Oltre l'istinto

di Mahela
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'altro lato della medaglia ***
Capitolo 2: *** Un rapporto complicato ***
Capitolo 3: *** Consigli ***
Capitolo 4: *** Sotto il cielo stellato ***



Capitolo 1
*** L'altro lato della medaglia ***


Oltre l’istinto

Prologo

Erano sempre state numerose come le stelle le storie su di loro.
La loro leggenda era così diffusa che nonostante l’epoca di avanzamento tecnologico, ancora tanti scrittori le prendevano come modello per le loro opere.
Creature dalla coda di pesce e il busto di donna, era questa la descrizione che davano tutti e, in fondo, non erano così lontani dalla realtà.
Nella mitologia antica si raccontava che queste creature conducessero con l’inganno i marinai contro gli scogli: secondo alcuni per cibarsene, secondo altri per puro piacere personale.  C’erano persino dei racconti che sembravano voler smentire queste voci, affermando fossero fondamentalmente buone e cercassero solo di difendersi dall’istinto dominatorio degli uomini.
In ogni caso, a prescindere dalla concezione personale di ognuno, chiunque sentendo il loro nome sapeva di chi si stesse parlando. Qualsiasi fosse l’età e il pensiero di quella persona, nell’udire quelle tre sillabe, un’immagine chiara appariva nella sua mente.
Ciò che davvero la gente ignorava era che le sirene, fin dal principio della loro esistenza, non erano mai state sole.
C’era qualcosa di grande, nascosta nell’ombra, che paziente aspettava il momento di uscire. Imponente e maestosa spalancava le ali e con i suoi perforanti artigli affondava nella carne della preda, non lasciandogli via di scampo.
Poco importava se quest’ultima si trovava sulla terraferma o sul pelo dell’acqua. Vista la sua portentosa vista, la sua velocità e la sua possente forza, sfuggirgli era quasi impossibile. Se non morivi per mano della sua stretta mortale, ad attenderti ci sarebbero state le sue fauci affilate o una lunga caduta prima di impattare col terreno, l’ultima.
Il loro nome era hábrók, i rapaci che dominavano il cielo, anche se, vista la loro fama, dire che dominavano anche l’acqua e la terra non sarebbe stato un errore. Tutte le creature a conoscenza della loro esistenza temevano il loro arrivo. Più eri grande e tentavi di sfuggirgli, più stimolavi il loro istinto di caccia.
Forse il motivo per cui le sirene erano diventate solo una leggenda erano proprio loro. La paura di perder la vita era tale che era meglio risalire in superficie solo se strettamente necessario.
Incluse le pennichelle sugli scogli e nelle grotte erano lussi che pochi avevano il coraggio di concedersi.
Perché gli uomini non si erano mai accorti della loro esistenza?
Gli hábrók non gradivano gli esseri umani, né come prede né come creature in generale, al punto che per lunghi secoli se ne erano tenuti a debita distanza, rimanendo nelle parti più alte dell’atmosfera terrestre, alla larga dal loro occhio indiscreto. D’altro canto, le sirene per loro erano una questione del tutto diversa.
“Il dono degli dei” le definivano i più anziani. La carne che una volta assaggiata lascia un segno indelebile, cambiandoti completamente. Cibarsi di una sirena era come un elisir della felicità e questo rendeva i poveri esseri acquatici il loro bersaglio preferito. “Fuggenti e prelibate”. In poche parole, le prede definitive.
Si raccontava addirittura che in un periodo la caccia fu così spietata che le sirene rischiarono l’estinzione, ma fortunatamente così non fu.
Una cosa comunque era certa: se da un lato la popolazione delle sirene aveva profondo timore degli hábrók, dall’altro avevano sviluppato un disprezzo tanto profondo e irrazionale da esser perdurato anche dopo diversi secoli.
Che la colpa si attribuisse alle carneficine, alle continue fughe da una parte all’altra degli oceani o al senso di oppressione che si prova vivendo nella paura, poco importava. Gli hábrók e le sirene erano agli antipodi: il predatore e la preda, il cielo e il mare.
Per le due razze la convivenza era impossibile. Era come chiedere al lupo di essere amico della pecorella o alla volpe della gallina: era totalmente innaturale e insensato.
Ed era così anche allora, quando le sirene ormai vivevano mimetizzandosi fra gli esseri umani o altre creature marine, private di qualsiasi dignità e libertà.
Nessuno poteva sperare di scavalcare quel muro invalicabile.
Nessun hábrók o umano avrebbe mai potuto andare oltre quell’odio.
Nessuno tranne lui.
 

Capitolo 1

Krolia era una delle più grandi cacciatrici fra gli hábrók.
Grande, temeraria, forte: tutti i suoi simili la rispettavano e la consideravano un esempio da seguire. L’ammirazione che gli hábrók provavano per lei era tale che nessuno si sarebbe mai permesso di polemizzare sulla sua vita o cercare di imporle le proprie idee.
Per questo, quando finalmente dopo lungo tempo si era decisa a deporre il suo uovo, tutti si aspettavano sarebbe nato un hábrók pari solo a sua madre.
Eppure, così non era stato.
Keith non era come i suoi simili.
Nonostante i suoi lunghi anni di addestramento e le sue incredibili doti da cacciatore, non aveva quella brama interiore che spinge ad ambire a qualcosa di sempre più grande e appagante.
Persino il suo aspetto, sebbene impostato e atletico, aveva quei lineamenti particolari che lo rendevano inconfondibile.
“Delicato”, lo aveva definito qualcuno una volta. “Quasi umano” erano state invece le parole del più audace.
Keith non cacciava per divertirsi e non considerava la caccia una prova di valore. “Solo il necessario” era solito ripetere ai suoi compagni, che stridevano con disapprovazione.
Se non fosse stato per i suoi artigli e per il suo piumaggio elegante e scuro come gli abissi degli oceani, nessuno avrebbe creduto fosse un hábrók.
Quando Keith annunciò di voler abbandonare la caccia e vivere confondendosi tra gli umani, nessuno ne fu sorpreso. L’unica riluttante all’idea fu sua madre, che però a malincuore lo lasciò andare.
Quello non era il suo posto e, probabilmente, non lo sarebbe mai stato.
Questo lo aveva capito.
__
Il paesello che aveva scelto per la sua nuova vita si trovava in una piccola isola del pacifico. La gente lì era un po’ gretta e le attrezzature arretrate, ma era un luogo tranquillo.
Lavorava in una piccola officina con Shiro, hábrók ritiratosi dopo aver perso il braccio durante una battuta di caccia, o così aveva raccontato lui.
Dato che il paesello non era molto grande, non era raro che Keith andasse in giro a cimentarsi come tuttofare.
Lo conoscevano in molti, ma a parte la sua collega Pidge e Shiro stesso, non aveva veri e propri legami. Finito il lavoro, preferiva dirigersi con la sua moto nella zona boschiva alle spalle del paese, per godersi l’aria fresca e librarsi in volo senza che nessuno lo vedesse.
Nella sua routine c’era poco spazio per socializzare.
 
Una sera stava facendo il suo solito giro sull’isola. Il sole era in procinto di tramontare e il cielo si era ormai tinto dei suoi colori più caldi. Il vento soffiava piano, in una brezza gentile, e gli uccelli stavano già iniziando a prepararsi per la notte.
Alle spalle dell’isola, accanto alla lunga distesa di sabbia, si elevava un piccolo promontorio. Sebbene non fosse degli più spaziosi, accoglieva ai suoi piedi una scia di scogli poco spigolosi, su cui era possibile rilassarsi mentre si osservava il mare.
Le onde si infrangevano dolci, cullando i suoi ospiti, e l’odore di salsedine si insinuava prepotente nelle narici.
A Keith piaceva molto quel posto. Nonostante il mare non lo attirasse particolarmente, trovava rilassante guardarlo.
Normalmente si sarebbe poggiato sulla cima del promontorio, da cui si poteva godere della vista migliore, ma chissà per quale motivo, quella volta decise di provare a scendere più in basso.
Con qualche piccolo battito d’ali per addolcire l’atterraggio, si posò sulla spiaggia, proprio dove aveva inizio la zona scogliera.
Le ali che veloci si ritraevano, insieme al suo folto piumaggio e agli artigli, donandogli una forma umana.
Era pronto a iniziare la scavalcata, quando qualcosa attirò la sua attenzione: il suono di qualcosa che usciva dall’acqua e si accomodava sugli scogli, seguito da un leggero odore di sale, squame, carne morbida e fresca che non aspettava altro che essere fatta a pezzi e ingoiata.
All’improvviso, per la prima volta nella sua vita, Keith si sentì fremere dal profondo: un istinto che gli suggeriva di ritrasformarsi e fare ciò che apparteneva alla sua natura.
Eppure, non lo fece: la curiosità e la ragione ebbero nuovamente la meglio sulla sua parte animale, spingendolo ad arrampicarsi per sporgere un poco la testa.
Voleva sapere, capire. Non poteva certo immaginare che quello che avrebbe visto gli avrebbe cambiato la vita in modi inaspettati e nuovi.
La lunga coda bluastra dalle squame luminose, la pelle liscia e caramellata, le pupille color dell’oceano, le ciglia lunghe e un po’ gocciolanti, il corpo sinuoso, i capelli castani un po’ appiccicati al viso a causa dell’acqua - sottolineando quei piccoli simboli luminosi a forma di spunta, proprio sugli zigomi – e quelle labbra, fini ma efficaci nel trasmettere emozioni con un sorriso.
Era come un critico che incantato osservava il suo quadro preferito, cercando di non farsi sfuggire le più piccole sfumature di colore.
Fu allora che, nella mente di Keith, tutto sembrò cambiare direzione. Ogni certezza, ogni pensiero, ogni ragione parve spezzarsi.
Una sirena.
“Lance”.
__
Lance era un ragazzo che viveva sull’isola con lui.
Di mestiere faceva il pescatore. Gli piaceva vantarsi di pescare il pesce migliore dell’isola, ma nessuno aveva mai potuto verificarlo, dato che la maggior parte del pescato lo teneva per sé o lo regalava al suo amico Hunk, famoso chef dell’isola.
Quel poco di roba che non trangugiava, la vendeva sempre a un commerciante di fuori che in cambio gli portava prodotti di bellezza, vestiti, oggetti dal design insolito e altre cose sofisticate. Di rado il ragazzo si faceva pagare coi soldi, cosa che avevano notato tutti, ma interpretato come uno dei suoi tanti atti di egocentrismo.
Infatti, definirlo un tipo un po’ particolare era un eufemismo.  A parte i suoi affari strani e il suo amore indescrivibile per i frutti di mare, Lance era quello che normalmente si sarebbe definito un farfallone megalomane. Oltre ad avere la tendenza a flirtare con qualsiasi ragazza carina che metteva piede sull’isola - raccontando di talenti che non aveva - non perdeva occasione per mettersi in mostra e ribadire quanto fosse bello, cosa che a Keith dava enormemente fastidio, soprattutto perché non poteva contraddirlo.
Lance poteva anche essere un concentrato di narcisismo e autostima, ma non era affatto brutto, anche se non gli avrebbe mai dato questa soddisfazione.
Ogni volta che si incontravano, non facevano che battibeccare. Solitamente partiva tutto da Lance, che sembrava fare molto caso alle battutine sarcastiche e alle smorfie di dissenso di Keith.
L’hábrók era addirittura arrivato a pensare che l’unica persona in grado di sopportarlo per più di cinque minuti fosse Hunk, che era tutto il suo opposto.
Rispetto all’amico era decisamente paffutello, ma aveva un’indole gentile e modesta che colpiva tutti quelli che conosceva. Sembrava che niente potesse farlo arrabbiare, neppure Lance che ogni tanto devastava la sua cucina o si lamentava di avergli preparato una pietanza troppo speziata.  
Insomma, persino la cugina di Lance, Aurora, pareva spesso molto contrariata dal suo comportamento.
In effetti lei era molto diversa da Lance: diligente, responsabile, educata. Si occupava tutto il giorno del suo negozietto di fiori, a cui tutti quanti si affidavano molto volentieri. Non stupiva affatto che non riuscisse a reggere il carattere un po’ vivace di Lance che, nonostante le continue tirate d’orecchie, sembrava avere una specie di adorazione per lei. 
Per un periodo erano anche girate delle voci che sostenevano in realtà fossero due amanti in fuga, vista la loro scarsa somiglianza, ma col tempo erano state smentite.
I due avevano sicuramente un forte legame, ma non c’era niente che potesse far pensare il loro rapporto non fosse puramente platonico.
Però una cosa era certa: Aurora era l’unica persona a cui Lance dava ascolto, almeno in parte.
 
Keith non sapeva che pensare.
La prima sirena che avvistava su quell’isola non si era rivelata altri che la persona più irritante che avesse mai conosciuto.
Se quello era uno scherzo, era davvero di pessimo gusto. Era come assaggiare il proprio frutto preferito e scoprire fosse acerbo.
Strano e sgradevole erano le uniche due cose che gli venivano in mente.
Eppure non riusciva a fare a meno di essere curioso; mille domande gli volteggiavano in testa come un uragano in piena.
Tutte le sirene amano il pesce? C’è qualcosa che non gradiscono o gli fa male? È loro tradizione vivere fra gli umani? La bellezza è una loro prerogativa? Dato che sono “cugini”, anche Aurora è una sirena? Quali conoscenze sconfinate hanno sul mare? È vero che riescono a comunicare con tutte le creature marine? Hanno delle pratiche comuni? Come si riproducono? Ci sono dei rituali di accoppiamento particolari?
La sua sete di conoscenza divampava e zampillava incontrollata, chiedendo di essere soddisfatta. In fondo, gli hábrók non si erano mai presi il disturbo di studiarle, se non per cacciarle.
Gli avevano insegnato che avevano una coda forte e muscolosa, che avrebbe potuto trascinarlo sott’acqua con facilità se non avesse fatto attenzione: gli avevano spiegato che non si muovevano mai dai sole, quali erano i luoghi in cui si nascondevano, quanto tempo potevano rimanere immerse prima di dover risalire, quanto potevano andare veloci, come era possibile coglierle di sorpresa per catturarle e come era meglio dargli il colpo di grazia e farle a brandelli.
Tutte cose inerenti alla caccia.
Ma se voleva davvero scoprire di più e seguire quello che gli hábrók avrebbero definito delirio, c’era solo una cosa che poteva fare:
diventare amico di Lance. 
 
 
Note dell'autore: 
Salve a tutti. 
Questa è la prima storia che pubblico dopo tanti anni. Ne ho trovato solo ora il coraggio XD
Non mi ritengo un mastro della scrittura, ma spero comunque di riuscire a condividere qualcosa di quantomeno leggibile e gradevole.
La storia mi è venuta in mente guardando delle fanart di Lance sirena e Keith drago/avialae. Lance l'ho trovato bellissimo e l'ho lasciato nel suo ruolo, mentre per Keith ho voluto provare qualcosa di "diverso". 
Inizialmente volevo fargli fare "l'uomo falena", ma poi ho pensato avrebbe avuto un aspetto troppo grottesco per la storia e ho cercato in giro qualcos'altro. Ho trovato la voce "habrok" per puro caso, ma mi è sembrato l'animale perfetto, essendo che le informazioni su di lui sono poche e potevo manovrarlo liberamente, associandogli caratteristiche del tutto personali. 
Spero questo primo capitolo vi abbia incuriosito. 
Alla prossima, 

Mahela.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Un rapporto complicato ***


Essendo che la giornata lavorativa di Lance consisteva in poche ore di pesca la mattina molto presto, durante il giorno non aveva delle vere e proprie occupazioni.
Delle volte stava con Aurora e l’aiutava col negozio, dilettandosi nelle mansioni più varie, ma si trattava più di un evento occasionale che di un’abitudine.
Era più facile trovare Lance al ristorante di Hunk, in uno dei tavoli della pedana fuori, accanto alla spiaggia aperta.
Forse era per questo che ci andava così spesso. Se ne stava lì a guardare il panorama con un’espressione assente - quasi rapita - che Keith aveva sempre trovato curiosa su uno come lui, addirittura “dissonante”.
Manteneva per ore quello stato di trans, quasi non si rendesse conto del tempo che passava, per poi risvegliarsi quando i morsi della fame si facevano sentire. Era come se uscisse dal suo torpore e tutto d’un tratto recuperasse la sua vitalità, scroccando da mangiare ad Hunk e mettendosi a tediarlo con la sua parlantina, evidentemente annoiato.
Nel pomeriggio invece, in assenza di qualcuno che lo intrattenesse – sia che si trattasse di una bella donna o di Hunk stesso -, aveva la tendenza a sparire, rendendosi irrintracciabile fino al calar del sole.
“A esplorare” aveva risposto una volta alla domanda di un paesano curioso, col suo solito modo frettoloso ed evasivo quando la domanda non gli era gradita.
Adesso Keith credeva di capirne il perché.
 
Anche quella mattina Lance si trovava al ristorante di Hunk, nel suo solito tavolo all’angolo, accanto alla ringhiera. Lo sguardo rivolto al mare e il mento poggiato sul palmo della mano, mentre i ciuffi ribelli oscillavano liberi al passaggio della brezza marina.
Era quasi l’ora in cui di norma il ristorante si riempiva, quindi Keith immaginò non mancasse molto al suo risveglio dallo stato di trans. Se voleva agire, doveva farlo in quel momento, ma nonostante stesse fermo a fissarlo da più di due ore dal tavolo nel lato opposto, non gli era venuto in mente niente di decente.
Si continuava ad arrovellare sul modo migliore con cui approcciarsi, scoprendosi a volte distratto ad osservare i cambiamenti appena accennati della sua espressione - dal sopracciglio un po’ tremolante alle palpebre che ogni tanto si abbassavano quasi del tutto, come prese da un’improvvisa stanchezza – ma senza arrivare a una decisione definitiva.
Era così indeciso sul da farsi che si accorse della gente che arrivava solo quando un gruppo di surfisti si sedette al tavolo davanti al suo, bloccandogli la visuale.
Era il classico gruppo di ragazzi che veniva a mangiare dopo una giornata al mare. I capelli ancora umidi e la tuta addosso, con un velo di sabbia evidentemente visibile al livello dei piedi.
Spazientito e un po’ irritato - più con sé stesso che col gruppo di malcapitati - si alzò dal tavolo sbuffando leggermente e con la coda dell’occhio recuperò la visuale su Lance, ora intento a reclamare il suo pasto allo sportello sul retro.
Aveva decisamente perso troppo tempo a riflettere, ma non si sarebbe fatto scoraggiare. Sapeva essere molto testardo ed era intenzionato ad andare in fondo a quella faccenda, nonostante il soggetto in questione fosse in grado di smuovere cose dentro di lui che non credeva neanche possibili.
Così, prese un respiro profondo, socchiudendo un attimo gli occhi per raccogliere tutta la determinazione di cui era capace, e con decisione si diresse allo sportello. Una mano poggiata sul bancone, mentre con gli occhi guardava i cuochi al lavoro, facendo finta di voler solo ritirare la sua ordinazione.
«Ciao, Lance» riuscì a dire dopo qualche attimo di esitazione, ma con un tono che lo fece sembrare più una provocazione che un saluto. Maledizione. 
Lance gli mandò un’occhiata di sottecchi, guardandolo con un’espressione fra il saccente e il canzonatorio. «Ma guarda un po’ chi è venuto a trovarci direttamente dagli anni ottanta, il nostro triglia!».
Velocemente, il viso di Keith si aggrottò, mentre l’irritazione gli ribolliva nello stomaco e lenta gli risaliva lungo l’esofago. Sapeva che Lance si comportava in quel modo esplicitamente per dargli fastidio, ma purtroppo per lui le vecchie abitudini erano dure a morire.
«Ti ho detto di non chiamarmi così! E poi è tornato di moda questo taglio!».
«Ma sei serio? Oh dio, a furia di viaggiare nel tempo, hai iniziato a confondere i decenni!»
«Non fai ridere, Lance! E io che volevo essere gentile!».
Lance si fermò un momento, stranito e anche un po’ stupito. Le braccia incrociate, mentre coi suoi grandi occhi blu squadrava l’hábrók, in cerca di una qualche anomalia.
Da che ne avesse memoria, non ricordava affatto di aver mai visto Keith fargli una gentilezza o un complimento, quindi faceva fatica a crederlo.
«Gentile? Ma quando? O tu per gentile intendi fare il guardone? Be’, ma come biasimarti in fondo, sono irresistibile» concluse una volta finito il suo esame, sorridendo compiaciuto, intanto che con una mano si tirava indietro i capelli. Il mento leggermente sollevato con fierezza.
Era ormai chiaro che il tentativo di Keith era stato un fallimento totale.
«Sì, ma figuriamoci! Il tuo narcisismo non ha limiti!».
Anche se non voleva darlo a vedere, si sentiva terribilmente imbarazzato. Se fosse stato il tipo, probabilmente sarebbe arrossito fino alla punta delle orecchie. Non si aspettava che avrebbe fatto caso ai suoi sguardi, anche se effettivamente non era stato molto discreto. Era convinto che Lance in quei momenti fosse completamente fuori dal mondo, ma a quanto pare era solo un’impressione. 
«Lance, smettila di dare fastidio a Keith». La conversazione fu interrotta bruscamente dall’arrivo di Hunk, che emerse dalla cucina con in mano le loro ordinazioni. Sul viso uno sguardo severo, ma al contempo affettuoso nei confronti dell’amico.
Il ragazzo per tutta risposta accennò una smorfia e sbuffò scocciato, facendo finta di non vederlo.
Ma quanto può essere infantile? Sul serio, perché proprio lui?
Keith non fece in tempo a finire di formulare questo pensiero, che subito prese la sua ordinazione e si dileguò, congedandosi con un secco “Grazie, Hunk. Ci vediamo.”
Non se la sentiva di continuare quella conversazione o di dare ancora retta alle provocazioni di Lance. Anzi, in quel momento il desiderio di lasciare perdere batteva nella sua testa più prepotente che mai.
Eppure, una parte di lui sentiva che ne sarebbe valsa la pena. Sopportare Lance era il prezzo da pagare per qualcosa di più grande.
__
Lance era un ottimo osservatore, nonostante le apparenze.
Era bravo a capire le persone, ma non altrettanto nei rapporti diretti.
La sua indole esuberante rendeva difficile alle persone stare con lui, soprattutto su quell’isola, in cui la popolazione degli anziani costituiva la percentuale maggiore e la mentalità era un po’ arretrata.
Non era capitato di rado che gli venissero rimproverati i suoi modi un po’ esplosivi o le sue tendenze, a parer di molti, “effemminate”, ma a Lance non importava particolarmente.
Si era convinto che se avesse dovuto ascoltare ogni minimo commento o rimprovero che gli veniva rivolto, avrebbe fatto prima a chiudersi in casa e fare finta di non esserci. Non molto sano, a parer suo.
Inoltre, nonostante le lamentele e le frequenti occhiatacce di alcuni dei più “conservatori”, alla fine nessuno aveva mai preso iniziative violente nei suoi confronti. Nella maggior parte dei casi, veniva solo ignorato, sebbene non fossero stati pochi quelli che aveva sorpreso a fissarlo con sguardo sommesso, quasi incantato. Non che gli desse fastidio, era consapevole del suo ascendente sugli altri, ma doveva ammettere non gli facesse particolarmente piacere quando quel tipo di attenzioni si protraevano per troppo tempo o sfociavano in goffi, se non viscidi, tentativi di abbordaggio.
Naturalmente, era incluso anche Keith in quel gruppo.
Benché il ragazzo non ne fosse consapevole, quando Lance gli aveva dato del “guardone”, non si riferiva solo all’evento di quella mattina, ma a una serie di occasioni ricorrenti in cui aveva notato l’hábrók intento a fissarlo - e forse anche a origliare le sue conversazioni -.
Inizialmente, aveva lasciato correre, immaginando fosse solo incuriosito dalla sua persona, ma vedendo che il fenomeno non accennava a smettere, aveva cominciato un po’ a infastidirsi.
L’occasione per affrontarlo – che può essere considerata l’inizio della loro relazione controversa – fu quando Keith si recò a casa di Lance per aggiustare il rubinetto della vasca, che la sirena aveva rotto con un accidentale colpo di coda.
L’intento di Lance non era essere scorbutico. Avrebbe solo voluto fargli capire in modo non troppo diretto che si era accorto della sua predilezione per lui e lo metteva un po’ a disagio, ma chissà come, si erano ritrovati a discutere sul disastro che aveva combinato Lance in quel bagno, con tanto di paternale sul dover stare più attento. “Per questa volta lo aggiusto come favore ad Aurora, ma la prossima volta dovrete pagare e sostituire i pezzi di questa vasca costa caro”.
In realtà, neanche Keith avrebbe voluto essere sgarbato con Lance. Il suo intento era fargli un favore, avvisandolo che rischiava di andare in contro a una spesa non indifferente per una fioraia e un pescatore che vivevano su un isolotto, ma quel giorno Lance era più suscettibile del solito e si offese talmente tanto che dopo allora, anche solo sentire il nome del tuttofare, lo faceva indispettire terribilmente. Se poi si aggiungeva che Keith era il “preferito” degli isolani, che lo elogiavano e si complimentavano con lui di continuo, Lance si era solo incattivito ulteriormente.
D’altro canto, Keith, dato il suo particolare “hobby”, non tardò ad accorgersi dell’astio di Lance, che spesso lo fulminava con gli occhi in risposta ai suoi sguardi o faceva finta che non ci fosse quando provava a parlargli, mimando ignoranza.
Orgoglioso e permaloso com’era già di per sé, era normale che avrebbe ripagato il pescaiolo con la stessa moneta, non facendosi scrupoli a sfoderare il suo tagliente sarcasmo.
In conclusione, il loro rapporto era un continuo battibeccare nell’attesa che uno dei due vincesse. Qualche volta aveva la meglio Lance e qualche altra volta Keith. Rimaneva il fatto che vederli litigare era una consuetudine e si erano ormai tutti convinti del loro odio reciproco.  
In effetti, non era sbagliato dire che non riuscivano a stare in presenza l’uno dell’altro per più di due minuti senza discutere, ma affermare che ciò che li legava era del semplice “astio”, sarebbe stato inesatto.
Anche se non l’avrebbe mai ammesso, in fondo Lance ammirava Keith ed era geloso di come tutti lo benvolessero senza che avesse fatto nulla in particolare. A questo, si aggiungeva l’attrazione che Lance sapeva Keith provasse per lui (cosa di cui era ignaro persino il diretto interessato, apparentemente) e quando ci pensava, non poteva fare a meno di provare un senso di compiacimento misto a rivalsa nei suoi confronti. Quasi lo divertiva essere l’oggetto del desiderio del “fuggente Keith” e al contempo l’unica persona che non poteva conquistare col suo charm naturale.
Per quanto riguardava Keith, la cosa era ancora più complessa, dato che il contatto che aveva con i suoi sentimenti era come quello di una cozza con la spiaggia: inesistente. E come dargli torto: crescendo in un clan in cui i sentimenti venivano penalizzati a favore della forza e del vigore, non aveva avuto molte occasioni per sviluppare la sua intelligenza emotiva.
Di norma, infatti, avrebbe ignorato le provocazioni e continuato per la sua strada, ma quel suo desiderio intrinseco di redimersi agli occhi di chi gli piaceva, unito all’orgoglio, lo portavano a rispondere prontamente a qualsiasi dispetto da parte di Lance.  
Di questo però non si rendeva conto, attribuendo il tutto a una semplice antipatia, e probabilmente aver scoperto il segreto di Lance aveva solo complicato un rapporto già turbolento.
Ma si sa, alla fine tutti i nodi vengono al pettine, prima o poi.

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Capitolo 3
*** Consigli ***


C’era qualcosa di strano quella mattina, ma Lance non riusciva bene a capire cosa.
Non era insolito che Keith si mettesse a fissarlo – ci aveva fatto il callo ormai -, ma qualcosa nel suo sguardo era diverso.
Era come se un’onda di determinazione lo avesse travolto e fosse pronto a buttarsi alla carica, ma per fare cosa non lo sapeva.
La conferma arrivò quando vide il ragazzo raggiungerlo allo sportello del ristorante e salutarlo, come se nelle ultime ore non si fosse accorto delle sue pupille scure che lo perforavano da parte a parte.
Il primo pensiero di Lance fu che volesse qualcosa da lui, ma obiettivamente non c’era nulla che un pescatore mezzo squattrinato potesse offrirgli, se non quello, e Keith non gli sembrava proprio il tipo.
L’unica altra opzione era che, alla fine, avesse messo da parte l’orgoglio e ci stesse provando sul serio (sebbene la sua incapacità fosse più palese che mai).
O in alternativa aveva preso un brutto colpo di sole.
Un po’ intimorito dal cambio repentino nella loro dinamica, Lance scelse di credere in una momentanea perdita di lucidità. Almeno, se fosse stato davvero così, avrebbe evitato delle situazioni imbarazzanti per il tuttofare e sgradevoli per lui.  
Per questo motivo, superata quella mattinata decisamente strana, si aspettava che il giorno dopo Keith sarebbe tornato il solito arrogante fighetto con una cotta segreta per lui, ma per sua sfortuna le cose non andarono così.
Nell’arco di una settimana, arrivò a pensare di non aver mai visto l’hábrók così impacciato e gentile nei suoi confronti. La sua insistenza raggiunse un tale livello che Lance credette lo avessero rapito e sostituito con un sosia malfatto.
Lo salutava regolarmente, si offriva di aiutarlo nelle sue mansioni (arrivando persino a fare l’assistente non pagato al negozio di Aurora) e si sforzava di non reagire a qualsiasi provocazione. Divenne così bravo a fingere indifferenza per le sue battutine, che Lance credette davvero non gliene importasse più nulla.
L’intera situazione era così assurda da mandarlo in paranoia.
Continuava a ripetersi che forse avrebbe dovuto essere grato o almeno un po’ felice di tanta premura e sensibilità, ma al contrario si sentiva ancora più offeso di quando Keith gli aveva fatto quello sgarro al loro primo incontro.
Il suo stato d’animo si sarebbe potuto paragonare a quello di un bambino a cui viene detto che il suo gusto preferito di gelato non verrà più fatto, ma che potrà comunque prendere gli altri gusti. E mentre se ne sta lì, confuso sul perché proprio il gusto che piace a lui sia stato tolto, cerca di convincersi che il gelato è pur sempre gelato.
In breve, forzato e innaturale erano gli aggettivi più adatti per descrivere il modo in cui Lance vedeva quel nuovo evolversi delle cose.
Keith col suo comportamento avrebbe voluto indurre il coetaneo a fidarsi abbastanza da essergli amico, ma al contrario aveva provocato nella sirena un’onda di emozioni in cui a predominare erano lo sgomento e l’irritazione.
Inconsapevolmente e con totale ingenuità, aveva tolto alla loro relazione ciò che spingeva Lance a tollerare la sua presenza. Perché, anche se non se ne rendeva conto, dentro di sé Lance si sentiva minacciato. Quel loro giochino infantile fatto di battibecchi, era l’unica cosa che riusciva a farlo sentire un suo pari, se non superiore.
Di conseguenza, la sua reazione fu una sola.
Rabbia.
Lance non si sentiva speciale per quelle attenzioni, ma piuttosto sminuito. Chi si credeva di essere? Perché si prendeva tanta confidenza? Davvero pensava che sarebbe bastato fare un po’ il galante per farlo cadere ai suoi piedi? Si sbagliava di grosso!
La sirena poteva avvertire distintamente tutto l’ardore dentro di sé scendere e risalire lungo il suo corpo, a un livello tale che gli fu impossibile non impedire che straripasse.
Iniziò con delle semplici risposte secche, come: “no, grazie”, “non serve”, “faccio da solo”, fino a giungere a delle vere e proprie esplosioni di rabbia improvvise, sicché l’hábrók non riuscì più a controbattere, limitandosi a guardarlo andar via come un vulcano in eruzione.
Non sapeva davvero che pensare. Dal suo punto di vista non aveva fatto niente di male (e in effetti era così), eppure, invece di avvicinarli, il suo comportamento aveva avuto l’esito opposto. A quel ritmo, sarebbero passati anni prima che riuscisse a completare il suo piano, ma se la gentilezza e la tolleranza non avevano funzionato, cos’altro avrebbe potuto fare per far breccia nel cuore di Lance? Cosa gli sfuggiva? Ci doveva pur essere un modo per conquistare la sua fiducia.
Keith però era un introverso e un asociale, essenzialmente. Era abituato a stare lontano dalle persone a cui sapeva di non piacere o che non piacevano a lui. Quella era la prima volta che provava a diventare intimo con qualcuno intenzionalmente, e se già l’impresa era ardua di suo, lo era ancora di più quando si parlava di quell’esplosione di egocentrismo che era Lance.
Necessitava di un aiuto!
__
«Pidge, tu come faresti a convincere qualcuno a cui non piaci ad essere tuo amico?».
Si sentì morire dentro dall’imbarazzo nel momento esatto in cui pronunciò quelle parole. Era come se tutto d’un tratto fosse tornato bambino e chiedesse consiglio all’amichetta su normali dinamiche relazionali, ma era troppo disperato per poterci dare peso.
La ragazza distolse lo sguardo dal computer, girandosi lentamente sulla sua sedia nella direzione del collega, mentre con le dita si rimetteva a posto gli occhiali tondi. In viso un’espressione evidentemente sospettosa e stranita, vista la natura della domanda e la persona che gliela stava rivolgendo.
«…Ti senti bene?».
«……Sì? Che c’entra?».
«Ah…».
Tolto il dubbio, tornò a lavorare, un po’ scocciata.
«Se vuoi consigli di cuore, non credo di essere la persona giusta».
«Non so di che parli».
«Smettila, so perfettamente a chi ti riferisci e tu lo sai. Se vuoi sapere la mia opinione, lascia perdere. Non fa per te».
Decisamente insoddisfatto e anche un po’ offeso dal sottinteso di quell’affermazione, un cipiglio si fece spazio sul viso del ragazzo, insieme a un evidente fastidio.
Solitamente apprezzava la schiettezza e la sincerità di Pidge, ma in momenti come quello avrebbe avuto voglia di ricordarle che non aveva la palla di cristallo, il che – detto da uno che tendeva ad avere lo stesso atteggiamento – faceva abbastanza sorridere.
«Be’, immagino sia stato un errore da parte mia chiedere a qualcuno che di rapporti umani ne sa quanto un riccio di mare».
«Sai, è proprio per quella tua boccaccia che non gli piaci. E come dargli torto, credo che nella sua vita gli basti già la sua, non ha certo bisogno del tuo aiuto».
Keith serrò le labbra, mettendo da parte quell’alterco per riflettere, un po’ colpito dalla risposta ricevuta.
Effettivamente, ammetteva che non sempre usava i toni di voce più adatti e che sapeva essere spietato quando si sentiva attaccato, ma in quegli ultimi giorni gli era parso di aver tenuto a freno quel suo lato, quindi non credeva fosse quello il motivo… o forse si sbagliava? In fin dei conti, la sua era una percezione del tutto personale. Sarebbe stato del tutto plausibile se, involontariamente, avesse fatto qualcosa di mal interpretabile.
Vedendo di sottecchi l’hábrók affondare nei suoi pensieri, la collega roteò gli occhi, rassegnata ad assecondarlo. Sebbene non avesse un particolare amore per Lance e credesse che Keith non stesse affatto bene con lui, quella scena gli faceva troppa pena. Ma tu guarda che mi tocca vedere.
«Scusami, ma non ti è venuto in mente di chiedere a Hunk? Sicuramente lo conosce abbastanza bene da poterti dare dei consigli più utili di me».
Un’illuminazione attraversò la mente del ragazzo, colpendolo come un fulmine a ciel sereno.
Ma certo, Hunk!
__
Hunk non era solo il migliore amico di Lance, ma anche la persona di cui la sirena si fidava più in assoluto.
Sapevano tutto l’uno dell’altro, e il loro rapporto era tanto profondo quanto il loro affetto reciproco.
Si erano conosciuti alcuni anni prima, quando Aurora e Lance avevano deciso di nascondersi sull’isola, poco prima che Hunk prendesse in carica l’attività di famiglia.
Il cuoco ricordava ancora della prima volta in cui lo aveva visto: camminava sulla riva del mare, proprio dove le onde si increspavano, mentre con gli occhi puntava un punto imprecisato del terreno. Le spalle un po’ incurvate in avanti, i piedi scalzi che lentamente affondavano nella sabbia scura e sul viso uno sguardo perso, vuoto.
Hunk, di natura generosa, era rimasto così colpito da quell’immagine che senza pensarci si era avvicinato a lui, offrendogli un buono sconto per il ristorante di famiglia. Le labbra distese in un enorme e caloroso sorriso.
«Ciao! Se ti va, la mia famiglia gestisce il ristorante sulla spiaggia. Vieni quando vuoi, ti farò un prezzo speciale!».
A quel gesto la sirena era rimasta un po’ intontita, non sapendo bene come sarebbe stato meglio reagire, così, titubante e un po’ a disagio per tanta disponibilità, gli aveva rivolto un timido “grazie” e aveva continuato per la sua strada.
L’isolano era convinto di essere stato troppo precipitoso e che non l’avrebbe più rivisto, eppure quella sera stessa Lance si era presentato al ristorante e si era seduto al bancone interno, proprio davanti alla sua postazione di lavoro.
La loro sintonia era stata praticamente immediata. Le loro indoli, diametralmente opposte, si compensavano a vicenda, tirando fuori il meglio l’una dall’altra.
Hunk lo calmava quando andava troppo su di giri e lo spingeva a riflettere meglio sulle cose, mentre Lance lo incoraggiava a sperimentare e a mettersi in gioco senza curarsi delle conseguenze, tanto che era stato proprio lui a dirgli di ristrutturare il ristorante e farlo come piaceva a lui.
Inizialmente, il ragazzo si era mostrato dubbioso all’idea, sia per la difficoltà dell’impresa che per la rigidità di suo padre - sempre restio ai cambiamenti -, ma alla fine si era fatto trascinare e non se n’era mai pentito! Quei sei mesi di discussioni, di lavoretti qua e là per racimolare denaro e di notti in bianco passate a ristrutturare con Lance, erano decisamente valse la pena.
Loro due erano il perfetto esempio di un’amicizia che va oltre l’amicizia stessa. Erano famiglia e allo stesso tempo rifugio.
Erano equilibrio.
 
Proprio per questo, se davvero Keith voleva avere qualche speranza con Lance, la miglior cosa da fare era rivolgersi a lui, anche se il solo pensiero di chiedergli consiglio, faceva provare all’hábrók sentimenti contrastanti.
Di fatto, nonostante l’entusiasmo iniziale al suggerimento di Pidge, una volta sedutosi al bancone del ristorante, era stato pervaso da un mare di dubbi.
Come sarebbe stato meglio chiederglielo? Avrebbe dovuto uscire l’argomento in modo casuale o andare dritto al punto? E se gli avesse detto anche lui di lasciar perdere? O peggio, cosa avrebbe fatto se si fosse rifiutato di aiutarlo? In fondo, era risaputo che Hunk tendeva ad essere più suscettibile e protettivo quando si trattava di Lance. Lo aveva visto coi propri occhi, sebbene la sirena ne sembrasse ignara.
Bastava dire qualcosa di troppo in sua presenza per spingerlo a perdere la sua solita solarità, sostituendola con una palpabile freddezza e diffidenza.
Nessuno si permetteva di insultare Lance o di prenderlo in giro davanti a lui: prima di tutto, perché non volevano inimicarsi contro il miglior cuoco dell’isola, e in secondo luogo perché tutti avevano abbastanza stima e rispetto di Hunk da non volerlo contrariare.
Il fenomeno era tale che alcuni si convinsero Hunk avesse un debole per Lance e, benché Keith sapesse che la gente di quelle parti vedeva doppi sensi ovunque, anche lui si era domandato se ci fosse qualcosa di più nella loro relazione.
Ad ogni sorriso dolce, ad ogni abbraccio, ad ogni burla e ad ogni fragorosa risata che aveva visto Lance rivolgere a Hunk, si era sempre chiesto cosa avesse di così speciale quel tipo da averlo attratto a tal punto.
Non andava particolarmente fiero di questi pensieri - tanto che il più delle volte si sforzava di relegarli nell’oscurità della sua mente - ma a parte la gentilezza, non gli sembrava Hunk avesse niente di speciale. Non era neanche molto attraente, dal suo punto di vista, eppure aveva sentito Lance dire esattamente: «io ti trovo meraviglioso, Hunk».
Perché?
Continuava a indugiare su quelle riflessioni, mangiando lentamente il suo pasto un boccone alla volta, quasi fosse un automa. Gli occhi fissi sulla figura del cuoco, nell’intento di esaminarne ogni minima caratteristica.
I capelli arruffati sotto la cuffietta, la pelle scura imperlata di sudore, le mani callose e ruvide, il grembiule bianco un po’ macchiato che evidenziava le sue forme tonde, il mento squadrato, il naso a patata, gli occhietti piccoli sovrastati da spesse e folte sopracciglia; osservava meticolosamente ogni suo dettaglio, ma più lo studiava, meno riusciva a darsi una spiegazione.
Maledizione. Stava di nuovo perdendo tempo. Se non si fosse dato una mossa, avrebbe finito per non concludere niente… di nuovo.
«Senti, Hunk, posso chiederti una cosa?».
«Hm?». Il cuoco distolse un attimo lo sguardo da quello che stava facendo, mandando un’occhiata a Keith in segno di ascolto. «Dimmi».
«Riguarda Lance».
«…È successo qualcosa?».
L’hábrók si fermò un attimo, riflettendo sulle parole migliori da usare. Non voleva infastidire Hunk, né risultare patetico, ma l’intera situazione non offriva molte alternative.
«Vorrei andare d’accordo con lui. Ho provato ad essere gentile, ma ho come l’impressione che mi odi ancora di più adesso. Tu sei il suo migliore amico, quindi ho pensato che avresti potuto… darmi qualche consiglio?». Vorrei scomparire, lo giuro.
Hunk rimase in silenzio, riprendendo a cucinare con sguardo pensieroso. Sapeva perfettamente a cosa si riferiva: Lance gli aveva parlato fino alla nausea di quanto odiasse Keith e quanto il suo comportamento in quei giorni gli desse sui nervi. “Ma l’hai visto? Crede non sappia fare le cose da solo? O che sia tanto ingenuo da cascare nella sua stupida trappola? Ci vuole ben altro per abbindolarmi!”.
Aveva provato più volte a calmarlo e a fargli capire che forse le intenzioni di Keith erano buone - sebbene neanche lui riuscisse bene a capire il motivo di quel cambiamento improvviso - ma ogni suo tentativo era stato inutile. La furia di Lance era stata implacabile come non mai.
«Sai, io credo che avresti molto più successo se smettessi di aiutarlo. Perché, invece di cercare di fare le cose per lui, non provi a chiedergli di aiutarti in qualcosa?»
«Aiutarmi in qualcosa?». Lui?
«Sì, esatto! Sono sicuro che se sentisse che hai bisogno di lui, sarebbe meno ostile nei tuoi confronti».
«Ma cosa potrei mai chiedergli?». Non c’era niente, di fatto, per cui Keith avesse bisogno del suo aiuto. Era sempre stato un tipo indipendente e gli piaceva cavarsela da solo anche nelle situazioni più complicate. Chiedere aiuto agli altri non era esattamente nelle sue corde.
Hunk alzò per un momento gli occhi, pensieroso, arricciando le labbra all’insù. Le mani ancora intente a impiattare le ordinazioni. «Che ne dici di chiedergli di insegnarti a pescare? È davvero bravo, sai! Posso assicurarti che non c’è nessuno che conosce queste coste meglio di lui. Potresti imparare veramente qualcosa».
Pescare? Non era convinto. Essendo un uccello rapace, non gli era mai servito imparare le tecniche umane. Se voleva prendere qualcosa, gli bastava assumere la sua forma completa e afferrarla coi suoi stessi artigli. Perché avrebbe dovuto prendersi il disturbo di imparare pratiche così barbare come la pesca umana? Ed eravamo sicuri che Lance fosse così esperto? Da quando aveva scoperto il suo segreto, aveva l’impressione che il suo successo nella pesca fosse dovuto alla sua natura marina, e non a un’abilità innata con la canna da pesca e la rete a maglie strette (se mai le aveva usate). Però non gli veniva in mente niente di meglio, quindi tentare non gli sarebbe costato nulla. Male che vada, mi caccerà via in malo modo.
Fece spallucce, addentando un'altra forchettata. «Ci penserò».


Note dell'autore:
Finalmente ho finito il capitolo 3 XD In realtà, avrebbe dovuto avere qualche scena in più, ma poi mi sembrava il capitolo sarebbe stato troppo lungo (?). 
Hunk è il primo personaggio non protagonista di cui parlo più approfonditamente. Mi sembrava giusto spendere per lui qualche parola in più, perché è una parte importante della vita di Lance. Sicuramente, in seguito parlerò anche di qualcun altro, anche se prima vorrei scrivere di più di Lance e dell'evolversi del suo rapporto con Keith.
Grazie per aver letto fin qui ^^ 
Alla prossima <3 

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Capitolo 4
*** Sotto il cielo stellato ***


Il mattino seguente Keith si alzò molto presto.
Nell’aria si poteva udire il garrito dei gabbiani e i flebili raggi del sole stavano già iniziando a schiarire il cielo con la loro luce.
Era quella l’ora in cui Lance tornava dalla sua battuta di pesca notturna.
Sistemava il peschereccio, preparava i contenitori col pesce da vendere e poi si dirigeva alla spiaggia con aria stanca e un po’ annoiata.
Sebbene lui finisse di lavorare molto presto, il suo uomo si faceva vedere solo verso mezzogiorno, quando anche i suoi altri clienti avevano organizzato la merce, quindi una volta completati i suoi doveri, alla sirena non restava altro che gettarsi sulla sabbia fresca e godere della sensazione di quei piccoli granellini fra le dita.
Si stiracchiava su quel materasso naturale e, cullato dalle onde, chiudeva gli occhi, alla ricerca di un sonno che le stelle non gli concedevano.
Keith aveva scoperto di questa sua pratica per puro caso, quando si era dovuto alzare a posta per una chiamata urgente e, una volta finito, aveva deciso di fare una passeggiata sulla spiaggia, giusto per rilassarsi e prendere un po’ d’aria.
Da quando aveva trovato per la prima volta Lance steso sulla riva con il volto addormentato, tutte le volte che gli capitava di alzarsi a quell’ora, si dirigeva in direzione del porto e si metteva a studiarlo da lontano.
Trovava singolare come un ragazzo che teneva tanto al proprio aspetto e spendeva un sacco di tempo e denaro nella cura di ogni sua parte, fosse così scialbo al lavoro.
Si metteva sempre una vecchia t-shirt a mezze maniche bianca, rigorosamente consumata e segnata da macchie di grasso e sporcizia, e un costume blu a pantaloncino che gli arrivava a metà coscia, nonostante fosse comune che l’agire del venticello marittimo e la sua abitudine di tenere le gambe piegate in aria, spingessero l’orlo dell’indumento ad arrotolarsi su sé stesso, mettendo in mostra i quadricipiti tonici e parte dell’interno coscia: un’estensione di pelle soave e soffice che il sole amava baciare col suo calore.
Era proprio in quei momenti, quando la sua mente si immergeva nel mondo dei sogni e il suo corpo si muoveva libero da ogni inibizione, che Keith si rendeva realmente conto di quanto fosse attraente.
I lineamenti morbidi ma decisi, la pelle liscia e uniforme, le labbra leggermente schiuse per la stanchezza, le ciglia lunghe che gettavano una piccola ombra sui suoi zigomi, il lieve lineamento dei capezzoli che sporgeva da sotto la maglietta: se non fosse stato per quel suo carattere impossibile, avrebbe potuto conquistare il cuore di qualsiasi umano, maschio o femmina che fosse. Quel corpo da solo sarebbe bastato a risvegliare il desiderio di qualsiasi essere che ne fosse dotato.
Quanti doni sprecati.
Keith si fermò a un paio di metri dalla del ragazzo, distogliendo l’attenzione sul ciuffo ribelle che continuava ad arricciarsi sulla sua fronte.
Non era andato lì per guardarlo dormire, ma per seguire il consiglio di Hunk.
Si era alzato presto con quell’unico scopo in mente, fin troppo consapevole dei luoghi frequentati da Lance durante il giorno, ma adesso che ce lo aveva di fronte, era dubbioso sul da farsi.
Sarebbe stato meglio svegliarlo? Ma se si fosse infastidito? Magari Lance era proprio uno di quelli che se svegliato con la forza, metteva il muso a prescindere! Ma stare lì ad aspettare che si svegliasse non sarebbe stato altrettanto sgradevole? Cosa gli avrebbe raccontato poi? Che era rimasto ore ad aspettare che finisse il suo pisolino solo per chiedergli una cosa? Troppo strano.
Per sua fortuna (o sfortuna, come l’avrebbe definita lui), il suo alterco interiore non durò a lungo, dato che quando riabbassò lo sguardo, trovò il viso della sirena leggermente piegato nella sua direzione. Le iridi azzurrine ora fisse su di lui.
«Buongiorno, Lance».
«…Sei proprio uno stalker, triglia».
Keith roteò appena gli occhi, inghiottendo a fatica quell’ennesima provocazione.
Non poteva permettersi di iniziare inutili battibecchi! Dopo che aveva resistito fino a quel momento, non poteva mollare senza neanche mettere in atto la sua nuova strategia!
«Hai finito di lavorare?».
Lance si alzò col busto, osservando sempre più indispettito l’hábrók sedersi a gambe incrociate di fianco a lui, quasi fosse la cosa più naturale del mondo.
Certe volte gli veniva spontaneo chiedersi da dove prendesse tutta quella sfacciataggine. Altro che ragazzo volenteroso ed affidabile! Era sempre più convinto che la sua fosse solo una facciata.
Scommetto che ha anche qualche strano fetish!
«Penso che tu lo sappia benissimo, stalker».
«Non sono venuto per litigare, Lance». Sospirò, tenendo lo sguardo fisso sul paesaggio. «Sono qui perché vorrei chiederti un favore».
La sirena si irrigidì, rimanendo per diversi istanti ferma a fissarlo con sguardo perplesso e visibilmente sconcertato.
Un favore? Lui voleva chiedergli un favore? Non credeva neanche che gli avrebbe mai sentito pronunciare simili parole. Pensava avrebbe preferito buttarsi dalla scogliera piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno, figuriamoci a lui.
La cosa gli puzzava terribilmente: sentiva odore di tranello da lontano un miglio, ma non poteva fare a meno di sentirsi un po’ compiaciuto. Il grande Keith aveva bisogno di lui! C’era realmente qualcosa che il ragazzo non fosse in grado di fare e per riuscirci aveva chiesto a lui.
Riflettendoci, questo avrebbe spiegato tutte le stranezze di quegli ultimi tempi. In fondo, Keith era molto orgoglioso, quindi sarebbe stato plausibile pensare che stesse cercando una scusa per estorcergli con l’inganno un aiuto.
«…Fammi capire, mi hai pedinato per giorni solo perché volevi chiedermi un favore?».
«Io non ti ho-! ……Sì».
«Di cosa si tratta?».
Keith prese un respiro profondo, dentro di sé imbarazzato come poche volte nella sua vita.
Nella sua cultura, chiedere aiuto era segno di debolezza. Farlo significava ammettere di essere inferiore all’altro e per lui era inaccettabile! Ancora di più se il soggetto in questione era quel narcisista vanitoso del suo coetaneo!
Anche se la realtà era un’altra.
Keith adorava che Lance pensasse a lui come a una persona da invidiare. Qualcuno che nel caso del bisogno avrebbe potuto prendere le redini di qualsiasi situazione, sostenerlo.
Un hábrók che non è in grado di sostenere il suo compagno in ogni aspetto della sua vita, è una nullità.
«Vorrei che tu… mi insegnassi a pescare».
Lo disse quasi con l’affanno, aggrottando le sopracciglia alla sensazione di quelle pupille fisse su di lui. Disagio e imbarazzo imperversavano dentro di lui a ritmo incessante, colorando di un leggero rosa i suoi zigomi. Vorrei sprofondare!
D’altro canto, sul viso di Lance si fece spazio un grandissimo sorriso, al punto che era possibile intravedere una linea di denti bianco perla. A keith sembrava quasi di poter leggere sulla sua fronte la scritta vittoria a caratteri cubitali.
«Eh~ E io cosa ci guadagno?».
«…Tu cosa vorresti?». Ma tu guarda che sfacciato!
«Mmh…» Alzò lo sguardo all’insù, gongolando sulle numerose possibilità tra cui avrebbe potuto optare. «Che ne dici se mi prestassi la tua moto?»
L’hábrók sgranò gli occhi, inorridito.
Lui non era il tipo da attaccarsi alle cose, ma se c’era un oggetto di cui era gelosissimo, era proprio la sua moto.
L’aveva restaurata con le sue stesse mani, dopo che Shiro gliela aveva regalata, e la teneva come uno dei suoi tesori più preziosi.
Il pensiero che qualcuno che non fosse lui la maneggiasse, lo mandava nella paranoia più totale, pure se si trattava di Lance. Specialmente se si trattava di Lance.
Il pescatore, dal canto suo, non poté che rimanere deluso quando l’altro gli urlò senza remore «Ma sei impazzito?!».
Sapeva quanto Keith fosse geloso della sua moto, ma era sempre stato curioso di provarla. Sembrava così fiero, fico mentre la usava che aveva sperato di poterci salire almeno una volta.
Abbassò lo sguardo, puntando offeso un punto indefinito del terreno, cosa che non sfuggì all’occhio attento di Keith. Ormai era un esperto nel cogliere i cambiamenti del suo viso e quello lì in particolare non gli aveva fatto molto piacere.
Non voleva suscitare in lui tale reazione, ma era stato più forte di lui. Di quel passo, non avrebbe concluso niente neanche quel giorno.
«…Va bene, ma solo se ci sono anch’io».
In un attimo, un grande sorriso apparì sul viso di Lance, luminoso come il sole che sorgeva in quel momento.
E keith fu grato di vederlo dal profondo del suo animo.
__
Il peschereccio di Lance non era un peschereccio vero e proprio, ma una piccola barca su cui lui aveva sistemato tutta l’attrezzatura e montato una piccola rete a maglie strette.
Aveva le pareti esterne ingiallite e leggermente graffiate, con uno spesso strato di alghe nella parte inferiore, al punto che Keith si convinse l’interno non fosse migliore. Già una smorfia distorceva le sue labbra al pensiero della sporcizia e della ruggine che avrebbe trovato.
Ma così non fu.
Nonostante i vestiti che indossava e la poca cura che aveva nella manutenzione esterna della barca, Lance era molto pulito.
Keith non era mai salito sulla barca di Lance e rimase piacevolmente sorpreso nello scoprire fosse più pulita e ordinata della maggior parte delle imbarcazioni attraccate al molo.
Il pavimento era lucido e solo un po’ umido a causa del mare, le casse per il pesce perfettamente impilate, la rete ben sbrigliata e pronta all’utilizzo e l’attrezzatura rigorosamente riposta in un armadio interno.
Tutto era al proprio posto e tenuto così bene da far dubitare venisse utilizzato giornalmente.
Anche Lance si rivelò diverso dalle sue previsioni.
Si sarebbe aspettato il solito ragazzo spensierato e un po’ superficiale che non perdeva occasione per punzecchiarlo, ma al contrario la sirena prendeva molto sul serio il suo lavoro: pretendeva che la sua barca fosse sempre in ordine e ben organizzata ed era attento nell’itinerario che seguiva.
Ufficialmente, iniziava a lavorare verso mezzanotte, ma già alle 23:00 preparava una lista del pescato e dei luoghi in cui cercarlo e a organizzare tutto l’occorrente.
Questo, ovviamente, nel momento in cui diventò il suo apprendista, incluse anche Keith, che in realtà non fu particolarmente felice di dover stare sveglio durante la notte. Non era un animale notturno, in fin dei conti, quindi fece molta fatica ad abituarsi ai nuovi ritmi.
Ciononostante, non poteva dire che i suoi sforzi non valessero la pena.
Non solo come pescatore, ma anche come insegnante, Lance era molto capace e meticoloso.
Gli insegnò quali erano i pesci e i crostacei che vivevano su quell’isola, come erano soliti muoversi, dove si potevano trovare e in che orari, cosa usare per prenderli e anche qualche trucchetto che aveva imparato con l’esperienza.
Gli era difficile ammetterlo, ma Lance era davvero bravo. Il titolo di migliore dell’isola, seppur auto-conferito, gli calzava a pennello, sia nella preparazione che nella praticità.
Keith si sentiva ammaliato da quel suo nuovo lato. I suoi gesti precisi e fluidi e il suo sguardo concentrato e pieno di passione, gli conferivano un fascino che nessuno avrebbe mai creduto gli appartenesse.
A dire il vero, l’hábrók era più interessato alla sirena che a quello che aveva da insegnargli, ma cercò comunque di concentrarsi e assimilare tutto per bene.
Di fatto, i compiti di Keith non si fermavano al semplice ascoltare: Lance lo costringeva a prendere appunti, ad usare l’attrezzatura rigorosamente da solo e ad aiutarlo ad ordinare e pulire.
Con tutte quelle responsabilità e quella autonomia era impossibile non imparare qualcosa e nel frattempo, si rese conto di quanto realmente fosse pesante il lavoro di Lance.
Stava alzato tutta la notte a pescare e dopo si metteva a pulire finché la barca non brillava. Non stupiva che tendesse a trascurare l’aspetto esteriore del mezzo: probabilmente al suo posto altri avrebbero fatto molto meno.
“Sei veramente straordinario”. Aveva confessato una volta Keith, guardandolo con un’espressione colma di tenerezza e ammirazione, più di quella che avrebbe voluto trasparisse.
Lance a quelle parole aveva sorriso timidamente, non abituato ai complimenti, e distogliendo un po’ lo sguardo, si era messo una ciocca dietro l’orecchio.
Carino fu il pensiero spontaneo del tuttofare vedendo quel gesto, anche quando sentì l’altro iniziare a vantarsi con fierezza e tono un po’ scherzoso. “Lo so, vero? Non per niente sono il più bravo di tutti!”.
Non si sentiva infastidito. Per la prima volta, a quell’atteggiamento un po’ sbruffone, era venuto da sorridere anche a lui. Aveva come l’impressione che quello fosse un suo modo per sconfiggere la timidezza e smorzare un po’ l’atmosfera dolce che si era creata, piuttosto che per mettersi in mostra.
Era come se durante quelle ore vegliate dalle stelle, tutte le tensioni della vita quotidiana sparissero.
Rilassate e avvolte dal chiarore lunare, le loro menti sembravano tornare al loro stato naturale, libero.
Forse perché Lance non sentiva il bisogno di dimostrare qualcosa o di farsi valere rispetto al coetaneo, ma tutti i lati piacevoli del suo carattere erano piano piano venuti a galla.
Non si trattava solo della sua inaspettata diligenza, ma di tutto un mondo che fino a quel momento era rimasto celato agli occhi di Keith.
Lance era gentile e giocoso, sempre disponibile ad aiutare senza mai farlo pesare.
D’un tratto si metteva a canticchiare allegramente o a fare qualche balletto strampalato, per poi sedersi accanto al suo nuovo collega e raccontargli qualche barzelletta scema o pettegolezzo sugli isolani, che puntualmente scimmiottava.
L’hábrók non riusciva a fare a meno di ridere e scuotere la testa con finto avvilimento. Si faceva trascinare a tal punto che anche lui si mise a raccontare qualche aneddoto sull’amica Pidge o su qualche cliente particolarmente distratto: conosceva praticamente tutti sull’isola, quindi di storie ne aveva tante.
E gliele avrebbe raccontate tutte, pur di farlo ridere.
Perché anche Keith, in quelle notti silenziose, era un po’ diverso.
Lì sopra, lontano da tutti, tutto il mondo sembrava cessare di esistere.
Non c’erano sguardi indiscreti, sensazioni di disagio né pressioni in quell’angolo di mondo.
Solo lui e quella risata soave.

Quella stessa risata che per lungo tempo, dentro di sé, aveva desiderato ricevere.


Note dell'autore: 
Salve a tutti ^^
Purtroppo ho avuto degli imprevisti e sono riuscit* a pubblicare solo adesso, ma spero comunque che vi sia piaciuto ^^
Alla prossima <3

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