The Osuwari girls

di bimbarossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Saggia e temibile ***
Capitolo 2: *** Coraggiosa e leale ***
Capitolo 3: *** Intraprendente e curiosa ***
Capitolo 4: *** Candida e sincera ***
Capitolo 5: *** Venite ad afferrarle ***



Capitolo 1
*** Saggia e temibile ***


DISCLAIMER: si, l'immagine è un po' piccante ma se vi scandalizzate per questo allora questa storia, internet e il ventunesimo secolo in generale non fanno per voi

 

 

 

 

 

 

La pubblicità è l'anima. Del commercio.

 

“Credo che dovremmo tornare a casa, Miroku. Sango non sarebbe felice di sapere che sei stato in un posto simile.”

Uscirono fuori al freddo e al vento gelato che spazzava la strada più trafficata di Shibuya, mentre le luci del locale per adulti illuminavano di un caldo alone rosato i mucchi di neve accumulati vicino ai lampioni scuri e sottili.

“Sango non è la mia ragazza.”

“Ma a lei piacerebbe, bricconcello. Non mi intendo di queste cose, lo sai, ma persino io noto ogni volta la sua faccia quando sei in giro.”

InuYasha, che il gelo non lo sentiva, camminava spavaldo e sbruffone come se il marciapiede fosse solo suo, mentre Miroku ad ogni ragazza in cui si imbattevano faceva l'inchino lasciandola passare.

“Senti, anche io ho notato che Sango prova dei sentimenti nei miei confronti, ma non posso permettermi di ricambiarla. Lei è una brava ragazza, dolce, bellissima, seria. Appunto per questo, se stessi con lei dovrei mettere la testa apposto.”

“E sarebbe un male questa cosa?”

Miroku stette per minuti interi in uno strano silenzio, segno che stava pensando molto bene a quello che avrebbe detto. Snocciolando una bugia confezionata benissimo, o al contrario dicendo la verità come poche volte l'aveva detta in vita sua.

“Io non me la sento di impegnarmi ora, il mondo è troppo pieno di belle femmine dietro ogni angolo per legarmi ad una soltanto. Il buon Mushin mi ucciderebbe se sapesse che ho rinunciato ai piaceri della gioventù. E poi conosci Sango, è troppo saggia e intelligente per una persona discutibile come me, senza contare che a volte mi fa quasi paura, non le ho mai nemmeno palpato il sedere neppure una volta per il terrore di quello che potrebbe farmi.”

“Tsz, fai come vuoi, non me ne importa. Ehi, ma che ti prende adesso?”

Improvvisamente, di botto, il suo amico bonzo si era messo a correre tra il traffico e le auto che ingorgavano la strada con piccoli incidenti dovuti al sottile ed infido strato di ghiaccio sull'asfalto, lasciando l'altro impalato ed inebetito.

Provare ad inseguirlo fu abbastanza arduo, perché a onor del vero Miroku, grazie ai suoi allenamenti, era piuttosto veloce, forse al pari suo; fu solo per merito dell'olfatto che lo ritrovò, davanti ad uno dei bus stazionato in quel momento davanti ad una fermata piena di liceali appena uscite da scuola.

“Quella,” indicò con il dito un punto imprecisato davanti a sé con voce estasiata, “quella è la ragazza che voglio sposare!”

“Che cosa?!? Ma di chi stai parlando?”

“Non la vedi? È lei, lo so.”

“Guarda che quelle sono ancora delle bambine! Sapevo che eri pervertito ma questo...”

“No, non loro. Lei,” puntò lo sguardo sognante verso il bus, come se avesse raggiunto la buddità.

Fu allora che InuYasha capì a chi si stava riferendo, il poster che si dipanava per l'intera lunghezza del tram con sopra la ragazza dai lunghi capelli castani, voltata di spalle e con quelle mutandine della famosa marca Osuwari color ciclamino sotto cui la scritta “saggia e temibile” risuonava quasi minacciosa.

“Nei miei sogni ho sempre immaginato come dovesse essere il fondoschiena perfetto, sodo al punto giusto, con le proporzioni confacenti, la forma appropriata, e mi domandavo se esistesse una donna al mondo che lo potesse sfoggiare. ”

“Tu sei malato.”

“No InuYasha, io sono stato benedetto dal Buddha.” Cominciò a smanettare con l'iphone, quasi invasato. “Devo trovare quella ragazza, sapere il suo nome, e quando ci riuscirò le chiederò di diventare mia moglie e di darmi un figlio.”

 

InuYasha si dette dell'ipocrita per tutto il tragitto fino a casa, dopo aver lasciato un Miroku esaltato e su di giri per aver incontrato l'anima gemella.

Con che coraggio gli faceva la ramanzina quando anche lui si era preso una cotta stratosferica per una delle ragazze Osuwari?

Senza contare che a differenza del bonzo, lui era fidanzatissimo, e Kagome non si meritava di certo uno smacco del genere.

Stavano insieme solo da tre mesi eppure era come se la conoscesse da sempre, e non nutriva neppure la più piccola briciola di dubbio riguardo ai suoi sentimenti per lei.

Tuttavia, dal momento che aveva sfogliato quella rivista non aveva avuto pace.

Non si considerava un maniaco del sesso come Miroku, questo no, però anche a lui piaceva qualche volta soffermarsi a guardare certe pubblicità non proprio esplicite ma quanto meno ammiccanti.

La ragazza Osuwari però...lei era diversa da tutte le altre.

Voltata di spalle e i capelli di un nero dalle insolite sfumature bluastre che mettevano, se fosse possibile, ancora di più in risalto le sue mutandine rosse, lo aveva gettato in una specie di incantesimo, aveva persino messo il suo poster accanto al letto, per fissarla meglio e sognare di poterla incontrare.

Come poteva essersi infatuato di una di cui non sapeva neppure il nome? Ma soprattutto, come poteva essersi infatuato di lei se era certissimo di amare Kagome?

A volte si dava del pazzo, dell'idiota e anche un po' del pervertito, che faceva la morale al suo amico per poi combinare di peggio, e ogni giorno che passava diventava più difficile nascondere tutto, tanto che quando stava con Kagome non riusciva a guardarla negli occhi.

Sdraiato sul letto, tirò un lungo sospiro, a metà tra il patetico e l'incredulo verso sé stesso.

Spiegare come gli piacesse il modo in cui i suoi capelli cadevano e gettavano ombra attorno alle braccia affusolate e come percepisse una certa ritrosia nel modo di tenere le gambe e il tronco sarebbe stato da malati, Miroku lo avrebbe umiliato per anni.

La fissò di nuovo, la ragazza Osuwari dalle mutandine rosse, meditando e facendo congetture varie. Forse il problema era che lui e Kagome non erano ancora diventati intimi ad avergli creato quella specie di ossessione, dando modo alle sue fantasie di trovare sfogo. Si, doveva essere sicuramente così, e lui era un babbeo che non sapeva distinguere ciò che era reale da ciò che non lo era, rischiando di ferire la persona a cui teneva di più al mondo.

 

Rimettere piede in Giappone dopo un anno di permanenza negli Stati Uniti fu quasi irreale e nostalgico per Inu no Taishō.

Tornare a casa, vedere i luoghi che avevano fatto da sfondo alla sua storia con Izayoi, gli fece sprofondare il cuore nel petto, e persino il traffico della capitale con i suoi odori e rumori risultava essere di conforto e distrazione per quella specie di strazio dovuto alla separazione da sua moglie.

Ma in fondo la colpa era solo la sua, per quello che era e per quello che rappresentava. Se non fosse stato il signore dell'Ovest, Kirinmaru non se la sarebbe mai presa con la sua famiglia, e lui non avrebbe mai dovuto allontanare Izayoi per non farle rischiare la vita ogni volta che rimaneva sola.

Anche se era successo molto tempo fa, quando InuYasha era piccolo, una parte di lui non aveva mai rinunciato ad un riavvicinamento, ma il tempo, che per lui era qualcosa di lento e clemente, non trattava allo stesso modo gli essere umani.

Izayoi aveva ceduto alla corte di quel maledetto Takemaru Sestuna, ed ora vivevano assieme a New York, lontano dai suoi occhi certo, ma mai abbastanza.

Strinse la mano a pugno, cercando di calmarsi. Non aveva senso prendersela per come erano andate le cose tra loro ormai, doveva andare avanti, o quantomeno fare finta di farlo.

Erano vicino alla sede del concilio quando, la berlina nera di servizio ferma ad un semaforo, alzò gli occhi distrattamente per puntarli verso un manifesto enorme di un famoso brand appeso alle travi di un cantiere, attorno ad un grattacielo in costruzione.

Manifesti come quelli non erano certo una rarità, e nemmeno usare il corpo femminile per calamitare l'attenzione lo era, eppure la ragazza con l'intimo rosa riusciva ad ipnotizzare senza cadere in qualche forma di squallore, e anche se la sua callipigia dote spopolava davanti a tutta Tōkyō, niente in lei era volgare o indecente.

Anche quando passarono oltre, e per tutto il tempo della seduta al concilio, la mente continuò a soffermarsi sulla ragazza della pubblicità Osuwari con i misteriosi capelli rossi, e quando gli capitava, in quegli strani momenti di cedimento, si meravigliò di provare una bislacca sensazione proprio all'apice dello stomaco, uno sfarfallio pieno di curiosità, normale incanto per un giovane corpo benfatto e ovviamente maschile interesse, più qualcosa di altro che non riusciva ad identificare.

Non sapeva bene che farsene, di questo accadimento, forse sarebbe rimasto un episodio estemporaneo della sua lunga esistenza, o forse...forse c'era una piccola, minuscola possibilità che quel suo triste ritorno in patria avrebbe riservato delle sorprese mai calcolate prima.

 

Sesshōmaru era nervoso come poche volte in vita sua.

Se avesse potuto, il palazzo di fronte lo avrebbe demolito solo con la forza del suo yōki; tuttavia non erano più i tempi di una volta, adesso doveva tenere la sua potenza imbrigliata, considerare il bene comune, chinare la testa e il prestigio della sua razza persino davanti a quelle creature inferiori che erano gli umani.

Creature come la ragazza della pubblicità Osuwari, che sfoggiava spregiudicata quell'intimo color mandarino davanti ai suoi occhi, enorme -quel cartellone prendeva tutta la facciata del grattacielo- superba, e si, bellissima, questo Sesshōmaru era disposto a riconoscerglielo.

Talmente bella che lo distraeva completamente, impedendogli di lavorare, impedendogli di tiranneggiare il personale dei vari uffici con la sua sola inquietante presenza, e persino impedendogli di concentrarsi sullo strano ritorno di suo padre e del fatto che ormai doveva prenderne il posto come Signore dell'Ovest.

Con stizza firmò diversi rapporti e ne visionò altri, eppure ogni tanto, anche senza accorgersene alzava lo sguardo per accertarsi che lei fosse ancora lì, la qual cosa placava il suo animo e lo mandava in subbuglio allo stesso tempo.

Che cosa gli stava prendendo in quei giorni?

Possibile che una tale femmina avesse il potere di destabilizzarlo tanto?

Lui non era suo padre, non si sarebbe lasciato incantare dal fondoschiena di una patetica umana, anzi, avrebbe usato tutti i mezzi che aveva a disposizione -ed erano molti- per togliere da davanti a sé quell'abominio color del sole.

Con uno scatto aprì il portatile per accedere al sito di quella spregiudicata marca di biancheria.

Quegli idioti che si proponevano di dare un nuovo volto alle ragazze giapponesi, un volto moderno e naturale, svecchiato da decenni di falso perbenismo, non avevano la minima idea del nemico che si erano appena fatti.

 

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Capitolo 2
*** Coraggiosa e leale ***


DISCLAIMER: anche se Sesshōmaru fa tanto il sussiegoso uno sguardo ammiccante ce lo butta volentieri sul fondoschiena di SPOILER- Rin

 

 

La pubblicità è leale. Di rado.

 


Rin, prima di uscire dalla toilette, si assicurò che i suoi capelli fossero ben stretti e che le ciocche di un nero profondo fossero ben raccolte affinché risultasse il più professionale possibile, dato che il suo capo queste cose le notava alla prima occhiata.

D'altronde, cosa poteva sfuggire a Sesshōmaru-sama?

Tutte le mattine, prima di entrare in ufficio, svolgeva un rituale meticolosissimo, controllare che il tailleur fosse più anonimo e grigio possibile, il trucco leggero ma curato, l'espressione ferma ma gentile.

Queste erano le regole, se volevi lavorare con lui. E Rin lo voleva con tutte le sue forze.

Non solo perché aveva disperatamente bisogno di un lavoro, ma anche che questo lavoro fosse ben pagato.

Pensare a tutti i debiti che doveva ancora saldare fece crollare per un attimo la neutralità del volto, neutralità che aveva imparato ad assumere e a costruire a comando in parecchi mesi.

I suoi genitori e i suoi fratelli erano morti molti anni prima, quando lei aveva solo sette anni, uccisi da un branco di lupi ribelli che avevano rigettato le leggi che governavano la convivenza con gli umani, e la loro morte aveva cambiato la vita di Rin per sempre.

Infatti se era vero che erano stati dei demoni a portarle via la sua famiglia, erano stati gli esseri umani che, sbattendola in diverse case famiglia, l'avevano snobbata, maltrattata, battuta, trattata come immondizia senza valore.

Se le ricordava tutte quelle famiglie che avevano promesso di avere cura di lei, riempirla di insulti, schiaffi e anche di peggio se per caso prendeva una merendina o una polpetta di riso ripiena dal frigorifero.

Quindi si, per quanto alcuni demoni fossero spaventosi e terribili, gli esseri umani potevano esserlo ancora di più.

Con una calma traballante cercò di mettersi al lavoro prima che Sesshōmaru arrivasse in ufficio. Voleva fargli trovare tutti i rapporti pronti sulla sua scrivania, perciò di di buona lena si mise all'opera.

Aveva ottenuto quel lavoro grazie all'amicizia con InuYasha, questo era vero, tuttavia avrebbe dimostrato a tutti, e soprattutto a Sesshōmaru, che il posto se lo stava guadagnando, giorno dopo giorno.

“Sarà meglio che quelle carte siano pronte. Sesshōmaru è in ascensore e sarà qui tra poco.”

La voce fredda della donna la fece quasi tremare dentro, come un minuscolo pezzo di ghiaccio nello stomaco.

Perché Kagura era di nuovo lì?

Da giorni ormai la famosa avvocatessa frequentava l'ufficio del suo capo, e Rin sapeva benissimo che quando c'era di mezzo lei allora c'erano guai in arrivo.

“Certo che sono pronte, come sempre.”

“Ma guarda guarda, che dipendente leale. Una vera perla rara.”

Se voleva intimidirla non ci sarebbe riuscita tanto che Rin stava per aggiungere altro, quando Sesshōmaru entrò in ufficio.

Ogni volta Rin non poteva proprio farne a meno, ammirarne la bellezza lunare e altera, notarne la camminata sicura e silenziosa, bearsi della calma piena di orgoglio di chi sa di essere in una posizione apicale rispetto al resto dell'umanità, tutto di lui risvegliava nel suo piccolo cuore emozioni inseguite per l'intera sua sbandata esistenza, e anche se era venuta presto a sapere delle voci che circolavano su quanto fosse inflessibile e spietato, era impossibile per lei non vederne altresì la disponibilità, la premura, la sollecitudine con cui era stato pronto ad aiutare una sconosciuta su richiesta di un fratello con cui a stento andava d'accordo, tratti che lo elevavano ai suoi occhi più di quanto potessero mai abbassarlo i suoi difetti, se mai le suddette voci fossero state vere.

Rin ne era sicura, Sesshōmaru era la persona più gentile e buona che lei avesse conosciuto, una persona che meritava la sua fedeltà incondizionata.

Una persona, che se solo lo avesse voluto – e questo Rin non si poteva permettere di sperarlo- avrebbe potuto avere il suo cuore senza nemmeno doverlo chiedere.

 

“Signorina, posso sapere cosa fa qua dentro?”

Ayame era talmente concentrata sul racconto che stava leggendo che non aveva minimamente notato la presenza dell'uomo sulla porta.

Subito le si attivarono l'olfatto e la vista. Quello non solo era un demone cane, ma assomigliava tantissimo al suo amico InuYasha, quindi poteva essere solo una persona.

“Generale.” Quasi lo soffiò quell'onorifico. “Mi dispiace, non volevo essere invadente, ma suo figlio mi ha dato il permesso. Spero di non averla offesa.”

Era alto. Altissimo anzi, molto più di Sesshōmaru, e aveva uno sguardo che non si poteva dire di certo accomodante, anche se il fastidio di averla trovata lì, nella sua biblioteca privata lo nascondeva benissimo dietro una parvenza di secca cortesia.

Ayame però era stata istruita molto bene da suo nonno nell'arte di scorgere con una certa dimestichezza quello che un buon politico poteva celare sotto la maschera della fredda educazione, quindi dopo un momento di spaesamento decise di mettere in pratica le lezioni impartitele.

“Niente di grave, non si preoccupi signorina,” la rassicurò pacato.

“Ero alla festa con gli altri di sotto nella piscina coperta, ma poi ho ceduto alla curiosità di leggere questa fantastica edizione dell'Heichū Monogatari in suo possesso. Deve assolutamente dirmi in che posto l'ha presa.”

I complimenti e una leggera innocua forma di piaggeria potevano salvarti nell'arena di un concilio.

“Questa, dice?” Le si avvicinò piano, in volto un'espressione tra il bonario e il guardingo che lo rendeva meno rigido e impassibile ma anche terribilmente sexy, tanto che lo stomaco di Ayame fece una capriola. “Questa l'ho comprata poco dopo che fosse scritta da Taira no Sadafuni stesso, circa dieci secoli fa.”

“Ma allora lei è un demone vecchissimo!”

Le parole non le erano nemmeno uscite dalle labbra che si avvide della colossale figura barbina fatta, già sentiva il rossore e il pallore che si contendevano la sua faccia.

“I-io non vo-volevo dire che lei è vecchio, anzi.” Lo squadrò dalle scarpe in pelle fatte su misura alla camicia bianchissima che gli metteva in evidenza i pettorali, fino al completo di quel dannato colore, tra l'antracite e il celeste, fatto apposta sicuramente per creare quel divino accostamento con i capelli candidi, facendoli luccicare. Ayame avrebbe potuto giurare che nelle notti più chiare, sulle montagne del nord, c'erano stelle che brillavano meno. “Magari invecchiassimo tutti come lei. Io sono nata quasi cento anni fa e mi sento già decrepita a volte.”

Si sprimacciò i codini con fare tra il saputo e il melodrammatico.

“Grazie, adesso mi sento meno offeso.”

Per un attimo le regalò l'ombra di un sorriso, e questa volta fu il cuore che si dette alla ginnastica ritmica.

“Mamma mia, si è fatto veramente tardi, gli altri si staranno domandando dove sono finita. Prima però volevo chiederle il permesso di poter leggere questi. In fondo ho sempre saputo di avere un'anima sentimentale.”

Afferrò un cofanetto con dentro tre piccoli volumetti di poesie romantiche, molto meno spessi del libro di geopolitica del Giappone settentrionale che suo nonno le aveva regalato quando ancora non aveva avuto il suo primo ciclo.

“Queste no.” Gliele prese con compassata furia, e con pochi veloci gesti tolse un quadro dalla parete, aprì la cassaforte che nascondeva e vi ripose l'oggetto incriminato dentro, il tutto in un silenzio quasi punitivo. “Appartenevano alla madre di InuYasha.”

Ayame non fu tanto sciocca da non percepire che gesto simbolico fosse quello in realtà, compiuto ad uso e consumo di lei soltanto.

Non c'era luogo più sicuro della casa di un demone come Inu no Taishō, quella cassaforte era più inutile di un bikini al polo nord, e lei aveva fatto senza volere il passo più lungo della gamba.

Il ghiaccio dorato che erano ridiventati gli occhi del padrone di casa era più inquietante dell'espressione più crudele nel repertorio di suo figlio Sesshōmaru.

“Non importa.” Fu il suo momento, questa volta, di regalargli il sorrisetto affettato che si usava in quelle occasioni, ovvero per far capire chiaramente di aver subito un'offesa ma che questa non meritasse neppure un briciolo di importanza.

Uscì dalla villa tutta impettita, senza darsi nemmeno la pena di tornare alla piscina coperta e avvisare che se ne andava; ciononostante, appena svoltato l'angolo, dovette appoggiarsi al muro di mattoni che accostava la strada, il cuore in gola e la mente che lottava con una strana nebbia, per poi correre e correre, come se fosse inseguita da quegli uccellacci spauracchio della sua infanzia, le dannate Paradisee, temendo che uno nuovo, di spauracchio, fosse appena arrivato dalla lontana America solo per il suo tormento.

 

“Cerca di perdonarmi, padre, se puoi.”

Con un soffio, Sango spense le candele sul piccolo altare ed immediatamente un odore di incenso si sparse nella stanza alla stregua di un'anima volata via.

Con movimenti silenziosi e misurati chiuse il butsudan, sperando che suo fratello Kohaku non rientrasse tanto presto dagli allenamenti.

Mantenne tuttavia un atteggiamento circospetto anche una volta che, seduta al kotatsu e trovato sollievo nel suo calore, tolse da una scatola da scarpe la pila di bollette da pagare, alcune con le scritte scarlatte dell'avviso di sollecito sulla busta.

Tutte le preghiere, o gli scrupoli che suo padre e suo nonno prima di lui le avevano inculcato durante il duro addestramento da sterminatrice, non sarebbero serviti a niente contro quei fogli più minacciosi di un demone centipede, perciò era inutile fare tutte quelle infantili manfrine.

Aveva inghiottito le lacrime mentre si spogliava ed indossava quella ridicola mutandina Osuwari, ma mai quante ne aveva invece versate dopo aver saputo che suo padre era morto in una sperduta località interna vicino Gunma contro un demone ragno che lo aveva praticamente decapitato.

Una morte che si sarebbe potuta facilmente evitare, se solo quei maledetti speculatori edilizi capitanati dal losco Naraku non avessero rilevato la loro piccolo attività gettandoli sul lastrico, e costringendo il genitore ad accettare un'offerta di lavoro ben pagata ma che era stato da scellerati affrontare da solo.

Ora lei e Kohaku erano soli al mondo, con pochi soldi, l'affitto da pagare e con il fiato sul collo dei creditori.

So che non avresti mai approvato che facessi una cosa simile, ma sto usando il mio corpo per guadagnare, esattamente come fa uno sterminatore.

Beh, non proprio nello stesso modo, ma si poteva fare a meno di certe sottigliezze pur di potersi guardare allo specchio ogni giorno e tirare avanti.

Un trillo dello smartphone la riscosse dall'oscurità densa che minacciava di inghiottirla.

“Hōshi-sama, che piacere sentirti.”

 

Kagome sfogliò preoccupata il libro di ricette, concentrata più sui problemi che si stavano avvicinando minacciosi piuttosto che sul dolce che avrebbe dovuto fare.

Tra poco era San Valentino, e voleva fare una sorpresa ad InuYasha, tuttavia ammise tra sé e sé che c'era ben poco da festeggiare.

“Ehi Kagome, stai lavorando al dolce di San Valentino per tu sai chi?”

Sua madre era entrata in cucina portando una cesta di panni da lavare.

“Magari posso aiutarti.” Le fece l'occhiolino divertita, finché si accorse del volto mesto della figlia. “Ti manca qualche ingrediente? Se vuoi posso uscire a comprartelo. Dimmi solo qual è il problema.”

Per un attimo Kagome pensò di fare spallucce o ricadere nel classico sorriso smagliante e finto che si usava quando avevi problemi sentimentali da adolescente, eppure ingannare la mamma non si sarebbe rivelato tanto facile. E poi aveva bisogno di confidarsi, parlare da adulta con un altro adulto, quindi perché non tentare?

“Credo che InuYasha mi stia nascondendo qualcosa, un segreto, una preoccupazione, chi lo sa. Ne sono sicurissima.”

Con sollievo non si sentì dare della pazza visionaria affetta da insicurezza cronica, ne tanto meno sua madre per confortarla attribuì questa convinzione a fantasie e suggestioni varie. La fece solo sedere al tavolo della cucina mettendole una mano sul braccio magro e affusolato.

“Vedi Kagome, anche se fosse, non devi fartene un cruccio. Le persone hanno dei segreti, cose che non vogliono o possono rivelare, ed è giusto che sia così. Non possiamo sempre dire tutto di noi, abbiamo bisogno di avere dentro posti e pensieri esclusivamente privati. Questo non vuol dire che InuYasha tenga di meno a te, o che non ti voglia più bene.” La strinse in un abbraccio a metà, in una sorta di gesto consolatorio verso un figlio non ancora cresciuto ma non più bambino. “Non pensare che io voglia sminuire la tua preoccupazione, perciò non fare quella faccia Kagome, però promettimi che penserai alle mie parole, ok? E fammi un sorriso, che andrà tutto bene.”

Non poteva minimamente sospettare tuttavia, che sua figlia in quel momento avesse messo da parte InuYasha e le sue stranezze per rivolgere la mente a tutt'altro tipo di fatti celati.

Oh mamma, se tu sapessi quanti segreti devo mantenere io!

Ancora le tremavano le ginocchia se riandava a quel giorno allo studio fotografico, quando le avevano detto di sciogliersi i capelli, togliersi i pantaloni e cercare di essere il più naturale possibile mentre un tizio con una macchina digitale dall'obbiettivo enorme si fiondava sul suo sedere riprendendolo da tutte le angolazioni.

Persino Rin e la disinibita Ayame si erano guardate in faccia ansiose, e Sango era uscita per ben due volte dallo studio sostenendo di aver cambiato idea per poi tornare convinta da Jakotsu e dal bisogno economico.

L'idea di scappare era stata una tentazione anche per lei, poi però i conti dell'ospedale per il nonno, la retta del costoso liceo privato di Sōta e la prima rata per restituire il prestito a quella dannata Kagura avevano galleggiato dentro di lei come orribile spazzatura marcia in un oceano pulito di belle speranze, e aveva lasciato che il click del fotografo la inondasse, allontanando il panico e la pudicizia.

No, si disse, non ho fatto nulla per cui mi debba vergognare. Sto aiutando la mia famiglia in un momento difficile come farebbe una brava figlia.

“Si, mammina, andrà tutto bene. Sicuramente è la mia immaginazione. Oppure il motivo è il regalo che pensa di dovermi fare, è il nostro primo San Valentino, e sai com'è InuYasha, queste cose lo innervosiscono.”

Ricambiò la stretta di sua madre. Adesso aveva addosso la responsabilità della famiglia e del tempio Higurashi, qualunque prezzo avesse dovuto pagare.

 

 

 

Grazie a tutti, veramente! Sono commossa per come è stata accolta questa storia, per la gentilezza delle persone che l'hanno recensita o messa tra le preferite e le seguite, senza contare quei lettori silenziosi altrettanto importanti, tutti voi siete stati fondamentali affinché la continuassi con lo stesso entusiasmo e allegria, perché sì, a dispetto del capitolo, che spero vi piaccia, è una storia divertente, più o menoXD.

A presto

 

 

bimbarossa

 

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Capitolo 3
*** Intraprendente e curiosa ***


DISCLAIMER: sì, anche a quel furbetto di InuYasha piacciono le riviste per adulti

 



 

La curiosità aiuta. A vendere.

 

 

 

“Questo sarebbe il mio regalo per San Valentino?”

L'espressione sul volto di Kagome era una via di mezzo tra l'incertezza e l'irritazione trattenuta, con in più un sottile velo di delusione.

“Non fare quella faccia! Neanche ti ricordi che questo è il posto dove ci siamo incontrati per la prima volta, ammettilo.”

Con una manovra di destrezza possibile solo per qualcuno dal sangue demoniaco come lui, InuYasha estrasse un cestino da picnic e una coperta.

“Ho fatto preparare da tua madre i cibi che ti piacciono di più.” Si godette quindi il cambiamento repentino del volto della sua ragazza, la bocca spalancata e le guance che diventavano a poco a poco rosse come piaceva a lui. “Non sapevo cosa regalarti, sai, io non sono un esperto in queste cose, così ho preferito non un cosa ma un dove. Non sei arrabbiata, vero?”

“Certo che no. È meraviglioso. Mi dispiace solo che il mio regalo in confronto al tuo risulterà un po' misero, temo che la torta al cioccolato che ti ho fatto si sia un pochino bruciata. Non sei arrabbiato, vero?” Gli fece il verso tirando fuori la piccola lingua rosata e InuYasha, che già da casa aveva avuto sentore di tale tragedia culinaria (quella mostruosità nella borsa di Kagome puzzava come legno affumicato) ma non ne aveva fatto parola per cavalleria, sentì un fremito lungo la spina dorsale.

Si sedettero sopra la coperta, accoccolati e felici di stare insieme, e forse era per il fatto che il freddo vento di febbraio non riusciva del tutto a coprire il calore dei raggi del pallido sole intento a sfidare le poche nuvole, ma ogni dettaglio in quella giornata pareva perfetto.

Mentre mangiavano si mise ad osservarla di sottecchi, le guance arrossate e l'aria sbarazzina mentre divorava le rape croccanti, e non gli era mai parsa più bella.

“InuYasha, devi fissarmi ancora per molto prima che tu ti decida?”

“D-decida di fare c-cosa?”

Si sentì tirare per il bavero della giacchetta di jeans, e prima che le labbra di Kagome diventassero complementari alle sue, la sentì sussurrare: “A baciarmi, scemo.”

 

Si baciarono a lungo, lui e Kagome.

Mai avrebbe pensato di trovare la sua lingua così morbida, gommosa, di una densità talmente dolce che i mugolii gli si fermavano in gola per l'impossibilità di fermare quei baci.

“Kagome, dovremmo smettere.”

Sentiva il collo rigido e non solo, anche un'altra parte del suo corpo sentiva rigida, inoltre le parole gli uscivano a stento e temeva che la gola gli si spaccasse dalla tensione.

“Perché?”

“Perché siamo in un luogo pubblico, e se continuiamo così...”

“D'accordo, come vuoi.”

Chissà perché l'arrendevolezza di Kagome e il fatto che fosse stata tanto veloce a tirarsi indietro gli fecero quasi male.

“Scusa InuYasha, ma dove stai andando?”

Si era caricato coperte, cestini e immondizia, dirigendosi tutto impettito fuori dal parco.“Ti sto portando a casa, no?”

“Non ci pensare nemmeno.” InuYasha non poteva crederci, Kagome stava prendendo l'iniziativa proponendogli quello che gli stava proponendo! “Al parco ci possono essere effettivamente occhi innocenti e vecchie bigotte barbose, ma se mi porti a casa tua mi farò perdonare per il dolce che ho bruciato. Ti darò un vero regalo di San Valentino.”

 

 

“È stata una commissione abbastanza difficile, lo ammetto, ma almeno la paga si è rivelata buona.”

Aveva invitato Sango in un locale in centro dopo un lavoro di esorcismo in una vecchia casa nel quartiere più antico di Tōkyō, ed ambedue si erano ritrovati stanchi, infreddoliti e bisognosi di una buona tazza di the bollente per riprendere le forze.

“Grazie di avermi chiamata.”

“Prego. Sapevo che quei soldi ti servivano, e poi sei la miglior sterminatrice che conosca.”

La fissò mentre si massaggiava con gesti lenti e suadenti le spalle. “In effetti con questi soldi posso pagare alcune bollette urgenti. Che ne dici se per ringraziarti ti invito a cena? Mio fratello resterà fuori fino a tardi, e posso cucinarti qualcosa, e poi magari...”

“Mi dispiace, Sango, ma non posso proprio. La tua offerta mi lusinga, ma ecco...ho un appuntamento.”

Mannaggia, come avrebbe voluto accettare!

Ogni volta che posava gli occhi su quella ragazza, a Miroku veniva una specie di sensazione di calma irrequieta, alla stregua di un mare liscio come l'olio durante una tempesta. Un sentimento di surrealtà, di vertigine, di costante voglia di palparle il sedere, farle una carezza nei capelli e baciarla fino a non avere più fiato, tutto contemporaneamente.

E non perché Sango fosse semplicemente bellissima, nonostante quegli abiti informi e pratici che portava quasi sempre per lavorare meglio.

Miroku sapeva benissimo di provare qualcosa per quella ragazza. Eppure sapeva altresì benissimo che quel rapporto non avrebbe portato da nessunissima parte.

Come aveva detto ad InuYasha, lui e Sango erano troppo diversi, e soprattutto cercavano cose diverse. Inoltre in questo momento lei non se la passava certo bene, aveva appena perso il padre e doveva far fronte ad importanti problemi economici e di bilancio famigliare.

Aggiungere anche un monaco impenitente come fidanzato sarebbe stato deleterio, e lui ci teneva troppo per farle questo.

Così si era imposto di starle lontano, almeno da quel punto di vista, cercandola solo in caso di lavori in vista che potessero aiutarla e come spalla di sostegno.

E poi...poi c'era la ragazza Osuwari.

Lei sì che era perfetta per lui.

Sicuramente una come lei era abbastanza disinibita, intraprendente e frivola da non ritenerlo indegno o depravato, una di larghe vedute, moderna, di certo molto lontana dall'educazione avuta per esempio da una come Sango, rigida e formale.

Con la ragazza Osuwari sarebbe stato tutto più facile, come piaceva a lui, se solo l'avesse trovata.

“Allora è così. C'è una ragazza che ti piace.”

Sango ci stava provando a fare la vaga, tirando su con noncuranza il suo frappè tramite una sottile e rumorosa cannuccia, questo Miroku lo aveva capito benissimo. Tuttavia doveva darci un taglio netto, non darle speranza. A lei e a sé stesso.

“Si, ho una ragazza che mi piace, che mi piace molto anche. Credo che sia quella giusta per me.”

“Capisco.”

La vide stringere la borsa che portava con se fino a farla scricchiolare, per poi alzarsi e pagare la sua parte. “Sei un vero amico, hōshi-sama, non so cosa avrei fatto se non mi avessi chiamato, e scusami se sono stata ficcanaso con la tua vita privata. Ora vado, non ti trattengo oltre.”

Si inchinò rispettosamente, e Miroku non dovette neppure sbattere gli occhi che era giù uscita e sparita tra la folla congelata ed asettica di Shibuya.

 

Rientrare a casa non poté dirsi proprio una meraviglia.

Il tempio era ghiacciato perché i riscaldamenti erano ancora spenti, e scuro come il suo umore dato che le candele votive non erano ancora state accese. Prima di prepararsi per la notte ebbe la spietata tentazione di fare una bella ramanzina ai suoi accoliti l'indomani, per poi ritrovarsi ad ammettere che no, non ne aveva la voglia. In realtà non aveva voglia di fare niente, si sentiva svuotato come un vecchio otre messo da parte.

Perché provava una tale depressione? I suoi sentimenti per Sango non erano così intensi ed esasperati, giusto?

Doveva concentrasi sulla ragazza Osuwari, su di lei soltanto.

Lei era reale, Sango era un sogno impossibile.

 

 

“Come mai non sei andata a casa?”

Aveva sentito l'odore di Rin non appena era uscito dall'ascensore per tornare in ufficio a prendere alcuni rapporti diventati improvvisamente urgenti prima di portare fuori a cena Kagura, e si era stupito, visto l'ora tarda, che lei si trovasse lì. Credeva che fosse già andata via da parecchio.

“Sapevo che le servivano queste carte extra da revisionare, così sono rimasta oltre l'orario per prepararle.”

Come la prima volta che lo aveva sentito, nell'intimità della sua anima di demone, quel senso di fastidio che qualcuno (ma non lui!) avrebbe chiamato senso di colpa e che associava sempre a Rin quando le faceva fare gli straordinari, o le dava compiti poco prima che fosse finito il suo turno, o le correggeva i pochi errori dovuti più che altro all'inesperienza, lo pungolò in un punto strano, un punto che stava tra i polmoni e lo stomaco, un punto che prima non sapeva neppure che esistesse e che potesse reclamare qualche attenzione.

“Vai a casa. Per quelle posso aspettare.”

“Ma no, mi ero preparata.” Con un gesto elegante del braccio che non lui non mancò di notare tirò fuori una scatola del bento. “Lei ha già cenato? Possiamo dividerla.”

Non si diede nemmeno la pena di rispondere, prese una sedia e si mise di fronte a lei, indifferente al fatto che quello non fosse un posto a lui congeniale ma l'ufficio della sua segretaria.

“Spero che sia di suo gusto. Non sono brava come Sango, ma me la cavo. Ho dovuto imparare fin da piccola se non volevo morire di fame.”

Rin non diede altre spiegazioni sul significato tetro di quella frase, e lui non gliene chiese.

Mangiarono quietamente, in silenzio, il rumore delle bacchette che pareva piovessero ossa dal cielo.

“Sesshōmaru-sama, posso farle una domanda?”

“Chiedi pure.”

Rin mangiucchiò qualche verdura prima di trovare il coraggio di parlare, mentre Sesshōmaru nel frattempo si godeva il piacere di poter osservarla da vicino forse per la prima volta, la delicata curva del mento, le spirali delle piccole orecchie, gli occhi scuri e profondi dove, se avesse voluto, avrebbe potuto trovare una pace completa, una pace che non necessitava di conquistare o distruggere cose e persone.

Sì, quella ragazza gli piaceva, ed essendo Sesshōmaru quello che era, questo poteva volere dire tutto e niente, ma qualsiasi considerazione fosse stata raggiunta sul mistero che era l'umana Rin sarebbe comunque rimasta ben chiusa dentro di lui, custodita tra i quei freddi silenzi per cui era famoso e le poche parole e dichiarazioni che gli uscivano a fatica di tanto in tanto.

“Ecco, se mi è permesso, quella donna, Kagura, è un'importante avvocato, si dice che sia una specie di squalo del foro. Le carte che sto preparando sono per lei, giusto? Sesshōmaru-sama, stiamo per caso facendo causa a qualcuno? Perché se è così non invidio quel poveretto.”

Per un attimo pensò di non rispondere, anzi, i suoi scrupoli quasi lo stavano indispettendo.

“Sei curiosa, vedo. Va bene, te lo dirò, anche se tra poco sarà di dominio pubblico. Conosci le ragazze Osuwari?”

“Certo, le conoscono tutti in città.”

Raramente nutriva la voglia di mettere acido nelle poche parole che usava con Rin o in sua presenza, tuttavia questa volta la frase che gli uscì ne era talmente piena da essere quasi piacevolmente scivolosa sulla lingua. “Ebbene, si ritroveranno molto presto senza lavoro.”

 

Rientrato nel suo buio appartamento di città, Sesshōmaru facendo il bilancio della giornata si annotò due cose. Primo, l'aver dato buca a Kagura non gli procurava il minimo senso di colpa. E secondo, la faccia di Rin quando aveva nominato le ragazze Osuwari gli aveva messo addosso una nuova sensazione, mai provata prima per un essere umano.

Una viscerale, inspiegabile, insoddisfatta curiosità.

 

 

“Adesso anche Kōga conosce il mio piccolo problema durante il novilunio. Se vado avanti in questa maniera gli affari miei li sapranno tutti quanti.”

“Ma dai! Questo vuol dire solo che hai tanti amici.”

Le voci di Kagome e di suo figlio si allontanarono per poi perdersi lungo il corridoio della grande villa fuori dalla capitale.

Sì, era proprio così, pensò Inu no Taishō seduto alla scrivania del suo studio privato mentre controllava carte su carte accumulate in quell'anno di permanenza all'estero.

InuYasha era cambiato radicalmente in quel periodo, mostrando un comportamento molto meno introverso, meno brusco, meno sfiduciato del mondo, e il Generale aveva il vaghissimo sospetto che tutto questo fosse opera di Kagome e della sua forte, e gentile, influenza al fianco del suo secondogenito.

Quella villa, un tempo vuota e fredda dopo la partenza di Izayoi, non era mai stata così piena di gente, che schiamazzava, rideva, svuotava frigo e armadietto dei liquori.

Umani, demoni lupo, sacerdotesse.

Inu no Taishō un pomeriggio, passando per una delle stanze dove si radunavano i ragazzi, aveva perfino scoperto un cucciolo di demone volpe bellamente addormentato su uno dei suoi divani, un vassoio di pesci smangiucchiati accanto e una piccola trottola solitaria insieme ad altri giocattoli sparsi per tutto il pavimento.

Ma in fondo ne era felice. Quella era la vita che aveva sempre voluto per lui, con persone accanto che gli avessero voluto bene e lo avessero accettato per quello che era.

Sfortunatamente a una di queste persone lui aveva arrecato offesa, e adesso doveva rimediare come era giusto che fosse.

La trovò che pranzava al tavolo messo a disposizione degli Yōrō nel ristorante all'interno del concilio, sola, i codini neri che contrastavano in modo strano con le pellicce bianche del clan del nord.

“Posso?” chiese prima di sedersi accanto ad Ayame di soppiatto.

Vista da vicino era una ragazza davvero molto bella.

“Certo.” La sua voce non era fredda, quanto piuttosto priva di calore.

“Vorrei porgerti le più sentite scuse per il mio comportamento di qualche tempo fa. Sono stato maleducato e brusco, ma a un demone vecchio come il sottoscritto si può perdonare un atteggiamento un po' burbero qualche volta, spero.” Le fece un sorriso che voleva essere incoraggiante, ma chissà perché ebbe quasi l'impressione di non essersi spinto oltre una pallida smorfia malinconica.

Che effettivamente non sortì l'effetto sperato.

“Inoltre devo confessare che mi sono anche trattenuto con te. Devi vedere come ho trattato la principessa Abi laggiù,” con il capo fece un impercettibile segno verso il tavolo dei signori dei corvi, “sostenendo che sua madre dovrebbe cambiare dieta ed evitare i ragni velenosi. O quando ho rinfacciato a Joka l'intrattabilità del suo turbolento clan.”

Con sollievo si rese conto che all'estremo della bocca di lei stava spuntando un mezzo sorriso trattenuto a tutti i costi.

“Insomma, da quando è tornato si è fatto molti amici.”

Risero in contemporanea, stupendosi entrambi di quanto fosse piacevole farlo.

“Va bene, diciamo che la perdono.” Con un'alzata di spalle fintamente sostenuta chiese disinvolta il conto prima che potesse farlo lui.

Nel momento in cui divenne consapevole che lo stava congedando, provò la netta sensazione che quella fosse l'ultima cosa che voleva.

“Sta piovendo,” il tempo fuori era talmente burrascoso e scuro che anche l'aria pareva di un grigio solido, “posso accompagnarti a casa?”

“Non ce ne bisogno, anche se la ringrazio molto per la gentilezza. Qui da voi al sud, la pioggia è tiepida e leggera.” Con una giravolta, la ragazza lupo di nome Ayame cominciò ad avviarsi senza il minimo cenno di disagio, senza ombrello, senza qualcosa che le coprisse il capo già umido.

I codini resi subito lisci e pieni d'acqua parevano lacrime scure.

“Al nord invece quando piove anche il più coraggioso cerca riparo, perché ogni singola goccia è gelida e ostile come il più coriaceo e vecchio dei demoni.”

Lo aveva detto con un'intonazione semplice, di una dolcezza attutita dalla pioggia battente, e anche se avesse voluto saperlo, non poteva essere sicuro che ci fosse qualche riferimento personale.

Tutto quello che voleva era rivederla ancora.

“Ayame?” Si voltò verso di lui poco prima di sparire dalla sua visuale, lì nei giardini diventati di un verde liquido del concilio. “Di solito queste riunioni per la manovra finanziaria sono spesso lunghe e noiose. Che ne dici se qualche volta pranziamo insieme?”

 

Tornò a casa con uno stato d'animo molto diverso da come vi era uscito.

Subito fu investito da odori che rimandavano a facce e nomi che conosceva appena.

“Avverti in cucina che preparino la cena per i nostri ospiti,” il maggiordomo annuì prendendo il suo soprabito di pelle. “Ah, e non dimenticarti di far preparare le trote allo spiedo.”

L'odore del cucciolo di volpe era uno tra i più persistenti, nella casa. “È ora che io conosca le persone più importanti che fanno parte della vita dei miei figli.”

 

 

 

 

Fatemi ringraziare tutti quelli che hanno recensito questa storia lasciando delle bellissime parole di apprezzamento che sono state il mio sostegno per continuare, davvero, siete incredibili, non mi sarei mai immaginata tanto affetto, e non scordo nemmeno quelli che l'hanno messa tra le preferite e le seguite, grazie di cuore anche a voi. Sperando che questo nuovo capitolo vi piaccia.

 

 

bimbarossa

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Capitolo 4
*** Candida e sincera ***


DISCLAIMER: tutti i personaggi compreso il più figo e sexy di tutti, il Generale, appartengono alla signora Takahashi a cui va tutta la mia gratitudine per averlo creato

 

 

 

 

 

 

La sincerità nella pubblicità, inganna.

 

 

 

“Ayame, tu sei una pazza!” La voce melliflua di Yura per una volta aveva perso tutta la sua sensualità. “Perché nascondere un così bel colore di capelli sotto quella ridicola parrucca?!”

Mentre finiva di pettinarla le tirò una ciocca quasi per punirla.

“Devo assolutamente evitare che i più mondani esponenti del concilio dei demoni mi riconoscano come una delle ragazze Osuwari e poi lo riferiscano a mio nonno.” Chiuse gli occhi quando la demone dal caschetto nero le spruzzò la lacca su un codino luminoso. “Lo conosco, e per quanto mi voglia bene la sua mentalità prenderebbe la cosa con vergogna e biasimo, e probabilmente rischierebbe anche un colpo apoplettico.”

“Guarda cocca, mica ti ho costretto io a lavorare per me.” Jakotsu era entrato di soppiatto come al suo solito nel camerino dove si stavano preparando per il nuovo servizio promozionale del brand più in voga del momento, che lui e i suoi fratelli avevano fondato.

“Fin da piccola mi è stato insegnato che per il clan si deve fare di tutto, quindi di certo non mi tiro indietro per qualche fotografia al mio sedere, se mi fa guadagnare tanto nel più breve tempo possibile. E poi è un sedere invidiabile, dovresti ringraziarmi, caro il mio Jakotsu.”

Con sussiego e foga assieme appoggiò piccata il rossetto rosa anguria sul ripiano pieno di flaconi, boccette, smalti e belletti, tanto che le lampadine attorno allo specchio davanti a lei si mossero pericolosamente e l'ombretto verde bosco cadde per terra, rotolando tristemente ai piedi del suo datore di lavoro.

“Questa storia l'ho sentita già cento volte, da tutte voi quattro, ma mica è colpa mia se quel bel tenebroso, quel Naraku intendo, ha dato l'assalto alla città con le sue speculazioni aggressive.” Esibendo una moina istrionica si affacciò alla stessa specchiera della demone lupo per aggiustarsi una ciocca che gli danzava un po' troppo sulla fronte. “Me ne frego del perché siete venute alla mia porta, ora che ci siete si fa come dico io. Perciò sbrigatevi a prepararvi, fratello Ginkotsu ha già preparato il set e montato l'attrezzatura. Sarà un servizio divino, che ci porterà moltissimi yen.”

Uscì baldanzoso sfregandosi le mani.

“Quando fa così non lo sopporto proprio.” Sango impettita e visibilmente a disagio sul suo sgabello, gambe e braccia incrociate, osservò scettica il nuovo modello di intimo che avrebbero dovuto indossare. “Non sembra anche a voi ancora più striminzito di quello di prima?”

“Jakotsu e i suoi dannati fratelli ci sfruttano impunemente!”

“Eppure a te non sembra dispiacere così tanto.”

“Più di quanto sembri, non sono così esibizionista, Sango. Quando non si sono alternative, lamentarsi è inutile.” Ayame riprese a truccarsi, cercando di nascondere il volto preoccupato sotto la frangetta ramata.

Aveva un dovere sopra ogni cosa, proteggere e guidare gli Yōrō, e se solo Kōga fosse stato lì ad aiutarla, magari accettando la proposta del nonno di sposarla e unire le tribù, non sarebbe stata costretta a raccattare tutti quegli yen in gran segreto.

Saremmo stati molto più forti insieme, e quell'orribile Naraku ci avrebbe pensato due volte prima di cercare di prendere le nostre terre.

Il volto del giovane capo degli Yōrō dell'est poté quasi riflettersi nello specchio davanti a cui era assorta.

Si era invaghita di lui fin da quando era una mocciosa, tentando in vari e rocamboleschi modi di conquistarlo e farlo suo, eppure Kōga l'aveva sempre respinta, a volte anche con mezzi bruschi e dolorosi che l'avevano fatta soffrire parecchio in tutti quegli anni.

Come poteva non piacergli? Come poteva non essersi innamorato follemente di lei? Cosa ti ho fatto di male per essere stata preferita ad un'umana?

Alla stregua di un attore inopportuno che improvvisamente irrompa sulla scena monopolizzando il palco, un'altra persona dalle fattezze simili al suo Kōga, stessa coda alta e fluente, stesso carisma e stesso orgoglio, minacciò il flusso patetico dei suoi pensieri.

Doveva smetterla di soffermarsi su di lui così tanto, sul suo fascino da grande demone impossibile.

Sprimacciò un codino per renderlo più liscio, rimirandosi per scacciare inopportuni arrovellamenti mentali.

Sì, il Generale dei Cani era davvero un uomo impossibile.

Impossibile da ignorare e impossibile da accontentare, se mai lei lo avesse voluto, e di sicuro non lo voleva, tutt'altro. Anzi, non sapeva cosa le prendeva in quel periodo, a pensare di botto e nelle ore più insensate della giornata al padre di InuYasha e Sesshōmaru. Forse stava solo miseramente impazzendo.

“Ayame ha ragione, Sango, lascia perdere.” Kagome, che temeva nuovamente per il suo ombretto verde bosco, si affrettò a calmarla. “Ormai i nostri guai li sappiamo, e sfortunatamente l'unica soluzione, quella più facile e remunerativa intendo, al momento è questa. Parliamo di altro, piuttosto, tipo della festa d'inverno di domani. Rin, mi presti il tuo vestito giallo? Ehi, Rin? Rin, che ti succede?”

 

“Rin, tutto bene?”

Kagome la stava squadrando preoccupata.

“Tutto a posto, sì.” Dovette costringerlo quasi, il viso, ad emettere un pallido cenno di assenso.

Non va bene per niente, avrebbe voluto urlare.

O meglio, fino a due giorni prima Rin si era sentita nel nirvana per quanto fosse felice, durante quel piccolo e stravagante spuntino con Sesshōmaru.

Non si era aspettata che lui tornasse in ufficio – aveva avuto la vaga quanto spiacevole impressione che avesse un appuntamento galante per quella sera- e di sicuro non si era aspettata che accettasse senza fare un piega di condividere una misera scatola di bento con lei.

In quel momento a Rin era parso che fossero nati fiori nel proprio stomaco, gli angoli della bocca le si erano incurvati in un sorriso senza controllo, e la voglia di essere felice e spensierata si era fatta strada dentro il suo piccolo cuore introverso, tanto che si era lasciata andare a minuscole confidenze, briciole di frasi sulla sua vita che magari per Sesshōmaru non avevano significato nulla, ma che per lei avevano significato tutto, o meglio avevano significato quanto si sentisse bene ogni volta che gli era vicino, quanto inaspettatamente la mettesse a suo agio la sua presenza.

Poi però...poi però lui aveva rovinato ogni cosa che la fantasia galoppante di Rin avesse mai potuto costruire.

Le ragazze Osuwari non lavoreranno a lungo.

Rin non riusciva a capire, ancora dopo due giorni di depresso cogitare, il perché di tanto livore; in fondo Sesshōmaru era un uomo di mondo, cosmopolita, dalle idee ampie anche se pur rigide. Di sicuro non si sarebbe mai scandalizzato per una pubblicità di ragazze che anche se poco vestite non rappresentavano di certo il peggio del marketing giapponese. Sì insomma, in giro si vedeva ben di peggio!

Improvvisamente a Rin venne un brivido freddo, come se tutto il gelo di quella fine di inverno fosse appena entrato dalla finestra insieme all'azzurro del cielo sopra la capitale.

“Non credo di venire alla festa. Non pare anche a voi strano che il padre di InuYasha ne dia una?Non ne è il tipo, anzi; sembra sempre così...sempre così...”

“Infelice.” Kagome sospirò pesantemente, dando una specie di triste pacca sulla spalla della demone lupo.

Ayame si stava rimirando allo specchio a figura intera dietro un camerino e in quel momento una nuvola solitaria passò davanti al sole cosicché tutta quella luce turchese le piovve addosso, mettendone in risalto la candida figura contro lo sfondo scuro del camerino.

Sì, i demoni erano davvero esseri bellissimi!

Con una pelle che sembrava fatta di delicati fiocchi di neve rosata, le labbra naturalmente lucide e tumide, gli occhi verdi come mari d'erba e quei capelli di un insolito marrone autunnale che spiccavano sempre e ovunque, Ayame era l'esempio perfetto di ciò che era la sua razza, una macchina perfetta nei suoi ingranaggi di longevità, resistenza e perché no? bellezza fisica ultraumana.

Tutte cose in comune con un altro demone di sua conoscenza.

Un demone a cui il suo piccolo cuore, quel cuore che Rin custodiva gelosamente e pieno di segreti, doveva tutto, tranne una cosa.

La sua sincerità.

 

Kagome adorava il rosso, lo considerava un colore passionale, primitivo, sincero.

Per questo era contenta che quel maniaco di Mukotsu, il fratello del suo capo addetto ai costumi lo avesse scelto per lei.

“E' stato lontano molto tempo dal Giappone e dalla sua famiglia, non trovo insolito che dia un party per il suo ritorno.” InuYasha le aveva parlato pochissimo di suo padre in tutti quei mesi da che stavano insieme, e sempre con una sottile aria di malcelata malinconia. “E poi mi hanno detto che lo frequenti spesso, al concilio intendo.”

Le guance di Ayame si imporporarono.

“Sto solo cercando di imparare dal migliore, uno come lui potrebbe insegnarmi tantissimo sulla politica giapponese di voi del sud se solo lo volesse. E tanto per essere scrupolosi, si è sempre comportato correttamente con me, neanche un gesto fuori posto o dalla dubbia interpretazione. Un vero gentiluomo.”

Kagome fece finta di demordere, ma parecchi campanelli le risuonavano in testa, facendole temere per la sua amica. Qui qualcosa le puzzava di guai e tragedie amorose in arrivo.

“Sango, se vuoi posso sistemarti io quella forcina.”

Con uno stratagemma era riuscita finalmente a restare sola con la ragazza più grande, la confidente di una vita, la sua migliore amica praticamente da sempre e persino sempai al liceo.

Se non avesse detto a lei quel segreto che le stava scoppiando dentro non sapeva a chi altri rivolgersi.

“Allora, tu e InuYasha come avete passato San Valentino?”

“Ecco, direi benissimo. Al di là delle mie più rosee aspettative. Sai...” Anche lei si sentì arrossire come Ayame poco prima. “Sai, finalmente lo abbiamo fatto.”

“Fatto? Fatto in che senso?” Sango parve sperduta, ma solo per due nanosecondi. “Ohhh, avete fatto quello.”

Le rifilò una spintarella tra il divertito e l'incoraggiante che la fece quasi traballare. “Sono molto felice per voi. Sembro indiscreta se ti chiedo come è andata?”

“E' stato...è stato meraviglioso.”

“Oh dei, perché stai usando quel tono?”

“Che tono?”

“Sai quale, il tono che precede un bel MA grosso come una casa.”

“Non è quello che puoi pensare. E' stato davvero meraviglioso, forse anche troppo. E' stato come se per un momento InuYasha per me non avesse segreti, e che io non ne avessi per lui.”

“Ma sappiamo che non è così, vero, amica mia? Lui non sa niente di te e di tutto questo,” Sango si guardò attorno, “e tu non sai che cosa lo sta preoccupando da qualche tempo.”

“Già, non mi vuol proprio rivelare ciò che lo tormenta. Ho cercato di indagare, ma forse non dovrei, almeno così pensa mia mamma.” Lo sbuffo di Kagome le spostò la frangetta scura alla stregua di una folata di vento di tempesta. “ Dice che non sempre la sincerità è utile con i sentimenti.”

“Tua madre è una donna saggia, come quasi tutte le mamme. La mia mi manca ogni giorno.” Sango trasalì quasi. “Scusa Kagome-chan, e che in questo periodo mi sento un po' triste.”

Quasi Kagome si pentì di lamentarsi sempre per i suoi problemi che parevano improvvisamente così banali ricordandosi della recente perdita dell'amica.

“Sicuramente il malumore di InuYasha sarà qualcosa di stupido come aver speso troppo dalla carta di credito di famiglia. Basta, sono stufa di andargli dietro...”

“Ragazze, vi devo dire una cosa...”

“E poi chi si crede di essere? L'unico con dei segreti segretissimi da tenere nasco...”

“So che non dovrei, Sesshōmaru-sama potrebbe uccidermi ma...”

“Quando vuole parlerà. Aspetta Rin, che stavi dicendo? Non credo di aver capito bene.”

“Sì invece, il fratello di InuYasha vuole farci chiudere.”

 

Per Sango quella giornata sembrava essere iniziata sotto i migliori auspici.

Il cielo sereno dopo settimane di bufere di neve sulla capitale, il profumo degli spiedini di mochi del suo venditore preferito all'angolo che finalmente si era potuta permettere, e la soddisfazione non ultima di aver pagato tutte le bollette di quel mese rendevano di nuovo il mondo un posto bello e il futuro di nuovo promettente.

Con i soldi della nuova campagna Osuwari, inoltre, e grazie al lavoro che le aveva procurato Miroku che aveva tamponato i debiti più importanti, sarebbe andato tutto bene, avrebbe solo dovuto non mollare, per lei e per suo fratello.

Già...mollare non era contemplato, però...

Però Rin aveva gettato su tutti loro quella bomba, e il mondo di Sango in poche ore si era capovolto di nuovo.

“Perché Sesshōmaru ce l'ha con noi? Non gli abbiamo fatto nulla di male.”

“Non lo so proprio, Ayame.” Cosa avrebbe mai potuto risponderle?

Jakotsu appena saputa la cosa si era messo a strillare come una gallina invocando addirittura il sostegno di tutta la banda dei suoi fratelli.

“Adesso il Principe dei Demoni vuole farci chiudere, per caso? Che ci provi pure! Fratello Renkotsu è un avvocato, gliela farà vedere lui. Ehi, Rin, si può sapere cosa cazzo passa per la testa del tuo capo?”

Sango, tornando sulla via di casa e ripensando al panico che aveva pervaso l'azienda intera, rabbrividì.

Si era di nuovo messo a nevicare in serata, e seppure riparata dall'ombrello guardò per un attimo il cielo nero da cui cadeva una pioggia bianca, una pioggia quasi da fumetto, solida come le lacrime di un dio di pietra.

Il pensiero volò a Miroku, ed era come se nel petto avesse racchiuso ed intrappolato un fiocco di neve bianchissimo, candido, bello, eppure gelido come poche cose lo possono essere su questa terra, una sensazione simile a quella provata davanti alla piccola incolpevole Rin, quasi piangente mentre veniva bersagliata da un fuoco di fila di domande a cui non poteva rispondere e che aveva stretto il cuore di Sango senza che ci potesse fare poi molto.

Al contrario di Kagome che conosceva da sempre poiché dello stesso quartiere, le altre due ragazze erano entrate nella sua orbita da poco, da quel famoso giorno di sei mesi prima quando si erano incontrati tutti nel refettorio di un orfanotrofio cattolico per unirsi in una class-action contro uno sconosciuto speculatore edilizio piombato in capitale, eppure non ci era voluto molto perché prendesse anche loro sotto la sua ala da mamma chioccia.

Sango d'altronde era così, protettiva e complice, gentile e tosta. E fu la prima per questo forse a ribellarsi, il giorno dopo in agenzia, quando un fin troppo pimpante Jakotsu espose loro la contromossa per tentare di arginare le azioni di Sesshōmaru.

“Faremo una lotteria, su tutti i social e sul nostro sito, Ginkotsu ha già fatto partire l'operazione e stanno già vendendo una marea di biglietti. Esattamente tra una settimana estrarremo quattro vincitori che potranno conoscere le famose ragazze Osuwari.”

“Non se ne parla!” Il loro fu quasi un coro.

“Non dal vivo, sciocche.” A Jakotsu brillavano gli occhi. “I quattro fortunati vinceranno una chat privata con voi per un intero mese.”

 

 

 

Cari lettori, spero che vi faccia piacere il mio ritorno con questa storia di lustrini e glamour, se volete ogni commento o pensiero è più che benvenuto. Grazie, e godetevi il capitolo!

 

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Capitolo 5
*** Venite ad afferrarle ***


DISCLAIMER: tutti personaggi e i numeri vincenti alla lotteria appartengono a Rumiko Takahashi

 

 

 

 

 

La pubblicità ti promette di afferrare le stelle nella notte più nera.

 


“Dimmi Miroku, quanto sta urlando il tuo portafoglio in questo momento?” InuYasha se la stava ridendo sotto i baffi fin da quando avevano messo piede al café. “Anche se ne hai comprati a decine, di quei biglietti, le probabilità di essere estratto per chattare con la ragazza Osuwari sono pressoché nulle, meglio che te lo dica.”

Con noncuranza ignorò l'occhiata malevola del suo amico bonzo, intento ad impilare una trentina di foglietti viola ciclamino. “Ma per chi mi prendi, InuYasha! Questi sono solo quelli vinti al pachinko; ne ho acquistati altri dieci sul loro sito, dieci dagli sponsor affiliati e altri dieci andando personalmente alla sede della Osuwari.”

Ammiccando sfrontato come pochi, Miroku ordinò un altro frullato per entrambi.

“Caro il mio InuYasha, non sai che ho messo addirittura a punto una strategia? Con il successo che la lotteria sta riscontrando, e la mole di biglietti venduti, è statisticamente più probabile che il numero abbinato alla mia futura moglie sia tra quelli alti, a tre, quattro cifre, ecco perché mi sono fiondato su quelli. Guarda qua, “e mostrò una serie di ticket che confermavano la sua strampalata idea.

“Interessante,” il demone cane pareva al giovane monaco più annoiato che curioso. “A proposito, la festa stasera inizia alle nove.”

“La festa che ha organizzato tuo padre?”

InuYasha annuì meditabondo. “Il mio vecchio si è messo in testa di recuperare il tempo perduto e conoscere i miei amici. Tsz, come se ne me importasse.”

“Secondo me te ne importa eccome.” Miroku sorrise querulo. “Alle nove sarò davanti alla porta della tua mega villa, puoi contare su di me. Ne approfitterò per festeggiare la vittoria alla lotteria con la modestia che mi contraddistingue, tanto l'estrazione sarà fra poche ore nel tardo pomeriggio, e avrò tutto il tempo di smaltire l'ebbra felicità che mi avrà pervaso.”

Lasciato l'amico al cafè insolitamente pensieroso, Miroku si diresse alla spicciolata verso il suo tempio, cercando di contenere l'eccitazione che davvero lo stava divorando.

Quella lotteria era la sua unica occasione.

Aveva tentato di tutto per rintracciare la divina ragazza Osuwari dei suoi sogni, si era persino recato al grattacielo che ospitava la compagnia, ma due buttafuori -uno altissimo e dall'aspetto di un oni e l'altro un ragazzino con una lunga treccia e l'espressione crudele- l'avevano senza tante cerimonie accompagnato implacabilmente all'ingresso intimandogli di sparire dalla circolazione.

Tuttavia non era nella sua natura demordere, così come non era nella sua natura aspettarsi di ottenere dalla vita un rapporto duraturo con una ragazza normale e perbene, come Sango se doveva portare un esempio, sempre lei.

Perché una così non si sarebbe mai avvicinata ad uno come lui, cresciuto da maestri ubriaconi e lascivi; una così, il fior fiore della buona società giapponese, non avrebbe mai capito gli incubi che ancora lo perseguitavano della morte di suo padre ammazzato da un demone senza nome – ma il cui volto Miroku ricordava benissimo- che lo spingevano altresì a prendere tutto dalla vita, perché questa poteva rivelarsi breve e fragile come un fiore spuntato troppo presto tra la neve.

E la neve quel giorno per fortuna non cadde, anzi, un sole tondo e arancione stava tramontando sospeso nel cielo viola e rosa tra i palazzi della capitale quando per l'ennesima volta riavviò la pagina online della Osuwari trovandola aggiornata. Finalmente.

Conoscere quella ragazza era nel suo destino, dentro di sé Miroku era pienamente convinto di questo anche se non sapeva spiegarlo a livello razionale, quindi doveva aver avuto il biglietto vincente, lei era la numero uno e sarebbe stata sua.

Gli occhi saettarono nel riquadro di riferimento, e il cuore gli salì in gola per poi sprofondare invece nello stomaco.

Sì, la sua ragazza Osuwari era proprio la numero uno.

 

Dopo che Miroku se ne fu andato InuYasha rimase a quel tavolino stravaccato ed immerso nei suoi pensieri per un bel po', tanto che la cameriera, una ragazza carina e dolce che gli ricordava vagamente Kagome gli domandò se per caso andava tutto bene e se il signore desiderava altro come una fetta di torta o un mochi.

La sua risposta era stata pigra e di malavoglia, al limite dell'insolente, ma d'altronde lui reagiva sempre così quando era nervoso e frustrato con se stesso.

Le ultime settimane con la fidanzata erano state stupende, all'insegna della leggerezza, della complicità, della passione.

E la ragazza Osuwari era sparita dai suoi pensieri.

Tutto era stato perfetto, sino all'uscita di quel dannato cartellone inquartato stile Andy Warhol che capeggiava su tutta Tokyo sponsorizzando la mirabolante lotteria per chattare via telegram con le fantomatiche ragazze della Osuwari, parlare con loro, conoscerle, sapere che persone fossero oltre il loro indiscusso successo, dare un po' di sostanza alla forma bellissima che presentavano al mondo.

Da allora InuYasha era riuscito a non cadere in tentazione solo per miracolo, stando lontano da ogni possibile fonte di acquisto di un biglietto e pensando intensamente a Kagome che sì, amava tantissimo, e di questo era certo fino in fondo alla sua anima di mezzodemone.

Se all'inizio quell'insopprimibile interesse verso la ragazza della pubblicità era stato come un graffio, qualcosa di minuscolo e impossibile, facile da ignorare e tenere lontano dalla sua relazione con lei -sperando che non se ne fosse mai accorta- il baluginio del miraggio di poter conoscere quell'altra era bastato a mandarlo in crisi e nella più completa confusione.

Perché lui non era così.

Si era sempre reputato fedele, onesto negli ideali e nelle intenzioni, incapace di spaccare il proprio cuore dando devozione a più di una persona alla volta, ma ora...ora non ne era più tanto sicuro.

Forse non era così diverso da Miroku e da tutti gli altri uomini, forse anche lui poteva provare interesse per due ragazze contemporaneamente, ma era pur vero che accettare questa consapevolezza gli stava mordendo la coscienza, tanto che era una settimana che non si faceva trovare da Kagome, incapace anche solo di guardarla negli occhi e sopravvivere alla vergogna.

E se...e se paradossalmente l'unica soluzione fosse stata proprio comprare un biglietto della lotteria Osuwari?

Sicuramente non avrebbe mai vinto, e avrebbe considerato la cosa come il segno del destino che tutto ciò che provava erano solo ridicolaggini da pervertito, e sarebbe potuto andare avanti trovando una sorta di pace. Cosa aveva da perdere alla fine dei giochi?

Sì, era sicuramente così; avrebbe preso un solo tagliando, seguendo la stramba teoria di Miroku sullo scegliere il numero più alto possibile. 3234. Poteva andare bene. Non sarebbe mai uscito, e la ragazza Osuwari sarebbe ritornata ad essere solo polvere di fata.

 

“Darei non so che cosa per dare un'occhiata al tuo costosissimo tablet in questo momento. Non fai altro che fissarlo.”

Il tono di Kirinmaru avrebbe dovuto offenderlo, ma perché irritarsi tanto della verità?

Dopo aver spento la schermata in modo lento e calcolato il Generale squadrò il suo eterno rivale che si stava chiaramente prendendo gioco di lui impunemente. Non sapeva nemmeno perché lo tollerasse, eppure il loro rapporto, un misto di puro antagonismo e un cameratismo che solo due essere potenti come loro potevano condividere, consentiva tutta quella sfacciataggine, anzi Inu no Taishō si sarebbe di norma divertito. Di norma.

Non questa volta però.

“Non credo che siano affari che ti riguardano.”

“Calma calma.” Il Re Bestia dell'Est si limitò a fare spallucce. “D'accordo, tieniti pure i segreti che vuoi, tanto sarà qualcosa di noioso e deprimente come al tuo solito.”

Estrasse il suo di tablet, altrettanto costoso e di ultima generazione, accavallando le gambe e mettendosi comodo sul divano in pelle del Generale. “Io invece voglio dedicarmi a quello che tutti nella prefettura stanno facendo in questi ultimi giorni. Tentare la fortuna e prendere un biglietto della lotteria Osuwari. Ah, davvero belle quelle ragazze, bisogna ammetterlo!” Cliccò su qualcosa e fece scorrere qualcos'altro. “Vediamo, chi scegliere? La mora con il grazioso intimo rosso? O la brunetta con quello rosa...”

“Vorrai dire quella con i capelli rossi...”

Il rivale sghignazzò. “I miei sono rossi.” L'imponente chioma che possedeva galleggiava quasi attorno lui come un mantello color vino. “Ammetto però che hanno una sfumatura di rame insolita, un marrone molto pop, tuttavia se proprio devo scegliere, la mia preferita è...”

Inu no Taishō non seppe mai quale fu la preferita perché la suoneria del cellulare di Kirinmaru si mise in mezzo.

“Sembra qualcosa di serio.”

La conversazione era durata per non più di un minuto in cui il demone giraffa non aveva emesso parola limitandosi ad ascolta il suo interlocutore con espressione indecifrabile.

“Naa, solo un nuovo cliente che ha della merce a cui sono molto interessato. Scusami ma devo andare adesso.”

Inu no Taishō contò fino a duecento prima di aprire di nuovo il tablet alla schermata che aveva lasciato.

La pagina online della ragazza Osuwari dai capelli rossi era ancora lì, con tutte le sue tentazioni e lusinghe piene di una magia che aveva dimenticato da tanto, e che non aveva mai pensato di provare ancora.

Che male poteva fare comprare un biglietto per godersi l'illusione di poterla conoscere? Un tagliando solo. Il numero sedici era già pronto per lui, doveva solo confermare o annullare la procedura.

Tuttavia quando era a tanto così per cliccare sulla prima opzione un interiore gemito strozzato lo bloccò.

Non poteva farlo; no, proprio non poteva.

Perché andava bene essere uno sciocco, un vecchio sciocco anzi; ma tradirla era impensabile.

Gli dei dovevano stare ridendo di lui, con quel numero sedici, mettendolo crudelmente alla prova.

La sedicesima notte. La più bella. Izayoi.

Lei era ancora l'amore della sua vita, lo sarebbe sempre stata, e nessuna sirena dai capelli rossi avrebbe potuto offuscare quella certezza del suo cuore.

Il dito scivolò su ANNULLA e tutto divenne nero.

 

Sesshōmaru osservò il sole che riverberava sui finestroni del grattacielo della compagnia di famiglia con l'astio quasi di un vampiro.

Avrebbe voluto che nevicasse.

La neve, l'acciaio di una spada o il nucleo gelido dell'acido più corrosivo, così come tutte le cose fredde al tatto, lo mettevano di buon umore, lo confortavano – se confortare potesse essere un parola da associare a Sesshōmaru- e cercava con tutto se stesso di riversare quel freddo in ogni azione che compiva e in ogni pensiero che la sua mente forgiava.

Ecco perché non si spiegava come avesse potuto acquistare quel maledetto biglietto per la ragazza Osuwari, la ragazza che tanto riusciva a sconvolgerlo.

Di sottecchi fulminò lo screenshot necessario per confermare l'avvenuta compravendita -nel caso di un'imprevedibile e per lui pericolosissima vittoria- la prova dell'avventato gesto così lontano dal suo temperamento. Che razza di freddo poteva contenere una condotta simile?

“Posso entrare?”

La voce di Kagura lo raggiunse razionalmente qualche millisecondo prima del suo odore, che stranamente il cervello del demone cane aveva registrato a livello inconscio ma che solo ora era divenuta un'informazione importante con cui avere a che fare.

“Hai quindi cominciato.” Non era una domanda, quella di Sesshōmaru. Se era lì da lui, le rotelle dell'ingranaggio si erano ovviamente già messe in moto.

“Diciamo di sì.” Con un fruscio elegante la signora del vento gli si sedette davanti, la scrivania a separarli come il divario incolmabile tra loro esistente, e che Kagura cercava in tutti i modi ostinatamente di bilanciare.

“Ho trovato qualche appiglio legale da sfruttare, e avrei dalla nostra parte anche il sindaco e la giunta comunale.”

“Bene.”

“Ho detto avrei. Ma non è proprio così. Quelli della Osuwari sono stati furbi, la mossa della lotteria è stata a dir poco geniale, tanto da poterci mettere i bastoni tra le ruote, o come minimo rallentarci.”

“Non capisco.” Come poteva una semplice riffa per delle ragazzine poco vestite attentare ai suoi piani?

“Semplice, Sesshōmaru. Il ricavato andrà tutto in beneficenza, e la Osuwari ci ha tenuto a sottolinearlo con tutti i mezzi a sua disposizione durante questa settimana. Si stanno ingraziando le masse parandosi la schiena dalle possibile critiche al loro discutibile brand.”

“E quindi? Cosa vuoi dirmi, Kagura?” il tono di Sesshōmaru non poteva essere più glaciale.

“E quindi ti consiglio di prendere tempo; questa farsa da guitti oggi pomeriggio terminerà, in qualche settimana nessuno si ricorderà della lotteria Osuwari e per allora sarà più facili colpirli e trascinarli in tribunale senza passare da cattivi.”

L'obiezione di Kagura non era facile da digerire per Sesshōmaru, eppure dopo averci pensato per ore dovette convenire che non aveva tutti i torti. D'altronde anche il freddo era immoto e paziente per natura.

Prese lo smartphone su cui aveva salvato lo screenshot del biglietto numero 189 e con uno scatto lo eliminò.

 

 

Eccomi qua, sono tornata! Vorrei ringraziare i lettori e le lettrici che continuano a seguire questa storia, che hanno recensito, messo nelle preferite e nelle seguite, faccio tutto per voi. Siete stupendi!

Fun fact: nell'immagine se zoomate abbastanza c'è una piccola chicca, diciamo un messaggio nascosto, vediamo chi lo scova.

Grazie ancora, a presto.

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