Racconto di Brumaio

di Tenar80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Benvenuti o bentornati nella nell'universo steampunk de "L'assedio degli angeli".

Avete letto gli altri racconti della serie?

No? Correte a farlo qui. In realtà i quattro racconti di cui la serie si compone sono indipendenti, ciascuno incentrato su un diverso personaggio, ma nella mia testa letti tutti e quattro dovrebbero dare un quadro più completo della situazione. In ogni caso siamo in un mondo vittoriano Steampunk oggetto di attacchi da parte di angeli provenienti da un'altra dimensione. A difendere l'umanità c'è solo un piccolo gruppo di soldati, le Ali Nere, in grado di raggiungere la dimensione degli angeli grazie a una tuta creata con parti dei corpi dei nemici abbattuti. Ogni tanto nascono bambini con tratti angelici o demoniaci (piume, piuttosto che corna o zoccoli), costoro sono definiti Impuri e condannati a un destino di schiavitù. Ardal, il protagonista di questa storia, è uno di loro.

Sì? Allora bentornati! Per questo ultimo preludio ci allontaniamo per un poco dalle Ali Nere (ma Ardal sta cercando di intervistare un certo Soilbeir, quindi prima o poi i destini dovranno ben incrociarsi) per scoprire la realtà degli Impuri e qualcosa di più della società dell'Impero.

Buona lettura a tutti. E un grazie di cuore a chi vorrà dedicare un minuto del proprio tempo per una recensione.




Racconto di Brumaio

 

    Non ci si poteva liberare della nebbia di Brumaio. Diventava tutt’uno con i tessuti, la si portava addosso fino a che non penetrava dentro i corpi, insinuandosi attraverso i pori della pelle.

     Ardal si era tolto il cappotto appena arrivato alla redazione de Il Flusso, uno stanzone ricavano in una vecchia fabbrica fallita, si era avvicinato il più possibile all’unica stufa e poi era tornato sconsolato alla propria scrivania accanto alla finestra. I suoi abiti rimanevano umidicci, impregnati degli odori della città, con quel retrogusto acre dei fumi industriali e della cenere che ultimamente cadeva con la pioggia. Fuori il mondo era tutta una distesa di contorni persi nel grigio. Era il giorno del suo compleanno. Forse era perché era figlio di quel tempo di nebbie informi che anche in lui qualcosa era andato storto.

     Si riscosse quando il direttore entrò nella stanza. Come tutti chinò la testa verso i propri appunti e la macchina scrivere, fingendosi assorto nel lavoro. Benché il vecchio Donny abbaiasse più di quanto mordesse era pur sempre il capo. L’uomo puntò deciso alla scrivania di Ardal, che ne accettò il fatto con un mezzo sorriso storto. Se a qualcuno toccava correre fuori con quel tempo, magari per scrivere uno di quei trucidi articoli che tanto aiutavano le tirature, era sicuramente il prescelto.

    – Ho un pezzo per te – esordì Donny, passandosi una mano sui baffi ingrigiti.

    Appunto.

    – Cadavere fresco? – provò a indovinare.

    Odiava essere lì quando una qualche poveraccia veniva tirata su da un canale, già intento a cercare le parole migliori per esporla alla curiosità morbosa dei lettori.

    – Vecchio, a dire il vero. Ma scommetto che ti interessa.

    Il flusso si faceva un vanto di raccontare la capitale dal basso. Questo voleva dire rimestare nel torbido della peggior cronaca nera, invece che perdersi dietro i presunti scandali delle principesse imperiali, ma anche dare voce alle proteste degli operai e degli impuri. Era l’unico giornale con una parvenza di serietà a parlare apertamente a favore degli impuri. Era quello il motivo che aveva spinto Ardal a fare l’impossibile per entrarci ed era la leva che Donny sapeva di poter usare per appioppargli i  lavori peggiori.

    – Cinque anni fa… Mamma mia, eri un ragazzino – Donovan si permise un sospiro a commento dei freschi vent’anni del suo cronista. – Archibald Griwald muore in un incendio nella propria villa, vicino alla sua miniera di carbone, nel nord-est. L’incendio è partito dal suo studio, dove la servitù giura fosse solo. Aveva la sua età, quindi tutti pensano che abbia avuto un malore e rovesciato la lampada, incidente chiuso. Il vecchiaccio era piuttosto noto, magari ne hai sentito parlare mentre giocavi a pallone con gli amichetti.

    – Ne ho sentito parlare – rispose Adral.

    Quando voleva, la sua faccia poteva rimanere del tutto impassibile. Del resto non si diceva che quelli come lui avessero la menzogna nel sangue?

    – Adesso salta fuori un cavillo nell’eredità, vai a sapere, un nipote fa causa, accusa l’altro di non essersi preoccupato di spingere per un’indagine accurata – Donny estrasse un sigaro dal taschino, solo per il gusto di poterlo sventolare mentre gesticolava. – Morale della favola, riesumano il cadavere che, ops, aveva il cranio sfondato. Tra poco interrogano la cameriera impura, che pare l’ultima ad averlo visto vivo. All’epoca aveva tredici o quattordici anni e vox populi dice che da villa Griwald le schiavette entrassero giovani e piacenti e uscissero entro i sedici anni gonfie di botte o proprio morte. Quindi mettiamo il caso che accusino la ragazza, che magari si è difesa durante una violenza. Se non fosse un’impura sarebbe lei la vittima, invece così rischia la pelle. Lo mettiamo in prima pagina e ne facciamo un caso di coscienza.

    Adral era rimasto immobile, nonostante il sigaro di Donovan gli fosse passato a pochi millimetri prima dal naso e poi dall’occhio, del tutto pietrificato.

    – Non posso occuparmene io – esalò, alla fine. – È un articolo da prima pagina, serve più esperienza, magari qualcuno che appaia rassicurante alla cameriera e si faccia raccontare tutto.

    – Adesso mi fai il modesto? Sto parlando con lo stesso che ha iniziato da strillone e mi infilava ogni sera un articolo nella busta dei soldi con in calce scritto che era meglio di quelli di Tizio o Caio della redazione? E poi la ragazza impura è stata abusata da un vecchiaccio. Meglio un giovane piacente che si presenta come il cavaliere che può salvarla dalla forca.

    Adral si osservò le mani, ancora accanto alla macchina da scrivere. Non tremavano.

    – Eravamo d’accordo che sarei stato dietro a Soilber, per l’intervista – provò con l’ultima carta.

    – Certo, neppure sai dove viva, quello. Qui invece abbiamo una ragazza convocata per un interrogatorio questa mattina all’alba. Vai subito fuori dalla centrale di polizia e la bracchi quando esce, le offri il pranzo e ti fai raccontare tutto. E iniziamo a vedere cosa ne esce.

    Il giovane si concesse uno sguardo alla finestra. Non pioveva, ancora, solo quella nebbia sporca e persistente che si appiccicava addosso. Non c’era alcuna scusa ragionevole che potesse accampare.

    – Vado – disse, iniziando a raccogliere in modo meccanico il necessario dalla scrivania.

    – Ehi, pivello, dovresti baciarmi in fronte per l’opportunità che ti sto dando – sbottò Donovan.

    Aveva ragione, per quel che ne sapeva. 

    Adral abbozzò un sorriso.

    – Considerati baciato – disse, mentre già si dirigeva verso il proprio cappotto.

 

    Quanto si cambia in cinque anni? Tantissimo se si passa dai non ancora quindici ai freschissimi venti. Ancora di più se si presta una cura particolare nel cercare di lasciarsi alle spalle l’adolescenza come un bozzolo ormai rotto e disseccato. Cinque anni prima Adral era un ragazzino magro e impettito, più basso di due spanne, che portava capelli lunghi legati alla nuca da un nastro rosso. Il rosso, del resto, era ricorrente negli abiti che gli facevano indossare. Ora non lo si poteva definire alto, ma era un giovane agile e muscoloso, con i capelli corvini cortissimi e gli abiti rigorosamente neri o grigio fumo. Se non avesse avuto quei tratti così distintivi, la carnagione scura, gli occhi allungati, tanto da far sospettare almeno un nonno jiquinita, sarebbe stato a posto. Così come stavano le cose, però, non essere riconosciuto era fuori discussione. Aveva valutato un travestimento, una finta cicatrice, ma l’idea di mentire anche a Fiammetta, dopo cinque anni di menzogne, gli era parsa insopportabile. Mandare qualcun altro a cui dovesse un favore altrettanto impraticabile. Alla fine le alternative erano soltanto due. Fuggire subito, rinunciando a tutto ciò per cui aveva lottato, o rischiare, sperando di poter magari fuggire più tardi.

    Sospirò. Che almeno si facesse in fretta. Erano tre ore che aspettava nella piazza deserta davanti alla Centrale di Polizia. Con quel tempo, nessun locale aveva messo i tavolini fuori e entrare a scaldarsi avrebbe voluto dire rischiare di perdersi l’uscita di Fiammetta. Adral si era quindi rassegnato a rimanere appoggiato a una delle colonne del porticato laterale, mentre l’umidità pian piano diventava una sola cosa con lui.

    Finalmente, una porticina laterale del grande palazzone grigio si aprì e non ne uscì un agente, ma una ragazza. Era nascosta, più che coperta, da un vecchio cappotto cammello di almeno tre taglie troppo grande e ancora una sciarpa le copriva il volto. Spuntavano però i capelli, rossi e vaporosi come Adral li ricordava, con le piccole corna appuntite che si notavano appena. Nessuno la stava aspettando, e la ragazza si incamminò da sola, cercando di non scivolare sul selciato umido. In un attimo, Adral le fu accanto.

    – Sei di fretta o posso offrirti un pranzo tardivo? – le chiese.

    Le sobbalzò, perdendo l’equilibrio, e il giovane dovette sostenerla.

    Per chi, come Fiammetta, aveva zoccoli al posto dei piedi, la pietra bagnata era un incubo.

    – Non è possibile! Scriba!

    Ci aveva messo tre respiri a riconoscerlo.

    – Shhh. Mi chiamo Adral. Allora, un pranzo?

    – Non ho detto niente – sussurrò lei.

    Al giovane venne in mente, che, date le circostanze, forse la mano con cui l’aveva cinta per sorreggerla aveva un che di minaccioso. La tolse, allontanandosi di un passo.

    – Non ho dubbi – disse. – Un pranzo?

    Lei lanciò uno sguardo all’orologio, su una delle facciate dei palazzi.

    – Tra tre ore devo essere di ritorno – capitolò.

 

    Non erano molti in quella zona i locali dove cittadini e impuri potessero mangiare allo stesso tavolo. Alla fine trovarono una bettola che aveva una sala in cui ammetteva anche i patentati. Adral allungò una banconota e nessuno chiese i documenti alla ragazza. Era quasi metà pomeriggio e nella sala c’erano solo loro. 

    Entrambi attesero che fosse servito il piatto della casa, una brodaglia che era un insulto chiamare zuppa, prima di riprendere la conversazione.

    – Non ho detto niente di te – ribadì la ragazza. – Ma questo era solo un interrogatorio preliminare. Lo sanno che sei sparito, non dovresti bazzicarmi intorno proprio adesso.

    Una volta uscita dal cappotto non aveva un brutto aspetto, anche se indossava un abito dimesso e non c’era neppure un’ombra di trucco, come se cercasse di apparire più brutta e ordinaria di quanto in realtà fosse.

    – Lo so – rispose Adral, bevendo un sorso di birra. – Sono un giornalista adesso. Lavoro per Il flusso, il capo vuole coprire il caso. Sono stato mandato per caso a parlarti.

    Si concesse una mezza risata finta, di cui di vero c’era solo l’amarezza.

    – Come hai fatto? – sussurrò Fiammetta, piano.

    Il giovane si strinse nelle spalle.

    – Tengo le spalle coperte. E so scrivere bene. Era per quello che il vecchio mi aveva preso, no?

    Quasi sette anni prima Achibald Griwald aveva speso una cifra non indifferente per un giovane impuro primario dalle spalle coperte di piume nere, istruito per fungere da segretario. E forse sarebbe rimasto quello per tutta la vita, uno schiavo istruito, beneficiario di una vita molto migliore rispetto a quella di quasi tutti i suoi simili, se una sera non fosse entrato per caso nello studio alla ricerca di documenti da copiare per l’indomani. E se Griwald non avesse avuto come fermacarte un pezzo di roccia aurifera, brillante d’oro, forse non avrebbe potuto far nulla, se non rimanere a vedere il vecchio che imbavagliava Fiammetta per evitare che urlasse mentre lui ne traeva piacere…

    – Che ne è stato di te? – chiese, con dolcezza.

    Quella notte non avevano avuto molto tempo per parlare, una volta dato fuoco allo studio. Fiammetta non aveva neppure pensato a fuggire. Con gli zoccoli e le corna non poteva certo rifarsi una vita.

    – Sono stata fortunata – rispose la ragazza, mescolando la zuppa. – Gli eredi mi hanno venduto subito, ovviamente. La padrona ora è una signora anziana che inizia a faticare a camminare da sola. Non ci sono davvero problemi, a parte l’ascoltare sempre le stesse chiacchiere. Dice che prima di andarsene mi pagherà la Patente di Via e non vedo perché non dovrebbe, è sicuramente più affezionata a me che ai nipoti che si fanno vivi due volte l’anno.

    Adral annuì. Gli impuri, che fossero figli di impuri o primari, potevano essere solo schiavi. Al massimo, potevano acquisire una Patente di Via con cui rimanevano a servizio dello stato, ma potevano prendere in affitto immobili, persino attività commerciali, ma non possederle, e avere una vita quasi normale. Quasi, perché i figli dei patentati erano schiavi dello stato, anche se spesso i genitori erano in grado di comprare anche per loro una patente. In ogni caso, non una vita per Adral. Si chiese quanti ce ne fossero come lui, che vivevano vite clandestine.

    – Che cosa ti hanno chiesto? – domandò, tornando al presente.

    Fiammetta si perse un attimo a guardare la zuppa.

    – Sono stati gentili, sai? Il tipo che indaga, il detective, avrà un quattro o cinque anni più di noi. Mi ha trattato… Come se fossi una persona.

    Adral scosse il capo, senza dire niente. Avrebbe dovuto essere scontato, invece era fonte di stupore.

    – Mi ha detto subito che il vecchio è stato ucciso, di dire tutto quello che ricordavo – continuò lei. – E io mi sono attenuta alla nostra versione. Avevo già finito le mie mansioni, ero nella mia stanza, ho sentito rumori dallo studio. Sono corsa, ho cercato di aprire la porta, ma mi sono ustionata la mano con la maniglia ardente.

    D’istinto, si guardò il palmo della mano destra, dove la cicatrice era ben visibile. Ardal non era lì mentre lei si feriva, ma avevano concordato la cosa, per rendere credibile la scena. Aspettare che il fuoco avesse invaso lo studio, dare l’allarme e tentare di aprirne la porta ustionandosi con la maniglia ormai incandescente. Quello che avrebbe fatto una schiavetta quattordicenne benintenzionata e sprovveduta.

    – Il mio grido ha richiamato la cuoca, che era ancora al lavoro nell’ala opposta della casa, ma lei non ha potuto fare altro che chiamare i lavoratori della miniera per farsi aiutare a spegnere le fiamme – andò avanti. – L’hanno già sentita, la signora Bhasa, ha confermato quello che ho detto. Però lo sanno che uno schiavo è sparito quella notte. La signora Bhasa deve aver detto che non ti ha mai sentito rientrare, non so se ti cercheranno.

    Con l’indagine di mezzo, forse. Per il valore in sé, ne dubitava fortemente. Uno schiavo istruito aveva ottime quotazioni, ma gli eredi Griwald avevano avuto abbastanza miniere da ritenerlo un ammanco trascurabile. Quella era stata una delle sue fortune. L’altra era che il vecchio, quando voleva soddisfare le sue voglie, preferiva non avere gente intorno. A norma di legge l’omicidio di un impuro era reato. Ma sugli incidenti non indagava nessuno, neppure se capitavano con una certa ricorrenza. Quindi ogni tanto tutti i servitori umani o patentati avevano la serata libera, lui veniva invitato ad andare a svagarsi con gli altri ragazzi impuri, quelli che lavoravano alla miniera, a un paio di chilometri dalla villa. Ad Ardal era bastato poco per capire cosa avvenisse in quelle serate e, anche se fingeva di non pensarci, ogni volta la rabbia per la propria impotenza cresceva un poco. Non avrebbe fatto nulla, però, neppure quella sera. Non aveva neppure quindici anni e non si sentiva un eroe. Sarebbe rimasto fino a tardi a giocare con gli altri con i dadi fatti con la mollica indurita del pane, se non si fosse ricordato che doveva ancora battere a macchina un ultimo documento. Una mancanza che l’indomani gli sarebbe costata almeno dieci frustate, perché il vecchio non era un sadico solo nell’intimità. Quindi era rientrato cercando di fare il minor rumore possibile e si era diretto verso lo studio. Chi andava a immaginare che il pervertito quella sera volesse prendere Fiammetta legata alla propria poltrona da lavoro? Si era trovato del tutto impreparato alla scena, la ragazza imbavagliata che lo implorava con lo sguardo, il vecchio di schiena con già le braghe calate e poi quella roccia tenuta come fermacarte…

    – Pensi che ti vogliano incriminare? – chiese.

    All’epoca si era dato l’alibi di aver salvato la ragazza. Ma era per la propria libertà che aveva ucciso. Adesso Fiammetta rischiava di pagarne il prezzo.

    – Non lo so… Li ho sentiti parlare… Si dimenticano sempre dell’udito di noi con le corna… Uno dei poliziotti ha detto che erano morte tre impure più o meno della mia età nei cinque anni precedenti, che potrei aver avuto le mie ragioni per odiarlo… Il detective Graham, però, ha risposto che non era sicuro che avessi la forza di spaccare la testa a qualcuno, sopratutto da ragazzina.

    Ardal annuì. 

    Bene. Almeno non era finita tra le grinfie di qualcuno che voleva il primo colpevole a tiro. Questo, però, voleva dire che potevano risalire a lui?

    – Ha voluto un elenco delle persone che erano state alla villa quel giorno. Immagino indagheranno su di loro. E su di te – concluse Fiammetta.

    Inevitabile, pensò Ardal.

    – Devo scrivere un pezzo per il mio giornale – disse, cercando di scacciare il pensiero di essere identificato con un gesto della mano. – Vorremmo mettere l’accento sui soprusi che subiscono gli impuri, te la senti ti raccontare qualcosa?

    Lei scosse il capo, senza trovare il coraggio di guardarlo.

    – Ti devo la vita, ma non voglio essere sbattuta in prima pagina.

    – Non è quello l’intento.

    – E quale sarebbe?

    – Cambiare le cose. Per farlo bisogna far cambiare il modo di pensare, il modo in cui vengono visti gli impuri.

    Questo strappò un sorriso a Fiammetta.

    – Ah, sei diventato un idealista. E io che ricordavo un leccaculo che faceva di tutto per compiacere il vecchio… Salvo poi ucciderlo.

    – Salvo poi ucciderlo – rimarcò lui. – Sopravvivevo. Questo non vuol dire che mi piacesse. 

    Il sorriso di Fiammetta non si spense, ma prese una nota amara.

    – Non piace a nessuno. Ma le cose vanno così, e non cambieranno.

    Ardal vide la propria mano contrarsi e stritolare un pezzo di pane scuro.

    – Non cambieranno se nessuno prova a farlo. Il fatto che gli impuri siano i primi a pensare che la cosa sia impossibile è ributtate.

    – Parli già come se gli impuri fossero una cosa diversa da te – notò Fiammetta. – Non te la prendere… Sono contenta di averti rivisto. Adesso devo andare, è già tardi e la padrona mi aspetta.

    E con questo addio intervista, pensò Ardal. Ma il caso andava comunque coperto, un magnate del carbone riesumato dopo cinque anni che si scopre non morto per sbadataggine ma per colpo in testa era comunque cosa da prima pagina. Se Fiammetta non veniva indagata, bisognava intervistare qualcun altro. La cuoca era fuori discussione, quella lo avrebbe riconosciuto e denunciato all’istante. Il detective? Valeva la pena di rischiare tanto?

    I ragionamenti del giovane furono spezzati dal suono di una sirena.

    Fiammetta, che stava già per uscire dalla sala, si voltò.

    – Un attacco angelico – gridò.

    Ardal lanciò un’occhiata intorno. Figuriamoci se una bettola come quella c’era un rifugio.

    – Dobbiamo metterci al riparo – disse.

    Un istante dopo erano in strada.

    La nebbia si era trasformata in pioggia. Intorno a loro, decine di persone stavano iniziando a sciamare, vociando. Meglio seguirli, di sicuro la gente del quartiere conosceva la strada più veloce per il rifugio pubblico più vicino.

    Vi fu un boato. Un raggio di luce accecante trapassò il cielo per andare ad abbattersi qualche casa più il là. Fiammetta si era stretta contro di lui, rabbrividendo. Un altro raggio, ancora più vicino. Tegole e mattoni caddero sulla strada, una decina di metri dietro di loro.

    Nell’ultimo periodo gli angeli attaccavano sempre più spesso la capitale. A primavera avevano fatto una strage. Tuttavia Ardal si era trovato raramente nell’epicentro di un attacco.

    Il raggio successivo colpì la strada davanti a loro. Lo spostamento d’aria tolse del tutto il fiato al giovane, mentre Fiammetta era tenuta in piedi solo dalle sue braccia. Quando Ardal riaprì gli occhi vide il cratere che si era formato a una ventina di metri da loro e due corpi a terra. Non ebbe neanche l’ombra del pensiero di andarli a soccorrere. Con il cuore che martellava e la sensazione che qualcosa, senza dubbio il panico, gli stesse stringendo la gola, cercò di capire dove fosse il maledetto rifugio. Finalmente vide, attraverso la pioggia e la polvere, Il cartello giallo che segnalava l’ingresso alla galleria sotterranea.

    – Vieni – disse a Fiammetta.

    Dovette quasi trascinarla per quegli ultimi metri.

    Mentre un altro lampo attraversava il cielo, iniziarono a correre giù per i gradini.

    Non erano ancora arrivati nel bunker vero e proprio, quando si trovarono due uomini davanti.

    – È quasi pieno – dissero, con voce ferma. – Precedenza agli umani. La ragazza non può entrare.

    – Fuori sta crollando tutto! – protestò Ardal. – Stanno combattendo proprio qui sopra.

    – Appunto. Precedenza agli umani.

    Il giovane si trattenne dall’abbatterli con un pugno. Non era colpa loro, era la legge. Da che viveva nella capitale non si era posto il problema. La maggior parte degli impuri non poteva nascondere la propria condizione, nessuno gli aveva mai chiesto un documento per entrare in un rifugio e Ardal si era dimenticato che quello era un privilegio e non un diritto.

    – Non importa, rimani – disse Fiammetta.

    Dietro di loro c’erano già altre due persone, un anziano e una donna, che fremevano per mettersi al sicuro.

    – Andiamocene – ringhiò Ardal.

    Risalirono la scala e si trovarono di nuovo investiti dalla pioggia.

    – Forse l’attacco è terminato – mormorò Fiammetta, speranzosa, guardandosi intorno.

    Quasi in risposta, un altro lampo fendette l’aria, seguito quasi subito dal rumore di un muro che crollava.

    Ardal si morse l’interno della guancia nel tentativo di capire quale fosse la scelta più sicura. Rimanere per strada? Cercare un locale che avesse un rifugio privato? Avrebbero lasciato entrare un impuro?

    Il lampo successivo non gli lasciò il tempo di terminare il ragionamento. Tutto quello che il giovane potè fare fu cingere Fiammetta alla vita e poi gettarsi a terra cercando di tenerla sotto al suo corpo, riparandone il più possibile la tesa. Un istante dopo furono investiti dalla polvere e dai frammenti di calcinacci. Qualcosa di più pensate colpì Ardal al polpaccio.

    Rimasero un poco immobili, poi Fiammetta cercò di alzare la testa e il giovane si scostò per farle spazio.

    – Stai bene? – chiese la ragazza.

    – Non lo so – rispose il giovane, guardandosi intorno.

    Un muro era crollato a pochi passi da loro. La manica destra era macchiata di grigio, dove la polvere di cemento si era mescolata alla pioggia. Mentre Fiammetta scivolava di lato e provava a mettersi in piedi, senza danni apparenti, Ardal si tastò la gamba. Lo aveva colpito un mattone, lasciandogli un ematoma largo un palmo, ma non sembrava esserci nulla di rotto.

    Le nubi sopra di loro turbinarono e Fiammetta d’istinto tornò a stringersi a lui.

    Appena al di sotto delle nuvole prese forma una sagoma scura, con ampie ali aperte. Facendosi ombra agli occhi con la mano, Adral ne distinse le braccia.

    – Sono i soldati delle Ali Nere di ritorno – sospirò. – L’attacco è finito.

    Gli tremavano le mani.

    La odiava quella paura atavica che gli incutevano gli attacchi degli angeli. Il terrore che gli procuravano quei lampi di energia causati da creature alate di una dimensione adiacente. Li odiava, gli angeli. Era colpa di quelle creature se le persone con dei tratti che li richiamavano, piume o piccole ali, erano state schiavizzate. Ma lo inquietavano anche le Ali Nere, i soldati che tramite uno strano meccanismo si impiantavano ali di angeli uccisi e andavano a combatterli nella loro dimensione.

    Scosse il capo e cercò lo sguardo di Fiammetta, per sincerarsi delle sue condizioni. Lei gli  sorrise di rimando.

    – Mi hai protetto – disse, piano.

    Ardal non rispose, limitandosi a provare la gamba ferita. Faceva male, ma lo reggeva.

    – Da ragazzina ero innamora di te – sussurrò la ragazza.

    Il giovane le sorrise, in imbarazzo.

    – Il pericolo è passato. Vai a casa, la padrona sarà in pensiero – disse.

    Aveva già tanti sensi di colpa a proposito di quella ragazza, senza dover aggiungere anche il non ricambiarla.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Nonostante il tempo trascorso, casa Griwald era cupa e imponente come la ricordava. 

    Un enorme edificio grigio, con tanto di torrette neogotiche, che si stagliava tra gli alberi quasi neri della foresta. Fosse stato un castello vero, sarebbe stato sulla cima della montagna, ma dato che il tesoro a cui faceva la guardia si trovava nelle viscere della terra, aveva alle spalle la parete rocciosa. Incombeva sul villaggio, ma la montagna incombeva sulla casa.

    Ardal si chiese se qualcuno dei nipoti del vecchio ci si fosse trasferito o se si fossero già diffuse le leggende sull’edificio macchiato di sangue su cui incombeva chissà quale maledizione. Quella casa sembrava costruita apposta per essere infestata. Quando a lui, non aveva nessuna intenzione di avvicinarcisi ulteriormente. L’essere tornato era già abbastanza folle, ma alla fine, l’unico modo per non destare sospetti era comportarsi come avrebbe fatto normalmente e lui non era tipo da mollare una notizia.

    Fiammetta al momento non risultava indagata, anche se il giovane sospettava che sarebbe diventata di colpo un’assassina nel momento in cui non si fosse trovato nessun candidato più adatto. L’indagine si era pertanto spostata nel ridente borgo minerario di Terra Nera, a tre ore di treno dalla capitale, per cercare di ricostruire le ultime ore di vita del vecchiaccio. Se non altro, a Terra Nera c’era un solo pub degno di questo nome, con tanto di camere a disposizione dei malcapitati viaggiatori e considerato che a Brumaio il clima lì era persino peggiore di quello della capitale, Ardal non aveva dovuto far altro che attendere. 

    Come aveva detto Fiammetta, il titolare del caso non poteva essere molto più che alla prima esperienza. Il detective Ian Graham, di buona famiglia dell’Ovest, era un giovane alto dai capelli biondicci che, dopo aver consumato da solo la zuppa del giorno, un brodo che diventava buono solo dopo dieci ore di lavoro in miniera, si era spostato nella zona più illuminata della sala comune per leggere il giornale. Ardal non sapeva se il fatto che avesse scelto proprio Il flusso fosse di buono o di cattivo auspicio. Gli piaceva pensare che i suoi lettori fossero intelligenti e non era sicuro di volerlo per quel caso, un detective intelligente. 

    – Posso disturbarla per due domande? – chiese, avvicinandosi.

    Gli approcci soft non erano parte del suo carattere.

    Il detective alzò il viso, rivelando uno sguardo blu cobalto sotto gli occhialetti tondi.

    – Con chi ho l’onore di parlare?

    – L’autore dell’articolo che sta leggendo sull’attacco angelico di tre giorni fa – rispose Adral, indicando il proprio pezzo.

    Graham gli indicò la poltrona a fianco alla sua.

    – Mi pareva di aver visto la stessa firma per lo più a pezzi di nera, mi sembra di capire che ha scritto dell’attacco solo perché ci si è trovato dentro.

    Ardal si sedette scuotendo il capo.

    – In realtà sto dietro a un reportage sulle Ali Nere da tempo. Stavo cercando di trovare e intervistare Soilbeir, ma la sua indagine mi ha distratto.

    Il detective sorrise.

    – Mi spiace. Anch’io avrei preferito evitare che fosse riesumato un vecchio col cranio sfondato. Mi chiedo che cosa sia passato per la testa ai miei colleghi, cinque anni fa.

    – Ha chiesto in giro? Nessuno sopportava Griwald – disse Ardal.

    La stessa Terra Nera gli era sembrata quel pomeriggio, nonostante tutto, un po’ meno cupa. Cercando di non farsi notare, aveva fatto qualche domanda. Le cose procedevano come sempre, tutto girava intorno alle miniere di carbone. Nei due anni in cui Ardal era vissuto nella grande casa, tuttavia, erano morte non meno di quindici persone, tra schiavi e operai. A quanto pareva, invece, in cinque anni non c’era stato neppure un incidente mortale. Certo, gli eredi non vivevano più lì e quindi non vi erano più gli ospiti di riguardo che comunque portavano un poco di ossigeno all’economia locale, ma nessuno sembrava rimpiangere i vecchi tempi.

    – Il mondo è pieno di gente insopportabile che muore di vecchiaia – grugnì Graham, poi ripiegò il giornale e sospirò. – Lei vuole tornare al suo reportage, io nella capitale. Vediamo di venirci incontro e accorciare la nostra permanenza qui.    

    Ardal annuì.

    Odiava dover elemosinare le informazioni come un mendicante, anche se in quel caso specifico forse la cosa migliore sarebbe stata stare il più lontano possibile dal detective. 

    – Non so molto, in realtà – si schermì. – Ho capito solo che non ci sono state grandi lacrime al funerale di Griwal. Violentava, a volte uccideva, le giovani schiave impure. Aveva un debole per corna e zoccoli.

    – Sì, i miei superiori vorrebbero incriminare la schiava che era in casa al momento del delitto. La cuoca ne ha confermato la presenza nella villa e aveva sicuramente i suoi motivi per odiarlo. Due anni prima una schiava sedicenne era morta cadendo dalle scale. Qualche anno prima ancora un’altra era finita accidentalmente in fondo a un pozzo… Le schiave di casa avevano la tendenza a sciuparsi entro i sedici anni.

    – Se lo avesse fatto ora sarebbe al caldo a casa sua, invece che il questo pub pieno di spifferi – disse Ardal.

    Era una cosa a cui ci si abituava lentamente, che il mondo non fosse diviso in modo netto in buoni e cattivi. Quando era fuggito odiava tutti gli umani. Avesse potuto, avrebbe dato fuoco a tutta Terra Nera. Era salito di nascosto su uno dei treni che portava il carbone verso la capitale. Per caso, arrivato in stazione, nel tentativo di non dare nell’occhio, aveva raccolto una copia de Il flusso. Dove degli esseri umani scrivevano a favore degli impuri. Pian piano aveva accettato che alcuni umani non fossero da odiare. Ma le forze dell’ordine, in linea generale, per lui rientravano ancora alla voce «cattivi» e il seguire la cronaca nera non aveva giovato molto a fargli cambiare idea. La smorfia che si disegnò sulla bocca del detective, tuttavia, raccontava un’altra storia.

    – Forse. Non mi piace mandare in cella un innocente. Che per altro, in quanto impura, finirebbe impiccata in tempi brevissimi – disse Graham. – Una ragazzina di tredici o quattordici anni non ha la forza di spaccare il cranio a un uomo. Quindi cerco altri colpevoli. C’è un altro schiavo, quattordici anni all’epoca, che è uscito dalla villa nel tardo pomeriggio e non è più rientrato. Lo hanno visto in serata giocare con altri ragazzi impuri delle miniere, ma dopo cinque anni nessuno ricorda più l’ora precisa.

    Ardal spostò il giornale, appoggiato sul tavolino tra le poltrone, per controllare la fermezza delle proprie mani.

    – Che cosa sappiamo di lui?

    – Provenienza incerta, forse l’acquisizione illegale di un primario. Quando Griwald lo ha comprato, però, lo ha registrato con cura. Piume solo su schiena e spalle, istruito per fungere da segretario. Potrebbe essere entrato in casa senza essere visto, aver ucciso il padrone ed essere fuggito per vivere in clandestinità. Nessuno l’ha più ritrovato.

    – Ma?

    – Avesse avuto vent’anni sarebbe stato il mio primo sospettato. Ma a quattordici? È più probabile che abbia visto le fiamme quando stava tornando e si sia spaventato. Se è scappato verso le montagne è probabile che sia scivolato in qualche burrone… Quindi devo ricostruire gli ultimi movimenti, capire se qualcuno sia potuto entrare nella villa. È isolata e quella sera c’erano solo la cuoca, dall’altra parte dell’edificio, e la schiava.

    Questa era un’aperta richiesta di collaborazione. Qualcosa di ghiotto, in condizioni normali.

    – Considerando l’età e l’indole del soggetto non avrà frequentato molti paesani – finse di ragionare. – Se fosse arrivato qualcuno da fuori lo si saprebbe. Suppongo che facendo qualche domanda domani potrei avere le idee più chiare.

    Questo, pensò Ardal, era il nodo scorsoio che lui stesso si stava sistemando intorno al collo.

    Graham, ignaro, annuì.

    – Mi sembra una proposta ragionevole. 

 

    – Sono sicura di averti già visto – disse la donna della bancarella, porgendogli un piatto di polenta di castagne.

    – Forse assomiglio a qualcuno – rispose Ardal.

    Aveva bighellonato tutta la mattina, cercando conferme di quanto già sapeva e cercando di non dare nell’occhio. 

    – Con quegli occhi così particolari… – mormorò la donna.

    Appunto.

    Ogni ora di permanenza era un rischio. Col suo aspetto era difficile non essere notato, non per niente gli uomini della famiglia di suo padre erano soprannominati «gli stranieri», anche se erano contadini del nord da generazioni, poveri mangiapatate come tutti gli altri. L’errore era stato andare dall’anziana venditrice ambulante di polenta che serviva generose porzioni agli operai che non erano di turno. Con le sue mani piumate era sicuramente una patentata e quando doveva spendere, se poteva, Ardal preferiva pagare la propria gente. Da ragazzo lui non aveva mai fatto caso a lei, ma forse la cosa non era stata reciproca

    – C’era un ragazzo, una volta, anni fa, che aveva i tuoi stessi occhi, ogni tanto giocava con quelli della miniera, anche se non sembrava un impuro ed era vestito meglio…

    Ecco, appunto.

    – Novità? – gli si affiancò in quel momento il detective Graham, giunto con pessimo tempismo all’appuntamento.

    – Polenta anche per lei? – chiese la vecchia.

    Il tempo quel giorno era più clemente, una rara giornata tiepida, e poco dopo i due uomini, ciascuno con la propria ciotola in mano, si sistemarono in un angolo della piazza a guardare via vai del misero mercato di Terra Nera. 

    – Pensavo che fosse troppo damerino di città per abbassarvi a questo cibo impuro – commentò Ardal, osservando il detective attaccare di gusto il proprio piatto.

    L’altro si strinse nelle spalle.

    – Il problema è che voi intellettuali sovversivi fate di tutto un pretesto per la lotta di classe. A volte una polenta è solo una polenta e qui in montagna le castagne sono buone.

    Ardal scosse il capo. Un altro punto per il detective.

    – Il giorno della morte, Griwald ha visto il medico al mattino e il notaio il pomeriggio, entrambi residenti in paese – disse, non aveva dovuto fare domande per quello. – Il medico è deceduto tre anni fa, ma era già sulla settantina abbondante all’epoca del delitto.

    Fosse stato possibile attribuire al morto l’omicidio sarebbe stato un colpaccio, ma Graham non si sarebbe mai bevuto quel vecchietto scheletrico come spaccatore di teste.

    – Il notaio invece ha cinquant’anni ed è ancora in attività – concluse.

    Era un uomo sgradevole che cinque anni prima lo aveva guardato con lascivia.

    – L’impuro scomparso era un ragazzo taciturno e mingherlino, vestito non sembrava un impuro – disse invece Graham. – Difficile valutarne la forza senza averlo visto e i silenzi possono nascondere tante cose. Aveva capelli neri, lunghi e la carnagione scura. Ho mandato un telegramma in città per capire se un ragazzo simile abbia avuto guai con la legge. Un’indole violenta deve pur trovare uno sfogo.

    Ardal si mise un cucchiaio di polenta in bocca, sentendone il dolciastro delle castagne sotto il sale. Si chiese se fosse ancora in grado di uccidere. Probabilmente sì. Aveva trovato uno scopo e gli piaceva essere bravo nel proprio lavoro, ma non se la sentiva di dare torto al detective. Questo lo rendeva un mostro, in un mondo in cui lo era già per le piume che gli ricoprivano la schiena?

    – Andrò a parlare con il notaio – sospirò Graham, poi, colto da un’idea improvvisa, si girò verso Ardal. – Vorrebbe venire con me? I miei superiori mi hanno mandato da solo, ma quando si ascolta un sospetto è sempre meglio essere in due.

    Ardal si prese un istante, bevendo un sorso di birra.

    Quel giorno aveva assistito all’incontro tra Griwald e il notaio. Erano gli appunti della conversazione il documento che si era dimenticato di trascrivere in bella calligrafia e che lo aveva portato a rientrare prima. Questo andava oltre al giocare con fuoco. Ma quale scusa poteva addurre? Un impegno? A Terra Nera?

    – Il mio giornale sarà interessato agli aspetti più scabrosi della vicenda, come le violenze sulle ragazze impure. Se dovesse uscire qualcosa anche sul notaio lo scriverò, deve saperlo.

    Graham sostenne con i suoi occhi chiari lo sguardo di Ardal. 

    – Se dovesse uscire qualcosa sul notaio al momento possiamo sbatterlo solo in prima pagina, ma un domani mi piacerebbe chiuderlo in cella.

    Proprio il quel frangente doveva incontrarlo un detective così?

 

    Il notaio Askin di motivi per essere sbattuto in prima pagina su Il flusso ne aveva parecchi, a partire da quella carezza lasciva che, oltre cinque anni prima, aveva lasciato ad Ardal la sensazione di essere stato leccato da un animale immondo. Il problema stava proprio nel fatto che quel pomeriggio l’uomo grasso che ora, con i capelli più radi e più bianchi, li attendeva nel proprio studio aveva dedicato al giovane segretario impuro più di uno sguardo attento. Se c’era qualcuno che lì a Terra Nera poteva riconoscerlo con una sola occhiata era lui.

    Quando il notaio fece cenno ai due di accomodarsi, Ardal cercò di stare sempre indietro rispetto a Graham, curando di sistemare la propria sedia nella zona più ombrosa dello studio. Poi si sistemò con le gambe incrociate e la schiena leggermente incurvata in avanti. Da ragazzo doveva assistere agli incontri di lavoro del proprio padrone in piedi, senza dimenticare di annotare una parola scrivendo su un blocco note dal fondo rigido che teneva nel palmo della mano sinistra. Se non rimaneva fermo con la schiena perfettamente dritta, alla sera erano frustate assicurate. Ora doveva nascondersi con i movimenti del corpo, in modo che nulla potesse ricordare l’adolescente di un tempo.

    – Mi può confermare che lei e Archibald Griwald eravate in buoni rapporti? – stava chiedendo Graham.

    La tentazione di prendere appunti nel modo abituale, ormai radicata dentro di lui e inaspettatamente utile per un giornalista che spesso si trovava a scrivere per strada, era quasi insostenibile, ma Ardal si obbligò a piegarsi ancora, appoggiando un quadernetto alle gambe.

    – Più che buoni. Era l’unico uomo raffinato nel raggio di cento chilometri – disse Askin. Poi schioccò le dita. – Da bere?

    All’istante un ragazzino di forse tredici anni, con piccole ali atrofiche dalle piume nere, entrò nella stanza reggendo un vassoio con tre bicchierini e una bottiglia di distillato. Aveva l’ombra scura di un livido che stava guarendo su uno zigomo e occhi grigi talmente spenti che sembravano scolpiti nella pietra. Graham aveva ragione, un’indole violenta doveva trovare uno sfogo. Ardal avrebbe sfondato con estremo gusto il cranio di Askin.

    – La raffinatezza include il malmenare le giovani, o i giovani, impuri? – chiese Graham, con tono casuale.

    Anche lui doveva aver notato il livido.

    – Il paese è piccolo, ci si diverte come si può – rispose Askin, serafico.

    Ardal dovette obbligarsi a rilassare la mano destra prima di spezzare il lapis.

    Avere rapporti non consenzienti con un impuro era solo sconveniente. Poteva essere causa di annullamento di matrimonio. Ma non era reato. L’omicidio era reato, ma non le percosse.

    – Vi divertivate insieme? – domandò ancora Graham, accettando un bicchiere.

    – Chiacchieravamo, fumavamo un sigaro e bevevamo armagnac. Qualche volta puntavamo sulle corse dei cani di Violetville. Per il resto avevamo gusti diversi.

    Graham lanciò uno sguardo allo schiavo in diligente attesa accanto alla porta.

    – Immagino. Qualche dissapore? Invidie?

    – Invidia, negli ultimi tempi. Aveva preso come segretario un delizioso schiavo, Scriba mi pare si chiamasse. Lo aveva fatto solo perché gli si stava indebolendo la vista e non voleva che un dipendente mettesse il naso tra le sue carte, non ne apprezzava altri pregi… Ma me lo sarei fatto prestare. Ero quasi riuscito a convincerlo.

    Il lapis scivolò dalle mani di Ardal.

    – Scusate – mormorò, raccogliendolo.

    Non lo sapeva. Pensò alle mani grasse e all’alito alcolico di Askin. Al se stesso di cinque anni e mezzo prima, un ragazzo che non aveva ancora davvero idea di cosa potesse essere il sesso. Avrebbe dato nell’occhio, se si fosse messo a vomitare?

    – Lei che idea si è fatto dell’omicidio, la schiavetta? – chiese Graham.

    Askin fece un gesto vago con le mani.

    – Era un fuscello. Ma, si sa con gli impuri non si può mai dire. Lui governava solo con la paura. Il mio Biondo, qui, sa che se mi servirà bene avrà la sua patente come regalo per i suoi vent’anni. Un buon motivo per essermi fedele.

    Lo era davvero. Con quelle ali, il ragazzo non sarebbe mai potuto passare inosservato. E se fosse stata promessa ad Ardal, la patente, quante cose avrebbe ingoiato? La cosa peggiore del sistema dell’Impero, pensò il giovane, era che si diventava schiavi di se stessi, convincendosi che valesse la pena di subire i soprusi.

    – Lo schiavetto, invece? – domandò Graham.

    Askin si strinse nelle spalle.

    – Scriba era fortunato. Qualche frustata ogni tanto. I suoi coetanei, in miniera, morivano tutti per incidente o silicosi. Lui doveva solo leggere e scrivere.

    Senza neanche impegni serali extra, pensò Ardal, amaro.

    Dividere, dividere sempre, schiavi contro schiavi. Patentati contro schiavi. Operai e proletari contro patentati e schiavi. Donne contro uomini. Era quello il sistema si cui si reggeva l’Impero. Si chiese, non per la prima volta, se anche l’eterno conflitto contro gli angeli non facesse parte dello stesso disegno, costruito ad arte.

    – Bene, direi che abbiamo finito. Grazie per la collaborazione – disse Graham, alzandosi.

    Forse anche lui trovava intollerabile la permanenza in quello studio.

    – Figuratevi, è sempre un piacere avere un diversivo, in questo buco di paese – sorrise Askin, alzandosi a propria volta.

    Anche Ardal dovette farlo. Il movimento lo portò nella macchia di sole che illuminava lo studio.

    – Noi ci siamo già visti – gli disse Askin.

    Ardal scosse il capo.

    – Nella capitale, forse? Non ricordo.

    – Non di recente. Quando era più giovane?

    – Vengo da un villaggio del nord famoso solo per le pecore – si schermì Ardal.

    Il notaio scosse il capo.

    – Forse mi sbaglio – mormorò, poco convinto.

 

    – Cosa ne pensa? – chiese Ardal a Graham, quando furono fuori dalla casa di Askin.

    Il detective si sistemò gli occhiali.

    – Non vorrei essere il suo schiavo, ma non lo vedo a uccidere Griwald. Penso però che questo Scriba possa aver avuto un movente. Per evitare di essere «prestato» ad Askin, io avrei ucciso.

    – Anch’io – disse Ardal, sincero.

    I loro sguardi si incrociarono. Ardal non abbassò gli occhi. Il disagio, però, era qualcosa che gli si muoveva dentro, come un serpente rinchiuso in sacco.

    Ignaro, Graham, si passò una mano tra i capelli.

    – Con l’atto d’acquisto del ragazzo doveva esserci anche una foto o un ritratto, oltre alla descrizione delle caratteristiche – disse. – Mi chiedo se sia andata in fumo con lo studio, o se sia ancora da qualche parte nella casa. Ho una mezza idea di andare a controllare. Mi accompagna?

    Non era nello studio. Ardal l’aveva cercata, prima di dare fuoco a tutto. Sapeva dov’erano i principali documenti del vecchio, perché doveva lavorarci. Ma il suo atto di proprietà non lo aveva mai visto. Sospettava che Griwald lo tenesse in camera da letto. Fiammetta gli aveva raccontato di una cassetta blindata che stava sotto il letto. Quella sera non aveva avuto il tempo di controllare. Avrebbe dovuto andare con lui. Sviarlo? Oppure ucciderlo, nella grande villa orami disabitata, dal parco che conosceva così bene, così pieno di luoghi in cui nascondere un cadavere…

    – Se non le dispiace, preferisco tornare al pub e iniziare a scrivere qualcosa – disse.

    – Un po’ mi dispiace – sorrise Graham. – Scriverà degli abusi agli impuri?

    – Certamente.

    Il detective scosse il capo.

    – Nessuno penserà alle vittime. Solo a quanto sia orribile farlo con chi ha piume o zoccoli.

    – Lei lo fa, pensare alle vittime.

    Graham guardò la villa, alta e incombente sopra di loro, e il cielo che si andava rannuvolando. 

    – Forse un giorno le consiglierò di scrivere un articolo – disse.    

 

    Per il resto del pomeriggio Ardal cercò di tener fede a quanto dichiarato, mettendosi a scrivere quello che aveva buon probabilità di diventare il suo ultimo articolo. Se Graham lo avesse individuato, valutò, tra la fuga e l’omicidio non ci avrebbero messo più di quattro o cinque giorni a condannarlo a morte. Un patibolo in un qualche cortile interno di una prigione, sempre che non si divertissero ad ammazzarlo di botte prima, e poi una tomba senza nome nelle squallide aree dei cimiteri dedicate agli impuri. 

    Fu disturbato dal ticchettare della pioggia sul vetro della della stanza. Si alzò per guardare fuori. Che il tempo su quelle montagne cambiasse in fretta era una cosa nota, ma neppure lui che ci aveva vissuto due anni si aspettava un peggioramento tanto repentino. Della giornata che gli aveva permesso  di pranzare all’aperto non c’era più traccia. Folate di vento percuotevano la pioggia gelida in un’oscurità che si andava facendo sempre più fitta.

    Ardal scese nella sala comune.

    Graham non era ancora rientrato. Probabilmente si era rintanato nella villa in attesa che il tempo migliorasse. La pioggia non poteva andare avanti ancora per molto con quell’intensità. 

    Per l’ora di cena, infatti, il diluvio si era tramutato in una pioggerella fine e fastidiosa, ma del detective, ancora, non c’era traccia.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Sarebbe rientrato, si disse Ardal, mentre gli veniva servito lo spezzatino. Di sicuro non aveva deciso di prendere la strada che dalla villa portava alla miniera. Perché avrebbe dovuto? 

    Con la pioggia la parete della montagna franava facilmente. Il sadismo di Griwald lo aveva portato a mandare un paio di volte il suo schiavo a riferire notizie urgenti durante dei temporali. Una volta le pietre lo avevano quasi investito. Aveva evitato per un soffio un masso che lo avrebbe di certo schiacciato, ma era caduto, colpito dal pietrisco e questo gli era valso una frustata per aver rovinato gli abiti. Ma sicuramente il detective non aveva preso quella strada. Perché poi? Graham non aveva la vista dei piumati, adatta alla penombra, forse preferiva restare tutta la notte nella villa e scendere in paese con la luce. Al freddo. Senza cibo. 

    Ardal si costrinse a temporeggiare fino alla fine del pasto. Era assurdo uscire sotto la pioggia solo per sbattere contro al detective di ritorno dalla villa con le prove della sua colpevolezza in mano. Non avrebbe dovuto anzi sperare che gli fosse successo qualcosa? E invece la sensazione che potesse aver bisogno d’aiuto si faceva di minuto in minuto più forte e insostenibile.

    Alla fine l’unica scelta possibile fu prendere la propria mantella impermeabile, chiedere una lampada in prestito e uscire alla sua ricerca.

 

    La notte era ancora più fredda di quanto di aspettasse. Brumaio era un mese che lo odiava, forse perché lo aveva visto nascere.

    Arrivò alla villa dopo una ventina di minuti di cammino, completamente fradicio. Chissà come l’acqua era riuscita a insinuarsi sotto la mantella con malvagia tenacia, scendendogli lungo il collo, risalendo dalle scarpe, scivolando dai polsi. 

    L’edificio era sbarrato, senza neppure un filo di luce che filtrava dalle finestre. Forse, pensò Ardal, la sua era stata una fatica inutile. Graham aveva di certo le chiavi. Forse era entrato e davvero aveva deciso di passarvi la notte. Mentre lui tremava, tutto zuppo, il detective già dormiva nel grande letto a baldacchino del vecchio… Rabbrividì. Non poteva rimanere lì, schiacciato dai ricordi che minacciavano di investirlo. Era venuto per niente… Sempre che Graham non avesse deciso invece di raggiungere la miniera. 

    Non erano sicuramente il freddo o la pioggia a interrompere i turni di lavoro. Se aveva parlato con la cuoca, Graham sapeva che Scriba, nelle sere libere, giocava con i giovani schiavi della miniera. Anche dopo cinque anni, qualcuno era di certo ancora lì. Se il detective avesse voluto farsi un’idea di come fosse stato il comportamento di Scriba, forse sarebbe andato verso la miniera. Chiunque in paese poteva avergli spiegato dove partiva la strada. Ricordarsi di avvertirlo delle frane, però, era un’altra cosa… Ardal alzò lo sguardo al cielo, gesto inutile, nel buio della notte. Stava ancora piovendo. Nulla garantiva che non sarebbero giunti altri scrosci violenti. La sua inutile missione notturna rischiava di finire con lui stesso travolto da una frana. 

    Meglio della forca o delle bastonate dei secondini. 

    Imboccò la strada della miniera.

 

    Alla seconda svolta iniziò a vedere del pietrisco sulla strada.

    Dalla scarpata erano rotolati massi e terra. Persino un paio d’alberi erano stati sradicati e giacevano crollati sul pendio. Sulla strada doveva essersi riversata una vera cascata di detriti. Doveva essere accaduto nel momento di massima forza del temporale. Nessuno dotato di buon senso si sarebbe avventurato in un bosco montano in un momento simile… Graham, tuttavia, doveva essere dell’ovest, dove vi erano al massimo lievi colline. Era del tutto inesperto. D’altro canto, si disse Ardal, non c’era alcuna prova che fosse passato di lì. Solo per scrupolo fece ancora un paio di passi avanti.

    Persino per i suoi occhi era difficile distinguere i contorni della frana. La lampada gettava una luce asfittica che illuminava a mala pena qualche palmo oltre i suoi piedi. 

    Un riflesso metallico attrasse la sua attenzione.

    Incastrato tra due sassi, c’era un paio di occhiali. 

    Ardal li raccolse. Non c’era dubbio che fossero gli occhiali di Graham, una lente era scheggiata, l’altra integra. Quindi il loro proprietario era stato davvero così idiota da mettersi in cammino nonostante il maltempo. Ma ora dov’era?

    – Graham! – gridò Ardal, mentre cercava di scendere la scarpata.

    Gli mancava solo di scivolare e rompersi una gamba.

    Con cautela, trovò un punto in cui era possibile tentare di ridiscendere la frana, aiutandosi con i tronchi degli abeti rimasti in piedi.

    – Graham! – gridò di nuovo.

    Procedere alla cieca era inutile. Poteva trovarsi a un passo dal corpo e non vederlo. La cosa migliore era tornare al paese e cercare aiuto. Con una vera spedizione di soccorso ci sarebbero state di certo più possibilità di trovarlo. Certo, ci sarebbe voluto del tempo per organizzarla. Magari quello che serviva per farlo passare da ferito a morto.

    – Ian! – provò ancora.

    Un mugolio indistinto gli rispose ta il ticchettare della pioggia.

    – Ian! – gridò ancora, cercando di capirne la provenienza.

    Con quel maledetto buio, sul pendio dal terreno cedevole, rischiava di non trovarlo.

    – Sono qui – rispose la voce del detective, flebile ma chiara.

    Rispondere «Qui dove?», si rese conto Ardal, avrebbe solo frustrato entrambi.

    A tentoni, cercò di dirigervi verso la voce.

    – Arrivo – disse, sperando che fosse vero.

    – Sono bloccato contro un grosso masso, qui in basso!

    Il giornalista annuì tra sé. A volte, nella stagione dei funghi, aveva gironzolato per il bosco. La cuoca era disposta a cucinare qualcosa in più, se veniva rifornita e la provenienza non era illegale. Non era stata golosità, la sua, una volta era persino riuscito a catturare un coniglio a mani nude. In quelle rare scorribande, che spesso dovevano aver coinciso con i momenti di piacere del vecchio, aveva notato un masso erratico, un poco più a valle del sentiero. Era abbastanza grande da bloccare i detriti della frana, e un eventuale corpo trascinato con essi.

    A tentoni, con il rischio costante di scivolare e dover essere soccorso a sua volta, Ardal discese il pendio, cercando di ricordare i punti di riferimento.

    Finalmente, la luce della lampada illuminò il masso ricoperto di muschio.

    – Ian! – gridò di nuovo.

    – Sono qui, sono bloccato!

    Graham era bloccato alla base della pietra da un tronco divelto. Aveva liberato un braccio, ma gli risultava impossibile togliere il peso che lo tratteneva.

    – È solo? – chiese il detective, quando Ardal riuscì ad inginocchiarsi al suo fianco.

    La lampada illuminò un livido scuro alla fronte e un taglio sottile sulla guancia pallida.

    – La credevo dotata del buon senso di rimanere rintanato alla villa – sbuffò Ardal.

    Cercò nella tasca gli occhiali del detective e lo vide trasalire.

    – Una lente è scheggiata – disse al giornalista, illuminandoli con la lampada. – Ce la fa a metterli o devo fare io?

    – Ce la faccio – sospirò Graham.

    – Cosa crede di essersi rotto? – chiese Ardal.

    A volte a spostare un uomo ferito si faceva più danno che altro.

    – Sono tutto ammaccato. Mezzo assiderato. Sono stato svenuto… Non so quanto. Ma non credo di avere niente di rotto.

    – È stato fortunato, allora – constatò Ardal. – Preferisce che chiami qualcun altro o proviamo a cavarcela da soli?

    Graham soppesò la questione.

    – Proviamo. Rimanere quaggiù da solo non è la mia idea di divertimento.

    Il tronco, maledetto lui, era pesante e fradicio d’acqua. Inoltre Ardal aveva il terrore che un movimento maldestro lo avrebbe fatto ricadere sul detective. Come tutti i piumati, poi, Ardal ci vedeva bene nella penombra e aveva un’ottima coordinazione, cosa che lo aveva salvato in un paio di risse, ma la sua forza era dovuta solo agli esercizi a cui aveva cercato di sottoporsi negli ultimi anni. Meglio di niente, ma nulla di eccezionale.

    Dopo parecchi minuti, e una decina di bestemmie, riuscì a spostare il tronco quel tanto che bastava perché Graham riuscisse a strisciare fuori. Il solo fatto che riuscisse a muoversi, nonostante il freddo, l’immobilità e i colpi ricevuti rassicurarono Ardal sul fatto che non avesse subito lesioni troppo gravi.

    Che idiota che sono, pensò, dovrei esserne terrorizzato.

    – Danni? – chiese.

    – Vestiti da buttare – constatò il detective. – E una caviglia gonfia.

    Ardal le diede un’occhiata.

    – A passo normale ci metteremmo mezzora a rientrare… Vediamo di farcela in due ore.

    Porse una mano a Graham, che l’afferrò con un sorriso che si trasformò in una smorfia quando cercò di usare il piede destro.

    – Si appoggi a me. In qualche modo ce la faremo – disse Ardal.

    Per fortuna il detective era magro. Aveva persino una certa abilità nel saltellare sul piede sinistro, tutto considerato. Ma pesava lo stesso.

    – Dovremo parlare dei documenti dell’impuro – disse Graham, quando finalmente raggiunsero la strada e poterono riprendere fiato.

    – Adesso? – chiese Ardal.

    Sperò che il fiatone bastasse a simulare noncuranza.

    – No, non adesso – concesse il detective. 

    – E mi ha addossato un debito che non so come ripagare – aggiunse.

    Ardal sbuffò.

    – L’avrebbero trovata domani. Al massimo le ho risparmiato una notte all’addiaccio.

    – E una polmonite.

    – È giovane, se la sarebbe cavata in un mese.

    Il detective emise una risata che era quasi un latrato.

    – Certo che lei è un tipo ben strano.

    – Le cose comuni annoiano – replicò Ardal.

    Questa volta risero entrambi.

 

    Il giorno seguente Ardal scese nella sala comune che era già mezzogiorno. Il rientro dei due uomini era stato l’evento che avrebbe fatto parlare gli avventori del pub, quindi la quasi totalità degli uomini di Terra Nera, per i mesi seguenti. Il gestore aveva insistito per svegliare il medico, che aveva confermato una brutta distorsione alla caviglia destra del detective e una serie quasi infinita di abrasioni e contusioni. Nel mentre gli altri avventori avevano insistito per festeggiare l’avvenuto salvataggio con una serie di giri di whisky che, alla fin fine, erano esattamente ciò che serviva ad Ardal per affrontare il resto della nottata e farsi traghettare nell’incoscienza fino al giorno successivo.

    Non fu troppo stupito, quindi, nel vedere che Graham già lo attendeva seduto a un tavolo, ripulito, nonostante la lente ancora ammaccata, e con la caviglia sostenuta da una pila di cuscini. Era probabile che avesse meno mal di testa di lui. Anche se, a giudicare dalle occhiaia sotto i suoi begli occhi blu, aveva dormito meno.

    – Mi voleva parlare dei documenti dell’impuro – disse Ardal, sedendosi.

    Inutile tergiversare.

    Graham annuì.

    Aveva una tazza di quello che doveva essere the e ne tracannò un sorso, quasi a farsi coraggio, come se fosse un super alcolico.

    – Molte cose le sapevamo già – si decise a dire. – Il ragazzo aveva piume solo sulla schiena e le spalle. Bastava una camicia per renderlo indistinguibile dagli umani. Aveva tratti quasi jiquiniti, occhi allungati, carnagione scura, capelli neri, anche se risulta acquistato al nord. Non devono essere in molti ad avere quei tratti e l’accento nel nord.

    Ardal si strinse nelle spalle.

    – Nella famiglia di mio padre sono tutti così. Dei miei fratelli due sono rossi e lentigginosi come mia madre, mentre la mia sorella più piccola è come me.

    Graham annuì.

    Ardal si rendeva conto che non stava rendendo le cose facili. Ma perché avrebbe dovuto? Se avesse voluto incriminarlo non c’era molto che avrebbe potuto fare, a quel punto. Tutto ciò che aveva potuto fare aveva deciso di non farlo. Ma avrebbe eretto fino all’ultimo un fortino intorno alla propria dignità. Inutile per tutto salvo che per il suo amor proprio.

    – Ha con sé i propri documenti? – chiese Graham.

    – Naturalmente – rispose Ardal, estraendoli dal portafogli. 

    Glieli passò.

    Graham si prese del tempo per guardarli, passandoli in controluce. Estrasse persino una lente con cui osservò i timbri.

    – Sono autentici – disse poi, non senza una certa sorpresa. – Ma recenti.

    – Sono scappato di casa. Non ne ho avuto bisogno fino a che non sono stato assunto da Il flusso  e ho dovuto richiederli.

    E non aveva neppure faticato per ottenerli.

    I suoi genitori erano poveri fino all’indigenza, ma non avrebbero mai consegnato il proprio primogenito. Avevano tenuto nascosta la sua schiena a tutti, finché suo padre non era morto. Sua madre si era trovata con quattro bocche da sfamare e quando due di esse si erano ammalate aveva dovuto scegliere chi far vivere e chi far morire. Lo stato o i mercanti pagavano gli impuri primari. Per le famiglie più povere un figlio con le piume o gli zoccoli poteva essere un inaspettato colpo di fortuna. Ma ovviamente i bambini andavano consegnati o almeno registrati in fasce. Un impuro di sei anni era un problema da vendere come da comprare. 

    Per anni Ardal aveva odiato sua madre più di chiunque altro, prima di capire che quello era  stato l’unico modo per mantenere vivi tutti i suoi figli. E gli aveva lasciato anche un’imprevista via di fuga. Il mercante che lo avrebbe istruito per rivenderlo a peso d’oro da adolescente lo aveva pagato una miseria, ma la transazione era rimasta illegale. Nessuno aveva mai corretto il suo status all’anagrafe. Ardal aveva semplicemente dovuto richiedere una copia del proprio atto di nascita per riappropriarsi legalmente del proprio nome e della propria identità.

    Graham sospirò.

    – Meglio così. Mi hanno telegrafato dalla centrale. Non risulta che in un impuro corrispondente alla descrizione di Scriba sia mai stata fermato. Né ci sono crimini in cui i sospettati abbiano fattezze simili – disse. Poi, dopo un’esitazione, inchiodò Ardal con il cobalto del suo sguardo. – Considerate le prove raccolte, mi sento di concludere l’indagine indicando come il più probabile colpevole Scriba. Aveva quasi un anno più di Fiammetta e una muscolatura di sicuro più adatta a uccidere un uomo con un colpo. Ora sappiamo che aveva anche una motivazione plausibile, senza contare che chi lo ha incontrato lo ricorda come un ragazzo molto intelligente, capace di mantenere la calma anche quando veniva provocato. Se dovesse essere identificato, dubito gli daranno il tempo di dire qualcosa a propria discolpa.

    Ardal annuì.

    – Capisco – disse.

    Improvviso, sentì il bisogno di aggiungere qualcosa.

    Non aveva raccontato niente di sé a Donny, che pur con tutti i suoi modi bruschi lo aveva accolto in redazione quasi come un padre, né hai suoi colleghi e neppure a quegli impuri a cui si presentava come un patentato. Eppure quel silenzio gli era ora intollerabile.

    – Io…

    Graham lo fermò con un gesto.

    Si sistemò gli occhiali scheggiati, forse per prendere tempo per cercare le parole.

    – Io e lei… – esordì. – Credo che in altre circostanze avremmo potuto diventare buoni amici… Così come stanno le cose… Io ho giurato di difendere la Legge e odio l’idea di mentire, ma ciò che non conosco non posso rivelarlo. Viste le circostanze, credo che la cosa migliore sia salutarci oggi, in modo definitivo… Anche se la prego di credere che ha tutta la mia gratitudine e la mia stima.

    Per una volta, Ardal fu costretto ad abbassare lo sguardo.

    La sua libertà dipendeva anche dalla capacità di tenere tutti a distanza. Forse per la prima volta gli pesava davvero.

    – Mi sembra appropriato – disse.

    Chissà se si capiva, dal suo viso come sempre imperturbabile, quella sensazione strana, come se ancora una volta la vita avesse il sapore di un biscotto stantio? Qualcosa che avrebbe potuto essere perfetto, se non fosse stato in qualche modo corrotto o rovinato.

     Fece per alzarsi, ma Graham lo bloccò con un gesto.

    – Se permette, vorrei essere io a raccontagli una storia… Magari un suggerimento per un futuro reportage.

    Ardal si risistemò.

    – È opinione comune che gli impuri primari nascano per lo più tra i ceti più disagiati – iniziò Graham. – Anzi, gli aristocratici si vantano di aver discendenze pure, alberi genealogici che dimostrano secoli senza alcuna nascita impura. Mio padre è un figlio cadette di un ramo minore della nobiltà di campagna, una famiglia del tutto trascurabile, che pure si è sempre fatta vanto della propria purezza di sangue. Mia sorella è nata morta quando aveva sei anni. Non è stata neppure fatta vedere a mia madre, per non rattristarla troppo. Io ho un’innata curiosità e quella notte ero nascosto accanto alla camera di mia madre. Ho sentito un neonato vagire e ho visto il medico uscire con un fagottino che si agitava tra le braccia. Sono sicuro che avesse le mani nere di piume… Più avanti ho potuto appurare che nella famiglia di mio padre non si registra da tre secoli la nascita di un impuro primario, ma i casi di neonati morti alla nascita sono ricorrenti.

    – E l’infanticidio, anche di un impuro, è reato – ragionò ad alta voce Ardal, mentre un brivido gli percorreva la schiena.

    Per i poveri, le rare nascite impure erano qualcosa di visto come un’onta, qualcosa se possibile da nascondere. L’idea era che la famiglia avesse il sangue contaminato, oppure che la madre si fosse unita con un impuro. Però alla consegna del bambino veniva corrisposta una somma che per una famiglia indigente poteva essere considerata cospicua. Non lo era, considerando la fame che i mercanti avevano di impuri primari, ritenuti più intelligenti, più adatti ad essere addestrati per compiti di prestigio, oltre che indispensabili per rinforzare le linee di sangue. In ogni caso, l’incentivo economico portava la maggior parte delle famiglie povere a consegnare i figli. Era opinione comune che i ricchi non partorissero mai o quasi impuri. Anche se la risposta era ovvia, per loro era più facile disfarsene in altro modo, Ardal non aveva mai pensato a una pratica diffusa di infanticidio.

    – Di più. Le nascite di impuri primari nei ceti bassi sono comunque sporadiche – continuò Graham. – Una ogni circa duemila nati. Ho dedicato un po’ di tempo a questa mia ricerca e ho scoperto che invece i neonati nati morti nelle famiglie nobili sono piuttosto diffusi, anche togliendo una buona percentuale che può essere dovuta a cause naturali, ne restano comunque troppi. E i casi sono sempre più frequenti via via che la parentela con la famiglia imperiale aumenta.

    – Che cosa intendete? – chiese Ardal.

    – Nella famiglia di mio padre abbiamo un bambino nato morto ogni trenta parti circa, ma nella famiglia imperiale arriviamo a circa uno su tre e la crescita, la assicuro, è proporzionale al rango.

    Graham stava esponendo una teoria del tutto priva di dati, eppure Ardal percepiva l’incrollabile convinzione nelle parole del detective. Quello che stava dicendo era, se non la verità, qualcosa di cui l’uomo era convinto.

    – Quindi mi state dicendo che c’è una sorta di patto segreto nella nobiltà per eliminare alla nascita i bambini impuri?

    – Non credo che sia una cosa codificata e sistemizzata – sospirò Graham. – So per certo che mia madre non ha idea che la bambina che ha partito fosse viva e una delle mie zie ricorda solo che il medico le ha detto che il figlio ha smesso di respirare dopo pochi minuti. Credo che ogni famiglia nobile ritenga che una nascita impura sia qualcosa di indicibile. I medici probabilmente pensano di evitare alle madri delle sofferenze inutili e ai padri la vergogna. Alcuni secondo me agiscono senza neppure consultare i genitori. E chi ne è consapevole vive il fatto come un disonore, non chiede di sicuro al cugino se anche lui abbia avuto un figlio con le piume o le corna. Potrebbe non essere mai stato fatto uno studio sulle dimensioni del fenomeno. Ho trovato la maggior parte dei dati in un’oscura tesi di laurea in medicina sulla mortalità infantile nelle classi agiate.

    Ardal annuì.

    Aveva senso. Ma cosa significava il fatto che gli impuri primari potessero essere addirittura più comuni tra l’alta nobiltà? Non per la prima volta, il giovane fu colto dalla sensazione che vi fosse qualche premessa sbagliata, qualcosa di fondamentale che gli sfuggiva per capire le basi stesse della società in cui viveva

    – La ringrazio – disse. – Voglio scoprire cosa lega gli impuri agli angeli, quale sia davvero la nostra origine

    Graham gli concesse un sorriso.

    – Tutti dobbiamo dare un senso alla nostra vita e alla nostra libertà. Sono sicuro che lei ci riuscirà meglio di altri..

 

    Nel pomeriggio, per la seconda volta nella propria vita, Ardal salì su un treno che da Terra Nera lo conduceva nella capitale.

    Questa volta prese possesso di un posto in seconda classe, invece che salire nella notte sul retro di uno dei vagoni carichi di carbone. 

    Cinque anni prima non aveva potuto immaginare un viaggio più bello, così denso di aspettative e paure, ma neppure nei suoi sogni più folli si era immaginato a vent’anni ancora libero, con un lavoro rispettato, proiettato nel tentativo di svelare il mistero degli impuri. Ma a quindici anni non aveva pensato neppure per un istante che la libertà che stava scegliendo era per forza anche solitudine. Non aveva pensato a quanto avrebbe potuto pesargli un giorno l’idea che nessuno stesse aspettando il suo ritorno. Che nessuno forse lo avrebbe mai aspettato.



Con quest'ultimo capitolo si chiudono i "Preludi all'assedio degli Angeli".
Ringrazio davvero di cuore tutti coloro che hanno letto, seguito, ricordato e messo tra le preferite. Ringrazio infinitamente Siyla, per essermi stata accanto a tenermi la mano in questa avventura.

Spero vi siano rimaste parecchie domande irrisolte.
Al momento sto scrivendo "L'assedio degli Angeli", la vicenda inizierà più o meno da qui, con Ardal rientrato in città che cercherà di intervistare l'elusivo colonnello Soilbeir. Non mi piace pubblicare storie ancora in fieri, anche perché spesso mi rendo conto di dover tornare indietro a sistemare qualche incongruenza. Quindi, se potete, non dimenticate il mio strano mondo steampunk e le sue domande. Perché vi devo delle risposte.

 

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