Ghosts from the past di Severa Crouch (/viewuser.php?uid=149089)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo
1
Grimmauld
Place n. 12, Londra, 31 agosto 2015
Teddy
provava sempre uno strano effetto nell’entrare in quella casa dalla quale zia
Ginny non era mai riuscita a rimuovere del tutto l’alone tetro che la permeava.
Molti orrori erano scomparsi nel corso degli anni, a partire dalle teste
mozzate di elfi appese sopra le scale che da piccolo lo terrorizzavano.
“Teddy!”
esclamò Harry andandogli incontro in quell’atrio buio dal quale era scomparso
l’odioso portaombrelli a forma di zampa di Troll. “Andromeda ti ha lasciato
venire da solo?”
“Sì, la
nonna ne ha approfittato per andare al cimitero. Credo che il primo settembre
le metta sempre un po’ di tristezza.”
“Come a
tutti noi, del resto.” Harry gli mise un braccio intorno alle spalle e lo guidò
verso il soggiorno. “Sono felice che tu sia qui e non riesco a credere che
questo sia il tuo ultimo anno! Il tempo è volato!” Il suo padrino non era solo
la persona più vicina a un padre che Teddy avesse mai avuto, ma era anche
l’unico che sembrava capire perfettamente come potesse sentirsi. Non c’era mai
stato bisogno di molte parole tra loro due.
“Non so
se il prossimo anno sarai felice di vedermi tutti i giorni al ministero,”
ridacchiò entrando in soggiorno, mentre Harry annunciava ai figli: “Guardate
chi ci ha raggiunti!”
“Teddy!”
esclamò James abbandonando la copia della Gazzetta del Profeta sul divano per
raggiungerlo saltellando allegro. “Allora domani faremo il viaggio insieme?”
“Ci puoi
giurare!” Rispose facendogli un occhiolino. “Stavi leggendo le cronache della
tua fama? Sei pronto a prendere il mio posto sotto i riflettori? A sentirti
tutti gli occhi puntati addosso e le voci che mormorano: è il figlio del
Prescelto!”
James
alzò gli occhi al cielo.
“Veramente
stavo leggendo l’articolo di mamma sull’ultima partita dei Cannoni di Chudley.
C’è andata giù pesante. Immaginavo il cuore di zio Ron che si spezzava!” James
parlava imitando il dolore di Ron. Teddy ridacchiò al pensiero di quanto fosse
bravo a cogliere alcuni tratti delle persone, aveva spirito di osservazione e
una vena comica notevole. Subito dopo, si abbandonò a un sospiro: “Ho letto
anche gli articoli della Gazzetta del Profeta sul mio arrivo a Hogwarts… Papà
mi ha raccontato come sono stati i vostri primi anni e spero solo di trovare
degli amici fantastici. Per fortuna ci sarà Louis con me e farò il viaggio
anche con te, Vic e gli altri.”
“Teddy!”
Albus
arrivò trafelato dalle scale e gli corse incontro per abbracciarlo. Sentì le
braccia del bambino stringersi intorno alla vita mentre sprofondava la testa
contro il suo stomaco con la sua solita irruenza. Teddy accusò il colpo. Ormai
era abituato a parare i Bolidi, specie da quando Victoire era diventata
Battitrice di Grifondoro.
“Albus!
Pronto a rimanere il più grande in casa?”
Albus
scosse la testa: “No, mi mancherà James. Lily è chiusa in camera a piangere. Le
ho detto di scendere in salotto e di non sprecare l’ultima sera con James ma
non mi ha dato retta!”
“Che ne
dite se ci provo io?” domandò Teddy.
“Dille
di non fare la solita guastafeste!” borbottò James.
“Vieni
con me, James, credo che lo apprezzerà.”
Salirono
le scale scricchiolanti fino alla stanza di Lily Luna Potter che era stata
decorata con una serie di stelle e adesivi magici di animaletti che correvano
lungo il legno della porta. Il disegno di un Asticello percorreva il profilo
della maniglia come se fosse un trampolino, indeciso se tuffarsi o tornare
indietro. Teddy bussò e dall’altra parte si sentì tirare su con il naso.
“Lily? Sono io, Teddy! Mi vieni
a salutare? C’è anche James…”
La porta della stanza si aprì. L’Asticello
perse l’equilibrio e cadde dalla maniglia, si salvò aggrappandosi all’adesivo
di una liana e tornò ad arrampicarsi verso la maniglia mentre sulla soglia
compariva una piccola Lily con gli occhi nocciola lucidi e un po’ arrossati.
Sorrise imbarazzata. Teddy si abbassò alla sua altezza e le disse: “Ehi, sei la
mia cuginetta preferita! Non essere triste! Natale arriverà prestissimo e io e
James saremo di nuovo a casa.”
James
annuì: “Ti scriverò, Lily, e racconterò a te e Albus tutto su Hogwarts, sui
professori, sui compagni di Casa… Sarà come se anche tu fossi lì con me. Sarà
strano essere in una scuola senza te e Albus, ma non voglio che tu sia triste,
ok?”
Lily
annuì e si decise a scendere al piano di sotto. Passò la serata abbracciata al
papà, mentre la cucina di casa Potter si riempiva del profumo dello stufato di
Ginny, che ricordava moltissimo quello di Molly, e delle chiacchiere e gli scherzi
con James e Albus.
Teddy
riuscì a coinvolgere Lily in una partita a Sparaschiocco prima che arrivasse
l’ora di andare a letto e si lasciò battere per risollevarle l’umore. Riuscì
persino a farla ridere cambiando il colore dei capelli su richiesta. Lily gli
aveva chiesto il colore del vestito della sua bambola e Teddy aveva colorato i
suoi capelli rosa cicca, esattamente come quel vestito. Con la coda dell’occhio,
Teddy vide Ginny afferrare la spalla di Harry e scambiarsi uno sguardo e un
sorriso.
Conosceva
quei sorrisi velati di tristezza, aveva imparato a decifrarli fin da bambino,
ogni volta che inciampava in qualcosa, quando sua nonna cercava di nascondere
le lacrime per qualcosa che lui aveva detto, o per il modo ostinato in cui si
rifiutava di farle sapere che qualcosa non andasse. Odiava quei sorrisi. Sapeva
che erano il modo in cui i suoi genitori erano lì, accanto a lui, e gli
ricordavano quanto di loro ci fosse in lui. Al tempo stesso, però, gli
ricordavano quanto fosse diverso, solo. Improvvisamente non era più Teddy, era
il figlio di Remus e Dora. L’orfano dei Lupin.
Harry era l’unico a capirlo,
forse perché anche lui era passato per quel sentiero e, come le altre volte,
gli sorrise bonario e gli allungò una bottiglia di Burrobirra.
“Ginny
ha rivisto sé stessa in Lily, durante la guerra, quando Tonks cambiava il
colore dei capelli e il suo aspetto per farla ridere. Ci sono cose che tornano,
ed è inevitabile, come lo sguardo di Sirius quando mi vedeva duellare, ma noi
non siamo loro.”
“Sei
l’unico che capisce cosa si provi.”
“Siamo
anche gli unici orfani,” gli disse prima di prendere un sorso di Burrobirra.
Sospirò guardandosi attorno: “Sirius e tua nonna ci hanno insegnato che non
sempre è la morte dei genitori a renderci orfani.”
“È solo
che continua a tornare e tornare, in continuazione. A volte penso che non
riuscirò mai ad andare oltre.”
“E come
potresti? Imparerai a conviverci, a far pace con il passato e prepararti al
futuro. Pensa che domani rivedrai Victoire. Mi sembra che lei veda solo Teddy,
proprio come Ginny vede solo Harry.”
Teddy
sorrise al pensiero della sua Victoire e annuì allo zio.
“Lo dico
sempre ad Andromeda: le fa male passare troppo tempo da sola, con i fantasmi
del passato.”
“Lo so,
ma non puoi nemmeno chiederle di rimettere piede in questa casa dopo che ha
passato molti anni a cercare di fuggirne. I suoi fantasmi sono tra queste mura.”
Harry
mandò giù un altro sorso di Burrobirra e Teddy si domandò se suo zio avesse mai
riflettuto a sufficienza su cosa significasse per Andromeda Tonks (perché il
cognome da nubile lo aveva ripudiato) rimettere piede a Grimmauld Place, in
quella che fu la dimora dei Black. Evidentemente no, a giudicare dalla
tristezza che colorò il suo volto.
“Ti
prego, Teddy, scegli un altro colore, non il grigio per i tuoi capelli,” lo
implorò.
“Sì,
nonna me lo dice sempre, è stato il periodo peggiore di mia madre.”
“Eravamo
tutti così arrabbiati con tuo padre!” Harry scuoteva la testa amareggiato
mentre ricordava. “Lo capivo, eh, perché anch’io avevo le sue stesse tendenze… Anch’io
ho lasciato Ginny e volevo partire da solo alla ricerca degli Horcrux, non
credere…” Mandò giù un sorso di Burrobirra e continuò, questa volta con un
sorriso: “Ginny e Tonks erano forti, come Fleur con Bill, e Victoire ha preso
dalla madre molto più del sangue di Veela. Persino tu hai molto di Tonks ed è
per questo che non vedo l’ora di averti come Auror in ufficio.”
“Non te
ne pentirai? Non pensi che parleranno di favoritismi? Insomma, già lo stanno
facendo!”
“Non mi
importa. Scriveranno comunque delle cattiverie, saranno sempre lì, con il dito
puntato, pronti a giudicare, ma noi dobbiamo andare avanti, Teddy. Non si può
piacere a tutti, ricordalo, anche se Tosca pensa che dobbiamo essere tolleranti
e accoglienti.”
“In
effetti è un discorso molto da Grifondoro, il tuo!”
“Tuo
papà era un Grifondoro e quindi un po’ di influsso di Godric è anche dentro di
te!” Si scambiarono uno sguardo di intesa.
Teddy si
era sempre domandato come sarebbe stato finire in Grifondoro come suo padre,
mettersi sulla linea di quelli che un tempo si erano definiti “i Malandrini” e
solo il nome da un lato gli faceva simpatia, dall’altro gli dava qualche brivido,
ma solo quando si ricordava di essere un Caposcuola.
“Il
Cappello Parlante aveva valutato di mandarmi in Grifondoro, sai? Poi ha scelto
Tassorosso, come la mamma e il nonno.”
“È
un’ottima Casa. La lealtà e la pazienza sono virtù preziosissime, soprattutto
per fare l’Auror. Sapessi con quante scartoffie avrai a che fare prima di
trovarti sul campo!”
Scoppiarono
a ridere. Gli occhi di zio Harry lo guardavano complici e Teddy capì che si
stava prendendo cura di lui come suo padre si era preso cura di zio Harry.
Sperò che questa assurda catena di dolore si interrompesse lì, con lui, e che in
futuro i figli sarebbero stati cresciuti dai genitori, e che le cene di
famiglia non sarebbero state più così intrise di tristezza. Sperò che l’attesa
del primo settembre tornasse ad essere un giorno allegro.
“Harry,
che ne dici di lasciar andare a dormire Teddy?”
Ginny li
richiamò all’ordine e Teddy si ritrovò nella stanza degli ospiti. Vide che era
stata ridecorata da poco: il verde e i mobili scuri dei Black erano scomparsi
per lasciare il posto a pareti candide, letti chiari e morbide e accoglienti
coperte dalle tinte calde. Si stese nel letto immaginando il tepore
confortevole che l’indomani avrebbe sentito nuovamente nel suo dormitorio.
***
Castello
Lestrange, Cornovaglia, 31 agosto 2015
“Rabastan hai preso la scopa?”
“Sì,
mamma!” brontolò dal divano su cui era sdraiato, intento a leggere l’ennesimo
romanzo di avventure, tutto duelli di magia, cavalieri, draghi e altre creature
magiche. Era il sesto che leggeva quell’estate, tutti di Raymond Laurent, il
suo autore preferito.
“Non ti
lamentare se poi non puoi sostenere le selezioni di Quidditch perché l’hai
dimenticata!”
“Se
dimentico qualcosa chiamo Polly e me la faccio portare. Stai tranquilla,”
borbottò tornando a immergersi tra le pagine del suo romanzo.
Roland sospirò
rivolgendo uno sguardo desolato alla mamma: “Lo sai che poi dovrò sopportarlo
io che sono il Capitano?”
“Dagli
una chance, ma senza favoritismi.”
Sua
madre era seduta sul divano intenta ad accarezzare la schiena di Roddie che,
come al solito, era attaccato a lei. “Il posto in squadra se lo deve meritare:
non possiamo rischiare che Serpeverde perda la Coppa.”
Roland
si abbandonò sul divano accanto a lei. Il baule era pronto e se, da un lato,
non vedeva l’ora di tornare a Hogwarts per rivedere Lucile, d’altro lato,
partiva con la preoccupazione di lasciare sua mamma a casa da sola.
“Cosa
farai adesso che partiremo, mamma?”
Sua
mamma sospirò. “Tornerò al Ministero con Theodore. Ci sarà da combattere un
po’. Guarda la Gazzetta del Profeta che campagna che ha fatto per l’arrivo del
primogenito di Potter a Hogwarts! Stanno smontando il nostro mondo a suon di
applausi.”
“La
preside ha mandato una lettera a noi Prefetti per avvisarci dell’arrivo di
Potter. Ha sottolineato che ogni Potter ha portato scompiglio a scuola. Mi
domando che cosa potrà mai fare…”
“Io ho
incrociato il nonno di questo ragazzino, James Potter, frequentava Hogwarts
durante i miei anni ed era un terremoto. Si pavoneggiava e se la prendeva con
gli studenti più deboli. Direi che come Prefetti dovrete vigilare. Pare che
questo ragazzo abbia il nome di due dei peggiori studenti di Hogwarts: James
Potter e Sirius Black!”
Sua
mamma fissò il camino sospirando. C’erano dei nomi, legati alla sua infanzia,
che avevano il potere di rattristarla. Roland le mise una mano intorno alla
spalla e le domandò: “A fine mese dovrebbe tornare papà, vero?”
Lo
sguardo di sua mamma cambiò improvvisamente e tornò di nuovo luminoso. Roland
aveva imparato nel corso degli anni quanto i suoi genitori fossero legati e
quanto il passato fosse un argomento di cui non parlavano volentieri. La guerra
era stata troppo dolorosa, dicevano.
“Qual è
la prima cosa che farai quando rivedrai papà?” le domandò.
“Quando
diventi maggiorenne te lo dico,” gli rispose con un sorriso. Roland scoppiò a
ridere, mentre Roddie esclamò scandalizzato: “Ma mamma!”
“Lo so
che trovate scandaloso che alla nostra età siamo ancora così innamorati, ma
succede se passi gli anni migliori tra la guerra e la prigione,” disse
tranquillamente, “Credo che il Natale arriverà presto quest’anno!”
“Natale!”
esclamò Rabastan sollevando lo sguardo dal libro. Lo videro abbandonarlo sul
divano e uscire di corsa dal salone. Roland, Roddie e la mamma si guardarono
perplessi.
“Si sarà
ricordato qualcosa,” sospirò la mamma che pigramente continuava ad accarezzare
la schiena di Roddie.
“Si
staccherà mai da te?” le domandò alludendo al modo in cui Roddie le stava
attaccato. Nessuno in famiglia aveva mai capito l’attaccamento che Roddie
avesse per la mamma che finiva per essere monopolizzata da lui.
“Sento
che questo è l’anno buono. Il mio quarto anno ad Hogwarts è stato meraviglioso!
Persino tu e Orion siete cresciuti durante il quarto anno. Roddie la prossima
estate sarà un giovane e affascinante mago, vero?”
“Sono
già un giovane e affascinante mago, mamma, solo che le mie compagne di scuola
sono noiose e sgraziate.”
Roland
alzò gli occhi al cielo: “Praticamente sta cercando una come te…”
Roddie
protestò: “Papà ha detto di non avere fretta, che lui e la mamma si passano
tredici anni. Posso aspettare, magari la mia anima gemella sta nascendo in
questo momento.”
“Non
pensi che nel frattempo potresti divertirti?” gli domandò provocatorio.
Insomma, pensare già alla fidanzata, a quattordici anni! Che poi, Roddie a
breve avrebbe compiuto quindici anni, visto che era nato a settembre, nel
giorno di Mabon.
“Solo se
trovo qualcuna che non sia noiosa e sgraziata.”
“È un
ragazzo esigente, mi sembra giusto.”
La mamma
finiva sempre per prendere le difese di Roddie e, secondo Roland, questo era il
motivo per cui lui non si sarebbe mai staccato da lei. Videro tornare Rabastan
trafelato con un foglio di pergamena in mano. “Mamma! Il permesso per le uscite
ad Hogsmeade!”
La mamma
fece un respiro profondo e sollevò gli occhi al cielo. Si divertiva un mondo a
tenere Rabastan sulle spine quando le chiedeva qualcosa. Si voltò e gli
domandò: “Che dici, Roland, dovrei dare il permesso a tuo fratello per andare a
Hogsmeade? Secondo te, è in grado di comportarsi bene e non mettere in
imbarazzo il nome dei Lestrange?”
Roland
rise e iniziò a grattarsi il mento, come se stesse valutando il da farsi.
“Dai,
Ro!” esclamò Rabastan che si stava spazientendo. Roland fece spallucce e disse:
“Se l’hai dato a Roddie l’anno scorso, puoi darlo anche a Rab!”
“Ma
Roddie mi ha corrotto con una grandissima scatola di Api Frizzole,” disse la
mamma pensierosa mentre guardava il figlio e si godeva il fatto di tenerlo
sulle spine: “Non so, Rabastan, cosa pensi di potermi portare da Mielandia per
Natale in cambio del permesso?”
“I
Cioccocalderoni Fondenti!” esclamò convinto.
Roland
sorrise: era troppo facile indovinare i gusti della mamma. Adesso lei si
mordeva un labbro fingendo di rifletterci su, anche se tutti loro sapevano che
era una messinscena. Allungò la mano verso Rabastan e siglarono il patto.
“Andata! Mi aspetto una bella confezione di Cioccocalderoni Fondenti per
Natale, magari quelli con le nocciole!” lo guardava mentre firmava il permesso
e poi gli disse: “Guarda che se ti dimentichi, scrivo alla Preside e ti revoco
il permesso!”
Rabastan
scosse la testa: “Grazie, mamma! Avrai una scatola enorme!”
La mamma
scoppiò a ridere e gli porse la pergamena che Rabastan corse a infilare nel
baule insieme alle ultime cose. La mamma rivolse poi uno sguardo a lui e suo
fratello e disse: “Sarà meglio che andiamo a dormire tutti quanti. I vostri
cugini sono già a nanna e domani sarà una giornata lunga!”
Si
ritrovarono a colazione, dopo una notte in cui Roland continuava a svegliarsi e
interpretava il mare in tempesta come un cattivo presagio. Si ripeteva che non
aveva alcun motivo di preoccuparsi, che suo padre presto sarebbe tornato a casa,
che la mamma sarebbe stata impegnata con il Ministero e che c’erano sempre zio
Rabastan e zia Pucine su cui fare affidamento. Si stropicciò gli occhi ed ebbe
la sensazione che i presagi non riguardassero sua mamma né suo padre ad
Azkaban, ma Hogwarts. Rabbrividì sotto le coperte, mentre si decideva ad
alzarsi e prepararsi per la partenza.
Indugiò
in bagno, nella speranza che la doccia potesse togliere le tracce della notte agitata.
A sua madre sarebbe bastato un solo sguardo per cogliere tutti i segni che
certe notti portavano. In fondo, aveva ereditato da lei quella specie di dono,
o maledizione, fatto di piccoli indizi che il futuro svelava senza preavviso.
Non c’era modo di scoprire di cosa si trattasse, se fosse evitabile. Viveva
all’erta, in un perenne stato di tensione. L’attesa del pericolo l’aveva reso
molto protettivo nei confronti dei fratelli, soprattutto da quando Orion era
andato a vivere per conto suo e lui era diventato il maggiore.
“Bonjour
Roland,” la mamma lo salutò con un bacio sulla guancia.
“Bonjour,
maman,” rispose in rimando. Sentì la mano di lei sulla guancia in una carezza
che sciolse le sue resistenze. Gli domandò: “Hai avuto un’altra notte tremenda,
eh?”
Roland
chiuse gli occhi e annuì stancamente.
“Coraggio,
non puoi fermare il futuro.”
“Si
tratta di Hogwarts, mamma,” gli disse con un filo di voce, aspettando che lei
si preoccupasse. Sua mamma, invece, gli sorrise incoraggiante: “Pensa che ci
saranno gli insegnanti ed è uno dei posti più protetti del mondo magico. Se
qualcosa di terribile deve arrivare, Hogwarts è uno dei posti migliori per
affrontarlo. Sei pronto, Roland, lo so che lo sei.”
“Ma
quest’anno non ci sono state le lezioni di papà…”
“Vi
siete allenati con zio Rabastan. State vicini, guardatevi le spalle, scrivete a
casa e, in caso di necessità, avvisate i vostri professori. Il professor Pucey,
il Direttore di Serpeverde, vi darà una mano volentieri. Ricorda che non sei
solo.” Sentì la mano della madre accarezzargli la schiena e sussurrargli:
“Ricorda, Roland, il modo migliore per avverare una profezia è cercare di
impedirne la realizzazione. Abbiamo perso due guerre magiche perché abbiamo
ignorato questa regola base. Per questo, anche se non vorrei staccarmi da voi,
devo lasciarvi andare a Hogwarts. Non posso permettere che veniate cancellati
mentre siete tra le mie braccia. Vi prometto che in qualsiasi linea temporale,
io e papà vi troveremo e torneremo ad essere una famiglia.”
Le
carezze e le parole della mamma riuscirono a calmare alcune delle paure di
Roland. Da quando l’estate scorsa la mamma aveva fatto quella profezia sul
tempo che sarà girato e sul ritorno dell’Oscuro Signore, Roland viveva nel
terrore che qualcuno modificasse il tempo impedendo alla mamma e al papà di formare
la loro famiglia, cancellando tutti i nati nel dopoguerra. Roland alzò lo
sguardo e incrociò quello determinato e rassicurante della mamma.
“Siete
dei Lestrange, non siete fatti per nascondervi e aspettare il destino senza
combattere.”
L’arrivo
di zio Rabastan, zia Pucine con i cugini, Philomène e Cyrille, interruppe quel
momento. Zio Rabastan lo guardava divertito e gli domandò “Cos’è questa
tenerezza, Roland?” mentre i cugini si sedevano intorno al tavolo. Più tardi avrebbero
preso una Passaporta per Parigi. A mezzogiorno in punto, Philoméne sarebbe
partita per il suo primo anno a Beauxbatons dalla Gare du Nord di Parigi con un
treno speciale del tutto simile all’Hogwarts Express.
Roland sapeva
che gli zii erano venuti per dare una mano alla mamma, per non lasciarla da
sola tutta l’estate mentre papà era ad Azkaban. Lo aveva sentito in una
conversazione tra Orion e zio Rabastan.
“Approfittavo
dell’assenza di Roddie…” scherzò cercando di sdrammatizzare. Non voleva
incupire il giorno della partenza con il pensiero di presagi funesti, solo sua
madre era in grado di capirlo.
Nemmeno
fossero stati evocati, Roddie e Rab si trascinarono nella sala della colazione,
mentre discutevano di quello che sarebbe stato il programma del terzo anno di
Rabastan.
Erano
molto più avanti dei loro compagni nello studio degli incantesimi, e questo
dava loro tempo per concentrarsi anche su altri aspetti da approfondire. Erano
certi che avrebbero avuto ottimi voti con poco sforzo, perché gli incantesimi
dei primi due anni li avevano già studiati con Erbert Rosier, il loro
precettore, non appena la magia spontanea aveva iniziato a manifestarsi con
frequenza, verso i nove anni. Avevano continuato così, e ogni anno arrivavano a
Hogwarts conoscendo buona parte di quello che avrebbero studiato.
Dopo
colazione si ritrovarono nell’atrio del castello con i bauli, il suo gufo Altair,
la civetta di Roddie, Snowy, e Fulcran, il gatto di Rabastan. I cugini francesi
non avevano apprezzato il fatto che Rabastan avesse chiamato il suo gatto come
metà del loro albero genealogico, ma Rabastan aveva scrollato le spalle
divertito e aveva detto che lo aveva chiamato in quel modo perché era un gatto
permaloso come i cugini francesi. Cyrille non perdeva occasione per tirare la
coda a quel gatto, attirandosi le ire di Rabastan.
Zio
Rabastan rimpicciolì i bauli e insieme alla mamma e alla zia li inserirono
nelle tasche dei mantelli da viaggio.
“I due Rabastan,
insieme,” disse la mamma, “Roland, tu vai con Polly.” Roland diede la mano alla
loro vecchia elfa domestica, “Roddie con me.” La zia e i cugini avrebbero
finito di preparare i bagagli in attesa della Passaporta.
Roddie
saltellò allegro e si attaccò al braccio della mamma mostrando una linguaccia a
Rab. Roland e Polly si scambiarono un’occhiata e trattennero una risata, mentre
i due Rabastan alzarono gli occhi al cielo in un modo che sottolineava tutta la
loro somiglianza. Pochi istanti dopo si ritrovarono sulla banchina del binario
9 e 3/4 della stazione di King’s Cross.
Roland
intercettò lo sguardo disgustato di sua madre nel vedere la troupe della
Gazzetta del Profeta in attesa dell’arrivo del primogenito di Harry Potter.
Rita Skeeter era in prima fila con tanto di boccoli biondi in ordine e un
completo verde acido che era impossibile non riconoscere. Zio Rabastan scoppiò
a ridere nel vederla e strinse la spalla alla mamma dicendo: “Andiamo a cercare
uno scompartimento per i ragazzi.” Roland non riuscì a decifrare gli sguardi
della mamma e si limitò a seguirli dopo che Polly con un inchino si era
congedata per rientrare al castello.
“Fanno
solo il loro lavoro,” disse lo zio.
“No,
Rab, non la difendere dopo tutti questi anni. È vergognoso: celebrare un
ragazzino che non ha mai impugnato una bacchetta come se fosse un eroe.” Roland
osservò il modo in cui sua mamma scosse la testa e tornò a sorridere nella loro
direzione. “Vieni, qui, Roland, fatti abbracciare.” Sentì le braccia della
mamma che lo stringevano forte, seguito da un bacio sulla fronte. Poi fu il
turno di Rabastan e infine quello di Roddie, che arrivò per ultimo e fu il più
lungo perché lui era il cocco della mamma.
Caricarono
i bauli sul treno e Roland andò alla ricerca di uno scompartimento vuoto.
Lucile Dolohov gliene mostrò uno che aveva occupato e dove potevano sistemare
anche i loro bauli.
“Vado a
recuperare Roddie, prima che il treno parta,” le disse.
“Hai
letto la lettera della preside?”
“Sì,
patetica!”
Percorse
con lo sguardo la banchina, alla ricerca di Roddie, lo trovò ancora attaccato
alla madre. Andò loro incontro, facendosi largo tra la folla di studenti,
genitori e bauli. Lungo il tragitto incontrò Victoire Weasley, prefetto di
Grifondoro, che condivideva con lui l’origine francese e l’essere Capitano
della squadra di Quidditch. Indossava l’uniforme con la spilla da Prefetto ben
in vista.
“Bonjour,
Victoire, pronta per la riunione?” le domandò. Samuel Finnigan, l’altro
Prefetto di Grifondoro, aveva convocato una riunione dei prefetti e dei
capiscuola per organizzare i primi turni di ronda e dividersi i vagoni da
controllare sul treno. Lo scorso anno, quel simpaticone di Fred Weasley jr,
aveva avuto la splendida idea di testare alcuni fuochi d’artificio sul treno
seminando il panico tra i bambini del primo anno.
“Tornatene
nelle fogne, Lestrange.” La voce perennemente arrabbiata di Lupin fu la sola
risposta che ricevette. Roland lo guardò con un ghigno sul volto. Non aveva
nessuna intenzione di farsi intimorire da quello lì. “Non scaldarti
così, Lupin, è il tuo ultimo anno. Non vorrai partire con il piede sbagliato?”
“Per te
sono il Caposcuola Lupin.”
“Per me
resti un mostro, come la tua fidanzatina. Adesso scusami, ma ho di meglio da
fare.”
“Chiedi
scusa!” urlò Teddy Lupin alle sue spalle. Roland lo ignorò, proseguì il suo
cammino raggiungendo la madre e i fratelli. Non sopportava Lupin e la cosa era
reciproca. Detestava quell’aria da vittima che aveva perennemente sul volto.
Era uno dei vincitori della guerra, i suoi genitori venivano elogiati ogni due
maggio, eppure sembrava che il mondo ce l’avesse con lui. Cosa ne sapeva di
cosa significava avere un padre ad Azkaban?
***
King’s
Cross Station, Binario 9 ¾, 1° settembre 2015
“Un
commento per la Gazzetta del Profeta?”
“Rita,
abbi pazienza, è solo un bambino.”
“Anche
tu lo eri la prima volta che hai fronteggiato Tu-Sai-Chi. Paura di un confronto
inevitabile con tuo padre? Di non finire in Grifondoro?”
James
fissò quella donna senza vederla veramente, distratto da quella bocca rossa che
formulava domande a raffica sotto gli occhiali pieni di strass. La mano di suo
padre era salda intorno alla spalla e lo spingeva via, attraversando quella
selva di fotografi e cronisti.
Harry
borbottò: “Tutto ciò è eccessivo e imbarazzante.”
James
attraversò con lo sguardo la banchina fino a scorgere Teddy e Victoire. Lì
vicino stavano arrivando Molly, Lucy, Dominique e Louis. “Papà, eccoli!” li
indicò allegro.
Harry
salutò zio Percy e zio Bill. Vennero raggiunti anche dalla mamma con Albus e
Lily, zia Fleur e zia Audrey. A vederli riuniti lì, sul binario della stazione
di King’s Cross, sembrava quasi che stessero per andare alla Tana dai nonni e
James dimenticò la folla di cronisti.
Il
rumore di una Trombetta Starnazzante catturò la loro attenzione. Videro
sfrecciare quella specie di palletta arancione tra le persone che si
spaventavano al passaggio, mentre Roxanne la inseguiva urlandole dietro: “Torna
qui!”
“Accio
Trombetta!” Zio George richiamò quell’affare rumoroso e colorato, l’afferrò al
volo e la disattivò. Subito dopo, James lo vide infilarlo nel baule di Roxanne
facendole l’occhiolino.
“Non le
avrai dato quell’aggeggio?” domandò zia Angelina con un sopracciglio alzato e
le mani sui fianchi che ricordava molto l’espressione di nonna Molly. George e
Roxanne si scambiarono uno sguardo complice e negarono in un modo così
spudorato che James e Fred scoppiarono a ridere.
Fred
quell’anno avrebbe iniziato il quinto anno, gli si avvicinò e sussurrò
nell’orecchio: “Papà dice che non si sa mai quando questi aggeggi possano
tornare utili.”
“Metti
che ti serva un diversivo,” aggiunse Roxanne.
“Per
fare cosa?” Non riusciva proprio a immaginare a cosa potesse servire una
Trombetta Starnazzante a scuola. Roxanne gli fece l’occhiolino: “Per sfuggire a
una punizione, naturalmente!”
“Speriamo
che entrambi finiate in Grifondoro,” disse Fred cingendo con le braccia le
spalle di James e Louis. “Sarebbe molto divertente essere tutti insieme in sala
comune.”
Louis
guardò James e gli disse: “Nel dormitorio potremmo giocare alla guerra con i
cuscini.”
“Non
farci vergognare, Louis.” Zia Fleur ebbe il potere di gelare l’entusiasmo di
Louis, ma quell’effetto venne scacciato via come se si fosse scontrato con un
incantesimo Scudo da zio Bill che sussurrò: “Tutto sta nel non farsi beccare!”
Salirono
sul treno ridacchiando e occuparono un intero scompartimento. James sedette
vicino a Louis e Lucy, di fronte loro erano seduti Fred, Dominique e Roxanne,
mentre Victoire e Molly raggiunsero gli altri Prefetti e Capiscuola per la
riunione iniziale.
Salutarono
i genitori e a James si strinse il cuore man mano che il treno usciva dalla
stazione e le figure di Albus e Lily si facevano sempre più piccole e lontane.
“Presto
arriverà anche il loro momento,” gli sussurrò Roxanne, “ricordo quando Fred è
partito per Hogwarts. È stato molto triste all’inizio, ma poi ci si abitua e in
men che non si dica ci si ritrova sul binario per il primo anno.”
“Speriamo,”
disse James tra sé e sé mentre il treno lasciava la stazione di King’s Cross.
Teddy
gli aveva annunciato un viaggio imbarazzante, pieno di persone che lo fissavano
perché era il figlio di Harry Potter o che gli facevano domande strane su suo
padre. Così, aveva passato una notte orribile sognando i professori che lo rimproveravano
perché suo padre a undici anni aveva già sconfitto Voldemort, mentre lui non
riusciva nemmeno ad evocare correttamente un incantesimo. Di tutte le paure sul
non essere all’altezza delle aspettative che circondavano il suo arrivo ad
Hogwarts, tuttavia, ce n’era una che James Sirius Potter sentiva di non avere e
riguardava il Quidditch. Peccato che fosse precluso agli studenti del primo
anno.
Il
viaggio nello scompartimento con i cugini fu, invece, molto divertente e
ricordò il Natale alla Tana. Giocò a Sparaschiocco con Fred e Louis, mentre
Lucy raccontava a Roxanne della sua estate in Francia da Victoire e Dodò, e di
quanto fosse diversa la cucina francese rispetto a quella inglese.
Comprarono
panini e dolcetti dalla signora del carrello e verso il tramonto indossarono le
loro uniformi perché presto sarebbero arrivati a Hogwarts. Una volta indossate
le divise, l’entusiasmo di Louis aumentò ancora di più e finì per contagiare
tutto lo scompartimento. I corridoi del treno si affollarono di studenti man
mano che ci si avvicinava ad Hogwarts e si potevano riconoscere quelli del
primo anno perché erano gli unici a non indossare i colori delle Case di
appartenenza.
“Sarebbe
una gran seccatura se non finiste a Grifondoro,” disse Fred guardando fuori dal
finestrino, “ho un sacco di progetti per le nostre serate in sala comune!” Lo
disse di nuovo e questo commento iniziò a solleticare la paura di James di
finire in una casa diversa. Come sarebbe stato Hogwarts senza i suoi cugini? Se
fosse finito in una casa in cui non conosceva nessuno proprio come era successo
a Teddy?
“Ma tu
non hai i G.U.F.O. quest’anno?” domandò Roxanne al fratello con un sopracciglio
alzato.
Fred
scrollò le spalle, “Sì, ma sai com’è, papà è flessibile su questo argomento. L’importante
è avere dei progetti per il dopo Hogwarts e io voglio lavorare al negozio degli
scherzi con papà!”
“Sì,
però non sottovaluterei la reazione di mamma… Se dovessi avere un risultato
come quello di papà cosa direbbe la nonna?”
James
rise nel vedere il modo in cui Fred alzò gli occhi al cielo perché tutti in
quello scompartimento – persino Lucy – conoscevano le ramanzine e le prediche
di nonna Molly sull’importanza dello studio.
“Suppongo
che tra poco ogni mistero sullo Smistamento sarà risolto: siamo arrivati,”
commentò Fred facendo loro l’occhiolino. Louis si affacciò al finestrino
insieme a James, i loro nasi erano pigiati contro il vetro freddo del treno e
provarono il medesimo stupore nel vedere la sagoma del castello in lontananza.
Quando il treno si fermò si precipitarono fuori e incontrarono Hagrid, l’amico
di papà, che li accolse con un sorriso esclamando: “Per la miseria, Louis, sei
il ritratto di Bill! E tu James, sei uguale a tuo nonno! Seguitemi.”
James e
Louis seguirono Hagrid lungo delle ripide scalette che dalla stazione portavano
a un molo al quale erano attraccate delle barchette, ciascuna con una lanterna
sul davanti. Si sistemarono in una barca insieme ad altri due studenti del
primo anno e si godettero il tragitto e la meravigliosa visuale del castello
dal Lago Nero.
“Victoire
mi ha detto che lo fanno per impressionare gli studenti appena arrivati,”
sussurrò Louis senza farsi sentire dagli altri due bambini con cui dividevano
la barchetta.
“Direi
che ci riescono benissimo,” mormorò James che, man mano che la riva opposta si
avvicinava, sentiva crescere l’impazienza dentro di sé.
Trovarono
il professor Percival Chambers, Direttore di Corvonero, ad accoglierli. Si
ergeva alto nella sua veste da mago scura. L’austerità dell’immagine che
arrivava da lontano si sciolse non appena James si avvicinò e notò lo sguardo
vivace e allegro. Li accolse con un sorriso: “Benvenuti ad Hogwarts, ragazzi!
Io sono il professor Percival Chambers, sono il vicepreside e insegnante di
Incantesimi. Qualcuno di voi mi conoscerà anche come il direttore di Corvonero,
una delle quattro Case di Hogwarts in cui presto verrete Smistati.”
Il
professor Chambers era un mago alto, dell’età di zio Bill, con una folta barba
scura, capelli e occhi altrettanto scuri e vivaci. James sentiva che doveva
essere un insegnante brillante ed esigente e si domandò se fosse lui quello che
lo avrebbe rimproverato come negli incubi che aveva avuto nei giorni scorsi.
“Le Case
di Hogwarts sono Corvonero, Grifondoro, Tassorosso e Serpeverde. Ciascuna Casa
ha la sua nobile storia e i suoi studenti diventeranno la vostra famiglia
finché sarete a scuola. Ogni successo che otterrete porterà dei punti alla
vostra Casa, mentre ogni fallimento o infrazione delle regole determinerà la
perdita di punti. Alla fine dell’anno, la Casa che otterrà il maggior punteggio
vincerà la Coppa delle Case! Ora entriamo!”
La porta
alle spalle del professor Chambers si spalancò e James non seppe trattenere lo
stupore nel vedere la magnificenza di quella sala in cui quattro lunghe
tavolate erano affollate dagli studenti e, in fondo, i professori osservavano
incuriositi l’incedere impacciato dei nuovi arrivati.
“Guarda!”
gli sussurrò Louis indicando in alto. James alzò lo sguardo e vide un’infinità
di candele che galleggiavano sotto una volta che riproduceva il cielo serale.
“Wow!”
esclamò.
Il
professor Chambers prese uno sgabello e un vecchio Cappello. James lo stava
osservando incuriosito, i cugini gli avevano raccontato come sarebbe avvenuto
lo Smistamento, ma non era pronto ad assistere ad uno strappo che si apriva sul
bordo del cappello e a sentirlo parlare.
Sono un Cappello di un tempo remoto
Godric e gli altri mi resero famoso
Affinché ognuno di voi potessi con senno smistare.
Vieni studente, dove vuoi andare?
Calzami e io ti potrò collocare.
Il passato ha creato il sentiero,
su cui voi costruirete il domani.
Imparate dagli sbagli per non ripetere gli errori,
anche se in buona fede, possono portare degli orrori.
La guerra è passata, i morti sepolti
Non indugiate su sentieri irrisolti.
Quale sarà la direzione, sarete voi a deciderlo.
Ogni Fondatore vi aiuterà a lasciare gli ormeggi
Sarà Godric il valoroso o Corinna dei saggi?
Forse l’astuto Salazar o la Tosca leale?
Non indugiate, fatevi avanti
Ché vi
smisto tra lodi e canti.
La Sala
Grande fece un applauso al Cappello Parlante mentre James continuava a sentire
quelle parole che gli risuonavano in testa: il passato ha costruito il presente
e saranno loro a costruire il futuro. Era ovvio o voleva dire qualcosa? Gli studenti
sfilavano man mano verso il Cappello Parlante che esclamava il nome della Casa
non appena ne decideva la collocazione.
James
sussultò e si sentì un mormorio diffondersi per l’intera Sala Grande quando il
professor Chambers chiamò: “Potter, James Sirius”.
La
preside, un’anziana strega che era stata la professoressa di Trasfigurazione
dei suoi genitori, lo scrutò attentamente e James ebbe un po’ paura. Scosse la
testa e si avviò verso lo sgabello pensando che prima si sarebbe seduto, prima
avrebbe saputo il suo destino. Qualsiasi scelta era meglio di quello stato di
incertezza. Sedette sullo sgabello e il Cappello Parlante gli coprì la vista
degli altri studenti. La schiera di occhi puntati su di lui svanì all’improvviso
e sentì la voce del Cappello.
“James
Sirius Potter… Con due nomi così e il temperamento di fuoco di tua mamma,
Grifondoro è la tua Casa!”
James
sorrise incredulo. Il Cappello Parlante non aveva fatto alcun paragone con suo
papà, ma lo aveva paragonato a nonno James, proprio come Hagrid, e a sua mamma
Ginny. Si avvicinò incredulo al tavolo dei Grifondoro sorridendo ai cugini che applaudivano
rumorosamente. Più tardi, Louis lo raggiunse al tavolo di Grifondoro e la
famiglia poté dirsi riunita.
***
Hogwarts,
1° settembre 2015
Victoire
fece scorrere lo sguardo lungo il tavolo dei Tassorosso alla ricerca di Teddy.
Si scambiarono un sorriso, entrambi sollevati dal pensiero che lo Smistamento
di Louis e James fosse andato senza intoppi.
I suoi
genitori le avevano riempito la testa di raccomandazioni, soprattutto la mamma,
sul fatto che lei fosse la maggiore e che quest’anno tutti i fratelli erano
affidati alla sua responsabilità. Victoire aveva alzato il sopracciglio
indispettita da quelle raccomandazioni futili, sottolineò: “Come tutti i
Grifondoro, visto che sono Prefetto!” Suo padre aveva annuito divertito e le
aveva detto che con quell’espressione assomigliava moltissimo a zio Percy.
Sghignazzò
al ricordo della mamma che inorridiva per quel paragone. La mamma aveva provato
ad andare d’accordo con zio Percy, ci aveva provato sul serio, perché lei
sapeva cosa volesse dire non essere ben vista dai Weasley, ma dopo che lui
aveva preso come missione personale quella di toglierle l’accento francese e insegnarle
un inglese impeccabile, la mamma le aveva raccontato di aver dovuto
riconsiderare quel proposito e d’allora si limitava ad essere gentile con lui e
parlare solo con Audrey.
La
Preside stava facendo un discorso in cui ricordava agli studenti che la Foresta
Proibita era preclusa e diede alcuni avvisi della nuova custode, Madama Augusta
Magpie, mentre lo stomaco le brontolava. Dodò le lanciò un’occhiataccia e
Victoire si portò la mano sulla pancia domandandole sottovoce: “Si è sentito?
Sto morendo di fame!”
“Sì,
dai, resisti!” Dominique non fece in tempo a finire la frase che sul tavolo
comparve ogni genere di pietanze. Certo, a Hogwarts si mangiava pesante come da
nonna Molly, e non c’erano le ricette francesi della mamma, ma ogni cosa era
meravigliosamente deliziosa e a Victoire e Dominique non era mai pesato quel
cambio di alimentazione durante gli anni della scuola.
James e
Louis erano rumorosissimi e dovette riprenderli più volte e lanciare occhiatacce
a Fred che alimentava la loro eccitazione con promesse di divertimenti
inimmaginabili.
“Ma chi ci
è finito in sala comune?” le sussurrò Molly preoccupata, osservando James e
Louis che provavano a incantare una salsiccia nel piatto di Fred. “Li immagini
quei tre tutto il tempo insieme?”
“Fred ha
i G.U.F.O. e il primo anno è sempre traumatico,” le disse Victoire, “vedrai che
ci penseranno i professori a metterli in riga. Altrimenti, dovremo punirli.”
“Io non
so se ho il coraggio di farlo,” le confessò Molly. “Insomma, guardali come si
divertono!”
Victoire
scoppiò a ridere: “L’inflessibile Molly che si fa corrompere dagli occhioni blu
di Louis o dai riccioli ribelli di James?” Guardò complice la cugina e le
disse: “Al massimo mandiamo Teddy.”
“Così
però diamo il pretesto a Tassorosso di togliere punti a Grifondoro!” obiettò
Molly.
Victoire
alzò gli occhi al cielo. A volte sua cugina diventava proprio pesante. “Allora
ci penserà Samuel, non ti preoccupare!” Molly scosse la testa e indicò Samuel
Finnigan, altro Prefetto di Grifondoro, “Guardalo, sembra che non veda l’ora di
unirsi a James e Louis!”
Victoire
lanciò uno sguardo alla cugina e si disse che ci fosse un solo modo per farla
tacere con tutte quelle preoccupazioni: “Molly, io ti conosco. Dopo l’estate
trascorsa insieme ti conosco molto bene, giusto? Ho la sensazione che nessuno
in questa scuola, e sottolineo nessuno, nemmeno la preside, sia in grado di
assegnare la giusta punizione a quei due meglio di te.”
“Mi stai
trattando come mio papà, vero? Oddio, divento pesante come lui? Godric,
aiutami! Scusa. Va bene, hai ragione, vedremo quando sarà.”
Victoire
scoppiò a ridere, posò un bacio sulla guancia della cugina e si concentrò sulle
ultime deliziose patate che le erano rimaste sul piatto. Presto sarebbero
comparsi anche i dolci. Quanto le erano mancate le cucine di Hogwarts! Prese un
paio di tortine di zucca e poi vide Samuel farle cenno che era arrivato il
momento.
“Grifondoro,
primo anno, seguitemi!” esclamò. Lei davanti a guidare gli studenti, Samuel
dietro a chiudere la fila, mentre Molly continuava a sorvegliare gli studenti
più grandi.
“Fate
attenzione alle scale, mi raccomando. A loro piace cambiare!” disse mentre
aspettava che la rampa di scala tornasse nella posizione giusta. “Buonasera,
Pix!” esclamò sorridente mentre ringraziava le antenate Veela che rendevano Pix
sensibile al suo fascino.
“Oh,
nuove reclute!” esclamò divertito, “come sono piccoli e indifesi!”
“Lui è
Pix, il nostro Poltergeist, abita da secoli il castello e si diverte a fare
scherzi agli studenti. Imparerete a conoscerlo.”
“Scherzi?”
domandò Louis con un sorriso sulle labbra.
“Sì,
come questi!” esclamò Pix che non aspettava altro che una scusa. Victoire si portò
una mano sugli occhi per non guardare quando tutto il primo anno venne
inzuppato completamente.
“Grazie,
Louis” commentò, mentre Pix si rotolava dalle risate volteggiando sulle loro
teste per poi sparire. Insieme a Samuel asciugarono velocemente le vesti dei
primini e tirarono un sospiro di sollievo quando arrivarono al ritratto della
Signora Grassa. “Questo è l’ingresso della sala comune. La parola d’ordine è: Dulcis
in fundo”. Il ritratto si aprì rivelando l’ingresso nella sala comune.
Victoire
raccolse intorno a sé le studentesse e mostrò loro l’accesso ai dormitori di
Grifondoro, i bagni e il tour che aveva fatto il primo anno e ripetuto il
quinto, quando era stata nominata Prefetto. Non vedeva l’ora di finire quegli
adempimenti perché lei e Teddy avevano un turno di ronda ed era moltissimo
tempo che non stavano insieme.
Lasciò
le studentesse del primo anno nel loro dormitorio libere di prepararsi per la
notte e corse nell’atrio dove Teddy l’attendeva. Il cuore le batteva forte,
dopo un’estate trascorsa a scriversi tra la Francia e l’Inghilterra. Riconobbe
la sua figura alta e slanciata, il giallo della cravatta di Tassorosso che
brillava al buio e i capelli castani di lui. Gettò le braccia al collo del suo
ragazzo, Teddy la sollevò e si scambiarono un bacio entusiasta.
“Mi sei
mancato!” gli disse prendendolo per mano.
“Anche
tu, moltissimo!”
“Facciamo
questa ronda?” gli disse prendendolo a braccetto. Continuarono a camminare per
i corridoi deserti della scuola e non incontrarono nessuno. Era sempre così la
prima sera, quando tutti gli studenti erano chiusi nelle sale comune a
raccontarsi le vacanze.
“Ti ho
visto nervoso,” gli disse, “durante la riunione per poco non puntavi la
bacchetta contro Mulciber e Lestrange.”
“Sono
due idioti. Non li sopporto. Lestrange, Mulciber, la Dolohov, tutti figli di
Mangiamorte, tutti spensierati come se nulla fosse successo. A cosa è servita
la guerra? Per cosa sono morti i miei genitori?”
“Beh Lestrange
ha il padre ad Azkaban, però.”
“Per
favore… è finito dentro per un’accusa ridicola e solo per un anno. La vita dei
miei valeva così poco?”
Victoire
gli strinse il braccio e prese il viso tra le sue mani: “È grazie al sacrificio
dei tuoi che oggi siamo in questa scuola, tu e io, figli di persone morse un
Lupo Mannaro, io ho pure sangue di Veela. Se fosse dipeso dai genitori di
quelli noi saremmo morti o senza bacchetta.”
“E ti
sembra giusto? Ti sembra corretto che loro abbiano il potere di punire gli
studenti? Che loro siano come me e te?”
“No, non
è giusto, ma c’è stata un’amnistia. Ricordi quanto zio Harry, zia Hermione e i
nonni ne hanno discusso alla Tana? C’era anche nonna Andromeda, ricordi? Se
vogliamo che la pace duri, dobbiamo tirare una linea, lo sai. Ignorali. Non
stanno facendo niente, è solo il loro cognome.”
“Hai
detto niente. Secondo te, dovrei scherzare con Roland Lestrange sapendo che
Bellatrix Lestrange ha ucciso mia madre?”
“Senti,
non voglio difenderlo, ma lui non è nemmeno parente con Bellatrix, lo sai. Era
solo la prima moglie di suo padre ed è morta, uccisa da nonna Molly.”
“A te
sta simpatico perché è francese come te.”
“Preferirei
un Bolide in testa piuttosto che dover trascorrere un minuto con lui. È
inquietante e non mi fido affatto di lui. Sa sempre tutto, studia in
continuazione e quando abbiamo litigato mi ha rivolto parole orribili. Mi ha
anche fatto cadere dalla scopa durante l’ultima partita contro Serpeverde. Ho
una marea di motivi per odiare Roland Lestrange, ma non è un Mangiamorte, è
solo uno stronzo.”
Teddy
sorrise a quelle parole, rassicurato. “Quando ti dice Bonjour Victoire,
vorrei spaccargli il naso.”
Victoire
scoppiò a ridere: “Ma sei geloso? Di Roland Lestrange? Lo fa solo per
irritarmi, sa che odio che mi parlino in francese, me l’ha sentito dire una
volta in biblioteca e lo fa apposta. Te l’ho detto è uno stronzo.”
“Voglio
proprio sperare. Ad ogni modo, il naso glielo spaccherei lo stesso. Sono tutti
motivi più che sufficienti.”
“Ehi! Ma
i Tassorosso non parlano così! Non siete leali, pazienti, teneri e coccolosi?”
“Sì,
finché qualcuno non ci rompe le scatole e minaccia la nostra tana!” le disse
stringendola a sé. Si scambiarono un altro bacio, più intenso. Victoire infilò
le dita tra i capelli di Teddy e lo strinse ancora di più a lui. Le mani di
Teddy le arpionarono i fianchi e lui si allontanò: “Vic, se fai così è un disastro
però. Almeno la prima sera, rispettiamo le regole.”
“Ma non
ti vedo da un mese intero!” protestò. Gli sorrise maliziosa “Dai, mostrami
quell’aula abbandonata vicino la tua sala comune.”
“Credo
che al momento sarà piuttosto affollata,” le sussurrò Teddy, “se vuoi, c’è la
Torre di Astronomia.”
“Uh,
sotto le stelle! Mi piace!”
“Che ne
pensi del bagno dei Prefetti, invece?” le disse mentre erano al quinto piano.
“Mi sa
che è più calda della Torre di Astronomia. Andiamo!” esclamò allegra,
prendendolo per mano. Fu bello tornare ad amarsi, a sentire i loro corpi l’uno
contro l’altro dopo un intero mese di assenza. Victoire amava Teddy, lo amava
da quando erano bambini di quell’amore puro e assoluto che negli anni era solo
cresciuto.
Note:
Innanzitutto, benvenuti a
questo nuovo progetto sulla New Generation. È la prima storia che scrivo su questa
generazione e devo dire che sono piuttosto emozionata e un po’ in ansia perché
esco dalla mia confort zone che è la Old Generation.
Questa storia si pone come
uno spin-off della long Kintsugi che, appunto, attraversa le due guerre magiche
dal punto di vista della mamma dei fratelli Lestrange, Alexandra Turner. Non
serve aver letto la long, ma vi do qualche dettaglio.
L’estate precedente al tempo della narrazione
(quindi l’estate del 2014) Alexandra ha una visione e realizza una Profezia che
è quella di The Cursed Child. Ve la riporto che so che molti schifano... ehm... non amano TCC.
“Quando gli altri saranno risparmiati, quando il tempo sarà girato,
quando figli non visti uccideranno i padri: allora tornerà il Signore Oscuro.”
Questa profezia getta nel panico i Lestrange perché temono di
vedere cancellati i loro figli: se qualcuno torna indietro nel tempo e l’Oscuro
Signore non muore, allora Alexandra sarà ancora sposata con Barty e Rodolphus
con Bellatrix. Per questo motivo, Rodolphus, Theodore Nott (preoccupato dalla
possibile scomparsa dei suoi figli) e Orion, il figlio di Alex e Barty,
lavorano a una Giratempo per impedire l’alterazione della linea temporale.
Verranno scoperti e Rodolphus si prenderà la colpa e finirà ad Azkaban per un
anno per detenzione di materiale proibito (questo darà modo a Orion e Theodore
di continuare a lavorare sulla copia della Giratempo che non è stata
sequestrata).
In questo capitolo, quindi, Rodolphus è ad Azkaban e sta
finendo di scontare la sua pena, uscirà il 30 settembre 2015. Se vi interessa
conoscere i dettagli di questa vicenda, trovate tutto nei capitoli 74 e 75 di Kintsugi (li
potete seguire senza aver letto la long), anche se ai fini della trama rilevano
solo due cose: i fratelli Lestrange sono in ansia perché lasciano la mamma a
casa da sola in attesa della scarcerazione del papà e sentono questa profezia
incombere sulle loro teste.
I personaggi li scopriremo man mano nel corso dei capitoli.
Se avete dubbi, domande, curiosità, come sempre, sono a disposizione. I
commenti sono sempre graditi, soprattutto perché sono fuori confort zone e quindi
mi fa piacere conoscere le vostre impressioni.
Ci vediamo giovedì prossimo con il prossimo capitolo!
Sappiate che la long sarà composta da otto capitoli e io sto scrivendo il capitolo
sette, quindi direi che la vedrete completa.
Un abbraccio,
Sev
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
Hogwarts,
1° ottobre 2015
Roland
alzò lo sguardo ancora assonnato dal piatto della colazione. Nascose uno
sbadiglio dietro la mano e cercò di sorridere a Lucile nonostante gli occhi
stanchi. Era bellissima con i capelli raccolti in una treccia ordinata e gli
occhi azzurri che lo fissavano.
“Lestrange,
sei un disastro!” commentò scambiandosi uno sguardo divertito con Edith Yaxley,
la sua migliore amica.
“Ho
iniziato a leggere un libro di storia della Magia e non mi sono reso conto del
tempo che passava,” confessò a entrambe prima di prendere un sorso di tè.
“Hai
fatto le ore piccole per Storia della Magia?” domandò sorpresa.
Riusciva
a capire perfettamente lo stupore di Lucile: tutti odiavano Storia della Magia,
la trovavano una materia inutile e noiosa, ma a lui interessava un sacco e si
appassionava alle rivolte dei Goblin e le guerre magiche che c’erano state. Le
trovava istruttive e ricche di spunti per decifrare il presente.
“Sì, ho
preso in biblioteca alcuni testi sui negoziati che hanno portato alla firma dello
Statuto di Segretezza. Sono più attuali di quello che si crederebbe, ma ora
sono a pezzi.” Un altro grosso sbadiglio gli impedì di finire la frase. Accanto
a lui arrivò Rabastan, immerso in un altro dei suoi romanzi di avventura.
“Ma ogni
tanto tu studi?” gli domandò scrutando la copertina del libro che risentiva
delle attenzioni morbose del fratello. Era il romanzo preferito di Rabastan e
Roland aveva perso il conto delle volte che glielo aveva visto in mano.
“Finora
ho preso solo E e O. Direi che va bene, no? È che mi annoio…” Rabastan sospirò
alzando gli occhi al cielo, “Se solo ci fossero le selezioni per la squadra di
Quidditch… Potrei allenarmi e avrei meno tempo per annoiarmi!”
“Le
faremo! Abbiamo avuto il campo per ultimi perché il professor Pucey ha
dimenticato di prenotarlo! Domenica faremo le selezioni, quindi se vuoi avere
una chance, pensa ad allenarti!” Roland sbuffò e vide Lucile ridere con le sue
amiche. Avvertì una stretta allo stomaco e le sorrise in rimando.
“Bonjour
mes frères!” sospirò Roddie sedendosi accanto a Rabastan.
“Alla
buon’ora, sei in ritardo!” gli disse Roland con un altro sbadiglio.
“Non
sono né in ritardo né in anticipo. Sono arrivato al momento in cui intendevo
arrivare. Ovvero quando alcuni hanno già liberato il tavolo…” esclamò versandosi
il tè impettito. Alzò gli occhi al cielo mentre i gufi entravano nella Sala
Grande, “…e perfettamente in orario per la posta!”
“Aspetti
posta?”
Rodolphus
scosse la testa e gli rivolse un’occhiataccia: “Ti sei scordato che ieri papà
tornava a casa? Certo che aspetto posta! La mamma ci avrà scritto!”
Antares,
il vecchio gufo di mamma, si appollaiò davanti Rodolphus e gli posò una lettera
sul tavolo. Roddie gli offrì un biscotto e gli accarezzò la testa dicendogli:
“Salutami la mamma.” Lo osservò volare via e poi tornò a concentrarsi sulla
lettera.
“Guarda
che la lettera non è indirizzata solo a te!” gli disse Rabastan strappando la
busta dalle mani del fratello. Indicò l’intestazione. “C’è scritto Roland,
Rodolphus e Rabastan Lestrange! La mamma ha scritto a tutti e tre!” esclamò
sottolineando con il dito il suo nome sulla busta che aprì con la sua solita
delicatezza.
“Cari
ragazzi,
come
previsto, papà è tornato a casa ieri mattina e sta bene. Azkaban senza i
Dissennatori è molto più sopportabile, dice, ma sarebbe carino se gli mandaste
un pensiero da Mielandia. Sente molto la vostra mancanza e il castello è sempre
così vuoto quando non ci siete. Vi ho messo ben dieci Galeoni che potete usare
per comprare un pensiero a papà e divertirvi ai Tre Manici di Scopa.
Abbiamo ricevuto
la visita a sorpresa di Delphini che a fine ottobre partirà per il suo ultimo
anno a Durmstrang. Ha detto che si tratterrà per qualche giorno a Hogsmeade,
quindi sappiate che potreste incontrarla.
Fortunatamente,
il matrimonio di Orion e Sybil ci sta impegnando abbastanza. Non vediamo l’ora
di rivedervi a Yule. Mi raccomando, fate i bravi, studiate, scriveteci e
divertitevi per quanto potete. Hogwarts è un posto magico, anche quando tutto
il mondo è contro di voi. Vi salutano tanto anche zio Rabastan e zia Pucine.
Philomène è entusiasta di Beauxbatons mentre Cyrille è seccato dall’essere
rimasto solo ad annoiarsi in Francia.
Lo zio
vi manda a dire di continuare a esercitare il polso e i movimenti della
bacchetta.
Vi
abbraccio forte,
la
vostra mamma.”
“Dieci
Galeoni? La mamma è impazzita!” esclamò Rabastan.
“Lo sai
che la mamma non bada a spese quando si tratta del papà. Poi…” disse Roland,
abbassò la voce per non farsi sentire, “dopo un anno ad Azkaban avrà bisogno di
consolarsi.”
“Secondo
me, la mamma lo sta consolando benissimo. Staranno tutto il tempo a
sbaciucchiarsi… bleah!” esclamò Rabastan con l’aria schifata. Aveva ragione
Rabastan, i suoi genitori si sbaciucchiavano non appena loro voltavano la
testa, ma Roland aveva smesso di trovare la cosa schifosa, specie da quando
Orion si era fidanzato con Sybil e Lucile aveva iniziato a sorridergli in quel
modo.
“Cosa
possiamo comprare per papà?” domandò Roddie che, come al solito, avrebbe già
voluto esaudire la richiesta della mamma. “Direi che possiamo pensarci quando
andremo a Hogsmeade, che ne pensate? Sabato 17 è la prima uscita.”
Roland
si congedò dai fratelli e si alzò da tavola, diretto verso l’aula di
Incantesimi per la sua prima lezione. Si trascinò di lezione in lezione, prendendo
appunti a fatica fino all’ora di pranzo, quando tornò nel dormitorio per
recuperare una delle pozioni miracolose della mamma. Riuscì a salvare il
pomeriggio e il resto della serata.
Si
parlava delle selezioni di Quidditch e, in qualità di Capitano di Serpeverde, aveva
messo a punto la strategia per vincere la Coppa delle Case. Sperava solo di
riuscire a trovare un Cacciatore abbastanza veloce e abile nel volo e per di
più doveva sostituire anche il ruolo di Portiere.
“Ho
parlato con Pucey, mi ha confermato di aver prenotato il campo,” disse a Doyle
Bulstrode, il Cacciatore che era in attesa del suo nuovo compagno e che
dall’inizio dell’anno lo pressava per le selezioni. Doyle aveva ragione. C’era
bisogno di lunghi allenamenti per trovare il giusto affiatamento tra i Cacciatori,
così come per Roland e Hawk era stato lo scorso anno in qualità di Battitori.
La dimenticanza del professor Pucey aveva creato non poco scompiglio nella
squadra che si era vista il campo soffiato da tutte le Case e Serpeverde, per
la prima volta, era rimasta in coda.
“Ovviamente
non mi sono fidato di Pucey, pare che sia sovrappensiero perché sta lavorando a
un filtro o a un articolo, non ho capito… Insomma, sono andato da Madame Hooch
a verificare e mi ha confermato che il campo è nostro questa domenica.”
“Hai già
un’idea per i candidati? Tuo fratello come vola? Mi sta pressando dal primo settembre…
Direi che se vola come rompe le scatole è un Cercatore perfetto. Ho dovuto
resistere alla tentazione di lanciargli contro un Bolide per liberarmene.” Hawk
si passò le mani tra i capelli biondi mentre i suoi occhi azzurri lo osservano,
pronto a rispondere a qualsiasi reazione.
Roland
scoppiò a ridere: “Mio fratello fa questo effetto. Buona l’idea del Bolide! È
bravo a volare, ma non voglio dargliela vinta facilmente, deve meritarsi il
posto in squadra, altrimenti non me lo tolgo più dai piedi.”
“Allora
lo faremo penare,” aggiunse Doyle Bulstrode, “ricordo benissimo quanto ho
penato per diventare Cacciatore lo scorso anno.”
“Beh ma
è un ruolo importante il tuo,” disse Hawk.
“Sono
tutti ruoli importanti,” lo fermò Roland, “se vogliamo togliere quel sorrisino
del cazzo alla Weasley ogni volta che mi incontra, dobbiamo vincere tutte le
partite. Voglio che questa scuola torni ad essere verde e argento.”
Doyle
scoppiò a ridere, seguito da Hawk: “questo è parlare, Lestrange!”
***
Biblioteca
di Hogwarts, 1° ottobre 2015
Roxanne
era alle prese con un complicato esercizio di Trasfigurazione. Alzò lo sguardo
alla ricerca di Fred, forse lui avrebbe potuto aiutarla a trasfigurare quel
porcospino in un puntaspilli. Era distratta perché continuava a pensare a come
sarebbe stato trasfigurare il sedile di una sedia in un puntaspilli, ma con gli
spilli all’insù, così chi si sedeva distrattamente saltava per aria.
Quel
pensiero le provocava una risatina nervosa e le attirava gli sguardi
infastiditi dei vicini di tavolo. Peter la guardò malamente e le sussurrò
stizzito di smetterla di ridere da sola. Roxanne strizzò gli occhi e pensò che
avrebbe potuto sperimentare proprio con la sedia di quel rompiscatole di Peter
Davies. Si concentrò sulla forma dell’oggetto, agitò la bacchetta immaginando
la trasformazione che avrebbe dovuto subire. Si soffermò sulle caratteristiche
degli spilli, sulla loro posizione, proprio sotto il sedere di Peter e su
quanto li volesse appuntiti.
“Puntum
fibula,” mormorò sottovoce.
Osservò
la sedia attentamente ma non accadde nulla. Stava per posare la bacchetta
delusa quando Peter si grattò il sedere e si alzò, guardando perplesso la sedia
su cui era seduto. Roxanne cercò di tenerlo d’occhio e si nascose dietro un
libro quando vide che il sedile era ricoperto da quelle che sembravano pustole
appuntite. Non erano gli spilli che aveva immaginato, ma si disse che ci si
poteva lavorare su.
“Lo sai
che dovresti piantarla con questi scherzi?”
La voce
di Victoire le arrivò come un sussurro mentre la cugina si sedeva accanto a lei
e tirava fuori libri e pergamene. “Perché te la prendi sempre con Peter?”
“Io non
me la prendo sempre con Peter, è solo che è una cavia divertente,” sghignazzò chiudendo
il libro di Incantesimi per passare a Difesa contro le Arti Oscure.
“Dai,
lui ha pure un debole per te, non ti sembra di essere crudele?” le domandò
Victoire. Era seduta accanto a lei e la osservava con il suo solito sorrisetto
mentre apriva il libro di Pozioni Avanzate.
“Non ha
nessun debole per me,” le disse Roxanne scrollando le spalle. Alzò lo sguardo
verso Peter e i loro occhi si incrociarono per un istante. Peter le sorrise
mentre cercava di venire a capo del mistero della sua sedia. Roxanne abbassò lo
sguardo e le sembrò di vederlo in modo diverso.
“Lo dici
tu,” le sussurrò Victoire, “Emma, che è sua sorella, dice che a casa ti nomina
in continuazione e guardalo…”
“Ma dai,
vi state facendo dei castelli in aria, lui mi rimprovera sempre e non ha il
minimo senso dell’umorismo.” Roxanne scuoteva la testa. Si passò una mano tra i
ricci che le scendevano sulla fronte e legò quelle ciocche indomabili con una
matita. Victoire, accanto a lei, scrollò le spalle si buttò a capofitto sul
ripasso di Pozioni. “Sabato vuoi unirti a me e Teddy ad Hogsmeade?” le domandò.
Evidentemente Roxanne non era l’unica ad avere problemi di concentrazione in
quella biblioteca.
“Solo se
non passate tutto il tempo a pomiciare, altrimenti mi infilo da Zonko con Fred
e spiamo la concorrenza di papà.”
Studiarono
per tutto il pomeriggio. Vennero raggiunte anche da Molly e Lucy che si
installarono al tavolo di fronte loro. I posti restanti vennero occupati da
James, Louis, Dominique e Fred e presto l’intero clan Weasley-Potter fu
riunito.
Poco prima
della chiusura della biblioteca arrivò Teddy a prendere Victoire: “Immagino che
sarà complicato trovarti da sola quest’anno,” le disse salutando tutti.
Victoire sorrise, chiuse i libri e li salutò, avvisando che si sarebbero
ritrovati in Sala Grande per la cena.
“Ha già
finito i compiti?” domandò Louis perplesso.
Dominique
gli diede un colpetto sulla spalla dicendogli che non capiva niente. Roxanne
scoppiò a ridere nel vedere lo sguardo ancora più perplesso che Louis e James
si scambiarono. Fred, che si era assunto il compito di istruire i cugini, disse
loro: “Vogliono stare un po’ insieme prima di cena. Stando in Case diverse è
difficile per loro sbaciucchiarsi dopo cena.”
Il bleah!
in coro di James e Louis fece scoppiare l’intero tavolo in una risata, mentre
Madama Quills, la bibliotecaria, arrivò a rimproverarli facendo piombare di
nuovo la biblioteca in un silenzio interrotto solo dal fruscìo delle pagine. Alla
chiusura, i cugini iniziarono a defluire verso la mensa e Roxanne venne
richiamata dalla voce di Peter.
“Sei
stata tu, vero?” le domandò.
“Non
capisco.” Roxanne finse stupore mentre osservava lo sguardo corrucciato di
Peter con cui stava ricordando quanto accaduto.
“A
modificare il mio sedile,” precisò, “Sul momento non ho capito, ma è stato
geniale ed è stato difficile far tornare il sedile come prima. Sei brava.”
“Insomma,
mica tanto, non è uscito come volevo.”
“Ah-ha!
Allora avevo ragione!”
Peter le
sorrideva ridacchiando tra sé e sé e Roxanne si disse che non era poi così un
rompiscatole. Era sveglio e ora che sorrideva sembrava persino tenero. Alzò le
mani in segno di resa, con l’aria divertita e gli disse: “Mi hai beccata! È
stato divertente!”
“Mi
piacerebbe non essere la vittima, una volta ogni tanto! Magari apprezzerei di
più la genialità dei tuoi incantesimi.” Peter si stava mordendo un labbro
mentre sorrideva e Roxanne si disse che doveva smetterla di farsi condizionare
da Victoire.
Alzò le
sopracciglia e gli disse complice: “Vedrò cosa posso fare, Davies!” Lo lasciò
là, mentre dei suoi compagni di Casa lo stavano chiamando e lei accelerava il
passo per raggiungere Lucy che si era fermata ad aspettarla.
“Sul
serio, Davies? Per Godric, Roxanne…” esclamò la cugina alzando gli occhi al
cielo. Roxanne scrollò le spalle e non disse niente, nascose il sorriso che le
era spuntato tra le ciocche di capelli. “Hai un’idea migliore? Tipo Samuel?” le
domandò.
Lucy
sospirò. “Mi ha chiesto di uscire con lui sabato, di andare insieme ad
Hogsmeade.”
“Pensi
di accettare?” Roxanne la guardò di sottecchi con un sorriso sul volto. Era
evidente che Lucy moriva dalla voglia di uscire con Samuel. Il loro
punzecchiarsi in sala comune aveva dato adito a una serie di scommesse e
Roxanne aveva appena vinto contro Fred. Suo fratello, che non capiva niente,
come gran parte dei ragazzi, sosteneva che Lucy desiderasse solo affatturare
Samuel e che si trattenesse perché lui era un Prefetto.
“Gli ho
detto di sì, in effetti.”
“A cosa
devo l’onore di questa confidenza?”
“Beh…
diciamo che sarà impossibile tenere riservata una notizia del genere. A
differenza di te e Davies, noi siamo nella stessa Casa.” Roxanne pensò ai due
Galeoni che si sarebbe fatta dare quella sera da Fred. Scosse la testa e
puntualizzò: “Ehi, non c’è nessun me e Davies. Non farti strane idee…”
“Avrò
bisogno di aiuto con Fred. Sai come diventa quando una di noi esce con un ragazzo.
Ancora mi ricordo quando quel Serpeverde mi ha chiesto di uscire…” disse Lucy preoccupata.
“Ehi! Ma
Flint non conta! È un viscido e Fred aveva ragione in quel caso. Ti ha salvato
la vita!” obiettò Roxanne. La reazione di Fred contro Hawk Flint aveva fatto la
storia nella Torre di Grifondoro. Fred gli era andato incontro in pieno inverno
e lo aveva fatto correre per tutti i prati inseguito da una Caccabomba
saltellante che aveva inventato per l’occasione e un esercito di palle di neve
stregate, finché lui non avesse giurato che non avrebbe mai più pensato di
invitare ad uscire una delle sue cugine.
“Esagerata!
Io mi sarei fatta volentieri un giro con Flint.”
Roxanne
aprì la bocca sconvolta per una battuta che non era assolutamente da Lucy
Weasley. “Un giro per Hogsmeade, intendo, non essere perversa!”
“Sei tu
che sei allusiva! Cosa fai tiri il sasso e nascondi la mano?”
“Come te
con Davies? Ti piace far spuntare spilli sulle sedie per guardargli il sedere,
eh?” ridacchiò prima di correre verso la Sala Grande. Arrivarono al tavolo tenendosi
lo stomaco per le risate, gettarono le borse sotto le panche mentre si sedevano
continuando a ridere.
“Come
mai ridete così?” domandò Victoire con un sopracciglio alzato e l’aria di chi
volesse assolutamente essere tenuta al corrente di ogni cosa. Lucy scrollò le
spalle e spiegò: “Roxanne è in fissa con il sedere di Davies!”
“Cosa?”
Victoire guardò la cugina e, ricordandole la conversazione di quel pomeriggio in
biblioteca, le domandò sarcastica: “Poi siamo io ed Emma a farci i castelli in
aria, eh?” Roxanne scosse la testa sospirando: le sue cugine l’avrebbero presa
in giro a non finire per quella storia.
Quando
Peter entrò in Sala Grande, Roxanne volle sprofondare.
Victoire,
Lucy e Dominique, che aveva origliato la conversazione, allungarono il collo
per guardare Peter Davies che scavalcava la panca per sedersi vicino i suoi
compagni di casa.
“Cosa
guardate?” domandò Samuel Finnigan, sedendosi accanto a Lucy.
Victoire,
senza distogliere lo sguardo da Peter disse: “Il sedere di Davies.”
“Gli è
scomparso?” domandò Samuel.
“Oh no,
è proprio lì, e non è niente male…” mormorò Dominique.
Fu Molly
a portare un po’ di ordine al tavolo in contemporanea con la comparsa delle
deliziose pietanze preparate dagli elfi della scuola: “Insomma, un po’ di
contegno!”
Lucy
sussurrò a Samuel: “Poi ti spiego.”
La cena
trascorse con le solite battute e risate, con Fred che raccontava i segreti del
castello a Louis e James e Roxanne ogni tanto alzava lo sguardo verso il tavolo
di Corvonero.
Alla
fine della cena, Molly la prese da parte e le chiese se le andasse di farle
compagnia durante la ronda notturna. Roxanne acconsentì perché sapeva che Molly
avrebbe voluto mostrarle i suoi schizzi.
Il sogno
di sua cugina era quello di seguire le orme di sua mamma Audrey e diventare
un’illustratrice. Era riuscita persino a disegnare le decorazioni di un paio di
prodotti dei Tiri Vispi Weasley, mentre zia Audrey curava molte delle nuove
collezioni.
Camminavano
lungo i corridoi del terzo piano, tra le aule chiuse e i ritratti appesi alle
pareti che sonnecchiavano, quando sentirono un rumore. Sembravano passi nel
corridoio, un fruscio di abiti. Molly estrasse la bacchetta: “Vieni avanti.”
Rimasero
di sasso quando videro quel sorriso sghembo avanzare verso loro. Era
divertito e con le mani in alto: “Mi avete beccato!” esclamò, “complimenti!”
Ridacchiò, “quando era vivo non era semplice beccarmi, ma suppongo di essere
fuori allenamento.”
Molly e
Roxanne si guardarono per avere la conferma che entrambe avessero visto la
stessa cosa e poi si voltarono di nuovo verso quella figura. Fu Roxanne a
domandare incredula: “Zio Fred?”
“Proprio
io!” esclamò allegro. Le guardava con le mani infilate nelle tasche e l’aria di
chi si stesse gustando le loro espressioni, come se il tutto fosse uno scherzo
ben riuscito.
“Ma cosa
ci fai qui? Perché non vai da papà?” gli domandò Roxanne.
Fred
scrollò le spalle e disse solo: “Non posso andare da George, gli spezzerei il
cuore, e poi mi hanno evocato qui e non potevo resistere alla tentazione di
dare una sbirciatina ai miei nipoti.”
Molly sembrava
in difficoltà. Roxanne non l’aveva mai vista in quello stato.
“Fred,
non hai idea di quanto papà vorrebbe rivederti…” sussurrò Molly con un filo di
voce.
“Sei
diventata Zuccaposcuola proprio come lui, eh?” le domandò divertito.
Roxanne
ebbe la sensazione che volesse sdrammatizzare i toni dell’incontro, come se
fosse normale per loro incontrare lo zio morto durante la battaglia di Hogwarts
mentre era a spasso per i corridoi della scuola dopo il coprifuoco. Molly non
riuscì a trattenere le lacrime e gli disse: “Mi dispiace, mi dispiace, io sono
nata un mese dopo ed è colpa mia se papà non è tornato prima a casa.”
Fred le
si avvicinò e si chinò a guardarla negli occhi. Roxanne avrebbe detto che
l’avrebbe abbracciata se avesse potuto, così fu lei ad accarezzare la schiena
della cugina che stava singhiozzando.
“Ehi,”
le sussurrò, “tuo padre mi ha fatto ridere prima di morire e non potrei essere
più felice di così. Sono contento che lui sia rinsavito e ho capito che era
tornato in sé molto tempo prima che tornasse a casa. Erano tempi complicati, e
lui se non ha un piano da seguire va in confusione. Tranquilla. So tutto.
Quando vai di là, è come se ti dessero il libro con tutte le risposte alle
domande della vita. So anche a cosa serve la linguetta delle lattine.”
“A cosa
serve?” domandò Roxanne.
“A
reggere la cannuccia,” rispose Fred, “incredibile, vero?” Le guardò entrambe e
disse loro: “Sono felice di avervi incontrate. Spero di riuscire a incontrare
anche il piccolo Fred, vorrei dirgli che, anche se io sono più bello, lui è un
degno sostituto. Poi, chiedete a Teddy la Mappa del Malandrino, vi aiuterà ad
evitare di finire nei guai e a trovare tutti i passaggi segreti.”
“Li
hanno chiusi i Carrow,” rispose Molly tirando su con il naso. “Sei un
fantasma?”
“Non
tutti sono stati chiusi. Io sono andato avanti, non sono un fantasma. So a cosa
servono le linguette delle lattine. Non so perché sono finito qui, qualcuno mi
ha evocato. Ora, però, devo andare, chissà se ci rivedremo!” Sorrise e sparì
dissolvendosi come una nuvola di vapore.
Roxanne
abbracciò Molly che tremava come una foglia. Non avrebbe mai detto che
esistesse qualcosa o qualcuno in grado di sconvolgere tanto la Caposcuola di
Grifondoro.
La morte
di Fred, tuttavia, era un argomento spinoso, anche a distanza di anni. Molly
era nata un mese dopo la battaglia di Hogwarts, il 2 giugno del 1998. Da quello
che Roxanne aveva saputo, la gravidanza di zia Audrey era stata complicata
dalla presenza dei Dissennatori su Londra.
“Se solo
papà sapesse…” mormorò Molly. “È che quei giorni erano così difficili! La mamma
stava male, il papà era preoccupato per la situazione al Ministero, i
Mangiamorte cercavano i Weasley e lui aveva così paura che potesse accaderci
qualcosa! Mamma mi ha raccontato che la sera della battaglia di Hogwarts hanno
litigato e lui si è materializzato a Hogsmeade insieme ad alcuni colleghi del
ministero contro il suo volere. Lei si è sentita in colpa per tutto il tempo al
pensiero che sarebbe potuto morire prima di conoscermi, e quando lui le ha
raccontato che ha visto suo fratello morire lei è stata male.” Parlava senza
prendere fiato e ripercorreva quei giorni che loro non avevano vissuto ma che
avevano condizionato le loro vite.
Roxanne
ricordava il borbottio di sua mamma quando andavano alla Tana e suo papà
sentiva la mancanza del fratello, e poi vedevano Percy arrivare con zia Audrey
e Molly. Sua mamma diceva che Molly era stata chiamata così per chiedere scusa
alla nonna di quegli anni di follia di zio Percy. Sua cugina si era sempre
sentita il peso di quella colpa dentro di sé. Abbracciò Molly stringendola
forte a sé. “Coraggio. Hai sentito zio Fred? Va tutto bene… Torniamo in sala
comune.” Molly annuì e mentre si asciugava le lacrime mentre recuperava
lucidità disse solo: “Chissà come ha fatto a tornare. Dovremmo scoprirlo.”
***
Dopo
cena, Roland incontrò Nigel Smith, il Prefetto di Tassorosso al quale era stato
abbinato per il turno di ronda. Era stata l’ultima trovata della Preside, per
evitare che venissero tolti punti in modo arbitrario: sorteggiavano i Prefetti
che facevano le ronde impedendo a Prefetti della stessa Casa di girare insieme.
Il risultato, però, era che tutti erano concordi nel togliere punti a
Serpeverde, mentre Serpeverde aveva il cane da guardia contro le infrazioni
delle altre Case.
Nigel era
un ragazzo a posto, uno studioso indefesso, grande appassionato di
Trasfigurazione, aveva il vizio di aggiustarsi i capelli castani in
continuazione. Le ronde con lui non erano male, rispetto a quella piattola di
Goldstein o quel Finnigan che gli parlava solo di Erbologia.
“Tu hai
già deciso cosa fare dopo Hogwarts?” gli domandò mentre camminavano
nell’ennesimo corridoio deserto. “L’anno scorso all’orientamento mi hanno detto
che potrei fare domanda per un tirocinio al Dipartimento del Trasporto Magico.
Sarebbe interessante occuparsi di Metropolvere e Passaporte.”
Roland
lo guardò con un sopracciglio alzato. Scrollò le spalle incerto e disse: “Sì,
suppongo di sì. Non lo so, mi avevano consigliato l’Ufficio Applicazione Legge
Magica. Mia mamma lavora al Wizengamot, mio fratello lavora invece all’Ufficio
Misteri.”
“Tuo
fratello è un Indicibile?”
“Sì,
infatti non parla mai del suo lavoro e so che ha dovuto studiare moltissimo per
essere ammesso.”
“Wow!
L’Ufficio Misteri è figo!”
“Beh,
anche il Trasporto Magico non è male. Voglio dire, è essenziale, specie quando
ci sono le Coppe del Mondo di Quidditch, le elezioni, o quando si tratta di
collaborare con il Dipartimento Auror.” Cercava di mantenere un buon rapporto
con Smith, anche se trovava stupido l’interesse per il trasporto magico. Odiava
il pensiero che il Ministero controllasse i camini e le Passaporte, che nessun
mago potesse far visita a un altro mago o andare a trovare un parente lontano
senza che il Ministero lo venisse a sapere. Suo padre e zio Rabastan facevano
bene a usare le Passaporte illegali, ma questo Roland non l’avrebbe mai detto a
Smith.
“Mi
sarebbe piaciuto fare l’Auror…” ammise Nigel, “ma non ho raggiunto i voti
necessari in Pozioni e Difesa contro le Arti Oscure.”
“Ti
piacerebbe prendere la gente e rinchiuderla ad Azkaban?” gli domandò serio. Strinse
la mano intorno l’impugnatura della bacchetta e si disse di respirare, di
pensare a sua madre quando assisteva ai processi contro i Mangiamorte. Recuperò
la calma e lasciò la bacchetta. Aveva fatto bene a non dire nulla sulle sue
riserve sulle Passaporte. Sua mamma aveva ragione: occorreva restare sul vago e
non approcciarsi ad argomenti tabù se non si avevano elementi per fidarsi di un
mago. Bastava un sospetto per una perquisizione e suo papà era già stato tre
volte ad Azkaban.
Nigel
deglutì. Si era accorto di aver toccato un terreno minato, sorrise nervoso.
“N-no,” balbettò, “è solo che è un lavoro prestigioso e ambito e mi sarebbe
piaciuto farne parte, ma non ho i G.U.F.O. sufficienti e quindi il problema non
si pone.”
“Alla
fine saresti stato solo un burattino nelle mani del Ministro della magia,
meglio così, il Trasporto Magico è sottovalutato,” gli disse per chiudere il
discorso.
Certo,
tutti sognavano di diventare come il grande Harry Potter. Tutti, ad eccezione
di coloro che avevano sperimentato sulla pelle cosa significasse vedere un
membro della propria famiglia finire ad Azkaban. Si salutarono nell’atrio,
Roland vide Nigel avviarsi verso la sala comune di Tassorosso, mentre lui prese
le scale che portavano verso quella di Serpeverde. Il corridoio dei sotterranei
era immerso nel buio, solo qualche torcia era accesa e proiettava ombre
tremolanti sulle pareti di pietra. Roland sentì una risata, era come se una
ragazza stesse ridendo, sguaiatamente, come se si facesse beffe di qualcuno.
“Chi
c’è? Fatti vedere!” esclamò puntando la bacchetta.
Una
figura di donna comparve davanti ai suoi occhi. Sbatté le palpebre temendo
fosse un’allucinazione, ma la donna continuava a ridere e guardarlo
sfrontatamente.
“Roland
Lestrange, è così?” gli domandò andando incontro.
Roland
strizzò gli occhi per mettere meglio a fuoco la figura nella penombra. L’aveva
vista da qualche parte: “Tu sei…”
“Bellatrix.
Bellatrix Lestrange,” esclamò fiera. “O dovrei dire, Bellatrix Black, visto che
tuo padre adesso ha un’altra moglie.”
“Non è
possibile… Tu sei morta.”
“Proprio
così. In questa scuola, uccisa da quella traditrice del sangue magico di Molly
Weasley. Puah! E ora sono costretta a vedere la sua insulsa progenie infestare
i corridoi di questa scuola!” esclamò con disgusto.
“Sei un
fantasma?”
“Non dire
sciocchezze! Io sono andata oltre!”
“Cosa ci
fai qui, allora?” Roland non riusciva a capire quanto stava accadendo.
Bellatrix era morta da anni, cosa ci faceva il suo spirito? Il suo fantasma? La
sua immagine fluttuante? Insomma, cosa ci faceva per i corridoi della sua
scuola?
“Qualcuno
mi ha evocato,” spiegò lei, continuando ad avvicinarsi a lui, fiera, con le
palpebre semichiuse e un sopracciglio alzato come se si stesse facendo beffe di
lui. “Vedo che non hai preso da tua madre, ma da quel buono a nulla di
Rodolphus, sei tonto come lui se mi fai tutte queste domande.”
Roland fu
colto da un sospetto. Impugnò la bacchetta e domandò serio: “È uno scherzo?
Stupeficium!” La luce rossa dello Schiantesimo oltrepassò il corpo di Bellatrix
lasciandola intatta e facendola scoppiare a ridere: “Sei pure permaloso come
Rod! Adesso sì che mi divertirò!”
Roland
indietreggiò, ma poi si disse che non doveva avere paura, perché Bellatrix era
morta e non poteva fargli del male. Non sentiva la magia oscura che aveva percepito
durante le lezioni fatte quell’estate con zio Rabastan. Intorno a sé c’era solo
l’opprimente e sempre più ingombrante presenza oscura della morte, una forza
misteriosa e terrificante, in grado di gelare il sangue nelle vene.
“Allora,
com’è essere il primo figlio di tuo padre e non essere il fratello maggiore?”
gli domandò Bellatrix osservandolo attentamente. Roland non rispose, lei
continuò con le sue domande, sempre più divertita, con l’aria di un gatto che
ha appena trovato un topolino con cui giocare e Roland odiava la sensazione di
essere il topolino. “Com’è essere in competizione con uno che nemmeno porta il
tuo cognome? E tuo padre è andato ad Azkaban per Crouch, avrebbe fatto lo
stesso per te? Suppongo di no, ti avrebbe detto di prenderti le tue
responsabilità.”
Roland
sentiva la rabbia crescere in sé. “Stai zitta! Orion è mio fratello e mio padre
ci ama tutti!”
Bellatrix
scoppiò a ridere. “Come quella volta in cui stavi annegando mentre lui era
impegnato a parlare con Orion?”
“È stato
un incidente…” mormorò a denti stretti. Come faceva quella donna a sapere tutte
quelle cose?
“Rod è
deludente sotto tanti aspetti, prima te ne accorgi, meglio è. Ho sempre detto
che non avrebbe dovuto avere figli. Vedi? Nessuno di voi è all’altezza di Orion
e Delphini. Siete usciti tonti come lui, Alex doveva darmi retta…”
Roland
sentì le lacrime premere contro gli occhi. Fece dei respiri profondi mentre
sentiva di perdere il controllo. Nonostante le lezioni di autocontrollo di zio
Rabastan che cercava di richiamare alla memoria. Urlò: “Sparisci!”
La
bacchetta stretta in mano emise delle scintille e Bellatrix scoppiò a ridere e
scomparve.
Il
corridoio tornò vuoto, buio e spettrale, come al solito. Roland sguainò la
bacchetta, i sensi all’erta, le orecchie in ascolto. Si avviò verso la sala
comune. Una volta dentro, intercettò lo sguardo di Roddie che gli chiese:
“Com’è andata la ronda?”
“Come al
solito. Vado a letto.” Lo disse con fatica prima di correre in dormitorio.
Si buttò
sotto la doccia sperando che l’acqua calda portasse via il ricordo di Bellatrix
e di quello che gli aveva appena detto.
No, era
uno scherzo. Era un dannato scherzo. Suo padre amava i suoi figli e la mamma gli
aveva sempre detto quanto fosse stato felice, e orgoglioso nel momento in cui
lo aveva preso in braccio per la prima volta. Roland era il figlio che
Rodolphus aveva aspettato per più di venti anni. La mamma gli aveva detto che
il pensiero che un giorno lui sarebbe arrivato e che il ramo dei Lestrange
sarebbe cresciuto aveva aiutato suo padre a sopravvivere ai Dissennatori di
Azkaban. Quello che diceva Bellatrix non aveva senso.
Eppure.
Eppure, Rodolphus aveva letto le favole per la prima volta a Orion. C’era un
rapporto speciale tra loro, unico, diverso da quello che Rodolphus aveva con i
suoi figli. Sembrava che suo padre avesse un occhio di riguardo per Orion,
sempre. Sospirò.
Cos’era
quella specie di fantasma? Perché era apparsa? Chi l’aveva evocata? Perché
c’era quell’alone di terribile oscurità intorno a quella figura spettrale?
Roland
passò una notte orribile, girandosi e rigirandosi nel letto in preda agli
interrogativi, mentre nei suoi sogni tornava a far capolino quello sguardo di
scherno. Comparvero anche i suoi genitori, Orion e Delphini, che assumevano la
stessa espressione di Bellatrix e lo prendevano in giro perché non aveva capito
nulla. Rodolphus si diceva deluso da lui: dopo tutti gli insegnamenti, era
evidente che non avesse imparato nulla, al contrario di Orion che si era
rivelato un figlio decisamente migliore.
Si
svegliò di soprassalto, sudato e tremante, mentre il respiro gli mancava.
Barcollò fino in bagno e si buttò sotto la doccia. Di nuovo. Aveva bisogno di
riprendersi per poter affrontare la giornata.
Corse in
biblioteca, prima ancora di andare a fare colazione e volò nel reparto sulle
Creature Magiche. Cercò: Fantasmi, Spiriti e altre creature evanescenti,
ma al suo posto trovò la targhetta che avvisava che il libro era stato preso in
prestito.
“Dannazione.”
Si passò
una mano tra i corti capelli neri e si disse che avrebbe provato con Storia
delle apparizioni misteriose a Hogwarts. Anche quello era assente. Tipi
di Fantasmi e origine del loro nome. Assente. Si recò nel reparto proibito con
un permesso del Professor Pucey che non aveva ancora esibito e chiese a Madama Quills
di prendergli Evocare i Morti, Defunti dall’Aldilà e Apparizioni
misteriose: tutti i modi in cui i morti parlano con noi. Oltre a Veleni
potenti e loro rimedi, che era il solo libro per cui Pucey aveva firmato il
permesso.
Madama Quills
tornò con il libro sui veleni e gli disse che gli altri libri erano stati tutti
già presi in prestito. Roland si trascinò sconfortato in Sala Grande per una
colazione veloce per poi andare a lezione, quel giorno aveva Erbologia e poi Difesa
contro le Arti Oscure.
“Dov’eri?”
gli domandò Rabastan vedendolo arrivare tardi.
“Sono
andato in biblioteca a prendere un libro per una ricerca di Pozioni,” mentì.
“Sei
strano. Sei sicuro che non è successo niente?” gli domandò Roddie, comparso
accanto al fratello. Roland sorrise al pensiero che ai suoi fratelli non
potesse nascondere nulla. Erano svegli, nonostante fossero più piccoli. Si
disse che doveva metterli in guardia, senza spaventarli, ma comunque dovevano
essere pronti. Come avrebbero reagito se si fossero trovati di fronte Bellatrix
senza preavviso come era successo a lui? Lei si sarebbe fatta beffe di lui
un’altra volta perché non era stato nemmeno in grado di avvisare i suoi
fratelli?
“Dobbiamo
trovare un posto tranquillo dove parlarne.”
“Dopo le
lezioni in sala comune non c’è nessuno. Ci vediamo lì?” domandò Roddie. Roland
e Rabastan annuirono all’unisono.
Le
lezioni di Erbologia erano un tormento.
Non solo
perché il professor Longbottom era un ex Grifondoro che amava ricordare i sacrifici
della guerra, ma anche perché lo odiava. Roland lo sapeva. Lo aveva capito dal
modo in cui non lo fissava mai, non pronunciava mai il suo nome, e persino
quando alzava la mano per rispondere si limitava a indicarlo con il dito, se
proprio era l’unica mano alzata. A volte fingeva di non vederlo.
Per tutto
il primo anno si era interrogato sul perché di quel comportamento strano. Solo
a fine anno, mentre commentavano a casa i voti di Erbologia, sua madre gli
aveva raccontato i trascorsi tra i Longbottom e i Lestrange, e il papà di Orion.
Roland per un po’ si era domandato cosa c’entrasse lui, perché dovesse finire
in mezzo a una questione della guerra quando tutti parlavano di voltare pagina.
Sentiva l’ipocrisia di quei discorsi ed era arrivato al punto di credere che se
il padre del professor Longbottom fosse insopportabile e ottuso come il figlio,
beh, allora non faticava a credere che in quei frangenti papà, zio Rabastan e
il papà di Orion avessero perso la pazienza. Ovviamente, non si sarebbe mai sognato
di dirlo apertamente.
“Adesso
estraete la Puzzalinfa dalla Mimbulus Mimbletonia,” disse il professor
Longbottom.
Roland eseguì
l’operazione. Il professore, nel frattempo, ne spiegava gli usi e le proprietà dall’altro
capo del lungo tavolo pieno di vasi intorno al quale erano disposti gli
studenti. I Grifondoro occupavano la prima metà del tavolo, erano disposti
ordinatamente intorno ai due lati, mentre i Serpeverde occupavano la seconda
metà del tavolo.
Roland
prendeva sempre l’ultimo posto, vicino alla porta d’ingresso della serra,
pronto a svignarsela non appena la lezione finiva, considerato che il
professore non gli dava mai modo di intervenire a lezione. Era una situazione
paradossale: lui amava le lezioni di Erbologia avanzata che gli dava sua madre
in estate. Fin da bambino si era divertito a trascorrere del tempo nelle serre,
ma le lezioni con il professor Longbottom proprio non riusciva a sopportarle.
Lo riempivano ogni volta di pensieri che afferivano a un tempo che lui
considerava passato, un capitolo della vita dei suoi genitori che era stato
chiuso e di cui nessuno parlava mai volentieri, nemmeno Orion che a quei tempi
era solo un bambinetto.
“Fate
attenzione, in ultima fila,” esclamò il professore.
Hawk gli
diede una gomitata e Roland alzò lo sguardo incontrando gli occhi castani del
professore che lo fissavano attentamente: “È tutto chiaro?” domandò, senza
fare alcun nome.
Roland
annuì.
“Sai
dire alla classe di cosa stavamo parlando?”
“Delle
proprietà della Puzzalinfa e del suo uso nelle pozioni,” inventò sulla base di
qualche parola che aveva captato. “In particolare, viene utilizzata per curare l’essiccazione
procurata dalla pozione rinsecchente.”
“Stavamo
parlando delle proprietà della Puzzalinfa, ma non siamo arrivati a discutere
dell’uso nelle pozioni e, faccio presente ai tuoi compagni, la preparazione di
rimedi alla pozione rinsecchente non è nei programmi scolastici. Cinque punti
in meno a Serpeverde: conoscere la lezione non è un buon motivo per non
seguirla.”
Roland
si scambiò uno sguardo perplesso con Hawk. Aveva risposto correttamente, sapeva
più cose dei suoi compagni di classe e veniva punito. Hawk gli sussurrò:
“Lascia perdere, Roland…”
“Flint,
silenzio, altri cinque punti in meno a Serpeverde.”
Roland
sbuffò. Allontanò da sé libro e pergamena su cui stava prendendo appunti,
pronto a incrociare le braccia per ascoltare la noiosissima lezione su quella
stupidissima pianta. Allontanò la Piuma con un gesto stizzito e non si accorse
che la punta colpì la Mimbulus Mimbletonia che reagì stizzito ricoprendolo di
Puzzalinfa.
Hawk si
allontanò in tempo grazie ai riflessi allenati dallo schivare i Bolidi e riuscì
ad evitare di essere ricoperto di quel liquido disgustoso. L’intera classe si
voltò verso di lui.
Salazar,
aiuto.
Voleva
seppellirsi.
Sentì
chiaramente il professor Longbottom esclamare: “Altri venti punti in meno a
Serpeverde per aver interrotto la lezione e reso l’aria irrespirabile!” I
Serpeverde protestarono, ma il professor Longbottom scrollò le spalle dicendo:
“Ringraziate il vostro compagno di Casa!”
Figurarsi
che lo chiamava per nome.
“Evanesco!
Almeno alla puzza possiamo porre rimedio. Weasley, per cortesia, dove eravamo
rimasti?”
Roland
alzò lo sguardo e vide Victoire Weasley alzarsi in piedi e rispondere al
professore, beandosi delle lodi e dei punti che Grifondoro stava guadagnando.
Hawk lo
ammonì con lo sguardo, come se fosse in grado di leggergli nella mente. In
realtà, Roland pensava di essere in uno stato di tale insofferenza da renderlo
palese a tutti. Incrociò le braccia e rimase ad ascoltare con la testa altrove.
Una domanda era tornata ad affiorare nella sua mente: dove erano finiti i libri
sulle creature evanescenti della biblioteca? Perché Madama Quills non gli aveva
voluto dire chi avesse preso in prestito quei libri?
Rimase
immerso in quei pensieri fino alla fine della lezione, quando Hawk scrollò la
sua spalla e gli domandò con un sorriso sghembo: “Ti sei innamorato del prof?
La lezione è finita, andiamo in pace.”
Roland
alzò il sopracciglio e lo fissò con quella che i compagni di dormitorio avevano
definito la sua espressione omicida. Raccolse la sua roba gettando Piume,
pergamene e libri alla rinfusa in borsa. Fece sparire i resti di Puzzalinfa
dalla sua uniforme e si trascinò fuori da quelle serre in direzione della
lezione di Difesa contro le Arti Oscure con Corvonero, la sua materia
preferita.
Il
professor Edgar Pucey attendeva i suoi studenti seduto sulla cattedra, intento
a leggere alcuni temi. Sorrideva grattandosi la barba nel leggere quelli che
dovevano essere degli errori. A prima vista lo si sarebbe immaginato come un
insegnante di manica larga, ma gli studenti avevano imparato a loro spese
quanto fosse esigente sulla preparazione. Dietro gli occhi verdi e il sorriso
divertito dall’essere riusciti a domare una creatura oscura, il professor Pucey
richiedeva assoluta concentrazione e perfetta padronanza del lessico.
“Buongiorno
ragazzi, oggi finiamo di conoscere gli Obscurus, delle creature piuttosto rare
e insidiose,” esordì nel silenzio assoluto dell’aula. Roland era seduto in
prima fila e osservava colpito la creatura che il professore mostrava loro
intrappolata da una bolla trasparente. “È una creatura troppo pericolosa perché
possa essere liberata, non è mica un Molliccio, ma volevo che la vedeste, che
percepiste il groviglio di oscurità e di magia repressa di cui si nutre.”
Roland
si scambiò uno sguardo con Hawk ed entrambi iniziarono a prendere appunti
freneticamente. Aveva letto degli Obscurus su alcuni libri nella biblioteca di
famiglia, ma trovarsene uno davanti era tutto un altro discorso. Avrebbe voluto
studiarlo, sentirne la forza con la bacchetta, provare a controllarlo, ma sapeva
perfettamente quanto fosse pericolosa una simile opzione.
Il
professor Pucey continuava a spiegare il modo in cui i maghi avevano scoperto
l’esistenza degli Obscurus e Roland aveva la sensazione di essere osservato
dalla creatura, come se qualcosa di lui fosse permeato attraverso la bolla
protettiva e attirato l’attenzione di quell’essere.
L’odio
contro Longbottom.
L’Obscurus
vibrò e Roland ebbe un sussulto. L’aveva sentito. Il professor Pucey si accorse
del movimento dell’Obscurus, impiegò pochi istanti per individuare l’oggetto di
interesse della creatura magica. Agitò la bacchetta e la bolla con tutto il suo
contenuto scomparvero, rinchiusi in un baule munito di Incantesimo Estensivo e
ben sei diverse serrature.
“Meglio
rimettere l’Obscurus al sicuro. Una classe di adolescenti,” disse guardando
Roland, “è uno stimolo eccessivo per una creatura del genere. Un po’ come
invitare un Dissennatore a un matrimonio, oserei dire.”
Risatine
corsero lungo l’aula. Alcuni Corvonero si diedero delle gomitate. Il professore
continuò con la lezione, assegnò cinquanta centimetri di pergamena sui poteri
dell’Obscurus e i modi per scoprirlo e fermarlo. “Per la prossima lezione
iniziate a leggere il capitolo sugli spiriti.”
Roland
ebbe un’illuminazione, forse il professor Pucey poteva essergli d’aiuto. Alzò
la mano e domandò: “Professore, ho una domanda, una curiosità, per lo più.
Esiste un modo in cui un morto, che non è un fantasma, può essere evocato?”
“Ci sono
le sedute spiritiche. Alcuni maghi le usano per tenere i contatti con i
defunti. Le studieremo tra qualche settimana.”
“No,
professore, nelle sedute spiritiche lo spirito del defunto rimane all’interno
del cerchio magico e resta in contatto con il suo evocatore. Io mi domandavo se
esiste un modo che evochi lo spirito e lo lasci andare in giro come se fosse
vivo, come se fosse un fantasma.”
“Sarebbe
magia molto oscura, Lestrange, noi non insegniamo questa roba ad Hogwarts e tu
non dovresti minimamente interessarti di cosa c’è al di là del confine tra il
regno dei morti e quello dei vivi. Molti maghi si sono smarriti provando a
indagare quel confine, senza contare che il Ministero ha un atteggiamento molto
severo verso questo genere di studi, se capisci cosa intendo.”
Roland annuì.
“Sì, certo, era solo una curiosità che mi era sorta guardando il Barone
Sanguinario. Mi domandavo se i fantasmi avessero un modo per vedere i loro cari
che erano andati oltre.”
Pucey
gli sorrise indulgente, mentre Hawk al suo fianco gli aveva sussurrato: “Che
cazzo di domande fai, Lestrange?”
“Ero
curioso, Flint, fatti gli affari tuoi.”
Doveva
parlare con i suoi fratelli. Doveva avvisarli, prima che fosse troppo tardi.
Aveva sentito benissimo la presenza delle Arti Oscure e ne aveva avuto la
conferma.
Qualcuno
stava giocando con materiale proibito.
Note:
Siamo
entrati nel vivo del mistero.
Sia
Molly e Roxanne che Roland hanno fatto degli strani incontri. Spettri che
arrivano dal passato e che smuovono qualcosa nei vivi. Cosa sono? Chi li ha
evocati? Come e perché?
Avete
visto anche come il rapporto di Roland sia complicato con il professor
Longbottom. Per il povero Neville non deve essere stato affatto facile trovarsi
a dover insegnare per sette anni a un Crouch e tre Lestrange. Vedete anche come
sia difficile fare domande su alcuni argomenti senza richiamare certe
preoccupazioni afferenti alle Arti Oscure.
La mamma
di Roland ha nominato Delphini che è a Hogsmeade prima di partire per
Durmstrang. Non sappiamo quando inizia la scuola e ho immaginato che iniziasse
a Novembre, dopo le celebrazioni di Samhain.
Vi
ringrazio per la splendida accoglienza che avete riservato al primo capitolo,
spero che la storia e i personaggi continueranno a interessarvi. Se avete
domande, dubbi, curiosità, o per sclerare sui personaggi sono a vostra
disposizione.
Alla
prossima,
Sev
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
Hogwarts,
3 ottobre 2015
“Muovetevi!
Roxanne, la Pluffa! Passa la Pluffa a Dominique! Lo schema, per Godric,
ricordate lo schema!” Victoire si stava sgolando su quella scopa mentre cercava
di mettere ordine tra i componenti della squadra di Grifondoro.
Rispedì
a Baston il Bolide.
“Bel
colpo, Vic!” le urlò in rimando, “Spero che colpiremo qualche Serpeverde con
questa furia!”
“Non ti
distrarre Seb, resta concentrato! Sono le Serpi che danno fiato alla bocca, noi
Leoni andiamo a caccia!”
Tiberius
McLaggen parò il lancio di Fred e Victoire sentì il fischio di Madama Hooch:
“Tempo scaduto!”
“Va
bene, ragazzi! Complimenti a tutti! Li stracceremo anche questa volta!” Alzò lo
sguardo e incontrò quello di Teddy. Sorrise. Lui non perdeva nemmeno uno dei
suoi allenamenti.
“Vieni a
spiare, Lupin?” gli aveva detto McLaggen mentre entravano nello spogliatoio.
“Vengo
ad ammirare la vostra Capitana, McLaggen.”
Si
scambiarono un sorriso e Victoire si sentì a disagio nell’incontrare quello
sguardo innamorato mentre lei era ricoperta di acqua e sudore, con i capelli
scompigliati dal vento e il volto arrossato dall’intensità dell’allenamento.
“Ti
aspetto qui fuori, fai con calma,” le sussurrò prima che lasciarla entrare
nello spogliatoio, dritta nelle docce per rinfrescarsi e rendersi presentabile,
se mai la tuta con i colori della squadra potesse avvicinarsi al concetto di
“essere presentabile”. Sua madre avrebbe alzato gli occhi al cielo nel vederla
conciata in quel modo, ma lei non era una studentessa di Beauxbatons e Hogwarts
aveva un clima ben diverso dalla Francia, e comunque lei non era sua madre, per
quanto si assomigliassero.
Victoire
si sentiva più simile a suo padre, da cui aveva ereditato la stessa passione
per l’avventura, nonché il ruolo da Battitore nella squadra di Quidditch e la
passione per gli incantesimi. Sognava di diventare una Spezzaincantesimi
proprio come lui, un giorno. Sarebbero stati una coppia meravigliosa, lei e
Teddy, un Auror e una Spezzaincantesimi, con una vita piena di avventure.
C’era, però,
una cosa che aveva indubbiamente ereditato da sua mamma, ed era la
consapevolezza dei propri sentimenti e la stessa tenacia e determinazione nel
coltivarli. Si sentiva unita a Teddy da un filo invisibile, come se loro due
fossero nati per stare insieme, e più il tempo passava, più le prove di quella
specie di predestinazione le avvertiva tutte.
Sospirò
davanti lo specchio, mentre raccoglieva i capelli, sentì Roxanne dirle: “Almeno
tieni sciolti i capelli. Teddy si ricorderà che sei la sua fidanzata.”
“Come se
fosse una coda a farglielo dimenticare!”
“Beh, ma
così sei decisamente più carina!”
“D’accordo.”
Non le sfuggì con la coda dell’occhio l’attenzione che Dominique impiegava nel
sistemarsi l’uniforme di Grifondoro. Strizzò gli occhi in direzione della
sorella e le sembrò che stesse, addirittura, eseguendo un Incantesimo
Illuminante al volto. Scosse la testa tornando a pensare a Teddy che
l’aspettava fuori, salutò il resto della squadra e uscì.
“Albert!” esclamò non appena
uscì all’aria aperta, “è successo qualcosa?”
Albert Goldstein, nella sua
uniforme di Corvonero le sorrideva imbarazzato passandosi una mano tra i ricci
scuri, sul mantello spiccava la spilla da Prefetto, a ricordare a tutti la sua
posizione. Scosse la testa e una cascata di onde nere gli cadde sul volto. “No,
non è successo niente. Passavo di qui!” le rispose vagamente.
“Vic!” Teddy
la richiamò e Victoire lasciò Albert fuori dallo spogliatoio delle squadre con
le mani in tasca e un’espressione ansiosa sul volto.
“Fermo,
Ted,” gli disse sottovoce, mentre lui stava andando verso il castello. Lo guidò
sotto gli spalti.
Ted
l’abbracciò e le posò un bacio sulla guancia sussurrandole: “Che idee hai in
mente, Prefetto Weasley?” Victoire gli diede un colpetto sulle mani e gli
intimò di non fare rumore. Sottovoce aggiunse: “Goldstein non me la racconta
giusta. Voglio capire che cosa ha in mente. Corvonero ha gli allenamenti la
prossima settimana, cosa ci fa qua?”
Si
scambiò un’occhiata complice con Teddy e rimasero in attesa, nascosti sotto gli
spalti, mentre il vento riprendeva a soffiare e la tuta di felpa era
decisamente troppo leggera per Victoire.
Teddy
allargò le falde del suo mantello, la strinse a sé e le disse: “Vieni, almeno
non prendi freddo.” Fu piacevole sentire il tepore del corpo di Teddy, mentre
Goldstein sembrava sempre più impaziente. Poi, capirono tutto non appena videro
Dominique uscire e sorridergli. Lui le fece un galante baciamano e poi le loro
dita si intrecciarono e nessuno dei due sembrava aver intenzione di separarsi
l’uno dall’altra.
“Direi
che Goldstein aveva in mente tua sorella,” le sussurrò Teddy con una punta di
divertimento nella voce.
“Lo
vedo! Ecco perché Dodò ha impiegato un’eternità a prepararsi!”
“Andiamo
adesso? Sto congelando!” esclamò Teddy, “possiamo parlare di Dodò e Albert
anche in Sala Grande. Ti va se studiamo lì?”
Victoire
annuì. Voleva lavorare al tema di Erbologia che il professor Longbottom aveva assegnato.
Si sentì sciogliere non appena entrata tra le calde pareti della scuola. Si
sistemarono al tavolo dei Tassorosso con libri e pergamene, mentre dietro di
loro sentivano degli schiamazzi da parte di Serpeverde.
Teddy
alzò lo sguardo infastidito verso la fonte di quel rumore. “Per Tosca, c’è
sempre un Lestrange di mezzo quando c’è casino!”
“Puoi
dirlo forte! Ad Erbologia, Roland ha combinato un disastro: ha inzuppato metà
dei Serpeverde di Puzzalinfa! Neville era su tutte le furie, nemmeno ricordo
quanti punti ha tolto a Serpeverde. Guarda la loro clessidra.” Victoire ridacchiava
mentre ricordava le scene dell’ultima lezione.
“Bleah!
Puzzalinfa! Nauseante come lui…” commentò Teddy, mentre si alzava verso quei
ragazzini che sembravano un po’ troppo entusiasti per discutere di compiti.
“Ti dico
di no!” esclamava Rabastan, il più giovane dei Lestrange, ad alcuni studenti.
Victoire riusciva a sentirlo chiaramente fin dal tavolo dei Tassorosso. “Le
streghe nel Medioevo facevano un incantesimo Fiammafredda per resistere ai
roghi e poi si Smaterializzavano!”
“No, si
Smaterializzavano subito, per questo non le prendevano!” rispondeva l’altro
studente.
“Guarda
che su Storia della Magia c’è scritto diversamente… Pure Binns l’ha spiegato
così!”
“Ma tu
ascolti le lezioni di Binns?”
“Certo
che le ascolto. Dormo la notte, mica il giorno! Poi, sono lezioni piene di
guerre, avventure e teste di Goblin che saltano per aria! Ci potremmo scrivere
un romanzo su quelle cose!”
“Voi
tre!” Teddy li richiamò all’ordine “Volete abbassare la voce? Se volete
gridare, tornatevene nel vostro sotterraneo! In Sala Grande si rispettano anche
gli altri studenti.”
“Ma noi
stiamo studiando come gli altri!” protestò Rabastan agitando la testa con i
ricci castani. Socchiuse gli occhi verdi come due fessure. Il suo amico gli
posò una mano sulla spalla e lo portò a più miti consigli: “Lascia perdere, Rab,
è un Caposcuola! Non facciamo perdere altri punti a Serpeverde, guarda la
clessidra.” Rabastan sbuffò come un gatto e si sedette al tavolo con le braccia
conserte.
“Segui
il consiglio dei tuoi amici, Lestrange, fatti insegnare un po’ di buone maniere
o ritorna da dove vieni.”
Teddy
tornò al tavolo, si sentiva Lestrange borbottare qualcosa, mentre gli amici gli
dicevano di stare calmo.
“Ti
rendi conto che quei ragazzini non c’entrano niente con la guerra?” gli domandò
Victoire.
“Lo so,
Vic, ma se ci fosse stata giustizia, non sarebbero mai nati e i loro genitori
starebbero marcendo ad Azkaban!” Lo aveva detto sottovoce, con un tono stizzito
e pieno di rabbia. Victoire era l’unica persona al mondo a conoscenza dell’odio
che Teddy provava ed era la sola in grado di tenere a bada quella bestia che
ogni tanto si agitava in lui.
Teddy le
aveva confidato di credere che il mostro che lo riempiva di rabbia fosse un
residuo del lupo che dimorava in suo padre, un istinto animalesco, che il più
delle volte lo spingeva a proteggere il branco e gettarsi nelle avventure, ma
che finiva anche per trasformarlo in una versione più selvaggia quando vedeva
qualche minaccia. Il nome dei Lestrange, per lui, era l’apoteosi della minaccia.
Victoire
capiva quei pensieri e quello stato d’animo e avvertiva quella stessa bestia
dentro di sé, smaniosa di uscire, pronta a lanciarla in nuove imprese, che lei
aveva tentato di domare scegliendo il ruolo di Battitore, pensando che la
tensione agonistica, la violenza con le mazze e i Bolidi, potesse placarla. Si
stava accorgendo, però, che la bestia sembrava nutrirsi di quegli istinti e
lungi dal placarsi, diventava sempre più affamata di adrenalina, tensione e
violenza.
Trascorsero
tutto il pomeriggio a studiare e Victoire si trattenne al tavolo dei Tassorosso
anche per cena, l’istinto le suggeriva di non lasciare Teddy da solo.
Il
fantasma del Frate Grasso spuntò dal tavolo e le fece un inchino: “Vedo che
abbiamo ospiti!” esclamò allegro, “Tosca sarebbe felicissima di sapere che una
giovane Grifondoro siede al nostro tavolo. Mi raccomando, miei cari ragazzi,
fatela sentire a casa. Non smentiamo l’ospitalità per cui siamo famosi!”
Teddy le
accarezzò la schiena e le posò un bacio sulla guancia, mentre Amelia e Nigel, i
Prefetti di Tassorosso, le sedettero accanto per intrattenerla ogni volta che
Teddy veniva distratto da un compagno di Casa.
“Sappiamo
che non conosci molti studenti di Tassorosso, quindi ti facciamo compagnia
noi!” le aveva detto Amelia Bones, nipote della celebre consigliera del
Wizengamot, uccisa da Voldemort in persona durante la seconda guerra magica. Avevano
chiacchierato non solo sui turni di ronda, ma anche su alcuni compiti assurdi
che la Cooman aveva assegnato a Divinazione.
“Io la
seguo solo perché serve per fare domanda all’Ufficio Misteri,” le aveva
confidato Amelia.
“La
Divinazione non serve a nulla! Vorrei proprio conoscere qualcuno a cui piace
questa materia. Poi la Cooman è, francamente, fuori di testa. Assegna i voti
secondo il capriccio, dicendo che la Vista glieli ha suggeriti! È il regno
dell’arbitrarietà! Chi è in grado di smentirla?”
Nigel
ridacchiava, mentre Victoire dava libero sfogo alla sua avversione contro
quella materia. La scorsa estate ne aveva discusso con zia Hermione che le
aveva confidato che la scelta di lasciare quella materia al terzo anno era
stata la migliore della sua vita.
“Ragazzi,
però, a differenza di Artimanzia, Divinazione è una passeggiata,” aveva
commentato Teddy.
“Mi
dispiace contraddirti, Lupin,” intervenne Nigel, brandendo una forchetta con
una salsiccia infilzata a mo’ di spada, “ma Aritmanzia ha un senso, una logica,
Divinazione è semplicemente invenzione. Persino Tosca era scettica.”
La cena
trascorse allegramente, come ogni volta che cenava al tavolo dei Tassorosso, e
dopo il dolce lei e Teddy salutarono gli amici per fare una passeggiata prima
di darsi la buona notte e tornare nelle rispettive sale comuni. Avevano trovato
un corridoio deserto. Teddy si era seduto su una panca sotto una finestra,
Victoire era in piedi di fronte a lui, con le braccia intorno al suo collo,
perdendosi nei suoi occhi castani.
Fuori dalla
scuola, il mondo era immerso nell’oscurità della notte. Dalla finestra si
intravedevano le fronde degli alberi della Foresta Proibita che si agitavano
sotto il vento, mentre una pallida luna illuminava le acque del Lago Nero.
Sfiorarono
i loro nasi e Victoire inspirò il profumo di Teddy. Sapeva ancora di vaniglia e
succo di zucca, troppo invitante per resistere, sembrava un altro dessert. Si
chinò su di lui a baciarlo, sentendo le sue labbra morbide. Teddy la invitò a
sedersi sulle sue ginocchia e continuarono a scambiarsi baci, sfiorarsi i nasi.
Victoire amava giocare con i capelli di Teddy, mentre lasciava che lui
infilasse le dita sotto la sua felpa.
“Oggi
dobbiamo fare i bravi,” gli aveva sussurrato Victoire.
“Io non
resisto, Vic,” le aveva soffiato con una certa impazienza. Victoire si era chinata
sul collo di Teddy, liberandolo dalla cravatta e dal colletto della camicia per
riempirlo di baci e sentirlo fremere sotto le sue labbra. “Lo sai, oggi proprio
non posso,” aveva sbuffato. Odiava quei giorni del mese che la tenevano lontana
dal suo Teddy. Lo prese per mano, lo guidò in un’aula abbandonata e gli disse:
“Se vuoi fare il cattivo ragazzo, lascia che ci pensi io a te…” Aveva fatto
scivolare la mano nei pantaloni e si era gustata le espressioni di piacere di
Teddy e i capelli che continuavano a cambiare colore senza che lui riuscisse a
controllarlo. Era una cosa che la faceva impazzire, sapere di avere questo
potere su di lui.
Ripulì
il tutto dopo averlo sentito gemere nel suo orecchio e si augurarono la buona
notte. Teddy la stringeva a sé e Victoire sentiva il corpo surriscaldarsi per
quel contatto e per quell’eccitazione che era costretta a reprimere. Avrebbe
voluto lasciarsi andare anche in quei giorni, ma era più forte di lei, e
proprio non riusciva a immaginare che Teddy potesse trovarla in certe
condizioni. Voleva essere perfetta per lui.
Si
salutarono, fermandosi diverse volte lungo il tragitto per scambiarsi baci
appassionati. Alle scale del terzo piano, Victoire prese la strada per la torre
di Grifondoro, mentre Teddy tornò verso le cucine, dove c’era la sala comune di
Tassorosso.
Lungo il
tragitto vide Lucy infilarsi circospetta in una classe con Samuel Finnigan e si
domandò se Molly sapesse che la sorella si vedeva con il Prefetto di
Grifondoro. La curiosità verso Lucy le costò cara: le scale cambiarono
posizione e fu costretta a fare un altro giro per tornare alla sala comune.
Sbuffò
mentre tornava indietro, cercando di raggiungere l’altra ala del castello.
Scese al secondo piano e attraversò un corridoio deserto, immerso nell’oscurità
e rischiarato solo da una fila di finestre bifore da cui proveniva la luce
della sera. Svoltò a sinistra, in direzione delle altre scale e vide il
corridoio stranamente buio. Le torce erano completamente spente.
“Lumos!”
La luce
della bacchetta davanti a sé illuminava il percorso, i personaggi dei ritratti
protestavano per essere stati svegliati.
Poi lo
sentì.
Sentì
una voce che si avvicinava nella sua direzione e un nome che veniva ripetuto,
come se la stessero chiamando: “Fleur, sei tu?”
Pensò ad
uno scherzo, di pessimo gusto per altro. “Avanti, fatti vedere! Se non chiedi
scusa per lo scherzo idiota tolgo cinquanta punti alla tua Casa!”
La
figura avanzò andandole incontro. Una divisa di Tassorosso fu la prima cosa che
finì sotto la luce della bacchetta, seguita da un volto giovane e decisamente
bello.
“Ma tu
sei…”
“Cedric
Diggory. Non ti ricordi di me, Fleur?”
“Non
sono Fleur, sono la figlia. Victoire Weasley, ma tu cosa ci fai qui? Non sei…”
“Morto.
Sì, sono morto. Non so perché sono qui, suppongo che qualcuno mi abbia evocato.
Puoi dire a mio padre di non preoccuparsi, che sto bene? Che ci ritroveremo un
giorno e staremo bene insieme? Puoi dirgli di perdonare Potter, che non è colpa
sua?”
Victoire
si portò una mano alla bocca nel sentire quelle parole che la precipitavano ancora
una volta in quella guerra maledetta. All’inizio dell’anno il Cappello Parlante
aveva fatto riferimento al passato che rischiava di tornare, ma Victoire non
aveva dato peso a quelle parole, non credeva che sarebbe tornato letteralmente
ad infestare i corridoi della sua scuola.
“Lo
farai?” le domandò Cedric.
Victoire
annuì. “Sì, lo farò, Cedric, se mai tuo padre vorrà ascoltarmi. Sai com’è
fatto. Zio Harry ci ha raccontato quanto sia difficile relazionarsi con lui, ma
lo farò. Te lo prometto. Hai la mia parola.”
“Grazie,
Victoire Weasley, bella, gentile e generosa come Fleur. Ora devo andare.”
La
figura di Cedric scomparve nell’oscurità e Victoire corse fino alle scale, con
la paura di incontrare qualcun altro o, peggio, chiunque avesse evocato l’anima
di Cedric Diggory. Chi poteva disturbare il sonno della morte di un ragazzo
tanto carino quanto sfortunato?
“Dulcis
in fundo” urlò alla Signora Grassa.
“Che
modi! Passa!” le rispose il ritratto seccato per essere stato interrotto dalle
chiacchiere con la sua amica Violetta. Victoire scivolò nel buco. Trovò Molly e
Roxanne intente a consultare avidamente una serie di libri, mentre la sala
comune si era in gran parte svuotata. Molly sollevò lo sguardo, dovette leggere
i segni del terrore ancora impressi sul suo volto.
“Lo hai
visto anche tu?”
Victoire
annuì.
“Zio
Fred?” domandò Roxanne avvicinandosi e guidandola fino al divano vicino il
caminetto. Il contatto con la pelle di Roxanne le fece capire quanto stesse
gelando. Scosse la testa, mentre il calore del fuoco le ridava forza: “Cedric
Diggory.”
“Godric,
un altro!” esclamò Molly. Sorrise nervosamente alla cugina e spiegò: “Sono
tutti i libri della biblioteca sull’argomento. È da ieri che cerco di capire
cosa sia successo, cosa siano quei fantasmi e perché gli spiriti di persone
morte si aggirino per i corridoi della nostra scuola.”
“Ma chi
li ha evocati?” domandò Victoire.
“Non
riesco a venirne a capo, Vic, non trovo nemmeno un incantesimo che possa
evocare i fantasmi,” ammise Molly. Guardò l’orologio e disse: “Si è fatto
tardi. Continuiamo domani.”
Victoire
era distrutta. La stanchezza della partita, le attenzioni di Teddy, il ciclo,
l’incontro con Cedric Diggory, tutto la turbava. Si gettò sotto la doccia prima
di infilarsi tra le coperte e sprofondare in un sonno popolato da fantasmi,
morti e una guerra magica che ancora continuava a lasciare il segno.
***
“Mio
caro Roddie,
papà sta
bene (è passato solo un giorno dalla nostra ultima lettera!), spero che voi
stiate studiando e vi stiate impegnando al massimo. Non sai quanto mi renda
orgogliosa e commossa il pensiero che tu abbia deciso di voler seguire le mie
orme e fare domanda all’Ufficio Applicazione Legge Magica dopo la fine della
scuola.
Ricorda,
mio caro, la politica è fatta di contatti, quindi approfitta di questi anni per
stringere amicizie e conoscenze con quanti più studenti possibili. Sii gentile
e educato (so già che sei impeccabile, specie rispetto ai tuoi fratelli!),
ricorda il confine tra cortesia, diplomazia e vera amicizia (i veri amici sono
pochi e rari).
È un
vero peccato che il professor Lumacorno sia andato in pensione: sarebbe stato
istruttivo per te partecipare ad una delle sue famose cene. Non amareggiarti
troppo per il trattamento del professor Longbottom, anche questa è una lezione
di vita: non potrai piacere a tutti e il tuo cognome ti porterà molti nemici e
trattamenti simili. Durante la prima guerra magica io venivo trattata nello
stesso modo dai compagni di Casa, tu sei più fortunato: è solo un professore
che ti ignora! Non dargli pretesti per abbassarti i voti o togliere punti alla
tua Casa. L’appoggio dei compagni di Casa è importantissimo. Non voglio più
essere convocata dalla preside perché uno dei miei figli non si comporta bene.
L’incidente con Roland è stato illuminante sul clima che siete costretti a
tollerare, ma siete dei Lestrange e ne uscirete a testa alta.
Ti mando
un grosso bacio, un altro e un altro ancora, mio pulcino adorato!
E ne
mando altri anche ai tuoi fratelli (mi mancate tantissimo!).
Con
affetto,
la
mamma.
PS: sul
serio Roland ha mangiato il budino con la forchetta? Per Salazar, che orrore! Dì
a tuo fratello di stare attento, la prossima volta, altrimenti gli altri
penseranno che i Lestrange non sappiano mangiare i dolci al cucchiaio. Cosa
devo sentire! Quando tornerete per le vacanze faremo un ripasso.”
Rodolphus
sorrise rileggendo la lettera. Forse aveva messo nei pasticci Roland con
l’aneddoto sul budino, ma era stata una scena così buffa che pensava che la
mamma ne avrebbe riso con lui. Insomma, vedere Roland che provava a infilzare
il budino senza riuscirci era proprio uno spasso!
Ripensò
ai consigli di sua mamma: aveva ragione, ma non sapeva quanto fosse complicato
stringere amicizie o solo farsi benvolere dagli altri di quei tempi. In
Serpeverde riusciva ad avere buoni rapporti. Andava d’accordo con i suoi
compagni di dormitorio e riusciva anche a non farsi insultare da qualche
Corvonero. Si era impegnato moltissimo per aiutare alcuni Tassorosso durante le
lezioni di Incantesimi, anche se la diffidenza che percepiva gli suggeriva di
andarci cauto.
C’era
una cosa che, in modo particolare, attirava sguardi carichi di diffidenza ed
erano i rituali che lui, i suoi fratelli, e altri compagni di Serpeverde si
trovavano a fare per celebrare i sabba. Era un’iniziativa nata per gioco, dopo
alcune ricerche in biblioteca per dei temi assegnati da Binns lo scorso anno.
Avevano pensato che potesse essere utile ripetere i rituali propiziatori degli
antichi, cercare le erbe e accendere le candele. Persino il loro direttore di
Casa si era mostrato piacevolmente sorpreso quando gli avevano chiesto il
permesso di poter usare un angolo della sala comune per allestire una specie di
altare rituale.
Eppure,
quella voce si era sparsa per la scuola, trasformandosi di bocca in bocca, con
il risultato che la preside aveva convocato lui e il professor Pucey perché le
avevano riferito che “Lestrange esegue rituali di magia oscura nella sala
comune dei Serpeverde”.
Per
fortuna, il professor Pucey era scoppiato a ridere di fronte la preside e le
aveva spiegato il genere di rituali che venivano eseguiti e le volte successive
avevano persino invitato la Preside, di modo che potesse appurare di persona.
Tuttavia, continuavano a guardarlo con sospetto e i Grifondoro continuavano ad
alimentare le voci e i sospetti sulla plausibilità che la celebrazione dei
sabba fosse solo la facciata presentabile di rituali oscuri sconosciuti.
Aveva
sentito con le sue orecchie Tiberius McLaggen mormorare: “Una volta che le
candele sono accese e il rituale è iniziato, cosa ne sappiamo se non lo
ripetono al contrario per evocare le forze oscure?” Rodolphus lo aveva persino
invitato ad assistere e gli aveva domandato se secondo lui la Preside avrebbe
acconsentito a qualcosa del genere, ma lui gli aveva urlato di stargli alla
larga e che non era interessato a quelle cose oscure.
La
mamma, poi, gli aveva spiegato che il nonno, che pure si chiamava Tiberius, in
realtà, durante la prima guerra magica, non si era mai fatto molti scrupoli a
usare le Maledizioni Senza Perdono quando era un Auror e che i McLaggen le Arti
Oscure le conoscevano e le avevano anche praticate. Tiberius junior cercava
solo di smarcarsi da un passato ingombrante.
“Sono
solo dei pavidi, dei vigliacchi che avrebbero dovuto morire…”
La voce arrivò
dal fondo del corridoio. Roddie strizzò gli occhi per vederci meglio. Afferrò
la bacchetta.
“Non sei
sufficientemente veloce, Lestrange!”
Sembrava
che lo stesse prendendo in giro.
“Chi
sei? Fatti vedere!”
Una
figura spettrale emerse dalle tenebre. Il suo volto era deformato e sembrava appannato,
come se stesse evaporando. La sua immagine non era nitida come quella dei
fantasmi di Hogwarts. Roddie non aveva idea di chi fosse, e dire che pensava di
aver conosciuto tutti i fantasmi della scuola.
“Sei un
nuovo fantasma?” domandò incuriosito. Forse gli avrebbe raccontato qualche
storia interessante sulla sua morte. Sembrava che le difficoltà che Roddie
incontrava nello stringere amicizia con i vivi, non le avesse con i morti. Ogni
anno frequentava la festa di complemorte del Barone Sanguinario e durante il
suo primo anno si era impegnato moltissimo per aiutare il fantasma dei
Serpeverde a convincere gli altri fantasmi a partecipare alla sua festa. I
fantasmi erano sempre interessanti da ascoltare e nessuno si impressionava o lo
guardava male per il cognome che portava.
“Qualcosa
del genere,” rispose la voce.
“Perché
sei così sfumato?”
“Perché
questo è ciò che rimane dopo che l’anima è stata divorata da un Dissennatore,”
disse annoiato, come se quell’argomento lo irritasse ancora profondamente. Roddie
pensò di aver fatto una gaffe toccando un tasto dolente. Eppure, era ancora
molto curioso.
“È così
che sei morto?” gli domandò.
La
figura sorrise triste. “No, sono morto tra le braccia di tua madre ed è stata
una delle decisioni più difficili della mia vita: lasciar andare lei e Orion, e
andare avanti.”
“Tu sei
il papà di Orion, quindi?”
“E tu
non hai preso niente della perspicacia della mia Alex e nemmeno di Rodolphus,
devo dire… Come pensi di onorare il nome che porti se non sei nemmeno in grado
di riconoscermi? Come potrai essere un mago oscuro all’altezza di tuo padre?
Sai che Orion alla tua età era molto più sveglio?”
“Orion è
sempre stato il migliore! Vorrei che fosse qui, così potreste incontrarvi!” gli
rispose.
“Potrò
tornare, forse. C’è una profezia, ma richiede un costo. Sei disposto a pagarlo,
Rodolphus Lestrange?”
Rodolphus
scosse la testa e balbettò: “No. Non voglio scomparire. Io voglio la mamma e
anche il papà e i miei fratelli! Non potete farci svanire!”
“Preparati,
Lestrange, il tempo sarà girato e tutti noi torneremo! Ci prenderemo la nostra
vendetta su questi sporchi traditori e sulla feccia che sta distruggendo il
nostro mondo. Io, poi, mi riprenderò mia moglie e mio figlio, anche a costo di
farvi sparire. Mi spiace per te, ma preparati a dire addio alla tua cara
mammina…”
Il
fantasma di Barty Crouch Jr, il residuo della sua anima, scoppiò a ridere e si
dissolse davanti gli occhi sbarrati di Rodolphus. Sbatté le palpebre più volte
e poi vide il fantasma del Barone Sanguinario andargli incontro. “Barone!”
esclamò, “Lo ha visto, vero?”
“Chi,
mio giovane e mortale amico?”
“Il
fantasma di Barty Crouch Jr!” esclamò Rodolphus.
“Per
Salazar! No, ma i sensi mi avvertono che una minaccia oscura incombe su questa
scuola. Avverto strane presenze, spiriti sconosciuti che si aggirano tra queste
mura…”
“Quindi
non è l’unico?” domandò spaventato.
“Temo
proprio di no!”
“Ma
com’è possibile che siano tornati? Sono andati oltre! Lei mi aveva raccontato
che non era possibile tornare indietro.”
“È così.
Ci vuole qualcosa di molto forte e di molto oscuro per riaprire il confine tra
il mondo dei vivi e quello dei morti. Forse l’avvicinarsi di Samhain aiuta questi
riti.”
“Per
Salazar! Barone, le confesso di essere molto preoccupato! Temo che io e i miei
fratelli finiremo per essere accusati di essere gli autori se non scopriamo chi
esegue questi rituali!”
“Corri
ad avvertire i tuoi fratelli, mio amico mortale, non indugiare in paure. Concordate
una strategia e rendetevi inattaccabili! Ricorda: vi serve un alibi. Sempre!”
“Grazie,
Barone, per i suoi preziosi consigli. Buona notte!”
“Buona
notte a te, Lestrange, io continuo il mio eterno peregrinare…”
Rodolphus
corse in direzione della sala comune, sentì il Barone raccomandarsi di non
correre e rallentò l’andatura continuando a camminare a passo svelto. Puntò la
bacchetta verso i mattoni.
“Nido di
vipera.”
L’accesso
alla sala comune si rivelò lasciandogli vedere Rabastan seduto su una poltrona
accanto il camino che si mangiava le unghie e Roland che camminava nervosamente
avanti e indietro.
“Sei in
ritardo,” gli disse Rabastan non appena lo vide comparire.
“Lo so,
ma non avete idea di chi ho appena incontrato!” esclamò Rodolphus.
“Chi?”
Roland si avvicinò al fratello ed entrambi si guardarono intorno nervosamente.
“Troviamo
un posto riservato dove poterne parlare? Qui c’è troppa gente,” sussurrò
Rodolphus al fratello. Roland annuì. “Andiamo nel dormitorio, gli altri saranno
ancora in giro.”
Si
infilarono nel dormitorio di Roland. Decisero di cambiarsi e indossare i
pigiami, in modo da poter rimanere a lungo a parlare. Si sarebbero nascosti
dietro le tende del baldacchino opportunamente silenziate. Chiunque sarebbe
entrato in quel dormitorio avrebbe pensato che Roland fosse andato a dormire.
Al
momento, i compagni di dormitorio di Roland erano impegnati con le rispettive
fidanzate, mentre i compagni di Roddie giocavano a Sparaschiocco e quelli di
Rabastan avevano il loro campionato di Quidditch dei modellini e c’erano
commenti e discussioni infinite sul Fanta-Quidditch.
“Muffliato!”
esclamò Roland.
Rodolphus
agitò la bacchetta ed evocò delle pallide luci azzurrine perché non aveva
voglia di parlare di quelle cose nella più totale oscurità. Rabastan e Roland
erano seduti sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini e le ginocchia
raccolte e abbracciate, il mento poggiato sulle ginocchia. Lui era seduto di
fronte, ai piedi del letto, con le gambe incrociate e cercava di impedirsi di
agitarle nervosamente.
“Allora,
che cosa hai visto?” gli domandò Roland.
“Ho
appena incontrato Barty, il papà di Orion!” disse, “mi ha detto che vuole
tornare, realizzare la profezia e farci sparire tutti per riprendersi la mamma
e Orion!”
“Cosa?”
esclamò Rabastan, “ma Barty è morto!”
Rodolphus
annuì: “Era una specie di fantasma, un po’ diverso rispetto al Barone
Sanguinario. Era sfocato, mi ha detto che era quello che finiva nell’Aldilà
dopo che l’anima veniva divorata dal Dissennatore.”
“Io ho
incontrato Bellatrix e mi ha detto che siamo dei tonti come papà e che non
saremmo mai dovuti nascere, che Delphini e Orion sono meglio di noi,” confessò
Roland.
“Anche
Barty mi ha detto che Orion è meglio di noi! Però mi ha detto che non abbiamo
preso né da mamma né da papà!”
“Era
questo che volevi raccontarci?” domandò Rabastan guardando Roland. Lo videro
annuire e passarsi una mano tra i capelli scuri. Gli occhi marroni di Roland
erano inquieti e si spostavano continuamente tra lui e Rabastan, aggiunse:
“Oggi sono arrivato tardi a colazione perché sono andato in biblioteca a
cercare dei libri sui fantasmi, gli spiriti e le creature spettrali, ma sono
tutti scomparsi! Tutti!”
Rodolphus
non fu sorpreso dalla notizia: “Il Barone Sanguinario mi ha detto che ha
sentito altre presenze, che qualcosa di oscuro si sta aggirando tra le mura di
questa scuola.”
“Roddie,
sei un genio!” esclamò Roland, “come ho fatto a non pensarci? Avrei potuto
chiedere ai fantasmi!”
“L’ho
visto venirmi incontro dopo che Barty è svanito e mi sono fermato a parlarne
con lui, lo sai che è molto esperto di queste faccende ed è sempre disponibile
a parlarne.”
“Ehm…
no, Roddie, veramente sei tu l’unico strambo che si ferma a parlare con i
fantasmi,” disse Rabastan prendendolo in giro.
“Beh, si
dia il caso che adesso questo strambo vi torna utile! Il Barone mi ha detto che
serve qualcosa di molto oscuro e molto potente per aprire il confine tra il
mondo dei morti e quello dei vivi. Mi ha suggerito di fare attenzione e di
avere sempre degli alibi pronti, perché potrebbero accusarci di essere gli
autori di questi rituali oscuri.”
Roland
si portò una mano sul viso annuendo. Scosse la testa con un’espressione
colpevole: “Temo di aver fatto un guaio, allora! Oggi a lezione ho chiesto al
professor Pucey delle informazioni sui fantasmi e gli spiriti. Insomma, gli ho
chiesto se fosse possibile che gli spiriti di persone morte andassero in giro
per il mondo. Mi ha detto che l’apertura del confine tra i mondi richiede
rituali di magia oscura così avanzata che io non dovrei nemmeno sognarmi di
fare quelle domande.”
“Gli hai
fatto questa domanda dopo la lezione?” domandò Rabastan.
“No,
l’ho fatta subito dopo che ci ha detto che la prossima lezione avremmo iniziato
gli spiriti…” Roland si morse il labbro. Rabastan sospirò: “Prepariamoci al
peggio, allora.”
“Con chi
facevi lezione?” domandò Rodolphus.
“Corvonero.”
“Dai,
tra tutti sono la Casa che forse sospetterà di meno, magari riescono a
immaginare che sia una domanda accademica.”
“Beh, io
gli ho detto che mi stavo solo domandando se i fantasmi potessero vedere i loro
cari che erano andati oltre. Pucey mi ha guardato come se fossi un po’ matto,
ma era la prima cosa che mi era venuta in mente.”
“Dici
che dovremmo parlarne con i professori?” domandò Rodolphus.
“E
raccontare che lo spirito di Bellatrix e quello di Barty se ne vanno in giro
per la scuola? No, grazie, non voglio passare per matto, più di quanto non
avvenga normalmente,” disse Roland.
“Però
abbiamo bisogno di aiuto. Dovremmo scoprire chi c’è dietro questo rituale oscuro,
così non potranno incolpare noi!”
Rabastan
aveva ragione. Si passava la mano tra i ricci castani incerto sul da farsi. A
chi potevano chiedere aiuto?
“Scriviamo
alla mamma?” propose Rodolphus, “Lei e il papà ne sanno abbastanza di queste
cose, potrebbero darci una mano.”
“Vuoi
davvero scrivere alla mamma e al papà che i fantasmi dei loro ex minacciano di
far sparire i loro figli e che qualcuno ha aperto il confine tra il mondo dei
vivi e quello dei morti con un qualche rituale oscuro? Forse per avverare la
profezia? Sei per caso impazzito?” Roland lo fissava preoccupato. “Pensi che io
non abbia pensato a quanti libri abbiamo a casa che potrebbero aiutarci a
capire cosa sta succedendo e invece siamo confinati in questa scuola bigotta?”
Si grattò la testa spazientito.
Rodolphus
biascicò: “Scusa, non ci ho pensato. Hai ragione, è una pessima idea scrivere a
mamma e papà.”
“Prometti
su Salazar Serpeverde che non farai menzione di questa cosa in nessuna lettera
con la mamma finché non l’avremo risolta. A Yule le racconteremo tutto, anche
di come avremo brillantemente risolto questo mistero, ma prima di allora
prometti di non farne parola. Anche tu Rabastan, promettilo!”
“Lo
prometto,” esclamarono in coro. Si sorrisero come ogni volta che finivano per parlare
in sincrono.
“Io ho
un’idea,” disse Rabastan, “la mamma nell’ultima lettera ha detto che Delphini è
ad Hogsmeade in attesa di partire per Durmstrang. Lei studia Arti Oscure e sta
per iniziare l’ultimo anno, magari può darci una mano a capire.”
“Sì,
però dobbiamo stare attenti. Non dobbiamo raccontarle che c’è di mezzo sua
madre o che Barty ha menzionato la profezia. Insomma, non vorrei che
attivassimo tutto il meccanismo delle profezie.”
“Ma la
mamma dice sempre che il modo per mettere in moto una profezia è cercare di
impedirne l’avverarsi. Se le nascondiamo della profezia, non rischiamo di
attivarla?”
“La
profezia non parla di fantasmi, però, non vedo perché dovremmo fare questo
collegamento…”
“Però i
fantasmi l’hanno menzionata.”
“Sì, ma
noi dobbiamo solo scoprire chi li evoca e fermarlo. Non dobbiamo raccontare
tutto! Stiamo attenti a Delphi, papà dice sempre di non fidarsi di lei.”
“Lo dice
anche Orion.”
“E se
scrivessimo ad Orion?” propose Rodolphus. Insomma, lui era il più grande. Era
persino più grande di Delphini e lavorava all’Ufficio Misteri. Lì aveva
raccontato che c’era un Arco che aveva il confine tra il mondo dei morti e
quello dei vivi. Forse lui aveva studiato quelle cose, le conosceva e poteva
dar loro una mano!
“Così
corre a dirlo alla mamma? Vuoi davvero dirgli che il papà che non ha mai
conosciuto vuole tornare indietro per stare con lui e la mamma?” Rabastan alzò
il sopracciglio scettico.
Rodolphus
sbuffò: “Hai ragione, un’altra pessima idea.”
“Invece
non è una pessima idea,” disse Roland guardando i fratelli, “Orion sta facendo
di tutto per salvare questa linea temporale. Lui queste cose le ha studiate. Io
so che ci vuole bene e so anche che non ci tradirebbe con la mamma se glielo
chiediamo. Domani scriviamo ad Orion!” Roland sbirciò fuori dalla tenda del
baldacchino e vide la stanza immersa nel buio. I suoi compagni di dormitorio
erano tornati e stavano già russando. “È tardi,” disse.
“Io non
voglio dormire da solo,” protestò Rodolphus. Se fosse stato a casa avrebbe
chiesto alla mamma di fargli compagnia finché non si fosse addormentato, anche
a costo di attirarsi gli sguardi di disappunto di suo padre e le prese in giro
dei fratelli. Non aveva nessuna intenzione di tornare nel suo dormitorio
attraversando un corridoio buio. E se avesse incontrato un altro fantasma? I
Mangiamorte si facevano scrupoli nell’invadere i dormitori o no? Non voleva
assolutamente rischiare.
“Ehm… Questa
volta devo dare ragione a Roddie,” ammise Rabastan, “se vuoi rimanere da solo,
io mi infilo nel letto di Roddie. Non voglio dormire da solo nemmeno io.”
Roland
alzò gli occhi al cielo, li guardò con un sopracciglio alzato e disse: “Siete
proprio due mocciosi! Non si direbbe che siate al terzo e al quarto anno! E
siete anche i più grandi della classe! Uno nato a Mabon, l’altro a Samhain…”
“Possiamo
dormire con te?” domandò Rodolphus per accertarsi di poter rimanere. Una mano
era già pronta ad afferrare il piumone e infilarsi sotto le coperte.
“Sì,
dai!” disse lanciandogli un cuscino mentre si sistemava ai piedi del letto.
Rabastan
sorrise. Roland si girò di schiena e disse: “Mi raccomando, non vi muovete
troppo! Voglio dormire!”
Rodolphus
lo vide sorridere e si disse che, anche se Roland non l’avrebbe mai ammesso,
sembrava proprio sollevato dal pensiero che loro due si fossero fermati a
dormire nel suo letto. Ne era certo.
Note:
Ciao a
tutti!
Sono
veramente sorpresa per l’accoglienza riservata a questa storia! Grazie di
cuore!
In
questo capitolo abbiamo scoperto chi ha preso i libri dalla biblioteca,
qualcuno lo aveva intuito nelle recensioni e ci ha visto giusto.
Victoire
ha incontrato Cedric che l’ha scambiata per Fleur e ne è rimasta turbata,
mentre l’incontro di Roddie con Barty Crouch Jr. è stato ben più terrificante.
La Rowling non ci spiega cosa succede all’anima divorata da un Dissennatore, ho
immaginato che una parte andasse comunque nell’Aldilà ma che fosse appunto una
specie di scarto, un residuo e per questo appare sfocata e non riconoscibile.
La minaccia di Barty, di portare via la mamma a Roddie, è quanto di più
terrificante. Scommetto che preferirebbe il ritorno di Voldemort all’essere
separato dalla sua amata mammina.
Nella
lettera che ha ricevuto, la mamma gli dice di non voler essere più richiamata
dalla scuola. L’episodio si collega al penultimo capitolo di Kintstugi, in cui
Roland e Teddy si scontrano nei corridoi e tirano fuori le bacchette.
Vi
riporto il racconto che Roland fa ai genitori di come sono andate le cose. Il
pov è della mamma.
“La preside
non vi ha detto nulla?” domandò Roland.
“La versione
della preside fa acqua da tutte le parti e ti conosciamo troppo bene per
pensare che tu sia impazzito in quel modo. Cosa è successo?” domandò Alexandra,
“Non costringere tuo padre a usare la Legilimanzia.”
“No, non è il
caso. Mi dispiace che siate venuti fin qua. Ho perso il controllo, tutto qui.”
Si stringeva nelle spalle dispiaciuto. Sospirò e iniziò a raccontare: “Stavo
uscendo dalla biblioteca e ho visto dei primini di Grifondoro travolgere
Rabastan. Lui non li ha visti, stava camminando leggendo un tema di qualcosa
quando è stato spinto via, il tema è volato ed è stato calpestato.”
Alexandra
ricordò chiaramente alcuni episodi del genere che le erano accaduti ad
Hogwarts, erano le solite zuffe tra Grifondoro e Serpeverde, come quando Sirius
l’aveva inzuppata e Regulus era intervenuto.
Roland
aggiunse: “L’hanno fatto apposta, mamma, ho visto come quel ragazzino ha
guardato Rabastan e gli ha detto: Tornatene nelle fogne, Lestrange.”
“La preside
ci ha parlato del Caposcuola di Tassorosso,” intervenne Rodolphus.
“È arrivato
dopo,” precisò, “Rabastan stava tirando fuori la bacchetta lamentandosi del
tema rovinato e io sono intervenuto. Ho scoperto troppo tardi che i primini di
Grifondoro che hanno rovinato il tema di Rabastan erano James Potter e Louis
Weasley. Fino a quel momento, avevo detto che avrei tolto loro cinque punti a
testa, perché non si corre nei corridoi e non si spingono gli studenti.
Insomma, ho fatto il mio dovere da Prefetto.”
Alexandra
annuì e continuò ad ascoltare la ricostruzione di Roland.
“Quel James
mi ha guardato con aria di sfida e mi ha provocato domandandomi: Difendi il
fratellino, Lestrange? È in quel momento che è intervenuto Lupin, il
Caposcuola di Tassorosso, accusandomi di prendermela con i primini. Mi ha detto
di smetterla di tormentare i Potter e i Weasley, che presto o tardi i figli di
Mangiamorte come me e mio fratello sarebbero scomparsi. È qui che ho perso le
staffe e gli ho detto di fare attenzione, perché, da figlio di Mangiamorte,
potevo fargli fare la stessa fine dei suoi genitori.”
Alexandra
alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa: “Lo sai che quello è un argomento
tabù.”
“Sì, lo so,
ma sono anni che mi sento dire che finirò ad Azkaban, che sono un topo di
fogna, che i figli di Mangiamorte come me spariranno. Grazie agli esercizi di
papà riesco a controllare l’impulso di affatturarli tutti quanti, a difendermi
quando esagerano, e ad essere inattaccabile, ma sentirmi dire che io e mio
fratello spariremo, dopo quello che è successo l’estate scorsa… Ho perso le
staffe.”
L’allusione
alla profezia era fin troppo chiara.
“Tu hai
esagerato e meriterai la punizione, ma chiederemo alla McGranitt di punire
anche Lupin, che non si è rivelato migliore di te.”
“È inutile,
papà. I professori sono molto indulgenti con i figli dei vincitori della guerra
magica, mentre il nostro Direttore, il professor Pucey, non sempre riesce a
riequilibrare le cose, ma non importa. Non voglio che per questa sciocchezza se
la prendano con Roddie e Rab. È colpa mia, ho esagerato. Mamma al Ministero non
avrebbe mai detto una cosa simile mentre tu eri ad Azkaban.”
“Sappi che
sono estremamente orgogliosa di te,” gli disse Alexandra. Roland era identico a
Rodolphus sotto un’infinità di punti di vista, anche l’autocontrollo e il suo
istinto protettivo verso i fratelli erano i medesimi.
“Che
punizione ti hanno dato?” domandò Rodolphus.
“Una
settimana con il professor Pucey. Mi ha chiesto di aiutarlo a ordinare i libri
di Difesa contro le Arti Oscure.”
“Non ti è
andata male…” osservò Rodolphus sorpreso.
“Ho fatto
vedere al mio Direttore come sono andate le cose, non volevo che il nome della
Casa di Serpeverde andasse di mezzo. Ho tirato fuori il ricordo e gliel’ho
mostrato nel suo Pensatoio. Ho spiegato anche perché non avevo intenzione di
contrastare le accuse e che avrei preferito affrontare la punizione. Mamma mi
ha insegnato che spesso la punizione è meglio della negoziazione.”
Alexandra
scoppiò a ridere e abbracciò il figlio. “Ti imbarazza se ti do un bacio?” gli
domandò.
“No, mamma,
qui non c’è nessuno!”
Grazie ancora
per tutti i commenti, gli scleri su Facebook, le letture silenziose e chi ha
messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite. Mi state accompagnando in
questo viaggio in un genere e una generazione del tutto nuova per me!
Ci
rivediamo giovedì prossimo con il prossimo capitolo! Saremo già a metà storia!
Un
abbraccio,
Sev
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
Hogwarts,
4 ottobre 2015
Rabastan
era emozionato. Finalmente era giunto il suo giorno e persino la visibilità era
buona. Avrebbe reso fiero suo fratello e non vedeva l’ora di dare la bella
notizia a suo padre. Sempre che lo selezionassero, ovviamente. Tuttavia, era
ottimista perché si era allenato duramente per tutta l’estate e persino Roland
e Orion gli avevano detto che aveva fatto dei progressi.
Avrebbe
fatto le selezioni per il ruolo da Cercatore, un ruolo importantissimo, e lui
sapeva di volare veloce e di avere ottimi riflessi, esercitati dai duelli di
magia che organizzava con i fratelli, il papà e zio Rabastan.
Roland
lo accolse con un sopracciglio alzato: “Sei pronto? Sei agitato?”
“Sono
pronto. Sono sempre pronto quando si tratta di giocare a Quidditch,” disse
prendendo un sorso di succo di zucca. Hawk gli diede una pacca sulla spalla ed
esclamò: “È questo lo spirito giusto, Rabastan! Non fare come tuo fratello che
prende le cose troppo sul serio.”
“Il
Quidditch è una cosa seria,” obiettò Roland, “Se non lo prendessi sul serio non
sarei nemmeno il Capitano della squadra e, a tal proposito, vorrei ricordarti
di mirare bene con la mazza perché i tuoi ultimi colpi lasciavano a desiderare.
A fine mese abbiamo la partita contro Grifondoro. La Robins, che giocava a
Quidditch con Potter, ha preso molto sul serio l’allenamento di Grifondoro e ha
già prenotato il campo per un sacco di allenamenti con le date che le ha
fornito la Weasley.”
Rabastan
si sentiva elettrizzato all’idea di conoscere tutti i retroscena della squadra
di Quidditch, come se fosse già un giocatore ufficiale. Suo fratello, poi, come
Capitano sembrava molto autorevole. Roland continuò: “Sto pressando Pucey per
avere altrettante date per allenarci, ma ovviamente ci sono anche gli altri
Direttori che premono e per questo motivo gli allenamenti che faremo da qui a
fine mese saranno molto intensi. Non voglio lamentele da parte di nessuno di
voi. Vi ricordo che siamo praticamente in guerra con Grifondoro.”
“Tu non
perdoni alla Weasley di averti buttato dalla scopa durante l’ultima partita.”
“Ci sono
un sacco di cose che non perdono alla Weasley, e vanno ben oltre il Quidditch.”
“Sai che
quel sorrisetto che fa quando colpisce il Bolide un po’ mi turba?” confessò
Hawk. Rabastan trattenne una risata nel vedere la faccia schifata di Roland.
“Per
Salazar, Hawk, quella lì ha uno dei sangui più impuri di Inghilterra! Non solo
sono traditori del sangue da generazioni, e chissà con chi si sono mescolati,
ma ha anche sangue di Veela e di Lupo Mannaro. A me fa ribrezzo.”
“Lo sai
che questi argomenti sono vietati…”
“Non sto
facendo proselitismo. Sto solo esponendo il mio pensiero. Sei liberissimo di
sporcarti il sangue e infangare il nome della tua famiglia, Flint. Io sono il
maggiore dei Lestrange e non ho intenzione di venire meno ai valori della mia
famiglia.”
Roland
voltò lo sguardo e Rabastan si sentì scrutato fin nel profondo. Fino a quel
momento lui non si era mai posto quei problemi, si limitava a vivere nel suo
mondo e sognare avventure a dorso di Draghi e Ippogrifi, duelli di magia ed
esplorazione di posti lontani e sconosciuti. Le ragazze erano qualcosa che
interessava i fratelli più grandi, come Orion e Roland, persino Roddie sembrava
indifferente all’argomento, preso com’era dallo studio e dalla lettura
compulsiva della Gazzetta del Profeta. La mamma aveva detto che tutto sarebbe
cambiato durante il quarto anno, ma lui portava il nome di zio Rabastan, che si
era sposato diversi anni dopo la guerra, e questo esempio lo tranquillizzava e
gli faceva pensare che potesse disinteressarsi all’argomento e concentrarsi sul
Quidditch e su quello che gli piaceva di più.
Gordon
McNair gli si sedette accanto con la sua aria svagata: “Buongiorno, Lestrange,
sei pronto?”
“Io sono
sempre pronto, McNair. Sono nato pronto.” Prese al volo il tovagliolo che
Gordon gli lanciò e sollevò le sopracciglia: “Che ti avevo detto? Riflessi
allenatissimi, anche se con te è troppo facile, lanci come una ragazzina.”
Hawk
scoppiò a ridere: “Ma senti questi due mocciosi del terzo!” Roland trattenne
una risata e si alzò: “Vi aspetto al campo di Quidditch, non fate tardi.”
Rabastan
si precipitò dietro il fratello. Aveva portato con sé tutta l’attrezzatura,
compresa la sua scopa nuova di zecca che i suoi genitori gli avevano regalato in
vista delle selezioni. Fino a quel momento aveva provato a volare a casa con la
vecchia scopa di Orion perché la mamma aveva detto che la scopa l’avrebbe
comprata solo a chi fosse realmente intenzionato a entrare nella squadra di
Quidditch. Roddie si era defilato, mentre lui e Roland si erano subito sfregati
le mani all’idea di presentarsi alle selezioni con l’ultimo modello di scopa
volante.
Aveva
una nuovissima Firebolt 3000, il modello che usavano persino i giocatori dei
Montrose Magpies. Avrebbe stracciato qualsiasi concorrente, come quello sfigato
di Corban Yaxley che voleva competere per il ruolo di Cercatore di Serpeverde.
Insieme a Yaxley c’erano anche Sewlyn e Tobias Dolohov che premevano per
entrare nella squadra come se il suo annuncio di partecipare alle selezioni per
il Quidditch avesse scatenato l’imitazione da parte dei suoi compagni di dormitorio.
Le dita
si muovevano nervosamente intorno al manico di scopa. Rabastan osservò le
venature del legno per tenere a bada l’ansia. Perché gli altri non arrivavano?
Dannazione, voleva salire sulla scopa.
“Vuoi
fare qualche giro per riscaldarti?” gli domandò Roland, e forse aveva intuito
la sua impazienza. “Io non posso volare con te, altrimenti diranno che sono di
parte, ma vi conosco tutti e so che sei il migliore.” Si scambiarono un sorriso
e Rabastan guardò la scopa e le ordinò: “Su!” Salì sul manico, si diede un
colpo con i piedi e la scopa iniziò a sollevarsi da terra. Fece qualche giro
del campo, si spinse fino al Lago Nero e osservò i suoi compagni che arrivavano.
“Alla
buon’ora, Yaxley!” gli urlò dall’alto.
“Che
ansia, Lestrange! Datti una calmata!” urlò Corban in rimando. Ridacchiò. Il suo
amico diventava di pessimo umore quando gli mettevano fretta al mattino, e
Rabastan aveva avuto cura di spargere ansia tra i suoi compagni di dormitorio.
Sapeva di essere il migliore, ma se gli altri fossero stati nervosi avrebbero
reso di meno e la sua bravura sarebbe risaltata di più. Voleva fare il miglior
provino, non gli interessava limitarsi ad avere il posto, voleva che tutta la
squadra fosse convinta che lui fosse il migliore acquisto, non solo perché era
il fratello del Capitano.
Il
talento nel volo scorreva nel sangue dei Lestrange, si diceva. Tornò verso il
campo da Quidditch e scese sull’erba soffice guardando gli altri membri della
squadra.
“Oggi
non faremo solo le selezioni per i ruoli scoperti, ma ci alleneremo perché il
ritardo di Pucey nella prenotazione del campo ci ha rallentato la tabella di
marcia e dobbiamo recuperare.” Roland spostava lo sguardo tra i vari giocatori
che annuivano.
“Abbiamo
bisogno di un portiere, di un cercatore e di un cacciatore. Iniziamo dalle
selezioni del portiere: abbiamo Selwyn e Dolohov. Selwyn prendi la scopa e
difendi gli anelli. Dolohov, lo stesso dall’altro lato del campo. McNair, ti
passerai la Pluffa con Bulstrode. Vediamo se hai la stoffa per il ruolo di
Cacciatore. Yaxley, Rabastan, sorvolate il campo, dopo un po’ libererò il
Boccino d’oro, vediamo chi sarà il miglior Cercatore. Io e Flint saremo i
Battitori, come sempre. Ci sono domande?”
Un coro
di no risuonò e i giocatori si alzarono in cielo con le loro scope.
Rabastan
vide la differenza tra i giocatori di ruolo e loro che stavano partecipando
alle selezioni per la prima volta. I giocatori si muovevano in modo armonico,
come se ognuno di loro conoscesse i movimenti degli altri. Sarebbe stato
difficile raggiungere quel livello di sincronia prima della partita contro
Grifondoro, adesso capiva il nervosismo di Roland.
In modo
del tutto inaspettato, Evan Selwyn sembrava in vantaggio su Dolohov. I suoi
movimenti vicino gli anelli erano precisi e rapidi e i colpi parati erano
migliori. Tobias si muoveva con difficoltà. Roland decise di andargli incontro:
“Dolohov, Selwyn, scambiate gli anelli, voglio vedere se dipende dalla luce.”
Il
risultato non cambiò, Evan era nettamente il portiere migliore.
“Grazie,
Dolohov, è tutto. Devi lavorare sulla velocità, prova a passare nel ruolo di
Cacciatore, vediamo se te la giochi con McNair.”
Rabastan
era ammirato dal modo in cui Roland conduceva la squadra ed evitava le frizioni
tra i componenti. Si concentrarono sui Cacciatori e tra poco sarebbe stato
liberato il Boccino d’oro, il momento che aspettava da tutta l’estate.
Doyle
Bulstrode, uno studente del quinto anno che giocava da Cacciatore da quando
Rabastan era entrato a Hogwarts, lanciò la Pluffa e Dolohov sembrò volare
meglio di McNair. Tuttavia, McNair era molto veloce e riuscì ad evitare un
Bolide che gli lanciò Flint. Roland colpì il Bolide con la mazza e Dolohov lo
evitò, aveva la Pluffa in mano, riuscì a sfuggire a un altro Bolide lanciato da
Flint, sgusciò dal placcaggio di Bulstrode, si avvicinò agli anelli difesi da
Selwyn e segnò. Rabastan esultò e poi chiese scusa. L’azione era stata
spettacolare. Tobias era stato bravissimo, sembrava un’azione degna del
campionato professionista. Si disse che quasi certamente era una vendetta
contro Selwyn, colpevole di avergli soffiato il ruolo da portiere.
Tuttavia,
Dolohov era decisamente migliore nel ruolo di Cacciatore e lo sguardo tra suo
fratello, Flint e Bulstrode sembrava confermare le impressioni di Rabastan. Ci
furono altre azioni, i tiri di McNair non andarono a segno come quelli di
Dolohov e Selwyn si confermò un ottimo portiere.
Roland
scese a liberare il Boccino d’oro e Rabastan lo vide schizzare su in cielo.
Strizzò gli occhi alla ricerca di un bagliore dorato e lo vide svolazzare
accanto a McNair. Se ne accorse anche Yaxley, entrambi scesero in picchiata,
McNair si spaventò e il Boccino iniziò a schizzare via rapidissimo. Rabastan si
appiattì sulla scopa, lo sguardo dritto sul Boccino. Schivò un Bolide, poi
Selwyn che si era allontanato troppo dagli anelli quando proprio tra due anelli
vide il Boccino. Yaxley sembrava essere rimasto indietro, alzò il manico di
scopa e salì in quota, la mano tesa per afferrare il Boccino e poi sentì la
sfera d’oro tra le sue dita, le ali che smettevano di svolazzare. Rabastan alzò
la mano in segno di vittoria ed esultò.
Vide il
sorriso sul volto di Roland e poi degli altri giocatori e persino Yaxley
applaudì in segno di approvazione.
“Sei
stato una scheggia, Rab!” esclamò Roland andandogli incontro. Flint gli passò
la mano tra i capelli e fu circondato da pacche, abbracci, strette di mano.
“Non so se è la tua scopa, o tu, ma sei stato incredibile,” gli disse Corban,
“stracceremo Grifondoro.”
Yaxley
era il suo migliore amico ed era felice che non se la fosse presa per non essere
stato selezionato. Si abbracciarono e continuarono l’allenamento.
“Corban,
continua a giocare con noi, insieme a Gordon, abbiamo bisogno di giocatori di
riserva. Non siete male.” Roland alzò lo sguardo verso gli spalti e un sorriso
perfido gli comparve sul volto: “Ragazzi, Grifondoro è venuto a spiarci. Hanno
paura. Voglio che diate un assaggio della polvere che mangeranno il giorno
della partita.”
Tornarono
in cielo e ripresero l’allenamento. Più giocavano, più la squadra risultava
affiatata e i passaggi erano sempre più precisi. Rabastan si sentiva al settimo
cielo nell’osservare dall’alto le azioni. Catturò il Boccino altre due volte,
schizzando veloce tra i suoi compagni di squadra e schivando i Bolidi che suo
fratello gli lanciava.
Quando
toccò terra era distrutto e felice come poche altre volte gli era capitato
nella sua vita. Tornò in sala comune per la doccia e poi si cambiò per andare a
cena. Raccontò per filo e per segno a Roddie tutte le sue manovre e il modo in
cui aveva catturato il Boccino d’oro e tutta la squadra aveva applaudito per
lui.
Finì sul
materasso stanco e crollò nel sonno, indifferente ai fantasmi e a tutto quello
che stava infestando quella scuola. Era il Cercatore ufficiale della squadra di
Quidditch di Serpeverde e non c’era niente di più bello e importante al mondo.
***
Hogwarts,
5 ottobre 2015
Il primo
mese ad Hogwarts era volato ed era stato semplicemente fantastico. Adorava
tutto: la scuola, i compagni di classe, i professori, il fatto che il sabato
avesse una partita di Quidditch da guardare. Tutto era meraviglioso e Louis al
suo fianco era uno spasso.
C’era un
solo lato negativo di Hogwarts ed era il suo compagno di dormitorio: Andrew McLaggen.
Non tanto perché russava la notte (Roxanne gli aveva insegnato come
insonorizzare le tende del baldacchino) quanto perché era un fan accanito delle
Holyhead Arpies e teneva un poster gigante di sua mamma sopra il letto, anche
se sua mamma aveva smesso da tempo di giocare a Quidditch e ora era solo
un’inviata della Gazzetta del Profeta.
Aveva
provato a convincere Andrew a togliere quel poster gigante, perché lui non
voleva svegliarsi ogni mattina e incontrare per prima cosa sua mamma che lo
fissava con quegli occhi marroni e l’espressione determinata, la stessa che
aveva quando minacciava di metterlo in punizione se non avesse messo in ordine
la stanza. Ogni mattina James si svegliava e aveva l’impressione che la foto di
sua madre volesse scoprire se avesse fatto tutti i compiti. Il ché era
impossibile, perché i professori li stavano riempiendo ed era tutto nuovo e
complicato da imparare, e nemmeno Louis riusciva a stare dietro tutti i
compiti.
James
era arrivato a promettere ad Andrew foto autografate, biglietti per lo stadio,
una foto con Ginny quando sarebbero arrivati al Binario 9 e 3/4. Aveva persino
promesso che d’estate l’avrebbe invitato a casa, così avrebbe potuto incontrare
la mamma e il papà, ma nessuna di quelle offerte riuscì a smuovere Andrew e
convincerlo a rimuovere il poster.
Così,
anche quel giorno si svegliò, guardò il poster di Ginny che lo osservava
sorridente appoggiata ad una meravigliosa Firebolt, e biascicò un “Buongiorno
mamma…” mentre si dirigeva verso la doccia. Cercò di sistemare al meglio i
capelli, anche se suo padre gli aveva detto che era una battaglia persa, e si
preparò per la colazione.
Avrebbero
avuto Trasfigurazione con la Robins, Pozioni con la McMillan e poi Erbologia
con Neville che era sempre paziente, gentile e comprensivo con i suoi studenti.
“Ancora
non mi sono abituato a vedere zia Ginny quando apro le tende del baldacchino,”
gli confessò Louis mentre beveva un po’ di succo di zucca. James prese un po’
di uova strapazzate e scrollò le spalle: “Non dirlo a me! Non so più come
convincere Andrew a togliere quel poster… Quasi quasi glielo stacco quando è in
sala comune!”
“Ho
applicato un incantesimo di Adesione Permanente che solo io posso rimuovere.
Potter, lascia in pace il mio poster.”
“Dai,
Andrew, non sai che significa svegliarsi e trovarsi tua madre che sembra
chiederti se hai fatto tutti i compiti.”
“Darei
qualsiasi cosa perché mia mamma fosse così…” sospirò Andrew con aria
trasognata.
“Ehi!
Stai parlando di mia mamma!”
“E di
mia zia,” intervenne Louis, “ti posso assicurare che se ti sentisse sarebbe già
partita una delle sue temibili Fatture Orcovolanti.” James si sentiva sollevato
al pensiero di avere al suo fianco Louis, lo faceva sentire meno solo.
“Chi
lancia le Fatture Orcovolanti?” domandò Roxanne mentre prendeva posto accanto a
loro.
“Parlavamo
di zia Ginny!”
Roxanne
si servì di salsicce e uova, prese un sorso di succo di zucca e raccontò
divertita: “Una volta ne ha scagliata una contro papà ma l’ho presa per sbaglio
io e ancora me la ricordo!” Roxanne guardò Andrew annuendo: “Sul serio, fossi
in te, toglierei quel poster. Magari puoi metterne uno della squadra di
Grifondoro. Noi siamo molto più belli di zia Ginny!”
“Nessuno
è meglio di Ginny Weasley! Lei è fantastica! Volava in un modo unico! Ma perché
ha smesso?”
“Perché
è nato lui!” Roxanne indicò James facendogli l’occhiolino.
James
sospirò prendendo del bacon per non dover guardare lo sconvolgimento di Andrew.
“In realtà non è proprio a causa di James. Sarebbe tornata a giocare dopo, la
squadra la voleva, solo che poi è nato anche Albus e poi Lily. Insomma, con tre
figli è difficile e lei era sempre in trasferta, e zio con il lavoro che fa… insomma,
è complicato! Però d’estate alla Tana batte ancora tutti noi nipoti!”
Per
tutta l’estate avevano ripetuto a James che ad Hogwarts gli avrebbero fatto
delle domande sul famoso Harry Potter. Tutti avrebbero voluto un racconto sul
Prescelto, se era vero che avesse la cicatrice, se in casa tenevano gli
horcrux, cose di questo tipo. Si era preparato psicologicamente a quel genere
di domande, sapeva anche come scherzarci su, ma non era pronto a tutte le
domande che Andrew gli avrebbe posto su sua mamma.
In
generale, quando si presentava gli chiedevano se lui fosse il figlio del famoso
Harry Potter e poi, immancabilmente, qualcuno arrivava a precisare che fosse
anche il figlio di Ginny Weasley, la famosa editor della cronaca sportiva della
Gazzetta del Profeta e la conversazione veniva monopolizzata dai retroscena sul
Quidditch. Da un lato, era meglio così perché James non aveva nessuna voglia di
parlare di Voldemort e della guerra, il Quidditch era un meraviglioso argomento
di conversazione.
“Andiamo
o faremo tardi a Trasfigurazione,” disse a Louis e Andrew. “Voi siete riusciti
a finire il tema sulle controindicazioni del trasfigurare animali in oggetti?”
Louis
annuì e Andrew si strinse nelle spalle: “Il problema non è finire il tema, il
problema è il voto che ci darà la Robins. Insomma, finora ho preso solo un
Accettabile. I miei genitori mi uccideranno prima di Natale se non miglioro.”
“Ho una
proposta da farti, allora,” gli disse Louis appoggiando il braccio intorno alla
spalla di Andrew. Lo videro irrigidirsi. Louis, però, aveva quel lato espansivo
dei francesi che lo portava a toccare le persone e parlar loro senza troppi
filtri, mentre altre volte riusciva ad essere antipatico (anche se lui si
definiva diretto) come i francesi. James adorava quel tratto, anche se quando
aveva provato a prendere esempio da lui era stato rimproverato da sua madre
perché non doveva essere invasivo e senza tatto.
“La mia
proposta è semplice: tu togli il poster di zia Ginny, se vuoi puoi piegarlo e
conservarlo nel comodino. Noi non vogliamo alzarci con zia che ci guarda come
se volesse sapere se abbiamo finito i compiti, in cambio, noi ti aiutiamo ad
avere ottimi voti in tutte le materie. Potrai entrare nel nostro esclusivo
gruppo di studi.”
“Pensa ai
tuoi genitori, a come saranno impressionati quando a Natale gli dirai che studi
con il figlio del Prescelto!” aggiunse James con quello che suo padre chiamava
il sorriso da malandrino.
Andrew
sembrò valutare la proposta. Si sedettero tutti e tre vicini in un banco in
ultima fila. James prese il compito di Andrew e gli disse dove modificarlo e
cosa aggiungere al tema.
“Allora,
ci stai?” gli domandò Louis.
Andrew
annuì: “Affare fatto.”
“Voi
tre! Smettetela di chiacchierare. Oggi ripeteremo l’incantesimo Feraverto.”
Demelza
Robins non era solo una severissima professoressa di Trasfigurazione, ma era
anche la Direttrice di Grifondoro e una tifosa appassionata di Quidditch. Secondo
i racconti dei genitori, aveva giocato come Cacciatrice da ragazza e pare che
fosse anche piuttosto brava a schivare i Bolidi e, con la stessa abilità, era
in grado di comparire alle spalle di qualsiasi studente distratto e richiamarne
l’attenzione.
La
professoressa Robins spiegava con grande passione, al punto che si emozionava
quando un incantesimo finalmente riusciva ai suoi studenti. Certo, riusciva
anche a sospirare delusa o spazientita se le volte successive dimostravano di
non aver imparato nulla.
La
Robins smosse il caschetto di capelli castani e l’intera classe trattenne il
respiro. Ormai avevano imparato che quando la professoressa scuoteva la testa
in quel modo voleva dire che stava perdendo la pazienza. “Ho letto i vostri
compiti sull’importanza della Trasfigurazione e devo dire che sono proprio
delusa, mi aspettavo molto di più da un compito così generico. Avreste potuto
scrivere chilometri di pergamena e invece avete fatto fatica a terminare i
trenta centimetri che vi ho assegnato.”
“Siamo
stati sommersi di compiti!” protestò Ruth Baston dal primo banco. La
professoressa alzò un sopracciglio e le disse: “Signorina Baston, non è una
scusa per svolgere un lavoro mediocre. Ad Hogwarts sarete sempre sommersi di
compiti. I compiti che avete iniziato a svolgere sono solo l’inizio di una
scalata lunga sette anni!”
La
classe piombò nel gelo. James, Louis e Andrew si scambiarono uno sguardo
terrorizzato. Sicuramente Andrew stava pensando di aver fatto un ottimo accordo
prima che fosse troppo tardi. Quella convinzione si consolidò quando la
professoressa Robins si avvicinò al loro banco e chiese di provare ad eseguire
l’incantesimo Feraverto. Diede un topo a ciascuno di loro e se James riuscì,
anche se qualche pelo di topo era rimasto nel vetro del calice, Louis trasformò
il topo in un perfetto calice di vetro che lasciò tutta la classe sbalordita.
“Ottimo
lavoro, Weasley, cinque punti a Grifondoro!”
James
diede una pacca sulla spalla al cugino, mentre Louis spiegava: “Il segreto è
concentrarsi molto sul calice che vuoi vedere. Io ho pensato a quelli che la
mamma mi vieta di toccare. Se pensi al topo poi finisce sempre che restano
parti dell’animale.”
“Avete
preso anche dei voti più che dignitosi nel tema!” esclamò Andrew.
“Te l’avevo
detto McLaggen! Vedrai che con noi la tua vita migliorerà!”
La
giornata continuò con Pozioni e poi Erbologia e persino Neville assegnò loro un
sacco di compiti, tra cui un tema sul Tranello del Diavolo e la cura di un
Arbusto Autofertilizzante, mentre la professoressa McMillan aveva assegnato un
tema infinito sugli ingredienti della Bevanda della Pace. Erano talmente
carichi di cose da studiare che, finite le lezioni, si trascinarono
controvoglia in biblioteca per iniziare i compiti.
“Suggerisco
di iniziare dal tema di Incantesimi di domani,” disse Louis con tono pratico.
Andrew annuì e James disse: “Io l’ho finito ieri. Potete dargli un occhio se
volete.”
Andrew
disse: “Io ho finito il tema di Difesa contro le Arti Oscure!”
Louis
esultò: “Benissimo! Se condividiamo i compiti possiamo finirli più velocemente!
Anche se credo che dovremo studiare lo stesso, altrimenti poi le prove pratiche
non ci riusciranno.”
“Sì, ma
avere i temi impostati è un aiuto non da poco,” annuì Andrew. Intercettarono
l’espressione burbera di Madama Quills e si zittirono immediatamente.
James era
immerso nella lettura di “Le Forze Oscure: guida all’autoprotezione di Dante
Tremante” quando Louis sollevò lo sguardo dal libro di Teoria della Magia e
lo chiamò sottovoce. James, però, voleva finire il paragrafo. Stava cercando di
memorizzare la differenza tra una fattura e una maledizione, quando un pezzetto
di pergamena arrotolata finì sulle pagine che stava leggendo. Alzò lo sguardo
seccato e intercettò gli occhi azzurri di Louis che gli facevano cenno di
leggere il biglietto.
Guarda
Molly e Roxanne.
Louis
fece cenno alla sua destra e James strizzò gli occhi per riuscire a riconoscere
le due cugine. Molly teneva i capelli aggrovigliati sopra la testa, tenuti
fermi da due matite, proprio come li portava zia Audrey, mentre Roxanne
continuava a sfogliare avidamente un libro e mostrare qualcosa alla cugina.
Sembrava che stessero lavorando a qualcosa e, a giudicare dall’espressione
concentrata che avevano entrambe, doveva essere qualcosa di estremamente serio.
“Hai mai
visto Molly così seria?” domandò sottovoce James. La cugina aveva il carattere
allegro di zia Audrey e come lei sognava di diventare un’illustratrice, al
punto da essere a capo delle decorazioni a sostegno della squadra di Quidditch.
Era lei a ideare gli striscioni, le frasi di incoraggiamento e animare il leone
di Grifondoro. Fred gli aveva raccontato che durante l’ultima finale contro
Corvonero, quando Grifondoro ha vinto, il leone disegnato da Molly si era messo
in bocca l’aquila dei Corvonero ed era andato in giro per tutto lo striscione
con aria fiera, mentre i tifosi esultavano. Persino la Robins le aveva fatto i
complimenti per l’inventiva.
“E
Roxanne?” domandò Louis. In effetti, Roxanne seria era qualcosa di ancora più
insolito rispetto a Molly. Roxanne era la versione femminile di zio George e
aveva preso il carattere fiero e battagliero di zia Angelina. Sembrava quasi
spaventata, mentre girava nervosamente le pagine mostrando qualcosa a Molly
che, ogni volta, scuoteva la testa sempre più sconsolata.
La
chiusura della biblioteca ricordò loro che era arrivata l’ora di cena. James si
trascinò verso la Sala Grande con Louis e Andrew che era entusiasta dall’idea
di aver finalmente capito come impostare un tema di Incantesimi leggendo quelli
di Louis. “Non era questione di studio, ma di metodo!” aveva esclamato
stiracchiandosi allegro. “Sono distrutto! Non vedo l’ora di tornare in sala
comune e andarmene a letto!”
“Sì, ma
ricorda di togliere il poster!”
“Sì,
tranquillo, lo tolgo! Siete molto più interessanti di Ginny Weasley!”
“Naturalmente!”
esclamò James ridacchiando. “La mamma non ti aiuterebbe mai con i compiti.”
James
notò che Roxanne e Molly mangiarono velocemente insieme a Victoire e poi le
vide allontanarsi verso la sala comune. Domandò a Fred: “Cosa succede a Roxanne
e Molly?”
Fred
scrollò le spalle e continuò a chiacchierare con Lucy e altri compagni del
quinto anno. Dominique era seduta al tavolo di Corvonero con Albert Goldstein e
lui e Louis si sentivano quanto mai spaesati.
Andrew
disse loro: “Forse le tue cugine stanno aiutando Roxanne con un compito. Insomma,
avete sentito la Robins oggi? I compiti che ci stanno dando sono niente
rispetto a quello che vedremo i prossimi anni!”
Louis e
James annuirono pensierosi. “Non capisco perché Dominique e Fred siano così
rilassati, allora.” Andrew scrollò le spalle. Era difficile trovare una ragione
per quei comportamenti bizzarri, ma James era troppo curioso di scoprirlo.
Così, dopo cena convinse Andrew e Louis ad andare nella sala comune di
Grifondoro dove pensava che avrebbe incontrato le cugine e, soprattutto, dove
Andrew doveva togliere il poster della mamma.
“Dulcis
in fundo!” esclamò James davanti il ritratto della Signora Grassa. Si
infilarono nel buco e rimasero colpiti dal fatto che nessuna delle tre cugine
fosse in sala comune.
“Secondo
te dove sono andate?” domandò James a Louis.
“Forse
avevano i turni di ronda. Sai, Molly e Vic sono Caposcuola e Prefetto, mentre
Roxanne sarà andata a dormire. Aveva l’aria molto stanca.”
James
annuì. Sì, poteva essere una spiegazione plausibile. Si diressero verso il
dormitorio dei ragazzi e finalmente Andrew rimosse il poster di Ginny. Appesero
un poster della squadra di Grifondoro e uno stendardo delle Holyhead Harpies.
Fecero
alcune partite a Sparaschiocco, vinte da Andrew che si era rivelato un abile giocatore,
quando James disse: “Vado a cercare Molly e Victoire, sono preoccupato per
loro. Non tornano!”
“Guarda
che rischi solo una punizione!” esclamò Louis. Andrew alle sue spalle dava
ragione a Louis.
“Non
importa, io vado. Ho risposto bene a Neville oggi, ho guadagnato ben dieci
punti.”
“Sì, ma
non è che i punti che guadagni li puoi usare per metterti nei guai!” osservò
Andrew.
“Lo so,
ma sono preoccupato. Voi restate qui, faccio un giro, magari le trovo che stanno
tornando.”
Louis
annuì e Andrew gli propose un’altra partita a Sparaschiocco in attesa di James.
Scivolò
al di fuori del ritratto della signora Grassa e scese al settimo piano. “Lumos!”
sussurrò alla bacchetta. Il corridoio era immerso nell’oscurità. Avanzava
lentamente sperando di sentire le voci di Molly e Victoire e scoprire a cosa
stessero lavorando.
“Ti dico
che il bagno dei Prefetti è al quinto piano.”
James si
nascose dietro un’armatura non appena sentì una voce maschile pronunciare
quelle parole.
“Al
settimo cosa c’era, quindi?” domandò un’altra voce.
“La
Stanza delle Necessità. Sul serio, Ramoso, non pensavo che ti saresti
dimenticato di questi dettagli!”
“Non
rinfacciarmeli solo perché tu sei tornato a Hogwarts più di recente, Felpato!”
James
sgranò gli occhi. Quei nomi. Li aveva sentiti un milione di volte nei
racconti a casa. Scosse la testa. Insomma, non era possibile. Loro erano morti.
“Abbiamo
visite, suppongo,” disse Felpato mentre superava l’armatura e finiva di fronte
a James.
Suo
nonno James rideva e aveva un sopracciglio alzato: “Ti sembriamo due con l’aria
da Prefetti?” James scosse la testa e domandò: “Tu sei mio nonno?”
“Esattamente,
e lui è il mio migliore amico nonché il padrino di Harry.”
“Ma cosa
ci fate qui? Non siete morti?”
“Che ci
facciamo qui?” domandò Sirius a James. I due si guardarono e James scrollò le
spalle: “Non lo so, un giro, suppongo che qualcuno ci abbia evocato. Tu
piuttosto cosa ci fai in giro a quest’ora della notte? Tuo padre non ti ha
nemmeno dato il Mantello dell’Invisibilità!”
“Papà ha
un Mantello dell’Invisibilità?” domandò James sbalordito.
Sirius
scosse la testa: “Vedi? Nemmeno gliel’ha dato! Inconcepibile! Harry ha preso da
Lily, non ci sono altre spiegazioni…” Sirius lo guardò incrociando le braccia e
gli domandò: “E la mappa?”
“Quale
mappa?” James Sirius non aveva idea di cosa stesse parlando il padrino di suo
padre.
“La
Mappa del Malandrino! Non dirmi che Harry non ti ha dato nemmeno quella!”
“Ehm…
Credo che ce l’abbia Teddy, il figlio di Remus.”
“Ha
senso. Teddy è più grande,” disse James guardando Sirius che annuiva “Sì,
perfettamente senso. Ah, è così logico Harry!”
“Ha
preso da Lily!” esclamò Sirius come se avesse appena avuto la dimostrazione di
quanto sosteneva prima.
James
osservava le persone di cui portava i nomi un po’ perplesso, senza sapere bene
come doversi comportare o cosa dire. A dire il vero, quei due erano così
complici che si sentiva di troppo.
“Senti,
Ramoso,” disse Sirius, “ma se mostrassimo a tuo nipote l’accesso alle cucine?”
“È
un’ottima idea, Felpato!” Fece un occhiolino a James e gli disse: “Non si può
mai sapere quando viene voglia di uno spuntino notturno! Seguici!”
Scesero
le scale seguendo passaggi che James non aveva mai notato e che – in pochissimo
tempo – li portarono dalle parti della sala comune dei Tassorosso. Si fermarono
davanti un quadro con la frutta e suo nonno gli disse: “Fa’ il solletico alla
pera.” James obbedì e si aprì l’ingresso per le cucine.
Oltre la
soglia gli elfi domestici l’osservarono sorpresi e poi gli corsero incontro, desiderosi
di sapere come compiacere uno degli studenti. James sentì Sirius sussurrargli
di chiedere dei biscotti e così obbedì. Gli elfi furono entusiasti di riempirlo
di biscotti, muffin e scone fino a riempire le braccia di James che ringraziò
indietreggiando, imbarazzato come quando nonna Molly lo riempiva di torta. Non
appena furono fuori dalle cucine esclamò allegro: “Ma è meraviglioso! Grazie!”
Pensava al momento in cui avrebbe diviso il suo bottino con Louis e i compagni
di dormitorio.
“Adesso
ti accompagneremo alla Torre di Grifondoro, ma poi dovremo salutarci,” gli
disse James.
“Non
credo che la Signora Grassa sarà felice di rivedermi dopo il nostro ultimo…
ehm… incontro.” Sirius gli fece l’occhiolino e James capì subito che si
riferiva a quando si era infilato dentro la sala comune di Grifondoro nei panni
di Felpato e aveva quasi distrutto il quadro della Signora Grassa. Suo papà gli
aveva raccontato un sacco di volte quelle storie, anche se dopo ogni racconto diventava
sempre un po’ triste.
“Ti
avremmo fatto conoscere i vari passaggi segreti, ma purtroppo quei maledetti
Mangiamorte li hanno chiusi,” disse Sirius.
James
osservava il nonno ed era sbalorditivo quanto si assomigliassero: gli stessi
capelli scompigliati e gli identici occhi marroni. Persino la forma del viso
era la stessa. Aveva sempre pensato di aver ereditato gli occhi marroni dalla
mamma, invece erano proprio come quelli del nonno. Sulle scale, prima di
arrivare da quella pettegola della Signora Grassa, James e Sirius lo salutarono
raccomandandosi di dire a suo padre che erano estremamente orgogliosi dell’uomo
che era diventato e che anche James e i suoi fratelli promettevano bene. James
annuì e quando i due fantasmi scomparvero corse fino al ritratto della Signora
Grassa e le urlò “Dulcis in fundo!” con un impeto tale da farle esclamare: “Che
modi!” ed entrò carico di biscotti e dolci nella sala comune.
Trovò
Molly, Victoire e Roxanne intente a parlare fittamente. Le tre cugine si
voltarono verso di lui e gli dissero: “È scattato il coprifuoco, dov’eri?”
Roxanne
strizzò gli occhi andandogli incontro: “E dove hai preso tutti questi dolci?”
“In
cucina!” esclamò James, “me li hanno dati gli elfi domestici. Voi non avete
idea di chi ho incontrato!” esclamò entusiasta. Le cugine si guardarono preoccupate.
“Chi?” James notò che la voce di Molly tremò e sembrava spaventata mentre lo
guardava e attendeva la risposta.
“Ho
incontrato i fantasmi del nonno e di Sirius Black! Mi hanno mostrato la strada
per le cucine e suggerito di chiedere i dolcetti agli elfi domestici!” Era
emozionato e avrebbe iniziato a saltellare per la sala comune tanto era felice
di quell’incontro, ma lo sguardo spiazzato delle cugine lo fece calmare.
“Ti
hanno detto come mai erano ad Hogwarts?” domandò Victoire.
“Non lo
sapevano di preciso, mi hanno detto che qualcuno doveva averli evocati e che ne
stavano approfittando per fare un giro. Li ho incontrati al settimo piano. Ero
uscito per venire a cercarvi…” disse James ricordandosi che stava parlando con
un Prefetto e un Caposcuola di Grifondoro e non voleva assolutamente farsi
togliere dei punti. “Mi hanno anche mostrato delle scale che non conoscevo che
mi hanno portato subito vicino la sala comune dei Tassorosso dove ci sono le
cucine!”
“Questa
volta erano due…” disse Molly guardando le cugine.
“Deve
essere Magia Oscura…” mormorò Roxanne, “tutti i libri che abbiamo consultato
rinviano alle Arti Oscure per l’evocazione degli spiriti dei morti.”
“Questo
restringe di molto i sospettati,” concluse Victoire, “c’è una sola Casa in cui
le Arti Oscure non sono viste negativamente.”
“E sono
ancora meno quelli che prossimamente faranno i riti di Samhain. Il giorno in
cui il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglia.”
James
assisteva preoccupato a quella conversazione. Voleva chiedere se avessero visto
qualche fantasma anche loro quando la porta della sala comune si aprì ed entrò
Louis trafelato.
“James,
sei qui!” esclamò spaventato. “Sono uscito a cercarti perché loro erano tornate
e tu non tornavi.”
“Calmati,
Louis.” Victoire gli si avvicinò preoccupata e nessuno di loro si aspettava che
Louis si gettasse tra le sue braccia tremando. Non sembrava più il giovane mago
undicenne che collezionava bei voti dai professori, ma solo un bambino
spaventato.
“Chi hai
visto?” gli domandò James, temendo la risposta. Iniziò ad avere il sospetto di
essere stato molto fortunato nell’incontrare il nonno e Sirius Black.
Louis
aveva il viso affondato contro Victoire che gli accarezzava la schiena per
calmarlo. Louis sembrò prendere coraggio grazie al contatto con Vic. Alzò il viso
verso la sorella e mormorò: “Fenrir Grayback…”
Victoire
chiuse gli occhi terrorizzata mentre stringeva forte a sé il fratello. Entrambi
sembravano fare una gran fatica per non scoppiare a piangere. Molly si avvicinò
e abbracciò entrambi, così come fecero Roxanne e James. Volevano mostrare la
loro vicinanza a Louis.
“È morto
ad Azkaban dopo la guerra, Louis, non può farti niente.”
“Non
potete capire! Ha detto che tornerà e che ci trasformerà in Lupi Mannari e
saremo costretti a ubbidirgli! Vuole uccidere la mamma e il papà!”
“Per
Godric!” esclamò Molly.
Victoire
afferrò il viso del fratello e lo guardò negli occhi. In quel momento
assomigliava a zia Fleur in un modo incredibile.
“Ascoltami
bene, Louis, rispediremo quei fantasmi nell’inferno da cui sono arrivati.
Nessuno tornerà indietro. Abbiamo sconfitto una volta Greyback e sconfiggeremo
anche il suo fantasma. Hai la mia parola!” Victoire alzò lo sguardo verso Molly
e le disse: “Mi serve solo un piccolo indizio per scoprire chi è stato e poi ti
giuro che non riconoscerà più il suo sedere! Adesso è diventata una questione
personale!”
“Gli
faremo passare la voglia di giocare con le Arti Oscure!” esclamò Roxanne con lo
stesso piglio determinato che aveva mentre entrava in campo. Molly annuì
altrettanto determinata.
“Scommetto
che c’entrano i Lestrange,” disse Louis guardando la sorella, “Hai saputo cosa
hanno detto a Teddy l’altro giorno?”
Molly
sembrava non essere al corrente del battibecco tra Teddy e Roland nel corridoio
fuori la biblioteca, così James spiegò: “Ha detto che da figlio di Mangiamorte
conosce dei modi per fargli fare la fine dei suoi genitori.”
“No!”
Molly si coprì la bocca spaventata.
James
annuì: “La preside ha convocato i suoi genitori e so che è stato messo in
punizione.”
“Allora
direi che abbiamo abbastanza elementi per avere un sospetto!”
“Non è
un caso che dopo quello scontro abbiano iniziato ad apparire questi fantasmi!”
esclamò Victoire. “Non ci avevo pensato finora, ma credo che sia la spiegazione
più plausibile.”
“Il
rasoio di Occam,” esclamò Roxanne.
“E tu
che ne sai?” domandò Molly.
“Qualsiasi
cosa che semplifichi la vita mi interessa, Molly, dovresti saperlo e non
dovresti nemmeno stupirti più di tanto.”
“Cos’è
questo rasoio?” domandò James perplesso mentre mangiava un biscotto. Sapeva che
forse non era il momento adatto per sgranocchiare biscotti, ma tutto quel
nervosismo l’aveva agitato e persino la paura di Louis e la presenza di
fantasmi del passato che volevano tornare lo aveva terrorizzato e aperto una
voragine dentro il suo stomaco.
Roxanne
prese un biscotto e gli disse: “In poche parole, a parità di fattori, la
spiegazione più semplice è quella preferibile.”
“Quindi,
se i Lestrange sono una famiglia che intrallazza con le Arti Oscure e hanno
minacciato Teddy, è probabile che siano loro ad aver evocato i fantasmi,
giusto?” domandò James.
“Esatto.”
Victoire prese un biscotto e un altro lo prese Louis, mentre Molly prese un
muffin. Alla fine, gli sembrava che il nonno e Sirius stessero confortando e
vegliando su tutti loro.
“Ma
perché Lestrange dovrebbe avermi fatto incontrare il nonno e Sirius?”
“A me e
Molly ha fatto incontrare zio Fred,” disse Roxanne.
“A me
Cedric Diggory.”
“Quindi
solo io ho incontrato Greyback?” domandò Louis tremando mentre tornava ad
abbracciare la sorella. “Vic, posso dormire con te?”
“Scordatelo.
I ragazzi non possono entrare nel dormitorio delle ragazze e io sono un
Prefetto!” esclamò Victoire, “non fare il moccioso.”
“Puoi
dormire con me, se vuoi,” gli disse James che capiva perfettamente quanto
dovesse essere stato terrificante per Louis trovarsi davanti il Lupo Mannaro
che aveva aggredito suo padre. Era un po’ come se lui avesse incontrato
Voldemort. La sola idea gli dava i brividi.
***
Hogwarts,
5 ottobre 2015
Caro
Roland,
capisco
i tuoi motivi di preoccupazione e hai la mia parola che non farò menzione con
la mamma di quanto mi hai confidato. Quello che mi hai descritto è qualcosa di
impensabile e decisamente oscuro.
Nella
biblioteca dell’Ufficio Misteri ho trovato degli incantesimi in grado di aprire
il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti (non ho nessuna intenzione
di scriverteli su questa lettera né di farteli conoscere), sappi solo che sono
troppo complicati per essere opera di studenti di Hogwarts.
State attenti,
tenete la bacchetta a portata di mano perché chiunque sappia evocare questi
fantasmi è in grado di fare ben altri danni. Probabilmente sa lanciare una
maledizione senza perdono con la stessa semplicità di un Alohomora.
Guardatevi
attorno e non escludete nessuna pista. Sono d’accordo con Roddie, proveranno ad
accusarvi se ne avranno la possibilità. State attenti e rigate dritto. Scrivetemi
e aggiornatemi sull’andamento delle vostre ricerche, altrimenti starò in
pensiero.
Vi
voglio bene.
Orion
La risposta
di Orion era arrivata rapida e non si era rivelata del tutto risolutiva.
D’accordo, esistevano degli incantesimi, forse delle maledizioni, ma suo
fratello non gli aveva dato alcun indizio per capire di chi fosse l’autore di
quelle evocazioni. Sospirò. Era stato un buco nell’acqua e forse dovevano
realmente trovare un modo per parlare con Delphi di quanto stava accadendo tra
le mura di scuola. Certo, senza menzionare i suoi genitori, altrimenti avrebbe
scalpitato per poterli incontrare e, Salazar, Roland aveva i brividi a pensare
cosa avrebbe potuto fare Delphi sotto le indicazioni dei suoi genitori.
Era
l’unica che avesse sufficiente conoscenza delle Arti Oscure e che non si
facesse scrupoli a condividere le informazioni con loro. Delphi non l’aveva mai
trattato come uno stupido.
“È la
risposta di Orion?” domandò Roddie sedendosi accanto a lui mentre allungava il
collo verso la pergamena. Roland gli passò la lettera. Non aveva voglia di
parlarne. Stava andando in paranoia e temeva di essere spiato. “Non parlarne
qui,” gli disse sottovoce. Roddie annuì e si limitò a passare la lettera a
Rabastan dicendogli: “Tanti saluti da nostro fratello.”
Rabastan
gli restituì la lettera. Si passò una mano tra i ricci castani. Persino la sua
ammissione nella squadra di Quidditch sembrava essere passata in secondo piano.
“Lo sai che significa, vero? Abbiamo una sola persona che ci può rispondere.”
“Lo so,
Rab. Andrò in guferia a mandarle Antares. È l’unico che sappia trovarla. Fino
ad allora non ne parliamo più, a meno che non ci siano novità.” Mandò giù una
forchettata di uova, ma sentì lo stomaco chiudersi. Non riusciva ad abituarsi a
quella dannata colazione inglese. Allungò la mano verso il pane tostato e prese
un po’ di burro. Avrebbe dato qualsiasi cosa per i croissant di casa e una
tazza di caffè invece dei muffin e di quei dolci troppo carichi di burro e
zucchero, così diversi dai dolci che zio portava da Parigi.
Hawk,
accanto a lui, sorrideva leggendo una pergamena decorata con teschi e fiori.
“Mia nonna,” gli disse, “ha iniziato i preparativi per el dia de los muertos.”
“Per
cosa?”
“Il
giorno dei morti. Lo sai che mia nonna è messicana, no?”
Roland
strizzò gli occhi e un brivido gli corse lungo la schiena.
“Che
c’è? Hai paura dei morti?” gli domandò Hawk divertito. Si era accorto del suo
tremore.
“Ciò che
è morto non può tornare, non ha senso averne paura,” disse sprezzante. Non
voleva farsi vedere debole da Flint. D’accordo, era un suo compagno di scuola,
forse poteva considerarlo un amico, ma non tanto da poter condividere con lui
quanto lui e i suoi fratelli stavano vivendo.
Hawk
infilzò una salsiccia e Roland trattenne un moto di disgusto nel sentire
l’odore della carne di prima mattina. “Non direi. Durante il giorno dei morti,
che poi la festa è di notte, le anime dei defunti vengono a trovare i vivi.
Occorre preparare un banchetto, alcuni addirittura lasciano il proprio letto a
disposizione dei morti. Insomma, è una festa molto seria e molto importante.”
“E come
vengono i morti?” domandò Roland.
“Sono le
anime, il loro spirito che lascia il mondo dei morti e si avventura per quello
dei vivi.”
“E
quando sarebbe questo giorno?” Questa festa l’aveva incuriosito, forse c’era
una ragione che non riguardasse le Arti Oscure. Forse era una dannata festa di
qualche parte del mondo che lasciava aperti i due mondi.
Flint
mandò giù l’ultimo boccone di salsiccia e attaccò il bacon. Masticando a bocca
aperta disse: “Tra poco, intorno a Samhain.” Roland e Roddie si scambiarono uno
sguardo. Notò l’espressione disgustata del fratello mentre si alzava per andare
a lezione.
“Ma è
possibile che un’anima decida di raggiungere il mondo dei vivi prima della
festa?” continuò a domandare. Quella festa iniziava a interessarlo.
“Perché
dovrebbe farlo? Non troverebbe i vivi pronti ad accoglierla.” Hawk continuava a
mangiare come se niente fosse. Roland tornò a concentrarsi sul suo toast
imburrato mentre si domandava se in biblioteca ci fosse qualcosa sulla magia
messicana. Forse nel pomeriggio avrebbe potuto controllare.
“Come
sei messo con il tema di pozioni per oggi?” Flint cambiò argomento, passando
alla concretezza della giornata. Aveva passato tutto il pomeriggio a volare con
la scopa e si era dimenticato del compito di Pozioni, un classico.
“L’ho
finito ieri. Lo vuoi?” Roland voleva tenere buono Hawk perché gli sarebbe
tornato utile. In quel momento, più che mai, aveva bisogno di alleati. Lo vide
annuire e gli passò la pergamena.
“Cazzo,
Lestrange, sei un genio, come fai a ricordarti tutte queste cose?” sbottò.
Roland ebbe un tremito e sperò che non gli macchiasse la pergamena con l’unto
del bacon.
“Lo sai
che i professori mi odiano per il cognome che porto. Non voglio dare la
soddisfazione di mettermi brutti voti. Hai visto Longbottom come impazzisce
ogni volta che deve mettermi una O?” domandò con un sorriso obliquo. In realtà,
avrebbe dovuto dirgli che quello che loro stavano studiando al sesto anno lui
lo aveva studiato nell’estate tra il terzo e il quarto anno e prima dei
G.U.F.O. aveva finito il programma dei M.A.G.O. Gli altri studenti passavano le
estati a riposare e divertirsi, lui e i suoi fratelli le passavano tra libri,
calderoni e duelli di magia. Fuori era pieno di gente che non desiderava altro
che vederli scomparire e lui non aveva nessuna voglia di dar loro questa
soddisfazione.
“In
realtà le tue sarebbero E,” gli riconobbe Flint, “ma credo che preferirebbe
tagliarsi una mano piuttosto che metterti una E.”
“Tanto
il prossimo anno arriverà una commissione esterna per i M.A.G.O. e avremo
risolto il problema di quel babbanofilo. Oltre ogni aspettativa è un buon voto
e non mi crea problemi con la carriera.”
“Hai
delle idee su cosa fare? Mio padre vuole che prenda l’accademia del San Mungo,
ma io voglio giocare come professionista a Quidditch. Quest’estate ho fatto dei
provini.”
“Come
sono andati?”
Hawk
scrollò le spalle biascicò un “mi diranno più avanti”
Roland
afferrò il calice pieno di succo di zucca per eliminare il sapore di bruciato
dell’ultima parte del toast. Vide Lucile Dolohov sedersi con Edith Yaxley e
sospirò. Sua madre gli aveva raccomandato di invitarla ad uscire a Hogsmeade,
ma era sempre tutto così dannatamente difficile e adesso si erano messi di
mezzo anche i fantasmi. Non poteva certamente invitare Lucile a un appuntamento
in cui avrebbe dovuto incontrare Delphi. Immaginava le cose inopportune che
avrebbe detto Delphi solo per metterlo a disagio davanti Lucile. Era troppo
brava a leggere dentro le persone, quella dannata strega, e sapeva sempre dove
colpire per fare male. Avrebbe fatto allusione a quella volta in cui si era
infilata sotto le sue coperte, che se suo padre l’avesse scoperto l’avrebbe strozzato
con le sue mani.
Roland
era così immerso nella lettura di un racconto di avventure da non essersi
accorto che la porta della sua stanza era stata aperta. Mise mano alla
bacchetta quando sentì qualcuno oltre le tende del baldacchino e con grande sorpresa
vide la chioma argentea di Delphi comparire.
“Dovresti
stare in camera tua,” le aveva detto con un sopracciglio alzato e un sorriso
sbieco.
“Mi
annoio. Ho chiesto ad Orion, ma è così noioso. Posso stare con te?”
Non
aveva aspettato la risposta. Si era infilata sotto le coperte con la sua
camicia da notte sottile che lasciava intravedere le splendide forme del suo
corpo. Roland, tuttavia, non voleva cedere. Socchiuse gli occhi e le domandò:
“Quindi io sono la tua seconda scelta?”
Delphi
aveva alzato gli occhi al cielo sorridendo e si era morsa un labbro sospirando:
“Tutti possono sbagliare. Dimmi che questa è la volta buona.” Roland aveva
sospirato nel momento in cui Delphi aveva passato le sue dita sottili tra i
capelli e non era riuscito ad evitare di chiudere gli occhi.
“Lo sai
che potremmo finire nei guai?” le domandò mentre cercava di tenere a bada
l’eccitazione che montava dentro. Delphi sembrava una creatura delle favole
tanto era bella. Poteva essere contemporaneamente la principessa e la strega
cattiva, a seconda di come le girava.
“Sei un
Lestrange, i guai dovrebbero essere il tuo pane quotidiano,” gli aveva risposto
mentre gli posava un bacio sul naso e gli sfilava il libro dalle mani. “La vuoi
vivere un’avventura con me o ti vuoi limitare solo a leggerle?” Lo aveva spinto
con la schiena sul cuscino ed era salita su di lui, immobilizzandolo. Roland aveva
spalancato gli occhi nel vedere Delphi che si sfilava la camicia da notte e
rimaneva completamente nuda sopra di lui. Era troppo. Decisamente troppo. Lei
era perfetta. Malvagia e assolutamente perfetta. O almeno questo era quello che
pensavano, là sotto, i pantaloni del pigiama che diventava sempre più stretto.
“Smettila
di pensare, Roland,” gli aveva sussurrato nell’orecchio, chinandosi su di lui e
sfilandogli i pantaloni. Era rimasto a bocca aperta mentre lei lo massaggiava e
si calava su di lui.
Si
muoveva sinuosa sopra di lui che stava impazzendo dal piacere. Si scambiarono
un sorriso e non appena Delphi chiuse gli occhi, Roland si sentì liberato dal
potere della ragazza e ribaltò le posizioni affondando in lei con impeto. La
sentì gemere di piacere e abbandonarsi all’orgasmo mentre lui faceva
altrettanto. Continuarono a cercarsi per tutta la notte e il mattino dopo
Roland si svegliò solo nel letto, completamente nudo e di ottimo umore.
Stava
andando a fare colazione quando aveva incontrato Orion che con un sopracciglio
alzato e lo sguardo divertito gli aveva detto: “Qualcuno ha ricevuto visite
questa notte.”
“Credo
di non essere stato l’unico.”
“Siete
entrambi noiosi e imbranati,” aveva detto Delphi raggiungendoli.
“Non ci
farai litigare, Delphi,” aveva sghignazzato Orion. “So di essere noioso.”
“Non mi
sottovalutare, Orion, so fare molto male…”
Roland e
Orion si erano scambiati uno sguardo perplesso mentre entravano a colazione.
Roddie e Rabastan erano già scesi in spiaggia, trovarono la mamma intenta a
leggere la Gazzetta del Profeta. La mamma alzò lo sguardo e li scrutò tutti e
tre. Roland si sentì a disagio perché sua madre riusciva a capire moltissime
cose con un rapido sguardo e iniziò a pensare che forse non avrebbe dovuto
cedere a Delphi, che era stato sciocco cadere nella sua trappola.
“Dormito
bene?” domandò la mamma prendendo un sorso di tè.
Delphi
scrollò le spalle e disse: “Non riuscivo a prendere sonno, ho chiesto un po’ di
compagnia a Orion e Roland ma nessuno dei due si è dimostrato all’altezza. Sono
così noiosi.”
Roland
sospirò immaginando la punizione che si sarebbe beccato. Adesso la mamma
sarebbe andata su tutte le furie perché aveva sempre detto di non dare troppa
confidenza a Delphi. Sottolineava sempre che era una ragazza problematica. Lui
e Orion, però, sapevano che non era problematica, era perfida e amava seminare
zizzania e rovinare ogni momento bello. Persino ieri notte sarebbe stato un bel
ricordo se lei non lo avesse rovinato dando fastidio a Orion e spifferando
tutto alla mamma.
Roland vide
sua madre scrollare le spalle, posare la tazza di tè e girare pagina della
Gazzetta del Profeta con una calma incredibile. Orion sembrava che avesse
smesso di respirare tanto era in attesa di una reazione. Invece, la mamma si
limitò a dire: “Beh, rivedrei la mia capacità di coinvolgere il partner se
entrambi ti sono sembrati noiosi, cara.”
Delphi
rimase a bocca aperta e pochi minuti dopo, quando tutti loro finirono di fare
colazione, la videro andare via con Euphemia, mentre la mamma la salutava
amorevolmente e le raccomandava di studiare e impegnarsi a Durmstrang. Non
appena Delphi ed Euphemia scomparvero con la Passaporta la mamma guardò entrambi
e disse loro: “Non darò soddisfazione a Delphi con le sue cattiverie, ma voi
eravate dei pulcini e siete diventati due polli per finire così nelle sue
grinfie.”
“No,
mamma, io ho resistito stoicamente,” disse Orion, mettendo le mani avanti. “È
andata via su tutte le furie dicendo che sarebbe andata da Roland.”
“Che
invece c’è cascato come un pollo…” la mamma terminò la frase con un sorrisetto
sarcastico.
“Si è
infilata nel mio letto completamente nuda e mi è saltata addosso!” aveva provato
a difendersi. La mamma gli rivolse uno sguardo scettico e gli disse: “E
immagino che quello che è successo per tutto il resto della notte lo abbia
fatto da sola e che quel sorriso che hai, insieme alle occhiaie, siano dovuti
alle tue letture…”
La mamma
non aveva detto nulla al papà, ma lo aveva preso in giro per un po’ di tempo
ricordandogli quanto dovesse tenere alta la guardia.
Roland
aveva accuratamente evitato Delphi da quel giorno e la sola idea di doverla
incontrare gli metteva un po’ di ansia. Si ripeteva che non aveva nulla da
temere perché sarebbe stato in compagnia di Roddie e Rabastan e ad Hogsmeade.
Certo che, ogni volta che lei compariva, rischiava di finire immancabilmente
nei guai.
Nota:
L’episodio di cui parlano le
cugine Weasley su Roland lo trovate postato nelle note dello scorso capitolo!
Qui vedete lo stesso episodio percepito da una prospettiva radicalmente diversa
(quella di James e di Victoire).
Spero che l’incontro dei due
Malandrini non abbia ferito molte di voi, so che ci sono fan di quei due
screanzati. L’idea che incontrassero proprio James Sirius era troppo bella per
non essere sfruttata. xD Al povero Louis è andata decisamente peggio.
I Lestrange, al momento, sono
salvi, ma stanno ancora cercando di venire a capo del mistero. Al momento, pare
essere chiaro che ci sono le Arti Oscure di mezzo. Chissà se Delphi riuscirà a
dare qualche indizio in più o farà solo in modo che Roland finisca nei guai. Lo
vedremo nel prossimo capitolo!
Grazie ancora per il sostegno, i
feedback e le teorie che mi fa sempre piacere leggere.
Un abbraccio
Sev
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5
Hogsmeade,
17 ottobre 2015
L’ultimo
a vedere un fantasma era stato Louis, la sera tra il cinque e il sei ottobre.
Erano passati ben undici giorni senza altri avvistamenti e la vita sembrava
essere tornata sui binari ordinari.
Insieme
a Molly e Roxanne, Victoire continuava a trascorrere le sere in sala comune a
leggere e indagare su quel mistero, mentre durante il giorno tenevano d’occhio
i movimenti dei Lestrange.
Era
stata fatta una riunione nella sala comune di Grifondoro tra tutti i cugini e
loro tre avevano informato anche Lucy, Dominique e Fred di quegli incontri atipici.
Sembrava, infatti, che i fantasmi ce l’avessero solo con loro, perché nessun
altro studente aveva informato Prefetti, Caposcuola o Professori di incontri
insoliti nel castello. Era stato naturale, pertanto, chiedere agli altri di
fare attenzione.
Ogni
mattina durante la colazione, Victoire controllava i volti di Dodò e Louis per
verificare se tutto andasse bene. Temeva che qualcuno provasse a fare l’eroe e
nascondesse eventuali incontri per non aumentare le preoccupazioni. In realtà,
avevano bisogno di ogni singolo dettaglio per venire a capo del mistero di
quelle apparizioni e, se non erano terminate spontaneamente, riuscire a
bloccarle.
“Novità?”
domandò osservando Dominique sedersi un po’ nervosa al tavolo.
Dodò
lasciò oscillare i suoi lunghi capelli biondi e sorrise un po’ imbarazzata:
“Oggi esco con Albert!”
Le
sopracciglia di Victoire si alzarono un po’ più di quanto si sarebbe attesa per
una confessione del genere: “Cosa ci trovi in Albert? Voglio dire… è noioso!”
“Oh no!
È brillante e molto acuto, ha una immaginazione vivace.”
“Non
riesco a immaginare di cosa possiate parlare…”
Dodò
arrossì e si morse un labbro. Victoire scoppiò a ridere e per poco il succo di
zucca non le andò di traverso. “Non dire niente! Siete nella fase in cui non si
parla molto. Ho capito! Temevo che avessi fatto altri brutti incontri…” le
disse rincuorata.
“Quali
brutti incontri?” domandò Albert sedendosi al tavolo dei Grifondoro, incurante
degli sguardi sorpresi nel vedere un Corvonero al tavolo di un’altra Casa.
“Qualcuno
ti dà noia?” le domandò accarezzandole la schiena con un gesto molto
protettivo. Victoire doveva ammettere di non conoscere a sufficienza Albert per
esprimere un giudizio su lui. Sembrava molto preso da Dodò.
Dominique
scosse la testa e lanciò uno sguardo a Victoire: “Posso dirglielo?”
“È un
Prefetto, forse è il caso che lo sappia. Magari ci sa dire se anche qualche
Corvonero ha notato qualcosa di strano,” annuì Victoire. Avevano bisogno di
tutto l’aiuto possibile e forse solo la genialità di Corinna Corvonero avrebbe
potuto instradarli sulla via della soluzione a quel mistero.
“Cosa
succede?” Albert corrucciò la fronte, gli occhi verdi, sotto i boccoli neri, si
scurirono lasciando trapelare la preoccupazione e la stessa concentrazione che mostrava
durante le ronde notturne e le lezioni di Pozioni.
“Qualche
settimana fa, alcuni di noi Grifondoro,” Victoire voleva omettere il dettaglio
che fossero solo i cugini Weasley-Potter, perché non aveva la certezza che
anche altri studenti non avessero fatto incontri simili, “hanno incontrato
fantasmi di gente morta durante la battaglia di Hogwarts. Alcuni hanno
incontrato parenti, altri dei nemici. Tutti questi fantasmi hanno detto di
essere morti, di essere andati avanti e di essere stati evocati.”
Albert
strabuzzò gli occhi: “Hanno detto che sono stati evocati?”
Victoire
annuì. Albert si massaggiò il mento e corrucciò le sopracciglia come se
qualcosa gli fosse venuto in mente. “Quand’è che sono comparsi questi
fantasmi?”
“A
inizio mese, mi sembra che il primo avvistamento sia stato il primo ottobre.”
“Strano,
molto strano…” disse Albert. Si guardò intorno nervosamente, lanciò sguardi a
Victoire e Dominique che si sporsero verso di lui. Sembrava non volesse farsi
sentire.
“Avete
presente Roland Lestrange?”
Victoire
annuì e guardò Dominique come per dirle che i suoi sospetti erano stati appena
confermati.
“In quei
giorni, durante una lezione di Difesa contro le Arti Oscure, ha fatto una serie
di domande al professor Pucey sulla possibilità di evocare gli spiriti dei
morti senza la presenza di un evocatore, come per lasciarli liberi di andare in
giro. Nella sala comune di Corvonero ne abbiamo parlato a lungo e siamo rimasti
sconvolti, persino il professor Pucey è rimasto sconvolto. È andato su tutte le
furie e gli ha detto che sono cose vietate dal Ministero e che lui non dovrebbe
nemmeno sognarsi di fare simili domande!”
Molly si
era appena avvicinata per ascoltare ed era rabbrividita. Victoire alzò lo
sguardo verso la cugina, incrociò i suoi occhi azzurri e batté la mano sul
tavolo. “Che ti avevo detto Molly? Lo sapevo! Il mio intuito non sbaglia mai!
Quando c’è qualcosa di oscuro in questa scuola, c’entrano sempre i Lestrange!”
Tutti e
quattro si voltarono verso l’ingresso della Sala Grande e videro Roland entrare
insieme ai suoi fratelli. “Guardateli, girano sempre insieme.”
Dominique
esclamò: “Questo non è un argomento, anche noi stiamo sempre insieme, ma
ammetto che le domande al professor Pucey sono sicuramente un indizio.”
“Sono
una prova, altro che indizio!” esclamò Albert guardandole negli occhi, “Avreste
dovuto vedere con quale certezza faceva le domande al professore, come se
sapesse chiaramente cosa volesse!”
Molly
scosse la testa: “Ma scusa, Albert, se fosse stato lui, perché avrebbe fatto
quelle domande davanti a tutti? Non è molto furbo.”
Albert
alzò un sopracciglio: “Stiamo parlando di Lestrange. Nella sua mente contorta
magari pensava di costituirsi un alibi o di far sapere a tutti che lui traffica
con le Arti Oscure…”
“O
qualcosa è andato storto e non sa come rimediare,” concluse Victoire.
“Bisognerà tenere d’occhio lui e i suoi fratelli.”
“Anche
Rodolphus è inquietante. Non parla mai con nessuno, pensa solo a studiare e
guarda tutti dall’alto in basso,” disse Dominique, “magari ha fatto tutto lui e
ora non sa come rimediare e ha chiesto aiuto ai fratelli…”
“Perché
avrebbero dovuto fare una cosa del genere, però?”
“Che
domande, magari vogliono riportare in vita Voldemort e ritornare a comandare
loro! Sono rimasti Mangiamorte nell’anima!”
Un
brivido attraversò la schiena di tutti loro e sobbalzarono spaventati quando il
fantasma di Nick-Quasi-Senza-Testa spuntò dal piatto delle salsicce esclamando
allegro: “Buongiorno miei cari! Vedo che abbiamo ospiti! Sbrigatevi a finire la
colazione se volete prendere una carrozza per Hogsmeade!”
Le
parole del fantasma di Grifondoro li riportarono con i piedi per terra e
Victoire alzò lo sguardo verso il tavolo di Tassorosso. Teddy stava guardando
proprio nella sua direzione. Si sorrisero e Victoire salutò i cugini e corse
incontro Teddy. Era indecisa se parlargli o meno di quello che aveva raccontato
Albert su Roland Lestrange. Non gli aveva raccontato nemmeno delle apparizioni
dei fantasmi perché era certa che la sua reazione sarebbe stata quella di
mettere mano alla bacchetta, ed era l’ultima cosa da fare in quel momento. Ci
volevano prove e soprattutto occorreva capire cosa stesse succedendo per incastrare
Roland e impedirgli di negare l’evidenza, come avrebbe certamente provato a
fare. C’era da dire che erano un paio di settimane che non si vedevano fantasmi
per la scuola e Victoire sperava che qualsiasi cosa fosse accaduta, fosse
finita, una volta per tutte.
Victoire
intrecciò le sue dita a quelle di Teddy e sentì la presa salda di lui. “Ci sono
problemi?” le domandò continuando ad osservare la presenza di Albert al loro
tavolo. “Sembravi molto interessata da quello che raccontava Goldstein…”
“Sei
geloso, Lupin?” domandò divertita, “Era venuto a prendere Dodò e ci ha
raccontato delle ultime follie dei Lestrange, credo che tu possa avere
ragione.”
“Che
genere di follie?”
“Domande
strane al professor Pucey durante la lezione di Difesa contro le Arti Oscure,”
gli disse mentre salivano su una carrozza. Teddy guardò due Serpeverde che
provavano a salire sulla carrozza con loro e disse: “Voi no, non voglio Serpi
nella carrozza.”
“Avete
sentito? Smammate!” si associò Victoire rispondendo agli sguardi che le avevano
rivolto le due Serpeverde. “Vedi cosa significa provare a provare a parlare con
le altre Case?” disse sottovoce una ragazza all’amica. “Andiamo via, guarda, lì
ci sono alcuni di Serpeverde,” rispose l’altra decisa a ignorare il rifiuto
subito. Teddy, fece salire due Tassorosso del quarto anno e la carrozza partì
in direzione di Hogsmeade.
“Parliamo
dopo, quando siamo tranquilli,” gli disse Victoire. Non voleva menzionare i
fantasmi, ma sentiva che Teddy dovesse sapere che i Lestrange stavano tramando
qualcosa e che dovevano essere tenuti sotto controllo.
Quel
giorno soffiava un vento freddo che annunciava un temporale e l’aria iniziava a
riempirsi di umidità. “Andiamo ai Tre Manici di Scopa?” domandò Teddy, “o vuoi
fare un giro da Mielandia?”
“Andiamo
da Mielandia, devo rimpinguare le mie scorte di dolci. Louis e James le hanno
saccheggiate senza pietà!”
Teddy
era seduto vicino la porta della carrozza e fu il primo a mettere i piedi per
terra e, con un insolito gesto di cavalleria, le porse la mano per aiutarla a
scendere. Si sorrisero e furono di nuovo così vicini che le loro mantelle si
sfioravano. Camminavano mano nella mano in direzione di Mielandia, come sempre
affollato di studenti vocianti. Si fecero largo tra dei ragazzini del terzo
anno che sembrano degli esaltati nel vedere per la prima volta il più famoso
negozio di dolci del mondo magico inglese. Andarono dritti in direzione degli
scaffali con le caramelle. Victoire infilò nel cestino alcune confezioni di
Bacchette di Liquirizia e Lumache Gelatinose. Fece doppia scorta di Piperille e
Api Frizzole in modo da portarne un po’ anche a Louis e James che non avevano
l’età per l’uscita a Hogsmeade. Inserì nel cestino una confezione di Gelatine
Tutti i Gusti + 1 pensando a quanto sarebbe stato divertente mangiarle in sala
comune, magari mentre portavano avanti la loro indagine, e Molly si domandava
se facessero più paura i fantasmi o il pescare la gelatina sbagliata.
“Andiamo
al reparto del cioccolato? Voglio una confezione di Cioccocalderoni fondenti!”
esclamò Victoire e Teddy, che aveva un cestino con ben due confezioni delle sue
amate Piperille acconsentì: “Anch’io ho finito la mia scorta di
Cioccocalderoni!”
Si
stavano avvicinando quando sentirono delle voci conosciute.
“Muoviti,
Rabastan! Dobbiamo andare!” La voce di Roland Lestrange metteva fretta al
fratello.
“Aiutami
a trovare i Cioccocalderoni fondenti con le nocciole per la mamma! La
confezione regalo, quella bella!” rispose il fratello.
“Dobbiamo
trovare un regalo anche per papà!” si inserì il terzo Lestrange. Erano tutti e
tre, come sempre.
“Abbiamo
un appuntamento, il regalo per papà lo prendiamo dopo!” disse Roland ai
fratelli. Sembrava molto nervoso. Victoire e Teddy si scambiarono uno sguardo
d’intesa. Era tutto molto sospetto e decisero di continuare a tenerli d’occhio.
“Perché
non mandiamo una confezione di Cioccocalderoni con il cuore morbido a papà? Gli
farà bene il cioccolato dopo tutto quel tempo ad Azkaban.” propose Rodolphus,
il Lestrange del quarto anno.
“Va
bene, Roddie, ma muoviamoci!” tagliò corto Roland che sembrava essere sul punto
di perdere la pazienza. Victoire non lo aveva mai sentito così nervoso.
Solitamente, Roland Lestrange era sicuro di sé, strafottente e sgradevole.
Adesso, sembrava non voler far tardi a un appuntamento importante. Sembrava
avesse paura di mancare a quell’appuntamento. Dubitava seriamente che si
trattasse della Dolohov.
Victoire
e Teddy si guardarono. Era certa che entrambi stessero pensando la stessa cosa.
Si nascosero dietro una scaffalatura di caramelle e osservarono i tre Lestrange
andare verso la cassa e pagare i loro acquisti.
“Non
badano a spese, eh?” disse Victoire osservando le confezioni di lusso che
avevano preso.
“Il
Ministero non ha sequestrato abbastanza delle loro fortune! Zio Harry dice
sempre che la loro camera blindata era strapiena di oro!” osservò Teddy
sottovoce, “e mio padre doveva fare i salti mortali per arrivare a fine mese…
Ti rendi conto? Guarda come sperperano la loro fortuna!” Teddy stringeva la
bacchetta in mano e si stava innervosendo.
“Secondo
te cos’hanno in mente?” domandò Victoire.
“Devono
incontrare qualcuno, ma chi?”
Victoire
pensò che Teddy ragionasse già come un Auror e in quelle circostanze sembrava
rianimarsi. Decisero di indagare su cosa avessero in mente i tre Lestrange. “Teddy,
controlla dove vanno, io pago gli acquisti, ci vediamo fuori.”
Lo vide
sgusciare fuori dal negozio con il cappuccio del mantello calato sul viso per
non farsi riconoscere. Victoire riuscì a pagare velocemente e uscì in strada.
Controllò
la strada principale di Hogsmeade che brulicava di studenti alle prese con le
compere: c’era una discreta folla davanti Scrivenshaft e il negozio con gli
articoli di Quidditch. Vide Teddy che l’aspettava in fondo alla via principale.
le faceva segno di raggiungerla e, non appena furono vicini, le sussurrò: “Sono
entrati alla Testa di Porco.”
“La
faccenda si fa ancora più sospetta, quel posto non è ben frequentato,” disse
Victoire. Ricordava i racconti di zia Hermione su quando avevano fondato
l’Esercito di Silente e scelto la Testa di Porco per il loro primo incontro
clandestino.
“Direi
proprio di no, è un postaccio. Andiamo a vedere.”
Si
avvicinarono al pub malandato e rimasero un attimo fuori dalla porta. Non
potevano entrare, altrimenti sarebbero stati scoperti immediatamente. Teddy le
fece cenno con la testa: i Lestrange erano seduti vicino una finestra. Si
accostarono accanto l’apertura della finestra, con le spalle attaccate alla
parete del pub, Teddy sussurrò: “Alohomora!” L’anta si aprì lentamente, Victoire
prese dalla sua borsa un Orecchio Oblungo e lo porse a Teddy.
L’espressione
sorpresa di Teddy la costrinse a scrollare le spalle e dire: “zio George dice
che non sai mai quando può servire ed è sempre bene averne uno a portata di
mano. Ha ragione!”
“Secondo
me dovresti riconsiderare l’idea di diventare Auror, Vic, sei molto portata!”
“Mettilo
e ascoltiamo!” gli disse Victoire. Teddy provava sempre a convincerla a
iscriversi all’Accademia di Auror e seguire il suo stesso percorso. Una parte
di lei era tentata, perché era una vita avventurosa come quella degli
Spezzaincantesimi, l’altra parte, tuttavia, le ricordava che scegliere quel
percorso avrebbe significato avere a che fare, perennemente, con gentaglia come
i Lestrange e lei ne aveva abbastanza. Doveva ammettere, però, che
quell’avventura la stava appassionando a dismisura e l’idea di investigare con
Teddy le piaceva moltissimo.
“Siete
andati a fare compere?” domandò la voce di una ragazza. Doveva essere la
persona che dovevano incontrare. Victoire si sporse e la vide con il volto
coperto dal cappuccio del mantello.
Rodolphus
annuì e disse: “Sì, dovevamo prendere un regalo per papà, sai è appena uscito
da Azkaban.”
Victoire
e Teddy si scambiarono un’occhiata e continuarono ad ascoltare.
“L’ho
visto. Sta bene, anche la tua adorata mammina sta bene. Se la spassano alla
grande senza voi tra i piedi, a dire il vero.”
Rabastan,
il più piccolo, il nuovo Cercatore di Serpeverde, la fermò: “Smettila di dire
le solite cattiverie. Siamo grandi, ormai. Non attacca più.” La ragazza scoppiò
a ridere. Roland arrivò al tavolo: “Quattro Burrobirre.”
La
ragazza si lamentò: “Mi hanno rifiutato il Firewhisky anche se sono
maggiorenne! A Durmstrang queste cose non accadono! La Vodka Incendiaria scorre
a fiumi!”
“Beh,
qui non siamo a Durmstrang. Temo dovrai accontentarti della Burrobirra.”
Roland
sembrava nervoso ed era meno gentile del solito. La ragazza provò a pizzicargli
la guancia e lui si scostò. “Smettila.”
“Oh, ma
il piccolo Lestrange sta crescendo…”
“Non ti
ho chiesto di vederci perché mi mancavi, ma perché abbiamo bisogno del tuo
aiuto!” Roland si interruppe. Victoire e Teddy sentirono il rumore di una sedia
e poi l’Orecchio Oblungo venne tirato. “Qualcuno ci sta ascoltando.” Aprì la
finestra ed esclamò: “Weasley, Lupin! Sempre voi!”
Victoire
sorrise: “Sempre a tramare nell’ombra, eh, Lestrange?”
Teddy e
Victoire scrutarono la ragazza misteriosa: aveva gli occhi grigi e ciuffi di
capelli argentei le uscivano dal cappuccio. “Chi stavate incontrando?”
“Non
sono affari tuoi, Lupin!” disse la ragazza estraendo la bacchetta. Quella di
Teddy volò e lui venne immobilizzato.
Roland
si voltò verso la ragazza e la riprese: “Piantala! Vuoi farci finire nei guai?”
La ragazza scoppiò a ridere, guardò Roland ed esclamò: “Cos’è? Hai paura dei
prof, Lestrange? O non sei in grado di affrontare una traditrice del sangue e
un sudicio ibrido?”
La
ragazza si avvicinò a Victoire. Era molto bella, con la pelle chiara, due
splendidi occhi grigi e i capelli argentei. “Verrà il giorno in cui qualcuno vi
metterà al vostro posto,” le disse con un sorriso di sfida.
Victoire
non si lasciò intimorire, abituata alla tensione delle partite, prese la
bacchetta e la sfidò apertamente con un incantesimo di Disarmo non verbale. La
ragazza lo schivò e Victoire evocò un incantesimo Scudo. “Sei sicura? Magari
arriverà il giorno in cui qualcuno metterà voi al vostro posto: ad Azkaban, dove
dovreste essere!”
“Che
cosa sta succedendo qui?” Il professor Longbottom arrivò con la bacchetta in
mano. Liberò Teddy che poté tornare a muoversi. Victoire vide Roland e la
ragazza scambiarsi uno sguardo spaventato e lei si Smaterializzò.
Arrivò
anche il professor Pucey trafelato. “Cosa sta succedendo?”
***
Il
professor Longbottom spiegò al Direttore di Serpeverde: “I ragazzi erano con le
bacchette sguainate, Lupin è stato immobilizzato e qualcuno si è
Smaterializzato, chi era?”
Roland
doveva intervenire per proteggere Delphi. Non poteva saltare la sua copertura e
il Ministero non avrebbe dovuto scoprire della sua esistenza. I suoi genitori
erano stati estremamente chiari sul punto. “Era una nostra amica, professore,”
disse. “È una studentessa di Durmstrang che si trovava in questi giorni a
Hogsmeade. Stavamo chiacchierando quando ci siamo accorti che Weasley e Lupin
ci stavano spiando!” Mostrò al professor Longbottom l’Orecchio Oblungo che
aveva strappato dalle mani di quella ficcanaso della Weasley. Cosa sarebbe
accaduto se avessero ascoltato la conversazione con Delphi? Se l’avessero
chiamata per nome?
Il
professor Longbottom, per una volta, non poté negare l’evidenza e lo sguardo colpevole
che avevano la Weasley e Lupin era senz’altro un punto a loro vantaggio. “Vi
aspetto nel mio ufficio subito dopo cena. Tutti quanti, compresi i Direttori
delle vostre Case! Quanto è accaduto per strada è inaccettabile per degli studenti
di Hogwarts!”
Rimasero
in silenzio e vennero dispersi. Roland guardò i fratelli, rimpicciolì gli
acquisti di Roddie e li infilò nella tasca del mantello per dare meno
nell’occhio. Si guardarono intorno alla ricerca di Delphi. Roland la conosceva
abbastanza per sapere che sarebbe rimasta nei paraggi.
Camminarono
tra i vicoli laterali di Hogsmeade quando Delphi apparve davanti a loro
appoggiata alla parete di una casa diroccata. Fece loro cenno di seguirla nel
vicoletto. Si appartarono dietro un muretto scrostato, nascosti dalla vista dei
passanti. Si sedettero in cerchio per tenere d’occhio l’area circostante.
“Cosa
sta succedendo nella vostra scuola?”
“Delle
specie di fantasmi, ma di persone morte. Come, ad esempio, Barty Crouch Jr.,
che si aggirano per i corridoi della scuola. Ci hanno detto che sono stati
evocati, ma ogni rituale di evocazione ha bisogno di un evocatore. Non c’è
nessuno nei corridoi di notte, queste anime, spiriti, fantasmi, chiamali come
vuoi, vanno in giro come se ci fosse una porta aperta tra il mondo dei morti e
quello dei vivi. Sai cosa può essere?”
Delphi
si morse un labbro e socchiuse gli occhi come se cercasse di ripescare dei
ricordi da un qualche cassetto della memoria. “Questo è l’unico fatto strano?”
“No,
sono scomparsi anche tutti i libri sull’argomento dalla biblioteca!”
“Questo
vuol dire che l’evocatore è qualcuno della scuola, ma gli incantesimi necessari
per aprire le porte tra il mondo dei morti e quello dei vivi non sono semplici.
Sono incantesimi molto oscuri e potenti. Nessuno studentello del vostro livello
può riuscirci.”
“Ehi!”
protestò Roddie.
Delphi
alzò un sopracciglio e tirò fuori il suo sorriso sarcastico: “Roddino piccino, tu
puoi sentirti bravo quanto vuoi per gli standard scadenti di questa scuola, ma
non sei al mio livello e a Durmstrang saresti uno studente mediocre… Questo è
un fatto! Non è un caso che tuo padre cerchi di mettervi qualcosa in testa
durante l’estate… ma sapete come si dice? Non si può cavare il sangue dalle
rape…”
“Piantala,
Delphi, a Hogwarts le Arti Oscure sono vietate. Com’è possibile che uno arrivi
a immaginare di aprire il mondo dei morti? Per cosa, poi? Continuano tutti a
dire di voler andare avanti!”
Delphi
sorrise: “Mi pare ovvio, Ro, che non tutti vogliono andare avanti, che c’è chi
si crogiola nel passato, chi ha avuto vantaggi dal passato e soprattutto non
sarebbe la prima volta che qualcuno di nascosto pratica le Arti Oscure, magari
qualcuno dei buoni… Ricordi i racconti di tua madre sugli Auror durante la
prima guerra magica?”
Rabastan
annuì domandando ai fratelli: “Perché la Weasley e Lupin ce li troviamo sempre
tra i piedi?”
Roddie
intervenne: “Ricordi cosa hanno detto? Quelli come voi spariranno!”
Roland
alzò un sopracciglio scettico: “Se la Weasley sa fare un’evocazione del genere,
io sono Lord Voldemort.”
“Ti
piacerebbe!” esclamò Delphi, “Tu non sei nemmeno uno sputo di quella che era la
grandezza di mio padre alla tua età, figurarsi quando è diventato Lord
Voldemort! Ad ogni modo, rischiate di fare tardi a scuola. Non potete attirare
altri sospetti. Tenete gli occhi aperti e scrivetemi se notate qualcosa di
strano. Io sarò qui fino a fine mese.”
“D’accordo.
Grazie, Delphi.”
Delphi
sparì con un pop! e Roland si domandò quando avesse imparato a
Smaterializzarsi senza seguire il procedimento delle tre D di Destinazione, Determinazione,
Decisione che il tizio del Ministero della Magia aveva spiegato qualche giorno
prima.
Si
alzarono e si camminarono lentamente verso la scuola con la testa piena di
pensieri. L’incontro con Delphi era stato meno utile di quanto avesse sperato.
Roland riportò i regali per i loro genitori alle dimensioni ordinarie.
“Se
arriviamo con dei pacchetti di Mielandia ben in vista sembreremmo meno sospetti,”
spiegò a Roddie che lo osservava incuriosito e sicuramente non aveva voglia di
portare i pacchetti. Affidò una confezione a Roddie e una a Rabastan, mentre
lui avrebbe portato la loro scorta di dolcetti. Era molto preoccupato.
“Dobbiamo
stare attenti. Non sappiamo se qualcuno vuole scaricare la colpa su di noi o se
noi siamo le vittime di questo scherzetto con i morti. Al momento, siamo gli
unici ad aver visto dei fantasmi aggirarsi per la scuola. Chi ha fatto
scomparire i libri dalla biblioteca? Se troviamo la risposta a questa domanda,
quasi certamente avremo trovato il nostro evocatore!”
Camminavano
parlando sottovoce, stringendosi nei loro mantelli, con la testa piena di
domande e ragionamenti che continuavano a incartarsi. Roland sobbalzò quando
Lucile Dolohov lo salutò chiedendogli come fosse andato il pomeriggio.
Roland
le sorrise e le mostrò i pacchetti di Mielandia. Si sentiva un completo idiota.
“Abbiamo comprato dei regali per i nostri genitori, sai, per nostro padre… Lo
hanno appena rilasciato…”
“Sì, ho
sentito. Forse persino la Gazzetta del Profeta ha dedicato un articolo
all’occasione.”
Roland provò
a sdrammatizzare: “Ma hanno scritto un articolo perché questa volta non è
evaso?”
Lucile
gli sorrise e scosse la testa divertita: “Lo sai che non dovresti fare battute
su queste cose?”
Sospirò.
Sì, lo sapeva benissimo. Nessuno poteva scherzare sul fatto che i propri
genitori fossero stati in passato dei Mangiamorte. Non era tollerato. Era
considerato un modo per sminuire e ridicolizzare il sacrificio di chi aveva
resistito, una mancanza di rispetto per le vittime, eccetera, eccetera. Senza
contare la lunga paternale su quanto le Arti Oscure fossero qualcosa di brutto
e cattivo.
“Almeno
tra di noi, spero mi sia concesso. Da come papà parla di tuo nonno, lui non
avrebbe sopportato questo clima.”
“Sì, il
nonno era molto… ehm… emotivo. Almeno così dice la mamma,” disse Lucile. Il suo
sguardo si rattristò, “io non l’ho mai conosciuto. Sai quando arriva Yule e
tutti sono felici di ricevere i regali dai nonni? Beh, io ho conosciuto solo i
nonni Burke.”
“Noi non
abbiamo conosciuto nessun nonno. Né i nonni Lestrange né i nonni Turner. Ho
trovato delle lettere in cui la nonna diceva a nostra madre che non aveva
nessuna intenzione di conoscerci e poi una serie di cattiverie su mio padre e
il papà di Orion.”
“Per
Salazar, questo è crudele!” esclamò Lucile impressionata. Roland vide il suo
sguardo farsi dolce, mentre Rabastan aveva dato una gomitata a Roddie per
fargli capire di accelerare il passo.
“Sì, la
mamma ne soffre molto, anche se alla fine, perché dovremmo conoscere una nonna
così cattiva, no? Te l’immagini Roddie che prova a salutarla e lei lo scaccia
in malo modo? Resterebbe offeso a vita!”
Lucile sorrise.
Roland vide la mano di lei accanto alla sua e si avvicinò fino a sfiorarle il
dorso. Lucile gli sorrise e abbassò lo sguardo. Sospirò, facendosi coraggio,
mentre lo stomaco aveva un sobbalzo e gli sembrava più difficile che afferrare
un Boccino. Allungò la mano e strinse le sue dita intorno al palmo di Lucile, sperando
che non lo rifiutasse. Le dita di Lucile si intrecciarono alle sue.
Roland
sentì lo stomaco fare un balzo, aveva caldo in faccia e la gola stava
diventando improvvisamente secca. Come avrebbe fatto se lei le avesse rivolto
una domanda? Lui non sarebbe stato in grado di parlare e avrebbe fatto la
figura del rammollito. Camminarono fino all’ingresso della scuola mano nella
mano in silenzio, ma non era imbarazzante, era bellissimo.
Le loro
mani si allontanarono solo quando varcarono il grande portone di quercia e
Edith Yaxley andò loro incontro esclamando: “Lucile, ti stavo aspettando!” Edith
rivolse loro uno sguardo sorpreso e Roland sbirciò il volto di Lucile:
sorrideva e le guance le si erano arrossate con il calore della scuola.
“Alla
buonora, Lestrange, iniziavamo a perdere le speranze!” esclamò Edith.
“Cosa?”
domandò Roland confuso.
“Smettila,
Edith! Lasciala perdere, è sempre la solita!” intervenne Lucile, “Ci vediamo
più tardi a cena?” gli domandò prima di allontanarsi velocemente verso la sala
comune in compagnia della sua migliore amica. Roland annuì e rimase nell’atrio
a guardare le due ragazze allontanarsi. Sembrava che i capelli chiari di Lucile
potessero illuminare il sotterraneo con il loro bagliore.
Vide
Roddie e Rabastan arrivargli incontro con un sorrisino divertito. Rabastan alzò
il sopracciglio e disse: “Hai il sorriso da pesce lesso, lo sai?”
“Abbiamo
sentito Lucile e Edith litigare sottovoce nel corridoio. Lucile diceva a Edith
di non farlo mai più, di non metterti fretta e di non rovinare tutto. Che è
successo?” domandò Roddie.
Rabastan
aveva la solita faccia da schiaffi, sembrava divertirsi un mondo: “Certamente
non si sono baciati, visto che Edith ha chiesto a Lucile se almeno l’avessi
baciata e Lucile ha detto di no, che c’eravamo anche noi e poi eravate troppo
vicini alla scuola. Insomma, sembrava un po’ dispiaciuta. Credo proprio che
dovresti darti una mossa, fratello.”
“La
volete piantare! Non è facile come sembra!”
Roland
era imbarazzato. Non gli piaceva per niente l’idea di sembrare un rammollito né
che i suoi fratelli si ingerissero nelle sue faccende personali. Come poteva
baciare Lucile se si vedevano che c’era sempre gente in giro?
“Oh sì,
è semplice!” esclamò Rabastan divertito. “Basta chiudere gli occhi, mettere la
bocca così e dire ti amo, mia bella!” Rabastan iniziò a inseguire Roddie
per l’atrio fingendo di volerlo baciare.
“Che
schifo, Rab! Lasciami in pace!” esclamava Roddie mentre cercava di sfuggire ai
tentativi di cattura di Rabastan. Roland guardò i fratelli pensando che fossero
proprio i soliti scemi. Stava ridacchiando quando dal sotterraneo di Tassorosso
Lupin arrivò a rompere le scatole.
“Non si
corre per la scuola! Dieci punti in meno a Serpeverde. Per ognuno di voi.”
Roland
si voltò verso di lui. Si disse di rimanere calmo. Era finito già
sufficientemente nei guai per colpa di Lupin e del suo spionaggio.
Probabilmente avrebbe dovuto trascorrere una punizione in sua compagnia.
“Lupin,
preoccupato per questa sera? Dispiaciuto di far finire sul tuo curriculum una
nota per un duello perso a Hogsmeade?”
Lupin
gli restituiva quello sguardo strafottente e perennemente infastidito che
mandava in bestia Roland. “Sei tu a dover essere preoccupato, viste le
frequentazioni sospette. Studentesse di Durmstrang, eh? Cos’è? Studi materie
proibite nel tempo libero?”
“L’ho
già detto, è una mia amica. Ti sembrerà strano, Lupin, ma fuori da queste mura,
ci sono persone che non hanno problemi a parlare con me. La vita non si riduce
solo a Hogwarts.”
“Fai
poco il furbo Lestrange, io lo sento il tanfo di quella merda oscura che
pratichi. Potrai incantare i professori con le tue buone maniere, ma non me,
capito?”
“Quanto
blateri, Lupin… Vaneggi.”
“Sappi
che se non riuscirò a incastrarti e farti sbattere fuori da questa scuola, ci
vedremo fuori, quando sarò Auror e ti farò finire ad Azkaban con il tuo
paparino e il resto della tua schifosa famiglia.”
Roland
scoppiò a ridere. “Quanta invidia, Lupin! Almeno io ce l’ho una famiglia, e tu?
Cosa farai dopo che mi avrai sbattuto ad Azkaban? Resterai da solo a osservare
le macerie che ti circondano perché è questo quello che fate voi mostri:
distruggete il nostro mondo, versate il sangue magico per poi leccarvi le
ferite tra le rovine che voi stessi avete creato. Se vuoi un consiglio, stai
alla larga da me e dai miei fratelli.”
“Altrimenti?”
“Vedrai
se le tue teorie hanno un fondamento. Non ho bisogno delle Arti Oscure per
mettere a cuccia una bestia come te. I lupi si cacciano anche con l’acqua.” Un
getto di acqua gelida colpì in pieno Teddy. Roland gli sorrise sfottente: “A
cuccia, lupacchiotto, datti una calmata.”
Teddy
non ci vide più e caricò Roland senza usare la magia, completamente dimentico
della bacchetta nella tasca del mantello. Roland scoppiò a ridere e lo fermò
con un semplice incantesimo scudo e un incantesimo delle Pastoie.
Roddie e
Rabastan si erano fermati e li avevano osservati in silenzio, temendo il
peggio. Roland guardò i fratelli e disse loro: “Andiamo a cena, con Lupin ci
vediamo dopo, nell’ufficio del Professore-che-non-può-essere-nominato.”
Sentì
chiaramente Lupin dire alle sue spalle: “Sei uno stronzo!”
Roland continuò
a ignorarlo e si scambiò uno sguardo divertito con Rabastan. Suo fratello era
pronto a scattare contro Lupin, ma Roland lo tenne fermo per la spalla,
fingendo di dargli una pacca e di guidarlo verso la Sala Grande.
A cena,
alla sua destra, comparve Hawk con un ghigno divertito sul volto: “Ho sentito
cose incredibili sulla vostra uscita a Hogsmeade! Che avete combinato?”
“Hai
presente quella ficcanaso della Weasley? Ci stava spiando. Eravamo alla Testa
di Porco, con una nostra amica, una mezza parente di mia madre che studia
all’estero.” Quella era la versione concordata in casa nell’eventualità fossero
costretti a spiegare chi fosse Delphi.
“Dove
studia?”
“A Durmstrang.”
Hawk
sembrò sorpreso: “Come mai era qui?”
“Iniziano
la scuola a novembre. Era di passaggio, voleva salutarci. Insomma, ci stavamo
bevendo una Burrobirra in santa pace quando mi accorgo che c’era la finestra
aperta e una di quelle orecchie che vendono i Weasley.”
“Fammi
indovinare: loro ti hanno fatto saltare i nervi e siete stati beccati con le
bacchette sguainate da Longbottom.”
Roland
annuì bevendo succo di zucca. Socchiuse gli occhi e guardò il tavolo di
Tassorosso. Si avvicinò all’orecchio di Hawk: “Guarda Lupin, continua a fissarci.
Guarda il tavolo di Grifondoro, ci fissano pure loro. Ce l’hanno con noi, è
evidente.”
“Secondo
me dovremmo dar loro una bella lezione, ma non sono gli unici, c’è pure
Goldstein che ti sta fissando dal tavolo di Corvonero.”
Roland e
Hawk si guardarono, risposero allo sguardo di quei ficcanaso facendo
scrocchiare le nocche delle mani, come facevano prima di prendere la mazza e
salire sulla scopa. Erano pronti alla battaglia, ma non potevano compromettere
i punti di Serpeverde. Avevano bisogno di un piano.
Note:
Ciao a
tutti!
Allora,
innanzitutto grazie ai lettori, abbiamo svoltato la metà della trama e mancano
solo 3 capitoli alla fine di questa storia (2 alla soluzione del mistero).
Delphi è stata utile tanto quanto Orion, ma ha confermato l’esistenza degli
incantesimi e del fatto che sono troppo complessi perché siano opera di uno
studente di Hogwarts.
I
Lestrange, Lupin e la Weasley sono stati beccati con le bacchette in mano e nel
prossimo capitolo vedremo come reagiranno i professori.
Intanto,
i fantasmi hanno terminato le loro apparizioni – almeno per il momento – e questo
e un altro elemento da considerare.
Su
Roland e Lucile ho pubblicato una storia natalizia su prompt di Maqry che vi linko
qui: “Un regalo
perfetto”. Non ha nessun riferimento al nostro mistero, ma se li shippate
quanto li shippiamo io e Maqry, magari vi fa piacere annegare nel fluff e nel
romanticismo.
Qualcuno
mi ha chiesto come mai James Sirius non avesse il Mantello dell’Invisibilità e
io ho dimenticato di scriverlo nelle note. Siccome sto cercando, per quanto
possibile, di seguire il canone anche di TCC, James riceve il Mantello da Harry
il 31 agosto 2020 e quindi al momento della storia non ce l’ha e James e Sirius
ci hanno scherzato su.
Grazie
ancora per il sostegno a questa storia ed è bellissimo leggere le vostre teorie
sul mistero.
Sev
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo
6
Hogwarts,
17 ottobre 2015
“Teddy,
datti una calmata.”
Amelia
gli diede una gomitata mentre continuava a tenere d’occhio i Lestrange. “Non mi
fido di loro. Stanno tramando qualcosa.”
La sua
amica gli diede un pizzicotto sulla gamba per costringerlo a distogliere lo
sguardo da loro e prestarle attenzione. Teddy incrociò lo sguardo di Amelia che
gli restituì un sorriso sarcastico: “Pensi di fare l’Auror in questo modo?
Innervosendo i tuoi obiettivi? Come pensi di scoprire qualcosa se loro si
sentono osservati per tutto il tempo?”
Le
parole di Amelia lo riportarono con i piedi per terra e lo convinsero a
distogliere lo sguardo dai Lestrange. Non si fidava, ma Amelia aveva ragione,
non poteva osservarli continuamente, avrebbe dovuto fare più attenzione.
Avrebbe potuto scrivere a zio Harry e forse lui avrebbe mandato qualche Auror a
perquisire casa loro, così gli sarebbe passata la voglia di fare gli sbruffoni
e aggirarsi con l’aria di chi sta tramando qualcosa.
“Oggi
hanno incontrato una studentessa di Durmstrang. Ammesso che fosse una
studentessa, sembrava molto più grande. Si sono incontrati alla Testa di Porco,
è tutto molto sospetto,” disse mentre si serviva una fetta di pasticcio di
carne e delle patate.
“Magari pensavano
che ai Tre Manici di Scopa sarebbero stati infastiditi. Forse volevano solo un
posto tranquillo dove parlare,” provò a ipotizzare Amelia.
“Tu sei
sempre ottimista, vedi il lato migliore delle persone e non ti rendi conto che
i Serpeverde tramano nell’ombra, che hanno introdotto rituali strani che
nessuno di noi si sogna di festeggiare,” le disse mentre aggiungeva una
salsiccia nel piatto. Amelia mandò giù il boccone di pasticcio di carne e gli
sorrise. Non si innervosiva mai quando si trattava dei Serpeverde, nemmeno al
pensiero degli ex-Mangiamorte. Sua zia era stata uccisa da Voldemort in persona
e lei continuava a giustificare i figli dei seguaci di quel mostro. Gente che
sperava di vincere la guerra per impedire a persone come lui e Vic di mettere
piede a Hogwarts!
“Teddy, durante
i sabba aprono la sala comune di Serpeverde anche agli altri studenti. Non è
mai successo in tanti secoli dalla fondazione di Hogwarts. Non fanno altro che
accendere candele, bruciare erbe e recitare le formule che si studiano in
Antiche Rune, non c’è niente di misterioso. Potresti andarci questo Samhain, ti
sorprenderesti.”
“Tu
partecipi ai loro sabba?” domandò perplesso.
“Sono
andata l’anno scorso a Imbolc, per curiosità. Secondo me, finché loro saranno
chiusi tra di loro, continueranno a fossilizzarsi su quelle idee antiquate che
hanno. Le altre Case dovrebbero adottare dei Serpeverde perché solo così
possono cambiare idea! La Preside ha fatto benissimo a introdurre le ronde con
persone di Case diverse.”
“Certo
che ha fatto bene, così possiamo impedire alle Serpi di fare i prepotenti con
gli studenti delle altre Case. Zio Harry mi ha raccontato di come si comportava
il prefetto di Serpeverde, Malfoy, quando lui era a Hogwarts…”
“Sì,
però non puoi paragonare continuamente oggi a come era un tempo.”
“Amelia,
il punto è che se apri le fogne, finisce che contamini i pozzi. È una legge
scientifica abbastanza semplice. La tua idea darebbe loro modo di fare
proselitismo e convincere gli altri delle loro idee, è così che Voldemort è
andato al potere, e Grindelwald prima di lui. Vuoi che torniamo a quei tempi?
Perché io non ho voglia di essere ricercato solo perché mio padre era un Lupo
Mannaro…”
“No,
certo, però in assenza di indizi o prove su attività illegali non puoi
accusarli, è così che gli innocenti sono finiti nei guai e si sono create le
maggiori ingiustizie. Stai conducendo un processo alle intenzioni.”
“È che
certe persone non cambiano mai. Il maestro di mia madre diceva che un
Mangiamorte rimane sempre tale, e non credo che i figli siano diversi. Roland
me l’ha detto chiaramente che sa come farmi fare la fine dei miei genitori. Non
mi servono altri indizi per diffidare di loro e non voglio avvelenare i pozzi
con le loro idee del cazzo.”
“Teddy!”
Amelia lo rimproverò “sei un Caposcuola! Modera il linguaggio! Se ti sentissero
i bambini del primo anno?”
Teddy
sorrise. Amelia era un Prefetto decisamente più coscienzioso di quanto lui non
fosse mai stato. Si concentrò sulla cena. Le loro attenzioni furono distolte da
Nigel che continuava a parlare di Passaporte e Metropolvere da quando gli
avevano suggerito di fare domanda all’Ufficio per il Trasporto Magico. “Secondo
voi mi lasceranno collaborare per l’organizzazione della Coppa del Mondo di
Quidditch? Insomma, dovrei aver appena finito Hogwarts nel 2018!” domandava
entusiasta.
Teddy
alzò lo sguardo verso Nigel e gli disse: “Credo che ti metteranno a creare
talmente tante Passaporte che te le sognerai la notte.”
Amelia
scoppiò a ridere annuendo. “Ma che fretta hai di andare al Ministero? Io mi
sento male solo al pensiero di dover lasciare questa scuola!”
“È un
po’ come casa, vero?” le domandò Teddy che iniziava ad avvertire la nostalgia
da ultimo anno. Hogwarts gli sarebbe mancata moltissimo, soprattutto i suoi
compagni di Tassorosso, i pomeriggi con Vic, molto di meno i Lestrange che ora
ridevano tra di loro. “Amelia, io non ce la faccio, mi fanno sbroccare!”
“Teddy,
calmati e sii paziente, tra un po’ vi vedrete nell’ufficio del professor
Longbottom e assisterai alla caterva di punti che toglierà loro e alla
punizione che si prenderanno! Aspetta, non mettere nei guai il nostro
punteggio.”
Sospirò
e attese pazientemente la fine della cena chiedendo a Tosca di assisterlo e
aiutarlo a tenere a freno il temperamento da Grifondoro ereditato da suo papà.
Non era semplice praticare la pazienza quando si cresceva circondato da
impulsivi Grifondoro e una nonna Serpeverde piena di veleno contro la famiglia
che le aveva distrutto la vita.
Si
presentò davanti l’ufficio di Neville con qualche minuto di anticipo, sperando
di poter parlare con il professore. Vi trovò la Direttrice di Tassorosso, Zelda
McMillan, che era anche la loro insegnante di Pozioni.
“Eccoti,
Teddy, sei in anticipo.”
Neville
sorrideva bonariamente appoggiato alla scrivania del suo ufficio. Era una
stanzetta circolare dalle pareti in pietra coperte in buona parte da libri di
erbologia e piantine che si arrampicavano sulle colonnine della finestra
bifora, l’unica fonte di luce naturale. C’erano bauli ordinati e in un angolo,
tra il portaombrelli e un appendiabiti con il mantello c’era una vanga. Teddy
immaginò che potesse servire anche per difendersi alla bisogna.
La
professoressa McMillan gli domandò: “Vuoi raccontarmi cosa è successo prima che
arrivino gli altri?”
Zelda
McMillan era una strega dai corti capelli neri e l’aria vispa e gentile. Riusciva
ad appassionare molti studenti allo studio delle Pozioni grazie al suo
entusiasmo. A lezione organizzava delle vere e proprie sfide intorno ai
calderoni per la realizzazione del filtro perfetto. Adesso lo osservava con il
capo inclinato e un sorriso gentile sul volto.
Teddy
annuì: “La ricostruzione dei Lestrange è vera. Ero con Victoire da Mielandia,
abbiamo sentito che confabulavano di dover incontrare qualcuno e ci siamo
insospettiti, li abbiamo seguiti fino alla Testa di Porco che, insomma, è un
locale abbastanza dubbio…” Il professor Longbottom annuiva continuando ad
ascoltare, mentre la professoressa McMillan manteneva il suo sorriso paziente e
attendeva la fine del racconto. Teddy proseguì: “Victoire ha tirato fuori le
Orecchie Oblunghe dei Tiri Vispi Weasley, io ho aperto la finestra e abbiamo
ascoltato solo dei convenevoli. La ragazza sembrava che conoscesse i genitori e
che stesse per partire per Durmstrang. Hanno detto che avevano bisogno del suo
aiuto e poi ci hanno visto.”
“Quindi
era veramente un’amica di famiglia che studiava a Durmstrang?” domandò la
professoressa McMillan. Guardò il professor Longbottom e disse: “Nevill, Pucey
insisterà su questo aspetto e ha ragione: tre suoi studenti sono stati
pedinati, spiati e non stavano facendo nulla di sospetto.”
“Zelda,
perché avevano bisogno dell’aiuto di una studentessa di Durmstrang?”
“La
domanda che devi porti, Neville, e te la pongo perché ce la porrà Edgar, è se
avevano bisogno della studentessa di Durmstrang o dell’amica di famiglia? Erano
andati a comprare dei regali per i genitori. Io acconsentirò alla punizione di
Teddy per la partecipazione nell’attività di pedinamento e spionaggio, ma
chiederò che vengano puniti per averlo attaccato.”
“Loro
diranno che è stata la loro amica ad attaccare, professoressa,” disse Teddy.
“Ed è
così?”
Teddy
annuì di controvoglia. “Mi secca ammetterlo ma lei e Victoire si sono scambiate
delle frasi poco carine e hanno iniziato a duellare, mentre io sono stato
immobilizzato.”
“Grazie
per la tua onestà Teddy,” disse la McMillan, “lo apprezzo molto. Più di una
volta i Lestrange non hanno esitato a mostrare i loro ricordi al professor
Pucey per far vedere come sono andate le cose e abbiamo finito per trovarci in
difficoltà.”
Teddy
annuì: “Il professor Longbottom me l’ha detto. Ne sanno una più del diavolo
quei tre. Sembra sempre che abbiano l’alibi pronto e questo continua ad essere
sospetto.”
“Ma
scusa, Teddy,” la McMillan sospirò come se cercasse le parole migliori per
esprimere i suoi dubbi, “sta succedendo qualcosa nella scuola perché tu e
Victoire siete così sospettosi nei loro confronti? Ammetto che incontrare
studenti di altre scuole alla Testa di Porco non è una delle solite attività
dei nostri studenti, ma non capisco il vostro bisogno di tenere d’occhio i
Lestrange. È successo qualcosa?”
Teddy
scosse la testa: “No, non che io sappia, professoressa, ma loro tre hanno
sempre l’aria di qualcuno che stia tramando qualcosa.”
Il
discorso venne interrotto dall’arrivo dei tre fratelli Lestrange insieme al
Direttore di Serpeverde, il professor Edgar Pucey che insegnava Difesa contro
le Arti Oscure. Pucey sorrideva benevolo ai tre ragazzi che, come sempre, erano
riusciti a portarlo dalla loro. Roland Lestrange aveva assunto l’aria da bravo
ragazzo ingiustamente perseguitato. Teddy avrebbe voluto spaccargli il naso.
Rodolphus lo guardava con il sopracciglio alzato senza nemmeno nascondere la
sua irritazione per la perdita di tempo, mentre il più piccolo, Rabastan, era
stato così paraculo – e non c’era altro termine per definirlo – da
arrivare con un libro di Erbologia e uno di Pozioni sotto il braccio. Teddy era
decisamente furioso.
“Accomodatevi,”
disse Neville con un sorriso tirato. Teddy notò che guardava solo il collega e
poi aveva portato lo sguardo all’orologio da polso, in attesa della
professoressa Robins e di Victoire.
Arrivarono
poco dopo scusandosi per il leggero ritardo. A quanto pareva Pix aveva preso di
mira alcuni primini all’uscita della Sala Grande e avevano dovuto aiutarli a
pulirsi dalla farina. Victoire gli sorrise incoraggiante e prese posto accanto
alla direttrice della sua Casa.
Demelza
Robins era l’insegnante di Trasfigurazione e da quando Teddy aveva messo piede
a Hogwarts, aveva fatto innamorare un sacco di studenti con i suoi occhi
azzurri e i boccoli castani. Tuttavia, i cuori finivano per spezzarsi al primo
compito di Trasfigurazione, visto che era estremamente esigente. Inoltre, era
appassionata di Quidditch e non aveva nessuna intenzione di mettere in
difficoltà la capitana che stava regalando molte vittorie a Grifondoro.
“Direi
che ci siamo tutti,” disse il professor Pucey. “C’è poco da discutere, Neville,
i miei studenti non hanno fatto nulla. Ho il ricordo di Roland che mostra
chiaramente come sono andate le cose, e persino la graziosa studentessa di
Durmstrang che è un’amica dei tre signori Lestrange. A quanto pare, il luogo
dell’incontro l’ha scelto la ragazza che non conosce bene Hogsmeade e sperava
di trovare Vodka Incendiaria. Niente di rilevante.”
Pucey
camminava per la stanza del professor Longbottom con una mano in tasca e
l’altra impegnata a giocare con la barba scura da cui iniziava a intravedersi
un po’ di grigio. I capelli ricci erano disordinati e sotto il mantello di lana
marrone scuro indossava una camicia bianca, dei pantaloni e un panciotto in
tweed. Teddy non aveva dubbi sul fatto che il Direttore di Serpeverde avrebbe
provato a prendere le difese dei suoi studenti.
“Gradirei
presenziare anch’io a questo incontro,” disse la Preside facendo capolino
nell’ufficio del professor Longbottom. Fulminò tutti i docenti con lo sguardo. “Quello
che è successo è di una gravità inaudita. Non è passata nemmeno una settimana
da quando ho convocato i tuoi genitori, Lestrange, che ti ritrovo coinvolto in
un altro duello con Lupin!”
“Temo
che questa volta Lestrange sia innocente, Minerva,” disse il professor Pucey.
La
preside sollevò il sopracciglio scettica e le labbra divennero così sottili da
sembrare una linea. “Sentiamo, allora.”
Roland
si scambiò uno sguardo con il professor Pucey che gli fece cenno di parlare.
Teddy non riusciva a credere che stesse recitando la parte dello studente
timido e indifeso, la povera vittima. Gli dava il voltastomaco. Sentì la mano
di Victoire stringersi intorno al suo polso e solo quel contatto fu in grado di
tranquillizzarlo.
“All’inizio
del mese, nostra madre ci aveva scritto che una nostra amica di famiglia, che
studia a Durmstrang, avrebbe trascorso dei giorni a Hogsmeade. Ci siamo scritti
e lei ci ha dato appuntamento alla Testa di Porco. Lei è maggiorenne e ci ha
spiegato che sperava di trovare della Vodka Incendiaria, ma abbiamo dovuto
accontentarci delle Burrobirre. Stavamo chiacchierando quando ho visto la
finestra aperta e un’ombra lì vicino, mi sono spostato e ho visto Weasley e
Lupin che ci origliavano con quelle orecchie che vendono ai Tiri Vispi Weasley.
Naturalmente mi sono arrabbiato e sono uscito fuori. La mia amica ha Disarmato
Lupin, lo ha Pietrificato (fa parte del club dei Duellanti di Durmstrang) e poi
ha iniziato a puntare la bacchetta contro Weasley. Io ho cercato di fermarle
dicendo che saremmo finiti nei guai. La mia amica ha scrollato le spalle e si è
Smaterializzata quando stava arrivando il professor Longbottom. Tutto qui.”
“La tua
amica ha detto delle cose terribili a Victoire!” disse Teddy.
“La
Weasley ha risposto a tono, mi sembra, visto che continua a ricordarci che il
nostro futuro è ad Azkaban. Non farei a gara a chi è più antipatico.”
“Anche
perché vinceresti tu,” disse Victoire.
“Ne
dubito seriamente. Io non spio le persone, non le seguo per i corridoi, non
cerco di sbirciare cosa studiano in biblioteca. Ti sembra che non ti abbia
visto?” Roland alzò lo sguardo verso il professor Pucey e poi verso la Preside
e disse con la voce che gli tremava. Patetico. “Noi siamo qui solo per
studiare. Sappiamo che gran parte della scuola non vede di buon occhio il
nostro nome. Non abbiamo mai creato problemi, ma se dobbiamo essere seguiti
tutto il tempo, che ci venga detto e ci affidiate a un controllore. Non
possiamo vivere sentendo continuamente qualcuno che ci osserva o che segue i
nostri passi muovendosi nell’ombra.”
“Signorina
Weasley, come sono andate le cose? Corrisponde al vero la ricostruzione?”
“In
parte.”
Teddy
vide Roland corrucciare le sopracciglia sorpreso. Victoire lo ignorò e si
concentrò sulla preside. Era convinto che lei sarebbe stato un Auror
decisamente migliore di lui che perdeva la pazienza e rischiava di far saltare
le coperture.
“Abbiamo
sentito i Lestrange parlare di dover incontrare qualcuno alla Testa di Porco.
Ci siamo detti che fosse un posto sospetto e i nostri sospetti sono aumentati
quando abbiamo visto che incontravano una strega che parlava loro di
Durmstrang. Beh, sanno tutti che a Durmstrang si insegnano le Arti Oscure.”
Teddy
annuì e intervenne per supportare Victoire: “Abbiamo deciso insieme di
seguirli. Siamo arrivati alla Testa di Porco, abbiamo visto che erano seduti
vicino una finestra, io l’ho aperta.”
“Io ho
usato le Orecchie Oblunghe,” aggiunse Victoire. Il professor Longbottom indicò
con la testa l’oggetto che aveva sequestrato a Roland.
“E poi
ci hanno scoperto. La loro amica ci ha attaccati, senza nessun motivo e ha
iniziato a dire cose orribili.”
“Ci
stavate spiando! La Weasley ci ha accusato di tramare nell’ombra quando non
stavamo facendo assolutamente nulla di vietato! Le regole della scuola non ci
impongono di rendere conto delle nostre frequentazioni al Prefetto di
Grifondoro né al Caposcuola di Tassorosso! E comunque sono intervenuto per
dirvi di smetterla!” protestò Roland con quell’aria da cucciolo che voleva
impressionare la Preside.
“Mi
sembra che ci sia poco margine per le interpretazioni, Minerva,” disse il
professor Pucey, “i miei studenti sono le vittime di questa situazione.”
“Fatto
sta che li abbiamo trovati in quattro contro due per le strade di Hogsmeade,”
disse il professor Longbottom.
“Stavano
reagendo a una provocazione, Neville,” disse la preside. Teddy capì che sarebbe
finita male per lui e Victoire. “Il professor Pucey ha ragione,” sospirò
guardando severamente Teddy e poi spostando lo sguardo su Victoire. In quel
momento, Teddy comprese di aver oltrepassato il limite.
“Toglieremo
venti punti a Grifondoro e altrettanti a Tassorosso. Trascorrerete inoltre una
settimana di punizione con i Direttori delle vostre Case. Spero che riflettiate
su quanto è successo e che vi rendiate conto che prima di saltare a conclusioni
affrettate su qualcuno, occorre avere delle prove. Sarebbe opportuno che
porgiate delle scuse ai Lestrange.”
“Cosa?”
Victoire si lasciò sfuggire quell’esclamazione scandalizzata e la professoressa
Robins alzò il sopracciglio con l’aria di chi non aveva nessuna intenzione di
sentire la Preside contraddetta. “Mi sembra che la preside sia stata
sufficientemente chiara, signorina Weasley. Imparare a chiedere scusa dopo un
errore è una lezione di vita che le tornerà utile.”
Victoire
borbottò un “ci dispiace” che ebbe come risposta un ghigno di Roland, l’aria
disgustata di Rodolphus e un’espressione scettica di Rabastan. Teddy li avrebbe
presi a pugni tutti e tre. Non sopportava la vista di Victoire che si mordeva
il labbro nervosamente e usciva di fretta dall’ufficio del professor Longbottom
mentre tratteneva le lacrime. Non riuscì a fermarla e Teddy capì che non voleva
farsi vedere piangere. Si sentiva umiliata, proprio come Teddy che biascicò
delle scuse e corse verso la sala comune di Tassorosso promettendosi che
sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe preso a pugni Roland e gli avrebbe
tolto quell’espressione da finto innocente che aveva sul volto.
***
Hogwarts,
25 ottobre 2015
Era
trascorsa una settimana dall’uscita a Hogsmeade, dal loro incontro con Delphi e
non era successo nulla. Nessuna apparizione, nessun litigio, Teddy Lupin aveva
persino smesso di fare il prepotente in Sala Grande e, finalmente, Rabastan
riusciva a ripassare tranquillamente con i suoi compagni di Casa. Aveva messo su
un gruppo di studio, e quello zuccone di Gordon McNair si era offerto di
pagargli dei Galeoni per le ripetizioni di Incantesimi e Trasfigurazione.
Rabastan
aveva dato un occhio ai temi di McNair e c’era da mettersi le mani nei capelli.
Non credeva che un simile obbrobrio avrebbe preso un Desolante e non un Troll:
bisognava avere proprio il cervello di un Troll per scrivere quelle baggianate.
Ad ogni
modo, le ripetizioni a McNair gli stavano fruttando un po’ di Galeoni che
sarebbero finite tutte al Ghirigoro non appena tornato a casa: in estate
sarebbe uscito il nuovo volume della saga del Mago errante nella Terra dei
Draghi di Raymond Laurent, il suo scrittore preferito in assoluto, e non vedeva
l’ora. Si domandava se Nathair, il protagonista, sarebbe riuscito a dominare l’Oscurità
che minacciava il villaggio degli allevatori di Ippogrifi o sarebbero morti
tutti, inghiottiti da quel mostro senza volto.
“Sei
pronto per la tua prima partita?”
La voce
di Roland lo riportò con i piedi per terra e lo distolse dai pensieri sulla
saga. Aveva delle idee su come sarebbe potuta evolvere la storia e le aveva
appuntate su un taccuino. Annuì guardando il fratello che, da quando la Weasley
e Lupin avevano smesso di tormentarlo, sembrava più sereno.
“Novità?”
gli domandò, come tutte le mattine. Erano passati più di venti giorni
dall’incontro di Roddie con Barty Crouch Jr e quello di Roland con Bellatrix
Lestrange, con i loro fantasmi, e nulla più era successo. Iniziavano a pensare
che quella faccenda si fosse chiusa per sempre e che chiunque avesse evocato
quei fantasmi, li avesse rispediti nell’Aldilà.
Come le
altre mattine, Roland scosse la testa, a indicare che anche la ronda della
notte precedente si era conclusa senza incontrare fantasmi – oltre quelli che
già infestavano il castello – e che potevano godersi la domenica che avevano di
fronte. Rabastan avrebbe vissuto la sua prima partita da Cercatore della
squadra di Serpeverde e avrebbe debuttato niente di meno che contro Grifondoro.
Fred
Weasley sarebbe stato il Cercatore avversario, anche se il problema non sarebbe
stato tanto avvistare il Boccino d’oro, quanto non finire sotto i Bolidi della
Weasley che sembrava decisa più che mai a vendicarsi per la settimana di
punizione che si era beccata dopo la figuraccia fatta alla Testa di Porco. In
quell’occasione Roland era stato un genio a mantenere la calma e lasciar fare
il lavoro sporco a Delphi.
Tobias
Dolohov, nuovo Cacciatore di Serpeverde, gli si avvicinò mentre si avviavano
verso il campo di Quidditch. “Allora, Lestrange, pronto al debutto contro
Grifondoro?”
“Io sono
nato pronto. Tu? Sei emozionato?” domandò divertito. Probabilmente, uno tra
lui, Selwyn e Bulstrode sarebbe stato il futuro Capitano di Serpeverde, una
volta che Roland si fosse diplomato. Rabastan era intenzionato a mantenere in
famiglia il titolo di capitano. Per questo motivo voleva fare un debutto
spettacolare.
Il
cielo, tuttavia, non sembrava voler semplificare le cose. Man mano che si
avvicinavano al campo di Quidditch, le nuvole si ammassavano, oscurando il sole
e minacciando di riempire di pioggia pubblico e giocatori. Rabastan avrebbe
preso il Boccino e schivato i Bolidi in qualsiasi condizione atmosferica.
Guardò la sua Firebolt nuova fiammante e si riunì insieme al resto della
squadra.
“Oggi è
un giorno molto importante,” esordì Roland, “non solo perché è la prima partita
di campionato, e sappiamo che chi ben comincia è a metà dell’opera, ma perché
il nostro avversario non è altri che Grifondoro. I nostri storici e più
agguerriti rivali! Facciamo capire ai Grifondoro che quest’anno Hogwarts sarà
verde-argento!”
Flint
esclamò: “Facciamogliela vedere!”
“Prima
di entrare in campo: vi ricordo che metà della squadra è composta da nuovi
membri. Aiutatevi e copriteli. Sappiamo che cercheranno di metterli in
difficoltà. Noi sappiamo che i nostri nuovi giocatori sono fantastici, ma loro
penseranno che siano scarsi e che non siano affiatati con il resto della
squadra! Dimostriamo che noi Serpeverde siamo portati ad agire come un corpo
solo!”
Questa
volta l’urlo di approvazione uscì all’unisono e Roland sembrò molto
soddisfatto. Roland andò avanti e si fermò a metà del campo, davanti la
Weasley. Non appena Madame Hooch fischiò, le scope si sollevarono in aria.
Rabastan
aveva una visuale ottima del campo. Controllò il gioco degli altri, ma
soprattutto tenne d’occhio i Battitori di Grifondoro: Sebastian Baston e
Victoire Weasley. Alternava lo sguardo tra loro e Fred Weasley il loro
Cercatore, per controllare se lui non avesse visto per primo il Boccino d’oro.
Assistette
a un tiro negli anelli di Grifondoro messo a segno da Roxanne Weasley, poi un
altro da Dominique. Rabastan era preoccupato. Vide Roland lanciare un Bolide
contro Dominique e fare in modo che Eliot Bulstrode prendesse la Pluffa. Eliot
la passò a Tobias Dolohov che mise a segno un tiro e Serpeverde finalmente
guadagnò i primi dieci punti.
Grifondoro
conduceva la partita 60 a 40 e Rabastan continuava a non vedere il Boccino
d’oro. Fred Weasley si guardava intorno nervosamente, segno che nemmeno lui lo aveva
visto. Continuò a volare cercando di tenere d’occhio la partita e i movimenti
nell’area del campo. Assistette a un altro tiro messo a segno da Bulstrode. Le
due squadre sembravano pari e questo significava che la partita sarebbe stata
decisa dal Cercatore. Significava anche che Roland aveva messo su in poco tempo
un’ottima squadra che, nel corso del campionato, aveva ottimi margini di
miglioramento. Eliot stava mettendo in difficoltà Dominique che lo marcava
stretto.
La
partita sembrava non finire, erano passate diverse ore e dovevano aver superato
anche l’ora di pranzo. Le due squadre continuavano a pareggiare e adesso erano
300 a 290 per Grifondoro.
“Punto
per Serpeverde! Sono di nuovo pari!”
Rabastan
stava seguendo l’azione quando vide il Boccino d’oro dietro Victoire Weasley.
Sarebbe stato complicato avvicinarsi alla Capitana di Grifondoro senza beccarsi
un Bolide ma non poteva non tentare, altrimenti avrebbe consegnato la vittoria
a Grifondoro. Fissò il Boccino e si chinò sulla Firebolt in direzione della
Weasley.
Il
Cercatore di Grifondoro se ne accorse e lo raggiunse in poco tempo. Rabastan
era leggermente avvantaggiato dal nuovo modello di scopa e dal suo peso, era più
leggero di quel Weasley spilungone e per nulla aerodinamico ma che volava
dannatamente bene. Si curvò sul manico per andare più veloce. Schivò il Bolide
lanciato da Baston e vide che Fred dovette schivare quello lanciato da Roland.
Si
augurò che suo fratello e Hawk gli coprissero la schiena con i loro Bolidi. Il
Boccino si era allontanato dalla Weasley e questo significava solo che anche
lei era libera di tornare a usare la mazza.
Rabastan
sterzò a destra per schivare il Bolide lanciato da Victoire e continuò a
puntare il Boccino.
“Il
nuovo Cercatore di Serpeverde, Rabastan Lestrange, ha puntato il Boccino d’oro.
Anche il Cercatore di Grifondoro, Fred Weasley, è all’inseguimento con la sua
nota abilità nel volo! Guardate Weasley come schiva il Bolide lanciato da
Flint! Lestrange ha i riflessi pronti nello schivare quello proveniente da
Baston! Il pubblico è con il fiato sospeso!”
Rabastan
vedeva il Boccino davanti a sé, lo stava per afferrare. Allungò la mano per
prenderlo e sentì la scopa traballare. Portò le mani salde sul manico, si
capovolse un paio di volte e riuscì a non perdere l’equilibrio.
“Grifondoro
ha preso il Boccino d’oro! Grifondoro ha vinto la partita per 450 a 300!”
Rabastan
tornò in equilibrio e si trovò davanti gli occhi Fred Weasley che sorrideva con
il Boccino in mano. Il Cercatore di Grifondoro alzò le sopracciglia e gli fece
un sorriso di scherno mentre tornava a terra, pronto a festeggiare. Rabastan
raggiunse il resto della squadra sentendosi in colpa. Trattenne le lacrime
quando Roland lo abbracciò e gli disse che aveva giocato un’ottima partita.
Negli
spogliatoi Roland disse: “Il risultato di oggi non era scontato. Abbiamo perso
solo perché la Weasley ha colpito il nostro Cercatore mentre stava afferrando
il Boccino. È colpa mia e di Hawk, dovevamo coprirgli le spalle durante
un’azione così delicata. Questo è il gioco di squadra. Avevamo una squadra
composta per metà da nuovi arrivati e devo dire che avete giocato benissimo! So
che continuando ad allenarci faremo un bellissimo campionato! Ci rifaremo alla
partita di ritorno!”
Gli
altri si diressero sotto le docce mentre Rabastan si lasciò cadere su una
panca, in attesa del suo turno. Si sfilò la divisa con il morale sotto i piedi.
Roland lo raggiunse con un telo legato in vita e gli disse: “Non abbatterti. Lo
so che è difficile da credere, ma hai giocato una buona partita.”
“Avevo
il Boccino lì davanti, lo stavo afferrando!” esclamò deluso, “e poi ho visto l’espressione
trionfante di Weasley!” sbuffò.
“Fatti
una doccia, vedrai che andrà meglio. Ti aspetto o ci vediamo in Sala Grande per
cena?”
“Vai,
voglio restare un po’ da solo,” disse ripensando alla partita.
Continuava
a rivedere la scena in cui stava per afferrare il Boccino e avere la vittoria e
poi improvvisamente questa gli veniva strappata. Lasciò scorrere l’acqua e si lasciò
andare alle lacrime non appena rimasto solo nello spogliatoio. Non voleva che
lo considerassero un moccioso, ma non riusciva più a trattenere la delusione
che bruciava e si mescolava alle battute di scherno, alle occhiate sospettose,
ai sussurri che sentiva quotidianamente alle sue spalle. Appoggiò la testa
contro le mattonelle del cubicolo della doccia e il freddo lo riportò al
presente. Chiuse l’acqua e si avvolse in un telo per poi tornare a indossare i
pantaloni, la camicia e il maglione del suo abbigliamento domenicale.
Avevano
scelto di non indossare le vesti tradizionali che indossavano a casa e di
tenere una specie di seconda divisa per il tempo libero a Hogwarts.
Orion,
infatti, era stato preso in giro per tutto il primo trimestre del primo anno ed
era tornato a casa in lacrime. Nessuno indossava più le vesti da mago
tradizionali, perché ricordavano un passato che molti ritenevano ingombrante,
altri perché sostenevano che così i Nati Babbani non si sentivano diversi e la
mamma aveva commentato che chissà come mai, per far sentire i Nati Babbani a
proprio agio, finisce che sono sempre i maghi a doversi nascondere. Tuttavia,
Orion, Roland e persino Roddie che indossava le vesti tradizionali solo durante
i sabba e nella sala comune, nessuno di loro aveva voglia di combattere tutto
il tempo una battaglia che sentivano persa.
Sembrava
di essere nei romanzi di Raymond Laurent, dove il tempo dei maghi stava
giungendo al termine e solo pochi, valorosi, maghi si cimentavano nello studio
dei segreti della magia, mentre gli altri si accontentavano di vivere una vita
ordinata e tranquilla. Rabastan si ricordava che Nathair, il protagonista, non
aveva mosso guerra alla scuola degli stregoni e che aveva intrapreso il suo
cammino alla scoperta della magia solo dopo aver completato gli studi. Le
avventure di Nathair iniziavano dopo la scuola e Rabastan doveva fare come il
suo eroe: terminare gli studi e iniziarsi allo studio delle profondità della
magia, solo così sarebbe arrivato a vedere i Draghi e magari anche un Tuono
Alato.
Sistemò
il colletto della camicia e il maglione di cachemire che gli aveva regalato zia
Pucine, si avvolse nel mantello con la scopa in spalla e si incamminò verso la
Sala Grande. Come al solito, si era perso nei suoi pensieri e aveva fatto tardi.
Roland avrebbe alzato gli occhi al cielo dicendo che doveva vivere su questa
terra e non nelle Terre dei Draghi di Nathair.
Le
giornate si erano accorciate e una pioggia sottile aveva iniziato a cadere.
Rabastan sbuffò e si coprì con il cappuccio quando vide una figura davanti a
sé.
“Professore?”
domandò.
Era una
figura alta, avvolta in un mantello o in una veste da mago. Si disse che era
una scelta insolita. Il professor Pucey era più basso e lo escluse a priori. Si
domandò se non fosse il professor Longbottom, alto, giovane, longilineo, ma non
era sicuro di averlo mai visto così.
“Questa
scuola migliorerebbe la qualità della didattica se insegnassi qui,” gli rispose
quella figura con un tono sarcastico mentre si voltava a guardarlo. Rabastan
aveva visto quel volto in numerose foto e in tutte le pubblicazioni che il
Ministero mandava sulla commemorazione della Battaglia di Hogwarts.
“Lord
Voldemort?” domandò incredulo. “Siete tornato? Delphi ha avverato la profezia?”
domandò ancora più incredulo. Si toccò per vedere se stesse sognando o
scomparendo.
“Ti
sembra che sia tornato? Piccolo, inutile, Lestrange! Ah, i tuoi genitori erano
molto più svegli di te!”
“È uno
scherzo, vero?”
“Ti
sembra uno scherzo?”
“Non ho
paura: o sei uno scherzo o sei un fantasma! Scopriamolo! Bombarda!”
Il
raggio della bacchetta oltrepassò Lord Voldemort e si perse nel vuoto del
giardino. Rabastan osservò la scena incredulo, mentre Lord Voldemort sembrava
piuttosto offeso da quella iniziativa. “Tu! Piccolo stupido di un Lestrange!
Tuo padre non ti ha insegnato il rispetto? Te lo insegnerò io!”
Il fantasma
si avventò su di lui e lo attaccò. Rabastan si sentì sollevare in aria e poi
sbalzare contro qualcosa. Sentì dei rami contro la schiena. Nell’urto gli
sfuggì la scopa che finì in un angolo del giardino. Provò a richiamarla con un
incantesimo di Appello ma non era ancora molto bravo e il ramo a cui si era
aggrappato si stava dimenando. Sembrava che la pianta fosse furiosa di trovarsi
Rabastan sui propri rami e che volesse disarcionarlo.
“È
assurdo, le piante non si muovono!” si disse mentre si aggrappava forte a un
ramo che lo scagliò violentemente contro un altro ramo e poi a terra. L’urto fu
violentissimo. Rabastan sentì la gamba spezzarsi e la testa battere contro il
terreno senza riuscire a parare il colpo. La vista gli si annebbiò e nella
confusione gli sembrò di sentire la voce di Delphi.
“Padre!
Siete tornato!”
“Ti
sembra che sia tornato? No! Sono qui perché sono stato evocato, ma tu cosa ci
fai qua?”
“Sono
venuta a vedere la scuola in cui Voi e la mamma avete studiato, padre! Volevo
osservare da vicino questi posti, tra poco partirò per Durmstrang!”
“Ricorda
la profezia, Delphi! Devi tornare indietro nel tempo! Torna indietro nel tempo
e governeremo insieme! L’Augurey sarà alla destra del Padre! Adesso devo
andare! Vai anche tu, prima che ti trovino qui!”
“Sì,
padre! Verrò a salvarvi! Ve lo prometto!”
Rabastan
provò a puntellarsi sul gomito per osservare la scena, ma il dolore fu così
forte che perse l’equilibrio e intorno a lui fu solo buio.
Note:
Ciao a
tutti!
Dopo un
periodo di relativa calma, i fantasmi sono tornati, anzi, IL fantasma per
eccellenza è tornato e, come si nota, è eccezionale anche in veste di fantasma.
Il povero Rabastan si è preso prima la sconfitta a Quidditch e poi anche la
sconfitta nello scontro con Voldemort.
Le cose
però non sono andate bene nemmeno per Teddy e Victoire che stanno capendo di
non poter tirare troppo la corda e che devono darsi una calmata. Ci voleva una
battuta d’arresto per quei due, lo avevate scritto anche nelle recensioni e,
come vedete, la Preside è intervenuta.
Nel
prossimo capitolo vedremo le reazioni degli studenti che ha avuto l’incidente
di Rabastan. <3
Nel
frattempo, grazie a tutti coloro che stanno leggendo, seguendo, recensendo questa
storia e che si stanno affezionando ai personaggi.
Un
abbraccio,
Sev
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo
7
Hogwarts,
25 ottobre 2015
Rabastan
aprì gli occhi confuso. Osservò la volta di pietra che lo sovrastava. Era steso
su qualcosa di morbido, doveva essere un letto. Scattò pensando di dover
avvisare Roland e Roddie. Provò ad alzarsi puntellandosi sulle mani, ma sentì
un dolore fortissimo al polso e ricadde sul cuscino.
“Sei
tutto rotto, Rab, stai tranquillo.”
La voce
di Roland annunciò la sua comparsa oltre una tendina.
“Dove mi
trovo?”
“Sei in
infermeria. Ero venuto a cercarti perché non stavi arrivando a cena, mi hai
fatto prendere uno spavento. Hanno dovuto chiamare mamma e papà che ora sono di
là con la Preside. Chi è stato?”
“Lord
Voldemort.”
“Cosa?”
“Il
fantasma, intendo. L’ho attaccato, dicendogli che non avevo paura e che non
poteva farmi del male perché era morto, e invece mi ha lanciato contro un
albero, e l’albero si è arrabbiato, e mi ha sbattuto contro altri rami, come se
cercasse di togliermi di dosso, e poi mi ha scaraventato per terra. C’era
Delphi, ha visto Lord Voldemort e lui le ha detto di trovare il modo di tornare
indietro nel tempo per farlo tornare, così governeranno il mondo insieme.”
“Per
tutti i draghi! Non farne parola con la mamma, è piuttosto agitata.”
“Roddie?”
Roland
alzò il sopracciglio e Rabastan dovette trattenere il sorriso. Era una domanda
sciocca, in effetti, se la mamma era nei paraggi, Roddie era sicuramente
attaccato alla sua gonna. La porta dell’infermeria si aprì, cogliendoli di
sorpresa. Roland esclamò: “Si è appena svegliato.”
“Il mio
piccolo Rab!” La mamma si precipitò al suo capezzale e Rabastan vide quanto
fosse spaventata. Dietro di lei, il papà sembrava sollevato di vederlo più o
meno intero. Sentì la mano della mamma prendere la sua e posargli un bacio.
“Roland ci ha raccontato di averti trovato sul prato privo di sensi. Cosa ti è
successo?”
Non
avevano avuto il tempo di concordare una versione, ma sapeva di non poter
raccontare la verità, così rimase sul vago. “Stavo tornando in Sala Grande per
la cena dopo la partita. Mi ero trattenuto negli spogliatoi perché ero
piuttosto triste…”
“Ha
giocato molto bene,” intervenne Roland dicendolo al papà che gli sorrise
annuendo, cercava di non darlo a vedere, ma aveva il volto tirato per la
preoccupazione.
“Non so
bene cosa è successo. Stavo attraversando i prati e qualcosa mi ha sollevato in
aria e lanciato contro un albero, e poi quell’albero si è arrabbiato e ha
iniziato a cercare di lanciarmi via. Io mi aggrappavo ai rami perché avevo
paura di cadere, ma alla fine sono stato scaraventato a terra e credo di aver
perso i sensi.”
“Il Salice
Schiaffeggiante…” mormorò la mamma scambiandosi uno sguardo preoccupato con la
Preside. “Mi auguro che la scuola procederà ad accertare chi o cosa abbia
scaraventato mio figlio contro un albero tanto pericoloso e che la faccenda non
venga archiviata perché si è trattato di un Lestrange…”
“Faremo
tutto il possibile perché vengano accertate le cause di questo increscioso
incidente.” La preside si ergeva dritta di fronte la mamma e si vedeva
chiaramente che entrambe non si piacevano.
“Me lo
auguro, signora preside, perché posso tollerare gli insulti che giornalmente ricevono
i miei figli, la presenza di un professore che si rifiuta di chiamarli per nome
e non perde occasione per penalizzarli, ma non passerò sopra un’aggressione.”
“Non
tirerei fuori questi argomenti, se fossi in lei, signora Lestrange.”
“I
ragazzi non c’entrano niente, signora preside.”
“Le
ricordo che il professor Longbottom aveva l’età di suo figlio Rodolphus quando
il suo primo marito gli ha fatto rivivere la tortura impartita ai genitori,
nell’anno in cui si è infiltrato a Hogwarts sotto le sembianze di Alastor
Moody. Farei molta attenzione a parlare di sicurezza dei ragazzi, visto come avete
ridotto il mondo magico.” Lanciò uno sguardo severo a entrambi i genitori che
si irrigidirono.
“C’era
una guerra!” esclamò la mamma. Rabastan vide il papà mettere una mano sulla
spalla della mamma e sussurrarle di lasciar perdere. La preside, tuttavia,
rimase dritta, guardò severamente la mamma e Rabastan pensò che come insegnante
dovesse fare molta paura. Usò un tono fermo, come se l’argomento fosse chiuso
per sempre e non ci fosse più alcuna ragione di ritornarvi. “E l’ha persa,
signora Lestrange. Gestisco questa scuola da anni e può star certa che verrà
fatta luce su questo incidente. Ora suo figlio ha bisogno di riposo.”
A quelle
parole, Rabastan fu assalito dal terrore. Non voleva rimanere da solo in
infermeria. E se Voldemort fosse tornato? Se avesse approfittato delle sue
condizioni di salute? Da quando i fantasmi potevano attaccare?
“No!”
esclamò con tutta la forza che aveva temendo di non essere sentito. Uscì una
specie di urlo strozzato, da cui trapelava il terrore di essere lasciato da
solo. Tutti si voltarono verso di lui e Rabastan scosse la testa: “Non voglio
rimanere da solo…”
“Lo
guardi, preside, è terrorizzato!” esclamò la mamma. Si avvicinò a lui e gli
posò un bacio sulla fronte. Lo sguardo era tornato dolce e premuroso: “Vuoi
venire a casa?”
Rabastan
annuì cercando di allungarsi verso la mamma. Si sentiva un moccioso, ma non
c’era altro posto al mondo dove si sarebbe sentito più tranquillo. Si disse
anche che, se fosse guarito, avrebbe potuto fare un salto nella biblioteca di famiglia
a cercare dei libri per risolvere quel mistero che diventava sempre più
spaventoso e terrificante.
“Sei
sicuro?” domandò Roland, “Posso rimanere io a dormire in infermeria se la preside
è d’accordo.” “No, voglio andare a casa,” gli disse Rabastan, “se riesco, cerco
in biblioteca quel libro per i compiti di Creature Magiche.”
Si
guardarono intensamente e Roland sembrò capire: “Allora scrivici e facci sapere
come stai, intesi?” Rabastan annuì, mentre la mamma lo copriva con un mantello
e il papà lo prendeva in braccio. Si strinse forte al collo del papà, anche se
gli faceva male tutto il corpo. Presto sarebbe stato nel suo letto di casa.
“Tornerà
non appena starà meglio,” disse la mamma alla preside che annuì. “D’accordo,
signora Lestrange, come preferisce. Rabastan sarebbe stato meglio a scuola, con
i suoi compagni, invece che da solo a casa, ma capisco che sia spaventato. Il
professor Pucey gli farà avere i compiti affinché non rimanga indietro con lo
studio.”
“Grazie.
Perdoni la reazione di prima, sono molto scossa e preoccupata.”
“Lo
siamo tutti, signora Lestrange, le assicuro che faremo ogni accertamento
affinché si faccia luce su quanto accaduto.” La preside gli rivolse un sorriso
gentile e disse: “Buon rientro a casa, Rabastan, rimettiti presto. I tuoi
compagni ti aspettano.”
Rabastan
annuì, salutò Roland e Roddie che, per tutto il tempo, era rimasto in silenzio.
La mamma abbracciò Roland, lo strinse a sé e lo riempì di baci sulle guance
dicendogli di fare attenzione, di studiare e di non mettersi nei guai. Gli
disse anche di mangiare il budino con il cucchiaio. Rabastan vide il papà
corrucciare la fronte per quella frase, ma dal modo in cui Roland guardò Roddie,
fu chiaro a tutti che Roddie avesse raccontato troppo in qualche lettera.
La mamma
abbracciò anche Roddie e gli posò tantissimi baci sulla fronte, gli accarezzò i
ricci scuri e lasciò che lui l’abbracciasse e la riempisse di baci sulle
guance. Rabastan sapeva che suo fratello avrebbe dato qualsiasi cosa per andare
a casa al posto suo.
Roland e
Roddie li accompagnarono quasi fino all’ufficio della preside, dove avrebbero
preso la Metropolvere per tornare a casa. Li seguirono finché la preside non li
rispedì in sala comune scuotendo la testa come se disapprovasse tutte quelle
smancerie.
Vorticare
nei camini fu terribile, nonostante si reggesse forte al collo di suo padre, Rabastan
arrivò a casa con la nausea e un forte mal di testa, sentendosi decisamente
peggio. La mamma lo aiutò a rimettere, gli teneva la fronte, lo aiutò a lavarsi
e infine lo visitò tastando il braccio rotto. “È stato un brutto colpo, ma
vedrai che già domani starai meglio,” gli disse sorridendogli. Rabastan annuì,
sollevato dal trovarsi lontano da scuola. La mamma puntò la bacchetta contro il
braccio rotto e mormorò: “Epismendo!” la frattura si ricompose. Ripeté
l’operazione sulla gamba e poi fasciò entrambi gli arti per tenerli fermi e lo
aiutò a indossare il pigiama.
“Ti
faccio portare qualcosa da mangiare?” gli domandò. Rabastan annuì. Si era così
spaventato da essersi dimenticato di non aver cenato e ora stava letteralmente
morendo di fame. Polly gli portò una bistecca già tagliata con contorno di
patate al forno e verdure saltate. La mamma era al suo fianco e lo osservava
mangiare. Roddie sarebbe andato in brodo di giuggiole.
“Adesso
che sei a casa, ti va di raccontare cosa è successo?”
“Te l’ho
detto mamma, non lo so bene nemmeno io.”
“C’è
qualcuno che potrebbe arrivare a farvi del male in questo modo? Delphi ci ha
scritto che vi siete incontrati a Hogsmeade e dei compagni di scuola vi stavano
spiando.”
“Oh, ma
che pettegola, quella!” esclamò stizzito, “Sì, è sempre Lupin, il Caposcuola di
Tassorosso, ce l’ha con Roland e ha appena finito di scontare una settimana di
punizione per averci spiato a Hogsmeade.”
“Pensi
che possa essere stato lui?”
“No,
mamma, lui è uno sbruffone, arriva puntandoti la bacchetta e urlando cose come bisogna
rispedirvi ad Azkaban! Non è il tipo da attaccare alle spalle e io non ho proprio
visto o sentito nessuno: stavo camminando e mi sono trovato sull’albero. Ho
sentito però qualcosa di oscuro e ho i brividi. Non voglio dormire da solo…”
“Papà
storcerà un po’ il naso, ma suppongo che dopo quello che è successo potrai
dormire con noi.”
“Roddie
mi invidierà tantissimo,” disse mentre seguiva la mamma nella camera da letto
dove il papà stava leggendo un libro. “Fossi in Roddie penserei solo a stare
bene,” disse la mamma facendogli posto.
La mamma
si infilò sotto le coperte vicino il papà, si sdraiò su un fianco e Rabastan si
lasciò abbracciare, assaporando finalmente il calore delle coperte e
l’abbraccio della mamma. “Vieni qua, pulcino mio,” gli sussurrò come quando era
piccolo. Era piacevole lasciarsi coccolare dopo l’incontro con Lord Voldemort. Si
disse che se fosse scomparso per sempre, avrebbe voluto godersi ogni momento
con i suoi genitori. Si strinse a sua mamma, respirò il suo profumo che sapeva
di casa e si addormentò, certo che lì nessun fantasma sarebbe riuscito a
raggiungerlo per fargli del male.
***
Hogwarts,
31 ottobre 2015
Molly
era rimasta sconvolta dalla notizia dell’aggressione a Rabastan Lestrange. Tra
i corridoi della scuola non si riusciva ad avere una versione che fosse
credibile.
Secondo
alcuni, Rabastan aveva evocato un mostro che l’aveva sbalzato sul Salice
Schiaffeggiante, secondo altri era stato vittima di un ritorno di fiamma di una
bacchetta, altri ancora parlavano di scopa difettosa. La storia si ingigantiva
di giorno in giorno e nell’ultima versione le era sembrato di cogliere un
riferimento a un drago.
Nei
giorni scorsi, la Preside aveva convocato i Prefetti e i Capiscuola nel suo
ufficio e aveva detto loro quanto Rabastan aveva riferito. Roland aveva annuito
e detto che suo fratello adesso era a casa e che si stava riprendendo. Era
stato fatto visitare da un Guaritore al San Mungo e presto sarebbe tornato. Durante
quella riunione Molly aveva osservato Roland raccontare per l’ennesima volta il
modo in cui aveva ritrovato suo fratello. Aveva la sensazione che Lestrange sapesse
di più di quanto dicesse. Come era possibile che qualcuno venisse catapultato
sul Salice Schiaffeggiante mentre attraversava i giardini? Possibile che
Rabastan non si fosse accorto di nulla? La versione era strana e le sembrava
che mancasse qualche dettaglio.
Si
sorprese quella mattina quando vide Rabastan al tavolo dei Serpeverde intento a
fare colazione con i fratelli. Zoppicava un po’ ma sembrava essersi ripreso. I
fratelli Lestrange stavano consultando un libro avidamente e Molly decise di avvicinarsi
prima che arrivasse Victoire a dissuaderla.
“Bentornato,”
gli disse, “anche a nome di Grifondoro. Siamo rimasti molto dispiaciuti per quello
che ti è capitato.”
Rabastan
alzò lo sguardo dal libro e Molly sentì su di sé lo sguardo scettico dei
fratelli maggiori. Roland aveva un sopracciglio alzato, mentre Rodolphus l’aria
perennemente annoiata. Rabastan si limitò a dire: “Grazie, Caposcuola Weasley,
lo apprezzo molto.”
Molly
notò che il libro che stavano sfogliando era uno dei libri su cui lei e Roxanne
avevano passato le ultime notti in sala comune. Sentì un brivido scenderle
lungo la schiena e domandò: “Dove avete trovato quel libro?”
“L’ho
portato da casa,” disse Rabastan, “In biblioteca qualcuno lo aveva già preso.”
Aprì il libro e mostrò la catalogazione della biblioteca di casa Lestrange, sul
retro di copertina c’era un timbro con lo stemma familiare con i corvi. Molly
si fece coraggio e decise di approfittare del fatto che Rabastan sembrasse ben
disposto nei suoi confronti.
Roland,
invece, la guardava aspettando che andasse via. “Hai bisogno di qualcosa,
Weasley?”
Molly
annuì e si avvicinò a loro, sedette sulla panca di fronte a loro e si sporse
sul tavolo, incurante degli sguardi degli altri Serpeverde che stavano
arrivando per la colazione. “Vorrei sapere se avete visto qualcosa di strano.”
“Vediamo
ogni giorno cose strane, Weasley…” rispose con sufficienza Rodolphus, “molto
dipende dal tuo concetto di normale, suppongo.”
“Mi
riferisco a cose che non dovrebbero stare tra noi, residui del passato, che non
siano le tue stupide idee razziste, Lestrange, parlo di fantasmi.”
Roland e
Rabastan si guardarono, persino Rodolphus cambiò espressione. Roland si sporse
verso di lei e gli domandò: “Tu hai visto qualcosa di strano?”
“Se ti
dicessi che è un mese che non faccio altro che vedere cose strane? Non c’è un
libro della biblioteca che mi sia stato d’aiuto!”
“Allora
li hai presi tu in prestito!” esclamò Roland.
“Vediamoci
dopo le lezioni di fronte l’aula di Incantesimi, dove c’è l’aula studio.”
Roland
la osservò titubante e lei gli disse: “Non è uno scherzo, Roland, ho incontrato
il fantasma di mio zio, morto durante la battaglia di Hogwarts. Mi ha detto che
è stato evocato e che ne approfittava per fare una passeggiata.”
“Beh, ti
è andata bene, io ho incontrato la prima moglie di mio padre, Bellatrix. Uccisa
da tua nonna che mi ha detto che non sarei mai dovuto nascere e che sparirò.”
“Dobbiamo
capire cosa sta succedendo.”
I tre
fratelli si scambiarono uno sguardo e annuirono convinti.
Molly
tornò al tavolo di Grifondoro in tempo per l’arrivo della posta. Un gufo si
appollaiò accanto a lei lasciando una busta piuttosto spessa. Riconobbe subito
la grafia elegante di Henry, il cuore le batté forte. Era stata troppo
ottimista riguardo l’anno di lontananza. Credeva che Henry le sarebbe mancato
di meno, assorbita com’era dalla presenza dei cugini. Invece, la continua
presenza di quei fantasmi e il senso di morte che si trascinavano, le faceva desiderare
un contatto con Henry. Sentiva la mancanza delle loro chiacchierate in sala
comune, delle passeggiate notturne e persino dei momenti che trascorrevano
insieme abbracciati in qualche aula abbandonata. Aprì il taccuino pieno di
schizzi del volto di Henry e si disse che gli stava mancando moltissimo. Non
vedeva l’ora che arrivasse Natale per rivederlo.
“Mia
cara Molly,
come
stai? Ci sono stati ulteriori avvistamenti? La tua lettera mi ha colto di
sorpresa. Ho fatto delle ricerche al Ministero e ho provato a confrontarmi con
discrezione con i colleghi del Dipartimento Spiriti. Purtroppo, non riesco a
darti nulla di risolutivo. Come ti avevo già anticipato nella mia ultima
lettera, i fantasmi sono entità che non sono andate avanti e hanno scelto di
rimanere nel nostro mondo. Chi decide di andare avanti, poi non può tornare
indietro. Ci sono naturalmente dei modi per comunicare e per aprire il velo tra
il mondo dei morti e quello dei vivi. C’è un arco nell’ufficio Misteri dove
quel velo è presente, ma i colleghi che ci lavorano sono concordi nel dire che
il velo si attraversa in una sola direzione. Si possono evocare i defunti con
alcuni metodi, ma nessuno di questi è così avanzato da lasciarli andare in giro
per la scuola come se fossero a passeggio.
I
rituali più sofisticati si possono fare a Samhain, quando i due mondi si
sfiorano e le anime di chi ha lasciato il nostro mondo possono tornare
indietro, ma è temporaneo e legato a precisi elementi di tempo e di luogo. Ad
esempio, i maghi messicani celebrano los dias de los muertos, i primi di
novembre. Le anime dei defunti possono tornare in casa, ricevere cibo e la loro
evocazione è circoscritta alla casa di famiglia, non certo la scuola. Ci vuole
qualcosa di potente, come l’amore, per superare il confine tra la vita e la
morte, o di molto oscuro, ma non credo che sia qualcosa alla portata di uno
studente di Hogwarts. Persino i colleghi dell’ufficio Misteri sembravano in
difficoltà.
Mi
spiace che queste notizie non possano tranquillizzarti. Anzi, forse ne sarai
turbata, ma voglio che tu abbia il quadro chiaro. So che non ti accontenti
delle spiegazioni troppo semplici.
Mi
manchi moltissimo e mi mancano le nostre chiacchierate, mi manca starti vicino
e trascorrere le sere a guardarti mentre disegni. In ufficio ho appeso l’ultimo
disegno che mi hai mandato, ma quelli più audaci li tengo a casa. Non vedo
l’ora di riabbracciarti a Natale e credo proprio che verrò a prenderti a King’s
Cross, nonostante tuo padre cerchi di dissuadermi. Gli ho detto che se è
preoccupato per il permesso al Ministero lui può restare in ufficio e verremo
io e Audrey, ma non mi è sembrato molto convinto. Secondo me, sotto sotto, è
geloso, ma non vuole dare ragione a tua madre.
Sono il
solito logorroico, perdonami. Mi manchi tanto! Spero di ricevere presto tue
notizie.
Ti amo
da impazzire,
tuo
Henry”
Molly
lesse la lettera senza riuscire a trattenere un sorriso. Immaginava benissimo
la scena di Henry al Ministero, probabilmente in ascensore, che stuzzicava suo
padre sull’idea di rimanere in ufficio mentre lui sarebbe andato ad accogliere
lei e Lucy insieme alla mamma. Riusciva a vedere la posa impettita di suo
padre, il modo in cui si sarebbe sistemato gli occhiali sul naso e poi
controllato nervosamente la cravatta. Prese il taccuino con un sorrisetto
divertito e iniziò ad abbozzarne la figura ridacchiando tra sé e sé mentre smangiucchiava
una fetta di pane tostato con il burro. Prese anche un sorso di succo di zucca
e continuò nella sua opera.
“È
papà?” domandò Lucy mentre prendeva posto accanto a lei. “Buongiorno,” aggiunse
servendosi un po’ di uova e bacon. Molly annuì. “Da cosa l’hai capito?”
“Dall’espressione
nervosa, è proprio la sua.”
“Mi ha
scritto Henry. Ha detto che papà continua a dirgli che non c’è bisogno che vengano
tutti a King’s Cross a Natale e lui gli ha risposto che se vuole può rimanere
in ufficio.”
Lucy scoppiò
a ridere. “Per Godric, papà sarà impazzito da quell’alternativa non
contemplata!”
“Stavo
provando a disegnare la scena!”
“Secondo
me devi chiudergli i pugni e avvicinare le braccia al corpo, come fa quando è
stizzito…”
Ridacchiavano
entrambe. Era molto tempo che loro due non avevano un momento tutto loro.
Vivevano completamente assorbite dallo studio e dai cugini e non sempre
trovavano il tempo per stare da sole. “Allora è Samuel il fortunato?” le
domandò. “Non negare, vi ho visto come vi defilavate durante la partita.”
Lucy
alzò gli occhi al cielo. “Dovresti sapere che il momento del Quidditch è quello
perfetto per agire, visto che gran parte dei Weasley sono sulla scopa!” Molly
ridacchiò mentre Victoire si univa a loro per la colazione.
“Vic, se
ti dico una cosa, prometti di non arrabbiarti?”
“Lo
prometto.”
“È
tornato Rabastan e ho parlato con i Lestrange, anche loro hanno visto i fantasmi
e sono terrorizzati.”
“È per
questo che girano sempre insieme e si guardano le spalle?”
Molly
annuì. “Hanno incontrato Bellatrix che ha minacciato di farli sparire.”
“Per
Godric.”
“Penso
che se non uniamo le forze non riusciremo a venire a capo di questo mistero. Ci
vediamo dopo cena di fronte l’aula di Incantesimi.”
“Avviso
Teddy?” domandò Victoire, “Insomma, lui è il più esperto in Difesa contro le
Arti Oscure. Il prossimo anno inizierà l’accademia da Auror.”
“Però lui
non sa ancora nulla delle apparizioni. Temo che se venisse passerebbe il tempo
a litigare con Roland.”
“Hai
ragione, ma sai che andrà su tutte le furie se non lo coinvolgiamo in una cosa
del genere?”
“Sentiamo
cosa sanno i Lestrange e sulla base di questo decidiamo se coinvolgerlo o
meno.”
Victoire
annuì un po’ perplessa.
“Vic, lo
so che non vuoi tenere nulla nascosto a Teddy. Ti prometto che gli diremo
tutto, ma prima dobbiamo sapere cosa sanno i Lestrange.” Molly scrutò
attentamente lo sguardo della cugina. Capiva perfettamente il senso di colpa e
lei stessa si sarebbe trovata in difficoltà se qualcuno le avesse detto di non
dire qualcosa ad Henry, ma bisognava essere concreti e Teddy era una
distrazione troppo grossa in quel momento.
La
giornata trascorse molto lentamente, mentre Molly aspettava con ansia la fine
delle lezioni. Aveva fermato Roland tra una lezione e l’altra e gli aveva
chiesto di anticipare il loro incontro prima di cena, perché in quel frangente
si erano dimenticati che era Halloween e Prefetti e Capiscuola sarebbero stati
impegnati con il banchetto di Halloween in Sala Grande. Roland le aveva detto
che dopo cena in sala comune avrebbero celebrato Samhain e l’aveva invitata a
partecipare. Molly, però, era rimasta sul vago perché quei riti la spaventavano
un po’ e non le sembrava il caso che la Caposcuola di Grifondoro mettesse piede
nella sala comune di Serpeverde.
***
C’era
solo un motivo per cui Roland aveva accettato l’invito di Molly Weasley ed era
perché quel giorno era Samhain e il confine tra i due mondi era sottile. Quel
giorno, non solo Lord Voldemort sarebbe potuto tornare, ma i suoi poteri
residui sarebbero stati più forti.
Aveva
studiato a fondo le tradizioni di Samhain e le aveva abbinate allo studio sui
fantasmi. Aveva letto testimonianze di molte festività e chiesto ad Hawk un approfondimento
su el dia de los muertos ed era giunto a una conclusione: l’anima di un mago
porta con sé una residua traccia di magia quando muore. Solitamente, durante
l’evocazione i poteri residui sono troppo deboli per consentire all’anima di
praticare un incantesimo, senza contare che avrebbe bisogno anche di una
bacchetta. Tuttavia, l’avvicinarsi di Samhain e il fatto che fosse stato Lord
Voldemort ad aggredire Rabastan gli mostravano tutti i pericoli. Cosa sarebbe successo
se Voldemort e Grindelwald si fossero alleati per tornare e distruggere il
futuro?
Il solo
pensiero lo terrorizzava e forse questo era il segno delle premonizioni che
continuava ad avere. Si incontrò con i fratelli in sala comune e insieme si
diressero verso l’aula di Incantesimi. Trovarono ad attenderli i Weasley quasi
al completo. C’erano Molly, Victoire, Roxanne, Louis e James che parlottavano
tra di loro. Entrarono nell’aula accanto e Molly distribuì i libri che da un
mese aveva in prestito. “Se non ne veniamo a capo, tra due giorni dovrò
restituire i libri in biblioteca,” esordì.
“Sono
già in lista per il prossimo prestito, Weasley,” la rassicurò. Aveva tormentato
Madama Quills perché accettasse la prenotazione del suo prestito, sperando che
chiunque li avesse presi li restituisse quanto prima. Non avrebbe mai
immaginato che qualcuno stesse indagando sul suo stesso mistero.
“Possiamo
chiamarci per nome? Altrimenti con i cognomi è un casino,” propose Roxanne.
“Non per
me,” ridacchiò James, l’unico Potter della stanza.
“Siamo
seri, per favore, che non abbiamo molto tempo.” Roddie li richiamò all’ordine
già annoiato. “Io ho chiesto informazioni al Barone Sanguinario. Visto che non
c’erano libri sull’argomento in biblioteca, ho pensato che un fantasma ne
sapesse di più. La questione è che i rituali per evocare gli spiriti di chi è
andato avanti sono complessi e richiedono la presenza di un evocatore e un
preciso rituale. Non è possibile aprire il passaggio tra i due mondi per
permettere a qualcuno di farsi un giro per la scuola.”
Molly
annuì: “È la stessa cosa che mi ha detto Henry.”
“Chi è
Henry?” domandò Roland, “quante persone sanno di queste apparizioni?”
Quella
notizia doveva rimanere riservata e invece il numero delle persone coinvolte si
stava allargando velocemente e senza alcun controllo. Non si sarebbe sorpreso
se tra qualche giorno fosse comparso il Ministro della magia o quella ficcanaso
di Rita Skeeter che la mamma tanto detestava.
“Oltre a
noi, solo Henry Peaks, il mio ragazzo, Nato Babbano. Lavora al Ministero della
Magia, nel Dipartimento Spiriti. Ho pensato che ne potesse sapere qualcosa. Ha
chiesto persino ai colleghi dell’Ufficio Misteri. Problemi, Lestrange?”
Roland
scrollò le spalle. Aveva senso chiedere a uno che lavorasse al Dipartimento
Spiriti. La Caposcuola non era del tutto impazzita. Loro avevano fatto lo
stesso chiedendo ad Orion. “Nostro fratello maggiore lavora all’Ufficio
Misteri, nella stanza del Tempo, ci ha detto che gli incantesimi necessari sono
troppo oscuri e che non sono alla portata di uno studente di Hogwarts.”
“E se
non fosse uno studente? Perché diamo per scontato che sia uno di noi?” domandò
Victoire.
Roland
sospirò e la guardò come se avesse appena fatto una domanda stupida: “Perché è
la cosa più scontata. Qualcuno può essersi imbattuto in un rituale sconosciuto
e averlo iniziato e poi non sa come rimettere le cose a posto. Un professore
non farebbe mai una cosa del genere e il resto del personale non è all’altezza.”
Roddie
la osservava con disgusto. Roland si domandò se suo fratello fosse irritato
perché era la fidanzata di Lupin, perché faceva domande stupide o perché aveva
la cravatta annodata male e l’uniforme spiegazzata.
“Voi
siete in grado di rintracciare la magia oscura?” domandò Louis che fino a quel
momento era stato in silenzio. “Io ho incontrato Greyback che mi ha detto che
tornerà per distruggerci, mangiare tutti i bambini e finirà il lavoro lasciato
in sospeso con mio padre.” L’ultima parte la disse con un tremolio nella voce
che gli ricordò il modo in cui Rabastan aveva raccontato del suo scontro con
Lord Voldemort.
Roddie
sospirò: “Io ho incontrato Barty Crouch Jr. che ha detto che ci farà sparire e
che si riprenderà nostra madre e nostro fratello.” Erano passati molti giorni
dall’incontro di Roddie con Barty, eppure Roland riusciva a sentire ancora la
paura nella sua voce. Sorrise a Roddie e fece cenno a Roland di raccontare il
suo incontro, il più terribile. Gli mise una mano sulla spalla per
incoraggiarlo e lo sentì irrigidirsi e deglutire stringendosi nel mantello.
“Quella
notte io sono stato aggredito da Lord Voldemort.”
“Cosa?”
domandò Molly incredula. Roland osservò lo sguardo pieno di terrore che si
scambiò con Victoire e Roxanne. Rabastan annuì e raccontò gli avvenimenti di
quella sera. “Non credevo che i fantasmi potessero attaccare…” rispose
Rabastan, “insomma, Barty e Bellatrix non lo hanno fatto con Roland e Roddie…”
“Questo
apre un nuovo scenario,” disse Victoire.
“Esatto.
Se scoprono di poterci attaccare, siamo in pericolo,” disse Roland, “Questa
notte è Samhain e il confine tra i due mondi è sottilissimo. Se escono oggi, i
loro poteri saranno al massimo.”
“Dobbiamo
informare i professori, non possiamo affrontare da soli questa faccenda,” disse
Molly. Roxanne sembrava scettica e ancora più preoccupata da quella proposta.
“Come
pensi che reagirebbero se sapessero che Lord Voldemort ha lanciato mio fratello
sul Salice Schiaffeggiante? Loro sono troppo coinvolti. Siamo noi che dobbiamo
mettere fine a questa cosa.” Roland non aveva nessuna intenzione di passare per
pazzo, di finire in punizione o di fare la parte del ragazzino. Sapeva di poter
affrontare quella cosa, doveva solo capire quale fosse la fonte. Trovato
l’evocatore, avrebbero denunciato tutto alla preside e risolto la faccenda.
“Dobbiamo
parlarne con Teddy. Lui sta studiando per l’ammissione all’accademia da Auror.”
Roland
alzò gli occhi al cielo. Possibile che la Weasley volesse coinvolgere
quell’impiastro di Lupin?
Victoire
cercava di convincere la cugina: “Zio Harry gli ha insegnato un sacco di magie
avanzate, potrebbe aiutarci a rintracciare chi pratica un incantesimo oscuro.”
“Anche
noi sappiamo rintracciare chi pratica un incantesimo oscuro,” ribatté piccato
Roland, “Peccato che la battaglia di Hogwarts abbia lasciato talmente tante
tracce di maledizioni che non c’è luogo di questa scuola che non sia intriso di
magia oscura. Pensi che non ci avessimo pensato?”
“Proviamo
a parlargli,” insisté.
Roland
sospirò. Voleva assolutamente chiudere la faccenda e non avevano il tempo di
polemizzare con la Weasley sul coinvolgimento di Lupin. Vederlo fallire sarebbe
stato divertente, dopo tutto. “D’accordo. Vediamo se il grande Auror è in grado
di risolvere il mistero. Il salvatore del mondo magico… l’erede del grande
Harry Potter…”
“Ehi!”
protestò James, “lascia stare mio padre.”
“Piantala,
Lestrange!” lo rimproverò Molly, “non è divertente e la situazione è già
abbastanza complicata per il tuo sarcasmo…”
“Ma voi
chi avete visto?” domandò Roddie.
“Zio
Fred,” dissero Molly e Roxanne.
“Cedric
Diggory,” disse Victoire, “mi ha lasciato un messaggio per suo padre.
“Il
nonno e Sirius Black,” disse James, “mi hanno insegnato un passaggio segreto
per le cucine e no, non ve lo dico!”
“Sappiamo
già come andare in cucina, Potter. Conosciamo i sotterranei della scuola come
le nostre tasche…” disse Rabastan con un ghigno divertito, mentre uscivano
dall’aula e seguivano Victoire in direzione della sala comune dei Tassorosso.
Roland allungò
le braccia sulle spalle dei fratelli, rimanendo più indietro rispetto al clan
Weasley-Potter. Sottovoce disse loro: “Qualsiasi cosa accada, mi raccomando,
manteniamo la calma e non diamo il pretesto per finire nei guai. Siamo più
furbi di loro.”
“Allora
non ti fidi di loro?” domandò Roddie.
“Non del
tutto, ma dobbiamo collaborare per risolvere questa faccenda. Le avete viste?
Non ne sanno più di noi e hanno avuto incontri che non erano affatto
spaventosi.”
“Pensavo
ti fossi fatto distrarre dagli occhi blu della Weasley…” ridacchiò Rabastan.
Roland mimò
un conato di vomito e disse al fratello: “C’è un solo paio di occhi blu che è
in grado di distrarmi.”
“Ah già…
Lucile…”
Roddie
li guardò entrambi con fastidio. Sbuffò mentre scendevano nei corridoi. Era
molto concentrato. Teneva la bacchetta in mano e sembrava che stesse ascoltando
le tracce di magia che lo circondavano. Roland e Rabastan lo imitarono. Ogni
tanto incontravano qualche studente che li osservava perplesso. Doveva essere
strano vedere i Weasley e i Lestrange camminare spediti insieme.
Arrivarono
davanti la porta di un’aula, Roland guardò i fratelli: “Sentite anche voi
quello che sento io?” Annuirono in sincrono, mentre Molly si voltava verso di
loro. “Cosa sentite? Perché avete le bacchette puntate in quel modo?”
Roland
scosse la testa, pensando che avesse ragione suo padre a dire che a Hogwarts
insegnano solo le basi della magia. Spiegò alla Caposcuola: “Stiamo studiando
le tracce di magia che ci circondano, qui c’è traccia di magia oscura… ma è
diversa dalle maledizioni che i muri hanno assorbito, è molto più forte e
oscura.”
“È
gelida e buia e sa di morte non solo di oscurità,” disse Roddie, “sembra
l’oscurità che circondava l’apparizione di Barty.”
“Pensate
che ci possa essere un fantasma?” domandò Victoire con la voce che le tremava.
“O forse
abbiamo trovato il portale…” aggiunse Roland. Tirarono fuori le bacchette e
Victoire aprì la porta. Nella penombra di quella stanza abbandonata, i fantasmi
di Ninfadora Tonks e Remus Lupin chiacchieravano con il figlio.
“Teddy…”
disse Victoire sottovoce.
Roland
strizzò gli occhi e vide qualcosa nella mano di Teddy, era simile a una pietra
che emanava un bagliore sinistro e sembrava essere la fonte di quella oscurità.
Si guardò con Roddie e Rabastan ed esclamarono: “La Pietra della Resurrezione!”
Non
riuscivano a crederci. L’integerrimo Lupin, l’aspirante Auror, l’erede di Harry
Potter, giocava con i cimeli oscuri! Addirittura, con la Pietra della Resurrezione,
che un tempo era appartenuta ai Gaunt e che era andata smarrita nella battaglia
di Hogwarts.
“Guarda
guarda chi gioca con le Arti Oscure…” disse Roland senza riuscire a trattenere
un ghigno di trionfo. “Siamo proprio partiti male quest’anno, eh, Lupin? Sei
sicuro di voler fare l’Auror? O vuoi passare al Lato Oscuro?”
“Teddy,
guardami. Guardami, tesoro,” quella che doveva essere la madre di Lupin gli
stava parlando. Roland la riconobbe dalle immagini che aveva visto sui libri di
storia e nei memoriali del Ministero della Magia. La donna sorrideva al figlio.
“Devi andare avanti, noi saremo sempre con te, tesoro. Siamo morti per darti la
possibilità di vivere in un mondo migliore.”
“Ti
sembra un mondo migliore quello in cui non c’è stata giustizia? Sai chi sono
questi tre, mamma?” domandò Teddy con la voce che gli tremava per la rabbia. Roland
bloccò il polso di Roddie che voleva reagire.
“I figli
di Rodolphus Lestrange,” disse il padre di Lupin, “È normale che i
sopravvissuti vadano avanti e se non la finite, se non seppellite il rancore,
finirà come l’altra volta e ci sarà una nuova guerra, e il prezzo lo pagheranno
i vostri figli, così come voi avete pagato il prezzo della nostra guerra. È ora
di farla finita.”
“Io…
Io…” disse Roland, “mi spiace dovervi interrompere, ma si sta avvicinando il
momento della celebrazione di Samhain. È tutto il mese che da questo portale
escono fuori altri spiriti, oltre i tuoi genitori, Lupin. È stato Lord
Voldemort ad aggredire Rabastan. Mi spiace per i tuoi genitori, ma dobbiamo
chiudere quel portale prima che sia troppo tardi. Oggi avranno i loro poteri
residui al massimo della forza e io non voglio scontrarmi di nuovo con la ex di
mio padre.”
“Né io
con l’ex di mia mamma,” disse Roddie.
Tonks si
scambiò uno sguardo preoccupato con Lupin e domandò: “Chi avete incontrato?”
“Bellatrix,
Barty Crouch Jr e Lord Voldemort,” disse Roland. Guardò verso Louis e aggiunse:
“Il ragazzino… Louis, vero?” Louis annuì. “Ha incontrato Fenrir Greyback. So
che Lupin vuole rivedere i suoi genitori e lo capisco, ma da questa porta stanno
uscendo anche altri spiriti e non tutti pensano a vedere i propri cari.”
“Devi
lasciarci andare, caro,” disse Tonks.
“Ha
ragione la mamma, Teddy. Ti amiamo moltissimo e ti siamo sempre vicino, ma devi
lasciarci andare. Hai tanti motivi per vivere il presente e lasciare andare il
passato. Vorrei averlo fatto anch’io quando ero vivo,” disse Lupin guardando
Victoire.
La
Weasley si avvicinò al ragazzo e mise le sue mani intorno alla mano che reggeva
la Pietra della Resurrezione. “Coraggio, Teddy, so che ce la puoi fare.
L’Oscurità si nutre della tua debolezza. Sii coraggioso come l’Auror che vuoi
diventare, come tua mamma.”
Teddy
annuì e sorrise ai genitori: “Addio, mamma. Addio, papà.”
“Non è
mai un addio. Saremo sempre con te, tesoro,” rispose la mamma. Teddy chiuse il
pugno e i fantasmi scomparvero. La magia oscura, tuttavia, era ancora presente
nell’aria. Roland scosse la testa e puntò la bacchetta verso la mano di Lupin.
“Cosa
vuoi fare, Lestrange?” domandò Victoire.
“Non si
è chiuso il portale!” esclamò Roland. Teddy lanciò la pietra per terra e la
videro continuare a emanare quel bagliore azzurrino.
“Finite
incantatem!” esclamò Molly puntando la bacchetta contro la pietra. Roland si
voltò verso di lei con il sopracciglio alzato e l’aria decisamente perplessa.
Molly
gli restituì uno sguardo irritato: “È inutile che mi guardi così, sapientone,
ci ho provato e ora faccio quello che avremmo dovuto fare dall’inizio: vado a
chiamare la Preside!” uscì di corsa da quella stanzetta mentre Roland cercava
di ricordare i modi in cui potevano essere bloccate le maledizioni, ma nessun
incantesimo sembrava funzionare.
Roddie
riuscì a tamponare la situazione creando una bolla intorno alla pietra, simile
a quella che il professor Pucey usava per mostrare le creature oscure più
pericolose, come l’Obscurus.
“Bella
pensata, Roddie, così non dovrebbero riuscire a uscire, ma il portale resta
aperto.”
La
preside arrivò trafelata insieme al professor Pucey, la professoressa Robins,
la professoressa McMillan e l’onnipresente professor Longbottom. Fu proprio lui
ad esclamare: “Perché non sono sorpreso di vedere voi tre coinvolti?”
“Professore,
temo che sia colpa mia,” disse Lupin. “Verso fine settembre sono andato nella
Foresta Proibita a cercare quelle piantine di luparia da coltivare nella serra
e ho visto che questa pietra emanava uno strano bagliore. L’ho raccolta
dicendomi che l’avrei studiata attentamente, credevo che potesse essere un
ingrediente per Pozioni, ma mi sono accorto che prendendola in mano riuscivo a
vedere i miei genitori.”
“Lupin…”
mormorò la preside.
“Non
sapevo che sarebbero uscite le anime delle persone che menzionavo mentre
parlavo con i miei genitori, come Voldemort che ha aggredito Rabastan, o
Bellatrix che ha aggredito Roland, e persino Greyback che ha minacciato Louis.
Non avevo idea che si trattasse della Pietra della Resurrezione. Adesso,
Lestrange ha impedito che uscissero altri spiriti.”
La
Preside si scambiò uno sguardo con i colleghi: “Edgar tu sei in grado di interromperne
il funzionamento?”
Il
professor Pucey si avvicinò alla Pietra della Resurrezione e domandò: “Chi ha
creato questa bolla?”
“Io,
professore,” disse Roddie.
“Bravo,
Rodolphus, bel lavoro, dieci punti a Serpeverde. Sembra una di quelle che uso
io, ma temo che dovrò romperla.” La bolla scoppiò e la pietra cadde in mano al
professor Pucey che vi puntò contro la bacchetta e la studiò attentamente.
“Obstruo
ianuam.”
Roland
vide la pietra cadere a terra, non emanava più nessun bagliore sinistro e quel
senso di oscurità e gelo era scomparso. Il professor Pucey la raccolse e la
porse alla Preside: “Minerva, forse è il caso che questo manufatto lo conservi
con cura, prima che qualcun altro lo trovi.”
La
Preside annuì. Evocò una scatola di lacca nera con lo stemma della scuola e vi
ripose la pietra per poi sigillare la scatola e infilarla in una tasca del mantello.
“Dovrò convocare le vostre famiglie, seguitemi nel mio ufficio.”
Nella
torre in cui si trovava l’ufficio di Minerva McGranitt, Roland pensava alle
possibili reazioni dei suoi genitori che si vedevano convocati a Hogwarts per
la terza volta in meno di un mese. Sedeva vicino i suoi fratelli, scambiandosi
sguardi preoccupati con Roddie e Rabastan, mentre la Preside avvertiva i
genitori via camino.
Lupin e
la Weasley erano seduti dall’altra parte della stanza, vicino il professor
Longbottom, mentre il professor Pucey era rimasto accanto a loro e cercava di
rassicurarli. La Robins e la McMillan aiutavano la Preside ad avvertire le
famiglie, mentre il professor Longbottom era accanto al camino con le braccia
conserte.
I primi
ad arrivare furono i genitori di Victoire e Louis. La mamma di Victoire abbracciò
il figlio, mentre il padre mise una mano sulla spalla alla figlia. Seguirono i
genitori di Molly, quelli di Roxanne, poi Harry Potter e Ginny Weasley, i suoi
genitori e, per ultima, arrivò Andromeda Black.
Roland
sorrise nel rivedere i suoi genitori. Sentì il professor Pucey dire al papà: “I
suoi figli sono stati molto bravi.”
“Vi ho
convocati,” esordì la Preside, “per fare chiarezza su quanto è successo in
questi giorni. Abbiamo scoperto l’autore dell’aggressione a Rabastan
Lestrange.”
La mamma
strinse la spalla di Rabastan, lui le prese la mano e le disse: “È tutto
passato, mamma.”
“È stato
Lord Voldemort.”
Un
mormorio preoccupato serpeggiò per la sala.
“Com’è possibile,
professoressa McGranitt?” domandò Harry Potter, “Voldemort è morto.”
“Temo
che sia colpa mia, zio,” intervenne Lupin. Raccontò la storia di come aveva
trovato la Pietra della Resurrezione nella Foresta Proibita e dei suoi colloqui
con i genitori, di come le persone che menzionava in quegli incontri finivano
per uscire, come se fossero state evocate. La nonna di Lupin piangeva
silenziosamente accanto al nipote.
Roland
sentì la mamma scattare, le prese la mano, le fece cenno di fermarsi, di
aspettare. Si alzò dalla sedia su cui la preside l’aveva fatto sedere e andò
vicino a lei, l’abbracciò e le disse sottovoce: “Lo avrebbe fatto chiunque di
noi se i nostri genitori fossero morti. Lo sai, mamma, era una tentazione
troppo forte.” La mamma gli restituì uno sguardo commosso, gli posò un bacio
sulla fronte e lo strinse a sé.
“Abbiamo
sigillato e messo la Pietra al sicuro, in modo che non possa fare più danni, ma
voi dovevate sapere come sono andate le cose,” concluse la Preside.
“Zio
Harry,” disse Victoire, “ho incontrato Cedric Diggory, mi ha scambiato per la
mamma. Mi ha chiesto di dire a suo papà di non essere così arrabbiato, che lui
sta bene e di salutarglielo tanto.”
Harry
annuì e disse: “Andrò a parlare dal vecchio Amos, anche se non sarà semplice.”
“Molly,
chi hai incontrato tu? Perché sei qui?” le domandò il padre.
“Ho
incontrato zio Fred insieme a Roxanne. Mi ha detto che non devi essere così
triste e devi smetterla di incolparti. Sapeva che saresti tornato in famiglia.”
Il padre di Molly sorrise tristemente.
“Teddy,
la tua condotta è stata molto grave,” disse la Preside, “giocare con un
manufatto oscuro è stato molto imprudente, anche se capisco benissimo i motivi
per cui lo hai fatto. Hai messo in pericolo i tuoi compagni di scuola e questo
è inaccettabile da parte di chi vuole diventare un Auror.”
“Preside,”
intervenne Roland, “penso di poter parlare anche per i miei fratelli. Lupin ha
sbagliato, è vero, ma lo perdoniamo. Chiunque di noi avrebbe fatto lo stesso
errore, chi non vuole rivedere i propri cari se non ci sono più? La prego di
non togliere a Lupin la possibilità di accedere all’accademia da Auror. Credo
che sia importante che i futuri Auror siano consapevoli di quanto sia facile
sbagliare e quanto possa essere seducente il potere dell’Oscurità. Nessuno di
noi è esente da errori e dobbiamo riconoscerlo se vogliamo superare ciò che ci
ha portato a due guerre magiche.”
“È molto
nobile da parte sua, signor Lestrange, ma temo che saranno i suoi genitori a
doversi pronunciare.”
“Siamo
d’accordo con nostro figlio,” disse suo padre mettendogli una mano sulla
spalla. “Il ragazzo ha sbagliato ed è consapevole dei suoi errori, ma non è il
caso che le sue ambizioni vengano frustrate. Per fortuna non è successo nulla
di grave e i ragazzi sono riusciti a capire cosa stesse succedendo.” La mamma
annuì accanto a lui.
“Lo
apprezzo molto,” disse la nonna di Lupin.
“Figurati,
Andromeda, sappiamo con quanta forza l’oscurità esercita il suo fascino,” disse
la mamma. Roddie si strinse alla mamma e Roland vide che aveva gli occhi
lucidi.
“Grazie,
Alexandra, dopo aver liberato Grimmauld Place, hai salvato la carriera del mio
figlioccio,” disse Harry Potter.
“I
ragazzi non c’entrano niente. Le guerre hanno lasciato ferite a ognuno di noi,
è ora di andare avanti. Nessuno vuole il ritorno di quei tempi.”
“Allora,
se ci siamo chiariti,” disse la Preside, “Lupin, sarai in punizione fino alla
fine dell’anno. Aiuterai il professor Longbottom nelle serre, niente Hogsmeade
e niente Quidditch. E ora, se non vi dispiace, temo che dovremo raggiungere gli
altri studenti per il banchetto di Halloween. Naturalmente, se volete
trattenervi sarete i benvenuti.”
Roland
si disse che Hogwarts dovesse essere un posto speciale se nessuno dei genitori
si sentì di rifiutare un simile invito. Si diressero verso la Sala Grande e presero
posto in fondo, vicino la porta per festeggiare il compleanno di Rabastan con
il banchetto.
“Perché
il professor Pucey ha detto che siete stati molto bravi?” gli domandò il papà.
Roland
sorrise e spiegò: “Perché siamo stati in grado di trovare la fonte della magia
oscura. Non è semplice perché le mura della scuola portano ancora gli effetti
delle maledizioni lanciate durante la battaglia di Hogwarts, ma soprattutto
perché Roddie ha avuto l’idea geniale di inglobare in una bolla protettiva la
pietra mentre aspettavamo l’arrivo della Preside. Avevamo paura che qualche
fantasma con pessime intenzioni uscisse fuori.”
“E così
avete conosciuto Barty e Bellatrix,” esclamò la mamma guardandoli.
“Sì, non
capiamo come fai a confondere Orion con Barty, mamma,” protestò Roddie, “Orion
è molto più bello e ti assomiglia! Lui era così… antipatico!”
La mamma
e il papà scoppiarono a ridere e Roland vide il modo in cui il papà prese la
mano della mamma tra le sue, sotto il tavolo, e le posò un bacio sulla fronte.
La mamma disse: “Hai visto che avevo ragione, Roland? Sapevo che eri pronto ad
affrontare qualsiasi cosa fosse capitata a Hogwarts.”
“Siamo
molto orgogliosi di voi,” disse il papà.
“Sì,
tutto bello, ma adesso parliamo del mio compleanno! Dove sono i miei regali?”
esclamò Rabastan che si era visto sottrarre ogni festeggiamento a causa dei
fantasmi.
“Ti
arriveranno domani via gufo,” disse la mamma, “Oggi c’era un tempaccio e i gufi
sono partiti in ritardo, ma ho una cosa per te…” allungò un pacchetto incartato
e gli disse: “Te lo manda zio Rabastan.”
Lo
sguardo di Rab si illuminò e un sorriso comparve sul volto: “È quello che penso
io?” domandò.
“Aprilo
e lo scoprirai,” disse il papà con un sorriso divertito. Roland era certo che i
suoi genitori sapessero cosa contenesse quel pacchetto e volessero far morire
di curiosità tutti loro. Roddie, nel frattempo, si era abbracciato la mamma che
gli posava un bacio sulla fronte mentre osservava Rabastan aprire il pacchetto.
“Il
nuovo libro di Raymond Laurent! Ma come ha fatto a trovarlo? Il Ghirigoro lo
avrà solo per Natale!”
“Beh,
sai che in Francia i romanzi di Laurent escono prima. Questa è l’edizione
francese del prossimo romanzo.”
“Per
Salazar! Devo ringraziare lo zio! Domani mattina gli spedisco un biglietto! È
un regalo fantastico!”
“Vedi,
non competeremo mai con i regali di Rabastan…” disse il papà alla mamma. La
mamma però sorrideva: “Rabastan sa quali corde toccare nell’animo del suo
omonimo.”
“Venite
in sala comune per i riti di Samhain?” domandò Roddie. La mamma e il papà si
guardarono e annuirono. Fu strano, e bello, accendere le candele con loro e il
professor Pucey, mentre Lucile recitava le formule antiche e tutta la Casa di
Serpeverde era riunita.
“Speriamo
di non essere più convocati, ragazzi,” disse la mamma, “se tutto va bene, ci
vedremo a Natale per il matrimonio di Orion.”
Roland
annuì, salutarono i genitori e li videro sparire tra le fiamme del camino della
preside insieme agli altri genitori.
“Grazie,
Lestrange,” gli disse Teddy Lupin, mentre scendevano verso i sotterranei.
“Non
crederai che siamo diventati amici?” domandò Roland sarcastico.
“No, un
giorno ti sbatterò ad Azkaban,” gli disse Lupin.
Roland
scoppiò a ridere e rispose: “Chi lo sa, Lupin, magari sarai tu a diventare un
Mangiamorte. Sei già pronto a farti corrompere dal fascino dell’Oscurità!”
Non
c’era rancore, solo la conferma di un’enorme, abissale, distanza tra loro due.
Note:
Ciao a
tutti!
Siamo
giunti alla risoluzione di questo mistero. Grazie all’intraprendenza di Molly
che ha fatto il primo passo, di Rabastan che ha dialogato con lei e poi
vicendevolmente si sono aiutati fino a raggiungere la soluzione. Qualcuno aveva
ipotizzato l’uso della Pietra della Resurrezione, ma ovviamente non potevo né
confermare né smentire.
Questo
spiega perché Teddy fosse continuamente arrabbiato con i Lestrange, perché
continuava in qualche modo a rivivere la morte dei genitori e più parlava con
loro della guerra più si riempiva di odio, che ho immaginato anche essere uno
degli effetti del dono della Morte. Sappiamo che il fratello che la riceve si
toglie la vita per la disperazione di non poter riavere l’amata e ho immaginato
che nel caso di Teddy la disperazione lo portasse a covare rancore.
Spero
che la soluzione del mistero non vi abbia deluso. Il prossimo capitolo è l’epilogo
ed è ambientato a Natale (quindi sì, vedremo anche il matrimonio di Orion) e
andremo alla Tana e trarremo un po’ le somme di questa avventura nella New
Generation.
Io,
intanto, vi ringrazio per il calore e l’entusiasmo con cui avete accolto questi
personaggi. So che molti non sono “i big” della New Generation (a parte Teddy)
e vi siete affezionati anche ai fratelli Lestrange e i Serpeverde e questa cosa
mi riempie di gioia.
Tanti auguri
di buone feste, ci vediamo la prossima settimana con l’epilogo.
Un
abbraccio,
Sev
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Capitolo 8 *** Epilogo ***
Epilogo
La Tana,
Ottery St. Catchpole, 25 dicembre 2015
“Buon
Natale!”
Nonna
Molly e nonno Arthur accoglievano figli, generi, nuore e nipoti uno dopo
l’altro. La nonna, in particolare, riservava a ciascuno di loro un abbraccio
stritolante che sapeva di calore e Natale.
James
era entrato insieme ad Albus e Lily e si era lasciato abbracciare dalla nonna,
felicissimo di rivederla.
“Nonna,
così mi fai male!” protestò Albus mentre cercava di divincolarsi. James
sorrise. Dopo i fatti di ottobre, che avevano procurato una lunghissima
punizione a Teddy, James aveva iniziato a contare i giorni per il Natale.
Hogwarts gli piaceva tantissimo e in quel momento persino Andrew gli mancava,
ma aveva sentito il bisogno di avere accanto a sé i suoi fratelli e i suoi
genitori.
Non
riusciva nemmeno a immaginare quanto si dovesse sentire triste Teddy ogni
Natale, pensando ai suoi genitori che non c’erano più. Alzò lo sguardo verso
suo padre e lo vide prendere sulle spalle Lily. Era il Prescelto, colui che
avrebbe dovuto morire per mano di quel pazzo di Tu-Sai-Chi, no, Voldemort, suo
padre ci teneva ancora moltissimo che lo si chiamasse per nome, anche se zio
Ron e i nonni trasalivano un po’ nel sentire quel nome.
“Buon
Natale, James,” gli sussurrò Teddy stringendolo a sé. “Togli quello sguardo
triste, è Natale.”
“Stavo
pensando…” provò a dire.
“Lo so a
cosa stavi pensando, ma non ha senso, me l’ha detto la mamma, ricordi? Dobbiamo
guardare avanti e vivere in pieno il mondo che ci hanno lasciato.” Teddy gli
sorrideva e sembrava che quei mesi di punizione gli fossero serviti ad
accettare la sua condizione. James si strinse a lui e gli disse: “Ti voglio
bene, Teddy.”
“Anch’io,
James!”
“Ehi,
voi due! Devo per caso ingelosirmi?” La voce di Victoire li richiamò al
presente. Teddy si sporse verso di lei per darle un bacio e James notò il modo
in cui Teddy avesse controllato che Bill non guardasse. Zio Charlie, invece,
aveva fatto un occhiolino complice mentre beveva una tazza di zabaione corretto
con il liquore di zio Ron.
Intorno
al camino, zia Hermione e zio Percy avevano trascinato il papà e il nonno in
una conversazione su qualcosa riguardante il Ministero della Magia. Da quando
zia Hermione era diventata il capo dell’Ufficio Applicazione Legge Magica non
si faceva che parlare di cosa avrebbe dovuto fare il Ministero per modernizzare
il mondo magico.
“Hermione,
non puoi buttare all’aria secoli di tradizioni magiche,” gli obiettava zio
Percy. Secondo papà, lo zio non era contrario alle idee di Hermione, era solo
spaventato dalla mole di leggi e procedure che avrebbe dovuto riorganizzare.
Sembrava che ogni volta che si toccasse una regola, ne saltassero sempre di più
antiche e peggiori, pronte a tornare in vigore.
“Certo
che posso, anzi, devo, se sono il preludio della barbarie! A quest’ora avremmo
gli elfi domestici ancora in schiavitù! Dobby sarebbe contento di vedere i suoi
simili così liberi. Prima o poi, riuscirò a dar loro la libertà che meritano!”
“James!”
la voce di Louis lo distrasse da quella noiosa discussione. Si ritrovarono dopo
ben tre giorni in cui non si erano visti e sentiti. Era strano dopo tre mesi in
cui avevano condiviso il dormitorio di Grifondoro e, durante il mese di
ottobre, persino il letto quando James aveva accettato di farlo dormire con lui
dopo l’incontro con il fantasma di Greyback.
“Andiamo
a giocare a Sparaschiocco con Albus e Lily! Ci sono anche Rose e Hugo di là.
Sembra che Fred voglia convincere Hugo a liberare la Trombetta Starnazzante che
ha modificato appositamente per Natale,” esclamò James facendo l’occhiolino al
cugino.
“Cosa
dovrebbe fare?”
“Secondo
i piani di Fred dovrebbe inseguire zia Fleur cantando la canzone preferita di
nonna Molly, quella Celestina Warbeck, su un calderone pieno di amore, una cosa
del genere.”
Louis si
tappò la bocca per nascondere le risate
“Spero
proprio che lo faccia! La mamma odia le canzoni di Celestina. Ogni anno, prima
di venire dai nonni, dice a papà che spera che la nonna si dimentichi di
quell’orrore e quando torniamo a casa si lamenta dicendo che ogni anno
quell’esibizione peggiora!”
James si
tappò la bocca per evitare di scoppiare a ridere. In quel momento, il pensiero
di zia Fleur inseguita da una Trombetta che cantava le canzoni di Celestina era
diventata la prospettiva più allettante di quel Natale con i cugini.
Sgaiattolarono al piano di sopra, stando attenti a non salire sulle assi
scricchiolanti e raggiunsero i cugini.
Fred
guardava Hugo porgendogli la Trombetta: “Lo devi fare tu che sei il più
piccolo. Solo tu puoi arrivare vicino zia Fleur senza destare sospetti.”
“No, la
mamma se ne accorgerebbe subito e non voglio finire in punizione!” esclamò
Hugo. James si disse che probabilmente suo cugino avesse ragione. A zia
Hermione non sfuggiva assolutamente nulla. Persino quando era impegnata ad
aiutare nonna Molly in cucina riusciva a controllare che Rose non si
allontanasse o Hugo salisse sulle sedie in modo non appropriato.
“Dove
deve essere messa?” domandò Louis.
“Il più
possibile vicino a zia Fleur. Vicino l’albero di Natale sarebbe perfetto,”
disse Fred.
Louis
lanciò a James quello che Harry avrebbe definito lo sguardo Malandrino. “Vieni
in missione con me?” Non se lo fece ripetere due volte. Louis gli disse:
“Coprimi. Cammina avanti a me e parliamo dell’albero di Natale.”
Arrivarono
in soggiorno. Louis nascondeva la Trombetta Starnazzante di Fred sotto il
maglione. James era davanti per impedire che gli adulti vedessero il
rigonfiamento. Dovevano parlare dell’albero di Natale. “Vieni, Louis, ti faccio
vedere le palline che ho decorato per la nonna quando ero piccolo,” disse
fingendo indifferenza. Arrivarono all’albero e iniziarono a cercare le palline.
James sapeva perfettamente dove fosse la prima pallina, ma se l’avesse notata
subito non avrebbero avuto l’occasione di piegarsi e guardare sui rami più
bassi dell’albero.
“Non la
trovo…” mormorò tra sé e sé per dare maggiore credibilità alla sua recita.
“È
inutile che vi avvicinate in quel modo ai regali, signorini!” esclamò zia
Hermione, “Li troverete domattina come tutti i vostri cugini sotto l’albero.”
Pensavano
di essere stati scoperti. James e Louis videro Fred dalla cima delle scale far
segno che la posizione era perfetta. Così Louis si abbassò e lasciò la
Trombetta vicino i regali, nascosta dietro un grosso pacco per Lily.
“Ci hai
scoperti, zia!” ammisero fingendo di essere stati colti in flagranza. Si
allontanarono rapidamente dall’albero.
“Raggiungete
i vostri cugini!” disse zia Hermione.
“Sì,
zia!” esclamarono in coro con il tono da bambini innocenti. La mamma li osservava
con gli occhi socchiusi e l’aria sospettosa. James si disse che erano appena
finiti nei guai. In realtà, Fred fu bravissimo ad attendere che loro due si
allontanassero e che gli adulti riprendessero a parlare con le solite
chiacchiere del Ministero della Magia.
“Fate
finta di giocare,” disse sottovoce Fred ai cuginetti.
Albus si
lamentò: “Lily però non puoi vincere sempre tu a Sparaschiocco! Fammi giocare
con Hugo!”
“No,
Albus, Lily è più brava di te,” disse Rose.
Fred
fece loro l’occhiolino e poi agitò la bacchetta e la Trombetta Starnazzante
entrò in funzione.
“Santo
scielo!” esclamò zia Fleur, “Cos’è questo strassio? Mais c’est torment n’est
pas plus tard?” domandava a zio Bill mentre la Trombetta la seguiva. Dalle
scale, una serie di teste più o meno rosse osservava la scena ridacchiando.
La mamma
e zio George si scambiarono un’occhiata complice e scoppiarono a ridere, mentre
Fleur si spostava da una stanza all’altra inseguita da quella Trombetta che suonava
a tutto volume la canzone di Celestina Warbeck.”
“Vieni,
mescola il mio calderone e, se con passione ti riuscirà, il mio forte amor
bollente questa notte ti scalderà.”
La nonna
si era ravvivata nell’ascoltare quella canzone. Guardò il nonno e lo abbracciò
mentre cantava quella canzone.
“Santo
scielo!” esclamava zia Fleur, “C’est un incubo!”
I cugini
ridevano. Teddy li osservò e poi disse: “Lo scherzo è bello quando dura poco!
Accio Trombetta!”
“No!”
gridò zio George.
Teddy
venne colpito da una decina di Trombette Starnazzanti che erano nascoste nei
più disparati angoli della Tana. James osservò il modo in cui Teddy evocò un
incantesimo Scudo per ripararsi da quella pioggia di Trombette che avevano
iniziato a fare un baccano incredibile.
Roxanne,
Fred e Louis avevano le lacrime agli occhi e osservavano la scena dalle scale,
mentre la nonna, papà, mamma e gli altri adulti cercavano di aiutare il povero
Teddy.
“Arresto
Trombette!” esclamò zio George e la pace tornò nel salotto della Tana. “Chi di
voi due ha avuto l’idea di questo scherzo?” domandò zia Angelina guardando
Roxanne e Fred con un’espressione che faceva paura. “Ora chiedete scusa a zia
Fleur e a Teddy. Immediatamente!”
James e
Louis si accodarono a Roxanne e Fred suscitando gli sguardi carichi di
indignazione e sorpresa di tutti i presenti: “Ci dispiace zia Fleur! Scusa
Teddy…” mormorano in coro.
Zio
George si avvicinò a Fred e gli disse: “Sei stato tu a modificare la Trombetta,
vero? È geniale, ma non dirlo alla mamma. Ci lavoreremo su e poi potremo
metterla in commercio, è uno scherzo interessante! Segue la sua vittima, vero?”
Fred
annuì e sentirono zio George dire: “Adesso raggiungo la mamma prima che metta
in punizione anche me.”
James
stava ridacchiando quando incrociò lo sguardo severo di sua madre. “Io non
riderei se fossi in te… Sei in punizione!”
“Ma
mamma!” protestò, “papà!” provò a mediare. Suo padre lo guardò e gli disse:
“Hai idea del macello che hai fatto? La mamma ha ragione, andrai a dormire subito
dopo cena per tutto il resto delle vacanze.”
James
alzò gli occhi al cielo sospirando sconfitto. Si disse, però, che ne era valsa
la pena e che lui e Louis avrebbero raccontato tutto ad Andrew non appena si
sarebbero rivisti a Hogwarts.
***
“Ehi,
come stai?”
Victoire
lo raggiunse dopo che era uscito in giardino. Aveva bisogno di prendere aria e
sentire un po’ di silenzio intorno a sé, specie dopo essere stato attaccato da
un esercito di Trombette Starnazzanti. Teddy si spostò e fece spazio a Victoire
che gli passò una tazza di tè caldo mentre sedeva al suo fianco.
“Sono
sopravvissuto al mio primo agguato. Credo di avere la stoffa per diventare
Auror. Zio Harry si è complimentato per i riflessi,” le disse allungando il
braccio su di lei. Si scambiarono un sorriso e sentì la testa di Victoire
appoggiarsi contro la sua spalla.
“Se ti
confesso una cosa prometti che non ti arrabbierai e che non mi prenderai in
giro?” domandò Victoire guardandolo con i suoi bellissimi occhi azzurri. Teddy alzò
una mano, mentre l’altra che reggeva la tazza di tè finì vicino il cuore, disse
con tono solenne: “Giuro solennemente…”
“No, non
vale quel giuramento!” esclamò Victoire scoppiando a ridere. Teddy si chinò su
di lei e le posò un bacio: “Puoi dirmi tutto quello che vuoi, non mi arrabbio.”
“Dopo
quello che è successo a scuola ho pensato che potrebbe interessarmi diventare
un Auror.”
“Sul
serio?” esclamò Teddy alzando le sopracciglia. “Dovevo iniziare a praticare le
Arti Oscure per convincerti?” le domandò sarcastico.
Victoire
lo colpì scherzosamente sulla spalla: “Ti avevo chiesto di non prendermi in
giro!”
“E io ti
ho promesso solo che non mi sarei arrabbiato,” le disse ridacchiando, “dovresti
prestare attenzione ai giuramenti!” Sentì Victoire sbuffare. “Sono felice che
tu abbia cambiato idea. Sarà bello fare l’accademia insieme,” le disse
posandole un altro bacio. Teddy non poteva ricevere notizia più bella. Era
uscito da quell’esperienza assurda grazie a Victoire e al modo in cui aveva
saputo controllare la bestia in lui, riportarlo con i piedi per terra e farlo
andare avanti.
“Ho
capito quanto sia un lavoro importante. Quello che è successo a scuola,
l’orrore che è emerso… Insomma, non possiamo permettere che qualcuno ritrascini
il mondo magico lì. Mi ha insegnato ad andare oltre i miei pregiudizi e mi ha
fatto capire quanto sia facile sbagliare…”
“Non
dirlo a me,” borbottò Teddy, “Adesso sono pure in debito con Lestrange…” Il
solo pensiero di non essere stato espulso o avere la carriera scolastica segnata
grazie al “buon cuore” di Roland Lestrange lo innervosiva parecchio. Tuttavia,
era stato lui a sbagliare, ne era consapevole, ed era un bene che quella
lezione gli fosse giunta mentre era uno studente di Hogwarts e non un Auror del
Ministero della Magia.
“Non sei
in debito. Era normale pensare a loro che non hanno mai fatto mistero di
studiare le Arti Oscure.” Victoire lo difendeva e lo sosteneva sempre, era
incredibile la forza e la grinta che era in grado di tirare fuori per difendere
i suoi cari. Teddy sospirò: “Sì, ma non erano loro a praticarle. Era quella
stupida pietra che io pensavo servisse solo per farmi vedere i miei genitori.”
“Questo
dimostra solo quanto siano insidiose le Arti Oscure. Pensa come sarà
importante, da Auror, capire chi è veramente un mago oscuro e chi invece è
vittima. Secondo me tu sei stato vittima di un oggetto troppo potente e troppo
misterioso.”
“Sono
stato superficiale e avventato. Per tutto il mese di ottobre in cui ho avuto
quella pietra tra le mani e non ho mai pensato che potesse essere un oggetto
oscuro. L’unica a capire come mi senta è zia Ginny.”
“Per lo
meno quella pietra non ha tentato di ucciderti,” mormorò Victoire stringendosi
a lui e prendendogli una mano. “Voglio starti vicina e combattere al tuo
fianco, Teddy.”
Teddy
inspirò profondamente il profumo dei capelli di Victoire e annuì. “Sono felice
di saperti al mio fianco, nonostante tutto.”
Le ombre
del passato sembravano diradarsi e se i Lestrange dicevano di aver voltato
pagina, Teddy sapeva che qualcun altro sarebbe caduto vittima del fascino delle
Arti Oscure. Era incredibile il potere che promettevano e ciò che rendevano
possibile. Il tempo avrebbe reso la memoria della guerra meno vivida e altri
maghi ne avrebbero sentito il fascino e sarebbero stati tentati da quelle
promesse.
***
“Il
Natale dai tuoi nonni è sempre così caotico?”
Molly
alzò lo sguardo verso Henry e sorrise annuendo. “Non è sempre così caotico, ma
se sopravvivi a un Natale del genere, sei sulla buona strada per entrare in
famiglia.”
“Ah non
so, credo che tuo padre mi odi.” Henry la guardava con i suoi occhi chiari e le
sorrideva. La luce delle candele illuminava i riflessi biondi dei suoi capelli
e la barba che aveva iniziato a far crescere. Le pose un braccio intorno alle
spalle e l’attirò a sé. “Mi sei mancata, lo sai?”
“Anche
tu,” gli confessò. “Mancano altri due trimestri e poi ci vedremo tutti i
giorni.”
“Mi
sembra un’eternità,” le soffiò sulle labbra mentre Molly si voltava e
rispondeva al bacio. Sentì le braccia di Henry stringerla e i loro corpi avvicinarsi
sempre di più.
“Molly
siamo di là per il dolce!”
La voce
di sua sorella Lucy, oltre la porta, li costrinse a scendere con i piedi per
terra. Si ricomposero, anche se era difficile, ed Henry la guardava in quel
modo che le faceva fare le capriole nello stomaco e venire gli occhi lucidi e il
sorriso da idiota, come Lucy aveva cura di sottolineare ogni volta.
Scesero
in sala e videro Vic e Teddy con la loro stessa espressione, come se avessero
preferito continuare a stare insieme.
“Vorrei
fare un brindisi,” disse Teddy prendendo un calice di vino elfico.
Molly
notò il modo in cui sorrise alla nonna Andromeda e a quella che si era abituato
a chiamare nonna Molly, come se Remus, il papà di Teddy, fosse uno dei tanti
figli adottivi di Molly e Arthur, al pari di zio Harry e zia Hermione.
“Ai
legami che ci aiutano ad affrontare il presente e ci preparano per il futuro.
Alla memoria che ci insegna a onorare il passato, senza restarne ancorati, e
all’amore, di tutti i tipi, che ci aiuta a sopravvivere alle difficoltà e a
perdonare gli errori.”
Zio
Harry annuì orgoglioso, così fece anche suo papà. Molly notò il modo in cui sua
mamma aveva accarezzato la schiena del papà quando Teddy aveva menzionato
l’amore che insegna a perdonare gli errori.
Aveva
capito che zio Fred e nonna Molly avevano perdonato suo papà, che lei non aveva
colpe, e persino zio George, che si commoveva sempre quando si parlava della
memoria, aveva perdonato suo papà, dopo che Roxanne gli aveva raccontato nel
dettaglio il loro incontro con il fantasma di zio Fred. Avevano pianto,
entrambi i fratelli, e si erano abbracciati nel ricordare i giorni tristi dopo
la battaglia di Hogwarts, ma poi guardando la foto di zio Fred si erano detti
che lui avrebbe voluto vederli sorridere e andare d’accordo. Così, i loro
rapporti si erano distesi ed era il primo Natale in cui lo spirito natalizio permeava
la Tana come pochi anni prima di allora era accaduto. Persino lo scherzo di
Fred non aveva incupito più di tanto i loro genitori. Era come se una cappa
oscura si fosse finalmente sollevata dalla loro numerosa e caotica famiglia.
***
Castello
Lestrange, Cornovaglia, 25 dicembre, 2015
“Sei
emozionato?”
Roland
entrò nella stanza di Orion che stava finendo di prepararsi. Lo vide
aggiustarsi i capelli color paglia e controllare le pieghe della sua veste
tradizionale da mago con la stessa meticolosità che aveva visto nella mamma.
“Molto,”
gli confessò. “Sono anche un po’ preoccupato, ma ho deciso di non farmi
condizionare dal passato.”
“Parli
della profezia di mamma?” domandò sedendosi sul letto e osservando il fratello allo
specchio. Orion scosse la testa. “È qui che i miei genitori si sono sposati, un
mese prima della caduta dell’Oscuro Signore. Rod aveva fatto da testimone di
nozze a mio papà.”
“Beh
oramai è troppo vecchio perché possa sposare anche Sybil dopo la mamma,”
scherzò. Loro due avevano sempre scherzato su tutto, anche sui legami dei loro
genitori. Soprattutto da quando la mamma aveva dato loro le copie delle sue
memorie e loro le avevano lette avidamente per capire cosa fosse accaduto
durante la guerra e quanto fosse complicato il mondo in cui erano cresciuti i
loro genitori.
Orion
scoppiò a ridere: “Non è questo che mi preoccupa!” Si voltò verso di lui e
sospirò: “Ho paura che tra qualche tempo possa cambiare tutto, come è successo
alla mamma dopo il matrimonio in questo castello.”
Roland
alzò un sopracciglio: “Come avrai notato, noi siamo stati molto attenti a non
praticare le Arti Oscure, soprattutto a scuola… Nessuno di noi finirà ad
Azkaban. L’Oscuro Signore è tornato nel mondo di morti.”
“Sì, ma
sai che Delphi proverà in tutti i modi a realizzare la profezia.”
“Lo so,
ma la mamma dice che il modo migliore per realizzare una profezia è quello
di impedirne il verificarsi” pronunciarono la frase della mamma insieme e
scoppiarono a ridere. “Credo che la mamma e il papà pensino che non ostacolando
Delphi, lei fallirà e la profezia non si realizzerà.”
Orion
sospirò: “Speriamo.”
“Sai che
Lord Voldemort sapeva della profezia? Non l’abbiamo detto a mamma e papà perché
erano troppo agitati, ma Rabastan ha detto che ha visto Delphi parlare con suo
padre e lui le ha detto di tornare indietro nel tempo e di farli tornare.”
“Quindi
cercherà di realizzare la profezia.”
“Sì, e se
la teoria della mamma è vera, allora fallirà in quel tentativo.”
“Speriamo.”
La porta
della stanza si aprì facendo sussultare entrambi. Roddie si affacciò e li
avvisò che era ora di andare. “Non ci pensare, oggi, Orion, goditi la festa e
Sybil,” gli disse Roland abbracciando il fratello, “vi auguro tanta felicità.”
Orion lo
strinse a sé e gli sussurrò nell’orecchio: “So già che tu sarai il prossimo.” Roland
si sentì avvampare a quelle parole e cercò di dissimulare l’imbarazzo seguendo
il fratello mentre si avviava al piano di sotto, nel salone delle feste, vicino
il camino dove un tempo la mamma aveva sposato Barty Crouch Jr.
La mamma
aveva raccontato che lei e Barty avevano finito Hogwarts da pochi mesi quando
si erano sposati. Erano stanchi di non potersi vedere dopo sette anni trascorsi
sempre insieme. Le loro famiglie non volevano che andassero a vivere insieme prima
del matrimonio e così avevano trovato un piccolo appartamento e il giorno
stesso si erano sposati. Erano stati proprio il papà, zio Rabastan e Bellatrix
a organizzare tutto e Lord Voldemort in persona aveva pronunciato gli
incantesimi necessari per l’unione magica.
A Roland
sembrava assurdo che una strega crudele come Bellatrix potesse essere stata
un’amica della mamma ed essersi addirittura sposata con suo papà. C’erano dei
momenti in cui faticava a credere che suo papà, così calmo, silenzioso e
attento alle regole, un tempo fosse stato un Mangiamorte. Lo stesso pensiero
era ancora più incredibile se pensava a sua madre.
Ripensò
a quello che aveva detto la preside McGranitt alla mamma: mentre la mamma
aspettava Orion, Barty aveva fatto rivivere al professor Longbottom la tortura
che anni prima aveva inflitto ai genitori. Roland sapeva che quella tortura era
stata eseguita non solo da Barty, ma anche da suo papà, da zio Rabastan e
Bellatrix. Non riusciva a immaginare che lui, Orion, Roddie e Rab facessero
qualcosa del genere. Avevano imparato a usare le Arti Oscure e sapevano persino
evocare le maledizioni senza perdono, ma non si sarebbero mai sognati di usarle
o di mostrarle a una classe di studenti dell’età di Roddie.
Roland aveva
capito perché i suoi genitori non parlavano mai volentieri dei tempi della
guerra e perché certi nomi erano in grado di spegnere i loro sguardi, o perché,
sotto sotto, erano terrorizzati dall’idea di tornare indietro nel tempo ed
essere costretti a rivivere quei giorni. Una parte di lui avrebbe voluto conoscere
a fondo il passato dei suoi genitori, ma un’altra parte di sé era contenta di
aver avuto un’infanzia serena.
Arrivò
nel salone e salutò un po’ di invitati. C’erano gli amici di Orion, alcuni
colleghi del Ministero della Magia, c’era Hawk e persino Lucile insieme ai suoi
genitori. Si salutarono e lei gli fece gli auguri per Orion. Andò a sedersi in
prima fila, accanto a Roddie e Rab.
La mamma
e il papà erano in piedi accanto ad Orion e cercavano di smorzare la sua ansia
che cresceva di minuto in minuto in attesa dell’arrivo di Sybil. Quando
partirono i canti che annunciavano l’arrivo della sposa, la mamma tornò al
posto, mentre il papà rimase nel posto riservato ai testimoni, insieme al
fratello di Sybil. Si scambiò uno sguardo con Orion e gli sorrise
incoraggiante.
La
cerimonia fu intensa. Lucien Dolohov, il papà di Lucile, celebrava i riti e fu
lui a pronunciare le formule magiche che unirono Orion e Sybil. Roland sentì un
tuffo allo stomaco a vedere l’emozione dei due sposi. Si voltò indietro e
incontrò lo sguardo di Lucile, sentì le guance avvampare, mentre pensava che
dopo la cerimonia sarebbero stati seduti vicini e avrebbero trascorso la serata
insieme. Le parole di Orion gli tornarono in mente e sospirò pensando che non
gli sarebbe affatto dispiaciuto essere il prossimo, una volta finita Hogwarts e
capito che direzione avrebbe preso la sua vita. Sperava solo che Lucile sarebbe
stata al suo fianco.
***
Rabastan
era rimasto composto per tutta la cerimonia. Non aveva nemmeno preso in giro Roland
quando era diventato rosso come un peperone per aver visto Lucile e aveva
sopportato stoicamente le osservazioni di Roddie su quanto fosse stata
impeccabile la mamma nell’organizzare il ricevimento.
Aveva
cenato al tavolo con i suoi cugini francesi, Philomène e Cyrille, Roddie e i
fratelli Yaxley, Corban e Alexandra. Philo aveva raccontato a tutti i presenti
di quanto fosse meravigliosa Beauxbatons, delle uniformi blu leggerissime,
dell’aria calda e piacevole che spirava tra le mura del castello e delle
delizie della cucina francese.
“C’è un
coro di ninfe che canta durante i pasti!” aveva esclamato meravigliata, “e
all’ingresso c’è una fontana che aumenta la bellezza e la grazia di chi beve
dalle sue acque.”
Rabastan
notò che Corban sembrava molto interessato al racconto di Philo, non smetteva
di sorriderle e di dirle che sembrava tutto incantevole e che gli sarebbe
piaciuto visitare quella scuola. Cyrille aveva alzato gli occhi al cielo e
aveva proposto di andare a giocare.
“Non
possiamo alzarci da tavola prima che sia finito il pasto, Cyrille,” lo aveva
rimproverato Roddie. Cyrille, tuttavia, aveva scrollato le spalle e gli aveva risposto:
“Vallo a dire a mio papà che è là a scherzare con i suoi amici. Io mi alzo.”
Rabastan
lo aveva seguito e anche Corban e Philomène si erano alzati ed erano andati in
una saletta in cui potevano giocare a Sparaschiocco o con i modellini dei
giocatori di Quidditch.
“Alex,
vieni?” aveva domandato Corban alla sorella. Alexandra aveva annuito e li aveva
raggiunti iniziando una partita a Scacchi Magici con Philomène. Rabastan si
voltò a guardare Roddie che resisteva impettito da solo a tavola, vide la mamma
avvicinarsi al fratello e dirgli qualcosa. Sicuramente gli stava dicendo che
poteva raggiungere gli altri a giocare, perché poco dopo Roddie arrivò nella
stanza e osservò la partita a Sparaschiocco che era iniziata senza di lui. Vennero
richiamati per il dolce e Rabastan apprezzò moltissimo la torta, nonostante
Philomène continuasse a sottolineare quanto la pasticceria francese fosse
deliziosa. La torta era stata scelta da Sybil, a quanto ne sapeva Rabastan che
si era totalmente disinteressato di quei dettagli. Finiti i dolci, vide la
mamma, il papà, Roland e Orion chiacchierare in un angolo e decise di
raggiungerli.
“Eccoti!”
esclamò la mamma, “ti stai divertendo? Roddie sta facendo il bravo?”
Roland
diede una gomitata alla mamma: “Guardalo, mamma, sta parlando con una ragazza!”
“È tutta
la sera che parlano,” disse Rabastan.
“Non ci
posso credere, ma è…”
“Alexandra
Yaxley,” disse Rabastan ridacchiando, “è una mia compagna di classe. Aspetta
che lo sappia Corban!” Rabastan sentì il braccio della mamma afferrarlo per la
spalla e attirarlo a sé in un abbraccio, la stessa cosa fece con Roland mentre
continuavano ad osservare Roddie che parlava al tavolo con Alexandra.
“Ascoltatemi
molto bene,” esordì la mamma, “non voglio cantare vittoria prima del tempo, ma
se qualcuno di voi prende in giro Roddie e lui smette di parlare con la figlia
di Aldous, avrete una punizione che durerà per tutto il tempo che Roddie
passerà attaccato alla mia gonna, siamo intesi?”
Roland scoppiò
a ridere: “Mamma, stanno andando a ballare, guarda!”
Rabastan
si coprì la bocca per non scoppiare a ridere. Ricevette un’altra occhiataccia
dalla mamma che gli sussurrò nell’orecchio: “Pensa alla punizione che ti
beccherai, Rab, potrebbero passare anni prima che Roddie trovi un’altra ragazza
sufficientemente interessante e aggraziata per i suoi standard.”
L’idea
di prendere in giro Roddie divenne improvvisamente poco allettante, di fronte la
prospettiva di una punizione eterna, perché nessuna sarebbe mai stata
abbastanza per suo fratello. Insomma, se Roddie voleva perdere tempo con la
sorella di Corban non era un suo problema, dopo tutto. Roddie era un pesantone,
lei era noiosa, forse erano fatti l’uno per l’altra.
Sybil
arrivò a reclamare Orion. La mamma e il papà fecero loro gli auguri. Li stavano
salutando quando arrivarono zio Rabastan e zia Pucine. “Felice Yule!” esclamò
lo zio, “bellissimo matrimonio, peccato che i giovani d’oggi abbiano interrotto
il rito della tenda. Sarebbe stato divertente.”
“Zio, ti
ho sentito!” esclamò Orion, “la risposta è no!” Lo zio alzò le mani e
ridacchiando passò una mano tra i ricci di Rabastan: “Allora, hanno fatto i
bravi Phil e Cyrille?” Rabastan annuì e lo zio gli domandò: “Ti va di fare un giro?”
Fece un cenno verso il terrazzo di casa. Rabastan lo seguì.
“Ho
saputo dell’avventura che hai vissuto,” gli disse, “Sei stato molto coraggioso
a sfidare il fantasma dell’Oscuro Signore apertamente, lo sai? È un’avventura
degna di Nathair.”
“Tu
conosci le avventure di Nathair?” domandò Rabastan sorpreso. Lo zio sorrise a
quella domanda. Certo, se gli regalava tutti i libri forse anche lui era un
appassionato lettore. Zio Rabastan si voltò verso di lui e gli rivolse uno dei
suoi sguardi complici, così simili a quelli che gli rivolgeva quando era
piccolo e lo portava di nascosto sull’Ippogrifo di suo padre.
“Sai
mantenere un segreto?”
Rabastan
annuì. Ripensò al segreto che si era portato dentro per mesi, su Delphi che
aveva visto suo padre e lui le aveva detto di tornare indietro nel tempo e si
convinse del fatto che sì, lui era assolutamente in grado di mantenere un segreto.
“Ti
sorprenderà sapere che Raymond Laurent non è altro che lo pseudonimo di
Rabastan Lestrange. Le avventure di Nathair sono ispirate a fatti accaduti
durante le guerre magiche e alla storia della nostra famiglia.”
Rabastan
osservò lo zio sorpreso: “È per questo motivo che riesci a farmi avere i libri
in anteprima?”
Lo zio
annuì: “Esattamente, sei sveglio.”
“Ma zio,
Laurent è il mio scrittore preferito! Ho scritto un racconto ispirato alle
gesta di Nathair, posso fartelo leggere?” Non gli sembrava vero di aver sempre
conosciuto il suo scrittore preferito. In quel momento tutte le affinità che
sentiva tra le avventure di Nathair e sé stesso diventavano chiare: aveva lo
stesso sangue dello stregone dei draghi. Zio Rabastan gli sorrise divertito: “Molto
volentieri!”
Rabastan
si voltò verso la mamma e il papà che li stavano raggiungendo, domandò loro:
“Voi lo sapevate?” Vide come si scambiarono degli sguardi e quando zio annuì,
sorrisero annuendo a loro volta.
“Non ti
avrebbero mai pubblicato con il tuo vero nome?” domandò Rabastan con una punta
di preoccupazione nella voce. Perché suo zio aveva rinunciato al suo nome?
Possibile che nemmeno dei libri appassionanti come quelli di Nathair, che erano
amati da molti giovani maghi, sarebbero stati pubblicati solo perché scritti da
un Lestrange?
“Non
volevo che leggessero i romanzi con gli occhi pieni di pregiudizi,” spiegò lo
zio, “Siete stati molto bravi a chiudere il capitolo della guerra e ad andare
avanti, molto più di quanto siamo riusciti ad esserlo noi in questi anni, vero
Rod?”
Rabastan
vide suo padre annuire e dire: “Sono stati decisamente saggi. Non potrei essere
più orgoglioso di loro. Sono riusciti a prendere le distanze dalla guerra senza
andare contro il proprio nome e la propria famiglia. Nessuno di noi ha fatto quelle
scelte a cuor leggero, ma avevamo fatto un giuramento e non tradiamo la parola
data, per quanto difficili e dure siano le conseguenze.” Lo sguardo di suo
padre si incupì leggermente, come ogni volta che i ricordi del passato
affioravano alla memoria. La mamma accarezzò la schiena del papà e poi Rabastan
sentì una carezza uguale, di quelle che la mamma gli dava quando era piccolo e
il suo precettore lo lodava per lo studio.
“Vi
abbiamo dato tutto il nostro amore,” gli disse la mamma, “vi abbiamo insegnato
il rispetto per le vostre radici, la responsabilità del nome che portate, e insegnato
la storia della nostra antichissima famiglia perché non siate manipolabili,
perché nessuno vi insinui dubbi su quanto siano forti i legami che esistono tra
di noi.”
Rabastan
pensò ai giochetti stupidi di Delphini quando provava a mettere zizzania tra
loro e si arrabbiava perché non ci riusciva. Quando erano piccoli lei riusciva
a farli litigare o scoppiare a piangere, ma crescendo avevano capito che insieme
potevano essere più forti di lei. Quello che era successo ad Hogwarts aveva
dimostrato a Rabastan quanto fosse forte il legame con Roland e con Roddie.
Nessuno dei due lo aveva escluso perché era il più piccolo e persino Roddie,
che era lo strano, il pesantone che parlava con i fantasmi, alla fine aveva
creato una bolla che aveva imprigionato la pietra e impedito agli spiriti dei
morti di uscire prima che iniziasse Samhain.
“State
crescendo e tra poco andrete per il mondo sulle vostre gambe,” continuò la
mamma, “se ricordate da dove venite, saprete sempre come tornare a casa e non
vi perderete.”
Rabastan
pensava al suo desiderio di esplorare il mondo di vedere i draghi e incontrare
un Tuono Alato nei deserti americani. Avrebbe voluto conoscere le tradizioni
magiche dell’estremo oriente e visitare diverse scuole di magia, nulla che lo
portasse al Wizengamot come sognavano la mamma e il papà. Trovò il coraggio per
dare voce alle sue paure: “Cosa succederà se le nostre scelte non saranno
all’altezza delle vostre aspettative?”
“Noi ci
aspettiamo che siate felici. Qualsiasi decisione prenderete, impegnerete il
nome e la storia dei Lestrange. Sarà una vostra responsabilità decidere come
portare avanti il nome della famiglia. Come vedi, non sempre le scelte in linea
con la tradizione si rivelano essere quelle giuste. Ci auguriamo che
continuiate a custodire le tradizioni e la storia di questa antica famiglia, e
sappiamo che lo farete.”
Rabastan
abbracciò la mamma. Sentì la mano di zio Rabastan sulla spalla. Alzò lo sguardo
verso la mamma e guardò anche il papà: “Quindi da grande potrò vedere i
draghi?”
La mamma
sorrise e annuì: “Oh, sì, nonno Edward sarebbe così felice di sapere che la
passione per queste creature vive in te!” Rabastan non aveva mai conosciuto i
suoi nonni, erano tutti morti prima della sua nascita e la mamma gli aveva
raccontato che il nonno Edward e il suo migliore amico Orion erano grandi
appassionati di draghi e ne avevano visti di ogni tipo. Aveva detto anche che
avevano una passione per le uova di drago e le proprietà magiche del sangue di
drago che poteva essere velenoso, ma utilizzato nelle giuste dosi, diventava un
preziosissimo ingrediente per le pozioni.
Zia
Pucine propose di rientrare dentro, visto il vento che si stava alzando dal
mare. Rabastan vide lo zio chiedere alla zia di ballare, mentre la mamma e il
papà guardavano Roland ballare con Lucile e Roddie che ballava ancora con
Alexandra.
Rabastan
abbracciò la mamma e le domandò con la voce un po’ tremante: “Ma deve proprio
cambiare tutto l’anno prossimo?”
La mamma
gli sorrise e disse: “No, Rab, non deve, ma potrebbe. Guarda Roddie, stamattina
nessuno di noi avrebbe immaginato di vederlo danzare con una ragazza e invece è
successo. Accadrà quando sarà il momento e ti sembrerà la cosa più naturale e
più bella del mondo, non devi avere paura dell’amore.”
Il papà
gli disse: “Potrebbero volerci anche molti anni. L’idea della mamma sul quarto
anno era solo per staccare Roddie dalla sua gonna, tu sei già indipendente, hai
un altro carattere. Pensa che ho iniziato a frequentare la mamma a quarantasei
anni, direi che hai moltissimo tempo per pensare ai Draghi, per esplorare il
mondo e magari vedere un Tuono Alato, come sogni. Potresti essere il primo
Lestrange che insegna a Ilvermorny e fondare il ramo americano dei Lestrange o
potresti tornare in Inghilterra, o vivere in Francia. Insomma, puoi fare quello
che vuoi Rabastan. Solo abbi cura del sangue che ti scorre nelle vene.”
Rabastan
annuì. “Non credo che sarà un problema. Ho parlato con dei Nati Babbani a
scuola,” confessò. Non lo aveva mai raccontato a nessuno perché aveva paura
delle prese in giro di Roddie o dei rimproveri di Roland. “Mi avete detto di
essere gentile con tutti e l’ho fatto, ma loro hanno paura della magia,
vogliono controllarla, non vogliono andare oltre quello che viene insegnato.
Sono spaventati dalle nostre tradizioni e sono così distratti dal mondo babbano
che ci vedono come un residuo vecchio e poco interessante, proprio come quando
Nathair sente che il tempo dei maghi sta volgendo alla fine.”
“Beh non
saranno tutti così,” gli disse il papà.
“No, ma
il punto è che io voglio conoscere i draghi, esplorare il mondo e coltivare la
magia, voglio riuscire a controllare gli elementi della natura, ripercorrere i
sentieri dei grandi maghi del passato come Merlino e Salazar Serpeverde. Voglio
diventare un mago forte e rispettato. Quando il professor Pucey ha bloccato la Pietra
della Resurrezione ho pensato che anch’io avrei voluto conoscere quegli
incantesimi così avanzati ed essere in grado di controllare ogni tipo di
magia.”
Il papà
gli mise un braccio intorno alle spalle e gli disse: “Vieni qua, sei proprio
come me, allora! Se vuoi, nei prossimi giorni ti porto nel laboratorio e ti
mostro qualche incantesimo avanzato.” Lo guardò con i suoi occhi neri e gli
disse: “Saremo io e te, visto che i tuoi fratelli mi sembrano fin troppo
impegnati!”
Rabastan
abbracciò il papà annuendo. I momenti tra loro due erano sempre molto rari,
visto che doveva dividerlo con i suoi fratelli e Roland e Orion avevano sempre
delle questioni più urgenti da sottoporgli, rispetto a lui che era un bambinetto.
Adesso, però, stava arrivando il suo momento di stare con il papà e non gli
sembrava vero di aver trovato una simile affinità. Zio Rabastan avrebbe letto i
suoi racconti e il papà lo avrebbe iniziato alla magia avanzata.
C’era un
modo nuovo per poter diventare un grande mago nel mondo di oggi e non
richiedeva di seguire la via del terrore imposta da Gellert Grindelwald e Lord
Voldemort e Rabastan avrebbe scoperto quel sentiero e l’avrebbe percorso. Forse
sarebbe diventato uno scrittore come zio Rabastan e i suoi libri sarebbero
stati letti in tutto il mondo.
Sapeva
solo che, abbracciato al papà sul divano di casa, Rabastan non aveva più paura
del futuro, di Delphi e delle profezie. Forse, per allora, avrebbe persino
scoperto come fermarla.
***
Rodolphus
aveva ballato per tutta la sera con Alexandra, la sorella di Corban, e non gli
sembrava vero di aver incontrato così facilmente una ragazza tanto carina
quanto aggraziata. Era adorabile con i suoi boccoli castani e il sorriso
gentile e le guance che si erano tinte di rosso quando lui le aveva chiesto di
danzare. Aveva visto Orion ballare con Sybil ed erano rimasti al tavolo da
soli, mentre Corban era con i cugini francesi e Rabastan era scomparso. Così,
per evitare che scendesse un silenzio imbarazzante, per poter continuare a
guardarla senza dover parlare, le aveva proposto di ballare. Alexandra aveva
accettato e si erano trovati a muovere i passi sulla pista, un po’ arrugginiti
dall’assenza di esercizio.
“Dicono
che sei strambo,” gli aveva confessato Alexandra, “perché parli con i fantasmi,
ma trovo che tu sia geniale.”
Rodolphus
si era sentito in imbarazzo per quel complimento del tutto inaspettato e le
fece eco: “Corban dice sempre che sei noiosa, ma mi sembri solo molto educata.”
“E non
lo trovi noioso?”
“No,
scherzi? Sei impeccabile ed è una cosa molto importante, anche se oggi sono in
pochi ad apprezzarlo.”
“E tu lo
apprezzi?” domandò con la voce che tremava un po’ per l’ansia. Rodolphus annuì,
le disse: “Vieni con me, ti mostro una cosa.”
Si
allontanarono dal salone delle feste e Rodolphus la condusse verso la sala dove
studiava. Camminavano a passo svelto tenendosi per mano, cercando di non far
rumore per non attirare le attenzioni degli elfi. Aprì la porta e si avvicinò
verso la sua libreria e le mostrò uno scaffale.
“Questi
sono tutti i libri di etichetta di mia mamma. Mi dice sempre che è importante
conoscere le regole del gioco per sapere se chi le infrange è un estroso o un ignorante,
serve anche per sottolineare il proprio potere e il proprio status nel mondo.”
“Anch’io
ho uno scaffale simile con i libri di mia mamma, però non li ho letti tutti.”
“In
estate la mamma ci da delle lezioni di ripasso. Se ti fa piacere ti inviterò
per un tè!”
“Oh, volentieri!
Mio papà parla sempre bene di tua mamma, erano compagni di scuola!” esclamò
allegra e Rodolphus non riusciva a credere che potesse esistere una ragazza che
adorasse prendere il tè come lui. Sorrise, sentendo qualcosa di strano che si
muoveva nel suo stomaco e gli rendeva la testa leggera impedendogli di smettere
di sorridere.
Abbassò
lo sguardo e vide un’ombra sul pavimento proiettata dalla luce della lanterna
che avevano acceso. Alzò lo sguardo verso l’alto, imitato da Alexandra, ed
entrambi videro un rametto di vischio che pendeva sull’ingresso. Era una mania
di sua mamma, quella di riempire il castello di rametti di vischio per buon
augurio.
Si
scambiarono entrambi un sorriso imbarazzato e poi Rodolphus si sporse per darle
un bacio sulla guancia. Alexandra non colse bene il suo movimento e si spostò
all’ultimo e le loro labbra finirono per incontrarsi. Arrossirono entrambi.
Alexandra
sorrideva e Rodolphus le prese la mano e si sporse di nuovo per darle un altro
bacio. Questa volta le loro labbra si incontrarono di proposito. Si scambiarono
qualche bacio a stampo prima che le loro labbra si schiudessero, come spinti da
un istinto sconosciuto, e il loro bacio divenne in grado di smuovere qualcosa
dentro di lui. Si riscossero, spaventati da quella scoperta, consapevoli di
quanto fosse inappropriato per entrambi stare in disparte e di quanto Rodolphus
stesse mettendo in difficoltà Alexandra.
“Perdonami,”
le disse facendole un baciamano. “Torniamo di là.”
“Vuoi
fare che non è successo niente?” domandò titubante Alexandra.
“Nemmeno
per idea,” le sorrise Rodolphus, “ma non ho intenzione di rovinare la tua
reputazione o la mia da gentiluomo. Faremo le cose per bene, se sei d’accordo.”
Alexandra
annuì e Rodolphus la trovò bellissima.
In quel
momento, i fantasmi e la paura della profezia sembravano qualcosa di
assolutamente remoto, persino il passato, la guerra e i suoi genitori divennero
pensieri lontani. Davanti a lui c’era solo il futuro che sembrava sorridergli
complice attraverso gli occhi di Alexandra. Era come se un altro pezzo fosse
andato al suo posto, come se una fase della sua vita fosse alle spalle e fosse
saltato fuori un nuovo Rodolphus. Si disse che era bene non avere fretta e conoscersi
e crescere insieme, perché ci voleva tempo per le cose più belle e loro lo
avrebbero avuto, gli tornarono in mente le parole che il Cappello Parlante
aveva detto all’inizio dell’anno scolastico: sarebbero stati loro a scegliere
la direzione che avrebbe preso il futuro, mentre il passato, come l’infanzia,
sembrava ormai alle spalle.
Fine
Note:
Approfitto
di questo spazio per farvi gli auguri di buona fine e buon inizio anno. Il 2020
è stato un anno così complicato che immagino che tutti noi siamo contenti di
lasciarcelo alle spalle, proprio come i nostri protagonisti sono felici di
lasciarsi alle spalle il passato delle guerre magiche e pensare al futuro.
Spero
che questa storia vi sia piaciuta e che non abbia deluso le vostre aspettative.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito, seguito, ricordato o preferito
questa storia e anche ai tanti lettori silenziosi. Mi avete accompagnato in
questo primo esperimento sulla New Generation e immagino di non dover
abbandonare questi personaggi e tornare a scrivere di loro in qualche altro
modo. Magari dando spazio anche ai piccoletti che sono stati esclusi.
Grazie
di tutto il sostegno!
Un
abbraccio,
Sev
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