Teenage Dirtbag

di Doralice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Note:
Ciao! Questa è la mia prima Spideypool e la dedico alla mia cara amica Nat. <3
Spero di non aver svaccato fuori. Questi due sono adorabili ma tutto quello che so viene dai film (NB il Peter di questa storia è quello dei due Amazing Spider-Man) e dal fandom, per cui per il resto ci ho ricamato sopra per conto mio. Ci saranno un po' di canzoni citate qua e là, a partire da quella del titolo, e mi premurerò di inserire ogni volta un link a YouTube.
Buona lettura!

 

 

 

Teeange Dirtbag

 

* * *

 

Capitolo 1

 

* * *

 

His name is Wade

I have a dream about him

He rings my bell

I got patrol in half an hour

Oh how he rocks

In spandex and leather

But he doesn't know who I am

And he doesn't give a damn about me

'Cause I'm just a teenage dirtbag, baby

Yeah I'm just a teenage dirtbag, baby

Listen to Iron Maiden, baby, with me

Oh

 

Adesso, non è che Peter si fosse svegliato una mattina e avesse deciso, così su due piedi, di diventare uno stalker. E quando finalmente ebbe il coraggio di pensarci, di guardare l’intera faccenda per quello che era, si accorse si essersi ficcato da solo in quella situazione imbarazzante senza nemmeno essersi reso conto. Semplicemente, un giorno aprì il cassetto del suo comodino e tirò fuori quella cartellina e guardò tutte quelle foto, come ormai faceva spesso, e improvvisamente venne folgorato dall’illuminazione: era un cazzo di stalker.

Oh, per parecchio tempo se l’era raccontata, e anche piuttosto bene. Che era una cosa innocente, che tante persone conservavano le foto dei loro amici, che non aveva alcun doppio senso, proprio nessuno. Ma adesso doveva farsi un esame di coscienza: non c’era niente di innocente in tutto questo. Le persone normali espongono le foto dei loro cari incorniciate, non le tengono gelosamente – vergognosamente – nascoste nel cassetto del comodino. Il doppio senso era nato nel momento stesso in cui, invece di cestinare tutte quelle foto, aveva deciso di conservarle. E di aggiungerne altre. E di nasconderle.

È che Peter davvero non se lo spiegava. Comprendeva le sue ragioni, ma non riusciva ad andare oltre, ad accettarle. Ad accettare il fatto che Wade odiasse tanto il proprio aspetto. Forse perché il suo comportamento in merito era bipolare. Niente di nuovo, lo era su qualunque aspetto della vita. Stiamo parlando di Wade Winston Wilson: tutto, in lui, era schizofrenico. E quelle foto ne erano la prova lampante.

La prima non l’aveva scattata Peter. Era uno stupido selfie che Deadopool gli aveva estorto appena si erano conosciuti, uggiolando come una fangirl in preda ai bollori all’idea di poter fare una foto con il suo idolo. Erano sul tetto di un grattacielo, in pieno costume, e Peter ricordava bene il disagio che aveva provato in quel momento, col braccio del mercenario più infame della storia stretto attorno al collo. Lo ricorda bene perché adesso gli sembrava di essere lontano anni luce da quella sensazione: l’istinto appena contenuto di balzare via sibilando. In quel momento mai avrebbe immaginato che i mesi sarebbero trascorsi, e con loro numerose ronde insieme e spuntini a base di junk food, discutendo di film e ascoltando musica insieme, aspettando che l’alba sorgesse sullo skyline di New York.

E in una di quelle albe, certamente in preda alla follia o alla stanchezza cronica che accompagnava la sua doppia vita ormai da tre anni, sarebbe stato Peter stesso a dargli il suo numero – sai com’è, in caso di bisogno. Certamente non perché si sentiva mortalmente solo e infelice e si era reso conto con una punta di depressione che Deadpool – sì, proprio Deadpool – fosse la sola persona nella sua vita a riuscire a farlo sorridere con i suoi sproloqui, e a farlo sentire meno sfigato quando qualche pezzo del suo allucinante passato sfuggiva in mezzo ai suddetti sproloqui. Assolutamente non per questo motivo.

Comunque sia, Peter gli aveva dato il suo numero. E la mattina successiva si era ritrovato WhatsApp intasato: Deadpool gli aveva inviato tutti i selfie imbecilli che si erano scattati insieme in quei mesi. E siccome erano due idioti, erano veramente tanti! Peter aveva saltato lezione, quel giorno. Perché dalla ronda della notte precedente aveva guadagnato un paio di costole incrinate. E perché aveva perso troppo tempo a ridacchiare, sepolto tra le coperte, mentre scorreva e riscorreva le foto.

Ma era trascorso ancora un po’ prima che una di quelle foto venisse stampata e andasse a finire nel cassetto del comodino, in quella cartellina. Innanzitutto perché quella cartellina ancora non esisteva. Perché di base non c’era proprio alcuna foto stampata da conservare e Peter non vedeva alcuna ragione per cambiare quella situazione.

Finché un pigro sabato di primavera, con la sessione degli esami ormai alle spalle, si decise a prendere tutti i rullini che aveva accumulato e a svilupparli. Sia perché davvero non poteva ancora rimandare, sia perché zia May aveva ripreso a fare i doppi turni e avevano un disperato bisogno di soldi, per cui era arrivato il momento di vendere qualche altra foto di Spider-Man al Daily Bugle.

Dunque Peter aveva tirato fuori la vecchia attrezzatura, chiuso gli scuri della finestra e acceso la luce rossa, trasformando la sua stanza in una camera oscura. I rullini non erano pochi e il lavoro gli prese tutta la giornata, a sera aveva gli occhi rossi per le esalazioni chimiche e, nonappena finì di appendere le foto ad asciugare, si buttò a dormire lasciando la camera sottosopra.

La mattina dopo, in pigiama e con un’enorme tazza di latte e cereali, raccolse tutte le foto e si mise a gambe incrociate sul letto. Come al solito, la maggior parte erano da scartare: sarà stato anche un supereroe e un buon fotografo, ma non poteva essere entrambe le cose contemporaneamente. Alcune erano fuori fuoco, altre non lo inquadravano nemmeno interamente, e così via. Peter selezionò le poche uscite decentemente, buttò via quelle inservibili e, senza in realtà badarci più di tanto, si ritrovò a conservarne qualcuna in un cassetto. Nel cassetto del comodino.

Non ci aveva pensato finché non se l’era ritrovate in mano, ma non era stata una sorpresa: condividendo le ronde con Deadopool era ovvio che in alcune foto sarebbe apparso anche lui. Naturalmente, era escluso di venderle al Daily Bugle. La reputazione di Spider-Man viaggiava già su binari insicuri, non poteva permettersi di farsi vedere in azione con Deadpool. Il fatto che il mercenario sembrasse aver messo la testa a posto – almeno per il momento – era noto a pochi e in ogni caso all’opinione pubblica non interessava affatto.

Non le poteva vendere, quindi. Ma perché mai buttarle? Solo perché non gli servivano a fare soldi? Non era quel quel genere di persona, Peter. Dopotutto, loro due erano in qualche modo amici – nel modo contorto e un tantino ossessivo con cui solo Deadpool poteva stabilire un’amicizia – e Peter non vedeva cosa ci fosse di male a conservare delle foto di un suo amico.

E in ogni caso, non sarebbe mai venuto a saperlo, no? A Deadpool non interessava nulla di lui – di Peter. Gli importava di Spider-Man, certo, ma quello era un altro discorso.

Il mercenario ne era un fan accanito, come Peter aveva scoperto quando era stato per la prima volta nel suo appartamento. Non che prima non ne avesse avuto il sospetto: Deadpool era piuttosto ridondante e amava comunicargli continuamente la sua ammirazione e il suo indiscusso amore e altre amenità simili. Ma entrare nel suo ambiente e vederlo letteralmente tappezzato di memorabilia di Spider-Man, come se fosse la cameretta di un bambino della scuola materna, ecco, gli aveva dato una nuova prospettiva su quella faccenda.

Era stata in quella stessa occasione che Peter aveva visto la sua faccia per la prima volta. Lui già conosceva il suo nome: non era mai stato un mistero. Le sue generalità erano alla portata di chiunque, visto che aveva un sito internet in cui pubblicizzava il suo lavoro a suon di gif animate e scritte al glitter e alcune foto in posa professionale con indosso un maglione a collo alto. Peter aveva riso di quel sito assurdo, esattamente come rideva dei suoi monologhi bizzarri.

Poi aveva sentito una tristezza agghiacciante spaccargli il cuore. Proprio come gli accedeva a volte quando ascoltava i suoi monologhi.

Alcuni supereroi nascondevano gelosamente la loro vera identità, per lo più per le stesse ragioni di Peter: avevano molto da perdere. Altri, come Deadpool, avevano già perso tutto.

Quella prima volta al suo appartamento, mentre giocavano alla playstation e dividevano una pizza gigante, Peter si accorse di quanto Wade fosse solo. Lui per lo meno aveva zia May, ma Wade? Lui tornava a casa, si toglieva la maschera e non aveva nessuno con cui parlare, se non le Voci nella sua testa.

Peter valutò che, da quando faceva le ronde assieme a lui, le notti trascorrevano meno pesanti e alla fine tornava a casa anche meno acciaccato solito – erano una squadra niente male. E siccome Deadpool sembrava così preso da Spider-Man, perché non renderlo felice permettendogli di trascorrere anche del tempo libero con il suo beniamino?

Era per questo che Peter aveva iniziato ad accettare i suoi inviti, quando poteva. Se il giorno dopo non aveva lezione e non doveva studiare, poteva anche permettersi di passare la mattinata sul suo divano sfondato, giocando alla play o binge watchando serie tv o facendo il karaoke, per poi collassare dal sonno verso l’ora di pranzo.

Era solo per questo. Certamente non c’entrava nulla il fatto che quando erano insieme il suo umore migliorasse in maniera francamente esagerata. Che smettesse di sentirsi così solo. Che riuscisse a non pensare a Gwen. Almeno per qualche ora.

Non c’entrava niente il fatto che, d’accordo, trascorreva il tempo insieme a lui in quanto Spider-Man, ma in quei momenti poteva permettersi di essere Peter, almeno un pochino. E non si sentiva Peter da molto tempo.

Qualche volta si era persino auto-invitato, arrampicandosi direttamente sul muro del condominio e bussando timidamente alla sua finestra. E ogni volta sentiva, soffocato in fondo al petto, un senso di inadeguatezza. Come se si aspettasse di ricevere un rifiuto da un momento all’altro. Ma quel rifiuto non arrivava mai: Wade apriva la finestra e lo accoglieva con un sorriso a trentadue denti.

– Mi casa es tu casa, Spidey! –

Ma certo – pensava Peter con una strana sensazione addosso, qualcosa a metà strada tra il sollievo e la malinconia – lì sarebbe sempre stato il benvenuto Spider-Man.

 

*

 

Chat:

Wade

 

Peter

Serata piatta.

Mi sto annoiando.

Maratona di Golden Girls?

Posso essere da te in quindici minuti.

Il tempo di passare al tex.

 

Wade

Oh Baby Boy, mi si spezza il cuore, ma non sono in zona!

A dire il vero non sono nemmeno in tempo!

 

Peter

???

 

Wade

Sono nella Tucson del 1875.

 

Peter

Cosa ci fai nel vecchio west?

 

Wade

Ci sono molti posti peggiori del vecchio west.

Avrei potuto finire nel medioevo, dove probabilmente mi avrebbero messo al rogo come eretico.

 

Peter

Ci sei andato solo per poter citare Back to the future III?

 

Wade

Ovviamente no.

Ho convinto Cable ad andarci per trovare la ricetta originale dei chimichanga.

 

Peter

La missione sta avendo successo?

 

Wade

È più difficile di quel che immaginavo.

Temo che non sarò di ritorno ancora per qualche giorno.

 

Peter

Wade.

Tu non pensi quadrimensionalmente.

 

Wade

Vedi, è per questo che ti adoro!

 

Peter

Allora, ti aspetto al tuo appartamento?

 

Wade

Sì, ma i chimichanga li porto io!

 

Seduto a gambe incrociate sul soffitto dell’appartamento di Wade, Peter stava scrivendo la risposta, quando sentì la porta aprirsi.

– Baby boy! –

Peter calò giù e atterrò davanti a lui. Sopra la sua solita tuta, Wade indossava un poncho multicolore, stivali con speroni e cappello da cowboy. Di certo nella sua testa doveva sembrare perfettamente mascherato per il vecchio west.

– Li hai trovati? – commentò guardando la borsa che teneva in mano.

– Beh, più o meno. –

Wade gli passò la borsa e si liberò del travestimento. Peter scostò un lembo e scrutò il contenuto.

– Più o meno? – inquisì estraendo un involto.

– Ho chiesto in giro a tutti i messicani che incontravo, ma sembra che il 1875 fosse troppo presto. – lo sentì raccontare dalla camera da letto – Solo che ormai erano troppo incuriositi e quindi ho dovuto cucinare per loro un chimichanga. Il primo chimichanga della storia! –

Peter scosse la testa: – Wade… –

Il mercenario tornò in soggiorno con indosso un pigiama a tema Hufflepuff e andò in cucina a prendere due birre.

– Cosa c’è? – chiese con aria innocente – Non potevo certo abbandonarli in quel modo! Sai quanto sono pericolosi dei messicani incazzati? –

Si sedettero sul divano e Peter gli allungò un chimichanga.

– Questo è razzista. E hai giocato di nuovo il continuum spazio temporale. Cosa ne pensa Cable? –

A Peter non piaceva come ogni volta gli veniva da pronunciare il nome di Cable, ma non poteva farci niente. Ringraziava di avere la maschera a coprirgli la faccia, perché era certo che la sua espressione lo tradisse.

– Cable me lo intorto io. – Wade addentò il suo chimichanga e accese la tv – Ma ti prego non smettere, sei così carino quando fai il geloso! –

Peter si strozzò con la birra e l’idiota rise. Negare non avrebbe fatto altro che dargli corda, per cui gli diede un cazzotto sul braccio e continuò a mangiare come se niente fosse.

Guardarono tre stagioni consecutive di Golden Girls e si scolarono una cassa di birra. E quando Wade si addormentò russando, con la testa ciondoloni sul bracciolo del divano e un rivolo di saliva all’angolo della bocca, Peter non andò via subito.

Perse un po’ di tempo a riordinare il casino che avevano lasciato, chiedendosi con che coraggio Wade riuscisse a vivere in quella maniera. Va bene che era immune a qualunque malattia, ma Cristo, era certo di aver contratto l’epatite e il colera in un colpo solo mentre dava una pulita alla cucina. Ficcò la sua tuta in lavatrice e la avviò, gli rifece il letto e vuotò la spazzatura.

Era solo una leccata sulla superficie di quel tugurio, ma non è che potesse farci molto. Non era la sua colf e non vivevano insieme, grazie al cielo, o avrebbe dato di matto. Wade aveva avuto una fidanzata, anni prima. Viveva così anche con lei o era meno noncurante?

Peter si massaggiò la faccia da sopra la maschera. Perché si stava facendo certe domande? Perché si era ritrovato ad immaginare Wade in una situazione domestica?

Afferrò il suo zaino e lo mise in spalla, intenzionato ad andarsene da lì molte velocemente. Il suo peso gli ricordò perché si stava facendo quelle domande inopportune.

Aprì lo zaino e ne estrasse la macchina fotografica. Temporeggiò. Si crogiolò nel senso di colpa.

Wade aveva mostrato una grandissima fiducia a farlo entrare nella sua vita, ad aprirgli letteralmente la porta della sua casa, a mostrargli suo volto. Conoscendo la sua scarsissima autostima, probabilmente non si immaginava neppure quanto Peter si sentisse lusingato – e allo stesso tempo terrorizzato – da tutta questa confidenza in cui era riuscito a trascinarlo.

Peter tolse il coperchio dall’obiettivo e lo puntò.

Si chiedeva spesso quante altre persone erano state in grado di vedere Wade in quelle circostanze. Vanessa, certamente, ma lei non c’era più. E Cable? Non l’aveva mai visto assieme a lui senza maschera, ma d’altra parte non era sempre presente nella vita di Wade. Né c’era ragione alcuna per indagare su cosa facessero loro due insieme, giusto?

Peter regolò la ghiera e mise a fuoco.

Non c’era nemmeno alcuna ragione per voler immortalare Wade in quel momento. Ma lo avrebbe fatto comunque. E se ne sarebbe pentito in un altro momento.

Click.

 

*

 

Ogni volta che si fermavano sul tetto di un grattacielo dopo una ronda, esausti ma vivi. Ogni volta che si ritrovavano all’appartamento di Wade, ad ammazzare il tempo tra karaoke e repliche di serie tv. Ogni volta che gli sedeva accanto con la pancia piena di cibo speziato e una birra in mano e, ovunque fossero e qualunque ora segnasse l’orologio, uno dei due passava all’altro un auricolare e ascoltavano musica insieme, in silenzio.

Ogni volta, Peter si sentiva felice. Cioè, davvero felice. E si sentiva anche in colpa.

D’altra parte, era il filo conduttore della sua vita: sentirsi in colpa per le cose belle che aveva.

Il fatto era che Peter poteva percepire nettamente la fiducia incondizionata che Wade nutriva nei suoi confronti, ma lui credeva di non meritarne neppure un millesimo. Ripensava a quella cartellina chiusa nel suo comodino e si sentiva uno schifo. Semplicemente era così: si faceva schifo.

Oh, certo, la persona ritratta in quelle foto aveva fatto cose ben peggiori in passato – e qualche volta continuava a farle anche nel presente. Ma Peter aveva una sua morale e non aveva senso mettersi a fare confronti. Non aveva senso fare come i bimbetti piccoli e correre dalla maestra a dirle che “Ha iniziato prima lui!”, perché non è così che funziona la vita adulta. Purtroppo o per fortuna. Ma sopratutto perché l’immoralità di Deadpool non aveva niente a che fare con questo.

Questa sua assurda fissazione.

Questa cosa – non era ancora pronto per dargli un nome e forse non lo sarebbe stato mai – che quella sera gli aveva fatto rubare quella foto. La stessa cosa che un giorno l’aveva spinto a mettere la macchina fotografica a tracolla e, un passo avanti all’altro, raggiungere il condominio dove viveva Wade. E aspettare.

E vederlo uscire.

E inquadrarlo, metterlo a fuoco.

E premere il pulsante di scatto.

Click.

Di nuovo, si sarebbe pentito dopo.

Peter, ancora una volta, se la raccontava. Che era un soggetto interessante, come poteva esserlo un paesaggio esotico o un edificio storico o un animale raro. Che non era altro che un modo per allenarsi nella fotografia. Che un giorno quelle foto le avrebbe buttate.

Ma quel quel giorno non veniva mai. E le foto nella cartellina aumentavano.

Se si escludeva la sua attività come mercenario, Wade faceva una vita normale. Non c’era niente di intrinsecamente interessante nel modo in cui trascorreva le sue giornate quando smetteva gli abiti di anti-eroe e indossava quelli di civile. Faceva la spesa, pagava le bollette, andava in palestra, qualche volta passava al bar di Weasel. La sua vita era anche meno interessante di quella di Peter, se possibile. E ancora una volta, era una vera doccia fredda notare il contrasto: il lavoro di Deadpool e la vita di Wade, l’attitudine con cui il primo affrontava le cose e l’inerzia con cui il secondo andava avanti. Era come vedere due persone diverse, e faceva fottutamente male.

La sua vera identità sarà anche stata di dominio pubblico, ma Peter sentiva che la maschera di Deadpool era per lui indispensabile per sopravvivere, forse anche più di quanto non lo fosse per sé stesso la maschera di Spider-Man.

Chiuso nella sua stanza, Peter apriva il cassetto del comodino, tirava fuori la cartellina e osservava quelle foto. Si chiedeva quanto di Wade riuscisse a vedere davvero quando entrava nel suo appartamento e passavano il tempo insieme. Aveva la sensazione che, nonostante si togliesse il cappuccio appena varcata la soglia di casa, la maschera di Deadpool gli restasse comunque in faccia, in qualche modo.

Poi si ricordava che lui, il cappuccio, non se lo toglieva mai. Neppure ci aveva mai pensato, di toglierlo davanti a lui. Non era contemplabile, e non solo perché la sua identità doveva restare segreta. Peter aveva imparato a fidarsi di Wade – no, sarebbe più onesto dire che in tutti quei mesi era stato Wade che si era pazientemente guadagnato la sua fiducia, rendendosi un prezioso alleato ogni volta che nelle ronde avevano dovuto scontrarsi con qualche villain, nonché un amico senza pari in grado colmare vuoti affettivi innominabili. Se un giorno, per qualunque motivo, Wade fosse venuto a conoscenza della vera identità di Spider-Man, Peter poteva giurare che avrebbe mantenuto il segreto.

No, non era quello – non più.

Era la paura di perdere tutto questo. Ancora una volta. E sempre per colpa di Peter.

Per quanto con Wade riuscisse ad essere sé stesso, Peter aveva sempre addosso quella maschera. Così l’aveva conosciuto e così si aspettava di vederlo. Il suo idolo, il suo Spidey. Spider-Man poteva bussare alla sua finestra a qualunque ora e sarebbe stato accolto sempre con un sorriso e una ciotola di noodles già nel microonde. Ma Peter? Come sarebbe stato accolto un anonimo teenager del Queens?

Spider-Man era… beh, era Spider-Man. L’eroe, la celebrità del momento, il Golden Boy di New York. Era figo e inarrivabile, e Wade non faceva mistero del fatto che si ritenesse onorato di essere riuscito a diventare suo amico.

Peter era… nessuno.

E nessuno sarebbe rimasto, fintanto che poteva. Era comodo, sotto certi punti di vista. Tutte quelle foto che era riuscito a scattagli – a rubargli – le aveva ottenute proprio perché riusciva a passare inosservato. Nessuno lo notava mai e di norma ne soffriva, oh, Dio solo sa quanto ne aveva sofferto al liceo. Ma ad essere onesti, da quando era Spider-Man e si vedeva sbattuto su tutti i media più o meno quotidianamente, era più che felice che la faccia – la sua vera faccia – non la notasse nessuno.

Apparire anonimi di sicuro era molto comodo quando si voleva pedinare e spiare qualcuno. Quando si entrava in modalità stalking. Cosa che lui assolutamente non aveva mai fatto, non intenzionalmente insomma. Non era intenzionale neppure in quel momento, anche se aveva deliberatamente scelto di seguire Wade per l’ennesima volta, con la macchina fotografica in mano e la musica dell’IPod nelle cuffie, sparata a palla per cercare di tenere a bada i sensi di colpa.

Peter non seppe spiegarsi esattamente il motivo, ma forse fu proprio per quello – per la musica a palla – che non lo sentì arrivare. Non è che avesse avuto modo di farsi domande in quel momento, altrimenti si sarebbero chiesto dove fosse finito il suo senso di ragno, visto che un attimo prima se ne stava tranquillo a camminare sul marciapiede, seguendo a debita distanza Wade, mentre un attimo dopo lui era sparito dalla sua visuale. Per poi vederselo piombare addosso.

E insomma, se il suo senso di ragno non lo avvertiva dell’imminente aggressione di novanta chili di puri muscoli canadesi piuttosto incazzati, c’era qualcosa che non andava. Ma come abbiamo detto: Peter non ebbe il modo di farsi domande. Gliele stava già facendo Wade, tenendolo premuto schiena al muro con un avambraccio largo quanto il suo torace e uno sguardo che dire furioso era poco.

– Facciamo così: tu mi dici chi sei e che cazzo vuoi da me, e forse io non ti mando all’obitorio. –

Chiariamoci: ovviamente Peter non aveva paura di per sé. Il mercenario era molto forte, come aveva avuto modo di notare durante le loro ronde, ma non era certo forte quanto lui. Se avesse voluto, a Peter sarebbe bastato un banale movimento del polso per scaraventarlo dalla parte opposta della strada. Ma non era quello il problema. E nemmeno lo era il fatto che, naturalmente, per amore di copertura Peter doveva fingersi il teenager imbranato che era sempre stato prima fare la conoscenza con i ragni geneticamente modificati della Oscorp.

Il problema era che Peter non aveva mai assistito a niente del genere. Oh, certo, qualche volta, durante i più brutali tra gli scontri con i loro nemici, aveva visto in cosa poteva trasformarsi Deadpool, e fortunatamente lui era stato presente per scongiurare il peggio. Ma quello era, appunto, Deadpool. Non aveva mai visto Wade in modalità ti-spacco-il-culo. E sopratutto non l’aveva mai visto in quella modalità nei suoi confronti. Doveva ammettere che era un tantino agghiacciante.

– Non sono nessuno. –

L’aveva detto balbettando, e non aveva dovuto sforzarsi di fingere.

– Ah-ah. Allora se questa – Wade gli sfilò la macchina fotografica – è di nessuno, posso anche usarla come fionda. –

Peter si era sentito gelare. Usare i suoi poteri era escluso, quindi la sua unica e preziosissima macchina fotografica era spacciata.

– Ti prego no! –

Saltellava goffamente sul posto per cercare di riprenderla, ma Wade era più alto di lui e la teneva lontana dalla sua portata, passandola da una mano all’altra. Per Peter tutto questo era una patetica rivisitazione di tutti gli intervalli dei suoi anni scolastici.

– Ma è un pezzo di antiquariato! – ribatté Wade, un sogghigno ironico che gli deformava il volto e lo sguardo impietoso che lo scandagliava – Che cosa sei, un hipster? Almeno sai come funziona o fai finta per darti le arie? Ah, no… – gli tirò un lembo della maglietta – gli hipster non ascoltano gli Iron Maiden. –

Ad ogni parola cattiva di Wade, la frustrazione di Peter cresceva esponenzialmente. Stava succedendo esattamente quello che aveva sempre temuto: l’aveva visto per quello che era davvero, aveva visto Peter, e lo riteneva una nullità.

– Non sono nessuno. – ripeté – Sono solo un teenager sfigato. –

– Mh… sì, mi sa di sì. – Wade lo occhieggiò con sguardo folle mentre maneggiava la macchina fotografica.

– Per favore… – Peter scosse la testa e la sbatté al muro, disperato – Era di mio padre. –

Wade atteggiò il volto in un broncio di compassione.

– Oh, era del paparino! – tubò aprendo lo sportello ed estraendo il rullino – Adesso cosa farai, mi racconterai il tuo drammatico background nella speranza di farmi pena? –

Peter digrignò i denti, trattenendosi a stento dal piangere.

– Non me ne frega un cazzo. – cantilenò Wade mentre esponeva alla luce il rullino e lo gettava a terra.

Infine gli schiaffò la macchina fotografica in mano e si chinò su di lui.

– Ti piace questa faccia da freak? – si abbassò il cappuccio della felpa e si puntò un dito al volto – Dalle una bella occhiata. Guardala. Perché è l’ultima volta che la vedrai. –

Peter stringeva forte tra le mani la macchina fotografica e lo fissava, pietrificato.

– E adesso sparisci. – gli ringhiò Wade, riscuotendolo – Alla tua età dovresti essere a farti le canne, Cristo, non ci sono più gli adolescenti di una volta… –

Si rialzò il cappuccio e ficcò le mani nelle tasche della felpa. Come se niente fosse, girò sui tacchi e se ne andò per la sua strada.

Peter restò immobile contro quel muro per lunghi minuti, senza riuscire a mettere insieme un pensiero coerente che fosse uno. Perché se si fosse messo a pensare, sarebbe sprofondato in un baratro. Quando iniziò a scurirsi si costrinse a muoversi da lì, un passo avanti all’altro, e arrivare a casa. Rispose di default al saluto di zia May e si chiuse in camera, scalciò via le scarpe e si infilò nel letto ancora vestito. Inforcò le cuffie dell’iPod e si concesse di piangere un po’.

Plin

Peter aprì un occhio e fissò il cellulare sul comodino. C’era solo una persona che poteva scrivergli a quell’ora di notte. Con uno sforzo non indifferente, lo ignorò.

Plin

Plin

Plin-Plin

Peter ficcò la testa sotto il cuscino, continuando ad ignorarlo. Ci provò anche quando partì la suoneria.

You're just too good to be true, I can't take my eyes off you, you'd be like heaven to touch, I wanna hold you so much, at long last love has arrived, and I thank God I'm alive…

Ma come gli ricordava Gloria Gaynor, Wade non era il genere di persona che si rassegna a restare ignorata.

You're just too good to be true, can't take my eyes off y-

Peter afferrò il cellulare e schiacciò il tasto di muto così forte da incrinare lo schermo. Tornò a ficcare la testa sotto il cuscino e si costrinse a dormire.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

* * *

 

 

Chat:

Spidey

*red heart emoticon* *spider emoticon* *blue heart emoticon*

 

Canadian Hot Merc

Ehi Sweetums!

Ti va una ronda, solo io, te e il cielo sopra Manhattan?

*heart eyes emoticon* *wink eyes emoticon* *blowing kiss emoticon*

 

Spidey

Non è il momento migliore, Wade.

 

Canadian Hot Merc

No, seriamente.

Il Barone Mordo ha invocato Dormammu.

Di nuovo.

 

Spidey

Di solito se ne occupa Strange.

 

Canadian Hot Merc

Sta passando una piacevole serata in compagnia di Nightmare.

 

Spidey

Gli Avengers?

 

Canadian Hot Merc

Catapultati in un’altra dimensione.

 

Spidey

Gli X-Men?

 

Canadian Hot Merc

Possiamo nominarli?

Voglio dire, siamo ancora parte dello stesso franchise o nel frattempo è cambiato qualcosa?

Sono confuso sulle royalty!

 

Spidey

Ho capito, mi metto per strada.

Dove sei?

 

Canadian Hot Merc

Al ponte di Brookling.

 

Spidey

Il solito esibizionista.

 

Canadian Hot Merc

Già.

Fai il giro per Long Island, c’è un ingorgo all’incrocio di Maspeth.

 

Spidey

Ti ricordi che io salto da un palazzo all’altro, sì?

 

Canadian Hot Merc

Magari fai il tassista.

Sei un tassista, Spidey?

Non sarebbe assurdo, vista la percentuale di taxi a New York!

Oddio, non sei Dopinder, vero?!

 

Spidey

Non sono Dopinder e non faccio il tassista.

 

Canadian Hot Merc

Oh, grazie al cielo!

In effetti non hai il suo accento.

Per quanto, è canonizzato che siamo in un multiverso.

Deve pur esserci qualche realtà in cui ti chiami Mohamed Mubarak e hai la faccia di Rami Malek.

Ma sono quasi certo che in questa realtà tu abbia quella di Andrew Garfield.

 

Spidey

Chi è Andrew Garfield?

 

Canadian Hot Merc

Fanno dei film su di te e non lo sai?!

 

Spidey

Quando mi mandi questi deliri poi io li cancello, sai?

 

Canadian Hot Merc

Ouch! *sad emoticon*

E io che credevo che trascrivessi tutti i nostri messaggi sul tuo diario segreto.

Usando una penna glitterata.

E decorando le pagine con stickers di Pusheen.

Ah, no, quello che lo fa sono io!

 

– Perché dovrei trascrivere i messaggi? –

Wade emise uno strillo acuto e inciampò sui propri piedi, rovinando col culo a terra e ritrovandosi a fissare Spider-Man dal selciato. Con la sua solita grazia da ballerina che lo faceva uscire di testa, l’eroe calò accanto a lui e lo guardò con aria critica – per quanto si possa guardare qualcuno con aria critica attraverso una maschera di spandex.

Wade si rialzò: – Così non li perdi quando li devi cancellare perché hai la memoria piena. –

– Deadpool, non è il 1999. – gli fece notare scotendo la testa – Abbiamo gli smartphone, al giorno d’oggi. –

Rivolsero l’attenzione allo squarcio dimensionale che si era aperto nel cielo sopra di loro. Centinaia di adepti di Dormammu ne venivano vomitati fuori e la cosa stava diventando fastidiosa.

– Ed è tutto così freddo e impersonale, non credi? – Wade sguainò le katana – Preferivo i cari, vecchi Nokia 3310. Un 3310 non si sarebbe frantumato come ha fatto il mio iPhone quando sono caduto dalla Bloomberg Tower la settimana scorsa. –

Spider-Man proiettò una ragnatela verso la cima del pilone.

– Non sei caduto, ti ci sei buttato nel tentativo di afferrare il palloncino di Hello Kitty che ti era sfuggito. – gli fece notare prima di lanciarsi via – E che cos’è un Nokia 3310? –

– Baby Boy, quando dici queste cose mi chiedo quanto ci sia di Baby e quanto di Boy! – gli urlò mentre correva lungo il cavo – Hai almeno l’età per il consenso?! – si fece strada verso la sommità affettando alcuni adepti lungo il percorso – Guarda che questa fanfic non è taggata come “underage”! –

– Smettila di cercare di indovinare la mia età! – lo sentì ribattere mentre calciava via degli adepti e ne imprigionava altri con le sue ragnatele.

– Ti dispiace?! –

L’eroe proiettò una ragnatela verso di lui e lo tirò di sopra. Wade gli balzò in braccio con aria leziosa.

– I need a hero! – cantò con passione – I'm holding out for a hero 'til the end of the night! –

Spider-Man lo mise giù con poca grazia.

– Tieni il karaoke per dopo! –

Wade si portò una mano al petto con aria oltraggiata: – Hai osato interrompere Bonnie Tyler! –

– Tu devi rivedere le tue priorità! – lo rimproverò.

– Stai citando Harry Potter e sono io che dovrei rivedere le mie priorità?! –

– Ma sentitevi! – una voce roboante interruppe il loro battibeccare – Litigate come una vecchia coppia di sposi! –

Alzarono lo sguardo verso Dormammu, che incombeva dallo squarcio nel cielo.

– Oh, ehi! – Wade si inalberò – Troppe metacitazioni, qui! Mi rubi la scena! –

– Nessuno potrebbe rubarti la scena, Deadpool. – sospirò Spider-Man.

– Aww… ma sei carino! – gli sventolò una mano – Smettila! –

– Perché a nessuno interessa rubartela. – puntualizzò.

Wade si afflosciò: – Quanta crudeltà! –

– BASTA! – tuonò Dormammu obbligandoli a tapparsi le orecchie – INUTILI MORTALI! –

– Quindi. Siamo noi contro la fine del mondo. – mugugnò Wade chinandosi appena di lato – Cosa facciamo? –

– Non lo so! Strange fa quella cosa… – Spider-Man gesticolò in aria – con le mani, sai. Ma io non ne sono capace! –

Wade si schiarì la voce, piantò le mani sui fianchi e si rivolse alla spaventosa entità sopra di loro.

– Sono venuto qui per masticare gomme e spaccare culi. E ho finito le gomme. –

– Questa l’hai già usata! –

– Che ti devo dire, mica posso essere sempre in forma! –

 

*

 

Verso l’alba, mentre si caricava in spalla un ragnetto ammaccato e accendeva il teletrasporto, gentile prestito di Cable, Wade si trovò a riflettere come non fosse il solo a non essere in forma.

Ne erano usciti vivi e vittoriosi, perché erano i buoni e non poteva che andare così – insomma, quella storia non era taggata né “angst” né “major character death”, solo “hurt-comfort”, che non guastava mai. Ma stavolta erano ridotti piuttosto male, non c’era che dire, sopratutto il suo Spidey.

Wade materializzò entrambi sul pianerottolo del fatiscente condominio dove viveva e aprì la porta di casa propria con un calcio.

– Buongiorno tesoro! Sono tornato, cosa mi hai preparato di buono? –

Cercando di non causare ulteriori danni, fece scivolare il ragazzo dalle sue spalle. Lui emise un rantolo di dolore e si accasciò sul divano a faccia sotto.

– Ah, già, sei morta due anni fa. – Wade si batté la fronte con la mano – Almeno mi hai lasciato degli avanzi in frigo? –

– Wade… –

– No, senti Spidey, cupcake dei miei occhi, cutie-pie del mio cuore… io ti adoro e tutto, ma gli avanzi sono miei. Sono una vera puttana per gli avanzi. – Wade si sfilò la maschera e si avviò verso il bagno – Tu puoi ordinarti una pizza. –

– Per l’amor del cielo, Wade… sta’ zitto… –

– Anzi, sai che faccio? Te la ordino io! – gli annunciò dal bagno mentre si liberava della tuta, o di quello che ne rimaneva – Poi non dire che non ti vizio! –

– Non voglio nessuna pizza. – lo sentì lamentarsi – Mi fa male ovunque, non riesco… nemmeno a mettermi a sedere… –

– È quello che ha detto lei… – cantilenò ridendo da solo da solo alla battuta.

– Oh, chiudi la bocca! –

Con qualche contorsionismo, Wade riuscì a togliersi quasi tutti i pezzi di granata che aveva conficcati nel corpo e adesso sanguinava da un numero impreciso di orifizi.

– Promemoria: devo smetterla di fare la telecronaca tipo partita di baseball prima di lanciare una granata. – si passò addosso un asciugamano per levare almeno il grosso del sangue, e piazzò qua e là dei cerotti a tema Dora l’Esploratrice – O se non altro devo farla prima di togliere il grilletto. –

Prese la cassetta del pronto soccorso e tornò in soggiorno.

– Ehi, Itsy Bitsy? – lo chiamò sedendosi sul divano – Adesso sono tutto per te! –

Aprì la cassetta sul tavolino e prese a canticchiare mentre disponeva quello che gli sarebbe servito.

– He's got the potion and emotion when I'm feeling low, when my love starts to glow he's got the power every hour, he's the reason why my face is all aglow… –

Toccò una spalla al ragazzo e lui scattò via dal dolore.

– Avanti, Baby Boy, diamo un’occhiata, mh? – lo aiutò a rigirarsi sul divano e a mettersi a sedere – Piano piano, così… –

Le mani di Spider-Man tremavano e dovette aiutarlo a togliere la parte superiore della tuta. Era un campo minato di lividi e abrasioni.

– Just one kissin' his lips as I'm taking Vitamin C… – continuava a canticchiare nervosamente – Avanzi, Spidey, canta con me, fammi sentire quella voce d’angelo. – You can imagine what the doctor does to me… –

– È proprio necessario? –

– Oh, non rovinarmi questo momento, Sweetums! – Wade iniziò ripulirlo con un asciugamano bagnato, sentendo che per quanto potesse fare piano aveva comunque la mano pesante, troppo pesante – Ho sempre sognato di giocare al dottore con te! Davvero, è tipo un sogno erotico che diventa realtà… –

– Sto parlando della canzone. –

Wade spremette mezzo flacone di disinfettante su una garza e iniziò a passarla sulle abrasioni. Il ragazzo rabbrividì e soffiò tra i denti al contatto, ma non si scostò.

– Spiacente, il karaoke non si può più rimandare. –

– Ok, ma perché proprio Doctor Love? Avrei scelto Bad Case Of Loving You. –

Era un buon segno che volesse scherzare con lui. Davvero. Wade si sforzò di pensarla così, perché se si concentrata troppo sullo stato in cui era ridotto, gli veniva solo da urlare molto forte e andare in berserker e uccidere Dormammu, in tutte le dimensioni in cui sarebbe riuscito a scovarlo.

– Robert Palmer! Scelta azzeccata se adesso avessimo il tuo punto vista, ma questa parte della storia è narrata dal mio, Baby Boy. E per questa scena non esiste colonna sonora migliore delle Firts Choice, mettitela via. –

Lo sentì sbuffare una risata, stroncata da un lamento di dolore.

– Come ti pare, Wade. –

– Doctor Love… he can kill my every pain, he can make me well again… Doctor Love… – cantarono insieme mentre si Wade prendeva cura del suo Spidey, distraendolo dal dolore.

Terminò di incerottarlo con cura e mise via l’occorrente nella cassetta.

– Posso… uhm… crollare qui per stanotte? –

Wade gli passò una mano sulla testa in una carezza rozza: – Tutto quello che vuoi, Baby Boy. –

Stava dormendo prima ancora che finisse di parlare.

 

*

 

Wade fissava il soffitto del suo pulcioso appartamento, insonne come la maggior parte delle notti, acutamente consapevole della presenza che al momento russava sul suo divano. Brutta cosa che né sonniferi né alcool facessero effetto al suo metabolismo: si sarebbe piantato una pallottola in testa, ma il rumore avrebbe svegliato il suo Spidey e aveva l’impressione che ritrovarlo con il cervello spappolato sulla testiera del letto non sarebbe stato uno spettacolo piacevole per il ragazzo.

[È così fragile.]

{È Spidey. Non ha importanza.}

Certo che aveva importanza. Le persone fragili non sopravvivono. E lui si era rotto le palle di sopravvivere alle persone fragili.

Ora, Wade era da un pezzo che si era abituato a fottersene di come ne usciva. Il suo corpo faceva questa figata di guarirsi da solo e, ok, faceva un male del cazzo, ma in cambio c’era questa insignificante contropartita di non crepare, né restare monco o zoppo o paralizzato, e quindi andava bene così, supponeva.

Per questo non aveva mai sentito la necessità di far parte di un team. Non aveva bisogno di una spalla. Anzi, era piuttosto seccante quando qualcuno provava a salvargli la pelle, mentre lui cercava solo di scoprire un modo per ammazzarsi, finalmente.

Senza contare la grandissima rottura di palle di mettersi d’accordo sul nome della squadra e dove andare a mangiare dopo la missione e come spartirsi il compenso del lavoro. Ugh!

Poi, insomma, quelli là le chiamavano “missioni”. Quelli come gli Avengers o gli X-Men, cioè. Missioni. Ma quanto potevano essere dei pomposi cazzoni pieni di sé?

Quelli come loro non facevano niente di diverso da quello che faceva Wade. Indossavano una tuta di spandex cromaticamente imbarazzante e andavano a menare le mani. Oh, d’accordo, loro lo facevano – aperte virgolette – per il Bene del Mondo – chiuse virgolette –, mentre Wade di solito lo faceva per soldi. O per divertimento. O per soldi e per divertimento. A volte per disperazione e istinti suicidi. Meraviglioso quando le cose si mescolavano tra di loro, ne uscivano performance che Ash Williams poteva fargli una pippa.

Ma stava divagando.

O forse no?

Dove era rimasto?

[Spidey.]

{La situazione ci sta sfuggendo di mano.}

[Non abbiamo mai avuto la situazione in mano.]

Le Voci avevano ragione.

Era stato assoldato per ammazzare un tizio che in nessuno – nessuno – dei multiversi qualcuno era mai riuscito ad ammazzare. Neppure il Gelatone al Pistacchio Incazzato. Si era detto: ok, ci provo, al massimo crepo io. In qualunque modo fosse finita, ci avrebbe guadagnato.

Quindi, come si faceva ad ammazzare Spider-Man? Non esisteva una pantofola abbastanza grossa da poter schiacciare un ragno di quel genere, e Wade aveva davvero telefonato a tutte le fabbriche di pantofole. Quindi aveva googlato “come ammazzare un ragno molto molto grosso”. Un link tira l’altro, si sa, ed era finito su YouTube a guardare un casino di video tutorial su come allevare ragni in casa. Wade era abituato ai video dei gattini e quei cosi gli facevano un po’ impressione – era di animo sensibile, lui, di solito gli insetti li faceva schiacciare a qualcun altro. Ma aveva dovuto ammettere che erano affascinanti. Come può esserlo un incidente in autostrada, ben inteso, ma certo, erano affascinanti.

Infine Wade passò dai video dei ragni ai video di Spider-Man. Perché se davvero voleva mettere le mani su quel compenso a sei zeri e comprarsi un’isola tropicale dove ritirarsi in pensione e studiare il modo di creare un vero unicorno, doveva seriamente tirare fuori qualche trucchetto magico per ammazzare il tizio in questione, e quindi magari era meglio se imparava qualcosa su di lui, dato che sembrava inarrivabile. Wade era bravo a scovare le persone e aveva scovato anche lui, naturalmente, ma quel ragnetto gli sfuggiva sempre appena prima di riuscire a scambiarci due parole.

Per un po’ aveva potuto solo ammirarlo da lontano mentre si lanciava tra un grattacielo e l’altro con le sue piroette. Si era chiesto se non fosse un acrobata del circo, perché, cazzo se era snodabile! Ma no, c’era già Robin della DC Comics e quello sarebbe stato un plagio bello e buono.

– If I… I get to know your name… well if I, could trace your private number, baby… – canticchiava una sera, cercandolo tra le strade di New York.

Poi un violento strattone verso l’alto e si era ritrovato a penzolare a testa in giù dal braccio di una gru, la maschera di Spider-Man che lo osservava con curiosità.

– Ehi, Spidey! You spin me right round, baby, right round like a record… –

– Sono profondamente onorato del tuo interesse, Deadpool. È questo il tuo nome, sì? –

Wade fece un sorriso immenso – che ovviamente nessuno poté vedere – e alzò i pollici – anche se in quella posizione sarebbe corretto dire che li abbassò.

– Il vecchio ‘Pool, in pelle e spandex, al tuo servizio! –

– Bene, Deadpool, amico… non è carino seguire le persone, sai? Sopratutto con la faccia mascherata. È inquietante, a dirla tutta. –

– Credimi, sarebbe più inquietante se lo facessi senza maschera. Comunque… ti dispiacerebbe spostarci a chiacchierare in un posto più comodo? Ho tutto il sangue alla testa e… –

Con una mano sola, Spider-Man lo sollevò e lo mise in piedi sul braccio della gru. Era minuto e snello e flessibile e forte. Occhi a cuore, occhi a cuore ovunque!

[Dobbiamo proprio passare attraverso questo flashback?]

{Oh, a me piace!}

[È imbarazzante…]

{Sssh! Ci piace proprio per questo!}

– Ce la fai ad arrivare lì? – gli aveva chiesto puntando al tetto del palazzo più vicino – O ti devo lanciare? –

– Lanciami tutto, Spidey! – aveva risposto allusivo.

– Ti farai male. – l’aveva avvertito afferrandolo per le cinghie del costume.

– Oh, sì! Fammi male! –

Spider-Man l’aveva lanciato, per poi proiettare una ragnatela e atterrare con grazia accanto a lui.

– Stai bene? –

Wade aveva afferrato la mano che gli stava porgendo e si era alzato dal cemento del tetto, ossa scricchiolanti e tutto il resto.

– Sono appena stato malmenato da Spider-Man, non potrei stare meglio. –

Ce l’aveva a un palmo. Poteva tenerlo fermo con la mano che lui, ingenuamente, gli aveva offerto, e usare l’altra per estrarre una delle armi che aveva addosso e semplicemente ammazzarlo. Un coltello in mezzo allo sterno o una pallottola in fronte. Sarebbe stato così semplice.

Spider-Man gli aveva battuto l’altra mano sulla spalla: – Amico, sei sicuro di stare bene? –

– Me duele matarte. –

– Me duele morir. –

E proprio come nei migliori cliché delle fanfiction, a Wade era mancato un battito. Perché nessuno – ma proprio nessuno – nella sua intera e disastrosa vita aveva risposto con una tale spontaneità alle sue citazioni di The Princess Bride.

– Mi hanno assoldato per farti fuori. – aveva spifferato.

Spider-Man aveva cambiato posa, raddrizzando le spalle. Come se si fosse sorpreso della rivelazione, ma niente di più.

Wade si era portato una mano alla bocca: – Merda, non dovevo dirlo? –

– Beh, ora capisco perché dicono che sei un mercenario pessimo. – aveva riso – Quale idiota vuole sprecare i suoi soldi così? –

– Questo mi offende! – Wade aveva messo il broncio – E poi come puoi essere certo che questa non sia tutta una tattica? –

– Certamente. – Spider-Man aveva annuito – Senti, non so bene che intenzioni hai, ma ho da fare e… beh, è stato un piacere? Credo… –

Stava già per balzare via. Oh no, no, no… non gli avrebbe permesso di scappare di nuovo in quel modo.

– Selfie? –

– Cosa? –

– Yay! Selfie! – saltellando sul posto Wade aveva estratto il cellulare – Yukio non ci crederà quando glielo manderò! –

– Chi è Yukio? –

Wade aveva già un braccio attorno al suo collo e stava inquadrato entrambi nella fotocamera.

– Dì chimichanga! –

– Chimi… changa? –

Click.

Furtivo come un gatto, Spider-Man era si era già liberato dalla sua presa e si era lanciato via dal palazzo, dondolando su una delle sue ragnatele. Wade l’aveva salutato agitando un fazzoletto di My Little Pony e stonando pesantemente Take My Breath Away.

Beh, manco a dirlo aveva cambiato idea. Cioè, sulla faccenda dell’ingaggio, sapete, uccidere Spider-Man e incassare tutti quei soldi e ritirarsi eccetera. Il progetto di creare l’unicorno per poter cavalcare fieramente ai pride lanciando glitter in faccia ai reazionari, avrebbe dovuto attendere.

Quindi, siccome era un uomo onesto e aveva una certa reputazione nel suo giro, aveva fatto visita al tizio che l’aveva assoldato e si era chiarito con lui, in maniera assolutamente civile e pacata. Non c’era stato alcun versamento di sangue, davvero. Ok, magari era volato qualche arto quando il tizio in questione aveva provato a fregarlo e poi aveva dovuto smembrare qualcuno dei suoi uomini. Ma era fiero di affermare che aveva agito per autodifesa. E poi erano tutte persone cattive – davvero molto, molto cattive. Tipo che abbandonavano i gattini e trafficano in droga e prostituzione, quel tipo di persone cattive.

Era davvero fiero si sé.

Wade non sapeva esattamente che codice di condotta seguisse Spider-Man: non era ancora abbastanza in confidenza con lui e i media dicevano parecchie stronzate. Ma aveva l’impressione che il ragazzo non usasse i suoi stessi metodi, per cui, se voleva avere qualche speranza di mantenersi in contatto con lui, doveva darsi una controllata.

Ancora imbrattato di sangue e budella, Wade era entrato in un negozio di souvenir della Grande Mela e aveva fatto incetta di memorabilia di Spider-Man, canticchiando: – We can be heroes, just for one day… – sotto gli occhi attoniti dei presenti.

[È finito lo strazio?]

{Lascialo concludere, è importante per chi legge!}

E questa era ma la maxistoria di come la sua vita era cambiata, capovolta, sottosopra era finita. Sdraiato sul letto sfatto qui con voi, Wade vi appena narrato di Deadpool e di come avesse iniziato la faticosa scalata della sua redenzione, tutto per poter andare incontro agli standard morali di un ragazzino mutante in spandex di cui non conosceva nome né faccia, che adesso dormiva sul suo divano.

 

*

 

– Mhm… adesso credo nei miracoli. –

Wade si appoggiò alla spalliera del divano e si beò dello spettacolo che si spiegava sotto i suoi occhi: Spider-Man praticamente nudo, eccetto che per la maschera, un paio di calzettoni a tema Star Trek e dei boxer molto attillati. Uh, kinky! E vogliamo parlare di quel culo? Difficilmente Wade avrebbe avuto altre occasioni per ammirare a così breve distanza quella meraviglia della natura.

– Where’re you from, you sexy thing? – canticchiò sorseggiando il suo caffè.

Il ragazzo si mosse sul divano, rigirandosi e stiracchiandosi e mugugnando improperi nella sua generica direzione. Era adorabile, cazzo.

– Buongiorno, raggio di sole. Hai dormito bene? – Wade si rifugiò nel solito umorismo mentre osservava con un po’ apprensione le ferite in via di guarigione – Sei riuscito a non conficcarti una molla nelle tue sante chiappe? Dovresti metterci un’assicurazione sopra, come ha fatto JLo. –

– Poteva andare peggio. – biascicò.

– Poteva piovere. –

– Frau Blücher! –

Wade imitò il nitrito di un cavallo e il ragazzo rise. Poi si portò una mano al torace, uggiolando di dolore.

– Oh, smettila di farmi ridere! –

– È colpa tua! – Wade si avviò alla cucina – Hai fame? Ti conviene averne, perché ho preparato una montagna di pancake. –

Il ragazzo fece capolino da sopra la spalliera e Wade poté giurare di vedere gli occhi della maschera spalancarsi.

– Perché non sono stupito di vedere una reale montagna di pancake? –

Wade si appoggiò fieramente al piano della cucina.

– Non puoi sfuggire a questo trope, Spidey. – scrollò le spalle – È troppo goloso. – ammiccò con le sue inesistenti sopracciglia – Goloso. L’hai capita, Spidey? Eh? –

Spider-Man si schiaffò una mano in faccia e ricadde sul divano.

– Vieni a mangiare prima che si freddino. –

Il ragazzo non si fece pregare. Divorò tre piatti, e certamente era una soddisfazione vederlo mangiare in quel modo. Wade gli servì anche del succo di frutta, appena spremuto con le sue stesse mani, da arance affettate con le sue katana. Tutto per il suo Sweetums.

– Smettila di fare il pavone. – lo rimproverò tra un boccone e l’altro.

– Dai, ammetti che ti piace. – Wade ripulì la lama con uno straccio e la piantò sul ripiano della cucina – Le katana fanno questo effetto, non puoi farci niente. Wolverine ne sa qualcosa. Sapessi quanto ho rimorchiato! Mi ricordo di quella che volta ero alle Galpagos e ho incontrato quella mutante con i tentacoli che… –

– E non voglio sentire! Grazie! Sì! – lo interruppe alzandosi di botto – Posso farmi una doccia? Faccio schifo… –

– Posso restare a guardare? –

– Ugh… no! –

Wade emise un triste sospiro.

– Dormi sul mio divano, mangi la mia colazione, usi la mia doccia… – elencò mentre l’altro si chiudeva in bagno – Non è carino non darmi nulla in cambio di tutte queste attenzioni! –

– Non sei il mio sugar daddy! – lo sentì urlare da sopra lo scroscio dell’acqua.

– E di chi è la colpa? – urlò di rimando – Sarebbe conveniente per entrambi, come ti ho dettagliatamente illustrato in quel PowerPoint che ti ho inviato tempo fa. –

– Ho cestinato la mail appena mi è arrivata. E in ogni caso… chi diamine usa ancora PowerPoint?! –

Wade scosse la testa: – Vorrà dire che mi toccherà proiettare la presentazione sull’Empire State Building. –

– No Wade! –

– Oh, Wade! – ribatté sorridendo follemente tra sé.

– Invece di molestarmi potresti, che ne so, renderti utile? E passarmi i vestiti che sono nel mio zaino? Grazie! –

Mise giù la tazza: – Ai vostri ordini, Buttercup. –

– Voi vi burlate del mio dolore! – lo sentì rispondere dal bagno.

– La vita è dolore, vostra altezza! – continuò a citare mentre prendeva lo zaino e lo apriva, frugando dentro alla ricerca dei vestiti – E chiunque dica diversamente sta cercando di vendere qualcosa. –

Merendine, ricariche per le ragnatele, un iPod scarico, l’ultimo numero di Angel Heart 2nd Season, un burrocacao – un burrocacao?! Era peggio della borsetta di una donna, Cristo santo, ma quante cose potevano stare dentro lo zaino di quel ragazzo? Riuscì a scovare un paio do jeans e una maglietta, ma non trovava dei boxer di ricambio, e per quanto l’idea di Spidey senza intimo sotto quei jeans skinny glielo facesse venire duro, immaginava che avrebbe preferito metterseli, i boxer, per cui continuò a frugare. E si ritrovò tra le mani qualcosa di inaspettato.

– Ma guarda un po’… –

Meravigliato, Wade si rigirò tra le mani l’oggetto.

– No, non è un dildo! – sospirò seccato – Siete proprio dei lettori pervertiti! –

Era una macchina fotografica. Una macchina fotografica che somigliava a quella che aveva tolto dalle mani di quel ragazzino ficcanaso, ormai settimane prima. Ci somigliava in maniera sospettosamente allarmante.

– Coincidenze? – mormorò tra sé, occhieggiando pensieroso la porta del bagno.

Chiuso dentro, il ragazzo stava stonando She’s A Maniac e consumando tutta l’acqua calda del suo boiler. In altre circostanze, Wade si sarebbe appostato dietro alla porta e avrebbe snocciolato un nutrito repertorio di laide battute, immaginando con estrema soddisfazione l’imbarazzo del suo Baby Boy. Ma quella piccola scoperta era un interessante colpo di scena che necessitava della sua piena attenzione.

Wade sogghignò tra sé e si lecco le labbra: – Io non credo alle coincidenze. –

Lasciò i vestiti sul pavimento accanto alla porta del bagno e prese il cellulare. Doveva chiedere una favore a Cable.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

* * *

 

 

Fatta salva quella patetica sera, in cui si era risolto a piangersi addosso tutta la sua frustrazione emotiva, Peter non aveva mai più ignorato Wade. Era riuscito a sentirsi in colpa persino per avergli riagganciato quella chiamata, di certo non era in grado di mantenere il muso – e con quale assurda motivazione, poi? Non era responsabilità di Wade se lui aveva deciso di fare questa doppia vita e nascondergli la sua vera identità. Men che meno erano responsabilità di Wade le montagne russe di sentimenti che Peter provava nei suoi confronti e la cronica mancanza di autostima che gli faceva presumere sempre il peggio, bloccando ogni sua seppur vaga idea di fare qualche passo avanti.

Mantenere lo status quo sembrava la cosa più semplice e logica da fare. La meno dolorosa, in apparenza, che troncare tutto e tornare alla sua vita di vigilante solitario. E in un certo senso era così, ma quanto gli costava? In una certa misura, Peter si sentiva masochista. Come altro si poteva definire una persona che si ostinava a farsi del male in quel modo?

Ma da circa un anno, da quando aveva in qualche maniera trovato la forza di superare la perdita di Gwen, era riuscito a rimettere in sesto la propria vita, più o meno. A trovare una sorta di equilibrio, che ora si manteneva stabile – fragile, ma stabile – su una routine rassicurate e prevedibile. Per quanto possa essere rassicurante e prevedibile indossare una tuta ogni sera e non sapere quanto si andrà vicini alla morte. Ma, da quando aveva deciso di essere Spider-Man, quella era la sua vita, e ne aveva accettato i rischi.

Così andava avanti.

C’era il college. Con le lezioni, i tutorati, lo studio, gli esami, e tutte le belle scadenze da consegnare. “Amo le scadenze, amo il rumore che fanno quando mi sfrecciano accanto.” citava tra sé nell’intento di autoconvincersi, quando correva a consegnare un saggio all’ultimo momento. Lo faceva sentire quasi un universitario normale, non uno che studiava appeso a testa in giù al pinnacolo di qualche grattacielo, mentre aspettava che il suo senso di ragno si attivasse.

C’era zia May. Farsi vedere da lei, ogni tanto, e possibilmente tutto intero, affinché non le venisse un infarto. Rientrare ad un orario umano, qualche volta, e mangiare a tavola con lei e scambiarci due parole, magari. Era il minimo che le doveva, povera donna, visto e considerato che gli faceva da madre e gli pagava il college. E con quali sacrifici – il volto di zio Ben popolava i suoi incubi, accanto a quello di Gwen e del Capitano Stacy – con quali cazzo di sacrifici.

C’era da sbarcare il lunario. Quindi fare foto e svilupparle e inviarle al Daily Bugle, per poter ricevere un compenso che a stento gli copriva le spese della mensa universitaria. Ma, ehi, con il metabolismo che aveva, ogni centesimo speso in cibo era un centesimo ben investito.

C’erano ronde. Lente e noiose o folli e pericolose, prevedibili o piene di colpi di scena, le ronde facevano parte della sua vita. I villain che si scontravano con lui gli erano ormai familiari. E anche le piccole incombenze con cui si teneva occupato nelle notti più tranquille, facevano parte di una routine che amava. Tirare giù gattini dagli alberi o aiutare le vecchiette a portare le borse della spesa, non erano cose meno importanti che salvare i cittadini dall’essere tramutati in massa in lucertoloni. Era un Amichevole Spider-Man di Quartiere anche per questo: non viveva in una Torre Dorata, viveva in una vecchia casa a schiera nei sobborghi del Queens e faceva parte del tessuto sociale che ambiva proteggere.

E poi c’era Wade.

Volente o nolente, in questa sua routine accuratamente costruita per sopravvivere, era entrato anche lui. Ci si era elegantemente scaraventato a forza di battute laide e citazioni di film popolari, e Peter ne era troppo allettato per potersi lasciar sfuggire l’occasione.

Non era facile essere solo.

Per questo fingeva.

Anche mentire faceva parte della routine. Era brutto mentire a zia May, ma non era doloroso, perché era il meglio per lei, il meglio per tutti. Lo faceva da anni ormai, poteva farlo anche con Wade, no?

Poteva farlo, anche se invece in questo caso era doloroso. Proprio perché era doloroso.

Perché era più facile far finta di niente e continuare a mantenere in piedi quella facciata, piuttosto che ammettere di aveva una patetica cotta per un uomo quindici anni più vecchio di lui, dalla dubbia moralità, con uno stile di vita altamente discutibile, e che non si sarebbe degnato di riconoscerlo se per caso l’avesse rivisto in faccia.

 

*

 

Wade avrebbe riconosciuto quella faccia stupidamente carina in mezzo a mille.

Ma New York era una megalopoli di otto milioni e mezzo di abitanti, e lui non aveva uno straccio di informazione su quel ragazzo. Sperare di ritrovarlo per caso in mezzo alla folla, sarebbe stato come sperare di trovare un pelo sulle sue palle glabre. Quindi aveva fatto quella telefonata a Cable ed era riuscito a strappargli il favore che gli serviva.

– Il tempo non porta altro che guai. – citò tra sé mentre impostava le coordinate temporali – Mi occuperò del secondo grande mistero dell'universo: le chiappe di Spider-Man! –

Sempre che i suoi sospetti fossero reali. Su questo argomento, le Voci nella sua testa litigavano in modo petulante e lui aveva voglia di zittirle ficcandosi un trapano nell’orecchio, ma l’esperienza aveva perso fascino dopo sesta volta che ci aveva provato. In ogni caso, non sapeva che pensare. Illudersi sarebbe stata davvero una mossa da coglione, ma insomma poteva permettersi di sognare ancora, no? O gli era negato? Solo perché era una bestiaccia brutta e cattiva?

A dream is a wish your heart makes… – canticchiava mentre si avviava per le strade del Queens.

Ritrovò facilmente quell’angolo di strada in cui si erano svolti i fatti. Si fermò a un thai là vicino e prese qualcosa da poter mangiare mentre restava pazientemente in attesa, appollaiato sulla scala antincendio di un palazzo: perfetta postazione per poter osservare senza essere osservato.

[Eccoci qua…]

{Stiamo per farlo.}

[Sicuro di voler assistere a tutta la scena?]

{Sicuro che ci vogliamo rivedere?}

– Fanculo… – mormorò tra sé.

Per una qualche forma di perversa autopunizione, Wade si costrinse a guardare e ascoltare tutto.

Il modo in cui aveva bullizzato quel ragazzino gli faceva salire l’urto del vomito. E a poco serviva dirsi che non l’aveva fatto con intenzione, che non gli era piaciuto proprio per un cazzo, che aveva messo su quel teatrino a bella posta per spaventare il ragazzo e allontanarlo, che era meglio prevenire che curare.

E poi, ehi, Wade era abituato a farsi schifo, no? Niente di nuovo sotto il sole!

Quindi sì, rimase lì a guardarsi tutta la scena, provando pena per il ragazzo e odio per sé stesso. Gli sembrò una cosa lunghissima e atroce, ma attese stoicamente che tutto finisse e che il Wade del passato se ne andasse via, lasciando il ragazzo da solo.

E ancora aspettò. E aspettò. E aspettò.

Il ragazzo se ne stava lì, appoggiato al muro, con la macchina fotografica tra le mani e un’espressione pericolosamente vicina alle lacrime che gli deformava il volto. E cazzo, quello non era una volto fatto per piangere. Erano molte le espressioni che Wade si era ritrovato curioso di vedere su quel volto, ma il pianto proprio no.

Imprecò tra sé: aveva fatto bene ad andarsene via senza voltarsi, non avrebbe retto una cosa del genere. A stento si stava trattenendo dall’andare da lui e avvolgerlo in una enorme e soffice coperta di Hello Kitty e portarlo da Starbucks e ordinare per lui la mostruosità più calorica e iperglicemica che esistesse. Tirò fuori un coltello e se lo piantò nella coscia per contenersi e si aggrappò al dolore e all’odore metallico del sangue.

Quando stava stava per collassargli un polmone, il ragazzo finalmente si mosse da lì. Wade riprese a respirare normalmente e iniziò a seguirlo.

Il ragazzo viveva in una di quelle villette a schiera che i baby boomers avevano potuto acquistare in cash ai tempi in cui l’economia non era ancora stata fottuta. Era vecchia ma ben tenuta. Forse c’era un po’ di manutenzione da fare sulle grondaie e l’unica auto parcheggiata nel vialetto era un modello datato. Per Wade erano informazioni sufficienti a capire che non c’era un uomo in casa.

La finestra del soggiorno aveva le tende aperte e da lì poté vedere il ragazzo salutare una signora di mezza età e salire su per le scale. Ormai era notte e Wade avrebbe voluto tornarsene a casa e dormire nel proprio letto, ma non voleva perdere l’occasione. C’era un parco giochi proprio lì accanto: si arrampicò sulla casetta dello scivolo e collassò sulle assi di legno umide, katana e pistole e tutto. Aveva dormito in posti peggiori – aveva avuto intenzioni peggiori.

 

*

 

Quando Peter uscì dal bagno e chiamò, non ebbe risposta.

Si drappeggiò un asciugamano addosso e infilò la maschera, spiaccicandoci dentro il groviglio di capelli bagnati. Aprì la porta del bagno e occhieggiò fuori: la casa sembrava vuota. Ai suoi piedi, vicino alla porta, c’erano i suoi vestiti puliti.

Dando un’ultima occhiata in giro per assicurarsi di essere solo, si tolse la maschera e si rivestì. Poi controllò il cellulare, cercando di capire che fine avesse fatto Wade, ma non trovò alcun messaggio da parte sua. Non che fosse strano vederselo sparire di punto in bianco, l’aveva già fatto, ma a dirla tutta la cosa gli risultava sempre un tantino snervante.

E poi non l’aveva ancora ringraziato. Per averlo aiutato con le ferite la notte prima e per la colazione quella mattina, per avergli permesso di dormire lì così sua zia non si sarebbe spaventata e per avergli fatto usare la doccia… insomma, ne aveva di motivi per volerlo ringraziare.

Non che ci tenesse particolarmente a vedere la sua espressione di tronfia soddisfazione. Era certo che avrebbe gongolato come un folle e avrebbe rimarcato per sempre l’accaduto, sottolineando le sue evidenti doti di partner amorevole e il suo status di celibe ed altri commenti scomodi di quel genere.

Peter andò in cucina per farsi un’altra porzione di pancake – il suo metabolismo volava quando si stava rigenerando – e scoprì che Wade aveva trovato il modo di rimarcare tutto quello che era successo anche senza essere presente. Attaccato al frigo con dei magneti a forma di Pokemon c’era un plico intero di fogli disegnati a fumetti e pinzati malamente insieme. Un grosso post-it rosa fluo era appiccicato sopra:

 

HO DA FARE

TORNO PRESTO

TI HO LASCIATO UNA COSA COSÌ NON TI ANNOI

XOXO

DADDYPOOL

 

Sorridendo tra sé, Peter si riempì un piatto di pancake e un bicchiere di succo d’arancia. E si sedette al tavolo per poter leggere quel capolavoro eseguito con i colori a cera.

Sul quella che doveva essere la copertina, un Deadpool esageratamente alto e muscoloso portava in braccio, in stile sposina, uno Spider-Man esile e gravemente ferito. Entrambi avevano le tute strategicamente strappate in zone imbarazzanti. Sopra di loro campeggiava la scritta a caratteri cubitali:

 

SPIDEYPOOL ADVENTURES

(FOR MATURE AUDIENCE ONLY)

 

In qualche modo, Peter riuscì a sfogliare quella roba e a mangiare senza strozzarsi – un risultato rimarchevole, sto il contenuto.

In pratica era una rivisitazione dell’Armata delle Tenebre. Ovviamente Deadpool era Ash, con una katana al posto del fucile, mentre Spider-Man manco a dirlo era Sheila, e l’Ash Malvagio era Dormammu. Era tutto identico, eccetto per il finale: Dead/Ash non tornava al presente, ma restava nel passato assieme a Spider/Sheila.

L’ultima pagina era occupata a tutto campo da un letto a baldacchino: Spider/Sheila vi era sdraiato in posa invitante e diceva “Ti succhierò l’anima!”. Peter si schiaffò una mano sulla faccia e occhieggiò il resto del disegno tra le dita: Dead/Ash, gloriosamente nudo eccetto che per la maschera, guardava malizioso verso il lettore rompendo il quarto muro, e rispondeva esattamente con le parole originali: “Vieni a prenderla!”.

Era la cosa più imbarazzante che avesse mai letto e non riusciva a smettere di ridere. Continuò a ridacchiare tra sé mentre metteva via gli avanzi e lavava i piatti.

Peter agguantò un post-it dalla pila che stava vicino all’ingresso.

 

Sei un cazzo di pervertito! :P

Grazie di tutto DP, te ne devo una!

Ci becchiamo presto! :)

 

Lo attaccò alla porta e lo fissò a lungo, masticandosi il labbro. Non suonava né troppo distaccato né troppo affettuoso. Non suonava come niente – quindi era perfetto. Doveva mantenere lo status quo, dopotutto, no?

Lo odiava.

Avrebbe voluto avere il coraggio di rompere quella situazione in cui si erano ficcati, ma sapeva che non ce l’avrebbe mai fatta. Non dopo quanto era accaduto qualche settimana prima. Era lampante che qualunque cosa ci fosse tra di loro, sarebbe morta nel momento in cui si fosse tolto la maschera di Spider-Man per rivelare chi c’era sotto. In un certo senso era meglio che fosse andata così: quanto avrebbe fatto male fare un primo passo e dover fare i conti con il suo rifiuto – con quel tipo di rifiuto?

Peter raccolse seccamente le sue cose e le ficcò nello zaino alla rinfusa. In mezzo, anche quel fumetto ridicolo. Chiuse lo zaino con uno scatto tale che quasi ruppe la linguetta della zip e se lo agganciò alla spalla. Girò su sé stesso, le mani ficcate nelle tasche dei jeans: era strano stare là dentro senza la presenza ingombrante e rumorosa di Wade. Quando sarebbe tornato gli avrebbe offerto una cena per sdebitarsi dell’aiuto. E per riempire con junk food e cazzate quel gap aperto tra di loro che minacciava di risucchiare Peter.

 

*

 

Il thai freddo faceva schifo, ma i cazzo di uccellini di merda del parco l’avevano svegliato alle 6 del mattino, manco fosse Biancaneve, e Wade aveva fame. Quindi fece colazione con gli avanzi del thai e aspettò che la casa fosse vuota.

Alle 7 uscì la signora, dopo circa mezzora uscì anche il ragazzo. Wade si ripulì i guanti imbrattati di salsa passandosi le mani sulle cosce e poi differenziò accuratamente i rifiuti nei cestini del parco, perché era un cittadino coscienzioso e consapevole del problema dell’inquinamento. Poi, facendo attenzione a non essere visto, si apprestò ad arrampicarsi sulla facciata della villetta e a forzare la finestra della camera da letto del ragazzo.

C’erano due sistemi di allarme. Ed erano vari i motivi per cui questo fatto incuriosì Wade. Uno era obsoleto: il classico sistema installato in quel genere di case, vecchio di circa vent’anni e mai rinnovato. Fu facile da aggirare. L’altro… era molto più sofisticato. Rozzo, sicuramente un fai-da-te creato con mezzi economici, ma proprio per questo era sorprendente quanto fosse complesso. Certo, niente che Wade non fosse capace di risolvere con poco impegno, ma era piuttosto interessante. Anche perché era circoscritto solamente a quella camera da letto.

Wade aprì la finestra e con un leggero tonfo scivolò dentro la stanza. Forse quel tipo non era solo un ragazzino sfigato, come aveva cercato di dargli a bere. Girò su sé stesso, guardandosi attorno in quell’ambiente minuscolo e sovraccarico di roba. Forse quelle che si stava facendo non erano solo seghe mentali.

Si mosse cauto, cercando di non rovesciare né calpestare nulla al suo passaggio. Impresa non facile viste le sue dimensioni e la quantità di roba stipata là dentro.

– Fenomenali poteri cosmici… in un minuscolo spazio vitale! – citò tra sé.

E non era forse la perfetta descrizione del suo Spidey?

[Piantala con le cazzate e mettiti al lavoro!]

{Uuuh… dagli il tempo…}

Wade sedette alla scrivania e frugò tra gli oggetti e le carte, nei cassetti, nel cestino della spazzatura. Iniziò a farsi un’idea di chi fosse.

La stanza era un cumulo di materiale da geek. Ovunque libri di scienza e attrezzatura da lavoro per cervelloni in erba. Era uno studente di bio-ingegneria, un nerd tutto libri e progetti. Ideava cose, le scarabocchiava dietro vecchie fotocopie con grafia incomprensibile e se le costruiva in casa con quello che riusciva a raccattare. Sicurezza zero, rifletté osservando che come protezioni usava una maschera da snorkeling, dei guanti da forno e una pinza da caminetto.

O era molto stupito o assurdamente sicuro di sé. Probabilmente entrambe le cose.

[Oppure ha dei superpoteri…]

{Ssssh! Non dargli false speranze!}

Wade si diede una spinta con i talloni e roteò sulla sedia, facendosi una panoramica della stanza. Le pareti erano tappezzate di poster di band musicali, manifesti di film e fotografie – molte fotografie. Beh, aveva una buona cultura pop e dei gusti decenti, per essere così giovane. E se ancora aveva dubbi sulla sua età, le fotografie glieli tolsero, a partire da quella del diploma, con lo striscione dell’anno in bella vista. Wade si fece due conti a mente: 19 anni, massimo 20.

– Mhm… cazzo, sei davvero un teenager. – mormorò tra sé, diviso tra il senso di colpa e l’ammirazione – Non così sfigato come pensi, ma comunque un teenager. –

C’era una foto. Era piuttosto evidente, saltava all’occhio nonostante il caos attorno fagocitasse ogni dettaglio. Wade non aveva bisogno di aprire la cornice e sfilarla e leggere dietro, per sapere. Ma lo fece comunque, perché più informazioni raccoglieva su quel ragazzo e più quella assurda realtà si faceva concreta e magari riusciva davvero a crederci.

Febbraio 2014 – Gwen <3

– Cazzo… cazzo cazzo cazzo. –

Qualche volta Spidey gli aveva parlato di questa Gwen. Mezze frasi, quasi buttate lì casualmente. Così come lui tirava fuori Vanessa e il cancro e Weapon X, in mezzo i suoi rigurgiti di parole senza capo né coda. Wade si era fatto un’idea ed era sufficientemente dolorosa da riuscire zittire tutte le Voci, in quei momenti, e lasciare solo quella di Spidey e fare la persona decente, per una volta. Di solito era lui a cambiare argomento e alleggerire l’atmosfera. Wade non osava mai. Era un coglione, ma sapeva quando essere un po’ meno coglione.

Ricompose la cornice e rimise la foto al suo posto. Quindi questo era il fantasma contro cui lottava. O almeno, il più grosso – forse il più recente? Aveva sempre avuto il sospetto che ce ne fossero altri, troppi per le spalle di un ragazzo così giovane e innocente.

[Non poi così innocente, eh?]

{Beh, ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio, no?}

[E i suoi feticci segreti per uomini più vecchi e mentalmente instabili.]

{Ehi, non abbiamo ancora trovato niente!}

Wade voleva e non voleva trovare qualcosa di schiacciante. Voleva e non voleva la conferma definitiva. Ancora una parte di sé negava. Negava negava negava.

La macchina fotografica e il nome della ragazza potevano essere solo delle coincidenze, no? Ok, era delle grosse coincidenze, grosse quanto l’ego di Mysterio e le palle di Colossus messi assieme, ma…

Ma Wade si sedette sul letto sfatto. Le molle che cigolavano sotto il suo peso e le armi che facevano un gran casino mentre si assestava sul materasso. D’un tratto prese coscienza di quanto la sua tuta e il suo armamentario avessero bisogno di una lavata: sperava di non sporcare niente. Sperava che in qualche modo gli passasse quella sensazione. Quel netto disagio di sentirsi così ingombrante e fuori posto. Aveva fatto decisamente di peggio nella sua vita, ma frugare nella vita di quel ragazzo – chiunque egli fosse – lo faceva sentire sporco.

C’era un iPod in carica sul comodino. Wade lo accese e scorse le playlist.

“Studio” – un casino di canzoni lounge e ambient.

“Doccia” – Men At Work, Toto, Bon Jovi, Billy Joel, Wham… cazzo, chiunque fosse questo ragazzo gli avrebbe chiesto di uscire!

“Ronda”.

Ronda – la parola fece ping-pong tra il suo cervello e il suo sterno una dozzina di volte e infine gli si piantò in gola, obbligandolo a deglutire forte. Iron Maiden, Led Zeppelin, AC/DC, Deep Purple, Foo Fighters… e altra roba decisamente adatta a picchiare duro.

Magari era un’altra coincidenza. Magari era un bravo cittadino che faceva le ronde di quartiere. Magari era per questo che l’aveva beccato e si era messo a fargli foto: con la faccia che aveva, chiunque avrebbe sospettato brutte cose su di lui.

[Ma certamente. Un Amichevole Nerd Vigilante di Quartiere.]

{Sei un genio!}

[Voglio uscire da questa scatola cranica. Puoi spararti in bocca, grazie?]

Wade inforcò gli auricolari e fece partire la riproduzione casuale, zittendo le Voci. Mentre Sir Elton John gli cantava nelle orecchie, riprese la sua ispezione da dove l’aveva lasciata.

Aprì il cassetto del comodino: l’universale Vaso di Padora. Se c’era qualcosa di compromettente, era certamente lì. Era stato anche lui un ventenne. Ok, magari nel suo cassetto di post-adolscente c’erano riviste porno, lubrificante e condom. Certamente non un’anonima cartellina dall’aria segretissima.

[E… ci siamo, gente! Allarme rosso! Allarme rosso!]

{Prepararsi al melt-down in tre, due, uno…}

– Ma che cazzo…?! –

Wade aprì la cartellina nell’esatto momento in cui Elton gli cantava nelle orecchie “And can you feel the love tonight?” e non poté fare a meno di scoppiare a ridere istericamente.

 

*

 

– Toc toc! –

– Chi è? –

– Spidey. –

– Spidey chi? –

– Spidey Pizza! –

Wade lo fissava serio dalla cornice della finestra.

– Mi fai entrare? Si raffreddano! –

– Punto primo, – iniziò il mercenario mentre si scostava per lasciarlo passare – aveva senso bussare alla porta, ma stai entrando dalla finestra. Punto secondo: pizza? Bamby, abbiamo mangiato pizza anche la volta scorsa! Non ti ho insegnato proprio niente? Uccidere il proprio metabolismo è un’arte! –

– È divertente proprio perché sono entrato dalla finestra. – Peter avanzò sul soffitto e atterrò accanto al divano – E ti ho portato quella con le acciughe e l’ananas. –

Aprì il cartone per mostrargliela e rabbrividì d’orrore al solo aroma che emanava. Ma ehi, era la sua preferita, e chi era lui per discutere i gusti altrui?

Wade afferrò il cartone ed emise un gemito al limite del pornografico: – Oh, vieni da papino, sì… –

Peter era molto felice di indossare la maschera.

– Ti ho anche preso il tuo solito smoothie. – gli allungò una borsa – Ma sappi che è ultima volta che lo faccio, è stato imbarazzante. –

Wade estrasse il bicchiere con allegria infantile.

– Non c’è niente di imbarazzante ad abbracciare i propri kink! Dovresti farlo anche tu! –

– I miei kink sono a posto così, grazie. – Peter aprì il cartone della propria pizza, una normalissima e decente pepperoni, e arrotolò la maschera fino al naso – Quanto a te, se metti cinque o sei ingredienti in meno nei tuoi smoothie credo che siano lo stesso bevibili. –

– No. – Wade succhiò dalla cannuccia con aria impettita e occhieggiò la sua misera lattina di Coca – Io ho imparato a godermi la vita, a differenza tua. –

– Wade, non so se te ne sei accorto, ma praticamente faccio la tua stessa vita. – rimarcò Peter mentre addentava una fetta di pizza.

Slurp – fece la cannuccia.

– Ho i miei dubbi in merito. –

Wade lo stava fissando. E non era uno sguardo rassicurante.

– Passiamo la metà del tempo insieme. – gli fece notare – Non so cosa ti immagini che faccia nel resto del tempo, ma di solito dormo o vado a lezione. –

– Ah! – Wade gli puntò lo smoothie in faccia – Lo vedi che non ti godi la vita?! Seriamente, – roteò gli indici ad indicare tutto, dalla casa alle pizze a loro stessi – questo è il massimo del divertimento per te? Almeno abbi il coraggio e chiedi di mettere doppia panna montata, zuccherini colorati, caramello e cocco grattugiato sopra ai tuoi smoothie! –

Peter alzò gli occhi al cielo: – Ho un metabolismo veloce, ma se mangiassi le stesse cose mangi tu mi trasformerei in un dirigibile. Mi ci vedi? Un dirigibile rosso e blu che dondola tra i grattacieli? –

Wade ammiccò: – Niente di male ad arrotondare quel bel culetto. –

Peter si strozzò con la pizza. Un buon modo di nascondere il rossore, dopotutto.

– E a proposito di bei culetti… – Wade pescò il cellulare dalla tasca della felpa e scorse le foto – Per caso lo conosci questo tizio? –

Peter guardò lo schermo e tutto attorno a lui si congelò. Tutto anche dentro di lui si congelò. Poteva sentire il calore ritirarsi dalle estremità come la risacca del mare, e concentrarsi in mezzo al petto e sulla faccia, e bruciare come lava incandescente.

Quella era la sua faccia. La sua faccia. Cosa cazzo ci faceva la sua faccia nel cellulare di Wade?

– Webhead? Spidey? Pumpkin? – Wade gli schioccò le dita davanti agli occhi – Tutto ok? –

Peter annaspò in cerca di parole, ma il cervello era una tabula rasa.

– N-no. – colpo di tosse – Uh… non lo conosco. – l’improvviso bisogno di bere tutta la Coca nonostante la nausea e poi accartocciare la lattina con una mano – Perché? Lo… tu lo conosci? –

– Beh, in un certo senso… – ribatté vago.

Wade si grattò la testa ed emise un sospiro teatrale.

– L’ho beccato a seguirmi. – iniziò a raccontare tra un morso di pizza e l’altro – Sarà stato il mese scorso, non ricordo. Comunque… l’ho dovuto spaventare un po’. Sai com’è, una cosina adorabile come quella non dovrebbe girare attorno ad uno come me, no? –

– Mh… – Peter si fingeva troppo impegnato a masticare la sua pizza per poter rispondere propriamente.

– È stato orribile. Davvero. Ho mozzato teste e sbudellato gente, nella mia vita, lo sai, ma niente è stato orribile quanto fare il bullo con quel ragazzino. Ma… che ne sapevo? – scrollò le spalle – Voglio dire, magari faceva solo finta. –

– Finta? –

– I’m just a teenage dirtbag, baby… – canticchiò in falsetto, per poi abbassare improvvisamente la voce di un ottava e fissarlo intensamente – O magari no?

Peter deglutì il boccone e si sforzò con tutto sé stesso di mantenere un atteggiamento casuale.

– Magari non era solo il teenager sfigato che diceva di essere. –

– Oh… e cosa… che altro poteva essere? –

Wade scosse la testa: – Beh, Honey, non mi chiamo Charles Xavier, per cui ho dovuto indagare a modo mio. –

– A modo… tuo? – lo incalzò.

E Wade gli spiegò tutto.

Come l’aveva seguito. Come aveva scoperto doveva abitava ed era entrato nella sua stanza. Come aveva frugato ovunque in cerca di informazioni.

Che probabilmente era orfano, perché viveva con un’adorabile signora di mezza età che era sua zia. Che a giudicare dai libri che aveva trovato, studiava roba da giovani cervelloni in erba come lui. Che doveva essere pazzo, perché costruiva da solo invenzioni assurde con materiali di fortuna e prima o poi gli sarebbe scoppiato qualcosa in faccia e sarebbe stato un vero peccato rovinare in quel modo un così bel faccino.

Che non doveva avere molti amici.

Che faceva un sacco di foto. Davvero tante, tante foto.

 

*

 

– Sai, la gente è strana, non so mai cosa aspettarmi… ma questo. – Wade scosse la testa e fece un’espressione stranita – Wow! Questo è proprio fuori dalla mia comprensione! –

Povera lattina. Spidey l’aveva accartocciata fino a ridurla ad una pallina di alluminio chiusa nel suo pugno.

– Sì? Cos’è che non capisci? –

Wade rise. Sarebbe stata una lunga serata.

– Ma dico, l’hai guardato bene?! – picchiettò un dito sullo schermo del cellulare – È perfetto! Fottutamente perfetto e Cristo, con quella faccia e quel cervello può avere chiunque desideri! Che cazzo vuole da un freak come me, mh? Voglio dire, se lo beccassi di nuovo… al diavolo, gli chiederei di uscire, ma… –

La misera pallina di latta venne lanciata via e probabilmente causò un buco nella parete di fronte. Spidey si sfregò le mani sulla faccia mascherata.

– Gli chiederesti…! E cose faresti, sentiamo? –

Era surreale, quella conversazione era semplicemente surreale e totalmente folle e wow! Solo loro due potevano finire in una fanfic talmente sgangerata.

– Lo porteresti al cinema e poi a mangiare un gelato? Oppure… direttamente a cena in un posto carino? Cosa… che faresti? –

– Central Park. – ripose immediatamente – È autunno, Baby Boy, andremmo a Central Park ad ammirare il foliage. –

– Il… foliage. – annaspò.

– Oh sì. E poi lo porterei al Tavern on the Green, per una cioccolata calda. – aggiunse – Con doppia panna montata, zuccherini colorati, caramello e cocco grattugiato. – elencò lentamente.

Cazzo, più di così. Doveva dargli altri suggerimenti?

– Ma certo… – lo vide annuire, le mani giunte davanti alla bocca e una gamba che dondolava nervosamente.

– E poi… –

– Ah, c’è altro?! –

Wade assunse un’espressione oltraggiata: – Ovviamente c’è altro! – e lui gli fece cenno di continuare.

– E poi faremmo un giro in barca sul lago. – continuò – Fino alla zona dei salici piangenti, sai, no? o– Wade si sporse appena verso di lui e poté percepire la tensione, lo sforzo impiegato per non saltare su e attaccarsi al soffitto – Sha-la-la-la, go on and kiss the girl… –

– Ok! – balzò in piedi alzò i pollici e prese a parlare velocemente con voce insicura – Un bellissimo programma, seriamente! Solo che, uh… non sai… nemmeno il suo nome. Non sai davvero che tipo sia, cosa voglia da te, e ne parli come se fosse… –

– Speravo che me lo dicessi tu. –

– Cosa…? –

– Il nome. Speravo che me lo dicessi tu. –

Wade non si aspettava una risposta. Per cui non si stupì di vederlo incrociare le braccia al petto e muoversi nervosamente sui piedi. Ma quel giochino stava andando avanti davvero da troppo tempo, Wade voleva passare ai fatti. Ed era abbastanza sicuro che anche Spidey lo volesse.

– Oppure, – con studiata calma si alzò in piedi e lo fronteggiò – possiamo continuare così. A girarci intorno. È divertente. Tu sei adorabile, Sweetums, lasciatelo dire. Cioè, sei sempre adorabile, ma così… – fece un fischio di apprezzamento e poi ammiccò – Credo che stanotte mi toccherò ripensando a questo. Ma userò la sinistra. –

– E solo asì hai un po' de sodisfasione. – ribatté subito lui.

Sì, anche Wade era grato di potersi trincerare momentaneamente dietro le loro solite citazioni. Un attimo di respiro prima di fare l’ultimo salto.

Wade fece un passo avanti: – Se uso la mano derecia finisco subito. –

Risero insieme, con una goffaggine che non apparteneva alle loro interazioni. Oh, poteva sentirlo come avrebbe voluto schizzare via lontanissimo. Ma erano entrambi inchiodati lì.

– È divertente. – ripeté avanzando cautamente di un altro passo – Ma credo che sarebbe più divertente passare alla fase successiva. –

– Sì? – una mano inguantata raggiunse uno dei lacci della sua felpa e prese a giocarci nervosamente e Wade ci morì sopra quel tic – Che succede nella fase successiva? –

– Succede che ti togli quella maschera. Trovo francamente inaudito che tu mi abbia nascosto quel bel faccino per tutto questo tempo. – lo rimproverò – E tra parentesi, anche un tantino scorretto, devo dire, visto il contenuto di quella cartellina che… –

Qualcosa dovette scattare in Spidey alla menzione della cartellina. Perché Wade lo vide prendere un profondo respiro, come se dovesse immergersi in acqua e andare in apnea. E un attimo dopo la maschera era andata.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


*coff coff* ...come si dice? Meglio tardi che mai?

Beh, ecco, a mia discolpa: non è stato un anno proprio facile. Voi che mi dite? In attesa di un 2021 che si spera faccia meno cagare, ecco il quarto nonché ultimo capitolo!



 

Capitolo 4


* * *

 

– Smettila di fissarmi. –

– Neanche morto. –

– No, sul serio, Wade. È inquietante! –

Peter guardava ovunque tranne che verso di lui. D’altra parte il foliage di Central Park era davvero interessante, non c’era che dire.

– Peggio per te. Mi devi mesi di stalking, quindi ti fisso quanto mi pare. –

– Immagino che tirerai fuori questa storia continuamente. –

– Immagini bene, Baby Boy. –

Peter non aveva bisogno di guardarlo: il sogghigno filtrava fin nella voce. Ficcò le mani nelle tasche del parka e si incassò nelle spalle, grato di potersi nascondere almeno in parte nella sciarpa.

– Mi metti ansia. –

– Senti, – Wade lo sorpassò e prese a camminare all’indietro davanti a lui – facciamo così: tu mi cammini davanti e io sto dietro a fissarti in pace. Mh? –

– Il mio senso di ragno mi suggerisce che sia solo un pessima scusa per potermi guardare il culo. –

– Il tuo senso di ragno è difettoso. – ade si strinse nelle spalle e con una piroetta riprese a camminare nella sua stessa direzione – Non ho bisogno di scuse per il fissare il culo al mio ragazzo. –

Peter lottò e perse clamorosamente contro la vampata che gli salì al volto.

– Ah, ora sarei il tuo ragazzo? – biascicò contro la trama della sciarpa.

– Chi è che tiene un album di mie foto nel comodino? Din-din-din! Risposta esatta! Peter Parker! –

Il Peter Parker in questione stava fumando per l’imbarazzo.

– C’è un modo per farti stare zitto?! –

– Punto primo: tu adori la mia incontinenza verbale, perché finalmente hai trovato qualcuno persino peggio di te. Punto secondo: – Wade lo afferrò per un braccio e lo trascinò fuori dal sentiero, dietro un albero, lontano dagli sguardi dei passanti – Baby Boy… – ringhiò gutturale, intrappolandolo tra sé e l’albero – ci sono tanti modi per farmi stare zitto, vuoi che ti faccia degli esempi? –

Onestamente, Peter avrebbe volentieri replicato con qualcuna delle sue frasette sferzanti, ma aveva qualche difficoltà a collegare quei due neuroni sani che gli erano rimasti. Così si trovò a boccheggiare poco elegantemente come un pesce fuor d’acqua.

– Sto cercando di flirtare. – bisbigliò Wade tra i denti, come un gobbo di teatro – Adesso tocca a te. –

– Non so come fare. – sbottò all’improvviso.

Wade si scostò appena e lo osservò, incuriosito.

– Voglio dire… so come fare, conosco la teoria. Sono...  – Peter soffiò via l’aria e si morse il labbro, non era da lui restare senza parole – Fuori allenamento? – azzardò con una piccola smorfia, mioddio Wade era adorabile e lui si sentiva così patetico – Voglio dire, non è che prima... –

In qualche modo l’intero discorso, che già prima era abbastanza confusionario, inciampo su quella parola. “Prima”. Prima di cosa? Prima di Gwen? Prima di Spider-Man? Prima di zio Ben? Di cosa?

– Non è che prima… – Peter scosse la testa, gli occhi che saettavano ovunque, il cuore che galoppava, il sudore che raggelava sulle tempie – Non è che… prima… –

La parola morì sulla stoffa del cappotto di Wade. Peter si concesse di chiudere gli occhi e lasciarsi andare contro la sua massa sicura, lasciarsi andare alla pena di sé, lasciarsi andare a un paio di lacrime che tracimarono timidamente. Lasciarsi andare e basta. Per una volta, lì, racchiuso nell’abbraccio di Wade, sentiva di poterselo permettere.

– Facciamo un gioco? –

Peter tirò su col naso e si scostò per guardarlo dal basso, una risata che già gli gorgogliava in gola.

– Siamo già a quella fase? Non è un po’ presto? –

– No no, seguimi. – lo invitò Wade tendendogli la mano – Sono serio. –

– Oh mio Dio. –

Peter intrecciò le dita alle sue e si fece guidare.

Mortalmente serio. –

– Ok, ti ascolto. –

Ripresero il sentiero e arrivarono davanti al Tavern on the Green. Wade si fermò all'ingresso.

– Adesso tu entri là e ti siedi e ordini qualcosa. – disse mentre sbirciava attraverso la vetrata – Quando entro, facciamo finta di non conoscerci. –

Peter inarcò un sopracciglio: – E poi? –

Wade tornò a guardarlo e gli rivolse un sorriso. Una roba che per poco Peter non si strozzò con la propria saliva.

– E poi vediamo come va. – gli disse, e strinse appena la sua mano prima di lasciarla andare.

 

*

 

– Ehi… ciao. –

– Ciao. –

Lo sforzo che stava facendo per evitare il suo sguardo era ammirevole – e inutile. Wade si appoggiò con nonchalance al bancone e gli rivolse un sorriso seducente.

Impostò la voce alla Joey Triviani: – Come ti va? –

Ammiccò, e Peter soffocò una risatina nell’esatto modo in cui faceva Phoebe in quella puntata. Dai, avete capito quale. Quella che avevano rewatchato giusto un paio di mesi prima, durante la loro maratona di FRIENDS.

– Mi chiamo Wade. –

– Peter. –

Peter. – “Peter Peter Peter” cantilenava nella sua testa, conosceva quel nome da un paio d’ore e né lui né le sue voci ne avrebbero mai avuto abbastanza – Ciao Peter. Vieni spesso qui? –

Peter sorride, arrossisce e gli manda uno di quegli sguardi. Quelli in cui sembra la reincarnazione di James Dean e lui vorrebbe solo strapparsi i capelli (se li avesse) e lanciargli le mutandine (quelle ce le ha). Ma con sforzo ammirevole Wade riesce a contenersi il tanto che basta a non essere cacciati dal locale con diffida e accompagnati in centrale per atti osceni in luogo pubblico.

Più tardi si darà una pacca sulla spalla per essere stato un adulto funzionale.

Wade gli aveva promesso un giro a Central Park, una cioccolata calda al Tavern on the Green e un giro in barca. Non arrivarono al giro in barca perché nel frattempo aveva fatto buio e si erano persi a parlare là dentro.

Tante cose le sapevano, tante altre le avrebbero scoperte man mano. Wade di fretta non aveva. Ma Peter volle lo stesso raccontare.

Gli parlò di zio Ben e di zia May, del peso della responsabilità che gli grava addosso e mai sarebbe riuscito a scrollarsi.

– Mi dispiace. –

– Mica è stata colpa tua. – Peter scrollò le spalle – E poi ogni eroe nasce da un trauma. –

– Non fare il cinico, che vai fuori personaggio. – Wade si accigliò – E poi, scusa tanto, ma non so se questa città merita di essere protetta da uno come te. –

– Beh, sai com'è: – Peter si schiarì la voce la impostò alla Batman – questo non è l’eroe che Gotham merita, ma è quello di cui ha bisogno. –

Wade si fece andare la cioccolata su per il naso, attirando non pochi sguardi.

Superato l’incidente, decisero di uscire da lì e allora fu la volta di Wade di raccontare. Weapon X e la sua mutazione non erano un mistero per Peter, già conosceva gran parte della storia, ma raramente Wade l’aveva messa in un contesto. Sicuramente non aveva mai parlato del trauma. Delle voci.

– Le senti anche adesso? – gli chiese Peter, le dita sottili di nuovo intrecciate alle sue.

Wade sospirò e soppesò le parole nella sua testa. Nella parte sana della sta testa.

– Sì. – ammise.

Peter non disse niente. Wade sentì la presa sulla sua mano stringersi ed ebbe la conferma che la sincerità paga sempre.

Non lo sapeva mica cosa avesse fatto per meritarsi tutto questo, eh. Ma nel momento esatto in cui il cappuccio di Spider-Man era venuto via, aveva fatto a sé stesso il solenne voto di non mandare tutto a puttane come faceva di solito.

Magari era il karma, magari per una volta la ruota aveva iniziato a girare anche per lui. E adesso aveva trovato una persona che riusciva a non rigettare davanti alla sua faccia, e che in più non crepava facilmente. E che apparentemente non era terrorizzata dai suoi problemi mentali.

Spider-Man era dotato di superforza, senso di ragno, agilità e riflessi superiori, capacità di aderire alle superfici… e l’elenco di Wikipedia sarebbe ancora lungo, ma il concetto è chiaro, no? Spider-Man era un supereroe, chiaramente poteva fare cose da supereroe e non crepare. Magari ci andava vicino, ma ehi, nessuno è perfetto!

Ma al di là dell’ammirazione e della stupida crush, quello che Wade aveva imparato a conoscere – quello che stava scoprendo anche in quel preciso momento –, beh, quello era solo un ragazzo. Un collegiale che si nascondeva dietro la maschera dell’eroe pur di non crollare. Wade indossava una maschera simile da abbastanza tempo per riconoscerne una quando la vedeva.

Peter riusciva a restare umano nonostante tutto questo. Nonostante la vita disastrata dai superpoteri, dai lutti e dalla privazione di sonno. Cercava in tutti i modi di stare con i piedi per terra e fare una vita normale, anche se la sua vita continuava a cercare di affogarlo nella merda.

Si era chiesto spesso quanto potesse essere solo quel ragazzo, se doveva accontentarsi di fare squadra con uno come lui. Di trascorrere il tempo libero con un tizio con la faccia alla Freddy Krueger. Di affidarsi alle sue mani di mercenario per farsi rimettere in sesto dopo uno scontro. Cosa gli fosse successo, per doversi accompagnare a Wade Winston Wilson.

Adesso quello stesso ragazzo si stava aprendo a lui e quei motivi erano chiari. Talmente ovvi e dolorosi da schiacciarlo di angoscia. Erano diversi, loro due, lontani anni luce, eppure così simili.

Nel racconto della morte di Gwen e nel senso di colpa che soffocava Peter, Wade rivisse ciò che ancora lo perseguitava della fine di Vanessa. Due vite agli antipodi che si incontravano nel vissuto traumatico.

 

*

 

– Wade? –

– Mh? –

Peter si fermò davanti a lui e lo guardò tutto serio.

– Abbiamo legato sul trauma? –

Le inesistenti sopracciglia di Wade schizzarono in alto.

– Eddai, ci avrai pensato anche tu, no? – lo incalzò.

– Che le nostre storyline si assomigliano? Un po’ inquietante lo è come coincidenza. – ammise con una scrollata di spalle – Ma vuoi dirmi che la gente di New York sta messa meglio di noi? Voglio dire, e la città di Woody Allen. –

Peter arricciò il naso.

– Okay, ma non ti sembra comunque un tantino malsano? –

Wade si accigliò: – Che cosa? –

– Una relazione che si basa sul trauma non è destinata a durare. –

– Allora basiamola sul sesso! –

Peter lo colpì al petto trillando uno scandalizzato: – Wade!

– Cazzo, ma sei adorabile! – gli prese il volto tra le mani – Posso baciarti? –

– Oh, non lo so... – Peter si morse il labbro e battè le ciglia – È solo il primo appuntamento. –

– Ed è solo un bacio. –

– Mh… – Peter lo osservò fingendo diffidenza – Li conosco quelli come te.–

– Sì? –

Le mani di Wade scivolarono dal suo volto al collo in una carezza ruvida e calda che gli fece tremare le ginocchia.

– Non è mai “solo un bacio”. –

– Prometto di essere un gentiluomo. –

Il bordo del cappuccio di Wade sfiorava il ciuffo di capelli di che spuntava dal berretto di Peter. Le loro voci si fecero piccole, come piccolo si era fatto lo spazio tra di loro.

– Ne sarei molto, molto deluso. –

– Mi stai dando segnali contrastanti Baby Boy. – Wade gli grattò la nuca lentamente e per poco Peter non si mise a fusare come un gatto – Vuoi che faccia il bravo ragazzo o il cattivo ragazzo? –

– Cattivo. – sospirò Peter sulle sue labbra – Decisamente cattivo. –

 

*

 

– Cosa ti piace? –

Wade si staccò dalle sue labbra e gli sfiorò la bocca umida di saliva.

– Mh? –

Peter batté le ciglia e lo guardò, tutto occhi lucidi e guance arrossate e capelli arruffati. C’era qualcosa di sacro in quella visione e Wade non era certo di meritarsela, ma Peter non sembrava dispacersi affatto, e chi era lui per sottrarsi al fato che lo stava portando a limonare duro con Spider-Man sul letto di casa propria.

– Cosa ti piace, Peter? – gli colpì il naso col suo – Dillo a Daddypool. –

– Oh… oh. –

Wade sogghignò senza pietà davanti al suo imbarazzo.

– Come posso metterla? Uhm… – Peter si schiarì la voce – Like a virgin… touched for the very first time. Like a virgin when your heart beats next to mine... –

Nella testa di Wade, le Voci stavano urlando molto forte e tutte insieme.

Peter si coprì il volto con le mani: – Per favore, non farmi continuare. Per favore… –

– Oh no, Petey-pie, credo proprio di voler sentire il resto. –

Wade lo sollevò e se lo manovrò in braccio, fino a farlo sedere in grembo.

– Sai quella parte che dice… come faceva? – la sua voce andò giù di un paio di ottave – Gonna give you all my love, boy… –

– My fear is fading fast. – gli fece eco Peter.

– Been saving it all for you… – cantarono insieme in un bisbiglio.

– Questa? –

Wade annuì: – Sì, quella. –

 

*

 

Novembre arrivò, e con esso il compleanno di Peter, che venne festeggiato in due parti. La prima parte si svolse a casa di zia May, che come ogni anno gli fece la sua torta preferita, lo obbligò a soffiare sulle candeline – rigorosamente 20 e tutte e 20 accese, mica quelle a forma di numero che secondo lei erano “per la gente pigra” – e gli fece scartare il suo regalo – capello, sciarpa, manopole, e in fondo alla scatola una piccola busta con un buono per il supermercato che Peter si chiese quanti straordinari doveva aver fatto per riuscire a mettere insieme i soldi. La seconda parte su svolse a casa di Wade, e per educazione sorvoleremo sui dettagli, vi basti sapere che sul menù della serata era compre Manzo di Mercenario in umido, il dolce venne consumato sul divano, il regalo venne scartato – se togliere un grosso fiocco rosso dalle parti intime di Wade si potesse considerare “scartare” – nella camera da letto, e la mattina dopo ringraziarono entrambi di avere un ottimo fattore di rigenerazione, perché dovettero aggiustare qualche mobile e portarne altri in discarica.

– Ne è valsa la pena! – sentenziò Wade mentre staccavano dal soffitto le ultime ragnatele. In tutta onestà, Peter non ebbe niente da obiettare. Anche perché il fattore di rigenerazione stava facendo fatica a guarire le sue corde vocali. Si appuntò mentalmente di lasciare una nota di scuse ai vicini di casa di Wade e di insonorizzare le pareti dell’appartamento.

Poi venne il Ringraziamento. E per la prima volta dopo molti anni, Wade lo festeggiò in compagnia. Non fu per niente facile per Peter convincerlo, infatti chi ci riuscì fu zia May, che dopo anni passati a rifiutarsi di armeggiare con la tecnologia, estorse a Peter il numero di cellulare di Wade e trovò il modo di inviargli un vocale. Un gentile ma inappellabile ordine al “fidanzato di suo nipote” di presentarsi a casa su per il pranzo del Ringraziamento, e di portare da bere, “ovviamente analcolico vista l’età di Peter”.

Peter non aveva mai visto un uomo imponente e minaccioso come lui, farsi così piccolo e timido mentre ascoltava quel messaggio. Manco a dirlo, Wade eseguì l’ordine alla lettera. Riuscì persino a presentarsi con indosso un maglione – quasi – normale. Insomma, un maglione che citava la puntata di FRIENDS in cui Monica si infila il tacchino in testa, era pur sempre meglio della felpa degli Orsetti del Cuore macchiata di salsa tex mex e coperta di fori di pallottole che aveva indossato l’anno prima, no?

– Non discuti con Molly Weasley. – aveva commentato davanti allo sguardo sconvolto di Peter.

Infine venne il Natale. Wade non ebbe bisogno di alcuna Strillettera da parte di zia May e riuscì anche ad impacchettare dei regali veri con carta da regalo vera. No, sul serio, senza alcun sottinteso. Quelli li aveva tenuti tutti debitamente da parte per la notte di Capodanno.

 

*

 

Le dita di Peter smisero di colpo di seguire pigramente gli arabeschi di cicatrici sulla sua pelle. E Wade seppe che stava per chiedergli qualcosa.

– Posso chiederti una cosa? –

– Quando sei nudo puoi chiedermi tutto quello che vuoi, Baby Boy. –

Si guadagnò una gomitata da parte di Peter. Wade rise e rotolò sotto le coperte, portandoselo sopra. 

– Perché sei tornato indietro? –

Wade incrociò le braccia dietro la testa e lo guardò interrogativo. Peter si rizzò, mettendosi a sedere.

– L’avevi già capito che ero io. No? –

Wade chiuse gli occhi un momento. Non era per niente facile ragionare con Peter che gli stava nudo a cavalcioni e portava senza vergogna una testa di capelli post-sesso. Non era facile ragionare in presenza di Peter – a prescindere. Tutta la sua scarsa capacità intellettiva andava a farsi benedire nel momento in cui collegava i puntini e si ricordava che non stava allucinando: erano davvero in una relazione.

Riaprì gli occhi e Peter era ancora lì, con l’aria interrogativa e quel cipiglio inamovibile che, Wade l’aveva capito quando aveva fatto la conoscenza della signora May Parker, doveva essere una cosa genetica.

– Potevo restare nel presente. – parafrasò Ash Williams – Avrei fatto una vita da re. –

– Ma non ti puoi lamentare. – Peter gli sorrise – A tuo modo, sei un re. –

Gli fece un cenno: – Dammi un po' di zucchero, baby. –

Peter tornò a chinarsi su di lui per un bacio. Uno di quelli languidi e pigri che amavano scambiarsi dopo. Che saranno anche stati due fuori di testa sull’orlo di numerosi problemi mentali, ma erano pur sempre due scemi che ogni volta si mettevano a piangere quando Spock muore ne L’Ira di Khan.

– Perché tu hai tenuto nascoste quelle foto? – gli chiese Wade – Lo sapevi che ti sarebbe bastato una parola. –

Peter si stava masticando il labbro.

– Ehi. – lo richiamò stropicciandogli i capelli.

Lui ruotò la testa e posò il mento posato sul suo petto, fissandolo dal basso.

– A Spidey sarebbe bastata una parola. –

– Mh… –

Wade osservò con immensa tenerezza questo giovane genio dal Q.I. stratosferico, nonché indiscusso e generoso eroe, capace nonostante tutto di dubitare di sé al punto da pensare che uno sfigato come lui potesse non desiderarlo.

– Vieni qua su. –

Peter si scivolò in su, fino ad arrivare faccia a faccia con lui. Sotto il suo sguardo curioso, Wade allungò una mano al comodino tastando alla cieca e infine pescò quello che gli serviva. Si scambiarono un’occhiata. Non era la prima volta che usavano quell’aggeggio, ma, come si può intuire dalla sua collocazione, aveva un certo tipo i fine, strettamente correlato alle loro attività in camera da letto. Attività alle quali tuttavia in quel momento non si stavano dedicando.

Wade si premette addosso Peter e manovrò l’aggeggio come meglio poteva con una mano sola, fino a trovare – forse, sperava – l’angolazione giusta. Premette il pulsante.

Click.

Vrrr.

La fessura sputò fuori una lingua di carta bianca con un quadrato tutto nero in mezzo. Peter la prese per un angolo e lo agitò per aria.

– Cosa vedi? –

Peter si accucciò contro di lui e assieme guardarono la foto.

– Cosa vedi, Pete? –

Peter non rispose. Perché non c’era nulla con cui si potesse rispondere, non c’era nulla che potesse descrivere la felicità su quei volti sfatti d’amore a allucinati dal flash della polaroid.

La foto scivolò tra le lenzuola sfatte.

Si avvinghiò a Wade, con tutta a forza di un mutante, con tutta l’insaziabile fame di affetto di un ragazzo rimasto solo troppo a lungo. Con tutto quello che era racchiuso in quella foto e che solo loro potevano vedere davvero.

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