Albion House [Fraxus Day 2020]

di Eryiss
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Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La casa ***
Capitolo 2: *** Il tuttofare ***
Capitolo 3: *** L’ospite ***
Capitolo 4: *** La chiamata ***
Capitolo 5: *** La ferita ***
Capitolo 6: *** Il festival ***
Capitolo 7: *** La chiusura ***



Capitolo 1
*** La casa ***


Note della traduttrice:

Ciao ragazzi, sono Soly Dea! Forse non lo sa quasi nessuno, ma io nella vita reale studio traduzione e interpretariato, quindi ho pensato di combinare il mio amore per la traduzione al mio recente amore per la Fraxus (grazie Angie_Dreyar <3) traducendo le storie di un bravissimo autore di fanfiction in lingua inglese, Eryiss, che ho già contattato per il permesso e che potete trovare qui: AO3 - Fanfiction.net - Tumblr. Spero che la storia vi piaccia e che la traduzione sia piacevole. Fatemi sapere cosa ne pensate e io lo riferirò all’autore! Tanto le note dell’autore quanto la storia in sé (compreso titolo e immagine introduttiva) sono di proprietà di Eryiss, io mi occupo solo di tradurre.

Link della storia originale QUI (riporto per comodità solo Fanfiction.net ma come ho detto sopra potete trovare le sue storie anche su AO3 e Tumblr).

Note dell’autore:

Ho scritto questa storia per il Fraxus Day 2020. Alla fine è diventata una long di cui pubblicherò un nuovo capitolo a settimana ogni giovedì. Spero che vi piaccia, mi sono divertito molto a scriverla. L’evento è stato gestito da Fuckyeahfraxus.

Vi ringrazio in anticipo per qualsiasi commento, per me significa molto. Spero che vi piaccia e grazie per la lettura.

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Capitolo 1 – La casa

Freed non si sarebbe mai aspettato che la morte di sua madre potesse essere così tediosa.

Probabilmente avrebbe dovuto sentirsi un po’ più sconvolto. D’altronde, tra lui e sua madre non c’era mai stata ostilità, né un tragico segreto o una storia di litigi o abusi, eppure era rimasto stranamente intoccato dalla notizia della sua morte. Non si era nemmeno irrigidito, si era sentito piuttosto come se un collega gli avesse detto che sua madre era morta. Era solo un evento, qualcosa che influenzava la sua vita ma non le sue emozioni.

L’indifferenza di Freed era dovuta probabilmente al fatto che lui e sua madre non si parlavano da anni, ma – di nuovo – senza alcun motivo. Non si parlavano e basta. Con suo padre, invece, aveva sempre avuto un bel rapporto, e quando era morto quattro anni prima Freed aveva sofferto molto, cercando poi di riprendersi come meglio poteva. Sua madre era quella che portava il pane a casa e forse era per questo che il loro rapporto non era mai stato molto intenso dal punto di vista emotivo. Nessuno dei due si era mai sforzato di avvicinarsi all’altro: ciò che li aveva tenuti insieme per lunghi anni era stato suo padre. Di conseguenza, dopo la morte di quest’ultimo, Freed e sua madre non avevano più avuto alcun motivo di parlare. Nessuno dei due era particolarmente sensibile, quindi nessuno dei due aveva cercato conforto tra le braccia dell’altro ed entrambi avevano preferito starsene per conto proprio.

La morte di sua madre fu appunto tediosa.

Subito dopo si succedettero una serie di cose, quali la necessità di pianificare il funerale, la gente che non sapeva proprio come portarsi nei suoi confronti e un’enorme quantità di condoglianze da parte di persone che nemmeno conosceva. Freed era sempre stato molto pragmatico, quindi sperò che un’esperienza del genere non si ripetesse mai più. In occasione della morte di suo padre, c’era stata almeno la tristezza a tenerlo distratto. Ma questo era semplicemente… be’, tedioso.

Forse la cosa peggiore era il fatto che dopo la morte di qualcuno bisognasse leggerne le ultime volontà, cosa che a Freed appariva totalmente insensata dal momento che aveva ereditato praticamente tutto. Freed ne era già a conoscenza – santo cielo, era lui l’avvocato della sua famiglia ed era stato lui stesso a redigere quel documento – ma doveva comunque adempiere il suo dovere. Di conseguenza, fu costretto a prendersi un’ora dal lavoro per salire di due piani l’edificio in cui lui stesso lavorava e sedersi di fronte ad un altro avvocato – Natsu Dragneel, che aveva svolto il tirocinio presso di lui per un anno – mentre quest’ultimo gli spiegava la legge e cosa essa comportasse. A Freed, a colui che gliel’aveva insegnata!

Come se non bastasse, praticamente tutto ciò che aveva ereditato presentava delle condizioni. Si era ritrovato con un sacco di debiti derivanti sia da prestiti che dal gioco d’azzardo, per cui il suo punteggio di credito aveva immediatamente incassato un duro colpo. Tra i beni che sua madre gli aveva lasciato e di cui prima o poi Freed avrebbe dovuto occuparsi, c’era perfino una proprietà che ora era praticamente sua.

In effetti non sembrava affatto male, tranne che per la sua posizione. La vita di Freed era radicata nel cuore della città praticamente da sempre, mentre quella casa si trovava nel bel mezzo della campagna, a chilometri di distanza da ciò che Freed considerava la civiltà. Il motivo per cui sua madre possedesse quella casa Freed non lo sapeva – lei era sempre stata legata alla vita cittadina, aveva sempre e solo vissuto ad Era – ma ora sfortunatamente quella casa era diventata sua.

Il viaggio in treno, dopo ben tre ore e mezza, giunse finalmente al termine.

Avrebbe venduto la casa, naturalmente. In effetti, dati i debiti in cui verteva, Freed non capiva proprio perché sua madre si fosse ostinata a tenerla. In quell’area i valori immobiliari erano alti e c’erano molte persone ricche che avrebbero desiderato godersi la loro pensione lì. Quella villetta a tre stanze sarebbe stata perfetta per loro. Ma prima Freed aveva bisogno di vederla, di parlare con gli agenti immobiliari e di firmare la rinuncia. Tedioso anche quello.

Quando scese dal treno, si rese conto di quanto quella zona fosse diversa da Era. Una zona aperta, dove l’aria aveva un odore diverso e il paesaggio sembrava un’illustrazione di un romanzo vittoriano. Tutto molto idilliaco, ma Freed non aveva nessuna intenzione di rimanerci abbastanza da apprezzarlo. Cercò il servizio taxi e ne prenotò uno per raggiungere la sua nuova proprietà.

A quanto pareva, la Uber1 in quella zona non era ancora arrivata.

L’auto giunse abbastanza presto e, a parte alcuni tentativi da parte del taxista di strappare a Freed più di una risposta concisa, il tragitto fu piuttosto silenzioso. Durante quei quaranta minuti, Freed osservò i campi scorrere attraverso il finestrino, le narici pregne dell’odore di concime. Nonostante molti lodassero l’aria fresca della campagna, Freed preferiva di gran lunga l’odore del petrolio a quello del letame (o quel che era).

Fortunatamente il suo cellulare si illuminò permettendogli momentaneamente di accantonare il pensiero di quell’odore disgustoso. Diede un’occhiata al nome – Agente immobiliare – per poi portarsi il cellulare all’orecchio accettando la chiamata. Aveva bisogno di una valutazione della proprietà e quell’uomo sembrava il migliore in zona. Freed sperava che fosse anche il più veloce.

“Signor Clive” lo salutò poggiandosi al sedile dell’auto.

“Signor Justine” rispose l’agente immobiliare con tono gioviale. “Volevo informarla che sono qui di fronte alla casa e che la sto aspettando. Ci sono state alcune valutazioni nel corso degli anni e sono tutte piuttosto simili, quindi non dovremmo metterci molto”.

“La ringrazio” disse Freed annuendo a se stesso e rivolgendo lo sguardo al GPS secondo cui sarebbe giunto a destinazione in circa cinque minuti. “Sono quasi arrivato”.

“Bene”. Il tono di Gildarts gli fece intendere che stava sorridendo. “Mi dispiace che sia stato costretto a venire fin qui per questo”.

“Non è colpa sua” disse Freed con tono pacato, anche se non del tutto sincero. “Prima ci sbrighiamo meglio è”.

“Non potrei essere più d’accordo di così”. Gildarts sorrise ancora.

“Per quale motivo la casa è già stata valutata?” chiese Freed aggrottando leggermente la fronte.

“A quanto pare, sua madre aveva già provato a venderla. Due volte online e una volta con un agente immobiliare. Chiaramente non è andata bene”. L’uomo rise. “Ma stavolta andrà meglio. Noi sappiamo cosa fare”.

Dopo altri inutili convenevoli, la chiamata terminò. Freed si ritrovò con un’espressione accigliata: una villetta in quella zona avrebbe dovuto essere venduta senza difficoltà. Il fatto che la casa di sua madre, nonostante la posizione perfetta e le sue qualità apparentemente ottime, non avesse avuto successo, non preannunciava nulla di buono. Cercò di essere ottimista ma alla fine capì che anche vendere quella casa sarebbe stato tremendamente fastidioso.

Arrivò a destinazione dieci minuti dopo: gli ci volle più del previsto perché si ritrovò bloccato nel traffico a causa di una mandria di mucche che pascolavano da un campo all’altro, seguite da un incurante agricoltore che fissò il taxi come se fosse un affronto al suo stile di vita.

Fu in quel momento che Freed capì perché sua madre non era riuscita a vendere quella casa.

Era a dir poco fatiscente. Nel fiore dei suoi anni, sarebbe stata la casa di campagna ideale, con le pareti bianche e il tetto in ardesia. Avrebbe avuto un giardino ricco di piante ben potate, una quercia grossa ma curata e – come nei migliori cliché – un cane che gironzolava nei pressi della porta. Sfortunatamente il fiore di quegli anni doveva essere passato da secoli perché al momento la casa incarnava uno stato di abbandono che Freed non aveva mai visto in vita sua. Il tetto stava cadendo a pezzi, il giardino era così pieno di erbacce che non si vedeva altro e una finestra stava letteralmente cadendo dalla parete. Quella casa era inabitabile e praticamente invendibile.

Perfetto. Sua madre lo aveva lasciato con dei debiti, tre armadi piedi zeppi di vestiti sgualciti e un edificio che nessuna persona sana di mente avrebbe acquistato. Le sue speranze di ricavarci qualcosa erano praticamente inesistenti.

Man mano che Freed si avvicinava all’edificio, un uomo gli venne incontro lasciando la sua auto con un sorriso sul volto. Era decisamente più vecchio di lui, probabilmente tra i quaranta e i cinquanta anni per essere gentili, e lo salutò con un cortese “Ciao”. Era chiaramente l’agente immobiliare e si stava mostrando molto più ottimista di quanto Freed si sentisse al momento.

“Signor Justine, piacere di conoscerla di persona” gli disse.

“Anche per me”. Freed annuì, nonostante il suo tono di voce non rispecchiasse quelle parole. Gildarts rise.

“Immagino che si aspettasse qualcosa di… diverso”. L’uomo ridacchiò ancora e Freed si sentì infastidito da tutto quell’entusiasmo. “Probabilmente pensava che si trattasse di un edificio un po’ più abitabile, vero?”

“Qualcosa del genere” concordò Freed guardando la casa in modo quasi accusatorio.

“Se le è di conforto, la struttura è molto sicura. Non voglio mentirle, lì dentro ci sono probabilmente centinaia di problemi che andrebbero risolti ma almeno il tetto non ci cadrà sulla testa”. L’agente rise di nuovo, una risata che in altre situazioni sarebbe suonata sicuramente meno fastidiosa. “Le spiego i dettagli mentre entriamo. Sono sicuro che vuole terminare velocemente”.

“Sì, se possibile”.

Gildarts annuì, poi raggiunse nuovamente la sua auto. Ritornò con due caschi protettivi, di quelli che si usano sui cantieri, e Freed li guardò con cautela. Gildarts sorrise e gli diede una pacca sulla spalla con una forza non necessaria.

“Il tetto di per sé non cadrà, ma c’è sempre la possibilità che cadano le piastrelle del soffitto, quindi meglio stare attenti”. Sogghignò rumorosamente indossando il casco e inoltrandosi nell’edificio. Freed, dopo un momento di esitazione, lo seguì.

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“Quindi mi stai dicen–” piccola interruzione “–praticamente invendibile”.

Freed sfregò leggermente i denti. Stava camminando per la via principale del paese con il cellulare all’orecchio, cercando di fare del suo meglio per comprendere la voce spezzata di Evergreen. Sembrava che le strade di campagna recepissero perfettamente i segnali telefonici, mentre nella maggior parte delle aree abitate era praticamente impossibile avere una conversazione senza interferenze. Era veramente fastidioso.

“Praticamente sì”. Freed sospirò scansando una coppia che veniva verso di lui. “È troppo malmessa per chiunque la voglia comprare. Il mio agente immobiliare ha detto che la cosa migliore da fare è trovare un’asta immobiliare disposta a prenderla e a venderla ad un prezzo basso”.

“Perché non la demol–”. Un altro suono graffiante. “–e vendi il terreno–“. Un breve suono acuto. “–agricoltore o agente immobiliare?”.

I muscoli di Freed si tesero leggermente a quel suggerimento. In realtà ci aveva già pensato, ma quando aveva detto a Gildarts che quella sembrava l’unica cosa logica da fare, l’uomo l’aveva guardato con una sorta di compassione nello sguardo. Poi gli aveva dato una pacca sulla spalla facendolo nuovamente sobbalzare per la forza di quel gesto e aveva aggiunto un’altra dose di seccature a quella situazione ridicola.

“A quanto pare è un edificio tutelato, con un qualche valore storico da preservare” sospirò Freed rallentando un po’. Il ronzio del cellulare sembrava essersi calmato e ora il segnale era molto più forte. “In poche parole, la casa deve rimanere lì”.

“Se è così importante, perché hanno lasciato che si riducesse in quelle condizioni?” chiese Evergreen, la cui voce era finalmente molto più chiara.

“In realtà mia madre riceveva chiamate e lettere dal consiglio comunale praticamente da anni”. Freed si strofinò un occhio con la mano libera sospirando ancora. “Immagino che presto toccheranno a me. Insieme alle lettere e alle chiamate per i debiti, ovviamente”.

“A quanto potrebbe essere venduta attualmente?”

“25 mila se vogliamo essere ottimisti. Ma siccome l’esterno non può essere modificato, sarà piuttosto difficile trovare qualcuno disposto ad acquistare una casa in quello stato”.

Non era nemmeno lontanamente vicino alla somma necessaria per pagare i debiti di sua madre, nemmeno aggiungendo i suoi risparmi. Nonostante fosse un avvocato d’ufficio di successo e risparmiasse parecchio da più di dieci anni, Freed non poteva considerarsi ricco. La sua famiglia era stata benestante, ma non gli aveva mai dato nulla per evitare di viziarlo. Fino a quel momento non glien’era importato granché, ma quel debito a sei cifre aveva completamente destabilizzato la sua tranquilla vita. Inoltre, avrebbe preferito non toccare i suoi risparmi: li aveva messi da parte per se stesso, non per i casinò online di cui sua madre sembrava appassionata.

“Non potresti renderla più vendibile?” suggerì Evergreen masticando qualcosa, e Freed si sentì incredibilmente irritato dai rumori della sua bocca. Dal momento che lui ed Evergreen erano colleghi, sapeva che stava mangiando un’ora prima della pausa pranzo. “Sistemala un po’ ”.

“Non è semplicemente malmessa, è proprio inabitabile” grugnì Freed. “Le finestre sono sbarrate, il giardino è praticamente una giungla, le assi del pavimento si muovono, i mobili sono ammuffiti e un uccello ha fatto il nido sul forno”.

“Pianta dei fiori in giardino e prepara un dolce per quando verranno i clienti” scherzò Evergreen e Freed si trattenne a stento dal ridere.

Non riusciva ad avercela con sua madre. In fondo le aveva voluto bene e forse, se lui si fosse sforzato di parlarle e avesse scoperto del suo vizio per il gioco d’azzardo, le avrebbe impedito di contrarre quei debiti. Ovviamente era un rimpianto del tutto inutile: pensare a cosa avrebbe potuto fare se avesse saputo, non avrebbe cambiato assolutamente nulla. Ora non gli rimaneva altro da fare che subirne le conseguenze.

“In qualche modo ce la farai” disse Evergreen.

“Lo so”. Freed annuì. “Ma non so ancora come di preciso”.

“Be’, ho appena fatto delle ricerche e ho scoperto che c’è un hotel molto carino da quelle parti”. Evergreen sorrise e Freed sentì che stava cliccando con il mouse sul computer. “Tutte le recensioni sono positive, sembra che si mangi molto bene e che il personale sia simpatico”.

“Buon per loro” disse Freed con la fronte aggrottata.

“Ti ho prenotato una stanza” annunciò Evergreen sorridendo. Freed fece per parlare ma Ever lo interruppe. “Rimani lì una settimana. Potresti passarla a pensare a cosa farne della casa oppure trascorrere semplicemente una bella vacanza, visto che te la meriti. Vai a scalare qualche montagna o qualcosa del genere. Ti manderò una valigia con tutto quello che ti serve”.

“No” chiarì Freed categoricamente.

“Non mi sembra di averti dato possibilità di scelta, tesoro”. Evergreen sorrise. “Ho già pagato tutto. Se rimani consideralo un regalo da parte mia. In caso contrario, ti ritroverai con un debito in più e sappi che posso essere molto peggio di qualsiasi ufficiale giudiziario e che condividiamo l’ufficio, quindi ti renderò la vita un inferno”.

“Mi stai sia ricattando che minacciando” grugnì Freed. “Tecnicamente potrei denunciarti per molestie sul posto di lavoro”.

“Sì, ma sei tu il mio avvocato quindi ti ritroveresti a combattere contro te stesso”. Evergreen rise. “Cosa che sicuramente riusciresti a fare, dato che il tuo ego è così sproporzionato che potresti apparire su uno di quei siti per persone che credono di essere assolutamente geniali”. Freed si lasciò sfuggire un sospiro indignato ed Ever rise di nuovo. “Prenditi un po’ di tempo per te. Ogni tanto ci vuole una settimana libera e perché non ora? Goditi la campagna, respira l’aria fresca, leggi un libro”.

“Leggo già costantemente, l’aria fresca qui odora letteralmente di merda e la campagna è un’inutile, infinita distesa di verde che mi fa venire voglia di occuparmi di qualche caso in più contro gli ambientalisti”.

“Oh, smettila di piangerti addosso”. Evergreen rise ancora. “Trova l’hotel, bevi qualcosa e rilassati per una settimana”.

Dopo un attimo di riflessione e un sospiro, Freed parlò di nuovo. “Come si chiama l’hotel?”

Fairy Tail Inn” lesse Evergreen ad alta voce. “È un po’ banale, ma le stanze sembrano molto belle e le recensioni sono tutte positive. Dovrebbe trovarsi alla fine della via principale, in cima alla collina”.

Freed si voltò comprendendo di essere passato accanto all’hotel in cerca di segnale. Non ci aveva prestato molta attenzione, troppo impegnato a cercare di capire cosa stesse dicendo Evergreen al telefono, ma in effetti quell’hotel non sembrava male. L’unico vero motivo per cui se ne era ricordato era il fatto che credeva che avessero commesso un errore sull’insegna – Tail invece di Tale2 – ma evidentemente si era sbagliato. Si incamminò lungo la strada dicendo ad Evergreen che aveva capito dove si trovasse l’hotel.

“Okay, ti lascio allora”. Evergreen sorrise, mentre tornava il ronzio telefonico di poco prima. “Ci vediamo tra una settimana. Oh, mandami una foto di te che guardi la casa arrabbiato, così posso prenderti in giro. Ciao!”

Ever chiuse la chiamata prima che Freed potesse rispondere. L’avvocato roteò leggermente gli occhi.

Quando raggiunse la cima della collina, percorse un giardino piuttosto pittoresco e poi si addentrò nel Fairy Tail. Dietro il piccolo bancone della reception, una ragazza con i capelli a caschetto gli sorrise. Freed si avvicinò leggendo il nome sul cartellino – Lisanna – prima che lei potesse descrivergli cortesemente l’hotel.

“È qui per mangiare o per alloggiare?” chiese visibilmente entusiasta.

“Per alloggiare” spiegò Freed “Una mia amica deve avermi prenotato una stanza. Mi chiamo Freed Justine”.

“Un attimo solo”. Lisanna sorrise tirandosi indietro e digitando sul computer.

Mentre lei lavorava, Freed fece vagare lo sguardo per la sala. All’esterno l’edificio appariva incredibilmente rustico e per questo Freed aveva temuto che l’interno fosse altrettanto antiquato. Al contrario, aveva un aspetto moderno, pulito e relativamente carino. In altre parole, l’edificio si presentava come una sorta di agriturismo, distinguendosi in questo modo dagli alberghi di lusso ma vantando ugualmente servizi di buona qualità.

C’erano alcuni certificati appesi alle pareti, principalmente premi da parte di diverse aziende. C’era anche un documento che proclamava con orgoglio MAGNOLIA: borgo dell’anno 2019. Freed si chiese vagamente se si trattasse di qualcosa che esibivano tutte le imprese o se Fairy Tail fosse il cuore dell’intero borgo.

“Ecco” disse improvvisamente Lisanna e Freed si rivolse nuovamente a lei. “Stanza 17. Se vuole seguirmi la accompagno. Posso anche portare le sue valigie se per lei va bene”.

“In realtà non ho valigie” disse Freed e Lisanna abbassò lo sguardo sul pavimento per averne conferma. “In effetti è tutto piuttosto improvvisato. Sto aspettando che mi mandino una valigia, credo che arriverà domani”.

“Oh, okay”. Lisanna sorrise nonostante a Freed fosse piuttosto chiaro che era un po’ confusa. “Cosa la porta qui a Magnolia, se posso sapere? Non abbiamo molti ospiti in autunno, in realtà al momento lei è l’unico”.

“Non è un viaggio di piacere” spiegò Freed. “Ho ereditato una proprietà che vorrei vendere, ma non è facile come pensavo, quindi rimarrò qui per un po’ ”.

“Intende Villa Albion?” chiese Lisanna quando svoltarono l’angolo.

“Sì” rispose Freed sorpreso.

“Oh, mi scusi, probabilmente le sembra un po’ sospetto che io conosca quella casa”. Lisanna rise. “È malmessa da diverso tempo, ma quando è giunta voce di un nuovo proprietario la gente pensava che avrebbe provato a ristrutturarla. Ovviamente, lei è libero di venderla. Spero solo che abbia più fortuna di sua madre–”. Lisanna si interruppe chiaramente a disagio. “Oh, mi dispiace. Per la sua perdita e per tutto il resto”.

“Non si preoccupi” la rincuorò Freed. “Non mi metterò a piangere sentendo il suo nome”.

Lisanna sembrò sollevata e Freed cercò di non apparire accigliato. La ragazza non aveva fatto nulla di sbagliato, ma il fatto che sapesse sia della casa che della morte di sua madre significava che anche altre persone ne erano a conoscenza. Aveva sperato di potersi liberare, almeno per una settimana, di tutti coloro che sapevano del lutto. Invano naturalmente.

“C’è qualche motivo in particolare per cui questa casa è così importante?” chiese Freed mentre salivano le scale. “So che va preservata in quanto edificio storico, ma mi è parso di capire che la gente si sia interessata quando è venuta a sapere del nuovo proprietario”.

“Non esattamente”. Lisanna sorrise. “Penso che tutti gli edifici del paese abbiano questo status. La gente vuole solo che la casa ritorni ad avere lo stesso aspetto di quando è stata costruita. Personalmente, credo che questo sia dovuto al fatto che il consiglio ci guadagna molto quando qualche troupe cinematografica viene qui per girare un film”. Rise un po’. “È un paese piuttosto piccolo, quindi le notizie si diffondono rapidamente. È successa la stessa cosa anche l’ultima volta che è stata venduta. Pensavano che sarebbe stata ristrutturata”.

“Quindi il fatto che ora sia ridotta in quelle condizioni non è colpa di mia madre?”

“Non l’ho mai vista in uno stato migliore”. Lisanna scrollò le spalle, per poi assumere un’aria riflessiva. “Penso che ci sia un dipinto di come fosse in passato proprio nella sua stanza. Che coincidenza!”

Lisanna rise continuando a camminare mentre Freed la seguiva. Attraversarono qualche altro corridoio e poi un’altra rampa di scale prima di fermarsi di fronte ad una stanza dalla porta visibilmente vecchia. Lisanna tirò fuori dalla tasca un paio di chiavi e aprì la porta rivelando la stanza che avrebbe ospitato Freed per il resto della settimana. Freed entrò e si guardò intorno.

Era una bella stanza, progettata in modo tale da apparire rustica e allo stesso tempo relativamente lussuosa. Forse era un po’ piccola. Se il letto singolo avesse potuto parlare, avrebbe detto chiaramente che Evergreen non aveva voluto spendere troppo, ma nel complesso la stanza era abbastanza carina. C’erano un bagno privato, una TV e un bollitore per le bevande, praticamente tutto ciò che si potesse desiderare da una stanza d’albergo. Solo il soffitto – decisamente troppo basso lì dove si inclinava – gli fece storcere la bocca. Avrebbe dovuto stare attento a non urtare la testa mentre si alzava dal letto.

Il suo sguardo si soffermò poi sul dipinto appeso alla parete, un’illustrazione dell’interno di Villa Albion in condizioni decisamente migliori di quelle attuali. Sembrava piuttosto confortevole.

“Carina, vero?” Lisanna sorrise. “È per questo che la gente vuole vederla ristrutturata”.

“Be’, forse tra un po’ sarà così” rifletté Freed. “Molto probabilmente dovrò venderla ad un’asta. Spesso si riesce ad attirare persone in cerca di proprietà poco costose su cui lavorare, o almeno è quello che mi ha detto il mio agente immobiliare. Quindi forse andrà così”.

“Non sembra molto entusiasta, però”.

“Speravo di ottenere qualcosa di più, devo ammetterlo”. Freed sospirò guardando ancora il dipinto. “È la mia ultima spiaggia, dubito di trovare un’offerta migliore la prossima settimana”.

“Non potrebbe ristrutturarla e poi venderla?” suggerì Lisanna.

“La mia conoscenza in ambito immobiliare si limita solo all’aspetto legale”. Freed ridacchiò. “Se dovessi provare a ristrutturarla, avrei ottime probabilità di mandarla a fuoco. Non penso che questo sia in linea con le regole sulla tutela”.

“Credo di no”. Lisanna rise. “Ora la lascio, devo tornare alla reception. La colazione viene servita dalle sei alle dodici ed è inclusa nel prezzo della stanza. Quando arriveranno le sue valigie gliele porterò io, oppure lo farà mio fratello che domani ha il turno alla reception. Se ha bisogno di qualcosa, ci chiami”. Sorrise. “Le auguro buona permanenza”.

Freed la guardò uscire. Una volta rimasto solo nella stanza, esalò un lungo sospiro, il primo da quando era entrato.

Di nuovo, il suo sguardo cadde curiosamente sul dipinto.

 

 

 

Chiarimenti della traduttrice:

1 Uber = servizio di trasporto automobilistico privato, usufruibile tramite applicazione mobile.

2 Tail / Tale = queste due parole hanno pronunce simili. Fairy Tale significa favola, Fairy Tail significa coda di fata. Quando Freed legge l'insegna con scritto Coda di fata crede che sia sbagliata e che forse i proprietari volevano scrivere Favola per dare l'idea di un hotel da favola appunto. Invece l'insegna è giusta.

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Capitolo 2
*** Il tuttofare ***


Note della traduttrice:

Ciao ragazzi, sono sempre io, Soly Dea, e oggi vi traduco il secondo capitolo di questa long di Eryiss che potete trovare qui in lingua originale: AO3 - Fanfiction.net - TumblrRicordo che titolo, immagine introduttiva, storia e note d’autore sono sue, mentre io mi occupo solo di tradurre.

ATTENZIONE: in questo capitolo troverete molte parolacce. Ci troviamo infatti in un borgo di campagna dove vive gente umile abituata a parlare in modo molto schietto.

Note dell’autore:

Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. Come ho detto, questa storia è stata scritta per il Fraxus Day 2020, gestito da Fuckyeahfraxus. Andate a visitare la pagina per scoprire quali altri contenuti sono stati prodotti per questo evento.

Vi ringrazio per qualsiasi commento vogliate lasciarmi. Per me significa molto. Spero che vi piaccia e grazie per la lettura.

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Capitolo 2 – Il tuttofare

“Ma porca puttana”.

“Non è questo il modo di parlare ad una donna, Laxus”.

“Ce l’ho con ‘sta merda”.

Sbuffando irritato, Laxus sbatté il cacciavite nella cassetta degli attrezzi. Sul tavolo c’era il tostapane professionale che stava cercando di riparare da quella mattina e sulla griglia giaceva pietosamente un’unica fetta di pane leggermente tiepida che non aveva nemmeno vagamente l’aspetto di un toast. Era la sesta volta in un anno che quella maledetta macchina si rompeva, tant’è che ormai Laxus la considerava sua nemica.

Ma non l’avrebbe lasciata vincere. Da quando lavorava come tuttofare presso il Fairy Tail, aveva aggiustato praticamente qualsiasi dispositivo elettrico e non poteva assolutamente permettere a quel dannato tostapane di mandarlo in rovina. Solo nell’ultimo anno era riuscito ad avere la meglio su caldaie difettose, collegamenti pessimi e perfino uno schifosissimo problema all’impianto fognario. Un tostapane non era nulla in confronto.

“Perché non dici a tuo nonno di comprarne uno nuovo?”. Cana entrò nella stanza del personale ridendo. “Quell’aggeggio avrà almeno vent’anni, probabilmente non è più nemmeno in grado di fare i toast. Magari c’è solo una perdita di olio che fa sembrare il pane abbrustolito”.

“Col cazzo che lo faccio sostituire” sbottò Laxus fissando i circuiti interni della macchina con un odio che probabilmente non meritava. “Se questo dannato coso viene sostituito, saprà che ha vinto”.

“Ti ricordo che è solo un tostapane” commentò Cana con tono atono.

“Non me ne frega un cazzo” borbottò Laxus poggiandosi allo schienale della sedia con le braccia dietro la testa. “Che fai oggi?”

“Il vecchio mi ha chiamata perché a pranzo abbiamo un bel po’ di ospiti e c’è bisogno di qualche cameriere in più. Dopo lavoro al bar”. Cana scrollò le spalle sedendosi a cavalcioni su una sedia. “Tu?”.

“Nella stanza 7 c’era una luce tremolante, ma l’ho già riparata”. Laxus sospirò. “Quindi ho pensato di mettermi ad aggiustare il tostapane”.

Gli occhi lucidi del biondo vagarono all’interno della piccola stanza fino a soffermarsi sull’orologio. Sospirò ancora. La sera prima aveva bevuto e, se non fosse stato per la chiamata di suo nonno alle 7 del mattino che minacciava di licenziarlo, probabilmente sarebbe rimasto a letto a smaltire la leggera sbornia. Anche se era riuscito ad ottenere la colazione gratis da Mirajane, al momento l’avrebbe scambiata volentieri con delle coperte. Sentirsi in colpa per quella sbornia gli aveva dato un modo per passare il tempo, ma ora non aveva più nulla da fare praticamente per tutto il giorno.

Il suo lavoro gli piaceva, ma era piuttosto incostante. Si occupava di tutte le riparazioni di cui aveva bisogno l’hotel di suo nonno, dall’impianto idraulico fino a quello elettrico, oppure dava una mano in assenza di personale. Tuttavia Makarov aveva sempre tutto sotto controllo e oltretutto vantava ottime relazioni con i suoi dipendenti, quindi le assenze erano piuttosto rare. Di conseguenza Laxus non era mai particolarmente indaffarato.

Naturalmente non si trattava di un grosso problema, ma c’era dell’altro.

Prima o poi avrebbe dovuto scegliere se rimanere in quel piccolo borgo per tutta la vita oppure andarsene una volta per tutte. Magnolia gli piaceva, il paesaggio era molto bello e gli riportava alla mente piacevoli ricordi della sua infanzia, ma Laxus sentiva che la sua vita lì era in qualche modo limitata. Un diploma in elettrotecnica non era poi così utile se l’unico lavoro disponibile era presso un’officina dove una volta aveva spaccato i denti al figlio del proprietario. Quel vecchio bastardo avrebbe già dovuto perdonarlo in effetti; erano passati sei anni!

Laxus era grato a suo nonno per avergli offerto quel lavoro perché in questo modo poteva sfruttare il suo diploma (seppur su schifosi tostapane) e guadagnarsi da vivere, ma allo stesso tempo sentiva di condurre un’esistenza noiosa ed era per questo che spulciava le offerte di lavoro online almeno due volte a settimana.

“Non lo mangi?” chiese Cana avvicinandosi alla fetta di pane riscaldata ma non tostata.

“No”. Laxus aggrottò la fronte. “Perché, vuoi mangiarlo tu?”

“Sono povera”. Cana rise prendendo la fetta di pane e mordendola.

“Ho visto la credenza dove tieni gli alcolici, non mi sembra proprio che tu sia povera” disse Laxus con fare impassibile e Cana rise continuando a mangiare la sua fetta di pane; non aveva neanche pensato a spalmarci qualcosa sopra. “Prendi il doppio delle mie mance quando lavoriamo insieme al bar. Dove vanno a finire tutti quei soldi?”

Cana sorrise. “Nella credenza degli alcolici”.  

“Finirai col fotterti i reni”.

“Mi farò fare un trapianto”. Cana rise ingoiando un boccone di pane. “A proposito di fottere, hai scopato con qualcuno di recente?”

“Vaffanculo!” esclamò Laxus spalancando gli occhi guizzanti, mentre la donna rideva apertamente.

Quello era un argomento che la sua amica tirava fuori spesso e con sempre meno vergogna. Loro due erano tra i pochi omosessuali dichiarati di Magnolia – o almeno, per quel che ne sapevano – e perciò condividevano una certa affinità per quanto riguardava le relazioni. Avevano iniziato ad avvicinarsi compatendosi l’un l’altro per il fatto di non avere nessuno da frequentare e in qualche modo avevano sviluppato un’amicizia grazie alla quale ora Cana si sentiva perfettamente a proprio agio nell’interrogare Laxus sulle sue questioni di letto.

Il problema era che Laxus non aveva le stesse opportunità di Cana per prenderla in giro. Cana era apertamente innamorata di Mirajane e aveva smesso di vergognarsene da parecchio tempo. Lei poteva stuzzicare Laxus ogni volta che quest’ultimo posava gli occhi su un uomo, ma Laxus non poteva fare lo stesso con lei perché entrambi sapevano che Mirajane era l’unica donna che Cana voleva al suo fianco.

Che stronza.

“Niente di niente? Eppure hai così tanto tempo a disposizione”. Cana rise e Laxus si sollevò in piedi con un grugnito. “Dai, non fare così, aspetta”.

“Vado a controllare se c’è qualche bagno che ha bisogno di essere sturato” borbottò Laxus dirigendosi verso la porta della stanza. “Sarà sicuramente meglio che parlare con te”.

“Oh, mi ferisci. Potrei piangere” disse Cana con un tono di voce estremamente sarcastico.

“Va’ a farti fottere” mormorò Laxus.

“Ti alletta l’immagine, eh?”. Cana sorrise, per poi aggiungere con tono più serio “Lisanna ha detto che più tardi vuole parlarti, quindi va’ da lei quando finisci di strofinare il cesso”. Sul suo volto apparve un ghigno. “Magari vuole farti mettere con suo fratello. Sareste proprio una bella coppia, sai?”.

“Fanculo”.

“Immagina che strage. Potreste rompere più letti voi di un falegname particolarmente forzuto”.

Laxus non rispose, limitandosi a mostrare il dito medio mentre lasciava la stanza.

_________________________

Fortunatamente Laxus non aveva trovato alcun bagno da pulire, ma era comunque riuscito a tenersi impegnato per tutta la mattinata con una serie di lavoretti quali spazzare le grondaie prima che si formassero cumuli di foglie e controllare che le scorte di sapone non si stessero esaurendo. Infine era tornato nella stanza del personale per continuare a lavorare sul tostapane.

Non stava andando molto bene e i clienti avrebbero dovuto accontentarsi di un unico toast tiepido per almeno un altro giorno, ma almeno Cana era di turno al ristorante e non poteva infastidirlo. Laxus sperò che i tavoli fossero pieni di persone antipatiche che non sapessero nemmeno cosa prendere e che non volessero lasciarle alcuna mancia.

Ingoiò metà Red Bull e grugnì combattendo contro la voglia di controllare i prezzi dei tostapane online.

Dopo essersi sgranchito la schiena, Laxus si rimise in piedi passandosi una mano tra i capelli davanti allo specchio per assicurarsi di avere un aspetto presentabile prima di lasciare la stanza. Non faceva parte del personale di sala ma rappresentava comunque l’hotel. Normalmente non se ne sarebbe preoccupato – i suoi contatti con gli ospiti erano limitati – ma se doveva parlare con Lisanna come gli aveva detto Cana, sarebbe stato sotto gli occhi dei clienti per almeno qualche minuto. Fortunatamente non stava affatto male per essere uno che la sera prima aveva quasi vomitato su un piatto di patatine fritte.

Dietro il bancone della reception, Lisanna si stava occupando di questioni amministrative che a Laxus non interessavano granché. Quando si avvicinò a lei, Lisanna sollevò lo sguardo dal monitor e gli sorrise. Laxus si trattenne dall’assumere un’espressione accigliata. Non avevano chissà quale grande rapporto.

“Ciao” lo salutò Lisanna in modo fastidiosamente allegro. “Non so se Cana ti ha avvisato”.

“Be’, sono qui”. Laxus scrollò le spalle.

“Giusto” disse Lisanna con un sorriso, per poi indicare una delle altre sedie che popolavano la piccola stanza, e Laxus si sedette. “Ho qualcosa che potrebbe interessarti. Una proposta, diciamo”.

Laxus ebbe un attimo di esitazione. E se Lisanna volesse davvero provare a metterlo in coppia con Elfman? Quello sì che sarebbe stato imbarazzante. Elfman non era proprio il suo tipo.

“Abbiamo un ospite che è arrivato ieri” iniziò Lisanna per poi interrompersi. “In realtà questo non importa. Be’, forse sì, ma non ora”. Laxus rimase in silenzio. Lisanna era una persona piuttosto loquace e avrebbe potuto benissimo intrattenere una conversazione con se stessa. “Hai presente Villa Albion, quella vecchia casa in periferia completamente abbandonata?”

“Sì”. Laxus annuì confuso. “Da bambino credo di essermi inventato qualche cazzata a proposito del fatto che fosse infestata”.

“Be’, quella casa– ma allora eri tu! Mirajane me lo disse quando avevo otto anni e ho avuto gli incubi per settimane! Che stronzo!” lo rimproverò Lisanna e Laxus non nascose un ghigno. “Vabbè, ne parliamo dopo. Di recente quella casa è passata ad un nuovo proprietario, l’ospite di cui ti dicevo prima. Ho parlato con lui l’altra sera e un po’ stamattina a colazione. Non sa cosa fare perché non può demolire la casa e vendere il terreno. Oltretutto la casa è ridotta in condizioni schifose, quindi probabilmente non vorrà comprarla nessuno. Il proprietario è piuttosto turbato, penso che abbia bisogno di soldi per qualcosa, ma non ho voluto chiedere”.

Laxus si domandò se Lisanna fosse solita parlare così tanto anche con i clienti. Quello era uno dei motivi per cui avrebbe voluto farsi assumere da uno di quei grandi hotel di lusso in cui ognuno lavora per conto proprio.

“Scusami, questo non c’entrava nulla”. Lisanna scosse la testa. “Il proprietario pensa che potrebbe riuscire a vendere la casa dandole un aspetto migliore. Non vuole ristrutturarla completamente, ma solo fare in modo che le luci funzionino e che le assi del pavimento non si frantumino. Non è di qua, quindi non conosce nessun muratore o idraulico della zona”. Si interruppe solo per rivolgergli un sorriso speranzoso.

“E…?”

“Rispecchi proprio lo stereotipo dell’uomo tutti muscoli e niente cervello, sai?” mormorò Lisanna, e Laxus si sentì particolarmente felice del fatto che la sua storia sui fantasmi l’avesse spaventata. “Gli ho detto che abbiamo un fantastico tuttofare che lavora qui part-time e che potrebbe aiutarlo. Gli ho parlato di tutto quello che fai e ha detto che è interessato ad incontrarti!”

“Mi hai organizzato un colloquio di lavoro?” disse Laxus preso un po’ alla sprovvista.

“Qualcosa del genere, ma meno formale”. Lisanna sorrise. “Gli ho fatto capire che stai cercando lavoro e lui mi ha detto che è disposto a pagarti come si deve se ti dimostri abbastanza bravo”.

Laxus si poggiò allo schienale della sedia socchiudendo gli occhi. Non era solito reagire particolarmente bene alle sorprese e quella era veramente una grossa sorpresa, perché una ragazza che conosceva appena aveva fatto per lui qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.

L’idea di lavorare su una proprietà lo aveva sempre incuriosito e gli sembrava anche piuttosto plausibile. Avrebbe dovuto fare praticamente ciò che faceva già nell’hotel, solo su più vasta scala e con qualche sforzo in più, il che lo intrigava parecchio. C’erano stati mesi in cui aveva seguito programmi televisivi sulla ristrutturazione delle case per comprendere meglio come funzionasse quel campo e aveva capito subito che, per comprare proprietà malmesse da ristrutturare, aveva bisogno di soldi. Soldi che lui non aveva, dato che lavorava part-time in un hotel come semplice tuttofare.

Non poteva lasciarsi sfuggire un’opportunità del genere.

Quel lavoro lo avrebbe decisamente aiutato. Era più che qualificato per modernizzare il funzionamento interno di una casa ed era disposto ad impegnarsi seriamente. Se fosse andata bene, avrebbe guadagnato esperienza, denaro extra e magari buone referenze da offrire ad altri gestori di proprietà immobiliari. Sarebbe stato ottimo.

Allo stesso tempo, però, Laxus non poteva che diffidare di quell’offerta praticamente caduta dal cielo.

“Quindi questo tizio è disposto a fidarsi di un estraneo qualunque?”

“È praticamente disperato”. Lisanna rise con un’espressione compassionevole sul viso. “Penso che voglia andarsene da qui il prima possibile, è abituato alla vita in città. Vabbè, questo non c’entra niente. Sembra un brav’uomo e tu sei adatto al lavoro di cui ha bisogno. Parla con lui, vedi cosa si può fare”. Lisanna scrollò le spalle. “Credo che al momento si trovi al ristorante. Gli ho detto che gli avrei fatto sapere nel caso in cui fossi stato interessato”.

“Mmh” mormorò Laxus. “Fanculo, perché no?”.

Trascorse la maggior parte del tragitto verso il ristorante a cercare di razionalizzare ciò che gli era appena successo e a guardare il proprio riflesso in ogni specchio: se si trattava di un’opportunità imperdibile come gli aveva fatto credere Lisanna, doveva assicurarsi di fare buona impressione.

Quando i due arrivarono al ristorante, Lisanna si fermò per ispezionare con lo sguardo l’intera sala. Nel momento in cui trovò la persona che stava cercando, riprese a camminare e Laxus la seguì fino a posare gli occhi sull’uomo seduto al tavolo vicino alla finestra.

Non era così che Laxus se l’era immaginato.

Essendosi aspettato un noioso cinquantenne vicino alla calvizie, Laxus si sentì preso in contropiede. L’uomo in questione era certamente qualche anno più giovane di lui. Aveva lunghi capelli verdi legati in una coda alta. Indossava un completo elegante di cui Laxus non riconobbe la marca. I suoi lineamenti erano spigolosi e ben proporzionati, e il resto del corpo al di sotto dei vestiti non doveva essere da meno. Quando Laxus gli si fece più vicino, avvertì il profumo fresco dell’acqua di colonia misto alla fragranza floreale lasciata dai vaporizzatori per vestiti1 presenti in ogni stanza. Quando lo guardò in volto, Laxus notò un paio di occhi azzurri e accattivanti dalla forma affilata e un’espressione in qualche modo enigmatica.

A parte lo sguardo fin troppo acceso, Laxus avrebbe potuto definirlo un bel ragazzo.

Era praticamente il suo tipo, almeno esteticamente.

“Signor Justine” disse Lisanna in segno di saluto. “Il pranzo è di suo gradimento?”

“Molto” rispose l’uomo rivolgendo un’occhiata all’insalata di pollo che stava mangiando, per poi guardare Laxus.

“Questo è l’uomo di cui le ho parlato, il nostro tuttofare” spiegò Lisanna dando una piccola gomitata a Laxus. Quest’ultimo si fece avanti e allungò una mano verso l’ospite, il quale gliela strinse con una presa decisa.

“Laxus Dreyar” disse il biondo. “Piacere di conoscerla”.

“Anche per me” rispose l’uomo e Laxus non poté fare a meno di notare quanto fosse vellutata la sua voce. Ma non era il momento di pensare a cose del genere, quindi ritirò la mano e ascoltò: “Mi chiamo Freed Justine, come forse le è stato già detto. Immagino che la sua collega le abbia già spiegato perché desidero parlare con lei”.

“Villa Albion, giusto?” chiese Laxus. “Ha bisogno di aiuto con l’impianto elettrico”.

“Praticamente sì”. Freed annuì. “L’unica cosa rimasta davvero intatta è la struttura dell’edificio. I collegamenti, i tubi, il sistema di riscaldamento e penso molto altro ancora di cui non sono a conoscenza sono andati distrutti. Vorrei che l’edificio venisse riparato in modo da poterlo vendere. Non deve recuperare un bell’aspetto, deve solo tornare funzionante. Pensa di potercela fare?”.

“Certo. Sono sicuro che sarà una cazz– passeggiata”. Laxus fece una smorfia abbassando lo sguardo sul tavolo e perdendosi l’espressione divertita sul volto di Freed. “Ho risolto molti problemi qui e anche in altre case dove ce n’era bisogno. A meno che la sua non sia proprio irrecuperabile, penso di potercela fare”.

“Si sieda, signor Dreyar”.

Laxus si ritrovò ad obbedire a quella richiesta così improvvisa: si sedette di fronte a Freed e attese un po’ a disagio mentre lui chiedeva a Lisanna un altro tè. Pensò di dirgli che Lisanna non faceva parte del personale di sala, ma lei sorrise e promise di portarglielo. Quando la ragazza si allontanò con un sorriso e i pollici sollevati in segno di vittoria, Laxus aggrottò la fronte e roteò gli occhi per quel gesto tanto stupido, poi rivolse la sua attenzione all’uomo che presto avrebbe potuto assumerlo.

“Penso che sia meglio essere onesti l’uno con l’altro” continuò Freed e Laxus annuì brevemente. “Non ho né interesse né abilità manuali nel campo della gestione e ristrutturazione di proprietà. Posso imparare e in generale non mi manca il senso pratico, ma gran parte del lavoro dovrà svolgerlo lei”.

“Posso farcela” disse Laxus con un cenno d’assenso. “Come facciamo con il… ehm, compenso, se posso permettermi?”

“Non si peoccupi” disse Freed tirando fuori il suo cellulare dal taschino della giacca. “Non ho avuto modo di rifletterci a lungo, in realtà. Non so quanto tempo ci vorrà, quindi mi sembra più sensato pagarla a ore piuttosto che stabilire un compenso unico. Le dirò la tariffa oraria quando saprò con esattezza quanto viene pagato in media un operaio qualificato. Naturalmente, se non è d’accordo, possiamo tranquillamente discuterne, ma le prometto che rimarrà soddisfatto”.

Per un attimo Laxus si sentì un po’ stupido. Si aspettava una risposta vaga oppure un semplice “La pagherò un tot e mi aspetto che il lavoro venga terminato entro la fine del mese”, non quel mucchio di stronzate giuridiche.

“Va bene” disse Laxus annuendo. “In che condizioni si trova la casa? L’esterno non sembra il massimo, ma vorrei capire cosa ci troverò all’interno”.

“Temo che l’esterno sia la parte migliore”. Freed sorrise un po’ amaramente e Laxus si soffermò di nuovo sul suo volto. I suoi lineamenti – da vicino erano ancora più belli – lasciavano trasparire una vena di preoccupazione. “Non ho scattato molte foto perché in quel momento non mi sentivo dell’umore giusto, ma questa è piuttosto fedele”.

Freed fece scorrere il dito sul cellulare un paio di volte e poi mostrò lo schermo a Laxus. Gli ci volle qualche secondo per capire cosa fosse, e quando ci arrivò non poté fare a meno di sospirare e poggiare la schiena alla sedia.

“È il quadro elettrico?” disse ridendo e Freed annuì. “Sembra quasi che…”

“…se la sia spassata con un martello pneumatico, un bastone e una scatola di esplosivi?” completò Freed, e Laxus scoppiò in una sonora risata che stupì perfino se stesso.

“Cazzo, scusami2. Non dovrei ridere” disse Laxus con un sorriso imbarazzato. Quando riportò lo sguardo sul volto di Freed, notò che anche lui stava sorridendo. Se non altro, il suo capo gli aveva appena dimostrato di avere un po’ di senso dell’umorismo. “Non me lo aspettavo, in effetti è messa piuttosto male. Se il resto della casa è ridotto uguale, probabilmente ci metteremo un bel po’ per renderla nuovamente abitabile”.

“Immaginavo” disse Freed con un sospiro. “Rimarrò qui solo una settimana, comunque. Il mio ufficio potrebbe concedermi solo un’altra settimana, ma spero che fino ad allora tu abbia già iniziato a lavorare e possa farcela senza di me”.

“Certo”. Laxus annuì, gli piaceva lavorare da solo. “Che lavoro fai, se posso sapere?”

“Sono un avvocato” disse Freed rimettendo il cellulare nel taschino della giacca.

“Un avvocato, cazzo”. Eccitante. “Complimenti”.

“Grazie” rispose Freed annuendo. “Non vorrei essere scortese, ma ora devo risolvere alcune questioni d’ufficio, quindi sono costretto a lasciarti”. Tirò fuori un piccolo pezzo di carta dalla tasca. “Questo è il mio biglietto da visita, chiamami stasera. Discuteremo la cosa più nel dettaglio. Buona giornata, Laxus”.

“Mmh”. Laxus annuì. “A dopo”.

Freed lasciò il ristorante e Laxus si concesse di squadrare la sua figura che si allontanava, dalle spalle ampie fino alla vita stretta. Per un attimo si soffermò anche sul fondoschiena, ma poi spostò velocemente lo sguardo incontrando il sorriso critico e compiaciuto di Cana poco distante da lui.

“Vado a riparare quel maledetto tostapane” mormorò Laxus scattando improvvisamente in piedi. Cana continuava a sogghignare. “Fanculo”.

 

 

 

 

 

Chiarimenti della traduttrice:

1 Vaporizzatori per vestiti = personalmente non sapevo cosa fossero quindi ho fatto una piccola ricerca. Si tratta di una specie di piccolo ferro da stiro da usare in verticale sui vestiti.

2 In inglese non esiste il “lei”, quindi si da sempre del “tu”, ma nella storia originale i due si rivolgono l’uno all’altro in maniera molto formale (basti leggere di come Freed chiama Laxus “signor Dreyar”) e questo in italiano non può che essere tradotto con il “lei”. Tuttavia, a partire dalla battuta di Freed sul quadro elettrico, la conversazione diventa più informale e quindi ho pensato di farli passare inconsciamente al “tu” (infatti alla fine Freed chiama Laxus semplicemente con il suo nome).

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Capitolo 3
*** L’ospite ***


Note della traduttrice:

Eccoci qui con il terzo capitolo di questa long di Eryiss che potete trovare qui in lingua inglese: AO3 - Fanfiction.net - Tumblr. Ricordo che titolo, immagine introduttiva, storia e note d’autore sono sue, mentre io mi occupo solo di tradurre.

Un grazie speciale a Angie_Dreyar che segue e recensisce attivamente questa storia <3

Note dell’autore:

Ciao a tutti, spero che la storia vi stia piacendo. Ricordate di dare un’occhiata a Fuckyeahfraxus che ha ideato l’evento per il quale ho scritto questa storia. Andate a visitare la pagina per scoprire quali altri contenuti sono stati prodotti in occasione di questo evento.

Vi ringrazio per qualsiasi commento vogliate lasciarmi. Per me significa molto. Spero che la storia vi piaccia e grazie per la lettura.

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Capitolo 3 – L’ospite

“Non sapevo cosa prenderti, quindi ho optato per un caffè con lo zucchero. Spero non ti dispiaccia”.

Freed posò la tazza del caffè sul ripiano scheggiato della cucina, per poi fare un passo indietro e abbassare lo sguardo su Laxus. Il biondo era steso per terra a pancia in su con la testa sotto il lavandino, una chiave inglese in una mano e una torcia nell’altra; emise un leggero grugnito d’assenso per fargli capire che lo aveva sentito, ma non si mosse minimamente. Freed fece un altro passo indietro guardando Laxus con un sopracciglio leggermente sollevato.

L’attimo dopo, un rumore scricchiolante riempì il silenzio della stanza seguito da un verso d’approvazione da parte di Laxus. Il biondo abbandonò la chiave inglese e, dopo ulteriori grugniti e movimenti che Freed non poté vedere, ci fu una sorta di scoppio. Freed trasalì, ma Laxus ne sembrò soddisfatto.

“Ha!” esultò riemergendo da sotto il lavandino. “Ti ho fregato, maledetto ammasso di ruggine!”

Allontanandosi completamente dal ripiano della cucina, Laxus mostrò un grosso tubo ricurvo fatto probabilmente di stagno ma talmente arrugginito da apparire irriconoscibile. Quando lo gettò nell’ampio cestino che stava usando come bidone della spazzatura, dal tubo caddero frammenti di ruggine rossastra. Laxus si tirò a sedere, ruotò un po’ le spalle e guardò Freed con un sorriso soddisfatto.

“Era da stamattina che ci lavoravo” spiegò. “Il caffè va benissimo, grazie”.

“Se ti serve un giorno intero per un solo tubo devo presumere che stiamo procedendo bene?” scherzò Freed ridacchiando con rassegnazione. Laxus gli indirizzò un sorriso divertito sollevandosi da terra e sgranchendosi la schiena.

“Era quello che teneva tutti i pezzi insieme”. Il biondo spinse via il cestino contenente il tubo. “Il resto sarà molto più facile. Toglierò tutti i pezzi vecchi prima di pranzo e metterò quelli nuovi entro metà pomeriggio”.

Freed annuì, tirando in cuor suo un sospiro di sollievo per quella notizia. Si trovava a Magnolia da una settimana, e lui e Laxus avevano trascorso molto tempo insieme a cercare di rimettere in sesto la casa. All’inizio era stato difficile. Quando il biondo aveva esaminato la casa per la prima volta e aveva annotato un’intera lista di cose da fare, a Freed era sembrata un’impresa praticamente impossibile.

Ma stavano facendo progressi. Avevano deciso di dedicarsi ad una stanza per volta cominciando dalla cucina, che era sia una delle più importanti, sia una di quelle che necessitava di maggiori riparazioni. Freed era piuttosto certo che, al momento di scegliere tra la cucina e il bagno, il fattore decisivo per Laxus era stato la mancanza di fiducia nei confronti delle assi del pavimento del piano di sopra, dov’era appunto collocato il bagno.

L’avvocato si chiedeva se Laxus se ne fosse pentito, dato che il bagno pubblico più vicino distava quindici minuti a piedi da lì.

Da quando avevano iniziato, quel lavoro era diventato una vera e propria routine. Laxus aveva messo in chiaro che la sua priorità era l’hotel, in quanto si trattava del suo lavoro più duraturo, e Freed si era detto d’accordo. In ogni caso, il Fairy Tail era gestito molto meglio di quanto credesse, poiché c’erano state solo due occasioni in cui Laxus era stato chiamato e aveva dovuto interrompere il suo lavoro in casa. Di conseguenza, potevano considerarsi a buon punto.

Non che la casa avesse un aspetto migliore ora. Solo la cucina non era più così malmessa come lo era all’inizio, ma quello era dovuto ad esigenze pratiche. Poiché Laxus non poteva fare nulla per i mattoni e le piastrelle frantumate, si era limitato a ripulire il pavimento dai sacchi di spazzatura maleodorante e poi aveva controllato l’impianto elettrico e il gas per assicurarsi che non ci fosse nulla che li folgorasse o li facesse saltare in aria all’improvviso, scherzando sul fatto che una persona avvolta dalle fiamme avrebbe ridotto leggermente il valore della proprietà.

Freed aveva riso. Laxus possedeva un ottimo senso dell’umorismo.

Il lavandino era la prima cosa su cui Laxus aveva deciso di lavorare. Nel pomeriggio montò il rubinetto nuovo assicurandosi che funzionasse come doveva, ma sfortunatamente il tubo di scarico era così corroso da risultare completamente inutile. Questo non avrebbe causato alcun problema se la pressione dell’acqua non fosse stata talmente forte da impedire la chiusura del rubinetto allagando la cucina con tre centimetri di acqua fredda e sporca.

Non era stata una bella giornata, ma almeno Freed aveva avuto la conferma che Laxus era l’impiegato perfetto per lui. Infatti, quando Freed aveva calpestato i piedi sull’acqua riversando la sua rabbia sia su Laxus che sulla stanza, il biondo era scoppiato a ridere prendendolo in giro per essersi “incazzato per due gocce d’acqua”.

Freed non sarebbe riuscito a lavorare con qualcuno che non era in grado di gestire il suo lato più irascibile, seppur lo mostrasse raramente.

“Non pensavo che saresti rimasto fino a quest’ora” disse Laxus afferrando la tazza del caffè e avvicinandola alle labbra.

“Il treno di Evergreen è in ritardo” spiegò Freed bevendo a sua volta un caffè. Avrebbe preferito qualcosa di diverso, ma le grandi catene di caffetterie non sembravano essere ancora sbarcate a Magnolia. “Le ho detto di prendere un taxi per venire qui, visto che ci tiene tanto a vedere questo posto”.

“Dovresti essere più orgoglioso della tua casa” disse Laxus con tono scherzoso. “Un ragazzo della tua età già avviato nel mercato immobiliare non è cosa da poco”.

“La mia casa è ad un soffio così dall’essere demolita rendendomi responsabile di omicidio colposo nei confronti di un intero gregge di pecore” disse Freed con espressione impassibile. “E l’unico motivo per cui Evergreen vuole venire qui è per prendermi in giro”.

“Tu dici?”

“Il suo ultimo messaggio diceva che non vedeva l’ora di vedere la casa che il grosso lupo cattivo ha ignorato, convinto che facesse così schifo che nessun porcellino rispettabile l’avrebbe usata1” disse Freed non riuscendo a reprimere un sorriso. “È solita andare incredibilmente nello specifico quando vuole infastidirti o irritarti. Penso che sia una caratteristica comune a tutti gli avvocati d’ufficio. Non rimarrà qui a lungo, non preoccuparti. Sicuramente comincerà a sentire la mancanza delle comodità della città e mi chiederà di accompagnarla nel negozio di prodotti firmati più vicino. Sfortunatamente si tratta di un McDonald’s, che lei odia”.

“I tuoi amici ti stanno proprio simpatici, eh?”. Laxus sorrise. “I complimenti non sembrano il tuo forte”.

“Evergreen è una persona meravigliosa, ma è decisamente una ragazza di città”. Freed ridacchiò. “Probabilmente ha imparato a memoria la mappa della metropolitana prima ancora di visitare uno zoo”.

“…disse il ragazzo che veste Armani su un cantiere”. Laxus ghignò poggiando la tazza vuota sul ripiano della cucina. “Non hai altri tipi di vestiti oltre ai completi eleganti?”.

“No” disse semplicemente Freed, e Laxus lo guardò sconcertato e allo stesso tempo divertito. “È il mio abbigliamento da lavoro, ed io lavoro praticamente ogni giorno e per molte ore. Perché dovrei sprecare denaro per qualcosa che indosserei solo nel mio appartamento?”

“Io pagherei un sacco di soldi per vederti indossare un paio di jeans logori e macchiati e un vecchio maglione sfilacciato”. Laxus rise accovacciandosi e guardando nuovamente i tubi. “Solo per scoprire come sembreresti senza la tua armatura e le tue scarpe lucide da ragazzo di città”.

Freed aggrottò un po’ la fronte.

Laxus lo stava giudicando, era piuttosto ovvio, ma i suoi modi spiritosi e la mancanza di malizia nel suo tono di voce gli lasciavano intendere che lo stesse facendo in buona fede. Non si trattava di ostilità derivante dal fatto che appartenevano a classi sociali diverse2, ma di una pura e semplice osservazione. Tuttavia, abituato alle discussioni chiare e aperte per via del suo lavoro, Freed doveva proprio ammettere che Laxus era stato uno–

“Vuoi sapere come si svita un tubo?” disse Laxus interrompendo i pensieri di Freed. “Così, se dovessi avere problemi una volta tornato a casa, eviteresti di chiamare un idraulico e risparmieresti qualcosa”.

“Certo” acconsentì Freed dimenticando l’insulto e abbassandosi accanto a Laxus.

Il biondo gli diede una spiegazione veloce di quello che doveva fare e di tutto ciò che c’era sotto il lavandino. Freed non percepì alcun senso di superiorità nelle sue parole, né si sentì trattato come un incompetente. In effetti Freed gli aveva già dato dimostrazione della sua capacità di apprendere velocemente i lavori pratici e probabilmente ora Laxus lo considerava suo pari quando si trattava di sporcarsi le mani. Tutto ciò di cui Freed aveva bisogno per fare qualcosa era sapere come farlo.

In effetti quei lavori pratici che Laxus gli stava insegnando non erano poi così male. Naturalmente si trattava di lavori semplici – per svitare un tubo bisognava solo ruotare la chiave inglese ma nel complesso Freed si sentiva piuttosto soddisfatto.

Se non altro, era una buona distrazione.

Seguendo le istruzioni di Laxus, Freed riuscì a rimuovere gli ultimi tubi arrugginiti da sotto il lavandino. Naturalmente Laxus ci avrebbe impiegato meno tempo, ma sembrava comunque ben disposto a fargli da mentore quando lo riteneva opportuno. Per un attimo Freed ascoltò la voce nella sua testa che gli diceva che forse Laxus voleva solo scrollarsi un po’ di lavoro di dosso, ma accantonò quel pensiero subito dopo. Senza di lui, Freed non sarebbe arrivato fino a quel punto. Inoltre, se una volta tornato alla sua vita in città si fosse ritrovato con un problema all’impianto idraulico, avrebbe avuto tutte le capacità per risolverlo da solo.

Dopo aver rimosso tutti i tubi, i due riemersero da sotto il lavandino tornando in piedi. Laxus andò a gettare i tubi dicendo che avrebbe chiamato il suo fornitore per sapere quando sarebbero arrivati quelli nuovi. Freed annuì e raggiunse il giardino antistante per lavarsi le mani con il tubo per l’irrigazione, probabilmente l’unica parte della casa che somigliava ad un impianto idraulico.

Quando le sue mani tornarono pulite, Freed sentì il rombo di un’auto che si avvicinava. Aveva scoperto che la strada non portava molto più lontano di Villa Albion e perciò c’erano poche auto che passavano di lì. Quando si rese conto che era un taxi, sorrise. Evergreen scese dalla macchina un attimo dopo.

“Freed!” urlò con un sorriso. “Merda, questo non me lo aspettavo”.

“Meglio o peggio di come te l’eri immaginata?” Freed sorrise di rimando rivolgendo un’occhiata alla casa.

“Veramente parlavo dei tuoi vestiti”. Evergreen rise trascinandosi dietro la valigia, poi guardò la casa. “È orrenda esattamente come pensavo”.

Freed si guardò i vestiti chiedendosi cosa intendesse Evergreen. Nonostante avesse lasciato la giacca su una sedia in cucina e si fosse arrotolato le maniche della camicia per poter lavorare, non stava indossando nulla di diverso dal solit– perché i suoi pantaloni erano macchiati? Cos’era quello? Olio? E come ci era finito lì?

“Temo che l’esterno sia la parte più presentabile” disse Freed cercando di ignorare la macchia sui propri pantaloni.

Il giardino era un po’ più ordinato di quando Freed l’aveva visto per la prima volta. Proprio come per la cucina, era stato necessario dargli una ripulita per esigenze pratiche. Camminare su una pavimentazione sconnessa, in mezzo a spine ed erbacce, non era proprio il massimo, ma attraversare il giardino in quelle condizioni trascinandosi dietro gli attrezzi da portare in casa sarebbe stato decisamente pericoloso.

Ora, perlomeno, il giardino somigliava più a una serie di piccole macchie di prato falciato malamente. Pulirlo era stato per Freed una delle cose più soddisfacenti della sua vita, e gli aveva anche permesso di dare prova delle sue abilità pratiche. In effetti, si era dimostrato sorprendentemente efficiente con quella motosega tra le mani (nonostante l’immagine di Laxus che reggeva un’accetta da giardino lo avesse… distratto un paio di volte).

“Vuoi fare un tour della casa in modo da rendere le tue prese in giro più accurate?” suggerì Freed ad Evergreen sforzandosi di ignorare la sporcizia sui propri vestiti. “Laxus sta lavorando oggi, cerchiamo di non disturbarlo”.

“Certo”. Evergreen sorrise. “Qualsiasi cosa pur di tenermi lontana dalla puzza del letame. Ma tu come fai?”

“Mi sto abituando, credo” rispose Freed scrollando le spalle.

Guidò l’amica in casa accompagnandola al piano superiore. Non gli ci volle molto per mostrarle tutte le stanze spiegando cosa avesse pianificato per ciascuna di esse e indicando tutto ciò che avrebbe potuto rompersi o ferirla in qualche modo. Era una lista fastidiosamente lunga e Freed si era quasi dimenticato quanto lavoro fosse necessario al piano di sopra. Almeno, però, non sarebbe stato intricato come il lavoro del piatto di sotto.

Per ogni stanza che visitarono, Evergreen tirò fuori un diverso commento appositamente formulato per punzecchiarlo. In realtà, Freed li trovò tutti fastidiosamente divertenti. Tra un commento e l’altro, la donna lo informò delle cose che si era perso a livello lavorativo e personale negli ultimi tempi. Era bello averla lì, anche solo per un giorno.

“Come ti avevo accennato, lui è Laxus” disse Freed con un cenno della mano quando entrarono in cucina. “Laxus, lei è– oh, sei di nuovo sotto il lavandino”.

“Un attimo” mormorò Laxus da sotto il lavandino. Scivolò fuori, si mise in piedi e guardò Evergreen con un sorriso. “Piacere di conoscerti. Vorrei stringerti la mano, ma ce l’ho piena di ruggine e merda, e non voglio farti prendere il tetano o cose del genere”.

“Piacere mio”. Evergreen sorrise. “Spero che tu non intenda vera merda”.

Laxus rise. “Sono abbastanza sicuro che a un certo punto un uccello abbia fatto il nido nel lavandino, quindi sì, potrebbe essere merda”.

Evergreen rise, e Freed stesso si ritrovò a sorridere leggermente. Raggiunse il vecchio tavolo consunto che a malapena si reggeva in piedi e prese la giacca dalla sedia per poi indossarla. Mentre visitavano le stanze, Freed aveva capito che Evergreen si era già stancata del fascino della casa vecchia e fatiscente – parole sue – e voleva già tornarsene in città, quindi aveva pensato di portarla con sé all’hotel in una sala da tè molto carina, adatta a persone del ceto medio, che sicuramente Evergreen avrebbe adorato. Freed ci era stato di domenica, approfittando del fatto che il bar fosse chiuso. Era stato Laxus a consigliargli quella sala e Freed doveva ammettere che non era affatto male.

Probabilmente, però, non gli avrebbero permesso di entrare in quelle condizioni. In effetti non riusciva proprio a capire in che modo si fosse sporcato di olio (se di olio si trattava). Normalmente era molto attento alla propria immagine, come ogni avvocato che si rispetti.

“Ti lasciamo al tuo lavoro” annunciò Freed a Laxus lisciandosi la giacca sulle spalle. “Se hai bisogno di qualcosa, sai come contattarmi”.

“Certo”. Laxus annuì afferrando un asciugamano per pulirsi le mani. “Divertitevi. È stato un piacere averti conosciuta, Evergreen”.

La donna sorrise. “Anche per me”.

Dopo essersi salutati, Freed accompagnò Evergreen fuori e la guidò fino all’auto che aveva noleggiato per muoversi tra le strade di Magnolia; chiamare ogni volta un taxi sarebbe stato poco pratico. Quando salirono in auto, Freed si guardò nello specchietto retrovisore rendendosi conto di essere sporco di olio anche in faccia.

“Devo passare un attimo dalla mia stanza per rendermi più presentabile” disse mentre lasciavano il vialetto.

“Va benissimo” rispose Evergreen con voce molto più compiaciuta di quanto Freed avrebbe voluto. “Ti fai bello, ordiniamo tè e biscotti, ci sediamo in un angolo della sala e poi parliamo di quel bel fusto che ti sei assunto”.

Freed serrò le mani sul volante ed emise un sospiro infastidito. Lo sapeva che sarebbe stato inevitabile.

___________________________

Le sale da tè erano terribilmente raffinate, di quelle che appaiono nelle serie poliziesche della domenica pomeriggio adatte ad un pubblico di ceto medio. Le tovaglie coprivano ordinatamente i tavoli offrendo un set di porcellana decorata ad ogni cliente. L’odore dei dolci appena sfornati e il piacevole calore della teiera erano un toccasana per i sensi di Freed, specialmente dopo aver percepito odore di muffa e sporcizia per tutta la mattinata.

Tranne che per la compagnia, sarebbe stata la sua pausa ideale.

Durante il tragitto verso l’hotel, Evergreen non si era affatto risparmiata di esprimere il proprio compiacimento per la situazione. Freed la considerava… una buona amica, ma spesso Evergreen approfittava di quel grado di intimità per immischiarsi nelle sue faccende private. Anche Bickslow lo faceva e sicuramente, se fosse stato lì con loro, si sarebbe comportato proprio come Evergreen.

Freed non capiva perché Evergreen si fosse fissata così tanto con Laxus. , era oggettivamente bello. , avevano instaurato una sorta di rapporto. E sì, Freed una volta aveva ammesso di essere inspiegabilmente attratto dagli uomini dediti ai lavori pratici, ma…

Dio, sarebbe stata insopportabile. Freed ne era certo.

Quando il cameriere portò gli ordini – due tazze di tè, una fetta di torta al cioccolato e una focaccina dolce – Freed notò che Evergreen aveva cominciato a sorridergli sfacciatamente. Le restituì uno sguardo indifferente per poi concentrarsi sul suo spuntino. Sperò che manifestare disinteresse e sdegno fosse sufficiente per impedire ad Evergreen di tirare fuori l’argomento Laxus, ma ovviamente quel giorno la fortuna non era dalla sua parte.

“Il tuo operaio sembra simpatico”. Evergreen sorrise sporgendosi verso di lui con la tazzina in mano. “Come vi siete incontrati?”.

“Lavora nell’hotel” disse semplicemente Freed. “Lui voleva riempire il suo curriculum, io avevo bisogno di aiuto con la casa”.

“Be’, il suo curriculum non è l’unica cosa che potrebbe riempire”. Evergreen sorrise. Santo cielo, stava già facendo battute a sfondo sessuale. Davvero insopportabile. “Hai notato il modo in cui la maglia gli aderiva al petto? Gli si vedevano i–”

“Penso che sia meglio impostare alcune regole per quando parliamo del signor Dreyar” cominciò Freed ignorando il “voce da avvocato” sussurrato da Evergreen. “Non devi oggettificarlo, che sia in sua presenza o meno. Non devi fare o dire niente che possa metterlo a disagio oppure indurlo a licenziarsi. Non devi fare allusioni sul mio rapporto con lui, che – ci tengo a precisare – è interamente platonico. Lavoriamo insieme e andiamo d’accordo, tutto qui”. A quel punto Freed le lanciò un’occhiataccia. “E smettila di dire che ho la voce da avvocato”.

“Rispetterò le prime due regole solo se ritirerai la terza” disse Evergreen con vera voce da avvocato, al contrario di Freed che era fermamente convinto di parlare con tono del tutto naturale. “Perché è sia una violazione della mia libertà di parola–”.

“Per l’amor del cielo, Evergreen”.

sia una violazione del diritto concessomi da Dio–”.

“Sei atea”.

“–di infastidire il mio migliore amico in ogni modo possibile” concluse Evergreen e Freed cercò di fulminarla con lo sguardo.

“È Bickslow il mio migliore amico” chiarì Freed seccamente. “Tu non mi lasci mai in pace”.

“Se vuoi, puoi chiamare Bickslow e vedere come reagisce scoprendo che hai assunto un Adone sceso in terra e che lo fai lavorare sul tuo impianto idraulico difettoso sperando che si ritrovi con i jeans talmente fradici da poter vedere la riga del suo culo”.

“Lo stai oggettificando di nuovo” disse Freed, stavolta con meno convinzione. “L’hai squadrato da capo a piedi, eh?”

“Ritiro il mio precedente commento”. Evergreen sorrise senza malizia e poi rise apertamente. “Pensi che ci sia qualcuno che possa reputare divertenti le nostre discussioni da avvocati tanto quanto noi?”

“Ne dubito” disse Freed sorridendo.

A quel punto entrambi si rilassarono e Freed si portò un piccolo pezzo di torta alla bocca. Era stato in molte pasticcerie di lusso della città, ma ciò che stava assaggiando in quel momento non aveva nulla da invidiare ai dolci più costosi. Non era un esperto in campo culinario e sicuramente i pasticceri della città avrebbero avuto molto da ridire su quel dolce, ma non gli importava. La città distava chilometri e chilometri da lì.

Evergreen cominciò a sgranocchiare lentamente il suo spuntino, e per un po’ rimasero in silenzio. Freed apprezzava il fatto che con i suoi amici potesse concedersi momenti del genere senza sentirsi a disagio. Poiché svolgevano un lavoro stressante, era bello potersi rilassare l’uno in compagnia dell’altro.

Nonostante ciò, Freed sapeva che Evergreen non si sarebbe arresa.

Per un po’ parlarono di ciò che Freed si era perso in città durante il suo soggiorno a Magnolia. Non molto, in realtà. La cosa più interessante era il fatto che Bickslow si stesse occupando di un caso sul maltrattamento dei bambini nelle case-famiglia finanziate dallo Stato. Tuttavia, Evergreen non sapeva dirgli molto altro perché Bickslow non lavorava più come avvocato d’ufficio, ma come consulente legale presso un’istituzione di beneficenza per bambini. Ne era felice, anche se doveva accontentarsi di uno stipendio inferiore. Era molto ammirevole da parte sua.

Sfortunatamente le novità non bastarono a tenere Evergreen distratta, e alla fine la conversazione ricadde nuovamente sul nuovo operaio di Freed.

“Parliamo di Laxus ora” cominciò Evergreen con un sorriso.

“Se proprio insisti”. Freed posò la forchetta sul tavolo con un sospiro.

“Sembra un bravo ragazzo” disse Evergreen con una particolare inflessione della voce, ma Freed preferì non indagare cosa stesse insinuando. “Ha un ottimo senso dell’umorismo, sa gestire tranquillamente i problemi, è bravo a manovrare ogni attrezzo”. Freed sollevò un sopracciglio. “Intendo cacciaviti, martelli e cose del genere, non metterti sulla difensiva!”

“Non mi sto mettendo sulla difensiva. Voglio solo assicurarmi che tu mantenga la tua promessa di non oggettificare Laxus” rispose Freed con calma. “Mi chiedo dove vuoi andare a parare”.

“Be’, è il tuo tipo”. Evergreen scrollò le spalle. “Stavo solo scherzando sul fatto che potresti averlo assunto principalmente per il suo aspetto. Insomma… se tu volessi provarci con lui, lo capirei”.

“Hai parlato con Laxus per meno di cinque minuti. Non sai praticamente niente di lui”.

“Se sei ancora qui deve piacerti almeno un po’, anche se il vostro rapporto è puramente platonico”. Evergreen sorrise. “Sei sempre stato fissato con il lavoro, Freed. Già il fatto che tu ti prenda un giorno libero è sorprendente. Ma sono passate quasi due settimane! E lo so che è principalmente per la casa, ma se tu non sopportassi Laxus o non lo trovassi interessante, a quest’ora saresti già tornato in città”.

“Quindi secondo te dovrei iniziare una relazione con un uomo che non mi infastidisce a tal punto da indurmi ad abbandonarlo nella mia proprietà solo per allontanarmi da lui?”. Freed rise un po’. “Le tue idee sulle relazioni sono piuttosto singolari”.

“Va bene, va bene”. Evergreen agitò una mano. “Per ora lasciamo stare, ma sono sicura di non sbagliarmi”.

Sollevato dal fatto di poter cambiare argomento, Freed afferrò la teiera per riempirsi nuovamente la tazza. Per il resto del pomeriggio, i due si limitarono a parlare del più e del meno. Anche Freed decise di indagare nella sfera sentimentale di Evergreen, il che divenne incredibilmente facile quando vide i suoi occhi posarsi su un cameriere. Dopo di che, la donna bevve il suo tè tutto d’un fiato e disse di volersene andare. A Freed non sfuggì il rossore sul suo viso.

Presto il treno di Evergreen sarebbe arrivato in stazione, perciò Freed decise di accompagnarla con la propria auto piuttosto che farle prendere un altro taxi. C’era poco traffico, quindi non ci fu bisogno di affrettarsi. Mentre camminavano verso la stazione, Evergreen strinse il braccio di Freed.

“So che non ti piace parlarne ma… come stai?”

Freed attese un secondo. “Sto bene”.

“Sicuro?” chiese Evergreen con tono insistente. “Perché è normale sentirsi in difficoltà o non sapere–”.

“Sto bene” ripeté.

“Era tua madre, Freed” disse Evergreen con un tono di voce così gentile che Freed avrebbe preferito essere preso in giro su Laxus. “Lo so che non sei particolarmente… aperto dal punto di vista emotivo, ma sono sicura che ci soffri”.

“Non eravamo particolarmente vicini”. Freed scrollò le spalle. “E non avrò un esaurimento nervoso solo per questo. Andrò a trovare la sua tomba e sarò triste, tutto qui”.

“Chiamami se hai bisogno” disse Evergreen.

Freed le sorrise. “Il tuo treno sta arrivando”.

Evergreen sospirò accettando il fatto che Freed non avrebbe smesso di mettersi sulla difensiva, poi lo baciò su una guancia per salutarlo e Freed fece lo stesso. Evergreen raggiunse velocemente il treno e salì a bordo guardando Freed mentre si allontanava. Freed sorrise e continuò a seguire il treno con lo sguardo, ma non sollevò la mano in segno di saluto. Sarebbe stato inutile perché lei non lo avrebbe visto (non era mica perché la mano gli stava tremando).

Deglutendo un po’, Freed cominciò a camminare in direzione della sua auto pensando a cosa fare il giorno dopo per quanto riguardava la casa. Presto sarebbe dovuto tornare in città, quindi doveva sbrigarsi. Mentre camminava, si rese conto che con le dita stava disegnando linee invisibili sul palmo della mano. Un’abitudine che aveva sviluppato dopo la morte di suo padre, ma che pensava di aver cancellato.

 

 

 

 

 

 Chiarimenti della traduttrice:

1 Si riferisce alla storia dei tre porcellini e del lupo cattivo.

2 Nei paesi anglosassoni il divario tra le classi sociali (non tanto dal punto di vista economico ma più che altro dal punto di vista culturale, ovvero comportamenti, abitudini ecc) è avvertito in modo più forte rispetto all’Italia. Qui Laxus appartiene alla cosiddetta working class (la classe degli operai), mentre Freed è middle class (il ceto medio).

 

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Capitolo 4
*** La chiamata ***


Note della traduttrice:

Quarto capitolo di questa long di Eryiss che potete trovare qui in lingua inglese: AO3 - Fanfiction.net - Tumblr. Ricordo che titolo, immagine introduttiva, storia e note d’autore sono sue, mentre io mi occupo solo di tradurre.

Se volete lasciare un commento, provvederò a tradurlo per l’autore <3

Note dell’autore:

Ciao a tutti, grazie di essere qui. Ricordate di dare un’occhiata a Fuckyeahfraxus che ha organizzato il Fraxus Day. Andate a visitare la pagina per scoprire quali altri contenuti sono stati prodotti in occasione di questo evento.

Vi ringrazio per qualsiasi commento vogliate lasciarmi. Per me significa molto. Spero che la storia vi piaccia e grazie per la lettura.

a


Capitolo 4 – La chiamata

Laxus si era reso conto di quanto gli piacesse avere una routine quotidiana solo quando aveva ricominciato ad averne una. L’ultima volta che aveva avuto l’intera settimana piena di impegni era stato ai tempi delle superiori. Da quel momento in poi, la sua routine si era trasformata lentamente e gradualmente in un ammasso di giornate tutte uguali segnate qua e là da qualche lavoretto nell’hotel. Era stato un periodo piuttosto noioso, ma Laxus non l’aveva mai ammesso a se stesso.

Ora che lavorava praticamente ogni giorno, non sapeva proprio come aveva fatto a trascorrere così tanto tempo senza fare granché. In realtà Freed non gli aveva imposto rigidi orari di lavoro, ma diceva di essere certo che un uomo come Laxus non avrebbe perso tempo. Grato per quell’osservazione, Laxus aveva deciso di impegnarsi seriamente costruendosi una vera e propria tabella di marcia giornaliera.

Alle 7 si alzava, alle 7.30 andava ad allenarsi in palestra, alle 9 si faceva un giro nell’hotel per verificare che non ci fosse nulla da riparare o di cui occuparsi, alle 10 raggiungeva la casa e svolgeva tutto il lavoro che si era prefissato per la giornata.

Si sentiva un uomo adulto. Era una bella sensazione.

Scendendo dalla pressa1 e afferrando l’asciugamano, Laxus sospirò soddisfatto. Non si era mai allenato di primo mattino – lo aveva sempre fatto nel pomeriggio, più per ingannare il tempo che per altro – ma comunque gli piaceva. Era un bel modo di iniziare la giornata: gli permetteva di migliorare la circolazione del corpo prima di mettersi al lavoro e di godere dell’aria fresca e rigenerante del mattino a contatto con la pelle sudata lungo il tragitto di ritorno verso casa.

Si asciugò il sudore dalla fronte e raggiunse il tappetino per svolgere gli esercizi di stretching, sorridendo tra sé e sé per la sensazione di bruciore alle gambe con le quali aveva da poco sollevato i pesi. Mentre camminava, tirò fuori il cellulare e lo sbloccò per controllare l’ora.

Chiamata persa – Freed Justine

Messaggio di segreteria telefonica – Freed Justine

Freed era tornato ad Era, così come aveva pianificato. Trascorreva la settimana in città a lavorare nel suo ufficio con i suoi amici e tornava a Magnolia nel weekend per controllare il lavoro di Laxus e offrirgli suggerimenti e aiuto ogni volta che poteva, il che accadeva sempre più spesso da quando il biondo gli aveva insegnato un paio di cose. In effetti lavoravano insieme da diverse settimane e ormai Freed era diventato piuttosto bravo.

Laxus riusciva a capire ciò che gli serviva senza troppa difficoltà. A volte Freed non disponeva della terminologia tecnica per esprimere in maniera immediata ciò di cui aveva bisogno, ma insieme trovavano sempre una soluzione. Formavano una bella squadra e facevano costantemente progressi.

Laxus doveva ammettere che a volte Freed gli mancava. Preferiva lavorare in compagnia e Freed era una buona compagnia. Insieme si divertivano.

O almeno, Laxus si divertiva. Freed a volte si comportava in maniera enigmatica, ma sembrava divertirsi anche lui. Non lasciava quasi mai trapelare le sue emozioni e sorrideva – sorrideva davvero – solo quando pensava che Laxus non lo stesse guardando. Laxus lo aveva beccato un paio di volte, e quell’espressione divertita sul volto solitamente impassibile di Freed era qualcosa che avrebbe desiderato vedere più spesso. Gli stava bene.

Da quando lavoravano insieme solo nel weekend, Freed lo aveva chiamato di rado e per motivi specifici, come quando un membro della società di conservazione degli edifici aveva fatto visita alla casa per controllare che non la stessero distruggendo. Di conseguenza, quella chiamata persa e soprattutto quel messaggio di segreteria telefonica erano insoliti, anche perché Laxus aveva compreso che Freed preferiva mandare messaggi scritti piuttosto che fare chiamate telefoniche.

Allora Laxus svolse velocemente gli esercizi di stretching e poi raggiunse lo spogliatoio portandosi il cellulare all’orecchio per ascoltare il messaggio di Freed.

“Scusa se ti ho svegliato” cominciava. “Potresti vedere se ho lasciato qualcosa nella mia stanza domenica scorsa?”

Ascoltando e camminando verso l’armadietto, Laxus aggrottò la fronte. Freed aveva scandito le parole in modo così deciso da lasciarlo interdetto. Laxus lo aveva sempre visto come un uomo piuttosto rilassato, nonostante al di fuori potesse sembrare rigido. Era anche chiaramente intelligente e Laxus non si sarebbe stupito se si fosse rivelato un vero genio, di questo era certo.

Forse era stata solo una sua impressione, ma nelle parole di Freed – lo stesso Freed che non si faceva alcuno scrupolo a dirigere personalmente i lavori in casa – aveva percepito una punta di panico.

“Lo scorso weekend mi ero portato un po’ di lavoro in hotel…” continuava Freed. “…tra cui un contratto su cui sto lavorando. Penso di averlo lasciato nella mia stanza e ho bisogno di sapere se è ancora lì, sano e salvo. È confidenziale, come puoi ben immaginare, e contiene tutti i miei appunti. Richiamami il prima possibile, per favore”.

Laxus si passò l’asciugamano sul corpo, si riempì di deodorante e prese il suo borsone. Normalmente si sarebbe fatto una doccia e avrebbe indossato abiti puliti, ma il fatto che Freed gli avesse lasciato un messaggio di segreteria telefonica piuttosto che mandargli un breve messaggio significava che era urgente. Laxus non aveva conoscenze in campo giuridico – be’, come tutti coloro che non ci lavoravano – ma perdere un contratto confidenziale non doveva essere una bella cosa. Era certo che i dipendenti del Fairy Tail non avrebbero mai sbirciato nella roba dei clienti, ma ovviamente Freed non poteva avere una simile certezza.

Laxus uscì velocemente dalla palestra con il borsone in spalla, cercò il numero di Freed sullo schermo del cellulare e rimase in attesa. Freed rispose dopo qualche momento.

“Laxus” lo salutò.

“Ehi” rispose Laxus. “Scusa se non ho risposto alla tua chiamata, ero in palestra”.

“Oh, che coincidenza”. Freed si concesse una risata breve e un po’ forzata. “Anch’io ho appena finito di allenarmi con il mio personal trainer”.

Laxus non sapeva che Freed avesse un personal trainer.

Ora che ci rifletteva, l’avvocato era chiaramente in forma, come dimostravano le sue spalle ampie e il suo busto asciutto. Quando due settimane prima Freed si era arrotolato le maniche della camicia rivelando le braccia robuste e solcate da qualche vena, Laxus ne era rimasto talmente colpito da farsi quasi scivolare un’asse di legno sui piedi – un po’ esagerato, forse, ma quell’immagine l’aveva comunque distratto per qualche attimo.

“Piccolo il mondo, eh?”. Laxus scrollò le spalle, poi parlò con tono leggero e scherzoso sperando di risollevare il morale a Freed. “Ma sappi che sono dei truffatori, i personal trainer. Se stai cercando di migliorarti allora va bene, ma se vuoi rimanere così come sei allora non ne hai bisogno”.

“Hai ragione” disse Freed, e Laxus sorrise. Se giustamente sollecitato, Freed si lasciava distrarre piuttosto facilmente. “Mi alleno con lui per il suo status, onestamente. È un personal trainer d’élite, l’ho scelto per questo”.

“Ascolta un po’, signorino” scherzò Laxus con un sorriso. “Se vuoi posso scriverti una lista di esercizi che ti permetterebbero di risparmiare qualche banconota”.

“Magari, grazie” concordò Freed. “No, aspetta, smettila di distrarmi! Hai trovato quello che ti ho chiesto?”

“Ci so fare, eh?”. Laxus sorrise ma poi continuò. “Sono quasi arrivato in hotel. Se l’hai lasciato lì, sono sicuro che qualche membro del personale l’abbia trovato e consegnato a mio nonno senza aprirlo”. Freed sospirò, chiaramente poco convinto. “Non rischierebbero mai di farti incazzare, Freed. Praticamente sei tu che fai rimanere aperto l’hotel ogni weekend. Se tu te ne vai, loro perdono il lavoro”.

Freed si lasciò sfuggire una risata e Laxus sorrise. “Non dovresti darmi tutto questo potere, Laxus. Potrei farne cattivo uso”.

“Non ne dubito”. Laxus sorrise entrando nella calda reception di Fairy Tail. Chissà se nella battuta di Freed c’era qualcosa di vero… Fece un cenno a Mirajane che era seduta dietro il bancone. “Dammi un secondo” disse poi a Freed.

“Certo” rispose l’avvocato.

Allontanando un po’ il telefono dall’orecchio, Laxus raggiunse il bancone. Mirajane lo squadrò dalla testa ai piedi arricciando il naso di fronte al suo aspetto arruffato e al suo odore di sudore e deodorante. Aprì la bocca per parlare, ma Laxus la interruppe sperando che riuscisse a comprendere la sua fretta proprio dallo stato in cui si trovava.

“Sai se Freed ha lasciato qualcosa nella sua stanza, tipo dei documenti?” chiese. “L’ha pulita Lisanna, no?”.

“In effetti Lisanna ha accennato a qualcosa del genere” disse Mirajane dopo averci riflettuto un attimo. “Una cartella marrone, l’ha data a Makarov per sicurezza. E Makarov voleva avvisare Freed, ma siccome non ha il suo numero stava aspettando te”.

“Quindi questa cartella è nel suo ufficio, no?” chiese Laxus allontanandosi dal bancone.

“Sì, ma è chiuso a chiave. Makarov sarà qui tra un’ora, credo”.

“Ho una copia delle sue chiavi da quando avevo sedici anni”. Laxus sorrise andando via e ignorando Mirajane che gli diceva che non avrebbe dovuto possedere quelle chiavi. Riportò il cellulare all’orecchio aprendo l’ufficio di suo nonno. “L’hanno trovato, è nell’ufficio del vecchio. Ora lo cerco” disse a Freed.

“Mi sono dimenticato di dirti che mi serve una copia di quel contratto qui, possibilmente con tutti i miei appunti” spiegò Freed con un sospiro rassegnato. Laxus rovistò nel cassetto della scrivania trovando finalmente la cartella marrone.

“Potrei farti una foto di ogni pagina” suggerì aprendo la cartella. “La società Lamia Scale si fonde con Mermaid Heel, giusto?”

“Sì, è lui, grazie” rispose Freed, ma con tono ancora preoccupato. “Secondo il regolamento sulla protezione dei dati, non è possibile fare foto. Se mi scoprono mi tolgono il caso o, peggio ancora, mi licenziano. E il mio cliente perde automaticamente la causa”.

“Meglio evitare allora”. Laxus annuì. “Potrei scannerizzarlo e inviartelo per e-mail. O forse è la stessa cosa?”. Ci rifletté per qualche attimo. “Potrei inviartelo per posta se sei disposto ad aspettare”.

“Mi serve oggi”. Freed sospirò. “E comunque no, non puoi nemmeno inviarmelo per e-mail”.

Laxus sospirò passandosi una mano tra i capelli. Non spettava a lui sentirsi preoccupato per la situazione, ma il fatto che Freed non fosse rilassato come suo solito lo destabilizzava. Freed era suo amico e nessuno avrebbe voluto vedere il proprio amico stressato a causa della possibilità di perdere il lavoro solo per essersi dimenticato qualcosa in una stanza d’hotel, il che sarebbe potuto accadere a chiunque. In una situazione del genere, qualsiasi buon amico avrebbe offerto il proprio aiuto.

“Be’…” disse Laxus schioccando la lingua sul palato. “Per che ora ti serve? Potrei prendere il treno e raggiungerti in ufficio se non ti dispiace che io mi prenda un giorno libero dai lavori in casa”.

Forse un amico non si sarebbe spinto così lontano. O forse sì?

“Non dire sciocchezze” disse Freed scuotendo sicuramente la testa. “È un viaggio troppo lungo. Non riusciresti a tornare a casa prima di stasera. Non posso chiederti una cosa simile”.

“Se non c’è altra alternativa potrei farlo. E poi non sono mai stato ad Era, quindi questo sarebbe un buon pretesto…” rispose Laxus affievolendo gradualmente il tono di voce. “Aspetta, che ne dici di un fax? Mio nonno è forse una delle poche persone sulla Terra ad averne ancora uno per chissà quale motivo”.

“Potrebbe andare” disse Freed esitante. “La legge afferma che non è possibile replicare i documenti in formato digitale, quindi tecnicamente non staremmo infrangendo nessuna regola”.

“Bene”. Laxus sorrise. “Spero che tu sappia come inviare un fax, perché io non ne ho la più pallida idea”.

“È abbastanza semplice in realtà” disse Freed, e nel suo tono di voce Laxus percepì un sorriso genuino di cui si rallegrò. “Potrebbe riuscirci anche un bambino senza troppe spiegazioni”.

“Evita quel tono di superiorità, stronzo”. Laxus sorrise accendendo la macchina. “L’unico bambino che saprebbe usare questo rottame di merda sarebbe un bambino uscito dall’Ottocento o qualcosa del genere”.

“Intendi dire che io sembro uscito dall’Ottocento?” chiese Freed.

“Be’, ti ci vedrei bene a camminare con un bastone, uno stupido cappello a cilindro e uno dei quei pesanti cappotti da riccone”. Laxus strizzò gli occhi nel tentativo di comprendere le istruzioni sullo schermo sbiadito della macchina, immaginandosi distrattamente Freed in abiti ottocenteschi. “Penso che ti starebbero bene in effetti. Sembreresti piuttosto s– stiloso”.

Laxus si bloccò. Stiloso. Stiloso!

In effetti non c’erano molti aggettivi che iniziassero con la lettera ‘S’, ma come diamine gli era uscito stiloso? Laxus non lo aveva mai detto in tutta la sua vita e probabilmente nessun altro uomo della sua età avrebbe usato una parola del genere. Certo, era riuscito a nascondere ciò che pensava veramente di Freed in abiti all’antica, ma perché diavolo aveva usato la parola stiloso? Stiloso!

La verità era che aveva quasi ammesso di trovare Freed sexy, il che era sia positivo che negativo.

Era positivo perché significava che Laxus, dopo anni di terapia, aveva smesso di tormentarsi all’idea di essere attratto dagli uomini e adesso si sentiva a proprio agio con la propria sessualità. Era negativo perché significava che avrebbe dovuto fare più attenzione a non rivelare di essere attratto da Freed, che era a tutti gli effetti il suo capo.

“Certo” disse Freed un po’ distrattamente. Laxus sperò che Freed non avesse capito. Non poteva aver capito, no? “Come va con il fax?” chiese subito dopo Freed.

“Mi sa che dovrai aiutarmi. Non è facile per niente, ‘sta merda”.

Freed gli spiegò brevemente cosa fare. In effetti era un procedimento relativamente semplice, ma il fatto che lo schermo della macchina con tutte le diverse opzioni fosse quasi impossibile da decifrare non aiutava per nulla. Con un po’ di sforzo, però, Laxus portò a termine l’impresa e alla fine Freed riuscì ad ottenere una copia del contratto direttamente dal fax del suo ufficio.

A quel punto Laxus si voltò notando che suo nonno lo stava guardando da dietro la porta – concentrato com’era sul fax e sulle istruzioni di Freed, non lo aveva sentito arrivare. Laxus si chiese da quanto il vecchio fosse lì e perché esattamente lo stesse guardando con un sopracciglio sollevato e un sorriso quasi compiaciuto. Quando Laxus fece per parlare, fu Freed ad interromperlo.

“Grazie di tutto, Laxus”. Dato che il biondo aveva messo il vivavoce, le parole di Freed rimbombarono in tutta la stanza. Laxus ci impiegò un paio di secondi a capire che doveva rispondere.

“Nessun problema” rispose, ora un po’ più lucido. Makarov non voleva proprio saperne di cambiare espressione. “Va bene così, quindi?” chiese Laxus a Freed.

“Per oggi sì” rispose Freed con tono stanco, e Laxus percepì una sorta di fruscio capendo che l’avvocato si stava strofinando un occhio con il palmo della mano; era un gesto che Laxus gli aveva visto fare alcune volte. “Sono sicuro che domani spunteranno fuori altri problemi” disse Freed.

“Immagino che essere un avvocato significhi anche questo” disse Laxus con un sorriso forzato, fissando al contempo suo nonno – che non accennava a muoversi – come per dirgli di andare via.

“Hai ragione. Comunque grazie ancora, non vedo l’ora di rivederti nel weekend”. Freed sospirò di nuovo stancamente e Laxus non poté fare a meno di soffermarsi sullo schermo del cellulare con gli occhi che brillavano più del dovuto. “Ora devo andare, ho una riunione tra quindici minuti e mi devo preparare. Ti richiamo più tardi”.

“Sì, a più tardi” ripeté Laxus, e la chiamata si concluse.

Laxus e Makarov si guardarono l’un l’altro per qualche momento. Laxus non riusciva a decifrare con esattezza l’espressione sul volto di suo nonno e oltretutto ce l’aveva con lui per il fatto che non se ne fosse andato dopo aver compreso che quella chiamata era privata. Tuttavia, Laxus sapeva che, se avesse espresso la sua rabbia, suo nonno gli avrebbe fastidiosamente ricordato che quello era il suo ufficio e che aveva tutto il diritto di starci dentro, molto più di Laxus.

“Allora” disse infine Makarov. “Mirajane mi ha detto che sei arrivato in anticipo stamattina”.

“Non avresti dovuto ascoltare la mia conversazione” disse Laxus con tono infastidito.

“E tu non dovresti entrare nel mio ufficio senza il mio permesso” rispose di rimando Makarov, e Laxus roteò gli occhi. “Ma ti perdono perché evidentemente avevi bisogno del mio fax per aiutare il tuo amichetto”.

Laxus si mise in piedi – fino ad allora se ne era rimasto seduto perché il fax era posizionato sotto la scrivania di Makarov – e cominciò a camminare in direzione della porta. Lui e suo nonno avevano un buon rapporto, ma a volte Makarov era veramente insopportabile. Faceva battute su cose che Laxus non trovava per nulla divertenti con il solo intento di sfotterlo e farlo arrabbiare, e il biondo sapeva che in quei casi era meglio non assecondarlo, quel vecchio bastardo.

Fece per passare accanto a Makarov, ma quest’ultimo gli afferrò un lembo della maglia per bloccarlo. Nonostante avrebbe potuto perfettamente ignorare quella stretta, Laxus si fermò e guardò suo nonno con un’espressione che affermava esplicitamente di non voler scherzare sul suo rapporto con Freed.

“Non ti arrabbiare” disse Makarov con tono serio. “È solo che mi sembravi contento. È stato bello sentirti ridere in quel modo”.

“Bene” disse Laxus in modo leggermente scontroso.

“Non c’è bisogno di reagire in maniera difensiva” commentò Makarov. “Sono semplicemente felice per te. Quasi tutte le persone che conosci vivono o hanno vissuto tutta la loro vita qui. E quasi tutti i tuoi amici sono donne. Mi fa piacere che hai conosciuto un uomo e che ti diverti con lui”.

“Non è che voglio automaticamente scoparmi ogni uomo che incontro, eh” borbottò Laxus.

“Certo. Ero solo un po’ sorpreso di trovarti così, a ridere e scherzare con lui, specialmente considerando il fatto che ti stava dicendo cosa fare. Se fossi stato io, ti saresti incazzato”. Makarov sorrise. “Ma se dici che il vostro rapporto è puramente platonico, ti credo. Ripeto che mi piace vederti così. Lascia fantasticare un po’ il tuo vecchio”.

“Posso andare ora?” mormorò Laxus.

“Come vuoi”. Makarov sorrise. “Comunque lui mi piace”.

Laxus si lasciò sfuggire uno sbuffo e Makarov abbandonò la sua maglia. Le parole del vecchio lo avevano irritato. Non solo Makarov lo aveva fatto sentire volontariamente in imbarazzo per la chiamata di Freed, ma gli aveva anche dato una sorta di benedizione. Una benedizione che Laxus non voleva e di cui non necessitava. Era un uomo adulto, non un bambino bisognoso che qualcuno gli dicesse cosa fare.

Tra l’altro, Makarov nemmeno lo conosceva Freed! E in realtà la situazione era molto più complessa di quanto potesse apparire sulla base di quella maledetta chiamata.

Ma mentre Laxus andava via, la sua mente tornò alla fine della conversazione con Freed. Non aveva recepito completamente le sue parole nel momento in cui Freed le aveva pronunciate, ma ora che ci rifletteva doveva ammettere che erano parecchio… interessanti.

“Non vedo l’ora di rivederti”.

Non “Non vedo l’ora di tornare a Magnolia”. Non “Non vedo l’ora di venire lì nel weekend, così non devo preoccuparmi del mio lavoro”. E nemmeno “Non vedo l’ora di vedere come procedono i lavori in casa”. Aveva affermato esplicitamente che non vedeva l’ora di rivedere lui, Laxus, il che era certamente interessante.

E se quelle parole erano in grado di fargli dimenticare la rabbia per la conversazione con suo nonno e di provocargli uno sfarfallio allo stomaco, erano pur sempre cazzi suoi. Suoi e di nessun altro.






Chiarimenti della traduttrice:

1 Pressa (leg press) = macchinario da palestra che serve per svolgere un esercizio con le gambe.

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Capitolo 5
*** La ferita ***


Note della traduttrice:

Quinto capitolo di questa long di Eryiss che potete trovare qui in lingua inglese: AO3 - Fanfiction.net - Tumblr. Ricordo che titolo, immagine introduttiva, storia e note d’autore sono sue, mentre io mi occupo solo di tradurre.

Se volete lasciare un commento, provvederò a tradurlo per l’autore <3

Note dell’autore:

Ciao a tutti, grazie di essere di nuovo qui. Ricordate di dare un’occhiata a Fuckyeahfraxus che ha organizzato il Fraxus Day. Andate a visitare la pagina per scoprire quali altri contenuti sono stati prodotti in occasione di questo evento. ATTENZIONE, in questo capitolo sono presenti scene di sanguinamento e discussioni sul bullismo nell’ambiente scolastico.  

Vi ringrazio per qualsiasi commento vogliate lasciarmi. Per me significa molto. Spero che la storia vi piaccia e grazie per la lettura.

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Capitolo 5 – La ferita

Malinconia non era la parola giusta, no.

Freed non era un tipo malinconico, anzi, non si era mai lasciato trasportare minimamente dalle emozioni. Non rimuginava sul passato in modo nostalgico e non era solito sentirsi triste quando una fase della sua vita giungeva al termine. Certo, c’erano cose in grado di destare la sua sensibilità, ma comunque non era il tipo da sprofondare nella tristezza. Se la vita proseguiva velocemente, lui doveva fare lo stesso. Era questa la sua razionale filosofia di vita.

Era un mantra che Freed, quel giorno, si era ritrovato a ripetersi mentalmente più e più volte man mano che si avvicinava alla casa.

La casa quasi finita.

Non era certo una casa esemplare, ma perlomeno ora funzionava adeguatamente. Le finestre erano state aggiustate, l’impianto idraulico e l’impianto elettrico erano stati riparati, la struttura rinforzata. Le pareti conservavano ancora i resti di una carta da parati antiquata e le assi del pavimento erano ancora scoperte, ma nel complesso l’edificio era tornato abitabile come nelle intenzioni iniziali e poteva chiamarsi nuovamente casa. Aveva solo bisogno di amore, attenzione e miglioramenti da parte di chiunque volesse viverci. Ora, seguendo la sua filosofia di vita, Freed avrebbe dovuto vendere la casa all’istante, tornare ad Era e lavorare al suo prossimo caso. Era il passo più logico, esattamente ciò che avrebbe dovuto fare.

Ciò che però non stava facendo. Nonostante fosse in contrasto con il modo in cui aveva sempre vissuto, Freed si sentiva riluttante a doversene andare. Aveva esitato parecchio di fronte al numero telefonico di Gildarts e alla fine si era rimesso il cellulare in tasca con un lamento infastidito.

Era davvero patetico.

Cercò di razionalizzare la cosa, di trovare una spiegazione pragmatica a ciò che sentiva. Si convinse del fatto che la casa rappresentasse un suo traguardo personale, qualcosa che aveva realizzato con le sue stesse mani, un risultato pratico che reputava degno di nota per il semplice fatto che era abituato a svolgere la maggior parte del suo lavoro con la mente. Insomma, chi non avrebbe reagito così in una situazione del genere? Quella casa era una specie di monumento a ciò che era in grado di fare se si applicava, e lui ne era orgoglioso.

Ma questa era una bugia, Freed lo sapeva. Il vero motivo per cui non voleva vendere la casa era il fatto che si trattava dell’unica cosa in grado di trattenerlo a Magnolia, e lui non era ancora pronto ad andarsene.

Certo, non aveva bisogno di possedere una casa per recarsi a Magnolia. Il fatto di aver stretto una solida amicizia con Laxus e di aver conosciuto i suoi amici era un ottimo motivo per far loro visita di tanto in tanto. Si era ormai abituato a tornare a Magnolia ogni weekend e non voleva smettere.

Non voleva smettere nonostante sapesse che tutta la gente del paese avrebbe cominciato a spettegolare sul motivo per cui lui continuasse a tornare. Ci avrebbe visto chiaro e tondo, cosa che Freed non era certo di poter gestire.

Non era bravo a sentirsi imbarazzato, non lo era mai stato.

C’erano state alcune situazioni nella sua vita in cui si era sentito veramente imbarazzato – sfortunati episodi della sua adolescenza che di tanto in tanto gli tornavano in mente di notte – ma comunque erano state situazioni volute. Si era sempre sforzato di evitare qualsiasi fonte di imbarazzo. Nel complesso era sempre andata bene, ma ora Magnolia stava seriamente mettendo a dura prova le scelte di vita che lo avevano aiutato a mantenere una certa sanità mentale fino a quel momento.

Freed scosse la testa. Non doveva provare malinconia, ma soprattutto non doveva rimuginare sul passato.

Prese una piccola spugna e cominciò a passarla lentamente sul tavolo della cucina di Villa Albion. Quel tavolo era lì da quando Freed aveva ereditato la casa, e dopo che Laxus l’aveva grattato e ripulito era tornato utilizzabile così come il resto della casa. Proprio quella sera, il tavolo di Villa Albion avrebbe svolto per la prima volta la sua reale funzione, dato che Freed e Laxus avrebbero cenato insieme.

E questo non migliorava affatto la situazione.

Chiaramente c’era qualcosa di più. Magnolia era sicuramente un bel posto e i suoi abitanti erano brave persone, ma nessuno si sarebbe lasciato sopraffare dalla malinconia all’idea di abbandonare un gruppo di edifici. Sfortunatamente per Freed, la malinconia poteva essere causata solo dal pensiero di dover abbandonare altre persone.

E certamente Laxus era una brava persona. Era divertente, schietto e sapeva fronteggiarlo senza battere ciglio, ma era anche gentile e disponibile: quando gli aveva insegnato a installare le prese elettriche o a collegare i tubi del bagno, era stato paziente e si era assicurato di metterlo a suo agio, perfino quando Freed era stato sul punto di rompere la porcellana con la chiave inglese. Era un bravo ragazzo e sapeva come prendere Freed in qualsiasi situazione.

Oltretutto, era davvero bello. Freed aveva sempre evitato di ammetterlo, ma dal momento che presto si sarebbero separati voleva essere onesto almeno con se stesso. Spalle ampie, petto muscoloso, capelli biondi e occhi luminosi: Evergreen aveva ragione, Laxus era proprio un Adone.

E il suo fascino rustico, un fascino in grado di attirare Freed più del dovuto, non lo aiutava di certo.

In ogni caso, non avrebbero potuto conoscersi più a fondo e forse era meglio così. Freed non era un tipo romantico, aveva cose più importanti da fare e la sua attrazione per Laxus era dovuta semplicemente alla stretta vicinanza con lui. Laxus era un uomo attraente, certo, ma in fin dei conti non era l’unico. Entro un anno Freed l’avrebbe dimenticato e sarebbe tornato alla sua vita di sempre.

E con un po’ di fortuna, anche i suoi sogni su Laxus sarebbero svaniti, sia quelli disgustosamente teneri, sia quelli più… intensi.

“Ehi” una voce allontanò Freed dai suoi pensieri. “Penso che sia pulito ora”.

Freed si accigliò guardando il tavolo: in effetti, c’era una zona del legno che brillava più delle altre. Il tono scherzoso di Laxus lo aveva fatto sussultare, ma Freed si era subito rimproverato mentalmente. Laxus non poteva aver capito a cosa stava pensando semplicemente osservandolo pulire il tavolo.

“Una curiosità” disse con cautela. “Da quanto sei qui?”

“Quindici minuti”. Laxus sorrise scuotendo un po’ le due confezioni di cibo cinese. “La cena si sarà raffreddata”.

“Quindici minuti!” esclamò Freed incredulo.

“Sono arrivato ora, stupido”. Laxus ghignò avvicinandosi al tavolo e poggiandoci le confezioni. “A cosa stavi pensando per essere così concentrato?”

“A un caso di cui mi sto occupando” mentì Freed. In realtà non stava lavorando a nessun caso, ma probabilmente ne avrebbe preso uno quando sarebbe tornato in città. Tornato in città definitivamente. “Non è difficile. È un caso piuttosto semplice in realtà, ma si tratta di un cliente di alto profilo che potrebbe rivolgersi nuovamente a noi in caso di bisogno, quindi dobbiamo essere amichevoli”.

“Non mi sembra che essere amichevole sia il tuo forte”. Laxus ghignò. “Probabilmente sei fuori allenamento”.

“Se è così, credo che ti farò pagare l’intera cena” disse Freed sedendosi al tavolo e aprendo la propria confezione.

“Questo dimostra che ho ragione”.

Freed sorrise portandosi le bacchette alle labbra. Sembrava proprio una cena d’addio, il che non lo aiutava affatto a sentirsi meno malinconico: non solo quella cena lo costringeva a confrontarsi con il fatto di dover partire, ma gli ricordava anche che era proprio Laxus a rendere l’intera situazione così difficile. Il problema era che, quando il biondo gli aveva proposto di cenare insieme, a Freed era parso così tremendamente affascinante con quel sorriso sincero stampato sul volto che non era proprio riuscito a dirgli di no.

Bastardo. Magari l’aveva fatto apposta.

“Ho incontrato Cana mentre aspettavo dal cinese” disse Laxus guadagnandosi nuovamente l’attenzione di Freed. “Mi ha accennato che suo padre non vede l’ora di vedere la casa. Sembra molto entusiasta”.

“È interessato ad acquistarla?” chiese Freed inarcando le sopracciglia per la sorpresa.

“È il tuo agente immobiliare, Freed” rispose Laxus atono, trattenendo chiaramente un sorriso. “Dovresti saperlo. È preoccupante che tu non lo sappia”.

“Gildarts è il padre di Cana?” chiese Freed incredulo. “Hanno cognomi diversi”.

“Cazzo, è vero, a volte dimentico che non sei di qua”. Laxus rise sonoramente poggiando la schiena alla sedia. “Ci sono un casino di cose che non sai… Forse dovrei partire proprio dal passato di Gildarts, anche se sarebbe più appropriato chiamarlo Gildarts il puttaniere”.

Fu così che Laxus cominciò a raccontargli le avventure giovanili di Gildarts – in effetti, quel soprannome sembrava calzargli a pennello – per poi deviare verso altre storie riguardanti Magnolia. Parlò del suo paese con un tale livello di entusiasmo che Freed ne fu assuefatto, tanto da sentirsi piacevolmente avvolto dal mondo che Laxus descriveva. Nonostante il biondo non fosse particolarmente eloquente, la sua risata chiassosa e quell’inusuale dose di allegria nel raccontare storie imbarazzanti sui suoi amici furono capaci di intrattenere Freed per tutto il tempo.

E riuscirono quasi a distrarlo da ciò che Laxus aveva detto prima di mettersi a raccontare: “A volte dimentico che non sei di qua”. Era una semplice frase e molto probabilmente Laxus l’aveva pronunciata quasi senza pensarci, ma per un attimo Freed si era sentito incredibilmente accolto. Come se fosse stato accettato nella piccola comunità di Laxus.

Che idea ridicola.

Sbatté le palpebre per scacciare quei pensieri e tornò a concentrarsi sulla storia riguardante Elfman, il quale da ragazzino era stato obbligato dalle sue sorelle a travestirsi da mostro per andare ad una fiera del fumetto. Elfman aveva odiato ogni singolo momento di quella fiera e Laxus aveva trascorso gli anni successivi a mostrargli alcune sue foto con quel costume addosso ogni volta che poteva. Per dargliene prova, Laxus tirò fuori il cellulare e mostrò le foto a Freed.

Era un costume migliore di quanto Freed si sarebbe mai aspettato, ma rivelava decisamente troppo per il giovane e timido Elfman di allora.

Per tutta la durata del racconto Freed era riuscito a distrarsi, ma non era stato comunque abbastanza: mentre ascoltava, infatti, si era ritrovato a disegnare cerchi con le dita sul palmo della mano sinistra al di sotto del tavolo e forse non si sarebbe accorto del ritorno di quel tic nervoso se non fosse stato per… la cicatrice.

Si trattava di una cicatrice piuttosto recente e, quando Freed la toccò ripensando a come se l’era procurata, abbandonò ogni tentativo di non lasciarsi travolgere dalla malinconia.

___________________________

“Merda” sibilò Freed avvertendo un forte dolore che si irradiava dalla mano sinistra fino al braccio. Fece un passo indietro strabuzzando gli occhi di fronte al taglio che si era procurato e al sangue denso che sgorgava fuori. Sembrava una ferita piuttosto profonda e Freed non riusciva a staccare gli occhi da lì.

Laxus, che fino a quel momento se n’era rimasto accovacciato per sistemare le nuove assi del pavimento, gli rivolse un breve sorriso, salvo poi cambiare espressione quando notò del sangue gocciolare sul pavimento. Scattò in piedi e raggiunse Freed prendendogli la mano ferita con la propria e lasciandosi sfuggire un verso di compassione. La cosa ridicola era il fatto che Freed non poteva fare a meno di notare che quella era la prima volta che Laxus gli teneva la mano.

“Sembra brutta” commentò Laxus.

“Davvero?” mormorò ironicamente Freed. “Ed io che pensavo fosse solo un taglietto”.

“Bene. Se riesci a fare il coglione, non è poi così brutta”. Laxus sorrise. “Vieni, ti aiuto a sciacquarti”.

Continuando a stringergli il polso, Laxus lo trascinò attraverso il salotto fino in cucina. Freed non si oppose, troppo concentrato a raccogliere le gocce di sangue piuttosto che lasciarle cadere sul tappeto sporcandolo. Era una buona distrazione, sia dal dolore pungente che avvertiva alla mano, sia dalla presenza fin troppo vicina di Laxus.

“Ti farà un po’ male” lo avvisò Laxus aprendo il rubinetto e portando la mano di Freed sotto il getto dell’acqua.

A quel punto, Freed si rese conto che Laxus Dreyar era uno stronzo bugiardo.

“Ahia, cazzo! Porca puttana!” urlò Freed. Ci fu un momento di silenzio, con Freed che quasi ansimava dal dolore e Laxus che lo fissava accigliato. Un attimo dopo, il suono di una risata roca e chiassosa riempì la stanza. Laxus si piegò letteralmente in due dalle risate sotto lo sguardo attonito di Freed che lo osservava dal lavandino.

“Mi fa piacere che tu ti diverta così tanto”.

“Mi dispiace”. Laxus sorrise trattenendo a stento un’altra risata. “Mi dispiace tanto”.

“Non è vero”.

“No, infatti” concordò Laxus. “È stato troppo divertente, cazzo. Non ti ho mai visto comportarti in quel modo. Mi hai preso alla sprovvista”. Sollevò lo sguardo incontrando quello di Freed e scoppiò nuovamente a ridere. “Vado a prenderti una benda. Scusa, davvero”.

“Grazie” mormorò Freed. “Tu cerca di non cadere, infilzarti con un chiodo e morire. Quello sì che sarebbe terribile”.

“Non preoccuparti. Solo un idiota potrebbe farsi male in questo posto”. Laxus rise ancora. Se Freed avesse avuto qualcosa a portata di mano, gliel’avrebbe sicuramente lanciata in testa. Che bastardo.

Laxus tornò in cucina con il kit del pronto soccorso che si era procurato tempo prima insistendo per tenerlo in casa. Freed era certo che, una volta passato il divertimento scaturito dalle sue imprecazioni, Laxus si sarebbe vantato di quanto avesse fatto bene a tenere quel kit in casa.

Il biondo riafferrò la sua mano allontanandola dal getto dell’acqua e tamponandola delicatamente con un asciugamano. Freed sussultò un po’ a causa della pressione sulla ferita, ma non disse nulla.

Lentamente, con movimenti attenti e ben calcolati, Laxus gli avvolse la benda intorno alla mano evitando accuratamente di intrappolargli anche le dita. Il tessuto bianco si macchiò un po’, ma tutto sommato riuscì a calmare la fuoriuscita del sangue. Anche il dolore era diminuito.

Questo permise a Freed di apprezzare quanto Laxus fosse stato gentile con lui. Non era abituato a vederlo in quel modo.

“Come hai imparato?” chiese Freed sedendosi al tavolo della cucina.

“L’ho fatto un sacco di volte su me stesso”. Laxus sospirò un po’ allontanando le mani dalla benda e ispezionando il suo lavoro, poi sollevò lo sguardo su Freed che lo stava fissando leggermente accigliato. “Da ragazzino facevo sempre a botte. Ero… un bullo o qualcosa del genere”.

Freed aggrottò ulteriormente la fronte. “Davvero?”

“Sì. A quel tempo non credevo di esserlo, ma poi ho iniziato ad andare da una psicologa che mi ha aperto gli occhi”. Laxus scrollò le spalle. “Me la prendevo con i più deboli almeno un paio di volte al mese. Avevo una sorta di complesso di superiorità, volevo che tutti mi rispettassero e facessero quello che volevo. Solo che dopo un po’, quelli che prendevo di mira cominciarono a stancarsi e a reagire, quindi ho dovuto imparare le basi del pronto soccorso”.

Freed non poteva fare a meno di scrutare Laxus con curiosità. Quando il biondo sollevò lo sguardo, però, Freed capì che non era quella l’espressione che si sarebbe aspettato.

“È stata la terapia a farti smettere, allora?” chiese Freed.

Laxus parve disorientato per un momento. “Non esattamente”. Scosse la testa. “C’erano due ragazzini che mi facevano incazzare più degli altri, non so perché. Quando le cose andavano male, io… miravo sempre a loro. Natsu e Gajeel, è probabile che anche tu li abbia visti qualche volta in paese. Natsu è un pompiere, Gajeel un meccanico. Alla fine si stancarono, mi saltarono addosso, mi pestarono a sangue e poi andarono dal preside a dirgli quello che combinavo. Mi sospesero e mi mandarono da Porlyusica. È lei la mia psicologa. Mi ha praticamente sbattuto in faccia tutte le cazzate che ho fatto e mi ha reso una persona migliore”.

Freed si prese un momento per riflettere su ciò che aveva appena sentito; quella era senz’altro la cosa migliore da fare. A volte la gente gli confidava i propri segreti peggiori – la condanna di essere un avvocato – e i suoi primi pensieri non erano mai particolarmente d’aiuto. Quindi preferì rifletterci qualche secondo e alla fine optò per la domanda che gli sembrava più prudente.

“Il preside ti sospese senza alcuna prova?”

“Oh, aveva molte prove”. Laxus rise. “È difficile scampartela se il preside è tuo nonno”.

“Makarov?” si accigliò Freed.

“Sì. Quando la scuola lo costrinse ad andarsene in pensione, iniziò a lavorare all’hotel perché credeva che stare in pensione fosse noioso”. Laxus sorrise ricordando l’improvvisa decisione di suo nonno di comprare l’hotel, poi guardò Freed con aria seria. “Ho appena ammesso che facevo il bullo e picchiavo i miei coetanei. Perché non sei turbato?”

“Alcuni dei miei clienti abbassano intenzionalmente gli stipendi dei loro dipendenti per aumentare i propri e se la ridono pure”. Freed scrollò le spalle, ma Laxus lo esortò a continuare capendo che c’era qualcos’altro. “E poi nemmeno io ero un ragazzino esemplare ai tempi della scuola” ammise infatti Freed.

“Eri un bullo anche tu, eh?” scherzò Laxus.

“Be’, non proprio, ma di certo non ero il più gentile”. Freed si poggiò alla sedia. “Ero il migliore della classe e volevo che tutti lo sapessero. Parlavo dei risultati delle verifiche solo per assicurarmi che tutti sapessero che avevo preso il massimo dei voti. E poi c’era un ragazzo che si sedeva accanto a me durante la maggior parte delle lezioni. Non era particolarmente intelligente, per cui tendevo a… trattarlo con superiorità. Forse, sotto sotto, avevo una cotta per lui. Era solo un modo contorto per gestire la cosa”.

“Ma ora non sei così” commentò Laxus. “E se ti comporti in quel modo, lo fai solo per scherzo. Cos’è che ti ha fatto cambiare?”

“Evergreen e Bickslow mi dissero che se non mi fossi dato una regolata, avrebbero smesso di essere miei amici”. Freed sorrise. “Oltre a loro, avevo solo i miei genitori. Non potevo perderli”.

Freed ripensò in silenzio ai tempi della scuola e forse Laxus fece lo stesso. Era una strana sensazione stare seduto accanto a qualcuno che, come lui, si vergognava della persona che era stato, ma era comunque passato avanti. Era bello sapere che c’era qualcuno capace di comprenderlo veramente.

Ed era bello poter confessare a Laxus di essere omosessuale senza che lui battesse ciglio.

“Ti avrei preso a calci in culo se fossimo andati a scuola insieme” dichiarò Laxus sorridendo.

“Ci avresti provato, vuoi dire” lo corresse Freed cercando di smorzare la tensione. “Da bambino facevo scherma ed ero anche piuttosto bravo, quindi ti avrei trafitto ancora prima che tu potessi colpirmi”.

“Difficile trafiggere qualcuno quando sei stato messo K.O.”. Laxus ghignò spavaldamente mimando un pugno, ma questo fece flettere il suo bicipite e Freed dovette spostare lo sguardo.

Si sorrisero a vicenda, nonostante non ci fosse nulla di particolarmente divertente. Freed pensò che fosse rilassante stare con Laxus e che con lui poteva essere molto più onesto che con altre persone, forse perché Laxus era la prima persona che Freed aveva imparato a conoscere davvero oltre a Evergreen e Bickslow. Forse perché, cosa più importante, Laxus gli piaceva veramente.

“Andiamo” disse Laxus. “Non mi fido della mia benda, è meglio che ti fai controllare da un dottore. Non voglio che ti venga un’infezione o qualcosa del genere”.

A quelle parole, il cuore di Freed fece una capriola.

___________________________

“Sei proprio distratto oggi, sai?”

Freed, che nel frattempo aveva riportato la mano sul tavolo giocherellando con l’altra, sollevò lo sguardo su Laxus. Il biondo aveva un’espressione strana, divertita e riflessiva al tempo stesso. Freed aggrottò la fronte.

“Hai ragione” concordò. “Scusami, sono di pessima compagnia. Cosa stavi dicendo?”

“Non era importante”. Laxus scrollò le spalle. “Vuoi dirmi cosa c’è che non va?”

“Come ho detto, mi sto occupando di un caso che potrebbe risultare vantaggioso per la mia società” mentì Freed. Non poteva assolutamente dirgli la verità. “Ma non è niente di complicato, devo solo ragionarci un po’ ”.

“Un attimo fa ho scritto ad Evergreen e mi ha detto che non ti stai occupando di nessun caso. Mentiva?”. Laxus incrociò le braccia al petto e Freed assottigliò gli occhi.

“Tu ed Evergreen avete parlato?”

“Puoi prendermi per il culo quanto vuoi, ma sappi che so benissimo che c’è qualcosa che ti turba” disse Laxus ignorando la domanda di Freed. “Naturalmente non devi dirmi per forza cos’è, quelli sono affari tuoi”.

Freed avrebbe tanto voluto chiedergli perché, allora, continuava ad insistere.

“Ti dico solo questo” continuò Laxus. “Non devi per forza fare qualcosa che non ti va di fare”.

E in un certo senso era proprio quello che Freed cercava di ignorare. Perché, anche se da un lato non voleva lasciare Magnolia, dall’altro non voleva nemmeno permettersi di pensare di poter rimanere. L’obiettivo che si era posto era quello di rendere la casa nuovamente funzionante e quindi abitabile, in modo da poterla vendere e poi tornare alla sua vita di sempre. Non si trattava solo di un obiettivo da raggiungere, ma di una vera e propria regola da rispettare.

Il suo affetto per quel posto e per Laxus era cresciuto in modo graduale, di questo Freed era consapevole, ma si era comunque imposto di abbandonare il paese una volta terminati i lavori in casa. A quel punto, non ci sarebbe stato più nulla in grado di trattenerlo a Magnolia.

Ma quella era una bugia. L’unica persona che gli imponeva di seguire quella regola era se stesso.

“Ho sempre detto che avrei venduto la casa dopo aver aggiustato tutto” affermò Freed con quel tono da avvocato che negava sempre di avere.

“Allora di’ qualcos’altro” rispose Laxus, come se dipendesse davvero da quello. “Senti, non so com’è la tua vita lì in città, ma so per certo che ti piace stare qui. Quindi perché non continui a venire?”

“Io–”. Freed si interruppe, aveva bisogno di pensare. “La mia vera vita è in città, non posso–”

“Chi dice che la tua vera vita sia solo in città? Vieni qui ogni weekend da mesi ormai, anche questo è parte della tua vita” disse Laxus con un sorriso che fece vacillare la determinazione di Freed.

“Mi ero detto che una volta aggiustata la casa–”

“Non si tratta della casa” insistette Laxus. “Si tratta di te, idiota! Penso che stare qui ti renda felice. E se qualcosa ti rende felice, perché privartene per una stupida regola del cazzo che ti sei imposto da solo? Non mi sembra una cosa intelligente da fare”.

Freed ci pensò un attimo.

Si sentiva profondamente a disagio a sentir parlare Laxus in quel modo e non riusciva a capirne il perché. Be’, forse sì, ma non era pronto a considerare una simile spiegazione. La verità era che l’unico vero motivo per cui Laxus voleva che Freed ritornasse a Magnolia era il fatto che voleva continuare a vederlo. Voleva continuare a vedere Freed nello stesso modo in cui Freed voleva continuare a vedere lui.

Ma Freed questo non poteva accettarlo: se l’avesse fatto, avrebbe cominciato a chiedersi il perché e forse sarebbe giunto alla conclusione che la sua stupida cotta per Laxus era ricambiata. Semplicemente, non poteva.

“Forse potremmo… migliorare ulteriormente la casa” disse Freed senza pensarci.

“Forse sì”. Laxus annuì. “Quindi resterai qui? Per la casa”.

Per la casa”.

Non era per la casa. Lo sapevano tutti e due. 

 

 

 

 

 

 

Note della traduttrice:

Vi lascio un'illustrazione di jemyart ispirata alla storia di Eryiss (con l'unica differenza che in questa immagine Laxus e Freed mangiano una pizza, non cibo cinese). L'autore stesso dice che si immagina Laxus e Freed in questo modo <3

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Capitolo 6
*** Il festival ***


Note della traduttrice:

Sesto capitolo di questa long di Eryiss che potete trovare qui in lingua inglese: AO3 - Fanfiction.net - Tumblr. Ricordo che titolo, immagine introduttiva, storia e note d’autore sono sue, mentre io (Soly Dea) mi occupo solo di tradurre.

Se volete lasciare un commento, provvederò a tradurlo per l’autore <3

Note dell’autore:

Ciao a tutti. Come sempre, ricordate di dare un’occhiata a Fuckyeahfraxus che ha organizzato il Fraxus Day. Andate a visitare la pagina per scoprire quali altri contenuti sono stati prodotti in occasione di questo evento. Oggi niente avvertimenti. 

Vi ringrazio per qualsiasi commento vogliate lasciarmi. Per me significa molto. Spero che la storia vi piaccia e grazie per la lettura.

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Capitolo 6 – Il festival

Ogni anno, a Magnolia, si teneva il festival autunnale. Laxus non aveva mai capito perché quella fiera all’aria aperta venisse organizzata negli ultimi giorni di ottobre e soprattutto su un vasto campo in cima ad una collina dove non c’era assolutamente modo di ripararsi dal vento o dal freddo. La maggior parte delle città e dei paesi organizzavano i propri festival annuali durante la stagione estiva, quando non faceva quel freddo cane, ma naturalmente Magnolia non era come gli altri paesi.

Laxus era sempre stato parte integrante di quella fiera. Tutte le bancarelle e le attrazioni, tranne le giostre, erano gestite dagli abitanti del paese, e spesso le capanne di legno o i giochi necessitavano di qualche rifacimento o aggiustamento, il che teneva Laxus piuttosto impegnato. Nell’arco della giornata, infatti, riceveva numerose chiamate da parte dei proprietari delle bancarelle che richiedevano il suo aiuto dandogli in cambio un piccolo compenso. Negli anni precedenti, la fiera autunnale gli aveva permesso di pagarsi i regali di Natale. Ora, lavorando con Freed, Laxus disponeva di molti più soldi di quanti gliene servissero.

Quest’anno, per la prima volta, sarebbe andato alla fiera come semplice visitatore.

Era stata Lisanna a proporglielo. Laxus aveva specificato che non era più un moccioso, ma Makarov aveva appoggiato la proposta di Lisanna ricordando quanto Laxus, da bambino, adorasse quel festival. E Laxus aveva accettato solo per zittire il vecchio bastardo.

Naturalmente, alla fiera non sarebbero andati solo lui e Lisanna, ma anche Mirajane, Elfman e Cana. Laxus si era chiesto se in questo modo l’hotel non sarebbe stato a corto di personale, ma Makarov gli aveva assicurato che non c’era nulla di cui preoccuparsi e che doveva solo pensare a divertirsi.

In realtà glielo aveva detto con un tono strano, come se stesse omettendo qualcosa, ma questo Laxus aveva preferito ignorarlo.

In quel momento lui e gli altri si trovavano alla fiera già da un’ora e si erano divisi in due gruppi: uno composto da Cana e Mirajane che preferivano provare i diversi giochi, visitare le bancarelle e divertirsi; l’altro composto da Laxus, Lisanna ed Elfman che seguivano Mirajane e Cana per cercare di capire se le due si stessero frequentando o meno. Una domanda che sembrava non trovare risposta.

“Insomma, stanno palesemente flirtando” sussurrò Lisanna guardando sua sorella. “Altrimenti non si toccherebbero a vicenda in quel modo”.

“Tua sorella apprezza il contatto fisico”. Laxus scrollò le spalle. “E Cana non riesce a tenere le mani a posto. Forse è solo questo”.

“Il contatto fisico tra amici è da veri uomini!” proclamò Elfman venendo immediatamente zittito da Lisanna e fissato da Laxus.

Il biondo avrebbe preferito non immischiarsi negli affari di Cana, ma ad una fiera come quella non c’era molto altro da fare per un uomo sui trent’anni. Era evidente che Cana e Mirajane passavano ora molto più tempo insieme per il fatto che Mirajane lavorava regolarmente alla reception, il che concedeva alla patetica e disperata cotta di Cana – Laxus sarebbe stato più gentile con lei se solo le sue battute su lui e Freed non si fossero fatte così fastidiose – una minima chance di essere ricambiata.

Laxus si chiese perché da bambino quella fiera gli piacesse così tanto. Che divertimento poteva esserci nel colpire un topo finto con una racchetta oppure lanciare una palla in un cerchio poco distante?

“Sono tutte stronzate” commentò Laxus. “Quelle due si piacciono chiaramente a vicenda, ma non hanno il coraggio di confessarselo. Quando se lo diranno, probabilmente sarà troppo tardi”.

Elfman e Lisanna si scambiarono un’occhiata e Laxus pensò che fossero d’accordo con la sua affermazione.

“Lo so che secondo te è impossibile” disse Lisanna guardando le due donne che si dirigevano verso la bancarella del gioco acchiappa l’anatra. “Ma se si stessero frequentando fin dai tempi delle superiori e non lo stessero dicendo a nessuno per puro divertimento?”

“Pensi davvero che Cana potrebbe tenersi un segreto del genere per così tanto tempo? Me l’avrebbe detto subito, solo per farmi incazzare sul fatto di essere ancora single” disse Laxus. “Inoltre, sono certo che nel momento in cui finiranno a letto, Cana mi farà sapere immediatamente quanto è brava Mira a leccar–” Laxus si interruppe ricordando con chi stava parlando. Il fratello e la sorella di Mirajane, infatti, lo stavano fissando con fastidio e disgusto. “Scusate, non dovevo”.

“Laxus ha ragione” iniziò Elfman.

Il biondo, però, lo interruppe. “Su quanto tua sorella sia brava a leccar–?”

Elfman gli diede uno spintone facendolo inciampare e ridere. “Su quanto sarebbero incapaci di tenersi un segreto del genere” lo corresse, e Laxus ghignò in tutta risposta.

Era divertente far incazzare le persone che potevano contrattaccare ed Elfman era uno dei pochi uomini più robusti di lui. Laxus lo considerava come un fratello minore, anche se naturalmente non lo aveva mai ammesso. Che razza di fratello maggiore sarebbe stato se non avesse dato fastidio ad Elfman in ogni occasione possibile? Un pessimo fratello maggiore, e questo Laxus non avrebbe potuto mai perdonarselo.

Di recente, però, ci stava andando leggero con Elfman, sia perché quest’ultimo era parecchio impegnato con il lavoro all’hotel e alle sale da tè, sia perché Laxus trascorreva molto tempo con Freed e anche far incazzare Freed era divertente, principalmente perché era in grado di tenergli testa.

In effetti era davvero un peccato che Freed non fosse lì.

L’avvocato sembrava piuttosto esitante ad incontrarlo al di fuori del contesto lavorativo. Dopo che aveva deciso di ristrutturare e modernizzare completamente Villa Albion, i due avevano continuato a lavorare insieme ogni weekend, mentre Laxus faceva progressi durante la settimana. E andava bene così, sicuramente meglio che non vedere Freed mai più, ma Laxus aveva sperato che in questo modo potessero incontrarsi in un ambiente meno professionale e più… divertente. Non che non si divertissero a lavorare in casa, ma Laxus voleva qualcosa di più, il che probabilmente era da egoisti.

In ogni caso, gli sembrava che Freed provasse lo stesso. Certo, a volte si comportava in modo un po’ ottuso, ma Laxus era diventato piuttosto bravo a comprenderlo, o almeno così pensava. Forse era solo una sua illusione, ma sentiva che anche Freed volesse di più.

Era la sua occasione.

Nonostante ciò, Laxus sapeva che provarci seriamente sarebbe stato vile da parte sua.

Non è che non avesse cercato di ampliare la sua relazione con Freed portandola fuori da Villa Albion, anzi. Il giorno prima gli aveva accennato che sarebbe andato al festival con gli Strauss e con Cana aggiungendo che avrebbe potuto piacergli, il che implicava un invito, ma Freed si era limitato ad augurargli buon divertimento spiegando che doveva contattare la società di conservazione degli edifici storici per poter ottenere il permesso di estendere la cucina sul retro della casa.

Fosse stato qualcun altro, Laxus si sarebbe sentito scoraggiato o infastidito, ma dal momento che si trattava di Freed, la cosa in qualche modo lo divertiva: molto probabilmente, l’avvocato non si era nemmeno reso conto del fatto che gli avesse proposto di andare al festival con lui.

Sì, sarebbe stato bello averlo lì.

Magari Freed avrebbe potuto aiutarli a scoprire se Cana e Mirajane uscivano effettivamente insieme oppure no, anche se naturalmente non avrebbe potuto andare a chiederglielo di persona esattamente come tutti loro. Perché, nella remota possibilità che Cana e Mirajane avessero davvero una relazione e la stessero tenendo nascosta per puro divertimento, il loro livello di autocompiacimento nel venire finalmente beccate sarebbe stato insopportabile.

“Penso che si siano dimenticate di noi”. Lisanna rise. “Forse dovremmo divertirci piuttosto che seguirle. Proviamo qualche gioco”.

“Quale?” chiese Laxus. “L’unico interessante è il tiro a segno, ma tu non vuoi farlo”.

“Sparare agli animali è crudele”.

“La pistola è finta e gli animali sono di carta” borbottò Laxus. “Non c’è niente di male”.

“Lo trovo ugualmente inaccettabile”.

“Sembri uno degli animalisti della PETA1”.

“Come ti permetti?! La PETA fa cose orribil–”.

“Che ne dite della prova di forza?” si intromise Elfman indicando una macchina che si illuminava a intermittenza dalla quale pendeva un sacco da boxe. “Ti sfido, Laxus. Voglio mostrarti cosa significa essere un vero uomo. Altro che quei muscoletti”.

Muscoletti?” Laxus ghignò. “Questi muscoletti potrebbero prenderti a calci in culo”.

“Andiamo allora”. Elfman sorrise flettendo il bicipite.

I tre raggiunsero la macchina. Lisanna si lamentò di quanto fossero idioti scuotendo la testa e sorridendo al tempo stesso, mentre Elfman si arrotolò le maniche prendendo nuovamente di mira i “falsi muscoli da palcoscenico” di Laxus. Il biondo gli rispose per le rime, anche se con meno entusiasmo del solito.

Di fatti, si era distratto pensando a quanto Freed si sarebbe comportato in modo spavaldo in una situazione del genere. Nonostante Laxus fosse abbastanza sicuro che in quel gioco lui ed Elfman avrebbero superato Freed senza troppi sforzi, di certo l’avvocato non lo avrebbe mai ammesso e anzi si sarebbe comportato da stupido sbruffone sicuro di sé.

Era un pensiero decisamente pericoloso, ma… dio, quanto avrebbe voluto che Freed fosse lì.

_____________________________

“Quindi con la casa procede bene?” chiese Mirajane addentando una ciambella.

Alla fine erano rimasti solo loro due alla fiera. Elfman e Cana avevano dovuto tornare in paese ai loro rispettivi lavori, mentre Lisanna aveva fatto il pieno di zuccheri mangiando troppe ciambelle, quindi sua sorella le aveva consigliato di andare a riposare, evitando così di sentirsi stanca per tutto il giorno. Laxus non aveva potuto fare a meno di sentirsi lievemente soddisfatto sentendo le lamentele e gli sbadigli di Lisanna, dato che era stato praticamente obbligato a pagare le ciambelle.

Aveva perso contro Elfman e pagato da mangiare per una stupida scommessa. Gli Strauss avevano decisamente avuto la meglio su di lui.

Verso metà pomeriggio, alcune bancarelle cominciarono a chiudere. Nonostante non avesse bisogno di soldi, Laxus preferiva rimanere nel caso in cui si rompesse qualcosa: nessun altro sarebbe stato in grado di intervenire e lui era piuttosto fedele nei confronti di quella fiera.

“Sì” rispose alla domanda di Mirajane. “Sembra ancora una casa in stile anni ’80, ma è molto meglio rispetto a prima”.

“Pensi che Freed ci farebbe dare un’occhiata prima di venderla?” chiese Mirajane spostandosi di lato per evitare un bambino che correva. “Sono sicura che non appena la casa sarà in vendita, mezza Magnolia verrà a curiosare”.

“Potrei chiederglielo” disse Laxus. “È piuttosto perfezionista comunque. Se saremo veloci, riusciremo a finirla prima di Natale, ma non è ancora sicuro”.

“Be’, qualche giorno fa sono passata da quelle parti e da fuori mi sembrava molto bella. Il giardino era fantastico” commentò Mirajane.

“Grazie”. Laxus sorrise.

“Te ne sei occupato tu?” chiese Mirajane con un caloroso sorriso. “Non ti facevo giardiniere, sai?”.

“L’abbiamo fatto io e Freed insieme, ma ero io a dare le direttive”. Laxus arrossì un po’, rimproverandosi mentalmente subito dopo. Parte della sua terapia consisteva nel venire a patti con quegli aspetti di sé che non erano, come avrebbe detto Elfman, da uomini. “Sapevi che i fiori hanno un loro linguaggio? Quello che me li ha venduti ha cercato di spiegarmelo, ma io volevo solo dare un aspetto decente al giardino”.

“E ci sei riuscito”. Mirajane sorrise, ma in modo troppo marcato. “Tu e Freed avete piantato un’aiuola insieme, quindi? È una cosa molto dolce”.

“Non farlo, Mira”. Laxus sospirò. “Ne ho già abbastanza dei commenti degli altri, non mettertici pure tu”.

“Freed è davvero carino”. Mirajane sembrò ignorare le sue parole e Laxus sospirò di nuovo rassegnato. Se non riusciva a impedire a Lisanna di prenderlo in giro, con sua sorella sarebbe stato a dir poco impossibile. “Pensavo che il tuo uomo ideale fosse un altro, ma suppongo che io non abbia ancora passato abbastanza tempo con– Oh, quando parli del diavolo!”

Laxus sollevò lo sguardo seguendo quello di Mirajane e i suoi occhi si posarono su Freed. Quest’ultimo, avendolo notato, alzò la mano per salutarlo procedendo verso di loro. Man mano che si avvicinava, Laxus sorrise nel notare la postura di Freed e la velocità con cui camminava. Aveva le spalle curve, l’andatura rapida e un’espressione forzatamente sorridente stampata sul volto, un’espressione che Laxus gli aveva visto spesso, soprattutto quando era stressato. Il biondo gli andò incontro squadrandolo preoccupato.

“Come va?” gli chiese.

“Ho chiamato per sapere se fosse possibile ampliare la casa. Mi hanno trattenuto per 2 ore e 27 minuti, con la musica più fastidiosa che io avessi mai sentito, solo per dirmi che secondo le linee guida non è possibile” borbottò Freed.

Laxus aggrottò la fronte. “Non potevano dirtelo subito?”

“È esattamente ciò che ho chiesto loro”. Freed rise amaramente. “A quanto pare, però, l’ho fatto con tono ostile e questo li ha convinti a chiudere la chiamata”.

Laxus avrebbe voluto ridere – lo trovava fottutamente divertente – ma si trattenne.

“Cosa posso fare per farti sentire meglio?” gli chiese.

“Non c’è bisogno che tu– Non è per questo che sono qui”. Freed scosse lievemente la testa guardandosi intorno. “Volevo solo dare un’occhiata alla fiera. Me ne hai parlato così bene che ho pensato che potesse essere una bella occasione per distrarmi e calmarmi. Anche se la persona che mi ha riattaccato il telefono in faccia dubita che io sia in grado di mantenere la calma”.

Laxus rise. Se Freed era dell’umore giusto per prendersi in giro da solo, allora poteva farlo anche lui.

“Be’, in qualità di residente locale e tuttofare del festival, sarò la tua guida personale”. Laxus sorrise facendo un passo indietro. “Ti consiglierei la prova di forza in modo da prendere a pugni qualcosa, ma sappi che quella merda è truccata”.

“Dice che qualcuno è più forte di te, quindi?” lo prese in giro Freed, e Laxus gli sorrise di rimando.

“Visto che ti piace tanto fare lo sbruffone, vuoi per caso vedere chi è più forte tra me e te?”

“Be’, so già che vincerei, ma se vuoi compromettere ulteriormente il tuo ego allora accetto”. Freed sorrise.

Laxus si sentì in qualche modo soddisfatto all’idea di aver indovinato il modo in cui Freed avrebbe reagito in una situazione di sfida come quella. Si chiese se sarebbe riuscito anche a coinvolgerlo in una scommessa esattamente come era accaduto a lui poco prima ad opera di Mirajane – la quale, tra l’altro, era ancora lì e li guardava con un sorriso di cui Laxus sapeva di non potersi fidare.

“Non ti dispiace se accompagno Freed a fare un giro, vero?” chiese a Mirajane lanciandole uno sguardo d’avvertimento.

“Certo che no”. Mirajane gli diede una pacca sulla spalla. “Vado a cercare Lisanna sperando che non stia vomitando sul ciglio della strada”.

“Cos’ha?” chiese Freed preoccupato.

“Sta bene, è solo che non sa rifiutare una ciambella appena sfornata”. Mirajane rise. “Penso proprio che vi rivedrò entrambi molto presto. Dovremmo andare a mangiare qualcosa insieme, Freed. È evidente che Laxus tiene a te, sono proprio curiosa di conoscerti meglio”. Mirajane ammiccò. Stronza, pensò Laxus. “Ciao” disse infine Mirajane.

Entrambi ricambiarono il saluto e Laxus continuò a fissarla mentre si allontanava.

“Allora…” cominciò Freed sorridendogli. “Prova di forza?”

Laxus annuì. “Prova di forza”.

I due trascorsero il resto del pomeriggio a provare qualsiasi gioco ispirasse un po’ di competizione. Le uniche bancarelle che avevano evitato erano state quelle in cui sapevano già in partenza di non avere possibilità di perdere o di terminare senza un premio. Erano entrambi molto competitivi, ma proprio questo – insieme agli insulti giocosi e all’intollerabile autocompiacimento da parte del vincitore di ogni gioco – aveva reso il pomeriggio divertente, e Laxus aveva adorato ogni singolo momento.

Aveva ragione: lui e Freed andavano d’accordo anche al di fuori della casa, forse perfino più d’accordo di quando lavoravano insieme.

Durante quel pomeriggio trascorso insieme, Laxus era rimasto colpito da una cosa. Freed, stressato a causa di ciò che era successo, era venuto alla fiera ascoltando il suo suggerimento e forse sapendo che lui sarebbe stato lì. Una fiera per bambini non era di certo il luogo adatto a divertirsi per uno come Freed, quindi era molto probabile che l’avvocato si fosse recato lì solo per lui, per Laxus. Inoltre, non è che Freed non avesse nessun altro amico a Magnolia. Avrebbe potuto anche invitare Evergreen o Bickslow, ma non lo aveva fatto. Aveva scelto di divertirsi con lui.

Laxus pensò che fosse bello essere la prima scelta di Freed.

“Be’, ti senti più calmo ora?” chiese Laxus guardando Freed mentre passavano accanto ad una bancarella.

“Penso di sì”. Freed annuì. “Ma sono ancora un po’ nervoso per come mi hanno trattato al telefono. Avrebbero potuto essere più diretti fin dall’inizio”.

“C’è qualcos’altro che posso fare?” chiese Laxus, pentendosi subito dopo per aver lasciato trapelare una certa urgenza in quella domanda, ma Freed non sembrava essersene accorto.

“Be’…” cominciò Freed con un tono di voce che Laxus trovò inconsueto. “C’è una cosa che mi farebbe sicuramente sentire meglio”.

“E cos’è?” chiese Laxus con prudenza. Freed non rispose, limitandosi a far scorrere lo sguardo di lato con un sorriso. Laxus lo imitò e, quando colse le intenzioni di Freed, si bloccò sul posto. “No” affermò categorico.

“Ma io sono triste, Laxus” disse Freed con un tono tutt’altro che triste. “E questo mi renderebbe felice”.

“Non se ne parla” insistette Laxus con fermezza.

No, non l’avrebbe fatto. Non si sarebbe lasciato cadere in quella dannata vasca piena d’acqua solo per far felice Freed.

“Allora suppongo che tu non ci tenga a me”. Freed sorrise senza nemmeno provare a sembrare abbattuto. “Pensavo che fossimo più… intimi, ma evidentemente mi sbagliavo”.

“Puoi giurarci” confermò Laxus. “Non mi immergerò nell’acqua fredda in autunno, che cazzo”.

“Ricordo che da bambino i miei genitori mi portavano ad un festival proprio come questo” cominciò Freed fingendosi triste, ma Laxus non pensò nemmeno per un secondo che l’argomento fosse stato abbandonato. “Sai, i miei genitori, entrambi morti” continuò Freed. “Questo sì che mi rende triste. In effetti, è da un po’ che mi sento sempre triste. E se ci fosse qualcosa che tu potessi fare per farmi ridere o farmi sentire più allegro, sarebbe incredibilmente crudele da parte tua non farlo”.

Laxus ci mise qualche secondo a riprendersi dallo shock perché wow, Freed lo stava facendo davvero.

“Tua madre” disse lentamente. “Stai usando la morte di tua madre per convincermi a provare uno stupido gioco. Pensi che sarebbe felice se lo sapesse?”

“Penso che apprezzerebbe la mia capacità di trarre il massimo dalla situazione”. Freed sorrise e Laxus si lasciò andare ad una risata. “Okay, farti sentire in colpa non funziona. Cosa devo fare per convincerti?” chiese Freed.

“Accetterò di farlo solo se lo farai prima tu”. Laxus ghignò incrociando le braccia. “Voglio vedere se sei disposto a rovinare il tuo completo Armani”.

“Prima di tutto non è Armani. È Burberry, perché io ho buon giusto” lo corresse Freed e Laxus sorrise. “E siccome sono stato io a proporre per primo l’idea, trovo più giusto che sia tu a cominciare. Ricorda che sono molto triste”.

“No” disse ancora Laxus scuotendo la testa.

Freed sospirò e sul suo volto comparve quell’espressione tipica di quando si ritrovava ad affrontare un problema riguardante la casa o il suo lavoro. Il fatto che si stesse impegnando così tanto per convincerlo a provare quel maledetto gioco era così ridicolo e al tempo stesso così dannatamente tipico di Freed che Laxus non riusciva a smettere di sorridere. Solo Freed avrebbe potuto prendere una cosa così stupida con lo stesso livello di serietà con cui si sarebbe occupato di una questione legale riguardante una società multimilionaria.

“Il gioco consiste nel centrare l’obiettivo con la palla per far cadere in acqua la vittima seduta sulla sedia” spiegò Freed, e Laxus sollevò un sopracciglio. Era la prima volta che Freed si rivolgeva a lui con quel tono da avvocato. “Inizierò io comprando tre palle. Se ti faccio cadere al primo colpo, vinco io. Se ti faccio cadere al secondo o al terzo colpo, avrai tre tentativi anche tu. Se non cadi nemmeno una volta, pagherò tutte le palle di cui hai bisogno per vendicarti su di me”.

“Si può sapere perché tu hai una possibilità di evitare di sederti sulla sedia e io no?” chiese Laxus aggrottando la fronte. “E non dirmi che sei triste, perché potrei buttarti in acqua io stesso”.

Freed ci pensò per un momento. “Semplicemente perché io sono il tuo capo: se non lo farai, ti licenzierò”.

Ben sapendo che Freed stesse scherzando, Laxus rise scuotendo la testa. Avrebbe potuto controbattere fino ad avere la meglio o fino a che l’idea non fosse stata accantonata, ma non lo fece. Perché Freed, dopo tanto stress per via della casa e del lavoro, si stava finalmente divertendo.

In fondo che male avrebbe potuto fargli un po’ di acqua fredda? Oltretutto, non era detto che Freed avesse una buona mira. E se anche l’avesse avuta, almeno sarebbe stato felice.

“Bene” concordò Laxus, e Freed sorrise. “Ma se riuscirò a farti cadere in acqua, sappi che ti farò un video e che lo tirerò fuori molto più spesso delle foto di Elfman travestito da mostro”.

“Non ho alcun dubbio” rispose Freed senza smettere di sorridere.

I due si avvicinarono alla bancarella, parlarono con il venditore e Freed pagò le tre palle. Laxus si tolse tutti gli oggetti che avrebbero potuto danneggiarsi in acqua e poi guardò la sedia sospesa sulla vasca con un pesante sospiro. Si arrampicò sulla piccola scala e si sedette sulla sedia scuotendo la testa quando si accorse dell’espressione chiaramente soddisfatta sul volto di Freed.

“Non mi prenderai” lo informò. “Se non riesci ad usare una sega senza tagliarti, non vedo come potresti fare centro con una palla”.

“Continua pure a dubitare di me” rispose Freed. “Ti farò ricredere”.

Laxus guardò Freed posizionarsi nel cerchio rosso sul prato. Dopo di che, l’avvocato prese una delle palle da baseball in mano, serrò leggermente gli occhi, si mise in posizione e lanciò la palla ad una velocità piuttosto preoccupante.

Laxus trasalì, ma non cadde.

Un’imprecazione pronunciata a bassa voce e il rumore della palla che colpiva il telo piuttosto che l’obiettivo di legno fecero spuntare un sorriso sul volto di Laxus. In base alle regole stabilite da Freed stesso, dopo altri due tentativi sarebbe toccato a lui sedersi sulla sedia e, a differenza di Freed, Laxus non aveva nessuna intenzione di mancare l’obiettivo. Nonostante non gli fosse piaciuto particolarmente, ai tempi delle superiori aveva fatto parte della squadra di baseball nel ruolo di lanciatore, quindi colpire l’obiettivo sarebbe stato dannatamente facile per lui.

Stava per dirlo a Freed quando un’altra palla sferzò l’aria in direzione dell’obiettivo.

Laxus non cadde nemmeno stavolta.

Gonfiò il petto soddisfatto e rise. Naturalmente Freed se ne accorse e gli rivolse uno sguardo che Laxus, con le gambe penzoloni sull’acqua, trovò ancora più divertente.

“Se sbagli di nuovo, non avrò pietà di te. Lo sai, no?” disse Laxus.

“Non sbaglierò” puntualizzò Freed con calma.

“Lo spero per te”. Laxus sorrise. “Perché sembreresti veramente ridicolo tutto bagnato”.

Freed non rispose. Si voltò verso l’obiettivo, prese l’ultima palla, si mise in posizione e la lanciò.

Laxus avvertì la sedia cedere.

Quando cadde nella vasca, emise un rumoroso e poco dignitoso strillo perché l’acqua era a dir poco congelata. Tremò dalla testa ai piedi e gli ci volle qualche secondo per riemergere in superficie. Rabbrividì ancora di più al contatto con l’aria fredda autunnale, quasi rimpiangendo la temperatura dell’acqua. Respirò profondamente e si passò le mani tra i capelli incontrando l’espressione vittoriosa di Freed che lo stava chiaramente riprendendo con il telefono.

“Cazzo” si lamentò Laxus. I vestiti erano così fradici che gli si erano incollati addosso.

“Freddina?” chiese Freed, mentre Laxus si apprestava a scendere giù dalla scala.

“Fanculo” ribatté il biondo con voce leggermente tremante. Quando scese per terra tutto gocciolante, provò a scrollarsi via un po’ d’acqua, ma non aiutò molto perché naturalmente i vestiti erano completamente zuppi. “Porta il tuo fottuto culo là sopra, Justine”.

“Temo che questa bancarella ora debba chiudere, signore” disse una voce vicina a loro.

Laxus si bloccò rivolgendo lo sguardo al venditore.

“Sta scherzando, vero?” disse con voce ora più ferma. “Sta chiaramente scherzando”.

Il venditore scrollò le spalle. “In realtà per me sarebbe molto più vantaggioso chiuderla che tenerla aperta”.

Laxus rifletté per un momento su ciò che aveva detto il venditore cercando di comprenderlo. Quando finalmente colse l’implicazione dietro le sue parole, lo sguardo di Laxus cadde su Freed, il quale non sembrava per nulla turbato dalla situazione. Al contrario, appariva incredibilmente compiaciuto per ciò che aveva chiaramente fatto.

“L’hai corrotto affinché chiudesse?!” esclamò Laxus, e il sorriso di Freed si allargò.

“Se ti fossi lasciato convincere fin dall’inizio quando cercavo di farti sentire in colpa, a quest’ora non ti sentiresti così tradito” rispose Freed. Che stronzo.

“Lo sai che ora ti butterò lì dentro personalmente, vero?”. Laxus fece un passo avanti, i piedi che praticamente sguazzavano nelle scarpe piene d’acqua. “E non pensare nemmeno per un momento che io non ne sia capace, perché sappiamo entrambi quanto sono più forte di te. L’ha detto quella dannata prova di forza”.

“Avevi detto che era truccata” protestò Freed immobile.

“Non importa”. Laxus scrollò le spalle. “È piuttosto evidente che tra me e te sono io il più grosso”.

Laxus non lo aveva pianificato, anzi, lo aveva fatto in maniera del tutto inconscia: ad un certo punto, durante la conversazione, aveva afferrato Freed per la cravatta con l’unico obiettivo di rendere più credibili le minacce. Un modo per fargli capire che, nonostante non fosse veramente arrabbiato con lui, voleva davvero trascinarlo in acqua per pareggiare i conti. E avrebbe funzionato se solo non si fosse ritrovato Freed così vicino.

Così dannatamente vicino che ora il suo respiro ancora un po’ tremante si infrangeva direttamente sulle labbra di Freed. Così vicino che Laxus notò un piccolo neo sotto l’occhio di Freed di cui non si era mai accorto prima di quel momento. Così vicino che all’improvviso si rese conto di quanto i vestiti gli si fossero praticamente appiccicati alla pelle, una sensazione che lo fece sentire incredibilmente vulnerabile.

Se si fosse piegato un po’ in avanti, le loro labbra si sarebbero toccate.

Entrambi sembrarono rendersene conto nello stesso momento, ma per qualche attimo nessuno dei due parlò.

“F-forse dovrei andare a casa” disse alla fine Laxus con voce più debole di quanto avrebbe voluto, mentre lasciava andare la cravatta di Freed. “Per farmi una doccia e cambiarmi”.

“Certo”. Anche la voce di Freed suonò piuttosto distante. “Se vuoi ti accompagn–”.

“Posso andarci a piedi, non è lontano” mentì Laxus. “Ci vediamo”.

“Ciao” rispose Freed facendo un passo indietro.

Laxus si voltò e si incamminò, rifiutandosi – forse stupidamente – di guardare indietro.

 

 

 

 

Chiarimenti della traduttrice:

1 PETA = People for the Ethical Treatment of Animals, organizzazione statunitense a sostegno dei diritti animali che però ne uccide molti per ragioni estremamente controverse.

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Capitolo 7
*** La chiusura ***


Note della traduttrice:

Ciao ragazzi, sono Soly Dea! Ecco il settimo capitolo di questa long di Eryiss che potete trovare qui in lingua inglese: AO3 - Fanfiction.net - Tumblr. Ricordo che titolo, immagine introduttiva, storia e note d’autore sono sue, mentre io mi occupo solo di tradurre.

Poiché è passato molto tempo da quando ho pubblicato l’ultimo capitolo, vi riassumo brevemente l’intera storia.

RIASSUNTO DEI CAPITOLI PRECEDENTI:

Freed è un avvocato che alla morte di sua madre eredita una casa in campagna molto malmessa, quindi decide di ristrutturarla con l’aiuto di Laxus, tuttofare che lavora nell’hotel in cui Freed alloggia. Con il passare del tempo i due si rendono conto che tra loro c’è qualcosa di più di una semplice amicizia. Nello scorso capitolo, infatti, durante una fiera di paese e nello specifico dopo il gioco della vasca piena d’acqua, i due stanno quasi per baciarsi, ma purtroppo a causa dell’imbarazzo si separano subito.

Spero che questo capitolo vi piaccia. Se volete lasciare un commento, provvederò a tradurlo per l’autore <3

Note dell’autore:

Ciao. Come sempre, ricordate di dare un’occhiata a Fuckyeahfraxus che ha organizzato il Fraxus Day. Andate a visitare la pagina per scoprire quali altri contenuti sono stati prodotti in occasione di questo evento. Attenzione, in questo capitolo si parla di repressione emotiva. 

Vi ringrazio per qualsiasi commento vogliate lasciarmi. Per me significa molto. Spero che la storia vi piaccia e grazie per la lettura.

a


Capitolo 7 – La chiusura 

Era patetico, Freed lo sapeva.

Lui era un uomo adulto, un avvocato, un cittadino rispettabile che si era guadagnato la sua posizione in molteplici occasioni. Eppure si era ridotto a spegnere il cellulare, rinchiudersi nel suo appartamento e rifiutarsi di parlare con chiunque volesse farlo. Si era chiuso completamente in se stesso come uno stupido adolescente incapace di controllare le proprie emozioni.

In effetti, tranne per il fatto che non era più un adolescente, tale descrizione gli si addiceva perfettamente. Era un comportamento ridicolo e Freed si odiava per questo, ma non riusciva a farne a meno – tutto perché non sapeva come reagire a ciò che stava provando.

Perché stava effettivamente provando qualcosa, molto più di qualcosa.

Il che era piuttosto fastidioso, dal momento che Freed non era particolarmente emotivo. Al contrario, era piuttosto pragmatico, preferiva mettere i sentimenti da parte per concentrarsi adeguatamente sui propri obiettivi. Aveva vissuto la sua intera vita in quel modo e ciò gli aveva sempre portato successo e felicità, mentre ora si ritrovava quasi ad affogare in quei sentimenti che aveva a lungo represso. Erano così forti, intensi e variegati che non era sicuro di poterli sopportare.

Di conseguenza, aveva fatto ciò che faceva di solito quando si sentiva sopraffatto. Non succedeva spesso, normalmente si trattava di casi lavorativi più complessi di quanto si aspettasse, ma le tecniche che metteva in atto lo aiutavano sempre. Una di esse era scrivere una lista di tutte le cose che lo facevano star male ed era proprio questo che Freed aveva fatto.

Confusione – Aveva sempre vissuto ad Era, la sua intera vita ruotava attorno alla città, per cui il fatto di sentirsi così legato ad un paese estraneo come Magnolia lo disorientava parecchio.

Fastidio – Desiderava che Magnolia fosse parte integrante della sua vita, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. Il suo orgoglio glielo impediva, ma allo stesso tempo non poteva ignorarlo se voleva essere onesto riguardo ai propri desideri.

Rabbia – Avrebbe dovuto parlare con Laxus. Non avrebbe dovuto lasciarlo andare dopo… dopo ciò che era successo. Non parlava con lui da due settimane e gli mancava, gli mancava più di quanto riuscisse ad ammettere. Gli mancava tantissimo.

Rabbia – Perché non avrebbe dovuto spingere Laxus a partecipare a quello stupido gioco.

Rabbia – Perché non avrebbe dovuto andare al festival per vedere Laxus.

Rabbia – Perché non avrebbe dovuto permettere alla sua stupida cotta di diventare qualcosa di più.

Rabbia – Perché non avrebbe dovuto permettere che Laxus diventasse più di un operaio ai suoi occhi.

Rabbia – Perché avrebbe dovuto impedirsi di provare ciò che stava provando fin dall’inizio.

Sospirò sbattendo la penna sulla scrivania e strofinandosi un occhio con il palmo della mano. Guardò infastidito la lista, la quale aveva fatto esattamente tutto ciò per cui serviva: mettere in evidenza il problema principale che lo stava affliggendo. Come faceva ogni volta, Freed scrisse un ultimo punto riassuntivo per mettere in chiaro ciò che gli stava succedendo.

Attrazione – Era attirato da Laxus in un modo che non riusciva a controllare. Non sapeva cosa fare di questa attrazione, ma allo stesso tempo non riusciva a reprimerla. Si sentiva come intrappolato.

E per Freed, un uomo per il quale le emozioni non erano mai state un problema, tutto ciò era piuttosto preoccupante.

Per di più, tutto il tempo trascorso insieme a Laxus ora assumeva un significato nuovo. Forse Freed aveva insistito affinché Laxus gli insegnasse ciò che sapeva fare per il semplice desiderio di stargli vicino più spesso. Forse quella volta che avevano cenato insieme e quella volta che si erano raccontati l’un l’altro episodi della propria infanzia erano serviti a rendere la loro relazione più intima. Forse il tempo trascorso al festival non era stato nient’altro che un appuntamento al quale Laxus l’aveva invitato senza che Freed se ne rendesse conto.

Tutto ciò era veramente troppo da sopportare.

Tra l’altro, se da un lato Freed era convinto di piacere davvero a Laxus, dall’altro temeva che la sua amicizia non fosse realmente genuina. Magari lo assecondava solo perché Freed era il suo capo e perché al termine di quel lavoro avrebbe potuto ottenere buone referenze…

In quel momento, il rumore di qualcuno che bussava alla porta riecheggiò nell’appartamento interrompendo i suoi pensieri.

Freed non si mosse, naturalmente. Con tutti quei pensieri negativi che vorticavano nella sua testa ogni secondo, non era proprio dell’umore adatto per ricevere visite. L’idea di fingere di essere felice gli appariva piuttosto stancante, preferiva invece stare da solo a riordinare i suoi pensieri, anche se probabilmente non ci sarebbe riuscito, il che significava che sarebbe andato a letto ancora più furioso di prima.

“Se non sei ancora morto, ti uccido io!” urlò Evergreen battendo ancora sulla porta.

“Questo significa che è preoccupata…” aggiunse un’altra voce, più tranquilla di quella di Evergreen. Era Bickslow. “…Ma che comunque potrebbe ucciderti, quindi apri la porta”.

Freed sospirò abbandonando la scrivania e avvicinandosi alla porta. Evergreen e Bickslow erano le uniche due persone per le quali si sarebbe sentito leggermente in colpa a non aprire la porta. Inoltre, era perfettamente possibile che, se non li avesse fatti entrare subito, Evergreen poi lo avrebbe castrato. Non sapeva nemmeno come avessero fatto ad entrare nel condominio da soli.

Quando aprì la porta, Freed si sentì davvero in colpa. Bickslow, che normalmente sorrideva più di quanto fosse umanamente possibile, aveva un’espressione preoccupata. Quella di Evergreen, invece, era incomprensibile, ma ci pensò lei stessa a rendergliela chiara, prima dandogli un pugno nello stomaco e poi abbracciandolo, il che significava che era tanto arrabbiata quanto preoccupata.

“Stronzo” grugnì Evergreen contro il petto di Freed, il quale le restituì un’espressione accigliata. Voleva risponderle, ma poi pensò che sarebbe stato meglio non farlo. “Ero in pensiero per te” aggiunse Evergreen.

“Perché?”

“Perché non ti fai vedere da tipo quattro giorni” disse Bickslow entrando nell’appartamento di Freed e chiudendo la porta. Evidentemente avevano intenzione di restare. “Non rispondi né alle chiamate né alle email. Normalmente risponderesti prima ancora di riceverle”. Scrollò le spalle. “Volevamo sapere se stessi bene”.

“Be’, come vedete…” disse Freed lentamente. “…sto bene”.

“Allora posso colpirti di nuovo” lo minacciò Evergreen allontanandosi dal petto di Freed e tirandogli un altro pugno sul braccio. “Che cazzo hai che non va, eh?”

“Niente”. Freed si voltò e tornò alla sua scrivania. “Ora che sapete che sto bene… vi serve altro?”

Freed conosceva bene i suoi amici e, nonostante si fosse voltato, sapeva che si stavano parlando con lo sguardo. Quando poi i loro riflessi sul vetro della finestra confermarono i suoi sospetti, ne fu ancora più infastidito. Comprendeva che erano preoccupati per lui e arrabbiati per come si stava comportando, ma avrebbero potuto essere più discreti.  

E poi perché diamine lo stavano trattando come un bambino? Li conosceva e lavorava con loro da anni, e sapevano entrambi che era un adulto responsabile. Per l’amor del cielo, avevano lavorato nello stesso ufficio e Freed era sempre stato il responsabile di ogni progetto. Autoproclamatosi tale, oltretutto. Ma evidentemente il suo bisogno di solitudine gli aveva fatto perdere tutto il rispetto che si era conquistato nel corso degli anni e ora i suoi amici si sentivano in dovere di prendersi cura di lui come se lui non ne fosse in grado. Insomma, erano piombati in casa sua senza essere stati invitati e stavano chiaramente comunicando alle sue spalle. Come poteva fare finta di niente?

“Vorrei rimanere da solo” annunciò Freed, voltandosi nuovamente verso di loro. “Quindi, se avete ancora intenzione di comportarvi come se io non ci fossi, fareste meglio ad andarvene”.

“E dai, Freed” sospirò Bickslow.

Freed si irrigidì lievemente. Il suo tono era esasperato, come se si trattasse di qualcosa di ricorrente. Al contrario, era la prima volta che Freed si comportava in quel modo, e aveva sperato che i suoi amici rispettassero la sua volontà. Stava per dare voce ai suoi pensieri quando Evergreen parlò.

“Mi ha scritto Laxus” disse, attirando lo sguardo di Freed.

“E cosa ti ha detto esattamente?”. Freed non sapeva cosa pensasse Laxus di quella situazione o se si fosse accorto che al festival, una volta faccia a faccia, si era lievemente sporto nella sua direzione. Francamente era un po’ spaventato da ciò che Evergreen stava per dirgli.

“Mi ha detto che non vi siete lasciati nel migliore dei modi e che nel weekend non sei tornato a Magnolia” disse Evergreen sedendosi sul divano di Freed e fissandolo. “Mi ha detto che non avete litigato, ma che stai ignorando le sue chiamate. Vuoi spiegarci cosa è successo?”

“Non capisco perché dovrei dirvelo”. Freed andò in cucina a prendersi un bicchiere d’acqua. Non offrì nulla ai due, sperando che il suo comportamento passivo-aggressivo avesse gli effetti desiderati.

“Perché ti stai comportamento come un–”.

“Quello che intende Evergreen…” la interruppe Bickslow “…è che se ci dici cosa è successo potremmo aiutarti, farti sentire un po’ meglio”.

“Non ho bisogno del vostro aiuto”.

“Sì che ne hai bisogno, baby” sospirò ancora Bickslow, guardando Freed con un sorriso fastidiosamente onesto che incrinò leggermente la sua rabbia, dato che Bickslow solitamente non parlava in modo così serio. “Ciò che stai facendo ora non è da te. E non mi sembra nemmeno molto salutare”.

Freed seguì lo sguardo di Bickslow e sbuffò: stava guardando il cestino della spazzatura, attorno al quale giacevano confezioni vuote di cibo da asporto.

“Quindi non posso più ordinarmi da mangiare?” sbottò.

“Certo che puoi” disse Evergreen. “Ma di solito tu cucini. Hai sempre cucinato. Ordini cibo da asporto al massimo una volta a settimana, ma questo mi sembra decisamente troppo”. Freed roteò gli occhi. “Senti, magari è una sciocchezza, ma ti stai isolando anziché affrontare il problema e questo non è da te. Abbiamo pensato che potevamo aiutarti a risolverlo, anche solo parlandone” concluse Evergreen.

“Possiamo andarcene se vuoi” continuò Bickslow. “Ma penso che sarebbe meglio se restassimo”.

Freed rimase in silenzio, poi sbuffò. “Tè o caffè?”

Dopo che ebbe preparato le bevande, cominciò a raccontare. Descrisse solo il necessario: come si era lentamente avvicinato a Laxus durante il tempo trascorso insieme e come era nata la sua cotta per lui. Spiegò che ne era così terribilmente attratto da trovarlo quasi incomprensibile e da sentirsi a disagio per questo.

Raccontò anche ciò che era successo al festival, come si era arrabbiato al telefono quando gli era stato detto che non poteva ampliare la casa e come aveva istintivamente raggiunto Laxus per calmarsi. Aggiunse che avevano passato il pomeriggio insieme facendo qualcosa di simile al flirtare e che aveva sfidato Laxus ad un gioco ridicolo.

E che si erano quasi baciati, ma poi Laxus era praticamente scappato via.

“Quindi” disse Evergreen quando Freed finì di raccontare. “Ti sei pentito e ora ti senti in imbarazzo?”

“Proprio così, perché sono un bambino” rispose Freed ironicamente.

“Tutti si sentono in imbarazzo, Freed, non solo i bambini”. Bickslow sospirò. “Ma non penso che sia questo il motivo per cui ti stai comportando così. Penso invece che, nonostante tu ti senta in imbarazzo, la cosa non ti dia poi così fastidio”. Freed aggrottò la fronte e Bickslow continuò. “Secondo me sei solo preoccupato per ciò che hai fatto”.

“Quand’è che sei diventato uno psicologo?” mormorò Evergreen.

“Scusate, è che ormai a lavoro trascorro molto tempo con gli psicologi. È interessante”. Bickslow sorrise dando una pacca a Freed. “Quello che sto cercando di dirti è che per la prima volta tu vuoi sentirti vulnerabile per qualcuno perché senti che ne vale la pena, ma allo stesso tempo ciò ti manda in confusione”.

“Io…” disse Freed lentamente. “Suppongo che sia possibile. In fondo, le relazioni non sono il mio forte e questo potrebbe aver… contribuito”.

“Dovresti parlare con lui” suggerì Evergreen. “Forse è il modo migliore per risolvere la cosa”.

“Ci siamo quasi baciati e non ci parliamo da quel momento” mise in chiaro Freed, stringendo saldamente la tazza del tè. “Oltretutto è stato lui ad andarsene subito. Non credo che questa situazione gli piaccia”.

“Era spaventato!” esclamò Evergreen. “Quando ha saputo che non avevamo tue notizie da giorni, ho dovuto praticamente impedirgli di prendere il primo treno per venire qui da te”. Freed sussultò leggermente. “Non ti è proprio venuto in mente che Laxus possa fare schifo quanto te a gestire le emozioni, ma che semplicemente lo dimostra in modo diverso?”

Freed non rispose e nella stanza calò un fastidioso silenzio. Fissò la tazza del tè stringendola ancora più forte. Non solo Evergreen e Bickslow mostravano di comprendere la sua mente meglio di lui, ma gli stavano anche dicendo che forse a Laxus quel bacio non sarebbe dispiaciuto. La cosa lo faceva arrabbiare ulteriormente perché, se anche fosse stato vero, non avevano comunque capito il punto della situazione.

Laxus non era il tipo di persona con cui Freed avrebbe potuto avere una relazione. Non solo lavorava per lui e quindi uscire con lui avrebbe implicato un notevole conflitto di interessi, ma viveva a tre ore di distanza dalla sua città, in un luogo che ne era la perfetta antitesi. Proprio come nei migliori cliché, loro due venivano da due mondi troppo diversi.

Freed aveva l’impressione che, se l’avesse detto ad alta voce, i suoi amici avrebbero risposto che stava solo trovando delle scuse. E forse avevano ragione.

“Comunque, c’è un’altra cosa di cui vorremmo parlarti” disse Evergreen con tono prudente, il che indusse Freed a mettersi subito sulla difensiva. “Sappiamo che preferiresti non parlarne ma…”

“L’ultima volta che ti abbiamo visto così…” continuò Bickslow. “…è stata quando è morto tuo padre”.

“Cosa state cercando di dirmi?” chiese Freed con tono aspro.

“Abbiamo solo pensato che magari il motivo per cui ti senti così…” disse Evergreen cercando chiaramente le parole giuste per non ferirlo, probabilmente senza riuscirci. “…è che non riesci a superare il fatto che lei… non ci sia più”.

Santo cielo!” sbottò Freed. “Perché insistete tanto sul fatto che la morte di mia madre finirà per distruggermi? Sto bene!”

Stava davvero bene, stava benissimo. Certo, sua madre era morta da qualche mese, ma ciò non significava che lui si stesse piangendo addosso. Non era da Freed, specialmente considerando il fatto che lui e sua madre si erano allontanati parecchio a partire dalla morte di suo padre. E anche se non fosse stato così, di certo Freed non avrebbe avuto un crollo emotivo a distanza di mesi dall’evento. Era qualcosa che accadeva solo alle persone particolarmente emotive, quindi perché diavolo credevano che sarebbe successo a lui?

Il fatto che le persone a lui più vicine associassero il suo comportamento al dolore per la morte di sua madre lo faceva infuriare. Tra l’altro, Freed era convinto che il modo in cui si stesse comportando non fosse poi così brutto. Si trattava semplicemente di una situazione spiacevole dalla quale aveva preferito prendere le distanze per calmarsi, tutto qui. Se i suoi amici pensavano che fosse un comportamento malsano, allora era un loro problema.

“Siamo solo preoccupati per il fatto che non vuoi parlarne” insistette Bickslow. “Non vogliamo che affronti questa situazione negativa da solo”.

“Be’, penso che sarebbe alquanto difficile con voi che non volete andarvene” sbuffò Freed.

“E dai” sospirò Bickslow. “Non c’è bisogno di–”.

“Vi spiego una volta per tutte cosa sta succedendo” disse Freed rapidamente, mettendosi in piedi e facendo qualche passo. Aveva bisogno di muoversi. “Siete venuti qui dopo aver parlato con Laxus di me a mia insaputa. Ora siete qui, convinti che io mi stia comportando in modo asociale e malsano. Mi avete chiesto di spiegarvi la situazione nel dettaglio, ovvero di rivelarvi i miei sentimenti nonostante nessuno di voi due abbia la vaga idea di cosa mi passi per la testa”. Respirò forte, mentre le dita graffiavano il palmo della mano. “E ora state palesemente ignorando tutto ciò e cercando di portare l’attenzione sulla morte di mia madre nonostante io vi abbia detto più volte che sto bene”.

“Freed” disse Evergreen pazientemente, come se si stesse rivolgendo ad un bambino. Perché diavolo lo trattavano così?! “Forse dovresti prenderti qualche minuto per–”.

“Credete che la mia presunta chiusura sia dovuta alla morte di mia madre, giusto? Probabilmente ne avete parlato tra voi prima di venire qui” continuò Freed sentendo montare la rabbia. “Quindi perché avete menzionato Laxus? Forse per intromettervi ancora una volta nella mia vita? Quando avete scoperto che avevo conosciuto qualcuno della mia età che era anche il mio tipo, avete cominciato a farmi domande insensate e battute stupide. Forse avevate solo bisogno di un po’ di gossip e questa era una bella opportunità”.

“Va bene, non sei dell’umore adatto per parlare” concluse Bickslow con un sospiro mettendosi in piedi. “Forse dovremmo andare”.

“Esatto” concordò Freed.

“Bene” mormorò Evergreen, visibilmente infastidita. “Ma accendi quel cazzo di telefono e se Laxus ti chiama ancora vedi di rispondere, è preoccupato per te”. Raggiunse la porta, per poi voltarsi ancora una volta verso di lui. “Aspetteremo che sia tu a chiamarci e a scusarti con noi per quello che hai detto”.

Evergreen uscì dall’appartamento sbuffando. Bickslow diede una pacca sulla spalla di Freed promettendogli di scrivergli più tardi e poi seguì Evergreen.

Freed sospirò lievemente accasciandosi sulla sedia della sua scrivania, la gamba che tremava ansiosamente. Si portò una mano al viso e guardò la lista che aveva scritto. Ora che aveva parlato con i suoi amici, si rendeva conto di aver dimenticato il punto più importante.

Paura – Non voglio restare da solo.

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Si era addormentato poco dopo sul divano in pelle dimenticando tutto con molta facilità. Infatti, l’adrenalina che lo aveva accompagnato durante quella crisi di nervi era scomparsa nel momento stesso in cui Bickslow ed Evergreen erano andati via e al suo posto era subentrato un urgente bisogno di dormire.

E anche un urgente bisogno di scusarsi, perché Bickslow ed Evergreen erano suoi amici, lo erano sempre stati, e non sarebbero mai stati capaci di tramare alle sue spalle, specialmente per qualcosa di così stupido come ficcare il naso nella sua relazione con Laxus.

Riflettendoci, era ovvio che fosse così. Bickslow ed Evergreen erano brave persone e tenevano molto a lui. Erano andati a trovarlo solo perché erano preoccupati per lui e volevano assicurarsi che stesse bene, capire cosa lo stesse affliggendo e dargli dei consigli, ma in quel momento Freed si era sentito semplicemente attaccato, quasi i due si fossero coalizzati contro di lui. Era per questo che si era messo sulla difensiva e aveva risposto a tono.

Ora si sentiva stupido. E in colpa.

Stava per alzarsi con l’intenzione di telefonare ad Evergreen quando il suo cellulare cominciò a squillare. Raggiunse il tavolino sul quale era poggiato. Lo aveva riacceso dopo che Evergreen e Bickslow erano andati via trovandovi una marea di messaggi e chiamate da parte dei suoi amici.

Chiamata in arrivo: Laxus Dreyar

Freed prese la tazza del tè, che nel frattempo si era raffreddato, e ne bevve un ultimo sorso per svegliarsi un po’, quindi rispose alla chiamata di Laxus, non senza una punta di ansia. Non si parlavano dal festival e Freed non sapeva come gestire la cosa.

“Ehi!”. La voce di Laxus gli risuonò nell’orecchio piuttosto preoccupata. Freed fece una smorfia, sapeva di esserne il colpevole. “Non mi aspettavo che rispondessi” ammise Laxus.

“Be’, Evergreen mi ha detto che eri in pensiero per me” mormorò Freed guardando attraverso la finestra. Si era fatta sera.

“Infatti” confermò Laxus.

Freed sospirò chiedendosi se lui sarebbe stato in grado di ammettere una cosa del genere così apertamente. Forse con Laxus sì.

“Mi ha scritto qualche ora fa” continuò Laxus, e Freed udì un leggero movimento. Si chiese che cosa stesse facendo, un pensiero ridicolo che lo fece sentire ancora peggio, perché, se non fosse stato per il suo maledetto orgoglio, forse in quel momento avrebbe potuto essere con Laxus. “Mi ha detto che lei e Bickslow sono venuti a trovarti, ma che tu non hai apprezzato la visita” spiegò Laxus con una lieve risata.

“Non è bello che parliate di me alle mie spalle” puntualizzò Freed infastidito.

“Hai cacciato via i tuoi migliori amici” disse Laxus stancamente. “Siamo solo–”.

“Come hai trovato il numero di Evergreen?” chiese Freed a quel punto. “È venuta a Magnolia una volta sola e vi siete parlati solo per cinque minuti”.

“Mi ha aggiunto su Facebook”.

“Quindi non vi siete scambiati i numeri, no?” chiese Freed. Non capiva perché fosse tanto infastidito da un dettaglio così insignificante, ma lo era. E di certo il “Ma che cazzo…” mormorato dall’altra parte del telefono non lo aiutava. “State usando Messenger, no? È una cosa diversa”.

“È importante?”

“Certo che lo è!” sbottò Freed. “I dettagli sono importanti per me, Laxus. Devo sapere tutto prima di intromettermi. E se tu–”

“Porca puttana” lo interruppe Laxus ad alta voce. “La smetti di parlare?!”

Freed tacque.

“Senti, lo so che non sei dell’umore adatto e che probabilmente non vuoi parlare con me, ma… fanculo, continui a dire che stai bene e che non vuoi essere trattato come un bambino, no?” chiese Laxus e Freed si ritrovò stupidamente ad annuire. “Be’, allora è quello che farò. Discuteremo di ciò che è accaduto e mi assicurerò che tutto torni alla normalità. Perché non sopporto che mi eviti e non voglio che ignori o urli contro i tuoi amici per qualcosa che io ho fatto”.

“Non voglio parlarne”.

“Invece dobbiamo” replicò Laxus. “Lo faremo quando sarai pronto”.

Nonostante il tono infastidito, Freed percepì una certa gentilezza nell’invito di Laxus a cominciare per primo la conversazione. Almeno in questo modo avrebbe potuto inquadrare gli eventi come preferiva e soprattutto avere del tempo per pensarci, che era ciò di cui necessitava maggiormente. Chiuse gli occhi per un momento in modo da riordinare i pensieri prima di parlare.

Doveva essere onesto. Bickslow aveva ragione: a Freed non dispiaceva affatto mostrarsi vulnerabile quando si trattava di Laxus, quindi doveva approfittarne.

“A volte sono un po’ ottuso” confessò. “E mi sento in dovere di fare cose che gli altri potrebbero considerare… anormali. Normalmente sono molto severo con me stesso, ma con te… non lo so, tu hai uno strano effetto su di me. Forse non l’hai capito, ma dubito che avrei permesso a qualcun altro di insegnarmi ad aggiustare un impianto idraulico o elettrico”.

“Non c’è nulla di sbagliato nel seguire il proprio istinto” disse Laxus con improvvisa calma, tanto da stupire Freed. “Specialmente se si tratta ciò che desideri”.

“Forse” concordo Freed, un po’ a malincuore. “Ma ciò che è successo tra di noi non sarebbe dovuto succedere. Non avrei dovuto…”

Si fermò. Doveva dirlo, doveva dire che non avrebbe dovuto sporgersi verso di lui con l’intenzione di baciarlo, che non avrebbe dovuto flirtare con lui per tutto il pomeriggio, che non avrebbe dovuto avvicinarsi così tanto a lui ben sapendo di provare dei sentimenti nei suoi confronti e che una relazione tra di loro sarebbe stata inappropriata e forse impossibile.

“…Non avrei dovuto obbligarti a partecipare a quel gioco visto che non volevi. Mi dispiace”.

Chiuse gli occhi, arrabbiato con se stesso. Perché non riusciva semplicemente a dirgli ciò che sentiva?!

“Okay” disse Laxus. “Ma sappi che non devi sentirti in colpa per nulla di ciò che hai fatto. Lo volevo anch’io, anche se non lo davo a vedere”.

Il modo in cui Laxus stava parlando enfatizzando certe parole attirò l’attenzione di Freed. Forse aveva capito che si stava scusando per qualcos’altro. E se era davvero così, allora Laxus aveva chiaramente deciso di risparmiargli l’imbarazzo usando il gioco della vasca come una metafora. Freed gliene fu incredibilmente grato, tanto da sentirsi quasi commosso da quel piccolo gesto.

“Ho l’impressione di averti forzato” confessò Freed. “E che tu abbia potuto pensare che avrei davvero utilizzato la mia posizione contro di te se tu non avessi acconsentito”.

“Freed, non sono il tipo di persona che si lascia intimidire da cose del genere. Se fosse stato davvero così, ti avrei tirato un pugno” disse Laxus con voce abbastanza seria da rassicurare Freed. “Il punto è che sono salito lì sopra da solo, non mi ha forzato nessuno. Conoscevo i rischi e non mi importava. È stata una mia scelta”.

Un flash dei loro volti vicini attraversò la mente di Freed, che arrossì leggermente a quel ricordo.

“Sei sicuro?” chiese.

“L’unica cosa di cui mi pento è essermene andato in quel modo” disse Laxus con tono sincero e poi si lasciò sfuggire una lieve risata. “Be’, forse mi pento anche di non aver visto che il tipo della bancarella aveva un asciugamano per i clienti. Avrei potuto usarlo”.

“Forse avrei dovuto dirtelo”.

“Allora l’hai visto anche tu?” esclamò Laxus scioccato. “Bastardo”.

Freed sorrise. “E già”.

“Quindi, ora che sai come la penso, la smetterai di incolparti?” chiese Laxus con tono speranzoso. “Starti lontano mi stava facendo davvero impazzire, erano quasi due settimane che non sentivo i tuoi commenti da saputello”. Laxus rise. “Mi sei mancato”.

“Mi sei mancato anche tu” confessò Freed. “Mi dispiace, non succederà più”.

“Non c’è bisogno che ti scusi” lo rassicurò Laxus. “O almeno, non come me. Con Evergreen forse sì”.

Freed ridacchiò, ben sapendo che avrebbe dovuto scusarsi con lei ampiamente e subito, e che avrebbe dovuto impegnarsi molto per riconquistarsi la sua benevolenza. Cosa che ovviamente avrebbe fatto, perché Freed le voleva davvero bene, nonostante a volte fosse parecchio irritante e ficcanaso. Nonostante ciò, avrebbe anche messo in chiaro che non sopportava l’idea che qualcuno parlasse di lui alle sue spalle. Lo trovava troppo invadente.

“Posso… posso dirti una cosa che potrebbe essere fuori luogo?” chiese Laxus.

“Certo” acconsentì Freed aggrottando la fronte.

“Penso che dovresti trasferirti a Magnolia” disse Laxus velocemente e poi parlò di nuovo prima che Freed potesse elaborare le sue parole. “Non dico per sempre, ma almeno finché la casa non è finita. Hai già un posto dove stare, non ti costerà nulla, e penso che ti farebbe bene stare lontano da Era per qualche mese”.

“Vuoi… vuoi che io mi trasferisca a Magnolia?” ripeté Freed sorpreso.

“Lo so che preferiresti non parlarne, ma penso che questo sarebbe l’unico modo per accettare ciò che è successo a tua madre” continuò Laxus. Freed fece per parlare, ma Laxus lo precedette. “È chiaro che non vuoi compassione, ma so cosa significa perdere tua madre, so cosa significa quando tutti intorno a te si aspettano che ti comporti in un certo modo. Vogliono che tu ti senta triste perché se non sei triste significa che non stai soffrendo. La maggior parte della gente non lo capisce, ma io sì”.

Freed comprese. Le aspettative che gli altri riponevano in lui lo infastidivano da mesi.

“Quando è morta mia madre, facevo di tutto pur di non mostrarmi triste” sospirò Laxus. “In realtà non sapevo che diavolo fare, quindi cercavo di comportarmi come se non fosse accaduto nulla. Andavo a scuola, insultavo gli insegnanti, facevo a botte con gli altri bambini. Pensavo che andasse bene così perché facevo esattamente quello che avrei fatto di solito. Ma quando mi hanno cacciato, mi sono reso conto di ciò che ero diventato senza di lei. Non potevo fingere di essere lo stesso, dovevo farmene una ragione”.

“Quindi…” disse Freed dopo un momento di riflessione. “Tu credi che dovrei allontanarmi dalla mia vita di sempre per poter… accettare la sua morte. Ma questo non significherebbe fuggire dal problema?”

“Non stai fuggendo da niente. Non sei quel tipo di persona”. Freed percepì un sorriso nella voce di Laxus. “Significherebbe semplicemente abituarti alla persona che sei senza di lei, piuttosto che rimanere attaccato alla persona che eri prima”.

Freed rimase per un attimo in silenzio prima di lasciarsi sfuggire una risata. “La tua terapeuta era parecchio in gamba, eh?”

“Sì” concordò Laxus.

“Ma anche seccante” continuò Freed.

“Esattamente”. Laxus rise per poi parlare di nuovo. “Allora ci penserai?”.

“Sì”.

“Promettimelo”.

“Te lo prometto”.

“Bene”. Laxus sorrise. “Ora parliamo di come hai evitato di dirmi che il tipo della bancarella aveva un asciugamano”.

Freed si sentì così sollevato che avrebbe quasi potuto mettersi a piangere. Il suo rapporto con Laxus era finalmente tornato alla normalità.

 

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