You'll never be alone

di Clodie Swan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The beginning of the end ***
Capitolo 2: *** The Blue and Gold ***
Capitolo 3: *** Stand by me ***
Capitolo 4: *** She will be loved ***
Capitolo 5: *** Waiting for the rain ***
Capitolo 6: *** Tracks of my tears ***
Capitolo 7: *** In the arms of the Angel ***
Capitolo 8: *** Always ***
Capitolo 9: *** Scars ***
Capitolo 10: *** Where's my family gone ***
Capitolo 11: *** Romeo and Juliet ***
Capitolo 12: *** Wait for me to come home ***



Capitolo 1
*** The beginning of the end ***


Introduzione

Questa fan fiction è stata scritta in collaborazione con Daffodil, che si è occupata del POV di Jughead.

Entrambe siamo fan di Riverdale e della coppia Betty e Jughead. Abbiamo ritenuto che questi due personaggi avessero molto da dire e meritassero un approfondimento e così abbiamo deciso di descrivere i momenti che li portano ad innamorarsi. Cosa hanno provato i due ragazzi prima di quel bacio inaspettato? Abbiamo rispettato a grandi linee la trama della Prima Stagione, prendendoci qualche piccola libertà e cercando di conoscere meglio questa coppia.

Desidero ringraziare con tutto il cuore Daffodil per la cura che ha dedicato nel descrivere l'introverso Jughead ed i suoi affascinanti monologhi interiori.

Da parte mia ho cercato di esplorare la maturazione di Betty, mentre affronta i suoi problemi, lasciarsi alle spalle la sua cotta infantile per Archie e scoprendo un sentimento più forte e ricambiato per Jughead. Spero che vi diverta leggere questa fan fiction quanto noi ci siamo divertite a scriverla.


 


 

Capitolo 1

The beginning of the end
 

Everything looks darker
When you close your eyes
When you close your eyes

What were we thinking?
Back at the beginning
The beginning of the end

                                                                            Klergy e Valerie Broussard

 

POV BETTY
di Clodie Swan

Betty finì la frase sul suo diario e scrisse la parola “punto”. E non lo fece solo in senso letterale. Ormai aveva capito che era inutile sperare ancora, Archie non avrebbe corrisposto i suoi sentimenti, doveva farsene una ragione. Non gli era sfuggito come aveva guardato Veronica e anche se tra loro non c’era stato granché, lui non avrebbe mai guardato lei nello stesso modo. Almeno sarebbero rimasti amici, quello la consolava. Non avrebbe sopportato di perdere anche quello. Ora doveva fare altro, tenere la mente occupata e non c’era cosa più importante che di indagare sulla terribile morte di Jason. Il fidanzato di sua sorella. Doveva scoprire che cosa fosse accaduto veramente. Avrebbe riaperto il Blue and Gold e avrebbe fatto la giornalista investigativa. Le sarebbe servito un supporto ovviamente, qualcuno che sapesse scrivere, amasse i gialli e fosse interessato all’argomento. Le veniva in mente solo una persona…

 

POV JUGHEAD
di Daffodil

 

La gradinata del campo di football era fredda. Le ultime goccioline di pioggia stavano cadendo dalle nuvole plumbee. Sopra le montagne all'orizzonte uno squarcio di pallido celeste stava lottando per emergere. Erano più o meno due settimane che non si vedeva un raggio di sole e cominciava ad essere stufo di quel freddo che lo penetrava attraverso la camicia di flanella a scacchi, causandogli le mani fredde e dei brividi lungo la schiena. Il vassoio vuoto della mensa giaceva accanto a lui….
Dalle grandi cuffie che portava sulle orecchie usciva a tutto volume il sound inimitabile di The Beginning of the End di Klergy e Valerie Broussard, aveva bisogno di annullarsi, di dimenticare la sua vita, di sentirsi leggero e fluttuare in compagnia degli arpeggi elettrici.

Si era appollaiato nel suo posto preferito.

I Bulldogs non si stavano allenando, il campionato era ancora lontano sul calendario. Sulla verde erba curata giaceva solitaria ancora qualche lattina di birra: testimonianza del ballo del sabato passato. Il silenzio lo avvolgeva, mettendo in risalto la sua musica.
Era appena iniziato un nuovo anno scolastico e lui era già indolente: Archie era disperso non si sapeva bene dove, per tutta l’estate aveva fatto il misterioso, anche se qualcosa lui aveva subodorato, ma era troppo anche per quello che lui ancora considerava il suo migliore amico. Mantle e gli altri idioti non perdevano occasione per triturargli le palle in tutti i modi possibili.

E poi c’era lei...

Lei: la sola che catturava sempre i suoi occhi, che intravedeva anche in mezzo alla folla di studenti sovreccitati; lei con la sua iconica coda di cavallo, i colori pastello dei suoi vestiti e quegli occhi verdi che gli stritolavano il suo povero cuore. A Los Angeles era sbocciata come un fiore a primavera. Si passò la mano sul volto, imponendosi di smetterla con quei pensieri equivoci e che facevano male solo a lui. Nella tasca del giubbotto di jeans il suo cellulare emise una breve vibrazione….


 

 


 


 


 


 


 


 

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Capitolo 2
*** The Blue and Gold ***


Capitolo 2

The Blue and Gold

 

 

POV BETTY di Clodie Swan

Ciao Juggie, puoi raggiungermi a scuola, davanti alla vecchia redazione del giornalino? E´ importante. Baci. B.”

Betty scrisse il messaggio in fretta e si preparò ad uscire. L’idea dell’indagine la elettrizzava. Indossò sopra i jeans una dalle sue camicette preferite, rossa senza maniche, si ravvivò la coda di cavallo, mise un filo di lucidalabbra e con indosso delle comode ballerine bianche si diresse a scuola a passo spedito. Aveva già ricevuto la chiave dal preside che riteneva un’idea magnifica riaprire il Blue and Gold. Sarebbe stata una bella esperienza, si disse, utile per il curriculum scolastico, che sua madre avrebbe approvato, che soprattutto le avrebbe tenuto la mente occupata. Mentre raggiungeva la scalinata d’ingresso, si chiese se Jughead avrebbe accettato di partecipare.

Sapeva quanto fosse introverso il suo vecchio amico, e quanto detestasse l’ambiente ipocrita della Riverdale High – non che potesse biasimarlo visto il modo in cui lo trattavano – ma scriveva molto bene, era appassionato di gialli e l’idea di un’indagine forse avrebbe stuzzicato la sua curiosità. Gli avrebbe fatto bene uscire dal suo guscio, e lei avrebbe avuto una persona fidata su cui contare. Si conoscevano da quando erano bambini, da piccoli passavano tutte le loro giornate insieme: lei, Archie e Jughead.Erano stati felici…

La vecchia redazione era come se l’era immaginata. Le pareti ospitavano grandi librerie cariche di volumi e cassetti, i tavoli e le scrivanie erano coperti da teli bianchi che custodivano computer ormai obsoleti e vecchie macchine da scrivere. Bacheche vuote appese ai muri, sembravano aspettare appunti, articoli, ritagli di giornali, e quant’altro potesse scuotere l’immaginazione di giovani e intraprendenti giornalisti.

Betty amava le scartoffie e i libri, abituata com’era alla redazione del Register e ai pomeriggi passata nella vecchia biblioteca della cittadina, e con entusiasmo cominciò a togliere le vecchie lenzuola alzando un leggero velo di polvere.

Mentre era assorta nella visione del materiale a sua disposizione, sentì dei passi in avvicinamento.

“La carta stampata non era morta e sepolta?” disse una voce familiare.


 

POV JUGHEAD di Daffodil

Con nonchalance si appoggiò al cardine della porta e si prese un momento per guardarla.

La pelle chiara delle braccia, il sorriso dolce, la bocca rosa e invitante… quando nel messaggio aveva letto “baci” una scarica di pura elettricità aveva attraversato la sua intera colonna vertebrale, lasciandolo un momento disorientato e si era ritrovato a salire le scale a due a due.
La fissava parlargli, gesticolare, avvicinarsi a lui lenta e sinuosa…Gli era andato incontro, giocherellando con una vecchia lente di ingrandimento e cercando di essere a suo agio ma non era così. I suoi occhi non volevano staccarsi dalla bocca di lei, dal collo sottile, dalla pelle delicata dove brillava una piccola catenina; adorava la curva delle labbra quando pronunciava quel suo odiato soprannome, gli piaceva come gesticolava, come congiungeva le mani.
Aveva risposto più o meno a caso, sperando di non fare la figura dell’idiota, ma era completamente perso. Nell’ultima settimana, o meglio dalla sera del ballo, si era trovato a fare i conti con un dettaglio che prima aveva praticamente ignorato.

Erano sempre stati lui, Archie e Betty: in riva allo Sweet Water, in giro in bicicletta, nella casa sull’albero che Fred Andrews aveva costruito in giardino, al tavolo di Pop’s….
E poi, come nelle scontate commedie adolescenziali degli anni 80, era successo l’immaginabile: la principessa si era presa una cotta per il bell’eroe, dall’armatura lucente, interessato ad un’altra, e lo sfigato valletto, si era innamorato perso per la bella. La sua vita era sempre stata di un triste color grigio, priva di emozione, di una risata, di un po’ di calore… ma come per tutto c’era un’eccezione e quella era Elizabeth Cooper: la perfetta ragazza della porta accanto, la migliore amica, la migliore della classe, la ragazza più bella.

Quando era con lei il suo cuore bruciava, il suo sarcasmo diventava zucchero e si ritrovava a sorridere, a ridere sommessamente, ad arrossire ogni volta che lei lo sfiorava con un ardire che lo lasciava senza fiato.

Alle elementari adorava quando lo prendeva per mano per andare sul castello nel parco durante la ricreazione, o quando gli metteva in mano un libro perché leggesse per lei. Quasi ogni giorno lei condivideva la sua razione di biscotti al cioccolato che aveva in quella adorabile scatoletta di latta con il gattino bianco.

Una volta i suoi si erano dimenticati di lui, lasciandolo sotto la forte nevicata, lei, finita la lezione di pianoforte, lo aveva preso a braccetto, gli aveva avvolto intorno al collo una parte della lunga sciarpa e lo aveva trascinato fino alla station wagon di sua mamma e semplicemente aveva imposto la sua presenza ad un’Alice Cooper accigliata. Erano arrivati alla casa con la porta rossa dove avevano bevuto cioccolata calda e ciambelle, e la sera l’aveva passata a casa di Archie.
Le sorrise prima di prendere la porta: doveva rintracciare Doiley, il compagno gli metteva un po’ i brividi con quei discorsi ma avrebbe affrontato anche Jack Torrance di Shining per lei.
Lavorare al Blue and Gold significava: tempo, tanto tempo, tante chiacchiere, discorsi, congetture, tante cose da fare insieme, posti dove andare.
Nell’ultima mezz’ora, nel suo petto era germogliata la speranza, la felicità e "fanculo" anche Archie Andrews.


 

POV Betty di Clodie

Jughead non aveva mandato un SMS né le aveva telefonato: si era presentato direttamente. Betty sorrise pensando che era una cosa proprio da lui. Guardò l’amico, avvolto in un maglione scuro con il portatile a tracolla e l’immancabile berretto grigio dal bordo a stella. Non se lo toglieva mai. Jughead sembrava cresciuto durante l’estate: era più alto e più magro, nonostante il suo appetito vorace. Lui ed Archie avevano avuto una brutta rottura durante l’estate, ma si erano riappacificati.

Ricordava ancora con piacere la sera della partita di football, quando i due ragazzi si erano uniti a lei e a Veronica ad un tavolo del Pop’s. Quella sera si erano sentiti al sicuro, tutti e quattro, dimenticando per qualche ora la loro parte di problemi.

Jughead si mantenne sulla difensiva, giocherellando distrattamente con una lente, ed espresse sinceramente la sua perplessità per una collaborazione con il giornalino scolastico.

La Riverdale High esaltava lo sport - e lui non ne praticava nemmeno uno - gli eventi scolastici - e lui odiava le feste - la socializzazione - e lui aveva sempre avuto solo lei ad Archie come amici - lo spirito di gruppo - e lui veniva regolarmente bullizzato da Reggie e i suoi compari.

Quanto lo capiva! Anche se lei era inserita a scuola e partecipava a tutte le attività scolastiche, sapeva quanto potevano essere crudeli certi giovani della Riverdale e a parte Archie, Kevin e Jughead non aveva veri amici. “Avrei completa libertà?” le chiese guardandola sospettoso.

Betty temeva che il primo articolo di Jughead potesse intitolarsi “Diamo fuoco alla scuola.” Avrebbe dovuto aiutarlo a moderare il suo sarcasmo forse, almeno all’inizio. Ma dopo tutto era l’indagine la cosa che contava di più e lui col suo spirito di osservazione era la persona più adatta.

Betty gli fece lo sguardo dolce con cui da bambina gli aveva chiesto di insegnarle ad andare in bicicletta di nascosto. E come allora, lui non resistette. Il suo viso si addolcì in un sorriso.

“Ci sto.” acconsentì alla fine. Betty fu più entusiasta di quanto avesse immaginato. Non vedeva l’ora di mettersi al lavoro. Aveva già pronto un incarico per lui.

“C’è una persona che era sul fiume, ma di cui nessuno parla.” cominciò per affidargli l’incarico.

Jughead capì al volo. “Dilton Doley.” Senza convenevoli le fece un cenno di intesa e partì spedito.

Betty si rilassò soddisfatta. L’inizio era promettente, si chiedeva dove li avrebbe portati.


 

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Capitolo 3
*** Stand by me ***


Capitolo 3

Stand by me



When the night has come
And the land is dark
And the moon is the only light we'll see
No I won't be afraid
Oh, I won't be afraid
Just as long as you stand, stand by me

Ben E. King

 

POV JUGHEAD di Daffodil

 

Era sdraiato sulla sua brandina al drive-in, appoggiata sulla pancia aveva la copia sgualcita di Stagioni Diverse di King, e nella piccola stanzetta una voce di sottofondo leggeva le notizie dello stato.
Doveva finire i compiti di matematica e scrivere la relazione sulla vivisezione della rana ma non ne aveva nessuna voglia; non erano esattamente le sue materie preferite e poi la sua testa era altrove.

Si era perso più che volentieri a leggere le avventure dei quattro protagonisti di “Stand by me – Ricordo di un estate”. Era uno di quei racconti che conosceva a memoria, ma gli piaceva tanto ed era riuscito a procurarsi il film anche sul telefonino. Quando non riusciva a dormire, aveva una piccola scorta di video sul suo malandato Iphone che gli facevano compagnia. Tornando a Chris, Teddy e Vern, l’analogia con Archie era naturale.

Quante volte avevano scorrazzato nei sentieri che portavano al Canada, quante volte erano andati al laghetto dello Sweet Water... In una delle ultime occasioni c’era anche Betty, e non era il momento di soffermarsi a ricordarla in costume; era stata lei nel garage degli Andrews a staccare dalle loro schiene e dalle gambe quelle disgustose sanguisughe.
Gli era piaciuto un sacco sentire le sue mani piccole sul suo corpo quando applicava quella crema dall’odore nauseabondo. Aveva un tocco delicato, scivolava sulla sua pelle, si era soffermata sulle cicatrici senza dire nulla, gli aveva accarezzato la forma leggera dei pettorali e gli aveva sorriso. Lui aveva contato gli attrezzi da lavoro appesi al muro per cercare di distrarsi.

Doveva mandarle un messaggio per informarla di quello che non aveva appena scoperto, parlando con quel fissato di Dilton, ma forse prima poteva intercettare lo scout che gli aveva ammiccato.
A quell’ora la maggior parte degli studenti della Riverdale High si riversavano da Pop’s, quindi la probabilità di incontrarlo era alta.

Il beanie, la giacca con il pelo, gli anfibi ed ecco che era di nuovo fuori nelle strade con le pozzanghere, nelle raffiche di vento gelido. I lampioni lasciavano sinistre ombre sui marciapiedi, i fanali delle auto ricordavano i film dell’orrore degli anni 50. Si era sempre sentito a suo agio a scivolare nella notte, a diventare un ombra.
“Ciao Capo, sto andando da Pop’s per vedere se rintraccio uno degli scout… il nome è un dettaglio… ti faccio sapere.” E senza accorgersene aveva aggiunto uno smile con il cuoricino. Scosse la testa perplesso da sé stesso e attraversò il grande parcheggio del Diner.

E quindi Dilton Doiley aveva sparato quella mattina del 4 luglio. Non che la cosa lo stupisse… qualche giorno prima lo aveva annoiato con la la luna di sangue e altre assurdità, probabilmente confondeva realtà e qualche fesseria fantasy.

Quel paio di cucchiaiate di gelato e la ciliegina erano state una valida ricompensa. Dalla tasca interna estrasse un piccolo block notes malandato e rubando la penna sul registratore di cassa si mise a scrivere.

Era seduto al bancone con una tazza di caffè fumante, stava semplicemente scambiando due parole con Pop Tate, quando alle sue spalle la celeberrima campanella emise il suo consueto tintinnio e Betty Cooper fece la sua apparizione con una minigonna molto mini, una camicia senza maniche molto sbottonata, il reggiseno di pizzo rosa appena intravisto non sfuggì ai suoi occhi, e un rossetto rosso fuoco. Si mise a tossire perché il caffè gli andò due volte per traverso: era una visione! Nemmeno nei suoi sogni più arditi era riuscito a renderle giustizia! Si stropicciò gli occhi, lo aspettava la prima di lunghe notti insonni.

La scrutò ancheggiare fino al tavolo di Chuck Clayton. Quel suo nuovo modo di camminare gli causò non pochi problemi. Cosa poteva mai volere Betty da quel tipo?
Era a conoscenza delle chiacchiere che giravano e sfortunatamente lo aveva anche visto in azione. Un paio di volte gli era capitato di dover mettere la sua giacca sulle spalle di qualche povera sventurata abbandonata lungo il fiume o nelle prime strade del South Side e accompagnarla fino a casa. Non aveva mai voluto che si sapesse, non voleva ringraziamenti o manifestazioni pubbliche, si sentiva più a suo agio nell’anonimato, ma non tollerava l’arroganza e la maleducazione.

Prese la sua tazza e si lasciò cadere su uno dei divanetti in fondo al locale, dove Pop qualche volta lo lasciava dormire, ma in quel momento voleva solo assicurarsi che andasse tutto bene. La poteva vedere scuotere la celeberrima coda, piegare il collo in quel modo sensuale.

Chissà cosa stava architettando quella testolina frenetica?

L’aveva vista andarsene con un sorrisetto di trionfo dipinto sulla bocca. Le aveva lasciato un po' di margine, giusto che arrivasse a metà parcheggio e con un balzo silenzioso atterrava sull’asfalto e si mise a seguirla a debita distanza. Si sentiva come un segugio: seguiva la scia di quell’inconfondibile profumo, sapone di Marsiglia e rosa.

“Perché mi segui Jughead?” cavolo non si era accorto che lei si era nascosta dietro a una grossa quercia e gli aveva teso un’imboscata.

“Ti ho visto parlare con Clayton. Volevo solo essere sicuro che non ci fossero problemi”. Per fortuna era notte, altrimenti il semaforo rosso su Main Street sarebbe stato pallido a suo confronto.

“Grazie. Sei dolce” gli accarezzò la guancia con le labbra in un tocco fugace.

“Sul serio Betty, non fare cavolate. So dei messaggi che riguardano Veronica… stai attenta.” sinceramente della principessina di Park Avenue non gliene fregava nulla, ma non voleva che la sua bionda ci andasse di mezzo.

“Tranquillo mio cavaliere. Starò attenta”. I grandi occhi verdi gli stavano scrutando l’anima e si sentiva tremendamente a disagio.

Decise di raccontarle degli scout per dissipare l’imbarazzo.


 

POV Betty di Clodie Swan

“E così hai estorto l’informazione, rubandogli la ciliegina?” chiese Betty divertita mentre percorrevano insieme la strada fino ad Elm Street. Si accorse di come Jughead fosse diventato alto. Ormai la superava di ben dieci centimetri.

“Ed una cucchiaiata di gelato.” precisò Jughead camminando sorridendo con le man in tasca. Betty rise immaginando l’amico che intimidiva il giovane scout a colpi di cucchiaino. Il ragazzino doveva aver svuotato il sacco alla svelta per evitare che Jughead si mangiasse tutto il suo gelato. Ne sarebbe stato capace.

“Potrebbero usarlo come metodo negli interrogatori.” disse la ragazza provando ad immaginare la scena. “Su di te funzionerebbe.”

Jughead strinse gli occhi fingendosi offeso.“Assolutamente no: per me dovrebbero usare un cheeseburger, con patatine fritte.” ribatté Jughead serio, poi impostò la voce interpretando un presunto agente di polizia. “Parla Jones se vuoi rivedere il tuo panino tutto intero!” Betty scoppiò a ridere insieme a lui. Non aveva dubbi in merito.

“Quindi adesso qual’è la tua prossima mossa?” chiese tornando all’indagine.

“Raggiungerò Doiley al concerto cittadino e gli intimerò di venire domani al Blue and Gold.” disse Jughead. “Gli dirò di scegliere se dare la sua versione a noi o alla polizia.”

Betty rimase colpita, non faceva Jughead così intraprendente. “Credo proprio che ci farà una visitina se non vuole perdere il suo posto da capo scout.”convenne lei.

“Potremmo avere un vantaggio, rispetto alla polizia.” proseguì Jughead evidentemente preso dall’argomento. “Gli studenti parlerebbero più volentieri con noi che con loro.”

Betty non poté che essere d’accordo. “Ci sono cose su cui la polizia non può intervenire. E dobbiamo cavarcela da soli.”

Jughead aggrottò le sopracciglia preoccupato. “C’entra qualcosa con Clayton e lo scherzetto che ha fatto a Veronica?” La guardò dedicandole tutta la sua attenzione. La sua espressione concentrata lo faceva sembrare più grande.

“Non solo a Veronica ma a tante altre! Ed era molto amico di Jason. Avevano un libro in cui davano i voti alle ragazze con cui uscivano. Non deve passarla liscia.”

Jughead la guardò senza nascondere il proprio disgusto. “E´ orribile. Ma cosa pensi di fare?”

“Stai tranquillo, non sarò da sola. Io, Veronica ed Ethel lo metteremo alle strette più tardi e lo faremo confessare. Abbiamo un piano...” Betty concluse la frase con un sorrisetto furbo.

Jughead annuì senza fare domande ma sembrava impensierito. “Fate attenzione, in ogni caso.”

Si accorse di essere arrivata di fronte a casa sua. Sua madre e suo padre dovevano essere già usciti per andare al concerto e presto Veronica sarebbe venuta a prenderla per andare a casa di Ethel.

“Ti ringrazio di avermi accompagnata, Juggie. Ma adesso tornerai a casa da solo, a piedi.” Rimpianse di non potergli dare un passaggio.

“Ci sono abituato.” ripose lui tranquillamente. “E poi devo prima andare a torchiare Dilton.”

Betty gli sorrise e gli diede un bacio in guancia. “In bocca al lupo, allora. Ci vediamo domani in redazione.” si voltò sui gradini per guardare l’amico un’ultima volta prima di entrare. “Dirlo fa un certo effetto.” notò strappando a Jughead un sorriso complice. Quando sorrideva era molto più carino.


 

POV JUGHEAD di Daffodil
 

Lo stava uccidendo lentamente e gli andava bene: era una sublime agonia di cui non avrebbe più fatto a meno. I baci leggeri, le carezze fugaci, i messaggini: il suo era solo e semplice masochismo ma il sorriso che aveva stampato in faccia diceva tutt’altro.
Gli era piaciuto accompagnarla a casa, gli era piaciuto il sorriso complice che gli aveva rivolto e la certezza che il giorno dopo si sarebbero visti. Si sentiva come un cucciolo bisognoso di affetto e lei era sicuramente generosa.
Senza rendersene conto si era appostato sul soppalco della sala del municipio. Sotto i genitori si accapigliavano tra di loro. La signora Cooper aveva provocato Penelope Blossom ed erano dovuti intervenire i rispettivi mariti. Non soddisfatta Alice si era avvicinata ad Hermione e sicuramente la frecciata verteva sul pettegolezzo a scapito di Veronica. Quella donna era una guerrafondaia senza eguali in città, aveva sempre qualcosa di cattivo da dire.

Josie e le Pussycats erano salite sul palco. Personalmente non le sopportava granché, né come aspiranti artiste, né come ragazze, erano troppe appariscenti per i suoi gusti.
Chissà che stavano combinando Betty e quell’altra squinternata.
Oddio, Archie Andrews era ancora vivo! Non vedeva il suo amico da almeno una settimana e la sua promessa di chiacchiere e hamburger era andato nel dimenticatoio. Era totalmente inaffidabile, lo era sempre stato.
“Ho contribuito a scrivere questa canzone.”gli rivelò orgoglioso il rosso. Alla faccia della modesti,a fu il primo pensiero che si formulò nella sua mente.
“Non male!” gli mancava il suo amico quindi cercò per una volta di essere gentile.
Stava per andarsene, aveva visto Doiley aggirarsi verso l’uscita e non poteva mancare il suo incarico.
“Jug, come sta?” se gli avessero sparato in un ginocchio probabilmente il dolore sarebbe stato meno lancinante e non ci voleva un genio per capire a chi si riferisse. La cosa più fastidiosa era il tono sofferente. Betty era amica di entrambi e più di una volta, negli anni passati si erano rivolti quella domanda quando i cellulari non erano ancora un must have o quando Alice Cooper imponeva qualche assurda nuova regola alle figlie.
Avrebbe voluto fare il bastardo, infierire, perché sapeva come sarebbe finita così… lo sapeva da troppo tempo. Archie non era il tipo per gli impegni seri: in terza elementare aveva accettato di stare con Betty per due settimane, poi un pomeriggio di aprile si era dimenticato la promessa di prendere il gelato insieme a lei, al furgoncino vicino al fiume, lasciandola lì ad aspettare due ore perché Mantle lo aveva sfidato a football. Lui era capitato giusto in tempo per asciugare i lacrimoni che scorrevano sul dolce visetto della sua amica. Quel cono con quattro gusti gli era costato tutti i suoi risparmi ma era stato felice di spenderli per strapparle un sorriso. Il giorno dopo Pel di carota aveva fatto quella pagliacciata della proposta di matrimonio davanti a tutta la classe…. e quello stesso pomeriggio si era di nuovo dimenticato di lei. E lui era sempre lì, con il pacchetto di fazzoletti.


Distolse lo sguardo e rispose all’altro “Bene. Devo andare ho uno scout da torchiare.”Gli mancava la loro amicizia ma sentiva che qualcosa era andato perso irrimediabilmente.
Il suo migliore amico era famoso per la sua indecisione e non voleva che lei pagasse ancora questo tratto del carattere di Archie. I sentimenti erano una cosa delicata e cominciava a comprendere fin troppo bene cosa poteva provocare un amore non corrisposto. Aveva una paura fottuta di una parola impegnativa ed enorme come quella a cui aveva appena pensato ma era anche stupido mentire a sé stessi e lui si era ripromesso di non dire mai bugie.

Dilton Doiley era una di quelle persone false con cui non voleva avere a che fare. Lo aveva trovato sulla scala con una bottiglia di vino rosso rubata dal bar della festa. Aveva uno sguardo ostile, le spalle erano rigide e il suo modo di fissarlo da sopra gli occhiali, in teoria, doveva dargli un’aria minacciosa, come anche i suoi farneticanti discorsi di protezione. Sapeva di suo padre ma non riusciva del tutto a dispiacersi per lui e questo lo faceva sentire un po’ in colpa.

Era quasi sicuro di aver ottenuto l’obiettivo: il capo scout il giorno dopo si sarebbe presentato alla redazione. Era stato persuasivo e feroce. Aveva riversato sull’altro un po’ del nervosismo causato dal suo migliore amico ma andava bene.
Era stato fin troppo tra la gente per i suoi gusti. Scambiò due parole veloci con il signor Andrews, che premuroso gli si era avvicinato per chiedere come stesse, come andasse la scuola e se aveva voglia di passare qualche giorno a casa loro. Era sempre tanto buono quell’uomo e aveva sempre invidiato Archie per la fortuna sfacciata di avere un padre così.


Il cielo era coperto di nuvole, nero come la pece e non si potevano vedere le stelle, l’aria era gelida, la strada fino al drive in non era tanta, ma sentiva una strana inquietudine nello stomaco. Prese una scorciatoia per il parco pubblico e in meno di minuti era davanti alla villetta bianca con la porta cremisi.

La luce nella stanza di Betty era accesa e poteva vedere la sua ombra allungarsi sui muri. Tirò un sospiro di sollievo. “Missione compiuta! Ti aspetto domani in redazione… abbiamo un grizzly da domare. Stai bene?” inviò. Avrebbe voluto dirle che era felice, che questa loro follia di improvvisarsi investigatori lo elettrizzava, che passare il tempo con lei era una luce accecante nell’oscurità che era la sua vita, voleva dirle che gli piaceva, tanto e da troppo tempo… che la sua non era solo una cotta ma una promessa senza scadenza. Si limitò a mandarle il solito smile con il cuoricino, uno che dormiva e un cuore rosso.

 

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Capitolo 4
*** She will be loved ***


 

 

Capitolo 4

She will be loved

 

Tap on my window, knock on my door, I want to make you feel beautiful
I know I tend to get so insecure, it doesn't matter anymore
It's not always rainbows and butterflies, it's compromise that moves us along, yeah
My heart is full and my door's always open, you come anytime you want, yeah

I don't mind spending every day
Out on your corner in the pouring rain
Look for the girl with the broken smile
Ask her if she wants to stay a while
And she will be loved

                         Maroon 5


 

POV Betty di Clodie Swan

Betty arrivo prestissimo a scuola, quel giorno. Prima di tutto, doveva parlare con il preside e consegnargli le prove che aveva raccolto contro Clayton. Poi aveva un articolo da scrivere prima che arrivasse Jughead con Doiley. Scrisse di getto, sfogando tutta la rabbia che aveva contro quegli orribili individui, pensando a quelle povere ragazze diffamate che ora avrebbero avuto giustizia. Quando aveva visto il nome di sua sorella in quel libro, associato al nome di Jason, aveva cominciato a credere che lui potesse averle fatto ancora più male di quanto avesse creduto fino a quel momento.

Polly era finita in una clinica psichiatrica per depressione, non poteva trattarsi soltanto di una rottura. La cosa più strana era che lei aveva visto insieme Polly e Jason. Erano innamoratissimi. Non avevano mai litigato. Di punto in bianco lui l’aveva lasciata. E poi era morto.

Doveva scoprire cosa c’era sotto. A metà mattinata, Chuck e i suoi compari avevano svuotato gli armadietti e si stavano incamminando a testa bassa verso l’uscita, sotto lo sguardo severo degli altri alunni, specie delle ragazze. Betty pensò che la sospensione non fosse una punizione sufficiente, ma per ora non si poteva ottenere altro. Rabbrividì ripensando al momento in cui aveva quasi rischiato di affogarlo nella vasca idromassaggio di Ethel. Aveva davvero perso il controllo! I palmi delle mani le facevano ancora male per le piccole ferite che si era procurata. Quel giorno non si era truccata molto e aveva indossato appositamente una camicetta azzurra castigata. Il libro della vergogna era stato bruciato sotto gli occhi dispiaciuti di Cheryl - Cheryl Blossom che solo pochi giorni prima si era divertita ad umiliarla! - anch’ella sconvolta dagli ultimi misteriosi eventi legati alla morte di suo fratello.

Betty decise di tornare ad occuparsi dell’indagine proprio mentre sentì le voci di Jughead e Dilton avvicinarsi. Dopo la sfilata dei viscidi palestrati in corridoio, vedere il fisico asciutto di Jughead, avvolto nel suo solito maglione scuro, il viso pulito e familiare, fu una sorta di sollievo. Il suo amico aveva fatto un lavoro egregio al suo primo incarico, non si era arreso alla prima difficoltà e aveva convinto un potenziale testimone a collaborare. Era contenta di averlo ingaggiato.

Dilton si sedette nervoso come uno scolaretto mentre i due reporter lo fissavano dalla scrivania. Dopo qualche convenevole, il capo scout tirò fuori un dettaglio inaspettato: lungo il fiume, proprio nel punto dove Archie aveva ammesso di aver trascorso la fatidica mattinata del quattro luglio, Dilton aveva visto la macchina della signorina Grundy...Betty non ci mise molto a capire cosa potesse significare.

 

POV JUGHEAD di Daffodil

Nonostante tutti i loro recenti problemi, avrebbe fatto ogni cosa per proteggere Archie ma Dilton Doiley aveva appena aperto il vaso di Pandora e ora non c’era niente che qualcuno, avrebbe potuto fare per salvarlo. Quello fu il solo pensiero che riuscì a formulare non appena sentì i grandi occhi verdi puntati addosso e sapeva di essersi tradito nell’esatto momento in cui aveva leggermente incurvato le sopracciglia e serrato la mascella. Cazzo, era impossibile nascondere qualcosa a Betty.
Non voleva mentirle, non poteva farlo, ma non poteva nemmeno raccontarle la verità. Sarebbe stato meglio se avesse fatto lo sgambetto a Doiley la sera prima sulla imponente scala di marmo del municipio, bastavano una o due fratture scomposte, non erano necessari più gravi...
Quel viscido scout era sgusciato via senza nemmeno salutare, mentre loro ancora combattevano con gli sguardi, forse anche contento di essere riuscito a sviare l’attenzione dalla sua cavolata.

Quando era entrato a scuola, l’aveva scorta nella folla vicino all’armadietto, non gli erano sfuggite la pelle pallida, le occhiaie, le spalle leggermente ricurve e rigide, l’articolo sulla prima pagina del Blue and Gold giustificava l’aspetto perché sapeva quanto era meticolosa e pignola e in quelle righe l’aveva vista fiera e agguerrita. Aveva sentito Betty dire chiaramente a Veronica che non aveva chiuso occhio perché le ingiustizie subite dalla sorella e dalle altre ragazze la facevano soffrire e incazzare.

Era tutto così fottutamente sbagliato, non doveva venire a sapere in quel modo delle stupidate di Archie, di essere stata rifiutata per una bollita in calore solo perché probabilmente sapeva fare qualche giochino spinto. I secondi sembravano ore ed era solo questione di attimi prima che lei gli dicesse qualcosa.
“Tu lo sapevi?” chiese finalmente. Jughead inghiottì un paio di volte, per cercare di far ripartire il cervello che in quel momento era completamente andato ed era doloroso vedere lo sguardo duro che gli stava rivolgendo.
“E´pur sempre il mio migliore amico…” si rese conto da solo della cazzata perché giustificare Archie era sbagliato.

“Cos’è solidarietà maschile?” si era seduta sul davanzale dietro la grande scrivania di ciliegio ma era pronta a scappare. La vedeva lottare contro sé stessa per ricacciare indietro le lacrime, voleva mostrarsi forte, ma sapeva che stava soffrendo.

“Ho semplicemente fatto due più due: quest’estate l’ho visto scendere dalla macchina della Grundy scarmigliato, la sua improvvisa passione per la cassa acustica, il suo bidone proprio la mattina del 4 luglio e non averlo visto fino a sera. Archie non è tipo da stare ore seduto ad associare parole, a cercare rime e significati nascosti. Mi dispiace…” voleva aggiungere dell’altro, sentiva il bisogno di farlo ma non sapeva cosa dire. “Non c’è nessun patto di pararsi il culo, anzi quando l’ho visto in sala musica l’ho aspettato davanti a casa e gli volevo far saltare due denti perché sapevo cosa era successo al ballo.”

“Come fai a sapere sempre…” quella vocina che ricordava il miagolio di un gattino gli perforò il cuore.

“Siete i mie migliori amici e anche se per vari motivi ci siamo persi mi preoccupo sempre per quello che vi accade! E Archie è in cima alla mia lista dei pugni in faccia, visto che ti ha spezzato il cuore.” si era mosso, non sapeva nemmeno quando, vedeva la sua mano allungarsi verso il polso sottile di lei, sentì la consistenza della pelle morbida e calda appena la toccò con la sua mano gelida, il suo naso si riempì di mango e albicocca appena la strinse tra le braccia, se l’era praticamente tirata addosso. Non aveva capito come era successo ma bramava quel contatto da un sacco di tempo ed egoisticamente serviva più a lui che a lei.

Dopo un momento di incertezza Betty lo aveva stretto, le mani piccole aperte sulla schiena, la fronte contro la pelle del suo collo, il viso premuto sulla spalla.
Le lacrime di lei si intrufolavano sotto il bordo del suo maglione e gli scorrevano sul suo petto procurandogli dei brividi che piano piano si stavano ammassando nei lombi, non riusciva a rinunciare a quella nota di piacere. Stava diventando ingordo, l’averla vicina era qualcosa di incredibile e lui non riusciva a rinunciare, era solo questione di tempo prima che lei si rendesse conto di quel suo sentimento e che scappasse, ma poteva approfittare di quegli attimi. I cocci sarebbero stati solo suoi e se ne sarebbe preoccupato a tempo debito.

Sentire i capelli che gli solleticavano il naso, il calore di quel corpo da peccato, il profumo della pelle era una droga. Betty aveva smesso di tremare ma non si era staccata, anzi in quel momento era certo che stesse sorridendo. Lui si era seduto sul bordo della scrivania e se la stringeva al petto avvolgendola con le braccia e lasciando qualche leggero bacio tra i capelli biondi.

Aveva fatto una cosa del genere solo con sua sorella, prima che sparisse in Ohio.
La magia fu interrotta dal suo cellulare che si mise a suonare nella tasca posteriore dei jeans.
Cercò di trattenerla quando la vide scivolare via, ma il ghiaccio che si impadronì del suo corpo gli causò un dolore che gli spezzò il fiato.

“Pronto?” non conosceva il numero e questo gli creava sempre angoscia… suo padre era là fuori a capo di una gang e di lui non sapeva nulla.

“Jones...ti aspetto al Drive In tra 15 minuti!”. Quando mai il suo capo lo chiamava? Stava sicuramente accadendo qualcosa.

La bolla di illusione dove tutto poteva andare per il meglio, che aveva costruito intorno a loro in quegli ultimi minuti, era esplosa con una facilità disarmante e ora doveva fare i conto con la vita che era infinitamente più complessa.


 

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Capitolo 5
*** Waiting for the rain ***


Capitolo 5

Waiting for the rain


And I wanna try it
And I wanna light it up
I don't wanna hide it
I don't wanna light my stuff, oh no

I'm hanging by the fire
The flames are rising higher
I'm waiting for the rain
I'm hanging by the fire

                                      Andrew Cushing



POV Betty di Clodie Swan

Il povero Jughead non aveva ricevuto buone notizie: il Twilight Drive -in dove lavorava sarebbe presto stato demolito. La notizia non era così sorprendente visto che il posto era andato lentamente in rovina e gli spettatori erano sempre più rari. Lei stessa non ricordava più l’ultima volta che ci era andata. Però era un peccato: quel posto aveva un sapore anni Cinquanta, come il Pop’s, e faceva parte della storia di Riverdale. Capiva bene come si sentisse il suo amico cinefilo. Poverino, era stato così dolce con lei quando l’aveva consolata quella mattina ...Jughead aveva una rara sensibilità e meritava di meglio. Ultimamente non aveva altro che dispiaceri.

Gli mandò un messaggio per invitarlo da Pop’s insieme a Kevin e Veronica, e si infilò un maglioncino rosa con la sua catenina preferita. Passato il ciclone Clayton, la sua mente adesso era presa da Archie. Cosa stava combinando il suo amico? Gli aveva dato di volta il cervello?
Archie non era mai stato il tipo da cacciarsi nei guai. Era sempre stato il perfetto ragazzo della porta accanto. Cos’era una ribellione adolescenziale? Non sapeva cosa fare, come parlargliene e nemmeno cosa consigliargli. Non poteva chiedergli “Archie, hai una storia con la prof. di musica?” Sperava solo che il suo amico non finisse in guai ancora più grossi. Lo avrebbero sospeso come Clayton e i suoi compari? Archie non era quel tipo, non aveva fatto del male a nessuno. Se li avessero beccati, la professoressa Grundy rischiava la galera, ma lui poteva perdere la scuola. Giocarsi gli studi avrebbe compromesso il suo futuro. E anche se le aveva spezzato il cuore, Archie era sempre il bambino con le lentiggini che per quattordici anni l’aveva salutata dalla finestra della sua camera, aveva giocato con lei in giardino, si era fatto aiutare con i compiti in seconda elementare perché lei non voleva che lo bocciassero e finisse in un’altra classe.

Rimuginava su questo sorseggiando il suo frappè, mentre il povero Jughead seduto accanto a lei tirava giù la sua filippica sulla morte del Sogno Americano. Kevin e Veronica non sembravano molto impressionati dalla chiusura del Twilight, la sua amica in particolare lo riteneva un luogo ormai obsoleto. “Chi vuole vedere un film dalla macchina?”

Jughead sosteneva che il drive – in potesse attirare ancora degli spettatori, come gli amanti del cinema e delle automobili e chiese la sua approvazione. “Sei d’accordo, Betts?” Sentirlo usare il suo vecchio nomignolo la intenerì e decise di sostenerlo, per quanto la sua testa quel pomeriggio fosse altrove. “Assolutamente!”esclamò con poca convinzione. Quando passarono in rassegna i possibili titoli per l’ultima proiezione, Betty propose Gioventù Bruciata guadagnandosi uno sguardo di approvazione dal suo amico. Almeno lo aveva fatto sorridere.

Il buon umore sparì poco dopo non appena vide entrare nel locale Archie accompagnato da suo padre Fred e dalla signorina Grundy. Ma cosa stava succedendo? Adesso la presentava alla famiglia? Betty non riuscì a trattenersi e si alzò diretta al loro tavolo. “Betty, no.” tentò di dirle Jughead per trattenerla. Sapeva che non era una buona idea ma doveva fare quattro chiacchiere col suo amico. E sarebbe stato tutt'altro che piacevole. Si accorse a mala pena dello sguardo preoccupato di Jughead appoggiato alla finestra che li fissava nel parcheggio.


 

POV JUGHEAD di Daffodil
 

Aveva sentito il rombo di quella moto mentre scambiava due parole in croce con Kevin Keller mentre spiava dalla finestra Archie e Betty che parlavano animatamente. Gli si torceva lo stomaco a vederli insieme ma non gli stava prestando completamente attenzione, i suoi sensi erano all’erta per scorgere nel chiacchiericcio sommesso della tavola calda, una voce profonda e il rumore di vecchi stivali da cowboy con il tacco consumato. Dava le spalle alla porta e la curiosità era sempre stato il suo tallone d’Achille ma non voleva girarsi... Cosa diamine ci faceva lì? Il Pop’s non era propriamente nel suo territorio! Che stava accadendo in quel francobollo di città?
I titoli dei film, le citazioni di Quentin Tarantino erano cose di poco conto in quel momento, aveva la testa in confusione. Aveva cercato trattenere la perfetta ragazza della porta accanto ma senza risultato.

Era accasciato sul divanetto, a rubare anelli di cipolla dal piatto di Veronica, quando venne accecato dai fanali di una vecchia station wagon Mercury Colony Park che si fermò a pochi metri dalla bionda. Alice Cooper fece la sua apparizione nel parcheggio e da quel poco che poteva scorgere, l’espressione era abbastanza furiosa. Betty lanciò un ultimo sguardo a lui accennando un sorriso, anche attraverso il vetro e al buio, quegli occhi gli fecero tremare il cuore, guardò la sua nuova amica avvolta nella sua mantella nera e infine rivolse la sua attenzione al rosso… i suoi occhi erano tristi e pieni di comprensione.Si pizzicò il ponte del naso: era tutto troppo complicato. Non era da lui avere compagnia,o dover fare conversazione. Mollò Keller e i suoi dilemmi esistenziali, non ne aveva mai capito l’umorismo e delle volte lo trovava anche fastidiosamente eccessivo. Sul retro del locale intravide il riflesso dei lampioni nelle cromature di una Harley ‘n Davison d’annata, si appiattì maggiormente e sparì nella notte.
 

Il Ragnarok si stava facendo strada nell’oscurità, gli occhi gli bruciavano e praticamente non aveva dormito. Dopo la fuga dalla tavola calda si era rintanato nella sua stanzetta e aveva lavorato al computer per un tempo che gli pareva infinito, era stanco e infreddolito ma doveva tenere la testa occupata. Il mattino dopo, grazie alla finestra rotta al piano terra era riuscito a sgattaiolare a scuola per ultimare il suo progetto.

Gli isterismi di Archie da ragazzina in preda agli ormoni erano l’unica cosa che proprio non aveva voglia di sentire, quando se lo trovò davanti nel corridoio e si trovò costretto a dire una grande verità anche se era perfettamente consapevole che il suo amico non avrebbe colto: “Betty non farebbe mai nulla che potesse ferirti…” e stava per aggiungere “... non come te coglione che le hai spezzato il cuore” ma si trattenne, non aveva le energie per quella battaglia in quel momento. Stava distribuendo i volantini per salvare il drive-in come se ci fosse una qualche speranza, era tutto quello che restava della sua famiglia e non poteva perdere anche la sua casa lontano da casa, come aveva scritto sul suo computer.

La giornata a scuola fu lunga e difficile: Mantle e altri due cavernicoli lo presero di mira in biblioteca, Archie gli dava il tormento, a letteratura si era trovato accanto Cheryl con tutta la sua rabbia e in mensa aveva trovato solo frutta.
Lasciò cadere la testa sulle braccia mentre il telefono, nella tasca alta della sua giacca di jeans, riproduceva la dolce musica di Waiting for the rain… Era una canzone che le aveva sentito ascoltare quel pomeriggio che avevano ripulito la redazione e lui l’aveva fatta sua. Era dolce e in quel momento era la migliore compagnia a cui poteva aspirare, gli ricordava un pomeriggio in cui era stato fottutamente contento.

La luce rossa dell’orologio indicavano le 01.18 del mattino. Domani sarebbe stato sabato e lui non sapeva come trascorrere la giornata. Il giorno dopo sarebbe stato domenica e solitamente in quel giorno i figli stanno con i genitori, c’è il pranzo, si va in chiesa, si sta a casa, si parla e si fanno le cose insieme. La sua prospettiva era ben diversa.

Il suo zaino da montagna era pronto, tutti i suoi averi erano ripiegati con ordine. Quella era l’ultima notte che avrebbe trascorso nella baracca del custode. Aveva chiamato quelle lamiere casa per due mesi. La brandina sfondata aveva accolto il suo corpo, la coperta rossa lo aveva stretto in un abbraccio e consolato nei rari momenti in cui si lasciava andare alle lacrime e al senso di solitudine. Erano passati veloci quei mesi ma anche lentamente. Non era più lo stesso ragazzino che era entrato lì. La solitudine era un fardello pesante da portare, non avere quasi mai compagnia, il silenzio che lo schiacciava con sempre maggiore forza, il non poter scambiare due parole perché il castello di bugie che si era costruito intorno stava cedendo con una facilità disarmante.

Aveva scelto di sua spontanea volontà il ruolo di obiettore, di outsider ma in quel preciso momento voleva solo essere diverso.
Aveva avvolto tutte le pellicole, sistemato i macchinari e spento le luci alogene, aveva già fatto il giro di controllo due volte e tutto era perfettamente in ordine, anche se non aveva alcun senso. Gli operai del signor Andrews non avrebbero fatto caso alle cartacce sul prato, ne aveva la certezza. Doveva passare dal cantiere e scusarsi perché l’ultima volta che si erano visti era stato ingiusto e quel uomo dalle rughe sulla fronte e dagli occhi buoni c’era sempre stato e non si meritava proprio la sua maleducazione.

Si lasciò cadere sul materasso, il beanie al suo fianco, il cellulare tra le mani… voleva scrivere ad Archie perché lo aveva visto in seria difficoltà, ma non era proprio il momento giusto per elargire consigli; voleva scrivere alla sua bionda, anche se non sarebbe mai stata veramente sua, voleva averla lì anche solo per perdersi nei suoi occhi verdi e nella sua voce, ma c’erano troppe cose da spiegare e lui era alla deriva. Appena sarebbe sorto il sole avrebbe dovuto ricominciare ancora una volta… cazzo aveva 16 anni e doveva esserci qualcuno che si prendesse cura di lui, non poteva sempre cavarsela da solo in qualche modo, spettava anche a lui la felicità.

“So che è tardi e starai dormendo… scusa… domani vieni a fare colazione con me da Pop’s?” aveva cercato più volte di scrivere un altro testo ma aveva abbandonato l’idea, si doveva semplicemente accontentare. Poteva resistere a quelle ore che sembravano volerlo soffocare, forse sarebbe riuscito anche a schiacciare un pisolino.

Uno smile con un cuoricino apparve sullo schermo del telefono poco prima che gli occhi diventassero troppo pesanti e riuscisse a formulare la domanda “Cosa ci fa Betty sveglia a quest’ora?”

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Capitolo 6
*** Tracks of my tears ***



 

Capitolo 6

Tracks of my tears



So take a good look at my face
You'll see my smile looks out of place

If you look closer, it's easy to trace
The tracks of my tears

                                                             Smokey Robinson and the Miracles

POV Betty di Clodie Swan

 

Quel caffellatte schiumato caldo, era proprio quello che ci voleva. La mattina il Pop’s era ancora più accogliente, con quei pochi avventori intenti a leggere il giornale, il gradevole silenzio interrotto solo dal tintinnino di stoviglie e bicchieri e dalle note di Tracks of my tears. Il profumo di caffè appena fatto, di pancetta abbrustolita, di torte appena sfornate, faceva venire ancora più fame.

Sorrise a Jughead che si stava già divorando il suo sandwich al prosciutto e formaggio: preferiva il pasto salato anche la mattina. Lui ricambiò il sorriso con la bocca piena.

“Come è andata la serata di chiusura?” esordì Betty timidamente.

“E´ andata come doveva andare...alla fine ho deciso di proiettare Gioventù Bruciata” le raccontò con un filo di emozione. “La tua scelta mi è sembrata quella più… adatta.”

Betty gli sorrise sentendosi un pizzico onorata. Il Twilight Drive – In aveva fatto la sua degna conclusione con un film scelto da lei. Avrebbe potuto scriverci un articolo.

“Lo hai scelto perché ti senti un po’ James Dean?”ridacchiò Betty.

“Per la verità, mi sento un po’ un ribelle senza causa.” rispose Jughead “E il film alla fine parla della solitudine dei giovani, dell’incomunicabilità con i genitori, di una società in declino...più o meno le cose tornano.”

“Già.” concordò Betty facendosi seria. “Mi è dispiaciuto molto non essere venuta ma ieri è successo un disastro! Non immaginerai mai chi ha scoperto della tresca tra Archie e la signorina Grundy.”

Jughead sembrò piuttosto interessato agli ultimi sviluppi della faccenda: le ricerche su Internet, l’intervista alla Grundy, la perquisizione della sua auto, il suo sofferto passato, l’irruenta intromissione di Alice, impegnata in una crociata contro Archie, tutto aveva portato alla fine della love story tra il rosso e la professoressa, e infine all’inevitabile partenza di quest’ultima.

Jughead era rimasto senza parole. “E così sai aprire le auto in stile Mcgiver?”commentò alla fine con un sorriso ammirato. “E forzare le serrature delle cassette di sicurezza? I racconti di Nancy Drew hanno dati i loro frutti.”

Betty rise sollevata felice che il suo amico non la giudicasse. “Sono sicura che Archie si riprenderà. Ma avrà bisogno dei suoi spazi per un po’. Mi vergogno ancora troppo per come si è comportata mia madre.” Jughead in risposta le fece una lieve carezza sulla mano appena percettibile ma che le causò una strana emozione. Forse era solo sorpresa perché di solito lui era molto riservato con le ragazze. Eppure, solo pochi giorni prima, l’aveva perfino abbracciata. Sorrise al ricordo.

“Betty, non è stata colpa tua. Tu, in ogni modo sei stata leale con un tuo amico anche se aveva commesso uno sbaglio. L’importante è che tutto sia finito bene: la Grundy non andrà in galera, Archie ha avuto una bella batosta ma potrebbe mettere su giudizio. Forse...”

Betty annuì e rise, quando si accorse di un messaggio che lampeggiava sul display del suo cellulare. “Jug, mi ha scritto Kevin!” riferì sbalordita “Dice che ieri notte, a casa sua, qualcuno ha rubato tutte le prove raccolte dallo Sceriffo sull’omicidio di Jason Blossom!”

Jughead sgranò gli occhi. “A quanto pare sembra che dovremmo rituffarci nella nostra indagine, capo.”

 

POV JUGHEAD di Daffodil


Si era svegliato di soprassalto a causa di un sogno che lo aveva lasciato senza fiato e con un fastidioso problema, al quale non aveva prestato la minima attenzione. Era riuscito a farsi una doccia quasi gelata dietro alla vecchia cucina e aveva prestato un po’ più di attenzione a cosa indossava. I blue jeans sbiaditi e le bretelle nere sopra gli anfibi gli davano un’aria trasandata ma anche intrigante, non era vanitoso come i membri della squadra di football, non se lo poteva permettere in molti sensi, ma sperava che lei gli rivolgesse uno di quegli sguardi criptici in cui amava perdersi.

L’odore intenso della bomboletta spray, gli dette un piccolo capogiro. Non era un imbrattatore di muri, né un vandalo ma qualcosa in quel momento gli diceva che doveva lasciare la sua firma su quella parete. La sera prima era pervaso da pensieri non proprio piacevoli ma ora mentre sentiva i raggi del sole che gli scaldavano la schiena, sotto pelle scorreva una nuova energia.

Quando si era girato per andare da Pop’s ad aspettare Betty, era rimasto meravigliato di trovarsi davanti quell’uomo vestito di nero, con la mano nella tasca dei jeans neri attillati.

“Butteranno giù anche la baracca. Piazza pulita. Tutto il drive-in in discarica e noi con lui.” Il sorriso arrogante che gli aveva visto in faccia lo aveva fatto infuriare anche se difficilmente lasciava trasparire qualcosa.
“Magari metteranno via tutti i pezzi, li metteranno in una soffitta e lo ricostruiranno tra cent'anni chiedendosi chi eravamo…” La sua sciocca speranza era più che altro una frecciata, anche se non credeva che l’uomo davanti a lui fosse abbastanza sobrio per coglierla.
“Dove andrai?” lo aveva sentito preoccupato ma tutto quel teatrino era ipocrisia e non voleva farsi guastare l’umore.
“Ce la farò papà. Come sempre.” Aveva usato quell’appellativo apposta, perché voleva ricordare all’uomo il suo reale ruolo anche se temeva fosse una battaglia persa. Lo aveva superato attaccando la lingua al palato e serrando la mascella per non mostrare gli occhi lucidi.

Cazzarola… si era perso nel ricordo ancora troppo vivido di quella mattina e non stata ascoltando la bellissima ragazza davanti a lui, per fortuna il sandwich, che non ricordava di aver ordinato, gli concesse una via di fuga. Era lì con Betty e fanculo tutto il resto. Pop gli aveva concesso qualche giorno nel magazzino, quindi era apposto e lei meritava tutta la sua attenzione.

“Perché ti senti un po’ James Dean?” non poté non perdersi per un attimo in quegli occhi verdi, illuminati dal sole che entrava dalle vetrate e che era sicuro gli stessero leggendo l’anima.
“Per la verità mi sento un po’ un ribelle senza causa. E il film alla fine parla della solitudine dei giovani, dell’incomunicabilità con i genitori, di una società in declino...più o meno le cose tornano.” Ovviamente pensava anche a quello che stava accadendo in città, voleva in qualche modo alleggerire la conversazione, altrimenti rischiava di raccontarle tutto. Aveva bisogno di una parola dolce e sapeva che lei non glie l'avrebbe mai rifiutata, ma odiava la compassione.

“Già.” concordò Betty facendosi seria. “Mi è dispiaciuto molto non essere venuta ma ieri è successo un disastro! Non immaginerai mai chi ha scoperto della tresca tra Archie e la signorina Grundy.”

C’era sempre di mezzo quella zucca vuota del suo migliore amico. Buttò lì qualche domanda a caso, più per ascoltare la voce di lei che per reale interesse, per osservarle la bocca che si muoveva, per vederla mordersi il labbro con quella sensualità che lo mandava in estasi.

“Sono sicura che Archie si riprenderà. Ma avrà bisogno dei suoi spazi per un po’. Mi vergogno ancora troppo per come si è comportata mia madre.” Se sentiva ancora pronunciare quel nome probabilmente avrebbe perso la sua maschera di indifferenza. Per tranquillizzarsi le fece una carezza sul dorso della mano scivolando sulla sua pelle con i polpastrelli, tracciando linee immaginarie e cercando di mantenere il contatto più a lungo possibile. Sentì la mano tremare appena, forse si era spinto troppo oltre… ma le guance tinte di un quel tenue rosso lo fecero sentire così bene…

Il silenzio che li avvolse non era forzato, non era imbarazzato, era semplicemente un momento. Lui non sentiva il bisogno di parlare e sentiva gli occhi di lei che gli accarezzavano il volto, che osservavano le loro mani che si toccavano.
La magia fu interrotta da un messaggio, ma ad essere onesto gli andava bene anche così perché il groviglio che sentiva dentro non era ancora pronto a gestirlo.

“Jug, mi ha scritto Kevin: dice che ieri notte a casa sua qualcuno ha rubato tutte le prove raccolte dallo Sceriffo inerenti l’omicidio di Jason Blossom! Ci aspetta in redazione.”

“A quanto pare sembra che dovremmo rituffarci nella nostra indagine, capo.” Si alzò e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi prima di fermarsi davanti a Pop’s per saldare la consumazione e uscire nella luce del mattino.

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Capitolo 7
*** In the arms of the Angel ***


Capitolo 7

In the arms of the angel

 

Theres always some reason

To feel not good enough

And its hard at the end of the day

I need some distraction

Ohh beautiful release

Memories seep from my veins

Let me be empty

Oh and weightless and maybe

We'll find some peace tonight

                                                                                                                                                                   Sarah McLachlan

 

POV Betty di Clodie Swan

Betty quella sera rientrò a casa presto, ancora turbata dalla chiacchierata con Trevor.

L’ex migliore amico di Jason Blossom le aveva chiesto in modo timido e garbato se voleva andare a bere un milkshake con lui e la ragazza aveva colto la palla al balzo per potergli scucire qualche informazione utile. Si era messa un maglioncino rosa da educanda, sperando che il ragazzo capisse che per lei si trattava di una semplice uscita tra amici, ma non aveva avuto nulla da temere da quel punto di vista. Trevor non aveva una conversazione molto brillante ma era stato molto gentile e rispettoso. Quando avevano iniziato a parlare di Jason, di certo aveva mangiato la foglia, ma non si era infastidito, anzi sembrava sollevato di potersi confidare con qualcuno. L’aveva riaccompagnata senza chiederle un altro incontro e le aveva dato un semplice bacio in guancia. Betty aveva già avuto modo di apprezzare l’onestà di Trevor quando questi le aveva rivelato delle azioni vergognose di Chuck, e lo trovava anche carino, come tutti gli atleti, eppure non era riuscita ad interessarsi a lui. Né a nessun altro ragazzo, a dire la verità. Forse per via di Archie? Cominciava a stancarsi di pensare sempre a lui. Il rosso non aveva ancora finito di leccarsi le ferite per la Grundy, che già faceva gli occhi dolci a Valerie. La cosa non le diede particolarmente fastidio, però. Valerie era una brava ragazza e almeno aveva diciassette anni!

Forse per lei non era il momento di pensare alla vita sentimentale.

Hal aveva già cenato da solo ed era sceso in garage per dedicarsi al motore della sua auto. A Betty, che di solito si divertiva ad aiutare suo padre, sarebbe piaciuto mettersi dietro al cofano e non pensare ad altro che alle chiavi inglesi e ai pezzi di ricambio. Si sarebbero macchiati con l’olio del motore e avrebbero riso perché Alice non sarebbe stata lì a dirgli di stare lontani dai divani bianchi, finché non si fossero lavati le mani. Invece Betty doveva affrontare un argomento delicato quella sera, fargli le domande a cui Alice non voleva rispondere, sperando di ottenere qualche spiegazione. Aveva visto Hal irrigidirsi alla sua richiesta ma poi si era arreso e aveva finito per raccontarle del tentato suicidio di Polly. “Tua sorella è malata, Betty.” aveva sentenziato alla fine. “Non tornerà a casa finché non sarà guarita.”

Betty era salita in camera avvilita, aveva acceso la luce e si era vista nel riflesso della sua specchiera. La sua immagine quella sera non le piacque per niente. Una ragazza alta e magra, con i capelli biondi ben tirati in una coda Anni Cinquanta, vestita con un costoso maglioncino rosa a maniche corte con il colletto bianco inamidato. La perfetta brava ragazza. Una ragazza sola piuttosto! Che di perfetto non aveva nulla: il ragazzo che amava l’aveva respinta, i genitori erano ostili e diffidenti, sua sorella era lontana, affetta da un disturbo mentale, perché il suo ragazzo era morto. Non poteva ancora crederci! Polly le mancava tanto, era la sua migliore amica ed era sempre stata allegra e spensierata. Non poteva fare a meno di pensare che se non fosse andata a Los Angeles, quell’estate, avrebbe potuto restare vicino a sua sorella per consolarla e lei non si sarebbe lasciata sprofondare nella depressione.

La sola cosa che poteva fare per lei in quel momento era scoprire la verità sulla morte del suo ragazzo. Si mise un pigiama e si distese sul letto con un block notes e una matita, cercando di mettere insieme tutti gli elementi che aveva in mano. Accese lo stereo e mise In the arms of the Angel per rilassarsi. Forse c’era una persona con cui avrebbe potuto parlare, qualcuno che avrebbe potuto capirla. Si sentì già confortata mentre componeva il suo numero.

Gli lasciò un messaggio vocale. “Juggie, scusa per l’ora ma volevo chiederti se possiamo vederci domattina nella sala degli studenti. Devo aggiornarti su quello che ho scoperto ed ho bisogno del tuo parere. Buonanotte. Un bacio.”

Si distese e posò il taccuino ma prima che potesse spegnere la luce sentì un rumore dal piano di sotto. Sembrava la voce di...Polly? Non era possibile. Scese furtivamente a piedi nudi e sbirciò nel soggiorno. Hal era seduto sul tappeto davanti a dei vecchi filmati di famiglia in cui si vedeva Polly, bambina che rideva e giocava. Mentre guardava la pellicola suo padre sorrideva con gli occhi pieni di lacrime.

 

Pov Jughead di Daffodil

… Un bacio… un bacio… un bacio… aveva messo in loop il saluto finale del messaggio vocale.

La rabbia per l’appuntamento galante di Betty si era completamente dissipata e aveva aspettato per tutto il giorno un contatto da parte della sua bionda. Quella sera si era tenuto lontano dal diner perché non era certo della sua reazione a vederli insieme e ora era seduto su una vecchia poltrona di pelle nelle fondamenta della tavola calda, in compagnia di vecchi cartelloni, polvere e scatoloni di ingredienti per le meraviglie di Pop Tate, e si stava godendo quel messaggio indirizzato a lui...lo aveva cercato.
La voce di lei era turbata e triste, chissà cosa aveva scoperto da quel damerino fissato con la palla ovale. Si pizzicò il ponte del naso e strofinò anche gli occhi con le dita fredde. Giocò ancora un po’ con il telefono per riascoltare un altro migliaio di volte quel saluto finale e nel sonno sognò una bocca rosa dal sapore di milkshake alla vaniglia.

La mattina dopo arrivò a scuola prestissimo. Si era svegliato male per colpa del viaggio in cui lo aveva accompagnato Morfeo, ma la doccia gli aveva disteso i nervi. Aveva preso ciambelle e caffè caldi ed era andato nella sala studenti.
Lei indossava un maglioncino celeste sopra un paio di jeans e non riuscì a impedirsi di apprezzare come il denim le accarezzasse le lunghe e slanciate gambe e non solo quelle.
“Betty Mi dispiace. E´ dura lo so.” erano seduti uno di fronte all’altra e lui le aveva stretto le mani intrecciate nelle sue. Le sentiva tremare leggermente. Non gli piaceva sentirsi inutile.
“Ho chiesto a mio padre se potevo chiamare Polly. Ha detto che stava migliorando ma poi quando ha saputo di Jason ha avuto una regressione pazzesca e non vuole che succeda di nuovo.” Era facile percepire l’affetto incondizionato e genuino che aveva per la sorella.
“Perché uno ricco come lui avrebbe dovuto vendere droga?” Si era dovuto alzare perché il suo corpo voleva stringerla a sé, consolarla, farla stare meglio.
“Aveva in mente di andarsene. Di scappare di casa.” Poteva sentire i suoi dubbi ma l’ammirava per continuare a portare avanti quella conversazione difficile.
“Scappare di casa o dai trafficanti?” Purtroppo non aveva molti dubbi su chi poteva aver aiutato Blossom a improvvisarsi corriere.
“O mio Dio, è possibile?” Ogni tanto la sua genuina innocenza lo inteneriva. Lei non riusciva quasi mai a vedere il marcio nelle persone.
“E´una teoria. La tua è più verosimile. Ma perché scappare da mamma e papà?” non voleva fare il bastardo, quindi cercò di dissipare le ombre che aveva insinuato nella sua mente.
“Perché sono dei mostri!” Questo era l’insulto più offensivo a cui lei avrebbe saputo pensare.
“Si ma perché nello specifico?” Mancava qualcosa nel puzzle.
“Non puoi andare da loro a chiederglielo…” Sentiva che stava perdendo la pazienza e non era quello che voleva.
“Quindi dobbiamo chiederlo a Jason.” Probabilmente le stava facendo credere di essere impazzito ma non era così, voleva alleggerire l’atmosfera.
“E’ una seduta spiritica quella che suggerisci?” Solo l’espressione che gli aveva rivolto, era una valida ricompensa.
“No, i morti non raccontano storie… ma le loro stanze… le loro case…” Dopo qualche giorno ci sarebbe stata l’occasione perfetta. Si sorrisero complici… “Com’è andato il tuo appuntamento?” Ancora una volta il filtro cervello-bocca non aveva funzionato in modo corretto, porca miseria.
“Non è stato nulla di speciale… Trevor è gentile ma non ha una conversazione molto brillante e sicuramente non abbiamo granché in comune.” Aveva abbassato gli occhi e le sue guance avevano preso una strana sfumatura rossa. “...e poi Archie…” ma non aveva terminato la frase perché era suonata la campanella.
In un silenzio imbarazzato avevano buttato i bicchieri e i tovaglioli nei bidoni, raccattato le loro cose per la prima lezione. Vicino alla porta Betty si era girata di colpo, gli aveva buttato le braccia al collo e stretto in un breve abbraccio “Grazie Juggie, mi ha fatto bene parlare con te.” Stavolta il bacio era stato all’angolo della bocca. Non aveva avuto il tempo di pensare, dire o fare qualcosa che lei era già scappata a lezione.

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Capitolo 8
*** Always ***



Capitolo 8

Always


 

POV Betty di Clodie Swan

Thornhill, la tenuta dei Blossom poteva essere considerata, citando le parole di Jughead, la casa degli orrori della città, con tanto di cimitero privato nell’immenso giardino. Ma era anche la casa della famiglia più ricca di Riverdale che avrebbe invitato l'élite della società ed avrebbe preteso una cerimonia sontuosa. Di sicuro si sarebbero vestiti tutti in maniera impeccabile. Betty tirò fuori un abito nero dal taglio semplice e vi indossò sopra un giacca corta elegante. Veronica forse le avrebbe suggerito qualcosa di più sofisticato, ma dal momento che aveva passato la notte da Cheryl non era lì per consigliarla. E poi se voleva andare in giro per la villa ad indagare avrebbe fatto meglio a indossare qualcosa di poco vistoso. A tal proposito, disfò anche la solita coda di cavallo e tirò all’indietro i capelli trattenendoli sulla nuca con un fermaglio e lasciandoli sciolti sulle spalle.

Dovresti portarli più spesso sciolti” le diceva a volte Polly “Sono bellissimi.” Betty era convinta di non essere bella come sua sorella o Veronica. Polly aveva dei capelli lunghissimi e biondi, le piaceva spazzolarglieli la sera mentre chiacchieravano. Presa dalla nostalgia per sua sorella, non si accorse che qualcuno era entrato nella stanza.

“Pronta ad entrare nella tana del diavolo?” sentì chiedere all’improvviso dalla voce di Jughead.

Betty si girò e restò a bocca aperta. Per un attimo non lo riconobbe. Jughead indossava un completo scuro con una camicia bianca e una cravatta nera. Un abito sobrio che gli stava a pennello e esaltava la figura alta e snella del ragazzo. Non era statuario e muscoloso come Archie, Kevin o Trevor, ma aveva comunque un bel fisico. Era incredibilmente carino quel giorno. Betty lo guardò come un sorriso compiaciuto e di ammirazione. Lui si infilò le mani in tasca, stringendosi nelle spalle. “E´il meglio che ho potuto fare.” disse con semplicità.

Betty sorrise, sapendo quanto Jughead detestasse l’abbigliamento formale. Eppure ci guadagnava ad indossarlo. Mentre scendevano le scale si chiesa come mai Jughead non avesse la ragazza. Era carino. Era simpatico e sensibile. Aveva le sue idee anticonformiste, ma era intelligente, amava i libri e i film, era molto più maturo dei suoi coetanei. Forse non aveva trovato ancora quella giusta.

Quando arrivarono alla tenuta dei Blossom tutti, avevano già cominciato a prendere posto. Betty e Jughead salutarono i loro compagni di scuola e si sedettero vicini, nell’ultima fila. Archie fece dono a Penelope della maglia numero nove dei Riverdale Bulldog, che era appartenuta a Jason e poi tornò a sedersi tra Veronica e Valerie. Betty lo salutò brevemente, provando una certa soddisfazione nel trovarsi seduta anche lei accanto a qualcun altro che sembrava apprezzare la sua compagnia. Senza Jughead, probabilmente, non avrebbe trovato il coraggio di avventurarsi in cerca di indizi nella stanza di un ragazzo morto.

Il momento giusto per sgattaiolare di sopra si presentò quando, dopo l’elogio strappalacrime di Cheryl, la signora Blossom annunciò che era pronto un rinfresco e gli invitati cominciarono a sparpagliarsi per la casa. “Adesso.” bisbigliò Jughead chinandosi verso il suo orecchio. Betty trattenne il respiro e sgusciò via furtivamente insieme a lui, su per le scale.

Trovare la camera di Jason richiese del tempo, visto che nessuno dei due era mai stato in quella casa, ma una volta individuato il corridoio riservato alle stanze private dei Blossom, i due giovani si divisero sui due lati e aprirono ogni porta fino a quando Jughead non notò una camera piena di accessori sportivi e lo stemma della squadra di football appeso alla parete.

“Vieni Betty, deve essere questa.”le disse facendole un cenno con la mano.

Mentre si muovevano nell’ampia camera, chiedendosi dove cominciare a cercare, una figura emerse dall’ombra facendoli sussultare per la paura. Si trattava una donna anziana seduta sulla sedia a rotelle, dallo sguardo vitreo ed i lineamenti affilati: era a dir poco inquietante. Betty si rifugiò istintivamente contro il petto di Jughead che le posò una mano sulla spalla, in un gesto di protezione. La vecchietta avanzò verso di lei cercando di metterla a fuoco. Aveva i capelli bianchi con l’eccezione di una ciocca di colore rosso: doveva essere nonna Rose Blossom. Betty impaurita schiacciò ancora di più la schiena contro di Jughead. Se non ci fosse stato lui, sarebbe potuta svenire. Dov’era il suo sangue freddo da investigatrice?

“Polly!” gracchiò amabilmente l’anziana signora. “Che piacere rivederti!”

Nonna Rose non sembrava infastidita, né sorpresa dalla loro presenza in camera del nipote e invitò Betty ad avvicinarsi. Jughead con delicatezza la spinse in avanti per incoraggiarla. Betty si sedette sul letto di Jason per stare all’altezza della signora e cercò di reggere il gioco. La rivelazione di nonna Rose la lasciò senza parole: Polly e Jason si erano fidanzati la scorsa estate e volevano sposarsi. La nonnina aveva dato loro la sua benedizione regalando alla ragazza un anello di famiglia, cosa di cui i Blossom erano stati tenuti all’oscuro. Incapace di ascoltare altro Betty si alzò e corse via, sconvolta, seguita da Jughead.


 


POV JUGHEAD di Daffodil


La busta nera in cui c’era il cartoncino con i dettagli della cerimonia funebre era aperta su una scrivania anni 20 che aveva riesumato da un angolo del sotterraneo. La lampada Tiffany emanava una luce calda e delicata. Si sentiva un animale in gabbia. Non poteva presentarsi a casa Blossom in jeans e camicia a quadri, non se voleva passare inosservato e se per una volta voleva far parte del gruppo.

“Jughead?” la voce roca e profonda di Pop lo distrasse dalle meditazioni. Scattò in piedi dalla poltrona e si avvicinò alle scale. “Credo che tu abbia bisogno di un aiutino…” il vecchio signore teneva in mano un completo nero, con camicia bianca e cravatta, forse non proprio l’ultimo modello, ma dalla fattura impeccabile.
“Come...” era rimasto senza parole. Non riusciva nemmeno a pensare.
“Suppongo che tu debba accompagnare una certa signorina al funerale e non mi sembrava il caso di andarci impreparato.” Il sorriso che accentuava le rughe sul volto paffuto gli scaldarono il cuore.
“Hanno invitato anche altri compagni di scuola…” Era tremendamente in imbarazzo.
“Non dubito… ma lei vuole che sia tu ad essere al suo fianco in questo momento.” Gli occhi buoni dell’uomo dissero più delle parole.
“Non so cosa dire…” Rispose Jughead ed era sincero. Niente sarcasmo. Guardò l’uomo con un motto di affetto e gratitudine, nessuno era mai stato così attento con lui.
“Dai, preparati che è tardi!” Lo sollecitò Pop prima di riprendere la scala.


Nel piccolo bagno c’era un vecchio specchio, sufficiente per riflettere la sua immagine. Le converse nere forse non erano il massimo ma sempre meglio degli anfibi ed erano sicuramente più silenziose. In quel completo che profumava di fiori di campo e torta di mele fatta in casa si sentì stranamente più sicuro di sé, di avere una possibilità con la perfetta ragazza della porta accanto.
Nelle sue vene scorreva l'adrenalina.

Nella tasca dei pantaloni il suo cellulare vibrò brevemente. “Ho lasciato la porta della cucina aperta, entra pure. I miei sono già a Thornhill.” Un sorriso spontaneo si allargò sul volto. Lo stava aspettando. Salì gli scalini due a due.

La casa con la porta cremisi era avvolta nel silenzio quasi totale… si sentiva la voce di Chantal Kreviazuk che faceva le sue evoluzioni vocali sul ritornello di Leaving on a Jet Plane.

Conosceva quella canzone e anche il film, anche se era un blockbuster più vecchio di lui. Lo avevano guardato insieme ad Archie una piovosa domenica pomeriggio e lui si era trovato a passare kleenex a una disperata Betty quando il protagonista, Bruce Willis, si era sacrificato restando sull’asteroide.

Seguì la musica e rimase per un attimo dietro la porta socchiusa a spiarla attraverso il riflesso nello specchio. Indossava un vestitino nero, semplice, che le arrivava sopra il ginocchio, i collant erano leggeri e dietro c’era una sottile riga nera, come quelle che portavano negli Anni Quaranta le donne sofisticate. Gli era difficile staccare gli occhi, le accarezzò le gambe fino all’orlo del vestito e poi lasciò che l’immaginazione coprisse quello che non poteva vedere. Aveva lasciato i capelli sciolti e si era truccata un po’ più del solito. Lentamente con la mano spinse la porta ed entrò. Incrociarono subito lo sguardo attraverso lo specchio e Betty si girò di scatto.

Non poté evitare al suo corpo di reagire mentre lei lo squadrò da testa ai piedi e per evitare una figuraccia infilò le mani nelle tasche.
Gli piaceva quello che vedeva nelle iridi verdi ma per stemperare l’atmosfera si lasciò sfuggire “E´ il meglio che sono riuscito a fare”... sentì il pomo d'Adamo grattare in gola, aveva la bocca secca e il desiderio di affondare le mani in quelle onde bionde era più bruciante che mai.

Una volta in strada le aprì lo sportello del vecchio e malandato pick up che era andato a recuperare a casa, tanto suo padre difficilmente lo guidava. Il viaggio fu silenzioso, in sottofondo le dolcissime parole di Bullet di Ann Marr trasmesse dal suo telefono.

I cancelli della casa degli orrori si stagliavano davanti a loro. Si guardarono per un attimo, lui le prese la mano stringendola nella sua ed entrarono. Presero posto in fondo, dietro agli altri ragazzi, Betty si guardava intorno, la fronte segnata da un’espressione concentrata e forse anche preoccupata, l’aveva vista seguire con gli occhi il gesto di Archie, e non era riuscito a trattenersi da prenderle ancora la mano, voleva rassicurarla.

“Adesso.” le bisbigliò chinandosi verso il suo orecchio. Betty trattenne il respiro e sgusciò via furtivamente insieme a lui, su per le scale.

Trovare la camera di Jason richiese del tempo, visto che nessuno dei due era mai stato in quella casa, ma una volta individuato il corridoio riservato alle stanze private dei Blossom, si divisero sui due lati e aprirono ogni porta fino a quando lui non notò una camera piena di accessori sportivi e lo stemma della squadra di football appeso alla parete.

“Vieni Betty, deve essere questa.” le disse facendole un cenno con la mano.

Mentre si muovevano nell’ampia camera, chiedendosi dove cominciare a cercare, una figura emerse dall’ombra facendoli sussultare per la paura. Betty si rifugiò istintivamente contro di lui, che le posò la mano sulla spalla e una sul fianco in un gesto di protezione. Il profumo dei suoi capelli gli invase le narici, stordendolo un momento.

La vecchietta avanzò sulla sedia rotelle esigendo fin da subito l’attenzione di Betty che si trovò costretta a fingersi Polly. Prima di avvicinarsi, la ragazza si schiacciò ancora di più con la schiena contro il suo petto. In un altro momento sarebbe stato tutto molto eccitante, sentire il suo sedere in un punto particolare, i capelli che gli solleticavano il naso, il collo a portata della sua bocca… chiuse gli occhi un attimo per scacciare quei pensieri e cercò di rassicurarla stringendo la sua mano sulla spalla.

La matriarca dei Blossom aveva un modo un po’ particolare di esprimersi, quasi per indovinelli e metafore, ma le rivelazioni furono piuttosto pesanti, tanto che Betty corse fuori dalla stanza. La seguì a ruota giù per la grande scala di legno e riuscì ad afferrarla solo una volta che furono in giardino.
Il viso era una maschera di sofferenza, le lacrime si rincorrevano veloci lungo le guance pallide e dalle labbra usciva un respiro affannato e sofferto.

Non l’aveva mai vista così disperata. Nemmeno quella volta al campo di football quando si era rivoltata contro Archie poco dopo il ballo di inizio anno. Non sapeva bene cosa fare: non era sicuramente il momento per il suo sarcasmo, né per un’analisi oggettiva di quanto scoperto.
Se la tirò addosso e la tenne così stretta, che a un certo punto ebbe paura di farle male.

Sul viaggio di ritorno la scassata radio del pick up, l’abitacolo fu riempito dalle inconfondibili note di Always dei Bon Jovi…
And I will love you, baby – Always
And I'll be there forever and a day – Always
I'll be there till the stars don't shine
Till the heavens burst and
The words don't rhyme
And I know when I die, you'll be on my mind
And I'll love you – Always


La musica ultimamente non gli era molto d’aiuto, accostò al marciapiede davanti alla villetta e rimase lì con lei in silenzio.
“Jug… forse è il caso che parli con mio padre. Le storie non coincidono. Posso chiamarti più tardi?”. Teneva gli occhi bassi sulle sue mani strette in grembo. Era talmente tesa che le nocche erano diventate bianche.
Voleva toccarla ancora ma non gli sembrò opportuno. “Betty puoi chiamarmi tutte le volte che vuoi e quando vuoi.” Le rivolse un sorriso gentile.
Le aprì, la scortò fino alla porta e accettò l’abbraccio e il bacio sulla guancia da parte di lei.

Risalito in macchina aspettò un po’ prima di prendere la direzione del Pop’s.
Il locale era quasi vuoto, Pop Tate era dietro il bancone e aveva le dita affondate nei capelli. “Ciao…” lo salutò ma capì subito che c’era qualcosa che non andava.
“Juggie…” non lo chiamava mai così. “Mi dispiace veramente ma non posso più ospitarti.” Capì senza difficoltà che quelle parole gli pesavano parecchio e capì anche perché l’uomo le aveva pronunciate senza guardarlo in volto.

“E´ venuto di persona o ha mandato uno dei suoi uomini?” Aveva già imboccato la strada per il sotterraneo.
“E´venuto lui…” La voce era strozzata e si percepiva tutto il dispiacere.
“Tranquillo Pop, sono fuori in cinque minuti.” E ora dove cazzo andava?

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Capitolo 9
*** Scars ***


Capitolo 9

Scars

We lived through scars this time
But I've made up my mind
We can't leave us behind anymore

Your hands are cold,
Your lips are turning blue, you're shaking
This fragile heart,
So heavy in my chest, it's breaking
And in the dark, you try to make a pay phone call to me

                                                                            James Bay



POV Betty di Clodie Swan

Il giorno seguente, riesaminare le prove che avevano in mano fu alquanto penoso. Betty si accorse con sgomento che gli indizi raccolti fino a quel momento puntavano contro suo padre: la sorella sparita all’improvviso, i genitori che si erano rifiutati di entrare nei dettagli, la vecchia faida familiare tra Blossom e Cooper, il fidanzamento segreto tra Polly e Jason. E infine un nuovo dettaglio che le balenò in mente. “Jughead, la persona che ha rubato i documenti dello sceriffo, non era al drive – in quella sera. E mio padre non c’era. Non so nemmeno dove fosse.”

Jughead aveva condiviso i suoi sospetti e aveva scritto il nome dei Cooper su un foglietto destinato alla bacheca. Lo aveva posato nelle sue mani lasciando a lei la scelta se appenderlo o no. Betty fu grata per i modi delicati di Jughead, per la sua silenziosa comprensione, e ancora una volta fu fiera di averlo coinvolto. Finalmente si decise e appese il nome della sua famiglia insieme agli altri sospettati. Voleva sapere la verità, a qualsiasi costo.

“Dobbiamo parlare con Polly.” osservò Jughead. Betty annuì e abbassò lo sguardo sulla sua maglietta celeste. Era stata sua sorella a regalargliela. Il corpetto era in tessuto mentre le maniche corte e la scollatura erano in pizzo e le disegnava una scollatura a cuore. “Ti sta benissimo, Betty” le aveva detto Polly. “Se Archie non riesce a vedere quanto sei bella, lascialo perdere. Il ragazzo giusto un giorno ti guarderà adorante...” Betty arrossiva quando le diceva certe cose. Aveva davvero bisogno di rivedere sua sorella, non solo per sapere la verità, ma perché le mancava tanto. Sua madre le aveva ripetuto che non era possibile parlare con lei per non turbarla, finché non si fosse ristabilita. Ma era vero?

“Dobbiamo scoprire dove l’hanno mandata i miei genitori. E mi servirà il tuo aiuto, Juggie.” propose Betty risoluta.

“Ma certo, conta pure su di me.” rispose lui senza esitare. Betty gli sorrise riconoscente.

“Domani mattina, verrai a colazione a casa mia. Tu mi aiuterai a distrarre mia madre. Fingerai di andare in bagno o qualcosa del genere. Io fingerò di mostrarti dove si trova e vedrai che insisterà per accompagnarti di persona. Non mi lascerebbe mai sola con un ragazzo per cinque minuti. Pensa che siano tutti dei maniaci sessuali...” Jughead ridacchiò rosso in viso.

“Ed in quei cinque minuti, frugherò nella sua borsa. Lì tiene tutto: l’agenda, il libretto degli assegni. Di sicuro ci sarà il nome della clinica o dell’istituto dove hanno fatto internare Polly.” Internare. Quella parola le diede i brividi.

“Non si accorgerà se manca qualcosa?” chiese Jughead perplesso.

“Non porterò via nulla: fotograferò tutto con il cellulare. Ho fatto lo stesso trucchetto a Los Angeles.” spiegò orgogliosa Betty . “Una collega invidiosa mi ha fatto sparire un articolo per ripicca. Ma io ho fotografato il suo badge con la sua password per entrare nel sistema e l’ho beccata.”

“Caspita! Quante cose hai imparato in quello stage?” commentò lui ammirato.

Betty rise. Il suo umore migliorava sempre quando Jughead era nei paraggi.


POV JUGHEAD di Daffodil

Era lì, da quasi dieci minuti ma non aveva ancora avuto il coraggio di suonare il campanello. Alice Cooper lo aveva sempre messo in ansia e nei suoi grandi occhi non aveva mai visto un accenno di comprensione, di fiducia, di rispetto. Era come se lo ritenesse colpevole di qualcosa di enorme, ma lui non aveva mai fatto nulla, almeno consapevolmente.
Trasse un profondo respiro e prese il telefono dalla tasca dei jeans: “Se tua mamma mi mangia vivo, sappi che ti volevo bene!” Lo inviò nell’istante in cui le sue nocche si abbatterono sul legno verniciato di rosso.
Appena la vide sulle scale, con quel sorriso dolce, capì che aveva letto il suo messaggio e che mentalmente gli stava comunicando il suo sostegno. Sapeva di avere gli occhi a forma di cuore: lei era veramente stupenda, sia per i vestiti che le accarezzavano il corpo come una seconda pelle, sia per quella determinazione che l’avvolgeva.

“Il Mastino” aveva provato a fargli qualche domanda, aveva fatto non poche insinuazioni e lo aveva praticamente vivisezionato, provocandogli un brivido e la chiusura ermetica dello stomaco, a stento stava riuscendo a buttare giù un po’ di succo di frutta. Betty aveva cercato di difenderlo e rispondere con lo stesso cipiglio, ma sembrava che alla donna scorresse tutto addosso.
Il più gentilmente possibile, nascondendo il disagio, dopo un ultimo scambio di sguardi chiese: “Scusate, potrei usare il bagno?” Come aveva previsto Betty si era trovato a seguire il maglioncino violetto e la permanente fresca di Alice Cooper. La madre di Betty aveva un fastidioso odore dolciastro addosso, molto marcato.
“Ascoltami Jones, smettila di ronzare intorno a mia figlia!” esordì la donna bruscamente “Vi conosco anche troppo bene. Non ti voglio più vedere, chiaro?” Si era fermato giusto in tempo prima di sbatterle contro e l’indice puntato contro il suo naso lo fece inghiottire a vuoto.
“Siamo solo colleghi al giornale… e amici da quando eravamo bambini.” Non era un grande attore ma sperava di essere sufficientemente convincente. Non aveva nessuna intenzione di farsi intimidire, o peggio, farsi portar via la sua luce da quella strega incattivita dalla vita.
Alice gli aprì la porta senza battere ciglio, e tirò un sospiro quando sentì i suoi tacchi che giravano sul pavimento di tek per tornare verso la sala da pranzo. Gli era arrivato un messaggio da Betty, una manina con il pollice alzato e uno smile con gli occhietti a stella.
Si sciacquò le mani, solo per poter sentire l’acqua e tornò indietro.

Quella mattina il cielo era coperto di nuvole grigio chiaro e tutta l’atmosfera sembrava ancora più pressante, era quasi difficile trarre un semplice respiro.
Lasciarono la villetta quasi in silenzio e camminarono veloci vicini ma senza sfiorarsi fino all’angolo in fondo alla strada, quando lei gli prese la mano e lo fissò.
“Lo so, mia madre è pazza. Non farci eccessivo caso, ok?” Betty aveva i palmi ampi ma le dita erano piccole e sottili. Quella mattina le unghie erano di delizioso color ciliegia e quel contatto gli provocò un brivido perché la differenza tra di loro era eclatante: le sue mani erano ghiacciate, quelle di lei bollenti.
Se lei faceva un pugno, lui poteva avvolgerlo completamente. Quella era solo l’ennesima cosa che odiava di se stesso, gli erano sempre parse così tremendamente sgraziate.

Oltrepassarono il portone della scuola e lui le mostrò la scorciatoia che usava per arrivare direttamente in redazione.
Betty si tolse il trench grigio e il golfino bianco, rimanendo solo con una canottiera di raso color ambra. Le spalline sottili solcavano la sua pelle chiara, andando a incrociarsi sulla schiena… la stoffa accarezzava le curve, marcandole e costringendo i suoi occhi a non staccarsi dal dall’accenno di pizzo del reggiseno o dalla scollatura.
“Le Suore della Mansueta Provvidenza”... Inghiottì a vuoto quando lei gli si mise alle spalle per poter leggere i risultati della ricerca al PC. Sentiva il suo fiato sul collo, gli aveva sfiorato le spalle e non voleva sapere esattamente quale parte del corpo di lei era entrato in contatto con il suo, anche se aveva un’idea piuttosto precisa.

“Povera Polly...” sussurrò addolorata Betty. Ascoltare quel tono affranto fu un pugno nello stomaco.

Quella era la mattina più orrenda dell’intero orario scolastico perché non avevano nemmeno un corso insieme, la vide allontanarsi da lui lentamente e con le spalle curve. Gli aveva rivolto un sorriso che non aveva raggiunto gli occhi e lasciato con il solito bacio sulla guancia ma non c’era lo stesso calore.
“Ci vediamo in giardino a pranzo.” Il professore stava parlando di logaritmi ed esponenziali e lui era totalmente perso. Affianco a lui Archie continuava a emettere gemiti e sospiri ma in quel momento non gliene importava molto. La campanella segnò l’ultima ora di tortura… forse sarebbe sopravvissuto.
I minuti sull’orologio alle spalle della cattedra passavano con una lentezza assurda e lui stava perdendo la pazienza. Solitamente partecipava a letteratura, forse era l’unica occasione in cui si sentiva la sua voce rimbalzare nell’aula. In quei giorni parlavano di Hemingway e a lui piaceva tanto, sapeva anche alcuni passaggi a memoria e spesso si trovava in mano quei romanzi così evocativi… c’era una frase, sempre riportata sul retro di copertina del suo quaderno degli appunti: “Tutte le cose veramente malvagie nascono da un atto innocente” e in quel momento l’insegnante parlava proprio di Festa Mobile ma lui voleva solo che smettesse e li lasciasse uscire.

Il sole tiepido e pallido accarezzava il volto di Betty, dando una luce speciale alla sua pelle, le punte della coda si muovevano alla leggera brezza. Erano seduti uno accanto all’altro, le loro iridi erano connesse tra di loro ed era palese che ardevano di una nuova energia.
“Di che state parlando? Posso fare qualcosa?” Prima di rispondere ad Archie finì di inghiottire le tortillas che aveva preso in mensa. Avrebbe mangiato un bisonte da quanto era nervoso perché non aveva idea di cosa aspettarsi dal discorso che stavano facendo.

“Quella che rischiamo, è un’operazione invisibile, Archie. Se ci andiamo con tutta la gang di Scooby, addio invisibilità…” Aveva perfettamente colto lo sguardo del suo migliore amico. Aveva percepito chiaramente il sospetto per quella vicinanza, ultimamente gli aveva chiesto troppe volte cosa facesse con Betty e perché, e non ci voleva un genio a capire che al rosso dava fastidio, anche se era conteso tra Veronica e Valerie. Per fortuna la biondina portò l’attenzione su un altro argomento… lanciandogli però uno sguardo di sottecchi.

Non gli piaceva avere in giro tutta quella gente ma la coscia di lei premuta contro la sua era una più che valida ricompensa per sopportare il mondo esterno, almeno fino a che non si trovarono di nuovo da soli su Main Street.
Lei al chioschetto prese due caffè e due ciambelle e imboccarono la strada verso casa.
“Allora domani mattina ci vediamo alla stazione dei pullman?” Betty gli rivolse quel sorriso che gli faceva fermare il cuore. Porca puttana invece che passargli, ogni giorno quella cotta diventava sempre più ingestibile.
“Sei sicura Betty?” chiese nascondendosi dietro alla tazza.
“Assolutamente. Voglio vedere Polly!!” Il tono non trasmetteva insicurezza. E poteva anche capirla, non passava giorno senza che provasse una bruciante nostalgia per sua sorella.
“Ok, come vuoi tu. Ti passo a prendere?” il famoso filtro… si stava mettendo nei pasticci da solo...
“Ci vediamo direttamente alla stazione, ma ti mando un messaggio. Devo prima affrontare il post colazione…” e gli scoccò un’altra occhiata eloquente.

Gli scappò una sonora risata. Ormai era quasi buio, la salutò ai tre gradini di pietra che portavano al giardino davanti alla villetta… la seguì con gli occhi finché lei dopo un ultimo sorriso non scomparve dentro casa.
Sospirò, lo aspettavano uno sgabuzzino nel sottoscala e un sacco a pelo, ma non aveva trovato di meglio, la sola cosa che gli rischiarava la serata era l’attesa del messaggio promesso.

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Capitolo 10
*** Where's my family gone ***


Capitolo 10

Where's My Family Gone


 

I close my eyes there's no one there
I open wide to show I care
But I can't take much of this, you know
But it's gonna take more than this, for sure

And I wanna know, what went wrong
And I wanna know, where's my family gone.

                                                             Andrew Cushing

POV Betty di Clodie Swan

Mentre si avviava verso la fermata dell’autobus, Betty ripensò alle chiamate perse da parte di Polly che aveva trovato sul suo cellulare durante l’estate e si accorse che sua sorella l’aveva chiamata diverse volte proprio il giorno del suo presunto ricovero. In quei giorni si era chiesta se sua sorella non avesse tentato di chiedere il suo aiuto. E lei,invece, era stata completamente assorbita da quello stupido stage, a scrivere articoli sulla carta da parati rimovibile! Cercò di scrollarsi quegli inutili rimpianti e mandò un messaggio a Jughead per dirgli che stava arrivando.

Quando presero posto sul pullman tra loro calò uno strano silenzio. Di solito trovava sempre argomenti su cui chiacchierare con Jughead, ma forse l’ansia aveva avuto la meglio quel giorno. “Insomma, Jughead,” disse ad un tratto per spezzare la tensione. “Stai già cercando un altro lavoro dopo il drive -in?”

Lui fece un sospiro. “Per ora no. Ha alcune cose da sistemare.”Rimase in silenzio poi aggiunse “A casa ci sono stati dei problemi...”

Betty si scoprì più interessata di quanto pensasse. “Mi dispiace. Niente di grave, spero?”

Jughead esitò, poi decise di confidarsi. “I miei non andavano molto d’accordo ultimamente e mia madre è andata dai nonni per un po’ con mia sorella.” Quando nominò la parola sorella la sua voce s’incrinò. Il ragazzo si voltò a guardare fuori, posando la testa contro il finestrino. In quella posa, sembrava il soggetto ideale per un ritratto. Betty notò che aveva dei lineamenti molto belli.

Si sentì addolorata per lui. Jughead era sempre così solo. “Mi dispiace, Juggie.” Voleva aggiungere qualcos’altro ma preferì accarezzargli il dorso della mano per confortarlo. Sentiva di capirlo. Anche a casa sua le cose con i genitori andavano sempre peggio. E anche lei aveva nostalgia di sua sorella.

Jughead guardò la sua mano e arrossì leggermente. Betty si ritrasse.

“Scrivi sempre il tuo romanzo?” chiese con gentilezza.

“Sempre. Scrivo qualcosa tutti i giorni.”

“Lo faccio anch’io. Ho un diario. Mi aiuta a sfogarmi e a tenere il...”non seppe come concludere la frase.

“Controllo.” concluse lui annuendo. Risero entrambi. Betty si sorprese ancora una volta di quanto Jughead la facesse sentire a suo agio, in pace con sé stessa. Aveva creduto la stessa cosa di Archie ma ultimamente i loro rapporti erano cambiati. Archie era preso dalla sua musica e dalle sue canzoni strappalacrime che fino a poco tempo prima l’avevano emozionata, ma ultimamente le facevano solo venire voglia di tagliarsi le vene. Vederlo flirtare con Veronica e con Valerie non le aveva dato un grosso fastidio. Gli avrebbe sempre voluto bene, era suo amico. Era amica anche di Jughead, ma c’era qualcosa di diverso. Anche lo conosceva fin da bambino, le sembrava di cominciare a conoscerlo veramente soltanto adesso.

L’autobus arrivò a destinazione di fronte ad un imponente e minaccioso edificio. Betty e Jughead rimasero immobili a fissarlo, intimiditi per qualche secondo. Lui fece una battuta per sdrammatizzare ma lei si rattristò. “I miei genitori tengono Polly chiusa qui da mesi. Ed io non ho fatto nulla.”

Jughead le posò una mano sulla spalla come stava facendo spesso in quei giorni. “Lo stai facendo ora.” Betty si sentì rincuorata e dopo essersi stretta la coda di cavallo, si fece coraggio e attraversò il marciapiede seguita dal suo fedele amico.

All’ingresso furono subito separati dato che soltanto i parenti erano ammessi come visitatori e Jughead dovette aspettare nell’atrio. Le dispiaceva lasciarlo lì ma lui la esortò a proseguire. Betty gli rivolse uno sguardo riconoscente: senza di lui non sarebbe arrivata neppure al portone.

Polly era nel giardino, in salute, serena ed incinta! Betty la abbracciò troppo felice per parlare e la tenne stretta. Non riusciva a credere a quello che vedeva: sua sorella aspettava un bambino! Ed era di Jason!

“La mamma mi aveva detto che non volevi vedermi, ma io non le ho creduto.” le raccontò Polly entusiasta di averla lì. Betty provò un senso di colpa: neanche lei avrebbe dovuto credere a tutto quello che le avevano detto i genitori! Come avevano potuto rinchiuderla in un istituto solo perché era rimasta incinta? Polly sembrava piuttosto provata dalla sua permanenza in quell’orribile struttura, ma le riferì in maniera lucida e composta tutto quello che era successo l’estate precedente mentre lei si trovava in California.

I Blossom avevano messo sotto pressione Jason affinché lasciasse Polly e lui a malincuore aveva ceduto. Polly aveva litigato con lui per non aver difeso il loro rapporto ed erano stati separati per un po’, finché un giorno la ragazza non aveva scoperto di essere incinta. Quando lo aveva detto a Jason, lui era stato felicissimo: non aveva mai voluto lasciarla e adesso era disposto a lottare per lei. Lo avevano detto solo a Nonna Rose che aveva dato loro la sua benedizione, regalando a Polly un antico e prezioso anello di fidanzamento, un tesoro di famiglia da decenni. Purtroppo non aveva potuto indossarlo per mantenere la relazione segreta e lo aveva ridato a Jason

Il ragazzo aveva cominciato a mettere da parte dei soldi per poter fuggire insieme alla fidanzata e si era procurato una macchina per il loro viaggio. Le aveva dato precise istruzioni per raggiungerlo e aveva inscenato la sua morte per non farsi trovare dai suoi genitori. Sapeva che i Blossom avrebbero rivoltato mari e monti per riportarlo a casa. Una volta insieme, le avrebbe infilato al dito l’anello e sarebbe andati a stare in una fattoria per crescere insieme il bambino.

Le cose non erano andate come previsto: Polly era stata scoperta ed internata il giorno stesso della fuga e non aveva potuto avvisare Jason.

“Gli daresti un messaggio da parte mia?” la implorò Polly quando ebbe finito il suo racconto. Non sapeva ancora nulla dell’omicidio! I loro genitori non glielo avevano nemmeno accennato! Per Betty quella fu la parte più straziante. Con le lacrime agli occhi, fu lei a dover comunicare la terribile notizia a sua sorella, vedendola crollare piangendo quasi incapace di sopportare tutto quel dolore. Betty temette per la salute di sua sorella e del bambino e non seppe come comportarsi, ma all’improvviso una suora le riportò dentro con modi bruschi.

Polly fu condotta via mentre Betty venne accompagnata in una stanza da cui le fu intimato di non uscire. Betty prese il cellulare e mandò un sms a Jughead. “Polly aspetta un bambino da Jason. Non sapeva nulla.” Non aveva fatto in tempo a inviarlo che nella stanza fece irruzione sua madre.

Alice Cooper, elegante nel suo cappotto di cammello, squadrò gelida la figlia. “Do molti soldi alle sorelle. Credi che non mi avvisino se Polly riceve una visita?”

Betty tentò di protestare ma sua madre la prese per un braccio e la trascinò fuori. Nel corridoio trovarono un infermiere che scortò le due donne e Jughead verso l’uscita. Lì incrociarono Polly che veniva riaccompagnata in camera. La ragazza era sconvolta e cominciò a sbraitare e inveire contro sua madre. Betty lanciò uno sguardo impotente a Jughead e corse ad abbracciare sua sorella prima che venisse trascinata via.

“Ti tirerò fuori di qui, te lo prometto!”le mormorò piangendo all’orecchio.

Tutto finì rapidamente: Polly venne rinchiusa nella sua stanza e Alice fece salire Betty in macchina. La ragazza guardò addolorata Jughead che era rimasto sul marciapiede e la fissava pieno di compassione. Quando la macchina fu partita Betty gli scrisse un altro messaggio. “Mi dispiace tanto di averti lasciato lì. E tu abbia assistito a quella sceneggiata. Perdonami, ti chiamerò più tardi. Mi aspetta una serataccia.” Si abbandonò con la schiena sul sedile e si mise a piangere per la frustrazione e la rabbia.


 

POV JUGHEAD di Daffodil


“Kevin, hai visto Betty?” la fiumana di ragazzi diretti alla mensa lì sorpassò senza degnarli di uno sguardo. Keller rimase per un attimo accigliato quando vide chi lo chiamava, distogliendolo da una fitta conversazione con Moose.
“Non è venuta questa mattina!” rispose seguendo il giocatore di football con gli occhi.

Si spostò di lato e tirò fuori il cellulare “Ehi, come va?”. Aveva aspettato tutta la sera prima una messaggio da parte di lei, era passato verso l’ora di cena casualmente per Elm Street… aveva accettato la pasta al formaggio a casa Andrews poiché Fred lo aveva colto in flagrante mentre cercava di capire cosa accadeva nel soggiorno illuminato di Casa Cooper… era tornato al suo rifugio ed era rimasto seduto sul sacco a pelo con le gambe incrociate e il telefono tra le mani fino a che non era crollato e il suo sonno era stato costellato di parole non dette.

In mensa a stento riuscì a inghiottire una forchetta di insalata… frustrato lasciò cadere rumorosamente le posate, prese la sua borsa a tracolla e imboccò la porta.
Conoscendo tutte le scorciatoie di Riverdale, passò abbastanza vicino alla redazione del Register per scorgere i genitori di lei dietro le rispettive scrivanie… e già questo era un dettaglio non da poco… due svolte a destra, due vicoli pieni di bidoni della spazzatura e si trovò a poche villette dalla sua meta.

Era talmente agitato e preoccupato che non aveva pensato a niente altro che a vederla… forse avrebbe potuto passare da Pop’s per un milkshake, o una fetta di torta…

La prossima volta che avrebbe incontrato Fred Andrews lo avrebbe ringraziato… la scala di legno da muratore era esattamente quello che gli serviva…

Quanto arrivò al quartultimo gradino, non era più tanto sicuro della sua trovata, ma ormai era lì e l’aveva scorta seduta alla toletta che si tormentava quella piccola collanina in oro che portava sempre. Attraverso il riflesso dello specchio poteva scorgere il suo sguardo triste e assorto, i denti che tormentavano il labbro inferiore.

Era arrivato il suo momento: bussò. La vide girarsi stupita e il sorriso che le piegò le labbra valse la paura paralizzante che aveva nello stare su quella scala. “Ehilà Giulietta! La balia è fuori servizio?” l’agilità non era proprio il suo forte e nemmeno la coordinazione occhio mano. Lei ancora lo scrutava sorridendo, gli occhi verdi erano tornati a splendere.

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Capitolo 11
*** Romeo and Juliet ***


Mi scuso con tutti per il tempo che ho lasciato passare, ma sto usando il computer per fare i compiti con mia figlia. Gli orari sono tutti sballati quindi non ho avuto molto tempo da dedicare alla scrittura. Spero apprezzerete il nuovo capitolo. E' il momento che tutti stavate aspettando.
Saluti a tutti.



 

CAPITOLO 11

Romeo and Juliet
 

A love struck Romeo, sings the streets a serenade

Laying everybody low, with a love song that he made

He finds the street light, steps out of the shade and says something like,

"You and me babe how about it?"

                                                             Dire Straits

POV BETTY di Clodie Swan

Dopo una nottata insonne che non aveva portato consiglio, Betty si alzò tardi e toccò appena la colazione che la madre le aveva lasciato in cucina. Il suo stomaco era in subbuglio per le emozioni forti del giorno prima e faticava a mandare giù il cibo. Passò la giornata in uno stato di apatia, tormentata dal pensiero di sua sorella chiusa in quella stanzetta angusta, simile ad una cella. Non faceva che pensare alle due versioni della storia che aveva sentito. Polly sosteneva che Jason aveva deciso di sposarla per mettere su famiglia con il nascituro e che avrebbero dovuto fuggire quel fatidico giorno. I suoi genitori erano invece convinti che tutta la storia fosse un’invenzione della mente depressa della ragazza, sconvolta per l’abbandono di Jason e per la scoperta della gravidanza.

Betty non era affatto disposta ad accettare la spiegazione dei genitori: aveva perfino puntato il dito contro suo padre accusandolo dell’omicidio. Ma non aveva ottenuto niente, tranne la risata stridula di sua madre. Le sembrava di impazzire.

Dopo una doccia, riuscì a calmarsi un po’ e indossò un maglioncino comodo di cotone bianco sopra i jeans stretti. Si legò i capelli nella solita coda e si mise appena un filo di lucidalabbra. Non sapeva che cosa fare. Continuava a torturarsi la catenina pensierosa. Quanto avrebbe voluto confidarsi con Jughead e programmare con lui la prossima mossa. Le sarebbe piaciuto chiamarlo, ma dopo quello che gli aveva fatto passare il giorno prima, si sentiva a disagio. Non voleva approfittarsi della sua disponibilità, anche doveva ammettere che il suo amico le mancava molto. Forse lui avrebbe saputo cosa fare o come tirarla su.

Un colpo di nocche sul vetro la riscosse dai suoi pensieri. Si voltò sorpresa vedendo Jughead in persona che faceva capolino alla sua finestra, appoggiato ad una scala a pioli. Un moto di gioia la pervase quando corse ad aprire la maniglia per farlo entrare.

Jughead tirò fuori una delle sue battute che la fece ridere. “Ehi, Giulietta. La balia è fuori servizio?”

Col berretto grigio e il giubbino jeans era davvero un simpaticissimo Romeo.

La storia di Romeo e Giulietta la fece ripensare a Polly e ricominciò ad agitarsi mentre Jughead per sdrammatizzare la paragonava alla protagonista de La Tappezzeria Gialla. E in effetti le mancava poco per uscire fuori di testa. Si sfogò con il suo amico raccontandogli quanto era accaduto nelle ultime ore, camminando su e giù per la stanza finché lui non la fermò posandole una mano sulla spalla. “Noi non siamo i nostri genitori. Non siamo le nostre famiglie.” le disse in tono dolce guardandola intensamente. Le sue parole la calmarono subito e annuì con un piccolo sospiro.

“E poi...” cominciò Jughead lasciando subito la frase in sospeso. Non era da lui balbettare o restare a corto di parole. Betty ne fu sorpresa e lo guardò interrogativa.

Jughead esitò, trattenendo il fiato per un istante.

“Cosa?” chiese lei incoraggiandolo con uno sguardo curioso.

Negli occhi di lui vide un lampo di risolutezza e sentì le sue mani sul viso. Un attimo dopo la stava baciando.


 

POV JUGHEAD di Daffodil

Le labbra di lei erano umide. Morbide. Sapevano di burro di cacao. Il respiro che gli accarezzava il labbro superiore lo fece fremere. I sottili capelli della nuca erano setosi. Sotto il palmo destro sentiva il cuore di lei pulsare frenetico come il suo. La pelle era calda. La piccola mano gelida sulla sua guancia lo mandò a fuoco. Lei profumava di cannella.

Il contatto fu lungo e breve. Dolce e intenso. Ricambiato. Lei lo stava baciando a sua volta e questo… non aveva senso… era zucchero liquido. Era qualcosa che non sarebbe mai stato in grado di descrivere con delle semplici parole. Quel suo colpo di testa era impresso a fuoco nella sua mente, nel suo cuore, nel suo spirito. Non voleva interrompere quel contatto perché se avesse dovuto scegliere una sensazione da provare per il resto della sua vita sarebbe stata quella che stava provando in quel istante. L’euforia e la pace, unite e separate, erano qualcosa di incredibile.

Tutto il suo corpo era un fascio di nervi. Le spalle contratte, al posto delle celebri farfalle dei romanzi lui aveva sassi ma non voleva assolutamente smettere. I loro nasi si accarezzarono un momento. Le labbra di lei lo trattennero un istante in più. Sapeva che lei stava sorridendo, lo aveva sentito mentre lentamente la lasciava andare a malincuore. Si prese un momento prima di aprire gli occhi e si godette il sospiro di lei.

Il suo cervello era completamente andato. Non realizzò subito che lei si era staccata dal suo tocco e stava farneticando riguardo una macchina. “Wow, è a questo pensi nel mezzo del nostro momento?” Lo aveva detto con il sorriso sulle labbra. L’adorava per quella sua testolina sempre in funzione, per quel suo volere sempre conoscere.

Si scambiarono un’occhiata prima di tornare sul pezzo… e in quelle iridi verdi aveva letto serenità, felicità… Doveva solo assecondarla in quel suo discorso, in fondo la capiva più di quanto era disposto ad ammettere a voce alta e con chiunque.


 

POV BETTY di Clodie Swan

La sorpresa di essere baciata da Jughead Jones fu superata dalla sorpresa nello scoprire che essere baciata da Jughead Jones le piaceva. Se qualcuno glielo avesse detto soltanto qualche settimana prima non lo avrebbe mai creduto possibile. Se avesse mai potuto immaginare Jughead come un corteggiatore si sarebbe vista respingerlo con qualche parola di conforto. Invece, in quel momento accolse quel bacio inaspettato come quanto di più gradito potesse desiderare.

Lui l’attirò a sé tenendole una mano dietro la nuca, con dolcezza ma anche con decisione per non lasciarla andare. La baciava in modo delicato tenendo premute a lungo e ripetutamente le labbra morbide e calde sulle sue, ma Betty poteva sentire un trasporto pieno di passione. E lei ricambiò.

Il profumo della pelle di lui e il sapore della sua bocca la inebriarono e l’avvolsero in una nuvola di felicità che le fece dimenticare qualsiasi altra cosa che non fosse Jughead e il suo respiro caldo sul viso.

Non aveva mai provato un’emozione così forte prima. Sorrise con gli occhi chiusi, quando le labbra di Jughead si staccarono e il suo naso la sfiorò in una carezza intima. Quando lo guardò fu come se lo vedesse per la prima volta. Il ricciolo scuro che gli incorniciava il viso, gli occhi azzurri persi in un’espressione sognante, la linea sensuale delle labbra, la pelle chiara e liscia da adolescente, punteggiata da numerosi nei che Betty conosceva alla perfezione. Jughead era bellissimo. Quando era diventato così bello? Per un attimo tutto fu perfetto: un mondo senza omicidi, genitori pazzi, e innamorati che fuggivano.

Quel pensiero a riportò alla realtà “La macchina!”

“Wow! E´ a questo che pensi nel bel mezzo del nostro momento?” le chiese lui divertito. Un altro ragazzo si sarebbe offeso, ma non Jughead. Un altro ragazzo non avrebbe assecondato la sua folle idea di cercare la macchina incriminata e non si sarebbe calato giù dalla finestra per sottrarre l’auto di sua madre di nascosto. Ma lui non era un ragazzo qualunque. Era il suo Jughead.

Mentre partivano, Betty ripercorse i ricordi che la legavano a lui: Jughead che quando giocavano con le pistole ad acqua si faceva colpire ma non la colpiva mai. Jughead che la aspettava se restava indietro sulla sua piccola bici rosa. Jughead che arrossiva quando gli prendeva la mano per invitarlo a giocare. Jughead che offriva soltanto a lei le sue patatine. Jughead che si era seduto con entusiasmo accanto a lei e Veronica da Pop’s. Jughead che aveva accettato di collaborare al giornalino di una scuola che detestava. Jughead che aveva scelto di proiettare il film scelto da lei per l’ultima serata del drive in. Jughead che evitava il contatto fisico con chiunque ma che aveva abbracciato lei con calore, quando era triste. Jughead che era sempre stato lì per lei in quei giorni.

Possibile che in tutti quegli anni avesse sempre avuto dei sentimenti nascosti per lei? O era un’attrazione nata da poco? Moriva dalla voglia di saperlo. La pioggia aveva iniziato a cadere fitta e si stava facendo buio mentre uscivano da Riverdale.

“Jug...” cominciò Betty. Lui si girò verso di lei mentre guidava. “E´ stato un bacio bellissimo...” cominciò emozionata. Jughead arrossì e le rivolse un sorriso raggiante.

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Capitolo 12
*** Wait for me to come home ***


CAPITOLO 12

Wait for me to come home

When I'm away, I will remember how you kissed me
Under the lamppost back on Sixth street
Hearing you whisper through the phone
"Wait for me to come home"

Photograph di Ed Sheeran

POV JUGHEAD di Daffodil

Le mani gli tremavano e innestare la leva del cambio fu più complicato del previsto. Le ruote stridettero sulla ghiaia del bordo strada. L’oscurità era tutta intorno a loro e sembrava quasi la scena di un film horror. Sentiva il cuore pulsare dolorosamente nel petto ed era complicato mantenere la concentrazione.

Le labbra gli pulsavano e stava letteralmente andando a fuoco, il sangue era fluito quasi totalmente nel suo inguine, ma il senso di eccitazione non riguardava solo quella parte. Non aveva mai provato una cosa del genere e cominciava ad essere spaventato dalla portata di quelle emozioni. Per fortuna esisteva la memoria muscolare perché in quel momento aveva il cervello completamente annebbiato.

Betty Cooper gli aveva infilato la lingua in bocca… Doveva cercare di analizzare razionalmente ogni cosa, così forse si sarebbe calmato. Non era decisamente fattibile. Inspirò e trattenne l’aria, gli ci sarebbe voluta una nuotata nello Sweetwater. Se era finito in un sogno o in qualche realtà parallela non aveva nessuna intenzione di svegliarsi o di tornare.

Aveva la gola secca e probabilmente lei si aspettava che dicesse qualcosa ma gli risultava difficile articolare anche il pensiero più semplice.

“Jug… accosta!” gridò Betty. Bene, se voleva ripetere l’esperienza di un paio di miglia fa, stavolta gli sarebbe risultato molto più complicato non perdere il controllo e comportarsi da gentiluomo. Era completamente perso nelle sue perverse fantasie che finì per dare una sterzata brusca.

“Siamo arrivati… dovrebbe essere laggiù il posto di Polly!” disse Betty indicando un vecchio cartellone pubblicitario. Stava piovendo e tutto era avvolto da una fitta nebbia. Fece manovra e lasciò i fari accesi in modo che illuminassero il sentiero da percorrere. Trasse un profondo respiro. Betty si era già slacciata la cintura di sicurezza e si era infilata un leggero spolverino color carta da zucchero. Le sue sopracciglia erano incurvate e una piccola ruga segnava il centro della sua fronte alta. Le labbra erano pallide e strette in una linea ferra.

“Betty, aspetta!” La piccola mano di lei era già sulla maniglia quando nell’abitacolo risuonò la sua voce anche se era decisamente bassa e arrochita dalle troppe sensazioni. Lei si voltò a guardarlo, il bagliore di gioia che c’era stato poco prima era sparito e questo gli faceva male, ma poteva capire quello che lei stava provando e la ammirava per il suo coraggio e determinazione.

Per la prima volta alzò la mano sul suo volto per accarezzare la pelle morbida senza timore, senza ansia. Era una sensazione bellissima prendersi la libertà di toccarla senza mascherare le sue attenzione, poter godere di quelle iridi che si sgranavano per la sorpresa, di quel rossore sulle guance, senza dover distogliere gli occhi.

Si avvicinò lentamente, l’azzurro perso nel verde, depositando un bacio sulla fronte. Fu un tocco caldo. Intrecciò le dita alle sue, le sorrise, si allungò abbastanza da aprire la portiera e scavalcò la console centrale mentre lei usciva senza mai lasciare la mano di lui.

Quando s’incamminarono nel bosco, le ombre che i fanali e la piccola torcia proiettavano sul sentiero erano inquietanti. Le gocce erano gelide, il vento che soffiava non aiutava ma proseguirono, scrutandosi e sorridendosi.

Il cartellone era una vecchia pubblicità dello sciroppo d’acero Blossom, c’erano rovi e vecchi rottami dall’aspetto sinistro e poi eccola: una Volvo color caramello, non proprio l’ultimo modello, coperta da un telo grigio. Lui le afferrò la mano ghiacciata e gliela strinse.

“Tutta la macchina è una scena del crimine...”

I capelli gli punzecchiavano gli occhi, era infreddolito, ma riuscì comunque a scattare le foto di quello che c’era nel bagagliaio. Anche il più scettico poliziotto così non avrebbe avuto modo di dubitare della loro parola.

La sentiva ansimare lì accanto. Percepiva il suo calore che gli scaldava la schiena.

“Dobbiamo parlare con lo sceriffo Keller e poi con Polly.” disse risoluta Betty mentre ultimavano il il sopralluogo.

Erano seduti sui sedili di pelle della station wagon di Alice Cooper a riprendere fiato e a riordinare le idee. Ovviamente in quella macchina non c’era una coperta o qualsiasi altra cosa che potesse aiutare ad asciugarsi. “Dove lo troviamo Keller?”

“A scuola!! C’è il Variety Show…” la voce di Betty tremava leggermente.

Mise in moto dando gas un paio di volte sperando che il motore si scaldasse più rapidamente. Prese le mani di lei nelle sue e le mise sopra le bocchette dell’aria, poi se la tirò al petto. Un bacio all’attaccatura dei capelli sulla nuca, un altro dietro l’orecchio e uno sul collo. Trovò da qualche parte la forza sufficiente di fermarsi, perché una forza esterna stava prendendo il sopravvento e rischiava di andare troppo oltre.

Il suo cellulare squillò in rapida successione. Erano dei messaggi, l’intenzione era ignorarli, era troppo bello averla premuta addosso, petto contro schiena, le dita intrecciate, la coda che si strusciava sul suo collo…

“Oddio Archie!” Lo dissero insieme! Entrambi si erano dimenticati del loro migliore amico con l’ansia da palcoscenico che aveva un tempismo pessimo.

Trovare Keller fu semplice e lo fu anche spiegare cosa avevano trovato, mostrando le foto del cellulare. Lo sceriffo si attivò subito per andare a recuperare l’auto incriminata mentre i due ragazzi decisero di andare a prendere Polly. Ora che avevano provato la veridicità della sua storia, non aveva più senso tenere segregata quella povera ragazza. Poco prima di uscire dagli altoparlanti echeggiò la voce di Archie che cantava una delle sue canzoni. Il rosso, alla fine, aveva trovato il coraggio di salire sul palco ed esibirsi per la prima volta. Betty si girò ad ascoltarlo per qualche secondo, ancora fradicia di pioggia. In un altro tempo, sarebbe stata seduta in prima fila per sostenere il loro vecchio amico, ma adesso invece si avviò verso la porta risoluta, senza voltarsi indietro. “Andiamo, Jughead.” disse tendendogli la mano.

Jughead sorrise. L’avrebbe seguita in capo al mondo.



Pov Betty di Clodie Swan
 

Caro Diario,

ancora non riesco a credere a tutto quello che è avvenuto nello spazio di così pochi giorni: l’indagine, il funerale, la gravidanza di mia sorella e, infine, la macchina di Jason zeppa di prove. Jughead ed io siamo riusciti a scoprire più cose della polizia e sono fiduciosa che presto troveremo il responsabile della morte di quel povero ragazzo.

Quella notte fu da pelle d’oca: Polly era fuggita sotto la pioggia e l’auto incriminata era stata ritrovata in fiamme. Per fortuna Jughead aveva scattato delle fotografie…

Quando penso a lui provo una gioia immensa per averlo avuto al mio fianco in questi momenti difficili che mi hanno messo a dura prova, specie nei confronti della mia famiglia. Non potevo più fidarmi dei miei genitori e non avevo nessuno che mi sostenesse: Archie ed io ci eravamo allontanati molto e con Veronica non avevo ancora abbastanza confidenza. Ma Jughead c’era per me. C’era da sempre e non me ne ero mai accorta, persa in sciocche fantasticherie e mille insicurezze. Lui invece si è fatto strada nel mio cuore, a poco a poco, e un giorno ha preso coraggio per dichiararsi con un bacio.

Penso sia stato un dei momenti più emozionanti della mia vita ed ho capito allora che lo ricambiavo. Anche i nostri amici se ne sono accorti quando lui a scuola mi ha messo un braccio intorno alla spalla. Jughead non si concede mai dei gesti del genere, è sempre stato chiuso in sé stesso e alcuni erano convinti che a lui non piacessero le ragazze. Ma, naturalmente non era vero: la verità è che gli era sempre piaciuta solo una ragazza e quella ragazza ero io!

Se ci ripenso mi vengono i brividi. Solo l’idea che mi abbia amato in segreto per tanti anni mi fa sciogliere in lacrime. Adesso voglio dargli tutto l’affetto e la felicità che merita, anche se i miei problemi familiari mi stanno assorbendo quasi tutto il tempo. Jughead però è molto comprensivo e non mi mette fretta. Oggi è stato particolarmente dolce.

I miei genitori sono stati intervistati sul caso Blossom e hanno dovuto rispondere all’accusa implicita che Polly fosse la colpevole. Mia madre allora ha messo su un pietoso teatrino fingendo che fossimo una famigliola amorevole e rivolgendo un appello straziante, quanto falso, a mia sorella perché tornasse a casa. Non ha nemmeno esitato a sbandierare la gravidanza di Polly, fino al giorno prima tenuta segreta come fosse una cosa vergognosa, solo per mettere a tacere i sospetti sollevati dai genitori di Jason.

Io sono stata costretta a stare accanto a lei e mio padre durante l’intervista per sostenere l’immagine della famiglia modello. Non ho detto una parola ma per tutto il tempo avevo voglia di vomitare. Temevo di crollare e mettermi a piangere per la rabbia, quando ad un tratto guardando oltre la folla di giornalisti armati di telecamere ho visto Jughead che guardava nella mia direzione. Mi sorrideva per darmi coraggio e sono riuscita a sopravvivere all’intervista.

Era quasi buio quando tutto è finito, ma lui era ancora in piedi ad aspettarmi in un angolino, senza farsi notare. Jug è sempre stato bravo a rendersi invisibile finora, ma non potrà più riuscirci per quanto mi riguarda. Ora sarà la prima persona che cercherò quando entrerò in una stanza.

I miei intanto, ancora calati nella parte dei genitori affettuosi, mi hanno lasciato libera di tornare per conto mio e sono andata incontro a Jughead.

Posso accompagnarti a casa , Betty?” mi ha chiesto timidamente.

Ho annuito e l’ho preso per mano. La strada fino a Elm Street non era molta, ma avrei desiderato che fosse più lunga. Non abbiamo parlato molto ma le nostre dita intrecciate parlavano al nostro posto. Era un contatto piacevole. Mi faceva sentire che non ero più sola, e mentre lo baciavo sotto la luce del lampione, finalmente potevo sentirmi a casa.

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