Stone's love

di Joy2000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Resta con me ***
Capitolo 2: *** Patto fatto ***
Capitolo 3: *** Licenziata ***
Capitolo 4: *** Conti in sospeso ***
Capitolo 5: *** Campbell ***
Capitolo 6: *** Ritorni ***
Capitolo 7: *** Sorpresa! ***
Capitolo 8: *** Surviving ***
Capitolo 9: *** Saved ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Resta con me ***


nda: ... vabbe le scrivo dopo, godetevi la storia :)

STONE'S LOVE


Corri, corri, vai avanti, ancora, ancora, non mollare. Nasconditi dietro l’angolo. Stringi la ferita. Brucia. Stai perdendo molto sangue…non ce la farai. Ti stanno inseguendo ormai da 2 ore e non ti hanno persa neanche per un istante. Devi correre, ti hanno vista. Non hai più fiato, ma continua a scappare o ti uccideranno. Le strade di Birmingham sono fredde, bagnate e scure, non me le ricordavo così scivolose e strette. Sono quasi claustrofobiche, con l’odore ristagnante di sterco di cavallo. Sono allo stremo. Non ce la faccio più e il sangue non si ferma. Devo nascondermi da qualche parte. C’è un pub.
“Puttana, fermati!” sento da lontano Francis, uno dei due bastardi ai cui devo dei soldi. Mi avevano venduto dell’oppio. Ormai era diventato il mio unico rimedio per prendere sonno. Il problema era che costava troppo. Francis e Jack si erano mostrati disponibili con me e mi avevano fatto credito un paio di volte. Forse tre…o quattro. Ero riuscita a prendere tempo con loro, concedendomi, ed era stato così umiliante e doloroso che mi ero  ripromessa di non rifarlo mai più.
I due sono a dieci passi da me. Entro in fretta nel pub, il barista e tutti i clienti rivolgono il loro sguardo su di me. Per una frazione di secondo non so cosa dire. La ferita mi fa male, credo che il proiettile sia rimasto dentro. Sento le voci dei due uomini sempre più vicine. Ansimo in ansia. Mi volto alle spalle. Sono proprio dietro di me.
“Cazzo!” urlo, mentre corro verso il bancone per chiedere una pistola, ma ormai è tardi. I due uomini mi puntano le loro contro. Rimango immobile, mentre i clienti del pub vociferano fra di loro, creando un fastidioso chiacchiericcio. All’improvviso, dalla saletta privata del pub esce un uomo, sulla trentina, ha un berretto che gli copre alcuni tratti del volto, indossa un cappotto lungo nero, con la pelliccia, e un completo ingessato. Sembra elegante, un uomo altolocato, ma le sue scarpe dimostrano il contrario, sono sporche di fango e piuttosto vecchie. Niente vernice e lacci curati.
“Che succede qui?!” chiede l’uomo col berretto, piuttosto infastidito. Mi guarda e lo guardo impaurita. Poi sposta il suo sguardo su Francis e Jack. Capisco che intuisce la situazione quando lentamente estrae  la pistola dalla fondina, nascosta dal cappotto. La punta ai due uomini che fino a qualche minuto prima mi stavano inseguendo. Osservo la situazione mentre le forze iniziano a venirmi meno, lo sento, ma cerco di rimanere in piedi, e mi appoggio al bancone barcollando mentre mi stringo la ferita. Sudo freddo. Istanti interminabili di agitazione.
“Ci deve dei soldi, 1200 sterline”  ringhia Jack, distogliendo per un secondo il suo sguardo da me.
“è vero?” mi domanda l’uomo con il berretto. Annuisco colpevole.
“Ho già detto ai due signori che glieli renderò quando ne avrò” affermo fingendomi sicura, ma la mia voce trema, così come le mie gambe. Voglio solo chiudere gli occhi e riaprirli fingendo che sia tutto un sogno.
“Brutta puttana! Io ti ammazzo” grida Francis avanzando a passi veloci verso di me. Ho paura, ma le mie gambe non si muovono e rimango paralizzata. Francis mi punta la pistola a un palmo dal naso e io chiudo istintivamente gli occhi sperando che tutto finisca il prima possibile. All’improvviso sento uno sparo. Penso di essere nuovamente ferita, invece no. Apro gli occhi lentamente e vedo l’uomo con il berretto con il braccio destro alzato e con in mano la pistola fumante. Aveva sparato al soffitto. Tutti lo guardiamo ammutoliti. Non sappiamo cosa aspettarci.
“Facciamo così” dice abbassando la pistola. La ripone nella fodera. Poi prende una custodia in oro dalla tasca del pantalone. Estrae una sigaretta e se la passa sulle labbra, come per accarezzarle. Infine la stringe in bocca e l’accende. Aspira e riprende “Vi do 600 sterline e voi ve ne andate dal mio bar”
Jack gli ride in faccia. Francis tiene ancora puntata la pistola verso di me. Il mio cuore è  a mille. Più sangue pulsava, più la mia ferita ne perdeva. Inizio ad essere quasi assente.
“E perché mai dovremmo accettare?” chiede Jack, serio e offeso dalla proposta indecente.
“Perché sono Thomas Shelby e se  non accettate saremo costretti a uccidervi” A quelle parole, pronunciate in tono calmo e pacato tra una boccata di fumo e l’altra, Jack e Francis si mostrano stupiti e impauriti. Non ho mai visto le loro facce sgomente e ho un brivido realizzando che l’uomo col berretto deve essere più cattivo dei due bastardi. A chi si riferisce con quel “saremo costretti”? E perché mi sta salvando la vita? Forse vuole qualcosa in cambio. Thomas Shelby prende dalla tasca interna del cappotto dei soldi, un bel mazzetto di sterline, li porge a Jack, il quale fa cenno a Francis di andare. Francis mi lancia un’ultima occhiata disgustata e indietreggia lentamente seguendo l’amico. Tiro un sospiro di sollievo mentre li guardo uscire dal bar. Sono salva. Almeno per ora.
Thomas Shelby si avvicina verso di me, a passo lento. Sono di nuovo agitata. Non so cosa vuole da me, non so neppure come posso sdebitarmi. Non so se mi vuole far del male... È a una dozzina di piedi di distanza, si toglie il cappello, I capelli sono schiacciati e Thomas cerca di aggiustarseli alla meno peggio. Mi guarda. Ha degli occhi chiari, azzurri, perfetti, ma così freddi ed enigmatici che ne rimango quasi ipnotizzata. L’uomo si avvicina ancora e siamo ad una distanza di un paio di piedi. Mi inizia a girare la testa. Rivolgo subito il mio sguardo alla ferita: aveva preso a gocciolare a terra e stava sporcando il legno del pub. Premo. Il dolore aumenta in maniera considerevole. Guardo il signor Shelby, pronuncio a stento un flebile
“Grazie…”  e poi le gambe smettono di reggermi. Chiudo gli occhi. Cerco di rimanere cosciente ma mi sento come in un sogno. Sento delle voci e quella di Thomas ordina di chiamare un medico. Avverto la sua presa forte sulla mia nuca e sulle gambe. Deduco che mi ha preso in braccio prima che cadessi rovinosamente a terra.
“Resta con me, capito?” mi sussurra nell’orecchio e poi non sento più niente.
Apro gli occhi svegliata da un dolore indescrivibile al fianco. Cazzo Jack aveva fatto proprio centro nel mio addome. Metto a fuoco e mi trovo sdraiata su un letto, circondata da 5 uomini. Un ragazzo sulla ventina, occhi chiari e un fiammifero tra le labbra; un uomo che da poco ha passato  i trenta che sorseggia un bicchiere pieno di quello che credo sia del wishkey; un ragazzo di colore che affianca un uomo, forse il padre e infine Thomas. Provo a muovermi ma il mio viso si contorce in un’ espressione di sofferenza. Thomas mi preme una mano sul braccio e mi intima di non muovermi.
“Adesso bevi questo” mi dice prendendo dall’uomo di prima il bicchiere con l’alcol. Assaggio. Avevo ragione, è wiskey. Ne bevo un sorso. “Bevilo tutto, fidati, me ne chiederai dell’altro”. Faccio come mi dice e lo finisco. Non capisco che sta succedendo. L’alcol mi arriva subito alla testa e mi sento ancora più confusa e annebbiata.
“Jeremiah ti estrarrà il proiettile. Poi ti chiuderà la ferita.” Continua indicando l’uomo di colore. “ Ti farà molto male, adesso ti do una mela da stringere in bocca.” Thomas parlava in modo sistematico e chiaro. Non posso far altro che annuire anche se sono spaventata da ciò che mi verrà fatto. Ma decido di mostrarmi forte. Non conosco Thomas Shelby e non voglio dargli la possibilità di conoscere le mie paure. Non so cosa vuole da me, ma so che non è il caso di abbassare la guardia neanche in un momento del genere.
“Niente mela” affermo secca. “Prendo un altro bicchiere di Wiskey”
Dopo averlo bevuto mi sdraio. Alla mia destra c’è Thomas con gli altri, alla mia sinistra il padre e il figlio. Mi levano la gonna delicatamente e mi alzano la camicia, che il signor Shelby mi tiene sollevata. Sento un ferro bollente che pian piano avanza nella ferita. Voglio piangere, voglio urlare, il wiskey non era abbastanza. Il dolore è indescrivibile e prendo a muovermi spasmoticamente sul letto mentre digrigno i denti e ringhio.
“Arthur, John, tenetela” ordina Shelby ai due uomini che prendono a tenermi le gambe e il bacino per non farmi muovere. Il ferrò era sceso in profondità e aveva toccato il proiettile conficcato nella mia carne. I due uomini non riuscivano a tenermi ferma. Sembravo un cavallo pazzo. A un certo punto Thomas mi preme la mano sulla fronte. Mi blocca la testa e lo fulmino con lo sguardo isterico del dolore. Lui mi inizia a parlare, è delicato, mi dice che andrà tutto bene e che devo respirare lentamente. I suoi occhi sono preoccupati, lo sento. Sento che non ce la farò. Sento che morirò nel mentre, durante l’intervento. Comunque inizio a respirare lentamente cercando di liberarmi del dolore con ogni mio respiro. Sento il ferrò che si allontana sempre di più dalla pallottola e poi all’improvviso sento un suono metallico.
“La pallottola è fuori” afferma Jeremiah. “Isaiah, aiutami a chiudere, sta continuando a perdere sangue” ordina a suo figlio. Mi prende il panico. Mi sento mancare. E guardo per un ultima volta gli occhi freddi di Thomas. Poi tutto nero.
Svegliati, apri gli occhi. Non puoi tenerli chiusi o gli incubi ricominceranno.
Sento delle voci basse e confuse.
“Ha la febbre alta…non scende…dobbiamo stare attenti affinchè superi la notte. Poi il peggio sarà passato”
“Cosa devo fare?”
“controllarla. Potrebbe avere una nuova emmorragia. In tal caso manda Finn a chiamarmi”
“Grazie di tutto Jeremiah”
Sento dei passi. Non riesco ancora ad aprire gli occhi, nonostante la curiosità. Mi sento debole e ho freddo, tanto che inizio a tremare. Ho sete, tanta sete, ma ogni più piccolo movimento mi pesa perché ho il corpo indolenzito. La ferita al fianco pulsa e sarà sicuramente infiammata. Il rumore dei passi è costante, vanno su e giù per la stanza nervosi, perciò decido di aprire gli occhi. Non riesco a vedere subito e inizialmente la figura ha i contorni sfocati. Poi mano a mano diventa più nitida: è Thomas. Adesso si è fermato di spalle al letto su cui sono distesa e si accende una sigaretta. In un soffio lo chiamo, troppo flebile per essere sentito. Ci riprovo: “Signor Shelby” e per lo meno la voce questa volta esce più chiara. Thomas si gira e mi guarda, sembra stupito, ma è difficile a dirsi perché le sue espressioni sono minime. Poi si precipita accanto a me.
“Come ti senti?” mi chiede. Tono serio e sguardo impassibile.
“Acqua per favore” dico subito, avendo paura di perdere di nuovo i sensi. Versa dell’acqua da una caraffa in ottone in un bicchiere di vetro. Poi me lo porta alle labbra e mi aiuta a bere, dopo aver spento la sigaretta.
“Meglio?” domanda. Annuisco. Si siede accanto a me sul letto, delicatamente e io lo guardo sospettosa. Lui capisce e mi spiega “Voglio solo vedere se hai la febbre”. Mi preme una mano sulla fronte e la ritrae subito, preoccupato. “Scotti” si limita a dirmi. “devi riposare”. Facile a dirsi. Appena avrei chiuso gli occhi gli incubi si sarebbero impossessati della mia mente e avrei potuto non svegliarmi più e rimanere intrappolata nel mio inferno. Senza parlare del fatto che ad occhi chiusi non avrei visto ciò che Shelby avrebbe potuto farmi.
“Signor Shelby, devo andare via” pronuncio cercando di essere convincente. Thomas si alza e mi guarda dall’alto con le braccia incrociate, ancora una volta non capisco cosa pensa. I suoi lineamenti duri sono immobili e non proferisce parola. Per questo provo a scoprirmi e ad alzarmi seduta sul letto. Una fatica immensa, che compio a denti stretti, cercando di non mostrare troppa sofferenza. Ce la faccio. Ho le spalle contro il cuscino che mi tiene dritta. Ho le braccia scoperte e tremo come una foglia. Me ne accorgo, ne sono consapevole, ma il desiderio di andarmene è più forte del dolore in questo momento.
“Non sei in condizione di muoverti. Rimani a riposare” mi dice secco. Lo guardo contrariata. Perché  non capisce?
“Voglio andarmene via” affermo innervosita guardandolo fisso negli occhi. Anche lui sembra contrariato e francamente non capisco il perché: non ci conosciamo, non ci siamo mai visti prima, perché dovrebbe preoccuparsi di me?
“Senti, non so il tuo nome, non so perché te ne vuoi andare quando evidentemente stai male, non so niente di te. So che ti ho fatto un favore e in cambio il minimo che puoi fare è riprenderti. Altrimenti avrò speso a vuoto 600 sterline. È chiaro?” Il tono di Thomas è severo e intimidatorio, mi dà fastidio, non ha niente a che vedere con quel tono dolce con cui mi aveva sussurrato “Rimani con me” mentre svenivo al bar. Sbuffo seccata.
“Sono Olivia Stone, per gli amici Lily” mi presento, e ormai arresa torno a distendermi nel letto.  Thomas si mette la mani in tasca e annuisce.
“Benvenuta in casa Shelby, Olivia”
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È notte fonda, Thomas è venuto a controllarmi un paio di volte e mi ha trovato puntualmente con gli occhi aperti. La febbre aumenta, così come i brividi. Sta diventando faticoso perfino respirare. Inizio ad essere stanca, ma non appena provo a chiudere gli occhi ecco i demoni che mi tormentano. Li riapro spaventata e ho voglia di gridare aiuto, ma a che servirebbe? Nessuno capirebbe, perché agli occhi della società gli omicidi ormai fanno parte di una routine malata che però non viene mai condannata. La polizia è corrotta, i cattivi si uccidono tra di loro mietendo  vittime innocenti. La situazione non può cambiare, quindi perchè chiedere aiuto?
Thomas entra nella mia stanza e ancora una volta mi trova sveglia e vigile, ma non dice niente. Mi tocca la fronte. Sì, la febbre ormai è alta.
“Devo vederti la ferita, scopriti” mi ordina con modi poco gentili. Ho freddo, e con non poca difficoltà mi scopro il fianco. Osserviamo insieme la fasciatura che per fortuna mostra che la ferita non ha ripreso a sanguinare. Sono sollevata. Thomas mi fa ricoprire.
“Non hai riposato per nulla, perché? Non scenderà mai la febbre così” mi dice con più clemenza. Non gli rispondo, non capirebbe.
“che ore sono?” gli chiedo poi. Prende l’orologio da taschino
“Sono da poco passate le tre”
“E come mai sei sveglio?” gli domando curiosa. 
“Gli uomini in affari non dormono mai” mi risponde, senza darmi spiegazione. È una risposta lapidaria, che spiega tutto e niente allo stesso tempo. Thomas Shelby sembra una cassaforte, di cui io non capisco neanche lontanamente la combinazione, e avrei potuto impegnarmi con tutte le mie forze per provare a indovinarla, ma non l’avrei mai scoperta.
“Di cosa ti occupi?” gli chiedo mostrandomi interessata
“Cavalli”
Non sembra abbia voglia di parlare, eppure continua a rimanere nella mia stanza. A quel punto ne approfitto
“Hai una sigaretta?” mi informo. Prende dalla tasca la custodia dorata e ne estrae una. Ripete il movimento meccanico che ormai avevo memorizzato e l’accende. Inizia a fumare. Sono interdetta, pensavo avesse capito che sono io quella che vorrebbe fumare.
“Non ne hai una per me?”
“Dormi e sono sicuro che non appena ti sveglierai te la ritroverai in bocca” risponde lui ironico. Sorrido a stento perché non ho forze. Sono divertita e allo stesso tempo offesa. Mi sento una bambina che è stata presa in giro da un uomo furbo e acuto.
“Non mi comprerai con una sigaretta” gli dico di rimando
“Non era mia intenzione farlo, ma non so cosa dirti. Tanto vale provare. Mi dispiacerebbe togliere il tuo cadavere dal mio letto domani” Sono turbata. Thomas è troppo schietto. E poi…il suo letto? Quindi mi trovavo nella sua stanza?
“Mi spiace averti tolto il tuo letto. È per questo che non dormi?”. Il signor Shelby aspira e si prende il tempo di riflettere con gli occhi persi nel vuoto. Vedo che si fanno malinconici e intuisco che qualche ricordo gli stia tornando in mente.
“No” risponde e basta. Provo ad indagare, ho voglia di sapere cosa mi nasconde. Ho paura di lui, e sono combattuta tra il chiedergli qualcos’altro e rimanere al mio posto.
“E come mai allora?” tento sperando di non scoprire qualcosa su di lui che in realtà non vorrei sapere.
“Te l’ho detto, gli uomini in affare non dormono mai”. Thomas pronuncia quelle parole con l’amaro in bocca. È strano come fino a qualche attimo prima fosse difficile interpretarlo, mentre ora lo sento così vicino da capire cosa prova. Forse non dorme per i miei stessi motivi. Forse siamo collegati per qualche assurda ragione che ancora entrambi ignoriamo.
“E passerai la notte a farmi compagnia?”
“Non la chiamerei compagnia, piuttosto sorveglianza. Devo accertarmi che la febbre cali e che la ferita non riprenda a sanguinare”
“Non ha niente di meglio da fare, signor Shelby?”. Thomas abbozza un sorriso
“No. Puoi chiamarmi Thomas, per gli amici Thommy”
“Thomas, se mi fai un favore prometto di addormentarmi, così la febbre scenderà e saremo tutti più tranquilli”. L’uomo dagli occhi azzurri mi guarda interessato, dandomi conferma che ho catturato la sua attenzione. “Se hai una boccettina di oppio possiamo dormire sereni entrambi”. Thomas rimane ammutolito e continua a fissarmi. Probabilmente sta valutando l’idea, che per quanto mi riguarda ha solo vantaggi. Poi esce dalla stanza. Penso mi abbia mandato mentalmente a quel paese per la proposta indecente…invece no. Torna pochi attimi dopo con la boccettina ambita e tanto desiderata. I miei occhi brillano e mi sento subito meglio.
“Si fa a metà. Bevo prima io”. Annuisco sorridente e felice di ricevere la pozione magica per dormire. Thomas stappa la boccetta e se la porta alle labbra. Un bel sorso gli scende giù per la gola. Poi mi passa la bottiglia, con esattamente metà dell’oppio. Lo bevo, avida, assaporando il gusto amaro ma soddisfacente. Passo quindi la boccetta vuota a Tommy, che si siede accanto a me. Mi punta un dito contro e mi ordina di dormire, come farebbe un papà con la figlia.
“Non farmi pentire di averti accontentato” conclude rassegnato, alzandosi dal letto e andandosi a posizionare su una sedia posta in un angolo della stanza. Allora è vero che vuole sorvegliarmi…
A questo punto l’oppio sta già dando i suoi effetti, mi sento trasportare su una scia di sonno che presto mi fa perdere conoscenza facendomi cadere in un mondo a me avverso, ma necessario.


NDA: allora  ci tengo a spiegarvi il gioco di parole del titolo. Stone vuol dire pietra, perciò la traduzione letterale  sarebbe amore di pietra nel senso che è rigido e solido proprio come questa, ma Stone è anche il cognome di Olivia, perciò ecco il giochino...simpatico vero? Spero di sì, fatemi sapere nei commenti, penso onestamente che la mia storia sia piuttosto appassionante, e me lo auguro sinceramente, ho già altri capitoli perciò aspetto feedback!
-Joy

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Capitolo 2
*** Patto fatto ***


 
Corri, corri da lui, sta tornando da lavoro ed è pronto per prenderti in braccio. È felice di vederti e tu sei felice di vedere lui. Ti è mancato così tanto. Ha anche colto un fiorellino per te, sembra una margherita. Ti prende in braccio e ti fa fare l’aeroplano, giri intorno e il mondo ti sembra un posto migliore visto dall’alto. Poi all’improvviso ti lascia cadere, cadete entrambi tu su una pietra un po’ affilata e lui sull’erba. Lo chiami, non risponde. Provi di nuovo, ma lui non risponde. Chiamalo, ancora, dai, scuotilo. Lui continua a non rispondere e intorno a lui una chiazza di sangue  lo avvolge.
Apro gli occhi e mi sveglio di soprassalto trovandomi seduta sul letto. Gemo dal dolore, cazzo mi sono dimenticata della ferita. Ho caldo, mi scopro ansimando. Sono tutta sudata. Mi guardo intorno e Thomas è sveglio e mi guarda in un modo abbastanza inquietante. Provo a ricompormi.
“Non dovevi dormire?” gli chiedo stranita e confusa
“Ti sei lamentata tutto il tempo” mi informa, in tono neutrale. Sono imbarazzata e molto dispiaciuta.
“Ora capisci perché non volevo dormire?!” e aggiungo “Mi spiace, non volevo. Che ore sono?”
“Le 6. Il sole è sorto da poco. Oggi l’alba è chiara, il cielo è  limpido e non ci sono nuvole all’orizzonte”
Capisco che non è la prima volta che Thomas guarda l’alba, probabilmente non dormendo la ammira ogni giorno.
“Si prospetta una giornata incredibile” dico ironica. Thomas si avvicina a me, non curandosi della mia frase. Mi tocca la fronte. Mi controlla la ferita. La sua faccia è a tratti più serena.
“Niente febbre, niente emorragia, merito dell’oppio!” afferma trionfante
“Si in effetti mi sento meglio. Grazie per tutto, ma ora penso di dover togliere il disturbo” E detto ciò provo ad alzarmi in piedi. Le gambe mi reggono, anche se la ferita fa ancora male nei movimenti, ma passerà. 
“Devi mangiare. Poi ti accompagnerò a casa. Ti porto in cucina”. Mi prende per un braccio e delicatamente mi aiuta a camminare. La cucina è piccola, ma la tavola è apparecchiata, c’è del the, del burro, del pane. Ci sono due donne sedute al tavolo, una giovane, forse ha la mia età ed è truccata con un rossetto rosso scarlatto e dell’ombretto, l’altra più grande, sembra la mamma. Anche lei truccata, con un rossetto più scuro e ombretto nero intorno agli occhi, ha i capelli raccolti in delle trecce lunghe. Appena entriamo nella stanza le due donne si girano verso di me. Quella più giovane mi sorride, l’altra invece rimane seria, sembra sospetta e comincia a studiarmi.
“Polly, Ada, lei è Olivia” mi presenta Thomas. Saluto imbarazzata.  Thomas mi fa accomodare al tavolo e mi versa del te.
“Come sei educato fratellino, che ti è successo?” lo punzecchia ironicamente Ada, che a quanto capisco è la sorella. Polly non può essere la mamma: Thomas l’ha chiamata per nome.
“Non manchi mai di spirito, sorellina” risponde in tono leggero ma sempre senza mostrare alcun sorriso, o ammiccamento, al contrario di Ada che accenna una risatina ironica.
“Zia Polly, non trovi nessun cambiamento nel tuo adorato nipote?” continua Ada, noncurante dello sguardo minaccioso che sua zia le sta rivolgendo, probabilmente per ammutolirla. La signora Polly, guarda Thomas, poi me fugacemente e poi dice:
“Sai, Ada, è presto per dirlo. Magari si è solo alzato col piede giusto”. Polly sorride, Thomas alza gli occhi come se avesse capito il messaggio nascosto nella frase della zia. Anche io capisco che c’è qualcosa sotto, ma è presto per azzardare ipotesi. Perciò mi limito a bere un po’ di te e a mangiare un po’ di pane e burro. Thomas si siede accanto a me e prende a leggere il giornale, e immerso nella lettura non si accorge delle occhiate che sua zia mi manda, squadrandomi nei più piccoli dettagli. I suoi occhi passano dai miei capelli scuri e corvini, alla mia bocca, poi ritornano alle sopracciglia e si sofferma su una cicatrice che avevo sin da bambina. Era uscito parecchio sangue all’epoca. Purtroppo sono caduta dalle braccia di mio padre e ho sbattuto su una pietra. Non penso tuttavia meriti così tanta attenzione dalla signora Polly che continua imperterrita a osservarmi mentre mastico un pezzo di pane. Ad un certo punto non ce la faccio più e vorrei dirle:” signora, ha finito di scrutarmi? Non sono la puttana di suo nipote e sparirò dalla sua vita nel giro di qualche ora, quindi perché studiarmi?”.  Ma non dico niente, perché improvvisamente entrano in casa due uomini che riconosco subito. Erano entrambi presenti al mio intervento: c’è quello che aveva  il fiammifero in bocca e quello con il wishkey. Indossano due berretti uguali a quello che indossava Thomas al bar.  I due entrano facendo un gran baccano:
“Polly! Ada! Buongiorno! Avete visto com’è il tempo oggi! Si prospetta una giornata proficua per le corse!” questo lo dice il più giovane, e Polly lo fulmina con lo sguardo.
“Buongiorno signore! Cara come stai?” l’uomo più anziano mi rivolge la parola. Ha gli occhi piccoli e dolci, non sembra molto sveglio, ma buono e ingenuo, caratteristiche insolite per una persona più grande.  Gli sorrido e gli rispondo:
“Meglio grazie, sono Olivia, mi ricordo di voi, eravate presenti quando mi hanno estratto la pallottola, dico bene?”
“Tommy si ricorda di noi!” esclama il giovane
“Si cara. Abbiamo visto quando Jeremiah te l’ ha estratta, hai avuto fegato, la pallottola era vicina allo stomaco. Cosa avrai mai fatto per meritartela?” mi chiede poi l’uomo più anziano. Rivolgo uno sguardo di aiuto a Thomas che per fortuna lo coglie da dietro il giornale e viene in mio soccorso.
“Va bene adesso basta. Arthur, devi occuparti delle scommesse” ordina al più anziano, immagino sia il fratello grande “Tu, John, devi controllare il carico delle barche” impera al più piccolo. “Ci vediamo al Garrison per ora di pranzo per gli aggiornamenti” conclude. I due annuiscono senza esitare e presto sono entrambi fuori da casa Shelby. Tiro un sospiro di sollievo.
“Olivia se hai finito possiamo andare anche noi”. Annuisco deglutendo l’ultimo sorso di the. Sono pronta per lasciarmi tutto alle spalle e tornare alla mia vita di prima. Sono nata a Birmingham, ma la mia famiglia si è trasferita a Leicester non appena la criminalità organizzata stava prendendo piede. È una cittadina piuttosto tranquilla, nelle Midlands, con molte industrie.  E mio padre aveva trovato lavoro lì proprio come operaio. La mia casa è modesta, ma piena di ricordi, ed è immersa in un prato verde in cui da piccina mi divertivo a correre. Ma col tempo tutto cambia. Ho lasciato quella cittadina per dare un’occhiata a Londra. C’è sempre stato un perché nelle mie decisioni e anche questa non era da meno: mio padre era morto. Lo avevano ucciso. Mia madre si era suicidata perché non riusciva a sopportare la perdita. E io sono scappata via, a Londra. Londra è un mondo completamente nuovo. La gente è un passo più avanti, le donne sono emancipate, e ci sono rimedi ad ogni tipo di problema. È proprio lì che ho conosciuto Francis e Jack…ed è lì che ho provato per la prima volta l’oppio. Ricordo che dalla morte dei miei genitori non facevo che fare incubi. Speso mi svegliavo con l’urto del vomito, o piangevo per tutta la notte senza più riprendere il sonno. Con l’oppio invece ci sono stati dei miglioramenti. Riesco a dormire più ore di seguito, anche se gli incubi persistono.
Mi alzo dalla tavola e saluto le due donne ringraziandole dell’ospitalità. Thomas mi prende sotto il braccio e mi sostiene. Siamo sul l’uscio quando Polly mi chiama
“Ah, Olivia?” Sento il rumore dei suoi tacchi: ci raggiunge.
“Sì?” rispondo educata ma sospettosa. Glielo leggo negli occhi che ce l’ha con me. Non capisco neppure il motivo, ma lo sento che prova una sorta di rigetto nei miei confronti.
“Non hai risposto alla domanda di Arthur” Thomas sbuffa seccato e si accende una sigaretta, infastidito mentre Polly ha un ghigno quasi malefico sul volto. Annuisco nervosa, ma cerco di controllarmi. Polly vuole fare la superiore, mi osserva con occhi spavaldi. Immagino che probabilmente lo faccia per Thomas. Ha paura di perderlo per una donna e questo mi è chiaro. Ciò che invece non è chiaro a lei è che io non sono e non sarò mai la sua donna.
“Debiti” rispondo secca guardandola negli occhi, non abbassando lo sguardo perché dopotutto non mi vergogno di ciò che sono.
“Come prego?”  finge di non aver sentito
“Debiti. Oppio. Suo nipote è stato molto gentile ad aiutarmi. E con questo levo il disturbo. Le direi arrivederci, ma sono certissima che non ci incontreremo più.” Le sorrido sarcastica ed esco per prima, liberandomi anche della presa di Thomas. Non ho bisogno di una famiglia di presunti Baroni. Non ho bisogno di una famiglia in generale. E soprattutto non mi serve affatto una zia zitella che mi fa la predica quando evidentemente soffre la solitudine certamente più di quanto immagina. Continuo a camminare a passo svelto lasciando che Thomas mi corra dietro. All’improvviso mi giro di scatto stanca anche di lui.
“Senti caro signor Thomas Shelby, grazie per avermi aiutato. La nostra conoscenza termina qua. So cosa devo fare e sono in grado di procedere da sola. Ti è chiaro?” gli urlo alterata, avendo ormai perso la mia a me nota poca pazienza. Thomas mi guarda impassibile mentre ultima la sua sigaretta. Non dice niente ma pensa, so che lo fa, è una cosa che ho notato sin da subito in lui. Non risponde mai subito, si prende il tempo per elaborare un pensiero che non possa essere contraddetto. Prende quindi il suo contenitore con le sigarette e lo apre. Poi ne estrae una e ripone la custodia in tasca. Getta la sua, ormai finita. Penso che vuole fumarne subito un'altra, a giudicare dalla sua precedente azione, invece mi sbaglio.
“Te ne devo una, ricordi?” mi domanda porgendomela. Lo guardo sospettosa ed esito nel prenderla. “è tua” aggiunge esortandomi a portarmela alla bocca. Si avvicina con l’accendino. Sento il suo profumo, muschio e pino silvestre si mescolano in un appassionante vortice di virilità. Aspiro il fumo, soddisfatta, i polmoni mi si riempiono e mi sento subito più calma. Thomas mi osserva e non dice nulla.
“Questa sigaretta non cambia la situazione. Ognuno per la sua strada” dico, ma forse dovevo convincere più me che lui. Ho  già avuto la sensazione di essere legata a Thomas in qualche modo assurdo e il pensiero di allontanarmi da lui prima ancora di aver scoperto l’eventuale collegamento mi rendeva inquieta.
“Non avevo dubbi” risponde tranquillizzandomi “Che programmi hai ora?” mi chiede, non so se per interesse personale o altro. È difficile a dirsi, i suoi occhi freddi di certo non mi aiutano.
“Torno a Leicester e mi trovo un lavoro” rispondo senza dare troppe spiegazioni
“Hai una casa?” Thomas, Thomas, Thomas, perché vuoi saperlo? Mi stai nascondendo qualcosa, ne sono certa, nessuno si interesserebbe così di una sconosciuta, che tra l’altro ha portato guai.
“Sì”
“E dove hai intenzione di lavorare?”
“Questo non lo so ancora, ma qualcosa troverò” rispondo aspirando. Thomas mi guarda e come se avesse avuto un’illuminazione mi dice:” Perché non rimani qui?”
Non posso trattenere una risata. Ero scappata a Birmingham solo per cercare di sfuggire a Jack e Francis, non avevo nessunissima intenzione di rimanerci.
“Perché non ho una casa né un lavoro” rispondo ricomponendomi.
“Invece sì” Mi dice lui, enigmatico come al solito. Lo guardo dubbiosa. I suoi occhi brillano, e so che ha qualcosa in mente, qualcosa che non sono certa  mi piacerà.
“Invece no.” Insisto
“Ho una proposta di lavoro” mi dice. Prende una pausa mentre lo guardo con aria interrogativa. A cosa pensa questa volta? Riprende a parlare. “Mio fratello John, che hai conosciuto poco prima…vedi lui è uno che si è dato da fare con una donna in particolare, Martha, che però è morta… quindi…”
“Thomas non farò la puttana di tuo fratello” lo interrompo, avendo capito le sue intenzioni. Lui mi guarda stranito. È la prima volta che il suo volto assume un’espressione definita: le sopracciglia sono basse e oblique verso l’interno. Gli occhi socchiusi mostrano un accenno di rughe verso le estremità. La bocca è una linea sottile tendente verso il basso e le mascelle sono serrate. Sembra offeso e riprende la parola “Sai, Olivia, in esercito mi hanno insegnato a tenere la bocca chiusa e a parlare solo quando è strettamente necessario” mi rimprovera. Mi zittisco colpita nel segno. “Non so che idea ti sei fatta di me, e non voglio neanche saperlo a questo punto. Voglio proporti di fare la tata ai figli di mio fratello. Sono 4 mocciosi che gli prendono tempo. Se tu badassi a loro, io avrei mio fratello più libero. Conviene a tutti. Ti pagherei 50 sterline a settimana, più vitto e alloggio naturalmente” Sono stupita. Finalmente avrei i soldi necessari per mantenermi, rimarrei nella mia città natale che nonostante tutto conosco. Non starei da sola…è una proposta conveniente a tutti gli effetti. Non vedo imbrogli o controindicazioni. Avrei l’opportunità di scoprire se esiste effettivamente il legame tra me e Thomas di cui ho il presentimento. Tuttavia sento che c’è qualcosa che non riesco a vedere. Come una macchiolina impercettibile di grasso su un vestito di seta nero.
“Thomas perché?” gli chiedo diretta e diffidente
“Perché conviene a entrambi” risponde lui, ovvio.
“Perché proprio me? Non ci conosciamo! Mi hai salvato la vita e ora mi offri questo…che cosa vuoi da me?” gli domando ancora una volta, non comprendendo il suo fine. Perché se c’è qualcosa che ho imparato dalla vita nei mei giovani 20 anni è che nessuno fa niente per niente.
“Voglio che ti prendi cura dei bambini di mio fratello” risponde lui, imperterrito. Ma so che ha capito a cosa in realtà mi riferivo. È troppo intelligente per far finta di nulla, ma se non vuole parlarmene lo scoprirò da sola. “Allora accetti?” incalza lui, porgendomi la mano. Non ho molta scelta. Gliela stringo. Il patto è fatto.

nda: non siamo ancora entrati nel vivo della storia, nel frattempo continuate a leggere e spero vi stia piacendo
-Joy

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Capitolo 3
*** Licenziata ***


John mi è molto simpatico. Sono solo un paio di settimane che lavoro da lui ma molte cose mi sono già chiare: è un ragazzo gentile e bisognoso di affetto, soffre ancora molto per la morte di sua moglie e sebbene non sia molto presente a casa, ama i suoi figli come pochi padri ho visto fare. Ogni volta che torna da lavoro i suoi piccoli sono entusiasti di vederlo e gli corrono incontro e lui è sempre felice di essere il protagonista della loro gioia. Pranziamo tutti insieme e John non fa mancare niente. Ho sempre uova fresche, verdure, latte, pane e un sacco di altre cose. A John piace la mia cucina e me lo ha fatto capire subito, anche se onestamente penso gli piacciano di più le mie attenzioni. Gli prendo il cappotto quando entra, gli chiedo del suo lavoro e mi mostro sempre interessata, nonostante io non abbia ben capito di cosa si occupi. So che ci sono le scommesse sui cavalli di mezzo, e ciò mi preoccupa. Anche mio padre era solito scommettere e quando perdeva era sempre arrabbiato, ma non ha mai avuto problemi, almeno per quanto ne so. John mi racconta che lui e i suoi due fratelli hanno combattuto in guerra e che Thomas è tornato cambiato.
“Sai Lily, Tommy era un sergente. Purtroppo siamo stati divisi una volta arruolati nell’esercito. Non mi ha raccontato molto, se non che il suo compito era quello di scavare dei tunnel sotterranei per piazzare esplosivo”
Ascolto attenta, mentre aiuto i piccoli a mangiare.
John continua “Ha avuto un paio di medaglie al merito una volta tornato. E appena ricevute le a buttate nel canale.  Era arrabbiato col mondo, ferito, per i primi tempi non riuscivamo a capirlo. Arthur ci ha provato veramente e ci prova tutt’ora, ma Thomas resta un mistero. So solo che è un gran figlio di puttana. Prima eravamo poveri…ora vedo più soldi in una giornata di lavoro che in tutta la mia vita!” esclama orgoglioso. Io gli sorrido.
“Sono davvero molto felice per te, John, per tutti voi. Come si dice, la fortuna aiuta gli audaci no?!”
John annuisce con gli occhi che gli brillano. Sembra sereno e felice  e io lo sono sinceramente per lui. Avevo già capito che Thomas era stato in guerra, ma non che gli fossero stati riconosciuti dei meriti. Thomas Shelby è un uomo pieno di segreti, chissà se riuscirò a svelarne qualcuno
La mia giornata di lavoro finisce a mezzanotte. Dopo aver messo a letto i bambini di solito mi fumo un paio di sigarette, anche quelle regalate da John. Poi, dopo essermi accertata che i piccoli dormono a sonno pieno, mi sposto a casa Shelby per passare la notte. Oggi piove a dirotto. Dormo ancora nel letto di Thomas, che non ho ancora mai trovato, una volta rincasata. C’è sempre Polly che per fortuna ho visto sempre riposare con il piccolo Finn e poi sinceramente non so se Ada e Arthur dormono qui perché le porte delle altre stanze sono sempre chiuse, e la mattina mi alzo spesso da sola. Comunque mi piace stare nel letto di Tom. Ha il suo profumo e il pensiero che ha dormito lì mi rende sicura –anche se dormito non è corretto-. In più mi ha dato le sue scorte di oppio, quindi la notte se non altro riesco a chiudere occhio. Prendo quindi la boccetta dal cassetto, la apro, ma proprio mentre sto per portarmela alla bocca sento dei rumori dalla porta d’ingresso. Corro subito a vedere chi sia e fuori dalla porta trovo Arthur, John e Thomas che ridono a crepapelle sotto la pioggia. Sono fradici e la puzza dell’alcol si sente a chilometri di distanza. Sono ubriachi, ma sono divertentissimi da vedere. È uno dei pochi momenti in cui vedo la loro spensieratezza e mi fanno tenerezza quasi, sembrano così mansueti e leggeri mentre giocano tra di loro.
“Lily vieni con noi sotto la pioggia” mi esorta Thomas. Quasi non credo ai miei occhi e alle mie orecchie. Mi ha chiamato Lily e sta sorridendo come un bambino. è adorabile mentre si muove così goffamente cercando di rincorrere John e Arthur. Sembra così felice, così puro, e gli occhi sono chiari, sgombri dai pensieri…
“Fate piano, Polly e Finn dormono!” bisbiglio loro mentre una risata mi scappa dalla bocca. Fanno tra loro il gesto di zittirsi. –SSSH SSH- creando solo più baccano. Sono costretta a uscire anche io per cercare di farli calmare. La pioggia è incessante e fredda, loro non la sentono perché troppo inzuppati di alcol. Io invece inizio a tremare. Chiamo John in disparte sperando in un suo aiuto e in un minimo di sobrietà.
“John mi devi ascoltare! Ti prego” lo supplico prendendolo per la camicia e scuotendolo animatamente per tentare di farlo tornare in sé. Gli occhi sono lucidi per l’alcol e John non riesce a connettersi, tuttavia ci riprovo. “John, torna in te!” gli dico. E lui in tutta risposta mi prende il viso tra le mani e mi bacia. Sento le sue labbra bagnate sulle mie e appena avverto il contatto mi stacco subito. “Che fai?!” gli urlo sbalordita. John non risponde e ha una risata ebete in volto. Arthur e Thomas hanno visto la scena e il primo ride divertito e compiaciuto del suo fratellino rubacuori, il secondo invece sembra…agitato, forse arrabbiato. Corre verso John e gli sferra un cazzotto in pieno volto. Sono sbigottita.
“Tom, che cazzo fai?!” gli grido allontanandolo dal fratello che nel frattempo urlava dal dolore. Il naso gli sanguina e sta cercando di tamponarlo con le mani. La situazione è degenerata tutta insieme e ha del comico: Arthur non fa che ridere di gusto. Thomas sembra confuso e spiazzato, forse non si è neanche reso conto di ciò che ha fatto. John è ferito e guarda Tom di sbieco pronto per contrattaccare. Capisco subito le sue intenzioni infatti inizia ad avvicinarsi a Tom, che fa lo stesso. Io sono nel mezzo e urlo di smetterla ai due fratelli ormai ubriachi che sono sempre meno distanti. Ho paura che il tutto possa finire male, che i due inizino a scontrarsi e che soprattutto ciò accada per colpa mia. Perché non faccio che portare guai? Cosa ho di sbagliato?
“Vi prego finitela!” dico a voce alta sperando che mi sentano, ma ormai i due sono accecati dalla rabbia e dal rancore. Ad un certo punto, quando ormai esaurisco le speranze si sente un boato, uno sparo a cielo aperto. Ci giriamo tutti verso la porta di casa Shelby e sull’uscio c’era Polly, con in mano un fucile a canna lunga fumante.
“Avete finito di fare rumore? È l’una di notte!” ci rimprovera lei. Siamo tutti ammutoliti. È incredibile come Thomas si zittisca di fronte a sua zia. Tra loro c’è un rapporto quasi di parità, quasi di amicizia. Zia Polly deve essere un’ importante punto di riferimento per lui, nonostante sembri una donna insopportabile. “Adesso tornate tutti a casa, immediatamente. Arthur tu starai da John per stanotte e vi accompagno io. Thomas tu stai con lei. Non si discute” ordina Polly mentre si avvicina alla sua macchina parcheggiata nel vialetto. Mi passa accanto e mi sussurra “Complimenti Olivia, sarai contenta adesso”. Non le rispondo. Non servirebbe. So di avere una buona dose di responsabilità nella situazione e mi fa male sapere che Polly ha ragione.  Seguiamo tutti gli ordini della zia. Io aiuto Thomas a rientrare in casa. Barcolla ubriaco con il braccio poggiato sulle mie spalle. È pesante, e sento i suoi muscoli da sotto la camicia tirata sui suoi bicipiti. Raggiungiamo la mia/sua stanza e lo faccio sdraiare sul letto. Thomas è ammutolito e così io. Gli tolgo le scarpe, la camicia fradicia e i pantaloni. Rimane in “mutande?” . Il corpo di Thomas è deturpato da diverse cicatrici , che tuttavia gli danno un’aria da guerriero, e ha un tatuaggio di una specie di sole che gli marca il pettorale destro. Anche la sua pelle è bagnata. Perciò prendo di corsa un asciugamano e inizio ad asciugargli i capelli e il corpo, mentre lui osserva il soffitto come incantato. Si lascia toccare senza esitare, mentre io cerco di distrarmi dal sua figura prestante, pensando al motivo per cui John mi ha baciato. Spero sia stato solo il delirio di un ubriaco e che non ci sia del sentimento. E poi perché Thomas ha reagito in un modo così esagerato? Forse anche lui si è fatto prendere dall’adrenalina dell’alcol. Ad un certo punto Thomas mi chiama: “Lily” sussurra.
“Sì Thomas?”
“Sei innamorata di John?” mi chiede diretto, senza giri di parole, lasciandomi disarmata per la stranezza della sua domanda. Non sono innamorata di John e ne sono certa, ma perché lo vuole sapere?
“No Thomas, che ti salta in mente?!” rispondo sulla difensiva
“Allora ho fatto bene a dargli un bel pugno?” mi domanda. È la prima volta che lo sento con un tono insicuro, come se aspettasse una mia conferma per tranquillizzarsi, conferma che però da me non ha.
“No, Thomas. Siete arrivati tutti e tre ubriachi. Ogni cosa che avete fatto è causata dall’alcol.” Gli rispondo a mo’ di ammonimento. Tom diventa di nuovo silenzioso e torno di nuovo a non capirlo più, a distaccarmi dai suoi pensieri verso cui sembravo avvicinarmi. “Adesso devi dormire. Domattina si sistemerà tutto, va bene?” gli consiglio con fare materno, perché da un lato quell’uomo così duro e severo mi sembra un bambino cresciuto troppo in fretta, carente di affetto, di persone che lo amino per ciò che è e non per ciò che dovrebbe essere.
“Lily non ho sonno” mi confessa. Mi siedo sul letto accanto a lui e torno a leggerlo negli occhi. Ha paura di addormentarsi, è chiaro. Lo sguardo è poco reattivo e percepisco la sua stanchezza a cui lui però teme di abbandonarsi. Gli accarezzo dolcemente i capelli ancora umidi e poi passo al volto. Ha la pelle liscia e morbida proprio come quella di un bimbo. Intuisco che mette tanta cura nel farsi la barba ogni due giorni al massimo, proprio come faceva mio padre. Sembra rasserenarsi al tocco delle mie dita calde sul suo viso freddo e continuo, percorrendo dolcemente i suoi lineamenti rigidi. Mi guarda negli occhi mentre proseguo sul suo collo, dietro le sue orecchie, sempre attente a captare il più piccolo suono, verso la nuca e salgo toccando e pungendomi con la rasatura dei suoi capelli. È così bello sentire  i suoi dettagli sotto le mie mani, accarezzarlo, farlo sentire al sicuro. Sorrido lievemente mentre lo faccio, consapevole che la stanza è buia e lui non mi vede. Nel momento in cui arrivo a toccargli la bocca Thomas mi ferma, e mi prende la mano, facendomela poggiare sul suo petto, all’altezza del cuore. Lo sento veloce, come un treno in corsa e ciò mi spaventa e fa accelerare anche il mio battito. Sono davvero io a fargli quell’effetto? Lui non dice niente e io neppure, ci godiamo il silenzio gustandoci l’effetto reciproco che ci diamo. Ad un certo punto sento l’altra sua mano poggiarsi sul mio volto. Mi accarezza e io fremo al tocco delicato di quella mano callosa che un tempo impugnava solo armi e utensili da guerra e che ora, invece, torna a dare carezze. la sua mano si sposta dietro la mia nuca e la preme cautamente per portarmi a sé. I nostri visi sono vicini, sento il suo respiro sempre più concitato. Il suo profumo penetra prepotentemente nelle mie narici e per un attimo sono assente, viaggio sperduta come in un sogno, fino a che il tocco delle sue labbra sulle mie mi riporta alla realtà.  Calde e carnose assaporano le mie più fredde e sottili in un appassionante bacio, punto di incontro delle nostre anime. Lo sento così vicino, non solo fisicamente, è qualcosa di mistico, di inspiegabile, come se fossimo un tutt’uno con il mondo. Come se non avessimo una forma definita, le nostre bocche si mescolano come acqua e terra. Sento le sue labbra premere contro le mie con una forza delicata e passionale e eccitante. Sento il suo cuore a mille, con la mano ancora poggiata sul suo petto. Sì, sono io a fargli questo effetto. E lui lo fa a me. Non ho mai sentito qualcosa di simile in tutta la mia vita e se è questo l’amore di cui tutti vanno parlando, allora sono in un bel casino. Thomas continua a baciarmi sempre più appassionatamente, e assapora anche l’interno della mia bocca, danzando con la mia lingua un valzer incessante e infinitamente appagante. Ad un certo punto, non so esattamente come, mi trovo sdraiata sul suo letto. Lui è sopra di me, prende a baciarmi il collo mentre gli stringo i capelli ormai asciutti in segno di approvazione. Scende sui miei seni, ancora per poco coperti dalla camicia. Mi sveste in due mosse e lancia i miei vestiti chissà dove nella stanza.  Voglio fare l’amore con lui. Voglio sentirlo dentro di me. Voglio congiungere le nostre anime in un’apoteosi di piacere. Gli apro le gambe in una supplica silenziosa che Thomas capisce subito. Continua a baciarmi con desiderio mentre sento la sua essenza avvicinarsi alla mia, di più, di più, sempre di più, fin quando non la sento dentro di me. Gemo dal piacere e sento che gli scappa un sorriso compiaciuto. Inizia a muoversi lentamente e lo sento controllare la respirazione, mentre io al contrario ansimo. Si adatta al mio respiro e accelera addentrandosi nelle mie più intime profondità senza paura, ma anzi con passione e dedizione. Stiamo per raggiungere il culmine del piacere quando mi dà un ultimo bacio e tratteniamo insieme i gemiti perché ormai le nostre anime hanno già urlato compiaciute dall’orgasmo simultaneo.
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Apro gli occhi svegliata dalla luce del sole. Che giorno è? Sabato. Dove sono? Birmingham, Casa Shelby. Cos’è questo profumo? Mi focalizzo sull’odore che mi è noto. Poi, come folgorata da un’ illuminazione, tutto mi torna in mente. I tre fratelli ubriachi, l’acceso litigio tra John e Thomas. Cazzo, Thomas. Mi alzo di scatto a sedere e d’istinto mi guardo di fianco, pensando che sia accanto a me, ma il letto non ospita nessun altro. Che sia stato solo un sogno? Un bellissimo sogno…eppure è sembrato tutto così reale…mi alzo dal letto e mi accorgo di essere nuda…e in ritardo! Sono le 7, a quest’ora dovrei essere da John. Cazzo John! Il bacio di ieri, il pugno di Thomas, tutto mi torna in mente assieme alle preoccupazioni e alla paura di affrontare quella che sono certa sarà una giornata nera. Ma in tutto ciò dove cazzo è Thomas?
Esco di casa in fretta e corro verso quella di John, riepilogando gli accaduti. La notte d’amore c’è stata eccome, altrimenti non mi sarei addormentata nuda. Addormentata, che suono dolce ha questa parola, per la prima volta ho dormito senza incubi e senza oppio. È una buona notizia, se non fosse che il tutto è accaduto per merito di Thomas. O meglio, per colpa di Thomas. Arrivo finalmente da John, che mi apre con una faccia devastata e con il naso gonfio e violaceo. È buffo. Trattengo una risata divertita, ma senz’altro poco opportuna. Entro un po’ imbarazzata perché effettivamente non so come gestirà la situazione. Al tavolo sono seduti Arthur e Polly e hanno una faccia seria, quasi da funerale.
“Buongiorno, i bambini dormono?” chiedo preoccupata. Arthur annuisce e si tocca i baffi nervoso. Non mi guarda negli occhi. Anche John prende posto al tavolo. Adesso sono allarmata. Non avranno saputo della notte con Thomas?!
“Sì dormono tutti” mi risponde distaccato John.
“Siediti, Olivia, dobbiamo parlarti” mi ordina Polly con superiorità. La situazione peggiora di secondo in secondo e io non so che aspettarmi. L’unico pensiero che occupa sempre più spazio nella mia testa è: dov’è Thomas. Ho bisogno di lui, del suo aiuto per affrontare la tanto temuta zia Polly. E se gli fosse successo qualcosa?
Mi siedo al tavolo con 4 occhi che mi fissano impassibili. Quelli di Arthur sono ancora bassi e fissi sul pavimento. Evidentemente c’è una brutta notizia.
“Vedi Olivia, siamo costretti a licenziarti” mi disse a bruciapelo la perfida Polly, con un ghigno malefico e soddisfatto stampato sul volto. Sono sbalordita. È un fulmine a ciel sereno. Il cuore fa un tuffo e dentro di me il presentimento di perdere tutto si fa sempre più forte. Lincenziarmi… e per cosa poi?
“Se è per il ritardo..è stato un incidente non..non accadrà più!” balbetto agitata. Arthur si alza nervosamente dal tavolo e inizia a camminare su e giù per la casa. Gli rivolgo uno sguardo interrogativo, che però non coglie perché evita puntualmente i miei occhi.
“Non è per il ritardo” risponde subito Polly, stringata e seccata allo stesso tempo.
“E per cosa allora? È per ieri sera?” continuo imperterrita.
“Olivia sei licenziata e basta. Non ti servono spiegazioni” La vecchia megera è ostinata e alla fine demordo. Prendo una pausa per tentare di elaborare la notizia. Gli occhi mi bruciano e li sento lucidi, ma trattengo le lacrime per puro orgoglio. Dovrò tornare a Leicester, lasciare i bambini di John, lasciare Thomas
“E Thomas? Lo sa?” chiedo poi, aggrappandomi con tutte le mie forze all’ultima speranza che mi rimane. Forse Tom può fare qualcosa. Abbiamo fatto l’amore, mi ama, l’ho sentito stanotte che c’era del sentimento, so che non lascerà che Polly mi licenzi. A quella domanda John e Arthur si scambiano un fugace e complice sguardo carico di…pena? Sì è pena, mortificazione…
“Vedi Olivia, è stata un’idea di Thomas in realtà” risponde lei noncurante. Io invece sento il mio cuore rompersi in mille e uno pezzi. Com’è possibile? Sono stata solo una scopata per lui. Mi ha illuso, mi ha usato, mi ha manipolato come una marionetta. Perché?  È stato lui a fare le prime mosse. Lui mi ha salvato la vita, lui mi ha chiesto di lavorare per John, ma soprattutto lui mi ha baciata. Mi viene la nausea pensando che tutto ciò che ha significato quella notte per me, per lui è stato solo una misera consolazione temporanea. Annuisco assente a Polly, mentre una lacrima mi sfugge dall’occhio destro, me l’asciugo subito sperando che a testa bassa non si sia vista.
“Oh tesoro, non dirmi che ti sei innamorata di Thomas?!” dice con un tono spudoratamente falso. Ma non ho la forza di controbattere. A che servirebbe?
“Basta Polly, smettila” interviene a un certo punto Arthur, che si avvicina a me, attento a non incrociare il mio sguardo, ma sarebbe comunque impossibile visto che entrambi abbiamo la testa chinata. Si rivolge a me porgendomi dei soldi “Olivia, qui ci sono 300 sterline e un biglietto per Leicester, sola andata. Mi ha chiesto Tom di darteli”. A quel punto alzo lo sguardo indignata. Prendo il biglietto e lo strappo in due e rifiuto delusa anche i soldi. Mi trattano come una puttana, come una schiava. Un giorno servo, il giorno dopo si sbarazzano di me per chissà quale assurda ragione. Mi alzo offesa.
“Dite a quel vigliacco del vostro capo, che mi fa schifo e che non voglio più niente da lui!” e mi lascio alle spalle la famiglia Shelby, dietro la porta che sbatto con rabbia.

NDA: salve! Questo capitolo è in assoluto il mio preferito e a mio parere è pieno di indizi per i prossimi colpi di scena...che ne pensate? Attendo pareri
-Joy

 

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Capitolo 4
*** Conti in sospeso ***


Fuori fa freddo, il vento è gelido, anche se la città è illuminata dal sole. I raggi non sono abbastanza forti affinchè io possa riscaldarmi, ma forse neanche un solleone estivo sarebbe in grado di farlo in questo momento. Ho il cuore a pezzi. Mi sento stupida per aver dato fiducia ad uno sconosciuto che mi ha anche tradito. Thomas Shelby è cattivo, non so come ho fatto a vedere nei suoi occhi un barlume di bontà. La famiglia Shelby e fatta di mostri spietati e senza cuore e probabilmente ho sbagliato a credere che volessero aiutarmi. Nessuno fa niente per niente e io lo so. Per una volta ho voluto far finta che questa legge universale non esistesse, ed ecco la meritata punizione. Come ho fatto a cascarci? Devo andare via da Birmingham. Voglio tornare a Londra, voglio vivere la mia vita secondo le mie regole. Non si vive per accontentare gli altri e adesso ne sono fermamente convinta. Ho un gruzzolo da parte, con i soldi guadagnati da John. Mi sale un tale nervoso pensando che ho dovuto lavorare per lui. Mi sono mostrata presente, ho fatto del mio meglio per cercare di non fargli mancare l’affetto, ma evidentemente lui e quella sottospecie di famiglia che si ritrova hanno solo una cosa in mente: i soldi.

Torno a casa Shelby a passo svelto per riprendere le mie cose. Non sono molte dato il poco tempo trascorso qui, ma di certo non voglio lasciarle a loro. Appena entro in casa sento dei rumori. Mi dirigo subito nella mia stanza e trovo niente di meno che Thomas. Non so che fare, né che dire. Sono bloccata in un turbinio di emozioni: delusione, rancore, rabbia e sofferenza. Si sofferenza, perché mi sono illusa che Thomas fosse diverso, e che provasse qualcosa per me. Invece ancora una volta ho sognato troppo in grande.  Entro nella stanza stringendo i denti per evitargli la soddisfazione di vedermi piangere. Non parlo. Prendo solo le mie cose dall’armadio più in fretta che posso. Anche lui non parla e l’atmosfera è tesa come una corda di violino. Quando finalmente recupero tutto e sto per uscire dalla stanza Thomas mi prende per un braccio.
“Olivia, fermati” mi dice pacato. Lui è pacato, io invece sono infuriata con lui. Non ha il diritto di costringermi a parlare. Io non voglio sentirlo. Che cosa dovrei sentire poi? Un mucchio di bugie, di giustificazioni.
“Lasciami immediatamente andare” gli intimo fulminandolo con lo sguardo. Sembra intimorito, ma comunque non lascia la presa.
“Fammi spiegare la situazione” A quel punto mi scappa una risata isterica. Scuoto il braccio liberandomi dalla presa. Poi incrocio le braccia e lo fisso. Il minimo errore, il minimo movimento sospetto e giuro gli avrei dato uno schiaffo talmente forte da rovinare quel bel visino da angelo.
“Ah, adesso vuoi spiegare! Vigliacco, hai fatto parlare tua zia…mi fai schifo” gli dico in tono sprezzante. Non sembra minimamente ferito, anche se me lo aspetto, è fermo sul suo piedistallo e non sarò io a farlo scendere.
“è stata la scelta migliore, credimi. Non avevo altre idee. Non volevo la prendessi così”
“Thomas come diamine avrei dovuto prenderla?! Mi hai licenziato di punto in bianco dopo avermi scopato! E sai qual è la cosa peggiore?” Sbatte la testa negando. Certo che non può saperlo, Thomas Shelby non ha un cuore, non ha quella sensibilità tale da capire una cosa del genere. “è che pensavo che mi amassi. Pensavo che avessi sentito anche tu qualcosa stanotte, invece mi sbagliavo” Mi vengono gli occhi lucidi. Mi mordo la lingua concentrandomi sul dolore fisico piuttosto che su quello interiore. Non mi vedrà piangere. Thomas non proferisce parola. Ha lo sguardo basso. Mi giro dandogli le spalle per andarmene. Sono sull’uscio, sento già il profumo di una nuova vita.
“Olivia io ti amo” Mi fermo. Le gambe sono immobili, paralizzate, ancorate al pavimento. Non riesco a muovermi. Non riesco a girarmi per guardarlo. Allora viene lui di fronte a me. Siamo vicini. Le lacrime prendono a scendere incontrollate e sono un misto di rabbia, delusione, ma anche affetto e fiducia. Thomas mi posa le mani sul viso e me le asciuga con i pollici. I suoi occhi sono preoccupati, lo percepisco. Io invece sono combattuta, da un lato vorrei baciarlo, dirgli che lo amo, e che insieme possiamo superare tutto. Dall’altro ho paura di fidarmi ancora di lui.
“Tom cosa vuoi da me? Dimmelo. So che c’è qualcosa tra di noi dal primo giorno che ti ho conosciuto” gli sussurro avendo timore di una sua risposta. Thomas sembra colpito e chiude gli occhi pensando a qualcosa. Sento il rumore dei suoi neuroni, degli ingranaggi del suo misterioso cervello. Sospira affranto e si scosta da me. Non capisco.
“Olivia c’è una cosa che non ti ho detto” Lo guardo interrogativa. Lui prende a camminare in maniera meccanica avanti e dietro. Sembra nervoso, e mi rende inquieta tutta questa attesa. “..Prima che andassi in guerra avevo già un piccolo business di scommesse ippiche che avevo affidato a mia zia e che mi sarei ripreso se e quando fossi tornato. Avevo dei piani. Avevo pensato in grande. Ma un paio di mesi prima di partire, molti scommettitori, in seguito a una perdita, accumularono dei debiti con me, chi debiti facilmente saldabili, chi con cifre inimmaginabili. Noi Peaky blinders, inizialmente facemmo credito. Passarono i due mesi e quasi tutti avevano ripagato i debiti tranne due. Il signor Campbell e il signor Stone. Entrambi mi dovevano complessivamente un milione di sterline. Il problema è che nessuno dei due le aveva disponibili, quindi io John e Arthur, per evitare che la voce del “credito” si spargesse, facendoci finire in bancarotta, fummo costretti a… ucciderli.” Le parole di Thomas risuonavano nella mia testa facendomela girare. Non capisco. Papà non aveva mai avuto debiti, com’è possibile. Thomas mi sta mentendo.
“Sei un bugiardo!!” grido dandogli uno schiaffo in faccia. Thomas non risponde e non reagisce. “Non ti credo” aggiunsi devastata dalle lacrime. Non è possibile. Papà è morto per colpa di Thomas. Adesso il ricordo della sua morte mi torna più nitido. I signori che lo avevano sparato indossavano un berretto, proprio come quello degli Shelby.
“Olivia, mi piacerebbe poterti dire che sto mentendo, credimi. Ma ho documenti che lo confermano” mi confessa a sguardo basso.
“Thomas perché lo hai ucciso? Ti avrebbe ripagato! Lavorava come operaio, prima o poi…”
“Olivia non avrebbe potuto farcela, voleva fregarci ed ecco perché vi siete trasferiti da Birmingham e Leicester. Guardami, ti prego.” Prova a prendermi il viso tra le mani ma il solo pensiero del suo tocco mi fa accapponare la pelle. Mi scosto.
“Quindi ti sei preso cura di me per…per pietà! È stata tutta una bugia! Tu sapevi! Tutta la tua famiglia sapeva” continuo a gridare ferita e arrabbiata, cercando di sfogarmi, ma il dolore che sto provando è peggio del proiettile nel fianco, è peggio di una lama nel petto, è peggio della morte. Ho vissuto in una menzogna grande quanto il mondo, da mio padre indebitato a Thomas che lo ha ucciso. Una bugia lunga 15 anni, una bugia che non può più essere recuperata perchè mio padre è morto e non ho neppure la possibilità di parlargli, di capire il suo punto di vista e di perdonarlo. Perché in fondo non è stata colpa sua se uno stupido cavallo ha perso. Thomas non risponde perché sa che ho ragione. “Sai cosa Tom? Forse sarebbe stato meglio che mi avessi lasciato a morire quel giorno al bar, perché adesso mi stai uccidendo tu”
Esco in fretta da casa Shelby e Thomas non mi insegue. Meglio così. Sono così ferita, mi sento pugnalata alle spalle e ho il cuore trafitto da cento aghi. Odio tutta la famiglia Shelby, odio Thomas che mi ha rotto in mille pezzi, ma odio di più me stessa per essermi innamorata di lui. Quelle sue parole, dalla prima all’ultima sono un insieme di menzogne. E sono così arrabbiata. Non so che fare. Corro per le strade di Birmingham che ormai mi fa mancare l’aria. Prendo il primo treno per Londra. Ho bisogno di una vita nuova. Non voglio più stare qui, non ci tornerò mai più, lo giuro, il solo pensiero di rivedere Thomas mi uccide. Sono così amareggiata, non faccio che piangere e per chi? per un mostro senza cuore che mi ha solo usata? Il treno va veloce, e io spero di arrivare a Londra il prima possibile. Voglio indagare sulla questione e in una città così grande avrò diverse opportunità. Devo solo cercare le persone giuste. E poi voglio fargliela pagare. Thomas deve espiare tutti i suoi peccati e questo in particolare tra tutti. Ho pensato fosse un angelo, invece è la cattiveria fatta a persona e forse persino Lucifero avrebbe paura di mettersi contro di lui. Agisce facendo soffrire chi gli sta intorno, chiunque gli si avvicini  senza preoccuparsi di calpestare poveri innocenti, persone che non c’entrano niente con lui. E la cosa peggiore è che ogni sua azione non ha mai un minimo di conseguenze. Vivo in un mondo così impari. Spero di trovare qualcuno che sia dalla parte della giustizia, qualcuno che come me sia stato ferito e umiliato dal signor Shelby. C’è un nome che Thomas ha pronunciato quando stava parlando di mio padre…Cobell..no Campbell. Devo andare da lui, ho bisogno che mi dica se la storia di Thomas è vera o no.
Scendo dal treno e l’aria di Londra mi riempie le narici. È così fresca, e l’odore dei narcisi e dei gigli, la impreziosisce, regalandole un aroma di libertà. Ci sono gli autobus e i tram che hanno eliminato quasi definitivamente le carrozze, ci sono alberghi di lusso e bar con la musica. Si chiamano piano bar, ma che cosa ne sanno i rozzi cittadini di Birmingham?! Mi dirigo proprio verso uno di questi, non molto lontano dalla stazione. Fuori è buio, ma il cielo e limpido e pieno di stelle. Non so ancora dove passerò la notte, ma mi sento tranquilla perché distante dagli Shelby.
Entrando nel bar la musica mi colpisce subito, è veloce, allegra, proprio come la città. La gente balla sulle note di un charleston e sembrano tutti così spensierati. Sorrido, cercando di entrare nel loro stato d’animo per alleggerirmi i pensieri. Mi siedo al bancone e sono colpita da un quadro, appeso proprio alle spalle del barista. Sono rappresentati due personaggi, un uomo e una donna, ma hanno entrambi il volto coperto da un lenzuolo bianco e sembra si stiano baciando, senza vedersi, toccandosi e basta.  Il barista mi vede affascinata e mi dice:” Si intitola gli amanti, è di un pittore ( belgese?) di nome Magritte. Ovviamente questa è solo una copia” mi spiega mentre ha tra le mani un bicchiere per il whiskey. Gli sorrido e ne approfitto. “Può riempirmelo?” gli chiedo cortese. Annuisce e me lo porge sul bancone. Poi lo riempie a metà. Sorseggio l’alcolico continuando a guardare il dipinto che ormai mi ha stregata. Mi sforzo per capirlo e non  conoscendo l’arte l’unica interpretazione che mi viene in mente è che i due non riescano a capirsi con le parole ma solo con i baci, con la passione. E perché non riescono a capirsi? Forse perché non si fidano l’una dell’altro, forse quel lenzuolo nasconde le loro insicurezze e le loro paure, o forse è proprio quel bacio a celare i loro punti deboli.
“è di qui signorina?” mi domanda improvvisamente il barista, catapultandomi fuori dai miei pensieri.
“No, sono originaria di Birmingham” A quel punto il barista fa una faccia sdegnata. Gli mostro il mio sguardo interrogativa.
“Chiedo scusa se mi permetto, ma Birmingham ha così tanto marciume…troppa illegalità, troppi imbrogli, troppe truffe”
“Ha ragione, ecco il motivo per cui sono andata via. Mi perdoni, ma lei come fa a saperlo?” gli chiedo poi curiosa. Il piccolo uomo dietro al bancone, vestito con un papillon nero in pandans con il pantalone, si guarda a destra e a sinistra per accertarsi che nessuno possa sentirlo. Poi mi risponde a voce bassa: “Signorina, molti scappano via da lì per non avere problemi con la famiglia Shelby!”
Non sono molto stupita che quel nome fosse conosciuto anche dal barista di un locale così elegante. Ho avuto modo solo di approfondire una finta facciata degli Shelby, quella reale l’ho solo vista fugacemente, e ho capito che sono coinvolti in affari poco puliti.
“Capisco. Chissà se prima o poi la polizia farà qualcosa” rispondo al barista, cercando di indagare con indifferenza.
“Signorina, ci sono buone speranze! Da qualche giorno ho saputo che qui a Londra è arrivato un nuovo ispettore direttamente da Belfast. Si chiama Campbell e so che ha un affare in sospeso con gli Shelby”.
Ecco ciò che volevo sentire, adesso devo solo pensare a un piano, ma nel frattempo ho voglia di godermi trionfante il mio whiskey.

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Capitolo 5
*** Campbell ***


Ecco di nuovo papà, sta tornando da lavoro e ha lo sguardo felice di vederti.  Corrigli incontro, saltagli in braccio, abbraccialo e dagli dei baci. Ti è mancato tanto. Mentre lo stringi tra le tue corte braccine vedi delle persone alle sue spalle. Sono 3 ragazzi e indossano un cappotto lungo e dei berretti. Hanno delle pistole in mano e si avvicinano a passo svelto verso te e il tuo papà. “Papà scappa!” gli urli, ma lui non ti sente e continua a stringerti tra le sue poderose braccia da operaio. “Papà ti prego, corriamo via” tenti di nuovo, ma lui sospira come se avesse già capito a cosa sarebbe andato incontro di lì a pochi minuti. Gli uomini sono ormai a 5 passi da noi. Quello in mezzo punta la pistola dietro mio padre. Alza lo sguardo, che fino ad ora è coperto dal suo berretto. Occhi azzurri e freddi. Metti a fuoco. È proprio Thomas. “Thomas no” gli urli, ma sei solo una bambina, lui non ti ascolta e gli spara. Tuo padre muore sul colpo e Thomas sorride soddisfatto. Ti precipiti da tuo papà, ma ormai è tardi, ormai è troppo tardi, ormai è morto, capisci? È morto!
Apro gli occhi e mi sveglio di soprassalto. Sono tutta sudata e sento l’urto del vomito. Mi precipito di corsa nel bagno dell’albergo e vengo assalita da un conato. Mi manca per un momento l’aria e la sensazione del rigetto non la sentivo da un po’. Sono certa che sia dovuta dal fatto che non ho usato l’oppio. Me lo aspettavo, ma sarebbe stato comunque inutile drogarmi visto che i pensieri sono tanti e il suo effetto sarebbe andato sprecato. Cerco di ricompormi il prima possibile, mi sciacquo la faccia e mi do una rinfrescata. Ho il viso pallida, con le occhiaie che fanno da cornice al mio sguardo stanco e ancora amareggiato. Torno nella stanza da letto e do un’occhiata all’orologio in stile barocco che fa da soprammobile alla credenza. Sono da poco passate le 5 di mattina. Ho dormito per tre ore, così non avrei retto neanche per due giorni. Dovevo comprarmi almeno un paio di boccette di oppio, altrimenti non sarei andata avanti. Così esco dall’albergo e mi dirigo verso il quartiere di WhiteChapel, sperando di trovare Francis e Jack. Non ho la minima idea di come li affronterò, ma troverò un modo durante il cammino. Una delle mie intenzioni è quella di mentire, dicendo loro che sono ancora sotto l’ala protettrice degli Shelby, che loro temevano peggio della peste. Non ho altre idee, anche perché sono certa che con questa vado sul sicuro, quindi perché rischiare?!
“Lily, Lily, Lily, dove vai a quest’ora tutta sola?” mi chiede Jack in tono mielense, ma falso e di solito quando fa così nasconde solo la sua rabbia.
“Vi stavo venendo a cercare. Ho bisogno di un paio di dosi” rispondo io, già seccata e nauseata dalla loro presenza. I due si guardano e ridono. Che c’è da ridere? Rimango impassibile.
“Perché dovremmo dartele?” mi domanda Francis. Mi stanno trattando come una bambina e sto veramente perdendo la pazienza, non che possa  fare qualcosa effettivamente, quindi cerco di rimanere calma.
“Perché ne abbiamo bisogno” mento, a sguardo serio, per evitare di farmi beccare
“Tu e chi scusa?” mi chiedono entrambi questa volta accantonando il tono di voce falso
“Io e la famiglia Shelby” Mi rendo conto che avevo fatto male i calcoli. Questo piano ha eccome dei rischi: la mia bugia avrebbe potuto essere svelata in un paio di secondi. Il tutto dipende dalle voci che stanno correndo a Londra. Se una di queste racconta della mia partenza improvvisa da Birmingham a causa di un licenziamento, i due balordi non ci avrebbero messo molto a fare due più due.
“Tu e la famiglia Shelby?” ripete Jack un po’ scettico. Sudo freddo in preda all’ansia, ma cerco comunque di mostrarmi sicura di me. Qui non si scherza, ho già un precedente con loro e questa volta non ho nessuno che possa salvarmi.
“Sì, lavoro per John Shelby, non lo avete saputo?” i due strabuzzano gli occhi e io capisco che se la bevono. Alla fine i due mi danno le boccette di oppio facendomi persino uno sconto. Torno soddisfatta nel centro di Londra. Oramai il sole è alto e io devo assolutamente parlare con l’ispettore Campbell, al distretto di polizia.
 
“Avanti!” mi dice una voce dal tono imperioso dietro la porta su cui ho appena bussato. Prendo un respiro ed entro nella stanza. Di fronte a me, dietro una scrivania in legno di ciliegio, c’è un uomo vissuto, sulla cinquantina, dai capelli bianchi e gli occhi chiari e piccolini. Ha dei baffi folti e chiari con qualche sfumatura di grigio e indossa la cravatta e un completo nero.
“Buongiorno, è lei l’ispettore Campbell?” chiedo un po’ timorosa.
“Si, prego, cosa posso fare per lei, signorina..?”
“Stone”
“Cosa posso fare per lei signorina Stone?” mi chiede cordiale, mentre incrocia le mani sulla scrivania. Sembra una persona seria, con cui non è il caso di scherzare. Una persona che non perde tempo nelle scempiaggini, che lavora incessantemente finchè non ha risolto la situazione. Campbell mi appare così e spero di non sbagliarmi sul suo conto, perché ormai è l’ultima occasione che mi rimane.
“Ispettore, le devo parlare di un accaduto, successo una quindicina di anni fa…” l’ispettore sembra disorientato, tuttavia non dice nulla e mi lascia parlare. “Si tratta degli Shelby”
A quel nome gli occhi dell’ispettore Campbell si fanno arrabbiati, le sopracciglia sono accigliate e la bocca è corrucciata in un broncio che sembra voler trattenere delle parole sgarbate che preferisce non pronunciare per non rovinare la sua immagine diplomatica. “Hanno ucciso mio padre per un debito non pagato e hanno fatto la stessa cosa con un suo parente, a quanto ne so. La prego, può raccontarmi gli accaduti?” aggiungo infine sperando che Campbell accetti.
“Si sieda signorina Stone” mi esorta lui indicandomi la sedia di fronte alla sua scrivania. Prende una pausa in cui noto che lo sguardo arrabbiato di prima fa posto ad uno sofferente. Ha perso qualcuno, e nessuno più di me lo può capire. Faccio come mi dice. Poi prende a parlare “Gli Shelby hanno ucciso mio figlio. Lo hanno ammazzato come un cane sparandolo alle spalle. Aveva solo 19 anni e di lì a poco sarebbe partito per la guerra. Era un ragazzo onesto, voleva arruolarsi sin da piccolo per ‘sconfiggere i cattivi’ diceva sempre. E poi i cattivi hanno sconfitto lui.  Signorina Stone, è vero, mio figlio aveva dei debiti con loro, ma aveva già cominciato a ripagarglieli, ne sono certo. Gli stavo dando io personalmente una mano, dato l’ammontare della cifra. E loro, questi ‘peaky blinders’ lo hanno ucciso prima ancora che lui potesse saldare il debito. Sono stati ingiusti, e potrebbero aver fatto la stessa cosa con suo padre. Li arresterei uno a uno per poi condannarli alla pena di morte, se solo sapessi dove sono”
L’ultima frase mi lascia turbata. Voglio farla pagare a Thomas e a tutta la sua famiglia, ma sono veramente disposta a vederli morire? La risposta è no. Non voglio vendicare mio padre ripagando gli Shelby con la stessa moneta, so che lui non ne sarebbe affatto orgoglioso. Quindi cerco di far ritrattare all’ispettore l’ultima parte.
“Ispettore, se mi permette, non penso che la pena di morte sia una punizione adeguata a loro. Vede, penso che possano soffrire di più nel momento in cui siano costretti a vedere, da dietro le sbarre di una cella,  i loro affari fallire inesorabilmente dopo tutti gli sforzi, che ne pensa?”. L’ispettore ci riflette su e per qualche momento ha lo sguardo basso, come in meditazione. Prego forze mistiche affinchè accetti.
“Ha proprio ragione signorina Stone, ma come fa a sapere tutte queste cose sugli Shelby?” mi chiede poi,  sospettoso. A quel punto giro le mie carte
“Perché sarò io a guidarla da loro, ispettore!”

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Capitolo 6
*** Ritorni ***


Sono tornata a Birmingham da un paio di ore, consapevole di essere venuta meno alla mia precedente promessa fatta con me stessa, ma so che è per un fine superiore. Io e Campbell abbiamo un piano, minuzioso e dettagliato: devo semplicemente riavvicinarmi a Thomas e nel momento più opportuno gli Shelby sarebbero finiti in prigione. Niente deve andare storto, ma c’è una cosa che mi preoccupa. Ho paura della mia reazione nel rivedere Thomas. È  passata solo una decina di giorni, non ho avuto molto tempo per metabolizzare gli accaduti e mettere da parte il mio amore per lui. L’aria di Birmingham mi nausea non appena scendo dal treno, e sbuffo demoralizzata. Mi dirigo verso il Garrison. Attraverso la città calpestando il terriccio misto al letame di cavallo e rimpiango Londra, con i suoi tram, con il suo profumo e con la sua mentalità così aperta. Nel frattempo penso a come affrontare Thomas. Sono nel suo territorio, e lui è molto astuto, ma è anche coinvolto dalle emozioni. Devo solo mostrarmi forte, sicura e decisa. Non devo temerlo, l’unica cosa da temere in questo mondo è la morte. 
Entrando nel Garrison mi sento spaesata, un po’ perché vengo assalita dai ricordi, che bruschi si insinuano nella mia mente e mi rendono più vulnerabile, un po’ perché mi esce spontaneo un paragone con i piano bar di Londra, così lussuosi e con persone assetate di vita. Ad ogni modo ordino una birra, ho bisogno di qualcosa di non troppo forte, per rimanere concentrata sull’obiettivo.  Attendo la mia preda seduta al bancone, mentre do un’occhiata alla saletta privata da cui la scorsa volta Thomas era uscito puntuale per salvarmi. Vedo delle ombre e sento delle voci, ma non riconosco ancora la sua. Cerco di capire cosa dicono e sento solo delle parole sparse, ad esempio, “ispettore”, “state attenti”, roba abbastanza incomprensibile. Ad un certo punto un poliziotto esce dalla saletta, seguito da Arthur e John che lo salutano con una stretta di mano senza ancora notarmi. Lo accompagnano all’uscita mentre io li seguo con lo sguardo e nel ritornare nella loro sala privata, incrocio gli occhi di Arthur. Gli faccio un cenno con la mano, mentre guardando la sua bocca noto che pronuncia un “Merda” a denti stretti. Mi fa un cenno col capo, costringendo anche John a guardare verso di me. Lui ha la bocca aperta e gli scappa a gran voce “Cazzo” tanto che tutti si girano verso di lui. Trattengo una risata perché non avrei mai pensato di far loro quell’effetto. Non se lo aspettavano, ho colto tutti di sorpresa e ne sono fiera. Voglio che mi temano, o che perlomeno non stiano tranquilli quando io sono con loro. A parte Thomas, che si deve fidare ciecamente di me.  Faccio un cenno del capo anche a John che mi guarda come se non credesse ai propri occhi. Proprio a quel punto un’altra ombra sta per uscire dalla saletta, sono certa che sia Thomas, manca solo lui all’appello. Invece nel momento in cui la figura si rende visibile, rimango delusa. Sono assalita da un’agitazione indescrivibile e ho una fottuta paura che il mio piano vada a rotoli prima ancora di cominciare. È la temutissima zia Polly. Non appena mi vede mi fulmina con lo sguardo. Non sembra sorpresa di vedermi, piuttosto arrabbiata e sinceramente lo trovo inverosimile visto che dovrei essere io l’unica nella posizione di arrabbiarmi. Armata di coraggio e determinazione, mi alzo dallo sgabello, dopo aver consumato la birra fino al fondo, e vado incontro alla famiglia Shelby.
“Buonasera” saluto in tono serio, guardando la zia, che mi squadra dall’alto in basso con il suo solito atteggiamento. Non mi saluta, a differenza di John e Arthur che accennano persino un sorriso.
“Che vuoi? Perché sei tornata?” ringhia Polly, turbata e sono soddisfatta che la mia presenza le faccia questo effetto. L’imperturbabile zia Polly adesso, grazie a me, non è tranquilla.
“Devo parlare con Thomas” spiego lapidaria. A polly scappa una risata sarcastica, mentre osservando Arthur, che è l’unico a mostrarmi emozioni in maniera chiara, noto che è mortificato, dispiaciuto, triste e mi inizio a preoccupare. Se gli fosse successo qualcosa? Thomas è un ex militare, se la cava da solo, è forte e abbastanza maturo da gestirsi la sua vita. Non sarà successo niente. “Dove posso trovarlo? Insisto.
“Olivia, tornatene da dove sei venuta” mi ordina Polly, illusa che io debba seguire il suo invito.
“Ho bisogno di parlare con Thomas” ripeto, ignorandola completamente e rivolgendo il mio apparente sguardo calmo e pacato a John. Anche lui ha la stessa espressione di Arthur, ora che ci faccio caso. Il pensiero che Thomas sia in pericolo mi assale e il mio cuore accelera agitato. Cerco di respirare lentamente, per non destare sospetti. I tre non mi rispondono e io non ho tempo per aspettare invano. “Lo troverò comunque anche senza il vostro aiuto” concludo infine dirigendomi verso l’uscita. 
“Watery Lane” Sento improvvisamente le parole di John e tiro un sospiro di sollievo. “Si trova a Watery Lane” precisa
“Che cazzo John…” esclama Polly a suo nipote. Sorrido soddisfatta mentre esco dal Garrison per trovare Tom.

Entrando nel cosiddetto “centro scommesse”, sono stupita di trovarlo desolato e silenzioso. Lo avevo visto solo un paio di volte e c’erano stati sempre tantissimi uomini affamati di soldi che sventolavano i propri biglietti in preda all’entusiasmo della scommessa. Ora invece è tutto così vuoto. Mi dirigo a passo lento verso l’ufficio di Thomas, cercando nel mentre di controllare le emozioni, ma è inutile nascondere il fatto che vederlo dopo tutto ciò che è successo, mi rende inquieta. Sono tuttavia abbastanza arrabbiata da farmi forza. Busso e intravedo già la sua figura seduta dietro ad una scrivania. Il pensiero che quell’uomo aveva sparato a mio padre un po’ di tempo prima, mi mandava il sangue al cervello. E l’idea di aver fatto l’amore con lui mi faceva venire la nausea. Sono così irrequieta e tesa che ho seri dubbi di farcela. 
“Avanti!” sento la sua voce da dietro la porta. Prendo un profondo respiro. Okay, sono pronta. Entro nello studio, che ha un odore penetrante di fumo ristagnato.
“Ciao Thomas” gli dico accennando un sorriso, che in tutta onestà non so se è pienamente falso. Forse una piccola parte di me è davvero felice di vederlo. Thomas mi guarda con i suoi a me ben noti occhi chiari, ancora per me così misteriosi tanto che non so se è stupito di vedermi o invece se lo aspettava.  Noto che ha tantissimi fogli sparsi sulla scrivania, e ha le mani sporche di inchiostro. Ha la faccia stanca, noto un accenno di occhiaie, occhi lucidi, ed è pallido. Thomas, Thomas, Thomas, che ti è successo? Per un momento non vedo più quell’eroe impavido e spavaldo che mi ha salvato la vita. Vedo un uomo stanco, trasandato, con poca voglia di vivere. Si accende in fretta una sigaretta, passandosela prima sulle labbra, come da abitudine. Non posso trattenere un sorriso. Thomas se la accende in totale silenzio. Aspira. E poi finalmente parla.
“Vuoi una?” Annuisco. Si alza dalla poltrona, mi porge una sigaretta, io la prendo direttamente in bocca e lui me la accende, avvicinandosi in maniera preoccupante a me. È una tale emozione risentire il suo profumo, che sono turbata, perché apprendo che nonostante tutto mi è mancato. 
Aspiro e mi scosto abilmente da lui, sedendomi proprio sul suo posto. Lo metto alla prova, magari gli suscito qualche reazione invece non sembra infastidito. Thomas è concentrato sulla sua sigaretta, è pensieroso e tiene lo sguardo basso.
“Thomas che hai?” gli chiedo non reggendo l’atmosfera e mostrandomi veramente preoccupata per lui. La domanda mi esce più brusca del previsto, probabilmente perché sono angosciata dal piano che ho paura fallisca, e da Thomas, che temo non stia bene. Mi sembra malato e in piedi noto persino che è dimagrito. Lui mi rivolge uno sguardo vuoto. A che sta pensando questa volta? Prende un respiro.
“Niente, sono un po’ preoccupato per gli affari, tutto qui” mi risponde, noncurante, riprendendo il suo atteggiamento caratteristico. Sono confusa. 
“Ci sono problemi?” gli chiedo, indagando, magari mi sarebbe tornato utile nel piano.
“Non lo so ancora, degli amici a Londra mi hanno detto che c’è un nuovo ispettore in città, pare si chiami Campbell.” Trattengo il respiro in ansia, e se avesse scoperto tutto? Thomas è furbo, è scaltro e io non sono così brava a mentire dopo tutto. “Campbell, lo conosco perché suo figlio mi doveva dei soldi” aggiunge.
“Si, mi ricordo, me ne hai parlato a proposito dell’uccisione di mio padre” e a quel punto gli rivolgo un’occhiataccia, mentre i ricordi e la rabbia mi offuscano la ragione ma cerco di calmarmi subito e riprendo a respirare lentamente. “E quindi? Che problema c’è? Hai la polizia di Birmingham dalla tua parte”
“è questo il problema. Pare che questo Campbell non abbia superato la questione di suo figlio” dice in tono distaccato e mi urta parecchio perché l’ispettore da padre ha visto morire suo figlio, e questo Thomas non lo riesce a capire, non riesce neanche per un istante ad immedesimarsi nel dolore di Campbell
“Come si fa a superare una cosa del genere, Thomas?” gli domando ferita
“Come hai fatto tu?” mi chiede. Io in realtà non l’ho superata affatto, ma questo Thomas non deve saperlo, altrimenti non avrebbe molto senso trovarmi qui con lui.
“Perché io…ti…” prendo una pausa, pensando bene a quello che sto per dire. Gli sto mentendo spudoratamente per un piano che lo porterà in carcere, è giusto? Non lo so, ma so che voglio vendicare mio padre. “Thomas io ti amo” gli dico semplicemente fissando i miei occhi nei suoi. Thomas non dice niente e  sono di nuovo interdetta. L’ultima volta che ci siamo visti era stato lui a dirmi quelle parole e sinceramente, non pensavo cambiasse la situazione. A quel punto mi alzo, spengo la sigaretta nel posacenere e gli vado vicino, cauta, studiando ogni sua più piccola reazione ad ogni mio passo. Mi segue con lo sguardo, attento anche lui. Siamo vicini, ma ancora non ci tocchiamo. Voglio che sia lui a farlo per primo, voglio sapere se è realmente innamorato di me o se la scorsa volta mi ha mentito. Ci guardiamo a lungo. Quegli occhi azzurri… sono così profondi da essere infiniti. Attendo una sua mossa, che però non arriva. Quindi gli sorrido e mi rivolgo verso l’uscita, dispiaciuta dalla sua imperturbabilità. 
“Olivia?” mi chiama e  io mi giro subito.
“Perché sei qui?” mi domanda. Senza esitare gli rispondo subito
“Perché volevo dirtelo” 
Faccio per uscire, ma lui mi prende per una mano e mi ferma. Mi guarda e fa uno scatto verso di me, mi prende il viso tra le mani e mi bacia! Le sue labbra calde e morbide premono sulle mie e in me scoppia una bomba di emozioni: rabbia, senso di colpa, ma anche gioia, soddisfazione. Lo amo, ne sono consapevole. Sto combinando un gran casino, ma adesso che posso fare? Di certo non posso tirarmi indietro. Thomas mi spinge contro la porta e mi blocca i fianchi mentre continuiamo a baciarci appassionatamente. Assaporo ogni suo piccolo dettaglio, e sono pervasa dal gusto gradevole del tabacco poco prima fumato. Mi morde il labbro e gemo dal piacere, mentre mi solleva la gonna e mi prende in braccio toccandomi e massaggiandomi le natiche. Ho la schiena contro la porta e sono avvinghiata alla sua schiena bassa. Sento la sua essenza da sotto il pantalone, che imponente lo prega di uscire. Thomas si abbassa quindi i pantaloni e mi penetra con passione, quasi con violenza. E io lo accolgo calda e affamata in cerca di appagamento. Inizia a spingere dentro di me mentre provo a trattenere dei gridolini per l’estremo piacere che mi stava dando, ma non ci vuole tanto affinchè, proprio quando accelera il ritmo, io esploda in un orgasmo tutt’altro che silenzioso. Viene anche lui. Ha il fiatone e la fronte imperlata di sudore. Sembra stanco, ma continua a tenermi in braccio, e anzi adesso mi stringe. Sembra un bambino spaurito, in cerca di rassicurazioni. Lo abbraccio a mia volta, accarezzandogli la testa e cercando di calmarlo.
“Shh, va tutto bene” gli ripeto sussurrandogli nell’orecchio. Thomas non mi lascia, rimane avvinghiato a me come se fossi la sua ancora di salvezza,  ancora che però questa volta lo farà affondare nei profondi abissi dei suoi peccati.

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Capitolo 7
*** Sorpresa! ***


TOM’S POV
Affondo il mio viso nell’incavo tra il collo e la spalla e ci sto così bene. Non voglio più staccarmi da lei, dalla sua pelle morbida che sa di lavanda. Ho paura a lasciarla andare, so che mi vuole tradire, ma d’altronde come biasimarla? Ho ucciso suo padre, mi sembra più che giusto che voglia farmela pagare. Infondo me lo merito, sono stato un verme con lei, e non avrei mai voluto ferirla così tanto. Dal primo giorno che l’ho vista mi ha ricordato qualcuno e quando mi ha detto di chiamarsi Olivia Stone ho ricollegato tutto. Sto rovinando la vita di una ragazza che ha già sofferto abbastanza e mi sento così in colpa. Avrei voluto non conoscerla affatto, più le persone stanno lontane da me e meno si fanno male. E lei è così giovane, ma così forte, determinata, ottusa, e quegli occhi scuri come il carbone bruciano di rabbia e rancore nei miei confronti. Lo percepisco ogni volta che la guardo. Sarà molto difficile dissuadermi dall’amarla. Ci ho messo già troppo tempo per accettarlo e la sua lontananza mi ha fatto solo stare peggio.  Convincere me stesso che non è la donna giusta per me sarà ancora più difficoltoso, perché non ho motivazioni valide. Lo sento che siamo uguali. Me ne sono reso conto la prima volta che ha dormito nella mia stanza. Parlava di continuo nel sonno, tormentata dai ricordi che si nascondevano sotto le mentite spoglie degli incubi. Era impaurita, agitata proprio come me quando mi tornano in mente le immagini della guerra. Non riusciamo a dormire da soli, ma insieme, invece, i nostri demoni si placano e me ne sono accorto proprio quella sera, dopo aver  fatto l’amore. Il tocco lieve ma rassicurante delle sue mani materne sul mio volto mi faceva sperare di averla con me nei momenti difficili, sarebbe stata il mio porto sicuro, la mia ancora di salvezza. Invece adesso lei vuole tradirmi, con Campbell. Chissà cosa le ha raccontato quel vecchio bugiardo.
“Thomas, è tutto ok, ci sono qui io” continua a sussurrarmi con voce dolce la mia piccola Olivia. Certo che c’è, lei non ha paura delle responsabilità, non ha paura dei miei demoni, e non ha paura di me. Forse sono io ad avere paura di lei, così giovane e bella e sicura di sé. Ha voglia di vivere e forse è l’unico punto su cui siamo schierati su due poli opposti. Lei così affamata della vita, io così sazio.
Mi tiro su i pantaloni staccandomi a malincuore dal suo collo. Non riesco a guardarla negli occhi. Prendo in fretta un’altra sigaretta e ricomincio a fumare.
“Resterai qui a Birmingham?” le chiedo, sapendo già la risposta
“Sì, per un paio di giorni” mi risponde fingendosi vaga.
“Puoi stare da me ad Arley Hall, la casa è grande” è vero, la casa è enorme e io mi sento solo, in compagnia soltanto dei miei soffocanti pensieri. Olivia ci pensa per qualche secondo, dubbiosa sul da farsi, ma alla fine decide di accettare, regalandomi un sorriso convinto che mi rasserena il cuore.
“Prendo le mie cose e andiamo, va bene?” Lei annuisce. Sembra felice di venire a casa mia, ma devo comunque prestare attenzione. Ho già avvisato John, Arthur e Polly dell’imminente arrivo di Campbell, quindi sanno come comportarsi e come venire ad aiutarmi. Sono certo che l’ispettore entrerà in Birmingham domani, in occasione di una corsa importante. Ecco perché il centro scommesse è vuoto: ho deciso di rimanerne fuori, almeno finchè le acque non si saranno calmate, quindi niente scommesse e niente scommettitori, di conseguenza anche se Campbell dovesse venire da me, non troverà niente di losco e non potrà arrestarmi.  Sto per uscire dal mio studio per farle strada, ma
“Tom?” mi chiama Olivia. Lo sguardo è cambiato, non è più sicuro e soddisfatto, adesso è malinconico, triste.
“Dimmi” Trattengo il respiro. Magari vuole dirmi la verità, magari non vuole più vendicarsi, mi ama così tanto da mettere da parte il rancore per me.
“No, niente, lascia perdere, andiamo” dice scuotendo la testa come per levarsi certi pensieri dalla mente. Rimango un po’ deluso, ma resto comunque impassibile, non voglio farla preoccupare, ha già troppi pensieri per la testa.
 
“Tom, è proprio una casa da re!” esclama Olivia mentre si guarda attorno spaesata. Le accenno un sorriso e le faccio strada per la sua stanza.
“Io sarò nel mio studio per una buona mezz’ora, tu fa come se fossi a casa tua, si cena alle 7, preferenze?”
“No, va benissimo tutto, grazie Thomas e scusa” Lily non sentirti in colpa, non è colpa tua, spero tu un giorno possa perdonarmi, magari quel giorno cambierò, sarò un uomo diverso, pronto per donarti tutto l’amore che meriti.
“Scusa di cosa?” le chiedo uscendo dai miei pensieri. Mi dirà adesso del suo piano? Glielo leggo negli occhi che è inquieta.
“Del…disturbo” esita un po’ prima di rispondermi, ma io continuo a rimanere impassibile, anche se è già la seconda volta che si trattiene.
“Nessun disturbo. A tra poco”
Direttomi nel mio ufficio, mi fermo un istante a guardare il telefono: sono incerto se chiamare Polly e avvisarla di Olivia o rimandare a dopo cena. Opto per la seconda opzione e invece mi metto a cercare i registri con i debiti del 1905, in modo da mostrarli a Olivia per dimostrarle che non le avevo mentito a proposito di ciò che le avevo detto, compreso il “ti amo”. Non fatico per trovare il cognome Stone nell’elenco e come ben ricordo mi doveva 500 000  sterline. Non me ne aveva ridata nemmeno una e stessa cosa Campbell. C’è un grande 0 accanto ai loro cognomi, sotto la colonna “ripagato” . Mi viene in mente il giovane Cole Campbell, era un ragazzino tutto ossa che campava con i soldi del padre. L’ispettore non sapeva che fare con lui: non lavorava, non studiava, sapeva solo scommettere. Ricordo che Cole è stato un paio di volte al Garrison e ha raccontato a John tutti i maltrattamenti subiti dal padre, che non ha sborsato neppure un penny per tentare di ripagare l’enorme debito. Cole voleva scappare, arruolandosi, e non appena saputo io John e Arthur siamo andati a fargli visita. L’ho sparato io personalmente, di spalle, affinchè i suoi occhi chiari non potessero impietosirmi. Ho così tante vittime sulla mia coscienza che a volte penso di non meritare di vivere. È vero, ho ucciso persone che mi volevano raggirare o addirittura togliermi di mezzo, ma io sono ancora vivo e pieno di sensi di colpa, mentre loro riposano in pace. A volte penso di essere destinato a  rimanere solo e incompreso. Neanche io mi conosco appieno e a volte ho paura dei pensieri che elaboro e che tengo rigorosamente solo per me. Provo a concentrarmi su altro, sul non far mancare niente alla mia famiglia che voglio rendere felice, ma poi come un terremoto  i pensieri e ricordi ritornano e fanno tremare il poco manto di certezze che costruisco giorno per giorno. A volte è davvero difficile andare avanti perché sono tormentato dalla paura di ferire qualcuno a cui tengo, penso di farmi fuori. Con un colpo alla testa finirebbero tutti i miei problemi, ma poi non ho il coraggio di farlo e divento furioso, perché mi rendo conto di non essere altro che un cagasotto fortunato che è tornato vivo dalla guerra.
Olivia scende dalla sua stanza qualche minuto più tardi alle 7, ed è bellissima, indossa un abito lungo e morbido color rosa antico che le accentua le curve facendomi trattenere il respiro. I capelli corvini sono sciolti e naturali, e sono portati tutti sulla spalla destra mentre un ciuffo copre il suo taglio caratteristico sul sopracciglio.
“Questa roba è tutta per noi?” mi chiede Olivia stupita dall’abbondanza di cibo sulla tavola. Lo chef si è dato da fare e non vedo l’ora di assaggiare l’oca al forno che ha preparato con molta cura.
“Certo, serviti pure” le dico spostandole la sedia per farla accomodare. Accenna un sorriso e mi posa un delicato bacio a stampo sulla guancia. In un primo momento sono così allietato e intenerito che vorrei solo ricambiarlo con uno più passionale. In un secondo momento però, colgo il suo sguardo sofferente e capisco che il bacio è un segno: è lo stesso che Giuda diede a Gesù nel momento dell’arresto. Proprio in quel momento, ancor prima che io possa sedermi a tavola, sento bussare con forza alla porta. Mi precipito di sopra per prendere la mia pistola e mentre sento ancora gli uomini che continuano  a bussare prepotentemente, noto che la cornetta del mio telefono è spostata. Olivia, no, perché proprio stasera?! Scendo giù con la pistola stretta nella mano e con un senso di panico che avevo già conosciuto in trincea. Olivia si è alzata e inizia a piangere. Corro da lei, mentre ormai gli uomini sfondano la porta.
“Olivia, io ti amo davvero, sapevo già che mi avresti tradito. Però ti prego, corri su, nel mio studio. C’è un registro, aprilo e cerca il nome di tuo padre e di Campbell. Sono certo che l’ispettore ti ha mentito.” E dopo averle detto ciò scappo veloce nell’ingresso della mia casa. Ci sono quindici uomini armati e disposti in tre file da cinque. Avanti a loro, proprio come farebbe un capo, c’è l’ispettore. È invecchiato dall’ultima volta che l’ho visto e noto qualche ruga in più sul suo viso e molti più riflessi grigi e bianchi sui suoi capelli.
“Ispettore Campbell, cosa la porta qui?” esordisco sicuro di me. Non ho il tempo neppure di puntargli la pistola contro visto che i quindici uomini hanno le loro verso di me. Alzo le mani con cautela e lascio cadere la pistola a terra. Il mio cervello pensa a un piano, ma sono in netta minoranza e non riuscirei né ad affrontarli né tantomeno a scappare.
“Ma come, signor Shelby, Olivia non le ha detto niente?” mi domanda sarcastico. Ma ciò che dice non mi tange, non mi ferisce. Non mi ingannerà con giochetti psicologici e di questo ne sono sicuro.
“Olivia no, ma il mio amico Johnny Dogg sì, però sono sorpreso di vederla, la aspettavo per domani!” gli rispondo di rimando, mentre lui si avvicina lentamente verso di me. Prende a girarmi intorno e a scrutarmi in ogni particolare. Sbuffo seccato.
“La signorina Stone mi ha telefonato poco fa dicendomi che era da solo in casa, perciò perché non approfittare per farle visita?!”
“Troppo gentile, avrei senz’altro preferito vederla domani, assieme alla mia famiglia, ma se proprio le mancavo ha fatto bene a venire a trovarmi” gli dico continuando il suo gioco e trattenendomi dal tirargli un cazzotto in faccia, per quanto è vicino.  “Quindi, il motivo della visita?” chiedo poi, sapendo che non ha buoni motivi per arrestarmi. L’omicidio di suo figlio è stato insabbiato parecchio tempo fa, le scommesse le avevo interrotte…
“Sa signor Shelby, ho promesso a Olivia di arrestare lei e la sua famiglia per farvela pagare, ma sa cosa? Ho cambiato idea. Mi sa tanto che la ucciderò” mi sale un brivido lungo la schiena, ma il mio volto rimane freddo e distaccato e non comunica nessuna paura.
“Oh, ci hanno provato in tanti, ma vede ispettore Campbell…sono ancora qui!” rispondo presuntuoso facendo spallucce. Poi spavaldo mi prendo una sigaretta dalla tasca, sotto lo sguardo sospettoso degli altri poliziotti, e comincio a fumarla. La offro a Campbell che la accetta.
“Signor Shelby, penso che questa gradasseria non la porterà da nessuna parte” mi dice con fare da saggio, ma in realtà l’ispettore, che ora è di fronte a me non ha proprio nulla di saggio.
“Infatti non voglio andare da nessuna parte, voglio rimanere qui per gustarmi la mia oca al forno, vuole favorire?!” L’ispettore caccia fuori una risata ironica, che però non mi smuove. Continuo a fumare la mia sigaretta impassibile.
“Vuole sapere il mio programma Signor Shelby?”
“muoio dalla voglia!”
“Bene. Per prima cosa la porteremo in una cella fredda e buia dove a turno ognuno di questi quindici uomini si divertirà a pestarla. Dopodichè se sarà ancora vivo le punterò una pistola contro, proprio così” dice piazzandomi la sua in mezzo agli occhi. Guardo la canna della pistola imperturbabile, so che è scarica, ma non gli dico nulla per continuare a farlo divertire.” E poi le sparerò proprio come si fa ai cavalli” aggiunse continuando a tenere fissa su di me l’arma. “Tutto chiaro?” annuisco  guardandolo negli occhi, rassegnato, ma contento che finalmente avrei trovato un po’ di pace nella morte.

nda: che ne pensate del punto di vista di Tom? spero di aver descritto al meglio il suo personaggio.. siamo quasi alla fine!

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Capitolo 8
*** Surviving ***


Salgo di corsa nello studio di Tom, come lui stesso mi ha ordinato. C’è ancora la cornetta poggiata sul tavolo, che ho dimenticato di mettere apposto, ma tanto non sarebbe servito, lui aveva già capito tutto. E allora perché mi ha lasciato fare? Perché non mi ha detto che sapeva tutto? Adesso sarebbe stato qui accanto a me e magari avremmo fatto l’amore. Invece no, per colpa mia sarebbe finito  in carcere. Sento ancora i rumori e delle voci da giù. Sono agitata, ma cerco comunque il registro di Thomas, che è aperto in bella vista sulla scrivania. Trovo il cognome Stone, data 1905, ripagato 0 sterline. Trovo Campbell, data 1905, ripagato 0 sterline. Cosa?! Rileggo. C’è proprio uno zero sotto quella colonna, ma come è possibile? Campbell mi ha detto che stava dando una mano al figlio! Thomas aveva ragione, Campbell mi raccontato una bugia. Scendo di corsa per le scale e mi fermo a metà, nascondendomi e cercando di origliare la conversazione tra i due.
Sento la voce di Campbell “Sa signor Shelby, ho promesso a Olivia di arrestare lei e la sua famiglia per farvela pagare, ma sa cosa? Ho cambiato idea. Mi sa tanto che la ucciderò”. NO! Non erano questi i patti. Sono presa dall’impeto di raggiungere Thomas, ma cerco di calmarmi e di ragionare, non servirebbe a molto la mia impulsività, finiremmo entrambi uccisi. Avrei dovuto cercare l’unica persona in grado di aiutare Thomas a qualunque costo, anche quello della propria vita: Polly. Perciò ritorno in fretta di sopra e la chiamo. Il centralino mi passa la signora e quando sento la sua voce mi accorgo che è preoccupata. Anche lei sa già tutto, ne sono certa.
“Polly, ti prego perdonami, Campbell è qui, porteranno in prigione Thomas, lo vogliono uccidere” dico mentre lacrime amare iniziano a rigarmi il volto. Polly capisce al volo nonostante il discorso un po’ sconnesso.
“Ci vediamo al Garrison, trova il modo di venire” mi ordina in tono serio, senza apparentemente perdere la calma.
Mi affaccio di nuovo di sotto, e sento un silenzio raggelante.  Thomas non c’è più. Il mio Thomas è in pericolo per colpa mia. Sento la coscienza pesante come un fardello e sono presa dall’impulso di urlare, di sbraitare, di farmi del male. Mi sbagliavo su Thomas, non mi ha mentito, e non è cattivo come pensavo. Sono stata accecata dalla rabbia, e io non sono stata abbastanza lucida da ragionare e vedere le cose da un punto di vista oggettivo. Mio padre sarebbe rimasto deluso dal mio comportamento. Ma devo comunque andare avanti, non devo abbandonarmi all’autocommiserazione. Controllo che non ci sia più nessuno e poi corro verso il Garrison. Thomas, resisti!
 
“Sei una puttana!” ringhia Polly cercando di tirarmi uno schiaffo, ma per fortuna Arthur la blocca in tempo e si mette tra me e lei. “è tutta colpa tua! Thomas rischia la vita per una bambina viziata!!” continua lei con un tono di voce infuriato, in netta contrapposizione con quello che poco prima aveva usato al telefono. Io sono costernata e ho lo sguardo basso, con gli occhi colmi di lacrime.
“Basta Polly nostro fratello ha bisogno di aiuto, adesso. Rimandiamo la discussione a dopo” dice Arthur provando a calmarla. Polly lo guarda inasprita, poi sospira rassegnata e si accende una sigaretta.
“Che cosa è successo? Campbell avrebbe dovuto venire domani” chiede John
“Ho chiamato io l’ispettore, per accelerare le cose, perché è vero, l’agguato avrebbe dovuto essere domani per la corsa, ma Thomas è stato così gentile da ospitarmi a casa sua e io ne ho approfittato” . Piango a dirotto, sperando che Thomas sia ancora vivo.
“Okay, quindi adesso dov’è?” domanda Arthur
“Lo hanno portato in prigione, ma Campbell vuole ucciderlo entro domattina”
“Cazzo…” esclama Polly preoccupata, mentre prende a mangiarsi le unghie dal nervoso. Pensa a un piano, glielo leggo negli occhi. “Okay, allora ho un’idea che potrebbe funzionare. Olivia, prendi questa” dice dandomi la sua pistola “tu, John e Arthur correte al distretto di polizia e cercate di prendere tempo. Io invece farò una chiamata a Churchill.” Winston Churcill ci avrebbe aiutato? Forse Thomas non vive completamente nel mondo dell’illegalità!
 
Arrivati al distretto di polizia due guardie ci ostacolano il cammino che Arthur e John  mettono regolarmente al loro posto facendo il nome dei Peaky blinders e io sono così fortunata ad avere loro al mio fianco. Sistemate le guardie proseguiamo verso le celle sottostanti e man mano che scendiamo le scale sentiamo delle voci. La più riconoscibile è quella dell’ispettore, che chiede insistentemente “Che effetto fa? Lo senti il dolore, Shelby? Lo senti quanto fa male?”. Si sentono rumori di percosse, di urla rauche ma strazianti, di colpi di tosse soffocati. Corriamo verso i suoni e troviamo l’ispettore Campbell sull’uscio di una cella, in cui è intrappolato Thomas con un paio di poliziotti armati che lo stanno massacrando. La scena è indescrivibilmente dolorosa. Thomas ha le braccia legate alle sbarre ed è in ginocchio, con la testa bassa, in una pozza di sangue. Respira a fatica e in maniera irregolare con rantoli e sibili perché è esausto, allo stremo delle forze. Arthur e John sono sbalorditi e ammutoliti, io invece mi porto una mano alla bocca e sconvolta riprendo a piangere. Corro verso di lui, nella cella, devo toccarlo, devo aiutarlo, devo dirgli che lo amo e che sono stata una stupida a schierarmi con Campbell. Ma non riesco a raggiungerlo perché proprio l’ispettore mi si para davanti e mi ostacola come un muro insormontabile dal vederlo. Urlo il suo nome, ma lui sembra non sentirmi, e la testa rimane bassa.
“Lasciami andare brutto bastardo!” grido all’ispettore divincolandomi dalla sua presa per cercare di spostarlo.
“Hai fatto la tua scelta, Olivia, ormai è tardi!” risponde lui calmo, mentre John e Arthur sfoderano le loro armi contro di lui “Se fossi in voi non lo farei” avvisa loro in tono sempre molto pacato. “Ci sono due guardie appostate alle vostre spalle che vi tengono sotto tiro, al minimo movimento brusco vi spareranno” precisa.  Ho un brivido di paura. Ma sono armata, devo solo cercare il momento giusto.
“Tom, ti prego, resisti!” lo supplico osservando quel corpo ormai al limite che inizia a barcollare. Una guardia gli si accanisce contro e gli sferra un calcio nell’addome. Thomas tossisce e cade definitivamente a terra privo di forze. Sembra non respirare. John e Arthur gridano, sbraitano ma anche loro non possono fare niente. Ad un certo punto colta da uno scatto di ira spingo l’ispettore lontano da me, estraggo con un movimento fluido la pistola nascosta nella fondina posta a mo’ di giarrettiera e punto al ginocchio dell’ispettore. Poi sparo e mi precipito da Thomas. Le guardie sono allibite e nel frattempo John e Arthur puntano le loro quattro armi- due per ognuno- contro di loro. Mi inginocchio prendendo sulle gambe il corpo di Thomas. Ha gli occhi chiusi e il viso ricoperto di sangue, ma respira, anche se flebilmente. I lineamenti non sono più riconoscibili, ha un occhio gonfio, un taglio sulle sue bellissime labbra, e il sangue cade a fiotti da naso e bocca. Gli do un bacio sulla testa  e provo a chiamarlo sussurrando il suo nome. Lacrime amare precipitano dalle mie guance al suo viso, sciacquando via un po’ del rosso rubino.
“lily” bisbiglia lui con non poca fatica aprendo a malapena gli occhi in una fessura.
“Shh non dire niente, ti porteremo fuori di qui!” lo rassicuro io e non ho il tempo di dirgli più niente perché..
“Olivia attenta!” mi urla John e non ho il tempo di voltarmi di spalle che Campbell mi punta la pistola dietro la nuca. Non mi muovo. Thomas urla a stento un “lasciala” che naturalmente l’ispettore non ascolta.
“Bene, bene, bene, adesso che fai?” chiede lui, sadico.  “Questa situazione mi ricorda qualcosa, no Thomas? La ucciderò alle spalle come tu hai fatto con mio figlio. E tu sarai costretto a guardare come io ho fatto con lui. Conterò fino a tre. Uno….” Ansia alle stelle, respiravo veloce, ma sorridevo a Thomas cercando di dargli coraggio. “due…” 
“Thomas, ti amo! “ gli sussurro e vorrei baciarlo, fargli capire che il nostro amore sarebbe stato più forte di qualsiasi cosa, ma non faccio niente se non chiudere gli occhi. “tre…”
“Ispettore!!! Ispettore!!”
Non ci fu nessuno sparo. Non appena sento la voce di una guardia che chiama  Campbell  tutta agitata apro gli occhi.
“Ispettore, ha chiamato Churcill” dice la guardia ansimando con il fiatone “è di là al telefono.” Campbell non risponde, mentre io sorrido compiaciuta. Polly ce l’aveva fatta.
“Vogliate scusarmi un momento? Olivia, ti sparerò tra pochissimo” mi minaccia lui, ma so che non lo farà. Sicuramente Churchill minaccerà di arrestarlo e condannarlo alla pena di morte se solo si azzarda a sfiorare me o gli Shelby. L’atmosfera rimane calma per non più di tre secondi poi..
“John ora!” ordina Arthur e insieme fanno partire dei colpi ben mirati che uccidono tutte e quattro le guardie. Poi si precipitano da me.
“Fratellino, adesso ti portiamo all’ospedale” John e Arthur prendono in braccio Thomas e procedono verso l’uscita nascosta del distretto, di cui io ignoravo l’esistenza. Usciamo fuori. L’aria di Birmingham adesso mi piace, sa di buono, di sicurezza, sa di casa. Polly ci aspetta con l’auto parcheggiata. Saltiamo su, direzione ospedale. Thomas, resisti!
 
La stanza dell’ospedale è spaziosa, il pavimento è a scacchiera ed è lucido, come i nostri occhi in attesa che Thomas si svegli. Siamo intorno al suo letto e guardare il suo volto, ripulito dal sangue, ma tumefatto dai lividi, è doloroso. Ha delle bende che gli coprono il petto, proseguono anche dietro la schiena e poi di nuovo avanti lungo il torace che si abbassa e si alza ad ogni suo più lieve respiro. Arthur e John sono in piedi dal lato opposto al capezzale del letto. Il più grande trema nervoso, con gli occhi fissi su Thomas, mentre il più piccolo, mastica inquieto la punta di legno del fiammifero. Polly invece, da braccio destro quale è, è seduta accanto a lui. Lo guarda con occhi pieni di pena, sofferenza, è preoccupata eppure ha un mezzo sorriso speranzoso stampato sulle labbra. Forse il suo lato più malleabile è ottimista e si augura che Thomas si svegli da un momento all’altro. Infine ci sono io, seduta accanto a lui sul letto, dal lato del suo cuore. Gli accarezzo i capelli scuri, in netto contrasto con i suoi occhi, in un gesto meccanico ma carico di sentimento. Gli sussurro parole dolci, mentre cerco di trattenere invano le numerose gocce calde e salate che precipitano giù dalle mie guance. Non facevo che ripetermi che è stata tutta colpa mia, che ho messo io Thomas nei casini per un mio stupido desiderio di vendetta. Non merito di averlo accanto, lui che si è fatto in quattro per me, che ha insistito a fin di bene perché io sapessi la verità, che mi ha ospitato senza indugi quando non sapevo dove andare, che mi ha salvato la vita entrandoci a spada tratta, coraggioso e senza timore di farsi male. “Lily, noi torniamo a casa, abbiamo degli affari da sistemare, torniamo tra poco” mi avvisa Arthur gentile. Il mio Tom, adesso giace inerme su un letto di ospedale, e io non posso far altro che pregare forze oscure e misteriose affinché si svegli.
 

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Capitolo 9
*** Saved ***


TOM’S POV
È tutto buio intorno a me, tutto nero. Sono seduto o sto fluttuando nel vuoto? Una luce mi illumina dall’alto e alzo con cautela la testa, ma sono costretto a riabbassarla subito perché ne rimango accecato. Non si sentono rumori, al di fuori del mio respiro. Ho freddo, devo andarmene via di qui. Provo ad alzarmi in piedi e capisco che mi trovo su una superficie stabile. Cammino, ma man mano che vado avanti mi rendo conto di allontanarmi dalla luce e ho paura. Ho paura che i miei demoni spuntino all’improvviso dalle tenebre e mi prendano con loro. E non potrò più rivedere la mia piccola Lily. Poco fa ero poggiato sulle sue gambe, e lei piangeva, soffriva. Mi ha detto che mi ama e io non ho avuto neppure la forza di ricambiare le sue parole. Devo tornare da lei. Sento delle parole, e riconosco la sua voce, mi dice “Tom, risvegliati” “Scusa!”. È lei, è proprio lei. Come faccio a tornare, forse devo andare verso la luce. Torno indietro, ma la voce di Lily si allontana. Capisco che non devo andare indietro, ma immergermi nell’oscurità. Nervoso mi accendo una sigaretta. Aspiro, ma non produce fumo. Dove diamine sarò finito? Ricordo solo che gli uomini di Campbell mi hanno pestato. Ricordo il nome di Churcill. Poi più niente e mi sono trovato qui. Forse sono morto. Ma come faccio a sentire la voce di Lily allora? “Tom, apri gli occhi” continua a dirmi lei. Quanto vorrei accontentarti mia dolce Lily. Finisco di fumare, anche se non mi sento molto soddisfatto e non ho visto neanche una lieve scia di fumo propagarsi dalla sigaretta. Prendo un respiro e inizio ad allontanarmi dalla luce per seguire le parole di Olivia. Ora è buio pesto e cammino a tentoni, sperando di non trovare ostacoli. A un certo punto sento delle esplosioni. Sono bombe. Cazzo, la guerra. Corro perso nelle tenebre cercando di allontanarmi da quel suono, ma al contrario mi avvicino sempre più. Urlo, in preda al panico, sentendo il fracasso sempre più vicino a me. Mi tappo le orecchie premendoci sopra le mani, ma niente può impedirmi di sentire, di ricordare tutte le urla di quei soldati che adesso non ci sono più. Nonostante il rumore assordante, continuo a sentire la voce di Lily “Tom, vieni da me”. Cerco di concentrarmi su di essa, mettendo da parte le bombe, il cui suono per un istante sembra acquietarsi, fino a scomparire del tutto. Mi fermo. Non sento più niente. Provo a gridare il nome di Olivia “Dove sei?” chiedo a voce alta. “Sono qui” mi risponde e questa volta sento una voce chiara alle mie spalle. Mi volto in fretta e lei è di fronte a me, con il vestito rosa antico che ha indossato a casa mia la sera dell’agguato di Campbell. È bellissima, mi sorride e si avvicina a me. Io non dico niente, esterrefatto ma sollevato di condividere con lei l’oscurità. Siamo a un paio di passi di distanza, ora ad uno. Sento il suo profumo di lavanda, poi il suo tocco delicato sul mio volto. Le nostre labbra si avvicinano e…mi spinge all’improvviso sparandomi alla fronte. Sento di perdere sangue, mi tocco il punto nevralgico, ma le mie mani non si sporcano, e non sento neanche il buco del proiettile. Mi alzo in fretta in piedi ma Olivia non c’è più. Provo a richiamarla “Lily, dove sei!?” e grido arrabbiato, infuriato con me stesso per averla fatta avvicinare troppo a me. Forse ho sbagliato con lei, forse non devo neppure seguire la sua voce. E allora che devo fare? Continuo a vagare nel buio, sperduto, ormai stanco. Voglio tornare verso la luce, ne ho abbastanza. Ma proprio mentre sto per tornare indietro sento un’altra voce, sempre delicata, sempre femminile, ma non è quella di Olivia. Mi chiama “Thomas, amore mio” la riconosco e le vado incontro, è  mia mamma. “mamma dove sei?” chiedo, guardandomi intorno spaesato non vedendola. “Non puoi vedermi, ascolta ciò che ti devo dire, ti prego è importante” Ho il cuore in gola, ma rimango zitto, con le orecchie aperte e attente “Metti da parte i tuoi ricordi e ragiona. Allontanati da chi ti ha tradito e rimani accanto alla tua famiglia. Sarà la tua forza quando gli affari si espanderanno!”
“Mamma, che stai dicendo? Io amo Olivia, la amo profondamente, ne sono certo!”
“La famiglia, non allontanarti dalla tua famiglia!” ripete lei a mo’ di cantilena. Grido “Mamma! Torna qui” ma lei non torna e io sono sempre più confuso. Allora Scappo, decido di andare incontro alla luce, e quel che sarà. La vedo, lontana ma la vedo. Corro, corro, mi avvicino sempre di più sempre di più, e quando sono a un passo da lei sento mancare la superficie sotto ai miei piedi. Precipito non so dove, grido nel panico più totale ma la mia voce non esce, non mi sento, urlo, ma spreco solo fiato. Adesso mi schianterò, qualcuno mi aiuti. “Mamma!” “Olivia” “John” “Arthur” “Zia Polly”, ma nessuno mi risponde e quando dirigo lo sguardo verso il basso, sperando di non precipitare e di non sfracellarmi contro il suolo, vedo un pavimento a scacchiera. Sento di nuovo la voce di Olivia. “Thomas! Sei vivo!” esclama mentre mi giro di scatto verso la mia sinistra e la trovo proprio seduta accanto a me. Mi bacia. Il tocco delle sue labbra morbide e sottili sulle mie è una boccata di ossigeno a pieni polmoni. Mi è mancata così tanto, e adesso l’avrò per sempre con me.
 
“Thomas, sei vivo!” esclamo a gran voce, assaltando le sue labbra in preda all’euforia. Thomas ricambia il mio bacio ed è così inebriante il sapore delle sue labbra che vorrei non staccarmi più da lui. Lo  stringo in un abbraccio rassicurante per entrambi e risentire la sua muscolatura, seppur bendata, mi provoca un brivido d’eccitazione. “Come ti senti?” gli chiedo lasciandogli finalmente il tempo di respirare.
“Alquanto bene, anche se ho dolori sparsi in tutto il corpo” mi risponde tranquillizzandomi
“Mi prenderò io cura di te adesso, non preoccuparti!” gli dico sorridendogli e accarezzandogli il volto, ma vedo un lampo passare di sfuggita nei suoi occhi. Sto per chiedergli spiegazioni, quando dalla porta entrano Polly, John e Arthur, che non appena vedono Tom sveglio, corrono verso di lui felici e sorridenti. Anche Tom sorride in risposta e torna a sembrarmi quel bambino libero e spensierato di quella sera, quando abbiamo fatto l’amore. La sua famiglia prende a parlargli di affari, di Churchill, di Campbell.
“Tom, nostra zia è davvero un genio!” esclama Arthur poggiando un braccio sulla spalla di Polly
“Ah, si? Perché?” chiede Tom, ormai arzillo e pimpante per la sua famiglia
“Ho chiamato Winston Churchill per spiegargli che uno dei soldati più valorosi della prima guerra mondiale, è stato minacciato e sequestrato da un ispettore irlandese di nome Campbell” racconta la zia Polly, mentre i tre fratelli ridono divertiti
“hai detto proprio così?” chiede Tom incredulo
“Sì, diciamo di sì…” risponde sorridendo ma lanciandomi un’occhiata fugace ma fulminante che non riesco a interpretare.
“E quindi? Ora che faranno a Campbell?” domanda John, mentre offre una sigaretta a suo fratello allettato.
“Campbell ritornerà nella sua amata Irlanda, e se si avvicinerà di nuovo a Thomas o a uno di noi, finirà subito in galera, anche se prima ha un conto da saldare”  Uno di noi…chissà se anche io sono ormai entrata a far parte di questa strana ma affiatata famiglia Shelby. Mi piacerebbe così tanto essere accolta da loro tutti, soprattutto da Polly, la cui benedizione significherebbe tanto per me ma soprattutto per Thomas, anche se a giudicare dall’occhiataccia che mi ha indirizzato, non credo sarà facile farmi accettare da lei.
Thomas ringrazia sua zia con uno sguardo sincero. E lei ricambia baciandolo sulla fronte, una scena tutto sommato tenera, nonostante Arthur e John che scimmiottano alle loro spalle come due bambini birichini.
“Bene famiglia, adesso ho bisogno di un paio di minuto per parlare con la signorina Stone, potete lasciarci soli?” chiede cortesemente il soldato ferito, mentre ultima la sua sigaretta. È ironico, quasi difficile da credere, come Thomas si preoccupi di fumare anche in un momento del genere, dopo che le guardie di Campbell si sono divertite a rompergli le varie ossa del corpo.
“Vai Tom, dacci dentro!” incoraggia John, beccandosi uno schiaffo alla nuca da Arthur, mentre io trattengo a stento una risata divertita. I famigliari escono in fretta, lasciando me e Thomas in un iniziale silenzio imbarazzante.
“Olivia io ti amo” mi dice all’improvviso, senza esitare o balbettare. Una scia di parole diretta al cuore e per quanto banale possa essere il paragone, è ciò che ho sentito. Il battito accelera repentinamente, ma questa volta devo rispondergli. Mi sta guardando come in attesa e io non voglio più farlo aspettare.
“Anche io Thomas” rispondo semplicemente, dandogli un bacio a stampo veloce ma dolce. Una lacrima mi scappa dall’occhio destro e scorre veloce giù per la guancia fino a toccarmi le labbra. Poi ne scende un’altra e un’altra ancora. Thomas mi guarda con lo sguardo interrogativo. “Mi dispiace così tanto, è stata tutta colpa mia!” dico annaspando nel pianto e coprendomi istintivamente il viso con le mani, cercando di nascondere invano i miei singhiozzi. Thomas allunga una mano e mi accarezza la testa, poi cerca di scoprirmi il volto.
“è colpa di entrambi, l’importante è che sono vivo no?!” mi dice in tono docile, ma non basta per farmi sentire meno in colpa.
“Tom, non te lo meritavi, se solo avessi…”
“Lily, non c’è posto per i se, la storia è andata così, dobbiamo andare avanti, e lo faremo insieme!”
“Me lo prometti, Tom?” lo prego con gli occhi, prego che sia di parola, che non mi abbandoni mai, perché ormai ho capito che lontana da lui non so stare.
“Te lo prometto” mi dice con lo sguardo serio, gli occhi azzurri carichi di impegno e determinazione. Mi sento subito sollevata.  “Vieni qui” mi esorta, facendomi spazio nel piccolo lettino. Mi sdrai accanto a lui emi  poggio, sul suo petto. Sento il suo cuore che batte regolarmente e così il suo respiro. Il mio Tommy è salvo e fuori pericolo e adesso ci aspettano tante avventure da vivere insieme. Gli do un bacio sul collo, morbido, bianco e al profumo di tabacco. Mi rannicchio accanto a lui e chiudo gli occhi, dolcemente cullata dal pensiero che da ora in poi la nostra vita sarà per sempre rosa e fiori.

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


“Olivia Stone, sei in arresto”
Sento una voce imperiosa che mi fa svegliare di soprassalto. Apro gli occhi e penso di essere intrappolata in un sogno, quando vedo sull’uscio della porta della camera d’ospedale di Thomas, un poliziotto alto e robusto che guarda verso di me.
“Sei in arresto per rapimento e associazione a delinquere” continua il poliziotto, mentre nella stanza ne entrano altri due che a passo svelto si avvicinano a me. Chiamo subito Thomas che si sveglia spaventato almeno quanto me. Agitata cerco di capire la situazione, ma proprio non ci arrivo. Rapimento di chi? Associazione a delinquere? Non ho fatto niente. Le due guardie mi intimano di alzarmi, ma Thomas mi prende per una mano. Lo guardo supplicandolo di aiutarmi ma anche i suoi occhi sembrano chiedermi che stia succedendo. Mi costringono a staccarmi violentemente dalla mano di Thomas e mi mettono le manette. Il ferro ghiacciato sui miei polsi mi raggela e mi fa subito capire cosa deve essere successo. Polly mi deve aver incastrato, ecco a cosa era dovuta l’occhiataccia. Il mio sesto senso è convinto che è lei la responsabile e che lo ha fatto solo per dividermi da suo nipote, che adesso urla ai poliziotti di lasciarmi. Loro non mi lasciano, anzi mi prendono sotto le braccia e mi costringono a seguirli e ad abbandonare Thomas, che vorrebbe alzarsi per salvarmi, ma non può fare nulla.
“Thomas, aiutami” lo supplico rivolgendogli un ultimo sguardo implorante, e lui promette che troverà una soluzione. Gli credo, mi ama e sono sicuro farà di tutto per liberarmi. Esco dalla stanza, rivedo John e Arthur che mi guardano sbalorditi…e poi c’è Polly
“Dove la portare?” chiede incredulo John

“Nel centro di detenzione femminile, signor Shelby” risponde uno dei tre poliziotti mentre io guardo sdegnata il ghigno beffardo e soddisfatto della vecchia Polly. Non dico nulla…a che servirebbe? In un mondo dove le ingiustizie sono tante e gli innocenti sono costretti a pagare per i colpevoli, è meglio rimanere in silenzio. E io è proprio così che rimango, muta come un pesce, con la vivida speranza che il mio Thomas venga al più presto a salvarmi.


NDA: spero nessuno cominci ad odiarmi dopo questo finale piuttosto "in sospeso". Fatemi sapere se siete curiosi di un eventuale prosieguo, Tom riuscirà a liberare Olivia?

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