Ash and Snow, Blood and Bones

di Ortensia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuvole Bianche: Ritorno al Garreg Mach ***
Capitolo 2: *** Nuvole Bianche: Giovani aspirazioni ***
Capitolo 3: *** Nuvole Bianche: Istinto di protezione ***



Capitolo 1
*** Nuvole Bianche: Ritorno al Garreg Mach ***


Ash and Snow, Blood and Bones



Parte 1, Capitolo 1

Nuvole Bianche: Ritorno al Garreg Mach



Rodelia sedeva con le mani inguantate congiunte in grembo, i lineamenti delicati screziati dalla luce dorata del sole che filtrava timidamente oltre la tendina blu. Stretta nel suo scialle di pelliccia che si ostinava a indossare nonostante si trovassero ormai ben lontani dal cuore freddo del Regno e con i capelli blu notte legati in una treccia che le ricadeva morbidamente su una spalla, sembrava un quadro. L'esatto ritratto di una graziosa fanciulla immersa nella contemplazione del paesaggio che si intravedeva fuori dalla carrozza.
Accanto a Rodelia sedeva la gemella, Esperia, i cui occhi erano così limpidi che osservandoli si aveva l'immediata impressione che attraverso di essi si potesse leggere qualsiasi pensiero le passasse per la testa. I lunghi capelli biondi le incorniciavano il viso tondo, le gote piene e appena arrossate e le labbra rosee increspate in un sorriso allegro. Teneva le mani sulle ginocchia e le suole degli stivali ben aderenti al pavimento, pronta a esultare nel momento in cui sarebbero giunti a destinazione.
Maris, ultimo nato della dinastia reale, era immerso nella lettura di un libro alquanto consunto, probabilmente uno dei tanti romanzi eroici che Ashe gli aveva donato. A dire il vero lui ed Esperia avevano trascorso la maggior parte del viaggio a disquisire entusiasticamente su tutto ciò che si vedeva fuori dalla carrozza, ma alla fine anche lui era stato sopraffatto dalla noia.
Arendelle, primogenita dell'Arcivescova della Chiesa di Seiros e del Re del Fódlan Unito, nonché sola e unica osservatrice dei propri compagni di viaggio, avvertì un malessere a cui era ormai fin troppo abituata. Era una sensazione spiacevole che non riusciva ancora a comprendere appieno, anche se negli ultimi tempi aveva avuto l'impressione che stesse divenendo sempre più simile a un'amara consapevolezza.
Le mancava qualcosa, ma non disse nulla. D'altronde Maris le avrebbe ricordato che un giorno sarebbe divenuta regina, mentre Esperia le avrebbe fatto i complimenti per la forza, il fisico allenato e perfino per i capelli, ben più lucenti e ordinati dei suoi. Rodelia, contraddistinta da una spiccata maturità, le avrebbe invece rimproverato di soffrire per una mancanza piuttosto che gioire per tutto ciò che possedeva.
Tutti la ammiravano, nutrivano grandi aspettative verso di lei. Maris, in particolare, si era aggrappato alla sua sottana fin da quando aveva compiuto i primi passi e sembrava non averla ancora lasciata. Era lui che la infastidiva maggiormente: aveva gli occhi identici a quelli del padre, perciò quando la guardava si sentiva esaminata e giudicata non tanto da suo fratello, quanto piuttosto dalla persona che amava di più al mondo.
Arendelle chiuse gli occhi e sospirò sommessamente: avrebbe soltanto voluto recuperare la propria lancia dalla carrozza delle armi e raggiungere il padre in testa alla carovana che portava gli stendardi del Fódlan Unito.


La vista del Monastero parve ridestare tutti dal torpore del viaggio.
Maris chiuse il libro e tornò ad ammirare il paesaggio e Rodelia raccomandò subito a Esperia di mantenere la calma e di resistere alla tentazione di andare a esplorare il bosco una volta arrivati.
«Ma ci pensate?» Esperia, in effetti, era tutt'altro che tranquilla. «Vivremo qui per un anno intero! Chissà quante persone conosceremo!»
«Non siamo qui per fare amicizia» la rimboccò Arendelle.
«Che male ci sarebbe, sorellona?» le domandò Maris.
«Infatti» convenne Rodelia. «Anzi, fare amicizia è fondamentale, tanto quanto imparare l'arte della guerra. Abbiamo il compito di mantenere salda la cooperazione militare e commerciale con gli ex-territori dell'Alleanza e soprattutto di creare legami con i membri dei Lupi Cinerei, essendo questi composti per lo più dalla nuova nobiltà e dai superstiti dell'Impero.»
Arendelle abbandonò qualsiasi volontà di controbattere. Era frustrante che Rodelia fosse sempre così avveduta e coscienziosa, ma solo uno stupido avrebbe potuto darle torto.
«Guardate!» Esperia attirò immediatamente la loro attenzione: stava picchiettando un dito sul vetro con fare energico. «Un'aquila!»
«Dove? Non la vedo» Maris poggiò entrambe le mani sul vetro e finì per premervi anche la guancia, un comportamento decisamente poco principesco che fece sospirare Arendelle.
«Laggiù!» Esperia continuò a picchiettare il dito. «Sulla cima di quell'albero!»
«Ah, eccola!»
Arendelle li osservò con la coda dell'occhio ancora per qualche istante, invidiando un entusiasmo così grande per qualcosa di così insignificante come un'aquila. Quando tornò a guardare davanti a sé il suo cuore saltò un battito: Rodelia la stava fissando, le labbra increspate in un piccolo sorriso gentile.
«Vedrai che sarà una bella esperienza» disse. «Ti basterà essere un po' più indulgente.»
Punta sul vivo, Arendelle bofonchiò qualcosa di incomprensibile e distolse lo sguardo, rivolgendolo alle proprie mani: Rodelia aveva compreso immediatamente il suo disagio e come il più clemente degli angeli aveva tentato di rassicurarla. Lo faceva con tutti: si poneva come colonna portante, qualcuno su cui contare. Ma avrebbe dovuto essere il contrario, dopotutto era Arendelle la sorella maggiore.
«Stiamo sorpassando il primo muraglione» annunciò Esperia, ormai reduce dell'entusiasmo provato per l'avvistamento del rapace, non più visibile a causa della posizione della carrozza.
«Chissà come sta la mamma» per tutto il viaggio Maris non aveva avuto altro pensiero in mente. Dopotutto aveva solo quattordici anni e al contrario di molti ragazzi non credeva assolutamente che dimostrare affetto per la propria madre potesse in qualche modo compromettere la sua mascolinità.
«Secondo voi zio Claude e gli altri sono già arrivati?» domandò Esperia mentre poggiava la mano sulla spalla della gemella.
«Sono certa che arriveremo per primi» rispose prontamente Rodelia, un sorriso sottile a incresparle le labbra mentre osservava il secondo muraglione farsi sempre più imponente.
All'improvviso udirono il nitrito di un cavallo, lo scalpiccio degli zoccoli accrescere di intensità per poi scemare nel momento in cui qualcuno bussò sulla fiancata dell'abitacolo su ruote.
«Ohi!» Sylvain li salutò con un cenno della mano. «Tenetevi pronti, manca poco!»
«Siamo già pronti» Arendelle rispose a denti stretti, mentre Rodelia si limitò a ricambiare il saluto del cavaliere.
«Non vedo l'ora di sgranchirmi le gambe» Esperia si stiracchiò, distendendo gli arti fino a toccare il piede di Maris con la punta dello stivale. «Per colpa del mio fratellone sono tutta intorpidita…»
«Ehi!» sentendosi chiamato in causa, Maris protestò, ma un sorriso divertito si sostituì immediatamente alla sua espressione corrucciata.
«Potrei dire lo stesso, sai?» tese entrambe le mani verso la sorella, le dita spalancate.
«No, no!» Esperia si dimenò nel tentativo di sfuggirgli, ma non appena lui le toccò la pancia si ripiegò su se stessa e cominciò a ridere sguaiatamente, provocando il giubilo del suo tormentatore, estremamente divertito da quella reazione spropositata.
Rodelia sorrise di fronte a quella scena. Ricordò di quando, da bambini, giocavano tutti insieme nel cortile fiorito sul quale si affacciava lo studio privato del padre.
La carrozza si fermò qualche istante più tardi. Un cavallo nitrì e qualcuno fischiò.
Maris non riuscì a trattenere un sorriso di contentezza quando vide due Cavalieri di Seiros davanti all'ingresso del Garreg Mach, ma la sua attenzione fu subito attirata dallo scatto dello sportello. Quando si voltò lo vide scivolare all'indietro e aprirsi sulla strada.
La luce bianca del sole riempì la carrozza solo per un istante, sovrastata immediatamente da un'ombra imponente.
Per la prima volta da quando erano partiti un sorriso puro come quello di una bambina illuminò il volto di Arendelle.
«Avete fatto un buon viaggio?» nella sua armatura argentata e con il viso libero dai capelli, che erano raccolti in un codino dietro la testa, Dimitri rivolse un sorriso ai figli e tese loro la mano per aiutarli a scendere dalla carrozza.
«Sì» fu Rodelia a rispondere, mentre le dita affusolate di Arendelle si aggrappavano alla mano del padre.
Non appena la primogenita scese dalla carrozza con un piccolo balzo, Rodelia lasciò il proprio posto e afferrò la mano del Re.
«Alla fine non è stato neppure tanto lungo» aggiunse una volta che ebbe toccato terra con entrambi i piedi.
«Il bel tempo ci ha permesso di andare più veloci» Dimitri le sorrise, dandole una carezza sul capo, poi tornò a rivolgere la propria attenzione all'interno della carrozza e ritirò la mano.
«Esperia» pronunciò il nome della figlia con tono serio, ma lei, in tutta risposta, gli mostrò i denti bianchi in un grande sorriso.
«Fa piano–»
Esperia gli gettò immediatamente le braccia al collo, ma Dimitri riuscì a sorreggerla prontamente con l'aiuto di un solo braccio.
«Non ti vergogni? Hai sedici anni» la punzecchiò Maris, ricevendo una linguaccia in risposta.
«È vero» scherzò Dimitri mentre porgeva la mano al figlio più piccolo. «Dovresti prendere esempio da tuo fratello.»
«Continuerò finché riuscirai a sorreggermi» annunciò lei mentre scioglieva l'abbraccio, le guance leggermente gonfie e l'aria volutamente sostenuta.
«Bene» Dimitri chiuse lo sportello della carrozza con un tonfo alquanto rumoroso, ma nessuno dei figli si scompose: quello che a molti sarebbe potuto apparire come un gesto di stizza era per loro la semplice normalità. Non era arrabbiato, anzi il suo viso era disteso, sereno, sfiorato gentilmente dai raggi tiepidi del sole.
Dimitri guardò i suoi figli e sorrise, un fremito nel petto.
«Andiamo a salutare vostra madre.»


Byleth si trovava un paio di metri oltre l'ingresso del Garreg Mach, Flayn e Seteth al suo fianco, la prima con le labbra piegate in un grande sorriso e il secondo ritto in piedi con le braccia dietro la schiena, la consueta espressione austera sul volto.
Ingrid, il cavaliere personale dell'Arcivescova, si era invece diretta verso la carovana e probabilmente si era già ricongiunta a Sylvain e ai figli.
Fra i tre in attesa, Flayn era l'unica a dimostrare un certo entusiasmo, facendo perfino fatica a trattenersi: non vedeva i principi da due anni ed era particolarmente impaziente di scoprire se i tanti racconti dell'Arcivescova erano stati sufficienti per aiutarla a immaginarli cambiati o se l'inesorabile scorrere del tempo le avrebbe mostrato uno scenario totalmente diverso da quello fantasticato.
Maris ed Esperia furono i primi a varcare la soglia del Garreg Mach, dirigendosi di corsa verso la madre.
Byleth non ebbe neppure il tempo di dare loro il benvenuto e non poté fare altro se non accoglierli nel suo abbraccio materno.
Flayn e Seteth arretrarono di qualche passo, come a voler lasciare maggiore intimità alla famiglia.
Dimitri e Rodelia li raggiunsero pochi istanti più tardi e Flayn si perse a osservarli, le labbra appena dischiuse, in un’espressione meravigliata.
«Maris ed Esperia sono cresciuti, certo» affermò rivolgendo una rapida occhiata a Seteth, che stava osservando la scena con espressione flemmatica. «Ma Rodelia sembra già una donna fatta e finita!»
Poi, però, Flayn si guardò intorno confusa, rivolgendosi nuovamente al padre.
«A proposito, dov'è Arendelle?»
Seteth chiuse gli occhi ed emise un sospiro di rassegnazione, quello di un padre perfettamente consapevole di quanto fosse difficile tenere a bada i propri figli.


«Dov'è Arendelle?» fu quella la prima domanda che Byleth rivolse a Dimitri mentre lui la abbracciava e la salutava con un bacio sulla fronte.
«Credo sia andata alla carrozza delle armi» il Re allentò leggermente l'abbraccio, cercando gli occhi della consorte. «Se la vedo le dico di venire a salutarti.»
«Non preoccuparti» Byleth gli sorrise, ma era chiaramente un'espressione di circostanza. Anche se ora era più facile intuire le emozioni della donna, molti trovavano ancora tanta difficoltà nel decifrarla, ma non Dimitri, che piuttosto che concentrarsi sulle sue labbra si perdeva a contemplare quei grandi e bellissimi occhi nei quali riusciva a scorgere un'infinità di sfumature. Era evidente che il comportamento distaccato di Arendelle la intristiva. E angustiava anche lui che meglio di chiunque altro sapeva che madre meravigliosa fosse Byleth, una madre giusta e benevola che si era sempre prodigata per distribuire equamente tutto il suo amore ai figli.
«Ben arrivato, Sua Altezza Reale!» una mano si poggiò sulla spalla del Re, che si voltò immediatamente.
«Claude, amico mio» Dimitri sorrise e anche Rodelia lo avrebbe fatto se non fosse stata tanto stupita di scoprire che i Cervi Dorati erano già lì.
I due uomini si salutarono con un paio di pacche al centro della schiena, poi Claude si rivolse ai tre principini.
«Allora? Come state? Eccitati? Spaventati? La prof vi darà sicuramente del filo da torcere!»
«Molto bene, così il Leone potrà battere ancora una volta il Cervo» la voce inconfondibile di Felix fece nascere un sorriso divertito sul volto di Claude, che gli rivolse un immediato saluto con un cenno della mano.
Accanto al Leone dai capelli blu vi era Alexander Glenn Fraldarius, un ragazzo dall'aspetto identico al padre se non per gli occhi verdi della madre. I tre principi lo salutarono allegramente e lui ricambiò con altrettanta contentezza.
Annette li raggiunse pochi istanti più tardi, un sorriso cordiale sulle labbra e stretta al petto una bambina paffuta che subito distese il braccio per sfiorare con le piccole dita la gomitiera del padre. Mercedes era accanto all’amica e rivolse un saluto a Dimitri e ai tre principi: era raro che lasciasse la Chiesa, ma quando Annette andava a trovarla non c'era preghiera che tenesse.
Pochi istanti più tardi vennero raggiunti anche da Klaus, il solo erede di Claude, e dai gemelli Eisner, che rivolsero subito un inchino al Re.
Leon e Anastasia Eisner erano gemelli eterozigoti, proprio come Rodelia ed Esperia. Erano accumunati dai lineamenti delicati, dagli zigomi alti e dalla pelle molto chiara, ma per il resto sembravano a malapena fratelli.
Il ragazzo aveva capelli più neri della notte, corti e leggermente ondulati sulle punte, e occhi viola chiaro, tendente al lilla. La gemella, poco più bassa di lui, era piuttosto minuta e portava i lunghi capelli castani legati in una coda laterale, ma probabilmente il tratto che spiccava maggiormente erano gli occhi dorati, di un taglio decisamente più affilato rispetto a quello di Leon.
Una guardia li aveva trovati diciotto anni prima in un grande paniere senza manico abbandonato sotto i portici esterni del primo muraglione, proprio davanti a uno dei cancelli secondari. Tutti al Monastero si erano presi cura dei due, soprattutto Byleth, che aveva dato loro nome e cognome.
Klaus, che aveva appena preso sotto braccio Maris, aveva invece compiuto sedici da pochi giorni.
«Buongiorno principini!» aveva senza dubbio ereditato tutta la sfrontatezza del padre, ma era piuttosto simpatico e perciò tutti lo salutarono calorosamente. Aveva i capelli castani tagliati corti e una piccola treccia a destra, in onore del padre, mentre all'orecchio sinistro portava un piccolo orecchino d'oro a forma di luna. La sua pelle era color del miele, mentre gli occhi erano di una particolare tonalità rosata che aveva senza dubbio ereditato dalla madre Lysithea.
«Ho trovato qualcosa di molto interessante nel bosco» annunciò con una certa soddisfazione. «Volete che vi accompagni?»
«Molto volentieri!» esclamò Esperia, che sembrava non aspettare altro. Lei e Klaus, dopotutto, condividevano uno spiccato senso dell'avventura, difatti, tutte le volte che la famiglia reale si era recata negli ex-territori dell'Alleanza, Rodelia aveva trascorso le giornate al Campo Marzio con Claude per affinare la sua tecnica di tiro con l'arco o a contatto con le viverne, creature per le quali aveva sempre nutrito una certa ammirazione, mentre Esperia e Klaus erano andati a giocare per le strade della città o al porto, dove spesso e volentieri facevano scorpacciate di moscardini crudi scroccati ai pescatori.
Come prevedibile, Klaus ed Esperia corsero immediatamente verso il bosco, seguiti a ruota da Maris.
«Andiamo con loro?» Alexander si rivolse a Rodelia, che subito gli sorrise.
«Qualcuno dovrà pur tenerli d'occhio» rispose lei.
«Anche perché sono disarmati» le fece notare lui.
Rodelia rise dell'incoscienza di quel gruppetto. In passato si sarebbe preoccupata, ma negli ultimi anni perfino Dedue si era reso conto della pace che regnava e aveva allentato la presa sull'incolumità del Re e dei principini, perciò non aveva alcun senso impensierirsi.
«Posso unirmi a voi?» Anastasia si insinuò fra loro con un movimento così fluido da sembrare fatta di acqua. «Scusatemi, non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione» si portò una mano alla cintola, le dita a sfiorare il fodero viola di un pugnale. «Io so combattere se ce ne fosse il bisogno.»
Rodelia, infastidita da quell'interruzione, avrebbe voluto risponderle che il potere di Alexander era più che sufficiente, tuttavia ripensò a quanto aveva detto ad Arendelle sulla carrozza: fare amicizia era importante, soprattutto con i membri della Casata dei Lupi Cinerei, di cui i gemelli Eisner facevano parte. Sarebbero rimasti lì per un anno, non solo qualche giorno come in passato, perciò chiudersi nel Campo Marzio con le sue frecce e i suoi bersagli non era più un piano di fuga contemplabile.
«Ci farebbe molto piacere se ci onorassi della tua presenza» Rodelia increspò le labbra in un soriso di circostanza e Anastasia, che sembrava non aver colto i veri sentimenti della sua interlocutrice, batté allegramente le mano.
«Bene!» si mise immediatamente in testa al gruppo, dirigendosi a passo spedito verso il bosco, evidentemente intenzionata a raggiungere subito gli altri tre.
In quel momento Rodelia non poté fare a meno di rivolgere l'attenzione al gemello, che al contrario di Anastasia se n'era rimasto in disparte, immobile fra gli adulti, con le braccia incrociate dietro la schiena. Era un pesce fuor d'acqua e Rodelia si sentì a disagio per lui.
«Vieni con noi?» gli domandò, e lui sobbalzò, come stupito di essere stato notato e interpellato, poi negò con un rapido cenno del capo, piantando gli occhi a terra.
Rodelia restò a osservarlo ancora per qualche istante, per poi voltargli le spalle non appena Alexander compì i primi passi verso il bosco.


Poco più tardi si ricongiunsero a Klaus, Maris ed Esperia, trovando i due ragazzi impegnati a ingurgitare bacche selvatiche e la principessa seduta su un grosso ramo, a un paio di metri da terra.
«Vedo che vi siete già ambientati» disse Rodelia mentre osservava la sorella scendere dall'albero con un balzo leggero.
«È bellissimo qui» Esperia le mostrò i denti in un grande sorriso e Rodelia non poté resistere dal darle un buffetto affettuoso sulla guancia.
«Klaus, quando siete arrivati?» poi rivolse la propria attenzione al giovane Von Riegan.
«Circa un'ora fa!» rispose lui prima di inghiottire una manciata di bacche e sporcarsi le labbra di succo rosso.
«Ho sbagliato...» Rodelia farfugliò e la gemella le rivolse un'occhiata interrogativa.
«Ero certa che saremmo arrivati prima noi» disse poi a voce più alta. «Se Arendelle fosse qui sarebbe felice di sapere che mi sono sbagliata.»
«Vero» convenne Alexander.
«A proposito» Anastasia attirò la loro attenzione. «Dov'è Arendelle? Avrei voluto salutarla.»
Rodelia si strinse nelle spalle, cercando qualcosa da dire.
«Anastasia, tu vivi qui da sempre» l’intervento improvviso di Esperia, però, spostò l’attenzione su tutt’altro argomento. «Conosci bene il bosco?»
«Oh no» la ragazza scosse appena il capo, sorridendo vagamente imbarazzata. «Preferisco di gran lunga fare compere in città.»
«Davvero?» chiese Esperia con espressione stupita. «Io starei qui nel bosco per sempre!»
«Come uno gnomo» l’intervento di Maris scatenò una breve risata generale e soprattutto quella di Klaus, il cui didietro divenne immediatamente bersaglio del piede di Esperia.
«E pensare che fino a una decina di anni fa agli studenti era proibito fare escursioni nel bosco» Alexander sollevò appena lo sguardo, osservando le cime degli alberi che con le loro fronde verde smeraldo rilassarono immediatamente la sua vista.
«È vero,» convenne Klaus mentre si massaggiava il posteriore, una risata trattenuta a stento «ma ora non è altro che un bosco abitato da cervi, cinghiali, conigli e fagiani.»
Per un attimo sembrarono fermarsi tutti a contemplare le cime degli alberi, la luce bianca del sole che filtrava timidamente tra le foglie tonde.
Per anni, dopo l’unificazione del Fódlan, il Regno e la Chiesa avevano dispiegato i Cavalieri di Seiros e i Soldati Reali per ripulire il territorio dai gruppi superstiti dell’Impero e dalle Bestie Demoniache. Si erano inoltre occupati di recuperare tutte le Reliquie degli Eroi e le pietre segno, di modo che nessuno entrasse illegittimamente in loro possesso.
Erano ormai tempi pacifici e i boschi non erano altro che terreni di caccia perfetti per procurarsi dell’ottima selvaggina o luoghi sereni dove poter passeggiare o meditare.
I ragazzi percorsero ancora una quindicina di metri prima di inoltrarsi nel fitto della boscaglia, lì dove i raggi del sole non riuscivano ad arrivare. Immersi nella penombra umida degli olmi, Klaus li guidò fino alla fine di una discesa rocciosa, per poi svoltare a sinistra, dietro a un muretto di pietra ricoperto di muschio.
Percorsero ancora qualche metro sul sentiero sterrato che si intravedeva appena oltre le chiome invasive degli arbusti, gli alberi che lo fiancheggiavano a formare una muraglia compatta di tronchi e foglie che impedivano di scorgere ciò che vi era al di là. Un fruscio continuo e l’umidità nelle loro narici lasciavano tuttavia ipotizzare che si trovassero nei pressi di un torrente.
«Siamo arrivati» annunciò Klaus, apprestandosi a scostare due grosse fronde basse ma così fitte da riuscire facilmente a sbarrare il sentiero.
Alexander lo aiutò, mentre gli altri quattro si fermarono a pochi passi da loro.
Quando l’impaccio delle fronde fu rimosso, i cinque che avevano seguito Klaus fino a quel punto sgranarono gli occhi e dischiusero le labbra in un’espressione allibita. Esperia fu la prima a disincantarsi e si avvicinò meravigliata a quell’enorme vestigia che di primo acchito sarebbe potuta apparire come un grosso tronco cavo scolpito e sapientemente levigato.
«Ma è vero?» lo sfiorò con le dita, rabbrividendo per quanto fosse freddo.
Rodelia le afferrò il polso ed Esperia ritirò la mano, senza tuttavia allontanarsi da quell’enorme teschio perfettamente conservato.
«Senza ombra di dubbio» Klaus era impettito, ben fiero della sua scoperta. «Non c’è niente di male, Rodelia. Non capita tutti i giorni di vedere il teschio di una Bestia Demoniaca così ben conservato!»
Rodelia non avrebbe potuto sostenere il contrario, ma ciò non le fece cambiare idea: era inquietante.
«È enorme» anche Maris si avvicinò, restando tuttavia dietro alle sorelle. «Ed è solo la testa…»
«Già» convenne Alexander, che tuttavia non sembrava essere né meravigliato né inorridito da quella scoperta. Lui credeva a ciò che vedeva e quello non era altro che uno scheletro che non avrebbe potuto nuocere in alcun modo.
«Tu sapresti controllarlo, Alexander?» chiese Maris, immediatamente incenerito dagli occhi color ametista di Rodelia.
«Non dire assurdità, Maris» Alexander rispose immediatamente, ricominciando ad abbassare la grossa fronda che aveva sorretto fino a quel momento. «È solo un osso e in più stiamo parlando di un mostro.»
«Brr! Non voglio neppure pensare a una cosa del genere!» Anastasia, che fino a quel momento era rimasta in disparte a osservare, si sfregò le mani sulle braccia, scossa da un brivido di paura.
«Meglio tornare indietro» Alexander si lasciò alle spalle il teschio, dando una piccola pacca sulla schiena di Maris. «Andiamo, prima che i nostri padri vengano a cercarci.»


Quando Dimitri si rimise in piedi, lasciandosi alle spalle le lapidi di Jeralt e Sitri, ricambiò il sorriso della moglie, che era rimasta a osservarlo fino a quel momento. Per lui era ormai una sorta di rito rivolgere un saluto ai genitori della propria consorte e Byleth non poteva che essergliene immensamente grata.
Appena il Re la raggiunse, Byleth intrecciò il braccio al suo, sorridendo beata. Se nei primi anni di matrimonio erano riusciti a trascorrere molto tempo insieme a Palazzo, anche per permettere all’Arcivescova di crescere al meglio i figli, negli ultimi tempi non erano stati così fortunati e le occasioni per stare insieme erano sempre più scarse. Era una condizione che pesava sul cuore di entrambi.
In quel preciso caso era trascorso un mese da quando Byleth era partita alla volta del Garreg Mach così da organizzare i preparativi per accogliere i nuovi studenti, mentre Dimitri era rimasto a Palazzo, ostaggio dei doveri reali.
«Per quanto tempo ti tratterai?» fu Byleth a infrangere quel silenzio, mentre passeggiavano lungo una delle vie ciottolate del Monastero. Serrò le labbra, come se avesse voluto frenare qualsiasi tipo di reazione che sarebbe potuta scaturire da una risposta indesiderata.
«Tre giorni» Dimitri le sorrise e gli occhi di Byleth brillarono per un breve istante: non era molto, ma era comunque tanto rispetto al solito.
«Cercherò di liberarmi anche in futuro. Non riuscirei a stare senza di te e i ragazzi per un anno intero» aggiunse poi, felice di vedere il sorriso dell’altra ampliarsi.
Dimitri era disposto a fare tutto il possibile per stare accanto alla moglie e ai figli durante quell’anno in cui non sarebbero tornati a Palazzo, d’altronde Byleth aveva tutto il tempo del mondo, ma lui invecchiava ogni giorno di più e non voleva assolutamente perdere un solo respiro di quelli che ancora gli erano concessi.
«Bene, anche perché avrò bisogno di aiuto con Arendelle» rispose lei, gli angoli delle labbra leggermente piegati verso il basso.
«Non angustiarti troppo, mia amata» Dimitri le sorrise nuovamente, nel tentativo di rincuorarla. «Sono certo che te la caverai benissimo con lei.»
L'uomo la contemplò per qualche istante, trovandola bellissima e perfetta come sempre. Eppure notare l’espressione corrucciata sul suo volto gliela fece sentire decisamente più vicina di quanto non fosse in realtà. Lei era madre tanto quanto lui era padre e quella sua piccola fragilità gli dava l’illusione che non fosse così irraggiungibile.
Dimitri si voltò a osservare il molo di legno che si estendeva sull’acqua cristallina del lago, perdendosi presto nella contemplazione di quello scorcio famigliare.
Ancora faticava a credere di trovarsi in una tale epoca di pace, che qualcuno come lui potesse prendersi un momento per osservare i giochi di luce sull’acqua, sentire il tepore del sole sulla pelle, passeggiare accanto a Byleth.
Faticava a credere di essere riuscito a donare ai propri figli un’infanzia felice, eppure ora si avviavano verso un futuro prospero proprio grazie ai suoi sforzi e a quelli della sua sposa. Esperia avrebbe potuto esplorare tutti i boschi che desiderava, Arendelle e Rodelia allenarsi al Campo Marzio senza la pressione di una guerra imminente, e Maris imparare l’arte della spada direttamente dalla propria madre. Al Garreg Mach avrebbero vissuto i giorni spensierati che a loro erano stati negati.
In tutta quella serenità, però, ogni più piccola ombra pareva assumere la forma di una minaccia incommensurabile, tanto che quella preoccupazione si era aggiunta alle voci dei morti che durante la notte tenevano sveglio il Re.
«Dimitri?» la voce soave di Byleth lo disincantò dalle acque del lago.
«Ho pensato di organizzare una rimpatriata» annunciò lei non appena lui la guardò.
«Alla mensa?»
Quando lei annuì, Dimitri le avvolse le spalle con un braccio, stringendola affettuosamente a sé. Ritrovandosi avviluppata nel mantello caldo del marito, Byleth chiuse gli occhi e sorrise.
«È un’ottima idea» d’altronde a Dimitri non importava dove e cosa mangiava. Anche una cena decisamente più misera rispetto a quelle a cui era abituato sarebbe potuta divenire un piacevole banchetto in compagnia dei propri amici.
«Però ho lasciato che se ne occupasse Ingrid, quindi è probabile che…»
«Ci sarà solo carne» Dimitri sospirò rassegnato, ma subito dopo sorrise: era bello vedere che non era cambiato nulla.
Camminarono ancora per un po’, stretti l’uno all’altra, poi Dimitri si fermò all’improvviso, come se si fosse ricordato di qualcosa di importante.
«Non ci sarà nemmeno il formaggio?»
Alla sua domanda, le labbra di Byleth si piegarono in un sorriso divertito: quell’innocenza fanciullesca era la cosa che la rendeva più felice al mondo. Era meraviglioso constatare che ve ne fosse rimasta ancora nonostante tutti i tormenti di quell’uomo. Era una parte di lui che aveva sempre apprezzato, qualcosa di estremamente piccolo ma molto raro e importante e che perciò andava protetto a tutti i costi.
«Mi sono assicurata che ne mettessero un po’ da parte» rispose poi, vedendo gli occhi di Dimitri illuminarsi di gioia.
«Ho fatto bene a sposarti» disse lui, posandole un bacio sulla fronte.
«Per il formaggio?» Byleth rise, colpendo l'armatura dell'altro con una pacca scherzosa.
Dimitri la avvolse fra le braccia e affondò il viso fra i suoi capelli, inspirandone il profumo con così tanto trasporto che per un istante avvertì un dolore sordo nel petto.
«Per tutto.»



Angolo autrice:
Buongiorno a tutti!
Breve storia triste giusto per iniziare a conoscersi nel miglior modo possibile: sono anni che non porto a termine neppure un primo capitolo e vorrei tanto dirvi che questo è davvero il primissimo dopo tanto tempo, ma sono sincera: è il secondo, perché l’originale era pronto e il PC ha pensato bene di corrompermi il file a pochissimi minuti dalla sua pubblicazione.
Ero così felice e soddisfatta di essere finalmente riuscita a scrivere qualcosa che mi piaceva, di essermi sbloccata… e invece qualcuno ha voluto mandarmi un segno. Praticamente un invito a darmi definitivamente all’ippica.
Nonostante fossi distrutta dalla perdita del primo capitolo originale, nella notte l’ho riscritto tutto da capo e questo è il risultato (ovviamente dopo varie riletture e correzioni!)
Facciamo finta che sia lui la versione originale? Tutti d’accordo?
Ok, bene! Sono molto felice di essere finalmente riuscita a terminare un primo capitolo dopo anni passati a soffrire del fatto che non fossi più in grado di scrivere una frase di senso compiuto – unica cosa che per altro sapevo fare (più o meno).
Non voglio tuttavia nascondermi dietro lo spesso strato di ruggine che ricopre le mie dita (e soprattutto il mio cervello), perciò qualsiasi critica – purché costruttiva ed educata – sarà ben accetta.
Ma non voglio tediarvi ulteriormente con la mia tristissima lore. Piuttosto credo sia il caso di spiegarvi un paio di cosette su questa mia storia.
Innanzitutto non aspettatevi aggiornamenti regolari. E qui saluto già tutti i lettori tranne la mia ragazza e Kurrin.
A parte gli scherzi: avendo appena ripreso a scrivere e lavorando cinque giorni su sette di certo non sarò super rapida e costante, ma se qualcuno, lettori silenziosi e non, deciderà di avere pazienza e seguire questa storia nonostante questo grande limite non potrò che essergli grata dal profondo del cuore.
Come spiegato nella trama introduttiva ci troviamo a diciassette anni di distanza dagli avvenimenti di Azure Moon e come avrete notato dalla lettura è cambiato qualcosa al Garreg Mach. Le casate sono sempre tre e sono divise come segue: Leoni Blu per i membri delle famiglie originarie del Regno, Cervi Dorati per i membri delle famiglie originarie degli ex-territori dell’Alleanza (che ora fanno parte del Fòdlan Unito, quindi diciamo che l’esistenza di questa casata è più che altro simbolica) e Lupi Cinerei, ora divenuta una casata ufficiale e di cui fanno parte i membri di nuove famiglie nobili, discendenti delle famiglie imperiali o studenti stranieri (in poche parole una casata mista).
La storia riguarderà sia i personaggi canonici sia i loro figli (spiace per i simpatizzanti delle Aquile Nere, non aspettatevi di vedere tutti i vostri beniamini perché, beh, ci sono ovvie ragioni).
Essendo che gli OC saranno tanti vi invito a dare un’occhiata alla mia pagina Facebook (qui). Nella categoria foto troverete un album intitolato come questa storia e lì inserirò più informazioni riguardo agli OC (per ora non c’è nulla, ma entro la fine della settimana cercherò di inserire le informazioni di tutti quelli apparsi in questo primo capitolo!)
E fra l’altro mi diverte aver dato questo titolo perché viene dal… 2010, tipo? Credo fosse destinato a una long di Hetalia e mi è rimasto in testa per tutti questi anni. Non mi piacciono i titoli lunghi, ma questo mi ha perseguitata così tanto... e quindi eccoci qui con questo titolo ultralungo e impossibile da abbreviare in maniera decente! Good job, Ortensia!
Un’ultimissima cosa: Byleth. Forse ad alcuni di voi sarà sembrata fin troppo espressiva rispetto al gioco originale. Prima che mi linciate vi ricordo che sono passati diciassette anni e che comunque nel corso del gioco c’è un’evoluzione espressiva da parte sua, seppur infinitesimale. Qui ha imparato a esprimere meglio le proprie emozioni, anche se non tanto liberamente quanto una persona normale – in più nel caso specifico di questo capitolo le sue reazioni sono più evidenti perché le ha verso i figli e il marito, che comunque la conoscono e perciò la sanno leggere e interpretare meglio di altri. Detto ciò potete pure linciarmi, volevo giusto spiegare le mie ragioni prima di morire.
Per ora credo di non avere altro da dirvi e penso sia meglio così perché sono stata decisamente prolissa in queste note, shame on me.
Spero solo di riuscire a riprendere in mano la scrittura – e quindi la mia vita tutta. E soprattutto di non vedere mai più capitoli corrotti e irrecuperabili, amen.
Grazie per aver letto fino a qui, a presto!

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Capitolo 2
*** Nuvole Bianche: Giovani aspirazioni ***


Parte 1, Capitolo 2

Nuvole Bianche: Giovani aspirazioni


Arendelle uscì dal Campo Marzio a tarda sera e si fermò dopo appena qualche passo, il viso rivolto al cielo stellato.
I calli delle mani le pulsavano di dolore, ma era un supplizio che aveva amato fin da bambina, quando suo padre le aveva insegnato a impugnare la sua prima lancia. Quel bruciore significava che si era impegnata ed era come avere ancora stretta tra le mani la propria arma, sensazione che la faceva sentire forte e al sicuro.
Sfregò la fronte con il dorso della mano per eliminare le ultime gocce di sudore, la grossa luna bianca riflessa negli occhi viola scuro e i capelli dorati smossi da una brezza leggera.
Si era trattenuta fino a sera inoltrata così da non rischiare di incontrare qualcuno al refettorio, ma ora era così stanca che pur avendo fame non aveva alcuna intenzione di incamminarsi fino alle mense. Sarebbe andata in camera a cambiarsi e poi sarebbe passata da Rodelia ed Esperia, che sicuramente aveva già fatto scorte di pagnotte scroccate al refettorio.
Camminò a passo spedito fino alle scale che portavano al primo piano dei dormitori, in prossimità della serra. Aveva un nodo alla gola, perseguitata dal presentimento che da un momento all'altro la voce di Dedue l'avrebbe rimproverata con queste esatte parole: «Sua Grazia la Principessa Arendelle non dovrebbe andarsene tutta sola in giro di notte, che cosa accadrebbe se le succedesse qualcosa di brutto?»
Ma non sarebbe accaduto nulla, neppure qualcosa di innocuo ma che per lo meno avrebbe potuto stravolgere un poco la sua vita.
Il Garreg Mach di notte appariva come un enorme gigante addormentato, un microcosmo di pietra bagnato dalla luce delle stelle e racchiuso fra le montagne, inabissato in un imbuto così profondo da essere ignorato perfino dalle leggi del tempo. Non c'era anima viva in giro e anche se preferì di gran lunga non incontrare nessuno pensò che quello scorcio notturno fosse davvero noioso.
Arendelle salì la prima rampa di scale, il legno scricchiolante sotto le suole. Il dormitorio le sembrò fin da subito decisamente più vivo dello spazio esterno: si sentiva chiacchierare, qualcuno rideva e ai piedi della maggior parte delle porte si vedeva una fessura di luce giallastra che finiva per disperdersi nell'oscurità del corridoio.
La sua camera si trovava nell'ala destra del primo piano ed era la quinta. A differenza delle altre la luce era spenta e questo non fece altro che rincuorarla. Poter stare per conto proprio era il miglior scenario che potesse immaginare: sarebbe andata a dormire quando lo voleva lei e avrebbe studiato lì, senza doversi recare in biblioteca. Avrebbe perfino avuto più spazio per pulire le armi.
Arendelle infilò la mano nella tasca della divisa scolastica ed estrasse le chiavi: era stata sua madre a consegnargliele, quando, quello stesso pomeriggio, era andata a trovarla al Campo Marzio. Fortunatamente non si era trattenuta molto, le aveva solamente chiesto com'era andato il viaggio e raccomandato di non sforzarsi troppo, cosa sulla quale Arendelle non aveva ovviamente mancato di disobbedire.
La porta si aprì con un piccolo cigolio, ma la ragazza si pietrificò quando ne udì un secondo decisamente più acuto all'interno della stanza.
Nella penombra intravide un rapido movimento e subito dopo vide qualcosa. Non capì immediatamente cosa, ma sentì le guance andare a fuoco e istintivamente si richiuse la porta alle spalle.
Avendo finalmente un momento per pensare, Arendelle rivide più chiaramente quell'immagine e riconobbe una schiena nuda. Quello che aveva udito non era stato un secondo cigolio, bensì il grido della sua compagna di stanza che era stata sorpresa proprio nel momento in cui aveva levato di dosso la divisa dell'Accademia per prepararsi per la notte.
«Pu-puoi entrare ora» quella voce giunse ovattata oltre la porta, ma Arendelle ebbe la sensazione che fosse piuttosto delicata anche senza l'intralcio delle pareti.
Lentamente, aprì di nuovo la porta, e la luce calda della lampada a olio le accarezzò la vista.
La sua compagna di stanza si voltò, la divisa piegata sul letto e addosso una lunga sottoveste bianca. A giudicare dal viso così tondo e pulito e gli occhi grandi, doveva avere qualche anno meno di lei.
«Ti chiedo scusa» le sorrise timidamente, per poi abbassare leggermente il capo in una sorta di inchino. «Ho scelto il momento meno opportuno per cambiarmi, ma vista l'ora tarda pensavo di essere sola.»
Anche lei aveva pensato e sperato di essere sola, ma fortunatamente l'imbarazzo del momento nascose perfettamente la sua delusione.
«Ho pensato lo stesso» le rispose Arendelle. «Ma avrei comunque dovuto bussare.»
L'altra negò con un piccolo cenno del capo, ampliando il sorriso.
«Non preoccuparti» poi le si avvicinò e Arendelle poté osservarne meglio l'acconciatura: i suoi capelli castano chiaro erano legati in uno chignon attorniato da una piccola treccia. I suoi occhi erano limpidi, di una tonalità delicata, ricca di sfumature verdi e azzurre e sovrastati da un ventaglio di lunghe ciglia nere.
«Mi chiamo Polaris Edelstein» le tese la mano, le labbra ancora piegate in un sorriso affabile. «Piacere di conoscerti.»
Arendelle le strinse la mano senza rispondere, stupita di non rimembrare alcuna famiglia nobile con quel cognome, poi le diede le spalle e si avvicinò alla cassapanca di legno posta ai piedi del letto, trovandola già riempita con alcuni dei suoi abiti ed effetti personali. Aveva espressamente chiesto di lasciare i suoi bagagli sulla carrozza in quanto avrebbe provveduto lei stessa a sistemarli, ma la servitù si era come al solito dimostrata estremamente ostinata e onorevolmente ligia ai propri doveri.
«Da dove vieni?» chiese mentre sfiorava con le dita una delle due lance da allenamento appoggiate alla parete.
«Da Arianrhod.»
Polaris restò a fissare i lunghi capelli biondi della compagna di stanza, ancora girata di spalle. Avvertì un leggero calore diffondersi sulle gote, imbarazzata da quel silenzio così denso, uno spesso strato di gelo che non avrebbe potuto scalfire in alcun modo.
«Il Signor Rowe paga per la mia istruzione» sentì un nodo alla gola quando l'altra si voltò a guardarla con fare inquisitorio, la fronte leggermente aggrottata.
Polaris si era preparata a lungo all'idea di ricevere un certo tipo di sguardi e non avrebbe certo biasimato qualche occhiata di diffidenza, eppure si sentì terribilmente sbagliata a trovarsi lì e desiderò volatilizzarsi.
Re Dimitri aveva destituito tutti i nobili coinvolti nella Tragedia del Duscur, perciò tutte le Case interessate avevano perduto la loro influenza politica, unica esclusa la famiglia Kleiman, che aveva trovato nel suo successore il più giovane fratello del Visconte, vissuto ad Albinea per anni, tanto da poter provare la sua totale dissociazione dalle questioni politiche del Fódlan.
Per la sua storia pregressa, il nome di Rowe in particolare era considerato portatore di sciagura. Era spesso associato al concetto di tenere il piede in due staffe, o alla più graziosa immagine di una ballerina abilissima nella politica dei giri di valzer, difatti era la Casa che Arendelle aveva disprezzato di più in assoluto durante le lezioni di storia.
«Li servo come domestica da quando ho dieci anni» continuò Polaris, schiarendosi la voce. «Sono figlia di fornai e a quel tempo mio padre aveva bisogno di una medicina che non avremmo potuto comprare con i soli guadagni del pane, così sono stata mandata a servire il Signor Rowe.»
Polaris ripensò a quanto era stata fortunata a trovare quell'occasione. In fin dei conti i servigi di una ragazzina avrebbe potuto richiederli solamente un nobile decaduto che aveva l'esigenza di risparmiare il più possibile ma continuare a vivere in una residenza dall'aspetto quantomeno decoroso. Lei era costata decisamente meno di una domestica altamente preparata, ma abbastanza per pagare la medicina per suo padre.
«Ma ero davvero terribile nelle pulizie» Polaris accennò una risata imbarazzata. «Credo, però, che il Signor Rowe sapesse della mia condizione, perché, invece di mandarmi via, mi ha convocata nel suo studio e mi ha chiesto di raccontargli una storia.»
A quelle parole, Arendelle sollevò leggermente le sopracciglia, assumendo un'espressione decisamente meno fosca.
«Vero? È stato inaspettato anche per me e ho dovuto improvvisare, ma devo essergli piaciuta perché il giorno dopo mi ha fatto la stessa richiesta, e il giorno dopo ancora! Alla fine ho trascorso le giornate a intrattenerlo e lui è stato così gentile da insegnarmi a leggere e scrivere.»
Arendelle doveva avere un'espressione alquanto scettica, perché Polaris ammutolì e rivolse il proprio sguardo a terra.
«Beh, insegnandomi ha notato quanto mi piacesse imparare e perciò mi ha mandato qui. Credo sia un semplice capriccio, o forse si è affezionato almeno un po' a me.»
"O forse vuole usarti per cospirare un'altra volta contro il Re": pensò Arendelle.
«Perdonami» Polaris congiunse le mani come in segno di preghiera, chinando leggermente il capo. «Ho la tendenza a parlare un po' troppo quando sono nervosa.»
«Non preoccuparti» tagliò corto Arendelle, rivolgendo la propria attenzione al letto: voleva solo riposare. Sentir parlare di quel traditore di Rowe le aveva perfino fatto passare la fame.
«E tu...» Polaris fu colta da un piccolo sussulto quando l'altra le rivolse un'occhiataccia, probabilmente infastidita dal fatto che parlasse ancora. «Emh, tu come ti chiami?»
Arendelle restò imbambolata per qualche istante, mentre la sua espressione tornava a rabbonirsi nel realizzare la legittimità di quella domanda.
«È vero» ammise, porgendole la mano. «Ho dimenticato di presentarmi.»
Polaris le afferrò la mano e l'altra la strinse con decisione, senza tuttavia farle male.
«Mi chiamo Arendelle.»
«Piacere di conoscerti, Arendelle» Polaris le sorrise, salvo poi irrigidirsi, un grande rossore sulle guance e gli occhi sgranati. «U-un attimo!»
Nel frattempo Arendelle le lasciò la mano e si sedette sul letto, iniziando a sfilare lo stivale sinistro.
«Qu-quella Arendelle?!» Polaris boccheggiò trafelata, il viso ancora arrossato. Chiuse gli occhi e chinò il capo, restando in quella posizione per diversi secondi.
«Le chiedo perdono, Sua Grazia! Sicuramente le ho mancato di rispetto in qualche modo, ma le assicuro che non era mia intenzione» si diede dell'idiota mentalmente, in particolare per aver parlato così liberamente del Signor Rowe.
Arendelle, che era appena riuscita a liberare il piede sinistro dallo stivale, restò a guardarla con un certo stupore.
«Chiederò immediatamente di essere trasferita in un'altra stanza.»
«Discriminazione» controbatté Arendelle mentre si accingeva a sfilare anche l'altra calzatura. Polaris, dal canto suo, capì ancora una volta che sarebbe stato meglio se avesse taciuto.
«Il rispetto non si dimostra rivolgendosi alle persone con titoli stucchevoli» la giovane erede del Fódlan Unito si distese sul letto, esalando un sospiro di sollievo nel momento in cui la schiena irrigidita dalle tante ore di allenamento poté finalmente rilassarsi contro il materasso morbido. «Chiamami solo Arendelle e non sentirti da meno per la tua condizione di nascita.»
Polaris, le mani congiunte in grembo, restò a osservarla con le labbra appena dischiuse, come incantata da quelle parole. Anche se dalle sue occhiatacce si poteva pensare a una persona altezzosa, Arendelle sembrava avere una concezione del mondo tutt'altro che circoscrivente. Non c'era dubbio che fosse figlia dei due salvatori del Fódlan: aveva l'aspetto intimorente della madre ma l'anima gentile del padre, tanto da trattare una popolana come fosse una sua pari.
Anche Polaris si sedette sul letto e restò ancora per un po' a osservare l'altra, faticando a concepire l'idea che la sua compagna di stanza fosse proprio la futura sovrana del Fódlan. Quando riuscì a distogliere lo sguardo da Arendelle rivolse la propria attenzione alle due lance appoggiate alla parete, le guance bollenti per l'imbarazzo.
«Dicono che tu sia molto abile con la lancia» deglutì: forse avrebbe dovuto smettere di parlare, ma quella curiosità fu più forte di lei. Con sua grande sorpresa, però, Arendelle le rivolse un'occhiata decisamente più rilassata, quasi cordiale.
«Sono molto brava, sì» la principessa fu straordinariamente diretta, ma Polaris non percepì vanità nella sua voce.
«È anche la mia arma principale, anche se ho iniziato solo da qualche mese.»
«Sei brava?»
«Non molto» ammetté con imbarazzo.
Arendelle distolse lo sguardo dall'altra e lo rivolse al soffitto, le braccia piegate dietro la testa: era giusto così, anche lei era stata penosa le prime volte che aveva tenuto in mano una lancia.
«Ti insegnerò io» annunciò poi, con grande stupore di Polaris. «Dopotutto ho imparato dal migliore.»
Arendelle la guardò di nuovo, le labbra piegate in un piccolo sorriso.
«Così poi potremo batterci in un duello all'ultimo sangue.»


«Non penso di farcela» Marianne sospirò sconsolata, abbassando il capo fino a che le ciocche della frangia non le coprirono gli occhi stanchi, le dita affusolate strette attorno alla tazza di tè.
«Ahahah!» Constance rise di gusto, un piccolo biscotto di frolla fra le dita. «Vedrai che andrà tutto bene! Ti preoccupi troppo, Marianne.»
La ristorata nobile von Nuvelle era particolarmente pimpante sotto il grande ombrellone bianco che Byleth aveva fatto sistemare apposta per lei. Scelta saggia, considerando che altrimenti l'Arcivescova si sarebbe ritrovata a dover consolare entrambe le colleghe.
«Klaus e Twibalt sono incontrollabili, è anche colpa di Hilda che istiga sempre suo nipote a farmi i dispetti» Marianne sospirò nuovamente, scuotendo appena la testa quando l'insegnante dei Lupi Cinerei rise di nuovo.
«E tu come ti senti, professoressa?» poi Constance si rivolse a Byleth, che fino a quel momento si era limitata a sorseggiare il suo tè in religioso silenzio. «Quest'anno è nuovo per tutti: Marianne dovrà gestire il figlio di Claude e il nipote di Hilda e per me sarà la primissima esperienza di insegnamento, mentre tu tornerai in classe dopo tanto tempo e per giunta assieme ai tuoi figli.»
«Sto bene» rispose semplicemente Byleth, dando un ultimo sorso al tè.
«Fa un certo effetto vederti indossare di nuovo questi abiti» sorrise Constance.
«Sì, non è cambiata di una virgola» convenne Marianne, che sembrò essersi risvegliata dal torpore dei propri tormenti.
«Mi sento bene con questi addosso» rispose Byleth, sollevata all'idea che per un po' avrebbe potuto lasciare chiusi nell'armadio gli abiti di bianca purezza dell'Arcivescova e tornare a vestire i panni della professoressa mercenaria. Alla fine non era cambiata né dentro né fuori.
«È ora di andare» annunciò quando notò l'ombra della punta dell'ombrellone toccare il secondo cespuglio di rose rosse che si osservava dalla sua prospettiva. Afferrò un biscotto e si alzò e Constance seguì immediatamente il suo esempio, al contrario di Marianne, che invece si prese ancora qualche istante per riflettere, gli occhi rivolti alla superficie scura del tè.
«Buona lezione» Byleth si congedò con un cenno della mano e si incamminò lungo il sentiero che si snodava fra i cortili, dirigendosi a passo spedito verso le aule.
Da quando era divenuta Arcivescova, Byleth era transitata poche volte davanti alle tre aule dell'Accademia Ufficiali e raramente si era fermata a osservarle, ma in quel momento, trovandosele di fronte, non poté fare a meno di contemplare gli stendardi che sancivano l'ingresso di ciascuna di esse.
La classe dei Cervi Dorati era stata spostata e ora era la più vicina alla terrazza, perciò i loro vessilli erano sempre i primi a ricevere la luce del sole, che riflettendosi prontamente sui fili sottili delle cuciture regalava maggiore splendore agli stemmi.
L'aula dei Lupi Cinerei, opposta a quella dei Cervi, era la più vicina ai portici che conducevano alla Sala dei Cavalieri, perciò restava in ombra per la maggior parte della giornata, cosa certamente ben gradita a Constance.
Osservandone i vessilli scuri smossi dalla brezza leggera del mattino, Byleth fu colta da un improvviso senso di nostalgia: si rese conto solo in quel momento che, anche se erano affissi lì da diversi anni, non aveva ancora metabolizzato totalmente l'abolizione della Casata delle Aquile Nere.
Paradossalmente, i ricordi più antichi erano anche quelli maggiormente impressi nella sua memoria, tanto da renderle immensamente difficile scindere le due Casate.
«Buongiorno, professoressa.»
I pensieri di Byleth furono improvvisamente interrotti da una voce famigliare.
Quando si voltò per guardare il suo interlocutore non riuscì a trattenere un piccolo sussulto. Non disse nulla, limitandosi a osservarlo con una certa incredulità: ne aveva sentito parlare da Seteth, che l'aveva messa al corrente di tutti gli iscritti all'Accademia, ma mai si sarebbe aspettata una somiglianza così sorprendente.
Il ragazzo che l'aveva appena salutata le rivolse un sorriso affabile e portò la mano destra sul cuore, per poi accennare un inchino.
Byleth ne osservò i lunghi capelli, legati in una coda bassa, onde di un arancione caldo che seguendo il movimento dell'inchino si riversarono subito oltre le spalle dello studente.
«Mi chiamo Vincent von Aegir.»
Il biscugino di Ferdinand, figlio del cugino di quest'ultimo nonché uno dei pochi nobili nativi dell'Impero ancora in possesso del titolo. I von Aegir avevano mantenuto il loro status proprio grazie al padre di Vincent, che dopo la guerra aveva dato un contributo fondamentale nell'assoggettamento dei territori adrestiani al Regno e infine al Fódlan Unito.
Vincent aveva senza ombra di dubbio il portamento fiero e lo sguardo gentile dello zio, ma Byleth gli augurò che tutte quelle affinità si fermassero lì.
La professoressa ricambiò il saluto, gli augurò buona lezione e riprese a camminare, dirigendosi verso l'aula centrale.
Si fermò di fronte all'ingresso, chiudendo gli occhi alla vista degli stendardi dei Leoni Blu. Erano belli come li ricordava e riuscivano a trasmetterle una calma incredibile, particolarmente necessaria dopo l'incontro con il giovane von Aegir.
«Oh! Buongiorno, professoressa!»
Byleth riaprì gli occhi, ritrovando sulla soglia della propria aula Anastasia.
«Sono passata a salutare Arendelle» Anastasia le sorrise, per poi accennare un saluto con la mano prima di dirigersi in tutta fretta verso la propria classe. «Buona lezione!»
Byleth ricambiò il saluto e finalmente, dopo tanti anni, varcò la soglia dell'aula centrale, immergendosi immediatamente nel tepore di vecchi ricordi felici.


Quando Byleth entrò, il chiacchiericcio dei ragazzi scemò nel giro di pochi secondi. Chi non era al proprio posto si affrettò a sedersi, altri estrassero il quaderno degli appunti dalla saccoccia di cuoio.
Avevano già provveduto a sistemare i calamai sulle scrivanie e a scostare le tende scure per illuminare la stanza, per cui Byleth poté immediatamente procedere con la lettura del registro di classe.
«Buongiorno a tutti. Per prima cosa procederò con l'appello. Quando chiamerò il vostro nome vorrei che mi diceste in quale arma siete specializzati e a quale classe vorreste accedere.»
Byleth pronunciò il primo nome non appena vide la maggior parte di loro annuire.
«Blaiddyd Arendelle.»
Arendelle, seduta in prima fila, alla destra dell'insegnante, alzò la mano e la riabbassò non appena incrociò lo sguardo della madre, che tuttavia continuò a fissarla in silenzio.
«Lancia» borbottò poi, innervosita all'idea che dovesse dar voce a qualcosa di cui tutti erano a conoscenza. «Catafratto.»
Byleth annuì, proseguendo con l'appello. «Blaiddyd Esperia.»
«Balestra!» Esperia, seduta in penultima fila, alzò entrambe le mani, sorridendo con la solita spensieratezza. «Voglio diventare un Cecchino!»
«Blaiddyd Maris» continuò Byleth.
«Uso la spada e la magia bianca» Maris poggiò un libro alquanto sottile sullo scrittoio e si schiarì la voce. «Voglio diventare uno Spadaccino Curatore.»
Byleth rivolse la propria attenzione a Rodelia, seduta in prima fila, alla sua sinistra. La giovane ricambiò il suo sguardo e le sembrò decisamente tranquilla, se non addirittura determinata a dar voce alla sua aspirazione.
«Blaiddyd Rodelia.»
«Arco» rispose risoluta. «Diventerò una Lady Viverna.»
A Byleth sembrò che il silenzio fosse divenuto decisamente più greve, come un velo che raccoglie critiche e tenta di nasconderle finendo però per lacerarsi sotto il loro peso.
Rodelia si guardò intorno solo per un istante, pronta a rispondere ai commenti scettici dei compagni.
Anche se esistevano diversi casi di donne divenute cavalcatrici di draghi, si diceva "Lord Viverna" ed era considerata una classe prettamente maschile. Rodelia lo sapeva bene, i fratelli Gautier, in particolare, glielo avevano ricordato molte volte fra una presa in giro e l'altra, anche se da qualche tempo avevano cominciato a dare meno peso alla cosa. Fortunatamente non notò occhiate strane da parte dei compagni, solo quella di ammirazione rivoltale dalla ragazza seduta dietro di lei, cosa che apprezzò moltissimo.
«Edelstein Polaris.»
Era la compagna di stanza di Arendelle a essersi seduta alle spalle di Rodelia. Fu colta da un piccolo sussulto quando la professoressa fece il suo nome, ma rispose subito.
«Uso la lancia» deglutì, imbarazzata all'idea che tutti la stessero guardando. «Aspiro a diventare un Cavaliere Sacro.»
«Wow!»
Polaris sussultò nuovamente, presa alla sprovvista dalla voce alle sue spalle.
«È davvero un'ottima classe, bella scelta» si complimentò Maris, che le rivolse un sorriso non appena lei si voltò a guardarlo.
«Grazie...» rispose Polaris, un fremito leggero sulle labbra. Poi tornò a voltarsi verso la cattedra, rivolgendo la propria attenzione alla pagina bianca del quaderno degli appunti, mentre il cuore le martellava nel petto.
«Fraldarius Alexander.»
Alexander, seduto dietro Arendelle, alzò la mano e attese che Byleth lo guardasse prima di parlare.
«Uso la spada e la magia nera, vorrei specializzarmi in entrambe, ma il mio obbiettivo è diventare un necromante.»
Normalmente una tale affermazione avrebbe stupito tutti, essendo il necromante la classe di più recente introduzione, tuttavia, visto che quasi tutti gli studenti dei Leoni Blu erano cresciuti insieme a Fhirdiad, nessuno si stupì della sua affermazione.
«Gautier Glaive.»
«Eccomi!» il ragazzo seduto in fondo alzò la mano, un piccolo ghigno sulle labbra. Aveva capelli rossi piuttosto lunghi sulla fronte ma tagliati alquanto corti dietro e occhi color nocciola.
«Uso la lancia. Per ora sono indeciso fra il Cavaliere Oscuro e il Gran Cavaliere.»
«Allora cercheremo di capire cosa è meglio per te» rispose Byleth appena prima di chiamare la sorella del ragazzo, Gautier Isabella.
La figlia più giovane di Casa Gautier, che si trovava nel posto accanto a Maris, alzò immediatamente la mano, le labbra increspate in un sorriso colmo di eccitazione e allo stesso tempo leggermente imbarazzato.
«Anche io uso la lancia! Voglio diventare un Cavaliere Pegaso come mia madre» e come la madre aveva bellissimi capelli dorati che teneva legati in una grossa treccia dietro la schiena, decorati da un grande fermaglio a forma di luna crescente sul lato sinistro della testa. Gli occhi erano di un castano molto più caldo di quelli del padre, colore che rendeva il suo sguardo particolarmente dolce. Era nata un mese esatto dopo Maris e difatti erano molto uniti.
«Gautier Nicolaj.»
Nicolaj alzò la mano, per poi rivolgere un'occhiata al fratello accanto a lui e ridacchiare. Sicuramente quei due sarebbero stati gli elementi da tenere maggiormente a bada, visto che facevano spesso comunella fra loro – senza contare che entrambi tentavano di emulare il padre nelle sue decantate imprese amorose.
Nicolaj aveva lineamenti più fini rispetto al fratello, con zigomi alti e la mascella sottilmente pronunciata, tuttavia era anche più muscoloso e slanciato, con occhi di un castano ambrato e lunghe ciocche rosse che si appoggiavano morbidamente sulla fronte pallida. Fra i due era il solo che sembrava avere un po' di successo con le ragazze e questo era spesso motivo di screzi fra i due Gautier.
«Ascia e pugni» disse poi. «Spero di diventare un Maestro di Guerra.»
Byleth annuì e chiuse il registro.
«Infine Kleiman Albert.»
Il ragazzo seduto in penultima fila, alla destra di Esperia, alzò la mano senza fiatare.
Come per Polaris, quei visi erano totalmente nuovi per lui, ma a differenza della ragazza il suo cognome nobile scatenò un certo interesse fra i compagni.
Era un ragazzo dalla pelle molto pallida, magrolino. Sul suo viso spiccava la benda nera che copriva l'occhio destro, in parte coperta dalla frangia viola.
«Magia nera. Voglio diventare un Vescovo Oscuro.»
Gli altri Leoni lo osservarono ancora per un po', tornando a rivolgersi alla professoressa quando questa riprese a parlare, mentre Kleiman poté trarre un sospiro di sollievo.
«Ognuno di voi ha seguito studi privati, ma qui sarà diverso. Siete una classe, perciò sarà molto importante che collaboriate fra voi, che vi sosteniate a vicenda e che impariate gli uni dagli altri. Io vi insegnerò la storia, la strategia, la magia e faremo molti allenamenti al Campo Marzio e simulazioni all'aperto.»
Byleth esitò per un istante, poi affondò i denti nel labbro inferiore e abbassò le palpebre, riflettendo.
«La cosa più importante, però,» riprese, ora rivolgendo nuovamente lo sguardo ai propri studenti «è che ricordiate che non vi insegniamo questo per instillare in voi il desiderio di combattere, ma piuttosto perché siate capaci di difendervi se, malauguratamente, sia per voi in attesa un futuro di battaglie»


La lancia di Glaive cadde a terra con un tonfo sordo, ma al posto di chinarsi a raccoglierla il ragazzo alzò le mani in segno di resa, siccome aveva quella di Arendelle puntata alla gola.
La giovane principessa lo stava guardando dritto negli occhi, impassibile. Dopo poco sospirò nervosamente e abbassò l'arma.
«Sei deludente come sempre.»
«Che?! Sei tu che hai una forza mostruosa che non sei capace di misurare! E poi ho due anni in meno di te.»
«E con questo?» Arendelle rafforzò la stretta sulla lancia, resistendo alla tentazione di sollevarla di nuovo e usarla quantomeno per colpire quella testa da idiota che aveva dinnanzi. «Non usare l'età per giustificare la tua incompetenza.»
«Lo sai che nessuno ti vorrà come moglie se sei così antipatica?»
Almeno verbalmente, Glaive sapeva esattamente dove andare a colpire. Arendelle detestava quel tipo di frasi, e non perché desiderasse l'amore, ma perché le trovava decisamente degradanti per il genere femminile.
«Per te invece deve essere molto frustrante essere battuto per l'ennesima volta da una ragazza» e così anche lei assecondava la discriminazione di genere, lo colpiva nel punto giusto e le stoccate continuavano, a volte anche per ore.
Ma Arendelle era triste, insoddisfatta, perché ancora non aveva trovato un avversario capace di tenerle testa.
Quando vide Glaive contrarre il viso in una smorfia e spalancare la bocca per risponderle, anche lei si accinse subito a controbattere, tuttavia il passaggio rapido di una freccia tra le loro teste interruppe bruscamente la diatriba in corso.
La freccia si conficcò proprio al centro di uno dei bersagli disposti in fondo al campo, ma Arendelle e Glaive rivolsero la propria attenzione a chi l'aveva scoccata, ignorando completamente l'accuratezza del tiro.
«Vorrei allenarmi» disse Rodelia, il suo arco dorato stretto nella mano sinistra, l'espressione impassibile rivolta alla sorella.
Arendelle sostenne il suo sguardo per qualche istante, poi digrignò i denti e gettò la lancia da allenamento a terra, transitando accanto alla sorella con passo concitato, fin quasi a colpirla con una spallata. Aprì la grande porta del Campo Marzio con una facilità impressionante, come se fosse stata fatta di carta, e la sbatté con forza quando uscì, attirando l'attenzione di tutti.
Una volta incrociato lo sguardo di Glaive, che aveva appena recuperato la propria arma, Rodelia esalò un sospiro rassegnato: Arendelle era dotata di una forza invidiabile ed era così selvaggia da risultare innegabilmente affascinante, tuttavia era anche la più infantile tra i fratelli Blaiddyd, decisamente immatura per la sua età.
Rodelia scuoté le spalle e decise di non pensarci, piuttosto rivolse la propria attenzione a un altro bersaglio e tese l'arco, scoccando la freccia con una velocità e una precisione impressionanti.
«Però!» una voce femminile attirò la sua attenzione. Si era appena affiancata alla sua sinistra una ragazza di carnagione scura, con lineamenti di una durezza regale, capelli porpora tenuti molto corti e due occhi castani dal taglio affusolato. Era davvero bella e per qualche istante Rodelia ne fu così sorpresa da non riuscire neppure a mutare la propria espressione.
«Sei davvero brava come dicono» disse la ragazza, imbracciando il proprio arco e mettendosi in posizione di tiro.
Era un arco molto più grosso e massiccio di quello di Rodelia, con ben pochi fronzoli se paragonato al suo, che sulle estremità si ripiegava su se stesso, in una sorta di onda di rovi sottili e forti ma senza spine. Quello della ragazza era di un argento molto chiaro, quasi accecante, ma non aveva alcun decoro particolare; piuttosto fu la freccia ad attirare la sua curiosità: aveva una punta molto lunga e sottile e terminava con due piccole ali di pegaso laccate di bianco.
La ragazza ponderò per un istante, poi scoccò la freccia, che con vigore squarciò quella tirata in precedenza da Rodelia, spezzandola nettamente in due parti uguali.
Rodelia spalancò la bocca, incredula, per poi tornare a guardare l'altra.
«Tu sei molto più brava» boccheggiò, ben grata di aver potuto assistere a un tale miracolo di precisione. «Tento di farlo da una vita, ma non ci sono mai riuscita...»
La ragazza le sorrise e abbassò l'arco, per poi tenderle la mano.
«Mi chiamo Brighid.»
«Rodelia» la giovane principessa le strinse immediatamente le mano, ricambiando con gioia sincera il suo sorriso.
«Sono certa che anche io potrei imparare qualcosa da te» aggiunse poi la ragazza.
Rodelia portò l'indice sul mento e si guardò intorno, poi increspò le labbra in un piccolo sogghigno.
«D'accordo» arretrò di qualche passo e sollevò l'arco. «Però non scoccherò alcuna freccia, altrimenti potrei combinare un guaio.»
Alle parole della principessa, Brighid sollevò appena le sopracciglia, decisamente incuriosita.
Ammirò la postura accurata dell'altra, le braccia sinuose, le forme armoniose del corpo, come quelle di una dea. Nel giro di pochi secondi, Brighid notò uno scintillio rossastro sulle estremità dell'arco della principessa, poi, all'improvviso, una fiamma si accese sulla punta della freccia.
Rodelia, il viso accarezzato dal rossore vivido della fiamma, la guardò con entusiasmo, come in cerca del suo consenso, cosa che in effetti trovò non appena Brighid annuì soddisfatta.
La fiamma si spense e Rodelia risistemò la freccia nella faretra.
«È la mia specialità» ora Rodelia si sentiva un po' più fiera di se stessa, anche se continuava a pensare che quello che aveva fatto Brighid era stato davvero sorprendente.
«Beh, dire che abbiamo molto da imparare l'una dall'altra» concluse Brighid, faticando a mettere insieme le parole di fronte a quell'affascinante magia.
La loro conversazione, però, fu interrotta prima che Rodelia potesse rispondere.
«I tuoi genitori dovevano essere proprio degli idioti!»
La voce rabbiosa di un ragazzo attirò l'attenzione di entrambe, così come di tutti gli altri studenti all'interno del Campo Marzio.
Rodelia riconobbe immediatamente Leon, mentre al suo fianco vide un ragazzo che non conosceva, alto tanto quanto il giovane Eisner ma dal fisico decisamente più atletico. I capelli erano di un biondo molto pallido e gli ricadevano attorno al viso in ciocche gonfie, mentre i più lunghi, che comunque arrivavano appena alle scapole, erano legati in una coda bassa. Nella mano destra teneva un'ascia e con la sinistra stava stringendo il braccio di Leon.
«Allora? Non hai niente da dire?» il ragazzo strattonò Leon, che tuttavia non rispose. Chiuse semplicemente gli occhi e girò il viso dall'altra parte, come se tutto ciò che desiderava in quel momento fosse scappare.
«Non so chi tu sia, ma smettila subito» Rodelia fu la prima a raggiungerli, subito bersagliata dagli occhi dello sconosciuto.
Avvertì un evidente senso di malessere quando si specchiò in quegli occhi di un verde così chiaro da sembrare quasi giallo, le pupille minuscole, assottigliate, come fessure infernali dalle quali la spiavano centinaia di piccoli demoni che lei non poteva vedere.
«Oh?» il ragazzo inclinò appena il viso, distendendo le labbra in un ghigno. «Principessa, è un onore per me conoscerla. Dica a questo idiota di imparare a combattere.»
Rodelia assottigliò lo sguardo nel vedere che il ragazzo non aveva ancora lasciato la presa su Leon.
«Sono certa che Leon ne sia più che capace. Forse ti ha colpito?» azzardò lei, continuando nel vedere l'altro contrarre il viso in una smorfia. «Stupido tu che usi un'ascia contro una lancia.»
«Draconius, giusto?» Brighid li raggiunse. «Lieta di non averti nella mia classe. Lascia il ragazzo, adesso.»
«Sentite, non ho tempo da perdere con voi paladine della giustizia, devo dare una lezione a questo orfanello del cazzo.»
Quasi simultaneamente, Rodelia e Brighid tesero gli archi contro di lui.
«Lascialo!» tuttavia fu solo Rodelia a impartire nuovamente l'ordine e questa volta la voce fu ben più intimorente della freccia.
Draconius lasciò la presa e Leon si allontanò immediatamente, raggiungendo Glaive, appena affiancatosi al gruppo.
«Può allenarsi con me» disse poi il giovane Gautier, rivolgendo un sorriso cordiale a Leon e porgendogli la mano così che potessero stringersele. «Lancia contro lancia è decisamente più sensato.»
«Già» convenne Brighid, che non aveva ancora abbassato l'arco.
«Quanto siete seri» sospirò Draconius. «Quanti anni avete? Quaranta?»
«Meglio quaranta che due come te» rispose Rodelia mentre abbassava l'arma.
«Hai la lingua biforcuta, principessa» Draconius le transitò accanto e le rivolse un sorriso sprezzante, senza badare al fatto che Brighid lo stesse tenendo ancora sotto tiro.
«Come un drago» Rodelia assottigliò lo sguardo e Draconius ampliò il sorriso, poi le voltò le spalle, dirigendosi verso l'uscita del Campo Marzio, la mano destra sollevata in segno di saluto.
«Un giorno vedremo chi fra noi draghi sa sputare più fuoco, Sua Maestà.»
«Che screanzato» Brighid abbassò l'arco, tuttavia non tornò ai bersagli ma si diresse a passo svelto verso l'angolo più interno del campo.
«Tu invece sei davvero un codardo. Te ne sei rimasto qui senza fare nulla.»
Albert sollevò lo sguardo dal suo libro di arti magiche, guardando la sconosciuta con espressione confusa.
«Come si conviene a un Kleiman, dopotutto» Brighid lo guardò dritto negli occhi, in segno di sfida.
«Ma che cosa vuoi?» rispose lui, assottigliando appena lo sguardo: voleva semplicemente essere lasciato in pace.
«Voglio l'indipendenza del Duscur.»
La risposta decisa di Brighid gelò il sangue dei presenti, ma Rodelia trovò la forza necessaria per raggiungerli e per provare a sventare un nuovo litigio.
«Ti chiedo perdono, Brighid, non avevo idea che tu...»
Brighid le sorrise gentilmente e negò con un cenno del capo.
«Non preoccuparti, Principessa, è comprensibile. Io so che Sua Maestà sta facendo il possibile per aiutarci in questa impresa e, credimi, noi duscuriani lo amiamo e gli siamo immensamente grati per tutto. Il problema sono l'avidità e l'egoismo di Kleiman, se non facesse tutta questa resistenza noi superstiti saremmo già tornati a casa.»
«Mi dispiace» Rodelia le mise una mano sulla spalla, in segno di conforto. «Farò tutto ciò che è in mio potere per restituirvela il prima possibile.»
Brighid guardò Rodelia negli occhi e le sorrise calorosamente.
«Hai gli occhi gentili del Re, Principessa» poi chinò il capo. «Ti chiedo perdono se ti ho mancato di rispetto in qualche modo. Con permesso.»
Infine anche lei si congedò, uscendo dal Campo Marzio.
«Ti ringrazio per essere intervenuta» borbottò Albert poco dopo che Brighid fu uscita.
«Non l'ho fatto nel tuo interesse, Kleiman» Rodelia rispose immediatamente, riservandogli un'occhiata colma di disappunto. «Lei ha ragione.»
«Quindi io e mio padre perderemo tutto?» Albert chiuse il libro di arti magiche e si alzò in piedi, guardandola dritta negli occhi. «Anche quella è casa mia. È casa nostra e siete stati voi Blaiddyd a consegnarcela.»
«Quella è la casa dei duscuriani, un popolo che per troppo tempo è stato demonizzato e che per questo merita la pace, merita di ritrovare ciò che ha perduto.»
«Sono certo che prima di essere popolata dai duscuriani, quella terra è stata di altri. È così per ogni angolo di questo mondo» nonostante la risposta dura, Rodelia non percepì alcuna cattiveria nella voce di Kleiman, solo un guizzo di paura nel suo sguardo. «Prima di essere vostra, Fhirdiad era di qualcun altro. Tu come ti sentiresti se un giorno i vecchi abitanti della tua casa venissero a reclamarla e fossi costretta a restituirgliela, perdendo tutto ciò che hai? Dove andresti? Cosa faresti? Chi diventeresti? Saresti disposta ad abbandonare le tue aspirazioni? Quel bell'albero in cortile sotto il quale leggi i tuoi romanzi preferiti? La prima nevicata dell'inverno che osservi alla finestra, seduta davanti al caminetto? Il tuo posto sicuro?»
Rodelia restò in silenzio, rammaricata e certamente sorpresa: era raro che qualcuno riuscisse a incalzarla e zittirla.
«Ti chiedo scusa, Albert. Innegabilmente anche tu hai ragione» rispose dopo qualche istante di esitazione. «Forse possiamo parlarne con più calma qui fuori, che ne dici?»
Albert tornò a sedersi, aprendo nuovamente il libro di arti magiche.
«Ti ringrazio per la disponibilità, ma rischieresti di litigare con la tua amica duscuriana se ci vedesse insieme.»
Rodelia restò a guardarlo per qualche istante, indecisa sul da farsi, poi emise un sospiro rassegnato e gli diede le spalle.
«Si chiama Brighid» aggiunse prima di incamminarsi verso l'uscita del Campo Marzio.


Per quanto non vedesse l'ora di cominciare ad allenarsi insieme ad Arendelle, Polaris aveva come sempre dato la precedenza alla lettura. Appena finito di pranzare al refettorio si era recata in biblioteca per accaparrarsi un manuale sull'uso della lancia e uno di strategia, ma una volta recuperati questi aveva deciso di concentrare la propria ricerca su qualcosa di più personale, una bella storia da leggere nei momenti liberi.
Era chinata a osservare le copertine di alcuni vecchi libri quando un tomo piuttosto pesante le rimbalzò sulla testa, finendo rovinosamente sul pavimento.
«Ahi!» si portò immediatamente una mano a massaggiare il punto dolorante, mordendosi le labbra nel rendersi conto che aveva appena deturpato il silenzio della biblioteca.
«Oh Dea» la voce che udì, seguita dallo scricchiolio dei pioli di legno della scala portatile, le sembrò famigliare.
Con ancora la mano sulla testa, Polaris si ritrovò a osservare un paio di stivali laccati di nero, poi una mano pallida tesa verso di lei.
«Perdonami.»
Sentì le guance in fiamme quando incontrò gli occhi gentili di Maris, di un bellissimo azzurro inteso, e si domandò per quale bizzarra maledizione sembrasse destinata a calamitare a sé tutti i fratelli Blaiddyd.
«Ti fa tanto male? Posso rimediare in qualche modo?»
Polaris tolse la mano dalla testa e accennò un sorriso, negando con un cenno del capo.
«Sto bene» raccolse il libro e lo porse al ragazzo, che sembrò subito deluso da quel gesto, di fatti la sua mano restò ancora per un po' tesa verso Polaris e le sue dita si contrassero appena, sfiorando il vuoto con insoddisfazione: voleva aiutare lei, non chiederle di porgergli il libro.
Pochi istanti più tardi, Maris afferrò il romanzo con fare arrendevole, così Polaris poté – con suo grande sollievo – rialzarsi senza ricevere alcun aiuto dal principe.
«Anche tu in biblioteca, eh?» le domandò Maris mentre tornava a salire sulla piccola scala di legno. «Sei venuta per prendere i manuali di studio?»
Le guance di Polaris continuarono a bruciare: perché si ostinava a parlare con lei? Non sapeva che era figlia di fornai?
«Sì, ho preso due manuali, ma ora stavo cercando una storia» rispose, salvo poi mordersi il labbro inferiore nel tentativo di zittirsi, cosa che tuttavia, vista la sua immensa agitazione, non funzionò. «Lei cosa sta cercando, Sua Grazia?»
«Ti prego, dammi del tu» Maris scese la scala e le rivolse un sorriso cordiale, per poi tornare a osservare le altissime scaffalature in mogano. «Anche io cerco un romanzo, ma non l'ho ancora trovato. Quello che cerchi tu come si intitola? Magari l'ho visto e posso indicarti dove si trova.»
«A dire il vero...» rispose lei, schiarendosi la voce per l'imbarazzo di dover dare del tu a un altro figlio reale «è solo l'idea di una storia che ho in mente.»
«Oh. Beh, posso consigliarti! Su, sentiamo!»
«Umh, dunque» Polaris si schiarì ancora una volta la voce: le sembrava di essere tornata ai tempi in cui raccontava al Signor Rowe storie di sua invenzione. «Non so se esista, ma vorrei una storia molto lunga e intricata, che mi coinvolga fino alla fine e che scuota i miei sentimenti. Vorrei che parlasse di una fanciulla, ma non come emblema di grazia, piuttosto di forza. Una guerriera in armatura che esplora luoghi stupendi, ampiamente descritti per pagine e pagine! Una guerriera che uccide draghi e villani senza pietà e con ingegno, ma pur sempre dotata di un cuore buono.»
«Una bella storia» commentò Maris, che subito le diede le spalle e si diresse in fretta verso un'altra libreria, cercando con lo sguardo il romanzo giusto per lei.
Polaris lo vide rizzarsi in punta di piedi, poi affrettarsi a trascinare un'altra scala di legno sotto la scaffalatura e arrampicarsi. Prese un grande tomo, probabilmente di mille pagine circa, con la copertina rossa rilegata in oro.
«L'indomita» lo porse subito a Polaris, che poté osservarne meglio i dettagli, notando soprattutto che, tranne per qualche granello di polvere e una macchia nell'angolo in basso a destra, era in ottimo stato.
«È un'epica in prosa di fantasia ma con molti riferimenti alla nostra storia e ai nostri miti. Leggendo le descrizioni dei paesaggi viene da chiedersi se l'autore non li abbia davvero visti, siccome sarebbe impossibile riferire di tali scenari con il solo aiuto dell'immaginazione.»
Polaris prese il libro, le labbra increspate in un sorriso: era davvero incuriosita e onorata che Maris avesse scelto per lei una storia dotata delle più rosee aspettative.
«La protagonista... beh, ti basti il titolo» rise Maris.
«Sei stato davvero gentile, ti ringrazio molto» Polaris chinò il capo, il libro stretto al petto come se fosse stato la cosa più preziosa al mondo.
«È stato un piacere, Polaris.»
«Lo andrò subito a leggere!»
«Ottima idea» Maris ampliò il sorriso, ridendo nuovamente. «Sappi che vorrò ascoltare ogni tuoi commento a riguardo!»
Polaris riuscì solamente ad annuire, il cuore che le martellava nuovamente nel petto.
«Adesso però devo tornare alla ricerca del mio libro» Maris sospirò con rassegnazione mentre tornava a rivolgere la propria attenzione alle scaffalature che ancora non aveva controllato, per poi accennare un sorriso vagamente divertito. «Potrebbero farne un'epopea...»
«Non ti tedierò ulteriormente, allora» Polaris chinò nuovamente il capo, poi, con il romanzo ancora stretto al petto, corse verso l'uscita, non preoccupandosi più di disturbare la lettura degli altri studenti.
«Grazie ancora! A domani!» chiuse gli occhi, le guance in fiamme. «Maris!»
Poi, una volta che le sue suole batterono sul pavimento di marmo fuori dalla biblioteca, risollevò le palpebre e tornò a guardare davanti a sé, il corridoio illuminato dalla luce bianca del sole che filtrava dalle grandi vetrate: sorrise a più non posso, con l'animo cullato dal tepore di nuove speranze.



Angolo autrice:
Buongiorno e buon Natale passato!
Avrei voluto pubblicare proprio a Natale o al massimo ieri, ma sono sempre più lenta delle mie aspettative.
Dunque, rileggendo il capitolo ho pensato che forse avrei dovuto intitolarlo “Giovani bulletti” o “L'otome game di Polaris”. Praticamente a ogni capitolo un meme, visto che nello scorso tutti cercavano Arendelle che Bugo spostati proprio.
Ora però faccio la persona seria e passo subito a spiegarvi due cose sul capitolo, altrimenti inizio a parlare troppo stile Polaris, cosa che non vuole NESSUNO.
Le storie di Rowe e Kleiman ho ben poca voglia di spiegarle qui perché, ragazzi, è da questa mattina presto che sono a correggere questo capitolo e ho la schiena in fiamme, quindi vi invito a cercare su wiki (comunque sono due Case del Regno coinvolte nella tragedia del Duscur), vi basti che nella storia Dimitri ha tolto i titoli a persone specifiche, quindi la casa Kleiman che aveva ancora un possibile erede non coinvolto nel tradimento non è decaduta – il fatto che comunque il Visconte Kleiman avesse un fratello è di mia invenzione, così come l'esistenza di un possibile cugino di Ferdie, perché purtroppo su tante parentele non ci è dato sapere.
Per il resto so bene che questo capitolo potrà sembrare noioso, ma è di assestamento, come d'altronde sarà il prossimo. In particolare odio la parte dell'appello perché pare una lista della spesa. Ma per lo meno dopo ho inserito la parte più movimentata, che comunque mette già un po' di carne al fuoco!
Avrete notato l'inserimento di nuove classi. Non era una cosa prevista, ma mi sono resa conto che nella mia immaginazione alcuni personaggi non ci azzeccavano nulla con le classi esistenti, quindi eccovi una piccola spiegazione:
- Catafratto: corazza, equitazione e specializzazione nel SOLO utilizzo della lancia;
- Spadaccino Curatore: spada e fede;
- Lady Viverna: uguale al Lord Viverna, solo... perché non ci possono essere pure le Lady? AO;
- Necromante: magia nera con un potere speciale (indovinate quale!)
Il Vescovo Oscuro non è una classe che ho inventato io ma se non sbaglio è esclusiva di Hubert, ecco perché magari a qualcuno di voi suonerà nuova.
Come sempre in settimana provvederò ad aggiornare l'album dei personaggi (qui)!
Penso, anzi spero, di aver detto tutto!
Grazie per aver letto fin qui! Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Nuvole Bianche: Istinto di protezione ***


Parte 1, Capitolo 3

Nuvole Bianche: Istinto di protezione



Polaris era totalmente immersa nella lettura de L'indomita, attenta e fedele partecipe delle grandi imprese della protagonista, che ora era impegnata ad affrontare un enorme grifone bianco. Già da cinque o sei pagine stava combattendo contro la bestia con tutte le armi a propria disposizione, ma ne aveva appena scalfito la corazza. Quella creatura era così fiera che non le aveva permesso di torcerle neppure una piuma, tuttavia, più ci si addentrava nello scontro più l'eroina diveniva spietata, divorata dall'ira, guidata dal solo desiderio di vendicare la migliore amica, morta fra gli artigli possenti del grifone nelle prime pagine del racconto. La protagonista era divenuta una bestia al pari della sua nemesi e ora risplendeva di una cupa e reale umanità.
In quel momento Polaris riusciva a stento a restare sintonizzata sulla realtà. Sapeva, però, che era una bella giornata e che aveva ancora un paio di ore libere prima di incontrare Arendelle per cominciare gli allenamenti, perciò era molto felice. Le bastavano una bella storia e la luce del sole, così come ad Arianrhod le erano sempre bastati il profumo del pane appena sfornato e i latrati dei cani da caccia con cui da piccola si divertiva a giocare.
«Caspita! Hai letto tutte quelle pagine in un solo giorno?!»
Polaris sobbalzò e chiuse istintivamente il libro, maledicendosi nel realizzare che ci avrebbe messo un bel po' a ritrovare il segno.
«Ma-Maris!» esclamò poi, leggermente imbarazzata all'idea che il ragazzo l'avesse colta in un momento in cui si era trovata totalmente assorta nella lettura della storia.
Maris le sorrise e la salutò, per poi sedersi accanto a lei, ignaro dell'ulteriore imbarazzo che suscitò con il suo gesto.
«Deduco che ti stia piacendo molto.»
«Moltissimo!» Polaris lo corresse con estrema concitazione, per poi riderne divertita insieme a lui.
«Dai, voglio sapere cosa ne pensi!» Maris si rilassò contro lo schienale della panchina di legno, rivolgendo lo sguardo al cielo terso.
«Beh, come dire... non so nemmeno se riuscirò a dormire questa notte!» esordì Polaris. «È veramente avvincente e non vedo l'ora di assistere all'evoluzione della protagonista! Cioè, voglio dire, è già maturata moltissimo dall'inizio della storia, ma mancano ancora molte pagine e non riesco assolutamente a prevedere quello che arriverà dopo! Non mi succedeva da tempo, sono così felice di poter leggere un romanzo tanto bello!»
«Conosco la sensazione» Maris sorrise, rallegrato dall'entusiasmo dell'altra.
«Adesso sta combattendo contro un grifone bianco e-nor-me!»
Maris si raddrizzò, rivolgendo un'occhiata incuriosita alla sua interlocutrice. Polaris, dal canto suo, gli sorrise e annuì energicamente.
«All'inizio della storia la sua migliore amica viene dilaniata dal mostro, perciò vuole assolutamente vendicarla. Ha viaggiato sola fino a ora solo per arrivare a questo momento, per trovare il grifone e ucciderlo. Il combattimento è davvero avvincente, anche se per ora lei è l'unica a essere stata ferita. Eppure sembra che ogni ferita la renda più forte...» Polaris ridacchiò imbarazzata. «Si può ammirare così tanto un personaggio di fantasia?»
«Non c'è nulla di sbagliato. Io ho imparato moltissime cose dagli eroi dei romanzi che ho letto» Maris rivolse di nuovo la propria attenzione al cielo, ripensando ad alcuni fra i titoli che gli erano più cari.
«Ma, Maris, non ti dispiace se ti racconto la storia?» tuttavia Polaris interruppe immediatamente i suoi pensieri. «Ora che ci penso potresti volerla leggere anche tu quando l'avrò finita, non dovrei metterci molto.»
«Non preoccuparti, Polaris. Mi fa piacere ascoltarla da te.»
Quando Maris si voltò verso di lei e le sorrise, Polaris non riuscì a non perdersi nei suoi occhi, in quella tonalità di azzurro così intensa e ricca di sfumature. Negli occhi di Maris coabitavano le carezze del sole sulla superficie calma di un lago e le ombre della notte più buia, d'altronde era uno sguardo gentile nel quale si coglieva facilmente una nota di malinconia. Forse sentiva la mancanza di casa o forse non gradiva la sua compagnia.
«Maris!» una voce femminile fece sobbalzare entrambi: Esperia stava correndo verso di loro, sventolando la mano per richiamare l'attenzione del fratello.
«Finalmente ti ho trovato» la Principessa si fermò a pochi passi da loro, le ginocchia leggermente piegate e le mani poggiate sulle cosce, il respiro smorzato. «Credo di aver corso per quindici minuti buoni...»
«È successo qualcosa?» chiese Maris.
«Ma come, Maris?!» Esperia esalò un sospiro rassegnato, raddrizzando la propria postura. «Papà sta per partire! Lo hai dimenticato?»
«Oh» Maris si alzò immediatamente, per poi ridacchiare imbarazzato. «Me lo sono dimenticato per davvero...»
Esperia lo guardò con incredulità, poi scosse appena il capo e sorrise divertita.
«Dovresti smetterla di chiuderti in biblioteca, Maris. Si perde la cognizione del tempo, te lo dico sempre... dovresti fare più passeggiate nel bosco con la tua sorellona qui presente!»
«Vieni con noi?» Maris decise di ignorare la provocazione della sorella e si rivolse a Polaris, che sobbalzò nuovamente, colta alla sprovvista da quella domanda.
«Oh, no» scosse appena il capo, accennando un sorriso amareggiato. «I miei genitori sono rimasti ad Arianrhod, non ho nessuno da salutare.»
«Allora ci vediamo dopo» intervenne Esperia, che poggiò una mano sulla spalla del fratello. «Maris, ora dobbiamo proprio andare.»
Maris annuì, quindi accennò un saluto e si voltò verso la sorella. I due si allontanarono a passo spedito, scomparendo dalla vista di Polaris pochi istanti più tardi; lei, dal canto suo, restò seduta a osservare il vuoto che avevano lasciato senza muovere un muscolo, il romanzo ancora stretto fra le mani.
Abbassò lo sguardo e si soffermò sulla copertina del libro, sospirando sonoramente: non aveva più voglia di leggere.


Quando Esperia e Maris arrivarono all'ingresso del Garreg Mach trovarono un grande trambusto, fra cocchieri e servitù intenti a sistemare gli ultimi bagagli sulle carrozze e qualche destriero più agitato di altri, oltre ai cavalieri e alle guardie presenti per garantire la sicurezza del Re e dell'Arcivescova.
«Brava Esperia» Dimitri, che in quel momento stava stringendo fra le braccia Arendelle, sorrise nel vedere che la sua terzogenita era riuscita a trovare Maris in tempo.
«Scusatemi» Maris si rivolse a entrambi i genitori, ma nessuno dei due né Rodelia, che aveva già provveduto a salutare il padre, lo guardò con rimprovero, anzi Byleth gli accarezzò affettuosamente i capelli e il padre e la sorella gli sorrisero gentilmente.
«Comportati bene» Dimitri rafforzò la stretta attorno ad Arendelle e chinò il capo, sussurrandole. «Non far arrabbiare la mamma e prenditi cura dei tuoi fratelli.»
Allentò la presa quando vide quella testolina bionda muoversi appena contro il suo petto, in segno di assenso. Anche se era la più alta e muscolosa fra i quattro sembrava comunque un esile ramoscello fra le sue braccia.
Arendelle si staccò dal padre senza dire una parola, ma tutti i fratelli indovinarono che aveva gli occhi lucidi e una grande furia in corpo, un tormento che per loro era semplice dispiacere. Byleth, invece, provava la sua stessa frustrazione, ma la primogenita si sentiva così diversa dagli altri, così ferita nel profondo, che non aveva preso neppure in considerazione che qualcuno potesse condividere i suoi sentimenti.
Mentre Maris andava ad abbracciare il padre, Esperia si era affiancata alle due sorelle, prestando particolare attenzione ad Arendelle: non voleva vederla così triste e avrebbe voluto tanto darle conforto, ma sapeva che si sarebbe arrabbiata. Anche Rodelia lo sapeva e perciò aveva attirato a sé lo sguardo di Esperia, così da raccomandarle con un paio di gesti di non sognarsi neppure di sfiorare Arendelle.
Tutti i Leoni Blu che avevano fatto la storia del Fódlan Unito erano lì, un quadretto che avrebbe potuto facilmente commuovere un veterano ma che non sorprendeva minimamente i principi, che conoscevano molto bene ognuno di loro.
Ingrid sarebbe rimasta al Garreg Mach in veste di cavaliere personale dell'Arcivescova e ora anche lei e i figli stavano dando gli ultimi saluti a Sylvain. Glaive e Nicolaj avevano la consueta aria spensierata e allegra e stavano scorrazzando tra una carrozza e l'altra, mentre Isabella – o “la principessa del papà”, come la definiva Sylvain – aveva il volto corrucciato da un piccolo broncio che avrebbe potuto fare tranquillamente concorrenza a quello di Arendelle.
Sylvain si era appena chinato per abbracciarla e darle un bacio sulla fronte, essendo lei ancora piuttosto bassa di statura.
Più vicina al gruppo dei principi era la famiglia Fraldarius, a tal punto che le tre sorelle Blaiddyd potevano udire chiaramente i singhiozzi inconsolabili di Annette .
«Su, su, Annie, non è il caso di piangere» Mercedes aveva ancora una volta abbandonato la Cattedrale e ora si trovava accanto all'amica, intenta ad accarezzarle la testa con affetto mentre questa singhiozzava con il viso raccolto fra le mani.
«Annette...» Felix guardò la moglie con le labbra increspate in una smorfia colma di disappunto, decisamente imbarazzato da tutto il chiasso che stava facendo.
«Andrà tutto bene, mamma» disse Alexander mentre sollevava in alto la sorellina, che guardandolo intensamente negli occhi cominciò a ridere divertita.
«Esatto» convenne Felix. «Alexander se la caverà benissimo.»
«Ma mi mancherà!» si lagnò Annette, che finalmente scostò le mani dal viso arrossato per le lacrime.
Alexander strinse al petto la sorellina e sorrise alla madre, che in tutta risposta riprese subito a singhiozzare.
«Mamma!»
«Annette, ti prego» Felix sospirò, mentre Mercedes si limitò a ridacchiare imbarazzata: anche lei era ormai giunta alla conclusione che Annette fosse irrecuperabile.
«Prenditi cura di Greta, d'accordo?» Alexander si avvicinò alla madre e la bambina lallò felice, come se anche lei stesse tentando di rincuorarla.
Annette guardò entrambi i figli e accarezzò affettuosamente la guancia di Alexander.
«Sei diventato così grande» poi, finalmente, si asciugò le lacrime e prese Greta fra le braccia.
«E tu fai la brava, hai capito?» Alexander arruffò i capelli della bambina, che rise fragorosamente, tartagliando qualcosa che suonò sorprendentemente molto simile al suo nome. Era ancora lontana dal poter pronunciare bene le parole, ma cercava di farlo ogni volta che poteva, dimostrando una caparbietà adorabile.
«A presto, Alexander» Felix diede una pacca sulla schiena del figlio, che ricambiò immediatamente.
«A presto» Annette non riuscì a pronunciare il suo nome, trattenendo a stento un nuovo singhiozzo, poi salutò l'amica e si voltò, subito seguita da Felix.
Alexander li osservò allontanarsi e vide il viso paffuto di Greta spuntare da dietro la spalla della madre. La bambina lo guardò e gli sorrise e lui la salutò con la mano, ma probabilmente quel gesto e il fatto che lo vedesse sempre più lontano fecero realizzare a Greta quello che stava accadendo realmente, di fatti il suo visino si contrasse in una smorfia e si arrossò visibilmente, riempiendosi di lacrime.
Alexander abbassò immediatamente la mano. Contrasse le labbra e sollevò leggermente il mento, cercando di respingere l'evidente bruciore che gli aveva riempito gli occhi.
Mercedes lo guardò, riconoscendo il lui la fragile sensibilità di Annette e al tempo stesso l'incredibile fermezza di Felix, quindi gli sorrise e gli accarezzò una spalla per cercare di rassicurarlo. D'altronde aveva promesso ad Annette che si sarebbe presa cura di lui.
Rodelia aveva osservato con attenzione tutta la scena, ma Arendelle l'aveva riportata alla realtà con una piccola gomitata, come a raccomandarle di non distrarsi e rischiare di perdere gli ultimi momenti con loro padre o, per lo meno, di non fissare gli altri con così tanta insistenza.
Rodelia si schiarì leggermente la voce e tornò a osservare i suoi genitori, ora stretti in un abbraccio affettuoso.
Nessuno poteva dire con certezza quando avrebbero rivisto il padre e ora anche lei era stata colta da un vago senso di angoscia, sentendosi quasi inadeguata e sciocca per essere triste: dopotutto loro avrebbero avuto la fortuna di restare tutti insieme, mentre il Re sarebbe rimasto completamente solo.
In effetti in tutti quegli anni non era mai accaduto che Dimitri rimanesse solo. Quando erano piccoli e la madre si assentava, sempre per brevi periodi in quanto era determinata a passare più tempo possibile con i figli, loro rimanevano a palazzo con il padre. Giocavano con lui, si allenavano e capitava di frequente che nella notte andassero tutti a dormire nel grande letto reale, come a tentare di lenire il vuoto della madre.
Crescendo, alcuni avevano espresso il desiderio di accompagnare Byleth nei suoi viaggi al Garreg Mach, ma almeno uno dei figli era sempre rimasto a Palazzo, notoriamente Arendelle, che aveva visto il Monastero solamente in occasione di viaggi che avevano richiesto anche la presenza del Re.
Mentre da piccoli non capivano, ora avevano la maturità sufficiente per preoccuparsi di un genitore che restava solo, cosa che acquisiva ulteriore rilievo se si trattava del padre. Sylvain, Annette e Felix sarebbero partiti con lui, ma a un certo punto si sarebbero separati per tornare ai loro territori; l'unico a rimanere a fianco del Re – come d'altronde aveva sempre fatto – sarebbe stato Dedue, al quale Rodelia rivolse uno sguardo colmo di apprensione e speranza.
Dedue stava salutando Ashe. Guardandoli, Rodelia si sentì nuovamente angosciata: c'era qualcosa fra loro, ma stavano separati perfino più dei suoi genitori e questo pensiero le avvelenò il cuore. Erano due persone troppo gentili e buone per meritare di vivere a centinaia di chilometri dal proprio amato.
«Tornerò da voi il prima possibile» Dimitri ritornò a rivolgersi ai figli, le labbra piegate in un sorriso sottile. «Seguite sempre gli insegnamenti della mamma,» poi ampliò il sorriso, guardando teneramente la moglie «non potreste chiedere insegnante migliore. Vi sarà amica e vi proteggerà sempre. E voi aiutatela, siate collaborativi, curiosi, onesti e umili.»
«A presto» Byleth riuscì a stento a sorridere. In tutta risposta, il marito le accarezzò una guancia e lei gli afferrò la mano con le sue, stringendola con delicatezza, ben consapevole che anche il Re li lasciava con la morte nel cuore.
Dimitri guardò in silenzio la sua famiglia, passando in rassegna ognuno dei membri, il presentimento di una voce nella testa. Sarebbe stato difficile restare senza di loro, ma non poteva venire meno ai suoi doveri, anche per il bene della sua stessa famiglia.
«A presto, mia amata. A presto, figli miei.»


I principi fecero la strada di ritorno insieme. Maris ed Esperia camminavano in testa al gruppo, discutendo sul nome più accurato da dare a un cavallo delle stalle, mentre Arendelle e Rodelia erano rimaste indietro, i volti afflitti, contratti in una smorfia di tristezza. Ed era proprio nella tristezza che Arendelle riusciva a trovare sua sorella come tale, non una rivale da battere, non qualcuno verso cui si sentiva terribilmente inferiore, ma un affetto di cui comprendeva appieno la sofferenza.
«Basta!»
«Ti ho detto di stare zitto!»
Rodelia si fermò immediatamente, riconoscendo in quelle grida la voce di Draconius.
«Cos'è stato?» anche Arendelle si fermò, guardandosi intorno.
«Laggiù!» Maris puntò il dito verso i cortili e non fu difficile per le sue sorelle individuare alcuni ragazzi raggruppati sotto un albero.
«Ora lo sistemo io quell'idiota» Rodelia passò immediatamente in testa al gruppo, dirigendosi con rapide falcate verso il punto indicato da Maris.
«È quello di cui mi hai parlato ieri sera? Draconius?» le domandò Esperia, che aveva subito accelerato il passo per seguirla.
«Sì. E a quanto pare ha anche dei complici.»
Mentre i quattro fratelli Blaiddyd si avvicinavano la scena divenne sempre più chiara: Draconius stava tenendo Leon per il colletto della divisa, schiacciandolo con violenza contro il tronco dell'albero. Un altro ragazzo di bassa statura e con capelli di un nero verdastro era accanto a loro, come a volersi assicurare che la vittima non fuggisse, mentre una ragazza dai lunghi capelli azzurro chiaro era a pochi passi da loro e osservava la scena come se stesse assistendo a uno spettacolo di una qualche compagnia ambulante.
«Draconius, smettila immediatamente!» Rodelia afferrò il ragazzo dai capelli verdastri e lo spinse via con una forza che sorprese perfino lei stessa, poi afferrò il polso di Draconius, che non aveva ancora mollato la presa su Leon.
«Buongiorno, Principessa» Draconius le sorrise, ma rafforzò la stretta sul bavero di Leon, che dischiuse le labbra in un rantolo.
«Ohi, tu, non impicciarti!» l'altro ragazzo si rivolse a Rodelia, per poi voltarsi a guardare gli altri tre fratelli Blaiddyd. «E voi che volete?»
«Ma sei stupido?» Arendelle lo guardò con disgusto, per poi passargli accanto a testa alta, raggiungendo Rodelia e Draconius. «Lascialo subito, idiota.»
Draconius allentò la presa, osservando Arendelle con la coda dell'occhio.
«Fatevi gli affari vostri! Questa è una questione che dobbiamo risolvere noi Lupi Cinerei» protestò l'altro ragazzo.
«Quale questione?» anche Esperia gli rivolse un'occhiata colma di disprezzo. «Picchiarvi fra compagni?»
«Lascialo. È la tua futura regina che te lo ordina» Arendelle ignorò il chiasso che si stava creando alle sue spalle, continuando a fissare Draconius dritto negli occhi.
Anche lui la guardò, scoppiando in una risata fragorosa.
Arendelle strabuzzò gli occhi e strinse i pugni con forza, ma fortunatamente Draconius lasciò la presa prima che la ragazza perdesse il controllo.
Rodelia e Maris soccorsero il povero Eisner, che portò subito una mano al collo, il sangue fresco sul viso.
«Lieto di fare la tua conoscenza, mia futura regina» Draconius fece un piccolo inchino ad Arendelle, le labbra increspate in un ghigno divertito.
«Meglio che non lo diventi» commentò l'altro, alle spalle della primogenita della famiglia reale.
«Taci, Bergliez» lo ammonì Draconius.
«Bergliez? Ecco perché sei così stupido» commentò Arendelle, tornando infine a rivolgersi a Draconius. «Invece tu sei un altro nobiletto di cui nessuno ha bisogno.»
«Però!» Draconius rise. «Siete delle ragazze sorprendentemente impavide.»
«Ci sarebbe da sorprendersi per il contrario» ribatté Arendelle, continuando a sostenere lo sguardo dell'altro senza alcuna fatica.
«Si può sapere cosa vi ha fatto Leon?» intervenne Rodelia, pregando mentalmente che la risposta riguardasse qualcosa di più sensato dello status sociale dei ragazzi coinvolti. Nel frattempo estrasse dalla tasca un fazzoletto di seta bianca che avvicinò al volto ferito del giovane Eisner.
«No, ti prego» Leon ritrasse il viso, la voce ancora debole: non voleva macchiare di sangue qualcosa di così buona fattura, soprattutto considerando che apparteneva alla principessa.
«Fermo, perdi sangue» Rodelia, però, era decisamente più testarda di lui e tenendogli ferma la testa iniziò a tamponargli il labbro ferito. «Non preoccuparti, è solo un fazzoletto.»
«Continua a fissarci, è fastidioso» rispose Draconius.
«Solo per questo?» Arendelle assottigliò lo sguardo, per poi rivolgersi verso la ragazza, che era rimasta ferma e in silenzio per tutto il tempo. «Tu chi sei? Un'altra figlia dell'Impero?»
«Non sono tenuta a rispondere» ribatté l'altra, portando le mani dietro la schiena: contrariamente a quanto si poteva pensare visto che era stata in disparte fino a quel momento, sembrava particolarmente a suo agio se non addirittura divertita dalla situazione.
Arendelle si mosse velocemente verso di lei e le si piazzò davanti, a pochi centimetri dal viso.
«Hai guardato per tutto il tempo senza muovere un dito» sibilò. «Sei pietosa quanto loro, perciò abbi almeno la decenza di prenderti le tue responsabilità rispondendo alla mia semplice domanda: chi sei?»
La ragazza assottigliò lo sguardo e inspirò con forza dalle narici: aveva un viso molto grazioso, una frangia leggermente disordinata e lunghi capelli azzurri raccolti da un grosso nastro di raso nero; la parte inferiore degli occhi era segnata da tanti gruppi di piccole ciglia nere e l'iride era di un rosa piuttosto cupo, mentre la pupilla era leggermente assottigliata, conferendo una distorta nota malefica al suo bell'aspetto.
«Mi chiamo Ortensia von Varley.»
Arendelle non gradì la risposta: aveva sentito dire che nella classe dei Lupi Cinerei vi era un Aegir e ora erano spuntati anche un Bergliez e una Varley. Erano le uniche tre case dell'ex Impero a essere sopravvissute all'unificazione del Fódlan per merito di lontani parenti che avevano preso le difese del Regno e della Chiesa, ma solo perché a quel tempo era la cosa più conveniente da fare – a provarlo le numerose proteste scoppiate nei loro territori appena qualche anno dopo l'unificazione del continente.
«E tu come ti chiami, Bergliez?»
Il ragazzo interpellato inarcò un sopracciglio, infastidito all'idea che l'altra si stesse prendendo tanta confidenza.
«Taivas» borbottò, bersagliandola con i suoi occhi azzurri.
Arendelle si voltò infine verso Draconius, senza avere bisogno di parlare.
«Adam Yu Draconius» sorrise lui, chinando appena il capo. «Ti domando scusa a nome di tutti.»
«Le scuse devi chiederle a Leon» intervenne Maris, ancora chinato accanto al giovane Eisner.
Adam non si voltò neppure a guardarlo, ma Arendelle notò un fulmineo movimento degli occhi che le diede la conferma che lo aveva sentito.
«Ascolta il mio fratellino» disse poi, accennando un sorriso. «È giovane, ma molto intelligente.»
Adam sospirò sommessamente, grattandosi la fronte con un dito, poi si voltò verso Leon.
«Non starai facendo sul serio, spero!» Taivas protestò a voce alta, incenerito immediatamente dallo sguardo ostile di Arendelle.
«Ti chiediamo scusa, Leon» Adam riservò un piccolo inchino anche a lui. «Non si ripeterà più.»
Infine tornò a voltarsi verso Arendelle e prese congedo, immediatamente seguito da Taivas e Ortensia.


«Forse non era il caso di picchiarlo solamente perché mi ha guardata» commentò Ortensia.
«Ma se sei tu che ti sei lamentata! “Che fastidio! Quel poveraccio mi fissa sempre!”» strillò Taivas, imitandola con voce acuta. «E poi tu, Adam!»
«Che vuoi?» Adam schioccò la lingua contro il palato mentre il ragazzo alle sue spalle gli balzava accanto per raggiungerlo e stare al suo stesso passo.
«Perché non hai affrontato come si deve quella biondina? Noi li odiamo i Blaiddyd!»
«Non è detto che siano tutti mostri assassini come il padre.»
«Ah?!» Taivas inarcò il sopracciglio e lo fissò per un po' senza dire niente, mentre Ortensia, ancora alle loro spalle, gli restituiva il favore scimmiottando la sua reazione.
Adam accennò un sorriso, massaggiandosi la tempia destra con la mano.
«Cosa mi stai dicendo, Adam?» continuò Taivas, oltraggiato dal fatto che il suo compagno lo stesse completamente ignorando.
«Ti piace così tanto Rodelia?» Ortensia si affiancò alla destra di Adam e alla sua domanda Taivas strabuzzò gli occhi, ancor più confuso e indignato.
«Vedi, Taivas?» Adam si voltò verso l'amica e le rivolse un sorriso gentile. «Lei ha capito, non è mica scema come te.»
«Ohi!»
«Rodelia è innegabilmente molto bella, ma avete visto Arendelle?»
«Sai pure il suo nome, che schifo!» protestò Taivas.
«È così sfrontata, selvaggia... tutta un'altra razza rispetto alla sorella» continuò Adam, per poi accennare una risata imbarazzata.
«Quindi ti sei preso una cotta per lei? Ma l'hai appena incontrata!»
«Esiste l'amore a prima vista» Ortensia inclinò il capo, andando alla ricerca dello sguardo di Taivas, che si trovava dalla parte opposta alla sua. Il giovane Bergliez, in risposta, guardò immediatamente davanti a sé, le guance leggermente arrossate.
«Mi dispiace deluderti, cara Ortensia, ma non posso dirmi ancora innamorato. Certamente quella ragazza ha suscitato il mio interesse e spero di poterla conoscere meglio.»
«Tu li odi, Draconius!»
«È vero» ammise lui, degnando finalmente l'altro di uno sguardo. «Ma tu e Ortensia avete motivi ben più validi dei miei per detestarli, dico male?»
«Bah» Taivas incrociò le braccia al petto, facendo spallucce. «Fa' come vuoi.»
«In ogni caso, amico mio,» riprese poi Draconius, ora guardando fisso davanti a sé con occhi colmi di risentimento «sta certo che troveremo presto il modo per riprenderci le scuse che ho dovuto rivolgere a quel verme insignificante di Eisner.»


«Tua sorella lo sa? Fanno così anche con lei?» Rodelia aveva appena finito di tamponare il sangue quando gli fece quelle domande.
Leon negò con un rapido cenno del capo, parlando dopo qualche istante di esitazione.
«Lei è molto più estroversa e coraggiosa di me. Si fa rispettare.»
«Devi imparare da lei, allora» Arendelle lo squadrò dall'alto in basso e Leon avvertì immediatamente un fremito di inquietudine.
«Arendelle» Rodelia la guardò con disappunto. «Un po' di tatto.»
Arendelle protese le labbra in una piccola smorfia e rivolse il proprio sguardo altrove, sfiatando dalle narici.
«Stai bene? Ti fa tanto male?» anche Esperia si chinò a osservare meglio il viso contuso di Leon.
«Sto bene» rispose lui, forzando un timido sorriso.
«Attento o la ferita si riaprirà» gli disse Maris, sorridendogli a sua volta.
Mentre si trovava seduto contro il tronco dell'albero, circondato dai visi cordiali dei fratelli Blaiddyd, Leon fu colto da una tristezza improvvisa, tanto da faticare a trattenere le lacrime.
Aveva mentito: la faccia gli faceva male, il labbro pulsava e bruciava e i muscoli di tutto il corpo tremavano ancora, contraendosi in spasmi di paura, ma non voleva dare ulteriori preoccupazioni a quelle persone così buone. Avrebbe voluto avere anche solo un decimo di quella gentilezza nella sua vita, e forse fu proprio l'evidenza di quella mancanza che lo rese così infelice.
«Merda! Non abbiamo fatto in tempo!»
I fratelli Blaiddyd si voltarono e videro avvicinarsi un ragazzo e una ragazza. Lui aveva i capelli grigi piuttosto scompigliati che coprivano la fronte e parte degli occhi, che tuttavia risultavano piuttosto evidenti per il peculiare colore dorato, mentre lei, mingherlina e bassa, aveva capelli bianchi che le arrivavano a metà collo, due ciocche più lunghe sul davanti e occhi di un azzurro molto intenso.
«Scusami, Leon.»
«Non preoccuparti, ci hanno pensato loro.»
Il ragazzo dai capelli grigi passò in rassegna i quattro fratelli.
«Siete i figli del Re?» chiese poi.
Appena i quattro fratelli annuirono, la ragazza dai capelli bianchi fece un grande inchino.
«Non so davvero come sdebitarmi» disse il ragazzo dai capelli grigi mentre si dirigeva verso Leon.
«Dal mantello deduco tu sia il capo della Casata dei Lupi Cinerei» esordì Arendelle.
Prima di risponderle, il ragazzo porse la mano a Leon e lo aiutò a rialzarsi.
«Mi chiamo Farkas von Amarok e questa è Tanja Verklikova. Viene da Albinea, perciò non conosce ancora bene la nostra lingua.»
Tanja si inchinò di nuovo, ancora una volta in modo a dir poco eccessivo.
«In realtà non conosce proprio nulla...» si corresse Farkas, per poi attirare la sua attenzione con un cenno della mano. «Anche meno, Tanja.»
La ragazza annuì appena e raggiunse i suoi compagni: arrivava a malapena alla spalla di Farkas e a metà del braccio di Leon, di fatti si alzò in punta di piedi per riuscire a prendere il viso di quest'ultimo fra le mani, così da controllarne le ferite con una certa minuzia.
«Spero che quei tre non vi abbiano dato troppo disturbo» Farkas tornò a rivolgersi ai Blaiddyd. «Posso sdebitarmi offrendovi un tè? Non è molto, ma...»
«Volentieri» Rodelia chinò appena il capo in segno di assenso, accennando un sorriso.
«Sì, più che volentieri!» si accodò Esperia, subito seguita da Maris.
«Io...» Arendelle, invece, esitò, bloccandosi non appena Rodelia le mise una mano sulla spalla.
«Credo sia la cosa più conveniente per tutti, Arendelle. Farkas potrebbe parlarci un po' della situazione della sua classe, che sinceramente, e senza offesa, non mi sembra delle migliori.»
«Già» convenne Farkas, annuendo appena.
Arendelle guardò Rodelia per un istante e poi sospirò: aveva ragione. Per sua fortuna, inoltre, la primogenita era un po' più vulnerabile quel giorno e perciò non le sarebbe dispiaciuto avere compagnia.
«Vada per il tè» acconsentì, senza riuscire a trattenere un sospiro rassegnato.


Quando giunsero ai cortili adibiti a zona del tè, un ragazzo che portava i capelli viola raccolti in una coda fece cenno a Farkas.
«Anche voi qui?» chiese. Di fianco a lui vi era una ragazza molto alta e muscolosa, con occhi viola scuro e lunghi capelli neri lasciati sciolti, tranne che per due piccole trecce sul davanti.
Notando la presenza dei principi, il ragazzo dai capelli viola sembrò mettersi improvvisamente sull'attenti.
«È successo qualcosa, Farkas?» chiese poi.
«Il solito» ribatté il capo dei Lupi mentre prendeva posto attorno a uno dei tavoli.
Il ragazzo dai capelli viola rivolse un'occhiata a Leon, per poi tornare a fissare Farkas.
«I principi sono stati di grande aiuto, perciò ho pensato di invitarli a prendere un tè» spiegò Farkas mentre il resto della compagnia prendeva posto ai tavoli adiacenti al suo. «Vorrei metterli al corrente della situazione. Ti unisci a noi, Cédric? Può unirsi anche Elenoire se le fa piacere.»
«Volentieri» rispose il ragazzo dai capelli viola, per poi rivolgersi all'amica muscolosa. «Tu che fai?»
«Anche per me va bene, ti ringrazio dell'invito, Farkas.»
Occuparono in totale tre tavoli che avvicinarono il più possibile gli uni agli altri, così da poter ascoltare quello che i Lupi Cinerei avevano da dire.
Leon sedette con Maris ed Esperia, Arendelle con Farkas e Tanja e infine Rodelia con Cédric ed Elenoire, che si presentarono rispettivamente come figlio di Yuri Leclerc e figlia di Balthus von Albrecht. Lei, inoltre, non faceva parte della classe dei Lupi Cinerei, bensì di quella dei Cervi Dorati.
Mentre Balthus si era stabilito in pianta stabile a Kupala, aveva preso moglie e avuto una figlia, più travagliata e incerta era la sorte di Yuri, che a detta di suo figlio si era allontanato da Casa Rowe dopo che il Conte aveva perso il titolo e aveva fatto perdere le sue tracce. Per il resto i fratelli Blaiddyd non pretesero ulteriori approfondimenti per non rischiare di essere indelicati.
Presto i tavoli vennero riempiti di biscotti, paste e servizi da tè di pregiata porcellana. Il vapore sprigionato dalle bevande calde si alzò verso il cielo, in timide volute di fumo biancastro, e tanti aromi differenti si diffusero nell'aria, mescolandosi sgraziatamente fra loro.
Farkas illustrò loro la delicata condizione della Casata, spiegando la situazione di ciascun membro: lui, come Adam, era un nobile di nuova generazione, al contrario di Vincent, Ortensia e Taivas, parenti degli storici compagni di classe della ormai defunta Edelgard von Hresvelg. C'era poi Tanja, da Albinea, e una certa Moira, proveniente dalla penisola di Sreng, e infine i due Gemelli Eisner e Cédric, che non erano in possesso di alcun titolo nobiliare.
Il gruppo formato da Adam, Ortensia e Taivas tormentava popolani e stranieri e inoltre gli avevano dato l'impressione di essere fortemente contrari alla supremazia di Re Dimitri e più in generale all'unificazione. Questione diversa per Vincent von Aegir, che seppur nobile e nativo del vecchio Impero si era dimostrato più volte solidale nei confronti delle vittime dei loro soprusi.
«In ogni caso non possono fare nulla di grave, giusto?» chiese Esperia prima di sorseggiare il suo tè.
«Purtroppo credo che quello che stanno facendo ora sia già sufficientemente grave» sospirò Farkas. «In ogni caso vi terrò informati se dovessi scoprire che stanno cospirando contro di voi.»
«Non credo che accadrà» commentò Leclerc. «Sono solo tre bulletti insignificanti, Elenoire potrebbe spazzarli via con una manata.»
La povera Elenoire, che aveva appena addentato un biscotto di frolla al cioccolato, tossì a causa del boccone appena finitole di traverso: non gradiva che si parlasse di lei come di uno scimmione violento, né come di una delicata principessa come sosteneva spesso suo padre. Si chiese perché fosse così difficile trovare qualcuno che la considerasse semplicemente normale.
«Sono d'accordo con Leclerc» intervenne Arendelle. «Il massimo che potrebbero fare è prendere di mira altri membri della Casata.»
La primogenita della dinastia reale ripose la tazza vuota sul tavolo e si alzò, distendendo le pieghe della divisa con le mani.
«Il mio consiglio è di imparare a difendervi. Soprattutto tu, Leon.»
Il ragazzo sobbalzò appena quando la sentì pronunciare il suo nome, poi annuì senza smettere di guardarla, così da assicurarsi che lei lo vedesse.
«Siete numericamente superiori: fate squadra.»
Rodelia accennò un sorriso alle parole di Arendelle: era un buon consiglio, ma se la situazione fosse stata invertita era certa che sua sorella non lo avrebbe mai seguito.
Arendelle si congedò con un saluto, rivolgendo un ultimo sguardo a Leon, che ricambiò seppur con un poco di fatica: era molto diversa dal resto della sua famiglia, ma in quel momento il giovane Eisner fu certo di aver scorto nei suoi occhi la stessa gentilezza dei suoi fratelli.


Era ormai l'imbrunire quando i movimenti di Polaris ebbero una brusca battuta di arresto. Aveva il fiato corto, le gambe eccessivamente piegate e teneva le braccia contratte.
Arendelle bloccò l'affondo dell'avversaria con la punta della lancia e si fermò. Polaris, che era ancora molto lenta ad arretrare dopo gli attacchi, le rivolse un'occhiata confusa.
«Polaris, fammi vedere le mani» disse poi Arendelle.
«Uh?» Polaris sollevò le sopracciglia in segno di sorpresa, per poi accennare un sorriso. «Sto bene, possiamo continuare.»
«Questo lascialo decidere a me» controbatté Arendelle. «Mostrami le mani.»
Polaris fece un passo indietro e la guardò mestamente, la lancia ancora stretta fra le dita. Arendelle non se lo fece ripetere due volte: afferrò la parte superiore della lancia della ragazza, appena sotto la punta acuminata, e gliela sfilò dalle mani.
Polaris emise un gemito, spalancando immediatamente le mani perché l'aria fresca del tramonto potesse lenirne il bruciore.
«Bene, per oggi abbiamo finito» decretò Arendelle una volta visti i palmi arrossati e i polpastrelli tagliati dell'altra.
«Ma Arendelle!»
«Abbiamo finito» sibilò. «Come pensi di poter combattere con le mani ridotte così? Le ferite ti rendono lenta e debole.»
Le critiche di Arendelle furono per lei come schiantarsi contro un muro. Si erano allenate per ore e aveva davvero sperato di ricevere anche un solo complimento per la resistenza e la tenacia che aveva dimostrato, ma la sua compagna era un'insegnante severa e per il momento non sembrava intenzionata a darle alcuna soddisfazione.
Attraversarono il bosco il silenzio, Arendelle in testa, impegnata a sorreggere entrambe le lance, Polaris poco più indietro, un po' abbattuta e con le mani doloranti spalancate lungo i fianchi.
Forse per la stanchezza o forse perché non si scambiarono nemmeno una parola, a Polaris il ritorno sembrò molto più lungo e tortuoso dell'andata e quando arrivarono in camera le ci volle un grande sforzo per non lasciarsi cadere subito sul letto e addormentarsi di sasso.
Arendelle, al contrario, era molto lucida e dinamica. Poggiò subito le lance alla parete e si diresse in bagno, tornando con un bicchiere pieno di disinfettante e del cotone che poggiò sulla cassettiera di Polaris, infine si diresse verso la sua e cominciò a frugarvi dentro.
«Mani» comandò poi, sedendosi accanto a Polaris.
Polaris obbedì senza fiatare e Arendelle bagnò un po' di cotone con del disinfettante, cominciando a tamponarla con inaspettata delicatezza.
«Polaris, la prossima volta dimmelo. O comunque fermati non appena avverti dolore.»
«Mh» Polaris mugugnò, le labbra serrate per il bruciore provocato dal disinfettante.
«Non devi avere fretta, è normale che le tue mani soffrano, non sono abituate.»
«Sì» annuì, una piccola lacrima ferma al bordo dell'occhio sinistro: anche se l'altra era delicata era difficile sopportare il passaggio del cotone imbevuto di disinfettante sui tagli aperti.
«Ora non potrai allenarti fino a che non saranno guarite.»
«Cosa?»
Arendelle non rispose subito: ripose il cotone sulla cassettiera e afferrò le bende che aveva recuperato dalla sua, cominciando a fasciare il polso destro della compagna di stanza.
«Vedila come una punizione» disse poi. «Anche volendo, se ti allenassi con queste ferite non otterresti alcun miglioramento, anzi rischieresti di assumere una postura erronea a causa del dolore.»
«Mi dispiace...» borbottò Polaris, osservando con attenzione le mani di Arendelle che si muovevano attorno alla sua: si era approcciata a lei con estrema sicurezza, eppure era ovvio che non aveva idea di cosa stesse facendo.
«Dovresti girare la benda a destra» suggerì quindi Polaris.
«Così?»
«Sì.»
«Scusami» Arendelle seguì il consiglio dell'amica e finalmente riuscì a fasciarle il primo dito. «Non l'ho mai fatto. E scusami anche per oggi.»
«Di cosa ti scusi, Arendelle? Sono io che sono stata sciocca» questa volta Polaris le sfiorò una mano con le dita, guidandola senza parlare.
«Avrei dovuto pensarci o comunque accorgermene molto prima.»
«Non te ne sei accorta prima perché anche io ho iniziato a sentire male proprio alla fine» Polaris accennò una risata. «Sai, mi sono scottata così tante volte al forno che la soglia di dolore delle mie mani deve essere piuttosto alta.»
Arendelle si assicurò che la benda fosse abbastanza stretta, poi guardò la compagna e le sorrise.
«Spero che la fasciatura regga» aggiunse poi, passando alla mano sinistra.
«Sono certa che reggerà» Polaris la guardò destreggiarsi con la seconda benda e accennò un sorriso. «Ho imparato tante cose oggi, ti ringrazio.»
«Eh?» Arendelle alzò la testa all'improvviso e Polaris notò un leggero rossore sulle sue guance.
«Grazie» ripeté scandendo bene la parola, per poi increspare le labbra in un grande sorriso.
Arendelle borbottò qualcosa in risposta e riabbassò la testa, riprendendo a fasciarle la mano con incerta velocità, cosa che non fece altro se non confermare il suo imbarazzo.
«Come va?» Arendelle tornò a parlare solo una volta che ebbe finito con la seconda fasciatura.
Polaris sollevò entrambe le mani e le osservò per qualche istante.
«Direi molto meglio!»
«Bene» Arendelle si alzò dal letto e si diresse dietro al separé, così da potersi cambiare per la notte.
«Non hai appetito, Arendelle?» le chiese Polaris.
«No» rispose l'altra mentre sistemava i pantaloni della divisa sul separé.
Anche Polaris non aveva fame. La stanchezza dell'allenamento e la gratitudine verso le cure ricevute l'avevano drenata di ogni forza e il solo pensiero di dover uscire di nuovo dalla stanza per recarsi al refettorio le aveva chiuso lo stomaco. E poi le era tornata voglia di leggere, difatti non ci volle molto perché recuperasse il romanzo dal comodino e si coricasse sul letto, mettendosi alla ricerca del segno che Maris le aveva fatto perdere quello stesso pomeriggio.
«Sai, dovresti leggere questo libro» disse poi, mentre Arendelle si lasciava cadere stancamente sul proprio letto.
«Non mi piace leggere» l'altra borbottò contro il cuscino, per poi risollevare il viso e rivolgere la propria attenzione a Polaris.
«Ma come? Hai le mensole piene di libri!»
«Tutti manuali sulle armi, la strategia e i cavalli. Quelli li leggo.»
«Che noia» commentò Polaris. «Sono sicura che questa storia ti piacerebbe.»
«Quante pagine sono? Tremila? Non riuscirei mai a leggerlo.»
«Non sono così tante» Polaris accennò una risata, per poi increspare le labbra in un enorme sorriso: aveva ritrovato il segno!
Arendelle si girò sulla schiena, accennando un sospiro: era terribilmente stanca. Anche lei, come Polaris, avrebbe voluto soltanto andarsene a letto una volta arrivate in camera, ma invece aveva attinto dalla sua riserva di energie extra per curare le ferite della compagna – dopotutto era il minimo che avrebbe potuto fare per essere stata così disattenta verso la sua condizione. Non sapeva perché, ma sentiva che voleva proteggere quella ragazza.
«Dormo» Arendelle si infilò sotto le lenzuola e spense la lampada ad olio accanto al suo letto. «Non fare troppo tardi.»
«D'accordo» Polaris, invece, restò illuminata dalla luce, il romanzo de L'indomita stretto fra le mani.
Non ricominciò a leggere subito, però. Anzi, se ne restò a osservare la pagina piena di parole per qualche minuto, non riuscendo a coglierne nemmeno una.
«Arendelle...» chiamò l'altra sotto voce.
«Mh?»
Polaris esitò prima di riprendere a parlare, temendo di disturbarla.
«Credi... credi che imparerò?» rafforzò la stretta sul libro, un fremito nel petto.
«Sì, sei brava» rispose sinceramente Arendelle, mormorando a occhi chiusi. Poi risollevò le palpebre, perdendosi nel buio che circondava il suo letto.
«Finché non imparerai restami accanto» aggiunse. «Finché resteremo insieme non ti accadrà nulla di male.»



Angolo autrice:
Ok, bene! Fallito l'intento di pubblicare l'ultimo dell'anno per tenervi compagnia riesco incredibilmente ad avere successo nel pubblicare oggi!
Che succede oggi? Niente. Solo è la mia prima pubblicazione dell'anno e oggi è il quattro e il quattro è il mio numero fortunato. È solo un gesto simbolico molto stupido che spero porti un po' di fortuna a questo mio profilo di EFP che vorrei riprendere definitivamente in mano pubblicando cosine riguardanti anche altri fandom.
Dunque, questa volta non ho molto da dire sul capitolo, solo: sì, sono bimbominchia a chiamare un personaggio con il mio nome autrice; no, non è un selfinsert (anche perché mi sentirei in colpa pure se provassi – perché non ne sono comunque capace – a bullizzare una piastrella).
Solo mi piace il suono di questo nome e mi è sempre suonato “nobile”, poi sì, ok, racchiude un pochino il mio aesthetic per il colore di occhi e capelli che sono un richiamo diretto alle varietà più frequenti del fiore e per una delle magie che avrà, ma ribadisco che non è un selfinsert, solo una piccola idiozia di cui sono consapevole e che comunque mi ostino a mettere perché, boh, sono scema??
Spero abbiate gradito questo capitolo e anche i precedenti! E spero anche di poter presto ricevere qualche parere in più su questa storia, perché mi aiuterebbe senz'altro!
Per il prossimo credo mi ci vorranno almeno due settimane, sigh.
Come sempre vi ricordo che potete trovare le info sui personaggi qui.
A presto!

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