sorriso comparve sul volto di Jaime Lannister, che prestò mutò in una risata folle. Non sapeva come, non sapeva perché, ma era tornato nel passato – nel momento peggiore della sua vita. Era quello ciò che aspettava gli umani dopo la morte? Un perpetuo rivivere i giorni più bui della loro esistenza terrena? O forse quelli che aveva odiato di più: la perdita della mano della spada e la sua successiva infezione erano stati ben più duri da sopportare di quella prigionia, eppure in quel momento li avrebbe bramati, solo perché non sarebbe stato solo. Solo perché avrebbe rivisto lei.
«Cosa c’è di tanto divertente, Sterminatore di Re?»
Jaime sollevò lo sguardo per incontrare gli occhi disgustati di Catelyn Stark, viva e torreggiante su di lui. Vederla aumentò la sua risata.
“Tu sei stata sgozzata al matrimonio di tuo fratello e io schiacciato come un topo dalla Fortezza Rossa: ecco cosa c’è di tanto divertente.”
Prese seriamente in considerazione l’idea di rispondere in quel modo, ma il suo umorismo e la sua voglia di ridere cessarono appena scorse la figura alle spalle della donna. Era strano vederla con l’armatura dorata donatale da Renly; si era abituato a vederla avvolta nel suo acciaio blu.
«Brienne.»
Quel nome baciò le sue labbra prima che potesse trattenersi. Catelyn aggrottò le sopracciglia, voltandosi verso la sua alleata.
«Lo conosci?» le chiese.
Brienne si fece avanti. Il suo aspetto era lo stesso di sempre e i suoi occhi blu restavano ancora lo spettacolo più straordinario che Jaime avesse mai visto; tuttavia la loro espressione era ben diversa da quella che gli aveva rivolto negli ultimi anni – opposta a quella che illuminava il suo volto durante le notti a Grande Inverno.
«Solo di fama» rispose, con un’evidente nota di disgusto nella voce. «Non ci siamo mai incontrati di persona.»
Un sorriso amaro comparve sul suo volto, mentre ricordava il livello di conoscenza che avevano raggiunto da quel momento fino a quando lui l’aveva abbandonata. Si chiese come avrebbe reagito se le avesse detto che, di lì a qualche mese, si sarebbe innamorata di lui.
“Mi prenderebbe per pazzo.”
Non avrebbe potuto biasimarla: nemmeno il Jaime di allora avrebbe creduto possibile di potersi innamorare di una creatura come Brienne di Tarth. Non avrebbe creduto possibile di poter scegliere qualcuna diversa da Cersei; e, infatti, non lo aveva fatto. Era tornato da sua sorella, sempre e comunque: non aveva scelta, non l’aveva mai avuta. Allora perché era lì? Doveva rivivere tutto da capo, lasciare che lui e Brienne si innamorassero per poi commettere di nuovo gli stessi errori?
Poteva evitare di commetterli?
Un calcio nelle gambe lo distolse dai suoi pensieri. Di solito Brienne lo colpiva per intimargli di tenere a freno la sua lingua davanti agli uomini del Nord e Jaime rispondeva con chiare allusioni a ciò che tale lingua avrebbe potuto fare, con tanto di dimostrazione pratica nei giorni migliori; tentare un approccio del genere in quel momento ne avrebbe solo causato l’amputazione. In quel momento si trovava in un’epoca in cui la loro complicità non esisteva e la cosa migliore da fare sarebbe stata essere l’uomo che era allora.
«Scusa se ho preferito tentare un nome – che a quanto pare si è rivelato esatto – piuttosto che chiamarti “bestia gigante”.»
Brienne arrossì per l’indignazione e l’imbarazzo e Jaime fu subito tentato di scusarsi per quelle parole orribili, ma si trattenne: il se stesso del passato non si sarebbe nemmeno accorto del disagio della ragazza.
«Ti avevo fatto una domanda, Sterminatore di Re» disse Catelyn Stark, «ma non sembravi aver sentito, per questo Lady Brienne ha attirato la tua attenzione.»
«Perdonami, Lady Stark. Questi mesi di solitudine devono aver influito negativamente sul mio udito e le mie buone maniere. Qual era la domanda?»
Catelyn storse la bocca, fissandolo con occhi che lo giudicavano un mostro.
«Involontariamente, hai già risposto. Non ho tempo da perdere, perciò vedi di capire bene ciò che ti dirò.»
«Sono tutto orecchie.»
«Brienne, la spada.»
Jaime ascoltò gli ordini della donna e promise di riportargli le figlie, come aveva fatto anni prima in quello stesso momento. Forse avrebbe dovuto dirle che Arya non era più nella capitale da un pezzo – o che lei sarebbe morta ancora prima che lui e Brienne avessero incontrato Sansa. Rimase in silenzio, mentre Catelyn ordinava a Brienne di slegarlo. Di certo Jaime Lannister non era tornato nel passato per salvare gli Stark: che tenesse a bada gli ormoni di suo figlio e imparasse a fidarsi delle persone giuste; lui aveva un altro compito da portare a termine, per se stesso e, soprattutto, per Brienne.
Lei lo aiutò ad alzarsi, una volta tolte le catene, e Jaime si sgranchì le ossa.
«Ah, non sono più giovane come un tempo» mormorò.
«Fa’ silenzio.»
Jaime sorrise: all’inizio era stata dura conversare con lei – per lo più lui parlava e parlava finché lei non si stufava e lo colpiva per farlo stare in silenzio – ma il potere di innervosirla e risvegliare in lei delle emozioni lo aveva sempre avuto.
Brienne gli slegò le mani e Jaime, comportandosi per una volta da bravo prigioniero, le unì di fronte al suo corpo perché potesse legarle di nuovo. Avrebbe voluto vedere l’espressione stupita, e forse diffidente, per quella disponibilità, ma quando sentì la pelle della mano sinistra scontrarsi con altra pelle, i suoi occhi caddero istintivamente verso il basso. Aprì e chiuse il pugno della mano destra, sorpreso di poter compiere quel gesto banale; era strano sentire quella parte del corpo: per quanto ne avesse sentito la mancanza, alla fine si era abituato e aveva imparato a cavarsela dignitosamente con solo la mano sinistra.
«Perché ti stai fissando le mani?»
Jaime non si era nemmeno accorto che Brienne aveva finito di legarlo e lo stava fissando con un misto di curiosità e preoccupazione. Le sorrise: sperò in modo divertito, ma non sapeva quanto ancora sarebbe riuscito a fingere di non amarla.
«Non le ho viste per tanto tempo che non ricordavo più com’erano fatte» disse, raccontando una mezza verità.
Brienne annuì poco convinta, poi strattonò la corda che gli legava i polsi e lo condusse fuori dalla cella. Raggiunse Catelyn, che li stava aspettando vicino alla sua tenda, al riparo da occhi indiscreti, insieme a un cavallo. Porse le redini a Brienne e le bisbigliò qualcosa indicando la sella; Jaime sapeva che le stava dicendo di coprirgli il volto con una sacca.
«Ti affido le mie figlie, Brienne» le disse poi ad alta voce, accarezzandole dolcemente le braccia. Brienne annuì decisa e Jaime fu certo che fosse commossa: non era abituata ad avere qualcuno che confidava in lei.
Catelyn si voltò e gli passò accanto, fermandosi un ultimo momento per guardarlo dritto negli occhi.
«Hai promesso.»
Jaime fece un mezzo inchino.
«Le tue figlie saranno sane e salve, mia signora.»
Quella era, dopotutto, la verità.
La donna sembrò soddisfatta e se ne andò, lasciandoli da soli. Mentre parlava con lei, Brienne aveva preso il sacco e lui si scansò appena in tempo per evitare che riuscisse a infilarglielo. Quel gesto, tuttavia, fece sfoderare la spada alla ragazza, che lo fissò con occhi minacciosi.
«Non scappo, non scappo» disse subito Jaime, sollevando le mani in segno di resa. «Gradirei solo poter vedere la strada.»
«Be’, io gradirei che tu fossi un uomo d’onore, Sterminatore di Re, ma come vedi a volte ci dobbiamo accontentare.»
Jaime provò una fitta al petto per quelle parole, anche se non avrebbero dovuto sorprenderlo. La sua vera paura, però, fu un’altra: non era ancora riuscito a capire fino in fondo come era riuscito a trasformarsi in un uomo onorevole e onesto agli occhi di Brienne. Come avrebbe fatto a far sì che accadesse di nuovo?
«Se non ci diamo una mossa, ci troveranno» disse Brienne, «e tu tornerai legato a quel palo!»
“Fai tutto da capo”, disse una voce nella sua mente. “Finché non hai avuto rimpianti, ripercorri la vostra storia passo per passo.”
Jaime fece un passo avanti.
«Bene. Procedi pure, donzella.»
Arrossì e Jaime fu quasi felice che gli coprisse il volto, così da non dover nascondere il suo sorriso soddisfatto.
Aveva il potere di innervosirla. Aveva il potere di imbarazzarla.
Avrebbe avuto il potere di farla innamorare nuovamente di sé; e, quella volta, non si sarebbe mai tirato indietro.

 

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