Thunder Hearts

di Ormhaxan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 - Prologo ***
Capitolo 2: *** 02. ***
Capitolo 3: *** 03. ***
Capitolo 4: *** 04. ***
Capitolo 5: *** 05. ***



Capitolo 1
*** 01 - Prologo ***


Thunder-2-0

 

Londra, 2016


La voce degli altoparlanti posti sopra di lei la destò da quello stato di dormiveglia in cui era caduta qualche minuto prima: erano passate quasi otto ore da quando era salita su quel gigantesco aereo con un biglietto di sola andata in mano, decisa a lasciarsi alle spalle una volta per tutte la vasta terra del sogno americano e la sua disastrata vita oltre oceano, nella speranza di iniziarne una totalmente diversa e, soprattutto, migliore.
Sbadigliò assonnata, non prestando troppa attenzione alla voce metallica del capitano che in sottofondo continuava a parlare con tono piuttosto sbiascicato e ovattato, aggiornando i passeggeri sulla temperatura e le condizioni meteo; Jacqueline spostò con fare distratto il suo sguardo fuori, osservando attraverso l’oblò posto alla sua destra il panorama sotto di lei, le case bifamigliari dal tetto spiovente sempre più vicine. Portò le mani in alto, aprendo e chiudendo le dita come a formare un artiglio felino, sgranchendo gli arti superiori del suo corpo e attese impaziente che l’aereo toccasse suolo britannico.
Una volta atterrato e fermato completamente, i passeggeri attorno a lei iniziarono ad alzarsi dalle loro postazioni, affollando come formiche operose gli stretti corridoi ricoperti di moquette rossa e malconcia: come da copione si avventarono come una marmaglia di cani randagi sulle cappelliere grigie poste sopra le loro teste, come se rimanere un secondo di troppo in quella scatola con le ali mettesse a repentaglio la loro vita. Dal canto suo Jacqueline fu una delle ultime ad alzarsi, a prendere il suo trolley color jeans e, salutate le hostess e gli steward, a percorrere il lungo corridoio che la portò dritta dritta all’uscita del gate, dove ad aspettarla c’era la sua migliore amica, la ragazza che per tanti anni era stata sua compagna di scorribande: Lana.

Uscita, Jack – così si faceva chiamare dai suoi amici, un nome che da sempre sentiva più suo rispetto a quello di origini francesi e tributo all’amata First Lady che i suoi genitori le avevano messo - si guardò intorno con aria spaesata, cercando tra la folla di gente più disparata quel caschetto biondo platino che contraddistingueva la sua amica. La trovò qualche istante dopo, dietro due tipi tutti imbellettati che reggevano tra le mani dei cartelli su cui era stato scritto con un pennarello nero il nome di chissà chi, e con un mezzo sorriso si diresse con passo spedito verso di lei. Anche la bionda fece lo stesso, e in men che non si dica le due amiche si ritrovarono abbracciate, contente come non mai di rivedersi dopo tanto tempo – cinque anni, per essere precisi.

“Benvenuta nella City, ragazza!” esclamò euforica Lana, dandole il benvenuto nella città britannica che era diventata a tutti gli effetti la sua casa “Sono così contenta di vederti, non posso ancora credere che tu abbia deciso di venire qua.”
“Anche io sono davvero contenta, credimi” rispose sinceramente la mora, abbracciando l’amica ancora una volta “Non ci vediamo da secoli e, da quello che ho sentito ultimamente, credo che tu mi debba raccontare molte cose.”
Lana arricciò il naso: certo, di cose ne erano successe, ma in quel momento lei avrebbe preferito parlare di Jack, del motivo che l’aveva spinta a lasciare New York e trasferirsi nel vecchio continente, nella sempre uggiosa e umida Londra. Ma, forse, era meglio dare tempo al tempo, si disse mentre si avviavano verso l’uscita dell’aeroporto di London City, perché era evidente che la mora non era ancora pronta a parlare di quello.
“Parli del fatto che mi sono trasferita in un appartamento vicino all’Università Queen Mary con due ragazzi scapestrati oppure del fatto che, mentre suono la chitarra come passatempo un una band, sono anche riuscita a diventare associata di uno studio di design?” chiese retorica lei, decidendo una volta tanto di assecondarla.
“Esattamente!” confermò l'altra, lanciandole un’occhiata furba e assumendo un’espressione curiosa e leggermente malandrina.
“Beh, cosa posso dire? Morgan e Chris sono dei bravi ragazzi.” lasciò la frase a metà, pensando alle parole appena dette e sorrise, cosa che provocò perplessità nella mora “Non fraintendermi,” si mise subito sulla difensiva lei, continuando il discorso prima che Jack potesse prendere la parola “Sono davvero dei bravi ragazzi, solo... solo che sono un po’ particolari: a loro piace fare la bella vita, le ore piccole. Spesso alzano il gomito e fumano un po’ troppa erba anche per i miei gusti” schiocco la lingua sul palato, e arrivata alla stazione che collegava l’aeroporto con la città si precipitò a una delle tante macchinette elettroniche presenti per comprare due biglietti
“Nonostante questo e se non ricordo male, queste piccolezze non sono mai stati dei problemi per te” la guardò con la coda dell’occhio, e questa volta fu lei ad assumere un’espressione malandrina “In ogni caso li conoscerai questa sera, quando torneranno per cena” annunciò mentre estraeva i biglietti e riprendeva la sua marcia verso i binari, seguita a ruota dall’altra che, stranamente, rimaneva in silenzio “Sarà l’occasione perfetta per scambiarci quattro chiacchiere e farti un’opinione di loro, una buona opinione, spero.” concluse nel momento esatto in cui, poco lontano, stava arrivando in stazione il loro treno. Senza dire altro, entrambe si accostarono alla linea gialla e si preparono alla battaglia per la conquista di un posto a sedere.

Durante il tragitto dall’aeroporto alla stazione di Bow Road, situata tra la Hammersmith e la District e meta ultima del loro viaggio, aveva iniziato a piovere: Jack guardò le goccioline di pioggia cadere da un cielo grigio non tanto diverso da quello di New York, notando solo allora il vero spirito della città fatto di taxi neri e autobus rossi a due piani, gli alberi dalle foglie ingiallite e i palazzi di due o tre pieni fatti con mattoni grezzi. Si disse che, dopo tutto, quella città tanto chiacchierata non era poi così male e, con un po’ di fortuna, si sarebbe sentita a casa nel giro di qualche settimana. Anche la gente stessa non sembrava poi così diversa: correvano tutti, per andare dove non era dato saperlo, ma sembravano di fretta – forse era la pioggia che li faceva correre più del dovuto? – sembravano persi in un mondo tutto loro mentre, coperti dai loro impermeabili e dagli ombrelli quasi tutti scuri, si affrettavano ad entrare nella piccola stazione di mattoni rossi della metro.
“Tutto bene?” le chiese Lana, notando il suo insolito silenzio e, guardandola con la coda dell’occhio e abbozzando un timido sorriso, Jack annuì, tornando a guardare la città esplodere di vita intorno a lei “Dai, vieni prima che il semaforo diventi rosso! Attendere sotto la pioggia è sempre una seccatura”
Riuscirono ad attraversare per un pelo e, insieme, si immisero in una delle strade laterali, anche questa fatta di alberi e di case a schiera a due piani: superarono vari negozietti, un ristorante da cui proveniva un forte odore speziato e che Jack riconobbe subito come indiano e anche un piccolo parco dedicato ai cani; camminarono per circa due o tre minuti, fino a quando Lana non si fermò davanti a un cancelletto contornato da un muretto a secco che dava su di un minuscolo cortile con un altrettanto minuscola fatta di piante, siepi e prato inglese.
“Eccoci arrivate!” esclamò con fare teatrale la bionda mentre cercava nella sua ampia borsa a tracolla le chiavi che trovò un istante dopo “Eccoci a casa”.
 

**
 

“Eccoci qua: casa dolce casa!”  Lana si affrettò a togliersi il cappello di lana e i guanti che indossava, sbattendo pesantemente i piedi sullo zerbino ed esortando la nuova arrivata ad accomodarsi.
L’ingresso era davvero piccolo, aveva giusto lo spazio per un appendiabiti e poco altro, ma nonostante questo si percepiva immediatamente un’aria confortevole e vissuta, di quelle che rende ogni appartamento che si rispetti una vera e propria casa.
“Carino” disse semplicemente Jack mentre, dopo essersi tolta anche lei cappotto e cappello, si addentrava nell’appartamento, in un’ampia stanza che faceva sia da soggiorno che da cucina. La stanza era molto luminosa, cosa che non la mora apprezzò subito, e quasi al centro c'erano due divani – uno a tre posti e uno più piccolo – davanti a un televisore di modeste dimensioni; sulla parete alla sua sinistra, invece, si trovavano due librerie in noce colme di libri e, più in fondo, una cucina nera e bianca e dei banconi con degli sgabelli laccati bianchi dove, ipotizzò, gli inquilini consumavano la colazione e mangiavano quando il tempo era poco. Dalle finestre della cucina si intravedeva anche un cortiletto appena più grande di quello anteriore, anche questo tenuto bene e, difronte e lei, una scala portava al primo piano dove probabilmente si trovavano le camere da letto.
“Carina, vero? Tutto merito dei genitori di Chris che si sono trasferiti in campagna e hanno deciso di lasciarlo a lui; certo non è Mayfair, ma non ci lamentiamo.” Quando Jack non disse nulla la bionda proseguì nel suo discorso: “Abbiamo anche una mansardina sai?” indicò con il dito il piano di sopra e poi guardò il trolley della sua amica, posato precedentemente all’ingresso e guardò con aria colpevole la bruna
“Fammi indovinare,” iniziò Jack, leggendola nella mente “La mansarda spetta a me, il che significa che dovrò trasportarmi la valigia e tutto il resto su per le scale.”
Lana annuì mortificata e, dopo un sonoro sbuffo, Jack decise che non avrebbe perso tempo e si sarebbe tolta quell’impiccio di torno immediatamente “Avanti, biondina, fammi strada!

“Credo… credo che mi stia per venire un infarto” annunciò qualche minuto dopo Jack, poggiando pesantemente la valigia davanti alla porta della mansarda, provocando un rumore sordo e ovattato; piegata in avanti e con il fiato corto, si appoggiò con una mano alla ringhiera dell’ultima rampa di scale e guardò in cagnesco l’amica che se ne stava a pochi passi da lei “Cazzo!” imprecò infine.
“Mi dispiace, davvero” si scusò Lana, facendo del suo meglio – e fallendo miseramente – per nascondere un mezzo sorriso.
Ripreso fiato, Jackie entrò in quella che sarebbe stata la sua stanza, seguita da Lana: l’ambiente era molto spazioso, minimale e l’arredamento veniva chiaramente da una nota catena di mobili nordica. Jack aveva sempre amato quello stile, a cui però si accompagnava un tocco tutto inglese dato dalla carta da parati fiorata – alcuni l’avrebbero trovata di dubbio gusto, ma non lei – e dalla finestra esposta a Nord da cui si poteva intravedere il vicino Victoria Park. Non era molto, questo lo sapeva, ma l’idea di essere là, con la sua amica d’infanzia, lontano da New York, dai mesi infernali che aveva passato e tutto il resto la rendeva felice come non lo era da tempo.
Stava per ringraziare Lana, quando la porta d’ingresso si aprì e una musica rock sparato a tutto volume scosse la casa come un boato provocato da un terremoto.

“Dio, non ancora i Guns!”  Lana alzò gli occhi al cielo, per qualche motivo ignoto a Jack era esasperata e seccata “E’ un mese che quel cretino non sente altro ed io tra poco credo che vomiterò o, peggio, mi caverò i timpani con un cucchiaino del servizio da the!”

Jackie sorrise, scuotendo la testa: quando si arrabbiava Lana era davvero buffa, una caratteristica che non aveva perso e che non era mai cambiata nel corso del tempo. Curiosa, la seguì nuovamente dabbasso, nel soggiorno nel quale aveva fatto il suo ingresso in casa per la prima volta; ritornate al piano terra, ebbe appena il tempo di mettere a fuoco la figura poco lontano da lei, un ragazzo con lunghi capelli castani ed una barba ispida e incolta, fare la sua comparsa dalla cucina prima che Lana gli strappasse il telefono di mano e zittisse la musica che ne fuoriusciva

“Che cazzo fai, idiota?” la insultò lui, serrando gli occhi fino a farle diventare due fessure. Per qualche istante nessuno dei due parlò, limitandosi a guardare in cagnesco l’altro, tanto che Jack ebbe il timore che stesse per iniziare una lite furibonda tra quelli che, aveva capito, erano essere dei coinquilini.
“Metto fine a questa tortura” rispose dopo poco lei, piccata “Tra poco saprò meglio le parole dei testi e le note delle canzoni dei Guns n Roses piuttosto che i nostri”
“Fanculo, Lana! Quando però sei tu a mettere a palla i Cure tutti noi dobbiamo sorbirli e stare in religioso silenzio, vero?” continuò a punzecchiarla lui.
“Solo perché non riesci a cogliere la poesia dietro le parole di Robert Smith non puoi rompere le palle a me. Fatti una cultura piuttosto!”
Adesso i due si fronteggiavano come due nemici d’armi, l’orgoglio ferito e il bisogno di difendere i propri paladini ben chiari: erano l’uno a pochi centimetri dal corpo dell’altro, tanto che i loro nasi – quello sottile di lei e quello più marcato e leggermente storto di lui – sembravano quasi sfiorarsi; come due gatti in calore, davano l’impressione di essere sul punto di saltare alla gola da un momento all’altro. Ci pensò un colpo di tosse da parte di Jack a farli tornare alla realtà, firmare un invisibile tregua e un successivo trattato di pace.
“Scusaci” sussurrò Lana, grattandosi la nuca e abbassando lo sguardo visibilmente imbarazzata “Ma come vedi quando si parla di musica ci accendiamo come delle micce”
“L’ho notato” fece presente lei, lasciandosi scappare un mezzo sorriso divertito “Non mi presenti il tuo amico?”
“Cosa? Oh, sì, giusto!” Lana si mise lateralmente ai due, un perfetto arbitro tra due spadaccini “Jack, lui è Chris, batterista del mio gruppo e colui che ci permette di avere un tetto sopra la testa. Chris, lei è Jackie, meglio nota da tutti i suoi amici come Jack, la mia migliore amica”
“Tanto piacere” dissero praticamente insieme, tendendosi una mano e stringendosela a vicenda. Chris aveva una mano grande, calda, ma la sua stretta era delicata, tutto il contrario della sua, che era decisa e ben salda.
“Ho comprato del kebab mentre stavo tornando” annunciò successivamente Chris, indicando la busta di plastica biodegradabile posata su uno dei banconi della cucina “Spero tu non sia vegetariana o vegana, Jack, perché temo di non aver pensato a una alternativa. Ma nel caso fosse un problema posso sempre ordinare dei falafel o…”
“No, no, tranquillo! No ho problemi con la carne, anzi ti ringrazio per aver pensato anche alla mia cena” Jack abbozzò un sorriso
“Lana ti ha già fatto vedere la tua stanza?” chiese il ragazzo, cambiando argomento
 “Qualcosa, più che altro la mansarda e poco altro” Lana le fece un cenno di seguirla nuovamente al primo piano; una volta tornate su – questo su e giù stava mettendo a dura prova entrambe, ma nessuna delle due sene lamentò – la bionda proseguì a mostrarle il resto dell’appartamento: “Quello è il bagno” disse, indicando la seconda porta sulla sinistra del piano “Mentre questa è la mia stanza ” indicò la stanza accanto “Più in fondo c’è la stanza di Chris e con il tuo arrivo Morgan si è trasferito nella stanza infondo al corridoio”
“Oddio, non volevo dare fastidio. Se sapevo di creare tutti questi problemi sarei andata in un ostello oppure...”
“Non dirlo neanche per scherzo!” esclamò Lana, alzando una mano e zittendola “Nessun problema, davvero. E poi quale amica permetterebbe ad un'altra di andarsi a prendere le pulci o chissà che altro in un ostello da quattro soldi?” con la mano fece un gesto secco, come a voler scacciare una mosca “E poi, anche se non lo ammetterà mai, sono certa che a Morgan non dispiace prendersi la camera da letto più grande del primo piano, quella con l’acustica insonorizzata.

Dopo il breve tour della casa Jack disse che aveva bisogno di fare una doccia per togliersi lo sporco del viaggio e dei mezzi di trasporto. Rimasta sola per la prima volta nella sua nuova stanza, si lasciò andare ad un lungo sospiro liberatorio mentre si distendeva tra le morbide e profumate coperte.
“E così eccoci qua: non si torna più indietro” disse a sé stessa, passandosi una mano tra i lunghi capelli color cioccolato e pensando che quella nuova pagina della sua vita meritava anche un nuovo taglio di capelli e, perché no, anche un nuovo colore. “Perché no? Ho sempre desiderato avere i capelli rossi”
Da quel momento in avanti, di disse con fermezza, New York e la sua vecchia vita, così come tutti i suoi amari e infelici ricordi, facevano parte del passato. Londra era il suo futuro, un futuro che lei sperava fosse radioso, pieno di possibilità e, perché no, pieno di amici. Chris sembrava un tipo apposto e per quando riguardava quell’altro tipo, Morgan, sperò che anche lui fosse un tipo apposto e simpatico. Dopo tutto, avrebbero dovuto vivere sotto lo stesso tetto, dividere la spesa di bollette, cibo e persino un bagno. Dovevano per forza andare d’accordo, era inevitabile. Con tutti quei pensieri per la testa, Jack si alzò dal letto, aprì la valigia, da cui estrasse una maglia pulita e dei pantaloni comodi, e si vestì velocemente prima di riscendere in cucina, dove la stava aspettando un succulento kebab che avrebbe divorato in pochi minuti.


*

Angolo Autrice: It's been 84 years... okay, magari non proprio 84 anni, ma ne è passato di tempo dall'ultima volta. Onestamente non so neanche se ci sarà qualcuno che ancora leggerà i miei deliri, ma ci provo. Thunder Hearts è stata la mia primissima originale, pubblicata tanti anni fa e poi cancellata per diversi motivi - primo tra tutti perchè non mi piaceva il risultato finale. La ripropongo oggi, a distanza di anni, con più consapevolezza e, spero, con meno banalità e più inclusione e diversità. Spero, ovviamente, che vi piacce e vi invito, se vi va, a lasciare una recensione...
Alla prossima,
V.

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Capitolo 2
*** 02. ***


Thunder-2-0




Lana si sedette con un piccolo balzo sullo stretto davanzale della finestra della cucina. Poco distante da lei, Chris stava armeggiando con le stoviglie, cercando di apparecchiare la tavola nella maniera più elegante possibile. La bionda iniziò a muovere a penzoloni una gamba, notando solo in quel momento il pacchetto di sigarette accanto a lei. Senza chiedere di chi fossero – era evidente che fossero di Chris – Lana sfilò dal pacchetto una sigaretta, intrecciandola tra l’indice e il medio e portandosela alle labbra. Tastò distrattamente le tasche dei suoi jeans in cerca di un accendino, imprecando a denti stretti quando si rese conto che queste erano desolatamente vuote.
“Tieni, ladruncola da strapazzo” l’apostrofo Chris, lanciandole il suo zippo che la ragazza prese al volo. Accesa la sigaretta la biondina aspirò profondamente, sbuffando subito dopo una nuvoletta di fumo grigio che si diramò nell’aria.
“Non sapevo che avessi ripreso.” fece notare il moro continuandole a dare le spalle.
Lana aveva smesso di fumare da qualche mese, ripromettendosi di abbandonare quella cattiva abitudine che aveva preso da ragazzina, quando ancora andava a scuola e desiderava farsi vedere grande e matura agli occhi dei suoi coetanei. Eppure, quella sera aveva proprio bisogno di un tiro, di qualcosa che le desse coraggio e le facesse affrontare l’arrivo della sua amica a Londra – un arrivo che avrebbe portato con se tante verità tenute nascoste in quegli anni trascorsi con un oceano a tenerle a distanza.
“Dimmi che Morgan sta arrivando, che almeno questa sera ci farà l’onore della sua presenza” Lana sviò la domanda, cosa che non sfuggì all’amico; Chris decise di sorvolare e di questo lei ne fu grata. Una delle migliori qualità del londinese era quella di non essere mai insistente, di non spingere gli altri a parlare a tutti i costi, ma al contrario era sempre pronto a dar loro tempo ed essere un ottimo ascoltatore – oltre che una spalla su cui piangere – quando il momento giusto arrivava.
“Ecco, veramente...” Chris indugiò, passandosi una mano tra i capelli color cioccolato, guardando con la coda dell’occhio Lana, pronto ad una sua sfuriata isterica “Ha chiamato poco prima, mentre ero in coda per comprare il kebab e...”
“Non viene, giusto? Ha detto che non viene, e chissà per quale motivo questa volta! Giuro che se si sta ubriacando con qualche ragazzetta arrapanta, se ha preferito sballarsi anche stasera, piuttosto che stare con noi, i suoi amici, giuro che lo uccido!” Morgan era un tipo imprevedibile, senza regole né tantomeno orari, ma Lana aveva disperatamente sperato che, almeno quella sera, dopo tante raccomandazioni, il ragazzo si presentasse e facesse la sua parte per far sentire benvenuta Jack.
“Purtroppo credo sia così...” confermò con timore l’atro e a quella conferma Lana scese dal davanzale della finestra, scattando in piedi come una molla “Dai, non arrabbiarti adesso, vedrai che ci saranno altre occasioni e che...” ma Lana non ascoltò una singola parola pronunciata dal ragazzo: senza guardarlo, uscì dalla cucina e Chris si ritrovò, suo malgrado, a parlare al vento. Tutto ciò che ebbe in risposta fu il rumore pesante dei piedi che salivano le scale e il seguente tonfo della porta della stanza di Lana che sbatteva, cosa che gli fece chiudere istintivamente gli occhi e tirare un sonoro sospiro esasperato: una volta tornato, Morgan avrebbe dovuto affrontare un bella ramanzina da parte della loro coinquilina.  

Rimasto da solo, Chris decise di ammazzare il tempo continuando ad apparecchiare il tavolo ligneo del soggiorno e guardarsi qualche programma trash che a quell’ora popolava i canali britannici. Di solito loro mangiavano sullo sgangherato bancone della cucina, sempre di fretta e consumando pasti che difficilmente potevano essere ritenuti tali; chissà come mai erano sempre troppo impegnati tra il lavoro e altre cose spesso futili anche solo per cenare decentemente tutti insieme. Ma, dopo tutto, con tre tipi come loro c’era da aspettarselo: Morgan era praticamente sempre fuori, passava le sue giornate nell’officina nella zona di Camden e tornava a casa solo per dormire e scroccare un pasto; Lana, poi, era tutto fuorchè una donna di casa e tra i lavoro e tutto il resto anche lei si curava poco della casa; infine c’era Chris, che faceva l’aiuto cuoco in un ristorante poco lontano da Brixton, l’unico dei tre che aveva uno stipendio fisso – e quindi un’entrata economica sicura – e che si curava della casa, preparando pietanze succulenti e, quando non era troppo stanco o svogliato, pulendo e rassettando le stanze puntualmente piene di polvere e caos.

Aveva appena finito di imbandire la tavola quando Jack fece la sua timida comparsa vestita con degli abiti decisamente più comodi e casalinghi. I due ragazzi si guardarono per un istante, studiandosi attentamente: Jack guardò sottecchi quello strano tipo dall’aria bonaria, con quella barba fin troppo lunga e gli occhi gentili, così come lui iniziò a fare caso ai piccoli particolari del suo viso. Qualunque fosse stata la prima impressione, entrambi sperarono in quel momento di diventare amici quanto prima, o per lo meno riuscire a costruirsi un buon rapporto fatto di reciproco rispetto.

“Spero ti piaccia il kebab” le disse, gentile “Non ho idea di cosa ti piaccia, ma nel dubbio ne ho fatto preparare uno senza cipolla e non piccante”
“Dall’odore sembrano buoni” Jack si avvicinò al tavolo, riempiendosi le narici con quel delizioso odorino: ogni cosa presente sul tavolo le sembrava succulente e in quel preciso istante il suo stomacò prese a brontolare “Scusami” abbassò lo sguardo, imbarazzata “Non mangio da stamattina e sono alquanto affamata” confessò lei, ricordando il suo ultimo pasto, una brioche insipida e piuttosto vecchia presa all’aeroporto.
“Tranquilla” il ragazzo fece un mezzo sorriso “Andresti a chiamare Lana? Sai, prima abbiamo avuto un piccolo diverbio e credo sia meglio se la vai a chiamare tu. E’ nella sua stanza” Jack annuì, pensando cosa mai fosse successo tra i due, e come ordinato dal ragazzo andò a chiamare l’amica, invitandola a tavola.

“Cazzo, questi kebab sono una delizia per il palato” disse con enfasi Jack poco più tardi, fregandosene di avere ancora la bocca piena; si era fiondata sulla sua cena come un felino sulla sua preda, destando sgomento e allo stesso tempo piacere negli altri due.
“Ne sono contento” Chris prese un sorso della sua birra, guardando sottecchi la ragazza seduta davanti a lei: sembrava un tipo peperino, una tipa sveglia, ma qualcosa nei suoi occhi gli diceva che quella ragazza ne aveva viste tante.
“Visto?” la voce squillante di Lana destò il ragazzo dai suoi pensieri “Così adesso abbiamo una nuova fan di Youssef. La prossima volta, però, dovrai mostrare a Jack il tuo straordinario talento di cuoco”
“Fai il cuoco?” chiese curiosa Jack, allungando la mano e prendendo un generoso sorso di birra direttamente dalla bottiglia.
“Quando non sono impegnato a fare il batterista” rispose sornione lui “Lana ti ha detto che abbiamo un gruppo?” Jack annuì “Ci chiamiamo Thunder Hearts e, modestie a parte, spacchiamo”
“Se le cose stanno così, non vedo l’ora di sentirvi all’opera” Jack era entusiasta all’idea di sentire il gruppo della sua amica, che a lungo aveva parlato con lei della sua band e di quanto fosse fantastico suonare insieme a ragazzi così bravi.
“Se riusciamo a recuperare la chitarra solista” la voce di Lana fu colma di sarcasmo e di una punta di acidità. Chris la guardò, ammonendola con lo sguardo e Jack si chiese ancora una volta cosa stesse accadendo tra quei due.
“Morgan ha avuto un contrattempo e non è potuto venire” nel sentire quelle parole, Lana si lasciò scappare una risatina amara “Imprevisti…” liquidò lui, cercando in qualche modo di minimizzare “Ma sono sicuro che domani mattina lo conoscerai”
“Sempre se sarà in grado di biascicare una sola parola, domani mattina” la bionda schioccò la lingua sul palato
“Lascia perdere, Jack” sventolò una mano davanti al suo viso “Piuttosto direi di gustarci questa squisita cena che Chris ci ha offerto questa sera”
“E su questo proporrei un brindisi!” intervenne il ragazzo, portando a mezz’aria la sua bottiglia mezza vuota “A questa nuova cena e alla nostra nuova coinquilina”
“Alla mia amica Jack!” esclamò Lana, facendo cozzare la sua birra con le altre
Jack, in risposta, sorrise timidamente e mantenendo uno sguardò basso bevve ciò che rimaneva della birra tutto d’un fiato.

Dopo l’abbondante cena e tante chiacchiere sul più e il meno, le due ragazze sparecchiarono la tavola, concedendo a Chris di vedersi una partita di rugby – quella sera giocava l’Inghilterra contro i loro nemici di sempre, i maledetti francesi -  beatamente seduto in panciolle sul divano con l’ennesima lattina di birra tra le mani come compagna fidata. Anche loro si unirono, anche se buttarono un occhio sullo schermo solo a fine match, quando gli inglesi stracciarono i francesi per la gioia del ragazzo, il quale scattò in piedi sul divano e, come un bambino, iniziò a saltellare e cantare l’inno nazionale come un incallito tifoso da stadio.

“Chris, scendi da quel cazzo di divano!” ordinò Lana, prendendolo per un braccio e facendolo sedere “Non hai dieci anni, ma vent’otto, quindi smettila di comportarti come un poppante” per tutta risposta Chris le fece il verso e lei gli fece un dito medio; Jack guardò i due amici punzecchiarsi come due vecchi anziani sposati e sorrise senza farsi vedere. Chissà, presto anche lei si sarebbe comportata così con il ragazzo, abbandonando così i timori e tutte quelle circostanze forzate che impedivano a entrambi di mostrare la propria natura.
“Noi andiamo al letto,” informò Lana poco dopo “Quindi se rimani a vederti i porno metti muto e vedi di non fare rumore. Non voglio sentire i tuoi ansimi da cavallo”
“Almeno io, quando fotto, non urlo come un’indemoniata come te” i due battibeccarono ancora per qualche tempo, concludendo i loro litigi augurandosi buona notte in modo molto distaccato “Buona notte, Jack, e non fidarti di quello che ha appena detto o ti dirà Lana: sono tutte stupidaggini!”
“Tranquillo, Chris, ormai conosco bene Lana” Jack stette al gioco del ragazzo, beccandosi uno scappellotto sulla nuca dalla bionda “Buona notte”

Arrivate alle rispettive stanze, anche le due amiche si scambiarono la buona notte, entrando e chiudendosi la porta alle loro spalle. Rimasta sola, Jack si mise il suo pigiama, composto da una maglia a maniche lunghe dei Beatles e un pantalone della tuta grigio carbone. Si mise sotto le pesanti coperte che subito la riscaldarono e, data un’ultima occhiata al display del telefono posto sul comodino alla sua destra, spense la luce. Nel silenzio, la mora si accorse che fuori stava ancora piovendo e dalla quantità di goccioline che si erano riversate sulla sua finestra appena appannata sembrava stesse piovendo anche molto. Con tutti quei rumori in sottofondo chiuse gli occhi e, nel giro di qualche minuto, si addormentò profondamente.

Quattro ore più tardi la serratura della porta d’ingresso scattò e la porta si aprì con un lieve cigolio di cardini. Una figura incappucciata e piuttosto fradicia per il temporale fece il suo ingresso, affrettandosi a togliersi il cappotto grondante e le scarpe impregnate di terra; con una mano si ravvivò i capelli scuri scarmigliati e, barcollando appena a causa del troppo alcool ingerito qualche ora prima, arrivò fino alla mansarda, nella stanza dove Jack stava dormendo profondamente. Riuscì miracolosamente a spogliarsi senza perdere l’equilibrio e senza il minimo rumore – altro record per lui, che da sbronzo era sempre rumoroso come una mandria di elefanti; infreddolito si infilò prontamente sotto le coperte, dall’altro lato del letto in cui Jack continuava a dormire ignara di tutto. Si mise su di un fianco, coprendosi con le lenzuola e il piumone fin sopra a testa, e come la ragazza al suo fianco anche lui cadde in un sonno profondo.


*

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Capitolo 3
*** 03. ***


Thunder-2-0



Un peso alieno comprimeva il petto di Jack. La ragazza mugugnò nel sonno, infastidita, trovando difficile persino respirare. Rimanendo con gli occhi chiusi, la ragazza tentò di muoversi, ma qualcosa – o forse sarebbe meglio dire qualcuno? – la bloccava in quella dannata posizione. Il colmo arrivò quando sentì una mano, una mano non sua, chiudersi a coppa su uno dei suoi due seni e tastarlo appena. Jack spalancò gli occhi, adesso del tutto sveglia, abbassandoli verso la sua sinistra, dove beatamente addormentato vi era un ragazzo con i capelli corvini, un ragazzo con i capelli corvini sconosciuto, mezzo nudo e con una mano sul suo seno. Il terrore si impossessò di lei, repentino e paralizzante e tutto ciò che riuscì a fare fu cacciare un urlo che fece letteralmente sobbalzare in aria il ragazzo che, per tutta risposta, si portò a sedere con uno scatto e si guardò attorno con occhi spalancati. Con il fiatone causato dallo spavento, lo sconosciuto si mise una sul petto nudo, all’altezza del cuore che batteva a mille e sembrava dovesse uscire dalla cassa toracica da un momento all’altro; dopo un attimo di confusione si guardò attorno nella penombra della stanza e i suoi occhi chiari corsero per la prima volta verso la figura femminile adesso in piedi, incontrandone lo sguardo terrorizzato.

“Cosa succede?” Lana, che era già sveglia da qualche minuto e stava preparando la colazione per Jack e i ragazzi, si fiondò nella stanza da letto: tra le mani brandiva saldamente una mazza da scopa e con i capelli arruffati e appena paonazza per la corsa sembrò spuntata fuori da una commedia degli anni ‘80. “Oseman, per l’amor di Dio, che cazzo stai facendo nel letto di Jack?”
“Chi?” chiese lui, ancora con la mente ottenebrata, associando solo alcuni istanti dopo il nome pronunciato dall’amica alla ragazza che ancora se ne stava in piedi poco distante con le coperte aggrovigliate al suo corvo dai fianchi prosperosi “Oh! Tu sei la newyorkese, giusto?” l’apostrofò, definendola con quell’aggettivo usato con tono non molto cordiale.
“Sì, sono io. Tu, invece, devi essere l’ubriacone che divide la casa con Lana, giusto? Ti sarei molto grata se uscissi dal mio letto e dalla mia stanza!”
Il moro assottigliò gli occhi, non proprio felice di come la ragazza l’avesse appena definito e per gli ordini che gli aveva impartito come fosse un cane. Allo stesso tempo, lanciò un’occhiata assassina a Lana, la quale si era lasciata scappare una risatina di scherno. In tutta risposta si limitò ad annuire, e incurante di essere mezzo nudo si alzò da quello che era ormai il suo vecchio letto, raccattò impacciato i suoi vestiti e, senza neanche chiedere permesso, sorpassò di tutta fretta l’amica e uscì dalla mansarda borbottando qualcosa di incomprensibile.  

“Jack, cavolo…” Lana si avvicinò velocemente all’amica che adesso se ne stava seduta sul bordo del letto con sguardo assente e piuttosto scioccato “Mi dispiace così tanto per come quel… quel…” si trattenne dall’insultare il suo amico, cercando un altro aggettivo per descriverlo e giustificare il modo assurdo in cui si era comportato “Coso si è comportato. Temo che sia tornato anche ieri sera sbronzo e si sia dimenticato del piccolo particolare della tua presenza e di non dormire più in mandarda” Lana accarezzò la spalla dell’amica “Ti prego, cerca di scusarlo”.
“N-non importa, davvero” rispose lei, cercando di darsi un contegno, di togliersi di dosso la sensazione della mano sul suo seno, di quel contatto indesiderato che l’aveva riportata indietro di mesi, quando altre mani l’avevano toccata senza il suo permesso “Ad essere sincera mi devo scusare anche io: non avrei dovuto urlare in quel modo o dargli dell’ubriacone, ma quando ho sentito una mano che mi tastava il seno io...”
Un brivido le corse lungo la schiena e anche deglutire fu faticoso. Sperava solo che Lana non si accorgesse del suo stato e di come quell’incontro l’avesse scossa.
“Cosa ha fatto?” Lana si infervorò ancora di più: Morgan non l’avrebbe passata liscia, non quella volta. Ubriaco o meno, aveva passato i limiti “Quando sarà del tutto lucido io e lui faremo una lunga chiacchierata”
“Davvero Lana, va tutto bene e non c’è bisogno…” Jack tentò di far ragionare l’amica, ma fu prontamente interrotta da l’ennesima sfuriata della biondina: quando Lana si metteva una cosa in testa, era difficile farla desistere.
“Posso lasciarti da sola? Sei sicura di stare bene?” le disse infine, quando il suo lato fumante si era raffreddato.
“Vai pure, stai tranquilla. Ti raggiungo tra poco in cucina.”

Solo quando la porta della mansarda si chiuse e Jack rimase sola si concesse di mostrare i suoi veri sentimenti: preso il capo tra le mani, la ragazza si lasciò andare a un lungo pianto isterico, il corpo spezzato da singhiozzi che cercava di ovattare in tutti i modi e un conato di vomito che risaliva lungo la gola. Per un attimo, per un lunghissimo, terribile attimo aveva pensato che fosse lui nel letto con lei, che l’avesse trovata in qualche modo e stesse per prendersi quello che per mesi aveva desiderato e che lei non gli aveva mai dato.
Prendendo dei respiri profondi, Jack cercò di ritrovare la calma e il contegno perduti, di non lasciarsi sconfiggere dai mostri che teneva chiusi nell’armadio del suo animo e, soprattutto, si ripromise che quell’incidente non avrebbe in alcun modo condizionato il suo rapporto con Morgan o l’opinione che avrebbe avuto di lui. Morgan non era lui e lei era al sicuro, a Londra, dove nessuno le avrebbe fatto del male.
 
Lasciò la stanza quasi mezz’ora dopo, non prima di essersi calmata ed essersi fatta una doccia veloce; entrata in soggiorno, la prima cosa che vide furono Lana e Chris impegnati a combattere per il possesso del telecomando. Come il giorno prima, Jack sorrise divertita, paragonandoli ad una coppia di sposini.

“Buongiorno, ragazzi” disse con tono canzonatorio, attirando il loro sguardo.
“Ciao, Jack!” le rispose cordiale Chris un istante prima che Lana, approfittando della momentanea distrazione del ragazzo, gli soffiò dalle mani il telecomando “Hey, così non vale!”
La bionda per tutta risposta gli fece una linguaccia, assumendo un’espressione da bambina, e accoccolatasi meglio accanto a lui, girò il canale, rimettendo sul programma di moda. “Coinquilina da strapazzo” l’apostrofò lui, scompigliandole i capelli.
“Ti abbiamo lasciato del caffè caldo e una ciambella fatta da Chris. Li trovi sul tavolo in cucina” le disse Lana e Jack la ringraziò, tornando poi nel soggiorno dove si mise e bere il suo caffè e ad addentare quella squisita ciambella alla crema. “Pensi di andare in cerca di un qualche lavoro, oggi?” le chiese successivamente Lana, guardandola con la coda del l’occhio da sopra il divano.
“Non so, pensavo di incominciare lunedì. Prima vorrei girare un po’ la città, fare la turista e vedere tutte le mete tipiche di Londra” Jack fece un mezzo sorriso, prendendo un altro sorso di caffè.
“Potresti venire alle prove di domani” propose Chris, inserendosi nella conversazione “Così conoscerai anche gli altri del gruppo” Jack ci pensò un attimo, indecisa “Dai, sono simpatici. Vero, Lana?” la bionda annuì, strizzando l’occhio all’amica.
“Perché no?” Jack sorrise timidamente “E poi sono curiosa di vedervi all’opera.” il suo sorriso si fece più sornione “Non ti sento cantare da quando hai lasciato New York e sono sicura che i demo che mi hai mandato e i video su YouTube non rendono giustizia”
“E tu suoni qualche strumento?” chiese curioso Chris, poggiando le braccia sullo schienale del divano e assumendo una posizione più rilassata
“Suonavo” lo corresse lei, abbassando lo sguardo “Suonavo il basso, ma adesso non più...” un velo di malinconia attraversò gli occhi della giovane quando ripensò ai pomeriggio passati dopo scuola a strimpellare lo strumento nel garage dei suoi.

Jack stava per condividere con loro un aneddoto legato a quei pomeriggi, ma una porta che si chiudeva e dei passi che scendevano dal primo piano la costrinsero a cambiare i suoi piani. Morgan fece il suo ingresso trionfale un attimo dopo e nuovamente l’imbarazzo e il disagio ritornarono: anche se il ragazzo era vestito dalla testa ai piedi, la mora non riuscì a incontrare il suo sguardo e mantenne il capo lievemente all’ingiù, nescosto parzialmente dietro la tazza di caffè che ancora stringeva tra le mani. Lui, dal suo canto, non la degnò di uno sguardo e si precipitò nel piccolo cucinino.

“Guarda, guarda chi si è svegliato!” anche quella volta fu Chris a prendere la parola “Buongiorno, raggio di sole” lo stuzzicò con tono beffardo, ottenendo in risposta una specie di grugnito. Chris sapeva bene che il moro odiava la gente che gli faceva domande o che, più semplicemente, gli rivolgeva la parola di prima mattina, ma innervosirlo lo divertiva troppo “Fatto le ore piccole, eh?” Morgan alzò una mano, mostrandogli il dito medio e il batterista scoppiò a ridere.
“Non capisco perché lo devi sempre fare incazzare” lo rimproverò Lana, dandogli una piccola spinta “Lo sai che di prima mattina è irascibile, e se non beve il suo caffè nero bollente non spiccica parola neanche a pagarlo”.
Chris scrollò le spalle, indifferente “Mi diverte, tutto qua” tagliò corto, e la ragazza portò gli occhi al cielo. Quando ci si metteva era davvero un bambino di cinque anni “Chi cazzo ha finito il caffè?” sbraitò qualche secondo dopo Morgan, fissando con sguardo accusatorio i presenti, trattenendo il fiato quando notò la tazza di caffè fumante che la nuova arrivata teneva tra le mani
“Tu!” esclamò, facendo sobbalzare Jack, il quale lo guardò con occhi spalancati. Fu solo successivamente che Morgan si ricordò di quello che era successo neanche due ore prima e decise di lascar correre e darsi un contegno “Fanculo tutti quanti!” borbottò con un filo di voce. Fatto dietrofront tornò in cucina, dove suo malgrado fu costretto a mettere sul fornello del caffè e pregare che almeno qualche ciambella fosse avanzata.

“Credo che alla fine di questa storia io e lui non andremo così tanto d’accordo” sussurrò Jack, grattandosi distrattamente la nuca “Quando inizi col piede sbagliato è sempre così, c’è poco da fare”
“Dai Jackie, non preoccuparti” Lana si alzò dal divano e le andò vicino “Morgan all’inizio può essere un po’ stronzetto, ma se lo conosci non è malaccio” arricciò il naso in una smorfia “Stai tranquilla e abbi fiducia nella vecchia Lana: non appena vi conoscerete meglio, sono certa che andrete d’amore e d’accordo e dimenticherete l’incidente di questa mattina. Anzi, sono sicura che tra qualche mese questa storia sarà argomento di discussione al pub e ci faremo tutti una gran risata”
“Spero tu abbia ragione, credimi.” Jack si morse un labbro come sempre faceva quando era nervoso e guardò in direzione della cucina, dove Morgan se ne stava seduto sul bordo della finestra con gambe penzoloni e sguardo assente rivolto fuori.
Per sicurezza, però, decise che da quella sera in avanti si sarebbe chiusa a chiave, così da evitare una replica di quella mattina. Nessun ragazzo, cosciente o meno, l’avrebbe nuovamente toccata senza il suo consenso; lo aveva giurato a se stessa quando era salita su quel maledetto aereo diretto a Londra e avrebbe mantenuto quella promessa a tutti i costi.

*

“Io e te dobbiamo parlare, Oseman!” esclamò Lana meno di un’ora dopo, chiamandolo con il suo cognome come sempre faceva quando era arrabbiata o doveva parlare di qualcosa di serio.
Morgan girò pigramente il viso, puntando gli occhi sulla sua esile figura che se ne stava sullo stipite della porta della sua stanza: cosa voleva adesso?, si chiese, perché tutti avevano la smania di parlare con lui e seccarlo quella dannata mattina? Si passò una mano tra i capelli arruffati, ripromettendosi di lavarli al più presto, e poi disse:
“Sono tutt’orecchie, dolcezza” l’apostrofò, usando quel nomignolo che, sapeva bene, la faceva andare su tutte le furie “Anche se penso di sapere di cosa vuoi parlare.”
“Come sempre sei sveglio come una volpe,” sorrise sghemba “Per questo penso che tu abbia già capito di cosa voglio parlare. O forse dovrei dire di chi?”
Morgan ripensò alla nuova arrivata, Jack e non riuscì a non sbuffare: quella ragazza avrebbe portato solo problemi in quella casa, a lui e i suoi amici e il suo sesto senso non sbagliava mai. Si chiese perché avesse accettato la proposta di Lana di farla vivere con loro, ma poi si ricordò di essere stato battuto ai voti e che Chris – il quale aveva approvato l’arrivo della mora – era il proprietario della casa, una casa di cui il moro aveva disperatamente bisogno.

“Allora avanti, genio, dimmi velocemente di cosa si tratta e facciamola finita” ordinò con voce canzonatoria Morgan, mettendosi seduto sulla poltrona verde scuro accanto alla finestra e, presa una sigaretta dal pacchetto che aveva in tasca, se la portò alle labbra e l’accese.
Lana corrugò la fronte e si mise seduta anche sul bordo del letto, accavallando le gambe snelle prima di riprendere la parola: “Prima di tutto mi piacerebbe sapere dove hai passato la notte”.
Morgan alzò un sopracciglio: doveva aspettarsela un’uscita del genere, era stato stupido a pensare che la nuova arrivata sarebbe stata il solo argomento di conversazione. Lana non avrebbe mai lasciato correre la sua assenza della sera prima, non dopo le mille raccomandazioni che gli aveva fatto per giorni e giorni
“Sei stata a casa di una tipa, vero?” lo accusò, come se quella domanda potesse avere solo una risposta “Che ti sei ubriacato mi sembra più che evidente: stamattina puzzavi come un barbone e non so come Jack non ti abbia dato un ceffone o un calcio nel sedere”.
“Da quando sei diventata mia madre, Lana?” chiese retorico lui, iniziando a seccarsi “Francamente, ho accettato che la tua amichetta si trasferisse qua solo perché tu e Chris vi siete alleati contro di me!” aspirò dalla sigaretta, sbuffando fumo verso il soffitto “Fosse dipeso da me, saremmo rimasti in tre… Ma quello che è fatto è fatto, no? E non credo che questo sia il punto. Il punto è che faccio quello che mi pare e sì, sono stato con una tipa stanotte, ma non so davvero cosa ci sia di male: era maggiorenne, aveva dell’erba e ce la siamo spassata!” concluse, tornando a sedersi.
“C’è di male che non esisti soltanto tu, cazzo! C’è che ti avevo pregato di essere presente per cena, almeno per una volta; c’è che Chris si è fatto il culo per uscire prima dal lavoro e far trovare una cena in tavola e tu te ne se fottuto alla grande”
Lana si alzò in piedi, avvicinandosi a lui con le mani chiuse a pugno: “Ma tu fai sempre quello che vuoi, vero? Tu te ne freghi degli altri, di ciò che potrebbero provare o se ci rimangono male! Tu te ne freghi e basta!”
Morgan la guardò: era sull’orlo delle lacrime e si sentì una merda. Aveva sbagliato, aveva commesso una enorme cazzata e ora il senso di colpa – sì, anche lui ne aveva uno – lo stava divorando in un sol boccone.
“Scusami, mi dispiace” si alzò dalla poltrona, abbracciandola: stronzo o meno, le voleva bene e la considerava una sorella, una sorella che aveva deluso ancora “Mi dispiace, okay?” la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo “Prometto che stasera mi farò perdonare e che chiederò scusa a Jack per quello che è successo stamattina”
Lana si morse un labbro e arricciò il naso non troppo convinta. Morgan faceva sempre così e ogni volta lei ci credeva, ogni volta cedeva. Stava cedendo anche ora. “Ti fidi di me?” per tutta risposta lei fece una smorfia e Morgan sorrise trionfante “Vedrai che stasera ci divertiremo, organizzerò una bellissima cena e sarò il più affabile dei ragazzi. In men che non si dica Jack diventerà la mia migliore amica. Ora però devo andare o farò tardi in officina.”
Le diede un buffetto sulla guancia, mostrando il suo lato tenero e per tutta risposta ottenne un dito medio per risposta, un gesto tipico di Lana che lo fece ridere di gusto. Afferrato il cappotto e il pacchetto di sigarette dimenticato sul davanzale uscì dalla stanza e poi in strada, diretto verso la metro che l’avrebbe condotto a lavoro.


*

Era tarda sera e, dopo una cena in cui tutti avevano parlato poco e i silenzi imbarazzanti erano stati troppi, Morgan aveva deciso che era tempo di prendere in mano la situazione una volta per tutte.
Aveva appena finito di farsi una doccia e si stava dirigendo verso la sua stanza da letto quando il suo sguardo andò verso la mansarda, il suo vecchio nido sicuro dove adesso Jack se ne stava stesa sul suo vecchio letto e leggeva apparentemente tranquilla un libro. Quale occasione migliore di quella per un faccia a faccia con la nuova arrivata? Decisione presa, salì piano le scale che portavano in mansarda e di soppiatto si avvicinò allo stipite della posta, sbirciando e posando i suoi occhi su quel corpo snello e quei capelli color cioccolato alquanto arruffati. Senza che potesse impedirlo fece un mezzo sorriso e pensò che quell’americana era dannatamente carina. Se solo non fosse stata la sua coinquilina, si disse, ci avrebbe fatto un pensierino. Bussò contro il legno della porta con una nocca, deciso a risolvere la questione una volta per tutte parlando faccia a faccia con lei, sperando di riuscire a chiederle scusa come aveva promesso pochi minuti prima a Lana.

“Posso?” chiese con tono gentile, attirando l’attenzione della ragazza che, chiuso il libro, gli fece segno di entrare.
“Prego, entra pure” rispose con altrettanta gentilezza, mettendosi a sedere sul bordo del letto “Hai bisogno di qualcosa?”
Jack non nascose un lieve imbarazzo: nonostante le sue buone intenzioni, Morgan la metteva in soggezione e questo la rendeva nervosa. Certo, quella sua reazione era sciocca e probabilmente infantile, ma il ricordo della notte passata insieme era ancora troppo vivido, così come quello delle mani di lui sul suo corpo.
“Volevo porgerti le mie scuse” Jack strabuzzò gli occhi e assunse un’espressione sorpresa “Quando sono tornato a casa era notte fonda e io ero piuttosto ubriaco: quando bevo non sono la persona più veglia del mondo e il mio corpo si muove senza che io abbia voce in capitolo. Non mi sono ricordato del tuo arrivo, dello scambio di stanze e che tu ci creda o no non era mia intenzione sgusciare nel tuo letto come un maniaco” sorrise e come sempre quando era teso si grattò dietro l’orecchio destro.
“Dopo aver parlato con Lana l’ho capito anche io” sottolineò lei, sarcastica “Non preoccuparti, è tutto risolto” schioccò la lingua sul palato e Morgan associò quel gesto a Lana: anche lei era solita farlo spesso, specialmente quando stava rimuginando su qualcosa e non sapeva come spiegarsi.
 “Ricominciamo da zero, ti va?” chiese poi lei, alzandosi dal letto e allungò una mano verso di lui “Io sono Jackie Harrison, ma tutti mi chiamano Jack, e sono nata e cresciuta nello stato di New York.”
“Io sono Morgan Oseman, ho ventinove anni e sono originario della Scozia” le strinse la mano, trovandola calda e morbida, pensando a come sarebbe stata sentirla sul suo corpo “Sono un meccanico, ma nel tempo libero sono anche il chitarrista dei Thunder Hearts” aggiunse con un moto di orgoglio, ammiccando.
“Sì, me l’hanno detto” rivelo Jack, sciogliendo il contatto “Domani verrò a vedervi provare, così sentirò se siete davvero così bravi come dite tutti”
“Fidati, bambolina, siamo i migliori!” disse con orgoglio e le strizzò un occhio con fare sornione “Domani ti lasceremo a bocca aperta, vedrai!” senza aggiungere altro lasciò la stanza, non prima però di averle strappato un sorriso divertito. Forse, pensò il moro mentre tornava verso la sta stanza, c’era ancora speranza per loro due.  
 

*

Angolo Autrice: Buonsalve lettori! Terzo capitolo di questa storia, dove intravediamo qualcosa del passato di Jack, in particolare abbiamo delle idee su cosa l'ha spinta a lasciare gli USA per Londra. Morgan ha fatto un entrara in scena degna di lui, ma non giudicatelo troppo in fretta, anche lui ha dei motivi per comportarsi così...
Spero che la storia continui a piacervi e ringrazio anticipatamente tutti coloro che lasceranno una recensione.
Alla prossima,
V.

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Capitolo 4
*** 04. ***


Thunder-2-0




“Jack!” Lana bussò alla porta della stanza della sua amica con un pugno “Jack, sei pronta?” la mora spalancò la porta, fermando la mano della ragazza a mezz’aria. “Bene, noto con piacere che sei pronta” la squadrò con disinvoltura “Quel maglione ti sta davvero bene”
“Trovi?” Jack abbassò lo sguardo su di se, complimentandosi mentalmente per aver scelto il maglione dai toni scuri che aveva deciso di indossare dopo una attenta riflessione “I ragazzi sono pronti?”
“Sono scesi un paio di minuti fa. Ci aspettano in macchina” la informò Lana e dopo aver preso cappotti e borse uscirono frettolosamente di casa. Arrivate in strada, uno squillante clacson attirò la loro attenzione
“Vieni” la bionda attraversò la strada seguita a ruota dall’amica, diretta verso quella macchina rossa guidata da un esaltato Chris. “Eccoci!” esclamò Lana mentre entravano in macchina, venendo travolta da quelle note e da quella voce piuttosto rauca che impregnava le pareti della macchina.
“Sex Pistols, eh?” Jack avrebbe riconosciuto la voce di Johnny Rotten tra mille; anche se il punk non era mai stato il suo genere di musica preferita, il suo vocabolario musicale li conosceva da sempre. “Tipica musica da inglesi!”
“Ma sentitela questa americana da strapazzo!” rispose a tono Morgan, seduto sul sedile del passeggero, riservandole un’occhiataccia “Voi mangia hot dog non potrete mai capire o apprezzare il punk inglese!”
“Tenetevi pure il vostro il punk, noi abbiamo Bob Dylan” Bob era uno dei musicisti preferiti di suo padre e nella loro casa era una religione.
“Non è nulla a confronto del Duca Bianco, il divino David Bowie” ormai era chiaro a tutti che quella era diventata una gara personale, una battaglia tra Inghilterra e America senza esclusioni di colpi.
“Va bene, bambini, abbiamo capito che siete molto patriottici, ma adesso basta!” ci pensò anche quella volta Lana a calmare gli animi “Sono tutti dei grandi artisti, e tutti a modo loro hanno fatto la storia. Non si può fare paragoni, dai!”
“Come al solito sei sempre così schifosamente diplomatica, bionda” intervenne Chris, continuando a tenere lo sguardo sulla strada e le mani sul volante. “Magari al posto di Lana dovremmo iniziare a chiamarti Svizzera. Che ne pensi, Morgan?”
“Qualcuno dovrà pur fare da paciere, non credi?” Lana fece a entrambi i suoi amici la linguaccia, ottenendo in risposta una fragorosa risata. “E adesso metti in marcia prima che inizi nuovamente a piovere. Non voglio inzupparmi i capelli, me li sono appena lavati!”

“Eccoci, siamo arrivati” Chris fermò la macchina non molto lontano dal vecchio porto di Londra, nella zona East della città. “Non è proprio una meraviglia, ma i locali in fitto sono abbastanza economici se li dividi con altre band e nessun rompe troppo le palle.” con quelle parole sembrò che il ragazzo volesse quasi giustificare il trovarsi in quella zona non proprio invitante situata nei pressi di Essex “Speriamo che quei due siano già dentro, altrimenti ci toccherà aspettare fuori e fa troppo freddo per aspettare fuori oggi!”
“Vuoi dire che non hai le chiavi?” sbottò Lana, già in crisi all’idea dei suoi capelli a contatto con la pioggia. Per di più quella zona non era propriamente tranquilla e ogni tanto si incontravano figuri poco raccomandabili “Ma perché non cambiamo locale?”
“Te lo ha appena detto, baby: non ci possiamo permettere un locale in una zona migliore di questa. Non abbiamo soldi!” Lana storse il naso e sbuffò: quella situazione faceva schifo, davvero schifo. Certo nessuno di loro era al verde, anzi avevano tutti un lavoro stabile che pagava bene, ma non per questo si potevano permettere certi lussi come un locale più in centro – dopo tutto quella era Londra, non una qualsiasi cittadina di campagna del Nord.

“Eccoli là quei due stronzi!” Chris accelerò il passo, avvicinandosi spedito verso due ragazzi – uno biondino con i capelli color cenere e appena mossi e l’altro era moro, magro come un chiodo e indossava occhiali da vista che ricordavano quelli di John Lennon. Quando furono abbastanza vicini i tre si salutarono con una poderosa pacca sulla spalla. “Ragazzi, posso presentarvi Jack?”
La ragazza alzò lo sguardo verso i due, abbozzando un sorriso e alzando la mano a mezz’aria, salutandoli “Tanto piacere, ragazzi”
“Tu sei l’Americana, giusto?” chiese il bruno, che Jack scoprì chiamarsi Carl, avvicinandosi a lei e stringendole la mano “Lana non ha fatto altro che parlare di te in questi ultimi giorni. Spero ti troverai bene qua a Londra, ma soprattutto con quel pazzo di mio fratello.”
“Chris è tuo fratello?” chiese con inaspettata sorpresa lei, osservando meglio  quel ragazzo un po’ eccentrico nel vestire - la camicia fiorata che spuntava da sotto una giacca color cammello era davvero orrenda! – e notando delle somiglianze adesso evidenti con il batterista “In questo caso dovrai raccontarmi qualche aneddoto divertente e imbarazzante, così da poterlo ricattare in ogni momento!”
“Ragazza, mi piace come pensi!” esclamò a sua volta il minore dei fratelli Campbell, scoppiando a ridere insieme alla sua nuova amica.
 “Hey! Sono Mike, chitarra ritmica del gruppo” il biondino rimasto in silenzio fino a quel momento decise di interrompere quella conversazione a suo dire fin troppo lunga e, messosi davanti al povero Carl, si presentò l’altro in modo sicuro e anche un pochino spocchioso “E’ un piacere conoscerti”.
“Tanto piacere, sono Jack” in risposta il ragazzo le ammiccò senza neanche tentare di nasconderlo e Jack gli sorrise tirata: odiava quelli che ci provavano senza pudore, senza neanche conoscerti e qualcosa le diceva che quel ragazzo era uno di quei tipi.
“Se avete finito con le presentazioni, io proporrei di entrare e iniziare a suonare. Non abbiamo tutta la sera” Morgan, che come al suo solito odiava perdersi in chiacchiere, mise fine a quello scambio di battute. Ancor di più odiava Mike e il suo essere così schifosamente squallido con le donne, il suo provarci con tutto ciò che avesse un buco e respirasse anche se le sue preferenze erano ben altre. Ipocrita
I due si scambiarono un’occhiata di sfida: anche l’altro chitarrista non sopportava molto Morgan, il modo in cui si atteggiava a grande chitarrista o decantava le sue lodi di meccanico da strapazzo. L’unica cosa che li faceva convivere era la musica e il feeling che si creava tra loro cinque quando salivano sul palco. Fuori dalla sala prove, però, le cose erano totalmente diverse, e spesso le tensioni venivano a galla. Per non parlare della storia con Chris e di come fosse scoppiata come una bomba ad orologeria…
“Cosa fate ancora là impalati? Entriamo prima di prenderci un malanno!”
Sia Mike che Morgan si destarono dai loro pensieri e si affrettarono ad entrare e prendere posizione accanto ai loro rispettivi amplificatori.

Durante le prove Jack rimase su di una poltrona vecchia almeno quindici anni. Era malconcia, come del resto molte cose presenti in quel locale, ma comoda. Stringeva le sue gambe con entrambe le braccia e i suoi occhi restavano fissi su quei cinque ragazzi che trasudavano passione ed energia da tutti i pori. Erano bravi, maledettamente bravi, e la voce di Lana, adesso più matura, era melodiosa ma forte e dura allo stesso tempo. Aveva quasi dimenticato le emozioni che dava la musica, quella vera, suonata non per la gloria, ma per pura passione in qualche locale fatiscente. Un tempo anche lei aveva sognato di poter vivere di musica e sfondare nel mercato discografico insieme alla sua migliore amica, ma poi sua madre si era ammalata e lei, come sua sorella maggiore, si era dovuta rimboccare le maniche per dare una mano in casa e portare uno stipendio per aiutare loro padre nelle cure.
Jack aveva sacrificato molto della sua vita, si era addirittura presa una laurea in legge come suo padre voleva – lei, che non era mai stata ferrata in quelle cose e che in realtà avrebbe voluto intraprendere studi umanistici – e successivamente si era trovata un tirocinio retribuito in uno studio associato piuttosto importante di New York in cui lavorava anche un amico di vecchia data di suo padre; quel un lavoro era stato per Jack l’inizio di un incubo e l’aveva fatta quasi impazzire. In quel momento, però, quei ricordi erano lontani e Jack si sentì libera come da tempo non le capitava.

I ragazzi suonarono per più di mezz’ora, ma per Jack sembrarono solo pochi minuti. La musica l’aveva avvolta, l’aveva portata in un mondo senza tempo, in uno spazio parallelo. Quando anche l’ultima nota smise di vibrare nell’aria, la ragazza si alzò dalla sedia, applaudendo con ardore.
“Bravi, avete letteralmente spaccato!” i ragazzi fecero un inchino, propeio come erano soliti fare dopo un’esibizione.
“Ti siamo piaciuti?” chiese Lana, trotterellando allegramente verso l’amica e mostrando un sorriso smagliante. Jack la paragonò ad un cagnolino, uno di quelli con il musino appena umido e gli occhi dolci che si vedevano negli spot televisivi. Le mancava solo una coda scodinzolante e sarebbe stata perfetta. “Perché sorridi?”
“Nulla, nulla” rispose, scacciando dalla mente quel divertente paragone “Siete stati grandi, davvero” questa volta fu lei a sorridere, mentre con una mano portata a mezz’aria alzava un pollice “Sei migliorata moltissimo, ti trovo più molto più sicura di te e la tua voce è ben definita.”

“E di noi, invece, cosa pensi?” Morgan, dopo aver pronunciato quella domanda, si avvicinò alle due ragazze con passo lento ma sicuro. Sogghignò, puntando i suoi occhi verde scuro verso la ragazza, cercando quelli scuri di Jack.
“Non male” rispose con sufficienza lei “Ci sai fare, ma di sicuro non sei Jimi Hendrix” continuò con tono piccata, guardandolo in modo furbo e volutamente provocatorio.
“Magari intendevi Jimmy Page” ancora una volta, la loro battaglia America contro Inghilterra ebbe il sopravvento “Tutti sanno che Page è meglio di Hendrix!”
“Non credo proprio, mio caro” Jack si portò i capelli dietro la spalla in un gesto piuttosto teatrale, un gesto perfetto per uno spot di shampoo “Certo, Page ha il suo fascino, e riconosco che sia più sexy di Jimi, ma siamo seri per un attimo: è palese che il Dio indiscusso della chitarra sia Hendrix!”
“Va bene, ragazzi, non ricominciate per piacere” Chris, che era uscito da dietro le pelli, intervenne nel loro ennesimo battibecco “Perché non ci andiamo a bere una birra, invece che stare qua a sprecare fiato?” guardò anche gli altri, e tutti acconsentirono.
“Per me non ci sono problemi” rispose Jack, mantenendo un tono distaccato.
“Neanche per me” continuò Morgan, che ancora la guardava dall’alto della sua altezza.
“Ottimo! Jack, dacci qualche minuto per toglierci di dosso questo sudore e cambiarci e poi saremo pronti per andare.”

*

Chris si stava cambiando nella piccola stanzetta collegata con la sala prove quando sentì la porta aprirsi e una figura strisciare silenziosa alle sue spalle. Chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro e pregando di essere abbastanza forte da non cedere anche quel giorno. Se avesse continuando a mostrarsi debole si sarebbe soltanto fatto del male da solo, rovinandosi la vita e impedendosi di andare avanti.
“Cosa vuoi?” chiese senza neanche girarsi, sapendo chi era appena entrato.
“Lo sai cosa voglio: voglio te!” quella era una risposta tipica di Mike e se un tempo aveva trovato quel tipo di parole lusinghiere, adesso il batterista le reputava piuttosto tristi.
“Ti prego, risparmiami queste frasi fatte,” si girò di scatto, incurante di essere ancora a petto nudo “Cosa vuoi?”
Mike si morse un labbro ma non abbassò lo sguardo, anzi lasciò che questo vagasse senza pudore sul torace del moro: “Pensavo potessimo parlare…” iniziò incerto, facendo un passo in avanti “Mi manchi, Chris, mi manchi più di quanto tu possa immaginare.”
Il batterista deglutì a fatica: Mike sapeva sempre cosa dire, come farlo sentire in colpa. Per lui era un libro aperto e già il moro sentiva i suoi buoni propositi andare alla malora. Perché non poteva lasciarlo in pace? Non avevano sofferto abbastanza?
“Te l’ho detto, non sono più disposto ad essere il tuo piccolo segreto, guardarti mentre flirti spudoratamente con le altre ragazze e ti vanti al pub con gli amici di quanto tu sia bravo a farle godere.”
Prese un respiro profondo e continuò con voce calma: “Sono stanco di vergognarmi, di nasconderti, di fare finta che tutto vada bene… siamo andati avanti per quasi due anni, Mike, due cazzo di anni e niente è mai cambiato.”
“Lo so, lo so e hai ragione, ma io…” si guardarono dritto negli occhi e, prendendo l’altro in contropiede, Mike eliminò la distanza che li separava e lo strinse tra la sue braccia. Un istante dopo si stavano baciando con passione e disperazione. Per un attimo Chris si concesse di essere egoista e, chiusi gli occhi, fece intrecciare la sua lingua con quella dell’amante, assaporandone il gusto speziato. Durò solo un attimo. “No!” Chris riuscì a mettere fine a qual bacio con non pochi sforzi, girando il capo e allontanando il biondo con uno spintone “Ti prego, basta!”
“Io ti amo!” la voce di Mike adesso era rotta dall’emozione, rivelava tutta la sua angoscia “Ti prego, ti prego non lasciarmi, non dirmi che è tutto finito!”
“Mi dispiace, Mike, ma non posso…” di fretta il batterista si infilò la maglia e, senza aggiungere nulla, uscì dalla stanza. Ancora una volta si era fatto male, aveva permesso a Mike di baciarlo e mettere in discussione tutto; ancora una volta ne era uscito con il cuore sanguinante.

*

Uno spiffero di vento si intrufolò nella sgangherata macchina attraverso il finestrino appena aperto del passeggero, dove Morgan se ne stava seduto con le ginocchia al petto, fregandosene altamente della sicurezza e delle conseguenze; se ne stava tranquillo a sfumacchiare una sigaretta, incurante che l’aria che entrava andasse a smuovere i capelli color cioccolato di Jack, la quale era intenta a  disegnare faccine allegre sul finestrino posteriore appannato dal freddo. Se ne stavano tutti e quattro in silenzio – Chris con gli occhi fissi sulla strada e la mente piena di pensieri, Lana assorta mentre osservava il Tamigi illuminato dalle luci – e l’unica voce che riempiva la macchina era quella dello speaker radiofonico che proveniva dalle casse della radio.
Quando arrivarono al pub in zona Camden aveva appena smesso di piovere e le strade deserte sembravano ancor più spettrali con i loro lampioni dalla luce innaturale, avvolti da quella nebbiolina degna di un film con protagonista Jack lo Squartatore.

“Non siamo molto lontani da Regent’s Park” disse Lana mentre Chris stava parcheggiando “Adesso sembra tutto molto tetro, ma la mattina questa zona è davvero uno spasso.”
Usciti dalla macchina le due ragazzo si misero a camminare a braccetto; andarono avanti per qualche isolato, fino a quando non arrivarono davanti a un pub all’apparenza uguale a tutti gli altri: gli occhi di Jack andarono immediatamente all’insegna rossa, che svettava sulla sua sinistra e su cui spiccava il nome del locale: The Black Heart.
“E’ un locale fighissimo!” annunciò Lana con la sua solita vitalità, mentre tutti insieme – erano stati raggiunti da Mike e Carl qualche secondo prima – entravano nel pub dall’arredamento demodé. Una musica rock di qualche gruppo emergente li travolse, e subito una cameriera piuttosto bassina, con la pelle scura e i capelli color mogano si avvicinò a loro e li fece accomodare al tavolo libero più vicino.
Jack si guardò attorno, notando subito il grande bancone pieno di alcolici, dove alcune persone se ne stavano seduti a bere su degli sgabelli in legno e non riuscì a non fare un paragone con i locali di New York, tra la gente dallo stile inconfondibilmente londinese e quello più glamour e impettito che caratterizzava la Grande Mela.
“Che ne pensi del locale?” chiese curioso Chris, indicando con un gesto plateale il locale attorno, sporgendosi verso la ragazza per riuscire a sentire la sua voce sopra la musica che ancora riempiva il locale.
“E davvero bello” rispose lei, continuando a sorseggiare il whiskey con ghiaccio che aveva ordinato poco prima “Diverso dai locali di NY, ma molto bello”
“Ci devi fare l’abitudine all’inizio” continuò Chris, accendendosi una sigaretta “Anche Lana ha avuto qualche difficoltà ad ambientarsi inizialmente, e adesso guardala: sembra una vera Londinese, una fiera e cazzuta Londinese”
“Hey, vacci piano carino” smorzò i toni Lana, arricciando il naso “Io sono una fiera e orgogliosa Americana, anche se Londra è la mia seconda casa e voi la mia seconda famiglia”
“Visto? Avevo ragione io: è sempre la solita Yankee” l’apostrofò Morgan, intrufolatosi nella conversazione. In risposta, Lana gli fece il dito.

“Che ne dici di andare a ballare?” propose più tardi Lana, una volta che il gruppo che stava suonando terminò l’esibizione e la pista da ballo iniziò a riempirsi di gente non proprio lucida che si scalmanava e pomiciava in modo non proprio casto.
Jack si guardò attorno, incerta: non era mai stata una grande amante del ballo, ma era pur vero che non era mai riuscita a dire di no a Lana, specialmente quando assumeva quell’espressione implorante come in quel momento.
“Oh, fanculo!” imprecò, portando gli occhi al cielo “Va bene, andiamo” Lana scattò in piedi, esultando come una ragazzina e dopo essersi scolata il restante whiskey – era già il terzo bicchiere per la mora – la seguì in pista.

In poco tempo, le ragazze vennero accerchiate da alcuni ragazzi, alcuni conoscenti, altri mai visti prima. Jack iniziò a ballare con Mike, il quale mostrò senza alcuna preoccupazione interesse per la ragazza. I due iniziarono a chiacchierare, e quando lui faceva delle battute o diceva qualcosa di divertente, lei rideva di gusto. Lana, invece, prese a ballare con un ragazzo, un tipo dai capelli lunghi color cioccolato e l’aspetto da rocker col quale iniziò a baciarsi con disinvoltura.

“Geloso, Campbell?” chiese Morgan, rimasto al tavolo con il batterista, il quale non aveva distolto neanche per un secondo gli occhi da Jack e Mike.
“Chi, io?” Chris lo guardò con la coda dell’occhio, facendo un mezzo sorriso “Non essere sciocco” sventolò una mano davanti al viso, come a scacciare una mosca “Mike può fare quello che vuole, la nostra storia è chiusa!”
Morgan lo guardò quasi con tenerezza, come si guarda un pazzo: non era affatto convinto delle parole dell’amico e non si fece problemi a dirglielo “Cazzo amico, devi prendermi davvero per un coglione se pensi che mi berrò queste cazzate” poggiò con delicatezza il bicchiere sul tavolino di legno e incrocio le braccia “So cosa avete combinato solo qualche settimana fa, quindi non prendermi per il culo! Questa storia è andata avanti abbastanza”.
“Tu...” Chris boccheggiò: come faceva a saperlo? Come faceva a sapere sempre tutto? “Cazzo!” imprecò, abbassando lo sguardo e grattandosi nervosamente la barba.
“I muri delle stanze da letto sono sottili e i vostri gemiti da invasati li si riconosce anche da ubriachi” fece schioccare la lingua sul palato con aria da saccente. “Inoltre, scegliere casa nostra per la vostra ultima avventura non è stata una saggia decisione”.
“E’ stato un caso isolato” si affrettò a liquidare lui “Eravamo sbronzi e non ha significato nulla: l’indomani mattina lui è andato via e non ne abbiamo più parlato” si scolò il fondo della sua vodka, chiudendo gli occhi quando sentì la gola bruciare “Ho fatto una cazzata, è vero; ci sono ricascato, è vero, ma questo non vuol dire che io abbia accettato di ricominciare a vederlo di nascosto”.
Ci fu qualche momento colmo di silenzio imbarazzante: Morgan non disse altro, non era sua intenzione rigirare il coltello nella piaga, ma sperava davvero che il suo migliore amico si liberasse di quello stronzo.
Dal canto suo, Chris continuò a tenere lo sguardo basso e  stringere il bicchiere tra le dita affusolate “Credo di averne bisogno di un altro” così dicendo, si avviò verso il bancone, facendosi strada tra la folla.

Rimasto solo, l’attenzione di Morgan fu nuovamente catturata da Jack e Mike che ballavano avvinghiati. Lei sembrava alticcia e lui sembrava uno squallido marpione. Il moro storse la bocca, infastidito. Sperò che quello stronzo non facesse cazzate con quella Jack, che non giocasse ancora una volta con i sentimenti dei suoi amici o peggio. Lana era stata molto chiara: nessuno doveva avvicinarsi a Jack, sfiorarla con un dito o solo pensare a lei in altro modo. E poi c'era Chris che...
Sospirò, appuntandosi in mente di parlare con Mike il giorno seguente, e decise che dopo tutto anche lui aveva bisogno di un altro bicchiere.

 


*

Angolo autrice: Bentrovati! Voglio condividere con voi un piccolo aneddoto: nella prima stesura di questa storia Chris e Lana formavano una coppia; la seconda parte, quella in cui lui e Morgan parlano, quest'ultimo lo punzecchia proprio perchè pensa che lui sia geloso di Lana. In questa nuova versione, però, ho deciso che loro due saranno solo amici. Perchè, dite voi? perchè secondo me è giusto valorizzare un amicizia uomo/donna prima di tutto, e poi perchè rendendo Chris omosessuale posso spaziare e dargli più spessore - oltre che andare a toccare tematiche come il comingout o l'omofobia. Insomma, dare alla storia più credibilità sotto molti punti di vista - o almeno lo spero! Se il capitolo vi è piaciuto vi invito a lasciarmi una recensione.
Alla prossima,
V.

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Capitolo 5
*** 05. ***



Thunder-2-0




Quando l’indomani mattina Lana si svegliò, capì dal leggero russare in sottofondo di non essere sola nel letto. Aprì piano gli occhi, sperando con tutta se stessa di sbagliarsi, ma quando vide il ragazzo della sera precedente – ragazzo di cui aveva dimenticato completamente il nome – dormire accanto a lei andò nel panico più totale. Senza fare rumore sgusciò fuori dalla coperte e, acciuffati i suoi slip ed una maglietta più grande di due taglie che fungeva da pigiama, sgattaiolò fuori dalla sua stanza in cerca di un aiuto esterno. Arrivata davanti alla porta della stanza di Chris, l’unico a cui poteva chiedere aiuto in quel momento, girò la maniglia ed entrò, trovando suo malgrado la stanza vuota.

Lana si guardò attorno: la finestra era stata appena socchiusa per far cambiare l’aria e le lenzuola del letto erano sfatte, segno evidente che Chris aveva passato la notte a casa e non nel letto di chissà chi. Storse il naso: l’idea del suo batterista che si rotolava nel letto con qualcun altro la disgustava, ma poi pensò che la stessa cosa l’aveva fatta lei quella stessa notte appena passata. Si mise seduta a gambe incrociate sul letto, e rimase in quella posizione fino a quando la porta della stanza non si aprì e un Chris con i capelli bagnati e solo un asciugamano in vita fece capolinea.
Il moro, non accorgendosi della figura di Lana rannicchiata sul letto – la stanza era in penombra e lui era sovrappensiero – continuò tranquillo a fischiettare una canzonicina che gli frullava per la testa e a frizionarsi i lunghi capelli con un altro asciugamano che stringeva tra le mani. Arrivato al mobile dove teneva la biancheria, il batterista lasciò cadere il telo che gli copriva la vita e uscì dal cassetto uno dei suoi tanti boxer neri.

“Cristo, Cambpell, copri le vergogne!” sbottò improvvisamente Lana, facendo prendere un colpo al ragazzo che, preso alla sprovvista, sussultò visibilmente.
“Lana!” la voce di Chris uscì più alta di qualche tono e prontamente il ragazzo si coprì le sue vergogne, come le aveva definite Lana, con una mano “Che cazzo ci fai qua?” chiese, ancora rosso in viso.
“Dovevo sfuggire al tipo che mi dorme nel letto” rispose Lana, indicando con un dito il muro alle sue spalle, il muro confinante con la sua stanza “E comunque puoi benissimo evitare di coprirti, perché ho visto già tutto”
“Già, e se non ricordo male non è neanche la prima volta! Peccato solo che non giochi nel tuo stesso team!” le rimembrò lui, levando la mano dalla sua nudità, mostrandosi a lei come mamma lo aveva fatto, senza vergogna. Questa volta fu Lana ad arrossire “Messaggio ricevuto: mi metto i boxer”
“Sì, sarebbe meglio” liquidò lei, cercando di trovare la concentrazione persa su di un punto indefinito della stanza “Senti, Chris, mi devi aiutare a buttarlo fuori” continuò, ritornando all’argomento precedente “Ieri ero ubriaca e non so neanche come ho fatto a portarlo nella mia stanza, né tantomeno ricordo ciò che abbiamo fatto”.
“Oh, lui sicuramente ti ha fottuto per bene, su questo non si discute” la voce di Chris uscì leggermente infastidita, nervosa “Lo so perchè urlavi come un’invasata come al tuo solito”
“Merda, merda!” Lana si coprì il viso con una mano, chinandosi appena in avanti “Ma perché devo sempre fare stronzate?”
“Perché siamo giovani, tesorino, ed è normale fare cazzate a questa età” il batterista si avvicinò a lei e, dolcemente, le posò una mano sul capo “Lascia fare a me, ci penso io al bellimbusto là dentro” i due si scambiarono un sorriso reciproco, e dopo essersi vestito, Chris uscì dalla sua stanza e compì il suo dovere, scacciando in malo modo il malcapitato dal letto della bionda e da casa loro.

“Fatto!” Chris rientrò trionfante nella sua stanza quindici minuti dopo, strofinandosi le mani come qualcuno che si è appena disfatto delle robe vecchie ed inutili.
“Grazie, sei il mio eroe” Lana si alzò di scatto dal letto, e circondando le mani dietro il suo collo lo abbracciò.
Anche il batterista ricambiò l’abbraccio, cingendole la vita con entrambe le mani e posando il mento sul suo capo, sottolineando così la sua altezza. Si staccarono appena e si guardarono negli occhi come incantati. Entrambi provavano una forte attrazione l’uno per l’altra, questo era innegabile, ma sia Lana che Chris sapevano bene che lasciarsi andare a quell’attrazione, come già avevano fatto una volta, avrebbe comportato solo casini tra di loro e con la band.
“Quando vuoi, dolcezza” Chris le diede un buffetto, sciogliendo l’abbraccio “Quando c’è una donzella da salvare io sono sempre il migliore” rise, e anche lei rise con lui.
Un istante dopo, i loro sorrisi si trasformarono in espressioni serie, decisamente troppo per i loro gusti. Erano davvero scombinati, loro due, e non per niente erano amici: non ne facevano mai una giusta e se solo avessero ascoltato più il buon senso e meno l’istinto forse tante cazzate se le sarebbero risparmiate.
“Ascolta, Chris, per quanto riguarda l’altra sera…”

“Chris, amico, so che è l’ultima cosa di cui hai bisogno, ma dobbiamo parlare di….” Morgan si interruppe bruscamente, non aspettandosi di trovare anche Lana “Bionda, anche tu qui?” chiuse la porta con un piede, continuando a parlare: “Dobbiamo parlare di Jack e Mike! Quel coglione ieri le è stato tutta la serata attaccato ed ho paura che faccia qualche stronzata!”
“Oseman, sei sempre il solito esagerato!” Lana smorzò la tensione delle parole di Morgan con le sue tranquille “Jack sa quello che fa, non è mica una ragazzina”
“Ma… ma tu avevi detto che dovevamo starle alla larga, che ci avresti castrato se...”
“So cosa vi ho detto, Morgan, ma dubito che l’interesse di Mike in Jack sia sincero” disse lei, piccata “Sappiamo benissimo a chi è realmente interessato il nostro chitarrista”
“Già e a quanto pare non è intenzionato a mollare l’osso,” incalzò Morgan, infastidito “E’ successo qualcos’altro che dovremmo sapere?”
“Nulla!” si affrettò a dire il batterista, ma la sua voce lo tradì come sempre.
“Chris…” Lana poggiò una mano sulla sua spalla, comprensiva come solo un’amica sa essere: “Sai che puoi dirci tutto, che non ti giudicheremo.”
“Non c’è molto da dire: ieri, dopo le prove, è venuto nella stanza in cui mi stavo cambiando e…” prese un respiro profondo “Ha detto che gli manco, che mi ama e…”
“Stronzate!” intervenne Morgan, piccato “Se ti amasse non continuerebbe a mentire, a fare finta di essere eterosessuale o qualsiasi cosa si ripete di essere in quella mente contorta: se ti amasse affronterebbe quello stronzo di suo padre e al diavolo tutto!”
“Sai che non è così semplice!” ricordò Lana che, nonostante tutto, si reputava anche amica di Mike “Sai che suo padre è un uomo potente, che è il suo capo e che…”
“Questo non lo giustifica affatto, tantomeno posso perdonarlo per come ha trattato Chris in tutti questi mesi. Nella vita bisogna fare delle scelte e quelle che lui ha fatto dimostrano quanto sia un bambino viziato che vuole avere tutto e subito, senza conseguenze alcune!”
“Ragazzi, vi prego basta!.” Chris era visibilmente affranto “So che entrambi volete il mio bene, che ci tenete, ma non ne voglio più parlare…”
“Scusami, hai ragione e mi dispiace se ho alzato la voce,” Morgan gli strinse una spalla e i due si scambiarono uno sguardo complice “Sappi, però, che ti coprirò sempre le spalle e ci sarò ogni volta che avrai bisogno di me”
“Lo stesso vale per me: siamo una famiglia, noi tre, e la famiglia viene prima di tutto”
“Grazie, ragazzi. Siete i migliori amici che una persona possa avere e sono schifosamente grato di avervi nella mia vita”.

*
 
Mezz’ora dopo, Lana aprì con una mossa degna di una contorsionista la porta della mansarda. In mano aveva un vassoio su cui erano stati accuratamente disposte due tazze di the caldo con un goccio di latte – la cosa faceva molto aristocratico inglese, lo sapeva, ma la bionda amava quella bevanda dal gusto particolare – dei biscotti e un paio di brioche che aveva riscaldato nel microonde. Con un colpo di tacco richiuse la porta alle sue spalle, stando attenta che questa non sbattesse e, poggiato il vassoio sul mobile poco lontano, si avvicinò al letto poco distante da lei, dove Jack se ne stava in uno stato di dormiveglia.
La sera prima la mora aveva alzato troppo il gomito e il suo corpo adesso era indolenzito e la sua testa pesante come un carico di mattoni. Quando la bionda si sedette a piedi del letto, Jack mugugnò infastidita, dando il suo primo segno di vita.

“Buongiorno, bella addormentata!” esclamò serafica mentre incrociava le gambe “Dormito bene?”
“Non mi lamento” rispose l'altra con una voce impastata di sonno, sbadigliando rumorosamente “Peccato solo che questo mal di testa mi perseguiterà per il resto del giorno”.
“E’ il prezzo dell’avere quasi trent’anni e scatenarsi per locali fino a tardi” le fece notare l’amica con una punta di saccenza nella sua voce “Spero almeno che ti sia divertita con quella massa di pazzi”
“Sì, molto,” confessò lei, abbozzando un sorriso e prendendo un sorso di the dalla tazza che Lana le aveva passato poco prima “Anche se avrei preferito non essere braccata come una volpe da Mike: non so perché, ma c’è qualcosa che non mi convince in quel tipo… senza offese, ovviamente!”
“Mike è fatto così, non ci possiamo fare molto” liquidò Lana, cercando di minimizzare per non dare troppe spiegazioni. Il segreto di Chris doveva rimanere tale, almeno fino a quando lui non avesse deciso di fare coming-out con Jack e raccontarle del suo passato con Mike “Quando vede qualcosa di nuovo, o in questo caso qualcuno, diventa un bambino capriccioso e vuole averla a tutti i costi” si portò un biscotto alla bocca e ne prese un boccone “Non è un cattivo ragazzo, ma spesso entra troppo in competizione con gli altri. Vuole primeggiare in tutto: musica, persone, e solo Dio sa che altro”.
“Qualcuno dovrebbe dirgli che la vita non è una gara, tantomento una competizione” disse Jack, piccata, ricordando la sensazione delle mani del ragazzo sul suo corpo.
“Morgan non lo sopporta proprio per questo” rivelò Lana, forse troppo superficialmente “Si scontrano sempre, quei due, e anche ieri sera, quando ci ha provato spudoratamente con te, ha iniziato a borbottare come un vecchio pelandrone di ottant’anni”
“Ho capito subito che quei due non vanno d’accordo: Morgan non ne fa un mistero e non perde occasione per sottolinearlo. Idem Mike: quei due hanno molti problemi irrisolti, credimi!”

Consumarono la colazione chiacchierando del più e del meno, fino a quando Lana non si fece seria e decise che era arrivato il momento di affrontare un discorso che, molto probabilmente, avrebbe creato imbarazzo nell’amica.
“So che adesso probabilmente ti arrabbierai, ma io devo dirtelo, anche se te l’ho detto al telefono tanti mesi fa: mi dispiace per tua madre”
Jack, sgranati gli occhi per la sorpresa di quell’uscita a dir poco inaspettata, allontanò la tazza di caffè dalle labbra, posandola in equilibrio precario sulle ginocchia.
“Gr-grazie, ma preferirei non parlarne, non ora almeno” disse lei che proprio non voleva saperne di parlare degli ultimi due anni della sua vita, di ciò che aveva passato a New York, al capezzale di una madre morente e con un padre che era diventato uno sconosciuto “Se devo essere sincera, quando è morta è stata una liberazione” sospirò, conscia di come le sue parole risuonassero orribili e senza cuore “Stare in quella casa ad accudire mia madre mentre tutti ci spaccavamo la schiena e si entrava e usciva dagli ospedali… ripensarci fa male, ecco: sono stati anni di inferno e sapere che adesso lei non soffre più è una consolazione.”
“Non devi parlarne se non vuoi ed io non dovevo farti pressioni. Anzi scusami se ho tirato fuori questo argomento, so quanto sia doloroso per te”.
“Tranquilla, va tutto bene” Jack si alzò dalla poltrona su cui era seduta, restandosene in piedi con aria impacciata “Adesso è meglio se vado a vestirmi. Devo ancora trovare un lavoro e ho deciso che oggi è il giorno giusto per iniziare a cercare” concluse, uscendo dalla stanza sotto lo sguardo pensieroso e preoccupata di Lana che, sospirando, si limitò ad annuire lievemente.
Qualcosa le diceva che c’era altro che l’amica le nascondeva, che la sua decisione di trasferirsi a Londra dall’oggi al domani andava oltre il lutto per la madre e in un modo o in un altro era decisa a scoprire la verità.

*

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