Like a soldier with no cause to fight

di Miss All Sunday
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Midnight ***
Capitolo 2: *** Dawn ***
Capitolo 3: *** Zenit ***
Capitolo 4: *** Nightfall ***



Capitolo 1
*** Midnight ***


Midnight 


Era l’ennesima volta in quei dannati quarantacinque minuti che l’uomo si trovava costretto a soffocare un grido di dolore. Uno del suo calibro era stato addestrato a resistere persino alle peggiori torture, eppure il suo aguzzino sembrava spinto ad agire da qualcosa di molto più profondo, molto più viscerale. Era nervoso, questo era evidente, ma la cosa che più di tutte lo stava preoccupando era il suo sguardo. Spento, come se non fosse toccato da ciò che stava accadendo. Per esperienza aveva capito che un uomo simile non si sarebbe fatto alcun problema a ricorrere a ogni metodo possibile per raggiungere il proprio scopo; nulla l’avrebbe fermato.

Non poteva fargli notare di star cedendo altrimenti, ne era certo, avrebbe calcato la mano fino al limite per farlo parlare.

Si era quindi pulito la bocca da un rivolo di sangue sulla spalla della sua giacca scura. Gli aveva sorriso, prima di sputargli addosso macchiando ulteriormente la camicia, un tempo bianca, del suo interlocutore. Quest’ultimo si era slacciato con tutta calma i bottoni delle maniche per poter essere più libero nei movimenti. 

L’aveva colpito sul viso una volta, poi un’altra e un’altra ancora fino a rischiare di far cadere la sedia sulla quale la sua vittima si trovava. Aveva fatto scroccare le dita, dopodiché aveva sfogato la sua rabbia sulla porta della piccola stanza del motel in cui si trovava.

In altre occasioni avrebbe avuto da ridire sull’odore di muffa dell’edificio o sull’orrenda moquette color fango che tappezzava l’intero pavimento. 

In quel momento, però, il suo obiettivo era l’unica cosa a cui riusciva a pensare.

“Non sfidarmi! Ora parla!”

Non gli interessava se stesse urlando; in quell’assurdo buco dimenticato dal mondo nessuno faceva domande.

L’uomo, con ancora le mani legate dietro la sedia, non aveva nemmeno provato a fingere interesse. Aveva piuttosto voltato la testa verso il letto della camera su cui il suo aguzzino aveva buttato la giacca.

“Peccato amico, un completo del genere sprecato in un posto schifoso come questo.”

Clint si era costretto a soffocare l’impulso di ucciderlo lì seduta stante. Si era invece messo a camminare avanti e indietro di fronte all’uomo. Questi aveva il labbro rotto e la barba folta, ma l’arciere aveva visto chiaramente un sorriso farsi strada sul suo volto.

“D’accordo, non vuoi dirmi perché l’hai fatto? Sai che ti dico? Non mi interessa, rimpiangerai di esserti messo sulla mia strada fosse l’ultima cosa che faccio!”

“Tu non sai di cosa stai dicendo. Non ti dirò nulla, mi spiace amico ma hai fallito.”

L’ultima parola volutamente calcata.

“Sei solo l’ennesimo esaltato che crede di fare l’eroe, sappiamo bene entrambi che lo S.H.I.E.L.D. non tollera la tortura. Ti ho riconosciuto sai? Ricordo di averti visto in televisione insieme all’assassina che ha fatto quella strage a Lagos. Solo un’organizzazione come la vostra potrebbe accogliere gente come lei.”

“Ora basta!”

Aveva estratto la pistola che si trovava nella fondina nascosta sotto la camicia. Con un colpo secco la sicura era stata tolta. Aveva puntato l’arma verso il suo interlocutore.

“Non mi ucciderai...“

L’urlo dell’uomo era stata seguito da una serie di imprecazioni rivolte a Barton. La gamba aveva iniziato a  sanguinare copiosamente.

“Non voglio di ucciderti, non sarebbe divertente. Ora dimmi, dove si trova Maya Lopez?”

L’uomo aveva completamente cambiato espressione. Stava sudando freddo e implorava il suo aguzzino di risparmiarlo. Aveva capito di essere arrivato al capolinea, il punto in cui cedere sarebbe stata la sola possibilità di uscirne vivo.

“Non so di chi stai... stai parlando, lo giuro! Non ne so niente!”

Clint aveva poggiato l’arma sul letto ben lontana da loro per evitare spiacevoli risvolti. Poi era tornato sui suoi passi, esattamente dove si trovava poco prima. Aveva premuto la mano sulla ferita facendo imprecare nuovamente il suo interlocutore. Si era concentrato per un attimo sul palmo sporco di sangue poi, con una calma che avrebbe spaventato chiunque, l’aveva poggiato sul volto dell’uomo che aveva tentato inutilmente di divincolarsi. 

L’arciere aveva osservato per qualche secondo, l’impronta scarlatta spiccava sulla pelle della sua vittima. Si era abbassato sulle ginocchia per poter puntare gli occhi dritti nei suoi. Il tono della sua voce era basso e pacato.

“Ora ricordi?”

Aveva sentito l’altro deglutire rumorosamente, mentre le gambe avevano iniziato a tremargli.

“L’hanno presa loro! L’hanno presa loro!”

“Loro chi?”

“La Yakuza!”

“D’accordo. Chi oltre a te e a loro sa del rapimento?”

“Nessuno, lo giuro!”

“Dimostralo.”

L’uomo, rivelandosi un codardo della peggior specie, aveva iniziato a snocciolare nomi come fossero una filastrocca della quale cercava di ricordare ogni singola parola. 

L’arciere aveva sorriso per un istante. Non seppe dire se per la facilità con cui l’altro aveva parlato o per lo sdegno di constatare che quello che aveva di fronte non era altro che un verme che avrebbe tradito chiunque pur di aver salva la propria vita.

“È un peccato, credevo foste organizzati meglio. Voglio dire, nascondere Maya in un edificio controllato da così poche guardie... sono d’accordo sul portarla fino a Tokyo, ma si poteva fare decisamente di meglio.”

“Come fai a sapere dove si trovava? Nessuno lo sapeva e nessuno lo ha scoperto, tranne... no... non è possibile!”

L’uomo aveva iniziato ad agitarsi e, nonostante la ferita alla gamba, aveva cercato inutilmente di divincolarsi per riuscire a fuggire in qualche modo.

Barton aveva raggiunto il suo obiettivo. L’esatto momento in cui il suo interlocutore aveva capito chi avesse davanti. Non un agente dello S.H.I.E.L.D. e nemmeno una qualche guardia di Kingpin mandata per la ragazza. L’ex artista circense sapeva bene che la sua vittima non ci avrebbe messo molto prima di unire i puntini.

Aveva visto il moro recuperare un certa sicurezza; forse l’aveva sopravvalutato.

“Solo una persona è riuscita a scoprire dove si trovasse la ragazza! Come fai a conoscere quell’uomo? Fa parte anche lui della vostra organizzazione? Beh in quel caso digli che ha un bersaglio sulla schiena. La Yakuza lo troverà e lo ucciderà. Nessuno può mettersi contro di loro! È solo uno stupido se crede il contrario!”

Clint aveva fatto scoccare la lingua prima di alzarsi e dirigersi verso il letto matrimoniale che si trovava nella piccola stanza. Aveva recuperato una valigetta nera appoggiata sul comodino di legno ormai roso dai tarli. 

Aveva fatto scattare le chiusure in metallo.

L’uomo non poteva vedere cosa ci fosse al suo interno a causa del biondo che gli bloccava la visuale dandogli le spalle.

“Sai, tutti hanno un’arma preferita. C’è chi si affida alle buone e vecchie pistole. Chi azzarda con un arco. Ho persino conosciuto un uomo che si era creato un’armatura. C’era anche una donna...” Aveva fatto una pausa. “Lei era considerata di per sé un’arma.”

Aveva estratto qualcosa.

“Comunque, la Yakuza, eh? Evidentemente non hai ancora capito. Io so tutto. So che ti hanno detto di mentire su chi ha rapito Echo. La Mano... e io che pensavo che chiamare un’organizzazione mondiale con un’assurda serie di parole in modo che l’acronimo risultasse Scudo fosse una cosa idiota.”

L’uomo, se possibile, era impallidito ancora di più. Clint avrebbe giurato di averlo sentito deglutire a vuoto.

“Come sai...”

“Che sono stati loro?”

Si era voltato verso di lui. La katana che aveva in mano luccicava persino sotto la pessima luce giallastra della camera. I flebili raggi solari dell’alba iniziavano a filtrare tra le persiane dell’unica finestra della stanza. 

“Sei tu...”

“Signori, abbiamo un vincitore!”

“Lasciami andare o giuro che...”

“Che cosa? Avanti dillo!”

“Ti troveranno e ti uccideranno!”

Aveva sorriso prima di passare il pollice sulla lama della sua arma per pulire un macchia che in realtà non c’era.

“Mi spiace dovertelo dire prima della tua esecuzione, ma avete scelto l’obiettivo sbagliato. Per vostra sfortuna lei sta bene ed è sotto la nostra protezione. Echo era sopra le vostre possibilità...”

Si era avvicinato al suo interlocutore in modo che le parole successive che gli avrebbe sussurrato arrivassero forte e chiaro.

“Sono tutti morti. Sei l’unico rimasto, ma ancora per poco. Saluta i tuoi amici all’inferno da parte di Ronin.”

Si era alzato spinto da un’estrema calma che cozzava con le grida e i tentativi disperati della sua vittima che provava ancora una volta a liberarsi. 

Aveva emesso un respiro profondo, puntato l’arma al petto dell’uomo e chiuso gli occhi per un istante. Era pronto a mettere la parola fine alla sua personale missione che per mesi l’aveva tormentato.

Quando il suo sguardo aveva incrociato per l’ultima volta quello del moro, quest’ultimo aveva visto solo una cosa: morte.

Aveva spostato la katana pronto a colpire, non avrebbe sbagliato. Quando la lama aveva appena iniziato a lacerare la pelle dell’uomo un urlo aveva squarciato la pesante cappa di silenzio che aveva permeato la stanza.

Era stata una frazione di secondo.

Barton era stato violentemente scansato lontano e con lui la sua arma, la cui lama era appena sporca del sangue dell’uomo che ora sedeva a peso morto sulla sedia.

Le spire scarlatte che bloccavano Clint avevano stretto per un attimo la presa prima di lasciarlo andare. 

“Direttrice Hill, l’abbiamo trovato.”

Aveva poggiato una mano sul collo dell’uomo ancora incosciente.

“Direttrice, mi riceve? Sono l’agente Palicki. Confermo che Arthur Perry è vivo... come? Certo glielo dico subito. Agente Maximoff? Maria vorrebbe parlarle.”

Wanda si era limitata ad annuire prima di accendere con un leggero tocco della mano l’auricolare che aveva spento poco prima quando aveva stabilito il silenzio radio. Aveva inchiodato Barton al muro con lo sguardo prima di parlare.

“Si confermo, Perry è qui.”

Non aveva staccato gli occhi da Clint.

“No, no era solo. Devono averlo trovato quelli della Mano date le sue condizioni. Sì d’accordo lo faccio portare subito alla base.”

Aveva chiuso la conversazione mentre, con qualche breve parola, aveva dato il via libera all’agente, che ancora si trovava accanto ad Arthur intenta a prestare il primo soccorso, di occuparsi del suo trasferimento. 

Prima che la ragazza uscisse, Scarlet Witch l’aveva fermata.

“Mi raccomando, massimo riserbo.”

In tutta risposta la bionda aveva annuito convinta per poi lasciare per qualche minuto la stanza.

La Vendicatrice si era poi appoggiata con la schiena allo stipite della porta in attesa che Palicki e un altro agente, chiamato da quest’ultima per avere aiuto, lasciassero il piano di quel motel insieme a quello che a tutti gli effetti era appena diventato un soggetto sotto la custodia dello S.H.I.E.L.D.

Finalmente la mora aveva lasciato quella posizione chiudendosi la porta alle spalle, mentre Barton, ancora seduto a terra contro il muro, se ne stava in silenzio con la katana ai suoi piedi.

“Hai intenzione di startene lì per sempre? Dannazione Clint, ti ho appena evitato l’ennesimo richiamo nel giro di tre mesi dalla Direttrice, un omicidio sulla coscienza e magari un suicidio a tutti gli effetti. Che diavolo ti è passato in mente? Sai bene che Maria ha detto che quell’uomo è probabilmente l’unico aggancio con la Mano e tu che fai? Tenti di ucciderlo? E per di più sparisci come se nulla fosse lasciando in pensiero me, Laura e i ragazzi. Ho dovuto dire a tua moglie che eri in missione per conto nostro! Che avrei dovuto fare se ti fosse successo qualcosa? Clint parla! Dimmi qualcosa!”

Il biondo di era alzato e aveva recuperato la lama per poi passarla sulla manica sporca della camicia per togliere alcune macchie di sangue. 

A quella reazione Wanda aveva mandato al diavolo ogni buon senso. In pochi passi aveva azzerato le distanze fra loro sbattendolo contro la parete e bloccandolo con l’avambraccio premuto sul collo. 

L’arciere non aveva nemmeno provato a difendersi. Sembrava un fantoccio, il guscio vuoto di quello che fino a poco tempo prima era stato un fratello per lei. Aveva capito, però, che quello che per lei era poco tempo, racchiudeva ben cinque anni. Anni in cui il mondo di Clint era andato letteralmente in polvere.

Qualche istante dopo l’arciere si era deciso ad alzare gli occhi per incontrare quelli della ragazza. Con una mano aveva spostato il braccio di lei, che non aveva opposto alcuna resistenza, per poi superarla e lasciarsi cadere a peso morto sul letto che aveva cigolato. 

Aveva poggiato i gomiti sulle gambe e si era nascosto il viso tra le mani per alcuni secondi, come se volesse provare a soffocare tutte le emozioni che stava provando il quel momento. 

Quando aveva cercato nuovamente con lo sguardo la mora sembrava aver ritrovato una certa lucidità.

“Perché sei qua? Quell’uomo doveva morire per ciò che ha fatto. Dovevo vendicarla e tu me l’hai impedito.”

Aveva un tono pacato, ma traspariva tutta la sua frustrazione.

“L’abbiamo arrestato, non potrà comunque andare da nessuna parte.”

“Io non voglio che lo arrestino! Così prima o poi sarà libero, lui invece deve pagare!”

Wanda aveva addolcito il suo tono e gli si era avvicinata sedendosi accanto a lui.

“Clint, tu non sei un assassino.”

A quelle parole il biondo era scattato. La fronte corrugata a causa della rabbia.

“No è lui l’assassino! Lo sapevo che Maya non era morta senza motivo. È sempre colpa di qualcuno, se non c’è un colpevole che senso ha morire? Ma questa volta c’è e deve pagare!”

Scarlet Witch aveva fatto una pausa colpita dalle sue parole. Aveva cercato il modo più adatto per proseguire, ma prima si era inumidita le labbra per prendere altro tempo. 

“Clint, non è Maya quella che è morta. Natasha è morta, ma non è punendo quell’uomo che la riavrai indietro.”

Sono in quel momento l’uomo aveva realizzato ciò che aveva detto ed era crollato come un castello di carte. Le lacrime gli avevano reso gli occhi lucidi. Aveva fatto l’impossibile per resistere e non mostrarsi in quello stato davanti a Wanda che, se possibile, durante la sua vita aveva sofferto persino più lui. Quando però questa l’aveva abbracciato aveva abbassato le difese.

“Come posso riaverla indietro? Perché io non ce la faccio. Perché non sono morto io al posto suo? Che senso ha?”

La mora non aveva risposto limitandosi a quella stretta che lui per primo, dopo il funerale di Pietro, le aveva regalato. Non gli era importato cosa dicessero di lei; del suo passato, dei suoi poteri e di chi dicesse fosse solo un’assassina. 

Capiva come si sentiva in quel momento. Aveva imparato a conoscere Natasha. Si era rivista molto in lei e non era stata una sorpresa che da tre mesi a quella parte si ritrovassero spesso in silenzio di fronte alle tombe della russa e di Pietro. Aveva insistito perché fossero vicini anche nella morte. Dopo gli eventi di Sokovia la rossa si era presa cura di lei a modo suo, con gesti che alla maggioranza sarebbero parsi inutili o di poco conto, come quella giacca scarlatta che ancora costudiva gelosamente. 

Erano stati così per qualche minuto. Il tempo scandito solamente dalle lacrime di Clint che man mano si stava calmando.

“So cosa stai passando. Sappi che se vorrai la mia offerta è sempre valida.”

Il biondo si era scostato.

“So che usando i tuoi poteri potrei dimenticare il dolore che sto provando, ma non posso. Significherebbe dimenticare lei e per Natasha sarei disposto ad affrontare questo e altro. Laura racconta sempre a Nate di quanto fosse forte la zia e di come abbia salvato il mondo e fa lo stesso parlando di Pietro. Ma non dice mai che in entrambi i casi si sono sacrificati per me, sono io la causa delle loro morti.”

A quelle parole Wanda aveva poggiato due dita sotto il mento di Barton obbligandolo così a guardarla dritto negli occhi. Era pienamente convinta di ciò che stava per dire e di questo se n’è accorto anche l’uomo.

“Pietro ha scelto di salvare te e quel bambino prima che...”

Non aveva concluso la frase.

“Non ero lì presente, ma conosco mio fratello, posso immaginarlo mentre vi sorride nel vedervi sani e salvi. Lo stesso vale per Natasha. Da Sokovia fino a prima dello Schiocco posso assicurarti che fosse la persona più testarda che abbia mai conosciuto. Non lo dava a vedere, ma riusciva spesso a far vertere le scelte che prendevamo verso di lei, verso ciò che voleva. Ha scelto di disertare il suo Paese per seguire te. Ha scelto di diventare una ricercata per salvare Steve e Bucky e sono certa che sempre lei abbia preso l’ultima decisione. Non ti avrebbe mai permesso di fare il contrario. Era fatta così. E posso assicurarti che anche lei avrà avuto quel sorriso soddisfatto che aveva mio fratello.”

Clint aveva annuito asciugandosi l’ultima lacrima che aveva tentato la fuga dai suoi occhi e lo stesso aveva fatto Wanda che per non cedere aveva emesso un sospiro profondo per riprendere il controllo. 

L’agente Maximoff aveva fatto scoccare la lingua e riservato al biondo un’espressione gli aveva messo i brividi. Aveva cercato qualcosa in una delle tasche della sua divisa. Il cellulare che aveva estratto era ancora spento così, dopo aver atteso qualche istante che si accendesse. L’aveva passato a Barton che prima si era concentrato su di esso per poi riconsegnarlo alla mora. Aveva scosso la testa.

“Devi rispondere a Ross. È da dodici giorni ormai che prova a contattarti. Alla fine ha chiamato anche me, non ho idea del perché avesse il mio numero.”

“Non esiste. Ho fatto l’errore di ascoltare uno dei suoi messaggi in segreteria. Non posso farlo. Non riesco nemmeno a liberarmi di quell’immagine, del suo ‘va tutto bene’ che mi perseguita e della sua presa che si allenta prima di cadere. Non posso, non ce la faccio.”

“Fossi in te ascolterei l’ultimo messaggio di Isaiah. So che fa male, ma se non lo fai tu, sono certa che prima o poi te ne pentirai. Se lei ha voluto così ci sarà un motivo, ce n’è sempre uno.”

Clint aveva sbuffato prima di afferrare il cellulare e nasconderlo in tasca.

“Non ti prometto nulla.”

L’agente Maximoff aveva sorriso. Si era poi alzata e aveva attivato nuovamente l’auricolare che aveva iniziato a gracchiare, segno che qualcuno stava cercando di contattarla.

“Maria? Sì sì Perry è già diretto da voi, è sul Quinjet con Palicki e Blood, io farò ritorno con la mia auto. D’accordo, domani il rapporto della missione sarà sulla tua scrivania. Agli ordini Direttrice Hill.”

Barton aveva sentito la mora rispondere ad una qualche richiesta di Maria, ma non aveva ascoltato veramente. Infine, non prima di averlo salutato con un leggero bacio sulla guancia, Wanda aveva varcato la soglia della stanza numero 607 del motel Emerson. Pochi minuti più tardi, dopo aver rimesso la katana al sicuro nella custodia, anche Ronin aveva seguito le sue orme.

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Capitolo 2
*** Dawn ***


Dawn

“Barton, questa sarà la ventesima chiamata senza risposta. Giuro che se non alzi questa maledetta cornetta...”

Isaiah Ross aveva ormai raggiunto anche la linea fissa messa a disposizione in ogni safe house dello S.H.I.E.L.D., nello specifico quella in cui Clint aveva fatto ritorno. L’avvocato aveva dato fondo a tutti i mezzi a sua disposizione per poterlo contattare. Stava ancora parlando alla segreteria quando Clint si era seduto sul letto di fronte al dispositivo.

“E va bene, questa sarà l’ultima chiamata che riceverai da parte mia.” L’aveva sentito borbottare qualcosa sul fatto che il tempo per il suo messaggio stesse per scadere. “Ti avviso solo che se entro un’ora non avrò riposta passerò a Murdock e sono certo che lui accetterà. Peccato, credevo che Natasha fosse più sveglia nello scegliere a chi affidare un compito del genere. Fossi stato al suo posto avrei chiamato subito Matt.”

Il biondo si era lasciato cadere supino sul materasso che aveva accusato il colpo cigolando. Era rimasto a osservare per qualche secondo le macchie di umidità del soffitto del vecchio monolocale. Aveva scelto quello perché da anni non veniva più usato e aveva potuto trovare un minimo di pace quando lasciava la sua vera casa per le missioni che lui stesso si commissionava.

Aveva sbuffato esasperato per l’insistenza dell’avvocato. 

Era rimasto ancora qualche minuto disteso sul letto in attesa di qualche segno che gli facesse capire cosa fare. Quando però si era accorto che nulla sarebbe accaduto si era arreso; solo Natasha sarebbe stata in grado di dargli filo da torcere persino da morta.

Aveva recuperato il telefono e composto il numero di Ross che, finalmente, al quinto squillo aveva risposto.

“Oh guarda chi si sente. Se avessi chiamato Matt...”

“Piantala Isaiah.”

“Immagino tu abbia preso una decisone.”

L’uomo, che a tutti gli effetti si era occupato degli affari legali dell’agente Romanova, aveva sentito un sospiro rassegnato dall’altro capo della linea.

“Va bene, accetto.”

“Sono contento di sentirtelo dire. Natalia ha dato istruzioni precise per il suo appartamento. Ogni mese, come da lei stabilito, una quota dei guadagni delle varie missioni o compiti assegnatele prima di essere un‘agente è destinata al proprietario dell’immobile. Le uniche cose che ha lasciato scritte oltre a questo riguardano la sua moto, ma questo già lo sai...”

“Ancora non capisco perché l’abbia lasciata a te.” 

“Questo non è un problema tuo. Per quanto ti riguarda ti basti sapere che ti ha riservato la possibilità di scegliere cosa fare dei suoi oggetti personali. Lascia solo le cose necessarie per permettere che la casa sia vivibile.”

Il biondo si era passato una mano sul viso stanco. Immaginava Nat mentre affidava le sue volontà al legale.

“Posso sapere quando è stato depositato il suo testamento?”

“Quasi quattro anni e mezzo fa.”

Il silenzio che aveva ottenuto come l’aveva fatto preoccupare.

“Clinton?”

“Sì è che... niente lascia stare.”

“Senti, so cosa stai pensando e posso assicurarti che Natalia non ti avrebbe permesso di fare altrimenti.”

“Come scusa?”

“Qualche anno fa, durante il periodo in cui si pensava avesse tradito lo S.H.I.E.L.D., sono stato rapito da Rashid e usato come esca per attirare Vedova Nera nella trappola di chi la voleva morta. Sapeva bene a cosa stava andando incontro; tutto era tranne che una sprovveduta.”
Aveva fatto una breve pausa ricordando ciò che era accaduto.
“Comunque, tornando alle sue volontà, le chiavi del suo appartamento sono al solito posto. Mi spiace, ma adesso ho altre faccende di cui occuparmi. Stammi bene Clinton.”

Aveva riagganciato senza lasciare tempo al suo interlocutore di replicare. Barton si era limitato a recuperare le chiavi della sua auto e aveva lasciato il nascondiglio.

 

 §

 

Trenta minuti dopo.
Little Ucraine.
New York City.

La porta in legno di quell’anonimo condominio di New York era sempre stato l’ultimo ostacolo fra lui e Natasha. Sia che avesse un problema o che volesse solo chiacchierare, lei c’era sempre. Spesso si erano ritrovati fra quelle quattro mura dopo una delle tante missioni in cui, senza troppi giri di parole, lo S.H.I.E.L.D. si giocava il tutto per tutto. Nessun piano B, nessuna possibilità di estrazione in caso di problemi e nessuna esposizione da parte dell’organizzazione.

Per un istante, tanto era stato sufficiente a riportarlo alla realtà, il pensiero di bussare l’aveva fiorato. Era sempre stato così, lui che bussava e lei, non importava che ora fosse, che stesse dormendo o meno, gli apriva per accoglierlo in quello che l’arciere aveva soprannominato ‘il nido della Vedova Nera’. 

Stava per recuperare la chiave, nascosta in una piccola rientranza della parte superiore dello stipite della porta. Aveva già iniziato a tastare la superficie in legno alla ricerca dell’oggetto argentato, quando aveva sentito una serratura scattare alle sue spalle. 

“Oh, Clint scusami, credevo fosse... non so nemmeno io chi credevo che fosse dopo che Natasha...”

Il biondo aveva serrato le labbra, formando una linea sottile, ed espirato dal naso. Si era poi voltato verso la donna di mezza età dai capelli scuri che si trovava sull’uscio del suo appartamento.

“Ana, non sapevo abitassi ancora qui dopo...”

“Dopo che Natasha ha impedito al mio ex marito di ammazzarmi di botte? No, sono rimasta qua, mentre lui, grazie all’aiuto di quell’avvocato amico di Nat, si trova a scontare la pena che gli spetta. Ross ha detto che quando uscirà si occuperà del suo ordine restrittivo. Non ringrazierò mai abbastanza Natasha... scusami, tu devi stare parecchio male e io sono qua a raccon-“

“Non ti preoccupare.”
L’arciere le aveva sorriso.
“Anzi, grazie per esserti occupata della palla di pelo. Tasha te ne sarebbe davvero molto grata.”

La sua interlocutrice gli aveva poggiato una mano sulla spalla per qualche secondo prima di salutarlo con un cenno del capo e rientrare in casa. Barton era quindi finalmente riuscito a recuperare la chiave, inserirla nella toppa e far scattare la serratura. Un brivido gli aveva percorso la spina dorsale. La porta di legno aveva scricchiolato.

Un raggio di luce che filtrava dalla finestra aveva rivelato la danza di qualche granulo di polvere nell’aria. Nonostante quelle quattro pareti non ricevessero visite da più di tre mesi, tutto era in ordine e pulito. 

‘Merito di Ana’, aveva pensato.

Si trovava ancora bloccato all’ingresso quando aveva sentito qualcosa passargli fra le gambe per poi superarlo e, silenziosamente, mettersi una sedia della cucina a lucidarsi il pelo color pece.

Il biondo si era avvicinato a Liho, ma appena aveva allungato una mano per accarezzarlo, questo, dando valore al suo nome, gli aveva soffiato indispettito. Infine aveva deciso di ignorarlo e tornare alla sua pulizia. Clint aveva scosso la testa; certe cose non sarebbero mai cambiate. 

Solo in quel momento si era reso conto di essere finalmente entrato e di aver chiuso la porta alle sue spalle. Un senso di oppressione l’aveva avvolto e aveva iniziato a soffocarlo nelle sue spire. Si era fiondato alla finestra del piccolo salotto, quasi ne andasse della sua vita, e l’aveva aperta facendo circolare l’aria nella stanza e nei suoi polmoni. 

Aveva iniziato a ispezionare la casa. Sembrava uno di quei film in cui il silenzio preannunciava una catastrofe o il finale in cui il protagonista si riunisce con la sua famiglia.

Invece la trama della sua storia si era fermata al silenzio.

Si era lasciato cadere a peso morto sul letto nella stanza, che una volta, era la camera di Natasha. Con un dito il biondo aveva distrattamente iniziato a seguire i segni ben evidenti sulla testata in legno. Gli stessi segni che Natasha aveva sui polsi, ricordi indelebili di ciò che era stata obbligata ad essere.

Quando le aveva chiesto cosa fossero, l’aveva vista abbassare lo sguardo seguito subito dopo dalle maniche del maglione che indossava. Gli aveva sorriso e scosso le spalle per poi deviare il discorso. Solo dopo mesi era riuscito a mettere insieme i pezzi di quel puzzle che era stata la vita della russa e capire cosa fosse accaduto; almeno in parte.

Si era obbligato ad alzarsi per raggiungere la cucina del piccolo appartamento. Senza pensarci troppo aveva aperto la credenza che si trovava di fronte. La bottiglia di vodka l’aveva attirato a sé; Natasha ne aveva sempre una di scorta. Uno dei pochi stereotipi della tua terra natale che non le dispiaceva mantenere, gli aveva detto una sera. 

Si era seduto al tavolo in legno.

Aveva versato un goccio di liquido trasparente per poi alzare il bicchiere. Un sorriso malinconico ad incurvargli le labbra.

“Dlja zdorov'ja!”

Se ci fosse stata Nat lì presente avrebbe sicuramente riso per la sua pronuncia. Quanto lei aveva imparato con nonchalance la lingua dei segni tanto lui faticava con la lingua nativa della ragazza.

Aveva svuotato qualche altro bicchiere, sempre sotto lo sguardo vigile del gatto seduto vicino a lui, per poi decidere di tornare nella camera da letto.

Aveva iniziato ad aprire cassetti e armadi nella disperata ricerca di qualcosa, qualunque cosa. Aveva trovato la felpa che lui le aveva lasciato, anche se in realtà gliel’aveva rubata lei una delle notti che era rimasto a dormire in quella casa; aveva ancora il profumo della russa intrappolato nella propria trama. 

Erano da un paio d’anni partner fissi nelle missioni e, inevitabilmente, si erano avvicinati. Avevano avuto una sorta di relazione, durata solo pochi mesi, fino a quando entrambi avevano capito che il loro legame andava ben oltre l’attrazione fisica. Non erano fatti per stare insieme come coppia. Una sorta di amore platonico che l’uno aveva per l’altra che li avrebbe spinti a morire pur di salvarsi a vicenda senza pensarci due volte. Un legame che Clint aveva rivisto nei gemelli Maximoff. I due erano come legati da un filo invisibile, soffriva l’uno, così l’altra. La stessa cosa valeva per loro nonostante non avessero alcun legame di sangue e inizialmente avessero cercato di uccidersi -letteralmente- a vicenda.

Quando aveva conosciuto Laura, una benedizione nella vita dell’arciere, Natasha aveva insistito affinché la donna capisse quale fosse il legame fra lei e Occhio di Falco. Aveva adorato la futura signora Barton dalla prima volta che l’aveva vista. Così gentile, semplice, senza una doppia vita o un duplice fine. Tutto quello che lei non era stata. Non voleva che la considerasse una minaccia e voleva che Clint fosse felice. Aveva così parlato nella maniera più schietta possibile con la donna e questa, sorprendentemente, l’aveva capita e persino accolta nella propria famiglia tanto che i suoi figli la consideravano una zia; una figura presente nella loro vita. Non aveva mai esitato ad accogliere in casa sua la russa e più di una volta l’aveva ringraziata per aver rischiato il tutto per tutto pur di riportarle Clint. Erano come sorelle, se possibile, e questo non aveva potuto che far piacere al biondo e aveva rafforzato il suo rapporto con Vedova Nera. 

Aveva smesso di perdersi nei suoi ricordi solo quando si era ricordato della piccola cassaforte nascosta dietro il comodino accanto al letto. Senza perdere altro tempo aveva spostato il mobile rivelando il suo obiettivo. Combinazione a cinque cifre.

Se Natasha era stata spinta ad adottare un’ulteriore misura di sicurezza nonostante si trovasse nel covo di una delle assassine più letali mai esistite, qualunque cosa contenesse doveva essere importante. Aveva provato a forzarla ma senza risultato. Probabilmente se si fosse messo messo a cercare, avrebbe trovato almeno una pistola nascosta in un’intercapedine e avrebbe provato con quella, ma sapeva sarebbe stato inutile. Stava per darsi per vinto quando una frase della russa gli era ritornata alla mente. 

Quella sera stavano scherzando tranquillamente, quando il biondo le aveva chiesto se non temesse che qualcuno potesse entrare in casa sua, dato che si trattava solo un appartamento in un condominio di New York e non della Stark Tower.

Gli aveva fatto l’occhiolino.

“Ho una cassaforte e non mi preoccupo. Ho fatto un patto con il Diavolo e affidato i miei segreti al più temibile dei demoni.”

Gli aveva sorriso prima di riprendere la conversazione sulla loro ultima missione e di come ci fosse mancato poco perché venissero scoperti. 

“Demoni... andiamo Natasha! Cosa vuol dire?”
Ora stava persino parlando da solo. ‘Di male in peggio’ si era detto.

Aveva continuato a ripensare a quelle parole, ma senza risultato. Aveva deciso di rinunciare. Si era quindi sdraiato sul letto a osservare il soffitto; stava diventando un’abitudine ormai. Dopo svariati minuti di silenzio aveva sentito qualcosa, o meglio qualcuno, salire sul materasso e accoccolarsi accanto a lui. Aveva sorriso.

“Manca anche a te, vero?”

Ricordava le serate in cui quel maledetto gatto, dopo aver soffiato appena l’arciere provava a toccarlo, si metteva tranquillamente sulle gambe di Natasha a farsi accarezzare. Gli aveva chiesto che nome avesse deciso di dare al suo inaspettato coinquilino che un giorno aveva deciso di entrare in casa da una finestra senza farsi troppi problemi. 

Aveva fatto spallucce.

“Non credo gli serva un nome. È solo un gatto.”

“Non è solo un gatto è il tuo gatto.”

La rossa si era messa a ridere coprendosi la bocca con una mano come quando rideva di gusto. Barton la conosceva abbastanza da capire quando stesse fingendo o meno.

“È un randagio...”

“Che ha scelto te come padrona. Quindi adesso ci mettiamo qua e pensiamo ad un dannatissimo nome.”

“D’accordo, se proprio insisti.”

Erano stati una mezz’ora abbondante a proporre nomi e a bocciarli, fino a quando la bestiolina aveva deciso che non sopportava più tutto quel rumore che non gli permetteva di dormire. Così, appena Clint aveva azzardato ad avvicinare una mano, per tutta risposta aveva tirato fuori gli artigli e graffiato il malcapitato.

“Basta! Non ne posso più! Cosa ti ho fatto? Ecco, chiamalo Lucifero! Sarebbe perfetto.”

Natasha aveva preso in braccio l’animale che con lei sembrava calmarsi tornando a essere un tranquillo gatto nero.

“Liho.”

“Cosa?”

“È una creatura della mitologia slava. È considerato l’incarnazione della sfortuna e di un destino avverso. In pratica la perfetta rappresentazione di ciò che hai detto.”

“Liho, eh? Sai che cosa? Mi piace! Un nome carino per un...”

Ancora sul letto, Clint si era subito messo a sedere. Una parola era sfuggita dalle sua labbra, sussurrata.

“Demone...”

Aveva preso in braccio Liho che si era limitato a miagolare infastidito, ma si era lasciato toccare. Il biondo aveva passato una mano sul collarino nero per poi slacciarlo.

4 1 9 6 4

Aveva inserito le cifre senza attendere nemmeno un istante. Febbricitante all’idea di scoprire cosa celasse Vedova Nera.

Aveva selezionato l’ultimo numero e accolto vittorioso il click che aveva preceduto l’apertura del piccolo nascondiglio. Era trascorso un istante prima che si decidesse a tirare lo sportello verso di sé. Si era obbligato a prendere coraggio; non sapeva cosa avrebbe trovato. Era rimasto perplesso. La sua attenzione era subito stata attirata da alcuni passaporti. Ne aveva preso uno.  

Mary Farrell.

Aveva sorriso ripensando quella missione sotto copertura. Le aveva detto più volte che non era credibile come Mary madre sigle dell’Iowa, eppure, come sempre d’altronde, Natasha si era trasformata. Era come se per lei cambiare modo di parlare, di atteggiarsi e persino di ridere fosse una sorta di semplice cambio d’abito. 

Aveva passato il pollice sulla fotografia sbiadita. Gli mancava tutto di lei. Aveva ripensato anche ai litigi che a volte scoppiavano tra loro due e, nel caso questo fosse stato particolarmente accesso, capitava che iniziasse a parlargli in russo. Una volta, non ricordava bene quando, gli aveva detto che solo nella sua lingua riusciva davvero a sfogarsi.

Aveva smesso di farsi trascinare dai ricordi, distratto da alcune buste tenute insieme da un elastico. Le aveva afferrate. Tutte, eccetto una, presentavano la medesima intestazione. Una sola parola.

Clint.

La grafia era stata subito riconoscibile. Ordinata e pulita. Almeno così era stato per le prime lettere. Su ogni busta spiccava in rosso il timbro che comunicava la riconsegna al mittente.

Aveva iniziato a leggere.

Ciao Clint,
Non so nemmeno cosa spero di ottenere con queste mie parole. Non ho idea di come iniziare questa lettera. Posso solo dire che non riesco immaginare come ti senta in questo momento. Quando ho saputo cosa fosse accaduto te ne eri già andato. Per due mesi ti ho cercato, chiamato e lasciato messaggi, ma tutto è stato inutile. Ho persino parlato con Barbara nella speranza, vana, che sapesse qualcosa. 
Dallo Schiocco non faccio altro che cercare un modo per risolvere la situazione. Steve e Rhodey dicono che dovrei staccarmi dal lavoro, ma ho giurato a me stessa che avrei trovato un modo per riportare indietro Laura e i bambini. So che nelle nostre missioni come agenti non abbiamo fatto nemmeno una volta una promessa all’obiettivo da salvare di turno o alla sua famiglia  perché il protocollo non prevedeva un coinvolgimento emotivo con le persone coinvolte nel nostro lavoro. Questa volta però è diverso. Ti giuro Clint che troverò una soluzione. Sono notti che non chiudo occhio. L’idea che se solo ti fossi stata più vicino ora saresti qui al mio fianco e non chissà dove non me lo permette. Spero potrai perdonarmi. 
Mi manchi.

Nat.

L’arciere aveva chiuso gli occhi che avevano iniziato a pizzicargli. Se n’era andato perché non riusciva a convivere con i sensi di colpa. Non aveva pensato a come potesse sentirsi la russa. Sapeva quanto fosse legata a Cooper, Lila e Nathaniel. Quando gli aveva raccontato cosa fosse accaduto nella Stanza Rossa aveva iniziato a capire cosa avesse dovuto affrontare la ragazza.

‘Una cosa in meno a cui pensare’, così l’aveva definito.

I figli di Clint erano stati un raggio di luce nella vita di Natasha. Gli aveva detto che avrebbe fatto di tutto per riportarlo tutto intero da quei bambini che la consideravano parte della famiglia. Lila l’adorava letteralmente e ogni volta che il biondo diceva di dover partire in missione, una frase era ricorrente: “Zia Nat verrà con te, vero?” e al cenno affermativo dell’uomo aggiungeva un sollevato ‘meno male’. La figlia gli aveva anche detto che da grande sarebbe voluta essere come Natasha e questo l’aveva fatto sorridere. 

Una lacrima aveva abbattuto le sue difese e si era lasciata cadere sulla lettera andando a creare una sbavatura sull’inchiostro.

“Dannazione.”

Le altre lettere erano state un susseguirsi di pugnalate al cuore. A ogni anno trascorso dallo Schiocco corrispondeva una lettera a cui era stata allegata una foto che ritraevano i ricordi a cui Natasha si aggrappava per non perdere la speranza. In quelle buste era raccontato tutto ciò che era accaduto durante quel periodo. Clint aveva potuto ricostruire tutta la frustrazione e la rabbia di Vedova Nera. Aveva scorto anche la sua tristezza. In un passaggio la russa gli aveva raccontato di essere stata a rendere omaggio ai caduti presso il monumento creato per non dimenticarli. Ogni anno ci andava. 

L’ultima lettera l’aveva colpito. Era più breve delle altre. 

Sono cinque anni che tu e la tua famiglia ve ne siete andati. Cinque anni in cui non mi sono arresa e, giorno dopo giorno, ho cercato una soluzione. Ho fallito.
Steve è preoccupato, sa che qualcosa non va e non potergli parlare apertamente mi fa male. Non capirebbe. Ho fatto cose di cui non vado fiera pur di provare ad ottenere qualcosa. Sono anche  tornata in Russia, nella Stanza o almeno quello che ne rimane. Sono accadute così tante cose in questi anni, alcuni segreti sul mio passato sono finalmente venuti a galla ed è meglio che rimangano sepolti insieme a chi ha provato a custodirli. Ho le mani grondanti di sangue; non smetterò mai di essere la Vedova Nera che sono stata addestrata ad essere. Non esiste redenzione, non per me. Credevo che capire cosa mi fosse stato realmente fatto e chi fossi mi avrebbe permesso di tornare almeno un po’ di sollievo. È stato inutile.
Sto crollando Clint.
Ho bisogno di te, ti prego torna. 

Il biondo aveva riletto quelle parole un paio di volte. Immaginava Natasha scrivere tutto ciò che non aveva l’occasione di dirgli di persona. Non aveva pensato a lei, se n’era andato senza pensarci due volte. L’aveva abbandonata. Aveva stretto fra le dita la piccola freccia argentata che una volta apparteneva alla russa. Quella collana che lui le aveva regalato senza pensare realmente che l’avrebbe indossata.

Il suo telefono aveva squillato strappandolo bruscamente dai suoi pensieri. Il numero sconosciuto era apparso sullo schermo solo per un paio di secondi prima che la chiamata venisse rifiutata. Stava per tornare alla sua precedente occupazione che in quel momento per lui era più importante di ogni altra cosa, quando il telefono si era nuovamente illuminato. Invece di limitarsi a premere sul tasto rosso, aveva spento il cellulare per evitare altre distrazioni. 

Aveva passato l’ora e mezza successiva e leggere e rileggere tutte le lettere a lui indirizzate, bevendo la vodka che aveva trovato appena entrato in quell’appartamento. Solo una busta non era stata aperta, non che non lo volesse, ma ciò che vi era scritto l’avevo fatto desistere.

Sestra

Natasha non aveva sorelle e di questo ne era più che certo. Aveva cercato nei cassetti della sua mente qualcuno che potesse corrispondere al destinatario di quella lettera. Era stato un buco nell’acqua. Nessuno fra gli agenti aveva quelle iniziali, ammesso si trattasse di un acronimo o cose simili, e lo stesso valeva per le persone vicine a Nat o che potesse corrispondere al nome in codice sestra. Clint aveva persino pensato a un qualche tipo di codice criptato che stava ignorando. 

Stava ancora cercando di dare significato a quel nome quando aveva sentito una suoneria giungergli ovattata. La sua attenzione era immediatamente stata rivolta al cellulare accanto a lui prima di ricordarsi di averlo spento. Aveva poggiato quindi le lettere per cercare l’origine di quell’ennesima distrazione. L’aveva seguita fino al muro che separava la stanza dal corridoio. Si era piegato sulle ginocchia picchiettando sulla superficie per cercare un’intercapedine nascosta, ma senza risultati. Aveva provato quindi sulle piastrelle del pavimento vicine alla parete. Dopo qualche secondo, sotto una queste, dato il rumore che aveva prodotto dopo essere stata colpita dalla sua nocca, aveva scoperto un piccolo nascondiglio. Il cellulare al suo interno ancora squillava, accanto c’era una pistola. Aveva risposto. Aveva sentito qualche parola in una lingua, molto probabilmente russo dato che aveva capito qualche termine, sovrastata da un rumore che non era riuscito a identificare. Chiunque fosse non sembrava tranquillo. Aveva provato a parlare, ma dopo un attimo di silenzio la chiamata era stata interrotta. Si era così trovato con quel telefono in mano. Nessun messaggio o contatto salvato, solo quell’unica chiamata in entrata e nessuna in uscita. Aveva messo il dispositivo accanto al suo deciso a chiedere a Ross se ne sapesse qualcosa. 

Aveva emesso un respiro profondo provato da quella giornata iniziata con l’intervento di Wanda per impedirgli di fare l’ennesimo errore e si era conclusa a casa di Natasha.

Si era avvicinato alla finestra per respirare un po’ d’aria. Spesso durante le loro conversazioni Natasha si sedeva sul bordo, con una tazza di caffè nero fumante in mano, ad ascoltarlo. 

Si era messo a osservare le auto che passavano di fronte alla casa della russa. Aveva sempre trovato strano che la ragazza avesse semplicemente deciso di vivere in un condominio e non in un luogo segreto come lui stesso aveva fatto. 

Aveva sentito il rombo di una moto disturbare la quiete del quartiere. Il pilota aveva accelerato per superare un’auto e il conducente, evidentemente scocciato, doveva avergli urlato qualcosa che però il rumore del motore della motocicletta aveva sovrastato prima che il motociclista svoltasse l’angolo proseguendo per la sua strada. 

Clint aveva richiuso la finestra, aveva  piegato la lettera non destinata a lui e l’aveva riposta nella tasca posteriore dei suoi pantaloni. Aveva infine aveva richiuso la cassaforte e fatto due coccole al gatto che lo osservava tranquillo dal letto. Aveva dato un’ultima occhiata alle stanze per controllare che tutto fosse in ordine. Stava per recuperare la bottiglia di vodka abbandonata sul tavolo della cucina, quando Liho si era avvicinato alla porta dell’appartamento quasi stesse chiedendo al biondo di farlo uscire. 

L’arciere aveva poggiato la mano sulla maniglia pronto ad aprire, ma dei passi provenienti dal corridoio del condominio l’avevano fatto desistere. Erano veloci e si stavano avvicinando. Aveva visto la maniglia abbassassi violentemente un paio di volte. Prima di prendere qualsiasi altra decisione era tornato a grandi falcate nella stanza di Nat non sapendo con chi avesse a che fare. Aveva recuperato la pistola vista poco prima e tolto la sicura. Si era poi appostato rasente al muro dietro alla porta della camera tenendo così sotto controllo l’ingresso grazie allo spazio creato dai cardini. 

Dopo qualche secondo la serratura era scattata, evidentemente chiunque fosse era stato in grado di scassinarla.

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Capitolo 3
*** Zenit ***


Zenit


Clint aveva trattenuto il fiato per qualche istante pronto a intervenire alla prima occasione. 

L’intruso aveva fatto il suo ingresso. Era vestito completamente di nero e il rumore degli stivali sul pavimento seguiva ogni suo passo. Si era chiuso la porta alle spalle. 

Stava per togliersi il giubbotto in pelle scura e il casco integrale che gli nascondeva il viso, quando la sua attenzione era stata catturata dalla bottiglia e dal bicchiere sul tavolo. Si era voltato verso il breve corridoio della casa su cui si affacciavano la stanza di Nat e il bagno.

Barton l’aveva visto avvicinarsi e si era preparato per agire furtivamente. Liho, dalla cucina, aveva però deciso di prendere parte attiva all’ispezione. Si era diretto nella stanza, era salito sul letto, e aveva iniziato a miagolare in modo insistente verso il nascondiglio improvvisato dell’arciere che aveva imprecato mentalmente. L’intruso aveva seguito le rumorose indicazioni del gatto. 

Senza aspettare oltre, Clint era uscito allo scoperto trovandosi davanti il casco del suo rivale; pistola carica puntata su di lui.

“Fermo o sparo.”

Il diretto interessato si era fermato e si era limitato ad alzare le mani in segno di resa. Occhio di Falco aveva avanzato lentamente verso di lui. Era a pochi passi quando l’altro, che fino a quel momento non si era mosso, era scattato in avanti verso il muro e, usando la parete per darsi la spinta necessaria, era saltato addosso a Clint che era crollato a terra. Il suo avversario aveva colto l’occasione per bloccarlo e prendere la pistola. Aveva puntato la canna alla testa del vendicatore, che però era riuscito, grazie a un agile movimento di reni, a liberarsi dalla presa e colpire con un calcio la mano dello sconosciuto che teneva l’arma facendola così cadere lontano da loro. 

“Chi sei?”

Senza nemmeno rispondere, l’altro era passato nuovamente all’attacco colpendo il biondo in faccia con un pugno. Stava per colpirlo nuovamente, ma l’ex artista circense era stato pronto a schivare e ad attaccare a sua volta con una gomitata la schiena del rivale trovandosi così alle sue spalle. Aveva caricato e con una spallata l’aveva fatto sbattere contro il muro. Non era però riuscito a bloccarlo definitamente perché era stato colpito sul naso da una testata che, a causa del casco, era stata molto più dolorosa del normale. L’intruso si era liberato e allontanato quel tanto che bastava per non essere nell’area d’azione dell’ex agente dello SHIELD. 

Clint si era portato una mano al naso per pulirsi dal sangue che aveva preso a colare. Aveva fatto passare le dita fra il suo collo e la collana di Natasha che il legale della russa gli aveva fatto avere. Aveva allentato un po’ la catenella stringendo per un paio di secondi la freccia argento fra le dita.

Non aveva mai spostato lo sguardo dalla persona che aveva di fronte. L’aveva vista irrigidirsi non appena la freccia aveva fatto capolino dal colletto della sua maglietta. L’aveva notato chiaramente raddrizzare la schiena. Si era tolto il casco lasciandolo cadere a terra. In quel momento di stallo fra i due, Barton aveva potuto osservare chi avesse davanti.

La ragazza non aveva mai distolto lo sguardo per poter controllare ogni mossa. I suoi capelli fulvi avevano immediatamente riportato alla mente del biondo la figura di Natasha. La prima volta che si erano visti, quando era stato mandato a ucciderla, la russa doveva avere più o meno l’età della giovane donna che adesso si trovava di fronte a lui. Quell’immagine, però, si era dissolta quando l’uomo aveva incontrato il suo sguardo e, invece degli occhi verdi di Nat, aveva incrociato le iridi scure della sconosciuta.

Poi la ragazza aveva parlato e l’arciere aveva sentito l’ansia prendere il sopravvento.

“Gdie ti nashla eto?”

Non era stato tanto il ‘dove l’hai presa?’ riferito alla collana a farlo preoccupare, quanto il fatto che fosse stato chiesto in russo. Nella sua mente aveva subito preso forma un unico pensiero. Il collegamento fra Natasha e la Russia poteva essere solo uno.

“Vieni dalla Stanza Rossa?”

La sua avversaria, che in quel momento aveva assunto una collocazione ben precisa nel cervello di Clint, si era portata una mano dietro la schiena per estrarre un coltello che evidentemente si trovava in un fodero nascosto. 

“Dov’è Natalia?”

Era accaduto di nuovo. Un ennesimo tassello che sembrava avvalorare l’ipotesi del vendicatore. Si era espressa con un perfetto accento americano, ripulito da qualsiasi inflessione slava; cosa che aveva visto fare in modo perfetto e così semplice solo da Natasha. Inoltre, il fatto che avesse usato il nome nativo della russa, lasciava presagire una conoscenza fra le due precedente alla defezione di Vedova Nera. Oppure la giovane conosceva l’agente Romanoff solo con quel nome, opzione che comunque riconduceva Clint alla terra d’origine di Nat. 

“Ti hanno mandato a cercarla?”

La sua interlocutrice si era rigirata la lama fra le mani prima di stringere saldamente la presa sull’impugnatura. Non aveva risposto.

“Dovresti sapere che Natasha ci ha raccontato tutto sulla Red Room. Lo S.H.I.E.L.D. sa chi siete e dove vi trovate. Non potete più nascondervi!”

“Sei dello S.H.I.E.L.D.?”

La sua voce aveva cambiato tono; non era più sicura come prima. 

Erano rimasti così per un paio di minuti, fermi a studiarsi e a calibrare la prossima mossa. Poi qualcosa era scattato e la ragazza si era messa in posizione d’attacco. Era bastata una frazione di secondo prima che si avventasse contro Hawkeye.

I fendenti erano rapidi e precisi e, se non fosse stato per la notevole agilità del suo rivale, sarebbe riuscita a prevalere in poco tempo. 

Clint era riuscito a bloccarle il polso, ma lei non si era data per vinta. Aveva allentato la presa sull’arma, lasciandola cadere per poi afferrarla con l’altra mano e aveva provato ad affondare la lama nell’addome del biondo. Si era scostato appena in tempo, ma non abbastanza da evitare di essere raggiunto. Si era subito controllato la ferita; sembrava abbastanza superficiale, non perdeva molto sangue. 

Lo scontro serrato, però, non ammetteva pause. La ragazza gli era stata nuovamente addosso e, dopo aver schivato una pugnalata che aveva mirato al suo collo, Occhio di Falco era riuscito a colpirla al fianco con un calcio tornando poi in posizione di difesa e pronto al contrattacco. La giovane aveva accusato il colpo più di quanto l’arciere si aspettasse. L’aveva vista portarsi una mano sotto al giubbotto e poggiarla sul fianco facendo pressione. Quando l’aveva scostata, il sangue cremisi aveva spiccato sulla sua pelle chiara; doveva avere un taglio o una ferita fresca.

Barton sapeva dove colpire.

Si era lanciato in avanti prendendo alla sprovvista colei che era stata mandata dalla Stanza per Natasha. Anni prima aveva risparmiato una Vedova Nera; non l’avrebbe fatto una seconda volta.

Aveva azzerato le distanze e colpito di nuovo dove sapeva esserci la ferita. 

Con il fiato mozzato a causa del dolore lancinante, la ragazza non era riuscita a difendersi in modo efficace. Il sangue aveva iniziato a impregnarle la maglietta e delle gocce di sudore le avevano imperlato la fronte. Era accaduto tutto in un attimo.

La giovane aveva alzato lo sguardo, fisso negli occhi dell’arciere. Il fiato era corto e, a causa dell’emorragia ormai evidente, era più pallida rispetto a poco prima. La sua voce era stanca, provata.

“Non voglio tornare là.”

Aveva puntato la lama che ancora stringeva tra le mani verso di sé e aveva chiuso gli occhi pronta a porre fine a quella lotta; farla finita alle sue condizioni. 

Aveva esitato per un istante. 

Clint non aveva perso tempo, si era avventato sulla pistola che giaceva a terra poco lontano da lui e, dando onore al soprannome di Occhio di Falco, aveva sparato al coltello. Il rumore del proiettile che andava contro il metallo della lama per poi conficcarsi nella parete era stato secco.

Si era immediatamente alzato e posto davanti alla sua avversaria ormai sconfitta. Non si era mossa.

“Sono pronta.”

Il Vendicatore aveva subito compreso cosa volesse dire.

“Credi davvero che voglia ucciderti? Sei stata mandata per Nat e non me ne andrò senza sapere ciò che voglio. Sta a te decidere se dirmi tutto ora o costringermi a trovare un modo per farti parlare.”

Non aveva ottenuto riposta.

“D’accordo. Hai fatto la tua scelta.”

Aveva puntato l’arma verso la spalla della ragazza. Natasha era morta e nonostante questo si trovava ancora sulla lista nera della Stanza Rossa. Avrebbe spedito un messaggio forte e chiaro al mandante della ragazza, ma prima l’avrebbe costretta a parlare. 

Stava per fare fuoco quando il rumore di un altro sparo l’aveva preceduto. La porta dell’appartamento posta alle spalle della giovane era stata spalancata con un calcio dopo che la serratura era stata fatta saltare.

“Clinton, abbassa subito la pistola.”

“Agente May?”

“Non costringermi a prendere una scelta di cui entrambi potremmo pentirci. Ti spiegherò tutto, ma prima lasciala andare.”

Clint non aveva obbedito.

“Mi stai davvero chiedendo di risparmiare un’assassina mandata per Nat? Mi spiace, ma non posso. Mi servono delle risposte.”

Melinda aveva lasciato cadere la propria arma e alzato le mani in segno di resa, sperando di farlo ragionare. 

“Clint...”

Si era avvicinata alla ragazza per poi mettersi tra lei e Barton. Aveva poggiato le sue mani su quelle dell’uomo e aveva preso la pistola. Infine aveva messo la sicura e riposto l’arma sul tavolo della cucina. Si era voltata verso la giovane che ancora non aveva proferito parola. Melinda l’aveva aiutata ad alzarsi facendole poggiare il braccio sulle sue spalle, ma questa aveva faticato a far leva sulle gambe per mettersi in piedi. 

“Clint, una mano sarebbe gradita.”

Risvegliatosi dai suoi pensieri il biondo aveva seguito il suo esempio. L’avevano portata in camera di Natasha e fatta sdraiare sul letto della russa. L’agente May le aveva tolto il giubbotto in pelle e, con un gesto deciso, aveva strappato la maglietta all’altezza della ferita. Aveva fatto pressione con il pezzo della maglia stracciata per ridurre la fuoriuscita di sangue e quando si era accorta che Clint era rimasto fermo a osservarla si era rivolta direttamente a lui.

“Barton, tu pensa a tamponare la ferita mentre io cerco qualcosa per ricucire il taglio.”
Aveva spostato le mani e costretto il biondo a prendere il suo posto.
“Tienila sveglia!”

Aveva lasciato la stanza con rapide falcate decisa a trovare qualcosa per aiutare la giovane. L’arciere era rimasto solo con lei. La rossa stava sudando e stringeva i denti per resistere al dolore; non aveva nemmeno urlato, stava sopportando in silenzio e questo aveva colpito Clint. 

“May mi ha detto di parlarti ed è quello che farò. Come ti chiami?”

La giovane aveva alzato appena lo sguardo spostandolo dal suo sangue verso il Vendicatore.

“Villanelle.”

“Ritenta. Conosco benissimo le vostre tecniche da assassine russe, so quando mentite. Come ti chiami?”

Aveva visto la ragazza stringere per un istante le labbra dal dolore. Dopo un iniziale tentativo di evitare qualsiasi conversazione con l’uomo, era stata costretta a cedere.

“Ava.”

“Ok d’accordo, Ava, perché sei qua? Chi sei?”

Stavolta non aveva risposto, si era limitata a richiamare l’attenzione di May che si trovava in cucina.

L’asiatica poco dopo era riapparsa sulla soglia della camera. Si era avvicinata prendendo il posto di Clint al fianco della ragazza per poter vedere la ferita. Aveva tolto lo straccio che aveva assorbito il sangue della giovane. Aveva imbevuto dell’ovatta con dell’alcol per disinfettare il taglio e ripulirlo. Una volta finito, aveva notato i punti raffazzonati che, a causa dei movimenti di Ava, non avevano retto. Il taglio era gonfio e arrossato.

Melinda aveva poggiato una mano sulla fronte della rossa che stava continuando a sudare. 

“Scotti. Hai la febbre. Da quant’è che hai questa ferita?”

“Tre o quattro giorni.”

“Perché non sei tornata prima? Ha fatto infezione. Ti rendi conto del pericolo che hai corso?”

“Credevo sarei guarita dopo poco come sempre.”

May le aveva scoccato un’occhiata di rimprovero per poi iniziare a occuparsi della ferita senza troppi complimenti. L’agente eseguiva il suo lavoro con la precisione di chi aveva ripetuto quei momenti varie volte; Clint aveva associato quella sicurezza nei suoi gesti alle numerose missioni in solitaria della famosa Cavalleria. Colei che era considerata un caposaldo dell’organizzazione e che, nonostante ufficialmente lo SHIELD non esistesse più, l’arciere aveva sentito stesse continuando a operare per una sorta di squadra d’élite.

“Sapevo che non saresti dovuta andare. Sei sparita per cinque mesi e l’unica cosa che sapevamo era che ti trovavi da qualche parte qua in Nord America.”

“May ti prego non adesso.”

Melinda non aveva aggiunto altro, si era limitata a concludere il suo lavoro. Aveva tagliato il filo dopo aver sistemato l’ultimo punto per poi dedicarsi a fasciare i fianchi della ragazza con una garza pulita. Aveva recuperato una siringa. 

“Cos’è?”

“Morfina, ti aiuterà a far diminuire il dolore. Per il momento devi riposarti, non sei nelle condizioni di alzarti da quel letto senza far riaprire di nuovo la ferita.”

Aveva infilato l’ago nel braccio della ragazza e premuto lo stantuffo iniettando così il liquido.

“Quando ti sarai ripresa dobbiamo parlare.”

Solo in quel momento l’agente aveva rivolto la sua attenzione a Clint che, poggiato con la schiena alla parete, aveva seguito con lo sguardo ogni movimento della Cavalleria.

“Ti devo delle spiegazioni.”

Aveva atteso che Barton uscisse dalla stanza per poi seguirlo chiudendo la porta alle sue spalle. Melinda si era diretta in bagno per liberarsi delle garze sporche e ripulirsi dal sangue della ragazza.

Infine aveva raggiunto l’uomo in cucina, recuperato una sedia e preso posto.

“Posso sapere cosa sta succedendo? Perché sei qua? Cosa ci fa lei nell’appartamento di Nat? È una Vedova Nera immagino, mentre tamponavo la ferita ho visto le cicatrici sui polsi.”

May aveva preso in braccio Liho che aveva iniziato a strusciarsi sulle sue gambe.

“Io ho provato ad avvisarti. Ho saputo da Ross che ti trovavi qua e sapevo che anche lei stava arrivando. Avessi risposto alla mia chiamata tutto questo si sarebbe potuto evitare. Comunque, avrebbe  dovuto dirtelo Natasha, ma credo che ormai non ci sia molta altra scelta.”

“Dirmi cosa, Melinda?”

La voce di Clint si era alzata per un attimo prima che il biondo riacquistasse una certa calma.

“Da dove posso iniziare...”

“Direi dall’inizio. Voglio sapere ogni cosa, specialmente se da quello che ho capito Ava, o qualsiasi sia il suo vero nome, è legata in qualche modo con Nat!”

L’asiatica aveva taciuto per qualche secondo prima di prendere la parola.

“Si chiama davvero Ava e, sì, in un certo senso è una Vedova Nera...”

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Capitolo 4
*** Nightfall ***


Nightfall


Clint aveva iniziato a picchiettare nervoso il dito sul piano del tavolo.

“Cosa significa ‘in un certo senso’? Per favore sii chiara.”

“È figlia di uno scienziato scomparso poco prima che lei nascesse e aveva circa sei anni quando anche sua madre è morta, uccisa da uno degli esponenti della mafia russa. Fin da piccola è stata una cavia, niente di più. L’hanno usata per i loro esperimenti militari, forse volevano un nuovo Super Soldato o Vedova Nera, non lo so.”

“Loro chi? Credevo che di quel tipo di test si occupasse solo la Stanza Rossa.”
Aveva controllato di sfuggita la porta della stanza in cui avevano lasciato la ragazza.
“Prima di andare avanti, credi sia il caso di parlare di queste cose adesso?”

May aveva seguito lo sguardo di Barton intuendo subito cosa intendesse. 

“Non voglio aspettare oltre, è giusto che tu sappia, e se ti preoccupa il fatto che Ava possa sentirci sappi che è appena tornata da una missione tutt’altro che semplice. Conoscendola dubito che in questi mesi abbia dormito spesso su un letto vero, aggiungiamoci una ferita che ha fatto infezione, la febbre e la morfina che le ho iniettato. Non conosco nessuno che sarebbe in grado di resistere a tanto. Si riprenderà, sia chiaro, perché è comunque di Ava che stiamo parlando e ha passato cose ben peggiori, ma per il momento non potrà far altro che recuperare le energie per poter guarire al meglio; ha bisogno di riposo...”

L’arciere aveva semplicemente annuito apparentemente convinto dalle parole di Melinda spingendola così a riprendere la conversazione.

“In quel periodo Natasha era riuscita a eliminare la Stanza. Quasi tutti gli scienziati che lavoravano al progetto e gli addestratori erano stati uccisi. Qualcuno però è riuscito a fuggire e ad accogliere l’eredità della Red Room. Non posso dirti di preciso cosa sia successo, Natasha non ha mai parlato molto del passato di Ava e sinceramente la capisco. Quello che posso dirti è che Nat ha lasciato intendere che potesse capire ciò che lei stessa ha provato sulla sua pelle, quindi posso solo immaginare cos’abbia vissuto.”

“Questo non spiega come abbia conosciuto Natasha e come tu sia venuta a conoscenza di tutto questo. Non credevo nemmeno che tu e Natasha foste così vicine...”

“Fra poco ti sarà tutto più chiaro. Dicevo, Ava è rimasta in quella struttura fino ai nove anni più o meno. Qui entra in gioco l’agente Romanoff. Ha scoperto cosa stava accadendo; non so dirti se l’abbia saputo grazie ai suoi contatti, se si sia trattata di una missione commissionatale da qualcuno o se stesse già seguendo le tracce dei sopravvissuti della Stanza, so solo che è riuscita a salvarla. Natasha mi disse che era in pessime condizioni fisiche e sotto il profilo psicologico era distrutta. Era solo una bambina in fondo, cresciuta per testare esperimenti. Puoi immagine perché Nat si sia sentita presa in causa.”
May si era concessa un attimo di silenzio per rivivere nella sua mente tutto ciò che era accaduto. 
“Ava si è subito legata a lei, forse perché finalmente era considerata solo una bambina e non un esperimento. Dopo essere stata liberata è stata affidata allo SHIELD. È stata portata in una Safe House in cui si trovavano altre ragazzine che erano state salvate dalle condizioni disumane in cui erano state costrette, alcune studiate e sfruttate perché presentavano poteri o abilità particolari, chi come lei era stata usata come cavia; solitamente erano coinvolte l’HYDRA o associazioni criminali simili operative in campo internazionale.”

Clint aveva dischiuso per un attimo la labbra pronto a ribattere per poi desistere, spingendo così May a fare una breve pausa per permettergli di parlare.

“Non sapevo che lo SHIELD si occupasse di casi del genere. Ho sempre creduto che affidasse queste persone a centri specializzati per essere seguite e ristabilirsi sia fisicamente che psicologicamente. Sbaglio forse?”

Melinda aveva negato con il capo aspettandosi, almeno in parte, quella domanda.

“Infatti è così, nella maggioranza dei casi almeno. Per quelle ragazzine era diverso.”

“Non credo di capire.”

“Lo SHIELD credeva che grazie alle loro abilità o esperienze vissute potessero essere integrate nell’organizzazione. Dopo essersi riprese da ciò che avevano vissuto, iniziavano il loro addestramento per poter diventare agenti.”

Barton aveva impiegato qualche secondo per assimilare quell’informazione. 

“Non penso di aver capito. Mi stai davvero dicendo che anche lo SHIELD, che ha sempre condannato l’HYDRA, prende ragazzine e, invece di concedergli possibilità di scelta, le addestra per farle diventare agenti?”

“Clint, non avrebbero futuro se non fossero in grado di difendersi. Conosci la storia di Wanda e Pietro, sai cosa succede a dei mutanti o inumani che non sono in grado di controllare le proprie abilità. Lo SHIELD li addestra, li aiuta e permette loro di avere uno scopo nella vita. Se non ci fossimo noi, ci sarebbe l’HYDRA o chi per loro! Pensa anche a Natasha...”

“Nat non ha cambiato vita! È solo cambiata la bandiera per la quale mentiva, combatteva, uccideva e per cui era disposta a sacrificarsi. Quindi cosa cambia?”

Il tono molto più deciso del biondo che faceva trasparire la sua avversione per ciò aveva appena appreso era stato seguito dal silenzio; attimi carichi di tensione durante i quali l’arciere aveva svuotato il suo bicchiere di vodka. Era stata Melinda, da buona diplomatica, a decidere di riprendere il discorso.
Il suo tono appariva calmo, accondiscendente.

“Capisco come la pensi, ma credo che abbiamo opinioni diverse e va bene così. Posso solo dirti che ho visto cos’ha fatto lo SHIELD per Daisy. Comunque, non credo sia questo il momento più adatto per discuterne; immagino ti interessi sapere cosa c’entro io con tutta questa storia."
Non ottenendo alcuna risposta, se non un cenno del capo da parte Clint che pareva essersi calmato, May aveva ripreso la parola.
“È stato un caso, credo che se non ne fosse stata obbligata Natasha non avrebbe coinvolto nessuno; sai com’era fatta. Io mi trovavo in Europa per una ricognizione con altri agenti sul campo e non mi aspettavo certo una sua chiamata nel cuore della notte. Mi ha chiesto supporto per una missione, non direi implorata dato che è di lei che stiamo parlando, ma qualcosa nella sua voce mi ha spinto ad aiutarla. Inizialmente credevo si trattasse di un lavoro per Fury o che stesse cercando di risolvere ciò che era accaduto con Thanos; tutti sapevano quanto si stesse impegnando per questo. Sono arrivata da lei il prima possibile, ci siamo incontrate e solo in quel momento ho capito che nessuno sapesse dove fosse. A detta sua si trattava di una missione d’estrazione, parlava di un’agente catturata. Ho capito che qualcosa non andava quando mi sono resa conto che fosse da sola e sai bene che in missione vengono sempre mandati almeno due agenti, per le eventualità intendo. Eravamo sul tetto di un vecchio magazzino e da una finestra rotta del lucernario ho visto una decina di uomini che pattugliavano la zona e due di questi stavano interrogando una ragazzina. Non sapevo ancora cosa fosse accaduto, ma che per Natasha fosse una questione personale era evidente, non mi avrebbe chiamato altrimenti.”

Clint si era schiarito la voce provando a recuperare un certo grado di fermezza.

“Ho... ho sentito che mentre ero via durante una missione ha affrontato da sola nove uomini che l’avevano assaltata e con un proiettile in corpo.”

Un sorriso aveva incurvato le labbra di Melinda.

“Voci di corridoio. Non era sola, erano in due, ma per il proiettile posso confermare. Comunque, solo dopo mi ha detto di avermi chiamato perché voleva essere certa che la ragazza ne uscisse indenne.”

“Dove vi trovavate? In che città intendo...” 

“Oradea, Ava era tornata a casa per capire cosa le fosse successo."

“Cos’è accaduto in quel magazzino?”

May aveva abbassato lo sguardo prima di incrociare nuovamente quello dell’arciere.

“Non ho mai visto Nat così tanto arrabbiata. Non erano armati, Clint. Solo un paio di pistole, mentre gli altri hanno provato ad attaccarci corpo a corpo quando abbiamo fatto irruzione. Io ho provato a stordirli e fargli perdere i sensi; lei li ha giustiziati. Non provava nemmeno a evitare di spargere sangue. È stato un massacro. Non era Natasha; quella era la Vedova Nera in tutta la sua furia. Solo uno o due sono sopravvissuti e, mentre io mi occupavo di capire chi fossero, lei si è precipitata da Ava. Dovevi vedere com’era preoccupata. L’abbiamo soccorsa e portata in un posto sicuro. Mi ha raccontato tutto pregandomi di mantenere il segreto; ufficialmente Ava aveva tradito lo SHIELD, ma quando Nat l’aveva rintracciata, dopo che era stata catturata, era subito stata pronta salvarla. Per quanto ne sanno gli altri dopo il salvataggio di Ava da bambina, lei e Natasha non si sono più riviste.”

Clint aveva lasciato trascorrere qualche istante in silenzio, riordinando mentalmente le idee e decidendo come proseguire quella conversazione. 

“Come ha fatto a trovarla? Voglio dire, chi l’ha aiutata?”

“Non so cosa ti abbia detto Nat dei suoi rapporti con gli Avengers nel periodo successivo allo Schiocco.”

Barton aveva abbassato lo sguardo sentendosi improvvisamente a disagio.

“Non... non ho avuto il tempo di chiederglielo. Se solo mi fossi fatto vivo prima, se solo fossi tornato. L’ho lasciata sola e me ne sono andato.”
May aveva sorriso.
“Ho detto qualcosa di divertente?”

“Credi davvero che non lo sapesse?”

Lo sguardo interrogativo di Occhio di Falco le era bastato come risposta. 

“Due, tre settimane al massimo se non sbaglio, ha impiegato per trovarti. Eri da qualche parte in Ungheria in quel periodo.”
Clint aveva dischiuso le labbra pronto a rispondere per poi tornare sui suoi passi per qualche istante, ma Melinda l’aveva preceduto.
“Non ti ha cercato perché voleva che fossi tu a tornare e solo se ti fossi sentito pronto. Solo quando è stato davvero impossibile rimandare la cosa si è decisa a fare lei il primo passo ed è così che è partita per Tokyo. Diceva che sarebbe stato frustrante per te vedere uno dopo l’altro tutti i suoi tentativi inutili di riportare indietro la tua famiglia.”

“Avrei potuto starle vicina...”

“Non fartene una colpa, sappi che non è mai stata da sola.”
La mora aveva subito capito di aver attirato la sua attenzione.
“Gli Avengers erano stati sconfitti da Thanos, almeno apparentemente, e per un certo periodo hanno preso strade diverse, ma c’è sempre stato chi ha aiutato Nat sia per la ricerca che per tutto il resto.”

“So che Steve e Rhodey la vedevano spesso.”

L’asiatica aveva annuito.

“Ma non solo, gran parte del lavoro l’ha fatto Tony.”

“Ferma. Stark? Lo stesso che senza giri di parole ha detto a Nat che l’unica cosa in grado di fare fosse tradire le persone, dato che, cito testuali parole, ‘era nella sua natura essere una doppiogiochista’?”

“Clint sono passati cinque anni, molte cose sono cambiate.”

“Cambiamenti sì, ma miracoli no!”

Melinda si era concessa una breve risata a quelle parole.

“Ammetto che anche io ho trovato difficile credere a Nat quando me l’ha raccontato. Diceva che all’inizio i loro rapporti erano stati civili, ma neutrali, più o meno come sempre. Non so bene cosa sia accaduto poi, con Stark non ne ho parlato e Natasha è stata molto vaga al riguardo. Posso però dirti, e questo me l’ha confermato Rhodes dato che spesso era in collegamento con lei, che dati i ritmi di lavoro della Romanoff spesso si incontravano al Compound. Rhodey ha detto che spesso Tony dimenticava volutamente delle cose alla base per poi chiamarla chiedendole di portargliele a casa, così da spingerla a rimanere a cena. Si inventava cose da controllare in laboratorio per passare a vedere come stesse e non farla stare da sola. Credo che se non fosse stata obbligata da Stark non sarebbe mai uscita da quell’edificio e avrebbe mangiato tramezzini da sola per cinque anni.”

“Immagino che avrei dovuto un favore a Stark; la prima volta che ho rivisto Nat dopo cinque anni se ne stava seduta scomposta a fissare il vuoto a mangiare un sandwich con il burro d’arachidi e, voglio dire, a lei nemmeno piaceva il burro d’arachidi!”

Entrambi avevano riso, ma quel sorriso non aveva nulla di divertito. Era malinconico e di questo se n'erano accorti anche loro. 

“Penso che Natasha abbia passato momenti migliori...”

Clint si era limitato annuire per poi riempirsi per il bicchiere che da troppo tempo giaceva vuoto di fronte a lui.

“Voglio solo sapere una cosa, come ha reagito Ava alla morte di Nat? Non l’ho mai vista alla sua tomba e ci sono andato spesso in quest’ultimo periodo.”

Melinda aveva abbassato lo sguardo prima di schiarirsi la voce.

“Lei…”

“Io non lo sapevo, giusto May?”

A quelle parole la diretta interessata si era voltata di scatto trovando Ava, ancora evidentemente malconcia, sulla soglia della stanza in cui l’aveva lasciata. Con una mano si teneva il fianco dove c’era la ferita, ma non stava più perdendo sangue.

“Ma come...”

La rossa aveva scosso il capo e un sorriso amaro le aveva incurvato le labbra.

“Allora è vero che Nat non ti ha detto tutto; il siero che mi hanno iniettato da piccola non era poi così diverso dal suo e se crei un’arma fai in modo che nulla possa ridurne la precisione e l’efficacia. Nessun effetto collaterale e nessun sintomo dopo aver assunto alcool, droga e, pensa un po’, nemmeno sedativi. Dovevano essere certi che fossi sempre al massimo delle mie capacità.”

Aveva fatto una breve pausa durante la quale Liho si era deciso a scendere dalle gambe dell’asiatica e avvicinarsi alla ragazza che stava poco distante da lui senza però provare ad attirare il suo interesse. Si era semplicemente seduto vicino a lei e lì era rimasto anche quando quest’ultima aveva ripreso il discorso dopo essersi voltata verso Clint.

“Ma non siamo qua a parlare di me, vero?”

Melinda aveva preso la parola.

“Ava ascolta, io...”

“Cosa? Mi hai tenuto nascosto altro oltre alla morte di Natasha?”
La sua interlocutrice aveva abbassato lo sguardo sentendosi presa in causa.
“Da quanto lo sapevi?”

“Tre...”

“Tre cosa Melinda? Giorni? Settimane? Dimmelo!”

“È accaduto tre mesi fa. Tu eri in missione e non sapevo come avresti potuto reagire.”

“Come avrei potuto reagire? Due cose, solo due, ho chiesto a te e Natalia quando mi avete trovato in Romania. La prima di non mentirmi e la seconda di non prendere alcuna decisione che mi riguardasse al posto mio.”
Si era voltata verso Clint provando a placare la rabbia che man mano stava iniziando a prendere il sopravvento.
“Sa una cosa agente Barton? Avrei scommesso di dovermi guardare le spalle dall’ex spia sovietica abituata a mentire e ingannare e invece!”

“Sai bene che non è così!”
May aveva alzato il tono della voce colpita nell’orgoglio dalle parole della rossa.
"Te l’ho detto, tu non eri qua e non potevo permettere che qualcosa andasse storto sia per te che per la missione! Sai bene che non era permesso nemmeno un passo falso…”

Ava aveva fatto schioccare nervosamente le dita un paio di volte prima di rivolgere la sua attenzione all’agente.

“Proprio qua volevo arrivare.”
Aveva estratto una chiavetta USB da una tasca dei suoi pantaloni per poi lanciarla malamente alla donna che l’aveva presa al volo.
“Sarebbe stato un peccato per lo SHIELD perdere quelle informazioni, perché la missione che mi hai mandato a compiere era per lo SHIELD, o sbaglio Melinda?”

“Che sta succedendo?”

Ava aveva sorriso alla domanda di Clint.

“Perché non lo chiediamo direttamente alla famosa Cavalleria? Colei che ha salvato decine di agenti da una morte certa offrendosi di entrare in quell’edificio! Che coraggio!”
Aveva volutamente dato enfasi all’ultima parola.
“Sai May, prima del nostro incontro in Romania ho fatto cose di cui non vado molto fiera. Ho mentito e ingannato, tra le altre cose; dev’essere per questo motivo che io per prima tendo a non fidarmi delle persone. Ho fatto delle ricerche su Nat, Yelena e te. Per le prime due, contro ogni aspettativa, è stato molto semplice: una aveva messo tutti i suoi segreti a disposizione del mondo con un click e l’altra, che si trovava a Cuba, ha deciso di ascoltarmi e rispondere a ogni mia domanda. Barton, crede che abbia trovato qualcosa di interessante su May?”

Clint stava per ribattere, ma era stato preso alla sprovvista da Melinda che si era alzata dalla sedia per poi fare un passo avanti verso la rossa.

“Non so cosa tu creda di aver trovato, ma questo non è né il modo né il momento…”

La giovane aveva ristabilito le distanze allontanandosi dalla sua interlocutrice.

“Non è il momento?”
Si era lasciata andare a una breve risata.
“Ma certo non è mai il momento, come non lo è stato per dire a tutti cosa fosse accaduto in Bahrain, anzi hai provato a nasconderlo con ogni mezzo! Mi hai mandato in missione perché qualcuno l’aveva scoperto e ovviamente hai deciso di mandare me. Non hai idea di cos’abbia dovuto fare per recuperarla, ma non sono una moralista, sono l’ultima persona che potrebbe giudicarti. Sarei andata comunque in missione per te, invece tu hai preferito impedirmi di salutare Natasha, così come quelli della Stanza mi hanno impedito di salutare mia madre perché altrimenti non sarei stata concentrata sull’addestramento. Sei esattamente come loro! Nat era mia sorella, l’unica famiglia che avessi! Se mi avessi detto della sua morte sarei poi andata comunque a recuperare quelle informazioni. Tu invece eri così preoccupata che qualcuno sapesse che in Bahrain, non hai salvato proprio nessuno, hai semplicemente sparato a una ragazzina Inumana in preda ai suoi poteri!”

May si era avvicinata pericolosamente alla ragazza che però questa volta non aveva indietreggiato.

“Ava, non sai di cosa tu stia parlando.”

“Mi hai mandato in missione mentendomi e usandomi solo per i tuoi interessi! Se al posto di quella Inumana in Bahrain ci fosse stata Quake avresti fatto l’impossibile per proteggerla. Solo due cose ti intessano: la tua reputazione e la cara Daisy! Tutto il resto può andare all’inferno!”

Lo schiaffo che la rossa aveva ricevuto come risposta da May aveva fatto calare il silenzio. Clint era scattato in piedi pronto a una qualsiasi reazione da parte della giovane che però tardava ad arrivare. Si era portata la mano alla guancia che già iniziava ad arrossarsi per poi concentrarsi sul labbro rotto che stava sanguinando. 

Melinda si era subito pentita di quello scatto d’ira.

“Ava, io…”

“Vattene.”
Era stato poco più di un sussurro, gli occhi fissi in quelli della Cavalleria in segno di sfida.
“Esci da questa casa.”

“Ascoltami…”

“No, ora basta. Avresti dovuto spiegarmi tutto questo tempo fa, ormai è troppo tardi. Sono stanca di stare ad ascoltare le tue patetiche scuse. Non voglio né vederti né sentirti finché non sarò io a decidere che sia giunto il momento per farlo.”
May stava per ribattere, ma era stata battuta sul tempo dalla ragazza, che mentre stava parlando aveva ripreso le distanze per poi dirigersi verso la porta dell’appartamento.
“Vuoi provare a farmi cambiare idea? D’accordo, se non vorrai rispettare nemmeno questa mia richiesta ti obbligherò a farlo: cercami senza che l’abbia fatto prima io e tutti, SHIELD e non, sapranno di come ti sei guadagnata il tuo titolo. Sapevo che sarebbe stato utile copiare quei file che ritieni tanto importanti; che ne pensi, Cavalleria?”

Melinda era parsa titubante per qualche istante prima di cedere a quello che a tutti gli effetti era un ricatto. Si era quindi avviata verso l’uscio che Ava stava tenendo aperto, ma prima di uscire aveva recuperato dalla tasca del suo giubbotto una chiave, che la rossa aveva riconosciuto essere quella della casa, e gliel’aveva lasciata.

“Spero potrai perdonarmi. Non importa quando.”

Detto questo l’agente May aveva varcato la soglia prima che la giovane Orlova la richiudesse alle sue spalle. 

Una volta sola con Clint, che ancora se ne stava lì in piedi vicino al tavolo senza sapere cosa dire o fare, aveva poggiato la schiena contro il muro per poi lasciarsi scivolare sul pavimento. Aveva portato le gambe al petto per poi circondarle con le braccia e nascondere il viso tra le ginocchia. 

Un singhiozzo e poi un altro ancora le avevano scosso le spalle. Aveva sentito un rumore accanto a sé e solo dopo altro tempo che si era concessa per sfogarsi, si era obbligata a voltarsi. Al suo fianco si trovava l’arciere che le stava offendo un fazzoletto. Il biondo si era inizialmente stupito, non si trovava più di fronte un’avversaria pronta a lottare con le unghie e con i denti e nemmeno un’ex Vedova Nera, o qualsiasi cosa fosse, decisa a tener testa a Melinda May in persona. Era solo un ragazzina poco più che ventenne che aveva appena scoperto di aver perso l’ultimo stralcio della propria famiglia e di essere stata tradita da una delle poche persone di cui si fidava. 

La rossa aveva accettato l’offerta del fazzolettino, si era asciugata le lacrime e tastata il labbro rotto che però aveva cessato di sanguinare. Aveva provato a darsi un certo contegno rimanendo però seduta per terra. 

“Agente Barton…”

“Ti prego chiamami Clint. Voglio dire, abbiamo cercato di ucciderci a vicenda, credo che i convenevoli siano fuori luogo.”
Aveva visto l’espressione della sua interlocutrice farsi più rilassata, almeno in apparenza.
“O almeno così è stato per me e Nat dopo il nostro primo e memorabile incontro.”

Aveva notato un sorriso apparire sulle labbra di Ava. 

“Sai, Clint, prima di raggiungere l’appartamento ho chiamato Natasha sul cellulare che usava per tenersi in contatto con me e quando hai risposto tu ho pensato che fosse in pericolo…"
Aveva emesso un breve sospiro.
“Che stupida. Credevo avesse bisogno del mio aiuto e che avrei potuto aiutarla…”

Barton si era schiarito la voce attirando la sua attenzione.

"Beh per quel che vale, se Nat fosse stata davvero in pericolo l’avresti certamente salvata, ho ancora il naso gonfio per la tua testata!”
Si era concesso una risata che però non aveva contagiato Ava che, per tutta risposta, aveva abbassato lo sguardo.
“Ehi, scusa per la frase infelice, non era mia intenzione. Non so come possa esserti utile, ma sappi che ti capisco, io stesso mi sento ancora in colpa per la sua morte. Se fossi stato più attento, più veloce o più deciso magari ora sarebbe qua a lamentarsi di quanto Liho fosse un gatto inavvicinabile.”

Questa volta la rossa aveva riso e il micio, sentendosi chiamato in causa notando gli sguardi di entrambi su di lui, si era avvicinato alla ragazza che prontamente aveva iniziato a coccolarlo. 
Clint aveva atteso un attimo prima di proseguire.

“Se però c’è una cosa che ho capito, non grazie a me sia chiaro, è che lei non l’avrebbe mai permesso; non avrebbe accettato una soluzione diversa da quella che aveva scelto. Non so per quale motivo l’abbia fatto, posso solo immaginarlo, ma credimi quando ti dico che non ho mai visto Nat così tanto determinata.”

La sua interlocutrice aveva annuito.

“Immagino che una delle sue caratteristiche principali, inaspettatamente, fosse la sua cocciutaggine. Ricordo che per una missione, riguardava Masters se non erro, le avevo fatto promettere che non mi avrebbe controllata. Lei cosa fa? Manda Yelena. Le sue parole sono state…”
Si era schiarita la voce e aveva raddrizzato la schiena.
“‘Io non ti ho seguito, l’ha fatto Yelena, quindi non ho infranto alcun accordo!’ Poi mi ha fatto l’occhiolino e si è messa a ridere, probabilmente soddisfatta della riuscita del suo piano.”

Barton aveva un mimato un breve e rapido applauso.

“Ottima imitazione, non ce che dire!”
Si era compiaciuto dello sbuffo fintamente infastidito di Ava.
"Effettivamente è una cosa che direbbe proprio Natasha e pensare che appena arrivata allo SHIELD faceva di tutto per isolarsi, ma sembrava che ogni cosa facesse desse vita a nuove voci di corridoio. Chi la dipingeva come una talpa sovietica mandata per colpirci dall’interno, chi come una mina vagante decisa a soddisfare i propri interessi…”

“Immagino la conoscessi molto bene, almeno questo mi sembra di capire da come ne parli. Ricordo ancora quando mi ha trovato: avevo nove anni e mi trovavo nella cella in cui stavo quando non provavano a ricreare l’arma al loro comando che sarei dovuta essere. Ero lì dentro seduta in silenzio, non mi era permesso fare molto altro e d’un tratto ho sentito delle urla e il soldato che mi controllava -ho capito dopo che fosse lui- sbattere addosso alla porta. Dopo qualche minuto la serratura è saltata ed è entrata lei, mi ha sorriso e mi ha promesso che mi avrebbe portata fuori di lì. È stata la prima volta che qualcuno si è rivolto a me così, oltre a mia madre ovviamente. Il resto della storia lo sai, almeno su quello May non ha mentito.”

I due erano rimasti in silenzio come se qualsiasi altra parola fosse stata di troppo. Erano stati lì, l’una accanto all’altro, per qualche minuto; le fusa di Liho in sottofondo che non sembrava per nulla preoccupato da tutte le cose successe quel giorno.

“Come hai fatto ha superare la sua morte? Perché io non credo di farcela.”

Clint era stato preso in contropiede dalla domanda che da un momento all’altro aveva riportato alla sua mente dolorosi ricordi.

“Semplice: non la si supera, ci si impara a convivere. Sai qual è stata l’ultima cosa che mi ha detto? ‘Va bene.’ Stava cercando di rassicurarmi; lei stava per morire e la sua preoccupazione era rassicurami del fatto che non mi considerasse responsabile, che era stata una sua decisione. Non potrò mai superare la sua morte, ma posso continuare a ricordare cos’ha fatto per me e per tutti noi, non permetterò che il suo sacrificio sia stato vano; glielo devo.”

Ava aveva annuito con gli occhi ludici velati di lacrime. Aveva sospirato e chiuso gli occhi per un istante.

“Spasibo sestrenka.”

Era stato solo un sussurro, ma a Barton quelle parole erano giunte forti e chiare.

“Cos’hai detto?”

Il suo tono lasciava trasparire una strana agitazione a cui però la ragazza non aveva prestato particolare attenzione.

“Oh scusa, è russo, significa ‘grazie…”

“Sorella.”

“Esatto, è così che mi chiamava Natalia.”

Clint aveva dischiuso le labbra senza però proferire parola. Si era sporto leggermente in avanti per poter raggiungere la tasca posteriore dei pantaloni. Aveva estratto la lettera spiegazzata e l’aveva mostrata alla rossa che aveva spostato lo sguardo da lui alla busta.

“Questa cos’è?”

“L’ha lasciata Natasha per te, non so quando o perché, ma l’ha fatto. Intendo, credevo fosse una specie di codice o qualcosa di simile e ho pensato di portarla a casa per provare a capire e decidere cosa farne."
Barton aveva iniziato a parlare senza nemmeno quasi respirare, elettrizzato dall’idea di aver trovato il destinatario di quel messaggio.
“Poi però sei arrivata tu, eri ferita e c’è stata May e mi sono dimenticato di avere questa, ma adesso…”

Aveva fatto una pausa per prendere fiato e calmarsi. Ava, confusa, si stava limitando a osservarlo.

“È tua.” 
Le aveva porto la lettera e atteso un istante che la giovane Orlova l’accettasse.
“Voleva che l’avessi tu.”

“Dove l’hai trovata?”

“Nella cassaforte in camera sua.”

“Ah, quella che si apre con il collare di Liho?”

“Si… aspetta, tu lo sapevi? Del codice e del gatto intendo.”

La rossa aveva fatto spallucce.

“Gliel’ho semplicemente chiesto.”

Il biondo aveva borbottato qualcosa che aveva fatto sorridere la ragazza, aveva poggiato le mani sul pavimento per poi alzarsi da terra.

“Ti lascio da sola, non voglio invadere questo…”
Aveva gesticolato per un attimo indicando lei e la lettera.
“Questo.”

“È stato un piacere conoscerla agente Barton.”

L’arciere aveva leggermente piegato il capo di lato.

“Noi crederai davvero che io ti lasci qua sola e ferita?”

“Non ce n’è bisogno, so cavarmela da sola, non è la prima volta che mi capita.”

“So benissimo che ce la faresti da sola, non è questo il punto. Credo che in qualche modo Nat abbia fatto in modo di farci incontrare e, come ho aiutato lei, voglio aiutare te.”

La sua interlocutrice aveva aggrottato le sopracciglia confusa.

“Tutto qua? Mi vorresti aiutare solo perché la conoscevo? Mi sembra un po’ azzardato…”

L’ex Vendicatore le aveva sorriso.

“Lei si fidava e a me basta questo; se lei si fida, io mi fido.”
Non aveva atteso una risposta
“Ti aspetto fuori, faccio due chiamate.”

Le aveva voltato le spalle ed era uscito dall’appartamento, lasciando lì Ava spiazzata da quelle parole e con la lettera in mano; aveva deciso di concentrarsi su quest’ultima. 
Aveva aperto la busta stando attenta a non romperla. Sul foglio ripiegato al tuo interno era ben chiara la grafia di Natasha e dalla scrittura si poteva intuire che fosse stato scritto abbastanza in fretta: era molto fitta e presentava alcune cancellature.

Ciao sorellina,
mi dispiace davvero tanto non poterti dare questa lettera di persona, ma immagino tu abbia già capito almeno in parte cosa sia accaduto; Melinda dovrebbe averti spiegato tutto. 
Non ho molto tempo, ma voglio che alcune cose tu le sappia da me, che capisca perché ho preso questa decisione. 

Ho parlato con Nebula, la figlia di colui che con un solo schiocco di dita ha spazzato via metà popolazione mondiale, ma lei non è così, puoi fidarti. Abbiamo parlato delle Gemme, quelle che potrebbero risolvere tutto, e ho scoperto dove se ne trova una e cosa sia necessario fare per averla. L’ho implorata di non parlare con nessun altro di questa cosa e credo di essere riuscita a convincerla; abbiamo molte cose in comune e credo capisca la mia scelta. Non posso permettere che qualcun altro soffra. Tony, che mi è stato molto vicino in questi anni e sono certa che farà lo stesso per te, ha Pepper e Morgan, Steve ha passato la vita a combattere in nome di qualcun altro e Rhodes ha già sacrificato molto. Poi c’è Clint. Per la prima volta dopo anni mi sono ritrovata a pregare. Sai bene che ho smesso di crederci molto tempo fa dopo ciò che mi hanno fatto e costretto a fare nella Stanza, ma stavolta è diverso. Ho pregato che tra tutti, non toccasse a lui la sorte di accompagnarmi a cercare quella gemma. Lo conosco molto bene, farebbe di tutto per impedirmelo, ma non posso permettere che lo faccia; con quale coraggio potrei privarlo della sua famiglia dopo aver visto come ha trascorso questi cinque anni? Non potrei lasciarglielo fare nemmeno volendo, non dopo tutto quello che ha fatto per me; glielo devo, ho un debito con lui e finalmente potrò ripagarlo. Ma non ti sto scrivendo per dirti cose che probabilmente scoprirai già da sola; voglio chiederti perdono. Perdono per averti promesso che ci sarei sempre stata per te e che non ti avrei mai abbandonato, promessa che ora sono certa sto per infrangere. Vorrei ci fosse un’altra soluzione. La prima volta che ti ho vista avevi nove o dieci anni e mi hai subito ricordato me stessa: così piccola eppure costretta a crescere in fretta. Quando ti ho affidata allo SHIELD credevo di fare ciò che fosse meglio per te, solo dopo ho capito che non era così, solo quando hai scelto di fuggire; a dir la verità già allora ti avevo lasciata sola. Tu però hai deciso di darmi una seconda possibilità quando ti ho trovata in Romania. Potevi non fidarti, non accettare il mio aiuto; avresti potuto farlo, ma non l’hai fatto. Grazie, te ne sono stata sempre grata, ma non credo di avertelo mai detto. Ne avevo bisogno.
Tu adesso sei in missione, fra qualche giorno scoprirai cos’ho fatto e alcune cose cambieranno. Sappi però che non sarai sola, ci sarà sempre chi sarà pronto ad aiutarti; quel qualcuno sarà Clint. È stata la persona che mi ha sempre protetto, sia in missione che dai giudizi di chi mi credeva solo la Vedova Nera. Colui che non mi ha mai voltato le spalle, nemmeno quando ha scoperto tutto ciò di cui mi sono macchiata, quello che avevo fatto. Lui e Laura, sua moglie, mi hanno sempre dato un posto in cui stare e sentirmi al sicuro, non importava se in quel periodo lo SHIELD mi considerasse una minaccia. Ti prego fidati di lui, lasciati aiutare. 
Ora devo andare, gli altri mi stanno aspettando al Compound.
Ti voglio bene, non importa ciò che accadrà, te ne vorrò sempre; rimarrai la mia sorellina.
Nat

Ava era senza parole.
Natasha sapeva bene che stava per morire e aveva deciso di scriverle una lettera per chiederle perdono. Nessuno si era mai interessato a lei, se non per provare ricreare quello che era stato il progetto Vedova Nera. Nessuno si sarebbe mai messo contro lo SHIELD per proteggerla, cosa che invece Nat aveva fatto appoggiando la sua richiesta di non parlare con Fury quando l’aveva ritrovata in quel magazzino abbandonato. 

Si era concessa di perdersi nei ricordi ancora per qualche minuto prima che la sua attenzione venisse attirata da Liho che, spostatosi, aveva iniziato a graffiare la porta.

“Hai ragione, credo sia ora di andare.”

Si era quindi alzata e aveva recuperato il casco integrale che ancora si trovava sul pavimento vicino al tavolo, dove lei l’aveva lasciato durante il breve scontro con Clint. Aveva poi aperto l’uscio lasciando uscire il gatto, aveva poi seguito le sue orme. Solo in quel momento si era accorta che la serratura era stata resa inutilizzabile dal proiettile sparato da Melinda al suo arrivo; si era quindi appuntata mentalmente di chiamare un fabbro appena possibile. Era infine uscita dal condominio dove l’arciere, ancora al telefono, la stava aspettando.

“… no stavolta non si tratta di Lucky e Kate, credo siano in giro per Manhattan, ma per la serata pizza avremo comunque un’ospite. Perfetto, sei la migliore! Ti amo anch’io, a dopo.”

Aveva terminato la chiamata e si era concentrato su Ava che lo stava osservando accanto la sua moto. Il biondo sembrava più rilassato nonostante gli avvenimenti di quel giorno.

“Sbaglio o quella sembra la moto Nat?”

“Non sembra la sua, è la sua. Me l’ha fatta avere tramite Isaiah durante una missione. Quando poi l’ho sentita mi ha detto che le dispiaceva fosse ferma nel suo box.”

“Ross, eh?”
Barton aveva sorriso; sembrava avesse appena capito qualcosa che però la rossa ignorava.
“Maledetti avvocati!”

Si era lasciato andare a una breve risata come se avesse appena fatto una battuta che però solo lui sembrava trovare esilarante. 
Aveva poi scosso la testa, il tono della voce era ancora divertito. 

“Comunque, credo sia il momento di levare le tende.”
Le aveva aperto la portiera della sua auto e con un inchino accennato l’aveva invitata a salire.
“Stasera passerò a recuperare la tua moto, non preoccuparti. Laura ci sta aspettando per la cena, non vorremo tardare, vero?”

Ava aveva sorriso prima di prendere posto sul lato passeggero. Barton si era poi messo al posto di guida e aveva accesso il motore.

“Clint? Non mi hai ancora detto dove stiamo andando.”

Si era voltato per una attimo verso di lei prima di riservarle un sorriso sghembo.

“A casa.”
 

Angolo Autrice 

I miei complimenti ai prodi lettori che sono arrivati alla fine di questa mini long, nata come OS, che però ha preso il sopravvento. Innanzitutto, ormai è una tradizione, ringrazio la mia fidata beta, _cryptic_, per avermi supportato e sopportato, nella scrittura di questa storia. 
Grazie anche a chi ha recensito e a chi recensirà, mi fa sempre molto piacere leggere commenti con opinioni e suggerimenti per poter migliorare. Un grazie in particolare per le loro recensioni a Ragdoll_Cat e Farkas.
Per chi volesse cimentarsi nello scoprire tutti gli Easter Egg nascosti nei capitoli, vi posso dire che sono in totale 20 e hanno origini diverse: alcuni fanno riferimento all’MCU sia alle serie che ai film, altri ai fumetti (in particolare quelli di Vedova Nera, ma anche altri) e infine alcuni a serie che non fanno parte del mondo Marvel.
Riuscirete a trovarli tutti? 

 

Alla prossima,
Miss All Sunday

 

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