Life is Strange: Untold

di Viking86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** All the devils are here ***
Capitolo 2: *** Casualties ***
Capitolo 3: *** Lost causes ***
Capitolo 4: *** ++Interludio++ ***
Capitolo 5: *** Wasteland ***
Capitolo 6: *** Little Miss Sunshine ***
Capitolo 7: *** Found somebody to mend you ***
Capitolo 8: *** And no man is an island ***
Capitolo 9: *** ++Conclusione Prima Parte++ ***



Capitolo 1
*** All the devils are here ***


(NOTA: Ciao a te lettore. Voglio solo avvertirti che noterai presto delle differenze fra Before the Storm e quanto leggi, in particolare alcuni personaggi - pur avendo compiuto le stesse azioni ed avendo lo stesso ruolo narrativo - non sono gli stessi. Ti accorgerai di chi sono strada facendo. Il motivo di questi cambiamenti è perché ho voluto adattare tutto al canone di Life is Strange, così personaggi come Victoria, Taylor, Warren etc. che non avrebbero potuto esserci nel gioco prequel - per vari motivi - non ci sono o sono stati sostituiti con altri. Non preoccuparti però, ci saranno, solo più avanti, quando sarà il momento giusto ;-)
Buona lettura! )

All the devils are here

 
Throw back arms I love you
And I won't be bothering with mourning
It's crucial that you see the truth
When looking for yourself
Not useless observations
"All I Wanted"
Daughter
 
 
Faceva freddo, il vento pungeva il naso e agitava i suoi lunghi capelli biondi. Ma ne valeva la pena. Rachel corse in avanti, superando un grosso ramo caduto chissà quando sul sentiero. Poco più indietro suo padre camminava a passo costante, mai perdendola d'occhio. A sinistra del sentiero il terreno boscoso era in salita, mentre a destra, a pochissimi metri, c'era il dirupo. Il profumo di resina riempiva le narici di Rachel, il fruscio del vento fra i rami degli alberi coccolava il suo animo. Adorava le escursioni con suo padre, erano come piccole avventure e il Monte Hood era lo scenario perfetto. Stavano percorrendo il sentiero B, difficoltà media, che conduceva sulla cima del monte, ad una baita con belvedere da cui si vedevano tutte le vallate circostanti. Erano partiti al mattino presto e c'era il sole, ma si era rannuvolato nel corso della camminata. Ora il sole era velato da una coltre di panna montata. La montagna, in quel punto, era molto ripida, ma il sentiero saliva a zig zag, mantenendo una pendenza accettabile. Non era una sfida per Rachel, che decise di tagliare. Davanti a lei sporgevano alcuni massi ricoperti di muschio e aghi di pino, che creavano una breve parete rocciosa di circa tre metri. Rachel puntò l'avversario e lo affrontò di petto. Scovò i primi appigli con facilità e percorse il primo metro.
"Rachel che cosa fai?" la voce di James Amber era morbida, ma lievemente allarmata.
"Scalo la parete!" rispose Rachel mentre con lo sguardo indagava alla ricerca di nuovi appigli. Trovò una sporgenza a destra e vi si allungò.
“È pericoloso, torna giù. Usiamo il sentiero!"
"Rilassati Pà. La signorina Hillman ci ha fatto esercitare tutto l'inverno in palestra, ci ha anche spiegato che dobbiamo stare attenti agli appigli instabili, agli insetti e al muschio." Rachel percorse un altro mezzo metro. Le dita iniziavano a contrarsi, gli scarponcini da montagna che indossava non erano flessibili come le scarpe da ginnastica. Ma poteva farcela!
"Ok... stai attenta." James Amber si posizionò dietro di lei, pronto a prenderla in caso perdesse la presa. Rachel era aggrappata come una scimmia con la schiena all'altezza del viso di suo padre. A scuola avevano fatto delle gare a squadre, una specie di staffetta in cui bisognava recuperare una bandiera situata in un certo punto della parete, scendere, passarla al compagno successivo che avrebbe scalato fino ad un punto più elevato per lasciare la bandiera e tornare giù, passando il turno ad un altro compagno che avrebbe recuperato la bandiera, e così via, finché non si riusciva ad arrivare in cima. La squadra che per prima riusciva a posizionare la bandiera in cima e recuperarla senza cadere vinceva. La squadra di Rachel aveva vinto e lei era stata l'ultima giocatrice in gara. Le erano piaciute tantissimo le lezioni di scalata e meditava di chiedere a suo padre di iscriverla ad un corso estivo di climbing. Quella che stava scalando ora era niente per lei, tre miseri metri contro i dieci che aveva scalato a scuola.
L'ultimo metro fu un po' più impegnativo. C'era davvero differenza fra scalare una parete d'allenamento e una reale. Le dita facevano molto più male, Rachel poteva sentire i tendini del polso che iniziavano a scaldarsi. Soprattutto, questa volta non aveva l’imbracatura. Ma le mancava meno di un metro. Afferrò una radice, tirò un po' per assicurarsi che tenesse e iniziò a issarsi.
"Rachel?"
"Tutto bene papà! Ci sono quasi!"
"Ti aiuto?"
"NO!"
"Sii cauta tesoro..."
Rachel ringhiò, afferrò la radice con entrambe le mani e iniziò a salire. Appoggiò i gomiti sulla superficie piana, dove il sentiero ricominciava. Con i piedi andò a tentoni in cerca di un appiglio. Ne trovò uno, ci si pesò sopra per testarlo. Reggeva! Con uno sbuffo si diede lo slancio e rotolò sul sentiero, superando la sua prima scalata reale. Non una gran cosa, lo sapeva. Ma le era piaciuto. Aveva vinto lei!
"Bravissima tesoro!" James percorse il sentiero, mettendoci un minuto a raggiungere la figlia, che nel frattempo si era rimessa in piedi, si era spolverata i pantaloni e la giacca azzurra imbottita ed aveva assunto una posizione trionfale. Gli occhi socchiusi e volutamente altezzosi, colmi di vanto per l'impresa appena compiuta.
"Visto Pà? Posso scalare! Pensa cosa potrei fare con corde e imbracature!"
James la raggiunse con un sorriso fiero e amorevole.
"L'estate è ancora lontana, vedremo quando finirà la scuola come saranno i tuoi voti e ci penseremo" ammiccò.
"Ovviamente saranno ottimi!" Rachel mise i pugni sui fianchi e divaricò leggermente le gambe piantandosi al suolo.
"Ti credo, ma crederò ancora di più quando li vedrò scritti sulla pagella."
"Uffa!" mentre suo padre la raggiungeva, Rachel lo superò di nuovo ad ampie falcate, sbattendo i piedi ad ogni passo e marciando con movimenti plateali e sbuffanti. James rise e anche lei. La scalata l'aveva un po' stancata, quindi decise di seguire il sentiero per il resto del tragitto.
Mancava ancora mezz'ora alla meta, quando iniziò a piovere. Nel giro di pochi minuti diluviava e il sentiero di terra battuta stava diventando fangoso.
"Rachel, dobbiamo tornare indietro. Più avanti c'è una salita ripida e con questo tempo è pericoloso."
"Ma siamo quasi arrivati papà!"
"Rachel, questa volta sono serio, ubbidisci."
La bimba sospirò, si passò una mano fra i capelli biondi: "Va beeeene...."
Delusa, ma fidandosi completamente di suo padre, fece dietrofront. Questa volta James le stava davanti, cercando per lei la strada più sicura. Rachel lo seguì disciplinata. Il sentiero a zig zag era stato molto più facile in salita di quanto non fosse ora in discesa. O forse era perché il terreno che stava diventando sempre più scivoloso. La pioggia cadeva ancora più forte e si sentivano dei tuoni. James borbottava qualcosa.
Improvvisamente ci fu un lampo, Rachel vide tutto bianco. Ci fu un secondo di completo silenzio, in cui zittirono pure i suoni della pioggia. Un tuono esplose come una bomba. Rachel sobbalzò, mise un piede in fallo e scivolò. Lanciò un grido di panico mentre franava contro suo padre, facendo cadere anche lui e superandolo. Rachel iniziò a gridare, sentiva le viscere salire verso l'alto mentre tentava di aggrapparsi al terreno fangoso, senza successo.
"RACHEEEL!" gridò James Amber.
La bambina ebbe giusto il tempo di realizzare che si trovava esattamente nel punto in cui aveva tagliato il sentiero scalando la sua prima, breve parete, prima di cadere oltre il bordo. Il tempo rallentò, Rachel rotolò contro qualcosa di duro. Sentì rumore di tessuto che si strappa, si trovò nel vuoto con il fiato che le mancava, finché vide il terreno a un palmo dal suo viso. Allungò le braccia e impattò contro una roccia.
CRACK!!
Rachel pensò di essere caduta su un ramo e di averlo spezzato col suo peso. Poi sentì formicolare il braccio sinistro. Perse sensibilità alla mano. Poi venne il dolore. Non aveva mai provato nulla del genere. L'avambraccio sembrava bruciare, sentiva qualcosa di strano dentro, come un corpo estraneo. Sporca di fango, iniziò a piangere e urlare. "
"PAPAAAAAAA'!! PAAAAAPAAAAAAAA!!!!"
"SONO QUI!" la sua voce!
"Sono qui Rachel! Sono qui amore!"
"I..iil bracciooooo!!" lamentò disperatamente Rachel in preda al pianto, con lacrime e moccio che le sporcavano il viso.
"Riesci a muoverlo?!" chiese James cercando di mantenere un tono calmo, mentre la pioggia batteva tutto intorno e un altro tuono esplodeva nel cielo.
"Nooooo!"
"Ok Rachel. Adesso devi essere una bambina coraggiosa. E tu lo sei vero? Sei una leoncina." Gli occhi azzurri di James si piantarono su quelli nocciola di Rachel. Ma lei non riusciva a pensare. Era troppo spaventata, sembrava che il temporale stesse distruggendo la montagna. Il vento abbatteva i rami degli alberi tutt'intorno e i tuoni si susseguivano con troppa frequenza.
"Rachel, guardami negli occhi." La voce di James fu ferma. Lei obbedì, incontrando le sue iridi azzurre.
"Tieni lo sguardo su di me, ok piccola?"
Lei annuì.
James si sincerò delle sue condizioni. Rachel piangeva disperatamente, ma tentava di tenere gli occhi sul volto concentrato di suo padre, i cui capelli neri erano fradici e cadevano sulla sua fronte, appiattiti contro il suo cranio.
"Bene Rachel, va tutto bene. Adesso ti prendo, tu devi solo lasciarti trasportare da me ok? Tieni il braccio che ti fa male vicino al corpo, così..." le mostrò come tenere il braccio sinistro accoccolato nel destro "come se stessi tenendo in braccio Buddy Bear, ok?"
Rachel annuì e tirò su col naso.
"Bene. Andrà tutto bene amore mio, te lo prometto."
Rachel si mise nella posizione che papà le aveva indicato e fu presa, cautamente, fra le sue forti braccia. Con una mano le teneva la testa dolcemente premuta contro il petto, mentre con l'altra la reggeva sotto il sedere. Iniziò a camminare, cautamente, lungo il sentiero. Il suo ritmo era irregolare, la pioggia fredda batteva contro la testa di Rachel, il dolore al braccio pulsava, come se glielo stessero tagliando. Piangeva disperatamente, cercava di contenersi, ma il dolore era troppo. Le sua urla lamentose e piangenti si mescolavano alla pioggia.
"Sono qui Rachel. Ti tengo..." sussurrò dolcemente James. Le diede un bacio sulla testa "Ti tengo tesoro. Ti tengo! Andrà bene!"
Rachel sentiva l'odore della pioggia, del fango, l'odore del tessuto del giubbotto di suo padre accentuato dall'umidità. L'aroma pungente del suo dopobarba... sapeva di...
Birra? E sigaretta??
Rachel alzò la testa per incontrare il volto di suo padre…
I suoi occhi marroni, i capelli fradici tirati all'indietro, incredibilmente ordinati. La barba curata spiccava sulla pelle pallida e sul volto scavato, il complesso tatuaggio tribale si arrampicava dalla destra del suo torace fino sul collo. I loro sguardi si incrociarono, le sopracciglia di Damon Merrick si corrugarono. Rachel continuava a piangere, mentre lui scoppiò a ridere. Una risata regolare, fredda, beffarda, senza nessuna gioia.
"Non ci credo!"
Rachel iniziò a sentire paura.
"Papà?"
"Rachel?" disse lui "Rachel Amber?"
"Papà?!"
"Il tuo paparino è un vero pezzo di merda lo sai?" una smorfia di disgusto apparve sulla sua bocca.
Ora Rachel aveva paura. La pioggia continuava a battere, il vento le feriva il viso e brividi di gelo le entravano nelle ossa. Si sentì di nuovo cadere. Papà l'aveva lasciata andare. Rachel impattò contro il suolo fangoso. Rotolò sul braccio e una scarica di dolore lancinante la attraversò in tutto il corpo. Rachel urlò. Pianse.
La lama uscì rapidamente com'era entrata, ma prima la sentì rigirarsi un po' nella carne. Non pioveva più, ma il sole era comunque velato. Non da nuvole, ma da una coltre di fumo che scaturiva da un vasto incendio, visibile in lontananza sulla cima delle montagne. Sentì una sensazione di umido e caldo allargarsi sulla metà sinistra del suo corpo. Sangue. Damon Merrick era davanti a lei, lo sguardo predatore puntato su di lei. Un filo di bava pendeva dal suo labbro. Rachel lo fissò terrorizzata, tenendosi il braccio e sentendolo diventare sempre più caldo, mentre brividi di freddo iniziavano a scuoterla. Perdeva sensibilità.
"Stupida puttana!" Damon si avvicinava a lei ad ampie falcate, brandendo il suo coltello da caccia. Per qualche motivo le venne in mente Rambo. I contorni della vista iniziarono ad annerirsi, le sembrava di essere più bassa. Si sentiva rimpicciolire, mentre una sagoma nera e alata solcava il cielo azzurro sopra di lei.
"Rachel!"
 
"Rachel??"
Una voce femminile. Sussurrava.

-

"Rach..."
Si sentì precipitare, la cinetosi la travolse e tutto divenne nero e silenzioso.
Sentì improvvisamente caldo, la ferita al braccio sinistro le faceva un male tremendo. Si sorprese a piangere, singhiozzava come un riflesso automatico. Era sudata fradicia. Riaprì gli occhi. Luce blu, stanza asettica. Erano stelle quelle sul soffitto? Era sdraiata su un materasso sottile, il braccio destro urtava contro una sponda di freddo metallo.
Prese un profondo respiro, mentre si riassestava nella realtà. Era in ospedale.
Alla sua sinistra, sdraiato sul letto, c'era qualcuno. Era Chloe.
"Sei sveglia?" la voce di Chloe era un sussurro teso.
"S...Si..." disse Rachel mentre si asciugava gli occhi e le guance con la mano destra. I singhiozzi erano cessati, ma il dolore al braccio neanche un po'.
Fuori dalla finestra era completamente buio.
"Che ore sono?" biascicò.
"Non lo so... forse le 2?" Chloe era sdraiata sul fianco destro, appoggiata sul gomito e la fissava. Tra i loro corpi c'erano diversi centimetri di spazio. Chloe sembrava tenere una sorta di distanza di sicurezza. Rachel sbadigliò.
"Brutti sogni?" chiese Chloe.
"Mh-Hm..." annuì Rachel.
La ragazza dal ciuffo blu le appoggiò una mano sulla fronte. Rachel accettò il suo tocco piacevolmente freddo. Lasciò che un po' di quella freschezza le si trasmettesse.
"Sei calda..." la voce di Chloe aveva qualche tacca di preoccupazione.
"No sei tu che sei fredda..."
"Questa la usano tutti, inventane un'altra..." scherzò.
"Mmmh..." Rachel pose la sua mano su quella di Chloe, premendola contro la sua fronte come per spremere le ultime tracce di freschezza prima che la temperatura si equilibrasse "Ho il cervello troppo fritto..." sospirò.
"Heh..." fu il massimo commento di Chloe. Sembrava che stesse per uscirle qualcos'altro, ma non disse nulla.
"Come mai sei ancora qui?" chiese con tono assonnato Rachel mentre Chloe staccava la mano.
"Mi sono addormentata. È stata... una lunga giornata..." Gli occhi blu della ragazza fecero una giravolta, come cercando termini più appropriati senza trovarne.
"Buona definizione!" decise Rachel sospirando.
La testa le pulsava un po', ma non faceva male. Si sforzava di tenere immobile il braccio, ma sentiva una fitta ritmica nel punto della ferita, che si estendeva fino alla spalla. Il suo viso doveva trasmettere quelle sensazioni in modo eloquente, perché Chloe la fissava preoccupata.
Anche lei non era messa meglio. Aveva un livido rossiccio sullo zigomo sinistro e il labbro inferiore un po' gonfio.
Rachel ricordò il suo racconto di qualche ora prima, in particolare la parte in cui Chloe affrontava Damon Merrick al Vecchio Mulino, lo aggrediva con un coltello per salvare Sera, solo per essere disarmata e presa a ceffoni e calci. Ringraziò l'universo e Frank per averla soccorsa prima che fosse troppo tardi.
Gli occhi di Rachel si riempirono di umidità.
“Mi dispiace… Chloe…. Mi dispiace…” disse con voce tremante.
Chloe la abbracciò cautamente, in una posizione scomoda, ma da cui Rachel tentò di trarre tutto il conforto che poteva.
“Chloe… perdonami…” continuò.
“Per che cosa?”
“Ti ho messa in pericolo… Damon poteva ucciderti…”
“Non l’ha fatto.”
“Ma avrebbe potuto… e sarebbe stata colpa mia…”
“Com’è che hai detto oggi? ‘Non ti libererai di me così facilmente!’ .” posò Chloe
Rachel fissò lo sguardo nei suoi occhi blu, fottutamente belli e accoglienti.
Il silenzio durò poco e i singhiozzi tornarono. Qualche lacrima scese di nuovo.
“E’ andato tutto a puttane Chloe… perché... io non…”
“Shhh….” Chloe strinse la mano sulla spalla destra di Rachel, che istintivamente chinò la testa verso di lei. Rachel si riempì dell'odore pungente di Chloe. L'odore della camicia di flanella, misto a polvere, misto a sudore con un lontano aroma di... lavanda. Quello strano miscuglio era incredibilmente confortante, così come la morbidezza della sua spalla e del tessuto. Nel silenzio notturno dell'ospedale rimase immobile. Avrebbe voluto accoccolarsi meglio e farsi avvolgere dall'affetto di Chloe, che intanto le accarezzava i capelli con le dita. Dolcemente.
"Io... lo odio..." la voce di Rachel era leggermente rauca.
"Mh..." Chloe annuì... aveva capito di chi parlasse.
"Voleva farla uccidere... non ci posso credere..." i muscoli delle spalle le si contrassero istintivamente, cosa di cui si pentì subito quando una fitta di dolore le esplose nel braccio provocandole una smorfia...
Le dita di Chloe continuavano a grattare dolcemente il suo cuoio capelluto.
"E... Sera..." continuò Rachel, tirando su col naso mentre sentiva arrivare nuovi singhiozzi "...perché non ha voluto incontrarmi? Non capisco..."
“Te l’ho detto… secondo lei tuo padre aveva ragione a proteggerti da lei… ti ha dato una vita che lei non avrebbe potuto darti... non voleva rovinartela...”
“Beh… ormai l’ha fatto!” commentò amaramente Rachel, raddrizzando la testa per guardare il soffitto illuminato di false stelle.
“Non è stata lei…” singhiozzò Chloe.
Rachel la fissò con sguardo interrogativo.
“Sono stata io… ho rovinato tutto... Ti ho rovinato la vita… Da quando ci conosciamo non ho fatto che incasinarti..."
“Stai zitta…”
“E’ così…. Rachel… avevi una vita perfetta… dei sogni… ho distrutto tutto… Non sono nemmeno riuscita a convincere tua madre a incontrarti...” ora Chloe piangeva. Singhiozzi trattenuti a stento, lacrime che rigavano le guance. "Le ho detto che non aveva senso… che meritavi di vederla… che lei meritava di vederti… ma non ha voluto.." Le due ragazze rimasero strette l’una all’altra, Rachel appoggiò la fronte a quella di Chloe.
“Mi ha chiesto di mentirti…." continuò Chloe "Ma non potevo farlo. Ci ho pensato mentre venivo qui… ci ho davvero riflettuto… e quello che ha detto Sera non aveva senso, cazzo! Tu meritavi la verità. Ma meritavi anche una vita migliore, l’amore della tua famiglia… Ho mandato tutto a puttane... Volevo che sapessi la verità, ma… non potevo…”
“Chloe..." Rachel le mise l'indice sulle labbra, zittendola "Sono io che ho spiato i messaggi sul cellulare di mio padre. Io ti ho coinvolta in questa faccenda... sono stata io a chiederti di indagare. Io ti ho chiesto di dirmi la verità. Non è colpa tua. Se mio padre non avesse… se mi avesse permesso di incontrare mia madre… è uno stronzo… è lui che ha mandato tutto a puttane!”
“Ma…"
“Tu mi sei stata accanto, mi hai salvato la vita, hai scoperto la verità su di lui e me l’hai detta… ti sei quasi fatta ammazzare Chloe...”
Rachel allungò la mano destra e l’appoggiò sulla guancia di Chloe, che sussultò con l’adorabile imbarazzo che conosceva bene.
“Io non ti mentirei mai…”
“Sei l’unica…” Rachel continuò ad accarezzare il viso di Chloe nei pressi dell’occhio gonfio.
“E’ uno sporco lavoro! E comunque mi beccheresti!” Chloe sorrise asciugandosi le lacrime.
“Pfft!” ridacchiò Rachel per un momento e staccò la mano dal viso di Chloe.
Tornò a guardare il soffitto. Le luci della lampada stellare creavano una strana atmosfera. Era grata che Chloe fosse con lei. Forse, dopotutto, le cose non sarebbero andate male se fosse rimasta al suo fianco. Il silenzio era perturbato solo dal respiro di Chloe. Era calmante, ma non abbastanza da interrompere il suo flusso di pensieri.
“Non mi ha voluta… di nuovo” sputò Rachel. Le parole uscirono amare e gelide. Niente lacrime. Le aveva forse esaurite? Il dolore al braccio si stava finalmente placando un po’, ma il cuore faceva ancora male.
“Non mi vuole… lei non mi vuole…” no, le lacrime non erano ancora finite.
“E’ una stronza. Non ti merita… fanculo anche lei!” disse Chloe mentre le massaggiava la spalla destra.
"Mi sei rimasta solo tu, Chloe." I loro occhi si incrociarono e per alcuni istanti rimasero connessi. Qualcosa passò tra di loro, come una scintilla. Rachel singhiozzò di nuovo.
"Sei andata per esclusione ma... lo prenderò per un complimento!" Chloe sogghignò.
"Pfffh..." Rachel ridacchiò, la sua espressione si illuminò. "Scema..."
"Totalmente e completamente!" si vantò Chloe "E pensare che è cominciato tutto con una bigiata da scuola…”
"E un incendio..."
"Già! Però la prima parte di quella giornata è stata bella. Dovremo rifarlo!"
"Anche incendiare le cose non è così male!"
"Ho giusto in mente un paio di obiettivi!"
Rachel ridacchiò "Beh… per prima cosa dovresti farmi evadere da qui.”
“Si può organizzare” sogghignò Chloe “La prossima volta che torna l’infermiera la stendo e le rubo i vestiti, poi tu ti fingi morta e io ti porto fuori. Tanto è la tua specialità no?!”
Rachel ridacchiò e quel suono scaldò il cuore di Chloe.
“Siamo già ai giochi di ruolo, Chloe Price?”
Chloe stava per dire qualcosa, ma si bloccò. Un lampo di comprensione la attraversò e sgranò gli occhi. Rachel sorrise fra sé e sé, osservando una vampata di calore invaderle le guance. Si sentì molto soddisfatta. Adorava stuzzicarla e vedere queste sue reazioni spontanee. Chloe era un libro aperto, almeno con lei. Bastava premere i pulsanti giusti e tutto accadeva. Era così adorabile!
“Uhm… beh… ho pensato… sei un’attrice. Dovrebbe piacerti quella merda no?!” posò goffamente Chloe.
Rachel sbuffò una risata metà delusa e metà divertita: “Cristo Chloe, sai proprio come rovinare l’atmosfera!” le diede un cauto pugno sulla spalla.
Le due scoppiarono a ridere. Il petto di Rachel era un po' più leggero. Sentiva il sonno aggrapparsi di nuovo alle sue palpebre. Sbadigliò come un gatto sonnolento.
"Proviamo a dormire?" assecondò Chloe.
"Buona idea..." Rachel si accoccolò come poteva vicino alla ragazza.
"Riposati, io farò un po' la guardia. Se arrivano altri incubi li prenderò a calci in culo."
Rachel sorrise e chiuse gli occhi, appoggiandosi al fianco di Chloe, il battito del suo cuore come ninna nanna.
 
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TCHCLAK!

Chloe si svegliò quando sentì la porta della stanza aprirsi.
La luce del sole filtrava attraverso le tende alle finestre, la luce soffusa e rosea dell’alba che si confondeva con quella ancora proiettata dalla lampada stellare. Un’infermiera bionda fece cautamente capolino nella stanza. Chloe fissò Rachel che dormiva ancora, con la mano destra abbarbicata a Chloe. L’infermiera, sul cui cartellino c’era scritto Marta Bright, fece un sorriso comprensivo e parlò sottovoce:
“Il dottore passerà fra mezzora per il controllo. Non dovrebbero esserci visite a quest’ora…” il sottinteso era che Chloe era stata lasciata dormire lì come eccezione. Lo sguardo di Martha si fece sorpreso e preoccupato incontrando il viso di Chloe, la quale per un riflesso intuitivo si toccò la guancia con la mano sinistra. L’occhio si era decisamene gonfiato e le sembrava di avere una pallina da golf al sapore di rame al posto del labbro inferiore. Quando si mosse sentì scricchiolare fastidiosamente le costole di sinistra.
“Posso andarmene quando arriva e tornare quando se ne va.” Propose Chloe cercando di sussurrare.
“Tesoro… ehm… quei lividi…” disse con un po’ di apprensione l’infermiera.
Chloe scosse il capo “Sto bene.”
Martha rimase in silenzio, squadrandola da cima a fondo senza nascondere l’espressione preoccupata, attraversata dal dubbio se insistere o meno. Decise di sorvolare.
“Capisco che le vuoi bene” indicò Rachel con un cenno del viso “ma non andrà da nessuna parte…” rinforzò con gentilezza.
Chloe aprì la bocca per replicare, ma i gemiti di Rachel che si stiracchiava la interruppero:
“Mmmhpfff…”  Rachel inarcò la schiena, una breve e acuta smorfia di dolore indicò una fitta al braccio ferito. Con movimenti più cauti la ragazza si strofinò gli occhi con la mano destra e si massaggiò la faccia, spostando dal viso la tenda di capelli biondi. “Che succede?” sbadigliò.
“Stavo dicendo che tra poco arriverà il dottore e che si arrabbierà se la trova qui. Vi rivedrete in orario di visita.” Disse Martha appoggiandosi al fondo del letto.
Rachel strisciò sulla schiena per sedersi e Chloe la aiutò spostandole il cuscino in modo più comodo. Ogni movimento era una fitta alle costole, anche respirare era un po’ fastidioso.
“E io le stavo dicendo che rimango…” disse Chloe con determinazione.
“Tranquilla Chloe. Vai pure.” Le guance di Rachel erano arrossate e gli occhi un po’ gonfi, sul viso le apparve un sorriso cupo. Un’ombra le attraversò la sua espressione quando la guardò in faccia e protese la mano sana verso la guancia di Chloe, accarezzandola delicatamente con i polpastrelli. Chloe poté vedere dell’umidità accumularsi negli occhi di Rachel…
Merda…. come cazzo sono conciata?!
“Sei sicura?” chiese Chloe con un tono più apprensivo di quanto volesse.
“Tornerai vero?” Gli occhi nocciola di Rachel puntarono quelli blu di Chloe. Il tono voleva essere neutro ma percepì un sottile, disperato desiderio.
“Ovvio!”
“Allora va tutto bene!” la bocca di Rachel sorrise, l’ombra rimase sul resto del viso. Probabilmente il sonno era stato ancora agitato.
Chloe le diede un bacio sulla guancia, particolarmente calda.
Si rimise in piedi. Ouch! Una fitta acuta le attraversò le costole e le provocò un istintivo accesso di tosse, che ad ogni colpo acutizzò il dolore. Si afferrò il fianco e cercò di ricomporsi e di respirare profondamente.
“Merda…” Rachel esclamò preoccupata e Chloe si maledisse per continuare a preoccuparla.
“Posso darti del ghiaccio…” offrì l’infermiera, Chloe rimase per un momento in un silenzio imbarazzato, poi annuì.
“Vado a prenderlo e torno…” continuò Martha, così da lasciare alle due un momento. Quando furono di nuovo sole Rachel parlò:
“Quel pezzo di merda…”
“Non farà più del male a nessuno Rach…” Chloe fece il girò del letto e le loro mani si congiunsero.
Lei annuì: “Si, l’hai accennato. Sono in debito con Frank…”
Chloe lo apprezzò molto. Era da tanto tempo che non si sentiva così importante per qualcuno, da quando suo padre… e Max….
Fanculo!
“Dovrei sentirlo… sapere se sta bene. Era ferito quando l’ho visto.” Disse Chloe.
“Ora l’unica cosa che devi fare è andare a casa e riposarti un po’.”
“Tornerò il prima possibile.”
“Chloe, prenditi cura di te. Io sono in ospedale, starò bene.”
“Ma non voglio…. lasciarti sola…”
“Penso che forse… un po’ di tempo da sola mi servirebbe…” disse Rachel con una certa solennità, poi la sua espressione si addolcì “E poi sai… hanno inventato una cosa chiamata telefono!” posò Rachel con un sorriso beffardo “Sono sicura che ne hai sentito parlare!”
“Pff” soffiò Chloe grattandosi la fronte. Un rantolo gorgogliante echeggiò dallo stomaco di Chloe, che sbarrò gli occhi per la sorpresa. Rachel la fissò e scoppiò in una risatina. Chloe restituì il sorriso. Era solo felice di vederla sorridere.
“Forse ti conviene mangiare qualcosa.”
In quel momento rientrò l’infermiera con un paio di confezioni di ghiaccio istantaneo in mano. Non disse niente, rimase semplicemente sulla soglia. Le ragazze la notarono.
“Ti scrivo presto!” disse Chloe grattandosi il ciuffo blu.
“Ti conviene!” Rachel ammiccò.
Chloe strinse un’ultima volta la mano morbida e calda di Rachel. Lei la strinse, il dolce contatto dilatò il tempo, finché si interruppe. Chloe avrebbe voluto baciarla con tutta sé stessa. Gli occhi di Rachel erano arrossati e aveva le occhiaie. I capelli scompigliati e la fronte sudata… ed era comunque sexy in quel pigiamino celeste! Voleva baciarla ma… non sembrava il momento giusto. Due sere prima si erano baciate in una serata completamente magica, al termine di una giornata surreale…
Un approccio frettoloso prima di andarsene, in presenza di un’estranea… a Chloe semplicemente non funzionava. O forse temeva che non funzionasse per Rachel? Magari quella sera si erano solo lasciate trasportare dall’euforia? Non era comunque il momento di pensarci…
Sul viso di Chloe si stampò un sorriso ebete, che Rachel le restituì in modo molto più… beh PIU’!
A malincuore, Chloe si allontanò e uscì dalla stanza. Fu accompagnata dall’infermiera fino alla reception, dove le porse i pacchetti di ghiaccio.
“Tienilo sul livido per dieci minuti, poi fai una pausa e quando senti la guancia riscaldarsi rimettilo. Fai così per un po’, il gonfiore e il dolore diminuiranno. Fai così anche sul fianco…” disse Martha mentre aggirava il banco della reception dirigendosi alla sua postazione.
“Grazie…” sospirò Chloe.
“E… ehm…” esordì timidamente Martha, cercando di trovare le parole “Non so… cosa sia successo di preciso a te e alla tua amica o… chi sia stato… ma se non l’hai già fatto dovresti denunciarlo.” Le parole le uscirono con un tono materno che Chloe tentò di apprezzare.
“Grazie, ma ha già avuto quello che si merita…” rispose criptica.
Martha esplorò la sua espressione con curiosità, ma poi si rese conto che non avrebbe ottenuto altro.
“Sappi solo che in ospedale c’è un centro di ascolto per quel… genere di casi…” aggiunse.
Chloe annuì, ringraziò di nuovo e si diresse verso l’ascensore. Passando attraverso la sala d’aspetto tirò un sospiro di sollievo nel non vedere gli Amber. Giunta nell’atrio, uscì dall’ospedale e fece rotta verso il suo pick-up. Il cielo era grigio. Le nuvole viaggiavano rapide, accumulandosi sopra Arcadia Bay. Chloe annusò l’umidità nell’aria e osservò le rondini volare basse, in cerca di rifugi. Un corvo gracchiò da qualche parte.
Nel tragitto attraverso il parcheggio prese il cellulare dalla tasca per controllare i messaggi. L’aveva distrattamente sentito vibrare la sera prima, ma l’aveva ignorato. Doveva esserci per Rachel.

[Joyce]
  • Chloe, torni a casa stasera?
  • Chloe rispondi per favore.
  • Stai bene?
  • Chloe sono preoccupata. Ti prego rispondi.
[David]
  •  Chloe, tua madre è preoccupata. Rispondile.
 
Chloe sospirò e affondò il volto nel palmo destro. Ahia! Fottuto livido, continuava a dimenticarselo!
“Che cazzo….”
Si prese qualche momento per riflettere sul da farsi. Prese un respiro profondo, sentendo uno strano odore oltre quello dell’umidità. Ci mise qualche momento a capire che era lei. Alzò un braccio e un afrore pungente le inondò le narici. Le servivano una doccia e un cambio di vestiti. Urgentemente!
Scrisse a sua madre.

[Chloe]
  •  Sto bene.
[Joyce]
  •  Meno male! Dove sei stata?
[Chloe]
  •  Ne parliamo dopo. Passo da casa.
[Joyce]
  •  Sono contenta. Chloe ti prego, rispondimi quando ti scrivo. Basta che mi dici che stai bene.
[Chloe]
  •  Ok
 
Chloe prefigurò l’accoglienza al suo ritorno a casa… Joyce le sarebbe corsa incontro in cerca di rassicurazioni e piena di domande, lo Stronzo Adottivo invece sarebbe rimasto sullo sfondo con le braccia incrociate a fissarla con disapprovazione, o peggio, avrebbe aperto la sua cazzo di fogna per darle qualche consiglio o tentare di fare il patrigno severo. La prima cosa che avrebbero notato entrambi sarebbero stati i lividi… in effetti non aveva ancora visto l’entità del danno!
Vicino alla portiera del guidatore, Chloe si chinò per guardarsi nel lurido specchietto retrovisore. Era piuttosto conciata ma pensava peggio! Lo zigomo sinistro era gonfio e arrossato, come se l’avesse punta un’ape. Anche il labbro inferiore era gonfio, ma non una tragedia, la parte peggiore era il fastidioso taglietto all’interno, che non riusciva a smettere di stuzzicare con la lingua. Le costole doloranti non erano visibili, ma immaginava di avere un livido anche lì. Chloe si rimise faticosamente eretta. Guardò per aria sospirando e chiudendo gli occhi.
Ffffffanculo…
Montò sul pick-up, prese una confezione di ghiaccio istantaneo e la accartocciò. Mentre aspettava i trenta secondi indicati perché si raffreddasse si accese una sigaretta. Merda… mi servirebbe la mia riserva ora… maledetto Justin! Prese una profonda e avida boccata di fumo tenendo la sigaretta con la destra, mentre con la sinistra si appoggiava il ghiaccio sul viso. Tentò di accomodarsi quanto poteva sul sedile irregolare. Il freddo sul viso le diede una sensazione mista di ristoro e fastidio, penetrò rapidamente nella zona gonfia e la pelle iniziò a bruciacchiarle. Poi perse sensibilità e rimase solo la sensazione di fresco. Prese un altro tiro dalla sigaretta, mentre lo sguardo si perdeva nel parcheggio dell’ospedale.
Si rese improvvisamente conto che quello era il primo momento negli ultimi tre giorni in cui era veramente sola e con nulla da fare. Niente Blackwell, niente “missioni” da svolgere. La stanchezza accumulata la raggiunse tutta insieme, come se la breve notte di sonno fosse stata inutile. In effetti... Dopo la sfuriata contro i suoi genitori Rachel aveva pianto per un’ora. Chloe era rimasta con lei, abbracciandola, confortandola, ascoltandola mentre sfogava la sua disperazione. Poi si era spenta, si era messa su un fianco e le aveva chiesto di raggiungerla sul letto. Era già mezzanotte passata, il profumo dello shampoo floreale di Rachel era l’ultima cosa che ricordava prima del risveglio nel cuore della notte. Il fumo della sigaretta stava ripulendo un po’ di colla dalle sue palpebre.
Anche la fame contribuiva a farla sentire abbastanza a disagio da non rischiare di addormentarsi. L’intero menù del Two Whales le scorreva nella mente e con pavloviano riflesso un mare di saliva le riempì la bocca.
Lo sguardo le cadde sul posto del passeggero. C’era ancora la chiazza di sangue rappreso di Rachel sulla bandiera pirata con cui aveva coperto il sedile. Un brivido le corse lungo la schiena.
Chloe ripensò agli eventi del giorno prima e le venne in mente che James Amber, ormai, doveva aver scoperto cos’era accaduto nel suo ufficio. Probabilmente Eliot avrebbe passato dei guai per la sua effrazione. Sperava che non facesse la spia su di lei, ma quante probabilità c’erano? Un po’ le dispiaceva averlo abbandonato, ma vaffanculo! Qualunque cosa lui provasse o ci fosse stato tra loro in passato, si era comportato da maniaco… Non poteva comunque fare a meno di sentirsi triste anche per questo.
Tanto ormai, motivo più motivo meno…
Frank!
Doveva assolutamente chiamare Frank, sapere se stesse bene. Le aveva fottutamente salvato la vita, due volte.
Appoggiò la sigaretta sul cruscotto e prese il cellulare, il vecchissimo modello violetto, pieno di stickers e disegni che aveva fatto con Max…

[Chloe]
  • Hey Frank. Stai bene? Sei vivo?
Inviò.
Attese.
Nessuna risposta.
Attese un minuto. Niente.
Due minuti. Zero.

Chloe riprese la sigaretta e sbuffò un’altra nuvola di fumo, mentre staccava il ghiaccio dal viso per fare una pausa. Frank avrebbe risposto prima o poi… era mattina presto, forse dormiva. Chloe era in ansia. Nel giro di pochi secondi sentì il calore della circolazione riempirle la guancia e contrastare il freddo, riportando sensibilità nella zona. Si sentiva effettivamente un po’ meglio, ma avrebbe dovuto ripetere quell’operazione almeno qualche volta.
Frank risponderà quando potrà farlo… Sera ha detto che si era occupato di Damon, questo vuol dire che è vivo. Giusto? Si, per forza. Frank risponderà. Se no gli riscrivo… o lo andrò a cercare…
Chloe prese un profondo respiro. Prese l’ultimo tiro dalla sigaretta raggiungendo quasi il filtro, la spense strisciandola distrattamente sul cruscotto e la gettò dal finestrino. Riposizionò il ghiaccio sulla guancia e lasciandosi cullare dal freddo, si fece di nuovo trasportare dai suoi pensieri.
Rachel…

Sentiva uno sciame di farfalle nello stomaco, il cuore le batteva più forte pensando a lei. Si erano separate da pochissimo e ne sentiva già la mancanza. Guardò di nuovo la macchia di sangue. La prospettiva di perderla aveva improvvisamente reso chiara l’intensità dei suoi sentimenti per lei… Ricordava di aver provato qualcosa di molto simile quando era morto suo padre e quando Max aveva traslocato. Quel senso di vuoto, la voragine che sentiva nel cuore, nella pancia… dappertutto. Non si era più colmato fino a… non riusciva a trovare un momento esatto degli ultimi sette mesi in cui aveva frequentato Rachel. Il concerto dei Firewalk forse? Da quella sera pazzesca a inizio febbraio aveva iniziato a sentire che qualcosa era cambiato tra loro… almeno da parte sua. Era così innamorarsi? Non lo sapeva perché non le era mai successo, ma di sicuro questo era fottutamente intenso. Era come se lei e Rachel si conoscessero da sempre. Si sentiva letta come un libro quando era con Rachel, si sentiva capita e in qualche maniera sentiva di poterla capire. Soprattutto adesso, che la vita di Rachel era incasinata quanto, se non più della sua!

“Eppure, reciti la parte della dura tutti i giorni!”
gli occhi furbi di Rachel…
il suo sorriso subdolo.
Stronza!

Chloe sorrise teneramente pensando a quella frase che le aveva detto a Culmination Park. Che ora non esisteva più perché Rachel gli aveva dato fuoco… ok era stato un incidente, ma Chloe non avrebbe mai dimenticato.
Si massaggiò la fronte. Iniziò a respirare con un po’ di affanno. Si chiese improvvisamente come faceva ad essere ancora viva. La consapevolezza di aver rischiato la vita diverse volte in quei giorni la riempì di orrore.
La quercia divampava davanti a lei, lingue di fuoco si propagavano.
La lama del coltello da caccia di Damon luccicava davanti agli occhi alla discarica, si conficcava nel braccio di Rachel e ne usciva con uno strappo e uno schizzo di sangue.
Quello stesso coltello sventolato contro la sua faccia.
La stretta d’acciaio di quello stronzo psicopatico la immobilizzava, mentre le puntava una siringa carica di eroina alla gola…
Se non fosse stato per Sera… Chloe fece un lungo e profondo respiro, cercando di calmarsi.
È finita, è passata… ora sei qui al sicuro… sei nel pick-up con del ghiaccio in faccia. Sei viva. Damon è morto. Rachel è viva… va tutto bene!
Ma non sarebbe andato tutto bene. Cosa avrebbe fatto James Amber ora? Raccontando la verità a Rachel aveva distrutto la sua famiglia perfetta. Come minimo l’avrebbe odiata, ed era il Procuratore Distrettuale. Come spesso si era trovata a fare negli ultimi due anni, Chloe decise di accendersi una nuova sigaretta e aspettare che la situazione peggiorasse. Ormai era abituata alle escalation negative. L’unica cosa positiva era Rachel… l’unica cui sapeva di potersi aggrappare. Anche se lei non sembrava darle colpe, Chloe non poteva fare a meno di chiedersi se avesse fatto bene a rivelarle la verità. Rachel sembrava così triste, così ferita e distrutta. Certo, non poteva essere altrimenti, date le circostanze.
Eppure…
 
-
 
Dopo una quarantina di minuti, Chloe prese l’ultima curva e imboccò il viale che l’avrebbe condotta a casa. Aveva guidato cercando di essere più prudente possibile, tra il male alle costole e il sonno non se la sentiva di avere fretta! In più, poco dopo la partenza dall’ospedale, aveva iniziato a piovere. Non c’era vento, la pioggia cadeva dritta e lieve. Nessun tuono, il cielo era vagamente scuro, quanto bastava a creare un’atmosfera malinconica. Non poté evitare di passare davanti alla casa che un tempo era stata della famiglia Caulfield. Non aveva idea di chi ci abitasse ora, di solito cercava di ignorarla ma stavolta non ci riuscì.
Aveva tanti ricordi di quella casa. Non quanti Max ne avesse della sua. Avevano sempre preferito stare da lei, ma almeno due volte a settimana Chloe dormiva dai Caulfield. Era sempre tutto così pulito e ordinato, non potevano fare casino come a casa sua! Ricordava le corse in skateboard lungo il viale, con Max che la seguiva sperimentando le sue prime fotografie. Chloe ricordava come fosse ieri il viso lentigginoso di Max, i capelli scuri raccolti in una coda, le mani che stringevano come un tesoro la macchina fotografica di papà Caulfield. Le aveva fatto un vero reportage mentre andava in skateboard l’ultima estate passata insieme.

Chloe stava sfrecciando sulla strada. Non arrivavano macchine, il suo viso era concentrato. Si diede due vigorose spinte sullo skateboard poi stette in equilibrio. Spostò il peso sul piede avanzato, il sinistro, sollevò il destro facendo inclinare lo skate in avanti e spinse sulle ruote. Compì un balzo e tornò in perfetto equilibrio. Chinese Nollie... una robetta base. Giusto per scaldarsi.
CLICK!
"Chloe! Mi serve qualcosa di un po' più spettacolare! Ok che sei figa sullo skate, ma almeno impegnati un po'..."
Chloe frenò, impennò lo skateboard e si voltò di 360° per fronteggiare Max. Aveva un sorriso sornione.
"Perché non provi tu?" le chiese "Lasci a me tutta la fatica. È ora di fare il grande passo Maxie!"
"Col cazzo! Non ci tengo a rompermi il polso..."
"Quella è stata sfiga!" si difese Chloe.
"Si, e quando ti sei brasata il ginocchio a scuola?"
"C'era…. una cazzo di finestra che ha fatto un riflesso strano..."
"Oh si... un riflesso strano." Schernì giocosa Max.
"Metti in dubbio la mia abilità?" Chloe tenne un piede sullo skate, incrociò le braccia e inclinò la testa con aria di sfida.
"N-No... è solo..." Max abbassò lo sguardo, cercando di mediare.
"Non aver paura di farti male Max, ti insegno io!"
Una macchina arrivò in velocità dal fondo del viale, le due amiche si spostarono...

Chloe prese troppo stretta la curva del garage di casa Price (ormai Madsen…) e non si accorse che l’auto di David era parcheggiata lì davanti. Frenò bruscamente, le gomme gridarono, fu sbalzata leggermente in avanti e picchiò una tetta contro il volante, prima di schiantarsi indietro contro il sedile. Le costole urlarono ed emise un gridolino strozzato. Auch!!
Ovviamente non indossava la cintura di sicurezza. Non aveva nemmeno controllato se quel pezzo di ferraglia le avesse! Si… le aveva!
“Merda! Merda! Merda!” un colpo sul volante per ogni “merda”.
Prese un profondo respiro, cercando di calmarsi. Inserì la retro e fece manovra per parcheggiare davanti a casa.
Fanculo Max… te ne sei andata… non ti sei più guardata indietro. Wowser, giusto? Davvero non contavo un cazzo per te?
David uscì imbufalito dalla porta di casa, interrompendo le sue cupe rimembranze. Si avvicinò come un toro, riparandosi con un ombrello.
“Hey! Stai attento! Che cosa credi di…” sbraitò David finché non si accorse che al volante c’era Chloe. Squadrò prima lei, poi il pick-up e la bocca si inarcò in una smorfia di dubbioso disgusto.
“Bentornata a casa!” disse sarcastico. “Quindi era questo il progetto cui stavi lavorando ieri?”
Chloe scese dalla macchina e sbatté la porta.
“Esatto.” Disse neutra mentre il freddo della pioggia le stuzzicava il collo.
“Chloe… ancora?” lo sguardo inquisitore dell’ex soldato era puntato sul suo viso. Intuì immediatamente cosa stesse fissando. L’aveva previsto dopo tutto. Sbuffò senza rispondere. David sospirò rassegnato e riprese:
“Hai fatto preoccupare tua madre. Dovresti rispondere quando ti scriviamo! Chiedile scusa appena entri, è un…” sospirò “…consiglio.”
Stavi per dire ‘ordine’ vero stronzo?
“A-ha…” Chloe lo superò.
“Io mi sto…. sforzando Chloe… più di quanto immagini… dovresti almeno provare a ricambiare il favore…”
Chloe proseguì verso la porta di casa: “Certo, David…” con tono piatto.
Sentì un grugnito alle sue spalle e dei borbottii, mentre David tornava in casa ad ampie falcate, superandola. Chloe entrò subito dopo di lui e fu immediatamente assalita da Joyce che la avvolse tra le braccia. Una smorfia di dolore le solcò il viso mentre sua madre le schiacciava le costole doloranti, ma si trattenne. Si sottrasse alla sua stretta.
“Sei tornata! Oh mio Dio, Chloe che ti è successo?” Joyce aveva iniziato con un tono diplomatico ma alla vista dei lividi sul viso della figlia non trattenne l’angoscia.
Chloe era esausta, la testa le faceva male per la fame e il sonno. Non ce la faceva a resistere, ma si sforzò.
“Rachel… è stata aggredita ed è finita in ospedale…”
“Aggredita?!”
Anche David, sentendo quelle parole, si affacciò dal soggiorno in cui si era già rifugiato.
“Un balordo ci ha aggredite con un coltello e lei è stata ferita, ma l’ho portata in ospedale. Sono rimasta a farle compagnia tutta la notte.”
“Oh mio Dio! Sta bene? E tu stai bene?! Il tuo occhio… e il labbro…”
“Si… ehm… ho preso un ceffone…” Chloe non aveva la forza di elaborare una versione ufficiale, ma sua madre meritava di sapere più o meno cos’era successo. Avrebbe comunque omesso i dettagli.
“Avete chiamato la polizia?”
“Mamma, Rachel è la figlia del Procuratore Distrettuale. È già sul caso. Adesso voglio solo farmi una doccia, cambiarmi e riposare un po’.”
“Come… l’hai portata in ospedale?” indagò Joyce sospettosa.
“Ho… un mio mezzo ora.”
“Un tuo mezzo?”
“Mamma… ti prego…”
“Ok, ok… vai a riposarti. Mangi qualcosa?”
“Si… grazie… sto morendo di fame!” Chloe era già diretta al piano di sopra.
“Uova e Bacon?” chiese Joyce, ricevendo un “Si, si!” distratto come risposta.
Chloe sentì David e Joyce parlare tra loro ma non ebbe voglia di origliare.
 
**********************
 
[Chloe]
  • A casa.
  • Come ti senti?
[Rachel]
  • Un po' meglio.
  • Grazie a te!
[Chloe]
  • Lo so, sono incredibile!
[Rachel]
  • Lo sei!
 
Rachel chiuse il cellulare. Aveva decine di messaggi che non aveva ancora letto. I ragazzi del Drama Club, il Preside Wells, altri studenti della Blackwell... persone che non voleva affrontare in quel momento. Solo Chloe Price aveva il lasciapassare. Rachel si sentiva davvero stanca. Dopo la visita di controllo, in cui le avevano misurato la febbre scoprendola un po' alterata, era arrivata una colazione a base di uova strapazzate insipide, una specie di prosciutto, spremuta d'arancia e una mela. Sembrava una pubblicità progresso. Aveva mangiato controvoglia, quanto bastava da riempire un po' lo stomaco per prendere l'antidolorifico. Doveva essere roba potente visto che il dolore al braccio era scomparso. Ora sentiva solo il battito del cuore pulsarle nel punto della ferita.
La pioggia picchiettava aritmicamente contro il vetro della finestra.
Pioveva come nel suo sogno...
Non ricordava i dettagli, ma era sul monte Hood, c'erano suo padre e Damon Merrick. Soprattutto aveva provato terrore. Terrore, sgomento e impotenza... Per fortuna si era svegliata con Chloe accanto.
Era tutto dannatamente surreale. È incredibile come la vita possa cambiare così improvvisamente. Rachel si sentiva come sospesa, come se la pioggia, l'ospedale, le rivelazioni di Chloe non fossero completamente reali. Una parte di lei aspettava ancora di svegliarsi dal cazzo di incubo che era diventata la sua realtà. Il resto di lei si sentiva... vuota.
Come un vaso, una di quelle finte ceramiche cinesi che ti metti in casa per fare ambiente. Ben fatti, esteticamente gradevoli, quel tocco di design che ci vuole, ma inutili, vuoti e fragili. La vita di Rachel, come un vaso, era stata urtata, era precipitata e si era... no, non si era frantumata. In quel caso avrebbe potuto raccogliere i pezzi, ripararsi. Come quella tecnica giapponese, il Kintsugi! Prendi un vaso rotto e lo ripari con una pasta dorata, così le crepe diventano decorazioni ed esso risorge più bello e forte di prima. Non era il suo caso.
Sbriciolata.
Sbriciolata era la parola giusta.
Con le briciole cosa puoi fare?
Solo raccoglierle e buttarle...
... nella spazzatura.
Ripensò alla discarica, a Damon Merrick. Un brivido di paura la attraversò dallo stomaco alla cima della testa.
Cazzo... qualcuno doveva aver davvero fatto un gran casino col copione della sua vita.
Oh scusa! Abbiamo sbagliato!
Ti avevamo dato una famiglia stabile, un papà amorevole, una vita agiata e un luminoso futuro ben tracciato, ma non era la tua parte!
Ecco quella giusta.
Madre tossica, padre nevrotico che mente alla figlia per 15 anni e poi assume criminali psicopatici.
Ecco! Così va meglio eh?
Ora corri sul palco!
Tanta merda!
Rachel si accorse che le lacrime rigavano di nuovo le sue guance. Non si era nemmeno accorta di piangere. Si passò la mano destra sul viso per asciugarsi e si massaggiò gli occhi.
 
TOC TOC!
 
Rachel sobbalzò.
La porta si aprì e lo stomaco le si contrasse istantaneamente.
Era suo padre.
James Amber entrò in silenzio e rimase a distanza dal letto della figlia. Era evidente dal volto da cane bastonato e dal linguaggio del corpo che avrebbe voluto avvicinarsi, ma si tratteneva. Rachel lo squadrò. Sentì la mascella irrigidirsi, gli occhi stringersi e la rabbia ribollire nello stomaco, accendendo una fiamma sotto il cuore. Dovette mettere un tappo per evitare che traboccasse di nuovo, come la sera prima...
Rachel si sentì... meglio! La rabbia era... viva, potente... gratificante.
Ma non c'era solo quello. Guardava i suoi occhi grigi e tristi, il volto cui per tutta la vita aveva associato solo fiducia, amore e devozione. Avrebbe voluto poterlo fare di nuovo, una parte di lei ancora lo faceva. La bambina che era stata.
Ma non era più quella bambina e tutti quei ricordi erano bruciati, inceneriti...
Rachel imbottigliò quei sentimenti. Fece male. Il fuoco nel suo petto aumentò, ma lo tenne sotto controllo.
Il labbro inferiore iniziò a tremarle.
Non disse nulla, si limitò a voltarsi verso la finestra, come se la vista dell'acqua che scorreva in rivoli sul vetro potesse spegnerla un po'...
 
“Rachel…” disse timidamente James.
Silenzio.
“…volevo solo…. vedere come stavi.”
Zitto...
Le dita di Rachel iniziarono a tamburellare sulla sua pancia.
“Volevo anche parlare di ciò che è accaduto ieri.”
Zitto... Stai zitto cazzo...
Silenzio. La mano destra di Rachel scivolò sul letto. Tentò di mettersi un po’ più a suo agio. Il materasso stava iniziando a risultare incredibilmente scomodo.
“Penso che dovrei spiegare…”
Vaffanculo!! “Che cazzo dovresti spiegare?!” sibilò Rachel. La sua voce suonò come il fischio della teiera quando l'acqua bolle.
“Io… non ho sentito tutto quello che ti ha detto Chloe, ma sono sicuro che ha frainteso la situazione.”
“Quindi non hai assoldato Damon Merrik per uccidere mia madre? Non hai nascosto le lettere che mi ha scritto? Non hai omesso che è da un anno che non accetta più i tuoi assegni e che si è ripulita dall’eroina per incontrarmi?”
James rimase in silenzio, distolse lo sguardo.
“Immaginavo!” Concluse Rachel. Stava lottando per contenersi, non sapeva neanche perché. Forse la bambina dentro di lei implorava di dare un’altra chance al suo papà.
Ma l'aveva già fatto per Dio! L'aveva già fatto! Così tante volte negli ultimi due anni…
Anche due giorni prima, quando le aveva rivelato di Sera. L'aveva ascoltato, l’aveva capito, si era di nuovo fidata di lui...
Ora basta cazzo!
 
“Rachel… non avevo intenzione di far uccidere Sera… -" iniziò James
"- Ah no? Sembrava che Damon Merrick avesse - " si sovrappose Rachel
“- volevo soltanto proteggerti.”
"- proprio quello in mente. Come cazzo hai potuto! -"
"- Hai fraintesto la situazione...-"
"- Come!! Che cosa pensavi?! Che razza di persona... -"
"- Se tu mi permettessi di spiegare... "
" - ...fa questo?! Spiegare?! GESU' CRISTO PERCHE' NON STAI ZITTO?! Come puoi spiegare... che cazzo ti fa pensare che ti crederò mai più?!"
 
Piombò il silenzio. Rachel respirava convulsamente, il braccio pizzicava nonostante l'antidolorifico. James tirò un profondo sospiro, cercando di radunare i pensieri.
 
“Non ho mai voluto farti del male..."
"Un po' tardi non credi?!"
“Io ti ho sempre amata con tutto me stesso Rachel. Più della mia vita.”
Rachel era già esasperata da quell'interazione.
"Senti... che cazzo vuoi?! Quando ieri ti ho detto di sparire non è stato chiaro?! SPA-RI-SCI! Vattene dalla mia fottuta vita! Traditore, pezzo di merda!"
"Rachel!" Il tono di James era confuso, uno strano tentativo di fermezza tremolante... Non scalfì l'onda Rachel.
“Ammettilo stronzo! Tu volevi solo proteggere la tua carriera. Avevi paura che si scoprisse che eri sposato con una tossica! Volevi togliere di mezzo gli ostacoli politici, non te ne è mai fregato un cazzo di me… Vaffanculo! Mi hai rovinato la vita!" Gli occhi traboccarono lacrime, la voce si ruppe "...la vita... mi hai… TI ODIO!!" precipitò in una rabbiosa disperazione. Le vene in rilievo sul collo di Rachel pompavano litri di sangue al cervello, il volto era paonazzo, il respiro corto e frenetico, i muscoli del corpo tesi, il busto proteso in avanti. Sembrava pronta a sbranarlo, agitava la mano destra come se avesse gli artigli.
"Perchè... perchè... -"
"Rachel io..."
"- ...non te ne vai?" piagnucolò Rachel.
James tacque.
"Vattene via..." continuò Rachel.
 
Gli occhi di James Amber erano lucidi, cominciò a passeggiare avanti e indietro, mantenendosi a distanza dal letto. Iniziò a massaggiarsi le tempie con le dita, si strofinò gli occhi e fece un respiro profondo, fermandosi nei pressi della finestra. Guardò fuori, ma non sembrava vedesse davvero il panorama.
Rachel era frustrata.
Perché non se ne andava cazzo?! Perché la torturava così!!
Cazzo vattene! VATTENE! VATTENEEEEE!!!
Rachel grugnì! Sbatté il pugno destro sul letto con tutta la forza che aveva.
Dolore alla ferita...
Portò le dita alla bocca e iniziò a mordicchiarsi le nocche. La sua mente era nel caos.
 
"Qualunque cosa pensi..." esordì James con tono più fermo "...sono ancora tuo padre e il Procuratore Distrettuale!"
Quella affermazione di ruolo provocò un moto di inquietudine in Rachel. Rimase zitta, mangiucchiandosi le dita.
James si voltò e tornò verso il centro della stanza con le mani nelle tasche del completo grigio.
"Qualcuno si è introdotto nel mio ufficio ieri, mentre ero qui..."
Tu-Tum

"...ha manomesso delle prove e rubato del denaro."

Tu-Tum-Tu-Tum

“È stato arrestato un ragazzo della Blackwell trovato sul posto dalla polizia, ma entrambi sappiamo chi è stato davvero…”

TUTUMTUTUMTUTUTMTUTUMTUTUMTUTUMTUTUMTUTUTM...

Un moto di paura si unì alla rabbia che Rachel provava. Il volto di James Amber era ancora scosso, ma si era indurito. Rachel conosceva quell'espressione. L’aveva vista mille volte nella sua vita, dopo un secondo posto, un voto inferiore alle aspettative, un comportamento fuori dalla norma. Non ci aveva mai fatto caso, aveva sempre preso quell’espressione come uno stimolo per fare meglio, per migliorare e rendere papà fiero di lei. Perché se lui non fosse stato fiero, lei chi era? Chi sarebbe stata se avesse deluso il suo papà?
Quel volto, inquisitorio e deluso... Quale premio le avrebbe fatto riavere lo sguardo d’amore ed orgoglio che desiderava con tutta sé stessa? Improvvisamente, Rachel unì i puntini.
 
“Quindi non sei nemmeno qui per me…” sputò amaramente Rachel. Se voleva giocare al “manipolatore emotivo”… beh… lei aveva imparato dal migliore!
James sgranò gli occhi. Accusò il colpo per un istante.
Non funzionerà stavolta...
“So che è stata Chloe… le hai detto tu come entrare nel mio ufficio. È così che ha scoperto le cose che ti ha detto vero?”
“Non mettere in mezzo Chloe!" sibilò Rachel.
"Ha commesso un'effrazione e inquinato delle prove..."
"Lei è l’unica che mi abbia detto la verità. La conosco da meno di un anno ed è stata più leale di te in tutta la vita!"
"Rachel..." la voce di James tremolò contro la sua volontà.
"Sei un bugiardo. Pensi che minacciare Chloe risolverà qualcosa tra noi? Rispondi! Da che cazzo volevi proteggermi? Guarda cos’hanno provocato le tue stronzate! Bastava farmi incontrare mia madre quando te l’ho chiesto… se non l’avessi tenuta lontana tutto questo non sarebbe mai successo…"
James aprì la bocca per parlare... ma tacque.
Rachel gli puntò contro uno sguardo infuocato su un volto d'acciaio.
"Per me sei morto..."
James rimase paralizzato per qualche momento, come un cervo che vede arrivare un camion. Gli occhi spalancati, la mente confusa, incapace di gestire o reagire alla morte imminente. Il camion l'ha colpito...
"Io.." tentò di dire "...ho sbagliato tante cose. Forse non posso rimediare, ma quando ti sarai calmata spero che vorrai sentire anche la mia versione dei fatti. Ora, devo andare al lavoro…”
“Non tornare." Rachel tornò a guardare la finestra, sospirando profondamente. Si sentiva svuotata...
James Amber emise un sospiro tremante e si diresse verso la porta. Prima di aprirla si fermò.
“Tua madre è qui fuori…” disse.
Rachel si voltò di scatto. Gli lanciò uno sguardo confuso e interrogativo.
“Mia madre?”
“Rose… l’unica madre che hai.”
Rachel provò una fitta di delusione.
“Vuole vederti” continuò James “ma non entrerà se non vuoi…”
Rachel rimase in silenzio qualche momento… poi annuì.
James uscì. Dopo alcuni momenti Rose Amber entrò, timidamente, affacciandosi sulla soglia e facendo brevi passi all’interno della stanza. Aveva una borsa elegante, color mogano, che appoggiò su una sedia a distanza di sicurezza dal letto.
“Ciao Rachel… come ti senti?” Lo sguardo basso, le mani in grembo. Sembrava una bambina in castigo.
“Come se mi avessero pugnalata… alle spalle!”
Rose si rabbuiò più di prima e spostò nervosamente il peso da una gamba all’altra. Rachel si sentì in colpa…
No! Perché dovrei?! È una stronza anche lei… ha tenuto insieme il castello di menzogne… è una complice. Giusto?
“Lo sapevi?” chiese.
Rose alzò lo sguardo: “Cosa?”
“Sapevi dei suoi piani?” gli occhi di Rachel erano sottili, la mandibola tesa.
“No… te lo giuro! Avevo intuito che Sera non prendesse più i soldi perché non venivano più scalati dal conto, ma non sapevo niente… non ho chiesto…”
“Mh…” la voce uscì come uno sbuffo lamentoso.
“Rachel…”
“Come puoi sopportarlo… ha mentito a tutti. Anche a te!” incalzò la ragazza ferita.
“Già, e anch’io… gli ho retto il gioco per 15 anni. Non ne vado fiera, ma mi sono fidata del giudizio di tuo padre… non dubito neanche per un momento che qualsiasi cosa abbia fatto sia stata a fin di bene. Non nego nemmeno che abbia davvero oltrepassato il limite, se quello che ho sentito ieri è vero…”
“SE è vero? Pensi che Chloe mi mentirebbe?” Rachel tirò fuori le unghie.
“Non conosco bene Chloe… sono sicura che ti voglia molto bene, ma anche lei può fraintendere.”
“Non c’è niente da fraintendere questa volta…. E comunque potete stare tranquilli…. Sera ha cambiato idea… non mi vuole più vedere… lei non mi…” gli occhi di Rachel pizzicarono, sbatté le palpebre un paio di volte, dell’umidità iniziò ad accumularsi “…è riuscito a spaventarla abbastanza! Merda….” Trattenne a stento un singhiozzo e affondò il viso nella mano destra.
Rose fece un passo verso di lei, ma si bloccò.
“Tuo padre non…” fu interrotta dalla mano di Rachel che si sollevò. La ragazza singhiozzò un paio di volte, ricomponendosi a fatica.
“Non ho voglia di parlarne…” disse perentoria e tagliente come il coltello che l’aveva ferita.
Rose annuì e rimase in silenzio. Avrebbe voluto in qualche modo consolarla, farle sentire la sua vicinanza. Ma chi era per lei ora? Era ancora sua madre? Lei si sentiva pienamente sua madre, ma Rachel poteva ancora vederla così? Sembrava non bastarle il fatto che lei l’avesse cresciuta, amata, condiviso con lei il suo amore per la letteratura e il teatro, le fosse stata accanto in tutti i momenti cruciali della sua vita… Rose si sentiva impotente.
Rachel non poté impedire ad alcune lacrime di solcarle le guance. Lottava con tutte le sue forze per non mostrare la sua sofferenza ad una persona da cui si sentiva tradita. Meno che da suo padre, ma comunque... Guardava ovunque tranne il volto di Rose. Il suo lavoro di contenimento non stava funzionando granché.
“Rachel… io… lo so che non ti ho messa al mondo. Ma… ti ho cresciuta, ti amo con tutta me stessa e tu sei la figlia migliore che potessi sperare di avere. L’unica che avrei mai potuto…”
Rachel la guardò incuriosita. Rose giocherellava nervosamente con le dita, lo sguardo vagava verso il basso, a destra e sinistra.
“Io non posso avere figli, ma grazie a James ho potuto avere te. Ho potuto crescerti e darti tutto l’amore che avevo, ho cercato di darti il meglio di me, il meglio della vita. Ho cercato… lo so che quello che hai scoperto negli ultimi giorni ti ha... ma ti prego, non dimenticare. Hai una madre che ti ha messo al mondo là fuori e una madre che ti ha cresciuto che è qui… sono sempre stata qui… e ci sarò sempre… non dimenticare Rachel…. Ti prego…”
Le parole di Rose affondarono.
Rachel sentì di nuovo quella particella che bussava da dentro il suo petto, sbatteva i piedi, piagnucolava per uscire. Voleva la mamma. Qualunque, purché fosse la mamma! Rachel serrò i denti, masticò un boccone invisibile… deglutì amaramente. Non disse nulla.
“E hai anche un padre… non è come credevi, non è come io pensavo che fosse… ma il suo cuore è buono, non voleva farti del male. Non l’ha mai voluto… ha sempre voluto proteggerti. Non ti chiedo di perdonarlo… ma ti chiedo solo… non dimenticare…”
Una lacrima solcò la guancia sinistra di Rachel, che l’asciugò prontamente con la mano. Ormai le facevano male gli occhi. Era esausta. Guardando Rose non riusciva a odiarla… ma era delusa. Molto delusa. Quella era sua madre… o lo era stata. L’aveva considerata la sua mamma per tutta la vita e anche in quel cazzo di momento guardava lei e non vedeva altro che la donna che l’aveva sempre amata e sostenuta. Ma vedeva anche una debole, insicura, repressa bugiarda, complice nel costrutto di stronzate che era stata la sua vita fino a quel momento.
No… non ce la faceva a perdonare. Non poteva…
La piccola Rachel scalpitava, frignava, strillava… ma se le avesse dato ascolto un’altra Rachel sarebbe stata ugualmente frustrata… da quella situazione non si usciva. Se doveva soffrire comunque, Rachel preferiva non concedere soddisfazione ai colpevoli.
“Hai finito?” sibilò.
Rose spalancò gli occhi, si portò istintivamente la mano destra verso il petto con gesto titubante.
“Io…” la donna sospirò amaramente, mentre gli occhi si inumidivano e la bocca si imbronciava.
“Vorrei rimanere sola adesso…” concluse Rachel appoggiandosi al cuscino.
Rose si asciugò le lacrime che stavano per cadere.
“Va bene. Ti ho portato una cosa…” Rose armeggiò nella sua borsa e ne trasse un libro. Si avvicinò a Rachel e lo porse. Lei lo afferrò svogliatamente.
‘Le Metamorfosi, Libro I – II’
Alzò gli occhi con sguardo interrogativo.
“Ho pensato che ti saresti annoiata a morte qui tutta sola… Ovidio ti è sempre piaciuto tanto. Ho sperato potesse farti piacere avere qualcosa da leggere…”
Senza che se ne accorgesse, qualcosa si ammorbidì nel cuore di Rachel. Si, aveva sempre amato tutto ciò che aveva a che fare col mondo classico. Quando alle lezioni di Latino aveva dovuto tradurre brani delle Metamorfosi era partita avvantaggiata, perché sua mad… Rose gliele aveva lette fin da bambina! C’è chi ai propri figli racconta Cappuccetto Rosso e chi Apollo e Dafne! Aveva un rapporto speciale con quei libri, erano stati una tappa fondamentale sulla strada che l’aveva condotta al teatro. Apprezzò davvero il gesto e provò uno strano stupore davanti alla prova che la donna, dopo tutto, la conosceva bene. Un debole sorriso apparve sul suo volto.
“Grazie…”
L’espressione di Rose sembrò distendersi insieme a quella di Rachel, che alzò lo sguardo. Sera non la voleva…. Sera aveva rinunciato a lei per la seconda fottutissima volta. Rose invece era ancora lì, nonostante tutto. Anche se era parte del problema, meritava una tregua. O forse la meritava Rachel? Si, perché per quanto si fosse ripetuta più volte che le era rimasta soltanto Chloe, che lei era l’unica di cui poteva fidarsi, l’unica di cui aveva bisogno… non era del tutto vero. Con la sua famiglia in pezzi, Rachel si trovò a scoprire che non poteva semplicemente gettare via tutto, come parte di lei avrebbe voluto. Forse la bambina era riuscita ad evadere dal suo petto e aveva cominciato a giocare con le leve del suo cervello? Forse... ma Rachel non poteva negare ciò che sentiva… il conflitto… il bisogno di tenersi aperto almeno uno spiraglio con quella donna che la fissava implorante.
Non voleva perdonarla. Non ne aveva nessuna cazzo di intenzione.
Ma…
“Come sta il braccio?” chiese Rose per spezzare quel fastidioso silenzio.
Rachel si rese conto in quel momento che il dolore stava tornando: “Male… ma passerà…”
Rose mascherò la preoccupazione con un sorriso confortante.
“Grazie del libro. Ho bisogno di riposare adesso…”
Rose annuì.
“Certo. Purtroppo, anch’io ho delle faccende da sbrigare, ma tornerò… se ti fa piacere.”
“Va bene.” Rachel indossò il sorriso più caldo che le riuscì in quel momento.
Quando Rose se ne fu andata, si lasciò sprofondare nel materasso. Immaginò di essere sdraiata nelle sabbie mobili e di essere risucchiata in un dolce, confortevole oblio. Si sentiva spossata, ma finalmente era finita. Si massaggiò la fronte come se potesse impastare i suoi stessi pensieri. Il cuore le batteva forte e un turbine di conflittualità le impediva di calmarsi del tutto. Sbuffò…
Le mancava Chloe…
Le mancava suo padre…
Le mancava sua madre… quella che l’aveva cresciuta…
Le mancava sua madre… quella che non la voleva…
Le mancava… tutto.
Là fuori pioveva ancora, l’ospedale continuava ad essere avvolto in una bolla di distante brusio.
Posizionò le Metamorfosi in grembo, nel modo più comodo possibile, e lo aprì.
 
**************************
 
Chloe era pronta per la doccia. Non era stato molto semplice uscire dai vestiti, almeno da quelli della parte superiore. Ogni volta che tentava di alzare il braccio sinistro le costole protestavano. Dopo una laboriosa svestizione riuscì finalmente a infilarsi sotto l'acqua calda e questo la rigenerò quanto bastava. Avvolta nel suo asciugamano pirata tornò in stanza, rendendosi conto che sua madre ancora non le aveva lavato la biancheria. Una sorta di strategia responsabilizzante suggerita da David? Comunque, non era il momento di pensare al prossimo outfit. Infilò una delle ultime mutande pulite che aveva, dei pantaloni della tuta blu scuro con le "DW" del Doctor Who sulla gamba sinistra, calzini neri con teschi e una canottiera bianca sulla quale aveva disegnato eoni prima il simbolo degli Illuminati con l'indelebile. Sorvolò sul reggiseno. Doveva solo fare un po' di colazione e poi il letto l'attendeva. Joyce era già uscita per il suo turno al Two Whales e David non c'era, probabilmente l'aveva accompagnata. Cazzo si! Casa libera! Nessuno che fa domande, che lancia sguardi preoccupati o vuole impartire lezioni. Nessuno che ti squadra scontento perché stai deludendo le aspettative. Solo un piatto di uova e bacon fumanti che aspettano sul tavolo e... un biglietto?
 
La colazione!
Mangia e riposa.
Ti amo.
            Mamma!
 
Chloe lo tenne fra le mani, osservandolo come se fosse un oggetto alieno. Aveva letto, solo sembrava un po' strana quella gentilezza, date le circostanze. Si sentì una stronza. Una parte di lei si rendeva conto che per Joyce vedere sua figlia tornare a casa con dei lividi in faccia era molto preoccupante. E non era la prima volta… Forse la chiacchierata del giorno prima con le patetiche scuse di David e la promessa che sia lui che Joyc... mamma si sarebbero fidati di lei era servita? Chloe ricordò in quel momento la foto che le aveva dato David, quella con il suo amico. L'aveva lasciata... nei jeans forse? Si grattò la testa.
Il ruggito del suo stomaco le ricordò che doveva assolutamente mangiare. Uova e bacon svanirono dal piatto in meno di cinque minuti, ma Chloe era ben lontana dalla sazietà. Si diresse in cucina e agguantò la confezione di Sugar Bomb, divorandone tre in rapida successione. Esplorò il frigo osservando cosa poteva offrirle. Mise gli occhi su tre bottiglie di birra. Sogghignò. Ne afferrò una, la posizionò sul bordo del bancone della cucina e con un colpo secco della mano fece saltare il tappo. La birra fredda scese gioiosamente nel suo esofago, mescolandosi senza coerenza con la colazione Two Whales Style. Mentre sorseggiava iniziò ad aggirarsi per casa, respirando la piacevole solitudine. Uscì nel giardino e si trovò a camminare sull'erba. Aveva smesso di piovere e Chloe si accorse troppo tardi che l'erba era bagnata, non prima di fare due passi su di essa e avvertire una strana umidità sotto la pianta dei piedi. Cazzo! Si levò i calzini e li gettò nei pressi della porta a vetri. Camminò scalza, gustando la sensazione dei fili d'erba che si infilavano tra le dita, il godurioso contrasto fra il freddo del terreno e il suo calore corporeo. Si trovò davanti all'altalena senza nemmeno pensarci. Quella fottuta altalena... ricordava l'ultimo giorno che l'aveva usata. Con Max, vestite da pirati due anni prima, mentre dissotterravano la capsula del tempo che avevano sepolto da bambine. Lo stesso giorno in cui suo padre era morto.
Chloe sbuffò e prese un lungo sorso di birra. Quei ricordi con il loro carico di emozioni si insinuavano nella sua mente con frequenza esasperante. Quando era sola perlomeno. Ecco a cosa serviva la birra! Aveva notato, però, che stare con Rachel dissipava ogni nube dal suo animo. Era come il sole, i pensieri brutti evaporavano, Max e suo padre svanivano dal radar della malinconia. Avrebbe voluto tornare da lei al più presto, ma le aveva chiesto espressamente un po’ di spazio. Ormai aveva capito come prenderla.
Inoltre, Chloe si sentiva davvero esausta. I nervi l'avevano sostenuta fino a quel momento, ma ora, pulita, con lo stomaco pieno e una birra in mano, cominciava a sentire un certo torpore. L'alcol le ronzava piacevolmente in testa, dandole quel senso di leggerezza che cercava. Le gambe la reggevano con sempre meno voglia. Ultimo sorso di birra, lanciò distrattamente la bottiglia vuota nel prato e tornò in casa.
Volle essere gentile, così mise piatto e posate nel lavandino, acchiappò un'altra sequenza di Sugar Bombs e fece rotta per la sua stanza. Quando ci arrivò si accorse di aver dimenticato i calzini in giardino. Scrollò le spalle e si gettò a letto. Cautamente, perché le costole facevano ancora male.
Dopo numerosi e fastidiosi tentativi, trovò una posizione in cui non provasse dolore e l'oblio ebbe la meglio.
Con suo gran sollievo, non sognò nulla.
Stavolta.
 
Nel dormiveglia avvertì il suono di un motore, ma fu presto riassorbita dal sonno.
Si svegliò nella stessa posizione in cui si era addormentata, la bocca impastata, un filo di bava che le colava sgraziatamente sulle lenzuola.
Sbadigliò, si massaggiò la faccia e gli occhi, si grattò furiosamente il cuoio capelluto.
Tentò di alzarsi ma le costole le urlarono contro.
Cazzo, doveva assolutamente fare qualcosa a riguardo! Nel camioncino aveva ancora l'altra confezione di ghiaccio istantaneo, ma nel freezer probabilmente c'erano delle bistecche o qualche surgelato che potevano fare lo stesso effetto. Con la grazia di un tricheco raggiunse il cellulare, liberandolo dalle coperte. Erano le 11.11. Aveva dormito più o meno tre ore e mezza di fila. Un sano sonno Rem senza sogni. Un messaggio da Frank
  • Sono vivo.
  • Sto una merda.
Wow Frank! Felice che sei vivo, ma cazzo… non farti male alle dita.

[Chloe]
  • Cazzo Frank…
  • sono contenta che sei vivo.
  • E non so come ringraziarti per ieri.
 
Chloe attese, invano, una risposta. Sbuffò scocciata mentre si alzava, sentì del movimento al piano di sotto.
David era tornato probabilmente. La cazzo di foto!
Controllò nei jeans che indossava quella mattina e la trovò lì, nella tasca posteriore destra. Immaginava che se l'avesse persa David sarebbe diventato ancora più insopportabile. La tirò fuori e la appoggiò sulla scrivania. Probabilmente gliel'avrebbe restituita presto. L'aveva accettata per far contenta sua madre e dopo il racconto strappalacrime di David non se l'era sentita di rifiutarla. Sembrava ci stesse davvero provando, e anche sua madre. Non che questo cancellasse il passato… anche se Chloe non poteva negare che le parole di David avessero in qualche modo fatto breccia. La storia del suo amico Phil Becker morto poco prima di tornare a casa, tutti i progetti che avevano fatto su quando fossero tornati e invece... era andato tutto a puttane!
Aveva un po’ di esperienza con le cose che vanno a puttane… Poco dopo la morte di suo padre, Chloe aveva scoperto che i suoi genitori avevano pianificato una vacanza in Arizona. Una sorpresa per lei. Avevano preso i biglietti poco prima dell'incidente... E Max? L'autunno era la sua stagione preferita, si divertivano sempre a creare montagne di foglie secche in giardino e tuffarcisi dentro lanciandosi dall’altalena, o sparargli con il cannone giocattolo per simulare l’impatto sulle onde del mare... niente di tutto questo era più avvenuto dopo quel giorno.
Chloe lo odiava, ma poteva capire la solitudine che David aveva provato al suo ritorno a casa e non immaginava nemmeno quale altra merda avesse passato in guerra. Quello che non riusciva a tollerare era l'atteggiamento da Pol Pot del cazzo che aveva tutto il tempo e tutti i comportamenti assurdi, gli sbalzi di umore... Non c'era stress post-traumatico che potesse giustificarlo. Ma sembrava che Joyce lo stesse addomesticando. Per quel che valeva…
Merda, non posso credere che Joyce abbia sostituito mio padre così...e con… quello!
Negli occhi di Chloe si formarono delle lacrime, una scese a tradimento sulla guancia destra. Era ancora nei pressi della scrivania contemplando la deriva dei suoi pensieri, quando decise cosa avrebbe fatto della sua giornata. Aveva troppo, fottutamente, bisogno di una canna! Justin le aveva rubato il suo backup d’emergenza… era in debito, e lei aveva un fottuto bisogno di rilassarsi!

[Chloe]
  • Yo Justin!
  • È ora di saldare il tuo debito!
  • Sai cosa intendo.
[Justin]
  • Yo Chloe!
  • Certo sono con Trevor.
  • Vuoi passare?
[Chloe]
  • Cazzo si!
  • Dove?
[Justin]
  • Two Whales.
  • Poi boh!
[Chloe]
  • Grande piano!
  • Sono lì per mezzogiorno.
[Justin]
  • Bella!
 
Spulciò il suo guardaroba. Dato che non aveva molti vestiti puliti, Chloe ripiegò nuovamente su quelli di suo padre. Si munì di reggiseno e mantenne la canottiera con l’occhio che tutto vede, sulla quale indossò la giacca di jeans scura, il berretto blu che aveva trovato nel cruscotto del pick-up e il paio di jeans con toppe e strappi e gli stivali del giorno prima. Al collo il laccio con i tre proiettili. Rimise in tasca la foto di David, pronta alla restituzione se lo avesse malauguratamente incrociato. La infastidiva avere quel pensiero costante, la paura di perderla e i ricordi che le scatenava. L’ultima cosa che voleva era rimanere bloccata sul treno della malinconia, ricordarsi che al posto di suo padre c’era un veterano stronzo e disoccupato e che la sua “migliore amica per sempre” l’aveva piantata in asso.
Eccheccazzo! Ringhiò Chloe dentro di sé, affondando rabbiosamente la foto di David nella tasca.
Guardandosi allo specchio si sentì molto cazzuta e questo la tirò un po’ su. Dopo una breve sosta di pulizia dentale si diresse verso le scale. Prima o poi avrebbe riordinato la sua camera e magari fatto il bucato. O forse mai, visto che il piano era partire con Rachel e sfanculare per sempre Arcadia Bay. Voleva che accadesse. Lo sperava…
Sarebbe mai accaduto davvero?
Non aveva perso la voglia, ma sopra alla decisione iniziale si sovrapponeva il dubbio, giorno dopo giorno. Anche se Rachel aveva dei soldi da parte per quanto sarebbero bastati? Come sarebbero andate avanti a Los Angeles? Il pick-up che aveva riparato avrebbe retto un viaggio più lungo di un paio di miglia o sarebbe esploso con loro a bordo? Per arrivare a Los Angeles dovevano attraversare tutta la West Coast… Rachel avrebbe cambiato idea? Rachel voleva davvero fuggire con lei? 
Le persone cui teneva di più nella sua vita erano sparite. Di colpo, senza preavviso.
A Max piaceva molto l’espressione “per sempre”, la usava spessissimo in relazione alla loro amicizia… eppure…
Perché Rachel doveva essere diversa?
Tutti fanno finta di preoccuparsi, fino a quando non lo fanno più.
Chloe si diede una manata in fronte per scacciare i pensieri, provocandosi un contraccolpo di dolore nel cranio. Maledetti lividi. Scese le scale e guadagnò immediatamente la porta. Si aspettava di incontrare David scendendo, ma non era in casa. Si guardò intorno incredula, ma non c’era traccia di lui.
Meno male! Forse è uscito di nuovo! Una volta tanto le cose vanno be….
Aperta la porta, Chloe vide il cofano del suo pick-up aperto e David che curiosava dentro.
“Che cazzo stai facendo?!” sbottò appena lo vide, marciando pesantemente verso di lui.
David si voltò verso di lei con apparente calma, fece un profondo respiro e si sollevò dal motore.
“Tua madre mi ha chiesto di dare un’occhiata al tuo… mezzo. Ha paura che tu faccia un incidente.”
“Piantala di usare mia madre come scusa per farti i cazzi miei David!”
“Vedi di calmarti. Ti sto dicendo la verità. Ho promesso di aiutarti… e io mantengo la parola!”
“Si certo… hai anche promesso di fidarti di me e di lasciarmi i miei spazi. Perché non prometti di andartene aff….” Chloe si bloccò. Pensò al discorso del giorno prima… a proposito!
“Senti… riprenditi la tua foto…” disse Chloe estraendola dalla tasca.
“Perché?” chiese David sospettoso.
“Ho capito il punto… hai sofferto anche tu e ci stai provando… non mi serve tenerla.” Sospirò ad ogni parola.
“Va bene così. Tienila tu ancora per un po’… se… vuoi…” grugnì David.
Rimasero così, Chloe con la foto in mano tesa verso David e lui che la fronteggiava guardandola negli occhi. Dopo qualche momento Chloe si arrese e la ripose nel taschino. Soffiò dalle narici come un drago.
“Hai fatto un discreto lavoro…” David cambiò argomento.
“Cosa?” Chloe sgranò gli occhi.
“Questo… coso sembra uscito da una discarica… ma l’hai fatto funzionare… l’avevo detto che se ti applichi puoi essere brava in queste cose…”
“Wow! Mi stai facendo dei complimenti? Non voglio sapere cosa ti ha fatto Joyce…”
“Non sono complimenti. È una constatazione. Ma questo è un relitto. Le ruote fanno cagare, la carrozzeria cade a pezzi, c’è un… cacciavite infilato nel meccanismo di avviamento, il motore ha bisogno di ricambi per continuare a funzionare e anche in quel modo durerà molto poco. Le uniche parti buone sono la batteria e le candele… non ti chiederò dove le hai prese…”
“Non mi serve il tuo aiuto…” Chloe chiuse il cofano con la mano destra e puntò dritta al sedile del guidatore.
“Chloe… maledizione! Sto cercando di dirti che… dovresti stare molto attenta a guidare questo affare. Posso… aiutarti a sistemarlo….”
Chloe era ormai entrata al posto di guida e aveva già la mano sul cacciavite. Lo guardò stupita e sarcastica.
“Cavolo…. Mamma ti sta davvero addestrando bene! O ti hanno dato delle medicine che spaccano!” sogghignò.
“Hey! Vedi di piantarla! Se fosse per me le cose qui funzionerebbero in modo molto diverso, ma ci tengo a tua madre… Quindi faccio a modo suo… per ora… vedi di non mettermi alla prova!”
“Si si…. Certo…” Chloe avviò il motore
“Dove vai?” chiese rassegnato David
“Al Two Whales. Adios!”
David si allontanò dal pick up mentre partiva, i pugni chiusi ermeticamente come la sua mandibola contratta dalla rabbia.
Chloe sospirò. Non poteva negare che David avesse ragione su diverse cose. Joyce si stava impegnando, lui si stava impegnando… e quello che stava guidando funzionava più a forza di volontà che benzina. Ok, aveva ragione su tutto… fanculo David! Notò l’indicatore del carburante e si rese conto che era pericolosamente basso. Certo, poteva essere rotto… ma effettivamente quell’arnese l’aveva trovato in discarica. Chissà da quanto tempo era lì, era già un miracolo che ci fosse ancora benzina. Un brivido la attraversò quando immaginò cosa sarebbe potuto succedere il giorno prima, se si fosse fermato proprio mentre stava portando Rachel in ospedale…
Cazzo! Cazzo! Cazzo!
Basta! Non era successo niente. Quel bolide aveva fatto il suo dovere! Non aveva bisogno di David, tanto appena Rachel fosse uscita dall’ospedale se ne sarebbe andata da Arcadia Bay, che cazzo le fregava di queste stronzate?! Il Coglione Adottivo poteva andare affanculo e sua madre…. Aveva già scelto lui al suo posto… aveva dimenticato papà.
Come a sottolineare le parole di David, il motore diede qualche colpo di tosse e minacciò di spegnersi. Chloe sbandò per un istante, ma si rimise subito in carreggiata. Merda! Gli serviva davvero un bel po’ di amore in più se volevano davvero raggiungere la California… o anche solo Bay City.
 
-
 
[Rachel]
  • Hey! Cosa fai?
[Chloe]
  • Two Whales con Justin… mi deve un po’ di ‘relax’.
  • Come ti senti?
[Rachel]
  • Mi unirei volentieri a voi.
  • È passato mio padre…
[Chloe]
  • Oh…
[Rachel]
  • Già…
  • Vieni a trovarmi quando hai finito con Justin?
[Chloe]
  • Posso deviare e venire da te anche subito.
[Rachel]
  • No tranquilla.
  • Ti ho monopolizzata troppo.
 [Chloe]
  • Mi piace essere monopolizzata!
  • E se hai bisogno di me fanculo tutto.
[Rachel]
  • Povero Justin!
  • Non preoccuparti! Posso gestire un po’ di attesa!
[Chloe]
  • Lo so.
  • Puoi affrontare tutto.
[Rachel]
  • Solo perché tu mi guardi le spalle.
[Chloe]
  • Potrei montarmi la testa.
[Rachel]
  • Più di così?
[Chloe]
  • Ouch!
[Rachel]
  • Ahahah! Ti aspetto!
[Chloe]
  • Ti scrivo quando arrivo.
[Rachel]
  • kk
 
***********
 
"Quindi mi stai dicendo che..." Chloe mise un sorriso furbo "...sono una criminale ricercata?!"
Rachel spalancò gli occhi, poi soffiò una risatina: "Totalmente!"
"Mi piace!"
Erano sedute sul letto, Rachel le aveva appena raccontato dell'incontro con suo padre e con... Rose. In particolare, le aveva detto delle allusioni alla sua effrazione a casa Amber.
"Ormai sei una vera gangster punk!" scherzò Rachel, poi il suo tono si fece più serio "Ho solo... mi chiedo se lui voglia provare a tenerti lontana da me."
"Ci deve solo provare!" ringhiò Chloe.
Rachel le sorrise amabilmente. Le piaceva così tanto quel lato indomito di Chloe. Quella ragazza era capace di forza e dolcezza nella stessa misura.
"Comunque..." proseguì "Non penso che lo farà. Secondo me spera di poter fare pace con te un giorno o l'altro. Tenermi lontana non aiuterebbe..."
"Niente aiuterebbe!" grugnì Rachel. Chloe le appoggiò delicatamente una mano sull'avambraccio destro.
Fuori dalla finestra pioveva ancora. Sembrava non volere mai più smettere. L'acqua cadeva costante da quella mattina, distanti tuoni perturbavano l'atmosfera. Dopo una doverosa sosta benzina, Chloe aveva raggiunto il Two Whales giusto in tempo per scroccare il pranzo a sua madre. Con Justin e Trevor avevano cazzeggiato davanti a un hamburger (il migliore di Arcadia Bay, o del mondo intero per quanto la riguardava), per poi uscire in cerca di un po' di isolamento. Avere una macchina aveva i suoi vantaggi! Insieme ai due skater, Chloe aveva guidato fino a Otter Point, passando sull'Arcadia Bay Ave e uscendo sulla U.S. Highway 101, percorrendo il breve tragitto fino alla meta. Da là si godeva di una vista panoramica dell'intera città, compreso il promontorio con il faro. Ma soprattutto era abbastanza tranquillo da potercisi fare una canna in santa pace. Trevor aveva estratto birre e nachos dallo zaino mentre Justin aveva rollato. Avevano digerito il pranzo sparando cazzate, bevendo, fumando e progettando di beccarsi di nuovo per andare in skateboard. In effetti Chloe non ci andava da... troppo. Probabilmente dall’autunno. Ora che era stata sospesa dalla Blackwell aveva tutto il tempo che voleva. Almeno fino a settembre. Quanto casino per qualche graffito! Aveva ridecorato il parcheggio della Blackwell, ma a quanto pare Wells non apprezzava la Street Art! Se non fosse stato per Rachel l’avrebbe espulsa… Chissà se avrebbe riavuto la sua borsa di studio? Non che le fregasse un cazzo, ma sarebbe fregato a sua madre. Sempre che fosse stata ancora ad Arcadia Bay... Continuava a pensare a Rachel e ai loro progetti di fuga…
Verso le 15, Chloe aveva deciso che era il momento di andare a trovarla. Le aveva scritto per avvisarla e dopo aver scaricato Justin e Trevor più vicino possibile alla Blackwell aveva proseguito fino all'ospedale, ma non prima di fermarsi al Two Whales a recuperare un po' di ciambelle. Cinque ciambelle erano per lei... fame chimica! Altre cinque erano per Rachel.
Ora il sacchetto di carta con il logo del Two Whales, con evidenti chiazze di unto, attendeva il suo turno su una sedia vicino al letto, mentre le ragazze parlavano.
Rachel si sentiva un po' meglio ora che c'era Chloe. Dopo la visita dei suoi genitori si era dedicata alle Metamorfosi con il solo scopo di rilassarsi, deviare l'attenzione. Dopo pranzo aveva dormito un po', finché non aveva ricevuto il messaggio di Chloe.
Lo sguardo di Rachel era perso in qualche cupo pensiero.
"Terapia?" offrì Chloe.
Rachel sorrise: “Qualche litro di alcol sarebbe il massimo!"
"Capito... la prossima volta invece della ciambelle ti porto una bottiglia di Rum!"
"Questa è una Hella buona idea!"
Gli occhi di Rachel erano nostalgici.
"Potresti... ti sdraieresti con me?" chiese.
"Certo..." Chloe si tolse gli stivali, mentre Rachel le faceva spazio. Si sdraiò sul bordo del letto mettendosi a sedere con il cuscino dietro la schiena. Rachel si accoccolò e Chloe la avvolse nel suo abbraccio, prestando attenzione a non stringere troppo. Rachel appoggiò la testa contro la sua spalla e così rimase per un po', godendo semplicemente di quel contatto.
“E’ come se la mia famiglia non sia mai esistita!" esordì Rachel sospirando. "Non riesco a non pensare che in ogni momento della loro vita i miei genitori recitassero una parte. Il perfetto papà del cazzo e la mammina dell’anno, salvo poi che non era vero niente! Forse…” si passò la mano destra sulla guancia destra per asciugare una lacrima “… Rose… ha detto che non sapeva nulla dei piani di mio padre. Posso incolparla per essersi fidata di lui? L’ho fatto anch’io per tutta la vita… uffh…” Ridacchiò amaramente.
“E’ un fottuto casino Chloe… da quando ho saputo di Sera io… non so più chi sono… ho pensato… forse... incontrandola avrei capito… qualcosa? Una parte di me vuole ancora incontrarla. Non so… voglio che mi dica in faccia che mi ha abbandonata per la seconda volta… Sono masochista?"
"Un po'... ma chi sono io per giudicare..."
Rachel sorrise allo scherzo di Chloe. Si strusciò contro la sua spalla, inebriandosi del suo odore, un incoerente mix di erba, fritto e bagnoschiuma.
"Chloe... Mi sento come la carta delle caramelle, senza la caramella… non so che fare.”
I suoi occhi nocciola si rivolsero con speranza verso il viso di Chloe, che ricambiò lo sguardo.
“Rachel…” Non sapeva esattamente cosa fare o dire, a parte tenerla stretta, ma ci provò lo stesso. “Lo stesso giorno in cui mio padre è morto, la mia amica Max mi disse che avrebbe traslocato a Seattle. Partì esattamente il giorno del funerale. I primi tempi ci siamo sentite, ma lei era distante… Era come se avesse paura di me, del mio dolore. Era come… se una parte di me fosse morta. Mi sentivo totalmente sola. Chi ero io senza mio padre… senza Max?”
Chloe sentì gli occhi inumidirsi, il cuore batterle più forte mentre vagava nei ricordi. Rachel era assorta. “ora penso che… forse non importa chi sono. Forse importa solo che sono ancora qui. Forse chi siamo non è una cosa precisa, è come un… processo? L’unica cosa che conta è che sei ancora qui Rachel. Siamo ancora qui… insieme.”
“Non credo di farcela senza di te Chloe…” gli occhi di Rachel erano umidi, il labbro inferiore tremava. “Vorrei tanto partire ora, fuggire insieme a te. Se già prima non riuscivo a trovare motivi per restare, ora ancora meno…”
“Siamo in due…” disse Chloe.
Rachel alzò lo sguardo.
“Ho paura che anche il nostro piano di fuga sia stato solo un sogno…” vide un velo di preoccupazione attraversare il viso di Chloe e si affrettò a proseguire “…cioè, è ancora quello che desidero. Per me. Per noi. Ma voglio davvero che funzioni. Non voglio partire, arrivare a metà strada e dover tornare indietro perché qualcosa è andato storto.”
Chloe annuì: “Neanch’io!”
“Dobbiamo farlo come si deve. Organizzarci, avere un piano!”
“Totalmente!”
Rachel le sorrise.
 
Rrrrrrmmmmmmmm...
 
Chloe lanciò un'occhiata istintiva al cellulare, appoggiato sul mobile vicino al letto. Una sola vibrazione, quindi un messaggio. Guardò Rachel, notando la sua espressione rabbuiarsi. Da quando era arrivata Chloe l'aveva sentito vibrare altre tre volte.
"Pensi di rispondere?" provò a cambiare argomento.
"Direi di no..."
"Ok..." Chloe accettò il tono perentorio di Rachel. Forse era il momento di sfoderare l'arma ciambelle?
"Non ne ho la forza in questo momento..."
Ancora no!
"Con tutto quello che è successo tra ieri e oggi intendo. Penso che il silenzio stampa sia la cosa migliore. Mio padre potrà raccontare tutte le cazzate che vuole a Wells, cominceranno a girare voci su quello che è successo e tutti sapranno quello che vogliono sapere." il suo tono era amaro. Rachel fece scivolare la mano sulla coscia di Chloe, fece un profondo respiro e indossò un sorriso.
“Grazie Chloe…”
“E’ un piacere!”
"Che facciamo ora?" chiese Rachel.
"Mmmh... Comfort Food?" propose Chloe con un sorriso, indicando il sacchetto unto. Rachel ridacchiò!
"Dovremo dividerle, non sono così affamata."
Si separarono cautamente dal loro abbraccio.
"Ne ho mangiate diverse mentre venivo qui" disse Chloe mentre balzava giù dal letto per recuperare il cibo zuccherino "ma non dico mai di no alle ciambelle!"
"Soprattutto quando sei in fame chimica!"
"Ovvio!"
“Ecco! Ciambelle di contrabbando!” spiegò Chloe mentre tornava alla sua postazione.
“Ah si?” ridacchiò Rachel.
“Le ho introdotte furtivamente nell’ospedale. Ninja Style." aprì il sacchetto.
Rachel indagò all'interno, estraendo una grossa ciambella coperta da una ricca glassa bianca e una pioggia di zuccherini colorati. Soppesandola ripensò al pranzo di poco meno di un’ora prima, a base di insalata, un disco bianco che voleva essere pollo alla griglia, verdure miste saltate coperte di una sostanza oleosa e gialla, un pacchetto di cracker e una banana. Aveva rosicchiato un po’ di tutto senza appetito, si era conservata i cracker e la banana nel caso il suo stomaco avesse cambiato idea. Ma non era cambiato nulla e ora, di fronte a quella grassa ciambella, Rachel non riusciva a pensare di mangiarla. Dopo averla squadrata con sospetto per qualche momento la ripose. La delusione calò sul viso di Chloe.
“Scusa, mi ricordavo che le ciambelle alla fragola ti piacevano…” si grattò la testa.
“Si è che… non ho molta fame…” ammise cupamente Rachel.
Chloe sfiorò il braccio sano di Rachel, iniziando ad accarezzarlo ritmicamente, su e giù, con l'esterno della mano. Rachel si nutrì di quella dolcezza più di quanto avrebbe fatto con tutte le ciambelle del mondo.
"Si chiama comfort food. Non serve a sfamarti, serve a sedarti!" spiegò Chloe.
"Pfff... mi vuoi sedare??" ridacchiò Rachel.
Chloe sospirò.
"Onestamente... vorrei solo farti sentire meglio." le uscì un tono più solenne di quanto voleva
"Chloe, mi fa star meglio solo averti qui."
"Davvero?" Perché mi sembra di fare più danni che altro, voleva aggiungere, ma lo tenne per sé.

Rachel strinse gli occhi, come se avesse letto quel pensiero sul suo volto. Le afferrò la mano e la portò alla bocca, depositando un morbido bacio su di essa. Le guance di Chloe si scaldarono un po', come quelle di Rachel. Calò il silenzio, mentre la percezione del mondo si restringeva. La loro attenzione si concentrava sempre di più l'una sull'altra, mentre Chloe sentiva crescere la tensione nel suo stomaco. Farfalle blu svolazzavano nella sua pancia e nel suo petto, solleticandole la gola. Rachel sentiva qualcosa del genere, un calore che risaliva dal basso riempiendola di desiderio. Oh... Chloe!
Lasciò andare la sua mano e la allungò verso il laccio con i tre proiettili. Tirò dolcemente verso di sé. Chloe si lasciò attirare mentre Rachel contemplava i suoi occhi blu, le sue labbra semi aperte in un'espressione piena di eccitato stupore. Il bacio fu lieve all'inizio, al primo ne seguì un secondo, e un terzo che si fece molto più aggressivo. Rachel accarezzava la guancia e il collo di Chloe, mentre le sue mani le avvolgevano il viso come il tesoro più prezioso. Si separarono per riprendere fiato e appoggiarono la fronte l'una all'altra. Rachel aveva un sorriso goloso sul volto e il respiro tremante di Chloe non faceva che accrescere la sua voglia.

“Ora ho capito…” Chloe ruppe il silenzio e Rachel la fissò con curiosità “…era me che volevi mangiare!”
“Pff… sei molto appetitosa in effetti!” ammiccò Rachel sogghignando
"Anche... tu" balbettò Chloe restituendo il sorriso.
"Tutto questo per me è nuovo Chloe."
"Samsies!" scherzò lei di rimando.
Risero e Rachel le stampò un nuovo bacio, prima che si allontanassero.
"Quindi... siamo come... una cosa?" chiese timidamente Chloe.
Rachel le sorrise inclinando la testa come un gatto curioso.
"Non pensavo fossi tipa da etichette" inarcò un sopracciglio.
Chloe fece spallucce e si grattò la testa.
"Sai, è da quando abbiamo saltato la scuola venerdì che... mi chiedo..."
Gli occhi di Rachel fissi su di lei la mettevano un po' a disagio.
"...si insomma... cosa provi per me..." riuscì a concludere Chloe.
Rachel sospirò. Non un sospiro stanco, solo riflessivo.

Rachel stava cercando di evitare quel discorso in realtà, ma era piuttosto scontato che venisse fuori. Soprattutto dopo che l'aveva baciata in quel modo! Ed era anche evidente che qualunque cosa ci fosse tra loro era già andata ben oltre l'amicizia e non perché si fossero baciate due volte. Era per tutta la folle merda che avevano vissuto la settimana scorsa, fianco a fianco. Chloe le accendeva qualcosa nell'anima. Alla Blackwell aveva sempre guardato da lontano e con curiosità questa strana ragazza scontrosa. Le volte che Chloe era a scuola o mandava affanculo i professori o finiva dal preside. Tracce di Chloe Price sotto forma di graffiti erano visibili in tutto il campus, in tutta Arcadia Bay. Rachel ne era stata incuriosita, attratta. In autunno avevano cominciato a uscire, si erano frequentate sempre di più, il concerto dei Firewalk aveva segnato una svolta. Ma quell’ultima settimana…
Rachel aveva capito che Chloe aveva una dote che a lei mancava: la capacità di fottersene di tutto e tutti, il coraggio di sputare in faccia alle persone la loro merda, disinteressandosi delle conseguenze. Era un'arte che Rachel stava cercando di imparare, che ammirava e al tempo stesso temeva. Quando aveva letto il messaggio di Sera nel telefono di suo padre e aveva deciso di indagare, aveva pensato subito a Chloe. Rachel le era stata accanto quando David e Joyce si erano fidanzati, l’aveva consolata quando si erano sposati, l’aveva aiutata a ritrovare un po’ di fiducia. Sperava che avrebbe ricambiato rimanendo al suo fianco nel SUO momento di bisogno… e l’aveva fatto! Aveva superato ogni aspettativa, ogni speranza.
Non aveva minimamente previsto quanto Chloe si sarebbe aperta con lei, né quanto divertente, stimolante, intenso sarebbe stato trascorrere il tempo in sua compagnia. Tutto sembrava fluire con semplicità, come se fosse naturale. Tanto meno poteva prevedere la totale lealtà che Chloe le aveva dimostrato, rimanendo sempre al suo fianco e mettendo anche a rischio la sua stessa vita per lei. Cosa che Rachel stessa aveva fatto.
Che cos'era quel rapporto? Che cos'erano quei sentimenti, quell’attrazione che provava?
Rachel davvero non lo sapeva. Sapeva solo che li voleva. Sapeva solo che voleva Chloe nella sua vita.
Ora, guardando quegli occhi blu sconvolti dall'attesa, da quello strano silenzio che aveva lasciato cadere sulla stanza... Rachel si domandava cosa dirle. Come spiegarle...
Non voleva perderla. Non voleva nemmeno illuderla.
Rachel davvero non sapeva...
 
"Rachel?" la voce di Chloe la richiamò alla realtà.
"Non so come definire quello che provo per te..." esordì, tentando di dare senso e ordine al suo discorso. Non sapeva nemmeno con chiarezza dove voleva andare a parare.
"Chloe, io..." Avanti Rachel... sei brava con le parole, trovane qualcuna che non distrugga l'unico rapporto autentico della tua vita.
"... dopo questa settimana è chiaro che siamo molto più che semplici amiche. Ma... queste emozioni che provo. Questa attrazione, questa voglia di averti vicina... sono qualcosa che sto ancora esplorando. Non chiedermi di dare un'etichetta a tutto questo."
Il volto di Chloe fu attraversato dalla delusione.
Ecco appunto... Rimedia.
Rachel allungò la mano e la appoggiò delicatamente sulla guancia di Chloe, che si crogiolò in quel tocco come se fosse l'ultima volta che potesse sperimentarlo.
"Una cosa però posso dirtela. Voglio che tu sia parte della mia vita Chloe Price. Voglio che esploriamo insieme quello che stiamo provando. Tutto è successo naturalmente con te da quando usciamo, lasciamo che continui a succedere così. Ok?"
Chloe sospirò e appoggiò un bacio sul palmo di Rachel.
"Va bene!" le sorrise.
Rachel notò che la ragazza non era soddisfatta dalla sua risposta, ma quello era il meglio che poteva offrirle. Era il meglio che poteva offrire a sé stessa.
 
"Comfort food!" decise Rachel sorridendo.
Chloe ridacchiò: "Era ora! Scegli."
"Potrei considerare la ciambella ai frutti di bosco! Ma solo se la dividi con me.”
“Sicura? Ti avverto, non proporlo se è solo cortesia. Con le ciambelle ho un rapporto speciale e credo davvero di essere ancora in fame chimica…” posò Chloe.
“Lo vedo! Stai sbavando!”
In effetti Chloe si rese conto di avere un po’ di bavetta ai lati della bocca. Li asciugò con un gesto imbarazzato. Rachel sogghignò divertita, prese una ciambella ricoperta di glassa rosa e la porse a Chloe. Insieme tirarono e la spezzarono a metà, Chloe spazzò via metà della sua con un solo boccone famelico, Rachel diede un piccolo morso. Mentre le papille gustative si svegliavano di soprassalto in un dolce scuotimento, gli zuccheri iniziarono a fare il loro effetto psicotropo, inondandola di un caldo appagamento “Mmmh… offima ifea….” miagolò Rachel mentre sentiva la morbidezza della marmellata sciogliersi in bocca.
“Te l’avevo detto. Cibo per l’anima!”
Rachel le diede un buffetto sul culo con la gamba, Chloe rispose pizzicandole a coscia nei pressi del sedere. Sobbalzò sorpresa e un sorriso felino le apparve in viso. Con una zampata picchiò la mano di Chloe. “Te ne approfitti perché sono temporaneamente invalida! Cheater!”
“Ooooh, gergo da gamer eh? Ogni tanto emerge il tuo lato nerd!” Chloe le puntò uno sguardo sorpreso e colmo di speranze, mentre divorava i resti della sua ciambella.
“Beh… uno dei miei molti lati, ma devo ancora svilupparlo! In realtà molto di quello che so lo devo a discorsi origliati qui e là da veri nerd tipo Steph e limitate esperienze dirette! Ma ho imparato un po’ di terminologia!”
“Steph ti ha già proposto di giocare a D&D?” si informò Chloe.
“Un po’ di tempo fa…”
“Lo farà ancora! Mi ha già trascinata in una partita con Mikey la settimana scorsa! È stato divertente! Ti piacerebbe, è tutto basato sull’improvvisazione!”
“Me lo stai chiedendo?” Rachel socchiuse gli occhi con espressione furba.
“Forse!”
“Mmmh… allora ci farò un pensiero!”
Chloe ridacchiò e Rachel si unì a lei. Appoggiò la mano sul ginocchio di Chloe e strinse delicatamente, massaggiando con il pollice. Le due si fissarono per qualche momento in silenzio e Chloe sentì del calore salire alle guance.
“Sei unica!” disse Rachel.
“Lo so!”
“Non ti ho nemmeno chiesto com’è andata a casa.” disse Rachel, sistemandosi in una posizione più comoda e afferrando la ciambella al cioccolato dal sacchetto.
Chloe sospirò.
“Come previsto, immagino. Mia madre stava andando fuori di testa per i miei lividi, così ho dovuto dirle che siamo state aggredite, che tu hai preso una coltellata e io un ceffone… una mezza verità. Immagino che lei e lo Stronzo Adottivo abbiano parlato di quanto sono un casino… ma avevo troppo sonno per fregarmene.”
“Sei fortunata, tua madre si preoccupa…” commentò Rachel con un velo di amarezza. Chloe proseguì:
“Ho anche Capitan Mustacchi che mi sorveglia, però! Ieri prima che andassi in discarica mi ha raccontato una storia strappalacrime su un suo amico caduto in guerra. Voleva… boh… creare un legame… mi ha dato una loro foto insieme da tenere con me. Penso lo faccia solo per far contenta mia madre. Ha perquisito la mia stanza in cerca di droga e alcol mentre non c’ero… Mi riesce un po’ difficile prenderlo sul serio. Senza contare tutti gli altri precedenti.”
“Dio, è proprio uno stronzo…” ringhiò Rachel.
“Già… poi prima che venissi qua l’ho beccato che curiosava nel cofano del pick-up! Dice che Joyce gli ha chiesto di dargli una controllata e aiutarmi a sistemarlo. Almeno ha ammesso che ho fatto un buon lavoro!”
“Quefto potfevve effefe ufile…” disse Rachel masticando un morso di ciambella al cioccolato e porgendola poi a Chloe.
“Cosa?” chiese lei accettando l’offerta.
Rachel deglutì: “Che il Coglionnello ti dia una mano a sistemare il pick-up!”
“Sei seria?” chiese Chloe un po’ incredula, lasciando la ciambella in sospeso davanti alla bocca.
“Beh, pensaci. Sarebbe molto poetico che lui ti aiutasse a rimettere a nuovo il mezzo con cui sfanculeremo Arcadia Bay!”
“Ma non mi serve il s….” Chloe iniziò ma Rachel zittì spingendole la ciambella in bocca!
“Lo so che ce la faresti anche da sola. Ma in questo modo otterresti due risultati: primo, faresti contenta tua madre e in questo modo sia lei che David ti darebbero un po’ di tregua; secondo, lui ha il suo macchinone sportivo giusto? Si intende di motori, velocizzerà le riparazioni.”
Chloe la ascoltò con la ciambella spinta in bocca, corrugò le sopracciglia. Voleva replicare, ma non riuscì a trovare argomenti per ribattere. Era sinceramente molto, molto sollevata che Rachel avesse ripreso a parlare del loro viaggio in modo concreto. Azzannò con stizza artificiosa la ciambella, staccando un grosso boccone e masticandolo platealmente.
*MUNCH*MUNCH*MUNCH*

Rachel rise e si riprese la ciambella, dando un altro morso.
Chloe deglutì e sbuffò.
“Che cazzo… mi secca che tu abbia ragione…” incrociò le braccia facendo un po’ il broncio.
“Lo so, mi capita spesso!” Rachel fece la linguaccia.
“Vuoi un pizzicotto?” minacciò Chloe.
“Provaci!” sfidò Rachel.
Le dita a tenaglia di Chloe saettarono verso l’interno coscia sinistro di Rachel, agguantando una sottile striscia di pelle. Rachel sobbalzò con un gridolino acuto. L’ultimo pezzo di ciambella cadde prima sul letto, poi sul pavimento. Entrambe si bloccarono a guardare attonite il sacrilegio appena compiuto. Lo sguardo inquisitore di Rachel puntò Chloe come un mirino.
“Cos’hai fatto…!” partì all’attacco. La mano destra si protese in avanti, pizzicando la gamba destra di Chloe, poi puntò al gluteo destro, muovendo la mano come un cobra. Chloe tentò di difendersi e contrattaccare, ma temeva di colpirle inavvertitamente il braccio ferito, così puntò al solletico. La mano sinistra scattò verso le costole di Rachel, ma lei fu più rapida e la mano destra si insinuò. Nella foga Chloe sollevò la gamba e deviò il braccio di Rachel che finì col pizzicarle la tetta sinistra.
Chloe balzò in piedi, allontanandosi dal letto stringendosi il seno con entrambe le mani! “Cazzo! Merda! Fffffffht! Aaaahhhiii….”
“Scusascusascusascusascusa!!” Rachel rideva con gesti imploranti perdono.
“Fottuto Leongranchio!” tossì Chloe sorridendo, stringendosi la tetta e un po’ le costole contuse che protestavano amaramente per tutto quel movimento!
“Leonché?!” chiese Rachel.
“…Granchio! In camera tua ho visto quel poster sullo zodiaco. È quello che sei! Un leone con le chele!”
“Sembra un cattivo di One Piece!”
“Hella yes!” ammise Chloe ridacchiando e riavvicinandosi cautamente al letto.
Le due ripresero fiato. Il volto di Rachel si era addolcito. I suoi occhi conservavano tracce di malinconia, ma Chloe poteva vedere che una parte del peso si era sollevato dal suo petto.
Anche il petto di Chloe, ora, era più leggero.
 
-
 
“Mi piace dormire.
La mia vita ha la tendenza a cadere a pezzi quando sono sveglio, sai?”

(Ernst Hemingway)
 
"A Hole In The Earth"
Daughter

In my own turn
I'm trying to reach out I know I'll get there soon
There's a hole in the earth here
And we're walking round the edges
You were flaunting all your open wounds
I can't express them better than you
 
You have buried childish qualities
Friend make sense of me, friend make sense of me
I have many destructive qualities
Friend make sense of me, friend make sense of me
 
It's like an old ruin
Your father's a liar while my father's lying down
In a hole in the earth there
And I'm scared I'll forget him
I'm still haunted by those open wounds
I won't express them truly to you
 
You have buried childish qualities
Friend make sense of me, friend make sense of me
I have many destructive qualities
Friend make sense of me, friend make sense of me
 
I have so much hurt inside me
Friend make sense of me, friend make sense of me
I have so much hurt inside me
Friend make sense of me, friend make sense of me
Friend, friend, friend, friend

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Capitolo 2
*** Casualties ***


Casualties

 
“Chi ha naufragato trema anche di fronte ad acque tranquille.”
Ovidio
 
RRRRrrrrrmmmmmmmmmmmmm
RRRRrrrrrmmmmmmmmmmmmm
RRRRrrrrrmmmmmmmmmmmmm
RRRRrrrrrmmmmmmmmmmmmm
 
Chloe sentiva il cellulare vibrarle nella tasca della giacca di jeans. Un'altra chiamata, ma la ignorò. Di nuovo. Sapeva chi era e stava iniziando a seccarsi. Molto!
 
"Non rispondi?" Chiese Drew dal suo letto d'ospedale.
"Nah! Non è importante..."
Il ragazzo fece spallucce.
 
La vibrazione si interruppe.
 
"Spero tu mi abbia portato una merendina degna di questo nome, perché altrimenti potrei davvero incazzarmi!" La bocca di Drew si inclinò in un ghigno provocatorio. Chloe lo restituì.
"Dovrei aver paura? Se scappo mi rincorri?"
Drew, steso nel suo letto d’ospedale con la gamba sinistra ingessata, socchiuse gli occhi e si fece improvvisamente serio.
Lo stomaco di Chloe sobbalzò.
Merda, forse ho esagerato...
"Sai... noi giocatori di Football ci alleniamo a lanciare il pallone molto, molto lontano e molto preciso... Non mi serve rincorrerti!" ghignò di nuovo scrocchiandosi le dita delle mani con fare minaccioso.
"Si... così dovrebbe essere... ma ricordo una certa partita con i Beavers in cui..."
"Oh Cristo Chloe!! Perché non ti arrendi mai?!" sbuffò Drew allargando le braccia platealmente.
"Uno dei miei molti pregi!" si impettì, sistemandosi il berretto e spostandosi il ciuffo blu come una diva.
Drew sghignazzò.
"Comunque non mi hai portato niente..."
"Temo di no, scusa..." Chloe si grattò la testa "...domani comunque ripasso di qua, farò un salto al Two Whales prima!"
 
RRRRrrrrrmmmmmmmmmmmmm
 
Altra cazzo di vibrazione??
Una sola... quindi un messaggio.
Merda!

 
"Ti conviene farlo o quando mi alzerò da questo letto ti verrò a cercare."
Chloe rise e si andò a sedere nei pressi della finestra, più vicina al letto. La gamba ingessata era sollevata, appoggiata su dei cuscini, la lettiga reclinata in modo che Drew potesse stare seduto. Vicino al letto, sparsi sul comodino, c'erano quaderni e libri di scuola abbandonati. Tra di essi spiccavano alcuni disegni. Chloe si allungò dalla sedia, li afferrò e iniziò a sfogliarli. Sì, lo stile era inconfondibilmente quello di Mikey. Uno di essi ritraeva Elamon che concentrava i propri poteri magici con atteggiamento cazzutissimo, mantello al vento stile Batman. In un altro si vedeva un guerriero alle prese con un'orda di scheletri non-morti. Un sorriso tenero comparve sul viso di Chloe quando si trovò tra le mani un disegno di Callamastia, la sua elfa barbara, defunta eroicamente nella quest contro Durgaroon! Grazie a lei, che aveva mozzato il braccio del minotauro privandolo del Bracciale di Protezione dal Fuoco, Elamon aveva potuto incenerire quello stronzo e salvare il reame! Quel tributo artistico al sacrificio del suo personaggio fece sentire Chloe... addolcita. Mikey le ispirava degli strani sentimenti materni, un po' per i suoi tredici anni e un po' perché sembrava così indifeso... ma non lo era.
Era coraggioso.
“Come sta Mikey?” chiese Chloe mentre scorreva i disegni.
“Sta bene! Passa di qua tutti i giorni, fa i compiti, disegna… mi tiene compagnia. A volte viene con papà, più spesso con Steph…”
Sfogliando l'ultimo disegno Chloe inarcò un sopracciglio. Ritraeva uno strano individuo basso e grasso, con barba fluente e armato di... un liuto? C’era scritto…
“Povel… lo gnomo bardo?!” Chloe inarcò un sopracciglio guardando Drew “…perché c’è scritto anche il tuo nome?”
“Eh…” Drew sospirò “Quei due mi hanno incastrato con quel cazzo di gioco!”
Chloe scoppiò a ridere.
“Che c’è? Steph ha detto che ci giochi anche tu!” replicò Drew.
“Beh… cazzo si! In questo gioco vinci se inventi cazzate assurde e fai la dura! L’ultima volta ho mozzato per sbaglio i piedi a Elamon!” sghignazzò…
“Sembra una cosa che faresti…” la sfotté Drew.
“Vogliamo parlare di te? Povel lo gnomo bardo… conosci qualche canzone dei Firewalk?”
“Non conosco quella musica di merda!”
“Ah si?! E perché proprio uno gnomo? Mi sarei aspettata… non so, qualcosa di molto più grosso!”
“Le dimensioni non contano!”
“Ssiiii… com’era? ‘Non è la dimensione della spada, ma come la usi’?” Chloe sputò un’altra risatina
“Perché oggi pomeriggio non passi di qui e rimani a giocare? Ti faccio vedere io come Povel sa fare il culo col potere della musica!”
“Non credo che potrò oggi, ma di sicuro avrò occasione di farti allo spiedo!”
I due sghignazzarono mentre Chloe rimetteva i disegni sul comodino.
Tra i due calò un momento di silenzio. Drew divenne improvvisamente cupo.
"Penso che si senta in colpa..." sbuffò.
“Chi?”
“Mikey… per… questo…” fece un cenno in direzione della sua gamba ingessata.
Chloe si rabbuiò.
"Se c'è qualcuno che si deve sentire in colpa sono io..."
"Uffh... Chloe, ne abbiamo già parlato. Non è stata colpa tua... hai tenuto Mikey al sicuro come ti ho chiesto, e non hai consegnato i soldi a Frank."
"E tu sei stato pestato a sangue da Damon Merrick e hai un ginocchio rotto... gran lavoro..."
"Se fossi intervenuta... papà sarebbe ancora in quel cazzo di ricovero per barboni. Non se lo merita... e Mikey... non so cosa gli avrebbe potuto fare Merrick..."
Chloe scrollò le spalle, appoggiata mollemente allo schienale della sedia, massaggiandosi la fronte con la mano sinistra. Le parole di Drew non la facevano sentire meglio su come aveva gestito quella situazione. Aveva avuto l'istinto di intervenire, uscire da quella cazzo di porta e dare i soldi a Merrick... ma non l’aveva fatto. Non sapeva come avrebbe reagito, ma forse Drew non avrebbe avuto il ginocchio fottuto... come forse la sua intera carriera nel Football. Aveva avuto paura...
Chiusa nella stanza di Drew, con le sue grida strozzate là fuori mentre veniva preso a calci e Mikey scalpitante per intervenire... si era bloccata... congelata. Aveva ripetuto a sé stessa che era per il bene di Mikey, per proteggerlo dalla furia di Damon, per obbedire alla richiesta di Drew di non uscire per nessun cazzo di motivo... ma aveva solo avuto paura.
Come alla discarica...
e Rachel era stata pugnalata...
 
"Saputo niente dai dottori?" chiese Chloe.
Drew sospirò.
"Niente di incoraggiante..."
"Vuoi... parlarne?" si offrì Chloe, non proprio convinta di volerlo sapere, ma le sembrava doveroso date le circostanze.
"Mmh..." Drew si massaggiò la fronte e si strofinò gli occhi, tentando di mettersi un po' più comodo. Sembrava impossibile trovare una posizione serena in quella cazzo di branda!
"Di sicuro per questa stagione ho chiuso e probabilmente anche la prossima... L'operazione ha rimesso in ordine il ginocchio, ma il danno è grave. Vogliono vedere come guarisce. Per fortuna mi imbottiscono di merda per il dolore..." fece una pausa. Guardò un punto imprecisato sulla parete di fronte, come se cercasse un suggerimento. Le sopracciglia si incurvarono in un'espressione triste "La borsa di studio che mi aveva proposto l'Oregon University era per il Football... ma visto che non posso giocare l’hanno ritirata... i miei voti non sono abbastanza alti per ottenerne un'altra quindi..." fece spallucce e tacque.
"Merda..." Chloe sospirò amaramente. Molto amaramente... "Mi dispiace così tanto Drew... questa è una vera merda. Non te lo meriti."
"Dici?" sbuffò amaramente il ragazzo.
"Cosa?" Chloe spalancò gli occhi.
"Non me lo merito? Chi è che spacciava per Frank e Damon? Chi si è indebitato con loro? Chi è che ha messo Mikey in pericolo? Volevo aiutare mio padre, ma.... merda i soldi che facevo non li ho dati mica tutti a lui. Una parte la tenevo per me, per divertirmi, uscire, farmi i cazzi miei. Sono stato un coglione a credere di poter fregare uno come Damon..."
"Non dire cazzate Drew. Hai fatto quello che potevi, Damon era uno stronzo del cazzo... non ti meritavi..."
" 'Era'?" Drew inarcò un sopracciglio, lo sguardo interrogativo puntato su Chloe, che si zittì.
Merda...
"Cosa intendi?" insistette Drew visto che la ragazza non rispondeva.
Chloe sbuffò.
"Giuri di tenerlo per te?"
"Certo..."
"Drew, questa è roba grossa... sono seria..."
"Lo giuro! Che cazzo è successo?"
"Uffh.... diciamo che Damon Merrick non sarà mai più un problema per nessuno... ti prego non chiedere dettagli."
"Uh... ehm..." Drew squadrò Chloe con occhi spalancati, colmi di curiosità. Riflessi nelle sue iridi si poteva vedere il carosello dei suoi pensieri, in un flusso di immaginazione alla ricerca di uno scenario, un senso da dare alla criptica rivelazione di Chloe.
" l'hai... insomma… Tu..." chiese Drew.
"No. Non io. Meglio se non sai altro, fidati. Comunque mi sembra giusto che tu sappia che non dovrai più preoccuparti di lui. E nemmeno Mikey."
Drew la squadrò, la fronte corrugata e lo sguardo colmo di attesa, ma capì che avrebbe dovuto farsi bastare quella scarna rivelazione. Era comunque sufficiente. Proruppe in un lungo, profondo, sospiro di sollievo, si rilassò così tanto che parve allargarsi sul materasso come miele che cade su una fetta di pane.
"Beh... cazzo Price!" gli scappò una risatina nervosa "Non so che dire..."
"Non dire un cazzo di niente, è meglio."
"Ti credo...”
Calò il silenzio fra i due, un silenzio strano. Il volto di Drew era di colpo molto più rilassato, come se un grosso peso gli fosse appena stato tolto di dosso. Certo… Damon Merrick era stato un enorme peso…
Drew aveva diciotto anni, Chloe sedici; lui era in ospedale perché un criminale l'aveva gambizzato per riscuotere un debito di droga e Chloe gli aveva appena fatto capire che quello stesso criminale era morto ammazzato... non perdetevi la prossima puntata di Arcadia Bay Crime Story!
"Quindi... come sta tuo padre?" Chloe tentò di cambiare argomento.
Drew allargò le braccia con una sorta di rassegnazione negli occhi.
"Meglio di una settimana fa, ma non è cambiato molto. I soldi che gli ho dato hanno pagato l'affitto arretrato, ma è ancora senza lavoro. Mikey è tornato a casa con lui per aiutarlo con il corso di informatica. Vedremo come va..."
Chloe sorrise dolcemente. Mikey sopportava il peso della situazione famigliare esattamente come il suo mago Elamon affrontava le avventure in D&D. Non avrebbe avuto problemi a uscire da quella porta per soccorrere il fratello… avrebbe voluto farlo.
"Ti avevo davvero giudicato male. Pensavo fossi solo un bullo stronzo..." sogghignò la ragazza, grattandosi nervosamente il cuoio capelluto sotto il berretto.
"E io pensavo che fossi solo una sfigata che gioca a fare la dura..."
"Io non gioco... lo sono..."
"Si come no..." sghignazzò Drew.
"Mi sbagliavo… in realtà sei stronzo!"
I due risero. Fu distensivo.
 
Chloe sospirò, diede uno sguardo al cellulare per vedere l'ora.
Rachel la stava aspettando.
10:23
(8 chiamate perse - Eliot)
(5 messaggi - Eliot)
 
Ma Cristo di Dio....
Chloe ringhiò affondando di nuovo il telefono in tasca.
 
"Che ti prende?" chiese Drew
"Nulla..." sbuffò Chloe. Non voleva parlare di Eliot e del fatto che era tutta la mattina che continuava  a scriverle e tentare di chiamarla. I suoi primi messaggi dicevano che era stato rilasciato dalla polizia, che James Amber non aveva sporto denuncia contro di lui e che voleva parlarle. Chloe lo aveva ignorato, erano seguiti altri messaggi e due tentativi di chiamate. Non capiva cosa cazzo volesse quel fottuto stramboide.
Chloe aveva voluto bene a Eliot, un po' gliene voleva ancora, forse in ricordo dei vecchi tempi.
I rapporti tendono a guastarsi quando stalkeri qualcuno, tenti di sequestrarlo, lo aggredisci e lo costringi a bersi tutta la tua merda di gelosia e rancore verso Rachel Amber! Fanculo Eliot, di che altro cazzo mi vorresti parlare? Non è stato chiaro il messaggio quando sono scappata e ti ho lasciato agli sbirri?
 
Drew non parve molto convinto della sua risposta, ma lasciò perdere.
Chloe si alzò dalla sedia, spolverandosi i jeans.
"Vado a trovare Rachel."
"Salutamela!"
"Claro!"
Chloe si diresse verso la porta.
"Ehm...Chloe..." la voce di Drew era tremolante, incerta.
"Yeees?" la ragazza si bloccò a metà strada e si voltò teatralmente verso Drew scivolando su un piede.
"...hai detto che Merrick... ci siamo capiti. Sai se Frank è ancora in affari?"
Chloe inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia, istintivamente sulla difensiva.
"Perché?"
Drew emise un nuovo sospiro, tra lo stanco e il rassegnato. Il suo volto era quello di un animale in gabbia, che continua ad accanirsi contro le sbarre, sempre nello stesso punto, non rassegnandosi, non capendo che non cederanno...
"Visto come stanno le cose, non penso che mio padre troverà lavoro tanto presto e avrà ancora bisogno di soldi. Non voglio che venga buttato di nuovo fuori di casa, Mikey non lo sopporterebbe." la prese larga, Chloe rimase immobile nella sua posizione arroccata, aspettando che arrivasse al punto.
"Se sei... puoi... chiederesti a Frank se posso lavorare ancora per lui? Pagherò il mio debito e..."
"Che cazzo Drew... non hai appena detto che sei stato un coglione a infilarti in quella merda?!" Chloe affondò la faccia nel palmo della mano.
"Lo so... lo so... ma non ho scelta! Senza la borsa di studio che dovrei fare? Non c'è lavoro normale che mi permetterà di pagarmi l'università e se anche potessi... dovrei lasciare che mio padre diventi un senzatetto? E poi c'è Mikey!"
“Quindi vuoi rinunciare all’Università per…” Chloe abbassò il tono in un sussurro sibilante “…per spacciare??”
“TU stai facendo a ME una predica sulla scuola??” ribatté incredulo Drew
“Vaffanculo!”
Piombò il silenzio. Drew lo subì. Era evidente che le obiezioni di Chloe erano sensate, anche se venivano dal pulpito sbagliato. Ma non vedeva alternativa. Come in campo, Drew non mollava mai. Aveva un obiettivo e lo perseguiva testardamente… seguiva lo schema, l’unico che conosceva. Fino all’autodistruzione se necessario.
Chloe sospirò tentando di calmarsi: "Anch'io ho avuto la mia dose di merda e ho lavorato solo mezza giornata per Frank... cosa ti fa pensare che sia una buona idea?"
"E' l'unica che mi viene in questo momento... mi aiuterai?"
Chloe sbuffò: "Non so neanche dove sia Frank in questo momento. Gli ho scritto ieri, ha risposto una volta e poi mi ha ignorata." allargò le braccia stringendosi nelle spalle.
"Non ti chiedo di... insomma... se ti capita di incontrarlo vorrei che glielo chiedessi. Se dice di no... beh troverò una soluzione. Ma... per favore..." gli occhi di Drew erano disperati. Chloe provò una scomoda sensazione nel vedere quel ragazzo grande e grosso implorarla. Era triste, scoraggiante. Non era una buona idea. Totalmente, definitivamente. Hella pessima cazzo di idea...
“Perché lo chiedi a me?” Chloe era ancora curva e passeggiava nervosamente sul posto.
“Perché… hai lavorato per lui, probabilmente si fida o lo conosci meglio di me. Non lo so… ti sto chiedendo un favore.” Drew si massaggiava le mani agitato.
I due si fissarono per un momento, lasciando cadere il silenzio.
Infine Chloe sbuffò: "Ok... non ti prometto niente però."
"Grazie Chloe..."
"Non ringraziarmi... questa è una stronzata! Non so perché ti do retta..."
"Ah... per favore non dire niente a Mikey... o Steph..."
"Altro? Vuoi anche una pedicure già che sono qui?" ringhiò Chloe.
Drew sorrise. Era un sorriso caldo, riconoscente e velato da una strana, distorta speranza.
"Ora vado. Ci si becca..."
"Ci si becca!"
 
Chloe uscì dalla stanza 785 e quando ebbe chiuso la porta alle sue spalle si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi, sprofondando in un lungo sospiro.
Perché gli aveva detto di sì? Fanculo…
 
******************************
 
[Rachel]
  • Ciao Drew!
  • È la paziente della 781 che ti parla.
[Drew]
  • Rachel?
[Rachel]
  • In persona! Come ti senti?
  • Appena mi lasciano alzare dal letto vengo a trovarti.
[Drew]
  • Grazie!
  • Va piuttosto male, ma posso gestirla.
  • E il tuo braccio?
[Rachel]
  • Ne sono sicura.
  • Il braccio guarirà.
  • Sono troppo fatta per sentire dolore!
  • Senti… ho parlato con Chloe.
  • So della borsa di studio.
  • Mi dispiace tanto.
[Drew]
  • Sì è una merda.
  • Troverò una soluzione.
[Rachel]
  • La soluzione ha trovato te.
  • Ho saputo del tuo piano…
  • Ti propongo un’alternativa.
  • Posso aiutarti ad alzare i voti per
    chiedere una nuova borsa di studio.
  • Possiamo ancora farcela
  • Justin con il mio aiuto ha migliorato algebra lo scorso semestre.
[Drew]
  • Cazzo gliel’ho detto 5 minuti fa…
  • Dì a Chloe che è morta!
[Rachel]
  • Si preoccupa per te e Mikey
  • E anch’io.
[Drew]
  • Sì ma non credo di avere scelta.
  • A mio padre servono soldi!
  • E comunque per avere una borsa di
    studio mi ci vorrebbe un miracolo
  • A parte il football sono appena sufficiente
    in tutte le altre materie!
  • Non si può fare.
[Rachel]
  • Quindi ti vuoi arrendere?
[Drew]
  • Mai.
[Rachel]
  • Allora facciamo un tentativo.
[Drew]
  • Ok…
  • Ma non lascerò mio padre nella merda
  • I soldi ci servono.
  • Conosci la situazione.
[Rachel]
  • Fai quello che pensi sia giusto Drew.
  • Solo… non hai un’unica scelta.
 [Drew]
  • Tentare non costa.
  • Grazie Rachel.
  • Davvero.
  • E… mi dispiace di essere stato uno stronzo con te
[Rachel]
  • Non preoccuparti Drew
  • È acqua passata
[Drew]
  • No che non lo è
  • Ti ho detto un sacco di merda orribile
  • Ti ho allontanata mentre volevi solo aiutare
  • Mi hai chiamato sulla mia merda e ti ho mandata affanculo
  • Mi dispiace davvero
[Rachel]
  • Va bene
  • Ti perdono
  • Ma solo se ti impegnerai nello studio! 😉
[Drew]
  • Va bene…
  • Grazie
[Rachel]
  • Di niente.
  • Ora rilassati finché non sei sotto le mie grinfie!!
[Drew]
  • Sei inquietante!
  • XD
[Rachel]
  • ^.^
 
“Drew?” chiese Chloe.
Rachel annuì e appoggiò il cellulare sul comodino, vicino alle Metamorfosi. Era seduta gambe incrociate sul letto, sembrava stare meglio e le avevano dato una fascia in cui contenere il braccio sinistro, così da permetterle di muoversi un po’ più liberamente. Con gli antidolorifici riusciva a stare seduta senza sentire fastidio alla ferita, che sembrava soffrire molto la forza di gravità! Il dottore aveva raccomandato calma e prudenza nel muoversi ancora per qualche giorno, ma Rachel scalpitava.
“Dice che ti ucciderà!” sogghignò.
“Pfff… può provarci!” Chloe si scrocchiò le dita delle mani con un ghigno minaccioso. Le due ragazze erano sedute sul letto una di fronte all’altra.
“Sarebbe un incontro interessante! Non saprei su chi scommettere…” provocò Rachel.
“Ah no?” Chloe le diede una spinta giocosa sulla spalla destra.
“Eh sai… Drew è molto grosso…”
“Non mi hai ancora vista incazzata…” ammiccò Chloe “Tu gli daresti semplicemente fuoco!”
“Pfffh… me la menerai in eterno??” ridacchiò Rachel.
“Probabile! Sto ancora un po’ male per quello che abbiamo fatto…” disse Chloe.
“Cerco di non pensarci… comunque non è morto nessuno!” replicò Rachel.
“Solo ettari di piante secolari e qualche scoiattolo innocente…” pungolò Chloe
“Ecco… per questo non voglio pensarci! Ma magari è meglio così…”
“In che senso?”
“A volte per costruire qualcosa di nuovo bisogna distruggere il vecchio. Dopo la distruzione la natura si riprende sempre più forte…” disse Rachel, più a sé stessa che a Chloe. L’incendio non aveva distrutto soltanto il bosco, sperava davvero che dalle ceneri qualcosa potesse ricrescere. Metaforicamente e non.
“Questo è… profondo!” commentò Chloe.
Rachel allungò la mano destra e accarezzò il mento di Chloe, poi la guancia con l’esterno delle dita, e la ragazza si sciolse in un’espressione di ebete dolcezza.
“Sei molto gentile con lui comunque… Dopo come ti ha trattata.” sussurrò Chloe.
“Drew ha passato un bel po’ di merda. Gli amici fanno comodo in questi momenti” affermò con sicurezza Rachel con un’espressione delicatamente solenne.
“Già…” convenne Chloe. I suoi occhi erano puntati su di lei, l’incarnazione di quel concetto.
“Farai quello che ti ha chiesto?” chiese Rachel giocherellando con il ciuffo blu di Chloe.
“Beh… penso di sì. Prima dovrei incontrare Frank e al momento non è in programma. Soprattutto perché non risponde ai miei messaggi.”
Rachel fece spallucce: “Prima o poi risponderà. Penso che quando lo incontrerai dovrei esserci anch’io…”
“Perché?” si incuriosì Chloe.
“Ha salvato la vita a entrambe. Almeno un grazie faccia a faccia glielo devo.”
“Buon punto…”
Rachel sospirò, slittò un po’ più indietro per appoggiarsi al cuscino.
“I tuoi lividi stanno guarendo bene!” cambiò argomento.
“Già…” Chloe si toccò la guancia. Era decisamente meno gonfia, anche se il rossore era diventato un alone violaceo che avvolgeva il lato dell’occhio. Il labbro invece era tornato a dimensioni normali e il taglietto all’interno si era rimarginato. Le costole invece le facevano ancora male, doveva stare attenta a non muoversi in modo troppo brusco per non sentirle ululare.
“Un po’ mi dispiace per il labbro…” giocò Rachel.
“Ti piacciono i labbroni a gommone?”
“Era… simpatico!”
“Posso farmi dare un cazzotto da Drew!” propose Chloe.
“Nah…” Rachel “Le tue labbra vanno bene così…” il suo sguardo in quel momento… Chloe avrebbe potuto perdersi. Occhi nocciola che brillavano di una luce calda, come un focolare in mezzo alla neve. Invitavano ad avvicinarsi, a…
Rrrrmmmmmmmmmm….
 
Chloe sobbalzò!
L’espressione di Rachel si fece buia.
“Ancora?” chiese.
Chloe controllò. Era un messaggio… non lo lesse.
“Già…”
“Comincia a diventare inquietante…”
“Non lo era già?”
“Si, ma ora di più…”
“La smetterà.”
“Dici?”
“Boh! Prima o poi capirà che non voglio parlargli se continuo a ignorarlo no?”
“Da quello che mi hai raccontato non sembra molto incline a capire…” il tono di Rachel era sinceramente preoccupato. Le appoggiò una mano sul ginocchio coperto dai jeans.
“Eliot è…” Chloe scrollò le spalle “…di sicuro abbiamo chiuso” precisò “…però. Non ha fatto la spia su di me agli sbirri e dopo la morte di papà e il trasloco di Max… lui c’è stato. Non mi ha mai capita veramente e si è comportato da stalker psicopatico… ma non… non lo so…”
“Non gli devi nulla Chloe. Ti è stato vicino perché voleva farlo. Non sei in debito. E si sta ANCORA comportando come uno stalker psicopatico…”
“Lo so, solo… non voglio infierire.”
“Perché sei troppo buona…” Rachel le regalò il sorriso più dolce che avesse mai visto. Chloe si sentì avvolta da un fascio di luce rosa, sentì cinguettare gli uccellini e fu circondata di brillanti stelline! Il suo cuore si trasformò in zucchero filato.
Rachel osservò con soddisfazione quella sequenza di emozioni attraversare il viso di Chloe, le sue guance arrossarsi, gli occhi vagare altrove, mentre tentava impacciata di accomodarsi meglio sul letto. Era sempre così adorabile!
“Chloe… io…” il tono di Rachel si fece improvvisamente solenne, la sua espressione cupa.
“Che succede?” Chloe si fece più avanti e le posò un tocco delicato sulla gamba.
“…mia madre… Sera…”
Un macigno piombò sul petto di Chloe, fino a schiacciarle lo stomaco.
“…continuo a pensarci…”
Chloe aveva già capito…
“Rachel…”
“Lo so… me l’hai già detto…” sospirò con una vaga stizza “…io non… Ugh!” si passò nervosamente la mano fra i capelli spostando una ciocca dietro l’orecchio.
“Stavolta non saprei dove cercarla…” ammise Chloe.
“Non ti sto chiedendo di farlo. Non ti metterò più in pericolo…”
“Allora…”
“Frank… quando lo incontreremo voglio chiedergli se sa dov’è andata. Se ha un modo per contattarla…”
“Sei sicura? Intendo… io sono con te Rachel lo sai. Ma pensi che sia una buona idea insistere?”
“Chloe… se tuo padre fosse ancora vivo… da qualche parte… non faresti tutto quello che puoi per trovarlo?”
Chloe inspirò profondamente, il volto si indurì e le spalle si irrigidirono sulla difensiva. Rachel se ne accorse e abbassò lo sguardo.
“Scusa… non intendevo…”
“No hai ragione…” Interruppe Chloe “…lo cercherei. Ma è una cosa diversa… tu e lei non vi siete mai incontrate, non sai che tipo è… cazzo io ci ho parlato… ho letto le lettere che ti ha inviato… sembrava amarti molto ma… ha scelto di andarsene. Io… non voglio vederti soffrire ancora… non lo sopporto…”
Rachel le sorrise.
“Nemmeno io voglio soffrire… ma sento che mi manca quel pezzo di vita… non ho mai saputo che mi mancava, ma in qualche modo lo sentivo lo stesso. Se incontrarla può colmare quel vuoto… non so se lo farà… ma potrebbe. Giusto?” la voce di Rachel tremolava leggermente. Pensava a voce alta.
“Non lo so Rach... in ogni caso sarò al tuo fianco!”
Rachel allungò una mano, infilandola sotto il berretto di Chloe, facendolo cadere e affondando le dita fra i suoi capelli, passando le dita fra di essi. Chloe si abbandonò a quella sensazione, socchiuse gli occhi e si lasciò cullare da quel soffice tocco.
“Ultimo tentativo…” dichiarò la ragazza.
“Cosa?” chiese Chloe a occhi chiusi, mentre la mano di Rachel le coccolava ancora il cuoio capelluto.
“Se Frank non sarà d’aiuto… andrò avanti. Non la… cercherò più…” le parole le uscirono con fatica. Non ci credeva del tutto, era più una dichiarazione d’intenti. Era la cosa più logica da fare. Accettare che la sua famiglia era un casino e avrebbe dovuto conviverci. Forse non l’avrebbe mai superato. Come cazzo si superano cose del genere? Ma poteva andare avanti. La vita sarebbe andata avanti comunque. Rachel voleva credere nelle sue stesse parole. Non ci riusciva… ma voleva…
“Rachel… non intendevo… scoraggiarti. Insomma… cazzo…”
Rachel fece scivolare la mano dai capelli sulla guancia livida di Chloe.
“Lo so Chloe. Ti preoccupi per me. E io mi preoccupo per te. Ti ho trascinata in questa cosa e ora ci siamo dentro entrambe. Non voglio metterci di nuovo in pericolo. Voglio solo… fare un ultimo tentativo.”
“Va bene.” Chloe le avvolse la mano di lei nelle sue, accarezzandola con il pollice.
Rachel sorrise teneramente. In quel momento Chloe era la sua ancora.
Là fuori pioveva ancora. Quella mattina l’intensità della pioggia era aumentata, il cielo si era scurito e il vento aveva scosso la città. Tuoni e fulmini si erano abbattuti qui e là con frequenza preoccupante per qualche ora. Adesso, mentre le due ragazze sedute sul letto si fissavano amabilmente tenendosi per mano, la furia della pioggia iniziò a placarsi.
 
-
 
Quando Chloe lasciò la stanza nel primo pomeriggio, Rachel decise che era giunto il momento di affrontare il suo cellulare. Aveva rimandato quel momento, ma era inevitabile. Fuori da quell'ospedale aveva una vita, relazioni, una carriera scolastica... un paio di giorni di oblio le erano serviti ed erano comprensibili date le circostanze. La vicinanza di Chloe e le coccole di quella mattinata l’avevano aiutata a ritrovare finalmente la volontà di indossare le sue maschere e tornare in scena.
Il Preside Wells le aveva scritto i suoi migliori auguri di guarigione e la comprensione della situazione che suo padre gli aveva illustrato. Chissà cosa si era inventato... lo avrebbe chiesto a Rose. Rispose a lui per primo con un classico "Grazie per l'interesse, è molto apprezzato, blablabla...". Lo stesso messaggio con poche varianti più personalizzate fu copincollato e indirizzato agli altri professori come Mr Keaton, Mrs Grant, etc.
Già… tutti i suoi professori le avevano scritto messaggi di solidarietà. Un lato di Rachel si sentì molto orgoglioso di sé per aver saputo creare quel tipo di connessioni. Per fortuna stimava la maggior parte dei professori della Blackwell, soprattutto Keaton che era stato un vero mentore per lei. Erano pochi quelli con cui aveva davvero fatto buon viso a cattivo gioco.
Passò poi ai messaggi dei compagni di classe e infine del Drama Club. Il bello delle chat di gruppo è che non devi scrivere individualmente a tutti... il brutto è che ti ingolfano la memoria del telefono. Leggere il numero 124 di fianco al gruppo Drama Club le fece saltare un battito.
Rachel inspirò profondamente, si ricentrò ed espirando aprì la chat. Per fortuna non riguardava tutto lei. Erano conversazioni che partivano dalla serata post Tempesta e arrivavano al giorno precedente. Lesse superficialmente gli scambi di battute fino ad arrivare alla parte che le interessava.
 
[Hayden]
  • Rachel? Ho sentito che sei in ospedale.
  • Che ti è successo??
 
[Marisa]
  • WTF?!?!?
 
[Kelly]
  • Che è successo??
  • Rach, ti ho scritto in privato.
 
[Nathan]
  • ???
 
[Hayden]
  • Rachel?
 
[Marisa]
  • Hayden, è in ospedale!
  • Magari non può rispondere??
  • È inutile che continui a scriverle qui…
 
[Kelly]
  • Ho sentito che è stata aggredita
 
[Nathan]
  • Aggredita?? Da chi?
 
[Marisa]
  • Chi te l'ha detto?
 
[Hayden]
  • Merda...
 
[Kelly]
  • L'agente Berry.
  • Non ha detto altro, c'è un'indagine in corso.
 
[Nathan]
  • Merda...
 
[Dana]
  • Che cazzo ho appena letto?!??!
  • Rachel aggredita??
  • Ragazzi??
  • Informazioni per favore...
 
[Steph]
  • Sono stata in ospedale a trovare Drew.
  • Non sono ancora passata da lei, ma so che è sveglia
  • Ho incontrato Chloe che è andata a trovarla.
  • A parte lei la visita solo la famiglia.
 
[Marisa]
  • Ah, quindi Price lo sapeva...
 
[Hayden]
  • Beh almeno sappiamo che non è grave
  • Cioè... se uno è sveglio non è grave giusto?
 
Rachel sospirò.
Chiudi gli occhi, entra in modalità Drama Club...
Iniziò a digitare.
 
[Rachel]
  • Ciao ragazzi!
  • Scusate se non ho risposto prima
  • Sono stati giorni un po' intensi
  • Comunque sto bene, mi rimetterò presto.
  • Mi dispiace tanto non esserci stata al dopo-spettacolo.
 
Le risposte non si fecero attendere.
 
[Hayden]
  • Rachel!!
  • Fanculo la festa... siamo felici di sapere che stai bene!!
  • Che è successo??
 
[Dana]
  • Oh mio dio grazie al cielo...
 
[Marisa]
  • Ciao Rachel!
  • Mi sono così preoccupata.
 
[Nathan]
  • Rach! Ti ho scritto
 
[Kelly]
  • Meno male Rach!!
  • Alla Blackwell la macchina del gossip è già in moto e si è sentito di tutto...
 
[Hayden]
  • Certo che Chloe poteva dirci qualcosa però...
 
[Steph]
  • Una normale settimana alla Blackwell giusto? ^.^'
 
[Rachel]
  • Chloe mi è stata vicino in questi giorni
  • Come ha detto Kelly c'è un'indagine in corso
  • Mio padre se ne sta occupando, ma non posso dire niente.
  • Comunque sto bene, tempo un paio di settimane e tornerò a stressarvi! XD
  • Spero al prof Keaton non sia venuto un infarto!
 
[Hayden]
  • XD
  • Abbiamo dovuto rianimare Keaton quando ha saputo...
 
[Marisa]
  • Rimettiti presto!
 
[Nathan]
  • Merda Rachel... mi hai fatto prendere un colpo!
  • Riprenditi.
  • Ti ho scritto in privato.
 
...eccetera eccetera...
 
Rachel lasciò perdere la conversazione di gruppo. La sua parte era fatta, era ‘la ricoverata’ quindi aveva il diritto di eclissarsi! Passò quindi ai messaggi privati, tutti sul tenore "Oh mio Dio Rachel cos'è successo? Ti prego facci sapere!". Allo stesso modo Rachel rispose a tutti più o meno con un "Mi dispiace ti sia preoccupato/a così tanto, ho riposato e basta per un paio di giorni. Mi rimetterò presto... blablabla"
Volle dedicare più attenzione solo ad alcune persone selezionate...
 
[Nathan]
  • Hey Rach... cos'è successo??
  • Sono davvero preoccupato.
  • Se becco chi ti ha aggredito lo ammazzo...
  • Se stai bene fammi sapere appena puoi ok?
 
[Rachel]
  • Ciao Nate!
  • Puoi rilassarti! :-)
  • Sto bene, i dottori e Chloe si sono presi cura di me.
 
[Nathan]
  • Ok!
  • Merda Rach... mi stava per venire un colpo! ^.^'
 
[Rachel]
  • Sapessi a me!!
  • Comunque mi devo scusare!
  • Non ti ho fatto i complimenti per la tua performance!
  • Cazzo Nate... il tuo Calibano faceva paura! Sei stato grandioso!
 
[Nathan]
  • Grazie! Non lo so in realtà... ma almeno non ha riso nessuno
  • Pure mio padre non ha avuto niente da dire!
  • TU sei stata meravigliosa.
  • Prospera in versione donna era perfetta, meglio ancora con te a interpretarla.
  • È stato un bene che Marisa abbia rinunciato all'ultimo minuto...
 
Rachel scoppiò in una fragorosa risata mentre leggeva. Il ricordo di Chloe che sfoderava le sue abilità retoriche e convinceva Marisa a rinunciare alla parte era dolce ed esilarante!
Poco prima dello spettacolo era andata in camerino da lei, ufficialmente per riprendere alcune cose che aveva lasciato, ma l'obiettivo era proprio salire sul palco. Se Chloe non si fosse presentata avrebbe probabilmente tentato lei stessa di convincere Marisa... o l'avrebbe drogata coi suoi miorilassanti! Mentre Chloe parlava li aveva adocchiati vicino alla sua borsa. Un paio di gocce in più nel tè e si sarebbe fatta un bel sonnellino!
Rachel non aveva nulla contro Marisa. Almeno all'inizio.
Fin da quando la conosceva erano state in competizione. O meglio, Marisa si era messa in competizione con lei. Le frecciatine della ragazza, sempre alla ricerca di indizi sui suoi punti deboli... era snervante! Capiva il suo punto, era ambiziosa, ma non conosceva l'arte della guerra. Dice Sun Tzu "L'arte della guerra consiste nello sconfiggere il nemico senza doverlo affrontare".
Per questo Rachel surfava sugli eventi, generalmente senza forzarli, in cerca dell’opportunità giusta e preferiva mantenere buoni rapporti con le persone, anche con quelle che sapeva la invidiavano e sotto sotto la disprezzavano. Come Marisa. Ma se messa alle strette, Rachel non aveva nessun problema a combattere:
"Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio."
Un ghigno di felina soddisfazione le apparve in volto.
Tornò ai messaggi.
 
[Rachel]
  • Perché avrebbero dovuto ridere?
  • Te l'avevo detto che recitare è perfetto per incanalare le emozioni.
 
[Nathan]
  • Comunque... so che c'è un'indagine e tutto ma mi puoi dire almeno quando ti hanno ricoverata?
 
[Rachel]
  • Sabato mattina.
 
[Nathan]
  • Mi prendi per il culo?
  • Ero anch'io in ospedale sabato mattina!
  • Ero con Samantha...
 
[Rachel]
  • Ma dai?!
  • Samantha Myers? Racconta un po'!
  • Non ci aggiorniamo da un sacco...
 
[Nathan]
  • Per ora non c'è molto da dire.
  • È da un po' che mi ronza intorno...
  • Prima dello spettacolo mio padre è venuto a... incoraggiarmi!
  • Samantha è stata con me in camerino.
  • Mi ha tranquillizzato, altrimenti col cazzo che recitavo!
  • Sembra che le piaccia... intendo IO non il mio cognome...
 
Conosceva Nathan da oltre un anno, sapeva della sua complicata situazione famigliare e gli era stata accanto in alcuni momenti bui. Aveva sempre guardato ai problemi di Nathan come qualcosa di molto lontano da lei. Ora invece… Certo erano due situazioni molto diverse. Il padre di Nathan non tentava minimamente di nascondere quanto fosse stronzo! Comandava l'impero finanziario Prescott e ostentava il senso di onnipotenza che la sua posizione gli dava. Esercitava il suo potere senza remore su chiunque, figlio compreso. Nathan era da sempre costretto a reprimere tutto di sé: emozioni, idee, aspirazioni... solo per compiacerlo. Era anche stato violento con lui, fin da bambino. Nathan ne era terrorizzato. A causa sua prendeva tranquillanti ed andava in terapia…
Rachel, per fortuna, non era stata cresciuta nel terrore, anche se con quello che aveva scoperto... forse le era solo toccato un Sean Prescott non violento... uno più bravo a mentire, che sa erigere un muro di belle apparenze per nascondere...
 
Si focalizzò di nuovo sui messaggi.
 
[Rachel]
  • Vedi che non sono tutti stronzi?
  • Ma... hai detto che eri in ospedale con Samantha?
 
[Nathan]
  • Fin'ora nel club dei non-stronzi siete in due!
  • Samantha è stata investita da un motociclista...
  • È stata colpa mia... sono un coglione
  • Le volevo scattare una foto ma non riuscivo a inquadrarla bene
  • Così l'ho fatta andare in mezzo alla strada... pensavo non passasse nessuno
 
[Rachel]
  • Non hai nessuna colpa.
  • Si è fatta molto male?
  • Vedo che ti stai dando da fare comunque!!
  • Ne sono davvero felice!
  • E comunque nel club dei non-stronzi siamo molti più di due!
  • Ti ricordi quando abbiamo provato la parte con Kelly a inizio anno?
  • E quando Chloe ti ha difeso da Drew?
  • Meritano di entrare nel club anche loro!! ^.^
 
[Nathan]
  • Gli ingressi al club dei non stronzi sono attualmente sospesi! XD
  • Samantha si è rotta un braccio e incrinata un paio di costole.
  • Ne avrà per due mesi almeno, ma uscirà molto prima dall'ospedale.
  • Dovevo stare più attento! Comunque le ho portato il gelato.
  • Sembrava contenta.
 
[Rachel]
  • Il gelato?!
  • Ok adesso sono gelosa!
Rachel ricordò immediatamente le ciambelle che Chloe le aveva portato il giorno prima. Un sorriso dolce si allargò sul suo viso.
  • Non darti addosso, se lei è tranquilla rilassati anche tu.
  • Adesso mi riposo un po'
  • Tienimi aggiornata!
 
[Nathan]
  • Certo!
  • A presto!
  • La prossima volta che passo in ospedale posso venire a trovarti?
 
[Rachel]
  • Naturale!
  • Porta il tuo portfolio se ti va!
  • Voglio vedere i tuoi ultimi capolavori! :-)
 
[Nathan]
  • :-D
  • Ok!
 
Rachel scorse i messaggi e ne trovò alcuni di Megan Weaver.
[Megan]
  • Ciao…
  • Non so davvero cosa dire.
  • Ho saputo cosa ti è successo.
  • Sapere che hai rischiato la vita ha messo tutto in prospettiva
  • Spero vorrai parlarmi ancora
  • Vorrei venirti a trovare in ospedale
Rachel fissò quella serie di messaggi e sorrise. Megan era una delle primissime persone con cui aveva legato appena arrivata alla Blackwell. Per tutto il primo anno era stato uno dei rapporti più stretti che aveva, ma durante il secondo anno si erano allontanate. Rachel aveva certamente avuto un ruolo in questo. Da quando Chloe era entrata nella sua vita, molti altri ne erano stati spinti ai margini. Megan era tra questi.
Non c’era nessun motivo particolare, solo che Rachel era un essere umano e non poteva fisicamente esserci per tutti. Megan non l’aveva presa bene…


[Rachel]
  • Non preoccuparti Meg
  • Certo che voglio parlarti e ci vedremo
  • Solo che adesso ho bisogno di un po’ di riposo
  • È stato un periodo… beh… puoi immaginare!
  • Ma sentiamoci
  • Mi sei mancata…
Era vero.
Ogni parola, per quanto adesso anche per Rachel tutto era stato messo in prospettiva.
Tutta la sua vita, tutte le relazioni. E il merito era di Chloe. Nessuno avrebbe rischiato per lei come aveva fatto Chloe. Nessuno.
[Megan]
  • Sono felice di sentirlo!
  • Anche tu mi sei mancata! ^.^
  • Come stai? Ho sentito solo voci confuse.
[Rachel]
  • Sono stata aggredita e mi hanno accoltellata ad un braccio…
  • Ma sto bene adesso. Mi hanno ricucita e mi riempiono di roba buona per il dolore!
  • Passerà
[Megan]
  • Sembra tutto irreale…
[Rachel]
  • Non dirlo a me!
  • Ora mi riposo un po’ Meg
  • Sono felice di averti sentita.
[Megan]
  • Anch’io!
  • A presto!
 
Rachel prese un respiro profondo e chiuse la chat con Megan.
Incappò subito in un’altra sequenza di messaggi…
[Ruth]
  • Ho saputo cos’è successo!
  • Sono a Medford altrimenti avrei già raggiunto l’ospedale.
  • Ti prego dimmi che stai bene!
Gli occhi di Rachel si inumidirono un po’.
Fu come se leggendo i messaggi potesse vedere il volto di quella ragazza, il suo sguardo sinceramente preoccupato. Le scaldò il cuore e le dispiacque di essersi eclissata per giorni… almeno da lei.
[Rachel]
  • Sto bene… relativamente
  • Mi dispiace non averti risposto subito, avevo davvero bisogno di sparire
  • Sono successe delle cose folli
  • Per fortuna Chloe era con me
  • Si è presa cura di me tutto il tempo
[Ruth]
  • Abbracciala da parte mia!
  • Mi sento in colpa
  • Ti ho portata io in un certo giro… questo è il risultato
[Rachel]
  • Davvero tu non c’entri niente.
  • Sono questioni di famiglia…
  • Ti racconterò
[Ruth]
  • Ok
  • Ti mando un abbraccio fortissimo
[Rachel]
Rachel sospirò malinconicamente e passò all’ultima chat, quella con Steph.
[Steph]
  • Ciao Rachel. Chloe ci ha detto di Damon Merrick...
  • Sono sconvolta. Quello stronzo sta incasinando tutti.
  • Io, Drew e Mikey facciamo il tifo per te! 😊
  • Quando ti senti meglio se ti va scrivimi!
 
Rachel sorrise. Considerava Steph una bravissima ragazza, dolce, intelligente, creativa... FEROCE! Come direttrice di scena de la Tempesta si era davvero fatta il culo, curando personalmente la progettazione e la realizzazione dell'allestimento, realizzando i concept di ogni scenografia, ogni costume, organizzando le luci. Aveva preso il comando dei ragazzi del reparto tecnico con grande leadership, impartendo disciplina ferrea con bastone e carota. Ti accorgevi quando usava il bastone perché la sentivi gridare! Era incredibile il livello di decibel che poteva raggiungere! I ragazzi e le ragazze del gruppo tecnico le obbedivano ciecamente! Gli attori, invece, si divertivano un sacco alle sue spalle. Hayden le fregava regolarmente le matite solo per farla incazzare!
Rachel l’aveva conosciuta il primo giorno al Drama Club e quasi immediatamente si era accorta dei suoi flirt! Dopo Megan, Steph era la seconda persona con cui aveva legato alla Blackwell. Un’amica, anche se il suo interesse romantico a volte la faceva sentire un po’ a disagio. Rachel non poteva darle ciò che desiderava.
 
[Rachel]
  • Hey Steph!
  • Ho ripreso il telefono solo oggi
  • Sono stati giorni complicati come sai.
  • Ora però va meglio, Chloe mi ha detto che vi siete parlati.
 
[Steph]
  • Affrontare gli psicopatici mette stanchezza! :D
  • Tu e Chloe siete diventate le mie eroine!
  • Per quanto dovrai stare ricoverata?
 
[Rachel]
  • Due settimane, giorno più giorno meno.
  • Dipenderà da quanto velocemente guarisco.
  • Lo stronzo mi ha ferita un braccio, ha colpito un’arteria
    ed è stato quello il grosso rischio.
  • Per fortuna Chloe mi ha portata in ospedale in tempo.
 
[Steph]
  • Gesù Cristo!
  • Chloe come sta? Sabato l’ho vista davvero giù.
  • Non sono più riuscita a vederla né sentirla.
  • Drew l’ha vista stamattina, dice che ha dei lividi…
 
 
[Rachel]
  • Mi è stata vicina in questi giorni.
  • Sai com’è fatta, fa la tenebrosa :-P
  • I lividi… beh… c’entra Merrick pure in quelli
 
[Steph]
  • Spero che tuo padre prenda quello stronzo e gliela faccia pagare….
 
Le labbra di Rachel si contrassero.
Esitò alcuni istanti…
Forse non era il momento di condividere con Steph ulteriori dettagli. Chloe aveva fatto capire a Drew che non doveva più preoccuparsi di Merrick, ma c’erano valide ragioni. Il ragazzo aveva un grosso debito con quell’uomo, togliergli la preoccupazione di doverlo saldare o che Damon si presentasse in ospedale per riscuotere… era stato giusto. Ma Steph…
 
[Steph]
  • Senti, sto venendo a trovare Drew.
  • Ti va se passo a trovarti?
 
La anticipò di poco. Meglio così… magari gliene avrebbe parlato, ma non senza Chloe… e di sicuro NON via sms!
 
[Rachel]
  • Oggi mi sento ancora un po’ stanca.
  • Gli antidolorifici mi rincoglioniscono.
  • Magari domani?
 
[Steph]
  • Nessun problema!
 
[Rachel]
  • Grazie! 😊
 
[Steph]
  • Buon pisolino!
  • Byez!
 
Rachel rimise il cellulare sul comodino e si lasciò andare sul letto. Si sfilò la maschera social, lasciò che il suono della pioggia le lavasse la mente. La solitudine non le dispiaceva affatto in quei giorni, l’unica compagnia di cui aveva bisogno era quella di Chloe. I pensieri su tutto ciò che aveva scoperto le pesavano addosso… lei era l’unica con cui voleva condividerli.
Eppure, forse, il modo migliore per superare il baratro era tornare a qualcosa di quotidiano? La Blackwell, con tutto il suo carico di ipocrisia e stronzate, gli studi, le lezioni… era un terreno che conosceva. Qualcosa di abituale, un gioco con regole note.
Aveva bisogno di qualcosa che la facesse di nuovo sentire… in controllo?
 
************************
 
Chloe ricevette un altro messaggio. Tre messaggi uno in fila all’altro. Una morsa di nervosismo le si aggrappò allo stomaco. Era spiaggiata sul suo letto, fumando una sigaretta mentre guardava il soffitto. Dal piano di sotto poteva sentire odore di spezzatino. Joyce stava ancora cucinando quella merda per David. Almeno Mustacchione era in giro a cercare lavoro. Chloe fu tentata di ignorare i messaggi, ma poteva non essere Eliot…
Guardò!
Infatti era Rachel. Non poté però fingere di non vedere 13 messaggi e 18 chiamate perse di Eliot.
Merda….
[Rachel]
  • Chloe Price
  • Domani pomeriggio viene a trovarmi Steph.
  • Mi fai compagnia?
 
Mmmmmh….
Iniziò a scriverle una risposta d’istinto: “Che c’è hai paura di Steph?!”
Cambiò idea e la cancellò. Era nervosa… ma non così tanto da non sapersi dominare con Rachel.
[Chloe]
  • Certo ma… tutto bene?
[Rachel]
  • Io si. E tu?
 
Chloe si stropicciò gli occhi e prese un tiro di sigaretta.
 
[Chloe]
  • Si tutto a posto.
 
Cerrrrto….
 
[Rachel]
  • Chloe.
  • Mandalo a fanculo!
 
La ragazza si sentì colta in castagna, poi sorrise. Era incredibile come Rachel la capisse al volo. Risparmiava un sacco di chiacchiere in cui avrebbe dovuto spiegare come si sentiva, cosa la preoccupava… al tempo stesso era un po’ inquietante non riuscire a nasconderle le sue emozioni, nemmeno via sms. O Chloe faceva veramente cagare a mentire, oppure Rachel aveva un cazzo di dono…
 
[Chloe]
  • Sei sicura di non avere poteri Jedi?
[Rachel]
  • Magari li avessi.
  • Andrei da Eliot, agiterei la mano e lo convincerei a non farsi più vivo.
  • E se non funzionasse lo strangolerei con la Forza!
[Chloe]
  • Questo è molto più da Sith!
  • Darth Amber… sexy!
[Rachel]
  •  Nerd!
 
Chloe sghignazzò fra sé e lasciò cadere il braccio sul letto, il cellulare ancora in mano. Prese un altro tiro di sigaretta, arrivando al filtro. La spense… ne accese subito un’altra. Scrivere a Rachel la ammorbidiva sempre, era come una boccata d’aria dopo essere stati immersi troppo a lungo sott’acqua. Ma dopo aver preso aria tornava inesorabilmente a sprofondare.
Notò che nel pacchetto rimanevano solo tre sigarette. Che palle! Beh almeno aveva una scusa per uscire! Mentre fumava sentiva la voce silenziosa del cellulare chiamarla… la curiosità di leggere la valanga di sms che Eliot le aveva inviato. Che cazzo voleva di preciso?? Non riusciva a capire perché continuasse a cercarla, cosa si aspettasse. Forse leggere i messaggi le avrebbe chiarito le idee. Ma aveva paura. Era curiosa e intimidita da quell’ossessività. Voleva che non la cercasse più… per colpa sua aveva rischiato di ignorare i messaggi di Rachel. Questo era un problema… andava risolto.
Prese il cellulare.
[Eliot]
  • Chloe mi hanno rilasciato stamattina.
  • Non ho detto di te alla polizia.
  • Dobbiamo parlare.
  • Perché non rispondi?
  • Chloe?
  • Mi stai ignorando?
  • Chloe???
  • Sei con Rachel?
  • Pensavo che ci fossimo chiariti a casa degli Amber
  • Pensavo avessi capito
  • Chloe non ignorarmi!!
  • Lo sapevo sei con Rachel…
  • Mi hai preso per il culo!
Man mano che leggeva Chloe sentì accendersi la rabbia nel suo stomaco. Ribolliva furiosamente, le salì fino alla gola. Voleva urlare. La deviò verso le dita.
[Chloe]
  • Abbiamo chiuso.
  • Non scrivermi e non chiamarmi più.
  • Non abbiamo più nulla da dirci.
Chloe chiuse il telefono e lo lanciò sul letto.
Sentì una certa soddisfazione, ma durò poco…
RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm
RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm

RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm



RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm


Quattro vibrazioni a ritmo irregolare… erano messaggi. Chloe sbuffò e prese di nuovo il telefono.
[Eliot]
  • Io invece ho ancora molto da dirti!
  • Non ci posso credere
  • Dopo tutto quello che ho fatto per te
    Dopo la nostra storia… la nostra amicizia….
    Ci conosciamo dall’asilo e mi vuoi sfanculare così??
  • Non abbiamo per niente finito!
Chloe ringhiò
[Chloe]
  • Sei uno psicopatico
  • Non farti più sentire o chiamo la polizia
  • Stalker!
Là fuori pioveva ancora, anche se molto meno rispetto al mattino. Si era fatto buio, non c’era altro suono se non quello della pioggia e delle stoviglie, lontane, al piano di sotto. Ah no… c’era anche il battito del cuore di Chloe. Non era rapido, ma era forte. Ogni battito echeggiava nelle orecchie, sbatteva contro lo sterno. La sua vista era incredibilmente acuta in quel momento, lo schermo illuminato del cellulare, ogni lettera dei messaggi perfettamente nitida. Nella penombra della stanza riusciva a distinguere perfettamente foto, poster e graffiti sulle pareti, la punta arancione incandescente della sigaretta appoggiata sul posacenere sembrava una lampada. Ogni senso era iperattivo, come se ci fosse una minaccia imminente.
Passarono solo pochi secondi.

RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm
RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm

Un’altra

RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm

Fottuta

RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm

CHIAMATA!

RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm

Chloe la rifiutò.
Ma…

RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm
RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm
RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm
RRRrrrrrmmmmmmmmmmmm

Chloe si alzò dal letto e scagliò il cellulare su di esso. Se ne pentì subito dopo averlo fatto, quando lo vide rimbalzare sul materasso pericolosamente in direzione del pavimento. Quel cellulare era vecchio, non poteva permettersene un altro, ma soprattutto quello era il cellulare che aveva decorato con Max… Per fortuna non cadde… ma continuò a vibrare. Chloe prese la sigaretta e aspirò selvaggiamente, guardando fuori dalla finestra come per sfuggire a quel suono che le faceva drizzare tutti i peli del corpo. Il telefono tornò silenzioso.
Era incazzata e spaventata. Non era più l’Eliot che conosceva. Beh, già a casa degli Amber non lo era più. Si era sentita in trappola quella volta e ci si sentiva ancora. Strano perché non era nemmeno lì. Di cosa aveva paura, del telefono? Non era difficile risolvere la situazione.
Tenendo la sigaretta in bocca recuperò il cellulare sul letto. Aprì la Rubrica, raggiunse il numero di Eliot. Lo selezionò, cliccò su “Blocca”. Un nuovo messaggio arrivò esattamente mentre cliccava.
Bene. Bloccato. Chiuso. Ora non può più rompere le palle.
Doveva solo ripetere l’operazione su Facebook e tutti i social… ah si… e l’e-mail…
Tirò un sospiro di sollievo. Fanculo Eliot. Aveva ragione Rachel. Aggirandosi per la stanza fumando, in cerca di distrazione, andò ad accendere la lampada a forma di orso. Un altro ricordo di Max. Ce l’aveva da quando erano bambine, forse papà gliel’aveva comprata a… 9 anni? La lampada aveva il classico design da orso tenerone, con un papillon al collo e nell’invitante gesto di un abbraccio. Ma quando lei e Max l’avevano acceso per la prima volta, una delle tante notti in cui avevano dormito insieme, nel buio della sua stanza aveva assunto tutto un altro aspetto. Il testone luminoso aveva un che di inquietante, le braccia aperte e alzate non sembravano un abbraccio, sembrava incitare una folla invisibile di seguaci.

“Merda Max! Sembra… cazzo è Saruman!!” Chloe aveva il tono gasato di chi ha appena avuto un’intuizione rivoluzionaria.
“Che???” chiese Max stupita.
“Saruman! Le Due Torri! Ti ricordi la scena degli Uruk-Hai? Quando c’è l’esercito schierato….” Spiegò Chloe con quel tono eccitato.
“Si si… è vero!!” scoppiò a ridere e continuò ancora di più quando Chloe balzò in piedi sul letto, si avvolse in una coperta come se fosse un mantello e spalancò le braccia, pronunciando strani versi con voce distorta cercando di imitare le formule magiche dello stregone.
“Ch.. Chl…. Chloe basta! Mi fai morire!!” Max si contorceva dal ridere.
“Non sono Chloe! Sono Saruman! E lui è …. È….”
“Il supremo orso luminoso!!”
“Il FOTTUTO Supremo Orso Luminoso!! Cui è dovuta ogni venerazione!!” declamò Chloe con tono solenne e artificioso “Presto! Un sacrificio umano per l’ORSO!!” si tuffò letteralmente su Max, agguantandole le costole. Si scatenò una lotta furibonda che disintegrò qualsiasi ordine avessero le coperte. Gridolini, risate e schiamazzi echeggiarono nella stanza. Finché qualcuno non bussò alla porta.
“Ehilà!” la voce di William. La porta si aprì e l’uomo emerse con un sorriso di circostanza e un sopracciglio inarcato. Le due ragazzine si bloccarono nella posizione in cui erano, Chloe in piedi sul letto impugnava Mr Sharky come se fosse una mazza, mentre Max usava un cuscino come scudo. I loro sguardi furbi incrociarono quello di William che le fissò attonito per qualche secondo. Poi non si trattenne più e scoppiò a ridere.
Scoppiarono tutti a ridere…
 
Chloe sentì gli occhi inumidirsi, fumava guardando fuori dalla finestra. La pioggia incessante era il perfetto accompagnamento per il suo umore. Andò a riprendere il telefono, nel tragitto spense il mozzicone di sigaretta. In quel momento sentì il motore dell’auto di David, con quel suo caratteristico rombo sordo e molto macho, che rientrava nel garage.
“Chloeeee! Stiamo per cenare!!” la voce distante di Joyce la raggiunse.
Chloe non rispose. Spinta da una malsana curiosità andò a vedere l’ultimo messaggio ricevuto.
[Eliot]
  • Non abbiamo ancora finito!
 
-
 
L’odore di carne stufata inondò le narici di Chloe appena scese le scale. Sua madre stava impiattando lo spezzatino con un grosso mestolo. Chloe aveva deciso che odiava a morte lo spezzatino da quando sapeva che David lo adorava… ma quel profumino… quei succulenti grossi pezzi di carne naviganti nel sugo. Mmmmmh… Il suo stomaco gorgogliò e la bocca si riempì di saliva.
“Chloe!” il tono di Joyce voleva essere accogliente, ma la ragazza non poté evitare di sentire la solita sfumatura del tipo ‘oh mio Dio quanto sono preoccupata per te ma per quieto vivere faccio finta che sia tutto ok’….
“Ti fermi a cena tesoro?”. Si incamminò verso il tavolo da pranzo. David era seduto al tavolo apparecchiato, vicino a sé il giornale aperto, una penna rossa in mano con cui appuntava qualcosa.
“No mamma… non ho fame adesso.” Menzogne… ma non avrebbe mangiato lo spezzatino!
“Chloe, ma almeno stai mangiando qualcosa in questo periodo? È da tanto che non ti fermi a cena…” Una volta servito David lasciò la pentola con lo spezzatino e il mestolo in tavola, tornando in cucina per prepararsi la sua cena a base di Ceasar Salad. Anche Joyce odiava lo spezzatino, in modo più onesto di Chloe dato che non le piaceva sul serio. Ma per amore di David lo cucinava lo stesso.
“Certo che mangio. Solo… non qui…” rispose Chloe appoggiata alla porta che dal corridoio dava sulla cucina.
“Mi piacerebbe molto se ti fermassi a cena. Posso fare anche a te un po’ di Ceasar… ti è sempre piaciuta.” Ancora quel tono superficialmente gentile dal retrogusto disperato. Chloe non sopportava sentire quell’atteggiamento da sua madre. Ogni giorno di meno! Capiva perfettamente che Joyce era preoccupata per lei, che desiderava che andasse d’accordo con David, riavere una famiglia normale. Ma cazzo! Non erano più una famiglia normale! Non da quando papà era morto! …e aveva sposato David. Avevano cominciato a uscire pochi mesi dopo la morte di suo padre. Chloe lo aveva odiato da subito e aveva odiato sua madre per aver sostituito William così presto. L’atteggiamento di Joyce, che si sforzava con ogni oncia di volontà di non essere apprensiva con sua figlia, la faceva solo incazzare di più. Comunque, Chloe riuscì a controllarsi.
“Davvero Mà… non ne ho voglia. Grazie comunque…”
Joyce sospirò un “Ok…” accese la tv e tornò al tavolo, accomodandosi.
David l’aveva aspettata per cominciare a mangiare. Quando lei si sedette chiuse il giornale, lo mise da parte, le sfiorò una mano con gentilezza, che Joyce restituì con un sorriso. Lo sguardo di David si addolciva così tanto quando guardava Joyce. Chloe ne era disgustata.

[…e stiamo ancora assistendo a questa bizzarra ondata di maltempo che ha colpito Arcadia Bay…]

la voce del meteorologo arrivò gracchiante dalla vecchia tv anni ’80 nell’angolo della cucina, tra fornelli e lavabo

[…siamo abituati ai temporali primaverili, ma è da domenica che non smette un attimo di piovere.]

Disse il conduttore Joe Edwards

[…dopo l’incendio sembra che la natura abbia deciso di dare una ripulita!]


“Agh…. Dovremmo comprare una tv nuova …” sentenziò David dal tavolo.
Certo! Se solo tu riuscissi a tenerti un cazzo di lavoro! 

[Sicuramente questa pioggia farà bene alla qualità dell’aria abbattendo le ceneri sollevate dal fuoco, ma ora che ettari di bosco sono andati persi è possibile che, se il maltempo non si placa, assisteremo a delle frane…]

rispose dalla tv l’ospite in studio, la meteorologa Matilda Gray.
Chloe rimase ancora un po’ sospesa tra corridoio e cucina, la tv come sottofondo. Aveva un grande, ingombrante bisogno di levarsi dalle palle. Sicuramente se avesse chiamato Trevor o Justin li avrebbe trovati disponibili, in più lei era quella con la macchina ora!
A proposito…
La macchina. Aveva ancora bisogno di riparazioni. Chloe ricordò l’offerta di David.
Fanculo! Non mi serve una mano… però…
Non aveva nessunissima voglia di umiliarsi così davanti a David, né di far credere a sua madre che le cose stessero andando meglio tra loro. Perché non era vero! Il fatto che Chloe avesse accettato la foto e comprendesse che anche David aveva avuto i suoi lutti non significava che… fossero amici o merda del genere! Quel tizio non sarebbe mai stato nemmeno lontanamente una figura paterna per lei. Mai! Anche se rendeva felice sua madre… anche se le aveva mostrato un lato umano e fragile… questo non cancellava l’atteggiamento supponente, maschilista, prepotente e invadente che le aveva sempre riservato. Chloe non poteva dimenticare che David le aveva ordinato di svuotare le tasche dopo la sospensione alla Blackwell (cosa che aveva categoricamente rifiutato di fare!!), né che aveva rovistato in camera sua in cerca di droghe e alcol… (che per fortuna stavolta non c’erano… quando si dice il culo!), né tante altre cose. Come lo schiaffo…
Chloe si massaggiò la fronte. La logica le indicava di accettare l’aiuto di David con il pick-up. Era sensato, lei lo sapeva, Rachel l’aveva incoraggiata a farlo… allora perché cazzo non riusciva a farselo andare giù! Senza aver veramente deciso, iniziò a camminare a passo di formica verso il tavolo da pranzo, mentre David e Joyce chiacchieravano amabilmente durante la cena. David le stava spiegando che aveva trovato tre offerte di lavoro che potevano funzionare, quella che preferiva era per un’agenzia di sicurezza privata.
Guarda un po’, il posto perfetto per un fascista cagacazzo paranoico vero? Merda… ok Chloe… respira… Rachel ha ragione, il suo aiuto non ti serve, ma può essere utile… ce la puoi fare…
Chloe si affacciò sulla sala da pranzo, notò l’uomo che giocherellava distrattamente con la fede. Merda… David la notò le lanciò uno sguardo. Dal sorriso che aveva si rabbuiò all’istante in un’espressione severa. Perché la rendi ancora più difficile cazzo?!?
“Ehm… uh…” esordì Chloe.
Joyce si voltò: “Tesoro?”
“Io…. Ah….” Chloe si schiarì la gola “volevo… fanculo!” si fece coraggio “David… riguardo la storia del pick-up…” esordì ma si bloccò di nuovo.
A quell’introduzione sia Joyce che David appoggiarono le posate e sembrò che si piegassero all’unisono verso di lei. Gli sguardi colmi di sorpresa, preoccupazione e attesa. Soprattutto quello di Joyce. Chloe sospirò, alzò gli occhi al cielo e continuò senza guardarli:
“Accetto il tuo… aiuto… per sistemare il pick-up… ma ad alcune condizioni obbligatorie!” guardò sua madre dritta negli occhi, sapendo del suo fortissimo ascendente su David “è il MIO pick-up, lo riparerò IO. David mi farà da assistente. Ascolterò i suoi consigli, ma non ci metterà dentro le sue manacce…” si voltò verso l’uomo, il cui sguardo era già piccato “Chiaro?”
Fra i due passò un lampo. Joyce sospirò e si voltò verso David che era in silenzio. Lui le restituì lo sguardo e sbuffò.
“Ok! Macchina tua… regole tue… però mi ascolterai.” Sottolineò.
“Certo… ti ascolterò…”
“Va bene…” David si alzò dal tavolo lentamente, con quel suo fare solenne che a Chloe innervosiva… del resto cosa non la innervosiva di David? L’uomo si impettì, aggirò il tavolo e le si avvicinò. Quando si fronteggiarono, tese la mano in avanti per stringere l’accordo. Rimase in attesa. Chloe fissò la mano. Fissò David. Fissò sua madre, il suo sguardo di disperata speranza negli occhi. Chloe si arrese e afferrò la mano. David strinse con decisione e Chloe si sentì in obbligo di stringere più del necessario, per rimarcare all’uomo che non doveva pensare cose strane. Era lei al comando, non si faceva mettere i cazzo di piedi in testa da nessuno! Specialmente da un Ramboide con baffi da John Holmes.
“Affare fatto!” affermò David. Il suo sguardo sembrò ammorbidirsi e cos’era quello? Una specie di sorriso a mezza bocca?
“Ricorda!” disse Chloe liberando la mano dalla stretta e pulendosela sui jeans “…macchina mia regole mie! L’hai detto tu!”
“L’ho detto…” ammise David, che fece un passo indietro e tornò al tavolo per fare il bis di spezzatino.
“Adesso esco…” disse Chloe preparandosi alla ritirata.
“Dove vai?” chiese Joyce.
“Non lo so… ho bisogno di prendere aria…”
“Torna entro mezzanotte!” tentò la madre senza molta convinzione.
“Farò il possibile…” tagliò corto Chloe fuggendo di corsa sulle scale.
Merda dopo questa esperienza mi serve una canna. Urgentemente! Ah cazzo… devo comprare le sigarette!
Prese il telefono e scrisse a Justin…
 
*****************************
 
“Non posso crederci…” Chloe sgranò gli occhi.
“Eh… mentre lo diceva ho pensato ‘sta succedendo davvero??’. Purtroppo si! …” ammise Steph con le sopracciglia piegate all’interno e un sorrisetto penoso.
“Ma quanto è stronza…” Chloe si appoggiò allo schienale della sedia incrociando le braccia e mettendo un broncio imbufalito.
“Lo dicevo io che hai una pessima influenza su di me!” ridacchiò Rachel dalla sua sedia, nei pressi del letto di Drew.
“Altro che sabotarle i compiti… dovevo… gaaah!” bofonchiò Chloe.
“Sei un’elfa barbara dopo tutto, Chloemastia!” sghignazzò Mikey.
“Sapevo che erano tutte balle quelle su Damon, sei tu l’accoltellatrice!” si aggiunse Drew dal letto. Steph aveva appena raccontato al gruppo delle voci che Marisa aveva diffuso alla Blackwell. Sembrava, secondo le sue fonti certe, che Chloe avesse accoltellato Rachel perché l’aveva fatta sospendere. Anzi, in realtà le versioni che circolavano erano due. La seconda era che Rachel voleva comprare della droga da Chloe, ma non voleva pagarla e così si era presa una coltellata.
GOOOOOODMORNING BLACKWEEEEELL!!!
“Tu zitto e concentrati! Non hai ancora finito Chimica!” Rachel, col braccio sinistro avvolto nella fascia, sbatté la penna sul braccio di Drew e la agitò come se fosse una bacchetta, con fare severo e faccia seriosa.
“Scusi tanto signorina Rotteramber….” Drew si piegò di nuovo sui libri “Questo lato di te non si vede tutti i giorni!”
“Più Severus Piton!” aggiunse Mikey
Chloe scoppiò a ridere “Ti abbiamo appena trovato il costume di Halloween per l’anno prossimo!”
“Andata!” sorrise Rachel “Comunque Drew, abbiamo TROPPO da recuperare, quindi agiterò la bacchetta da Severus Rotteramber finché i tuoi voti non saranno tutte A!” brandì di nuovo la penna con fare intimidatorio.
“Ci vorrebbe davvero un incantesimo!” ridacchiò Mikey.
“Non essere stronzo con tuo fratello!” Steph gli tirò un lieve scappellotto, da cui Mikey si protesse con gesti esagerati.  
Era passata una settimana dal ricovero di Rachel, da tre giorni aveva ottenuto il permesso di alzarsi dal letto e questo era stato per lei un vero sollievo! Uscire dalla stanza in cui era stata rinchiusa era stata una piacevole evoluzione. Quando aveva visto il graffito che Chloe aveva disegnato sulla macchinetta self-service del suo piano quasi cadde a terra dalle risate. Gli inservienti dell’ospedale avevano tentato di cancellarlo, ma l’alone dell’indelebile era ancora fin troppo visibile, ritraeva una donna incinta in prospettiva ginecologica, gambe aperte, con la scritta “Push” coincidente con la vagina. Aveva fatto pure i peli… Realismo prima di tutto! Ai ridenti insulti di Rachel, Chloe aveva risposto con orgoglio anarchico. Purtroppo, non poté mostrarle la barzelletta sporca che aveva scritto sul manifesto che incoraggiava all’igiene, con raffigurate due infermiere che si lavavano le mani. Era stato cautamente sostituito da giorni! Si sentì in obbligo di scriverne un’altra!

"La pulizia è vicina alla santità!" diceva un'infermiera
"In un dizionario davvero breve!" rispondeva l'altra

Nei giorni precedenti, Rachel aveva ricevuto di nuovo visite da Rose che le aveva portato i compiti dalla Blackwell e una dichiarazione per la polizia riguardante la sua aggressione. Era la versione dei fatti da firmare e allegare al fascicolo dell’indagine. In realtà erano due, una per Rachel e una per Chloe. Entrambe le dichiarazioni erano speculari, raccontavano che Damon Merrick aveva aggredito Rachel sapendo che era figlia del Procuratore, come rappresaglia per le indagini a suo carico. Chloe era riuscita a trarla in salvo e portarla in ospedale. Una storia che filava in effetti. James Amber aveva un vero talento nell’inventare stronzate! Sia Rachel che Chloe firmarono. Almeno ora c’era una versione ufficiale sull’accaduto! Fu un po’ imbarazzante per Chloe incrociare Rose, ma la donna si comportò con gentilezza e non fece nessun accenno agli… eventi di domenica sera. Anche Chloe usò tutto il garbo di cui era capace. Rachel fu molto più fredda di quanto Rose sperasse.
Rachel ricevette la visita di Nathan, che come promesso le portò il suo portfolio. Il ragazzo aveva un certo stile, si concentrava sullo still life, gli piacevano i soggetti malinconici, dettagli di paesaggio urbano, vicoli, oggetti rovinati. Rachel guardando la foto in bianco e nero di un vecchio cartello stradale riverso in un vicolo, corroso dalla ruggine, in mezzo a sacchi neri e bidoni di spazzatura, pensò alla discarica e a Chloe. Nathan le aveva detto che per qualche ragione tutto ciò che era abbandonato e in rovina lo ispirava. Durante la seconda visita, Nathan le portò un po’ di gelato, che Rachel gradì enormemente. Insieme fecero visita a Samantha, che non poteva muoversi dal letto a causa dei forti dolori alle costole.
Anche Steph fece visita a Rachel, più o meno tutti i giorni visto che durante il pomeriggio aveva un appuntamento fisso con Drew e Mikey. Aiutava la famiglia North occupandosi di portare Mikey alle sue visite in clinica di tanto in tanto. Il ragazzo soffriva di Anemia Emolitica Autoimmune, cioè i suoi anticorpi attaccavano i globuli rossi e così aveva bisogno di cure specializzate (e costose) per evitare che diventasse qualcosa di peggio. La madre era morta di Lupus… un’evoluzione di quella stessa patologia. Mikey era fisicamente fragile, molto timido, ma sopportava stoicamente tutto quello che la sua breve e complicata vita gli offriva. La fuga nel mondo di D&D lo aiutava molto e Steph c’era anche per questo. Non senza una grande componente di gusto personale! Aveva finalmente convinto Rachel a provare Dungeons & Dragons!
Anche Kelly Davis del Drama Club (che Chloe aveva temporaneamente sostituito nel ruolo di Ariel durante la Tempesta) e Megan Weaver andarono a trovarla. Quest’ultima, quando entrò nella stanza di Rachel, aveva uno sguardo turbato. Vestiva un maglioncino verde, una camicetta bianca e teneva raccolti i suoi lunghi capelli castano scuro in una coda di cavallo. Guardava Rachel quasi incredula. Trovarsi in ospedale per incontrare un’amica ferita da un criminale era qualcosa che accadeva solo nei film o nelle serie… Invece era tutto vero e stava accadendo proprio a lei. Rachel interruppe la lettura delle Metamorfosi e cercò di metterla a suo agio. Rimasero un po’ a parlare, Rachel le raccontò la ‘versione ufficiale’ e la rassicurò che si sarebbe ripresa presto. Poi l’elefante nella stanza si palesò.
“Quando ho pensato che saresti potuta morire, mi sono sentita così stupida ad averti tenuto il broncio per mesi.” Esordì “Non sto dicendo di aver sbagliato, ma avrei potuto gestire diversamente la situazione…”
“Non preoccuparti Meg!” tentò di rassicurarla Rachel.
“Tu sei stata la prima ad essermi amica alla Blackwell. Io… non sono mai stata una che si fa molti amici, ma con te è stato facile parlare fin da subito. Vedere che ti stavi allontanando… ero gelosa. Mi sono sentita messa da parte e pensavo che sparendo anch’io avresti capito come mi sentivo… Avrei dovuto parlarti invece.”
Rachel ascoltò ogni parola e le sorrise dolcemente: “Il fatto è che hai ragione. Mi sono allontanata e non solo da te. La verità è che non sono stata una buona amica negli ultimi mesi.”
“Abbiamo le nostre vite, non dovremmo pretendere che gli altri cambino solo per farci un piacere giusto? Dovremmo apprezzarci per come siamo.” Disse Megan.
“Penso di sì! Ma è come dici tu, avremmo dovuto parlarne. Sono felice che ora l’abbiamo fatto.” rispose Rachel. Provò un po’ di sollievo nel chiarirsi finalmente con Megan, trascorsero il resto del tempo aggiornandosi sul tempo in cui erano state distanti. Meg le raccontò che stava finalmente lavorando all’articolo di prova per il Blackwell Totem, dello Sci-Fi Movie Club che aveva fondato e dell’inaspettato successo che aveva avuto. La invitò timidamente alle loro serate, rievocando le vecchie “Tardis Night” che avevano trascorso insieme. Rachel rimase aperta ad ogni possibilità, ma anche se era felice di parlare di nuovo con Megan, qualcosa era cambiato. Per una parte di lei, non avrebbe fatto molta differenza se anche non si fossero più parlate. Non sapeva come considerare questa sorta di apatia, era come se tutto il mondo fosse passato sullo sfondo, come se nulla e nessuno là fuori fosse più veramente importante o reale. Eccetto Chloe…
Visto che ora poteva girare liberamente, Rachel e Chloe andarono a trovare Drew, il quale iniziò la “cura Rachel” per i suoi voti. Da tre giorni Rachel andava a dargli ripetizioni, cogliendo l’occasione per studiare un po’ anche lei. Il ragazzo aveva un programma più avanzato, essendo studente Senior e quindi all’ultimo anno, ma Rachel aveva un metodo di studio più efficace. Era quello che voleva trasmettergli: un modo per memorizzare il programma in fretta e scalare la vetta delle A. Il trucco era fissare nella mente i concetti associandoli a qualcosa di familiare e piacevole. Come il Football, nel caso di Drew. Chloe aveva assistito ad un paio di lezioni di Rachel, compresa quella di quel giorno. Era molto divertente sentirla spiegare i legami intermolecolari come se fossero schemi dei BigFoots! Era anche piuttosto sexy in quella veste di maestrina severa! La sua fantasia viaggiava verso luoghi caldi e intimi… anche in quel momento in effetti, non riusciva a non pensarci. Rachel sembrava essersene accorta. O forse Chloe se lo stava immaginando… era solo arrapata!
 
Quel sabato mattina, per la prima volta durante la settimana, erano tutti e cinque nella stessa stanza. Mikey aveva fatto un po’ di compiti e scarabocchiato qualche personaggio dei suoi. Steph e Chloe avevano chiacchierato a tono moderato per non disturbare le lezioni private di Miss Rotteramber, finché non era emersa la faccenda Marisa…
“Beh, posso concederti una pausa, se prometti che dopo riprenderemo” accordò Rachel con un sorrisetto.
“Grazie prof…” Drew tirò un lungo sospiro di sollievo e si massaggiò la faccia “Certo che comunque sei brava!”
“Non avrei tutte A altrimenti!” si vantò Rachel scostandosi i lunghi capelli biondi dal visto con un gesto teatrale “Dovremo eliminare le distrazioni però…” disse scostando un po’ la sedia dal letto e lanciando uno sguardo furtivo a Chloe.
La ragazza arrossì e restituì un sorriso.
“Quindi qual è il verdetto? C’è speranza?” chiese Steph.
“Lo deve dire Drew! Io sono solo uno strumento, è lui che dovrà dare gli esami.” Disse Rachel. Lo sguardo di tutti si puntò su Drew, che si guardò intorno spaesato.
“Beh… l’idea è di farcela. Se puntavo sul Football un motivo c’era… però ci voglio provare.”
“Fare o non fare! Non c’è provare!” si intromise Mikey.
“Ti esprimi solo a citazioni tu?!” sbottò scherzosamente Drew al fratello che sghignazzava.
“Un po’ speravo che potessimo giocare tutti insieme ora che Rachel si può muovere” disse con lieve amarezza Mikey.
“Drew ha cominciato a giocare a D&D” spiegò Chloe a Rachel, che lo guardò incuriosita.
“Già… mi hanno costretto!”
“Se vuoi ti faccio morire alla prossima sessione… anzi anche subito!” Steph si schiarì la voce declamando in tono aulico “Povel vede una strana luce nel cielo mentre strimpella il suo liuto. Non capisce cos’è all’inizio e continua a farsi i fatti suoi. Improvvisamente sente un grande fischio. Pensa sia la teiera, che ha messo sul falò poco fa e si distrae. La luce si fa accecante, Povel si volta ma è troppo tardi. Un meteorite gli cade in testa e lo disintegra…. FINE!!” ridacchiò.
“No dai! Volevo avere io l’onore…” protestò Chloe.
“Callamastia è morta, ricordi?” Steph le puntò sadicamente l’indice contro.
“Vabbè, magari resuscita!”
“Penso che questo gioco mi piacerà!” commentò divertita Rachel.
“Sono felice che ti unirai a noi! Quattro giocatori è il numero perfetto per una campagna!” il tono di Steph tradiva la sua felicità. Anche se sapeva che tra Chloe e Rachel c’era qualcosa, definito o no che fosse, amava passare il suo tempo con Rachel. Dopo tutto il casino che era successo sembrava essersi aperta un po’ di più con lei. E poi fare il Master le piaceva da impazzire!
Drew fece un cenno a Mikey di avvicinarsi, Rachel si scambiò di posto con il ragazzo, continuando a chiacchierare con Steph e Chloe.


“Senti, come sta papà?” chiese Drew.
“Lo sto aiutando. Lunedì ha l’esame del corso di informatica. Spero ce la faccia, per lui sono argomenti difficili…” ammise tristemente Mikey.
“Che palle… fottuti Prescott di merda…” ringhiò Drew.
“Hey… non preoccuparti. Papà ce la farà. Si sta impegnando tanto…”
 
“Allora, come va il tuo progetto letterario?” chiese Rachel sedendosi accanto a Steph.
 
“Non ti devi preoccupare. Anche se non ce la farà ci penserò io.” Disse con sicurezza Drew.
 
“Sto ancora raccogliendo le idee. All’inizio di un progetto si hanno sempre valanghe di intuizioni, il problema è organizzarle. Vorrei fare una raccolta di racconti fantasy originali e illustrati. Ne ho già scritti diversi ma dovrò rivederli.” Spiegò Steph.
“Sembra davvero una figata!” commentò Chloe.
“Già! Mi piacerebbe leggerli in anteprima! C’entra con quegli schizzi che avevo visto sul tuo blocco tempo fa?” disse Rachel.
 
“Troverai un lavoro?” chiese Mikey.
“Mi inventerò qualcosa, non posso lasciare te e papà nella merda…”
“Come? La tua borsa di studio…” chiese Mikey
“Io… ho un piano…” Drew si morse un labbro. Non voleva parlarne subito. Non così. Non in quel momento. “…merda…”
Mikey strinse gli occhi. Fra i due fratelli ci fu uno scambio di sguardi. L’espressione di Mikey si fece preoccupata.
“No…” gli occhi di Mikey si spalancarono, il suo tono divenne agitato. Aveva capito.
“No cosa?” fece il finto tonto Drew.
“Guarda come ti ha ridotto quella merda… non puoi tornare a farlo….” Piagnucolò Mikey
 
“Più o meno! A volte da una cosa ne nasce un’altra! Avrò totalmente bisogno di un tuo parere! L’ambizione è riuscire a creare un mondo coerente e vasto come quello di Tolkien…” confessò timidamente Steph.
 “Adoro il Signore degli Anelli, anche le opere minori come Albero e Foglia. Tom Bombadil è uno dei miei personaggi preferiti!” disse Rachel.
“Vero? Quello che molti non sanno è che Tolkien era prima di tutto un grande letterato!” Steph sorrise.
“Tolkien era un fottuto genio! Ha creato consapevolmente un genere letterario. A parte i suoi ho tentato di leggere altri fantasy, ma non ho trovato granché. Per trovare qualcosa all’altezza bisogna andare nel romanzo gotico dell’800 o nella mitologia.” argomentò Rachel.
“Wow!” Chloe spalancò la bocca in preda all’ammirazione.
 
“Non ho altra scelta Mikey.” replicò Drew
“Pensavo che avresti smesso!” protestò Mikey
“Se papà non trova lavoro… devo occuparmi di voi!”
“Ci sono altri modi… non puoi…”


“Sono d’accordo! Però il Ciclo di Shannara è di alto livello. O meglio i Cicli. Tra gli anni ’80 e ‘2000 è uscita roba molto buona! Se vuoi ne ho un po’ da consigliarti…” Steph aveva già parlato altre volte con Rachel di letteratura fantasy, ma non avevano mai approfondito così. Era molto colpita dall’apprezzamento di Rachel. Parlava di libri come se fossero droga!
Rachel sorrise: “Sono tutta orecchi!”


“Non posso. Cerca di capire!” si difese Drew.
“NO!” Mikey sbottò balzando in piedi e le tre ragazze si voltarono di colpo, sorprese.
 
Calò un silenzio teso. Mikey rimase in piedi, pugni chiusi, fissando il fratello con volto pieno di rabbia e delusione.
“Non puoi tornare a… quello!” piagnucolò Mikey.
Rachel e Chloe si lanciarono uno sguardo.
“Cosa succede?” Steph allarmata si alzò e si avvicinò al letto.
“Drew vuole… tornare a …” Mikey era alle lacrime.
“Chiederò a Frank se mi permetterà di lavorare ancora per lui…” lo anticipò Drew, fermo e saldo.
“Drew….” Steph era delusa. Chloe e Rachel la affiancarono da entrambi i lati, circondando il letto. Drew si sentì assediato, ma non vacillò.
“Sei ancora in debito con Damon, ti ha già… mandato qui… non pensi a cosa ti farà se ti rifai vivo?” chiese amaramente Steph tentando di mantenere lucidità e controllo.
“Damon non è… lui è fuori dai giochi ormai. Se c’è ancora una baracca la gestisce Frank ora!”
“E tu come lo sai?” Steph era stupita.
“Lo so, non ti preoccupare. Ne volevo parlare in un altro momento in realtà…” si mise un palmo di trasverso sul viso, massaggiandosi “… ma comunque è giusto che sappiate. Non voglio che Mikey sia coinvolto. Neanche tu Steph…”
Rachel rimase in silenzio accanto a Steph, in ascolto attento. Chloe le lanciò degli sguardi che non furono restituiti. Avrebbe voluto intervenire, non sapeva nemmeno bene per dire cosa. Per dare man forte a Steph? O a Drew? Comprendeva i punti di vista di entrambi. Dal punto di vista del più grande dei fratelli North non c’erano molte altre possibilità. Rimase comunque zitta. Sapeva che Rachel in queste cose era più brava di lei. Se taceva c’erano buoni motivi, così Chloe seguì l’esempio. Spostò nervosamente il peso da una gamba all’altra.
Mikey nel frattempo era piombato di nuovo sulla sedia. Singhiozzava silenziosamente. Steph si avvicinò e gli appoggiò delicatamente una mano sulla spalla, che il ragazzo afferrò come un uomo che affoga afferra una cima. La ragazza sospirò profondamente.
Silenzio.
Silenzio imbarazzante.
Nessuno sembrava volerlo rompere.
“Ragazzi… Frank è una persona ragionevole…” tentò Drew.
“Davvero? Eppure è amico di Damon…” commentò Steph, che poi si voltò verso Chloe con sguardo penetrante “Tu lo sapevi?”
Chloe rimase paralizzata. Deglutì un boccone molto pesante e si massaggiò il collo ciondolando. Aveva promesso di non dire niente… ma ormai la merda era fuori.
“Mi ha detto di chiedere a Frank da parte sua…” indicò Drew con un cenno del capo.
Steph annuì. La sua espressione era delusa, ferita. Fece un po’ male.
“… Il numero di Frank risulta irraggiungibile comunque. Non ho idea di cosa sia successo, può anche darsi che se ne sia andato…” aggiunse Chloe “Te l’ho detto che è un’idea di merda Drew… che Frank sia ancora qui o no…”
“Sono perfettamente d’accordo.” Commentò Rachel.
“Non cambierò idea…” grugnì Drew.
“Quindi questa cosa del migliorare i tuoi voti cos’è? Una messinscena? Non capisco…” il tono stabile di Steph iniziava a incrinarsi, mentre teneva ancora la mano a Mikey, che ora fissava il fratello con occhi lacrimanti.
“Non è una cazzata. È un piano B… o forse il piano A… non lo so cazzo! Va bene? Mamma è morta da anni, lo stronzo di Prescott ha licenziato papà e se non fosse per la borsa di studio alla Blackwell io e Mikey gli faremmo compagnia per strada!” Drew ora era incazzato “Non posso permettere che succeda, né a papà né tanto meno a Mikey… chi gli pagherà la clinica quando raggiungeremo il tetto dell’assicurazione? Chi pagherà l’affitto di papà se non supera quella merda di esame e non trova lavoro? Devo fare qualcosa! Questa è una merda, ma è l’unica merda che mi viene in mente… se per un cazzo di miracolo dovessi ottenere un’altra borsa di studio alla fine dell’anno giuro su Dio che mollo. Non sentirete mai più parlare di Frank! Ma…. Cristo…” gli occhi di Drew si inumidirono, la sua voce tremolò. Si portò con urgenza una mano agli occhi come se volesse mettergli un tappo. Mikey scoppiò di nuovo a piangere e si gettò sul fratello, abbracciandolo. I due rimasero stretti.
Steph fu scossa da un singhiozzo, quasi sorpresa da sé stessa si coprì la bocca e si asciugò gli occhi prima che fosse troppo tardi. Rachel le si avvicinò e le appoggiò una mano sulla spalla, che Steph accettò con uno sguardo composto. Chloe incrociò le braccia. Era senza parole. Steph alzò lo sguardo su di lei.
“Chloe…” Gli occhi di Steph erano seri e intensi, la luce di una candela tremolava in essi “…cosa pensi di questa cosa? Di Frank?”
Chloe sospirò, lanciò uno sguardo a Rachel, che le sorrise. Quelle labbra incurvate furono per lei il più grande incoraggiamento.
“Io… penso che non sia uno stronzo. Damon… Frank non c’entra niente con lui. Avevo un debito anch’io con Frank, forse ce l’ho ancora… non lo so. Ma quando gli ho detto che non potevo pagarlo, che i soldi che avrei dovuto dargli li avevo dati a mia madre… è stato comprensivo. Fa il duro ma è ancora un essere umano…”
Steph annuì e si voltò verso Drew: “Stai attento…”
Lui restituì un cenno di assenso.
“… e soprattutto, porca troia…” Steph riprese decisamente aggressiva “…non ti azzardare a tenermi nascoste queste cose!” il suo tono si alzò di un paio di tacche “Voglio bene a tutti e due. Non…” si fermò e appoggiò una mano sulla schiena di Mikey, ancora avvinghiato al fratello. Drew aveva lo sguardo più serio che Chloe gli avesse mai visto.
Steph tirò un lungo sospiro e si lasciò cadere sulla sedia più vicina.
“State attente anche voi a queste cazzate…” si rivolse molto più dolcemente a Chloe e Rachel.
“Mi dispiace per tutto questo…” disse Rachel giocherellando con una ciocca di capelli.
“Anche a me…” si aggiunse Chloe affiancandosi a Rachel.
“Non tenere più nascoste queste cose!” Steph puntò un dito severo verso Chloe. Lei allargò le braccia in segno di resa.
“Le ho chiesto io di non dire niente…” ammise Drew, mentre Mikey si staccava dall’abbraccio, un po’ più calmo.
“Siamo amici! Mi fa molto più incazzare che volessi tenerlo nascosto che il fatto in sé…” rincarò Steph.
“Volevo dirlo… cioè… si… magari non così… non oggi…”
“Aspettavi il momento giusto?” completò Rachel.
“Qualcosa del genere…”
“Forse… non è mai il momento giusto per queste cose…” disse Chloe, scambiandosi uno sguardo con Rachel, la cui espressione ebbe uno scivolone verso territori cupi e oscuri, ma rimase a galla. L’umore di Rachel era migliorato negli ultimi giorni, ma Chloe si era accorta che quel velo di malinconia c’era ancora. Sembrava non sollevarsi mai del tutto. Era comprensibile del resto. Chloe poteva capirla e sostenerla, ma non combatteva con quei demoni. Fece un passo verso di lei e le sfiorò la mano. Rachel restituì quel gesto e le loro dita si intrecciarono.
“Voglio che stai attento…” disse Mikey con la voce che grattava ancora un po’.
“Lo sarò. Andrà tutto bene, vedrai che Pà troverà un nuovo lavoro. Tutto si sistemerà.”
“Soprattutto se studi… mi assicurerò che tu consideri il recupero materie come il piano A!” decise Rachel.
“Ok, ok…” Drew alzò le mani, lasciando emergere un sorriso. Rachel soffiò una risatina e anche Steph e Mikey si unirono timidamente con un sorriso rasserenante. Chloe li imitò, anche se era scossa da quella faccenda. Le dispiaceva così tanto vedere i fratelli North alle prese con tutta quella merda. Drew si sentiva addosso il peso della sua intera famiglia. Chloe non sapeva come si sarebbe comportata in una situazione simile, probabilmente in modo non troppo diverso. Dopotutto, al concerto dei Firewalk lei e Rachel avevano rubato quattrocento dollari e due magliette ad un tizio. Chloe aveva tenuto la maglietta e metà dei soldi, ma invece di spenderli li aveva infilati nella borsa di sua madre per aiutarla con le bollette. Non era così diverso da ciò che aveva fatto Drew. Da ciò che aveva ancora intenzione di fare.
Le acque infine si calmarono. Steph andò via una decina di minuti dopo con Mikey, per accompagnarlo in clinica.
Chloe si ritirò poco dopo Steph e Mikey per tornare a casa ad occuparsi delle riparazioni del pick-up con David. Aveva rimandato fino all’ultimo quello spiacevole impegno, ma alla fine si erano accordati per quel pomeriggio. Lasciò Drew nelle grinfie di Rachel.
La pioggia, là fuori, non era ancora cessata.
Un tuono distante scosse l’atmosfera.
 
************************
 
[Steph]
  • Hey Chloe.
[Chloe]
  • Hey Steph…
[Steph]
  • Ci sono rimasta molto male nello scoprire quello che Drew ti ha chiesto e il fatto che lo stessi nascondendo.
  • Ma capisco i tuoi motivi.
  • Sono incazzata ma passerà.
[Chloe]
  • Mi dispiace
  • Non so come gestire questa merda….
  • le relazioni sociali intendo…
[Steph]
  • Non si devono ‘gestire’.
  • Non è un lavoro…
[Chloe]
  • Lo so.
  • Mi dispiace.
[Steph]
  • Prima della Tempesta ti ho detto che se hai bisogno di parlare ci sono.
  • L’invito è sempre valido.
  • Mi piacerebbe che tu potessi considerarmi un’amica.
[Chloe]
  • Lo so…
  • Grazie…
[Steph]
  • In genere mi tengo fuori dai drammi
  • Ma non quando ci sono di mezzo persone cui tengo.
[Chloe]
  • Sei hella cool Steph!
[Steph]
  • Hella? XD
[Chloe]
  • È l’influenza nefasta di Rachel!
  • NO EMOJI!!
[Steph]
  • Vi vedo benissimo insieme tra l’altro.
  • Cos’hai contro le emoji??
[Chloe]
  • Lo spero!
  • Non vogliono dire un cazzo!!
[Steph]
  • 😊
  • Ci vediamo presto!
[Chloe]
  • AAAAAA EMOJI!?!?!?!?!
  • A presto!
 
-
 
[Steph]
  • Hey Rach
[Rachel]
  • Hey Gingrich!
[Steph]
  • Dimmi la verità
  • Sapevi anche tu quella faccenda di Drew?
[Rachel]
  • Si, Chloe me ne aveva parlato
  • Scusa se l’ho nascosto…
[Steph]
  • So perché l’hai fatto…
  • Come ho detto a Chloe, vorrei che mi considerassi un’amica
  • Che non sentissi di dovermi nascondere cose come questa
[Rachel]
  • Tu sei mia amica Steph
  • Queste situazioni sono un casino
  • Non credo esistano cose giuste o sbagliate da dire o fare in questi casi
  • Abbiamo tutti buone intenzioni
  • Ci vogliamo bene e cerchiamo di proteggerci
  • Ora che tutti sappiamo tutto sarà più facile comunque
[Steph]
  • Vero!
  • Ci sentiamo presto allora!
  • E non nascondermi più le cose!! >.<
[Rachel]
  • Certo! Passa a trovarmi quando vuoi
  • Magari mi spieghi meglio le regole di D&D
[Steph]
  • Ne sarò felice! 😉
  • Xoxo
[Rachel]
  • Xoxoxoxoxoxo
  • ❤❤
********************************
 
Chloe parcheggiò nel vialetto davanti al garage, di ritorno dal giro di prova. David era sul lato passeggero e per tutto il tempo aveva avuto un'espressione disgustata sul viso. I baffi neri non facevano che accentuarla. Chloe aveva lottato con sé stessa, tenendo faticosamente il freno tirato sul sarcasmo. Quando si fermarono, prese un profondo respiro e si voltò verso David. L'uomo, vestito con un k-wey verde su una camicia grigia a righe bianche e azzurre, si massaggiava il mento meditabondo.
"Quindi? Diagnosi?" chiese Chloe.
"Di sicuro quello" indicò il cacciavite conficcato al posto della chiave "... va sostituito. Il problema del motore che saltella può derivare dall'interruttore d'accensione che si sta rompendo, o peggio riguarda il circuito. In ogni caso va cambiato. Hai davvero preso questo coso in discarica?"
"Si..."
David sospirò rassegnato.
"Senti, hai detto che mi avresti aiutato, i giudizi non erano compresi nell'accordo!" sputò Chloe.
"Ok, ok... è solo un po' difficile valutare cosa può esserci che non va se non so niente del veicolo. Questo affare avrà almeno 20 anni, ma doveva essere in discarica da meno di un anno, altrimenti non si sarebbe mosso..."
"CSI Junkyard Edition?" commentò sprezzante Chloe.
"Ok bimba, visto che sai tutto tu... dimmi tu cosa c'è che non va!" sbottò David
"Bimba..." Chloe ringhiò... contò fino a 10 e poi... "Di sicuro il circuito d'avviamento può essere un problema. Però potrebbe essere anche la pompa del carburante. E poi c'è il tubo d'aspirazione che è letteralmente riparato con lo scotch..."
David aggrottò la fronte e annuì: "Penso tu abbia ragione, dovremo controllare tutto. Intanto..." prese dalla tasca penna e blocchetto "segno quello che bisogna cambiare."
Chloe annuì, tirò su il cappuccio della sua felpa e uscì dall'auto.
Pioveva leggermente, non tanto da aver bisogno di un ombrello, ma abbastanza perché fosse meglio tenere al riparo il motore in qualche modo mentre lavoravano. Chloe aprì la porta del garage per usarla come una tettoia, così rientrò in macchina e la avvicinò quanto bastava per coprire il cofano. David e Chloe si misero al lavoro.
L’uomo si stava sforzando con tutto sé stesso di non prendere il comando della situazione, i patti erano chiari. Lui era l'assistente. Chloe si stava parzialmente godendo la situazione.
"Passami del nastro!" ordinò Chloe perentoria.
David fece un sospiro ringhiante "Chiedilo con educazione almeno..."
"Please!" Chloe si voltò guardandolo con un sorriso esagerato e sbattendo le ciglia.
David alzò gli occhi al cielo e le portò il nastro dalla sua cassetta degli attrezzi.
Chloe si avvicinò al tubo d'aspirazione e, là dove già c'era già lo scotch ne sovrappose altri tre giri, strappandolo con i denti. Lo riconsegnò a David.
"Così terrà per un altro po’, adesso diamo un'occhiata alla pompa del carburante..."
"Il filtro l'hai già guardato?" si informò David.
"Si, ci ho soffiato dentro. Era pieno di merda, ma adesso è abbastanza pulito."
"Ok..." sorvolò sul linguaggio, totalmente inadatto ad una ragazza!
"Io vado a dare gas, tu scollega il tubo del carburante dal filtro. Se esce benzina allora non è quello il problema..."
David annuì e mentre Chloe si posizionava alla guida, andò a recuperare una tanica vuota in garage ed eseguì.
"Ci sei?"
"Quando vuoi!"
Chloe accese l'auto e diede gas una volta... due volte.
"Stop! Stop!! Funziona. Spegni!"
Chloe eseguì e tornò da David, che stava già ricollegando il tubicino al filtro. Ai suoi piedi la tanica conteneva due dita di benzina.
"Ok... il problema non è la pompa!" decise Chloe.
"Ma può essere il fusibile della pompa..." disse David.
Chloe corrugò la fronte.
"Se non è un problema meccanico può essere elettrico. Questo coso è rimasto fermo un sacco di tempo... se le candele erano andate è possibile che anche i fusibili abbiano qualche problema."
"Mi sembra giusto..." concesse Chloe, grattandosi la testa. In effetti non ci aveva pensato. "Dobbiamo cercarli perché non so dove siano..."
"O c'è una scatoletta da qualche parte intorno al motore, oppure sono sotto il volante. Io cerco nel motore, tu cerchi nell'abitacolo."
"No, tu cerchi nell'abitacolo e io nel motore."
"Ma che differenza c'è?!" sbottò David.
"Avevo detto che non avresti toccato..." Chloe si fermò "Va bene, come vuoi tu. Ma trattalo bene!" Senza aspettare risposte si diresse alla cassetta degli attrezzi di David, prese un cacciavite e glielo lanciò. L'uomo lo prese al volo e senza commentare oltre si mise alla ricerca dei fusibili. Chloe invece andò a prendere la cassetta degli attrezzi di suo padre. Poteva accettare l'aiuto di David e addirittura di fargli mettere le mani nel motore, ma col cazzo che avrebbe usato la sua robaccia. Papà le aveva lasciato tutto quello che le serviva! Prese la cassetta, la appoggiò sul lato passeggero e, cacciavite alla mano, iniziò ad esplorare la zona sotto il volante. Sembrava non ci fosse nulla.
"Trovata!" chiamò David.
Chloe sbuffò e lo raggiunse. I fusibili si trovavano in una scatola nera un po’ nascosta. David la stava già aprendo. Chloe provò un fortissimo fastidio, quasi fisico, nel vederlo mettere le mani nel cofano del suo pick-up. Una gran parte di lei la percepiva come una violazione personale, più o meno come quando aveva scoperto che aveva rovistato nella sua stanza. Un brivido le corse lungo la spina dorsale. Dopo tutto, però, l'uomo sembrava sapere quello che faceva. Svitò il coperchio della scatola in pochi momenti, prese una pinza, individuò rapidamente il fusibile della pompa di benzina e lo ispezionò. Chloe ammise a sé stessa che non avrebbe avuto la minima idea di quale fosse quello giusto!
"Diciamo che non è nuovo, ma non sembra danneggiato..." concluse David tenendo il fusibile nella pinza e osservandolo con attenzione. Lo porse a Chloe lasciandoglielo cadere in mano perché lo vedesse anche lei.
"Posso dare un'occhiata a tutti i fusibili se vuoi." propose David.
Chloe lo fissò con diffidenza, poi annuì, restituendo il fusibile "Va bene, ma non adesso. Prima dobbiamo capire quale può essere il problema. Magari gli iniettori? Però la macchina non fa fumo..." si grattò la testa.
"Non è detto che lo faccia. Diamogli un'occhiata."
"Ok!"
David si mise al lavoro per smontare il primo, mentre Chloe recuperava gli attrezzi dal sedile.
"Senti... lavori sempre in silenzio o ti va un po' di musica?" chiese David.
"La musica va bene, ma non la TUA musica..."
"Intendi la country?"
"Già! Come le tue cazzo di Dixie Chicks. Non le sopporto..."
“Mmmh… almeno l’autoradio si può accendere?”
Chloe non disse nulla, ma si diresse verso i sedili. Accese la radio sintonizzandola sulla frequenza 87.9, Radio STYR!, e tornò al cofano. Una canzone dei PissHead iniziò a suonare, la stessa che Skip le aveva fatto ascoltare davanti alla Blackwell, ormai due settimane fa.
“Ugh…” David si lamentò “che cazzo è questo?”
“Musica!” disse Chloe avvicinandosi con la borsa degli attrezzi.
“Sembrano scorregge…” bofonchiò David.
“Perché le Dixie invece? Sembrano gatte in calore…”
“Bah… tua madre mi ha detto che una volta la country ti piaceva…”
“Si… una volta…” disse cupamente Chloe.
No… che cazzo. Le chiacchiere non erano comprese nel contratto!
“Mi ha detto che in soffitta ci dovrebbero essere un sacco di dischi country…”
“Quelli sono di papà. Non ti azzardare a toccarli!” ringhiò Chloe, la borsa degli attrezzi le cadde di mano con un tonfo metallico.
David si alzò dal motore, mani spalancate in segno di pace.
“Non lo farò… era solo… una considerazione…”
Chloe lo fissava con rabbia, per impedirsi di dire qualcosa di cui si sarebbe pentita, si tuffò in ginocchio per recuperare gli attrezzi che, nella caduta, si erano sparpagliati. Ci fu un lungo, imbarazzante, silenzio.
Calma Chloe.. calma cazzo... lo stai facendo per mamma, lo stai facendo perché... è una cazzo di idea sensata... sopporta cazzo!
Chloe raccolse gli attrezzi più lentamente del necessario.
Perché ha tirato in ballo papà? Che cazzo vuole? Ancora che cerca un legame... Cristo col cazzo che avremo mai un legame. Non parlerò mai di papà con questo stronzo di merda...
Chloe sentì delle lacrime in arrivo.
Merda! Non adesso!
“Di chi è questa canzone?” David spezzò il silenzio.
Eh??
Chloe si asciugò furtivamente gli occhi e alzò lo sguardo incuriosita, si avvicinò all’uomo per cominciare a smontare un iniettore.
“PissHead, un mio amico è il loro leader. Si chiama Skip.” Disse con tono neutro Chloe.
“Skip Mattheus?”
Chloe inarcò un sopracciglio: “Lo conosci?”
“E’ il responsabile della sicurezza alla Blackwell.”
“Ma come….”
“Credo sia il minimo che sappia chi si occupa della sicurezza nella scuola in cui va la mia figl… in cui vai tu…”
Cosa stavi dicendo? Figlia? Figlia adottiva? Perché devi rimarcarlo cazzo?? Uuugh….
Chloe mugugnò qualcosa, estraendo il primo iniettore e posizionandolo accanto a sé in modo che non cadesse. Si dedicò al secondo, mentre David stava per rimuovere l’ultimo. Era una situazione completamente aliena, Chloe si sentiva strana e profondamente a disagio. Non era mai stata così vicina a David e tanto meno per così tanto tempo. Sentiva distintamente l’odore fastidiosamente balsamico del suo dopobarba, gli lanciò uno sguardo e si accorse che era sbarbato di fresco. Era sempre sbarbato di fresco. Doveva essere un’altra cazzata da militari. Per associazione ricordò il profumo del dopobarba di William, all’aroma di pino. Dopo due anni ricordava ancora l’odore di suo padre, quando pensava a lui le sue narici reagivano ancora come se fosse li. Ricordava nitidamente la sensazione dei suoi abbracci, sembrava grandissimo e lei si sentiva avvolta, protetta. Affondava la faccia nella sua maglietta, contro il suo collo e sentiva profumo di bosco e di casa…
Scosse la testa per scacciare quei pensieri, ma sapeva che era impossibile. Le serviva del supporto chimico… tipo una birra. Ma con David nei paraggi e soprattutto mentre stavano lavorando non era possibile.
“Sono un po’ rovinati…” David rigirava tra le mani gli iniettori, uno per uno.
“Ch…. Cosa?” biascicò Chloe.
“Gli iniettori, sono un po’ usurati. Bisognerà cambiarli. Poi vedremo se il motore continua a dare problemi.”
“Uh… si ok…”
“Tutto bene?” David inarcò un sopracciglio.
“Si… tutto bene… rimettiamoli a posto. Per il momento funzionano e non mi serve andare veloce, mi basta andare e tornare dall’ospedale…”
“Come sta la tua amica?” si informò David mentre rimetteva gli iniettori al loro posto.
“Quella che ha una pessima influenza su di me?? Meglio…” Chloe non riusciva a tenersi tutto dentro… un po’ di sarcasmo sfuggiva.
“Beh visto quello che è successo forse…” cominciò David ma si bloccò simulando un colpo di tosse. Respirò profondamente, poi parlò di nuovo “Si è saputo niente dello stronzo che vi ha aggredite?” una punta di disprezzo attraversò la voce di David. Chloe non capì se era rivolta a Rachel o all’aggressore.
“E’ uno su cui il padre di Rachel sta indagando, voleva colpire lei per vendicarsi…” la versione ufficiale finalmente tornava utile.
“Avete avuto fortuna…” commentò David. Chloe non poté che convenire.
“Molta, soprattutto che questo coso funzionasse…” ammise con un brivido.
“Dovreste stare molto attente a dove andate. C’è molta brutta gente in giro…”
“Mh-mh….” Annuì Chloe.
Quando ebbero rimontato gli iniettori, chiusero il cofano.
“Per oggi direi che può andare!” Decise Chloe.
“Bene…” David le porse il pugno. Chloe lo fissò ed esitò. David rimase in attesa, anche se sul suo volto si poteva leggere l’assottigliarsi della sua pazienza. Chloe sospirò e batté pugno.
David si mise a riordinare gli attrezzi nella sua cassetta, così come Chloe. Era stata una strana esperienza. Ok, davvero bizzarra. Era sopravvissuta ad un pomeriggio di lavoro fianco a fianco con David, non avevano litigato e lui le era addirittura stato utile! A malincuore, Chloe doveva ammettere che l’uomo ne sapeva davvero di motori, decisamente più di lei. Questo la disturbava. Non voleva aver bisogno di lui, aveva desiderato che la riparazione del pick-up fosse una cosa tra lei e suo padre. Usando i suoi attrezzi era un po’ come se lui fosse li. Ok, non lo vedeva davvero come quel giorno, mentre andava al Vecchio Mulino per salvare Sera… però era un po’ come se ci fosse. Percepiva David come un terzo incomodo, un fastidioso intruso… che tuttavia l’aveva aiutata. Sembrava davvero troppo un’esperienza padre e figlia, nel modo più sbagliato possibile.
“Come facciamo per i pezzi di ricambio?” chiese David.
Chloe lo fissò diffidente: “Cosa intendi?”
“Ovviamente tu non hai dei soldi per comprarli. Dovremo pensarci io e Joyce…”
“Solo Joyce visto che TU non hai un lavoro…” Chloe strinse gli occhi e tirò fuori gli artigli.
“Per ora…” grugnì David “… comunque. Conosco un tale che può fornirmeli ad un prezzo basso…”
“Ah si?” si incuriosì Chloe.
“Come pensi che mi procuri i pezzi per la mia macchina?”
“Beh, hai risolto il problema direi…” fece spallucce Chloe mentre si voltava.
“Aspetta!”
Chloe si fermò e si voltò stancamente.
“… visto che il mezzo è tuo e non hai soldi per i ricambi, facciamo un altro accordo.”
Chloe piantò le gambe saldamente a terra, incrociò le braccia e drizzò la schiena. Avanti! Fatti sotto!
“Per ogni pezzo concorderai con tua madre un lavoro da fare in casa. Anche cose semplici come buttare la spazzatura nei bidoni… non lasciare le bottiglie di birra vuote nell’erba del cortile…”
La frecciatina arrivò. Chloe tentò di rispondere ma fu anticipata.
“Lascerò perdere il fatto che hai bevuto. Tua madre ha bisogno del tuo aiuto in casa e tu hai bisogno di pezzi di ricambio. È uno scambio equo…”
“Ho scelta?” disse Chloe.
“No, se vuoi riparare questo catorcio. Puoi anche rifiutarti ma non durerà ancora a lungo senza ricambi.”
Chloe emise un sospiro ringhiante. Cos’era un cazzo di ricatto?? Ok, aveva tutto senso. Era stata una cretina a lasciare quella bottiglia nel prato. Era evidente che l’avrebbero notata. Magari era proprio quello che voleva… Comunque, se non avesse avuto in mente il viaggio con Rachel se ne sarebbe fottuta. O avrebbe semplicemente svaligiato il motore di David e preso quello che le serviva! Era una possibilità in effetti!
“Allora?” David aveva incrociato le braccia con impazienza.
Chloe alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
“Va bene cazzo! Farò quello che chiede mamma in cambio dei pezzi di ricambio…. Contento? Gesù….”
“Bene… parcheggia il pick-up, così chiudiamo il garage.”
Chloe borbottò come una vecchia teiera e si diresse al posto di guida. Mentre parcheggiava, la pioggia continuava a cadere leggera. Ormai il prato davanti casa era ridotto ad una fanghiglia erbosa. Tutti i prati lo erano. La pioggia incessante di quella settimana stava affogando la città. In tv aveva sentito di uno smottamento nell’area di Culmination Park. O quel che ne restava. I detriti avevano quasi raggiunto i binari della ferrovia! Erano sette giorni che Arcadia Bay non vedeva il sole, se non filtrato da pesanti nuvole. Un tuono rimbombò in lontananza, confondendosi col rumore metallico della porta del garage che veniva abbassata. La ragazza sostò ancora un po’ al posto di guida, a motore spento, ascoltando il ritmico tamburellare delle gocce sull’esterno della macchina.
Rachel… cosa mi hai convinto a fare…
 
**********************************
 
Era finalmente il gran giorno!
Era stata dimessa dall’ospedale!
L’unica nota negativa era che Chloe non era con lei.
Rachel era sul sedile posteriore della Volvo blu scuro di suo padre, che guidava affiancato dalla moglie Rose. Accanto a lei c’era lo zaino con le poche cose che si era fatta portare in ospedale. Oggi la pioggia cadeva con intensità e i tuoni rimbombavano a intervalli regolari. Le gocce sul tettuccio della macchina sembravano sassolini, tanto che istintivamente controllò un paio di volte che non fosse grandine. Un’altra settimana senza sole ad Arcadia Bay.
In ospedale aveva trascorso il tempo combattendo la monotonia. La noia era interrotta solo dalle visite quotidiane di Chloe tranne un giorno, in cui la ragazza le aveva scritto che qualche stronzo le aveva bucato tutte e quattro le gomme del pick-up. Le ci era voluta mezza giornata per comprarle e cambiarle. Molto strano, ma Arcadia Bay è piena di stronzi del resto. Chloe aveva dovuto ‘pagare’ le ruote nuove pulendo il soggiorno e facendo il bucato. Davanti ai messaggi imbufaliti che le aveva mandato, Rachel era scoppiata a ridere! Chloe si stava facendo il culo per sistemare il pick-up, accettando di rapportarsi con David e assecondando il loro ‘patto’ sui pezzi di ricambio. Sapeva che lo faceva solo con la prospettiva della loro fuga. Era dolce.
In ospedale, Rachel aveva spremuto da Drew tutto l’impegno di cui era capace durante le ripetizioni. Aveva deciso di usarle sia per lui che per sé stessa, un modo per concentrarsi su qualcosa, far passare il tempo e insieme prepararsi al ritorno a scuola. Già, perché avrebbe dovuto tornarci. Anche Drew, per quanto la sua degenza in ospedale si sarebbe protratta più a lungo. Avevano programmato di recarsi insieme da Wells e spiegare il piano per la borsa di studio, sperando di avere il suo supporto e nel caso anche una lettera di raccomandazione. Tutto pur di ottenere qualche spicciolo per l’Università! Dopotutto Drew era un ottimo elemento della Blackwell e un astro nascente del Football prima... dell’incidente come lo chiamava Wells.
“Senza difficoltà non c’è nulla che abbia valore.” Diceva Ovidio.
Non era esattamente la citazione che Rachel preferiva. Perché cazzo doveva essere così? Le cose potevano essere bellissime e apprezzate anche senza dover soffrire l’inferno per ottenerle. A volte si passava un sacco di merda senza nemmeno sapere se ne valesse la pena. Se ci fosse una fine e nel caso, se ci fosse qualcosa di buono in fondo. Non so, una specie di ricompensa? Un premio? Una cazzo di pacca sulla spalla?
No, Rachel non stava pensando alla situazione di Drew…


Dopo le dimissioni le spettava ancora una settimana di convalescenza che avrebbe potuto trascorrere a casa, ma non era quello il piano. Non aveva intenzione di rimanere a casa Amber.
In macchina regnava il più assoluto silenzio, nemmeno la radio era accesa. Solo l’aritmico rullante della pioggia. James Amber era assorto dalla guida, Rose guardava malinconicamente fuori dal finestrino, Rachel giocherellava con le dita delle mani. Aveva ancora il braccio sinistro sorretto dalla fascia, ma ormai le serviva solo per i momenti di riposo. Poteva muovere cautamente il braccio, pur dovendo stare attenta ad evitare gesti bruschi e non fare sforzi intensi. Aveva interrotto gli antidolorifici, faceva ancora un po’ male, ma sopportabile.
Arrivarono a casa, James percorse il viale che conduceva all’ampio garage. Premette il pulsante sul portachiavi e la porta automatica si spalancò con un ronzio tecnologico che la faceva sembrare un’astronave. Rachel smontò per prima, di fretta. Tutto si svolse nel totale silenzio. Là fuori l’acquazzone scrosciava. Per James e Rose era snervante, ma Rachel lo trovava perfettamente appropriato. Non aveva nulla da dire a nessuno dei due. Non in quel momento.
Appena James ebbe aperto la porta che dal garage portava dentro casa, Rachel schizzò dentro e puntò dritta alle scale. Nessuno la fermò. Giunta nella sua stanza lasciò cadere lo zaino, tirò fuori le Metamorfosi Volume III-IV e le appoggiò sul tavolo. Nei pressi dell’armadio c’era ancora la sacca verde militare, pronta per la fuga con Chloe. Non erano fuggite alla fine. Ma c’era tempo. Tutto il tempo del mondo!
Quella sacca, inoltre, sarebbe risultata utile nell’immediato! Conteneva vestiti per diversi giorni, le sarebbe servita per rimanere a casa Price per un po’. Prima che tutto andasse a puttane lei e Chloe avevano deciso di evitare le rispettive case, per… varie ragioni. Ma ora…
Dentro la sacca c’era una busta in cui aveva messo il suo gruzzolo di risparmi per il viaggio. Erano poco più di mille dollari. Rachel decise che non le sarebbero serviti, non tutti almeno. Dalla busta prese cento dollari per le evenienze, che mise nel portafogli, poi la ripose nel suo nascondiglio nella quarta di copertina di ‘Umano troppo Umano’ di Nietzsche.
Rachel andò quindi a adagiarsi sul letto. Aveva bisogno di un po’ di tempo per rilassarsi. Chiuse gli occhi, appoggiando il viso nella piega del gomito. Forme geometriche colorate balenarono nel buio mentre si stropicciava gli occhi. Prese il cellulare e scrisse a Chloe.
[Rachel]
  • Sono nella Fossa della Disperazione…
  • Mi vieni a salvare?
[Chloe]
  • Sello il mio destriero e accorro!
  • È andata così male?
[Rachel]
  • No in realtà.
  • Sono stati zitti.
  • La scelta migliore.
[Chloe]
  • Sto entrando in macchina.
[Rachel]
  • Questa damigella ti aspetta trepidante!
 
Rachel appoggiò il cellulare sul comodino e si voltò verso la mappa degli Stati Uniti, sul muro alla sua destra. Sorrise leggendo la scritta che aveva fatto Chloe: “Fammi sapere se hai bisogno di una complice…”
Ne aveva bisogno. Tantissimo! Per fortuna l’aveva trovata!
Sospirò fra sé e rimase immobile per un po’ a raccogliere le energie psicofisiche sul letto, regolarizzando il respiro con le tecniche apprese a lezione di teatro. I trucchi di Mr. Keaton erano molto utili non solo per recitare, ma anche per districarsi nella vita di tutti i giorni. Per trovare lo stato d’animo ottimale. In quel momento Rachel aveva bisogno di tutte le sue risorse. Quando si fosse alzata ed avesse varcato la soglia di camera sua, tutto avrebbe avuto inizio… doveva prepararsi.
Dopo una decina di minuti si sentì abbastanza centrata, si alzò e si cambiò. Indossò una maglietta nera dei Pink Floyd, al collo il suo ciondolo con la zanna d’orso che portava anche al concerto dei Firewalk, una camicia azzurro scuro con motivo tartan, jeans scuri strappati e stivaletti bassi di pelle con un paio di teschi cuciti sui lati. Faceva piuttosto freddo per essere quasi estate, quindi recuperò senza indossarlo un cappottino invernale blu scuro. Infine, prese la borsa con la mano destra e si avviò giù dalle scale. Non fece nulla per nascondersi, James e Rose la notarono immediatamente mentre depositava sacca e cappotto vicino alla porta d’ingresso.
“Cosa fai?” si lasciò sfuggire James uscendo dal soggiorno.
Rachel gli lanciò uno sguardo truce e lo ignorò. Rose era seduta in poltrona con la testa appoggiata sulla mano destra.
Si va in scena…
Rachel si diresse in salotto, aggirò suo padre per dargli le spalle e si rivolse a Rose: “Questa sera vado a cena da Chloe. Rimarrò là a dormire.”
La donna alzò la testa e le lanciò uno sguardo perplesso, che poi spostò verso suo marito. Rachel l’aveva previsto. Rose non era capace di prendere decisioni da sola.
“Non mi sembra proprio il caso…” disse James.
Rachel prese un profondo respiro e si girò, fronteggiando suo padre. Era alto e torreggiante, ma lei era determinata e il suo petto era acceso.
Era nel flusso.
“Non lo stavo chiedendo. Non ho intenzione di rimanere qui. Dopo tutto quello che è successo non mi sento più a casa…” la voce di Rachel era tagliente come una lama, terribilmente calma.
La fronte di James si corrugò e gli occhi di Rose si fecero ancora più tristi e sorpresi.
“Non è qualcosa di cui discuterò. Questa è casa tua, sei appena uscita dall’ospedale e devi riposare.” Continuò fermamente James.
“Nemmeno io intendo discuterne. Tra non molto uscirò. Se vuoi sapere qualcosa su di me chiedi a Rose…” fece un cenno con il capo verso di lei.
James prese un profondo respiro, si stava arrabbiando.
“Rachel. Io sono tuo padre, non sono mai stato autoritario con te, ma ora mi costringi. Ti proibisco di uscire di casa questa sera e di vedere Chloe. Da quando è nella tua vita non ha provocato che guai!”
Tizzone.
Gettato nel fuoco.
Scintille che si alzano nell’impatto.
Una fiammata lo avvolge.
Il fuoco divampa.
Il ventre si incendia…
Lo stomaco si incendia….
Il cuore si infiamma. Il petto si riempie di fuoco.
La gola brucia di rancori funesti…
Le parole le uscirono come il soffio di un drago. Così infuocato da essere gelido.
“Mi hai nascosto la verità su mia madre per tutta la vita, mi hai proibito di incontrarla e hai mandato un criminale per ucciderla. Chloe per scoprire la verità è quasi morta e anche io… sei tu che hai rovinato tutto. Mi hai rovinato la fottutissima vita. Puoi provare a trattenermi con la forza, ma dovrai legarmi per impedirmi di uscire da quella porta. Se potessi scegliere ti farei sparire dalla faccia della terra…”
La gola le faceva male, goccioline si formarono ai lati degli occhi. La voce le uscì ruvida e soffrì pronunciando ogni parola. Soffrì, e provò piacere.
Un’altra crepa…
Il cuore pulsò in modo convulso per un istante.
Le mancò il respiro.
James fu trafitto.
“Rachel! Io non ho cercato di uccidere Sera! Volevo solo che stesse lontana da te. Non voleva ascoltarmi. Se fosse stata ragionevole… Chloe ha frainteso e ti ha messa contro di me, ma nonostante tutto ho sorvolato sul modo in cui ha ottenuto le informazioni errate che ti ha dato. Non ho sporto denuncia, ho depistato le indagini su Merrick. Questa storia rimarrà tra noi e nessuno pagherà alcuna conseguenza. L’ho fatto per te. L’ho fatto per chiudere questa storia e andare avanti…”
“No…” rispose Rachel senza esitare “…mi sembrano gli atti di un Procuratore che si sta parando il culo, che insabbia verità scomode, che tenta disperatamente di mantenere la sua posizione. Se ti importa qualcosa di me e di quello che provo sai cosa fare.”
James vacillò. Non aveva mai visto Rachel così. Era determinata, imperiosa. Era impreparato di fronte a quella che fino a due settimane prima aveva considerato la sua bambina, il suo tesoro. Ora davanti a lui c’era una giovane donna dallo sguardo feroce che lo fronteggiava. Non lo stava sfidando, nemmeno lo considerava un avversario. Stava semplicemente rivendicando ciò che voleva, che lui fosse d’accordo o meno.
“Rachel… non posso farti incontrare Sera.” Disse James con uno sfumato tremolio nella voce.
“Lo immaginavo.” Rachel fece spallucce “Da oggi in poi voglio passare il mio tempo con l’unica persona che mi ha detto la verità e che mi ha veramente a cuore.” Si voltò verso Rose, che piangeva silenziosamente in poltrona, il viso sepolto nelle mani. Le fece male, ma proseguì “Ti chiamo appena arrivo.” Tentò di ammorbidire il tono quanto bastava.
Rose alzò la testa, le lanciò uno sguardo tra lo stupito e il sollevato, si schiarì la voce e rispose: “Va bene. Se ti serve qualcosa chiamami pure a qualsiasi ora…”
Rachel annuì.
Le lacrime che avrebbe voluto versare in quel momento evaporarono…
“Rose!” gridò James.
“Falla finita James… hai fatto abbastanza non credi?!” sbottò la donna.
Rachel ne fu sorpresa. Piacevolmente.
Suo padre indietreggiò di un paio di passi.
“Lasciala andare. Lasciale fare come vuole…” continuò Rose.
“Dannazione… tenterà di incontrare di nuovo Sera non capisci?” si voltò verso Rachel “Sono tuo padre, ti conosco. Sei impulsiva e testarda come lei…” James aveva ormai perso la calma.
“Bene! Potrebbe essere un modo per conoscerla! Se hai così paura che io mi metta di nuovo nei guai prendi quel cazzo di telefono e chiamala! ORA!!” il volto di Rachel era paonazzo, gli occhi umidi. La sua risolutezza ai massimi storici.
James vacillò di nuovo, si voltò verso il camino passandosi nervosamente le mani fra i capelli.
“Eri mio padre… cazzo eri il mio papà. Ti amavo così tanto. Perché mi hai fatto questo… perché cazzo mi hai mentito così…” la voce rotta.
Rose tacque, passando con lo sguardo dal marito alla figlia. Rachel rimase immobile mentre James si voltava con gli occhi lucidi. Una lacrima cadde dall’occhio sinistro dell’uomo. Il volto contratto.
“Rachel… sono ancora il tuo papà… io…”
“No… come puoi esserlo…”
“La risolveremo. Siamo una famiglia Rachel… ci amiamo…”
Lei scosse la testa.
“Famiglia? Un padre bugiardo, una madre tossica e una…” guardò Rose il cui cuore era pronto a ricevere la stilettata. Rachel rimase in silenzio e abbassò lo sguardo, esausta. Niente lacrime. Sospirò.
Silenzio.
L’orologio a pendolo nella sala da pranzo ticchettava rumorosamente.
TIC
TAC
TIC
TAC
TIC
TAC
 
Scroscio lontano della pioggia.
 
Rrrrrrrrrrrmmmmmmmmmmmmmm
 
[Chloe]
  • Ci sono!
 
Rachel mise via il telefono.
“Se non hai altro da aggiungere abbiamo finito…” sibilò.
James non rispose.
“Bene…” Rachel si voltò e percorse con la massima rapidità il tragitto dal salotto fino alla sacca, infilò la giacca e aprì la porta. Percorse il viale a passi spediti. Nella fretta di uscire aveva dimenticato l’ombrello e le secchiate di pioggia la investirono in pieno.
Non le importava.
Raggiunse il pick-up di Chloe, che nel frattempo l’aveva avvistata e aveva fatto il giro per aprirle la porta. Le disse qualcosa, ma Rachel non la sentì. Entrò e gettò il borsone tra i piedi.
La porta si chiuse e Chloe tornò al suo posto.
Rachel guardava fissa davanti a sé.
Pioggia contro la lamiera.
“Merda Rach! Non hai visto che diluvia??” la voce di Chloe tremolava per il freddo. Aveva un cappotto invernale con il cappuccio in pelliccia.
Sono… sola?
“Rachel?”
Papà? Mamma?

Guardava il cruscotto davanti a sé.
Vedeva gli occhi grigi di suo padre, stravolti dalle lacrime e dalla colpa.
Se l’era immaginato?
Voleva immaginare che fosse così?
No… non si era pentito.
Una volta lo amava.
Forse ancora?
Però lo odiava.
Lo odiava così tanto…
Non voleva odiarlo…
Non voleva doverlo odiare…
Frammenti.
Briciole.
Raccogli le briciole.
Nella spazzatura…
Gettale via…
Gettata via…


“Rachel?!” la voce di Chloe tremava per l’apprensione.
 
Spazzatura…
 
Non capiva. Non capiva! Era così la vita? Così totalmente priva di senso?
Rivoleva il papà che l’aveva portata al Louvre a Parigi, le aveva fatto assaggiare i croissant e le omelette originali… il suo papà… che mai l’avrebbe tradita…
Rachel scoppiò in lacrime.
Singhiozzi come convulsioni.
Scroscio di pioggia sulla lamiera…
“Hey… hey…” sussurrò Chloe abbracciando Rachel dal lato.
Piangeva a dirotto, disperata. Fiumi in piena le sgorgavano dagli occhi. Tutto quello che aveva trattenuto fino a quel momento, che aveva cercato di contenere, di gestire… semplicemente traboccò. Il suo cuore aveva raggiunto la capienza massima. Per non esplodere, si doveva svuotare. Il braccio le faceva male, lo afferrò. Si strinse nelle proprie braccia, piegandosi in avanti. Gemiti disperati.
“Shhhh….” Chloe la cingeva con un braccio e con l’altro le teneva la testa, dolcemente contro il suo petto. Rachel si lasciò andare su di lei e fu sorretta “… sono qui… shhhhh”
“E’… è finito… è finito tutto…” Rachel sembrava sotto shock.
Chloe non capiva. Voleva chiederle di cosa stesse parlando, ma non era il momento. Rachel non era in grado di articolare nulla di coerente. Poteva solo… essere lì. E Chloe rimase lì.
Rumore di ghiaia sul tettuccio.
Solo acqua, miliardi di gocce pesanti.
Il vento le scuoteva.
I tuoni rimbombavano.
Rachel era in una sorta di limbo. Ma si sentiva sorretta. Sentiva dei baci sulla testa, una guancia che si strusciava dolcemente sui suoi capelli. Da sola non stava più in piedi. In nessun modo. Passò un tempo indefinito. Mezz’ora? Di più? Di meno?
Chloe non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare. L’unica cosa che poteva fare era essere lì. Si mise a piangere anche lei ad un certo punto. Vedere Rachel in quello stato e non sapere come aiutarla… la distruggeva. Rachel finalmente si placò. Le lacrime si fermarono. La faccia le faceva male, era lì lì per avere un crampo alla mandibola. Aveva lasciato macchie di lacrime e moccio sulla giacca di Chloe. Prese un fazzoletto dalla tasca e tentò di sistemarsi. Soffiò il naso. Chloe le diede spazio, ma non interruppe il contatto fisico. La tenne avvolta lateralmente con il braccio destro.
Rachel rimase in silenzio, si asciugò le guance, si strofinò gli occhi. Si accorse di essere bagnata di pioggia. Ricambiò finalmente l’abbraccio di Chloe, anche se la ferita le pizzicava.
Le loro teste scivolarono dolcemente l’una contro l’altra finché le fronti si incontrarono. Si sorressero a vicenda per qualche momento, mentre Rachel riprendeva fiato. Chloe le accarezzava le guance paonazze e bollenti. Rachel finalmente le sorrise, un sorriso stanco ma grato. Chloe si commosse.
“Chloe?” Rachel si schiarì la voce, passando una mano fra i capelli della ragazza, giocherellando con il suo ciuffo blu.
“Dimmi…” rispose Chloe senza staccare gli occhi dalle iridi nocciola che aveva di fronte.
“Andiamo a mangiare qualcosa… sto morendo di fame!”
Chloe spalancò gli occhi. Rachel la guardò disperatamente. Entrambe soffiarono una risatina che alleggerì di poco i loro cuori. Chloe avrebbe voluto chiedere spiegazioni, voleva capire che cosa l’avesse sconvolta così. La sua immaginazione correva ovunque. Avrebbe voluto sapere cosa dire, fare una cazzo di magia che risolvesse ogni fottuto problema di quella ragazza meravigliosa che stringeva tra le braccia. Ma sapeva di non potere. E che Rachel non si aspettava niente del genere. Quando fosse stata pronta le avrebbe parlato, in quel momento voleva solo andarsene da lì. Chloe poteva gestirlo.
Le stampò un bacio sulla fronte, annusando i suoi biondi capelli al gelsomino con desiderio. Quindi si staccò e mise in moto la macchina… usando una chiave! Il cacciavite era scomparso e Rachel se ne accorse solo in quel momento. Non disse nulla ma rivolse un sorriso a Chloe, che lo restituì mettendo in moto, sgasando orgogliosamente come se fosse alla guida di una Ferrari e ammiccò.
“Preparati dolcezza! Stasera cena al Price Fast Food!”
 
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(https://www.facebook.com/LifeIsStrangeGame/photos/a.285705774954421/838774056314254/?type=3&theater)
 
“Oh… mio… Dio…” Rachel scandì ogni sillaba dopo aver dato il primo morso al suo burrito. Joyce aveva saputo quella stessa mattina che Rachel sarebbe venuta a cena e rimasta per la notte. Aveva provato a chiedere come mai a Chloe, ma non aveva ottenuto molto. Come al solito del resto. Ma comunque era felice che quella ragazza frequentasse sua figlia. Una parte di lei condivideva i dubbi di David sull’influenza che Rachel avrebbe potuto avere su Chloe, soprattutto dopo la storia del selfie e di quel concerto. Ma Rachel era anche una studentessa modello e non vedeva Chloe così felice da… troppo tempo. Questo fatto, da solo, metteva a tacere qualsiasi perplessità.
Joyce aveva ricevuto da Chloe informazioni più dettagliate sui gusti di Rachel e sulle sue origini californiane. Così la donna aveva fatto ricerche e aveva trovato una ricetta di burrito abbastanza diffusa a Los Angeles, e l’aveva modificata. Ovviamente dimensione XL, riempito di verdure miste, spezie, carne di pollo, agnello, tonno, manzo e qualche patata fritta, tutto in una salsa speciale che mescolava senape, maionese, ketchup, erbette e qualcosa di segreto che Joyce non voleva rivelare. Tutti gli artisti hanno i loro segreti! David non era convinto di nulla! Né di invitare Rachel a cena, né che si fermasse a dormire, né di quel cibo messicano che faceva salire il vigilantes texano nascosto in lui… ma almeno su questo, al primo morso, si era ricreduto e ora lo stava letteralmente divorando. Come Rachel. Chloe somigliava a un cucciolo che si strafoga nella sua ciotola!
“Sono felice che ti piaccia!” sorrise Joyce.
“È una delle cose più gustose che abbia mai mangiato.” Continuò Rachel, facendo seguire alle parole i fatti.
“ ‘e j‘afefo feffo…” masticò Chloe con la bocca ricolma di cibo.
“Chloe, almeno vuota la bocca prima…” Joyce si batté un palmo in faccia con rassegnazione.
Rachel sorrise guardando Chloe. Era un adorabile disastro sporca di salse e sughi della carne. Così carina!
“Come sta il tuo braccio tesoro?” chiese Joyce a Rachel.
“Molto meglio. Ho ancora i punti, ma posso muovermi. La fascia la tengo solo quando sto ferma per rilassare meglio i muscoli.” Spiegò la ragazza, che in qualche modo riusciva a mangiare in modo educato quell’enorme involtino unto.
“Mi fa molto piacere. Siamo felici che la situazione si sia risolta per il meglio.” la donna appoggiò una mano sulla spalla di David, coinvolgendolo, anche se non sembrava particolarmente intenzionato a partecipare alle chiacchiere. Chloe rabbrividì al pensiero che iniziasse a fare il terzo grado o esternasse le sue opinioni su Rachel. Solo il ricordo delle cose che aveva detto di lei la faceva incazzare. Non la conosceva nemmeno! Rachel invece, pur conoscendo perfettamente la situazione, ci sguazzava allegramente. Guardandola in quel momento era impossibile immaginare lo stato in cui si trovava quando Chloe era andata a prenderla.
“Anche io. Grazie a Chloe!” Rachel imitò sulla ragazza il gesto di Joyce, cogliendola di sorpresa nel bel mezzo di un ricco morso.
“Da quanto vi conoscete tu e Chloe?” grugnì David. I peli del collo di Chloe si alzarono.
“Dallo scorso autunno, anche se ci eravamo già viste varie volte nei corridoi o in classe!”
“Sono davvero felice che Chloe abbia trovato un’amica come te.” Joyce si rivolse a sua figlia “L’anno prossimo magari potresti prendere un po’ di ispirazione dai voti di Rachel, quando tornerai alla Blackwell!”
“Mamma… ti prego… sto mangiando…” si lamentò pateticamente.
Rachel sghignazzò.
“Non preoccuparti Joyce, avrò buona cura di lei!” una delle prime cose che la donna aveva messo in chiaro con Rachel appena dopo essersi presentate, era di darle del ‘tu’.
Chloe le lanciò un’occhiataccia e Rachel sbatté le ciglia di rimando. Qualche farfallina si mosse nello stomaco di Chloe, che provò ad affogarle con un sorso della sua Coca. Ovviamente non erano permessi alcolici, non per i minorenni comunque. Chloe non vedeva l’ora di uscire con Rachel dopo cena, sfoderare il suo documento falso da Tony e comprare una fottuta bottiglia di JD! Magari tra i fumi dell’alcol Rachel si sarebbe aperta su quello che era successo a casa sua. In macchina non ne aveva parlato.
“Vi ringrazio davvero tanto per l’ospitalità. Questo è un periodo un po’ complicato per me e sono felice che mi permettiate di rimanere qui per stanotte…” disse Rachel in modo molto più solenne. Chloe le lanciò uno sguardo incuriosito.
Joyce e David si guardarono, poi la donna rispose: “In effetti mi è parso un po’ strano che non volessi passare a casa tua il primo giorno fuori dall’ospedale. Chloe ha detto che andava tutto bene, ma sono una mamma. Ho un istinto…” lanciò uno sguardo alla figlia, che tornò a concentrarsi sul burrito.
“Chloe ha rispettato la mia privacy, ma mi sembra giusto essere aperta.” Joyce e soprattutto David erano tutt’orecchi. Chloe iniziava a sudare freddo “Con la mia famiglia negli ultimi tempi ci sono stati alcuni contrasti. Preferisco non scendere in particolari. Sicuramente li risolveremo, ma non me la sentivo di stare da sola stanotte. Vi ringrazio di cuore per la vostra disponibilità.” Rachel aveva davvero un talento.
“Oh tesoro. Tutte le famiglie hanno i loro momenti no. Per noi non ci sono problemi se rimani a dormire qui, purché i tuoi genitori lo sappiano e siano d’accordo…” disse Joyce.
“Lo sanno e penso comprendano. Dopo ti lascerò il numero di mia madre Rose per ogni eventualità.” Aggiunse Rachel. Chloe era ammirata e inquietata al tempo stesso. 
Joyce annuì, mentre il volto di David era perennemente corrucciato da ogni sorta di sospetto. Voleva tanto sapere quali fossero questi problemi famigliari di Rachel. Chloe glielo leggeva in faccia.
“David!” esordì Rachel “Ho saputo che adori le Dixie Chicks!”
Chloe rischiò di strozzarsi con un pezzo di pollo. Tossì e bevve un bicchiere di Coca per mandare giù il boccone. David le lanciò un’occhiataccia sospettosa, poi si rivolse a Rachel: “Si è così.”
“Anch’io le adoro. Su questo io e Chloe non siamo sulla stessa pagina dato che per qualche assurda ragione le fanno schifo!”
No dai… Rachel… ti prego…
David inarcò un sopracciglio. Joyce li osservava piuttosto contenta e incuriosita.
“Qual è la tua canzone preferita?” chiese Rachel.
“Ce ne sono diverse in effetti…” tentò di smorzare David. Una parte di lui non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che fosse una specie di scherzo architettato da Chloe e Rachel ai suoi danni e non voleva dargli corda. Non si fidava proprio.
“Mmmh….” Rachel si massaggiò il mento guardando a sinistra, riflettendo, poi spalancò gli occhi come se le fosse venuto in mente qualcosa. Iniziò a canticchiare…
“Who doesn't know what I'm talking about
Who's never left home, who's never struck out
To find a dream and a life of their own
A place in the clouds, a foundation of stone…”
David aggrottò la fronte, Joyce sorrise, Chloe guardò Rachel come se un alieno si fosse impossessato di lei.
“La riconosci?” chiese Rachel giocosa a David.
Lui la guardò per un momento, poi il sospetto fu vinto e sul viso gli comparve un mezzo sorriso compiaciuto.
Wide Open Spaces. È un album del ’98 quello!”
“Già! Le ascolto fin da piccola. Questa canzone mi fa pensare a tutti i viaggi che vorrei fare.”
“Posso capire. Sei giovane e ti piace pensare all’avventura! Una delle mie preferite è ‘A Home’. In Afghanistan la ascoltavo sempre. Mi teneva… in contatto.” La voce di David era decisamente ammorbidita.
Rachel cantò di nuovo:
“I mistook the warnings for wisdom
From so called friends quick to advise
Though your touch was telling me otherwise
Somehow I saw you as a weakness
I thought I had to be strong
Oh but I was just young, I was scared, I was wrong
Not a night goes by
I don't dream of wandering
Through the home that might have been
And I listened to my pride
When my heart cried out for you
Now every day I wake again
In a house that might have been
A home…”
Quando ebbe terminato Joyce applaudì e David annuì con un sorriso. Chloe lanciò uno sguardo stupefatto a Rachel, che le restituì un’espressione furba. Non sapeva quale fosse il suo piano, ma stava funzionando.
“Canti bene!” si complimentò Joyce.
“Non è vero, ma grazie lo stesso!” sorrise Rachel.
“Mi complimento con te per la tua conoscenza delle Dixie Chicks!” sorrise David. Era troppo, troppo strano vederlo sorridere!
“Non conoscevo questo tuo lato Rachel… forse non dovremmo più essere amiche!” Chloe la guardò con un’espressione severa, cui Rachel rispose con un debole pugno sulla spalla, facendola sorridere.
“Conosco anche le canzoni che piacciono a te! Se fai la brava te le canto!” scherzò.
“Vediamo quanto mi conosci…” sfidò Chloe.
Rachel le restituì lo sguardo, irrigidì le labbra e iniziò a picchiettare sul tavolo a ritmo. Un ritmo rapido e frenetico. Iniziò a canticchiare una breve introduzione, poi iniziò:
“Breakin' rocks in the hot sun
I fought the law and the law won
I fought the law and the law won
I needed money 'cause I had none
I fought the law and the law won
I fought the law and the law won”
“Ci hai preso, ma questa era troppo facile…” disse Chloe.
“Ti piacciono i The Clash?” chiese stupefatto David.
“Ssssiii??” rispose titubante Chloe.
“Alla tua età li ascoltavo anch’io!” si limitò a dire David.
“Attenzione! Abbiamo appena trovato qualcosa in comune fra Chloe e David??” azzardò Joyce con gli occhi illuminati.
“Col cazzo!!” negò tenacemente Chloe, mentre rosicchiava gli ultimi resti del burrito.
“Linguaggio Chloe…” ringhiò David “Comunque forse la prossima volta che lavoriamo al pick-up potremmo mettere questi invece dei PissHead!” azzardò David.
“Lascia stare Skip!” Chloe gli puntò contro un dito unto.
“Skip è il capo della sicurezza alla Blackwell. Ha un gruppo che si chiama PissHead e stanno lanciando il loro primo album. Su Radio STYR trasmettono le loro canzoni.” Spiegò Rachel a Joyce.
“Che cosa singolare! Ma come procedono i lavori?” replicò la donna.
Chloe e David iniziarono a parlare insieme. Si fermarono. Si guardarono in cagnesco per alcuni momenti. Chloe riprese.
“Abbiamo sostituito un po’ di pezzi. Prima faceva un po’ fatica a superare i 70, ora non più. Ci abbiamo messo una settimana a capire qual era il problema…” spiegò.
“E qual era?” chiese Rachel.
“La cazzo di bobina! C’era un buchetto invisibile…”
“Dovremo davvero reintrodurre il barattolo delle parolacce!” disse in tono severo Joyce.
“Mà!” protestò Chloe
Rachel ridacchiò.
“Comunque… dicevo…” Chloe lanciò uno sguardo a David. Era stato lui ad avere l’idea che il problema fosse la bobina. Lei non ne era convinta, avevano controllato e i rivestimenti di gomma sembravano perfetti. David aveva insistito e Chloe si era incazzata, così era andata a fumarsi una sigaretta, mentre lui controllava. Alla fine aveva trovato un buchetto microscopico del cazzo in una pipetta di gomma. Quello stronzetto faceva scaricare la corrente sulla testa del motore, provocando i cali di potenza durante la guida. Avevano cambiato tutte le pipette per sicurezza e Chloe aveva pulito il cesso in cambio. Decise però di omettere tutta questa parte. Non voleva dare troppa gloria a Mustacchione.
“Alla fine abbiamo cambiato le pipette di gomma e ora accelera e non perde più colpi. Un po’ per volta lo… STIAMO mettendo a nuovo…” concluse Chloe.
Rachel le lanciò uno sguardo fiero, di cui si nutrì.
VRRRRRRRrrrrrrrrrrrrrrrrrriiiiiiiiiiiiiiiinnnnnnnnnnnnnnnnnnn!!!
 
Tutti si zittirono.
Il campanello aveva suonato??
Chloe guardò Rachel, poi Joyce e David.
“Aspettate qualcuno?” chiese.
“Io no…” disse Joyce, e anche David scosse il capo.
Chloe si guardò intorno per un momento, incrociando lo sguardo perplesso di Rachel.
“Vado io…” Chloe decise che era una buona scusa per sottrarsi a quella cena che stava diventando decisamente imbarazzante. Si alzò e si diresse verso la porta.
Sbirciò fuori dalla finestra. Il cuore le balzò in gola.
Eliot?!
Con fretta aprì la porta ed uscì.
“Ciao Chloe…” il ragazzo aveva un k-wey blu scuro con cappuccio che sembrava nero nella notte. Un ciuffo di capelli rossi spuntava come una fiammella sopra la fronte.
“Ma che caz…” Chloe lo allontanò e chiuse la porta dietro di sé. “Che cazzo ci fai qui… cosa c’è che non capisci in ‘ABBIAMO CHIUSO PSICOPATICO’??” Chloe sibilava aggressivamente, non voleva farsi sentire dall’interno. Sperava di liquidarlo al più presto. Anche perché moriva di freddo e la sua felpa nera non tratteneva molto calore.
“Non abbiamo finito di parlare.” Disse Eliot.
Chloe era incazzata e spaventata. Lo sguardo di Eliot era alterato. Sembrava lo stesso che aveva quel giorno nell’ufficio di James Amber. Almeno stavolta Chloe non era sola, poteva urlare se le cose si fossero messe male.
“Non ho veramente un cazzo di niente da dirti… merda che cosa ti passa per il cervello…”
“Chloe dannazione! Non vedi cosa ti è successo? Perché ti comporti così con me. Siamo cresciuti insieme cazzo! Ti sono stato vicino nei momenti peggiori. Anche di recente! Sai… avrei semplicemente potuto firmare una dichiarazione in cui facevo il tuo nome e la polizia sarebbe venuta ad arrestarti. Invece non l’ho fatto. Grazie Eliot! Gentile Eliot!”
“E questo che cazzo c’entra?”
“Ti ho protetta. Rachel ti ha messo nei guai e io te ne ho tenuta fuori.”
“Rachel non mi ha messo proprio in nessun guaio. Merda Eliot… fatti curare… stiamo cenando. Ora levati dal cazzo prima che ti spacchi la faccia…”
Chloe si voltò per andarsene, ma la mano di Eliot le strinse il polso destro costringendola a voltarsi. Chloe reagì d’impulso, mentre veniva strattonata si voltò di scatto e piantò un pugno alla cieca. Le nocche della mano sinistra impattarono di striscio tagliuzzandogli un labbro. Eliot fece un passo indietro più per la sorpresa che per il dolore. Finì sotto la pioggia.
“Adesso mi colpisci anche? Rachel ti ha fatto il lavaggio del cervello! È di questo che stavo parlando!” spalancò le braccia minaccioso.
La porta di casa si aprì alle spalle di Chloe. Lo sguardo di Eliot mutò in modo inquietante. Le sopracciglia si aggrottarono, il volto assunse un’espressione feroce, le pupille si contrassero in modo asimmetrico. Chloe si voltò. Rachel era sulla soglia di casa con lo sguardo preoccupato. Eliot guardò lei, poi guardò Chloe. Il tradimento e la delusione calarono come un’ombra terrificante sul suo viso.
“Lei… qui?! Merda Chloe… sei irrecuperabile.” Si rivolse poi a Rachel “Tu brutta stronza! Me l’hai messa contro!!” si gettò in avanti verso di lei brandendo l’indice come fosse un pugnale. Rachel fece un passo indietro spaventata.
“Sta lontano da lei!” gridò Chloe sbarrandogli la strada e spintonandolo.  Lui reagì mollandole un ceffone con la mano destra. La colpì solo di striscio, ma la sorprese e sbilanciò abbastanza da farla vacillare. La afferrò per la gola, stringendo. Chloe sentì l’aria mancarle e le vene del collo pulsare in modo fastidioso.
“Io ti amavo Chloe! Tu mi hai tradito!! Hai tradito…”
Chloe tentò di divincolarsi, ma la stretta era salda. Il sangue iniziò ad arrivare con fatica al cervello, la vista iniziò a oscurarsi, mentre l’aria non riusciva a entrare. Tentò di scalciare, mirando come poteva ai testicoli, ma non riusciva prendere la mira. La sua testa era piegata all’indietro a causa della stretta di Eliot.
“Hai mandato tutto a putt…”

STUD!

La presa di Eliot si allentò, la lasciò andare e Chloe vacillò all’indietro tossendo. Il sangue riaffluì al cervello e l’aria le riempì avidamente i polmoni. Eliot era in ginocchio davanti a lei. Rachel impugnava un ciottolo nella mano destra. Lo sguardo inferocito fisso sul ragazzo che aveva un graffio arrosato sul lato destro della fronte. Alzò le braccia per proteggersi, ma gli arrivò un’altra sassata in testa.
“Non toccarla lurido pezzo di merda!” ruggì Rachel.
“Vaffanc…” Eliot stava per reagire quando due enormi mani lo afferrarono. Una si serrò intorno al suo polso destro, l’altra strisciò intorno alla sua gola strozzandolo. David lo prese alle spalle e con una leva articolare e uno strangolamento tentò di immobilizzarlo. Eliot si divincolò disperatamente. Con un movimento secco David lo scaraventò sul prato faccia in giù, gli schiacciò la testa sul terreno con la mano e gli mise di nuovo in leva il braccio. La pioggia li bagnò fradici.
“Chloe chiama la polizia!” ordinò David perentorio.
“Vaffanculo Chloe!!” gridò Eliot
“Stai zitto stronzetto fuori di testa!” David gli torse ancora di più il braccio facendolo strillare.
Chloe era in piedi, si teneva ancora la mano sulla gola, massaggiandosi la carotide. Rachel era vicino a lei, le prese la mano. Diluviava. Sulla porta sopraggiunse Joyce che assistette alla scena con sguardo attonito e le mani davanti alla bocca.
“CHLOE! POLIZIA! ORA!”
 
-
 
"Se non cambi direzione, potresti finire dove sei diretto."
Destiny Smasher (All Wounds)

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Capitolo 3
*** Lost causes ***


Lost causes

 
“We are the reckless,
We are the wild youth
Chasing visions of our futures
One day we'll reveal the truth
That one will die before he gets there.”

Youth - Daughter

 
“C'è un modo di dire: ‘Il diavolo è più forte mentre guardiamo dall'altra parte’.
[…] Puoi provare ad avere ragione, puoi provare ad essere buono, puoi provare a fare la differenza.
Ma sono tutte cazzate. Perché le intenzioni sono irrilevanti. Non ci guidano, i demoni lo fanno.

E io?
Ne ho più di molti altri.”
Mr. Robot
 

Gli agenti Berry ed Corn arrivarono nel giro di dieci minuti, durante i quali David tenne Eliot immobilizzato. Joyce rientrò in casa. Il suo stupore era giustificato, conosceva Eliot da quando era un bambino, l'aveva visto crescere. Sparecchiò in silenzio insieme a Chloe e Rachel, mentre il ragazzo veniva arrestato. Quando David rientrò, fradicio di pioggia, pretese spiegazioni. Chloe fu costretta a raccontare che da qualche tempo Eliot si comportava da stalker e che non aveva detto nulla perché sperava la cosa si risolvesse da sola. Col suo solito modo di fare ruvido e severo, David la sgridò dicendo che avrebbe dovuto avvisare le autorità, che certe cose non vanno sottovalutate. Joyce gli mise un freno prima che scoppiasse un'ennesima litigata con Chloe, che fu trattenuta a sua volta da Rachel. David se ne andò sul divano, borbottando qualcosa sui ragazzini viziati col cervello fritto dai cellulari, prima di eclissarsi davanti alla tv! Joyce fu molto più gentile con sua figlia, assicurandosi che stesse bene. Preparò un tè per sé e le due ragazze, che consumarono in piedi in cucina. Infine, raggiunse il marito sul divano, mentre Chloe e Rachel si rifugiarono in camera al piano di sopra.
Appena raggiunta la camera, Chloe si accese una sigaretta. Appollaiata sulla sua scrivania, fissava fuori dalla finestra, attraverso la pioggia. Rachel, invece, perlustrò la stanza. Con tutto quello che era successo, solo in quel momento realizzò che stava finalmente per vedere la camera di Chloe! Era da mesi che desiderava esplorarla. Trovò singolare la miscela di punk rock e ricordi d'infanzia, con grande vantaggio del punk rock.

"La genialità è 1% ispirazione e 99% LSD", vide scritto sul muro.
Condivisibile!

“I Can’t sleep!” un’altra scritta proprio nei pressi del letto.
Graffiti motivazionali per dormire…

“Hole to another Universe”?
Poetico!
Ecco chi era che li disegnava in giro per la città! Rachel avrebbe dovuto sapere che si trattava di Chloe! Ricordava di aver certamente visto un Hole to Another Universe nel parcheggio del Two Whales e sul muretto del parcheggio della Blackwell.

"Credi negli universi paralleli?" chiese Rachel, mentre Chloe fumava in silenzio.
"Non lo so... probabilmente ha senso! Tipo teoria delle stringhe o roba così. Il problema è che tanto non puoi muoverti da quello in cui ti trovi, quindi... siamo fottuti!"
Rachel continuò l'esplorazione.
Poster di band metal, uno squalo di peluche, tre skateboard scassati, alcune lattine di birra vuote, una foto che ritraeva Chloe bambina con capelli lunghi e in mano un premio, accanto a un uomo alto dallo sguardo fiero che doveva essere suo padre. Il vetro era rotto, colpito in un punto o per una caduta o distrutto in un momento d'ira.
"Ho letto da qualche parte che ogni scelta che facciamo o non facciamo dà vita a un nuovo universo. Come se tutto ciò che è possibile in un dato momento si realizzasse in qualche realtà alternativa." disse Rachel.
"Potrebbe essere davvero incasinato..." commentò Chloe sbuffando una nuvola di fumo.
Continuando l'esplorazione individuò una lampada luminosa a forma di orso abbraccione, su cui era stata messa una maschera veneziana e una collana.
Ok, questo è bizzarro Chloe!
Uno specchio su cui era appoggiato un cappello pirata, un canestro con scritto Bigfoots (corretto col pennarello in "Bigfeet Assholes") sopra il letto completamente disfatto, vestiti e cianfrusaglie sparse per terra.

Quella stanza ERA Chloe, sospesa tra un passato di cui aveva nostalgia e un presente pieno di rabbia sotto cui tentava di seppellirlo. Senza riuscirci. Sul lato del mobile accanto al letto, nei pressi della sveglia, Rachel notò un'altra foto attaccata con lo scotch. Chloe e suo padre sorridenti, con un'altra ragazzina dai capelli neri e lunghi. Probabilmente Max.
“Hella incasinato…” riprese il discorso Rachel “ma farebbe davvero comodo un universo di riserva in cui le cose sono diverse…” si pentì immediatamente di averlo detto. Le parole erano scivolate fuori dalle sue labbra senza che lo volesse.
Chloe si voltò a fissarla e, sorprendentemente, le sorrise: “E’ quello che penso ogni giorno del cazzo da due anni…”
Rachel ricambiò il sorriso e decise di cambiare immediatamente argomento!
“Mi piace la tua stanza! È molto… te!” sorrise Rachel.
“Ci è voluta una vita per renderla mia!” scherzò distrattamente Chloe, tornando a guardare fuori dalla finestra.
Rachel notò anche la borsa gialla piena di vestiti che aveva portato a Chloe alla discarica, il giorno de La Tempesta.
"Vedo che l'hai recuperata!" commentò Rachel indicandola.
Chloe si voltò e sorrise, prendendo un tiro di sigaretta.
"Si, quando ho visto che la pioggia non smetteva sono andata a riprenderla. I vestiti erano un po' zuppi, ma li ho lavati tutti."
Rachel appoggiò accanto ad essa il borsone verde che aveva portato da casa sua.
"Di sicuro i vestiti non mi mancheranno! Potrei traslocare!"
"Magari! Mi aiuteresti a tenere a freno il Coglionnello... l'hai davvero ipnotizzato stasera a cena!" scherzò Chloe.
"Solo grazie alle informazioni che mi avevi dato su di lui!" ammiccò Rachel.
"Ancora non capisco come cazzo fanno a piacerti le Dixie Chicks..." Chloe prese un tiro e sbuffò tentando senza successo di creare anelli di fumo.
"La vera domanda è perché non piacciono a te!"
"Perché io ho gusto!"
"Disse quella con la maglia di Hawt Dog Man..." replicò Rachel estraendo una maglietta con quello strambo personaggio dal cassetto dei vestiti di Chloe.
"Hey, rimettila via! Impicciona!" Chloe sghignazzò appoggiando la sigaretta nel posacenere e marciando verso Rachel, che allontanò la maglietta.
"No! Questa la uso io, mi sembra ottima per un pigiama party!"
"Mmmm...." Chloe si fermò, squadrandola dalla testa ai piedi. Aveva lo sguardo dell'immaginazione "Ok!"
"Felice che approvi!" ridacchiò Rachel, depositando la maglietta sulla sacca verde, da cui estrasse una pochette con spazzolino, dentifricio e altre necessità.
Chloe tornò a fumare alla finestra.
"Me ne offri una?" chiese Rachel.
Chloe senza parlare prese il pacchetto, con un gesto fece sporgere una sigaretta e gliela porse. Rachel la mise in bocca e Chloe gliela accese.
"Grazie!" si avvicinò sedendosi di lato sulla scrivania, appoggiandovi una coscia sopra.
"Le stronzate folli non finiscono mai eh?" commentò Chloe. Il primo velato riferimento a ciò che era appena successo.
"Un altro grande giorno ad Arcadia Bay..." disse Rachel citando il cartello all'ingresso della città.
"Pfft..." soffiò una risatina poco convinta Chloe "Mi spiace che quello stronzo abbia rovinato la cena..."
"Non l'hai mica invitato... oppure si?"
"In realtà gli ho teso una trappola... tutto è andato secondo i piani!" scherzò Chloe.
"Sei astutamente malvagia..." ghignò Rachel. Le due si scambiarono un sorriso cupo.
"Almeno stavolta quando ti è venuto contro non mi sono bloccata..." commentò Chloe.
"Cosa?"
"Non come... alla discarica o... con Mikey..."
"Ah..." Rachel prese un lungo tiro di sigaretta "Penso che dovresti smetterla di darti addosso."
"E' la mia specialità!"
Rachel sghignazzò e le diede uno scappellotto.
"Auch!"
"Sei fantastica Chloe..."
"L'importante è che ci credi tu. Lo fai abbastanza per entrambe!"
Rachel decise di non insistere, ma si rimise in piedi. Si avvicinò alla ragazza e le cinse il fianco col braccio sinistro. Il respiro di Chloe tremolò a quel contatto inaspettato, cui rispose piegando la testa di lato per appoggiarsi sui capelli di Rachel.
"Hai bisogno di parlare di quello che è successo?" propose Rachel.
"Nah... Eliot... ormai è andato. In tutti i sensi."
“È stato un amico, puoi fingere con tutti ma lo so che ti ha turbato..."
"Si beh... dimostra solo la mia teoria. Non ci si può fidare di nessuno..."
"Grazie!" commentò Rachel separandosi da Chloe e lanciandole un artificioso sguardo risentito.
"Ehm... a parte te ovvio!"
"Comodo dirlo adesso!" sghignazzò Rachel.
Chloe si grattò la testa e consumò fino al filtro la sigaretta, nascondendosi in una nuvola di fumo.
"Piuttosto..." Chloe cambiando discorso "...non voglio costringerti a parlarne, ma... cos'è successo a casa tua?"
Rachel stava tentando di evitare il discorso, ma un’altra parte di lei sperava che Chloe lo chiedesse. Prese l'ultimo tiro.
"Me ne offri un'altra?"
"Me la paghi?" scherzò Chloe.
Rachel strinse gli occhi mettendo un sorriso furbo. Si avvicinò a lei, chiudendo la distanza fra loro al punto che Chloe sentiva il suo respiro sul collo. Si sollevò in punta di piedi e depositò un lungo, morbido, provocante bacio sulle labbra di Chloe. Affondò le dita fra i suoi capelli e Chloe le cinse i fianchi, premendola contro di sé. Un formicolio caldo colmo di desiderio le avvolse il ventre e il cuore, uno sciame di farfalle spiccò il volo dal suo stomaco invadendo tutto il suo essere. Quando si separarono Chloe aveva un sorriso ebete e Rachel la fissava con felina soddisfazione.
"Ok... tieni il pacchetto..." sospirò Chloe. Rachel rise di gusto.
"Per ora me ne basterà una!" e la prese, accendendosela.
Rimasero in silenzio per un po', Chloe sapeva che doveva attendere ancora un po’. Probabilmente avrebbe avuto risposta alla sua domanda. Rachel ultimamente faceva fatica a chiarire ciò che provava. Non che di norma le fosse più facile. Positivo e negativo si mescolavano con una facilità estrema, il paradosso era qualcosa con cui aveva una fastidiosa famigliarità. O forse erano solo gli eventi delle ultime settimane e l’inaspettato, travolgente evolversi del rapporto con Chloe che le stavano mettendo confusione? Infine, dopo aver aspirato un po' di chiarezza dalla sigaretta, si decise:
"Ho discusso con mio padre... gli ho detto che quella non è più casa mia e che sarei venuta da te."
"Oh..." commentò Chloe, accendendosi un'altra sigaretta.
"Ovviamente si è incazzato, ma Rose lo ha stranamente messo a tacere. Gli ho detto che se vuole rimediare con me può iniziare facendomi incontrare la mia vera madre... ovviamente ha detto no..."
Chloe annuì e cinse le spalle di Rachel con il braccio destro.
La pioggia faceva da accompagnamento sonoro alle loro parole. L'intensità del temporale era calata, tuoni molto distanti echeggiavano con sempre meno frequenza.
"Io... ti invidio Chloe..."
"Cosa?"
"Almeno tu di tuo padre hai dei bei ricordi e sai che sono veri... io del mio non so nemmeno... mio padre è una menzogna... la mia famiglia... tutto è una stronzata..."
Chloe sospirò profondamente e prese una lunga boccata di fumo.
"Beh… dipende… potrei risponderti che almeno tuo padre è ancora vivo..." commentò amaramente Chloe.
Rachel le appoggiò la testa alla sua spalla.
“Scusa… non volevo…”
“Non preoccuparti…”
“Tra le menzogne di mio padre, la complicità di Rose e… mia madre che non vuole più incontrarmi… è talmente assurdo che sembra uno scherzo. O forse è solo la vita che è una brutta commedia…” proseguì amara Rachel.
"Tu hai Rose..." si inserì Chloe.
"Cosa?"
"Anche se non è la tua vera madre, lei ti ha cresciuta e ti ama. È chiaro che è così Rach"
"Si... è vero... ma anche lei si è fatta coinvolgere..."
"Perché ama anche tuo padre..."
"Non farmici pensare." grugnì Rachel.
"Dico solo... ci sono ancora persone su cui puoi contare..."
"L'unica persona di quella lista mi sta abbracciando proprio adesso..."
Chloe sorrise e accolse quella considerazione con gratitudine.
“Saputo più niente di Frank?” chiese Rachel.
“No… l’ho richiamato ma il numero da irraggiungibile è diventato inesistente.”
“Vedi? Una brutta commedia!”
“Se è ad Arcadia Bay potremmo cercarlo…”
“Per questa notte non voglio più pensare alle prese per il culo dell’universo…” interruppe Rachel.
Chloe annuì e lasciò cadere il discorso. Rimasero in silenzio davanti alla finestra, finendo le loro sigarette con calma. Il fumo che usciva dalle loro bocche si mescolò prima di disperdersi nell'aria umida della notte.
Rachel e Chloe, appoggiate l'una all'altra, due cuori spezzati che battevano all'unisono.
"Hai sonno?" chiese Rachel
"Tipo neanche per il cazzo..."
Rachel ridacchiò.
"Vado a prepararmi per la notte, tu intanto pensa a qualcosa da fare!"
"Ricordati la maglietta!"
"Certo, certo!" sghignazzò Rachel uscendo dalla stanza con l'occorrente per il bagno.
 
Chloe si grattò la testa.
Qualcosa da fare... qualcosa da fare...
Le uniche serate del genere le aveva trascorse con Max. Giocare ai pirati era decisamente fuori discussione. Non come ci giocava con Max comunque! Chloe sarebbe stata davvero entusiasta di andare all'arrembaggio di Rachel! Un film sul computer sembrava la cosa più neutra. Accese il pc e cominciò a rovistare tra i suoi dvd. Rachel era tipa da Blade Runner? Con tutta la merda che era successa nelle ultime settimane non aveva nemmeno guardato il director's cut che aveva preso da Steph! Poteva essere una buona ipotesi. Ricordò quando l'aveva visto per la prima volta con Max e suo padre giù in salotto. O meglio, ricordava quando aveva iniziato a vederlo... si era addormentata sbavante contro la spalla di William dopo meno di venti minuti, Max l’aveva sempre presa per il culo per quello...
Decise che non era il film giusto, lo rimise a posto e continuò a cercare.
Pulp Fiction? A Rachel piacerà Quentin? Da qualche parte aveva anche Dal Tramonto all'Alba. Quello sembrava il giusto film cazzone per distrarsi dalla serata fuori di testa che avevano passato. Li mise entrambi sul tavolo. Kill Bill? Una ragazza bionda che affetta criminali con una katana per vendicarsi… Top! Nella lista!
La porta della stanza si aprì, passi leggeri entrarono. Si voltò e incrociò Rachel ancora vestita come prima.
"Sei in vena di film!" commentò guardando la pila di dvd e il computer acceso.
"Pensavo che fosse un buon modo per non pensare a tutta la merda..."
"Mi sembra un'ottima pensata!" disse Rachel che nel frattempo prese la maglietta di HawtDog Man e la depose sul letto. Come se niente fosse iniziò a spogliarsi. Chloe spalancò gli occhi, completamente stupefatta mentre Rachel si levava le scarpe e i pantaloni, rimanendo in mutande e reggiseno davanti a lei.
"Goditi pure lo spettacolo!" scherzò Rachel e Chloe si girò, paonazza.
"S..si.. scusa... ehm..."
"Ok, basta che dopo ricambi il favore!" Rachel si infilò la maglietta. Era sufficientemente larga da farle da vestito. Si avvicinò scalza a Chloe e si chinò accanto a lei, indagando nella sua collezione di dvd masterizzati. Chloe si inebriò del suo profumo di gelsomino. Voleva tuffarsi in una piscina piena di quel cazzo di bagnoschiuma al profumo di Rachel!!
"Questo mi piace un sacco!" esclamò Rachel allungando una mano. Porse a Chloe un dvd. Into the Wild.
"C'era da aspettarselo!"
"Non ti piace?"
"Certo che mi piace. Avevo solo selezionato cose completamente diverse!" fece un cenno verso i dvd sulla scrivania. Rachel gli diede un'occhiata.
"Oh beh... gangster, gangster vampiri, ragazze killer di gangster..." Rachel ridacchiò "Semplicemente Chloe Price!"
"Come Into the Wild sembra totalmente Rachel Amber!"
"Direi di sì! Comunque, adoro i film di Tarantino. Li salviamo per altre occasioni... stasera sono più in vena di viaggiare nelle terre selvagge..."
"Lo sai come finisce quel film vero?" si informò Chloe.
"Sì ma... conto di addormentarmi molto prima!"
"Furba! È anche la mia strategia!"
"Allora è deciso!"
Rachel prese il dvd e lo infilò nel lettore del computer. Aprì il programma video e mise in pausa, dirigendosi poi verso il letto.
"Vado a darmi una lavata e torno" avvertì Chloe.
Rachel si sistemò a letto. Era piuttosto comodo e ampio. Invidiò Chloe per poter disporre di quel letto enorme tutto per sé. Si accoccolò un po' fra le lenzuola, che sapevano di lei. Quell'odore misto di tabacco, erba e sudore, uno stravagante mix avvolgente. Non era oggettivamente un buon odore, ma a Rachel piaceva. Chloe ci mise molto meno di lei a rientrare in stanza, la trovò spaparanzata sul letto con le mani comodamente incrociate dietro la testa. La fissava con aspettativa.
"Che c’è?" disse Chloe interrogativa.
"Ti spio!" rispose candidamente Rachel.
Chloe si grattò la testa imbarazzata "Pervertita!" scherzò.
"Tra simili ci si capisce!" ribatté Rachel con quella faccia da gatta furba.
Chloe sospirò, le guance arrossate e formicolii in tutti i punti giusti. Si tolse per primi i pantaloni, mostrando un paio di mutande nere, poi la maglietta. Rachel la squadrò da cima a fondo mentre camminava fino al cassetto dei vestiti. Rovistò in mutande per qualche momento, indossando poi un'ampia maglietta blu scuro con un drago rosso disegnato sul petto. Si tolse i calzini e si diresse verso il computer. Le guance le bruciavano per l'imbarazzo.
"Piaciuto lo spettacolo?"
"Totalmente! Bella maglietta tra l’altro." gli occhi nocciola di Rachel la fissavano sorridenti.
“A te piace qualsiasi cosa accenda il fuoco” ammiccò Chloe, che fece partire il film e si infilò a letto.
Rachel sghignazzò e le cedette il posto, si sdraiò con la testa appoggiata tra il seno sinistro di Chloe e il cuscino. Chloe si trovò a provare una sensazione che le mancava da tanto tempo. La mano di Rachel le afferrò il braccio e lo guidò attorno a sé. Tenendolo stretto, come se Chloe potesse svanire da un momento all’altro. Come se fosse il salvagente che la teneva a galla. Chloe lanciò uno sguardo fugace alla foto accanto al letto. Incontrò il viso sorridente di Max bambina. Si sentiva... in pace. Una sensazione di calore, sicurezza, complicità le riempiva il petto. Era la prima volta in due anni che si sentiva così. Sorrise e sperò. William diceva "il passato è un prologo". Non aveva mai capito cosa volesse dire, ma ora, con Rachel fra le braccia, ebbe l'impressione di esserci finalmente arrivata.
 
-
 
Fra le nuvole filtravano alcuni timidi raggi di sole. Una pioggerellina continuava a cadere, imperterrita, ma lieve. Faceva freddo. Rachel si svegliò in quel letto estraneo eppure così familiare. Si stiracchiò, ricordandosi cautamente dei punti sul braccio. Ascoltò il silenzio del mattino, il brusio delle gocce d'acqua all'esterno, lo scrosciare di una macchina isolata che passava in strada. Un cane abbaiava da qualche parte. Suoni provenivano dal piano di sotto. Joyce o David o entrambi dovevano essere svegli. Rachel si allungò verso il suo cellulare, lasciato sul pavimento di fianco al letto. Erano le 8:11.
Si voltò a sinistra e incontrò il viso di Chloe, la bocca semi aperta e lievemente sbavante. La trovò tenera. Un sorriso comparve sul suo volto e un raggio di sole penetrò dalla finestra per sfiorarle una guancia. Rachel rimase in contemplazione. Tutto era cambiato così tanto nelle ultime tre settimane. Le scostò dalla faccia il ciuffo blu, che mostrava più di un centimetro di ricrescita. Chloe si smosse, strinse gli occhi e si contorse fra le coperte. Proruppe in uno sbadiglio mentre si stiracchiava. Si asciugò istintivamente la bavetta dalla bocca. Quando aprì gli occhi incontrò lo sguardo di Rachel e per un attimo parve sorpresa, poi le regalò un sorriso raggiante che le fu restituito.
"Buongiorno!" sussurrò Rachel.
"H.. heey!" biascicò Chloe.
Chloe si contorse nel letto per un po', scombinando ulteriormente le coperte.
"Dormito bene?" chiese.
"La mia prima notte in un letto vero dopo due settimane... con una ragazza carina di fianco. Direi di sì!" Rachel ammiccò, ricevendo una risatina in risposta. Il suo umore era decisamente migliorato. Si sentiva ancora sospesa in una sorta di limbo esistenziale, ma almeno galleggiava placidamente sulla superficie invece di sentirsi affogare. Una piacevole pausa dalla pressione sociale che aumentava. Da quando era stata ricoverata il mondo era andato in stand by. Certo, aveva mantenuto i contatti con i ragazzi del Drama Club e altri amici, aveva studiato con Drew, aveva ricevuto visite in ospedale… ma erano come faccende da svolgere. Il ritorno alla Blackwell e alla sua routine era qualcosa che sentiva distante. La realizzazione che mancavano solo sei giorni le creava uno strano stato d’animo. Desiderava ardentemente tuffarsi di nuovo in quell’ambiente e nelle dinamiche che conosceva, e al tempo stesso la prospettiva la inorridiva. Come avrebbe mai potuto tornare alla normalità dopo quello che era successo? Dopo quello che aveva scoperto. Per il momento era con Chloe, poteva convincere Joyce a concederle qualche altra notte lì (e l’avrebbe fatto!), ma prima o poi avrebbe dovuto tornare a casa. Il pensiero di rivedere suo padre e Rose la inquietava. Significava fare di nuovo i conti con tutte le domande che per il momento aveva accantonato. Stare con Chloe la faceva sentire come se fosse ancora integra. Senza di lei sarebbe stata di nuovo… briciole. La sua vita la chiamava, la reclamava. Ma poteva ancora rimandare… almeno un po’. 

"Che cazzo..." la voce di Chloe la distolse dalle sue elucubrazioni. La ragazza si stava fumando la paglia mattutina, seduta sull'angolo del letto che dava verso la finestra.
"Cosa?" chiese Rachel, ancora sdraiata.
"Non smetterà mai di piovere..." bofonchiò la ragazza sbuffando una nuvola di fumo come un drago.
"Non può piovere per sempre..." declamò Rachel.
Chloe si voltò verso di lei con un sopracciglio inarcato e un mezzo sorriso.
"Gesù... davvero? Il Corvo?"
"Me l'hai servita su un piatto d'argento Price..."
"Non ti facevo così dark..."
"Senti se non ti piace Il Corvo possiamo anche salutarci per sempre!" Rachel le puntò un indice accusatore e un sorriso.
Chloe alzò le braccia in segno di resa.
"Brandon Lee è uno dei miei sogni erotici"
"Con o senza trucco?" si informò Rachel.
"Mmmmmh..." Chloe prese un tiro riflessivo dalla sigaretta "...Con!" decise.
"Hella inquietante!!" Rachel le diede un buffetto sulla gamba allungando un piede.
"Lo sono totalmente!" ridacchiò Chloe.
Rachel si mise a sedere e diede una nuova occhiata alla camera di Chloe. Scivolò al suo fianco, prese una sigaretta dal pacchetto di Chloe e se l'accese.
"Come a casa tua eh..." scherzò Chloe.
"Ti ho pagata ieri sera e mi hai offerto il pacchetto ricordi?"
"Però non l'hai accettato!"
"No, ho detto che in quel momento ne avrei presa una sola!"
"Touché... saresti un cazzo di avvocato!"
La ragazza sghignazzò aspirando avide boccate di fumo.
"In effetti Legge è una delle opzioni per il College! O forse lo era..." scrollò le spalle. Chloe indagò il suo sguardo e non le sfuggì una certa malinconia, ma Rachel sembrava davvero su una pagina diversa rispetto ai giorni precedenti. Chloe non poteva che esserne felice.
"Comunque… ti ho sentita russare dopo nemmeno venti minuti di film!” sghignazzò.
“Sai, quando mi sento particolarmente a mio agio mi rilasso…” ammiccò Chloe.
“Buon salvataggio! Io ho retto fino a circa un’ora, poi sono svenuta anch’io!”
“E’ a quello che servono i film di sera, a fare da ninna nanna!”
“Sensato!”
Rachel si alzò in piedi, aspirando fumo e aggirandosi per la stanza.
“Alla luce del giorno la tua stanza è ancora più interessante!" commentò.
"Dovrò migliorare i sistemi di sicurezza anti-Sergente Mustacchi!"
"Potremmo piazzare delle trappole, nel caso volesse ancora frugare in giro..."
"C'è il negozio sulla Hudson, quello che vende roba da caccia. Ho visto delle tagliole..."
"Sei geniale Price!" le diede un colpetto al braccio "Le tue idee arrivano da quella ricetta?" indicò il graffito su ispirazione e allucinogeni nei pressi della porta.
“Solo le migliori!”
“Davvero hai provato l’LSD?” curiosò Rachel.
"Beh... no in realtà, ma l’anno scorso... ho fatto un trip con Justin e la compagnia di skater..."
Rachel tornò ad accomodarsi accanto a lei: "Dettagli!" prese un tiro di sigaretta.
"Beh, siamo andati da Frank, abbiamo messo insieme i soldi di tutti e abbiamo preso dei funghetti..."
"Peyote?" si informò Rachel.
"...l'hai provato?"
"non ancora..." ammiccò la ragazza.
"...è stata un'esperienza decisamente... fottuta! Frank ci ha spiegato come prenderlo e ha avvertito che almeno uno di noi rimanesse lucido, per assicurarsi che gli altri non facessero cazzate pericolose…"
Chloe fece una pausa, prendendo l'ultimo tiro e spegnendo la sigaretta.
"Non è stato molto divertente ora che ci penso..." Chloe parve rabbuiarsi.
"Hai visto qualcosa di brutto?" chiese Rachel.
"... mio padre..."
"Oh..."
"... e Max..."
"Scusa..."
"Nah! Sono io che ho la tendenza a farmi risucchiare dalla merda in continuazione" si diede una manata sulla fronte.
"Conosco il fenomeno..." Rachel le appoggiò una mano sulla spalla.
"E' anche difficile impedirlo. Ovunque mi giro vedo qualcosa che me li ricorda..."
Rachel scrutò la ragazza, la cui espressione si era incupita più del necessario. Si sentì colpevole per aver inavvertitamente innescato quella spirale verso il basso.
"Vuoi ancora bene a entrambi..."
"Si... ma questo non rende lui meno morto e non le ha impedito di andarsene..."
"Non credo che volesse lasciarti Chloe..."
"Lo so!" sbottò la ragazza con più aggressività di quella che voleva...
 
BAM! BAM! BAM!
 
Tre colpi piuttosto rudi scossero la porta della stanza. La voce di David arrivò dall'altra parte.
"Tutto bene là dentro?"
"Una meraviglia David..." grugnì Chloe.
"Tua madre ha preparato la colazione..." era evidente dal tono che l'uomo avrebbe voluto aggiungere altro, qualche tipo di rimprovero per il tono di voce troppo alto forse? Ma si sforzò di essere gentile.
"Ok!"
I passi di David si allontanarono giù per le scale e Chloe fece un lungo sospiro.
"Scusa..."
"Non devi..." rassicurò Rachel.
“Merda…” Chloe si alzò in piedi e iniziò a passeggiare per la stanza. Rachel rimase sul letto, lasciandole tempo e spazio. Alla fine Chloe continuò: “E' solo... la mia vita è divisa in due... con papà e Max e senza papà e Max... almeno prima che arrivassi tu..."
Rachel le sorrise.
"Penso che tu abbia trovato la soluzione!"
"Cosa?"
"Hai detto che la tua vita è divisa in due, ma io ho contato tre."
Chloe la fissò con una certa perplessità.
"Con papà e Max, senza papà e Max... e poi ci sono io! Non intendo levarmi di torno quindi la tua vita è già entrata in una nuova fase"
"Suona… bene..." disse con una timida e speranzosa curiosità Chloe.
Rachel si alzò in piedi e si mise di fronte a lei, accarezzandole l’avambraccio e provocandole un brivido.
"Se tutto quello che vedi ti ricorda il passato, forse è il momento di cambiare quello che vedi!"
"Ok... adesso stai diventando criptica." scherzò Chloe, che però era completamente intenzionata a seguire Rachel ovunque volesse portarla.
“Dovremmo totalmente riarredare questa stanza!” Rachel spalancò le braccia in modo teatrale. Sul volto aveva un sorriso giocoso.
Chloe la fissò con sospetto e Rachel continuò.
“Non fare quella faccia. Sarà divertente!”
“E’ solo una scusa per frugare tra le mie cose…” scherzò Chloe.
“Non mi serve una scusa per quello!" scherzò Rachel "Nuova vita, nuova camera. Non sei d’accordo?” le si avvicinò, fronteggiandola. Il suo viso a pochi centimetri da quello di Chloe. Gli occhi blu della ragazza la fissavano dubbiosi, infine fece un passo indietro e distolse lo sguardo. Si diresse verso lo specchio e fissò il cappello da pirata che era appeso.
“Io non voglio dimenticare…” disse con amarezza.
“Non devi farlo.”
“Io non… riesco a superare le persone Rachel… mio padre era… mio padre… e Max…”
Rachel si avvicinò alle sue spalle, le circondò i fianchi con un abbraccio. Chloe accolse quel gesto con gratitudine. Sentì il corpo e il viso di Rachel premersi delicatamente sulla sua schiena.
“Non devi superarli… ma puoi andare avanti Chloe…”
La ragazza si voltò rimanendo nell’abbraccio di Rachel. Teneva ancora il cappello pirata fra le mani. Guardava in basso con gli occhi lucidi. Rachel le prese il viso fra le mani e le regalò un caldo sorriso. Chloe appoggiò la mano destra su quella di Rachel, ancora posata sulla sua guancia.
“Perché sei così… fantastica?” le chiese.
“Certe cose lo sono e basta!” si vantò giocosa Rachel con sguardo altezzoso.
“Ma vaffanculo!” Chloe rise e la spinse via. Rachel scoppiò in una risata.
 
SBAM! SBAM! SBAM!
 
“Chloe! Colazione! Ora!” La voce di David digrignò ancora da dietro la porta.
“Ok! Ok! Gesù….”
Rachel sghignazzò.
“Merda… l’effetto della mia magia dev’essere esaurito…”
“Vestiamoci prima che ci deporti a Guantanamo…”
Si misero i pantaloni del giorno prima e scesero in pochi minuti. Joyce si stava preparando ad uscire. Chloe e Rachel si misero al tavolo, spazzolando i pancake rimasti, coprendoli di marmellata di more e sciroppo d’acero. Rachel fece golosi complimenti alla donna, che sorrise compiaciuta. David strappò meticolosamente un paio di annunci dal giornale e si preparò ad uscire per accompagnare Joyce al lavoro e portare curriculum. Chiese quindi alle due col suo solito tono brusco qual era il loro programma per la giornata e Rachel dichiarò fieramente che avrebbe aiutato Chloe a pulire la sua stanza. Lei le lanciò uno sguardo sbalordito prima che la sua testa precipitasse contro il tavolo, seppellendosi negli avambracci, mentre Joyce e David si lanciarono sguardi al limite dello shock. Rachel non scherzava. Chloe mormorava borbottii risentiti con la faccia ancora sepolta. Joyce commentò qualcosa sull’influenza positiva di Rachel, su cui David convenne incredulo. Infine, i due si avviarono verso la porta sereni. Chloe sollevò la testa e fissò Rachel in cagnesco, ricevendo in cambio uno sguardo felino pieno di furbizia. Rimasero in silenzio, come in attesa, finché il motore di David si accese e sentirono la macchina uscire dal viale e allontanarsi.
Allora Rachel si alzò, si diresse in cucina e spalancò il frigorifero. Prese due birre, una la lanciò immediatamente a Chloe, che miracolosamente la prese al volo. Rachel infilò il tappo in bocca e facendo leva coi molari aprì la sua birra, sotto lo sguardo sbigottito di Chloe.
“Che aspetti Price?!”
Chloe aprì la sua birra usando il bordo del tavolo, si alzò e si avvicinò alla ragazza, che le offrì il suo vetro per un brindisi.
“Ai nuovi inizi!” le bottiglie cozzarono ed entrambe presero un sorso avido.
“Cazzo Rach…” ridacchiò Chloe senza sapere cos’altro aggiungere. Era successo tutto abbastanza in fretta, ma aveva colto come la ragazza avesse disinnescato David e Joyce. La prospettiva di Chloe messa in riga dalla studentessa modello della Blackwell era per loro una specie di sogno… non avevano idea di quanto si sbagliassero!
“E’ tempo di fottere la tua camera!” esclamò esaltata Rachel, prendendo Chloe per un braccio e trascinandola di sopra.
 
-
 
"Dai cazzo! Accendilo!" incitò Rachel.
"Lo sto collegando!" replicò con tono sorridente Chloe, che stava armeggiando con lo stereo un tempo appartenuto a suo padre. L'orso luminoso era stato rimosso dal suo posto sul mobile e ora si trovava sulla scrivania, spento, in attesa di conoscere il suo destino. Non si era mai spostato dalla sua posizione da quando era entrato in casa Price. Per Chloe era stato difficile, quasi un sacrilegio, staccargli la spina. Difficile, ma catartico. Polvere e sporco avevano disegnato indelebile la sua sagoma sul mobile.
"Daiiiii!!" incalzò Rachel che già ondeggiava a ritmo di una musica immaginaria al centro della stanza, in pugno la seconda bottiglia di birra, vuota a metà.
"Ecco ecco!" Chloe prese un CD a caso dalla sua collezione, ovviamente masterizzato. Lo infilò nel lettore, che impiegò qualche secondo a leggerlo, poi schiacciò Play.
Un improvviso suono di chitarra, batteria, basso e tastiera proruppe dalle casse ritmicamente, freneticamente.
"Woooooooh!" urlò Rachel e Chloe le lanciò uno sguardo estasiato. Balzò in piedi e si unì alla ragazza, brandendo una sigaretta in una mano e la birra nell'altra. Iniziarono a ballare al centro della stanza.

I got sunburnt waiting for the jets to land
Circus people with hairy little hands
Hit it, boys, strike up the army band
I got sunburnt waiting for the jets
 
"Sparklehorse?!" chiese Rachel.
"Credo di si... ho preso una compilation a caso!"
How do you feel
How do you feel
I can't seem to see through solid marble eyes
 
Rachel cinse i fianchi di Chloe, ondeggiando i suoi in modo sensuale. Chloe la assecondò, mise in bocca la sigaretta e le accarezzò i capelli mentre ondeggiava a sua volta. Rachel si allontanò da lei, rubandole la sigaretta, prendendo un tiro e riposizionandola direttamente fra le sue labbra. Si diresse poi saltellando a ritmo verso la scrivania dove appoggiò la birra e prese la lampada orso. Chloe continuava a danzare in solitaria, alternando sigaretta e birra, osservando Rachel che sembrava un folletto ubriaco. La ragazza depositò l'orso con cura nella scatola di cartone in cui erano finiti anche uno skateboard, il cappello pirata, la benda di Long Max Silver e altri oggetti del passato. Prima di cominciare avevano concordato che niente sarebbe stato buttato via, ma solo messo da parte. Chloe ancora non aveva deciso se quella scatola sarebbe finita in soffitta o nell'armadio. Anche le foto che erano appese sul filo sospeso fra i due muri inclinati, scatti di Max, erano state messe via. Quello sì che era stato difficile!
“Cosa vuoi fare davvero da grande?” chiese Max dondolandosi pigramente sull’altalena nel cortile Price.
“Max, io sono già grande. E tu?” Chloe era in piedi, con un rametto in mano simulava una spada e tirava di scherma contro i fili d’erba.
“Viaggiare. Sarebbe fighissimo. Esplorare il mondo. Andare lontano da qui…”
“Lontano da me? Beh, grazie mille!” Chloe si fermò e piantò le mani sui fianchi con un cipiglio sul viso.
“Ma è ovvio che verrai con me! Mi serve una guardia del corpo per le nostre avventure!” Max si alzò dall’altalena e le si avvicinò.
“Sarei come Lara Croft, ma vera. Questa si che sarebbe una figata!” l’immaginazione di Chloe era già partita.
“Si! Avremo una macchina, barche e aerei ovunque, per andarcene quando vogliamo! E nessun adulto ci dirà cosa fare!” Anche la mente di Max correva lontano.
“Ci sto. E tu cosa farai mentre ti faccio da guardia del corpo?”
“Potrei fotografare le nostre avventure. Vorrei tanto essere una fotografa. Peccato che non lo sarò mai…” Max si rabbuiò abbassando lo sguardo.
“Max che dici?! Tu sei una fotografa! Le tue foto dovrebbero trovarsi in un museo. E un giorno ci saranno. Io credo in te…” Chloe le mise le mani sulle spalle e la tirò a sé costringendola a guardarla in viso.
“Non lo so…” Max continuava a evitare il suo sguardo.
Chloe sospirò, guardando per aria in cerca di un’idea. Odiava vedere la sua migliore amica buttarsi giù così.
“Sai cosa? Sarò la tua prima collezionista!”
“Che cosa?” Max si voltò a guardarla in viso, gli occhi sorpresi.
“Certo! Appenderemo le tue foto in camera mia, così quando diventerai famosa io potrò dire di essere stata la prima a credere nel tuo talento! Che ne dici?” Chloe era serissima e Max lo capì. Sul viso comparve un timido sorriso pieno di speranza e gratitudine.
“Io… grazie Chloe…” disse quasi in un sussurro.
 
Ricordava bene quel giorno, quando avevano tirato il filo davanti alla finestra e avevano selezionato le foto di Max come se dovessero davvero allestire una mostra. Era nata così la Price Collection, uno dei ricordi cui Chloe era più affezionata. Vederli lì ogni giorno trasportava Chloe ad un tempo di totale spensieratezza, quando tutto aveva senso ed era più semplice. Inoltre, le foto di Max le piacevano davvero. Quelle erano perlopiù paesaggi di Arcadia Bay e dintorni, ma lei aveva quel modo di inquadrarle… quell’intuito… non sapeva che cosa avesse! Solo, panorami visti e stravisti apparivano nuovi, provenienti da un altro mondo. Il mondo di Max.
Trattenne a stento le lacrime quando le staccò una ad una. Una foto era stata presa da Otter Point e sembrava una vera cartolina. Un’altra ritraeva il faro da una prospettiva particolare che lo faceva sembrare una torre mistica. Una foto del lungo mare di Arcadia Bay, con la spiaggia in prospettiva che sembrava un quadro, con la lunga linea di gialla di sabbia al centro che divideva il blu dell’oceano blu dagli edifici grigi, con in lontananza il promontorio boscoso.
Rachel le era stata vicina durante l’intero processo, ascoltando Chloe raccontarle di Max e della sua passione per la fotografia, condividere con lei ricordi legati ad ogni oggetto che decideva di ‘scartare’. Più Chloe parlava di Max e più Rachel capiva come mai il suo trasloco e la perdita di contatti le avesse fatto così male. Iniziò a comprendere sul serio cosa Chloe avesse perso e cosa, probabilmente, credeva di aver ritrovato in lei. Rachel dovette ammettere un’amara verità: non aveva mai sperimentato un legame del genere con qualcuno. Mai… prima di Chloe... forse? Per Rachel lei era stata solo un’altra amica, all’inizio. Una con cui si trovava molto bene, che tirava fuori il suo lato ribelle che altrimenti sarebbe rimasto sepolto. Ma dopo il concerto dei Firewalk… dopo l’avventura a Culmination Park, dopo l’incendio, dopo… tutto… Chloe per lei era diventata qualcosa di più. Ancora non riusciva a classificare il loro rapporto...
Vedendo il suo umore precipitare, Rachel decise di trasformare la stanza in una pista da ballo!
Dopo aver messo al sicuro l'orso, tornò da Chloe ondeggiando:
"E' tempo di Natale!" decise. La musica degli Sparklehorse continuava a riempire la stanza.
Fiery pianos wash up on a foggy coast
Squeaky old organs have given up the ghost
Fire them up and kill the piano birds
There's creaky old organs burning on the coast
 
"Mmmh... su questo non sono per niente convinta..." replicò Chloe svuotando la seconda birra. Avevano preso praticamente tutte quelle che c'erano dal frigo, la scorta era sufficiente per continuare l'intera giornata. O fino al coma etilico.
"Proviamo e se ti fa schifo le togliamo!" negoziò Rachel.
Chloe si arrese. Non riusciva a dirle di no. Tanto non lo avrebbe comunque accettato!
How do you feel
How do you feel
I can't seem to breathe with a rusted metal heart
I can't seem to see through solid marble eyes
 
Rachel prese il rotolo di lucine natalizie abbandonato di fianco al letto, anch'esso rinvenuto in soffitta, e ne passò un'estremità a Chloe. Insieme lo srotolarono e le fecero passare lungo i contorni del muro, in modo che incorniciasse la zona scrivania e finestra. Il filo era così lungo da raggiungere la zona letto e la sveglia. Fissarono le luci con lo scotch, provvisoriamente, e Chloe inserì la spina nella presa multipla. Le luci colorate si accesero immediatamente, alcune erano bruciate o scattavano, ma la maggior parte funzionava bene.
Finita la canzone, lo stereo iniziò a diffondere il rock furioso e frenetico di una canzone dei Firewalk.

A long night tonight (I'll tell you why)
'Cause the mood's feeling right (Oh my, oh my)
'Cause it's all alright when the clock strikes nine
But it all goes wild when it 'comes midnight
 
“Questa spacca!!” gridò Rachel. Si allontanò per osservare il risultato soddisfatta, ma indietreggiando senza guardare inciampò nel letto, saltellò su un piede solo tentando disperatamente di mantenersi in piedi, ma perse l'equilibrio. Franò sul materasso e lanciò uno schizzo di birra che si innalzò ad arco, bagnando lenzuola, soffitto e mobili. Sentì una fitta di dolore al braccio, ma la ignorò scoppiando a ridere. Anche Chloe, dopo un momento di allarme, si precipitò da lei ridendo.
"Che cazzo fai?!"
"Sto ritinteggiando la tua stanza!"
"Una riverniciata di birra a soffitto e mobili era quello che ci voleva!" scherzò Chloe.
"Chiudi la bocca!" Rachel le mise le dita sulle labbra e premette, Chloe con uno scatto gliele morse delicatamente. Rachel emise un gridolino sorpreso e divertito mentre ritraeva la mano di scatto e dava uno schiaffo sulla testa di Chloe. Era felice di averla tirata su di morale. Mentre mettevano via le foto si era davvero preoccupata.
"Attenta, sono uno squalo!" ammiccò Chloe.
"Ai gatti piacciono i pesci!" replicò Rachel agguantandola per il collo e appendendosi, cercando di trascinarla sul letto.

You gotta move baby, move baby (La da da da)
You gotta move baby, move baby (La da da da)
'Cause it all goes wild when it 'comes midnight
So move baby, move
 
Chloe oppose resistenza, ma Rachel era un po' più forte di quel che sembrava, o forse era l'alcol che toglieva i freni inibitori. Entrambe rotolarono sul letto, Chloe urtò la scrivania con un rumore sordo, facendo cadere il dito medio color arcobaleno. Stando al rumore caddero diverse altre cose, ma nessuna delle due si preoccupò di controllare.
"Ahia..." Rachel si bloccò, rendendosi improvvisamente conto di sentire i punti che tiravano. Diede un'occhiata e una macchiolina di sangue macchiava la manica sinistra della camicia azzurra a righe.
"Merda..." commentò, più per aver sporcato il vestito che per la perdita di sangue.

If you want it come and get it, look me up and come around
If you want it come and get it, shake it off and let it out
So (Move baby, move baby), jump around
Move baby, move baby, let it out
 
"Cazzo Rach..." Chloe si sollevò allarmata dal letto e le prese delicatamente il braccio per verificare l'entità del danno. Rachel la lasciò fare, era così dolce mentre si preoccupava per lei.
"Chloe sta tranquilla... sono solo due gocce..."
"Togli la camicia..."
Rachel la assecondò. Sotto aveva una maglietta nera dei Metallica particolarmente attillata. Niente reggiseno. Chloe notò la sagoma dei suoi seni e sentì avvampare le guance e non solo, ma si focalizzò di più sulla medicazione.
"Spero non ti sia saltato qualche punto..."
"No altrimenti farebbe molto più male." concluse Rachel, più per calmare Chloe che altro. Il suo viso era ancora preoccupato, così Rachel allungò una mano verso la terza birra. Stavolta la aprì usando un apribottiglie. I denti vanno bene ogni tanto, ma non sono progettati per quello! Prese un lungo sorso...
"Anestetico!" spiegò.
"Pffh..." sorrise Chloe "Non bere senza di me!" si allungò per prendere un'altra birra, la aprì e brindarono.
“E comunque le lucine stanno bene!” affermò Rachel con l’espressione a metà fra broncio e sorriso.
Chloe diede un’occhiata con sguardo meditabondo.
“Si dai… forse non sono così sfigate come pensavo!”
“Non essere troppo entusiasta per le mie idee Price!” Rachel le diede un buffetto col braccio destro. La ferita sul sinistro cominciava a fare un po’ male in effetti…
Le due risero. Non si sentivano così allegre da… troppo.
"Non pensavo che sistemare la camera potesse essere divertente!" commentò Chloe tra un sorso e l'altro.
"Beh..." Rachel lanciò uno sguardo panoramico sulla stanza, avvolta dal rock. La disposizione dei mobili era rimasta la stessa, alcuni dettagli troppo carichi di nostalgia erano finiti nella scatola, ma in gran parte tutto era molto più incasinato di prima. Avevano svuotato i cassetti dei vestiti di Chloe, scartando quelli che non voleva più mettere e rinnovando il guardaroba. Rachel aveva offerto il suo parere, ma solo su richiesta. Chloe non aveva bisogno di consigli in fatto di look. Ora gli abiti che non avevano superato il test erano ammassati davanti all'armadio, nei pressi della scatola.
"Che c'è?" chiese Chloe.
"Non abbiamo proprio finito, ma è un inizio! Dovremo almeno spostare la scatola e i vestiti scartati."
"Ci penso io, tu sei ferita..."
"Ma piantala..."
"Stai giù!" insistette Chloe. Rachel sorrise e si arrese.
Chloe decise che la scatola sarebbe finita nell'armadio, insieme ai vestiti da buttare, in attesa di deciderne il vero destino. Se c'era una cosa che Chloe non faceva facilmente era buttare qualcosa. Aprì l'anta scorrevole dell'armadio a muro e spinse goffamente dentro il mucchio di vestiti, facendolo aderire alla bell'e meglio per consentire la chiusura dell'anta. Poi ricavò uno spazio per la scatola sulla mensola più in alto e si chinò per raccoglierla. Guardò all'interno e si fermò. Il cappello pirata, la benda, l'orso, uno skateboard troppo rotto per essere riparato, le foto di Max... merda... rovistando nei cassetti era saltato fuori pure il libro-game del Re dei Ratti che avevano scritto e disegnato in classe quando avevano 8 anni. L’ondata dei ricordi travolse di nuovo Chloe.
Momenti della sua vita vissuti con Max, con suo padre… la sua infanzia finita male. Non voleva liberarsene… non voleva nasconderli… separarsi da quella malinconia era come… come fare un torto a suo padre o a Max. Certo, Max era viva e vegeta a Seattle e la ignorava da mesi! Perché? Cos’era successo? Avrebbe tanto voluto chiederglielo, ma già quando stalkerava il suo profilo Facebook era in grado di darsi una risposta. L’aveva dimenticata. Non che il suo profilo fosse particolarmente ricco di dettagli… Max era timida sul web come nella vita, ma di sicuro si era fatta nuovi amici, o era troppo presa a fare le sue foto del cazzo invece di chiamarla. Nonostante questo non riusciva a odiarla… non riusciva a metterla in una cazzo di scatola e chiuderla nel fottuto armadio della memoria. Le lacrime bussarono dietro le sue palpebre.
"Tutto bene?" chiese Rachel mettendosi a sedere sul letto.
"S... Si..." Non proprio vero in effetti. Si sentiva come se dovesse tagliarsi un braccio. Non stava effettivamente buttando nulla, stava solo... nascondendo alla vista. Capiva lo scopo di quel riordino, bisognava arieggiare un po' la sua mente rinchiusa nel passato da troppo tempo. Non stava rinnegando niente... allora perché le sembrava così sbagliato? Andare oltre come poteva non voler dire ‘dimenticare’? Non voleva… il cuore le faceva male.
"Chloe?" Rachel si alzò, andò ad abbassare la musica e si posizionò alle spalle di Chloe.
"Si..."
La mano di Rachel si appoggiò sulla sua spalla e iniziò a massaggiare.
"Saranno sempre qui..."
Chloe sospirò. Quell’affermazione poteva applicarsi non solo al contenuto della scatola…
"Lo so... devo solo... lasciare andare. Giusto?" si voltò, incontrando gli occhi nocciola di Rachel. Lei sorrise.
"Questo non è dimenticare... è solo, andare avanti."
Chloe annuì e qualche lacrima cadde a tradimento dai suoi occhi blu. Si asciugò frettolosamente. Forse poteva davvero farlo, con Rachel nella sua vita.
"Grazie..." sorrise.
Rachel restituì il sorriso e le diede un morbido bacio sulla testa.
Chloe si fece forza, sollevò la scatola e la mise sulla mensola più in alto dell'armadio a muro. La spinse energicamente in fondo e poi chiuse l'anta, appoggiandovi contro la schiena. Rachel era davanti a lei, la sosteneva con lo sguardo.
"Questo richiede una celebrazione!" disse Chloe solenne.
"Hai nascosto dell'erba e non l'hai ancora tirata fuori?!" il volto di Rachel si contorse in un'espressione giocosamente offesa.
"No scema!" Chloe rise e raggiunse la scrivania, afferrando l'indelebile. Balzò sul letto e camminò fino al muro rimanendo in piedi sul materasso. Sentiva le molle che protestavano per il suo peso, ma le ignorò. Non ci sarebbe voluto molto.
"Mi passi il cacciavite?" chiese Chloe, indicando un punto sul mobile azzurro a sinistra dell'armadio.
Rachel si avvicinò, trovò l'attrezzo e lo consegnò.
Chloe svitò il piccolo canestro taggato BigFeet Assholes e lo staccò dal muro. Lo lasciò cadere sul letto, stappò il pennarello con la bocca e fissò la sezione di parete vuota. Rimase pensierosa alcuni momenti, decidendo cosa scrivere o disegnare.
Fece la sua scelta…
Rachel la fissò con interesse, curiosa di vedere cosa avesse in mente.
Chloe terminò, balzò giù dal letto, con gran sollievo del materasso, e si posizionò vicino a Rachel, osservando orgogliosa il suo operato.
"Che ne dici?" chiese.
"Mi sembra perfetto!" commentò Rachel.
Sopra al letto, nei pressi del soffitto, ora campeggiava la scritta "Just gotta let go".
Un memento per Chloe. Rachel aveva ragione, era una nuova fase della sua vita. Un nuovo inizio, il passato era un prologo, c’era stato un intervallo di merda... ma ora cominciava il vero spettacolo. Con Rachel accanto, prometteva di essere qualcosa di totalmente fuori di testa!
 
RRRrrrrrmmmmmmmmmmmmmmmm
RRRrrrrrmmmmmmmmmmmmmmmm
RRRrrrrrmmmmmmmmmmmmmmmm
RRRrrrrrmmmmmmmmmmmmmmmm
 
Il cellulare di Chloe iniziò a vibrare. Era una telefonata.
Inarcò un sopracciglio, andò alla scrivania e lo controllò.
Il numero non era salvato.
"Chi è?" chiese Rachel vedendo la sua espressione confusa.
"Non lo so..."
"Non sarà... non può mica essere..."
"Eliot?"
Rachel annuì.
Le due si scambiarono sguardi preoccupati. L'avevano arrestato la sera prima, non poteva essere già fuori... o sì? C'era solo un modo per scoprirlo...
Chloe prese un profondo respiro e rispose.
"Si?"
[Price!]
"F..Frank?!" disse stupefatta Chloe. Lo sguardo di Rachel passò dalla preoccupazione all'interesse. Si avvicinò di alcuni passi.
"Che cazzo..."
[Ho cambiato numero, questo è quello nuovo.]
"Dove cazzo eri finito?"
[C'è un po' di casino in ballo...]
"Tipo?"
[Fatti i cazzi tuoi... per il tuo bene...]
Chloe sbuffò.
"Comunque... ho bisogno di vederti" lanciò uno sguardo a Rachel, che pendeva dalle sue labbra.
[Immaginavo...]
"Non è per l'erba... dobbiamo solo parlare..."
[L'ultima volta che abbiamo solo parlato è andata di merda!]
"Frank cazzo..."
[Ok ok... spiaggia, fra tre ore...]
"Grazie Fr..."
[*tuuuuuuuuu*]
"Ma porc...."
 
Chloe bestemmiò fra sé. Odiava questo modo di fare di Frank.
Chiuse il telefono e si voltò verso Rachel, che la fissava con sguardo pieno di attesa.
"Fra tre ore alla spiaggia..." annunciò Chloe.
Rachel le sorrise e l'abbracciò. Chloe lo restituì, stringendola dolcemente.
"Mi sporchi di sangue così!" scherzò.
"Sssshhhhh!" rispose dolcemente Rachel.
Chloe non rispose, si limitò a tenerla stretta fra le braccia.
La telefonata di Frank era totalmente inattesa, ma non insperata. Rachel ora sapeva che avrebbe presto avuto la sua occasione per chiedere allo spacciatore ciò che sapeva su Sera. Era l’ultimo tentativo, l’aveva promesso. Non ne era convinta. Con Frank apparentemente scomparso, Rachel aveva iniziato a sondare distrattamente nuove possibilità. Magari si sarebbe introdotta nello studio di suo padre? Gli avrebbe rubato il cellulare in cerca del suo numero? Cosa le impediva di farlo anche nel caso in cui Frank non potesse o volesse aiutarla? Non si voleva arrendere, aveva detto a Chloe che avrebbe fatto un ultimo tentativo con Frank, ma... Ora che l'opportunità si era presentata... si rese conto che se quello fosse stato davvero l'ultimo, avrebbe presto dovuto mettere in pratica ciò che Chloe aveva scritto sopra il suo letto.
Lasciar andare...
Non voleva farlo davvero... sapeva che era sensato, ma non voleva. Come poteva?
L'emozione di poter forse ottenere ciò che sperava fu guastata da questo conflitto...
Almeno c'era Chloe.
Stare fra le sue braccia era confortante.
Rachel si aggrappò a lei come a un salvagente…
 
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Il faro torreggiava dall'alto della scogliera. La spiaggia che intendeva Frank era sul versante nord di Arcadia Bay, in mezzo ai boschi. Uno dei suoi soliti punti d’incontro. La strada per arrivarci era stretta e poco usata, conduceva ad un piccolo parcheggio, da cui si accedeva direttamente al litorale. Il posto era pressoché abbandonato tutto l'anno, salvo verso l’estate quando con il caldo la gente iniziava a farsi il bagno. Ma quel fine maggio era decisamente anomalo, tra piogge ininterrotte e freddo. Nessuno ancora si era fatto vivo. In quel parcheggio c'erano solo l'ingombrante camper di Frank e lo scassone su quattro ruote di Chloe. Il cielo era ancora completamente coperto, i timidi raggi di sole del mattino si erano già nascosti. Dal mare proveniva un vento gelido profumato di salsedine. Ma finalmente non pioveva più. C'era solo umidità nell'aria, come un'invisibile foschia. Chloe e Rachel smontarono dal pick-up e si diressero verso il camper. Rachel precedeva Chloe, anche se aveva le gambe più corte andava di fretta. Chloe sapeva quanto fosse ansiosa di chiedere a Frank di Sera. Del resto, anche Chloe aveva qualcosa da chiedere allo spacciatore, riguardo a Drew. Sulla fiancata sinistra del camper c'era una scritta cancellata, ma ancora leggibile.
TOTALMENTE, ASSOLUTAMENTE, NON UN METH LAB!
Rachel la notò, si fermò. Riconobbe la calligrafia. Si voltò verso Chloe lanciandole un'occhiata di conferma. Chloe sorrise annuendo, Rachel trattenne una risata, mettendo la mano davanti alla bocca. Fecero il giro del mezzo ricomponendosi. La porta del camper era chiusa, di fianco ad essa l'adesivo nero con la scritta "happy" bianca. La strisciata di sangue che Chloe ricordava era stata accuratamente ripulita. Rachel si fermò e aspettò Chloe prima di bussare.
Niente.
Chloe si fece avanti e bussò energicamente. L'ultimo colpo impattò prima del previsto mentre la porta si apriva di colpo verso l'esterno. Le due ragazze indietreggiarono e Frank emerse dal suo antro come un orso che esce dal letargo. Indossava una giacca di pelle marrone, sotto di essa una maglietta porpora e in testa un berretto di lana nero simile a quello che portava Chloe. I capelli biondi spuntavano da sotto più lunghi di quanto Chloe ricordasse, anche la barba era cresciuta e non curata. Gli occhi arrossati e l'aroma inconfondibile dall'interno indicavano che si stava rilassando. Nonostante l'alterazione, traspariva uno sguardo cupo e preoccupato.
"Hey Frank!" salutò Chloe.
L'uomo squadrò le due ragazze, poi si guardò intorno.
"Vi ha seguito qualcuno?"
Chloe e Rachel si guardarono interrogative.
"Ehm.. no! Chi avrebbe dovuto?" rispose Chloe mentre Frank si sporgeva oltre il muso dell'RV per controllare l'ingresso del parcheggio.
"Nessuno... che volete da me?" chiese bruscamente. La voce era lievemente biascicata, il tipico tono della fattanza.
"Sapere come stai per esempio... sei sparito per quasi un mese..." disse Chloe. Era sinceramente preoccupata per lui. Non sapeva se fossero amici in senso convenzionale del termine, ma quando qualcuno ti salva la vita e la salva a qualcuno cui tieni di sicuro non ci si può più considerare semplici conoscenti.
"Ho avuto da fare... sai... dopo quello che è successo al Mulino."
"La spalla sta bene?" continuò imperterrita Chloe, ignorando la passivo-aggressività di Frank.
L'uomo la fissò per un istante rimanendo in silenzio, poi chiuse gli occhi e sospirò.
"Si, è guarita bene..." poi si voltò verso Rachel "...e il tuo braccio come sta?"
"Meglio... grazie di averci aiutate quella volta..." disse Rachel.
"Non ringraziare. Damon era fuori controllo..." la sua voce tremò quando pronunciò quel nome. Rachel e Chloe se ne accorsero.
"Chloe mi ha detto cos'è accaduto al Mulino... che tu voglia essere ringraziato o no, ti sono grata per averci salvato la vita."
Frank ciondolava da un piede all'altro, come se fosse a disagio. Alle parole di Rachel semplicemente annuì.
"Siete venute qui solo per dirmi grazie? Potevate farlo al telefono..." riprese col suo modo sprezzante.
"Che cazzo c'è Frank? Ti ha morso la tarantola o cosa?" Chloe iniziò a spazientirsi.
"Senti un po' ragazzina" Frank avanzò con passi pesanti e imponenti, facendosi più grosso e puntando l'indice verso la ragazza "...non ho scordato che mi devi ancora dei soldi e che hai mandato a puttane il lavoro che ti avevo affidato! Levati dal cazzo se non vuoi farmi incazzare! Ho già abbastanza problemi senza di te!"
Chloe indietreggiò spaventata. Frank non si era mai rivolto a lei in quel modo. Qualcosa nei suoi occhi le ricordò Damon...
"Hey!" Rachel si mise in mezzo allargando le braccia "Mi dispiace Frank, siamo sicure che ne hai passate tante in questo periodo. È stato una merda per tutti e tre. Vogliamo solo farti due domande, poi ti lasceremo tranquillo..." il tono di Rachel era conciliante e solido. Nulla traspariva della paura che stava provando. Se Frank risultava imponente per Chloe, per Rachel che era più bassa era un vero gigante.
Le sue parole sembrarono comunque fare breccia e Frank indietreggiò sospirando.
Tornò verso la porta del camper e si appoggiò allo stipite.
"Allora?"
Chloe e Rachel si guardarono. La ragazza dal ciuffo blu le fece cenno di andare per prima.
"So che forse eri coinvolto oppure sapevi che Damon Merrick lavorava con mio padre..." Frank annuì "...Volevano uccidere quella donna, Sera. Lei è... la mia madre biologica." Gli occhi verdi di Frank si spalancarono ma non disse nulla "Io mi chiedevo... se sai come contattarla." La voce di Rachel era piena di speranza e leggermente tremante.
Frank corrugò la fronte e si massaggiò gli occhi.
"Non so un cazzo di quella... tuo padre lavorava con Damon non con me. L'unico contatto che ho avuto con Sera è stato quando Damon mi ha mandato a minacciarla perché se ne andasse. Mi ha detto dove trovarla, sono andato da lei, l'ho fatta salire sull'RV e le ho consigliato caldamente di levarsi di mezzo... le ho solo parlato… mi ha mandato affanculo e se n'è andata... fine!"
"Dove l'hai trovata?" chiese Rachel incalzando.
"Al Blue Motel, a sud di Arcadia Bay, sulla 101. Dubito che sarà ancora lì comunque..."
"Magari possono darci informazioni!" si intromise Chloe.
"Si certo... non le danno neanche agli sbirri senza mandato."
"Mio padre è il Procuratore Distrettuale..." puntualizzò Rachel.
"Ho l'impressione che tutta questa merda sia scoppiata proprio a causa sua, sbaglio?"
Rachel accusò il colpo, la sua risolutezza ebbe un cedimento. Frank notò l'espressione ferita sul suo volto e anche Chloe, che scattò:
"Vaffanculo Frank!"
L'uomo non rispose, mentre Chloe cingeva le spalle di Rachel con il braccio.
"Scusa... non... non volevo essere stronzo..." si massaggiò la faccia e la barba con le mani.
Rachel lo fissò duramente per qualche momento.
"Sentite... è stata una vera merda ultimamente. Ora che non c'è più Damon gli affari in città si sono complicati e ho dovuto star fuori per un po'. Le acque non si sono ancora calmate del tutto."
"Quello che vogliamo è solo che ci aiuti con le informazioni che hai. Qualunque cosa possa aiutarci a trovare Sera..." disse Chloe.
"L'ultima volta che l'ho vista è stata al Mulino, Price... E quella è stata la seconda volta che l'ho incontrata in tutta la vita. Dopo aver… fermato Damon ho visto che tu e Sera eravate svenute. Damon aveva iniettato una siringa intera di eroina a Sera, così sono corso al camper a prendere il Naloxone. Gliel'ho iniettato e dopo un po' si è ripresa. Volevo portarvi entrambe via di lì, ma lei non ha voluto. Mi ha ringraziato e mi ha detto che doveva parlarti da sola quando ti fossi svegliata. Così me ne sono andato..."
Rachel e Chloe si guardarono scoraggiate.
"Mi spiace, non ho davvero altro per voi... sanguinavo e volevo solo levarmi dal cazzo." ammise Frank.
"Che ne è stato di Damon?" chiese Rachel, già sapendo la risposta. Voleva sentirglielo dire, come una conferma. Dopo averlo sentito allora sarebbe diventato vero. Veramente vero...
Lo sguardo di Frank si rabbuiò e contrasse la mascella. Serrò i pugni.
“È morto... non c'è altro da dire..."
"Mi dispiace" disse Rachel. Chloe non aggiunse nulla. Non le dispiaceva affatto, e sapeva che anche Rachel era sulla sua stessa pagina. Era solo più educata…
"Non è vero, in realtà sei contenta! Voleva ammazzarti, vi avrebbe ammazzate entrambe. Cristo avrebbe ammazzato anche me. Era andato completamente fuori di testa."
Rachel non aggiunse nulla.
Calò il silenzio per qualche momento. Frank si guardò intorno circospetto poi parlò di nuovo.
"Sentite... volete entrare? Vi offro un tiro..." il suo tono si era decisamente ammorbidito.
Rachel guardò Chloe che fece spallucce e annuì. Frank rientrò nel camper, seguito dalle due ragazze. Quando furono dentro chiuse la porta. C'era la consueta puzza di sudore, fagioli ed erba.
Rachel ispezionò con gli occhi l'intero veicolo. Cartacce per terra, fornelli sudici, una pentola che conteneva degli avanzi di chili, la scrivania con il computer completamente piena di fogli e altre cartacce. Una porta semichiusa che dava probabilmente sulla camera da letto.
Frank spostò il posacenere sulla scrivania. In bocca aveva una canna da cui prese un tiro mentre in mano teneva cartine e una bustina di erba.
"Fai tu?" chiese a Chloe porgendogliele.
"Certo!" prese l'occorrente e iniziò a rollare china sulla scrivania, mentre Rachel concludeva il suo tour.
"Ci sono delle sedie?" chiese Rachel.
"Di là" Frank indicò la sua stanza con un cenno.
Rachel si alzò e andò a indagare, tornando poco dopo con una sedia pieghevole. Chloe ultimò la canna, la appoggiò sul tavolo e corse a darle una mano, impedendole di prendere la seconda sedia, provvedendo lei stessa.
"Quanta galanteria!" scherzò Rachel.
"Non vorrei che sanguinassi anche qui dentro!"
Frank la guardò interrogativo e Rachel si strinse nelle spalle: "Prima a casa sua ho fatto un movimento brusco e la ferita al braccio ha perso un po' di sangue, ma non è niente..."
"Non lasciare il tuo DNA qui dentro, prima che mi arrestino!" scherzò Frank... ma neanche tanto!
Rachel si andò a sedere, prese la canna e l'uomo gliela accese.
"Grazie!" disse dopo il primo tiro.
Chloe tornò con la sedia e si sistemò vicino tra Frank e Rachel. Mentre l’uomo fumava la sua canna, Rachel e Chloe si passavano la loro.
"Quindi... su Sera non puoi aiutarci..." riprese Chloe.
"No, vi ho detto quello che so. Mi spiace."
Rachel emise un sospiro. Chloe sapeva che era molto delusa, ma non lo diede a vedere.
"Qual è la seconda?" chiese Frank.
"Eh?" mugugnò Chloe a metà di un tiro.
"Ha detto che volevate farmi due domande..." indicò Rachel con un cenno "...qual è la seconda?"
"Oh... ehm... " Chloe si schiarì la voce. Era venuto il momento di affrontare l'argomento scomodo... almeno per lei "... riguarda Drew..."
L'espressione di Frank si indurì solo a sentire il nome, ma la lasciò continuare.
"... ha detto che vorrebbe tornare a lavorare per te. Dice che salderà il suo debito."
"Quello stronzo mi ha fregato e adesso vuole pure tornare?" sibilò Frank a denti stretti.
"Per favore Frank, ne ha bisogno..."
"Anch'io avevo bisogno che non mi fregasse mille dollari... a proposito..." strinse gli occhi guardando Chloe "Davvero non c'erano nella sua stanza?"
Chloe ebbe un tuffo al cuore, ma cercò di non manifestare emozioni. Istintivamente alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
"Merda Frank... te l'ho già detto. Non c'erano, hai mai pensato che forse Drew non li avesse?"
L'uomo prese un tiro e grugnì fra sé. Si sollevò leggermente dal sedile e allungò il braccio verso gli scaffali accanto, prendendo una confezione di biscotti con gocce di cioccolato. Eeeed ecco la fame chimica! Iniziò a sgranocchiarne alcuni avidamente e poi fece cenno alle due ragazze di favorire. Si servirono.
"Hai mica della birra?" chiese Rachel.
"Non siamo ad Amsterdam! Mi hai preso per un coffee shop?" ringhiò Frank.
"Beh... non vorrai essere un cattivo ospite con due ragazze!" gli sorrise.
L'uomo aggrottò le sopracciglia e sospirò.
"Apri il frigo... qualcosa c'è di sicuro..." sbuffò.
Chloe rise. Rachel tornò di lì a poco con tre birre, che stappò usando un apribottiglie recuperato vicino ai fornelli.
"Allora?" chiese Chloe.
"Come sta la sua gamba?" chiese Frank.
"Di merda... Damon gliel'ha fottuta per bene. Ha perso la borsa di studio per colpa sua..."
Sul viso di Frank passò un'ombra di rimorso e Rachel la vide. Lei non conosceva quell'uomo, ma non sembrava il tipo di persona che di solito si associa allo spaccio di droga. Sembrava a tutti gli effetti una specie di vagabondo dall'aspetto minaccioso, ma dietro quegli occhi verdi sembrava celarsi un cuore molto più morbido rispetto alla scorza dura che ostentava. Molto simile a Chloe in effetti, solo con poco igiene personale!
"Merda... ok... digli che lo chiamerò. Ma se fa ancora lo stronzo gli spezzo anche l'altra gamba!"
"Questo glielo dirai tu!" sorrise Chloe "Grazie Frank. Sei una brava persona."
"No... per niente..." rispose cupamente l'uomo.
"E quella te la metto in conto!" aggiunse Frank indicando la canna che Chloe stava passando a Rachel.
"Che cazzo!" protestò Chloe e Rachel rise prendendo una manciata di biscotti.
 
-
 
[Chloe]
Hola Drew!
 
[Drew]
Ciao Chloe!
Che si dice?
 
[Chloe]
Ho parlato con Frank
Dice ok
ti chiamerà
 
[Drew]
Sul serio?
Grazie!!
Ma come ti è sembrato?
 
[Chloe]
Mi è sembrato Frank
Penso dovrai ridargli i suoi soldi comunque
 
[Drew]
Era previsto
Grazie Chloe.
Sei un'amica.
 
[Chloe]
Sei in debito!
 
[Drew]
Ho una stampella e te la do in testa.
 
[Chloe]
Prima devi prendermi!
Ho la Destrezza alta!
 
[Drew]
Sei una cazzo di nerd!
XD
 
-
 
Rachel e Chloe passarono parte del pomeriggio nel camper di Frank a bere, fumare e mangiare. Misero un po' di musica e spararono cazzate per un po', finché Rachel e Chloe si stufarono e levarono le tende. Uscire all'aria aperta fu un trauma. L'aria fuori era gelida in confronto con l'interno dell'RV, inoltre aveva ripreso a piovere. Fortissimo. Il mare era in burrasca e all'orizzonte nuvoloni neri scaricavano fulmini sull'acqua. Rachel e Chloe corsero fino al pick-up bagnandosi parecchio prima di riuscire a ripararsi. Erano completamente affumicate di canna. Quando furono al sicuro in macchina ripresero un po' fiato e Chloe rovistò fra le tasche per estrarre le chiavi. Notò che Rachel aveva completamente cambiato espressione. Un velo era calato sui suoi occhi e fissava lo specchietto retrovisore malinconicamente. L’incontro non era decisamente andato come sperava…
"Mi dispiace Rach..." disse Chloe appoggiandole una mano sulla coscia.
"Anche a me... speravo davvero che sapesse qualcosa..." commentò la ragazza scostandosi una ciocca di capelli biondi dal viso "Pensi che ci abbia nascosto qualche informazione?"
"Non penso, non credo che abbia più interessi in questa storia..." commentò Chloe
"Mh..." mugugnò Rachel, prendendo la mano di Chloe.
"Potremmo andare in quel Motel a controllare... magari sanno..."
"No..." interruppe Rachel "...cioè, hanno sicuramente i dati dei suoi documenti e magari anche il cellulare. Ma Frank ha ragione, non ce li daranno mai..."
"Cosa vuoi fare?"
Rachel sospirò
"Avevo detto che questo era l'ultimo tentativo giusto?"
"Si..."
"Voglio davvero che lo sia... anche se la mia testa continua ad arrovellarsi in cerca di modi per rintracciarla. Non si ferma mai."
"Perché lei è molto importante per te."
"Anche se mi ha abbandonato... ormai sono passate tre settimane. Probabilmente è lontana da qui."
Calò il silenzio, Chloe tenne le mani appoggiate sul volante, mentre fuori il vento sferzava la carrozzeria arrugginita e la pioggia la colpiva con secchiate feroci. Il suono violento delle onde e della risacca sembrava il respiro di un mostro marino inferocito.
"Penso che ci serva una doccia!" disse Rachel.
Chloe notò che sorrideva, ma gli occhi erano tristi.
Le sorrise di rimando.
"Si, totalmente! Torniamo a casa."
"Dovrò usare la mia magia per rimanere da te anche stasera?" chiese Rachel mentre Chloe metteva in moto.
"Hai già conquistato Joyce, David sembra fare quello che dice lei."
"Forse ci conviene passare a ricomprargli la birra."
"Già... ma sono al verde!"
"Tu prepara il documento falso, l’alcol lo offro io!" disse Rachel
"Questo è parlare!"
Chloe sgasò, inserì la retro e uscì dal parcheggio.
 
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Era domenica 30 maggio. L’indomani, Rachel avrebbe dovuto tornare a scuola. Una parte di lei era pronta. Relazionarsi era nella sua natura, da buon animale sociale. Quello che le mancava era il desiderio di farlo. Ma immaginava che sarebbe tornato anche quello.
Chloe era al volante, alla radio davano Friend dei Pisshead. Skip e il suo gruppo ormai si sentivano spesso in giro, la ragazza immaginava che presto avrebbero fatto il salto di qualità. Mentre guidava picchiettava il ritmo con le dita sul volante, mentre Rachel canticchiava distrattamente. La loro meta era casa Amber. Non che ci volessero andare, ma i libri di testo erano lì. Durante il tempo trascorso con Chloe, Rachel aveva fatto di tutto tranne che studiare. Avrebbe usato la scusa della coltellata, di sicuro qualche compito in meno non avrebbe scalfito la sua media perfetta. Mentre andavano, Rachel ripensò alla settimana trascorsa.
 
Dopo lunedì e l’incontro con Frank, Rachel era rimasta a casa Madsen ogni notte. Joyce non aveva avuto grossi problemi, era stata abituata con Max che praticamente viveva da loro. David invece aveva iniziato a dare segnali di stizza. La magia di Rachel, tutto sommato, sembrava avere dei limiti! Inoltre, quel cazzo di ex soldato era così preciso, o psicotico, da contare esattamente le birre presenti nel frigo, quindi si era accorto che ne mancavano due. Rachel e Chloe erano state attente quel giorno, tornate a casa dall’incontro con Frank erano entrate dalla finestra, avevano fatto sparire tutte le bottiglie vuote e quelle ancora piene, si erano lavate, avevano nascosto i vestiti puzzolenti di canna e avevano dato una rassettata alla camera di Chloe in modo che Joyce potesse constatare con i fatti la buona influenza di Rachel sulla figlia. Avevano anche riempito il frigo con le birre comprate in modo che non sembrasse che le avevano rubate, il problema era che ne avevano preso un numero a caso. David sapeva il numero esatto di tutto ciò che c’era in frigo. Da allora tutti i suoi sospetti su Rachel si erano riaccesi, era diventato più invadente e così le ragazze avevano deciso di non trascorrere più molto tempo in casa, nonostante la pioggia. Erano andate alla discarica per valutare quanti danni avesse provocato un mese di intemperie al capanno che Chloe aveva occupato. L’avevano scoperto pieno di fango e detriti portati dal vento, così avevano trovato qualcosa da fare: rimetterlo a nuovo!
Quello di lunedì, comunque, era stato l’ultimo vero temporale, come un colpo di coda del maltempo, perché nel giro di tre giorni le precipitazioni erano calate di intensità, venerdì aveva smesso di piovere e sabato il sole aveva fatto capolino fra le nubi.
Nel frattempo, anche Drew era uscito dall’ospedale, con il suo ingombrante gesso e la stampella. Si erano visti per una cena a casa North con Steph e ovviamente Mikey, con il padre Anthony in soggiorno a guardare le repliche delle partite di football. Per qualche ragione, Drew sembrava più ottimista. Certo potevano anche essere i potenti antidolorifici che prendeva a renderlo un po’ fatto!
Venerdì sera, Rachel aveva trascinato Chloe ad un pigiama party nella stanza di Dana al dormitorio Prescott. C’erano anche Kelly, la sua vicina di stanza, e la scagnozza di Marisa Rogers, Sarah. Anche Kelly un tempo era stata nella corte della MariSuck, ma era uscita dal tunnel. Forse anche Sarah era sulla via della redenzione? Chloe non avrebbe mai saputo niente di tutto ciò se non fosse stato per Rachel. Sembrava conoscere tutti, ovunque andasse qualcuno la salutava. Una volta le aveva confessato di non avere sempre idea di chi fossero quelli che la salutavano… ma bisogna essere cortesi no? Chloe si era trovata insospettabilmente bene quella sera con le ragazze, nonostante i loro trascorsi. Sarah si era addirittura scusata con Chloe per essere stata stronza in passato (Kelly aveva già provveduto subito dopo La Tempesta). Ma tutta quella sintonia poteva essere dovuta all’erba, che Dana aveva procurato. Non voleva dire chi gliel’avesse data, ma Rachel aveva un sospetto: Hayden! Avevano parlato della Tempesta e brindato finalmente alla buona riuscita dello spettacolo, cosa che non erano ancora riusciti a fare a causa dell’ ‘incidente’ di Rachel. Ad un certo punto era arrivato il momento gossip, dal quale Chloe si era cautamente sottratta andando a fumare alla finestra, lasciando Rachel a sguazzare nella socialità liceale. Di tanto in tanto, Rachel le lanciava degli sguardi, come per controllare se fosse ancora lì. L’unica parte che catturò l’attenzione di Chloe fu quando Kelly raccontò dell’espulsione di Eliot. Aveva sentito dire che era stato cacciato a causa di un arresto per aggressione, aveva lasciato il campus da giorni. Rachel e Chloe si lanciarono sguardi complici e sollevati. Almeno sapevano che non era più in zona. Un pensiero in meno. Alla fine, dopo qualche birra, dormirono lì. Per Chloe era stato strano essere nel dormitorio della Blackwell, rannicchiata sul pavimento in un sacco a pelo con Rachel che russava lievemente al suo fianco. Aveva fantasticato su come sarebbe stato vivere lì, fuori di casa, lontana dal suo habitat, da sua madre, ma anche dallo Stronzo Adottivo. L’idea aveva un certo fascino. Certo avrebbe dovuto studiare e mantenere dei voti decenti. E poi avrebbe dovuto pagarsi vitto e alloggio, cose cui Joyce non era minimamente in grado di provvedere.
Sabato, Rachel e Chloe lo trascorsero a spasso per i monti nei dintorni di Arcadia, girando per stradine sterrate immerse nel verde. Quella giornata le portò a immaginarsi on the road verso Los Angeles, come avevano progettato. Il pick-up funzionava discretamente, Chloe era anche andata con David a registrarlo alla motorizzazione, quindi era tutto perfettamente in regola. David le disse che per un anno avrebbe avuto l’assicurazione e le altre spese pagate, poi avrebbe dovuto pensarci da sola. Gli ostacoli principali erano l’essere ancora minorenni e la mancanza di soldi. Ma ci avrebbero ragionato. Quel giorno pensarono solo a godersi il panorama da un belvedere sopra Otter Point, più in alto del Faro, dalla parte opposta della baia. Chloe si sentiva bene e anche Rachel sembrava essersi ripresa dalla delusione dell’incontro con Frank.
 
Il pick-up svoltò l’ultima curva e casa Amber si parò davanti loro, con il bel prato curato, l’enorme sagoma dell’edificio in mattoni rossi e il manifesto elettorale di James Amber. Integrità, Lealtà, Onestà. Grandi Stronzate. Rachel si sistemò sul sedile quando vide quella che era stata casa sua. Tecnicamente lo era ancora, anche se lei cercava di non pensarci. Era rimasta in contatto con Rose tutta la settimana. Con lei i rapporti sembravano essere tra il neutrale e il buono, anche se il tono di Rachel si raffreddava di una ventina di gradi ogni volta che parlava con lei al telefono.
Chloe individuò un punto in cui parcheggiare e fece manovra con disinvoltura.
“Ormai la macchina è un’estensione del tuo corpo!” scherzò Rachel.
“Anbonny, prego!” precisò Chloe.
“Eh?”
“Ho registrato la targa del pick-up, quindi ha ufficialmente un nome, come all’anagrafe. Si chiama Anbonny!” spiegò con orgoglio.
Rachel sghignazzò: “Come la piratessa! Direi che ti calza a pennello Price!”
“Peccato aver dovuto sostituire il coprisedile pirata, ma la macchia del tuo sangue mi inquietava…”
“Non ti piace il telo arcobaleno?” Rachel incrociò le braccia imbronciandosi.
“Certo che mi piace! Dà quel tocco di gaytudine… un po’ come le lucine natalizie in camera mia. Idea tua anche quelle…”
“Non sei mai soddisfatta!”
“Come tutti i geni!”
Rachel rise e le rubò il berretto, schizzando fuori dalla macchina.
“Hey! No! Cazzo….” Chloe prese le chiavi e la inseguì, facendo il giro del cofano mentre Rachel la guardava furba tenendo il suo berretto come un torero agita il drappo rosso. Infine, lo indossò. Chloe ammise con sé stessa ammettere quando le stesse bene. Rachel sembrava dolce e sexy qualunque cosa indossasse in effetti, ma con quel berretto... I suoi occhi felini e furbi la fissavano ipnotici.
“Che c’è, non lo vuoi più?” chiese Rachel notando lo sguardo un po’ perso di Chloe.
“Ehm… si… ti sta molto bene…”
Rachel le sorrise e si avvicinò camminando mollemente, ancheggiando in modo elegante. Alzò una mano sfiorando l’ombelico di Chloe con il dorso delle dita e proseguendo fino a sfiorarle il collo e la guancia. Con lentezza si tolse il cappello e glielo rimise. Chloe sentì la testa e la faccia avvamparle.
“Grazie…” sussurrò Rachel.
Chloe rimase confusa per alcuni attimi. Quell’atteggiamento provocante di Rachel la lasciava sempre così, non sapeva come comportarsi. Ormai avevano sdoganato tutta una serie di dimostrazioni fisiche di affetto, abbracci, carezze, mani dolcemente trattenute. Ma c’erano molte altre cose che Chloe avrebbe desiderato fare… e dopo ciò che Rachel le aveva detto in ospedale, non sapeva se avrebbe potuto spingersi più in là. Si erano baciate un paio di volte, ma Chloe non era sicura che quella fosse una cosa ‘consentita’! Quanto cazzo avrebbe voluto baciarla in quel momento però…
Rachel le cinse i fianchi in un abbraccio, affondando il viso nel suo collo. Chloe ricambiò il gesto, appoggiandole una mano sui capelli profumati.
“Non ho voglia di andare là dentro…” bofonchiò Rachel.
“Lo so…”
“E’ un vero peccato che io non abbia una grondaia come te per arrampicarmi in camera mia…”
“Il vero problema è che tu non hai il tetto del garage che ti fa da gradino…”
“Anche quello…”
Rachel si strusciò su Chloe come un gatto e le diede un bacio sul collo, annusandola e traendo conforto dal suo aroma.
“Stammi vicina.”
“Ovvio!” Chloe le diede un bacio in testa. Rachel si allontanò di qualche centimetro per guardarla negli occhi e le sorrise dolcemente.
“Andiamo… togliamocelo di mezzo…” Rachel si staccò e si diresse verso il viale di casa. Chloe prese un profondo respiro e attraversò la strada. Aveva un pessimo presentimento. L’ultima volta che era entrata in quella casa, Rachel aveva sfondato il tavolo da pranzo ed aveva scoperto di Sera… sperava vivamente che quel giorno non capitasse nulla di così drammatico. Nulla di nulla sarebbe stato gradito!
 
-
 
Quando entrarono Rose le accolse. Aveva un viso accogliente, come al solito, ma gli occhi mostravano il suo disagio. Avrebbe abbracciato volentieri la figlia, ma si tratteneva. Incrociò lo sguardo con Chloe, senza manifestare alcuna ostilità. Fu la ragazza, invece, a sentirsi leggermente in imbarazzo. Spostò il peso sull'altra gamba e si massaggiò il collo, guardando altrove.
"Ciao Rachel. Ciao Chloe..." Rose sorrise
"Ciao Rose." replicò Rachel restituendo il sorriso. Sembrava più per circostanza che altro.
Per evitare che calasse un silenzio fin troppo imbarazzante, Rachel proseguì: "Prendo i libri e vado..." e si avviò.
"Aspetta..." la fermò Rose. Rachel si fermò e si voltò. I capelli biondi ondeggiarono, lo sguardo nocciola era marmoreo. Quella situazione fece sentire il gelo nelle ossa di Chloe.
"... tuo padre vorrebbe parlarti."
Ecco! Chloe pensò che il suo brutto presentimento era fottutamente fondato.
"Non ho nulla da dirgli e non voglio ascoltarlo..." il tono di Rachel era glaciale.
"Riguarda Sera..."
Rachel si paralizzò.
"Sera?"
"Si... dagli la possibilità di parlarti, ti prego."
Rachel rimase immobile. Guardò verso il salotto e vide suo padre seduto sul divano. Il camino era acceso a causa del freddo, in tutta la casa si udivano solo il crepitio del fuoco e il ticchettare ritmico dell'orologio a pendolo. James Amber aveva le gambe accavallate ed il viso sepolto nel palmo di una mano. Fissava malinconicamente il fuoco, vestito di una polo blu scuro e pantaloni color panna. Non era venuto a salutare la figlia, perché sapeva perfettamente quale accoglienza avrebbe ricevuto. Rachel lo scrutò dall'atrio, poi lanciò uno sguardo a Chloe. Era imbarazzata, ma sapeva che sarebbe stata al suo fianco. Inoltre, Rachel si sentiva pronta a respingere ogni cazzata di suo padre. Le menzogne non avrebbero fatto più nessun effetto, semplicemente perché lei non si fidava più di lui. Qualunque cosa avesse detto, qualunque giustificazione avesse accampato... tutto falso. Lo sapeva a priori, non si sarebbe fatta fregare una terza volta. Questo la rendeva triste. Sotto il nervosismo ribollente che sentiva c'era una malinconia nera. Quello stesso uomo era il suo papà... ed era il suo peggior nemico. Quella donna che l'aveva accolta in casa era a tutti gli effetti sua madre... eppure anche lei l'aveva tradita.
"Se rimane anche Chloe lo ascolterò, altrimenti prenderò solo ciò per cui sono venuta qui..." affermò Rachel.
Rose annuì e le fece cenno di seguirla in soggiorno.
Rachel si voltò verso Chloe con uno sguardo implorante. Le prese la mano e seguirono Rose in salotto. Rachel giunse davanti al camino e a suo padre, incrociò le braccia e fissò su di lui uno sguardo d'acciaio. Chloe alle sue spalle, mani nelle tasche. Rose si mise accanto al marito sul divano. James alzò lo sguardo su Rachel e sospirò vedendo Chloe. Ovviamente aveva ascoltato la conversazione svoltasi a pochi metri da lui.
"Devi dirmi qualcosa?" la voce di Rachel era una stilettata.
James si raddrizzò: "Ho qualcosa per te..." indicò dei fogli sul tavolino davanti a lui.
Rachel li guardò dall'alto e non si mosse.
"Di che si tratta?"
"Sono le lettere che Sera ti ha mandato... non te le ho mai fatte avere perché non sapevi della sua esistenza..." disse James.
Rachel sentì come un pugno raggiungerle lo sterno, il cuore iniziò a palpitare più veloce. Si allungò e le prese con avidità, le sfogliò alcuni momenti come se le volesse leggere. L'unica cosa che lesse davvero fu la firma di Sera in fondo al testo.
"Perché ora? Cosa vuoi fare torturarmi?" chiese Rachel, la sua voce tremava un po'.
Rose lanciò uno sguardo al marito, mentre Chloe sospirò accanto a Rachel.
"No, voglio solo... essere onesto. È troppo tardi lo so. Ma è l'unica cosa che posso fare ora..."
"No c'è altro che puoi fare. Alza quel fottuto telefono e chiama Sera... falla venire qui... ora..." Rachel brandì le lettere di Sera, impugnandole come un'arma contro James. L'uomo piantò il suo sguardo dritto in quello di Rachel.
"L'ho già fatto..."
Rachel si paralizzò e anche Chloe.
La speranza stravolse la chimica interna di Rachel al punto di avere un capogiro.
"Quindi..."
"No... non verrà... purtroppo il suo numero è inesistente."
Rachel rimase in silenzio, senza parole, boccheggiante per alcuni istanti.
Mi stai prendendo per il culo, cazzo? Inesistente!
"Non ci credo... merda, continui a mentire... non capisco cosa vuoi da me?!" piagnucolò Rachel.
James non rispose, prese il suo telefono appoggiato sul tavolo, digitò qualcosa e lo porse a Rachel. Lei lo guardò con sospetto per alcuni istanti prima di afferrarlo. Lo schermo indicava la rubrica, il numero selezionato era "Sera cell".
“Pffh… mi stai prendendo per il culo? Quando ho letto il messaggio che Sera ti aveva mandato per incontrarvi a Culmination Park proveniva da un numero sconosciuto!” lo sbeffeggiò Rachel.
“Sera non mi aveva mai né scritto né chiamato prima di allora. Eravamo d’accordo così…” spiegò James con calma “Quel giorno mi telefonò e mi inviò il messaggio. L’ho semplicemente salvato in rubrica.”
Rachel non voleva fidarsi. La stava prendendo per il culo ancora una volta, ne era certa! Eppure… perché non avrebbe dovuto conservare il suo numero dopo tutto? O forse non voleva credergli perché se avesse spinto quel bottone e Sera non avesse risposto… sarebbe finita…
Rachel fissò suo padre, poi Rose, poi Chloe. Gli occhi blu della ragazza la fissavano con preoccupazione, ma comunicavano un semplice messaggio. "Sono qui con te."
Rachel le porse la mano e Chloe la afferrò, stringendola per darle forza.
Digitò "Chiama" e portò il telefono all'orecchio...
(Siamo spiacenti, il numero chiamato è inesistente, assicurarsi di aver digitato....)
"No..." sussurrò Rachel.
Interruppe la chiamata e riprovò.
(Siamo spiacenti, il numero chiamato è inesistente, assicura....)
"No cazzo..."
(Siamo spiacenti, il numero...)
(Siamo spiacenti, il...)
(Siamo...)
"NO!!!" Rachel scagliò il cellulare alla cieca. Il vetro dello schermo si frantumò sul pavimento. Rachel scoppiò in lacrime e si gettò su Chloe, abbracciandola con tutte le forze. La ragazza ricambiò l'abbraccio e la trattenne, come se dovesse scivolare in un burrone. Era come se potesse davvero accadere. I singhiozzi di Rachel esplosero, James e Rose Amber rimasero fermi sul divano, il primo sottoposto allo sguardo inferocito di Chloe.
"Perché..." pianse Rachel.
"Tesoro..." tentò James.
"No!!" il palmo di Rachel bloccò ogni parola stesse per pronunciare "Mi stai prendendo per il culo! È una messinscena per farmi rinunciare... perché lo stai facendo?? Questa è tortura cazzo!"
"Immaginavo non mi avresti creduto... ho fatto delle indagini sui movimenti di Sera ad Arcadia Bay, ho scoperto che ha alloggiato al Blue Motel e sono andato personalmente a farmi consegnare i suoi dati dal proprietario. Sono andato oltre i miei poteri di Procuratore..." dal mucchio di fogli presenti sul tavolo James ne prese due e li porse a Rachel. Uno era la copia della patente di Sera, l'altro era una stampa del questionario con i recapiti che veniva compilato dai residenti del Motel. Il numero di Sera era lì. Rachel raccolse il telefono di James, miracolosamente ancora funzionante. Confrontò il numero sul telefono con quello sul documento. Era lo stesso.
"Chi mi assicura che non sia un'altra stronzata?! Potresti aver scritto tu questa roba..."
"Rachel..." intervenne Rose.
"NO!" la zittì.
Chloe le teneva ancora stretta la mano e iniziava a farle un po' male. Rachel la stava stritolando, ma resistette. Calò il silenzio, Rachel appoggiò il telefono sul tavolo e andò a sedersi sulla poltrona reclinabile dall'altro lato del salotto. Il crepitio del fuoco sottolineava un silenzio pesante. Rachel, ancora aggrappata alla mano di Chloe, vi appoggiò contro il viso e riprese a piangere.
"Dopo che te ne sei andata una settimana fa, io e Rose abbiamo parlato a lungo. Ho sbagliato tutto, non mi pento di averti tenuta all'oscuro di Sera, ma quando è venuta a cercarti avrei dovuto lasciarvi incontrare. Ho tentato di rimediare, ma Sera ha tagliato tutti i ponti, telefono, e-mail. Ho ricostruito i suoi movimenti ad Arcadia usando come pretesto un'indagine già in corso, ma ha lasciato la città da oltre due settimane... potrei tracciare i suoi spostamenti all’interno della Contea, ma Sera non ha commesso alcun reato. Non posso aprire un’indagine e mobilitare la polizia se non è sospettata di nulla..."
"Esistono gli investigatori privati!" sputò Rachel asciugandosi le guance.
“È vero... ma forse non vuole che la cerchiamo..." replicò James.
"Perché tu hai tentato di farla uccidere cazzo! Le hai messo paura e ora non mi vuole più!"
"Rachel... non ho tentato di farla uccidere, volevo solo... spaventarla. Non ragionavo... ho ripensato a quello che Sera aveva fatto… una volta era talmente fatta che si è dimenticata di te mentre ti faceva il bagno. Avevi otto mesi… hai rischiato di affogare... se non ci fossi stato io in casa e non mi fossi accorto che stavi piangendo..." Gli occhi di James si inumidirono e la sua voce iniziò a tremare.
Rachel ricominciò a piangere. Rose appoggiò una mano sulla spalla del marito.
Chloe era completamente attonita, la scena avveniva sotto i suoi occhi come se non fosse presente. Si sentiva solo una spettatrice e in effetti lo era. Quella faccenda non la riguardava, era lì come sostegno a Rachel e ci sarebbe rimasta finché avesse avuto bisogno di lei. Si sentiva come il giorno in cui James aveva rivelato loro dell'esistenza di Sera. Anche peggio.
"Non è stata l'unica volta in cui ti ha messa a rischio Rachel. Quando avevi solo tre mesi sono tornato a casa dal lavoro e ho trovato degli uomini in casa insieme a lei. Erano in cucina, tu eri in salotto nella tua culla. C'erano nuvole di fumo e sul tavolo strisce di coca. Quegli uomini facevano parte della gang che controllava il quartiere..." lasciò cadere il silenzio perché il significato del suo racconto fosse colto. Rachel lo colse... una parte di lei stava iniziando ad abbassare la guardia. Non voleva che accadesse...
"Ho capito... si è comportata in modo orribile. Mi ha messa in pericolo. Non ti incolpo di averla lasciata! Ma si è ripulita per me, non ha più preso i tuoi soldi. Le persone non meritano una seconda possibilità?" Rachel tentò di recuperare la calma, ma la sua voce vacillava.
"Conoscendola, non volevo correre rischi. Tu e lei vi somigliate così tanto... ho immaginato cosa sarebbe accaduto. Lei ti avrebbe conquistata. È sempre stata così raggiante, passionale, empatica. Illuminava la stanza con la sua sola presenza. Avresti visto questo e ti avrebbe abbagliata... non avresti visto il pericolo arrivare... Ero terrorizzato che finisse col farti del male..."
"Così per evitare che me ne facesse lei, hai preferito pensarci tu!" sibilò Rachel.
James tacque e piombò contro lo schienale del divano, come se vi fosse stato spinto.
Chloe si sedette accanto a Rachel sul bracciolo della poltrona, le loro mani ancora congiunte.
Rose allo stesso modo teneva la mano di suo marito.
"So che non mi perdonerai mai... probabilmente ti ho persa per sempre... non posso rimediare, ma almeno posso essere sincero. Non cambia il passato, ma è tutto ciò che posso fare ormai..." l'amarezza che filtrava dalla voce di James trafisse il cuore di Chloe. Anche Rachel non ne fu immune.
"Quindi... se n'è andata davvero..." disse Rachel, a metà fra un'affermazione e una domanda.
"Si..." affermò James.
"Lei le mandava soldi ogni mese... avrà avuto un conto! Avrà ritirato i soldi da qualche parte..." si intromise Chloe. Non ce la faceva più a vedere Rachel scivolare nel baratro.
"Si è vero... ma quando ci siamo lasciati ho tenuto solo i rapporti indispensabili con lei..." spiegò, poi si rivolse a Rachel "Io la amavo, davvero, e lei mi ha tradito. Ha messo a rischio la tua vita, ha distrutto il nostro rapporto..." una lacrima scivolò dall'occhio destro "Non volevo più avere niente a che fare con lei... non volevo sapere niente..."
"Ma le lettere... la copia dei documenti… abbiamo un indirizzo no?!" incalzò Chloe "Possiamo ancora..."
"Chloe..." la voce di Rachel la interruppe e lei si voltò verso di lei.
"Basta..." continuò.
"Ma Rach... non voglio che ti arrendi..."
"Non ce la faccio più Chloe..." piagnucolò "Lascia perdere..."
Quello sguardo sconfitto negli occhi di Rachel fece male più di una pugnalata, più dei calci e dei manrovesci ricevuti da Damon Merrick. I suoi occhi si riempirono di lacrime.
"Rachel..." disse, senza sapere cos'altro aggiungere.
"Non ce la faccio più..." guardò James e Rose "Tutto quello che è successo è colpa vostra... specialmente tua" indicò il padre "Non ti perdonerò mai... forse Sera è veramente una specie di mostro come la dipingi tu. Ma avevo il diritto di scoprirlo da sola! Se tu mi avessi... accompagnata da lei... magari..." si fermò tra i singhiozzi e Chloe la abbracciò di lato.
Anche Rose cominciò a piangere e James seppellì il viso nelle mani.
Rachel era travolta. Avrebbe davvero voluto incontrare Sera, voleva conoscere le sue origini, chi l'aveva messa al mondo, una persona così meravigliosa e al tempo stesso così orribile. Era anche lei così? Lo sarebbe diventata?
Sono quello?
Sentì dolore al petto e alla testa. Tutto iniziò a girare intorno a lei. Il respiro le si accorciò mentre un macigno iniziò a pesarle su cuore e polmoni. Milioni di spilli le trafissero il cranio.
Perché....
Volevo solo incontrarla...
Perché papà...
Mamma...
Mamma numero uno... mamma numero due...
Ormai che cazzo sono...
che cazzo faccio...
Aiutami...
Chloe...
Si voltò verso Chloe con sguardo implorante, la ragazza la guardò confusa e la abbracciò tenendola stretta.
"Ch-lo-heeee..." I singhiozzi cominciarono a sconvolgere Rachel, si aggrappò a Chloe affondando le unghie nella sua schiena come per ancorarsi. Fece un po' male, ma Chloe lo ignorò. Non poteva lasciarla, non poteva abbandonarla. Rachel si lamentò e il poco fiato che aveva in corpo uscì con il pianto. Lacrime, moccio e saliva macchiarono il giubbotto di Chloe, mentre nascondeva la faccia in esso. Rachel vide tutto nero...
James e Rose si alzarono dal divano e si avvicinarono alla figlia in preda alla crisi. Rose le appoggiò una mano sulla gamba, Rachel si contorse per scacciarla.
"Nooo!!" gridò e Rose si ritrasse come scottata dal fuoco.
James era in piedi e si muoveva avanti e indietro nello spazio di un metro. Non sapeva cosa fare, si rendeva conto che ogni suo intervento avrebbe peggiorato le cose, la sua stessa presenza lo faceva. Rose scoppiò in lacrime, rifiutata ancora una volta dalla figlia, e si allontanò, andando in sala da pranzo per appoggiarsi ad una sedia.
Chloe tenne stretta Rachel, ignorando le sue unghie che le graffiavano la schiena.
"Shhh... Shhh... Sono qui... andrà tutto bene... sono qui..." le sussurrava dolcemente. Non sapeva che altro fare.
"Ch..loe...." sussurrò Rachel tra un singhiozzo e l'altro.
“Andrà tutto bene… shhh…” Le diede un bacio sulla testa. E un altro. Le accarezzò i capelli per un po’, poi passò alla schiena. Iniziò a massaggiarla in circolo, delicatamente. Ricordava che William lo faceva sempre con lei quando era agitata. Era davvero calmante, sperava di aver ereditato quella dote da suo padre.
Dopo alcuni minuti, finalmente Rachel riuscì a respirare in modo normale, la vista si rischiarò, gli spilli smisero di torturarle il cervello. Si sentiva completamente svuotata. Chloe si accorse che la sua presa divenne più debole e la sentì accasciarsi. La sostenne e si allontanò quanto bastava per vedere se fosse ancora sveglia. Lo era. Aveva gli occhi gonfi e persi in qualche dimensione lontana.
"Aiutami..." gracchiò Rachel "...devo…sdraiarmi..."
"Ok..." Chloe la aiutò ad alzarsi e la sostenne. Sembrava far fatica a stare in piedi, o forse voleva solo starle più vicina possibile. Chloe lanciò uno sguardo a James. L'uomo era altrettanto sconvolto, non immaginava cosa stesse provando. Nonostante questo non poté a evitare di odiarlo. Era tutta colpa sua...
Né lui né Rose dissero altro mentre Chloe aiutava Rachel a salire le scale verso camera sua.
La scalata dei gradini fu un po' più impervia del previsto, ma gli ultimi metri fino alla porta Rachel li percorse con le sue gambe, appoggiandosi al muro. Entrò nella stanza senza dire una parola. Chloe la seguì. Si ritrovarono di nuovo sul suo letto dopo altre rivelazioni sconvolgenti di James... la vita ha il suo peculiare umorismo che fa ridere solo lei.
Rachel stava all'interno del cucchiaio, con le braccia di Chloe che la cingevano protettivamente da dietro. Non riusciva più a pensare a nulla e si lasciò andare in quella dolce stretta.
Fanculo tutto...
Fanculo papà
Fanculo Rose
Fanculo Sera...
Fanculo tutti...
Ho solo bisogno di Chloe...
solo lei…
Ho solo bisogno... di
dormire...
mi devo riposare...
voglio smettere di pensare...
voglio... nulla..
voglio il nulla...
essere nulla...
o forse...
già lo sono...
 
-
 
Rachel era in piedi, l’aria fresca le sferzava il viso e faceva ondeggiare i capelli. Avrebbe dovuto sentire freddo, ma non lo sentiva. Indossava un attillato costume blu scuro strappato in alcuni punti, era scalza, portava un drappo rosso come cintura e un copricapo cornuto, con una maschera rossa appoggiata sulla fronte. Davanti a lei, la vallata boscosa. Riconobbe perfettamente dove si trovava, era la cima del monte Hood e i suoi nemici stavano arrivando. Li percepiva, anche se non li vedeva.
In pugno stringeva il suo bastone. Poteva fermarli, quella era la sua casa. Batté l’asta sul terreno e il cielo sereno iniziò a scurirsi. Nuvole buie e temporalesche iniziarono ad accumularsi sopra la cima del monte e su tutta la valle, privando i boschi della luce. Un corvo solitario solcava il cielo in circolo, le indicava il punto in cui si trovavano i suoi nemici. Erano molto più vicini del previsto.
Ancora non li vedeva perché erano nel sottobosco.
“Vieni, o mia serva! Vieni! Io sono pronta!” chiamò Rachel.
Il corvo che planava nell’aria iniziò a scendere di quota. Batté le ali un paio di volte mentre si avvicinava a lei, sfruttando le correnti del vento. In un’ultima breve planata frenò sbattendo freneticamente le ali, raggiungendo i suoi piedi.
“Fatti dunque vicina, mia Ariel!”
Non era più un corvo, ma una ragazza. Alta, leggera, vestita di un costume blu e nero con un copricapo di piume nere.
“Salute o possente maestra! Vengo per obbedire ai tuoi comandi!” disse la ragazza-corvo. I suoi occhi erano blu intenso, come il cielo estivo. Un ciuffo di capelli dello stesso colore le incorniciava metà viso.
“Suscita la tempesta sui miei nemici…” comandò Rachel battendo teatralmente il bastone sulla roccia. Era colma di odio, quella era la sua montagna, non potevano portargliela via.
Ariel spalancò le braccia e quando le abbassò ali di corvo sbatterono nell’aria. L’uccello volò di nuovo verso l’alto. Gracchiò una volta.
Un tuono rispose in lontananza.
Gracchiò una seconda volta, un altro tuono ribatté, più vicino.
Gridò una terza volta, dalle nubi scaturì un fulmine. L’aria si fece elettrica e tutto fu bianco per un istante. Il fragore giunse dopo, quando la saetta si abbatté sui boschi sottostanti, distruggendo un albero. Il vento cominciò a soffiare violento, Rachel ne era immune ma il bosco sottostante ne fu scosso. Gocce di pioggia iniziarono a cadere, bagnandole il viso. In pochi secondi lo scrosciare del temporale avvolse il monte Hood come un manto pesante e fradicio.
Il corvo volteggiava tra i venti, ignorando le intemperie che sembravano non interferire col suo volo.
“Oh bravo spirito!” esultò Rachel “Chi potrebbe esser sì forte e sì costante che la sua ragione non smarrisca in tale inganno?”
Un tuono sembrò rispondere in lontananza, mentre un altro fulmine abbatté un albero sotto di lei. Rachel si incamminò, lasciando la sua posizione sopraelevata e dirigendosi verso i boschi. Ogni potere che scuoteva la natura in quel momento non la toccava, niente poteva ostacolarla. Quella tempesta era la sua ira, la sua vendetta.
Si incamminò lungo un sentiero che era divenuto fangoso e scivoloso, quasi fluttuando su di esso. Il pensiero la guidava dove voleva andare. Infine, raggiunse uno dei punti in cui il fulmine aveva colpito la foresta. Un albero era spezzato in due, metà di esso bruciava, ancora legata alla terra dalle radici, l’altra metà era crollata sul sentiero. Sotto di esso vide sporgere due gambe inerti.
Rachel avvertì un tuffo al cuore. Era uno dei suoi nemici, era morto schiacciato dal suo potere. Eppure non esultò. Ora che lo vedeva, si preoccupò. Con un lieve balzo fluttuò fin sopra il tronco caduto, poggiando delicatamente i suoi piedi nudi su di esso senza pesarvisi. Un uomo avvolto da una giacca, capelli neri, occhi grigio spento sbarrati e vuoti. Coperto di sangue per le gravi ferite causate dall’albero. Era morto…
Era suo padre.
Rachel scese dal tronco e si inginocchiò accanto al corpo di James Amber mentre la pioggia continuava a sferzare tutt’intorno. L’acqua le cadeva addosso, le colava sulle guance. Non era acqua… erano lacrime. Piangeva e singhiozzava. Suo padre era morto.
Accanto a lui c’era qualcun altro. Una sagoma più piccola, stretta all’uomo e riversa in una posizione innaturale sotto il peso del tronco. Un giubbotto azzurro e capelli biondi, entrambi sporchi di sangue. Il cuore le balzò in gola.
“Così hai ordinato, maestra!” una voce maschile e grave provenne dalle sue spalle.
Si voltò. Rachel era alla discarica, il temporale continuava ad imperversare, fiumi d’acqua fangosa percorrevano il terreno sconnesso. Di fronte a lei un uomo imponente, quasi un gigante, torreggiava su di lei. Occhi scuri, capelli neri, una cicatrice di traverso in mezzo agli occhi. Un tatuaggio tribale si arrampicava sul suo collo dal suo petto, sparendo sotto la camicia aperta e la giacca. Impugnava un coltello da caccia.
“Non volevo questo…” piagnucolò Rachel indietreggiando.
“Oh, Rachel, il tuo ufficio hai ben compiuto. Ma ancor altro ci resta da fare…” ringhiò l’uomo avvicinandosi di un passo.
“No…”
“No? Che c’è di nuovo?” la guardò sospettoso l’uomo.
Un tuono scosse l’aria e un fulmine colpì in pieno il relitto di una barca, distruggendone una parte e incendiandola.
“Rammenti la tua promessa non mantenuta?!” lamentò Rachel.
“Che puoi dimandarmi ora?!” gridò spazientito l’uomo agitando il coltello. Non con la sua voce… era una voce femminile… la voce di…
Rachel era terrorizzata.
“La… la mia libertà!” gridò Rachel.
“Prima ancora che sia giunto il tempo?” l’uomo alzò un sopracciglio dubbioso. Era la voce di Chloe?
“Voglio la mia libertà. Voglio andarmene da questo luogo infernale… non c’è più niente qui per me! Lasciami andare!” gridò Rachel, piantando i piedi, completamente sovrastata dalla sagoma nera di quell’uomo.
“Sta bene… ti libererò…” era di nuovo la voce graffiante di Merrick.
Prima che potesse dire altro, la lama scattò in avanti. Rachel la osservò perdersi nel suo ventre. Uscì e rientrò. Di nuovo, e di nuovo. E di nuovo….
Rachel cadde in ginocchio. Damon Merrick la sovrastava puntandole ancora il coltello grondante sangue. Il vestito un tempo blu di Rachel ora era fradicio di rosso. Non indossava più il costume blu, né il copricapo cornuto. Il bastone era svanito. Il suo corpo era più piccolo, indossava un cappottino azzurro, i capelli biondi e bagnati le cadevano in avanti. Di fronte a lei si apriva una fossa. Un buco nero scavato nel fango umido e puzzolente della discarica. All’interno c’era qualcosa… un corpo. Una donna di mezz’età, capelli biondi, tatuaggi floreali sul braccio sinistro, un sole nei pressi del cuore. Metà del suo corpo era coperto di terra, infilato in un sacco blu per i rifiuti.
“S…Sera?” balbettò Rachel.
“E’ quello che sei…” disse Damon con tono beffardo.
Rachel alzò il viso per guardarlo.
“Spazzatura…”
 
-
 
“Rachel!”
La voce di Chloe.
Le mani di Chloe su di lei. Si aggrappò ad una di esse e si voltò. Non vedeva bene, sentiva uno strano torpore. Era tutto buio. In lontananza sentì un tuono. Era vero o era ancora un sogno? Chloe era davvero lì? Si strofinò gli occhi violentemente, nel buio vide lampi di colore. Non stava respirando. Prese un’avida boccata d’ossigeno. Era in affanno. Controllò istintivamente il ventre. Intatto. Si girò verso Chloe. Le tastò il braccio. Era… solida. Era veramente li. La debole luce della sua abat-jour illuminava la stanza. Era la sua camera. Chloe era di fianco a lei e aveva lo sguardo preoccupato.
“Stai bene?”
“S..si… cos’è successo?” chiese massaggiandosi la fronte. Le veniva ancora da piangere. Voleva piangere ancora, non sapeva perché.
“Ti lamentavi nel sonno, pensavo stessi male…” spiegò Chloe senza nascondere la preoccupazione.
“Sto bene… solo.. un bruttissimo sogno credo…” Rachel si accoccolò vicino a lei.
“Cos’hai sognato?” Chloe la abbracciò.
Rachel ricordava vagamente l’incubo. Sapeva solo che stava morendo, qualcuno l’aveva uccisa e lei aveva ucciso qualcuno. Non ricordava molto, se non un temporale, un corvo e… terrore… impotenza…
“Non me lo ricordo…” disse.
Un tuono echeggiò in lontananza.
“Ha ripreso a piovere?” chiese Rachel.
“Non qui, sembra ci sia un temporale dalla parte di Culmination…” disse Chloe.
“Che ore sono?”
Chloe si voltò per controllare sul cellulare.
“Le otto di sera, più o meno…”
Rachel annuì, ci mise qualche momento a realizzare.
“Sono stata qui tutto il pomeriggio?” chiese stupita.
“Avevi bisogno di riposare… è stata… tosta…”
“Sei stata tutto il tempo qui con me?” chiese Rachel con gli occhi spalancati…
Chloe annuì stringendosi nelle spalle.
Rachel sospirò: “Chloe Price… vegli sempre su di me e su tutti i miei fottuti drammi vero?” tentò di scherzare.
“Beh, sembra sia il mio lavoro ormai!”
“Pffth…” Rachel le diede una leggera sberla sul braccio. Si voltò verso destra e lo sguardo cadde sulla cartina degli Stati Uniti e sulla scritta che Chloe le aveva lasciato tre settimane prima:
FAMMI SAPERE SE HAI BISOGNO DI UNA COMPLICE…
“Si…” disse Rachel.
“Eh?”
“Si...” ripeté indicando la scritta sulla cartina.
“Non l’hai notata soltanto adesso vero?” chiese Chloe con tono un po’ perplesso. Rachel si voltò a guardarla con un sopracciglio inarcato. Le stava regalando un sorrisetto astuto.
“Cretina!” scoppiò a ridere.
“Completamente!” sorrise Chloe “E sarò la tua complice in qualunque piano malvagio vorrai escogitare!” aggiunse accarezzandole i capelli.
“Ne sono davvero felice…” le sorrise.
Rachel era totalmente sveglia. La stanza non era così buia come le era sembrata prima. Dalla finestra entravano gli ultimi aloni di sole dopo il tramonto. Anche se Chloe era vicina a lei, il letto era diventato improvvisamente molto scomodo. Si alzò e si avvicinò alla finestra. Guardando fuori vide il giardino privato di casa Amber, il cielo quasi sgombro di nubi salvo sulla cima delle montagne. Quel blu… somigliava così tanto agli occhi di Chloe, che si mise a sedere sul letto massaggiandosi lo stomaco gorgogliante.
“Dobbiamo trovare qualcosa per sfamarti…” commentò Rachel.
“Non c’è fretta!”
“Oh si che c’è… potresti mangiare me…”
“Sarebbe così terribile?” Chloe si mise al suo fianco. Rachel si voltò verso di lei e sorrise.
“No… anzi!” ammiccò “Solo… penso proprio di volermene andare da qui più in fretta che posso…”
“Il mio bolide è al tuo servizio!”
Rachel iniziò a radunare nel suo zaino ciò per cui era venuta. Chloe ormai aveva imparato a non forzarla quando era nei suoi momenti no. Sapeva che moriva dalla voglia di chiederle come stava, come si sentiva, cosa avrebbe fatto con Sera. Ma Rachel in quel momento aveva altre priorità. Ne avrebbe certamente parlato con lei, ma in quel momento non voleva parlarne neanche con sé stessa. Tra la crisi nel pomeriggio e l’incubo… se fisicamente era abbastanza riposata, psicologicamente era a pezzi. Voleva solo rinchiudersi in un bar per camionisti con Chloe, mangiare junk food, bere e farsi canne fino al collasso.
Recuperarono nel giro di qualche minuto libri e quaderni per le lezioni dell’indomani e scesero le scale. James era in soggiorno sulla sua poltrona, lo sguardo perso nel camino che ormai ospitava solo braci. Accanto a lui una bottiglia semi vuota di sherry e in mano un bicchiere carico. Rose era sul divano, anche lei con lo sguardo perso nel vuoto. Probabilmente, dopo il casino del pomeriggio, avevano discusso. Il lavandino era pieno di piatti sporchi. Il fatto che la donna, sempre così attenta all’ordine e all’igiene, non li avesse già lavati evidenziava il suo stato d’animo. Entrambi si voltarono appena le due ragazze raggiunsero l’atrio.
Rose si avvicinò e anche James. Chloe guardò Rachel con preoccupazione, ma lei si voltò per affrontarli di nuovo.
“Ti… senti bene?” chiese Rose.
“Si, ho dormito…” rispose neutra Rachel “Ho preso i libri di scuola. Adesso andremo a cenare. Non penso che tornerò a dormire…”
“Rachel…” iniziò James Amber ma Rose gli lanciò un’occhiataccia che lo zittì immediatamente. Chloe ne fu sbalordita.
“Va bene…” commentò la donna col tono più gentile e conciliante che aveva. Non nascose il suo profondo turbamento.
“Ti chiamo io…” disse Rachel avviando verso la porta, seguita a ruota da Chloe.
Raggiunta la soglia la aprì, prima di uscire si fermò. Si girò lentamente verso i genitori, che la fissavano inquieti, incerti su come comportarsi.
“A domani… mamma…” disse Rachel, il cui tono era improvvisamente molto più morbido. Guardò James Amber e gli fece un cenno di commiato “…papà…” e se ne andò prima di ricevere risposta.
Chloe poté vedere il viso di Rose sciogliersi in un’espressione commossa quando Rachel la chiamò “mamma”. Anche James sembrò confuso, ma in modo positivo. Indugiò qualche istante, un po’ sconcertata dalla situazione.
“Buona serata…” disse con un tono cordialmente imbarazzato.
“Altrettanto Chloe…” disse Rose. James annuì in silenzio.
Chloe sentì come se la temperatura si fosse abbassata di trenta gradi in un istante. Seguì Rachel fuori dalla porta e la raggiunse presso il pick-up, dove stava aspettando.
“Ho un’idea per la serata” esordì Rachel sorridente.
“Sentiamo un po’!” Chloe fece il giro e aprì la portiera del guidatore. Si impose con tutta sé stessa di non indagare sullo stato d’animo di Rachel. La sua reazione la confondeva, ma forse voleva solo lasciarsi alle spalle quella giornata. Deviare l’attenzione.
“Voglio un fottutissimo hamburger bisunto di ACFC!”
“Idea cazzuta! Poi possiamo vedere se riusciamo a scroccare un tiro da Justin?” sondò allegramente il terreno Chloe mentre metteva in moto.
Rachel annuì: “Direi che abbiamo un piano!”
 
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Il mattino vide sorgere il sole in un cielo quasi sgombro da nubi, per la prima volta dopo settimane. I suoi raggi si riflettevano sulle finestre della Blackwell Academy, attraversando l'atmosfera ripulita dalle piogge. Una brezza pungente continuava a soffiare, ma sembrava davvero il primo giorno sereno dopo tanto tempo.
Il pick-up di Chloe tossì un po', sputando nuvolette di fumo nero dal tubo di scappamento, mentre frenava davanti alla Blackwell. Tutt'intorno a loro il campus era già animato dal vociare vago e confuso di dozzine di studenti, che aumentarono quando lo scuolabus depositò alla fermata il suo carico. Chloe era felice di non far parte di quella marmaglia, almeno per un po'. Dopo tutto quello che le era successo si preparava a trascorrere una lunghissima pausa estiva, insieme a Rachel. La quale era seduta accanto a lei, stranamente taciturna, con lo sguardo vuoto rivolto fuori dal finestrino. Le braccia avvolte dalle maniche viola di una camicia tartan stringevano lo zaino come un salvagente.
"Siamo arrivati Madame!" giocò Chloe tentando di smuovere Rachel da qualunque luogo tetro si trovasse.
Si voltò verso di lei con un sorriso tirato: "E se per oggi saltassi?"
Chloe inarcò un sopracciglio: "Normalmente non farei obiezioni, ma penso che oggi tutti si aspettino di rivederti. Wells ci metterebbe un secondo a telefonare a tuo padre..."
"Non me ne frega un cazzo!" sibilò Rachel. Nominare suo padre era il modo migliore per farla innervosire.
Chloe riposizionò le mani sul volante mentre Rachel emetteva un lungo sospiro
"Scusa..." mormorò.
"Tranquilla... se vuoi rimetto in moto. Andiamo dove vuoi!" disse Chloe con allegria. La sola cosa che voleva era strappare il malumore dal viso di Rachel, soprattutto dopo il casino cui aveva assistito la sera prima. Stava facendo uno sforzo fisico per non chiederle come si sentisse e lasciarle i suoi spazi…
Per tutta la sera precedente, fra panini unti seguiti da canne scroccate ed esercizi di skateboard con Justin e Trevor, Rachel era sembrata riprendersi. Avevano riso, Chloe si era fatta prendere per il culo mentre si toglieva di dosso la ruggine cadendo dallo skate. Anche Rachel aveva fatto i suoi tentativi ubriachi ed aveva pestato il culo più volte, ridendo come una pazza. Quando erano sgattaiolate in camera di Chloe, arrampicandosi sulla grondaia e poi attraverso la finestra, Rachel sembrava aver del tutto sgombrato la mente. Quella mattina, invece, tutto il malumore da cui era fuggita pareva averla raggiunta di nuovo. Chloe poteva sintonizzarsi, la Blackwell faceva lo stesso effetto anche a lei. Era insolito che lo facesse anche a Rachel.
"No, purtroppo hai ragione. Oggi devo andare e comunque prima o poi dovrei comunque... meglio strappare via il cerotto con un colpo secco." disse Rachel con tono malinconico "... anche se... so cosa mi aspetta e non voglio affrontarlo."
"Puoi farcela!" la incoraggiò Chloe.
Rachel le rivolse un sorriso gentile e allungò una mano afferrando quella di Chloe in una stretta piena di bisogno.
"Solo se verrai a riprendermi all'uscita." replicò Rachel.
"Avevi qualche dubbio?” ammiccò Chloe, ricevendo in cambio un sorriso felice.
"No ma volevo sentirtelo dire! Allora... ci vediamo dopo Price!" disse Rachel prendendo un profondo respiro e stringendo un'ultima volta la mano di Chloe prima di lasciarla andare e spalancare la porta del pick-up.
"Puoi giurarci!" replicò Chloe, che rimase a osservare Rachel che le rivolgeva un ultimo sorriso prima di voltarsi, caricare lo zaino apparentemente pesantissimo sulle spalle e muovere i primi passi verso il campus.
Ad ogni passo, Rachel sentì i tentacoli della Blackwell avvolgersi intorno a lei, portandole sensazioni familiari da cui nelle ultime settimane si era disintossicata. Si sentì più o meno come quando fumò la prima sigaretta appena uscita dall'ospedale, in un conflitto di sensazioni piacevoli e sgradevoli, pensieri consapevoli sulla dannosità del fumo e al tempo stesso bramosi di riempirsene i polmoni, prefigurandone la tossica gratificazione.
Fece un riepilogo mentale della giornata che la aspettava mentre saliva i gradini che portavano al campus. Il programma delle lezioni sembrava fluido, ma sapeva che la parte più impegnativa e rilevante sarebbe stata fare il check-in con compagni e professori. La Blackwell era come un fiume. Una volta dentro, Rachel era sicura di saper nuotare tra i suoi flutti senza problemi. Era un habitat cui era abituata, ma ora le sembrava così distante, così... inutile.
Dopo tutto quello che aveva passato, con la sua vita ribaltata, qual era il cazzo di senso nel tornare a scuola? Eppure era lì, attratta magneticamente dalle ampie porte di ingresso, oltre la statua bronzea e giudicante di Jeremiah Blackwell.
Mentre superava la fontana e puntava verso le porte, circondata da studenti che temporeggiavano in mezzo al verde, Rachel si preparò per recitare un nuovo atto.
 
-
 
Indossare la maschera della studentessa modello fu più difficile di quanto ricordasse. Appena entrata dal portone, Rachel incrociò il Preside Wells, appollaiato sulla soglia della Presidenza mentre osservava il flusso studentesco nel suo completo grigio, mani dietro la schiena e sguardo truce. Rachel era consapevole delle pressioni cui quell'uomo era sottoposto, ne aveva avuto un assaggio finché aveva lavorato per lui come assistente. Non la sorprendeva che nascondesse il bourbon dietro la libreria. Quanto ne avrebbe avuto bisogno anche lei in quel momento! L'avrebbe certamente aiutata a sentire meno pressione.
Wells la bloccò con un saluto perentorio. Nonostante il brusio generale, i profondi bassi della sua voce si sentivano facilmente. Rachel indossò la sua faccia politicamente corretta e si avvicinò, immaginando già la conversazione e sperando che finisse presto.
"Sono felice di rivederti in salute!"
"Mi auguro che questo brutto incidente non intacchi la tua esperienza alla Blackwell"
"Se hai bisogno di qualcosa, di qualcuno con cui parlare o di aiuto, non esitare a rivolgerti a me personalmente!"
E così via...
Tutto come previsto. Così anche Rachel recitò le sue battute, rispondendo come ci si aspettava che rispondesse e concludendo con "Ora vado o farò tardi a lezione! Sono contenta di averle parlato! Buona giornata!"
 
Un saluto qui, un abbraccio là.
Dana che le correva letteralmente incontro, tutta eccitata, premendole contro i seni un paio di taglie in più dei suoi nonostante fosse di un anno più giovane.
Un fugace incontro con Kelly mentre scappava alla lezione d’arte con il professor Cole.
Una pacca sulla spalla da parte di Hayden mentre si dirigeva verso il suo armadietto. Già... l'armadietto.
Ancora avvolta dalle vuote chiacchiere da corridoio, aprì l'anta metallica lottando contro una fastidiosa anticipazione. Una foto di famiglia era attaccata con lo scotch all'altezza dei suoi occhi. Volti sorridenti appartenenti ad un'altra vita, una in cui aveva ancora un padre e una madre, non un bugiardo, una matrigna e una madre in fuga.
Hey, potrebbe essere il titolo di una commedia!
Il bugiardo, la matrigna e la madre in fuga!
Sicuramente uno spettacolo di merda!
Più o meno come Il buono, il brutto e il cattivo!
Merda come tutto il genere western!
 
Rachel strappò la foto e la accartocciò violentemente con la mano sinistra, infilandone i resti nella tasca dei jeans.
Non era l'unica foto presente nell'anta dell'armadietto. Uno era un selfie con Megan dopo un esperimento in classe, un'altra la ritraeva nel costume da Angelo Piangente, dietro le quinte dell'Aladdin Theatre di Portland, con Steph al suo fianco. Un sorriso malinconico le apparve sul viso. Quella foto l'aveva scattata Keaton la sera del suo primo (e unico per ora) monologo.
Un paio di locandine di concerti dell'anno prima, una cartolina con raffigurata La Persistenza della Memoria di Salvador Dalì, la foto d’epoca di Cavallo Pazzo (aveva sempre preferito lui a Toro Seduto, forse perché era stato l’ultimo nativo a ribellarsi contro l’occupazione dei bianchi; anche se era una battaglia persa, lui l’aveva combattuta…), un post-it con una citazione scritta di suo pugno:
"L'inizio è sempre oggi."
Mary Wollstonecraft
 
Una frase d'impatto, utile, generalmente capace di motivarla.
L'inizio è sempre oggi...
Quelle parole le avevano sempre parlato di scuola, progetti di vita, successi futuri. Quel giorno parlavano di altro...
La sensazione che la sua vita fosse finita quasi un mese prima non le si scrollava di dosso. Almeno UNA vita. Forse era questo che intendeva Chloe il giorno in cui avevano riordinato la sua camera. Una parte della sua vita era stata felice, con pensieri normali e turbamenti tutto sommato compresi in una normale esperienza adolescenziale. Ma era tutto finito. Un'altra vita era iniziata. Una vita in cui non sentiva di aver più una famiglia, in cui tutti i suoi piani per il futuro erano di colpo diventati ingenui, stupidi, infantili. Una vita, però, in cui Chloe era al suo fianco. Una vita il cui inizio poteva essere 'oggi'. Una vita da ripensare, riimmaginare. Una vita in cui sarebbe andata avanti, come aveva sempre fatto.
Senza guardarsi più indietro.
Qui dentro manca una foto di Chloe, pensò mentre chiudeva l'anta e si allontanava, abbracciando i libri per le lezioni di Letteratura Inglese e Chimica.
 
-
 
[Rachel]
- Qui è un mortorio senza di te
- Manchi
 
[Chloe]
- Awwwww
- Anche tu!
 
[Rachel]
- Che combini?
 
[Chloe]
- Una sorpresa...
 
[Rachel]
- Questa faccenda della vita che ha bisogno di mistero ci è sfuggita di mano
 
[Chloe]
- Ti piacerà lo prometto!
- Saresti una brutta persona se non ti piacesse...
 
[Rachel]
- LOL
- Ora sono DAVVERO curiosa!
 
Seduta al proprio banco, Rachel teneva il cellulare in grembo con la mano sinistra, digitando risposte per Chloe, mentre con la destra scarabocchiava i margini del suo quaderno, fingendo di prendere appunti su ciò che il prof Fitzpatrick stava spiegando. Per una volta essere ambidestra tornava utile!
I due banchi alla sua sinistra erano vuoti, il più lontano appartenuto a Eliot, l'altro a Chloe. Quello a destra di Rachel, invece, era occupato da Nathan che di tanto in tanto allungava il collo per sbirciare i suoi messaggi.
Lo sguardo di Rachel, invece, cercava spesso l'orologio. Le lancette erano di una lentezza esasperante, sempre in ritardo rispetto alle sue speranze. Infine la campanella della prima ora suonò e Rachel balzò in piedi, pronta a raggiungere l'aula della prof. Grant.
"A chi scrivevi??" chiese allegramente Nathan mettendosi al suo fianco.
"Nessuno che conosci..." mentì Rachel "...mi stavo solo organizzando il pomeriggio!" aggiunse. Menzogna e verità vanno sempre mescolate perché la prima risulti credibile. Era una cosa che aveva imparato alle lezioni di improvvisazione di Keaton.
Camminarono insieme lungo il corridoio, mentre Nathan si lamentava della lezione di Educazione Fisica verso cui era diretto. Rachel assecondò i suoi discorsi, ascoltandolo come si ascolta una stazione radio casuale. Le serviva un sottofondo, qualcosa che superasse quello prodotto dai suoi pensieri. Per questo decise di accompagnarlo per un po', non voleva andare subito in classe e sedersi al banco sola con sé stessa. Superarono le doppie porte che dal corridoio dava nell'atrio della Blackwell, quando una voce acuta arrivò da sinistra.
"Nathan!"
Rachel lo vide arrossire e rimpicciolirsi, mentre Samantha Myers si avvicinava. La ragazza aveva ancora il gesso e camminava in modo strano, più rigido del normale. Probabilmente sotto la camicetta bianca e il maglione blu c'erano delle strette fasciature per le sue costole non ancora guarite. Rachel provò un moto di tenerezza nel vedere lo sguardo che i suoi occhi verdi lanciarono a Nathan. Era così apertamente cotta di lui...
"Ciao Samantha..." disse Nathan timidamente.
"Io... volevo accompagnarti..." disse lei altrettanto incerta, notando la presenza di Rachel. Erano adorabili, dopo quasi un mese di frequentazione erano ancora così timidi l’uno con l’altra!
"Oh... ciao Rachel! Sembri stare meglio!" tentò di rimediare la ragazza.
"Infatti è così, a quanto pare una coltellata non è poi una gran cosa!" scherzò Rachel.
"Già... Cioè! Non volevo dire che non fosse grave... io..."
Rachel si trattenne dal roteare gli occhi. Era davvero una giornata pessima se non riusciva a sopportare nemmeno un'innocente creatura come Samantha.
"Non preoccuparti Sam. Ho capito cosa intendevi!" le ammiccò con un sorriso dovuto.
"Io dovrei andare o farò tardi..." disse Nathan.
"In effetti anch'io" rispose Rachel "Lascio voi due piccioncini alla vostra passeggiata..." ammiccò, scatenando il rossore sui loro volti. Fu divertente!
Mentre i due si allontanavano, con Samantha che allungò la mano sana cercando quella di Nathan, Rachel tornò sui suoi passi per dirigersi verso l'aula di Chimica.
Raggiunta la porta, trovò ad attenderla qualcuno che sperava di evitare.
"Hey Amber!"
Marisa Rogers, affiancata come sempre da Sarah, sfoggiava un caschetto nero fresco di parrucchiere, la sua camicia bianca firmata, un paio di shorts e una borsetta rossa a tracolla, probabilmente di Gucci. Si era calata davvero nella parte da quando aveva accesso alle feste del Vortex Club, pur non facendone davvero parte. Uscire con loro ed essere invitata alle feste era uno dei vantaggi dello scoparsi un membro del Club!
"Hey Rogers!" rispose Rachel senza entusiasmo "Non sapevo avessi Chimica oggi."
"Io no, ma tu si!" replicò lei con fare astuto.
"Mi stalkeri?"
"Mi tengo aggiornata!" si vantò Marisa e a quelle parole Sarah aggiustò il suo peso sulle gambe e distolse lo sguardo. Rachel davvero non capiva quella sorta di rapporto che avessero. Inoltre la infastidiva vedere Sarah ancora al fianco di Marisa dopo che aveva partecipato al pigiama party di Dana. Sembrava incoerente… come se le persone fossero coerenti del resto.
La vita...è un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore, e senza alcun significato
Shakey ha sempre le parole giuste!


"Ti vedo perfettamente guarita!" cinguettò Marisa. Era la stessa persona che aveva diffuso fake news sulla sua aggressione e altre peggiori per metà del secondo semestre e ora si comportava come niente fosse. Era perfettamente normale in quel gioco di potere liceale, così simile alla politica, in cui menzogna e dissimulazione erano le basi. La differenza era che stavolta, la pazienza di Rachel era molto esigua.
"Il braccio sta bene. Grazie dell'interesse!" le rispose con neutra cordialità.
"In realtà eravamo tutti così preoccupati. Abbiamo sentito voci terribili, per un po' si temeva addirittura che fossi morta!" il tono artificiosamente amichevole di Marisa era sempre più snervante.
"Non ti libererai di me così facilmente!" Rachel ammiccò.
"E' una minaccia?" scherzò, ma non troppo, Marisa.
Rachel fece spallucce: "Senti, mi piacerebbe tanto chiacchierare con te, ma ho lezione quindi... se vuoi scusarmi..." e tentò di superarla.
"La prof Grant ancora non è arrivata, che fretta c'è?" Marisa le si parò davanti costringendola a fermarsi. Quel gesto le scatenò un moto di frustrazione e rabbia, i pugni di Rachel si strinsero e fece un passo indietro.
Marisa la squadrò in un istante e inarcò un sopracciglio: "Che ti prende? Stai bene?"
"A meraviglia. Hai bisogno di qualcosa?" il tono di Rachel si fece più teso nello sforzo di mantenersi in controllo.
"Mi sembri turbata!" incalzò Marisa, che non seppe trattenere un mezzo sorriso.
Rachel si stava rapidamente stufando di questa pantomima e capiva perfettamente il punto cui voleva arrivare Marisa. La stava provocando, cercava una reazione in un luogo pubblico della scuola, qualcosa di cui si potesse poi spettegolare. E avrebbe voluto darglielo, sotto forma di una testata che frantumasse il suo nasino perfetto e la tenesse lontana da lei almeno qualche giorno! Ma non lo fece. Respirò profondamente e seguì il flusso:
"Puoi biasimarmi? Ho passato un brutto momento." disse Rachel con serietà "E oggi non sono proprio in vena di giochetti da liceo!"
"Non sto giocando, anzi vorrei offrirti il mio aiuto!" disse Marisa con tono artificiosamente amichevole.
"Pff... tu offri aiuto a me? Prima della Tempesta sembravi molto felice di avermi soffiato il ruolo, anche se non ti eri nemmeno preparata le battute. Per fortuna che Chloe ti ha fatta ragionare o avresti mandato a puttane lo spettacolo." la voce di Rachel era mortalmente bassa, ma carica di veleno. Marisa e Sarah sgranarono gli occhi.
"Prima di tutto, io non ti ho soffiato il ruolo. L'avevi perso tu andando dietro a quella delinquente, che casualmente e solo in quell’occasione ha avuto ragione su un paio di cose… Il teatro è una dannata perdita di tempo! Non mi sembra comunque che la vostra amicizia ti stia facendo molto bene visto che sei finita prima in un covo di criminali e poi in ospedale. Ma i gusti sono gusti, giusto?" replicò Marisa con voce decisamente più squillante.
"Almeno io ho degli amici veri..." Rachel lanciò uno sguardo a Sarah prima di tornare su Marisa "...e non ho bisogno di scoparmi qualcuno per farmi invitare alle feste."
"Hah! Qualcuno oggi ha dimenticato le sue medicine. Ci passo sopra solo perché hai subito un trauma."
"Come sei gentile. Ora devo proprio andare in classe..." disse Rachel, superando Marisa e Sarah con passo deciso.
"Goditi la lezione..." bofonchiò Marisa alle sue spalle "Anche se mi hai detto delle cattiverie, ti terrò un posto in zona Vip al Vortex Party di fine anno. Penso davvero che ti aiuterebbe a rilasciare un po' di quell'energia negativa che hai dentro..."
Rachel sospirò, si bloccò dopo pochi passi all'interno dell'aula di Chimica e si voltò stancamente:
"Grazie dell'invito. Ci penserò..."
Rachel andò a sedersi al suo posto e, quando guardò verso la porta, Marisa era scomparsa. Sistemò il suo zaino ai piedi della sedia, tirò fuori libri e materiale, sistemò l'attrezzatura per gli esperimenti. Megan era seduta in fondo alla classe, la salutò e si trasferì nel banco accanto al suo per la lezione. Rachel ne fu felice. Non le andava di stare sola. Glissò quando Meg le chiese lumi sul diverbio con Marisa, invece deviò il discorso chiedendole come andassero i suoi tentativi di entrare al Blackwell Totem. Meg le rispose entusiasta che stava ultimando l’articolo di prova da inviare in redazione e che poi le avrebbero fatto sapere. Incrociarono le dita sorridenti.
Finalmente arrivò la prof Grant e Rachel poté finalmente concentrarsi su qualcos'altro.
 
-
 
"Sa essere una vera troia..." fu il commento stizzito di Steph.
"Già. Poi oggi non è davvero giornata!" disse sospirando Rachel, mentre rovistava con la forchetta nella sua insalata. L'aveva presa in Caffetteria giusto per riempirsi lo stomaco, ma non aveva granché fame e soprattutto non aveva voglia di stare là dentro, circondata da un'orda di studenti, alcuni dei quali sarebbero sicuramente venuti a parlarle. O semplicemente l'avrebbero fissata da lontano parlando di lei. L'avrebbero fatto comunque, ma almeno non li avrebbe visti né sentiti. Aver incontrato Steph era stata una manna ed erano migrate insieme all'esterno del campus, su uno dei tavoli da picnic sul lato Dormitori.
"Lo vedo..." commentò Steph "Ti direi che sono qui se hai bisogno, ma l'ho già detto mille volte quindi... lo sai già!" continuò cercando di essere giocosa.
Rachel le sorrise e allungo una mano verso di lei. Steph fu colta alla sprovvista da quel gesto, ancora di più quando la mano di Rachel strinse la sua con calore. Questo era insolito, ma ricambiò.
"Grazie Steph. So che ci sei e questo mi tranquillizza. Io... faccio solo fatica ad aprirmi, ma non vuol dire che non mi interessi."
Rachel lasciò la presa sulla mano e Steph provò un istantaneo senso di vuoto per quel distacco. Si scambiarono un sorriso e Steph si seppellì nel suo sandwich, mentre Rachel tentò di mangiare un po' di fogliame condito.
"Programmi per l'estate?" Steph cambiò rotta.
"Ancora no, anche se sto seriamente pensando di fare un salto al Vortex Party..."
"Davvero??"
"Si beh... con tutto il casino che è successo credo che mi serva davvero un po' di divertimento fine a sé stesso." Rachel fece spallucce.
"Immagino di sì! Ci porterai Chloe?"
"Pff... dovrei legarla per riuscirci!" sghignazzò Rachel.
"Forse ti serve del cloroformio prima, non si farà legare così facilmente!" scherzò Steph, felice che Rachel si stesse spostando in un luogo più luminoso.
Con la coda dell'occhio notarono qualcuno avvicinarsi e si voltarono. Era Sarah.
Steph si raddrizzò immediatamente, irrigidendosi come se dovesse combattere o fuggire. Rachel continuò a masticare svogliatamente la sua insalata.
"Ciao..." disse Sarah con un filo di voce e fu salutata di rimando da entrambe. "Posso sedermi con voi?" 
"Certo!" annuì Rachel facendole spazio sulla panca.
Sarah si sedette, appoggiando uno zainetto verde acqua accanto ai piedi, disseminato di scritte in calligrafia morbida. La ragazza si sentiva gli occhi addosso, e in effetti Steph la fissava con curiosità e un pizzico di diffidenza. 
"Non avevo voglia di stare là dentro..." rispose ad una domanda che nessuno le aveva rivolto, mentre estraeva dei sandwich accuratamente imbacchettati dallo zaino "da quando Marisa esce con quelli del Vortex Club è... difficile... a proposito mi dispiace per prima" concluse rivolgendosi a Rachel, che deglutì il suo boccone e si voltò per guardarla negli occhi.
Sarah si strinse incerta nel suo maglioncino ocra, sotto il quale indossava un'ampia maglietta con la Union Jack.
"Che c'entri tu? È con Marisa che ho discusso." disse Rachel. Questa conversazione le ricordò in modo incredibile una che ebbe con Kelly. Anche allora Steph era con lei e anche allora Kel si scusò per qualcosa che aveva fatto Marisa. Rachel sorrise fra sé per l’ironia della sorte…
"Lo so, ma... uff... mi sento responsabile. L'ho spalleggiata, le do sempre corda. Anche quando non dovrei..." Sarah si massaggiava il braccio e vagava qui e là con lo sguardo.
Steph era stupita e guardava alternativamente Sarah e Rachel, mordicchiando il suo pranzo come fosse al cinema.
"Allora perché la frequenti?" chiese Rachel a bruciapelo.
"Perché... Beh ultimamente non lo so!" ammise Sarah liberando finalmente il suo pranzo da plastica e stagnola "Cioè... quando ci siamo conosciute non era così. Penso che non sia stronza come vuole mostrare, ma ultimamente è troppo ossessionata da quel fottuto Club."
Rachel e Steph la ascoltarono con lo stupore dipinto in volto. Steph non conosceva Sara, ma Rachel sapeva che non si era mai espressa in questi termini su Marisa. Forse il vento era cambiato anche per lei? Forse si era stufata di essere una sgherra e di frequentare qualcuno solo per i benefici sociali che questo comporta? O forse stava cercando di fare amicizia con lei proprio per quel motivo? Rachel si stupì del suo stesso cinismo. Non era abituata ad esserlo.
"Quindi ti stai sedendo con noi per farla pagare a Marisa, farla ingelosire o roba simile? "provoocò Steph.
"No no... io ..." Sarah partì in quarta tentando di elaborare una giustificazione, ma si fermò quando vide un sorriso subdolo stampato sul viso di Steph. Rachel fece una risatina e Sarah si rasserenò.
"Mi prendi in giro..." constatò con un mormorio infantile che la circondò di un'aura di dolcezza.
"Abituatici, se conti di sederti con noi più spesso..." ammiccò Steph.
"Steph è abile nello sfruttare le tue debolezze per prenderti per il culo. Andrete d'accordo!" scherzò Rachel, inserendo più o meno consapevolmente una velata frecciatina all'amicizia di Sarah con Marisa.
Se la ragazza bionda se ne accorse non lo diede a vedere.
"A proposito… ora che simpatizzi col nemico, Marisa non ti punirà per questo affronto?" la incalzò Steph.
"Non lo so... probabilmente mi aspettano dieci o quindici frustate!" la assecondò Sarah, più a suo agio.
Tutte e tre scoppiarono a ridere.
 
-
 
[Chloe]
  • In posizione!
[Rachel]
  • 10 minuti e arrivo!
[Chloe]
  • Stai firmando autografi?
[Rachel]
  • Qualcosa del genere.
[Chloe]
  • Ok Drama Queen! Aspetto!
 
Chloe appoggiò il telefono sul cruscotto e si accomodò di traverso sui sedili del pick-up. Abbassò il finestrino passeggero, vi appoggiò i piedi e si accese una sigaretta. Mentre una nuvola di fumo si sollevava intorno a lei pensava al pomeriggio che si prospettava. Non vedeva l'ora di mostrare a Rachel come aveva sistemato il loro rifugio. Mentre era a scuola, Chloe era andata alla discarica e aveva proseguito il restauro della struttura in rovina, che doveva essere ciò che rimaneva di un casello ferroviario o qualcosa del genere. A guardarlo bene, non era mai neanche stato completato, ma almeno le pareti erano stabili! Il problema era il soffitto, che praticamente non c’era. Ci aveva pensato Chloe, e ne era così fiera!
Sperava davvero che l’umore di Rachel fosse migliorato rispetto a quella mattina, ma se così non fosse stato era piuttosto sicura che un pomeriggio di relax e birre lontano da tutti avrebbe fatto il suo lavoro.
Spaparanzata sui sedili, Chloe si esercitò a produrre anelli di fumo. Era un’arte che non riusciva a perfezionare, ma questo non l’avrebbe fermata. Alzò lo sguardo verso la Blackwell, era parcheggiata proprio davanti al campus nello stesso punto in cui aveva scaricato Rachel al mattino. Sulla cima delle scale vide spuntare la sagoma impettita del preside Wells, con il classico cipiglio truce incollato sul viso. Pochi istanti dopo, dietro di lui apparve Rachel e il viso le si illuminò. Chloe le fece un cenno di saluto. Rachel sembrava davvero ansiosa di levarsi di mezzo, correva e nella fretta urtò Wells. Con una giravolta aggraziata gli rivolse un cenno di scuse, per poi percorrere le scale e guadagnare in pochi secondi la portiera del passeggero. Chloe spense la sigaretta sul cruscotto e la gettò fuori, aprendo la portiera e slittando al posto di guida. Rachel si gettò a bordo, sistemando lo zaino nero fra le gambe. Chiuse la portiera e Chloe mise in moto.
"Scusa il ritardo!" ansimò Rachel.
"Non lo so... dovrai farti perdonare!"
Rachel le lanciò uno sguardo astuto, poi si voltò verso Wells e lo salutò con un sorriso generoso.
Chloe partì, notò che Rachel salutava calorosamente il Preside, così pensò fosse una buona idea imitarla. Mentre la macchina partiva fece per mandare un bacio all'uomo, mostrandogli invece il dito medio con un sorrisone stampato sul viso. Rachel la notò e si mise a ridere.
"Lo sai che quello è l’uomo che potrebbe trasformare la tua sospensione in espulsione?" disse sghignazzando Rachel.
"Giusto! Perché io non vedo l'ora di tornare alla Blackwell!" commentò Chloe.
“Sarebbe un peccato sprecare la mia performance di quella mattina non credi?”
“Mmmmh… forse hai ragione!” concesse Chloe.
“Come sempre!” si vantò Rachel
Il giorno dopo aver colto James Amber con le mani nel sacco ed aver… incendiato per sbaglio Culmination Park, Rachel e Chloe si erano trovate nell’ufficio di Wells per rispondere della loro bigiata. Ma anche senza quell’aggravante, Chloe sarebbe comunque stata lì quella mattina, convocata da Wells per aver riempito di murales il parcheggio della Blackwell. Aver coinvolto Rachel nel saltare la scuola era la goccia che l’avrebbe condotta all’espulsione, ma Rachel si prese la colpa di aver costretto Chloe a saltare la lezione (la verità in fondo, anche se la parola “costretto” non era proprio adatta!), discolpandola almeno di quello. Ma non l’aveva comunque salvata dalla sospensione per i murales. Cosa che tutto sommato non era affatto dispiaciuta a Chloe! Con tutto quello che era successo non era nemmeno stata punita!

“Allora? Dov’è la sorpresa?” chiese Rachel
“Oh… lo vedrai! Discarica?” disse Chloe senza nascondere l’eccitazione e l’aspettativa. Rachel si incuriosì e dopo l’overdose di socialità Blackwelliana, isolarsi con Chloe era davvero una boccata d’ossigeno.
“Va bene! Ma prima passiamo a prendere qualche provvista!”
“Certo!” esultò Chloe “Tu invece? Com’è andato il rientro?” Rachel intanto armeggiava con la radio, girando la manopola in cerca di una stazione con musica decente.
“Come previsto. Lezioni, chiacchiere inutili, domande sul mio braccio. La Blackwell non è la stessa cosa senza di te!” disse Rachel sbattendole le ciglia. Lasciò stare la radio quando trovò una canzone dei PissHead. Sembrava Nothing Wrong. Ormai si sentiva in continuazione!
Chloe iniziò a tenere il ritmo battendo le dita sul volante: “Anche tu rendevi quel posto meno merdoso… ma solo un po’!”
“Wow! È esattamente il genere di cose che una ragazza vuol sentirsi dire!” Rachel mise un broncio plateale, che si trasformò in risata quando Chloe le fece una linguaccia.
“Uffh… sono decisamente felice di essere fuori da quell’inferno… almeno fino a settembre!” commentò Chloe.
“Ah però qualcosa degno di nota è successo! Ho mandato affanculo Marisa!” Rachel si mise di traverso sul sedile per potersi voltare direttamente verso Chloe.
“Dettagli!”
“Marisa si era appostata fuori dall’aula della prof Grant insieme a Sarah. Si è messa a fare MariSuck come suo solito, con il tono finto preoccupato e amichevole, le ho fatto notare quanto era stata stronza con me prima della Tempesta e quando ha insinuato che tu sia una cattiva influenza le ho fatto notare che almeno io non devo scoparmi nessuno per farmi invitare alle feste!”
“Boom! Cazzo avrei voluto esserci!” commentò Chloe dando un colpo al volante.
“Già… La sua faccia sconvolta ha reso la giornata più sopportabile. Più tardi poi ho pranzato con Steph e Sarah è venuta da noi. Sembra che anche le stia abbandonando la nave Marisa”
Chloe ascoltò i racconti di Rachel, seguendo l’intreccio quanto bastava per non perdere il filo e mantenere l’auto in carreggiata. Di tutto questo, oltre al fatto che a Marisa fosse tornata indietro almeno un po’ della sua merda, notò soprattutto che Rachel era più tranquilla. E questo le regalò una felice sensazione di sollievo. Se lei era felice, la giornata era migliore!
“Ah! Siamo invitate al Vortex Party di fine anno!” concluse Rachel con allegria.
“Siamo?” chiese sospettosamente Chloe.
“Beh, se lo sono io lo sei anche tu! Non vorrai lasciarmi andare da sola vero?” Rachel mise un po’ di pathos nel suo tono.
“Non eri quella che snobbava il Vortex Club?” protestò Chloe.
“Si, però dopo tutto quello che abbiamo passato, una festa come si deve mi sembra necessaria…”
“Mmmh…” grugnì Chloe senza aggiungere altro.
“C’è tempo per pensarci comunque. Nemmeno io sono sicura.”
“Se hai bisogno di rilassarti possiamo sempre fare una fuga a Portland, alloggiare in un motel scadente e sbronzarci una sera sì e l’altra pure.” commentò Chloe.
Rachel ridacchiò. “E i soldi?”
“Non eri tu che ti vantavi di avere un tesoretto da parte?” pungolò Chloe.
“Pensavo fossero i risparmi per la fuga definitiva!” Rachel strinse gli occhi.
“Si beh… magari un paio di centoni li possiamo spendere in alcol e divertimenti scadenti.”
Rachel scoppiò a ridere e lasciò cadere l’argomento.
Non era indispensabile parlarne ora e lasciò che le chiacchiere deviassero verso un piacevole, leggero nonsense.
 
-
 
Rachel fu davvero colpita dal lavoro di Chloe. Prima di tutto il rifugio alla discarica era molto più sgombro e 'pulito' rispetto alla loro ultima visita. Le latte di vernice abbandonate, il barile arrugginito, sacchi e scatoloni erano spariti. Era rimasta solo la bobina di legno, ora disposta in orizzontale come un tavolino. Chloe aveva allestito delle panche usando assi di legno e mattonelle di cemento, creando quello che a tutti gli effetti sembrava un salotto. Era ancora molto spoglio, ma c'era tutto il tempo di personalizzarlo. Inoltre, ora c'era un tetto! Le parti di soffitto mancante erano state ricoperte dall'esterno con assi di legno e altro materiale idoneo. Finalmente erano al sicuro dalle intemperie! Più o meno…
Chloe doveva aver faticato parecchio per ottenere quel risultato, soprattutto arrampicandosi su e giù dalla struttura. Inaugurarono il nuovo boudoir con birra e sigarette, la radio sintonizzata su Oregon Rock Station.
Le panche si rivelarono ottime per sdraiarsi. Trascorsero ore là dentro facendo piani per l’estate. Parlarono di concerti cui potevano imbucarsi e film che volevano andare a vedere. Cantarono e ballarono quando suonava la canzone giusta. Con la mazza che Chloe aveva trovato il primo giorno, giocarono a Baseball con le lattine di birra vuote e un paio di volte Chloe mancò malamente i lanci di Rachel, franando al suolo dopo un giro su sé stessa. Quando ci provò Rachel mancò ogni lattina tranne la prima. Si ritrovarono sporche di fango a causa delle cadute e risero come delle idiote.
Rachel finalmente si sentiva a suo agio. All'inizio non era convinta di quel posto, ma la forma che Chloe gli aveva dato era accogliente e la discarica stessa, circondata dal bosco, con il faro in lontananza, era avvolta da una placida tranquillità. O forse era solo perché condivideva quei momenti con Chloe.
Esplorarono la discarica come Chloe avrebbe voluto fare il primo giorno. In effetti fu molto divertente e trovarono altri pezzi d’arredamento per il rifugio! Chloe rinvenne una targa con scritto “Parental Advisor” che caricò entusiasta sul pick-up.
“Questa finisce dritta in camera mia!” disse gioiosamente!
“Sei un contenuto per adulti Price!” la schernì Rachel.
Non le sfuggì, però, che Chloe si teneva a distanza da uno specifico rottame di auto, evitando persino di guardarlo. Decise di non chiedere. Non voleva rovinare l’atmosfera. Entrambe stavano riuscendo con successo a star lontane dalle zone d'ombra del loro animo. Ne avevano pieno diritto, oltre che bisogno!
Si arrampicarono sul relitto della barca e Chloe l'aiutò a raggiungere il tetto della cabina di comando. Da lassù si dominava la discarica e Rachel provò un senso di forza e giocosa soddisfazione, come quando da bambina scalava le pareti d'allenamento a scuola, raggiungeva la cima e guardava la palestra dall'alto. Da lassù si vedeva perfettamente il faro che dominava la scogliera. Propose a Chloe di andarci e lei accettò senza esitare.
Era tardo pomeriggio, le ombre si allungavano e si era alzato un venticello pungente. Rachel tirò fuori dallo zaino una giacca nera e la indossò, sostituendo la camicia viola che portava. In dieci minuti si erano già inoltrate lungo il sentiero che da un piccolo parcheggio vicino alla strada conduceva fino al faro. Non era un tragitto lungo, circa mezz'ora di cammino con una pendenza leggera, ma Rachel e Chloe non avevano fretta. Camminarono tranquillamente l'una accanto all'altra, godendosi lo stormire del fogliame tutt'intorno, il bisbigliare della natura tutt’intorno a loro. Entrambe si paralizzarono quando una cerva balzò dalla boscaglia alla loro sinistra, attraversò il sentiero con un balzo e svanì tra gli alberi dal lato opposto. Fu questione di pochi istanti, ma Rachel ebbe la certezza che l’animale l’avesse guardata dritta negli occhi. Rimase immobile a fissare il punto in cui era sparita, aguzzando l’udito nel tentativo di rintracciarla, di capire quanto ancora fosse vicina. Di non perdere il contatto.
Chloe non poteva fare a meno di ricordare tutte le volte che aveva percorso quella strada con Max, le corse su e giù giocando ai pirati, immaginando il faro come una fortezza nemica da espugnare e saccheggiare. Ricordò l'ultimo week end d'agosto del 2007, Joyce e William erano in spiaggia godendosi il sole, mentre Max e Chloe giocavano non troppo distanti da loro. Con il faro in lontananza e il ritorno a scuola che incombeva, ebbero la brillante idea di darsi alla macchia. Raggiunsero la cima della scogliera dopo quasi un’ora di cammino, senza aver detto niente a nessuno. Fu solo molto più tardi che William le ritrovò. Ricordava ancora l'espressione spaventata di suo padre, il sollievo sul suo viso quando le vide. Fu una delle pochissime volte che Chloe ricordava di essere stata sgridata da William. Max tentò di prendersi la colpa, ma lui non abboccò e mise Chloe in punizione per due settimane. Lei gli rise in faccia, ma alla fine rimase davvero in castigo. Ne era valsa comunque la pena. La condanna fu comunque ridotta di una settimana per buona condotta!
"Pensierosa?" la voce di Rachel la strappò ai ricordi.
"Eh?" bofonchiò Chloe.
"Avevi la faccia da nostalgia..." insistette Rachel.
"Si beh... Io e Max venivamo spesso al faro d'estate..."
Rachel annuì, scostandosi i capelli dietro l’orecchio.
"Abbiamo sistemato la mia camera, ma è difficile mettere il faro e mezza Arcadia Bay in una scatola..." scherzò Chloe.
"Già. In questo caso dovremo creare tanti nuovi ricordi memorabili!" le sorrise Rachel prendendola a braccetto.
"Suona molto bene..." commentò Chloe con un sorriso.
La mano di Rachel scivolò in quella di Chloe, che sobbalzò sorpresa. La sua stretta fu morbida e accogliente e la costrinse a fermarsi. Si trovarono a fissarsi negli occhi, nella luce del tramonto, le ombre delle fronde danzavano sui loro visi. Riflessi d’ambra rendevano ancora più preziosi gli occhi di Rachel che la fissavano furbi e felini. Poi, improvvisamente, lei si alzò in punta di piedi, l’altra mano scivolò sul fianco di Chloe e le loro labbra si incontrarono. Chloe rispose al bacio e non ci volle molto prima che le lingue facessero capolino, accarezzandosi dolcemente. E Chloe sprofondò in un oblio ambrato, luminoso e caldo, mentre il suo intero essere vibrava.
Quando si separarono rimase per alcuni secondi immobile con le labbra e gli occhi socchiusi, mentre Rachel le lasciava la mano e le sorrideva quasi beffarda.
“Tutto bene?” le chiese con una risatina.
“S-si… ma cos’è stato?” balbettò Chloe.
“Credo che tecnicamente si chiami ‘bacio alla francese’!” spiegò Rachel mantenendo quell’espressione di scherno.
“Si, lo so cos’è… intendo, perché?” Chloe era confusa. Era successo solo altre tre volte prima di quella, l’ultima in camera sua quando Rachel le aveva "comprato" le sigarette. I baci erano tornati ad essere una cosa che facevano? Non riusciva a pensare, aveva ancora il suo sapore sulle labbra. C'erano tante altre cose che avrebbe voluto fare....
“Pensavo che lo volessi…” disse Rachel avvicinandosi di nuovo “Volevo renderti felice. Non ti è piaciuto?”
“No, cioè… io… certo che mi è piaciuto! Sei una grande baciatrice!” Chloe lottava disperatamente per ricomporre la sua mente di zucchero filato.
“Bene! Anche tu non sei niente male!” ammiccò Rachel avviandosi di nuovo lungo la salita.
Chloe rimase ancora alcuni istanti sul posto, grattandosi la testa e fissando Rachel che si allontanava trotterellando lungo il sentiero. Dopo alcuni metri si voltò verso di lei:
“Allora lumaca! Ti muovi?” e partì di corsa.
Chloe sospese l’attività mentale, che comunque non era così efficiente, e partì all’inseguimento. Percorsero le ultime svolte del sentiero trotterellando come bambine, rincorrendosi e fermandosi solo per riprendere fiato, un po’ più spesso di quanto avrebbero voluto. Fottute sigarette!
Il bosco cominciò a farsi sempre più rado, finché sbucarono sulla cima della scogliera. Il faro si stagliava contro il cielo blu nella calda luce del tramonto. Un corvo gracchiò da qualche parte.
Rachel e Chloe passarono accanto all'area falò, dove delle braci ancora calde e alcune bottiglie vuote indicavano che qualcuno era stato lì non molto tempo prima. Si guardarono intorno, quel punto era sempre meraviglioso. Da un lato Arcadia Bay, dall'altro la costa selvaggia dell'Oregon, con i boschi che si estendevano fino a poche decine di metri dalla spiaggia. L'oceano Pacifico disegnava l'orizzonte guardando a ovest. Sembrava non finire mai. Le due rimasero in silenzio, contemplando e ascoltando. Le onde si infrangevano contro gli scogli alla base della scogliera, il vento sibilava nelle orecchie e smuoveva i rami dei pini. Il profumo di salsedine riempiva le narici.
"E' davvero meraviglioso qui..." disse Rachel dirigendosi alla panchina.
"Totalmente..." annuì Chloe, lanciando uno sguardo al tronco d'albero su cui era intagliato 'Max e Chloe Pirates 2008'. Ricordava il giorno in cui lo incisero. Scosse la testa e seguì Rachel, che intanto si era seduta.
Chloe si mise accanto a lei, seduta con un piede sulla panchina. Lo sguardo di Rachel era perso verso l’orizzonte. Chloe si accese una sigaretta e guardò oltre la scogliera. Arcadia Bay da lassù era così piccola, così insignificante. Spuntava a malapena dalla distesa verde dei boschi. Chloe si stupì che un posto così minuscolo sembrasse così insormontabile, come un muro troppo alto.
“Una volta dovremmo organizzare un falò qui! Ci sono venuta alcune volte con Ruth, di notte qui è meraviglioso!” disse Rachel.
“Ruth?” Chloe si massaggiò il mento mentre rimuginava su quel nome familiare.
“Te l’ho presentata al concerto dei Firewalk.”
“La tipa attivista?”
Rachel sghignazzò: “Lei! Hai un dono per riassumere le persone in due parole! Mi domando come descriveresti me a qualcuno!”
Quella era una domanda difficile. Non perché a Chloe sarebbero mancate le parole, ma perché ne avrebbe avute troppe! Come avrebbe potuto descrivere Rachel Amber a qualcuno? Lei era la scintilla che accendeva il fuoco; era il calore che aveva ridato un senso alla sua vita; il significato nel susseguirsi di giornate altrimenti vuote; era lo spicchio di cielo azzurro che intravedi oltre la coltre di nuvole in un giorno d'inverno...
Forse un giorno sarebbe riuscita a trovare una parola per descriverla. Ma non quel giorno...
“Non so… probabilmente saresti la tizia dell'orecchino con la piuma blu!” scherzò.
“Pfffh… il mio orecchino è la cosa che si nota di più di me??” Rachel sghignazzò fingendosi offesa.
Chloe si accese una sigaretta con espressione sorniona e scrollò le spalle senza replicare. Rachel le diede un buffetto sulla gamba sollevata, facendole perdere l’equilibrio e scoppiarono a ridere. Poi, sul volto di Rachel calò nuovamente la malinconia.
"Grazie di non avermi fatto pressioni..." disse Rachel.
Chloe capì subito di cosa stesse parlando. Da quando si erano svegliate nello stesso letto quel mattino e per tutto il pomeriggio, Chloe aveva lottato con sé stessa per non chiedere nulla riguardo l’ennesimo scontro delirante con James Amber. Sapeva che Rachel aveva i suoi tempi per elaborare le cose, ma era comunque un’impresa epica impedire alle parole di uscire.
"Nessun problema." Glissò
Rachel si piegò in avanti, appoggiandosi alle ginocchia coi gomiti. Fece un profondo sospiro.
"Ieri con mio padre è stato... inaspettato e... orribile. Ma mi ha aperto gli occhi." cominciò. Chloe rimase in silenzio, in avida attesa "Ormai la mia vita è diversa. Questo mese è stato come se mi fossi svegliata da un sogno per scoprire che la realtà era una merda totale. Neanche il sogno era un granché comunque…"
Chloe abbassò il capo. Ripensava spesso al suo incontro con Sera, alle parole della donna. Aveva scelto di non ascoltarla e dire la verità a Rachel, che da allora aveva sofferto ancora di più. Vedere il dolore di Rachel e il suo mondo andare in pezzi l’aveva ferita e poteva biasimare solo sé stessa per non averla protetta. Tuttavia, non sentiva di aver sbagliato. Era giusto che conoscesse la verità. Al suo posto avrebbe voluto così. Giusto? Non c’era una terza opzione in cui tutti sarebbero stati felici… qualcuno doveva soffrire. Rivelando la verità avevano sofferto tutti. Non sembrava giusto, ma neppure sbagliato… era solo un cazzo di casino.
"Sono felice che tu sia entrata nella mia vita. Senza di te non avrei mai potuto sopportare tutto questo..." proseguì Rachel
"Senza di me probabilmente non ti sarebbe successo nulla..." commentò amaramente Chloe
"No, sarebbe cambiato tutto ugualmente, ma non avrei mai saputo che tipo di persona è veramente mio padre..."
“Forse saresti stata meglio. È orribile vederti soffrire."
Rachel si voltò verso di lei e le sorrise calorosamente: “Sono felice che tu mi abbia detto la verità. Era ciò che volevo... non era ciò che mi aspettavo, ma a quanto pare la vita è strana."
"Hella strana!"
"Finché mi stai accanto so di poter affrontare tutto."
Chloe slittò più vicina e la avvolse dolcemente in un abbraccio laterale. Affondò il viso nei suoi capelli biondi e profumati di fiori.
"Sono qui..." le sussurrò.
Rachel si lasciò cullare dal suo abbraccio.
"Ho deciso che lascerò perdere Sera. Ho già sofferto abbastanza per colpa sua. Sono stanca di star male per una persona che dopo avermi messa al mondo non mi ha creato altro che problemi..."
Chloe fu stupita, ma felice di sentirlo. Rachel non si meritava di continuare a soffrire così, ma del resto la sofferenza non è qualcosa che si merita. È solo qualcosa che capita. Qualcosa che ha a che fare con l’essere vivi.
Rachel continuò:
“Io e te ci meritiamo molto meglio di quello che ci è capitato…” Gli occhi erano lucidi ma brillanti, come fiammelle d’ambra nella luce del sole. Sorrideva. "Andremo avanti insieme. Ci lasceremo alle spalle tutte le cazzate. Manderemo affanculo questa città di merda e tutto il male che ci ha fatto..." la voce di Rachel era leggermente tremolante di commozione, ma completamente determinata.
Il cuore di Chloe si accese a quelle parole. I suoi occhi si inumidirono.
“Cazzo si…” rispose con un filo di voce
Rachel si voltò verso di lei e appoggiò la testa sulla sua spalla, ricambiando l’abbraccio.
Rimasero strette l’una all’altra, mentre il sole all’orizzonte si tuffava nell’oceano e il cielo esplodeva di luce dorata.
Alle loro spalle, dalla cima di un pino, un corvo spiccò il volo.
Planò oltre la scogliera, sorretto dal vento.
Lontano da Arcadia Bay.
 
-
 
“La prima cosa a cui si abituarono fu il ritmo del lento passaggio dall'alba al rapido crepuscolo.
Accettavano i piaceri del mattino, il bel sole, il palpito del mare, l'aria dolce, come il tempo adatto per giocare,
un tempo in cui la vita era così piena che si poteva fare a meno della speranza.”

Il Signore delle Mosche - William Golding
 
Sigur Ros - Glósóli
Now you are waking up
Everything seems different
I look around
But I see nothing at all
 
Tie my shoes so
Is she still in her pajamas?
In a dream she was born
I'm startled
But the sun, is it her?
Where is she? In here?
 
But where are you?...
 
Go for a walk (I go for a walk)
And roam the streets
Can't see a thing (I can't see a thing)
And so I use the stars
She runs endlessly
And climbs out thus
She's the Glowing Sun
And comes out
 
I awake from a dream
To find my heart pounding, my hair tousled
Step out in front of the bed and see filthy shoes
 
And here you are, I'm feeling
And here you are, Glowing Sun
And here you are, Glowing Sun
And here you are, Glowing Sun
And here you are...

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Capitolo 4
*** ++Interludio++ ***


Interludio

 
Ciao mamma,
è strano chiamarti così.
Ho chiamato in questo modo un'altra persona per tutta la vita e ora che so di te è tutto confuso. Si, ho scoperto la verità su di te e su quello che mio padre ha cercato di farti. So che hai incontrato Chloe e che hai deciso di non incontrarmi per proteggermi dalla verità. Chloe mi ha riferito le tue ragioni, ma non le capisco.
So che hai avuto dei problemi e che non hai potuto essere mia madre quando ero piccola. Ma sei cambiata, potevamo avere una seconda chance. Davvero non riesco a capire perché sei scappata, perché hai pensato che lasciarmi ancora con mio padre dopo tutto quello che è successo fosse una buona idea! Ma non posso biasimarti… non del tutto almeno. James ti ha spaventata, deve essere per questo, spiegherebbe anche il perché hai cambiato numero e e-mail. Temevi per la tua vita, che potesse rintracciarti e lo capisco, altrimenti sarebbe stato tutto diverso. Se solo lui non ti avesse tenuta lontana. Se mi avesse detto la verità.
Mio padre si è finalmente deciso a condividere con me le lettere che mi hai scritto (già, non ti ho mai risposto perché me le ha tenute nascoste!). Lo faccio ora visto che l'unica che ho di te è il tuo indirizzo (sperando che sia ancora il tuo).
Hai detto che lasciarmi è stato lo sbaglio più grande della tua vita. Hai detto che non sapere che madre saresti stata è peggio che essere una cattiva madre. Non è troppo tardi. Il passato è passato, abbiamo perso così tanto tempo, ma possiamo rimediare. "Non si può entrare due volte nello stesso fiume" hai scritto (credo l'abbia detto Eraclito a proposito). È vero, le nostre vite sono andate avanti, ma io voglio ancora incontrarti. Mio padre dice che ti somiglio, ma non voglio che guardarmi allo specchio sia l'unico modo per conoscerti. Quando riceverai questa lettera, se lo desideri anche tu, telefonami a questo numero: 555 - 0769
Ti risponderò io e non ci saranno più rischi, te lo prometto.
Hai detto a Chloe di mentirmi, ma sono felice che non l'abbia fatto. La verità fa male (un male fottuto), ma senza di essa come si può vivere una vita autentica?
Quindi ora ti saluto e spero di sentirti presto.
E di vederci…
Un abbraccio
Rachel

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Capitolo 5
*** Wasteland ***


(I prossimi capitoli fanno parte di un salto indietro nel tempo. Ho sentito la necessità di esplorare il passato di Rachel e Chloe prima degli eventi di Before the Storm, ma anche di sistemare il casino di incongruenze canoniche che ha fatto la Deck Nine con quel gioco! Nei prossimi capitoli ho cercato di raccontare una storia più in linea con i fatti del gioco originale, facendo un po' di "ordine" prima di tornare al "presente" post BtS con Chloe e Rachel.
In questo capitolo racconterò la vita di Chloe nel periodo tra la morte di William e poco prima dell'incontro con Rachel.
In quello successivo ho tentato di immaginare ed esplorare la backstory di Rachel, immaginando come sia diventata la persona che era fino all'incontro con Chloe.
Poi seguiranno due capitoli in cui mostro finalmente la nascita e lo sbocciare della loro amicizia, utilizzando alcuni eventi chiave di BtS, personaggi noti e altri non noti (pochissimi del tutto inventati). Ho voluto dipingere uno scenario plausibile fino al giorno in cui Chloe e Rachel balzano su quel treno per andare a Culmination Park e dare avvio alla storia di Before the Storm. Da lì in poi gli eventi di BtS si sono svolti più o meno come nel gioco.
Spero che vi piaccia e se vi va lasciatemi un feedback.

Buona lettura!)


Wasteland

“Take the worst situations
Make a worse situation
Follow me home, pretend you
Found somebody to mend you
 
I feel numb
I feel numb in this kingdom
I feel numb
I feel numb in this kingdom”
Numbers - Daughter
 

Chloe non riusciva a dormire.
Nel letto, avvolta dalle lenzuola, si sentiva soffocare. Il tessuto contro la sua pelle era come carta vetrata, faceva troppo caldo, ma quando si scopriva si sentiva congelare. Non sapeva cosa fare. Si rigirava disperatamente alla ricerca di un po’ di comfort.
Che non sarebbe arrivato.
Nell'ampio letto c'erano numerosi fazzoletti di carta pieni di lacrime. Chloe, però, aveva smesso di piangere. Per ora.
Diede un'occhiata alla sveglia luminosa vicino al letto.
1:13
Non era mai stata alzata così tanto. Non senza Max comunque.
Quella mattina era stata l'ultima in cui si era svegliata fianco a fianco con la sua migliore amica. Prima del funerale di suo padre. Chloe ricordava i tre giorni precedenti a sprazzi, come si ricorda un sogno. Non era nemmeno sicura che fossero realmente accaduti. Tutto era sfocato, ovattato…
Cosa aveva mangiato?
Probabilmente la pizza che i Caulfield avevano portato la sera il giorno dell'incidente. Quel giorno William le aveva promesso la sorpresa al salmone di Joyce... aveva passato il pomeriggio pregustandola, giocando ai pirati con Max, finché sua madre non era rientrata a casa in lacrime, ancora con la divisa del Two Whales, accompagnata dall'agente Berry.
Era... un incubo. Ma non si poteva svegliare.
Suo padre era morto.
Morto…
La morte era un concetto su cui si era interrogata altre volte. Qualcosa con cui aveva un pessimo rapporto. Ricordava da bambina quando era morto il suo pesce rosso Calico Jack. Non aveva nemmeno potuto dirgli addio. Quando sua madre gliel’aveva detto le spiegò che era saltato fuori dall’acquario ed era soffocato, così l’aveva buttato nel water. Chloe non le parlò per un mese. Oppure lo scorso febbraio… Bongo… Ancora ci pensava. Lo avevano salvato da un gattile otto anni prima. Non si sapeva di preciso la sua età, ma si supponeva che avesse due anni quando l’avevano preso. Spesso con Max aveva scherzato sul fatto che non fosse più un gatto, ma fosse mutato in un croccantino peloso. Saltava poco e a fatica, correva solo quando c’era del cibo. Quando si avvicinava un altro gatto si nascondeva e non usciva mai di casa. Un giorno, per qualche motivo, è uscito. Una macchina l’ha investito. Quella volta però gli avevano fatto il funerale, la tomba del micio era vicino ai cespugli nel giardino di casa Price. Tre giorni prima, Chloe vide Max posare una margherita sulla sua piccola tomba e sentì un calore profondo nascerle nel centro del cuore.
Era incredibile…
Mentre guardava Max onorare Bongo, in quel preciso momento, suo padre era già morto e lei non lo sapeva.
Era già morto mentre sistemavano la stanza.
Era già morto mentre lei e Max ascoltavano la sua voce registrata nel loro messaggio pirata.
Era già morto mentre disseppellivano la capsula del tempo.
E Chloe non lo sapeva…
Max le era rimasta accanto in quegli ultimi tre giorni, quasi sempre in silenzio. L'aveva abbracciata, avevano pianto insieme, Max le aveva portato qualche fetta di pizza avanzata, poi un piatto di spaghetti troppo molli. Per la prima volta in vita sua, Joyce aveva sbagliato i tempi di cottura. A Chloe non importava. A malapena sentiva i sapori. Gli odori, il tocco di sua madre o di Max. Per tre giorni era rimasta sospesa, fino a quella mattina.
Vestita in abiti neri e formali, Chloe scese le scale lentamente, incontrando sua madre all'ingresso della casa. Max era in bagno al piano di sopra. Lo sguardo di Chloe era fisso sul pavimento, sentiva uno zaino colmo di macigni sulla schiena. Le impediva di respirare bene, spostarsi di un solo metro era uno sforzo sovrumano. Joyce le disse qualcosa, ma Chloe non se lo ricordava. Forse aveva a che fare con l'essere forte, poi le aveva dato un bacio sulla fronte e un abbraccio. Chloe non era riuscita a ricambiare. Continuava a guardare da qualche parte davanti a sé, immaginando che William sarebbe saltato fuori da un momento all’altro. Come se fosse tutto uno scherzo orribile. Almeno avrebbe avuto una scusa per arrabbiarsi con lui. Non ricordava di averne mai avute. C’erano sicuramente stati dei momenti. Giusto?
Infine, Max le raggiunse. Indossava un vestito nero piuttosto carino. I suoi occhi cerchiati di rosso indicavano che aveva appena pianto. Chloe si stupì di come ricordasse perfettamente i dettagli che riguardavano Max, mentre quasi tutto il resto le sfuggiva. Varcarono la porta per trovare i Caulfield parcheggiati con la loro Berlina nel viale in cui un tempo si trovava la macchina di William. Chloe ricordava la mano di Max che stringeva la sua. Ne trasse coraggio e fu l'unica memoria che le rimase del viaggio verso il cimitero. Fu allora, scendendo dalla macchina, che qualcosa si svegliò.
Tutto divenne improvvisamente reale.
Una brezza tagliente le ferì le guance. Un tuono distante attirò la sua attenzione, si voltò verso le montagne e vide una massa di nubi nere avvicinarsi. Il sole splendeva ancora nel cielo, ma presto sarebbe stato coperto. L'aria odorava già di umidità. Chloe notò il bagagliaio dei Caulfield straripante di valigie, spostò lo sguardo su Max che guardava fisso per terra. I suoi occhi umidi erano pieni di colpa e tristezza. Fuori dal cancello del cimitero incontrarono alcuni parenti, persone che Chloe vedeva solo durante le feste. Ricevette l'abbraccio dalla zia Dorothy, i baci affranti di nonna Clem, le condoglianze di zia Linda e zio Aaron. Guardandolo, si accorse per la prima volta di quanto somigliasse a William. Un po' più basso e con una pancia prominente, ma aveva lo stesso taglio degli occhi, gli stessi capelli biondi, le iridi di un azzurro solo un po' più scuro. Chloe lo abbracciò e per un istante ebbe l'impressione di essere di nuovo tra le braccia di suo padre.
Solo per un istante.
C'erano anche alcuni amici di lavoro di William, come un certo Roy che ogni tanto rimaneva a cena. Altri non li aveva mai visti prima.
Il carro funebre infine arrivò, tutti si scostarono e quando fu passato lo seguirono in processione fino al luogo di sepoltura.
Papà era morto davvero...
Durante il discorso del pastore, Chloe ricordava che Joyce era alla sua destra e Max alla sua sinistra, ma non le aveva guardate. Il suo sguardo era ipnotizzato dalla bara sormontata da una corona di fiori. Il mondo intorno a lei iniziò ad oscurarsi, la sua gola divenne incredibilmente stretta, l’aria passava a fatica, le gambe e le braccia si raffreddarono. Chloe era paralizzata. Vedeva attraverso la bara, suo padre sdraiato pancia in su in uno splendido completo nero, con il volto sorridente a occhi chiusi, come se dormisse e facesse bei sogni. Chloe sapeva che probabilmente non era così. Tutta la parte che di solito precede i funerali, con la veglia e l'esposizione del corpo era saltata. L'incidente era stato molto grave, probabilmente non avrebbe riconosciuto suo padre nei resti che la cassa conteneva. Eppure, Chloe lo vide...
Con la coda dell'occhio percepì sua madre avvicinarsi, protendere una mano bisognosa verso il suo braccio, ma quando la sfiorò sentì bruciare. Si allontanò, infastidita. Non voleva staccare gli occhi da lui, l’unica cosa che ancora la teneva in piedi.
Ancora non riusciva a muoversi.
Non riusciva a sentire.
Il mondo intorno a lei era oscurato.
La bara fu calata nella fossa. Uno ad uno, i partecipanti sfilarono accanto ad essa, raccogliendo una manciata di terra da un mucchio accanto alla lapide e lasciandola cadere sulla bara. Venne il turno di Chloe, ma non si mosse.
Qualcosa si era rotto.
Un tocco di gelo le colpì la testa. Se ne accorse ma non gli diede peso. Poi un altro e un altro, e un altro ancora. Le gocce gelide le picchiettavano fastidiosamente addosso, riportandola alla realtà. Quando si guardò intorno, Chloe vide che erano rimaste solo lei e Joyce, mentre il custode del cimitero completava con una pala la sepoltura di William.
Zio Aaron aveva aspettato fuori dal cimitero e le accompagnò a casa. Appena varcata la soglia Chloe si diresse in camera sua. Qui incappò con il piede nel suo registratore. Cosa ci faceva in mezzo alla stanza? Su di esso era attaccato un post-it con scritto "Mi dispiace". Premette play e ascoltò il messaggio di Max. Fu allora che le lacrime cominciarono a sgorgare. Le crepe nella sua anima si allargarono rapidamente, frammenti si staccarono, finché non andò completamente in frantumi. Poté quasi sentirne il rumore…
Il temporale imperversava fuori dalla finestra.
Papà era veramente morto...
Max era davvero partita...
Era sola.
 
Chloe si rigirò per l’ennesima volta nel letto. Gli occhi si inumidirono di nuovo. Credeva di essere disidratata ormai, e invece…
Strattonò irritata le coperte e disfacendo ogni parvenza di ordine. Allungò una mano fino al suo cellulare, quello viola che aveva decorato con Max. Tastando sui pulsanti, Chloe aprì la cartella dei messaggi e ne rilesse alcuni.
[Chloe]
  • Hey Max.
[Max]
  • Ciao... :(
[Chloe]
  • Sei arrivata?
[Max]
  • Si, qualche minuto fa. Stiamo scaricando la macchina.
[Chloe]
  • Bene. Felice che sei sana e salva. ^.^
[Max]
  • Vorrei essere lì...
[Chloe]
  • Lo vorrei anch’io…
  • Ho ascoltato il tuo messaggio.
  • Grazie. <3
[Max]
  • :)
 
Chloe sorrise fra sé, asciugandosi gli occhi.
Anche se Max era lontana, forse sarebbero davvero rimaste in contatto. Volle credere a tutto ciò che le aveva detto nel nastro, che sarebbe stato come se non fosse mai partita, si sarebbero scritte tutti i giorni e sarebbero andate a trovarsi.
Se Max fosse rimasta nella sua vita, Chloe sapeva di potercela fare.
[Chloe]
  • Buonanotte Max!
[Max]
  • Buonanotte Chloe! :)
 
Finché c'era Max, Chloe poteva farcela.
Chloe non era sola...
 
-
 
“Ahoy, ciurma! Sono io, Bloody Bill, Re dei Pirati!!
La voce di William usciva distorta dal registratore, ma a Chloe non importava.
Da giorni non faceva altro che ascoltare in continuazione il messaggio registrato che aveva trovato nella capsula del tempo.
“Immaginavo che voi due soldi di cacio non sareste tornati a riprendervi il tesoro per un bel po’, quindi ho aggiunto un’ulteriore protezione contro le intemperie…”
La sua voce… rimaneva solo quello di lui.
E le foto. Insieme al nastro ne aveva trovata una di lei e suo padre vestiti da pirati, scattata in qualche giorno soleggiato della sua infanzia. La stringeva mentre ascoltava.
Lacrime che non si fermavano mai…
“Sappiate solo che Bloody Bill… è dannatamente fiero di voi. Tutte e due…”
Il messaggio era rivolto a lei e Max, che aveva passato così tanto tempo a casa dei Price da diventare come una seconda figlia per lui. Chloe sorrise amaramente ricordando le lotte di Max e suo padre a colazione, duellando con le forchette per l’ultimo pancake.
Per una settimana rimase perlopiù chiusa in camera sua, impegnata in questa attività, poi dovette tornare a scuola. Joyce era rimasta a casa due giorni dal lavoro, giusto il tempo di sbrigare alcune faccende burocratiche e rendersi conto che senza lo stipendio di William, avrebbe dovuto lavorare il doppio. E così fece. Doppi turni al Two Whales, lasciando Chloe a casa da sola con molto tempo per pensare. La sentiva piangere al mattino poco prima che uscisse di casa e la sera quando si chiudeva in camera. Joyce tentava di farlo in silenzio, si tratteneva, ma la sentiva lo stesso…
Chloe aveva scritto a Max il giorno dopo il funerale, ma non aveva ricevuto risposta. Passò un giorno, due, poi sette. Max continuava a non rispondere. Chloe ci passò sopra. Immaginò che la sua amica fosse alle prese con il trasloco, la nuova casa, nuova scuola, nuovi compagni. Sapeva quanto Max fosse timida e odiasse i cambiamenti. Decise di non insistere e aspettare.
Max aveva promesso, sarebbe stato come se non fosse mai andata via.
Chloe non sarebbe rimasta sola.
Anche se aveva già infranto la parola di scriverle tutti i giorni, Chloe voleva crederci.
 
-
 
Raggiunse la Blackwell con lo scuolabus e percorse il breve tragitto fino all'ampio ingresso dell'edificio principale. Ascoltò la lezione di Inglese distrattamente, controllando di nascosto il cellulare sperando in una risposta di Max. A volte aveva la sensazione che la sua gamba vibrasse e controllava, altre volte pensava che fosse arrivato un messaggio senza che se ne fosse accorta e controllava. Nessuna risposta.
Ci fu la lezione di Chimica e Miss Grant la notò giocherellare continuamente col telefono, ma non disse niente. Anche la professoressa Hoida non la riprese. A Chloe non importava di essere particolarmente furtiva.
Vedeva negli sguardi dei professori e dei suoi compagni di classe qualcosa che non aveva mai visto. Pietà? Nei corridoi, Chloe incrociò altri studenti. Anche loro la guardavano in modo strano e si tenevano a distanza. No, non era pietà. Era disagio. Paura forse? Come se in qualche modo, se si fossero avvicinati troppo avrebbe potuto contagiarli.
Occhio che se state a meno di un metro vi muore il padre… attenzione…
Nemmeno Marisa Rogers e le sue cortigiane osarono avvicinarsi e di questo fu grata. Lo strano pensiero che suo padre morto la proteggesse dai bulli le attraversò la mente. Un sorriso amaro le apparve sul viso. Tra gli studenti che le passarono accanto ci fu anche una ragazza bionda che sfoggiava per la prima volta due orecchini con una piuma blu.
Chloe non la notò.
Aprì il suo armadietto, prese il libro di matematica, chiuse l'anta.
Controllò il cellulare.
Niente messaggi.
Si diresse in l'aula con sguardo assente quando qualcuno le si parò di fronte. Alzò lo sguardo e notò la divisa della sicurezza e le guance coperte di barba incolta di Skip Matthews.
"Hey Chloe? Mi hai sentito?" chiese lui, le sopracciglia incurvate verso l'esterno in un triste imbarazzo.
"Eh?" rispose lei come se si risvegliasse.
Skip sospirò
"Wells vuole vederti."
"Ho… fatto qualcosa di male?" chiese lei stupita e improvvisamente preoccupata.
"Non sei nei guai, tranquilla." Skip le offrì il suo miglior sorriso, sperando di rassicurarla.
Chloe scrollò le spalle e lo seguì verso l'ufficio del preside.
Wells la fece accomodare, insolitamente gentile. L'ultima volta che l'aveva visto era stato due settimane prima a causa dell' "incidente" con Marisa e il suo atteggiamento allora era ben diverso. Anche gli occhi di Wells erano come quelli di tutti gli altri, come se guardasse un pesce rosso fuori dalla sua boccia che si dibatte per respirare.
Inutilmente.
Con la sua voce profonda le fece le sue più sentite condoglianze, le disse che lui e tutto lo staff della Blackwell erano a sua disposizione per aiutarla in questo momento difficile e che poteva chiedere il supporto di un counselor scolastico. Chloe rispettosamente disse che non ne aveva bisogno, ma Wells insistette dicendo che parlare con qualcuno in queste drammatiche situazioni aiuta e che comunque sua madre aveva richiesto che lo incontrasse. Questo stupì Chloe, che sollevò lo sguardo incrociando quello di Wells.
Sua madre aveva chiesto a Wells di farle incontrare un counselor senza avvertirla e senza chiederle cosa ne pensasse?
Era nuovo…
…e strano.
Chloe scrollò le spalle. Non aveva voglia di opporsi. Se sua madre voleva che vedesse il counselor, avrebbe visto il counselor. Magari le avrebbe davvero fatto bene.
Uscendo dall'ufficio di Wells, Chloe controllò il cellulare.
Ancora nessuna risposta da Max...
 
-
 
Una settimana dopo, il telefono vibrò.
[Max]
  • Scusami tanto!
  • Qui è un casino.
[Chloe]
  • Hey Max!
  • Dov’eri finita?
[Max]
  • Un sacco di merda pazza con il trasloco e la scuola.
  • Seattle ti piacerebbe. ^.^
[Chloe]
  • Potrei fare l’autostop
  • Conviene soprattutto se ci metti due settimane a rispondermi! >.<
[Max]
  • ☹ Sono davvero dispiaciuta.
  • Ce l’hai con me?
[Chloe]
  • Forse…
[Max]
  • :’(
[Chloe]
  • Scherzo Maximus! XD
[Max]
  • Prometto che farò di meglio.
[Chloe]
  • Ti conviene!
[Max]
  • Ti chiamo stasera.
[Chloe]
  • Ci conto.
  • Byez Maxi Max
 
Chloe tirò un lungo sospiro di sollievo. Un sorriso rilassato le apparve sul volto. Finché Max era nella sua vita, anche se lontana poteva sperare.
Poteva resistere…
 
-
 
Novembre era alle porte. La nebbia cominciava ad aleggiare sempre più spesso e l’aria pizzicava sulla pelle. Il gelido approssimarsi dell’inverno.
Chloe non riusciva a dormire.
Le notti erano un susseguirsi interminabile di ore buie a rigirarsi nel letto con una sensazione opprimente sul petto e sullo stomaco. Respirava male, nessuna posizione migliorava le cose, quindi si alzava e camminava per la stanza. Andava al computer e cazzeggiava su Facebook per un po', stalkerava il profilo di Max, inalterato se non per il cambio della città di residenza. Da Arcadia Bay a Seattle… era assolutamente da Max. Anche se praticamente non lo usava, le informazioni del suo profilo DOVEVANO essere esatte!
Dopo un po’, Chloe tornava a letto sperando di essersi rilassata un po’. A volte, per logoramento, riusciva a dormire due o tre ore di fila e sognava William. Sognava quel giorno in cui uscì per non rientrare mai più... ma stavolta tornava a casa. Con sua madre depositava le borse della spesa in cucina, Joyce cucinava il salmone mentre lui faceva compagnia a lei e Max sul divano davanti a Sponge Bob. Chloe avvolta nel braccio peloso e forte di suo padre, il suo calore contro la faccia, il battito del suo cuore contro l'orecchio. Alla sua destra Max le sorrideva. Tutto andava bene.
Poi si svegliava.
Si trascinava fuori dal letto tastando pesantemente con la mano alla ricerca della sveglia che strillava. Faceva il suo pit stop al bagno, notava le borse sempre più viola sotto gli occhi, si vestiva e scendeva le scale. Trovava il bigliettino di Joyce su cui c'era scritto che in frigo c'erano dei pancake, oppure dei soldi per comprarsi la colazione a scuola. La prima cosa che Chloe notava erano i vuoti. Dovunque Chloe guardasse c’erano come buchi in un puzzle nei punti in cui avrebbe dovuto trovarsi suo padre. Al mattino, sulla sedia a sorseggiare caffè e leggere il giornale, in cucina baciando sua madre prima di uscire per il lavoro, seduto sul divano a guardare le partite o i cartoni con lei, sotto il lavandino riparando un tubo, sulla scala in cortile, continuando a verniciare il muro di blu. La facciata dipinta a metà era per Chloe un ricordo costante di ciò che non c’era. William non avrebbe mai finito quel lavoro.
Un lavoro incompiuto.
Come la sua vita.
Giorno dopo giorno, il puzzle perdeva nuovi pezzi. Il garage era così vuoto senza la sua macchina. La casa era silenziosa, la mente di Chloe invece no. Straripava di ricordi e desideri frustrati. Il counselor della Blackwell, una signora di nome Margareth Harper, più o meno dell'età di sua madre coi capelli biondo cenere e abiti floreali, le aveva detto di ricordare i bei momenti trascorsi con suo padre e di concentrarsi sul presente, di farsi nuovi amici, che il tempo avrebbe guarito ogni ferita.
Qual era il punto? Ricordare suo padre e i momenti meravigliosi che aveva trascorso con lui era l’attività principale della mente di Chloe, ma non aiutava per niente. Le ricordava solo ciò che aveva perso. Alimentava il senso di solitudine per l’assenza di sua madre, perennemente fuori casa per lavoro. Le ricordava che Max se n'era andata e che rispondeva a intermittenza ai suoi messaggi e chiamate. Chloe, un giorno, aveva notato di essere sempre lei a scrivere o telefonare per prima. Max non prendeva mai l'iniziativa. Si chiese perché. Perché Max non la cercava mai? Perché ci metteva così tanto a risponderle? Perché fin troppo spesso ignorava le sue chiamate? Chloe la conosceva bene, sapeva che Max era timida e insicura, ma non con lei. Non si era mai comportata così. Cercava di evitarlo, ma a volte si chiedeva cosa stesse succedendo…
Poteva contare sulle dita di una mano le telefonate che avevano avuto da quando era partita e ogni volta le era sembrata distante. Strana, come se fosse… a disagio. Come tutti i suoi compagni di classe. Ma Max non era come tutti gli altri giusto? Max era la sua migliore amica per sempre, era il suo primo ufficiale Long Max Silver. Era stata al suo fianco tutta la vita. Aveva promesso che nulla sarebbe cambiato. Perché allora era cambiato tutto?
Quel tarlo le rodeva il cuore.
E non riusciva a dormire.
Anche quella notte, Chloe allungò un braccio sudato fuori dalle lenzuola urticanti e prese il cellulare.
Controllò gli ultimi scambi con Max, stavolta però non in cerca di conforto. Chloe aveva iniziato a rileggere ossessivamente i suoi stessi messaggi alla ricerca di indizi sul perché Max fosse divenuta così fredda con lei. Forse aveva detto qualcosa di sbagliato, magari in qualche modo l’aveva offesa o turbata. Doveva essere così, non poteva esserci altra spiegazione. Max non la stava lasciando alle spalle! Max non l'avrebbe mai dimenticata o abbandonata! No, Chloe doveva aver sbagliato qualcosa e avrebbe scoperto che cosa...
Istintivamente iniziò a digitare un messaggio.

[Chloe]
- Hey Max...

Ma non sapeva come continuare. Per la prima volta in vita sua, non seppe cosa scriverle...
Cancellò il messaggio e si alzò dal letto. Si avvolse in una felpa che indossava da due settimane e cominciò ad aggirarsi per la stanza. Seguendo il consolidato rituale dell’insonnia andò alla scrivania ed accese il computer, puntando dritta al profilo Facebook di Max. Non c’erano mai aggiornamenti, anche prima che partisse erano rari e in genere condivisioni di post altrui. Eppure, proprio quel giorno Max aveva postato una sua foto fatta col cellulare: lo skyline di Seattle visto da una posizione sopraelevata. Era un bellissimo scatto, come tutti quelli che Chloe era abituata a vederle fare quando ancora il mondo aveva senso. La città sembrava così grande, luminosa sotto i raggi del sole e il cielo azzurro. Chloe si accorse che gli occhi iniziavano a bruciarle. Alcune lacrime caddero prima che potesse rendersene conto. Era la prima foto che Max pubblicava da quando era partita. Aveva tempo di aggiornare il profilo Facebook ma non di risponderle?
Max la stava superando? La stava abbandonando?
No, Chloe non voleva crederci. Erano solo brutti pensieri. Non poteva succedere.
Max aveva promesso. Forse era stata troppo ottimista nel dire che nulla sarebbe cambiato, non sapeva cosa avrebbe dovuto attraversare a Seattle quando le aveva detto che si sarebbero sentite ogni giorno. Max ci avrebbe messo molto ad ambientarsi nella nuova città, nella nuova scuola.
Eppure, quella foto le fece pensare che forse Max si era già adattata, stava iniziando a considerare "casa" quella grande città più a nord e aveva lasciato definitivamente alle spalle Arcadia Bay. E Chloe...
Quel pensiero continuò a contorcersi nella sua mente come un verme.
Spense il computer, scivolò furtivamente fuori dalla sua stanza. I piedi nudi scivolarono sul parquet fino alla porta della stanza di sua madre. Chloe si stupì di trovarla socchiusa. Sentì il respiro lento e pesante di Joyce mentre si insinuava. Chloe rimase in piedi per alcuni momenti davanti al letto matrimoniale occupato a metà, silenziosa, con il cuore che le batteva forte. Vedere sua madre riversa da sola nel letto pieno di fazzoletti usati fu l'ennesimo promemoria che suo padre non c'era più. Col trascorrere dei minuti si rese conto che quello era il momento più lungo che trascorreva con sua madre da quando era tornata a scuola.
Si avviò verso la borsa di Joyce. Notò facilmente il pacchetto di sigarette all'interno. Joyce aveva ripreso a fumare come una ciminiera dopo la morte di William, le compresse di nicotina erano sparite insieme al proposito di smettere. Nonostante tutto, Joyce continuava a nascondersi vicino ai cespugli in giardino per fumare, come se Chloe non notasse i mozziconi. Le sigarette dovevano avere un qualche effetto positivo. Forse la aiutavano a gestire la situazione. Magari avrebbero aiutato anche Chloe. Silenziosamente, prese una sigaretta dal pacchetto e l'accendino.
Uscì dalla stanza e scese le scale, seguendo un percorso collaudato nei punti non cigolanti. Li aveva mappati andando su e giù per anni insieme a Max...
Passando dall’ingresso prese la sua giacca e la indossò, raggiunse il soggiorno ignorando i vuoti a forma di suo padre ovunque si voltasse. Uscì in cortile e raggiunse l'area fumo.

Zik! Zik!

Il suono dell'accendino era soddisfacente.
Imitando gesti visti fare dagli adulti aspirò la sua prima boccata. La tosse fu inevitabile, ma cercò disperatamente di contenerla aumentando ulteriormente il fastidio. Lacrimò copiosamente, mentre il petto e la gola le bruciavano. Come faceva ad essere piacevole una cosa del genere?! Chloe fece un secondo tentativo più cauto. Questa volta andò meglio. Le veniva da tossire ancora, ma riuscì a trattenersi. Nel silenzio della notte sentì il piacevole suono di carta e tabacco che ardevano, consumandosi nella punta arancione. Chloe assorbì il fumo e soffiò. Il sapore era ancora terribile, ma era in qualche modo divertente vedere quella nuvola grigio-violetta uscirle dalla bocca e dal naso. Nella pallida luce della luna osservò la punta della sigaretta consumarsi al vento. Lo sguardo le cadde sulla piccola pietra alla sua destra, il luogo in cui avevano seppellito Bongo.
Lacrime silenziose solcarono di nuovo le sue guance, mentre fumava.
Nel giro di un anno aveva perso il suo gatto, suo padre e forse la sua migliore amica... certo, Max non era morta, ma si stava allontanando e non sapeva come impedirlo. Man mano che fumava, però, l'intensità dei pensieri scemò in uno sfocato torpore. La testa iniziò a girarle, lo stomaco si chiuse, l’attenzione si fissò sugli strani messaggi che il corpo le stava mandando. Si sentiva intossicata, ma anche appagata. Le palpebre si appesantirono e la morsa sulle viscere si allentò. Le stava venendo sonno?
La sigaretta bruciò fino al filtro e Chloe si chinò per spegnerla nell'erba, gettandola insieme agli altri mozziconi. Sua madre non se ne sarebbe accorta.
Lasciò l’accendino sul tavolo e si diresse verso la sua camera, silenziosamente.
Quando si rimise a letto, le lenzuola erano fresche al tatto, non più graffianti, ma accoglienti.
Non aveva dimenticato ciò che la turbava, continuava a pensare a Max, a quanto si sentisse sola, a quanto le mancava suo padre, a quanto avesse bisogno di sua madre che non c’era mai.
Ma si sentiva anche troppo stanca per occuparsene.
Finalmente, riuscì a dormire...
 
-
 
"Release the Keeeys... Certo... Questa è l'ultima volta che ordino dalla SpyGuy Electronics..." bofonchiò William agitando il piccolo telecomando che avrebbe dovuto attivare il segnale acustico delle chiavi disperse. Raramente si innervosiva, questo malfunzionamento, unito al fatto che sua moglie lo stava aspettando, gli fece storcere decisamente il naso...
"Puoi prendere l'autobus, giusto?" la voce di Max si intromise, un po' più acuta e frenetica del solito "La fermata è proprio in fondo alla strada!!"
William la guardò stupito, poi pensò per un istante.
"Si posso farlo! Buona idea Max!" sorrise William, rilassandosi un po'.
"Oh si! L'autobus è magnifico!" ricominciò Max tutta eccitata "Passa ogni quindici minuti e ci sarà spazio a sufficienza per te, Joyce e la spesa e... e in più salvi l'ambiente!"
Chloe abbandonò la preparazione dei pancake in cucina e andò a controllare che cosa stesse succedendo. Max si stava decisamente comportando in modo strano.
"Me l'hai già venduto. Vado alla fermata qui fuori. Joyce lo adorerà!" sghignazzò William mentre si avviava verso la porta. Sfiorò Chloe, che fissava lui e Max con occhi perplessi.
WIlliam fece loro un cenno di saluto, che Chloe ricambiò distrattamente.
Quando guardò Max, la vide trotterellare sul posto con l'aria soddisfatta di chi ha appena risolto il problema del secolo.
"Max, ti comporti in modo fottutamente strano... stai bene?" chiese Chloe avvicinandosi.
Max le afferrò le mani. Erano fredde eppure sudatissime. Sembrava stare bene.
"Chloe!" Max iniziò a saltellare. "...Io.Sono.Fantastica! NOI siamo fantastiche!!"
Il suo sorriso era contagioso... Chloe fece spallucce e si unì alla danza improvvisata.
Improvvisamente Max si bloccò sul posto e barcollò. Il viso sbiancò in un istante.
"Hey, hey... Max!" Chloe la sostenne per le braccia, mentre Max si massaggiava la fronte.
"Whoah..."
"Siediti... secondo me non stai bene." disse Chloe appoggiandole una mano sulla fronte. Sembrava fresca...
"Eh? Ch... Chloe..."
"Max? Tutto ok?"
"Si... sto bene... mi gira tantissimo la testa... forse sta passando..."
"Non farmi cagare addosso ok?" sorrise Chloe, non del tutto rassicurata.
"Guarda Chloe Price come diventa tutta affettuosa..." la prese in giro Max con un sorriso furbo. Chloe lo accolse e la guardò teneramente.
"Sei il mio braccio destro, non potrei farcela senza di te. Meglio se non muori giusto?"
"Nessuna intenzione di farlo!" disse Max, poi si rabbuiò di nuovo "Ehm... p-però..."
Chloe inarcò un sopracciglio, di nuovo preoccupata.
"Max, oggi sei sulle montagne russe emotive? Ti sei drogata? Potevi chiamarmi…" tentò di scherzare.
"Chloe... io... devo dirti una cosa..." le prese le mani e si alzò in piedi.
Le disse che di lì a tre giorni sarebbe dovuta partire per Seattle perché i suoi genitori stavano traslocando. Le disse che le dispiaceva con tutta sé stessa e che non voleva partire. Scoppiò in lacrime. Chloe lo sapeva già, sapeva che Max glielo avrebbe detto prima o poi, non voleva forzare l'argomento proprio per evitare quel genere di reazioni. Vedere Max così sopraffatta la faceva stare male...
Si abbracciarono, Chloe la rassicurò dicendole che tutto sarebbe andato bene, si sarebbero tenute in contatto e nulla sarebbe cambiato. "Siamo Max e Chloe ricordi? Siamo sempre insieme! Anche quando non lo siamo..." Si strinsero le mani, Max sorrise e parve sentirsi meglio.
"Avanti... i pancake non si cucineranno da soli!" Chloe la trascinò in cucina...
Fecero il loro brunch, passarono il pomeriggio a riordinare la camera e piuttosto presto William e Joyce tornarono a casa. Quella sera cenarono tutti insieme a base di salmone e Chloe fece indigestione di torta al cioccolato e poi...
 
Buio...
Torpore.
Chloe sentì un suono invadente riempirle le orecchie e la testa.
Una chitarra elettrica, l'introduzione di una canzone alla radio.
Una voce che canta Ooooooh Oooooooh...
 
Something filled up
 
Chloe si rese conto di essere nel suo letto.
 
My heart with nothing
 
Aprì gli occhi e guardò la sveglia. 7.03
Merda... scuola....
 
Someone told me not to cry
But now that I'm older
 
Chloe si mise a sedere, liberandosi delle coperte, troppo strette e troppo calde. Sudava da fare schifo...
Buongiorno mondo...
Stessa merda, altro giorno...
 
My heart's colder
And I can see that it's a lie
 
Chloe si alzò dal letto.
Ripensò al sogno. Odiava quella strana versione a lieto fine. Il risveglio era sempre una merda dopo quel sogno ricorrente. Doveva costringersi a ricordare che non era andata così.
Suo padre aveva trovato le chiavi ed era morto nella sua macchina...
Fanculo...
Si diresse verso il bagno...
 
Children, wake up
Hold your mistake up
Before they turn the summer into dust
If the children don't grow up
Our bodies get bigger but our hearts get torn up
We're just a million little gods causing rain storms
Turning every good thing to rust
I guess we'll just have to adjust
 
 
-
 
Chloe trascorse il primo Halloween senza papà. Fino all'anno prima, quando Arcadia Bay si riempiva di festoni arancioni e i Jack o'lantern invadevano i cortili delle case, andava per le vie della città con lui, Joyce e Max, girando tra le bancarelle che esponevano torte di zucca fatte in casa, biscotti e tanto altro. Ricordava i dibattiti con Max su quali costumi avrebbero indossato la notte di Halloween, la preparazione e la trepidazione in attesa dell'accensione del falò, esattamente a metà di Arcadia Bay Ave. I loro costumi erano sempre coordinati ed avevano deciso di pensarne di nuovi ogni anno. Chloe ricordava ancora uno dei primi Halloween, quando si erano vestite da biscotto alla crema, ognuna di loro indossava la panna e portava una cialda sulla schiena tipo zaino, completando il biscotto solo se si abbracciavano. Poi ci fu la fase Narnia e la grande, epica, lunghissima fase pirati. Arcadia Bay, con i moli perennemente ingombri di pescherecci ondeggianti e cigolanti, popolata di burberi pescatori sembrava il luogo ideale per sviluppare fantasie da lupi di mare. Quando nel 2003 uscì il primo film dei Pirati dei Caraibi, Chloe e Max impazzirono definitivamente, soprattutto Chloe che per mesi comunicò solo con citazioni di Jack Sparrow.
Quell’anno non ci furono costumi.
Non ci fu Max.
Non ci fu William…
Alla festa del Ringraziamento, Chloe non aveva nulla per cui ringraziare. Ci provò, ma la gratitudine era divenuta un sentimento estraneo. Ogni anno William accendeva la griglia e talvolta il camino se gli ospiti erano molti, mentre Joyce preparava il tacchino con Chloe e Max che facevano la spola tra l’uno e l’altra. I Caulfield erano ospiti fissi, quasi sempre venivano zia Dorothy e nonna Clem. Talvolta, lavoro permettendo, c’erano zio Aaron e zia Linda. I due fratelli Price e Ryan Caulfield cucinavano insieme, ricordando i vecchi tempi. Chloe di tanto in tanto si univa a loro e ascoltava i racconti universitari di suo padre, quando era un figlio dei fiori capellone e fumava spinelli. Quella parte sua madre avrebbe preferito non la sentisse mai! William replicava sorridente che era un’ipocrita perché anche lei fumava con lui. Ogni discussione finiva tra risate e baci, sottolineati dai “bleah” di Chloe e Max. Era sempre una bella festa, soprattutto per Bongo che riscopriva il suo acume felino e si aggirava tra i presenti pronto a cogliere ogni briciola e a tuffarsi sugli avanzi.
Quell’anno vennero solo zio Aaron e zia Linda.
Portarono un tacchino che avevano già cucinato e lo riscaldarono nel forno.
Niente Max.
Niente papà…
Il momento di dire “grazie” fu molto imbarazzante…


Il primo Natale senza William fu particolarmente brutto. Come Halloween, anche il Natale portava con sé le sue tradizioni di famiglia. Tradizioni che coinvolgevano inevitabilmente Max. Arcadia Bay si illuminava, le vetrine esplodevano di decorazioni e inquietanti pupazzi di Babbo Natale. L'inverno dell'Oregon si irrigidiva e arrivavano le prime nevicate. Chloe ricordava le battaglie a palle di neve a scuola e... ovunque! Ricordava i pupazzi di neve nel cortile di casa Price, le cui sembianze erano mutate nel tempo. Molti pupazzi erano diventati famigerati bucanieri come il temibile IceBeard o Jack WhiteClaw. C’era il rituale della scelta dell'albero, la decorazione cui partecipava tutta la famiglia Price e anche Max. La cena della vigilia, condivisa spesso con i Caulfield e saltuariamente qualche parente in visita. Chloe aspettava la notte di Natale, sapendo che ogni anno sarebbe stata mandata forzatamente a letto dai suoi genitori perché "altrimenti Babbo Natale non arriva!". Chloe avrebbe fatto storie, ma poi si sarebbe chiusa in camera brontolando. A mezzanotte, William sarebbe sceso dalla soffitta vestito da Babbo Natale, con un sacco di iuta in cui trasportava i regali. Chloe, ancora sveglia nel letto, avrebbe sentito i rumori dei suoi passi e lo avrebbe seguito furtivamente, spiandolo dalle scale. Solo allora avrebbe deciso se cogliere Babbo Natale in flagrante oppure tornare a letto! Ovviamente sapeva benissimo che si trattava di William, e lui non faceva nulla per essere silenzioso. Chloe sapeva che Babbo Natale non esisteva da quando aveva cinque anni e aveva scoperto chi si celava davvero sotto la barba. La confusione l'aveva completamente travolta... suo padre era in realtà Babbo Natale? Aveva un'identità segreta come un supereroe?? Era figlia di Babbo Natale? Dov'erano le renne??? Alla fine, William e Joyce le spiegarono la verità. Caduta l’illusione, la tradizione era rimasta.
Quell'anno, non ci furono alberi di Natale.
Niente pupazzi di neve.
Alla cena della vigilia Chloe e sua madre condivisero un pasto Two Whales che Joyce aveva cucinato al lavoro e riscaldato a casa.
Quella notte Babbo Natale non arrivò.
Chloe non riuscì a dormire, fumò tutta la notte davanti alla sua finestra, sentendo la mancanza di Max...
 
A Capodanno non ci furono festeggiamenti.
Joyce tentò di coinvolgere sua figlia nel conto alla rovescia, ma Chloe preferì chiudersi in camera.
Non sentì sua madre piangere in salotto, né la vide digitare un numero sul cellulare per chiamare qualcuno di cui ancora ignorava l’esistenza. Dal telefono rispose una voce ruvida, da cui Joyce trasse conforto.
Tra luci e scoppi dei fuochi d’artificio, Chloe e Joyce conclusero separate l’anno peggiore delle loro vite.
 
-
 
Gennaio 2009 volgeva al termine, così come le lezioni del giorno. L'ultima campanella suonò e Chloe si alzò rumorosamente dal banco, radunò le sue cose e raggiunse l'uscita della scuola ad ampie falcate. Schivò gli altri studenti come degli ostacoli e fu colpita dalla fredda aria invernale quando varcò la soglia. Avrebbe dovuto recarsi all’incontro con la signora Harper, ma erano ormai due settimane che non ci andava.
Semplicemente non stava aiutando, quindi era inutile sprecare altro tempo.
 
Chloe ci aveva provato davvero. Non era mai stata il tipo di persona che si arrende, quindi aveva seguito i suoi consigli, come concentrarsi sugli studi. Ma suo padre non c'era più... che senso aveva prendere buoni voti se lui non era a casa per sorriderle e abbracciarla? Che senso aveva se lui non poteva più essere orgoglioso di lei? Non poteva nemmeno più confrontare le sue pagelle con Max e scherzare sul fatto che l’unica materia in cui andava peggio di lei era educazione fisica…
E sua madre? Era sempre al lavoro, talvolta la incrociava al mattino, talvolta la sera, raramente entrambe le volte. Era la nuova normalità. Talvolta Joyce cercava di abbracciarla, ma Chloe si sottraeva. Non ci riusciva. La sua vicinanza la irritava, non sapeva nemmeno perché. La signora Harper le aveva chiesto se la incolpava per la morte di suo padre. Chloe non aveva risposto.
Forse lo faceva, ma non voleva dirlo.
Non voleva pensarlo.
Invece lo pensava.
Se lei non lo avesse chiamato per la sua fottuta spesa, papà sarebbe ancora vivo!
E si sentiva in colpa. Non era giusto essere arrabbiata con sua madre per questo. Che razza di persona orribile era?
Ma forse non era per questi fugaci pensieri che Chloe era arrabbiata con sua madre. Forse si sentiva trascurata. Aveva bisogno di lei e non c’era.
Quindi fumava.
Così si sentiva un po' meglio. Le piaceva guardare la punta della sigaretta bruciare, sentire il rumore della cartina che si dissolve nel fuoco, come probabilmente era successo alla macchina di suo padre. Con lui dentro...
Ormai Chloe aveva smesso di rubare le sigarette di sua madre e comprava le sue con i soldi della paghetta. Ovviamente mentiva, dicendo che erano per Joyce. Il signor Dalton, proprietario della drogheria, aveva chiamato Joyce la prima volta, per avvisarla che sua figlia aveva comprato delle sigarette. Confermò che erano per lei e fece la finta tonta con Chloe. Le rare volte che riusciva ad essere a casa in orari decenti tentava di chiedere a sua figlia come stava, come andasse a scuola, se gli incontri con la counselor le servivano. Chloe all’inizio le disse la verità, che si sentiva sola, che piangeva ogni notte finché non era esausta, che la scuola e gli incontri erano una merda e non vedeva il senso di continuare ad andarci. Joyce le rispondeva che doveva essere forte, che bisognava andare avanti, che William mancava anche a lei ma avrebbe voluto vederle vivere le loro vite felici anche senza di lui. Ogni volta, queste risposte alimentarono una scintilla di rabbia nello stomaco di Chloe, finché un giorno esplose l’incendio:
“Papà non vorrebbe un cazzo di niente! È morto! Stecchito! Non tornerà mai più! Vaffanculo!”
Con la gola che le faceva male per l’urlo corse in camera e si gettò piangendo sul letto. Urlò nel cuscino, prese a pugni il materasso, poi i suoi occhi incontrarono il diagramma della crescita che suo padre aveva disegnato sul muro. Chloe lo prese ripetutamente a calci fino a farsi male, poi impugnò un pennarello indelebile e lo scarabocchiò rabbiosamente. Aveva smesso di crescere.
Fanculo…
Merda…
Papà è andato…
Chloe non sapeva che al piano di sotto, accasciata sul tavolo, anche Joyce era in lacrime. Quando la donna si calmò abbastanza prese il cellulare, compose il numero che ormai era come un’ancora e sentì rispondere dall’altra parte. Quella voce ruvida, che si ammorbidiva sempre quando parlava con lei, le diede il sollievo di cui aveva bisogno.
 
Max, intanto, non si faceva più viva da Natale, dopo l’ultimo sfigatissimo messaggio di auguri. Chloe le aveva inviato diversi messaggi, poi si era arresa. Anche Max l'aveva abbandonata. Doveva essersi fatta dei nuovi amici nella sua nuova scuola cool. Persone allegre, senza padri morti e madri assenti. Persone diverse da Chloe. Migliori di Chloe. Anche questa era una cosa che non voleva ammettere. Max si era semplicemente stufata di lei, di fingere che non fosse cambiato niente.
Era cambiato tutto.
Fottutamente.
TUTTO.
Anche la compassione della Blackwell si era esaurita. La scusa "mio padre è morto" non funzionava più per evitare di consegnare i compiti o per un esame al di sotto delle aspettative. Wells aveva chiamato un paio di volte sua madre e Chloe aveva ascoltato ramanzine sul fatto che nonostante quello che era successo non doveva smettere di impegnarsi. E Chloe voleva solo dirle che non le fregava un cazzo della Blackwell, della borsa di studio, di essere forte, perché suo padre era morto, la sua migliore amica l’aveva sfanculata e lei, sua madre, non la stava nemmeno a sentire!
Invece taceva.
Tanto non avrebbe ascoltato.
E allora fumava.
Le sigarette però erano diventate meno efficaci nel calmarla.
Cominciò a guardare da lontano il gruppo degli skater nel parcheggio della Blackwell. Non li conosceva bene, sapeva i nomi di Justin e Trevor perché avevano frequentato la stessa scuola media e perché si era esercitata con lo skateboard insieme a loro qualche volta. Il suo interesse, però, aveva un altro motivo: li vedeva bere birra e fumare canne. Se le sigarette non funzionavano più, forse doveva solo ampliare il suo range di dipendenze e tutto sarebbe andato bene.
 
Allontanandosi dalla Blackwell, Chloe avvistò la fermata dello scuolabus. Di solito lo prendeva e raggiungeva casa in meno di dieci minuti. Ma qual era il senso di arrivare a casa presto, tanto sarebbe stata sola e non aveva nessuna voglia di aprire i libri. Avrebbe solo fumato, cazzeggiato su internet e guardato la tv, o avrebbe rimesso a posto le foto di papà e di Max per l'ennesima volta, versando qualche litro di lacrime. Avrebbe guardato il registratore in cui ancora era conservata la cassetta con l'ultimo messaggio di Max. Non avrebbe avuto il coraggio di riascoltarlo. Non ci riusciva più…
Decise che era più salutare andare a casa a piedi e nel frattempo decidere se non era il caso di fare una deviazione da qualche altra parte. Magari al faro, a contemplare il salto giù dalla scogliera, valutando l'altezza, la velocità dell'ipotetica caduta e quanti secondi ci sarebbero voluti prima di schiantarsi sugli scogli...
"Hey Chloe!"
Una voce maschile interruppe i suoi pensieri. Chloe alzò lo sguardo e vide un ragazzo dai capelli rossi, maglietta nera e camicia a quadri che si avvicinava. Aveva uno strano sorriso, un’espressione cordiale sovrapposta all'imbarazzo. Tutti erano imbarazzati quando le rivolgevano la parola. Anche sua madre… anche Max probabilmente... ecco perché non le rispondeva più...
"Ciao Eliot..." rispose Chloe in tono piatto.
"Ehm..." si grattò la testa guardando per terra, come se cercasse suggerimenti dall'asfalto "Com'è andata oggi a Chimica?"
Chloe sospirò. Avrebbe voluto alzare le spalle e rimanersene zitta, ma volle premiare lo sforzo. Conosceva Eliot fin dall'asilo, praticamente era stato in classe con lei fino alla Blackwell.
"Ho preso C+ nell'ultimo test e nessuna ramanzina da Miss Grant, quindi bene! Il bonus 'padre morto' forse non si è ancora esaurito..." Chloe abbozzò un sorriso, ma quando vide l'espressione di Eliot capì che il suo black humor non era apprezzato. Trascorsero alcuni istanti di silenzio gelido, Chloe indietreggiò: "Quuuuiindiii... è meglio che vada..."
"Non prendi lo scuolabus?" chiese Eliot.
"No, ho bisogno di camminare un po'..."
"Vuoi che ti accompagni?"
La prima tentazione di Chloe fu di rifiutare, ma si trattenne. Eliot era l'unico alla Blackwell che la conosceva, l'unico che sapeva com'era la sua vita prima che si ribaltasse. L'unico che era stato a casa sua, anche se quando avevano entrambi otto anni e solo un paio di volte. Forse, era l'unico che poteva ancora vagamente definire amico ad Arcadia Bay.
"Non hai dei compiti da fare?" chiese Chloe.
Eliot alzò le spalle: "Posso rimandarli. Ti posso fare compagnia fino a casa, o magari fino a Up All Nite Donuts. Ci prendiamo un paio di ciambelle e se hai bisogno di parlare ti ascolterò..."
Chloe rimase in silenzio, calpestandosi la punta della scarpa. Non aveva davvero voglia di parlare, non aveva nessuna voglia di fare amicizia come il counselor da cui non stava andando le aveva consigliato. Aveva Max e la speranza che un giorno le avrebbe risposto e per magia tutto si sarebbe ricucito non era ancora morta. Solo incrinata. Eppure... Eliot era lì. In quel momento, non in un futuro ipotetico. Lui le stava tendendo una mano...
"Ok..." quasi sussurrò Chloe.
Eliot le sorrise raggiante, ma non ci fece caso.
Camminarono quasi in completo silenzio fino al 44 di Cedar Avenue, ma tirarono dritto. Chloe fumò tre sigarette nel tragitto, sotto lo sguardo attonito di Eliot, che non commentò. Raggiunsero U.A.N. Donuts e presero quelle ciambelle. Gli zuccheri sciolsero un po' le resistenze di Chloe, tamponando l’alito cinereo. Dopo alcune chiacchiere, lei riuscì a dire: "Mi manca Max... mi manca da morire..."
Eliot si stupì. Si sarebbe aspettato di sentire qualcosa su William, non su Max. Ma anche quello arrivò. Chloe espresse solo le briciole di quello che sentiva.
"E' cambiato tutto..." concluse Chloe, mettendo il punto addentando la ciambella al cioccolato.
Eliot rimase in religioso silenzio e lasciò sedimentare le parole di Chloe per un po’ prima di rispondere.
"L'anno scorso i miei genitori hanno divorziato..." esordì Eliot. Chloe alzò lo sguardo su di lui. Vide i suoi occhi incupirsi. "Mamma ha avuto l'affidamento e mio padre ora vive a Portland... l'ho visto tre volte da allora. Non posso immaginare che cosa stai passando Chloe, ma posso capire quando dici che è cambiato tutto improvvisamente..."
Ci fu una pausa. Eliot prese un sorso di caffè e poi riprese: "Voglio solo che tu sappia che ci sono quando hai bisogno, posso anche stare zitto e ascoltarti, oppure possiamo andare a divertirci. Quello che ti serve. Solo... io sono qui."
Chloe non sapeva bene come prenderla. Eliot era stato gentile con lei, la stava ascoltando, le stava offrendo ciambelle e caffè. La sua vita non era migliorata per questo, eppure una parte di lei era sollevata che a qualcuno là fuori importasse di quello che stava passando, che non volesse darle dei consigli o le dicesse di andare avanti. Qualcuno che voleva solo sapere come si sentiva ed essere lì. Quello che avrebbe dovuto fare Max...
"Va bene..." disse lei.
Eliot sorrise.
Da quel giorno, di tanto in tanto, Chloe iniziò a uscire con Eliot dopo la scuola.
 
-
 
Chloe fece il grande passo e iniziò a frequentare il gruppo degli skater.
La prima volta si avvicinò a Justin e gli chiese se potesse provare l'erba. Il ragazzo ne fu estasiato e coinvolse tutto il gruppo. Avere una ragazza nella banda e iniziarla alle canne era un evento da festeggiare. Faceva piuttosto freddo, così decisero di andare a casa di uno di loro, Brian, Brad, Bob.... Chloe non ricordava. Sapeva solo che i suoi genitori erano in viaggio e quindi la casa era libera. Il gruppo si sistemò in salotto e accesero il camino. Cominciarono ad apparire bottiglie di birra, alcune di vino, pacchetti di nachos, patatine e barattoli di burro d'arachidi. Chloe osservava la scena svolgersi come se non fosse realmente presente, Justin le parlava, illustrandole come si rollava una canna mentre lo faceva, cercando di metterla a suo agio. L'unica cosa cui Chloe riusciva a pensare era quanto avrebbe voluto condividere quell'esperienza con Max. Sarebbe stata una grande avventura e sarebbe stato adorabile vederla tutta imbarazzata facendo cose proibite!
Scese dal treno dei ricordi, mentre il gruppo si riunì intorno a lei e Justin le consegnava la canna con l’onore del primo tiro. Accanto a lei c'era Trevor, gli altri non li conosceva se non di vista. Tra di loro ce n'era uno piuttosto carino, capelli neri, pelle olivastra, un piercing al sopracciglio e un tatuaggio a tre bande sull'avambraccio. Sembrava il più grande del gruppo e Chloe aveva sentito su di sé il suo sguardo per tutta la sera. Avrebbe voluto tanto dare di gomito a Max e farglielo notare, gongolare amabilmente con lei che un cattivo ragazzo figo sembrava attratto da lei…
Infilò la canna fra le labbra, sentì l'umidità della saliva di Justin sulla cartina. La accese e aspirò un'ampia boccata, sentendo troppo tardi le raccomandazioni di Justin sull'andarci piano. Sorprendentemente non tossì, con grande sorpresa di tutti. Le sigarette dovevano aver reso la sua gola più resistente. Nonostante tutto le bruciò tantissimo, in più il fumo sapeva di merda e muschio. Tutti si profusero in complimenti e la incoraggiarono a prendere un altro tiro. Stavolta Chloe ci andò più calma, il fumo strisciò docilmente nei polmoni, lo trattenne e poi espirò. La stanza iniziò a girare mentre una strana leggerezza le raggiungeva la testa. Sentiva il cranio svuotarsi e riempirsi di una strana sostanza aerea e volatile, come un palloncino. Tutta la tristezza, la rabbia, la malinconia, il senso di vuoto che l'avevano accompagnata in quei mesi si dissolsero. Sentì il cervello avvolto da una nuvola soffice come una carezza, un cuscino in cui la sua mente stanca si adagiò spontaneamente. Le venne in mente l’immagine di suo padre che le accarezzava la fronte, spostandole i capelli. Fu solo un flash prima di tornare dove si trovava. Uno strano sorriso ebete le si allargò sul viso e cominciò a ridere. Era così facile? Bastava l'erba per mandare via tutta la merda che la tormentava? Averlo saputo prima sarebbe andata direttamente da Justin invece di rubare le sigarette a Joyce!
Fece girare la canna, a malapena consapevole delle cazzate che i ragazzi dicevano tutt'intorno, prorompendo in fragorose risate, con le voci sempre più biascicate grazie agli effetti del fumo. Le passarono una birra e un pacchetto di patatine. Non era la prima volta che beveva, lei e Max avevano avuto la loro epica sessione di “degustazione vini” giusto l’estate precedente. Il sapore della birra, mescolato a quello dell'erba e delle patatine, creò strane misture chimiche nel suo corpo. Tutto era ancora privo di senso, di giustizia o di scopo. Ma non gliene fregava più un cazzo!
Fanculo William!
Fanculo Joyce!
Fanculo Max!
Fanculo Blackwell...
Fanculo tutto.
Quel ragazzo con il piercing e il tatuaggio alla fine si sedette accanto a lei. Come si chiamava? Eddy? Edwin? Elvis.... non era importante alla fine. Si trovò con la sua lingua in bocca un po' di tempo più tardi. Aveva già dato alcuni baci alle medie, solo, meno bagnati... Quella sera era piena di novità, quindi Chloe seguì il flusso fino ad una stanza appartata nella casa di.... Bob?
Perse la verginità e tutto quello cui riuscì a pensare fu "come vorrei raccontarlo a Max!"
 
-
 
Le giornate si susseguivano e gennaio sfociò in febbraio. L'obiettivo primario nella vita di Chloe era diventato non sentire. Ignorava quanto più riusciva la distanza di sua madre, anche se la vedeva più spesso. Joyce era riuscita a organizzare i suoi turni, ricavando la mattina o la sera libere a settimane alterne. Così, Chloe aveva di nuovo assaporato i pancake appena fatti e le omelette con bacon. Non i waffle… le ricordavano troppo Max. Aveva ricominciato ad avere delle vere cene, con favolosi hamburger, talvolta anche torte di mirtilli e more. Ogni volta che la incontrava, Joyce tentava di parlare.
Un po' troppo tardi.
Joyce era preoccupata per sua figlia. La vedeva vestire in modo sempre più trasandato, usciva senza dire niente e tornava sempre oltre il coprifuoco. La minacciava di punirla e sembrava non fregargliene nulla, ogni tentativo di comunicazione riceveva risposte monosillabiche o silenzio. Braccialetti neri borchiati e collane con pentacoli e teschi erano apparsi come sgradite sorprese nell'outfit di Chloe e dalla sua stanza rimbombava musica punk che non le aveva mai sentito ascoltare. Odorava fortemente di deodorante, e Joyce iniziò a pensare che fumasse erba. Non era estranea a questi trucchi, lei e William li avevano usati a suo tempo. Un giorno decise di affrontare l’argomento. Salì le scale, raggiungendo la porta chiusa di Chloe. Dall'interno un riff di chitarra elettrica faceva letteralmente vibrare le pareti. Bussò, ma non ottenne risposta. Bussò più forte. Ancora niente. Con un sospiro decise di entrare. Chloe ballava al centro della stanza, una sigaretta in mano, la musica a volume assordante. Si accorse di lei solo quando spense lo stereo. Joyce notò mentre premeva il pulsante di stop che era quello di William.
"Mamma! Non si bussa più?" scattò Chloe.
"L'ho fatto varie volte ma non hai sentito..." replicò la donna con tono il più possibile fermo e pacato.
"Come ti pare..." Chloe fece spallucce e prese un lunghissimo tiro dalla sigaretta. Sembrava non gliene fregasse nulla che sua madre la stesse guardando e in effetti era così.
"Fumi adesso?"
Chloe prese una nuova boccata di fumo e soffiò fieramente nella sua direzione senza mai distogliere lo sguardo.
"Come se non lo sapessi!"
Joyce sospirò e diede un'occhiata alla stanza, notando polvere ovunque, vestiti sparsi, poster di band rock, punk e metal sulle pareti. Odore di deodorante all'aroma di pino che in qualche modo le ricordava il dopobarba di William. Tutto era così diverso in quella stanza rispetto a come l'aveva sempre vista negli anni passati, così come era diversa Chloe. Una parte di Joyce sentì di aver perduto sua figlia. La rifiutò con tutta sé stessa.
"Quindi? Che c'è?" disse sgarbatamente Chloe mentre scenerava nel posacenere rosso con la scritta Oregon.
Joyce sospirò e si ricentrò, ricordando a sé stessa perché era lì.
"Chloe... dobbiamo parlare..."
In risposta ricevette un'alzata di occhi al cielo. Chloe spense la sigaretta e si buttò a sedere sul letto, facendo cigolare le molle. Attese in silenzio che proseguisse.
"...Per caso ti stai drogando?" la domanda era brutalmente diretta, ma preferiva così. Era una donna del sud, non aveva tempo per i giri di parole.
Chloe spalancò gli occhi come se fosse sorpresa da quella domanda. Mantenendo il contatto visivo, con aria di sfida rispose: "No!"
Joyce corrugò la fronte e incrociò le braccia, spostando il peso sull'altra gamba.
"Credi che non sappia come si fa a nascondere l'odore dell'erba Chloe? Ho avuto la tua età anch'io..."
"Pensa un po' quello che ti pare mamma..." Chloe era già spazientita. O forse rassegnata.
Joyce si massaggiò la fronte e fece alcuni passi per la stanza.
"Da quant'è che non fai un po' di pulizia qui?" chiese più che altro pensando ad alta voce.
"Sei venuta qui per accusarmi di cose a caso e farmi ramanzine? Se è così puoi anche smettere..."
Joyce si sentì in colpa. Per mesi aveva trascurato sua figlia per poter pagare le bollette. Ovviamente non poteva fare altrimenti o le avrebbero staccato la corrente, poi l'acqua, poi la banca avrebbe mandato qualcuno a casa loro per quotare i beni mobili e immobili. La crisi economica non aveva certo aiutato la loro situazione. Doveva mantenere a galla la sua famiglia, ma aveva lasciato sola Chloe in un momento cruciale. Se ne rendeva perfettamente conto, per questo aveva chiesto a Wells di mandarla dal counselor, ma era stata avvertita che Chloe aveva smesso di andarci. Lei stessa era andata in ospedale a parlare con qualcuno, ma non aveva avuto tempo per quello. Doveva pagare le bollette… doveva tenere ciò che restava della sua famiglia con un tetto sulla testa e la pancia piena.
Priorità.
Ora però doveva recuperare in qualche modo. Non aveva idea di come e Chloe non lo stava rendendo più semplice. Ingoiò tutta la sua frustrazione e si voltò verso sua figlia.
"Non voglio rimproverarti... ma ho paura Chloe. Non ti riconosco più. Un tempo eravamo unite, parlavamo. Sento che ti sto perdendo e non voglio che succeda..."
Per un attimo negli occhi di Chloe passò qualcosa, la luce di affetto verso di lei che si era abituata a vedere fin da quando era bambina. Fu spazzata via rapidamente da un cipiglio arrabbiato.
"Arrivi un po' tardi... e comunque abbiamo parlato molte volte. Non hai mai ascoltato..."
"Chloe..."
La ragazza allungò una mano verso la scrivania, verso il pacchetto di sigarette. Ne accese una e volute di fumo le avvolsero la testa.
"Le uniche volte che mi hai parlato è stato solo per rimproverarmi o darmi un po’ di quella merda sull’andare avanti o l’essere forte…" commentò amaramente.
"Linguaggio Chloe… Wells mi continua a chiamare da scuola, dice che i tuoi voti sono peggiorati, che ignori le lezioni, che litighi con i tuoi compagni e i professori. Perché non vuoi dirmi che cosa non va..."
"Papà è morto cazzo! Ecco cosa non va! Lui non c’è più, Max se n'è andata e tu sei sempre al lavoro... che cazzo ti aspetti che faccia?! Devo pur sopravvivere in qualche cazzo di modo!!"
"Chloe!" il tono di Joyce uscì a metà fra la sorpresa e la disperazione. Sua figlia che le urlava addosso era una novità. Completa, assoluta novità. Vide delle lacrime inumidirle gli angoli dei suoi occhi e non riuscì a dire nient'altro.
"Sai che c'è? Fa quel che devi... vuoi mettermi in punizione perché fumo? O perché non riordino la stanza? O per i miei voti di merda? Fallo... non me ne frega un cazzo..."
Joyce rimase in silenzio, sgomenta. Fisicamente era ancora Chloe, ma era diventata un'estranea. Non sapeva cos'altro aggiungere, così semplicemente se ne andò. Rimase per un po' appoggiata fuori dalla porta chiusa, lottando per non scoppiare in lacrime. Passarono pochi secondi da quando era uscita e la musica punk esplose di nuovo dall'interno della stanza. Si diresse verso il bagno, aprì il primo cassetto sotto il lavandino e prese il flacone arancione di Fluoxetina, la cui prescrizione era l’unico risultato positivo delle sedute di psicoterapia. Con un gesto automatico si lasciò cadere in mano una pillola e la ingoiò prendendo un sorso d’acqua dal rubinetto.
Forse per autosuggestione, iniziò a sentire subito gli effetti calmanti del farmaco.
Avrebbe trovato una soluzione, ma doveva pagare le bollette.
Quello non era il momento giusto per parlare con Chloe… ci avrebbe riprovato.
Non poteva arrendersi.
Forse lo voleva… ma quale madre lo fa?
Che razza di persona sarebbe stata se si fosse arresa con sua figlia?
Prese un profondo respiro, si ricentrò e fece rotta verso il Two Whales.
 
-
 
Gli occhi blu erano fissi nei suoi attraverso lo specchio.
Chloe fissava il proprio riflesso in bagno e non sapeva chi stesse guardando. Le parole di sua madre, "non ti riconosco più", avevano fatto breccia. Non che fosse la prima volta che le sentiva e non solo da sua madre, ma stavolta ci aveva riflettuto. Joyce era andata al lavoro dopo il loro breve scontro, era una delle settimane in cui faceva la sera. Chloe aveva tirato fuori dai suoi nascondigli birra ed erba e si era calmata un po', ma quelle parole continuavano a frullarle in testa ancora e ancora.
Era vero.
Nemmeno lei si riconosceva più…
Non era più la stessa.
Iridi blu cerchiate da una sclera arrossata. Ciglia scompigliate e bordate di viola, capelli biondi lunghi e sconvolti, vestiti che non cambiava da giorni, puzzolenti di sudore e deodorante all’aroma di pino, il più simile all’odore che sentiva sempre sulle guance di suo padre quando si faceva la barba. Quel profumo che associava così spontaneamente a lui. Un modo per non dimenticarlo. Chloe si ricordava ancora l’odore di suo padre, ogni dettaglio del suo viso. Non avrebbe mai dimenticato il suo aspetto, c’erano le foto per quello, ma non voleva dimenticare la sensazione di essere in sua presenza, di sentirlo. Di percepire l’ingombro del suo corpo, la forza e la protezione che le comunicava, la dolcezza del suo sguardo…
Era tutto ciò che ancora la legava alla persona che era stata e che ora non vedeva più riflessa in quello specchio.
Chi stava guardando?
Era sempre Chloe Price, ma una versione nuova.
Era Chloe Price senza suo padre.
Era Chloe Price senza la sua migliore amica.
Era Chloe Price senza più uno scopo nella cazzo di vita.
Era completamente sola.
Si chiese se Justin e Trevor contassero come amici.
No.
Cioè, si, erano amici in senso generico, ma non AMICI.
Non poteva confidarsi con loro nemmeno quando era fatta, e comunque non le sarebbe mai venuto in mente di farlo! Il massimo che avrebbe ottenuto sarebbe stato un “cazzo sorella, fa proprio schifo sta situazione…”
Preferiva lasciare che la chimica scombinata del suo corpo facesse il suo lavoro. La mente finalmente si librava al di sopra di tutta la merda in cui nuotava di solito, si scrollava di dosso lo schifo e seguiva le correnti ascensionali dell’incoerenza.
Eliot era un amico?
No.
Avrebbe voluto esserlo in effetti. Anche Chloe avrebbe voluto che lo fosse.
Probabilmente lui voleva anche qualcosa di più.
Uscivano insieme tutte le settimane, facevano merenda ad Up All Nite Donuts oppure colazione al Two Whales. Joyce un paio di volte le aveva chiesto di lui, con un fastidioso interesse e forse una segreta speranza. Il rapporto con Eliot aveva i suoi pregi: era grazie alle sue gentili pressioni che ancora faceva qualche compito. Era rimasto l’unico a spronarla in modo positivo, senza ricordarle continuamente quanto facesse schifo rispetto alla sua perfetta sé stessa del passato, con un padre e una migliore amica amorevoli…
Chloe aveva iniziato a parlargli della musica punk che ascoltava e come sempre lui pendeva dalle sue labbra. Un giorno era arrivato al Two Whales con un sorriso raggiante e la locandina di un concerto dei Noravi a Bay City. Le aveva proposto di andarci e lei aveva accettato. L'idea le piaceva. L'ultimo concerto cui era andata era stato con Max...
Nonostante tutto questo, Chloe non riusciva a lasciarsi andare neanche con lui. Probabilmente sbagliava, Eliot l'avrebbe ascoltata qualunque cosa avesse detto. Ma sentiva come se ogni parola che pronunciava non attecchisse mai. Non come se lui non la ascoltasse, piuttosto come se fosse... impermeabile? Come se non fosse un atteggiamento spontaneo, ma un’attitudine che indossava per lei. Avrebbe dovuto esserne felice? Farla sentire speciale?
Chloe non sapeva.
L'unica persona che voleva davvero accanto e che sapeva l’avrebbe capita era Max. Ma non c'era più.
Se n'era andata. A volte questo la faceva soffrire più dell’assenza di suo padre.
Lui era morto, non poteva tornare indietro. Max, invece, aveva smesso di risponderle. L’aveva lasciata alle spalle per scelta.
Chloe non riusciva a levarsi dalla testa che fosse per qualcosa che aveva fatto. Per qualche sgarro di cui continuava a non rendersi conto e il cui tormento aveva sepolto sotto ogni genere di sedativo. Aveva intravisto le pillole di sua madre tra gli asciugamani del primo cassetto in bagno. Aveva pensato di prenderne una… non l’aveva ancora fatto. Continuava a pensarci… magari ne avrebbe presa qualcuna in più del necessario, mandandole giù con una mezza bottiglia di birra e…
 
Che dire della scuola invece?
Quando ripensava al motivo per cui aveva deciso di andare alla Blackwell il cambiamento diventava del tutto evidente. Quella scuola era una specie di sogno fino a un anno prima. Arroccata lungo il fianco boscoso della collina, visibile da ogni punto di Arcadia Bay, i suoi mattoni rossi e la torre centrale svettavano sul verde della foresta circostante come un castello incantato. Una rinomata accademia d'arte e scienza che le avrebbe dato l'opportunità di farsi largo in qualunque college avesse voluto. Con i suoi voti tutte le università d’America avrebbero fatto la fila per lei. Questo, almeno, quando ancora pensava al futuro e aveva degli obiettivi.
Ora la Blackwell era diventata una prigione.
Che cazzo di futuro poteva avere ormai?
Senza suo padre, senza Max e con sua madre che la guardava con disgusto...
Là dentro era sola... circondata da pezzi di merda ricchi con la puzza sotto il naso che fin dal primo giorno le avevano fatto capire quale dovesse essere il suo posto.
La pietà, o l’imbarazzo, per suo padre morto ormai era finita da tempo. I professori erano tornati a sgridarla per il suo scarso rendimento, spesso in classe e ad alta voce così da far sapere a tutti quanto fosse una merda. Marisa Rogers era tornata a prenderla in giro, una volta per il suo braccialetto borchiato, un’altra le aveva dato della satanista per il pentacolo rovesciato appeso al collo. Qualcosa ribolliva nello stomaco di Chloe, guardava film mentali in cui prendeva la testa di Marisa, la infilava tra la porta e lo stipite e sbatteva ripetutamente fino a lasciare solo una poltiglia rosso-grigia.
Ma il massimo che faceva era alzare due dita medie nella sua direzione o mandarla affanculo.
Poi finiva dal Preside…
Chloe Avrebbe solo voluto svanire.
Era stufa di sentirsi così.
Mentre barcollava sul posto davanti allo specchio si accorse di un paio di forbici davanti a lei. Allungò la mano per prenderle, ma il comando ci mise un po' ad arrivare dal cervello ai muscoli. Con lentezza innaturale, Chloe prese gli arnesi e li fissò con curiosità. Poi tornò al suo riflesso. Voleva pugnalare lo specchio, ma qualcosa le disse che non avrebbe funzionato.
Notò i suoi capelli.
Lunghi, biondi, spettinati.
Suo padre li adorava e lei amava quando lui le passava la mano tra le ciocche, facendole i grattini sulla testa per farla addormentare la sera, oppure accarezzandola distrattamente durante un film, che ci fosse o meno Max. Non era colpa sua se si addormentava sempre!
Ora lui era morto...
Nessuno avrebbe mai più amato i suoi capelli.
Probabilmente nessuno avrebbe più amato lei.
Delusione era tutto ciò che leggeva sui volti degli altri.
E se invece avesse cambiato il punto di vista?
Erano gli altri ad aver deluso lei!
Cazzo si! Total-fottuta-mente!!
Max l’aveva abbandonata nel momento in cui aveva più bisogno, sua madre l’aveva lasciata nelle mani di un counselor di merda invece di occuparsi di lei, tutto perché quel cazzo di giorno le era pesato il culo e non aveva voluto portare a casa la spesa da sola.
Non era lei ad essere una delusione. Era il mondo a essere deludente.
Fanculo il mondo. Fanculo tutto.
Prese una ciocca di capelli, armeggiò per un po' con le forbici cercando di posizionarli tra le due lame e mettere in salvo le dita.

Zak!

Fili dorati caddero sul pavimento.
Chloe sentì gli occhi bruciarle.
Armeggiò ancora un po' cercando di afferrare una nuova ciocca.

Zak!

e ancora.

Zak!

Se doveva essere sola…

Zak! Zak!

…lo sarebbe stata per scelta!

Zak!

Altri frammenti di chioma dorata fluttuarono sulle piastrelle del pavimento.

Zak! Zak! Zak!

Fanculo tutti….

La testa di Chloe divenne pian piano un incoerente massa di capelli biondi tagliati in ciocche più o meno corte.
Lacrime iniziarono a rigarle il viso, senza singhiozzi.

Zak!

Guardò il suo riflesso ora, osservando una ragazza sconosciuta.
Era ancora lei?
Si, era ancora Chloe Price. Un aggiornamento punk per una vita di merda e in cui non vedeva futuro. Non era quello il motto dei punk? "No Future!" Così le aveva raccontato Skip!


Scoppiò in una risata isterica e priva di umorismo.
Rise dell'aspetto ridicolo che aveva la sua testa.
Rise della sua espressione da idiota.
Rise di quante speranze avesse rivolto in un mondo che ad un certo punto aveva deciso di cagarle in testa.
Qualcosa si smosse nel suo stomaco e si fece largo a spintoni verso l’alto.
Un sapore acidulo le raggiunse la bocca.
Senza che se ne accorgesse si accasciò sul cesso a vomitare, alternando rigurgiti a convulse risate.
Quando ebbe finito si asciugò in qualche modo e barcollò verso la sua stanza, precipitando sul letto già addormentata prima di toccare il materasso.
 
Quella notte Joyce entrò in bagno per farsi una doccia, esausta. Trovò i capelli di Chloe per terra, sentì l’odore del vomito alcolico e dell'erba che aleggiava nell'aria, proveniente dal water in cui non era stato tirato lo sciacquone.
Si diresse in camera di Chloe, mossa dall'ira e pronta allo scontro.
La trovò con i capelli falciati riversa nel letto, russante e sbavante.
Si paralizzò a fissarla.
Era una copia disperata della sua Chloe, precipitata in un buco nero senza fondo.
E Joyce l’aveva delusa.
Joyce stava fallendo come madre.
Stava deludendo sé stessa.
Stava deludendo Willam... cosa avrebbe pensato di lei se avesse visto come si stava riducendo la loro bambina? Per colpa sua…
Lui era morto per colpa sua… Chloe stava cadendo per colpa sua…
Non poteva più sopportarlo... non ce la faceva più.
Non da sola.
Scoppiò in lacrime e quasi cadde in ginocchio.
Chloe non si accorse di nulla.
Joyce si precipitò nel suo letto, ancora con le scarpe e la divisa del Two Whales. Afferrò il cuscino di William, ancora al suo posto sul lato giusto del letto e lo abbracciò. Si avvolse ad esso con braccia e gambe, rannicchiandosi in posizione fetale, affondando le unghie nella stoffa fin quasi a strapparla. Cercò in esso l’odore del marito… non lo trovò…
Affondò la faccia e singhiozzò così forte che il petto le fece male.
Quando fu troppo stanca per continuare a piangere, una strana calma le piombò addosso.
Aveva raggiunto il fondo e per qualche momento, laggiù si sentì a suo agio.
Si mise a sedere sul bordo del letto e sistemò di nuovo al suo posto il cuscino.
Pulì il bagno con gesti automatici e apatici, si fece una doccia e quando ebbe finito prese il cellulare.
Il segnale acustico della chiamata risuonò due volte, poi rispose. Joyce sorrise fra sé. Sempre due squilli, regolarmente. Era come se aspettasse una sua chiamata. Sempre.
"Ciao Joyce..." salutò la voce ruvida e calma dall'altra parte.
"Ciao David..." rispose lei con una voce più rauca di quanto si aspettasse. Ci fu un istante di silenzio dall'altro lato.
"Hai pianto? Cos'è successo?" la preoccupazione era reale e sincera.
"Si... potresti... venire da me per favore?"
Una pausa di alcuni secondi precedette la risposta ferma e concisa.
"Sarò lì in 13 minuti."
 
-
 
"E nessuna sessione di degustazione vini alla Chloe e Max..."
"Papà!" Chloe interruppe la sbattitura delle uova per lanciare a suo padre un'occhiataccia.
"Non mandare tutto all'aria, perché stasera tua madre ha promesso di cucinare la sua rinomata sorpresa al salmone con torta al cioccolato per dessert." William si voltò verso il salotto "Max, ci sarai anche tu?"
Max annuì semplicemente, vicino al tavolo pieno di disegni, matite e pennarelli.
"Lei non mi lascerà mai!" Chloe si affacciò dalla cucina.
"Nessuno di noi lo farà..." William si diresse verso la porta…
 
Improvvisamente le mancò il fiato.
Una pressione sul petto, la gola chiusa.
Sentì Max singhiozzare dietro l’angolo della cucina e la raggiunse.
“Max, ti stai comportando in modo fottutamente strano… come se non dovessi rivederci mai più…”
Lei alzò il suo viso affranto e lentigginoso.
“Perdonami Chloe… ho provato a rendere le cose migliori…
… qualunque cosa accada ricorda che io ci sarò sempre. Anche se sembrerà che non ci sia, ti guarderò sempre le spalle… Sempre!”
Sensazione di cadere, inghiottita dal pavimento.
Nell'oscurità.
 
Chloe si svegliò tossendo furiosamente. Si era schiantata sotto l'effetto di una pesantissima sbornia. La vista era appannata, la testa le girava ancora, lo stomaco era in subbuglio. Sentì qualcosa di appiccicoso fuoriuscirle dalla bocca e fluire sulla sua guancia sprofondata nel materasso.
Fortunatamente non era vomito. Era solo bava.
Aveva dormito con la bocca aperta e le si era seccata la gola.
Tentò di mettersi a sedere, faticosamente. Il suo corpo era così pesante... non si era mai ubriacata così tanto. Non ricordava bene come fosse arrivata al letto. Guardò l'ora sulla sveglia.
11.23
Cazzo...
Non era andata a scuola e nessuno l'aveva svegliata.
Improvvisamente si rese conto di una strana sensazione di fresco alla testa. Non si era impigliata nei suoi lunghi capelli mentre si appoggiava al materasso. Si passò una mano sulla testa e allora ricordò.
Li aveva tagliati.
Ebbe dei vaghi flash di lei che camminava verso la sua stanza e poi niente. Una delle prime connessioni logiche del suo cervello fu riguardò al fatto che aveva lasciato capelli dappertutto in bagno. La seconda fu il ricordo di una brutta seduta di vomito con la faccia nel water... anche quello rimasto incustodito tutta la notte e buona parte della mattina.
Merda. Difficile che mamma non l'abbia notato.
Chloe si mise cautamente in piedi e raggiunse con passi incerti il comodino alla destra del letto. Buttò solo uno sguardo al diagramma dell'altezza scarabocchiato. Pensò di metterci qualcosa davanti, o forse avrebbe riverniciato? No, forse era troppo, ma comunque non voleva vederlo.
Sul comodino c'era uno specchio da trucco, circondato da povere scatole di fondotinta ed eyeliner in disuso da mesi.
Tempo di valutare il danno...
L'immagine che lo specchio le restituì la confuse sulle prime. Era la sua faccia, ma con i capelli corti e tagliati in modo incoerente appariva diversa. Più cazzuta. Era la qualità che le serviva. Com'era quella cosa della sopravvivenza del più adatto o merda del genere? Quello comunque.
Si passò una mano fra le ciocche...
Ok, era abbastanza orribile!
Per fortuna sarebbero ricresciuti, la prossima volta se li sarebbe tagliata da sobria!
Rovistò nel cassetto dei vestiti. Doveva esserci un berretto o qualcosa del genere. Ne trovò uno grigio di lana. Per fortuna faceva ancora abbastanza freddo da renderlo adeguato.
Man mano che recuperava la lucidità si rese conto dello stato in cui era. Puzzava di vomito, alcol e sigaretta. Un po' di rigurgiti le erano rimasti sulla maglietta e sulla manica destra della felpa.
Merda... Doccia-Time
Si diresse verso il bagno quando si rese conto che qualcuno parlava al piano di sotto.
Sulle prime pensò che fosse la tv, ma poi distinse nitidamente la voce di sua madre che parlava con qualcuno. Un uomo, con voce rude e profonda. Un poliziotto? Aveva fatto qualche merda di cui non ricordava? Quanto cazzo aveva bevuto?
Decise di pensarci più tardi. Presentarsi a chiunque fosse di sotto in quello stato non era certo una buona idea. Quando aprì la porta del bagno lo trovò perfettamente pulito. Sospirò profondamente.
Si... ramanzina e punizione in arrivo...
Girò la manopola dell'acqua calda e si preparò ad una doccia mai così necessaria...
 
-
 
Vestita con un paio di shorts e una canottiera nera con la A di anarchia che le aveva regalato Eliot, scese le scale. La doccia le aveva ridato un po' di vitalità e lavarsi i denti era stato catartico. Guardandosi allo specchio sembrava quasi una persona normale. I suoi passi avvolti nei calzini di lana fecero cigolare i gradini di legno, mentre guadagnava la porta della cucina. C'era profumo di caffè e di bacon nell'aria. Il suo stomaco avrebbe gradito il primo, così come i suoi neuroni...
Caffeina...
Immaginò la faccia di Homer Simpson che sbava.
Sentì le voci zittirsi mentre si avvicinava al salotto, sua madre le andò incontro. Lo sguardo che le diede fu eloquente. Del resto, Chloe era preparata. Sperava solo che la ramanzina arrivasse più tardi, non in presenza di... chiunque fosse l'ospite.
"Chloe... come ti senti?"
"Bene..." disse lei con un filo di voce.
Avrebbe dovuto scusarsi?
"Mamma io..."
"Ne parliamo più tardi..." la voce di Joyce era gentile, quel genere di cortesia di circostanza che si usa per coprire sentimenti ben diversi. Chloe sentì un nodo di preoccupazione avvolgerle lo stomaco. "E' tardi per la colazione, vuoi del caffè?"
"Uhm... si grazie..."
Joyce annuì e andò in cucina. Non fece commenti sui capelli e sul berretto di lana che indossava. Chloe decise di andare finalmente a scoprire chi fosse l'ospite.
Raggiunto il salotto e vide qualcuno seduto al tavolo con una tazza di caffè quasi vuota. Era al posto di suo padre. Questo le diede sui nervi, ma del resto quell'uomo non lo sapeva... Almeno non era un poliziotto, anche se ne aveva l'atteggiamento. Capelli neri, taglio tattico, strani baffi fin troppo curati. Lineamenti spigolosi da Big Jim, camicia verde militare con le maniche accuratamente ripiegate e un orologio al polso destro. La postura rigida, schiena dritta e occhi sbarrati come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro. Le ricordò Bongo quando c'erano estranei in casa. Si fissarono in silenzio per alcuni secondi, poi lui parlò.
"Ciao..."
"Ehm... Buongiorno..." salutò Chloe un po' perplessa.
L'uomo sembrava in imbarazzo, guardò verso la cucina con speranza e Joyce arrivò di lì a poco a salvare la situazione.
"Ecco..." sua madre depositò la tazza sul tavolo e Chloe si sedette. Si lasciò inebriare dall'aroma del caffè, iperdolcificato come piaceva a lei. Prese un sorso desideroso, gustando la sensazione della caffeina che accendeva le lampadine nel suo cervello.
"Lui è David Madsen. È un mio amico. Oggi è così gentile da accompagnarmi al lavoro. Passerà a trovarci qualche volta..." disse Joyce. A Chloe non sfuggì la mano di sua madre sulla spalla dell'uomo. Non le sfuggì nemmeno il profumo che si era messa. Non era il profumo "da lavoro"... era un aroma diverso... quello che usava per le occasioni speciali o quando usciva a cena con papà.
Strano...
"Ok..." disse Chloe "Ehm... piacere..."
"Piacere mio..." disse David alzandosi leggermente dalla sedia e tendendole una mano con gesto robotico. Chloe lo fissò diffidente, poi la strinse mettendoci un po' più di forza del necessario. Entrambi si diedero una bella stretta, prima di tornare ciascuno alla sua postazione.
Chloe era spaesata e non solo per i postumi della sbornia.
La gentile freddezza di sua madre, il suo profumo…
La presenza di questo strano tizio seduto al posto di suo padre...
"Ho chiamato Wells per dirgli che non ti sentivi bene, ma gli ho assicurato che è una cosa passeggera e che DA DOMANI tornerai a scuola regolarmente. E riprenderai le sedute..." disse Joyce.
Chloe la fissò.
Perché diceva quelle cose davanti a questo tizio?
Mah si, facciamo sapere al primo che passa che mia figlia ha dei problemi...
"Ora devo andare al lavoro, questa sera parleremo con tranquillità. Va bene?"
Chloe annuì, sorseggiando il caffè.
"Bene..." si voltò verso l'uomo e la sua espressione si ammorbidì di colpo, le labbra si allargarono in un sorriso "... andiamo David?"
"Sissignora!" Disse lui come se effettivamente rispondesse ad un ufficiale, mentre balzava in piedi. Joyce ridacchiò, teneramente. Chloe era esterrefatta...
Sissignora??????
I due uscirono dalla porta. Joyce le disse che c'erano degli spaghetti da riscaldare per il pranzo e uscì. David le rivolse un saluto e la porta si chiuse.
La casa sprofondò nel silenzio.
Chloe fissò la porta chiusa, mentre sentiva il rombo di un motore piuttosto potente che veniva avviato nel vialetto. Corse alla porta e attraverso la finestrella laterale spiò all'esterno. Un'auto sportiva blu con strisce bianche sulle fiancate fece manovra uscendo dal suo viale e partì alla volta del Two Whales...
Chloe si grattò la testa...
Passò il resto della giornata a riprendersi dalla sbornia. Gli spaghetti riscaldati aiutarono. Ad un certo punto mise mano alle forbici e tentò di sistemarsi i capelli. Diede loro una forma più sensata.
Joyce tornò a casa per cena, molto prima del previsto. Preparò una bistecca con patate al forno e parlarono mentre mangiavano. Joyce le raccontò con molta calma in che condizioni aveva trovato il bagno e lei nel letto. Le disse che alcol e erba erano ufficialmente sequestrati e banditi da quella casa e che era tempo di un nuovo inizio per entrambe. Una parte semi-conscia di Chloe sospettò che in quel nuovo inizio c’entrasse anche quel David. La donna continuò, dicendo a Chloe che era l’ultimo avvertimento, doveva iniziare di nuovo ad avere cura di sé e del suo futuro alla Blackwell, che aveva bisogno che collaborasse e insieme ce l’avrebbero fatta. Come una famiglia. Chloe si limitò ad annuire.
Quando Joyce ebbe concluso, deviò il discorso: “Come sta Eliot?”
Chloe sbuffò e si riempì la bocca di carne…
 
-
 
Il giorno dopo, Chloe scese dallo scuolabus e fronteggiò il suo acerrimo nemico: la Blackwell. Si sentiva la stessa di sempre, ma per qualche ragione il nuovo look le dava un po’ di forza.
Chloe Price 2.0
Si rifugiò sul lato dell’edificio della piscina, dove il cartello “No Smoking” era diventato “No Sucking”, con il muro circostante invaso di tag e il pavimento di mozziconi. Un sorrisetto divertito si allargò sulle labbra di Chloe e si accese una sigaretta. Aspirò un po’ di fiducia mentre da quell’angolo nascosto osservava il parco davanti alla facciata del campus. Scrutò con distacco i gruppetti di studenti sparsi qui e là che ammazzavano il tempo prima delle lezioni. Lei invece era lì da sola a fumare. Si sentiva completamente estranea, la maggior parte di loro erano ragazzi ricchi con cui non aveva niente a che fare. Gente cui non era mai mancato nulla, pieni dell’arroganza di chi non ha mai perso niente di importante. Di chi non conosce nemmeno il significato della parola ‘perdita’. Prima l’avevano isolata e sfottuta perché frequentava grazie a una borsa di studio (come se fosse l’unica…), poi perché la sua tristezza li metteva a disagio. Che lo volesse o no, era sempre stata sola là dentro…
Quando la sigaretta fu estinta come le sue riflessioni amare, entrò nel campus e si trascinò fino al suo armadietto per prendere il libro di Matematica e fare rotta verso la classe del Professor Terry.
“Toh guarda!” Una voce familiare la distolse dai suoi pensieri “hai finalmente deciso di fare outing? Cos’è questo, un nuovo look da lesbica?”
Chloe accostò l’armadietto, voltandosi a fronteggiare Marisa Rogers accompagnata dal solito duo di cortigiane. Lanciò un rapido sguardo a com’era infiocchettata, con i capelli neri acconciati in un elegante caschetto, un maglioncino rosa da cui spuntava il colletto bianco di una camicia, con una gonna verde, collant scuri ed un paio di scarponcini forse di pelle.
Deve esserci qualche tipo di strano fetish nell’indossare animali morti…
Le due ragazze al suo fianco sembravano sue fotocopie meno appariscenti. Per qualche sorta di regola interna al club degli stronzi, non bisognava vestirsi meglio del capobranco. Chloe sentì accendersi nello stomaco la solita rabbia e fu tentata di insultarla o di superarla come aveva sempre fatto. Se la sarebbe cavata con l’ennesima ramanzina e tutto sarebbe andato avanti…
No! Non stavolta.
Era arrivato il momento di mettere fine a queste stronzate, o almeno di reagire.
Cambiare strategia.
Era il momento di mettere in pratica il cambiamento.
Fece un profondo respiro e indossò un sogghigno: “Perché lo chiedi? Sei interessata?”
Marisa sgranò gli occhi, come le sue compagne. Come si chiamava la bionda? Sierra? Sally? e l’altra con quella frangetta strana e gli occhiali da Harry Potter? Katherine… Kaylee… fanculo i nomi di queste cretine! Quello che contava erano le loro facce. Completamente esterrefatte!
Non erano abituate a quel genere di risposte. Non erano abituate a nessuna risposta in realtà. Marisa si sentì improvvisamente osservata, non solo da Chloe che le piantò uno sguardo di sfida dritto negli occhi, ma anche dalle sue seguaci K. e S. che si aspettavano una replica pungente. “Metti a posto questa sottospecie di clochard Mari!” Sembravano dire…
“Wow! Sembra che qualcuno abbia imparato nuove parole oltre a ‘vaffanculo’! Anche se le usi per dire cazzate!” lo sguardo di Marisa sembrava dire ‘Boom! Beccati questo!’
Il sogghigno di Chloe si allargò ancora di più, mentre il cuore le rimbombava nelle orecchie. Marisa si sentì improvvisamente molto a disagio. Perché stava sorridendo?
“Oh si! Ho imparato molto! Infatti credo di aver capito perché mi stai incollata fin dai primi giorni di scuola… forse perché ti eccito! Non è così?”
Marisa scoppiò a ridere “Penso che dovresti farti vedere da uno bravo Price! Qui la stramba sei tu, non io!”
“Non fare così Mari… non è giusto. Non rifiutare ciò che sei… avanti… darmi della lesbica significa solo due cose: o sei un’omofoba del cazzo o stai proiettando. Ammettilo, mi stai corteggiando dall’inizio dell’anno. Certo in modo un po’ strano e malato… ma è chiaro! Chi disprezza ama o qualche merda simile…” ormai il vaso di Pandora era aperto, le parole di Chloe eruppero come la scarica di una mitragliatrice.
“Ma che cazzo…” Marisa andò in confusione. Con la coda dell’occhio si accorse che la loro conversazione stava attirando l’attenzione di un po’ troppe persone. E stava anche durando molto più del previsto. Non andava bene!
“Si dev’essere così.” Proseguì Chloe sfruttando l’esitazione dell’avversaria “Tutto quel darmi addosso per come mi vesto e per come mi comporto. Era una richiesta di attenzione! Certo che potevi dirlo gentilmente… magari ci sarei stata…” Chloe fece un passo verso di lei e Marisa indietreggiò allarmata.
“Che… vuoi fare?” le uscì prima che potesse pensare.
“Sii sincera Mari… ti incuriosisce vero? Quello che potrei farti… non devi più negare i tuoi sentimenti”
Marisa spalancò la bocca, svuotata per la prima volta in vita sua di ogni sillaba coerente. Lo stesso le sue compagne. Chloe incalzò ancora.
“…ammettilo. Vorresti questa punk proletaria tutta per te. Vorresti che una vera donna ti mostrasse qualcosa di nuovo… ed eccitante…” la sua voce si fece vellutata, si avvicinò tanto a Marisa che poté sentire il suo fiato di sigaretta. Lo stomaco le si rivoltò e serrò la mascella, mentre il sangue defluiva da tutto il corpo verso le gambe, pronte per la fuga.
“Tu… brutta… stronza…”
Chloe si fece indietro di colpo ed alzò un braccio sopra la testa. Marisa balzò indietro sentendo già lo schiaffo bruciarle sulla faccia. Chiuse gli occhi.

SBAM!!!

Chloe chiuse il suo armadietto con un colpo secco, attirando l’attenzione dei pochi che ancora non stavano osservando la scena. Marisa sobbalzò e si guardò attorno confusa. Non era decisamente andata secondo i piani. C’erano i ragazzi del Vortex Club che la stavano fissando, quella stronza la stava mettendo in imbarazzo davanti alle persone più popolari della scuola, le stesse che tentava di impressionare fin dall’inizio di quel fottutissimo anno.
“Allora? Che mi dici? Vuoi provare qualcosa di eccitante??” propose Chloe avvicinandosi di nuovo. Si portò alla bocca la mano sinistra, la sua lingua saettò tra l’indice e il medio a V, sotto lo sguardo stupefatto e divertito di tutto il corridoio. “Dai stacci Marisa!!” gridò qualcuno, seguito da risate. “Wooooo” esclamò qualcun altro con eccitazione. Qualcuno fischiò.
Marisa barcollò all’indietro, la sua mente non era pronta per quello. Niente nella sua esperienza a scuola, in particolare con Chloe Price, l’aveva preparata per questa reazione. Tutti la fissavano, si voltò a guardare le sue compagne K. e S. che da sbalordite ora le rivolgevano sguardi delusi.
“Sei fuori di testa Chloe!”
“Non quanto lo sei tu per me!” la replica istantanea fu come un pugno in faccia. La faccia di Marisa bruciava. “Guarda come sei arrossita… lo sapevo! Ho fatto centro!”
Marisa si sentiva scoppiare la testa, mentre i commenti degli spettatori perdevano nitidezza. Stava per venirle un attacco? Era tempo di ritirarsi e pensare. Avrebbe limitato i danni… e non sarebbe finita qui!!
“Vaffanculo… non ne vale la pena…” la ragazza ricca girò i tacchi e se ne andò “Sei malata…” le gridò allontanandosi, sgomitando fra le sue scagnozze inebetite.
“Sembra che tu abbia imparato la mia parola preferita…” Chloe ormai era lanciatissima.
Marisa emise un gemito sfinito e girò l’angolo, ritirandosi dovunque i supercattivi si ritirino dopo averle prese dai buoni! Echeggiarono risate, fischi e commenti irriverenti che Chloe registrò a malapena. Era ancora completamente tesa, sudava freddo e il cuore le pulsava furiosamente in ogni parte del corpo. Rimase immobile, fissando l’angolo dietro cui Marisa era scomparsa, aspettandosi che tornasse con una mazza da baseball in pugno per massacrarla di botte. Improvvisamente si rese conto di essere in apnea. Prese un profondo, lunghissimo, liberatorio respiro.
Tutti i muscoli del suo corpo si rilassarono istantaneamente. Guardando intorno si accorse che gli altri studenti tornavano a farsi gli affari propri e convergere verso le classi, salvo alcuni che ancora chiacchieravano divertiti e la fissavano. Si erano goduti la scena!
Fanculo i bulli!!!
“Hey Donna dell’Anno!” la voce strascicata di Justin la sorprese dal lato destro “Che cazzo è successo?!” chiese ridacchiando.
Chloe prese un nuovo profondo respiro: “Non ne ho la più fottuta idea…” sghignazzò mentre riapriva l’armadietto e prendeva finalmente il libro, cosa che fece anche Justin aprendo l’anta vicina.
“È stato faaaantastico! Se lo rifai avvisami… non voglio perdermi il secondo round!”
“Sai… certe cose semplicemente accadono. Non puoi guidare l’ispirazione, amico!” gongolò Chloe.
Justin ridacchiò “Ah… comunque mi piace il nuovo look! Ti rende davvero cazzuta!”
“Grazie!” Chloe si sentì invadere da uno strano appagamento. Endorfine? Probabile! Qualcosa in lei si era sbloccato ed ora si sentiva… euforica? Non sapeva come definire quella sensazione, ma di sicuro era piacevole.
Insieme a Justin si diresse verso l’aula di matematica, ignorando che una ragazza bionda con un paio di orecchini di piume blu la stava fissando con ammirato stupore.
Ovviamente, Chloe finì da Wells e si prese una settimana di doposcuola come punizione per aver minacciato una compagna.
 
-
 
Esattamente come aveva detto Joyce, David si fece vivo regolarmente a casa Price. Fin troppo. Tutti i venerdì sera Chloe se lo ritrovò a cena. Più lo guardava e, soprattutto, lo ascoltava, più lo detestava. Il fatto che insistesse a sedersi al posto di suo padre sia a tavola che sul divano la irritava profondamente, ma non era la cosa peggiore. La chiamava "bimba"... Ogni volta che sentiva quella parola Chloe voleva piantargli la forchetta in fronte. Durante la prima cena Joyce lo presentò formalmente, dicendo che era stato nell'esercito e che ne aveva passate tante. L'argomento si interruppe lì. Solo nominare l'esercito sembrava mettere David a disagio. Chloe conservò l'informazione per utilizzi futuri...
Gli piaceva sicuramente sparare, perlopiù a creature inermi, come dimostrava il tono eccitato quando parlava delle sue battute di caccia.
"Nel 2001 ho abbattuto questo bestione!" disse con un sorriso rigido come i suoi baffi mentre mostrava a Joyce una foto. Sembrava evitare accuratamente di rivolgere direttamente la parola a Chloe. Altra cosa che la infastidiva a morte. Joyce le passò la foto, che raffigurava David appoggiato al fucile con sguardo fiero, accovacciato di fianco a un enorme cervo maschio abbattuto e accuratamente messo in posa. Un'espressione disgustata le apparve sul viso e David la notò. Quando riprese la foto dalle mani di Chloe si scambiarono uno sguardo teso. "L'ho abbattuto con un solo colpo. Per celebrare la cosa abbiamo fatto una grande cena a base di spezzatino di cervo e Richard ha fatto in modo che la testa fosse impagliata. Ce l'ho ancora a casa!" continuò il racconto, sempre rivolgendosi a Joyce, che pendeva dalle sue labbra.
Chloe non riuscì a impedire ad un "tsk!" di uscirle dalla bocca, insieme ad un ghigno ironico. Joyce e David la fissarono in silenzio per alcuni secondi.
"Qualcosa non va?" chiese Joyce.
Chloe appoggiò la forchetta nel piatto di mac & cheese e fissò lo sguardo prima su sua madre e poi su David. Fece spallucce e disse: "Mi chiedo solo che cosa ci sia di eccitante nell'uccidere delle creature innocenti e inermi, tagliarli la testa e appenderla in casa..." e riprese a mangiare.
Il silenzio si protrasse per alcuni momenti. Joyce fece per parlare, ma fu anticipata da David:
"La caccia è uno sport complesso e virile, ci mette in contatto con la natura e tira fuori abilità di sopravvivenza e concentrazione che non usiamo mai nella vita di tutti i giorni." affermò l'uomo in modo fermo e perentorio.
"Bah... quando voglio entrare in contatto con la natura vado a fare una passeggiata nei boschi, non ad uccidere scoiattoli. E poi non credo ci voglia grande abilità nello sparare con fucile e mirino ad un animale che nemmeno ti vede e non ha possibilità di difendersi. Potrei forse capire se usassi un coltello o un arco, ma un fucile... mi sembra decisamente impari."
David fece un lungo sospiro tremolante e fissò Joyce in cerca di aiuto, mentre tornava ai suoi maccheroni.
"Non essere scortese Chloe..." rimproverò Joyce severa.
Chloe scrollò le spalle: "E' un paese libero, esprimo la mia opinione... il tuo 'amico' è libero di sterminare tutta la fauna che vuole e riempirsi la casa di teste impagliate, per quanto sia una stronzata pretenziosa..."
"Chloe!"
Lei rimase l'unica a mangiare per alcuni minuti, testa china sul piatto, mentre David sembrava essere andato in corto circuito. Joyce gli appoggiò una mano sull'avambraccio, cosa che Chloe notò e le scatenò un brivido di disgusto. La cena proseguì in silenzio.
 
Cominciarono ad accadere altre cose strane. Joyce iniziò ad andare in chiesa ogni domenica, insieme a David. Joyce tentò di coinvolgere Chloe, che rispose con un fermo "Vaffanculo...". Durante un'altra cena saltò fuori che l'uomo frequentava lì un gruppo di supporto per veterani di guerra.
Non poteva evitare di notare quanto fosse assurdo il comportamento di sua madre. Non era assurdo che andasse in chiesa, ci andavano anche quando c'era William, ma solo per le festività principali come Natale e Pasqua. La messa domenicale era qualcosa di nuovo e inquietante. Era impossibile non collegare questa nuova usanza alla presenza di David nella sua vita. Inoltre, Joyce divenne sempre più severa. Reintrodusse il barattolo delle parolacce e iniziò a punirla ogni volta che Wells chiamava per qualche sua malefatta, reale o immaginaria. L'astio iniziò a diventare disprezzo e le cene del venerdì divennero l'occasione per nuove discussioni fra Chloe e David.
 
"Quindi un americano libero non dovrebbe avere il diritto di difendersi se viene aggredito?" chiese David il cui tono spazientito provocò una vibrazione soddisfatta nello stomaco di Chloe.
"No, dico solo che non dovrebbe essere così facile comprarsi un'arma. Qualunque idiota può andare in un negozio, comprare una pistola e ammazzare qualcuno. E poi... 'americano libero'? Chi sarebbero gli americani 'non liberi'? La schiavitù è stata abolita da quel che mi risulta..."
Quella sera, dopo il battibecco sempre più acceso, David saltò la consueta serata sul divano con Joyce e tornò a casa. Chloe si era già rinchiusa nella sua stanza fumando alla scrivania, con l'attenzione che oscillava tra il libro di Inglese e YouTube sul computer. Joyce bussò ed entrò.
"Chloe!" esordì senza troppe cerimonie "Sei stata davvero scortese. Lo sei sempre con David. Qual è il tuo problema?" chiese irritata.
Chloe si voltò, soffiando fumo come un drago. Scrollò le spalle:
“È facile, il tuo amico è una testa di cazzo..."
"Chloe modera il tuo linguaggio... Dio..." sbuffò Joyce "Non puoi evitare di controbattere e provocarlo su ogni cosa che dice?"
"Mi dispiace mamma... sono allergica alle stronzate..."
Joyce strinse i pugni e si avvicinò a Chloe.
"Te lo chiedo per favore, cerca di dargli tregua. Ha passato cose che neanche immagini in guerra, sta cercando di rifarsi una vita... e anche noi."
"Non vedo cosa c'entri la nostra vita con la sua..."
Chloe voleva sentirglielo dire. Aveva capito benissimo che David non era solo un 'amico'. Voleva che sua madre lo ammettesse davanti a lei. Voleva sentirle dire che a pochi mesi dalla morte di suo padre lo stava già sostituendo, dopo vent'anni di matrimonio...
Joyce abbassò lo sguardo, chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
"David è un brav'uomo Chloe. Cerca di trattarlo come tale. Non è una minaccia..."
Chloe si sentì frustrata.
"Non riesci neanche a dirlo vero?!" sbottò alzando la voce.
Joyce la guardò stupita: "Cosa?"
"Te lo stai scopando!"
"Chloe!! Non ti permettere di parlarmi in questo modo! Sono tua madre!"
"Si! Sei mia madre... papà è morto solo sei mesi fa e tu stai già uscendo con quel... cazzo di Big Jim di merda! È così facile sostituire papà? Cazzo non ne avevo idea..."
"Adesso basta! Credi che sia facile per me?" Joyce iniziò a urlare "Da quando William è morto ho sulle spalle tutte le spese della casa, devo lavorare il doppio e siamo comunque in ritardo con le bollette. Tuo padre non ci ha lasciato niente e il mondo è in crisi economica. Dannazione Chloe, in tutto questo ci sei anche tu che hai cominciato a bere, fumare e andare male a scuola... io non so più come fare... da sola non ce la faccio!" la voce di Joyce tremò e si appoggiò allo stipite della porta, sforzandosi di ricomporsi.
Chloe la guardò, sentendosi improvvisamente piena di rimorso. Si alzò e si avvicinò lentamente a sua madre.
"Non sei sola mamma... ci sono io... sono tua figlia."
“Si sei mia figlia, ma non collabori! Credi di essere l'unica a soffrire?! Beh non è così! Ma bisogna andare avanti nella vita! Il passato non si cambia e quello che possiamo fare è solo accettarlo e andare avanti. È orribile, ma è la vita! Io ci sto provando... dovresti farlo anche tu!"
Il rimorso fu di nuovo sommerso da un'ondata di rabbia, che contorse il viso di Chloe:
"Bene! Se andare avanti per te significa dimenticare papà scopandoti uno stronzo fascista fai pure. Non pretendere che sia d'accordo! Potevi comunque trovarti un toy boy migliore di quello…"
Joyce gettò le braccia al cielo in una silenziosa imprecazione ed uscì dalla stanza sbattendo la porta. Chloe rimase immobile dove si trovava, ascoltando vagamente i rumori di sua madre che entrava in bagno, apriva un cassetto e poi ne usciva, scendendo le scale con passi pesanti. Una parte di lei avrebbe voluto inseguire sua madre, abbracciarla e scusarsi. Avrebbe voluto piangere fra le sue braccia e dirle quanto le mancava papà, quanto si sentisse persa senza di lui e senza Max, chiederle perché Max l'avesse abbandonata e non le rispondesse più, perdersi nell'amore della sua mamma come quando era piccola. Ma non lo fece. Sua madre voleva andare avanti. Chloe non poteva.
Non voleva…
 
-
 
[Eliot]
  • È davvero così male?
[Chloe]
  • È uno stronzo testa di cazzo fascista
[Eliot]
  • Ok…
[Chloe]
  • Davvero… ieri non ha fatto altro che bofonchiare sul fatto che i capelli corti non sono adatti a una ragazza e che dovrei vestirmi in modo più femminile…
  • Ma che cazzo… siamo negli anni 50??
[Eliot]
  • Mi piacciono i tuoi capelli!
[Chloe]
  • Grazie...
  • Prima o poi mia madre si accorgerà che sta sprecando il suo tempo e lo manderà affanculo
[Eliot]
  • Studiamo insieme questo pomeriggio?
[Chloe]
  • No
  • Justin
[Eliot]
  • Ah… e cosa fate?
[Chloe]
  • Boh!
  • Relax?
[Eliot]
  • Passi un sacco di tempo con lui…
[Chloe]
  • Geloso?
[Eliot]
  • No! Cioè mi preoccupo per te.
  • Non penso sia una buona compagnia…
  • Chloe?
  • Ci sei?
[Chloe]
  • Si…
[Eliot]
  • Ok…
  • Studiamo domani?
[Chloe]
  • Coso! Chiedimi qualsiasi altra fottuta cosa….
[Eliot]
  • Giovedì abbiamo il test di Inglese
  • Hoida ha detto che se fallisci questo dovrà bocciarti
  • Dai…
[Chloe]
  • Ok ok ok
  • Che palle cazzo…
[Eliot]
  • 😊
  • Ci vediamo domani a scuola e ci organizziamo!
[Chloe]
  • Ok
  • Comunque NO EMOJI!!!
[Eliot]
  • Perché?
[Chloe]
  • Sono da sfigati!
[Eliot]
  • Ok…
 
-
 
[Joyce]
  • Chloe stai tornando a casa?
  • È mezzanotte, stai superando il coprifuoco.
  • Chloe rispondi!
  • Così non va bene!
  • Sono preoccupata Chloe!
[Chloe]
  • Non ho sentito il telefono
  • Ero con Justin.
[Joyce]
  • Lo so! Ho chiamato sua madre.
  • Così non va per niente bene
  • Se ti do un orario devi rispettarlo
[Chloe]
  • Scusa farò più attenzione
[Joyce]
  • Adesso dove sei?
[Chloe]
  • Con Eliot a studiare
  • Vuoi chiamare sua madre per sapere se è vero?
[Joyce]
  • Non fare la spiritosa
  • E non ho dimenticato come ti sei comportata con David
  • Il tuo linguaggio scurrile non è tollerabile
[Chloe]
  • Perché il suo invece sì?
  • Lui può criticarmi per qualunque cosa e va tutto bene
  • Se rispondo non è tollerabile
  • Mi ha chiamata stronzetta impertinente…
[Joyce]
  • Si è scusato
  • Tu invece no
[Chloe]
  • Forse perché le sue scuse non valgono niente
[Joyce]
  • Le tue invece sì?
[Chloe]
  • Devo studiare adesso
  • Ho l’esame di Inglese
[Joyce]
  • Non voglio discutere con te Chloe
  • Voglio che andiamo d’accordo come una volta
  • E vorrei che provassi ad accettare David
  • Fallo per me
[Chloe]
  • Ci sentiamo
  • Ciao
[Joyce]
  • Ne riparleremo
  • Ti aspetto per cena
  • Non sono ammessi ritardi
[Chloe]
  • Ok ok
 
-
 
11 marzo 2009.
"Buon compleanno a me..." si disse Chloe con un sorriso amaro.
Mentre combatteva l’insonnia, la notte precedente Chloe prese una vecchia foto in cui lei e Max ridevano abbracciate, con dietro l'imponente e protettiva mole di suo padre sorridente. Quello scatto l'aveva fatto Joyce nel 2006 in campeggio, ai piedi dell'albero su cui sorgeva la 'fortezza pirata' che William aveva costruito per lei e Max. Le lacrime rigarono le sue guance senza che se ne accorgesse.
Prese dello scotch e attaccò la foto sull'angolo del basso mobiletto alla sinistra del letto.
Non serviva a un cazzo aggrapparsi ai bei momenti del passato per superare la merda del presente. Ma i bei ricordi erano pur sempre bei ricordi. Non voleva dimenticare. Non voleva lasciar andare...
Ricordò il suo compleanno dell'anno precedente, quando organizzò una vera grande festa, la prima e unica che casa Price avesse mai visto. Chloe era sempre stata una da festeggiamenti con pochi intimi, ma quella era un'occasione davvero speciale. La Blackwell aveva appena accettato la sua domanda di ammissione. Era tra i cento fortunati su milleduecento richiedenti. Alla festa c'erano quasi tutti i compagni di classe delle medie di Chloe, compresi Justin ed Eliot, anch'essi accettati alla Blackwell. Il cortile Price non aveva mai visto tante persone tutte insieme, nemmeno durante le riunioni di famiglia del Ringraziamento. Joyce si occupò di allestire un ricchissimo buffet, con l'aiuto di Cynthia Hampden e Gloria Williams, le mamme di Eliot e Justin. William prestò per l'occasione il suo impianto stereo per animare la festa e Chloe riuscì addirittura a trascinare Max a ballare!
Incredibile che fosse passato solo un anno da allora. Sembravano mille…
Joyce le fece il pasticcio di carne per cena e a seguire una torta di mirtilli e cioccolato. C'era anche David a guastare ulteriormente l'atmosfera. Contrariamente alle speranze di Chloe, Joyce non aveva smesso di frequentarlo, anzi. Sembrava proprio una relazione stabile…
Almeno le regalarono una busta contenente cinquanta dollari. Sapeva già come li avrebbe spesi! Le permisero addirittura di fare il brindisi con del vino rosso, come se per lei bere dell’alcol fosse una gran cosa. I colori della stanza erano sbiaditi, la torta non sapeva di nulla anche se era di qualità Joyce. Un estraneo sedeva sulla sedia di suo padre e non voleva andarsene. Vuoto e mancanza era tutto ciò che poteva sentire. Prima di soffiare sulla candelina desiderò, se quella doveva essere la sua vita, che fosse il suo ultimo compleanno...
Soffiò e la fiamma si spense in una voluta di fumo.
Chloe si ritirò presto nella sua stanza. Era a secco di erba. Fumò mezzo pacchetto di sigarette prima di riuscire ad addormentarsi.
 
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L'inverno sfociò pigramente in primavera. Chloe andava avanti per inerzia, tra scuola e casa, dove cercava di stare il meno possibile. Oltre a Joyce, anche l'arredamento iniziò a cambiare. Le vecchie foto di famiglia sparirono, i vestiti di William finirono dentro gli scatoloni insieme al resto delle sue cose, sostituite gradualmente da quelle di David. L'uomo si fermava a dormire sempre più spesso, Chloe se ne accorse soprattutto perché sentiva la sua voce durante la notte. La prima volta si spaventò a morte quando un grido disperato provenne dalla stanza di sua madre. Corse fuori e si fermò davanti alla porta. Dall'interno sentì la voce cupa e singhiozzante di David che ripeteva ossessivamente “Phil… è morto… è morto…le sue… gambe… morto…” e la voce di sua madre che dolcemente sussurrava "shhhh... è passato...". L'insonnia di Chloe le permise di godersi pienamente i terrori notturni di David, che rendevano definitivamente impossibile prendere sonno. La frustrazione una notte le fece impugnare il pennarello indelebile e scrivere ‘I can’t sleep’ sul muro sopra il suo letto…
Un giorno Chloe affrontò David, dicendogli di prendere qualche cazzo di farmaco per questi incubi, che teneva sveglio tutto il vicinato. David si infuriò: “Non puoi capire! Tu non hai visto certe cose! Dovresti avere rispetto!”. Chloe gli gridò che la loro casa non era un ricovero per veterani traumatizzati e di farsi internare da qualche parte. Del tutto inatteso, ricevette uno spintone che la mandò a sbattere contro il tavolo. David si paralizzò immediatamente, col volto sconvolto dall’improvvisa consapevolezza di cosa aveva fatto. Chloe ne approfittò per correre fuori. Passò il pomeriggio a rilassarsi con Justin e gli skater vicino alla spiaggia, dissolse la sua mente in una nuvola di fumo dimenticando per un po’ di dover tornare a casa. Quella sera appena aprì la porta, Joyce le corse incontro. David era seduto al tavolo in cucina. Con sguardo da cane bastonato le disse che era dispiaciuto, che non aveva giustificazioni, ma che sarebbe stato più facile per lui controllarsi e risolvere i suoi problemi se Chloe non lo avesse continuamente provocato. Joyce era in piedi dietro di lui, tenendogli una mano sulla spalla. Chloe scrollò le spalle, in inferiorità numerica. Come sempre.
Nonostante le scuse, non fu l’ultimo episodio.
Il garage divenne il magazzino per le cose di William in attesa del loro destino. Chloe recuperò le foto di famiglia e le rimise al loro posto, per poi vederle sparire di nuovo in nascondigli diversi. Da uno scatolone prese la palla di vetro con la cerva di suo padre e la mise sul camino in salotto. In qualche modo avrebbe impedito che William fosse dimenticato. Joyce poteva cancellarlo dalla sua vita, ma non da quella di Chloe! Avrebbe impedito che le sue cose finissero regalate, vendute o buttate!
Intanto, però, la roba di David invase la casa. L’uomo era disoccupato, aveva tentato di entrare al dipartimento di polizia di Arcadia Bay, ma era stato respinto. Aveva fatto alcuni lavori, ma i suoi problemi di carattere gli avevano impedito di tenerseli troppo a lungo. Prendeva solo un blando sussidio dallo stato. Il risultato era che passava molto tempo a casa, seduto al tavolo con giornali davanti a sé, cerchiando offerte di lavoro. Chloe si sentiva sempre più un’estranea in casa sua e con David divenne una lotta costante per il territorio. Ogni cosa si trasformava in uno scontro, che fosse il bagno occupato troppo a lungo, la musica punk di Chloe troppo alta o quella country di David e così via. A volte, diventava davvero paranoico e invadente.
Una sera a cena, Chloe stava messaggiando con Justin. David si imbestialì e le urlò che era gravemente maleducato che lei usasse il telefono a tavola e le intimò di consegnarglielo. Chloe si rifiutò e Joyce questa volta fu dalla parte di Chloe: “David, non mi sembra il caso di chiedere una cosa del genere…”
Lui rispose: "Evidentemente ha qualcosa da nascondere se non vuole consegnarlo. L'hai già beccata con erba e alcol Joyce, chi ti dice che non li stia ancora usando? Si sa che quel Justin con cui esce fuma marijuana!"
Mentre i due cominciavano a discutere, la reazione di Chloe fu la fuga. Si mise a malapena le scarpe mentre superava la porta di casa, inseguita dalle urla di David e di Joyce che tentava di calmarlo. Quella sera salì al faro. C’era stata alcune volte, ma era perlopiù frequentato da ragazzi più grandi della Blackwell o da qualche bifolco arcadiano figlio di pescatori. Quando giunse ai piedi della struttura trovò il falò acceso e un gruppo di ragazzi tra cui riconobbe Trevor. Si sedette accanto a lui, che la presentò agli altri, di cui non si sforzò nemmeno di memorizzare i nomi. Vicino alla cabina ai piedi del faro c’era anche un uomo molto più vecchio, vestito con una giacca di pelle, una canottiera sporca e jeans logori, che confabulava con altri ragazzi. Chloe chiese a Trevor chi fosse e lui rispose che era Frank, lo spacciatore da cui si rifornivano lui e Justin. Chloe colse la palla al balzo, si fece prestare dei soldi da Trevor e puntò dritta verso l'uomo. Quando gli si avvicinò lui aggrottò le sopracciglia stupito.
Chloe esordì con: “Hey… ce l’hai dell’erba?”
Frank scoppiò a ridere e rispose sarcastico: "Ma sentila! Almeno ti sono venute le mestruazioni?"
"Ho 15 anni..."
"E allora? Sei una bambina. Non dovresti essere a casa con mamma e papà invece di frequentare questi relitti?"
"Mio padre è morto e mia madre si scopa uno stronzo... quindi mi vendi l'erba o ti fanno schifo i soldi?"
Frank socchiuse gli occhi, meditando su che reazione avere a quell’atteggiamento strafottente. Improvvisamente la fronte si aggrottò in un lampo di consapevolezza.
"Aspetta... Cazzo tu sei la figlia di Joyce!"
Ovviamente, pensò Chloe, tutti conoscono mia madre...
"Ti ho vista un paio di volte al Two Whales... se tua madre scopre che ti vendo l'erba mi ammazza..."
"Non lo scoprirà. Dai che cazzo... siamo lontano dal fuoco, mi si sta congelando il culo. Me la vendi l'erba?"
Frank la fissò con sospetto alcuni momenti, poi fece spallucce e prese una bustina di plastica dalla tasca.
Da quel giorno Chloe si rifornì direttamente da lui.
 
In cerca di scuse per stare lontana da casa, Chloe accettò gli inviti ad uscire di Eliot. Cominciarono ad andare a Portland a vedere concerti. Eliot le diede il primo bacio ad un concerto degli Alice in Chains. Chloe non ne fu affatto stupita, ma nemmeno entusiasta. Eliot, però, sembrava l'unico cui importasse davvero qualcosa di lei, quindi le sembrava giusto... sdebitarsi? Lui ne fu felicissimo. Quando la vedeva i suoi occhi si illuminavano e si scatenava ai concerti, probabilmente per fare colpo su di lei. Chloe si sentiva un disastro per non riuscire a restituire tutto l’affetto che riceveva. Qualunque ragazza normale sarebbe stata almeno un po' felice di avere qualcuno così smanioso di prendersi cura di lei. Giusto? Una sera lei portò dell'erba e convinse Eliot a provarla. Diventò verde al primo tiro e le restituì la canna, ma fu comunque abbastanza per farlo sballare. Lei lo prese per il culo tutta la sera mentre andavano disperatamente in cerca di cibo per sanare la sua fame chimica. Quella notte Chloe andò a dormire a casa di Eliot a Bay City e fecero sesso per la prima volta. Capitò di rifarlo qualche altra volta. Chloe avrebbe voluto provare qualcosa.
Invece no.
La primavera divenne estate, grazie ad Eliot che la costringeva a studiare Chloe riuscì a mantenere i suoi voti intorno alla sufficienza. Quando non era con lui usciva con Justin, andava al faro oppure cercava Frank nei luoghi in cui sapeva di trovarlo parcheggiato con il suo RV. Prendeva l'erba da lui, spesso non aveva abbastanza soldi e lo implorava di farle credito. Nonostante le proteste, Frank finiva sempre per darle ciò che voleva. Per qualche motivo lo spacciatore l’aveva presa in simpatia. Perché non approfittarne? Iniziò a indebitarsi…
Intanto, i muri della Blackwell si riempirono di graffiti frutto dell'indelebile di Chloe, che le valsero diverse punizioni sia a scuola che a casa. Con Justin andava di notte alla fermata dei treni presso la segheria a sud del porto, per dipingere murales sui vagoni. Quando furono beccati, l’agente Berry li schedò entrambi e li riportò alle rispettive famiglie. Chloe fu messa in punizione per un mese.
 
-
 
All'approssimarsi di luglio, Chloe lasciò Eliot. Gli disse che non era colpa sua, che lei era un casino, non era coinvolta quanto lui e non voleva prenderlo in giro. Sembrava tanto uno sfigatissimo "non sei tu, sono io", ma era la verità. La delusione sul suo volto era straziante.
Lui le chiese timidamente: "Possiamo rimanere amici?"
"Certo Coso!" rispose Chloe.
Sentì un peso enorme sollevarsi dal suo petto e un vago rimorso. Le dispiaceva essere così un casino da non riuscire a fare qualcosa di normale come avere una relazione, ma davvero… non le fregava un cazzo! Né di Eliot, né delle relazioni, né di niente in generale. Inerzia era la sua parola d'ordine, le incombenze quotidiane un puro riempitivo tra le volte in cui riusciva a farsi o ubriacarsi.
Con il gruppo degli skater una sera, decisero di fare un esperimento. Misero insieme i soldi e comprarono del Peyote da Frank. Trevor fu sorteggiato per rimanere sobrio e vegliare sull'incolumità degli altri, e siccome Justin aveva casa libera andarono da lui. Chloe prese il piccolo frammento di cactus, lo masticò e si sdraiò sul divano in attesa che facesse effetto. Non ci volle molto, il primo sintomo fu la nausea, poi il cuore divenne martellante. Le poche luci della stanza divennero accecanti, le ombre si intensificarono creando bizzarri contrasti astratti. Chloe ebbe caldo, iniziò a contorcersi, si levò la maglietta nel tentativo di respirare. Sentì un corvo gracchiare da qualche parte in lontananza, un battito di ali più vicino, un'ombra nera posata sul divano accanto a lei. Due occhi bui la fissavano da dietro un becco acuminato.
"Che cazzo vuoi?" chiese lei.
Il corvo non batté ciglio e inclinò la testa di lato. Lei agitò la mano e l’animale spiccò il volo sparendo da qualche parte nel chiaroscuro che la circondava. Chloe si mise a sedere, sistemandosi il reggiseno che le premeva sui polmoni. Fu tentata di toglierlo, quando improvvisamente sentì una piacevole brezza sulla faccia.
Il sole le batteva caldo sul viso e il cuore era tornato a livelli normali.
"Chloe ci credi?! Il nostro primo concerto senza genitori!!" la voce di Max la raggiunse da sinistra e Chloe si voltò, incontrando il suo volto lentigginoso. I capelli bruni raccolti in una coda.
Le sorrise, scostando i lunghi capelli biondi.
"Hey e io cosa sono?!" dal sedile del guidatore William lanciò loro uno sguardo attraverso lo specchietto centrale.
"Tu non conti! Ci stai solo accompagnando!" replicò Chloe con sguardo furbo.
William si fece una risata "Certo, certo. Ricordate di essere prudenti ragazze. Soprattutto tu Max, se finissi schiacciata dalla folla tuo padre potrebbe uccidermi!"
Max sghignazzò.
"Hai veramente fatto una battuta sull'altezza a Max?! Sei pessimo!" disse incredula Chloe. Scoppiarono tutti in una calda risata che Chloe non sentiva da tantissimo tempo.
Le mancavano quei momenti, si trovò a fissare fuori dal finestrino le colline che circondavano Culmination Park, dove con Max avrebbe assistito al concerto di Mimi and the Screamers.
Improvvisamente sentì gracchiare un corvo. Chloe lo cercò con lo sguardo. Amava gli animali e i corvi imperiali erano così maestosi. Lo sentì di nuovo, ma non riusciva a individuarlo. Si voltò verso Max.
"Lo senti?"
"Che cosa?" le chiese lei.
"Un corvo..." Chloe si protese su di lei per guardare fuori dal finestrino.
"Hai le allucinazioni Chloe?" ridacchiò Max.
Il corvo gracchiò di nuovo, un suono stranamente distorto.
"Ti dico che l'ho sentito..." tornò al suo posto.
Gracchiò di nuovo, e di nuovo, ogni volta sempre più forte e vicino. Mentre Chloe guardava freneticamente fuori dai finestrini il verso si trasformò in un clacson.
Vicino, sempre più vicino.
Luci di fari a sinistra.
"Stai bene Chloe?" chiese William, mentre Chloe vide dietro di lui l'enorme sagoma di un camion avvicinarsi spedita verso di loro. Lui non sembrò notarlo.
"Papà attento!" gridò.
Impatto.
Vetri rotti.
Sotto sopra.
Chloe si sentì precipitare.
Buio...
 
Si svegliò vomitando in un catino, una mano fredda le reggeva la fronte. Era quella di Trevor.
"Questa è l'ultima volta che prendiamo questa merda ragazzi. Mi state riempiendo la casa di vomito..." echeggiò da qualche parte la voce di Justin.
"Cazzo lo senti anche tu bro?"
"Che cosa??"
“Amico perché hai la faccia verde e le antenne??”
“Coso!! Hai un’aura potentissima!!!”
Voci a malapena distinguibili riempivano la testa di Chloe, le cui tempie pulsavano.
"Devo andare a casa..." disse a Trevor.
"Non esiste, tu non ti muovi da qui. Hai preso un allucinogeno sis"
"Cazzo Trev... almeno fammi andare in bagno..."
"Ce la fai? Chloe davvero non fare cazzate, se ti succede qualcosa... quante sono queste?" le mostrò tre dita.
"Tre, coglione!"
"Di che colore ho il maglione?"
"Hai una felpa ed è blu. Allora mi merito una A? Posso andare a cagare adesso?"
Lui la fissò ancore un po' sospettoso. Chloe si accorse di indossare solo pantaloni e reggiseno.
“La pianti di guardarmi le tette??” Chloe si coprì platealmente.
“Oh… ehm… scusa…” Trevor distolse lo sguardo.
“Pervertito!”
Trevor sghignazzò e la lasciò stare. Chloe si alzò barcollante, si sentiva col peggior doposbornia di sempre. No beh, forse quello di quando si era tagliata i capelli vinceva. Ma era comunque tosto!
Raggiunse il water giusto in tempo per ricominciare a vomitare. Da qualche parte sentì di nuovo il verso del corvo.
Vaffanculo, mai più il Peyote in vita mia...
Dopo circa un'ora i suoi sensi tornarono normali, ma il suo cuore batteva all'impazzata come se avesse bevuto un litro di caffè. Dopo aver rassicurato Trevor per l’ennesima volta tornò a casa.
Non si accorse del volatile nero che, nella notte, iniziò a girare in cerchio sopra di lei...
 
-
 
Infine, accadde.
L'incubo di Chloe si avverò.
David e Joyce le annunciarono che l'uomo si sarebbe trasferito da loro.
Ci furono urla, volarono insulti, Chloe venne quasi alle mani con David. Joyce li separò e Chloe fu mandata in camera sua, dove si sarebbe comunque diretta. Cadde sul letto e sprofondò la faccia nel cuscino, urlandoci dentro e ritrovandosi poi a piangere.
Le urla al piano di sotto si placarono dopo qualche minuto e non passò molto di più prima di sentir bussare alla porta. Era Joyce. Non ricevendo risposta, la donna entrò e vide sua figlia singhiozzante sul letto. Joyce le disse che David avrebbe aiutato, che non avrebbe mai sostituito suo padre, ma avrebbe dato stabilità. Avrebbero potuto essere di nuovo una famiglia. Chloe balzò a sedere inferocita.
"Stabilità? Ma se quello neanche riesce a dormire senza avere gli incubi! Non ha neanche un lavoro! E devo ricordarti che ha alzato le mani su tua figlia?? È bastato che si scusasse! Che cazzo mamma... so che sei depressa, ma questo è assurdo!"
"David pensa che tu abbia bisogno di più disciplina. Penso che abbia ragione, evidentemente non mi rispetti abbastanza per fare come ti dico..." replicò Joyce.
"Papà non mi ha mai imposto disciplina! Mi trattava come una persona non come una fottuta recluta. Non mi sono arruolata mamma. Non ho bisogno di disciplina, ho bisogno di mia madre..." singhiozzò urlando.
Joyce avrebbe voluto farle capire che David non era il mostro che pensava, che era un uomo di buon cuore, che nei mesi successivi alla morte di William era stato la sua ancora. Avrebbe voluto dirle le cose che David le aveva raccontato sull'Afghanistan, che quando Chloe lo aggrediva non si accorgeva di toccare tasti che lo riportavano indietro a quei momenti terribili, alle decine di cose di cui si incolpava. Non lo fece. Non poteva, Chloe non avrebbe ascoltato. David aveva grandi difetti e i traumi che si portava dietro erano un vero problema, ma ci stava lavorando. Joyce lo stava aiutando e avrebbe continuato a farlo, sarebbe stata la sua ancora come lui lo era per lei. Joyce lo amava, non avrebbe mai pensato di poterlo dire di qualcun altro dopo William. Eppure era così. Chloe avrebbe dovuto capirlo. Non stava sostituendo William, stava solo cercando di continuare a vivere. Voleva di nuovo una famiglia. La SUA famiglia…
Uscì dalla stanza, lasciando Chloe alla sua frustrazione.
Questa volta però era troppo.
Quando si fu calmata, Chloe aspettò che sua madre e David andassero a letto.
Prese il suo zaino da campeggio dall'armadio, più silenziosamente possibile, cominciò a riempirlo di vestiti. Fece un paio di spedizioni furtive in cucina, prese una scatola di nachos, sugar bomb e tre bottiglie d'acqua come provviste. Guardò il barattolo delle parolacce, in cui ancora erano conservati alcuni spiccioli. Riuscì a recuperare quattro dollari in monetine. Le ultime parolacce di suo padre avrebbero finanziato la sua fuga verso la libertà. Grazie papà!
Tornò di sopra e si vestì, lasciò il cellulare sulla scrivania per evitare di essere contattata, uscì dalla finestra, calò lo zaino sul vialetto davanti al garage e scese aggrappandosi alla grondaia.
Sua madre aveva fatto una scelta. Aveva deciso di dimenticare suo padre e di rinunciare a lei in favore del Sergente Hartman coi baffi. Chloe faticava a crederci, ma sua madre l'aveva abbandonata. Anche lei. Aveva mai realmente amato suo padre? Cazzo, vent’anni di matrimonio buttati nel cesso così?? E lei, sua figlia... non contava davvero nulla? Non le aveva domandato cosa pensasse del fatto che uscisse con un altro uomo, né le aveva chiesto un parere prima di farlo trasferire da loro. Non valeva davvero niente? Evidentemente no...
C'erano solo due persone che Chloe avrebbe voluto accanto, uno era morto, l'altra aveva traslocato in un altro stato.
Max... forse se l'avesse raggiunta a Seattle...
Non si sentivano da mesi, ma erano ancora amiche vero?
Siamo Max e Chloe, siamo sempre insieme anche quando non lo siamo.
E poi, il giorno in cui suo padre era morto, Max in lacrime le aveva detto che le avrebbe guardato sempre le spalle, anche quando avrebbe pensato che non fosse così. Beh, era il momento di mettere alla prova quelle parole...
Zaino in spalla, adrenalina in circolo, Chloe percorse Cedar Avenue verso l’Arcadia Ave, che l'avrebbe condotta alla Highway 101. Li avrebbe fatto l'autostop fino a Seattle.
Vaffanculo Arcadia Bay!
 
-
 
Il viaggio non andò esattamente come previsto. Chloe camminò tutta la notte, raggiunse effettivamente la 101 e proseguì a lato della strada, mentre le macchine le sfrecciavano a fianco. Braccio teso e pollice alzato ogni volta che sentiva un motore avvicinarsi. Era notte, nessuno riuscì nemmeno a notarla probabilmente. Mentre il cielo si rischiarava per l'alba imminente, Chloe si fermò sul ciglio della strada e in mezzo ad alcuni cespugli si sdraiò esausta. Con la testa appoggiata allo zaino si addormentò all'ombra degli alberi che circondavano l'interstatale. Dopo alcune ore imprecisate, non aveva il cellulare su cui controllare, si svegliò e riprese il cammino sgranocchiando nachos e sugar bomb. Si rese conto che camminare con lo zaino in spalla era molto faticoso e che le sue Keds non erano per niente adeguate all'impresa. I piedi le facevano malissimo e aveva una sete tremenda. Seguì le indicazioni per Garibaldi e quando raggiunse la piccola cittadina puntò dritta al primo bar che incontrò. Vide una microscopica casetta sul lato della strada, più simile ad un bungalov che a un bar. L’insegna diceva

Pacific Edge Espresso
Coffee.
Bagels.
Kindness.


Chloe aveva bisogno assoluto di caffè! Si avvicinò e con due dollari ne prese uno e lo consumò seduta per terra poco più in là, appoggiandosi allo zaino. Avrebbe rubato qualcosa a David e sua madre prima di partire, ma entrare in camera loro era troppo rischioso. Dalla sua postazione sull’asfalto guardò la cittadina circostante, ignorando gli sguardi perplessi della barista e degli altri clienti, pescatori dall’aspetto logoro identici a quelli di Arcadia Bay. Anche il paese sembrava identico, con la differenza che Garibaldi non aveva scuole importanti come la Blackwell né famiglie facoltose come i Prescott. Almeno, per quanto ne sapesse! Non le era mai fregato un granché di conoscere le altre città costiere dell’Oregon. La meta delle vacanze durante la sua infanzia era sempre stato il sud o Portland. Avevano pianificato un viaggio a Parigi… ma rimase un sogno…
Dopo essersi riposata un po’ Chloe riprese il cammino, respirando la brezza del Pacifico che le asciugava il sudore sulla fronte. Uscendo da Garibaldi vide sul lato della strada l’insegna di un ristorante:

Pirates Cove
Restaurant

Sembrava quasi un segno. Da quanto tempo esisteva quel posto?? Perché lei e Max non ne avevano mai saputo nulla? Avrebbero dovuto andarci assolutamente, anche se prima di tutto Chloe doveva raggiungere viva Seattle! Si sentiva fisicamente una merda! Tutte le sigarette, le birre e le canne si facevano sentire, i suoi polmoni protestavano così come tutti i muscoli del corpo.
Continuò a camminare, raggiungendo Smith Creek, letteralmente un villaggio di una decina di case. Si trovò a costeggiare lo Smith Lake, una grande pozzanghera nei pressi della "cittadina" e continuò ancora, agitando selvaggiamente il braccio col pollice alzato. Pregò gli dei e l'Universo che qualcuno che non fosse un serial killer la caricasse e la portasse a destinazione o almeno le risparmiasse qualche centinaio di chilometri di cammino.
Non accadde.
Al termine del primo giorno effettivo di fuga raggiunse Rockaway Beach, superò un campeggio per fighetti ricchi chiamato Twin Rocks Friends Camp e decise di passare la notte in spiaggia. Trovò un anfratto tra i cespugli in cui si sentisse abbastanza appartata e si sdraiò, mentre le stelle spuntavano nel cielo man mano che si faceva scuro. Improvvisamente scappare d'impulso non le sembrò più una grande idea, ma Chloe rimase determinata. Certo, aveva quasi finito l'acqua, le rimanevano una manciata di sugar bomb, aveva le vesciche sui piedi, gambe e schiena la stavano uccidendo, ma questo dolore era più sopportabile del rimanere a casa, soprattutto ora che David viveva sotto il suo stesso tetto.
Chloe trascorse la seconda notte all’addiaccio e si alzò intorno all'alba. Riprese il cammino e ad ogni macchina lanciava segnali, puntualmente ignorati. Si sbracciava, gli urlava contro, imprecava in preda alla frustrazione. Superò Nedonna Beach e raggiunse Brighton. L'acqua e le sugar bomb intanto erano finite, ma in quella cittadina del cazzo c’era solo un ristorante specializzato in piatti a base di granchi! Proseguì il cammino e verso la metà della giornata iniziò ad avere fame e sete. Si fermò varie volte per riposare, ma intorno a lei non vedeva altro che alberi, mentre la strada svoltava a destra. Esausta, si accampò nei pressi di un resort, sul ciglio della strada. Iniziò a riflettere soltanto in quel momento sull'ipotesi che quel modo di dormire non fosse proprio il più sicuro. Era una ragazza minorenne, sola e stanca, senza cellulare, alla mercé di qualunque psicopatico potesse sbucare! Nonostante l’ansia riuscì comunque ad addormentarsi. Si svegliò con il cielo ancora buio e ripartì. Fu sollevata di trovarsi in poche decine di minuti in una zona urbana! Il cartello diceva che la città si chiama Wheeler e Chloe iniziò a cercare un negozio di alimentari o qualcosa del genere. Non aveva più soldi, ma questo non l’aveva mai fermata in passato, nemmeno quando sua madre le aveva interrotto la paghetta sperando che non comprasse più le sigarette. Il taccheggio era solo una delle molte arti di sopravvivenza che aveva iniziato a praticare. Individuò una stazione di servizio e si infilò nel negozio, ricevendo immediatamente uno sguardo sospettoso dal commesso, un ragazzo con tratti sudamericani sulla ventina. Chloe gli sorrise e poi si aggirò tra gli scaffali, facendo attenzione a non urtare nulla con lo zaino. Optò per confezioni non rumorose, per bottiglie d'acqua ed energy drink. Il suo sguardo scrutò anche i pavimenti in cerca di spiccioli. Niente, avrebbe dovuto fare con i due dollari rimasti. La strategia era comprare le due bottiglie d'acqua, mentre quattro energy drink e tre scatole di cracker erano già al sicuro nel suo zaino.
Al momento di pagare, il ragazzo le rivolse uno sguardo sospettoso, digitò sulla cassa e poi disse:
"Sono sette dollari e ottanta centesimi..."
Chloe sgranò gli occhi.
"Che cazzo?? È acqua, non è oro! Mi prendi per il culo?"
"No. È il prezzo giusto per l'acqua, più i quattro energy drink e le tre scatole di cracker che hai messo nello zaino..."
Chloe sbiancò e per alcuni momenti rimase immobile e silenziosa.
Era fin troppo stanca, affamata e assetata, i suoi tempi di reazione erano decuplicati.
"Metti giù le cose che non puoi permetterti ragazzina..." disse lui, il cui cartellino riportava il nome Sam. Chloe tentò la diplomazia.
"Senti Sam... per favore... sto morendo di fame e di sete, non so quanti giorni di cammino ho davanti a me... ti prego fai un eccezione."
Lui scosse la testa: "Non so in cosa ti sei imbarcata, ma avresti dovuto almeno portarti abbastanza soldi per il viaggio. Se non hai i soldi dovrò chiamare la polizia..."
Chloe cercò una qualche risposta, tentò di mettere insieme una frase compiuta, qualche argomentazione per convincere il ragazzo a cambiare idea. Non trovò risposte, ma una vena di frustrazione che si tramutò in rabbia.
"Va bene... vuoi chiamare la polizia? Almeno chiamala per qualcosa di valido!" c'era un barattolo di caramelle sul bancone. Imitando i gatti delle centinaia di video che aveva visto su YouTube tentando di prendere sonno, lo fece cadere al suolo, dove esplose in mille frammenti di vetro, gettando ovunque caramelle dalle confezioni colorate. "Ops!"
"Te la sei cercata..." Sam iniziò a comporre il numero sul telefono.
Chloe uscì dal negozio senza svuotare lo zaino e aprendosi una bottiglia d'acqua che non aveva ancora pagato.
"Hey stronza! Dove cazzo vai?! ...ehm... si pronto... c'è una taccheggiatrice qui al..."
Chloe si sedette ad alcuni metri dalla porta d'ingresso, finì la bottiglia d'acqua quasi d'un fiato, poi aprì lo zaino e cominciò a sgranocchiare dei cracker. Sembrarono la cosa più buona che avesse mai mangiato in vita sua. Il potere della fame.
Di lì a poco un Sam imbufalito la seguì fuori dal negozio, la individuò subito e con passi pesanti la raggiunse.
"Ridammi la merce rubata!"
"Tanto ormai l'ho rubata no? Hai chiamato la polizia e non sto scappando... lasciami mangiare e non rompere i coglioni!"
Sam era sbalordito, però ci pensò un attimo. Non aveva tutti i torti, e comunque non lo pagavano abbastanza per queste cazzate.
"Fai come ti pare... tanto le telecamere ti hanno ripresa..."
Chloe fece spallucce e continuò a mangiare di gusto. Aprì una RedBull per contrastare il sonno che sopraggiunse subito dopo aver spazzolato un intero pacchetto di cracker.
Non molto tempo dopo, a metà lattina, arrivò una volante della polizia da cui scesero due uomini in divisa. Sam uscì per accoglierli e indicarla.
Fuga finita...
 
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Chloe fu arrestata e portata al dipartimento di Rockaway Beach. Una volta identificata rintracciarono Joyce. Le chiesero se volesse parlare con sua madre. Chloe rispose di no. Qualche ora più tardi arrivarono David e l’agente Berry, che la prelevarono e la riportarono ad Arcadia Bay. Il viaggio durò meno di un quarto d’ora, ma il silenzio, interrotto solo dalla voce distorta proveniente dalla radio della polizia, rese l’esperienza particolarmente imbarazzante. Una volta arrivati David la caricò in macchina e la riportò a casa. Chloe si sorbì la sua sfuriata in silenzio, non ascoltando una parola di quel che disse. La cosa che la ferì di più fu lo sguardo deluso di sua madre all’arrivo. Delusione che si trasformò in preoccupazione quando vide che zoppicava e in che stato erano ridotti i suoi vestiti. Sembrava una barbona in effetti e puzzava come tale.
Chloe si lavò, si rifocillò e andò a dormire nel suo letto mai così comodo. Si accorse solo il giorno dopo che la sua camera era in disordine peggiore di come l’aveva lasciata e che la sua scorta di erba era sparita. Qualcuno, probabilmente David, aveva rovistato tra le sue cose. Sospetto che fu confermato più tardi da Joyce, quando scese e fu costretta a subire un’altra ramanzina. La donna le fece un lungo discorso su quanto fosse stata incosciente a fuggire, quanto fosse stata spaventata in quei giorni e delusa dal suo uso di marijuana. Chloe non disse nulla. Joyce le chiese perché fosse scappata.
“Lo sai perché…” rispose seccamente Chloe.
Joyce rimase in silenzio alcuni momenti, mentre elaborava la risposta e collegava i puntini: “Davvero? Perché David si trasferisce qui hai deciso di fuggire?”
“Si… non hai nemmeno pensato di chiedermi cosa ne pensassi. Non te ne frega niente di me o di papà. Hai messo tutta la sua roba negli scatoloni. Hai pure permesso a quello stronzo di toccare la mia roba... mi tratti come se fossi una criminale… come se non fossi tua figlia. Ormai questa non è più casa mia.” Ad ogni parola la voce le tremava di più, ma non pianse. Si sentiva sconfitta.
Joyce sentì le lacrime invaderle gli occhi, fece uno sforzo sovrumano per non singhiozzare davanti a Chloe. Si massaggiò la fronte e respirò profondamente, cercando di riordinare i pensieri.
“Posso andarmene in camera mia ora?” chiese Chloe.
“No, non abbiamo finito…”
Chloe rimase seduta al tavolo, in attesa. Infine, Joyce riuscì a mettere insieme le parole:
“David è andato a cercare di sistemare le cose con la polizia e il proprietario del negozio in cui hai rubato… ha conoscenze nella polizia e sicuramente si sistemerà tutto…”
“Mh-hm…” Chloe guardava il tavolo senza vedere niente.
“Chloe io… non pensare a David ora… non voglio che tu ti senta così. Questa è ancora casa tua e lo sarà sempre. Faremo andare meglio le cose, te lo prometto. Non scappare più, però. Se tu hai bisogno di me, io ho bisogno di te.”
Chloe annuì, senza dare segnali di particolare interesse. Joyce sospirò amara.
“Posso andare in camera ora?” chiese di nuovo Chloe. Joyce si arrese e annuì.
Quella sera David tornò a casa con buone notizie. Era bastato saldare il conto di ciò che Chloe aveva rubato e rotto per evitare la denuncia, il fatto che fosse un veterano e amico del dipartimento di Arcadia Bay aveva facilitato le cose. Lui e Joyce discussero a lungo. Con sommo stupore di Chloe, non fu messa in punizione, ma le fu sospesa la paghetta a tempo indeterminato a causa dell’erba. David chiese scusa per aver invaso la sua privacy. Ad ogni frase lanciava sguardi a Joyce come se cercasse conferma di star ripetendo bene la lezione. Promise che non si sarebbe più ripetuto niente del genere, a patto che Chloe smettesse con l’erba e l’alcol. Joyce integrò il discorso dicendole che se aveva bisogno di un supporto, avrebbero potuto rivolgersi ad un medico invece che ad uno spacciatore. Chloe ascoltò, annuì e poi tornò in camera sua.
Da quel giorno, in effetti, il clima in casa si fece un po’ più disteso, principalmente perché Chloe e David non si parlavano se non il minimo indispensabile. Chloe riprese la sua routine. Ora che era senza soldi, il taccheggio divenne un'abilità che perfezionò, soprattutto per procurarsi alcolici e sigarette. Cominciò a uscire meno con gli skater e sbronzarsi da sola in spiaggia o al faro. Lassù guardava Arcadia Bay a sinistra, così piccola e insignificante, mentre a destra era sopraffatta dall'immensità dell'Oceano Pacifico. Di tanto in tanto fissava malinconicamente le incisioni sul ceppo vicino alla mappa turistica di Arcadia Bay.

Max&Chloe
BFF Pirates 2008
 
L'avevano fatta un anno prima, più o meno in quel periodo. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e rimanere per sempre in un loop spaziotemporale stile Giorno della Marmotta, ripercorrendo in eterno quel giorno d'estate con Max e suo padre. Uno degli ultimi giorni felici della sua vita.
L'estate scemò verso l'autunno.
Chloe tornò alla Blackwell con sempre meno voglia. Iniziò a saltare le lezioni, scoprendo che a nessuno importava. Che ci fosse o meno, il mondo andava avanti lo stesso. Di tanto in tanto usciva con Justin, ma aveva smesso di andare in skateboard. Lo frequentava solo per scroccare dell'erba. Non usciva più con Eliot. Non che lui non lo chiedesse in continuazione, ma Chloe rifiutava. Un po' le spiaceva deluderlo, ma non abbastanza da cedere alla pressione come aveva fatto in passato. Di tanto in tanto passava del tempo con Frank. Lo raggiungeva al suo RV parcheggiato vicino a una spiaggia semi abbandonata a nord della città. Ogni tanto riusciva a scroccargli dell’erba, poi si sedevano al suo tavolino pieghevole, bevevano e fumavano insieme. Quando era abbastanza fatto o ubriaco, l’uomo si apriva parecchio e a Chloe faceva piacere avere qualcuno con cui parlare. In qualche strano, inquietante modo, Frank sembrava capirla, come un fratello maggiore senzatetto e strafatto.
Le foglie degli alberi ingiallirono, arrossirono e caddero. Tappeti di colori caldi riempirono il parco della Blackwell, mentre i venti freddi iniziavano a soffiare. La vita di Chloe andò avanti in un vuoto di significato che era diventato la normalità, intervallato da rari momenti di euforia chimica autoindotta.
Finché, un giorno, incontrò Rachel Amber...
 
-
 
“Hai mai pensato a un mondo in cui tutto è esattamente lo stesso. . .
Tranne che non esisti?
Tutto funziona perfettamente, senza di te. . .
Ah ah ah . .
Il pensiero mi terrorizza."
(Mr. Robot)
 

"L'inferno non ti darà le risposte che cerchi,
ma non devi distogliere lo sguardo dagli orrori che offre,
perché non puoi superare la sofferenza se ti rifiuti di guardarla."

(Hellblade: Senua's Sacrifice)
 

It left a hole in me and my identity leaked over the weeks
Should I be empty by now?
Should I be empty by now?
 
I was smiling the moment the train crashed
I never expected the moment I saw you last
So how can I trust in these tracks?
I don't trust in these tracks, no
 
Why bother walking--it's a wasteland
And misery--it clouds the sky
Why bother when it's still a wasteland?
And misery still fills the sky
 
I know everybody lies, but I still hope she won't lie to me
I think I'd rather lie to myself
Than be lonely
 
And with her fingers holding mine
Around the wheel as we dream about the drive
We'll make it out of this place
And then we'll come alive
 
Why bother walking--it's a wasteland
And misery--it clouds the sky
Why bother when it's still a wasteland?
And misery still fills the sky
 
Wasteland – Riley Hawke

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Capitolo 6
*** Little Miss Sunshine ***


Little Miss Sunshine

 
“I'd rather see the ocean once in a lifetime
And miss it for the rest of my days
Than never feel the sand beneath my naked feet
And never hear the sound of breaking waves…”
Native - Ocean
 
Rachel è cresciuta illuminata dal sole.
E il sole è diventato parte di lei.
Erano i tempi in cui correva sulla sabbia bollente di Huntington Beach.
Danzava vestita di rosa con le sue compagne, saltellando sulle punte, sognando di diventare una grande ballerina.
Si immergeva nell'oceano vicino all'isola di Santa Catalina e prendeva il gelato a Natale perché faceva caldo tutto l’anno.
I tempi in cui il suo papà era perfetto.
Rachel ricordava le gite in barca per vedere le balene al largo, gli amici della scuola elementare.
Il suono dell'ultima campanella era come lo sparo per gli atleti. La corsa verso la spiaggia, la svestizione istantanea e il tuffo nelle acque fresche e piacevoli. Le gare di nuoto fino alla boa, la sfida ad andare oltre e la rinuncia per paura dei motoscafi che passavano.
Una volta Rachel andò oltre. Erano lei, Cindy, Jordan e Tyler aggrappati alla boa rossa dopo una nuotata. Il cuore batteva in tutto il corpo, sorrideva così tanto che le guance facevano male. I capelli lunghi appiattiti sulla testa e lungo la schiena, riflessi dorati al sole.
"Dai, ti sfido raggiungere quella boa laggiù!" gridò ansimante Tyler.
"Ma sei pazzo?!" protestò Cindy.
"Si dai. Ti sfido anch'io!" rincarò la dose Jordan.
Rachel abbassò gli occhialini e corrugò la fronte.
"Se lo faccio cosa vinco?"
"Il mio rispetto!" disse noncurante Tyler.
"E' l'unica cosa che hai, non puoi neanche farle copiare i compiti visto che sei tu che copi da lei!" attaccò Cindy.
“Boom!” rise Jordan.
"Va bene... lo faccio e poi deciderò il premio!" tagliò corto Rachel, reggendosi con la sinistra alla boa e puntando al suo prossimo obiettivo.
La mano di Cindy le bloccò il polso.
"Che fai?! È pericoloso! E se passa una barca?"
"La faccio passare e poi riparto!"
Era facile no?
"E se non la vedi, ti investe e l'elica ti fa a pezzi?" Tutti si voltarono verso Jordan, che abbassò lo sguardo.
"Guardi troppi film..." concluse Rachel.
“Era un documentario in realtà…” bofonchiò il ragazzo con le guance che si arrossavano nell’imbarazzo.
"Lascia stare!" l'avvertimento di Cyndi arrivò tardi, Rachel si divincolò e partì.
"Cazzo l'ha fatto! L'ha fatto!" sentì tra lo sciabordio delle sue bracciate. Era concentrata. Certo, la boa era lontana almeno altri 50 metri, arrivare fino a quella da cui si era appena separata era già stata un'impresa per il suo piccolo cuore. Ma non le importava. Lei poteva farcela!
 
No... non poteva...
 
Iniziò a rallentare dopo una decina di metri, il cuore in gola, il fiato corto. Usò immediatamente la tattica d’emergenza che usava in piscina e si mise a dorso, dando bracciate calme, riprendendo fiato con gli occhi sul cielo, azzurro come non mai.
Un motore iniziò ad avvicinarsi, Rachel sentì i peli drizzarsi su tutto il corpo nonostante fosse in acqua.
Merda, arriva davvero una barca! E se mi ammazza?!
Mentre si teneva a galla con fatica, si guardò intorno in cerca della fonte del rumore. Vide una moto d'acqua rossa avvicinarsi, un ragazzo a petto nudo e abbronzato alla guida. Capelli neri ricci, abbronzato. Spense il motore e la moto si avvicinò per inerzia.
"Hey tu! Stai bene?!" preoccupazione nella voce.
"Si si! Stavo nuotando fino alla boa!"
"Ma lo sai che qui è vietato?" il tono si rilassò vedendo la bambina nuotare agevolmente.
"Davvero?!”
Il ragazzo inarcò un sopracciglio e poi sorrise compiacente.
"Certo! Immagino che non lo sapessi!" Gettò uno sguardo alla boa poco lontana e ai tre ragazzini ancora aggrappati ad essa. Tese una mano a Rachel, invitandola ad avvicinarsi. Lei la afferrò e si aiutò a rimanere a galla con la salda presa dell'uomo.
"Hai fatto qualche scommessa o roba simile?" chiese lui.
"Si! Di arrivare a quella boa laggiù!" fece un cenno.
"Beh... mi spiace deluderti, non ti posso lasciare andare. Qui passano le barche a motore, rischi di farti male. Però... hai vinto un giro in moto fino a riva. Che ne dici?" Il sorriso del ragazzo era contagioso e Rachel si sentì sciogliere. Aveva otto anni, ma iniziava a notare i ragazzi. Questo sembrava il principe della Sirenetta!
"Certo! Ho vinto comunque!"
"Direi di si!"
Rachel quel giorno non raggiunse a nuoto la boa proibita, ma rimase al sicuro fra le braccia di un bagnino figo fino a riva, sotto lo sguardo attonito dei suoi amici. Il ragazzo, che si chiamava Lewis, chiamò con la radio un'altra vedetta perché andasse a recuperare anche gli altri bambini. Quella sera furono tutti invidiosi perché Rachel si era fatta un giro in moto d'acqua e Cindy ancora di più perché quel bagnino era davvero figo! Peccato che mamma e papà non furono altrettanto felici della sua impresa e le fu proibita la spiaggia per una settimana.
Ne era valsa la pena...
 
-
 
Quando James le disse che avrebbero traslocato, sulle prime Rachel non la prese così male. Insomma, cambiare casa poteva anche essere una bella avventura. Non aveva capito che sarebbero andati in Oregon. Quando capì che non era uno scherzo si infuriò.
"Non ci vengo! Mi trasferisco da Cindy! A lei va bene, ne parliamo sempre di vivere insieme un giorno! E poi già dormo da lei quando facciamo i pigiama party, andrà bene anche a sua madre!"
Rachel telefonò davvero alla mamma di Cindy, poi quella di Jordan e di Tyler, per chiedere se potesse vivere da loro per un po'. Le spiegarono tutte che non era possibile per motivi che Rachel non ascoltò nemmeno. Allora passò alla lista dei parenti, ma gli unici che aveva erano i nonni materni e vivevano in Nevada e gli zii a Sacramento… troppo fuori mano.
James e Rose la lasciarono fare. Quando Rachel vide che non c’erano alternative passò alla fase successiva.
"Perché mi fai questo papà?! Io non voglio lasciare i miei amici! L'Oregon fa schifo!"
"Ma è come il Canada! L'anno scorso ti è piaciuto il Canada, c'erano la neve, i boschi, le montagne..."
"Non me ne frega niente! Io voglio stare qui! C'è la mia scuola! I miei amici... aspetta! La vacanza dell'anno scorso era un test?! Per vedere se mi piacevano posti del genere?!"
"Non essere ridicola Rachel. Era una vacanza!" replicò James un po' offeso.
"Ma perché dobbiamo andare via! Perché così lontano?!"
"Papà ha trovato un ottimo lavoro a Tillamook" spiegò Rose "Guadagnerà di più, avremo una casa più grande e saremo sempre in riva al mare! Potrai farti dei nuovi amici, vedere nuovi posti..."
"Mi piacciono quelli vecchi!"
"Lo so Rachel. È difficile" James si stava spazientendo "Ma dobbiamo farlo. Non ci sono discussioni. Ormai è deciso!"
Rachel non aveva mai gridato, non si era mai arrabbiata tanto, non aveva mai pianto fino ad aver male agli occhi. Fino a quel momento.
 
-
 
Il giorno della partenza, Rachel ricordava vagamente tutta la trafila del check-in. Avevano camminato di gate in gate, sedendosi in una sala d'attesa dietro l’altra. Rachel teneva per mano sua madre Rose, ciascuna di loro portava una valigia adeguata alla loro forza, mentre James le precedeva trascinando un grosso trolley, con uno zaino in spalla. L'unica cosa che le era rimasta vividamente impressa era la statua bronzea di John Wayne, fiero come sempre, nella hall dell'aeroporto, con una colossale bandiera stelle e strisce che penzolava sopra la sua testa. Non è che fosse una fan di film western, tifava sempre per gli indiani, ma il Grande John era un'icona. Dopo quello tutto era nebuloso fino al momento in cui depositarono i bagagli e salirono a bordo. In effetti, anche la vista dell'enorme 747 che li avrebbe trasportati in Oregon la folgorò. In tutte le sue fragili memorie di bambina non aveva mai visto niente di così grande. Il muso bianco con i vetri neri della cabina di pilotaggio sembrava un volto apatico, senza volontà né sogni. Le enormi ali, il rombo dei motori accesi, il tremare della terra man mano che si avvicinavano... a Rachel sembrò di stare al cospetto di un drago! Uno strano drago bianco di metallo e senza cervello. Superato il portello d’ingresso si sedettero ai loro posti. Rachel si sentiva sballottata come un bagaglio.
Lasciava la California... per sempre.
Rose era originaria dell’Oregon e le aveva raccontato quanto fosse verde, la bellezza delle sue montagne, la neve d'inverno! Avrebbero finalmente potuto fare i pupazzi di neve e avere un vero albero di Natale invece di comprarne uno di plastica.
“E’ come il Canada!” continuava a ripetere e questo non faceva che alimentare i sospetti di Rachel sul fatto che quella vacanza dell’anno prima avesse un secondo fine!
Se era così bello perché i suoi nonni si erano trasferiti a Reno?
Nessuno dei suoi racconti le interessava, comunque.
Sapeva solo che la sua vita era finita.
Non in senso letterale, ma tutto ciò che conosceva non ci sarebbe più stato.
Niente Cindy, Jordan e Tyler.
Niente scuola insieme.
Niente passeggiate in ciabatte sul lungo mare in inverno…
Niente più danza con la signorina Conley.
Tutto alle spalle, perché davanti a lei c’era un nuovo mondo.
Un mondo che non voleva e già odiava.
 
Le Hostess spiegarono i comportamenti da tenere a bordo, indicarono i comfort dei sedili, illustrarono cosa fare in caso di emergenza e così via. Rachel non ascoltò. Era inginocchiata sul sedile e guardava fuori dal finestrino. Provò una certa stizza quando Rose la obbligò a sedersi ed allacciare la cintura. Il sedile era gigantesco per lei ed era troppo piccola per riuscire a sbirciare fuori. Era prigioniera nella pancia del drago di metallo.
La voce del comandante annunciò l'imminente decollo e augurò buon viaggio.
Cellulari e dispositivi elettronici furono spenti.
Il motore ruggì e Rachel sentì il sedile vibrare sotto di lei. Tutto vibrava. Ebbe un po' paura. Rose le tenne stretta la mano e la baciò sulla testa. "Tranquilla amore."
"Lo so mamma..."
Aveva già viaggiato in aereo.
Questa però era diversa.
Questa era definitiva.
Dopo il decollo, Rachel balzò al finestrino.
Tutto era così piccolo. Solcavano un cielo sgombro di nuvole. Gli occhi di Rachel andarono alla ricerca dei luoghi della sua vita. La lunghissima striscia sabbiosa punteggiata da migliaia di persone che era Surf Beach. Quindici chilometri di sabbia e di lungo mare, popolata tutto l'anno.
Rachel avrebbe ricordato per sempre le bande di ragazzi abbronzati con spalle e petto larghissimi che, armati di tavola, si gettavano in uno scontro frontale con le onde.
Rachel avrebbe ricordato per sempre la strada lastricata separata dalla spiaggia solo da un dislivello di pochi metri e una ringhiera. Assembramenti di bancarelle e negozi, affollata giorno e notte. Aveva sempre sognato il giorno in cui, diventata grande, avrebbe passato lì le notti con Cindy, Jordan e Tyler, perché sarebbero stati amici per sempre, facendo falò in spiaggia, giocando al gioco della bottiglia e dando i suoi primi baci...
Rachel non si staccò dal finestrino. Non sentiva il prurito alle ginocchia mentre il tessuto del sedile si fondeva con la sua pelle. Appannava leggermente il vetro col respiro, mentre Surf Beach spariva sotto di lei si estendeva Los Angeles e il panorama cambiava. L'aereo salì di quota e il mondo divenne un'immagine di Google Maps. Tra loro e la terra fluttuavano ora soffici nuvolette bianche. Rachel non poteva vedere davanti all'aereo, o avrebbe ammirato la coltre di panna montata volante verso cui si stavano dirigendo.
I cieli dell'Oregon.
 
-
 
Freddo.
Tutto era freddo.
Scesa dall'aereo fu accolta da cieli e palazzi grigi.
Portland era ancora abbastanza simile alla città cui era abituata, ma completamente diversa. Salì sul sedile posteriore di un Suv a noleggio, durante il viaggio guardò fuori dal finestrino riempiendosi lo sguardo di verde. Alberi ovunque, nuvole e foschia. Sempre più foschia. L'ultimo tratto di strada fu quasi libero di segni umani finché un cartello sulla sinistra annunciava "Benvenuti ad Arcadia Bay!"
La città era un microscopico raggruppamento di bassi edifici a metà fra le colline coperte di boschi cupi e l’oceano Pacifico. Sotto un sole velato, quelle acque erano aliene. Era lo stesso mare in cui si era immersa fino a pochi giorni prima, solo molto più a nord.
Nonostante questo, il vento oceanico la rasserenò un po’. Il profumo era sempre quello e le riscaldò il cuore mentre l’aria le scompigliava i capelli. Sentiva scrosciare le onde non troppo lontano. La spiaggia non era così lontana. Sarebbe bastato attraversare la strada, scavalcare un muretto, fare una corsa di qualche decina di metri e avrebbe ritrovato il mare.
Anche se non era proprio lo stesso.
Scesero dal Suv in uno stretto parcheggio. Voci rugose di pescatori e camionisti risuonavano nell'aria, James guidò lei e Rose verso l'ingresso di un basso edificio che sembrava la cabina di una nave su cui svettava un'insegna.
Two Whales.
Anche qui c’erano le balene?
"Ho pensato che per il pranzo avremmo potuto assaggiare subito i migliori hamburger della città. Così mi dicono almeno!" le fece l'occhiolino James mentre entravano.
La porta cigolò e tintinnò, l'aria era carica di profumi e con riflesso pavloviano lo stomaco di Rachel ruggì e la sua bocca si riempì di saliva. Una donna bionda dell'età di sua madre li accolse calorosamente e indicò un tavolo libero. Era quasi l'una e il locale era affollato. Nell'aria risuonava una canzone country.
Intanto, sulla spiaggia, oltre la sua vista, due bambine vestite da pirati duellavano, lasciando impronte spensierate sul bagnasciuga.
 
-
 
Rachel dovette abituarsi a molte cose.
Alla casa nuova, una villa di due piani nel quartiere sud della città, dipinta di rosso, avvolta nel verde, con un giardino che sembrava un piccolo parco. Nella sua camera le scatole e le valigie furono disfatte con grande lentezza. Avrebbe finito di svuotare l'ultimo scatolone il giorno del suo decimo compleanno. Allora, guardandosi intorno, avrebbe compreso definitivamente che la California era alle spalle.
Dovette adattarsi alla nuova scuola. Rachel aveva sempre amato la scuola, le piaceva stare in mezzo alle persone. Tra i suoi compagni e le maestre sapeva chi era. Entrare per la prima volta nella sua classe alla Hendrickson Academy, a Tillamook, fronteggiare volti estranei, odorare l'aroma dei gessi e di una stanza sconosciuta, tutto la frastornò. Almeno all'inizio. Rachel non sapeva chi sarebbe stata, ma per fortuna glielo dissero gli altri. Lei era la bambina Cali, la riempivano di domande sulla California, osservavano le differenze nel modo di vestire, di parlare. Rachel rappresentava un'esotica novità e nonostante tutto ne fu felice, sebbene una parte di lei fosse rimasta indietro…


Non voleva essere la bambina Cali.
Voleva vivere a Cali!
Ogni tanto accarezzava il suo braccialetto blu, uno spesso intreccio artistico di tessuto e cuoio che aveva sempre avuto da quando si ricordava. Era un po’ logoro, ma resistente. Quel bracciale si era impregnato dell’aria della California, aveva assorbito la salsedine del suo oceano, aveva catturato granelli di sabbia di Surf Beach, si era asciugato decine di volte sotto i raggi del suo sole. Aveva sempre avuto quel braccialetto e le era sempre stato caro. Non sapeva perché, sentiva solo che era importante, come l’unica prova di un prezioso ricordo ormai scomparso. Ora divenne per lei una vera reliquia. A volte lo annusava e riusciva ancora a sentire il familiare profumo della sua vecchia casa.
Ma andò avanti.
Anche se dovette abituarsi alle continue assenze di suo padre.
Non è che non lo vedesse mai, James la accompagnava a scuola tutte le mattine e c’era quasi sempre a cena. Ma per Rachel non era sufficiente. Non era più presente come un tempo. Cercava la sua attenzione, ma lo trovava sempre al telefono o assorto al computer, intento a lavorare a qualche caso.
I voti di Rachel si fecero altalenanti. Faceva tutti i compiti, ma non li consegnava. I voti si abbassarono e questo attirò l'attenzione di James. Anche se per rimproverarla, almeno suo padre la notava ancora. Ma così non andava. Lo sguardo deluso sul volto di James era un'esperienza terribile per Rachel. Non era abituata a vederlo. Non voleva vederlo. Voleva che fosse fiero di lei. Così Rachel tornò a impegnarsi.
E andò avanti.
Giocherellava col braccialetto azzurro.
Non aveva dimenticato il suo sogno di diventare una ballerina. Cominciò a frequentare un corso di Danza a Tillamook dopo la scuola. Non era come quello cui andava a Huntington, ma a Rachel piaceva danzare. Liberava la mente, amava muoversi, amava riuscire, amava mostrare di cosa era capace ed essere apprezzata per questo. Le era sempre piaciuto primeggiare, superare i suoi limiti. Un giorno avrebbe frequentato la Julliard e si sarebbe esibita nei più importanti teatri del mondo!
James la iscrisse anche agli Scout e Rachel si tuffò senza pensarci nella natura dell'Oregon.
Amava la natura, non poteva farci niente. Lo stormire delle fronde scosse dal vento somigliava allo sciabordio delle onde. Le mille tonalità di verde e marrone, gli aromi di resina, muschio e legno che la avvolgevano, tutto accarezzava i suoi sensi. Con il suo branco esplorò i boschi e le montagne, lunghe escursioni per raggiungere punti panoramici, visitare le riserve dei Nativi dell'Oregon, fare campeggio ascoltando le storie degli indiani mentre arrostivano marshmellows. Le ascoltava con massima attenzione e divennero una vera passione. Rachel si fece regalare un poncho decorato con motivi Salishan, che divenne il suo vestito preferito per anni, mentre ad Halloween si travestì da Sacagawea. Quando tornava a casa raccontava a Rose tutto ciò che aveva scoperto sugli indiani e lei ricambiava raccontandole le storie degli antichi Dei ed eroi greci, giocando a trovare differenze e similitudini. Uno dei miti preferiti di Rachel era quello di Prometeo, punito per aver rubato il fuoco agli Dei e averlo donato agli uomini. Rachel a volte si sentiva un po’ come lui, punita ingiustamente.
Era stata cattiva? Per questo avevano traslocato?
Andò avanti. Ancora.
Rigirava il suo braccialetto intorno al polso, con gesto meccanico. Col passare del tempo non ricordava nemmeno più perché, ma quel gesto la tranquillizzava sempre. Nell’odore logoro del cuoio e del tessuto, Rachel sentiva un profumo distante, un calore nel petto che la riportava a casa. La riportava a sé stessa.
La bimba Cali divenne una scolara dagli ottimi voti, ballerina di talento, Scout premiata con decine di badge, piena di amici e apprezzata da tutti. Vinse per due anni di fila il torneo di Spelling e a dieci anni interpretò il Firebird di Stravinskij. Rachel non avrebbe mai dimenticato lo sguardo di suo padre quella sera, mentre tutta la troupe e la signorina Fisher, la maestra di danza, si inchinavano sul palco.
Andando avanti, giorno dopo giorno, smise di guardare indietro. Tuttavia, covava nostalgia verso qualcosa che era stato e giorno dopo giorno diventava sempre più indefinito. Il desiderio di tornare a casa fu sepolto sotto gli impegni quotidiani, alla ricerca del sorriso fiero di suo padre, delle parole orgogliose di sua madre, dei complimenti delle maestre, del rispetto e dell'attenzione dei suoi compagni. Cresceva e sognava, immaginando che da grande oltre a danzare avrebbe esplorato i luoghi più selvaggi del pianeta. Il film di Tomb Raider incentivò il suo nuovo sogno!
Intanto, quando chiudeva gli occhi ogni sera, continuava a visitare la California, anche se non era più un luogo reale. Il caldo e l’oceano erano rimasti, ma i volti dei vecchi amici si confondevano sempre più con quelli dei nuovi. Boschi di conifere si estendevano al posto delle case costiere di Surf Beach. Il faro di Arcadia Bay sulla scogliera si ergeva al posto dell’Isola Santa Catalina. A volte questi luoghi diventavano teatro di avventure immaginarie, di cui si scordava appena i raggi del sole filtravano dalla finestra e le lambivano gli occhi. Altre volte sognava di stare semplicemente seduta sulla sabbia in riva al mare, ascoltando le onde, accanto a suo padre e affondando la faccia nei capelli biondi e lunghi di Rose. Il sole splendeva nel cielo e si imprimeva nel petto di sua madre, come un tatuaggio.
Come sono strani i sogni, pensava al risveglio, quando si ricordava che in realtà i capelli di sua madre erano neri e non aveva tatuaggi…
 
-
 
Rachel non avrebbe voluto andare alla Blackwell.
Voleva andare alla Northwest Academy a Portland. Aveva bisogno di cambiare aria, allontanarsi dalla periferia della civiltà in cui sentiva di vivere.
E invece…
“Rachel sta crescendo, deve iniziare a pensare concretamente. Da adulta.”
Così aveva sentito dire suo padre mentre ascoltava una conversazione con Rose, la stessa in cui aveva detto che non avrebbe mai lasciato andare sua figlia in una scuola pubblica, quando ad Arcadia Bay, a pochi passi da casa, c'era uno dei più illustri licei di tutto l'Oregon. La Blackwell era così rinomata, o pretenziosa, da selezionare i suoi studenti al pari di un'Università e con i voti di Rachel accedere sarebbe stato uno scherzo. Di certo non era secondario l'impatto che la sua ammissione avrebbe avuto sull'immagine pubblica di James. Suo padre aveva cominciato a progettarle il futuro, suggerendo che una volta concluso il Liceo sarebbe stata una grande idea se avesse frequentato la facoltà di Legge. Un sogno pratico, uno che le avrebbe garantito un futuro, un lavoro.
Un obiettivo!
Così gli adulti chiamavano i sogni?
Intanto le mire politiche di James erano diventate esplicite. Casa Amber iniziò a ricevere ospiti illustri per delle ‘cene informali’ come le definiva James. Per l’occasione venivano usate le stoviglie delle feste e le conversazioni erano sempre così… superficiali. Rachel ascoltava i discorsi in silenzio. Non che le fosse richiesto di parlare, perlopiù era necessario presentarsi bene. James si assicurava che tutta la famiglia fosse vestita a modo. Dopocena, mentre lei e Rose sparecchiavano, suo padre si ritirava in giardino con l’ospite, un paio di bicchieri carichi e dei sigari.
Tutto questo era nuovo e Rachel provava un misto di curiosità e disagio.
“Per raggiungere i propri obiettivi bisogna avere gli amici giusti, Rachel…”  le disse James una sera. Alle medie aveva provato a metterlo in pratica. Eppure, sentiva qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo.
No, non sbagliato…
Incompleto.
Negli ultimi tre anni la sua vita era stata all'insegna del 'fare la cosa giusta'. Frequenta le persone giuste, vestiti nel modo giusto, ascolta la musica giusta, comportati nel modo giusto... Rachel era entrata nella squadra delle Cheerleader, aveva vinto praticamente tutti i premi scolastici che esistevano e frequentato gli studenti più popolari e ricchi della Hendrickson, con grande gioia di suo padre.
I ragazzi che frequentava a scuola erano simpatici, a modo loro. L’impegno nello studio colmava la mente di Rachel di concetti e ragionamenti complessi, quindi concedersi lineari discorsi sulla moda, i pettegolezzi e l’ultimo album di Christina Aguilera era abbastanza piacevole. Allo stesso modo era divertente guardare i ragazzi, giudicarli e osservare come tentavano di attirare l’attenzione. Era un tipo particolare di gratificazione, appartenere ad un gruppo, mescolarsi, uniformarsi. Il gruppo le dava forza, le dava una posizione, la inquadrava nella società, le dava una bandiera da innalzare…
…e le precludeva tutto il resto.
Tutto quel distinguere fra ‘in’ e ‘out’…
Nemmeno la fierezza di suo padre, i numerosi regali e le mance di compleanno compensavano il fatto che le mancasse qualcosa.
Dopo anni alla Hendrickson non sopportava più lo snobismo dei suoi compagni. Gli Amber erano sempre stati benestanti e grazie alle promozioni di James il loro reddito era certamente aumentato, ma Rachel non si sentiva della stessa specie dei suoi ‘amici’. Non erano mai stati ricchi, James e Rose avevano dovuto guadagnarsi ogni dollaro e ogni privilegio di cui ora godevano. Inoltre, Rachel aveva dei valori e dei sogni che andavano ben oltre il comprare un nuovo cellulare, fare shopping a Portland o fidanzarsi.
Certo… diventare una ballerina era un progetto sfumato da quando aveva smesso di frequentare il corso di danza per fare la cheerleader e gli Scout erano da sfigati quindi anche l’idea di fare l’esploratrice…
I suoi sogni di bambina erano svaniti in una nuvola di coloratissimo nulla.
Sapeva solo in cosa fosse brava e continuava a farlo, circondata da persone di plastica, alla ricerca di qualcosa di meglio. Guardava da lontano i gruppi di ragazzi ‘problematici’, li vedeva fumare di nascosto, ascoltava la loro musica e osservava il loro stile. Il suo look integrò camice a quadri e magliette delle band rock che iniziò ad ascoltare, i cui testi davano voce a qualcosa che in lei stava nascendo e lottava per emergere.
Giurò che al liceo sarebbe stata sé stessa, senza compromessi, qualunque cosa significasse!
Non è a questo che serve il liceo?
A scoprire sé stessi?
 
La Blackwell, invece, sembrava come passare dalla padella nella brace. Era un cambiamento, ma nella direzione opposta a quella che Rachel desiderava. Non si sarebbe comunque opposta a suo padre. Lui avrebbe contestato abilmente ogni suo argomento, mettendola all’angolo e sfoderando il suo sguardo deluso se avesse insistito ancora. Con suo padre ormai funzionava così. Rachel ricordava a stento di un tempo in cui le cose erano state diverse, in cui suo padre si sarebbe preoccupato di cosa ne pensasse. La consapevolezza che le sue decisioni fossero guidate solo dal suo bene era il suo faro. Non l’avrebbe mai messa in discussione. Non poteva. Non aveva motivi per farlo.
Ancora…
Il 26 aprile 2008 la famiglia Amber si recò all'Open Day. La Blackwell aveva un'aura così... elitaria, ma al tempo stesso sembrava un luogo magico, una specie di Hogwarts da cui si godeva una meravigliosa vista del mare, se sapevi dove piazzarti. Nel cortile dei Dormitori c’era anche un totem indiano. Somigliava tanto alla riproduzione che aveva visto varie volte a Culmination Park, ma il Preside Wells assicurò che il totem, che gli studenti per qualche ragione chiamavano ‘Tobanga’, era autentico.
Circondata dai molti aspiranti studenti e le loro famiglie osservò volti nuovi e al tempo stesso simili a quelli che aveva visto ogni giorno negli ultimi tre anni. Rachel non aveva dubbi che l'offerta formativa fosse all'altezza delle aspettative, le aule erano attrezzatissime, i professori preparati e alcuni, come Miss Grant, sembravano anche simpatici. Anche il Drama Club sembrava promettere molto bene.
Intanto, il suo mondo si restringeva.
A nulla servivano le vacanze all'estero con la famiglia. In quegli anni avevano viaggiato ogni estate. Roma, Milano, Tokyo, Okinawa, Bali… Quelle brevi parentesi estive erano solo delle felici pause che alla fine le ricordavano solo quanto fosse vasto e meraviglioso il mondo, mentre il suo quotidiano era così penosamente minuscolo.
Così, di nuovo, guardò avanti.
Sempre avanti.
Perché dove si trovava non era entusiasmante e il passato…
beh.. non esisteva. Non poteva esistere, altrimenti avrebbe ricordato che un tempo, tutto era stato diverso.
Sperava che la Blackwell avrebbe sovvertito le sue aspettative e che là dentro avrebbe trovato la sua strada o almeno un’anima affine che rendesse sopportabili i successivi quattro anni.
Il giorno dell’Open Day non notò quell’anima passarle accanto per tre volte.
Non poteva notarla.
Non ancora
 
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Il 3 settembre 2008 Rachel iniziò ufficialmente la sua carriera alla Blackwell. Per la prima volta non fu James ad accompagnarla a scuola, ma Rose. Rachel liquidò la cosa con una scrollata di spalle interiore. Suo padre era molto impegnato, aveva deciso di candidarsi a Procuratore Distrettuale della Contea di Tillamook. Lo capiva. Giusto?
Ci misero meno di dieci minuti ad arrivare, accostando vicino al marciapiede della strada che divide il campus dal campo di Football e atletica. Rachel assecondò le mille raccomandazioni di Rose.
“Non sei eccitata??” chiese la donna dopo aver munito sua figlia dei soldi per il pranzo.
“Non quanto te probabilmente!” scherzò Rachel.
“Non biasimarmi! Sei al Liceo! È un rito di passaggio importantissimo. È come il primo giorno alle Elementari!” gli occhi di Rose erano lucidi, le guance arrossate. Rachel si sentiva riscaldare da quell’affetto. In effetti, forse non stava affrontando la cosa con lo spirito giusto.
Era il suo primo giorno di Liceo in una scuola che molti ucciderebbero per frequentare!
Forse il fatto che non l’avesse scelta lei giocava un ruolo determinante, ma regalò ugualmente un sorriso a Rose. Le due si abbracciarono, quindi Rachel aprì la porta e caricò lo zainetto nero sulle spalle. Una folata di vento fin troppo freddo la investì appena uscita, scuotendole i capelli biondi e facendo svolazzare la camicia di flanella rossa.
Sia benedetta la flanella! Pensò apprezzando la protezione che quel tessuto offriva alla sua pelle californiana. Non si sarebbe mai abituata al freddo…
“Mi raccomando!” disse Rose come un implorante ammonimento.
“Di cosa in particolare?” provocò Rachel con occhi felini.
“Un po’ tutto quello per cui mi sono già raccomandata!” sorrise Rose.
“Andrà tutto bene, mamma!”
“Lo so! Te la cavi sempre!” ammiccò.
Rachel la salutò e chiuse la portiera. Osservò la Volvo riprendere la strada e svoltare l’angolo per tornare in città, quindi si voltò a fronteggiare per la prima volta da studentessa la breve scalinata che conduceva al campus. L’aria portava con sé i profumi del bosco, misti a fumo di sigaretta proveniente da un luogo imprecisato. Il campanile della Blackwell torreggiava su di lei, rosso contro il cielo azzurro velato dalla solita foschia. Tutt’intorno un’orda di studenti sciamava verso l’ingresso, mentre gruppi di ragazzi più grandi temporeggiavano sotto gli alberi e ai tavolini accanto al Dormitorio. La maggior parte degli studenti provenivano da altre Contee, alcuni addirittura da altri Stati. Un calderone di americana varietà.
L’eccitazione e la paura colsero finalmente Rachel.
Forse aveva sottovalutato l’intera faccenda.
Era al Liceo!
Gli anni migliori della vita secondo alcuni.
I peggiori per altri.
Rachel non aveva una visione precisa di cosa aspettarsi, ma andava bene così.
Era sulla riva di un fiume di persone, una marea composta da centinaia di vite che percorreva il cammino secondo un’ordinata entropia.
Era il momento di balzarci dentro e nuotare.


-
 
Tra tutte le lezioni, quella che più di tutte interessava Rachel era il Laboratorio Teatrale.
Il giorno della prima lezione, Rachel ci andò quasi di corsa dopo aver lasciato la classe di Inglese e recuperato gli abiti da ginnastica dall’armadietto (una delle richieste era vestirsi comodi). Era la prima volta che Rachel partecipava ad un corso di recitazione, non aveva idea di cosa aspettarsi e questo la riempiva di eccitazione.
Superò l’aula di Arte e le porte di sicurezza, si imbatté sulla destra in una doppia porta spalancata con un cartello che recitava Drama Club. Uno spazio era dedicato a “palco”, composto da alcune materassine e un fondale neri. Le pareti tappezzate di locandine, alcune riguardanti spettacoli messi in scena dalle classi precedenti. Le spesse tende rosse scostate alle finestre sembravano drappeggi usciti da un quadro di Caravaggio. Nessun banco, nessuna sedia. In fondo alla sala c’era la cattedra, piazzata in un angolo come un’oggetto abbandonato. Rachel fu tra i primi ad arrivare e si concesse del tempo per esplorare l’aula e indagare la stanza dietro il palco, che scoprì essere la zona camerini. Appendiabiti ingombri di costumi, la luce fioca riflessa migliaia di volte negli specchi, l’odore dei trucchi misto a quello degli oggetti di scena. Era come essere proiettati in un’altra dimensione. Si cambiò rapidamente dietro il separé e si congiunse al resto della classe, che arrivava alla spicciolata.
Rimase in silenzio e da sola, godendo dell’attesa, il piacere ansioso dell’anticipazione, mentre i suoi compagni si erano già divisi in gruppetti e parlottavano tra loro come se quella fosse una lezione qualsiasi. Probabilmente per loro lo era.
D’un tratto un uomo sul metro e ottanta emerse dalla porta, fischiettando e camminando spedito fra i gruppi di studenti come se non li vedesse. Tutti reagirono all’unisono, silenziando le chiacchiere e ricomponendosi come se colti in flagrante. Il professor Keaton li superò e raggiunse la cattedra, appoggiando su di essa una valigetta da cui estrasse un portatile. Continuando a fischiettare lo collegò alla corrente e lo accese, mentre alcuni ragazzi si guardavano l’un l’altro perplessi. Qualcuno si avvicinò timidamente alla cattedra, mentre ancora Keaton non sembrava avvedersi della loro esistenza. Qualcuno ridacchiò sottovoce. Rachel tentò di capire quale canzone stesse fischiettando il professore, le sembrava familiare, ma non riusciva a ricordare dove l’avesse già sentito.
“Rachel Amber!” una voce decisa dalla pronuncia perfetta, priva di ogni accento, echeggiò nell’aula, silenziando improvvisamente ogni brusio. Rachel fu colta alla sprovvista.
“Rachel Amber?” ripeté Keaton alzando gli occhi dal computer.
“Sono io!” rispose lei scuotendosi.
L’uomo le rivolse uno sguardo e annuì con un sorriso cordiale prima di proseguire con l’appello.
Rachel ascoltò la sequenza di nomi che seguì, cercando di associare a ciascuno il suo volto. Una ragazza di nome Steph Gingrich colpì la sua attenzione. Capelli lisci e leggermente ramati spuntavano da un berretto di lana color panna e incorniciavano un viso dai tratti morbidi, con due grandi e curiosi occhi blu. Un’altra studentessa catturò la sua attenzione: Marisa Rogers. Questa ragazza era esattamente il genere con cui Rachel si era abituata ad interagire alle medie, il suo portamento diceva a tutti quando erano dei fottuti insetti confronto a lei, i capelli neri perfettamente acconciati, un’elegante canottiera scura e un paio di pantaloni della tuta griffati color panna che disegnavano le sue curve e ostentavano il suo status economico sopra la media. Marisa era l’archetipo del genere di persona che Rachel non voleva più frequentare, ma con cui sapeva si sarebbe imbattuta. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, il sopracciglio di Marisa si alzò con altezzosa sorpresa, poi indossò un sorriso di circostanza, che Rachel restituì. Si appuntò mentalmente anche il nome di quella che sembrava l’amica, o la galoppina, di Marisa: Kelly Davis.
Concluso l’appello, Keaton si alzò dalla cattedra, facendo deliberatamente rumoreggiare la sedia sul pavimento. Si avvicinò agli studenti con passi lenti e ponderati, tacco-punta, occhi indagatori. A Rachel sembrava una via di mezzo tra Andy Warhol e Gary Oldman. Passeggiò tra loro fino a raggiungere il palco, dove si fermò, incrociò le braccia e rimase in silenzio a fissarli, uno ad uno. Quando i suoi occhi verdi si posarono su di lei, Rachel si sentì incredibilmente vulnerabile. Cambiò posizione sentendosi improvvisamente scomoda.
“Che ci fate qui?”
La domanda di Keaton echeggiò improvvisa. Quell’uomo sembrava avere la capacità di aspettare il momento esatto in cui i suoi ascoltatori si abituavano al silenzio, per poi romperlo. La domanda lasciò tutti perplessi, Rachel inclusa.
“E’ una domanda semplice. Che-Ci-Fate-Qui?”
Una perfetta manicure con smalto viola si elevò.
“Miss Rogers?” concesse Keaton.
“Siamo… a lezione di teatro?” chiese ironicamente, scatenando alcune risatine sommesse.
“Acuta osservazione!” replicò Keaton sorridendo “Esploriamola… che cos’è il teatro?”
Marisa si imbronciò e la fronte coperta di fondotinta si corrugò mentre gli ingranaggi del suo cervello si sforzavano di partorire qualcosa di intelligente.
“E’ l’attività umana in cui un gruppo di attori recita una parte per… raccontare una storia.”
Keaton spalancò gli occhi e annuì: “Vero! Ma c’è di più. Qualcuno sa fare di meglio?”
Rachel colse un’ombra sul volto di Marisa, che svanì subito appena reindossò la maschera.
“E’ una forma d’arte?” disse un ragazzo che Rachel aveva sentito chiamarsi Adam Glenn.
“Assolutamente vero, ma non ci siamo ancora.”
“Un modo per esprimersi?” azzardò Steph.
“Molto bene! Ci stiamo arrivando!”
“Un modo di essere?” le parole uscirono dalle labbra di Rachel senza pensarci. Era troppo tardi quando si rese conto che Keaton e tutta la classe la stavano fissando.
“Interessante Miss Amber. Dicci di più!” Keaton abbandonò le braccia incrociate e si avvicinò a lei di qualche passo, senza scendere dalle materassine del palco.
“Ecco… quando si recita si vestono i panni di qualcun altro. Si recita un copione prestabilito oppure si improvvisa, ma l’attore non è sé stesso. A volte è così anche nella vita, quindi si può dire che il teatro è un modo di essere.” non poté evitare di pensare a suo padre mentre parlava.
“Molto acuto. Ottimo Miss Amber!”
Rachel intravide lo sguardo piccato di Marisa.
“Il teatro è tutto ciò che avete detto” continuò Keaton “è senza dubbio un’attività di gruppo, ma può essere condotta anche da un singolo attore. È un’arte, una delle più raffinate e complesse. È senz’ombra di dubbio un modo per esprimere sé stessi come dice Miss Gingrich, oppure per nascondersi come ha giustamente sottolineato Miss Amber. Ma è ancora qualcosa di più…” Keaton scese dal palco, sottolineando ogni parola con una calcolata gestualità, che tuttavia appariva spontanea.
“Il teatro è un percorso, è la vita stessa. Gli attori sono individui che scelgono di separarsi dagli altri e intraprendere un percorso di conoscenza di sé stessi e degli altri, un percorso che li porta ad affrontare le proprie paure, a scavare nelle loro memorie alla ricerca di emozioni sepolte, tutto questo allo scopo di comunicare qualcosa al mondo! Ogni forma d’arte fa questo percorso, ma nessuna in modo diretto e profondo come il teatro.”
Keaton concluse la sua spiegazione e lasciò calare di nuovo il silenzio. Li fissò uno ad uno, incrociando i loro sguardi, puntualmente distolti nell’imbarazzo. Rachel la prese come una sfida e quando le iridi verdi di Keaton incrociarono le sue decise di sostenere lo sguardo. Professore e allieva si fissarono per alcuni momenti e l’uomo sorrise:
“Non vi aspettavate questa paccottiglia quando vi siete iscritti vero?”
La classe sghignazzò quasi all’unisono e anche Rachel, che si sentì un po’ fiera quando Keaton distolse lo sguardo per tornare sul palco.
“Beh, non vi preoccupate. Smettiamo immediatamente con le chiacchiere pretenziose e passiamo ai fatti. Il tema del primo semestre è l’improvvisazione. Preparatevi perché rivolterò le vostre anime come un calzino! Cominceremo con un po’ di riscaldamento e poi giocheremo a ‘Chi mente meglio vince’!”
 
-
 
Furono due ore molto intense. Dopo aver fatto alcuni strani esercizi ginnici, Keaton li fece camminare in lungo e in largo per la stanza, guardando negli occhi per un istante chiunque incrociassero. Fu molto divertente constatare che era impossibile scambiarsi soltanto uno sguardo! Automaticamente ci si rivolgeva microscopici gesti di saluto, cenni del capo, inconsapevoli mimiche facciali su cui Keaton li prese in giro uno per uno, imitandoli e scatenando grasse risate. A ritmo di jazz, seguita da un pezzo di J-Z, poi da un classico di Wagner, poi dai Deep Purple, gli studenti furono incoraggiati a danzare, muovendosi a seconda di come la musica suggeriva al loro corpo, senza pensare a come apparissero. Per Rachel questa parte fu fin troppo facile.
Infine, ‘Chi Mente Meglio Vince’.
Keaton posizionò una sedia sulle materassine e fece sedere per terra tutti intorno ad essa. Il gioco consisteva nel sedersi uno ad uno sulla sedia, farsi intervistare da Keaton e dagli altri studenti con domande libere e rispondere sia con verità e bugie. Alla fine, il gruppo avrebbe dovuto indovinare quali risposte fossero vere o false.
Il turno di Steph fu teneramente imbarazzante. Rachel la osservò per tutto il tempo, notò dozzine di tic nervosi nell’essere esposta all’attenzione di tutti.
“Tranquilla, non è la macchina della verità!” scherzò Keaton per metterla a suo agio, provocandole solo un leggero sorriso “Cominciamo con qualcosa di semplice. Ti chiami Stephanie?”
La classe rise e anche Steph sembrò alleggerirsi.
“Si!” fece un profondo sospiro.
“Hai un secondo nome?” chiese Keaton.
“Si.. cioè… ehm… si! Margareth!” Steph cercò una posizione più comoda sulla sedia.
“Fai sport?” continuò il professore, cercando di dimostrare che non c’era nulla da temere. Bisognava solo seguire il flusso.
Steph esitò, poi: “Si! Faccio Basket!”
Qualcuno rise.
Una ragazza alta un metro e sessanta non era molto credibile, ma Keaton alzò le mani per zittire.
“Quale ruolo?”
“Playmaker!” affermò Steph con più convinzione.
“Vai alla grande! Qualcuno vuole farle delle domande?”
Un ragazzo di nome Jason Redford alzò la mano e chiese “Ce l’hai il ragazzo?”
Tutti risero e Steph ghignò con aria di sfida.
“Si! È uno del terzo anno e gioca a Football in questa scuola! Si chiama Mike” ammiccò.
Al termine del suo turno le risposte di Steph furono analizzate e fu facile scoprire che alle domande sul secondo nome e sullo sport aveva mentito. L’intera classe era invece convinta che Steph avesse davvero un fidanzato del terzo anno. Furono tutti sconcertati, soprattutto Jason, quando lei disse: “In realtà quella è una bugia. Non ho un ragazzo perché mi piacciono le ragazze.”
La leggerezza con cui lo disse fece calare il silenzio, rotto soltanto dalla risata di Keaton: “Vi ha fregati tutti!”
Jason parve molto deluso.
 
Quando arrivò il turno di Marisa, Rachel prestò particolare attenzione. La ragazza si posizionò ben composta sulla sedia come se dovessero servirle un tè.
“Di dove sei Miss Rogers?” chiese Keaton.
“Del New Jersey!” rispose lei con tono allegro.
“Wow! Ti sei trasferita per venire alla Blackwell?” la assecondò.
“Certo!”
“Hai fatto moltissima strada! Come mai non hai preferito frequentare una scuola più vicina a casa?” indagò il professore massaggiandosi il mento.
“Perché la Blackwell è un’eccellenza nazionale! È famosa anche nell’East Coast!”
Il gruppo ridacchiò.
Rachel avvertì dei conati di vomito.
Alla fine emerse che Marisa Rogers viveva a Portland e che suo padre, proprietario della Rogers & Co, l’aveva iscritta alla Blackwell per il prestigio della scuola, in vista dell’università, dove avrebbe studiato economia per poi entrare nella dirigenza dell’azienda di famiglia.
“Frequentare la Blackwell come si deve è un biglietto di prima classe per Harvard, Yale, Princeton e qualsiasi università vorrai frequentare. Io ho studiato all’università pubblica, ma tu Rachel avrai un futuro molto più luminoso in quel senso. Avrai accesso alle migliori facoltà di Legge del paese e quando ti laureerai ti aiuterò personalmente a trovare lavoro.”
La voce di James Amber risuonò nella mente di Rachel. Suo padre sembrava aver avuto molto tempo per programmarle la vita, un po’ come quello di Marisa Rogers.
Si scosse dai suoi pensieri quando arrivò il suo turno. Aveva dalla sua il vantaggio di aver osservato gli altri, cercando di capire come si muovevano mentre mentivano e cosa cambiava quando erano sinceri. Si sistemò sulla sedia nel modo più naturale e attese.
“Bene Miss Amber! Da dove vieni?”
Rachel sospirò. Decise di essere sincera: “California”
“Da dove di preciso?”
Stavolta mentì. Aveva visto dagli altri che ogni risposta falsa era molto rapida, come se fosse un peso di cui liberarsi in fretta. Così si prese un istante per sorridere e poi disse “Sacramento!”
“Da quanto ti sei trasferita?”
“Quest’anno!”
“Oh! Una cosa recente. Ricorderai un sacco di cose di Sacramento, raccontaci qualcosa!”
Rachel fu colta alla sprovvista. Non aveva previsto che Keaton le chiedesse di argomentare così presto. Dissimulò la sorpresa massaggiandosi il mento e impedendosi di accavallare le gambe. Scoprì in quel momento che quello era un gesto che ripeteva spesso quando si innervosiva!
“Tipo?” prese tempo.
“Quello che ti va!” Keaton non abboccò e Rachel trattenne una risatina nervosa.
“Beh…” esordì scavando nella memoria. Cercò qualcosa della sua infanzia ad Huntington che potesse tornare utile, una mezza verità si poteva considerare una bugia? “Ricordo quando con i miei amici Clive,” pensò a Jordan “Daisy” pensò a Cindy “e Daniel” ricordò Tyler “andavamo in riva al fiume dopo la scuola. Facevamo sempre il bagno e ci sfidavamo ad allontanarci dalla riva dove la corrente era più forte… alla fine non andava mai nessuno!” Rachel sorrise. Mentre raccontava una versione alternativa dei suoi ricordi, quelli veri le passavano davanti agli occhi. Si rivide aggrappata alla boa, udì le risate di Tyler e Cindy, ricordò il largo sorriso di Jordan. I raggi del sole di quei giorni lontani le scaldarono davvero il viso. Era da molto che non ci ripensava. Gli occhi si inumidirono.
“Eri molto legata a loro…” commentò Keaton.
“Si…” Rachel deglutì. Decise di proseguire il racconto su quella strada. Come sarebbero dovute andare le cose tanto tempo fa, in un altro tempo, in un altro luogo. In un altro universo. Si asciugò gli occhi istintivamente: “Noi tre eravamo inseparabili. Abbiamo fatto elementari e medie insieme. Siamo andati a Disneyworld insieme. Ogni estate andavamo in campeggio e festeggiavamo i compleanni sempre insieme. Avevamo pensato anche di andare nello stesso Liceo…” fece una pausa e si schiarì la gola “Poi mia madre ha ricevuto un’offerta di lavoro qui e abbiamo dovuto trasferirci.”
“Li senti ancora?” indagò Keaton.
“Tutti i giorni…” le uscì un tono troppo malinconico. “Voglio dire…” tentò di rimediare “Anche se abbiamo Skype e tutto il resto, mi mancano molto. Vorrei che potessero vedere i boschi che ci sono qui, vorrei potessimo esplorarli insieme…”
Keaton le sorrise comprensivo. Le credeva? La assecondava?
“Beh… forse è un argomento un po’ troppo pesante. Passiamo a qualcosa di più leggero. Qualcuno vuole farle delle domande?”
Ottima idea!
Rachel prese un profondo respiro e continuò. Forse a causa di com’era iniziato il suo turno, le altre domande si fecero più banali: “Ti piace la pizza?” “Cosa fai per divertirti?” e così via. Solo Steph se ne uscì con un: “Sei etero?” che provocò un’onda di ilarità.
Rachel sghignazzò: “Fino ad oggi sì! Domani, chi può dirlo?”
Molto tempo dopo Rachel si chiese se questa risposta avesse instillato in Steph il dubbio che in seguito la portò a sviluppare interesse per lei! O forse stava solo dando voce ad un lato di sé che ancora ignorava.
Alla fine del suo turno, Rachel si stupì che tutti fossero convinti che non avesse mai mentito.
“Insomma, devi aver mentito qualche volta!” commentò Marisa.
“Si in effetti ho mentito.” Replicò Rachel “Ho detto solo bugie!”
Si levarono dei “No…” delusi.
“Dai, hai mentito anche sui tuoi amici di Sacramento?” disse Adam Glenn.
“Quindi non sei Californiana e non sei etero?” ridacchiò Steph.
“Ah no… giusto… quelle erano vere! Però sono di Long Beach, non di Sacramento!”
“E i tuoi amici di cui ci hai parlato? Esistono?” indagò Keaton.
“Si, però hanno altri nomi. La verità è che mi sono trasferita qui a otto anni e non li ho più sentiti né visti da allora!” Rachel si sentì incredibilmente vulnerabile, come se avesse mostrato il fianco ad un nemico in agguato.
Keaton arrivò a salvarla: “Molto brava miss Amber!” si rivolse alla classe “Quella che lei ha usato è una tecnica di improvvisazione. Per risultare più credibili si può attingere dal proprio vissuto reale e informazioni che possediamo, sia che cerchiamo di entrare nello stato emotivo giusto per un ruolo, sia che dobbiamo improvvisare una scena. In questo caso lei ha usato ricordi reali, pieni di emozioni vere, ma ha cambiato dei dettagli. Hai fregato anche me! Complimenti!”
“Ma questo non è imbrogliare?” si intromise Marisa.
Rachel rimase impassibile, ma trattenne una risatina compiaciuta. Miss Rogers si sentiva minacciata!
“Direi di no! Anzi, consiglio a tutti voi di esercitarvi in questa tecnica. Però non usatela per inventarvi scuse e non consegnare i compiti o i prof delle altre classi mi uccideranno!”
La campana del pranzo pose fine alla lezione.
Rachel fu molto dispiaciuta.
Dopo essersi cambiata, uscire dall’aula di teatro fu come tornare sulla Terra dopo una vacanza in una galassia lontana lontana. Si sentiva… accesa! Come se migliaia di lampadine si fossero illuminate all’unisono nella sua testa e nel suo petto. Ricordava di essersi sentita in modo simile solo da bambina, quando danzava.
Raccolse le sue cose e si diresse verso la Caffetteria per pranzare.
“Hey!”
Si voltò e vide Steph raggiungerla a passi svelti nel corridoio.
“Sei stata grande là dentro!” esordì.
“Grazie! Anche tu!” ricambiò Rachel.
“Cazzate. Ho fatto schifo, ma è normale, non sono lì per recitare…” Steph le si affiancò.
“In che senso?”
“Mi interessano scenografia e costumi. Keaton ha detto che più avanti il ‘mio’ corso prenderà quella direzione, ma che devo almeno sperimentare le basi attoriali.” Scrollò le spalle.
“Non ci sarebbe teatro senza scenografi e costumisti! Non vedo l’ora di vedere i tuoi lavori! Poi se le lezioni sono tutte così ci sarà da divertirsi! Ho adorato ogni secondo!”
“Ho notato! Però sei avvantaggiata… da come ti muovevi con la musica si vede che sai ballare. Sei sicuramente già salita su un palco!” Steph strinse gli occhi in falso sguardo accusatorio.
“Beccata!” confessò sorridente Rachel.
“Sei un animale da palcoscenico!”
“Staremo a vedere!”
Giunsero davanti alla Caffetteria.
“Ti va di pranzare insieme?” chiese Steph con un filo di imbarazzo.
“Non era ovvio?” Rachel le diede un buffetto col gomito.
Steph sorrise felice.
 
-
 
Alberi.
File disordinate di abeti selvaggi le scorrevano davanti agli occhi, attraverso il finestrino dell'auto. Con la fronte appoggiata al vetro, Rachel non vedeva davvero il paesaggio, immersa nei suoi pensieri.
Rose era al posto di guida, spingeva prudentemente la macchina sullo sterrato. Appena uscite da Arcadia Bay avevano imboccato la Highway 101 fino a Idaville, per poi svoltare a sinistra nella minuscola Kilchis River Road, che si inoltrava nell’entroterra boscoso della Contea di Tillamook. Quando la strada si biforcò, Rose svoltò a destra su Kilchis Forest Road per l’ultimo tratto del viaggio.
Rachel era contrariata.
Non per il viaggio, quello era piacevole.
Era il ricordo della sera precedente, una cena come altre che suo padre era riuscito a rovinarle. Da quando era iniziata la campagna elettorale, James Amber sembrava aver scoperto un vero talento nell’innervosire sua figlia. Non che se ne rendesse conto. Sembrava non rendersi più conto di nulla all'infuori di ciò che riguardava i suoi affari.
"Oggi ho scoperto una cosa interessante!" aveva esordito tra un educato boccone di parmigiana e l'altro "Conosci una certa Marisa Rogers?" chiese voltandosi verso Rachel.
Sorpresa dalla domanda, annuì dopo qualche istante.
"Che interessante coincidenza! Oggi ho avuto un incontro con alcuni dirigenti della Rogers & Co, tra cui il proprietario Michael Rogers. Parlando è venuto fuori che ha una figlia che va alla Blackwell! Il mondo è un posto davvero piccolo!"
"Davvero una bizzarra coincidenza!" convenne Rose seguendo il protocollo della moglie perfetta.
Soprattutto quando vivi in uno degli stati con la densità di popolazione più bassa, pensò Rachel, ma lo tenne per sé.
"Allora..." James tornò a concentrarsi su di lei "...tu e Marisa siete amiche?"
Rachel deglutì troppo presto un boccone che le scese fastidiosamente nell’esofago.
"Non la conosco così bene..."
"Michael mi ha detto che anche lei frequenta la classe di teatro!"
Dove stava cercando di arrivare suo padre? Lo immaginava in realtà…
"Si infatti, ma all'infuori dei corsi non ci frequentiamo."
"Sarebbe bello se diventaste amiche." affermò James.
"Non credo che abbiamo molto in comune..." commentò Rachel ingoiando il groppo in gola con un sorso d'acqua.
"Come fai a dirlo se non la conosci bene?"
Rachel scrollò le spalle: "Ci sono cose che si sanno a pelle immagino... e poi io sono Leone e lei è Vergine. Potremmo ucciderci a vicenda!"
Rose sorrise alla battuta astrologica di Rachel, ma James non aveva finito. Si concesse un sorriso di circostanza e proseguì.
"Speriamo di non avere Saturno contro allora... Michael ci ha invitati a cena a casa sua venerdì. Sarebbe un'ottima occasione per legare!"
Rachel appoggiò rumorosamente le posate al piatto e piantò uno sguardo incredulo su suo padre.
"Davvero?" le sfuggì un tono di protesta più accorato del previsto.
"E' un problema?" chiese James pacatamente.
E quegli occhi grigi si strinsero, divennero freddi come la roccia di uno scoglio, si piantarono nelle iridi fiammeggianti di Rachel, che improvvisamente ebbe di nuovo 5 anni. Una morsa le strinse lo stomaco.
"No..." Rachel si tappò la bocca con un boccone, che masticò a lungo.
Non ascoltò oltre le parole di suo padre, che continuò a raccontare quante persone interessanti (e ricche) stesse incontrando da quando si era candidato. Non era certo la prima volta che James si comportava così. Questo genere di... come definirli... "calde indicazioni" su chi frequentare erano diventate una normalità alle medie e Rachel ai tempi non ci aveva fatto troppo caso. Ma ora che era al Liceo, con il fermo desiderio di trovare la sua strada, suonavano fastidiose. Forse lo erano sempre state.
 
Ed ora, con gli occhi che riflettevano centinaia di abeti secolari, Rachel non riusciva a evitare la consapevolezza che anche quel giro in macchina era motivato da una richiesta di suo padre, questa volta rivolta a Rose.
In qualità di moglie del candidato, sua madre doveva incarnare un'ideale di perfezione, bontà e dedizione alla comunità. Quale modo migliore se non dedicare i suoi sforzi ad un'organizzazione benefica? Non che Rose non fosse già molto impegnata, dato che era nel direttivo del Museo d'Arte di Portland e sosteneva da anni attivamente diverse associazioni per la conservazione del territorio e dei beni culturali. Ma James voleva che Rose facesse qualcosa di specifico per la Contea di Tillamook, così aveva insistito perché partecipasse ad uno dei numerosi progetti benefici della Prescott Foundation. Rachel non sapeva molto di loro, ma aveva letto un articolo su internet in cui si parlava di un conflitto fra la Native American Cultural Association of Oregon e la Prescott Foundation a causa di un progetto di ‘valorizzazione del territorio’ chiamato Pan Estate.
“Da quel che ho letto, pare che i Prescott vogliano costruire dei resort di lusso distruggendo un parco nazionale…” spiegò Rachel.
“La situazione è più complessa di come la fanno i blogger di internet, Rachel. I Prescott sono una famiglia che vive ad Arcadia Bay da generazioni ed hanno costruito la loro fortuna legalmente e con fatica.” Replicò James.
“Sarà, ma anch’io non sono molto convinta” si aggiunse Rose “Ho letto che i Prescott stanno rilevando molte aziende e attività fallite a causa della crisi. Mi sembrano piuttosto privi di scrupoli…”
“Beh…” il tono di James tradì una certa irritazione “… a maggior ragione se pensi non siano affidabili dovresti lavorare per loro e tenerli d’occhio.”
“Ci tieni molto vero?” provocò Rose, socchiudendo gli occhi con aria indagatrice.
“Ovviamente sei libera di fare come ritieni giusto, cara. Penso solo che sarebbe una buona idea impegnarsi tutti insieme per la comunità…”
“Devo fare qualcosa anch’io?” si intromise Rachel.
“Lavorare sul tuo curriculum scolastico!” le sorrise James
Rachel trattenne uno sbuffo. Ricambiò, invece, il sorriso: "Ho un’idea!” si rivolse a Rose “Potremmo andare a visitare una delle sedi della NACAO! So che ce n’è una vicino a Idaville.”
“E perché mai?” sbottò James.
“Beh… non bisogna escludere nessuna possibilità giusto?”
“Mi sembra un’ottima idea tesoro!” replicò Rose prima che James potesse dire qualcosa.
L’uomo guardò la figlia e la moglie con occhi sgomenti.
Era accerchiato.
“Non è una buona idea. La NACAO e i Prescott non sono in buoni rapporti.”
"Ho un master in Relazioni con Istituzioni ed Enti Privati. Potrei addirittura mediare tra le due parti” il tono conciliante di Rose spiazzò James e la donna fece l’occhiolino a Rachel, che sorrise di rimando.
L’uomo si arrese…
 
Ed eccole in macchina.
 
Sulla destra apparve un cartello:
Native American Cultural Association of Oregon
“Ci siamo!” annunciò Rose seguendo imboccando la svolta che condusse ad un parcheggio immerso nei boschi. La loro Volvo stonava decisamente in mezzo ai pochi e rustici veicoli disposti alla bell’e meglio all’interno di uno steccato logoro. Un totem colorato e dall’aspetto nuovo vegliava sull’entrata del parcheggio. Le due donne scesero dall’auto e furono immediatamente avvicinate da un individuo dai lunghi capelli grigi raccolti in una coda che sembrava aspettarle. Il suo fisico corpulento era avvolto in abiti comodi e impolverati, la testa coperta da un cappello verde degli Oregon Ducks.
“Lei deve essere John Baker, vero? Ci siamo sentiti al telefono un giorno fa.” Esordì Rose offrendo una stretta di mano.
“In persona!” l’uomo la salutò con una presa ruvida ma gentile “Lei invece deve essere Rose Amber! Sono felice che abbia voluto passare a trovarci!”
“Mia figlia Rachel mi ha raccontato molto delle vostre attività per la conservazione del territorio e della cultura nativa nella Contea…” Rose le fece spazio e la presentò a John.
“Felicissimo che le giovani generazioni abbiano a cuore le nostre battaglie!” le sorrise l’uomo con le sue guance piene e rugose. Rachel notò una penna di corvo appuntata nel tessuto del cappello. Una vaga inquietudine le percorse la spina dorsale così rapida che a stento se ne accorse.
“Amo la cultura Nativa da quando so che esiste!” affermò Rachel con occhi luminosi.
I tre si diressero a passo lento verso un caseggiato che aveva tutta l’aria di un ranch. Cartelli affissi nei pressi delle porte indicavano la destinazione di ciascuna ala dell’edificio principale, c’erano gli uffici amministrativi, un negozio di souvenir, un piccolo museo, una riproduzione di una capanna Salishan nel centro del piccolo complesso, mentre un lungo edificio più in là, spiegò John, era casa sua, della sua famiglia e di altri ragazzi che lavoravano stagionalmente.
“Di solito qui è un po’ più trafficato, ma c’è stato vento e sono quasi tutti a controllare i sentieri!” disse John tentando di spiegare l’apparenza deserta del luogo.
“Sentieri?” domandò Rose
“Si, in questa zona ci sono delle aree archeologiche e alcuni vecchi percorsi. Da quando abbiamo comprato la terra abbiamo ripristinato i più vecchi e creato di nuovi per poter mostrare direttamente ai visitatori come e dove vivevano i nostri antenati.”
Rachel trovava particolarmente romantico che questo piccolo gruppo di persone si opponesse a colossi come la Prescott Foundation, armati solo di determinazione e valori. Sentivano così forte il legame con il loro retaggio che erano pronti a combattere per proteggerlo e valorizzarlo. Voleva qualcosa in cui credere con altrettanta forza.
“Hey Rachel!” disse John mentre si erano ormai avvicinati alla porta dell’amministrazione “ti andrebbe di fare un giro della zona? Posso chiedere a mia figlia di farti da guida!”
“Sarebbe meraviglioso!” guardò Rose con sguardo implorante.
“Va bene! Io e John abbiamo comunque dei discorsi noiosi da fare!”
John digitò un messaggio sul suo logoro cellulare e di lì a poco una ragazza dalla pelle olivastra con lunghi capelli neri raccolti in una singola treccia corse verso di loro. Indossava una camicia a quadri azzurra piena di chiazze di terriccio, sotto la quale svettava l’immagine di un variopinto pappagallo disegnato sulla maglietta. Dalle orecchie pendeva un paio di orecchini di piume blu.
“Eccoti! Dov’eri finita?” le chiese John.
“Ah da nessuna parte…” agitò una mano Ruth mentre riprendeva fiato “normale amministrazione boschiva,  stavo liberando il sentiero 2b con Isaac. C’era un tronco dannatamente pesante così ho preso l’ascia dal capanno per spaccarlo, poi però non mi sembrava il caso di accogliere gli ospiti con un’arma in pugno, così sono andata a rimetterla a posto… ed eccomi qui!”
“Grazie dell’esaustiva spiegazione!” John le diede una dolce pacca sulla spalla sghignazzando.
Fatte le presentazioni, John e Rose varcarono la porta, mentre Ruth e Rachel iniziarono il giro del complesso.
“Come mai da queste parti, Rachel?” le chiese la ragazza. I suoi occhi quasi neri erano così profondi che Rachel avrebbe potuto smarrirsi, mentre il suo tono allegro era come il canto di un uccello.
“Ho convinto mia madre a interessarsi delle attività della NACAO. Mio padre si candida a Procuratore, così ho pensato che avere un pezzo grosso dalla vostra avrebbe potuto aiutare le vostre battaglie!” spiegò candidamente Rachel.
Ruth sgranò gli occhi: “Ma davvero?” scoppiò a ridere “Ti farò evitare le parti più accidentate del percorso allora. Non vorrei mai che il nuovo Procuratore ci faccia causa perché gli abbiamo storpiato la figlia…”
Rachel sghignazzò: “Ho già fatto escursioni e scalate, me la cavo sul terreno accidentato!”
“Questo è lo spirito giusto! Scout?”
Rachel annuì.
“Anch’io ero una Coccinella, ma non è durata molto! Ho seguito il training da indiani!” si batté una mano sul petto.
Le due ragazze si incamminarono nei boschi, seguendo uno stretto sentiero battuto che in alcuni punti sembrava svanire nel sottobosco, segnalato solo da strisce di vernice su alcuni alberi e pietre. L’odore del terriccio, gli aghi di pino sotto le scarpe, il cinguettare di uccelli sconosciuti tutt’intorno, fruscii e rapidi passi di qualche animale misterioso avvolgevano la percezione di Rachel. I boschi esercitarono il loro influsso su di lei, avvolgendola in un abbraccio di pace. Ruth inserì nella loro conversazione delle randomiche informazioni su alcune aree di scavo che videro nel sottobosco, sulle tribù che vivevano da quelle parti secoli prima e da cui discendeva, per poi tornare con naturalezza alle loro chiacchiere!
“Hai detto che vivi ad Arcadia Bay?” disse Ruth.
“Si purtroppo…”
“Perché purtroppo?”
“La mia famiglia si è trasferita qui dalla California. Io ero piccola, mi ricordo poco, però mi manca lo stesso. È strano vero?”
“Per niente! Anche se i ricordi sono sepolti non vuol dire che non ci siano. Però Arcadia Bay non è del tutto da buttare! Certo, se non consideri la puzza di pesce del porto e dei pescatori, l’assenza di vita notturna, il semi-analfabetismo di buona parte degli abitanti…”
Rachel sghignazzò: “Dovresti scrivere una brochure per turisti!”
“Pfft! Beh, a volte per trovare l’oro bisogna scavare un bel po’! I boschi intorno alla città sono luoghi incantati, la spiaggia è un luogo magico e il faro… sei mai stata al faro?”
“Un paio di volte con i miei genitori, ma ero piccola…”
“Dovresti tornarci. La vista da lassù è... indescrivibile! Quattro anni alla Blackwell mi hanno permesso di esplorare a fondo quella cittadina e scoprirne i segreti…” disse Ruth con un tono artificiosamente misterioso.
“Hai studiato alla Blackwell??”
“Mi sono diplomata l’anno scorso. Studi lì anche tu?”
“Si, è il mio primo anno. Ha una bella atmosfera, le classi sono attrezzate e i professori sono davvero preparati!” decise di omettere la parte sulla puzza di snobismo densa e pungente.
“Sul serio??” la ragazza sgranò gli occhi. Le piume blu ondeggiarono elegantemente e Rachel non poté evitare di fissarle. “Conosci il professor Keaton?”
“Certo che lo conosco! È uno dei miei preferiti!” Rachel si fermò in mezzo al sentiero, piena di quella felice sensazione che si prova quando si scopre di avere molto in comune con una persona che si stima.
“Solo i cretini non lo apprezzano!” disse Ruth “Ti direi di ascoltarlo con attenzione, ma vedo che non ce n’è bisogno!”
“Ma… se ti sei diplomata l’anno scorso, come mai non sei al college?” chiese Rachel.
“Ho deciso di prendermi un anno sabbatico. Poi papà ha bisogno d’aiuto qui. I prossimi anni rischiano di essere incasinati…”
“Per colpa dei Prescott?” chiese Rachel.
Ruth annuì.
“Già. L’economia mondiale va a rotoli, ma quelli come loro sono immuni. Anzi, si stanno arricchendo sulle disgrazie altrui. Vogliono abbattere ettari di foresta solo per costruire residenze di lusso per i colletti bianchi. La NACAO è piuttosto grande, ma ci sono problemi simili in tutto l’Oregon. Siamo da soli a occuparci di questa zona…”
“È triste.”
“Già. Ma siamo combattenti. Non ci arrendiamo mai!”
Rachel sorrise.
Mentre camminavano, di tanto in tanto Rachel scrutava Ruth, cercando di carpire un po’ di quell’energia che emanava. In parte era una questione puramente fisica, il corpo di Rachel non aveva ancora sviluppato pienamente le sue curve ed osservava con un pizzico di invidia la tonica femminilità di Ruth. Ma c’era di più. Quella ragazza era l’immagine vivente di come Rachel sperava di essere a diciott’anni: diplomata, bellissima e idealista. 
Proseguirono il cammino fino a raggiungere una radura che portava ad uno sperone roccioso, oltre il quale il terreno digradava a strapiombo per farsi sempre più dolce fino alla riva del Kilchis. Ovunque Rachel guardasse vedeva soltanto boschi. Prese un profondo respiro e spalancò le braccia come per avvolgere il panorama in un abbraccio.
“Whooooooooooooooooooooooooooohoooooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!” Ruth proruppe in un grido esultante che fece trasalire Rachel. Le due si fissarono e risero, prima che Rachel la imitasse. L’eco della sua voce riempì l’aria per alcuni secondi.
“E’ fantastico qui…” commentò Ruth.
“Già…” Rachel si ritrovò nuovamente a fissare Ruth, i cui orecchini erano mossi dalla brezza occidentale. Ruth si accorse di quello sguardo prolungato e sorrise, vagamente in imbarazzo.
“Ti piacciono?”
“Cosa?”
“I miei orecchini…”
“Oh… si! Sono bellissimi! Ma quelle piume sono vere? Non ho mai visto un uccello così… blu!”
Ruth scoppiò a ridere.  “Sono verissime. Appartengono a una Ghiandaia Azzurra. Da piccola mi dissero che il mio spirito guida è la Ghiandaia, così mia madre me li regalò per il mio compleanno.”
“Spirito guida?” chiese Rachel
“Ognuno di noi ha uno Spirito affine che ci indica la strada da percorrere e ci protegge. Tipo angelo custode, ma più cool!” sorrise Ruth.
“Come si fa a capire qual è il proprio Spirito?”
“Dipende… va un po’ a intuito immagino!” la ragazza si strinse nelle spalle “Mio nonno materno era un uomo-medicina, probabilmente te l’avrebbe saputo spiegare. L’unica cosa che ho capito è che gli Spiriti si presentano sempre in forma animale e se c’è un animale che noti spesso o per cui provi un forte amore o odio è probabile che quello sia il tuo Spirito…”
“Amore o odio?”
“Si, beh… qualunque sentimento molto forte. Lo Spirito rappresenta noi stessi e alcuni non si piacciono!”
Rachel iniziò a scandagliare la sua memoria alla ricerca di qualche animale che avesse visto spesso o per cui nutrisse qualche particolare sentimento.
“Potrebbe essere il leone?” chiese Rachel
“Incontri spesso leoni da queste parti?” scherzò Ruth.
“Pfft! È il mio segno zodiacale, l’ho sempre trovato parecchio figo! Mi ci rivedo!” spiegò Rachel.
“Sono due cose diverse, gli Spiriti sono esseri con cui abbiamo un legame, il segno è come un tipo psicologico. Conosci l’Enneagramma?”
Rachel inarcò un sopracciglio e scosse il capo.
“E’ un simbolo antico, uno schema composto da nove angoli, ognuno dei quali rappresenta un preciso tipo psicologico. Ho un libro che spiega come capire il proprio Tipo e tante altre cose! Ma stiamo divagando!” sghignazzò Ruth!
“Queste cose mi intrigano! Conosco l’astrologia perché ho sempre amato le stelle, da piccola conoscevo quasi tutte le costellazioni. È grazie a loro che ho scoperto lo Zodiaco. Il fatto che le stelle, antichi simboli o Spiriti possano dirci qualcosa su chi siamo mi affascina!” spiegò Rachel a ruota libera.
“Anche a me!” Ruth le sorrise con uno sguardo complicità.
“Un’altra cosa che abbiamo in comune sembra!” commentò Rachel. Trascorse qualche attimo di silenzio prima che riprendesse: “Ma… la Ghiandaia Azzurra che cosa fa? Voglio dire… che caratteristiche ha come Spirito?” chiese Rachel.
Ruth iniziò a giocherellare con il lobo dell’orecchio destro, facendo ondeggiare la piuma blu.
“La Ghiandaia è un trickster, quindi è molto intelligente e scaltra, ma anche impulsiva e imprudente. Le piace scherzare e preferisce usare l’astuzia e l’ingegno per risolvere i problemi… mia madre una volta mi raccontò una storia sulla Ghiandaia…” Ruth sembrò voler continuare, poi il suo sguardo si perse da qualche parte e lasciò calare il silenzio.
“Mi piacerebbe sentirla…” incalzò educatamente Rachel.
Ruth parve scuotersi e le sorrise.
“Sappi che non sono brava a raccontare storie…”
“Adoro ascoltarti!” confessò Rachel.
“Oh… wow! Grazie!” Ruth si imbarazzò per un momento, poi sospirò e si ricompose “Va bene… dunque.” Si schiarì la voce e provò a impostare il tono in modo solenne:
“Molto tempo fa, il padre della Ghiandaia Azzurra decise di darla in sposa ad un uomo forte e sano. Così arrivarono giovani da ogni tribù per corteggiarla, ma erano troppi e cominciò a preoccuparsi. Decise di metterli alla prova con una gara, per selezionare il più adatto. L’uomo con le gambe più forti avrebbe sposato sua figlia…” Ruth fece una pausa, come se volesse sottolineare la stranezza di quel parametro di giudizio. Sorrise, scrollò le spalle e continuò: “Il Coyote era furbo e il corridore più rapido. Vinse la gara di corsa e si vantò delle sue zampe lunghe e veloci. Poi arrivò il Cervo, che riuscì a superare il grande fiume con un solo balzo, vantandosi di quanto fossero potenti le sue gambe, anche se non erano le più veloci. Infine, arrivò l’Orso che superò tutti in una gara di lotta. Alzandosi in piedi mostrò che nessuno poteva spostarlo grazie alle sue gambe possenti. Così il padre della Ghiandaia scelse lui, perché era un grande guerriero.
La Ghiandaia, però, si oppose, dicendo che bisognava valutare altri candidati. Suo padre acconsentì, così altri pretendenti si misero in mostra. Mentre tutti erano impegnati a mostrare e osservare le gambe, la Ghiandaia si travestì, con delle bacche tinse le sue piume di rosso e con dei tronchi cavi ricoperti di fango si creò dei gambali che fecero apparire le sue gambe ancora più possenti di quelle dell’Orso…”
Rachel pendeva dalle sue labbra.
“La Ghiandaia travestita allora si presentò come pretendente, mostrò le sue gambe e tutti si stupirono, anche l’Orso. Siccome grazie ai tronchi sembrava avere delle gambe lunghissime e fortissime, volle dimostrare di saper guadare il fiume a piedi, senza dover saltare e dimostrandosi così forte da resistere alla sua corrente. Iniziò quindi a camminare, riusciva a toccare il fondo e raggiunse a piedi la metà del fiume sotto lo sguardo attonito di tutti.
Accadde, però, un imprevisto…
L’acqua iniziò a sciogliere il fango e il muschio che la Ghiandaia aveva usato per costruirsi le protesi. I tronchi alla fine si staccarono, il colore delle sue piume fu lavato via, rivelando a tutti la sua vera identità. Così, tra le risate di tutti, la Ghiandaia fu tratta in salvo e data in sposa all’Orso!”
Rachel attese qualche momento che Ruth continuasse. Invano!
“Finisce così??” un pizzico di delusione attraversò il suo tono.
“Eh già…” Ruth si grattò la testa “Te l’ho detto che non sono brava a raccontare le storie…”
“Non è questo… è che… che cosa dovrebbe significare?” sghignazzò Rachel confusa.
Ruth fece spallucce: “Non ne ho la più pallida idea!” scoppiò a ridere “Forse… che a volte essere furbi non basta!”
“Oppure che se vuoi barare è meglio pensare a piani migliori!” offrì Rachel ridacchiando.
“Anche! ‘Se non bari non ci stai provando davvero!’ o qualcosa del genere…” concesse ridacchiando Ruth, tornando a perdersi nel panorama.
Un comodo silenzio scese su entrambe. Erano i momenti in cui Rachel dimenticava ogni cosa, lasciandosi assorbire dalla natura incontaminata, l’anima cullata dal fruscio di migliaia di rami, il cinguettio di uccelli nascosti e il profumo di resina che stuzzicava le narici. Metà cuore rivolto all’oceano Pacifico, metà ai boschi dell’Oregon.
Ruth le lanciò uno sguardo e sorrise. Iniziò a togliersi gli orecchini. Rachel se ne accorse e la guardò incuriosita.
“Che fai?”
“Voglio farti un regalo…” Ruth glieli porse.
“No… davvero non posso accettare!” Rachel sollevò le mani e fece un passo indietro, del tutto spiazzata.
“Certo che puoi! Ho visto che continui a guardarli e penso proprio che ti starebbero benissimo! Inoltre…” fece una pausa e sul volto le apparve un’espressione solenne “Penso che fossero destinati a te… sento che una Ghiandaia Azzurra sta per entrare nella tua vita…” fece uno strano gesto con la mano davanti a sé. Rachel si fece improvvisamente seria e fissò Ruth negli occhi, quegli occhi scuri e profondi che la fissavano, come se scrutasse nella sua anima…
Finché la ragazza scoppiò a ridere con una pernacchia!
“Che faccia che hai fatto! Dai un po’ di misticismo da INDIANI ci voleva!!”
Rachel le schiaffeggiò il braccio e si unì all’ilarità: “Me la sono bevuta!!”
“Ho notato!” Ruth si ricompose “No, la verità è che te li meriti! Non capita tutti i giorni di incontrare una ragazza come te.”
“E come sono?”
Ruth si fece meditabonda per un istante: “Tu sei… qui! Intendo che ascolti e osservi veramente. Nel tuo sguardo e nei tuoi gesti c’è la meraviglia e la curiosità. La maggior parte delle persone si lascia schiacciare dalla vita, smette di sognare, di desiderare, di credere. Purtroppo molti tuoi coetanei sono già su quella strada, ma tu no. Hai un cuore luminoso, cerca di non perderlo mai…” tese verso di lei la mano contenente le due piume blu.
“G-Grazie Ruth…” disse Rachel stupefatta. Prese i due orecchini come fossero reliquie. Li provò immediatamente, indossandoli si sentì veramente cool!
“Stanno molto meglio a te che a me!” concluse Ruth.
“Non è vero! Sono un regalo splendido! Grazie ancora! Sei fantastica, la guida migliore!” Rachel era al settimo cielo.
“Così ti ricorderai di oggi!” ammiccò Ruth “Dai, si sta facendo tardi, è meglio se ti riporto da tua madre prima che pensi che ti ho sequestrata!”
“Ok! Potremmo scambiarci il numero?” chiese Rachel.
“Certamente!”
 
Il giorno dopo, a scuola, Rachel sfoggiò i suoi nuovi orecchini per la prima volta.
Nei corridoi della Blackwell incrociò di sfuggita una triste ragazza dai capelli lunghi e biondi, che Skip accompagnava in presidenza.
L’aveva vista solo alcune volte, frequentavano insieme Chimica con la professoressa Grant.
Era la ragazza che Marisa Rogers tormentava per come si vestiva e che di tutta risposta le aveva quasi dato fuoco durante la lezione!
Quel giorno Rachel aveva trattenuto a stento le risate.
Si chiese come mai fosse così infelice.
Solo tempo dopo scoprì il perché.


-
 
Marisa
  • Buonasera Rachel!
Rachel
  • Buonasera a te Marisa! 😊
Marisa
  • Volevo solo dirti che la chiacchierata di oggi a pranzo è stata davvero piacevole! Dovremmo rifarlo!
Rachel
  • Ne sarei felice!
Marisa
  • Quelle come noi dovrebbero fare gruppo non mescolarsi con gente… troppo diversa
  • Se capisci cosa intendo.
Rachel
  • Capisco il tuo punto di vista
  • Però frequentare persone diverse da noi può essere uno stimolo
  • Gli amici si scoprono nei posti più inaspettati! 😊
Marisa
  • Sei così Cali!!
  • È adorabile!
  • Non sono sicura che qui in Oregon le cose funzionino nello stesso modo…
Rachel
  • Vivo ad Arcadia Bay da quando avevo otto anni
  • Sono un’indigena ormai…
Marisa
  • Mi auguro davvero di no!
Rachel
  • XD
  • È ora di dormire.
  • Domani test di Inglese…
Marisa
  • Io ce l’ho giovedì
  • Dannata Hoida… secondo me corre troppo col programma
Rachel
  • Già, in questa dannata scuola pretendono tutti troppo!
Marisa
  • Non parlarmene
  • Beh… in bocca al lupo!
Rachel
  • Crepi!
 
Cristo….
Rachel depose il cellulare sul comodino sbuffando.
Marisa Rogers era vera o si trattava di una strana allucinazione collettiva?
Dopo quella stranissima cena nella magione Rogers a Portland, Rachel aveva iniziato a passare alcuni pranzi seduta al tavolo con Marisa e le sue due amiche Kelly e Sarah. In genere preferiva la compagnia di Steph o di un’altra ragazza che aveva conosciuto da poco: Megan Weaver. Questa era una ragazza dai lunghi capelli castano scuro, vestiva sempre con composti maglioncini e camicette, gonne mai sopra il ginocchio, un libro sempre in mano. Rachel l’aveva avvistata alcune volte mentre leggeva da sola all’ombra degli alberi del campus o a pranzo. Quando si presentarono, Megan aveva con sé I Fratelli Karamazov. Rachel sorrise leggendo quel titolo. Lo aveva letto l’anno prima e le era piaciuto, anche se Dostoevskj era un po’ più cupo di quanto fosse tollerabile. Quel libro aveva dato loro un primo spunto di conversazione, che si era poi articolata fino ad arrivare inspiegabilmente a parlare di viaggi nel tempo e Doctor Who. Megan rimase inorridita nello scoprire che Rachel non lo conosceva, così si organizzarono per rimediare. Inoltre, Rachel la trovava un’ottima compagna di studio. Era il tipo di compagnia che le era sempre mancata alle medie.
Tuttavia, di tanto in tanto doveva concedersi a Marisa Rogers. Da come si comportava non sembrava avere simpatia per Rachel, ma era piuttosto sicura che Marisa avesse ricevuto da suo padre un discorso simile al suo. Rachel si chiedeva perché i loro genitori ci tenessero così tanto che andassero d’accordo. Politica?
Ripensò alla conversazione che aveva avuto con lei diverse ore prima a pranzo, alla caffetteria della Blackwell.
“Adoro il tuo braccialetto! Dove l’hai comprato?” chiese Marisa con un tono platealmente entusiasta appena Rachel si fu seduta. Sembrava un esame, con Marisa, Sarah e Kelly da un lato del tavolo e Rachel dall’altro.
“Non l’ho comprato. Ce l’ho da sempre, non ricordo nemmeno come l’ho avuto!” sorrise Rachel.
“Oh! Che cosa interessante!” la condiscendenza di Marisa era così artificiosa che Rachel si chiese se lo facesse apposta o fosse solo una pessima attrice. Non era così male quando lavorava da Keaton dopotutto. Rachel la squadrò da cima a fondo, sapeva che in quel genere di interazioni il protocollo richiedeva di ricambiare i complimenti ricevuti.
“Tu invece dovrai assolutamente dirmi chi è il tuo parrucchiere! Adoro il tuo taglio!” Rachel imitò perfettamente il tono di Marisa, che accolse felicemente il complimento.
“Oh, grazie! Sei troppo gentile. È un peccato che non abbiamo mai l’occasione di passare un po’ di tempo insieme!”
Chissà perché??
“Già! Questa scuola è davvero impegnativa! Mi chiedo quando potremo vivere un po’ la nostra adolescenza!” si lamentò Rachel. Anche se tutta quella conversazione era pura aria fritta, si divertiva tantissimo! Riuscire a calarsi così bene nella parte della Barbie le dava una gradevole sensazione di superficialità, come mangiare una ciambella. Sai bene che ti fa male, ma è così grossolanamente dolce che la ingurgiti senza pensarci. Una parte di Rachel si strappava i capelli urlando, ma non le importava. A volte bisogna concedersi un po’ di zucchero raffinato!
Si, anche se era incarnato da Marisa Rogers.
“Quanto hai ragione! Non ti facevo così cool. Sai, con quelle magliette di band rock e le camicie a quadri… pensavo fossi una specie di piantagrane…”
Frecciatina!
“Infatti lo sono!” Rachel ammiccò e Marisa rispose con una risatina di circostanza. Era divertente notare come le sue due amiche continuassero a rimanere in silenzio, come se aspettassero il permesso di parlare. Doveva essere una specie di dinamica del branco, in cui Marisa afferma la sua autorità o roba del genere… Rachel non capiva, ma non le serviva capire.
Seguiva il flusso e basta.
“Beh, non vedo l’ora che arrivi la prossima lezione con il professor Keaton. Sembri molto brava, ma anch’io ho un grande talento. Sarà divertente scoprire chi sarà la migliore delle due al corso, non credi?”
Quello era il punto. Era sempre quello. Competizione. Rachel sorrise, ma dentro di sé era scoppiata a ridere. Le sembrava di essere stata risucchiata nel film Mean Girls.
“Non credo sia quello lo scopo del teatro sai?” provocò Rachel.
“Forse no, ma è lo scopo della scuola.” Finalmente un sano, vero, tono di sfida.
“Beh, allora staremo a vedere!” assecondò Rachel. Non le importava niente in realtà, ma non poteva sottrarsi.
“Molto bene!” Regina… ehm… Marisa offrì una stretta di mano a Rachel, che la accettò.
La conversazione proseguì in modo piacevolmente superficiale e finalmente anche Kelly e Sarah aprirono bocca, complimentandosi con lei per i bellissimi orecchini di piume blu.
Quando più tardi incontrò Steph e Megan passarono ore a ridere di loro.
 
-
 
Rachel
  • Hey Megan!
Megan
  • Hey Rachel! 😊
Rachel
  • Tardis Night stasera???
Megan
  • Sei una drogata.
  • Peggio di me!
Rachel
  • Colpa tua!
  • Non dovevi farmi conoscere Doctor Who!
Megan
  • A che puntata siamo?
Rachel
  • Forse Blink?
Megan
  • Oh merda…
Rachel
  • Perché?
Megan
  • Mi fa venire gli incubi quella puntata…
Rachel
  • Già mi piace!! XD
  • Tranquilla, ti proteggo io!ù
  • Quindi era un si???
  • Allora?
Megan
  • Probabilmente dovremmo studiare un po’ per Chimica.
  • Ricordi? Il test…
Rachel
  • Una cosa non esclude l’altra.
Megan
  • Hai distrutto i miei ritmi circadiani lo sai?
Rachel
  • E nonostante questo hai presto A in algebra!
  • Non sottovalutare il nostro corpo adolescente!
Megan
  • Uff…
  • Hai vinto!
  • Se vogliamo davvero ripassare vieni alle 18 ok?
  • Mia nonna sarà felice di ingozzarti di tartine!
Rachel
  • Certo che vogliamo ripassare!
  • A dopo xoxoxoxo
  • PS. Mmmmh… tartine….. *faccia di Homer che sbava*
Megan
  • 😊
  • Ah! Ti è piaciuto Il Ritratto di Dorian Gray?
Rachel
  • Ehm…
Megan
  • È un no?
Rachel
  • È un Ni.
  • In realtà mi piace, ma faccio fatica a seguirlo. I dialoghi sono molto lenti, ognuno parla per intere pagine. Sono a metà comunque, posso tenerlo ancora un po’?
Megan
  • Certo!
  • Dagli una chance!
Rachel
  • Lo sto facendo! 😊
  • A dopo!!!! <3
 
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Steph
  • Hey!
Rachel
  • Miss Gingrich??
Steph
  • XD
  • No ti prego… Keaton no!!
Rachel
  • Adoro che ci chiami per cognome!
  • Fa così tanto Attimo Fuggente!!
Steph
  • Carpe Diem!!
Rachel
  • La cosa bella di te è che posso citare qualsiasi film o serie e so che li hai visti.
Steph
  • Tranne Doctor Who…
Rachel
  • Ah giusto…
  • Non capisco proprio perché non ti piaccia.
Steph
  • È una di quelle serie infinite…
  • Anzi è LA serie infinita!
  • Preferisco storie che abbiano un inizio e una fine.
Rachel
  • Buon punto!
  • Sai che l’invito alle Tardis Night comunque è sempre valido. <3
Steph
  • Lo so! Giuro che mi farò viva prima o poi! XD
  • Comunque volevo dirti che ho buttato giù qualche idea per il tuo costume di Halloween.
  • Domani a pranzo ti faccio vedere
Rachel
  • Sei fantastica!
  • Non so come sdebitarmi!
Steph
  • Per così poco.
  • Chiedere ad un disegnatore di disegnare è quasi un favore! :D
Rachel
  • Mi sdebiterò comunque in qualche modo!
Steph
  • Ogni promessa è debito!
 
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Rachel
  • Hey!
  • Come stai?
Megan
  • Meglio ora…
Rachel
  • Ti va di parlarne?
Megan
  • Non c’è molto da dire.
  • È più o meno sempre la solita storia.
Rachel
  • Gli amici servono ad ascoltare
Megan
  • 😊
  • Odio che mia madre e i miei nonni litighino ogni volta.
  • Ogni mese mamma viene qui a cena e puntualmente finiscono a urlare.
  • Lei non ha digerito che mi paghino la Blackwell e che viva da loro…
  • Capisco che vorrebbe essere in grado di provvedere a me da sola ma cazzo!
  • Non dovrebbe essere felice per me?
  • Non è una cazzo di gara
  • Vorrei solo che facessero pace…
Rachel
  • Mi dispiace Meg…
  • Vuoi che passi di lì?
Megan
  • Grazie ma non serve
  • Charles mi terrà compagnia
Rachel
  • Dickens o Xavier?
Megan
  • XD
  • Dickens ovviamente! Ma apprezzo che tu abbia pensato anche al Professore!
  • Non ti facevo così nerd!
Rachel
  • Da quando sono usciti i film degli X Men sono diventati cultura di massa! XD
  • Salutami Oliver Twist!
Megan
  • Sarà fatto!
  • E grazie Rachel…
Rachel
  • <3
Megan
  • Ah! Conosci Gina Yao?
Rachel
  • Si frequenta Keaton con me
  • Perché?
Megan
  • Si può unire alle nostre Tardis Night?
  • È da un po’ che voleva riprendere DW ma da sola non le andava…
Rachel
  • Certo!
  • Nessun problema!
  • Non c’era bisogno di chiederlo comunque, più siamo meglio è 😊
Megan
  • Ok! 😊
  • Domani c’è anche lei allora!
Rachel
  • Serviranno più nachos XD
 
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Era difficile non accorgersi di Armond Fisher.
Alto, capelli neri e mossi di lunghezza media, mascella squadrata, spalle larghissime. A pranzo si sedeva al tavolo degli atleti, faceva parte della squadra di nuoto e frequentava i ragazzi del Vortex Club, pur non facendone parte.
Rachel sapeva queste cose perché si era informata su di lui. Mai chiedendo esplicitamente in giro, solo aguzzando le orecchie. Lui le piaceva, in quel modo ingenuo e spontaneo in cui si sperimenta la prima vera cotta. Al viso disegnato in sezione aurea di Armond si sovrapponevano vaghi ricordi Californiani di un bagnino che la riportava a riva a bordo di una moto d'acqua. Armond era di origini canadesi, la sua pelle era quasi lattea, ma il suo sguardo... aveva il colore di un cielo plumbeo.
Un paio di volte i loro sguardi si erano incrociati e Rachel aveva sorriso istintivamente. Le labbra di Armond avevano restituito il gesto, rivelando file di denti bianchissimi e perfetti. I battiti acceleravano, le guance si accaldavano, il petto di scioglieva e vibrava, di colpo la pelle di Rachel percepiva nitidamente la stoffa dei vestiti che la accarezzava.
 
Il primo timido saluto, Rachel glielo rivolse durante una lezione di Educazione Fisica. Talvolta gli allenamenti delle Lontre si sovrapponevano alle sue ore e Rachel faticava a concentrarsi sulla voce del Prof Edwards. Il suo sguardo veniva attratto dal campo magnetico generato dai pettorali e dagli addominali perfettamente scolpiti di Armond. Al termine dell'allenamento, il ragazzo raccolse le sue cose e si diresse verso gli spogliatoi.
"Ciao!" sentì alla sua sinistra.
Si voltò e dal bordo della piscina, immersa nell'acqua, vide una minuta sirena in costume rosso fissarlo con occhi di ambra. Lei gli sorrideva e non poté fare a meno di ricambiare.
"Ciao!"
Senza dargli il tempo di aggiungere altro, Rachel si immerse completamente e partì a razzo per un'altra vasca, lasciando Armond da solo a meditare.
E meditò...
 
Il giorno dopo, durante il pranzo, Armond si avvicinò al tavolo cui sedevano Rachel, Steph e Megan.
"Hey!" la salutò.
"Ciao!" rispose lei. Megan e Steph si accorsero di lui solo in quel momento.
Ci fu un momento di silenzio, abbastanza lungo da lasciar germogliare l'imbarazzo, quando Armond riuscì finalmente a trovare un argomento.
"E' tuo?" disse indicando un libro chiuso accanto al sandwich di Rachel.
Lei annuì con un sorriso caldo, mentre le guance si erano uniformate al rosso della sua camicia a quadri.
"Il Grande Gatsby!" indagò con lo sguardo in cerca di un segnalibro che sporgesse, senza trovarlo "Ti piace?" chiese.
"Moltissimo! Ma non sono neanche a metà... non farmi spoiler!"
"Non oserei! Non pensavo che Gatsby fosse nel programma del primo anno..."
"Non lo è. Ho deciso di leggere i cento libri consigliati dalla BBC, questo è il secondo, il primo è stato il Ritratto di Dorian Gray."
"Interessante! Parlano entrambi di due libertini perennemente insoddisfatti!" scherzò Armond.
" È vero... ma come si fa a non capirli? Sono entrambi alla ricerca dell’amore, il loro problema è che lo cercano nei posti sbagliati…"
Armond sorrise, annuendo incantato dalla voce di Rachel.
"Ehm... ora devo tornare al mio tavolo, ma... ti piacerebbe prendere un caffè dopo la scuola? Bevi caffè giusto?"
"Si lo bevo e si, mi piacerebbe!" il petto di Rachel era scosso da un terremoto.
"Bene! Allora a più tardi..." disse Armond prima di allontanarsi, sotto lo sguardo attonito di Megan e Steph che rimbalzava tra lui e Rachel.
 
Da quel giorno i due cominciarono a frequentarsi.
 
-
 
L’autunno colorò le fronde degli alberi con i suoi colori infuocati. Tutto fu coperto da un tappeto di fogliame mentre i rami lentamente si spogliavano e venti freddi cominciavano a soffiare. Samuel, il bidello della Blackwell, aveva il suo da fare nel tenere puliti i vialetti della scuola. Rachel ogni tanto lo osservava da lontano, contemplando quello strano individuo. Era l’essere più innocuo del mondo, immerso in un mondo completamente suo. Un’aura di calma zen lo circondava sempre, qualunque cosa stesse facendo o non facendo. Tutti i giorni alle 14:15 si sedeva sulla stessa panchina nel cortile del dormitorio e dava da mangiare agli scoiattoli, che gli saltellavano intorno come se fosse il loro migliore amico. A Rachel quell’uomo faceva tenerezza e odiava vedere alcuni studenti più grandi prenderlo in giro. Lei allora si avvicinava e gli chiedeva se stesse bene.
“Samuel sta bene. Grazie!” rispondeva lui con voce pacata e sottile. Rachel si chiedeva se fosse la verità o se avesse sepolto ogni cattivo sentimento sotto una piatta rassegnazione.
Alla festa di Halloween sfoggiò il costume che Steph le aveva disegnato e sua madre aveva cucito con lei. Una perfetta rappresentazione della vampira Carmilla, compresa una parrucca di capelli rosso fuoco fornita da Steph, eredità di un vecchio cosplay di Vedova Nera di cui si rifiutava di parlare! L’effetto fu grandioso, che per osmosi elevò anche il semplice costume di Armond, che aveva indossato un completo nero, ingellato i capelli e indossato finti canini e cerone in una mediocre raffigurazione di Dracula. La loro relazione era diventata più profonda, uscivano insieme quasi tutti i giorni e lui ascoltava Rachel raccontare con entusiasmo dei suoi libri, delle lezioni del professor Keaton, della California. Si diedero alle danze, e quando arrivò il lento le loro labbra si incontrarono dolcemente per la prima volta.
Qualcosa non andò per il verso giusto.
Aveva immaginato quel momento, lo aveva atteso e si aspettava che sarebbe accaduto. Tutto era stato perfetto, la musica, l’atmosfera, i tempi… eppure…
Il suo cuore restò impassibile…
Si sforzò di non lasciar trapelare il suo smarrimento.
Gli regalò il suo sorriso più raggiante e disse: “Baci bene!”
La fierezza che comparve sul volto di Armond le fece dimenticare la dissonanza fra sentimenti e aspettative.
 
-
 
Mentre la scuola proseguiva con la sua routine, la campagna elettorale di James Amber entrò nel vivo.
Il giorno del Ringraziamento la casa si riempì di estranei. Suo padre organizzò una grande festa, pagò una ditta di catering e fece sistemare un lungo tavolo in giardino. Rose lo aiutò senza battere ciglio, mentre Rachel assisteva dalla finestra della sua stanza in preda allo stupore. Il Ringraziamento era sempre stata un’occasione per stare in famiglia, solo loro tre e qualche volta i nonni o gli zii in visita.
Non quella volta.
Rachel osservò il viale davanti casa riempirsi di Mercedes, Audi e altre macchine lussuose dai colori scuri, da cui scesero diversi uomini in completi formali cuciti su misura. Osservò suo padre accoglierli uno ad uno, rivolgere loro sorrisi e strette di mano, fare complimenti e informarsi sulla salute del padre del giudice Mitchell, o sui risultati accademici del figlio del signor Lawson. Arrivò anche Michael Rogers con moglie e figlia. Una morsa di disappunto si aggrappò allo stomaco di Rachel alla prospettiva di trascorrere il Ringraziamento con Marisa Rogers. Tra tutti i colletti bianchi, Rachel vide per la prima volta Sean Prescott, ma non fu l’aura di gelida arroganza che proveniva da quell’uomo a turbarla, ma la deferenza con cui lo trattò suo padre.
In mezzo a tutti quei facoltosi estranei, James sembrava una persona totalmente diversa.


Grazie alle lezioni al Drama Club, Rachel si accorse di quanto il comportamento di suo padre fosse artificiale. Anche Rose sembrava interpretare il ruolo della perfetta moglie e padrona di casa.
“Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti…”
Così anche Rachel indossò una maschera, la figlia perfetta, gentile e acuta ma non troppo, sufficientemente ingenua quanto ci si aspettava che fosse. Indossò il suo abito migliore e poi si ritirò con Marisa ed altri ragazzi ricchi provenienti da metà dell’Oregon a parlare del nulla…
Quella sera fece fatica ad addormentarsi.
Provò a messaggiare con Armond, ma non trovò ciò che cercava.


-
 
La Prescott Mansion era una strana fusione tra una villa palladiana ed un edificio minimal, immersa in un parco perfettamente curato situato nel quartiere ricco di Arcadia Bay. Il perimetro era circondato da un muro di tre metri solcato da spuntoni e sorvegliato da videocamere. Andarono con il Suv nero di James e superando i cancelli Rachel ebbe l’impressione di entrare nella reggia di un Narcos. Dopo un’accoglienza regale da parte di un manipolo di uomini perfettamente vestiti, gli Amber furono accompagnati all’interno della casa. Le pareti erano dipinte di bianco, i corrimani delle scale fatti di marmo, i mobili sembravano usciti da un museo d’antiquariato. Cornici barocche ospitavano ritratti di famiglia e vedute di Arcadia Bay. Ovunque Rachel si voltasse vedeva gruppi di persone che odoravano di soldi e potere, intorno a cui ronzavano camerieri equipaggiati con vassoi colmi di tartine e calici di vino ordinatamente disposti. Intravide anche i nonni di Megan in mezzo alla folla, anch’essi membri dell’alta società Arcadiana. Peccato non ci fosse anche Megan, almeno avrebbe avuto qualcuno con cui condividere il disagio!
Rachel, in equilibrio sui tacchi e avvolta in un vestito rosso che arrivava a sfiorarle le ginocchia, si sentiva sul set di un film per cui non aveva fatto il provino. Almeno aveva con sé i suoi orecchini di piume e un pendente tribale con un artiglio d’orso. James poteva costringerla a infiocchettarsi, ma almeno avrebbe conservato alcuni elementi totalmente suoi, qualcosa che comunicasse “Sono conciata da Barbie Cocktail Party, ma è solo un travestimento…”
“Sean!” la voce di suo padre la distolse dai suoi pensieri “Che piacere rivederti!”
James Amber si diresse verso Sean Prescott, distogliendolo da una conversazione con un uomo che Rachel aveva già visto… forse si chiamava Abraham Pace ed aveva qualcosa a che fare con il Governatore?
“James! Benvenuto nella mia umile reggia!” Sean spalancò le braccia in un gesto che poteva essere frainteso come un saluto cordiale, ma in realtà sottolineava lo sfarzo in cui stavano camminando.
Rachel notò un ragazzo più o meno della sua età che si nascondeva timidamente dietro Sean Prescott. Minuto, biondo e con lo sguardo sperduto.
Rachel pensò che se non avesse fatto pratica con il Drama Club sarebbe apparsa così anche lei.
“Ti presento mio figlio, Nathan…”
Il ragazzo fu spinto controvoglia in avanti dal padre e tese una mano timida verso James.
“Piacere signor Amber…” sussurrò. Rachel notò lo sguardo deluso negli occhi di Sean.
“Molto piacere Nathan! Tuo padre ci ha raccontato tutto di te!” disse James.
Davvero papà??
Quelle frasi di circostanza che continuava a sentire da suo padre le provocavano un’orribile sensazione.
“Mia moglie Rose e lei è mia figlia Rachel. Frequenta la Blackwell, l’anno prossimo sarete compagni di scuola!”
Mi stai combinando un’altra amicizia sincera? Come con Marisa??
Si trovò faccia a faccia con quel ragazzo biondo e spaurito che le rivolse uno sguardo in preda al panico. Lei recuperò la maschera giusta e gli sorrise.
“Molto piacere! Allora l’anno prossimo ti farò da Cicerone!”
Rachel si schiaffeggiò interiormente. La naturalezza con cui assecondava le intenzioni di suo padre la inquietava. Non che avesse qualcosa contro questo timido ragazzo appena conosciuto…
Nathan le rispose con un sorriso forzato e distolse lo sguardo.
Rachel poteva quasi sentire i suoi pensieri.
Che cazzo ci faccio qui? Quali colpe di quali fottute vite passate sto pagando? Dove sono le uscite di emergenza?
Ci si poteva rispecchiare!
Rachel attese il momento propizio in cui i rispettivi genitori non prestarono loro più nessuna attenzione, impegnati in discorsi sicuramente molto importanti per loro.
Allora agì!
Nathan si irrigidì per la sorpresa quando la mano di Rachel afferrò la sua. I loro sguardi si incrociarono e Rachel gli sorrise:
“C’è un posto qui dentro in cui possiamo nasconderci da questa gente??” gli sussurrò molto vicino all’orecchio.
Nathan ci mise alcuni secondi ad articolare una risposta coerente e Rachel glieli concesse. Non doveva avere molti contatti con le ragazze. Forse con nessuno.
“Si… so dove andare…” rispose lui e iniziò a camminare spedito liberandosi dalla presa di Rachel.
Lei lo seguì, schivando persone come in una corsa a ostacoli, finché si ritrovarono sul retro della casa, di fronte ad un’ampia piscina con angolo idromassaggio, circondata da sdraio chiuse e una da fila ordinata di abeti. A parte il robottino a forma di disco che ripuliva pigramente l’acqua clorata c’erano soltanto loro.
“Grazie!” disse Rachel.
“F-figurati…” replicò lui con un sorriso più sincero.
“Non so cosa ne pensi tu, ma non sopporto queste… ‘feste’? Hanno un nome preciso nel mondo dei super-ricchi?”
“Mio padre li chiama ‘party d’affari’…” commentò Nathan.
“Sembra appropriato… non mi sembra che ci sia molto da divertirsi…”
“Mio padre è allergico al divertimento…” il tono del ragazzo si fece ancora più amaro. Rachel doveva fare qualcosa, lui era l’unica speranza di non perdere definitivamente la ragione quella sera.
“Beh… io non lo sono e ci siamo appena auto-esclusi dal suo ‘party d’affari’!” disse allegramente.
Nathan le sorrise: “Grazie a te…”
“Ho avuto l’impressione che anche tu cercassi una via di fuga!”
“Avevi ragione…”
Calò il silenzio. Rachel iniziò a curiosare intorno alla piscina, notò alcune telecamere posizionate in punti strategici. Trasalì quando notò un’ombra semi nascosta dietro un angolo della casa, realizzando solo dopo che era uno dei bodyguard che aveva notato pattugliare la villa. Sembrava che là dentro fosse impossibile avere un po’ di privacy e iniziò a provare pietà per quel ragazzo che aveva appena conosciuto.
“Vivi davvero qui o questa in realtà è una specie di set teatrale per gli ospiti?” chiese Rachel più o meno scherzando.
“Vivo davvero qui, ma è anche un set teatrale immagino…”
“I Men in Black ci sorveglieranno tutta la sera?” chiese lei improvvisamente furtiva, indicando con un cenno sardonico l’uomo in nero dietro l’angolo.
“Temo di si… mi dispiace…”
“E di cosa? Non è colpa tua!” Rachel capì che quello non era argomento su cui poter scherzare, così tentò un’altra strada “Non credo di aver mai visto degli oggetti d’oro fuori da un museo prima di stasera…” commentò tentando disperatamente di non assecondare l’amarezza di Nathan.
“Non hai visto il wc di platino al piano di sopra…”
Rachel si fermò a fissare Nathan, che non si era mosso dalla sua posizione e continuava a guardare basso. Un lieve sorriso si formò sulle sue labbra.
“E’ uno scherzo o c’è davvero? Perché se hai davvero un cesso di platino devo vederlo. ORA!”
E per la prima volta Rachel udì la risata di Nathan. Incerta e nervosa, quasi dolorante.
“Bene! Finalmente ti ho fatto ridere!” si vantò Rachel tornando ad avvicinarsi alla piscina.
“E’ il tuo lavoro? Girare per le case di ragazzi ricchi e depressi per rallegrarli?”
“Tipo Mary Poppins!”
“Chi?”
“Non sei serio vero?”
“No!”
“Meno male!”
I due scoppiarono a ridere contemporaneamente.
La temperatura sociale si alzò finalmente di qualche grado. Si trovarono a passeggiare per il cortile Prescott, simile ad un bosco finemente curato da un battaglione di giardinieri. Nonostante tutto alcuni scoiattoli avevano trovato casa tra i rami degli alberi, uno di loro tagliò la strada alla strana coppia prima di svanire tra le fronde di un pino. Nathan era curvo, come gravato da un pesantissimo zaino, con le mani nascoste nelle tasche del completo blu scuro. Rachel invece camminava petto in fuori, guardandosi intorno con il consueto sguardo indagatore.
Nathan si sentì a suo agio per la prima volta da…
Non lo sapeva!
Rachel se ne accorse.
Lui aveva la faccia di qualcuno che finalmente respira dopo aver rischiato di affogare.
Nathan le chiese della Blackwell, di come si trovasse e Rachel fu felice di rispondere. Gli parlò del Drama Club, della gente stimolante e simpatica che conosceva.
“Sembra il paradiso da come ne parli!” disse Nathan.
“Non lo è, ci sono anche diverse teste di cazzo. Però il bello è che non sei costretto a frequentarli e se studi non avrai nessun problema con i professori!”
“Ovunque vada il mio nome è un problema…” ed ecco di nuovo l’amarezza. Rachel poteva immaginarlo. I Prescott erano temuti e odiati più o meno da tutti quelli che conosceva, anche da suo padre che sembrava fare l’impossibile per compiacere Sean.
“Non siamo il nome che portiamo Nate…”
“Forse vale per te che non sei nessuno!” la frase gli uscì molto più aggressiva di quanto volesse. Rachel lo guardò stupita e lesse rimorso sul suo viso.
“Perdonami… non volevo dire…”
“Non preoccuparti. Hai ragione, non conosco davvero la tua situazione…”
“E’ che… merda…” Nathan sembrava voler continuare, ma aveva paura. La mano destra saettò fuori dalla tasca e grattò furiosamente la nuca. Era terrorizzato, temeva che questa ragazza estranea riferisse le sue parole, che suo padre venisse a sapere ciò che avrebbe detto, che fosse tutta una messinscena contro di lui…
“Ti ascolto se vuoi parlare…” le parole di Rachel erano così accoglienti, il suo viso così caldo anche se in penombra. Nathan sentì che poteva fidarsi… forse questa volta poteva parlare… forse lei voleva davvero ascoltare.
“Mio padre gestisce ogni fottuta cosa della mia vita. La scuola che faccio, le attività extra, le persone che frequento, gli eventi sociali… decide tutto lui! Vuole che diventi il suo successore… ma non… non…”
“Non?”
“Non me ne frega un cazzo!”
Silenzio. Il cuore di Nathan batteva all’impazzata. Si guardò intorno, improvvisamente terrorizzato che un bodyguard di suo padre l’avesse sentito o che ci fossero telecamere su un albero.
Niente.
Erano davvero soltanto lui e lei?
“E di cosa ti frega?” gli chiese Rachel.
Altra domanda cui non era abituato. Nessuno gli chiedeva mai cosa volesse, di cosa gli importasse.
“Mi piace la fotografia…” disse timidamente.
“E’ una cosa bellissima! E sai cosa? Adesso DEVI mostrarmi qualche tuo lavoro!”
Nathan protestò un po’, ma si fece convincere a tornare in casa, sgattaiolare su per le scale e raggiungere la sua camera, stranamente incurante che qualcuno li vedesse. Non se la sentì di farla entrare, per come stava andando quella serata il suo cuore non avrebbe retto alla presenza di una ragazza carina nella sua stanza. Prese le foto che aveva stampato e le mostrò a Rachel. Erano strane, i colori sbiaditi, a volte in bianco e nero. Alcuni scatti raffiguravano delle reti da pesca stese al porto ad asciugare, altri di pesci caduti dalle casse dei pescatori, riversi sull’asfalto. C’erano inquadrature di cassonetti dell’immondizia, riconobbe quelli sul retro del Two Whales, c’erano anche alcuni scorci del cimitero. Erano cupe, piene di forti contrasti di luce e ombra, trasudavano una strana sensazione. Rachel era abituata a considerare le foto come ricordi, immagini che stimolavano la memoria, riportandoti a momenti felici. Quelle di Nathan erano un mondo a parte, chiuso in sé stesso. Avevano uno strano, inquietante magnetismo, come se là dentro la speranza non fosse mai esistita. Il cassonetto, la rete, le lapidi, i pesci morti sull’asfalto… esisteva solo quello. Era inquietante, triste e malinconicamente bello. Finestre sull’anima di Nathan, troppo tormentata per appartenere a qualcuno così giovane.
“Sono bellissime!” disse Rachel. Lo credeva davvero, nonostante i soggetti.
“Non è vero… lo so che son strane…” replicò quasi sottovoce Nathan.
“E che vuol dire? Hai mai visto il Giardino delle Delizie Terrene di Bosh?”
Nathan sgranò gli occhi per lo stupore.
“Certo che l’ho visto!”
“Ecco, i suoi soggetti erano più assurdi dei tuoi, ma era comunque un grande pittore. E tu puoi diventare un grande fotografo!” argomentò Rachel.
Dammi sogni…
Nathan provò una sensazione che non seppe classificare in modo chiaro.
Dammi autostima…
Felicità?
Dammi amore…
Era generico e non del tutto pertinente.
Dammi!
Il suo animo era sorpreso, diffidente e al tempo stesso riscaldato da quell’incoraggiamento, da questa ragazza che conosceva Hyeronimoys Bosh, apprezzava le sue foto e stava ancora parlando con lui dopo più di mezz’ora!
Dammi! Dammi! DAMMI!!!!
Si sentì bene, non ricordava l’ultima volta che si era sentito così a proprio agio con un altro essere vivente.
A parte sua sorella Kristine ovviamente, ma lei se n’era andata. Aveva affrontato loro padre e aveva lasciato tutto alle spalle. I doveri di famiglia, Arcadia Bay …. Anche lui…
Lo aveva lasciato solo con suo padre…
Nessuno lo avrebbe più protetto.
Nessuno lo avrebbe più capito…
Fece capolino la paura.
Ti sta prendendo per il culo…
Kristen si era stufata di averti sempre tra i piedi…
Questa tizia non è diversa…
Non vali niente, sei solo un debole…
Ti prende in giro…
Voleva solo un diversivo…
A nessuno piacciono le tue foto…
A nessuno piaci…
Non la vedrai mai più…
Non ti parlerà mai più…

Si scambiarono i numeri di cellulare e rimasero il resto della serata a parlare, questi pensieri invadenti furono sepolti sotto le risate di Rachel.
Nathan improvvisamente vide una luce. Una candelina si accese e rischiarò i toni delle sue foto successive. La Blackwell non sembrava più un destino crudele, non se c’era Rachel ad aspettarlo.
Forse, per una volta, suo padre aveva preso la decisione giusta!
 
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“Gimme everything, all your heart can bring
Something good and true
I don't wanna feel blue anymore, blue
I don't wanna feel blue anymore (Blue)
Gimme, gimme”
Blue, Marina
 
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Le ultime foglie caddero e gli alberi scheletrici segnarono l’arrivo dell’inverno. La pioggia divenne neve, il vento graffiava le ossa. Rachel non avrebbe mai smesso di stupirsi di fronte ad una spiaggia coperta di neve. La prima volta che l’aveva vista da bambina era rimasta di sasso. Neve e oceano erano due concetti inconciliabili, prima di Arcadia Bay.
Gli esami di mid term andarono alla grande, come previsto, mentre la campagna elettorale di suo padre era ufficialmente entrata nel vivo. Rachel rimase delusa quando sua madre decise di non lavorare con NACAO, ma fu sollevata sapendo che avrebbe evitato anche i Prescott. Rose scelse invece di fare una cospicua donazione all’Arcadia Bay Homeless Fund e aggiungere del volontariato presso di loro una volta la settimana. Anche Rachel si univa a lei di tanto in tanto, servendo i pasti ai senzatetto della cittadina che sembravano aumentare di mese in mese. Rachel non era pratica di associazioni benefiche, ma immaginava che vedere regolarmente facce nuove alle mense dei poveri e in fila ai dormitori non fosse un buon segno. Intanto, James Amber si vantava della carità di sua moglie e sua figlia nel corso delle interviste trasmesse alla radio. Rachel non poteva scacciare l’idea che suo padre fosse cambiato e non riusciva a capire se sua madre notasse o meno la stessa cosa.
Era forse questa la nuova normalità? Doveva abituarsi ad un padre distante anche quando era presente? Lui l’aveva sempre fatta ridere, la ascoltava, le dava buoni consigli e si schierava sempre dalla sua parte. Ora era diventato serioso, le conversazioni si trasformavano subito in dibattiti e di fronte a un problema riusciva ad articolare complessi ragionamenti senza mai prendere nessuna posizione. Era perennemente in modalità talk show. Rachel lo diceva a sé stessa che quando fosse finita la campagna elettorale tutto sarebbe tornato alla normalità.
Ma se avesse vinto?
Rachel fantasticava sulla possibilità di boicottarlo in qualche modo, così che perdesse le elezioni e tornasse ad essere il suo vero papà…
Tuttavia, non voleva deluderlo.
Era solo un momento. Papà era sotto pressione.
Al suo posto Rachel non sapeva come si sarebbe comportata.
Doveva solo tenere duro.
Giocherellava con il suo braccialetto, ricordando qualcosa di sfocato e profumato di salsedine.
Andò avanti!
 
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Passava diversi pomeriggi studiando con Megan, i mercoledì sera erano invece dedicati alle Tardis Night, che sfociavano in pigiama party a casa dei nonni di Megan, insieme a Gina e Adam Glenn, anche lui membro del Drama Club. Di tanto in tanto usciva con Steph, altre volte le toccava frequentare Marisa e la sua cricca, in modo da mantenere buoni rapporti diplomatici. Ogni tanto messaggiava con Ruth.
Più spesso, Rachel usciva con Armond. Grazie a lui Rachel ebbe accesso al mondo dei ragazzi più grandi, come Drew North. Li sentiva parlare di SAT, di prospettive universitarie e tante altre cose che per lei erano distanti ancora due anni e mezzo. Frequentava i falò in spiaggia, dove le casse collegate agli Ipod rilasciavano musica pop e hip-hop, durante i quali bevve le sue prime birre e fumò la prima canna. Grazie a dosi massicce di caffè e un’organizzazione perfetta, Armond riusciva sempre a riportarla a casa in condizioni accettabili ed entro il coprifuoco. Quella clandestinità eccitava Rachel più di ogni altra cosa. Durante una festa a casa di un certo Tyler, Rachel e Armond finirono in camera da letto. La chiave girò nella toppa, la musica e i suoni della festa si attutirono, il cuore di Rachel iniziò a rimbombarle nelle orecchie mentre le mani di Armond scorrevano sulla sua pelle, le loro labbra si incontravano e le lingue si intrecciavano.
“Vuoi divertirti come una senior?” le chiese Armond con un tono che la inquietò un po’. Rachel rimase paralizzata per un momento. Parlava del sesso? Non sapeva cosa fare, così seguì il flusso…
I vestiti caddero sul pavimento uno ad uno. Il ragazzo fu attento a non farle male. Rachel perse la verginità mentre fuori dalla finestra nevicava. Immaginava di dover essere felice. Non lo fu. Credeva che avrebbe dovuto provare qualcosa, ma il suo cuore era pietrificato.
Non ne parlò con nessuno!
 
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Verso Natale, apparve sull’Arcadia Bay Beacon un’intervista in cui James parlava del suo programma in caso di elezione. Indicò Rachel come un modello per i giovani, una ragazza sobria, studiosa, rispettosa…
Se solo suo padre avesse saputo…
Ma d’altra parte, quella descritta nell’articolo era esattamente l’immagine che Rachel stava proiettando al resto del mondo. Un ruolo, una delle parti che recitava quotidianamente. E suo padre non poteva immaginare cosa si celasse oltre, dato che recitava ormai anche con lui. La faceva vestire come un giocattolo e la portava in giro per party, cene d’affari, raccolte fondi. Come se ormai il loro rapporto si fosse ridotto a quello.
Rachel non riusciva a dirlo.
Faticava a pensarlo.
Non lo accettava…
Ma si sentiva usata.
E quell’intervista ebbe delle conseguenze.
Rachel Amber divenne “la figlia del candidato Procuratore”, Miss Perfettina della Blackwell. Il peggio era che nonostante tutto, quell’attenzione le piaceva. Poteva davvero provare disgusto e appagamento verso la stessa cosa? Sentiva chiaramente che nessuno la conosceva davvero, né era interessato a farlo. Nemmeno Armond, nemmeno Steph o Megan che erano sue amiche.
 
Dopo Capodanno, Rachel volle rendere ufficiale la sua relazione con Armond e lo presentò a suo padre. Il ragazzo si comportò in modo impeccabile, si vestì elegante e disse tutte le cose giuste. Armond sapeva benissimo come si giocava a quel gioco, era di ottima famiglia e non era estraneo a incontri ‘informali’ di quel genere. Se solo i suoi avessero immaginato che quel giovanotto si scopava la figlia… Rachel finse sicurezza in ciò che faceva, finse di non sentirsi a disagio, finse di essere felice.
Fingere stava diventando troppo semplice.
“Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e le donne, tutti, non sono che attori…”
Era davvero tutta lì la vita?
Recitare la parte giusta al momento giusto?
Chi stabiliva il copione?
Valeva per tutti?
Ricordò un’altra cosa che aveva detto Keaton a lezione:
“Un’attore non deve mai diventare tutt’uno col suo personaggio. Non deve mai identificarsi! Se lo fa finisce come Johnny Depp! Sbronzo e fuori di testa! Un attore non deve mai provare l’emozione del suo personaggio, deve solo esprimerla. Mai pensare come il suo personaggio, solo recitare le battute. Deve mostrare con il corpo. Stop. Rimanete sempre voi stessi quando recitate. Siate voi stessi nei panni di un altro!”
Essere sé stessi nei panni di un altro…
Essere sé stessi…

Rachel andò avanti.
Rachel andava sempre avanti.
Seguiva il flusso.
La corrente l’avrebbe comunque portata da qualche parte…
 
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A Chloe Price per esempio.
Rachel l’aveva incrociata tante volte a scuola senza mai accorgersi di lei, come accade tra studenti che frequentano classi e gruppi sociali differenti. Scoprì che suo padre era morto in un incidente d’auto in autunno e si sentì in colpa. Se l’avesse saputo sarebbe almeno andata a farle le condoglianze. Non sarebbe probabilmente servito a nulla, ma era semplicemente la cosa giusta da fare. Ormai erano passati mesi e sarebbe stato non solo inutile, ma fuori luogo.
Aveva distrattamente notato il suo cambio di look dopo la pausa invernale, con colori tendenti al nero, borchie e magliette di band rock e punk, alcune note altre no, come i Firewalk. Rachel indagò e si fece prestare un loro CD da Skip Matthews. Li adorò!
Chloe era la pecora nera, la testa calda, la ragazza problematica.
Ruoli che Rachel apprezzava particolarmente, ma che non aveva mai interpretato.
Non apertamente comunque…
Molto meglio che essere Miss Perfettina del resto…
A scuola tutti giudicavano Chloe, tranne Rachel. Lei sapeva solo che se avesse perso suo padre, non sarebbe stata più la stessa. Senza la prospettiva del suo sguardo fiero a motivarla, senza la consapevolezza che ogni giorno lo avrebbe rivisto, ogni cosa si sarebbe annebbiata.
Forse, ogni cosa si stava già annebbiando.
 
Le uniche persone della Blackwell a non parlar male di Chloe erano Megan e Steph.
Chloe sembrava sapersi difendere, comunque!
Lo dimostrò il giorno in cui si presentò a scuola con i capelli tagliati corti, evidentemente in un raptus, e seppellì Marisa davanti a tutti. Le sopracciglia bruciate a inizio anno non avevano scoraggiato Miss Rogers e le sue colleghe Kelly e Sarah dal prenderla di mira ancora e ancora, non ricevendo mai una reazione significativa.
Prima di allora.
Quel giorno, Rachel la notò.
E le piacque ciò che vide!
Mentre Chloe ribaltava contro Marisa le sue ‘accuse’ di omosessualità, Rachel avrebbe voluto intromettersi e stringerle la mano, poi unirsi alla festa e dire a Marisa tutto ciò che aveva sempre trattenuto. Non fece niente del genere.
Probabilmente per Chloe, Rachel era solo un’altra Marisa.
 
Da allora, però, si accorse spesso di lei.
La vedeva passare nei corridoi, la avvistava nel parcheggio della Blackwell che si esercitava con gli skater, si accorgeva di lei mentre fumava nascosta nell’angolo di fianco alla piscina. La notava uscire dalla presidenza, oppure accompagnata verso di essa da Skip, che trattava come fosse suo amico nonostante fosse l’addetto alla sicurezza! Imparò a riconoscere il suo tratto nei graffiti che apparivano sui muri della scuola, purtroppo celermente coperti dalle solerti pennellate di Samuel.
A Chloe non fregava un cazzo di niente.
Chloe era sempre Chloe.
Chloe faceva quello che si sentiva, parlava come voleva, incurante delle conseguenze.
Rachel la ammirava per questo.
 
-
 
“Scherzi?” la forchetta nella mano di Megan, carica di insalata, si fermò a metà strada fra scodella e bocca. La ragazza fissò Rachel con i suoi occhi azzurri.
“No, affatto! E avrò bisogno di te!” Replicò Rachel sorridente, fissandola dritta negli occhi. Uno sguardo che Megan non sostenne a lungo.
“Non pensavo che a scuola si potessero fare cose del genere!” commentò la ragazza poco prima di completare il tragitto della forchetta fino alla sua bocca.
Tutt’intorno la caffetteria della Blackwell iniziava a riempirsi, mentre Rachel sottoponeva a Megan la notizia del giorno: Keaton aveva rivelato la prova per l’esame finale del corso! Gli studenti ‘attori’ avrebbero dovuto scrivere e recitare un monologo davanti ad un vero pubblico in un vero teatro, a Portland, prima dello spettacolo Sogno di Una Notte di Mezz’Estate, cui tutti gli studenti avrebbero poi potuto assistere gratuitamente. Keaton avrebbe tenuto una serie di lezioni specifiche su sceneggiatura e progettazione per lo spettacolo e ogni alunno avrebbe avuto l’aiuto di altri studenti addetti a costumi, scenografie e luci. Steph era stata ovviamente la prima scelta, ma non bastava. Per l’idea che aveva Rachel solo Megan poteva aiutarla e soprattutto capirla!
“Il Drama Club è una figata!” Rachel si scostò una ciocca dietro l’orecchio sinistro, facendo oscillare la piuma azzurra del suo orecchino. Aveva iniziato, di tanto in tanto, a portare una sola della sua coppia di piume. L’asimmetria aveva il suo fascino!
“Quindi a cosa ti servirei esattamente?” chiese Megan, educatamente tra un boccone e l’altro. Rachel non aveva ancora toccato né il suo sandwich né le patate fritte. Si raddrizzò sulla sedia sollevò il pugno destro davanti a sé e liberò il mignolo.
“Primo, dobbiamo riguardare Blink…”
“Ok… tema Doctor Who quindi! Mi piace!” sorrise Megan.
“Secondo!” proseguì Rachel liberando l’anulare “Dobbiamo parlarne… potremmo iniziare già da ora in effetti…”
“Parlarne in che senso?” il sopracciglio sinistro di Megan si alzò interrogativo.
“Ragionarci! Sulla figura dell’Angelo Piangente. Serve un brainstorming!” l’entusiasmo di Rachel divampava dalla sua voce e dal linguaggio del corpo, un po’ sovrastante per Megan che tuttavia si lasciò coinvolgere.
“Va bene… anche se non so quanto ci sia da riflettere. Gli Angeli Piangenti sono predatori, un po’ come i vampiri. Piuttosto spaventosi tra l’altro!”
“Questo è un buon inizio. Io penso invece che siano creature incomprese…”
Megan inarcò un sopracciglio: “In che senso?”
“Alla fine non ti uccidono, a loro serve l’energia potenziale della vita che avresti vissuto, ma te ne danno una nuova in cambio. I due che vengono rispediti indietro in Blink non mi sembravano infelici alla fine no?”
“E’ un punto di vista interessante. Non ci avevo pensato, ma non so se mi hai convinta…” meditò Megan.
“Ecco perché ci serve il brainstorming! Ma dovremo rimandarlo, altrimenti ci sfuggirà il punto tre!” Liberò il medio. Megan rimase in attesa che la pausa d’effetto di Rachel finisse.
“Mi aiuterai con le prove?” la fronte di Rachel si corrugò e gli occhi si strinsero in un’espressione implorante. Megan rimase un momento interdetta prima di rispondere.
“Ehm… lo sai che non capisco nulla di teatro vero?” precisò Megan mentre raschiava il fondo del suo piatto.
“Di fronte all’arte non serve essere esperti!” replicò Rachel “L’arte è comunicazione, emozione… se non la senti è perché semplicemente non funziona! Dovrai solo dirmi se provi qualcosa o meno…”
“Sarò una specie di cavia?” ironizzò Megan mentre prendeva un sorso di succo al mirtillo.
“Ovviamente!” ammiccò Rachel.
La ragazza prese un profondo sospiro. “Penso che un paio d’ore dopo i compiti potrò trovarle per te…” disse con tono artificiosamente altezzoso.
“Grazie Miss Weaver! Significa molto per me!” disse Rachel.
“Miss Weaver?”
“Il prof Keaton ci chiama tutti Mister e Miss!”
“Pff! Molto vintage!” ridacchiò Megan.
“Nel migliore dei modi!”
“Ciao Rachel!”
Le due ragazze si fecero improvvisamente serie all’udire quella voce. Si voltarono e Marisa era lì, dietro di lei onnipresente Kelly, che giocherellava con uno dei suoi orecchini a forma di libellula. Rachel li trovava molto carini.
“Ciao Marisa!” salutò Rachel col suo miglior sorriso. Megan fece solo un cenno e si tappò la bocca con il succo di mirtillo.
“Sai già cosa farai per l’esame di Keaton?” chiese con tono premuroso.
“Certo! E tu?”
“Ovviamente!” Rachel notò un microscopico tic all’occhio sinistro mentre Marisa parlava. Stava mentendo. Con tutti gli esercizi e i giochi sulla menzogna del primo semestre, Rachel era diventata brava a capire certe cose. Gongolò in silenzio.
“Beh, non vedo l’ora di vederti in azione Mari!” ammiccò Rachel prendendo finalmente un morso dal suo sandwich. Bleah… freddo!
“Sarà una bella sfida. Sono sicura che prenderò più di te!” Marisa e il suo tono passivo aggressivo.
Rachel fece spallucce: “Mi basta che venga bene!”
“Non fare la falsa umile. Lo vediamo tutti al Club come stai sempre addosso a Keaton, sempre con la manina alzata, sempre la prima a provare gli esercizi. Ovviamente vuoi metterti in mostra, ma non basterà.”
“Qualcuno direbbe che è un comportamento da brava studentessa…” commentò Rachel senza perdere il viso sorridente. Negli ultimi tempi l’agonismo tra loro aveva eroso la facciata di amicizia che ostentavano normalmente, dando spazio a scaramucce come quella. Rachel non aveva nulla in contrario.
“Oppure che fai la smorfiosa con il prof per avere una A!” punse Marisa.
Rachel sghignazzò, mentre Megan osservava la scena spostando lo sguardo basito da una all’altra come davanti ad una imbarazzante partita di tennis. Anche Kelly sembrava a disagio, la sua mano sinistra era aggrappata sulla difensiva al braccio destro coperto dalla manica di un elegante maglioncino verde acqua e regolarmente spostava il peso da una gamba all’altra, lanciando sguardi speranzosi ai tavoli ancora liberi, sempre di meno.
“Lo vedremo Marisa. Grazie per questa specie di conversazione. Sei riuscita a far raffreddare il mio sandwich…”
“Tsk! Oh bell’orecchino a proposito! Hai perso l’altro nei pantaloni di Armond?”
“E’ forse invidia questa?”
Megan sorrise sotto i baffi e a Rachel non sfuggì che anche Kelly si voltò per nascondere un sogghigno fugace. Marisa non si accorse di nulla.
Incerta su come rispondere, Marisa agitò la mano davanti a sé, come per scacciare un moscerino e si allontanò con Kelly al seguito.
“Cosa diavolo è successo?” chiese Megan quando le due furono lontane.
“Marisa mi odia…” ammise candidamente Rachel prendendo un morso.
“Pensavo che questo genere di ‘conversazioni’ – Megan fece il gesto delle virgolette – succedesse solo nei film!”
“Si, parlare con Marisa è sempre un’esperienza surreale!” bofonchiò Rachel “però è istruttivo!”
“Se lo dici tu…” replicò Megan soffiando una risatina.
Poco dopo si unirono a loro anche Gina e Adam. Quando Rachel parlò loro del suo progetto furono entusiasti di far parte del pubblico insieme a Megan.
 
-
 
Un semestre intenso volgeva al termine.
Il giorno era arrivato.
Mentre il pubblico riempiva la sala dell'Aladdin Theatre di Portland, Rachel era dietro le quinte davanti allo specchio.
Terrorizzata.
Non capiva perché. Non era certo la prima volta che stava su un palco, avrebbe dovuto esserci abituata. Invece non lo era. Il prof. Keaton li aveva avvisati, ma non ci aveva voluto credere. Aveva totalmente sottovalutato il panico da palcoscenico. Forse era perché avrebbe dovuto parlare in pubblico? Recitare battute con un'intonazione precisa era molto diverso dal danzare. Forse aveva paura che Steph sbagliasse le luci? No, avevano provato per due settimane in quel teatro e si fidava ciecamente di lei. Inoltre l'abito che aveva disegnato era fenomenale, così come il trucco che le aveva fatto. Si faceva paura da sola, sembrava davvero una statua alata, vestita di una tunica.
Allora cosa?
Si sentiva come se stesse per salire sul patibolo.
Sapeva che i suoi genitori erano in sala, di certo con qualche giornalista al seguito per immortalare Miss Perfettina Amber che fa il suo debutto in teatro.
Inoltre, visto che era prima di tutto un esame finale, si andava in ordine alfabetico, quindi lei era la prima.
Che cazzo gli è venuto in mente a Keaton con questa storia dell’esame?!
 
Una mano le si posò sulla spalla. Era talmente persa nella sua mente che non si accorse nemmeno del riflesso di Armond nello specchio.
"Hey!" lui la salutò "non ti bacio perché altrimenti ti rovino il trucco!"
"Pfft... mi servirebbe un po' di incoraggiamento però..."
"Mmmm..." Armond si inginocchiò accanto a lei e le posò un dolce e cauto bacio sulle labbra.
"Ti è rimasto un po' di grigio sulla bocca..." lo schernì Rachel quando si allontanarono.
Armond si pulì distrattamente "Nessun problema. Come ti senti?"
"Ehm... fuori di testa!" sghignazzò quasi istericamente Rachel.
"Andrà benissimo!"
"Come lo sai?"
"Perché ti sei impegnata per sei mesi a scrivere, riscrivere, provare, progettare, eccetera. Sei pronta e li stenderai tutti!"
Razionalmente Rachel sapeva che aveva ragione, ma non era lucida.
"Vuoi..." Armond si guardò intorno per assicurarsi che nessuno li ascoltasse "...un aiutino?" si batté un paio di volte le dita sul petto della giacca indicando la tasca interna del completo.
"No, penso che sostenere un esame finale puzzando di erba non deporrebbe a mio favore..."
"Chiedevo!" si discolpò Armond. Rachel gli sorrise.
"Ora torno al mio posto prima che mi caccino. Faccio il tifo per te Rachie!"
"Grazie!”
 
Armond le mandò un bacio e si allontanò.
Rachel lo guardò allontanarsi nello specchio. Qualcosa tra loro si era allentato negli ultimi mesi. A dire la verità, qualcosa si era allentato già dopo il primo bacio, ma la scoperta del sesso, le feste e l’erba… tutte queste cose li avevano tenuti uniti per un po’, annebbiando quella che Rachel ormai sapeva essere la verità. Non era innamorata di Armond. La eccitava, questo si, ma non bastava. Inoltre erano cominciati i litigi. A volte scoppiavano senza che nemmeno lei sapesse come o perché. Semplicemente stargli accanto a volte la indispettiva. Sempre più spesso. Armond sembrava ignaro o disinteressato. Per lui c’erano solo nuoto e feste. Rachel sapeva che faceva del suo meglio… solo che non era il meglio per lei. Quando suo padre chiedeva di loro, Rachel diceva “tutto bene!”. James era felice che sua figlia frequentasse un ragazzo di buona famiglia e rispettoso. Non voleva deluderlo. Immaginava cosa avrebbe potuto dire…
“Armond è un bravo ragazzo, è perfetto per te. Non importa se non lo ami, viene bene in foto!”
Da quando era diventata così disfattista verso suo padre?
Beh… difficile trovare un momento esatto.
Comunque con Armond sarebbe finita.
Forse non quella sera, ma presto.
Suo padre avrebbe capito.
La amava dopo tutto. Voleva il meglio per lei.
Il meglio!
E il meglio non era Armond.
Non lo erano i discorsi sulla campagna elettorale.
Non lo erano i cocktail party d’affari con i Prescott o chiunque altro.
Non le interviste o le foto di famiglia, tutti sorridenti come vittime di una paresi…
 
"Rachel Amber!" la voce del tecnico di scena la risvegliò.
Merda! Era già ora!
Scattò in piedi e automaticamente si diresse verso il palco.
Istintivamente portò una mano al polso, in cerca del suo braccialetto da tormentare. Purtroppo si trovava sotto il costume e non poteva raggiungerlo senza rovinarlo. Un’ondata di ulteriore ansia le percorse il corpo dalla testa ai piedi. Avvicinandosi all’ingresso del palco intravide i suoi compagni prepararsi davanti ai rispettivi specchi, ognuno altrettanto vittima dell’ansia quanto lei. Incrociò lo sguardo con Kelly, che stava facendo degli esercizi di respirazione allo specchio, mormorando qualcosa sottovoce. Non aveva un trucco o un costume particolare, solo una tuta ed una maglietta maniche lunghe, entrambe nere. Probabilmente aveva in mente un monologo puro.
Vide Marisa, che provava la parte in un tailleur grigio e una parrucca a caschetto bionda. Rachel non sapeva nulla di ciò che avrebbe messo in scena, Miss Rogers aveva tenuto accuratamente il segreto temendo che la sua grande idea venisse copiata da qualcuno. La somiglianza con Hillary Clinton del suo trucco strappò a Rachel un sogghigno divertito che portò un barlume di ristoro nell’oceano di paura in cui navigava.
Keaton era nei pressi del palco.
“Pronta Miss Amber?”
“No…” rispose candidamente lei.
“Fai un respiro profondo e quand’è il momento lasciati andare. La prima volta siamo tutti terrorizzati. Quando sarà finita non vedrai l’ora di rifarlo!” la voce calma e paterna di Keaton accarezzò il cuore di Rachel. Non furono le parole, ma soltanto il tono. Un piacevole velluto sulla pelle irritata della sua anima.
Gli sorrise.
Un tecnico del teatro, con cuffie e una barba incolta, si avvicinò ai due.
“Pronta sul palco!” disse con tono asettico.
Rachel sospirò profondamente e fece il primo passo.
"Miss Amber?"
Lei si voltò, incrociando lo sguardo di Keaton.
"Merda! Merda! Merda!" le fece l'occhiolino.
Rachel sorrise.
 
-
 
Il tendone si scostò, rivelando un fondo nero e una figura solitaria sul palco.
La statua di un angelo con il volto chino e coperto dai palmi delle mani. Un occhio di bue la illuminava, lasciando in ombra il resto del palco.
Il cuore di Rachel batteva all'impazzata.
Era iniziato.
WHOM!
Buio
Le luci si spensero.
Rachel sussurrò nel microfono che aveva fissato alla sua guancia, ben camuffato dal trucco.
"Non battere ciglio!"
Abbassò le mani scoprendo un po' gli occhi.
WHOM!
La luce tornò a illuminarla.
Rachel fu abbagliata dal faro e lottò per non contrarre il volto.
Poteva solo intravedere il pubblico, la luce intensa dritta su di lei la accecava.
Meglio così...
Fissò lo sguardo davanti a sé.
WHOM!
Buio
"Non chiudere mai gli occhi..." bisbigliò. La sua voce echeggiò nel teatro. Era strano sentire la propria voce sdoppiarsi ed echeggiare amplificata tutt'intorno.
Fece un passo in avanti e tolse le mani dal viso, tenendole incrociate sul cuore.
WHOM!
Luce
Rachel rimase immobile. Non riusciva ancora a vedere il pubblico.
Era solo lei.
Sola su quel palco.
WHOM!
Buio
"Solitudine..."
Rachel si voltò per dare le spalle al pubblico.
WHOM!
Luce
Immobile
Sola...
Il suo cuore aveva iniziato a rallentare, mentre sentiva le guance riscaldarsi.
Gli occhi iniziavano a pungere.
WHOM!
Buio
Rachel si voltò di nuovo nel buio e corse tre passi, protendendo le mani nel vuoto oltre il palco.
"Esisto da sempre. Sono tanti come me. Ma se ci vedi..."
WHOM!
Luce
Un angelo di pietra con le mani imploranti verso il pubblico
WHOM!
Buio
"Non esistiamo..."
WHOM! WHOM! WHOM!
Il faro si accese e si spense in rapida successione, ognuna delle quali Rachel assunse una posa diversa, sempre più vicina al bordo del palco, sempre più implorante. Rimase immobile sotto l'occhio di bue che la seguiva con precisione chirurgica.
Grande Steph!
WHOM!
Buio di nuovo
"Esisto solo se nessuno mi nota. Sopravvivo solo grazie al vostro futuro. Quello che avreste potuto essere, quello che avreste voluto fare... io me lo prendo. Io me ne nutro... vi tolgo un futuro per preservare il mio. Nel buio..."
WHOM!
Il faro illuminò Rachel con le braccia protese aggressivamente verso il pubblico, il volto contorto in un'espressione feroce. Le finte zanne che indossava ben visibili in un ringhio ferino.
WHOM! WHOM! WHOM! WHOM!
Luci stroboscopiche, Rachel parve muoversi a scatti, ogni volta in un punto diverso del palco, sempre più aggressiva, feroce. Predatoria.
Tornò nell'oscurità.
WHOM!
"Vi tolgo un futuro. Ma non IL futuro..." Rachel corse verso destra facendo rumoreggiare i suoi passi sul palco ligneo. "Avete mai desiderato una seconda occasione?"
WHOM!
Rachel riapparve illuminata dal faro, di profilo, sguardo basso, le braccia strette contro il proprio petto. Ora sembrava così innocente, così affranta.
Gli occhi le bruciavano, ma resistette alla tentazione di chiuderli.
WHOM!
L'oscurità la avvolse di nuovo.
"Una seconda occasione... vi manderò indietro nel tempo ad un’epoca in cui non eravate nati. Là potrete vivere una nuova vita, ricominciare da zero. Tutti gli sbagli che avete fatto, tutte le persone deluse, tutti i rimpianti... cancellati. Non sarebbero mai esistiti. Un nuovo inizio. Una seconda chance..."
WHOM!
Rachel riapparve giù dal palco, vicino alla prima fila.
Ora sì che vedeva il pubblico. Alcuni trasalirono nel vederla apparire giù dal palco.
WHOM!
Il buio tornò.
"Chi non vorrebbe una seconda chance? Pensa a che liberazione. Ogni errore svanito dalla storia, nessun pregiudizio su di te, nessuna aspettativa, nessun obbligo. Zero. Cosa faresti se improvvisamente non fossi nessuno? Se potessi decidere nuovamente chi essere?"
WHOM!
James Amber sobbalzò trovandosi Rachel di fronte. Le ali del suo costume le davano un aspetto sinistro che lo sovrastava. Le braccia protese verso di lui come in un abbraccio, lo sguardo umido fisso su di lui. Due fari color nocciola, immobili, saldi, immutabili. Per un istante, un fugace secondo, l’uomo ne fu atterrito.
Non era sua figlia in quel momento…
Oppure…
WHOM!
"Non sarebbe bello? Non sarebbe più semplice?” le parole echeggiarono e poi calò il silenzio. Nessun suono, nessun fruscio delle vesti di Rachel o delle sue ali. Il buio e il silenzio completi. Poi un respiro tremolante:
“Tu continuerai a vivere dopo il nostro fugace incontro..."
WHOM!
La luce tornò. Rachel si era spostata due metri più in là, di fronte ad Armond, che trasalì trovandosi le mani di Rachel a pochi centimetri dal viso.
WHOM!
"E io continuerò ad esistere dopo di te, grazie a te..."
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
Rachel si spostò ancora e ancora, sparendo nel buio e riapparendo di fronte ad un altro spettatore, con le braccia protese verso ciascuno di loro. Nell'oscurità le sue parole riempivano il teatro.
"Tu potrai vivere una vita piena, seguire i tuoi desideri, ricostruire chi sei..."
"Ma io no..."
"Io vivo solo al di là della percezione..."
"Se mi vedi..."
"...non esisto..."
"Una vita a intermittenza..."
"Un'esistenza donando seconde possibilità..."
"...senza mai averne una per me..."
"Perché se un mio simile mi vede..."
WHOM!
La luce riapparve e Rachel dovette trattenersi dal mostrare sorpresa. Seduto davanti a lei c’era Nathan Prescott. Con la coda dell’occhio intravide anche Sean, che furtivamente sembrava digitare qualcosa sul suo cellulare.
Nathan la fissava assorto, gli occhi azzurri come un ghiacciaio erano lucidi. Rachel protendeva le mani verso di lui. I secondi sembrarono dilatarsi mentre i due si scambiavano un lungo, intenso sguardo.
Infine il buio calò di nuovo…
WHOM!
"Io non esisto..."
"...E se io lo vedo, lui non esiste..."
WHOM!
Rachel era tornata di fronte a Nathan. Il ragazzo non poté evitare di schiacciarsi contro lo schienale. Quelle parole… quei gesti… Era solo uno spettacolo o Rachel stava parlando con lui?
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
Buio
"Io sono sola... sopravvivo nello spazio ignoto..."
"...ignoto come la mia identità..."
"...chi siamo noi infatti se non possiamo mostrare il nostro vero volto a nessuno?"
"E se nessuno può vedere il mio volto... come posso io stessa conoscerlo..."
Rachel riapparve sul palco, nel punto in cui aveva iniziato, braccia protese verso il pubblico, imploranti.
Nel buio la sua voce echeggiò di nuovo.
"Non so chi sono... so solo cosa sono..."
WHOM! WHOM!
"Sono un Angelo Piangente..."
Rachel tornò alla sua posa iniziale con le mani davanti al viso.
Improvvisamente si rese conto di avere le guance completamente bagnate e un po' di trucco le stava colando sui palmi.
Stava piangendo.
Non se n'era nemmeno accorta! Non era previsto…
Da quanto stava piangendo?
Il trucco doveva essersi rovinato…
Merda…
Aveva rovinato tutto…
WHOM!
Oscurità.
Quando riapparve la luce Rachel era sparita dietro le quinte, sul lato opposto da cui era entrata.
Cazzo… ho fottuto l’esame. Non dovevo piangere… che cazzo mi è successo?
Ero troppo coinvolta… troppo.
Dovevo fare qualcosa di diverso e adesso ho fottuto tut…

CLAP!
Eh?
CLAP! CLAP! CLAP!
CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP!
 
CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP!
 
Lo scrosciare di un applauso la destò dalle recriminazioni.
Improvvisamente Rachel cominciò a singhiozzare e le lacrime tornarono a fluire come fiumi in piena. Non poteva smettere, non ne aveva il controllo. Ma non era triste.
Al contrario! Era avvolta in una coperta di pace, la mente improvvisamente così leggera e silenziosa.
Una felicità ignota cominciò ad avvolgerla come una calda coperta, mentre l’applauso continuava come un’incessante pioggia battente.
Improvvisamente le fu chiaro.
Lei era un’attrice!
Non era solo un'attività che amava, non solo un esperimento o un corso che seguiva a scuola. Quella era la sua strada!
Era il suo sogno!
 
-
 
“Buon compleanno Rachel!” Megan sorrise caldamente mentre una cameriera bruna serviva una porzione di cheese cake ad entrambe. La cospicua fetta di Rachel era solcata da una candelina accesa.
“Grazie Meg!” le restituì il sorriso.
Il cielo era stranamente limpido. Nei giorni scorsi c’era stato molto vento e il sole splendeva libero dalla consueta foschia, caratteristica tipica di Arcadia Bay e di tutta questa zona dell’Oregon in realtà.
“Mi dispiace non poter fare di più, ma non volevo perdere il tuo compleanno…” Megan si massaggiò nervosamente la fronte mentre parlava, scompigliando involontariamente una ciocca di capelli castani sfuggita al suo cerchietto.
“Non preoccuparti. So che i tuoi impegni famigliari non si possono rimandare…”
“Davvero, è assurdo che mia madre abbia organizzato la cena del mese coi nonni proprio oggi. Avrei preferito passare la serata con te, invece li ascolterò litigare come al solito…”
“Non pensarci. Concentrati sulla cheesecake!” con due dita Rachel spinse il piatto verso Megan, che impugnò la sua forchetta con un sorriso.
“Prima esprimi un desiderio!” le disse con un cenno del capo.
Rachel sospirò e fissò la piccola fiammella tremolante davanti a sé. Ripensò alla sua performance all’Aladdin Theatre di un mese e mezzo prima, che le era valsa una A+ e la vittoria nella ‘sfida’ con Marisa. Aveva avuto tempo di pensarci da allora ed aveva capito cos’era accaduto. Su quel palco si era sentita davvero sé stessa. Durante tutto lo spettacolo, pur recitando una parte studiata, era riuscita a incanalare tutto ciò che provava, a sentirsi realmente autentica. Era un vero paradosso, sentirsi sé stessi quando si interpreta un altro. Ma Rachel non aveva indagato le sottigliezze logiche della questione. Come le aveva detto Keaton, non vedeva l’ora di salire nuovamente sul palco. Quello fu il suo desiderio!
Soffiò e la candelina si spense in una spirale di fumo.
Megan batté artificiosamente le mani.
“Non aspettarti che ti canti la canzoncina…” la ammonì.
“Te lo impedirei se ci provassi. Devo prepararmi psicologicamente a quando stasera lo farà mio padre…” affondò il viso nel palmo della mano.
Megan trafficò per alcuni istanti nella borsa, poi estrasse un piccolo pacchetto rosa accuratamente confezionato. Lo fece scorrere sul tavolo e il viso di Rachel si illuminò.
“Non dovevi disturbarti!” le disse.
“So che è prassi dirlo. Ma non dirlo!” replicò Megan sogghignando.
“Il protocollo è importante!” commentò Rachel scartando il regalo, che si rivelò incredibilmente leggero. Rachel spalancò gli occhi, un sorriso raggiante le apparve sul viso. Rimase senza parole a contemplare i due biglietti che aveva estratto dalla confezione.
“Ehm… ti piace?” indagò Megan.
“Se mi piace?? Due biglietti per Once Upon A Time al Forum Paradiso!! Grazie!!” si alzò, fece il giro del tavolo e avvolse Megan in uno strettissimo abbraccio, che la ragazza restituì con un po’ di imbarazzo.
“Volevo… insomma… incoraggiare la tua passione per il teatro!” spiegò.
“L’hai fatto alla grande. E tu verrai con me!” disse Rachel tornando al suo posto.
“No dai, non è per quello che ti ho preso due biglietti… cioè… puoi portare chi vuoi, non per forza me!”
“Bene! Voglio portare te!” sentenziò Rachel “Mi hai aiutato con Matematica e Chimica tutto l’anno, mi hai fatto conoscere Doctor Who, mi hai aiutato a preparare il mio spettacolo e quando ho avuto bisogno di parlare dei miei problemi mi hai ascoltata. Te lo meriti punto e basta!” Meg si arrese con un sorriso “E adesso mangiamo questa cazzo di torta!”
Le due aggredirono il piatto. La cheese cake del Two Whales era insuperabile. Aveva un sapore così casalingo, come tutto quello che servivano. Rachel non lo frequentava spesso, ma aveva imparato una semplice lezione: quando cucinava Joyce era tutto più buono. La cuoca-cameriera bionda del Two Whales era insuperabile e quella torta doveva essere opera sua, se le papille non la ingannavano. Anche se la conosceva solo per poche chiacchiere di circostanza che avevano scambiato, a Rachel piaceva!
“Allora… com’era Parigi?” chiese Megan pulendosi educatamente le labbra con un tovagliolo di carta.
Le lampadine si accesero nella mente di Rachel, una sequenza di diapositive fu caricata nel suo proiettore mentale. Non vedeva l’ora di ricevere quella domanda.
“Semplicemente meravigliosa!” passò in rassegna tutti i luoghi che aveva visitato nell’arco delle due settimane precedenti. Il Louvre dove aveva visto dal vivo la Zattera della Medusa di Gericault e il Giuramento degli Orazi di Jacque Louis David. La Gioconda non era riuscita ad avvicinarla a causa della folla che la circondava, ma raccontò di essere rimasta stupita e delusa scoprendo che era molto, molto più piccola di quel che credeva! Raccontò di quando era salita fino in cima alla Tour Eiffel, mostrò una foto che lei e i suoi genitori si erano fatti scattare da un passante ai Champs de Mars. Le disse del giro dei teatri, della maestosità dell’Opera Garnier, delle strane forme dell’Opera Bastille, della visita alla Comédie Fracaise e di molti altri. Passò in rassegna i suoi ricordi sulla bellezza degli Champs Elysee, l’intrigante Moulin Rouge, il giro in barca sulla Senna che avevano fatto e le colazioni a base di croissant, ogni mattina in un bistrot diverso.
“Mi stai facendo invidia…” commentò Meg, arrivata ormai a metà della propria fetta, mentre Rachel, troppo impegnata a raccontare, aveva a malapena iniziato.
“Se puoi vacci. È una città da vedere almeno una volta nella vita. Per qualche motivo mi ha ricordato un po’ Milano, solo con le vie più grandi e con più oro!”
“Vorrei essere una globetrotter come te!”
“Lo sarai. Un domani diventerai una giornalista d’assalto e girerai il mondo!”
“Lo spero! Per il momento mi basterebbe essere presa al Blackwell Totem!” bofonchiò Megan.
“Accadrà. Tu insisti!”
“Ma… con tuo padre com’è andata?” Meg era al corrente del difficile rapporto che Rachel aveva avuto con suo padre negli ultimi mesi. Non era mai entrata nei dettagli, ma aveva detto abbastanza per farle immaginare che quel viaggio era un’incognita.
“Sorprendentemente bene! Anzi, di più! È stato come se tutte le cazzate non ci fossero mai state. Abbiamo scherzato, riso e parlato come una volta. Non ha nemmeno mai menzionato i Prescott o Arcadia Bay!”
“Wow! Sicura che fosse lui e non un clone?” scherzò Meg.
“Pfft… se era un clone poteva usarlo prima! Comunque è stato bello. Questa sera festeggerò con lui e mamma.”
“Bene, sono felice che almeno questo si sia risolto. Armond continua a dire in giro che ti ha lasciato lui…”
Rachel sghignazzò: “Lo so! Me l’ha detto!”
Megan inarcò un sopracciglio e depose la forchetta nel piatto ormai vuoto: “Eeeh??”
“Mi ha detto che sarebbe stato troppo umiliante se si fosse saputo che una matricola l’aveva piantato, così mi ha avvertito che avrebbe diffuso la voce che era stato lui a lasciare me.” Rachel scrollò le spalle e diede l’assalto finale alla sua cheesecake.
“Ma… e ti sta bene?” Megan era confusa.
“Perché no? È politica scolastica, dall’anno prossimo non saremo più matricole e avremo più diritti!”
“Bah… non le capisco queste cose…” Megan afferrò la sua tazza di caffè mezza vuota e prese un sorso. Ancora tiepido! Bene!!
“È il sistema bellezza! Bisogna conoscerlo per poterlo aggirare!” Rachel ammiccò e Megan sorrise divertita.
“Beh… l’esperta di PR sei tu!”
Mentre le due ragazze proseguivano con le loro chiacchiere sorseggiando caffè e ordinando un secondo giro di cheese cake, nel parcheggio del Two Whales Chloe Price stava furtivamente decorando un muro con uno dei suoi Hole to Another Universe, approfittando della copertura offerta da un grosso pick-up verde parcheggiato lì accanto.
Una volta finito si piazzò nei pressi della fermata dell’autobus e si accese una sigaretta. Con calma aspirò le tossine, fissando lo sguardo sull’oceano oltre il distributore di benzina, incurante delle auto che le sfrecciavano davanti senza ritmo.
Ad un certo punto sentì delle risate provenire dalla sua sinistra, accompagnate dal famigliare tintinnio delle porte del Two Whales. Si voltò istintivamente e vide due ragazze uscire dal locale e fermarsi davanti alla porta. Le riconobbe entrambe come studentesse della Blackwell, ma solo di Rachel conosceva anche il nome.
Con noncuranza prese l’ultimo tiro fino al filtro e sbuffando fumo gettò il mozzicone a terra, lo schiacciò sotto la scarpa e si avviò nella direzione opposta…
 
-
 
La sala era elegante, le luci erano calde e leggermente abbassate, abbastanza sia per vedere chiaramente che per creare l'atmosfera desiderata. Le tovaglie erano raffinate, così come posate e piatti.
Rachel conosceva Rue Altimore, ma l'aveva sempre visto solo dall'esterno. Il Ristorante italo-francese, famoso per i prezzi esorbitanti. Armond aveva sempre detto che un giorno ce l'avrebbe portata, ma non l'aveva mai fatto.
Invece, Rachel ci stava festeggiando il suo quindicesimo compleanno in compagnia della sua famiglia.
In passato i compleanni erano sempre stati un'esperienza casalinga, ma James aveva giustificato il cambiamento dicendo che voleva portare un po' di Parigi ad Arcadia Bay...
L'intento era lodevole e Rachel lo apprezzava, ma Rue Altimore non aveva niente a che vedere con la splendida città europea. Però avevano le escargot! Si fecero portare degli assaggi per provarle, dato che in Francia avevano rimandato l'esperienza così a lungo da finire per evitarla. Alla prima forchettata, Rachel se ne pentì amaramente. Avevano la consistenza della gomma... una superficie viscida e collosa... nessuna spezia poteva migliorarle! Rachel sputò furtivamente la sua nel piatto. James lottò evidentemente con sé stesso per deglutire, mentre Rose prolungò la masticazione il più a lungo possibile e quando fu inevitabile, mandò giù insieme ad un lunghissimo sorso di Champagne.
"Ok... abbiamo capito che le lumache non sono cibo!" declamò James tamponandosi la bocca con il tovagliolo.
"Non c'era bisogno di provarle per capirlo..." scherzò Rachel allontanando il piatto da sé.
"Penso che dovremmo rimediare il prima possibile con una crepe!" propose Rose, cosa che fecero immediatamente.
Rachel si sentiva felice.
Sembrava che il viaggio a Parigi avesse davvero sistemato le cose e tutto fosse tornato come doveva essere.
In effetti non ricordava momenti spensierati come quelli in compagnia dei suoi genitori. Non dall’infanzia comunque. Sapeva solo che erano accaduti, ma se li cercava sbiadivano. Eppure eccoli lì. Se anche non ricordava quelli passati, ora ne aveva uno proprio nel presente.
Al termine della cena, James volle consegnare i regali prima della torta.
"Non è esattamente il protocollo tradizionale..." commentò Rachel.
"A volte bisogna mescolare un po' le carte in tavola!" ammiccò James allungando verso di lei una busta rossa con un fiocco argentato sul tavolo. Rachel la prese con noncuranza e meccanicamente la aprì, ben sapendo che era la solita mancia dei compleanni. Duecento dollari da spendere come preferiva. Era una prassi che Rachel non amava particolarmente, sembrava quasi una mazzetta. Avrebbe preferito che suo padre facesse lo sforzo di pensare a cosa avrebbe potuto piacerle, ma era così impegnato...
Rachel lo capiva...
"Beh, a questo punto..." Rose rovistò nella sua borsa e tirò fuori un pacchetto più voluminoso, avvolto in carta viola e nastri gialli. Anche in questo caso Rachel anticipò il contenuto. Era chiaramente un libro. Rose non era mai stata il genere di madre che regala vestiti o gioielli, era una donna di cultura e ci teneva che anche sua figlia lo fosse.
"Mary: A Fiction" Rachel lesse il titolo del libro "... di Mary Wollstonecraft."
"Quest'anno ho capito che sei cresciuta..." esordì Rose per spiegare "...Sei al Liceo, hai avuto il tuo primo ragazzo, hai debuttato in teatro... ormai sei una giovane donna, con tutto quello che comporta nel bene e nel male. Mary Wollstonecraft fu una delle prime combattenti per i diritti delle donne, questo libro è il primo dei suoi due romanzi in cui racconta e denuncia la condizione delle donne del suo tempo, ma scoprirai quanto è attuale. Quando l'ho letto la prima volta avevo 16 anni e ha stravolto le mie prospettive. Spero che ti piaccia e sia utile anche a te!" 
Rachel ascoltò con attenzione e sorrise caldamente a sua madre.
"Grazie mamma! Il patriarcato non ha speranze!" ammiccò.
"Vuoi trasformarla in una no-global?" ridacchiò James.
"Non credo ci sia il rischio, ma una donna deve sapere come mettere al loro posto gli uomini in questo mondo no?" Rose lanciò uno sguardo al marito, a metà strada tra il languido e la sfida. Fra i due passò una scarica di calda tensione che Rachel colse e cui reagì con profondo imbarazzo. Distolse lo sguardo.
Le effusioni tra genitori, anche non esplicite, sono sempre fottutamente disturbanti!
Mentre guardava altrove, Rachel notò un cameriere avvicinarsi con una sedia al loro tavolo. Rimase piuttosto confusa quando lo vide sistemarla proprio da loro, sparecchiando parte della tavola per far spazio ad un altro convitato.
Che diavolo...
James se ne avvide e annuì al cameriere: "Grazie!" disse con un sorriso cordiale.
Anche Rose parve confusa quando Rachel la guardò in cerca di spiegazioni.
"Che succede papà?" chiese Rachel.
"Prima di tagliare la torta volevo presentarti una persona..." disse ambiguamente.
Prima che Rachel potesse indagare oltre, suo padre si alzò, seguito da sua madre che dall'espressione continuava a non capire ma assecondava il marito.
"Buonasera Karen! Benvenuta! Spero tu non abbia avuto difficoltà con il parcheggio!" salutò James.
Rachel si voltò, incontrando una donna over trenta in tailleur grigio scuro, con una tracolla scura di finta pelle, capelli biondi raccolti in una crocchia.
"Grazie! Non ho avuto difficoltà. Ti ringrazio per l'opportunità!" rispose l'estranea.
"Lascia che ti presenti mia moglie Rose..." le due donne si strinsero la mano. Lo sguardo di Rose era passato dalla perplessità alla rassegnazione. Rachel poteva vederlo, aveva capito cosa stava succedendo... al contrario di lei!
"E mia figlia Rachel!"
Karen si voltò verso di lei e le allungò una mano, che strinse con diffidenza.
"Salve..." salutò.
"Ciao Rachel! Ho sentito davvero grandi cose sul tuo conto!"
"Grazie... papà?" Rachel si voltò verso suo padre con un sopracciglio inarcato e uno sguardo che implorava informazioni.
"Sediamoci!" fu la sua risposta.
Niente, questo gioco del mistero sembrava dover continuare. Rachel aveva imparato negli anni che quando c'era un ospite per suo padre bisognava stare al gioco, perché probabilmente era una questione di lavoro. Così Rachel stette al gioco, per l'ennesima volta... con la differenza che una fiammella si accese nel suo stomaco.
Era il suo compleanno, la sua festa, il loro momento in famiglia.
Chi era questa tizia che sbucava?
Perché suo padre era l'unico che sembrava sapere perfettamente cosa stava succedendo?"
Infine Rachel capì.
Fu evidente e incontrovertibile quando Karen estrasse penna, taccuino e registratore dalla borsa, depositandoli ordinatamente sul tavolo.
Era un'intervista.
Una cazzo di intervista...
Durante la sua cena di compleanno...
La fiammella aumentò un po'.
Rachel guardò verso Rose in cerca di un supporto, ma la madre non la stava neppure guardando. I suoi occhi passavano alternativamente tra James, Karen e un vago altrove. Ovunque tranne Rachel...
Braci avvamparono appena al di sotto del suo petto, mentre i battiti aumentavano e il calore saliva fino alla gola. Un insistente prurito alla laringe iniziò a infastidirla e Rachel si schiarì la voce tentando di grattarsi. Senza successo.
Dopo uno scambio di convenevoli ed un giro di Champagne, cui Rachel partecipò per inerzia, Karen disse: "Bene, se siete d'accordo" si rivolse solo a suo padre e Rose "Inizierei con le domande. Sono state tutte concordate con James e stopperò la registrazione ogni volta che lo chiederete. Se non volete che prenda in considerazione un argomento della conversazione basterà che diciate 'questo è fuori tema', così quando riascolterò l'audio saprò cosa omettere. Cominciamo?"
"Direi di si!" disse cordialmente James.
VRRROOOOMMMM!!
I tre al tavolo si voltarono all'unisono verso Rachel, che era scattata in piedi facendo rumoreggiare la sedia dietro di lei. Le spalle contratte, la fronte tesa, gli occhi tinti d'ambra nella luce del ristorante. James la guardò stupito e per un attimo gli balenò davanti l'immagine di Rachel la sera del suo spettacolo, quando in costume da angelo di pietra apparve davanti a lui, fissandolo con quello stesso sguardo.
"Scusatemi..." disse Rachel con un tono piatto "Vado un momento in bagno. Cominciate pure senza di me!" indossò un sorriso e si allontanò prima di ricevere risposta.
Quando fu fuori dalla loro vista accelerò il passo e raggiunse la toilette.
Circondata da strette pareti color panna, costeggiò i box chiusi e raggiunse la fila di lavandini con specchio quasi parietale. Si fermò, fissando negli occhi la sua immagine riflessa.
Il cuore batteva così forte da far rumore.
Sentiva pulsare le vene del collo, il calore invaderle il viso, mentre le braci erano diventate un vero e proprio fuoco.
Voleva gridare.
Quanto cazzo voleva gridare!
La gamba si mosse da sola.
Si voltò di scatto e sferrò un violento calcio contro la porta del box più vicino.
Fanculo!
Non le fregava se fosse chiuso
Non le importava se ci fosse dentro qualcuno
O se il suo colpo l'avrebbe rotto
Fanculo tutto
Fanculo suo padre e le sue interviste del cazzo!
Fanculo sua madre che le regala libri sul femminismo e poi non dice nulla quando suo marito interrompe il compleanno di sua figlia per l'ennesima stronzata pubblicitaria!
Fanculo anche a Karen perché che cazzo ti viene in mente di imbucarti ad una cena in famiglia??
 
Rachel ringhiò istericamente
Il piede impattò contro la porta con un fragoroso tonfo
L'anta rimbalzò all'interno, sbatté contro il divisorio e tornò indietro, sbattendo di nuovo richiudendosi.
Il punto d'impatto era marchiato da una crepa ed una rientranza.
Rachel ansimava con i pugni così stretti che le unghie iniziarono a ferirle i palmi.
Si voltò verso il lavandino, incrociando il suo riflesso furente, poi si accanì contro il muro.
Cominciò a colpire le piastrelle con tutta la forza che aveva
L'adrenalina copriva ogni dolore, ogni fastidio che quello sfogo potesse procurarle.
Ogni colpo un ringhio.
"Fanculo! Fanculo! FANCULO!!" sibilò attraverso i denti serrati, impedendosi con l'ultimo barlume di lucidità di gridare.
Infine si fermò.
Il cuore ormai le batteva direttamente in gola.
Ancora un po' e l'avrebbe vomitato ancora pulsante nel lavandino.
 
I capelli biondi le erano caduti davanti al volto in modo irregolare, l'elegante maglioncino che indossava era diventato improvvisamente una cappa che la opprimeva. Scambiò un lungo sguardo con sé stessa mentre lottava per ricomporsi.
 
Nella sua mente migliaia di voci infuriate gridavano all'unisono, dozzine di impulsi violenti la scuotevano, le sue gambe avrebbero potuto guidarla fuori da quel ristorante in men che non si dica, avrebbe corso con ogni oncia di energia (ed era veramente molta) in linea retta fino alla riva dell'oceano, dove si sarebbe tuffata e come l'elica di una barca a motore l'avrebbero condotta a nuoto verso il grande blu. Lontano da quel ristorante di merda e da tutte le stronzate di suo padre!
 
Aprì il rubinetto dell'acqua fredda e si sciacquò la faccia.
Il freddo dell'acqua contro la sua pelle le diede uno shock sufficiente a riportarla qui e ora.
Si sistemò i capelli controllando il risultato allo specchio.
Verificò che il trucco waterproof fosse davvero waterproof.
Prese un lungo e profondo respiro e portò le mani al viso, coprendosi il volto.
Chiuse gli occhi.
 
Non battere ciglio...
 
Riempì di nuovo i polmoni, espirando profondamente
 
Non battere ciglio...
 
Sentì le spalle rilassarsi, il fuoco che rischiava di divampare iniziò a scemare nel suo stomaco.
 
Se mi guardi io non esisto...
 
Le braci rimasero accese, ma il peggio era passato.
Tolse le mani dal viso e si guardò.
Si sentiva avvolta in un'atmosfera acida, un sapore metallico le riempiva la bocca.
Aveva stretto così tanto i denti che le gengive le sanguinavano.
 
Quanto sangue puoi ingoiare prima di vomitare?
 
Si sciacquò la bocca per togliersi quel fastidioso sapore.
Un ultimo sguardo, poi le gambe puntarono meccanicamente verso la porta.
Tornò in sala, percorse una strada a ostacoli finché avvistò il suo tavolo.
Indossò il suo volto più cordiale e la camminata più serena che aveva.
"Scusate se ci ho messo tanto..." disse mentre tornava al suo posto "... mi sono persa molto?"
"Niente di ché!" replicò James "Abbiamo appena iniziato"
"Visto che sei tornata, Rachel, posso farti qualche domanda?" Karen si voltò verso di lei avvicinandole il registratore.
"Certamente!" disse gioviale.
"Quali sono i tuoi progetti per il futuro?"
 
-
 
Il ritorno a casa fu silenzioso. Nessun viaggio in macchina ad Arcadia Bay era mai molto lungo, ma quei minuti sul sedile posteriore del Suv sembrarono moltiplicarsi per dieci. James non disse nulla, concentrandosi sulla guida. Rose guadava fuori dal finestrino. Era contrariata dalla faccenda dell’intervista, ma questo non consolava Rachel, che era rannicchiata il più possibile tra le ombre della macchina. Scorreva la sua rubrica in cerca di una via di fuga. Era tradizione che dopo la cena in famiglia festeggiasse con gli amici, così stava cercando qualcuno. Da quando aveva lasciato Armond non si erano più visti, ma in quel momento le sarebbe stata utile un po’ di quell’evasione dozzinale che il suo ex e la sua cricca le avevano sempre garantito. Nulla le vietava di contattare qualcuno di quel gruppo, come Drew North. No… escluse l’opzione.
Chiunque della Blackwell le avrebbe ricordato cose che in quel momento voleva escludere, così depennò dalle opzioni anche Megan, che aveva già i suoi affari famigliari in corso, Steph e sopra ogni altra, Marisa… Per come si sentiva avrebbe anche potuto strangolarla!
Finì col selezionare il numero di Ruth.
Sostò un po’ a fissare quel nome.
Forse era l’unica persona che in quel momento non l’avrebbe infastidita.
Dopo il loro primo incontro alla NACAO avevano messaggiato un po’ e all’inizio della primavera si erano anche viste quando Ruth era venuta ad Arcadia Bay con suo padre per incontrare il sindaco. Avevano fatto una sosta al Two Whales e poi una camminata fino al faro, dove aveva scoperto che la ragazza ed alcuni amici di tanto in tanto si riunivano per passare serate in compagnia davanti al falò. Ruth le disse “Alla prossima occasione ti ci porto…”
Si trovò a scorrere gli ultimi messaggi che si erano scambiate e… BINGO!

Ruth
  • Questa settimana sono in zona!
  • Affari burocratici da sbrigare…
Rachel
  • In missione per NACAO?
Ruth
  • Nah! Blackhell!
  • Mio padre mi ha intimato di iscrivermi all’università.
  • Teme che aiutandolo butti via il mio futuro… così mi tocca andare in segreteria a farmi dare della documentazione.
Rachel
  • È bello che tuo padre si preoccupi per te!
Già…
È quello che fanno i padri giusto?

Il punto centrale, comunque, era un altro: Ruth in quel momento si trovava ad Arcadia Bay!
Superando il messaggio d’auguri ricevuti quella mattina da Ruth, le dita saettarono sui pulsanti del cellulare.
Rachel
  • Hey Bluejay!
  • Fammi un regalo di compleanno.
  • Possiamo vederci?
Le mani caddero in grembo, stringendo ancora l’apparecchio mentre la macchina stava imboccando il vialetto verso il garage. Il cellulare, silenzioso, si illuminò per l’arrivo di una risposta.

Ruth
  • Certo!
  • Riesci a raggiungere il Two Whales?
  • Ti passo a prendere lì tra quindici minuti
  • Ok?
Rachel sospirò
  • Ok!
 
-
 
Fuoco
Fonte di luce e calore
Si stava bene vicino al fuoco
Rachel era persa in esso.
Lingue di fiamma che volteggiavano come danzatrici estatiche.
Apparivano e svanivano
Era ipnotico.
I pezzi di cedro che lo alimentavano si consumavano di momento in momento.
Vederli ridursi, annerirsi, creparsi e diventare cenere… nel mondo di Rachel non c’era nient’altro in quel momento.
Il legno diventava cenere, come i suoi pensieri.
Era calma, innaturalmente calma.
“Terra chiama Rachel!” la voce di Ruth la riportò alla realtà. Sgradevolmente. Nella realtà c’era una gelida e insistente brezza che le congelava la schiena. Sulla cima del promontorio del faro c’era sempre vento e faceva sempre freddo, anche in piena estate a mezzogiorno. Eppure c’era qualcosa di magico in quel punto, qualcosa di eterno e di intimo.
Rachel rabbrividì e si avvicinò al fuoco, accorgendosi solo allora che Ruth le stava porgendo la canna.
“Ehm... si grazie!” sorrise imbarazzata. Prese una lunga boccata, la trattenne un po’ nei polmoni ed espirò, sentendo il THC fare il suo effetto con incredibile rapidità.
“Ti eri incantata ancora!” ridacchiò la ragazza “Avevi detto di aver già fumato prima o sbaglio?”
“Si è così, però questa mi sembra faccia più effetto di quella cui ero abituata…” commentò Rachel passando la canna ad un ragazzo alla sua sinistra, che l’accettò di buon grado.
“Questa è roba buona, non come lo schifo che spacciano qui…” ammiccò Ruth.
Rachel dovette concentrarsi un po’ per mantenersi presente. Compresa lei erano in sei a riscaldarsi intorno al falò, una cassa di birre piena di ghiaccio era a disposizione del popolo, adeguatamente distante dal fuoco, mentre giravano in ordine sparso snack, nachos e patatine. Erano un interessante gruppo umano, tutti tatuati in punti ben visibili, una ragazza magrissima e con i capelli corti e tinti di platino chiacchierava amabilmente con un’altra ragazza avvolta in un giubbotto di pelle con spalline borchiate. Tutti avevano qualcosa di borchiato, oppure un piercing, anelli o altri accessori goth e punk rock. Anche Ruth, contrariamente al solito, indossava una giacca di pelle sopra la camicia a quadri blu, un braccialetto borchiato e un anello al naso. Rachel si sentiva altamente fuori luogo con il suo maglioncino di marca, coperto da una giacca invernale e un paio di ballerine rosse. L’unica cosa che la faceva sentire salva erano le due piume blu che pendevano dalle sue orecchie e il suo braccialetto, con i cui lacci giocherellava distrattamente.
“Non sembri molto allegra per una che compie gli anni…” commentò Ruth.
“No è solo…” Rachel scrollò le spalle “Diciamo che è stata una giornata piuttosto deludente. Avevo bisogno di… qualcosa di lontano dal quotidiano…”
“E hai pensato a me…” completò Ruth.
“Si… cioè… non voglio che pensi che…” Rachel si sentì strana. Di solito non sentiva di doversi giustificare, aveva sempre qualcosa di arguto da replicare. Quell’erba la stava incasinando parecchio.
“Tranquilla! Tieni, mangia un po’!” disse amabilmente Ruth porgendole un pacchetto di patatine. Rachel quasi glielo strappò di mano e iniziò a divorarle, mentre Ruth e altri che avevano assistito scoppiarono in una comprensiva risata.
“Benvenuta nel mondo della fame chimica!”
“Molta fame!” precisò Rachel “Quindi… dove andrai all’Università?” tentò di portare la conversazione ad un argomento che non la riguardasse.
Ruth sospirò: “Community College! Facoltà di Storia e Letteratura. Così non andrò troppo lontano e potrò tornare se mio padre avrà bisogno… so che non vuole che mi preoccupi, ma non si libererà di me così facilmente!”
“Ti ci vedo a fare la storica. Non vedo l’ora di leggere le tue pubblicazioni!” disse Rachel con la bocca unta e ingombra di briciole.
“Ho molto da raccontare su questa terra. Penso di avere una specie di missione o almeno una responsabilità. Ciascuno ha una sua chiamata e il contesto in cui nasci è determinante…” raccontò Ruth sorseggiando una birra.
“Forse ho trovato anch’io la mia… ma non è altruista come la tua…” commentò Rachel, deponendo il pacchetto ormai vuoto di patatine.
“Sarebbe?”
“Voglio recitare. A giugno ho debuttato con un monologo all’Aladdin Theatre. Era un test di Keaton…” a quella spiegazione Ruth sghignazzò e Rachel comprese perfettamente il motivo “Esatto… l’ho odiato per tutto il pre-spettacolo, ma poi l’ho amato di nuovo! Comunque, penso di non essermi mai sentita viva come quando sono stata sul palco!”
“Sembra proprio una chiamata allora!” ammiccò Ruth.
“Già. È quello che voglio fare, anche se probabilmente farà bene solo a me…”
“Ma di che parli? Secondo te perché la gente va a teatro?”
Rachel scrollò le spalle: “Per evadere dalla vita. Intrattenersi immagino. Cercare una fuga dal quotidiano…”
“Stiamo parlando del teatro non della televisione. E comunque anche in quel caso penso che non sia tutto lì…”
Rachel si sistemò seduta su un tronco, per guardare più direttamente Ruth, che continuò: “Penso che si vada a teatro o al cinema per lo stesso motivo per cui si studia storia, per capire chi siamo. La storia è il racconto di cose presumibilmente accadute, ma è un racconto. Non avremo mai la certezza che le cose siano andate precisamente come le conosciamo. Cinema e teatro sono solo delle invenzioni dichiarate, ma raccontano storie che parlano di noi e attraverso gli attori, ogni membro del pubblico vive una vita e fa esperienze che non farebbe mai. Da attrice avrai un grande potere ed una grande responsabilità… come Spiderman!”
Rachel aggrottò la fronte a quella citazione, poi scoppiò a ridere: “Vale anche per fumetti e videogiochi allora?”
“Certo! Le storie sono storie, non importa il mezzo di comunicazione. Se una storia è di valore e viene raccontata bene può aiutare il mondo intero!”
“Brindiamo a questo allora!” disse Rachel allungandosi verso una birra.
Rachel scivolò in un confortevole silenzio, cullata dalle chiacchiere del gruppo intorno a lei. Guardò verso il cielo nero, la luce del fuoco impediva di vedere le stelle, ma Rachel sapeva che c’erano. Erano il suo appiglio nei momenti più bui e in quel momento, nonostante lo stordimento dell’erba e dell’alcol, il suo sconforto non si era del tutto placato.
“Senti…” ancora una volta la voce di Ruth la richiamò all’ordine. Si voltò verso di lei e notò che la ragazza magra dai capelli platino si era avvicinata e la stava guardando.
“Io e Lily pensavamo una cosa… ma è altamente illegale!” il loro sguardo furbo puntato nella sua direzione intrigava e inquietava Rachel allo stesso tempo.
“Sentiamo!” rispose.
“C’è un posto qui ad Arcadia Bay… un vecchio mulino abbandonato lungo una sezione in disuso della ferrovia. Ci hanno fatto un pub e nel capannone principale tengono dei concerti underground. Ti ci vorremmo portare venerdì, ma non è che sia proprio un posto per minorenni. Quindi ti dovremo camuffare per bene da regina del punk. Ci stai?”
“Illegale?” chiese Rachel.
“Oh si! Come tutti i posti underground è frequentato da pessimi individui, ma anche da persone normali che vogliono solo rilassarsi un po’. In realtà la gente a posto è in maggioranza, quelli da cui bisogna star lontani li conoscono tutti…” spiegò Lily.
“Dai, dì di si!! Sarà divertente!” incitò Ruth.
Rachel sorrise da un orecchio all’altro.
Illegale, underground, pieno di criminali…
Cosa avrebbe pensato suo padre?
Nulla di buono sicuramente!
“Ovviamente ci sto!”
Le due ragazze esultarono!
“Allora dovremo vederci assolutamente venerdì pomeriggio per il make-up!! Prepara i vestiti più punk che hai perché ti serviranno!!”
 
-
 
Le 22 erano passate da quattro ore quando Rachel rientrò a casa.
Come le altre volte, aveva usato litri di deodorante e quasi altrettanti di caffè per avere un aspetto e un comportamento sufficientemente normali, ma questa volta il ritardo era troppo per passare inosservato.
Una sequela di messaggi senza risposta sul suo cellulare da parte di James e Rose non faceva ben sperare e quando trovò la porta d’ingresso chiusa con la catena, capì che non c’erano possibilità di evitare un confronto.
Venne James ad aprirle, era ancora vestito con camicia e pantaloni del completo che aveva indossato a cena. Non era nemmeno andato a letto. La sua espressione era dura come la pietra e gli occhi grigi proiettavano un vento ghiacciato. Rachel ne fu intimidita.
“Ti sembra l’ora di tornare a casa?” il tono pacato rese la situazione ancora più terrificante.
“Scusa…” disse Rachel entrando con il capo chino.
“Non basteranno delle scuse Rachel. Dove sei stata?” il tono si alzò di una tacca. Rachel apprezzò il calore della sua casa, dirigendosi verso il salotto notò che anche Rose era ancora sveglia e con uno sguardo preoccupato. Si alzò dalla poltrona e si diresse verso di lei.
“Ero con il gruppo di Armond!” mentì Rachel dicendo la prima cosa apparentemente sensata che le venne. Non voleva parlare di Ruth a suo padre.
“Non mentire! Ho chiamato sia Armond che Drew, non ti hanno vista stasera!” replicò James.
“Infatti ero a casa di Joel con lui ed altri che non conosci. Abbiamo perso la cognizione del tempo e ad un certo punto mi sono addormentata… quando mi sono svegliata sono corsa a casa!” Rachel fece appello a tutte le sue doti attoriali per risultare credibile. James la fissò con sguardo indagatore per un po’, dopodiché prese il cellulare e iniziò a digitare.
“Che fai?” chiese Rachel nascondendo un pizzico di panico.
“Joel Brown giusto?” si informò.
“Si, che fai lo chiami?”
“Certo! Il tuo ritardo di questa notte non è da te, ti sei comportata in modo strano a cena e appena a casa sei praticamente fuggita, potrai capire se dubito della tua versione…”
“Sono le due di notte papà… sveglierai la sua famiglia… Dormivano quando me ne sono andata.” Rachel fece in modo di avere un tono calmo e razionale. James si bloccò alle sue parole, la fissò, poi guardò verso Rose, infine appoggiò il telefono.
Rachel sospirò interiormente. Aveva guadagnato tempo, avrebbe scritto a Joel più tardi per avvisarlo e coordinare la versione dei fatti.
“In ogni caso il tuo ritardo non ha scusanti. Sei in punizione fino a lunedì.”
Rachel sentì del ghiaccio formarsi attorno alla sua spina dorsale. Significava niente uscita con Ruth…
“Papà è la prima volta che succede nella vita! Non puoi chiudere un occhio?” implorò Rachel
“Forse, ma solo se mi dici cosa c’è che non va.”
Rose era lì, in piedi, zitta e in ascolto. Come sempre quando James la rimproverava, sua madre non interveniva. Come ogni volta che James le aveva trascinate ad un party, aveva preso decisioni che le riguardavano senza avvertirle. Come quella sera a cena, quando aveva accettato placidamente l’intromissione di una completa estranea per un’intervista…
Le braci si riaccesero…
“Davvero non lo sai??” Improvvisamente il tono di Rachel si fece teso.
Sul volto di James passò un’onda di compiacimento, come se gioisse di aver colto in castagna sua figlia.
Alcune fiammelle si riaccesero.
“Spiegamelo…” disse James incrociando le braccia.
“Incredibile…” commentò Rachel “Quindi secondo te è normale interrompere la mia festa di compleanno per una cazzo di intervista!”
“Modera il tono e il linguaggio Rachel…” ammonì James.
“No! Sono stufa di moderarmi! È tutto l’anno che fai così! Organizzi cene, inviti persone, ci scarrozzi da un party a un altro, parli di me in radio e sui giornali fregandotene delle ripercussioni che le tue parole hanno sulla mia vita. Sono tua figlia o cosa? Non dovresti volermi bene? Non dovresti pensare a ciò che è meglio per me?? O forse ti frega solo delle elezioni!!” ora Rachel urlava, tutto quello che aveva tentato di sopprimere quella notte riemerse come nulla fosse.
E le fiamme si riaccesero.
“Non ti ho obbligata a far nulla. Se non volevi venire ai party o partecipare alle cene eri libera di farlo. Così come non mi hai mai detto che non potevo parlare di te. Dovrei dispiacermi per essere orgoglioso di mia figlia?” James era entrato in modalità avvocato e Rachel si sentiva in svantaggio. Era chiuso ermeticamente, ma lei non poteva fermarsi.
“Certo! Se non ti avessi assecondato o avessi protestato non sarebbe servito a niente. Guarda come stai reagendo adesso. Mi ribalti contro tutto quello che dico. Non ascolti nemmeno cazzo!”
“Ho detto modera il linguaggio e il tono!” ammonì James facendo un passo avanti.
La sua figura torreggiante di colpo più vicina fece indietreggiare Rachel. Di colpo il suo impeto si spense, o meglio, le si riflesse addosso.
Non c’era niente da fare…
Non ascoltava, come volevasi dimostrare…
Il fuoco però non si era affatto spento!
Non potendolo indirizzare verso l’esterno, iniziò a bruciarle il petto.
Bruciava… parole che avrebbe voluto dire…
Risposte che avrebbe voluto ricevere.
Furia che avrebbe voluto sfogare…
Non poteva…
Non poteva!
Rachel cacciò un ringhiò feroce, serrò i pugni fino e corse via su per le scale, ogni passo più pesante del necessario.
James e Rose rimasero troppo sgomenti da quella sfuriata per reagire.
 
Giunta in camera sua, Rachel chiuse la porta a chiave e ci si appoggiò contro.
Doveva fare qualcosa cazzo!
Non poteva finire così, qualche cazzo di cosa doveva cambiare!
Osservò la stanza, le pareti dipinte di rosa, i mobili bianchi, il letto perfettamente rifatto, le bacheche con le foto. Osservò attentamente ogni dettaglio, i poster delle località in cui era stata con la sua famiglia, le foto incorniciate sul comodino, la lampada, la libreria piena di libri regalati da sua madre… si aggirò per la stanza, sentendosi improvvisamente un’estranea. Voltandosi a sinistra lo sguardo incappò nel ricamo che Rose le aveva cucito per il suo decimo compleanno e che aveva appeso al muro.
Soprattutto… ricorda che sei amata
Così diceva.
E lei ci credeva.
Lei ci aveva sempre creduto.
Ma aveva creduto anche che sarebbe diventata una ballerina.
Che sarebbe diventata un’esploratrice.
Che sarebbe cresciuta in California e avrebbe frequentato il liceo con Tyler, Jordan e Cindy…
Fanculo quello che credeva!
Si avvicinò al quadro e lo afferrò staccandolo rudemente dal muro. Lo sollevò sopra la testa pronta a scaraventarlo al suolo…
Si bloccò.
Non ci riuscì.
Lentamente tornò a fissarlo, una lacrima scese sulla sua guancia sinistra senza il suo consenso.
Non poteva distruggerlo.
Eppure quella scritta non sembrava più corrispondere alla realtà.
L’amore secondo suo padre era disporre della sua vita e del suo futuro a piacimento? Senza interpellarla né ascoltare le sue proteste?
E per sua madre l’amore significava paralizzarsi ogni volta che Rachel aveva bisogno di lei?
Sicuramente la amavano, ma non erano in grado di dimostrarlo come le serviva…
Rachel avrebbe dovuto pensarci da sola.
E comunque… a quel ricamo serviva un cazzo di aggiornamento!
Si diresse alla scrivania e appoggiò il quadro. Notò con lo sguardo un libro chiuso accanto al computer, uno dei compiti estivi della Blackwell.
Il Principe di Machiavelli.
Rachel sogghignò. Aveva iniziato a leggerlo e per quanto una parte di lei odiasse profondamente ogni parola, un’altra parte ne era deliziata. Per la precisione la parte che dominava in lei in quel momento!
Prese un post-it e una penna. La sua mano tracciò in calligrafia elegante una frase:
“Prima di tutto, sii armata”
Machiavelli

Attaccò il post-it sul vetro nell’angolo a destra, incastrandolo nella cornice.
Così andava meglio…
Era sicuramente amata… ma doveva anche essere pronta…
Le persone che ti amano a volte lo fanno nel modo sbagliato. E lei doveva difendersi!
Inoltre, non aveva ancora finito. Aprì le ante dell’armadio dentro le quali aveva attaccato decine di poster di concerti rock cui avrebbe voluto andare, i pochi cui aveva trascinato Armond e di tutti i gruppi che amava e non voleva che i suoi genitori vedessero.
Da quel momento avrebbero dovuto vederli! Dovevano sapere.
Rachel non era più una docile bambina, non lo sarebbe più stata.
Aveva le sue parti da recitare, certo, ma aveva una vita sua, un destino che poteva percorrere solo lei.
Uno ad uno, accatastò sul letto i poster dei Green Day, Marilyn Manson, Metallica, Led Zeppelin, Pink Floyd e tanti altri.
Uno ad uno, trovò loro una collocazione in bella vista sulle pareti rosa…
Anche quel fottuto colore non le andava più a genio!
 
-
 
Il mattino seguente, Rachel si svegliò a pezzi. L’assurdo mix di alcol, erba, cibo spazzatura, caffè e adrenalina le provocò un sonno agitato, da cui si svegliò ben poco riposata. Ancora avvolta disordinatamente nelle coperte… rosa… fottutamente rosa… emise un rutto che sapeva di inferno. Il suo stomaco gorgogliava ancora come se tutto ciò che aveva ingerito la sera prima fosse ancora lì…
In effetti era così!
Corse in bagno e chiuse la porta. Arrivò giusto in tempo per riversare nel water tutti gli scarti di una nottata ai confini della realtà. Un lato vagamente lucido di Rachel sperò che i suoi genitori fossero già ben svegli e indaffarati così da non sentire i suoi rantoli mattutini.
Dopo una lunga doccia ed una seduta di restauro adeguata, scese per la colazione, ignorando effettivamente che ore fossero. Doveva essere tarda mattinata, suo padre leggeva il giornale in salotto sulla sua poltrona, mentre Rose era sul divano con un libro in mano e una tazza di tè a portata di mano. Rachel si accorse di essere ancora in pigiama quando li salutò.
“ ‘Giorno…”
Ricevette sguardi interrogativi quando i suoi genitori si voltarono. Rose balzò in piedi, come spinta da una molla. James si limitò ad un asettico: “Buongiorno Rachel.”
“Ti preparo la colazione? Sarà più un brunch vista l’ora…” offrì caldamente Rose.
“Si… cioè… ehm… forse mi basterà un tè, grazie. E una banana. Aspetterò il pranzo per qualcosa di più elaborato!” Rachel sapeva che abbondare in spiegazioni era un modo di fare sospetto, ma nello stato semi-confusionale in cui era non ci badò troppo. Ogni strategia comunicativa era franata.
Rose comunque la assecondò e andò in cucina a caricare il bollitore. Rachel si andò a sedere sul tavolo di vetro, fissando il vuoto davanti a sé.
Cazzo quanto aveva bevuto… e fumato…
I minuti volarono in un vuoto obnubilato e Rachel sobbalzò quando Rose le apparve a fianco, depositando gentilmente una tazza di tè con uno spicchio di limone davanti a lei ed una banana. Ringraziò sua madre e le sorrise. Sorseggiò il liquido caldo, sperando che rimettesse in sesto i suoi visceri in tempo per l’ora di pranzo.
“Rachel?” la voce di James la raggiunse e si voltò a guardarlo. L’uomo si era seduto accanto a lei, appoggiando il giornale sul tavolo.
“Come ti senti oggi?” le chiese.
“Bene… ho dormito male… forse il nervosismo…” la teina stava facendo un po’ di effetto sui suoi neuroni intorpiditi.
“Giusto…” convenne James, anche se Rachel poteva dire che non fosse del tutto soddisfatto della spiegazione “Volevo dirti…” continuò “…avevi ragione riguardo a ieri sera. Avrei dovuto avvertirti e soprattutto chiederti il permesso prima di invitare una giornalista al tuo compleanno…”
Queste scuse così esplicite confusero di nuovo la mente di Rachel, che rimase in silenzio.
“Quindi, mi dispiace.”
Rachel si accorse con la coda dell’occhio di Rose che sostava in cucina, evidentemente origliando e vegliando sulle parole di James. Dovevano essersi parlati. Improvvisamente tutta la furia e i pensieri della notte precedente si smorzarono. Rachel ricordò il ricamo di sua madre…
Ricordati che sei amata
Forse aveva davvero reagito troppo male…
Forse se si fosse espressa prima… magari con più calma…
“Va bene papà… è tutto ok!” disse regalandogli un sorriso.
“Ne sono felice!” rispose lui “Ora mi aspetto delle scuse per il tuo comportamento di ieri…”
E Rachel fu di nuovo delusa.
Un passo avanti, quaranta indietro.
“Non è da te parlare in quel modo. Con le dovute maniere sei sempre stata libera di esprimerti…” aggiunse James.
Non è da me… perché solo tu sai cos’è da me vero papà??
Tu mi conosci come nessun’altro vero…
Con le dovute maniere… giusto…
Libera di esprimermi… e di non essere ascoltata.

Rachel era stanca, non aveva la forza per replicare.
“Mi dispiace papà…”
“Ti perdono.” Disse lui con un sorriso bonario “Ora, riguardo alla tua punizione…”
Rachel deglutì.
“…visto che è la tua prima vera infrazione mitigherò la pena. Rimarrai a casa a studiare oggi e domani, senza telefono. Ma non dovrà più ripetersi niente di simile, tornerai a rispettare il coprifuoco e a dirci con chi sei e dove vai. Chiaro?”
“Chiaro…” sospirò. Avrebbe comunque perso il venerdì sera con Ruth… ma forse non era tutto perduto.
“Ora consegnami il telefono…” ordinò James pacatamente, mentre Rose, soddisfatta della risoluzione, era tornata in salotto.
“Certo… vado a prenderlo in camera…” disse Rachel.
La prima cosa che fece fu scrivere un messaggio a Ruth.

Rachel
  • Mi hanno messa in punizione per stanotte.
  • Venerdì non posso venire al locale ma sabato sarò libera.
  • Dimmi che possiamo rimandare di un giorno…
 
Rispondi rispondi rispondi…
“Rachel? Che fine hai fatto?” la voce di James arrivò ovattata dal fondo delle scale.
“Scusa papà non trovo il telefono!”
“Ti aiuto a cercarlo?” passi che salgono i gradini.
Merda! Rispondi Ruth
 
Rrrrrrmmmmmm
Rrrrrrmmmmmm

 
Ecco!!!
 
Ruth
  • Certo. Nessun problema!
  • Ci aggiorniamo sabato!
Rachel
  • Non scrivermi più, mi stanno per ritirare il telefono!!
 
Detto questo, le dita di Rachel saettarono cancellando la conversazione con Ruth e lanciò il telefono sotto il letto.
Pochi istanti dopo James varcò la soglia della sua camera, trovandola cambiata! Scrutò tutti i nuovi poster che avevano invaso i muri della stanza, ma non fece commenti a riguardo. Si avvicinò invece alla figlia che rovistava intorno al letto.
“Allora?” la incalzò.
“Eccolo!” disse lei recuperandolo da sotto il letto.
“Come ci era finito?” le chiese con un sopracciglio inarcato.
Rachel scrollò le spalle con fare innocente, ricevendo uno sguardo di rassegnato sospetto da James.
“Vieni a finire il tè” le disse prima di dirigersi verso la porta.
Rachel lo seguì tirando un lungo sospiro di sollievo, che le morì in gola poco dopo.
Merda… non ho cancellato i messaggi a Joel!
 
-
 
James, fortunatamente, non indagò nei suoi messaggi, si limitò a chiudere il telefono in un cassetto per due giorni. Rachel ringraziò Dioniso, Apollo, Zeus e tutti gli Dei dell’Olimpo per averle fatto questa grazia. Sabato mattina ottenne di nuovo il telefono e scrisse a Ruth. Organizzarono la serata e si incontrarono nel tardo pomeriggio per una sessione di trucco e parrucco estrema. Questa volta concordò una versione con Megan. Disse ai suoi che avrebbe fatto un pigiama party da lei e concordarono una versione da dare in caso i suoi telefonassero (e molto probabilmente l’avrebbero fatto). Rachel si presentò anche a casa Weaver e finse di salire in stanza con Megan, per poi sgattaiolare fuori di nascosto. Rachel benedisse l’amica in ogni modo possibile, sapendo di essere in debito!
Quel giorno scoprì un nuovo lato di Ruth, ancora più giocoso e spensierato, così come quello delle sue amiche. Tutto accadde appena fuori città, a nord, sul pianale del pick-up di Truman, con capelli bruni trasandati e un paio di baffi a manubrio, vestito di jeans logori dalla testa ai piedi, con un teschio in fiamme cucito sulla schiena del suo giubbotto dalle maniche strappate. Mentre Ruth, Lyli e Claudia giocavano con la faccia di Rachel e le facevano provare un vestito dietro l’altro, Truman leggeva Così parlò Zarathustra di Nietsche. Più tardi Rachel avrebbe intrattenuto con lui un lungo discorso su quel libro.
Alla fine il make-over di Rachel diede i suoi frutti. Indossava un giubbotto di jeans nero, una maglietta degli Iron Maiden, entrambi gli orecchini di piuma, il suo artiglio d’orso appeso al collo, un paio di leggins strappati con sopra degli shorts di jeans. Claudia, che aveva più o meno la sua taglia, le prestò un paio di anfibi con suole e tacchi particolarmente spessi. Per passare come maggiorenne dovevano farle guadagnare qualche centimetro! Poi il trucco… il più pesante che Rachel avesse mei messo. Le disegnarono anche delle finte rughe. Si sentiva come se dovesse salire sul palco e recitare in una commedia. In effetti era quello che doveva fare, almeno per entrare in questo fantomatico Vecchio Mulino…
Quando fu l’ora, con Truman alla guida, le tre ragazze si strinsero sui sedili del pick-up. Il mezzo si diresse per un po’ verso nord per poi svoltare a destra in uno sterrato. In tutto ci vollero quaranta minuti per arrivare e una volta scesi, Rachel si trovò di fronte ad una struttura cadente, dal cui interno proveniva ovattato il suono di una band che suonava. C’erano macchine parcheggiate ovunque, resti di antiche rotaie, un grosso vagone arrugginito ancora inserito in uno degli ampi ingressi del capannone principale, un falò e motociclette parcheggiate in lungo e in largo. A Rachel non sfuggì un bianco e sporco camper, più isolato rispetto agli altri mezzi.
Come volevasi dimostrare, il gruppo fu fermato all’ingresso da un imponente buttafuori. Rachel, anche con le suole spesse e i tacchi che le facevano guadagnare una decina di centimetri, arrivava a stento al petto di quell’enorme individuo con la mascella squadrata, dilatatori neri alle orecchie, anello al naso e piercing sotto il labbro, con tatuaggi tribali in faccia e su metà del corpo.
“Hey Rodney!” lo salutò Truman, che gli porse la mano come ad un vecchio amico.
L’omone rimase immobile, braccia conserte, a fissarlo con la testa inclinata: “Quante volte ti ho detto che non mi devi chiamare così?” la sua voce era profonda quanto ci si aspettava che fosse.
“E’ il tuo nome amico!”
“Il mio nome è Thunder, Truman Show!”
“Oh scusa… ‘Thunder’!” Truman sottolineò con artificiosa solennità il nome, condendo il tutto con ostentati gesti aulici. Rachel non era convinta che lo scherno fosse la strategia migliore con un tizio che poteva staccargli le braccia a mani nude…
Il buttafuori lo fissò per un lungo momento, con gli occhi socchiusi e minacciosi. Poi proruppe in una fragorosa e calda risata. “Testa di cazzo!” disse mentre spalancava le enormi braccia e avvolgeva Truman in un abbraccio ricambiato “Dov’eri finito stronzo?!”
“Mi hanno spedito a far consegne in Nevada…” disse Truman.
“Almeno fosse stata la California! Non c’è un cazzo di niente nel Nevada.”
“L’Arizona è peggio fidati…”
“Dipende… per viverci di sicuro. Per viaggiare in moto è il massimo!” Thunder fece un cenno verso la fila di Harley parcheggiate a pochi metri da loro.
“Ne sono sicuro! Quindi ci fai entrare?” disse Truman.
Thunder sorrise e spostò lo sguardo indagatore sulle ragazze che fino a quel momento aveva completamente ignorato.
“Ruth! Scusa se non ti ho cagata…” ridacchiò l’uomo.
“Tranquillo so che sei un maschilista di merda…” ammiccò lei di rimando provocando una nuova risata.
Anche Lily e Claudia ricevettero un saluto, ma quando lo sguardo si posò su Rachel gli occhi si strinsero di sospetto.
“E tu? Non ti ho mai vista!”
Rachel fece per rispondere, ma Ruth si intromise: “E’ una mia amica, ci iscriviamo al Community College insieme quest’anno!”
“E’ anche muta?”
“No parlo benissimo!” disse Rachel prendendosi spazio.
“Come ti chiami?”
“Jess!”
“Mi sembri un po’ piccola Jess!” Thunder le si avvicinò sovrastandola con la sua mole.
“Qualcosa contro le ragazze basse?” disse lei fingendo di fraintendere. Thunder inarcò un sopracciglio.
“Già… qualcosa da ridire sulla statura?” incalzò anche Claudia reggendole il gioco.
“Hai un documento?” chiese Thunder incurante.
“Succede tutte le volte…” sbuffò Rachel dandosi una pacca sulla fronte “Che cazzo… forse tra una decina d’anni mi sarà utile dimostrare qualche anno di meno ma adesso è davvero uno stress…” Rachel finse di cercare nella borsa. Sperò che qualcuno le venisse in soccorso.
“Senti amico, che problema c’è? È con noi, non ti fidi?” disse Truman.
“Ragazzi lo sapete per chi lavoro. Non è uno con cui si scherza…” il viso di Thunder si contrasse in un’espressione piuttosto seria. Rachel ripensò a tutti i discorsi sulle losche frequentazioni di quel luogo e improvvisamente si chiese se fosse stata una buona idea…
“Si lo sappiamo” disse Ruth “e non penso che controlli personalmente chi entra o esce giusto? Ha affari più grossi cui pensare…”
Thunder si massaggiò il mento, giocherellando con il piercing sotto il labbro, infine sospirò.
“Ok, fanculo. Entrate. Ricordate che ho controllato i documenti a tutti.”
“Sei il migliore Thunder!” esultò Truman.
“Si certo… voi stronzi mi farete finire nei casini un giorno…” bofonchiò in risposta.
Il gruppo superò il buttafuori, aprì la cigolante porta di legno alle sue spalle e Rachel fece il suo primo ingresso al Vecchio Mulino.
 
-
 
Dopo quella sera, Rachel iniziò a frequentare più spesso l’ambiente underground di Arcadia Bay. Era solo una ragazzina, quasi una mascotte per loro. Ruth non viveva ad Arcadia Bay, ma Lily e Claudia sì, mentre Truman, da camionista, andava e veniva facendo i suoi pit stop al Two Whales.
Andò con Megan a Portland per vedere Once Upon a Time, accompagnate dai suoi nonni, ma Rachel non se la sentiva di rimanere ad Arcadia Bay. Aveva ancora bisogno di evasione, così riuscì ad ottenere dai suoi il permesso per una seconda vacanza che avrebbe pagato con i soldi del suo compleanno. Quando disse che sarebbe partita con Ruth, Rose ne fu rassicurata e nonostante qualche smorfia anche James fu convinto. La ragazza appariva una compagnia affidabile agli occhi di sua madre, che ignorava del tutto il fatto che avesse portato la sua figlia adorata in un covo di spacciatori! Sapendo che sarebbe stato un viaggio on the road, James comprò un grosso kit d’emergenza da tenere in macchina in caso di necessità, con la promessa di telefonare ogni giorno, mattina, mezzogiorno e sera. Rachel accettò senza fiatare ogni condizione, purché potesse partire.
La vacanza durò fino ai primi di settembre, a bordo del pick-up di Truman che Ruth aveva convinto a prestarle. Oltre lei e Rachel c’erano anche Claudia, Lily con il suo ragazzo Daniel e il fratello di Ruth, Isaac. Superata Tillamook, il tragitto li condusse a Pacific City, poi Sheridan, Salem (quella dei processi alle streghe!), Albany, Eugene, Roseburg (città natia di Megan e dove ancora viveva sua madre), attraversarono Wolf Creek Park e superarono Medford oltre la quale, a pochi chilometri, si trovava il confine di stato. Rachel fantasticò a lungo durante quelle giornate on the road, dormendo sotto le stelle tutti ammassati nel pianale, avvolti da tre piumoni, che a poco a poco si riducevano più si andava a sud. Erano passati sette anni dall’ultima volta che era stata in California, aveva abbandonato le speranze di tornarci prima dei diciott’anni e l’idea che quella fosse la meta del viaggio la emozionava profondamente. Certo, non si stava trasferendo, ma era il principio che contava. Quando raggiunsero il confine di stato Rachel fece fermare il pick-up, scese e con grande cura scattò una foto della strada e del cartello che comunicava “California” con il simbolo dell’orso ben in vista. Quando tornò a casa, quella foto fu appuntata sulla sua bacheca con un commento scritto:
Road Trip!!
Avrebbe dovuto ricordare sempre quel momento. Il momento in cui aveva sperimentato che la California non era così lontana e che tornarci era possibile! Che andare ovunque volesse era possibile.
Mangiarono cibo spazzatura, fumarono, bevvero, esplorarono boschi, fecero i turisti nelle città che incontrarono e passarono serate meravigliose in pub isolati, ascoltando musica dal vivo. Quando tornarono ad Arcadia Bay, Rachel appuntò in bacheca una loro foto di gruppo, scattata al Greenhorn Park, vicino a Yreka.
 
Non molto tempo dopo il suo ritorno, Rachel dovette prepararsi per il rientro alla Blackwell. Lo fece come figlia del nuovo Procuratore Distrettuale della Contea. Infatti, tutti gli sforzi di James furono premiati con la vittoria elettorale. L’immagine di Miss Perfettina Amber fu amplificata e ben presto Rachel scoprì che, come temeva, la campagna elettorale non finiva mai. Che lo volesse o no, l’immagine pubblica di suo padre impattava su di lei e sulle aspettative che più o meno chiunque aveva nei suoi riguardi.
Rachel andò avanti, come faceva sempre.
Non si voltava indietro, farlo avrebbe significato fermarsi…
Se si fosse fermata avrebbe visto…
E non voleva vedere…
Non voleva sapere…
Era molto meglio fluire insieme agli eventi e renderli sopportabili, piuttosto che fare qualcosa per cambiare davvero le cose.
Come fermarsi, guardarsi allo specchio e riflettere.
 
Il flusso umano della Blackwell era qualcosa di spaventoso e intrigante allo stesso tempo. Un fiume con innumerevoli affluenti in cui, nonostante tutto, amava bagnarsi.
Ed in quel fiume nuotava anche Chloe Price.
 
-
 
“È un bene che io desideri lasciarmi alle spalle questo mondo deprimente per cercare un’utopia che forse non troverò mai?”
Henry Kendall
 
“Le persone mi hanno sempre detto che crescere non riguardava mai la destinazione,
ma il viaggio.
E se la destinazione ... sei tu ? ”

Mr. Robot
 
Always said I was a good kid
Always said I had a way with words
Never knew I could be speechless
Don't know how I'll ever break this curse
 
Now the world is only white noise
Frequencies that I can't understand
I can't be bothered with the teachers
Always trying to shape the way I act
 
Burn it down, burn it down, burn it down, burn it down
 
I'll set fire to the whole place
I don't even care about our house
It's not the same in here since he left anyways
 
Burn it down, burn it down, burn it down, burn it down
 
Always said I was a good kid
Always said I had a way with words
Never knew I could be speechless
Don't know how I'll ever break this curse
 
Now the world is only white noise
Frequencies that I can't understand
I can't be bothered with the teachers
Always trying to shape the way I act
 
Burn it down, burn it down, burn it down, burn it down
 
Momma told me all of this is
Just a place we have to settle for
Less than anything we dream on
We'll continue to be disappointments
 
I feel down, I feel down, I feel down, I feel down
I feel down, I feel down, I feel down, I feel down
 
Burn it down, burn it down, burn it down, burn it down
Burn it down, burn it down, burn it down, burn it
Burn it, burn it
 
Burn it Down - Daughter

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Capitolo 7
*** Found somebody to mend you ***


Found somebody to mend you

 
"B-beh... tutti perdono le cose che amano" concluse Chloe,
i suoi occhi che minacciavano di riempirsi di nuovo di lacrime
mentre sprofondava la faccia nella spalla di suo padre,
le palpebre incapaci di rimanere aperte.

"È vero", ha ammesso papà.
“Ma tutti scoprono anche cose nuove da amare."

All Wounds - Destiny Smasher
 
BAM! BAM! BAM!
"Chloe!!"
Una voce baritona urtò le orecchie di Chloe, ancora immerse nel sonno.
Avvolta casualmente dalle lenzuola, strisciò con la testa sotto il cuscino cercando di soffocare i suoni del mondo esterno e ritrovare quelli del suo sogno.
Il calore del corpo di suo padre contro il viso.
La sua voce dolce e ferma al tempo stesso...
BAM! BAM! BAM! BAM!
"In piedi soldato! Non costringermi a entrare!"
"Mmmpfhhh..." piagnucolò Chloe gettando goffamente via il cuscino. Lo sentì urtare contro qualcosa che cadde.
"Chloe?!" David non voleva demordere.
La ragazza si spostò su un fianco come una foca sonnolenta e mise a fuoco la sveglia.
6.33
"Ma porca putthhhnnn..... non sono neanche le sette!!"
"Entro cinque minuti ti voglio di sotto per colazione o ti butto giù dal letto!"
BAM!
L'ultimo colpo sulla porta fu una sottolineatura.
Come dire "cazzo quanto faccio sul serio!"
 
"Vaffanculo cazzo..." Chloe si strofinò selvaggiamente gli occhi.
Ormai era definitivamente sveglia. Suo padre era una presenza ricorrente nei suoi sogni, che erano cambiati a quasi un anno dalla sua morte. Non li ricordava mai bene, purtroppo svanivano in fretta quando il mondo reale bussava rudemente alla porta. Rimanevano solo flash, frammenti di ricordi o di eventi mai realmente accaduti.
La luce filtrava dalle finestre e lambiva il suo letto.
Era stata molto furba a spostarlo in quella posizione, mai più l'alba molesta l'avrebbe svegliata prima del tempo!
Già... ora ci pensa David...
6.36
Merda!
Sapeva che quando David prometteva qualcosa, la faceva. Soprattutto quando era qualcosa di molesto nei suoi confronti. Aveva ancora due minuti per mettersi dei pantaloni, pisciare e scendere...
Ma come Cristodiddio Joyce poteva davvero stare con uno così??
Chloe aveva deciso che sua madre aveva totalmente perso la testa, era così triste e disperata che si era gettata fra le braccia del primo che le desse attenzione. Il primo e anche il peggiore... con i suoi terrori notturni di merda e le stronzate sulla disciplina e...
6.37
CAZZOCAZZOCAZZO!
Chloe balzò giù dal letto e con rapidità inaudita si infilò i primi pantaloni che trovò a portata di mano, una tuta grigia e puzzolente che NON aveva messo da lavare... chissene frega!
Si voltò verso il mobile accanto al letto, fissando lo sguardo sulla foto che vi aveva attaccato.
"Scusate Pà e Max... oggi non posso salutarvi come si deve..." bisbigliò mentre si avvicinava alla porta, saltellando su un piede mentre infilava il secondo calzino di Super Mario.
Quanto cazzo ero nerd?!
Aprì la porta, lasciandola volutamente socchiusa per segnalare che si era alzata e si gettò in bagno.
Chiuse la porta giusto in tempo, perché i passi pesanti di David sulle scale non si fecero attendere.
"Chloe?!"
"Sono al cesso cazzo! Vuoi venire a controllare??"
"Linguaggio! Vedi di fare in fretta, sei già in ritardo!"
"Semmai sono in anticipo! Grazie a te! La mia sveglia è puntata alle 7 per Dio!"
SBAM!!!
Il colpo, che fece vibrare la porta del bagno, colse Chloe alla sprovvista facendola indietreggiare. Tutti i peli del corpo si drizzarono, un brivido di freddo le percorse la schiena, i sensi si acuirono e le gambe si attivarono. A che serve il caffè quando hai David?
"Ho detto, linguaggio! Fa in fretta, tua madre non ha tutto il giorno da dedicarti!"
"Al contrario di te che non hai un cazzo di lavoro giusto?"
Silenzio.
Chloe rimase come sospesa.
Forse l'aveva di nuovo spinto oltre? Avrebbe avuto un'altra delle sue reazioni estreme di cui poi si sarebbe scusato come se risolvesse tutto?
Dall'altro lato della porta l'uomo prese un profondissimo respiro.
"Fai.In.Fretta!"
I passi si allontanarono di corsa accompagnati da un ringhio sordo...
Chloe sospirò di sollievo.
Si voltò verso lo specchio massaggiandosi la fronte, con il cuore che le batteva in gola. Notò distrattamente i suoi occhi arrossati e cerchiati di viola, i capelli anarchici e i segni delle lenzuola che le attraversavano ancora il viso come cicatrici di guerra.
Ora il caffè le serviva per calmarsi...
 
-
 
Quando Chloe scese trovò Joyce che rigirava il bacon in padella. Il viso era fin troppo serio. Ovviamente David era tornato giù imbufalito, le aveva raccontato qualche stronzata sul suo comportamento e ora mamma ce l'aveva con lei.
Tipico.
Ormai era così.
"'Giorno!"
"La colazione è pronta..." disse freddamente Joyce.
Eccola lì... mamma passivo-aggressiva dell’anno!
David era seduto al tavolo nel posto che aveva usurpato, con il giornale davanti, una penna nella mano destra e una tazza di caffè nella sinistra. Alzò la testa quando Chloe si palesò nella stanza, ma non le rivolse nemmeno uno sguardo e tornò subito a farsi assorbire dagli annunci di lavoro. Non poi molti ad Arcadia Bay...
"Grazie..." rispose Chloe a sua madre mentre si versava del caffè nella tazza che aveva decorato da bambina. Ci aveva disegnato un ritratto di Bongo…
Joyce non disse altro e si limitò a porgerle il piatto.
Chloe lo prese. No, quell'atteggiamento non lo sopportava:
"C'è qualche problema?" disse cercando di non alzare subito il tono.
Joyce si voltò verso di lei e i suoi occhi azzurri la congelarono. Il viso di Joyce sapeva esprimere così tanta dolcezza, amorevolezza, calore... tanto quanto sapeva trasformarsi in fredda e durissima pietra.
"Visto che me lo chiedi..." il suo tono basso e calmo aumentava l'effetto "...il tuo atteggiamento verso David non va. Dovresti scusarti con lui per ciò che gli hai detto poco fa."
"Come volevasi dimostrare..." Chloe alzò gli occhi al cielo e se ne andò ad ampie falcate verso il tavolo, raccogliendo un paio di posate lungo il tragitto.
"Il patto era che lui avrebbe cercato di migliorare e tu non l'avresti più provocato. Direi che hai violato il patto. Di nuovo..." proseguì Joyce, piantandosi di fronte a sua figlia con le braccia sui fianchi, in piedi dall'altro capo del tavolo, accanto a David, che faceva il vago continuando le sue ricerche sul giornale.
"Si beh... del resto è sempre colpa mia no? Mein Fürer qui non sbaglia mai..." fece un cenno del capo verso David prima di infilarsi in bocca un'abbondante forchettata di uova e bacon.
"David sa quando sbaglia e almeno fa qualcosa per migliorarsi. Spero che, visto che sei al secondo anno, ci proverai anche tu."
"Oh giusto... la scuola..."
"Si, ricordi? Non ti sei chiesta perché David ti ha svegliata prima oggi?"
"Cos'è credevate che mi sarei scordata di alzarmi? Ho puntato la sveglia alle 7 apposta... Cazzo Mà, davvero?!" e Chloe si incazzò sul serio. Le posate caddero sul piatto, ancora per metà pieno di cibo.
"Non finisci?"
"Mi è passata la fame..." disse la ragazza allontanandosi a testa bassa come un toro.
"Chloe!" la voce di Joyce la inseguì, ma Chloe era già in camera sua.
Sbatté la porta alle sue spalle.
Prese la cartella già pronta dalla sera prima e ci infilò dentro il suo kit con l'erba, le cartine e i filtri. Appena si fosse allontanata abbastanza da casa ne avrebbe avuto bisogno. Poi passò al guardaroba. Si levò quei pantaloni sudici e la maglietta della notte. Aveva bisogno di un look incazzato quel giorno. Aveva dormito poco, non si ricordava più il bel sogno che aveva fatto e David di merda le aveva già rotto le ovaie con la complicità di Joyce. Fanculo!
Maglietta nera dei Sepultura.
Che cazzo!
Pantaloni neri con strappi strategici sulle ginocchia e un teschio ricamato su una chiappa.
Così chi mi guarda il culo saprà cosa lo aspetta se ci prova...
Anfibi neri e logori che aveva indossato a lungo e ormai odoravano di morte, ma non le importava. La morte era un po' quello che voleva comunicare in fondo.
Si diede una sommaria rassettata ai capelli allo specchio e fu pronta ad andare.
Esitò.
Il cappello pirata e la benda.
Quella giornata di un milione di anni fa.
I ricordi si infiltravano sempre nella mente insidiosi e subdoli…
"Tu sei una su un milione Chloe Price..." disse Max, con benda e bandana, affacciata dalla finestra della soffitta.
Chloe la guardò dal cortile, cappello in testa, una cazzuola in pugno come fosse una spada…
“Cosa?”
Max sorrise
“Sono solo fortunata che tu sia la mia migliore amica! Tutto qui…”

 
E poi papà è morto… e tu te ne sei andata!
Scosse la testa.
Fanculo!
FANCULO HO DETTO!

Girò rumorosamente i tacchi e scese le scale sbattendo di nuovo la porta della sua camera.
Raggiunse l'ingresso.
"Dove vai?" chiese Joyce alle sue spalle, seduta al tavolo in salotto di fronte a David.
"Secondo te?? A scuola. Grazie al tuo ragazzo oggi arriverò in anticipo..."
Uscì furiosamente senza voltarsi.
Decise che sarebbe andata a piedi.
Era sicura che non avrebbe trovato nessuno della cricca skater a quell'ora, inoltre aveva ancora fame! Di solito non rinunciava mai alla colazione di Joyce, ma quel giorno...
Il fatto che sua madre stesse sempre dalla sua parte la mandava fuori di testa. Non aveva senso, era una cosa che non poteva accettare. Non poteva sopportare.
Fame!
Forse era colpa di quello stupido cappello e della benda, ma si sentiva sentimentale.
Non si diresse a scuola, ma verso l'Arcadia Bay Ave, dove le gambe l'avrebbero condotta alla sua vera meta.
 
-
 
CHIUSURA ATTIVITA'
 
Era proprio un giorno di merda...
Chloe se ne stava immobile davanti a quel cartello, sotto l'insegna di quello che era stato uno dei covi di Capitan Bluebeard e Long Max Silver. Il Pacific Steve's Famous Crab, con l'insegna spenta nella penombra dell'alba. Il logo a forma di granchio, privo di luce, sembrava triste quanto Chloe. In effetti era qualche mese che non passava da Steve. Il locale era una bassa struttura ottagonale, bianca e azzurra, che conteneva cucina, magazzino e bancone. Alle spalle una scala dava l’accesso alla spiaggia e la riva dell’oceano distava poche decine di metri, di fronte la strada principale, con tutto il suo via vai. Steve, sua moglie Ada e talvolta anche il fratello Brad si affacciavano per servire i clienti, che sedevano all'aperto su un piazzale di lastre in granito, su sedie e tavolini metallici, protetti da ombrelloni sia che piovesse sia che splendesse il sole. Qui per molto tempo erano stati partoriti piani di saccheggi e si erano compiuti lauti festeggiamenti dopo che le avventure erano concluse e il tesoro recuperato! Max adorava le frittelle di mais, Chloe andava pazza per i gamberoni. Amava mangiarli con le mani, rimuovere grezzamente l'esoscheletro, le zampette e le varie parti non commestibili. La faceva sentire così... pirata!
E anche questo non c'era più...
Andato.
Finito.
Chiuso.
Doveva essere una cosa abbastanza recente, comunque, perché all'interno dei vetri sporchi vedeva ancora il bancone, la cassa e altri scatoloni. Gli ombrelloni e i tavoli invece erano già stati portati via chissà dove.
Un altro foglio era attaccato sul vetro appena sotto il cartello di chiusura.
Chloe si avvicinò per leggere...
 
Fanculo...
Troppi tecnicismi...
Il succo era che Steve era fallito e la Fondazione Prescott aveva comprato l'attività per liquidarla. Prescott, gli stessi che le pagavano la borsa di studio alla Blackwell. A quanto pare diversificavano molto i loro affari. Chloe si chiedeva con sincera curiosità come facessero i ricchi ad essere così ricchi. Di sicuro non lavorando. Probabilmente ci nascevano e non facevano altro che comprare e rivendere cose costruite da altri con sudore e passione...
Eeeee fanculo anche a Steve, ai Prescott e al fatto che erano ormai le 7.14 e non aveva ancora fatto colazione!
Il Two Whales no... non le andava di rivedere sua madre, che probabilmente stava uscendo di casa in quel momento...
Vabbè...
Si sarebbe accontentata della Caffetteria della scuola. O magari no? Magari poteva salire su un pullman a caso e vedere dove la portava, o mangiare qualcosa di buono a Up All Nite Donuts e scappare senza pagare, o andare direttamente al supermercato e rubare un pacchetto di brioche o qualcosa del genere.
Poteva fare quello che le pareva.
No...
Per qualche motivo non le sembrava giusto saltare il primo giorno di scuola.
Un residuo della vecchia Chloe…
In passato dovevano esserci stati dei buoni motivi per pensarla così.
Niente che la riguardasse più, ormai!
Con un sospiro esausto e un'alzata di occhi al cielo, voltò le spalle per l'ultima volta a Steve's Famous Crab e fece rotta per la Blackwell, con gli auricolari che le sparavano una canzone punk a caso nelle orecchie…
 
-
 
Blackhell
Trovarsi di nuovo in quel posto era... strano.
Non poté evitare di ricordare il primo giorno di scuola dell’anno precedente. Tutto era diverso, suo padre era ancora vivo, Max era ancora ad Arcadia Bay. Allora era così felice di frequentare quella cazzo di scuola, di tornare a casa e poter raccontare a suo padre e alla sua migliore amica cosa aveva fatto, visto e imparato.
Mancavano esattamente 25 giorni a…
 
Chloe arrivò a piedi dal viale, decisamente aveva camminato già troppo per i suoi standard, i piedi in quelle scarpacce anfibie morivano di caldo, annegati nel sudore e torturati da misteriosi spigoli interni. Però, almeno, Chloe aveva avuto modo di calmarsi. Tre sigarette lungo il tragitto avevano aiutato.
Ed ora il campus era davanti a lei, pieno di facce vecchie e nuove.
Non era più una matricola e questo era già un bene.
Forse non le avrebbero rotto i coglioni come l'anno precedente. Andare a scuola era già una tortura anche senza gli altri studenti. Salì la breve scalinata e rivide il vecchio bronzeo Jeremiah che la fissava disgustato, come anche una lontana Marisa Rogers, le cui antenne da stronza si drizzarono al suo avvicinarsi. Chloe le restituì lo sguardo con sfida e si leccò lascivamente le labbra con un ghigno provocante. Marisa alzò gli occhi al cielo e tornò a ignorarla. Chloe rise fra sé.
Il fuoco si combatte col fuoco.
"Hey Chloe!"
La ragazza sobbalzò sentendo una voce alle sue spalle, più vicina di quel che si aspettasse. O di quanto fosse educato.
"Eliot! Cazzo..." Chloe si voltò e si trovò a pochi centimetri dal ragazzo. Poteva sentire il suo alito mattutino di caffè. Si allontanò di un metro e mezzo "Merda, Coso... vuoi farmi morire?" si strinse una mano sul petto.
Eliot lanciò uno sguardo insistente a quella mano, o alle tette intorno ad essa:
"Scusa!" si grattò la testa e distolse lo sguardo con un sorriso imbarazzato "Heh! Non pensavo di vederti così presto a scuola!"
"Sai... il mattino ha l'oro in bocca e quel genere di merda, giusto?" sghignazzò Chloe "E comunque per te è facile visto che vivi alla Blackwell!"
"Ehm... Giusto!" Eliot indossò quello che sembrava proprio un sorriso di circostanza.
"Tutto ok amico?" chiese Chloe.
"Si si! Tutto ok! Sono solo... felice di vederti!" Lo sguardo di Eliot imperversava caoticamente ovunque intorno a lui. Era così teneramente impacciato.
"Aaawwwww..." Chloe congiunse le mani al petto e si piegò in avanti come di fronte a un cucciolo smarrito "Sei così dolce!" caricò fortemente il tono.
"Hai già fatto colazione?" chiese Eliot con le guance rosse.
"No cazzo! Muoio di fame! Stavo puntando alla Caffetteria!"
"Ti va di farla insieme?" propose il ragazzo distogliendo ancora lo sguardo.
"Non l'hai già fatta?"
"Come lo sai??" chiese lui stupefatto.
"Sai di caffè!"
"Oh! Ah... si... certo! Ho preso un caffè alle macchinette!" si giustificò "Però anch'io muoio di fame!"
"Beh, allora sembrerebbe che i nostri obiettivi coincidano questa mattina!" disse Chloe con tono piratesco.
Eliot ricambiò con un sorriso.
 
-
 
Il panorama umano della Blackwell era sempre lo stesso e la Caffetteria era il luogo ideale per vederlo. Chloe non la frequentava spesso se poteva evitarlo, di sicuro mai al mattino. A pranzo si prendeva un panino e usciva per mangiarlo sola da qualche parte. A quell'ora la maggior parte dei presenti era composto da quelli che vivevano al dormitorio Prescott, altro gentile dono degli aspiranti padroni della città. Chloe vedeva solo tanti ragazzini viziati che vivevano su un altro pianeta.
Marisa con le sue due lacchè K. e S. sempre al seguito. C'erano sicuramente individui più meschini e Chloe ne aveva avvistati alcuni nelle classi superiori. I modelli di vita di Marisa probabilmente, per fortuna troppo superiori per accorgersi di lei o decidere di infastidirla. Marisa era sempre seduta allo stesso tavolo, come se fosse sua proprietà. Esattamente il genere di cazzate liceali da cui Chloe si teneva alla larga. Il tavolo degli sportivi, dei nerd, dei fighi, dei ricchi, dei poveri, del vaffanculo...
Prestava poca o nulla attenzione alle chiacchiere di Eliot. Si lasciava invece invadere dall'aroma del suo caffè che le riaccendeva i neuroni e dal gusto chimicamente dolce dei pancake, palesemente fatti con un impasto pronto. Merda ma con tutti i soldi che la Blackwell prendeva in rette e donazioni potevano almeno assumere un cuoco che cucinasse davvero! Beh, i carboidrati erano carboidrati.
"...quest'anno poi abbiamo anche la classe di Storia Americana!" concluse Eliot.
"Mh-hm..." annuì Chloe guardando altrove.
"Così potremo studiare insieme no? Come l'anno scorso!" proseguì Eliot, chiaramente in cerca di una reazione più... partecipe.
"S-si amico, è fantastico!" tentò Chloe.
Eliot strinse gli occhi e si fece serio.
"Non hai ascoltato una parola vero?"
Chloe sbarrò gli occhi e tese i lati della bocca, colta in fallo. Poi scoppiò a ridere.
"Scusa Coso! Fammi un riassunto." stavolta si sforzò di ascoltare.
"Ho detto che quest'anno ho fatto in modo di avere tutti i corsi base nella tua stessa classe!" ripeté Eliot con nuovo entusiasmo.
"Oh... Wow!" disse Chloe con una nota di stupore. Eliot ci teneva davvero a passare più tempo possibile con lei! La cosa la inquietava un po’, ma era sempre così quando riceveva quel tipo di attenzioni e ormai si era convinta di essere lei ad avere qualcosa che non andava. L’espressione di Chloe doveva rispecchiare la sua confusione, visto che Eliot la fissava con un misto di delusione e aspettativa nello sguardo.
"Così potremo studiare insieme come l'anno scorso, vero?" chiese Eliot, titubante.
"Eliot... mi conosci. Sai che odio studiare..." sbuffò Chloe riempiendosi poi la bocca con il caffè.
"Non è vero Chloe, una volta ti piaceva. E sei intelligente, più di tutti i manichini qui dentro!" si infervorò.
"Cavolo... grazie!"
"So che ne hai passate tante, ma voglio che tu sappia che ci sarò sempre per te."
"Lo so Eliot..." Chloe tentò di adattarsi al tono serio che la conversazione stava prendendo "... me l'hai detto tante volte. Lo apprezzo davvero, però..."
"Tienilo solo presente ok?" La interruppe.
Chloe si zittì, prese una forchettata di pancake e annuì.
 
In quel momento si levò un gridolino acuto dall'ingresso della Caffetteria. Tutti, Chloe compresa si voltarono. Una ragazza dai capelli lunghi e castani vestita con un maglione grigio e una gonna tartan arancione a righe verdi, faceva le feste ad un'altra ragazza ben più nota. Capelli biondi, maglietta dei Green Day, Jeans scuri strappati qui e là, camicia di flanella rossa, orecchini di piume blu.
“Rachel Amber…” disse Eliot vagamente sprezzante.
Le due si abbracciarono, Rachel presentò all’altra un ragazzo biondo vestito da fighetto e poi cominciarono a chiacchierare, camminando verso il bancone della Caffetteria.
“La conosci?” chiese Chloe a bocca piena.
“No!” si affrettò Eliot “E… tu?”
Chloe scrollò le spalle: “Nah… perché dovrei?”
“Già… Miss Perfettina del cazzo, vero?” commentò Eliot
Chloe non rispose, lo sguardo era ancora su Rachel, che a intervalli regolari faceva soste ai vari tavoli per salutare qualcuno, inclusa Marisa Rogers. Chloe era stranamente incuriosita. Rachel l’anno prima era diventata piuttosto famosa per essere una matricola, ma la cosa era facile da spiegare quando hai il papà Procuratore e talvolta vieni citata sui giornali della città e della Contea. Miss Perfettina Amber, quella che usciva coi ragazzi più grandi, coi voti alti e tutto il pedigree. Sembrava uguale agli altri, forse ancora più “uguale”, eppure qualcosa non tornava. Al contrario di Marisa, Rachel non sembrava mai guardare gli altri dall'alto in basso. Non che Chloe ci avesse mai avuto a che fare, quindi boh! E poi le aveva visto indossare diverse magliette interessanti, come quella dei Green Day di quel giorno, ma anche degli Iron Maiden, dei Clash, dei Pink Floyd... insomma... o era una poser o aveva ottimi gusti musicali.
Era sorprendente quante informazioni scoprì di avere su di lei.
Certo, molte gliele aveva fornite Justin, che da buon fattone allupato non mancava di avere una buona parola per ogni ragazza della Blackwell, Chloe compresa. Quando era fatto parlava sempre a macchinetta.
Era anche sorprendente che le fregasse qualcosa di quella tipa…
Sperava di essere ormai diventata immune al fascino artificioso di quel genere di persone. Invece sembrava proprio che dovesse lavorarci ancora un po’. All’inizio era Marisa ad averla attratta. Quando ormai sapeva che Max se ne sarebbe andata, Chloe voleva trovare una nuova amica. Forse erano i capelli scuri, come quelli di Max, o quel suo modo di fare riservato e un po’ raffinato, anche quello che le ricordava Max. Certo non i vestiti e il modo di parlare, era pur sempre un’altra persona! Chloe si era fatta attrarre… e Marisa si era rivelata un’arpia. Chloe si era illusa, come quando aveva creduto che Max non l’avrebbe mai lasciata… e poi l’aveva fatto. Pensava che anche suo padre ci sarebbe sempre stato, che non l’avrebbe mai abbandonata…
"Chloe?"
La voce di Eliot la recuperò dagli abissi siderali in cui la sua mente si era perduta. Forse le canne avevano bruciato un neurone o due anche a lei!
"Si! Ci sono!"
"Andiamo in classe?" Eliot era già in piedi con il vassoio in mano, pronto a restituirlo nell'apposito spazio al bancone. Per la verità erano due vassoi! Senza che lei se ne accorgesse aveva smobilitato anche il suo.
"Oh...ehm... si! Grazie per... il vassoio!" balbettò Chloe.
Lui sorrise.
"Di niente!" e andò a riporli.
Chloe lanciò un'altra occhiata in direzione di Rachel e del suo tavolo cui ora erano seduti altri personaggi a lei ignoti. No, fanculo. Non ci sarebbe più cascata.
Le persone ci sono, finché non se ne vanno.
Fingono di interessarsi, finché non lo fanno più.
Tutti mentono, nessuna eccezione…
A volte non sanno neanche di farlo, ma lo fanno.

Chloe fece spallucce.
Quando Eliot tornò, si recò di malavoglia alla prima lezione di Matematica dell'anno.
 
**********************
 
Il risveglio di Rachel quel 3 settembre fu pacifico.
Il viaggio con Ruth e gli altri in North California l'aveva ritemprata abbastanza da tornare a scuola con la carica e la presenza di spirito necessarie. Rose la accompagnò come sempre, anche se Rachel meditava di dirle finalmente che preferiva andare con lo scuolabus. Già era Miss Perfettina, vederla arrivare in Volvo tutte le mattine rischiava di alimentare troppo quella maschera, che seppur utile, non doveva diventare troppo ingombrante. Benché lo fosse già.
Durante il viaggio, ricevette un messaggio:
 
Nathan
  • Ciao! Sono vicino alla scalinata. Quella piccola che dà sul marciapiede giusto?
 
Le dita di Rachel corsero sui pulsanti del cellulare:
 
Rachel
  • Giusto! La tua guida sta arrivando resisti! ;-)
 
E infatti il ragazzo era lì. Aveva una camicia azzurra, pantaloni del completo blu, la giacca avvolta intorno all'avambraccio e uno zaino in vera pelle sulle spalle. Pettinatissimo, ordinatissimo.
Rachel provò un moto di tenerezza. Anche per un luogo come la Blackwell quel vestiario era davvero troppo... formale!
Rachel salutò sua madre, che notò Nathan.
"Buongiorno signora Amber!"
"Prenditi cura di mia figlia!"
Rachel diede una facciata al palmo della mano.
"Ehm... c-certo!" balbettò lui.
Rose ridacchiò fra sé e tra altri saluti e controsaluti ripartì.
 
"Uffh... scusa. Mia madre è sempre così eccitata dall'idea di accompagnarmi a scuola..." disse Rachel.
Nathan annuì senza replicare. Non aveva idea di cosa dire in effetti...
"Allooooora..." esordì Rachel "...bel vestito!"
"Ti piace?" disse lui ritrovando l’entusiasmo.
"Sssi... voglio dire... è un gran bel completo eh. Ma hai dato un'occhiata in giro?" provò a spiegare Rachel. Nathan sembrava non cogliere il messaggio.
"Nelle scuole in cui sei stato c'era una divisa?" azzardò Rachel.
"Si..." rispose Nathan un po' perplesso.
"Ecco. Si spiega tutto. Qui non c'è, non hai bisogno di essere così formale."
"Magari mi piace essere formale..."
"A NESSUNO piace essere formale. E di sicuro non piace a te!" Rachel sorrise e Nathan si lasciò illuminare.
"Si in effetti è vero..." ammise.
"Non preoccuparti, rimedio subito!" Rachel allungò le mani verso il colletto della camicia ma Nathan fece istintivamente un passo indietro.
"Che vuoi fare?" chiese preoccupato.
"Woah... calma Nate. Volevo solo sistemarti il look..." spiegò Rachel, sorpresa da quel comportamento "Posso?" fece un lento passo in avanti.
“Nathan perché?”
Sudore sulla fronte.
“Perché mi obblighi ad essere severo?”
Cuore che batte sempre più forte.
Sempre più forte.
“Devi impegnarti molto di più Nathan… non vuoi deludermi vero?”
 
Sbatté ripetutamente le palpebre e si ritrovò a fissare il viso perplesso di Rachel.
quel bellissimo viso, con il sole del mattino che rendeva i suoi capelli luminosi…
"S-si... scusami..." disse Nathan abbassando lo sguardo.
"Figurati. Lascia fare a me, ti fidi?"
"S-si!"
"Bene!" Lei sorrise di nuovo.
Le sue dita afferrarono dolcemente il colletto della camicia, Nathan iniziò a sudare e arrossire e pregò che Rachel non se ne accorgesse. Ma se ne accorse e le fece piacere. Slacciò due bottoni, tirò su le ali del colletto e le stropicciò un po' in modo che prendessero una forma più casual. Arrotolò le maniche della camicia e poi gli passò le mani fra i capelli, arruffandoglieli.
"Che cazz..." protestò Nathan.
"Ssssshhh... Sto lavorando!" lo bloccò Rachel. Dopo aver sconvolto la perfetta riga laterale di Nathan, lasciò che i capelli ricadessero secondo il loro naturale andamento e riordinò i ciuffi più ribelli. Quando ebbe finito fece un passo indietro con le braccia spalancate.
"Et voilà!" prese dallo zaino lo specchietto dei trucchi "Guardati!" un sorriso soddisfatto era stampato sul suo volto.
Nathan si guardò riflesso e sorrise compiaciuto a sua volta.
"Così va molto meglio!"
"Sono d'accordo!" convenne Rachel "Ora andiamo. In Caffetteria ci sono degli amici che voglio presentarti!"
Mentre lei si avviava, Nathan rimase fermo. Il suo sguardo percorse Rachel dalla testa ai piedi, percorse tutta la sua forma, seguì l'ondeggiare dei capelli e delle piume blu. Incantato.
Lei si voltò di scatto arrivata in cima e lui con un riflesso tardivo distolse lo sguardo.
Pregò che non l'avesse notato.
"Allora? Stai lì?" chiese Rachel.
Nathan prese un profondo respiro.
"Arrivo..." e la seguì all'interno.
 
In Caffetteria, ricongiungersi con Megan e il gruppetto delle Tardis Night fu bello. Un po' meno per Nathan, che sembrava riuscire a parlare solo per intercessione di Rachel. Provò a presentarlo ad alcuni dei suoi amici. Sperava davvero di poterlo aiutare ad inserirsi in quel nuovo ambiente. Non conosceva ancora bene Nathan, ma aveva capito una cosa fondamentale: aveva una famiglia davvero incasinata. Doveva averne passate tantissime, molte più di quanto dicesse.
La colazione in Caffetteria fu l'occasione per rivangare qualche bel ricordo estivo e rispondere a milioni di domande sul suo viaggio on the road Oregon-California. In tutto questo, a Rachel non sfuggì di essere osservata.
Voltandosi notò Chloe Price dall'altro lato della stanza.
Per un istante i loro sguardi si incrociarono
Rachel fece finta di nulla, ma quel piccolo episodio le rimase in mente.
 
-
 
“Molto bene!” disse Keaton “Sono molto felice che l’anno sia ricominciato e spero abbiate trovato stimolante questo esperimento!”
Dalla sua posizione classica nell’area palco, il professore osservava un’aula molto più piena del solito. Infatti, erano due le classi presenti quel giorno, sia matricole che ragazzi del secondo anno. La lezione era stata pressoché identica alla prima dell’anno precedente, con esercizi introduttivi e il gioco di “Chi mente meglio vince”. Solo che questa volta i nuovi studenti avevano lavorato fianco a fianco con ragazzi più esperti di un anno. Rachel e Nathan avevano lavorato insieme quasi tutto il tempo e lei aveva messo tutta sé stessa nel tentativo di farlo sciogliere un po’. Con scarso successo.
Durante il gioco del mentire, Nathan si era bloccato. Era rimasto paralizzato sulla sedia, davanti a tutti, in silenzio. Annichilito. Rachel si era sentita male per lui e aveva odiato le risatine di qualcuno nell’aula. Tipo Marisa… Keaton aveva tentato di metterlo a suo agio, ma alla fine si era arreso.
“Per le matricole, spero che siate tutti adeguatamente storditi! Il teatro non è per niente facile, ma tutti possono ottenere dei risultati in esso. Bisogna avere pazienza…” fece una pausa e guardò verso Nathan, il cui sguardo era perso da qualche parte nel pavimento “…secondo la mia esperienza, coloro che hanno le resistenze più forti all’inizio, poi dimostrano il talento maggiore!”
Rachel si voltò verso il ragazzo e gli diede una gomitata. L’intento era di sottolineare l’incoraggiamento di Keaton, palesemente rivolto a lui. Nathan le restituì uno sguardo pieno di vergogna e tornò a fissare il pavimento, nella sua posizione gobba.
Rachel non sapeva cosa provasse per lui in quel momento. Pietà? Tristezza? Curiosità?
Non era solo timidezza quella. Era terrore.
Ma di che cosa?
“Spero che i miei studenti del secondo anno vi abbiano aiutati a dovere. Non è un caso che abbia unito le due classi ed eccomi giungere al punto…” Keaton fece alcuni passi sul ‘palco’ sottolineando con la consueta gestualità ogni parola, perfettamente cadenzata “…il tema di quest’anno sarà una delle opere minori del Bardo. Con la professoressa Hoida e il professor Cole ci siamo accordati per un progetto ambizioso. Come sapete, ogni anno le mie classi mettono in scena delle piece teatrali, a volte dei veri e propri spettacoli. Quest’anno sono stati stanziati dei fondi molto generosi per il comparto delle materie artistiche, così la Blackwell ospiterà la sua prima produzione teatrale completamente autonoma!”
Il gruppo di studenti ancora non sembrava cogliere la portata dell’informazione. Nathan sollevò la testa quando Keaton accennò alle donazioni. Evidentemente ne sapeva qualcosa, pensò Rachel.
Sean Prescott colpisce ancora.
“Le due classi qui presenti avranno l’onore di dare vita a questo ambizioso progetto!” annunciò infine Keaton, scatenando esattamente il brusio concitato che si aspettava. Rachel aveva imparato a conoscere il suo professore preferito, notava perfettamente come Keaton impostasse le sue lezioni come delle performance e come godesse nell’ottenere dagli studenti esattamente le reazioni che si aspettava. Rachel aveva tentato fin dall’inizio di coglierlo in fallo, di sorprenderlo, ma sembrava impossibile!
E comunque…
Recitare in una commedia di Shakespeare?!
Lei??
Sentì il cuore accelerare, lo stomaco formicolare felicemente e sorrise così tanto da avere i crampi alle guance.
“Quale commedia??” chiese istintivamente, ponendo fine al brusio senza volerlo e attirandosi addosso lo sguardo di tutti, soprattutto quello irritato di Marisa.
“Hah! Miss Amber! Sospettavo che me l’avresti chiesto per prima!” Keaton la guardò in modo furbo e le ammiccò “Realizzeremo La Tempesta. Si tratta di una commedia piuttosto semplice, non uno di più grandi capolavori di Shakespeare, ma è ottima per un lavoro di gruppo. Ogni settimana del primo semestre le due classi lavoreranno insieme in questo giorno, le altre lezioni della settimana le faremo divise. Inoltre, alcune lezioni di Letteratura con la prof Hoida saranno dedicate specificamente alla Tempesta di Shakespeare, mentre con il prof. Cole affronterete più in dettaglio la progettazione e realizzazione tecnica delle scenografie. Miss Gingrich ne sa qualcosa!”
Steph si trovò per alcuni istanti al centro dell’attenzione, vistosamente imbarazzata.
“Domande?” chiese Keaton.
Diverse mani si alzarono, tra cui una che Rachel avrebbe tagliato.
“Miss Rogers?”
“Non crede che sia un po’… prematuro?” Marisa sembrava piuttosto titubante.
“No!” rispose Keaton senza perdere il suo sorriso indecifrabile.
“Ma… verremo valutati per questo?” aggiunse Marisa.
“Ogni studente verrà valutato a seconda delle sue prestazioni durante tutto l’anno e nel test finale, che riguarderà il suo ruolo nella Tempesta, qualunque esso sia. Esattamente come l’anno scorso Miss Rogers. Sei preoccupata?”
“No! Intendevo che forse per delle matricole potrebbe essere troppo no? Non sono stati tutti in grado di fare l’esercizio del mentire…” mentre parlava non distolse lo sguardo dal professore, ma Nathan si sentì comunque osservato.
“Che problemi hai Marisa?” sbottò Rachel.
Calò il silenzio.
“Scusami?” Marisa si voltò verso di lei facendo ondeggiare il caschetto moro.
“Hai capito bene… l’anno scorso neanche tu eri un granché, eppure sei migliorata. Perché devi giudicare qualcuno che lo fa per la prima volta?” Rachel cercò di tenersi calma, ma sentiva già il sangue migrarle al viso. Nathan fissò su di lei uno sguardo incredulo.
“Io almeno ho parlato la prima volta. Oggi qualcuno non è riuscito nemmeno a rispondere alle domande…”
“Quanto puoi essere…” Rachel stava per partire alla carica, ma Keaton alzò una mano e schioccò ripetutamente le dita catturando l’attenzione di tutti.
“Miss Rogers. Miss Amber.” Il suo tono pacato e saldo fu come una secchiata d’acqua su un falò “Non vi ho insegnato nulla? Nel teatro prendiamo le nostre emozioni e diamo loro la forma che vogliamo, non il contrario!” il tono era basso ma molto, molto fermo “Ciascuno ha i suoi tempi e le sue inclinazioni. Non importa da dove si parte, importa quanta strada si percorre. Inoltre, l’unico che ha diritto di giudizio sul lavoro degli altri in questa classe sono io, tranne quando specifico TEMPORANEAMENTE in modo diverso. Chiaro?”
“Chiaro…” dissero più o meno all’unisono Marisa e Rachel, senza che i loro sguardi smettessero di lanciarsi saette.
La campanella infine suonò e tutti balzarono in piedi pronti a cambiarsi e dileguarsi alla prossima lezione. Mentre Keaton dava ultime frettolose indicazioni, perfettamente conscio che nessuno o quasi vi avrebbe prestato attenzione, Rachel si voltò verso Nathan.
Sparito.
Lo cercò con lo sguardo, ma trovò invece Marisa.
“Trovo molto dolce che tu difenda il piccolo Prescott…” gli occhi azzurri erano glaciali. Quelle iridi sarebbero state davvero meravigliose se non fossero state piene di livore gratuito.
“E io trovo meschino che tu lo attacchi velatamente davanti a tutti. Ti ha fatto qualcosa di male per caso?” Reagì Rachel, in modo molto controllato.
“No. Ma è una matricola, deve capire come funziona da queste parti, anche se si chiama Prescott. Suo padre probabilmente sarebbe d’accordo con me!” sibilò Marisa.
“Devono averti trattata davvero male da piccola…” commentò Rachel guardando Marisa con pietà.
“Forse ti avevo giudicata male Amber. Del resto avrei dovuto capire che qualcosa non andava, tutte quelle magliette di band di merda… non sai neanche cos’è la vera musica!”
“Pfff… disse quella convinta che Paganini sia una catena di ristoranti italiani…” Sghignazzò Rachel, indecisa se provare pena o fastidio.
“Uno a zero per me…” gongolò Marisa.
“Se così ti piace…” Rachel le sorrise e le fece cenno di andare.
E Marisa obbedì, ritirandosi impettita.
“Ma che cazzo…” disse Steph raggiungendo il fianco di Rachel “E’ stata crudele…”
“La solita MariSuck Rogers… hai visto che fine ha fatto Nathan per caso?”
“Si, è schizzato dietro il separé dei maschi appena è suonata la campana.” Indicò l’ampio fondale nero in fondo all’aula dietro il quale si cambiavano i maschi, dal lato opposto rispetto alla stanza dei camerini riservata alle ragazze “Siete amici?” aggiunse.
“L’idea è quella.” lo sguardo di Rachel era pieno di preoccupazione.
“Gli passerà. Il teatro è difficile, non so come facciate tu e gli altri! Io mi trovo molto più a mio agio dietro le quinte!” Steph tentò di alleggerire e Rachel la assecondò.
“Lo so! Potrei dire che sei la migliore, ma sarebbe conflitto di interessi visto che hai curato il mio monologo dell’anno scorso!”
“Pfft… Sono la costumista e scenografa personale della prima della classe, quindi sono la migliore anch’io. Per osmosi!”
“Mi sembra sensato!” ridacchiò Rachel.
“Ehm…” le due ragazze si voltarono, incontrando lo sguardo filtrato dal paio di lenti rotonde di Kelly. La ragazza aveva i capelli castani raccolti in una crocchia, una frangetta curata e una maglietta verde pastello con disegnata Evinrude, la libellula di Bianca e Bernie.
“Mi dispiace…” continuò Kelly “Marisa fa la stronza a volte.” l’imbarazzo sul suo viso era evidente.
“Si lo fa…” confermò Steph.
“Beh… lei… non sempre lo fa apposta. Avrei voluto parlare con Nathan ma è corso via…” continuò Kelly prendendo un po’ di coraggio.
“È andato a cambiarsi” disse Rachel “Quello di Marisa è stato un colpo basso, ma a scuola ci si fa l’abitudine. Tu ed io lo sappiamo no?” sorrise alla ragazza, con cui aveva condiviso qualche pigiama party e dei pomeriggi di shopping insieme a Sarah e Marisa. I loro discorsi erano sempre stati molto superficiali e comunque, Kelly non era mai venuta a parlarle in assenza di Marisa. Prima di quel momento.
“Non trovi fantastico il progetto di quest’anno?” Kelly cambiò di colpo argomento e il suo tono si alzò di due tacche, riempiendosi di gioia.
Steph la fissò con curiosità, inarcò un sopracciglio e sorrise lanciando uno sguardo a Rachel.
“Totalmente spettacolare! Io AMO Shakespeare! Ho la sua opera completa e l’ho letta tutta! È dall’anno scorso che speravo di recitarne una un giorno… ed ecco fatto!”
“Già… Keaton è un grande. Chissà che ruoli avremo!” continuò Kelly.
“Non ce ne sono molti nella Tempesta in effetti! Prevedo un bagno di sangue…” commentò Steph.
“Conosci La Tempesta?” Rachel la guardò con ammirazione.
“Beh… sì! Ti stupisce?”
“Non ti facevo un’amante di Shakespeare.” Rachel si salvò in corner.
“Se ami il fantasy ami Shakespeare, almeno un pochino. Macbeth... Sogno di una notte di mezz’estate… e la Tempesta per esempio!” spiegò Steph ostentando la sua preparazione con una punta di spocchia intenzionale.
“Sono colpita!” ammise Rachel.
“Anch’io adoro Sogno di una Notte di Mezz’estate!” esclamò Kelly “Le atmosfere fantastiche sono le mie preferite!”
“Allora in te c’è una nerd latente!” commentò Steph.
“Non saprei…” disse la ragazza sistemandosi gli occhiali tondi.
“E’ un lungo e faticoso percorso… non tutti ce la fanno!” scherzò Steph. Le tre ragazze scoppiarono a ridere.
“Kelly?” la voce di Marisa colse la ragazza alla sprovvista, che parve gelarsi sul posto. Svestita la tuta griffata per la lezione di Keaton, la ragazza era tornata nel suo dolcevita bianco, con gonna nera, collant scuri e un paio di scarponcini di Chanel.
“Si?”
“Che combini? Non ti sei ancora cambiata!”
“Beh… c’era un sacco di gente. Aspettavo si liberasse un po’ di posto…” si giustificò mestamente Kelly, con imbarazzato stupore di Rachel e Steph.
“Uffh… io devo andare ad Algebra ora. Non posso aspettarti.” E si incamminò senza voltarsi. Lo sguardo di Kelly era tra lo stupito e il deluso. Poi un lampo di risolutezza la attraversò e fece spallucce.
“Beh, mi andrò a cambiare… ci vediamo più tardi!” disse Kelly prima di incamminarsi verso i camerini.
Anche Steph la seguì di lì a poco e Rachel rimase sola. Voleva parlare con Nathan, che ancora non si era fatto vedere. I ragazzi si cambiavano rumorosamente. Erano usciti quasi tutti, ma di Nathan nemmeno l’ombra. E Rachel era stata attenta.
“Miss Amber? Non hai lezione?” chiese Keaton mentre radunava le ultime cose dalla cattedra, vedendola ancora lì mentre gli studenti a poco a poco lasciavano l’aula.
“Si, ma ho ancora tempo…”
Fu allora che Nathan emerse da dietro il separé. Capo chino, zaino in spalla, vestiti messi disordinatamente, schiena curva in basso come il suo viso. Ad ampie falcate la superò senza nemmeno guardarla.
“Nate?” lo chiamò lei stupita.
La risposta fu una specie di ringhio
“Aspetta!” ma lui accelerò ed in pochi attimi fu fuori dalla porta. Rachel rimase lì a fissare l’uscio, confusa. Keaton le si affiancò.
“Ragazzo singolare.” Commentò il professore.
“Si!” convenne lei.
“Non angustiarti Miss Amber. Ognuno ha i suoi demoni. Il teatro offre l’occasione di affrontarli e sottometterli. Un po’ come fa Prospero nella Tempesta.”
“Ma Prospero è un mago e sa come fare. Lui no…” commentò Rachel.
“Vero. Ma è anche vero che né tu né io possiamo combattere i demoni di qualcun altro. Possiamo essere di supporto, ma prima o poi ciascuno deve affrontarli da solo.”
Rachel si voltò constatando che il tono grave di Keaton si rifletteva sul suo volto, incredibilmente serio e intenso. Benché fosse un uomo avvezzo alla teatralità in ogni cosa, questa volta non c’erano filtri.
“Ora ti conviene davvero cambiarti, o farai tardi a lezione. Se così dovesse accadere inventati una buona scusa, ma senza tirarmi in mezzo!” Keaton le ammiccò mentre si dirigeva verso la porta.
“Va bene…” sorrise Rachel.
 
-
 
Rachel
  • Nate
  • Nathan?
  • Stai bene?
 
Nessuna risposta. Passarono il resto della mattinata, il pranzo in Caffetteria e parte del pomeriggio.
Niente.
Infine, durante Letteratura del XX secolo, il suo cellulare vibrò.
Nathan
  • Allenamenti football
 
Rachel tirò un sospiro di sollievo e una parte di lei si rilassò. Non sapeva di preciso perché, ma era preoccupata. Si sentiva responsabile per aver convinto Nathan a frequentare il Drama Club e vedere Marisa punzecchiarlo…
Si, la faceva sentire in colpa.
E voleva rimediare.
Al termine della lezione, l’ultima della giornata, Rachel fece rotta per il campo dei Bigfoot, dall’altro lato della strada rispetto alla Blackwell. L’allenamento si protraeva sempre oltre le lezioni per un’ora circa, cosa che aveva imparato l’anno precedente frequentando Drew North durante le uscite con Armond e gli altri della cricca. Aveva anche assistito a diverse partite insieme al suo ex. Si sistemò sugli spalti, mentre i Bigfoot si stavano ancora allenando sul campo e le matricole sulla pista di atletica venivano schiacciate dalla preparazione atletica del coach Edwards, come di consueto. Rachel individuò Drew sul campo, ma lui non la notò, concentrato com’era. Infine, vide anche Nathan. Non fu così difficile, bastò ascoltare le urla di Edwards:
“Cristo Prescott! Sei già spompato?! Non farmi incazzare, vedi di muovere quel culo secco o ti ammazzo di piegamenti e squat!”
Nathan arrancava sulla pista di atletica, il Coach lo pungolava come si fa con un bue da soma, mentre le altre matricole lo doppiavano. Le mani di Rachel raggiunsero istintivamente i suoi capelli in un moto di disperazione. Osservò Nathan dare fondo a ogni sua energia, in un lago di sudore. Notò alcuni dei Bigfoot sul campo controllare le matricole e lanciare loro grida di scherno. Ovviamente, quello più in difficoltà aveva diritto a un carico maggiore di prese per il culo.
Rachel osservò quello spettacolo spiacevole fino alla fine, finché Coach Edwards non mandò tutti sotto la doccia.
 
Rachel
  • Sono sulle gradinate.
  • Appena ti sei cambiato mi trovi lì.
 
Inviò i messaggi, sperando che Nathan li notasse. Li avrebbe mandati prima, ma non lo fece per due motivi. Sapeva che comunque Nathan non li avrebbe letti prima della fine degli allenamenti, ma soprattutto non voleva fargli capire di aver assistito anche a quelle umiliazioni. Nathan era molto, molto suscettibile e permaloso. Dopo il Drama Club non voleva aggiungere altra benzina sul fuoco della sua già scarsa autostima.
 
“Hey…” Dopo un po’, la voce di Nathan distolse Rachel dalle sue faccende. Nell’attesa aveva iniziato a portarsi avanti con i compiti. Era rimasta solo lei sugli spalti, a parte alcune groopies dei Bigfoot.
Rachel alzò lo sguardo e chiuse il compendio di Letteratura. Il viso di Nathan era cupo e ora anche stremato dalla fatica. Gli sorrise con tutto il calore di cui disponeva e gli fece cenno di sedersi accanto a lei, battendo con la mano. Lui obbedì, depositando pesantemente il borsone e di fatto sbattendo il culo sulla gradinata. Emise alcuni soffocati lamenti.
“Ti hanno massacrato vedo!” commentò allegramente Rachel.
“Già…” fu la risposta svogliata.
“Uffh… Nathan…” sbuffò lei, un po’ stanca di quell’atteggiamento “…è stata una giornata terribile vero?”
“Beh… direi di si! Me l’aspettavo del resto.” Commentò lui amaramente.
“Ti va di parlarne?” propose Rachel.
“In parte c’eri, quindi che c’è da dire?” disse lui con fare scontroso.
“Qualunque cosa tu abbia dentro… sempre se ne hai voglia.” Rachel era sul limite. Stava già valutando di alzarsi e andarsene. Voleva essergli amica, ma se il suo aiuto non era gradito aveva posti più comodi e attività più produttive da svolgere che non restare li a…
“Mi dispiace…” disse Nathan. D’improvviso ogni aggressività era svanita dalla sua voce, lasciando il posto al pentimento.
“Di cosa?”
“Di… averti piantata al Drama Club e di non averti risposto…” sembrava un bambino in punizione.
“Accetto le scuse, ma non è quello che intendevo quando ho chiesto se volevi parlare. Che problema c’è Nate?”
“Problema? Uno solo? Beh… il mio cognome per esempio. Te l’avevo detto!”
“Posso capire.” Ammise un po’ amaramente Rachel.
“Tu? Capire??” il tono di Nathan tornò aggressivo, fin troppo. Si alzò in piedi torreggiando su Rachel che lo fissò stupita “Tu sei Miss Perfettina Amber, piaci a tutti cazzo. Si, guarda mi è bastato un giorno in questa scuola per sapere come ti vedono… io sono Nathan Prescott, tutti odiano i Prescott. A parte il Preside, ma solo perché mio padre lo copre di soldi. Fanculo…” cominciò a ciondolare avanti e indietro come un leone in gabbia.
Rachel rimase a fissarlo, sopraffatta dal suo sfogo. Del resto, lei gli aveva chiesto di aprirsi.
“Sembra che tu sia il primo a odiare ‘i Prescott’…” commentò Rachel senza muoversi dalla sua posizione.
Nathan si fermò e la fissò in silenzio.
“Mi sbaglio?” insistette Rachel.
“La domanda è perché tu invece no? Perché tu sei qui a parlarmi eh? Perché mi stai intorno??” la incalzò Nathan.
“Inizio a chiedermelo anch’io!” replicò Rachel. Quella risposta sembrò colpire Nathan, la cui espressione passò di nuovo dall’aggressività al rimorso in una frazione di secondo “Forse sono solo preoccupata per te. È questo che fanno gli amici no? Si preoccupano gli uni degli altri.”
“Siamo amici?” chiese Nathan con un tono di sorpresa vagamente fuori luogo.
“Sei serio?” i neuroni di Rachel iniziavano a fare corto circuito “Ci messaggiamo e usciamo da quasi un anno. Che cazzo di domanda è? Certo che lo siamo, o almeno io sto cercando di esserlo per te. Mentre tu fai di tutto per farmi cambiare idea.” Rachel si sentiva in una posizione incredibilmente sgradevole. Quasi materna. Era l’ultimo ruolo che voleva ricoprire, specialmente con Nathan. Eppure non riusciva a schiodarsi da lì. Non riusciva a lasciare la presa su quel ragazzo. Quegli occhi azzurri, così chiari che in superficie avevano uno scudo di ostilità. Rachel riusciva a vedere oltre, un distante, soffocato, grido d’aiuto. Benché una gran parte di lei volesse semplicemente lasciarlo alla sua autocommiserazione, una parte più grande o semplicemente più forte voleva restare. Voleva rispondere a quel grido disperato.
“Io sono tua amica se vuoi. E puoi parlarmi di quello che senti o che pensi. Se non vuoi farlo me ne farò una ragione, ma se sei così convinto che gli altri ce l’abbiano con te non dovresti sputare sull’unica mano che ti viene tesa…” ancora quel tono materno. Cazzo, Rachel si sentiva completamente posseduta da quel ruolo evocato dall’atteggiamento di Nathan.
Il ragazzo si sedette accanto a lei. Finalmente, parve calmarsi.
“Scusami… sono un coglione…” commentò amaramente lui.
“Quando fai così si! Di solito invece sei un’ottima compagnia.”
“Grazie…” disse lui come se non ci credesse davvero.
Rachel iniziava a sentirsi stanca. Questa interazione prolungata la stava svuotando. Eppure, non poteva ancora lasciarlo.
“Cosa intendevi quando hai detto che mi capisci?” chiese Nathan, il cui tono finalmente sembrava tranquillo.
“Mio padre…” esordì Rachel “Lui… diciamo che l’anno scorso si è comportato in modo molto fastidioso. Da anni in realtà. Mi dice chi devo frequentare, come mi devo comportare. Non lo fa direttamente, ovvio. Offre solo la sua ‘opinione’. Ci tiene a farmi sapere cosa sarebbe una buona idea oppure no. Riguardo a Miss Perfettina Amber… è una sua creazione! Indiretta ovvio. Lui ha solo dovuto rilasciare qualche intervista in cui mi dipingeva come una specie di santa e puff! Ecco fatto! Piano piano mi ha costruito un’immagine pubblica che per qualche motivo ora devo difendere.” Rachel scrollò le spalle. Era la prima volta che diceva queste cose ad alta voce. Era la prima volta che le ammetteva con qualcun altro. Per un momento provò una specie di vertigine.
Come se si fosse rotto un sigillo dentro di lei.
Aveva la completa attenzione di Nathan.
“Quindi…” cercò di recuperare le redini della sua lingua “… posso capire cosa intendi quando parli del peso del proprio cognome.”
“Si.” Disse Nathan “Sembra di sentir parlare di mio padre… soprattutto la parte del farmi sempre sapere cosa ritiene sia meglio per me. Solo che a differenza del tuo, lui mi ordina direttamente le cose e non posso protestare, né esprimere nessuna opinione. Io sono un Prescott, il mio destino è segnato. Lui vuole che lavori alla Fondazione, praticamente il mio futuro è già scritto. Non posso scegliere niente… non posso ribellarmi…” finalmente anche Nathan si aprì “Lui è… un tale stronzo…. Merda quanto lo odio! A volte penso che non gliene freghi un cazzo di me, che mi veda solo come parte del suo business…”
Quell’affermazione in qualche motivo pungolò ferocemente il cuore di Rachel. Colpì un po’ troppo vicino a casa.
“Sono sicura che non è così…” dovette dire. Non poteva lasciare che quell’affermazione passasse liscia.
“Perché?” la domanda di Nathan stavolta era priva di ostilità. Sperava davvero che gli facesse cambiare quella fastidiosa idea.
“Io ricordo un tempo in cui mio padre era diverso.” Disse Rachel “Un tempo in cui il lavoro gli dava meno pressioni. Lui mi voleva bene allora e so che me ne vuole anche adesso. Io lo so, farebbe qualsiasi cosa per me. Ogni tanto, quando è più tranquillo rivedo il papà che ricordo.” Il cuore le batteva forte, gli occhi umidi erano persi in un vuoto malinconico.
Si scostò i capelli dietro l’orecchio destro, sfiorando l’orecchino blu.
Nathan distolse lo sguardo: “Io non ricordo quella versione di mio padre. Non credo ci sia…”
Rachel gli sorrise e gli appoggiò una mano sulla spalla: “Certo che c’è. Solo che in certe persone quel lato è sepolto in profondità.”
“Moooolto in profondità!” sogghignò Nathan.
Rachel sospirò di sollievo.
Era uscito dalla palude!
Forse…
“Finalmente sorridi!” commentò Rachel “Missione compiuta!”
I due ridacchiarono sommessamente.
“Sarà meglio che torniamo a casa entrambi…” disse lui alzandosi faticosamente “Merda… le gambe…” Di colpo tutta l’adrenalina l’aveva abbandonato, lasciando spazio ai dolori post-allenamento. Raccolse con gesti lenti e goffi il borsone e se lo mise a tracolla.
“Come torni?” chiese Rachel.
“Limousine!” commentò lui.
“Pfft… idiota! Potevamo farci un pezzo di strada insieme. Io abito più lontano di te, ma almeno per metà strada avrei compagnia!”
“Se fossi davvero mia amica non mi chiederesti di camminare in questo momento…” commentò amaramente Nathan, ma sorrideva.
“Eeeee ok! Stai diventando melodrammatico comunque.”
Intanto Nathan si era messo a digitare qualcosa sul cellulare: “Ti accompagno io se vuoi.”
“Eh?” Rachel non capì.
“Tra poco mi passano a prendere, ti do un passaggio.”
Rachel sgranò gli occhi: “Sta arrivando davvero una limousine?”
“No. Un’Audi…”
Rachel si diede una manata sulla fronte e scoppiò a ridere: “Ok ok! Accetto il passaggio!”
 
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"Mi mancherà Steve..." disse Trevor tra un tiro di sigaretta e l'altro.
"Anche a me... i suoi gamberoni spaccavano!" aggiunse Justin, che invece era alle prese con una Lager. Chloe passeggiava al loro fianco, lungo la spiaggia, mentre il sole calava pigramente verso l'orizzonte oceanico alla loro destra. Avrebbero preferito camminare sull'asfalto, così che le loro scarpe non si riempissero di sabbia, ma c'erano ancora troppa luce e troppe persone che avrebbero potuto notare i tre minorenni alle prese con alcolici e tabacco.
"Ieri ci sono passato davanti..." continuò malinconicamente Justin "...c'erano degli operai e una ruspa, l'insegna l'avevano già tolta. Mi sa che lo stanno demolendo..."
"Un'altro pezzo di Arcadia Bay che se ne va..." commentò Chloe, anche lei con in pugno una birra.
"Già..." annuì Trevor concludendo la sigaretta con un ultimo abbondante tiro. Si chinò a spegnere il mozzicone nella sabbia e, quando fu certo che fosse spento, se lo infilò nella tasca dei jeans, a far compagnia agli altri cinque. Da un anno ormai Trevor era entrato nel trip dell'ambientalismo. Non andava in cerca di proseliti, non era il tipo, ma era diventato molto fiscale sulla questione dei rifiuti e del riciclaggio!
"Sembra che tra non molto saluteremo anche il porto..." aggiunse Trevor mentre rovistava nel suo zaino in cerca di un pacchetto di Nachos.
"Cioè?" chiese Chloe.
"Mio padre e mia madre discutono spesso ultimamente. Cercano di essere discreti, ma ci sento bene... sono preoccupati perché l'Arcadia Bay Marine ha problemi economici e forse farà dei tagli al personale. Sono preoccupati che mio padre perda il lavoro... fortunatamente ho una borsa di studio per la Blackwell altrimenti mi dovrebbero ritirare..."
"Sarebbe un vero peccato!" commentò Chloe, sorridendo come contrappunto al tono affranto di Trevor.
"Pffh... ci sono persone che vogliono diplomarsi sai?" sorrise Trevor, lasciandosi estrarre dal tunnel ombroso in cui stava entrando.
"L'istruzione superiore è sopravvalutata..." commentò Chloe prendendo un sorso di birra.
"Ma tu non eri una specie di bimba prodigio?" replicò Trevor.
"Sono ancora un prodigio! I più grandi geni andavano di merda a scuola!"
"Si ma..." si intromise perplesso Justin "...cosa c'entra questo con quello che diceva Trev?"
"Niente... ma la serata è appena iniziata e sta già andando verso la sbornia triste. Non è per questo che esco con voi!" disse Chloe.
"Non è che ti si veda molto di questi tempi!" commentò Justin.
"Eh..." Chloe fece spallucce "Sono una donna molto impegnata!"
Trevor sghignazzò e Justin scrollò a sua volta le spalle.
"Cooooomunque..." proseguì Chloe "...che ne dite di trovare un posto tranquillo e passare alla parte divertente della serata?" diede una gomitata a Justin.
Lui si voltò a fissarla, senza capire.
Chloe alzò gli occhi al cielo.
"Cosa?" chiese Justin voltandosi verso Trevor in cerca di aiuto.
"Rollane una bro!" ordinò l'amico sogghignante.
"Aaaaah... ok ok... si si ce l'ho! Però prima troviamo un posto. Non lo faccio mentre cammino." disse Justin.
Mentre l’ultimo bagliore solare svaniva oltre l'oceano, i tre fecero dietrofront.
Decisero di onorare il Pacific Steve's Famous Crab per l'ultima volta, così lo raggiunsero. Ne era rimasto molto poco ormai. Solo la struttura principale dell'edificio era ancora in piedi. Il piazzale circondato dalle ringhiere di metallo era stato smantellato e l'intera zona era recintata con dei nastri segnaletici. Un cartello vietava l'ingresso.
"Comunque è triste..." commentò Justin.
I tre erano in spiaggia, osservavano il cantiere dal basso. Fino a due settimane prima sarebbe stato possibile raggiungerlo con una rampa di scale che lo collegava direttamente alla spiaggia. Chloe poteva ricordare molti pomeriggi estivi a giocare in riva al mare, alternando merende a base di gamberi e fritti. Quando il mondo era un posto felice…
Ricordi simili attraversarono la mente degli altri due ragazzi. Il cambiamento si manifesta in tutta la sua concretezza quando le fonti dei ricordi d'infanzia spariscono uno ad uno. Luoghi famigliari che diventano estranei, panorami noti che diventano alieni...
"Penso che dovremmo fare un brindisi!" annunciò Trev.
Chloe e Justin furono d'accordo.
“Porgiamo il nostro omaggio al buon vecchio Steve… possa riposare in pace con i suoi famosi granchi!” disse solennemente Trevor.
“Amen fratello!” rispose Justin
"Lo sai che Steve non è morto vero?" chiese Chloe.
"Si ok, ma è il gesto che conta!" spiegò Trev.
“Si cioè… il rispetto per un uomo e il suo locale che ha chiuso!” argomentò Justin.
“Non ha un cazzo di senso ma ok!” sghignazzò Chloe.
I tre alzarono le bottiglie al cielo, versarono un po' di birra sulla sabbia per poi prendere una lunga sorsata.
"E adesso Justin... fa il tuo lavoro!" incalzò Chloe mentre i tre si sistemavano su un gradino di cemento ai piedi del muro in cima al quale si trovava la banchina del lungo mare.
Justin si rimise all'opera con cartine, tabacco e moffo, con Chloe e Trev al suo fianco.
"Chloe... volevo chiederti una cosa..." esordì Trevor.
Lei inarcò un sopracciglio sospettosa.
"Trevor, sei un buon amico, ma non mi piaci in quel modo..."
"Cogliona! Non è quello!" sghignazzò lui.
"Mettevo le mani avanti!" spiegò lei unendosi alle risate.
"Voglio dire... ho sentito una voce su di te..."
"Solo una?"
"No in realtà diverse... tipo che spacci... ma quella so che non è vero altrimenti non scroccheresti sempre a me e Just!" affondò Trevor.
"Ouch! Questo sì che fa male!" ridacchiò Chloe "Scommetto che l'ha detto Marisa..."
"Hai vinto!" Trevor alzò le braccia.
"Dice anche che fai pompini nel cesso della Blackwell e ti fai pagare in droga..." aggiunse Justin mentre finiva di arrotolare la cartina.
"Ha senso..." commentò Chloe "...con i pompini mi procuro la roba e poi la rivendo nel campus! Tutto torna!"
I tre risero.
"Non te ne frega davvero un cazzo che dica queste cose di te?" chiese Trevor.
Chloe fece spallucce.
"Sinceramente... no! Fanculo lei e il suo morbido culetto foderato Gucci o quel cazzo che è... almeno ha smesso di rompermi le palle."
"Comunque non c'è niente di vero..." disse Justin, oscillando fra la domanda e l'affermazione.
"Hai dubbi Just? Nel caso vorresti che te lo succhiassi?"
Justin si bloccò, le sue guance cambiarono colore visibilmente anche nella luce dei lampioni, ormai quasi l'unica fonte di luce. "No! Certo che no!" si affrettò lui.
"Ah ho capito... ti faccio schifo. Sarebbe come farselo leccare da Trevor immagino..." disse lei simulando delusione. Justin ci franò dentro.
"No! Cioè io... intendevo che non ci credo... cioè se tu me lo vol... cioè... sei carina.. io..." Justin iniziava a confondersi.
"Finisci quello che stavi facendo amico!" gli disse Trevor tentando di non soffocare dal ridere.
"Dai cazzo... non mi prendete per il culo!" si lamentò Justin mentre i due ancora si sganasciavano "Ho già preso una D in Algebra... non ci capisco un cazzo con sta matematica di merda. Se continua così dovrò farmi dare ripetizioni..." disse dando la leccata finale alla cartina, sigillando così la canna.
"Scusa, ma è divertente sfotterti! Comunque ti capisco, anch'io odio la matematica..." disse Chloe ricomponendosi a fatica.
"Ricordo qualcosa del genere... Però in terza media sei uscita con una A anche in quello Miss Prodigio!" disse Justin estraendo l'accendino e sistemando la canna tra le labbra.
"Non vuol dire che mi piacesse..."
Zic! Zic!
Il suono dell'accendino, la fiamma che scaturiva da esso e il caldo, intimo suono di carta e tabacco che bruciano. L'aroma muschiato che si sollevava nell'aria fredda della sera. Tutto questo ebbe l'effetto di rilassare Chloe quasi istantaneamente. Vedere Justin che prendeva il primo tiro la riempì di aspettativa. Era per quello che era lì.
La socialità con Trevor e Justin era solo il prezzo che doveva pagare per poter ottenere il suo scopo. Stordimento, oblio. In parte si sentiva orribile per questo, i due skater erano suoi amici. Giusto? O forse no. Poteva ancora definire qualcuno 'amico'? O voleva farlo?
No che non voleva. Voleva solo spegnersi. Smettere di sentire. A volte anche di esistere...
I giorni si erano inoltrati nel cuore di Settembre e lei, giorno dopo giorno, faceva una spunta mentale. Ogni volta che guardava il calendario appeso in cucina. Quando le capitava di leggere la data sul suo cellulare.
Spunta.
Un altro giorno.
Un giorno in meno.
Non poteva fare a meno di percepire quel conto alla rovescia inesorabile.
Mancavano esattamente otto giorni...
 
Finalmente la canna finì tra le sue dita e poi stretta fra le sue labbra.
Il fumo bollente le graffiò la gola, quel dolore cui si era abituata e che ora trovava dolce.
Le tossine le permeavano le vie respiratorie, occupando i suoi polmoni per poi risalire di colpo fino al suo cervello.
Ed eccola lì.
La leggerezza.
La testa che si svuota, riempiendosi di qualcosa di simile all'elio.
I muscoli si rilassano e gli angoli della bocca si sollevano, vincendo la gravità come se di colpo le guance non avessero peso.
Un sorriso ebete le apparve in viso, mentre otteneva ciò che desiderava.
Vuoto.
Nulla.
La mescolanza con la birra velocizzò l'effetto.
"Comunque..." disse lei passando la canna a Trevor "Mi dovevi chiedere qualcosa?"
"Ah si..." disse lui accettando l'offerta e prendendo un lungo tiro "...però è solo curiosità. Non prendertela o altro..."
"Coso! Chiedi! Che è tutta sta prudenza??" sghignazzò Chloe.
"Ok ok... ho sentito che quest'estate sei scappata di casa..."
Lei tornò di colpo seria. Di colpo volle alzarsi e andarsene. O strappargli la canna di mano e prendere un altro lunghissimo tiro. Invece si tappò la bocca con un sorso di birra.
"Davvero??" chiese Justin recuperando la canna da Trevor "Cazzo Chloe! Quanto sei cazzuta?!"
Lei non rispose.
"Scusa... non sono cazzi miei..." disse Trevor.
"Chi te l'ha detto?" chiese lei... di colpo tutto il suo menefreghismo vacillò e si sgretolò.
Certo, era logico che una notizia del genere potesse circolare, soprattutto in una città microbica come Arcadia Bay. Ed era proprio questo uno dei motivi per cui Chloe la odiava... chiunque poteva sapere i cazzi tuoi o interessarsene. Chloe aveva lavorato così duramente, per chiudere fuori gli altri, per escluderli dalla sua vita, la cui merda doveva affrontare da sola. Quando quella merda sfuggiva e diventava di dominio pubblico, però, era spiacevole. Gli altri non dovevano sapere quanto fosse incasinata. Non dovevano!
Se lo sapeva Trevor, chi altri poteva averlo scoperto?
"Ero al Two Whales e ho sentito l'agente Berry che parlava con tua madre..." disse Trev abbassando lo sguardo.
"Fanculo agente Berry... e fanculo mia madre..." bofonchiò Chloe.
"Scusa non te lo dovevo chiedere." concluse Trevor "Dimenticatelo..."
"Non ti preoccupare..." disse lei, ringraziando James Dio che la canna fosse tornata fra le sue mani. Prese una lunga boccata di fumo psicotropo "Comunque sì, è vero..."
Non aveva intenzione di proseguire, ma per qualche ragione sentì il bisogno di aggiungere qualcosa: "Odio questa città. Me ne voglio andare di qui..." come se queste parole spiegassero tutto.
"Dopo il liceo andremo tutti via..." commentò Trev.
"Io non credo..." disse Justin "Mi piace qui!"
"Ti piace la merda?" nemmeno l'erba stava sollevando l'umore di Chloe. Fanculo Trevor che non si fa i cazzi suoi!
"No..." rispose Justin vagamente piccato "Arcadia Bay è casa mia. È un posto semplice, tranquillo, ho tutti i miei amici qui... mi conosci, non ho tutti sti progetti per il College o la carriera. Serate come queste, noi tre soli o anche quando ci sono gli altri. Fumare, bere, andare in skate, cazzeggiare... per me è il massimo. Non mi serve altro... e poi guarda..." indicò con un cenno il mare. Le onde scivolavano pigramente, ritmicamente, l'orizzonte ancora illuminato, mentre nel cielo blu apparivano le prime stelle.
"Cosa?" Chiese Chloe.
"Il mare, la spiaggia... il cielo..." elencò Justin come se tutto fosse perfettamente evidente.
"Sei già fatto amico?" chiese Trevor sghignazzando.
"Un po'... ma non è questo il punto!"
"Mi spiace Coso, non siamo sulla stessa pagina in questo." concluse Chloe "Arcadia Bay è un fottuto buco nero..."
Justin bofonchiò irritato qualcosa di incomprensibile e il trio sprofondò in uno scomodo silenzio.
"Beh..." Trevor tentò di rimediare "Avete visto le matricole?" si sforzò di suonare allegro.
"Di sfuggita..." disse Chloe.
"Ci sono alcune tipe piuttosto carine!" Justin parve rianimarsi.
"Vero? Di anno in anno le ragazze maturano più in fretta! Dimostrano almeno due anni in più! Ne ho vista una che ha due tette…" argomentò Trevor con entusiasmo.
"Scusi Agente... non sapevo che fosse minorenne... è che le ragazze ormai maturano così in fretta!!" disse Chloe simulando la voce di Trevor.
"Siamo minorenni anche noi!" precisò lui ridacchiando.
"Si ok... ma perché puntare alle matricole?"
"Non so... hanno quel fascino 'inesperto'..." spiegò Trev
"Si... e noi siamo degli skater ribelli e navigati..." aggiunse Justin.
"E pervertiti!" disse Chloe.
Scoppiarono a ridere.
Senza accorgersene, Chloe scivolò finalmente nel luogo che voleva raggiungere.
Mentre il cranio le formicolava dall'interno in un placido torpore e la fame chimica iniziava a farsi sentire, ottenne la dose di oblio che stava cercando.
 
-
 
Risate.
Risate si mescolavano al fruscio del vento tra i rami.
"Per mille spingarde Long Max! Vuoi farci scoprire?!" sibilò tra i denti Captain Bluebeard dando un colpo di uncino al suo primo ufficiale.
"Perdonate Cap'n! Non avevo visto quel ramo!" si scusò con voce roca Long Max Silver, accucciandosi di nuovo dietro il cespuglio.
"Devi ripassare le strategie di pedinamento vecchia mia! Lascia guidare il tuo capitano e scopriremo perché la Foresta Oscura è così importante per le giubbe rosse!" annunciò Bluebeard, massaggiandosi la folta barba immaginaria.
"Yahrrrr!" replicò Long Max.
Le due piratesse strisciarono fuori dal loro nascondiglio, percorrendo il sottobosco, aggirando gli ostacoli del terreno con ostentata agilità. Cap'n Bluebeard con la lama stretta fra i denti e l'uncino pronto all'azione, Long Max al suo fianco come un'ombra. Raggiunsero una roccia ricoperta di muschio che dava su una radura. Nascoste dietro il masso spiarono oltre.
"Ahoy... guarda Long Max!" Bluebeard le diede una gomitata "I soldati stanno scavando in quel punto. Possiamo noi farci scappare l'occasione di un facile bottino?" i suoi occhi blu come la sua barba brillavano.
"Certo che no! Ma sono in sovrannumero mio Capitano! Possiamo farcela solo noi due senza il resto della ciurma?" chiese con un velo di dubbio Long Max.
"Abbiamo sconfitto da sole bucanieri ben più feroci di quei quattro damerini in rosso! Avanti Primo Ufficiale! Facciamogli vedere di che pasta siamo fatte!"
"Ahrrrrr!!" ringhiò Long Max.
Le due piratesse invasero la radura brandendo le loro sciabole. Le guardie della marina inglese furono colte di sorpresa e quando si accorsero dalla minaccia fu troppo tardi! Molti furono i caduti, alcuni furono lasciati scappare perché raccontassero l'accaduto e diffondessero la leggenda di Captain Bluebeard e Long Max Silver.
Le due piratesse si sedettero contro il tronco secolare di una quercia, riprendendo fiato dopo lo scontro.
"Sei stata incredibile Long Max! Grazie di avermi guardato le spalle!" disse Cap'n Bluebeard lanciando uno sguardo felice alla sua compagna.
"Sempre mio Capitano!"
Di colpo una voce lontana le raggiunse, facendole sobbalzare.
"Max! Chloe! Dove siete?!"
"Cazzo..." sussurrò Chloe "Che ore sono?!" chiese improvvisamente in ansia.
"Ehm..." Max prese il suo cellulare dalla tasca "le... 12.48!!! Merda è tardissimo!"
"Dove siete bucanieri da strapazzo?! Il pranzo è pronto!" gridò William da qualche parte oltre la visuale.
"Max!" Una voce più profonda seguì quella di William.
"Si papà!" rispose immediatamente Max scattando quasi sull'attenti.
"Avevamo detto di non allontanarvi troppo!" la voce era calda, ma ferma.
"Arriviamo Pops!" replicò Chloe che si alzò a sua volta.
Ci fu un momento di silenzio, seguito da alcune risate e commenti fra i due uomini che Max e Chloe non furono in grado di udire. Le ragazze si erano allontanate un po’ più del previsto nel bosco che circondava l'Arcadia Bay Camping, ma non così tanto da essere fuori portata. Era il 4 luglio 2006 e le famiglie Price e Caulfield avevano deciso di festeggiare insieme, con una bella grigliata in mezzo al verde. Ovviamente Max e Chloe erano svanite subito nella macchia, lasciando William e Ryan a occuparsi di braci e bistecche, mentre Joyce e Vanessa apparecchiavano la tavola.
Max e Chloe si diressero con calma verso il loro campo.
"Beh anche i pirati hanno bisogno di riempirsi lo stomaco..." commentò Max "Senti che profumo!"
"Oh si... voglio dire... Yahrrrr!" esclamò Chloe
"Non esci mai dal personaggio?" scherzò Max sghignazzando.
"Magari il mio personaggio è Chloe Price e la mia vera identità è Cap'n Bluebeard!" commentò Chloe con sguardo furbo.
Max la fissò con occhi stretti e indagatori.
"Mi scatti una foto con gli occhi?" chiese Chloe.
Max distolse lo sguardo imbarazzata e fece spallucce. Chloe le diede uno spintone che la fece sbandare qualche passo più in là.
"Hey!" protestò Max.
"Eravamo d'accordo! Uno spintone ogni volta che mostri insicurezza sulla fotografia!" disse Chloe severamente.
"Ma non ho nemmeno la macchina con me adesso..." Max si imbronciò.
"Me l'hai detto tu che i fotografi non hanno bisogno della macchina per scattare. Avanti! Fammi un foto-sguardo!" Chloe assunse una posa fiera e impugnò un'immaginaria bottiglia di Rum.
Chloe portò la bottiglia alla bocca.
 
Prese un lunghissimo sorso di birra, finché si ritrovò a bere aria.
La bottiglia era vuota e non se n'era accorta.
"Fanculo!" la lasciò cadere a terra, continuando a camminare nel bosco ormai quasi totalmente avvolto dall'oscurità. Il sole stava tramontando alle sue spalle, mentre percorreva il sentiero che l'avrebbe condotta all'Arcadia Bay Camping. Aveva una meta precisa in quel giorno di merda che stava vivendo e che, fortunatamente, volgeva al termine.
Rovistò nello zaino che normalmente conteneva libri di scuola, ma quel giorno trasportava birre rubate al supermercato e alcune patatine comprate per non dare nell'occhio. In una tasca c'era anche una canna pronta, per quando fosse arrivata alla sua meta.
Non era andata a scuola. Non gliene fotteva più un cazzo.
Il countdown era finito...
Era passato ufficialmente un anno.
Un
Fottuto
Merdoso
Anno
 
Era il 28 settembre, il primo anniversario della morte di William.
 
I passi di Chloe erano incerti dopo una giornata trascorsa a bere, fumare, mangiare e dormire, per poi svegliarsi e ricominciare da capo. E non aveva finito. Il bello doveva ancora venire.
Quella mattina aveva usato i soldi che Joyce le aveva dato per la colazione per procurarsi un po' d'erba da Frank. Non molta, ma abbastanza per una canna. Si sarebbe trattenuta un po' con lui, era da un po' che non passavano del tempo insieme, ma non era solo. Quando una mora più o meno dell'età dello spacciatore era emersa dal camper indossando solo una lunga canottiera da uomo, aveva capito di non essere la benvenuta. Così Chloe era rimasta ai margini della città, dimentica del telefono, ignorando volontariamente chiunque tentasse di contattarla.
Voleva solo sparire.
Voleva l'oblio.
E lo avrebbe avuto!
Qualsiasi cosa per evitare la visita al cimitero che Joyce aveva programmato per loro quel pomeriggio.
Col cazzo che si sarebbe fatta vedere. Con un po' di fortuna, nessuno l'avrebbe mai più rivista. Magari sarebbe stata inghiottita dai boschi, magari si sarebbe sbronzata così tanto da andare in coma.
Magari...
 
Incappò finalmente nell'ingresso del campeggio, al termine di una strada sterrata in salita sufficientemente larga da permettere il transito dei camper. Il passaggio a livello era abbassato, l'orario di arrivo era scaduto da ore. Chloe gettò uno sguardo all'interno. Da lì non riusciva a vedere il punto che solitamente affittavano. Il Camping disponeva di alcune roulotte in posizione fissa che gli ospiti potevano noleggiare, esattamente come avevano fatto i Price e i Caulfield di tanto in tanto. Quasi sempre lo stesso paio di roulotte vicine. Chloe ricordava... a volte troppo.
Più di quello che riteneva plausibile.
I ricordi spesso diventavano invadenti.
Allora Chloe beveva... ma non sempre funzionava.
Anzi, a volte i ricordi diventavano più insistenti con l'alcol.
Come quel fottutissimo giorno...
 
Un pettirosso si posò accanto ai suoi piedi.
La luce del pomeriggio e il calore del sole la avvolgevano.
L'uccellino zampettò un po' intorno a lei, ignorandola alla ricerca di qualcosa tra i fili d'erba, poi spiccò il volo.
"Adoro questi boschi!" Max trotterellava davanti a lei con lo zainetto rosso in spalla.
William camminava con loro, Max e Chloe all’unanimità lo avevano offerto volontario per accompagnarle in una spedizione pomeridiana e dopo la scorpacciata di braciole e costolette, gli era sembrata un'ottima idea per favorire la digestione! In più adorava passare il tempo con quelle due!
Chloe sghignazzò e puntò la Polaroid di suo padre verso l'amica che saltellava qualche metro più avanti.
Click!
Max si bloccò sul posto e si voltò di scatto mentre la foto usciva dalla macchina.
Chloe si fermò e la estrasse, agitandola un po' prima di guardarla e scoppiare a ridere.
"Max lo gnomo di Arcadia Bay!" annunciò passando la foto a William.
"Chloe!!!" si lamentò Max facendo il broncio.
"Non è carino Chloe!" bacchettò William prima di vedere la foto e cominciare a sghignazzare "Però... Max... un po' ha ragione! Sembri un folletto!" tese la foto alla piccola ragazza che infilò le mani in tasca mentre le sue guance prendevano il colore dello zaino.
"Basta prendermi in giro per l'altezza!" protestò "Un giorno crescerò e ti supererò!" puntò il dito contro Chloe avvicinandosi fino a pungolarle il petto.
"Si... credici Max..." la schernì Chloe.
"Vedrai! Bill! Voglio più bistecche... tua figlia mi sfida!" annunciò Max con il tono feroce da Long Max Silver.
"Non sei ancora sazia? Avrai mangiato un maiale intero oggi!"
"Era così buoooono..." commentò sognante.
Il trio percorse lentamente il sottobosco, William si riappropriò della sua macchina e scattò qualche polaroid al sottobosco, provocando la fascinazione che in seguito avrebbe condotto Max ad appassionarsi a quello specifico tipo di fotografie.
Max e Chloe si trovarono a camminare l'una accanto all'altra, avvicinandosi e allontanandosi seguendo i ritmi delle loro conversazioni, abbracciandosi lateralmente e separandosi nella concitazione. Era come se qualcosa tra di loro respirasse. Un respiro calmo, sereno e appagato.
William le fissava incantato e non poté resistere.
Click!
Max non si accorse di nulla, Chloe invece sì e sorrise.
"Dovremmo davvero avere una base comunque..." disse Chloe in tono risolutivo.
"Oh si... il Forte che dobbiamo costruire da tipo... sei anni?" ridacchiò sarcastica Max.
"Cinque anni!" precisò Chloe "E comunque ogni ciurma che si rispetti DEVE avere un cazzo di Forte!"
"Ah-Ehm!" William si schiarì sonoramente la voce alle loro spalle.
Chloe si voltò e incontro il suo sguardo celeste, fisso so di lei in modo eloquente.
"Scusa Pà..."
"A casa devi un dollaro al Barattolo delle Parolacce! Ricordati che ci sono molti intercalari diversi dalla parola con la 'C'..."
"Cavolo? Cappero? Caspiterina?" propose Chloe.
"Per esempio..." assecondò William.
"Acciderbolina, Perdindirindina!" si unì Max.
Chloe la fissò per un istante con sguardo complice e proseguì: "Pofferbaccolina, Cavolicchio, Sorbole..."
William le fissò stupefatto per alcuni momenti mentre si prendevano gioco di lui, poi si unì alle risate.
"Ecco! Esatto! Visto quante alternative?" rimarcò comunque il punto.
"Ok papà!" rispose Chloe "Comunque rimane che ci serve il nostro Forte e..." si guardò intorno "Là! Quell'albero è perfetto!" indicò un grosso abete.
"Dove? L'albero?" chiese Max.
"Non l'albero. Sull'albero!" spiegò Chloe piena di orgoglio.
"Ooooh... mi piace! Ma sarà complesso da costruire..."
"Le sfide non mi spaventano!"
"Ho sentito qualcuno parlare di costruire qualcosa?" le raggiunse William.
"Yahrrrr!" annuì Chloe "A proposito... ci servirà il tuo aiuto!"
"Immaginavo..." sorrise William, con quel suo modo sincero e caloroso che Chloe non avrebbe mai dimenticato.
 
Alzò gli occhi ed eccola lì.
La sua meta.
Il Forte...
Chloe, nel frattempo, aveva estratto il faretto elettrico da escursionismo e l'aveva agganciato alla cintura, così da avere le mani libere per maneggiare la canna, finalmente accesa. I fumi dell'alcol e della marijuana si mescolavano dentro di lei, incasinando la chimica del suo cervello. Per un attimo vide il Forte com'era stato... vide William e Ryan piazzare le travi di legno che avrebbero sostenuto la struttura, poggiare su di esse la struttura di assi di legno che avrebbe costituito la piattaforma di base, assemblare la scala a pioli e trasformare gradualmente quello scheletro ligneo in una casa sull'albero da manuale. A Chloe parve di rivedere sé stessa e Max passar loro gli attrezzi, piantare qualche chiodo, trasportare qualche asse di legno. Chloe ricordò le visite di Joyce e Vanessa per controllare che nessuno si facesse male e consegnare birre fresche agli uomini e limonata alle ragazze.
Ma quello era il passato.
Non esisteva più.
Il fortino era in disuso da più di un anno ormai... l'ultima volta che Chloe e Max ci erano state risaliva a giugno 2008. Nell'oscurità della notte, illuminata solo dal fascio di luce del faretto di Chloe, aveva un che di inquietante e famigliare allo stesso tempo.
La testa di Chloe girava.
Non riusciva a metterlo a fuoco.
Voleva raggiungerlo...
Voleva salire e vedere se era ancora come lo ricordava.
Quello l'aveva costruito con suo padre.
Lui l'aveva toccato, l'aveva realizzato per lei...
Quel Forte l'aveva vissuto con Max, l'avevano decorato, avevano lasciato lì dentro le loro cose contro ogni consiglio dei loro genitori. Nessuno aveva mai rubato le loro riviste o i fumetti, o i pennarelli e i disegni, o le foto che avevano appeso all'interno.
Era il luogo più sicuro del mondo.
Il covo dei Flagelli di Arcadia...
 
Chloe non si accorse che la canna le cadde dalle dita.
Si mosse barcollante verso la scala, quasi franò su di essa.
Non si accorse che alcuni gradini erano rotti.
Con presa malferma si aggrappò alla scala e appoggiò l'anfibio logoro sul primo gradino.
Poi sul secondo...
Il terzo...
Il quarto...
Il quiiiiiiiiin....
No, il quinto non c'era.
Chloe si appoggiò al vuoto.
La gamba si incastrò per un momento tra due pioli, poi il mondo cominciò a ruotare.
TLACRACK!!
Chloe non capì se a spezzarsi fosse stata la sua gamba o uno dei pioli di legno…
Non sentiva dolore, non troppo almeno. Era un buon segno giusto?
Si sentì di colpo così leggera.
Dovevano sentirsi così gli astronauti nello spazio.
Si trovò a sorridere come un'ebete mentre precipitava rovinosamente al suolo.
Batté la nuca e il mondo si oscurò.
La vista già appannata svanì per alcuni secondi, poi tentò di riavviarsi con molta fatica.
Tutto era sfocato, i suoni distanti.
Non riusciva più a muoversi.
A Chloe parve di sentire un corvo gracchiare da qualche parte.
Lontano.
Poi più vicino.
Sentì le sue ali sbattere.
Il ritmico spostamento d'aria contro il suo viso...
 
-
 
Chloe si svegliò.
Per un momento si sentì smarrita, ma poi ricordò.
Era in macchina, dal finestrino abbassato alla sua destra proveniva un fresco vento carico di aromi forestali. William era al posto di guida e canticchiava all'unisono con la radio...
 
Burning the midnight oil again
Sitting out here listening to the wind
I just called to tell you that I miss you my old friend
Burning the midnight oil again
 
Chloe si unì al coro con un sorriso stampato sul volto.
Era con il suo papà.
Tutto andava bene.
Tutto sarebbe andato bene.
Lui era accanto a lei, poteva toccarlo se voleva.
William teneva la mano sinistra sul volante e la destra sul cambio.
Chloe allungò una mano verso l'avambraccio di suo padre e lo accarezzò, lui si voltò verso di lei e le sorrise.
"Tesoro? Tutto bene?" le chiese.
"Si Pà... sto benissimo!" prese un profondo respiro.
Da qualche parte un corvo gracchiò.
"Chloe..." il tono di William si fece più grave.
Lei se ne avvide e lo guardò con curiosità. L'espressione di suo padre era seria, come raramente l'aveva visto nella vita.
"Che succede papà?" chiese preoccupata.
"Chloe... dove hai lasciato la mia bambina?" si voltò e le lanciò uno sguardo triste.
"Co... Di che parlì? Sono qui!" rispose lei.
"Davvero?" chiese lui.
Chloe tacque.
"Dove hai lasciato la mia bambina, Chloe?" il tono era gentile, come sempre, ma amaro.
Le lacrime iniziarono a invadere gli occhi di Chloe.
"Papà io..."
Un corvo gracchiò.
Un clacson suonò...
Chloe vide il camion arrivare a tutta velocità oltre la testa di suo padre.
"Papà attento!"
Troppo tardi
Vetri rotti.
Macchina sotto sopra.
Buio.
 
-
 
Da una radio suonava una canzone rock...
 
Reach out and grab it tight
Don't ever lose your grip
We could be here all night
I won't let go of this
 
Chloe era sdraiata da qualche parte. C'era luce... era giorno? Non aveva voglia di aprire gli occhi... quella semioscurità era piacevole. Il mondo continuava a girare intorno a lei, si sentiva lo stomaco completamente sottosopra ma... vuoto.
 
Hold on
Don't let go
Hold on
Don't let go
 
"Mmmpfhhhhh..." gemette strofinandosi gli occhi e sbadigliando.
Sentì un fruscio e una sedia sfregare contro il pavimento.
Merda... ma dove cazzo si trovava?!
La memoria le tornò tutta insieme, la giornata precedente, la sbronza, la caduta e... la consapevolezza che non era sdraiata nel sottobosco ma in una branda! L'adrenalina invase le sue vene e balzò a sedere.
 
You think they don't come cheap
Cheap things are just no good
I know the price is steep
You know that we both should
 
"Whoa! Fai piano ragazza..." disse un uomo seduto a un paio di metri da lei.
Chloe fece un rapido check-up delle sue condizioni. La tibia sinistra le faceva male ed era fasciata. Ma non era rotta per fortuna! La testa vorticava in cerchio pur restando ferma, si sentiva svuotata di ogni energia pur essendosi appena svegliata. Un sapore orribilmente aspro e stagnante le riempiva la bocca e le narici. Il ben noto aroma del vomito… comunque era ancora viva!
Si guardò intorno rendendosi conto di trovarsi in una specie di piccola baita costituita da un'unica stanza non più grande di venti metri quadri. Dall'altro capo della camera c'era una postazione radio, un tavolino, una macchina del caffè e la porta d'ingresso. Poster con illustrazioni scientifiche di piante e animali erano presenti ovunque, insieme ad una mappa topografica. L'uomo che aveva parlato era un tizio con cappello da cowboy, giacca verde erba e una camicia di flanella rossa sotto di essa. Il viso solcato da una barba nera sfatta.
"Chi cazzo..." biascicò Chloe che ripiombò a letto preda delle vertigini e di un improvviso senso di nausea. Notò solo allora la presenza di un catino accanto al letto.
"Roy Farley, guardia forestale..." si presentò l'uomo "Ti ricordi cos'è successo stanotte?"
"Più o meno..." Chloe si massaggiò la fronte.
"Eri sbronza e svenuta nel bosco, ti stavi vomitando addosso, così ti ho portata qui a riprenderti. Non dovresti mischiare alcol ed erba… per la verità non dovresti né bere né fumare. Cristo, sei una bambina…"
“Non sono una bambina…” biascicò lei.
L'uomo si alzò e si avvicinò al letto. "Guardami..." disse lui e Chloe non aveva la forza di opporsi.
 
Hold on
Don't let go
Hold on
Don't let go
 
Hear me say
Just hold on
 
Roy le puntò una piccola torcia dritta negli occhi per controllare la reazione delle pupille, schioccò le dita repentinamente nei pressi delle sue orecchie e le sentì il polso.
"Mi sembra che ti sia passata...” disse allontanandosi “Ho del caffè se vuoi riprenderti. Hai vomitato così tanto... non credevo che una ragazza potesse contenere tanto schifo!" sghignazzò più tra sé che per coinvolgere Chloe, ancora frastornata dalla situazione.
"I tuoi genitori stanno venendo a prenderti, comunque..." annunciò Roy.
"I miei... genitori?" Chloe non era proprio sicura di essere sveglia.
"Si i tuoi genitori... Il tuo cellulare ha vibrato per tutta la notte, alla fine ho risposto per te al numero 'Mamma'..." spiegò Roy.
Chloe si sentì violata al pensiero che un completo estraneo avesse maneggiato lei e le sue cose... ma d'altronde era esattamente quello che succedeva quando ti sbronzavi tanto da cadere da un albero e svenire. Ed ora il cerchio alla testa iniziava a diventare sempre più stretto... sempre più doloroso... le tempie cominciarono a pulsare a ritmo del suo cuore, dolorosamente.
 
We could be here all night
I won't let go of this
 
Hear me say
Just hold on
 
Chloe si lasciò andare nella branda scomoda, ma ancora calda.
Si... era sveglia... era la realtà.
Era il 29 settembre e si trovava nella cabina di una guardia forestale.
Joyce e David stavano venendo a prenderla...
Un altro giorno di merda.
Non vedeva l'ora di sentirli spiegare quanto erano delusi e infuriati!
E quanto era fottutamente in punizione...
 
-
 
Zik! Zik!
La fiamma dell'accendino che toccava la punta di una sigaretta le provocava sempre una contraddittoria sensazione di appagamento. Il sapore delle sigarette non le era mai piaciuto, ma qualcosa nella gestualità, nella sensazione di calore che penetra bronchi e polmoni, il senso di torpore che immediatamente lambisce l'interno del cranio...
Come calme onde marine sul bagnasciuga.
La giornata di Chloe alla Blackwell continuava lineare come sempre.
Era in punizione ovviamente, le era permesso uscire solo per andare a scuola. Per assicurarsene, David la accompagnava all'andata e al ritorno con quella sua macchina sportiva di merda. Lo strazio sarebbe andato avanti per tutto Ottobre. Non era sicura di poter resistere.
A volte saltava alcune lezioni. Non le importava veramente delle conseguenze. Dopotutto, 'quel giorno' aveva saltato del tutto la scuola e nessuno le aveva detto nulla. O meglio, nessuno alla Blackwell.
Appoggiata al muro, dietro l'angolo fumo del campus, Chloe si intossicava di gusto, fissando il resto della zona dal suo angolo in ombra. Era l'ora di pranzo, quasi tutti erano in Caffetteria, tranne alcuni studenti che sostavano sotto gli alberi o nei pressi dell'entrata ai Dormitori. Conosceva di vista quasi tutti, i nomi di pochissimi.
Una di loro era Steph, stava mangiando esattamente dalla parte opposta rispetto a lei, seduta al tavolo vicino all’ingresso del Dormitorio con altre persone ignote. Conosceva Steph grazie a Justin, il suo portale personale sul gossip della Blackwell. Lui ci aveva provato con lei, solo per scoprire che era gay ed essere gentilmente respinto. Inoltre, di recente le avevano detto che Steph vendeva DVD masterizzati, sia film che videogiochi per PC e console. Chloe decise che questa informazione le sarebbe tornata utile successivamente. In tutto questo aveva scambiato a malapena un saluto con Steph, nonostante condividessero la classe di Disegno dal Vero, Chimica e Inglese. O forse... forse una volta Steph le aveva chiesto in prestito una gomma?
Chloe non ricordava di preciso.
Ricordava solo le cose sbagliate.
Quelle che non voleva…
In quel momento, la sua mente ondeggiava nel flusso di pensieri, senza una meta.
Ammazzava il tempo in attesa che la pausa pranzo finisse, meditando se andare alla lezione pomeridiana di Igiene oppure no.
Perché cazzo esiste una materia chiamata ‘Igiene’ poi…
Di colpo uno dei portoni d'ingresso del campus si aprì.
Ne emerse una ragazza dai capelli biondi e curiosi orecchini di piume blu.
Indossava una camicia rossa a quadri e jeans neri strappati.
Rachel Amber era inconfondibile. Chloe di tanto in tanto si sorprendeva a fissarla da lontano.
Fissare da lontano le persone e in generale la vita stava diventando una sorta di abitudine.
Rachel si guardò intorno e scese i gradini fino a raggiungere il sentiero del campus. Salutò in direzione di Steph e ricevette indietro cenni dall'intero tavolo. Poi si voltò verso Chloe e i loro sguardi si incontrarono. Come il primo giorno di scuola in Caffetteria e per qualche ragione una morsa strinse lo stomaco di Chloe.
Stretta che aumentò quando Rachel si diresse verso di lei.
Ora che la vedeva di fronte notò che la camicia era aperta e mostrava una maglietta dei Foo Fighters.
Non male, ma ne aveva indossate di migliori! Tra tutte le band grunge i Foo Fighters sono la più commerciale. E comunque chissene frega!
Chloe pensò che Rachel stesse solo camminando casualmente nella sua direzione, ma dovette ricredersi quando non svoltò e continuò ad andarle incontro, sfoggiando un caloroso sorriso.
"Ciao!" la salutò.
Chloe inarcò un sopracciglio.
"Ciao?" rispose perplessa e stupita.
"Scusami se ti disturbo ma... posso scroccarti una sigaretta?" chiese Rachel congiungendo le mani e sorridendo imbarazzata.
La domanda colse Chloe alla sprovvista.
Miss Perfettina Amber fumava?
E comunque non aveva qualche amico figo o ricco a cui chiedere?
Comunque, una sigaretta non si rifiuta a nessuno. Chloe non era come quegli stronzi che facevano sempre finta di averle finite quando ne aveva bisogno...
"Certo..." Chloe estrasse dalla tasca il pacchetto e con una scossa fece sporgere una sigaretta che porse a Rachel.
"Grazie! Sei la mia salvatrice!" il sorriso di Rachel era contagioso e per quanto Chloe si volesse opporre, anche le sue labbra si inarcarono in qualcosa di più allegro. Non disse nulla, si limitò a provare stupore quando Rachel estrasse un accendino giallo dalla sua tasca. Quindi fumava davvero, non era una scusa o altro…
Zic! Zic! Zic!
Rachel prese un lungo tiro avido e una voluta di fumo le circondò la testa.
Contrariamente a ciò che Chloe si aspettava, Rachel non se ne andò. Invece, si avvicinò ancora un po' a lei, appartandosi dietro l'angolo. Nel silenzio tra loro, Rachel iniziò a leggere le scritte sul muro intorno al cartello "No Sucking". Le trovò divertenti dato che si lasciò andare ad una risatina allegra.
Chloe si sentiva vagamente a disagio.
Primo, perché Rachel Amber fumava?
Secondo, perché proprio lì con tutti i posti e le persone con cui poteva farlo?
Terzo... ancora… perché rimaneva lì?
"Hai ottimi gusti musicali!" disse Rachel piantandole addosso quegli occhi da gatto.
"Ehm... Eh?" Chloe fu colta alla sprovvista.
"I Rangus... indossi una loro maglietta!" Rachel fece un cenno divertito.
"Ah... oh... Si è vero! Beh, ovviamente spaccano!" concesse Chloe, che ancora non riusciva a mettere a fuoco la situazione. Le persone come Rachel non scambiavano due chiacchiere con quelle come Chloe. Non senza un secondo fine, per sfottere o essere stronzi in qualche modo.
"Conosci i Firewalk?" chiese Rachel, che sembrava non mollare l'osso.
Ma stavolta aveva toccato un tasto...
Chloe amava i Firewalk!
Tra i gruppi undergrownd emergenti erano i suoi preferiti. Glieli aveva fatti conoscere Skip e il loro sound incazzato con testi altamente cazzuti l'avevano conquistata.
La cosa strana era che li conoscesse Rachel!
Chloe inarcò un sopracciglio perplessa e Rachel incrociò le braccia accigliata: "Non li conosci?" sembrava stupita e delusa.
"N-no... cioè... cazzo certo che li conosco. Mi stupisce che li conosca tu!" disse Chloe prendendo un ultimo tiro dalla sigaretta ed estraendone meccanicamente un'altra.
Rachel corrugò la fronte: "Ah sì? È così bizzarro?"
"Beh..." Chloe si grattò la testa. Non sapeva bene come replicare senza sembrare offensiva.
Che cazzo... Miss Perfettina Amber che fuma e conosce i Rangus e i Firewalk?
Tra quanto il cielo sarebbe diventato rosso e sarebbero piovute rane?
"è solo... non me l'aspettavo. Ecco." tentò di rimediare Chloe.
"Non sei l'unica ad avere buoni gusti musicali!" Rachel ammiccò ritrovando il sorriso e riacquistando una postura aperta. Gustava ogni tiro di sigaretta e Chloe si sorprese a fissarle le labbra. Erano lucide così normalmente o aveva messo qualcosa? Ma che cazzo gliene doveva fregare tra l'altro?
Era così impegnata che si perse il complimento.
Rachel ridacchiò.
"Cosa?" chiese Chloe perplessa.
Lei fece spallucce: "Non è un'interrogazione sai? Volevo solo fare due chiacchiere. Fumo sociale sai?"
"Ehm... Mi dispiace. Di solito non faccio molta conversazione..." replicò Chloe.
"Sei una dura! Hai una reputazione da difendere!" la schernì giocosamente Rachel.
"Ovviamente! Inoltre, di solito la gente... del tuo rango non parla con me."
"'Gente del mio rango'?" Rachel sembrava perplessa.
Ecco... Chloe fanculo... stessi zitta ogni tanto!
"Scusa... lascia perdere. È una stronzata."
"No, spiegami..." nel tono di Rachel c'era fermezza, ma apparentemente nessuna offesa.
Chloe la squadrò. Sembrava totalmente rilassata, nessuna minaccia sembrava in arrivo.
Poteva esporsi?
Un pochino?
"Insomma, persone di famiglie ricche e facoltose... di solito non si mescolano con delle 'borse di studio' come me..."
"Si capisco cosa intendi..." il tono di Rachel era pieno di sincera empatia "Le persone sanno essere particolarmente stronze. Soprattutto ad Arcadia Bay..." aggiunse.
"Davvero? Tu che ne sai? Sei Rachel Amber, studentessa modello e figlia del Procuratore..." sputò Chloe in automatico. Se ne pentì immediatamente, ma non poteva impedirselo. I suoi filtri sociali erano difettosi.
Rachel sgranò gli occhi per un momento.
"Tu non mi conosci..." disse quasi ringhiando e Chloe si sentì una completa idiota. Poi di colpo il volto si addolcì "Per ora..."
"Mi dispiace..." disse Chloe, ma quel ‘Per ora...' le rimase impresso.
"Non ti preoccupare. Ho una reputazione, in gran parte costruita da mio padre. Per lui la vita privata è solo un aspetto del lavoro. E comunque, avere buoni voti è sia un modo per farlo contento che un mezzo per andarmene..."
"Andartene?" indagò Chloe.
"Da Arcadia Bay..."
La faccenda diventava sempre più interessante.
E sospetta, ma Chloe voleva saperne di più.
"Odi anche tu questo buco di merda?"
Rachel scoppiò a ridere: " ‘Anche io’?" ah... rispondere alle domande con altre domande...
"Beh, io di sicuro la odio... posto di merda, pieno di pezzi di merda!"
"Dimmi quello che pensi davvero, Chloe!" sghignazzò stupefatta Rachel, cosa che per qualche ragione fece sentire Chloe piuttosto soddisfatta di sé stessa.
"Io... non direi che la odio, ma Arcadia Bay è un microscopico angolo del mondo... c'è così tanto da vedere e da fare là fuori."
"Sembra di sentire Max..." appena le parole sfuggirono dalla bocca Chloe si bloccò e la sua espressione si indurì. Rachel se ne accorse e anche lei si fece di colpo seria.
"Max?" tentò di indagare.
"Lascia perdere..." disse Chloe e Rachel annuì.
Chloe maledisse sé stessa per essersi lasciata sfuggire il nome di Max. Perché cazzo in ogni fottuto momento doveva tornarle in mente? Perché cazzo ogni cosa finiva col ricordargliela. Doveva esserci qualcosa di rotto, fottutamente disfunzionale nel suo cervello! Finì la seconda sigaretta mentre il silenzio tra loro due si protraeva.
In quel momento la campana che segnalava la fine della pausa pranzo risuonò per tutto il campus.
"Che lezione hai adesso?" chiese Rachel.
"Igiene..." sbuffò Chloe "Tu?"
"Laboratorio Teatrale!" il tono di Rachel si riempì nuovamente di entusiasmo.
"Deve essere... divertente?" tentò Chloe.
"Molto di più! Un giorno potresti assistere a una lezione se ti va. Al Prof Keaton non dispiacerà."
"Si beh... non lo so... non capisco niente di teatro..."
"L'arte non va capita, va sentita!"
"Bella frase... chi l'ha detta?"
"Rachel Amber!" disse lei gonfiando il petto. Chloe diede un’occhiata…
"Pfffh..." Chloe si trovò a sghignazzare "Ok Drama Queen!"
Rachel sorrise felice: "Mi piace come soprannome!"
"Posso trovarne altri se vuoi!" si offrì Chloe scatenando di nuovo l'ilarità di Rachel.
"Sei divertente!"
"Sarò qui tutta la settimana..." commentò Chloe.
Rachel rispose con una spinta giocosa contro la spalla sinistra di Chloe. Quel genere di gesto di complicità che non era abituata a ricevere. Non da quando Max era partita. Si sentì contenta e al tempo stesso a disagio.
"Dovremmo rifarlo qualche volta!" disse Rachel.
"Cosa?"
"Passare del tempo insieme."
"Oh..." Chloe distolse lo sguardo confusa e un po' imbarazzata.
Perché Rachel voleva passare del tempo con lei?
Una guerra civile era in atto nella sua mente, un conflitto fra il timore che ci fosse sotto qualcosa di losco e il profondo desiderio di conoscere meglio questa ragazza che sembrava nascondere una personalità ben più complessa di quella che le avevano cucito addosso. Che Chloe stessa le attribuiva…
Rachel sghignazzò: "Tranquilla, senza impegno! A presto!"
E come un folletto Rachel Amber si allontanò.
"A... presto?" replicò Chloe timidamente.
Continuò a fissarla finché non svanì oltre le porte del campus.
Anche gli altri studenti stavano convergendo all'interno. Chloe invece rimase immobile.
Aveva bisogno di un'altra sigaretta!
Non era sicura di quello che era appena successo, avrebbe elaborato meglio con dell'erba, ma tra gli altri provvedimenti messi in atto dal Dick-tator David c'era l'analisi del capello. Le avevano fatto il test antidroga il giorno stesso in cui l’avevano recuperata dalla capanna della Forestale e David aveva promesso di fargliene un altro prima di porre fine alla punizione per assicurarsi che fosse pulita. In caso contrario, avrebbe protratto il lockdown! Il test del capello era impossibile da ingannare, almeno Chloe non sapeva come fare… e a seconda del tipo di test riusciva a individuare tracce di droga a distanza di mesi. Joyce ormai sembrava assecondare ogni sua follia e Chloe non aveva la forza mentale di opporsi. Così fumava quasi due pacchetti di sigarette al giorno per compensare l'assenza di marijuana!
La accese e prese un lungo e soddisfacente tiro...
"Chloe!"
Lei sobbalzò e la sigaretta le cadde a terra.
"Ma porca putt... Skip cazzo! Mi hai fatto prendere un colpo. Mi devi una sigaretta Coso!"
La guardia giurata della Blackwell la fissava da un metro, vagamente divertito e con le braccia conserte.
"Non dovresti fumare, in primo luogo. Ma a parte questo, le lezioni iniziano e devo fare il mio lavoro. Mi spiace!"
"Ok ok... vado!" si incamminò.
Mentre Skip la scortava verso l'ingresso un moto di curiosità la scosse.
"Senti, ma per caso hai consigliato tu i Firewalk a Rachel Amber?"
"Eh??"
"Rachel Amber, sai chi è vero?"
"Ovvio che so chi è... ma che c'entrano i Firewalk?" chiese l'uomo confuso.
"Niente... prima abbiamo parlato e ho scoperto che li conosce..."
"Oh! Interessante! Beh c'è da dire che quella ragazza conosce la sua musica."
"Ma i Firewalk sono undergrownd, li conosci solo se sei nel giro... no?"
"Beh, non glieli ho consigliati io. Una volta le ho prestato un loro CD."
"Capito..." Chloe fece spallucce.
"Che è tutta 'sta curiosità?" Skip strinse gli occhi.
"Cazzi miei!" rispose Chloe con un ghigno.
"Ha! Sempre la solita testa di cazzo! Vai a lezione prima che ti porti da Wells!" minacciò ridendo Skip.
"Tanto per un motivo o l'altro mi ci porterai di nuovo! È il destino!" commentò Chloe varcando la soglia della Blackwell.
 
****************************
 
This is a song about somebody else
So don't worry yourself, worry yourself
The devil's right there right there in the details
And you don't wanna hurt yourself, hurt yourself
Looking too closely
Looking too closely
Oh, no, no, no!
 
Put your arms around somebody else
Don't punish yourself, punish yourself
Truth is like blood underneath your fingernails
And you don't wanna hurt yourself, hurt yourself
Looking too closely
Looking too closely
Oh, no, no, no!
Oh, no, no, no!
 
You don't wanna hurt yourself, hurt yourself
You don't wanna hurt yourself, hurt yourself
Oh, no, no, no!
And I could be wrong about anybody elseSo don't kid yourself, kid yourself
It's you right there, right there in the mirror
And you don't wanna hurt yourself, hurt yourself
Looking too closely
(Mmmm mmmm mmmm)
Looking too closely
 
(Mmmm mmmm mmmm)
Yeaaah
Yeah, yeah, yeah, yeah!
Looking too closely
You don't wanna hurt yourself
You don't wanna hurt yourself, hurt yourself
Looking too closely
(Fink – Looking too close)
 
******************************************
 
"Ancora non ci credo che sei riuscita a trovarli..." esclamò Megan, i grandi occhi azzurri pieni di un'eccitazione rara. Rachel aveva il petto gonfio di soddisfazione, quella dei piani ben riusciti!
"Ho le mie fonti..." che tradotto significava ‘Steph’.
 
Il sole splendeva caldo e libero in un cielo azzurro completamente sgombro di nubi. L'assenza di foschia e i 25° la rendevano una giornata felicemente inconsueta per l’autunno di Arcadia Bay. Rachel si godeva le carezze dei raggi solari misti alla brezzolina fresca che soffiava dall'oceano, mentre le ragazze percorrevano il lungo viale che dalla Blackwell conduce all’Arcadia Bay Ave. Era l'8 ottobre, il compleanno di Megan. Durante le visite a casa Weaver, Rachel aveva perlustrato disinvoltamente la sua camera in cerca di lacune nelle sue molteplici collezioni. Infine l'aveva trovata! Aveva tampinato Steph perché smuovesse i suoi contatti nerd per procurarle una reliquia dei lontani anni '80: la serie completa a fumetti di Doctor Who, edita dalla Marvel tra il 1984 e l'86. E c'era riuscita. Tre giorni prima Steph aveva avvicinato Rachel con fare losco, in una giornata uggiosa prossima alla pioggia. Cappuccio della felpa tirato su, aveva trascinato Rachel nel vicolo nei pressi del parcheggio della Blackwell e aveva estratto furtivamente una busta plastificata dallo zaino.
"La tua roba..." aveva sussurrato porgendogliela.
Rachel, dapprima sorpresa, l'aveva giocosamente assecondata, dandole i soldi con una stretta di mano disinvolta.
Tutto era finito in grasse risate e una colazione in Caffetteria, durante la quale Steph aveva comunque voluto mantenere il mistero su come si fosse procurata quei ventitre fumetti.
A volte i nerd sembrano spacciatori!
 
Comunque, quel giorno Rachel aveva consegnato la busta a Megan al termine delle lezioni. Si godette ogni cambio di espressione del suo volto. Prima sorpresa, poi curiosità, poi quell'eccitata tensione che accompagna l'attesa mentre Meg apriva la busta ancora sigillata. Infine, gli occhi spalancati, la bocca aperta in una O di felice stupore, gridolini eccitati e balzi di gioia, terminati in un caloroso abbraccio. Le due rimasero strette un minuto abbondante, mentre Meg era tutta un "grazie, grazie, grazie!". Quelle esplosioni di affetto non erano abituali per lei e Rachel fu felice di esserne la causa.
 
"Nemmeno io so da dove provengono quei fumetti! È stato un lavoro super segreto!" continuò Rachel mentre le due ragazze svoltarono a destra sulla Arcadia Bay Ave, proprio di fronte al porto. In quel punto l'odore non era dei migliori, soprattutto perché la strada era sottovento. Rachel e Meg non vollero accelerare, però. Volevano godersi il tragitto a piedi con molta calma fino al Two Whales, dove le attendeva Summer Weaver, la madre di Megan. Quella sera era prevista la festa di compleanno in famiglia, come l’anno precedente, e come ogni volta che la sua famiglia si riuniva, Megan era in tensione. Per questo voleva evitare di pensarci finché non fosse stato inevitabile.
 
"Hai colmato un vuoto esistenziale nella mia collezione. A Natale dovrò inventarmi qualcosa di altrettanto grosso per ripagarti!" esclamò Megan sistemandosi i lunghi capelli bruni smossi dalla brezza.
"E' un regalo Meg, non va ripagato!" puntualizzò Rachel.
"Beh... comunque mi inventerò qualcosa che alimenti le tue ossessioni, come tu alimenti le mie! A proposito... hai sentito che ad aprile arriva la nuova stagione di Doctor Who??"
"Si! Ci sarà un nuovo Dottore."
"Siamo a Undici, ho visto che lo interpreterà Matt Smith! Lo conosci?" disse Megan.
"Sinceramente no. Cioè, so che faccia ha ma non l’ho mai visto recitare." ammise Rachel.
"Secondo me è perfetto per il ruolo!"
"Sarà, a me non convince moltissimo. Ha dei tratti troppo strani. David Tennant era super espressivo, comunicava perfettamente l'eccentricità del Dottore. Smith invece... non lo so. Però in effetti non l'ho visto all’opera quindi facciamo che sospendo il giudizio!" decise Rachel diplomaticamente.
"Neanch’io l’ho mai visto al lavoro e comunque l’attrice sei tu. Però ha dei tratti somatici particolari, ma magari funzionerà proprio per quello. Comunque sono eccitatissima! Finalmente riprenderemo le Tardis Night!"
"Già! Aver finito tutte le serie aveva un po' tolto il senso a quel nome!" scherzò Rachel.
 
Da quando Megan si era trasferita ad Arcadia Bay per la Blackwell, si era sentita spaesata. Passare da Roseburg, una città di oltre ventimila abitanti, ad Arcadia Bay che ne contava circa un migliaio era stato complicato, unito al fatto che si era lasciata alle spalle amici, abitudini e stile di vita. Certo, la Blackwell era parte del suo piano, quello che Meg aveva sempre avuto per la sua vita: diventare una grande scrittrice e girare il mondo. Questo implicava studiare nelle scuole migliori, avere un rendimento alto, frequentare un college facoltoso come Stanford o Berkeley e magari fare carriera nel giornalismo. Tanti grandi autori sono stati giornalisti prima di scrivere il primo libro, come Gabriel García Márquez! Quando i suoi nonni proposero di pagarle gli studi e ospitarla ne fu felice, avrebbe potuto conoscere meglio la sua famiglia, da cui la madre l'aveva sempre tenuta lontana, oltre a seguire i suoi sogni. Così si era ritrovata catapultata in una microscopica cittadina di provincia per frequentare una delle scuole più facoltose dello stato e vivere nell'enorme villa dei Weaver. Non che fosse davvero così grande, ma sempre più dell'appartamento in cui era cresciuta con sua madre. DEGLI appartamenti, per la precisione. Era tutto nuovo, tutto diverso, nonno Stanley e nonna Grace erano gentili con lei, ma anche severi e pretenziosi. Gli studenti della Blackwell sembravano tutti provenienti da un pianeta diverso, quello dei ricchi, su cui Megan era appena atterrata e si sentiva totalmente aliena.
Finché aveva incontrato Rachel.
Lei le era sembrata fin dall'inizio l'anello di congiunzione fra il suo vecchio mondo e quello nuovo. Era di buona famiglia, ma alla mano e per nulla snob. Megan voleva viaggiare per il mondo, benché si fosse sempre accontentata di farlo tramite i libri, mentre Rachel lo faceva davvero! Adorava sentirla parlare dell'Europa, soprattutto dell'Italia. Come lei era una lettrice vorace e gli argomenti di conversazione non mancavano mai. In lei, Meg sentiva di aver trovato un punto fermo, il rapporto solido che le serviva per muoversi in quella realtà che, anche dopo un anno, le rimaneva estranea...
 
"Intanto che aspettiamo aprile, possiamo sempre trasformarle in serate cinema con altri film sci-fi..." propose Megan assumendo un atteggiamento più timido.
"Sarebbe figo! Non so quando potremo però, ottobre sarà un mese infernale. Quest'anno abbiamo un progetto impegnativo con Keaton, faremo un approfondimento su Shakespeare con la Hoida per tutto il mese e dovrò studiare un monologo per il provino di novembre. Probabilmente non avrò tempo se non per studiare e provare..." spiegò Rachel. Megan non poté evitare di provare una certa delusione.
"Beh, possiamo comunque studiare insieme. L'approfondimento su Shakespeare dovrò farlo anch'io..." tentò di nuovo.
"Quello certamente!" sorrise Rachel e Megan si sentì rassicurata.
"E poi tra noi l'esperta di Shakespeare sei tu!" aggiunse Meg
"Sono Rachel Shakamberspeare!" si vantò scostandosi una ciocca di capelli biondi con fare da diva "Comunque, vedo le tue serate cineforum e rilancio con Ballo di Halloween in costume coordinato!" aggiunse Rachel. Megan inarcò un sopracciglio.
"Immagina..." continuò Rachel sottolineando ogni parola con lenti gesti delle mani "Una bella serata, io e te che andiamo insieme, tu vestita dal decimo Doctor Who e io da Rose Tyler!"
"Non saprei Rach... sai che le feste non sono il mio forte..." l'ansia sociale di Megan si presentava solo al pensiero.
"Ma sarai con me. Sarà divertente!" lo sguardo di Rachel era pieno di promesse e sincerità. Megan sorrise e cedette.
"Oooook... ma Doctor Who è un uomo, ha pure i capelli corti, come faccio a vestirmi da lui?"
"Ci penso io a quello. Affidati alla maestra!"
Megan rise e si sentì più tranquilla. Non per la festa, quella la terrorizzava. Ma se Rachel era con lei forse l'avrebbe saputa gestire. Forse!
 
Intanto, mentre i gabbiani strillavano sopra le loro teste, avvistarono due balene blu, segno che erano arrivate a destinazione. Il diner era sottoposto al solito via vai pomeridiano. Davanti all'ingresso, nei pressi del cartello che invitava ad entrare e provare gli “Hamburger più fantastici dell'Oregon”, c'era una donna che fumava. Lunghi capelli neri e ricci, canottiera rosa, camicia a quadri grigi e azzurri, shorts vertiginosi di Jeans.
Rachel non la notò finché non vide Megan accelerare il passo nella sua direzione. Anche la donna si voltò e le andò incontro. Si abbracciarono sorridenti, profondendosi in affettuosi saluti. Rachel si avvicinò e Megan fece le presentazioni:
"Rachel, ti presento mia madre, Summer Weaver!"
"Così tu sei la famosa Rachel Amber. Megan parla un sacco di te!" aggiunse Summer.
"In persona. È un piacere conoscerla, anch'io ho sentito parlare molto di lei!"
"Awwww... dammi del ‘tu’ tesoro!" canticchiò la donna. Il suo atteggiamento era fastidiosamente affettato per i gusti di Rachel. Sembrava così diversa da Megan, che al contrario era sempre composta.
Summer Weaver spostò di nuovo l'attenzione su sua figlia, squadrandola da cima a fondo.
"Certo che ti stai davvero snobizzando parecchio!" commentò. Megan spostò il peso del corpo sull'altra gamba, chinando la testa in imbarazzo.
"Perché?" chiese.
"Sembri tua nonna con quella camicetta e il maglioncino verdino... e la gonna… sai che le fanno anche più in alto delle ginocchia?" una smorfia per nulla celata comparve sul volto di Summer, mentre Megan si rimpiccioliva. Rachel avrebbe voluto intervenire, ma conosceva il rapporto di Megan con sua madre. Si amavano alla follia, ma al tempo stesso tutto era diventato più difficile dopo il trasferimento.
"Ho preso tre giorni di ferie, così avremo tempo per andare a fare shopping! Dobbiamo assolutamente andare a Portland e rifarti il guardaroba, amore!" continuò Summer senza avvedersi del rossore sulle guance della figlia.
"La tua amica ha decisamente più gusto di te! Dovresti prenderla ad esempio! Mi piace la tua maglietta! Aaadoro i System of a Down!" si rivolse distrattamente a Rachel.
Sembrava inarrestabile, finché la vibrazione del cellulare interruppe il flusso di parole.
"Oh... scusate... devo rispondere!" spiegò Summer mentre si allontanava di qualche passo.
Quando fu abbastanza lontana Rachel notò che Megan aveva il volto seppellito nelle mani.
"Hey?"
Megan sospirò, scoprendo il volto paonazzo, su cui gli occhi azzurri risaltavano ancora di più "Scusami..."
"E di cosa? Non esageravi quando dicevi che era una tipa particolare!" scherzò Rachel tentando di alleggerire.
"Già... ma non è cattiva!" Megan mordicchiava il labbro inferiore nervosamente.
"Sicura che va tutto bene?"
"Si..." sospirò ancora Megan "Intendo questo quando ti dico che mamma è gelosa dei nonni. Si sente in difetto perché non può pagarmi gli studi e la infastidisce che siano i suoi genitori a farlo, e ad ospitarmi. Loro sono gentili, ma a volte sembra che mi vogliano modellare a loro immagine. Visto che non hanno potuto farlo con la loro figlia proiettano su di me..."
Rachel la ascoltò con attenzione, i suoi occhi nocciola fissi in quelli azzurri di Meg. Ecco un altro motivo per cui si trovava bene con Rachel. Quando parlavi con lei, sentivi di avere tutta la sua attenzione.
"Mi dispiace..." le sussurrò dolcemente.
Meg scrollò le spalle: "A volte capisco perché mia madre è scappata di casa. Cioè... lei era incinta e tutto, ma dopo un po' che vivi con i miei nonni vorresti solo fare il contrario di quello che si aspettano! Così, solo per il gusto di deluderli..." la voce di Megan ora era simile ad un ringhio sommesso "Forse avrei dovuto seguirti a qualcuna delle tue feste con Armond l'anno scorso..."
Gli occhi di Rachel si illuminarono in modo furbo: "Beh... possiamo sempre rimediare ad Halloween..."
"Cosa intendi?"
"Lascia fare a me" ammiccò Rachel "Siamo adolescenti, trasgredire è la nostra natura!!" concluse cripticamente.
Megan sorrise.
"Allora vedrò di sopravvivere alla serata in famiglia di oggi!"
 
Poco dopo Summer Weaver concluse la telefonata e si riavvicinò alle ragazze. Megan salutò calorosamente Rachel prima di entrare al Two Whales per pranzare con la madre, sperando che avesse esaurito le critiche.
 
-
 
Rachel
  • Hey ciao! Come stai?
Nathan
  • Di merda grazie!
  • Tu?
Rachel
  • Che succede???
Nathan
  • Niente…
Rachel
  • Falla finita e parlami Nate!
Nathan
  • Football.
  • Jake e Taylor mi hanno fottuto il borsone col ricambio di vestiti e l’hanno messo sotto la doccia…
  • Ridevano tutti e io ero lì in mutande…
  • Nemmeno il coach ha fatto niente…
  • Figli di puttana… vorrei solo… prendere l’estintore e darglielo in testa uno per uno a quelle merde!!
  • E vaffanculo anche mio padre che mi obbliga a far parte della squadra…
Rachel
  • È orribile Nate
  • Mi dispiace…
Nathan
  • Non è colpa tua
Rachel
  • La smetteranno
  • Purtroppo il liceo è così ma almeno sai che ci sono persone su cui puoi contare.
Nathan
  • Tipo?
Rachel
  • Tipo me coglione!!
Nathan
  • Lo so!
  • Volevo solo che lo dicessi. XD
Rachel
  • Awwww <3 <3
  • A proposito!
  • Come va il monologo improvvisato per Keaton?
Nathan
  • Scegli sempre gli argomenti giusti!
  • Mio padre vuole che faccia Ferdinando, così sto preparando lui.
Rachel
  • E tu chi vorresti fare?
Nathan
  • Nessuno??
Rachel
  • XD
  • Sii serio!
Nathan
  • Davvero non lo so.
  • Ho appena iniziato
  • Non mi sento pronto per un ruolo qualsiasi
  • Al massimo farei qualcosa di secondo piano… che ne so una comparsa!
Rachel
  • Beh tu mettiti alla prova.
  • Keaton poi ti aiuterà e se non ti ritiene adatto ti darà un ruolo migliore.
  • Di lui puoi fidarti.
Nathan
  • Keaton mi obbligherà a fare Ferdinando perché mio padre vuole così.
Rachel
  • Tuo padre non è Dio Nate
Nathan
  • Ci si avvicina…
Rachel
  • Comunque Ferdinando è un personaggio che può farti scoprire cose interessanti su te stesso
  • Un principe donnaiolo… insomma… potresti essere tu! XD
Nathan
  • Seeeeee certo!
  • Soprattutto donnaiolo!
Rachel
  • Beh… a proposito, chi era quella ragazza carina con cui hai pranzato ieri??? :3
Nathan
  • Chi???
Rachel
  • Lo sai
Nathan
  • Mi stalkeri?
Rachel
  • Lo sai che frequentiamo la stessa scuola e pranziamo nello stesso posto??
Nathan
  • LOL
  • Si chiama Samantha Myers. Strano che non la conosci! Non sei amica di tutti??
Rachel
  • Non deviare!
Nathan
  • XD
  • Frequentiamo alcuni corsi insieme.
  • È simpatica
Rachel
  • Ti faceva gli occhi a cuore!!
Nathan
  • Stronzate!
Rachel
  • Io vedo tutto!!
Nathan
  • Vedi anche me e te a colazione insieme al Two Whales domattina?
Rachel
  • Perché no?
  • Sono in astinenza da waffle!
Nathan
  • Andata!
  • A domani!!
 
-
 
Steph
  • Hola Rach!
Rachel
  • Bonjour Stefy G.
Steph
  • Non so se amare o odiare i nomignoli che usi…
Rachel
  • Ovviamente li ami!
  • Tutto bene??
Steph
  • XD
  • Tutto bene! Mi chiedevo se avessi programmi per Halloween e soprattutto da cosa ti vestirai!
Rachel
  • Io e Megan andremo vestite da Doctor Who e Rose Tyler! Io sarò Rose perché sono bionda!! XD
Steph
  • Oh! Ma è tipo un appuntamento?
Rachel
  • No no.
  • In realtà ho un cavaliere che mi aspetta e il piano è trovarne uno anche per Meg.
  • Non dirglielo però o non riuscirò mai a trascinarla fuori di casa!
Steph
  • Chi è il tuo cavaliere?
Rachel
  • Joel Brown
Steph
  • Sei passata dai nuotatori ai giocatori di basket!
Rachel
  • Mi piacciono alti e muscolosi!
  • Come ogni brava Miss Perfettina del liceo!
Steph
  • XD
  • Non ci credo neanche un po’!
  • Beh pazienza
  • Troverò qualcun'altra!
  • E non dirò nulla a Meg tranquilla
  • Comunque se avete bisogno di aiuto per il costume sai dove trovarmi!
Rachel
  • Certo
  • Grazie Steph!
Steph
  • ^.^
 
-
 
Kelly
  • Ciao Rachel!
Rachel
  • Kel!
  • Come stai?
Kelly
  • Vorrei essere sulla cima di una montagna innevata…
  • Ma sono ad Arcadia Bay a prendere a testate le dispense su Shakespeare!! DX
Rachel
  • Capisco bene
  • Anche se alla montagna preferirei una assolata spiaggia californiana! XD
Kelly
  • LOL
  • In realtà ti ho scritto perché vorrei chiederti aiuto…
Rachel
  • Dimmi tutto!
Kelly
  • Vorrei provare il mio monologo per il ruolo di Ariel…
  • Possiamo vederci così mi dai un parere?
Rachel
  • Sicuro!
  • Anch’io vorrei provare il mio per Miranda e mi serve un parere esterno.
Kelly
  • Fantastico!!
  • Domani pomeriggio dopo scuola?
Rachel
  • Aggiudicato.
  • Ma posso chiederti una cosa?
Kelly
  • Certo!
Rachel
  • Ovviamente sono felice di provare con te, ma perché non l’hai chiesto a Marisa?
  • Va tutto bene?
Kelly
  • In realtà no
  • Abbiamo litigato.
Rachel
  • Mi dispiace
  • Se vuoi parlarne io sono qui.
Kelly
  • Ti ringrazio ma non via sms
  • Magari domani…
Rachel
  • 😊
  • A domani allora!
 
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Rachel
  • Heilà North!
  • Sono due settimane che non ti sento… tutto bene?
Drew
  • Hey Amber
  • Mi spiace ho un po’ di problemi
Rachel
  • Cosa succede?
Drew
  • Non ti preoccupare posso gestirlo
Rachel
  • Drew…
  • Perché fai finta di non potermi dire le cose?
Drew
  • Perché sono perfettamente in grado di cavarmela da solo
Rachel
  • Ok… non voglio disturbarti
Drew
  • No scusa
  • Sono un coglione…
  • Mio padre ha perso il lavoro
Rachel
  • O.O
  • Cosa??? Come??!
Drew
  • La A.B. Marine Corporation è fallita, i Prescott l’hanno rilevata e ora stanno licenziando tutti.
  • Pezzi di merda maledetti!!!
Rachel
  • Cazzo…
  • Mi dispiace così tanto Drew
  • Posso fare qualcosa per aiutarti?
Drew
  • No ma grazie
  • Sono felice che ti interessi ma possiamo gestirla e non voglio che si sappia troppo in giro
  • Quindi per favore tienilo per te
Rachel
  • Certo
  • Perché in realtà di cognome faccio Rogers e il mio vero nome è Marisa…
  • Ovviamente rimarrà tra noi due
  • E puoi parlarmene quando vuoi!
Drew
  • Lo apprezzo
  • Per ora stiamo capendo cosa fare.
  • Probabilmente dovrò trovarmi un lavoretto per aiutare, ma papà sta pensando di ipotecare la casa per pagare le spese mediche di Mikey… l’assicurazione non copre tutto e quindi…
  • Fanculo
Rachel
  • Ho dei soldi da parte
Drew
  • Non dirlo
  • Non voglio la carità
Rachel
  • Allora vedilo come un prestito
Drew
  • Se posso evito anche i debiti
  • Davvero Rachel
  • Va bene così
  • La risolverò
Rachel
  • Ok
 
 
-
 
Appartati in un tavolo d'angolo della Biblioteca della Blackwell, sotto un ampio finestrone che illuminava naturalmente la loro postazione, Rachel e Justin erano chini su libri di Algebra e compiti non finiti. Il ragazzo aveva preso l'ennesima D, Rachel l'aveva sentito lamentarsi sottovoce con Trevor di quanto non ci capisse niente e avesse bisogno di ripetizioni, ma non potevano permettersi un insegnante privato... così era intervenuta.
L'aveva fatto d'istinto, dopotutto aveva A+ in Algebra, non le costava nulla aiutarlo. Inoltre, Rachel sapeva che Justin era amico di Chloe. Magari avrebbe potuto estrapolare qualche informazione su di lei. Dopo il loro incontro nell'area fumo non aveva più veramente parlato con Chloe. Si erano solo scambiate saluti frettolosi nei corridoi, poche chiacchiere volanti in Caffetteria all'ora di pranzo che tuttavia la ragazza punk trascorreva rigorosamente in solitudine da qualche parte in cortile, dove poteva fumare e mangiare senza nessuno intorno. Rachel poteva capirla, ma queste sue abitudini rendevano difficile creare un qualsivoglia legame!
Chloe le piaceva. Aveva un fascino tenebroso e maledetto che trovava meraviglioso, soprattutto, Chloe era l'unica cui sembrava non fregare un cazzo di lei! Rachel era piuttosto sicura che chiunque altro avesse agganciato con la scusa della sigaretta le avrebbe almeno chiesto di scambiarsi i numeri o l'avrebbe cercata in qualche altro modo. Non Chloe.
Perché a Chloe non frega un cazzo di niente e di nessuno!
Rachel voleva superare quella barriera.
Non si poneva il problema del perché.
Forse era una sfida con sé stessa, forse un'infatuazione momentanea.
Non le importava.
Voleva conoscere Chloe Price, sapere cosa si celasse dietro quella faccia scontrosa che indossava quotidianamente. Rachel poteva intuirlo, era solo una maschera. Una corazza per difendersi da un ambiente ostile. Un po' come quella di Miss Perfettina che indossava lei, per non deludere suo padre e avere tutti i vantaggi accademici che quell'atteggiamento le garantiva. Ma nemmeno Rachel era soltanto quello. Era anche una semi-nerd con Megan e Steph, una diva del teatro con Keaton, era stata una grupie con Armond e ora giocava ad esserlo con Joel Brown, almeno fino ad Halloween. Non poteva negare che uscire con Joel le garantiva un modo educato per allontanare le attenzioni di Steph! La ragazza piaceva a Rachel, ma decisamente non nello stesso modo in cui Rachel piaceva a lei!
Tante maschere, a volte troppe per poterle gestire. Eppure, Rachel ci riusciva in qualche modo, pur desiderando potersele togliere tutte.
Si era ripromessa che al Liceo sarebbe stata sé stessa.
A volte non sapeva più cosa questo significasse.
Sempre che l'avesse mai saputo...
 
"Io sti fottuti polinomi non li capisco Rach..." disse Justin mentre la sua testa precipitava sbuffante sul libro aperto.
"Fosse l'ultima cosa che faccio te li farò entrare in testa!" annunciò Rachel.
"I miei neuroni sono bruciati..."
"Naaah... hai solo bisogno di più caffè!" scherzò Rachel.
"Caffeina per contrastare il THC!" commentò lo skater rialzando pesantemente il cranio.
"Forse possiamo aggiungerci un chilo di Twinky!" disse lei meditabonda scatenando le risatine ebeti di Justin. In realtà non aveva fumato per tutto il giorno, era solo un atteggiamento abituale. Essere il fattone del gruppo era la maschera di Justin. Rachel la vedeva distintamente e come per tutte le maschere, sapeva che c'era di più oltre. Infatti, Justin non era stupido. Dalle poche chiacchiere che avevano scambiato era emerso che i suoi problemi riguardavano esclusivamente le materie scientifiche, mentre in quelle artistiche e umanistiche aveva una media di B. Semplicemente, come Rachel, anche Justin era più portato verso la creatività. Si trattava solo di trovare la ricetta giusta per far attecchire i concetti.
 
"Facciamo una pausa dai!" concesse Rachel.
"Grazie! Io ti avevo avvertita che ero un caso disperato..." disse Justin rilassandosi contro lo schienale della sedia.
"Non è così Just. Dobbiamo solo trovare il metodo giusto. Nessuno è una causa persa, siamo solo diversi e non impariamo le cose nello stesso modo."
"Potresti prendere il posto del Prof Terry? Sei molto più gentile e simpatica!"
Rachel scoppiò a ridere "Cazzo lo spero!"
"Andiamo a prenderci quel caffè di cui parlavi..." disse Justin alzandosi.
"E i Twinky. Non scordarti dei Twinky!"
 
Lasciarono sul tavolo in biblioteca solo i libri di testo, portando zaini e oggetti di valore con loro in Caffetteria. Prelevarono entrambi una grossa tazza di caffè e dieci merendine da dividere, ma che Rachel era più che disposta a cedere interamente a Justin. Presero posto ad uno dei molti tavoli liberi.
"Comunque ti ringrazio per l'aiuto. Senza di te non saprei come fare..."
"Non preoccuparti. Lo faccio con piacere!"
"E... bella maglietta!" disse Justin indicandola con un cenno.
"Conosci gli Alice in Chains?" chiese Rachel
"Certo che si! Li preferivo prima che si sciogliessero... il loro sound è sempre cazzuto, ma ho l'impressione che si siano un po' commercializzati... non so... è cambiato qualcosa!" spiegò Justin.
"Beh... è morto Staley... è cambiato parecchio direi!" scherzò Rachel.
"Beh si... però i cantanti non dovrebbero essere così importanti in un gruppo. Cioè, non più di chitarra, basso o batteria. Mi spiego?"
Rachel si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, facendo oscillare la piuma blu: "Credo di sì! Intendi che i cantanti non dovrebbero determinare lo stile di una band più di qualunque altro membro?"
"Esatto! L'hai detto meglio tu!" esclamò Justin entusiasta.
Rachel sorrise per quella reazione. Ecco il vero Justin, non biascicava più le parole, il suo tono era pulitissimo e analizzava le cose in modo lucido! Bastava parlare di qualcosa che amava. Valeva così per tutti probabilmente...
“Buon punto! E qual è la tua canzone preferita?" chiese Rachel.
"Nutshell! Ha quel sound malinconico che mi piace!" disse Justin senza esitazione "Poi in realtà va a periodi, credo che questo sia il periodo Nutshell! E la tua?"
Rachel meditò alcuni istanti: "Non è facile. Non ho canzoni preferite in genere, ma forse sono in un periodo da Down in a Hole..."
"Woah... è tosta come canzone! Cioè... ha un testo..."
"Tetro?" concluse Rachel per lui.
"Decisamente tetro! Non ti facevo così dark!"
"Down in a hole
Feelin' so small
Down in a hole
Losin' my soul
I'd like to fly
But my wings have been so denied"
 
canticchiò Rachel ripetendo il ritornello della canzone.
"Esatto!" annuì Justin
"Mi piace essere sorprendente!" ammiccò Rachel. Sembrò arrivato il momento buono per aprire le indagini: "Anche Chloe era molto sorpresa quando ha scoperto che conosco i Firewalk!"
"Conosci i Firewalk?!"
Rachel scoppiò a ridere: "Ecco appunto!"
"E soprattutto... non sapevo che uscissi con Chloe!" disse Justin, assumendo un altro tono. Quello del gossip!
"Non usciamo. Le ho scroccato una sigaretta e abbiamo fatto due chiacchiere un paio di settimane fa. È stato bello! Non frequento molta gente con cui posso parlare di musica alla pari!" ammiccò Rachel.
"Ma sentila! 'Alla pari'!" sghignazzò Justin "Meno male che non c'è Chloe a sentirti!"
"Perché? È così esperta?"
"Più di me sicuramente! Cazzo dovresti troppo uscire con noi una sera! Voglio assistere ad un duello fra voi due!" Justin era incredibilmente eccitato all'idea.
"Pffth... magari mentre indossiamo solo un bikini in una piscina di fango?!" sghignazzò lei.
"L'hai detto tu! Io non mi oppongo!" Justin si sporse all’indietro sullo schienale della sedia, braccia spalancate con fare innocente.
"Posso immaginare! Però io non so andare in skateboard."
"Ti insegno io. Almeno ricambio per le ripetizioni!"
"Grazie! Che combinate in genere quando uscite?" chiese Rachel.
"Beh... cazzeggiamo... andiamo in skateboard, se c'è brutto tempo prendiamo provviste e andiamo a casa di qualcuno a giocare alla Play o all'XBox. In primavera facciamo dei falò in spiaggia!"
"Provviste?"
"Erba, cibo e birra!" disse lui candidamente, scatenando l'ilarità di Rachel.
"Pensi di corrompermi così facilmente?"
"Lo sei già sorella!" commentò Justin.
"Forse! Beh... penso sia ora di tornare all'Algebra che ne pensi?"
"Noooooooo...." eeeed ecco di nuovo Justin che precipita nel mood biascicante fattone "No no no... servono più Twinkies e caffè!"
"Avanti! Puoi farcela! Altrimenti non potrai insegnarmi ad andare in skateboard!"
Justin sembrò quasi drizzare le orecchie.
"Ok ok... andiamo!"
 
-
 
Rachel uscì dall'ufficio del Preside, dopo aver organizzato la pila di circolari e la corrispondenza che ingombrava la sua scrivania. Da pochi giorni si occupava di questa nuova mansione, relativamente impegnativa, ma divertente a suo modo.
Era cominciato all'inizio di quella settimana, quando Rachel era stata convocata a sorpresa da Wells, il quale le aveva comunicato il suo orgoglio per il suo rendimento, comportamento e attenzione alla comunità scolastica.
"Mi ha molto colpito il fatto che tu abbia deciso di aiutare un compagno in difficoltà a recuperare una materia... Justin Williams giusto?" disse Wells con la sua voce baritona.
"Esatto Signore. Non è una gran cosa. Aveva bisogno di aiuto e gliel'ho dato!" sorrise lei seduta davanti alla scrivania ingombra di documenti. Alle pareti non c'erano quadri, ma alcuni diplomi e riconoscimenti incorniciati, tutti riguardanti le cospicue specializzazioni e riconoscimenti di Raymond Wells. Il resto della stanza era una sorta di archivio strapieno di documenti scolastici, che straripavano letteralmente ovunque.
Il preside si accorse dell'attenzione di Rachel all'aspetto della stanza e proseguì:
“E’ proprio per questo tuo atteggiamento positivo che ti ho convocata. Come vedi abbiamo un problema di... organizzazione!" disse indicando con un vago imbarazzo la stanza.
Rachel annuì con un sorriso comprensivo.
"Non voglio caricarti di ulteriori impegni, ma sei una ragazza sveglia e disponibile e voglio offrirti l'opportunità di arricchire il tuo curriculum con crediti extra e al tempo stesso essere d'aiuto alla comunità Blackwell!"
Rachel trovava insopportabile quel modo di girare intorno al punto del discorso. Suo padre lo faceva in continuazione quando voleva qualcosa da lei... o da chiunque. Wells non era diverso. Evidentemente era una tecnica che insegnavano all'università dei manipolatori. Attese pazientemente che Wells facesse il suo giro e che finalmente arrivasse alla richiesta.
"Vorrei che diventassi la mia assistente personale, vale a dire che ti occupassi di organizzare la documentazione del mio ufficio in modo da sveltire il mio lavoro. Dalla segreteria le comunicazioni mi arrivano in ordine sparso e vengono depositate sulla mia scrivania senza criterio di priorità o rilevanza. Di solito chiedo questo genere di aiuto a studenti Senior, ma nel tuo caso faccio un'eccezione. Perlopiù si tratta di lavoro di archivio e organizzazione. È una grossa responsabilità poiché ti dà accesso al mio ufficio e a documentazioni sensibili. Ma mi fido di te. Inoltre l'impegno sarebbe limitato, dovresti presentarti in segreteria per le nove e solo a volte alle otto."
Ovviamente, Rachel aveva accettato.
Come dire di no?
Rachel raramente diceva no a qualcosa di nuovo e potenzialmente utile o stimolante. Certo, le fecero firmare un documento in cui si impegnava a non divulgare nessuna informazione cui avesse avuto accesso, intenzionalmente o meno, ma questo non le impedì di dare comunque una sbirciata alle circolari che le passavano sotto mano e ai dossier degli studenti!
Naturalmente guardò quello di Chloe.
Scoprì che suo padre era morto il 28 settembre 2008, e intuì immediatamente il motivo della sua assenza lo stesso giorno di quell'anno...
Scoprì che i suoi problemi comportamentali erano cominciati allora, insieme al crollo dei voti.
Scoprì che per un po' aveva frequentato la counselor della scuola, a intermittenza, finché non aveva smesso. Su quel dossier c'era un elenco infinito di segnalazioni, infrazioni e punizioni, con commenti dei professori.
Rachel si sentì in colpa.
Erano informazioni molto personali, avrebbe preferito che fosse Chloe a rivelargliele. Scoprirle in quel modo le parve una violazione... così chiuse il dossier e tentò di cancellare tutto dalla sua memoria.
Non così facile!
Ora capiva molte cose, ad esempio perché Chloe fosse così diffidente verso gli altri.
Era stata bullizzata per un intero anno, finché non aveva cominciato a reagire, passando dalla parte del torto secondo Wells e il resto dei professori. Ma cosa si aspettavano? Una ragazza che ha perso il padre in quel modo non può semplicemente farsene una ragione e andare avanti. Lei stessa, nonostante l'atteggiamento di James, come avrebbe mai potuto sopportare di perderlo? Era suo padre cazzo! Era il suo mondo...
 
Quel giorno uscì dalla segreteria, Wells non era ancora arrivato, ma la signorina Hansen l'aveva gentilmente liberata dall'onere di aspettarlo.
E di colpo l’aveva sentito...
"Lascia stare Nathan!" disse un'acuta voce femminile.
"Sai una cosa Prescott? Ti faccio un favore! Non puoi stare nella squadra e occuparti di questa merda!" questo invece era Drew.
"Sei un bastardo! Ridammelo o ti ammazzo!!" Nathan... che cazzo stava succedendo?
"Sparisci idiota!" Era la voce di Chloe? Sembrava molto incazzata!
"Cosa cazzo mi hai detto?" Replicò Drew!
Rachel si avvicinò al portone della Blackwell e li vide, ai piedi della scala, che si fronteggiavano.
Drew brandiva un quaderno nero, che Rachel riconobbe come il portfolio di Nathan, il quale era lì accanto, atterrito. Chloe era pericolosamente vicina a Drew, faccia a faccia, incurante della mole di muscoli che la stava sfidando. C'era anche quella matricola, Samantha Myers, visibilmente preoccupata.
Rachel sgranò gli occhi, sgomenta e confusa.
"Idiota! Oh scusa! Non sei abituato a parole così lunghe? Non preoccuparti, ci sono gli insegnanti di sostegno..."
Pffh... Chloe sei fantastica, ma non esagerare...
"Stai davvero difendendo Nathan Prescott?"
"Congratulazioni! Sei riuscito a farmi impietosire per lo stronzetto viziato. Questo la dice lunga su quanto sei stronzo!" incalzò Chloe senza smuoversi di un millimetro.
Doveva intervenire? Rachel non aveva assistito all'inizio, ma era piuttosto chiaro che Drew aveva infastidito Nathan in qualche modo, poi Chloe e Samantha erano intervenute. Doveva chiamare Skip? Non lo vedeva in giro...
Cazzo...
"Sei fuori di testa! Vedi di farti i cazzi tuoi!" gridò Drew
"Non hai idea di quanto sia pazza! Continua a provocare e lo scoprirai!"
"Vuoi prenderle?!" Drew si avvicinò allargando le braccia come un orso, aumentando la sua ombra. Chloe, per nulla intimidita si avvicinò a lui di un mezzo passo. I loro volti erano così vicini che potevano toccarsi.
Woah Chloe...
Rachel mise una mano sulla maniglia.
"Vuoi duellare per la tua bromance con Nathan? Sei così innamorato di lui! Avanti, perché non te lo fai qui?!"
Rachel iniziò ad aprire la porta.
Samantha scoppiò a ridere, attirando l'attenzione di Drew.
Rachel si fermò.
"Che cazzo ridi tu?" sbraitò Drew.
"Chloe ti sta facendo il culo!" replicò Samantha divertita.
"Chiudi il becco matricola!"
"Tu chiudi il becco!" sbottò la ragazza, nello stupore generale.
Drew si allontanò da Chloe, trovandosi accerchiato dalle due ragazze e Nathan.
Rachel era indecisa.
Intervenire, non intervenire...
La situazione sembrava essersi disinnescata...
Ma dove cazzo era Skip??
"Fanculo Prescott! Sei fortunato... ti sei fatto difendere da due ragazze! Riprenditi le tue merda di foto!" e gettò a terra il portfolio di Nathan, prima di andarsene imbufalito.
Nathan si chinò a raccogliere il quaderno, mentre Samantha si avvicinò a lui. Di colpo il ragazzo scattò contro Chloe:
"Pensi che abbia bisogno di aiuto?! Da te?? Fatti i cazzi tuoi!!!" strillò istericamente prima di correre via.
Rachel si portò una mano delusa al viso.
Nathan... sai essere un vero idiota...
La situazione sembrava essersi calmata e proprio in quel momento suonò la campanella della prima ora.
Rachel fece alcuni passi indietro, cercando di elaborare ciò che era successo.
Si massaggiò la fronte e lanciò un ultimo sguardo all'esterno, notando che era rimasta solo Chloe e che Skip si era finalmente palesato.
Alla buon'ora!
Si avviò per raggiungerla e darle manforte...
"Miss Amber?"
Lei si voltò...
"Preside Wells!"
"Grazie di avermi aspettato fin adesso, ma non è necessario che arrivi in ritardo alle lezioni!" lui sorrise. Era un tentativo di ironia probabilmente. Rachel regalò una risatina.
"Certo che no! Le auguro una buona giornata!" disse lei cordialmente.
"Altrettanto!"
E Rachel si allontanò e fece rotta verso la classe di Storia Americana.
Ricordò in quel momento che quella classe la condivideva con Chloe...
 
-
 
Come sempre, Chloe era in ritardo ed Eliot era seduto nel banco a sinistra del suo, guardando la porta in attesa come un cagnolino che aspetta il padrone. Ma c’era qualcosa di diverso.
Rachel Amber era seduta nel banco alla destra di Chloe.
Difficile non notarla.
Appena entrata in classe dopo l’alterco con Drew, Chloe aveva incrociato lo sguardo nocciola di Rachel. Aveva una strana luce negli occhi, come una specie di contentezza che non riusciva a giustificare.
Si sarà fatta una scopata!
Eliot si profuse in gesti di saluto verso Chloe, che ricambiò imbarazzata, dirigendosi fino al suo posto.
"Grazie di averci degnati della tua illustre presenza Chloe!" disse il professor Fitzpatrick con le mani sui fianchi, lasciando prendere aria alle ascelle sudate.
"So che le mancherei troppo prof!" lo schernì lei, scatenando un brusio di ilarità nella classe.
Il professore perse la sua baldanza e un'ombra calò sul suo viso: "Vedi di tacere e prendi il libro!" disse sgarbatamente.
"Agli ordini!" bisbigliò Chloe eseguendo.
Lanciò uno sguardo a Rachel, già con libro e quaderno aperti, penna in mano pronta a prendere appunti.
Miss Perfettina Amber mode on.
Mentre Chloe sistemava le sue cose con la voglia di vivere di un bradipo, Eliot si chinò verso di lei. Troppo vicino!
“Come stai?” le chiese con un sorriso.
“Tutto ok!” disse lei tentando di tagliare corto.
“Come mai eri in ritardo? È successo qualcosa?” chiese Eliot, sempre sorridendo. Quel suo strano sorriso di circostanza.
“Coso… sono io. Mi riconosci? Chloe Price?” sibilò lei.
“Chloe!!” il richiamo di Fitzpatrick la fece trasalire “Vuoi fare un altro giro in Presidenza? Un’altra macchia sul tuo curriculum scolastico?”
Lei sbuffò e lanciò un’occhiataccia a Eliot, che si ritirò al suo posto con lo sguardo basso e pentito.
“Scusi scusi… faccio la brava…” rassicurò Chloe tentando di non sembrare strafottente. A Fitzpatrick bastò e ricominciò la spiegazione.
Se il primo anno era stato orientato alle civiltà precolombiane, il secondo era iniziato con la felice scoperta *slash* invasione dell'America da parte di Colombo, con tanto di approfondimenti sul Columbus Day. Quel giorno il Prof Fitzpatrick stava spiegando in dettaglio le origini della festa del Ringraziamento, quando i padri pellegrini calvinisti si trovarono ad affrontare un inverno rigido e un raccolto scarso. Così i nativi giunsero in loro soccorso, portando cibo e sementi che potessero attecchire. In cambio ricevettero Bibbie e coperte al vaiolo!
Breve storia triste!
Per Chloe era l'ennesima prova che fidarsi era da coglioni!
Proprio in quel momento una manina minuta al cui polso era legato un braccialetto azzurro posò furtivamente qualcosa sul suo banco. Chloe si voltò verso il pezzetto di carta ripiegato vicino al suo astuccio e guardò Rachel con espressione interrogativa.
Lei le sorrise e fece un cenno verso il bigliettino.
Chloe fece spallucce e attese che Fitzpatrick non la guardasse per leggere il messaggio.
 
Ho visto come hai difeso Nathan. Mi dispiace che Drew si sia comportato da stronzo... conosco tutti e due e non sono cattive persone.
 
Chloe era confusa.
Strappò un pezzetto di carta dal suo quaderno e scrisse una risposta:
 
Quindi eri nascosta dietro un cespuglio a spiare la scena? Sei una stalker? Perché non sei intervenuta?
 
Glielo passò di straforo e Rachel lo prese immediatamente.
Sembrava ansiosa di vedere la risposta.
La sentì soffiare una risatina soffocata e la guardò scrivere un nuovo bigliettino, prontamente recapitato.
 
Non dietro un cespuglio, stavo uscendo dalla segreteria e vi ho sentiti litigare. Volevo intervenire ma ho visto che avevi tutto sotto controllo, poi è suonata la campanella e ora siamo qui! Comunque sei davvero cazzuta! Non conosco nessuno che reagirebbe così contro Drew.
 
Chloe continuava ad essere confusa.
Non riusciva a capire perché Rachel continuasse a cercarla...
Non che le desse fastidio. Avrebbe voluto, ma ne era quasi… contenta?
Non voleva esserlo!
Non poteva permetterselo!
Con la coda dell’occhio intravide Eliot guardare nella sua direzione. Aveva uno sguardo interrogativo e fece un cenno silenzioso verso Rachel. Chloe fece spallucce e gli sorrise, come a dire “Boh!”
 
Strap!
Scrib scrib...
 
Non è stata una gran cosa. Odio i bulli e con loro funziona solo l'aggressività. Probabilmente me le avrebbe date... e comunque Nathan mi ha mandata a fanculo per averlo difeso e di sicuro daranno la colpa a me quindi... nessuna buona azione rimane impunita.
 
Sentì Rachel sbuffare
 
Non essere così disfattista. Non possono darti la colpa, è evidente quello che è successo!
 
Chloe sorrise amaramente.
Rachel... dolce bimba d'estate... Lo dicevo che non vivi nel mondo reale! Pensò di scriverle.
Optò invece per un:
Ok!
 
Quell'ultimo bigliettino sembrò lasciare interdetta Rachel. I monosillabi sembravano confonderla. Le lanciò uno sguardo indagatore e poi sorrise, strappò un altro lembo di foglio del quaderno, che ormai era ridotto della metà, e scrisse un nuovo messaggio:
 
Ti va di uscire più tardi? Scambiamoci i numeri. Questo è il mio...
 
Chloe rimase a fissare il bigliettino, probabilmente con un'espressione molto simile a quella di Rachel pochi istanti prima.
Era evidentemente una presa per il culo, solo più elaborata. Come Marisa all'inizio che sembrava tutta amica, poi si è trasformata in una puttana. Rachel era sicuramente uguale. Erano tutti uguali...
O magari no?
 
A Chloe venne in mente quella scena del Signore degli Anelli in cui Gollum litiga con sé stesso. Sentiva improvvisamente di poterlo capire. Eliot alla sua destra guardava in avanti, ma si spostava continuamente sulla sedia, come per aggiustare la posizione, sporgendosi sempre un po’ di più verso Chloe. Voleva sbirciare il bigliettino?? Chloe sghignazzò interiormente.
Lanciò uno sguardo a Rachel che stava seguendo la lezione ma era chiaramente protesa verso di lei, in attesa della risposta.
Cosa fare?
 
Qualcuno bussò alla porta.
"Avanti!" disse Prof Fitzpatrick.
Skip varcò la soglia, accolto da alcuni fischi e "Wooop!" che lo fecero scoppiare a ridere. Recuperò subito la serietà.
"Devo portare Chloe Price in presidenza..." disse al professore.
"Ma che sorpresa... sentito Price? Non serve nemmeno che ti ci mandi io!" replicò Fitzpatrick ironicamente.
"Wells ama la mia compagnia... che posso farci? Mi darà dei crediti extra immagino!" commentò Chloe alzandosi e benedicendo quell'imprevisto che l'aveva salvata dal dilemma in cui si stava perdendo.
Lanciò un ultimo sguardo a Rachel nella cui espressione vide qualcosa. Delusione? Preoccupazione?
Le stesse emozioni che vide sul volto di Eliot.
La classe rise alla battuta di Chloe che raggiunse Skip.
In breve, i due si trovarono soli nel corridoio, avviati verso l'atrio.
"Che succede?" chiese Chloe?
"Lo sai che io faccio le consegne e basta..." replicò Skip.
"Non viola i diritti civili questo modo di fare? Tipo, un arrestato non dovrebbe sapere il motivo dell'arresto o merda del genere??"
Skip sghignazzò: "Non sei mica in arresto! E comunque la scuola serve ad abituarti alla violazione dei tuoi diritti, così da grande non protesterai!"
"Come cazzo fa uno come te ad essere il capo della sicurezza in una scuola privata di fricchettoni?!" lo schernì Chloe.
"Sai... Ho prestato servizio nell'esercito. Per fortuna ero nelle comunicazioni e non ho combattuto, ma ho visto come funzionano le cose e ho deciso di mollare. Ma poi quando torni a casa devi pagare l'affitto e quindi... dire che sei stato nell'esercito ti apre qualche porta a volte!" Skip fece spallucce.
"Beh... sono contenta che ci sia uno come te qui, invece di uno stronzo traumatizzato come il fidanzato di mia madre..." commentò acidamente Chloe.
"Tua madre sta con un veterano?" disse Skip stupito.
"Si... una testa di cazzo totale..."
"Ha combattuto?" Skip si era fatto piuttosto serio.
"Si, in Afghanistan mi pare... non ne parla mai e comunque non voglio sapere..."
"Fai bene. Io ho avuto fortuna, ma chi parte per combattere non torna mai tutto intero..."
"Non è una scusa per essere uno stronzo fascista!"
Skip alzò le mani: "Non dico questo. Dico solo che la guerra distrugge le persone."
Chloe fece spallucce. Non aveva nessuna intenzione di proseguire il discorso. Se l’avesse fatto avrebbe rischiato di ammettere che una parte di lei provava pena per David ed era triste per lui. Era un uomo spezzato dalla vita… avrebbe potuto quasi comprenderlo. Ma non voleva! Lui ERA e DOVEVA rimanere lo stronzo usurpatore del posto di suo padre al tavolo e nel letto di sua madre. Il pezzo di merda che voleva imporle disciplina e ordine e che la trattava continuamente a pesci in faccia. Tutte cose vere e incontrovertibili! I problemi di David, la sua vita del cazzo, non dovevano diventare anche i problemi di Chloe. Lui non doveva far parte della sua vita!
Infine, raggiunsero la segreteria e...
Di colpo dei passi concitati echeggiarono alle loro spalle nel corridoio.
Entrambi si voltarono e videro Rachel correre verso di loro.
"Ehm... Rachel che ci fai qui?" chiese Skip, dando voce al pensiero di Chloe.
"So perché Chloe è stata convocata. È per il litigio di stamattina. Io ho assistito e quindi posso dare una testimonianza esterna dell'accaduto!" disse lei.
"Ma non è detto che sia per quello..." disse Skip "Non so nemmeno io perché è convocata..."
"Si che lo sai Skip, tu sei il Capo della Sicurezza. Sai SEMPRE perché gli studenti vengono convocati. Sono l'assistente di Wells, con me non puoi fare il finto tonto..." sorrise compiaciuta Rachel.
"Aaah... è così Skip? Prendi per il culo gli amici?" il tono ironico di Chloe mascherò la sua delusione.
"Non è questo... io..." Skip si grattò la nuca, colto in castagna.
"Me ne ricorderò..." disse Chloe.
Fanculo... poi uno non deve essere diffidente.
Tutti mentono
Nessuna FOTTUTA eccezione!

“Ok… vieni anche tu, ma Fitzpatrick sa che sei qui?” si accertò Skip.
“Certo!” replicò Rachel.
“Mmmh… ok…” appena Skip si voltò Rachel fece l’occhiolino a Chloe. Quel modo di fare era oggettivamente intrigante e comunque… forse avere un’alleata nell’ufficio di Wells per una volta sarebbe stato un bene. Sempre che non fosse un trucco di qualche tipo…
Fottuta paranoia…
Chloe lasciò Skip andare avanti di qualche passo e si avvicinò a Rachel, chinandosi leggermente verso di lei. Aveva un buon profumo… gelsomino?
“Il prof lo sa davvero che sei qui?” bisbigliò Chloe.
Rachel la fissò con un ghigno: “Ovviamente no… gli ho detto che andavo in bagno…” sussurrò lei.
Sempre
Più
Intrigante
 
L'ufficio di Wells era decisamente più ordinato da quando Rachel ci aveva messo mano. Aveva organizzato gli spazi in modo che ogni angolo della stanza fosse deputato ad una specifica funzione: angolo raccoglitori per questioni importanti ma non urgenti, scrivania numero due per le questioni rimandabili o delegabili, scrivania del preside per tutte le questioni urgenti da sbrigare immediatamente. Ovviamente tutto suddiviso per tipologia di documento, dalle comunicazioni interne, alle lettere di genitori, ex alunni e istituzioni, ai report degli insegnanti, e così via. Quando Rachel voleva sapeva essere davvero puntigliosa, ai limiti dell’autismo!
Chloe non era al corrente di tutto questo, ma notò il maggior ordine nell'ufficio di Wells, che era seduto alla sua scrivania con già indosso la faccia da Inquisizione Spagnola. L'espressione si sciolse nello stupore quando vide Rachel al suo fianco.
"Miss Amber? Non sei stata convocata, come mai sei qui?"
"Io..." tentò di spiegare Skip, ma Rachel lo interruppe.
"Ho assistito al litigio per cui ha convocato Chloe e posso fornire una testimonianza dell'accaduto."
"Quindi sai perché siamo qui..." Wells lanciò uno sguardo laser a Skip, che lo evitò fingendo di guardarsi intorno con le mani in tasca.
"Molto bene..." continuò Wells.
"Sedetevi... grazie signor Matthews..."
Skip si ritirò in silenzio e le due ragazze presero posto davanti alla scrivania di Wells.
"Dunque... Miss Price! Ci vediamo un po' più spesso di quanto sarebbe tollerabile." esordì tornando al volto minaccioso.
Chloe sogghignò: "Le nostre conversazioni sono molto più interessanti delle lezioni!"
"Meglio non fare la gradassa Price. Questa volta la situazione è grave. Parliamo di bullismo..."
"Certo!" annuì Chloe, svaccata sulla sedia.
"Ho saputo di quel che è accaduto con Nathan Prescott, comportarsi con violenza verbale o fisica nei riguardi di un altro studente è inaccettabile, così come le minacce di qualsiasi genere!"
"Sono d'accordo!" annuì Chloe, sapendo già dove stava andando la conversazione. Non aveva nemmeno intenzione di combattere. Era rassegnata.
Rachel era ancora zitta, in ascolto.
"Bene! quindi condividerai il mio provvedimento di sospensione nei tuoi riguardi!" affondò Wells, stufo della condiscendenza di Chloe.
Lei fece spallucce.
Rachel la guardò stupefatta. Prima lei, poi Wells.
“Per iniziare ti sospendo tre giorni e voglio un colloquio con tua madre…”
"Forse dovrebbe dire queste cose a Drew, il vero responsabile delle cose di cui sta parlando..." lo interruppe Chloe con un tentativo privo di speranza.
"Drew North ha una situazione particolare, inoltre i testimoni che ho ascoltato dicono che sei stata tu a prendertela con Nathan. Non ho altra scelta che..."
"Mi scusi Preside Wells... ma Chloe ha ragione!" la voce di Rachel zittì Wells, preda dello stupore.
"Cosa?" disse lui.
"Io ho assistito all'intera scena. Drew ha minacciato Nathan e gli ha sottratto il suo portfolio, allora sono intervenute Samantha Myers e Chloe per difenderlo. Drew si è comportato in modo minaccioso con Chloe ma lei lo ha affrontato e alla fine la situazione si è risolta senza danni e senza violenza. Penso che dovrebbe davvero rivedere la sua posizione!" la voce di Rachel forte, salda, imperiosa. Sia Wells che Chloe ne furono stupiti, per motivi totalmente diversi.
E la confusione di Chloe aumentava…
Rachel la stava difendendo davvero?
Certo in effetti aveva detto di essere lì esattamente per quello...
Ma... sul serio?
"Miss Amber sei sicura della tua versione? È in netto contrasto con ciò che ho sentito dal signor North e dal signor Prescott..."
"Pffhahahah... Incredibile!" Chloe scoppiò in una risata amara.
"Price?!" sbottò Wells.
"Prima lo difendo e poi mi accusa... è proprio una merdina... avrei fatto bene a lasciarlo pestare..." Chloe partì a ruota libera, parlando più con sé stessa che con Wells.
"Basta così! Quindi confermi la versione di Rachel?" chiese Wells.
"Si, confermo..." disse Chloe massaggiandosi stancamente gli occhi e la fronte, con un sorriso esausto sul volto.
Wells affondò nello schienale della poltrona, contemplando il da farsi.
Chloe si sentì sfiorare il ginocchio destro e d'istinto si ritrasse. Vide Rachel con la mano protesa verso di lei e il viso sorpreso dalla sua reazione. Chloe comprese...
Rachel voleva solo confortarla.
Rachel era lì per aiutarla. Davvero!
Rachel aveva allungato una mano verso di lei per sostenerla e lei l'aveva respinta.
Non c'era niente di contorto in tutta questa situazione.
Per qualche motivo ignoto, Rachel Amber era al suo fianco nel momento del bisogno.
Non poteva dire lo stesso di nessun'altro da molto tempo...
Si sentì incredibilmente stupida.
Rachel le sorrise, forse lesse sul suo volto tutto quel turbinio di pensieri e sensi di colpa.
"Bene!" sbuffò Wells "Evidentemente la situazione non è limpida come sembrava. Miss Price, sei libera di andare. Miss Amber, rimani ancora un momento..."
Chloe sentì accelerare i battiti.
Che cazzo voleva ora da Rachel?
Esitò, fissando lo sguardo prima su Wells e poi su Rachel.
"Ho bisogno di parlare in privato con Rachel, cortesemente..." incalzò Wells indicando la porta.
"O-ok..." tentennò Chloe.
Rachel le lanciò uno sguardo che sembrava dire "è tutto ok!"
 
Chloe uscì dalla stanza e chiuse la porta alle sue spalle. Sarebbe rimasta ad origliare, ma la signorina Hansen le lanciò uno sguardo tagliente, così si allontanò. Decise però di appostarsi fuori dalla segreteria.
Fanculo... adesso Wells voleva punire Rachel per averla aiutata?
Non dovette aspettare molto tempo, pochissimi minuti dopo Rachel uscì dall'ufficio e salutò cordialmente. Uscendo incappò in Chloe.
"Oh! Mi hai aspettata!" disse lei sorridente.
"Si! Che cazzo voleva Wells?" chiese con ansia.
"Chiedermi alcuni dettagli in più sulla faccenda. Niente di che..."
"Non mi dici cazzate vero? Non ti ha ripresa perché mi hai aiutata?"
Rachel la guardò stupefatta: "No! Perché avrebbe dovuto?"
"Perché è uno stronzo... qui lo sono tutti... hai visto che voleva darmi la colpa??" Chloe parlava a macchinetta.
"Calmati. La cosa si è risolta. Wells si fida di me altrimenti non sarei la sua assistente..."
"Si... ok..." Chloe prese un profondo respiro e si massaggiò la fronte "Scusa..."
"Non ti preoccupare. Macchinette? Caffè?"
"Una birra sarebbe meglio... ma anche un caffè lurido va benissimo!"
Rachel sghignazzò.
 
Mentre l'ingombrante macchina produceva la sua acqua sporca, Chloe si appartò sul lato ed estrasse un pennarello dalla tasca. Rachel lo notò e istintivamente si guardò intorno per farle da palo. Quando Chloe rimise a posto il pennarello, Rachel andò a vedere il risultato: una caricatura di Drew e Nathan che si baciavano, con tanto di gocce di saliva che colavano tra le loro bocche. Sopra di loro la scritta “Bromance” circondata da nuvolette e cuoricini.
Rachel scoppiò a ridere mentre Chloe ritirava il caffè dalla macchinetta.
"Cosa?"
"Il tuo disegno è spettacolare!" sghignazzò Rachel.
"Grazie..."
"Hai talento!"
"Non direi..."
"Ce l'hai. Non dovresti sottostimarti."
Chloe fece spallucce, guardò il bicchierino di plastica con il caffè e lo porse a Rachel, che restituì un sopracciglio alzato.
"Lascia che ti offra almeno un caffè visto che mi hai salvato il culo." disse Chloe senza incrociare il suo sguardo.
"Grazie! Lo accetto ma non basta per essere pari!" replicò lei prendendo il caffè.
Ecco... lo sapevo...
Arriva il ricatto...

"Che vorresti allora?" sbuffò Chloe.
"Che rispondi al mio ultimo bigliettino..."
"Eh?"
Rachel ridacchiò: "Ti va di uscire più tardi? Ci scambiamo i numeri?"
Sul serio??
Chloe precipitò sulla terra e le ultime nubi di paranoia si dispersero.
"Ah... oh... si ok! Cioè... non posso uscire dopo, sono in punizione, ma possiamo scambiarci i numeri. Si! Totalmente!"
"Perfetto! Beh usciremo un'altra volta... Mi presti il tuo pennarello?"
Chloe la assecondò, quindi Rachel le porse il suo caffè, le afferrò la mano destra e le scrisse il suo numero sul palmo. Dopodiché restituì il pennarello e si riprese il caffè, porgendo la sua mano destra. Chloe la fissò alcuni momenti e sorrise divertita. Le scrisse il numero.
"Ora siamo pari Chloe Price!" ammiccò.
 
-
 
Eliot
  • Ciao Chloe!
Chloe
  • Hey!
Eliot
  • Che voleva Wells da te oggi?
Chloe
  • Fare lo stronzo…
  • Come sempre!
Eliot
  • Qualche dettaglio in più??
Chloe
  • Niente…
  • Oggi Drew faceva lo stronzo con Nathan Prescott e io l’ho difeso
  • Wells voleva dare la colpa a me
  • Se non fosse stato per Rachel che si è imbucata nell’ufficio e ha raccontato la verità mi avrebbe sospesa
Eliot
  • Rachel era con te??
Chloe
  • Yup!
Eliot
  • Ho visto che vi scambiavate bigliettini in classe
  • Che voleva da te?
Chloe
  • Ma niente Coso!!
  • Che hai?
Eliot
  • Nulla
  • Sono preoccupato per te
Chloe
  • Non esserlo
  • Va tutto bene
  • Sto a meraviglia
Eliot
  • Ok
  • Vuoi che passi da te?
  • Un po’ di compagnia durante la punizione?
Chloe
  • No
  • Non preoccuparti Eliot
  • Ma grazie
Eliot
  • Ok!
 
-
 
Rachel
  • Ciao Nate
  • Cos’è successo stamattina?
Nathan
  • Di che parli?
Rachel
  • So di Drew e di Chloe che ti ha difeso
  • Vi ho visti
  • Perché hai dato la colpa a lei?
  • Se non avessi raccontato a Wells la mia versione ora l’avrebbero sospesa.
Nathan
  • Fanculo la prossima volta sta fuori dai piedi
  • Avevo tutto sotto controllo
Rachel
  • Ah sì?
  • Ho visto come avevi in pugno la situazione.
Nathan
  • Tu sei anche amica di quello stronzo
  • Perché non te la prendi con lui??
Rachel
  • Arriverà anche il suo turno.
  • E non me la sto prendendo con te!
  • Voglio solo sapere cos’è successo e perché hai mentito a Wells
Nathan
  • Drew voleva buttare il mio portfolio nella fontana
  • È da giorni che mi sta addosso
  • Mi ha detto di non fare il suo nome o me ne sarei pentito…
  • Mi dispiace non volevo mettere in mezzo nessun’altro
  • Ho pensato che comunque anche Samantha aveva visto tutto e avrebbe detto la verità…
  • Non lo so
  • Mi dispiace
Rachel
  • Ok
  • Non è successo niente, ho parlato con Wells e Chloe non c’è andata di mezzo
  • Ma non mentire su queste cose
Nathan
  • Mi dispiace
Rachel
  • È tutto ok
  • Ora devo prendere a calci in culo Drew
Nathan
  • 😊
 
-
 
Rachel
  • Drew mi spieghi cos’è successo stamattina??
Drew
  • Ciao anche a te!
  • Non so di che parli…
Rachel
  • Si che lo sai!
  • Prima bullizzi Nathan che sai essere un mio amico
  • Poi lo minacci perché incolpi qualcun altro??
  • Che ti succede?
Drew
  • Che ne sai di quello che è successo?
Rachel
  • Ero lì e ho visto tutto.
Drew
  • Lo stronzetto ha parlato…
Rachel
  • PRIMO
  • Lascia stare Nathan
  • SECONDO
  • Sono preoccupata per te
  • Comportarti in questo modo non è da te
Drew
  • Non sai un cazzo di me né di quello che sto passando
  • A volte devi scegliere da che parte stare
  • Vuoi stare dalla parte di Nathan o dalla mia?
Rachel
  • Sei serio?
Drew
  • Serissimo
Rachel
  • Allora fottiti
  • E stai alla larga da Nathan
  • Se recuperi il cervello dal buco del culo sai dove trovarmi e mi aspetto delle scuse
  • Ah… visto che sei stato troppo coniglio per assumerti le tue responsabilità ci ho pensato io a spiegare a Wells come sono andate le cose.
  • Se non l’avessi fatto avresti fatto sospendere ingiustamente una persona che non se lo merita.
  • Riflettici
Drew
  • Sei una stronza…
  • Mi metti pure nei casini…
  • Vaffanculo!!!!
 
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A volte sembra che l'universo abbia un suo strano modo di riportare l'equilibrio nelle cose. Un modo distorto e sadico. Prima ti fa accadere qualcosa che ti rende felice, che ti fa ben sperare nella vita… poi rimedia subito.
Quella mattina, dopo essersi scambiate i numeri, Chloe e Rachel tornarono in classe e ognuna prese la sua strada. Al suono dell'ultima campanella Chloe tornò a casa e salutò freddamente sua madre che era in salotto a leggere una rivista delle sue. Dopo una prolungata pausa sigaretta scese per fare i compiti. Da qualche tempo aveva due scelte, o farli in camera e poi mostrarli una volta finiti, oppure farli davanti a Joyce o David. Quel giorno optò per la seconda e leggermente meno umiliante opzione. Non era facile concentrarsi quel giorno... Rachel continuava a tornarle in mente. Il modo in cui l'aveva difesa davanti a Wells...
Ed ora che si erano scambiate il numero cos'erano? Amiche?
Non riusciva proprio a concentrarsi su Chimica, ma doveva sforzarsi. Nell’ultimo test aveva preso una C e la prof Grant continuava a pungolarla sul fatto che stava sprecando il suo potenziale. Nel suo caso, e solo nel suo, Chloe sapeva che la donna era sinceramente preoccupata per lei. Anche se non faceva differenza…
Joyce verso metà pomeriggio abbandonò il divano per spostarsi in cucina, dove avviò l'elaborata preparazione dello spezzatino... tanto caro a David.
E infine accadde...
Le tue paure si realizzano sempre quando meno te l'aspetti.
Strisciante, quel momento arriva travestito da qualcosa di normale... addirittura positivo.
Come quando David entrò felice in casa portando un mazzo di rose rosse e annunciando di aver finalmente trovato lavoro! Il Center Market di Bay City l'aveva assunto in prova come guardia giurata. Non era ancora un posto sicuro, ma di certo un buon inizio. Chloe non ricordava di averlo mai visto sorridere così, né tanto a lungo. Era inquietante, ma a suo modo una buona cosa. Finalmente avrebbe contribuito alle spese di casa invece di fare il parassita.
E poi tutto precipitò.
Mentre Joyce era voltata cercando un vaso per i fiori e complimentandosi con lui, David frugò nella tasca ed estrasse una scatoletta nera...
Si inginocchiò e quando Joyce finalmente si voltò quasi lasciò cadere il vaso di vetro che stringeva tra le mani.
"Joyce... io... sarei perso senza di te. Mi sei stata accanto... mi hai visto quando nessun'altro lo faceva. Tu mi hai salvato la vita Joyce e io... tu... " la voce di David, così insicura, così rotta, balbettante.
"Si!" disse Joyce con le mani davanti alla bocca e gli occhi pieni di lacrime felici "Si!" ripeté.
"Si??" volle assicurarsi David.
"Si!!"
David si alzò e si avvicinò a lei, con un anello brillante. Le prese delicatamente la mano e infilò l'anello al dito. Si baciarono e si abbracciarono teneramente... mentre Chloe fissava attonita dal tavolo.
Paralizzata...
Impietrita...
Spezzata...
Ancora.
Frammenti di Chloe caddero ovunque, si sbriciolarono nell'impatto, si polverizzarono.
Quindi era così... poco più di un anno dopo la morte di suo padre Joyce si fidanzava.
Con David.
Troppe emozioni si accavallarono dentro Chloe.
Un fuoco di rabbia incandescente salì dai piedi incontrando il ghiaccio nel suo cuore, sublimandolo in gas grigi che le avvolsero la mente. Cominciò a piovere. Venti tempestosi soffiarono, i suoi pensieri convulsi erano come tuoni e lampi, la mescolanza di furia e disperazione produsse un moto rotatorio.
Un tornado...
Chloe balzò in piedi.
Prese il cellulare con gesto automatico e corse verso la porta e indossò le scarpe in fretta e furia.
"Chloe! Che stai facendo?!" chiese Joyce stupefatta.
Lei non rispose.
Aprì la porta.
"Chloe non puoi uscire sei in punizione!" ringhiò David, tornato di colpo al suo solito tono.
Silenzio.
Chloe sparì oltre la soglia sbattendo la porta.
"Chloe! Fermati!!" urlò David.
Chloe corse... corse con tutte le sue forze...
Corse finché le gambe non iniziarono a bruciare, finché il suo sangue divenne acido.
E continuò…
Inciampò... era in discesa e fece un volo di oltre un metro e mezzo, planando sull'asfalto.
I jeans, già strappati nei pressi delle ginocchia, si danneggiarono ulteriormente e alla polvere si mischiò il sangue delle sbucciature. Mani e gomiti non stavano meglio. Nella caduta picchiò anche il seno, da cui esplose un dolore sordo, che si allargò a tutto il braccio sinistro.
Chloe tossì, se ne fregò.
Si rialzò e proseguì.
Raggiunse la spiaggia.
Si trovò davanti all'oceano le cui onde placide lambivano la costa.
Sola.
Il tornado dentro di lei imperversava.
Doveva farlo uscire o l'avrebbe distrutta.
Il suo grido fu di pura furia, pura disperazione.
Si prolungò finché non esaurì l'aria nei polmoni e cadde in ginocchio nella sabbia.
I granelli salati penetrarono nelle ferite e le fecero bruciare ancora di più, ma non le importò.
Ormai non sentiva più nulla.
Cadde in posizione fetale.
Fu allora che il cellulare scivolò fuori dalla sua tasca. Mentre piangeva se ne accorse a malapena. Lo afferrò.
Cinque chiamate senza risposta di Joyce.
Fanculo.
Improvvisamente, un pensiero la attraversò.
Non voleva stare sola.
Non voleva PIÙ stare sola.
Era stufa di essere così...
Pensò a Rachel.
Di tutte le persone che aveva incontrato nell'ultimo anno di merda, lei appariva stranamente diversa. Sembrava che le importasse davvero di lei. Per qualche ragione che ancora le sfuggiva... ma forse... forse poteva fidarsi? Almeno un po'? Almeno abbastanza da potersi sfogare con lei?
Da quanto non parlava più con nessuno?
Parlare davvero, non chiacchierare...
Da quando Max se n'era andata!
E Max non sarebbe più tornata. Mai più.
Come suo padre... come sua madre... anche lei l'aveva abbandonata benché fisicamente presente. Aveva scelto David al suo posto. Era già arrivata a questa conclusione e aveva tentato di scappare… ormai era una certezza.
Allora fanculo... anche Chloe avrebbe scelto qualcun'altro!
Le sue dita digitarono sul vecchio telefono viola, decorato tanto tempo fa da lei e Max...
 
Chloe
  • Ciao! Hai da fare ora?
 
Non si aspettava una risposta... era un tentativo disperato.
Il cellulare vibrò immediatamente.
 
Rachel
  • Hey! Posso liberarmi. Tutto bene?
 
Chloe
  • A meraviglia! Voglio solo cazzeggiare con qualcuno!
 
Rachel
  • XD e hai pensato a me!
 
Chloe bypassò quella notazione con un
  • NO EMOJI!
 
Rachel
  • Perché NO EMOJI?
 
Chloe
  • Sono da sfigati!
 
Rachel
  • Ok! Interessante teoria. Ne discuteremo in dettaglio tra poco. Dove ci vediamo?
 
Chloe era incredula. Una persona che se la chiami risponde subito e se le chiedi di vedersi senza preavviso dice di sì al volo!
 
Chloe
  • Facciamo che ci vediamo davanti al Two Whales tra 10 e poi ci spostiamo?
 
Rachel
  • Perfetto! A tra poco!
 
Chloe chiuse il cellulare e si mise a sedere.
Il cuore rallentò i suoi battiti, i muscoli si rilassarono e le sbucciature... iniziarono a bruciare come puttane!! Le serviva un bagno per darsi una rassettata. Optò per quello del Two Whales...
 
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Quando Rachel raggiunse il Two Whales, trovò una Chloe lacera ad aspettarla. Per quanto si fosse rassettata, aveva le ginocchia lacere e sbucciate, i jeans leggermente insanguinati, così come i gomiti e gli avambracci graffiati. Gli occhi erano vitrei e arrossati. Era chiaro che aveva pianto da poco.
Eppure, Chloe le sorrise. Un sorriso grato che non le aveva mai visto.
Era totalmente, definitivamente successo qualcosa...
"Ciao!" la salutò cercando di regalarle un sorriso caloroso.
"Hey!" Chloe mise le mani in tasca, guardandosi intorno furtivamente "Possiamo allontanarci da qui?"
"Certo... andiamo dove vuoi!"
"Spiaggia..." disse avviandosi per attraversare.
"Ok..." Rachel la seguì.
Effettivamente non si aspettava questo quando aveva accettato di uscire, ma era più che disposta a capire cosa stesse accadendo. Decisamente era riuscita nel suo intento: vedere il volto di Chloe Price oltre la maschera. Qualcosa doveva avergliela spazzata via di forza, forse troppa perché la ragazza potesse reggere.
Attraversarono la strada, superarono il benzinaio e il basso muretto che separava la Arcadia Bay Ave dal lembo di terra che conduceva alla spiaggia. Si trovarono a passeggiare sulla sabbia in un tardo pomeriggio autunnale, con il sole velato che si avviava adagio verso il suo tuffo ad ovest.
"Ho saputo che dai ripetizioni a Justin!" esclamò Chloe tentando di spazzare via le nubi dalla sua mente e creare un clima più disteso. Non era granché abile in queste cose...
"Già! Mi ha raccontato grandi cose sulla tua cultura musicale. Credo vorrebbe vedere una specie di duello tra noi due..."
"Si nel fango forse..." scherzò Chloe.
"Esattamente quello che ho detto io!" Rachel sorrise "Ha detto che sei una grande esperta, sarebbe divertente metterti alla prova!" disse con aria di sfida.
"Non voglio umiliarti..." disse Chloe gonfiando il petto.
"Non accetti le sfide? Non sembra da te!" pungolò Rachel.
"Certo che le accetto, ma quando sono VERE sfide!"
"Woooooooooh! Questo affronto richiede di essere lavato nel sangue!" Rachel fece un passo di lato e spalancò le braccia con falsa aggressività.
Chloe sghignazzò: "O nell'alcol!"
Rachel sorrise: "Perché ne hai?"
"Perché tu bevi??" Chloe sgranò gli occhi.
"Beh... hai scoperto che fumo, che conosco musica punk, metal, grunge e altro... è così sorprendente?"
"La cosa più forte che hai mai bevuto?" Chloe si fermò e la fronteggiò incrociando le braccia, ma cambiando subito postura con una smorfia quando i gomiti ipersensibili sfregarono contro la sua camicia blu a quadri.
"Fammici pensare..." Rachel ripercorse le feste dell'anno precedente con Armond, Drew e il resto della cricca dei 'ragazzi più grandi' "Tequila, con sale e limone... tre shottini in fila"
"Niente male! Fottutamente niente male!" annui Chloe impressionata.
"E' un onore impressionare Chloe Price!" si inchinò Rachel.
"Ma ci crederò quando lo vedrò!" si affrettò ad aggiungere Chloe riprendendo a camminare.
"Oh beh! Sarò felice di dimostrartelo appena mi procurerai una bottiglia di Tequila! E tu invece? La cosa più forte mai bevuta?"
Chloe non dovette pensarci: "Una specie di liquore fatto in casa da Frank... non mi ricordo come l'ha chiamato. Sapeva di lubrificante per freni... penso fosse sui settanta gradi o giù di lì..."
"Chi è Frank?" chiese Rachel.
"Il mio spacciatore!"
Il candore con cui Chloe stava rivelando a Rachel di avere uno spacciatore che le dava anche dei superalcolici fatti in casa era sorprendente. Comunque, qualcosa era decisamente successo durante quella giornata. A scuola Rachel aveva visto incrinarsi la diffidenza di Chloe, ma ora sembrava disperatamente bisognosa di aprirsi con qualcuno. All'inizio pensava di evitare, ma decise di chiedere:
"Chloe... è successo qualcosa? Come ti sei ferita?"
Rachel non sapeva cosa pensare, dopo aver letto il dossier scolastico di Chloe temeva qualcosa di brutto e losco, magari che avesse a che fare con questo Frank o con una situazione famigliare problematica.
Chloe si fermò e si grattò la nuca. Si allontanò, dirigendosi verso il basso muretto che separava la spiaggia dalla strada e vi si sedette. Rachel la seguì e si piazzò accanto a lei. Ebbe un breve attimo di difficoltà, il muro era più alto del previsto e quando riuscì a sedersi si trovò con le gambe a penzoloni.
"Io..."
Rachel attese
"Mia madre si risposa... con un pezzo di merda. Mio padre è morto un anno fa e lei si è già trovata un altro! Le ha fatto la proposta davanti a me. Magari nemmeno si è accorto che ero lì... come se non esistessi. O forse mi ha vista e voleva solo ferirmi. E mia madre ha accettato... senza pensarci..."
Rachel rimase in silenzio, aspettando che Chloe aggiungesse qualcosa. Invece la vide pentirsi di aver aperto bocca: "Lascia perdere. Non so nemmeno perché te lo sto dicendo... non sono cose che ti riguardano alla fine... non te ne importa nulla..."
"Ma se te l’ho chiesto io." chiese Rachel con calma.
"Tu non mi conosci. Avremo parlato dieci minuti nella vita... non so come ho potuto pensare di avere il diritto di farti uscire di casa e buttarti la mia merda addosso..."
"Chloe... ho intuito che qualcosa non andava dai tuoi messaggi. Erano così sbrigativi... Sapevo che c'era qualcosa che ti turbava..."
"E allora che ci fai qui?"
Rachel fece spallucce: "Ho pensato che avessi bisogno di un'amica e se hai chiamato me è perché pensavi potessi essere la persona giusta in questo momento. E se vuoi posso provare ad esserlo."
Chloe sentì gli occhi inumidirsi ma represse le lacrime e ingoiò il groppo che le si stava formando in gola.
 
E se vuoi posso provare ad esserlo...
 
"Parla con me Chloe. Come ti sei fatta quelle ferite?"
"Sono caduta..."
Rachel scosse la testa dubbiosa: "Sul serio?"
Chloe la fissò per un attimo, infine comprese e scoppiò a ridere: "Pffh... non mi ha picchiata nessuno tranquilla. Quando David ha fatto la proposta sono corsa fuori casa, ho corso fino a qui e lungo il tragitto sono inciampata come una cretina..."
Rachel le credette: "Meno male! Cioè... mi dispiace che tu ti sia ferita, ma meglio che non ci sia di mezzo qualcosa di violento. Quindi David è il nome del compagno di tua madre?"
"Fidanzato ormai... si..."
"E' così stronzo?"
Chloe prese un profondo respiro, cercando di radunare le idee.
"E' solo... io credevo che mia madre fosse solo depressa e avesse bisogno di tamponare il suo dolore con qualcuno. Dopo sei mesi dalla morte di mio padre ha portato a casa David... la cosa mi ha ferita, ma pensavo fosse solo una fase. Invece..."
"Mi dispiace..." disse Rachel
"Già... David è un ex-militare, un veterano dell'Afghanistan. È pieno di traumi e come se non bastasse è un arrogante maniaco del controllo. Come cazzo ha fatto mia madre a passare da mio padre a... questo..." Chloe strinse i pugni e proseguì "David non ha nessun rispetto per me, crede che sia un problema da risolvere. E forse... a volte sono un problema..."
"Stronzate..." sbottò Rachel
Chloe drizzò la testa e la fissò: "Cosa?"
"Non sei un problema Chloe... sei una persona!"
Quella frase. Chloe sentì del calore scaturire dal suo petto, riempirle il collo e riscaldarle il viso. Un piacevole tepore la avvolse e per la prima volta dopo quelli che sembravano mille anni, si sentì vista. Si sentì reale.
"Penso che il problema sia David, bisogna colpirlo dove gli fa più male! Avrà qualche punto debole!"
Chloe iniziò ad eccitarsi
"L'unica cosa di cui gli frega ha quattro ruote e un carburatore a quattro tempi!"
Rachel sghignazzò beffarda: "Oddio! Un'auto sportiva??"
"Bah... tanto appena faccio la patente gliela rubo, quindi..."
"Fammi sapere se hai bisogno di una complice!" Rachel sorrise ammiccante.
Chloe glielo restituì, poi continuò:
"Vorrei solo capire come fermarli... mia madre non sa quello che fa..."
Rachel sospirò
"Non credo ci sia molto che puoi fare. Da come ne parli tua madre sembra davvero decisa."
"Ok ma allora che devo fare? Rassegnarmi?"
"Il fatto che tu non possa fermarli non significa che non devi combattere. La Resistenza comincia ora!" Il modo con cui Rachel prendeva il suo dramma e lo ridimensionava in qualcosa che poteva gestire sembrava magico. Alla parola 'Resistenza' ebbe un'immagine di sé stessa nei panni di Han Solo che folgorava con la pistola laser un Jabba The Hutt con i baffi!
Sorrise.
"Avrai bisogno di un nome in codice per il tuo nemico. Ti viene in mente qualcosa?" proseguì Rachel.
"Oh... sfondi una porta aperta!" sghignazzò Chloe "Dick-tator, Sergente Pepper, Stronzobaffo, Fürer, Stronzo Adottivo..."
"Che ne pensi di Trombone?"
"Eh?? Perché?"
"Perché si tromba tua madre ogni sera!"
"Eeewwwwwww!!! Ma che merda!!!" si lamentò Chloe tra le risate.
"Scusa... è terapia d'urto. Una cosa controversa!" replicò Rachel sghignazzando.
"E' questo che stiamo facendo? Terapia?" chiese Chloe.
"Beh, possiamo anche vederla così!"
"Se è così sta funzionando!" ammise Chloe
"Ne sono davvero felice!" disse Rachel con un sorriso, spostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Chloe osservò l'ipnotico oscillare degli orecchini blu.
Il sole iniziava a tramontare davanti a loro. In lontananza si udivano alcuni tuoni, ma le nuvole che solcavano Arcadia Bay non sembravano minacciose. Per il momento.
Chloe si alzò in piedi. Rimase così per qualche momento, ondeggiando con il peso da un piede all’altro, con Rachel ancora seduta con i piedi a qualche centimetro da terra, in attesa.
"Grazie..." disse Chloe calorosamente.
"Di niente Chloe. Gli amici servono a questo!"
Amici...
"Adesso tocca a te. Hai qualche questione irrisolta che meriti un po' di terapia?"
Rachel ridacchiò e poi si fece riflessiva con un sospiro.
"Non in questo momento, ma ti terrò presente Doctor Price!"
 
"Doctor Chloenstein!!" chiamò Max dal cortile.
 
Chloe scosse la testa per allontanare quel ricordo...
Sorrise a Rachel.
"Piuttosto... ma oggi non mi hai detto che eri in punizione?" chiese Rachel.
"In effetti è così..."
"Eppure sei qui con me!"
"Sto volutamente ignorando la mia chiappa destra che vibra da mezz'ora..." ammise Chloe.
Rachel scoppiò a ridere.
"Avrei dovuto essere 'liberata' a fine mese... ma probabilmente avrò un prolungamento della pena dopo stasera!"
"Mi dispiace, ma non disperare. Puoi sempre chiamare rinforzi!" Rachel ammiccò.
"Lo terrò presente..."
"Quindi cosa vuoi fare? Vuoi tornare a casa e affrontare l'inevitabile..." Rachel fece una faccia triste e artificiosamente imbronciata "Oppure, visto che ormai sei evasa, vuoi goderti la libertà finché dura??" mutò la sua espressione in un sorriso a trentadue denti.
"Penso proprio la seconda!" rise Chloe.
"Benissimo!” anche Rachel balzò giù dal muretto “Sto morendo di fame e penso che in serate così sia obbligatorio del vero comfort food!" esclamò Rachel trotterellando in avanti.
"Possiamo andare all'ACFC Drive Thru! Cibo da camionisti per veri camionisti. Si dice che l'ingrediente segreto della loro salsa BBQ sia olio per motori!"
Rachel rise di gusto: "Dovresti lavorare in pubblicità lo sai??"
"Grazie lo so! Ho un talento per le vendite!" si vantò Chloe.
"Allora aggiudicato!"
"C'è solo un problema..." disse Chloe.
"Cosa?"
"Non ho un dollaro!" Chloe rivoltò le tasche vuote.
Rachel spalancò le braccia e ridacchiò: "Per stavolta offro io! Non ti ci abituare!"
"Sto solo riscuotendo il debito della sigaretta che mi hai scroccato!"
"Oh! Un hamburger per una sigaretta? Non è troppo?" Rachel incrociò le braccia sogghignando.
"Ci sono gli interessi!"
Rachel sghignazzò:
"Cretina!"
Mentre le due ragazze si allontanavano verso la strada, scavalcando il muretto, un corvo silenzioso planò sopra di loro.
 
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Nulla impedirà al sole di sorgere ancora,
nemmeno la notte più buia.
Perché oltre la nera cortina della notte
c’è un’alba che ci aspetta.

Khalil Gibran
 
 
Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly
All your life
You were only waiting for this moment to arise
 
Blackbird singing in the dead of night
Take these sunken eyes and learn to see
All your life
You were only waiting for this moment to be free
 
Blackbird fly
Blackbird fly
Into the light of the dark black night
 
Blackbird fly
Blackbird fly
Into the light of the dark black night
Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly
All your life
You were only waiting for this moment to arise
You were only waiting for this moment to arise
You were only waiting for this moment to arise
(Blackbird – Beatles)
 
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Come tutte le cittadine di provincia, Arcadia Bay soffre di un complesso di inferiorità. Nutre una radicata invidia verso le grandi città cosmopolite, in pratica qualsiasi comunità che superi i mille abitanti. Non è sempre stato così, alle origini e per moltissimo tempo il suo popolo di pescatori non ha avuto molte pretese oltre il bel tempo, un mare tranquillo e una rete piena di pesci. Poi iniziarono ad arrivare gli uomini d'affari e le cose cambiarono. La mentalità del businessman è progettata per ricondurre ogni cosa al denaro, al profitto, che conduce al potere e al lusso. Così quella che era un'umile comunità di pescatori iniziò ad espandersi, relativamente. Alle semplici e basse abitazioni ammassate nei pressi della spiaggia e dei moli, si aggiunsero 'quartieri altolocati'. Un modo altisonante per definire appezzamenti di terreno disboscati per fare spazio a ville e abitazioni di lusso. Col tempo altri ettari di bosco furono distrutti per far spazio a distretti residenziali, commerciali e turistici. Anche in questo caso si parlava di pochi edifici, le cui luci al neon e architetture squadrate sembravano voler portare un pezzo di globalizzazione ai bifolchi di Arcadia.
È da questo genere di sviluppo che sono nate attività come il ristorante Rue Altimore, frequentato solo da turisti, persone dal cospicuo conto in banca o più di rado gente comune che per una sera voleva sentirsi ricca e raffinata. Oppure il Bean Hip Cafè, un piccolo locale che copiava discretamente il genere di bistrot hipster che si trovavano a Portland o Seattle. Chiunque percorreva la strada che conduce alla Blackwell ci passava davanti, che lo notasse o meno. Il locale aveva una sua storia, era stato costruito circa un decennio dopo l'apertura della Blackwell. Ai tempi il campus non possedeva una Caffetteria, così studenti e professori frequentavano il J. Blackwell Bistrot, come si chiamava allora. Là diventava reale il motto che la Professoressa Grant amava ripetere agli studenti: "La Scienza è Arte e l'Arte è Scienza". Studenti e professori di discipline matematiche e biologia si confrontavano con pittori, scultori, poeti e attori di fronte a bicchieri di vino, bourbon o caffè. Artisti e scienziati passavano da Arcadia Bay solo per frequentare il bistrot e visitare la Blackwell ai suoi tempi d'oro.
Il tempo, si sa, cambia tutto. La Grande Guerra e la Seconda Guerra Mondiale portarono molti giovani americani al fronte piuttosto che a scuola, molti non tornarono a casa o lo fecero completamente cambiati. Il J. Blackwell Bistrot chiuse i battenti e le sue sale furono lasciate a marcire, mentre l'America attraversava anche le guerre in Corea e Vietnam. Solo nel 1982, grazie al finanziamento di Harry Aaron Prescott, il signor Glenn Robertson ebbe le risorse per realizzare il suo sogno: aprire un lounge bar ad Arcadia Bay, con una spiccata vocazione artistica come quelli che frequentava da ragazzo a Seattle, sua città natia.
E così nacque il Bean Hip Cafè, passato per le mani di diverse gestioni, sempre sostenuto dal denaro dei Prescott.
 
Giovedì 5 novembre 2009, Rachel e Nathan, accompagnati dalla madre di lui Carolyn Prescott, si recarono al Bean Hip Cafè per assistere all'inaugurazione di una delle periodiche mostre d'arte che si organizzavano nel locale, per offrire alla provinciale gente di Arcadia Bay uno spaccato di VERA cultura.
Già all’esterno c'era una piccola folla di persone che profumavano di dollari, tutti palesemente NON di Arcadia Bay. Alcuni sorseggiavano vino da calici eleganti, altri fumavano, tutti discutevano di qualcosa di pretenzioso. Superata la barriera umana, Carolyn, Nathan e Rachel oltrepassarono le minimali porte a vetri, accolti da luci soffuse e musica jazz suonata dal vivo. Le pareti, i mobili in finta pelle, i tavolini bassi, i cuscini sui divanetti... tutto era di tonalità scure e calde. Al centro dell'open space c'era il bancone quadrato, tutte le altre pareti ospitavano foto in bianco e nero di grande formato.
"Sei mai stata qui?" chiese Carolyn Prescott a Rachel. La donna era bionda, con capelli accuratamente cotonati, un trucco impeccabile e un abito Versace con motivi squadrati in bianco e nero. Una borsetta di Prada pendeva dal suo braccio destro, troppo piccola per contenere qualcosa in più di cellulare, carte di credito e un ridotto beauty case.
"No, mai signora Prescott." rispose Rachel squadrando la sala e i numerosi presenti. Anche lei si era messa in ghingheri, con un vestito elegante decorato con fiori rossi. Aveva entrambe le sue piume blu alle orecchie e al collo un laccio di cuoio con un dente di squalo. Un pizzico di aggressività nel suo look era obbligatorio.
"Come ti sembra?" chiese la donna.
"Sembra molto elegante! Ci sono passata davanti tante volte ma non pensavo che ad Arcadia Bay esistesse un posto del genere!" Rachel caricò il suo tono di entusiasmo, ma in realtà trovava assurdamente fuori luogo quel posto. Era evidente che il Bean Hip Cafè viveva di turisti e professori della Blackwell. Soprattutto, Rachel si stupiva del fatto che in città chiudessero attività vitali come la A.B. Marine Corporation e non piccole imprese altolocate come quella. Il mondo era in crisi, ma non i ricchi. Loro non andavano mai in crisi!
"Mi fa molto piacere sentirlo!" commentò Carolyne "La nostra famiglia si prende cura di questo posto dalla sua apertura. Conosco personalmente Sergio, il proprietario. Se non fosse così non avremmo mai avuto un posto questa sera!"
"Mamma vorrei far vedere la mostra a Rachel..." si intromise Nathan.
"Oh certo caro! Godetevi la serata, se avete bisogno non esitate a cercarmi!" Carolyn appoggiò una mano sulla spalla del figlio e strinse leggermente. Una specie di gesto affettuoso prima di allontanarsi verso il bancone.
Nathan emise un lungo sospiro di sollievo, quasi contemporaneamente a Rachel.
"Grazie Nate..." disse lei.
"Perdonami... la mia famiglia è un disastro..." commentò lui.
"Non preoccuparti. Non è così male tua madre!" tentò di mediare Rachel.
"Le piace ostentare il potere e la ricchezza della nostra famiglia, esattamente come a mio padre. Sono una coppia perfetta. Lui procura i soldi e lei li spende."
"Una grande squadra!" scherzò Rachel provocando la secca risata di Nathan.
I due si spostarono tra i tavoli fino a raggiungere la prima foto, un ritratto in bianco e nero di una modella vestita di panneggi chiari su un fondale neutro, illuminata da un fascio di luce che creava forti contrasti. Rachel non si intendeva di fotografia, non si era mai interessata a quel mondo, ma amava l'arte in ogni sua forma. Poteva vedere qualcosa di Caravaggesco in quei chiaroscuri, qualcosa di intenso e tormentato nell'espressione apparentemente serafica della ragazza.
"Che ne pensi?" chiese Nathan pieno di aspettativa.
"Mi piace! Sono più abituata ai quadri, ma devo dire che c'è qualcosa di veramente... romantico in questa foto. Romantico in senso 'Sturm und Drang'"
"Vero?!" Nathan era già esaltato "Adoro questo artista... vorrei scattare come lui..."
"Come hai detto che si chiama?"
"Mark Jefferson!"
 
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Nathan e Rachel proseguirono la passeggiata davanti alle foto, incagliandosi di tanto in tanto in alcuni gruppetti di spettatori intenti in accese analisi iconografiche e critiche. La conversazione di Nathan e Rachel, invece, era molto più personale. Per ogni foto Nathan mostrava entusiasticamente a Rachel tutta una serie di dettagli che in parte riusciva a cogliere e in parte erano roba da fotografi, spiegandole come anche lui tentasse di ottenere lo stesso risultato ma senza riuscire. Inoltre, Jefferson sembrava un ritrattista puro, mentre Nathan era più orientato sugli still life e i paesaggi. A sentire lui non era una scelta sua, semplicemente nessuno voleva farsi fotografare da lui.
"Ovviamente puoi esercitarti con me..." gli disse Rachel.
"Davvero??" chiese lui.
"Se vuoi chiedermi qualcosa devi solo farlo Nate, non serve fare tutta la pantomima del 'oh... se solo qualcuno volesse posare per me...'" lo schernì lei dandogli una lieve spinta sulla spalla.
"Ehm... Rachel... poseresti per me?" chiese lui timidamente.
"Ho già detto sì, scemo!" scoppiò a ridere "Ci organizzeremo, non posso prometterti una data con tutta la questione della Tempesta. A proposito! Come va il tuo Ferdinando?"
Lui scrollò le spalle e di colpo il Nathan artistico e felice fu sostituito dal Nathan insicuro e cupo: "Bah... non lo so... continuo a pensare che non faccia per me!"
"Io e Kelly proviamo insieme, vuoi aggregarti? Magari noi vediamo qualcosa che ti sfugge. Si lavora bene con lei!"
"Kelly Davis? L'amica di Marisa?"
"Yup!"
"Si, perché no... "
"Ottimo! Vedrai, ti saremo d'aiut..." Rachel fu interrotta
"Nathan!" la voce di Carolyn Prescott superò quella di Rachel, il TAP TAP dei suoi tacchi invase l'ambiente e la donna si intromise fra i due "Vieni con me! Devo presentarti delle persone! Perdonami Rachel..." disse Carolyn.
"Si figuri signora Prescott!" Rachel digrignò i denti.
"Mamma, ho portato Rachel per stare con noi, non per lasciarla sola mentre mi presenti ai tuoi amici..." Rachel si stupiva sempre nel vedere come Nathan fosse molto più sicuro di sé quando interagiva con sua madre, mentre il solo pronunciare il nome di Sean Prescott lo trasformava in un cagnolino bastonato.
"Oh... giusto! Sono una maleducata. Perdonami ancora Rachel!" canticchiò Carolyn
"Si figuri signora Prescott!" Rachel si sentiva come una bambola parlante, cui se schiacci la pancia dice sempre le stesse cose.
Seguì Nathan e sua madre attraverso la sala, fino ad arrivare nei pressi di un tavolo al quale erano sedute tre persone. Due di loro erano in età genitoriale, un uomo alto e magro dai capelli brizzolati con un dolcevita nero, giacca e una rasatura fresca e impeccabile, accanto a lui una donna dai capelli corti e curatissimi, biondo naturale al contrario di quelli di Carolyn. Vestita anche lei di nero, elegante e minimale, con orecchini quadrati d'oro e un'espressione severa. I due si alzarono in piedi al loro arrivo, la donna invitò la terza commensale, una ragazza più o meno dell'età di Rachel e Nathan, a fare lo stesso.
"Nathan, Rachel, vi presento Matthew ed Eloise Chase, proprietari del famoso Chase Space di Seattle. E loro figlia Victoria."
"Rachel... ?" chiese Matthew quando le strinse la mano.
"Amber!" completò lei.
"Amber come il Procuratore Distrettuale?" chiese Eloise Chase.
"Sono sua figlia."
"Oh, non conosco tuo padre, ma ho incontrato tua madre Rose a Portland l'anno scorso!" disse Eloise "Una donna straordinaria, ero in città per organizzare una retrospettiva sulla fotografia del '900 all'Art Museum e lei era nel direttivo. Lavora ancora lì?"
"Certo! Mi ha raccontato di lei e di come si è trovata bene nella vostra collaborazione!" non era vero niente... Rachel non aveva mai sentito nominare i Chase da nessuno, tantomeno da sua madre. Ma questo è il genere di cose che si dicono in queste occasioni.
"Mi fa piacere. Salutamela!"
"Non mancherò!"
Quando Rachel strinse la mano a Victoria notò come fosse l'esatta copia più giovane di sua madre. La imitava in tutto, vestiario, taglio di capelli e atteggiamento.
“Sapete!” disse Carolyn “Nathan è un fotografo in erba!”
“Mamma per favore…” bofonchiò lui
“Oh davvero?” si interessò Matthew “Che soggetti preferisci?”
Nathan sospirò, preso in trappola: “Still life per lo più. A volte paesaggi…”
“E i tuoi artisti preferiti?” chiese ancora Matthew
“Diane Arbus, ma tra i contemporanei Jefferson.”
“Interessante… ti occupi di Still Life e paesaggi ma i tuoi riferimenti sono ritrattisti…” Matthew si massaggiò il mento con la sua perplessa provocazione.
Nathan fece spallucce.
“Il Chase Space in genere non espone artisti emergenti…” disse Eloise Chase con tono piatto e professionale “Nathan inoltre è troppo giovane e senza visionare il suo portfolio è difficile comprendere il valore artistico del suo lavoro.” Proseguì con estrema freddezza “Tuttavia, tra qualche anno quando avrai più esperienza e le idee più chiare, mandaci il tuo lavoro e poi chissà…”
Nathan annuì con lo sguardo basso, Carolyn parve un po’ delusa. Rachel si sforzò di non darsi una manata in fronte. Anche lei sapeva che non era questo il modo di proporsi né di creare contatti, ma evidentemente la madre di Nathan non aveva molta esperienza in quel genere di cose…
Come era logico aspettarsi, il tavolo si divise in due, da un lato gli adulti e dall'altro i ragazzi. Nathan e Victoria sembravano parlare la stessa lingua e Rachel si limitò ad ascoltare per un po', tentando di seguire il discorso nonostante i tecnicismi fotografici. Dopotutto, a Rachel faceva piacere vedere Nathan così espansivo. Confermava solo la sua opinione che tutti i suoi problemi derivassero dal vivere in un ambiente ostile, lontano dal quale avrebbe potuto sbocciare ed essere felice.
“È strano…” commentò Victoria.
“Lo so, paesaggi e still life non c’entrano niente con Jefferson, ma non sono i soggetti che mi interessano. È l’atmosfera, il chiaroscuro, la luce… vorrei riuscire a imitarlo!” spiegò Nathan.
"Questo lo capisco. Anch'io tento di imitare Jefferson, lo seguo da praticamente sempre. Ho tutte le sue monografie e poi lo abbiamo ospitato al Chase Space due volte." disse Victoria.
"Lo conosci??" chiese Nathan.
"No purtroppo, è un uomo molto impegnato e a parte una comparsa durante le inaugurazioni è sempre in viaggio a fare shooting tra la East e la West Coast... Ma stasera rimedierò!"
"Mark Jefferson è qui?" chiese Rachel tentando di partecipare. Victoria le lanciò uno sguardo altezzoso che diceva 'cosa vuoi stupida Babbana??'.
"No, se ci fosse l'avresti notato..." stilettò la ragazza.
"Ma verrà?" chiese Nathan.
"Sembra faccia sempre così, si fa attendere. O forse è solo in ritardo per il traffico!" il tono di Victoria cambiò radicalmente con Nathan, tornando ad essere gentile e aperto "Ho letto che Jefferson è nato qui ed ha studiato nella vostra scuola..." proseguì includendo Rachel nel discorso in uno slancio di filantropia.
"Esatto!" confermò Nathan.
"Com'è la Blackwell?" chiese Victoria protendendosi in avanti.
"Beh... ehm..." Nathan tentennò e guardò Rachel in cerca di aiuto.
"E' un ambiente molto vario!" lei rispose all'SOS "Anche se è in provincia ospita studenti da mezza America. Anche i professori vengono un po' dappertutto e sono molto preparati. Il Drama Club di cui io e Nate facciamo parte è gestito da Travis Keaton. Lo conosci?"
"No..." ammise Victoria.
"E' un grande attore, ha lavorato a Broadway per quasi tutta la carriera ma ha le radici nel teatro Shakespeariano. Ha partecipato come coreografo, regista e sceneggiatore ad alcune delle più grandi produzioni degli ultimi vent'anni. Poi come professore è meraviglioso, segue gli studenti uno per uno, ha una grande umanità e ci stimola a trovare la passione nel teatro. Da come parlate di Mark Jefferson potrei dire che è il suo equivalente nel teatro." spiegò Rachel e lanciò uno sguardo a Nathan per esortarlo a continuare.
"Si qualcosa del genere..." aggiunse lui "Purtroppo non abbiamo corsi specifici di fotografia. L'unica cosa che si avvicina è il corso di Arti Visive, che include un po' tutto."
"Non avete un Club di Fotografia o roba simile?" si stupì Victoria.
"Purtroppo no!"
"Questo è assurdo... scommetto che quando frequentava Jefferson c'era!" disse Victoria con tono oltraggiato.
"Non saprei! Se non c'è forse è perché non ci sono abbastanza studenti che se ne interessano..." ipotizzò Nathan.
"Potresti crearlo tu!" propose Rachel.
"Io??"
"Si! Sei bravo in quello che fai, hai passione, sono sicura che troveresti subito seguito!"
"Infatti!" la sostenne Victoria "C'è bisogno che qualcuno apra la strada!"
"Non lo so..." e riecco il Nathan pauroso che si ripresenta.
"Pensaci..." disse Rachel "Io credo nel tuo potenziale!" gli accarezzò dolcemente una spalla, cosa che non sfuggì all'occhio indagatore di Victoria. Quella serata per lei era una missione. L’intero viaggio da Seattle era impostato per un semplice obiettivo: creare buoni contatti. Il principale di questi era sicuramente Jefferson, quando si fosse fatto vivo. Avere l’opportunità di mostrare il suo portfolio, che teneva adagiato alla sua sinistra insieme ad un’elegante borsetta nera, era un’occasione da non perdere. C’erano numerosi critici d’arte e altri galleristi con cui avrebbe dovuto parlare quella sera, ma anche Nathan era potenzialmente un buon contatto. Non era nella sua lista, ma era ricco, condivideva la sua passione per la fotografia e sembrava avere una personalità passiva. Giocando sulla passione in comune non sembrava difficile farselo amico. Victoria aveva imparato da sua madre che un buon contatto non sempre rivela subito la sua utilità, a volte bisogna fare un investimento. Nathan sembrava un caso del genere. Conoscere il rampollo di una ricca famiglia, per di più interessato alla fotografia, avrebbe potuto farle certamente comodo, prima o poi.
 
Improvvisamente il brusio della sala calò d'intensità, si levò l'aritmico tintinnio di bicchieri appoggiati sui tavoli, unito ad alcuni isolati CLAP CLAP. Ben presto l'intero locale scrosciò di un applauso e tutti si voltarono verso l'ingresso.
"Victoria!" chiamò Eloise Chase e sua figlia si mise sull'attenti.
Rachel si sporse per vedere cosa stesse accadendo.
Un uomo alto in completo grigio scuro, con camicia bianca portata fuori dai pantaloni e colletto slacciato per dare un tocco di casual, stava varcando la soglia. Il viso incorniciato da una barbetta corta e curata, capelli di media lunghezza volutamente scompigliati e occhiali con una montatura alla moda.
Mark Jefferson era arrivato. Fu accolto da un uomo che era evidentemente il gestore del locale e insieme si avvicinarono alla postazione musicale.
Nathan e la famiglia Chase erano totalmente eccitati, al contrario di Carolyn Prescott, che si stava controllando il trucco distrattamente. Rachel era piuttosto colpita. Questo Jefferson sembrava una rockstar in quel mondo pettinato. I musicisti interruppero la musica jazz e cedettero il microfono all'uomo che aveva accolto Jefferson, che indossava un gilet bruno su una camicia bianca, pantaloni attillati e portava i pochi capelli grigi rimasti in una coda di cavallo.
"Buonasera a tutti!" la voce amplificata si diffuse nel locale e segnalò di fare silenzio "Per chi non è di queste parti mi presento, mi chiamo Sergio Roberts e mi prendo cura di questo modesto locale..."
Applausi falsamente imprevisti, l'uomo si lasciò interrompere, abbassò lo sguardo e mimò un atteggiamento modesto e umile. "Vai Sergio!" gridò qualcuno scatenando risatine.
"Grazie! Come sapete è tradizione del Bean Hip Cafè organizzare esposizioni d'arte, invitando artisti da ogni parte dell'America. Credo fermamente che l'arte non abbia confini e che poterne godere anche in un luogo pacifico e isolato come Arcadia Bay sia un diritto di tutti!" altri applausi.
"Questa sera abbiamo l'onore di ospitare un vero figlio di Arcadia Bay, qualcuno che è nato qui, ha studiato qui e poi ha spiccato il volo, diventando uno dei più importanti fotografi degli anni '90. A mio modestissimo parere non è solo uno dei più grandi artisti d’America, ma di tutto il mondo!”
Jefferson si mantenne di lato durante tutta la presentazione, sorridendo tra sé a ciascuno di quegli elogi.
“Ma ora lascio a lui la parola. Avete già potuto vedere le sue opere qui stasera, ma ora vi racconterà qualcosa personalmente. Ladies and Gentlemen, Mark Jefferson!”
Altri applausi mentre Sergio passava il microfono all’artista, togliendosi dal basso palco su cui si trovava. Jefferson rimase in silenzio qualche momento, col microfono in pugno. Sembrava riflettere su cosa dire, poi iniziò: “Non lo so se sono all’altezza di tutti questi complimenti…”
Ovviamente, pensò Rachel sogghignando fra sé.
“Posso dire che sono felice di tornare nella mia città natale e di trovarmi a pochi passi dalla mia alma mater, la Blackwell. Ho passato momenti indimenticabili in questa città ed è grazie a questa scuola che sono diventato quello che sono.”
Rachel si stava già stufando di tutta questa paccottiglia di circostanza. Diede uno sguardo a Nathan e lo vide completamente ipnotizzato dall’uomo. Come anche Victoria, che pur ascoltando sembrava una centometrista pronta a scattare.
“Cosa posso dire sul mio lavoro? Amo il chiaroscuro, ricerco i forti contrasti di bianco e nero, ma questo è evidente a chiunque abbia gli occhi!” alcune risatine in sala “In tanti nella storia della fotografia hanno usato il bianco e nero pur potendo disporre dei colori, non credo che le mie foto siano particolarmente innovative sul piano tecnico…”
Queste parole attirarono l’attenzione di Rachel. Un artista che sminuisce la portata del suo lavoro? Modestia?
“Quello che mi interessa è indagare la condizione umana ed è per questo che mi servo del ritratto. Il nostro volto porta su di sé i segni della vita, più viviamo e più rimaniamo segnati. Nasciamo puri, intatti e la vita a poco a poco ci logora, un giorno alla volta. L’esperienza ci rende cinici e il mondo di oggi sembra pensato apposta per rubarci l’innocenza il prima possibile…”
Ora aveva la completa attenzione di Rachel.
“Alla società servono persone ciniche, senza sogni, senza valori, senza obiettivi. Ed ecco la corruzione… l’ombra, lo scuro. Ma è solo grazie alla luce della purezza e dell’innocenza se possiamo vedere tutto questo. Finché un po’ di quello sguardo incontaminato sopravvive in noi, allora possiamo vedere le ombre del mondo, riconoscerle e gettare su di esse la nostra luce. Chi ama l’arte, chi si occupa di arte non dovrebbe mai lasciarsi completamente assorbire dalle regole del mondo, dal mercato o dall’inseguire il successo. Un’artista deve mantenere uno sguardo il più possibile innocente e mostrare al mondo la realtà attraverso le sue lenti. Ecco ciò che cerco di fare.”
Mentre Jefferson si concedeva una pausa, Rachel si scoprì ad annuire. Certo, aveva fatto un bel giro di parole per esprimere il suo punto, ma non poteva evitare di condividerlo. Si trovò ad immaginare un possibile incontro fra Mark Jefferson e Travis Keaton. Si sarebbe davvero goduta un dibattito sull’arte tra i due!
“Ora la smetto di parlare e vi lascio a godervi la serata! Grazie ancora a Sergio per l’ospitalità e a voi per il calore e l’interesse! Buona continuazione!” e detto questo appoggiò il microfono al sostegno e lasciò il palco, mentre gli applausi ricominciavano.
Victoria balzò in piedi e si rassettò i capelli. Eloise Chase la squadrò da cima a fondo, le sistemò le spalline del vestito e senza dire una parola annuì.
“Dove vai?” chiese Nathan.
“Vado a parlare con lui!” disse candidamente Victoria.
“Oh…”
“In bocca al lupo!” augurò Rachel con un sorriso.
“Crepi!” disse con voce tremante Victoria, portfolio e borsetta sottobraccio, prima di partire a razzo cercando di superare diverse persone che come lei si dirigevano verso Jefferson.
Rachel lanciò uno sguardo a Nathan, che si era ingobbito e aveva ancorato lo sguardo al pavimento.
“Dovresti andare anche tu Nate…” disse Rachel.
“No… è meglio di no…” replicò lui muovendosi a disagio.
“E’ un’occasione importante. C’è anche Victoria, non sarai solo. Raggiungila!”
“Tu non vieni con me?” chiese speranzoso.
“Nah… a me non serve parlare con lui. Serve a te e Victoria, siete voi i fotografi!” oltre al fatto che non le interessava parlare con Jefferson, Rachel voleva che Nathan facesse un passo importante con le sue gambe, senza usarla come stampella. Fin dall’inizio di quell’anno tentava di scrollarsi di dosso quella sorta di responsabilità materna che lui le suscitava. Non voleva sentirsi così. Voleva solo un amico. Alla pari.
Nathan si rigirò a disagio ancora per un po’, poi prese un profondo respiro e si alzò.
“Ok! Vado!”
“Acchiappalo Tigre!” disse Rachel.
“Frequenti troppi nerd Mary-Rachel…” disse Nathan con un sogghigno.
“Strano detto da uno che ha riconosciuto una citazione di Spiderman!” replicò Rachel.
“Tutti conoscono Spiderman!” Nathan ridacchiò… stava facendo davvero uno sforzo per superare il suo terrore. Infine partì e puntò dritto a Victoria, che si era ricavata uno spazio praticamente sgomitando. Nathan si insinuò tra le persone, sotto lo sguardo di Rachel. Lo vide raggiungere Victoria e insieme, dopo un po’ di attesa, incontrarono Jefferson. Lui sembrava molto disponibile, pronto a concedere un po’ del suo tempo a chiunque lo chiedesse. Rachel ne sapeva qualcosa. Fu felice di vedere Nathan stringergli la mano e parlargli. Rachel sentì che quel giorno, finalmente, Nathan aveva fatto un passo in avanti verso sé stesso, verso la sua vera vocazione.

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Capitolo 8
*** And no man is an island ***


And no man is an island

 
Con un fuoco, l’uomo
non si sente mai solo.

Oswald Spengler
 
Per Chloe era una novità.
Essere cercata da qualcuno.
Non che nessuno la chiamasse mai. Si era solo abituata a ignorare il cellulare, lasciarlo vibrare senza risposta finché la pressione sociale non si faceva troppo forte. Allora dava un’occhiata ai vari messaggi accumulati e rispondeva. Non a tutti, solo a quelle pochissime relazioni che aveva bisogno di tenere in vita. Come quella con Justin e Trevor, o con Frank. Eliot poteva essere ignorato senza conseguenze. Tanto il ragazzo non avrebbe mai mollato l’osso.
Chloe ammirava e detestava la sua tenacia con la stessa intensità. Di tanto in tanto lo degnava di una risposta, perché in fondo l’idea che là fuori ci fosse qualcuno che teneva a lei, che la desiderava, le faceva piacere.
In generale, però, non aveva nessun motivo per dare attenzione al telefono. Nessun messaggio era mai davvero importante.
Almeno, così era prima di Rachel.
Dopo quella serata trascorsa a parlare in spiaggia e poi a trangugiare hamburger all’ACFC, qualcosa era cambiato. No… in realtà il cambio radicale avvenne la mattina successiva, quando Chloe si svegliò sulle le note di One In The Million, provenienti dalla radiosveglia.
Notò la spia del vecchio cellulare lampeggiare e decise di controllare chi le avesse scritto.
 
Rachel
  • Buongiorno rockstar!
  • Ho passato davvero una bella serata ieri! Dovremo rifarlo!
  • A proposito… com’è andato il ritorno a casa??
 
Chloe rimase diversi minuti a fissare il cellulare, mentre sentimenti confusi si agitavano dentro di lei, come scimmie ubriache. Rachel le aveva scritto. Ok…
Quindi era tutto vero. Siamo amiche adesso?
Chloe si grattò la testa e poi fissò la foto di suo padre e Max, attaccata accanto al letto.
Il loro sorriso sembrava incoraggiante, anche quello di Max… Sembravano dire qualcosa come “Vai! Che aspetti?? Rispondi!!”
 
Chloe
  • Hey!
  • Vedo che la bettola per camionisti ha funzionato!
  • Ho subìto un’estensione della pena di una settimana…
  • Ma sono viva e illesa! Non hanno neanche urlato, mi hanno solo informata. Strano ma ok!
 
La risposta di Rachel non si fece attendere.
 
Rachel
  • Uhm… mi dispiace.
  • Che ne pensi di fare colazione insieme?
 
Chloe avrebbe potuto abituarsi molto facilmente a qualcuno che rispondeva immediatamente ai suoi messaggi. Anche ad avere qualcuno cui inviarne regolarmente…
 
 
Chloe
  • Va bene!
  • Mia madre fa il turno pomeridiano, possiamo andare al Two Whales.
Rachel
  • I migliori pancake di Arcadia Bay o forse dello Stato!
Chloe
  • Vorrai dire del mondo!
  • Vediamoci lì tra mezz’ora.
Rachel
  • A dopo! xoxo! (e non è un’emoji!!)
Chloe
  • È un po’ borderline, ma posso tollerarla!
 
Da quel giorno, le colazioni al Two Whales divennero una specie di abitudine di questo nuovo e strano sodalizio ChloRachel.
 
-
 
Megan era in caffetteria da almeno quaranta minuti. Aspettava Rachel.
In realtà non avevano nessun appuntamento, ma supponeva che sarebbe venuta a fare colazione lì. Anche se in realtà non lo sapeva con certezza. Da qualche tempo Rachel si era decisamente eclissata e non riusciva a togliersi dalla testa che fosse a causa di Halloween. Già... Quella fottuta serata...
Due ragazze le passarono accanto dirigendosi al bancone, un paio di metri dietro di lei. Non poté evitare di notare lo sguardo che le lanciarono, seduta da sola al tavolo a guardare il cellulare con disperata aspettativa. Le sentì bisbigliare. Ridacchiare...
Ma che cazzo di problemi aveva la gente?
Si sentiva di colpo gettata in una specie di soap opera.
 
Prese un sorso del suo caffè, ormai quasi esaurito e praticamente freddo. Forse era la caffeina ad innervosirla... o forse era perché Rachel non rispondeva ai suoi messaggi.
 
Megan
  • Hey Rachel, sono in caffetteria. Facciamo colazione insieme?
  • Rachel?
  • Scusa se insisto, ma ho davvero bisogno di parlare con te di quello che è successo. Non so cosa fare.
  • Rachel...
 
Fino a quel momento non era mai successo che l'amica non le rispondesse. Nemmeno visualizzava in effetti.
E pensare che al 90% Halloween era stata una serata perfetta...
 
Prima serata: sosta a casa Amber per trucco e parrucco. Sua madre era stata così gentile da aiutarle nella vestizione, mentre per il trucco si erano rinchiuse in bagno. In effetti Doctor Who e Rose Tyler non erano proprio in tema Halloween, ma non gliene fregava niente. Era cosplay!
In effetti era il primo cosplay della sua vita.
La festa era stata organizzata nella palestra della Blackwell e il piano originale era di andare a piedi. Si incamminarono lungo il viale che portava verso il "centro" di Arcadia Bay da cui avrebbero preso il grande rettilineo che conduceva dritto alla Blackwell.
Rachel, però, appena voltato l'angolo le disse di fermarsi e prese il cellulare. Alle sue richieste di spiegazioni rispose solo con un sorrisetto furbo. Rachel chiamò qualcuno e prima di appendere disse solo due parole: "Ci siamo!"
Di lì a trenta secondi una grossa jeep svoltò l'angolo a sinistra, proveniente da Arcadia Bay Ave. Si fermò proprio davanti a loro, dall'interno suonava una musica di qualche cantante pop di cui Megan ignorava felicemente il nome, ma che probabilmente era molto famoso.
"Yo Rach!" disse il ragazzo al volante. Megan lo conosceva in effetti, era Joel Brown. Rachel le aveva parlato di lui. Non era solo in macchina, sul sedile passeggero c'era un altro ragazzo biondo e palestrato, che non si degnò di salutarle se non con una strizzata d'occhio.
Megan iniziò di colpo a sentirsi a disagio, ma guardando Rachel sembrava che tutto fosse perfetto.
"Abbiamo un passaggio!" annunciò lei indicando con entrambe le mani la jeep.
Megan finse entusiasmo e salì a bordo sul sedile posteriore insieme a Rachel. Joel si presentò a Megan e fece lo stesso per l'amico, Brian Grey, che sembrava troppo importante per parlare da solo.
Il viaggio in macchina fu brevissimo, ma sufficiente per i convenevoli, in cui Rachel era un'esperta.
"Come mai non vi siete vestiti?!" chiese lei con un tono decisamente troppo infantile e petulante.
"Ma siamo vestiti!" scherzò Brian, pronunciando le prime parole da quando Megan era salita in macchina. Probabilmente avrebbe dovuto far ridere.
"Per ora!" ammiccò Joel guardando nello specchietto centrale, evidentemente alludendo a qualcosa che riguardava lui e Rachel. La reazione di lei fu una risata compiacente, ma incredibilmente naturale rivolta ad entrambe le battute. Megan tentò di accodarsi a lei, ma sentì che la sola cosa che era in grado di concedere era un sorriso. E pure stentato!
 
Il resto del viaggio di pochissimi minuti trascorse accompagnato dal brusio di Rachel che parlava coi due ragazzi, mentre Megan sentiva il disagio aumentare. Sperava che fossero due "toy boy" dell'amica e che sarebbero stati sbolognati appena parcheggiato.
Per un fugace momento Megan ci sperò davvero, perché appena scese nel parcheggio della Blackwell, Rachel iniziò a condurla verso la palestra.
"Ci vediamo dopo!" disse Brian. Quelle parole spensero un po' l'entusiasmo di Megan e al tempo stesso la preoccuparono. A chi diceva? A lei? A Rachel?
 
"Cosa intendeva?" si azzardò a chiedere all'amica mentre percorrevano rapidamente le poche decine di metri che le separavano dalla loro meta.
"Niente di importante!" ammiccò Rachel.
Decisamente qualcosa non andava.
Di lì a poco varcarono la soglia della palestra, solitamente così famigliare, ora irriconoscibile, piena di stelle filanti, finte ragnatele, pipistrelli, lo scheletro dell'aula di scienze probabilmente trafugato da qualcuno e posto subito dopo l'ingresso. Anche lui era diverso dal solito! Gli era stata messa una barba bianca e lunga ed un cartello appeso al collo con scritto: "Ce ne hai messo di tempo!"
Quello strappò un sorriso spontaneo a Meg.
Una volta ricevuto il timbro sul dorso della mano dal ragazzo che si occupava degli ingressi (un'altro di cui Megan non ricordava il nome... forse era davvero un bene che fosse andata a quella festa! Era più asociale di quel che credeva!) Rachel la accompagnò all'interno della palestra, totalmente trasformata dalle decorazioni e dalle luci colorate e stroboscopiche. Musica pop rimbombava ovunque, in lontananza Megan vedeva la postazione del DJ, i ragazzi più grandi del Vortex Club se ne stavano nel loro angoletto a osservare il frutto del loro lavoro e degli "schiavi" del primo anno impiegati per sistemare le decorazioni!
Rachel fu assalita da conoscenti e amici, facendo il giro dei saluti. Con alcuni che conosceva, anche Megan riuscì a scambiare due parole, ma con gli altri... niente di niente!
Si sentiva travolta da un mondo alieno, incapace di esprimersi se non a monosillabi. Rachel se ne accorse e le mise le mani sulle spalle fissandola negli occhi.
"Meg? Ci sei?"
"Non proprio... forse col corpo." disse lei.
"L'impatto con luci e musica a palla è sempre un po' strano, ma è giusto così! Serve a portarti in un altro mondo!" disse lei con allegria.
"In effetti è così che mi sento, solo che è il mondo sbagliato!" replicò Megan.
"Non fare la guastafeste! Avevamo detto che lo scopo della serata era sperimentare giusto?" la rimproverò giocosamente Rachel.
"G-giusto..."
"Allora andiamo!"
 
E fu così che Rachel e Megan sfilarono letteralmente tra la folla interpretando scherzosamente i rispettivi ruoli. Fu lei a cominciare ovviamente.
"Siamo in cosplay no? Interpretiamo!" disse. Sembrava che recitare una parte fosse la cosa che la emozionava di più... forse troppo.
Ma Megan ormai era stata assorbita dal flusso. Incontrò Steph, che le disse qualcosa, ma fu impossibile capirla per il frastuono.
Bevve la sua prima birra. Fece il suo primo tiro di sigaretta, che certamente fu anche l'ultimo. Piano piano, inesorabilmente, Megan iniziò a sciogliersi, a entrare nel flusso di quella bizzarra festa in cui tutti sembravano divertirsi un mondo. Lei e Rachel finirono in pista a ballare. Megan non si rese nemmeno conto di come ci era arrivata.
Eppure, qualche tempo dopo, si trovò a ballare da sola.
Guardandosi intorno alla ricerca di Rachel la vide abbracciata a Joel, le loro lingue saldamente ancorate l'una all'altra.
Prima che potesse registrare ciò che stava guardando, sentì battere sulla sua spalla. Un tocco rude, ma in qualche modo educato.
Megan si voltò e si trovò faccia a faccia con Brian, solo... un po' diverso!
Vestiva un rendigote color crema, pantaloni a righe e scarpe da ginnastica, con un cappello panama con fascia rossa a completare il tutto. Nella mano sinistra teneva una palla da cricket, che rigirava tra le dita con sorprendente abilità.
Megan sentì avvampare le guance, mentre una morsa la afferrava allo stomaco. Quello era il costume del Quinto Dottore!!!!
Quello di Peter Davison!!
 
"Mi sta male?" chiese lui urlando per farsi sentire.
Megan balbettò qualcosa, ma poi scosse semplicemente la testa.
Lui la fissò e le sorrise. Mise in tasca la palla da cricket e dall'altra estrasse qualcosa. Megan era nel pallone, quasi catatonica mentre lui le scostava i capelli dalle orecchie e vi inseriva dentro qualcosa. Erano dei tappi, ma i suoi polpastrelli un po' ruvidi sfiorarono i bordi dei padiglioni auricolari. I loro volti erano così improvvisamente vicini. Nessun ragazzo si era mai avvicinato tanto a lei. Se prima in jeep lui le era sembrato il solito coglione fissato con lo sport e pieno di sé, ora era diventato sorprendentemente interessante.
E bello...
 
"Mi senti meglio ora?" disse lui, sempre più vicino di quanto normalmente Megan si sarebbe sentita a suo agio. Eppure non la disturbava. I tappi ebbero il magico potere di attutire ogni rumore ambientale tranne le loro voci.
"Si ti sento!" disse lei.
"Bene! Non ho capito se ti piace il mio costume!"
"Si è perfetto! Ma come..."
"Steph... e Rachel!" rispose lui anticipando la domanda.
"Ma sei un fan del Doctor Who?"
"Più o meno!" rispose lui "Mi spiace solo che Rachel abbia fatto tutti questi sotterfugi... se ci fossimo messi d'accordo tu avresti potuto vestirti da Nyssa!"
Megan era incredula, per tanti motivi diversi.
Quindi Rachel aveva organizzato una specie di serata a quattro senza dirle niente?
Voleva accoppiarla con un tizio a caso?
Però in effetti questo tizio a caso era praticamente un dio greco vestito da Quinto Dottore e aveva appena pronunciato il nome di Nyssa, una dei vari assistenti del Dottore e casualmente una di quelle che le somigliava di più e di cui aveva sempre apprezzato il look aristocratico ottocentesco...
Megan sentiva accavallarsi troppi sospetti nella sua mente, ma furono tutti spazzati via nel momento in cui lui le prese la mano sinistra nella sua destra e le chiese: "Balliamo?"
 
Da quel momento fu un susseguirsi di gioia spontanea. Ballò con Brian, incappò in Rachel e Joel, per un momento si trovò a ballare con Joel, poi con Rachel, infine ancora con Brian. Tutto accadeva, quel poco alcol che aveva bevuto era stato sufficiente a disinibirla e portarla sulla giusta lunghezza d'onda.
Senza che se ne rendesse conto, si trovò a ballare abbracciata a Brian, sentendo il suo alito sul viso non proprio piacevole, ma caldo e in qualche strano modo invitante.
Si baciarono.
Fu strano, ma bellissimo.
Stava baciando il Quinto Dottore e da fuori doveva sembrare una scena fantastica. Forse più fantastica, perché in quel momento il Quinto Dottore stava baciando l'Undicesimo! Sembrava l'inizio di uno yaoi...
 
Alla fine della serata fu lui a riportarla a casa, da vero gentiluomo. Rachel e Joel erano spariti a metà serata e Steph probabilmente era fuggita o si era isolata. Ma per una volta Megan non aveva sentito la mancanza di nessuno. Trascinata dagli eventi, si sentiva incredibilmente felice. Stordita ma felice.
Brian le regalò un ultimo bacio sulle labbra prima di farla scendere dalla Jeep, che evidentemente era sua... o aveva rubato a Joel!
Quella notte Megan fece sogni colorati di rosa...
Peccato che il giorno dopo fu un incubo.
 
Iniziò quasi normalmente, Megan si preparò e andò a scuola prendendo l'autobus alla solita fermata. Capì che qualcosa non andava appena entrata in Caffetteria, quando tutti iniziarono a fissarla e sghignazzare. Non sapendo come reagire, fece finta di nulla e andò a prendersi il solito caffé. Vide Brian ad una decina di metri, seduto al tavolo con i suoi amici. Anche lui la notò. Megan gli fece un timido cenno di saluto e un sorriso festoso. Brian distolse lo sguardo come niente fosse.
Tum...
Il cuore di Megan saltò un battito.
Fece un passo in avanti per andare da lui e chiedere spiegazioni, poi ci ripensò e andò a sedersi al suo solito posto, al solito tavolo, dove rimase sola.
Quando Steph varcò la soglia della caffetteria e si diresse verso di lei, Megan esultò interiormente. Finalmente una faccia amica!
Eppure anche sul volto di Steph c'era una specie di ombra.
Si salutarono e la prima cosa che Megan sentì il bisogno di dire fu:
"Ma che hanno tutti?"
Steph sospirò: "Non lo sai?"
Megan scrollò le spalle, sempre più inquieta.
Steph allora prese il cellulare e le mostrò alcune foto. Erano lei e Brian vestiti da Doctor Who che si baciavano sulla pista da ballo. Poi che bevevano dalla stessa bottiglia di birra, e poi lui le offriva una sigaretta. Qualcuno aveva fatto un servizio fotografico della sua serata di Halloween.
"Come mai hai queste foto?" chiese Megan.
"Non solo io. Tutta la scuola... Marisa le ha condivise con tutti."
Megan si sentiva strana, la testa leggera e confusa.
Troppe emozioni e pensieri disorganizzati. Si sentiva violata da quello spiattellamento della sua vita privata davanti a tutti, ma in effetti non era così. Chiunque fosse stato presente alla festa avrebbe potuto assistere a quelle scene. Perché allora la cosa sembrava sempre più sbagliata di minuto in minuto?
Lo capì meglio quando vide i commenti sotto le foto pubblicate su Facebook.
  • Brian Gay
  • Ma quella è Megan Weaver? Sta meglio da uomo che da donna!
  • Ha cambiato sesso?
  • Mi sa che qualcuno non ha capito lo spirito di Halloween
  • Shemale Weaver
  • Non capite che era uno scherzo? Coglioni
 
E così via. Dozzine di commenti di persone praticamente ignote che giudicavano, prendevano in giro, sputavano sulla sua serata. Megan comprese il significato della parola "shitstorm".
 
Più tardi, quello stesso giorno, Megan tentò più volte di avvicinare Brian per chiedergli spiegazioni. Sapeva che li avrebbero fotografati e condivisi? Era stato tutto uno scherzo per lei? Ma soprattutto... Rachel lo sapeva?
L'aveva organizzato lei?
Durante l'intervallo riuscì finalmente a fermarlo in corridoio. Di nuovo, sotto gli occhi di tutti. Brian era tornato nel suo personaggio consueto, lo stesso che gli aveva visto interpretare appena salita sulla jeep.
"Perché mi eviti?" chiese Megan
"Perché mi cerchi?" chiese lui.
Megan sentì la rabbia avvamparle nello stomaco: "Beh... per quelle foto! Non capisco, pensavo che avessimo passato una bella serata. Ci siamo baciati."
Brian sbuffò, guardandosi intorno preoccupato mentre alcuni studenti li fissavano, palesemente origliando. Tra loro anche Marisa e Sarah.
"Non hai capito che ti ho presa per il culo?" disse lui a voce sufficientemente alta perché tutti lo sentissero "E' stato uno scherzo, un gioco. Una cosa di una sera che non si ripeterà, mi sta creando fin troppi problemi. Ora ho da fare..." e prima che Megan potesse replicare, lui se ne andò ad ampie falcate, lasciandola sola nel brusio degli spettatori.
 
"Sembra che qualcuna sia stata scaricata... o scaricato... come preferisci che ti chiamiamo Meg?" la voce di Marisa raggiunse le orecchie di Megan come un coltello.
"Perché l'hai fatto?"
"Mi esercitavo col reportage"
Megan non seppe cosa replicare. Sentiva qualcosa gonfiarsi dentro di lei, qualcosa che minacciava di farla implodere. Semplicemente fuggì, ignorando qualsiasi cosa Marisa avesse aggiunto. Sicuramente una cattiveria.
 
Quel giorno lei e Rachel non avevano corsi insieme e per qualche motivo non si incrociarono. Megan non riuscì a concentrarsi durante le lezioni, ancora non riusciva a comprendere bene cosa fosse successo. Scrisse un messaggio:
 
Megan
  • Hey Rachel. Hai visto le foto? Non capisco cosa sta succedendo. Brian ha detto che era tutto uno scherzo... dimmi che non sei stata tu ad organizzarlo.
 
Di lì a poco il telefono vibrò.
 
Rachel
  • Si ho visto e sono incazzata. Non doveva andare così. Brian è uno stronzo e anche Joel.
 
Megan
  • Quindi hai organizzato tutto tu?
 
Questa volta Rachel ci mise un po' a rispondere.
 
Rachel
  • È tutto un fottuto casino...
 
Megan
  • Sei stata tu o no?
 
Rachel
  • Volevo che passassi una bella serata, così ti ho presentato Brian. Volevo che stessi bene e ti divertissi. Marisa ha rovinato tutto come al solito.
 
Megan
  • Il costume e le cose che sapeva sul Doctor Who erano roba tua?
 
Rachel
  • Volevo che ti divertissi.
 
E di colpo, tutto ciò che Megan pensava di Rachel crollò.
Tuttavia il 1 Novembre non aveva finito con le sorprese. Megan fu chiamata nell'ufficio del Preside, il quale le fece diverse domande su quelle foto in cui era ritratta a consumare alcolici, fumare e baciare un ragazzo. Megan rispose con sincerità. Del resto perché mentire al preside? Lei in quella situazione era la vittima di Brian e Marisa. Rachel sembrava solo aver compiuto un errore di valutazione. Peccato che nessuno avesse fotografato lei e Joel...
Il colloquio si concluse con una frase che raggelò Megan:
"Data la situazione è prassi che vengano avvertiti i genitori o i tutori degli studenti in caso di comportamenti scorretti. Anche se si trattava di una festa al di fuori dell'ambito scolastico, lei in quanto minore ha comunque violato la legge sugli alcolici. Non ci saranno altre conseguenze, ma i suoi nonni sono stati avvisati."
 
Al suo ritorno a casa Megan fu accolta da due estranei. Erano sempre nonno Stanley e nonna Grace, almeno fisicamente, eppure le loro espressioni erano contorte dalla rabbia e dalla delusione.
"Che cosa hai combinato?! Ti rendi conto di ciò che hai fatto?! Bere alcolici, fumare, andare coi ragazzi!! Sei come tua madre!"
Spalle al muro, Megan si trovò sua nonna che le sventolava una confezione di carta: "Devi fare un test di gravidanza! Ora!"
"Ma non abbiamo fatto niente..."
"Bugiarda! Sei come tua madre! Hai idea di quanti anni ci sono voluti a ripulire la reputazione dei Weaver da queste parti?! No che non lo sai! Fai il test di gravidanza ORA!"
 
E Megan fece il test di gravidanza. Con la nonna che la fissava per assicurarsi che facesse davvero pipì e non tentasse di falsificarlo con acqua o altro...
Ovviamente fu negativo, ma da quel giorno tutto cambiò.
A scuola iniziarono a chiamarla Shemale, i nonni divennero freddi e silenziosi, limitandosi a interazioni necessarie e formali. Sua nonna era diventata incredibilmente invadente e fissata sul controllo delle sue mestruazioni. Aveva insistito per sapere esattamente i suoi giorni, per controllare se le venivano...
 
Megan incrociava Rachel a scuola nei corridoi o durante i corsi, ma per qualche motivo non riuscivano più a incontrarsi né prima né dopo la scuola. Rachel era sempre impegnata. Certo, rispondeva ai messaggi... avevano parlato al telefono. Megan si era sfogata e Rachel le aveva assicurato che avrebbe parlato con Brian e l'avrebbe costretto a scusarsi. Se l'aveva fatto, non aveva funzionato.
 

Col passare dei giorni l'episodio di Halloween sparì dalle "prime pagine" dei microcefali della Blackwell, ma le conseguenze rimasero. E, novità del momento, Rachel quel giorno di novembre inoltrato non rispondeva ai suoi messaggi. Aveva bisogno dell'amica che era sempre stata da quando la conosceva. Aveva bisogno che fosse presente... eppure a pensarci bene era tutto scaturito da lei. Se Rachel non avesse voluto presentarle Brian, se avessero semplicemente fatto ciò che si erano dette, cioè andare loro due alla festa e divertirsi tra ragazze. Niente sarebbe successo. Lo sgradevole pensiero che tutti i suoi guai fossero colpa di Rachel strisciava nella sua mente, costringendola a ricacciarlo.
Non era sua intenzione farle del male.
Era solo stato un terribile sbaglio.
Un terribile sbaglio...
 
Megan tentò una mossa disperata.
Digitò il numero e chiamò Rachel.
Suonò libero.
Tuuuuuuuu
Tuuuuuuuu
Tuuuuuuuu
Tuuuuuuuu
A vuoto...
Ciao! Questa è la segreteria di Rachel Amber! Se hai qualcosa di importante da dire dilla dopo il beep!
BEEEEEEP
 
Megan rimase lì, in silenzio.
"Se avete qualcosa di importante da dire"
Importante per chi? Si chiese Megan.
 
Alla fine non disse nulla e appese. Prese lo zaino, abbandonò il caffè finito sul tavolo (cosa che mai avrebbe fatto, ordinata com'era sempre stata) e si diresse verso l'aula di scienze. Era in larghissimo anticipo per la lezione, ma non aveva assolutamente niente da fare e nessuno da incontrare. Fece quello che avrebbe fatto se fosse stata sola al mondo. Si sedette nel suo angolino in classe e si immerse nella lettura di Orgoglio e Pregiudizio.

-
 
"Quindi lo Stronzo si è arreso?? Non ti farà più altri test??" chiese Rachel dopo aver controllato il cellulare che vibrava. Era Megan, come per tutti i messaggi precedenti, ma non poteva risponderle in quel momento. Mise il cellulare in tasca e lasciò che partisse la segreteria. Ci avrebbe pensato dopo.
"Così pare... deve avergli parlato Joyce... anche lei sembra meno fredda da quando si sono fidanzati." commentò Chloe parlando con la bocca piena di uova e bacon. Apprezzò parecchio il fatto che da diversi minuti Rachel stava ricevendo messaggi da qualcuno di insistente e non stesse rispondendo. Si sentiva ascoltata.
Novembre si inoltrava verso temperature sempre più invernali. Aveva anche nevicato un po’ durante la seconda settimana, ma non abbastanza perché attecchisse. Rachel odiava il freddo, odiava doversi vestire a strati, ma assistere alla neve che scivolava soffice sulla spiaggia e l'oceano era sempre poetico.
Per Chloe invece era indifferente. Era abituata a quello spettacolo da sempre e come spesso accade, la consuetudine è nemica della meraviglia. Un tempo aveva amato i piccoli piaceri offerti da Arcadia Bay, ora nulla sembrava più incantarla.
Eccetto Rachel.
Sedute l'una di fronte all'altra ai loro posti mattutini al Two Whales, a metà strada fra la porta d'ingresso e l'area jukebox, gustavano una sana colazione a base di uova, bacon, caffè e succo d'arancia. Si sarebbero concesse anche una fetta di cheesecake o qualche altra porcata. Era un giorno speciale.
Chloe era risultata negativa al test del capello!
 
"Forse ha qualcosa a che fare con la tua sbronza epica?" insinuò Rachel con un sogghigno.
"Può darsi... Alcol: causa e soluzione di ogni problema!" annunciò Chloe prima di buttar giù un lungo sorso di caffè.
Rachel ridacchiò "Era un meme questo?"
"Può darsi..." replicò Chloe, non completamente sicura se dietro la domanda di Rachel ci fosse divertimento o biasimo.
Rachel sembrò capirlo: "Mi piacciono i meme!" le sorrise rassicurante e Chloe glielo restituì. Si sentiva quasi strana a sorridere... Quando era in presenza di Rachel si scopriva a farlo in continuazione.
"Sono contenta che tu sia libera! Mi spiace solo che ad Halloween fossi in punizione e non sei potuta venire al ballo di Blackhellaween!" commentò Rachel.
"Non ci sarei venuta comunque..."
"Ti avrei convinta!"
"Naaah... troppe persone tutte in una volta."
"Penso solo che sarebbe stato divertente appartarsi in un angolo e commentare i costumi delle persone. Marisa era vestita da Trilly..."
Il bacon imboccò la strada sbagliata e Chloe cominciò a tossire. Appena riuscì a mandarlo giù con un sorso di caffè, offrì a Rachel un'espressione stupita e ghignante: "Cosa???"
"Eh si... Trilly... parrucca bionda coi capelli corti, corsetto verde, tutù cortissimo, ali glitterate e pure la bacchetta. Si è impegnata! Penso che tutti i ragazzi abbiano dato almeno uno sguardo al suo culo!"
"Pff... e le due scagnozze?" chiese Chloe fra le risate.
"LA scagnozza. Kelly è uscita dalla sua cerchia, è rimasta solo Sarah..."
Ecco come si chiamavano!! pensò Chloe. Ovviamente Rachel le conosceva. Rachel sembrava conoscere tutti.
"E tu da cosa ti sei vestita?"
"Da Rose Tyler, l’assistente del Doctor Who. Joel non era molto contento, ma mi sono rotta le palle di vestirmi da vampira..." spiegò Rachel.
"Chi è Joel?" chiese Chloe, ignorando la faccenda di Rose Tyler e tutto ciò che poteva significare.
Rachel ha un lato nerd, appunto preso.
Rachel sbuffò e distolse lo sguardo pensierosa.
"Scusa non sono affari miei..." i meccanismi difensivi di Chloe scattarono in automatico.
"No, non è quello... è che... uffh... non so bene come definirlo!" disse Rachel.
"Amico? Fidanzato?" propose Chloe. Perché le interessava poi? Si sentiva strana a chiedere, ma le parole uscivano da sole.
"Né l'uno né l'altro..." sogghignò Rachel un po' imbarazzata "Diciamo che mi serviva un individuo di sesso maschile per il ballo di Halloween! È carino, bacia bene... è anche abbastanza affidabile perché mi ha coperto un paio di volte quando non volevo che i miei sapessero dove andavo." fece spallucce.
"Toyboy??" offrì Chloe divertita e intrigata, soprattutto dalla parte in cui Rachel nascondeva qualcosa ai suoi genitori.
"Ecco! Toyboy! Lo descrive bene?"
"Ci hai scopato?" chiese candidamente Chloe.
Rachel scoppiò a ridere. Una risata prolungata che dopo un po' trascinò anche Chloe in una risatina solidale.
"No..." riuscì a dire Rachel tentando di ricomporsi "Non ancora almeno."
“È interessante scoprire questo lato di Rachel Amber!" commentò Chloe, protendendosi in avanti sul tavolo con il mento incastrato fra i palmi delle mani.
"Il lato zoccola?" offrì lei ridacchiando.
"Non zoccola... direi più sciupauomini!" precisò Chloe.
Rachel sorrise: "Mi piace! E tu invece? Ti vedi con qualcuno?"
Chloe praticamente rimbalzò indietro, appoggiandosi allo schienale e incrociando le braccia. Rachel lo notò: "Non sei obbligata a dirmelo se non ti va..." precisò con gentilezza.
Chloe guardò fuori dalla finestra cercando le parole da qualche parte nel grigio paesaggio esterno: "No, al momento non esco con nessuno... avevo un ragazzo l'anno scorso ma..." scrollò le spalle "Non ha funzionato!"
"Lo conosco?" chiese Rachel.
"Probabilmente sì. Tu conosci tutti!" scherzò Chloe, raccogliendo il divertimento di Rachel "Eliot Hampden."
Rachel si massaggiò il mento: "Si ho presente chi è. Non ci siamo mai parlati, ma condividiamo alcune classi. Ecco perché quel giorno che ci siamo scambiate i bigliettini era così interessato!"
"Pffh... si beh... è finita da mesi, ma forse non l'ha ancora capito. Continua a provarci, mi scrive tutti i giorni, mi chiama, mi invita a concerti o a studiare insieme... a volte non so come dirgli di no senza ferirlo, quindi non dico niente!" Chloe si rilassò e riprese a mangiare, alternando un boccone ad una parte del racconto.
"Come mai non ha funzionato?" adesso era Rachel ad essere appoggiata al tavolo.
"Ufffh... non lo so... è che non me ne fregava un cazzo!" sputò Chloe, scatenando di nuovo le risate di Rachel.
"Ti adoro quando fai così!"
"Così come?"
e… ‘ti adoro’??
"Dici quello che pensi esattamente come lo pensi. È una cosa così rara... così..."
"Da stronzi?"
"Direi ‘speciale’! Sei la persona più schietta che conosco!" il volto di Rachel era il ritratto della gentilezza e Chloe ne era sopraffatta. Era capace di disinnescare tutti i suoi tentativi di gettarsi merda addosso e lo faceva con grazia disarmante. Chloe sentiva il cuore scaldarsi ad ogni minuto trascorso in compagnia di Rachel.
Distolse lo sguardo, prese un sorso di caffè e proseguì: "Comunque... per un po' di tempo è stato l'unico con cui potessi parlare. Sembrava così ansioso di aiutarmi a superare i miei problemi, così felice di farlo... ma in realtà non mi è mai interessato granché" spiegò Chloe "è un bravo ragazzo, ci conosciamo da quando eravamo piccoli... ma penso di essermi fatta scopare solo per... gratitudine? Ricompensa? Non lo so... è triste..."
"Non penso che sia triste. Penso sia quel genere di cazzate che si fanno da adolescenti e da cui si spera di imparare qualche lezione." commentò Rachel.
"Come con Joel?" chiese Chloe che intanto stava ripulendo il piatto e si preparava ad aggredire la spremuta.
"Naah... ma l'anno scorso ho avuto una storia quasi seria con un ragazzo. Armond Fisher, hai presente?"
"Chi??"
Rachel sorrise: "Uno della squadra di nuoto, due anni in più di me.”
“Aspetta… ti sei fatta una Lontra??” chiese Chloe incredula.
“Un gran bel pezzo di Lontra in effetti!” rivendicò Rachel inarcando un sopracciglio divertita.
“E’ un vero peccato… se fosse stato un Bigfoot avrei avuto un sacco di battute… così invece…” piagnucolò Chloe.
“C’è sempre tempo!” ammiccò Rachel “All'inizio mi piaceva davvero” riprese “era così gentile, bello, cavalleresco... poi ci siamo baciati e la magia è finita. Ho pensato che forse stessi sbagliando qualcosa, era il mio primo vero ragazzo dopotutto. Così sono andata alle feste con lui, siamo usciti a cena, abbiamo fatto i fidanzati ai concerti, abbiamo fatto sesso... per un po’ è stato divertente… ma non c'era niente. Era tutto così… superficiale. Ovviamente a mio padre lui piaceva tantissimo ed era contento che mi stessi 'inserendo'..."
"Forse era più Armond che si 'inseriva' in qualcosa..." commentò Chloe. Rachel fu colta alla sprovvista da quell'improvvisa affermazione, esitò alcuni secondi prima di scoppiare in un’altra canticchiante risata e rifilare un destro sulla spalla di Chloe.
"Ahia!!" si lamentò lei.
"Scema!" disse ancora sghignazzando Rachel.
"Me l'hai offerta su un piatto di platino Cappuccetto Rosso!" si difese Chloe, massaggiandosi la spalla.
"Comunque... alla fine mi sono stufata e l'ho mollato." concluse facendo spallucce.
"I ragazzi sono un problema..." commentò Chloe.
"Non lo so. Ho fatto solo un tentativo!"
Chloe fece spallucce e lasciò cadere l'argomento. Per alcuni istanti fra loro calò un silenzio confortevole. Rachel ne approfittò per finire il suo caffè, ormai tiepido.
Era bello parlare con Chloe. Più la frequentava, più capiva che con lei poteva esprimersi più liberamente che con chiunque altro. Chloe non aveva filtri e questo atteggiamento era contagioso. Non le era sfuggito che anche Chloe era diversa quando stava con lei. Era come se indossasse finalmente la sua faccia felice, una che non le aveva mai visto prima di cominciare a frequentarla. E questo rendeva felice anche Rachel. Se solo le avesse parlato prima...
"Cheesecake??"
"Eh??" Rachel si scosse.
"Non so tu, ma io devo festeggiare la possibilità di ricominciare a drogarmi!" spiegò Chloe.
"Ah! Certo! Ma dovrai condividere la prossima volta!"
"Fumi erba??" chiese Chloe stupita, anche se ormai stava imparando che tutto quello che pensava di sapere su Rachel era sbagliato!
"Certo! Mi hai preso per Miss Perfettina??"
Chloe scoppiò a ridere: "No no... ho capito che quella persona non esiste realmente!"
Da qualche parte nel suo petto, Rachel sentì una puntura di spillo. Quell'affermazione di Chloe punse qualcosa dentro di lei, fastidiosamente. Non seppe dire cosa fosse o perché, ma come ogni puntura fece male. Rachel ammiccò e Chloe non si accorse di nulla.
Attirarono l'attenzione di Hannah, una delle colleghe di Joyce, cui ordinarono una fetta di cheesecake e un secondo giro di caffè.
Intanto, la canzone del jukebox cambiò automaticamente ed un mix di flauto e armonica dal sapore country risuonò con ostentata allegria nel diner, facendo da introduzione alle prime strofe di una canzone che Chloe aveva già sentito, suo malgrado...
 
When the train rolls by
I'm gonna be ready this time
When the boy gets that look in his eye
I'm gonna be ready this time
When my momma says I look good in white
I'm gonna be ready this time
 
"No... no no... anche qui no..." Chloe schiantò la testa sul tavolo e si abbassò disperatamente il berretto sulle orecchie.
Rachel sollevò un sopracciglio perplesso: "Che succede?"
"Niente... solo musica di merda..."
"Hey!! Ritiralo subito!" disse Rachel minacciosa.
Chloe alzò lo sguardo incredulo, incrociando un paio di occhi nocciola: "Ehm... sei seria?? Ti piace la musica country??"
"In realtà si! Parecchio! Adoro le Dixie Chicks!"
Chloe si coprì anche la faccia con il berretto, stirando fino alla massima estensione le fibre di lana: "Lo sapevo! Non potevi essere perfetta... dovevi avere qualcosa di sbagliato. Ed eccolo!!"
Rachel sghignazzò e cominciò a canticchiare in sincrono con la musica:
"Oh yeah
Ready, ready, ready, ready...ready to run
All I'm ready to do is have some fun
What's all this talk about looooove!"
 
"Oh mio Dio no!!!!!" si lamentò Chloe mentre Rachel rideva "Ritiro tutto quello che ho detto di buono sui tuoi gusti musicali!"
"Sono una persona eclettica Chloe!" si difese Rachel.
"Come cazzo fai a passare dai Firewalk a... QUESTO?"
"Dipende molto dai momenti... ma la vera domanda è come fa a non piacerti la musica country??"
"Non è che non mi piace in assoluto, ma prima di tutto le Dixie Chicks piacciono a David e questo le rende il male assoluto! E poi... in realtà una volta mi piaceva la country, ma poi... sono cambiate delle cose..."
Rachel vide un'ombra calare sul viso di Chloe, le sue spalle si contrassero e si tirò indietro. Aveva evocato qualcosa di spiacevole senza volerlo. Forse in un altro momento avrebbe spinto Chloe a parlargliene, ma non adesso. Né lei e sicuramente neanche Chloe volevano rovinare quella felice mattinata con brutti ricordi...
"Facciamo un gioco!" propose.
"Eh? Un gioco?" l'attenzione di Chloe fu catturata.
"Quella sfida sulla nostra cultura musicale... facciamola adesso!"
Chloe sogghignò: "Ma non c'è Justin ad assistere, nessuno potrà raccontare che ti ho stracciata!"
Rachel sorrise. Che Chloe avesse preso la sua esca consapevolmente oppure no, fu felice che la seguisse: "Se per qualche assurda, misteriosa ragione dovessi perdere, ammetterò la sconfitta. Ma ti chiederò la rivincita!"
"Giura!"
"Giuro sul Necronomicon!" disse Rachel in tono solenne, mano destra sul cuore e sinistra alzata.
"Wow! Prima ti vesti da Rose Tyler e ora citi Lovecraft... sei anche nerd!" sghignazzò Chloe.
"E' così tenero che tu continui a stupirti di quanto sono fantastica! E presto assaporerai la sconfitta!"
 
"Ecco qui la vostra torta e il vostro caffè!" Hannah arrivò finalmente con l'ordinazione. Entrambe ringraziarono e attaccarono all'unisono il cibo.
"Bene... quindi... le regole..." disse Rachel tentando di parlare e masticare contemporaneamente in modo semi-educato.
"Come vogliamo fare?" chiese Chloe, anche lei a bocca piena.
"Una dice il titolo di una canzone e l'altra deve dire il gruppo e cantare il ritornello! La prima che sbaglia perde!" spiegò professionalmente Rachel, prendendo poi un sorso di caffè. Quella torta era buona, ma scendeva con lentezza esasperante nell'esofago!
"Però io non so cantare..." disse Chloe.
"Fa niente, basta che lo dici o che almeno mi fai un minimo di melodia. Tanto sono stonata anch'io!" incoraggiò Rachel.
"Va bene! Chi inizia??"
"Ovviamente io!" Rachel si impettì. Gli occhi di Chloe furono magneticamente attratti dai piccoli seni in crescita di Rachel, che gonfiavano dolcemente la maglietta nera che indossava sotto la flanella rossa. Sbatté ripetutamente le palpebre cercando di dissimulare quella sbirciatina...
Chloe allargò le braccia e si appoggiò allo schienale, invitando Rachel a sparare le sue cartucce. Lei si massaggiò il mento e spostò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio, giocherellando un po' con una delle due piume blu prima di parlare: "Cigarettes And Valentines!"
Chloe le lanciò uno sguardo stupito: "Così è troppo facile! Green Day..." poi bevve un sorso di caffè.
"Non mi canti il ritornello?" Rachel si imbronciò incrociando le braccia.
"Uff... ok...
I-I don't wanna go back home
I don't wanna kiss goodnight
Let us paralyze this moment
'til it dies
 
To the end of the earth
Under the valley of the stars
There's a car crashing
Deep inside my heart
 
Take a ride to the avenues
Across the Great Divide
There's a siren screaming
"I'm alive", it cries"
 
"Wow! Anche le prime due strofe!" si complimentò Rachel.
"Che dire... sono ispiranti!" si vantò Chloe "Ora tocca a me..."
Rachel ricominciò a mangiare la cheesecake in attesa, mentre Chloe scandagliava la sua mente in cerca della canzone giusta. Come approcciarla? Partire subito a razzo con una canzone difficile o mantenere il livello leggero per riscaldarsi un po'?
"Come Out And Play!"
"Pffh... scelta interessante!" disse Rachel soffiando una risatina.
"La conosci vero?" chiese Chloe.
"Ovvio! Offspring!..." Rachel si schiarì la voce:
"You gotta keep 'em separated
 
Like the latest fashion
Like a spreading disease
The kids are strappin' on their way to the classroom
Getting weapons with the greatest of ease
 
The gangs stake their own campus locale
And if they catch you slippin' then it's all over pal
If one guy's colors and the other's don't mix
They're gonna bash it up, bash it up, bash it up, bash it up
 
Hey man you talkin' back to me?
Take him out
You gotta keep 'em separated
Hey man you disrespecting me?
Take him out
You gotta keep 'em separated
Hey don't pay no mind
You're under 18 you won't be doing any time
Hey come out and play!"
 
"Anche tu le prime strofe! Uno pari!" si complimentò Chloe, alzando il bicchiere di caffè come per brindare.
"Mi piace la canzone che hai scelto, parla del tuo amore per la Blackwell e i suoi abitanti!" sghignazzò Rachel.
"Cazzo, puoi dirlo!" rise Chloe.
"Tocca a me!" Rachel depositò la forchetta, massaggiandosi poi il mento mentre pensava.
"A questo gioco manca qualcosa comunque..." disse Chloe seria. Rachel inarcò un sopracciglio:
"Cosa??"
"L'alcol!"
Scoppiarono entrambe a ridere.
"Dai si presta perfettamente! Solo che se sbagli, invece di perdere devi bere e si va avanti a oltranza!" continuò Chloe.
"La prossima volta lo giocheremo così!" ammiccò Rachel "Comunque... Doll..."
Chloe accusò il colpo per un attimo: "Hah!" esclamò battendo un palmo sul tavolo, facendo voltare alcuni camionisti seduti al bancone. Rachel sogghignò compiaciuta:
"Eh già..."
"E' molto ambigua questa... ci sono dozzine di 'Doll'..."
"Ma solo una è DOLL..." ghignò Rachel, sentendosi ebbra di potere nel mettere in difficoltà Chloe, che bevve un sorso di caffè, imprecando sommessamente per il fatto che stesse già per finire.
"Allora? Ti arrendi già?" chiese Rachel.
"Foo Fighters!" esclamò Chloe in un lampo di intuizione.
"Giusto, ma devi anche cantarla..." sfidò Rachel.
"Merda... come cazzo faceva???" Chloe iniziò a spremersi le tempie, come se potesse far uscire le parole.
"Ti arrendi??" incalzò Rachel.
"Y-you know in all... of the time that we've shared
...I've never been so scared...
poi... com'era... com'era...
Doll me up in my bad luck
I'll meet you there...
e poi non me la ricordo cazzo!"
Rachel applaudì: "Complimenti! Molti non sanno nemmeno dell'esistenza di questa canzone!"
"Cazzo, certo! È del '94! Ha la mia stessa età!"
"E adoro il fatto che tu la conosca!"
"Bene... hai voluto andare sul pesante? Ora mi vendicherò sappilo!" minacciò Chloe con un ghigno.
"Sono più che pronta!" la sfidò Rachel.
Chloe rifletté alcuni momenti, aprì tutti gli archivi della sua mente alla ricerca di una canzone sufficientemente ignota da consentirle la vittoria.
"Romeo and Rebecca!"
Rachel si bloccò. Avvolse la mano destra sulla sua guancia in una posa riflessiva, mentre con gli occhi esaminava il vuoto alla sua sinistra. Prese nervosamente un sorso di caffè: "Cazzo... la so..."
"Non si direbbe!" la schernì Chloe.
"Zitta tu!" sghignazzò Rachel "Mi deconcentri!"
"Scusi Regina del Rock... prego!" Chloe si appoggiò allo schienale e la guardò contorcersi nel tentativo di recuperare antichi file sepolti nella sua mente. Apparentemente senza successo.
"I-I don't want to live alone
I don't want to live in
My broken dreams of you...
Ehm...
I don't want to live along with
My broken dreams of you
I don't want to live along with
My broken dreams of you..."
Rachel canticchiò timidamente e Chloe annuì: "Molto bene, queste sono le strofe finali, ma di chi è?"
Rachel ringhiò di frustrazione mentre si massaggiava il centro della fronte come se volesse aprirsi fisicamente il famoso terzo occhio.
"System of a Down?" disse timidamente Rachel.
"No! Haaa!! Ho vinto!" esultò Chloe "Erano i Blink 182!!"
"Cazzooooo!!!" Rachel accasciandosi sul tavolo e battendo ripetutamente il pugno su di esso facendo tintinnare piatti e bicchieri, mentre Chloe gongolava!
Hannah si avvicinò a loro pregandole di abbassare il tono ed entrambe si zittirono subito tentando di ricomporsi. Nel silenzio, mentre Hannah si allontanava, si fissarono negli occhi. Uno sguardo complice, come quelli che Chloe ricordava di essersi scambiata con Max e come Rachel invece... non aveva mai scambiato con nessuno. L'ambra si perse nel blu e viceversa.
E poi liberarono una risata grugnante come due cretine.
Soffocarono l’ilarità nel vano tentativo di mantenere la compostezza. Chloe fu la prima a recuperare un po' di serietà, ansimando con delle lacrime agli angoli degli occhi.
"Comunque ho vinto!"
"Ammetto la sconfitta... anche se in effetti ricordavo il testo, ma non il gruppo... in un certo senso non ho proprio sbagliato!" precisò Rachel.
"Diciamo che la tua risposta vale mezzo punto... ho vinto Due a Uno e mezzo!" insistette Chloe, tutta esaltata.
"Ok ok... fortuna che non ho scommesso niente!" disse Rachel allargando le braccia in segno di pace.
"A parte la tua reputazione! Irrimediabilmente persa!"
"Eh no Rockstar! Avevo detto che avrei ammesso la sconfitta, ma che avrei anche preteso una rivincita!" precisò Rachel puntando l'indice minaccioso.
“È vero l'hai detto... e l'avrai. Purché ci sia anche dell'alcol!"
"Sono d'accordo. Alla fine speriamo di ricordarci chi vincerà..."
Scoppiarono a ridere.
 
-
 
Il giorno dei provini, infine, arrivò.
Rachel, Kelly e talvolta anche Nathan avevano lavorato moltissimo insieme per questo momento. Si sentiva quasi come l'anno prima, quando aveva dovuto preparare il suo monologo per l'esame finale, solo che la paura aveva perso terreno sull'euforia. Rachel non vedeva l'ora di sfoggiare la sua Miranda al professor Keaton e al resto della classe. In parte, questo desiderio era accresciuto dal fatto che anche Marisa era candidata per lo stesso ruolo. Un confronto diretto con lei, con giudizio da parte di Keaton, era qualcosa che una parte di lei aspettava da tempo. L'opportunità di mettere Marisa al suo posto senza usarle violenza!
Certe volte pensava a quanto per Chloe queste cose fossero più facili. Se qualcuno le stava sulle ovaie, non aveva problemi a dirglielo nel modo più colorito che conosceva. Rachel non ci riusciva. Non ancora. C'era quella cosa chiamata "immagine" che doveva per forza mantenere. Non sapeva nemmeno lei perché fosse importante. O forse non importava nulla a lei, ma a qualcun'altro. Tipo suo padre.
Giunta in classe, Rachel si rese conto che il numero di studenti era particolarmente ridotto. Notò immediatamente e con curiosità l'assenza di Steph, Gina e Jason. Rachel si avvicinò a Kelly e, quando Nathan giunse in classe, gli fece cenno di unirsi a loro. Il trio si appostò nei pressi di una delle ampie finestre, in attesa di Keaton.
Marisa sorprendentemente non si avvicinò nemmeno. Rimase con Sarah e si limitò a lanciare loro uno sguardo laser. Rachel poteva vedere quanto Kelly soffrisse per il litigio con Marisa e una parte di lei avrebbe voluto aiutarle a riappacificarsi. Una piccolissima parte, sepolta sotto un grande "chissene frega". In effetti, pensava che allontanarsi da Marisa fosse soltanto un bene per Kelly, come per chiunque altro.
Infine, Keaton entrò in classe fischiettando come suo solito. Dopo aver sbrigato l'appello spiegò che gli studenti assenti erano coloro che avevano scelto il percorso scenografico, quindi invece di rimanere in aula con loro a fissarli mentre facevano i provini avevano una speciale lezione con il professor Cole, con cui avrebbero elaborato progetti per La Tempesta.
"Per voi invece..." continuò Keaton "...è il momento di mostrare cosa sapete fare. Come vi ho detto i provini saranno improvvisati, spero che abbiate studiato bene i vostri personaggi e non abbiate imparato a memoria una parte. Perché non vi servirà! Oggi uscirete tutti da qui con un ruolo assegnato e non sarà necessariamente quello per cui vi siete preparati."
Keaton fece una pausa d'effetto mentre passeggiava nell'area palco come sempre: "Chi vuole fare una scommessa?" chiese Keaton.
Si fermò in silenzio e gli studenti, dopo un po', cominciarono a fissarsi tra loro confusi. Rachel sghignazzò tra sé. Era sempre bello assistere alle performance di Keaton.
"Su... io ci metto 20 dollari!" incoraggiò Keaton.
Kelly diede una lieve gomitata a Nathan, che sobbalzò: "Dai scommetti!" lo incoraggiò sottovoce.
"Ma non so nemmeno su cosa..." bisbigliò lui.
"Che ti frega, tanto sei ricco!" insistette Kel.
"Non è che cago soldi... me li da mio padre..." replicò un po' piccato Nathan.
 
"Mister Prescott! Vuoi scommettere con me?" si intromise Keaton "Stavate discutendo su quanto puntare?"
Nathan si paralizzò come congelato.
"Ehm... io... no..." balbettò.
"Si che vuole scommettere!" si intromise Rachel, fulminata dallo sguardo di Nathan cui rispose con una linguaccia e un ammiccamento.
"Ovviamente il piccolo Rockfeller..." bofonchiò Marisa alla cui battuta seguì una piccola onda di risate.
"Ottimo! Ho capito bene Miss Rogers? Hai detto che punti 100 dollari??" disse Keaton.
La sua faccia tornò istantaneamente seria.
"Ehm... no..." rispose.
"Oh... peccato. Avrò sentito male!" scherzò Keaton.
"Ok ok... punto 20 dollari anch'io!" disse Nathan rassegnato.
"Molto bene! Allora... quanti siamo... uno, due, tre... cinque ragazzi e sei ragazze! Scommetto i miei 20 dollari che avremo due Prospero e tre Ferdinando tra i ragazzi e sei Miranda fra le ragazze."
Un silenzio imbarazzato e un po' colpevole calò sulla classe.
Nathan sogghignò. Lui sapeva che Kelly aveva preparato Ariel, quindi almeno su quello andava sul sicuro.
"Io invece scommetto che avremo cinque Miranda e una Ariel." disse Nathan.
"Interessante... allora i Ferdinando alzino la mano!"
Nathan e altri due ragazzi alzarono la mano titubanti, fissandosi con imbarazzo.
"Alzino la mano i Prospero!"
Un altro paio di mani maschili si alzarono confermando la previsione di Keaton. Delle risatine risuonarono nell'aula.
"Vediamo le Miranda ora!" esclamò Keaton e tutte le ragazze tranne Kelly alzarono la mano, sghignazzando divertite.
"Oh... Miss Davis! Non porti Miranda?" caricando il suo atteggiamento sorpreso.
"No! Ho preparato Ariel..." disse lei.
"Molto bene! Credo di doverti 20 dollari Mister Prescott, anche se hai fatto un po' di insider trading!" scherzò Keaton.
"Qualche trucco imparato da papà immagino!" replicò Nathan, con una prontezza di spirito che colpì Rachel. L’intera classe rise alla sua battuta e un sorriso compiaciuto apparve sul viso di Nathan.
"Ovviamente..." Keaton tornò al tema principale "Molti di voi oggi non otterranno il ruolo per cui si sono preparati, ma siate certi che troveremo insieme quello più adatto a voi."
Detto questo, Keaton uscì dall'area palco, prese una sedia e come di consueto si posizionò in mezzo agli studenti. Si mise comodo e batté le mani:
"Bene! Da chi cominciamo??"
 
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L'impostazione dei provini era semplice: Keaton interpretava un personaggio e dava degli input improvvisati e gli studenti rispondevano a seconda del loro ruolo. Spiegò che questo era simile al metodo usato nei casting per il cinema, inoltre per lui saper improvvisare era la base del teatro. Chiunque può imparare a memoria delle battute, ma solo un vero attore sa calarsi nel ruolo abbastanza da esprimere naturalmente la personalità del suo personaggio. Fu questo il motivo per cui ai primi Ferdinando e Miranda furono fatti sperimentare anche altri ruoli. Keaton si dedicava a ciascuno studente, incalzando finché non riusciva a far emergere il ruolo giusto. Sarah presentò la sua Miranda, ma Keaton la fermò quasi subito, facendole provare lo spiritello Ariel. Nella commedia originale Ariel era un maschio, ma in quanto essere fatato si prestava ad essere interpretato anche da una ragazza.
Arrivò quindi il turno di Kelly, un po' intimidita dal fatto che la sua amica Sarah fosse presa in considerazione per il suo stesso ruolo.
Rachel le rivolse un silenzioso incoraggiamento, cui Kel rispose con un sorriso prima di sospirare profondamente e recarsi nell'area palco.
"Non temere Miss Davis, non stai andando al patibolo. È solo un provino!" scherzò Keaton. Kelly ridacchiò, scaricando un po' di tensione. Solo un po’. Sentiva gli occhi di Marisa su di lei, accusatori e risentiti. Evitò il suo sguardo.
"Visto che ti sei preparata specificamente su Ariel, dicci chi è il personaggio che interpreti."
Kelly prese un profondo respiro e cominciò: "Ariel è il capo degli spiriti dell'isola su cui vivono Prospero e sua figlia Miranda. Prima del loro arrivo l'isola era abitata dalla strega Sicorace, che teneva Ariel e gli altri spiriti soggiogati. Poi la strega fu sconfitta da Prospero, che liberò Ariel e tutti gli spiriti, che per gratitudine decisero di servirlo."
"Molto bene! Come mai hai scelto di preparare Ariel?" chiese Keaton.
Kelly sorrise: "Ho sempre amato Sogno di Una Notte di Mezz'Estate, Puk è uno dei miei personaggi preferiti e Ariel in questa commedia è quello che gli somiglia di più."
"Buona risposta. Ottimo anche che tu abbia trovato un parallelo tra questi due personaggi che, effettivamente, hanno dei punti in comune. Cominciamo allora... io sono Prospero..." Keaton si schiarì la voce "Ariel! Rispondi ai miei comandi!" la voce del professore divenne improvvisamente più profonda e vibrante, di puro diaframma. Kel si voltò e non rispose.
"Ariel? Perché non rispondi spirito?" insistette Keaton.
Kel emise una risatina e Keaton sogghignò.
"Ordunque Ariel! Hai o non hai giurato di servirmi? Dove ti sei cacciata?!" Keaton recitò un Prospero prossimo all'ira, fu allora che Kelly si voltò di scatto e con un piccolo balzo si 'manifestò': "Eccomi padrone! Non siate così scontroso! Uno spirito ha i suoi impegni quotidiani tra cui districarsi!"
Rachel sorrise e lanciò uno sguardo complice a Nathan. Entrambi si sentivano partecipi della performance di Kelly, dopo i pomeriggi passati a improvvisare, discutere e ragionare sui loro personaggi. Era gratificante vederla all'opera, come se la sua prestazione fosse frutto di un lavoro collettivo. In un certo senso lo era.
"Ricorda i tuoi giuramenti spiritello! Non puoi lasciarmi a sgolare così in spiaggia come un qualsiasi marinaio! Io sono Prospero! Ero il Duca di Milano e sono un potente stregone! Porta rispetto!" Keaton si infervorò nel suo ruolo, accompagnandolo con gestualità plateali che tuttavia gli davano un tono grottesco e comico. Era la linea che Kelly aveva pensato per la sua Ariel e il professore la assecondava.
Kelly balzò indietro, alzando platealmente le braccia come per scusarsi: "Ohi Ohi Maestro! Vi siete alzato col piede sbagliato oggi?? Cos'è che vi turba tanto da prendervela col vostro più fidato e amichevole servitore?"
Keaton sospirò e si massaggiò la fronte: "Vuoi farmi sentire in colpa Ariel? Beh un po' ci riesci. Ho avuto la visione di un vascello che tra pochi giorni si avvicinerà all'isola e su di esso c'era mio fratello Antonio, ma non solo lui. Anche il suo amico cospiratore il Re di Napoli e niente meno che suo figlio Ferdinando!"
"E questa visione vi ha turbato? Pensate ad una premonizione?" disse Kelly.
"Non lo penso! Lo so. E ovviamente mi servirà il tuo aiuto... ho elaborato un piano per ottenere al contempo vendetta e riparazione!" disse Keaton.
"Ariel è al vostro servizio, padron Prospero! Volete che scateni le potenze degli elementi contro quell'infido vascello carico di serpi?? Desiderate che crei un gorgo che li inghiotta negli abissi marini??"
"No! Quella sarebbe solo vendetta, ma non ci sarebbe riparazione. E io e Miranda saremmo ancora bloccati qui. Ma mi piace come ragioni!" esclamò Keaton, ricevendo in risposta un profondo inchino da parte di Kelly.
Keaton alzò la mano destra e schioccò ripetutamente le dita dando lo 'stop'.
Kelly tirò un profondo sospiro di sollievo e sbatté le palpebre mentre usciva dal personaggio.
"Mi piace molto come hai interpretato Ariel. Decisamente ben studiato, si vede che ami il personaggio e ti ci rivedi. Questo è un ottimo punto di partenza." Commentò il professore.
Il volto di Kelly si illuminò "Grazie professore!"
Keaton la congedò e Kelly tornò verso il suo posto. Questa volta non poté evitare di guardare verso Marisa e Sarah. La prima era intenta a digitare qualcosa sul cellulare, come se la ignorasse volutamente. La delusione nello sguardo di Sarah, invece, guastò in parte la gioia del momento. Quando raggiunse Rachel fu accolta con un sorrisone e le braccia tese per un abbraccio.
"Sei stata fantastica!" le disse sottovoce.
"Non so nemmeno cos'è successo..." replicò Kel "Mi gira la testa..."
"Sei stata davvero brava, il ruolo è tuo!" disse Nathan.
"Grazie! Lo spero..."
"Sarah non può competere Kelly. Tu ci hai messo l'anima." disse Rachel.
Kelly non rispose. Guardò ancora verso le sue vecchie amiche e stavolta Marisa sollevò lo sguardo dal cellulare e si voltò. Per un istante si fissarono, qualcosa di spiacevole passò tra di loro. Rachel lo notò e le appoggiò una mano sulla spalla: "Tutto ok?"
"Si..." disse lei "Mi spiace per come si sono messe le cose..." indicò Sarah con un cenno del viso.
"Se siete davvero amiche, si risolverà tutto." tentò di confortarla Rachel.
Kelly fece spallucce: "E' quel 'SE' che mi preoccupa..."
"Ma che cazzo è successo di preciso tra voi??" chiese Nathan sottovoce, mentre Keaton spiegava alla classe alcuni metodi per approfondire lo studio dei personaggi.
"Semplicemente mi sono stufata di farmi trattare come una subalterna da Marisa, che ha detto a Sarah di scegliere tra l'essere amica mia o sua. Sarah ha scelto Marisa..." spiegò Kelly.
"Ma... è una stronzata!" disse lui.
"Si lo è..." convenne Kelly "Mi ferisce che Sarah si sia comportata in modo così superficiale. Ci conosciamo dalle medie."
"Se è così idiota non merita di essere tua amica." concluse Rachel.
"Queste stronzate da ragazze non le capisco..." borbottò Nathan.
"Oggi sei molto sgargante Nate! Sei già nella parte di Ferdinando?" lo pungolò Rachel, effettivamente colpita da quella strafottenza decisamente insolita per il ragazzo.
Lui sghignazzò ma non rispose.
"Miss Amber??" la voce di Keaton risuonò nell'aula e Rachel raddrizzò la schiena di colpo, colta in flagrante.
"Ehm... si prof??"
"Mi spiace disturbarti! Volevo smaltire in fretta tutte le Miranda, quindi ho chiesto di salire sul palco tutte insieme."
"Certo! Mi dispiace..." Rachel si alzò, mentre Nathan e Kelly sghignazzavano alle sue spalle.
Nell'area palco si ritrovarono quindi Rachel, Marisa e una matricola di nome Dana. Rachel non aveva avuto occasione di scambiare molte parole con lei. Sembrava una ragazza timida, anche se durante gli esercizi di teatro riusciva ad aprirsi più di molti altri. Era anche molto bella! Decisamente più alta e formosa di lei nonostante avesse un anno in meno.
"Chi vuole introdurre il personaggio di Miranda?" chiese Keaton.
Dana alzò la mano.
"Miss Ward!"
"Miranda è la figlia di Prospero, esiliata insieme a lui quando era piccola. Non ricorda niente del mondo, tutto quello che conosce è l'isola e l'unico essere umano che ha mai visto oltre sé stessa è suo padre. Quando incontra Ferdinando si innamora di lui e grazie alle prove cui Prospero li sottopone il loro amore si rafforza sempre di più e sarà la chiave per riparare i torti subiti e lasciare finalmente l'isola." spiegò Dana.
"Quindi secondo te ciò che caratterizza Miranda è l'amore?" chiese Keaton.
"Si, più la scoperta dell'amore. Lei non sa niente del mondo e guarda tutto con meraviglia. Forse è ingenua ad innamorarsi di Ferdinando a prima vista, ma penso che sia fatta così, che il suo cuore sia... puro... quindi vede il bello nelle persone, nonostante le raccomandazioni di Prospero o la semplice paura del nuovo."
"Interessante ragionamento... iniziamo con te allora."
Dana deglutì: "O-ok!" si portò le mani al viso per centrarsi sul personaggio.
Keaton prese un profondo respiro, chiuse gli occhi per un momento e poi parlò: "Figlia mia... dovresti stare alla larga da quel ragazzo!" disse con la voce di Prospero "Tu non sai niente del mondo, io invece ho visto così tanti inverni. Conosco la doppiezza degli uomini e i loro turpi desideri!"
"Padre perché dite così?? Volete forse spaventarmi con cupe parole e insinuazioni?? Non siete mai stato così, perché l'arrivo di questo straniero vi turba tanto?" replicò Dana.
"Come ho detto, io conosco il mondo e tu no, figlia mia. Gli uomini sanno essere furbi e crudeli per ottenere la loro soddisfazione! Non esitano a mentire per i loro scopi. Il tuo Ferdinando non è diverso dagli altri!" sentenziò Keaton.
"Invece vi sbagliate padre!" disse Dana caricando la sua voce di tensione.
"Ah si? Pensi di conoscere meglio di me le cose della vita? Tu che sei solo una bambina?"
"Si, perché io guardo le cose con occhi limpidi padre. Voi siete turbato dai vostri molti ricordi, io invece ho un carico più leggero. I miei occhi hanno visto meno, non sono stanchi come i vostri che hanno visto così tanto e forse troppo. Io non vedo la coltre di minacce che vedete voi. Vedo solo un ragazzo che ha perso i suoi compagni e suo padre, un cuore coraggioso e buono, disposto a sopportare le vostre punizioni pur di rimanermi accanto. Io vedo la sincerità del suo animo là dove voi vedete turpi desideri. Sono solo una bambina, è vero, ma a volte i bambini sanno cose che gli adulti hanno dimenticato!"
La classe piombò nel silenzio. La voce di Dana rimbombò decisa fra le pareti per alcuni istanti per poi sparire. La ragazza aveva i pugni chiusi e le vene del collo sporgenti, totalmente coinvolta dalla parte. Perfino Keaton sembrava sorpreso da quell'interpretazione e Rachel lo vide annuire.
Dopo alcuni momenti riprese a parlare "Forse hai ragione figlia mia. I miei occhi sono stanchi e hanno perso la luce che tu invece conservi. Come posso non concederti di stare accanto a quel ragazzo dopo simili parole?"
Il volto di Dana si illuminò: "Grazie padre! Grazie! Grazie!"
Keaton schioccò le dita, concludendo la performance.
"Ottima interpretazione Dana!" disse il professore applaudendo. Anche Rachel si unì all'applauso e infine tutto il resto della classe, mentre Dana arrossiva vistosamente.
"Pensate di poter fare di meglio?" disse Keaton rivolto a Rachel e Marisa.
"Certo che sì!" esclamò Marisa.
"Farò del mio meglio!" rispose Rachel.
"Molto bene..." Keaton sorrise compiaciuto.
 
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"Oh, sei tu forse uno spirito? Non ho mai visto creatura più bella e aggraziata di voi..." il tono di Marisa era particolarmente aulico, così come i suoi gesti.
"Non uno spirito mia signora, ma un uomo in carne e ossa. Sconvolto dalla perdita dei miei compagni di viaggio..." Keaton improvvisava la parte di Ferdinando, seguendo la linea tracciata da Marisa, che ripercorreva con precisione una scena della commedia. Rachel, che era in piedi al lato dell'area palco in attesa del suo turno, ipotizzò che si fosse preparata specificamente su quella. Anche senza imparare a memoria delle battute, lo trovava comunque limitante.
"Oh, povero! Esistono dunque altre persone come te! Vieni con me, ti porterò in un posto sicuro dove potrai riposare e rifocillarti e dove potrai raccontarmi cos'è successo!" continuò Marisa.
Keaton schioccò ripetutamente le dita, fermando la scena.
"Ho una domanda per te Miss Rogers..." esordì Keaton, mentre Marisa aveva già assunto la sua posa da battaglia, con il peso del corpo sulla gamba destra e il braccio destro saldamente piantato sul fianco.
"Sei mai stata innamorata?"
La domanda la colse evidentemente impreparata. Marisa sgranò gli occhi e si ritrasse in una posizione meno baldanzosa, un passo indietro e braccia incrociate.
"Beh... chi non lo è stato?" rispose lei senza riuscire a nascondere una certa titubanza.
"Più persone di quel che credi." disse Keaton con un sorriso gentile.
Anche Rachel fu colpita da quella domanda così a bruciapelo e si trovò senza volerlo a cercare una risposta. Era mai stata innamorata?
No...
L'amara realtà era che non le era successo.
L'unica persona per cui aveva creduto di provare qualcosa era Armond, e aveva presto scoperto che non era così. Il cuore iniziò a batterle forte, una strana agitazione la colse insieme alla consapevolezza. Non conosceva l'amore.
Dopo alcuni prolungati momenti di silenzio, Keaton parlò di nuovo:
"Approfondiremo il discorso più tardi. Prima vediamo la performance della tua compagna. Miss Amber?"
Rachel si scosse dai suoi pensieri, ma ormai il suo stato di concentrazione era turbato. Doveva ricentrarsi. Prese alcuni respiri profondi e si coprì il volto.
"Quando sei pronta..." disse Keaton, dando a lei come a Marisa l'opportunità di dettare la scena. Rimase ferma, immobile, nel buio dei suoi occhi chiusi, alla ricerca del luogo giusto, dello stato d'animo.
Aveva programmato tutto un altro approccio a quel provino, ma quella semplice domanda di Keaton l'aveva sconvolto. Così seguì una nuova intuizione, che le balenò nella mente come un breve lampo.
"Ariel?" Rachel rimosse le mani dal viso e guardò con occhi incuriositi e perplessi Keaton "Devi essere tu. Mio padre mi ha parlato di te, ma non ti ho mai visto..."
Anche Keaton per un attimo sembrò perplesso da quell'input. In effetti, l'unico personaggio davvero in grado di vedere Ariel e gli altri spiriti in tutta la commedia era Prospero. Keaton, riprese subito le redini e sorrise:
"Si sono io! Curioso che tu riesca a vedermi! Solo padron Prospero ne è capace! Hai forse ereditato un po' della sua magia?"
"No. Non credo... O forse me ne è stato fatto un prestito per qualche scopo. Ora però ti vedo e nel momento più propizio forse. Ho proprio bisogno di una buona parola da parte di qualcuno che non sia mio padre e... oltre te non c'è nessun'altro!" Rachel non rifletteva, parlava a ruota libera con un atteggiamento incerto, una voce bassa e fragile, così inconsueta da sentir uscire dalle sue labbra.
"Beh, ho giurato di servire tuo padre e per estensione posso dire di essere anche tuo servo. Quindi, di cosa hai bisogno mia signora?" disse Keaton.
"Oggi mi sono recata nei pressi della spiaggia, dopo quella terribile tempesta della scorsa notte. Pensavo di trovare solo conchiglie e altri tesori che il mare restituisce alla riva... invece c'era qualc-qualcosa di diverso. Qualcuno forse..."
"Qualcuno?"
"Si una creatura in tutto simile a me e mio padre ma... diversa, giovane... bella... quell'essere era svenuto sulla riva e ho provato ad avvicinarmi per vederlo meglio. Tuttavia si è mosso, mi sono spaventata e sono fuggita... Tu che sei uno spirito sapiente sai dirmi di cosa si tratta?"
Keaton sorrise, si massaggiò il mento pensieroso: "Mmmmh... quel che hai visto è un essere umano, come te e tuo padre. Un naufrago probabilmente. Un uomo da come ne parli e dal rossore che vedo salire alle tue guance!"
Rachel assunse un atteggiamento incredibilmente timido, afferrandosi il braccio sinistro come e incurvandosi lievemente in avanti: "Un uomo? Non ne ho mai visto uno prima. Continuo a pensarci, il suo viso mi è davanti continuamente e il mio cuore palpita se penso a lui. Che significa tutto ciò?" Rachel fece appello alle sensazioni che conosceva, a ciò che ricordava di aver provato per Armond, quell'ingenuo desiderio che annebbia la mente e la percezione.
"Potresti esserti infatuata di lui!" Keaton scoppiò in una risata furba "Comprensibile per una ragazza vissuta sola su un'isola per tutta la vita!"
“È possibile innamorarsi di qualcuno senza sapere neppure chi è?" chiese d'istinto Rachel.
Keaton spalancò gli occhi e alzò le braccia schioccando le dita.
Rachel uscì dal personaggio scuotendo lievemente la testa.
"Beh Miss Amber, hai posto una delle domande su cui si fonda l'intera letteratura e penso gran parte delle migliori esperienze umane! Rivolgo a te la stessa domanda che ho fatto a Miss Rogers: sei mai stata innamorata?"
Rachel sospirò: "In effetti credo di no..."
Keaton annuì, poi si alzò in piedi e si rivolse alla classe: "Abbiamo parlato molte volte di come sia fondamentale attingere alla propria esperienza per trovare il materiale per l'improvvisazione, ma soprattutto l'energia emotiva per comunicare al pubblico le emozioni dei nostri personaggi. I più grandi attori sanno attingere quest'energia da fonti apparentemente inadatte. Prendiamo proprio Miranda come esempio, il fulcro del suo personaggio è l'amore. Ma non un amore qualsiasi, quel tipo di amore ingenuo, totale e profondamente romantico che è tipico del primissimo amore. Quello in cui ci si getta a capofitto senza riflettere, senza pregiudizi. Quello che si sperimenta solo una volta nella vita, proprio perché è il primo. Può un attore che non ha sperimentato tutto questo recitare un ruolo del genere?"
Keaton si guardò intorno, aspettando risposte. Marisa era incredibilmente silenziosa, ritirata un paio di passi indietro rispetto a Rachel, felice di cederle la scena per una volta.
Kelly alzò la mano e Keaton le diete la parola con un cenno: "N-non può?" disse.
"E' una domanda o un'affermazione?" scherzò Keaton, alleggerendo l'argomento.
"Un po' tutt'e due..." ammise Kelly provocando alcune risatine. Sarah la guardò e sorrise.
"La risposta è... si e no!" sghignazzò Keaton "Un bravo attore può interpretare qualsiasi ruolo, ma se non ha un'esperienza del genere cui attingere deve trovarne una simile anche se proviene da un contesto diverso. Infatti, tutti nella vita abbiamo amato qualcosa, che sia un'attività, un'arte, uno sport o un cane... l'amore è amore, è un sentimento preciso. Per mostrare l'amore romantico possiamo attingere a qualunque tipo di amore abbiamo mai provato nella vita. C'è anche una terza via, quella di simulare solo sul piano fisico un'emozione, studiando accuratamente la mimica, l'intonazione, l'espressività. Ma questa tecnica è per chi non prova nulla, insomma... per gli psicopatici!"
Nella classe si diffuse il brusio delle risate. Marisa invece non rideva. Un'ombra nera le oscurava il viso.
"Tutto questo per dirvi..." Keaton tornò a parlare con Rachel e Marisa "...che Miranda è un personaggio che sprizza ingenuità e amore romantico, facile da interpretare per qualcuno che conosca bene quelle emozioni, più complesso per chi non ne ha famigliarità. Vale per ogni ruolo ovviamente, a seconda dei casi."
Rachel incrociò le braccia.
Le stava dicendo che non avrebbe avuto la parte?
Questo non era esattamente ciò che si aspettava.
Si sentiva perfettamente in grado di interpretare Miranda anche se non era un'ingenua ragazzina innamorata. Poteva fare perfettamente tutto quel lavoro di proiezione di cui aveva appena parlato Keaton, poteva anche fare il lavoro da psicopatici di pura imitazione. Se non Miranda, che ruolo le sarebbe toccato? Non c'erano molti personaggi in quella commedia...
Avrebbe fatto il marinaio? La comparsa? Lo spiritello delle retrovie??
"Miss Amber!"
Rachel si riscosse.
"Proviamo un'altra cosa, ti va?"
"Ehm... ok?" rispose lei incerta.
"Bene, tu ora interpreterai Prospero."
"Ma..." Marisa uscì dalla caverna in cui si era rifugiata "...quello è un ruolo maschile!"
"Anche quello di Ariel lo è, ma abbiamo già sdoganato la possibilità di affidarlo a Sarah o Kelly. Perché non farlo con Prospero?" spiegò Keaton.
Marisa alzò le spalle e tacque, stranamente arrendevole.
"Bene! Facciamo questo test. Iniziamo quando sei pronta..."
Rachel seguì il flusso.
Cavalcò l'onda, lasciò Miranda dietro di sé e si concentrò su Prospero.
Vecchio, canuto stregone un tempo Duca di Milano, esiliato su un'isola deserta con sua figlia... ma trasformato in donna per l'occasione.
Era una sfida improvvisare così su due piedi un simile personaggio, senza averlo nemmeno studiato a fondo.
Rachel sorrise.
Amava le sfide.
 
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Arrivò il turno di una matricola, un ragazzo di nome Hayden Jones.
Nathan non prestò molta attenzione alla sua performance, troppo impegnato a mangiarsi le unghie e molleggiare istericamente le gambe. La paura aveva iniziato a mordere e ben presto lo aveva completamente posseduto.
Rachel aveva cercato di confortarlo, ma lui si era allontanato, andandosi a sedere da solo più in là. Ormai aveva imparato a lasciarlo stare quando era così. Si godette invece la sorprendente performance di Hayden, anche lui candidato al ruolo di Ferdinando.
"Tu sarai mio schiavo e prigioniero, perché sei venuto qui per rubare l'onore di mia figlia!" tuonò Keaton con la voce di Prospero.
"Giammai! Non accetterò simili trattamenti! Ho sopportato ogni vostra prova, ogni vostro cimento senza fiatare. Ora sono stanco di umiliazioni gratuite, quando non ho né agito né pensato in modo malvagio. Quello che desidero è soltanto poter amare vostra figlia, che mi ha rubato il cuore al primo sguardo!"
Rachel doveva ammetterlo, Hayden sembrava sapere il fatto suo.
Era molto sicuro di sé e aveva un atteggiamento strafottente che gli tornava particolarmente utile nell'interpretare Ferdinando.
Poteva capire la preoccupazione di Nathan, che si era proposto per quel ruolo unicamente per le pressioni di suo padre. Rachel sapeva che il terrore che provava Nathan in quel momento non era ansia da prestazione, non era incertezza sull'esito del provino. Era praticamente certo che Keaton, come tutti gli altri, avesse ricevuto precise istruzioni dall'alto di assegnare a lui quel ruolo. Lo terrorizzava l’idea di avere un ruolo per cui non si sentiva all’altezza, di vedere il disprezzo negli occhi degli altri, consapevoli dei suoi privilegi, di trovarsi infine su un palco e deludere suo padre. Quella era la prospettiva peggiore, per le conseguenze che comportava. Conseguenze che Rachel poteva solo immaginare.
Infine, Hayden fu rimandato al posto e il momento tanto temuto arrivò:
"Mister Prescott. Tocca a te!" disse Keaton.
Nathan si alzò e si diresse verso l'area palco a passo di formica, curvo sotto il peso della sua mente iperattiva e crudele. Rachel avrebbe voluto abbracciarlo, ma sapeva che anche se l'avesse fatto lui l'avrebbe respinta. Nemmeno Nathan sapeva di cosa avesse bisogno in quei momenti.
"Anche tu porti Ferdinando giusto?" chiese Keaton.
"S-si..." fu la risposta tremante.
"Bene. Io ti darò gli input e tu seguimi ok?" la voce del professore era gentile e bassa, un chiaro tentativo di rassicurare il ragazzo.
Tentativo infruttuoso.
"Dimmi quando sei pronto." offrì Keaton.
Nathan si produsse in uno sforzo titanico per recuperare il controllo della sua mente. Rachel lo osservò mentre si raddrizzava quasi a fatica, si impettiva goffamente e prendeva una serie di lunghi e profondi respiri ad occhi chiusi.
"Sono pronto..." disse con voce malferma.
Keaton annuì e cominciò sfoderando nuovamente il suo Prospero: "Chi sei tu, marrano, che osi avvicinarti a mia figlia?!"
Nathan rimase in silenzio.
Rachel si protese in avanti, stringendo i pugni e tentando di trasmettergli telepaticamente tutta la sicurezza di cui aveva bisogno. Avevano provato così tanto, Nathan aveva fatto un ottimo lavoro, era stato tranquillo per tutta la lezione. Poi di colpo, era arrivato l'attacco.
"Dunque?! Non hai nulla da dire? Sai che ho il potere di trasformarti in bestia e lasciarti a vivere nel fango nei boschi?? Perché non dovrei farlo immediatamente stolta creatura?!" Keaton insistette, ma Nathan si piegò in avanti, nuovamente in preda al panico.
Una risatina sommessa si udì nell'aula, seguita da un brusio fra gli studenti.
Rachel e Kelly guardarono nella stessa direzione.
Marisa stava bisbigliando qualcosa di apparentemente divertente, visto che Sarah e altri studenti intorno a lei sghignazzavano indicando Nathan.
Rachel avrebbe voluto strangolarla. Era un desiderio che si manifestava sempre più spesso ultimamente.
Keaton, infine, si alzò in piedi e schioccò le dita ripetutamente, avvicinandosi a Nathan.
Lui alzò lo sguardo e si ritrasse indietro, come di fronte a un mostro.
Keaton non si scompose.
"Mi dispiace..." disse con voce tremante Nathan.
"Non preoccuparti..." replicò Keaton con gentilezza "...ma è arrivato il momento di affrontare questo problema Mister Prescott."
"Non posso." disse lui sempre piegato in avanti, con le mani appoggiate sulle ginocchia.
"Intanto raddrizzati e rallenta il respiro." lo incoraggiò il professore, mimando il gesto come per consolare un bambino. Nathan lo seguì, si concentrò, sforzandosi di respirare lentamente. Dopo qualche momento riuscì a centrarsi.
"Era paura di sbagliare?" Chiese Keaton.
Nathan scosse la testa.
"Forse il personaggio non ti va a genio?" offrì il professore.
Nathan annuì.
"Perché allora hai portato Ferdinando se non ti piace?"
"Lo sa benissimo..." sibilò Nathan.
"Anche se pensiamo di non essere liberi di scegliere, siamo sempre liberi di scegliere."
"Forse vale per quelli che non si chiamano Prescott..."
"Vale soprattutto per quelli che si chiamano Prescott, specialmente se sono miei studenti!" replicò Keaton con un sorriso caldo.
"Senta... io..." iniziò Nathan ma fu subito interrotto.
"Tu hai un grande potenziale Mister Prescott. Un enorme potenziale. Sei intelligente, sensibile, acuto... ma non sai incanalare i tuoi sentimenti in qualcosa di costruttivo. Essi ti possiedono, tu cerchi di bloccarli invece di farli fluire e alla fine succede questo."
Nathan si raddrizzò, punto nel vivo.
Sul suo volto regnava l'imbarazzo, come se fosse completamente nudo di fronte alla classe.
"Devi prendere tutto quello che provi e usarlo come carburante per recitare, o per fare qualsiasi cosa ami. Se hai paura, abbi paura. Se provi rabbia, incazzati a morte e usa quell'energia per nutrire l'arte. Le emozioni devono essere al nostro servizio, non dobbiamo lasciarci governare da esse."
"Si certo, è facile da dire... ma sappiamo entrambi che io devo avere questo ruolo..." replicò amaramente Nathan.
"No. Tu non devi avere questo ruolo. Facciamo una prova. Ci manca un personaggio importante in cui nessuno si è ancora cimentato: Calibano. Proviamo con lui."
Nathan lo guardò stranito e anche Rachel fu colpita da quella scelta. Non perché fosse fuori luogo, ma per l'esatto contrario.
"Calibano? Lo schiavo?" chiese Nathan quasi incredulo.
"Esatto, cosa sai di lui?"
"Calibano è... il figlio della strega Sicorace, di aspetto mostruoso. Prospero l'ha trovato che viveva come un animale sull'isola, lo ha allevato e gli ha insegnato a parlare, ma siccome aveva un'indole malvagia lo ha tenuto soggiogato come schiavo."
"Tutto giusto. Proviamo a improvvisare lui. Io sarò Prospero ok?"
Nathan non rispose, ondeggiando mentre spostava il peso nervosamente da un piede all'altro.
"Calibano!" tuonò Keaton senza preavviso, facendo sobbalzare tutti, Nathan compreso.
Fece un passo indietro.
"Calibano! Fatti vedere!" Nathan indietreggiò ancora.
Un altro passo indietro, ormai era quasi con le spalle contro il fondale nero dell'area palco. I suoi occhi guardavano Keaton, ma non vedevano lui.
Vedevano qualcun altro...
"Avanti schiavo! Il tuo padrone esige il tuo servizio!" urlò ancora Keaton e Nathan impattò contro i pannelli scuri.
"Avanti Nathan!" lo incoraggiò Keaton uscendo dal personaggio per un attimo "Sei una creatura odiata, schiavizzato per tutta la vita, trattato come una bestia... il tuo padrone ti sta chiamando... cosa rispondi?!"
Nathan iniziò a chinarsi in avanti, sempre più gobbo, il volto contorto in un'espressione di indecifrabile tensione.
"Calibano!" tuonò Keaton.
"Rrraaaaaarghhh!!" Nathan proruppe in un ringhio e avanzò quasi di scatto, aiutandosi con le mani come una scimmia. Arrivato al bordo dell'area palco si bloccò, scatenando un'onda di sorpresa e spavento negli studenti più vicini, che si allontanarono da lui.
"Il padrone caro ha chiamato?!" ringhiò sarcasticamente Nathan sempre mantenendo una postura bestiale.
Keaton sorrise: "Alla buon'ora bestia! Hai compiuto le tue faccende? Tolto le muffe dalla grotta e procurato del cibo per la sera?"
"Certo certo! Calibano fa questo! Calibano fa quello! Certo che il beneamato padrone potrebbe muovere il suo vecchio culo e fare da solo qualche faccenda ogni tanto! È un mago così potente, ma sa solo dare ordini!" ogni traccia di paura era svanita, ora Nathan era completamente nel personaggio e ogni parola era accompagnata da gesti plateali e grotteschi, goffi come quelli che ci si aspetterebbe da un individuo deforme come Calibano.
"Come osi immondo essere! Devo ricordarti che se non fosse per me vivresti selvaggio come un animale?! Ricorda qual è il tuo posto, comportati civilmente, allora sarai trattato civilmente!" pungolò Keaton.
"Oh si! Salamelecchi al padrone che è tanto onnipotente. Parla da solo quando nessuno lo guarda..." schernì Calibano
"Io dialogo con gli spiriti. Ho a che fare con poteri che tu nemmeno immagini. I miei poteri sono ben più estesi di quelli della tua orribile madre, che ho sconfitto!"
"E questo è forse il solo motivo che ho per ringraziarti, caro, carissimo padrone! Quella megera sapeva essere anche più sgradevole di te!"
Keaton sollevò le mani e schioccò ripetutamente le dita.
Nathan ci mise qualche secondo ad accorgersi che il professore aveva chiamato lo stop. Rimase in ginocchio, ansimante, tenendosi una mano sul petto mentre il cuore batteva così forte che sembrava volergli esplodere dallo sterno. Guardandosi intorno, si trovò osservato dagli occhi stupefatti e in gran parte intimiditi del resto della classe.
Anche Rachel lo fissava sbalordita.
Non aveva mai visto Nathan esternare così le sue emozioni in pubblico. Perché lei lo sapeva, non stava parlando con Keaton. Ogni parola, ogni gesto, ogni emozione. Tutto era autentico, tutto era rivolto a suo padre. Rachel sospettava che anche Keaton lo sapesse.
Il professore batté le mani, iniziando un applauso cui poi si unì anche Rachel, una sbalordita Kelly ed infine il resto della classe. Nathan era immobile, in ginocchio, ancora scosso dall'esperienza.
Mentre l'applauso iniziava ad esaurirsi, Keaton si avvicinò a lui tendendogli una mano: "Direi che il ruolo di Calibano è tuo!"
Nathan, ancora confuso afferrò la mano e si rialzò.
"O-ok..." fu l'unico suono che riuscì a emettere.
 
-
 
Il fuoco nel camino degli Amber era acceso. Rachel si godeva il tepore avvolta in una coperta, rannicchiata sul divano con Chi ha Paura di Virginia Woolf tra le mani. Rose era a Portland per organizzare una retrospettiva di Edward Hopper e lo scoppiettio del fuoco era l'unico suono in tutta la casa, a parte il picchiettare sui tasti dall'interno dello studio di James Amber. La porta era chiusa. Era sempre chiusa da un paio di mesi. Suo padre si era organizzato per poter lavorare maggiormente da casa e quindi avere più tempo da trascorrere in famiglia, ma a metà ottobre aveva installato un allarme nel suo ufficio e una serratura elettrica con codice di sicurezza. Tutto questo comunicava a Rachel un certo disagio. James aveva sempre lavorato ai casi nel suo studio, ma mai la porta era stata chiusa e mai era accaduto qualcosa che giustificasse un codice di sicurezza sulla serratura. Ma ora lui era Procuratore Distrettuale della Contea, probabilmente aveva per le mani questioni molto più rilevanti rispetto a prima.
 
Il cellulare di Rachel vibrò sul tavolino, distogliendola dalle pagine del libro. Lanciò un'occhiata allo schermo illuminato. C'era il nome di Chloe. Era un segnale che doveva prendersi una pausa, inserì il segnalibro a forma di cerva tra le pagine e prese il telefono.
 
Chloe
  • Hey Rach! Com'è andato il casting?
 
Le dita di Rachel si mossero rapide.
 
  • Alla grande! Cioè... in realtà non ho avuto la parte di Miranda, ma Keaton mi ha dato quella di Prospero, quindi in pratica sono la protagonista!
 
Chloe
  • Prospero è il mago giusto? Quindi ti travestirai da uomo! Voglio proprio vederlo!
 
Rachel
  • Prospero ha fatto la transizione, ora è Prospera! Solo per me!
 
Chloe
  • Wow! Keaton ti ama, ormai è un fatto.
 
Rachel
  • Ovviamente mi ama! Come si può non amarmi?!
 
A quel messaggio seguì una pausa nelle risposte di Chloe. Rachel rimase in attesa qualche momento, poi appoggiò il telefono sul tavolino e gettò un'occhiata al camino. Il fuoco si era parecchio ridotto e i ceppi all'interno erano consumati quasi del tutto. Si alzò dal divano ed estrasse da sotto il camino la cassa con la legna da ardere, aprì lo schermo di vetro che impediva alle scintille di incendiare il salotto, gettò un paio di pezzi nel fuoco, rigirando le braci con l'attizzatoio. Chiuse lo schermo e aprì lo sfogo dell'aria, osservando affascinata le fiamme stuzzicate farsi sempre più intense, fino ad avvolgere completamente i ceppi. Quando furono abbastanza alte chiuse lo sfogo e le lingue di fuoco si placarono, tornando a danzare lentamente, come carezze sul legno. Il fuoco era meraviglioso, fin da bambina a Rachel piaceva stare seduta davanti al camino a guardare i movimenti delle fiamme. Era ipnotico, profondamente rilassante. Vedere il legno seccarsi, rimpicciolirsi nel balletto infuocato, annerirsi e infine consumarsi... Rachel immaginava che il fuoco fosse vivo e che buttare legno nel camino fosse come nutrire un animale domestico, che ricambiava con luce, calore e danze. Quei pensieri la facevano sorridere, la riportavano a quando era bambina e si stava ancora abituando a quella casa...
 
Rrrrmmmmmmmmm
 
Messaggio! Rachel si allungò verso il tavolo per recuperare il telefono.
 
Chloe
  • Dobbiamo festeggiare! Stai facendo qualcosa??
 
Rachel
  • Adesso sto studiando, ma più tardi mi posso liberare.
 
Chloe
  • Se hai da fare non ti preoccupare.
 
Rachel sospirò con un sorriso. Prima o poi quei meccanismi di chiusura di Chloe sarebbero spariti! Almeno con lei!
 
Rachel
  • Per te questo ed altro Chlo!
 
La risposta ci mise qualche secondo in più ad arrivare.
 
Chloe
  • Lo so! Sono troppo figa per dirmi di no!
 
Rachel
  • Infatti lo sei! xoxo
 
Poté immaginare nitidamente l'espressione di Chloe in quel momento: sguardo distolto, guance arrossate, la mano sinistra che correva alla nuca per grattare un prurito nervoso. Rachel l'aveva osservata bene e stava iniziando a notare tutti i suoi atteggiamenti e tic. Provava un leggero, sadico piacere nel metterla in imbarazzo con quelle affermazioni! Del resto erano la verità!
 
BEEP!
TCHA-CLACK!
 
James Amber emerse dalla porta del suo studio, rigirando distrattamente un bicchiere di Sherry nella mano destra. Le guance e il naso rubizzi testimoniavano che quello era l'ultimo di una serie.
"Oh... Rachel... non sapevo fossi qui!" disse bloccandosi sulla soglia.
"Stavo studiando!" gli sorrise Rachel, nascondendo la perplessità. Osservò suo padre raggiungere la sua poltrona in salotto con una cautela eccessiva, assicurandosi di non urtare nulla nel tentativo di apparire normale. Ma non lo era.
"Fai una pausa?" chiese lui appoggiando il bicchiere sul tavolino "Chi ha paura di Virginia Woolf..." lesse ad alta voce dalla copertina del libro "Te l'hanno dato per scuola?"
"Si papà!" rispose Rachel rialzandosi dal tappeto e tornando al divano, rannicchiandosi sotto la coperta vicino alla poltrona di suo padre.
"L'ho letto anch'io al liceo... non mi è piaciuto!" disse James.
"Come mai?" chiese Rachel appoggiandosi sul bracciolo.
"Troppo realistico!" rispose l'uomo mentre recuperava il bicchiere dal tavolo.
"In che senso?" indagò Rachel. Non aveva mai visto suo padre così brillo, la cosa le provocava un misto di disagio e curiosità.
"Martha e George hanno un matrimonio perfetto all'apparenza, ma mentono a sé stessi e tra di loro. Quando le menzogne cadono il matrimonio va in pezzi..." sospirò profondamente e prese un lungo sorso di Sherry "Come dicevo... troppo realistico!"
Rachel inarcò un sopracciglio: "Pensi che il matrimonio sia così?" Quei discorsi erano davvero molto strani, qualcosa nello stomaco di Rachel iniziò a contrarsi.
"Tutte le relazioni sono così."
"Pensi che non ci siano relazioni sincere? Autentiche?" chiese Rachel.
"Ci puoi provare, ma prima o poi qualcuno mentirà. Tu mentirai, con ottime ragioni, ma comunque lo farai. E da quel momento non si tratterà più di sincerità o meno, si tratterà solo di far andare avanti le cose..."
Wow...
Che cazzo stai dicendo papà? Cosa stai cercando di dire? O di NON dire?
"Tra te e la mamma è così?" chiese Rachel, che non riuscì a dissimulare la preoccupazione.
James le lanciò uno sguardo. Gli occhi grigi di suo padre, lucidi e vagamente arrossati, erano più caldi che mai. Rachel non ricordava che suo padre l'avesse mai guardata in quel modo. C'era amore? Disperazione? Cos'era quello sguardo?
Rimase in silenzio per alcuni momenti prima di rispondere:
"Tua madre e io abbiamo un rapporto meraviglioso." disse prima di prendere un altro sorso di Sherry.
"Ma?" offrì Rachel.
"Ma... non sono affari tuoi!" ridacchiò James allungando la mano sui capelli di Rachel, accarezzandola dolcemente "Tra moglie e marito non mettere il dito, si dice così!"
"E tra me e te?" insistette Rachel.
"Cosa?"
"Tu mi menti su qualcosa papà?"
James corrugò istintivamente la fronte e sospirò profondamente.
"Non essere ridicola tesoro..." Allontanò la mano dai suoi capelli.
Rachel rimase in silenzio per alcuni momenti.
Di colpo il suo cellulare sul tavolo vibrò di nuovo.
James e Rachel si voltarono all'unisono, lei allungò una mano e recuperò il telefono:
 
Chloe
  • Davanti al Two Whales alle 18??
 
"Chi è?" chiese James svuotando il bicchiere.
"Chloe, un'amica di scuola."
"Chloe Price?" chiese lui appoggiando sconsolato il bicchiere vuoto.
"La conosci?"
"Io no, la polizia si!" commentò James con un tono piuttosto tagliente.
"Cosa intendi?" Rachel inarcò un sopracciglio.
"In che rapporti siete?" replicò James con un tono molto più deciso di prima. Di colpo la sua espressione si era indurita, come se avesse cambiato personaggio. Chi era ora? Il padre premuroso o il Procuratore Distrettuale?
"Frequentiamo alcune classi insieme, niente di che..." mentì Rachel "Perché?"
"Non è una buona compagnia. Dovresti starle alla larga!" ammonì James cercando di nuovo il bicchiere, esibendo un volto deluso quando si ricordò che ormai era vuoto.
"Perché dici così?" Rachel iniziava a innervosirsi. Un istinto protettivo nei confronti di Chloe risvegliò una fiammella nel suo stomaco.
"E' una teppista, una cattiva compagnia. Non sto ad elencarti le sue varie infrazioni, fidati di me. Non è la persona giusta da frequentare."
"Al suo posto chiunque sarebbe problematica! Ha perso suo padre l'anno scorso..." la difese Rachel.
"Tutti hanno perdite. Non tutti diventano delinquenti!" disse perentoriamente James.
Rachel avrebbe voluto replicare, la fiammella stava già divampando in un fuoco che le bruciava il petto. Ma tacque...
Rimase in silenzio, appoggiandosi al divano con un sospiro.
"Tesoro..." la chiamò James "Ti andrebbe di prepararmi un tè?"
"Certo papà!" Rachel colse l'occasione per balzare via dal divano e allontanarsi il più possibile. Raccolse il cellulare mentre si alzava e quando fu in cucina rispose a Chloe.
 
Rachel
- Ok! Ci vediamo lì!
 
Riempì il bollitore, lo mise sul fuoco e rimase in cucina appoggiandosi leggermente al lavandino. Rimase a fissare suo padre a distanza di sicurezza, mentre recuperava un giornale e cominciava a leggerlo. Quella conversazione era stata davvero molto strana. Tutto era stato strano. Rachel avrebbe voluto indagare oltre, chiedere a suo padre come mai aveva bevuto, se qualcosa lo preoccupasse e che cosa. Rifiutava di vederlo così, doveva esserci una spiegazione perché il suo papà non si era mai fatto turbare da nulla in passato. Niente che giustificasse il bere in eccesso o fare discorsi amari sul matrimonio e le relazioni con sua figlia. Ma forse erano solo le pressioni del suo nuovo lavoro. Era responsabile di tutta la Contea ora, aveva tutti gli occhi puntati addosso e responsabilità che lei poteva solo immaginare. Probabilmente stava solo affrontando un caso molto difficile o qualcosa del genere. Comunque non gliene avrebbe parlato.
"Non sono affari tuoi!" aveva detto.
Il fischio del bollitore arrivò provvidenziale per distoglierla da quei pensieri. Non voleva rimuginare. Quello che voleva era servire il tè a suo padre, finire di leggere le pagine quotidiane del suo libro e poi fiondarsi davanti al Two Whales per incontrare Chloe.
Fanculo i discorsi di suo padre! Lei era l'unica con cui riusciva davvero a sgombrare la mente. Con lei non aveva nulla da dimostrare. Con lei sentiva di respirare davvero.
Versò l'acqua in una tazza che recava la scritta 'Papà dell'Anno 2007'. Vi mise in infusione una bustina di tè al limone e si diresse verso il salotto.
 
************************
 
I've got ways to make you talk
And I got fireguns in my rearview mirror
Oh yeah man
Hallelujah, I saw his name
I'm talking to the walls again
 
Le note di una canzone di Sarah Gillespie risuonavano attraverso le cuffie nelle orecchie di Chloe. Quella canzone faceva parte, insieme a molte altre, del programma di rieducazione al country cui Rachel la stava sottoponendo. Chloe aveva mugugnato un po', ma alla fine aveva consegnato il suo Ipod e Rachel vi aveva caricato un paio di playlist. Chloe doveva ammetterlo, non le dispiaceva. Ma non l'avrebbe ammesso con Rachel! A meno che non l'avesse obbligata! Rachel aveva un modo tutto suo di farle abbassare la guardia. Un modo piacevole, divertente...
 
Sure I am
Look down, do it again
We're where, where we'll be then
Close your eyes and count to ten
I'm out of here
 
Chloe era piegata all'indietro sulla sedia, i piedi appoggiati sulla scrivania ingombra di libri e compiti che stava volutamente ignorando. Fingere di fare i compiti era un modo economico per chiudersi in camera ed essere lasciata in pace senza dare spiegazioni a nessuno. Se fosse stata a casa da sola in quel momento sarebbe stata distesa sul divano con una birra rubata in mano, ma purtroppo Joyce aveva il turno di mattina quella settimana, il che significava due cose spiacevoli: niente colazioni con Rachel al Two Whales (Chloe evitava di andarci se c'era sua madre) e niente solitudine pomeridiana. Almeno David era al lavoro fuori dalle palle.
In quel momento Joyce era da qualche parte in casa, organizzando i preparativi per il matrimonio.
Fottuto matrimonio...
 
Oh ho
You made me ride out of line
Cold and unkind but
Oh ho I got nothing but you on my mind
 
Chloe si sorprese a sentire la mancanza di Rachel. Si vedevano regolarmente a scuola, quando Chloe decideva di andare, ma quei rapidi scambi non erano sufficienti. Quando Rachel era immersa nel flusso sociale della Blackwell somigliava ad una farfalla. Si posava di fiore in fiore, di persona in persona, concedeva un po' di sé qui e là, ma spiccava presto il volo. Non come quando erano sole. A parte le colazioni insieme e poche uscite isolate, Chloe non aveva avuto molte occasioni di passare del tempo sola con lei. E ne sentiva spesso il desiderio! Il rapporto con Rachel le sembrava il più saldo che avesse da... da quando c'era Max.
Strano!
Era la prima volta da qualche giorno che pensava a Max...
Spense la sigaretta nel posacenere e si alzò dalla scrivania. Tutto quel far finta di studiare l’aveva un po’ stufata… e il fatto che le fosse tornata in mente Max significava che doveva distrarsi. Urgentemente. Si stiracchiò ed uscì dalla stanza, imboccando le scale, facendo rotta per il frigo.
 
I just about had enough of all of yo colonial bluffin
Hurray
I don't think of me but her instead
And I remember every word you
Ever said
Well damn it, I should have known
That ya can never find you a home
When your concerns are not yo own
I'm out of here
 
Con gesti automatici superò la soglia della cucina. Intravide soltanto sua madre seduta al tavolo con una rubrica davanti e altri fogli sparsi davanti a sé. Nelle orecchie Sarah Gillespie continuava a cantare del suo pensiero ossessivo verso qualcuno che amava. Chloe aprì la porta del frigo e scrutò ondeggiando i vari scomparti in cerca di qualcosa da bere. La bottiglia del latte era lì, vuota a metà, con il suo candido contenuto che prometteva frescura e dolcezza. La afferrò, svitò il tappo e prese un lungo sorso direttamente dalla bottiglia. Un paio di goccioline sfuggirono alla sua bocca, colandole lungo le guance e rigandole il collo, facendole un fresco solletico, finché una non finì con l’essere assorbita dalla canottiera bianca. Su di essa campeggiava il disegno dell’occhio onniveggente.
Un suono distante la distrasse, mentre richiudeva il latte e lo riponeva nel frigo. Chiudendo la porta sentì come una forza magnetica che la attirava verso destra, come un richiamo. Guardò in direzione del tavolo e si accorse che sua madre era voltata verso di lei, con sguardo severo e stava evidentemente dicendo qualcosa che non riusciva a sentire. Si tolse le cuffie.
“Eh?”
Joyce sbuffò: “Santo Cielo Chloe, perché non puoi prendere un bicchiere??”
Chloe fece la connessione e non riuscì a evitare un’alzata di occhi al cielo: “Oook… scusa…”
“E poi smettila di tenere le cuffie! Per farmi sentire devo chiamarti dieci volte!” continuò Joyce.
“Se tengo la musica alta non va bene… se metto le cuffie non va bene… magari tu e Sergente Pepper mettetevi d’accordo su cosa volete e poi fatemelo sapere ok?” e su queste dolci note, Chloe si voltò per tornare da dov’era venuta.
“Aspetta Chloe…” la voce di Joyce la bloccò. Si voltò verso di lei con le braccia incrociate. “Ho bisogno di parlarti, vieni qui?”
Che cosa vuole ancora? Se mi chiede aiuto con gli inviti o puttanate simili…
Chloe si avvicinò al tavolo e si sedette al suo solito posto, notando che alcuni dei fogli sparsi sul tavolo non c’entravano col matrimonio ma erano bollette. Perlopiù con il bollo rosso del ritardo. Bestemmiò interiormente pensando al fatto che gran parte dei loro problemi economici erano dovuti alla presenza molesta di David e alla sua mancanza di contributi per mesi interi… quella doveva essere l’unica spiegazione.
"Che ho fatto stavolta?" disse Chloe rassegnata.
La fronte di Joyce si corrugò: "Non riguarda sempre te lo sai? Non sei il centro del mondo."
"Tranquilla, l'ho già imparata quella lezione..." rispose Chloe amaramente.
Joyce incrociò le braccia e le lanciò uno sguardo severo.
"Stavo facendo i compiti, puoi dirmi quello che devi così torno su e ricomincio?" disse stancamente Chloe.
Joyce sospirò e si alzò in piedi. Fece alcuni passi in tondo per poi affacciarsi alla finestra dietro di lei, dandole le spalle. Chloe rimase in silenzio, in attesa.
“Era così fiero di te…”
Chloe inarcò un sopracciglio: “Cosa??”
“William…”
“Oh…” fu l’unica cosa che uscì dalla bocca di Chloe.
Joyce fece il giro del tavolo e Chloe la seguì con lo sguardo. La vide avvicinarsi al divano in salotto e recuperare da esso un grosso e inconfondibile tomo. L’album con le foto di famiglia. Lo prese e lo portò al tavolo. Il cuore di Chloe iniziò a battere forte, la direzione che questa conversazione stava prendendo era molto pericolosa e non aveva nessuna intenzione di affrontarla.
Indietreggiò: “Scusa Mà… davvero devo studiare… io…”
“Chloe, non parliamo mai. Sei sempre sulle tue. Concedimi qualche minuto ok?”
“Ma non… voglio vedere quell’album…” Chloe si bloccò contro il banco della cucina e Joyce la guardò con triste stupore.
“Ok…” lo appoggiò sul tavolo, rimanendo di fronte a sua figlia. “Prima lo stavo guardando, sistemavo alcune foto e mi sono accorta che ne mancava una. Quella del tuo concorso di scienze in seconda media. Ce l’hai tu in camera vero?” spiegò Joyce.
“Si. È di questo che volevi parlarmi? Te la porto se vuoi…”
“Ve l’ho scattata io. Quella e molte altre…”
Chloe non rispose.
"Dopo la premiazione abbiamo recuperato Max e siamo andati a festeggiare al Luna Park di Portland. Penso che tu ti sia mangiata almeno un chilo di zucchero filato..." continuò Joyce.
"Che poi ho vomitato sulle montagne russe..." aggiunse Chloe con un mezzo sorriso.
"Già... Max era inorridita, ma rideva lo stesso. William si sentiva così in colpa. L'ho rimproverato per tutto il pomeriggio per avervi fatte mangiare così tanto..."
A Chloe sfuggì una risatina soffiata: "Mi manca così tanto..." commentò.
"Anche a me..." disse Joyce.
Quelle parole.
Chloe e Joyce non avevano mai parlato veramente di William da quando era morto. Certo, ne avevano parlato qualche volta, ma Chloe non l’aveva mai trovato utile. Non si erano mai capite e dopo un po’ aveva perso la voglia di farlo, soprattutto da quando David era entrato nelle loro vite.
Le mancava papà?
La malinconia fece spazio alla rabbia...
"Ti manca così tanto che sposi un altro giusto?" sibilò, rovistando nelle tasche. Tirò fuori il pacchetto di sigarette e se ne accese una con noncuranza.
Joyce la fissò incredula, sia per le sue parole, sia per la naturalezza con cui fumava davanti a lei con chiaro intento di sfida. A questo punto lo schema era consolidato: Chloe diceva qualcosa di sconveniente, Joyce si arrabbiava e rispondeva a tono, e così via di botta e risposta si finiva con urla, porte sbattute e un silenzio pesante.
Ma questa volta, Joyce non rispose. Cercò un istante nella tasca del vestito azzurro decorato con motivi floreali che indossava, ed estrasse un pacchetto di Winston Blue. Ne strinse una fra le labbra e la accese, sotto lo sguardo sbigottito di Chloe.
"Non pensare che diventi un'abitudine..." la avvertì Joyce notando quegli occhi blu che la fissavano confusi “E comunque andiamo in cortile…” le fece un cenno del capo e si avviò verso la porta a vetri. L’aria era fredda, quindi Chloe si premunì con un cappotto e, in uno slancio di altruismo, portò anche quello di sua madre.
“Grazie” disse la donna mentre lo indossava. L’aria fredda di novembre si fece largo nei loro polmoni mista al fumo. Il cielo plumbeo prometteva pioggia, forse neve.
"Credi davvero che possa dimenticare tuo padre?" disse Joyce rompendo il silenzio.
La fronte di Chloe si corrugò: "Beh... le tue azioni dicono esattamente questo..."
"Non potrei mai dimenticare William. Lui è... era tutto il mio mondo. Insieme a te..."
"E' per questo che hai adottato un veterano traumatizzato? Che hai nascosto o donato tutte le cose di papà? Che mi tratti come se fossi un peso o un fastidio?!" Chloe si allontanò di qualche passo, dando le spalle a sua madre. L’erba umidiccia le solleticava i lati dei piedi, mentre il resto era protetto da un paio di ciabatte di plastica blu con disegnato un Bulbasaur.
Forse grazie alla Fluoxetina, Joyce mantenne ancora la calma: "Ho paura di averti persa Chloe..."
Chloe si voltò di scatto, la rabbia si mescolò al rimorso.
"Non mi hai persa..." disse lei.
"Ti ho vista romperti, giorno dopo giorno, da quando William... non c'è più... Non so più come comportarmi con te Chloe. Te l’ho detto tante volte, ho bisogno che torniamo ad essere una famiglia..."
"Siamo una famiglia... io e te!" sottolineò Chloe avvicinandosi a Joyce.
"Se è così ho bisogno che tu sia al mio fianco Chloe. Io..." la donna prese un profondo respiro, arrivando finalmente al dunque "...so che non vuoi che io e David ci sposiamo..." Chloe alzò gli occhi al cielo e prese un profondo tiro di tossine che sparse nervosamente nell’aria "Capisco che sia difficile per te rapportarti con David e lui... spesso non aiuta..."
Chloe la guardò severamente: "Questo è un eufemismo."
"Lui ha dei problemi, ci sta lavorando. Ma anch'io ne ho... e anche tu! Siamo tre persone che hanno passato l'inferno, ciascuna a modo proprio. Riesci a capirlo?"
"Questo non lo autorizza a buttare la sua merda addosso a tutti gli altri!" sbottò Chloe spalancando le braccia aggressivamente.
Joyce prese un tiro di sigaretta: "Vale anche per te!"
"Cosa?!"
"Hai capito benissimo. Pensi di non gettare la tua merda addosso agli altri? Non fai altro da un anno!"
Sua madre che diceva le parolacce era ancora più insolita di sua madre che non la bacchetta per il fumo e addirittura fuma insieme a lei: "Questo... non puoi dire così! Papà è morto, cosa ti aspetti che io..." la voce di Chloe si ruppe.
"Mio marito è morto! L'uomo con cui ho passato vent’anni di matrimonio, che amavo fin dal college... la persona più importante della mia vita insieme a te è morto! Hai idea di quanto sia stato difficile per me? Ti è mai importato? Hai mai chiesto Chloe?!"
Silenzio.
Joyce sospirò stancamente e lasciò cadere il mozzicone sporco di rossetto nell’erba, spegnendolo con il piede.
Chloe non riusciva a parlare. Troppe risposte si accavallavano nella mente, facevano a pugni per raggiungere la punta della lingua, ma si incastrarono nella sua gola. Repliche argute, sarcastiche, rabbiose, tristi, patetiche...
"Dobbiamo andare avanti Chloe... William non c'è più..." concluse Joyce.
"E nemmeno Max..." commentò Chloe con un sussurro.
"Cosa?"
"Non ci sentiamo più... non mi risponde più da quasi un anno..."
"Oh Chloe...io non pensavo…" Joyce si avvicinò a lei protendendo le braccia, ma Chloe si ritrasse.
"Papà è morto, Max è sparita... non tutti sono bravi come te a trovare rimpiazzi!" ringhiò Chloe.
"David non è un rimpiazzo... è l'uomo che amo." affermò Joyce con decisione. Una decisione che colpì Chloe.
"Sei seria?"
"Si!"
Chloe gettò la sigaretta nell’erba e rientrò in casa, lasciandosi cadere sul divano, curva e con la testa fra le mani. Una lacrima sfuggì senza permesso, rigandole la guancia. Joyce la seguì.
"David mi è stato accanto nel momento peggiore e io sono stata accanto a lui. Ha passato cose molto peggiori di quello che immagini Chloe, la guerra lo ha spezzato, ma è una brava persona. Se gli darai un po’ di tregua forse te ne parlerà. Spero che allora capirai quello che intendo. Fino ad allora, ti prego... sii al mio fianco Chloe. Abbi fiducia in me. Ho bisogno di mia figlia."
Chloe stava tentando di assorbire quelle parole. Faceva fatica anche solo ad ascoltarle, ma non aveva la forza di allontanare Joyce. Nemmeno voleva. In qualche modo, quello era il momento più intimo con sua madre da quando era morto suo padre. Non voleva che finisse, nonostante le sue parole agrodolci.
"E io ho bisogno di te..." sussurrò Chloe.
Joyce si chinò davanti a lei e i loro sguardi blu si incrociarono. Anche Joyce aveva gli occhi carichi di lacrime a stento trattenute. Appoggiò una mano sulla spalla della figlia, che stavolta non si ritrasse.
"Ci sarai alla cerimonia vero?" chiese Joyce.
Chloe espirò rumorosamente e distolse lo sguardo.
"Quando sarebbe?" disse rassegnata.
"Il venti dicembre."
Chloe si massaggiò selvaggiamente la fronte e gli occhi.
"Allora?" incalzò con dolce impazienza Joyce.
"Si... si, ok..." sbuffò Chloe.
La mano materna sulla sua spalla si strinse affettuosamente, ma non fu davvero piacevole. Fu una sensazione molto più ruvida di quel che avrebbe dovuto.
"Bene... ti chiederei di farmi da damigella, ma non voglio darti altre occasioni per essere scurrile!" il tentativo di leggerezza di Joyce si infranse contro un muro di sconforto. Chloe, però, le rispose con un sorriso di circostanza.
Non odiava sua madre.
La amava più profondamente di quanto volesse ammettere.
E le mancava così tanto.
Joyce la trascinò in un abbraccio e Chloe lo restituì goffamente. Era un gesto divenuto così poco abituale ormai... era triste. Ma ne aveva bisogno…
"E mi dispiace che tu e Max vi siate allontanate. Mi avevi detto che vi sentivate di meno, ma… non pensavo…" sussurrò Joyce nel suo orecchio.
"Sembra che tutti riescano ad andare avanti con le loro vite tranne me..." replicò lei amaramente.
"Chloe..." disse Joyce rompendo l'abbraccio, con quell'inflessione delusa nella voce.
Chloe si limitò a fare spallucce.
"Se vuoi parlarne..." si offrì la donna.
"Lo farò... se ne avrò bisogno lo farò..." mentì Chloe. Joyce sembrò soddisfatta.
"Ti lascio ai tuoi compiti... la lista degli invitati è..." Joyce si alzò in piedi e indietreggiò di alcuni passi, il suo tono improvvisamente incerto.
“Per non parlare delle bollette…” replicò Chloe.
“Già… Andrà meglio!”
Chloe emise un distratto "Mh-Hm"
Joyce tornò al tavolo, lasciando Chloe seduta sul divano, le narici ancora piene di un incoerente miscuglio tra l'aroma floreale di sua madre e fumo di sigaretta.
Immobile.
Tutto si sedimentava dentro di lei.
Faticosamente.
Dopo quella che le parve un’eternità, Chloe si alzò in piedi e tornò nella sua stanza. Fu un percorso lento, appesantito da uno zaino di cupi pensieri. Rientrando in stanza si avvicinò alla scrivania, preparando una nuova sigaretta. Notò allora la luce lampeggiante del suo cellulare.
Un messaggio.
 
Rachel
  • Hey gurl! Mi manchi!
 
Gli occhi di Chloe si spalancarono e una sensazione di calore si unì al bizzarro miscuglio che le riempiva il petto. Rachel... sentiva la sua mancanza?
Cosa doveva rispondere?
"Anch'io?"
Troppo scontato? Però era la verità.
Aveva davvero voglia di vedere Rachel!
Era una specie di velato invito a uscire? A proporre qualcosa?
Fanculo! Perché deve essere tutto così difficile!
Qualcosa di acuto... qualcosa di acuto...
 
Chloe
  • Lo so! Sono così figa! A volte mi manco da sola!
 
Premuto invio.
Che cazzata!
Merda perché non si possono cancellare gli SMS inviati?!
 
Rrrrmmmmmmmmmmm
 
Rachel
  • LOL! Sto andando al Two Whales. Tua mamma non è di turno giusto? Mi fai compagnia?
 
Chloe
  •  Vediamoci lì davanti ma ti porto in un posto migliore.
 
Rachel.
  • Ooooh! Suona interessante!
  • Dove dove??
 
Chloe
  •  Sorpresa!
 
Rachel
  •  :'(
 
Chloe
  •  NO EMOJI!!!
 
Rachel
  •  <3
 
Chloe sghignazzò fra sé.
Bene.
Come sempre, Rachel appariva nel momento del bisogno! Almeno aveva una scusa per allontanarsi da casa, che era diventata anche meno accogliente del solito.
 
-
 
"Quindi sei una stalker!" replicò Chloe combattuta fra sentirsi lusingata o inquietata. Rachel le aveva appena detto di aver visto una foto di Bongo nel suo armadietto.
"Ma no! Ho solo un buon occhio!" si giustificò Rachel sorridendo "E' normale passare davanti agli armadietti delle persone in una scuola!"
"Anche guardarci dentro?" pungolò Chloe.
"Mi piacciono i gatti, che posso farci!" concluse Rachel.
"Dopotutto sei Leone."
"Già! Tu che segno sei?"
Chloe estrasse il pacchetto di sigarette e se ne accese una. Camminavano in salita, fianco a fianco, lungo il sentiero boschivo che le avrebbe condotte al faro. Il cielo era ancora plumbeo e si stava alzando un po' di vento, ma questo non le scoraggiava. Durante il tragitto avevano giocato a Due Verità e Una Bugia ed erano uscite informazioni interessanti!
"Non ne ho idea!" ammise Chloe.
"Quando sei nata?"
"L'undici marzo"
"Mmmmmh..." per spirito di emulazione Rachel prese dalla tasca dei jeans il pacchetto di Lucky Strike e se ne accese una "Pesci! Molto interessante!"
"Perché?" chiese Chloe sbuffando fumo.
"Diciamo che vista da fuori non si direbbe!" commentò Rachel.
Chloe sghignazzò: "Sentiamo, come dovrei essere?"
"Vedi, tu in genere passi per una persona chiusa, dura e indipendente. I Pesci sono l'esatto contrario. Sono aperti, sensibili e hanno un gran bisogno degli altri!"
"Vedi? L'ho sempre detto che l'astrologia è una cazzata!" sghignazzò Chloe.
"Ora che ci conosciamo un po' meglio penso che abbia perfettamente senso invece!" replicò Rachel.
"Ah si? Quindi sono una mollacciona?"
"Al contrario! L'astrologia non è semplice, penso che tu abbia almeno una componente di Fuoco nel tuo oroscopo, altrimenti non andremmo così d'accordo. Ma sei molto più sensibile di quel che vuoi dare a vedere." spiegò Rachel.
"E capisci tutto questo dalla mia data di nascita?"
"No, lo capisco dal fatto che siamo diventate amiche." Rachel le regalò un sorriso e Chloe sentì un vago calore riempirle le guance. Distolse lo sguardo.
Amiche...
Migliori amiche per sempre...
Max...
"E poi solo una persona sognatrice e sensibile vorrebbe diventare un pirata!" aggiunse Rachel.
"Ti piacciono i Pirati dei Caraibi?" chiese Chloe.
Rachel appoggiò una mano sulla spalla di Chloe e si avvicinò di un passo: "Che cos'è il mare?" chiese con uno strano accento britannico. Le due si fermarono e Rachel guardò un immaginario orizzonte verso cui protese il braccio "Che cos'è la Perla Nera?" La mano sulla spalla scivolò in un abbraccio laterale, mentre Chloe era troppo confusa per reagire "E' libertà!" concluse Rachel con enfasi.
"Pfff... questo è il tuo miglior Jack Sparrow?" chiese Chloe.
Rachel si allontanò, lasciando dietro di sé una certa delusione.
"Ma perché hai bruciato il rum?!" replicò Chloe.
Le loro risate riempirono il sentiero mentre ripresero a camminare.
Inevitabilmente la memoria di Chloe la portò indietro nel tempo, in un cinema di Portland, seduta tra suo padre a sinistra e Max alla sua destra mentre sullo schermo veniva proiettata la Maledizione della Prima Luna. Sembravano passati cent'anni.
Proseguirono lungo il sentiero finché gli alberi cominciarono a diradarsi, lasciando più spazio al cielo. Il faro emerse in tutta la sua altezza e una folata di vento scompigliò la chioma dorata di Rachel appena emersero dal sentiero.
Spensero le sigarette quasi all'unisono, lasciandole cadere per terra e schiacciandole distrattamente. Rachel non veniva spesso da quelle parti, ma riconosceva il fascino di quel luogo. Il faro era come un mondo a parte, dalla cima della scogliera tutto sembrava diverso. L'oceano Pacifico si dispiegava in tutta la sua vastità, così come il cielo. Arcadia Bay sembrava improvvisamente così lontana e minuscola, così come i problemi e i drammi che ospitava. Era esattamente per questo che Chloe ci veniva spesso, non solo per i ricordi di tempi più felici.
"Hai un vero talento per scegliere le location!" disse Rachel.
"Ci eri già venuta?" chiese lei prendendo un'altra sigaretta.
"Un paio di volte."
"Io vengo qui spesso, quando ho voglia di stare un po' da sola e pensare."
"Quindi è il tuo luogo speciale?" propose Rachel.
"Mmmh... diciamo di sì!" replicò Chloe prendendo una boccata di fumo.
"Sono felice che tu lo condivida con me!" disse Rachel regalandole un sorriso, che Chloe restituì senza aggiungere altro.
Mentre si avvicinavano alla panchina vicino al bordo della scogliera, Rachel intravide i resti di quello che un tempo era un abete secolare. Sul ceppo spezzato erano incise delle iscrizioni:
Max & Chloe
BFF Pirates
2008
 
Rachel sorrise.
Chloe aveva nominato una volta questo Max, forse la prima volta in cui si erano parlate alla Blackwell. Quella volta non aveva voluto indagare, ma ora la curiosità era troppa.
"Questa sei tu vero?" chiese Rachel.
Chloe si voltò e la vide accanto al ceppo mentre indicava le incisioni. Il cuore le balzò in gola. Merda, tra tutte le cose cui non aveva pensato c'era proprio quella scritta! Scattò in avanti come per frapporsi fra Rachel e il tronco, ma si bloccò subito e abbassò lo sguardo con rassegnazione.
"Si..." rispose.
"A proposito di pirati giusto?" scherzò Rachel avvicinandosi ancora un po' al ceppo "Quando avrò la storia dietro questo?"
Chloe si grattò la testa a disagio: "Sarebbe troppo lunga..."
"Avanti, chi è questo Max? L'hai già nominato una volta." insistette Rachel.
"L'ho fatto?"
"Non oggi, ma si!"
Chloe si tappò la bocca con la sigaretta e si allontanò, cercando di sfuggire a quella situazione.
Dannazione Rachel! Esco con te per non pensare a Max...
"Un ex fidanzato?" ipotizzò Rachel "Aspetta... 2008... eravate alle medie giusto?"
"Già..." confermò piattamente Chloe.
Perché cazzo insiste così tanto?
"Avanti Chloe. Non vuoi darmi proprio niente? Nemmeno un indizio?" stuzzicò allegramente Rachel raggiungendo Chloe nei pressi della panchina.
"Non era un fidanzato, era... è una ragazza!" spiegò Chloe.
"Una cosa non esclude l'altra!"
"Si beh... non in questo caso. Era la mia migliore amica. Siamo cresciute insieme..." spiegò Chloe prima zittirsi nuovamente con un lunghissimo tiro di sigaretta. Sbuffò una nuvola di fumo senza continuare il discorso, lasciando Rachel a pendere dalle sue labbra per un po'.
"Poi?" la incalzò.
"Poi se n'è andata. Ha traslocato a Seattle lo stesso giorno del funerale di mio padre. Aveva detto che saremmo rimaste in contatto, che la distanza non avrebbe cambiato nulla. Invece è sparita."
Solo allora Rachel si rese conto dell'espressione cupa sul viso di Chloe. Spinta dalla curiosità l'aveva costretta a parlare di qualcosa che la faceva soffrire:
"Mi dispiace, non volevo renderti triste."
"Non preoccuparti. Dovrò farci i conti prima o poi giusto? Le cose cambiano, le persone vanno e vengono... il cerchio della vita e merda così giusto?" riecco la maschera cinica di Chloe.
"Il fatto che le cose cambino non vuol dire che debba andarci bene." commentò Rachel "O che non ci faccia soffrire."
"Già..." convenne Chloe. Andò a sedersi in silenzio sulla panchina e Rachel la seguì in silenzio. Forse aveva esagerato.
“Max se n'è andata, mio padre è morto e adesso mia madre si sposa Dick-David.” Continuò Chloe “Oggi era tutta sentimentale e merda, ha tirato fuori l'album di fotografie e mi ha implorata di esserci al suo matrimonio..."
"E cosa le hai detto?"
"Si..."
"Ma in realtà non vuoi andarci."
"Esatto! Lei non capisce come mi sento. Prima dice che le manca mio padre, che nessuno potrà mai sostituirlo e cazzate varie, poi mi dice che David è l'uomo che ama e che dobbiamo essere una famiglia. Non ha nessun senso. Io le voglio bene, voglio che sia felice, ma così... non credo davvero che lo sia. Non posso nemmeno dirle quello che penso senza passare per stronza." Chloe si fermò e sospirò profondamente.
"Che situazione di merda." commentò Rachel.
"La merda delle merde..." aggiunse Chloe "Non so nemmeno che cazzo mettermi per il matrimonio..."
"Ci andrai davvero allora?" chiese Rachel, Chloe si voltò verso di lei e si sistemò sulla panchina per guardarla direttamente.
"Non ho scelta. Mia madre me l'ha chiesto e le ho detto sì... ci rimarrebbe male se cambiassi idea."
"Chloe, tua madre sta consapevolmente sposando contro la tua volontà un uomo che odi e che ti tratta come fossi merda. Penso che tu sia libera di fare il cazzo che vuoi!" Lo sguardo serio e deciso di Rachel colpì profondamente Chloe. Era bello sentire quelle parole, sapere che qualcuno era dalla sua parte.
"Comunque..." continuò Rachel con un sorriso furbo "Se decidi di non andare allora ci vedremo e organizzeremo qualcosa di alternativo! Se decidi di andare, invece, ti aiuterò a scegliere il vestito!”
"Ah si?" Chloe non riuscì a mascherare un'espressione sbigottita.
"Si! È a questo che servono gli amici giusto?" continuò Rachel. Chloe avrebbe potuto perdersi in quello sguardo che brillava nonostante il sole fosse coperto “Potrei venire a casa tua per fartene provare qualcuno, così conoscerò finalmente lo Stronzo Adottivo!"
“Non sarebbe una buona idea…” disse Chloe amaramente.
“Perché?”
“Casa mia non… non è davvero il posto migliore. Una situazione di merda… Casa tua invece?”
Rachel sospirò e distolse lo sguardo: “Ti dico una cosa ma prometti di non fraintendere…”
Il cuore di Chloe saltò un battito: “Come faccio a prometterlo se non so nemmeno cosa vuoi dire?”
“Buon punto…” Rachel si sistemò nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio
“Che succede Rach?” incalzò Chloe.
“Mio padre ha detto che non sei una buona compagnia, quindi… insomma…”
Ecco! Bentornata nel mondo reale Chloe! Si vergogna di te! Lo sapevi fin dall’inizio che era tutta una stronzata…
“Non vuoi che sappia che ci vediamo?” il tono di Chloe fu più piccato di quanto volesse.
“Lo sa già e non me ne frega un cazzo di quel che pensa!” esclamò Rachel recuperando il contatto visivo con Chloe “Io esco con chi mi pare. Mio padre non può decidere chi sono i miei amici, anche se vorrebbe!” I suoi occhi fiammeggiavano.
Chloe fu momentaneamente sopraffatta da quello sfogo: “Ho capito comunque. Sono la prima ad avere una situazione di merda a casa e poi essere la pecora nera è un po’ una mia cosa, quindi non preoccuparti…” scherzò Chloe.
In realtà non aveva molta intenzione di scherzare. Rachel le stava apertamente dicendo che non la voleva in casa sua perché non stava bene a suo padre…
Del resto lei le aveva appena detto che non la voleva in casa sua perché… perché?
Per paura di cosa avrebbe detto David?
Fosse stato solo per quello avrebbe steso un tappeto rosso per Rachel e chiunque altro. Avrebbe fatto un rave party in casa se fosse stato solo per il suo parere contrario.
Forse la verità era un’altra.
Si vergognava…
Rachel era così diversa da lei, un altro gradino sociale. Immaginava la casa di Rachel come una specie di reggia, mentre la sua sembrava sicuramente una catapecchia in confronto.
Ma c’era dell’altro.
Qualcosa che riguardava Max e suo padre…
Se Rachel avesse visto dove viveva, la sua stanza, avrebbe visto dove era stata felice. Avrebbe visto frammenti del suo passato, avrebbe visto come si era ridotta. O forse no? Non voleva scoprirlo. Non voleva che la giudicasse. Probabilmente non l’avrebbe fatto, ma Chloe non voleva rischiare.
Più facile dare la colpa a David e alla situazione casalinga…
“Invece mi preoccupo!” disse Rachel “Non voglio che pensi che mi vergogno di te o cazzate del genere! Solo… io… non riesco a fregarmene come fai tu.”
Le aveva letto nel pensiero?
“In che senso?” chiese Chloe.
“Tu fai come ti pare, dici a tutti in faccia quello che pensi, sei quello che sei. Io non ci riesco… è come se dovessi dimostrare sempre qualcosa. Soprattutto a mio padre. Quando mi ha detto che non dovrei frequentarti avrei voluto urlargli contro che si sbaglia, che non ti conosce, che non ha il diritto di controllare la mia vita… ma non ci sono riuscita. Davanti a lui è come se mi bloccassi…”
Chloe la fissò sbigottita.
Sono tutte stronzate, lo sai vero?
Non gliene frega un cazzo di te, sei solo un passatempo.

Eppure, Rachel sembrava davvero credere a ciò che diceva. Sembrava totalmente sincera, completamente coinvolta.
“Anch’io mi trattengo molto…” disse Chloe. Rachel si voltò a fissarla incuriosita. Chloe lasciò trascorrere alcuni istanti di silenzio prima di proseguire “Cioè… se non lo facessi, probabilmente sarei in galera per omicidio o per aver dato fuoco alla Blackwell!”
Rachel scoppiò in una risatina leggera. Ogni volta che sentiva quel suono, Chloe lo apprezzava di più. La risata di Rachel faceva sorridere anche lei.
“Mi piacerebbe vederlo!” disse Rachel.
“Cosa, gli omicidi o la Blackwell che va a fuoco?”
“Dipende da chi vuoi vedere morto! Ma la Blackwell in fiamme potrebbe essere uno spettacolo interessante!”
“Davvero? Pensavo adorassi quel posto…” commentò Chloe un po’ stupita.
“È complicato…” Rachel spostò lo sguardo oltre la scogliera, chinandosi in avanti con i gomiti sulle ginocchia.
“Come mai?”
“Tu perché hai scelto di frequentare la Blackwell?” replicò Rachel.
“Non si risponde a una domanda con una domanda!” bacchettò scherzosamente Chloe.
“Assecondami!” fu la risposta ammiccante.
Chloe sbuffò. Quello era un cassetto della memoria che non apriva da tempo. Ragnatele e muffa lo avevano ricoperto e forse il contenuto era marcito, insieme a tanti altri ricordi della persona che era. E di quella che voleva diventare.
“Non so…” esordì dopo un po’ “Non lo so più. Era un’altra vita quella… immagino che allora trovassi un’ottima idea frequentare una scuola prestigiosa vicino a casa, smanettare nel laboratorio di Chimica, mescolare composti e far esplodere le cose, soprattutto quando anche Max si sarebbe iscritta…” si interruppe, lasciandosi cadere all’indietro contro lo schienale della panchina, inarcando la testa all’indietro per fissare il cielo grigio “Ma non era così figo come pensavo e poi… niente ha avuto più senso…”
Rachel annuì: “Io non ci volevo nemmeno venire. È stata un’idea di mio padre, l’ha fatto perché avrebbe fatto comodo alla sua immagine. A volte tratta me e mia madre come se fossimo personaggi del suo show politico personale. E poi la maggior parte degli studenti sono degli snob che non hanno mai dovuto guadagnarsi niente in vita loro… con poche eccezioni!”
“Ma se è così allora perché li frequenti? Sembra che tu conosca tutti a scuola, prima che ci frequentassimo pensavo fossi nel giro di Marisa…”
“Mio padre mi disse di esserle amica. La famiglia di Marisa è una delle più ricche dell’Oregon e gli servivano donazioni per la campagna elettorale… anche adesso i nostri genitori sono in buoni rapporti e per questo anch’io devo mantenere un minimo di… neutralità.”
“Non le capisco queste cazzate.” disse Chloe incrociando le braccia.
“Uno di motivi per cui mi piaci!” replicò Rachel con un sorriso, dandole un colpetto con il gomito. Chloe sentì le guance improvvisamente calde. Quel genere di affermazioni e contatti fisici sembravano così naturali per Rachel, ma per lei era strano.
“Cioè… voglio dire…” aggiunse Chloe incespicando “Che cazzo c’entra chi frequenti tu con tuo padre e i suoi cazzi da Procuratore?”
“Io purtroppo lo capisco… e lo detesto. È uno dei motivi per cui me ne voglio andare da qui!”
Quelle parole erano musica per le orecchie di Chloe. Non immaginava che Rachel si sentisse così scomoda ad Arcadia Bay, ma era bello sapere che avevano anche quello in comune “Siamo in due! Arcadia Bay può andare a fanculo anche subito!”
“A volte non riesco a trovare nessun motivo per rimanere…” la voce di Rachel si fece cupa, come il suo sguardo, che si perse da qualche parte all’orizzonte “Non sorprenderti se un giorno non mi vedrai più, Chloe…”
Quella frase colpì Chloe, non tanto per le parole in sé quanto per il tono. Fu come se un pensiero remoto, profondo, nascosto, fosse evaso ed avesse trovato la strada per esprimersi ad alta voce. Chloe ormai aveva imparato che Rachel era molto più di ciò che mostrava al mondo, ma forse il suo universo era ancora più vasto e profondo di quel che immaginava. E in qualche modo, sentì di poterla capire e poter essere capita come non le succedeva da tempo.
“Beh, fammi sapere se hai bisogno di una complice!” rispose Chloe con un sorriso.  
Rachel si voltò verso di lei e le sorrise, un sorriso timido che non era certa di averle mai visto fare.
“Ho in mente un piano!” disse Rachel con improvviso entusiasmo.
“Eh?”
Un piano? Per la fuga??
“Sono sicura che ti piacerà…” l’espressione felina di Rachel divenne cospiratoria, in un modo molto divertente.
Chloe era intrigata: "Ah davvero? Sentiamo!"
“Che tu vada o no al matrimonio, David non otterrà quello che vuole senza resistenza. Ha una macchina sportiva giusto?"
Ah ok… Rachel aveva cambiato argomento!
Chloe ridacchiò dentro di sé. Non era così facile starle dietro a volte!
"Esatto!"
"E tempo fa mi hai detto che è la cosa cui tiene di più..."
"Proprio così!" la conversazione aveva fatto una curva a gomito vertiginosa e a Chloe piaceva molto la direzione che aveva preso.
"Bene! Per la buona riuscita di questo piano ci serviranno il favore delle tenebre, farina e delle uova... tante uova..."
Gli occhi di Chloe si illuminarono, mentre Rachel iniziava a spiegarle il suo diabolico piano.
 
-
 
Il mattino seguente le grida di David echeggiarono in tutto l'isolato e forse in tutta Arcadia Bay. Chloe assistette alla crisi di nervi dell'uomo a distanza di sicurezza, appostata dietro la siepe degli Hamilton dopo aver finto di andare a scuola in anticipo.
La macchina sportiva di David era ricoperta da uno strato incoerente di polvere bianca e colava albumi e tuorli in più punti, che mescolandosi con la farina avevano creato una specie di pasta. Chloe trattenne a stento le risate mentre contemplava David prendersela con i nipoti dei Robertson, che abitavano una delle case adiacenti, per poi dirottare la sua ira su fantomatici giovani drogati che infestavano Arcadia Bay, fino ad arrivare anche all'ovvia conclusione. Era per forza colpa di Chloe! Era stata sicuramente lei e per una volta aveva ragione. Joyce uscì in cortile per calmarlo, ma l'uomo pareva inconsolabile.
"Come cazzo faccio ad andare al lavoro con la macchina conciata così?! È stata tua figlia! Lo sai che è stata lei!" gridò David mentre Joyce lo trascinava in casa. Pochi momenti più tardi Chloe, ancora nascosta dietro la siepe, ricevette un messaggio.
Joyce
  • Chloe. Sai niente di quello che è successo alla macchina di David?
Chloe sospirò fra sé e digitò una risposta.
 
Chloe
  • Di che parli?
Joyce
  • Lo sai benissimo.
Chloe
  • No non lo so!
Joyce
  • Qualcuno stanotte l'ha vandalizzata.
Chloe
  • E ovviamente sono stata io giusto? Grazie...
Joyce
  • Non l'ho detto. Comunque mi sembra strano che tu non l'abbia notata uscendo di casa visto che era parcheggiata nel vialetto.
Chloe
  • L'ultima cosa di cui mi frega è la macchina di David. Senti ora devo andare.
Joyce
  • Ne parliamo quando torni a casa.
Chloe
  • Certo certo
 
Infine, Chloe si avviò effettivamente verso la fermata dello scuolabus. Aveva appuntamento in Caffetteria con Rachel.
Il cellulare vibrò.
Rachel
  • Allora?? Non posso aspettare di vederci!!
 
Chloe sghignazzò fra sé e rispose senza smettere di camminare.
 
Chloe
  • È andato totalmente fuori di testa! Prima ha accusato i vicini, poi i drogati e poi ovviamente me! Mia madre mi ha già scritto accusandomi velatamente della cosa quindi stasera mi aspettano rotture di palle...
Rachel
  • Vorrà dire che lavoreremo ad un alibi inattaccabile!
Chloe
  • Comunque vada ne è valsa la pena!
Rachel
  • Sono d'accordo.
 
Chloe rimise in tasca il cellulare, raggiungendo l'incrocio in fondo a Cedar Avenue dove raggiunse la fermata dell'autobus. Prese l'Ipod e fece per sistemarsi le cuffie nelle orecchie quando una voce maschile la interruppe:
"Hey Chloe!"
"H-Hey... Eliot..." fu l'imbarazzata risposta "Ma che ci fai qui?" In effetti era piuttosto strano, lui viveva al Dormitorio della Blackwell e non aveva senso che fosse da quelle parti.
"Ehm... io... non mi andava di fare colazione in caffetteria e stavo andando ad Up All Nite Donuts..." spiegò il ragazzo grattandosi la testa.
"Mmmmh... ok!" A Chloe non risultava che dalla Blackwell la sua via fosse di strada per andare in quel locale, ma fece spallucce.
"Vieni con me?" offrì lui.
"No grazie Eliot. Ho già un appuntamento in Caffetteria..." ammise Chloe sperando che quella conversazione finisse presto.
"Oh... con chi??" chiese lui deluso.
"Rachel Amber."
"Ah... wow! Non sapevo che foste amiche..."
"Si beh, ogni tanto usciamo insieme, niente di ché..." mentì Chloe.
“È strano." commentò lui incrociando le braccia.
"Perché scusa??" replicò Chloe un po' più aggressiva del previsto.
"Non è proprio il tuo genere..." spiegò Eliot
"Cioè uscire con persone popolari e cool non è il mio genere? Grazie!" ora Chloe iniziava ad offendersi. Eliot alzò le braccia e tentò di tamponare:
"No... cioè... non intendevo questo. Intendevo che Rachel mi sembra una fighetta snob e di solito non frequenta... si insomma... persone di ceto diverso..." il tentativo di aggiustare peggiorò solo le cose.
"Non sai proprio un cazzo di lei!" sbottò Chloe.
Eliot fece un passo indietro, sgomento:
"Scusami, non volevo offendere nessuno... ho detto delle cazzate. Perdonami..."
"Va bene. Ci vediamo più tardi..." disse Chloe infilandosi le cuffie.
"O-ok... ci vediamo..." mugugnò Eliot.
Rimase immobile dove si trovava, osservando Chloe che faceva partire la musica e chiudeva gli occhi tirando un sospiro di sollievo. Avrebbe voluto maggiori rassicurazioni che fosse tutto a posto fra loro, che fosse stato perdonato e magari ricevere un sorriso. Ma Chloe si limitò a ignorarlo, concentrandosi sulla musica. Eliot vide l'autobus svoltare l'angolo in fondo alla strada e dirigersi verso di loro.
Con riluttanza, decise di andare davvero a far colazione da Up All Nite Donuts...
 
-
 
Rachel si sentiva felice. Camminava nei corridoi della Blackwell diretta al Drama Club e ripensava alla sera precedente, quando lei e Chloe avevano messo in atto il suo piano. L'auto di David era rimasta parcheggiata nel vialetto perché la porta del garage si era 'accidentalmente' bloccata. Rachel era rimasta ad aspettare in strada, a distanza di sicurezza, avvolta in un abbondante cappotto per sopravvivere al freddo, ma soprattutto per trasportare uova e farina nelle tasche interne. Quando le arrivò l'sms di Chloe che tutti erano a letto, iniziò l'operazione "Fuck The Dick-tator"! Mentre Rachel si avvicinava alla casa, Chloe uscì dalla finestra della sua stanza, anche lei avvolta in un cappotto pesante, e si calò nel vialetto lungo la grondaia in modo così esperto che Rachel comprese che non era la prima vola che lo faceva. Si avvicinarono l'una all'altra ridacchiando e rimproverandosi con ripetuti "Shhhh!!", mentre Rachel consegnava una scatola di 12 uova a Chloe e un pacco di farina. Poi cominciò il tiro al bersaglio!
TUNK!
TUNK! TUNK!
TU-TUNK!
TUNK! TUNK! TU-TU-TUNK!
Dozzine di uova si infransero contro la fiancata, i finestrini, il parabrezza dell'auto di David, accompagnate da sommessi "Fanculo!" e risate soffocate. Rachel ad un certo punto si spostò sul lato opposto della macchina e usò il cofano come se fosse un tavolo, mimando un tutorial di cucina:
"Prendete delle uova e FRANTUMATELE sul cofano della vostra macchina di merda..." sussurrò mentre Chloe la fissava estasiata "Poi prendete un pacco di farina e..."
... e nuvole bianche si sollevarono in aria. Gettarono con furiosa ilarità manciate di farina contro la macchina, soprattutto Chloe. Farina e resti di uova si mescolarono in una pasta informe che cominciò a colare, rapprendersi e in certi punti a congelarsi per le temperature polari della notte.
Quando ebbero finito le munizioni, Chloe e Rachel fuggirono via insieme. Scoppiando in una risata liberatoria una volta lontane da casa Price.
"Cazzo! Finirò nella merda per questo!" continuava a ripetere Chloe senza smettere di ridere.
"Ti stai pentendo?" chiese Rachel
"Neanche per il cazzo! Benvenuto in famiglia stronzo!" gridò nella notte Chloe rifilando un doppio dito medio in direzione di casa sua, cui si aggregò anche Rachel con un "Whoooohoooo!!!"
Quella notte passeggiarono fianco a fianco, raggiunsero la spiaggia, fumarono una canna insieme e quando finì si separarono con riluttanza per tornare ciascuna a casa propria. Rachel come sempre si era premunita di una valida scusa e con la collaborazione di Joel, anche stavolta avrebbe evitato troppe domande, mentre Chloe non aveva bisogno di niente del genere. Lei era una ninja!
 
Rachel superò le macchinette e imboccò l'ultimo corridoio prima del Drama Lab. Non aveva mai fatto niente del genere prima di quella notte, non aveva mai fatto niente di illegale a parte bere e fumare delle canne. Eppure si era sentita più viva quella notte con Chloe a trasformare l'auto di David in una torta che in tutta la sua vita... almeno quella che riusciva a ricordare con chiarezza. Quella ad Arcadia Bay.
 
Forse, però, il teatro arrivava a pari merito con il vandalismo. Proprio mentre lo pensava oltrepassò le doppie porte in fondo al corridoio e si trovò di fronte all'ingresso del Drama Club. Sentì l'inconfondibile voce di Keaton all'interno. Doveva essere arrivato in anticipo come talvolta faceva. Si affacciò sull'uscio e lo vide di spalle, rivolto verso una delle ampie finestre della classe, con il cellulare all'orecchio.
"Comprendo il suo punto di vista..." disse Keaton con voce pacata.
Rachel si fermò dove si trovava.
"Penso che stia esagerando ora..." continuò Keaton senza perdere la calma. Sembrava una conversazione non particolarmente amichevole. Rachel sostò immobile ancora per un momento poi, cautamente, fece alcuni passi indietro, abbastanza per essere fuori vista ma sufficienti a poter origliare.
"Con tutto il rispetto, il professore sono io e assegno i ruoli in base alle capacità di ogni studente." Rachel sentì i passi di Keaton spostarsi dalla finestra ed echeggiare tra le pareti dell'aula. Qualche genitore era scontento del ruolo assegnato nella Tempesta?
"Suo figlio si è dimostrato perfetto per il ruolo di Calibano, è semplice. Non ci sono secondi fini nella mia decisione. È per il bene di Nathan e per il bene della commedia. Semplice."
Rachel sbiancò e il suo cuore le balzò improvvisamente in gola. Keaton era al telefono con Sean Prescott?!
"Non... come le ho spiegato... parli lei allora..." una leggerissima perdita di pazienza attraversò la voce altrimenti lineare di Keaton.
Merda...
Uno scenario iniziò a crearsi nella mente di Rachel, uno in cui come previsto da Nathan, suo padre non aveva accettato che suo figlio recitasse in un ruolo diverso da quello che lui aveva scelto. Così aveva chiamato il professor Keaton per chiedere conto e a quanto pare Keaton non sembrava intenzionato a cambiare idea.
"So benissimo quanto ha donato alla Blackwell e in particolare al Drama Club. Le sono personalmente grato e con me tutti gli studenti. Ma fare una donazione non significa averci comprati. Non è lei a pagarmi lo stipendio..."
Rachel era sgomenta.
Cosa cazzo stava dicendo Keaton a Sean Prescott?!
"Ha capito bene Signor Prescott."
Rachel era incredula e indecisa se Keaton avesse due palle colossali o fosse semplicemente impazzito.
"La devo salutare. Tra poco arriveranno i miei studenti, compreso suo figlio... per me non c'è altro da aggiungere... Come vuole. Buona giornata..."
Rachel sentì il suono del cellulare che veniva richiuso seguito da un lungo sospiro.
Rachel si avvicinò cautamente all'ingresso e sbirciò.
Vide Keaton seduto sulla cattedra, con il telefono ancora in mano. Fissava un punto indefinito davanti a sé. Improvvisamente la notò e balzò in piedi.
"Miss Amber! Sei lì da molto?" chiese vagamente imbarazzato. Era la prima volta che Rachel lo vedeva fuori dal ruolo. Fu solo qualche momento, poi sul volto ricomparve l'espressione del prof che conosceva. Ma per un momento vide Travis Keaton con il suo volto, puro e semplice, colmo di preoccupazione e con rughe d'espressione molto più evidenti del solito. Fu strano...
"No sono appena arrivata..." mentì Rachel.
Keaton le sorrise.
Aveva capito?
"Vai a cambiarti, oggi si inizia a fare sul serio!" le ammiccò.
Rachel sparì nei camerini, indossando una tuta da ginnastica nera. Doveva sentire Nathan. Lui non le aveva detto niente, ma evidentemente qualcosa doveva essere successo... doveva dirglielo.
O forse no?
Non avrebbe peggiorato le cose dirgli che suo padre aveva chiamato e magari minacciato il professor Keaton per colpa del suo ruolo?
Sapeva benissimo che quell'informazione l'avrebbe mandato in crisi...
No.
Non ne avrebbe parlato, a meno che non lo sapesse già.
 
Quel giorno la lezione al Drama Club coinvolse tutti gli studenti coinvolti nel progetto Tempesta, fu una riunione organizzativa, furono presentate le bozze di scenografia e costumi, organizzati i gruppi di lavoro e stabilite le giornate di prova e le successive riunioni.
 
Nathan non sapeva niente.
Rachel non disse nulla...
 
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Dopo il Ringraziamento iniziò ufficialmente il clima natalizio. A casa Price si respirava un'aria elettrica di festa, che contribuì a far smaltire molto rapidamente la furia per la macchina vandalizzata. Chloe non ebbe conseguenze, raccontò di non saperne niente e che durante il misfatto era profondamente addormentata.
"Peccato però! Avrei voluto che venisse in mente a me!" disse Chloe su consiglio di Rachel. Sarebbe stato sospetto se Chloe non avesse cercato lo scontro con David, ma se avesse fatto la stronza tutto sarebbe risultato nella norma. E così fu. Litigio, "Chloe! Vai in camera tua!", porta sbattuta e BOOM! Fine della faccenda!
David impiegò una settimana a scrostare lo schifo dalla macchina, il colore risultò danneggiato in diversi punti a causa del ghiaccio e dovette riverniciarla! Un lato di Chloe, molto remoto, ne fu dispiaciuta. Uno molto più grande ne fu entusiasta, scatenando un rave nella sua mente. Rave in cui coinvolse Rachel, che nel frattempo continuava con la sua vita.
Ringraziamento con ospiti illustri, compiti, lavoro nell'ufficio del Preside e socialità Blackwelliana. Riuscì finalmente a dedicarsi a Megan, ma si accorse che qualcosa era cambiato. La ragazza era più fredda con lei, quasi come se la tenesse a distanza. Le ripropose di organizzare le LostNIght di cui avevano parlato tempo prima, ma Megan rifiutò. Non aveva tempo, aveva molto da studiare e altre evidenti scuse. Rachel comprese che la faccenda di Halloween aveva incrinato il loro rapporto, forse irrimediabilmente. Rachel aveva tentato di spiegarle che non aveva intenzione di crearle problemi e meno che mai era stato uno scherzo organizzato. Megan a parole le credeva, ma Rachel non riusciva più a fare breccia. Da un certo punto di vista, Rachel la capiva. Aveva saputo dei test di gravidanza, dei controlli sulle mestruazioni, delle battute e dei soprannomi. In tutto quel tempo Rachel non c'era stata per lei, non come prima e Megan doveva essersi sentita tradita. Però, non era un valido motivo per tenerle il broncio o tentare di punirla in quel modo. Anche se poteva capirla, Rachel non aveva tempo per quelle stronzate infantili. Se Megan non voleva vederla o la voleva allontanare, Rachel non avrebbe certo insistito.
Incontrò varie volte Steph con la scusa del costume. Quella ragazza aveva davvero un gran talento artistico e Rachel adorò totalmente l'idea di una maschera da drago per il suo costume da Prospera. Joel fu ricompensato per la sua complicità nei misfatti di Rachel con del buon sesso, ma la storia finì verso metà Dicembre, serenamente e senza nessun risentimento.
Intanto, Drew ancora non le parlava. Rachel avrebbe voluto contattarlo, fargli sapere che era solidale con lui e disposta a perdonare le sue parole per essergli accanto. Ma non fece nulla. Drew si era comportato da perfetto stronzo con Nathan e Chloe, le aveva detto cose orribili e per il poco che lo vedeva a scuola, era diventato una specie di bullo dei più ignoranti. Quello che Rachel aveva da dirgli l'aveva già detto. Lui sapeva dove trovarla.
Più Natale si avvicinava e più tutti sembravano più nervosi. Suo padre passava sempre più tempo chiuso nel suo studio, contrariamente al passato evitava i discorsi di lavoro. Sembrava preoccupato, ma ogni domanda riceveva sempre la stessa risposta: “Va tutto bene tesoro. Non preoccuparti!”
Rachel e Rose sapevano solo che era alle prese con un grosso caso che riguardava lo spaccio di droga ad Arcadia Bay.
Anche Nathan era più nervoso e chiuso. Se Rachel lo cercava, lui tagliava corto e quando era lui a cercare lei lo faceva con una tale disperazione da diventare snervante. Grazie al lavoro nell'ufficio di Wells, Rachel scoprì che si erano moltiplicati gli episodi di bullismo contro di lui, durante uno dei quali si era ribellato fracassando una sedia sulla schiena di un suo compagno di squadra. Una letterina di papà Prescott accompagnata da un assegno gli aveva evitato la sospensione. Rachel immaginò un collegamento tra il comportamento di Nathan e la telefonata di Keaton che aveva origliato.
Per fortuna c'era Chloe!
Anche lei aveva motivi per essere nervosa, visto l’imminente matrimonio di sua madre, ma quando stavano insieme i rispettivi turbamenti sembravano svanire nel nulla. Per Rachel i momenti in cui riuscivano a stare solo loro due erano i migliori. In spiaggia, al faro, al Two Whales. Iniziarono a frequentare il diner anche quando Joyce era di turno e finalmente Rachel conobbe la madre di Chloe. Si rese conto di conoscerla già e di essere stata servita da lei diverse volte in passato. Sembrava così gentile e aveva uno sguardo pieno d’amore e… rammarico quando guardava Chloe. Vedere Chloe insieme ad un’amica sembrava renderla felice!
Un giorno presero un autobus per Bay City con la scusa di comprare un vestito a Chloe per il matrimonio, passarono invece la giornata a cazzeggiare, per finire a bere in una bettola sfruttando il documento falso di Chloe! Le raccontò che gliel'aveva procurato il suo spacciatore, un tizio di nome Frank che Rachel aveva sentito nominare di sfuggita dagli amici di Ruth. Quella ragazza era sempre in grado di sorprenderla, si sentiva ammirata e intimidita al tempo stesso. Chloe aveva sofferto come a Rachel non era mai accaduto ed era ancora in piedi, si era fatta più dura, ma anche più forte. Più libera, in un modo che Rachel non conosceva. Vandalizzare l'auto di David, per lei, era stato il primo vero passo nel mondo di Chloe Price, fuori dalla sua zona di comfort. Certo l'aveva fatto per Chloe, per darle un'occasione di sfogarsi e di rivalersi, ma anche per sé stessa. Quella fottuta immagine che il mondo aveva di lei... che suo padre l'aveva costretta a nutrire, Rachel doveva distruggerla. Se non poteva farlo apertamente, almeno l'avrebbe fatto in segreto. Lei avrebbe saputo la verità su chi era davvero.
Lei e Chloe.
 
-
 
Esistono giorni che vorresti saltare completamente, eliminarli dal calendario. Chloe avrebbe voluto non svegliarsi, rimanere in coma solo per quel giorno. Eppure in un altro momento, in un altro tempo, l'avrebbe apprezzato. Mancavano cinque giorni a Natale e nevicava. Arcadia Bay era spolverata di bianco. Dal suo letto, Chloe sentì le risate di qualche ragazzino in strada e ricordò. In giornate come quella, lei e Max correvano su e giù per Cedar Avenue, lanciandosi palle di neve, scrivendo cazzate col dito su cofani e finestrini delle macchine, progettando il loro pupazzo di neve.
Invece, quel giorno Chloe si alzò dal letto e iniziò pigramente a prepararsi. Quella notte David aveva dormito fuori casa, ma non perché Joyce l'avesse cacciato come Chloe sperava. La sera precedente era stata quella degli addii al celibato e nubilato, ma secondo il programma di Joyce, gli sposi si sarebbero incontrati direttamente in chiesa, così David aveva dormito da amici.
Chloe era stupita che ne avesse.
Quando uscì dalla sua stanza trascinando i piedi e le occhiaie, sua madre era già sveglia da ore e dalla sua stanza provenivano voci e gridolini eccitati.
Bleah!
Amiche di sua madre di cui Chloe avrebbe dovuto ricordare i nomi, con l'aggiunta di zia Dorothy e nonna Clem erano tutte ammassate in camera da letto, aiutando Joyce nella vestizione dell'abito bianco.
"Sposarsi sotto la neve! È così romantico!" disse qualcuno.
Chloe coprì quei suoni fastidiosi infilando gli auricolari dell'Ipod profondamente nelle orecchie, lasciando che una playlist metal a caso le rintronasse i timpani.
Cazzo, quanto le serviva una canna!
E una cassa di birre! Forse una bottiglia di JD.
Dopo la routine del risveglio tornò in camera per vestirsi. Insieme a Rachel avevano fatto un giro a Bay City, esplorando qualche negozio in cerca di un vestito adatto. Alla fine, però, tutto era andato a monte quando erano incappate in un Irish Pub lungo la strada.
Niente vestito, ma era meglio così.
Rachel ci aveva provato con tutta sé stessa. Una parte di Chloe avrebbe voluto essere carina per sua madre, ma ad una più grande non fregava assolutamente un cazzo! Chloe optò per un look aggressivo: canotta nera con la stampa di un teschio coronato di spine e rose (così magari avrebbe preso fuoco appena entrata in chiesa e si sarebbe risparmiata la cerimonia), jeans strappati, stivali anfibi logori ma cazzuti, con bracciali borchiati e un paio di anelli con teschi. Concluse il look con un berretto di lana blu. Guardandosi allo specchio approvò ciò che vide, ma mancava ancora qualcosa...
Fece per tornare a rovistare nel guardaroba, ma lo sguardo fu attirato da una giacca di pelle marrone appesa accanto alla porta. Chloe rimase immobile a fissarla.
La giacca di papà.
Ecco cosa mancava.
La indossò e si guardò allo specchio.
Stonava completamente con il suo look, era anche un po' troppo larga per lei. Era così calda. Chiuse la cerniera fino in cima, godendo la sensazione di morbidezza del tessuto e della leggera imbottitura. L'odore della giacca accompagnato da un vago residuo, forse immaginario, del dopobarba di suo padre. Era come abbracciarlo di nuovo. Era un po' strano come pensiero, ma nel giorno in cui sua madre sposava un altro, aveva bisogno che William le fosse accanto. Aveva bisogno del suo abbraccio, di sentirsi nuovamente al sicuro e amata come quando era ancora vivo. Inoltre, nessuno doveva dimenticarsi di lui. Sua madre non doveva dimenticare, anche se stava facendo di tutto per lasciarselo alle spalle. Chloe non l'avrebbe permesso.
Mai.
 
Qualcuno bussò alla sua porta mentre ancora si fissava allo specchio.
"Chloe? Sei pronta? Dobbiamo andare!" era la voce di zia Dorothy.
Senza aprire bocca aprì la porta. La sua prozia era sempre stata una signora curatissima, soprattutto quando si trattava di cerimonie ufficiali. Di poco più giovane di sua nonna, i capelli cotonati e innaturalmente biondi, sembrava un confetto rosa. La squadrò dalla testa ai piedi, rivolgendole uno sguardo a metà fra disappunto e imbarazzo: "Ehm... Chloe, ma non mi sembra il modo giusto di vestire per un matrimonio..."
Lei fece spallucce e la superò senza dire niente. In quel momento Joyce fece capolino dalla sua stanza, con le damigelle al seguito. Si videro ed entrambe rimasero immobili, lo sguardo fisso l'una sull'altra, per motivi molto diversi.
La prima cosa che Joyce vide fu la giacca. Il sorriso che aveva stampato fino a poco prima le morì sul viso, gli occhi si spensero, le sopracciglia si incurvarono. Fu come in quei giorni di sole, quando tutto è caldo e radioso, finché non arriva una nube solitaria. La luce diventa di colpo ovattata, il calore svanisce e cominci a domandarti se non pioverà presto. E alcune lacrime iniziarono ad accumularsi negli occhi celesti di Joyce, minacciando di straripare e rovinare il suo trucco perfetto.
Chloe invece ebbe come un'apparizione. Il vestito bianco avvolgeva sua madre, lasciandole scoperte le spalle. Era un vestito semplice, ma elegante e sembrava addirittura comodo. Come una perfetta cornice per l'animo pratico, materno e amorevole di sua madre. Nonostante tutto, Chloe non poté evitare di trovarla bellissima.
Mentre zia Dorothy, nonna Clem e la combriccola delle damigelle imboccavano le scale commentando fra loro quanto Chloe fosse fuori luogo, Joyce si avvicinò lentamente a sua figlia.
"Ti sta bene..." le parole uscirono in un sussurro dalle labbra di Joyce, mentre sistemava distrattamente la giacca indosso a sua figlia.
"G-grazie..." rispose Chloe distogliendo lo sguardo. In quell'istante si pentì di aver indossato la giacca di William "Anche... anche tu stai bene..." aggiunse come per rimediare.
"Grazie..." disse Joyce, superando sua figlia e scendendo cautamente le scale, per non inciampare nella gonna "Andiamo o faremo tardi..."
Chloe rimase dove si trovava, fissando sua madre allontanarsi. Istintivamente chiuse le braccia intorno a sé, afferrando lembi di pelle delle maniche come faceva da bambina, quando si aggrappava alle forti braccia di suo padre.
"Non vogliamo fare tardi..." sussurrò fra sé.
 
-
 
Chloe si sentiva come un buco nero, solo che invece di risucchiare tutta la materia per spararla chissà dove nel continuum spaziotemporale, lei risucchiava il buonumore. Non ci volle molto perché tutti iniziassero a starle alla larga, sia i suoi parenti che quelli di David. Non erano poi molti né da una parte né dall'altra, ma comunque troppi per i suoi gusti. Un tempo era stata un piccolo terremoto pieno di gioia e speranze. Tutti la ricordavano così, nessuno la riconosceva più. Molti non la vedevano da anni, la ricordavano con i capelli lunghi e un sorriso stampato sul volto, sempre a correre in giro con Max. Ora la trovavano capelli corti, faccia incazzata e il teschio di Gesù Cristo stampato sulla maglietta. In chiesa. Inutile accennare agli sguardi terrificati dei genitori di David, gente del sud come la famiglia di Joyce, ma forse ancora più a sud e molto più semplici.
Chloe vide il paggetto, un ragazzino brufoloso con capelli neri corti, tutto fiero di vestire una sottospecie di smoking e di portare gli anelli agli sposi. Doveva essere un suo nuovo cugino acquisito… non che le fregasse un cazzo comunque. Dalla sua postazione in piedi, in fondo alla chiesa, meditò di rubargli le fedi, fuggire dalla chiesa e gettarle nel primo tombino che avesse trovato.
Non lo fece.
"Se qualcuno ha qualcosa da dire contro questa unione, parli ora o taccia per sempre!"
E Chloe avrebbe avuto così tanto da dire!
Avrebbe voluto gridare il suo "Io mio oppongo!" dal fondo della chiesa, per proseguire elencando tutte le ragioni per cui quel matrimonio era una fottutissima pessima idea.
Non aprì bocca.
C'erano così tanti modi in cui avrebbe voluto rovinare quella cazzo di cerimonia.
Eppure lo sguardo di sua madre...
Quegli occhi celesti, così pieni di devozione e di amore, sentimenti che le aveva sempre visto rivolgere a suo padre, ora erano puntati su David. E lui ricambiava quello sguardo. Joyce sembrava così autenticamente felice...
Tutti là dentro sembravano così felici.
Quando si scambiarono le promesse, Chloe uscì dalla chiesa tentando di non fare rumore mentre apriva la porta. La temperatura all'esterno era drasticamente più bassa, ma non nevicava più e il mondo era così piacevolmente silenzioso. Niente brusii commossi dei parenti, niente organo che suonava, niente chiacchiere altisonanti del Pastore. Solo un clacson lontano, il rombo di una macchina che passava nella strada davanti, il sibilo del vento e il suono delle onde dell'oceano oltre la strada. Fumò una sigaretta.
Quando gli invitati iniziarono ad accumularsi fuori, Chloe si fece nuovamente in disparte. Lo stesso paggetto di prima passò a distribuire manciate di riso a tutti. Quando la raggiunse, Chloe ringhiò e lui passò oltre, accelerando il passo. Di lì a poco Joyce e David uscirono dalla chiesa, dalle cui porte spalancate proruppe il frastuono dell'organo ingiustificatamente festoso. Furono bersagliati di riso mentre trotterellavano verso la macchina per recarsi al ricevimento, che si sarebbe tenuto a Rue Altimore, l'unico ristorante di Arcadia Bay a potersi definire di lusso.
Tutti iniziarono a correre verso le macchine per recarvisi, mentre una cacofonia di clacson e strilli eccitati sottolineava la partenza dell'auto degli sposi.
Chloe rimase in silenzio.
Mentre tutti piano piano se ne andavano, ignorandola, prese un'altra sigaretta. Si accorse con disappunto che era l'ultima. La accese ugualmente e la sua testa fu avvolta da una nuvola di fumo.
Non aveva nessuna fottuta voglia di andare a quel ricevimento. Doveva sparire, ma per andare dove? Rachel sarebbe stata la sua prima scelta, ma era partita per una fottuta vacanza con i suoi! Casa era fuori questione! L’ultima cosa di cui aveva bisogno era rimanere sola in compagnia della sua mente. Justin e Trevor… cazzo no! Se solo avesse avuto un po’ d’erba…
Erba…
Erba!!
Si rese improvvisamente conto che la chiesa distava solo pochi minuti dalla spiaggia in cui parcheggiava Frank. Stringendosi nella giacca di suo padre per ripararsi dalle stilettate di aria gelida, si incamminò.
 
-
 
Non era così scontato che Frank fosse lì, ma dopotutto era uno dei ‘suoi’ posti. Chloe ne conosceva solo due, la spiaggia e il parcheggio del Two Whales, dove per ovvi motivi non faceva affari. Frank odiava le improvvisate, ma a Chloe non fregava un cazzo. Frank abbaiava ma non mordeva. Almeno, non Chloe. Sperava!
La sigaretta finì troppo in fretta, così Chloe accelerò il passo. Stava davvero congelando là fuori, soprattutto le gambe. Le orecchie non avevano più sensibilità, probabilmente dovevano essere diventate viola o di qualche altro colore affine. Per fortuna, Chloe avvistò l’RV esattamente là dove sperava di trovarlo. Ora la questione era se Frank fosse solo e soprattutto se l’avrebbe fatta entrare!
A giudicare dalla musica metal che proveniva dall’interno, probabilmente Frank era in casa. Chloe rabbrividì mentre camminava, abbracciandosi da sola nel tentativo di aumentare il calore. L’aria gelida che proveniva dall’oceano alla sua destra si mescolava con gli odori del bosco di abeti, con un puzzo di spazzatura proveniente dai cassonetti e da altri rifiuti sparsi qui e là per terra.
Perché ad Arcadia Bay rispettiamo l’ambiente!
 
Rrrrrrrmmmmmmmm
 
Un messaggio.
L’ennesimo.
Il cellulare aveva cominciato a vibrare una decina di minuti dopo che aveva lasciato la chiesa. Da allora ad intervalli regolari sentiva la chiappa sinistra tremarle per quelli che dovevano essere sms di sua madre.
Non avrebbe risposto.
Fanculo!

Chloe lanciò uno sguardo verso la spiaggia imbiancata di neve, il cielo altrettanto bianco e informe la sovrastava. Chloe aggirò il camper e raggiunse la porta. Sospirò battendo i denti, mentre allungava un pugno per bussare.
Merda… la giacca di papà era troppo leggera…
KNOCK! KNOCK! KNOCK!
Qualcosa si mosse all’interno. Qualcos’altro cadde. Un’imprecazione. Borbottii incazzati.
Chloe si fece indietro di qualche passo, quando la porta dell’RV si spalancò.
Frank era sulla soglia, avvolto in un pesante cappotto invernale che gli arrivava a metà delle cosce. Le gambe erano nude come i piedi che calzavano un paio di infradito con una microscopica bandiera del Brasile. I capelli scompigliati, una bottiglia di birra a metà nella mano destra.
“Price?!” esclamò stupito Frank “Hai i miei soldi?”
“Buongiorno anche a te Frank… e ovviamente non ho i tuoi soldi.” Rispose Chloe con un sorriso imbarazzato.
“Allora vaffanculo!” La porta si richiuse. Lasciando Chloe esterrefatta.
KNOCK! KNOCK! KNOCK! KNOCK!
“Dai Coso!! È una giornata di merda e si congela qui fuori!” disse Chloe implorante.
“Non sono cazzi miei!” fu la risposta dall’interno.
“Che per caso sei nudo sotto quel cappotto? O hai un accappatoio tipo Grande Lebowski??” lo sfotté.
“Gesù Cristo! Te ne vuoi andare? Non tornare senza i miei soldi!”
“Se non mi fai entrare morirò qui fuori e non ti ripagherò mai. Sento già l’ipotermia, temo che perderò le dita dei piedi!”
Un ringhio lamentoso giunse in risposta, rumore ovattato di passi e la porta si riaprì.
“Sei peggio delle piattole!” disse Frank senza nemmeno affacciarsi.
“Tu le conosci bene vero?” replicò Chloe superando la soglia, venendo investita dal calore insieme all’odore acre di sudore rancido, marijuana e chili.
“Chiudi quella cazzo di porta Price!”
“Ok ok… che cazzo…” bofonchiò Chloe mentre eseguiva.
Non che fosse un’assidua frequentatrice del camper di Frank, in realtà ci era entrata giusto un paio di volte prima di allora, ma faceva più schifo del solito. L’aria era pesante, quasi densa. Sui fornelli sporchi c’era una marmitta piena di chili, piatti sporchi accumulati da giorni nel lavandino, riviste, tovaglioli sporchi per terra, e la musica a tutto volume era davvero assordante. Frank fortunatamente non era né nudo, né indossava un accappatoio. Dopo aver depositato il giaccone invernale, l’uomo rivelò un paio di bermuda arancioni con palme gialle e una maglietta di Joe Satriani. Era seduto al posto di guida, una canna accesa appoggiata sul cruscotto.
“Quindi che vuoi? Se cerchi erba scordatela! Prima mi paghi gli arretrati! Mi devi ancora i soldi del documento falso!” ringhiò Frank prendendo un sorso dalla bottiglia.
“Lo sai che sono povera!” disse Chloe cercando un posto meno sporco dove sedersi “Sei un ospite di merda comunque. Una fanciulla bisognosa bussa alla tua porta e neanche le offri niente…”
“Non faccio beneficenza…” grugnì Frank “Ed ero impegnato comunque.”
“A farti le seghe?” Chloe si sedette sul sedile passeggero spostando col piede un cartone della pizza risalente a chissà quando.
“Fottiti!” Frank appoggiò la birra.
“Fai come i dodicenni? Metti la musica a palla per non far sentire che te lo stai menando??” continuò a provocare Chloe sghignazzante.
Frank ringhiò e senza dire nulla afferrò la canna dal cruscotto e fece un lungo e soddisfacente tiro, soffiando poi la nuvola di fumo verso l’alto.
Chloe guardò lo spinello colma di desiderio. Il fumo passivo non era sufficiente, doveva convincerlo a condividerlo con lei.
“Sei proprio una tossica del cazzo.” Disse Frank accorgendosi di quello sguardo.
“Dai amico, l’erba è fatta per essere condivisa!” disse Chloe.
“E pagata” Frank prese un altro tiro, sbuffando un paio di anelli di fumo imperfetti.
“Ti ripagherò, lo giuro!”
“Sempre la stessa storia vero Price?”
“Dai Frank, è stata una giornata davvero di merda. Ne ho bisogno…”
“Voi marmocchi vi credete tutti di essere i più sfigati dell’universo vero? Non vi manca un cazzo ma state sempre a lamentarvi di qualcosa…” borbottò Frank.
“Mia madre si è risposata…” sbottò Chloe, improvvisamente seria.
L’uomo rimase in silenzio per un attimo con un sopracciglio inarcato: “Joyce?”
“L’ultima volta che ho controllato era quello il nome di mia madre…”
“Oh merda…” sghignazzò Frank “Con quel cazzone coi baffi?!”
Chloe annuì “E tu che ne sai?”
“L’ho visto bazzicare al Two Whales…”
“Giusto…”
“Beh… falle gli auguri da parte mia!” disse Frank sollevando la bottiglia di birra.
“Frank, ho mollato quel cazzo di matrimonio perché ero lì lì per dare fuoco alla chiesa e sacrificare il paggio sull’altare. Questa cazzata mi sta mandando fuori di testa, per favore… condivideresti un po’ della tua fantastica erba con me?” Chloe era stanca, l’ultima cosa che voleva era implorare, ma se necessario l’avrebbe fatto. Voleva svanire!
Frank la fissò senza dire nulla per una decina di lunghissimi secondi, poi afferrò la canna e gliela porse: “Tieni drogata del cazzo… ma te la metto in conto!”
“Come ti pare…” Chloe ebbe un sussulto di energia e si raddrizzò di colpo afferrando avidamente lo spinello e portandolo alla bocca senza esitazioni. Il fumo le fece effetto prima ancora di penetrarle nei polmoni, il solo fatto di stringere il suo premio fra le dita fu sufficiente.
Eccola lì.
Quella sensazione.
Il formicolio all’interno del cranio.
I muscoli che si rilassano di colpo.
Un fumoso sospiro di sollievo.
Rrrrrrrrrrmmmmmmmmmm
Un altro messaggio. Stavolta non provò fastidio.
L’erba aveva già avvolto la sua amigdala in una piacevole coperta di torpore.
Quel fottuto cellulare avrebbe potuto vibrare in eterno per quel che la riguardava.
Chloe non era in casa.
Chloe stava sulla rampa di lancio per un viaggio interstellare!
Prese un tiro troppo lungo che le bruciò in fondo alla gola. Restituì con un paio di colpi di tosse lo spinello e Frank prese una rapida boccata prima di restituirlo a Chloe.
“Birra? Chili?” offrì l’uomo, improvvisamente ospitale.
“Solo birra!” disse Chloe.
Frank si alzò e si diresse verso il frigorifero, da cui recuperò una bottiglia che aprì contro il bordo del lavandino prima di porgerla a Chloe.
“Sei proprio incasinata Price.” Le disse solennemente beffardo.
“E’ per questo che mi ami!” scherzò Chloe.
“Vaffanculo. Drogati e stai zitta!”
 
-
 
Joyce
  • Chloe dove sei finita?
  • Chloe per favore rispondi!
  • Ci risiamo?
  • Chloe?!
  • Non puoi fare così!
 
-
 
David
  • Chloe perché non rispondi a tua madre?
  • Dove sei finita?!
  • Stai rovinando il matrimonio di tua madre.
  • Se non rispondi subito chiamerò la polizia.
Chloe
  • Che palle! Sono viva e sto bene!
David
  • Dove sei?
Chloe
  • A casa!
David
  • Bene, se non ti troveremo lì al nostro ritorno sarai in punizione!
  • Se io o tua madre chiamiamo tu rispondi. È molto semplice soldato.
Chloe
  • Non mi risulta di essermi arruolata. Ora lasciatemi in pace tutti e due.
David
  • Non ti permettere di parlarmi così
  • Non è finita.
Chloe
  • Come ti pare
 
***********************
 
Quel Natale, Arcadia Bay rimase senza neve.
Le temperature scesero così tanto che le strade si ghiacciarono. Un giorno Chloe scese in cortile e si rese conto che l'erba si spezzava sotto i suoi piedi. Quella che sembrava brina era in realtà un sottile strato di ghiaccio vetroso. Tra alberi morti, erba ghiacciata e venti gelidi, Arcadia Bay sembrava fosse stata strappata dal mondo reale e trasportata in qualche altro posto. Narnia probabilmente.
Rachel non c'era, migrata in Nevada da alcuni parenti di cui Chloe sapeva poco o nulla. Certo, si scrivevano, ma non era la stessa cosa.
Le mancava...
 
Joyce e David partirono per una vacanza a Vancouver. Quella città era fondamentalmente un'estensione di Portland, con la differenza che si trovava oltre il confine di stato. Giusto per poter dire "non siamo più in Oregon!" e fingere di aver fatto un vero viaggio. I soldi non è che permettessero molto di più, comunque. Non fu una vera luna di miele, dissero che era un "primo assaggio" e che avrebbero recuperato in estate.
Tra il clima glaciale, l'assenza di Rachel e qualsiasi forma di stimolo, la partenza di sua madre e dell'ormai formalmente acquisito patrigno poteva essere la sola nota positiva. Se non fosse che nessuno si fidava a lasciare Chloe da sola! Dopo il matrimonio, Joyce chiese a zia Dorothy di rimanere a prendersi cura della casa. Che tradotto significava tenere d'occhio Chloe.
Chloe non conosceva bene Zia Dorothy, del resto si faceva vedere solo nelle occasioni speciali. Tipo matrimoni... o funerali. Fin da piccola aveva associato il suo nome al fortissimo e pungente odore alcolico di un profumo sottomarca. Non era mai riuscita a capire quale fosse l'aroma in cui si faceva la doccia, sapeva solo che era così dolce da essere nauseante. Però, Chloe scoprì in quei giorni, Dorothy cucinava piuttosto bene. Non quanto Joyce, ma il suo era un altro livello.
Comunque, Chloe passò la maggior parte del tempo fuori casa. I giorni tra il matrimonio e la Vigilia di Natale li trascorse tra il faro e la spiaggia, anche se Frank aveva spostato il suo camper e quindi non poté scroccargli altra erba. Justin e Trevor erano stati sequestrati dalle rispettive famiglie ed Eliot non faceva che proporle di passare una parte delle feste con lui, da sua madre. Chloe era così disperata che per alcuni momenti ci pensò seriamente. Era pur sempre un'occasione di lasciare Arcadia Bay per un po'. Alla fine optò per rubare una bottiglia di JD da Tony e scolarsela nel vecchio rifugio pirata. Questa volta riuscì a salire la scala senza precipitare, ma non ne valse la pena. Coperte e cuscini che lei e Max avevano lasciato erano marciti, come i disegni e le foto che avevano appeso dappertutto. L'umidità aveva imbarcato le pagine di alcuni vecchi libri conservati in un angolo. "Le Avventure del Corsaro Nero"... quello era tra i preferiti di Max. Delle numerose scritte e disegni con cui avevano decorato le pareti, solo una risultava ancora leggibile:
Yo Ho, Yo Ho, a pirate's life for me
We pillage, we plunder we rifle and loot
Drink up me hearties, yo ho
We kidnap and ravage and don't give a hoot
Drink up me hearties, yo ho
Yo Ho, Yo Ho, a pirate's life for me
We extort, we pilfer we filch and sack
Drink up me hearties, yo ho
 
Il Natale faceva schifo.
Dietro tutte quelle facce contente c'è solo nostalgia, rimpianto, la consapevolezza di un altro anno che se ne va, insieme a tutte quelle cose che non torneranno mai più.
Ognuno ha le sue.
Chloe ne aveva più degli altri.
 
Joyce e David tornarono la mattina della Vigilia e zia Dorothy si fermò quell'ultima notte per poter festeggiare il Natale con loro. Chloe ricevette cinquanta dollari in regalo, con grande disappunto di David e Joyce, timorosi che sarebbero stati spesi in droghe.
Ovviamente avevano ragione!
Joyce le regalò un set di trucchi. Chloe non riuscì a capire quale fosse il messaggio. "Fai cagare quindi meglio se ti trucchi" ?
David non le regalò un cazzo.
Meglio così!
 
Per cominciare a risparmiare per la vera luna di miele, David prese dei turni extra durante le feste, cosa che lo tenne gioiosamente fuori casa più tempo del previsto. Joyce invece si prese delle ferie, sotto pressioni di David. Chloe lo sentì dire "Sono ufficialmente l'uomo di casa ora!". Per poco non vomitò.
Continuò a stare lontana.
Da Tony sparirono un altro paio di bottiglie.
 
Finché venne il giorno tanto atteso.
 
Rachel
- Hey Price! Sono tornata dalle montagne e ho fottutamente bisogno di te!
 
Ricevere questo genere di messaggi era sempre bello per Chloe.
 
Chloe
- Hai incontrato il Bigfoot?
 
Rachel
- In Nevada sono estinti!
- Adesso però smetti di fare qualunque cosa e vieni davanti al Two Whales!
- Ho un piano!
 
Chloe
- Sono già lì!
- Che piano?!
 
Rachel
- Vedrai...
 
Quando si incontrarono di lì a poco, Rachel le balzò al collo avvolgendola in un abbraccio. Chloe impiegò qualche secondo a capacitarsene e restituirlo. "Mi sei mancata! La prossima volta andiamo insieme!"
Chloe amava quel modo così naturale di fare progetti, tipico di Rachel. Non importava se davvero avrebbero fatto tutto quello che dicevano. Chloe sapeva che in quei momenti Rachel era fermamente sincera. Le scaldava il cuore sentirsi così... desiderata. Tuttavia, rischiò l'infarto quando Rachel tirò fuori dalla borsa un pacco di carta blu infiocchettato con nastri argentati.
Un regalo!
Rachel le aveva fatto un regalo!
E Chloe invece no...
Era così presa a sentirne la mancanza e sbronzarsi che non aveva pensato neanche per un secondo di prenderle qualcosa! Che cosa poteva regalare comunque a Rachel Amber? Cosa poteva desiderare che non avesse già?
Di fronte ad una cioccolata calda, sedute nella loro postazione al Two Whales, Chloe scartò il regalo. Era una maglietta bianca con l'immagine di un corvo nero ad ali spiegate su un sole rosso.
"L'ho vista e mi sei venuta in mente tu." disse Rachel con il mento posato dolcemente fra i suoi palmi, mentre gustava la sua espressione di felice sconcerto.
"Come mai ti sono venuta in mente?" chiese Chloe mentre immaginava di indossare il suo regalo.
"Mmmmh... ho pensato che il corvo un po' ti rispecchia!" spiegò Rachel.
Chloe alzò lo sguardo con un'espressione perplessa.
"Perché mi vesto di nero, ho una voce fastidiosa e quando mi vede la gente pensa alla morte?" chiese Chloe ironica.
Rachel sghignazzò: "No! Perché sei uno spirito libero, elegante, intelligente e incredibilmente affascinante."
Chloe rimase un istante a bocca aperta prima di riuscire a parlare: "Pffh... devo ammetterlo, sai come adularmi!" scherzò.
"Non ti sto adulando. Sono totalmente sincera!" replicò Rachel con una strana solennità. Chloe si trovò a fissare in quegli occhi felini color nocciola. Rachel le sorrideva, con una calda e intima gentilezza. Un'espressione che Chloe non riusciva a decifrare e cui non sapeva come rispondere. Le sue guance arrossirono vistosamente.
"Ora muoviti a finire la tua cioccolata! Ho dei programmi per la nostra giornata!" esclamò Rachel.
 
Quei programmi comprendevano il furto di alcol, ma Chloe propose di evitare Tony. L'aveva svaligiato un po' troppo e il vecchio proprietario si stava insospettendo! Optarono per un piccolo emporio ai confini meridionali di Arcadia Bay, dove trovarono casualmente anche il secondo ingrediente per i piani di Rachel: fuochi d'artificio! Far saltare in aria la merda è una delle uniche forme di intrattenimento ad Arcadia Bay.
Un po' ne comprarono, un po' ne rubarono.
Trascorsero il pomeriggio al faro, Rachel le raccontò della bellezza dei monti del Nevada, di quanto fosse sorprendentemente viva Reno, dove abitavano i suoi nonni, e di una mezza dozzina di locali fighissimi in cui avrebbe voluto portarla. Guardarono l'oceano in burrasca sotto di loro, fumarono e divisero una bottiglia di birra.
Quella sera, quando Chloe tornò a casa, cominciò subito la ricerca di qualcosa da regalare a Rachel! Anche se lei l'aveva rassicurata in ogni modo che non doveva ricambiare, Chloe non poteva evitarlo. Ma che cazzo poteva regalarle? L'indomani si sarebbero riviste per festeggiare Capodanno... aveva i cinquanta dollari di Zia Dorothy... poteva effettivamente cercare Frank e comprarle una bella scorta di erba! No... era troppo triste.
Cosa fare, cosa fare??
Rachel si meritava qualcosa di bello, qualcosa di speciale...
Chloe si trovò a rovistare nel suo guardaroba senza nemmeno pensarci. Una parte subconscia di lei probabilmente pensava che fosse una buona idea ricambiare una maglietta con una maglietta.
Di colpo ne vide una. Era nera con la sagoma di una cerva e la scritta "JaneDoe" sul petto. Rachel le aveva detto che amava i cervi giusto? O l'aveva immaginato? Chloe non lo sapeva, ma sapeva che quella maglietta sarebbe stata molto meglio a Rachel che a lei! Un vago ricordo si insinuò tra i suoi pensieri, l'immagine di una maglietta identica a quella, ma rosa e con disegno e scritta bianchi. Quella maglietta un tempo era stata sua, ma la perse per scommessa. Ora si trovava da qualche parte a Seattle. Probabilmente...
Chloe decise!
Jane Doe sarebbe stata il regalo per Rachel.
Non aveva carta da regalo o nastri, così improvvisò con giornali vecchi e scotch. Sperò che Rachel apprezzasse il pensiero. Non era granché con gli art attack!
 
Il pomeriggio seguente, Chloe e Rachel si incontrarono di nuovo.
"Non dovevi Chloe!" fu l'ovvia reazione di fronte al regalo. Nessun commento sulla confezione. Lo sguardo felice di Rachel mentre la disfaceva era impagabile e divenne ancora più prezioso quando vide la maglietta.
"Chloe è bellissima!" esclamò portandosela al petto, tenendola all'altezza delle spalle.
"Davvero?"
"Certo! È adorabile! Dove l'hai trovata?"
Chloe distolse lo sguardo in imbarazzo.
"E' mia, siccome mi dici sempre che ti piace il mio stile... ho pensato di condividerne un pezzetto con te!" balbettò, rendendosi conto solo alla fine delle immense cazzate che aveva detto. Ma Rachel non la pensava così. Rachel sembrava quasi commossa.
"Penso sia il regalo più dolce che qualcuno mi abbia mai fatto!" le disse un istante prima di balzare in avanti e depositare un morbido e umido bacio sulla guancia di Chloe. Prima che potesse capacitarsene Rachel continuò:
"Stasera dobbiamo assolutamente indossare i nostri regali!"
"Saranno sepolti sotto una dozzina di strati di vestiti e cappotti lo sai?" scherzò Chloe.
"Non importa, noi sapremo che sono lì!"
 
E così fecero.
Quella sera si recarono in spiaggia, dove molti altri si erano radunati per festeggiare l'inizio del nuovo anno. Un momento per lasciarsi alle spalle il passato e abbracciare il futuro con speranza. Almeno per gli altri. Non per Chloe.
Chloe non guardava più al futuro con speranza. Non vedeva più un futuro da un bel po'. Eppure, forse, questa volta poteva azzardarsi a dare una sbirciatina. Rachel al suo fianco lo rendeva possibile. Lo rendeva desiderabile.
 
Alcuni falò erano stati accesi, gruppi di estranei si scaldavano nei loro pressi con birre e panini. Rachel e Chloe si mescolarono distrattamente a loro. Alcuni botti iniziarono a esplodere qui e là, echeggiando nell'oscurità notturna. Chloe e Rachel trovarono un secchiello abbandonato e lo usarono per fare un esperimento scientifico. Misero un piccolo candelotto sotto di esso e scapparono, per vedere se sarebbe finito in mille pezzi oppure sarebbe decollato nella notte come un razzo. Il secchiello fu dilaniato dall'interno, con grande soddisfazione di Chloe e Rachel, che andarono in cerca di altri "soggetti" per i loro esperimenti.
 
Infine arrivò il countdown.
Rachel si strinse a Chloe in un abbraccio laterale, mentre guardavano a distanza di sicurezza nella direzione in cui si sarebbero levati i fuochi d'artificio. Il corpo caldo e minuto di Rachel premuto contro il suo generava ambigue sensazioni in Chloe. Arrivò la mezzanotte, i razzi partirono fischiando, accompagnati da grida festanti.
Il volto di Rachel era il ritratto della felicità. Completamente spensierata. Chloe si trovò a fissarla con ammirazione, mentre le luci viola, verdi, rosse e gialle delle esplosioni nel cielo la illuminavano di toni cangianti. Riflettevano galassie nei suoi occhi, supernove nelle sue pupille. Fu quella sera, per la prima volta, che Chloe desiderò di baciarla.
Un pensiero fugace, come arrivò svanì e Chloe ironizzò con sé stessa su quanto fosse gay quel momemnto. E forse lo era, ma soprattutto era anche il momento più sereno da più di un anno. Tutto in lei vibrava di un'energia nuova.
Nei primi minuti del 2010, illuminata da esplosioni di luce colorata, Chloe si sorprese a sorridere di nuovo al futuro.
 
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Rachel
  • Facciamo un gioco!
Chloe
  • Quando dici così mi sembri Saw l’Enigmista…
  • Un po’ inquietante!
Rachel
  • LOL
  • Non pensavo che qualcosa potesse inquietarti!
  • Indovina un po’ chi suonerà ad Arcadia Bay il mese prossimo???
Chloe
  • Mmmm…. Un indizio?
Rachel
  • Sarebbe troppo facile!
Chloe
  • Mezzo indizio?
Rachel
  • Lo usi per farti le canne!
Chloe
  • Bong? Suonano i Tenacious D col Bong del Destino???
Rachel
  • Cretina!!
  • Con cosa lo accendi il bong?
Chloe
  • L’accendino…
  • Fuoco…
  • FIREWALK???
Rachel
  • Lo dicevo che era troppo facile!
Chloe
  • Cazzo i Firewalk!!!!
  • Dove! Quando?!
Rachel
  • Non si sa ancora
  • Lo faranno sapere solo il giorno stesso perché sarà un evento molto underground
  • E io e te ci saremo!
Chloe
  • Ovvio che ci saremo!!
  • L’anno scorso mi sono persa il loro concerto a Salem… ho bestemmiato per mesi…
  • In realtà non ho ancora smesso!
Rachel
  • Non fermarti per colpa mia!
  • Ti farò sapere dove e quando sarà!
Chloe
  • Ma tu come fai a saperlo??
Rachel
  • Una ragazza ha i suoi segreti!
Chloe
  • Stronza!
Rachel
  • Tanto!!
 
-
 
Per tutto gennaio la neve era caduta con regolarità, fino a trasformarsi in pioggia verso la fine del mese. Questo è l'Oregon occidentale, pioggia, umidità e nebbia. Ma non quel giorno.
Era il primo venerdì di febbraio ed era stata la prima giornata di sole da settimane. Sembrava che anche il tempo sapesse. Quel giorno suonavano i Firewalk.
Chloe lesse il messaggio di Rachel che l'avvisava, indicandole il luogo in cui si sarebbero trovate con alcuni amici che avrebbero dato loro un passaggio fino al Vecchio Mulino. L'entusiasmo di vedere i Firewalk con Rachel superò di gran lunga la perplessità per la presenza di intrusi, seppur utili come taxi, e l'ansia di recarsi nel luogo più malfamato di Arcadia Bay. Non importava comunque, del resto già la gente la considerava una tossica e una delinquente, compresa sua madre. Forse era giunto il momento di cominciare a frequentare i suoi simili!
La cosa intrigante era che Rachel frequentasse quel luogo.
A sentir lei non era la prima volta che ci andava, cosa che la rendeva ancora più interessante. Si chiese come fosse possibile che non avessero legato prima. Forse perché era troppo impegnata a pensare a quello che aveva perso per potersi accorgere di ciò che poteva ancora avere...
Chloe si vestì adeguatamente per l'occasione: i jeans strappati della festa con fratture strategiche su cosce e ginocchia, maglietta rossa "City on Fire" perché ai concerti dei Firewalk il tema è il fuoco (ovviamente!), felpa nera con cappuccio sotto la giacca di pelle, berretto nero di lana per proteggere i neuroni rimasti dal freddo, un tot di braccialetti borchiati e collane aggressive.
Chloe sgattaiolò dalla finestra per non dare spiegazioni e raggiunse ad ampie falcate l'incrocio tra Maple Street e Pine Avenue. Qui avvistò il pick-up verde di cui le aveva scritto Rachel. Il colore era più tendente al grigio, la vernice scrostata in più punti e vetri che non vedevano un lavaggio da molto tempo. Chloe lo amò a prima vista!
Seduto al posto di guida c'era un tizio con baffi scuri a ferro di cavallo che le lanciò uno sguardo da "Che cazzo vuoi?". Pessima prima impressione: baffi e sguardo torvo? Troppo simile a David...
Solo avvicinandosi di più Chloe notò che Rachel era seduta sul pianale, chiacchierando e ridendo con altre due ragazze goth-punk.
“Chloe!” appena Rachel la vide le balzò al collo abbracciandola.
Woah!
Quell’abbraccio durò un po’ più del previsto. Rachel si allontanò e fece le presentazioni.
“Chloe, lei è Lily…” disse indicando la ragazza più alta e dai capelli di platino.
“Mi piace il tuo taglio!” disse Lily mentre le stringeva la mano.
“Grazie! Anche a me il tuo! Il colore non è naturale vero?” chiese ingenuamente Chloe.
“Direi di no!” sghignazzò Lily “Non sono tinti, sono solo molto schiariti!”
“E lei è Claudia!” Rachel proseguì indicando l'altra ragazza, leggermente più alta di Rachel, con capelli nerissimi e pelle vampirica.
“Molto piacere! Rachel ha parlato molto di te!” disse Claudia offrendo una salda stretta di mano.
“Davvero?” Chloe corrugò la fronte per lo stupore.
“In modo imbarazzante!” sottolineò Lily con un ghigno.
“Hey, delle cose belle non si parla mai abbastanza!” replicò Rachel.
Chloe sentì le guance avvampare.
Bella? Lei?
Rachel la trovava bella??
Anche Chloe, doveva ammetterlo, la trovava sempre più attraente.
A Chloe fu presentato anche Truman, il baffuto al volante, che le rivolse un sorriso abbozzato e un grugnito. A guardarlo meglio sembrava più una fusion tra David e Frank. Dopo le ripetute lamentele di Truman sulla lentezza delle donne e il ritardo apocalittico che avevano, il gruppo salì a bordo e il pick-up partì, brontolando dietro di sé una nuvola di fumo nero troppo densa per disperdersi nell'aria, così pesante da depositarsi sull'asfalto in una soffice discesa.
 
-
 
Contrariamente a ciò che Chloe sperava, non viaggiò accanto a Rachel. Si trovò sul sedile davanti stretta fra Truman e Lily, mentre Rachel e Claudia erano finite a viaggiare nel pianale, avvolte in pesanti coperte come sacchi di merce. Una finestrella aperta dietro la nuca di Chloe facilitava le comunicazioni, ma l'aria fredda le si abbatteva direttamente sul collo, costringendola a sollevare il cappuccio per proteggersi.
Il mezzo uscì rapidamente dalle stradine ortogonali di Arcadia Bay, immettendosi sulla Highway 101, seguendola per una ventina di minuti. Chloe ebbe una reminiscenza del suo tentativo di fuga, quando per percorrere quel tragitto ci aveva impiegato ore a causa dello zaino pesante sulle sue spalle e del suo fisico totalmente inadatto agli sforzi prolungati. Se avesse avuto una macchina allora…
Per alcuni minuti la conversazione fu un susseguirsi di "Da quanto conosci Rachel?", "Sei di Arcadia Bay?", "Adoro la tua maglietta!" e altre cazzate del genere. Chloe non era abituata ad essere un argomento di conversazione. Non in quel modo almeno!
Rachel la soccorse, raccontando di quel giorno al Two Whales in cui avevano sfidato la reciproca conoscenza musicale e Chloe l'aveva battuta. La conversazione si spostò quindi su territori più facili, come le band preferite, i concerti visti, quelli da vedere e così via. Se Chloe avesse potuto voltarsi avrebbe ringraziato Rachel per averla salvata da quella specie di interrogatorio, prima di strozzarla per averla messa in quella situazione.
I fari del pick-up illuminavano la strada senza lampioni, la Luna piena, circondata da un alone di foschia, splendeva in un cielo sgombro ma velato. Il distante gracchiare di un corvo era l’unico rumore al di sopra del vento. Truman svoltò a destra, immettendosi con sicurezza, forse troppa, in una strada sterrata che si inoltrava nei boschi. Il percorso era piuttosto accidentato, le sospensioni gemettero mentre il mezzo si inerpicava in salita.
“Dove cazzo stiamo andando a finire??” chiese retoricamente Chloe.
“Nel cuore malvagio di Arcadia Bay…” replicò Rachel molto vicino al suo orecchio. Il suo fiato mandò un brivido lungo la colonna vertebrale di Chloe. In modo piacevole...
Mentre Truman spiegava a Chloe di non guardare negli occhi nessuno e di non allontanarsi dal gruppo una volta arrivati, un lago apparve sulla destra della strada che ora lo costeggiava. Dall'altro lato era visibile un grande capannone di legno cadente, illuminato da luci colorate dall'interno e circondato da fari di macchine. Chloe posò lo sguardo sul Vecchio Mulino per la prima volta.
 
Trovare parcheggio non fu complicato, del resto ognuno metteva l'auto dove cazzo gli pareva. Per molti sarebbe stato difficile districare la macchina a fine serata, sempre che avesse avuto una fine.
Dall'interno del Mulino provenivano i suoni ovattati dei test tecnici, alcuni accordi di chitarra, "SA! SA! PROVA!", note di basso che facevano vibrare i vetri delle macchine nonostante la distanza e le mura. Il gruppo si mosse attraverso il labirinto formato dalle auto, passando accanto a piccoli gruppi di individui tatuati, vestiti perlopiù di pelle consunta e borchie, con i capelli dai tagli e colori più disparati.
"Terra chiama Chloe!"
Si rese conto che Lily la stava fissando con un cipiglio impaziente.
"Cosa?"
La ragazza sbuffò: “Abbiamo truccato Rachel ma non te…” disse Lily “Qui i minorenni non possono entrare.”
“Ho un documento falso” disse Chloe con una certa fierezza.
Truman si voltò verso di lei, improvvisamente interessato: “Fa un po’ vedere!”
Chloe lo squadrò un istante, poi tirò fuori la tessera d’identità. Truman la prese e gli diede uno sguardo attento.
“Wow… un lavoro di qualità! Ti sarà costato!” disse restituendola.
“Non così tanto…” disse Chloe sogghignando. Frank non sarebbe stato d’accordo…
“Quello dovrebbe funzionare anche con Thunder.” Disse Lily.
“Chi?” Chloe inarcò un sopracciglio.
“Il buttafuori del Mulino.” Spiegò Rachel.
“Che cazzo di nome…” ridacchiò Chloe.
“Abbastanza pretenzioso, ma non vorresti vederlo arrabbiato!” replicò Truman.
"Ma Ruth?" chiese Rachel "Non dovrebbe essere qui?"
"Penso sia nei paraggi. Oppure sarà già dentro. Ha detto che veniva con suo fratello che stasera sta al bar." spiegò Truman.
"La cerchiamo?" propose Claudia.
"Intanto avviciniamoci all'ingresso, la chiamo."
Mentre Truman portava il telefono all'orecchio, le ragazze lo precedevano. Uno spiazzo sgombro di macchine indicava l'area dell'ingresso, occupato da una folla frammentata che produceva un brusio di chiacchiere, risate e urla occasionali. Quella che sembrava l'entrata, una piccola porta che un tempo doveva essere un ingresso di servizio, era circondata da una calca di persone che aspettavano di entrare. Poco distante era parcheggiata una fila di Harley Davidson, ciascuna decorata con motivi personalizzati e unici. Un grande falò era circondato da persone che si avvicinavano ad esso come falene intorno ad un lampione. Falene che effettivamente volteggiavano a distanza di sicurezza, al sicuro dal fuoco ma non dai pipistrelli, che planavano fulminei, appena illuminati prima di rituffarsi nelle tenebre con la cena in bocca.
“Mamma impazzirebbe se sapesse che sono qui!” commentò Chloe perlopiù fra sé.
“E dove pensa che tu sia?” le chiese Rachel.
“Con Justin!” le ammiccò.
“E lui lo sa?” chiese Rachel.
“In realtà no, ma nessuno controllerà mai! E tu invece? Che scusa hai dato al signor Procuratore?”
“Pigiama Party in stanza da Kelly! Ormai è diventata la mia copertura ufficiale!” spiegò Rachel con un sorrisetto soddisfatto.
“Sei fottutamente metodica nell’infrangere le leggi!” scherzò Chloe.
“I migliori criminali lo sono!” replicò Rachel dandole un colpetto col gomito.
“Notizie di Ruth!” esclamò Truman per attirare l’attenzione “E’ già dentro e ci aspetta.”
Spostandosi dal falò, puntarono all’entrata sgomitando. L’enorme sagoma tatuata di Thunder bloccò loro l’ingresso. L’uomo era avvolto da un cappotto di pelle lungo che amplificava l’ampiezza delle spalle. Come se ce ne fosse stato bisogno. Salutò vigorosamente Truman e molto più gentilmente le ragazze.
“Ciao Jess!” fece un cenno in direzione di Rachel.
“Jess?” bisbigliò Chloe.
“E’ il mio nome!” ammiccò Rachel. Chloe emise un “Oh…” e annuì.
“E tu chi sei? Il suo ragazzo?” chiese incrociando le enormi braccia e socchiudendo gli occhi.
Lo sguardo di Chloe si indurì immediatamente: “Mi chiamo Chloe…” sibilò offesa.
“Oh scusa… il taglio di capelli mi ha ingannato…” commentò sarcasticamente Thunder “Hai un documento?”
“Che palle Thunder… ogni volta la stessa cazzo di storia…” bofonchiò Truman.
“Infatti! Sei tu quello che raccatta bambine e le porta qui, dove non dovrebbero stare!” replicò l’omone.
“Non sono una bambina, sono maggiorenne. Guarda!” disse Chloe facendosi avanti con il suo documento falso. Thunder la squadrò per un momento, prese il documento e lo osservò con attenzione. Lo sfregò un po’ tra le dita e poi si voltò, alzando la tessera verso la lampada sopra la porta per guardarla controluce.
“E’ fatto bene, te lo concedo!” esclamò mentre tornava a voltarsi “Ma come dicevo, questo non è posto per i bambini. Fatti un favore e sloggia…” disse gettando per terra il documento falso.
“Dai Thunder… falla finita. Ci conosci, perché devi fare sempre così?” protestò Rachel.
“Tu è meglio se non dici nulla ‘Jess’ o non faccio entrare neanche te…” ringhiò lui di rimando.
Chloe raccolse da terra la tessera e la rimise in tasca. Si fece ancora più vicina a Thunder, che inarcò un sopracciglio davanti al suo sguardo determinato.
“Che vuoi ancora?”
“Quella è la tua moto?” chiese Chloe indicando una Harley nera poco distante, il serbatoio decorato con un motivo floreale. Rachel inarcò un sopracciglio perplessa, esattamente come Thunder.
“Si…” rispose lui.
“E’… molto figa!” sorrise Chloe.
Thunder, sempre con le braccia incrociate, rimase silenzioso per un secondo ad elaborare la situazione prima di rispondere: “Wow… grazie! È tutto?”
E Chloe partì alla carica.
 
-
 
Lo sbalzo sensoriale fu drastico quando entrarono. Il calore e l'umidità li investirono appena varcata la soglia, insieme al chiasso di dozzine di voci che parlavano contemporaneamente. Chloe sentì un’iniezione diretta di entusiasmo solo a contatto con l’atmosfera del nightclub. Pareti e pavimento erano di legno logoro, ovunque c'erano graffiti, vecchie bobine di legno erano usate come tavoli, insieme a veri tavolini di plastica da giardino e tanto altro 'arredamento' di seconda o anche terza mano. L'aria era pregna di un incoerente miscuglio di odori e una nebbiolina fumosa aleggiava sulla folla, trasportando l’aroma di tabacco ed erba. La testa di un cervo sorvegliava il salone come un totem, i suoi occhi illuminati da lucine azzurre gli davano tono ironicamente inquietante.
Un cane abbaiava vicino all'ingresso, un pitbull grigio dall'apparenza feroce, trattenuto al guinzaglio da un energumeno in giacca di pelle, apparentemente uscito da GTA.
Chloe si trovò a fissare il timbro a forma di fiamma sul dorso della mano destra, simbolo che era ufficialmente autorizzata ad essere lì, mentre Rachel guardava lei. Tutto il gruppo guardava lei!
“Penso che si sia innamorato di te!” urlò Lily. Già, in mezzo a quel casino l’unico modo per parlarsi era urlando.
“Non è il mio tipo!” sghignazzò Chloe.
“Ma tu lo sai per chi lavora??” chiese Truman, ancora incredulo per come si era comportata Chloe.
“No! Dovrei?” replicò lei candidamente.
L’uomo rimase basito a fissarla per alcuni secondi, poi scoppiò a ridere e si allontanò: “Beata ignoranza…”
Con una serie di botta e risposta impertinenti, Chloe aveva convinto Thunder a lasciarla entrare. Rachel si era goduta lo spettacolo dapprima preoccupata, poi intrigata e infine incredula. Vedere l'enorme omone ammorbidirsi mentre Chloe lo sfotteva senza ritegno era stato uno spettacolo indescrivibile.
“Sei stata fantastica Chloe! Gli hai fatto il culo a strisce!” le disse Rachel avvolgendole un braccio intorno alla vita.
“Ho imparato da te!”
“Da me?”
“Ti ho osservata come intorti tutti a scuola. Sei tu la maestra!” sghignazzò Chloe.
“Pfff! Vero! Ma stasera mi hai totalmente battuta! La prima volta che sono venuta qui Thunder non voleva farmi entrare, non sa neanche il mio vero nome! È stato Truman a convincerlo.”
“L’importante è essere qui!” concluse Chloe.
 
Con il fiato sospeso, Chloe fu trascinata attraverso la folla da Rachel, camminando a gomiti larghi. Per qualche motivo le persone si accalcano sempre nei pressi delle uscite, ma una volta superata la barriera umana riuscirono a raggiungere il centro della sala, dove la gente era più diradata. Chloe intravide alla sua destra una macchina con il bagagliaio aperto, in cui erano esposte disordinatamente delle magliette dei Firewalk. Prese mentalmente nota di dare un’occhiata più tardi…
“Ruth!” sentì chiamare Truman. La mano di Rachel si serrò di nuovo attorno alla sua, tirandola verso il bancone del bar, dove trovò ad attenderli una ragazza dai tratti esotici in giacca di pelle con spalline borchiate, più o meno della sua statura, lunghi capelli neri oltre le spalle con striature verdi in corrispondenza delle tempie. Una stellina era disegnata sotto l’occhio destro.
Rachel le lasciò la mano per abbracciare calorosamente la ragazza. Sembravano conoscersi bene! Quando l’abbraccio si spezzò, Rachel si fece di lato:
“Ruth, lei è Chloe! Chloe, Ruth!”
La sua stretta di mano era energica ma educata allo stesso tempo. Insistette per offrirle il primo giro e Chloe accettò di buon grado. Le offerte di alcol sono il modo più rapido per legare con qualcuno! Specialmente con lei! Presto si trovarono tutti con una birra in mano, i vetri si scontrarono e presero un lungo sorso. Chloe sbatté la sua bottiglia sul bancone, sentendo la bevanda fresca e frizzante scivolarle nello stomaco in contrasto con il caldo umido dell’ambiente. Era a tutti gli effetti la prima volta che Chloe frequentava un posto come quello, il rumore cominciava a spostarsi sullo sfondo della sua percezione, rendendole più facile interagire con gli altri. Si sentiva decisamente a casa.
“Cazzo… avrei voluto vederlo!!” commentò Ruth mentre Rachel finiva di raccontare della sua impresa con Thunder “Hai due grosse ovaie per prendertela con uno come lui!” aggiunse poi nella direzione di Chloe.
Il gruppo si era diviso in due, da un lato Chloe, Rachel e Ruth, dall’altro Claudia, Truman e Lily, le cui chiacchiere venivano inghiottite dal chiasso circostante.
“Non è stata una gran cosa. Sembra uno che abbaia ma non morde!” gridò Chloe.
“L’ho visto anche mordere…” replicò cripticamente Ruth.
“Com’è il Community College?” deviò Rachel.
“Popolare!” scherzò Ruth “E’ il mio ambiente! Hella incasinato, ma è metà del divertimento! E poi sono abbastanza vicina per non perdere i contatti con nessuno! Sto reclutando persone per una manifestazione al porto di Arcadia Bay, contro la chiusura delle attività da parte dei Prescott. A proposito!” Ruth rovistò nella tasca interna della sua giacca e ne estrasse un foglio spiegazzato che consegnò a Chloe. Si trattava di un volantino con grafiche basilari in cui si spiegavano le motivazioni della manifestazioni “Se ti interessa combattere la distruzione dell’ambiente e dell’economia di Arcadia Bay potresti partecipare!” aggiunse.
“Grazie!” disse Chloe per cortesia. In realtà quel genere di cose non le importava, anzi, Arcadia Bay poteva anche svanire nel nulla. Ne sarebbe stata felice.
“Perdonami, ormai sono Hella lanciata nell’attivismo!” aggiunse Ruth con una risatina, come se avesse intuito i suoi pensieri “Fare proseliti è diventato un lavoro a tempo pieno!”
“Ci tieni davvero a queste cose? Non è che lo fai per i crediti universitari?” scherzò Chloe.
“Pfft! Beh, i crediti non fanno schifo!” replicò Ruth “Ma ci tengo davvero. Sono cresciuta in una riserva e con mio padre impegnato con la NACAO, praticamente sono addestrata fin dall’infanzia a combattere battaglie perse!”
“Ma se sono perse perché combattere?” chiese Chloe.
Ruth fece spallucce: “Perché la vita è strana e spesso le cause perse sono anche quelle più giuste! E poi odio i prepotenti e da queste parti i Prescott sono l’emblema della prepotenza! Senza offesa Rachel, so che Nathan è tuo amico…”
“Nessuna offesa! Penso che se superasse le sue paure sarebbe in prima fila contro suo padre!”
“Beh, su questo posso sintonizzarmi, anch’io odio i bulli!” disse Chloe.
“Sarai dei nostri allora?” chiese Ruth con una vibrazione di speranza nella voce.
“Ehm… non credo. Tutta la questione dell’attivismo sociale… è un po’ troppo per me!”
“Tieni lo stesso il volantino, in caso cambiassi idea!” ammiccò Ruth. Chloe annuì e se lo mise distrattamente in tasca.
“Io ovviamente ci sono!” esclamò Rachel. La convinzione di Chloe vacillò per un istante. Lo stomaco si contrasse fastidiosamente mentre uno strano istinto di imitazione la portava a considerare l’idea di fare marcia indietro. Solo per non essere di meno da Rachel. Ma ormai aveva detto di no, non voleva apparire disperata o bisognosa di attenzione. Ingoiò quei pensieri con un lungo sorso di birra, svuotando la bottiglia.
“Tu eri già inclusa nella lista!” Ruth rifilò un pugnetto sulla spalla di Rachel che sorrise di rimando.
“Se avete finito con i discorsi impegnati, pare che il concerto stia per iniziare!” disse Lily affacciandosi da dietro la spalla di Ruth.
La gente, infatti, stava cominciando a confluire verso un corridoio oltre il bancone, accalcandosi per raggiungere il salone in cui si trovava il palco.
“Io aspetto prima di entrare! È Hella incasinato!” disse Ruth.
“Ma poi raggiungere il palco sarà un casino!” bofonchiò Claudia.
“È a questo che serve il pogo!” sghignazzò Ruth.
“Uff… come ti pare, noi proviamo a infilarci!” concluse Lily prendendo Claudia sotto braccio e unendosi al flusso umano.
“Ma cos’è quella parola??” chiese Rachel con fare divertito.
“Quale? Pogo?!” scherzò Ruth.
“Hella. Continui a dirla!”
“Oh! Boh, al College lo dicono tutti e mi hanno contagiata. È un rafforzativo che suona bene!” spiegò Ruth sghignazzando.
“Hella…” ripeté Rachel “Mi piace!”
Ruth si congedò con un sorriso e si voltò verso Truman, uno dei pochi ancora rimasti al bancone oltre loro. Se ne stava curvo sulla superficie di legno con un bicchiere di liquido ambrato in cui navigavano un paio di cubetti di ghiaccio. La mano di Ruth scivolò dolcemente sulla sua schiena fino alla spalla, e Truman si voltò verso di lei regalandole un sorriso grato. A Rachel non sfuggì quello scambio di sguardi. I due si spostarono, andando ad occupare un tavolo rimasto vuoto al centro della sala, lasciando Rachel e Chloe sole al bancone.
“Sei sicura che non ci convenga entrare adesso?” chiese Chloe. Nella sua esperienza di concerti valeva il ‘chi prima arriva meglio alloggia’.
“Prima hai detto a Thunder che questo posto ti sembra un fottuto parco giochi! Non vuoi giocare un po’ prima??” le disse Rachel con occhi felini. Con quello sguardo avrebbe potuto convincere chiunque a fare qualsiasi cosa! Chloe sorrise a trentadue denti.
“Vedi il tizio che vende le magliette?”
Rachel si sporse oltre Chloe e avvistò un uomo completamente rasato, impegnato in un’accesa telefonata accanto al bagagliaio aperto di una macchina, ingombro di magliette in vendita. Annuì.
“Penso che sarebbe Hella cool se ne prendessimo una!” disse Chloe con un sogghigno complice.
“Sono Hella d’accordo!” replicò Rachel.
 
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La sala del nightclub non era ancora abbastanza sgombra, davanti al bagagliaio del rivenditore c'era una piccola fila. Quando arrivò il loro turno Chloe puntò dritta al mucchio di magliette. Non aveva intenzioni ostili, almeno all'inizio, voleva solo prendere una maglietta per guardarla bene. Uno schiaffo le pizzicò la mano, facendola indietreggiare sorpresa. L'uomo rasato la fissava in cagnesco.
"Ma che cazzo..." sbottò Chloe, mentre Rachel si portò al suo fianco.
"Venti dollari!" ringhiò l'uomo, ancora al telefono.
"Come minimo dovresti farle uno sconto, stronzo!" sbottò Rachel fronteggiandolo. Chloe sgranò gli occhi. Certo, Rachel aveva anticipato di poco una sua reazione molto simile, ma non era comunque così che immaginava sarebbe andata.
"Giusto! Per voi due allora sono quaranta dollari! Ora via dal cazzo!"
"Senti..." Rachel stava per proseguire quando sentì la mano di Chloe afferrarle l'incavo del gomito e trattenerla. Si voltò e incrociare il suo sguardo la tranquillizzò. 'Non ne vale la pena' sembrava dirle. Si lasciò tirare indietro. Rachel notò solo in quel momento una pistola appoggiata sul tavolino accanto al venditore, insieme ad un bong e bicchieri di carta vuoti.
"Porca puttana Rach! Di solito sono io quella che va trattenuta!" scherzò Chloe. Si spostarono qualche metro più in là, nei pressi del muro dove un graffito intagliato nel legno recitava 'Non scherzare con Damon Merrick'.
"Certa gente mi fa proprio incazzare. In più, ora VOGLIO una di quelle magliette... gratis!" disse con voce bassa ma determinata.
Chloe sogghignò: "Mi hai letto nel pensiero..."
Le due si allontanarono, procurandosi un'altra birra a testa mentre studiavano la situazione. La macchina del rivenditore sembrava parcheggiata in modo instabile, su una rampa a metà di un ingresso che portava in un cortile esterno. Il freno a mano doveva essere tirato, ma se qualcuno l'avesse rimosso...
Fortunatamente il pelato sembrava troppo distratto dalle sue chiacchiere telefoniche e da sporadiche interazioni con i clienti per notare Rachel che aggirava la macchina, infilandosi nello spazio stretto fra il muro e la fiancata. Chloe era pronta. Rachel aprì la porta e si infilò sul sedile passeggero per rimuovere il freno a mano. Scivolò fuori rapidamente mentre la macchina iniziava a muoversi. Il venditore sentì il bagagliaio svanirgli da sotto il culo, la gravità lo tirò a sé violentemente, facendolo franare al suolo, mentre Rachel si allontanava non vista. Un orribile botto metallico e vetroso indicò che l'auto si era schiantata contro qualcosa. La macchina di qualcun'altro, i cui insulti sovrastarono il brusio del locale.
"E che cazzo!" sbotto il pelato mentre usciva per capire che cazzo fosse successo. Chloe scattò in avanti e furtivamente impugnò due magliette. L'occhio le cadde inevitabilmente su una scatola metallica alla sua sinistra. Una luminosa mazzetta di dollari era arrotolata all'interno.
Tornò di lì a poco da Rachel, si rifugiarono dall'altro lato della sala, in un incavo del muro che conduceva ad una porta bloccata da assi di legno. A terra in un angolo c'era un mucchietto di siringhe usate.
"Sei stata grandiosa!" sbottò Chloe tutta eccitata.
"Hella grandiosa!" scherzò Rachel "Anche tu comunque! Siamo un'ottima squadra criminale!"
"Rubare ai criminali è ancora un crimine?" chiese Chloe.
"Pfft probabilmente no! E comunque ci meritavamo le nostre magliette!" disse Rachel tendendo una mano in attesa. Chloe le porse la sua metà del bottino, poi con fare furbo infilò una mano nella tasca interna della giacca.
"C'è anche dell'altro..." disse con aria furba.
Rachel strinse gli occhi e inarcò un sopracciglio, regalandole un sorriso complice in attesa. Chloe estrasse la mazzetta e la porse a Rachel.
"Jackpot!"
"Porca puttana!!" esclamò Rachel "Saranno quattrocento dollari almeno!"
"Ci siamo meritate una gratifica! Metà e metà, da veri pirati!" disse Chloe.
Divisero in due la mazzetta senza contare i soldi. Non era così importante una divisione matematicamente corretta e comunque erano a poca distanza dal derubato. E dalla sua pistola!
"Penso che sia il momento giusto per confonderci tra la folla..." disse Chloe indicando l'ingresso al salone, dove una voce amplificata e vagamente distorta annunciava l'inizio imminente del concerto. Rachel annuì, infilarono le magliette rubate nei rispettivi pantaloni e con cautela uscirono dal loro nascondiglio. Accelerarono il passo aggirando il bancone, Rachel lanciò un'occhiata a Ruth ancora seduta al tavolo a chiacchierare con Truman. Evitò di chiamarla per non attirare l'attenzione. Quando voltarono l'angolo notarono che l'entrata era ingombra di persone. Ci sarebbe voluta una certa violenza per farsi largo! Chloe si fermò e allo sguardo interrogativo di Rachel rispose estraendo il suo indelebile dalla tasca e indicando con un cenno una sega circolare appesa al muro come un quadro. Rachel le sorrise e senza bisogno di parole le fece da palo, non tanto perché fare graffiti in quel posto fosse sbagliato, quanto per evitare che il pelato del cazzo le notasse!
"Che cazzo hai da guardare?!" disse Chloe. Rachel si voltò perplessa, ma scoppiò a ridere quando vide che la lama ora era stata trasformata in un occhio dal pennarello di Chloe. "Stai parlando con me? No dico, stai parlando con me?!" rispose Rachel imitando il suo miglior De Niro.
Chloe entrò nella sala, precedendola a gomiti larghi, mentre Rachel, più minuta, rimase dietro di lei aggrappata alla giacca. Non riuscirono a individuare Claudia e Lily, così si ricavarono uno spazio e quando il primo riff di chitarra fece tremare pavimento e viscere rinunciarono alla ricerca.
La sala era avvolta dalla penombra, fari di luci colorate si muovevano come laser a ritmo di musica, i bassi e le percussioni davano il ritmo ai battiti del cuore, ben presto la folla iniziò a muoversi come un’unica entità. Chloe e Rachel si persero. Erano vicine, ballavano, mosse da un’energia non completamente loro. Era da tanto tempo che entrambe non si sentivano così, che non avevano l’occasione di lasciarsi andare, di sciogliersi nell’ottundimento musicale, nel miscuglio di sudore, fumo e legno marcio che riempiva le loro narici, lasciare che i loro pensieri venissero silenziati dalle grida estatiche della folla intorno a loro. Chloe e Rachel si scontrano con la gente intorno, si scontrano tra loro, incrociano i loro sguardi, risero e si fecero largo a gomitate. Il tempo non ebbe più importanza una volta là dentro. Improvvisamente Rachel impattò contro qualcuno di alto e spigoloso. Si trovò a guardare verso l’alto nello sguardo celeste di Lily, che prima le lanciò un’occhiataccia, poi la riconobbe e sorrise amabilmente. Le gridò qualcosa, ma Rachel non riuscì a capirla attraverso la musica. Iniziò a ballare con lei, poco distante c’è anche Claudia che le fece un cenno. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma quando si voltò a cercarla non trovò più Chloe. Il cuore le saltò un battito. Iniziò a guardarsi intorno freneticamente, senza riuscire ad individuarla. Diede uno strattone al braccio di Lily per attirare la sua attenzione e abbassare il suo orecchio all’altezza della sua bocca:
“Hai visto Chloe?” gridò sapendo di essere a malapena udibile.
Lily si guardò intorno e scrollò le spalle: “Era qui un momento fa!”
Rachel iniziò a preoccuparsi: “Vado a cercarla!”
Lily annuì e Rachel si fece largo tra la folla, nel tentativo di guadagnare l’uscita.
Quando riemerse nella sala del pub provò un ottundimento generale. Dopo il trattamento ad alti decibel cui erano state sottoposte fino a poco prima, le sue orecchie fischiavano e i suoni penetravano con fatica. Appoggiandosi al muro per mantenere l’equilibrio, Rachel superò l’angolo e vide la sala praticamente vuota, tranne per un tizio seduto sul divano in un angolo e Ruth, rimasta sola al suo tavolo. C’era qualcosa di strano in lei, pensò Rachel. C’era il concerto dei Firewalk, eppure se ne stava lì in disparte, con una canna in mano. Rachel si avvicinò e le si sedette accanto. Voleva indagare, inoltre Ruth poteva aver visto Chloe.
“Hey Ru!” le disse allegramente, con un tono molto più alto del voluto. Le orecchie ancora non si erano stappate.
“Hey Rach!” sembrò bisbigliare in risposta. Gli occhi erano due fessure e il sorriso ebete sul suo volto raccontava tutto quello che serviva sul suo stato mentale.
“Va tutto bene? Come mai non sei venuta a ballare?” chiese Rachel.
“Mpfh…” mugugnò Ruth porgendo a Rachel lo spinello, che lo accettò “Ho bisogno di rilassarmi… Sei troppo figa stasera comunque… mi piace Hella che tu abbia indossato l’artiglio d’orso che ti ho regalato… graffia...” ridacchiò.
Rachel era confusa, ma in modo divertente. Non era consueto vedere Ruth così fatta. Decise di tenersi lo spinello ancora un po’. Non che ne rimanesse molto comunque.
“Grazie! Sei sicura che vada tutto bene?” spinse ancora un po’ Rachel.
“La vita è un casino lo sai Rachel?” bofonchiò Ruth afferrandole rudemente l’avambraccio in quello che voleva essere un gesto affettuoso “Le cose non sono mai come te le aspetti. Va sempre tutto per i cazzi suoi. Tu vuoi controllare le cose, ti fai il culo per fare le cose giuste, ma poi tanto succede qualcosa che manda tutto all’aria… Pfft…” sibilò una risatina autoironica “Merda mi sa che mi è presa un po’ bassa stasera…” si massaggiò la fronte.
Rachel ridacchiò comprensiva e appoggiò una mano su quella di Ruth, ancora ancorata al suo avambraccio.
“Va tutto bene Ru! Che fine ha fatto Truman?”
Lei fece spallucce: “Chi lo sa! Immagino sia fuori a fumare. Tornerà suppongo!”
“Ma voi due…” propose Rachel.
“Scopiamo?” completò Ruth. “Si!” ridacchiò in risposta.
“Oh!” disse sorpresa prima di unirsi alla risata. Era fottutamente Hella strano vedere Ruth così! “Non lo sapevo!”.
“Non ci facciamo pubblicità. Niente programmi, niente progetti. Non su questo comunque. Lui è sempre via e io ho la mia vita. Non è che ci sia molto spazio per avere qualcosa di serio…” un pizzico di rammarico sfuggì dalle parole di Ruth. Rachel avrebbe davvero voluto rimanere lì con l’amica, ma Chloe era ancora dispersa. Si disse che sarebbe tornata più tardi, dopo averla ritrovata.
“Senti Ruth, hai visto per caso Chloe?”
Ruth inarcò un sopracciglio e corrugò la fronte nell’evidente sforzo di recuperare dei dati dalla sua mente offuscata.
“Mi pare di sì… è salita su per le scale… credo!”
Rachel si liberò dalla stretta di Ruth e si alzò in piedi: “Grazie!” le restituì la canna “Dopo torno, intanto mangia qualcosa!” le consigliò con sincera dolcezza.
Ruth annuì: “Se incroci Truman digli che mi manca! Pffffth…” e scoppiò di nuovo a ridere. Rachel annuì e poi partì alla ricerca di Chloe.
Salì cautamente le scale, ignorando lo sguardo incuriosito del tizio sul divano. O forse le stava guardando il culo mentre saliva? Irrilevante in quel momento. Più o meno tutti le guardavano il culo praticamente sempre, niente di nuovo!
“Si rimangerà ogni parola… ogni parola…” sentì dire ad una voce maschile e raspante oltre la cima della rampa.
Stava succedendo qualcosa.
“Mi volete davvero vedere incazzata?! Perché sono lì lì! E non sarà divertente, lo giuro!” Questa era la voce di Chloe. Rachel accelerò il passo, salendo i gradini a due a due. Sentì il rumore di un vetro rompersi.
Finalmente raggiunse la cima delle scale e vide due tizi di spalle, uno dei quali brandiva una bottiglia rotta in una mano, mentre con l’altra strattonava il polso di Chloe, alle cui spalle c’era la fine del soppalco ed un salto di almeno quattro metri. La sorpresa si serrò intorno al suo stomaco e si tramutò in rabbia quando realizzò cosa stava succedendo.
Giù quelle luride mani… brutto…
“Hey! Testa di cazzo!” proruppe Rachel spalancando le braccia in gesto di sfida, pestando passi pesanti verso di loro.
I due energumeni si voltarono contemporaneamente, uno con la faccia da scemo ed un cappello la guardò confuso, l’altro fissò lo sguardo inferocito su di lei. Non ne fu impressionata, era pronta a combattere. Lì intorno avrebbe di sicuro trovato qualcosa di contundente da spaccargli sulla testa!
Tutto si svolse molto velocemente. Chloe sbracciò verso il suo aggressore, schiantando la bottiglia di birra che impugnava contro il suo cranio. Il vetro non si ruppe, ma l’uomo perse la presa e cadde in ginocchio reggendosi la testa. L’altro scagnozzo ebbe a malapena il riflesso di rendersene conto, Chloe fu troppo lenta a scappare e ricevette un pugno in piena faccia che le diede comunque la spinta per farla barcollare verso l’uscita. Rachel si frappose fra lei e le scale, aiutandola a restare in piedi.
“Rachel?!” esclamò Chloe a metà fra il sollievo e la sorpresa.
Con la coda dell’occhio vide lo stronzo in canotta bianca rialzarsi con sguardo feroce.
“Andiamo!” gridò Rachel afferrando la mano di Chloe e trascinandola giù per le scale e poi attraverso la sala. La meta era la folla nella sala del concerto, dove sperava che non le avrebbero seguite. Rachel si accorse a malapena dello sguardo incuriosito di Ruth e di Truman, che nel frattempo era tornato al suo posto. Chloe si bloccò, costringendo anche Rachel a fermarsi.
Che succede? Perché ti fermi proprio adesso?!?
Chloe rimase sulla soglia del salone, guardando indietro verso le scale. Anche Rachel sbirciò, senza lasciare la stretta sulla sua mano. Vide i due aggressori scendere goffamente le scale ed essere bloccati dal tizio biondo che fino a poco prima era svaccato sul divano. In piedi era molto più alto e imponente di quanto non sembrasse.
“Fanculo Frank! Lasciami passare!” gridò uno dei due.
“Non succederà! Calmatevi e levatevi dal cazzo ora!” ringhiò l’uomo.
I due iniziarono la ritirata fra le imprecazioni, mentre Frank si voltò verso le ragazze. O forse stava fissando Chloe. Rachel mandò un bacio sprezzante verso i due energumeni e la trascinò via, Chloe salutò con un dito medio mentre si rituffavano nella folla.
“Ma che cazzo è successo??” chiese gridando Rachel mentre si inoltravano nella folla danzante.
“Ma che cazzo ne so… mi sono scontrata con quel tizio, gli ho rovesciato la birra e se l’è legata al dito!” replicò Chloe.
“Perché te ne sei andata senza dire niente?” chiese Rachel, rendendosi conto solo dopo aver parlato di quanto sembrasse materna la sua affermazione. Tienimi sempre la manina, bambina bella, mi raccomando!
“Così! Hai beccato Lily e avevo voglia di fumare, poi ero curiosa di vedere dove andavano quelle scale… di sopra sembrava un posto migliore per vedere la band…” sotto lo sguardo perplesso di Rachel, Chloe si affrettò ad aggiungere: “Ti avrei portata lì se i due stronzi non mi avessero aggredita…”
Rachel inarcò un sopracciglio. Sentiva che c’era dell’altro, ma non era il momento per approfondire.
“Grazie a proposito! Mi hai salvato il culo!” disse ancora Chloe, grattandosi la testa e distogliendo lo sguardo.
Rachel scoppiò a ridere, ricevendo uno sguardo sorpreso da Chloe: “Che cazzo Price! Prima sera al Mulino e scateni una rissa! Sono impressionata!”
“E rubo a dei criminali! Quello lo voglio sul mio curriculum!”
Scoppiarono entrambe a ridere e Rachel la trascinò nuovamente verso il centro della folla. Chloe si lasciò condurre di nuovo, ormai farsi portare in giro mano nella mano da Rachel stava diventando comodo e abituale! Sgomitando come forsennate raggiunsero lo spazio sotto il palco, dove ritrovarono anche Lily e Claudia.
­­­­Ballarono.
La batteria dei Firewalk guidava i battiti dei loro cuori.
Ballarono, scontrandosi tra di loro, scontrandosi con perfetti estranei. Rachel continuava a lanciare sguardi verso Chloe, a controllare dove fosse, a prendere la mano di Chloe come se temesse che se ne sarebbe andata di nuovo. Ma Chloe non se ne andò. Dopo quella sera non se ne sarebbe andata mai più.
Rachel prese il cellulare dalla tasca, strinse Chloe a sé con un braccio, mentre con l’altro scattò un selfie. I loro volti arrossati, sudati e felici comparvero sullo schermo. In un momento di calma tra una canzone e l’altra, Rachel condivise il selfie su Facebook, accompagnata da una parola: “Firewalk!”
L’ultimo riff di chitarra concluse il concerto e la folla iniziò a diradarsi. Sorrisi ebeti ed esausti sormontavano i visi di Rachel e Chloe. Lily e Claudia erano con loro, ma erano invisibili.
Trovarono Truman da solo al bancone, sorseggiando un drink e fumando una sigaretta. Ruth non c’era. L’uomo spiegò che si era lasciata un po’ troppo andare e l’aveva riportata a casa. Qualcosa si contrasse nel petto di Rachel, il giorno dopo l’avrebbe certamente chiamata.
Truman caricò tutte sul suo pick-up e le riportò ad Arcadia Bay. Rimase chiuso in un silenzio pensieroso, mentre intorno a lui Chloe, Rachel, Lily e Claudia continuavano a ridere, cantare e chiacchierare di cazzate. Le lasciò dove le aveva caricate e svanì nella notte con un grugnito per saluto. Lily e Claudia scambiarono i cellulari con Chloe e se ne andarono anche loro, lasciandola insieme a Rachel.
Ubriache, si tenevano in piedi a vicenda, strette in un abbraccio laterale. Nella notte, Arcadia Bay sembrava una città fantasma, le luci nelle case erano tutte spente, nessuno a parte loro girava per strada. C’era qualcosa di magico in tutto questo, nel silenzio rotto solo dalle loro voci più alte del dovuto, a causa dell’udito compromesso!
Arrivò infine il momento in cui le loro strade si divisero, Rachel allora diede voce alla domanda che aveva trattenuto per tutta la sera.
“Chloe, perché sei andata via all’inizio del concerto?” se c’era un momento per ottenere una risposta senza nessun filtro era proprio quello.
Chloe si grattò la testa, tenendosi in precario equilibrio sulle gambe a causa di un buon miscuglio di erba, alcol e stanchezza: “Non lo so… cioè… io ho visto che ti sei messa a parlare con Lily e Claudia, a ballare con loro e… mi sono sentita di troppo…”
“Chloe…” la fronte di Rachel si corrugò.
“Lo so, lo so… sono un’idiota.”
“Si lo sei!” Rachel le sorrise dolcemente “Non pensare più queste cazzate!”
“Ci proverò!”
Rachel le regalò un sorriso raggiante e Chloe ebbe per un istante l’impressione che stesse spuntando l’alba. Ma no, era soltanto Rachel, che indietreggiava sempre tenendo lo sguardo fisso su di lei e mandandole un bacio con entrambe le mani: “Ci vediamo domani Rockstar!”
“A domani!!” rispose Chloe.
Rachel incespicò e per poco non cadde, scoppiando in una risata autoironica, cui si unì anche Chloe, mentre si allontanavano l’una dall’altra, continuando a salutarsi, finché non girarono l’angolo…
 
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Go back to where you held armour against your skin
Don't sink, just swim towards the storm
And once again you'll be reborn, reborn, reborn
 
Go back to where I held armour against my skin
Won't sink, I swim towards the storm
And once again I'll be reborn, reborn, reborn
 
Hope - Daughter
 
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Just tried to count the stars on the sky
Don't question why 'cos truth lies behind your eye

Un raggio di luce solare impattò contro le palpebre di Chloe, trascinandola fuori dal sonno più di quanto avesse già fatto la musica della sveglia. Riversa sul letto, con la testa ancora ottusa dall’alcol e dall’erba della sera prima, le orecchie che fischiavano ancora per il concerto. Tutte cose di cui si ricordò strada facendo, mentre si svegliava.
Just tried to sing a lullaby
If you get lost beg your wings
and try to fly to your dreams

Chloe si mosse cautamente, pigramente, tentando di rotolare sull’altro lato del letto disfatto, lontano da quella luce fastidiosa. D’altro canto, su quel lato c’era la sveglia e più si avvicinava più la musica diventava forte. Non c’era scampo. La testa le pulsava fastidiosamente, preludio ad un mal di testa che poteva prevenire, almeno in parte, con del cibo…
Si rese conto solo allora di essere ancora vestita, scarpe comprese. Doveva essere praticamente svenuta nel letto. I ricordi della serata erano piuttosto annebbiati, soprattutto nella parte finale. Una sigaretta avrebbe riacceso i suoi neuroni a sufficienza. Allungò una mano oltre il bordo destro del letto, trovando sigarette e posacenere dove si trovavano sempre. Se ne accese una e la nicotina diede una sferzata di lucidità al suo cervello.
I reached out to touch the sky
Just tried, reached out to touch the sky
Just be, it's the simplest way to be free
You gotta just just do create
The world which you wish to see

Gli occhi erano fissi sul soffitto, sempre meno faticosi da tenere aperti, mentre davanti le passavano delle istantanee della serata precedente. Il Vecchio Mulino, il concerto dei Firewalk, gli stronzi che l’avevano aggredita… Rachel. Le aveva effettivamente salvato la vita. Non ricordava nemmeno bene come fosse finita con le spalle al vuoto e due energumeni strafatti che le agitavano una bottiglia rotta vicino alla faccia. Sapeva solo che Rachel era apparsa a salvarla, aveva distratto quei tizi abbastanza da darle la possibilità di sferrare una bottigliata in testa a quello che la stava trattenendo.
Si rese improvvisamente conto di una strana sensazione nei pressi dell’occhio destro. Una pulsazione anomala nell’area dello zigomo. Tastò distrattamente ed una fitta di dolore le attraversò metà della faccia. Ah si, ecco… il tizio scemo le aveva rifilato un pugno. Doveva valutare i danni, ma si concesse qualche altro momento per finire la sigaretta e lasciarsi schiacciare dalla gravità.
Rachel…
Rachel che balla accanto a lei.
Rachel che continua a prenderle la mano.
Rachel che ride, scherza, beve e brinda con lei…
Le labbra di Rachel…
Il profumo di Rachel…
I fianchi di Rachel…
Si voltò verso sinistra per scuotersi da quegli strani pensieri, incontrando lo sguardo di suo padre e Max provenire dalla foto. Un altro giorno in paradiso, giusto? Però, forse stavolta non era del tutto falso…
Close your eyes and predify
If you get lost beg your wings
and try to fly to your dreams
Just tried, reached out to touch the sky
Just tried, reached out to touch the sky
 
Qualcosa era cambiato dopo ieri sera.
Il mondo sembrava diverso.
Si alzò dal letto dopo aver riposto il posacenere. L’odore di sigaretta la seguì, insieme ai residui della sera prima. Birra, tabacco, erba, sudore… faceva davvero schifo! Poteva sentire il suo alito e non era un bel sentire. Serviva una doccia, una di quelle esfolianti!
Passò davanti allo specchio per scoprire che il suo zigomo destro era violetto e gonfio. Proprio come se qualcuno le avesse dato un pugno! Un po’ difficile da nasconderlo a Joyce e David… merda!
Sul cellulare nessun messaggio. Probabilmente Rachel dormiva ancora, non aveva un David che anche di sabato le faceva puntare la sveglia. Certo, durante la settimana la sveglia era alle sei e mezza, di sabato e domenica le era concesso puntarla alle nove… ma Cristo!
Close your eyes and predify
If you get lost beg your wings
and try to fly to your dreams
Just tried, reached out to touch the sky
Just tried, reached out to touch the sky
 
Diede un’occhiata al pc. Una notifica da Facebook? Qualcuno l’aveva taggata in una foto??
Seguì il link e finì sul profilo di Rachel. I loro volti sorridenti, arrossati e sudati guardavano dritti nell’obiettivo. Era il selfie che Rachel aveva scattato ieri sera! L’aveva pubblicato??
Una serie di sentimenti si susseguirono nella sua mente. Che cazzo l’ha pubblicato a fare? Ha pure scritto ‘Firewalk!’, così tutti sapranno dov’eravamo. Beh probabilmente lo scopo era quello… ma perché? I commenti erano già parecchi, molti provenienti da gente conosciuta.
TREVOR: Invidia!
MARISA: Sei strafiga! E sei con Price!
ARMOND: Stai benissimo Rachel!
SARAH: Fantastiche! Xoxoxo
KELLY: Rachel! Ti odio! <3
MARISA: Kelly, ma non avevi invitato Rachel al tuo pigiama party ieri sera?
STEPH: Bruci di invidia!
MARISA: Oh no! Quel genere di musica non fa per me! Evidentemente avevo capito male!
Ovviamente ‘qualcuno’ aveva già fatto notare che Rachel non era stata dove avrebbe dovuto essere. Questo rischiava di essere un problema!
Tuttavia…
Quella foto risvegliò in lei i ricordi della pista da ballo, le luci stroboscopiche, lo sguardo di Rachel, il modo in cui si era sentita. La compagnia di Lily e Claudia, le cazzate che avevano sparato tutto il tempo. Quella sera non aveva pensato a nessuna delle cose oscure cui pensava di solito. Una fiammella si era accesa appena varcata la soglia del Mulino ed era divampata in quello spazio vuoto nel petto di Chloe. Si sorprese a sorridere, mentre i suoi occhi erano fissi in quelli di Rachel nella foto.
Un’energia felice la travolse, un’eccitazione, una strana voglia di fare, di muoversi. Di vivere. Di baciare…
Si diresse ad ampie falcate verso il bagno, pronta a farsi la doccia migliore della sua vita.
Fanculo! Il suo asciugamano pirata era sparito di nuovo. Un’altra delle tante rotture di cazzo causate da David. Continuava a spostarle l’asciugamano per fare posto al suo! Avrebbe voluto strangolarlo con quella merda griffata US Army, ma le faceva troppo schifo il solo pensiero di avvicinarsi a qualcosa che avesse toccato il corpo di David!
Aprì gli scaffali del bagno dove di solito si trovano gli asciugamani puliti, ma non era lì. Rovistò sopra il mobiletto delle medicine. Niente. Lo trovò in una scatola di plastica sotto il lavandino. E si fermò. I suoi occhi si erano fissati su qualcosa che non vedeva da tempo: la benda e la bandana di Long Max Silver, ma soprattutto la tinta per capelli che lei e Max avevano preso per tingerla di blu, dopo che l’esperimento della barba-scotch era fallito miseramente con tanto dolore ed eritema sulla sua faccia!
Sorrise. Quel giorno era iniziato in modo strano. Pensieri strani, sensazioni strane…
Se qualcosa era cambiato, allora bisognava celebrare in qualche modo! Con qualcosa di blu. Dopotutto era ancora una pirata no? Anzi! Lo era molto più di quanto lo fosse mai stata. Cosa fanno i pirati? Bevono, si battono e saccheggiano bottini! Tutte cose che con Max erano state solo finzione, ma che con Rachel erano improvvisamente diventate reali! La maglietta dei Firewalk, la mazzetta coi soldi e l’occhio nero ne erano la testimonianza.
L’acqua calda sulla sua pelle fu rigenerante. Non portò via solo odori sospetti e sporcizia, ma fu come se lavasse in profondità. Tutta la merda che aveva permesso a sé stessa di accumulare nell’ultimo anno e mezzo cominciò a sciogliersi, trascinata via dal flusso degli eventi e da quella doccia. Rachel aveva iniziato tutto. Rachel le era sbattuta contro nel momento giusto della sua vita. Rachel le aveva teso una mano dalla cima del pozzo in cui Chloe era caduta. Stava a lei afferrarla. E l’aveva fatto. Lo stava facendo. Forse, poteva finalmente uscirne?
Di fronte allo specchio tolse la condensa con la mano, avvolta nell’asciugamano pirata, sfilacciato in alcuni punti. Prese la tintura e la aprì. Un test! Vediamo come sta! Si può sempre cambiare colore più avanti! Una ciocca va bene! Avrebbe avuto le mani blu per giorni, ma chissene! Quando alzò la testa dal lavandino, un ciuffo blu pendeva sul suo viso. Chloe sorrise a sé stessa. Era così figa!
Era strano pensarlo! La seconda cosa che pensò fu: Devo fottutamente farlo vedere a Rachel! Chissà se le piacerà!
 
-
 
Al risveglio, Rachel provò sensazioni un po’ diverse.
Fisicamente no, erano le stesse di Chloe. Gli anelli di Saturno erano nulla confronto al cerchio intorno alla sua testa. Ma fu peggio prendere il cellulare e ricordarsi di aver pubblicato il suo selfie. Quanto era fottutamente ubriaca per non ricordarsi nemmeno di averlo fatto? Del resto l’adolescenza è quell’età in cui sei più o meno autorizzata a prendere decisioni discutibili di cui poi ti penti. E Rachel sapeva bene che appena scesa in salotto se ne sarebbe pentita. Dai rumori che provenivano dal piano di sotto era evidente che entrambi i suoi genitori erano in casa. Rachel invidiò profondamente Chloe per avere la possibilità di evadere dalla finestra della sua camera!
Dopo aver letto e riletto i commenti sotto il selfie appurò che non c’era nessuna versione dei fatti alternativa, niente che potesse cambiare le cose in modo favorevole: aveva mentito su dove sarebbe stata e Marisa era stata così gentile da farlo sapere a tutta Internet. E si sa, Internet è per sempre.
Muovendosi al rallentatore, un po’ per i postumi della sbronza e un po’ per ritardare il più possibile il confronto con suo padre, Rachel si fece una lunga doccia durante la quale studiò ogni possibile strategia che la facesse sembrare meno colpevole. Non c’era, non senza risultare patetica.
Infine, come un condannato va al patibolo, Rachel scese le scale. Erano le undici passate, la colazione era fuori discussione, ma le serviva almeno una banana per risistemare lo stomaco e assorbire un po’ della merda che ancora le circolava in corpo. Il senso di leggerezza alla testa era un sintomo inequivocabile che la sbronza non le era ancora passata del tutto.
Rose era in salotto, sulla sua sedia, impegnata a battere qualcosa sul suo portatile. Probabilmente qualcosa riguardo un’altra mostra a Portland o qualche affare filantropico. Suo padre, invece, era seduto a capotavola con il suo giornale davanti, scarabocchiando il sudoku sulla penultima pagina. Questo era inconsueto e probabilmente pericoloso. James era ossessivamente abitudinario, il fatto che non fosse sulla sua poltrona o in studio a lavorare, ma perdesse tempo significava che la stava aspettando. Ed era nervoso. Niente di imprevisto, ma per Rachel era comunque inquietante.
Odiava e temeva suo padre quando era arrabbiato, soprattutto perché capitava molto di rado!
“Buongiorno!” disse lei dirigendosi verso il portafrutta in cucina.
Nessuno rispose.
Questo era ancora più spaventoso!
“Siediti qui Rachel. Devo parlarti.” La voce di James era fredda come il ghiaccio sul parabrezza delle macchine in strada. Come lo sguardo che stava fortunatamente riversando sul sudoku. Rachel sentì il cuore accelerare, come se volesse balzar fuori dal petto e fuggire lontano. Prese la sua banana e la sbucciò, dando il primo morso mentre si sedeva nel posto solitamente riservato a Rose durante pranzi e cene.
Rachel non disse nulla, James appoggiò la matita e chiuse il giornale, mentre Rose lasciava la sua postazione e convergeva in cucina. Nella testa ovattata di Rachel iniziò un countdown verso la sua inevitabile fine. Sperava solo che arrivasse in modo rapido!
Rose rimase in piedi all’altro capo del tavolo, braccia incrociate e schiena leggermente appoggiata alla credenza. Gli occhi glaciali di James infine incontrarono quelli di Rachel. Lui prese il cellulare e cominciò a digitare.
“Com’è andato il pigiama party da Kelly?” chiese James.
E Rachel andò in tilt. Odiava quel genere di cose. Suo padre sapeva perfettamente cos’era successo, ma la stava deliberatamente mettendo in condizione di mentire o di ammettere la verità. Di norma la verità sarebbe…
“Bene” la voce uscì prima che terminasse il pensiero.
Cazzo!
“Bene eh? Hai fatto piuttosto tardi questa notte…” proseguì James, come per darle una seconda chance di ammettere i suoi errori. Rachel doveva ammettere che suo padre era fottutamente bravo in quelle cose. La infastidiva che probabilmente quegli stessi stratagemmi li usava per far confessare i criminali. L’intera scena sembrava un interrogatorio, con Rose nella parte del poliziotto silenzioso e inquietante in un angolo e James in quella del detective che ha già risolto il caso, ma la tira per le lunghe, giocando con il colpevole prima di tirar fuori la prova schiacciante che lo inchioda.
“Un po’ tardi… si…” bofonchiò Rachel.
Ed eccola che arriva. James girò lo schermo del cellulare verso di lei e, come si aspettava, si trovò di nuovo a fissare il suo selfie. Chloe sembrava sorriderle perplessa, il suo sguardo diceva ‘Lo so, ci sono passata cento volte più di te… ti capisco!’
“Firewalk?” chiese retoricamente James.
Rachel fece spallucce: “Voglio un avvocato…”
“Meglio se non scherzi Rachel...” il suo tono si indurì di colpo, facendola trasalire “…questa è una cosa molto grave!”
Ok, Rachel si aspettava l’incazzatura di suo padre, rimproveri e una punizione severa. Però c’era qualcosa di più nel suo atteggiamento.
“Lo so, ho mentito su dove sarei andata realmente e sono tornata ore dopo il coprifuoco… mi dispiace papà, io…” ma James la interruppe, sbattendo una mano sul tavolo, che tremò con tintinnio vetroso.
“Questa non è una bravata e basta. Hai idea della posizione in cui mi hai messo?!”
Rachel rimase in silenzio, gli occhi spalancati. Senza parole, faticando a capire. Lei aveva messo lui in una qualche posizione sgradevole?
“Non dici nulla? Non ti rendi nemmeno conto!”  sbuffò James allontanando il giornale da sé con stizza “Sono profondamente deluso da te, Rachel. Come non lo sono mai stato.”
Queste parole fecero male, soprattutto perché Rachel non riusciva ancora a capire a cosa si riferisse. Cosa aveva fatto di così grave? Era un’adolescente che mente ai genitori per andare ad un concerto… normale amministrazione per la media delle famiglie. Ma del resto la sua non era una famiglia nella media.
“Sono andata al concerto dei Firewalk, papà. Ti ho mentito, vi ho mentito e non avrei dovuto. Sapevo che comunque non me l’avreste permesso, ma ho sbagliato. Mi dispiace…” tentò di dire Rachel.
“Ti dispiace…” sputò James “…pensi che non sappia dove si è tenuto quel concerto? Lo sai che sono il Procuratore della Contea, vero? Come ti è saltato in mente di andare al Vecchio Mulino? E con quella ragazza… ti avevo detto che era una pessima compagnia e il fatto che ti abbia trascinata con sé dimostra che avevo ragione!”
“Chloe non mi ha ‘trascinata’, sono io che ho invitato lei.” sembrava che almeno suo padre non sapesse niente di Truman e degli altri e per Rachel era meglio così!
“Difficile da credere, ma il punto non è nemmeno questo. Tu sei mia figlia, Rachel, nessuno dovrebbe frequentare quel genere di luoghi malfamati, ma tu meno di tutti!” continuò James, il tono di voce ancora alto in modo preoccupante.
“Non mi è successo nulla papà! Sono stata attenta” mentì “non ho corso pericoli!” mentì ancora “Ho solo ballato e ascoltato la musica dal vivo!”
“Per favore Rachel. Mi prendi davvero per idiota? Da come parli e dal rossore dei tuoi occhi è evidente che hai bevuto, o anche peggio! E so che non è la prima volta. Pensi che non sappia delle altre feste cui sei stata? Ho avuto la tua età anch’io, so come funziona!” James iniziò a massaggiarsi la fronte.
Rachel era confusa. Non le era chiaro quale fosse il punto. Aveva già ammesso le sue colpe e la punizione ancora non stava arrivando. Sarebbe di certo arrivata, ma suo padre sembrava sconvolto. Sconvolto in modo eccessivo, soprattutto visto che a suo dire sapeva che non era la prima volta.
“Perché allora non hai mai detto niente?” chiese Rachel.
“Ho lasciato correre!” disse come se fosse un’ovvietà “Sei al liceo, è l’età della ribellione e nessuno si aspetta nulla di diverso. Ma questa volta sei andata in un luogo frequentato da criminali e hai pure pubblicato una foto che lo testimonia. Ti rendi conto dell’impatto che questo può avere su di me?!”
Oh…
Questo era il punto.
Qualcosa in Rachel sprofondò. Sulle sue spalle calò come una pesante coperta fastidiosamente calda e opprimente.
“Devi capire che ogni tua azione ha ripercussioni Rachel! Hai idea di quanto sia importante l’immagine che diamo di noi stessi? La reputazione nel mio lavoro è tutto e basta pochissimo per infangarla. Cosa credi che penserà la gente della nostra famiglia o di me visto che MIA FIGLIA frequenta un covo di tossici? Perché è questo che diranno!” James parlava a ruota libera. Altra anomalia tra le tante di quella mattina. Rachel era esterrefatta ed anche Rose, che tentò di intervenire:
“Quello che tuo padre sta cercando di dire è che non si tratta solo della tua sicurezza, ma anche del tuo futuro. Cose come questa rischiano di inquinare il curriculum scolastico e lo stile di vita è qualcosa che le Università considerano quando valutano le candidature…” disse in tono pacato, lanciando continui sguardi verso il marito come per chiedere conferma.
“Esatto…” convenne James.
Rachel rimase in silenzio.
Quindi il problema era la reputazione. Uno era preoccupato perché la gente avrebbe pensato che siccome non sapeva tenere a bada sua figlia, allora sarebbe stato incapace anche con i criminali veri, mentre l’altra aveva paura che qualche fottuta Università la rifiutasse.
Qualcosa andò in corto circuito nel sistema di convinzioni di Rachel. Non era così che sarebbe dovuta andare. Non erano quelle le priorità che si aspettava avessero i suoi genitori.
Il suo stomaco iniziò a bruciare, un po’ per l’alcol in eccesso, molto di più per la rabbia crescente…
“Quindi è questo il problema… che ti ho fatto fare brutta figura?”
“Cosa?”
Rachel ripeté, fissando il suo sguardo dritto in quello di James: “Quindi-è-questo-il-problema-Che-ti…”
“Ho capito quello che hai detto.” Replicò James spazientito e stupito.
“Bene, se hai capito rispondimi!” continuò Rachel, mentre il calore le invadeva il petto e le guance.
“Non ti permettere di parlarmi in questo modo! Io non ti devo spiegazioni!”
“Invece direi proprio di sì! Mi aspettavo che vi sareste preoccupati di più per la mia incolumità o per il fatto che abbia bevuto! Invece pare che non ve ne freghi un cazzo, a meno che non si sappia in giro!”
“Rachel!” esclamò stupita Rose.
“Modera il linguaggio! Ovviamente siamo preoccupati per la tua sicurezza, ma c’è un limite tra quella che è una normale disobbedienza adolescenziale e quello che invece è un comportamento a rischio.”
“A rischio per chi? Per il tuo lavoro?” insistette Rachel.
“Vedo che fingi di non capire ciò che ho detto!”
“Oh no… ho capito benissimo! Sei preoccupato che quella foto danneggi la tua immagine!”
“La tua immagine Rachel! E la nostra come famiglia. Ciò che il mondo pensa di te è fondamentale e basta uno sbaglio per mandare all’aria gli sforzi di una vita!”
“La mia immagine? Sei tu quello che ha voluto che ne avessi una! Perché serviva alla tua campagna elettorale, alla tua carriera! Posso drogarmi, sbronzarmi o crepare, basta che non si sappia se no poi la gente mormora, giusto? Se fossimo rimasti in California non te ne fregherebbe un cazzo dell’immagine!” ora Rachel stava urlando.
“Beh ma non siamo rimasti in California, siamo qui ed è grazie al MIO lavoro e ai MIEI sforzi se vivi in una vita agiata e studi nella scuola più facoltosa dello stato!” Anche James gridava.
Rachel si alzò in piedi spostando rumorosamente la sedia: “Non me ne frega niente di vite agiate e scuole private! Voglio solo vivere la mia fottutissima vita! Non ti ho mai chiesto di crearmi un’immagine del cazzo! Forse ti sei così abituato alle stronzate che le confondi con la verità! Flash News: io non sono Miss Perfettina del cazzo!”
James balzò in piedi: “Ora basta!” i suoi pugni sbatterono sul tavolo e tutto il fuoco di Rachel si spense con una doccia gelata. Un brivido le percorse la schiena e le fece drizzare i capelli, mentre indietreggiò istintivamente di un passo. James non aveva mai alzato un dito su di lei, ma per un secondo lo temette.
Un silenzio pesante cadde sulla stanza. Rose guardava entrambi allibita, con le mani davanti alla bocca, mentre James prendeva un profondo respiro nel tentativo di dominarsi.
“Ora vai in camera tua. Sei in punizione ovviamente, deciderò per quanto quando mi sarò calmato.” Disse James con un tono forzatamente più basso.
Rachel non se lo fece ripetere due volte e corse su per le scale, sbattendo la porta dietro di sé.
Si tuffò nel letto, prima che potesse accorgersene delle lacrime rigavano le sue guance.
Era confusa.
Per metà pentita delle sue parole, che avevano di certo aggravato la situazione, per metà fiera di averle dette.
Reputazione? Davvero papà?
E in tutto questo le era momentaneamente sfuggito che anche sua madre si era schierata con lui.
Una domanda iniziò a frullarle in testa.
Una domanda che non voleva formulare in modo compiuto, ma era impossibile evitarlo.
Suo padre teneva davvero a lei? A lei in quanto sua figlia… in quanto Rachel.
Oppure anche per lui era soltanto Miss Perfettina Amber?
E forse preferiva Miss Perfettina a Rachel…
Non poteva essere così… vero?
Non poteva…
 
Rrrrrrrrrmmmmmmmmmmmnnnnn
Rrrrrrrrrmmmmmmmmmmmnnnnn

 
Il cellulare vibrò, interrompendo i suoi pensieri piangenti. Tirò su col naso mentre con una mano prendeva il telefono e con l’altra cercava un fazzoletto per asciugarsi il moccio.
Chloe
  • Hey Rach! Dormi ancora??
Non era l’unico messaggio. Nel tempo in cui aveva abbandonato il cellulare ne erano arrivati diversi, da numerose fonti…
Kelly
  • Ciao Rachel, ho visto la foto! Pensavo di doverti reggere il gioco.
  • Non sarà stato un po’ rischioso pubblicarla? (•_•)
  • Risp quando puoi
Marisa
  • Bella mossa Amber! 😜
Steph
  • Ciao Rach!
  • Com’era il concerto?
  • Non sarai nei guai adesso?
Megan
  • Ciao Rachel
  • Mi fa piacere vedere che ti stai facendo un sacco di nuovi amici
  • Vedo che non hai più bisogno di me quindi puoi anche smettere di fingere che ti importi.
Nathan
  • Potevi invitarmi…
 
Andate tutti affanculo!
Rachel gettò il cellulare sul comodino.
I singhiozzi tornarono a scuoterla.
Vaffanculo.
Vaffanculo tutti!
 
Chloe…
Lei no. Lei meritava una risposta.
Probabilmente tra tutti era l’unica cui fregasse realmente qualcosa.
O forse era come gli altri, in cerca di un pezzo di lei…
 
Rachel
  • No. Ho fatto un casino!
Chloe
  • C’entra con quel selfie che hai pubblicato?
Rachel
  • Già… dovevo essere parecchio sbronza in quel momento.
Chloe
  • Entrambe lo eravamo.
  • Sei stata punita?
Rachel
  • Si, ma la condanna finale non è ancora stata emessa.
Chloe
  • Mi dispiace.
Rachel
  • Non è colpa tua.
Chloe
  • Fa comunque schifo!
  • Posso aiutarti a evadere! È facile, l’ho fatto mille volte. Hai solo bisogno di lenzuola e competenza nel fare nodi.
 
Rachel sbuffò una risatina.
Rachel
  • Sono un’ex scout girl, dovrei cavarmela con i nodi!
Chloe
  • Perfetto, io posso creare un diversivo. Qualcosa di anarchico…
Rachel
  • Apprezzo davvero lo sforzo, ma penso che mi sacrificherò questa volta!
  • Mio padre vuole il mio sangue e non si placherà finché non sarà versato.
Chloe
  • Noi pirati non lasciamo mai indietro i nostri!
Rachel
  • Comunque nessun rimpianto! È stato… HELLA!
Chloe
  • HELLA!!!
  • Dovremmo rifarlo!
  • Senza selfie però!
Rachel
  • Magari senza condividerli!
Chloe
  • Forse è meglio!
  • Peccato comunque… volevo mostrarti una cosa ma dovrai aspettare lunedì a scuola!
Rachel
  • Cosa cosa??
Chloe
  • Segreto
  • Fino a lunedì!
Rachel
  • Sei Hella misteriosa Chloe Price!
Chloe
  • Fa parte del mio fascino!
 
Rachel sospirò e depositò il cellulare accanto a sé sul letto disfatto. Lo sguardo rivolto al soffitto, mentre con il fazzoletto usato si tamponava naso e occhi. Le sue labbra mostravano un sorriso sollevato. Chloe Price. A lei importava davvero…
Era così.
Doveva essere così.
Voleva che lo fosse…
Se poteva sperare in un’alleata in tutto il casino che sembrava essere la sua vita, chi altri poteva essere se non lei?
 
******************
 
Lunedì nuvole grigie solcavano il cielo, ma nessuna sembrava intenzionata a far peggiorare il tempo. Sfilavano soltanto contro il cielo azzurro, come sempre velato di foschia.
Quando Rachel la vide spalancò gli occhi e quasi balzò in avanti.
"Porca troia! I tuoi capelli... sono così..." allungò una mano per accarezzare la ciocca blu. Lo sguardo, anch'esso blu, che Chloe le restituì fu come quello di un bambino che scarta i regali la mattina di Natale.
"Cazzuti??" completò la frase, timidamente.
Rachel le lanciò uno sguardo indagatore. Chloe era diversa quel giorno e non soltanto per i capelli tinti. Una luce nuova brillava dal fondo dei suoi occhi, irradiava verso Rachel. Per Rachel.
Sentì il petto scaldarsi e un sorriso astuto si allargò sul suo viso.
"Stavo per dire sexy!" replicò Rachel, godendosi l'espressione sorpresa, imbarazzata e compiaciuta di Chloe "Ma si... anche cazzuti!"
 
Mentre fumavano la sigaretta mattutina sul lato della piscina, Rachel le raccontò del confronto con suo padre, concluso con la decisione di punirla per un mese. Niente uscite, solo scuola e casa.
"Almeno mi ha lasciato il cellulare, mi serve per coordinarmi con gli altri del Drama Club... e poi ci sono giorni in cui dovrò fermarmi qualche ora doposcuola per le prove. Possiamo sfruttarli per vederci!" spiegò Rachel.
"Anche mia madre ha rotto... sapeva dove siamo state e David ha minacciato di farmi di nuovo il test del capello. Ma col cazzo! Non può mica farmelo contro la mia volontà… ho dei fottuti diritti! E poi Wells l'ha chiamata per i voti e le assenze. Almeno non mi hanno punita, per ora..."
 
Quando migrarono verso la Caffetteria la loro privacy ebbe termine. Chiunque incontrarono fermò Rachel con domande sui Firewalk, sul concerto, su "hai avuto due palle quadrate ad andare in quel postaccio!". Chloe poteva dirlo, quel bagno di folla stava logorando Rachel. Di solito la vedeva sguazzare felice nell'attenzione degli altri. Non quel giorno, anche se regalava a tutti la sua faccia gentile. Le occhiate che invece lanciava a Chloe dicevano "Scappiamo da qui!"
Chloe avrebbe voluto realizzare immediatamente quella richiesta. Sparire per sempre da Arcadia Bay, andare in cerca di fortuna altrove. Ovunque, purché non fosse lì. Lontano, il più possibile.
 
-

"Adoro questi progetti per i costumi, Steph..." esclamò Rachel mentre sfogliava il blocco pieno di schizzi più o meno rifiniti. Steph era di fronte a lei, seduta dall'altro lato del tavolo, nella zona del campus nei pressi dei dormitori. Nella zona verde di fronte alla Blackwell c’erano quasi solo loro, a parte un paio di studenti che ancora temporeggiavano. Una di loro sembrava nota a Rachel, leggeva seduta per terra, appoggiata al tronco di un albero. Samantha… le pareva si chiamasse così…
"Grazie! Pensi che tua madre possa realizzare una cosa del genere?" disse Steph indicando il costume di Prospera.
"Beh, immagino di sì. L'anno scorso se l'è cavata bene con quello dell'Angelo Piangente, almeno con una parte!" commentò Rachel "E grazie di darmi una scusa per rimanere fuori casa un po' più a lungo!"
"Figurati! A che servono gli amici?" sorrise Steph.
Erano passate un paio di settimane dal concerto dei Firewalk e le sue conseguenze stavano diventando snervanti per Rachel. Non solo per via della punizione che la costringeva a rincasare ogni giorno subito dopo la scuola, salvo impegni 'certificati' con il Drama Club.
Mentre Rachel sfogliava il blocco di Steph, lei prese un sorso dal bicchiere di carta alla sua sinistra, contenente una cioccolata calda. Benché marzo fosse alle porte, le temperature erano ancora piuttosto rigide, anche se i giorni di pioggia diminuivano.
"E' da un po' che vorrei chiederti come stai..." disse Steph.
Rachel la guardò incuriosita: "Mmh? Sto bene! Perché?"
"Insomma... dopo quella foto c'è stato un po' di casino. Con Marisa intendo." disse Steph un po' timidamente.
Un po’ di casino era un modo elegante di dirlo. La prima conseguenza era stato l’incontro con Wells accompagnata dai genitori, in cui aveva perso il lavoro e i crediti come sua assistente. Visto che il provvedimento non riguardava infrazioni entro le mura scolastiche, ma solo una questione di ‘immagine’, non intaccò il suo curriculum. Poi apparvero le scritte sui muri come “Rachel Stoner” o “Rachel Drunker”. Con Chloe aveva provveduto a scrivere delle risposte sotto quei graffiti.
E poi le chiacchiere…
"Ufficialmente non ci sono problemi tra di noi... questo è fantastico!" disse Rachel tentando di deviare l'argomento su un disegno di Steph. La copia di un totem indiano, lo studio di un corvo e numerose bozze di quello che sembrava un costume o un personaggio che ricalcava esattamente il design del totem. Steph inarcò un sopracciglio e sogghignò: "Grazie!"
"A cosa stai lavorando? È un progetto personale?" indagò Rachel.
"Ti parlo di questo se tu mi dici come ti senti!"
Rachel sbuffò, lasciando cadere pesantemente le braccia sul tavolo, insieme al sorriso.
"Se vuoi..." si affrettò ad aggiungere Steph.
"Si, insomma... Sai com'è fatta Marisa. Da quando si è messa con quel tizio del Vortex Club, Sebastian, continua ad invitarmi alle loro feste, si finge solidale e cose così. Poi invece so per certo che è lei la mandante delle scritte, oltre ad aver messo in giro le voci..."
"Quelle secondo cui ti fai di crack che compri da Chloe?" aggiunse Steph.
"Proprio quelle.”
“Lo sai che nessuno ci crede vero? Ti sei fatta solo un selfie ad un concerto, la notizia è che il concerto era in un posto malfamato e con una ragazza ‘problematica’… hai solo intaccato l’immagine che gli altri avevano di te, e questo sconvolge le menti deboli!” tentò di rassicurarla Steph con un sorrisino.
Rachel lo ricambiò: “Grazie Steph! Comunque non è la prima volta che qualcuno spande merda su di me, è il Liceo, si sa come vanno queste cose!" disse Rachel, cercando di spazzare via le ombre dalla conversazione.
"Non è comunque giusto..." disse Steph, alla ricerca di un'apertura nella corazza di Rachel.
"E' solo invidiosa. Vuole i riflettori su di sé e pensa che io glieli stia rubando... certe volte glieli cederei volentieri!" commentò Rachel, il suo sguardo si spostò da qualche parte sul prato, le sopracciglia incurvate.
"Cosa intendi?"
Rachel prese un profondo sospiro e il sorriso tornò a splendere sul suo volto. Steph capì in quel momento che la porta si era definitivamente chiusa. Aveva visto Rachel mille volte indossare la faccia giusta per il contesto giusto, l'aveva vista esercitarsi al Drama Club ed era dannatamente brava. Anche nella vita quotidiana. Una certa delusione la invase, ma del resto era così con Rachel. Non si apriva mai fino in fondo. Non con lei comunque, per quanto lo volesse o tentasse.
Provò un’intensa, momentanea, invidia gelosa nei confronti di Chloe.
Passavano così tanto tempo insieme, sembravano molto vicine…
"Ora tocca a te!" disse allegramente Rachel "Cos'è questo... uomo-corvo?"
Steph sorrise, accettando ancora una volta di essere stata chiusa fuori: "Non è proprio un progetto personale, in parte è un esercizio creativo. Il professor Cole un po' di tempo fa ci ha dato il compito di trasformare un'oggetto reale in uno immaginario, tipo... avevo disegnato un'astronave a partire da un apriscatole. Roba così!"
"Sembra davvero figo!" Rachel appoggiò il mento fra le dita intrecciate delle mani, pendendo dalle sue labbra. Steph non era mai certa che il suo interesse fosse reale, anche se ne aveva tutta l'aria. Le piaceva parlare con Rachel, amava quando la stava ad ascoltare e le rarissime volte in cui lei le parlava delle sue cose. Solo, avrebbe voluto ci fossero molte più occasioni... come quelle che aveva Chloe.
"Insomma, quell'esercizio mi è piaciuto e ho continuato a farlo per i fatti miei. Non so cosa diventerà, potrebbe diventare un'armatura, un personaggio, un boss finale di una campagna..." continuò Steph.
"Boss finale? Campagna??"
"Ah... si, ti ho parlato di Dungeons and Dragons?"
"Un paio di volte. È un gioco da tavolo giusto?"
"Non proprio, è un gioco di ruolo. In effetti ti piacerebbe! I giocatori creano dei personaggi con caratteristiche e personalità definite e li interpretano in un'avventura raccontata dal Dungeon Master, che è sia il narratore che il... diciamo direttore di tutto."
"Sembra davvero interessante!" disse Rachel.
"Si gioca con questi..." disse Steph estraendo con gesto fulmineo un sacchetto dalla tasca e rovesciandolo sul tavolo di legno, facendo cadere diversi dadi colorati dalle molteplici facce. "Sono dadi speciali che vanno lanciati a seconda dei casi. Nello zaino ho il manuale con tutte le regole, ma per fortuna i giocatori non devono conoscerle tutte. Anzi, possono anche non saperne niente, basta che le conosca il Master. E io le conosco!" Steph si emozionava sempre come una bambina quando parlava di D&D. A Rachel piaceva! Era dolce e in generale Rachel amava il modo in cui le persone cambiano quando parlano di ciò che le appassiona.
"Se hai un po' di tempo potresti provare! Tra qualche minuto mi raggiunge Mikey e faremo una sessione." propose Steph.
"Grazie, ma anch'io ho un impegno! Sto aspettando la conferma..." disse Rachel dando un colpetto col dito sul suo cellulare, appoggiato poco distante.
"Ok. Ci sarà un'altra occasione!" Steph non sapeva nascondere la delusione, provava a mascherare il tono di voce, ma la sua fronte corrugata e la luce degli occhi che si offuscava erano un segnale inequivocabile.
"Mikey..." rifletté Rachel "Lo conosco?"
"Forse, non lo so. È il fratello minore di Drew..." disse Steph come se stesse confessando una marachella.
Rachel spalancò gli occhi per la sorpresa: "Ah! Quel Mikey! Non lo conosco personalmente, ma Drew mi ha parlato di lui... in passato."
"Già... tra voi le cose vanno ancora male?" si informò Steph.
"Non ci parliamo. Da quando ha aggredito Nathan abbiamo preso strade diverse..."
"Mi dispiace."
"Ma come mai giochi con Mikey? Non va alle medie?" Rachel era confusa.
Steph distolse lo sguardo cercando nel muretto del dormitorio alla sua sinistra una risposta ai suoi conflitti interiori. Rachel se ne accorse: "Che succede Steph?"
"In realtà non dovrei dirlo a nessuno... Drew mi ha fatto promettere di non parlarne, specialmente a te. Ma voi siete amici anche se avete litigato. Sai dei problemi del padre di Drew vero?"
Rachel annuì, facendosi molto seria.
"Beh, le cose non vanno per niente bene. È disoccupato da mesi, fatica a ricevere il sussidio e ha perso la casa. Passa dal divano di qualche amico ai motel e... insomma, Mikey sta vivendo alla Blackwell in questo momento. Dorme con Drew nella sua stanza del Dormitorio."
"Merda..."
"Già! In più Mikey ha problemi di salute... le cure costano..."
"Si lo so..." disse Rachel
"Drew si è messo in un giro un po' losco. Credo che spacci o qualcosa del genere. Non è che sia stato molto preciso a riguardo, ma so che è in contatto con brutta gente."
"Merda... ti ha detto lui tutte queste cose?" una parte di Rachel si sentì male, una puntura di orgoglio ferito, la sensazione dolorosa di vedersi sostituita da qualcuno. Rachel avrebbe potuto aiutare Drew, si era offerta di farlo molto tempo prima che la situazione degenerasse così... Ma lui non aveva voluto, ed ora aveva coinvolto Steph. Al suo posto…
"Si, più o meno. Sulla parte losca ha provato a fare il criptico, ma non sono stupida. Mi ha chiesto di aiutarlo con Mikey, per non lasciarlo sempre da solo nei Dormitori o tenerlo lontano quando… fa le sue cose... alla fine ho scoperto che è più nerd di me! Così ho iniziato a farlo giocare a D&D. Una fuga dalla realtà penso sia quello che gli serve in questo momento..." concluse Steph, svuotando il bicchiere di cioccolata.
"Porca troia..." sussurrò Rachel "Non avevo idea che la situazione fosse così di merda..."
"Volevo dirtelo prima, ma non sapevo che fare... cioè... Drew è stato chiarissimo e probabilmente se sapesse che te l'ho detto si incazzerebbe a morte."
"Questo spiega diverse cose... come il suo comportamento da bullo... non lo giustifica, ma anch'io sarei irritabile al suo posto!" commentò Rachel massaggiandosi la fronte mentre cercava di elaborare le nuove informazioni. Proprio in quel momento una voce vagamente nasale arrivò dalle sue spalle:
"Steph!"
Le due ragazze si voltarono all'unisono e videro un ragazzo minuto, con occhiali ingombranti e uno zaino apparentemente molto pesante sulle spalle. Qualcosa di Drew era riconoscibile nei suoi occhi, nel naso, ma le orecchie a sventola erano tutte sue. Sulla felpa indaco era disegnato un procione con cappello a punta da mago, che lanciava un dado a venti facce. Rachel non poté fare a meno di sorridere, una sensazione di tenerezza la invase.
Quando Mikey fu nei pressi del tavolo la guardò con sospetto, in silenzio.
"Ciao Mikey! Lei è Rachel!" presentò Steph.
"Molto piacere!" disse lei alzandosi e tenendo la mano.
Lui la guardò quasi confuso per un po', poi timidamente la strinse. Morbidamente.
"Piacere..."
"Pronto a giocare Elamon?" disse Steph allegramente.
"Certo!" esclamò lui praticamente ignorando Rachel "Mi sono passato di livello, ho un paio di incantesimi cazzutissimi che devo provare. Fammi incontrare dei non morti ti prego... anche solo uno scheletrino..."
Rachel accantonò la confusione che le scatenarono quei discorsi profondamente nerd, che per lei non avevano il minimo senso, ma che invece Steph sembrava seguire alla perfezione.
Mentre recuperava le sue cose per fare spazio a Mikey/Elamon, che aveva già occupato metà del tavolo con quaderni, dadi, manuali di gioco e miniature dipinte, il cellulare le vibrò nella tasca.
 
Chloe
  • Fuga dalla punizione!
  • Prof Ferdinand probabilmente non se ne accorgerà nemmeno.
  • Perché usano sempre i prof di igiene e salute per sorvegliare la gente??
 
Rachel sghignazzò e rispose
  • Probabilmente perché dovrebbero essere persone responsabili...
  • Dovrebbero!
  • Ci vediamo al parcheggio! Sarò quella figa!
 
Chloe
  • Arrivo!
 
Rachel ripose il telefono, salutò calorosamente Steph e Mikey e si diresse all'appuntamento con Chloe.
Tenne per sé tutto ciò che Steph le aveva raccontato.
 
-
 
Rachel
  • Ciao Drew. Ho bisogno di parlarti.
  • Drew ti ho chiamato. Rispondi.
  • Sono passati tre giorni e ancora mi ignori. È importante.
  • Se un po’ mi conosci sai che non smetterò.
  • Diventerò il tuo incubo peggiore, ti sveglierai nel cuore della notte e il tuo cellulare dirà 169 chiamate perse da Rachel Amber!
Drew
  • Che cazzo vuoi???
Rachel
  • Finalmente!
  • Voglio solo sapere come stai. Ho saputo che le cose con tuo padre non vanno benissimo…
Drew
  • Chi te l’ha detto??
Rachel
  • Sono la figlia del Procuratore Distrettuale e Arcadia Bay è una città piccola.
Drew
  • Sai cosa? Non sono cazzi tuoi. Mi pareva avessi scelto il tuo cagnolino Prescott giusto?
  • Stai con lui! Preoccupati di lui e stai alla larga.
Rachel
  • Ho visto Steph e Mikey…
  • Che sta succedendo Drew?
  • Io posso aiutarti, siamo amici ricordi? Anche se si litiga tra amici ci si aiuta.
Drew
  • Non voglio il tuo aiuto
  • Fatti i cazzi tuoi
  • Vaffanculo!
Rachel
 
-
 
Nathan
  • Hey! Proviamo insieme domani?
Rachel
  • Scusa, domani non posso. Questa settimana ho già usato tre volte il bonus Keaton per rimanere fuori casa…
Nathan
  • Tranne che questa volta sarebbe vero!
  • Dobbiamo davvero provare…
Rachel
  • Hai ragione
  • Sono una cogliona.
  • Settimana prossima sarà l’ultima di galera e ci sarò. Giuro!
Nathan
  • Ok…
 
-
 
Rachel
  • Ciao Meg.
  • Ho provato a chiamarti. Ti ho lasciato un messaggio in segreteria.
  • So di essere stata una pessima amica… da un po’ di tempo.
  • Se vorrai io sarò qui…
 
**************************************
 
“Buon compleanno Chloe!”
Joyce era tutta contenta mentre portava in tavola una torta al cioccolato con sedici candeline.
David si trovava dall’altro lato della tavola, disponendo nervosamente piatti e posate da dolce. Da qualche tempo David non era per niente felice. Più o meno da quando era stato licenziato!
Succede quando ti metti a perquisire persone a caso in cerca di droghe e alcol… pensò Chloe.
In realtà l’umore di David era peggiorato drasticamente dopo il concerto dei Firewalk. Joyce aveva sentito degli studenti della Blackwell parlarne al Two Whales, aveva fatto alcune domande e il resto era storia. David aveva ricominciato a starle addosso.
“Forse puoi fregare tua madre, ma non me! Lo so che hai ripreso a drogarti! Confessa!” più o meno era questo il tenore delle loro interazioni. “E’ colpa di quella Rachel Amber vero? Ti proibisco di rivolgerle ancora la parola!” diceva anche, scatenando le ire di Chloe e inevitabili litigi. Fanculo… se c’era un’influenza positiva nella sua vita era Rachel!
Anche al lavoro David si era fatto più paranoico, eseguendo controlli casuali sempre meno casuali sui clienti che uscivano, finché un giorno apostrofò malamente la signora Gardner, una amabile vecchina famosa per il suo stand di torte e biscotti di zucca ad Halloween. Alzò la voce, agitò le braccia minaccioso, la strattonò per controllare che non avesse rubato dell’alcol e la signora Gardner minacciò di fare causa al supermercato. Fu molto più economico per loro licenziare David in tronco…
Anche stavolta, Joyce era stata comprensiva…
Chloe non riusciva ancora a credere al fatto che sua madre non vedesse ciò che lei vedeva: David era irrecuperabile. Una testa di cazzo, completamente andato! Intanto lei ci rimetteva.
Era stata messa in punizione per essersi rifiutata di farlo entrare in camera sua per verificare che non avesse ‘stupefacenti’. Già una volta era entrato di nascosto, ma Chloe non gli avrebbe mai consapevolmente permesso di perquisire la sua roba!
Una bottiglia di vino era sparita dal frigo ed ovviamente era colpa di Chloe, salvo che poi Joyce gli ricordò che l’avevano bevuta insieme alcuni giorni prima.
Le aveva chiesto scusa?
No!
L’aveva fatto Joyce per lui, ma non valeva un cazzo…
Parole vuote…
E ora David era lì davanti a lei. Benché Joyce avesse tentato di rendere la giornata speciale e allegra, la tensione si tagliava col coltello, che Chloe impugnò per affettare la torta. Avrebbe tanto voluto che Rachel fosse lì con lei. Erano d’accordo di vedersi dopo e festeggiare a modo loro, ma intanto doveva attraversare tutto questo da sola. Era lei ad averle detto che preferiva non farla venire a casa… ma un’alleata in quella situazione l’avrebbe fatta sentire molto meglio. Anche se David la considerava una cattiva compagnia… Idiota!
Chloe affondò la lama nella torta, tenendo il coltello al contrario.
“Stai pugnalando qualcuno? Prendilo come si deve!” bofonchiò David.
“Scusa… devo essermi drogata… pensavo di impugnarlo bene!” ribatté Chloe sarcastica.
“Fai poco la spiritosa. Hai un problema. Lo sai tu e lo so io, ma preferisci tentare di farmi passare per fesso!”
Chloe fece per replicare ma Joyce li interruppe:
“Ragazzi! Siete stati bravi per tutto il pranzo, non roviniamo tutto al momento del dolce ok?”
“Ok…” mugugnò David
“Come ti pare…” bisbigliò Chloe. David la sentì e le vene del collo si gonfiarono sensibilmente come se stessero per esplodere. Ma l’uomo tacque. Sembrava voler trattenere un’eruzione vulcanica con un tappo di sughero.
“Come spenderai il tuo regalo di 100 dollari tesoro?” canticchiò Joyce, mentre appoggiava dolcemente una mano sulla spalla di David, che nel frattempo stringeva un lato del suo piatto, così forte che le sue nocche erano bianche.
“Beh…” Nella mente di Chloe passarono dozzine di risposte possibili in rapida successione. Serie, allegre, scherzose, diplomatiche, concilianti… sapeva che il sarcasmo era fuori luogo. Sapeva che avrebbe solo peggiorato le cose. Poteva vedere che David era ad un soffio dal raggiungere il suo limite. Il sarcasmo non andava bene.
“Probabilmente salderò i miei debiti di gioco! O mi farò una bella scorta di erba da nascondere sotto il parquet! Anzi… mi ha sempre incuriosito l’eroina! Penso che la proverò!” Non riuscì a resistere…
CRASH!
Il piatto di David impattò sul tavolo, andando in frantumi. Chloe balzò in piedi, con il coltello sporco di torta ancora in mano, spaventata a morte. Joyce spalancò gli occhi:
“David!”
“Ora basta! Sei solo una stronzetta impertinente! Continui a provocare e pensi che non ci saranno conseguenze! Sei in punizione!”
“David calmati!” la mano di Joyce si strinse sulla sua spalla, ma lui se ne liberò con uno strattone.
“Falla finita Joyce! Le concedi sempre tutto! Continui a dirmi di lasciar correre, di capire, di lasciarle spazio. Ma questa qui non ha bisogno di spazio! Ha bisogno di tante bastonate! Se fosse mia figlia col cazzo che farebbe così!” David aveva i pugni così serrati da aver perso ogni colore, che invece era tutto nel volto paonazzo. Joyce sembrava non sapere più che fare, mentre Chloe non poté fare altro che reagire.
“Hai centrato il punto brutto stronzo! Tu non sei mio padre! Sei solo un coglione che non sa nemmeno tenersi un lavoro!”
E poi la vista di Chloe si oscurò. Per alcuni istanti vertiginosi ebbe l’impressione di fluttuare, davanti a lei apparve un caleidoscopio di colori astratti nonostante avesse gli occhi aperti. Poi la vista tornò, insieme ad un dolore pulsante sul lato destro della faccia. Più o meno lo stesso punto in cui quello stronzo le aveva rifilato un pugno al concerto dei Firewalk. Si accorse di aver fatto alcuni passi indietro rispetto al tavolo, ma non se lo ricordava. La mano aperta di David era ancora a mezz’aria, lui era immobile e sconcertato.
Piombò il silenzio per un secondo quasi eterno.
“David!” la voce di Joyce più alta di alcune ottave frantumò l’aria, mentre l’uomo ripiombava a sedere quasi catatonico.
“Io… io…” biascicò.
“Sei solo un pezzo di merda!!” gridò Chloe reggendosi la faccia prima di cominciare a correre verso la porta.
“Chloe!” la voce disperata di Joyce la raggiunse a malapena.
Lei era già fuori dalla porta e le sue dita scorrevano freneticamente sul cellulare, digitando un messaggio:
Chloe
  • Dove sei??
La risposta non arrivò immediatamente.
Chloe cominciò a correre verso la spiaggia, finché il telefono non vibrò.
Frank
  • Two Whales
  • Che vuoi?
Chloe
  • Droga
Frank
  • Non scrivere questa merda via messaggio!
Chloe
  • Coso, usi questo numero per spacciare!
Frank
  • Testa di cazzo!
  • Non venire qui
  • Aspettami dove sai.
Chloe
  • Ok
 
Corse fino alla spiaggia, nella fretta non aveva nemmeno preso la giacca, indossava solo jeans, scarpe e canottiera rosa con un teschio stilizzato sul davanti. Non riusciva a tenere gli occhi aperti. Le lacrime sgorgavano come un fiume in piena. Almeno, asciugandosi a contatto con l’aria, rinfrescavano la sua guancia arrossata. Mentre camminava si pentì di aver dato a sua madre i soldi rubati al concerto. Glieli aveva infilati di nascosto nella borsa per aiutarla con le bollette ed evitare che impegnasse i suoi ori… ma non se lo meritava…
Per un po’ non ci fu più nulla.
Solo un vuoto, doloroso, oblio.
Chloe era di nuovo sola.
William era morto e Max l’aveva abbandonata.
Dimenticata.
La ferita nel suo cuore si riaprì e sanguinò, come se non si fosse mai rimarginata.
Per un po’, nemmeno Rachel esistette più.
 
-
 
Rachel
  • Hey gurl! Sono al Two Whales ma non ti vedo!
  • Chloe? Ci sei?
  • Ti ho appena chiamata e squilla a vuoto, mi sto preoccupando!
Chloe
  • Sono qui
Rachel
  • Che succede? Sono tornata a casa
Chloe
  • Scusa…
  • È successa la merda…
Rachel
  • Ti chiamo
Chloe
  • No non
Rrrrrrrrrrmmmmmmmmmnnnnnn
Rrrrrrrrrrmmmmmmmmmnnnnnn
Rrrrrrrrrrmmmmmmmmmnnnnnn
Rrrrrrrrrrmmmmmmmmmnnnnnn
 
Chloe non riuscì a finire il messaggio che il telefono cominciò a vibrare. Barcollava sulla spiaggia, una canna in mano, la testa leggera, il corpo intossicato di alcol e THC. Voleva rispondere ma non ci riusciva. Niente di assurdo, semplicemente non riusciva a centrare il bottone.
Alla fine ci riuscì.
“Pronto…” biascicò. Sotto la sua voce le onde del mare scrosciavano e il vento profumato di salsedine la sferzava. Le scarpe le si erano riempite di sabbia da quando era partita dal camper di Frank dieci minuti prima. Il sole stava per tuffarsi nel Pacifico.
[Chloe… che cazzo succede?] la voce di Rachel era preoccupata.
“No no… no niente preoccuparsi…” parlare con qualcuno non era previsto, il risultato era che i neuroni di Chloe soffrivano di dislessia.
[… Sei fatta?]
Chloe scoppiò a ridere, quel genere di risata ebete e stanca che dice solo ‘non ci sto capendo un cazzo’.
[Si sei fatta… dove sei??]
“Rachel io… non…”
[DOVE. CAZZO. SEI?!]
Chloe rimase stupita da quella domanda così perentoria. Non era in grado di opporvisi.
“Spiaggia…”
[Dove di preciso?]
“Ehm…” Chloe si guardò intorno cercando dei punti di riferimento intravide la Chiesa ad un centinaio di metri “Chiesa … alla vicino …”
[Fermati lì e aspettami. Non protestare o mi incazzo]
“Ok…”
Chloe aveva una rotta! Come Jack Sparrow!!
Iniziò a dirigersi verso la Chiesa, stupendosi di quanto fosse lontana. O forse si allontanava da lei? Cattiva chiesa!
 
-
 
La mano fresca di Rachel sulla sua fronte le diede un po’ di conforto, mentre l’intero contenuto del suo stomaco e forse anche dell’anima veniva vomitato sull’asfalto. Dopo che i conati terminarono e con tutto l’impegno non c’era nient’altro da poter espellere, Chloe riuscì a respirare di nuovo. Annaspando si sedette sul basso muretto che separava il sagrato della chiesa dal marciapiede. Rachel le mise la sua giacca di pelle sulle spalle. Ormai era sera, faceva un freddo assurdo anche se Chloe non se ne avvedeva.
Rachel si prese cura di lei in silenzio per qualche minuto, massaggiandole in cerchio il centro della schiena. Era piacevole. Chloe si sentiva protetta. Ma anche più lucida. Fastidiosamente lucida.
“Stai meglio?” chiese Rachel. Sul suo volto c’era preoccupazione. Vera preoccupazione.
“Si… credo…” gracchiò Chloe. Si vide porgere un fazzoletto e lo accettò. Doveva fare schifo, infatti ripulì una quantità di schifezza gastrica e moccio dal suo viso, molta più di quanta immaginasse.
Merda… Rachel mi sta vedendo così… Fu l’agghiacciante comprensione.
Ma lei le sorrideva dolcemente. Chloe rimase per un po’ a fissarla, incantata da quegli occhi nocciola che apparivano caldi anche nella gelida luce dei lampioni.
“Come sembro?” chiese Chloe.
“Una merda… di quelle sciolte e calpestate!” rispose candidamente Rachel.
“Pffh… grazie stronza!” ridacchiò sorpresa Chloe.
“Sempre a disposizione!”
 
Rimasero là per un bel po’. Chloe non sapeva quanto, ma Rachel non sembrava avere fretta. Indossava la maglietta Jane Doe che le aveva regalato a Natale. Più a Capodanno in realtà, ma dettagli. Il suono delle onde era una ninna nanna, cullava le sensazioni di Chloe, indicandole la via verso il torpore.
“Chloe… mi dici cos’è successo?” chiese di nuovo, gentilmente Rachel.
E lei raccontò tutto. Il pranzo di compleanno, il taglio della torta, lo schiaffo di David, la fuga da Frank e il pomeriggio a base di alcol e droghe leggere, fino alla sua telefonata mentre barcollava in spiaggia.
Rachel ascoltò ogni parola con attenzione, pendeva letteralmente dalle sue labbra intorpidite. Le avvolse un braccio intorno alle spalle, stringendola amabilmente a sé. Quando ebbe finito calò il silenzio per alcuni istanti, prima che Rachel lo rompesse:
“Porca troia…” disse quasi in un sussurro sconcertato.
“Già…”
“L’aveva mai fatto prima?” chiese Rachel riferendosi allo schiaffo di David.
“No… cioè… più o meno. Una volta mi ha spintonato, non mi aveva mai colpita…”
“Questi sono abusi domestici, Chloe. Puoi denunciarlo anche subito.” Disse Rachel con determinazione. Chloe vide come due fiammelle ardere nelle sue iridi e seppe che credeva ad ogni sillaba che aveva appena pronunciato ed era in attesa. Il suo silenzio sembrava dire ‘Dammi solo il via e lo sistemo io lo stronzo!’. Fu allora che Chloe ricordò che il padre di Rachel era il Procuratore Distrettuale… dimenticava le cose nel post fattanza…
“Non lo so…” bofonchiò Chloe, schiarendosi la voce e sputando un fiotto di saliva acida sull’asfalto.
“Ovviamente non ti farò pressioni, ma te lo sto consigliando con tutta me stessa. Come donna ma soprattutto come amica…” il tono di Rachel era davvero intenso, così come il suo sguardo. Chloe seppe che era davvero al suo fianco in quel momento… e si pentì di aver chiamato Frank invece di lei. Si fustigò mentalmente per aver di nuovo messo in dubbio la sincerità di Rachel.
“Grazie Rach… però…”
Joyce…
Non lo disse ma lo pensò.
“A cosa stai pensando? Qual è il dubbio?”
“Mia… madre… lei non si merita di… non lo so. Lei è felice con David e questo… non è violento di solito… avevo visto che era al limite e l’ho provocato lo stesso.” Che cazzo stava succedendo? Stava davvero difendendo David? Aveva l’opportunità di metterlo seriamente nei guai, soprattutto dopo il modo in cui era stato licenziato. Eppure le sembrava sbagliato, le sembrava troppo…
“Stai dicendo che te la sei cercata?” provocò Rachel, sempre con gentilezza.
“No! Ma forse andrà come al solito… si scuserà e per un po’ di tempo sarà sopraffatto dai sensi di colpa e mi lascerà in pace. Oppure è la volta buona che mamma divorzia!”
“Forse! Sarebbe una cosa intelligente da fare.” Commentò Rachel “Voglio solo che tu sappia che sono al tuo fianco Chloe…”
“Lo so… è assurdo cazzo! Ma ora lo so…” bofonchiò con voce tremante.
“Prima non lo sapevi?” chiese Rachel.
“Si! Cioè… lo sapevo, me l’hai detto e dimostrato tante volte ma… cazzo…” Chloe iniziò ad agitarsi, con le mani iniziò a tormentarsi il cuoio capelluto “Non è facile fidarmi di qualcuno… anche se lo so, una parte di me non lo sa… non so se lo capirà mai più…”
“Dì a quella parte di te che può anche rilassarsi. Sono qui e non me ne vado…”
“Perché?” sbottò Chloe.
“Cosa?” chiese Rachel sorpresa.
“Perché?” ripeté Chloe. Forse le barriere erano davvero cadute, o forse era ancora sufficientemente intossicata da tutta la merda che aveva preso, ma finalmente poteva dare voce a quella domanda: Perché Rachel rimaneva al suo fianco? Perché ci si era messa prima di tutto??
Ok erano due domande, ma potevano avere entrambe la stessa risposta.
Rachel tolse il braccio dalle spalle di Chloe, ma in modo lento e gentile. Non come se si stesse ritraendo, più come se avesse bisogno di cambiare posizione. Infilò le mani giunte tra le cosce e strinse per scaldarle, mentre guardava meditabonda davanti a sé.
“Perché ti voglio bene…”
Cosa?
“Cosa?!” disse Chloe con più stupore di quel che volesse.
“Ti.Voglio.Bene!” scandì bene Rachel guardandola negli occhi.
“Perché?” Chloe non poté impedirsi di chiederglielo.
“Non è una cosa che si chiede di solito!” scherzò Rachel, ottenendo un sorriso da Chloe, che rimase comunque in attesa “Non posso farti un elenco di motivi, anche se magari è quello che vorresti…” iniziò Rachel cercando le parole da qualche parte in direzione dell’oceano “Tu sei vera, sei quello che sei, se ascolti ascolti, se parli parli, quando agisci agisci… quando sei con me, sei davvero con me… sei l’unica persona così che conosco.”
“Anche tu sei così…” rispose Chloe, ricevendo una risatina come risposta.
“Davvero lo pensi?” chiese Rachel prendendosi gioco di lei.
“Si… insomma, con me sei così e piaci alle persone proprio per questo! Hai un sacco di amici.” tentò di spiegare Chloe.
“Io piaccio alle persone perché sono brava a socializzare, ma non significa essere amici.” Commentò amaramente Rachel.
“Margareth, Karen…” disse Chloe
“Chi??” chiese Rachel con un sopracciglio inarcato.
“Come cazzo si chiamano… le tue amiche del Drama Club! Oppure Lily, Claudia… Truman…”
Rachel scoppiò a ridere: “I loro nomi te li ricordi però! Forse intendevi Megan e Kelly?”
“Si ok… loro!” sghignazzò Chloe.
“Non so se definirli amici… tutti loro… tra tutta la gente che frequento oltre a te forse solo un paio posso considerarli amici!” disse Rachel.
“E allora perché li frequenti?” chiese Chloe perplessa.
Rachel fece spallucce e rimase in silenzio. I suoi occhi guizzarono qui e là per un istante, poi si fermarono.
“L’amicizia è una cosa reciproca Chloe. La gente sta con te, si comporta bene, poi un giorno cambia qualcosa e smette… e anche se ti chiedi perché non c’è una fottuta risposta. È così e basta…” spiegò Rachel con fermezza.
“La gente finge di preoccuparsi per te, finché non lo fa più…” mormorò Chloe, completamente stupefatta di quanto le parole di Rachel descrivessero perfettamente il modo in cui si sentiva lei. La lezione che Max e sua madre le avevano insegnato, così come tutto il resto del mondo.
“Esatto… ma gli amici non sono così. Gli amici ci sono e non se ne vanno!” concluse Rachel.
“E tu come fai a sapere che non sparirò?” provocò Chloe.
“Perché mi fido di te Chloe…” disse Rachel mettendo a tacere ogni obiezione da parte di Chloe con uno sguardo così intenso che sembrò abbracciarla “Inoltre…” continuò Rachel con un sogghigno “Se sparissi ti verrei a cercare, ma non saresti felice se ti trovassi…”
“Oh beh… vale lo stesso per me!” ridacchiò Chloe.
“Bene…” Quel sorriso, quello sguardo felino, quei capelli così biondi e luminosi anche se era buio…
Quelli erano i momenti in cui Chloe si domandava da dove cazzo fosse uscita Rachel! Forse il suo karma non faceva così schifo come aveva sempre pensato se aveva incontrato qualcuno come lei. Senza volerlo i suoi occhi si posarono sulle sue labbra, così invitanti, così rosa, così morbide…
“Brrrr….” Esclamò Rachel sfregandosi selvaggiamente le braccia “Faremo meglio a muoverci! Sto congelando!” si alzò in piedi.
“Scusa… ti ridò la giacca!”
“No tienila… andiamo da qualche parte al caldo!”
“Già… ma non credo di poter bere o mangiare niente per un bel po’… e non voglio tornare a casa stanotte…” disse Chloe alzandosi. Si armò di coraggio e avvolse un braccio attorno a Rachel. Era così minuta rispetto a lei che fu facile. Si aspettava uno sguardo, una reazione, qualsiasi cosa che sottolineasse il suo gesto.
Nulla!
Sembrava tutto perfettamente normale per Rachel, che anzi, si accoccolò sotto la sua ala:
“Ti ospiterei da me, ma dopo tutta la merda che è successa al concerto sei entrata nella lista dei dieci più ricercati di Arcadia Bay!”
“Solo dei primi dieci? Voglio essere tra i primi tre cazzo!” scherzò Chloe provocando la risata cantilenante di Rachel. Era così bello sentirla ridere…
“Ho un’altra opzione… andremo da Lily…”
“Sicura che non disturberò?” chiese Chloe.
“Non se lo chiedo io! E poi le piaci!” ammiccò Rachel “Hey Lily!”
Dopo una breve conversazione, Chloe e Rachel si incamminarono.
 
-
 
Joyce
  • Chloe! Dove sei andata?
  • Non sei in punizione, torna a casa.
  • Ho parlato con David e l’ho convinto a rivolgersi ad uno specialista, visto che non bastano le sedute con gli altri veterani. Le cose miglioreranno, lui vuole migliorare ed è molto dispiaciuto. Ti prego torna a casa.
  • Dove sei??
  • Chloe?
Chloe
  • Sempre la solita storia. Cosa deve fare perché ti renda conto che è fuori di testa? Ammazzarmi??
Joyce
  • È la prima volta che succede. Ha esagerato, ma anche tu. Sai benissimo che David fa fatica a controllarsi quando è sotto pressione e tu aggiungi sempre il tuo carico!
Chloe
  • Non l’hai scritto davvero…
Joyce
  • Chloe torna a casa.
  • Dimmi almeno dove sei!
Chloe
  • Al sicuro.
Joyce
  • Al sicuro dove??
  • Chloe rispondi.
  • Chiamo la polizia!
Chloe
  • Fai quello che ti pare
  • Finché David vive in quella casa non mi sento molto tranquilla a tornare.
Joyce
  • Cos’è un ricatto?
  • Non ti riconosco più!
Chloe
  • Nemmeno io.
  • Comunque tornerò non ti preoccupare.
  • Solo non ora…
Joyce
  • Quando?
Chloe
  • Devo andare a scuola ricordi? I miei libri sono li. Tornerò ma adesso lasciami sola.
  • Ok?
Joyce
  • Ok
  • Io ti amo Chloe, non scordarlo mai
 
**************************************
 
Chloe
  • Indovina un po’?
Rachel
  • Indizi!
Chloe
  • Un indizio!
  • Una parola di sette lettere
Rachel
  • Mmmmm
  • Non la rendi facile Price!
Chloe
  • È questo il bello!
Rachel
  • Vediamo se la mia logica deduttiva mi viene in soccorso…
  • Siamo a fine aprile, a scuola non sta succedendo un cazzo di rilevante da un po’, Marisa è sorprendentemente calma con entrambe, non hai test importanti in vista e comunque non te ne fregherebbe un cazzo! Non c’entra con la Blackwell!
Chloe
  • Fin troppo facile così Sherlock!
Rachel
  • Ma… si tratta pur sempre di un test…
  • PATENTE??!?!??!
Chloe
  • Ma come cazzo fai?
Rachel
  • 7 lettere e l’unica cosa di importante che c’era in ballo in questo periodo era quella!
Chloe
  • Buon Dio Holmes!!
 
Rachel sghignazzò, mentre Chloe le inviava un nuovo messaggio.
  • Ora manca solo la macchina! Devo cominciare a risparmiare
  • Questo vuol dire meno droga…
Rachel scoppiò di nuovo a ridere. Seduta alla scrivania di camera sua, stava facendo una pausa dallo studio. Aveva i test di Chimica e Matematica la settimana successiva, in passato avrebbe studiato con Megan, ma lei ancora non voleva parlarle e a malapena la salutava quando si incrociavano a scuola. Da quegli ultimi messaggi che le aveva scritto, Megan era diventata più “social”. Sui muri della Blackwell erano iniziati ad apparire volantini graficamente perfetti che invitavano allo Sci-Fi Movie Club. Meg aveva creato un suo gruppo e questo faceva sentire strana Rachel. Sembrava proprio una sorta di reazione al loro allontanamento. Sperava che prima o poi le cose si sarebbero risolte tra loro.
Mentre digitava una risposta per Chloe sentì la voce di suo padre proveniente dall’esterno. James era a casa e come ormai era abitudine, lavorava nel suo ufficio. La voce sua voce sembrava tesa:
“Ti ho detto di non chiamarmi mai!” sibilò.
Rachel si incuriosì. Non sembrava una conversazione da ufficio, né il tono né le parole. Furtivamente, come se potesse sentirla muoversi dal cortile, si spostò dalla sedia e fece il giro della scrivania, per quanto lo spazio ristretto lo rendesse possibile. Si protese per sbirciare fuori dalla finestra, spostando leggermente la lampada, ma non riusciva a vederlo. Non era sotto la sua finestra, ma era comunque da quelle parti.
“Ok ok… quindi che cosa mi stai chiedendo?” sbuffò James spazientito.
Rachel avrebbe voluto scendere e raggiungerlo, per tentare di sentire meglio la conversazione, ma se si fosse spostata avrebbe perso anche quel poco che riusciva a sentire ora. Suo padre si stava allontanando.
“Senti, va bene ok? Ma non possiamo parlarne adesso, non sono solo a casa.”
Il cuore di Rachel iniziò ad accelerare, una sensazione fastidiosa le si attorcigliò attorno allo stomaco. Perché suo padre era così cauto? Perché il fatto che lei fosse a casa doveva impedirgli di parlare con qualcuno. Stava tenendo nascosto qualcosa?
Certo che lo faceva!
James era il Procuratore Distrettuale della Contea, non raccontava certo alla sua famiglia di tutti i casi problematici di cui si occupava e di certo le situazioni più delicate non le trattava così, al telefono. Doveva essere quella la spiegazione.
“Ti ho detto ok! Domani! Scrivimi dove e quando…” la sua voce era stanca. Rachel continuò ad ascoltare.
“Lo so… mi… mi manchi anche tu…”
Rachel si paralizzò e un’ondata di gelo la travolse.
Mi manchi anche tu…
Mi manchi…
Con chi cazzo stava parlando suo padre?!
Rachel udì distrattamente il ‘bip’ della comunicazione che viene interrotta sul cellulare e i passi di suo padre fare il giro della casa.
Mi manchi…
Chi cazzo mancava a suo padre?
Quella non era decisamente una conversazione da lavoro e quel tono. Cos’era quella sfumatura dolce nella voce di James?
Improvvisamente nella mente di Rachel cominciò a costruirsi uno scenario, uno cominciato in autunno, quando aveva iniziato a lavorare più spesso da casa e dare segni di stress. Uno in cui suo padre, certe notti, faceva molto tardi e altre volte era uscito di casa subito dopo cena per “lavoro”. Rachel ci aveva sempre creduto, non aveva motivi di dubitare di lui o di immaginare quello che ora le aveva invaso la mente.
Suo padre aveva un’amante?
Suo padre… si scopava un’altra donna?
Una che non era sua madre?
Non voleva nemmeno pensarlo come un’affermazione. Certo, suo padre aveva dimostrato di essere capace di mentire piuttosto bene, di rigirare le persone ai suoi comodi, compresa lei stessa. Questo le aveva insegnato la sua campagna elettorale. Ma il fatto che mentisse o omettesse qualcosa per lavoro era ancora accettabile…
Quello invece…
Sentì il suono distante della porta sul retro che si chiudeva, quella che dalla cucina dava nel ripostiglio e poi in garage. Rachel si rese conto di essere ancora mezza arrampicata sulla sua scrivania. Immobile.
Scese e si gettò sul letto, tentando di recuperare il filo dei suoi pensieri.
Suo padre era un traditore?
No… doveva averne le prove…
Se era così allora…
Non ci voleva nemmeno pensare!
In ogni caso le prove erano sul suo cellulare.
“Scrivimi dove e quando” aveva detto giusto?
Quella era la chiave…
 
Il suo telefono vibrò dalla scrivania. Era Chloe.
Chloe
  • Ho festeggiato con un bel murales nel parcheggio della Blackwell!
  • Mi ci sono impegnata davvero! Una bella macchina incazzata che scoreggia in faccia a Wells!
  • Ho usato le bombole e i colori… tutto insomma…
  • Domani quando lo vedi mi dici se ti piace!!
  • Hey?
Rachel rispose in automatico, senza pensare.
  • Sempre che Samuel non te l’abbia già coperto!
Chloe
  • Merda no!
  • Spero di no!!
Un piano iniziò a prendere forma nella mente di Rachel, mentre si contorceva sulle lenzuola del letto rifatto. Ma la prima cosa da fare era leggere il cellulare di suo padre…
Quella sera, durante la cena, Rachel fu molto attenta a dove si trovava il telefono di James. Con la scusa di andare in bagno lo prese di soppiatto dal mobile vicino alla poltrona di suo padre, esattamente sotto l’abat-jour, e salì le scale.
Non ci volle molto a trovare quello giusto.
 
Numero Sconosciuto
  • Vediamoci domani alle 11 a Culmination Park, sotto la quercia.
Nient’altro…
Sembrava che suo padre fosse stato molto cauto fino ad allora visto che quel numero non era nemmeno salvato e quello era l’unico messaggio. Evidentemente la troia era proprio innamorata!
Rachel prese un profondo respiro…
Non era ancora detto che fosse come pensava.
Domani l’avrebbe scoperto. Questo implicava saltare la scuola e raggiungere Culmination in orario.
Non voleva farlo da sola…
Aveva bisogno di Chloe. Chloe era l’unica che poteva esserle accanto in quel momento, l’unica che avrebbe anche potuto desiderare di esserci.
Fino ad allora Rachel c’era stata per Chloe, fin dall’inizio aveva cercato di esserle vicina in quelli che ragionevolmente erano stati i suoi momenti peggiori. Ora era il momento di restituire il favore giusto? Erano amiche, gli amici si sostengono a vicenda! Gli amici si aiutano!
Rachel tornò al piano di sotto e con nonchalance rimise il cellulare di suo padre a posto.
 
-
 
Rachel
  • Domani ho bisogno di te
Chloe
  • Certo! Cosa facciamo?
Rachel
  • Dobbiamo saltare la scuola
Chloe
  • Fin qui è facile per me.
Rachel
  • È una cosa seria Chloe…
  • Io temo che mio padre abbia un’amante…
  • So dove si devono incontrare domani ma ho bisogno che tu sia con me
  • Da sola non so come reagirò…
Chloe
  • Merda…
  • Seria? Come mai lo pensi?
Rachel
  • Ho ascoltato una strana conversazione e ho sbirciato tra i suoi messaggi
  • Un numero sconosciuto diceva di incontrarsi domani a Culmination Park alle 11
Chloe
  • Non mi stai prendendo per il culo vero?
  • Non è un gioco o altro?
Rachel
  • No sono seria.
Chloe
  • Ok! Sono assolutamente con te!
  • Inchioderemo quello stronzo!
Rachel
  • Ancora non lo so se è come penso.
  • Spero di sbagliarmi e di aver frainteso tutto…
Chloe
  • Lo spero anch’io!
 
-
 
Rachel rispettò la sua tabella di marcia, fece colazione, chiacchierò con sua madre e scherzò con suo padre come ogni mattina. Uscita di casa, deviò verso il Two Whales davanti al quale Chloe la stava aspettando. Non rimasero a lungo lì davanti per evitare di incrociare Joyce. Dopo l’ultimo scontro con David il clima in casa Price era diventato polare, anche più del solito. Fecero allora un salto da Up All Nite Donuts per fare il pieno di energia in vista della loro missione!
Chloe tentò di chiedere qualche informazione in più su cosa le aspettava, ma Rachel fu molto avara di indizi. “Rilassati Chlo! Prendiamola come una missione segreta, tutti i dettagli ti saranno comunicati al momento giusto!” disse Rachel con quello sguardo furbo da gatto che le riusciva così bene.
“Ho bisogno di qualche informazione in più! Insomma, Culmination Park non è dietro l’angolo!” insistette Chloe.
“Segui il flusso! La vita ha bisogno di un po’ di mistero Chloe.” replicò lei solennemente.
Chloe si arrese.
Rimasero al bistrot fin quasi alle nove di mattina, quando Rachel guardò il cellulare e scattò in piedi, lasciando frettolosamente i soldi per le loro ciambelle e caffè sul tavolo e trascinando fuori Chloe. Erano in orario, ma dovevano muoversi! La giornata era splendida, il sole dei primi di maggio le riscaldava, poche nuvole solcavano il cielo come zattere fumose e bianche. La camicia rossa a quadri di Rachel svolazzava al vento come una bandiera, insieme ai suoi capelli e all’unico orecchino di piuma che indossava. Oggi era giorno di asimmetria!
Chloe indossava la maglia con il corvo che Rachel le aveva regalato. Le sembrava adeguata alla giornata! Rachel sembrava entusiasta, in modo strano visto quello che stavano facendo. Chloe era perplessa, ma l’allegria di Rachel era contagiosa. Seguendo la Arcadia Bay Ave, superarono la chiesa e raggiunsero il passaggio a livello oltre il quale la strada si trasformava nella Highway 101 e la ferrovia si inoltrava nei boschi. Chloe non aveva mai seguito i binari prima di allora, Rachel invece sembrava di sì vista la sicurezza con cui intraprese il percorso.
Quando furono in vista della torre dell’acqua un treno merci le superò pigramente. Andava piuttosto lento, ma era normale in quel punto. Era così lungo che i vagoni in coda stavano ancora superando il passaggio a livello in città! Fu allora che Rachel svelò il suo piano:
“Saltiamo sul treno! Un bell’assalto alla diligenza!” cinguettò Rachel con gli occhi pieni di gioia infantile.
Chloe inarcò un sopracciglio perplessa: “Oppure, potremmo prendere l’autobus…”
“Nope! Siamo in missione di spionaggio, quindi dobbiamo fare le cose per bene!” esclamò Rachel dandole un colpetto col gomito.
Corse in avanti e si fermò solo per spronare Chloe a seguirla.
Infine, Chloe si convinse e insieme corsero accanto al treno che iniziavano a prendere un po’ di velocità. Rachel individuò un vagone aperto e vi si gettò sopra con un balzo goffo ma efficace. Quando fu a bordo tese la mano a Chloe che con il suo aiuto riuscì a salire. Erano ufficialmente due clandestine!
“Dove cazzo va questo treno?” esclamò Chloe con un filo di irritazione nella voce. Si stupì di sé stessa per quanto si sentisse a disagio in quella situazione. Lei era Chloe, era la ribelle, quella che se ne fotte di tutto giusto? A quanto pare no! Era Rachel quella che se ne fotteva più di lei!
“Nord? Magari ci scordiamo di scendere e finiamo a Seattle!” scherzò Rachel.
Seattle?
Per un istante la logica associazione nella mente di Chloe fu “Max…”
Rachel aveva inventato tutta quella roba su suo padre e ora la stava portando a sorpresa a cercare Max??
No… era troppo contorto anche per lei.
Anche se un paio di dubbi sulla situazione erano emersi nella mente di Chloe.
Rachel sembrava davvero troppo allegra, anche se non era fatta…
“Prenditi una sedia Price! La vista è incredibile!” disse Rachel dopo essersi comodamente seduta su un bancale. Aveva ragione, la vista era meravigliosa. I boschi e le montagne passavano davanti ai loro occhi rapidi, Arcadia Bay era sempre più distante e davanti a loro… l’ignoto!
Avrebbero potuto davvero scappare così!
Chloe recuperò una cassa di modeste dimensioni, ma molto più pesante del previsto, sistemandola di fronte a Rachel prima di sedersi. Diede un’occhiata distratta al suo cellulare, che aveva già vibrato diverse volte in un susseguirsi di messaggi che aveva ignorato. Alcuni erano di Eliot che chiedeva come mai non fosse a scuola e dove fosse. Non erano cazzi suoi comunque. Altri erano di sua madre…
Joyce
  • Mi hanno chiamata da scuola, immagino tu sappia perché!
 
Merda… i graffiti nel parcheggio? Molto probabile…
 
  • Domani dobbiamo andare dal preside Wells
  • Devi sforzarti di più Chloe…
Era totalmente per i graffiti… ma ci avrebbe pensato in un altro momento.
Rachel aveva bisogno di lei!
La guardò mentre contemplava silenziosa il panorama. Avrebbe voluto capire cosa le stesse passando per la mente in quel momento, confusa da quell’atteggiamento opposto a quello che si sarebbe aspettata.
E Rachel stessa era piuttosto confusa. Era effettivamente euforica, ma non era affatto felice. Sotto il suo sorriso e l’atteggiamento giocoso stava incanalando il terrore che le aveva impedito di dormire bene per tutta la notte. L’anticipazione che qualcosa stesse per andare terribilmente storto, la sgradevole sensazione di essere incappata in qualcosa in cui non avrebbe mai dovuto né voluto imbattersi.
Ma c’era Chloe con lei e quello che altrimenti sarebbe stato un viaggio pieno di panico si era trasformato in un’avventura! Almeno, questo era ciò che la sua mente in crisi era riuscita a organizzare per mantenere l’equilibrio. Almeno per un po’.
“Hey Chloe…”
“Si??”
“Come pensi che sarebbero le nostre vite se fossimo più avventurose?”
Chloe inarcò un sopracciglio, ma Rachel aveva davvero bisogno di una risposta a quella domanda. Anzi, in realtà quella domanda non è che volesse dire un cazzo di per sé, ma esternava qualcosa che Rachel provava da tempo: la sensazione di essere bloccata in un loop che non aveva scelto e che non la riguardava.
“Tipo… oggi?” rispose Chloe.
“Stiamo vivendo una specie di avventura oggi, non credi?”
“Spiare tuo padre è un’avventura?” Chloe era perplessa.
“Essere clandestine su un treno, rompere le regole e non sapere dove andremo a finire…” argomentò Rachel.
“E’ questo che stiamo facendo?” chiese Chloe ancora più confusa.
“Mi piacerebbe…” Rachel non sapeva davvero dove volesse arrivare, dava voce ai pensieri fluttuanti che attraversavano la sua mente. Voleva solo sentire la voce di Chloe, sapere che era lì, che erano complici in questa cosa. La prospettiva di essere sola in quel momento era spaventosa, ma sarebbe stato peggio se Chloe fosse stata con lei senza capirla.
“Che ti succede Rachel? Sei davvero strana… ieri sera hai detto delle cose e pensavo che fosse una cosa seria…” disse Chloe.
“È seria!” replicò Rachel.
“Non sembra… mi pare che stiamo andando a fare una scampagnata!” Cosa che a Chloe non avrebbe dato fastidio, ma bastava dirlo subito e senza giri o racconti strani.
Rachel prese un profondo respiro: “Chloe, mio padre è sempre stato la persona di cui mi fido di più al mondo. Nonostante tutto, ho sempre avuto la certezza che agisse per il mio bene e quello della nostra famiglia anche se quando ha mentito o si è comportato da idiota… questa cosa… sarebbe troppo. Capisci?”
Chloe annuì.
Rachel continuò: “Finché non sarà il momento di scoprire la verità, non ci voglio pensare. Voglio stare con te esattamente come al solito. Come se stessimo bigiando la scuola e basta! Ne ho davvero bisogno Chloe…”
Lei annuì di nuovo.
“Direi che posso gestirlo!” le sorrise Chloe, in un modo che scaldò il cuore a Rachel.
“Bene! Che ne pensi di fare qualcosa di divertente?” chiese Rachel tornando al suo precedente tono allegro.
“Lo sai, V-Card già presa Rachel. Mi spiace…” disse Chloe.
“Wow!” gli occhi di Rachel si spalancarono per la sorpresa. Cos’era quello, un flirt? Chloe che flirta è una novità, ma era una piacevole novità! Significava che era finalmente, totalmente a suo agio con lei.
Con un sorrisetto stupido Chloe disse: “E’ troppo?”
Rachel ridacchiò: “Beh… chi lo sa!”
Mentre il mondo scorreva loro accanto, lasciarono che ogni preoccupazione rimanesse indietro, come gli alberi che circondavano i binari. Ogni albero un pensiero. Via! Nessuno si fermava, tutto scorreva mentre parlavano di cazzate, ascoltavano musica dall’Ipod di Chloe, immaginavano dozzine di luoghi che avrebbero potuto visitare se fossero riuscite ad andarsene da Arcadia Bay. In effetti, l’avevano appena fatto! La città era lontana chilometri e se fossero rimaste su quel treno, in poche ore avrebbero raggiunto il confine della Contea e poi, chissà, dello stato! Bastava solo rimanere a bordo, lasciare tutto alle spalle, correre incontro all’ignoto…
Invece, all’improvviso, Rachel gridò: “Ci siamo! Salta!!”
Chloe rimase interdetta per qualche secondo: “Eh??”
“Salta!” incalzò Rachel.
E Chloe saltò con un “Fanculo!”
Fanculo se il treno era molto più veloce di quando erano salite.
Fanculo se non aveva idea di come cazzo atterrare da un treno in corsa.
Fanculo tutto!
Stavano vivendo la loro avventura!
Rachel vide Chloe balzare giù dal treno, impattare al suolo e perdere l’equilibrio, rotolando un po’ sul lato dei binari prima di rialzarsi. Balzò poco dopo di lei, finendo nello stesso modo.
Si rialzarono ridendo come due idiote.
Oltre la cima degli abeti potevano vedere la vetta rocciosa di Culmination Peak.
Fianco a fianco, si incamminarono verso di essa.
Quella sera, in quel punto, il fuoco divampò.
 
*************************************************
 
"Se non cambi direzione, potresti finire dove sei diretto."
Destiny Smasher (All Wounds)
 
I think were going down
Despair and in an awful sound I found
I know there is a better way it comes
And goes but I can't find the stable ground
 
Caught in the undertow
I feel it on my skin and in my bones
I know you say that I’ve been here
Before, before I fall away again
 
I am I am
I am one and forgotten
I am I am
Love lost destruction
I am I am
I am left to the maelstrom
I am all but gone
 
Tell me is this the end
I read it on your lips and in my head
I know you'll bring me back to shore again
I go some where I wish I'd never been
 
Let this be over now
From shredded sail to sinking bow some how
I know
I’d do it all again
I know
I’d do it all again
Somehow
I’d do it all again
I know
Let me be better now
 
I am I am
I am known and forgotten
I am I am
Love lost destruction
I am I am
I am left to the maelstrom
I am all but gone
 
Feel the wind and waters
The tempest at your skin
You know I never listen
You know its just the way I am
 
Fight the weight of oceans
The desperate search for land
You know I never listen
You know I’ll come to wish I had
 
I am I am
I am known and forgotten
I am I am
Love lost destruction
I am I am
I am left to the maelstrom
But I am all but gone
I am all but gone
 
I Am (All But Gone) – Koethe Koethe [feat. Arbi]
 

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Capitolo 9
*** ++Conclusione Prima Parte++ ***


Conclusione Prima Parte

 
“Stai sbagliando Sera! Possiamo procedere con la causa contro quello stronzo! Abbiamo molte armi per ottenere la custodia parziale e forse totale a questo punto.” La voce dell’avvocato Kevin Shapiro giungeva dall’altro lato del cellulare di Sera Gearhardt. Seduta su un autobus in viaggio lungo la costa dell’Oregon, presto si sarebbe diretto nell’entroterra, verso Portland. Da lì in poi la donna non aveva altri programmi.
“Ho detto lascia perdere Kevin. Tutto questo è troppo per me…” replicò stancamente Sera. Erano passati solo tre giorni da quando aveva rischiato di morire di overdose al Vecchio Mulino. Gli effetti dell’eroina e del Naloxone che le aveva dato Frank ancora si facevano sentire, i pensieri erano ancora annebbiati, ma almeno una cosa la sapeva. Doveva andarsene da Arcadia Bay il più in fretta possibile! Da quando era arrivata in quel buco ogni fottuta cosa sembrava respingerla. Per tutto il tempo trascorso in quella cittadina, Sera aveva avuto la sgradevole sensazione di essere osservata. Poteva giurare di aver visto un corvo seguirla. All'inizio pensava fosse solo un caso, ma l'aveva visto troppe volte perché lo fosse. Un corvo, sempre lo stesso. Ma se l'avesse detto a Shapiro lui le avrebbe detto che era lo stress o l'eroina che le aveva iniettato Damon... o avrebbe pensato semplicemente che fosse impazzita.
“Sera ascolta…”
“No, Kevin. Abbiamo chiuso! Ho chiuso!” sbottò Sera, attirando l’attenzione degli altri passeggeri. Ricomponendosi la donna rimarcò: “Ho chiuso”.
“Cosa ci siamo detti tante volte? Non dobbiamo arrenderci solo perché è difficile. Hai superato tantissime prove da quando hai iniziato i Dodici Passi, sei sulla buona strada per concludere il Passo Nove” continuò Shapiro dall’altro lato del telefono.
“Fare ammenda…” disse Sera automaticamente.
“Esatto”
La donna sospirò, mentre il paesaggio mutava fuori dal finestrino. Sera si strinse nelle braccia, rannicchiandosi in posizione quasi fetale sul sedile.  Aveva i brividi, quei brividi che conosceva fin troppo bene. L’astinenza. Lo stomaco era chiuso da due giorni, il poco che aveva mangiato forzandosi l’aveva vomitato. Tutta quell’eroina era stata una botta per il suo corpo, che ne bramava una dose da più di un anno. L’iniezione di Damon era stata come un recuperare il tempo perso dietro alla disintossicazione.
Sarebbe stato meglio morire tre giorni fa…
Quel pensiero continuava a tornarle. Dapprima l’aveva respinto, ma ora iniziava ad avere senso. In effetti, esplorando i ricordi sfocati di quei momenti, rievocava una felice sensazione di pace. Una pace che non provava da… beh più di un anno! In quel preciso momento sarebbe morta felicemente. In quell’istante in cui aveva sentito la droga pervadere il suo corpo, avvolgerla dall’interno in una coperta ovattata. Come una tanica d’acqua per un assetato. In quel momento aveva sentito distintamente ogni muscolo del suo corpo rilasciarsi, i suoi battiti prima accelerare poi rallentare sempre di più, inesorabilmente. La vista era diventata dapprima più accurata, poi ogni cosa si era fatta distante, lontana, sempre più buia. E proprio allora, mentre la vita iniziava a lasciare il suo corpo, comprese una verità che non aveva mai avuto il coraggio di accettare:
Di tutta quella faccenda di James e Rachel non gliene fregava un cazzo!
Era semplice. Era sempre stato così semplice.
Due anni prima era finita in ospedale per un’overdose, autoinflitta in quel caso. Si era salvata per poco e al risveglio aveva trovato ad aspettarla Kevin, seduto vicino al suo letto. Non lo conosceva, era un messicano standard, camicia a quadri, baffetti corti, qualche chilo di troppo e pettinatura curatissima. L’uomo era un referente nei casi di overdose, Kevin aveva deciso di tentare di redimere i tossici e per farlo aveva una specie di conto aperto con il White Blossom Community Hospital, dove era stata portata, con il quale pagava le cure mediche ai drogati senza assicurazione che arrivavano in emergenza. Come lei. Poi offriva loro la via della disintossicazione. L’aveva presa come una specie di missione, da quando lui stesso si era disintossicato quindici anni prima e aveva aperto lo studio legale Kosterman & Shapiro, occupandosi prevalentemente di diritto familiare. Dopo aver raggiunto il successo professionale, spinto da una sorta di filantropia, aveva deciso di occuparsi dei disperati come lui stesso era stato.
Sera lo aveva ascoltato, quella sua voce soffice e gentile. Lui capiva bene cosa significasse la dipendenza e non la giudicava. Le offrì una via d’uscita, si mise a disposizione come sponsor e la guidò verso il cammino dei Dodici Passi. Sera, forse spaventata dalla morte sfiorata, lo aveva seguito e piano piano si era resa conto di quale china avesse preso. Di come aveva rovinato la sua relazione con James Amber, di come aveva rischiato di uccidere la loro figlia, delle compagnie pessime che frequentava. Sostenuta da Kevin e dal resto del gruppo di sostegno, frequentando la chiesa tutte le domeniche, aveva iniziato ad uscirne con grande fatica e a credere di essere migliore di prima. Cominciò a credere di avere dei doveri verso la bambina che aveva di fatto abbandonato, anche se era stato in effetti James a portargliela via. Iniziò a chiedersi se le somigliasse, con un misto di timore e speranza. Le scrisse lettere, che per colpa di James non avevano mai ricevuto risposta. Kevin Shapiro si offrì di rappresentarla nel processo di rivendicazione dei suoi diritti famigliari e come parte del Nono Passo, lui le aveva consigliato di andare ad Arcadia Bay per incontrare James e infine Rachel.
Si era davvero convinta di poter essere una madre, ma…
“Erano tutte cazzate.” Disse Sera.
“Cosa?” Shapiro era incredulo e confuso.
“Sono anni che mi stai dietro. Mi ero quasi convinta che avessi ragione tu Kevin, pensavo di poter essere migliore. Anzi di DOVER essere migliore. Ma non è così… io non sarò mai migliore…”
“Aspetta Sera, dici così perché ora sei scoraggiata. Fermati un momento e rifletti…”
“Su cosa? James ha assunto un criminale per minacciarmi ed un altro per rapirmi e forse uccidermi. Tre giorni fa la mia sobrietà è andata a fare in culo con una dose mortale…”
“Non è stata colpa tua”
“Lo so, ma non ne vale la pena.”
“In che senso?”
“Mia figlia… non ne vale la pena…”
Silenzio. Kevin Shapiro non si aspettava quelle parole e non sapeva come rispondere. Nel suo sacco della saggezza gli mancava l’aforisma adeguato, la citazione biblica giusta, la frase motivante ad effetto… Semplicemente non c’era e Sera lo incalzò.
“Pensavo che mi interessasse e magari un po’ è così. Ma forse era solo curiosità, vedere cosa il mio utero aveva prodotto…”
“Sera, cosa stai dicendo? Non sei fatta vero?”
Lei scoppiò a ridere, attirando di nuovo l’attenzione di tutto l’autobus.
“No, ma ho intenzione di rimediare al più presto.” Rispose sprezzante.
Kevin tentò di dire qualcosa, ma Sera lo interruppe sul nascere e proseguì: “Ora ti dirò tutta la verità, la verità che ho capito mentre stavo morendo di overdose tre giorni fa. Non ho mai voluto essere una madre, non ho mai voluto davvero disintossicarmi, non me ne è mai fregato un cazzo dei tuoi Dodici fottuti Passi. Io volevo solo stare bene, volevo solo sentirmi libera di vivere la mia vita. Invece fin da bambina qualcuno mi ha detto chi dovevo essere, come dovevo comportarmi, quali scuole frequentare, chi dovevo sposare. James? Non l’avrei mai nemmeno guardato se non fosse stato per mio padre che voleva che lo frequentassi. Sai com’è… il Signor Gearhardt con il suo bello studio legale vedeva questo giovane ragazzo di ottime prospettive e deve aver pensato: ‘questo è il figlio che non ho mai avuto! Facciamogli sposare quello scarto di mia figlia, così sarà utile a qualcosa!’ Uno pensa che i matrimoni combinati non esistano più, beh in certi ambienti esistono ancora, come nel medioevo e tu devi solo ingoiare e stare zitta!”
Kevin rimase in silenzio, ascoltando lo sfogo. Purtroppo, in certi casi non si può fermare la valanga emotiva, bisogna lasciarla franare con tutta la sua violenza. Appena si fosse esaurita, lui sarebbe intervenuto. Si rammaricò di non averla accompagnata. Con lui presente le cose sarebbero state diverse. Intanto, Sera continuò:
“Lui voleva dei figli e io che altro potevo fare? Non ero pronta, non lo sono neanche ora, ma ho detto di sì, come ho detto di sì al primo spacciatore che mi ha offerto un modo per dimenticare i miei problemi, come ho detto di sì a te che mi hai parlato dei Dodici Passi. Non ho mai potuto seguire la mia strada. A malapena ho potuto pensare a ciò che desideravo davvero! Forse quando Rachel ha rischiato di annegare nella vasca da bagno non è stato un errore. Forse volevo davvero ucciderla e liberarmi di quel peso…”
“Sera…”
Nulla, ormai era inarrestabile.
“Io non vado bene per lei, le faccio solo un favore ad andarmene. E poi l’universo o Dio o chi cazzo sia, con tutto quello che è successo, è stato molto chiaro. Non devo incontrarla. Da quando sono arrivata ad Arcadia Bay tutto è andato così storto che ho capito il messaggio. Me ne vado, non ne vale la pena. Il Nono Passo dice che se fare ammenda può danneggiare qualcuno non bisogna farlo. Bene, io non voglio crepare e Rachel non ha bisogno di me. Ha suo padre, ha la madre adottiva e ha quella ragazza… Chloe. Io non servo…”
“Sei sconvolta e spaventata Sera. Stai andando a Portland giusto? Bene, quando arrivi rimani lì, prendi una stanza in un buon hotel. Pago io. Stai lì e aspettami, domani ti raggiungo e parleremo meglio. Andremo insieme da James e risolveremo la faccenda. Con tutto quello che ha fatto come minimo rischia la galera.”
“Certo… e secondo te ha lasciato qualche prova? Secondo te in tribunale la mia testimonianza può valere qualcosa?”
“Sera sei una donna che ha preso la strada giusta. Dio non ci mette mai davanti prove che non possiamo superare. Di certo nessuno poteva immaginarsi una reazione simile da parte di James, né che mettesse a rischio la tua vita. Ma, stai facendo la cosa giusta. Non arrenderti.” Insistette Shapiro.
“Invece forse è ciò che devo fare. Arrendermi. E non soltanto con Rachel, ma anche con me stessa…” sentenziò Sera con un sospiro di profondo sollievo.
“Cosa intendi?” Shapiro iniziava seriamente a preoccuparsi che Sera potesse farsi del male e stava già comprando un biglietto aereo per Portland mentre parlavano.
“Mollo tutto. La causa per Rachel, i Dodici Passi, il lavoro al minimarket che mi hai trovato. Tutto. È tutta la vita che il mondo intero mi dice come devo vivere. Anche tu. Sono stanca. Impegnati con qualcuno a cui interessa!”
“Fermati Sera…”
“No. Addio Kevin. Mi dispiace che tu abbia perso soldi e tempo.”
Prima che l’uomo potesse rispondere, Sera chiuse la comunicazione. Con nonchalance aprì il finestrino e gettò il cellulare, per poi richiuderlo. Quando tornò a sedersi, avvolta dal lieve brusio del motore dell’autobus, cullata dalla vibrazione del sedile e con gli occhi pieni di un’immensa pineta là fuori, Sera si sentì improvvisamente completamente sola. Sola, ma anche libera.
Aveva sprecato 22 anni della sua vita a cercare di corrispondere alle aspettative degli altri e altri 14 a cercare scappatoie dalla stessa vita che si era costruita. Più catene si legava addosso, più scappatoie e fughe dalla realtà doveva trovare, sempre più intense, sempre più estreme. Ora basta cazzate… aveva sprecato i suoi 38 anni di vita. Non era nemmeno sicura di voler continuare a vivere o di avere un motivo per farlo…
Sarebbe stato meglio morire tre giorni fa…
Sì, eppure la prospettiva di morire la terrorizzava. Tre giorni prima sarebbe stato il momento giusto, gli astri erano congiunti, la sua morte forse avrebbe anche significato qualcosa. Ora invece, a che sarebbe servito? Non serviva niente né da viva né da morta…
Istintivamente prese il portafogli dalla borsa e iniziò a contare le banconote all’interno. Il suo budget era quasi finito, le rimanevano solo 97 dollari e qualche centesimo. Erano abbastanza per procurarsi un po’ d’erba una volta giunta a Portland. Le stazioni degli autobus di sera erano il posto adatto per procurarsela; quindi, le sarebbe bastato piazzarsi in un diner e aspettare l’ora giusta.
Era stanca di pensare, stanca di ragionare sul passato o sul futuro. In tutto questo cercare di essere migliore si era dimenticata il presente e che era ORA che le serviva sentirsi bene. Una canna non le avrebbe fatto male e se anche gliene avesse fatto, fanculo.
Una canna non era eroina.
Non contava…
 
L’autobus raggiunse Portland circa mezz’ora dopo che Sera gettò il cellulare dal finestrino, intorno alle 6:30 PM. Sera mise in atto il suo piano, bevve un caffè, comprò del cibo per sedare la fame chimica e poi l’erba. Non tornò mai più a Long Beach, Kevin Shapiro tentò di rintracciarla, ma Sera fece perdere le sue tracce. L’investigatore privato che Shapiro assunse per cercarla trovò alcune telecamere di sorveglianza che la ritraevano in compagnia di alcuni ceffi in Idaho, poi Montana, poi più nulla.
La lettera di Rachel raggiunse l’indirizzo dell’ex casa di Sera a Long Beach, ma nessuno la lesse mai. Fu rimessa nel mucchio per la restituzione al mittente, ma per qualche ignota coincidenza, durante la spedizione di ritorno la lettera andò smarrita.
Rachel pensò che Sera avesse ricevuto la lettera e non le avesse risposto di proposito…
In un certo senso, non aveva torto.
 
-
 
C’è qualcosa di incredibilmente confortante nel suono che produce la punta di un sigaro quando si aspira. Un lieve, caldo, placido sibilo, mentre la punta si arrossa e avvampa dall’interno. È come guardare le braci di un camino, quando i ciocchi di legno sono quasi del tutto consumati, sbriciolati in un ammasso grigiastro che sembra ormai destinato a spegnersi, ma con un colpo di mantice la cenere grigia vola via e l’ossigeno rivitalizza il fuoco ancora nascosto in esse.
Nulla di tutto ciò era chiaro a Sean Prescott mentre prendeva ampie boccate dal suo sigaro, traendone questo preciso piacevole conforto. La mente di un uomo d’affari non può concentrarsi su queste stronzate poetiche o infantili. Fa quel che deve, quel che è necessario, non importa di che si tratta. Fumare il sigaro gli serviva per sentirsi come nel modo giusto: calmo, rinfrancato, potente.
C’erano tante cose che nutrivano l’ego di Sean Prescott, di quelle avrebbe saputo parlare molto bene. Il sigaro è il simbolo di un uomo di successo, un’iconografia tradizionale del capitalismo tanto quanto lo è la croce per il cristianesimo. Il sigaro è un grosso cazzo, come quello che serve per perforare i mercati, scoparli a fondo finché non ti fai un bell’orgasmo a base di banconote. Era un rito di cui Sean Prescott si serviva per riflettere, per stare nello stato mentale migliore.
Gli serviva soprattutto dopo aver guardato suo figlio.
Non serviva parlargli, bastava guardarlo.
Quando osservava Nathan dalle videocamere di sicurezza sullo schermo del suo computer, come in quel preciso istante, provava un sentimento molto complicato che avrebbe saputo definire soltanto come delusione.
Cosa cazzo sta fotografando per terra in cortile? Cristo, cosa pago a fare lo psichiatra?!
Sì, delusione era un modo per dirlo. In effetti c’era molto altro, ma con le scarne competenze emotive che aveva gli sarebbe stato impossibile cogliere tali sottigliezze. Non odiava suo figlio, anche se… quella ragazza l’aveva accusato proprio di questo. Era senza dubbio arrabbiato con lui. Sempre, perennemente infuriato con Nathan e tra i motivi c’era anche ciò che stava vedendo: quel suo ridicolo hobby della fotografia. Di tutte le cose cui poteva dedicarsi non c’era niente di più sfigato di quello. Prima K… quella ragazza preferiva autoescludersi dal testamento piuttosto che vivere sotto il suo stesso tetto (parole sue!), poi questo coglioncello veniva su come un fottuto artistoide hipster del cazzo.
A volte, in momenti molto difficili, spesso dopo almeno quattro bicchieri saturi di whiskey, Sean Prescott si sorprendeva a porsi una domanda che da sobrio non si sarebbe mai posto: “Dove ho sbagliato?”
Ovviamente, non era colpa sua. Che cazzo doveva fare di più di ciò che già stava facendo? Aveva praticamente comprato la Blackwell, rendendo matematicamente impossibile che Nathan venisse bocciato o avesse una media bassa. Avrebbe potuto letteralmente sparare a qualcuno in quella scuola e ne sarebbe uscito pulito! Grazie a lui sarebbe potuto entrare ad Harvard e quei fottuti liberali avrebbero steso tappeti rossi e stappato champagne, o qualsiasi cosa bevano i radical chic, al solo sentirlo nominare! Un po’ come faceva Wells, solo che nel suo caso stappava bourbon e non proprio per festeggiare.
Giusto così! Raymond Wells era un palle mosce, un subordinato per natura, dei più facilmente corruttibili. Un uomo più adatto a fare il cassiere di Wallmart che il preside di una grande scuola privata. Forse neanche il cassiere in effetti… troppe responsabilità. Si sarebbe sbronzato anche per un resto sbagliato!
Soldi e paura, sono queste le cose su cui si regge il mondo.
Soldi e paura.

Ah! Lo aveva anche fatto entrare nella squadra di Football! Let’s go Bigfoots! Quel piccolo ingrato di Nathan non era stato capace nemmeno di giocare una partita intera in due fottuti anni di liceo! Come poteva Sean Prescott avere qualche responsabilità nei fallimenti di Nathan? Era chiaramente il ragazzo a non apprezzare tutto ciò che faceva per lui, senza impegnarsi in niente che fosse minimamente produttivo. Come quelle cazzo di fotografie…
Nathan era viziato, altro che stronzate da psichiatri che gli facevano spendere un sacco di soldi in sedute e farmaci del cazzo. In effetti gli aveva dato troppo affetto durante l’infanzia. Così tanto affetto che la stanza di Nathan non poteva contenerlo ed avevano dovuto metterne un bel po’ in soffitta. Era pure così ingrato da non apprezzare tutto il suo fottuto affetto… Ecco perché Sean Prescott insisteva con il football!
Se aveva dei bei ricordi nella vita, si trattava senz’altro dei tempi in cui frequentava la Blackwell e giocava come quarterback dei Bigfoot…. O no… aspetta non era quarteback! Quella era la cazzata che rifilava alle feste di gala. Lui era stato una guardia, uno di quelli che stanno nella mischia, i più sottovalutati al mondo, ma senza i quali nessun quarterback o runningback potrebbe sperare di sopravvivere. Letteralmente. Sean Prescott era uno che stava nella mischia, uno che tratteneva l’onda degli avversari abbastanza a lungo da permettere alla squadra di attuare la strategia e vincere. Sean Prescott parava i colpi ed era esattamente ciò che faceva con Nathan! Che altro dovrebbe fare un padre? E nonostante tutto lo stronzetto non apprezzava…
Parava quel suo culo flaccido da tutti i problemi che il suo carattere debole e sfigato gli procurava e contemporaneamente doveva parare il proprio culo dal danno di immagine che Nathan gli procurava semplicemente respirando. Aveva sperato che il football formasse Nathan come aveva formato lui, rendendolo sufficientemente cazzuto per affrontare il mondo. Invece niente… addirittura aveva sentito di episodi di bullismo contro di lui. Ma in quello Sean Prescott non si sarebbe immischiato. Le teste di cazzo vanno messe al loro posto dannazione! Se un uomo non è capace di difendersi, allora non vale niente. Nathan doveva tirare fuori il carattere. Doveva essere un fottuto uomo. Come….
Uffh….
Sean Prescott era molto infastidito dal doverlo ammettere anche solo nel pensiero, ma …
Come quando aveva interpretato Calibano durante “La Tempesta”. Decisamente ben giocata! Non aveva nemmeno dovuto ammorbidire le recensioni con qualche migliaio di dollari, perché erano state ottime sia sul Beacon che su tutti gli altri giornali. In tutto questo c’era solo una macchia: Nathan non aveva interpretato il protagonista. Se aveva fatto bene con un personaggio di merda come Calibano, avrebbe potuto interpretare chiunque! Quel fottuto Keaton di merda gli aveva disubbidito. La cosa non sarebbe passata liscia.
I romani dicevano “tollera un’offesa e ne seguiranno molte altre”. Beh, quella filosofia aveva reso Sean Prescott l’uomo che era. Mai perdonare. Mai lasciare un torto impunito. Mai. Ed era proprio questo il motivo per cui fumava il suo sigaro e si esercitava nel produrre anelli di fumo, senza riuscirci per altro. Stava pensando, meditava vendetta.
Ordine del giorno: farla pagare a Keaton e trovare un modo per trasformare quel coglioncello in un Prescott.
“Lascialo stare!”
Sean Prescott grugnì e si alzò in piedi, sollevando il grosso culo sovrappeso dalla sedia costosa su cui aveva lasciato profondamente l’impronta del suo corpo. Quando un pensiero scomodo gli attraversava la mente, istintivamente si alzava e faceva due passi. Gironzolò per lo studio, fissando i libri che non aveva mai letto, ma che davano un certo tono all’ambiente. Era Carolyn che aveva arredato l’ufficio, come il resto della casa in effetti. Aveva buon gusto in quel genere di cose e sapeva allestire bene le scenografie. Lei stessa era un’ottima scenografia come moglie! Anche a quarant’anni manteneva un culo niente male! Era stata lei, in effetti, a spingere perché Nathan facesse teatro alla Blackwell. Da ragazza aveva tentato la strada dell’attrice, ma non aveva funzionato, così aveva ripiegato sulla regia e la scenografia. Quello era più il suo campo in effetti, benché non avesse mai diretto qualcosa di più complesso di una recita scolastica delle elementari e la scenografia le fosse servita solo per arredare la casa.
Lo studio di Sean Prescott comunicava potenza, intimidazione, ma anche cultura e visione. Esattamente ciò che doveva fare. Esattamente ciò che non era, a parte le prime due cose.
Potenza e intimidazione
Soldi e paura…
“Lascialo in pace! Lasciagli fare quello che gli piace papà!”
Gesù Cristo… quella voce non voleva andarsene.
Quella ragazza stava a migliaia di chilometri ormai; eppure, di tanto in tanto lo perseguitava ancora. In effetti non la sentiva né vedeva… da quanto? Quasi tre anni ormai.
Qualcosa interruppe il corretto battito del cuore di Sean Prescott, un’aritmia momentanea cui ne seguirono altre.
Woah! Che cazzo è stato?
Probabilmente emozioni che non voleva provare che tentavano di bussare alla porta. Ma come sempre non avrebbero avuto risposte. Per Sean Prescott il suono dell’amore per sua figlia Kristen e il rimorso per come si era messo il loro rapporto non era il bussare ad una porta, ma il fracasso che fanno i vicini quando nel totale silenzio fanno cadere qualcosa di pesante. A pensarci bene non aveva mai avuto dei vicini, dato che non aveva mai vissuto in un appartamento in vita sua, ma poteva immaginare che la reazione fosse solo una: rabbia.
Quella stronzetta… ancora più viziata di Nathan. Ingrata, piccola lurida…
“Non hai mai voluto capire Nathan e nemmeno me! Forse se ci provassi…”
“Se ci provassi cosa? Eh? Cosa Kristen?!” sbottò Sean Prescott, rendendosi improvvisamente conto che stava parlando al muro. Si schiarì la voce e si ricompose, come se qualcuno potesse averlo visto e si reso conto che il sigaro era ormai consumato, con un ingente quantità di cenere caduta sul tappeto. Fanculo…
Con gesto istintivo Sean Prescott diede un calcio alla cenere nel vano tentativo di farla sparire, mentre tornava verso la scrivania. Spense il sigaro nel posacenere di cristallo.
“Se ci provassi… COSA?” ripeté sottovoce.
“Se ci provassi scopriresti che anche se siamo diversi da te, non siamo sbagliati! Ognuno ha il suo modo di essere e i suoi talenti! Ma tu vedi solo il nome Sean Prescott, vorresti solo guardare Nathan come se fosse uno specchio! Notizia flash: lui non è te!”
Grazie al cazzo che non…
Improvvisamente quelle parole echeggiarono nella sua mente.
Lui non è te…
Ognuno ha il suo modo di essere e i suoi talenti…
Un vago ricordo apparve nella mente di Sean Prescott, vago perché non gliene era mai fregato un cazzo, ma per fortuna il suo cervello era fenomenale e sapeva ritrovare le informazioni al momento giusto! Nel 2009 Carolyn non aveva portato Nathan ad una mostra di fotografia? Sì, era così, ma perché se lo ricordava?
Ah giusto! Per il fotografo che aveva esposto… come si chiamava? Aveva un nome da padre fondatore… Franklin? Ah no! Jefferson! Sì, sì era Jefferson! Nathan era tornato a casa entusiasta per averci parlato ed era andato avanti tutta la sera.
“Jefferson mi ha detto che ho talento!”
“Jefferson mi ha detto che posso davvero avere un futuro nella fotografia se faccio le mosse giuste!”
“Jefferson ha detto che è molto strano che la Blackwell non abbia un corso di fotografia!”
“Gli ho detto che sarebbe stato bello imparare da lui e ha risposto “mai dire mai!”
"Jefferson mi ha lasciato il suo biglietto da visita!!"
“Jefferson, Jefferson, Jefferson!”

Sean Prescott si mise al computer e rimosse la schermata delle telecamere di sorveglianza, che ancora riprendevano un Nathan intento a fotografare qualcosa nel cortile, nei pressi di un albero. Era lì da una fottuta ora… che cazzo c’era di così interessante nell’erba?!
Ma non era importante in quel momento, le dita di Sean Prescott digitarono le parole chiave “Jefferson fotografo famoso” su Google. Una sfilza di risultati apparve davanti a lui, interviste, servizi, centinaia di immagini di questo Mark Jefferson. Non capiva un cazzo di fotografia, eppure sembrava uno che sapeva il fatto suo. Dozzine di ritratti di modelle bellissime, quasi tutti in bianco e nero molto contrastato. Volti perlacei, sensuali, corpi in pose accattivanti. Roba che vedeva su ogni cartellone pubblicitario o se per sbaglio guardava una delle riviste di moda di sua moglie... 
Eppure avevano qualcosa in più. Forse è quella cosa che rende qualcuno degno del titolo di "artista"? 
A Sean Prescott, comunque, non fregava molto di tutto ciò.
Voleva solo farsi un'idea preliminare di chi fosse questo tizio che suo figlio idolatrava. In effetti il suo curriculum era invidiabile, aveva lavorato per riviste e gallerie d'arte così famose che persino lui le conosceva!
Toh! Guarda che caso, era nato ad Arcadia Bay e si era diplomato alla Blackwell!
Bizzarra coincidenza, persò sarcasticamente Sean Prescott.

"Jefferson mi ha lasciato il suo biglietto da visita!!"

Interessante che quell'uomo dal passato arcadiano avesse lasciato a Nathan il suo biglietto con ogni modo per contattarlo, suggerendo velatamente che un giorno avrebbe potuto fargli da insegnante. Qualcosa suggeriva a Sean che non era un trattamento che riservava a chiunque. Probabilmente, come tutti gli abitanti di Arcadia Bay dell'ultimo secolo, conosceva molto bene il nome Prescott e sperava fin dall'inizio che quel biglietto finisse dalle mani di Nathan nelle sue. Se così era, si trattava di una dimostrazione che Mark Jefferson era un uomo ambizioso e che sapeva cogliere un'opportunità quando la vedeva. Forse poteva davvero essere l'uomo giusto per trasformare suo figlio in un vero Prescott.
Sean gli avrebbe offerto la sua chance. Si sentiva incredibilmente intelligente in quel momento, come dopo ogni intuizione. Mark Jefferson era la chiave, poteva dare a Nathan gli stimoli di cui aveva bisogno per crescere e permettere a lui di dare a Keaton di merda ciò che si meritava! Doveva solo dare una lustrata alla Blackwell, cambiare un po’ la carta da parati ed elargire qualche calcio in culo. Niente che qualche bonifico non potesse realizzare.
In effetti, era molto strano che alla Blackwell mancasse un corso di fotografia! Non era giusto avere una lacuna del genere, soprattutto quando suo figlio la frequentava! 
Se Nathan aveva bisogno della fotografia e se lui avesse giudicato questo Jefferson un buon esempio, allora avrebbe abbattuto e ricostruito la Blackwell, se fosse stato necessario! È questo che fanno le guardie, spianano la strada al quarterback!
 
-
 
Intanto, nell’immenso cortile di casa Prescott, sotto il sole di fine giugno, Nathan era accovacciato sull’erba, tenendo la Canon tra le dita saldamente ancorate, lo sguardo concentrato e perduto chissà dove.
Click! Click! Click!
Quando Nathan sentiva il flusso non poteva fermarsi, doveva scattare ancora e ancora. Doveva esplorare adeguatamente ogni angolazione, ogni punto di vista del soggetto. Non scattava per avere belle foto, quello veniva dopo durante la revisione. Scattava per vedere. Scattava per sentire. Scattava per specchiarsi…
Click! Click!
Click!
Nathan si fermò e prese un profondo e avido respiro. Non si era accorto di essere in apnea. Talvolta, quando era molto coinvolto, gli capitava. Si spostò un momento, osservando il suo soggetto da un’angolazione leggermente più diagonale. Ad un occhio esterno si era spostato solo di qualche millimetro, ma attraverso l’obiettivo era cambiato tutto.
All’ombra di un grande pino, con l’erba estiva maculata dalle ombre dell’albero che la facevano sembrare uno sfondo impressionista, un nido era caduto e con esso anche un piccolo uccellino. Il corpo del minuscolo volatile era semicoperto dalla massa informe di ciarpame che avrebbe dovuto tenerlo al sicuro, sostenerlo e ripararlo finché non fosse stato sufficientemente grande da spiccare il volo. E invece era caduto, il nido di cui il piccolo si era fidato lo aveva ucciso, precipitandolo nel vuoto prima che fosse capace di affrontarlo, prima che sapesse come intercettare le correnti, prima che le sue stesse piume fossero sviluppate per farlo. L’uccellino era morto, il collo spezzato in posizione innaturale, poche gocce di sangue sull’erba vicino al piccolo cranio probabilmente rotto.
Click! Click! Click!
Da lì si vedeva bene.
Click!
Un selfie…
Click! Click!
Click!

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