Questione di...

di mgrandier
(/viewuser.php?uid=673747)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ... pelle ***
Capitolo 2: *** ... amicizia ***
Capitolo 3: *** ... principio ***
Capitolo 4: *** ... sintonia ***
Capitolo 5: *** ... rigore ***
Capitolo 6: *** ... contatto ***
Capitolo 7: *** ... pazienza ***
Capitolo 8: *** ... chiarezza ***
Capitolo 9: *** ... coraggio ***
Capitolo 10: *** ... coraggio (ancora un po' di più) ***
Capitolo 11: *** ... polso ***
Capitolo 12: *** ... protezione ***
Capitolo 13: *** ... impegno ***
Capitolo 14: *** ... urgenza ***
Capitolo 15: *** ... imbarazzo ***
Capitolo 16: *** ... dettagli ***
Capitolo 17: *** ... fiducia ***
Capitolo 18: *** ... condivisione ***
Capitolo 19: *** ... Costanza ***
Capitolo 20: *** ... colore ***
Capitolo 21: *** ... bisogno ***
Capitolo 22: *** ... equilibrio ***
Capitolo 23: *** ... osservazione ***
Capitolo 24: *** ... dialogo ***
Capitolo 25: *** ... naturalezza ***
Capitolo 26: *** ... realtà ***
Capitolo 27: *** ... attesa ***
Capitolo 28: *** ... tempo ***
Capitolo 29: *** ... forza ***
Capitolo 30: *** ... risposte ***
Capitolo 31: *** ... casa ***
Capitolo 32: *** ... un anno ***



Capitolo 1
*** ... pelle ***


1 – … pelle
 
Nella penombra della camera, si mette a sedere sul bordo del letto, lasciando che le gambe scivolino da sotto le lenzuola stropicciate, fino a posare i piedi nudi a terra, quasi stesse cercando un qualunque contatto con la realtà. Piegandosi in avanti, punta i gomiti sulle cosce e solleva i palmi aperti, nascondendovi d’istinto il viso; preme con forza le dita sugli occhi, ma le macchie brune che si fondono con il buio che lo avvolge non riescono a redimerlo da nessuna delle immagini che tornano ad insinuarsi nella sua mente.
Impossibile fermare dei ricordi che vanno ben oltre le immagini che si affollano tra le sue tempie, sovrapponendosi in un turbine prepotente che finisce per deflagrare in brividi caldi lungo la schiena; brividi che lo hanno scosso, e continuano a farlo, andando dritti a pungere il suo corpo proprio là dove tutto il desiderio, contro il quale si era imposto di lottare per settimane, sembra aver trovato sfogo in un’unica notte di fine estate.
Scuote il capo, soffiando tra le labbra tese tutto il fiato che ha in corpo, e poi socchiude gli occhi, filtrando tra le ciglia nere la realtà della propria camera, l’ampia parete vetrata aperta sulla loggia e, più oltre, il panorama della piazza lunga e stretta sulla quale si affaccia il suo piccolo appartamento; la città pare ancora assopita nel torpore del primo mattino, a giudicare dalle poche, soffuse, voci che gli giungono lontane, quasi da un altro mondo.
- Saranno sì e no le sei … - mormora tra sé, valutando quei bisbigli cittadini e la luce limpida del cielo del nord, mentre cerca un modo per distrarsi.
Non hanno nemmeno chiuso le lunghe tende, la sera precedente, e, come spesso accade, hanno atteso che il sole affogasse oltre i tetti scuri dei palazzi del quartiere, portando con sé anche l’ultimo riflesso caldo di quella giornata, fino a perdersi nel buio rassicurante della notte; ed ora lo stesso sole caparbio e indifferente ai suoi problemi, torna a illuminare Amburgo, la piazza e la sua camera, venendo quasi a riscuotere il conto per quelle ore di tregua concesse.
Abituandosi alla luce, riconosce a terra la stoffa scura dei boxer e, con un gesto rapido, si affretta a raccoglierli, sentendosi quasi a disagio, per infilarli con un unico gesto; poi si leva dal grande letto per aggirarlo e raggiungere il disimpegno con passi nudi e silenziosi, attento a non fare alcun rumore. Giunto alla soglia della stanza, con il braccio sollevato e la mano aperta, poggiata allo stipite, rimane per qualche istante bloccato, incerto su come sia meglio affrontare non solo quel giorno, ma anche tutti quelli a venire.
Si sorprende per quel tentennamento, per quello strano senso di insicurezza che gli pare estraneo a se stesso; soffoca un accenno di sorriso, prendendosi gioco di sé, perché la situazione in cui si è deliberatamente cacciato, lo ha messo alla prova ben di più di quanto non avrebbe potuto immaginare.
Disciplina e razionalità, sempre e comunque! Era sempre stato il suo motto; il tormento con cui mister Mikami lo ha praticamente cresciuto, forgiando il suo carattere deciso e il suo corpo dalla forza innata nel portiere statuario e indomito che era diventato, e in quel momento gli pare di riuscire a riconoscere la stessa voce e lo stesso monito nella cantilena con cui la sua coscienza lo redarguisce, come un diavolo bigrigio appollaiato sulla spalla.
Possibile che riesca a provare sensi di colpa per essersi concesso di dare voce ai propri sentimenti? Non riesce a capacitarsi del fatto che la sua educazione lo abbia segnato così profondamente, tanto da tremare al solo pensiero di aver concesso al proprio cuore di guidarlo fino a quel punto.
Si volge alle proprie spalle, cedendo all’istinto di guardare davvero in quella camera, perché fino a quel momento, si rende conto, ha guardato dovunque, tranne che in direzione del letto, là dove, ne è consapevole, ogni ricordo, immagine o sensazione che sia, prenderebbe la forma di un confronto con la realtà che, prima o poi, deve giungere, strappandolo definitivamente dal cumulo di pensieri in cui si sta crogiolando e struggendo.
Vedere quella sagoma snella, quel corpo sinuoso intuibile tra le lenzuola bianche gli spezza il respiro.  Assottiglia lo sguardo, scrutando il volto nascosto e i capelli lunghi, scuri come ebano e che ora sa morbidi come seta, sciolti sul guanciale; scivola lento lungo le spalle scoperte, seguendo la curva della schiena morbida che si insinua sotto un lembo di stoffa, fino a perdersi oltre la curva intuibile del fianco. Il movimento lento delle spalle gli dona un soffio di tranquillità: dorme ancora e probabilmente il risveglio non arriverà molto presto, ma quella vista gli è stata sufficiente per recuperare almeno in parte le proprie certezze. Perché quella notte non è stata una follia o una debolezza, e nemmeno una avventura vissuta con leggerezza (quelle, lo sa ormai da tempo, non fanno per lui). No! A quella notte è giunto dopo un lungo percorso fatto di lente spirali, di strappi inattesi, di speranze e di passi mossi a ritroso, e sebbene non riesca ancora a immaginare come quella strada possa proseguire, tuttavia sente in un angolo remoto del proprio animo la certezza di aver preso l’unica scelta possibile per la sua stessa salute mentale. Sì! Ha maturato un’unica sicurezza: quella di non essere stato avventato, ma di aver, anzi, agito con attenzione, scrutando per giorni e giorni ogni segnale, ogni sguardo, ogni sorriso e ogni brivido … perché quello è il suo modo di affrontare la vita e davvero, nonostante i dubbi iniziali, con il trascorrere del tempo gli è parsa la scelta giusta.
Rinfrancato da quei pensieri e con un sorriso leggero a tendere le labbra, si decide a muoversi, superando il disimpegno e procedendo nel soggiorno, avvicinandosi al bancone con l’unico intento di distrarsi preparandosi la colazione, nonostante sia ancora presto, per mettere a tacere almeno lo stomaco, se non la coscienza che ancora cerca di alzare la cresta. Aperta la dispensa, tenta di mettere a fuoco il caleidoscopio di scatole che gli si para davanti, una montagna di confezioni multicolori, per la maggior parte aperte, che condensano all’interno dello scomparto una confusione di profumi che spaziano dal delicato sentore di camomilla all’aspro odore di erbaccia stantia. Arriccia il naso, faticando a comprendere come la sua sguarnita dispensa si sia tramutata in un bazar della tisana salutare e quindi, spostando qualche confezione, gli pare di riconoscere, in fondo al ripiano, l’involto lucido del tè nero, l’unico che lui abbia mai bevuto e acquistato di sua spontanea volontà. Armeggia per qualche istante, cercando di sfilarlo dalla stretta del disordine e quando gli pare di aver vinto la battaglia, concentrato su ogni minimo movimento, lo squillare improvviso del telefono lo coglie di sorpresa, tanto da farlo sobbalzare, lasciando la presa dalla confezione del tè per ritrarsi di scatto, rischiando di svuotare la dispensa in un colpo solo.
Ricorda di aver lasciato il cellulare sotto carica la sera precedente, proprio sul ripiano della cucina e si allunga per afferrarlo, chiedendosi chi mai possa pensare di chiamarlo a quell’ora del mattino. Preso il telefono tra le mani, tuttavia, realizza immediatamente che la situazione che già, al risveglio, gli era parsa complessa, si sta complicando ulteriormente. Indugia qualche istante, osservando con una sottile sensazione di panico l’immagine di Tsubasa, sorridente e abbracciato alla sorella, fotografia che ricorda perfettamente di aver scattato lui stesso; arriccia d’istinto il naso, chiedendosi da quando, l’amico, l’abbia messa come foto del profilo. Poi scuote il capo e trae un profondo respiro, quindi passa l’indice sullo schermo, scacciando l’immagine molesta e recuperando il proprio migliore tono sicuro.
- Pronto! –
- Wakabayashi! – lo investe l’amico con il suo innato entusiasmo – Credevo di conoscerti abbastanza da sapere che non sei uno che fa le ore piccole … ma al quarto squillo ho iniziato a temere che fossi ancora a letto! –
- Beh, in realtà hai mancato di poco l’obiettivo di farmi da sveglia. – gli risponde cercando di restare calmo, evitando ogni parola che possa essere di troppo.
- Lo immagino, ma siccome ti ho mandato almeno trenta messaggi ieri sera e non li hai ancora nemmeno letti, ormai non potevo fare altro che chiamarti … - riprende l’altro, senza lasciargli nemmeno il tempo di intromettersi; quindi si limita a buttare un’occhiata alle notifiche dove, in effetti, sono segnalati oltre trenta messaggi in sospeso – Comunque, avrai tempo di leggerli; il concetto è questo: ieri ci hanno avvisati che, per non so quale impedimento del mister, la ripresa degli allenamenti sarà posticipata di una settimana ancora e siccome ho trovato un volo diretto per Amburgo già per questa mattina, non ho perso tempo. Sono al check-in e parto tra un paio d’ore … Ah, ecco i documenti … prego … - si interrompe Tsubasa, evidentemente impegnato con il personale al banco - … e questo è il biglietto… Ti chiamo quando atterro! – torna a tuonare diretto a lui – Non vedo l’ora di rivedervi e di controllare se stai tenendo bene quello che hai in custodia! -
Resta di stucco, abbandonando il cellulare sul banco senza nemmeno chiudere la chiamata, mentre la voce di Tsubasa diventa lontana e confusa, fino a scomparire del tutto.
Si gira perplesso, puntando il fianco al mobile e lasciando che il proprio sguardo si perda nell’ambiente che ha di fronte: il tavolo per il pranzo con quattro posti a sedere, il moderno mobile con la tv, quell’orrendo tavolino basso e, infine, il divano letto che in passato era utilizzato dall’ospite, ma che la notte scorsa è rimasto intonso.
Si porta una mano alla fronte e poi riporta la propria attenzione alla dispensa; infine, gonfia il petto in un respiro profondo, certo che quel giorno sia il caso di iniziare con una tisana rilassante.

Angolo dell'autrice:
E' il mio esordio in questa sezione, dopo anni trascorsi altrove, e mi sento come una primina che fa il suo ingresso in aula.
Mi tremano le mani, mentre pubblico ... consapevole di raccontare i personaggi in modo tutto mio e al contempo desiderosa di scoprire se qualcuno si unirà a me in questo viaggio.
Ma se ci siete, e siete arrivati fino qui, vi ringrazio fin d'ora.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** ... amicizia ***


2 – … amicizia
 
(Una sera di fine dicembre dell’anno precedente)
 
Entrando vennero accolti dalla consueta atmosfera calda e caotica che permea i locali nei periodi di festa: le decorazioni, le luci, gli arredi, una miscellanea di orpelli presi in prestito dalla tradizione giapponese, così come da quella occidentale, tutto fuso insieme; tutto pareva essere stato ripensato per quei giorni di fine anno, con l’apparente unico scopo di ricordare a un qualunque avventore, se mai ce ne fosse stato bisogno, che il nuovo anno era in arrivo. La musica, invece, era la solita, martellante e coinvolgente, tanto da far rimbombare nelle viscere il suo ritmo incalzante.
Tsubasa si guardò attorno, scrutando rapidamente la grande sala e prendendo ad ondeggiare il capo seguendo il ritmo di quell’ingombrante sottofondo; passò in rassegna i vari tavoli già occupati e infine la sua attenzione venne catturata dall’agitarsi di braccia sollevate che si muovevano rapide nell’angolo più remoto della sala, alla sua sinistra. Riconobbe Ishizaki e rise tra sé, vedendo come l’amico stesse evidentemente cercando di parlargli, senza rendersi conto di quanto potesse risultare inutile lo sforzo di comunicare da quella distanza e in quell’ambiente rumoroso.
- Là in fondo! – indicò sollevando un braccio iniziando ad avanzare, mentre si volgeva a controllare che Yuki lo stesse seguendo.
– Sono sistemati agli ultimi tavoli. – precisò e riuscì a vederla annuire.
- Sì, li ho riconosciuti. Siamo fortunati: non sembrano nemmeno già sbronzi! – gli rispose la sorella, rincarando la dose – Mi chiedo come possiamo ancora uscire con loro dopo tanti anni, continuando a sperare di poter rientrare almeno una volta senza dover portare qualcuno a spalla fino alla porta di casa! -
- Non essere pessimista, Yuki, e soprattutto, non lamentarti: - rispose allora lui – sai benissimo che queste occasioni sono ormai rare e nessuno di noi vorrebbe mai perdersi una delle rimpatriate della mitica Nankatsu! –
Continuarono a procedere, lungo il tortuoso tragitto tra i tavoli, e Tsubasa non poté fare a meno di riflettere sul fatto che fosse davvero una compagnia speciale, quella di cui faceva parte: un gruppo di ragazzini che prima si erano praticamente detestati e poi si erano trovati riuniti sotto la stessa bandiera, finendo per amalgamarsi e giocare insieme con entusiasmo e naturalezza quello che era diventato il più memorabile dei tornei nazionali. Un’esperienza che li aveva segnati al punto da riuscire ancora, dopo tanti anni, a portarli tutti insieme in quel locale, non appena i loro serrati impegni concedevano un poco di respiro. Guardò i suoi amici, sempre incapace di bloccare il sorriso nel riconoscerli cresciuti, ma pur sempre uniti, anche nelle diverse pieghe che le loro vite avevano preso … Incredibile pensare quanti di quel gruppo avessero avviato la carriera del calcio professionistico, nonostante le difficoltà che popolavano quell’ambiente; sorprendente realizzare quanti di loro avessero addirittura trovato il opportunità di giocare all’estero.
- Siete arrivati finalmente! – li accolse Ishizaki facendo posto accanto a sé sul divanetto e invitando Sanae a fare altrettanto – Qui ci sta Yuki, - si affrettò a precisare, bloccandolo con un braccio, mentre già lui si stava avvicinando per prendere posto – tu puoi metterti lì di fronte, insieme al tuo socio della prima linea … -
Tsubasa allora lasciò spazio alla sorella, andando a sistemarsi giusto di fronte, dove Mamoru gli stava sistemando una sedia.
- Sono commosso per l’accoglienza, Ishizaki … - commentò allora, fintamente offeso suscitando l’ilarità degli amici vicini.
- Lascia perdere, Tsubasa; questa sera è particolarmente in forma: - lo accolse Mamoru conciliante - non mi è chiaro che tipo di scontro abbia avuto con non so quale compagno di squadra e per non so quale ragione, ma credo che ce l’abbia a morte con chiunque giochi a centro campo e che se ci impegniamo tutti e mettiamo insieme i frammenti dei suoi racconti, prima della mezzanotte riusciamo a cavarne una storia quasi intera! –
Sistematosi al posto che Ishizaki gli aveva assegnato, si allungò sul tavolo per afferrare un paio di liste, mentre con un cenno del capo rispondeva ai saluti dei compagni già presenti, alcuni dei quali, notò, avevano già anche ricevuto la loro ordinazione. Passò uno dei fascicoli a Yuki e tornò a guardarsi attorno, sfilando da un volto all’altro perplesso.
- Ma, ci siamo già tutti? Siamo arrivati proprio per ultimi? – chiese allora, curioso; volgendosi agli amici più vicini – Possibile che … ci dia buca? –
- Tranquillo! – intervenne allora Morisaki, sollevando prontamente il proprio cellulare e mostrandogli lo schermo – C’è chi non si smentisce mai … e deve fare la sua entrata trionfale, rigorosamente per ultimo. -
Tsubasa fissò lo schermo, scuotendo il capo mentre gli scappava ancora da ridere: accanto all’icona del gruppo Nankatsu lampeggiava un messaggio inviato da un mittente registrato come SGGK che risaliva, osservò, ad una mezz’ora prima.
Cominciate ad ordinare. Arrivo a breve.
 
Wakabayashi era poi arrivato, parecchio tempo dopo, aveva salutato tutti con i suoi soliti cenni del capo e si era rintanato all’estremità della fila di tavoli occupata dal gruppo, giusto accanto a Sanae, rimanendo imbacuccato nella sua giacca e con il cappellino calato in testa, da sotto il quale aveva preso a scrutare la compagnia e a seguire i loro discorsi, più o meno nello stesso modo in cui seguiva le azioni di gioco. Tsubasa si era aspettato che da un momento all’altro intervenisse, indicando ai compagni cambiamenti di posizione o strategie di gioco, sollevando il braccio destro e puntando l’indice … proprio come faceva quando, durante le fasi gioco decisive, dirigeva la squadra con fare autoritario. Per molti, l’atteggiamento schivo, a volte ruvido, di Wakabayashi, era motivo di una istintiva antipatia, quasi un rifiuto nei suoi confronti; in lui, al contrario, il portiere aveva sempre suscitato interesse per il suo talento, per la sua determinazione e per la caparbietà con cui affrontava ogni avvenimento sportivo, che fosse un incontro di grande importanza o un infortunio. Wakabayashi, fin dal principio, gli era parso al di sopra di tutti loro, maturo e tremendamente pronto al calcio vero; solo con il tempo, conoscendolo meglio, aveva realizzato anche l’altro lato della medaglia, e cioè la vita agiata ma lontana dai genitori che, forse proprio per superare la solitudine, lui aveva finito per dedicare completamente al calcio.
Certo, era schivo, per certi versi essenziale, nei suoi rapporti con gli amici, ma Tsubasa era riuscito a cogliere anche qualche riflesso nascosto di quel carattere apparentemente impenetrabile e duro: la gratitudine nei confronti dei compagni, la capacità di comprendere gli altri e una innata correttezza, sul campo e fuori; ma anche il fatto di essere una presenza solida e costante, anche da lontano, una sorta di filo rosso che aveva tenuto il gruppo compatto attorno al suo nome persino dopo la sua partenza per la Germania, come un vero leader carismatico.
Per questo, la presenza di Wakabayashi, se pur silenziosa, alle uscite Nankatsu era considerata al pari di una ingombrante necessità, essenziale per la riuscita del raduno, nonostante, a volte, non dicesse una sola parola.
 
Il tempo era trascorso veloce, quella sera, come ogni qualvolta Tsubasa si trovava con i suoi amici; rilassato, divertito e sempre a proprio agio, aveva intrecciato una fitta conversazione con Izawa e Morisaki, che alla fine era scivolata dai loro progetti fino a ricordi di ragazzini che condividevano; afferrando il filo di un’altra conversazione, si era sporto verso l’altro lato del gruppo, facendosi presentare la nuova fiamma di Taki per poi cedere alle insistenze dei compagni e finire per raccontare come fosse stato iniziare a giocare finalmente a contatto con la prima squadra del Barcellona, in un campionato competitivo e di livello come era quello spagnolo. Poi l’attenzione era scivolata altrove, sul campionato in atto, sullo stato delle squadre in cui militavano i compagni e sui rispettivi tornei. Ogni tanto, aveva lanciato un’occhiata alla sorella, compiaciuto nel vederla allegra, intenta a discorrere con Sanae, con Ishizaki e con gli altri che le stavano attorno, felice nel riconoscerla a proprio agio nella sua stessa cerchia di amici storici.
Ad un tratto, era stato interrotto dal vibrare del cellulare e si era concesso qualche minuto per uno scambio rapido con qualche compagno di squadra e poi, quando era tornato alla Nankatsu, si era sorpreso nel trovare gli amici al tavolo tutti protesi verso Sanae che con un gomito sollevato si toccava la nuca con un movimento circolare.
- Non so come sia successo, in realtà, - stava spiegando la ragazza – e non ho idea di come risolvere la faccenda, so solo che ho un dolore terribile qui dietro che mi impedisce di voltarmi, di guardarmi attorno, ma persino di dormire! –
- E’ l’età, Sanae, - osservò piatto Ishizaki – devi accettarlo: sei vecchia. –
- E tu sei un idiota! – lo incalzò lei, piccata – Vorrei vederti al mio posto! –
- Sanae ha ragione, Ryo. – si intromise Mamoru con tono saccente, piegando le labbra in un sorriso storto – Di torcicollo non mi intendo, ma che tu sia un idiota è cosa certa … -
Tsubasa rimase al margine del battibecco, divertito da quegli scambi che parevano riportarlo direttamente ai tempi delle medie, ma poi notò che Yuki pareva in leggero imbarazzo, quasi desiderosa di intervenire, e tuttavia bloccata da qualche incomprensibile motivazione, mentre con torturava una ciocca dei lunghi capelli neri avvolgendoli al proprio indice; non si fece problemi, intromettendosi al volo: - Può aiutarti Yuki: con me lo fa sempre, quando sono a casa. –
Sanae si bloccò un istante, mentre rispondeva con uno sguardo interrogativo, seguita dagli altri, altrettanto stupiti.
- Cioè? – chiese curioso Ryo.
- Yuki è una fisioterapista. – spiegò allora – Cioè, quasi: sta ancora studiando, ma è già decisamente in gamba. –
Sanae spalancò gli occhi, voltandosi rigida verso di lei – Stai scherzando? E com’è che non lo sapevo ancora? –
- Beh … non ne avevamo mai parlato … e non ci si vede troppo spesso, negli ultimi anni … ho anche saltato un paio di raduni, proprio a causa degli impegni scolastici. - si giustificò Yuki sollevando le spalle – Ma ora lo sai e ti aiuterò volentieri: se passi da noi, magari domani, posso provare a farti un massaggio e io applicherei un unguento … -
- Vai tranquilla, Sanae: Yuki ti rimette a nuovo! – la rassicurò Tsubasa, mostrandosi orgoglioso della sorella – Io ne approfitto sempre quando mi alleno a casa e non ho i massaggiatori della squadra … -
- E se non ce la fa lei, ti mette a nuovo Tsubasa; vero, Sanae, che non aspetti altro? – insinuò Mamoru, sempre spavaldo, portandosi il bicchiere alle labbra e provocando l’immediata reazione della ragazza.
- Ma basta, Mamoru! – urlò Sanae diventando paonazza, tra le risa degli amici, agitandosi e rischiando di rovesciare il boccale di birra davanti a sé, mentre Tsubasa mollava una gomitata al centrocampista – Possibile … ancora con questa storia! – rincarò esasperata, per poi tornare a rivolgersi all’amica – Ad ogni modo, verrò da te di certo, non dubitare. E ti dirò di più: adesso che lo so, farò in modo di passare regolarmente, perché spesso giocando a tennis ho dei problemi alla spalla che … -
Tsubasa però non le permise di continuare - Non fare grandi progetti, Sanae! Yuki non starà in città ancora a lungo: è stata scelta per un progetto internazionale e presto partirà per … per dove parti, Yuki? – chiese cambiando tono, rivolgendosi direttamente alla sorella - Mi avevi detto che la destinazione non era ancora stata definita … – concluse infine.
Le labbra della sorella si aprirono istintivamente in un ampio sorriso e i suoi occhi si illuminarono di una luce nuova – Ho ricevuto oggi l’email della commissione organizzativa: c’erano in forse tante destinazioni, tutte in Europa, come Milano, Parigi, Londra e Madrid … ma alla fine mi hanno destinata ad Amburgo, visto che sono tra i pochi ad avere studiato tedesco. – annunciò, per poi rabbuiarsi un poco, nel proseguire – L’unico vero problema sta nel fatto che sarò da sola in una città che non conosco, perché Amburgo è l’unica destinazione che accoglierà un solo studente … -
- Non sarai da sola. – la voce di Wakabayashi, profonda e dal tono apparentemente fermo, parve giungere dal nulla, lasciando tutti sorpresi e creando il silenzio al tavolo. Tsubasa si volse a guardarlo, un po’ sorpreso per quell’uscita, forse la prima da quando si era accomodato al proprio posto; restò a fissarlo, con la fronte aggrottata e le labbra socchiuse, incerto sull’opportunità di chiedere spiegazioni … perché riuscì ad intuire, nello sguardo dell’amico una piacevole nota insolita, quasi che i suoi occhi verdi si fossero scaldati di un riflesso scuro, liquido.
- Non sarai da sola, - ripeté il portiere, rivolgendosi prima a Yuki e poi lanciando una rapida occhiata a Tsubasa quasi cercando conferma – perché ad Amburgo ci sono anche io e sarò felice di aiutarti ad ambientarti in città. Lo farei volentieri per Tsubasa … e lo farò altrettanto volentieri per te. Ad Amburgo, diciamo che il tuo fratello maggiore sarò io. –
- Sei a posto, Yuki! – sentenziò allora Ishizaki, battendo il palmo aperto sul tavolo in un tintinnare di boccali – Amburgo è la città del SGGK: sei nel suo territorio e per lui è una questione di immagine … -
Wakabayashi rimase sorpreso, dalle parole di Ryo, e il suo sguardo, per un istante, si fece oltremodo serio e maturo, riportandosi su Tsubasa – Non si tratta di immagine, Ishizaki, - spiegò pacato - ma di qualcosa di molto di più: questa è una questione di amicizia e io non ci scherzo. -


Angolo dell'autrice
Per prima cosa, ringrazio per l'accoglienza tutti coloro che sono passati a leggere e chi mi ha lasciato il suo saluto.
In secondo luogo, avrete visto che ora la storia prende forma, con questo salto all'indietro e un nuovo punto di vista. 
Vi accorgerete, con il tempo, che ho mescolato un po' le carte e gli eventi, ritardando qualche debutto in prima squadra, per esempio (la sostanza, comunque, non credo che cambi). Non abbiatene a male... 
Per il resto, grazie ancora e a presto.
mgrandier

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ... principio ***


3 - … principio
 
(Una mattina di inizio febbraio)
 
Quando i varchi si aprirono al suo cospetto, permettendole di lasciare l’area di ritiro bagagli degli arrivi internazionali per dirigersi verso l’uscita, individuare Wakabayashi fu questione di un istante. Alto, quasi statuario, con i capelli neri e un giubbotto di pelle scura, spiccava decisamente in mezzo al viavai dei presenti e, sebbene fosse stanca per il lungo viaggio e per la notte trascorsa in aereo, Yuki accelerò istintivamente il passo per raggiungerlo, mentre ancora armeggiava per riporre i documenti.
- Wakabayashi! – lo chiamò, felice di riconoscere, tra tanti visi sconosciuti, un volto noto – Eccomi! –
Tuttavia, anche lui doveva averla già individuata, perché si stava muovendo per venirle incontro, lo sguardo fisso su di lei e un accenno di sorriso sulle labbra.
- Ben arrivata … - la accolse lui semplicemente, chinandosi per sfilarle dalla mano la maniglia della voluminosa valigia - … com’è andato il viaggio? –
Non tentò nemmeno di rifiutare il suo aiuto, lasciò che lui si occupasse del bagaglio e cercò di riordinare i pensieri, rilassandosi un poco al pensiero di non essere sola.
– Ehm … bene. Il viaggio è stato … lungo. – precisò poi – Lungo e poco riposante. – ammise infine.
Wakabayashi annuì alle sue parole, con fare conciliante – Già … è un viaggio che sembra non finire mai: anche dopo anni, continuo ad affrontarlo di mala voglia, nonostante mi riporti a … -
Yuki notò come lui avesse lasciato la considerazione in sospeso, lo sguardo adombrato e scivolato immediatamente ai bagagli. Avvertì un leggero imbarazzo e preferì rompere il silenzio, prendendo il proprio telefono dallo zaino, per sbloccarlo.
- Dunque … - disse allora, per riportarlo al presente - … immagino che tu abbia altro da fare, che non sia stare dietro a me, e non ho intenzione di esserti di peso, anche se mi fa immensamente piacere il fatto che tu sia venuto qui, sia chiaro; lasciami controllare dove devo recarmi e magari dammi qualche dritta per orientarmi in città, se non ti è troppo disturbo … -
- In realtà oggi sono libero. – la sorprese Wakabayashi muovendo qualche passo verso un enorme pannello che rappresentava una cartina Amburgo – Ho giocato ieri e oggi sono ufficialmente di riposo per l’intera giornata; perciò posso accompagnarti dovunque tu abbia bisogno di andare. –
Lei lo seguì istintivamente: sembrava muoversi perfettamente a proprio agio nel grande atrio, assolutamente orientato, e questo contribuì a farla sentire tranquilla e al sicuro, nonostante fosse appena atterrata in un paese che le era completamente sconosciuto. Stette al suo passo, mentre cercava anche di scorrere la lista delle email alla ricerca di quella inviatale dal suo tutor qualche giorno addietro.
- Eccola! - esclamò infine, puntando l’indice sullo schermo – Si tratta del Neuestud … - si bloccò, rendendosi conto di quanto arduo fosse adeguarsi alla lingua tedesca.
- Fammi vedere. – le venne allora in aiuto lui, arrestando i passi e prendendo il cellulare dalle sue mani, per leggere con disinvoltura – Neues Studentenhaus Nord[i]. – poi rimase un istante a riflettere.
- Sì, deve essere quello. Mi pare di ricordare un nome del genere … - confermò Yuki.
Wakabayashi la guardò perplesso – Chi ti ha trovato alloggio in questa struttura? –
- Il mio Istituto è in contatto con l’Universität Hamburg – spiegò – e l’ufficio Scambi con l’estero si è occupato di tutto … -
- Non ci passerei una sola notte nemmeno se mi pagassero. – affermò sicuro – In città, è noto per essere un postaccio, pensato male e gestito peggio, frequentato da gente poco raccomandabile … -
Yuki chiuse gli occhi, portandosi una mano alla fronte e nascondendo una smorfia – Non ho molta scelta, in realtà: non ho idea di dove andare, se non lì. – ammise, desolata – Io non avevo proprio idea di … -
Lui tese le labbra, riflettendo per qualche istante, e poi la fermò – Aspetta: sei obbligata ad alloggiare proprio lì, o hai anche la possibilità di gestirti autonomamente? –
Rimase a riflettere, confusa – Beh, io … - farfugliò - … io non ho un contratto o un documento che mi vincoli allo studentato, in realtà; ho il riferimento alla struttura perché gli studenti provenienti dal mio Istituto vengono indirizzati lì per trovare una sistemazione, ma poi siamo noi a dover gestire contratto e pagamenti … - e proseguendo scorse, sorpresa, un sorriso nascosto tendere le labbra di Wakabayashi – Perciò, credo che io possa valutare soluzioni migliori, ammesso che io me le possa permettere, naturalmente. -
- Perfetto. – la sorprese allora lui, afferrando di nuovo il bagaglio e muovendosi verso l’uscita – Seguimi. -
- Ma … ma cosa? – chiese allora lei, affrettandosi a seguirlo – Cosa hai intenzione di fare? –
Con pochi passi, lui aveva già quasi raggiunto una delle uscite, distaccandola di qualche metro; riuscì ad udire comunque distintamente le sue parole, scandite con tono sicuro e fermo – Non so esattamente come faremo, ma so per certo che non ti permetterò di finire in quella topaia: Tsubasa non me lo perdonerebbe mai! –
 
- Questo è il mio appartamento. – le disse varcando la soglia e invitandola ad entrare, per poi chiudere la porta alle sue spalle.
Yuki avanzò lenta nel soggiorno che le si apriva davanti, un ambiente luminoso e ordinato, con un angolo cottura e un tavolo da pranzo sistemato in fondo, vicino alla finestra a nastro che correva lungo la parete opposta all’entrata. Alla propria destra, intuì un corridoio con un armadio a muro, l’accesso alla camera da letto e, più in fondo, al bagno. Mosse qualche passo, seguendo Wakabayashi che, lasciata la valigia nel corridoio, le faceva strada.
- Accomodati sul divano … o in bagno, se ne hai bisogno. – le disse mentre si toglieva la giacca e la sistemava nell’armadio a muro – Insomma, mettiti comoda; ci beviamo qualcosa e valutiamo come muoverci. Posso sentire qualche amico … o qualcuno della squadra: loro hanno sempre sistemazioni a disposizione da suggerire a chi è appena arrivato; i più giovani sono tutti studenti e hanno bisogno di camere negli studentati o in strutture simili. – proseguì, tornando all’angolo cottura e accendendo il bollitore – Tutto, ma non quel posto. –
Lei continuò ad osservarlo, incuriosita.  Non aveva mai visto Wakabayashi in casa propria; sapeva che a Nankatsu abitava nella smisurata dimora di famiglia e che ancora ci tornava, nelle rare circostanze in cui rientrava in città, ma non aveva mai avuto nessuna occasione di entrare in quella villa, né di varcare il limite del parco, e Wakabayashi era sempre stato legato a contesti diversi, come le partite della nazionale, gli allenamenti o le uscite tra amici. Vederlo ora, scalzo e alle prese con un bollitore, le parve qualcosa di incongruente ma estremamente curioso.
Sedette sul divano, avvertendo immediatamente il bisogno di un poco di riposo, dopo il lungo viaggio in aereo, la trafila tra documenti e bagagli e il trasferimento con il bus.
- Vivi da solo? – si azzardò a chiedere e lui, ancora di spalle, indaffarato al banco della cucina, le rispose annuendo.
- Già … - aggiunse poi, voltandosi e finendo di masticare qualcosa – Nei primi anni, quando ero ancora un ragazzino, vivevo in una specie di collegio sportivo, dove studiavo e mi allenavo. Dopo il diploma, da professionista, ho potuto essere finalmente indipendente: avevo davvero bisogno di starmene da solo e non ho perso tempo! –
Lo vide aprire un pensile, estrarne rapido un involto e tornare ad affaccendarsi sul ripiano, dandole la schiena.
- Non ti manca la compagnia dei tuoi amici? – gli chiese allora, incuriosita – Mio fratello condivide l’alloggio con un paio di compagni di squadra, a Barcellona, e credo che non lascerebbe quella sistemazione per un appartamento singolo. –
- Tsubasa non ce lo vedrei proprio da solo in appartamento. – osservò allora, portando un piccolo vassoio con due tazze fumanti fino al tavolino basso sistemato davanti al divano e poi tornando a prendere un piatto con dei tortini – Ti ho preparato del tè: l’inverno di Amburgo è piuttosto freddo e non ci siamo nemmeno fermati a fare colazione in aeroporto. –
Yuki gli fu grata per quella gentilezza, prese subito la tazza fumante tra le mani e la portò alle labbra, inspirando il profumo aromatico della bevanda – Tè nero? –
- Il mio preferito. – confermò lui, iniziando a sorseggiarlo.
 
Stiracchiò le braccia indolenzite, aprendo gli occhi e scrutando attorno a sé per qualche istante, prima di recuperare i ricordi delle ore precedenti: l’arrivo a Amburgo, l’accoglienza di Wakabayashi nel proprio appartamento, la faccenda dello studentato poco raccomandabile … A quel pensiero, si mise a sedere, raddrizzandosi sul divano sul quale, si rese conto, si era addormentata.
Si guardò attorno e, non vedendo il portiere, si alzò per muovere qualche passo; solo allora, udì la voce del suo ospite provenire dalla stanza accanto; si mise in ascolto e riconobbe il suo parlare fluente in lingua tedesca. Lo ascoltò per qualche minuto quasi rapita, immaginando che fosse al telefono e ammettendo con se stessa di non capire molto di quel discorrere, nonostante gli anni di studio scolastico di quella lingua, e quindi si mise in attesa, andando a curiosare oltre le finestre del soggiorno. Rimase affascinata dalla vista di cui poteva godere: l’appartamento, posto al terzo piano, era affacciato su una tranquilla piazza apparentemente riservata al traffico pedonale, alla quale al suo arrivo non aveva prestato alcuna attenzione, sistemata con un interessante arredo urbano e ingentilita da numerose piantumazioni. Scorse alla propria destra l’accesso ad una piccola loggia e avvicinò il viso al vetro, nel tentativo di guardare meglio oltre il parapetto: i tetti dei palazzi affacciati sulla piazza creavano una regolare cortina scura e le facciate lisce e moderne degli edifici formavano un insieme ordinato e piacevole. Assottigliò lo sguardo, puntando oltre fino a che la voce di Wakabayashi non la fece sobbalzare.
- Oh … ti sei svegliata, finalmente! – osservò giungendo nel soggiorno – E’ passata l’ora di pranzo da un pezzo … -
- Caspita, che figura! – esclamò imbarazzata – Mi dispiace, davvero … -
- Si vedeva che avevi bisogno di riposo, - la tranquillizzò lui - non devi scusarti: ho pensato di venire qui proprio perché potessi rilassarti un po’ mentre cercavo una soluzione alla questione dell’alloggio. –
Yuki si rabbuiò immediatamente, comprendendo la ragione delle chiamate che aveva udito poco prima.
- Hai trovato qualche sistemazione più … consona, oltre che abbordabile? – gli chiese speranzosa.
Wakabayashi la raggiunse, attraversando il soggiorno, mantenendo una espressione meditabonda, per poi mettersi al suo fianco a guardare a sua volta la piazza.
- Ho fatto un giro di chiamate – esordì dopo qualche istante, con tono che non pareva assolutamente entusiasta – e ho anche trovato qualche sistemazione immediata con un prezzo allineato a quello dello Neues Studentenhaus Nord. – aggiunse, sempre scrutando i palazzi stretti attorno alla piazza.
Yuki continuò a fissarlo, in attesa, e leggendo il suo silenzio azzardò – Ma …? –
Lui sospirò, voltandosi e puntando il suo sguardo verde e serissimo verso di lei – Ma non ci sistemerei mia sorella, se ne avessi una.  –
A quelle parole, lei socchiuse le labbra, sorpresa da quella affermazione, chiedendosi quanto importante potesse essere l’impegno che Wakabayashi aveva assunto su di sé, in nome dell’amicizia con Tsubasa.
- Altre strutture che so essere migliori, invece, mi hanno chiesto qualche giorno per valutare la possibilità di recuperare una disponibilità. – precisò poi.
Lo vide aggrottare le sopracciglia e mordersi il labbro, guardarsi attorno, quasi stesse cercando la soluzione al problema in quella stessa stanza … lo osservò percorrere in lungo e in largo il soggiorno, fino a fermarsi al centro di esso, con i pugni puntati sui fianchi e una luce nuova nello sguardo, finalmente determinato e saldo.
- Vuoi sapere dove sistemerei mia sorella, sempre se ne avessi una? – le chiese infine, tornando a guardarla in viso.
Yuki rimase in attesa, sorpresa da quel comportamento, e incuriosita; scosse appena il capo, istintivamente fiduciosa, aspettando che lui parlasse.
- Beh, semplice: la farei stare qui con me. Esattamente sul divano dove hai già dormito questa mattina. Che, per l’appunto, è un divano letto. -
 
[i] Nome completamente inventato: non me ne vogliano gli studentati tedeschi, che hanno sicuramente nomi più originali ma ugualmente incomprensibili per la sottoscritta


Angolo dell'autrice: lentamente, inizia a definirsi in quale modo Wakabayashi si sia "deliberatamente" cacciato nei guai, come accennato nel primo capitolo. Per passi, arriveremo al dunque, che per lui non sarà una passeggiata.
Ringrazio ancora tutti i lettori, più o meno silenziosi, che mi hanno accolta in questo fandom e che mi stanno facendo tanta compagnia. 
Alla prossima settimana!
mgrandier

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** ... sintonia ***


4 - … sintonia
 
(Un tardo pomeriggio di metà marzo)
 
Riconoscendosi una certa abilità, riuscì ad infilare le chiavi nella toppa e ad aprire la porta senza posare a terra né lo zaino né le borse della spesa; scivolò oltre la soglia e corse ad appoggiare la spesa sul piano dell’angolo cottura, prima che qualcosa potesse sfuggire dalla sua presa precaria, per poi arretrare di due passi, osservando con soddisfazione tutto quanto era riuscita a portare fino a casa. Avrebbe dovuto affrettarsi a sistemare tutto in dispensa e nel frigorifero, prima che Wakabayashi rientrasse dall’allenamento pomeridiano, e avrebbe persino potuto mettersi a preparare la cena che fin dalla mattina aveva architettato con cura, stilando una precisa lista di ingredienti che aveva diligentemente aggiunto in calce alla nota preparata la sera precedente. Certo, avrebbe dovuto sbrigarsi, perché, considerando l’orario solito di rientro di Wakabayashi, realizzò che, in poco più di un’ora, non sarebbe riuscita a preparare tutto, ma avrebbe fatto del proprio meglio, decisa a mettersi alla prova per organizzare una cena degna di quel nome.
Stava per mettere mano alla prima sporta, quando il rumore di una porta aperta e poi richiusa, proveniente dal corridoio, la fece sobbalzare. Fece appena in tempo a voltarsi verso il disimpegno … trovandosi di fronte al padrone di casa, in accappatoio e con i capelli bagnati, evidentemente appena uscito dalla doccia.
- Hai fatto di nuovo tu la spesa, Yuki? – le chiese lui mentre, sollevandosi il cappuccio sul capo, prendeva a strofinarsi i capelli nel tentativo di asciugarli alla meglio – Lo sai che non c’è ragione che lo faccia sempre tu … -
Lei scosse il capo – Senti Wakabayashi, mi stai ospitando da un mese, ormai … e il fatto che non ci fossero alloggi disponibili, non è certo colpa tua! – gli ricordò; ma lui, avvicinandosi, parve divertito da quella osservazione e le sue labbra si tesero in un bel sorriso.
- In realtà gli alloggi c’erano … ma sono stato io a non volertici mandare, se non ricordo male. Quindi, sei ufficialmente mia ospite e, ti assicuro, per me non è affatto un problema. Anzi, ho pure smesso di confidarmi con il frigorifero! – scherzò allegro, cominciando a curiosare all’interno delle buste e afferrando una confezione – Pasta? –
- Pasta. – confermò lei – Avevo una compagna di corso italiana che mi ha insegnato come la cucinano loro; avrei voluto farti una sorpresa, ma vedo che sei rientrato prima del solito …
- Questo, in realtà, sarebbe l’orario canonico, ma generalmente con i miei compagni ci fermiamo dopo l’allenamento a discutere tra noi; tuttavia, per questa sera hanno organizzato un’uscita in gruppo, perciò le discussioni sono rimandate al dopo cena. – spiegò continuando a strofinare i capelli.
- Capisco. – annuì allora lei – Quindi sarà il caso che mi metta a cucinare, altrimenti rischi di fare tardi con i tuoi amici … -
Lui scosse il capo, abbassando finalmente il cappuccio dai capelli neri e lucidi, ancora un poco umidi, e allontanandosi evidentemente rilassato, per dirigersi verso la propria camera – No, fai pure con comodo: ho detto loro che me ne resto a casa; non mi va di uscire, dopo cena. –
Yuki aggrottò la fronte, un poco sorpresa. Dal suo arrivo, non ricordava una sola occasione in cui Wakabayashi fosse uscito di casa la sera, se non per questioni legate a partite o riunioni ufficiali della squadra; rammentava, al contrario, almeno un paio di telefonate durante le quali, pur nel suo tedesco stentato, aveva intuito che lui avesse declinato l’invito ad uscire da parte di un certo Kaltz, e non poteva certo sapere se quelli fossero gli unici casi simili. Tuttavia, ripensando alle uscite della Nankatsu, la cosa non la sorprese più di tanto: lui non era mai stato un tipo estroverso e, al contrario, pur partecipando alle occasioni di incontro del gruppo, l’aveva sempre visto piuttosto silenzioso; presente e attento, ma riservato. Tutto il contrario di come invece appariva in campo, per dirla tutta, dove era noto per essere un elemento chiave, sempre molto attivo nella regia della squadra.
Una rapida occhiata al grande orologio alla parete fu sufficiente a convincerla che fosse comunque tempo di mettersi al lavoro; sistemò svelta la spesa e poi estrasse il tagliere e tutti i prodotti fortunosamente recuperati in una bottega italiana poco lontana da casa, ripassando mentalmente i principali passaggi per la preparazione di un buon sugo all’arrabbiata. Cercò tra le pentole una padella capiente che aveva adocchiato qualche giorno prima e la mise sul fuoco, versandoci dell’olio e prendendo a canticchiare tra sé e sé, come non faceva da tempo, scoprendosi particolarmente di buon umore.
 
- Così, per curiosità, quanto peperoncino ci hai messo? – chiese Wakabayashi addentando ancora del pane, nell’evidente tentativo di placare l’arsura, mentre disponeva i piatti nella lavastoviglie, chinato all’altezza del portellone.
- Due. – gli rispose lei sollevando le spalle, per poi precisare – Interi e belli grossi. Così diceva la ricetta. -
Lui si mise a ridere di gusto, portandosi un palmo sulle labbra, mentre ancora masticava - Forse nella ricetta per dieci persone? –
- Beh … non saprei. – ammise Yuki, sentendosi avvampare dalla vergogna e passandogli la padella appena risciacquata – Giuro che non volevo attentare alla tua vita! Mi era parsa una buona idea: volevo farti solo una sorpresa … -
- E me l’hai fatta, davvero! Neanche il messicano in fondo alla piazza cucina tanto piccante! – scherzò lui, insolitamente allegro, continuando a caricare l’elettrodomestico – Comunque, era un sacco di tempo che non mi capitava di mangiare un piatto di pasta ben cucinato: qui è difficile trovarne di ben preparata. –
- Sei stato in Italia? – gli chiese allora, curiosa – Sembri sapere il fatto tuo, in fatto di pasta. –
Lui si sollevò, appoggiando il fianco al piano della cucina proprio accanto al lavello dove lei stava ancora rassettando – Ci sono stato con la squadra, un paio di anni fa, o forse anche di più, per una amichevole a Milano. – raccontò assottigliando lo sguardo, cercando tra i ricordi – Più che la città, che non ho avuto modo di visitare, ricordo la cucina. – ammise semplicemente.
- Mi piacerebbe andarci. – ammise Yuki a mezza voce, con lo sguardo basso sul piano al quale Wakabayashi era appoggiato, e rigirando tra le mani lo strofinaccio – E’ un paese affascinante e romantico! Uno di quelli dove vai con l’amore della tua vita, insomma. –
- Addirittura? – esclamò sorpreso – Dici che mi sono bruciato il viaggio andandoci con la squadra? – ironizzò poi, sollevando un sopracciglio.
Yuki lo osservò per qualche istante, riflettendo cercando di rimanere seria – No. Credo di no, perché non hai organizzato il viaggio con l’intenzione di andare in Italia, ma tecnicamente, ti ci hanno portato. – spiegò volgendosi a lui – Vale solo se organizzi il viaggio intenzionalmente. Anche Sanae era di questo avviso … -
- Cosa c’entra Sanae? – osservò ancora più incuriosito.
Lei si lasciò sfuggire una risata imbarazzata, ma poi si risolse a spiegarsi meglio, sistemando lo strofinaccio con cui aveva asciugato il ripiano – Prima che io partissi, Sanae è passata spesso da noi per la sua spalla e durante i massaggi abbiamo avuto modo di chiacchierare non poco: una delle nostre teorie bislacche riguarda proprio l’Italia e il fatto di attendere il momento e la persona giusta per andarci. -
Wakabayashi inarcò le sopracciglia scure – Molto interessante; per caso hai anche già stabilito … -
Non poté continuare, interrotto dal proprio telefono che prese a squillare, così si mosse per prenderlo dal divano e dopo aver lanciato una rapida occhiata allo schermo, rispose in tedesco, corrugando la fronte.
 
Yuki sistemò due lattine di bibita e un grande contenitore colmo di popcorn ancora caldi su di un vassoio, mentre Wakabayashi, già comodo sul divano e con le gambe allungate davanti a sé, stava scorrendo i titoli disponibili in streaming, concentrato su una moltitudine di proposte tra cui scegliere; spense la luce e lasciò che fosse il grande schermo del televisore ad illuminare il soggiorno.
- Perché non hai voluto uscire con i tuoi amici? – gli chiese a bruciapelo, posando il vassoio e sul tavolino e raggiungendolo sul divano – Non volevo ascoltare la chiamata … ma ho intuito il succo del discorso: qualcuno insisteva perché tu uscissi e mi dispiace che tu non lo faccia per causa mia. –
Lui abbassò lo sguardo a terra, distendendo le labbra, prima di rivolgersi a lei, con un’occhiata di traverso – Non resto a casa per causa tua. – le spiegò – Resto a casa perché mi fa piacere stare qui e perché non ho una buona ragione per uscire. –
- Avrai degli amici, però, - azzardò lei - o una ragazza e una compagnia che prima frequentavi e ora … -
Wakabayashi sorrise a quella ipotesi, scuotendo appena il capo – Non basarti sulle idee di Ishizaki, Yuki: non sono ad Amburgo a fare la bella vita o a darmi alle pazzie. Io mi alleno per l’Amburgo praticamente ogni giorno ed è il mio lavoro; frequento i miei compagni di squadra a volte anche alla sera, lo ammetto, ma solamente perché qui sono praticamente gli unici legami che ho e perché a casa solitamente sarei solo. – le spiegò – Adesso mi fa piacere stare con te, quando posso, che sia a casa o fuori, in città. –
In effetti, pensò lei, durante i suoi primi giorni ad Amburgo, Wakabayashi l’aveva accompagnata quasi ogni sera a visitare un quartiere di Amburgo per aiutarla ad orientarsi e a conoscere i mezzi pubblici; poi, quando lei aveva acquistato dimestichezza con la città, avevano iniziato a trascorrere le serate semplicemente in casa, davanti alla tv o chiacchierando tra loro, raccontandosi le rispettive giornate. Tuttavia, il dubbio restava.
- Magari tu manchi a loro, per questo insistono. –
- Stai scherzando? – rise lui divertito dalla sua ipotesi – Kaltz mi invita a uscire per avere una occasione in più per bere! E forse pure perché dividendo la spesa della serata con me è sempre certo di risparmiarci … -
Yuki rimase sorpresa da quella giustificazione; nonostante lo conoscesse poco, prima del suo arrivo ad Amburgo, e benché lo avesse sempre visto come un ragazzo schivo e piuttosto chiuso, anche lei si era immaginata diversa la vita di Wakabayashi, giovane e da solo, nella città tedesca. Forse aveva colto qualche commento sussurrato nel gruppo Nankatsu in merito o semplicemente aveva ipotizzato che lui, come Tsubasa, vivesse con grande entusiasmo la sua vita da giovane calciatore arruolato nelle fila di squadre europee. Eppure, da quando si era stabilita a casa di Wakabayashi, non le era parso che lui fosse a disagio o che avesse dato qualche segnale di aver dovuto modificare gran che le proprie abitudini di vita per causa sua; anzi, le era parso molto più affabile e di compagnia di quanto non fosse mai stato prima. O, semplicemente, aveva avuto modo di conoscerlo per come era all’interno dei propri spazi, nell’intimità della propria abitazione e lontano dal terreno di gioco.
- Ti piacciono i film Marvel? – le chiese lui, strappandola ai suoi pensieri.
- Ehm … Sì. Sì, molto … – si affrettò a rispondergli, considerando che, molto probabilmente, per Wakabayashi l’argomento uscite mondane fosse definitivamente archiviato, mentre lei al contrario, non riusciva ancora ad avere chiaro come un ragazzo come lui potesse trascorrere le proprie serate così, chiuso in casa con la sorella di un amico. Insomma, un ragazzo prestante, sportivo, molto … molto carino, pensò, avrebbe potuto divertirsi e riscuotere un certo successo nell’ambiente giovane della città … 
- Il primo vendicatore? The Avengers? Thor? Iron man? –
- Mio fratello vorrebbe vedere sicuramente Il primo vendicatore: lui si è sempre sentito come il Captain America di Nankatsu … - ironizzò Yuki, tornando con i piedi per terra – E tu? Quale preferisci? –
- Io? – chiese di rimando lui, pronto – Io sono Iron man: benestante, fondamentalmente solo, antipatico a tutti e pure abbastanza stronzo. Mi calza a pennello. –
- Wakabayashi! – reagì lei sinceramente sorpresa, notando, ma accantonando d’istinto, il fatto che lui avesse sorvolato su playboy e affascinante, caratteristiche che Tony Stark non avrebbe certamente omesso parlando di sé; senza riflettere, gli si fece più vicina – Ma perché mai dovresti pensare che sia così? –
Lui la puntò con lo sguardo, con un sorriso amaro sulle labbra – I miei amici mi rispettano, forse qualcuno addirittura mi teme, ma solo tuo fratello non mi ha mai mostrato nemmeno un po’ di ostilità, nonostante gli inizi burrascosi. – spiegò – E forse neppure Misaki, o Morisaki, per dirla tutta … ma per il resto … -
- Senti, Wakabayashi, - riprese Yuki posando istintivamente la mano sul sua braccio – i ragazzi ti rispettano e sanno quanto vali, per questo un poco ti temono anche; ma l’antipatia e la stronzaggine sono un altro discorso … - continuò - … tu non sei Kojiro! –
La risata che ne ebbe in risposta fu immediata e lei stessa si unì a Wakabayashi constatando di aver toccato un nervo scoperto. Lo vide ridere di gusto, le labbra tese e i denti perfetti scoperti, con gli occhi spontaneamente socchiusi in due fessure sottili.
- Perché ti diverte tanto il paragone con Kojiro? – gli chiese allora, incuriosita.
- Sai che tra me e Hyuga c’è una disputa che dura dalle elementari, vero? – le rispose – Praticamente una faida che ha rischiato di spaccare in due la squadra al torneo di Parigi … -
- Diciamo che Tsubasa mi ha riassunto la questione, - confermò Yuki con una smorfia, restando sul vago – ma ti assicuro che pur non approvando il tuo comportamento con gli altri, non avrei esitato a stare dalla tua parte a prescindere da tutto, visto l’altro in causa era Kojiro! – ammise infine, non senza un poco di vergogna.
- E allora perché, se ti sta così antipatico, lui è Kojiro, mentre io, sono ancora Wakabayashi? – la provocò a quel punto lui, facendosi ancora più vicino, puntando lo sguardo, inaspettatamente determinato, in quello di Yuki, e restando in attesa di una risposta che sembrava non arrivare.
Lei si bloccò, immobile di fronte a quel viso che si faceva sottilmente sornione e a quelle labbra dalla piega un po’ storta e provocatrice – Beh … forse … forse perché ti chiama così mio fratello, suppongo. – riuscì a rispondergli, tentando di scivolare dalla presa di quegli occhi che parevano lucidi e insoliti, alla luce fioca della tv – O forse perché aspettavo che tu mi dicessi di chiamarti per nome, Genzo. – concluse poi, pronunciando il suo nome lentamente, fino quasi a scandirne i singoli suoni uno ad uno, mentre scivolavano tra le sue labbra per la prima volta.
- Così mi piaci. – concluse allora lui, avvicinandosi a lei fino quasi a sfiorare la sua fronte con la propria, per poi allontanarsi di scatto, volgendosi alla tv e sentenziando – Che Iron man sia. –


Angolo dell'autrice: la storia procede, anche se lentamente, e io ringrazio di cuore tutti voi che mi state accompagnando in questa avventura. Mi sto divertendo un sacco e mi auguro che possiate vedere i personaggi così come li sto immaginando io.
Alla prossima settimana!
mgrandier

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** ... rigore ***


5 - … rigore
 
(Un tardo pomeriggio di metà aprile)
 
Lasciato il complesso dell’università, Yuki percorse a passo sostenuto il tragitto secondo le indicazioni avute da Genzo. Si accomodò la sciarpa attorno al collo, allacciandosi per bene il cappotto, perché l’aria di Amburgo era tagliente nonostante la primavera fosse già iniziata, almeno sul calendario.
Si sentiva di ottimo umore: la giornata al campus era stata proficua e le lezioni interessanti, eppure il momento di lasciare la scuola le era parso non arrivare mai, perché il pensiero di quella sorta di appuntamento al campo si era ripresentato costantemente, facendosi largo tra ogni altro. Controllò l’ora e poi frugò nello zainetto, per estrarne il cellulare e cercare rapidamente uno degli ultimi contatti chiamati. Dopo alcuni squilli, la voce di Tsubasa rispose con il consueto entusiasmo.
- Pronto! –
- Ciao, campione! Tutto ok? – gli chiese allegra, continuando a camminare spedita, lanciando occhiate veloci al nome del viale che aveva imboccato.
- Tutto benissimo, Yuki, come sempre. – rispose lui tranquillo, un vociare lontano in sottofondo – Tu piuttosto, cosa stai combinando? La tua voce mi arriva disturbata … -
- Sono per la strada e sto facendo del mio meglio per riparare il microfono dall’aria … - spiegò – Indovina dove sto andando! –
- A quest’ora, direi che stai rientrando a casa; tuttavia, non me lo avresti chiesto se fosse così scontato … giusto? – buttò lì Tsubasa – Facciamo che mi arrendo, tanto finirai per dirmelo comunque. –
- Esatto. – confermò – Beh, raggiungo Genzo all’allenamento! Mi ha detto che avvisa il custode perché mi faccia passare … -
- Cosa?! – fece lui incredulo – Ho sentito bene? Il SGGK ti fa entrare al super blindato campo degli allenamenti? Ma è impazzito? –
Yuki soffocò una risata alla reazione del fratello – Tranquillo … non assisto agli allenamenti super segreti dell’Amburgo! E’ solo che avevamo pensato di fare una passeggiata in centro, prima di cena e così risparmiamo un po’ di tempo. D’altra parte il campo degli allenamenti non è troppo distante dal mio dipartimento. –
- Ma certo … – convenne Tsubasa accomodante – Fai bene ad approfittarne per vivere un po’ la città. Ma dimmi, sinceramente, come ti trovi a casa di Wakabayashi? Ci sentiamo sempre quando c’è anche lui e non ho mai occasione di chiederti nulla … -
Yuki attese qualche istante, controllando di poter attraversare la strada e poi gli rispose – Non devi preoccuparti, Tsubasa: sono in ottima compagnia, davvero. Non avrei potuto stare meglio. Genzo è molto riservato, certo, ma anche estremamente gentile e mi lascia la massima libertà anche se sto in casa sua; io ho tentato di partecipare alle spese, di riempire la dispensa … ma è stato irremovibile … e non riesco mai a sdebitarmi! -
- Se è vero che conosco Wakabayashi, non ti farà assolutamente pesare nulla, puoi starne certa … -
- No, assolutamente, lui mi fa sentire davvero a casa … - confermò – Beh, comunque cerco almeno di rendermi utile: per esempio, quando posso cucino … anche per evitare di sottopormi ai suoi esperimenti culinari, in realtà, - aggiunse ridendo - ma sto davvero bene. –
- Beh, se ha resistito quasi due mesi, evidentemente ormai si è abituato alla presenza della peggiore sorella del mondo! – la provocò allora.
- Grazie davvero, Tsubasa … mi mancava la tua ironia! Comunque, ti chiamavo anche per un’altra cosa … -
- Cioè? – chiese allora incuriosito.
- Hai sentito Sanae, di recente? – s’informò allora Yuki, dritta al punto, cogliendo un istante di esitazione dall’altro capo.
- Sanae? – chiese di rimando Tsubasa, apparentemente guardingo – Ehm … no. Perché? –
- Tsubasa, non fare l’idiota. – lo riprese allora lei – Mi ha contattata nei giorni scorsi per sapere da me come tu stia. – spiegò con tono piatto – La stai ancora evitando? –
Yuki udì uno sbuffo vibrare attraverso il telefono prima che il fratello riprendesse a parlare – Yuki, sai come stanno le cose; non ti ho mai nascosto nulla: io tengo immensamente a lei … ma non voglio metterla in condizione di essere impegnata e contemporaneamente sola ... –
- Ma così sta pure peggio! – lo rimproverò d’istinto alzando il tono della voce, per poi controllarsi, dopo aver notato le occhiate storte di qualche passante – Lei sta soffrendo comunque, Tsubasa: lo sento quando mi chiede di te e quando cerca di capire se frequenti qualche ragazza … -
Il silenzio dall’altro capo le confermò il fatto che lui stesso fosse in difficoltà; per questo Yuki prese un gran respiro nel tentativo di recuperare completamente la calma – Tsubasa … -
- Lo sai che non potrei mai frequentare un’altra ragazza, vero? – le chiese allora lui con un filo di voce – Lo sai che ho provato a togliermela dalla testa, ma proprio non ci riesco? Che è come se non avessi scelta? – soffiò ancora con sempre maggiore urgenza.
Yuki si fermò, la gente che sfilava attorno a lei, impegnata ad andare chissà dove, e le sue labbra si tesero appena in un sorriso, mentre sollevava il viso e riconosceva la sagoma del centro sportivo che le aveva indicato Genzo – E allora che senso ha soffocare tutto, Tsubasa, con l’unico risultato di stare male in due? –
Il fratello non rispose e lei riuscì ad immaginare la sua espressione, quella piega che gli arricciava la fronte sotto i capelli scuri e ribelli nei momenti importanti, anche in campo, nell’attimo prima che il calciatore liberasse da sé il campione. Lesse il suo silenzio, certa che avesse ormai compreso le sue parole, perciò decise di non andare oltre.
- Beh, io sono arrivata. Stammi bene fratellone! – lo salutò ritenendosi soddisfatta, sollevando lo sguardo e traendo un profondo respiro, prima di riprendere a camminare, diretta verso l’accesso al centro sportivo[i].
 
Era rimasta a bocca aperta, con lo sguardo fisso sul campo e l’attenzione legata a Genzo, quasi incapace anche solo di accorgersi degli altri sportivi presenti. Lo aveva individuato immediatamente, nonostante i numerosi giocatori intenti ad allenarsi, e non solo per l’abbigliamento che distingueva naturalmente i portieri dagli altri; perché anche nella cerchia dei portieri, riconoscerlo era stato sorprendentemente naturale. Nella postura tra i pali, quando attendeva il tiro che un compagno si apprestava a calciare durante un’azione di gioco, come nelle movenze quando camminava per lasciare il posto ad un collega, ritrovava le tracce del portiere che aveva conosciuto ragazzino e ammirava la bellezza del professionista ormai formato.
Che fosse alto, lo sapeva da tempo, perché aveva sempre notato come Genzo potesse guardare Tsubasa da sopra, quasi si trovasse sempre su un gradino, rispetto a lui; quanto fosse alto, lo aveva scoperto condividendo con lui il suo appartamento, quando, trovandoselo accanto, si era resa conto di arrivargli alle spalle e di riuscire a fissare comodamente le sue clavicole, anziché i suoi occhi; che fosse anche più alto di altri compagni, lo stava scoprendo in quel momento, osservandolo mentre discorreva serio con un altro giocatore con la sua stessa divisa.
Lo seguì con lo sguardo, mentre lui tornava in porta, riuscendo a scorgere la sua espressione concentrata e trattenne il fiato, scorgendo un altro giocatore, biondo e massiccio, posizionarsi al dischetto.
Rigori.
Era convinta che fossero parte peggiore dell’essere portiere e che rappresentassero molto più che una punizione, per un goal keeper, perché davano un estremo vantaggio all’altro … relegando il portiere a vittima designata di un goal già segnato.
Aveva immaginato che i portieri si allenassero in modo specifico proprio per i rigori, ma non aveva mai assistito ad un vero allenamento … o meglio, nelle occasioni in cui aveva seguito gli allenamenti da bordo campo, si era limitata a seguire quello di Tsubasa, per niente interessata al programma degli altri. In quel frangente, invece, si sentiva completamente attratta da ciò che stava avvenendo proprio lì, nella porta più vicina alla sua postazione riparata e non riusciva a governare la sensazione di vuoto che si era formata sotto lo sterno, avvolgendo le sue viscere fino a farle provare dolore sottile.
Si morse il labbro, concentrata come se lei stessa dovesse lanciarsi sulla palla, come se … 
Un fischio acuto la fece sobbalzare, fino a sbattere la fronte contro il vetro della porta attraverso la quale stava seguendo l’allenamento, quel tanto da farle perdere proprio l’attimo cruciale.
- E’ bravo, Wakabayashi. – la voce un po’ rauca del custode la fece sobbalzare di nuovo, mentre lei si massaggiava la fronte là dove aveva cozzato contro il vetro; Yuki si volse a cercarlo e poi seguì il cenno del suo capo, diretto verso la porta.
- Hai visto? Ha parato anche questa volta, persino ora che a tirare è stato Kaltz. Il tuo amico è il migliore, con i rigori. – asserì l’uomo, avvicinandosi a lei.
Yuki se l’era perso, purtroppo, quel rigore parato a Kaltz che, collegò rapidamente, doveva essere lo stesso degli inviti ad uscire la sera; ma riusciva ora a intuire i complimenti che un tizio, forse un allenatore, stava porgendo a Genzo, prima di farlo tornare tra i pali, evidentemente per altri rigori.
 – E non solo con quelli, in realtà – aggiunse poi il custode – Non capisco per quale ragione si ostinino a tenerlo ancora lontano dalla prima squadra. –
- Lui sostiene spesso di avere un pessimo carattere; ma non so se questa sia una valida motivazione, perché io non lo trovo affatto un caratteraccio, il suo. – Yuki sollevò le spalle, come se lo volesse giustificare, e provando una sottile soddisfazione nello scoprire come Genzo fosse visto da quest’uomo un po’ curvo, dai folti baffi bianchi, al di sotto dei quali si aprì un largo sorriso, mentre annuiva con il capo.
- Sei la sua ragazza? – le chiese a bruciapelo, per poi mettersi a ridere, in risposta all’espressione disorientata che doveva esserle apparsa sul viso.
– Scusa se te l’ho chiesto; non volevo metterti in difficoltà. Ho conosciuto Wakabayashi al suo primo ingresso qui con la squadra giovanile e credo di non essermi perso uno solo dei suoi allenamenti … - le spiegò bonario – L’ho visto crescere come uomo e come sportivo, insieme a molti dei suoi compagni; per me sono come figli, questi ragazzi! Ma a differenza degli altri, lui non mi ha mai chiesto di far passare una sola persona al varco di ingresso. Così oggi, quando mi ha parlato di te … -
Yuki si sentì sprofondare, come se il pavimento a scacchi si fosse aperto sotto i suoi piedi per risucchiarla in una voragine di imbarazzo; avvertì chiaramente le gote farsi vermiglie e le tempie pulsare, mentre un brivido saliva fino all’attaccatura dei capelli.
– Beh … io … Noi ci conosciamo da tanto tempo, in realtà. – cercò di spiegare – Mio fratello ha giocato con lui in nazionale e sono buoni amici; sono in città da febbraio per studiare e lui mi sta ospitando, aiutandomi ad ambientarmi. –
Si sentì soddisfatta della spiegazione data al custode; le pareva di aver superato bene quell’attimo di crisi che, non capiva ancora perché, l’aveva colta completamente impreparata a definire il suo ruolo a casa di Genzo. L’uomo al suo fianco annuì lento, senza staccare gli occhi dalla porta dove Genzo era messo sotto pressione da una serie di tiri ravvicinati, scagliati uno di seguito all’altro dal solito allenatore. Più lontano, il resto della squadra pareva ora occupato in altro, correndo a passo lento.
- Quindi sei tu il suo famigerato segreto? – sbuffò allora l’uomo ridendo sotto i baffi per poi spiegarsi meglio – Perché Hermann da un pezzo lo sfotte alla grande sostenendo che sia sparito dalla circolazione, perché non esce più con lui la sera; non che prima uscisse molto, a detta sua ... ma ora Kaltz proprio non sa darsi pace e racconta a tutti che Wakabayashi nasconde qualcosa di grosso in casa propria! –
Di nuovo, la prese quello strano brivido alle tempie e le parve che un nodo stretto le avesse chiuso la lingua, impedendole di rispondere a quell’ometto che, fin dal primo momento molto cortese e affabile, aveva sfumato il proprio iniziale silenzio avvicinandola e permettendole di scorgere un lato di Genzo che ancora non aveva avuto modo di conoscere: il Genzo dell’Amburgo, quello che era arrivato in Germania adolescente e aveva affrontato un mondo completamente nuovo praticamente da solo, con le sue sole forze; quello che per anni aveva solo intravisto ai raduni della Nankatsu, silenzioso osservatore, a cui non ricordava che nessuno avesse mai chiesto nulla della sua vita in Europa, data quasi per scontata, per uno come lui; quello che, si rendeva conto in quel momento, aveva investito tutte le sue energie nella sua passione per il calcio, con estrema determinazione e forza di volontà, ritagliandosi uno spazio riparato da sguardi indiscreti anche a costo di risultare asociale … spazio dentro al quale lui l’aveva incredibilmente accolta senza riserve proteggendola da tutto, in nome dei propri ideali. Un Genzo pragmatico e di poche parole, che poteva essere scambiato per scostante o solitario, e invece era semplicemente riservato e coerente con i suoi principi; il giovane uomo che beveva il tè nero, che amava i film Marvel, che odiava usare il phon dopo la doccia e che non sapeva ancora cucinare qualcosa di decente con le sue mani, nonostante vivesse da solo da un pezzo …
- Guarda, hanno finito. – osservò l’uomo, indicandole i movimenti sul campo, dal quale i giocatori si stavano allontanando svanendo oltre la porta di una costruzione poco lontana e Yuki annuì d’istinto, ritrovando la sagoma di Genzo e prendendo a seguirne i movimenti. Lo vide tornare a confabulare con l’allenatore e poi salutarlo con un gesto della mano, prima di incamminarsi con i compagni e di volgersi nella sua direzione, quasi la stesse cercando.
Istintivamente, aprì le labbra in un sorriso, poggiando i palmi aperti al vetro, mentre anche lui, che l’aveva individuata, la salutava, sollevando il cappello e chinando il capo verso di lei, sorridendole a propria volta. Continuò a seguirlo, finché con gli altri non scomparve in quelli che ipotizzò dovessero essere gli spogliatoi, per poi trarre un profondo respiro e voltarsi. Alle proprie spalle, trovò il custode in piedi al centro di quella specie di guardiola a ridosso della biglietteria; l’uomo, che la stava osservando con uno sguardo bonario tornò a sorriderle, e le si avvicinò posando delicatamente una mano sulla sua spalla.
- Vedrai che tornerà presto … - le sussurrò.
- Oh, ma io lo aspetto … non c’è problema: immagino che si faccia la doccia e … - si affrettò a rispondere lei; ma l’uomo scosse piano il capo, avvicinandosi ancora un poco e guardandola dritta negli occhi.
- Tornerà presto in prima squadra. –
 
- Perché ti hanno tolto dalla prima squadra? – gli chiese facendosi coraggio, approfittando di un attimo di silenzio, mentre lui sorseggiava tranquillo il suo tè tenendo le mani chiuse attorno alla tazza.
Se lo chiedeva da tempo, ma dopo la chiacchierata con il custode, le era sembrato ancora più importante comprendere cosa fosse accaduto. Perché Genzo non sembrava il tipo che attende pazientemente la propria occasione facendo la riserva e perché uno come lui, in seconda squadra, costituiva proprio una nota dissonante. Ne aveva sentite tante, in merito, da suo fratello e dagli altri della Nankatsu, prima del mondiale, ma non aveva mai dato troppo peso ad una questione che al contrario, in quel momento, era diventata un nodo da sciogliere.
Genzo, stranamente, parve ignorare la sua domanda, concentrato sul marchio di verde[ii] impresso sulla ceramica, e allora lei si morse le labbra tra i denti, pentendosi della domanda appena posta.
- No, scusami … - si affrettò a rimediare - … non volevo essere invadente … -
Lo vide però corrugare la fronte e poi sollevare lo sguardo verso di lei, un po’ di traverso, mentre le sue lunghe dita prendevano a far girare la tazza attorno al proprio asse.
- Te l’ho già detto che sono uno stronzo? – le chiese di rimando – Sì, insomma, che ho un caratteraccio? –
Lei annuì stringendo le labbra – Mi pare di sì. – confermò – Ma di solito non è sufficiente per giustificare il fatto di essere rimesso tra le riserve, soprattutto quando si ha un talento come il tuo. –
Le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro – Il talento non basta. – affermò sicuro – Nel mio caso, con il mio ruolo, è necessario avere fermezza, visione di gioco perfetta, autorità nel guidare i compagni davanti alla porta ... –
- E’ il tuo ritratto, Genzo. – osservò allora Yuki – Non per niente sei rimasto il Capitano anche dopo aver passato la fascia a mio fratello. –
Genzo bevve un sorso di tè restando in silenzio, mentre lei osservava le sue labbra serrarsi e poi seguiva il movimento del pomo d’Adamo, scivolando con lo sguardo lungo il collo, fino all’apertura della sua camicia.
- Rispetto a Tsubasa, io ho un grande difetto. – riprese quindi lui, il tono della voce caldo e lo sguardo diretto, di chi ha ben chiaro ciò che sta affermando – Non ho sempre saputo affidarmi ai consigli del mister e ho fatto di testa mia anche quando non era il caso. –
Yuki si sorprese; posò la propria tazza di tè e obiettò - Ma con Mikami … -
Genzo annuì – Esatto: mi sono sempre fidato ciecamente del mister, finché era Mikami. Senza di lui, non ho saputo fare altrettanto con chi è venuto dopo. Pensavo di essere ormai al di sopra di tutto, ho peccato di superbia e ho fatto un casino. L’ho capito tardi e ne sto pagando il prezzo. –
Yuki non seppe staccare gli occhi da lui, dopo aver udito le sue parole, spiazzata dalla lucidità con cui aveva ammesso la propria colpa, affascinata dalla razionalità con la quale pareva aver affrontato il problema, la stessa con la quale, pensò, doveva mettersi tra i pali in attesa che il pallone si muovesse dal dischetto in un calcio di rigore.
- Non riesco proprio a immaginarti a fare una cazzata. – affermò infine lei – Non ti vedo a esplodere, a dare di matto o a mancare di rispetto … -
Genzo parve divertito, dalla sua uscita – Oh! Ne sono capace, eccome! – le spiegò poi – Non accade spesso, fortunatamente, ma tutto quello che ho dentro finisce per deflagrare in un momento, quando sono davvero fuori di me, e allora non ti consiglio di stare nei paraggi! –
- Ah certo … tipo questione Kojiro, giusto? – suggerì allora lei, assottigliando lo sguardo.
Lui annuì, divertito – Vedi che ormai mi conosci bene? –
- Forse, hai semplicemente bisogno di un punto fermo, Genzo. – buttò lì Yuki, tornando più seria – Un allenatore di cui ti fidi e con cui confrontarti; una persona che ti faccia stare tranquillo e che ti conferisca sicurezza; o magari qualcuno che semplicemente ti permetta di essere te stesso, nel rispetto delle regole ... –
- Disciplina e razionalità: le regole di rigore di mister Mikami. – mormorò Genzo, prima sollevare la tazza dal piattino – Sembri la sua erede, sai? – scherzò poi, cercando di soffocare una risata, nascondendo le labbra dietro la ceramica bianca; e Yuki non poté non unirsi a lui, in quel momento, ridendo con Genzo e cogliendo nei suoi occhi scuri un soffio di piacevole serenità, nonostante tutto.
 
[i] Esiste davvero un centro sportivo con campo di calcio poco distante dal campus universitario nel centro di Amburgo, ma non ho idea di come sia; sfrutto la location e la accomodo secondo le mie necessità, piazzandoci deliberatamente pure la sede degli allenamenti della società sportiva di Wakabayashi.
[ii] Il marchio di Starbucks

Angolo dell'autrice: e con questo, ho chiarito anche alcuni dettagli che ho rimescolato rispetto alla linea originale (questione Tsubasa-Sanae, per dirne una) e che spero non facciano ribaltare qualcuno sulla sedia.
Abbiate pazienza... anche se apparentemente si stanno ancora girando attorno, molte cose sono già cambiate e continueranno a cambiare!
Grazie a tutte le persone che hanno letto e a chi mi ha lasciato il suo commento: siete preziosi!
A presto

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** ... contatto ***


6 - … contatto
 
(Un pomeriggio, fine maggio)
 
La porta d’ingresso si chiuse dietro le spalle di Genzo e Yuki, che era seduta al tavolo nel soggiorno, con il capo chino su un quaderno di appunti, riuscì appena a vederlo scomparire nel disimpegno.
- Ciao, Yuki. – la salutò a voce alta, ancora nascosto dalla sua vista e, quando lo vide riemergere, si era già tolto scarpe e giacca e si muoveva a passi lenti verso l’angolo cottura.
- Ciao, Genzo. – si affrettò a rispondergli, continuando ad osservarlo, mentre lui si prendeva un bicchiere e si versava dell’acqua, per poi venire a raggiungerla al tavolo. Si sedette, lasciandosi praticamente cadere sulla sedia e sbuffando sonoramente; Yuki puntò un gomito sul tavolo, sollevando un mano e facendo vibrare rapidamente la sua matita tra indice e medio – Tutto bene? Sembri strano … -
Genzo sollevò le spalle, con una smorfia indecisa sul volto.
– Mi stanno massacrando. – esordì, indicando con un cenno del capo il grande orologio appeso alla parete del soggiorno, che segnava già le 19 passate - Il mister ha riservato un programma di allenamento specifico per noi portieri e … devo farci l’abitudine, evidentemente. –
Yuki posò la matita, sinceramente interessata, usandola come segna libro e chiudendo il quaderno; si rese conto del fatto che ormai da alcuni giorni Genzo rientrasse piuttosto tardi dagli allenamenti e che in molte occasioni le fosse parso particolarmente provato dalla giornata; ripose i libri uno sull’altro in una pila ordinata, spingendola con un braccio fino al limite del tavolo, per poi sollevare il palmo e poggiarci il mento.
– Sai che è molto importante che, per ogni ruolo, venga seguito un tipo di allenamento calibrato sulle necessità del singolo? Se i tuoi allenatori lo fanno, è segno di grande attenzione e professionalità … - lo informò, ripescando quelle informazioni tra i temi più interessanti che aveva affrontato nei corsi recenti.
Genzo svuotò il bicchiere e lo posò sul tavolo, mentre annuiva lento – Ne sono consapevole. Solo che la rimodulazione degli allenamenti di solito avviene molto più lentamente e ci dà modo di abituarci al nuovo carico di lavoro. In questi giorni, al contrario, sembravano tutti presi dal sacro fuoco dell’allenamento a terra, con ripetizione infinita di una serie di movimenti inusuali. – concluse quasi imbronciato e Yuki non riuscì a trattenersi dal sorridere.
- E non ti sei nemmeno lamentato? – lo provocò, ricevendo in risposta un’occhiataccia di traverso – Allora va bene così: stai migliorando! – lo canzonò, sollevandosi dalla sedia e aggirando il tavolo – Comunque, allenato come sei, dovrebbe bastarti un poco di riposo, per riprenderti; inoltre, ci sarà certamente una valida motivazione alla base della rimodulazione degli allenamenti. – osservò poi, prima di dirigersi verso l’angolo cottura - Dai, mettiti comodo sul divano mentre io preparo la cena. –
Genzo non tentò nemmeno di proporsi come cuoco, ma obbedì il più velocemente possibile, cioè quasi trascinandosi, e si sistemò di traverso sul divano dichiarando – Mi affido alla tua cucina, questa sera: hai carta bianca. Io aspetterò qui pazientemente. Senza muovere un solo muscolo, naturalmente. -
 
Dopo aver cercato di fare del proprio meglio, collaborando con Yuki nella sistemazione necessaria dopo cena, Genzo tornò ad affondare tra i cuscini del divano, afferrando il telecomando e iniziando a far scorrere i menù, alla ricerca di un buon programma per la serata; lei, rimasta ferma con il fianco poggiato al piano cottura, lo osservò per qualche minuto, riflettendo sul da farsi.
Aveva prestato attenzione al suo modo di muoversi, da quando era rientrato, e aveva notato la sua postura innaturale, durante la cena; di solito Genzo sedeva in modo molto composto, con la schiena dritta di chi ha muscolatura forte e allenata ed è abituato a tenere una buona postura, ma quella sera lo aveva visto in difficoltà, in continua ricerca di una posizione che gli risultasse comoda. Ripensandoci, notò che veramente quello strano atteggiamento non era del tutto nuovo, ma perdurava da alcuni giorni. Era certa che la sua non fosse una scusa: anche in quel momento, abbandonato sul divano, non sembrava a proprio agio e anzi, pareva soffrire pure l’abbraccio morbido dei cuscini. Sapeva anche che in passato lui avesse già subito degli incidenti piuttosto seri; ma era consapevole che un infortunio per uno sportivo rappresentasse qualcosa di ben diverso, rispetto ad un problema di quelli nominalmente trascurabili, ma che impediscono di giocare al meglio. Lo vide cambiare di nuovo posizione, muovendo un po’ le spalle, riconoscendo il tormento tipico di chi soffre per un problema muscolare alla schiena, e allora si decise a fare quello che non aveva avuto il coraggio di proporgli, prima di allora.
Aveva temuto di essere invadente, di esporsi in qualcosa che lui avrebbe potuto reputare inutile, o addirittura di risultare esibizionista. Eppure, in quel frangente, era certa di potergli essere di aiuto, in qualche modo, e aveva sentito il bisogno, quasi l’obbligo morale, di superare ogni reticenza, e di farsi avanti.
Così, facendosi coraggio, si mosse verso il divano, sistemandosi accanto a lui.
- Genzo? – lo chiamò, piano, aspettando che lui distogliesse lo sguardo dalla televisione, dove, a quanto poteva constatare, non era ancora riuscito a concentrarsi nella scelta di un buon film per la serata.
- Genzo, posso parlarti di una cosa? –
Lui abbandonò l’impresa, volgendosi verso di lei, incuriosito dal suo tono guardingo, trattenendo il telecomando tra le dita, ancora puntato verso il televisore – Dimmi. –
Yuki unì i palmi delle mani, iniziando a sfregarli uno contro l’altro.
– Senti … io forse posso aiutarti. – esordì – Con la schiena, intendo. –
Lo vide istintivamente spegnere la televisione e posare il telecomando accanto a sé, per poi fissarla serio – Di qualunque cosa si tratti, ci sto. –
Lesse una sorta di urgenza, nella sua reazione e comprese il suo desiderio di liberarsi di un fastidio al quale, evidentemente, non era per niente avvezzo; prese un profondo respiro e cercò di spiegargli la sua idea.
– Dunque, per quanto ne so, il tuo ruolo in campo sollecita particolarmente la schiena e le spalle. – cominciò – Perciò, in teoria, tu sei già allenato e sicuramente la tua muscolatura è … -
- Dimmi cosa puoi fare. – la interruppe allora Genzo, deciso – E facciamolo subito. Adesso. Mi fido ciecamente. –
Annuì, comprendendo la sua reazione e anche gratificata dalla sua affermazione; decise di andare al dunque – Posso farti un massaggio mirato a rilassare la muscolatura, se vuoi. So che avrete i vostri massaggiatori e che già magari ti hanno … -
Lui scosse il capo, negando deciso – Al massimo si occupano delle gambe. – la informò, sottolineando quanto detto con un gesto vago della mano.
- Ah. – commentò sorpresa, recuperando un altro briciolo di sicurezza – Allora … allora sono certa che ti sarà utile. E ti prometto che non farò danni … perché so che un fisico sportivo è delicato, da trattare … -
- Cosa devo fare? Dove mi metto? – chiese allora lui, con una sempre più evidente premura.
Lei gli sorrise, divertita dalla reazione di Genzo – Allora, anche se l’hai già fatta, mettiti per qualche minuto sotto la doccia, facendo scorrere l’acqua calda sulla schiena. Io nel frattempo preparo quello che mi serve. –
 
- E adesso? – chiese Genzo affacciandosi sul soggiorno, dopo alcuni minuti, con i capelli ancora bagnati.
- Io ti farei mettere sul letto: così posso girarti attorno … – gli suggerì; immediatamente lo vide scomparire di nuovo, diretto alla propria camera, e lei lo seguì trattenendo tra le mani alcuni prodotti che le sarebbero stati utili insieme al cellulare.
Entrando in camera, si rese conto di quanto poco conoscesse quell’ambiente della casa; nonostante fosse ospite di Genzo da oltre quattro mesi ormai, aveva sempre rispettato i suoi spazi e aveva varcato la soglia della sua stanza molto raramente e solo in sua assenza, per lasciargli la biancheria ritirata dalla lavanderia o per chiudere le finestre, quando la pioggia rischiava di arrivare all’interno della stanza.
Lui la attendeva paziente seduto sul grande letto, dandole le spalle, e lei lo superò per depositare sullo scrittoio quello che si era portata.
- Puoi spogliarti. – gli disse; e intuendo il moto istintivo delle sue sopracciglia scure si affrettò a precisare – Cioè, togli la maglia … e mettiti steso con la testa sul fondo del letto, pancia in sotto. –
Distolse lo sguardo da lui, tornando a concentrarsi sugli oli che aveva portato con sé, mentre lo sentiva sfilarsi la maglia e lasciava che lui si sistemasse sul letto; armeggiò con il cellulare, scorrendo tra le playlist per scegliere la musica più adatta, e solo quando, con la coda dell’occhio, lo vide disteso, proprio come gli aveva detto di fare, versò su un palmo una abbondante dose di olio, prendendo a sfregare le mani tra loro, perché si scaldassero a dovere, diffondendo nella stanza un forte profumo balsamico.
- Posso mettere un po’ di musica, come sottofondo? – gli chiese chinandosi appena su di lui - Mi aiuta a rilassarmi e a concentrarmi su quello che faccio … - e Genzo annuì in silenzio, piegando le braccia per portare le mani al di sotto del capo. Yuki si sporse appena per far avviare la musica e il soffio leggero dei violloncelli si levò nell’aria.
2Cellos. – gli spiegò sottovoce – Solo le tracce adatte, naturalmente. –
Scorse un movimento appena accennato del suo capo scuro e lo vide chiudere gli occhi e consegnarsi a lei.
Solo allora, Yuki trasse un profondo respiro e si inginocchiò ai piedi del letto, permettendosi finalmente di dedicarsi a lui.
 
In principio, posò i palmi aperti sulle sue spalle e a quel primo contatto, avvertì distintamente il respiro di Genzo interrompersi per un istante. Il primo tocco, lo sapeva bene, era sempre importante, come il primo passo di un percorso che si sa delicato, come un primo bacio; così restò immobile, lasciando che lui si abituasse alle sue mani e solo dopo qualche istante, quando riconobbe il suo respiro tornare il soffio tranquillo che era stato, iniziò a muoversi. Fece scivolare lenta i palmi lungo tutta la lunghezza della sua schiena, sporgendosi sopra di lui e distendendo le braccia, fino quasi a sfiorare la cintola dei suoi pantaloni sportivi, e poi sollevò i palmi, ripetendo lo stesso movimento, dalle spalle alla cintola, attenta a leggere il suo respiro e ogni movimento sotto pelle. Era tranquillo, ma i muscoli parevano tesi, e allora tornò a ripetere quel movimento più volte, sentendo scivolare sotto le dita la pelle liscia e perfetta, intuendo la sua struttura forte e tonica, seguendone la forma precisa, e vincendo, passaggio dopo passaggio, la leggera resistenza dell’indolenzimento. Riconoscendolo più disteso, all’ennesimo movimento, giunta alla cintola, non sollevò i palmi, ma tracciò due archi, scendendo un poco sui lati del torace, per risalire lenta fino alle spalle con un tocco più leggero, e poi tornare, decisa, a scendere lungo la schiena. Si mosse ancora, in una ripetizione di movimenti che disegnavano sulla sua schiena una sorta di coppia di ali, evolvendo ogni volta in un tratto più ampio, ma sempre intenso, mentre il profumo pungente dell’olio si colorava della nota calda di quello della sua pelle.
Insieme alla musica, soffice ma coinvolgente, riusciva a ascoltare il suo respiro, profondo e cadenzato, e allora lei continuò seguendo il suo ritmo, aumentando l’intensità del proprio tocco, mentre sotto le dita avvertiva la tensione sciogliersi istante dopo istante; si mosse un poco più veloce, sicura di averlo legato al proprio incedere e a quel punto, all’ennesimo discendere lungo la sua schiena, interruppe il contatto con i palmi, per poi risalire rapida ai lati della colonna vertebrale con un incalzante tamburellare dei polpastrelli. Sorrise tra sé, avvertendo il suo respiro perdere per un istante il ritmo e tornò alle sue spalle, premendo un poco con i pollici e disegnando dei cerchi sulla sua pelle per poi riprendere quel gioco leggero con le dita, fino a tornare ad arrestarsi sulle sue scapole ampie.
Lo spiazzò un poco, afferrandogli un polso e sfilando lentamente la mano da sotto il suo capo, per accompagnare il suo braccio a distendersi lungo il corpo, e poi sistemarlo con il gomito piegato, sollevato dalla coperta morbida; non avvertì però alcuna resistenza e comprese quanto Genzo si fosse abbandonato al suo tocco, soddisfatta, ma anche sorpresa nello scoprire quanto fosse stato semplice stabilire un contatto diretto con lui. Allora, tornò con il palmo alla sua scapola, disegnandone i contorni e insinuando le dita fin sotto ad essa, sollevandola un poco e accompagnandone ogni movimento, con una naturalezza assoluta, fino a ripercorrerla a ritroso, accomodandola con una sorta di carezza. Ripeté il movimento con l’altro braccio e si dedicò all’altra scapola, ritrovando la stessa precisione e solidità in ogni singolo gesto nel quale accompagnava quel corpo perfetto. Osservò il torace gonfiarsi lento e seguì il soffio che lo svuotava; si accorse di aver accompagnato quei movimenti con il suo stesso respiro, in una perfetta sintonia … e riallacciò i movimenti anche allo scivolare armonioso della melodia, velluto tra le note e sotto le dita, tornando a dedicarsi a quei passaggi lunghi e lenti con i quali aveva iniziato il suo percorso, riprendendo a muoversi dalle spalle fino alla vita una, due, tre volte, e poi ancora … fino ad arrestare il moto delle mani sul filo della cintola. Rimase immobile per qualche istante, il respiro trattenuto da entrambi, e poi infilò decisa i pollici al di sotto della coulisse, spingendola per qualche centimetro, fino a scoprire i fianchi, per poter proseguire con il suo tocco e sciogliere ancora la tensione del suo corpo in un movimento ancora più ampio e completo, che ripeté più volte,  perseverando dove intuiva resistenza e mettendo tutta se stessa, nell’inseguire quel benessere che pareva lì, nascosto sotto un lembo di pelle, e arrivando a posare l’intero avambraccio sulla sua schiena, per poter insistere meglio su di lui, con un contatto ampio, dal polso al gomito, fino alla sua cresta iliaca; ripeté lo stesso gesto per alcuni, lunghissimi, secondi, e poi tornò a posare i palmi aperti alla base della sua schiena, risalendo fino alle spalle, mentre i polpastrelli lasciavano tocchi leggeri sulla pelle.
Si fermò d’istinto quando sotto le dita avvertì un tremore, un brivido profondo che percorse il corpo di Genzo da capo a fondo, increspandogli la pelle. Si sollevò da lui e si accorse che la musica era ormai terminata e che a rendere densa l’atmosfera di quel momento erano stati loro e loro soltanto. Si chiese da quanto tempo lo stesse massaggiando … e cercò di governare il proprio respiro, e di ristabilire un contatto con lui, tornando a posare delicatamente i palmi sulle sue spalle.
- Come va? – gli chiese a voce appena udibile, chinandosi su di lui fino a sfiorare con le labbra i suoi capelli umidi e profumati.
Ebbe in risposta solo un flebile – Mh … - accompagnato da un lungo sospiro, mentre lui iniziava a sollevare le spalle, quasi dovesse imparare di nuovo a muoversi da solo.
- Ti va di girarti supino? – gli chiese poi, ma la risposta la colse di sorpresa.
Genzo spalancò gli occhi, per poi muoversi, sollevandosi sui gomiti, guardandola quasi smarrito.
- Su! Se riesci a girarti, e la schiena non ti provoca fastidio, finisco con un po’ di rilassamento del collo … - gli propose.
- No. – la fermò stranamente perentorio – No. Non … -
- Senti dolore? – si preoccupò allora Yuki – Vuoi che ti aiuti io? –
Lo sguardo di Genzo si fece ancora più sconvolto, mentre scuoteva rapido il capo, nascondendo il volto tra i palmi – Yuki ti prego … non sto male … è che … -
Lei aggrottò la fronte, in difficoltà, e lui cercò di spiegarsi come poté – E’ che … se mi giro adesso, non avrò il coraggi di guardarti in faccia per il resto della mia vita. -
 
 
Aveva compreso subito, Yuki, e si era prodigata per tranquillizzarlo, minimizzando la cosa e rassicurandolo del fatto che avrebbe colto l’occasione per riposarsi un attimo e bere un bicchiere di acqua, mentre lui recuperava e tornava a rilassarsi. Ma poi praticamente si era rifugiata in soggiorno, nascondendo il volto con i palmi, cercando di governare il fiato spezzato.
Sì, era vero quello che aveva lasciato intendere a Genzo per farlo distendere e toglierlo dall’imbarazzo; che poteva accadere che il benessere del massaggio arrivasse a pungere il corpo di un uomo anche sotto quel profilo più intimo e che non aveva nulla da rimproverarsi o di cui vergognarsi … Quello che non aveva avuto il coraggio di confidargli era il fatto che la sua esperienza in merito fosse del tutto teorica e che comprendeva anche la consapevolezza che la cosa non fosse poi così frequente come gli aveva fatto credere. Insomma, il massaggio sta tutto nel contatto tra due persone, nel modo in cui chi massaggia si mette in gioco e chi viene massaggiato permette all’altro varcare il limite del contatto di pelle … e nel loro caso lei si era resa conto immediatamente di quanto Genzo le si fosse affidato, ma anche di quanto fosse stato semplice arrivargli dentro, sentirlo quasi come fosse una parte di sé per passargli attraverso la pelle molto più dell’energia messa nei movimenti compiuti sulla sua schiena. Nell’istante stesso in cui aveva posato le mani su di lui, nella sottile barriera che ancora esisteva tra loro si era aperta una falla che ad ogni movimento si era fatta più critica … fino a che la barriera era crollata del tutto, sotto la scossa di quel brivido che aveva attraversato Genzo da cima a fondo.
Si portò un pugno chiuso alla fronte, sconsolata, realizzando che in quel momento, superato l’impasse iniziale, l’unico vero timore era quello di aver rovinato tutto. Un tutto che non sapeva esattamente cosa fosse e a cui non era ancora riuscita a dare un perimetro preciso, ma a cui, ammise, era legata a doppio filo, che le pareva necessario come null’altro al mondo.
Si versò dell’acqua e svuotò il bicchiere tutto d’un fiato, cercando ristoro nei sorsi freddi che, scendendo nel petto, ebbero l’effetto di farla riemergere dal suo stato, obbligandola a respirare profondamente. Puntò le mani sul bordo del ripiano e chinò il capo, continuando a inspirare e espirare lentamente. Avrebbe dovuto tornare da lui, ma come avrebbe fatto a …?
- Yuki? – la sua voce la fece sussultare; lo cercò con lo sguardo e lo trovò in piedi, fermo sulla soglia del soggiorno, con un sorriso mesto – Ti va di tornare di là? –
Le fu sufficiente vederlo, per accantonare ogni dubbio, perché nei suoi occhi riuscì a leggere chiaramente quanto lui sentisse ancora quell’assurdo senso di colpa, ma anche quanto desiderasse, proprio come lei, che quanto accaduto non rovinasse il loro fragile tutto, quell’equilibrio perfetto che avevano raggiunto attraverso la naturalezza di una vicinanza senza ombre.
A dorso nudo, con i pantaloni un poco bassi sulla vita e i piedi scalzi, le si stava mostrando per quello che era, semplicemente il Genzo senza difese che fin dal suo arrivo non le si era mai nascosto e che giorno dopo giorno le aveva permesso di entrare nella sua vita, conoscendolo per davvero.
Si sorprese, allora, dei dubbi che le avevano attanagliato l’animo, quasi avesse potuto perdere fiducia in lui o nel suo modo di essere, perché anche l’imbarazzo che inizialmente le aveva impedito di osservarlo davvero, quando si era sistemato sul letto, a quel punto era scemato, lasciando solo una scia di assoluta confidenza e il desiderio sincero di tornare a potergli stare vicino, senza provare nessun impaccio.
- Arrivo. – gli rispose sicura, prima di muoversi verso di lui.
 
Genzo si era già disteso sul letto, supino, e sembrava intento a scrutare il soffitto e le sue invisibili imperfezioni; quando Yuki si sistemò al proprio posto, lo fece lentamente, sporgendosi un poco sopra di lui per affacciarsi nel suo campo visivo e cercare i suoi occhi con i propri.
Restarono per un poco in silenzio, i respiri immediatamente all’unisono e gli sguardi legati in un tacito sorriso nascosto.
Quando lei posò le mani già calde sulle sue spalle, ai lati del collo, lui chiuse gli occhi, lasciandosi condurre di nuovo e Yuki gli fu grata di questa fiducia incondizionata; mosse appena le dita, seguendo il profilo delle clavicole, per poi fermarsi, mentre con i pollici risaliva il suo collo, fino alla nuca, ripetendo lo stesso percorso e tracciando tra la base del collo e l’attaccatura dei capelli dei moti circolari, arrivando fino dietro alle orecchie e poi tornando a scendere con gesti sempre più ampi e sicuri. Quando avvertì la sua muscolatura sciogliere la tensione, infilò la mano destra sotto il suo collo, affondando le dita tra i suoi capelli morbidi e accompagnando piano il movimento del capo verso la spalla destra e assecondando il moto che naturalmente lui riusciva a compiere, senza forzare. Lo trattenne con delicatezza, per poi sollevarlo e sostituire la mano sinistra alla destra, ripetendo lo stesso movimento, ma dalla parte opposta.
Pur concentrata sui suoi muscoli e attenta a non forzare nessun movimento, poteva facilmente osservare il suo volto e leggere ogni sua sensazione, accorgendosi di non aver mai avuto occasione di soffermarsi troppo sui suoi lineamenti e scoprendo un mosaico di dettagli in quel viso disteso. Notò le sue sopracciglia scure, folte e definite, gli occhi dal taglio perfetto e le ciglia setose e sottili; il naso dritto, dal ponte pronunciato, scendeva regolare verso le labbra dalle proporzioni che le parvero perfette. Muovendo ancora le dita sul suo collo fissò l’attenzione sulla forma del viso, squadrato e armonioso, e quando tornò a fargli flettere il capo da un lato, le fu chiara come la linea della mascella disegnasse uno spigolo regolare fino al mento. Tornando a far scivolare i palmi sulle spalle, in movimenti decisi che si spostavano dal collo aprendosi verso le articolazioni, le fu chiaro cosa, nell’insieme che stava osservando, riusciva più di ogni altro dettaglio a catturare la sua attenzione: il volto di Genzo era incredibilmente simmetrico e armonioso, i suoi tratti marcatamente maschili erano sorprendenti nel formare un insieme senza note dissonanti, senza quelle peculiarità che spesso, in un viso, finivano per concentrare l’attenzione in un unico dettaglio. In lui il complesso dei dettagli regolari, al contrario, si scioglieva in un volto espressivo e forte, dove ogni sfumatura dello sguardo diventava capace di accentrare su di sé tutta l’attenzione.
Curiosa e non vista, si concesse di guardare oltre la linea delle clavicole, mentre il torace liscio si gonfiava in un respiro lento, dove di nuovo fu la perfezione del suo corpo allenato a sorprenderla. Tese le labbra, nascondendo un sorriso, scoprendosi così interessata al corpo di Genzo, ammettendo di averlo immaginato, qualche volta, intuendone le proporzioni al di sotto delle camicie che spesso indossava, e impedendosi, un poco imbarazzata, di indugiare oltre.
Si mosse ancora un poco distendendo le sue spalle, per poi riportare le mani dietro la sua nuca, in una leggera carezza tra i capelli e quindi lungo il profilo della mascella, dove fermò le dita, poggiando i palmi.
Si chinò su di lui, fino quasi a sfiorare la sua guancia con la propria, per sussurrargli – Io ho terminato … ma ti consiglio di non alzarti subito: prenditi un po’ di tempo, perché potrebbe girarti un po’ la testa. –
Intuì appena il movimento del capo, un annuire lento come i respiri che stava prendendo in quel frangente, rilassato come era giusto che fosse.
Yuki mosse piano le mani, in una carezza in punta di dita che scivolò di nuovo lungo le spalle e poi a percorrere le clavicole, mentre accennava ad alzarsi da terra, per lasciare che lui potesse poi sollevarsi dal letto. Non riuscì però a spostarsi del tutto da terra, perché con un gesto inaspettato, Genzo mosse il braccio, chiudendo le proprie dita sul suo polso e portando la mano di Yuki sul proprio petto. Lì, dove lei riusciva a sentire distintamente il ritmo vivace del battito del suo cuore, le dita di Yuki si schiusero involontariamente, posandosi sulla pelle, quasi a cercare di catturare quel tocco istintivo e segreto.
- Grazie. – Mormorò Genzo, muovendo appena le labbra, restando ad occhi chiusi, mentre le sue dita le liberavano polso, permettendole di allontanarsi da lui.



Angolo dell'autrice: spero di avervi passato questa scena così come l'ho vista io e come mi ha torturata per giorni. Tanto per farvi capire il livello di rimbambimento, ho persino consultato una mia cara amica (fisioterapista di professione) facendomi raccontare da lei come avrebbe massaggiato uno sportivo, e in particolare un portiere. Così sono usciti i problemi specifici di questo ruolo e anche i dettagli vari... compreso il fatto che quando che il massaggio può rappresentare davvero un momento forte per entrambi, massaggiatore e massaggiato. Insomma... come potevo fare finta di niente?!
Comunque, vi anticipo che sono in vacanza e il tempo da dedicare alla sittura non è molto, perciò non garantisco la pubblicazione della prossima settimana. Spero che questo capitolo vi tenga impegnati a lungo!
A presto
mgrandier

PS: C'è stato un problema in prima pubblicazione, che spero ora sia risolto... chiedo scusa a chi avesse trovato il capitolo ripetuto due volte e ringrazio per la segnalazione.
A presto

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** ... pazienza ***


7 - … pazienza
 
(Un pomeriggio, inizio giugno)
 
Tagliò di traverso la piazza pedonale, tenendo la sacca sportiva su una spalla e muovendo appena il capo e i passi a ritmo della musica della playlist con la selezione creata appositamente per lui da Yuki: motivante, a detta sua; decisamente energizzante, secondo lui, ma esattamente in linea con il suo umore, in quel momento, in cui gli pareva di non essersi mai sentito più soddisfatto di sé.
Aveva trascorso il solito pomeriggio di allenamenti serrati, felice di constatare come il suo corpo, dopo aver accusato il colpo nelle prime settimane, complice anche l’intervento provvidenziale di Yuki, avesse reagito bene al nuovo programma a lui dedicato. Si sentiva fisicamente in forma e anche moralmente gli pareva di aver superato lo stallo che il fatto di giocare ancora in seconda squadra gli aveva provocato; ma poi, il colloquio con l’allenatore gli aveva conferito definitiva consapevolezza dei progressi compiuti negli ultimi tempi, dando finalmente un senso a tutti gli sforzi fatti per settimane e settimane.
Sollevò lo sguardo per pochi attimi, scrutando il cielo terso, colpito dalla luce intensa del sole ancora caldo, nonostante il pomeriggio volgesse al termine, e poi tornò a nascondersi dietro la tesa del cappellino, puntando dritto verso il fast food all’angolo della piazza.
Supermassive black hole[i] … Forse Yuki non aveva tutti i torti quando insisteva a dirgli che l’energia deve essere incanalata nel modo giusto, perché in quel momento si sentiva veramente come una supernova risucchiata dal buco nero, certo, ma anche incredibilmente carico, con l’anima incendiata e sul punto di esplodere in un boato esaltante.
Quando la musica venne interrotta da una chiamata in ingresso, bloccò i passi, frugando nella tasca dei pantaloni per estrarne il telefono.
- Tsubasa! – rispose immediatamente, dopo aver riconosciuto chi lo stava chiamando.
- Ciao Wakabayashi! Ti disturbo? – lo salutò l’altro di rimando, senza perdersi in convenevoli – Hai già lasciato il campo? –
Genzo lesse una certa urgenza nella voce dell’amico – Tranquillo, sono sulla via di casa. Dimmi pure … -
- Ah, quindi non sai se Yuki è già rientrata … - borbottò Tsubasa preoccupato – Perché la chiamo da un pezzo, ma non mi ha ancora risposto e la cosa è molto strana … -
Tuttavia Genzo intervenne subito, sicuro di poterlo tranquillizzare - Oggi non è andata al campus: sta studiando perché domani ha un esame a cui tiene davvero tanto perciò molto probabilmente ha tolto la suoneria al telefono per non essere disturbata. – ipotizzò – Almeno, è quello che le vedo fare di solito quando studia. –
- Ah. – commentò asciutto Tsubasa – Capisco … Ehm … Allora magari quando rientri avvisala che volevo parlarle … -
- Facciamo che magari quando si ferma per la cena, le dico di chiamarti? – gli propose allora - Così non perde la concentrazione e prosegue finché non decide lei stessa di fare una pausa. –
Genzo fu sorpreso da una risata, dall’altro capo, di quelle sonore e spontanee che accendevano Tsubasa e riuscivano ad essere contagiose – Che c’è? Improvvisamente la cosa ti diverte? –
- No … - riuscì a intervenire Tsubasa – E’ solo che … mi sembra di parlare con la segretaria di mia sorella. Che fai, Wakabayashi, stai cercando di cambiare mestiere? – lo provocò.
- Beh, direi di no … - rispose allora, Genzo, divertito - … anche se in effetti il risultato mi pare che sia quello: devo riferire qualcosa alla signorina Ozora? – chiese allora facendo il verso ad un buon segretario personale, mentre Tsubasa stava al gioco, proseguendo la propria parte.
- Le dica semplicemente che ho fatto quella chiamata che lei sa. – dispose solennemente – La signorina certamente comprenderà. E riferisca pure di non perdere tempo per chiamare o mandare messaggi: mi basta che le arrivi il messaggio. –
- Sarà fatto! – concluse allora Genzo ossequioso, per poi tornare più naturale – Tu come stai, Tsubasa? Ho letto su Sport[ii] che avete delle noie a causa di qualche infortunio … -
- Ah … lasciamo perdere! – si lamentò Tsubasa - A fine stagione siamo tutti al limite ma questa volta ci è andata peggio del solito: anche Rivaul deve stare fermo un mese e si perderà la parte finale del campionato! –
- E tu? – chiese diretto Genzo, mentre si fermava davanti all’ingresso del fast food e gettava un’occhiata alle grandi immagini dei vari menu, con il naso rivolto all’insù.
Lo sentì sospirare, mentre prendeva tempo prima di rispondere – Qualche acciacco, niente di più; ma sono carico, il morale è alto e questo mi fa affrontare tutto con il piede giusto! –
- Cioè? – cercò di indagare, incuriosito, ma non ebbe modo di approfondire oltre, perché Tsubasa lo interruppe, improvvisamente sfuggente.
- Scusami Wakabayashi, ho sotto una chiamata a cui proprio non posso non rispondere … - tagliò corto – Ci sentiamo presto! –
Genzo rimase con il telefono in mano, tornato alla modalità di riproduzione della playlist; aveva le sopracciglia sollevate, ed era parecchio sorpreso dalla rapida chiusa di Tsubasa. Gli parve davvero insolito l’atteggiamento dell’amico, perennemente affabile e di buon umore, ma non poté che dedurre che il periodo non fosse dei più rilassanti e che certamente un po’ di nervosismo fosse da mettere in conto, a fine stagione, nonostante il morale dichiarato alle stelle.
Con una levata di spalle, accantonò la questione, tornando al proprio programma per la serata e controllando l’orario dal display del telefono.
– Diciannove e trentacinque ... – mormorò tra sé – L’ora perfetta per pensare alla cena. -
 
Rientrato a casa e chiusa la porta d’ingresso, scorse immediatamente Yuki al tavolo del soggiorno, china sui libri e completamente assorta nello studio. Le si avvicinò lento, perché lei intuisse la sua presenza ma non ne venisse disturbata; venne colpito dalla confusione di libri e appunti che copriva la postazione e la sua attenzione finì su tre tazze mug, traccia evidente di un pomeriggio teso trascorso tra i libri di testo; le tolse dal tavolo per lasciarle sul piano della cucina e poi, in paziente attesa che lei sollevasse lo sguardo, si mise a scrutare dalla finestra, con una spalla appoggiata allo stipite, voltandosi di tanto in tanto ad osservarla mentre con le dita sottili giocherellava con la matita incastrata tra i capelli raccolti in un improvvisato chignon. Quando, dopo alcuni minuti, la vide sollevare lo sguardo dagli appunti, si mosse e sedette accanto a lei, poggiando sul ripiano l’involto che fino a quel momento aveva trattenuto tra le mani.
- Ciao Yuki. Pronta per una pausa? – le chiese chinando il capo e cercando il suo sguardo velato di stanchezza.
La vide annuire lenta e poi dare un’occhiata al tavolo, come se cercasse qualcosa; - Se cerchi le tazze, le ho messe là. – le disse poi, indicando l’angolo cottura con il capo, mentre allungava una mano verso il suo viso e lasciava una carezza leggera sulla sua guancia, sinceramente preoccupato – Ma … hai almeno pranzato, o ti sei concessa solo il tempo per quelle tisane? –
Yuki rimase perplessa, con gli occhi socchiusi, quasi stesse recuperando chissà quali dettagli dalla memoria, cullata da quel gesto delicato – Credo di aver mangiato della frutta … -
– Capisco. – annuì Genzo, ritraendosi lentamente e cambiando registro - Beh, tranquilla: questa sera cucino io! – scherzò poi, mentre estraeva il contenuto della busta.
- Hamburger!? – esclamò Yuki ad occhi sgranati, restando a bocca aperta – Sei veramente passato al McDonald’s? –
Genzo annuì, soddisfatto dell’effetto ottenuto – So che non è esattamente il pasto tipo della dieta dello sportivo, ma ho pensato che, dovendo studiare, avresti gradito più questo, piuttosto che metterti ai fornelli … o peggio ancora, sottoporti ad uno dei miei esperimenti culinari! – si giustificò poi, mentre già Yuki impilava i libri su un lato del tavolo, facendo un po’ di spazio davanti ad entrambi.
- Sei fantastico, Genzo! – decretò solennemente con una strizzata d’occhio, aprendo l’involto del proprio panino – Pollo! Hai pure ricordato di prendere il mio preferito! –
Genzo annuì soddisfatto, con un bel sorriso furbo sul volto - Diciamo che ho ottimizzato la serata, visto che in questo modo potrò ripulire in un attimo … mentre tu puoi tornare a concentrarti sui tuoi muscoli, tendini, cartilagini e acciacchi vari … - spiegò prima di addentare il suo enorme panino multi strato – Aranciata, giusto? – le chiese poi, passandole il suo bicchiere, soddisfatto nel vederla così entusiasta della cenetta, mentre lei allungava la mano per afferrare la bevanda.
- Sono stanchissima … - gli confidò Yuki prima di portare la cannuccia alle labbra - … ma devo tenere duro! Domani sarò impegnata con l’appello del mattino e potrei capitare tra gli esaminati già prima di pranzo, perciò non avrò tempo di ripassare. –
Genzo la osservò comprensivo – Con una bella doccia recupererai un po’ di energie e poi potrai riprendere a ripassare, ma non fare troppo tardi: perché è importante anche il riposo, per essere davvero al meglio … e comunque, so che ci hai messo l’anima, e quando si lavora sodo, i risultati arrivano! -
Yuki lo guardò di traverso – Certo, coach! -
- Yuki! – la riprese lui fintamente offeso, per poi distendere il viso e passare ad un tono più basso; - Mi avviserai domani, quando avrai terminato? – le chiese cercando di mascherare un po’ di imbarazzo nel mostrarsi tanto interessato e nascondendosi dietro un altro morso al panino, per poi risollevare lo sguardo, cercandola – A questo punto, sono in agitazione pure io, lo ammetto … -
- Ti mando un messaggio non appena concludo. – lo rassicurò lei annuendo – Sperando di non essere l’ultima! – aggiunse poi, iniziando a pescare dal cartoccio delle patatine.
- Allora terrò d’occhio il telefono finché tu non ti farai sentire. – concluse lui.
 
Genzo distese le gambe davanti a sé, mentre l’indice si infilava appena al di sotto dell’angolo della facciata che stava per terminare, scivolando dall’alto in basso, nell’intento di voltare pagina. Si era riproposto di terminare Il mondo di Sofia quella stessa sera, quando si era accomodato sul divano, al fianco di Yuki, quasi volesse accompagnarla con una silenziosa sessione di lettura in quell’ultima fase di ripasso, lasciandosi trasportare da quel libro che lei stessa gli aveva consigliato; e mentre lei si era isolata da tutto, concentrandosi sullo studio, pure lui era riuscito ad immergersi completamente nell’opera e non si era nemmeno reso conto di quanto tempo fosse passato da quando si era sistemato al proprio posto … A quel punto, tuttavia, iniziava ad avvertire tutta la stanchezza di una lunga giornata di allenamento e il proposito di lettura aveva rapidamente ceduto il passo al bisogno di riposo.
Infilò tra le pagine il suo personale segnalibro, un origami a forma di farfalla che Yuki gli aveva realizzato qualche sera prima, e chiuse il volume per poi depositarlo sul tavolino, afferrando invece il cellulare per dare una controllata ad eventuali messaggi in sospeso. Non ci trovò niente altro che le solite lamentele di Kaltz per l’ennesima uscita a cui Genzo aveva dato buca e non si curò nemmeno di rispondere, sollevando appena le spalle e lasciando scivolare il telefono fino a terra.
- Mezzanotte passata da un pezzo … - mormorò, decidendo immediatamente che fosse decisamente l’ora di riposare, e volgendosi a Yuki, con l’intento di comunicarle l’intenzione di mettersi a letto – Per me è proprio ora di … -
La frase rimase in sospeso. Yuki, evidentemente sfinita dallo studio, si era già assopita, rimanendo quasi seduta la proprio posto, con il fascicolo di appunti aperto tra le mani.
- Yuki … - la chiamò piano, indeciso se svegliarla o meno – Ehi … - provò ancora, posandole la mano su un braccio, ma la ragazza parve non accorgersi nemmeno dei suoi richiami; la vide trarre un profondo respiro e accomodarsi meglio accanto a lui, fino a poggiare la tempia sulla sua spalla.
Genzo trattenne il fiato per qualche istante, rimanendo a fissarla, quasi ipnotizzato, incapace di muoversi; dischiuse le labbra, quasi volesse chiamarla di nuovo, ma il suo nome si spense in un sussurro leggero, appena udibile. Quello che invece era forte e impossibile da ignorare era la tenerezza assoluta che la vista di Yuki, così addormentata, gli aveva acceso dentro, facendo vibrare qualcosa di sottile, sotto lo sterno, e che continuando ad osservarla, con gli occhi chiusi e le labbra sottili, pareva crescere a dismisura.
Chiamarla … per svegliarla e riportarla a quella strana tensione che le aveva letto negli occhi negli ultimi giorni e che si era fatta densa e cupa dopo cena, insieme al timore di non aver fatto abbastanza per quell’esame decisivo. Chiamarla, pensò, per spezzare il suo riposo, meritato quanto necessario, e finire per metterla a disagio. Chiamarla, per poi darle la buona notte e indurla ad approntare il letto …
Genzo scosse appena il capo, si guardò attorno e, sporgendosi dal divano, con la massima attenzione a non svegliare Yuki, raggiunse con la punta delle dita l’interruttore, riuscendo a spegnere le luci del soggiorno.
Improvvisamente avvolto dall’ombra della notte, si aggiustò meglio sulla seduta e mosse lentamente il braccio in modo da cingerle le spalle e sistemarla meglio sul proprio petto. La strinse appena, mentre lei, nel sonno, si accomodava ancora su di lui, e poi chinò il capo fino a sfiorarle i capelli con la guancia; chiuse gli occhi, godendo di quel contatto del tutto nuovo e inspirando il profumo delicato dei suoi capelli.
Nella mente, si affollarono i pensieri dell’intera giornata: quelli che lo avevano esaltato sul campo dell’allenamento, come quelli leggeri condivisi con Yuki durante la cena; i dubbi irrisolti e le riflessioni rimaste in sospeso, dopo la chiamata di Tsubasa, rimandate a momenti più opportuni, perché niente, quella sera, avrebbe dovuto distrarre Yuki dal suo studio … Rimase per qualche minuto ad ascoltare il silenzio dell’appartamento, quasi in attesa, seguendo il ritmo tranquillo del suo respiro; si lasciò cullare dalla pace di quell’abbraccio nascosto, e poi, ringraziando la notte e le sue ombre, mosse appena le labbra, lasciando un bacio delicato tra i suoi capelli.
 
[i] Terza traccia di Black holes and revelations dei Muse (2006)
[ii] Giornale sportivo de Barcellona, anzi, mi risulta essere il giornale del FC Barcelona; se non fosse, andate di immaginazione, per favore!

Angolo dell'autrice: le vacanze terminate (accidenti!) e il ritorno al lavoro a ritmo serrato mi stanno logorando in un mix che non immaginavo così pesante da sopportare. Questa storia mi offre una via di fuga... Per fortuna qualcosa sembra che si stia smuovendo a casa Wakabayashi... la svolta è dietro l'angolo, ma in curva, si sa, bisogna rallentare...
Grazie a chi legge e mi tiene compagnia con i suoi commenti e il suo supporto... 
A presto
mgrandier

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** ... chiarezza ***


8 - … chiarezza
 
(Il pomeriggio seguente, inizio giugno)
 
Al termine degli allenamenti e dell’incontro avuto con il mister, nonostante l’euforia del gruppo, Genzo si era defilato rapidamente, raggiungendo lo spogliatoio prima dei compagni ed evitando di essere coinvolto in qualsivoglia programma per la serata; aveva puntato dritto al proprio armadietto, spogliandosi rapidamente e controllando ancora una volta le notifiche del telefono, prima di concedersi una meritata doccia.
Nel suo animo aveva un tumulto di emozioni che a stento riusciva a gestire ma, mentre azionava il miscelatore e il getto caldo lo investiva, cercò di concentrarsi solo su un unico obbiettivo: lasciare il campo al più presto. Presa una generosa dose di shampoo, iniziò a frizionare i capelli, ripassando mentalmente il programma che aveva definito e valutando le opzioni possibili.
Il fatto che Yuki non avesse ancora mandato nessun messaggio, lo inquietava oltremodo; nonostante fosse consapevole della concreta possibilità che il suo esame non fosse ancora terminato, evenienza che sembrava la più logica e lineare motivazione di quel prolungato silenzio, Genzo nutriva il serio dubbio che lei lo stesse volontariamente evitando e il tarlo di quest’idea stava diventando progressivamente più inquietante con il passare di ogni minuto. Ripercorse per l’ennesima volta il filo di quella mattina, cercando dettagli rimasti in disparte, nel tentativo di dipanare la matassa dei propri dubbi, ma si accorse di avere così tanti pensieri ad affollarsi in testa, che ormai avere una visione lucida e precisa di quanto era accaduto fosse una partita persa. Era certo di essersi alzato molto prima del suono della sveglia, e pure in anticipo su quella di Yuki, e di aver lasciato il divano prima che lei potesse svegliarsi, con il preciso intento di evitarle di affrontare la questione di quella notte trascorsa insieme a lui, stretta nel suo abbraccio; era consapevole di essere riuscito a prepararsi senza che lei si svegliasse e ricordava perfettamente il momento in cui le si era accostato, posandole una mano sulla spalla, per chiamarla con delicatezza, fino a farla scivolare dal sonno. Si era assicurato che fosse sveglia e poi, mentre lei ancora si stropicciava gli occhi, l’aveva avvisata di doversi recare al campo con un certo anticipo e le aveva ricordato il loro accordo: avvisami non appena avrai terminato. Aveva atteso che lei mormorasse qualche parola di conferma e poi, sporgendosi dal disimpegno e incrociando il suo sguardo assonnato, l’aveva salutata strizzandole l’occhio e sollevando indice e medio incrociati in un silenzioso buona fortuna. Infine, si era affrettato a lasciare l’appartamento, diretto con passo spedito … il più lontano possibile da lei.
Si dedicò meccanicamente al proprio corpo, cercando di essere svelto, sollevò il viso verso l’erogatore della doccia, lasciando che il getto lo investisse dritto sul volto, e rise tra sé: non aveva rallentato il passo finché non era giunto al campo, benché sapesse che a quell’ora lo avrebbe trovato ancora chiuso, ma per tutto il tragitto non aveva fatto altro che pensare alla remota possibilità che anche Yuki si recasse al campus in anticipo, finendo per raggiungerlo lungo la parte comune di cammino, quello che talvolta avevano coperto insieme. Si era infilato in un bar e aveva consumato la sua colazione in impaziente attesa di poter accedere al terreno di gioco.
Scosse il capo e, chiuso il getto dell’acqua, afferrò un asciugamano per legarlo sui fianchi, mentre l’allegra confusione dei compagni che lo avevano raggiunto iniziava ad occupare l’ambiente delle docce già saturo di vapore. Indifferente al vociare degli altri, si diresse all’armadietto, tenendo lo sguardo basso ed evitando i compagni, per poi strofinarsi alla meglio con l’asciugamano, vestendosi sulla pelle ancora umida … fino a che una generosa manata non lo sorprese colpendolo alla schiena.
- Gen, andiamo a festeggiare al solito posto: sei dei nostri, vero? Questa volta non puoi davvero rifiutare! – la voce di Kaltz gli giunse con la stessa forza del colpo appena ricevuto.
Sospirò sonoramente, negando con il capo – Mi dispiace, Kaltz. Devo andarmene di qui immediatamente: come vedi, stavo cercando di fare in fretta a prepararmi perché ho un impegno. –
Lo sguardo dell’altro si fece sottile e il viso si arricciò in una smorfia, mentre lo stecchino passava rapidamente da un lato all’altro delle labbra – Ci scommetto le palle che c’è di mezzo la tua coinquilina segreta! – e una generosa stretta tra le proprie gambe sottolineò le parole appena pronunciate.
- Kaltz, non attaccare con questa storia! – gli rispose allora Genzo cercando di controllarsi, mentre armeggiava con i jeans per farli scorrere sulla pelle umida e abbottonarli – Devo andare a basta. –
La punta libera dello stecchino disegnò un cerchio perfetto nell’aria – E dai, Gen, che sarà mai? Ci beviamo una birra e poi vai! Le mandi un messaggio e le dici di aspettarti! –
Genzo negò ancora, irremovibile, lo sguardo che dalla cintola salì a puntarsi in quello del compagno di squadra – No. Vado da lei adesso. Perché aveva un esame questa mattina e non mi ha ancora … -
- Oh, Oh! Ma come siamo coinvolti, portiere! – se ne uscì a tutto volume Kaltz, stringendogli un braccio completamente bagnato attorno alle spalle, per poi sputare lo stecchino a terra – Questa sì che è una notizia! A questo punto devo vederci chiaro … -
Con un movimento rapido, Kaltz lasciò Genzo e afferrò la propria borsa dall’armadietto accanto al suo, per poi fiondarsi alla porta dello spogliatoio.
- Ma cosa stai …? – farfugliò Genzo, seguendo i suoi movimenti, disorientato.
- Vengo con te. – dichiarò sicuro, appoggiandosi al battente e iniziando ad asciugarsi alla meglio – Voglio vederci chiaro, in questa faccenda. – ripeté.
Genzo si portò un palmo alla fronte, scandalizzato, realizzando il motivo della mossa dell’altro.
– No! – gli urlò contro, dimenticando per un istante i bottoni ancora slacciati della propria camicia – Ma cosa c’entri con … -
- E’ deciso, Gen: ti accompagno. – ribadì sicuro il grosso biondo, affaccendandosi con i propri abiti e iniziando a vestirsi.
- No, Kaltz, davvero … - tentò ancora, avvicinandosi alla porta e cercando di smuovere il battente, forzando il peso dell’altro – Lasciami uscire di qua! -
- Non se ne parla, bello. Mi hai già fregato l’altra volta, quando sei scappato dopo l’allenamento senza dire niente. – insistette Kaltz, bloccando meglio la porta con il fianco e sollevando un ginocchio per infilarsi i pantaloni – Quindi, oggi, se tu non vieni con me, allora io verrò con te; e non ti preoccupare: sarò assolutamente discreto. –
Genzo soffiò un sbuffo nervoso, posando la sacca a terra e riportando le mani ai bottoni, per chiudere la propria camicia, consapevole di non avere scampo.
Rivestito a tempo di record, Kaltz riempì alla meglio il proprio borsone e se lo mise in spalla, urlando rivolto allo spogliatoio – Cambio di programma, gente! Io devo andare con Gen, ma voi divertitevi e bevete alla sua salute! –
Poi, sorridendo a Genzo in modo sfacciato, aggiunse – Sono pronto. –
 
Kaltz se ne stava accasciato a braccia conserte, seduto sulla panchina lanciando occhiate interessate alle ragazze di passaggio e sciorinando apprezzamenti e giudizi non richiesti, mentre Genzo, al suo fianco, teneva i gomiti appoggiati alle ginocchia e tra le mani rigirava il cellulare. Di tanto in tanto, portava il palmo alla fronte, coprendo il volto per nascondere il proprio imbarazzo, o come se potesse fuggire da quella scomoda situazione, mentre l’amico, incurante del suo disagio e evidentemente in pace con se stesso, non dava segno nemmeno di soffrire quella lunga attesa.
- … perché comunque, qui il posto è pure interessante. – stava riflettendo Kaltz – Non posso darti torto, anche se non mi è ancora chiaro se tu mi stia prendendo per i fondelli o se veramente prima o poi salterà fuori la tu amichetta. – proseguì – Da quando ci siamo seduti non mi hai detto una parola e neanche … -
Ding
Genzo rigirò lesto il cellulare tra le dita, individuando al volo l’anteprima del messaggio.
- E’ andata! –
Trasse un profondo respiro e aprì immediatamente la chat, muovendo i pollici rapidamente – Sei già uscita dal campus? Perché io sono nel parco di fronte al rettorato. –
Solo un istante di attesa, prima della comparsa della risposta – Sei davvero qui?! Arrivo immediatamente: ci vediamo al cancello principale. -
Un largo sorriso gli distese le labbra, mentre già si alzava dalla panchina e infilava il cellulare meccanicamente in tasca, dirigendosi al punto dell’incontro a grandi falcate. Si guardò attorno, cercando tra le sagome degli studenti il volto noto di Yuki, e dovette attendere qualche minuto, e diverse ondate di giovani, prima di incontrare finalmente gli occhi che aveva cercato.
Yuki sbucò da un edificio a nord del rettorato[i], affiancata da due ragazze dai tratti nordici, un poco più alte di lei, con le quali sembrava stesse chiacchierando fitto, ma non appena si accorse di lui, accelerò il passo, lasciando indietro le amiche, salutandole con un gesto rapido.
- Genzo! – lo chiamò lei quasi volando, scansando altri passanti e tenendo lo sguardo nella sua direzione, mentre lui continuava ad osservarla, a pochi metri dall’ingresso del campus – Ce l’ho fatta davvero! –
Lo raggiunse praticamente in corsa e si arrestò ad un passo da lui, quasi incespicando tra i propri passi, evidentemente felice, ma anche in difficoltà, con le mani strette una nell’altra e una espressione indecifrabile a trattenere e avvolgere in un’unica matassa la gioia, la tensione e un turbine di emozioni contrastanti …
Lui rimase ad osservarla, rapito dai suoi occhi scuri e dalle sue labbra strette in un sorriso che sembrava temesse di andare oltre.
- Yuki … - riuscì appena a chiamarla, e d’istinto allargò un poco le braccia da sé, con i palmi rivolti a lei, in una sorta di timido invito.
Allora, la vide socchiudere lo sguardo e mordersi le labbra, quasi stesse trattenendo se stessa, e respirare profondamente, prima di sciogliere i propri timori, muovendo quell’ultimo passo e rifugiandosi nel suo abbraccio con un unico slancio.
Genzo avvertì come Yuki gli si strinse contro, le braccia chiuse sopra le sue spalle e il capo poggiato al suo collo; si mosse senza nemmeno pensarci, per piegare le proprie braccia e trattenerla a sé. La sollevò da terra, dondolandosi un po’ per tenerla ancora più stretta; gli parve esile e leggera, eppure piena di energia, nel suo tenersi aggrappata a lui, e se nei primi istanti aveva avvertito la tensione esplodere, insieme all’euforia emersa nel rivedersi, poi, attimo dopo attimo, il loro abbraccio aveva mutato la sua forma, sciogliendosi in una calda tenerezza e in qualcosa a cui non era in grado di dare un nome, ma che era innegabilmente presente, di nuovo.
Yuki aveva mosso appena le mani, portando i palmi aperti sulle sue spalle, e lui stesso aveva preso ad accarezzarla, le mani a scivolare lente e disegnare la curva della schiena, morbida sotto la stoffa leggera. Il respiro di Yuki aveva tremato, sotto il suo tocco e la stretta si era fatta ancora salda, in quel momento, rassicurante e decisa. Ad occhi chiusi e senza nemmeno pensarci, aveva insinuato il naso nell’incavo tra la spalla e il collo, accarezzandola ancora e inspirando lento, per cercare la sua pelle e il suo profumo lungo il bordo della sua maglietta … ma poi, tutto d’un tratto, il vociare tutto attorno a loro era tornato, riacceso dalla suoneria di un telefono che aveva preso a squillare poco lontano, e quell’attimo di pace si era incrinato, come la barriera sottile che li aveva separati dal resto del mondo.
Genzo spalancò gli occhi, sollevando il capo di scatto per guardarsi attorno e anche Yuki si mosse, in risposta ai suoi gesti improvvisi. Si fissarono solo per qualche frazione di secondo, prima che Genzo recuperasse un poco della propria sicurezza, mettendo insieme alla meglio una domanda per superare l’impasse e permettere ad entrambi di tornare alla realtà.
- Ce l’hai fatta davvero, quindi? – le chiese, separandosi appena da lei – E hai dovuto veramente attendere tutto il pomeriggio … -
Yuki annuì, portandosi le mani le mani alle tempie, in un gesto di eloquente incredulità.
– Mi ha lasciata per ultima! E’ stata una tortura! – esordì, dapprima un po’ incerta, riorganizzando i pensieri – Venivano chiamati gli altri, uno dopo l’altro, e tanti se ne andavano senza nemmeno un voto … ma il mio turno non veniva mai! Stavo per cedere alla tensione e poi … - si interruppe un istante, prendendo fiato e addolcendo lo sguardo - … e poi ho pensato che dovevo resistere, perché ci ho messo l’anima e perché quando si lavora sodo, i risultati arrivano, prima o poi … -
Genzo sorrise, riconoscendo le proprie parole.
 – Sei stata in gamba, Yuki, e io non avevo dubbi. – le disse – Ora, però, ti meriti un po’ di riposo … magari qualche giorno senza studio ti farebbe bene. Per esempio, potresti prenderti il tempo di … –
- Non se ne parla nemmeno! – lo interruppe quasi scandalizzata negando con il capo – Domani sistemo il materiale e mi organizzo per attaccare con il prossimo esame: non posso perdere altro tempo! -
- Capisco … - annuì comprensivo, con un sospiro accondiscendente - … allora prendiamoci almeno il tempo per una cena in centro, per festeggiare. Che ne pensi? –
- Peso che sia un’idea fantastica! – sbraitò una voce ben nota alle sue spalle e Genzo chiuse istintivamente gli occhi in una smorfia, portandosi una mano alla fronte, realizzando di essersi completamente dimenticato della presenza del compagno di squadra – Non c’è modo migliore per festeggiare che uscire a cena tutti insieme e … -
- Tu non devi festeggiare niente! – lo interruppe Genzo scuotendo il capo e voltandosi a puntare Kaltz, per poi muovere un passo e allungare un braccio dietro di sé, in direzione di Yuki, quasi a volerla proteggere dall’altro.
- Ma tu sì, Gen! - reagì il biondo raggiungendoli, con una espressione sorpresa rivolta a Genzo - Possibile che non tu non le abbia … -
Genzo sollevò una mano per zittirlo in un gesto eloquente.
- Lascia perdere. – ribadì perentorio – Me la cavo anche senza il tuo aiuto. – e con quelle parole e un’occhiata severa, cercò un’intesa che parve insinuare un dubbio nella mente dell’altro; un lampo negli occhi del tedesco, il sorriso teso a riaffiorare.
- Sicuro? – chiese Kaltz sollevando un sopracciglio e spostandosi di lato, cercando di scorgere la ragazza nascosta alle spalle di Genzo – Non è che potremmo farci almeno un giretto, per bere qualcosa insieme e vedere se … -
La reazione di Genzo fu immediata: con uno scatto si trovò addosso a Kaltz, i pugni chiusi, stretti alla sua maglia, e gli occhi divenuti due fessure furenti.
- Basta! Con lei non ci scherzi; chiaro?! – gli ringhiò contro, strattonandolo energicamente – Non devi nemmeno azzardarti a pensarci, perché altrimenti io … -
Quando si accorse dell’espressione soddisfatta dipinta sul volto di Kaltz, Genzo mollò la presa sulla stoffa, spingendo il compagno lontano da sé.
- Sei un bastardo … - gli mormorò a labbra strette, scuotendo appena il capo – Sei solo un … - ma l’altro non pareva per niente offeso, né sorpreso da ciò che era accaduto.
- Va bene, Gen. Adesso posso anche tornare dagli altri: ho visto abbastanza. – dichiarò Hermann, le labbra serrate che si allungavano in un sorriso storto, fortemente provocatore e le braccia sollevate come in segno di resa, a mostrare i palmi; – Ci vediamo al campo, amico mio. – aggiunse poi, arretrando di qualche passo, mentre allungava un braccio verso terra per afferrare una delle sacche che aveva abbandonato poco prima.
Genzo dischiuse le labbra per rispondere, ma non ne ebbe il tempo: si vide arrivare dritta addosso la propria borsa e la afferrò al volo, reagendo d’istinto alla mossa di Kaltz.
- A domani! – si congedò ancora quello, allontanandosi rapido, - E fai il bravo! – aggiunse sorridente, con una strizzata d’occhio, e a Genzo non rimase che cercare di riprendersi, riflettendo rapidamente sulla propria istintiva reazione e pure sull’immediato cambio di registro avuto da Kaltz. Scosse appena il capo, ammettendo di essersi fatto fregare per bene dall’amico, ma anche certo che il biondo avesse ben compreso la situazione, anche se non avrebbe di certo esitato a togliersi qualche soddisfazione alle sue spalle con i compagni.
Con un profondo sospiro, si volse alle proprie spalle, trovando immediatamente lo sguardo di Yuki che certamente aveva assistito all’intera scena ma che sperava non fosse in vena chiedere spiegazioni. Portò una mano alla tempia, sfregando le dita sulla pelle tesa, nascondendo l’imbarazzo che lo aveva colto non appena aveva realizzato i contorni di quella strana situazione, ma il tocco della mano di Yuki sulla propria lo fece riemergere dallo stallo e il suo sorriso lo riportò a galla in quel mare di pensieri in cui aveva temuto di affondare.
- Allora, Genzo, cosa stiamo aspettando? Io comincio ad avere fame! –
No, realizzò, lei non avrebbe chiesto nulla.
 
Avevano cenato in un tranquillo locale del centro, seduti ad un tavolo defilato, ai margini del via vai di turisti che nei mesi estivi riusciva ad insinuarsi in ogni angolo della città, e si erano goduti la pace che pervade dopo una giornata intensa, sciogliendo la tensione nell’allegria di una lunga e spensierata conversazione. Si erano concessi anche il dolce, aggiungendo un ennesimo strappo alla dieta sportiva di Genzo, perché Yuki aveva insistito tanto sostenendo che se lo meritavano proprio, e infine avevano lasciato il ristorante, prendendo a passeggiare per il centro dove le strade si erano fatte un poco più affollate e il loro passo era divenuto più lento e rilassato.
Camminando uno di fianco all’altra, si erano fermati ad osservare le vetrine dei negozi più disparati, trovando da scherzare sugli orribili e inutili gadget da turisti, ma anche su abbigliamento eccentrico e scarpe con tacchi così vertiginosi che avevano fatto inorridire Yuki e ridere di gusto Genzo.
Davanti all’immenso Adidas store si fermarono, entrambi interessati agli articoli tecnici che facevano bella mostra di sé attraverso l’ampia vetrina nella sezione calcio.
- Quelle piacerebbero a mio fratello! – esclamò lei indicando un paio di scarpini da calcio di ultima generazione – Sono pure blu, come piace a lui! –
Chinato ad osservare una serie di completi da portiere, all’udire le parole di Yuki, Genzo si irrigidì all’istante.
– Accidenti! Tsubasa! – urlò quasi, portando una mano alla fronte, mentre Yuki lo guardava perplessa – Ieri mi ha chiamato perché non riusciva a contattarti: gli ho detto che certamente avevi il telefono spento perché stavi studiando e lui mi ha chiesto di riferirti che ha fatto quella chiamata che sai tu … - continuò tutto d’un fiato – Caspita, prima non volevo disturbarti, ma poi mi sono completamente dimenticato di dirtelo! –
La risata genuina con cui Yuki reagì alle sue parole, sorprese Genzo che rimase imbambolato a guardarla.
- Perché la cosa ti diverte tanto? – le chiese – Per Tsubasa sembrava essere una cosa molto seria … -
- Oh, seria lo è di certo! – prese a spiegare Yuki, mentre governava il respiro e le labbra si muovevano dalla risata ad un ampio sorriso – Ma Tsubasa ha dimenticato che non c’era alcun bisogno che lui mi avvisasse di aver fatto quella chiamata. – spiegò sibillina, per poi continuare più apertamente – Sanae mi ha tempestata di messaggi l’altra notte, non appena si sono sentiti! –
Genzo rimase a bocca aperta, con un accesso di sorriso sghembo – Quindi tu sapevi tutto ancor prima che lui cercasse di avvisarti … -
Yuki annuì decisa – Lei mi ha anche chiamata ed era così felice da non riuscire a trattenere le lacrime … -
Genzo aggrottò la fronte, continuando a non capire e Yuki allargò le braccia ruotando lo sguardo tutto attorno a sé, prima di chiarirgli l’accaduto.
– Si sono messi insieme ufficialmente! – gli spiegò come avrebbe fatto con qualcuno che proprio non sarebbe riuscito ad arrivare al punto per conto proprio – Mio fratello si è dichiarato dopo quasi dieci anni di tiramolla! –
Lui accomodò la sacca sulla spalla scuotendo il capo, restando senza parole, e Yuki riprese, evidentemente carica per la faccenda – Vuoi che ti racconti la scena? Sanae mi ha riportato praticamente tutto il discorso … -
- No! Per carità! – intervenne Genzo, allarmato, per fermarla – Finirei per pensarci ogni volta che incontrerò tuo fratello, o anche solo ad ogni telefonata … -
Yuki reagì annuendo alle sue parole – Già, in effetti anche io rischio la stessa cosa … ma ancora mi chiedo come ci sia riuscito: incredibile a dirsi, ma Tsubasa è andato pure abbastanza dritto al punto! – spiegò, sottolineando il senso di quelle parole con l’indice puntato sul palmo aperto, per poi riflettere meglio e aggiungere – D’altra parte si è preso parecchio tempo per prepararsi … Povera Sanae! Io non potrei resistere tanto … Io avrei preteso un chiarimento molto tempo fa! –
- Forse, e dico forse, Sanae non è esattamente come te … - cercò di ipotizzare lui cauto - … e comunque, un po’ capisco tuo fratello: trovare il modo di dichiararsi non è così semplice! –
Yuki sospirò sonoramente rivolgendogli una pungente occhiata di traverso – Sei sicuro di non volere il racconto dettagliato? Sai, potrebbe esserti di ispirazione, qualora ne avessi bisogno … -
Genzo sbarrò gli occhi trattenendo il fiato, ma l’espressione allegra e scherzosa di Yuki lo aiutò a superare il momento, nella speranza di aver travisato la sua uscita; nel frattempo, lei si era fatta quasi pensierosa e il suo sguardo sottile.
– Sanae è una ragazza piena di energia e con le idee molto chiare, lo si capisce da come ha sostenuto la Nankatsu, e a quanto pare soprattutto Tsubasa, fin dalla prima partita contro la tua Shutetsu, senza mai scoraggiarsi, trascinandosi dietro tutti i tifosi … Ma esporsi in quel modo con mio fratello, per lei era tutto un altro discorso. – gli raccontò mostrando un certo coinvolgimento – E lui ha sempre tirato avanti nel dubbio che la distanza tra loro avrebbe rovinato tutto, senza accorgersi che così, mettendoci una distanza ulteriore oltre a quella geografica, peggiorava solo le cose. Per entrambi. -
Genzo annuì tendendo le labbra, convinto – In questo, non posso che darti ragione: restare nel dubbio è la cosa peggiore, per chiunque. Soprattutto per così tanto tempo … -
L’espressione di Yuki gli parve soddisfatta; la vide riflettere ancora per qualche istante e quindi tornare a guardarsi attorno, per poi riprendere ad avanzare con passo deciso, superando la vetrina e lanciando un ultimo sguardo alle scarpe che avevano dato il via a quella divagazione – Comunque quelle scarpe potrebbero essere un bel regalo di compleanno per Tsu! –
Lui rimase ad osservarla mentre, di spalle, si allontanava in mezzo ai passanti, con la mente rimasta ancorata a quelle poche parole: io non potrei resistere tanto …
Soffiò un lungo sospiro, svuotando il proprio petto e scuotendo il capo, prima di portare la sacca all’altra spalla, stringendo forte le dita attorno alla cinghia, per poi avviarsi a raggiungere Yuki a passo spedito, prima che la sua figura finisse per svanire tra la gente che sfilava lungo la via. Per arrivare a lei prima che fosse troppo tardi.
 
[i] Ho solo una vaga idea di come sia l’Università di Amburgo, perciò, eccezionalmente, il Politecnico di Milano (che invece conosco a menadito) mi farà da modello per questi spostamenti universitari. Abbiate pazienza…

Angolo dell'autrice: In questo caso, "chiarezza" è la parola d'ordine e si è imposta come "questione" per questo capitolo.
Anticipo a oggi l'aggiornamento perche potrei essere un po' occupata nei prossimi giorni... 
Un abbraccio e un doveroso ringraziamento ancora e come sempre a chi mi sostiene e mi segue in questa avventura!
A presto
mgrandier

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** ... coraggio ***


9 - … coraggio
 
(La stessa sera, inizio giugno)
 
Procedendo ancora si erano inoltrati in una delle vie dello shopping più prestigioso, dove i marchi facevano sfoggio di grandi negozi eleganti e i passanti parevano sempre più affascinati dalla costruita opulenza degli stores.
Ad un tratto, Yuki si arrestò di fronte ad una elegante vetrina e Genzo le si fermò accanto, incuriosito e sorpreso nel vederla così attratta da quella esposizione di gioielli.
- Accidenti! Sono inguardabile! – gridò Yuki con gli occhi spalancati e le mani istintivamente portate a riavviare i capelli e Genzo comprese immediatamente che la sua attenzione non era rivolta ai gioielli esposti, ma allo specchio a tutta altezza che faceva da sfondo ad un’ampia parte della vetrina.
- Ma perché non me l’hai detto? – chiese poi, diretta a lui, con espressione quasi disperata e le braccia allargate come a mostrarsi, perché lui vedesse il suo stato – Non mi ero resa conto di come stessi andando in giro … -
Genzo non seppe trattenere un sorriso, mentre scuoteva il capo sollevando le spalle; con la sua maglia sportiva, i leggings scuri e le immancabili Superstar, gli sembrava assolutamente identica a come la vedeva ogni giorno.
– Cos’hai che non va, Yuki? – le chiese allora, per poi proseguire – Sei in ordine, come al solito. Io ti trovo … ti trovo … -
Rimase in sospeso, mordendosi per un istante le labbra e poi chinandosi appena ad osservarla meglio, socchiudendo gli occhi, tenendo il suo sguardo scuro legato a sé e muovendo una mano per andare ad sfiorare una ciocca sfuggita di nuovo al fermaglio che le tratteneva i capelli raccolti sul capo, ravviandola dietro il suo orecchio. Non seppe trattenersi, perché nella sua apparente semplicità, la ragazza ai suoi occhi era esattamente come avrebbe dovuto essere, di una bellezza genuina e spontanea; una costante attrattiva per la sua attenzione. Si impose di esprimere almeno uno dei pensieri che si erano affollati nella sua testa, mentre nella mente riecheggiava quell’urgenza che ormai premeva nel petto e stringeva le viscere con una cantilena sinistra: non potrei resistere tanto.
Ti trovo semplicemente perfetta.
Questo, avrebbe voluto dirle. Le parole, tuttavia, restarono incastrate tra lingua e palato, seccandogli improvvisamente la gola. Iniziava a comprendere meglio Tsubasa e, sebbene dieci anni fossero effettivamente molti, pensò anche che per lui esprimere persino un semplice apprezzamento stesse diventando un problema. La sicurezza e la apparente spavalderia dei primi tempi erano scemate in una catena fatta di timori. Un laccio che gli impediva di osservare la situazione con lucidità, di dare un nome alle cose e, soprattutto, di esprimersi liberamente. E la situazione pareva anche peggiorare quando, in qualche modo, il pensiero di Tsubasa e del suo legame con Yuki, tornava a galla. Quel pensiero tornò prepotente e Genzo si sentì bloccato; era difficile da ammettere, ma la consapevolezza di dover in qualche modo rendere conto a Tsubasa di qualunque cosa avesse detto, o peggio ancora fatto, a Yuki e con Yuki, si insinuò nelle sue vene come un veleno paralizzante. Con grande sforzo, scacciò l’immagine del compagno di nazionale, cercando di concentrarsi sulla ragazza al proprio fianco.
Riuscì a chinarsi appena, avvicinandosi alla sua guancia, mentre lei tratteneva il respiro – Credo che il mio giudizio non abbia molto valore, sai? – le sussurrò forzando se stesso – Non penso di saper essere imparziale, in questo caso. - aggiunse semplicemente e poi arretrò un poco, cercando la sua mano con la propria e insinuando le dita tra le sue, mentre lei, con gli occhi spalancati e le labbra socchiuse, restava imbambolata a fissarlo, con le guance improvvisamente arrossate. Genzo strinse un poco la presa, quasi a risvegliarla da quell’attimo di imbarazzo, per tirarla gentilmente a sé e indurla a riprendere la loro passeggiata. E quando la sentì muovere i primi passi per seguirlo, non lasciò la sua mano, ma si fece coraggio e la trattenne, guidandola a camminare tra la gente e conducendola tra i passanti, sfilando insieme tra i gruppi che popolavano le vie.
Camminarono a lungo, in silenzio, quasi mano nella mano, con le dita appena intrecciate e in grado di sfiorarsi ad ogni passo, ma evitando di guardarsi negli occhi, con una strana e densa atmosfera ad aleggiare tra loro; raggiunsero il lungofiume orientale quando ormai il cielo si era fatto quasi completamente scuro alle loro spalle, mentre di fronte a loro la città disegnava un profilo scuro e frastagliato sul cielo sfumato negli ultimi toni caldi del tardo tramonto estivo.
- Adoro i grandi fiumi. – dichiarò Yuki spezzando il lungo silenzio e poggiando i gomiti sul parapetto che proteggeva la passeggiata dalla riva dell’Elba, sotto di essa; la ragazza aveva lo sguardo rivolto al fiume e gli occhi tradivano il suo essere rapita da ciò che osservava – E questo mi piace particolarmente perché ha pure questo porto immenso e sempre in movimento … -
Genzo le si affiancò, piegandosi a propria volta sul parapetto e sostenendosi sui gomiti – Durante il mio primo anno ad Amburgo, venivo spesso qui ad osservare le navi attraccate al porto. - iniziò a raccontare, tenendo lo sguardo rivolto alle imbarcazioni – Nonostante fossi abituato ad una vita solitaria, qui ho dovuto adeguarmi alla sensazione di isolamento assoluto che la lontananza dal Giappone aveva aggiunto a ciò a cui ero avvezzo; il porto mi ricordava che tante persone vivono lontane da casa riuscendo a trovare comunque punti fermi nella loro vita, perché ogni volta che si fermano ad un molo, è come se tornassero ad allacciare legami con il mondo. –
Con le dita, prese a giocare con la superficie polverosa del parapetto; raccontare di sé e del proprio passato gli risultava semplice di fronte a lei, molto più che affrontare il presente – Sinceramente, spesso pensavo al Capitano Ozora … a tuo padre: ricordavo bene la reazione di tuo fratello quando l’aveva visto tra il pubblico, durante la prima partita in cui ci siamo affrontati … e non riuscivo ad immaginarmi nella stessa condizione. Nemmeno sforzandomi, arrivavo a provare un tale senso di appartenenza, a sentirmi legato a qualcuno … -
Yuki ascoltava attenta, con gli occhi socchiusi, quasi concentrata; all’udire quelle parole mosse istintivamente una mano sulla destra di Genzo – Non hai un buon rapporto con la tua famiglia, vero? –
Non ne avevano mai parlato.
Lui scosse il capo, con lo sguardo sempre basso – Non mi sento di farne una colpa ai miei genitori, che hanno scelto di farmi crescere nel nostro paese d’origine nonostante loro fossero impegnati a Londra per lavoro, né tantomeno ai miei fratelli che, entrambi più grandi di me, avevano già intrapreso i loro studi lontani dal Giappone quando io ero appena un ragazzino … e non posso nemmeno dire che di non avere un buon rapporto con la mia famiglia: semplicemente, non c’è. – concluse sollevando le spalle.
- Ti manca, giusto? – gli chiese ancora lei, stringendo la presa sulla mano.
Genzo levò lo sguardo a Yuki che, al vederlo, parve sorpresa; forse, immaginò lui, si era aspettata di vederlo triste, velato di amarezza, mentre in quel momento lui non avvertiva minimamente la tristezza che aveva pesato sul suo animo in passato, quella che aveva ingoiato e soffocato per riuscire a crescere e sentirsi davvero grande.
Le sorrise e cercò di spiegarsi – In passato, più che la mia famiglia, mi è mancato il provare quel legame speciale che non conoscevo, ma intuivo nei miei compagni, come in tuo fratello. –
- E ora? – azzardò Yuki – Sei abbastanza cresciuto da poterne fare a meno? –
Genzo socchiuse lo sguardo, puntandolo in quello della ragazza; sospirò profondamente, scegliendo le parole, prima di spiegarsi – Ora è diverso perché sono cambiato io ed è cambiato il mio mondo. –
Fece una breve pausa, vedendo Yuki ancora più sorpresa, con la fronte aggrottata, concentrata nello sforzo di comprendere.
- Starò via da casa alcuni giorni Yuki: - le spiegò tutto d’un fiato - parto con la squadra tra una settimana e … -
- Parti? – gli chiese di rimando, molto sorpresa – Hai un ritiro con i tuoi compagni? –
- E’ più di un ritiro, Yuki; molto di più. – ammise Genzo con un mezzo sorriso, raddrizzando la schiena per appoggiare il fianco al muretto, e inspirando profondamente – Abbiamo le qualificazioni per la Champions League con il Bayer Leverkusen e sono stato convocato come titolare, di nuovo ufficialmente in prima squadra. - precisò – Sinceramente, dovrei esserne elettrizzato, perché aspettavo questo momento da un sacco di tempo … - nascose lo sguardo a terra per qualche istante, prima di tornare a mostrarsi a lei e proseguire - … ma non riesco a vivere tutto questo come avrei immaginato. -
Yuki dischiuse le labbra, che tuttavia non seppero liberare altro che un suono strozzato, rimasto chiuso in gola, e lui la vide smarrita, leggendo nel suo sguardo qualcosa di scuro, che tuttavia non era in grado di leggere …
- E’ difficile ammetterlo, – spiegò lui, mordendosi le labbra, per poi riprendere ciò che era rimasto in sospeso – ma sto iniziando a capire cosa si provi all’idea di stare lontano da casa. –
 
Genzo si era sistemato sul divano con un lungo sospiro di apprezzamento; erano rientrati ormai da un pezzo, ma né lui né tantomeno Yuki sembravano intenzionati a dare un termine a quella lunga giornata piena di emozioni.
Avevano trovato ancora tanto da raccontarsi, camminando vicini e raggiungendo l’appartamento senza nemmeno prendere in considerazione i mezzi pubblici, ma semplicemente passeggiando, per il piacere di entrambi, scivolando da un argomento all’altro, quasi stessero fingendo di poter ignorare quella miriade di segnali, e di istanti troppo intensi, che si erano susseguiti dal momento in cui si erano riuniti, all’università; e quando erano giunti a casa, stanchi per la lunga passeggiata, si erano alternati in doccia, senza accennare al fatto di voler finalmente cedere al sonno.
Mentre lei trafficava al bancone della cucina, lui si era preso qualche minuto per dare un’occhiata al proprio cellulare; non si definiva un tipo social, ma cazzeggiare ogni tanto su Instagram o su Facebook restava un modo come un altro per rimanere in contatto con gli amici sparsi per l’Europa e per il mondo. Scorse rapidamente con il pollice una lunga serie di immagini istintivamente catalogate dal suo occhio attento nella nutrita sezione dei post inutili, arricciò il naso perdendo qualche istante sull’ennesima risposta prepotente di un contatto dalla spocchia insopportabile a cui risolse di dare il meritato peso (cioè nessuno) e poi tornò a far scivolare annunci e commenti, finendo per fermarsi tutto d’un tratto di fronte all’immagine di uno scorcio cittadino in cui riconobbe al volo l’atmosfera parigina. Un’occhiata al profilo che aveva pubblicato la ripresa gli confermò i dubbi iniziali.
- Misaki sta ancora a Parigi? – chiese a mezza voce, senza aspettarsi realmente una risposta.
Invece, un attimo dopo, alle sue spalle, appoggiata allo schienale del divano, si materializzò Yuki con un braccio proteso a tenere, giusto ad un palmo dal suo naso, una tazza dalla quale si levava una spira di vapore profumato.
- Tisana. – annunciò lei, prima di lasciarla nella mano che lui aveva istintivamente sollevato e portato alla tazza, per poi chiedere evidentemente curiosa – Dove sta Misaki? –
Genzo prese qualche sorso dalla tazza, gustando il sapore intenso della miscela – Mmmm … Guarda qui: a me sembra Montmartre. –
Yuki, ancora in equilibrio sullo schienale del divano, si concentrò per qualche istante, sfilandogli il telefono di mano per leggere il testo del post. Lui la osservò, assorta a guardare lo schermo e totalmente estraniata da tutto ciò che le stava attorno … Gli bastò un attimo per inquadrare la situazione, tendere le labbra in un sorriso sornione e muoversi di conseguenza. Con un gesto rapido, posò la tazza sul tavolino, voltandosi nella sua direzione sollevando le braccia verso di lei.
- Non sono mai stata a Parigi – ammise Yuki con una smorfia – e Taro non ha messo il luogo della foto, eppure … Ahhh! –
Non le lasciò terminare la frase.
Genzo fu velocissimo e Yuki evidentemente non si era accorta di nulla, così lui riuscì ad afferrarla per i fianchi e tirarla verso la seduta, facendole scavalcare il divano con una carambola e portandola a cadere sopra di sé. Nella sorpresa iniziale, Yuki aveva cacciato un grido acuto ma poi, quando si rese conto dell’accaduto, lei si unì alla sua sonora risata, nascondendo il capo tra le proprie braccia, contro il suo petto.
- Ma sei impazzito? – gli chiese non appena fu in grado di spezzare le risate, sostenendosi con gli avambracci puntati su di lui – Mi hai fatto prendere un colpo! –
Genzo non riuscì a smettere subito di ridere e guardandola da sotto in su cercò di minimizzare – Scusa … non volevo spaventarti: è che te ne stavi lì sopra, in bilico … e non ho saputo resistere! –
- Ma tu sei fuori di testa! Avrei potuto avere la tazza in mano … - lo redarguì Yuki, mentre lui scuoteva il capo con fare sicuro.
- Avevi il mio telefono tra le mani: nessuna tazza in circolazione. – la tranquillizzò sollevando le sopracciglia.
- Sembrano gli scherzi di Tsubasa! – lamentò lei ancora abbandonata sopra Genzo – A casa, non perde occasione di farmi fare la figura dell’idiota! -
- Bene. – risolse Genzo – Allora con questo ti sentirai ancora di più a casa … -
Yuki lo guardò di traverso, mentre si sollevava da lui, districando le gambe dalle sue - Eh, come se ce ne fosse bisogno … e, comunque, il telefono dov’è finito? –
Genzo si mosse mettendosi a sedere, passando le mani sull’imbottitura e recuperando il telefono dalla fessura tra due cuscini - Eccolo, tranquilla, non gli è successo niente; vieni qui che ci stai anche tu. –
Poi scivolò un poco, distendendosi con le spalle contro lo schienale e un gomito puntato sulla seduta, mentre lei, un po’ incerta, si sistemava nello spazio libero, poggiando appena la schiena al suo petto e piegando le gambe, per non finirgli proprio addosso.
Genzo le passò il braccio libero sopra il fianco, trattenendo il telefono in modo che lo vedesse anche lei – Allora, dove sta Misaki? – e riprese, mostrandosi tranquillo, come se nulla fosse accaduto, e come se fosse naturale rimanere così con lei, stesi nello stretto spazio del divano. Perché, tutto sommato, era proprio così: se ancora gli era difficile esprimere a parole i sentimenti che provava nei confronti di Yuki, perché ormai era abbastanza certo che di sentimenti si trattasse, tuttavia quando erano insieme, soprattutto all’interno del mondo protetto del suo appartamento, ogni distanza veniva annullata con assoluta disinvoltura.
Per Yuki pareva essere lo stesso; la ragazza, messasi comoda e sistemata qualche grinza fastidiosa che la maglia del suo pigiama leggero aveva formato sotto di lei, tornò ad osservare la fotografia – Hai ragione, credo che sia Montmartre. – convenne, prima di aggiungere – Ma considerato che si tratta di Misaki, potrebbe essere già volato dovunque. –
Genzo non trattenne una risatina – Vero anche questo … - e poi incuriosito tornò a lei – Davvero non sei stata a Parigi? –
Yuki scosse il capo, imbronciata – Non mi portarono nemmeno ai tempi del torneo … Accidenti! Mi parcheggiarono a casa di una zia, costretta a seguire tutte le vostre imprese solo attraverso i racconti di Tsubasa, ad orari impossibili! –
- Prima o poi dovrai rimediare. – commentò Genzo, prima di riprendere a scorrere tra i vari post: una foto sfocata di Ishizaki, i gatti di Wakashimazu spaparanzati a pancia all’aria su un letto dall’aria minimal, le prodezze da palestra di Hyuga e gli apprezzabili risultati degli esperimenti ai fornelli di Morisaki …
Sollevando le sopracciglia e arricciando le labbra, risolse che, alla prima occasione, avrebbe chiesto qualche dritta al collega portiere: per come conosceva Morisaki, sempre gentile e costantemente convinto di essergli debitore, era certo che l’avrebbe aiutato volentieri.
- In questo momento, non accetterei di muovermi da questo divano per niente al mondo. – lo sorprese Yuki, strappandolo ai suoi pensieri e accomodandosi meglio, poggiando il capo sul braccio che lui teneva sotto di lei – Devo ammetterlo: dopo questa giornata, sono letteralmente sfinita e se in più mi fai stare qui comoda e coccolata … non ti garantisco niente. –
Genzo rimase spiazzato, per qualche istante non seppe risponderle; poi, semplicemente, si accomodò meglio anche lui, poggiando il capo al bracciolo e rilassando il braccio che teneva il telefono, fino a posarlo sul divano, abbracciando completamente la ragazza. Trasse un profondo respiro, insinuando appena il naso fra i suoi capelli, alla base del collo, e riconoscendo il profumo delicato di fiori di ciliegio che, ormai lo sapeva bene, saturava la doccia dopo il suo passaggio, si rilassò a propria volta – Neanche per me è stata una giornata semplice, sai? Direi che anche io non ti garantisco di riuscire a stare sveglio a lungo. –
Nel respiro teso di Yuki, riconobbe l’ombra di un sorriso, prima che le sue parole, un sussurro appena soffiato sul suo polso, lo lasciassero completamente spiazzato.
- Allora è il caso che dormiamo. Ma dimmi: scapperai all’alba come hai fatto questa mattina o al mio risveglio ti ritroverò qui con me? -


Angolo dell'autrice: per chi aveva avanzato ipotesi in merito al non detto di Genzo a Yuki, ora è giunta la risposta; qualche lettrice attenta aveva intuito di cosa si trattasse.
Avevate dubbi anche sul fatto che Yuki non fosse del tutto all'oscuro del suo essere rimasto con lei: ma siete lettori bravissimi e davvero attenti! Sono davvero fortunata! Vi adoro!
Per il resto, è proprio questione di coraggio, caro Genzo... ma forse il tuo non basta ancora, perchè per quanto tu sia grande e grosso e vissuto e indipendente e pieno di grandi qualità... in questo momento sei proprio in difficoltà.
Tra le righe di questo capitolo, tra mille altre cose nascoste, c'è una strizzata d'occhio a due personaggi di storie (vecchie e nuove) che mi stanno tenendo compagnia in questo periodo: mando un saluto alle loro autrici che sopportano le mie sclerate e mi aiutano quando ne ho bisogno. In particolare, da quasi digiuna di calcio giocato (diciamo che più che a digiuno, sono a dieta, ecco) mi assumo la responsabilità di aver piazzato una qualificazione di Champions quando fa comodo a me XD e con chi andava a genio. Ho avuto buone spiegazioni da Melanto, ma poi ci ho messo del mio per demolire i suoi buoni consigli. Per favore, prendetela per quello che è: libera ispirazione e sincera ammirazione alla fantascienza calcistica che regna sovrana nel manga! 
Io torno a ringraziare tutti coloro che mi fanno compagnia e mi esprimono le loro impressioni: è un vero piacere conoscervi e scambiare quattro chiacchiere con voi.
Un abbraccio a tutti
mgrandier

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** ... coraggio (ancora un po' di più) ***


10 - … coraggio (ancora un po’ di più)
 
(Giugno, la mattina della partenza)
 
Dal tavolo del soggiorno, lo stava osservando da una decina di minuti: con quel continuo ciabattare da un punto all’altro del soggiorno, Genzo le sembrava una tigre in gabbia; una gabbia particolarmente stretta, peraltro.
L’aveva visto rimestare più volte nel borsone già pronto dalla sera precedente, ricontrollando il bagaglio, aggiungendoci una maglia, levandone un’altra; aveva estratto i guanti dalla sacca per infilarseli, come se potessero aver cambiato taglia nel corso della notte, e si era messo e tolto il cappellino dalla testa almeno tre volte, negli ultimi cinque minuti, borbottando qualcosa di incomprensibile e tornando a rovistare alla ricerca di qualcosa di inesistente, sbuffando come una locomotiva a vapore. Era sparito nel disimpegno e poco dopo, dalla sua camera, erano giunti rumori confusi, un paio di cassetti richiusi con troppa enfasi e un’anta sbattuta in malo modo, conditi da qualche insolita imprecazione.
Tuttavia, non sapeva dargli torto: in qualche modo, aveva vissuto sulla propria pelle la questione prima squadra durante il primo periodo che Tsubasa aveva trascorso a Barcellona, e aveva anche un vago ricordo della tensione che aveva caratterizzato suo fratello già nel periodo in cui aveva lottato per guadagnarsi la maglia durante la sua avventura brasiliana, perciò le era ben chiaro che il rientro da titolare, per Genzo, potesse non essere una questione da poco; per quel che ne sapeva, un preliminare di Champions era pure un affare particolarmente delicato e rientrare proprio in quella partita doveva caricare l’occasione di un ulteriore peso psicologico. Eppure, restava il fatto che Genzo, se pur giovane, non fosse un ragazzino alle prime armi e vederlo così teso le dava una certa preoccupazione che, doveva ammetterlo, l’aveva resa particolarmente inconcludente: due ore sui libri, per una paginetta striminzita …
Scosse il capo, posando la matita e abbandonando ogni proposito di studio.
- A che ora parti? –
Ne avevano già parlato la sera precedente, ma in quel momento non aveva trovato nessun altro argomento migliore per ripescare Genzo dai suoi malumori. Lui finì di versarsi dell’acqua e poi si appoggiò con il fianco al mobile, concentrato sul liquido dentro al bicchiere.
- Il ritrovo è alle 11, ma di solito passa Kaltz con un po’ di anticipo e ci andiamo insieme. – le spiegò asciutto, prendendo a muovere il polso con un moto circolare, mentre lo sguardo si concentrava sulle onde che si erano sollevate tra le sue dita e il silenzio tornava pesante.
Yuki lo guardò di sotto in su, un po’ delusa per aver fallito il primo tentativo, ma non si perse d’animo, buttando un’occhiata all’orologio a parete.
10.35: forse aveva ancora qualche minuto per intervenire.
Gli si avvicinò e gli tolse il bicchiere di mano, facendo sfuggire qualche goccia oltre il bordo; se lo portò alle labbra, svuotandolo in pochi sorsi, e lo posò sul ripiano, al suo fianco.
- Cosa sta succedendo, Genzo? – gli chiese allora diretta – Sei strano, teso e di malumore: questa partita sembra quasi una punizione, invece che un’opportunità. Sei preoccupato per questo incontro? Hai problemi con la squadra? E’ successo qualcosa che non mi hai raccontato? –
Lui aggrottò la fronte, sorpreso, cercandola con lo sguardo e negando con il capo.
– No … - si affrettò a tranquillizzarla – Va tutto bene. – aggiunse con un accenno di sorriso, ma lo sguardo, tuttavia, restava basso – Sono felice di tornare in campo e di farlo in un’occasione ufficiale, così importante! Per me giocare è sempre una sfida elettrizzante; è il mio lavoro, oltre che la mia passione! E no, non ho problemi con la squadra. –
- E allora perché sei tanto nervoso? – lo incalzò lei – Mi hai detto che inizi a preoccuparti dello stare lontano da casa … Ascoltami, non mi offendo se il problema sono io: capisco che lasciare qualcuno da solo in casa propria non sia il massimo … e posso sistemarmi in un bed and breakfast in questi giorni, se questo ti rende più tranquillo! Sto qui da un sacco di tempo e ti capisco perfettamente se … -
- Yuki! Ma cosa dici? – la interruppe lui, sorpreso – Non mi sognerei mai di chiederti una cosa simile! Anzi, per questo aspetto, sono pure più tranquillo … -
- Ah, caspita. Sei tranquillo? – si intromise Yuki dubbiosa e Genzo parve riuscire a distendersi per qualche momento, ridendo di se stesso.
- Comunque non sei tu il problema. – si risolse a spiegare, per poi correggersi immediatamente – O forse sì, sei tu il problema perché so che mi mancherai, Yuki. – buttò lì, sputando il rospo tutto d’un fiato – Mi sento un idiota ad ammetterlo, ma è così. Mi piace starmene a casa, da quando ci sei qui tu; in questi mesi non mi pesava poi tanto il fatto di non avere troppi incontri da giocare e soprattutto il fatto di non avere trasferte importanti da affrontare. –
- Oh … - Yuki lo guardò sinceramente spiazzata – Ma sono solo tre giorni … - cercò di minimizzare con un’alzata di spalle - … e sarai parecchio impegnato, credo. Non avrai nemmeno il tempo di accorgerti della mia assenza! –
L’aveva buttata sul ridere, ma le parole di Genzo riecheggiavano ancora nelle sue orecchie; aveva reagito facendo finta di nulla a quella ammissione che lui aveva faticato a esprimere, ma il respiro le si era fermato e per un istante la mente si era artigliata a quella frase …
Lui sporse appena le labbra – Prendila come vuoi ma a me adesso è chiaro: mi sono abituato alla tua presenza e farò fatica a farne a meno. – affermò con semplicità, restando a guardarla, immobile e in sospeso, come se si aspettasse che fosse lei a trovare una soluzione.
In realtà, non l’aveva mai ammesso prima, nemmeno con se stessa, ma in quel momento si rese conto del fatto che adorava quel suo modo di fare. Genzo era un giovane uomo grande, grosso, indipendente e di carattere deciso, ma aveva un’ombra nascosta che emergeva in alcune particolari situazioni, quelle che non poteva gestire con la sicurezza con cui stava tra i pali e che a volte saliva a imbrigliarlo, rendendolo fragile e incerto. Era evidente che non amasse esporsi, mostrare le proprie emozioni, e questo faceva sì che, nella rare occasioni in cui, dopo la prima ostentazione di sicurezza, si lasciava andare almeno un po’, diventasse di una tenerezza disarmante, quasi romantico.
Per questo, non ci pensò nemmeno per un attimo.
Guardandosi attorno, Yuki intravide il suo telefono poco lontano, si allungò per afferrarlo e glielo mise davanti al naso – Sblocca. –
Lui, senza fiatare, accese il display e attivò il telefono posando il pollice sul tasto circolare[i], per poi ripassarle il cellulare, meccanicamente, senza nascondere la propria curiosità.
Svelta, Yuki toccò l’icona della macchina fotografica, invertendo decisa il verso della fotocamera, e allungò il braccio stringendosi a Genzo e passandosi il suo braccio sopra le spalle.
- Selfie con il SGGK! – dichiarò allegra, prendendolo in giro bonariamente – Un bel sorriso, Wakabayashi! –
Fece qualche scatto, controllando che ce ne fosse almeno uno passabile, e poi riconsegnò il telefono al legittimo proprietario, piuttosto soddisfatta – Credi che con qualche foto ti sentirai meglio? –
Genzo fece spallucce – Non avrò la mia tisana serale … ma cercherò di adeguarmi. –
- Potrai chiederla al tuo amico Kaltz, quello che ti chiedeva di uscire. – risolse pronta – Magari siete pure compagni di stanza? –
Tuttavia, lui non ebbe modo di rispondere, perché il suono del citofono fece sobbalzare entrambi.
- Tempo scaduto. – annunciò solennemente Genzo allontanandosi per infilare le scarpe.
Lei lo seguì, trascinando il borsone nell’ingresso; improvvisamente, anche per lei la partenza di Genzo era diventata un peso. Si diede mentalmente della stupida, rendendosi conto di quanto anche a lei sarebbe mancato, perché sebbene non facessero grandi cose insieme, settimana dopo settimana stare con lui, e averlo accanto per condividere qualche momento speciale, era diventato davvero importante. In un certo senso, si erano avvicinati moltissimo e la confidenza che in principio era stata istintiva, con il trascorrere dei giorni era mutata in una specie di complicità che non aveva mai sperimentato con nessuno dei suoi amici.
- Mi mancherai anche tu, Genzo ... – confessò alle sue spalle, mentre ancora era chinato, e le dita, che armeggiavano con le stringhe, si bloccarono all’istante, tremando appena.
Quando, lentamente, lo vide rialzarsi, portando la tracolla del borsone sulla spalla, non seppe guardarlo negli occhi; ma poi, con la coda dell’occhio, lo vide afferrare la maniglia per aprire la porta e in un attimo comprese di non aver tempo per mettersi a stemperare quello che stava provando con una battuta né per dilatare il tempo, cercando di fare ordine tra le mille parole che si erano affollate nella testa, per trarne almeno una che fosse sensata.
- Ci … ci vediamo, Yuki. – mormorò lui a sguardo basso, strusciando i piedi verso la soglia.
- Mi chiami, se puoi? – riuscì a chiedergli, seguendolo mentre scrutava il suo profilo, e lui le annuì pronto.
- Puoi contarci. – la rassicurò voltandosi appena, per cercarla.
Fu in quel frangente che Yuki riuscì ad incrociare il suo sguardo e nei suoi occhi, scurissimi e con un liquido riflesso verde cupo, riuscì a vedere per intero l’abisso in cui stava per precipitare. Ebbe un fremito, la consapevolezza di essere ad un passo da ciò che non avrebbe mai immaginato di fare, e quel brivido che le risalì dalla base della schiena fino alla nuca, spezzandole il respiro per un istante, fu come una scossa che le diede il coraggio di muoversi, mettendo a tacere ogni possibile dubbio.
Prima che Genzo potesse superare la soglia di casa, Yuki si mosse veloce, portando le mani alle sue guance e sollevandosi sulle punte dei piedi, determinata ad arrivare alle sue labbra. Rimase in bilico, colta quasi dal panico, maledicendo quei pochi centimetri che rimanevano tra loro e che da sola non avrebbe potuto colmare … Chiuse gli occhi e per un attimo ebbe la certezza che sarebbe soffocata dalla vergogna, nell’udire l’eco di un riso sommesso; ma poi quella strana nota dissonante venne completamente cancellata quando avvertì le sue labbra andarle in soccorso e raggiungerla, morbide, come non si era mai azzardata a immaginare che potessero essere, e tanto delicate da farla tremare ancora di più, fino a portarla ad un soffio dalle lacrime. Riuscì a muovere appena le mani, facendole scivolare lentamente giù, in una carezza che dal viso si fermò sulle sue spalle, mentre le labbra si incontravano ancora, sfiorandosi, cercandosi e ritrovandosi in un nuovo bacio leggero che rimase quasi in sospeso, come una promessa pronunciata a mezza voce, ma così forte da rimbombare nelle orecchie.
Fu questione di un attimo, prima di trovarsi di nuovo separati dall’esiguo spazio di un sospiro che chiuse le labbra di Genzo in un sorriso e tese le sue nel rimando gemello.
Eppure, in lontananza, le risa che aveva udito poco prima, parevano proseguire e, anzi, farsi più forti e spontanee, fino a tramutarsi in una specie di urlo gutturale.
- Cazzo, Genzo! Lo sapevo che dovevo salire a curiosare … ma non avrei mai sperato in uno show tutto per me! –
Sull’altro lato del corridoio, il giovane biondo che Yuki aveva intravisto solo alcuni giorni prima, davanti all’università, stava con una spalla puntata alla parete e se la rideva sguaiatamente, rivolto al portiere. Genzo, dal canto suo, aveva levato gli occhi al soffitto, in evidente imbarazzo, per tornare a lei con una smorfia imbarazzata sul viso.
- Ecco, Yuki: non l’ho fatto l’altro giorno, ma ora posso presentarti ufficialmente Hermann Kaltz in tutto il suo splendore. – attese un istante, mentre l’altro, udendo le sue parole, le rivolgeva un sorriso a trentadue denti e si prodigava in una specie di maldestro inchino, – Per la cronaca, visto che me lo hai chiesto, ti confermo che è il mio compagno di stanza. – aggiunse poi con una punta di rassegnazione.
 
Il panorama di cui poteva godere dal terrazzino era decisamente poco interessante, con il suo anonimo profilo grigio da periferia quasi completamente industriale, tuttavia Genzo si ostinava a rimanere confinato là fuori, nella speranza di rimandare il più possibile il confronto diretto con il compagno di squadra. Insaccato su una scomoda poltroncina di design, con i piedi accavallati e appoggiati al parapetto, si era finto assorto nella lettura, lanciando di tanto in tanto un’occhiata oltre la vetrata, all’interno della stanza, per controllare i movimenti di Kaltz che, dal canto suo, si muoveva ostentatamente rilassato per la stanza.
Tuttavia, Genzo non era ingenuo e conosceva abbastanza il biondo: se dal momento della sua separazione da Yuki, sulla soglia del suo appartamento, Kaltz non aveva ancora toccato l’argomento, era semplicemente perché stava aspettando il momento giusto per farlo nella maniera più plateale possibile. Genzo poteva solo sperare che decidesse di farlo in modo da non metterlo in imbarazzo di fronte all’intera squadra, preferendo un confronto diretto, se pur di effetto, e adoperarsi per non servigli occasioni ghiotte su un piatto d’argento, ma prima o poi il momento sarebbe arrivato …
Tra l’altro, muovendo il polso per controllare l’ora, si rese conto del fatto che il coprifuoco fosse passato da un pezzo, quindi non avrebbe potuto lasciare la stanza, ma lui non aveva ancora trovato un attimo di pace per chiamare Yuki. Aveva considerato la possibilità di mandare un messaggio, ma poi, già con il telefono tra le mani e un testo abbozzato, aveva abbandonato l’idea e cancellato tutto, preferendo una chiamata. Non gli era parso il caso di scriverle un messaggio qualunque “Sono arrivato, ci siamo sistemati in camera” o peggio, un riferimento al loro bacio; non tramite whatsapp. Ma non era stato nemmeno in grado di ritagliarsi un momento lontano da occhi indiscreti, così come era stato per tutto il giorno, marcato a uomo.
All’ennesima occhiata alla camera, notò Kaltz che armeggiava mezzo nudo con una specie di beauty case, pronto per la doccia, e chiuse il libro d’istinto; all’udire il rumore della porta del bagno chiusa dal compagno, scattò in piedi e rientrò in camera, puntando diretto al comodino dove aveva lasciato il telefono. Pochi istanti dopo, avvertendo sbattere le porte del box doccia e poi sommarsi lo scroscio dell’acqua, si sistemò sul letto, con la schiena appoggiata alla testata e le gambe allungate sul materasso, avviando la chiamata.
Il tempo di uno squillo e l’immagine di Yuki comparve sullo schermo, quasi lo stesse aspettando con il cellulare tra le mani.
- Genzo! – il sorriso con cui lei lo salutò si riflesse sulle sue stesse labbra; con i capelli raccolti e le ciocche umide tutto attorno al viso, Yuki raggiunse il divano e ci si sistemò; la immaginò piegare le ginocchia, portando i piedi di lato, sulla seduta, come era solita fare, anche se l’inquadratura gli mostrava poco più del suo viso.
- Ciao, Yuki … - la salutò di rimando - … scusa l’orario … -
Tuttavia, lei scosse il capo, sollevando le spalle, facendogli comprendere che non fosse in problema e chiedendo a propria volta - Come va? Mi sembri teso. –
- Bene, bene. – le rispose subito, senza nemmeno riflettere, per poi aggiungere – Adesso anche meglio, in realtà. –
- Oh … - gli sembrò imbarazzata, mentre nascondeva lo sguardo verso il basso, per poi tornare a cercarlo – Anche io, in realtà, stavo aspettando … ecco … cominciavo a preoccuparmi, insomma. –
- Ehi … - la chiamò per rassicurarla - … va tutto bene, se va bene per te. Sono solo stato impegnato tra gli spostamenti e un primo allenamento di ambientamento. – e si prese qualche istante, vedendola annuire a labbra strette, per poi stemperare la leggera tensione che aveva colto entrambi – A casa, tutto ok? –
Yuki esitò un poco, traendo un profondo respiro, prima di rispondere – Sì … sì. – confermò poi più convinta – Mi sembra così strano, è difficile starmene qui da sola! E’ … così vuota! –
Genzo rise a quella osservazione – So di essere piuttosto ingombrante, ma non credevo fino a questo punto! – e anche lei si unì a lui, scuotendo il capo divertita – Pensa allora come dev’essere difficile per me stare chiuso qui dentro con Kaltz! –
Detto questo, Genzo si mosse dal letto, invertendo il verso della videocamera e muovendo il telefono da un lato all’altro - Ti mostro la camera. -
Iniziò con l’inquadrare la piccola stanza, partendo dal lato della porta d’ingresso, alla propria destra, e finendo con il lato aperto sul terrazzino, passando per la parete opposta a quella dove erano accostati i letti, sulla quale era aperta la porta del bagno, dove Kaltz con i soli boxer addosso sorrideva trionfante e muoveva la mano in segno di saluto.
Genzo comprese al volo l’accaduto: lo scrosciare dell’acqua della doccia non si era mai fermato, ma Kaltz se ne stava lì fermo a salutare … da quanto tempo? La sua espressione soddisfatta gli fece comprendere che fosse lì da parecchio; il fatto che fosse ancora in boxer, ma perfettamente asciutto, gli diede la conferma di essersi fatto di nuovo mettere nel sacco come un sempliciotto. In un istante, realizzare di aver inquadrato il compagno di squadra praticamente nudo, gli fece mancare il fiato. Nel riquadro, Yuki era a bocca aperta, senza parole, evidentemente sorpresa dall’apparizione del tedesco.
- Merda, che figura … - si lasciò sfuggire Genzo, invertendo di nuovo il senso della videocamera – Scusami, Yuki, io davvero … Che idiota! -
Ma lei, ripresasi dalla sorpresa, aveva reagito ridendo, sinceramente divertita – Dai, Genzo! Avrebbe potuto andarmi peggio! – sdrammatizzò, facendogli strabuzzare gli occhi al solo pensiero di cosa avrebbe potuto essere peggio – Magari per la prossima volta cerca di chiuderlo da qualche parte, però … o accertati di non farmi sorprese! –
Kaltz nel frattempo, probabilmente soddisfatto, si era davvero chiuso in bagno e al rumore dell’acqua, si era aggiunta la sua voce che intonava malamente una canzone di un qualche repertorio tradizionale tedesco; appena più tranquillo, Genzo tornò a lei – Meglio che io chiuda, comunque. Adesso che hai visto come sono messo, sai che avevo ragione ad essere preoccupato per questa trasferta! -
- Kaltz ti terrà impegnato, immagino, ma credo che sia una fortuna avere un compagno così: sembra un tipo in gamba. – buttò lì lei in risposta – Anche se … potrebbe essere difficile riuscire a fare una chiamata decente! –
- Già, decente è proprio la parola giusta … - convenne, sbarrando gli occhi in un ultimo gesto divertito, e poi si fece più serio – Beh, buona notte Yuki. Io … -
- Buona notte, Genzo. – lo salutò lei, mordendosi poi le labbra e tornando a parlare, prima che lui potesse riprendere – Senti: posso … posso chiederti una cosa? –
- Dimmi. – rispose incuriosito, aggrottando la fronte, facendosi più vicino allo schermo e inclinando il capo.
- Ehm … cosa diresti se io … se io usassi il letto, in queste notti? –
Genzo schiuse le labbra, spiazzato non tanto dal contenuto di quella richiesta, che lui stesso aveva ipotizzato di proporle, ma dal fatto che Yuki glielo avesse chiesto, mentre lui si era arenato alla sola idea di parlargliene. Ci aveva pensato davvero, perché gli pareva assurdo che lei si mettesse a armeggiare con il divano letto ogni sera ed ogni mattina, quando c’era un letto già bello e fatto nella camera accanto; semplicemente, si era  vergognato al pensiero di girarle una proposta simile; aveva forse temuto che lei rifiutasse imbarazzata o, peggio, inorridita; e ancora, si era impantanato nella ricostruzione dell’unica volta in cui lei aveva avuto a che fare con quel letto, per quel massaggio che, al solo pensarci, gli procurava ancora un brivido lungo la schiena.
- No, niente … scusami. Era solo un’idea balzana … - la voce di Yuki lo riscosse.
- No! - la interruppe – Cioè, sì! Voglio dire, usa il mio letto. Io … io avevo pensato di proportelo, ma credo di non aver … avertelo … -
- Posso? – chiese di nuovo lei, speranzosa – Posso davvero? –
- Ma certo. – la tranquillizzò – Almeno riposerai meglio … -
- E mi sentirò meno sola. – ammise lei e su quelle poche parole, riuscirono a salutarsi, in un silenzioso scambio di sguardi.
- Beh, allora, buona notte … -
- Notte, Genzo. –
Quando la chiamata venne chiusa, Genzo rimase a fissare lo schermo a lungo, vedendo ricomparire l’immagine dello sfondo per poi lasciarla sfumare nel nero. Si torturò per qualche attimo le labbra, prima di riattivare il telefono, per aprire la galleria delle fotografie e cercare quelle che Yuki aveva scherzosamente scattato perché lui si sentisse meno solo e alle quali, doveva ammetterlo, aveva dato una sbirciata in più occasioni, durante tutta la giornata. Le guardò per un poco, senza impedire che le labbra si tendessero in un sorriso e che un alito caldo scendesse come una spira sotto lo sterno, e poi, deciso, ne scelse una e la inviò con un breve messaggio.
- Non sei da sola. Mai.
 
[i] Ho sempre preferito TouchID a FaceID… facciamo finta che Genzo non sia un patito di telefonia e non si sia ancora comprato un modello aggiornato!


Angolo dell'autrice: abbiamo raggiunto l'agognato "giro di boa", anche se molto resta in sospeso. Io vi lascio un po' di tempo per metabolizzare perchè la prossima settimana sarò di nuovo fuori casa per una breve ripresa delle vacanze e non potrò aggiornare... perciò l'appuntamento slitterà alla settimana successiva. 
Di nuovo, un enorme grazie a chi segue e a chi mi tiene compagnia... 
Alla prossima!
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** ... polso ***


11 - … polso 
 
(Giugno, la vigilia dell’incontro)
 
- Stai allagando tutta la camera. – il rimprovero di Genzo venne accompagnato da un’occhiata affilata – Non ho intenzione di rompermi l’osso del collo non appena metterò i piedi a terra. -
Kaltz lo liquidò con un gesto di sufficienza, continuando a vagare per la stanza, ancora gocciolante; spostò per l’ennesima volta il proprio bagaglio, buttando alla rinfusa nell’armadio maglie, pantaloni e quant’altro, mentre il compagno di camera non si era ancora mosso dal proprio letto. Gli girò attorno guardingo e poi fece un nuovo passaggio in bagno, ma quando ne uscì, puntò dritto al letto di Genzo e con un gesto rapido, gli tolse il cellulare dalle mani.
- Questa fotografia si consumerà a furia di guardarla. – esordì – E’ tutto il giorno che la sbirci più o meno di nascosto, ma io non sono del tutto rimbambito. -
L’altro sbuffò dal naso, rizzandosi sul letto per tentare di riprendersi il telefono, ma Kaltz, pronto ad una reazione simile, fu più svelto e arretrò di un passo, per affrontarlo direttamente.
- Genzo, non è il momento di fare idiozie: sei stato rimesso in prima squadra e domani giochiamo una partita importantissima, ma tu sembri sulle nuvole, come se non te ne fregasse niente! –
Genzo sbuffò ancora, lo sguardo torvo lontano da quello di Kaltz, e questi scosse il capo, pronto a riprendere – Questo pomeriggio, all’allenamento eri teso: se ne sono accorti anche gli altri. Tu sei sempre concentrato e lucido, mentre oggi, pur salvando la porta, ti sei perso almeno in un paio di occasioni. Si può sapere cosa stai combinando, proprio adesso? –
Punto sul vivo, Genzo tornò a rifugiarsi sul letto, con la schiena appoggiata alla testata, le ginocchia sollevate e le mani aperte sul volto, ma sempre chiuso nel suo ostinato silenzio. Cocciuto, Kaltz tornò alla carica.
- Io capisco bene che tu sia preso dalla tua amichetta, Gen; questo si vede lontano un miglio! Ma, non sei un ragazzino alla prima infatuazione! – gli si avvicinò appena di un passo, intuendo il movimento istintivo delle sopracciglia scure nascoste dietro le mani dell’amico, e decise di non mollare la presa – Non puoi giocarti il posto in squadra per una cotta! – finché non lo vide sbottare.
- Non è una cotta! – saltò su evidentemente innervosito, con le mani tese in un gesto stizzito – Lo so anche io com’è una sbandata, non sono ingenuo come pensi tu! E soprattutto dovresti esserti accorto che non è come le altre volte … -
- Le altre volte? – chiese Kaltz di rimando, ridendo tra sé – Ti ricordo che stiamo gomito a gomito dai tempi delle medie e che tutte queste altre volte io le ho vissute in presa diretta: due mezze infatuazioni, sfumate in meno di due settimane! –
In risposta ottenne una specie di grugnito, soffocato dalle braccia incrociate sul petto.
- Se la faccenda è così problematica, almeno dimmi qualcosa! Mettimi nella condizione di aiutarti a uscirne! – tentò di nuovo, allargando le braccia spazientito, ancora fermo in piedi tra i due letti.
Genzo lo guardò di sotto in su, ma dalla sua espressione, gli parve che stesse finalmente considerando la possibilità di sbottonarsi.
- In cinque mesi, si è capito solo che ce l’hai in casa, che viene dalle tue parti e che studia all’Università di Amburgo. – riassunse secco, mostrando all’altro prima il pollice, poi l’indice e infine il medio – Cazzo, Genzo! Siamo amici da un sacco: mi merito qualcosa di più, no? –
L’espressione torva dell’altro si alleggerì ancora un poco e la fronte si rilassò per qualche istante; con una mezza speranza, Kaltz sedette sul proprio letto e si mise in attesa, confidando nel buon senso dell’amico.
- E’ complicato. – ammise Genzo a mezza voce.
- Questo l’avevo intuito. – osservò Kaltz cercando di sciogliere l’altro con un po’ di ironia – Ma non significa che non sia utile parlarne. –
Genzo rilassò un poco le spalle, sciogliendo l’incrocio delle braccia e distendendo le gambe – Viene dalla mia stessa città e ci conosciamo da alcuni anni, anche se solo di vista. Ci si incontrava giusto ai raduni della quadra storica con cui ho vinto il Campionato Nazionale al termine delle elementari, ma credo di non averci mai nemmeno parlato direttamente. –
- Stessa compagnia, insomma. – si intromise Kaltz.
- Più o meno il concetto è quello. – confermò Genzo, continuando il racconto per sommi capi – Poi a dicembre è uscito questo discorso, che avrebbe frequentato uno stage ad Amburgo in università, e che non avrebbe avuto nessun contatto conosciuto, in città. Mi era sembrato ovvio offrirmi di darle qualche dritta. –
Kaltz seguiva attento il racconto, annuendo – Ci sta. –
- Solo che al suo arrivo, ha avuto problemi con l’alloggio. Così ho cercato una soluzione alternativa … ma non ho trovato niente di accettabile e le ho proposto di fermarsi da me, almeno mentre si risolveva il problema. – Genzo cercò lo sguardo di Kaltz, trovando approvazione immediata.
- Ci sta pure questo. E poi? –
- E poi niente! – cercò di concludere Genzo, senza però fermare il racconto – Averla in casa è stato subito così naturale, che non ho più nemmeno pensato di cercarle un’altra sistemazione. Mi piaceva trovarla al mio ritorno, insegnarle qualche parola in tedesco, raccontarci le nostre giornate, guardare la tv la sera, bere una tisana prima di andare a dormire … e ora, dopo cinque mesi passati insieme, basta mezza giornata e ... mi manca già. Ecco tutto. -
Kaltz si grattò il capo e lo guardò in silenzio per qualche istante, assottigliando lo guardo, mentre incastrava quanto appena ascoltato con quei due incontri a cui aveva assistito; scosse il capo e sentenziò – Sei completamente andato, Gen. -
- Cosa?! – dall’espressione di Genzo trapelava sconcerto.
- Ho detto che sei completamente andato. – ribadì più lentamente – Se siete insieme da cinque mesi e ora ti manca in questo modo, da faticare a starle lontano una giornata … -
- Non stiamo insieme da cinque mesi; - precisò – Non stiamo insieme proprio. –
Il sopracciglio di Kaltz si sollevò di scatto – Come no? –
- No! – ribadì Genzo allargando le braccia, cercando poi di spiegarsi meglio - Perché io non sono certo che lei sia proprio interessata … e disposta a impegnarsi con uno come me. E poi lei tra qualche tempo tornerà in Giappone, mentre io rimarrò qui e ci sarà comunque un continente di mezzo! In realtà non ne abbiamo mai parlato … non … -
- Non mi sembra esattamente come parlare del più e del meno … - osservò allora Hermann di rimando, ipotizzando poi – Ma potrebbe averne parlato con qualcuno, no? Le ragazze si confidano … a differenza di un certo portiere di mia conoscenza. –
Genzo parve rifletterci, sorvolando sulla bonaria provocazione, mentre il suo sguardo correva rapido per la stanza, e Kaltz riprese a fare ipotesi – Forse ne ha parlato con qualcuno della compagnia … qualche ragazza che le è molto amica, o un ragazzo con cui è particolarmente in confidenza e che lo sia pure con te … - si sfregò il mento con una mano, ancora pensieroso – Non c’è quello che gioca a Barcellona? Con quello sei molto amico e mi pare che sia un tipo socievole con tutti e magari … -
- No! Tsubasa, no! – gridò Genzo quasi inorridito – Non posso parlarne a lui! –
Kaltz assottigliò lo sguardo, cogliendo la sottile vena di panico che aveva pervaso l’amico, intuendo qualche tresca mai chiarita – Perché non lui? – ma Genzo continuava a negare vigorosamente con il capo e la curiosità aumentò a dismisura – Cos’ha Tsubasa in sospeso con lei? -.
- E’ suo fratello. – sputò Genzo, guardandolo dritto negli occhi – E non credo che avesse messo in conto questa possibilità, affidandomi Yuki. –
Kaltz rimase impressionato; prese a dondolare il capo, mentre gli estremi delle labbra si piegavano verso il basso in una smorfia strafottente – Complimenti, amico mio: quando ti metti nei casini, lo fai con una certa classe, devo ammetterlo. Sei Super Great anche in questo. –
Genzo tornò ad appoggiare la schiena alla testata del letto, con il mento sollevato, riversando il capo all’indietro fino a puntarlo contro il muro e ignorando di nuovo l’ironia; chiuse gli occhi e tese le labbra, evidentemente in difficoltà. Ma anche Kaltz, per qualche minuto, rimase a rimuginare sull’intera faccenda e iniziando a comprendere i dubbi del compagno, che evidentemente si era trovato molto preso da una storia che metteva a rischio una amicizia e pure un legame tra compagni di Nazionale. Non che fosse da escludere il fatto di frequentare la sorella di un amico, per carità (lui non si era mai fatto troppi scrupoli in tal senso), tuttavia, la faccenda era certamente delicata, vista nel complesso, con il carico del suo giocare così lontano da casa e con quello del rischio di creare una frattura non con uno qualunque, ma con il capitano della propria Nazionale. C’era da andarci con i piedi di piombo, certo, ma era pure necessario sbloccare lo stallo in cui Genzo si era cacciato proprio in un momento in cui la sua squadra aveva bisogno di lui. D’altra parte, per quel poco che aveva visto, la ragazza non era del tutto indifferente a Genzo: l’abbraccio non proprio fraterno davanti all’Università e il bacio con cui si erano salutati la mattina stessa, ai suoi occhi attenti lasciavano pochi dubbi, mentre per l’amico tutto questo non sembrava ancora abbastanza. E chissà di quanto altro non era stato informato.
Kaltz sospirò richiamando l’attenzione del compagno, si sistemò meglio sul letto e poggiò i gomiti sulle ginocchia, proteso verso di lui.
– Vuoi sapere una cosa, Genzo? – chiese, proseguendo senza attendere che l’altro facesse alcunché – In questa faccenda stai facendo troppo il giapponese. –
Genzo si tirò su, squadrandolo perplesso, con le sopracciglia strette, quasi unite tra loro, e le labbra sporgenti.
- Troppe menate, Genzo. Troppe menate. – cercò di spiegargli, disegnando cerchi in aria con una mano – Io, se fossi in te, non mi farei tutti questi problemi: la tua ragazza mi sembra sapere il fatto suo e se è vero che ti ha chiesto pure di usare il tuo letto mentre … -
- Aspetta: tu cosa ne sai? – Genzo si era rimesso dritto a sedere, evidentemente allarmato e Kaltz si diede mentalmente dell’idiota, cercando di metterci una pezza alla meglio.
- Dovresti imparare a tenere il volume più basso, durante le tue chiamate! – tentò di giustificarsi, per poi tornare all’attacco, cercando di strappargli un sorriso – E comunque sappi che avevo seriamente considerato l’idea di uscirmene dal bagno nudo come un verme durante la chiamata: sarebbe stata una vera uscita a effetto! –
- Quindi dovrei ringraziarti per non averlo fatto? – gli chiese allora Genzo, sempre più esterrefatto.
- Che ne so! – riprese Kaltz divertito – Forse avresti scoperto se è pronta per accontentarsi di te, oppure se punta a qualcosa di un livello superiore! –
Venne colpito in pieno viso dal cuscino di Genzo, scagliato come un missile verso di lui, con la stessa energia con cui il portiere rilanciava la palla verso il centro del campo, mentre le risate di entrambi riempivano la stanza.
Colse l’atmosfera fattasi più leggera e non perse l’occasione, tornando serio, solo per qualche istante - Lei non cerca una storia con un calciatore qualsiasi per farsi bella con le amiche; ha suo fratello e sa bene come vanno le cose e com’è la nostra vita. –
Genzo nascose di nuovo lo sguardo, prendendo a torturarsi le dita, cercando imperfezioni lungo il perimetro delle unghie, e Hermann non volle dargli tregua - Eppure, a guardarti adesso, io mi vedo già questo film tutto intero, con te che ti dichiari all’aeroporto e io che raccolgo i pezzetti del tuo cuore con il cucchiaino! -
Lui continuava a nascondersi e così lo chiamò, deciso – Genzo! – ottenendo che l’altro rispondesse sollevando appena lo sguardo; Kaltz non perse tempo e lo fissò come un predatore nell’istante dell’attacco, ripescando nei suoi occhi scuri e attenti il filo di un discorso che ormai doveva essere chiaro ad entrambi – Se stai così bene con lei, tira fuori quelle dannate palle giapponesi e non buttare alle ortiche le occasioni che hai di farle capire come stanno le cose! –
Genzo parve colpito e Kaltz non lo lasciò nemmeno fiatare – Non sei un ingenuo e nemmeno un ragazzino alle prime armi: stai attento a quello che combini, non fare danni irreparabili … e goditi il tempo che potrete trascorrere ancora insieme, perché solo in questo modo potrai davvero valutare il dopo, quando lei dovrà tornarsene da dove è venuta. -
Prese fiato, mentre lo sguardo di Genzo si era fatto sottile e le labbra venivano strette sotto gli incisivi, e poi diede l’affondo finale – Ma per l’amor del cielo, torna il Genzo cazzuto che eri prima, quello che quando è arrivato a Amburgo era più tedesco di me, e togliti di dosso questa aria da cane bastonato! –
Nel pronunciare le ultime parole, Kaltz lanciò senza preavviso il telefono in direzione di Genzo che, rivelandosi pronto, si mosse d’istinto per prenderlo al volo. Stette ad osservarlo ancora, riuscendo a leggere nei suoi occhi scuri una scintilla di orgoglio, la stessa che nel tempo aveva visto accendersi nelle occasioni decisive, in campo e fuori. Stirò le labbra in un mezzo sorriso e ne ebbe in risposta uno simile, appena più lento e nascosto, che lo fece ben sperare.
Soddisfatto, Kaltz annuì piano, stirando le braccia verso il soffitto e aprendo la bocca in un sonoro sbadiglio; scosse il capo e, facendo dondolare il letto sotto il proprio peso, si sistemò con poca grazia sotto le coperte per poi allungarsi a spegnere la luce, incurante del fatto che Genzo fosse ancora seduto sopra il letto.
- E adesso dormiamo. – concluse poi perentorio, voltando la schiena al compagno.
 
Genzo si era sistemato sotto le coperte quasi subito. Lo scambio con Kaltz gli aveva dato parecchio da riflettere e molti dei dettagli della questione non sarebbero stai risolti così a cuor leggero come pareva lasciar intendere l’amico, tuttavia il suo animo sembrava essersi un po’ alleggerito, anche solo per la consapevolezza di non avere più nulla da nascondere. Le sue parole, doveva ammetterlo, lo avevano scosso e gli avevano imposto di osservare le cose con maggiore distacco. Forse, Kaltz non aveva tutti i torti; certamente, era giunto il momento di reagire.
Si girò su un fianco e, per l’ennesima volta, le doghe cigolarono seguendo i suoi movimenti. Dal letto di fianco, il respiro del tedesco fischiava appena con un ritmo regolare, conciliando quasi il suo stesso sonno, mentre dalla porta finestra la luce ovattata della notte filtrava appena attraverso le pesanti tende. Si accomodò di nuovo affondando il capo nel cuscino e si lasciò cullare da decine di possibili idee per parlare a Yuki, declinando ogni dichiarazione in un sorriso a fior di labbra e in una sensazione sempre più piacevole …
- Sai cosa farebbe un vero calciatore, al tuo posto? – inattesa, la voce di Kaltz gli fece spalancare gli occhi, spezzando il gradevole fluire dei pensieri.
Si limitò a restare in attesa, certo che l’altro fosse consapevole che lo stesse ascoltando.
- Le dedicherei un bel goal, domani. –
- Mpf … - Genzo si limitò a sbuffare, ridendo tra sé, prima che Kaltz si facesse sentire di nuovo.
- Va beh, vorrà dire che potrai dedicarle quello che segnerò io. Ma tu vedi almeno di non prenderne! -

Angolo dell'autrice: torno giusto per un aggiornamento, prima mi tuffarmi in un lungo periodo di lavoro che sarà davvero pesante. Farò del mio meglio per non allontanarmi troppo da qui e per tornare ad aggiornare almeno ogni due settimane... prima di poter riprendere il ritmo solito.
Per ora, non potevo evitare di dedicarmi ancora un po' a Kaltz, personaggio che è diventato indispensabile per tenere a galla l'umore di Genzo. Per dirla tutta, il capitolo avrebbe un titolo alternativo: in questo caso sarebbe Questione di... palle! Ma poi ho deciso di fare la brava...
Un abbraccio a tutti. A presto
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** ... protezione ***


12 - … protezione
 
(Giugno, il pomeriggio del rientro)
 
Non aveva messo in conto che tornare in prima squadra potesse risultare tanto esaltante, oltre che impegnativo, e se la sera dopo l’incontro era stata dominata dall’eccitazione per la vittoria, l’intero viaggio di rientro era stato un lucido riassestarsi all’interno delle dinamiche di un gruppo squadra che sapeva di non aver mai abbandonato completamente, ma dentro al quale, ora, si sentiva di nuovo perfettamente a proprio agio. Battute, scherzi, progetti e rievocazioni di episodi passati lo avevano catapultato indietro di mesi, o riportato avanti, grazie all’atteggiamento positivo dei suoi compagni che si erano dimostrati completamente fiduciosi nei suoi confronti, prima dell’incontro, e orgogliosamente soddisfatti di lui, dopo.
- Lasciamelo dire, Gen: il Mister non poteva scegliere occasione migliore per farti rientrare. – Kaltz gli aveva mollato una gomitata commentando a mezza voce le impressioni che anche i compagni non avevano ancora finito di esprimere – Eri su un altro pianeta! Con te in porta siamo rinati: lo dicono tutti e sugli spalti c’era il delirio. –
Girato di tre quarti, con la schiena appoggiata all’ampio finestrino del bus, Genzo non rispose, minimizzando con un cenno del capo, mentre sollevava un ginocchio per puntare la gamba contro il sedile davanti al proprio.
- Certo, abbiamo ancora la partita di ritorno … ma due a zero fuori casa è un bel risultato messo in tasca. – ribadì per l’ennesima volta, prima di assottigliare lo sguardo in una mezza smorfia, mostrando lo stecchino stretto tra i denti – Non combinerai casini, in queste due settimane vero? –
Genzo si accomodò il cappellino sul capo, piegandosi per guardarlo di traverso, con un sorriso sornione – Posso comunque contare su di te, no? –
- Puoi scommetterci le palle! – esclamò a gran voce e, accorgendosi di aver attirato l’attenzione di qualche compagno, agitò una mano scacciando insetti inesistenti, come per minimizzare, controllando che gli altri tornassero alle proprie conversazioni; ma poi si piegò verso Genzo, impegnandosi al meglio per mantenere un certo riserbo e puntandogli l’indice contro con fare quasi minaccioso – Però mi devi tenere aggiornato. -
Genzo accennò un sorriso tirato, annuendo appena e puntando il gomito sul ginocchio, per sostenere il mento con un palmo e voltarsi verso l’esterno del bus.
La piatta campagna tedesca sfilava rapida al suo fianco ormai da oltre tre ore e il pensiero che la periferia di Amburgo stesse per comparire oltre il limite dell’asfalto gli procurò un leggero brivido alla base del collo. Dopo i due giorni trascorsi con la squadra, concentrato sull’incontro di Champions, il pensiero di rientrare a casa, per rifugiarsi nella quieta routine che aveva costruito con Yuki, gli diede un piacere sottile e quasi si sorprese del fatto che anche la preoccupazione legata alla necessità di chiarirsi meglio con lei si fosse diluita nel desiderio di rivederla. Nei pochi messaggi che erano riusciti a inviarsi il giorno precedente, non aveva potuto fare altro che rassicurarla del fatto che stesse procedendo tutto per il meglio, in vista dell’incontro; poi, la notte, rientrato in camera, aveva trovato giusto il tempo per un rapido scambio, per raccontarle le emozioni della partita, raccogliere il suo entusiasmo per averlo seguito in tv e darle appuntamento a casa, per il giorno seguente. Di nuovo, salutarsi era stato complicato, simile ad uno strappo di quelli aperti in un foglio di carta dalla grana troppo grande perché si riesca a separare in due parti nette, e quei messaggi notturni erano rimasti sfilacciati e sospesi, tra non detto e parole mai scritte.
Sospirò rivolto al panorama e alle sue ombre lunghe che sfumavano una nell’altra, sfuggendo dalla sua vista, sotto il sole caldo del pomeriggio che ormai volgeva al termine, accompagnando la quadra verso Amburgo e il suo centro sportivo, l’ultimo anello di quei tre giorni che erano stati illuminanti sotto molteplici aspetti.
Come sportivo, aveva ritrovato il gusto dello stare al proprio posto, in prima linea, spinto al limite dall’adrenalina, attento ad ogni dettaglio, costantemente pronto a reagire e a decidere come affrontare ogni situazione: una vita che lo aveva affascinato fin da ragazzino e sulla quale aveva plasmato il suo stesso carattere, tra sacrifici e soddisfazioni, fino a diventare uomo. Come uomo, aveva compreso di essere molto più di uno sportivo e di avvertire il bisogno incontrollabile di avere altro, al di fuori dello sport; qualcosa che ora era consapevole di riuscire a sfiorare con la punta delle dita, ma che temeva gli sfuggisse di mano da un momento all’altro.
Quando la A1 si infilò nella periferia di Amburgo, recuperò il cellulare.
- Stiamo entrando in città. Non vedo l’ora di arrivare a casa. –
Attese la risposta, che non tardò a giungere.
- Sono davanti al campo sportivo ad aspettarti, ma ci sono un sacco di tifosi in attesa del bus… e gente della sicurezza che tiene tutti lontano. Non immaginavo di trovare tutto questo casino! –
Genzo sollevò lo sguardo dal telefono, inarcando le sopracciglia, un poco contrariato, e poi digitò rapidamente - Per questo ti avevo raccomandato di aspettare a casa … -
In un attimo, comparve la replica – Non volevo perdere tempo. -
Sospirò, chinando il capo e stringendo il telefono tra le dita; da un lato comprendeva il suo slancio e avvertiva lui stesso il forte desiderio di rivederla al più presto, ma dall’altro, stava realizzando di quanto poca dimestichezza avesse Yuki con la routine di un calciatore professionista, nonostante Tsubasa fosse il capitano della Nazionale. Martellò pensieroso il telefono sulla propria fronte e poi si decise ad avviare la chiamata.
- Eccomi. – rispose Yuki a mezza voce, coperta da un forte rumore di fondo, un rimestare di voci e traffico.
- Quindi sei sul piazzale davanti al centro sportivo? – aveva bisogno di una conferma e non perse tempo in convenevoli, visto che il bus si stava già inoltrando in città.
- Sì, sono sul piazzale; speravo di riuscire a rivederti prima e poi rientrare con te ma … - non la lasciò proseguire.
- Se c’è tanta gente, non posso farti passare la linea dei controlli. Non così, all’ultimo momento, per lo meno; non sotto gli occhi di tutti … - si mise a riflettere a voce alta, cercando di trovare la soluzione migliore per incontrarsi al più presto, senza necessariamente farla rientrare a casa, dopo che era giunta fino al campo – Fammi pensare … -
- Genzo mi dispiace, davvero tanto! Non volevo metterti in … - cercò di scusarsi lei, ma di nuovo Genzo intervenne.
- Yuki, per carità, se sei in mezzo ai tifosi, non far capire che sei telefono con me! – la riprese, cercando di non essere troppo duro, ma anzi cercando di sdrammatizzare – Se qualcuno ti dovesse sentire, non ti lascerebbero più andare! –
- E come fanno a sapere che parlo proprio con te? – gli chiese, lei – Accidenti! C’è pure un gruppo di ragazze urlanti con uno striscione Bentornato, Genzo Wakabayashi! –
- Ecco, appunto … Quanti Genzo credi che conoscano, i tifosi dell’Amburgo? – le domandò ridendo tra sé e il mugugno ottenuto in risposta gli confermò di aver colto nel segno; – Comunque, una soluzione si trova … - la tranquillizzò, mentre scambiava occhiate d’intesa con il compagno che, a quanto poteva intuire, aveva già compreso la situazione, annuendo, indicando se stesso e poi mostrando il pollice alzato. – Io lascerò il centro in auto con Kaltz, perciò possiamo passare a prenderti poco lontano, in una via a qualche isolato di distanza: di solito la confusione è tutta lì, sul piazzale. –
- Ok. Aspetto l’arrivo del bus e poi mi allontano … - gli propose – Dove mi faccio trovare? -
Genzo percorse mentalmente il quartiere del centro sportivo, cercando un luogo riparato, dove poterla raggiungere senza troppa difficoltà, e d’istinto si volse ancora in direzione di Kaltz, senza sorprendersi troppo nel trovarlo assorto, impegnato nella stessa versione mentale di streetwiew.
- Dille di raggiungere la chiesa di St. Johannis: ci sono parcheggi su entrambi i lati della strada e davanti alla casa di riposo c’è uno slargo dove potrò fermarmi senza dare nell’occhio. – suggerì Kaltz, pronto.
- Yuki, hai sentito? – chiese allora Genzo, cercando di spiegarle meglio – Se dal piazzale costeggi l’Istituto per lo Sport, dovresti arrivarci in pochi minuti. -
Dall’altro capo, pur nella confusione del rumore di fondo, che pareva essere aumentato, riuscì ad arrivargli conferma.
– Sì, credo di aver capito. – lo rassicurò lei – Tra poco mi muovo di qua; lascia solo che ti veda arrivare … -
 
Evidentemente, Yuki era riuscita a comprendere alla perfezione le indicazioni di Kaltz perché l’avevano trovata in attesa nel luogo esatto che lui aveva suggerito. Era bastato davvero un attimo per accostare e farla salire in auto, in una zona abbastanza defilata dal centro sportivo, dove sarebbe passati inosservati anche nel caso ci fossero stati in circolazione altri gruppi di tifosi. Genzo aveva abbassato di poco il finestrino e lei, riconoscendolo, si era affrettata a sistemarsi sul sedile posteriore, permettendo a Kaltz di ripartire senza quasi mai togliere gli occhi dalla strada.
- Tutto ok? – le chiese Genzo sporgendosi verso di lei, che si limitò ad annuire a labbra strette – Non hai avuto difficoltà a seguire le indicazioni di Kaltz, a quanto pare … -
Di nuovo una risposta silenziosa, il capo mosso rapidamente da un lato all’altro e lo sguardo sfuggente, tornato immediatamente basso, sulle mani strette una nell’altra.
- Vi porto a casa? – Kaltz lo distolse dalla ragazza, quasi volesse spezzare quella strana situazione di stallo; Genzo tornò a sistemarsi sul sedile, rivolgendosi a lui.
- Sì, per favore. Ho davvero bisogno di tornare a casa. –
Hermann guidava sicuro e rilassato, con la spavalderia di chi conosce a menadito le vie che percorre, un gomito puntato sul bracciolo e la leva del cambio mossa con la punta delle dita; di tanto in tanto, con la coda dell’occhio, gli lanciava uno sguardo nascondendo a fatica un’espressione sorniona alla quale Genzo fingeva ostentatamente di non dare peso, concentrato com’era a scrutare i palazzi di Amburgo, quasi fosse la prima volta che li vedeva, mentre non stava facendo altro che la traccia del percorso che lo avrebbe ricondotto al loro appartamento nel più breve tempo possibile. Era preoccupato dal silenzio che giungeva dalle sue spalle e la sua unica priorità, in quel momento, era quella di sciogliere il malumore in cui, aveva intuito, Yuki si era chiusa. Per questo, sfilando tra piazze, lunghi viali e incroci intasati, senza nemmeno preoccuparsi più di tanto di eventuali commenti dell’amico, infilò il braccio destro tra sedile e portiera, allungando la mano verso la parte posteriore dell’auto. E bastarono pochi istanti, perché potesse avvertire tra le proprie dita la morbida presenza di quelle di Yuki e sentire già più vicino il momento in cui l’avrebbe davvero incontrata di nuovo. Un contatto che, tuttavia, durò solo il tempo di un sospiro.
 
Il silenzio era stato spezzato solo per pochi attimi, quando, giunti al limitare della piazza, Kaltz aveva accostato perché potessero scendere e recuperare il borsone dal bagagliaio; si erano salutati rapidamente, dandosi appuntamento all’allenamento che si sarebbe tenuto dopo il meritato giorno di riposo, e poi il tedesco se ne era andato, con un ultimo cenno di saluto e una rumorosa accelerata, lasciandoli finalmente soli, a due passi da casa.
Genzo aveva raccolto il borsone e se l’era sistemato in spalla, e poi aveva cercato la mano di Yuki trovandola stranamente remissiva.
- Ehi, va tutto bene. – non era una domanda, non doveva esserlo, e con quelle poche parole aveva solo ottenuto che lei sollevasse lo sguardo da terra, scoprendovi uno scuro tumulto – Vieni; è meglio che andiamo a casa … -
Si era mosso, invitandola a seguirlo, e aveva dovuto vincere una insolita reticenza, sollecitare i suoi passi stranamente lenti, quasi che in quel momento lei stesse vivendo con un attimo di ritardo rispetto al presente. Insieme, forzando il passo lento di Yuki, avevano raggiunto lo stabile e attraversato il grande atrio d’ingresso, sul quale si aprivano i ballatoi di tutti i piani del palazzo; Genzo si era diretto all’ascensore ma poi, giusto di fronte ad esso, aveva incontrato un inquilino dall’aria allegra che, riconoscendolo, non aveva perso l’occasione di salutarlo - Bella partita, Wakabayashi! –
Il volto dell’ometto si era illuminato quando Genzo si era voltato per ringraziarlo con un cenno del capo e il consueto gentile sorriso, ma poi lui aveva preferito tirare dritto e passare dalle scale dove, ne era quasi certo, non avrebbero incontrato nessun altro.
Così, appena raggiunto l’appartamento, Genzo chiuse la porta alle proprie spalle, lasciò cadere a terra il bagaglio e, cogliendo al volo il movimento di Yuki che si stava allontanando, si affrettò ad afferrarla per un polso, trattenendola e inducendola a fermarsi.
- Yuki … - la chiamò allora impaziente, ma venne sorpreso quando incontrò i suoi occhi ormai lucidi e il viso tirato di chi a fatica tratteneva le lacrime; - Cosa succede? – le chiese allora, sorpreso e al contempo preoccupato – Perché piangi? –
Lei prese fiato e soffiò la risposta d’istinto – Sono stata una stupida! –
- Ma cosa dici? – cercò di intervenire, senza comprendere il motivo della sua reazione – Perché mai …? –
- Ho messo in difficoltà sia te che il tuo amico. – spiegò allora lei, gli occhi scuri che tradivano ancora la sua evidente difficoltà – Io non ho riflettuto: volevo vederti al più presto e ho dato per scontato che anche a te avrebbe fatto piacere … senza pensare che potesse non essere così. –
Genzo inclinò appena il capo, negando lentamente - Avrei dovuto parlartene io, ma ero troppo preso da altri pensieri e non l’ho fatto. – la tranquillizzò, cercando di comprendere – Anche io sono stato … superficiale. –
- A me sembrava normale uscire a cena e fare passeggiate; stupidamente, credevo che andasse bene così. – ammise Yuki – Non avrei mai immaginato che … -
- E di solito, infatti, è così. – tornò a spiegarle Genzo, con tono tranquillo – Quando passeggio in centro, vestito come mi pare, sono un orientale qualunque che vive qui, o un turista o uno studente, e capita che qualcuno mi riconosca, certo, ma non è così frequente che accada. - si zittì un attimo, mostrando il proprio abbigliamento sportivo, il logo della società sportiva ben in vista sulla giacca della tuta - Ma con la divisa dell’Amburgo e insieme a tutti i miei compagni … su un bus con i colori sociali e nel luogo di ritrovo dei nostri tifosi … per di più, il giorno del rientro da una partita ufficiale … beh, allora è tutto un altro discorso! Conciato così, mi è impossibile non dare nell’occhio! -
Lo sguardo di Yuki, risalì dalle caviglie fino alle spalle, scivolò rapido al suo viso e poi sfumò di nuovo a terra, accompagnato da un profondo sospiro – Io … capisco; capisco che con Tsubasa è un altro discorso. A casa … -
Le posò le mani sulle spalle, sperando di tranquillizzarla almeno un poco, anche se riusciva ad avvertire distintamente la sua tensione sotto le dita, attraverso la stoffa della sua maglia.
– A casa è diverso. La Germania, l’Europa, - si corresse subito - non sono il Giappone. Io gioco nell’Amburgo ufficiale da quando avevo poco più di quindici anni! Anche tuo fratello, in Spagna, non passa certo inosservato, perché là tutti hanno ben impressa in testa la formazione del Barcellona! Insomma, siamo professionisti e i nostri tifosi tengono a noi … come fossimo delle personalità! –
Tuttavia, Yuki arretrò di un poco, scuotendo il capo - Non è per quello, Genzo. E’ che … Tsubasa non ha scelta; ecco. Sono sua sorella e se anche lo vedessero con me, cosa potrebbe farci? –
Genzo corrugò la fronte, sorpreso, mentre Yuki scivolava ancora più indietro, sfilandosi dalle sue mani, e riprendeva a parlare – Gli altri escono con le modelle … con … con … -; non riusciva ad esprimersi, forse, ma un dubbio si insinuò tra i pensieri di Genzo che continuava a fissarla, senza parole, e lei chiuse gli occhi, chinando il capo, senza più riuscire a trattenere le lacrime e soffiando a mezza voce – Come ho potuto pensare di piacerti? –
Solo all’udire quello sfogo, lui comprese davvero. Dischiuse le labbra, trattenendo il fiato, spezzando il respiro per alcuni istanti, quasi paralizzato. Davvero lei pensava di non essere abbastanza, per lui? Forse aveva creduto addirittura che lui non fosse stato sincero con lei? Rimase ad osservarla, nel suo piangere soffocato e silenzioso, e un altro pensiero, nitido e spiazzante occupò la sua mente: sincero in cosa, se non aveva ancora trovato il modo di parlarle apertamente? Il riflesso lucido delle lacrime non più trattenute tra le ciglia lo ferì come fosse una lama lasciata sfilare sulla pelle.
Il quel preciso istante, si mosse verso di lei, annullando ogni altro pensiero, come se stesse immergendo le mani nell’acqua torbida, cercando di salvare una gemma preziosa risucchiata dagli abissi, senza chiedersi cosa avrebbe dovuto affrontare per raggiungerla, ma certo di doverla strappare al buio.
Con le mani alle sue guance, un tocco dolce, ma deciso, le sollevò il viso, cercando le sue labbra con una urgenza che non tentò nemmeno di placare o nascondere, un bisogno che covava da giorni e che in quel frangente era come esploso in un gesto istintivo. Dapprima incerta, paralizzata dalla sorpresa e dalla delusione in cui si era chiusa, solo qualche attimo dopo, Yuki parve realizzare ciò che stava accadendo, sollevando lenta le mani per portarle alle sue braccia, e, in reazione a quel gesto appena accennato, Genzo ebbe la certezza che non avrebbe potuto fermarsi, non dopo che lei aveva stretto le mani su di lui.
Si sollevò di un soffio, per cercare di nuovo le sue labbra, assaggiandole, un bacio dopo l’altro, tastandone la tenera curva e tentando ad ogni contatto, di ottenere un poco di più … mentre le mani scivolavano verso il collo e con il pollice disegnava la piega della mandibola, accarezzando piano la pelle tenera appena al di sotto del lobo. Al suo tocco, la sentì tremare e ritrasse le labbra, ma poi avvertì le mani di Yuki risalire lungo le braccia, tracciare il profilo delle spalle e fermarsi a stringere dietro la nuca in un gesto che sapeva di ricerca e di timida conquista, rafforzato dalle sue labbra che quasi lo sorpresero, tornando a reclamarlo.
Nascose un sorriso tra i primi baci, rispose e cercò a propria volta, rinnovando il suo chiedere, dischiudendo le proprie labbra su quelle di Yuki, senza timore di nascondere il proprio desiderio; e se, in principio, lei gli parve quasi sorpresa dal suo gesto, presto il contatto si trasformò in un movimento invitante, caldo e senza remore, che accese un fuoco nel petto e una stilettata a correre verso il ventre. Un bacio dentro l’altro, in un contatto caldo e sensuale, di velluto, morbido e avvolgente, che ad ogni rimando diventava più intenso e trascinava con sé il bisogno di avere sempre di più. Le mani di Yuki, dal collo scivolarono al petto, scesero e virarono ai lati, stringendosi ai fianchi in una presa salda, una conferma di cui lui stesso sentiva la necessità; le sue dita, strette al tessuto spesso della tuta, mi mossero sul suo fianco, irrequiete, quasi in cerca di altro ... E allora Genzo si mosse, senza mai lasciare le sue labbra, portando le mani alla cerniera chiusa sul proprio collo, per far scorrere rapido il cursore fino in fondo e aprire con un gesto deciso la giacca, sfilando la stoffa da sotto le sue mani e lasciando che lei le appoggiasse a quella leggera della t-shirt.
Si separarono per pochi respiri, entrambi con una specie di affanno e gli occhi socchiusi che si scrutavano, fessure strette tra sorpresa e incredulità, in bilico tra il desiderio di lasciarsi trascinare oltre, dalla corrente torbida che avevano sperimentato, e il bisogno di mettere un punto fermo, uno qualsiasi, a quello che stava accadendo.
A Genzo sfuggì un sorriso e chinò il capo, poggiando la fronte a quella di Yuki – Come hai fatto a pensare di piacermi, Yuki? – le chiese quasi ridendo, puntando lo sguardo nel suo, scuro e attento, che parve spalancarsi, alle sue parole.
– Tu non mi piaci, Yuki, hai ragione. – riprese, sulle sue labbra – Tu mi togli proprio la ragione … mi sei entrata dentro, fino nell’anima, fino in un profondo che non sapevo nemmeno di avere … -
Osservò ancora il suo sguardo che era ancora lucido, ma ora brillava di un riflesso nuovo, quasi solido, che nella penombra dell’ingresso tingeva le iridi di un tono prezioso, ebano vivo e vibrante, e la vide stringersi al suo petto, mentre avvertiva le mani, aperte sulla schiena, premere con nuova energia. Sperò che potesse sentire, lì dov’era, con il capo poggiato al suo petto, il martellare accelerato del suo cuore e si chinò appena, per sfiorare con le labbra i suoi capelli, perché sentiva il bisogno che ancora una cosa non rimanesse in sospeso - … e non voglio assolutamente nasconderti ma semplicemente proteggerti da tutto quello che mi gira attorno. -


Angolo dell'autrice: ecco un ulteriore passo nella nostra storia... Tornano i dubbi, soprattutto laddove le cose non vengono chiarite a parole, e le incertezze, dovute anche al fatto che essere coinvolti emotivamente non è di aiuto nella lettura degli eventi. Per fortuna, qualche punto fermo viene messo da Genzo e questo dovrebbe essere di aiuto ad entrambi...
Io mi scuso immensamente per il ritardo con cui sto rispondendo alle recensioni; farò del mio meglio per tornare un po' più attiva e solerte, lavoro permettendo. Ringrazio tantissimo chi legge e chi mi fa compagnia, risollevando il mio morale anche nei periodi più duri.
Grazie a tutti e a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** ... impegno ***


13 - … impegno
 
(Giugno, le sera del rientro)
 
Sciogliere l’abbraccio che li aveva uniti non era stato impresa semplice; scivolare dalla stretta della sue mani, mentre muoveva lento le proprie dalle sue spalle esili, per risalire leggero lungo il collo, fino a fermarsi sulle guance, gli aveva concesso il tempo di realizzare quanto ciò che era accaduto avesse cambiato il loro modo di sfiorarsi e di restare vicini, una nelle braccia dell’altro.
Negli occhi scuri di Yuki aveva letto quello stesso disorientamento, l’attimo unico in cui lei stessa aveva certamente compreso che il loro starsi accanto era tramutato in qualcosa di nuovo, ai quali loro stessi avrebbero dovuto dare dei contorni a partire da quel preciso istante. E se, dopo i primissimi baci in cui si erano ritrovati, nel suo sguardo aveva letto una sorta di sorpresa, legata a doppio filo a quella incertezza con cui aveva reagito a quelli con cui le aveva chiesto più che un leggero contatto, in seguito Genzo aveva sentito chiaramente crollare ogni barriera. Perché le poche parole che si erano scambiati, mentre ancora erano piantati davanti alla porta d’ingresso, non avevano fatto altro che aprire la strada a nuovi baci intrecciati a sorrisi, che non lasciavano spazio a nessun dubbio, ma spazzavano via, invece, le incertezze nelle quali entrambi avevano rischiato di sotterrare i loro sentimenti.
Qualche rumore confuso proveniente dal corridoio del piano li indusse a fermarsi separando le labbra e lasciando che i respiri di entrambi tornassero quieti. Genzo chinò il capo, sfiorando i suoi capelli con la guancia, mentre lei poggiava la fronte alla sua spalla e attesero che, oltre l’uscio, il silenzio tornasse ad avvolgere il disimpegno. Difficile valutare lo scorrere del tempo, mentre il cuore cercava di recuperare il ritmo consueto …
Dopo qualche istante, tuttavia, con un profondo sospiro Genzo si sollevò, indietreggiando appena ma lasciando che una mano si adagiasse sulla sua spalla, in un istintivo tentativo di non sciogliere del tutto il contatto – Forse è il caso che ci spostiamo da qui … che ne dici? –
La vide annuire, le labbra strette in un sorriso divertito e lo sguardo felice, velato di leggero imbarazzo.
- Potremmo anche preparare qualcosa da mangiare: io ho pranzato prestissimo, prima della partenza e sono a digiuno da ore … Cosa c’è in casa? –
- Hai ragione. – convenne lei – Meglio preparare qualcosa … -
Si mossero verso il soggiorno e Yuki assottigliò lo sguardo, ma sembrava difficile spostare l’attenzione da Genzo, e dai suoi baci, alla dispensa – Credo che ci sia del pollo da cucinare alla piastra e pure dell’insalata già pronta … Ti va una Caesar? Ci metto un attimo … -
- Perfetto. – le rispose subito – Lasciami dieci minuti per disfare la borsa e poi sono da te. -
 
Tolse dalla piastra le fette di carne, disponendole su un tagliere; poco distante, sul ripiano, aveva già preparato due ciotole capienti con insalata mista e uova sode spezzettate. Scelse il coltello adatto e iniziò a sfilettare la carne, per farne delle listarelle, quando si sentì avvolgere in un abbraccio che la fece sussultare. Il coltello le scivolò di mano, rovesciandosi sul ripiano con un tonfo, e il respiro rimase incastrato sotto lo sterno.
- Ehi … sono io! – la tranquillizzò Genzo, che si era poggiato alla sua schiena circondandola con le braccia – Sei così impegnata che non mi hai sentito arrivare? –
- Mi hai colta di sorpresa … - lo ammise inspirando rapidamente e quasi trattenendo il fiato, mentre Genzo le sfiorava la tempia con il naso e il suo respiro le solleticava la pelle; lui le lasciò un bacio delicato sulla guancia e poi si allontanò di poco, sporgendosi su ciò che lei stava preparando.
- Posso aiutarti? Sono così affamato che potrei mordere anche te …  –
Yuki scosse rapida il capo, nascondendo la strana sensazione di disagio che le sue parole avevano fatto nascere – In realtà tra un minuto posso servire ma se ti va puoi preparare la tavola. Non ho ancora … -
- Vado. – Genzo sciolse l’abbraccio e lei si sentì in bilico tra quel brivido provato poco prima, che aveva catalogato come disagio, e lo spiacevole realizzare di non avere più la sua presenza attorno a sé. Lo seguì con lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore, mentre lui prendeva due tovagliette e si allontanava per sistemarle sulla tavola; non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, nel suo chinarsi a raccogliere qualcosa da terra e poi tornare al suo fianco, rovistando nel cassetto degli attrezzi da cucina; fissava le sue mani grandi e il modo preciso in cui le dita si muovevano tra le posate, risalì lungo braccio e avambraccio, incuriosita dal guizzo deciso con cui i muscoli si tendevano sotto la pelle liscia che si insinuava sotto il lembo della manica della maglia gialla e verde che ancora indossava.
D’istinto, si irrigidì quando si accorse che il braccio di Genzo si era fermato, rimanendo immobile sotto i suoi occhi. Sollevò il capo, cercando e incrociando il suo sguardo e un’onda calda le investì il viso, quando si accorse del cenno di sorriso che lui stava rivolgendo; le labbra appena tese, l’angolo sollevato quel poco da essere appena percettibile, Genzo doveva esseri accorto del fatto che lei fosse immobile ad accarezzarlo con lo sguardo e lei ringraziò il cielo per la sua discrezione nel rimanere zitto. Lo vide semplicemente voltarsi e tornare alla tavola, per occuparsi dell’apparecchiatura, e lei si affrettò ad afferrare il coltello, cercando di occuparsi delle due insalate.
 
Continuò a concentrarsi su quell’ammasso di date per parecchi minuti, invertendo impegni e tentando incastri azzardati, cercando di pianificare al meglio la mole di lavoro che avrebbe dovuto portare a termine nelle settimane che ancora aveva a disposizione prima del rientro in Giappone: per mesi si era concessa il lusso di ignorare il fatto che prima o poi la sua avventura ad Amburgo sarebbe terminata e improvvisamente, quella sera, quel pensiero si era fatto prepotente. Un appello a disposizione per sostenere l’ultimo esame in sospeso e poi il mese di agosto, il fermo dell’università, per preparare una tesina da presentare ad inizio settembre, a conclusione del percorso che il tutor aveva stabilito per lei[i]. Due punti fermi, le date degli appelli, cerchiate in rosso sulla pagina dell’agenda e nel mezzo una serie di simboli e rimandi, un groviglio di note scarabocchiate a matita che avrebbero dovuto rappresentare la rigida scansione delle fasi della sua preparazione; infine, il cerchio nero tracciato attorno al giorno del rientro.
Le sfuggì un sospiro triste, chiuse gli occhi e si concentrò sui rumori che provenivano dal bagno, sullo scrosciare dell’acqua … e sulla sua voce, sul tono trattenuto che probabilmente non avrebbe dovuto arrivare fino al soggiorno, ma che invece quella sera non sembrava poter essere governato del tutto e che si appuntò nella lavagna immaginaria dei dettagli che avrebbe rimpianto ripensando alla sua permanenza a casa di Genzo. Le sfuggì un sorriso, nonostante tutto, perché lui, ormai lo aveva imparato a conoscere, di solito non cantava sotto la doccia; eppure quella sera aveva preso a farlo e la sua voce l’aveva sorpresa, calda e sommessa, insospettabilmente intonata, nell’interpretare a più riprese quella canzone sdolcinata[ii] che … che ricordava di aver scovato nascosta sul suo telefono quando le aveva permesso di caricarci la sua playlist per lui e che si era chiesta cosa ci facesse in mezzo alle tracce alternative e rock che affollavano la sua libreria. Ebbe la certezza assoluta che quella traccia l’avrebbe condotta a lui ogni singola volta in cui l’avesse ascoltata e, ne era sicura, le avrebbe fatto vibrare l’anima, facendola volare fino ad Amburgo, in quella che anche lei aveva preso a chiamare casa.
Scosse il capo e cercò il telefono in mezzo alla confusione di fogli che aveva sparpagliato sul divano; non era il suo genere, certo, ma l’avrebbe tenuta tra le altre tracce … ripescandola ogni volta in cui avrebbe sentito il bisogno di affogare nella malinconia. Preso il telefono, cercò rapida la canzone e l’aggiunse alla lista SGGK, strofinandosi gli occhi con il dorso della mano.
- Che fai? – la voce di Genzo la fece sussultare.
Dal disimpegno, si era sporto a chiamarla, rimanendo mezzo nascosto, e la osservava con aria curiosa.
- Sto … sto cercando di fare ordine. – passò ancora la mano sugli occhi, arrabattando un sorriso e una risposta, pur di non ammettere il motivo di tanta improvvisa tristezza – Devo cercare di pianificare il lavoro delle prossime settimane. –
Lo vide annuire, sebbene poco convinto; certo, parlare di ordine stando seduta su un divano coperto di fogli sparsi, qualcuno pure scivolato a terra, qualcun altro poggiato sul tavolino insieme a libri impilati alla rinfusa, non era proprio il massimo in fatto di scuse credibili, ma in quel momento non sarebbe riuscita a mettere insieme una risposta meno inadatta. Eppure anche lui non sembrava nell’ordine di idee di fare le pulci alle sue parole, perché il tamburellare delle dita sul muro rivelavano una certa inquietudine.
- Ok. – le rispose lentamente e dopo qualche istante riprese – Se hai terminato … ti andrebbe di … di venire di là a guardare qualcosa in tv? -
Di là. A guardare la tv.
Due concetti di una semplicità assoluta che tuttavia le si chiarirono con una forza inattesa. Perché di là, in quell’appartamento e considerato il fatto che lei stava in soggiorno, poteva significare solo due stanze: la camera da letto e il bagno. E Yuki dubitò fortemente che Genzo la stesse invitando in bagno.
Trattenne il respiro, realizzando meglio situazione: avevano trascorso un sacco di serate insieme davanti alla tv, ma sempre sul divano, e in qualche occasione ci si erano pure addormentati, insieme, su quel divano. E ora lui la stava invitando proprio di là, dove solo due sere prima lei aveva chiesto di poter trascorrere la notte, in quel letto che lui aveva lasciato libero e in quella stanza dove, solo dopo mesi, si era accorta che ci fosse un’altra televisione. Questa tv che lui avrebbe potuto guardare, da solo, ogni sera, ma che invece preferiva sempre lasciare spenta, per rimanere in soggiorno insieme a lei. L’ennesimo anello in quella infinita catena di attenzioni che lui le aveva riservato fin dal suo arrivo e che ora evolveva quasi naturalmente insieme a loro e al loro particolare modo di avvicinarsi e di legarsi reciprocamente.
- Arrivo. – gli rispose chiudendo l’agenda, con la certezza che quella sera le sarebbe stato impossibile riuscire a concentrarsi seriamente sullo studio, così come sulla pianificazione del lavoro in sospeso, perché un’altra priorità aveva scavalcato ogni altro pensiero, attirando su di sé tutte le sue energie.
 
Lo raggiunse quasi immediatamente, trovandolo seduto sul letto, con le gambe distese e le caviglie incrociate una sull’altra, il telecomando tra le mani e lo sguardo rivolto alla tv sistemata sulla parete ai piedi del letto. Nella luce mutevole della stanza, illuminata solo dallo schermo acceso, Genzo sembrava rilassato, come era suo solito, capace di metterla a suo agio anche solo con il più semplice dei sorrisi, e vederlo sollevare un braccio per invitarla a sistemarsi accanto a lui la fece muovere subito, aiutandola sorvolare su quell’improvvisa sensazione strana che, varcando la soglia della stanza, l’aveva colta all’altezza dello stomaco, quando si era resa conto del fatto che lui, in camera propria, dormisse con addosso solo boxer e maglietta.
Era davvero stata così ingenua da pensare che l’avrebbe trovato in t-shirt e pantaloncini, come quando era rimasto con lei sul divano? Si diede mentalmente della stupida, realizzando che essere cresciuta con un fratello non l’aveva minimamente preparata nel suo percorso di avvicinamento a Genzo. Perché trovarsi a stretto contatto con Tsubasa, anche molto poco vestito, come era accaduto durante i periodi che aveva trascorso a casa, nella confidenza tra fratello e sorella che avevano sempre avuto, così come nei frangenti in cui tornavano a giocare come dei ragazzini, al massimo l’aveva resa orgogliosa di avere un fratello dal fisico atletico o l’aveva fatta riflettere su quanto fosse cresciuto o irrobustito rispetto all’ultimo loro incontro … ma posare lo sguardo si Genzo aveva avuto tutto un altro effetto. Completamente diverso anche dal divertito imbarazzo che l’aveva colta alla comparsa, in una mise ancora più succinta, di quello strambo compagno di squadra con cui Genzo divideva la stanza e, a quanto pareva, una genuina amicizia.
Obbligando lo sguardo a nascondersi tra le lenzuola, si sistemò accanto a lui, con il suo braccio sulle spalle, poggiandosi al suo petto, piegando le gambe e lasciandosi coccolare, ma non riuscì proprio a distendersi, a rilassarsi davvero. Il contatto con la sua pelle, quel profumo che ora sapeva riconoscere e il ritmo lento del suo respiro, proprio lì ad un soffio dal suo, non la potevano lasciare indifferente; anche il semplice appoggiarsi al suo fianco sembrava farle avvertire un calore inusuale a fior di pelle mentre gli occhi tornavano insistenti a scrutarlo di nascosto.
Sollevò appena le spalle, quando lui le chiese se avesse preferenze in merito al programma da guardare, senza nemmeno comprendere quali fossero state le sue proposte, senza riuscire ad impedirsi di continuare ad osservarlo, anche solo con la coda dell’occhio, cercando di non apparire troppo molesta … ma l’attenzione rimase sempre lì: sul profilo del braccio destro poggiato al materasso, dove teneva il telecomando, e sulla curva del torace, che poteva intuire precisa e solida come un disegno di mani esperte, sotto la stoffa leggera della t-shirt intima. Un nuovo fremito la scosse, ripensando a quando, su quello stesso letto, aveva percorso la sua schiena e il suo petto più e più volte, in un massaggio che aveva fuso la precisione dell’aiuto che si era promessa di dargli, con l’energia risvegliata da una affinità che correva veloce sotto pelle. Si impose ancora di distogliere lo sguardo da lui solo quando scivolò più sotto, dove l’orlo della maglia lasciava scoperte forme più piene e incredibilmente sensuali, di solito nascoste da altri strati di stoffa, e in quel momento trattenute solo dal cotone scuro dei boxer. Difficile restare impassibili di fronte ad una situazione così … così intima con lui, per il quale sentiva una innegabile attrazione ma che, nonostante la confidenza, il contatto e i baci che si erano scambiati, restava ancora un mondo tutto da scoprire. Si sentì improvvisamente avvampare e si irrigidì, tanto che Genzo si sollevò dai cuscini ai quali era appoggiato con la schiena.
- Tutto bene, Yuki? – le chiese lui mentre si scostava un poco da lei, cauto – Ti sento strana … Forse … forse preferisci tornare di là? Vuoi che me ne vada io? –
La sua voce non aveva potuto nascondere una punta di preoccupazione e le ultime proposte le erano giunte in un sussurro mesto.
Yuki, a quelle parole, chiuse gli occhi, negando lenta con il capo tornando a cercare il contatto con lui, lasciandosi finalmente cullare dal suo tocco accogliente. Non riusciva a non essere spiazzata dal suo abbraccio, dal contatto con il suo corpo; le era impossibile pensare di abituarsi alle sue carezze calde, al suo modo gentile di tenerla stretta a sé che aveva una sfumatura nuova, quella sera, nel movimento apparentemente distratto con cui le sue dita le sfioravano la pelle, leggere e sensuali.
Certo, doveva ammettere che aveva fantasticato sul fatto di avvicinarsi a lui e sulla possibilità che tra loro potesse instaurarsi qualcosa di più di un rapporto di amicizia, ma avvezza alla confidenza che si erano reciprocamente concessi, non era riuscita a definire cosa avrebbe potuto cambiare davvero, fra loro, almeno nei gesti consueti, della loro quotidianità.  Perché già in quei pochi momenti trascorsi sul suo letto aveva avuto chiara la distinzione tra il tocco dai contorni definiti e precisi che c’era stato in passato, quando le dita di Genzo erano quelle di un amico, e quel contatto sfumato e caldo con cui ora quelle stesse dita le increspavano la pelle, ma non le era possibile andare oltre, persa com’era a seguire il filo di quelle carezze sussurrate.
Il quel momento, distesa accanto a lui e stretta nel suo abbraccio, si era trovata fare i conti con una realtà che le si era presentata in fretta, quasi che quanto accaduto sulla soglia di casa avesse squarciato il velo che fino a quel momento aveva coperto una dimensione tutta nuova nella quale era stata catapultata in modo improvviso. Dimensione che, a giudicare da quanto poteva intuire, Genzo sembrava determinato a scoprire fin da subito, nel modo naturale con cui l’aveva cercata e accolta nello spazio privato del suo letto.
D’istinto, sollevò un braccio, per poggiare la mano sulla sua spalla, e aggrapparsi a lui, voltandosi fino a nascondere il viso nell’incavo alla base del suo collo, cercando di lasciare lì qualche parola, sulla sua pelle calda – Va tutto bene Genzo; è solo che io … -. Tuttavia non riuscì ad andare oltre, creando solo una nuova ombra su di sé.
Lui parve accorgersene, intuire quanto lei stesse faticando a trovare la propria dimensione in quel nuovo modo di stare insieme; spense la tv, lasciando che la sola luce della notte estiva rischiarasse la stanza e si fece ancora più vicino a lei.
- Scusami. - esordì a mezza voce - Io non … non volevo in alcun modo forzarti … - e anche le sue parole sembravano pescate a fatica in un groviglio di pensieri scomposti; forse anche lui, nonostante l’apparente tranquillità, stava cercando un equilibrio nuovo, che fosse perfetto per entrambi. – E’ che non mi sembra vero. – soffiò a mezza voce, e poi si fermò per trarre un profondo respiro e muovere appena le mani, accarezzando la sua schiena, senza lasciare la sua stretta leggera – Ho bisogno di sentire che ci sei, che posso stringerti e accarezzarti e darti un bacio, quando ne sento il bisogno, senza fingere di essere solo un amico; ma ho anche il tremendo timore che non sia quello che vuoi tu e il dubbio che qualcosa possa farti cambiare idea. –
Yuki rimase ad ascoltarlo in silenzio, colpita; aveva imparato a conoscere la lucidità con cui Genzo riusciva ad analizzare le situazioni e i moti del proprio animo, il coraggio con cui sapeva dare il nome corretto ad ogni cosa, senza nascondersi, e nella fragilità che le aveva appena espresso aveva sentito il riflesso della propria incertezza, di quell’unico cruccio che le covava dentro. Incredibilmente, nel modo tutto suo che aveva di aprirle il proprio animo, Genzo riusciva a rendere più semplice anche a lei leggere dentro di sé.
Si mosse, fra le sue braccia, per sollevare il viso e poter finalmente guardare dentro i suoi occhi, nel nero di uno sguardo increspato dall’aspettativa e dal dubbio.
- Non c’è nessuna idea da cambiare, Genzo. Credimi. – lo tranquillizzò subito - Solo che io … sono frastornata: non so nulla di queste cose. Niente. Capisci? –. In preda ad una irrefrenabile ondata di imbarazzo, restò a fissarlo, come se anche il silenzio potesse continuare a spiegare le sue ragioni; osservò le sue labbra che si piegavano, sollevando l’angolo destro, e il suo sguardo che lentamente si era assottigliato, facendolo sembrare quasi divertito – Per me è tutto nuovo e rischio di … di … -
- Credi che per me sia diverso? – le chiese allora a bruciapelo e Yuki non ci pensò nemmeno per un attimo.
- Sì! – rispose subito, dando voce ancora agli ultimi scampoli di quei crucci che avevano soffocato il suo animo – Tu sei più grande e sei qui da solo … Sei indipendente, maturo e libero di vivere come ti pare … Sei un calciatore professionista e … -
- … ed è tutto nuovo anche per me. – concluse subito lui deciso, senza lasciarla terminare, con l’urgenza di spezzare immediatamente quei pensieri torbidi – Perché non ho mai vissuto niente di paragonabile a noi e sono felice che sia così. Ma non solo: ho pure una terribile paura di sbagliare, perché se sbaglio con te, mi gioco molto più di una amicizia. –
Eccolo, il Genzo che l’aveva conquistata, sospeso tra la leggerezza della quotidianità e la concretezza del suo saper andare dritto al punto nei momenti difficili; in bilico tra il fermare deciso le sue parole e il pronunciare quel noi che, nel tono caldo che aveva assunto la sua voce, le aveva fatto vibrare l’animo. In sospeso ad un respiro dalle sue labbra, aveva saputo concentrare in poche parole le risposte a tutti i dubbi nascosti in fondo all’anima, quelli che l’avevano resa incerta, non sul bisogno di legarsi maggiormente a lui, ma su tutto quel contorno di dettagli che non aveva ancora razionalmente saputo affrontare. Lo stesso che, leggendo i suoi dubbi e il suo imbarazzo, le rubò un bacio leggero, ritraendo appena le labbra, prima di tornare ad alleggerire il suo umore.
- Indipendente e libero, lontano da casa … Mi ricorda un po’ la situazione di un certo fratello, sai? – insinuò allora allargando il sorriso – E non ricordavo che lui facesse tutta questa bella vita … -
- Beh, Tsubasa un mezzo impegno ce l’aveva; almeno in teoria … - insinuò Yuki arricciando il naso e sollevando le spalle.
- E io un impegno ce l’ho adesso. – precisò, per poi portare affondare lo sguardo nel suo, parlandole diretto, immediatamente serio – Ma tremo al pensiero di trovarmi davanti a Tsubasa e doverne parlare … o all’idea che tu possa chiamare Sanae per … -
Yuki non seppe trattenere le risa, di fronte a quella ammissione, lasciandolo per qualche istante esterrefatto e riuscendo a leggere chiaramente l’ombra della preoccupazione sul suo volto; scosse il capo, mentre gli occhi di Genzo si assottigliavano, e poi lei cercò le sue labbra, governando il respiro e rassicurandolo.
– Questo l’avevo intuito, sai? – gli disse recuperando la sua innata leggerezza e, in un soffio, anche la naturalezza che lui le ispirava – E in un certo senso riesco anche a capirti, perciò ti assicuro che saprò essere discreta … e non intavolerò nessun discorso imbarazzante con Tsubasa, né con Sanae. –
- Promesso? – chiese con un sopracciglio sollevato, un poco dubbioso.
- Promesso. – confermò subito – Ma non posso prometterti che riuscirò a non parlare di te … del tuo rientro in squadra, del fatto che ti ho seguito in tv … -
- Hai davvero seguito l’incontro in tv? -  
Genzo sembrava sorpreso e il suo sguardo lasciava trapelare una certa soddisfazione.
- Non ho seguito l’incontro. – precisò Yuki sollevandosi un poco e sostenendosi, puntando il gomito sul letto - Ho seguito te. E sai cosa ti dico? In campo sei dannatamente figo! –
Genzo scoppiò a ridere, sollevandosi a propria volta su un gomito e sussultando divertito – Io figo? Sicura? –
- Sì! – annuì lei convinta – Accidenti! Sei serio, concentrato … e autoritario … -
E assolutamente affascinante avrebbe aggiunto, perché lo pensava davvero, ma guardarlo ridere divertito, con quel sorriso pieno e sincero, gli occhi stretti e l’espressione finalmente serena, l’aveva distratta da tutte le argomentazioni che avrebbe voluto portare per spiegarsi e non era riuscita a mettere insieme un’altra frase sensata per fargli comprendere cosa avesse provato nel seguirlo in campo, nel riconoscerlo al centro di quello stadio enorme, tra i pali e sotto gli occhi di tutti quegli sconosciuti urlanti, che si esaltavano per lui senza conoscerlo davvero, come lo conosceva lei … Perché della telecronaca in tedesco non aveva capito molto, doveva ammetterlo; la voce concitata del giornalista non l’aveva aiutata per niente, ma il suo nome, in quel fiume di parole, lo aveva riconosciuto spesso e ogni volta aveva saputo ricondurre quei cenni entusiasti agli interventi spettacolari di cui Genzo si era reso protagonista, ogni volta lei aveva sussultato e qualcosa si era stretto nel suo animo, fino a tendere i suoi nervi.
- Parli come una che non ha mai seguito una sola partita di calcio … - insinuò lui, sempre più divertito - … ma sinceramente la cosa mi suona strana. –
 Yuki minimizzò muovendo nell’aria la mano libera, consapevole di quanto poco fosse stata interessata al gioco in sé; – Sai che il calcio non è la mia passione; io non sono mio fratello … Ho seguito le sue partite più importanti, le vostre partite più importanti, - precisò - e tutti i vostri successi, più per affetto, che per altro. In realtà, mi sono sempre concentrata su Tsubasa e sulle sue azioni. – ammise infine, sollevando le spalle con un poco di imbarazzo.
Lui la ascoltava attento, annuendo lentamente, e lei sentì di poter proseguire – Ieri era diverso: l’idea di vederti in campo mi elettrizzava … e riconoscerti là in mezzo ai pali, proprio tu … Eri … eri … -; strinse le dita sui palmi, ancora elettrizzata al solo ripensare alle emozioni provate e non poté nascondere nemmeno quella sottile tensione che l’aveva tenuta in fibrillazione durante l’incontro, proseguendo poi nel dopo partita, quando aveva seguito anche tutte le interviste e i commenti del caso, capendo meno della metà di quanto veniva detto, ma aspettando avida di riconoscere di nuovo Genzo e le sue parate in qualche spezzone riproposto nel riassunto del match. Rimase in sospeso, con le labbra tese in un sorriso, incapace di spiegarsi meglio … ma certa che lui avrebbe compreso.
Non si sbagliava, Yuki, perché lui si mosse, cogliendo pronto il suo sorriso, in un nuovo contatto di labbra che la indusse a scivolare indietro, fino a distendersi sul lenzuolo, con le ginocchia sollevate e le braccia distese sopra il capo, dove una mano di Genzo aveva raggiunto la sua, intrecciando le dita alle proprie in una stretta decisa. Si trovò a chiudere gli occhi, concentrata solo sulle sue labbra calde, sul suo richiamo urgente e sul desiderio, difficile da ammettere, che lui non si spostasse minimamente da lì, sporto com’era sopra di lei e capace di sciogliere con le sue labbra ogni pensiero che non fosse lui e la sensazione di calore che era in grado di far diffondere in tutto il suo corpo, facendole quasi dimenticare l’entusiasmo per l’averlo seguito in tv e tutto quello che ne era conseguito.
Quando Genzo abbandonò le sue labbra, anche la sua mano si mosse, accarezzandole il polso e scendendo lentamente lungo il braccio, tracciando un percorso delicato, che lei stessa seguì mentalmente; socchiuse gli occhi, quasi rapita dai suoi gesti, quando le sue dita si arrestarono, insistendo per qualche istante nell’incavo sensibile del gomito, solleticando e provocandole un leggero brivido, e li chiuse del tutto quando lui tornò a scendere, piegando dalla spalla verso la clavicola e insinuandosi appena nel collo ampio della sua maglia leggera. Avvertì le sue labbra sulla spalla, farsi insinuanti e seguire a poca distanza il sentiero tracciato dalle sue dita e fermarsi alla base del collo; deglutì a forza quando la sua mano scese ancora, lungo lo sterno, forzando appena lo scollo della maglia e distendendo le dita a seguire leggero la curva appena accennata del seno. Riconobbe una sorta di incertezza, nel suo tocco quasi tremante, che aveva tutto il sapore della scoperta, timida e curiosa insieme, intralciata dalla stoffa e dal suo stesso timore. Yuki si mosse appena, facendo in modo che la spalla scivolasse dallo scollo della maglia, nell’inconsapevole tentativo di lasciare più agio alla mano di Genzo, ma quando le dita della sua grande mano si distesero e il suo palmo caldo accolse per interno la sua forma, un fremito incontrollato la traversò da parte a parte, giungendo di riflesso anche a lui in un vibrare unisono.
Entrambi trattennero il respiro e lui si sollevò appena, per poi chinarsi a poggiare la fronte sulla sua spalla, rimanendo immobile a lungo, mentre il brivido che aveva scosso entrambi sfumava in un moto profondo dell’animo e loro tornavano a soffiare un unico, lento respiro.
Quando riuscì ad afferrare uno frammento di coscienza, Yuki ritirò un braccio da sopra il proprio capo, piegandolo sulla schiena di Genzo ancora appoggiato sopra di lei; portò la mano alla sua nuca, affondando le dita nei suoi capelli morbidi e trattenendolo a sé con una presa leggera, mentre lui lento sfilava la mano dalla sua maglia e scivolava al suo fianco, allungando il proprio braccio a circondarle la vita in un ampio abbraccio.
Non ebbero modo di pronunciare nessuna parola, intenti come erano ad ascoltare il silenzio denso mosso solamente dal soffio delle loro emozioni, lasciandosi accogliere dalla penombra di un unico sonno.
 
[i] Non avendo dimestichezza con i calendari accademici tedeschi, di nuovo sfrutto quelli dell’unica università che mi è famigliare, perciò abbiate pazienza, ma il Politecnico di Milano, in questa storia, interpreta l’Università di Amburgo in tutto e per tutto.
[ii] In mezzo a questa atmosfera, me lo sentivo a cantare All of me di John Legend. Se non è romantica questa….


Angolo dell'autrice: a rilento, ma ci sono, e farò del mio meglio per non fermarmi, nonostante il periodo non sia dei migliori. Mi rendo conto che, anche nei frangenti in cui mi sento più fragile, riuscire a tornare da loro, dai miei personaggi, mi tiene a galla. Mi auguro che possano avere un effetto positivo  anche su di voi che leggete e che accompagnate me e loro in questo percorso.
A presto
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** ... urgenza ***


14. … urgenza
 
(notte inoltrata, metà luglio)
 
La piazza gli parve quasi deserta, quando scese dall’auto di Kaltz per avviarsi verso casa. Lo sguardo corse istintivamente allo stabile verso il quale si stava dirigendo e risalì fino alle ampie finestre del proprio appartamento: le labbra si tesero in un sorriso nel notare che dalle aperture della camera da letto, un poco nascoste dallo sfondato della loggia, proveniva una luce soffusa e tremolante, appena visibile. Probabilmente lei si era addormentata con la tv accesa … perché non l’aveva mai vista rimanere sveglia fino oltre le due di notte! Continuò ad avanzare senza quasi prestare attenzione a ciò che lo circondava, concentrato solo e soltanto su quel flebile alone saltellante, mentre si lasciava alle spalle un gruppetto silenzioso che, tra l’assonnato e il brillo, non sembrava nemmeno essersi accorto della sua presenza.
Quello era un aspetto positivo del giocare in casa in serata: nonostante rientrasse con addosso la vistosa divisa della squadra, tra la penombra della piazza e quella delle menti dei passanti, riusciva a passare praticamente inosservato e a guadagnare la pace del suo appartamento senza troppi intoppi.
Da lontano, qualche schiamazzo proveniente dal de hors del pub in fondo alla piazza richiamò la sua attenzione, mentre cercava nella tasca del borsone le chiavi di casa; in passato, aveva festeggiato con Kaltz proprio in quello stesso pub alcune delle più esaltanti tra le prime vittorie conquistate insieme nell’Amburgo. Varcando la porta del palazzo, realizzò come l’amico non glielo avesse nemmeno proposto, certamente consapevole di quanto, negli ultimi mesi, lui fosse cambiato in fatto di abitudini, nonostante l’aver agguantato la qualificazione per la Champions League potesse finire di diritto tra i migliori risultati che avessero raggiunto insieme.
Con il pensiero fisso proprio su quel cambio di abitudini, si infilò nell’ascensore, stanco ma soprattutto mosso dal desiderio di giungere a casa il più presto possibile. Pigiando il pulsante per avviarsi al piano, Genzo appoggiò le spalle alla parete dell’elevatore, scrutando di sottecchi l’immagine riflessa nello specchio che gli stava di fronte e rilasciando un profondo sospiro: ancora qualche giorno di allenamento post partita, e poi avrebbe potuto finalmente rilassarsi un po’, godendosi qualche settimana di riposo e anche in questo, doveva ammetterlo, prevedeva qualche novità. Se di solito, durante il fermo estivo, programmava di rientrare a Nankatsu, questa volta non ci aveva nemmeno pensato, preferendo invece buttare un occhio su qualche meta più vicina, dove trascorrere qualche giorno con Yuki. Non gliene aveva ancora parlato ma, da quanto aveva appreso dai suoi discorsi, lei si sarebbe potuta concedere solo pochi giorni di pausa, in vista della consegna di quella tesina a cui già aveva messo mano, e per lui era stato naturale immaginare di far coincidere quei giorni di fermo studio con le proprie vacanze, nonostante la chiara consapevolezza di potersi concedere molto di più.
Il cicalino acuto dell’elevatore giunto al piano lo distolse dai suoi pensieri e Genzo si sollevò dal proprio appoggio con una spinta, inoltrandosi nell’ombra del corridoio silenzioso già con la chiave giusta tra le dita, per poi infilarla nella toppa con attenzione, cercando di non fare troppo rumore. Scivolando oltre la soglia, posò il borsone a terra e si avviò nel disimpegno, sporgendosi oltre la porta della camera, curioso e immediatamente colto da un moto di tenerezza.
Come aveva immaginato, Yuki si era addormentata con la tv accesa; stava mezza seduta, con la schiena poggiata alla testata del letto e il capo piegato su un lato, e attorno a lei una confusione di fogli e fascicoli suggeriva il fatto che avesse tentato di studiare, nonostante tutto, fino a che non era stata troppo stanca per continuare, cedendo al sonno. Si fece un poco di spazio, spingendo i fogli in un unico ammasso disordinato, e poi sedette sul letto, chinandosi a cercare le sue labbra.
-  Mnhz … - fu la reazione che ottenne immediatamente, anche se poco comprensibile, che dopo un nuovo bacio divenne più chiara.
- Genzo? – chiese lei ancora assopita, per poi aprire gli occhi, cercando conferma. Con lo sguardo sottile a scrutare tra le ciglia, sfuggendo al sonno e ancorandosi quel poco che riusciva a vedere dinnanzi a sé, Yuki arricciò il naso, prima di riprendersi repentinamente, distendendo il viso in una espressione di sorpresa assoluta.
– Genzo! – urlò quasi, saltando sul letto e gettandogli le braccia al collo – Sei arrivato! –
La accolse stringendola a sé e rischiando di perdere l’equilibrio, senza nemmeno riuscire a salutarla davvero, perché evidentemente lei si era del tutto svegliata, ormai, e sembrava aver già ritrovato tutta l’energia del primo mattino, nella morsa in cui lo aveva stretto e nel sorriso che le aveva illuminato il viso, ad un soffio dalle sue labbra.
- Avete vinto ancora … - gli disse, tra un bacio e l’altro - … e ora andrete davvero in Champions e … -
- Calma, calma … - la fermò lui, nascondendo un sorriso tra le sue labbra - … non correre. Sono talmente stravolto che non voglio nemmeno pensare alla Champions: mi importa solo il fatto che dopo i prossimi giorni sarò finalmente in pausa per qualche settimana! –
Lei allentò appena la presa, raddrizzando la schiena per guardarlo in viso; – Davvero? – chiese curiosa – Sarai ufficialmente in vacanza? –
Genzo annuì arretrando un poco, sollevando le mani e prendendo tempo – Esatto. Probabilmente fino a metà agosto, almeno; ma avremo modo di parlare con tutta calma di vacanze, di Champions e di chissà cos’altro, domani mattina. – poi si sollevó da lei, ammiccando - Perciò ora vado a rinfrescarmi ancora un po’, mi bevo qualcosa di dissetante e poi ti raggiugo perché ho davvero un gran bisogno di mettermi a letto! –
 
Quando tornò in camera, Yuki stava giusto finendo di rimediare al disordine di carta e appunti con cui aveva invaso il letto; Genzo le girò attorno e andò a distendersi sul proprio lato del materasso, gambe leggermente divaricate e braccia riverse sopra il capo, chiudendo gli occhi e soffiando un profondo sospiro.
- ‘Notte. – salutò godendosi l’abbraccio del letto e la frescura della stanza. Al proprio fianco, avvertì qualche movimento, la tv presto zittita e l’ombra scendere tutto attorno, un attimo prima che anche lei gli augurasse la buona notte, con un bacio delicato sulla spalla.
Si abbandonò alla pace che sentiva tutto attorno a sé, cercando di seguire il filo lontano dei rumori della piazza, il sommesso ronzare di qualche elettrodomestico in un appartamento vicino e le spire leggere dei propri pensieri sospesi tra sonno e veglia.
Allungò le braccia, stiracchiandosi, per poi farle scendere lungo i fianchi, mentre rivedeva quell’attimo cruciale in cui davvero aveva temuto di non riuscire a raggiungere la palla; ne aveva intuito l’arco teso, diretto nell’angolo superiore della porta, alla propria destra, e aveva reagito d’istinto, saltando con tutte le forze e allungandosi il più possibile. Era riuscito persino a udire le urla della curva, così come quelle della sua difesa, e il tempo aveva quasi rallentato, dilatandosi e permettendogli di cogliere istante dopo istante il momento della verità, quello in cui le sue dita avevano superato la curva del pallone, che era poi finito tra i suoi palmi. Si era chiuso su se stesso, trattenendo la palla contro il petto, nella piena consapevolezza che la partita fosse ormai agli sgoccioli e che di nuovo era riuscito a salvare la sua porta da un attacco che, portato a termine, avrebbe chiuso all’Amburgo le porte dell’Europa.
D’istinto, si mosse nel letto, piegandosi sul fianco destro, lo stesso sul quale era caduto a terra dopo la parata. Quando si era rialzato, il lungo, lunghissimo, rilancio diretto ai compagni aveva dato avvio all’ultima, decisiva, azione; una serrata serie di scambi che aveva potuto seguire, vigile e pronto come sempre, fino al triplo fischio dell’arbitro. Ancora gli rimbombavano nella testa i cori esaltanti dei tifosi e le grida dello sfogo liberatorio della panchina; mentre guadagnava il bordocampo, Kaltz lo aveva raggiunto di corsa, insieme a molti dei compagni, e gli era saltato sulle spalle, un braccio alzato a rispondere al richiamo di tanti tifosi, di un gruppo di scalmanati dalle parrucche verdi e gialle e dal volto dipinto, di un altro, poco più lontano, che dagli spalti agitava un enorme lenzuolo su cui era disegnato il loro dinosauro[i] verde, e di quello, poco oltre, in cui tutti i componenti vestivano una divisa da portiere identica alla sua, cappellino compreso. Si era sfilato i guanti, e li aveva agitati per salutare tutta quella folla festante … e tra le centinaia di sguardi che aveva incrociato, su quel terreno di gioco attorno al quale un’onda verde e gialla inneggiava a lui e ai suoi compagni, proprio in quell’istante, di fronte a tutto l’affetto che gli spalti stavano dimostrando in ogni modo possibile, lui, lo ricordava distintamente, aveva desiderato di tornare a casa. Perché l’esaltante sensazione data dalla vittoria, l’euforia in cui si era trasformata la tensione vissuta durante il match, gli avevano gonfiato il petto in una sorta di orgoglio che aveva spiegato le ali per sollevarlo da terra, per farlo sentire ancora forte, vincente e importante, fino a fargli assaporare il gusto della soddisfazione, di quella pienezza di sé che aveva sperimentato in passato, e che era un ricordo lucido, ma che in quel momento, aveva realizzato, non riusciva a toccare pienamente. Gli era mancato qualcosa … l’ultimo centimetro per giungere all’inafferrabile pienezza della soddisfazione di sé, quel vuoto che da solo non sarebbe riuscito a colmare. In quel momento, il pensiero di rientrare a casa era diventato un bisogno; nelle ore seguenti, quelle del festeggiamento negli spogliatoi e con i compagni, era diventato urgenza sotto pelle per tornare ad essere placida consapevolezza nell’istante in cui era giunto a varcare la soglia di casa.
Gli era stato sufficiente arrivare alla piazza, scorgere quell’orizzonte famigliare in quel minuscolo scampolo di città e raggiungere chi avrebbe ritrovato in quell’isola chiusa, per riuscire a dare la dimensione corretta a tutto quello che l’aveva esaltato e insieme turbato nelle ore precedenti, facendo sì che tutto riprendesse la proporzione corretta, diventando una parte della sua vita, importante, anche esaltante, ma non la sola.
L’abbraccio di Yuki, l’entusiasmo con cui l’aveva accolto, aveva reso tutto reale, perché condivisibile anche al di fuori da quello strano mondo verde e giallo in cui pareva immergersi quando indossava la divisa della squadra e che per tanto tempo aveva costituito il suo unico ambiente; il contatto con lei, gli aveva permesso di tornare ad essere se stesso, un giovane uomo con una realtà che andava oltre l’essere il portiere dell’Amburgo, ruolo che per tanto tempo aveva rischiato di essere il suo unico scopo nella vita, fino a diventarne il limite, quando quella posizione ambita era stata messa in dubbio. Mai come in quel momento, gli fu chiaro come l’ingresso di Yuki nella sua vita avesse rimescolato le carte della sua partita, facendogli scoprire lati di se stesso a cui non aveva mai concesso attenzione e, nello stesso modo, permettendogli di forzare quella dimensione comoda ma incompleta che lo relegava a voler essere solo un portiere.
Si mosse ancora, per sistemarsi sul fianco sinistro, infilando il braccio sotto al cuscino; nella fioca luce della camera, cercò il profilo disteso al proprio fianco, ascoltando il soffio leggero del suo respiro e riuscendo subito ad intuire il luccichio delle sue iridi scure.
- Non dormi? – gli chiese lei a mezza voce, allungando un braccio per sfiorare il suo viso, e lui rispose negando lento con il capo, dentro la sua carezza, prima di cercare di spiegarsi.
- E’ stato un incontro impegnativo, non solo fisicamente. –
- L’avevo intuito. Avete giocato in modo serrato per tutto il tempo … e tu, di nuovo, sei stato decisivo. – gli disse con un mezzo sorriso; e mentre lui cercava di intromettersi, per minimizzare, lei posò le dita sulle sue labbra per fermarlo – Non negarlo: ho visto i tuoi compagni a fine partita … e anche i tifosi.  –
- Sono tifosi e stravedono per noi. – puntualizzò.
- Non sono obbligati ad appezzarti. Piuttosto, sanno quanto vali e hanno tutte le ragioni per adorarti. – lo corresse Yuki e Genzo, in poche battute con lei, si accorse di sentire il proprio animo già più leggero.
- Ah! Adesso non sono più figo? – la provocò, fissandola con una smorfia che avrebbe dovuto essere di delusione – Adesso sono diventato adorabile? -
Lei si sollevò di scatto, poggiando il gomito sul letto; – Certo che sei figo! Ma questo devo vederlo solo io! – protestò, mentre muoveva l’altro braccio, puntando l’indice sulla propria spalla – I tifosi devono guardare solo come giochi! –
Rise a quelle parole, divertito dalla sottile gelosia che riusciva a leggere anche nel suo fare scherzoso, un atteggiamento che non aveva mai avuto modo di sperimentare, in Yuki, ma che si rivelava latente e inesorabile quando il discorso cadeva sull’affetto che la tifoseria dimostrava nei suoi confronti. A propria volta, Genzo si sollevò di poco, sostenendosi con il gomito e pronto a ribattere, deciso a punzecchiarla e a non lasciar cadere il discorso, quando, con lo sguardo ormai abituato alla poca luce della notte, i suoi occhi notarono un dettaglio insolito, puntandosi sullo scollo largo e scuro della maglia che lei vestiva in quel momento. Incuriosito, si sporse per prendere tra le dita un lembo di stoffa, sulla sua spalla - Ma … cos’hai addosso? Ci stai dentro due volte e sembrerebbe … -
Yuki si ritrasse d’istinto, quasi in imbarazzo – Ecco … scusami, avrei dovuto chiederti, prima, ma … -
Genzo inarcò le sopracciglia incuriosito, in un chiaro invito a non farsi problemi – Dimmi … -
- Beh, oggi ho solo studiato e mi sono completamente dimenticata di ritirare il bucato dalla lavanderia, non avevo più niente per la notte e … e hopresounamagliadelletue. – rivelò tutto d’un fiato per poi continuare, quasi a giustificarsi – Sono così lunghe che … -
Genzo socchiuse gli occhi, quasi pungolato dalla situazione, e istintivamente deciso ad approfittare di quel dettaglio inusuale; chinò il capo, con fare inquisitore e si fece più vicino a Yuki – Fammi vedere quale hai preso … - esordì sporgendo le labbra e protendendosi verso di lei, diretto verso la maglia, ma poi deviando tutto d’un tratto per arrivare a posare le labbra sulla sua pelle, alla base del collo. Avvertì subito il suo sussulto, mentre lui portava la mano al suo fianco, giusto sull’orlo della maglia, infilandovi sotto la punta delle dita e muovendole lentamente sulla pelle, arricciando a poco a poco la stoffa.
Un bacio, nascosto dietro la prima scusa, e poi un altro – Al buio non riesco a capire … - per risalire lungo il collo, alternando baci leggeri e parole sussurrate a fior di pelle, mentre il respiro di Yuki si era fatto frammentato e ad ogni contatto delle labbra sul collo, sembrava rimanere incastrato nel petto per qualche istante.
- … Sembrerebbe proprio la mia preferita … - continuò lui, mentre anche la mano proseguiva il suo viaggio, portando con sé, su, fino alla vita sottile, il bordo della maglia, raccolto ben al di sopra di essa - … e in questo caso, mi dispiace … -.
- Ti dispiace … cosa? – soffiò Yuki, il tono insinuante di chi aveva intuito il suo gioco e non intendeva tirarsi indietro.
- Mi dispiace, - le sussurrò dietro l’orecchio, - … ma non credo di potertela prestare … - proseguì, scendendo di nuovo lento verso la base del collo, per fermarsi e insistere su un lembo di pelle, quasi a distrarre Yuki, mentre la mano, insinuante e temeraria, aveva fermato la sua corsa appena al di sotto del seno e le dita si muovevano leggere, sfiorando con il dorso la curva delicata della sua forma. Una forma che già aveva scoperto, tracciato, accarezzato e baciato, notte dopo notte, in un crescendo sensuale che ancora non l’aveva saziato; una forma che sapeva morbida, profumata e, soprattutto, capace di risvegliare in Yuki qualcosa che di solito era ben celato, in una piega nascosta del suo temperamento.
- Qu … quindi? – insistette lei, scivolando indietro, a distendersi sul letto, sotto la spinta leggera di quella mano grande che si era aperta accogliendo per intero il seno, stringendo e accarezzando, per poi lasciare il posto alle sue labbra.
Genzo chiuse gli occhi, mentre si dedicava a quel piccolo lembo di pelle morbido che si increspava, reagendo alle sue attenzioni; sorrise, soddisfatto, quando Yuki, inconsapevolmente inarcò un poco la schiena, e svelto ne approfittò sfilare ancora di più la maglia da sotto il suo fianco, spingendola fino sotto le sue spalle. Sollevò il capo, sostenendosi con il gomito sinistro puntato sul cuscino di Yuki, mentre con la mano le afferrava un polso, accompagnando il suo braccio oltre il capo, per poi recuperare la maglia e farla scivolare fino a sfilargliela quasi completamente. Scorgendola attenta e pronta ad ogni sua mossa, scese sulle sue labbra, catturandole vorace, chiedendo e subito ottenendo da lei la risposta che desiderava: vivace e sensuale, accogliente e insieme energica, così come era cresciuta con lui, dai primi timidi baci scambiati sulla soglia di casa alla partenza per la trasferta a Leverkusen, fino a quel mordersi vorace, rubandosi fiato per perdersi uno nell’altro, ogni volta con urgenza maggiore. Si sollevò solo per un attimo, scorgendo i suoi occhi socchiusi scomparire e poi tornare a puntarsi nei suoi, mentre la maglia finalmente scivolava oltre il capo e lungo tutto il braccio destro, spinta dai movimenti di entrambi, finendo per volare via, inutile e lontana.
La luce fioca, disegnava sul viso di Yuki tratti misteriosi; i capelli, sciolti sul cuscino, macchiavano l’ombra oltre il suo capo come fossero di un inchiostro denso, lento e inesorabile nel suo sfidare le lenzuola chiare, nello stesso modo inafferrabile e segreto con cui l’immagine di lei colava sui suoi sensi risvegliando un istinto nuovo, quasi predatorio. Le sue labbra sottili si piegarono in modo impercettibile in un sorriso in cui lesse una sorta di sfida e Genzo avvertì le proprie rispondere a quella provocazione, tendendosi per un istante, prima di tornare a catturarle.
Con il respiro teso e il petto che svuotava in soffi sempre più nervosi, la coscienza gli pareva offuscata, sommersa in uno stato sospeso tra sensi affamati e mente schiava del suo stesso corpo.
Si sollevò da lei, le labbra dischiuse e il respiro affannato, nella ricerca di aria che pareva essere finita nell’istante preciso in cui i loro baci si erano legati uno all’altro. In un attimo, la vide sollevarsi, avvertì la presa dei suoi polsi incrociati dietro alla nuca, e il suo viso scomparve affondato alla base del collo, dove Yuki prese a cercarlo e attaccarlo, con baci umidi e morsi leggeri, in una scia insistente e precisa che, scendendo sempre di più, giunse presto a forzare la maglia che lui ancora indossava, segnando con una presa decisa di denti sulla sua pelle, là dove lei non avrebbe potuto proseguire.
Genzo, deciso, distese le braccia, sostenendosi sulle ginocchia, per sfilare in un unico gesto la propria maglia, senza curarsi di nulla, e poi tornare a offrirsi a lei. Incrociò per un istante il luccichio avido dei suoi occhi scuri e avvertì di riflesso lo stesso bisogno di sentirla ancora di più, con maggiore intensità, in una scarica che gli tese la schiena, scendendo fino al ventre. Si chinò su di lei, tornando ad offrirle il proprio collo e intanto mosse la propria mano, cercando e trovando il suo fianco, con carezze disordinate, quasi che la sua mente non riuscisse a strapparsi dal richiamo incessante che le labbra di Yuki operavano sul suo petto; un contatto che sapeva di sfida e di ricerca, che stuzzicava, chiamava e si faceva sempre più esigente, risvegliando onde calde che dalla pelle si facevano profonde, diramandosi in brividi attraverso il corpo, scariche che si concentravano in un punto preciso del ventre, spezzandogli di volta in volta il respiro in frammenti sempre più difficili da recuperare.
Come in risposta ad una sfida, Genzo tornò a sollevarsi sulle ginocchia, insinuando il destro tra quelle di Yuki, e mentre con la mano sinistra tornava ad accarezzarla, tracciando con due dita il profilo delle sue labbra lucide, con l’altra cercò di nuovo il suo fianco, insinuandosi deciso sotto la biancheria, oltrepassando un confine che solo una volta aveva violato, nella lucida consapevolezza che questa volta non si sarebbe fermato a quello. Senza attendere, mosse la mano sulla pelle, portando con sé la stoffa, ed ebbe un sussulto nell’accorgersi che lei, di riflesso, aveva sollevato i fianchi per agevolarlo, mentre trascinava i suoi slip fino ad incastrarli contro il proprio ginocchio. Nessuna incertezza, nessuna indecisione in un gesto forse istintivo, ma che lei gli aveva concesso con una naturalezza disarmante, che gli aveva prosciugato la gola. Assetato, cercò ancora le sue labbra nascondendo a se stesso il sentiero che la sua stessa mano stava tracciando sul ventre piatto e liscio di Yuki, scendendo lento fino ad nascondersi laddove non aveva ancora osato arrivare.
In quell’istante, i suoi baci si spezzarono, trattenendosi in bilico tra un contatto e uno sfiorarsi di labbra, mentre l’attenzione di entrambi correva su un altro punto di incontro, su carezze leggere, tremanti, che scoprivano nuova pelle e nuove forme, rivelando un desiderio nascosto che, in una spirale leggera che si faceva via via più decisa, divenne necessità per ciascuno di loro. Fu come perdere il lume della ragione, affondando nell’istinto di entrambi, mentre lei sollevava appena i fianchi e lui si lasciava condurre dal suo richiamo, cercando di riconoscere il suo desiderio. Si mosse, lento, seguendo il suo sospirare e leggendo quel muoversi leggero dei fianchi, la stretta delle sue mani sulle braccia che si faceva via via più decisa, e la piega nuova che aveva preso la sua espressione, con gli occhi stretti in fessure sottili e la labbra appena dischiuse, umide e tremanti. Fu con insistenza, attenzione e assoluta devozione che accolse ogni suo flebile gemito, accompagnando ogni inarcarsi della schiena, gli attimi della tensione improvvisa e il vibrare del suo respiro fino a spezzarsi nell’ultimo fremito, il più lungo e intenso, che parve scuotere il suo corpo e il suo animo, portando lui stesso a tremare con lei.
 
Fu dopo qualche istante, che la vide spalancare gli occhi, mentre il suo respiro tornava lentamente regolare; rimase ad osservarla affascinato: le labbra tese in un sorriso incontrollato, la fronte appena imperlata di sudore e lo sguardo che mutava la sorpresa in qualcosa di nuovo, che sapeva di torbida determinazione. Le sorrise, di rimando, incapace di pronunciare parole, ancora non del tutto consapevole di cosa fosse realmente accaduto, ma completamente soggiogato dal suo sguardo e venne colto di sorpresa quando lei si mosse, inaspettatamente piena di energia, per spingerlo a distendersi con la schiena sul letto e distendersi al suo fianco, con il braccio destro insinuato sotto al suo collo, in un abbraccio stretto. Quando accolse il suo bacio, ne riconobbe il sapore, dietro lo slancio deciso e esigente con cui lei lo cercò, lasciandosi piacevolmente sorprendere dalla sua forza, dal piglio quasi severo con cui era lei, in quel momento, a condurre il gioco. Il respiro si fece presto di nuovo pesante, intrecciato com’era in quei baci serrati, umidi e profondi, e l’intero corpo rispose fin dal primo contatto, risvegliandosi da un torpore che non aveva del tutto vinto sulla tensione delle membra. I sensi all’erta, Genzo ebbe un fremito quando avvertì la sua mano premere sulla pelle, al centro della sua schiena dove era rimasta per qualche istante, e poi iniziare a muoversi, con la punta delle dita che sfiorava ogni vertebra in una discesa lenta e sicura, fino al bordo dei boxer. Yuki insistette per un poco, giocando con la fascia elastica per qualche istante, prima di far scivolare le dita lungo tutto il perimetro dell’indumento, fino ad aggirare il fianco e a raggiungere il suo ventre. Di nuovo qualche respiro di attesa durante i quali Genzo rimase sospeso, vigile e teso, mentre l’ultimo dubbio veniva a galla e poi affondato nuovamente, nel tocco deciso con cui il palmo si era aperto e appoggiato là dove la sua eccitazione non poteva essere nascosta. Il brivido che lo attraversò di nuovo da capo a piedi si tradusse in un movimento involontario sotto le dita di Yuki che tremarono un poco, sorprese, prima di muoversi ancora, appena più decise, alla ricerca di un una nuova reazione che presto si fece viva sotto la stoffa.
Genzo, gli occhi appena socchiusi a scrutare la fioca luce della stanza e concentrato a seguire il tocco della sua mano, ebbe un sussulto nell’incrociare lo sguardo scuro, di pura soddisfazione, con cui lei lo stava fissando; deglutì di fronte a quegli occhi affamati, pronti a passarlo da lato a lato, ed ebbe la certezza assoluta che niente, nessun residuo di pudore o di cos’altro, avrebbe potuto fermarla. Si sentì preda e incredibilmente pronto ad esserlo.
Non ebbe modo di opporsi, quando la mano di Yuki si infilò nei boxer, afferrando decisa la stoffa per tirarla verso il basso, scoprendo la sua meta curiosa e determinata, né quando tornò alla sua pelle, liscia e tesa, per cercarla e accarezzarla, saggiarne la forma e scoprirne ogni segreto. Avrebbe voluto tenere gli occhi fissi nei suoi, mentre le si consegnava, in tutta la propria forza e al contempo nella più grande debolezza, ma il tocco della sua mano, fattosi in un istante più deciso, ampio e insistente, annullò ogni sua volontà, chiudendogli la gola in un gemito appena trattenuto. Tese le mani, premendole contro le lenzuola e poi afferrando la stoffa, quasi a cercare un appiglio, uno qualunque, per non cedere a quell’insostenibile tormento; non seppe controllarsi, quando un calore inatteso iniziò a diffondersi da un punto nascosto, al centro del suo corpo; non poté impedirsi di abbandonarsi con il capo riverso all’indietro, affondato nel cuscino, cercando aria con le labbra socchiuse, mentre anche respiro si faceva serrato e la coscienza si strappava, lacerandosi in frammenti che si disperdevano tutto attorno a lui, come piumini di un soffione sollevati e dispersi dal vento. E non poté che abbandonarsi completamente a lei, anima e corpo, quando nella nebbia che lo aveva avvolto un’esplosione spazzò lontano l’ultimo brandello di lucidità, in un fragore che disperse ogni volontà, per farlo deflagrare in un gemito profondo che gli spezzò il respiro, lasciandolo inerme, senza fiato e padrone di un'unica certezza: loro due, insieme, in quel momento assolutamente perfetto.
 
[i] Ho letto che la mascotte dell’Amburgo è proprio una specie di dinosauro che nella realtà è blu, come i colori sociali della squadra. Qui l’ho adeguato ai colori del Grunwald.

Angolo dell'autrice: sempre più incasinata... ma ci sono, almeno per ora. Ho ancora tanto da raccontare e cerco di non mollare, anche se diventa sempre più impegnativo trovare il tempo per tutto. Eppure... questa storia mi chiama inesorabilmente e anche nei momenti meno opportuni, ritagliandosi del tempo anche dove non c'è. Avrò un mese di ottobre super impegnativo e solo in seguito, forse, potrò tirare un po' il fiato. Spero che possiate portare pazienza e che questo rallentamento nella pubblicazione non dia troppo fastidio.
Un abbraccio a chi legge, segue, preferisce, ricorda...
A presto
mgrandier

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** ... imbarazzo ***


 15. … imbarazzo
 
(Fine luglio)
 
- Quindi non tornerai a casa in Giappone come fai ogni estate? – Kaltz stentava a credere alle parole dell’amico che, seduto sul divanetto di fronte a quello dove si era accomodato lui, si strinse nelle spalle, minimizzando.
- Lei avrà da lavorare alla sua tesina da consegnare a settembre e io mi sono impegnato a darle una mano. Non è certo un problema: tornerò a Nankatsu durante la pausa delle feste di fine anno. -
Kaltz tamburellò le dita alla base del boccale di birra, senza nascondere le proprie perplessità; con fare sornione azzardò – Come intendi aiutarla? Limitando le sue ore di sonno? –
Genzo scosse il capo, con l’espressione severa di una maestra che riprende un alunno indisciplinato.
– Ma tu pensi solo a quello, nella vita? Non hai altri interessi? – lo provocò – Intendo aiutarla davvero: ha scelto di specializzarsi nel trattamento degli sportivi e in questo corso ha la possibilità di dare un taglio specifico al suo elaborato; per questo, potrò esserle utile, fosse anche solo come caso da approfondire … -
Kaltz non si fece sfuggire l’occasione ghiotta: - Approfondite, approfondite … - lo riprese pensando evidentemente ad altro, per poi posare i palmi sul tavolo e protendersi su di esso, sporgendosi verso l’amico con fare indagatorio - Ma dimmi la verità: adesso che state insieme davvero, a parte i bacetti e le romanticherie, qualche soddisfazione seria te la prendi, o …? –
- Come dicevo prima, a proposito dei tuoi interessi? – si lamentò immediatamente il portiere; ma poi i suoi occhi incrociarono quelli inquisitori dell’amico e Genzo nascose lo sguardo nel proprio bicchiere di spremuta, afferrando la lunga cannuccia bicolore per rimestare i cubetti di ghiaccio – Ecco … -
- Non dirmi che l’hai lasciata ancora sul divano!? – Kaltz esterrefatto, non riuscì a controllare il tono della voce e l’altro, guardandosi attorno, agitò le mani per indurlo a controllarsi; sbuffò sonoramente e lo guardò di traverso – Voglio la verità, Genzo … -
- No. Non sta sul divano. – lo accontentò Genzo tutto d’un fiato – Dorme con me. Però … -
La mascella di Kaltz crollò verso il pavimento, tanto che lo stecchino scivolò dalle sue labbra, rimbalzando sulle sue gambe e finendo a terra. Quando riuscì ad articolare qualche pensiero, la fronte era aggrottata in una espressione esterrefatta – Cioè, ci dormi insieme e non ci fai sesso? Niente di niente? –
- Beh … - tentò di giustificarsi Genzo, ma Kaltz non lo lasciò proseguire.
- Ma cosa sei, Genzo, una specie di monaco? –
L’altro si riscosse, imbarazzato, ma anche spazientito – Non è che non si faccia proprio niente … Insomma, non si fa tutto! Ecco. –
Kaltz rimase ammutolito, con un sopracciglio inarcato, in attesa di altro, consapevole che la faccenda non fosse di semplice pudore o inesperienza.
Genzo prese un sorso dal proprio bicchiere e soffiò un lungo sospiro – Se proprio vuoi saperlo, il problema è mio: non ne ho il coraggio. –
Vedendo che anche l’altro sopracciglio del tedesco aveva raggiunto quello già sollevato, Genzo si affrettò a spiegare meglio – C’è sempre di mezzo lo spettro di Tsubasa. –
- Mi vuoi far credere che, in quei momenti lì, tu pensi a suo fratello? – insinuò Kaltz, ma Genzo non gli diede tempo di proseguire.
- Stiamo insieme da poco e so già che sarà molto difficile, in ogni caso. – affermò deciso – Io non me la sento di proporle un passo così. Di impegnarla in questo modo. –
Kaltz rimase incredibilmente zitto per qualche istante, con lo sguardo ridotto a fessura; ad un tratto, si allungò verso il centro tavola di servizio, sfilando uno stecchino e scartandolo rapidamente, per portarselo alle labbra. – Ti capisco, sai? – ammise con una specie di sospiro – E, soprattutto, ti riconosco, in uno scrupolo così. Se fosse mia sorella, sarei felice di saperla con te. –
Rimasero per qualche istante in silenzio, mentre Kaltz prendeva un sorso di birra, e poi nei suoi occhi chiari comparve un riflesso curioso – Lui, Tsubasa, come l’ha presa? -
Il movimento impercettibile delle spalle dell’altro gli suggerì di aver toccato di nuovo una corda proibita; sostenne il suo sguardo fino a che Genzo non si decise a parlare.
- Semplicemente, non lo sa. – dichiarò con una certa solennità – Le ho chiesto io di aspettare a parlargliene. –Kaltz, con i gomiti poggiati al tavolo, fece ruotare gli avambracci piazzandosi i palmi sul volto, con le dita aperte a ventaglio, dimostrando quanto la cosa gli sembrasse assurda; dopo un attimo di stallo, le mani presero a scivolare verso il basso, tirando i tratti del suo volto in una maschera che aveva del grottesco – Non ci credo. –
- E’ più forte di me. – cercò di giustificarsi Genzo – Non riesco a pensare che Tsubasa possa fare due conti e immaginarsi di noi due da soli … -
- Non ti facevo così imbranato, Gen. – borbottò subito Kaltz - Anche Tsubasa ha una ragazza, no? –
- Stanno insieme a distanza. – Genzo si affrettò a precisare quanto la situazione fosse diversa.
- Ci sarà qualche tuo compagno impegnato in loco, no? –
- Matsuyama. – fu il primo nome che gli venne in mente, per il suo essere storicamente impegnato in una storia seria e conclamata, tra i compagni di nazionale; ma poi Genzo aggiunse – Ishizaki, Misugi … -
- Bene: tu ti fai dei film su cosa facciano questi con le loro ragazze? – gli chiese allora di rimando, cercando di farlo ragionare.
- Si tratta di amici! – si affrettò a puntualizzare – Non di sorelle … o fratelli … -
- Accidenti, sei davvero un disastro. Mi auguro per lei che quando siete insieme tu sia un po’ meno … ingessato! – il rimprovero del tedesco colse nel segno; lo sguardo di Genzo si fece buio, mostrandolo quasi spazientito, al limite dell’offeso. Poi, la sua espressione cambiò con la rapidità con cui, in una giornata ventosa d’estate, la luce calda del sole torna vivace dopo il passaggio di una nube passeggera. Con un sospiro, Kaltz comprese al volo chi stesse arrivando al loro tavolo.
E infatti, dopo una frazione di secondo, Yuki comparve a fianco di Genzo, allegra e solare come sempre, scivolando sul suo stesso divanetto e lasciandosi avvolgere dal braccio che lui aveva sollevato nell’accoglierla. Li vide scambiarsi giusto un paio di occhiate di intesa e un’espressione di Genzo che doveva suonare qualcosa come una specie di avviso di campo libero, perché un istante dopo, Yuki si protese verso di lui, lasciandogli un leggero bacio sulla guancia, e lui, di rimando, sollevò una mano, posandola sulla sua guancia per trattenerla rivolta verso di sé e baciarla direttamente sulle labbra. L’espressione compiaciuta che Kaltz riconobbe sul viso della ragazza gli fece comprendere che non fosse per niente sorpresa di quel saluto; d’istinto, gli venne da cercare lo sguardo di Genzo, girandogli un proprio cenno di approvazione ufficiale.
- Di cosa parlate? – chiese curiosa Yuki rivolta ad entrambi – Quando sono arrivata sembravate piuttosto impegnati … -
- Di niente. –
- Di tuo fratello. –
Le risposte unisone dei due calciatori fecero restare Yuki in sospeso.
- Quindi? – chiese dubbiosa e dopo uno scambio di occhiate tra i due, di rimprovero quelle di Genzo e spazientite quelle di Kaltz, fu il tedesco a prendere parola.
- Gen dice che tuo fratello non è aggiornato sui fatti di Amburgo. – spiegò vago.
Yuki soffiò un lungo sospiro, ma poi fece spallucce – Genzo non ha torto: Tsubasa non è uno che si sia mai troppo interessato a queste faccende … Non credo che sia necessario fargli un comunicato ufficiale: le cose stanno come stanno e quando avrà voglia di accorgersene, considererà la questione. –
L’espressione vittoriosa e soddisfatta di Genzo bruciò a Kaltz come un tunnel subito ad opera di un ragazzino, tuttavia, vedendo Yuki afferrare disinvolta il bicchiere del portiere per assaggiare la sua bibita, gli fu istintivo pensare che, alla prima occasione di incontro, anche il capitano della Nazionale giapponese avrebbe rapidamente aperto gli occhi. D’altra parte, quello stava in Spagna, loro ad Amburgo e il resto degli amici prevalentemente in Giappone: non c’era nessuna evidente necessità di spifferare la cosa ai quattro venti.
- Vi sentite spesso? – le chiese curioso.
Yuki stava ancora sorseggiando la spremuta, sotto lo sguardo compiaciuto di Genzo, e solo dopo qualche istante parve realizzare che la domanda fosse per lei.
- In realtà, non più di tanto. – ammise posando il bicchiere – Visti gli impegni di entrambi, ultimamente ci si chiama ogni qualche giorno. Adesso lui rientra a casa, mentre io resterò qui fino al termine dello stage: ci si aggiunge pure il fuso orario. – si chinò sulla cannuccia e prese ancora un sorso di spremuta, poi aggiunse – E mi auguro che Tsubasa si dedichi un po’ a Sanae … -
Kaltz, pur nel sottile riferimento alla storia trascinata di Tsubasa, di cui Genzo gli aveva fatto cenno, non si era perso l’ombra di tristezza che aveva rabbuiato lo sguardo del suo amico – Fino a quando resterai a Amburgo? –
Yuki chinò lo sguardo: probabilmente il solo toccare l’argomento era motivo di tristezza anche per lei. Genzo cercò la sua mano, stringendola appena, con le dita sottili intrecciate alle proprie – Il volo di rientro è fissato per il 15 settembre. –
Poco più di un mese e mezzo, realizzò Kaltz spiccio; un niente, per due che avevano appena aperto gli occhi sul loro legame. Anche per Kaltz, la questione parve immediatamente chiara.
- Hai veramente intenzione di lasciarla andare, Gen? -
Genzo rimase a guardarlo serio, di fronte alla sua domanda esplicita; si volse a cercare lo sguardo di Yuki che aveva perso tutta la sua allegria da quando l’argomento rientro era stato tirato in ballo.
- Non ho mai sentito nessuno che abbia fatto più di uno stage … - ammise dubbiosa.
- Questo non significa che non si possa tentare. – osservò Genzo tagliando corto, e Kaltz lo vide puntare poi gli occhi su di sé diretto – Ma la domanda non è se io la lasci andare o meno. – prima di voltarsi e fissare lo sguardo in quello scuro della ragazza, senza che la benché minima ombra di imbarazzo potesse incrinare la sua voce – La vera domanda è: tu considereresti la possibilità restare ancora qui insieme a me? -
 
- Vuoi restare ancora un semestre ad Amburgo?! –
L’espressione di Natsuko era allibita e per Yuki il suo sguardo non presagiva niente di buono. Probabilmente, la madre aveva già intuito che ci fosse qualcosa di strano quando aveva ricevuto la chiamata al di fuori dei soliti orari … e Yuki aveva notato i suoi modi guardinghi quando aveva iniziato a elencarle quanto avesse migliorato le sue competenze durante gli ultimi mesi, grazie all’ottimo livello dell’università tedesca, ma non si sarebbe mai aspettata una reazione così, di fronte al suo esprimere il desiderio di ripetere l’esperienza dello stage.
Tuttavia, cercò di non perdersi d’animo - Mamma, prendila come una possibilità: ti chiedo solo di permettermi di inoltrare di nuovo la domanda … per restare qui fino a fine febbraio. Non è detto che venga di nuovo accolta … -
Natsuko iniziò a muoversi per il soggiorno, i suoi passi serrati si potevano contare come un rumore sordo di sottofondo, mentre le pareti della stanza sfilavano rapide alle spalle della donna. Non era solita andare su tutte le furie, ma Yuki si rese immediatamente conto di averla messa dura prova e il suo silenzio parlava quanto il broncio in cui si era chiuso il suo viso dopo aver superato la sorpresa.
- Mamma … - tentò di chiamarla, ma in risposta ebbe solo un profondo sospiro, mentre lo sguardo restava basso.
- Mamma, - riprese allora – so bene che sei sola a casa, perché papà è spesso in mare e Tsubasa è lontano da casa da anni … ma anche io vorrei poter … -
Yuki si bloccò quando vide la madre tornare a cercarla con lo sguardo attraverso il telefono; si sistemò meglio sul divano e lasciò che lei parlasse.
- Bambina mia, ma non ti manca nemmeno un po’ casa tua? – le chiese la madre visibilmente dispiaciuta, mentre, dopo aver finalmente interrotto il suo vagare per la stanza, si accomodava al tavolo da pranzo – Adesso avrai certamente da dedicarti alla tesina e poi hai gli impegni di settembre; se dovessi riprendere i corsi subito dopo, non riusciresti a passare da casa nemmeno per qualche giorno … -
- Lo so, mamma, ma qui sto facendo delle esperienze stupende! – cercò di spiegare – Anche studiare mi è più semplice, nonostante la lingua! –
- Non so proprio immaginare come tu possa gestirti nello studio in quella lingua incomprensibile! – intervenne Natsuko scuotendo il capo.
Yuki, dal canto suo, intervenne pronta - Genzo mi ha aiutato tantissimo. E’ stato un ottimo insegnante: dopo le primissime settimane, già me la cavavo bene. –
Nemmeno questo, tuttavia, parve rassicurare Natsuko che, al contrario, parve colta da dubbi ancora maggiori – In ogni caso, dovresti trovarti un alloggio. Non mi sembra opportuno continuare ad impegnare Wakabayashi per altro tempo: sei stata sua ospite già fin troppo a lungo! –
- Ma è stato proprio lui a darmi l’idea di restare ancora! – ribatté subito – Io non avrei avuto il coraggio di chiedergli una cosa del genere … -
- Immagino che lo abbia detto per gentilezza. – suppose Natsuko – Ad ogni modo, non sta bene che tu continui a rimanergli in casa: sono felice che tu sia rimasta lì e che ti abbia dato un’occhiata, tuttavia … -
- Un’occhiata?! – si intromise Yuki stranita – Secondo te io avevo bisogno di qualcuno che mi desse un’occhiata, mentre Tsubasa andava bene in Brasile da solo dopo la scuola media? –
- Lui aveva Roberto – puntualizzò allora Natsuko – e sono comunque tempi diversi. Bisogna valutare le situazioni nel loro contesto. –
Eccolo: il discorso senza uscita. Il fatto che sua madre avesse tirato in ballo tempi diversi e contesti nuovi aveva chiarito molte cose a Yuki, che si era ormai convinta di non poterne uscire così semplicemente. Si limitò a sbuffare sonoramente.
- Devo parlarne con tuo padre. – fu la conclusione di Natsuko e Yuki non poté che annuire; in quel momento, però, fu il rumore della porta a distrarla, lasciando in sospeso la discussione con la madre.
Yuki si volse a Genzo che, rientrato dalla sua corsa mattutina, appena aveva varcato la soglia di casa si era sfilato la maglia, restando a dorso nudo e andandole incontro con fare allegro; rimase per qualche istante imbambolata ad osservarlo mentre si avvicinava, sorridendogli a propria volta, realizzando in quell’istante il fatto che lo spogliarsi di fronte a lei dopo la corsa fosse una novità di quei giorni.
Una gradita novità che, unita al dettaglio di lui che si stava avvicinando, sorridente e con lo sguardo puntato alle sue labbra, per il bacio con cui la salutava sempre al rientro, era anche una imbarazzantissima novità, visto che sua madre era ancora collegata in video chiamata.
Yuki saltò in piedi di scatto, ribaltando il telefono a terra, mentre si buttava verso Genzo facendo gesti al limite dell’incomprensibile.
– Ciao Genzo! Sono al telefono con mia madre! Ti va di salutarla? – lo accolse con fare quasi pomposo perché sua madre la sentisse, fermandolo ad un passo dal divano dove era stata seduta fino a poco prima, prendendogli la maglia dalle mani e cercando di fargli capire che fosse il caso di rimettersela addosso.
Genzo si fermò sorpreso, cercando di comprendere l’insolito comportamento della ragazza, ma poi si ricompose rapidamente, seguendo Yuki sul divano e sedendo accanto a lei che, nel frattempo, aveva raccolto il telefono e ripreso la video chiamata.
- Scusami, mamma; mi è caduto il telefono … - cercò di rimediare Yuki, rivolgendo poi lo schermo a Genzo.
-  Buongiorno, signora Ozora. – salutò lui con estrema educazione, chinando il capo, tenendo i gomiti sulle ginocchia e le braccia incrociate tra di esse – Mi auguro che stia bene. –
Natsuko, dopo l’attimo di confusione, parve felice di vedere il giovane amico dei suoi figli e non perse l’occasione di mettere avanti le mani – Buongiorno a te, Wakabayashi. Io spero invece che ma figlia non ti dia troppo disturbo … -
- Comprendo la sua preoccupazione, signora Ozora, ma, mi creda, non si tratta assolutamente di un disturbo: mi fa molto piacere la sua presenza qui e ci tengo a dirle fin d’ora che sarò felice di ospitarla fino quando ne avrà desiderio, senza alcuna limitazione. – si affrettò a precisare, intuendo a cosa si riferisse la donna.
Yuki notò che lui aveva parlato di desiderio, non necessità, e si augurò che anche sua madre avesse colto quella leggera sfumatura. Rivolgendosi di nuovo a lei, e vedendola tornata apparentemente più serena, ne approfittò per congedarsi.
- Mamma, - la richiamò gentile – ti prego, parlane con papà … Ho bisogno di sapere se posso inoltrare quella domanda e devo farlo entro pochi giorni. Ci risentiamo presto? –
Natsuko annuì, senza abbassare lo sguardo – Tesoro mio, vedo che lì dove ti trovi stai bene e che tieni molto a rimanerci ancora; ma … Beh, ti prometto che ne parlerò presto con tuo padre. -
Chiusa la comunicazione, Yuki rimase ad osservare lo schermo spento, mentre Genzo si chinò a lasciarle un bacio sulla tempia – Credo che ci rifletterà davvero, Yuki: la priorità, per i tuoi genitori, è sempre stata quella di assecondare i sogni dei propri figli. -


Angolo dell'autrice: gli impegni si accumulano e il tempo a disposizione invece si esaurusce sempre più in fretta, tuttavia, tornare ogni tanto per portare avanti questo percorso mi mette sempre di buon umore. Grazie di cuore a chi persevera e si dimostra paziente con i miei tempi (e con quelli di Genzo)
A presto
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** ... dettagli ***


16 - … dettagli
 
(una sera, inizio agosto)
 
Yuki era uscita da un paio d’ore e probabilmente sarebbe tornata a breve, perché avrebbe dovuto semplicemente consegnare i documenti per la richiesta del nuovo stage e poi passare per fare rifornimento alla dispensa, come aveva detto lei.
Nei giorni precedenti, ne avevano discusso a lungo; insieme avevano costruito numerose supposizioni cercando di prevedere come avrebbero potuto reagire i signori Ozora all’ipotesi di un nuovo stage di Yuki ad Amburgo e Genzo aveva dovuto impegnarsi non poco per riuscire a tenere il morale della ragazza alto, mentre restavano in attesa della risposta che avrebbe concesso loro almeno la speranza di poter trascorrere insieme ancora alcuni mesi. Alla fine, nonostante tutte le loro congetture, erano rimasti comunque spiazzati dalla franchezza con cui la signora Natsuko si era espressa quando, giusto il giorno prima, aveva finalmente chiamato la figlia per comunicarle la loro decisione.
- Papà crede nelle tue capacità e tiene molto alle tue aspirazioni. – aveva spiegato la donna in tono inizialmente solenne; poi, però, la sua voce si era fatta più incerta – Io … - e le parole avevano stentato ad uscire; allora lo sguardo di Natsuko aveva cercato per un istante proprio lui che, seduto accanto a Yuki, si era stretto un poco alla ragazza per sostenerla in quel momento. Genzo, per un attimo, aveva trattenuto il fiato e sotto lo sguardo della donna, si era sentito completamente allo scoperto; poi tutto era sfumato, Natsuko si era rivolta di nuovo alla propria figlia e le parole avevano sciolto quell’ultimo nodo in sospeso – Io desidero che tu sia felice, bambina mia. -
Il tempo, dopo quell’attimo teso, aveva ripreso a scorrere, entrambi si erano profusi in ringraziamenti e Genzo, da parte sua, aveva tenuto a sottolineare quanto personalmente fosse felice e orgoglioso del percorso che Yuki stava portando avanti; eppure, faticava a ricordare quello che era accaduto in seguito, come Yuki avesse personalmente ringraziato la madre e come si fossero poi congedati da lei.
Da quel momento, tutto era stato sovrastato dall’euforia per la concreta possibilità di prolungare ancora per alcuni mesi il loro stare insieme e dall’unico pensiero del completare la preparazione dei documenti per inoltrare una nuova richiesta di stage, da presentare al più presto. Proprio per questa carica di tensione e di aspettativa che avevano condiviso e che aveva accompagnato Yuki almeno fino al momento in cui lei era uscita di casa, Genzo si era segretamente impegnato a prepararle una sorpresa, con lo scopo di alleggerire il suo umore, sorprenderla e magari distrarla un poco, mettendo in atto qualcosa che, in realtà, già da qualche tempo si era proposto di tentare.
E che, per dirla tutta, iniziava a fargli sentire un poco di ansia da prestazione; strano a dirsi, per uno come lui, avvezzo alle prove sportive. Eppure, per quella cena, si era organizzato e preparato con così tanto impegno che ora le sue aspettative erano veramente alte. In previsione di un possibile menu da preparare, infatti, Genzo aveva praticamente tartassato Morisaki per giorni, rubandogli tutti gli attimi liberi, prima perché lo aiutasse ad individuare un ricetta che fosse alla sua portata e poi per farsi spiegare e rispiegare passo a passo il procedimento, con tutte le varianti e i possibili intoppi del caso; tuttavia, in quel momento, con il pollo a rosolare nella padella, il tarlo del dubbio lo stava mandando in completa confusione.
Trasse qualche respiro, cercando di distrarsi per un attimo concentrandosi sulla musica che teneva accesa da quando aveva iniziato a cucinare, buttò un occhio all’orologio e, considerando le sette ore di fuso orario, determinò che, per quanto ne sapeva dell’amico portiere, quello doveva essere già bello e addormentato …
Rimase ancora per qualche istante a fissare la carne … e poi cedette, tentando il tutto per tutto. Afferrò il cellulare, cercò il numero e avviò la chiamata, lasciando suonare un paio di squilli prima di chiudere, giusto per richiamare la sua attenzione; poi aprì Whatsapp e digitò rapido il messaggio.
- Fino a quando deve stare il pollo a rosolare? –
Per qualche minuto, continuò a far rimbalzare lo sguardo ritmicamente dalla padella al telefono, fino a quando non comparve l’agognato On line sotto il nome di Morisaki. Dopo qualche attimo di Sta scrivendo…, che gli fece trattenere il fiato dalla gioia, Genzo ottenne risposta.
- Devi andare a occhio e girarlo ogni tanto. Quando è bello dorato, è pronto. –
Genzo sorrise: qualunque altro compagno della Nankatsu, o della Nazionale, lo avrebbe coperto di insulti, se fosse stato svegliato nel cuore della notte per un po’ di pollo; tutti, ma non Morisaki. Girò i pezzi di carne, cercando di stimare a quale grado di doratura fossero giunti. Avrebbe dovuto valutare la parte più chiara o quella più tendente al marrone?
- Dorato come? –
Evidentemente Morisaki non l’aveva ancora mandato al diavolo - Hai presente il caramello? –
Sì, forse più o meno, facendo la media tra un lato e l’altro, poteva dire di esserci. Scattò una foto alla padella e la inviò all’amico.
- Ci sei, Genzo. Metti la salsa. –
Gli brillarono gli occhi al solo leggere il messaggio. Versò la salsa che aveva già preparato, coprendo per bene i pezzi di carne, quando giunse un altro messaggio.
- Mi raccomando, non far restringere troppo il condimento. E occhio alla cottura del riso. - Sempre premuroso, Morisaki.
- Ci sto attento. Metto in cottura non appena lei arriva a casa. Grazie Yuzo: sei un amico. Buona notte. –
Attese solo pochi attimi prima di ricevere risposta.
- Buona serata e buona fortuna! –
Aveva davvero bisogno di fortuna, considerato che era la prima volta dopo settimane che si rimetteva ai fornelli; aveva scelto di prepararle qualcosa di giapponese perché sapeva di poter contare sull’aiuto di Morisaki, consapevole che chiedere a Kaltz sarebbe stato persino controproducente. Tuttavia, recuperare gli ingredienti necessari per il pollo Teriyaki era stato più impegnativo di quanto avesse immaginato e anche prepararlo, nonostante le rassicurazioni di Yuzo sul fatto che si trattasse di una ricetta da principianti senza talento, gli aveva posto un sacco di dubbi. Sospirò di fronte al fornello, valutando la consistenza della salsa per poi spegnere la fiamma, e infine si volse al tavolo: aveva pensato anche a quello.
Recuperò quella che considerava la tovaglia buona e la stese sul tavolo, disponendo con cura tovaglioli, eccezionalmente di stoffa, piatti, bicchieri e posate, per poi rimanere ad osservare soddisfatto il risultato. Mancava un ultimo tocco; andò a rovistare all’interno di un armadietto del soggiorno e tornò al tavolo per sistemarci al centro una bolla di cristallo con una candela dall’aria vagamente artistica.
Arretrando di un passo, per osservare meglio il risultato del proprio lavoro, si sentì improvvisamente di ottimo umore: era a buon punto con la preparazione e non gli restava che occuparsi del riso, mentre la tavola, nel complesso, era anche meglio di come l’aveva immaginata. Perciò tornò ai fornelli, concedendosi di alzare ancora un po’ il volume della musica e lasciandosi trasportare dal ritmo, mentre mescolava, regolava di sale e salsa, controllava il dolce nel frigorifero …
- Pollo Teriyaki? – in una pausa tra una traccia e l’altra, la voce di Yuki lo colse completamente alla sprovvista; si riscosse, voltandosi a cercarla e la vide avanzare dal disimpegno, dopo aver lasciato a terra la borsa con la spesa, con una espressione di assoluta sorpresa. Genzo si affrettò a spegnere la musica[i] e ad andarle incontro, colto impreparato – Scusami, non ti ho sentito entrare. -
Ma lei sollevò le spalle, raggiungendolo in soggiorno e avvicinandosi ai fornelli – Non ha importanza; eri talmente concentrato … e capisco anche il perché! – aggiunse, guardandosi attorno – Accidenti! Hai davvero cucinato … e apparecchiato in modo … - si volse a guardarlo, visibilmente arrossita, rimanendo senza parole.
Genzo si chinò a lasciarle un bacio leggero sulle labbra, per quel saluto di rientro che non si erano ancora scambiati, e poi le sorrise, cercando di superare l’imbarazzo – Ho cercato di preparare qualcosa di speciale … e commestibile, spero. –
 
- Ero certa che fosse solo questione di concentrazione. O forse di determinazione. – la constatazione di Yuki gli fece sollevare lo sguardo dalla rivista sportiva che era intento a leggere. Lei stava tamponando i capelli umidi con un asciugamano a due passi dal letto dove lui si era sistemato; con le braccia sollevate sopra il capo, la maglia da notte si era sollevata e scopriva completamente le sue gambe sottili, tanto che Genzo rimase ad osservarle, risalendo dalle caviglie fino al limite della maglia, prima di realizzare di non aver compreso la sua osservazione.
- Di cosa stai parlando? – le chiese, senza distogliere lo sguardo dalle sue gambe, e lei lo raggiunse sul letto, sistemandosi in ginocchio al suo fianco.
- Di te. – si affrettò a precisare – Del fatto che hai saputo cucinare perfettamente, quando hai deciso di farlo seriamente. – gli spiegò continuando a frizionare i capelli; si dedicò per qualche istante ad essi, prima di sfilare l’asciugamano, districando le lunghe ciocche scure con movimenti rapidi delle dita e Genzo, scuotendo appena il capo e nascondendo un lieve moto di soddisfazione delle proprie labbra, tornò alla rivista.
Eppure Yuki sembrava ancora intenta a riflettere sulla questione – E’ un’altra delle cose che mi piace di te: sei incredibilmente determinato e, se vuoi una cosa, fai di tutto fino a ottenerla, soprattutto quando si tratta di riuscire a migliorare le tue capacità, in qualunque campo. –
Genzò trattenne una risata, sbuffando a tratti tra le labbra strette – Non so ottenere proprio tutto, da me stesso: per esempio, non so ballare e non riuscirei a farlo neanche dopo migliaia di ore di lezioni con il migliore degli insegnanti … -
- Sai anche ammettere i tuoi limiti. – sentenziò allora lei soddisfatta, continuando a smuovere i capelli e mettendosi seduta sui talloni – Questa è una grande qualità, sai? –
- Non esagerare … - la mise in guardia lui, mentre chiudeva la rivista e la lasciava scivolare a terra, per poi ammettere candidamente – In realtà sono riuscito a cucinare qualcosa di commestibile solo perché ho avuto Morisaki ad aiutarmi passo dopo passo! –
Di nuovo, lei parve entusiasmarsi anche di fronte a quella rivelazione – Vedi! Sai anche ammettere di aver bisogno dell’aiuto degli amici! Questo mi piace tantissimo! –
- Bisognerebbe sentire il parere di Morisaki … visto che l’ho svegliato nel cuore della notte … - scherzò – Anche questo ti piace? –
Yuki si fece improvvisamente seria, poggiando le mani sulle ginocchia e protendendosi verso di lui – Certo! Tu sai cosa sia l’amicizia e ci tieni immensamente; chi si merita la tua amicizia, se la tiene stretta perché ti apprezza e ti stima come meriti. Morisaki ti ha sempre adorato, ma non solo come portiere: si vede da come tiene a te. Kaltz è completamente diverso da lui, ma ti è ugualmente affezionato e si preoccupa per te … Tutto questo è meraviglioso! E’ bellissimo da osservare da fuori e tu non te ne rendi nemmeno conto! –
Genzo aggrottò le sopracciglia, sorpreso – No: non avevo mai pensato di guardarmi da fuori … in realtà. Non mi trovo così … interessante come sostieni tu. –
Lei scosse il capo, divertita lasciando che qualche goccia d’acqua scivolasse lungo i capelli fino a inumidire la maglia e le lenzuola, e lui sollevò una mano, per sfiorare con le dita le punte delle lunghe ciocche e raccogliere un po’ dell’acqua che ancora trattenevano; osservò le estremità delle dita lucide d’acqua, riflettendo un poco e poi non perse l’occasione di togliersi una curiosità, facendosi serio e chiedendo – E dimmi, allora: cos’altro ti piace, di me? –
Evidentemente, lei non si era aspettata una domanda così diretta. Yuki si passò di nuovo le dita tra i capelli, sistemando una ciocca dietro l’orecchio, mentre riordinava i pensieri e Genzo rimase sospeso ad osservarla, seguendo attento ogni suo gesto, il suo sguardo che si fissava tra le lenzuola e il movimento istintivo con cui lei si inumidiva le labbra.
- Mi piace la tua voce, calda e piena, perché tu ti nascondi, ma quando canti mi fai emozionare. Mi piace come sei composto e in ordine, perché tieni sempre la cerniera della giacca della tuta chiusa fino sotto il mento e questo ti rende elegante pure quando sei sportivo. Mi piace quando sei concentrato e leggi un libro, perché tieni il segno facendo scorrere il segnalibro riga dopo riga. E quando mangi l’hamburger, perché lo fai sempre in otto morsi, non uno di più. – Yuki si fermò a prendere fiato e Genzo rimase quasi rapito ad osservarla, colpito da come avesse snocciolato dettagli dei quali lui stesso nemmeno si era mai accorto. La vide assottigliare lo sguardo in due fessure, quasi stesse mettendo a fuoco un dettaglio preciso, nascosto nella memoria.
- Mi piace quando punti il pugno destro nel palmo dell’altra mano, prima di metterti in posizione tra i pali[ii], perché chiunque ti vede, con i tuoi gesti sicuri e la postura perfetta, ha la certezza che tu sei il portiere migliore che esista. E … – lei tese un braccio per afferrare la sua mano, sfiorando le dita di Genzo e poi voltando il palmo verso l’alto, per appoggiarci la propria mano, in una sorta di confronto - … mi piacciono le tue mani, perché sono grandi e capaci di una presa sicura e forte, in campo; ma sulla pelle … sulla mia pelle sono piume e sanno raccontare una dolcezza e una sensibilità che non avrei mai saputo immaginare. –
Yuki, chinò il capo, continuando ad osservare le loro mani sovrapposte, e tendendo le labbra appena in accenno di sorriso, mentre Genzo non riusciva a distogliere l’attenzione da lei, dalle sue parole, da quello che gli aveva appena confidato. Si sentì sorpreso, spiazzato dalla semplicità con la quale lei era riuscita a esprimersi, a raccontarsi, attraverso quelle immagini, nel suo osservarlo con attenzione e nel suo modo del tutto personale di vederlo.
- Possibile che non ci sia niente che non ti piaccia, di me? – le chiese senza nemmeno rifletterci e subito si sentì un idiota, perché dalla sua espressione sorniona comprese di averla deliberatamente condotta a cercare difetti dei quali non si era mai resa conto.
Lo sguardo di Yuki mutò in un soffio, prendendo una sfumatura vivace, mentre arricciava le labbra pensierosa, per poi farsi allegra – Non mi piace … - lo lasciò un attimo in sospeso, per poi aggiustare il tiro e proseguire - … non mi piacciono le tue camicie verdi. –
- Cosa?! – fece Genzo esterrefatto – Le mie camicie? – chiese ancora, per poi rifletterci meglio – Ma io ho una sola camicia verde …verde chiaro, se non ricordo male, e non è nemmeno tutta solo verde … -
- Sì, adesso ne hai una verde con una fantasia a motivi minuscoli … ma la vera pietra dello scandalo è la camicia verdolina che portavi da ragazzo, quella che indossavi il giorno della semifinale contro il Musashi … quando mio fratello stava ber buttare alle ortiche tutto il lavoro fatto dalla squadra, solo per i suoi scrupoli nei confronti di Misugi! –
Genzo, sempre più sbalordito, non seppe trattenersi – Ma come diamine fai a ricordarti di quale camicia avessi addosso io quel giorno? Sono passati anni! E tu non sapevi nemmeno chi fossi … –
Yuki, fece spallucce – Non ho detto di averla notata quel giorno. – precisò – Ma mia madre ha filmato praticamente tutte le partite di mio fratello[iii] … e tu sei in quel filmato, con la tua orrenda camicia addosso mentre fai il cazziatone a Tsubasa. –
Si puntarono per qualche momento e sia l’espressione incredula di Genzo che quella fintamente supponente di Yuki finirono per tramutarsi in un’unica risata divertita.
Genzo si passò una mano sulla fronte, continuando a ridere, cercando di controllare il fiato – Non ci posso credere che, dopo anni e anni, quella camicia sia tornata alla ribalta! Era un regalo di mio padre: per me era molto importante. –
- Nei filmati degli altri incontri non ci sei mai, tranne nei pochi in cui stavi in porta naturalmente, ma in quello inveisci come un dannato! Avevi un bel caratteraccio davvero, oltre ad una pessima camicia … -
- Mi arrendo. – dichiarò alla fine Genzo – Se sei disposta a passare sopra al caratteraccio, ammetterò che quella camicia era orrenda; ci stai? -
Lei finse di rifletterci, per poi avvicinare il proprio viso al suo, poggiando le braccia sulle sue spalle per sorreggersi, fino a incrociare i polsi dietro al suo collo. – Affare fatto! – concluse allegra ad un soffio dal suo viso, mentre Genzo le posava le mani sui fianchi per tirarla un po’ più a sé, inducendola a scavalcarlo con una gamba – Ma ho anche un’idea: un giorno andiamo insieme al centro commerciale e io ti compro qualcosa … una camicia, una maglia … qualcosa che piaccia a me, da regalarti. –
Muovendo un po’ le mani sui suoi fianchi, Genzo si finse pensieroso, prima di annuire – Ci sto. – e poi prese a scendere con le dita, accarezzandole le cosce e risalendo, fino ad arrivare al suo fondo schiena, come se niente fosse – Posso anche io fare acquisti per te? –
- Se ti fa piacere … - rispose vaga Yuki che, seguendo il moto della mani di Genzo, stava realizzando di essersi sistemata proprio sopra di lui, in un contatto che iniziava a dare i suoi effetti e che, doveva ammetterlo, sembrava non dispiacere a nessuno dei due. Strinse un po’ la presa delle braccia, avvicinando le labbra a quelle di Genzo, sfiorandole un po’ con le proprie e poi fermandosi a baciarle, prima con un tocco leggero, e poi con un altro e un altro ancora, fino a rendere il bacio più deciso e il contatto più caldo.
Sotto l’effetto piacevole di quei baci, lentamente, Genzo prese a scivolare con la schiena all’indietro, appoggiandosi ai cuscini che aveva alle spalle, ritrovandosi quasi completamente disteso, mentre ancora Yuki lo sovrastava, guidando l’intreccio di baci che si stavano scambiando. Chiuse gli occhi, quando lei lasciò le sue labbra per dedicarsi al collo, e sentendola scendere con una traccia umida, si abbandonò completamente a lei. Avvertiva le sue cosce strette attorno ai propri fianchi e il contatto del suo corpo sopra il bacino, un peso leggero, che ad ogni movimento di Yuki diventava carezza sempre più insinuante. Seguiva il tocco deciso dei suoi baci scendere lungo la linea della clavicola e insistere poi in un punto preciso, divenendo pungente, fino ad interrompersi tutto d’un tratto.
- Mi piace anche il profumo della tua pelle, sai? – sussurrò lei sollevandosi e raggiungendo il suo orecchio, quasi a distrarlo, mentre le mani frugavano curiose afferrando la sua maglia – E mi piace toccarti … - aggiunse poi con un tono che sapeva quasi di minaccia. Strinse le mani sulla stoffa, facendola scorrere lungo la pelle di Genzo e lui d’istinto assecondò i suoi movimenti, sollevandosi appena perché lei potesse sfilargli completamente la maglia. Intuì con la coda dell’occhio la parabola che l’indumento disegnò alle spalle della ragazza e poi sentì forte il richiamo delle sue labbra che avevano ripreso ad accarezzarlo, lasciando baci caldi e sensuali in una scia lenta, scendendo di nuovo dalla spalla per cercare sul suo torace la traccia morbida di un punto più sensibile. Fu sufficiente un leggero contatto con la lingua, perché Genzo avesse un sussulto, il respiro trattenuto per qualche attimo, mentre la pelle si increspava sollevandosi e mostrandosi nella sua forma nascosta, e mentre lui si abituava a quel nuovo piacere, riuscì ad intuire il sorriso che aveva teso le labbra di Yuki, ancora china su di lui.
Gli parve che la stanza iniziasse a ruotare tutto attorno a loro e si sentì sprofondare tra le lenzuola, quando si accorse che lei si era mossa, arretrando lungo le sue gambe, per scendere con le labbra sempre di più, puntando dritta al limite dei boxer. Si sollevò d’istinto, realizzando cosa stesse accadendo e si forzò a chiamarla, allungando le braccia verso di lei – Hei, hei … vieni qua … -
Yuki si lamentò un poco, ma Genzo tagliò corto, mettendosi seduto e poi puntando un ginocchio sul letto, per abbracciarla e indurla a distendersi sotto di lui. Restarono ad osservarsi, quasi a nascondere una sfida nel silenzio rotto solo dai loro respiri tesi, prima che lui si chinasse su lei, cercando affamato le sue labbra. Le attenzioni che lei gli aveva riservato, quei baci voraci che avevano preso una strada proibita, avevano acceso un fuoco segreto dentro di lui, mostrandogli un lato di lei del tutto nuovo e facendo divenire urgente il bisogno di andare oltre. Sapeva che insieme avevano intrapreso una strada che avrebbe portato ad una intimità sempre più profonda, e pur avvertendo distintamente il bisogno di avere sempre di più dal loro legame, cercava anche di mantenersi lucido almeno per quel tanto che gli avrebbe permesso di non abbandonarsi completamente all’istinto. Condividevano gli spazi del suo appartamento e il tempo di intere giornate, con un contatto continuo che in pochi giorni li aveva resi più esperti e legati, accelerando quelli che probabilmente erano i tempi consueti delle relazioni. Tuttavia, non doveva esagerare; non voleva farlo. Forzando se stesso, si tenne sollevato sopra di lei, sostenendosi con i gomiti e le ginocchia, imponendosi di non cedere; riprese a baciarla, insinuandosi tra le sue labbra e poi cercando la sua tempia, scendendo al suo collo e affondando il naso nei suoi capelli ancora umidi. Mosse un braccio, sfiorandola leggero e lento lungo il fianco, per poi insinuarsi sotto gli slip, cercando carezze che potessero renderle il piacere che lei gli aveva regalato. Seguì il vibrare dei suoi fianchi, mentre lei seguiva ogni suo gesto, e quando si mosse da lei, fu solo per far scivolare gli slip lungo una coscia, accompagnandoli perché lei potesse liberare una delle gambe, e poi riprese le sue attenzioni, sul ventre, attorno all’ombelico, e ancora più giù, dove sapeva che lo stava attendendo.
Non si fermò, riprese a muoversi e la sentì rispondere, cercalo a sua volta; avvertì le sue mani tra i capelli e poi sulla schiena a vagare irrequiete … fino a quando, in un gesto inatteso, non avvertì le sue dita infilarsi sotto la stoffa dei boxer e strattonare decise fino a sfilarglieli, facendoli scendere lungo le cosce.
Genzo rimase senza fiato, colto alla sprovvista, con la mente completamente svuotata da ogni pensiero, i suoi propositi spazzati in un istante da un gesto deciso della ragazza. Il respiro riprese, un affanno che cercava fiato, e la mente cercò il filo della coscienza, mentre le mani di Yuki prendevano ad accarezzarlo, là dove la coscienza sembrava non voler arrivare, in un rimando di contatti sempre più caldi e noti, ma così decisi da strappargli un gemito e toglierli ogni forza. Le braccia che lo sostenevano si piegarono, le gambe parvero cedere e il corpo scivolare in avanti, seguendo l’istinto, e la reazione di Yuki lo lasciò ancor più smarrito, perché sotto di sé riuscì a comprendere il suo movimento, le ginocchia sollevate e le gambe che rapide gli facevano spazio, mentre la mani si intrecciavano sulla sua schiena e lo tiravano decise verso il basso.
Per un attimo, perse il controllo di sé, si trovò con la fronte puntata sul cuscino, di fianco al viso di Yuki, e il ventre appoggiato sul suo in un contatto che lasciava pochi dubbi. Sentiva il suo corpo caldo, caldissimo, e incredibilmente morbido e invitante; le sue ginocchia, ai lati dei fianchi, lo trattenevano, quasi che lei temesse di vederlo fuggire. Tentò di muoversi, ma il risultato fu una carezza ancora più sensuale, che di nuovo gli tolse il respiro; mosse ancora i fianchi, e la stilettata di piacere che lo attraversò lungo la schiena, andando a puntare in un lembo preciso del suo corpo, lo fece tremare di nuovo. Pensò di essere pazzo, completamente, quando sentì che anche lei, sotto il suo corpo, si muoveva, lenta e con attenzione, cercando ancora quel contatto, rincorrendo quella scintilla che lo aveva scosso e che, evidentemente, lei stessa aveva potuto riconoscere. Sentì il suo respiro farsi corto, un sibilo tra i denti stretti, mentre ancora lei si muoveva contro il suo corpo, lasciandosi sfuggire un gemito, quando lui stesso, d’istinto, reagiva con un vibrare incontrollato là dove il suo corpo cercava disperato quello di Yuki. Si mossero entrambi, insieme, fondendo i loro respiri, mescolando quei gemiti sommessi che ormai vibravano nell’aria, confondendosi l’uno nell’altro, e in un movimento più deciso, Genzo ebbe la chiara consapevolezza di aver puntato il proprio corpo là dove non avrebbe dovuto arrivare; il sussulto leggero di Yuki gli fece comprendere di aver sfiorato davvero ciò che si era imposto di non far accadere.
D’istinto, si bloccò, forzando il proprio corpo e sollevandosi un poco sui gomiti, per riuscire a incrociare il suo sguardo; affondando nei suoi occhi scuri di desiderio intuì l’ombra di un dubbio, una richiesta in sospeso, tesa tra un respiro e l’altro.
Le sue labbra si mossero appena e il suo nome scivolò su di esse – Genzo …? - e lui deglutì a vuoto, intuendo la sfumatura roca con cui lo aveva chiamato.
Scosse il capo, forse sorprendendola, e raccolse dalle sue labbra l’incertezza in cui l’aveva lasciata, in un bacio fugace, prima di parlarle, governando a stento le emozioni e calibrando le parole, per quanto potesse farlo - No, Yuki; fidati di me, ti prego: non accadrà adesso. Non sarà per caso, né senza che io ti protegga. –
Vide i suoi occhi spalancarsi, nella sorpresa, ma non le diede modo di proseguire – Credimi, non voglio bruciare le tappe, né accelerare i tempi. Non voglio sbagliare e nemmeno … -
- Mi sono fidata di te fin dal mio arrivo ad Amburgo e continuerò a fidarmi di te completamente. – lo interruppe Yuki muovendo le mani dal suo petto, fino a raggiungergli i fianchi – Che sia questa notte, domani o tra non so quanto, sono sicura che accadrà nel momento giusto. Con te. -
 
[i] Questa volta, nel mio immaginario, Genzo ascolta 7’o Clock dei Pearl Jam. Me lo vedo a canticchiarla … e perseguita la sottoscritta negli ultimi tempi.
[ii] Immagine che adoro in Captain Tsubasa 2018
[iii] dattaglio di Captain Tsubasa 2018

Angolo dell'autrice: mi scuso immensamente per l'assenza. Adesso le urgenze sembrano superate e torno alla mia routine scuola-famiglia-liberaprofessione-rognevarie con nuovo entusiasmo e tanta voglia di riprendere a scrivere secondo il mio ritmo. Mi occuperò appena possibile anche di tutte le recensioni rimaste in sospeso alle quali davvero non ho potuto ancora dare risposta. Per l'ennesima volta, ringrazio chi segue Questione di... e aspetta queste pagine dedicate a Genzo. Un abbraccio a tutti.
mgrandier

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** ... fiducia ***


17. … fiducia
 
(un pomeriggio, inizio agosto)
 
Yuki aveva afferrato al volo il cellulare non appena aveva riconosciuto l’immagine sorridente dell’amica, rispondendo senza nemmeno attendere un secondo squillo. Si rilassò un poco, appoggiandosi allo schienale della sedia, mentre sistemava il telefono davanti a sé, fissandolo allo schermo del pc.
- Sanae! –
- Ciao! Finalmente riesco ritagliarmi un attimo per chiamarti … Ti disturbo o possiamo fare due chiacchiere? – l’espressione radiosa di Sanae raccontava di per sé di grandi e ottime novità e Yuki ebbe immediatamente la certezza che non fosse nemmeno da considerare la possibilità di rimandare quell’occasione ghiotta.
- Ma no, tranquilla! Anzi! Ho proprio bisogno di una pausa e Genzo è uscito a correre: è il momento perfetto! – sciolse la coda in cui aveva legato i capelli, trattenendo per un istante l’elastico tra le labbra, mentre con le mani riavviava le ciocche con gesti quasi automatici, per poi riprendere – Non ci sentiamo da un sacco di tempo … e poi adesso avrai qualche novità da raccontarmi, giusto? –
Aveva fatto rapidamente due conti con le poche informazioni ricevute da Tsubasa e, se la memoria non la tradiva, lui da qualche giorno era rientrato a casa per le vacanze estive, perciò qualche interessante novità doveva esserci per forza di cose. L’agitazione di Sanae, poi, era palese: non riusciva a stare ferma e nonostante Yuki avesse potuto intuire che lei la stesse chiamando dalla sua camera, in realtà tutto, attorno a lei, aveva continuato ad oscillare in modo vorticoso.
- Cielo, Yuki! Sono così felice e … così fuori di me! – esordì Sanae che, evidentemente non aspettava altro che alleggerirsi un po’ confidandosi con qualcuno – Yukari e le altre sono già partite per le vacanze e io … io non posso raccontare niente a nessuno, ma insomma, non faccio che pensarci! Non vedevo l’ora che tornasse da Barcellona e ero così agitata al pensiero che arrivasse, e adesso … Oh, non mi sembra vero! E sono anche così preoccupata che poi magari … -
Yuki non riuscì ad impedirsi di sorridere al vedere l’amica tanto agitata e in preda alla più totale confusione; tuttavia, in un certo senso, riusciva a comprendere quanto fosse frastornata e quanto totalizzante potesse essere quello che, immaginava, lei stesse sperimentando con Tsubasa. - Vedo che sei fuori di te, ma così non ci sto capendo molto, in realtà … - provò a chiarirle – Mi spieghi cosa sta succedendo? -
Sanae cercò di calmarsi, mettendosi a sedere sul letto e prendendo un profondo respiro.
– Dal giorno della telefonata di Tsubasa di cui ti ho parlato … quella, insomma, ci siamo sentiti spesso. Molto spesso. – iniziò a raccontare facendo un po’ di ordine, ma ancora molto agitata – Io sentivo davvero che le cose tra noi erano cambiate, nonostante la distanza, perché lui era diverso … e finalmente sembrava se stesso, come se non ci fosse più niente a trattenerlo. Era allegro e loquace … ma soprattutto parlava di calcio, delle sue giornate e … e di me, come se improvvisamente io non fossi più un argomento da evitare. Già questo mi aveva reso felice come non immaginavo di potermi sentire. Ma adesso … - Sanae si guardò attorno, cercando di nascondere il fatto che avesse già gli occhi lucidi - … adesso che è tornato e riusciamo a vederci ogni giorno, io … io … -
- Se riuscite a trascorrere tanto tempo insieme, certamente le cose sono cambiate: è impossibile stare vicini senza sentire il bisogno di un contatto più stretto! – le suggerì.
- Contatto? – si intromise Sanae, con le guance improvvisamente arrossate, – Tuo fratello non sarà troppo esperto, ma aveva le idee molto chiare: quando è arrivato, sono andata a prenderlo all’aeroporto e prima ancora di salutarmi, mi ha baciata; così, davanti a tutti! – per poi affondare il viso nei palmi, in preda all’imbarazzo.
- Cosa ha fatto Tsubasa?! – chiese Yuki incredula – Veramente è la prima cosa che ha fatto? –
Sanae riemerse dal proprio imbarazzo, annuendo decisa, con gli occhi chiusi, sicuramente rivivendo la scena – Per fortuna tua madre aveva deciso di aspettarci in auto: sarei rimasta secca lì, all’istante, se ci avesse visti! Ma lui non sembrava nemmeno averci pensato: aveva una tale urgenza addosso che si è reso conto di quello che aveva fatto solo dopo … -
Yuki non riuscì a trattenere una risata – Ti giuro che avrei voluto vedervi! Beccare Tsubasa sul fatto dopo che ti ha fatto aspettare così tanto, sarebbe stato impagabile! –
L’espressione piccata che si disegnò sul viso di Sanae la rese in un istante la peste irruenta di un tempo. – Ti ricordo che non si tratta solo di Tsubasa! Ci sono di mezzo anche io! – si lamentò – E comunque a quanto pare lui ha intenzione di recuperare il tempo perso … -
- Cioè? – chiese subito Yuki, senza nascondere un certo interesse per i dettagli – Vuoi dirmi che sta andando diretto a … -
- Yuki! – la reazione di Sanae fu immediata – Cosa mi stai chiedendo?! –
Tuttavia, l’imbarazzo iniziale parve scemare rapidamente, nell’urgenza di andare oltre con il racconto – Anche se, a pensarci bene … mi ha detto che quando tornerà a Barcellona cercherà un appartamento tutto per sé, così potrò raggiungerlo e stare da lui ogni qualvolta mi sarà possibile … e allora, insomma, saremo proprio sempre soli e … e … - Sanae si morse le labbra per qualche istante, prima di sbottare – Ti rendi conto di come potrebbe essere abitare insieme, stare da soli nel suo appartamento in Europa? –
Yuki rimase in silenzio, tendendo le labbra per impedirsi di dire alcunché, mentre un brivido le percorreva la schiena, increspandole la pelle; immaginò di essere divenuta paonazza, perché sentì immediatamente le orecchie andare a fuoco e la reazione di Sanae, di fronte al suo evidente imbarazzo, non si fece attendere.
- Yuki? – la chiamò avvicinandosi allo schermo con gli occhi stretti a fessura, improvvisamente curiosa e indagatrice – Cosa sta succedendo? Per caso devi dirmi qualcosa? –
Scosse nervosa il capo, mentre levava le spalle tentando di mostrarsi indifferente e cercando di trattenersi dal raccontare tutto da cima a fondo; tuttavia Sanae non si fece mettere nel sacco e tornò alla carica, tirando rapidamente le somme.
– Non ci credo! – urlò quasi, con lo sguardo spalancato – Tu e Wakabayashi …? –
Yuki tentò di dare tutta la propria attenzione alla texture della parete di fronte a sé, evitando accuratamente lo schermo del telefono, mentre puntava gli incisivi nel labbro, nel disperato tentativo di controllarsi, ma l’amica non intendeva mollare la presa.
- Yuki, dimmelo! – riprese Sanae, nella cui mente sveglia tutti pezzi del puzzle stavano prendendo la giusta collocazione – Allora è per questo che hai chiesto di rimanere ad Amburgo per un altro semestre! –
- Non lo sa nessuno! – esplose alla fine Yuki – Io non potevo certo dirlo a mia madre … e Genzo non sa come affrontare mio fratello! Perciò ti prego … non lasciarti scappare niente di niente! E’ … è importante … -
Sanae parve rifletterci, ritraendo le labbra in una espressione pensierosa, ma alla fine sospirò profondamente, annuendo con il capo, pur mantenendo la sua aria corrucciata – Ho capito e anche se non credo che sia una buona idea, farò come mi hai chiesto. Avrei dovuto iniziare a preoccuparmi quando hai cominciato a chiamarlo per nome, un secolo fa. Nessuno chiama Wakabayashi per nome. Nessuno! –
Yuki rilasciò finalmente il fiato che aveva trattenuto mentre aspettava la risposta dell’amica – In realtà, allora non avrei mai pensato che tra noi le cose potessero diventare come sono ora. Comunque, ti ringrazio Sanae … - ma l’altra non le diede modo di andare oltre.
- Io starò zitta, ma tu non pensare di cavartela così! Adesso mi spifferi immediatamente qualche dettaglio in più! – partì alla carica, quasi come se si fosse risvegliata dal broncio scuro di poco prima – Prima di tutto: da quanto va avanti? Perché sinceramente non mi pareva che foste così … intimi, prima della tua partenza! – osservò – E poi, stiamo parlando davvero di Wakabayashi, lo stesso ragazzino spocchioso e insopportabile che litigava con Ishizaki ogni volta che si incrociavano al campetto? Quel ritardatario immusonito e silenzioso che è uscito con noi a dicembre? A dire il vero stento a credere che crescendo sia diventato così … interessante; anzi! Va beh, un po’ meno borioso, posso concederlo; ma da qui a … -
Yuki annuì, portando una mano alla fronte, consapevole di doverle concedere qualche dettaglio – Allora, per cominciare, effettivamente non ci eravamo praticamente mai parlati prima del mio arrivo ad Amburgo. Però devo anche dire che io ero arrivata senza avere un’idea precisa di lui: quello che sapevo, era stato tutto filtrato da Tsubasa e, anche se capisco che non fosse esattamente l’immagine irritante che avevi tu di Genzo, ai miei occhi, era semplicemente un talentuoso compagno di squadra per cui mio fratello stravedeva. Tuttavia, fin dal primo incontro è filato tutto incredibilmente liscio. Non so come spiegartelo. –
Sanae restò immobile, concentrata nell’ascoltarla, nonostante Yuki si fosse interrotta, ma fu subito chiaro che quel poco che le era stato concesso non fosse per niente sufficiente – Provaci. Perché io ho ancora in testa il tizio legnoso che ho visto a dicembre. –
- Beh, è stato gentile. Subito e sempre. Ed è stato attento, protettivo e disponibile. – iniziò.
- In tutta franchezza, non credo che mi sarebbe bastato. – osservò piatta Sanae.
- E neanche a me, credimi. – riprese Yuki – Ma noi ci siamo girati attorno l’uno all’altra, con tempi lunghissimi, fino caderci addosso. Stare con lui è la cosa più naturale di questo mondo e avvicinarci è stato inevitabile; conoscerlo a fondo è stato illuminante. Ha una capacità di osservare ciò che lo circonda, compreso il suo passato, e di rifletterci, che è sorprendente e mi affascina profondamente. E’ corretto, piacevole, intelligente e … divertente. Assolutamente divertente. E affidabile: mi ispira sicurezza, sempre e comunque. –
Sanae inclinò il capo di lato, tendendo le labbra in un sorriso – Quello che mi colpisce, è che non hai parlato minimamente del fatto che sia un bel ragazzo, o che sia prestante, atletico o eccezionale come portiere … e questo significa che ti sei innamorata di Genzo e non del Wakabayashi che conoscevamo noi, né tantomeno del portiere dell’Amburgo o della sua immagine pubblica. Tu sei partita da zero. –
- Beh, io … non sapevo niente di lui. Eppure … – ammise.
- Non dire altro Yuki. – la fermò Sanae decisa – So abbastanza da essere certa di volerti difendere quando Tsubasa darà fuori di testa. –
 
Genzo si sistemò su una delle sedute che, dal piano terra, gli permettevano un’ampia veduta anche sulla galleria del piano superiore e sulle lunghe scale mobili che collegavano i due livelli, in modo da poter tenere d’occhio buona parte delle zone da cui lei avrebbe potuto raggiungere il loro punto d’incontro. Si erano recati al centro commerciale in tarda mattinata, dopo la lunga corsa di allenamento che lui non rinunciava mai a fare, nemmeno durante le vacanze, e quando Yuki aveva lavorato alla sua tesina quanto bastava per sentirsi finalmente soddisfatta del proprio lavoro. Insieme, avevano riletto il capitolo preparato, aggiustando grammatica e sintassi laddove le incerte conoscenze di tedesco di Yuki avevano fatto qualche danno, e grazie all’esperienza di Genzo e ai suoi preziosi consigli, lei aveva chiuso il pc senza sensi di colpa, pronta a concedersi un pomeriggio di svago insieme a lui, proprio come si erano promessi di fare.
Non era la prima volta che si recavano all’Elbe Einkaufszentrum[i], perché in quello stesso centro commerciale Genzo l’aveva accompagnata in altre occasioni nelle quali lei aveva avuto bisogno di fare acquisti per sé, ma questa volta, giunti sul posto, si erano scambiati un’occhiata complice e si erano dati appuntamento di lì a un paio d’ore almeno, concedendosi tutto il tempo necessario a fare compere separatamente. Lui aveva lasciato che lei si discostasse, aveva atteso che si voltasse per salutarlo, quando già si era allontanata, e poi l’aveva vista scomparire tra la folla; solo allora si era guardato attorno e si era mosso, con passo deciso, verso il primo dei negozi che si era prefissato di visitare. Non era stato semplice, per lui, dedicarsi agli acquisti, attività che detestava consapevolmente e che considerava solitamente inutile; tuttavia, con la determinazione che sempre riusciva a sfoderare quando ne aveva veramente bisogno, Genzo era passato da un negozio all’altro riuscendo persino a divertirsi mentre ai suoi polsi si accavallavano le maniglie delle borse con il risultato dei suoi sforzi.
Mettendosi comodo, con le gambe accavallate e la schiena rilassata, passò in rassegna gli acquisti fatti, riordinando le borse perché alcune in particolare restassero nascoste tra le altre e poi si mise in attesa, osservando distrattamente i passanti, per alcuni minuti. Cominciava ad avvertire una leggera agitazione, una strana sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco, che si faceva più acuta ogni volta che si soffermava con lo sguardo sui pacchetti e la mente correva di conseguenza, al momento in cui ne avrebbe svelato il contenuto. Si stupì di se stesso, perché non era avvezzo a certe debolezze, eppure nonostante quel vago disagio non accennasse a scemare, si sorprese a pensare che l’avrebbe fatto di nuovo, prima o poi, perché anche quello cominciava a non sembrargli tanto male.
L’attesa comunque, non durò a lungo, visto che poco dopo Genzo vide spuntare Yuki in cima alla scala mobile, il sorriso raggiante a illuminare il viso e una quantità di borse multicolori appese alle braccia.
- Eccomi! – lo salutò quando ancora era lontana, per poi raggiungerlo quasi correndo, fino a fermarsi ad un passo da lui, con una espressione sorpresa dipinta sul viso.
– Questi sono i tuoi acquisti? – gli chiese mentre le sopracciglia scure si inarcavano e lui rispondeva silenziosamente annuendo - Non ti avevo mai visto comprare più dello stretto necessario … e di solito si tratta di qualcosa da mettere sotto i denti! –
- In realtà, mi sono accorto di aver bisogno di rinnovare un po’ l’armadio. Avevo i miei programmi e li ho rispettati alla lettera. – le spiegò mentre si alzava dalla panchina e raccoglieva il tutto, forzandosi di nascondere al meglio le proprie emozioni; – E’ stato meno peggio di quanto avessi immaginato e c’è pure qualcosa per te. – ammise poi.
- Ti sei divertito! – esclamò allora Yuki, puntandogli l’indice sul petto e sollevando lo sguardo per cercare i suoi occhi – Te lo leggo in faccia! – ma lui si limitò ad una alzata di spalle, forzando un’espressione disinteressata e passando oltre, evitando di approfondire.
- Forza, andiamo a casa … - la invitò muovendosi verso l’uscita del centro commerciale e subito poté intuire i suoi passi svelti dietro le spalle - … Con tutta questa roba, sarà il caso di chiamare un taxi. –
 
- Adesso posso darti il tuo regalo? – Yuki lo guardava impaziente mentre lui riemergeva dall’armadio del disimpegno – Ormai hai visto tutte le borse che ho portato a casa … non ha senso aspettare ancora! –
Lui la fissò per qualche istante, prima di raggiungerla in soggiorno: era chiaro che lei fosse impaziente e questo la rendeva forse ancor più ragazzina di quanto non gli sembrasse in alcuni momenti, ma Genzo continuava a restare affascinato dal modo inusuale con cui Yuki fondeva dentro di sé aspetti istintivi e genuini con altri più maturi e consapevoli, da adulta. In lei convivevano l’entusiasmo incontenibile di fronte ad una sorpresa, anche la più piccola, con la determinazione e la forza di volontà nell’affrontare le sfide, come quelle che un indirizzo di studi come il suo, intrapreso all’estero, potevano rappresentare. E questi lati opposti, in Yuki, costituivano un intreccio che Genzo aveva notato fin da subito, che aveva osservato di nascosto per mesi e da cui continuava ad essere attratto in modo irrazionale ma innegabile.
– Sono pronto! – dichiarò lasciandosi cadere seduto sul divano – Ma qualcosa mi dice che il mio ego potrebbe uscirne ferito … - la punzecchiò.
Yuki rise, andando a recuperare uno dei sacchetti riportati dal centro commerciale e consegnandoglielo con fare solenne – Questo è esattamente quello che mi ero proposta di prenderti. –
Genzo la guardò da sotto in su, notando il classico logo del giocatore di polo a cavallo, consapevole che, qualunque cosa avesse scelto di comprargli in quel negozio, Yuki aveva speso certamente parecchio; troppo, considerato il suo status di studentessa fuori sede. Rimase con le mani ferme ai lati del sacchetto, corrugando la fronte, e lei parve comprendere al volo le sue perplessità.
- Non ho speso una fortuna, se è questo che ti preoccupa: c’erano i saldi e delle ottime occasioni. – gli spiegò senza troppi giri di parole – E comunque questa mi piaceva proprio; l’avrei comprata comunque. –
Più o meno soddisfatto, cercò di concentrarsi sul regalo; ruppe con cura i sigilli e estrasse dal sacchetto un incarto di velina, per poi aprire anche quello e dispiegare tra le proprie mani la stoffa blu di una camicia dal taglio decisamente moderno. Chinò il capo di lato, assottigliando lo sguardo sulla stoffa scura, per poi cercare gli occhi di Yuki che, dopo essersi sistemata al suo fianco, lo fissava con una certa aria di sfida. Rimasero in silenzio, seri e immobili, in uno scontro di occhiatacce che durò fino a quando, entrambi, non scoppiarono a ridere.
- Non c’era verde? - chiese Genzo, inframezzando parole e sbuffi delle risa, e Yuki sbarrò lo sguardo, prima di realizzare il significato di quella richiesta.
- Cosa?! – gli urlò contro – Stai veramente …? – e lui non la lasciò proseguire, perché si sporse a zittirla, baciandola deciso e trattenendola per le braccia, quasi volesse immobilizzarla, concedendole appena lo spazio per un respiro, prima di risalire con le mani fino al suo viso e poi più dietro, affondando le dita tra i suoi capelli. Quando si separò dalle sue labbra, ogni pensiero di sfida e di provocazione sembrava dimenticato da entrambe le parti, sostituito da sguardi scuri e quasi affamati, che si intrecciavano nello sfiorarsi lento di un naso contro l’altro.
- Sarà la mia preferita. – dichiarò sulla sua tempia.
- Che ne dici di provarla? – gli propose lei, mentre già le sue mani raggiungevano il collo della camiciola che lui indossava – Mi sono resa conto del fatto che comprarti qualcosa da vestire non fosse così semplice … e sono andata un po’ a occhio. –
Genzo annuì arretrando un poco con il busto, lasciando spazio a Yuki e ai suoi movimenti lenti attorno ai bottoni che, uno dopo l’altro, scivolavano dalle asole, scoprendogli sempre più pelle. Rimase ad osservarla, mentre le sue dita sottili sfioravano la stoffa separando i due lembi della camicia e i suoi occhi, stretti in due fessure, si puntavano sul suo petto. Il fiato si fece improvvisamente corto e la pelle reagì increspandosi quando Yuki, come ipnotizzata, spostò le mani portandole sotto la stoffa. Fu allora che Genzo sentì scattare qualcosa dentro di sé: la afferrò per la vita, tirandosela addosso e accompagnandola deciso la fece accomodare sulla proprie gambe, con le ginocchia ai lati dei propri fianchi, e Yuki si mosse istintiva, portando le mani dietro il suo collo e facendo scivolare la camicia oltre le spalle e poi lenta, giù lungo le braccia, incastrandola all’altezza dei gomiti. Bastarono pochi, pochissimi respiri, per trovarsi di nuovo con le labbra unite, a rubarsi il sapore come se non l’avessero mai fatto. Baci quasi irruenti, quelli di Yuki, che sembrava essersi accesa nel preciso istante in cui lui l’aveva legata a sé, mostrandosi viva e vorace come non l’aveva mai sentita; gesti decisi, quelli delle sue mani che plasmavano le sue spalle a scendevano fameliche lungo la sua schiena, per poi salire a incastrarsi tra i capelli della nuca, stringendo e tirando quasi, come se volesse di più e non potesse dirlo, se non con quella stretta possessiva.
Genzo frugò tra la stoffa, sfilandole la maglia dalla cintola dei pantaloncini; trovò la sua pelle, liscia a caldissima, e prese a percorrere a palmi aperti la sua schiena, leggendo la curva delle sue vertebre e seguendone ogni movimento; con le dita, si insinuò sotto l’arco del reggiseno, percorrendolo e cercandone l’apertura, per poi prendere un lembo, strattonandolo un poco per aprirlo, finché non riuscì a farlo sganciare con uno schiocco. Allora, forse colta di sorpresa, Yuki lasciò le sue labbra, scostandosi appena dal suo viso per cercare i suoi occhi, e Genzo rimase stregato allo scorgere la sua espressione di fuoco.
Si sorprese, rendendosi conto di quanto si fosse perso di lei, nel buio della loro camera, e un brivido caldo risalì lungo la sua schiena quando la vide increspare le labbra e poi inumidirle rapidamente, prima di muoversi, con uno scatto, sistemandosi ancora meglio sopra di lui e poi afferrando la propria maglia, per sfilarsela completamente di dosso, prima di tornare a cercare le sue labbra.
Sentì pulsare il desiderio, forte tanto da accecargli la mente, e d’istinto si sollevò dal divano, portando con sé Yuki, e facendola distendere su di esso, per poi piegarsi su di lei osservandola, rapito da quell’immagine nuova e disarmante. Vederla con le labbra rosse e umide, i capelli sciolti, sparsi sul cuscino del divano, e il corpo nudo, coperto appena dal reggiseno incastrato malamente alle spalle, gli tolse il fiato, lasciando in debito di ossigeno: una bellezza vera, sanguigna, senza filtri, che bruciava come fuoco in un corpo minuto accendendo di riflesso ogni sua fibra, tanto da spezzargli il fiato. Sorreggendosi sulle ginocchia e puntando una mano a lato del suo viso, afferrò il pizzo del reggiseno, sfilandoglielo senza troppo pensare, e calò sul suo corpo senza darle preavviso, portando le lebbra sul suo seno, curioso e goloso, perso nell’immagine di lei e nel soffio disordinato in cui si accese il suo respiro sotto le labbra che cercavano, trattenevano e saggiavano, sempre più curiose.
Riemerse dalla bruma solo quando comprese che lei stava strattonando la sua cintola, sfilando il bottone e cercando di far scorrere la zip verso il basso; si sollevò sedendosi sui talloni e si liberò della camicia che ancora lo intralciava, fissando lo sguardo su di lei e piegando il capo di lato, mentre un pensiero gli tendeva le labbra in un sorriso di traverso - Stai buona, Yuki … non mi sembra il caso di … -
Tuttavia, Genzo trovò sotto di sé lo stesso sorriso provocatore e affilato, che non gli diede modo di ribellarsi, mentre le mani di Yuki trovavano la via tra gli strati di stoffa, puntando dritto a ciò che nel suo corpo, in quel momento, non avrebbe saputo mentire. Ogni buon proposito scacciato in un istante, di riflesso, anche lui portò le mani ai suoi shorts, cercando il bottone per aprirli, ma quelle di Yuki furono svelte e decise a fermarlo, riportandole più su, all’altezza del seno, con un’occhiata che non ammetteva repliche. Le mani di Yuki, corse di nuovo là fino dove a pochi istanti prima stavano armeggiando, ripresero a toccarlo, precise, come ormai lei aveva imparato a muoverle, impedendogli di pensare a qualsivoglia protesta, e lui tornò a cercare il suo sguardo bisognoso di lei e sempre più in affanno.
Trattenne il fiato, nell’affondare in quegli occhi scurissimi e profondi, riuscendo a mala pena a sorreggersi, puntellandosi con entrambi gli avambracci, quando il piacere, già denso, parve montare sempre più forte, oscurandogli la vista e facendogli girare tutto attorno, in un disordinato turbinare di pareti e oggetti, intenso, sempre più inarrestabile; non seppe opporsi e non volle farlo, perché ancora una volta, ebbe la certezza che non avrebbe saputo farlo, senza poi imboccare una via che lo avrebbe condotto ancora più oltre.
 
[i] Ho cercato tra i centri commerciali di Amburgo quello che, per estetica e negozi presenti, fosse più adatto ai miei scopi. Il Centro commerciale citato esiste davvero.

Angolo dell'autrice: mi scuso immensamente per il ritardo nella risposta alle recensioni del capitolo precedente: farò del mio meglio per porre rimedio quanto prima. Intanto, vi lascio questo capitolo ... con il quale si sblocca ina questione non indifferente: quello della segretezza.
Colgo l'occasione per irngraziare chi legge e continua a dare fiducia a questa storia.
Un abbraccio grande
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** ... condivisione ***


18. … condivisione
 
(inizio agosto, tardo pomeriggio)
 
Sistemò le bevande su un vassoio, per poi muoversi verso la porta finestra che dava sulla piccola loggia, attenta a far sì che la densa schiuma non scivolasse oltre il bordo degli alti bicchieri. Dopo essersi data una sistemata, aveva scorto la sagoma di Genzo attraverso la stretta finestra della zona cottura, intuendolo accomodato su una delle poltroncine; così aveva pensato di preparare qualcosa di fresco da bere, per poi raggiungerlo. Tuttavia, quando giunse alla soglia del terrazzino coperto, non poté impedirsi di fermare i propri passi, rimanendo per qualche istante ad osservarlo con il fiato trattenuto.
Genzo, con i soli pantaloni addosso, se ne stava effettivamente abbandonato sulla comoda seduta dallo schienale reclinato e pareva essersi appisolato. Con gli occhi chiusi e il capo leggermente piegato da un lato, l’espressione rilassata e le braccia abbandonate sui braccioli, emanava un fascino incredibile, che le provocò un formicolio nascosto. La luce calda del tardo pomeriggio illuminava il suo corpo di un tono ambrato, mentre il viso, protetto dall’ombra proiettata dallo sporto superiore della loggia, risultava appena più scuro, nella sua espressione rilassata e serena, con le labbra distese in una sorta di sorriso segreto. La pelle lucida delle spalle scendeva morbida sulle linee definite e toniche del torace e dell’addome, dove l’allenamento aveva esaltato un corpo dalle proporzioni perfette. La stoffa dei pantaloni della tuta che aveva preferito ai jeans portati fino a poco prima, scivolava come una carezza sulle cosce dai muscoli ben evidenti lasciandone intuire le forme sode.
Yuki si sorprese ammaliata da quella fisicità che per settimane aveva vissuto con naturalezza, quasi fosse un dettaglio a cui prestare una attenzione sommaria, e che invece da poco si era concessa di considerare davvero come una peculiarità di Genzo. Nella mente, riecheggiarono le parole di Sanae e la sua osservazione: non hai parlato minimamente del fatto che sia un bel ragazzo, o che sia prestante, atletico o eccezionale come portiere. La sua amica aveva perfettamente ragione, perché lei si era approcciata a Genzo senza valutare veramente la sua fisicità e tutto quello che invece era normalmente sotto gli occhi di tutti. Lei aveva avuto il privilegio di conoscere un Genzo sconosciuto ai più, che con la sua semplicità e i suoi modi diretti l’avevano conquistata senza nemmeno che lei se ne rendesse davvero conto e che solo ora si sovrapponeva a quel ragazzo dalla bellezza disarmante che sonnecchiava mezzo nudo ad un passo da lei.
Soffiò un sospiro leggero posando il vassoio sul tavolino quadrato accostato al parapetto e poi si protese su di lui, baciandogli delicatamente una tempia.
- Genzo … - lo chiamò piano e lui aprì gli occhi in due fessure, arricciando il naso mentre prendeva fiato per soffocare un mezzo sbadiglio - … ti va di bere qualcosa? –
Lui aprì del tutto gli occhi, mettendola a fuoco e rispondendo con un sorriso disteso – Scusa, mi ero messo qui a godermi il sole … ma devo essermi rilassato più del previsto. –
- Ho preparato del caffè freddo shakerato; meglio non attendere che la schiuma si smonti … - gli spiegò, mentre sistemava il vassoio in modo che fosse più agevole afferrare i bicchieri e lui si sporse per prendere il proprio dalle sue mani, portandoselo subito alle labbra per assaggiarne il contenuto.
- Niente male. – commentò annuendo e leccandosi le labbra dalla schiuma – Buono davvero. –
- Bene. Se davvero ti piace, mi auguro che ti aiuti a mantenere alto l’umore anche quando andrai a vedere il divano … - buttò lì allora Yuki, guardandolo di sottecchi e sorseggiando il suo caffè; davanti alla sua espressione preoccupata e al contempo curiosa, si affrettò a spiegare meglio – Diciamo che si è macchiato. –
Genzo aggrottò la fronte, spiazzato – Di caffè? –
- Ehm … no. – si affrettò a rispondere lei, un po’ imbarazzata – Si è macchiato … prima. Quando … ecco … -
Non gli ci volle molto per comprendere l’accaduto e d’istinto Genzo si portò una mano alla fronte, coprendo una smorfia – Sono un idiota. –
Tuttavia, Yuki si sentì di rassicurarlo; – Ho già provato a dare una pulita; ho trovato uno smacchiatore nel ripostiglio, non credo che si tratti di una macchia di quelle invincibili … anche se non è mai citata tra quelle su cui i prodotti sono efficaci. – osservò poi soffocando una mezza risata – Forse … -
- Avrei dovuto fermarmi. – il tono di Genzo, così come la sua espressione, si era fatto immediatamente serio e Yuki riuscì a leggere una sfumatura di preoccupazione che pareva averlo colto solo in quel momento, forse dopo aver avuto modo di riflettere su quanto accaduto poco prima. Lei rimase in attesa, cercando di comprendere, e Genzo non la fece attendere – Tu hai fermato le mie mani e io non sono stato in grado di controllarmi … -
A quelle parole, Yuki comprese finalmente la sua preoccupazione, quello scrupolo che Genzo si portava sempre dentro, il timore di forzarla o di andare troppo oltre, e allora, in risposta ai suoi dubbi prese a negare decisa, determinata a far sì che potesse comprendere davvero come stavano realmente le cose.
- Genzo, io non volevo fermarti, ma … deviarti. – gli disse puntando il proprio sguardo nel suo e cercando la sua attenzione – E il motivo non è che io non volessi le tue mani su di me ma semplicemente è che … non era il caso perché … non sono proprio in forma. Ecco. –
- Oh … - l’espressione di Genzo si fece sorpresa, quasi che davvero non avesse mai considerato quel dettaglio, e poi subito pensierosa – Ma allora perché non dirmelo? Perché non fermarmi prima? Io non volevo che fosse una cosa … solo mia! Così … non è giusto! Non devo essere solo io a … –
Quello scrupolo le suscitò una tenerezza istintiva, che la indusse a lasciare il caffè sul tavolo, per chinarsi di fianco a lui, fino a potergli parlare ad un soffio dal suo viso. – Credi davvero che sia stata una cosa solo tua? – gli chiese socchiudendo lo sguardo e sussurrando appena, mentre lui spalancava gli occhi, facendo sue quelle parole – Credi che per me non ci sia stato niente? – gli chiese ancora per poi riprendere subito - Perché, vedi … è come se io percepisca quello che senti; guardarti in quei momenti, riconoscere il tratto del piacere assoluto sul tuo viso e sentire sotto le dita il fremere della tua pelle, accende un fuoco anche dentro di me. Io non so cosa accada davvero … ma quando ti tocco percorro con te quello stesso filo sottile: io lo sento che si infiamma sotto la tua pelle, annebbia la mente e tende la tua schiena fino a farti vibrare … E’ come se tu suonassi una melodia profonda che si riflette come un’eco dentro di me … -
Yuki si morse le labbra, incapace di spiegarsi meglio, ma nei suoi occhi, affondando nello sguardo profondo con cui lui l’aveva seguita, parola dopo parola, ebbe la certezza assoluta che lui avesse compreso. Ne ebbe conferma quando avvertì le sua mani posarsi sulle guance in una carezza calda e delicata, e non poté che seguirlo quando lui le colse le labbra, mischiando parole e baci in un rimando crescente di fuoco.
- Mi piace che tu senta tutto di me, perché se lo senti anche tu, allora non sono pazzo … allora significa che è tutto vero … -
Sempre rimanendo sulle sue labbra, Yuki si mosse d’istinto, portando una mano sul suo petto e lasciando che scivolasse lentamente verso il basso, sfiorandolo appena e seguendo le linee del suo torace nudo. Lo baciava, tenendo stretta la sua attenzione, e al contempo lasciava carezze leggere sulla sua pelle, tracciando con la punta delle dita il filo della stoffa, là dove la cintola formava una increspatura; la sua mano si fermò per qualche istante, mentre i baci si facevano più serrati e profondi, per poi riprendere a muoversi, il palmo aperto sul fianco coperto dai pantaloni. Yuki evitò di stringere verso il ventre, ma la mano continuò a sfiorare la gamba per poi piegare decisa verso l’interno della coscia, mentre lei ascoltava il respiro di Genzo e leggeva l’incresparsi della sua pelle anche attraverso l’indumento.
- Anche a me sembra tutto irreale, Genzo; eppure … è così. – Yuki socchiuse gli occhi per un istante, concentrandosi sul tocco leggero delle mani di Genzo sulla propria schiena, e poi tese le labbra in un sorriso malizioso – E ti sento abbastanza da aver compreso che se adesso non mi sollevo da qui immediatamente, finiremo per fare qualcosa che qui sul terrazzo non è proprio il caso di fare … -
 
Yuki si sedette accanto a Genzo restando ad osservarlo per qualche momento: aveva indossato la camicia che gli aveva regalato direttamente a pelle, sopra i pantaloni sportivi che già portava, allacciando solo qualche bottone, tanto da verificarne la vestibilità, ma lasciandola aperta nella parte superiore e l’indumento lo vestiva in modo preciso, disegnando le sue spalle ampie e scendendo sul petto con la carezza morbida tipica delle camicie di buona fattura. Era perfetta; ma ad ogni modo, si trovò a riflettere, Genzo avrebbe potuto indossare qualunque tipo di indumento e la sua fisicità avrebbe comunque valorizzato il suo modo di muoversi e il suo corpo che, pur nelle forme plasmate dallo sport, non smetteva mai di apparire velatamente elegante. Niente a che vedere con la spumeggiante spontaneità di Tsubasa, con il suo correre anche quando non ce n’era bisogno, con i suoi modi entusiasti e informali; Genzo pareva muoversi nel mondo con placida consapevolezza di sé e sostanzialmente convogliava energia e potenza solo in ambito sportivo, mantenendo la propria emotività protetta e permettendo a pochi, pochissimi, di conoscerlo veramente.
Socchiuse le labbra, riconoscendosi almeno un po’ di merito nell’essere riuscita ad arrivare a lui superando le barriere che parevano averlo separato persino dai suoi compagni di squadra delle scuole medie per tanti anni, tanto da avvicinarsi a lui come nessuno mai aveva ottenuto il privilegio di fare.
Lo osservò meglio, incuriosita dal suo atteggiamento: con il telefono tra le mani, sembrava completamente assorto in qualche segreta ricerca e le dita si muovevano così rapide sul display che non le fu possibile nemmeno individuare su quali siti stesse conducendo la sua indagine. Raccolse le gambe al petto, mettendosi comoda e con la mano destra andò distrattamente ad accarezzare la stoffa là dove, solo qualche ora prima, aveva sfoderato tutte le sue doti da massaia d’altri tempi per rimediare al danno fatto; fortunatamente, non sembrava che fossero rimasti segni particolarmente evidenti del loro passaggio. Tornò a pensare a lui e inclinando il capo si decise a parlargli.
- Cosa cerchi? – gli chiese non appena lo vide fermarsi per qualche istante – Sembri particolarmente impegnato. –
Genzo si morse per un istante le labbra, quasi stesse riflettendo su qualcosa di particolarmente importante, prima di rivolgersi a lei – A che punto sei con la tua tesina? –
Yuki, sorpresa per la domanda apparentemente astrusa, raddrizzò la schiena – Buono, direi. Ma considerato che ho ancora del tempo prima della consegna vorrei … -
- Niente ma: - la interruppe deciso - hai appena ammesso di essere a buon punto; su questo non avevo alcun dubbio, perciò adesso organizziamo qualche giorno di vacanza. Ce lo meritiamo. –
- Vacanza? – gli chiese di rimando Yuki, sorpresa – Io … - le venne spontaneo il bloccare ogni idea del genere ma poi, riflettendo rapidamente sulla situazione, comprese le motivazioni di Genzo, pur senza chiedere alcuna spiegazione: libero dagli impegni della squadra, lui era rimasto ad Amburgo per lei, rinunciando al consueto rientro in Giappone, ma stava lentamente consumando tutti i giorni liberi da allenamenti e incontri senza muoversi da casa. Era assolutamente comprensibile il fatto che volesse concedersi qualche giorno di vera vacanza.
- Sì, vacanza: io e te, insieme, da qualche parte che non sia Amburgo. E senza tesina. – riprese lui deciso – Dove ti piacerebbe andare? Parigi? Londra? Venezia? O anche … –
- Genzo … - lo chiamò lei negando con il capo, tendendo le labbra in una espressione mesta - … ho un visto per motivi di studio che vale solo in Germania. Mi piacerebbe tanto poter viaggiare, davvero; tuttavia … -
Lo sguardo di Genzo si adombrò per un istante ma lui non parve disposto a lasciarsi fermare da un simile inconveniente – Bene, ci accontenteremo della Germania: ma non ti permetterò di passare un’intera estate in Europa relegata in una sola città; cosa ne pensi di Berlino? Monaco? Un giro in Baviera? –
Yuki si sentì confusa; non era certa che fosse corretto condizionare le vacanze di Genzo in quel modo, eppure, pur non avendo mai considerato la possibilità di partire con lui, non riusciva a trovare il coraggio di rifiutare una simile possibilità.
– Io … non saprei. – ammise abbassando lo sguardo – Non conosco quasi niente di questo paese! Sono completamente spiazzata e credo che qualunque meta per me sarebbe una scoperta … -
- Decido io? – buttò lì Genzo avvicinandosi a lei e afferrandole una mano, per tirarla verso di sé – Facciamo i bagagli e partiamo: ci lasceremo ispirare dal viaggio. –
Lei dischiuse le labbra, sorpresa – Partiamo? E con cosa? Come … - e Genzo sorrise di fronte ai suoi dubbi, affrettandosi a tranquillizzarla.
- Ho la patente tedesca. – spiegò – In realtà non ho mai preso quella giapponese … ma questo è un dettaglio. – sottolineò, inducendola a sorridere – Non viaggio di frequente, perciò quando ne ho bisogno, semplicemente, noleggio un’auto. –
Yuki rimase senza parole e con un’espressione di assoluta sorpresa dipinta sul volto; muoveva lenta il capo, quasi stentasse a crederci, e non riusciva ad esprimere un parere in merito a quella proposta che alle sue orecchie suonava assolutamente straordinaria.
- Allora? Chi tace acconsente? – la esortò allora Genzo, già felice di aver sorpreso la ragazza - Chiamo per l’auto? – e in risposta ebbe ancora solo un movimento del capo, lei che annuiva mentre le labbra si tendevano in un sorriso luminoso – Perfetto: chiamo per avere la mia solita. Ci prendiamo giusto domani per fare i bagagli e organizzare le ultime cose, poi si parte per … -
Non poté nemmeno terminare la frase, perché Yuki gli si strinse al collo, esternando tutto il suo entusiasmo in un abbraccio che non lasciò tempo per ulteriori dettagli.
 
Si erano messi in viaggio quando ancora Amburgo era appena sfiorata dalle prime luci dell’alba e avevano lasciato una città sonnolenta, con il poco traffico di quell’orario in cui coloro che hanno sfruttato fino all’ultimo scampolo della notte si incrociano con i più mattinieri, ignorandosi vicendevolmente con supponenza. Genzo non si riteneva un appassionato di motori e non amava particolarmente guidare, ma sapeva apprezzare il piacere di una buona giuda e aveva spiccate preferenze in fatto di auto e di viaggi, perciò, trovandosi a voler organizzare una breve vacanza, non si era minimamente posto il problema dei lunghi trasferimenti e si era dedicato soprattutto alla rapida definizione di una bozza di itinerario che potesse offrire a Yuki un’esperienza diversa da quella che aveva fatto fino a quel momento in Germania. Aveva sperato di poterla portare oltre il confine, in Francia o magari addirittura in Italia, ma non si era perso d’animo quando aveva compreso che non avrebbe potuto farlo e, al contrario, aveva abbracciato l’idea del viaggio in Germania mettendoci tutto l’impegno possibile perché potesse essere la migliore vacanza che potessero trascorrere insieme. Così, nel poco tempo a disposizione per organizzarsi, aveva pensato di partire da qualcosa di insolito, per poi virare verso qualche città imperdibile e infine, perché no, tirare dritto fino alle coste del nord … e ora che erano finalmente in viaggio, era deciso a godersi ogni singolo istante di quella occasione speciale.
Al suo fianco, Yuki si era appisolata poco dopo la partenza chinando il capo sulla propria spalla, ma Genzo non aveva nemmeno pensato che avrebbe potuto essere altrimenti, visto che lei aveva sfruttato anche l’ultima notte a casa per rimettere mano alla propria tesina limitando al minimo le ore di sonno, e si era ben presto concesso di ascoltare un po’ di musica, se pur a basso volume, per non disturbarla. Di tanto in tanto, si volgeva ad osservarla, senza potersi impedire di sorridere ogni volta, accarezzando con lo sguardo il suo viso delicato e l’espressione serena del suo sonno, per poi tornare alla strada, con il suo traffico tranquillo, e alla musica che, quella mattina, sembrava in grado di accompagnare il suo umore nel migliore dei modi.
- Me la fai riascoltare? -
La voce di Yuki lo sorprese e Genzo sollevò le sopracciglia, con il dubbio di non aver compreso – Eh? –
- Ti ho chiesto di rimettere la canzone di prima[i]. – chiarì lei, raddrizzandosi un po’.
Un poco sorpreso, lui mosse le dita sui comandi al volante per far ripartire l’ultima traccia – Da quando ascolti questa musica? –
Lei rise divertita guardandolo di traverso – Da quando siamo partiti, credo. – e lui rimase zitto per qualche istante, cercando di comprendere se davvero le avesse impedito di riposare, nonostante le sue accortezze.
- Scusami, ero convinto di aver abbassato a sufficienza il volume … -
- Tranquillo: in realtà ho già dormito abbastanza, i Pearl jam iniziano a piacermi e comunque, come ti ho già detto, hai una bella voce. Mi piace sentirti cantare. Anzi … -
- Cantavo? – chiese allora, realizzando di non essersi nemmeno accorto di averlo fatto.
- Certamente. – confermò lei con naturalezza – Come mentre cucinavi … -
Genzo si morse le labbra, cercando di concentrarsi sulla strada, nella speranza che lei si distraesse, lasciando in sospeso quel discorso che, doveva ammetterlo, era una sorta di tallone d’Achille, per lui. Non aveva problemi a mostrare le proprie debolezze, né ad ammettere i propri errori, quando era consapevole di averne commessi; tuttavia, non gli piaceva mostrarsi leggero, incline a lasciarsi trasportare dalla musica come sapeva di essere quando stava in assoluta solitudine. Per un attimo, si adombrò, riflettendo su quel curioso paradosso, sul fatto che in presenza di Yuki, ormai, tendesse a lasciarsi andare completamente, al pari di quando viveva da solo, ma con l’aggiunta di quella particolare sfumatura data dal fatto di essere consapevole di non esserlo più. Un modo del tutto naturale di essere se stesso, pur sentendosi legato a doppio filo a lei.
- Mi dirai, prima o poi, dove mi stai portando? –
Genzo scrutò Yuki con la coda dell’occhio, sollevato dal fatto che lei avesse più o meno consapevolmente cambiato argomento; notò come fosse davvero minuta, nell’abbraccio morbido del comodo sedile in pelle chiara della BMW, ma non gli parve per niente spiazzata dall’idea di non sapere ancora dove la stesse conducendo, nonostante stessero viaggiando da ormai da parecchio; piuttosto che disagio, il suo tono tradiva una genuina curiosità.
- Davvero vuoi rovinarti la sorpresa? – le chiese sollevando un sopracciglio, senza staccare lo sguardo dalla strada – Non vuoi nemmeno provare a indovinare? –
- Non tirerò a indovinare; non è mai stato il mio forte … - Yuki si sistemò sul sedile, voltandosi per guardare al di fuori del finestrino - Credo che mi lascerò portare dovunque tu voglia, gustandomi questo panorama verde e meraviglioso, chilometro dopo chilometro. –
- Questo panorama verde e meraviglioso ti verrà in odio: il navigatore prevedeva almeno altre cinque ore di viaggio, senza contare le soste! – la provocò allora lui – Sicura di poter resistere tanto? –
Yuki scosse il capo – Mi pare di capire che sia tu a non poter resistere! – e poi si mise a giocherellare con i comandi del navigatore, nella speranza di trovare qualche traccia nella cronologia delle destinazioni più recenti, senza però trovare alcunché. Si guardò un po’ in giro, ma l’auto non portava alcuna traccia di eventuali documenti utili per il viaggio e alla fine, adeguatamente stuzzicata dalle occhiatacce di Genzo, dovette ammettere di iniziare ad essere abbastanza curiosa.
- Qualche indizio? – gli chiese assottigliando lo sguardo, e Genzo, soddisfatto, tese le labbra in un profondo sorriso, mentre annuiva lentamente.
- Hai portato il costume? –
 
[i] Nella mia mente, I am mine dei Pearl Jam


Angolo dell'autrice: la confidenza è diventata condivisione e anche se c'è ancora qualche questione da approfondire, è chiaro che d'ora in poi i temi cambieranno un pochino. So che raccontare tutto mi sta portando a scrivere più capitoli di quelli che avevo preventivato, ma ahimé, il dono sella sintesi mi manca proprio e non riesco a fare tagli abbastanza consistenti da poter saltare certi passaggi.
Intanto, nel capitolo c'è una piccola strizzata d'occhio a una storia conclusa da poco che io ho seguito con affetto: il viaggio di Genzo e Yuki parte con una meta non nota, proprio come il viaggio dei protagonisti in quel racconto a cui, essendo di ben altro livello, mi piacerebbe rendere omaggio.
A questo punto, ringrazio con immensa gratitudie i pazienti lettori che continuano a seguire i miei personaggi.
Se vi fa piacere... Questione di... potrà tornare già lunedì prossimo.
A presto
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** ... Costanza ***


 19. … Costanza
 
(tardo pomeriggio, prima metà di agosto)
 
No, lei non aveva nemmeno considerato la possibilità che durante quello che avrebbe dovuto essere semplicemente un soggiorno studio in Germania avrebbe potuto esserle necessario avere un costume da bagno; tutto questo era stato chiaro a Genzo fin dal momento in cui, durante il viaggio in auto, le aveva chiesto se, per la loro vacanza, ne avesse portato uno con sé e in realtà lui non aveva fatto nulla per nascondere il fatto che il suo essere impreparata a tale evenienza gli avesse regalato un certo compiacimento. Lo stesso che, disteso sul letto nel tentativo di riprendersi dalle ore passate alla guida, stava sperimentando, in attesa che Yuki provasse i suoi nuovi completi da bagno.
Si guardò attorno, valutando che l’ampia junior suite che era stata loro assegnata fosse esattamente come l’aveva immaginata scorrendo le varie immagini presenti sul sito attraverso il quale aveva effettuato la prenotazione: spazi ampi e accoglienti, arredi classici e di ottimo gusto, vista mozzafiato sul lago. Quanto alla stanza da bagno, non aveva ancora avuto modo di darle nemmeno una rapida scorsa, perché Yuki, stringendo tra le mani il suo regalo, ci si era chiusa dentro non appena avevano raggiunto la camera.
- Allora, come sono? – le chiese sollevandosi un poco, sostenendosi sui gomiti e allungando le lunghe gambe sulla panca imbottita sistemata ai piedi del letto – A giudicare dal tempo che ci stai mettendo, inizio a pensare che ci sia qualcosa che non va … -
La porta, tuttavia, si aprì ancor prima che lei gli rispondesse e Genzo la vide uscire, esitante e con un’espressione di assoluto imbarazzo dipinta sul viso; Yuki, con le braccia piegate al petto e lo sguardo basso, che vagava inquieto sul pavimento, avanzò di qualche passo, fino a fermarsi ai piedi del letto, rimanendo in silenzio.
Lui la osservò da capo a piedi, risalendo poi lento lungo le gambe sottili, per scivolare rapido dal fianco al collo, annuendo sinceramente soddisfatto.
– Ti sta benissimo! – esclamò sicuro – Anche la taglia sembra perfetta! –
Confortata dalla sua reazione, finalmente Yuki sembrò trovare il coraggio di sollevare lo sguardo, cercandolo con un timido sorriso – Genzo, io sono senza parole … -
- Non ti piacciono? – chiese lui immediatamente, tra il sorpreso e il preoccupato – La taglia non va bene? O intendi dire che i modelli non sono di tuo gusto? –
Yuki scosse subito il capo, decisa – No! Sono bellissimi entrambi: lineari, puliti, come piacciono a me. Hai scelto questo blu così profondo … stupendo! E anche l’altro, con quella fantasia delicata … - e gli si avvicinò di più, dimenticando l’imbarazzo iniziale e lasciandosi invece trasportare dalla curiosità – Anche la taglia è perfetta: come ci sei riuscito?! E quando, poi? -
- Credevi che avessi impiegato le due ore che ho trascorso all’Elbe mentre tu facevi i tuoi acquisti, solo per comprarti la maglietta sportiva che ti ho dato da mettere in valigia? – la sorprese lui ridendo – Sono molto più scaltro di quanto tu abbia immaginato: avevo visto questo marchio italiano[i] tra le tue compere in passato e ci sono andato a colpo sicuro! –
Yuki spalancò gli occhi, sempre più sorpresa e mentre le sue labbra si tendevano in un sorriso – Ma la taglia? –
- Quella è stata facile. – minimizzò lui con un’alzata di spalle – Ti ricordo che la tua roba sta nell’armadio di casa mia, giusto nell’anta di fianco a quella dove tengo i miei vestiti sportivi! –
Lei non poté impedirsi di provare ancora un moto di vergogna di fronte a lui e ai suoi modi diretti e concreti, coprendosi per qualche istante il viso con le mani, ma poi si lasciò andare, mentre Genzo la attirava a sé, passandole un braccio sopra le spalle e stringendosela al petto, e anche lei si univa alla sua allegra risata.
- Sei speciale, Genzo, e continui a sorprendermi. – Yuki forzò appena il suo abbraccio per potersi raddrizzare fino a riuscire a parlargli direttamente – Credevo che tu concentrassi la tua attenzione e le tue energie solo sul calcio, sulla tua preparazione e sulle tue capacità; invece più ti conosco e più mi affascina il tuo saper lavorare per arrivare a quello che vuoi con una dedizione e una … -
Genzo la ascoltò serio, concentrato sulle sue parole, fino a quando i suoi occhi non si assottigliarono e le sue labbra non si tesero in un nuovo sorriso divertito.
– Ehi! Ho solo comprato due costumi! – minimizzò allegro -  Erano per te e non potevo permettermi di sbagliare: diciamo che non stavo giocando la finale del mondiale … però stavo cercando il regalo giusto per la mia ragazza e … – ma poi le sue parole rimasero in sospeso proprio lì, su quel concetto semplice che gli era uscito come fosse la cosa più naturale al mondo, ma che era rimasto in bilico tra loro, chiaro e potente come solo un’affermazione spontanea ma estremamente importante avrebbe potuto essere.
Yuki rimase a fissarlo, le labbra dischiuse e l’espressione un poco sorpresa, inseguendo l’eco di quelle parole per qualche istante, lasciandolo rimbalzare tra loro, fino a quando non cedette ad un sorriso, nascondendogli lo sguardo.
- Yuki … - la chiamò allora lui, mentre con due dita le accarezzava il mento, accompagnando il suo viso a tornare a mostrarsi - … ti fa così effetto quello che ho detto? –
- Non dovrebbe? – gli chiese lei di rimando, riprendendo subito a parlare, mostrando una sorta di agitazione, l’urgenza di spiegarsi, ma anche la difficoltà del farlo – Mi sembra di vivere in una bolla, in una specie di sogno, in una dimensione che non avrei mai immaginato di provare e … -
- E sei felice? – la incalzò allora Genzo, guardandola dritto negli occhi – Perché anche per me è stato inatteso e per certi versi strano, e non pianificato, anzi forse quasi osteggiato, ma vorrei che tutto questo non avesse mai fine perché … perché non mi sono mai sentito meglio in tutta la mia vita. Perché … -
Di nuovo, le parole non trovarono la via giusta per sfilare oltre quelle rimaste in sospeso. Genzo si mosse appena, stringendo Yuki a sé e sistemandola meglio sulle proprie gambe, lì dove si era seduta, di traverso, quando si erano trovati, tra imbarazzo e assoluta sincerità, per poi chinare il capo, sfiorando la sua tempia con il proprio naso e cercando di farsi più vicino, fino a poter sussurrare sulla sua guancia - … perché non riesco a immaginare di tornare prima di noi e questo dovrà pur significare qualcosa … -
 
Genzo si mise comodo sulla seduta imbottita, sistemandosi all’ultimo tavolo della terrazza del ristorante dell’albergo, quello più vicino al parapetto, in modo che alle proprie spalle il panorama del lago di Costanza fosse ben inquadrato. Sollevò gli occhiali da sole, appuntandoli sul capo e cercò la posizione migliore perché il moderno gazebo sospeso non impedisse la visuale all’amico collegato in video chiamata.
- Hai capito il signor Wakabayashi?! Ma in che razza di posto l’hai portata? – l’espressione sorpresa di Kaltz fece sorridere Genzo che, per fargli meglio comprendere, prese a spostare il proprio telefono abbracciando tutta la valle attorno e sé.
- Il lago era la meta più a sud che potessimo raggiungere e lo Steigenberger è una struttura di inizio novecento, uno di quegli alberghi storici tirati a lucido negli ultimi anni; mi sembrava un’idea carina: visto che non può uscire dalla Germania, portarla in una specie di località di villeggiatura d’altri tempi e … quasi in Italia. –
- Mi sembri una diva del cinema d’altri tempi, Gen: occhialoni da sole, bibita fresca e terrazza panoramica … - lo punzecchiò Kaltz, prima di andare dritto al punto – Lei cosa dice? –
Genzo si guardò attorno, controllando i movimenti all’estremità della terrazza, là dove Yuki si era diretta poco prima – A parte il fatto che non dovrebbe interessarti così tanto, lei vuole che restiamo qui ancora qualche giorno; evidentemente non lo trova così male. Io invece partirei già domani per raggiungere Monaco e fare un giro per dimore storiche … –
- Cazzo, Gen! Per farle fare il giro dei castelli della Baviera potevi iscriverla a una gita per pensionati! Ma cosa ti ho insegnato?! – lo interruppe l’amico sbarrando gli occhi – Divertitevi finché potete farlo! - per poi avvicinarsi allo schermo, con fare sornione - Ti sei portato almeno il mio pensiero speciale? –
Genzo strizzò gli occhi, sistemandosi gli occhiali da sole sul capo, prendendo tempo e procurandosi l’immediato interesse dell’altro che incalzando tornò a chiedere – Bella idea, vero? –
- Certo: ottima idea. – convenne annuendo – Soprattutto un pensiero di alta classe. Per fortuna li ho fatti sparire per tempo, senza che lei se ne accorgesse … -
Kaltz, tuttavia, non si diede per vinto, tornando a incalzare - Sei il solito c … - ma la sua immagine rimase bloccata, con il biondo sfumato in una espressione stramba, senza che Genzo potesse ascoltare l’intera paternale. Poco male, rise tra sé, perché il senso di quel discorso gli era abbastanza chiaro da non voler riprendere l’argomento proprio lì, in vacanza e su quella splendida terrazza inondata dal sole. Così inspirò a pieni polmoni, voltandosi a scrutare il profilo pigro delle acque del lago, mosso appena da poche imbarcazioni lontane, e lasciandosi cullare dallo sciabordio quieto delle onde che si infrangevano alla base del muro di sostegno della terrazza.
Nei due giorni trascorsi a Costanza, lui e Yuki si erano potuti rilassare completamente e il pensiero dell’università, come quello della Champions League o del rientro in Giappone, si era perso dietro il sipario di quelle ore perfette che avevano trascorso passeggiando lungo la stretta spiaggia sassosa che dall’albergo si allungava verso occidente, oppure inoltrandosi tra le viuzze del centro antico della città o semplicemente oziando, insieme, distesi sulle chaises longues del solarium. Era stato come rifugiarsi in una dimensione parallela dalla realtà e concedersi semplicemente di stare insieme, scoprendosi sempre più legati, complici e perfettamente in sintonia.
L’allegra suoneria richiamò Genzo dai suoi pensieri; distrattamente, incrociando le caviglie una sull’altra a gambe distese, allungò una mano per rispondere alla chiamata, sollevando il telefono senza nemmeno curarsi dell’inquadratura – Forza, Kaltz: stavo giusto aspettando il finale del cazziatone! –
- Genzo? –
La voce che udì dall’altoparlante lo indusse a raddrizzarsi sulla seduta, afferrando meglio il telefono per portarlo di fronte a sé, quasi incredulo – Mamma?! –
Dal display, l’immagine della madre lo osservava accigliata – Devo dedurre che aspettavi un’altra chiamata? –
- In realtà ero al telefono con un amico, ma la comunicazione si è interrotta un attimo prima che mi arrivasse la tua telefonata. – spiegò per sommi capi alla madre, minimizzando, per poi soffermarsi su ciò che poteva intuire della stanza da cui lei lo stava chiamando – Ma … sei a Nankatsu? Va tutto bene? –
La donna annuì e l’inquadratura si fece più ampia, mentre probabilmente appoggiava il telefono sul ripiano davanti a sé, puntandolo contro quello strano e inquietante soprammobile in onice che lei adorava e Genzo considerava il pezzo peggiore dello studio - Siamo arrivati e … siamo rimasti molto sorpresi dalla tua assenza, Genzo: non ci vediamo da mesi e ci aspettavamo di trovarti qui alla villa, per la pausa estiva, come sempre. –
- Non credo che potrò rientrare in Giappone, mamma, per questo agosto. – le spiegò tranquillo grattandosi una tempia – Non avevamo avuto modo di parlare di un eventuale rientro; se solo mi aveste avvisato … -
La madre, tuttavia, non gli diede il tempo di proseguire, intervenendo decisa – C’è qualcosa che non va, caro? Qualche infortunio di cui non siamo a conoscenza? Tuo padre è molto preoccupato … -
- Ma no! Sto bene, mamma. Benissimo. – si affrettò a tranquillizzarla rilassandosi un poco contro lo schienale – Ho solo preso un impegno che … non mi consente di tornare in Giappone, per ora. –
Lo sguardo della madre, inizialmente più disteso, parve assottigliarsi, cogliendo un non detto rimasto in sospeso, e il suo viso non riuscì a nascondere un nuovo velo di inquietudine – Sembri in un luogo di villeggiatura, Genzo, ma mi dici che sei impegnato e non puoi tornare dai tuoi genitori. Cosa devo pensare? –
Genzo conosceva la propria madre come una donna affabile e piacevole, di grande dolcezza, ma sapeva anche che, al momento del bisogno, poteva diventare più determinata di un mastino, diretta ed estremamente acuta; non si sorprese di aver ricevuto una chiamata da lei, anziché da suo padre, che nonostante la fama di uomo forte, capo famiglia di polso e grandi ideali, riusciva molto meno a farsi duro quando si trattava di affrontare i propri figli. Volgendo per qualche istante lo sguardo verso il lago e sfruttando quell’attimo di silenzio rimasto sospeso tra loro, Genzo si concesse di riflettere sulla possibilità di aprire il proprio cuore alla madre. In fondo, con le sue parole, gli aveva offerto una buona occasione per parlarle apertamente … e non sfruttarla a dovere avrebbe potuto risultare persino controproducente.
Sorrise tra sé, cercando di nuovo l’immagine della donna – Vorrei farti conoscere una persona, mamma. – e provocando in lei, con quelle poche parole, un’immediata reazione. Riconobbe la sorpresa, sul suo viso composto, non più giovanissimo, ma elegante dei segni di una bellezza senza tempo; comprese di aver risvegliato in lei un moto di curiosità che a stento la donna riusciva a trattenere. Sfidò per qualche momento la capacità della madre di restare in bilico tra compostezza, autorità e naturale bisogno di saperne di più, ma poi di forzò a tornare a parlarle.
- Sono qui con una ragazza, mamma; con la mia ragazza. E … - Genzo inumidì le labbra, inspirando a fondo cercando le parole migliori per esprimersi - … mi farebbe piacere che tu potessi conoscerla, o almeno vederla, perché tu possa comprendere. –
Lei attese ancora un poco in silenzio, forse riflettendo, ma poi lui la vide chinare il capo, lasciando che le sue labbra accennassero un sorriso – Non mi hai mai presentato una ragazza, tesoro. Non mi hai mai nemmeno parlato di una amicizia, né di una frequentazione, da quando sei in Germania. Ci siamo sentiti di rado, negli ultimi mesi, e purtroppo so che non hai vissuto un periodo facile, eppure adesso ti vedo diverso, sembri felice, quasi rinato, e d’un tratto di racconti di questa ragazza: mi è difficile credere che io non debba esserle grata per il sorriso che vedo negli occhi di mio figlio, nonostante il fatto che non potrò incontrarlo tanto presto. –
- Ero certo che avresti capito, mamma, e … - si interruppe, quando con la coda dell’occhio, al limitare della terrazza, riconobbe la figura di Yuki; sollevò lo sguardo, seguendola mentre si avvicinava, sorridente e concentrata, portando un vassoio con due slanciati bicchieri colmi di liquido arancione. Genzo lasciò che posasse il vassoio sul tavolo, chiamandola subito a sé senza darle il tempo di dire nulla e passandole una mano sul fianco, perché scivolasse a sedere sulle sue gambe e lei vi si sistemò con naturalezza, passandogli un braccio dietro il collo.
- Novità? – gli chiese con un cenno del capo verso il telefono che lui si era sporto a sistemare sul tavolo, ma le fu sufficiente incrociare il suo sguardo per cercare a propria volta il volto del suo interlocutore. Genzo avvertì il corpo di Yuki farsi immediatamente rigido e tentare si sollevarsi dalle sue gambe, ma la stretta della mano sul fianco si fece più salda e impedì alla ragazza di spostarsi.
- Mamma, questa è Yuki, la ragazza che volevo tu conoscessi. – il suo tono suonò sicuro alle sue stesse orecchie e l’espressione sorpresa della madre, della quale intuiva il motivo, lo indusse a proseguire – Resterò in Germania perché lei non rientrerà a casa finché sarà impegnata con gli studi ad Amburgo. – Fece una pausa, scorgendo lo sguardo della madre ancora più attento, con gli occhi stretti in due fessure e le labbra appena dischiuse, quasi che stesse cercando di mettere a fuoco qualcosa in particolare; soffocò il sorriso che l’atteggiamento della madre aveva provocato, sbirciò Yuki, avvertendo le sue dita stringersi forte alla spalla, e poi si rivolse di nuovo alla madre, spezzando il silenzio sospeso in cui la chiamata si era arenata – Se le venisse confermato lo stage, come speriamo che sia, torneremmo insieme a Nankatsu per la pausa di fine anno. –
Riuscì a riconoscere il moto leggero delle spalle della madre che si rilassarono appena contro lo schienale della sua poltrona e il distendersi involontario delle labbra della donna, non appena lui aveva nominato la città di Nankatsu; ebbe la certezza di aver colto la propria madre in un punto sensibile, o addirittura debole, ammesso che lei ne avesse uno, giocando proprio su quel dettaglio di appartenenza alla città giapponese. Cercò Yuki muovendo appena la mano che le tratteneva il fianco e incrociando il suo sguardo con la coda dell’occhio.
- Sono onorata di fare la sua conoscenza, Signora Wakabayashi. – la ragazza piegò la schiena in un profondo e composto inchino, lasciando per un attimo la presa sulle spalle di Genzo, e poi rimase in attesa di un cenno della donna, tenendo il capo chinato, mentre lui continuava a fissare la propria madre in attesa che lei rompesse il proprio silenzio.
- Quindi niente infortuni … - le parole della donna non sorpresero Genzo che piegò appena l’angolo delle labbra, mantenendo l’attenzione fissa su di lei - … questo mi tranquillizza. -. La vide annuire appena con il capo, prendendo fiato, prima di congedarsi – Allora, trascorrete delle buone vacanze. Farò in modo di rientrare a Nankatsu di nuovo per la fine dell’anno e allora potrò finalmente incontrarvi, Genzo. –
Si limitò a poche parole, consapevole che non fosse il caso di andare oltre - Grazie, mamma. – mentre stringeva di più a sé Yuki, quasi suggerendole di congedarsi.
- Arrivederla, signora. – Yuki riuscì appena a mormorare poche parole, prima che fosse la donna a riprendere.
- Ora raggiungo tuo padre, Genzo. Sono certa che sarà felice di avere tue notizie e … di sapere che stai bene. – gli occhi scuri della donna sfuggirono per un istante dallo schermo, nascondendosi dallo sguardo di Genzo, per tornare a cercarlo, per un rapido saluto – Arrivederci, caro. –
- Buona notte, mamma. –
Chiusa la chiamata, Genzo si sporse per lasciare un bacio sulla guancia di Yuki e poi tese le labbra in un sorriso soddisfatto – Le piaci. –
- Scherzi? – reagì lei immediatamente, voltandosi verso di lui, per poi farsi mesta – Non mi ha nemmeno considerata … -
- Tu non la conosci: ho visto come ti ha guardata, attenta e curiosa; in una parola interessata. So che non è stata particolarmente affabile, ma ha detto “potrò finalmente incontrarvi”: aspetta entrambi. – le spiegò, comprendendo che l’atteggiamento della madre non fosse stato poi così aperto, agli occhi di Yuki – Non devi temerla, è una donne forte e dai sentimenti profondi, ma di poche parole e soprattutto, con i suoi tempi. –
Si prese qualche attimo, perché Yuki potesse riflettere e magari tranquillizzarsi un po’; si allungò verso il tavolo, afferrando uno dei bicchieri per porgerlo a lei e poi prendendo il proprio, per trarne qualche sorso, guastando il fresco succo di frutta mentre lo sguardo tornava a perdersi lontano, sfiorando l’acqua e le sue leggere increspature multicolori.
- Ci vorrà del tempo, certo. – riprese con calma, le labbra tese in un sorriso che piegava appena l’angolo destro in una espressione fiduciosa e sicura di sé – Non sarà sempre semplice e ci vorranno pazienza e perseveranza, forse; con mia madre e non solo con lei. Ma io ci credo, Yuki; ci credo davvero e sono certo che ne valga la pena. –
 
[i] All’Elbe Einkaufszentrum c’è veramente un negozio Calzedonia e Genzo ha scelto un abbinamento nella serie Indonesia in Blu e uno nella serie Teresa in fantasia marrone cachemire. Li trovate sul sito...

Angolo dell'autrice: avevo promesso un aggiornamento extra per oggi e non potevo proprio saltare lunedì 7.12! Buon compleanno Genzo!
Vi lascio con queste pagine di relax che permettono a Genzo di esternare ciò che non aveva ancora avuto un nome e che adesso assume anche un primo riflesso di ufficialità. Ormai non ci si tira indietro!
Se invece volete raggiungere Genzo a Costanza, questo è il sito dell'hotel

https://www.steigenberger.com/en/hotels/all-hotels/germany/konstanz/steigenberger-inselhotel
Come sempre, grazie di cuore a chi mi legge e a chi mi dedica il suo tempo lasciandomi il suo pensiero.
Un bacio!
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** ... colore ***


21. … colore
 
(metà di agosto)
 
Decidere di recarsi a Monaco nei giorni dell’Auer Dult[i] era già stato piuttosto coraggioso, ma lo era stato ancor di più infilarsi tra le bancarelle di Mariahilfplatz proprio durante il giorno di chiusura dell’evento, quando l’intera Germania, e forse non solo quella, sembrava essersi data appuntamento proprio lì, tra carabattole impolverate, artigianato bavarese e il miglior campionario di gastronomia per stomaci di ferro che colorava l’aria con un untuoso sentore di frittura misto al pungente aroma dell’alcool.
Genzo teneva stretta la mano di Yuki e si lasciava condurre con la massima docilità, mentre lei si faceva spazio tra la folla multicolore, tentando di superare una zona particolarmente intasata con l’intento di raggiungere bancarelle un po’ meno affollate ma altrettanto interessanti, al limitare della piazza. Yuki non dava segno di stanchezza, nonostante avessero girovagato per ore per le vie del centro prima di gettarsi nella bolgia del mercatino; lui, al contrario, cominciava a sentirsi soffocare in mezzo a quella confusione festante e sperava che anche lei iniziasse ad avvertire almeno un po’ il desiderio di dare un taglio alla loro giornata da turisti in città. Superata una serie di allestimenti stracolmi di vasi di conserve, saponi e strani oggetti portafortuna, riuscì ad intuire un angolo più tranquillo, alle spalle di una casupola in legno, e cercò di attirare l’attenzione della ragazza opponendo un poco di resistenza al suo incedere allegro; Yuki si volse a cercarlo immediatamente e, intuendone le intenzioni, si lasciò accompagnare in quel ritaglio tra la folla.
- Sei davvero convinta di voler comprare proprio in questo bailamme tutti i regali da portare alle tue amiche in Giappone? – le chiese sollevando una mano ad indicare il mondo confuso tutto attorno a loro – Per quelli che ti mancano, non potresti accontentarti delle botteghe del centro di Amburgo? O almeno, non potremmo iniziare a guadagnare la via dell’albergo e pensare domani a quelli che mancano? –
Yuki sollevò le spalle con fare accondiscendente, facendo dondolare con il movimento delle braccia gli acquisti già fatti e riposti in un bouquet di borsette colorate, mentre addentava allegra il suo pretzel, e Genzo sospirò di rimando, scuotendo il capo sorridendo sconsolato. Poi allungò le mani sul cartoccio che avvolgeva il pane per tirarlo verso di sé e si chinò per prenderne un abbondante boccone sotto il suo sguardo di finto rimprovero, prima di tornare a guardarsi attorno valutando il da farsi - Potremmo allargare verso la chiesa e poi raggiungere la fermata dell’autobus, là in fondo … -
Yuki per pochi istanti parve considerare la sua proposta, seguendo con lo sguardo il profilo brunastro della chiesa; poi, d’un tratto, si animò di un nuovo interesse.
- Guarda! – lo interruppe, attratta da un movimento tra la folla poco distante dalla loro posizione - Andiamo a vedere cosa fanno … poi rientriamo in albergo. Promesso! – e già lo afferrava per un braccio per tirarlo con sé laddove, nella calca, un gruppo folkloristico si stava facendo largo, aprendo una sorta vuoto tra i presenti e arrangiando un palcoscenico per la propria esibizione. Genzo non poté che seguirla fino al limitare di quella bolla vuota, sistemandosi alle spalle della ragazza e riparandola dai movimenti della gente tutto attorno. Dapprima incuriosito dal gruppo in abiti tradizionali, all’udire le prime note di fisarmonica Genzo si irrigidì, immaginando a che tipo di esibizione stessero per assistere. Si mosse appena per proporre a Yuki di allontanarsi prima che iniziassero … ma le parole gli morirono in gola, scorgendo la sua espressione entusiasta. Si morse l’interno della guancia, imponendosi si essere paziente, nella speranza che il tutto non durasse troppo a lungo.
Durante gli anni trascorsi in Germania, in qualche occasione, era stato incastrato da Kaltz, finendo per ritrovarsi in mezzo a feste dal sapore popolare che all’amico ispiravano non poco, attratto com’era dai fiumi di birra che vi scorrevano. Era stato all’Oktoberfest più di una volta, ma non si era mai adattato a tenere il ritmo dei suoi compagni quando si trattava di bere, e aveva assistito a qualche esibizione di balli di gruppo, sopportando finché aveva potuto … per poi svignarsela appena possibile, ma gli era chiaro che Yuki fosse troppo interessata allo spettacolo per poter sperare in una uscita di scena anticipata; perciò, con un gran sospiro, racimolò tutta la propria pazienza, sfilò dalle braccia della ragazza le borse con gli acquisti, perché non le pesassero, e poi si chinò a lasciarle un leggero bacio sulla guancia, disponendosi in attesa.
All’inizio, ad esibirsi fu un gruppo di uomini, giovani e meno giovani, che seguivano una coreografia fatta di schiaffi su cosce e gambe e pestate di piedi a terra; l’espressione esterrefatta di Yuki lo indusse a piegarsi di nuovo per parlare al suo orecchio – E’ lo Shuhplattler: una danza per soli uomini fatta proprio di questi strani movimenti. A volte sono davvero acrobatici … -. E in effetti, il gruppo di danzatori gli parve davvero in gamba, quando la coreografia si fece più veloce, impegnativa; ai suoi occhi, proibitiva.
- Sono bravissimi! – commentò Yuki, sempre più affascinata, quando iniziò un secondo ballo, simile al primo, ma riservato ad un piccolo gruppo più esperto.
Si susseguirono un paio di altre esibizioni maschili e poi, da un lato della pista da ballo dove erano rimaste fino ad allora in disparte, fecero il loro ingresso una serie di donne in abiti tradizionali, con i corpetti neri ricamati in oro e le gonne blu, gonfie di sottogonne e sulle quali spiccavano candidi grembiuli ricamati.
- Ma ci sono anche le donne!? – fu l’osservazione entusiasta di Yuki, mentre davanti al pubblico si andavano formando coppie di ballerini. Alla ripresa della musica, le coppie iniziarono a muoversi con allegri volteggi, un susseguirsi di giravolte e passi leggeri che lei, sempre più interessata, cominciò ad imitare, saltellando sul posto.
– Non sembra così difficile, questa! – esclamò sorpresa di riuscire quasi a seguire la danza – Mi piace tantissimo! – aggiunse poi, continuando a muoversi a tempo, mentre Genzo arretrava di un passo, lasciandole spazio e osservandola non poco sorpreso.
Era brava davvero, dovette ammetterlo. Nonostante stesse assistendo per la prima volta a quei balli, Yuki era riuscita a trovare una sintonia immediata con quella sequenza di passi e con quella musica che a Genzo cominciava a sembrare quasi accettabile. Si stupì di se stesso, constatando che, per una volta, era riuscito a non sentire l’impulso irrefrenabile ad allontanarsi dalla pista e al termine del numero, avvolse Yuki nel proprio abbraccio, orgoglioso di lei e di come, tutto attorno, anche qualche spettatore avesse notato le sue innate doti. Le baciò ancora la guancia, trattenendola e dondolando un poco, stringendo la sua schiena al proprio petto e osservando con lei gli strani movimenti sulla pista dove alcune delle ballerine si stavano allontanando dallo piazzo, lasciando solo metà delle coppie al centro di esso, mentre i danzatori rimasti soli si muovevano in direzione del pubblico.
Genzo si bloccò intuendo un giovane ballerino puntare verso di loro; drizzò la schiena, negando con il capo, temendo che il ragazzo li stesse invitando ad unirsi alle danze, ma poi realizzò che il tizio stava facendo gesti solo in direzione di Yuki. Non si mosse, mentre lei veniva trascinata in pista, e rimase di stucco osservando come quello la aiutasse a prendere posizione in quel cerchio di coppie[ii] dove si erano alternate coppie della compagnia con altre miste, dove le ballerine venivano dal pubblico presente; dischiuse le labbra, quando la musica di fisarmoniche e fiati saturò l’aria, fino quasi a togliergli il respiro.
 
- Ti giuro che fino a quel punto avevo anche resistito: mi ero superato! – spiegò Genzo con una certa enfasi, pur cercando di controllare il tono della voce, lasciandosi cadere sulla moderna poltrona sistemata davanti alla vetrata aperta su Marienplatz – Hanno ballato un sacco di quelle danze che piacciono a te … quelle con le sberle e i piedi pestati … -
La risata di Kaltz riempì la stanza e Genzo si affrettò ad abbassare il volume della chiamata; Yuki si era chiusa in bagno da qualche minuto e lui si era ritagliato il tempo per fare quattro chiacchiere con l’amico nella speranza di rilassarsi e scrollarsi di dosso la stanchezza accumulata in una giornata da turista, ma conoscendo fin troppo bene il tedesco, preferiva evitare che le sue uscite poco ortodosse arrivassero fino alle orecchie della ragazza.
- Sarebbe la prima volta in cui non esplodi di fronte ad una balera! – sottolineò Kaltz, che poi assottigliò lo sguardo, mostrandosi curioso – Anche se mi sembra di intuire che ci sia dell’altro … -
- Sì, c’è dell’altro! – riprese Genzo con una espressione tesa – Perché non bastava vedere loro che si agitavano in pista: no! Bisognava anche coinvolgere il pubblico! –
- Ti sei fatto tirare in pista?! – si intromise Kaltz sbarrando lo sguardo – No, perché … se fosse così … avrei voluto esserci! –
Genzo scosse il capo vigorosamente, sistemandosi meglio sulla seduta – Non mi sono fatto tirare in pista, ma forse sarebbe stato meglio se lo avessi fatto! – e di fronte all’espressione esterrefatta dell’amico, si affrettò a spiegare – Un tizio con i tentacoli ha preso lei per farla ballare e l’ha stritolata in un modo che … che quasi non respirava più! –
- Uno della compagnia ha portato Yuki a ballare? – gli chiese allora l’altro, andando al nocciolo della questione – Perché, sinceramente, non mi sembra una cosa poi tanto tremenda … -
- Non tanto tremenda? – sbottò Genzo – Eravamo sfiniti dal tanto girare per la città e carichi di borse e borsette di acquisti: che cazzo gli è passato per la testa a quell’idiota in pantaloni verdi al ginocchio e camiciola di venire a rompere le palle?! –
- Disse quello che lavora in pantaloncini verdi e maglietta abbinata. – osservò piatto Kaltz, prima di scoppiare di nuovo in una sonora risata.
L’espressione di Genzo si fece accigliata mentre osservò torvo – Io non porto le bretelle. – e l’altro, di rimando, dovette portarsi una mano agli occhi, sfregando il palmo sul viso per asciugare le lacrime provocate dal tanto ridere.
- Ma cosa cazzo hai da ridere?! – scoppiò infine Genzo spazientito – Cos’ho detto di così divertente? –
Tuttavia, Genzo non ebbe subito risposta; dopo un poco di confusione, nello schermo del telefono, vedeva solo un soffitto bianco, mentre in sottofondo si udivano ancora le risate scomposte dell’amico. Ancora qualche lunghissimo momento e finalmente Kaltz tornò ad inquadrare se stesso; Genzo si rese conto che l’altro era finito lungo disteso sul proprio letto a sghignazzare alle sue spalle e che a fatica si stava riprendendo.
- Allora? – lo incalzò spazientito – Cosa ci trovi di tanto comico? –
- Non è comico, Gen; di più! – cercò di spiegarsi Kaltz, recuperando un minimo di serietà di fronte alla sguardo severo di Genzo – Perché tu sei verde di gelosia, ma proprio geloso marcio, e non vuoi ammetterlo! –
- Geloso? – incalzò senza capire – Perché dovrei essere … -
- Geloso, Gen, GE-LO-SO! – ribadì Kaltz scandendo bene le sillabe – Perché il polipo idiota in pantaloncini ha messo le mani sulla tua ragazza davanti a tutti e tu non potevi farci un fico secco! –
- Ma no … dai … - cercò di difendersi - … tu non hai visto come eravamo messi … - ma Kaltz non gli diede modo di proseguire.
- Non devi vergognarti, Gen: ci sta che ti abbia dato fastidio. – il tono di Kaltz si era fatto stranamente morbido, come in quelle rare e preziose occasioni in cui l’amico sapeva essere serio – Quello che fa sorridere è che tu ancora non te ne renda conto … perché ci tieni a quella ragazza ma non avevi ancora avuto modo di misurarti con il fatto che al mondo esistono altri uomini che continueranno a incontrarla, frequentarla e girarle attorno, senza che tu possa fare niente. -
Genzo soffiò un lungo sospiro; il tedesco, forse, non aveva tutti i torti: osservare Yuki al di fuori dal loro mondo limitato al loro appartamento, vederla tra le braccia di quel ballerino, l’aveva colpito più di quanto avrebbe potuto immaginare.
- Devi solo farci il callo, Gen. – proseguì Kaltz, l’espressione seria che di colpo si colorò di una luce furba – Ma sappi che, finché non ci sarai riuscito, io sarò in prima fila a godermi lo spettacolo e prenderti per il culo! –
 
Nonostante non amasse particolarmente le linee contemporanee della poltrona, né lo strano color caramello della pelle che la rivestiva, Genzo si trovò a riflettere sul fatto che fosse davvero comoda, anche in quel momento in cui, con Yuki di traverso sulle sue ginocchia, le gambe di lei sospese oltre il bordo laterale e il suo capo appoggiato alla spalla, sonnecchiavano insieme con lo sguardo perso sulle luci notturne di Marienplatz[iii]. Con fare quasi distratto, muoveva il braccio lentamente e con la punta delle dita le sfiorava la schiena in una carezza che arrivava fin sulla sua pelle, oltre la maglia da notte che già indossava; con il capo chino sul suo, sentiva il profumo delicato dei suoi capelli e seguiva sul proprio petto il ritmo lento del suo respiro in un ondeggiare leggero che li cullava insieme.
Era riuscito finalmente a rilassarsi, riflettendo sulle parole di Kaltz e ammettendo quanto lo avesse infastidito vederla tra le braccia di quel ballerino, nonostante razionalmente fosse consapevole di non aver nulla da rimproverare né a lui, né a lei. Esternare il proprio disagio, riconoscerlo attraverso la reazione irriverente del compagno di squadra, gli aveva permesso di metabolizzare il tutto e di guardare quanto accaduto con occhi diversi: avrebbe dovuto accettare il fatto di non poter vivere sempre accanto a lei e abituarsi a guardarla anche da lontano, mentre viveva le sue esperienze.
Fermò la mano, il palmo aperto sulla sua schiena, e vi sovrappose anche l’altra, in un abbraccio più caldo, mentre anche lei si muoveva accomodandosi meglio sul suo corpo.
Non ne avevano parlato. Yuki era uscita dal bagno parecchio tempo dopo il termine della chiamata, ma il suo atteggiamento silenzioso e il suo sguardo caldo gli avevano permesso di intuire che qualcosa, di quella chiamata, l’avesse raggiunta e, molto probabilmente, colpita. Non capitava spesso che rimanessero così a lungo senza parlare e tuttavia non avvertiva alcun disagio perché gli era chiaro quanto anche quell’intreccio di pensieri segreti fosse importante, tra di loro.
D’un tratto, la avvertì prendere fiato, nel prepararsi a parlare - Ti ricordi la storia della camicia verde? –
- Potrei dimenticarmene? – le rispose immediatamente trattenendo una risata leggera.
- Beh … certo che non potresti … - convenne Yuki e il suo tono di voce gli permise di intuire il suo sorriso – Intendevo dire, non ti sei chiesto come facessi a ricordare così bene certi dettagli? –
Genzo mosse le mani, intrecciando le dita, mentre rifletteva – Mi hai parlato dei filmati di tua madre. –
- Esatto. – confermò – Ma per conoscere i dettagli, bisogna guardare i filmati. Guardarli e riguardarli. Tante volte. –
Lui non rispose, limitandosi ad annuire con un movimento lento del capo e intuendo cosa intendesse dire Yuki. Lasciò che lei proseguisse, restando in ascolto e stringendola un poco a sé, mentre l’ombra della stanza avvolgeva il suo racconto.
- Per le mie amiche, per le compagne di classe, io ero principalmente la sorella di Tsubasa; un aggancio per arrivare alla Nankatsu, il filo diretto con i ragazzi di cui tutte, nessuna esclusa, erano inesorabilmente innamorate. –
Genzo tese le labbra in un sorriso: non aveva mai considerato la questione sotto questo aspetto. Per lui la Nankatsu era stata una esperienza esaltante, ma breve, e di quello che aveva fatto seguito a quel primo campionato non si era curato molto. Aveva sostenuto i suoi amici nei campionati nazionali successivi, ma lo aveva fatto dalla Germania, quando ormai il suo mondo era diventato un altro.
- Si riversavano a casa mia la domenica pomeriggio nella speranza di incrociare Tsubasa o qualcuno della squadra al di fuori dal campo e i filmati delle vostre partite erano il passatempo più quotato del gruppo. –
Questa volta, Genzo non evitò di ridere – Le sai tutte a memoria? –
- Più o meno … soprattutto le partite delle fasi finali. – confermò – E il primo campionato andava per la maggiore. – aggiunse poi.
- Il primo? – chiese sorpreso – Credevo che quelli successivi vi avessero coinvolte di più … -
- Scherzi? – chiese subito Yuki agitandosi un poco – Quello era stato l’inizio di tutto … e poi con gli anni siamo cresciute un po’ anche noi e diciamo che qualcuna ha … allargato gli orizzonti. –
Genzo sollevò un sopracciglio – Non vi interessavate più alla squadra? –
- Oh no … - spiegò subito lei - … al contrario: siamo cresciute e potevamo partecipare più attivamente, vedere gli incontri e scattare fotografie. –
- Vi siete organizzate meglio, insomma. –
- Sì, diciamo così. – convenne Yuki, per poi proseguire – Comunque, la stagione che seguì il primo campionato, fu quella più … interessante. – si fermò un istante, quasi potesse aumentare l’attesa, o forse leggermente imbarazzata, a giudicare da come si muoveva nell’abbraccio di Genzo, e poi si decise a raccontare – Alla fine del pomeriggio, facevamo le votazioni per eleggere … il più figo della partita. –
Genzo quasi si strozzò con la sua stessa saliva; si riprese con qualche colpo di tosse, mentre Yuki si sollevava per controllare che stesse meglio.
- No, aspetta. Cosa facevate?! – le chiese quasi scandalizzato.
- Hai capito benissimo, Genzo. – lo prese in giro lei – Solo che tremi all’idea di sapere l’esito delle votazioni! –
Genzo si mosse, aiutando Yuki a sistemarsi in modo che potessero guardarsi in viso; si sporse un poco alla propria destra, appoggiandosi all’ampio schienale, prese un profondo respiro e poi si mostrò deciso – Sono pronto! –
- Vuoi sapere chi andava per la maggiore? O vuoi provare a indovinare? – lo stuzzicò lei con un’espressione sorniona, ma lui scosse il capo, serrando le labbra e allora fu Yuki a punzecchiarlo di nuovo – Davvero te la senti? –
- Vale solo la Nankatsu? – si lasciò sfuggire, incuriosito, ma Yuki si affrettò a negare.
- Oh no, nessuna limitazione. Era un campionato nazionale anche il nostro! – aggiunse ridendo – Comunque, il primo anno, se la giocavano in pochi e la Nankatsu era decisamente più competitiva: Izawa e mio fratello spopolavano letteralmente, chi per una ragione, chi per l’altra. –
Genzo non riuscì ad impedirsi di ridere – Dai non ci credo … -
- Aspetta a ridere! – lo interruppe lei, posando una mano sul suo petto – Perché non sai ancora con chi se la vedevano questi due! –
Genzo ammutolì, sporgendo le labbra pensieroso – Devo preoccuparmi? – e lei annuì di rimando, lasciandolo perplesso.
- Credo proprio di sì: il tuo amor proprio potrebbe uscirne ferito. – affermò sicura e dopo averlo puntato con lo sguardo per qualche momento si lasciò sfuggire il nome – Wakashimazu aveva molti consensi. –
- Ma noooo! – reagì lui, saltando quasi sulla poltrona e portando una mano alla fronte – Lui no! Era il mio diretto concorrente! La mia nemesi! –
Yuki rise divertita dalla sua reazione, del tutto prevedibile, e lui stesso non poté fare a meno di unirsi a lei, scuotendo il capo.
- Però devi ammetterlo: era alto, slanciato, prestante e incredibilmente teatrale! Faceva davvero colpo … - cercò di mediare lei.
- Dimmi almeno che tu non votavi Wakashimazu o il mio ego sarà definitivamente compromesso … - la implorò, sempre ridendo, e non poté che sorprendersi, vedendola abbassare lo sguardo, sfuggendo al suo.
- Dai, non me la prenderò. – le sussurrò accarezzandole il viso e davvero, dentro di sé, avvertiva una sensazione strana, un nodo leggero che galleggiava all’altezza dello stomaco, perché in fondo, ora iniziava a comprendere il motivo di quel racconto, uscito quasi per caso dopo ciò che era successo all’Auer Dult. Si era sentito fragile, nel riconoscere la propria gelosia, un sentimento che gli era estraneo, assolutamente sconosciuto, ma che aveva saputo razionalmente relegare in un angolo, fino quasi a riuscire a riderci sopra, affrontandolo di nuovo in quel modo leggero.
Quando Yuki tornò a incrociare il suo sguardo, Genzo riuscì a leggere nei suoi occhi una luce indecifrabile; il riflesso delle innumerevoli luci della piazza creava un gioco affascinante nelle sue iridi scure e la sua espressione, per un attimo, gli parve nascondere un segreto difficile da rivelare, che sebbene non gli riuscisse di comprendere, non sentiva nemmeno di temere.
Yuki si morse le labbra e si guardò ancora un po’ attorno, prima di riuscire a confidarsi.
- Mi vergognavo immensamente, quando volevano votare. Il fatto che ci fosse di mezzo Tsubasa e che ci fosse chi stravedeva per lui, mi faceva desiderare di sprofondare nel pavimento. – sollevò lo sguardo, un’occhiata veloce, quasi a controllare che lui la stesse seguendo e poi tornò a raccontare – Le mie amiche vi vedevano in campo, niente di più. Io invece, in un modo o nell’altro, vi conoscevo quasi tutti più o meno direttamente, anche attraverso i racconti di Tsubasa e per me il suo giudizio era inappellabile. Qualcuno di voi era anche passato da casa nostra … Tu stesso ci sei stato, anche se una sola volta, credo[iv]. –
Yuki di nuovo si fermò, volgendosi per qualche istante in direzione della piazza; pareva che stesse osservando qualcosa in particolare, tra le luci calde e il movimentato viavai che ancora animava il centro, nonostante la notte fosse scesa su Monaco ormai da un pezzo, e solo dopo alcuni istanti Genzo notò la loro immagine riflessa dalla superficie liscia della vetrata e lo sguardo di Yuki, in quel riflesso, in attesa del suo. Allora, le sue labbra si aprirono in un sorriso timido, mentre le parole riempivano il vuoto del silenzio.
- Non te la cavavi male nemmeno tu in quanto a voti, sai? Perché io ho sempre votato per te, più che altro affascinata dall’adorazione che Tsubasa aveva nei tuoi confronti, e nemmeno mi rendevo conto di quanto ci avesse visto lungo mio fratello … Ma soprattutto, ora mi rendo conto che certe preferenze, con il tempo, non sono cambiate poi tanto … e mi viene da pensare che non sarà facile tornare a casa e affrontare le mie amiche … quando le voci inizieranno a circolare. -
 
[i] Il mercatino delle pulci più famoso di Monaco si svolge tre volte l’anno proprio in Mariahilfplatz. Per comodità mia, ho spostato un po’ avanti l’appuntamento che solitamente va dalla fine di luglio ai primi di agosto.
[ii] La danza è lo zweifacher e si balla in coppie un po’ in tutta la Baviera e, mi pare di capire, anche in Tirolo.
[iii] Genzo e Yuki alloggiano al Beyond by Geisel di Monaco
[iv] Per la precisione, quando Roberto Hongo chiede ai signori Ozora di portare con sé Tsubasa in Brasile

Angolo dell'autrice: in pieno periodo di preparativi alle feste, vi lascio questo spaccato di Genzo e Yuki in vacanza, anche se di vacanze estive si tratta.
Io spero che nonostante il momento davvero impegnativo per tutti, leggere ogni tanto il mio racconto possa regalare un po' di leggerezza e di buon umore; in questo caso, in particolare, colgo l'occasione per ringraziare tantissimo tutti coloro che continuano a seguire questa storia e a farmi sentire il loro affetto.
A tutti, buone feste.
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** ... bisogno ***


21. … bisogno
 
(tardo pomeriggio, seconda metà di agosto)
 
Puntò la caviglia sopra al ginocchio, lasciando la gamba piegata e sospesa, in modo da appoggiarci il giornale sportivo che teneva tra le mani ormai da un pezzo, sfogliando una pagina ogni tanto, in bilico tra la lettura veloce dei titoli più vistosi e quella di ciò che accadeva a due passi dalla poltrona dove l’avevano fatto sistemare.
Un gemito lungo, quasi un verso gutturale e strozzato, richiamò la sua attenzione proprio nell’istante in cui gli pareva di aver trovato finalmente qualcosa di interessante su cui concentrarsi, ma lasciò quel trafiletto di approfondimento sulla strepitosa campagna acquisti dell’Amburgo facendo schizzare lo sguardo sull’espressione sofferente di Kaltz.
- Accidenti a te, Gen! Questa me la paghi: mi avevi assicurato che avesse le mani leggere come piume e invece mi sta staccando un braccio! –
Sollevò le sopracciglia in due archi, nascondendo il sorriso soddisfatto che gli aveva teso le labbra dietro la sommità delle ampie pagine, ma non fece in tempo a ribattere, perché fu la stessa Yuki a bacchettare il tedesco.
- Questo è quello che si merita un calciatore che passa due pomeriggi di fila a giocare a tennis. – commentò senza distogliere la propria attenzione dai movimenti che stava facendo compiere al braccio di Kaltz.
Steso pancia di sotto, quello strinse i denti, irrigidendosi mentre lei continuava massaggiargli la spalla con gesti energici, ma non appena gli fu possibile prendere fiato, tornò a lamentarsi – A casa mia le ragazze non arrivano con la valigia per aprirmi le porte del paradiso! Io devo darmi da fare personalmente e, per inciso, ora che un certo portiere si è tolto dalla piazza, devo pure arrangiarmi da solo per trovare un terreno di caccia che sia adatto allo scopo! –
Genzo stentò a trattenersi dal ridere, scorgendo l’espressione divertita che aveva fatto la sua comparsa sul viso, fino ad allora concentrato, di Yuki – Forse devi rivedere i tuoi piani, Kaltz: il tennis non fa per te. –
- Fa per me, eccome! – si lamentò di nuovo Kaltz – Il panorama non è niente male, al campo. Devo solo farci il callo, allenarmi il giusto.  Allora, diventerò il beniamino del cl ... – per poi bloccarsi, strizzando anche gli occhi prima di poter proseguire - … ub! –
Yuki annuì soddisfatta, discostandosi dal letto e puntando un palmo sulla schiena del biondo, mentre sovrapponeva anche l’altra mano e prendeva a premere in un punto preciso, con movimenti ritmici e ripetuti. Kaltz parve accigliarsi, ma poi, dopo qualche ripetizione del movimento, la sua fronte si distese e la sua espressione si fece appena più rilassata – Certo che con queste manine ci sai fare, Yukina! Adesso inizio a capire come facesse Gen ad essere così in forma e di buon umore … -
- Credi che ti abbia riservato il suo stesso trattamento? – lo provocò allora Yuki – Perché in tal caso, ti sbagli di grosso! – e alle parole seguì un colpo più deciso, che fece sobbalzare Kaltz sul letto.
- Ugh … - Kaltz trattenne a stento un’imprecazione, prima di tornare a strizzare gli occhi.
Yuki tornò a premere e insistere su quello stesso punto per qualche minuto, facendo leva con l’intero corpo perché il massaggio fosse davvero efficace; passò da un lato all’altro del letto e si dedicò anche alla spalla sinistra, scendendo fino alla base della schiena e poi tornando a lavorare tra le scapole, prima di risalire alla spalla che Kaltz aveva sforzato, riprendendo i movimenti iniziali con meno energia e lavorando con gesti più ampi. Di tanto in tanto, sollevava lo sguardo e Genzo si faceva trovare sempre pronto a rispondere con il suo migliore sorriso.
Gli piaceva vederla all’opera, nonostante non fosse lui l’oggetto dei suoi massaggi, perché gli era chiaro quanto diverso fosse l’atteggiamento di Yuki nel rapportarsi con Kaltz rispetto a quello che sperimentava su di sé. Non che avesse mai dubitato di questo, ma osservarla era tutta un’altra storia, e starsene a guardare i suoi movimenti sicuri, l’espressione concentrata e l’impegno che metteva in ogni gesto, lo affascinava. Quando lei lo cercava, quasi si stesse sincerando che fosse tutto a posto, non poteva che sentirsi lusingato di quel suo scrupolo, dell’attenzione che gli dedicava anche mentre si occupava di altri; perché Genzo era ben consapevole del motivo di quegli sguardi … Lui sapeva bene quanto lei temesse di metterlo in difficoltà; era conscio del fatto di essersi mostrato geloso in almeno un paio di occasioni e come questo avesse messo Yuki sull’attenti. Per questo gli piaceva osservarla e si impegnava nel rassicurarla ad ogni scambio di sguardi, quasi potesse dirle ogni volta “so che non tocchi gli altri come tocchi me”.
Perso in questi pensieri, Genzo si sorprese nello scorgere l’espressione di Yuki farsi particolarmente divertita; rimase ad osservarla, seguendo l’occhiata con cui lei pareva indicargli di porre attenzione a qualcosa in particolare e presto si rese conto di quanto fosse insolito il movimento con cui lei stava massaggiando la schiena di Kaltz. Il viso di Yuki, sempre più birichina, gli suggerì un’idea, che parve materializzarsi davanti ai suoi occhi quando lei si mosse in modo più deciso, premendo a fondo sui muscoli fino a strappare un lamento al tedesco.
- Fatto! – esclamò lei soddisfatta, sollevando le braccia al soffitta e sfregando tra loro le mani – Adesso puoi alzarti, lentamente, e poi puoi rimetterti la maglia, facendo moooolta attenzione a come muovi il braccio. -
Genzo, richiuse lentamente il giornale, piegandolo in quattro e lasciandolo scivolare a terra insieme agli altri, poi puntò il gomito sul bracciolo della poltrona per sorreggersi il mento, piegando le labbra in una espressione beata, godendosi la scena. Kaltz, rotolò sul letto fino a trovarsi con la schiena al materasso e poi si mise a sedere, accompagnandosi con una specie di grugnito.
- Dove posso lavarmi la mani? – chiese Yuki con fare innocente – Avrei bisogno di rinfrescarle … - e in risposta ricevette uno sguardo di sbieco dal tedesco e un gesto secco con il capo che provocò un nuovo moto di orgoglio nel petto di Genzo che la osservò mentre si allontanava lungo il corridoio, prima di rivolgersi all’amico.
- Pensavi di fregarla … ma non si è lasciata mettere nel sacco da te! – lo provocò e subito Kaltz gli girò un’occhiata torva.
- Se fossi stato davvero conciato così male, ti avrebbe rimesso in sesto in meno della metà del tempo che ha impiegato a smontarti la spalla! E soprattutto non avrebbe concluso il massaggio con quella tecnica tailandese! – gli spiegò con tono sottilmente saccente, per poi puntarlo con una smorfia di traverso – Secondo me la tua era una farsa … e credo anche di sapere perché l’hai messa in piedi! –
Restò a fissare il tedesco nel suo tirarsi su dal letto un po’ affaticato, con il braccio indolenzito e l’espressione crucciata – Sei un pezzo di … -
- Ehi! E’ così che mi ringrazi per averti rimediato un massaggio in tutta fretta, non appena siamo rientrati dalle vacanze? – Genzo buttò un’occhiata in direzione del bagno, là dove era sparita Yuki, e poi si alzò dalla poltrona, avvicinandosi al letto. Affondò le mani nelle tasche dei pantaloni sportivi e si chinò a puntare il viso dell’amico – Tu volevi vedere che effetto mi avrebbe fatto vederla mettere le mani addosso a qualcun altro. –
Kaltz allungò una mano al comodino per afferrare lo stecchino portarselo alle labbra; guardò l’amico di sotto in su e poi sbuffò scuotendo il capo – Ho davvero giocato a tennis per due pomeriggi di fila … e un massaggio mi avrebbe fatto bene di sicuro. – ammise – Ma l’idea di vederti cambiare colore non mi dispiaceva per niente, lo ammetto! –
Genzo sollevò le sopracciglia con un gesto rapido di soddisfazione e poi scambiò con l’amico un’occhiata di intesa – Ho superato la prova? –
- Pare di sì … - ammise Kaltz imbronciato, per poi girare lo sguardo scuro in uno decisamente più malizioso – Ma a giudicare da come si muove, immagino che i massaggi che fa a te siano di tutt’altro livello! Altro che menate … tu sei un dritto, Gen! –
Scosse il capo rialzandosi mentre l’altro rivoltava la maglia abbandonata sul letto e se la infilava, attento a non fare movimenti azzardati – Al tuo posto, me la sarei goduta ancora per po’ in giro per la Germania: da come vi vedo, secondo me la vacanza vi ha fatto bene e lei … -
- Lei a giorni dovrebbe sapere se potrà restare ancora o dovrà partire – lo fermò Genzo – e preferiamo essere a casa per fare tutti gli incartamenti del caso. Però devo darti ragione su una cosa: la vacanza ci ha fatto davvero bene. -
 
In effetti, rinunciare a Berlino non era stato poi così difficile. Avevano trascorso più tempo del previsto a Costanza e poi si erano trattenuti per alcuni giorni a Monaco, trascorrendo le loro giornate in leggerezza, alternando ancora l’entusiasmo di sfiancanti passeggiate al tenero ozio dei momenti nei quali, distesi sul letto in un tranquillo abbraccio o semplicemente rilassati sulle chaises longues della terrazza panoramica, si erano limitati a chiacchierare di argomenti improbabili, intrecciando attimi che sarebbero divenuti ricordi perfetti a legarli anche in futuro. Poi, quando era stato il momento di richiudere tutto nei loro bagagli, era stato sufficiente uno sguardo e ad entrambi era stato chiaro che fosse giunto il momento di rientrare a casa, quasi fossero divenuti due spugne ormai intrise di quei giorni di vacanza trascorsi lontani da preoccupazioni e scadenze, ormai pronte ad affrontare di nuovo la vita e a sapere quale sarebbe stato il loro futuro più prossimo.
- Il tutor dice che non ha ancora notizie ma, con ogni probabilità, si farà sentire ancora domani. Potrebbero avere ancora qualche giorno di ritardo, ma non crede che attendano ancora molto a dare le liste. – il tono di Yuki era piatto e Genzo la vide sbuffare con lo sguardo basso, mentre riponeva il telefono sul comodino, collegandolo al caricatore.
Le si sedette vicino, con il letto che affondava appena per l’aggiunta del suo peso, e le circondò le spalle con un braccio – Stai serena, Yuki; sono sicuro che arriveranno buone notizie. L’hai detto anche tu che Amburgo non era la meta più richiesta dagli studenti … Possibile che lo sia diventata proprio adesso? –
Un lungo sospiro soffiò dalle sue labbra, mentre lui la stringeva un po’ di più a sé, portando il suo capo ad appoggiarsi al collo – Se bastasse la mia forza di volontà per forzare le cose … potrei assicurarti che ti avrebbero già trasferita qui in pianta stabile fino alla laurea. - si dondolò appena, sfiorando con la guancia i suoi capelli – Ma dobbiamo essere forti, tutti e due ... –
Yuki si sfregò i palmi sul viso, nascondendosi alla sua vista, e per lui fu chiaro che entrambi avessero bisogno di staccare da quel pensiero fisso e cupo che era ormai diventato il responso da parte dell’università. Si guardò attorno: alle loro spalle, dall’ampia porta finestra, il sole ormai basso sull’orizzonte colorava di rosso il profilo di Amburgo defilandosi lentamente dopo una lunga e caldissima giornata e bastò quell’immagine infuocata per fargli escludere la possibilità di proporle un’uscita serale, abbandonando la frescura dell’appartamento. D’altra parte, sapeva che non c’era necessità di lasciare casa, per trascorrere del tempo insieme in assoluta tranquillità - Vado a farmi una doccia e poi, mentre la fai tu, ti preparo qualcosa di buono. -
Yuki si mosse dal suo abbraccio per sollevare il capo e cercare il suo viso, incuriosita e lui si sentì autorizzato a proseguire.
- Ho trovato una ricetta per servire il gelato in modo goloso … perfetto per il dopo cena. –
- Da quando cerchi ricette? – sinceramente sorpresa, spostandosi per dargli modo di alzarsi – Devo preoccuparmi? –
Genzo scosse il capo, già felice di averla distratta e rasserenata – Non pensare a grandi cose: si tratta solo di una piccola sorpresa … - e poi si avviò verso l’armadio, prendendosi un cambio pulito e tornando a fermarsi sulla soglia della camera, mentre si sfilava la maglia di dosso – Quindi, posso andare? Vada per la sorpresa? -
- Beh, mi piacciono le sorprese e credo anche di averne bisogno. – tagliò corto Yuki, piegando le gambe e incrociandole sotto di sé, restando a fissarlo per qualche istante, con lo sguardo stranamente assottigliato, quasi stesse pensando tra sé e sé - Ma credo soprattutto di aver bisogno di qualcosa di più forte di un gelato … -
Genzo rimase interdetto – Qualcosa di forte? Vuoi la correzione nella coppa? E da quando bevi alcoolici?! –
Yuki, tuttavia, si mise a ridere tra sé e agitando la mano nell’aria gli fece capire di non far caso alle sue parole - Vai … vai … qualche cosa mi inventerò anche io! -
 
Il vapore saturava ancora tutto l’ambiente del bagno e Genzo dovette usare un asciugamano per riuscire a scorgere il suo stesso riflesso attraverso lo specchio al di sopra del lavabo; dopo aver infilato i boxer scuri sulla pelle ancora umida, si strinse un po’ nell’accappatoio, allacciando la cintola ai fianchi, e poi prese a strofinarsi i capelli con il cappuccio, ma dopo pochi movimenti lasciò perdere, decidendo, come faceva praticamente ad ogni doccia, di lasciarli asciugare all’aria. In quel preciso istante, udì bussare alla porta e si volse incuriosito verso il battente.
- Sto per uscire, Yuki. Ho praticamente … - afferrò la maniglia, ma le parole rimasero sospese quando il suo sguardo si fissò su di lei che, stretta nel suo accappatoio e con i capelli raccolti in una specie di crocchia alta, lo fissava in silenzio.
- Ehm … tocca a te. – le disse con un mezzo sorriso cercando di avanzare, ma stranamente Yuki non pareva intenzionata a fargli spazio; anzi, la vide abbassare lo sguardo al pavimento, il capo basso e le labbra strette tra i denti, mentre le mani stringevano i bordi di spugna fino a far diventare bianche le nocche.
- Yuki, tutto bene? – la voce uscì un po’ strozzata, mentre Genzo si chinava verso di lei, portando le mani al suo viso, in una carezza leggera – Cosa … - ma non appena incrociò il suo sguardo la voce si perse di nuovo.
Nella nuvola di vapore che dalle spalle avanzava verso il disimpegno, i suoi occhi, scurissimi e lucidi, gli parvero profondi tanto da attirarlo come calamite; Genzo riuscì a leggere il suo tormento teso tra il silenzio e l’immobilità e si mosse d’istinto, chiamato da quello sguardo senza fondo.
Cercare le sue labbra gli parve l’unica possibilità che avesse; sentire con quanta energia lei rispondesse al suo bacio riuscì a dargli ancora più forza in quel rimando di labbra che si muovevano in una corsa fatta di schiocchi e morsi leggeri, separandosi solo per potersi ritrovare un respiro più in là. Si accorse di come lei lo stesse trattenendo quando avvertì i capelli della nuca tirare, incastrati tra le sue dita, e allora anche lui cercò i suoi, affondando nella crocchia fino a scioglierla, sfilandone il legaccio. La cascata nera scivolò riversandosi sulle sue spalle, in un contorno di seta ai lati del suo viso minuto, mentre lui, ad un soffio dalle sue labbra, rimaneva incantato ad osservarne i fili.
- Sei così … tormentata? – un sussurro fu sufficiente perché Yuki rispondesse annuendo.
- Mi sento sospesa … in bilico. Ho bisogno certezze. – cercò di spiegargli, i movimenti inquieti che accompagnavano le parole – Ho bisogno di addormentarmi e svegliarmi, domani mattina, con la convinzione di poter affrontare quella risposta senza crollare, che sia domani o fra qualche giorno. –
 - Yuki … -
- Ho bisogno di te, Genzo. – soffiò lei e lui comprese l’urgenza di quelle parole nel tono caldo con cui le aveva pronunciate e nella stretta delle sue mani che trattenevano la spugna con forza.
Le lasciò una nuova carezza, scendendo dalla guancia fino al collo e poi giù, insinuando le dita lungo la spalla e trascinando la stoffa fino a scoprirne la pelle nuda, dove lasciò un bacio lento, pigro e delicato, capace di attirare su di sé tutti i suoi pensieri.
- Genzo … - il suo nome suonò quasi come una preghiera sulle labbra della ragazza e lui si sollevò dalla sua spalla allungando le mani per posarle sui suoi fianchi, mentre si muoveva un passo verso il disimpegno, accompagnando Yuki a varcare la soglia del bagno.
- Niente gelato, giusto? – le chiese per distrarla, sollevandole il viso con due dita sotto il suo mento e lei scosse di rimando il capo.
- Ho lo stomaco chiuso … Scusami, so che ci tenevi … -
- Tranquilla. – ancora un bacio, sulla sua guancia, prima di allontanarsi solo un po’ – Ti aspetto in camera. E il gelato, lo teniamo per festeggiare. –
 
Quando l’aveva vista arrivare, Genzo aveva richiuso il libro, lasciandolo sul comodino, e aveva spento la luce di lettura, perché la sola tenue luce del cielo di Amburgo restasse a rischiarare la stanza, in una routine tutta loro. Spesso lasciavano le tende completamente aperte, la notte, proprio perché dal letto potessero osservare comodamente lo spettacolo del cielo e quella sera non aveva fatto eccezione: amavano scrutare le innumerevoli sfumature con cui il cielo annunciava la sera, fino a lasciarsi colorare dalla notte e dalla sua luce misteriosa e in quella atmosfera soffusa e accogliente Genzo sperava che Yuki potesse sentirsi meglio.
Lei l’aveva raggiunto accoccolandosi al suo fianco in silenzio e Genzo aveva immediatamente mosso il braccio per accoglierla contro di sé, lasciando che poggiasse il capo sul suo petto e gli circondasse i fianchi con un braccio, in una posizione in cui spesso si sistemavano, nei loro momenti di pace. Aveva inspirato profondamente il suo profumo delicato e l’aveva cullata, trattenendola a sé, quasi potesse aiutarla ad addormentarsi, lasciandosi alle spalle l’inquietudine che gli aveva mostrato poco prima, quando si erano lasciati sulla soglia della stanza da bagno.
Eppure … nonostante fosse tutto perfetto, Genzo avvertiva che un sottile filo di tensione fosse rimasto a trattenerla dal rilassarsi completamente; lo capiva dal dondolare ritmico della sua caviglia, che sembrava rimbalzare di continuo sull’altra, fermandosi qualche istante per poi riprendere, e lo leggeva nel moto inquieto del suo respiro che non era mai riuscito a legare al proprio, come invece accadeva di solito, quando si addormentavano abbracciati, cullandosi a vicenda.
Gli era parso che il tempo scorresse al contrario, mentre la notte scendeva sulla città, avvolgendo le sue spire in una presa salda su pensieri che parevano non voler sfumare, ma anzi si ostinavano a riportare tutto ad una irrequietudine sempre maggiore.
Ad un tratto, Genzo, preoccupato, sollevò il capo dal cuscino, cercando il suo viso e non si sorprese nel trovarla sveglia, con gli occhi stretti in due fessure, cupi e puntati sul cielo, pronti a muoversi per incrociare il suo sguardo. La vide tendere le labbra, ritrarle per morderle e poi sporgerle a cercare la sua pelle, in un lembo nascosto del torace; chiuse gli occhi, godendosi quel bacio che, nato come un soffio leggero, contatto dopo contatto, si accorse, diveniva più deciso, umido e insolente.
Genzo si mosse, aiutando Yuki a sollevarsi, perché si girasse, dandogli la schiena e permettendogli di chiuderla nel suo abbraccio, per poi chinarsi a cercare il suo collo. Sentiva ancora sulla pelle i suoi baci e avvertiva il desiderio di darle lo stesso piacevole tocco; colse la base del collo, una carezza leggera le sue labbra sulla pelle, trascinando piccoli baci fin sulla spalla e poi percorrendo quel cammino a ritroso per ritrovarsi appena sotto il suo orecchio. Avvertì chiaro il suo respiro spezzare il proprio ritmo, farsi appena più corto e soffiare tra le labbra, in un riflesso che ormai le conosceva e che raccontava di piacere improvviso. Sorrise, sulla sua pelle, piegando un ginocchio e accompagnando la sua gamba a piegarsi di rimando, quasi volesse che l’abbraccio fosse ancora più stretto, fino ad avvolgerla tutta, a prenderla dentro il suo stesso corpo, per proteggerla, custodirla e ripararla dalla notte e dai suoi cupi pensieri. Senza nemmeno pensarci, mosse la mano sul suo fianco, cercando la pelle sotto la maglia e poi risalendo, in un gesto sicuro, a cercare il suo seno, una carezza a raccoglierlo tutto, morbido al tatto e pungente nel suo silenzioso rispondere. Si fermò per un istante, il respiro lento d’un tratto accelerato, pensando ancora di potersi governare, perché quella non avrebbe dovuto essere una notte in cui perdere il controllo … Tutto il contrario: lui avrebbe voluto semplicemente farla rilassare, farle sentire quanto volesse starle vicino, sollevarla dal peso di quell’attesa che, ora dopo ora, sembrava farsi più logorante. La grande mano rimase ferma, insinuata tra pelle e cotone, e il tocco delle dita, leggero, si fece tranquillo, carezza calda, senza pretesa.
Un respiro, un altro e un altro ancora, sotto la sua mano, il corpo di Yuki, tuttavia, seguiva un ritmo che, invece di farsi più lento, pareva divenire ancora più serrato.
- Yuki … - la chiamò piano, sussurrando appena sulla sua spalla – Sono qui … - e venne sorpreso dal suo sollevarsi, tutto in un istante, girandosi nel suo abbraccio per puntargli gli occhi scurissimi addosso, stretti in due sottili fessure, profonde e scure come mai le aveva osservate. Riuscì ad intuire il gesto sfuggente con cui si inumidì le labbra, prima di muoversi ancora, sorprendendolo.
Sentì le sue braccia stringersi sulle spalle e le sue labbra raggiungerlo alla base del collo, e poi di nuovo quei baci tormentati e insinuanti che gli fecero trattenere il fiato, mentre le sue mani prendevano a muoversi, sempre più disordinate, percorrendo la sua spalla, il torace e il fianco. La lasciò fare, perché sapeva che il suo rimestare pensieri tortuosi non avrebbe potuto sfogarsi altrimenti, e cercò di inseguire il filo di quei gesti confusi sulla propria pelle, in un vortice che sembrava diventare sempre più forte, tanto da rischiare di trascinarli entrambi sempre più a fondo. Si sentì spingere e si girò, per distendersi con le spalle sul letto, e Yuki poté sollevarsi, sostenersi appoggiandosi al suo torace, mentre continuava a tormentarlo, i baci dapprima confusi che via via prendevano forma e diventavano più decisi, nei punti dove la sua pelle non poteva che reagire. La riconosceva, in quei baci pungenti e diretti, nella provocazione di ogni singolo tocco, nel desiderio nascosto in ogni pennellata che la sua lingua lasciava sulla pelle.
- Yuki … sono … - avrebbe voluto essere il richiamo gentile che le aveva rivolto solo poco prima, ma gli fu subito chiaro che non potesse esserlo, perché la voce aveva preso un graffio roco e le parole avevano stentato ad uscire, strette come erano fra i respiri sempre più serrati. Anche il suo sorriso teso sulla pelle sensibile del petto, si realizzò come una visione nella mente di Genzo, facendogli intuire quanto Yuki stesse tramutando il tormento in una energia torbida che avrebbe potuto deflagrare solo e soltanto insieme a lui.
Raccolse volontà ed energie per sollevarsi, sottrarsi a lei solo per accompagnarla a stendersi, quasi che la loro danza fosse questione di passi da condurre in un alternarsi continuo.
Il suo gemito di protesta gli diede forza e il suo sospiro, quando le labbra raggiunsero il suo seno, soddisfazione. I baci si fecero più vicini, un susseguirsi affamato e sempre più intenso che Genzo, in un moto di orgoglio, pensò di poter ancora fermare a proprio piacimento; eppure si sentì un idiota, quando avvertì la mano di Yuki posarsi sul suo capo, affondargli le dita tra i capelli e trattenerlo, lì, in quei baci che sapevano sempre più di perdizione e che quasi per sfida, presero a scivolare sempre più in basso, sulla pelle liscia, a cercare l’ombelico, disegnarne i contorni e poi fuggire, ancora più giù, in un cammino che stava per stava per raggiungere il suo scopo, quando fu interrotto da una stretta tra i capelli. Genzo, sorpreso, sollevò il capo, interdetto, e si trovò le mani di Yuki sul viso e lei che, sollevatasi a sedere, lo cercava, tirandolo a sé febbrile, per rubargli quei baci che lui aveva disperso sul suo corpo. Baci voraci, frettolosi, che sapevano di parole non dette e di attese che incutevano paura … Baci che temevano di essere gli ultimi e bramavano di essere solo i primi …
Si trovò ancora disteso e lei, che lo aveva spinto sul letto, gli stava sopra, fiera e forte, a baciarlo e morderlo, ripartendo proprio là dove lui l’aveva interrotta, e a riprendere il cammino che lei stessa gli aveva rubato. Con il fiato corto e la mente annebbiata dai respiri troppo ravvicinati, Genzo portò le mani agli occhi, mentre quella scia che non poteva fermare scendeva e scendeva ancora, e le mani di lei afferravano i boxer per strattonarli e trascinarli oltre i suoi fianchi, giù lungo le cosce.
Il pensiero di fermarla, in quell’istante, lo indusse a sollevarsi, per mettersi a sedere, ma il risultato fu la visione di lei con le ginocchia ai lati delle sue gambe, piegata sul suo ventre, con gli occhi puntati sul suo corpo nudo, sulla sua nuova sfida. Incontrare il suo sguardo, nell’attimo fugace in cui le sue labbra si piegarono in un sorriso famelico, fece inciampare il suo cuore; seguirla, mentre si chinava, le mani ad accarezzare là dove un istante dopo sentì le labbra, gli fece perdere il respiro.
Lei era ciò che aveva sempre desiderato e ciò che non avrebbe mai osato chiedere. Lei era il desiderio dell’anima che sapeva anche essere carne; era sentire il proprio respiro in un sibilo stretto tra le labbra, accorgersi di non avere fiato a sufficienza e perdere il lume ella ragione, mentre il piacere soverchiava ogni senso, lasciandolo in balia delle ondate che si infrangevano contro la roccia della residua volontà di resistere … Un universo di sensazioni risucchiate da un unico piacere che non era solo ciò che avvertiva su di sé, ma anche il rimando del pensiero stesso di ciò che stava accadendo, l’unica immagine che riusciva a scorgere e a visualizzare, benché avesse ancora gli occhi serrati, e che moltiplicava in un rimando infinito le sensazioni che provava dentro e fuori di sé.
Fu come uno strappo, il respiro forzato di cui si riempì il torace mentre si sollevava di nuovo a sedere, come riemerso da una apnea che lo aveva portato al limite, e afferrava Yuki per le spalle sollevandola da sé – Yuki, io … -
Di nuovo quello sguardo, un abisso nero, e il profilo pallido della sua pelle che si mostrava tutta nell’unico gesto con cui lei si sfilò la maglia; un istante per affondare nei suoi occhi e leggerne ogni intenzione, prima di intuire appena il movimento delle sue labbra – Adesso, Genzo. –
Adesso, aveva detto, e Genzo non aveva avuto dubbi su cosa avesse inteso, perché era chiaro a lui stesso di cosa avessero bisogno entrambi. Fece per parlare, ma le sue parole gli rubarono il tempo.
- Ho quello che serve. – decisa, la sua voce, mentre con un cenno gli indicava il comodino dall’altro lato del letto – Se è questo che ti rende … - e già si stava muovendo, per raggiungere il mobiletto, quando Genzo allungò un braccio per fermarla.
- Aspetta. – la chiamò e lei si girò a fissarlo, negli occhi il dubbio che nemmeno le precauzioni l’avrebbero reso tranquillo. Genzo si prese un istante, per deglutire e riordinare le idee in quel momento in cui tutto sembrava lontano dall’essere governabile.
- Anche io li ho comprati. – ammise traendo un profondo respiro, mentre si sporgeva ad aprire il cassetto del comodino, rimestando alla cieca nella cianfrusaglia fino in fondo allo scomparto per poi trarne fuori due scatolette e poggiarle sul letto – Ecco, io … -
- Due confezioni? – osservò Yuki senza nascondere il proprio stupore e bastò quel dettaglio a stemperare per un istante la tensione che li aveva fatti vibrare fino ad un attimo prima.
Genzo smosse le confezioni che nella penombra sembravano indistinguibili, cercando di scorgerne qualche differenza – No … è che … -
Yuki tese appena le labbra, una piega maliziosa a colorare il suo sorriso – Quindi? –
Finalmente Genzo riuscì ad afferrare una delle scatole per farla sparire nel comodino in una frazione di secondo; – Quell’idiota di Kaltz! – masticò nervoso – L’ha definito un regalino … ma sono improponibili! – esplose infine – Avrei dovuto buttarli all’istante! –
Yuki scosse il capo, lasciandosi sfuggire un risolino, ma poi tornò a fissarlo, facendosi più vicina e portando una mano alla sua guancia; rimase ad osservarlo ad un soffio dal suo viso e Genzo rimase in sospeso, di nuovo allacciato al suo sguardo. Le labbra presto a cercarsi, quasi non avessero mai smesso di farlo, e il desiderio di nuovo acceso, la fiamma viva ripresa là dove si era interrotta. Si concessero baci, si rubarono fiato fino a sentire di nuovo l’urgenza di andare oltre e quando si staccarono, non ci fu necessità di parlare. Yuki si allontanò appena, lasciando che una mano scivolasse sulle lenzuola recuperando la scatola per depositarla tra le sue mani e Genzo si trovò a forzare il sigillo e aprirne l’involucro con lo sguardo basso, fisso su quell’incarto che sembrava luccicare sotto il riflesso del cielo. Estrasse una bustina, rigirandola tra le dita, e cercò di aprirla; uno, due tentativi, senza successo, mentre con la coda dell’occhio scorgeva il gesto lento con cui lei si sfilava la biancheria e le dita non facevano altro che tremare. Chiuse gli occhi, inspirando per un paio di volte, mentre le dita sembravano incapaci di essere efficaci e la bustina scivolò tra le ginocchia.
In quel momento, avvertì il calore di Yuki avvolgerlo in un abbraccio, mentre le sue labbra tornavano a cercargli il collo, e fu sufficiente riconoscere il contatto del suo corpo nudo, sentire le sue forme sulla pelle, premute sulla schiena, per accendere la scintilla che lo fece agire.
Pescò la bustina e se la portò alle labbra, fermandola tra gli incisivi per strapparla in un unico gesto secco; le labbra si dischiusero in un sorriso in bilico tra il piacere dei baci che dal collo scendevano lenti lungo la schiena e il pensiero che niente, ormai, potesse fermare l’onda che li stava per travolgere. Chino su se stesso, Genzo rigirò tra le dita il preservativo, un’altalena il piacere che tornava a tormentarlo mentre cercava di essere lucido almeno il necessario per prepararsi, e poi riuscì a concentrarsi abbastanza e si mosse, sforzandosi di infilarselo nel migliore dei modi, srotolandolo lentamente sulla pelle.
Sollevò il capo, prendendo fiato – Eccomi … ho … ho fatto. – e già lei si era mossa, agile attorno al suo corpo, per tornargli di fronte, senza nemmeno lasciargli il tempo di rendersene conto. Di nuovo su di lui, china sul suo corpo, là dove si era interrotta, tanto decisa da non lasciargli scampo nel colpirlo di nuovo, nell’accendere in un istante il fuoco e farlo montare di nuovo in fiamme sempre più intense, spezzandogli ancora e ancora il respiro.
Genzo ne ebbe certezza: non si sarebbe fermata, questa volta, se non per andare oltre; e allora, di nuovo, trovò la forza di intervenire, di sollevarla e di accompagnarla a distendersi sul letto, sovrastandola e osservando in adorazione ogni sfumatura della sua pelle. Si prese le sue labbra, mentre insinuava le ginocchia tra le sue, e scese sul suo collo, ancora, mentre si adagiava sul suo corpo, lento come stesse compiendo un rito, ma deciso e accompagnato dalle sue carezze che vagavano sulla schiena e scendevano, sfiorando i lombi e premendo impazienti, perché non attendesse oltre.
Riconoscere il suo corpo, in quel segreto che lo attendeva, e insinuarsi alla soglia di ciò che ancora li divideva, gli diede per un istante la percezione di quanto lei lo desiderasse davvero. Era impossibile non percepirlo … nei movimenti leggeri dei suoi fianchi che sembravano cercarlo, nella stretta della mani sulle braccia, con cui sembrava aggrapparsi a lui, quasi temesse di poter volare via, e nel ritmo serrato dei suoi respiri che incalzavano e inciampavano uno sull’altro, in una attesa che avrebbe presto trovato il suo compimento. Genzo rimase ad osservarla, incantato, sotto di sé; con il capo rovesciato all’indietro, sul cuscino, le labbra dischiuse e gli occhi stretti, il corpo teso e il seno che danzava al ritmo dei suoi respiri: tutto, di lei, lo chiamava e accendeva nel suo corpo un desiderio sempre più forte e indomabile, che, per un istante, lo tenne immobile.
- Hai … hai paura? – la voce di Yuki lo riscosse e, insieme, lo commosse quasi.
- Io? Io … io ho paura di perderti. – eccolo il suo timore più segreto, sfuggito nel momento più critico, quando tutte le sue difese erano ormai crollate – Ho paura, sì. Ho paura di lasciare un segno che un giorno non vorrai portare su di te. – Le sue stesse parole lo sorpresero e, in un certo senso, lo fecero sentire più leggero, libero di un peso che forse portava dentro di sé senza nemmeno rendersene conto; quello stesso peso che lo aveva fermato negli ultimi tempi …
Sotto di sé, Genzo intuì il lungo sospiro di Yuki – Il segno l’hai lasciato ormai da tempo, Genzo, ed è qualcosa che non potrò certo separare da me, … e quanto a perdermi, l’unico modo che avrai di perdermi, sarà lasciarmi. –
La sua voce roca rivelò quanta fatica le fossero costate quelle poche parole e quanto vere fossero; il senso, prima ancora del suono, fu chiaro a Genzo nel momento stesso in cui lei aveva iniziato a pronunciarle, mentre le mani risalivano lungo la sua schiena e le dita, leggere, scendevano poi lungo le vertebre, procurandogli una profonda scossa di piacere. Per un attimo, pensò a quanto fosse folle quello che stava per fare, ma quel pensiero fu completamente spazzato via dal piacere intenso che risalì dal suo ventre quando avvertì Yuki muoversi ancora sotto di lui e il contatto tra loro farsi più caldo. Allora, solo allora, ebbe la certezza che nessuno dei due potesse più attendere e chinandosi su di lei mosse i fianchi lento e inesorabile come il destino che li aveva avvicinati e come quello che avrebbe sfidato, per rimanere con lei, mentre sulle sue labbra lasciava la promessa che ormai non poteva più trattenere.
- Ti … ti amo, Yuki. -


Angolo dell'autrice: approfitto del fatto che siamo a fine anno per anticipare la pubblicazione di questo capitolo lungo e, credo, atteso da chi segue la storia. Una specie di regalo da parte mia, che accompagna i miei migliori auguri perchè ci possiamo lasciare alle spalle il 2020 con un po' di serenità.
Un abbraccio a chi legge, segue, preferisce e ricorda questa storia. Grazie a tutti
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** ... equilibrio ***


22. … equilibrio
 
Quando porta la tazza alle labbra, gli è sufficiente un’occhiata al suo contenuto per avere un moto di disgusto; convinto di aver bisogno di qualcosa di efficace per affrontare la giornata con calma, viste le premesse, ha lasciato la tisana in infusione e si è preso qualche minuto per fare una doccia, ma ora l’intruglio è torbido, puzzolente e, cosa ancora peggiore, tiepido. Sbuffa spazientito e svuota la tazza nel lavandino restando a fissarne il fondo vuoto.
Vuoto, come quello che sente nella sua testa, perché nonostante i mille pensieri che si sono accavallati facendo altalenare il suo umore tra pessimo e stellare, ancora non è riuscito a trovare l’equilibrio necessario per guardarsi allo specchio senza tremare. Perché avere la certezza di aver compiuto la scelta giusta, di aver trovato qualcosa di importante, per la quale valga la pena lottare, non significa che farlo diventi semplice o spontaneo, soprattutto perché sa di averlo fatto disattendendo settimane di quelli che pensava fossero buoni propositi e scelte razionali.
Disciplina e razionalità, sempre e comunque.
Se Mister Mikami lo vedesse adesso, chino su una mug a trarre auspici dai fondi lasciati dalla tisana, avrebbe certamente da ridire. Anzi, considerato il tempismo con cui Tsubasa ha deciso di fargli visita, non lo sorprenderebbe se dovesse arrivargli anche una chiamata di cortesia da parte del suo mentore.
Sospira e si volta di nuovo con le spalle alla cucina, mentre lo sguardo percorre il soggiorno e le labbra non possono che tendersi quando riconosce nel suo spazio vitale il segno del loro stare insieme: le due tovagliette lasciate sul tavolo la sera precedente, la sua agenda appoggiata sul tavolino e la sua borsa sul divano sul quale trascorrono le serate abbracciati, le quattro ciabatte abbandonate sulla soglia del soggiorno e i libri di testo impilati sul ripiano, accanto alla tv …
Niente avrà più lo stesso sapore che aveva prima e soprattutto, ora gli è chiaro, non è certo per quello che è accaduto durante la notte che tutto gli sembra, ora, così importante; perché, certo, la passione alla quale ha ceduto è stata qualcosa di travolgente e inarrestabile ma, dopotutto, era dentro di loro ormai da tanto tempo e non avrebbe potuto che deflagrare al momento giusto; e in nome di tutto quello che da settimane sente come il fuoco più intenso che abbia mai immaginato, ha la certezza di essere pronto ad affrontare anche ciò che ora sente di essere: più maturo, più consapevole, più sicuro e reso più forte dall’amore che prova.
Con un colpo di reni, si volge al ripiano dove ha lasciato il filtro per afferrare il sacchettino e gettarlo nell’immondizia, ma la sua mano vie bloccata sullo sportello da quella di Yuki, comparsa come dal nulla.
- Aspetta … butto anche questi. – lo ferma lei e il suo tono sembra davvero disinvolto, mentre allunga il braccio per gettare nel bidone i fazzoletti di carta appallottolati e quello che nascondono.
Genzo trattiene il respiro e lo sguardo incontra gli occhi di Yuki, mentre un altro ricordo giunge prepotente: due volte.
Un brivido risale lungo la schiena, mentre Genzo si risolleva senza lasciarla nemmeno un istante e la consapevolezza di averla cercata ancora, durante la notte, diventa tensione alle spalle e all’addome. Perché aprendo gli occhi, tra le ombre dei sensi, aveva riconosciuto quel profumo intenso e pungente che sapeva di loro e del loro cercarsi con disperazione, toccarsi con urgenza, concedersi arrendendosi ai propri sentimenti e in quel momento il desiderio di lei era stato irrefrenabile e aveva spento ogni ragione. Le si era avvicinato, aveva ascoltato il ritmo leggero del respiro del suo sonno e aveva accarezzato la sua schiena, sfiorando la pelle con il dorso della mano e poi con le labbra, fino a che Yuki non lo aveva chiamato, con la voce impastata dal sonno e dal piacere che tornava a sciogliere ogni barriera. Di nuovo, avevano superato ragione e preoccupazione, cercando uno nell’altra la forza di affrontare tutto insieme, seguendo i sentieri del piacere che avevano scoperto e percorso passo dopo passo concedendosi il privilegio di regalarsi tutto, solo a piccoli morsi. Di nuovo, erano stati un corpo solo e il piacere li aveva avvolti e portati lontano, in un crescendo profondo e assoluto, dove le parole si era sciolte in gemiti e i corpi in istinto puro.
Non dice nulla, ma porta le mani al suo viso e cala sulle sue labbra mentre con un tonfo sordo l’armadietto si richiude; la bacia, dischiude le labbra e quella che sembra una pretesa diventa presto un dono, perché Yuki risponde e rivela lo stesso ardore, quando le sue mani gli stringono i fianchi e le unghie affondano nella pelle, appena al di sopra della cintola dei pantaloni sportivi. E in un bacio che sa di urgenza, dell’urgenza di entrambi, Genzo sente sciogliersi l’ultimo nodo dentro al petto e i timori che lo avevano trattenuto a terra, a ondeggiare tra euforia e dubbio, adesso diventano lo slancio per sentirsi libero, pronto davvero a vivere.
Quando si separa da lei, non riesce a non sorridere, con le labbra, ma anche con gli occhi, perché il suo viso è sereno, e niente può nascondere il calore di quello che anche Yuki porta dentro di sé. Poggia la fronte alla sua, la circonda per qualche istante e la stringe al petto, inspirando ancora e ancora il profumo che porta con sé, e quando infine accetta di malavoglia di sciogliere l’abbraccio, dischiude le labbra per parlare ma la voce di Yuki lo anticipa.
- Ti sei alzato presto. Hai qualche impegno di cui non mi avevi parlato? –
Genzo scuote appena il capo, ma la risposta è spontanea - Avevo bisogno di tornare con i piedi per terra. – e si sorprende lui stesso per la semplicità dell’affermazione e per quanto sia vero quello che ha detto – Ma mi è bastato vederti per capire che è tutto incredibilmente vero. -
Lascia un carezza sulla sua guancia e vorrebbe riprendere a parlare, raccontarle di quanto si senta pronto a tutto, per lei, e di quanto importante sia stata la loro notte … ma i suoi pensieri vengono interrotti dal telefono che, dal ripiano della cucina, lo avvisa di un nuovo messaggio. Genzo sospira, intuendo che si tratti di un messaggio di Tsubasa, afferra il telefono e visualizza rapidamente l’anteprima.
- Ne hai parlato con Yuki? Perché io avevo pensato di farle una sorpresa e non le ho mandato messaggi … -
Genzo, alza per un attimo lo sguardo dallo schermo e scorge Yuki che, nel frattempo, si è mossa per andare ad aprire la dispensa, così torna al display e si affretta a digitare la risposta.
- Stai tranquillo, non le ho detto nulla. Ci vediamo in aeroporto. –
Posa il telefono e il profondo disorientamento provato alla prima chiamata di Tsubasa sembra essersi un po’ alleggerito; è consapevole che rivederla, baciarla e trovare sulle sue labbra lo stesso slancio provato nella notte, gli abbia dato la spinta per affrontare la giornata e quando torna e cercarla con lo sguardo, vedendola intenta a disporre sul tavolo il necessario per la colazione, un nuovo frammento di certezza si aggiunge a quelli che nel suo cuore custodisce geloso. Così si muove, la raggiunge e raccoglie dalle sue braccia i piatti e le tazze – Ci penso io, Yuki, non ti preoccupare. –
La bacia ancora, perché gli è impossibile intravedere le sue labbra senza sentire il desiderio di assaggiarle di nuovo, e poi le fa cenno con il capo - Vai pure a rinfrescarti, mentre qui ci penso io, perché poi … ho una sorpresa per te. –
 
Kaltz torna a buttare un’occhiata nella direzione in cui Yuki, qualche minuto prima, si è allontanata per andare a prendere qualcosa da bere e poi torna a osservare Genzo che fissa ostinato il tabellone degli arrivi con lo sguardo di chi, con la sola forza del pensiero, può indurre la comparsa delle scritte che desidera. Gli scappa da ridere, per la situazione in cui l’amico l’ha coinvolto, buttandolo letteralmente giù dal letto per farsi accompagnare in aeroporto, ma è anche curioso di vedere come andranno le cose quando Genzo sarà alla resa dei conti. Sposta lo stecchino da un lato all’altro delle labbra, pregustando la scena, e poi si decide a chiamarlo - Dimmi una cosa, Gen: mi hai chiesto davvero un passaggio o ti servo per difenderti quando il tuo Capitano ti salterà al collo? -
Genzo pare quasi non sentirlo, assorto com’è in contemplazione del tabellone, ma poi sembra realizzare di averlo sentito parlare e si affretta a rispondergli – Sei sempre il solito malfidente: ovviamente è la seconda! - provocando l’immediata reazione del tedesco che, nonostante la risposta, ha colto appieno la sua espressione furba.
- Ma allora non sei così preoccupato! – osserva divertito – Considerato lo zero preavviso, l’hai presa bene. – Poi si avvicina all’amico e, nonostante il caotico rumore di fondo che avvolge l’aeroporto, bisbiglia – Ma davvero deine bessere Hälfte[i] non sa niente? –
Genzo nega con il capo, ridendo tra sé per l’espressione che ha udito – Tsubasa ha avvisato solo me: vuole farle una sorpresa. E io non voglio rovinargliela. –
- Già … - commenta subito Kaltz di rimando – … tanto tu sai già come rovinargli la vacanza! – e Genzo per tutta risposta alza gli occhi al cielo, mollandogli una pacca sulla spalla che lo fa arretrare di un passo, ma soprattutto gli fa pensare che l’amico abbia recuperato da qualche parte lo spirito giusto per liberarsi da quello che, per mesi, sembrava essere diventato un peso.
Stringe lo stecchino tra i denti e poi lo fa roteare, tornando a puntare l’amico - Eppure sembri incredibilmente di buon umore, nonostante tutto: devo preoccuparmi? – ma ottiene un’alzata di spalle, un gesto che nella sua semplicità concentra l’essenza stessa della risposta che gli arriva un attimo dopo.
- Le cose stanno come stanno[ii], Kaltz, e non ho intenzione di cambiarle. Sai che ne ho parlato a mia madre? -
Vorrebbe rispondergli qualcosa, ma in realtà nemmeno una battuta di quelle pessime che gli vengono così spontanee potrebbe risultare utile a commentare quello che Genzo ha appena rivelato. Kaltz si limita a sospirare scuotendo appena il capo e piazzandosi una mano a coprire gli occhi, mentre in sottofondo intuisce la risatina imbarazzata dell’altro. Eppure, nonostante non si aspettasse un’uscita del genere, capisce che le condizioni al contorno ci sono tutte: Genzo per quella ragazza sembra aver perso completamente la testa, ma nel senso assolutamente buono del termine, perché non lo ha mai visto così sereno, di buon umore, aperto e persino incline all’umorismo. Sembra in pace con il mondo e pronto ad essere il vero SGGK che ha dentro di sé da sempre.
- Quindi adesso sei pronto per ufficializzare in questi giorni? – gli chiede diretto e la risposta di Genzo non si fa attendere.
- Non voglio pianificare niente. – la voce è decisa, ma non dura e il suo è il tono di chi non teme quello che potrebbe accadere di lì a poco, perché le priorità sono altre - L’importante è che Yuki stia bene e si distragga un po’ grazie alla visita di Tsubasa. Sta aspettando la risposta per il nuovo stage e restare in bilico si sta rivelando davvero difficile: ieri sera era proprio in crisi. –
Kaltz inarca un sopracciglio – A guardarla, non si direbbe: oggi sembra proprio con l’umore a mille. A casa tua si deve dormire davvero bene. – poi un’idea balena rapida nella sua testa e anche l’altro sopracciglio si solleva, mentre una mano corre ad afferrare lo stecchino – Oppure … non ha dormito per niente? –
Genzo si interessa ad un pannello pubblicitario, affascinato da un miracoloso adesivo per dentiere, una mano corre ad accomodare il cappellino sulla testa, e il silenzio sospeso permette al tedesco di costruire il suo personale film della serata, prendere fiato e aprire la bocca per cantare vittoria; tuttavia, nel medesimo istante, l’altro si gira, con un’occhiata storta chiude la discussione spinosa e con un gesto del capo gli indica la figura della ragazza in arrivo.
Quando Yuki li raggiunge con gli alti bicchieri di carta stretti al petto, Kaltz si limita ad un sorriso tirato; superandolo, la ragazza gli allunga una bibita e lui non può che reagire con un’occhiata scettica.
- Aranciata anche per te che devi guidare. – la risposta che ottiene da lei è perentoria e la sua espressione vira verso il disappunto più completo.
Vorrebbe ribattere, lamentarsi come si deve, perché il suo istinto ribolle e ha una dignità da tedesco per cui battersi, ma il bacio che si materializza davanti ai suoi occhi gli ricorda che finché se ne starà insieme a loro, ci sarà poco da fare. Soprattutto, perché non può che ammettere una volta di più che i suoi amici sono proprio fatti uno per l’altra, in quel loro strano modo di essere giapponesi fuori sede … Perché dei bacetti timidi che aveva visto tempo prima non è rimasto gran ché e anzi, in quel bacio ci vede proprio un modo di fare che di giapponese non ha un bel niente: in quel bacio c’è un viaggio in Francia, andata e ritorno!  E forse tutte le sue preoccupazioni per l’amico che non si dava una mossa, ormai non hanno proprio più ragione di esistere e il film che si è materializzato nella sua testa è riqualificato all’istante a livello documentario. Non c’è imbarazzo, ma una sana soddisfazione, quando distoglie lo sguardo da loro e si accorge che le lettere sul tabellone stanno frullando per aggiornare la situazione degli arrivi.
- Novità per noi? – chiede Yuki curiosa, mentre finalmente consegna il bicchiere a Genzo che, prendendolo dalle sue mani, lancia un’occhiata al tabellone e poi si stringe tra le spalle silenzioso, mentre fatica a nascondere la piega allegra che gli tende le labbra sollevandone un’estremità e china il capo perché la visiera del cappellino faccia il resto.
 
Seguendo il flusso della folla, si dirige verso i varchi di uscita dell’area degli arrivi ma quando si trova in al centro della hall, si ferma, quasi volesse prepararsi per gustare il momento in cui li incontrerà. E’ già stato ad Amburgo in passato, ma non ricorda praticamente nulla del grande aeroporto tedesco. In realtà, non è abituato a prestare troppa attenzione agli aeroporti che considera luoghi di passaggio e dove generalmente transita quando la sua attenzione è tutta già altrove, allo stadio che lo attende e alle sfide che deve affrontare; eppure, dopo il rientro a Nankatsu, ha scoperto che gli aeroporti possono essere luoghi magici, dove fissare ricordi straordinari … come il suo primo bacio a Sanae, proprio al Narita. Ha un brivido, ripensando a lei e al loro incontro, il primo come coppia, e d’istinto solleva lo sguardo, pensando a quanti incontri e a quante separazioni possano avvenire in un luogo come quello in cui si trova.
Gli spazi sono ampi e la copertura leggera con le lunghe travature arcuate reticolari che la sorreggono, dilata ancora di più l’ambiente che lo circonda facendolo sentire minuscolo, quasi sospeso tra le nuvole chiare che riesce a scorgere oltre i lucernari; è un po’ la sensazione che ha avvertito al suo arrivo in Brasile, anni addietro: quel senso di smarrimento che lo aveva colto camminando sul suolo brasiliano e che era svanito quando finalmente aveva incontrato il volto amico di Roberto.  Immagina che anche Yuki debba aver provato qualcosa di simile, giungendo ad Amburgo da sola, e una volta di più sente di essere grato a Wakabayashi per essersi offerto di farle da punto di riferimento nella sua avventura tedesca. Non ha potuto mettersi in contatto con loro con la frequenza con cui si era proposto di farlo, ma in realtà dopo i primissimi giorni, durante i quali aveva sentito Yuki abbastanza regolarmente, si era reso conto di come lei fosse di ottimo umore e stesse bene, nonostante il cambio di programma relativo alla sua sistemazione e la precarietà che ne era derivata. Questo gli aveva fatto allentare un po’ la tensione e gli intervalli tra le loro chiamate si erano dilatati, mentre la sua attenzione si spostava ad altre priorità e lui si concedeva di concentrarsi sulla squadra e sul campionato spagnolo. Tuttavia, ha davvero desiderio di rivederla, di farsi raccontare della sua esperienza di studio e di come si sia trovata in Germania. E’ orgoglioso di Yuki e della sua decisione di studiare all’estero, perché per lui è ancora difficile da credere che la sua sorellina stia già studiando in Europa, così come ha colto volentieri l’occasione per incontrare Wakabayashi, che non vede dalle ultime vacanze invernali, e di farlo proprio nella sua città di adozione.
Muove qualche passo, portandosi in prossimità del varco e cerca di sbirciare nella massa multicolore di valigie e persone oltre le porte scorrevoli nell’istante in cui le vede muoversi per lasciar passare un gruppo di viaggiatori. Non gli ci vuole molto per individuarli, Wakabayashi passa difficilmente inosservato, e vede subito anche Yuki, proprio al fianco del portiere che la stringe al proprio fianco passandole un braccio sopra le spalle, mentre entrambi ridono rivolti a qualcuno. Il loro interlocutore è di spalle e gesticola, mentre Yuki continua a ridere e si sfila dalla presa di Wakabayashi per voltarsi dal lato opposto e … le porte si chiudono come un sipario; le sue labbra si tendono in un sorriso per aver scorto la sorella così allegra in compagnia dell’amico portiere e le gambe si muovono verso il varco, spinte da un genuino desiderio di incontrarli, finalmente.
 
[i] Letteralmente “la tua migliore metà”, modo di dire tedesco che sta alla nostra “dolce metà”, mirabilmente tradotto da Sakura Chan che non potrò mai ringraziare abbastanza per questa chicca.
[ii] Sono le stesse parole usate da Yuki

Angolo dell'autrice: questo è il primo capitolo della seconda parte del racconto. Come avrete notato, il capitolo 1 può infilarsi tra il 21 e il 22, ne costituisce il cardine, e anche la narrazione riprende tempi e modi iniziali. Il tutto... con la prima pubblicazione del 2021, manco a farlo apposta.
Io ringrazio come sempre chi mi segue... e mi fa compagnia con i suoi pensieri. Questione di... non è ancora al termine!
A presto
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** ... osservazione ***


23. … osservazione
 
Quando oltrepassa le porte scorrevoli, li ritrova esattamente dove li aveva lasciati e incrocia immediatamente lo sguardo di Wakabayashi, scorgendo la sua espressione allegra fin sotto la tesa del cappellino bianco. Lui si china appena, all’altezza di Yuki che è girata di spalle, e le porta una mano alla guancia per indurla a voltarsi in direzione del varco degli arrivi. Riesce a intuire lo sguardo meravigliato di lei e, nell’istante in cui i suoi occhi lo inquadrano, la sorpresa che la investe, dischiudendo le sue labbra in un sorriso colmo di stupore.
- Tsubasa! – la sente chiamare, mentre già lei sta correndo per raggiungerlo, una nuvola di entusiasmo che lo chiude in un abbraccio stretto e gli fa mollare il trolley per stringerla a sé – Tsubasa, sei davvero qui a Amburgo?! –
Yuki si discosta da lui per un attimo, quasi per accertarsi di non aver avuto un abbaglio, e poi torna a stringerlo e a lasciarsi stringere, mentre lui non riesce a trattenersi dal ridere per il suo entusiasmo – Sorpresa! – e gli sembra che lei non riesca davvero a credere che lui sia veramente lì.
Anche il portiere e il suo accompagnatore si avvicinano e, sebbene si sia mantenuto in disparte, ora che lo guarda meglio, Tsubasa riesce a riconoscere in quel giovane biondo e sorridente Hermann Kaltz, il compagno di squadra con cui, ricorda bene, Wakabayashi ha legato di più che con qualsiasi altro. Quando lo raggiungono, Wakabayashi lo saluta con una energica pacca sulla spalla e Yuki, lasciato il collo del fratello, gli si rivolge con gli occhi lucidi.
- Non mi avevi detto niente! – si lamenta quasi, ma il suo tono non è di rimprovero e il suo sguardo al portiere non ha ombre e rivela ancora tanta emozione – E magari lo sapevi da un sacco di tempo … -
- In realtà l’ho scoperto solo questa mattina … - ammette lui, che appare un po’ in imbarazzo, ma riprende subito un piglio sicuro – Ad ogni modo, non avevamo programmi particolari per la giornata e anche per me è stata una sorpresa … interessante! -
Kaltz intanto ha raddrizzato il trolley caduto a terra e li osserva strizzando un po’ lo sguardo, passando da uno all’altro con una espressione curiosa e attenta; per qualche attimo di troppo, forse, si sono dimenticati di lui e quando Wakabayashi se ne rende conto si affretta porvi rimedio, lasciando il giapponese per parlare in inglese – Tsubasa, questo è il mio amico e compagno di squadra Hermann Kaltz! Ti ricordi di lui, vero? –
Tsubasa annuisce e comprende che l’inglese sia la scelta migliore, in quel momento – Come non ricordarlo! – e gli basta vederli insieme, Wakabayashi e l’amico tedesco, con i loro sguardi di intesa, per realizzare in un attimo quanto sia stretto il legame tra loro, un’amicizia che dura da anni, dall’arrivo del portiere ad Amburgo, e un sodalizio sportivo che supera di gran lunga quello che c’è stato tra loro alla Nankatsu e in Nazionale. Non si stupisce del fatto che Kaltz sia presente, ma comprende ancora meglio come stiano le cose quando Yuki torna a parlare, dopo aver scambiato qualche parola in tedesco con il biondo.
- Kaltz ci farà ancora da autista: se ti conosco bene, non sei ancora abbastanza stanco da aver bisogno di riposo, perciò adesso facciamo un giro in centro e mangiamo qualcosa … poi, più tardi, rientreremo a casa con calma! -
 
Yuki guida il piccolo gruppo guardandosi attorno e indicando ogni manciata di passi qualcosa di nuovo a cui prestare attenzione, che sia un locale, una torre o anche semplicemente uno scorcio; Wakabayashi, al suo fianco, in qualche occasione le suggerisce una deviazione, ricordandole dettagli imperdibili e arricchendo quella che, a tutti gli effetti, diventa una personalissima visita guidata della sua città. Di tanto in tanto, si fermano per raccontare un aneddoto, scambiano battute con Kaltz e, nonostante sia appena arrivato ad Amburgo, riescono a coinvolgere anche lui con il loro fare allegro e cameratesco, tanto da farlo sentire come se facesse parte della cricca da sempre.
- Fermiamoci al Krameramtsstuben[i] per pranzo! – Wakabayashi allunga il braccio indicando un locale dalla facciata in mattoni rossi, i serramenti in legno con cornici di pietra chiara e un’aria decisamente tradizionale che Tsubasa trova molto accattivante – E’ un posto davvero particolare: si può mangiare all’esterno, nel passaggio sul retro e cucinano il miglior pannfish di Amburgo! –
- In effetti, comincio a essere piuttosto affamato … - ammette Tsubasa con un certo imbarazzo - … e questo locale mi sembra davvero l’ideale. –
Tuttavia l’espressione di Kaltz non sembra convinta; il tedesco lancia una occhiataccia al compagno di squadra e poi commenta scettico – Sei un infame, Gen! Tra tutti i locali di Amburgo, devi scegliere proprio questo? –
Yuki guarda sorpresa Wakabayashi e non sa cosa rispondere all’espressione interrogativa di Tsubasa, così il portiere si affretta a dare qualche dettaglio, sotto lo sguardo contrariato del biondo – Kaltz ha un precedente poco … decoroso, qui dentro. –
Tsubasa, sorpreso, sorride a Yuki che sembra non essere ancora in grado di afferrare il resto della storia e il racconto prosegue con maggiori particolari – Dovevamo festeggiare per tre goal rifilati al Bayern ma lui si è lasciato prendere un po’ troppo dall’entusiasmo, oltre che dalla sete … -
- Gen! – il protagonista gli si lancia al collo, in uno scontro tra il bonario e il furibondo, ma per Wakabayashi, più alto e piazzato, alla fine, tra uno strattone e un mezzo ceffone, è possibile terminare il discorso.
- … e ha finito per ballare sopra ad un tavolo … -
- Stronzo! – il ballerino improvvisato protesta ancora e Tsubasa, poco avvezzo ai modi del tedesco, riesce a fatica a trattenersi dal ridere; il colpo finale, tuttavia, è di Yuki, che evidentemente ha realizzato di essere già al corrente dell’aneddoto.
- E’ il locale dove si è spogliato[ii] sul tavolo?! – esclama incredula e la reazione blocca Kaltz che ormai è praticamente sulla schiena di Wakabayashi e caccia quello che sembra un urlo, ma più probabilmente è una imprecazione fortunatamente incomprensibile, che finisce per diventare una risata corale, quando il tedesco scivola a terra picchiandosi una manata in fronte.
- Non mi lascerai mai in pace per questa faccenda, vero? – è l’ultima lamentela di Kaltz che alla fine non può che prenderla con filosofia e scuotere il capo – Comunque, vi adoro lo stesso e siccome non mi sembra il caso dimostrarlo a quell’armadio del mio portiere, me la prenderò con Hälfte che non può certo tirarmi un sinistro di quelli che sa piazzare Gen … - finendo per circondare le spalle di Yuki con un abbraccio, schioccandole un bacio sonoro sulla guancia - … Tié! –
 
L’appartamento di Wakabayashi è accogliente e si sente subito a proprio agio, mentre Yuki fa gli onori di casa sotto lo sguardo soddisfatto del portiere; Tsubasa si guarda attorno, lascia le scarpe e il trolley nel disimpegno e intuisce dove sia il bagno, ma poi la sua attenzione è tutta per la grande parete vetrata del soggiorno e per quello che riesce a intravedere oltre, così si muove diretto verso il terrazzino incuriosito dalla la sua splendida vista sulla piazza. Yuki lo accompagna e sporgendosi appena dal parapetto in vetro, allunga il braccio con l’indice teso ad indicargli la direzione dell’aeroporto, quella del porto fluviale e di alcune delle zone più famose della città, e lui si lascia guidare in quel viaggio nel cielo di Amburgo ma, alla fine, si rende conto di non avere occhi che per lei, per il suo sguardo vivace e per il suo incarnato insolito, appena dorato. Segue tutto il suo discorrere, il suo raccontare di come sia stato impegnativo, in un primo tempo, abituarsi alla nuova lingua e di quanto adesso, invece, trovi quasi divertente usare il tedesco e arricchire il suo vocabolario; Tsubasa annuisce, interviene e chiede ancora, curioso, in merito ai mezzi di trasporto, all’università, alle nuove amicizie.
Dopo il pomeriggio trascorso insieme a lei, con Wakabayashi e l’amico tedesco, è ancora avido di particolari; gli sembra di essere stato catapultato in un mondo che a mala pena aveva intuito e ha la sensazione che Yuki e la sua vita gli si stiano svelando proprio come Amburgo gli si mostra dal quella loggia, con i suoi colori e i suoi alti e bassi, i dettagli di un universo che non aveva mai osservato davvero. L’ha vista discorrere con il proprietario del Krameramtsstuben, scherzare con Kaltz, raccontare delle sue esperienze, dei corsi e di come si sia abituata ai ritmi e ai modi di Amburgo e della sua gente e Tsubasa non può che riflettere di nuovo su come Yuki sia davvero a proprio agio tra gli occidentali. Lui stesso ha lasciato il Giappone ed è cresciuto molto vivendo in Brasile, prima, e in Spagna poi, acquisendo abitudini e modi di quei paesi; è consapevole di essere sempre stato più espansivo e diretto rispetto allo standard giapponese e di aver sempre un po’ sofferto certi atteggiamenti distaccati, e ora, inquadrando Yuki e la sua vita ad Amburgo, la scopre più simile a sé di quanto avesse mai immaginato.
- Stai bene, qui. – sussurra; non è una domanda, ma una constatazione che gli tende le labbra in un sorriso pieno e si riflette nello sguardo di Yuki che annuisce sicura e risponde subito.
- Se potessi scegliere, resterei ad Amburgo, Tsubasa. Non sento il minimo desiderio di tornare a Nankatsu. – lo ammette apertamente, ma sembra quasi in imbarazzo a rivelare questo desiderio di libertà, perché l’assaggio di questa vita in Europa forse le ha fatto scoprire quanto il Giappone sia piccolo anche per lei.
- Evidentemente è un problema di famiglia … - sdrammatizza lui, perché sa che per entrambi il mondo non è mai stato troppo grande e nei racconti di papà sembrava facile percorrerlo da cima a fondo - … ci piacciono gli orizzonti diversi da quelli del Giappone. – e anche lei sorride e solleva appena le spalle esili, perché nonostante siano lontani da tempo, forse anche lei ora comprende quanto si somiglino.
Quando Wakabayashi li raggiunge, ha con sé un vassoio con salatini e patatine, bibite e bicchieri – Nonostante quello che abbiamo mangiato in centro, devo ammettere che a me è venuta fame: se non metto qualcosa sotto i denti, non arrivo all’ora di cena. Quindi: aperitivo! –
Deposita il tutto sul tavolino e si lascia cadere su una delle due sedute, mentre con un gesto indica l’altra a Tsubasa; attende che anche lui si sia messo comodo e poi si allunga per affondare la grande mano nella ciotola delle patatine – Un po’ di sane schifezze occidentali ci fanno bene, ogni tanto! – Gli basta un cenno di intesa perché Yuki si metta di traverso, tra il bracciolo e le sue gambe, risolvendo senza troppi problemi il fatto che manchi una terza poltroncina – Questo è l’effetto di Yuki sulla mia dieta da sportivo, purtroppo! –
Tsubasa non si fa pregare, sgranocchia qualche salatino e poi si fa ancora curioso – Ti ha fatto imparare a mangiare cibo spazzatura? – senza curarsi troppo del fatto che lei stia mostrando tutta la sua contrarietà e anzi, si intrometta subito.
- Ma quale cibo spazzatura? – sbotta saltando quasi sulle gambe del padrone di casa – Sei tu che compri gli hamburger pur di non cucinare! –
- Ma dai … l’ho fatto solo quando eri occupata a studiare e io sono rientrato tardi: mi era sembrato un pensiero carino. – ribatte Wakabayashi, per poi assottigliare lo sguardo, con le labbra piegate in un sorriso sornione – Avresti preferito la mia cucina, forse? –
Yuki reagisce ridendo tra sé, ma poi sembra ricordare qualcosa – Quando hai voluto cucinare, lo hai fatto egregiamente … -
- Certo, ma Morisaki sta ancora imprecando adesso! – ribatte lui, e nel rimbalzo con Yuki, Tsubasa riconosce una confidenza che gli scalda il cuore, perché trovare Wakabayashi così affezionato a Yuki, scoprirlo nel suo mondo così rilassato e anche spiritoso, ha arricchito l’immagine un po’ rigida che aveva di lui, rendendola più umana e ammirevole, e gli fa pensare che Yuki sia stata davvero fortunata a poterlo conoscere in questo modo.
- E comunque anche io ti ho dimostrato di cavarmela bene ai fornelli. Altro che panini … – lei si difende ancora, ma Wakabayashi scambia un’occhiata complice con Tsubasa, cercando il suo sostegno.
- Anche a casa prepara la sua speciale pasta italiana così piccante da far impallidire i messicani? – gli chiede con tono curioso – Quella sera mi ha quasi fatto andare a fuoco! - e Tsubasa non può che scoppiare a ridere, rischiando di soffocarsi con le patatine e cercando aiuto in un bicchiere di bibita, mentre Yuki arrossisce vistosamente.
- Dai Yuki, non mi sembra che Wakabayashi se la sia presa poi così tanto … - Tsubasa cerca di essere di aiuto, ma lei sembra tenere ancora una sorta di broncio che si scioglie solo quando lui torna a parlare.
- Io scherzo, ma lei mi ha insegnato a preparare qualche buona ricetta e non mi sarà facile fare a meno della sua compagnia. – la guarda da sotto in su e è chiaro sta parlando seriamente, ma poi l’espressione si fa ancora giocosa quando aggiunge – E poi le piacciono i film che guardo io e ci siamo visti tutta la serie degli Avengers almeno tre volte! –
La reazione di Tsubasa resta in bilico, interrotta dalla suoneria di un telefono; Yuki si alza di scatto e corre in soggiorno, dove la sua voce si perde nel rispondere alla chiamata.
Rimasto solo con Wakabayashi, Tsubasa si prende qualche attimo per rilassarsi e indagare – C’è un posto per dormire, qui attorno? – ma l’altro si solleva dallo schienale sorpreso.
- Non resti qui con noi? – gli chiede di rimando – L’appartamento non è grande, ma il divano non è poi così male: è doppio ed è piuttosto comodo. –
- Cos’è? Vuoi aprire un bed and breakfast? – ironizza allora lui e l’altro coglie al volo lo spunto.
- Saremo un po’ stretti, ma non starai peggio che in ritiro, immagino. Almeno non sei in camera con Misaki che dorme con le galline … - sbuffano entrambi, ricordando i trascorsi impegnativi ma felici delle loro avventure sportive ma poi Wakabayashi riprende – Comunque, parlo seriamente: mi fa piacere se resti qui. - Abbassa per un istante lo sguardo, corrugando la fronte e poi sembra parlare tra sé – Prima che arrivasse lei, qui ero sempre stato da solo e quando l’ho invitata a restare non potevo immaginare quanto ne sarei stato felice, in seguito. Te lo devo, Tsubasa. –
Non risponde subito a quella che sembra una specie di confidenza e che, soffiata dalle labbra di Wakabayashi, lo rende felice e orgoglioso della loro inconsueta amicizia; eppure vorrebbe anche lui rivelargli quello che ha percepito, perché il silenzio non rende giustizia all’immagine che durante la giornata si è composta davanti a suoi occhi.
– Non ho mai visto mia sorella così … solare. Mi ha stupito, trovarla così … così. – gli confida mentre tiene lo sguardo sul panorama della città – E’ come se … -
- Genzo! – dal soggiorno, la voce di Yuki arriva appena prima che lei compaia sulla soglia della porta finestra - Era il tutor: mi ha chiamata per avvisarmi che hanno assegnato due studenti all’università di Amburgo, ma non ne conosce ancora i nomi. Forse c’è una speranza … -
L’agitazione è palese, nella voce e nello sguardo che resta incollato a Wakabayashi mentre anche lui sembra provare lo stesso sollievo. – Questa è una piccola buona notizia … - concorda lui, mentre si allunga per afferrare la sua mano e tirarla ancora fino a farla accomodare insieme a sé sulla poltroncina - … e per questo faremo in modo di non pensarci troppo, mentre attendiamo la risposta definitiva. Ok? –
Yuki annuisce tendendo le labbra, inaspettatamente mite, e Wakabayashi, soddisfatto, riprende – Allora, visto che abbiamo fatto un buon aperitivo, per tenerci su di morale, propongo una cena a sorpresa: tu pensi a preparare la tavola e noi ci occupiamo del resto! –
Wakabayashi si è sporto a cercare Tsubasa che, di fronte a quella proposta, resta parecchio spiazzato e si aggrappa ai braccioli, quasi che si stesse ribaltando – Cosa dovremmo fare? –
Ma l’altro riprende, con un sorriso furbo, sollevandosi e accompagnando Yuki ad alzarsi a sua volta, mentre butta un’occhiata al polso, per controllare l’orologio – Tsubasa, vieni con me! Qui attorno ci sono un sacco di ristoranti che fanno asporto e non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. –
Yuki vorrebbe protestare, la sua espressione è molto eloquente, ma Tsubasa è già saltato in piedi per seguire Wakabayashi e non vede l’ora di partecipare alla spedizione; a lei non resta che osservarli mentre si preparano ad uscire, allegri e complici, come ragazzini in partenza per una esplorazione avventurosa. In un attimo, Tsubasa varca la soglia di casa e dal corridoio riesce appena ad intuire il fatto che Wakabayashi, prima di seguirlo, si sia avvicinato ancora per un istante a Yuki, per poi raggiungerlo di corsa e chiudere la porta alle proprie spalle.
 
- Non ci capisco assolutamente niente. –
Tsubasa scuote il capo mentre si raddrizza, dopo aver scrutato per qualche minuto il tabellone con il menu completamente scritto in tedesco.
- Questo non è un locale per turisti … - spiega Wakabayashi comprensivo - … qui a fare il menu in due lingue non ci pensano proprio. Però se vuoi provare qualcosa di tipico, visto che oggi abbiamo mangiato pesce, ti posso consigliare questo, il preferito di Yuki. – e poi punta l’indice sulla scritta Grünkohl.
Tsubasa, fiducioso, si affretta ad annuire – Vada per questo. Cosa sarebbe? –
- Salsiccia, patate e cavolo nero: niente male davvero. – si affretta a spiegare l’altro mentre chiama il commesso con un gesto, rapidamente ordina per tre piatti da asporto e si occupa del conto.
Resta ancora una volta stupito nell’ascoltare la disinvoltura con cui Wakabayashi parla in tedesco e fatica a credere che Yuki sia riuscita persino a studiare in una lingua tanto ostica. Quando il portiere lo raggiunge non può che esprimergli la sua ammirazione – Non so come tu abbia potuto adattarti rapidamente al tedesco, sai? Credo che per me, con portoghese e spagnolo, sia stato molto meno difficile. Tra l’altro, io ho studiato portoghese per tre anni, prima di partire per il Brasile[iii]. –
Wakabayashi ride divertito, ma poi, prende a giocare con un sasso a terra, muovendolo con la punta della scarpa, e ammette – I primi mesi sono stati un incubo anche per me: ho avuto poco tempo per prepararmi prima di lascare il Giappone e così ho dovuto seguire corsi intensivi mentre frequentavo una scuola internazionale e mi allenavo con l’Amburgo. –
Il sasso finisce in una fessura del tombino e lui solleva lo sguardo – Poi, superato lo scoglio iniziale, è stato tutto più semplice. Più di tutto, è stato importante avere buoni amici. –
- Parli di Kaltz? – chiede allora incuriosito e Wakabayashi si affretta ad annuire.
- Dopo la diffidenza iniziale e comprensibile, abbiamo legato molto io, Kaltz e Schneider. E’ stato incredibile: trascorrevamo tutto il nostro tempo insieme, dal mattino a scuola, al pomeriggio di allenamento, fino alla sera al dormitorio. –
Wakabayashi tiene lo sguardo basso, sembra concentrato ancora sui sassolini del selciato, ma la sua espressione resta serena e il tono non è risentito nemmeno quando aggiunge – Poi Schneider ha lasciato l’Amburgo e io e Kaltz abbiamo legato anche di più di prima: per me è come un fratello. Forse anche di più. –
- L’ho visto, oggi: è un tipo davvero … strano, ma forte. Anche con Yuki si comporta come se tenesse molto a lei. – constata lui e si ritrova ad osservare il quarto di viso con cui Wakabayashi lo scruta, il sopracciglio sollevato in una espressione divertita.
- Non lo ammetterebbe mai, ma l’adora. –
- Oh, ma si vede! – concorda Tsubasa – Aspetta … com’è che la chiama? Halts … Hal …  Hälfte? Non ho idea di cosa significhi, ma sembrerebbe un nomignolo affettuoso … -
Wakabayashi ride e annuisce – La chiama bessere Hälfte, o anche solo Hälfte. Sarebbe Metà … o la migliore Metà: lui scherza con lei perché è minuta, almeno in confronto a me, - aggiunge, sempre ridendo e sollevando lo sguardo a cercarlo – e anche perché è un modo di dire che si usa tra innamorati … -
- Tra innamorati? – Tsubasa si sorprende, di questo non ha mai sentito parlare – Cioè è un nomignolo per fidanzate? –
- Sì, esattamente: meine bessere Hälfte è la mia metà migliore. – spiega meglio Wakabayashi, paziente, spostando il peso da un piede all’altro e poi trovando una posizione stabile, mentre lo sguardo si fissa in quello dell’amico.
- E cosa c’entra Yuki? – esclama sorpreso Tsubasa scuotendo appena il capo, perché proprio non gli riesce di spiegarsi il perché di un nomignolo simile – E poi … fidanzata? Vuoi dire che c’è qualcuno che fa il filo a mia sorella? -
 
[i] Mi sono informata e tra tutti i locali della città, questo mi ha affascinata: è l’unico complesso con cortile interno e edifici a travatura in legno conservato in Amburgo; gli edifici, costruiti tra il 1620 e il 1676, ospitavano le vedove dei commercianti. Il ristorante è uno spettacolo.
[ii] Vista la scommessa fatta da Kaltz in occasione della finale mondiale, non ho resistito … ho voluto celebrarla con questo episodio
[iii] Non lo ricordo nell’anime, ma l’ho letto nel manga.

Angolo dell'autrice: mi scuso per il ritardo... questo pomeriggio sono arrivata un po' lunga con l'orario della pubblicazione!
Mi ero proposta di riprendere la pubblicazione settimanale ma i vari impegni mi tengono ancora occupata e preferisco non andare a strappi, perciò punto a mantenere questa scadenza, per ora.
Io ringrazio, come sempre, tutti voi che seguite questa storia e mi lasciate il vostro pensiero. Un abbraccio forte
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** ... dialogo ***


24. … dialogo
 
Genzo sospira profondamente, si guarda un po’ attorno, le braccia abbandonate lungo i fianchi e il capo che si muove da un lato all’altro, quasi incredulo, e poi riporta lo sguardo in quello di Tsubasa – Mi stai prendendo in giro, vero? –
Eppure lui sembra davvero spiazzato, mentre si arrovella cercando di comprendere le sua parole e mormora confuso - Ma di cosa …? –
Allora Genzo inspira teso, allargando le braccia e mostrandogli i palmi in un gesto che dovrebbe indurlo a comprendere l’ovvio – Tsubasa! – lo chiama quasi spazientito – Ma possibile che oggi tu non abbia notato niente? –
L’altro resta ancora per qualche istante ad osservarlo, le sopracciglia si abbassano sugli occhi mentre sembra recuperare qualche immagine dalla memoria – Io ho visto Yuki … felice. –
Genzo muove qualche passo, uno sull’altro, senza spostarsi di un millimetro, si passa le dita tra i capelli e ferma la mano sulla nuca, tentando ancora – Felice e niente altro? –
- Felice e … - Tsubasa solleva le spalle, come se quella semplice definizione potesse bastare, ma poi, messo alle strette, cerca di affinare il tiro e altre idee vengono a galla – Felice e a suo agio; rilassata e in confidenza con te e anche con Kaltz, in un certo senso. – si ferma, tendendo un attimo le labbra, riflettendo rapidamente, e poi aggiunge – E tutto questo mi fa piacere, davvero, perché è chiaro che lei si sia adattata perfettamente ai modi di fare di qui, ma continuo a non … -
- Tsubasa! – lo interrompe Genzo esterrefatto – Credi che Yuki stia dando la stessa confidenza a tutti, qui? – e l’altro si affretta a scuotere il capo, cercando di spiegarsi meglio.
- No, Wakabayashi, per niente. Anzi … – si affretta a precisare, ma poi si interrompe, come se un’idea ben definita gli si fosse palesata davanti agli occhi in un istante – Aspetta: forse ho capito. –
Genzo solleva le sopracciglia, invitandolo a proseguire e si stupisce quasi del suo stesso gesto, visto che potrebbe essere quello decisivo, che lo porterà dritto al vero confronto con Tsubasa, al nodo che per settimane lo aveva messo in agitazione.
Il viso dell’amico sembra illuminarsi e le labbra si tendono ancora, in una specie di sorriso, di quelli propri di chi sta per rivelare la soluzione di un arcano – Comprendo che tu possa sentirti in difficoltà … ma voglio dirti di non preoccuparti, perché Yuki è di natura piuttosto espansiva e capace di legare con chiunque ma, per come la conosco, non è una ragazza che … - il punto sembra mettere un po’ in difficoltà Tsubasa che prende a grattarsi una tempia con due dita e Genzo resta in attesa perché davvero non comprende dove voglia andare a parare l’amico, che alla fine riesce a sbrogliare la matassa dei suoi pensieri - … non è una che si fa pensieri strani sugli amici. Ecco. Capisci cosa intendo? –
Genzo resta allibito e per qualche istante osserva stranito Tsubasa, dandogli forse l’impressione di essere deluso dalle sue parole.
- Ascoltami, io non voglio smontare le tue impressioni, ma davvero non farti problemi perché per come la conosco … - scuote il capo e quasi trattiene il sorriso, mentre cerca di definire quell’ultima stoccata - … non è una che si avvicina ai ragazzi in quel modo, con certe intenzioni … -
Di nuovo, Genzo scuote il capo, mordendosi le labbra e passandosi un palmo sul volto, realizzando che Tsubasa, con le sue parole, ha reso la realtà ancora più seria di quanto potesse immaginare. Gli si avvicina, quasi sfidando l’espressione allegra dell’altro, e cerca di farsi più convincente possibile con un ulteriore – Tsubasa! – che lo fa quasi sobbalzare e sgranare gli occhi.
- Yuki ci ha provato con te? -
Raddrizza la schiena, ma non può, però, ribattere, perché dal bancone del locale sente chiamare il suo nome e allora si affretta a recuperare le scatole con la cena, ringraziando con tutta la gentilezza che quello che gli ribolle dentro gli concede; poi raggiunge Tsubasa fuori dal locale, lo supera e si limita ad un secco – Seguimi. – procedendo con passo di marcia sulla via di casa.
Sbuffa come una locomotiva a vapore, mentre copre con falcate decise le poche decine di metri che lo conducono all’ingresso del palazzo, con lo sguardo a terra e le dita serrate sulle scatole del take-away. Non controlla nemmeno che Tsubasa lo abbia seguito, perché gli è bastato intuire i suoi passi irregolari alle proprie spalle, e quando giunge a destinazione sblocca rapido la porta di accesso, lasciandola spalancata dietro di sé, senza curarsi che l’altro possa infilarcisi prima che si richiuda, per poi prendere la via delle scale, salendo i gradini a due a due in una corsa decisa che si ferma solo sulla soglia dell’appartamento.
 
La porta di casa si spalanca, rimbalzando contro il muro a fianco, e Genzo fa il suo ingresso quasi di corsa, come una furia; lascia sul ripiano le scatole che ha con sé mentre passa accanto alla penisola della zona cottura e in un unico, energico, movimento, si avventa su di lei. Yuki fa appena in tempo a voltarsi e salutarlo con un richiamo sorpreso – Genzo! – prima di trovarsi nel suo abbraccio, con le sue labbra a rubarle un bacio che sa di urgenza. I tovaglioli che stava sistemando sulla tavola sfuggono dalla sua presa scivolando a terra in una nuvola colorata e le mani corrono d’istinto alla sua schiena, i palmi aperti sulle sue scapole, non appena realizza quello che sta accadendo. Il bacio che l’ha sorpresa diventa allora anche suo e Yuki si solleva sulle punte dei piedi, dischiude le labbra e si concede quello che si rende conto di aver desiderato e rimandato durante tutta la giornata, stretta come era stata dalla presenza di Tsubasa. Sente le mani di Genzo aperte sulla schiena, scendere lente e poi risalire a cercarle il viso; non riesce a controllare il lamento leggero che le sfugge quando lui lascia per un istante le sue labbra e il contatto che ne segue è ancora più urgente e famelico, un rubare e concedere che le increspa la pelle in un brivido lungo la schiena, mentre il ricordo della notte trascorsa è un’eco che vibra nascosta più a fondo, che ispira ancora nuovi baci e nuove carezze, sulla sua schiena e sul suo petto.
Quando si separano, Yuki scorge nello sguardo di Genzo un’ombra di soddisfazione, dove bisogno e passione sembrano inghiottiti dal riflesso di qualcosa di torbido che riesce solo a tradurre come uno strano senso di sfida. Non lascia i suoi occhi, mentre il sorriso che ormai conosce bene si distende, mosso da quell’unica piega sorniona che solleva l’angolo destro delle sue labbra; avverte il suo respiro tornare regolare, un soffio dopo l’altro, e accoglie un ultimo bacio leggero, prima di seguire il movimento con cui lui si volge lentamente verso la porta d’ingresso, quasi volesse proprio accompagnarla a guardare in quella direzione.
E’ in quel preciso istante, quando lo sguardo arriva allo specchio della porta, che Yuki sente il cuore fermarsi: Tsubasa, fermo nell’ingresso, li sta guardando. Ha gli occhi sgranati, le labbra dischiuse in una espressione di assoluta incredulità e sembra impietrito, incapace di proferire una qualsivoglia parola.
Yuki riesce appena a scambiare un’occhiata con Genzo, che nonostante tutto sembra il ritratto dell’assoluto compiacimento per quella situazione che, al contrario, a lei pare ancora completamente assurda, ma poi lui si muove, le circonda le spalle con un braccio e la accompagna attraverso il soggiorno, fino a fermarsi giusto di fronte alla statua di Tsubasa.
- Adesso ti è chiaro come stanno le cose, Tsubasa? – chiede Genzo con un tono incredibilmente rilassato per poi riprendere a parlare – Non è che qualcuno le fa il filo, né che lei ci prova con me … siamo io e lei. Punto. Yuki è meine bessere Hälfte. -
Eccolo il momento cruciale, quello che Genzo aveva considerato un sorta di bestia nera e che invece, ora, proprio lui ha affrontato a viso aperto, con una sfacciataggine che non gli aveva mai visto prima; d’istinto, si stringe un poco di più al suo fianco, fiera di come abbia superato quell’ostacolo e della determinazione che ha dimostrato nel dichiarare a viso aperto come stiano le cose.
 
Quando il tempo torna a scorrere, Tsubasa non crede ai propri occhi: Wakabayashi e Yuki gli stanno di fronte e lui le cinge veramente le spalle in un gesto che si accorda alla perfezione con tutto quello che gli ha già visto fare e con le parole che ha pronunciato. Eppure, tutto gli sembra assurdo.
- Ma … come sarebbe? – la domanda, che, si rende conto, non è delle più intelligenti, è l’unica cosa che gli riesca di dire e sembra suscitare l’ilarità di Wakabayashi che senza scomporsi più di tanto, per tutta risposta si mette a ridere, mentre Yuki strabuzza gli occhi.
- Che spiegazione dovremmo darti? – chiede lei, che se poco prima sembrava piuttosto sorpresa, ora invece pare aver preso male la sua naturale incredulità.
- Non so … - cerca di riprendere Tsubasa - … ma ci avete pensato bene? Wakabayashi, insomma … lei non c’entra niente con il calcio e con la tua vita qui … -
Lui tende le spalle, arretrando con il mento – In che senso, scusa? Ti ricordo che i tempi delle manager e dei capitani sono un po’ passati … Le scuole medie sono finite da un pezzo! –
- Sì! Lo so … ma insomma, lei tra poco tornerà a Nankatsu e voi … - non riesce a non ribattere, pensando che proprio perché Yuki non ha nessun legame con il calcio e ha invece aperto un impegnativo corso di studi, pensare di intrattenere un legame a distanza con uno come Wakabayashi sia quanto meno l’ultima delle idee raccomandabili.
Tuttavia il SGGK non sembra per niente disposto a cedere - Tsubasa, non mi sembri la persona giusta per venirmi a fare la predica: mi pare che tu stesso abbia una ragazza che ti aspetta a parecchi fusi orari di distanza! –
Il suo tono è severo e Tsubasa non può che reagire - Ma si tratta di Sanae! Ci conosciamo da una vita! Non hai timore che poi, frequentandovi e conoscendola meglio … -
- Per tua informazione, lei abita con me da sette mesi … - l’osservazione è ovvia ma lo coglie comunque alla sprovvista.
- Sette mesi … - per un attimo verifica mentalmente che tra febbraio e agosto ci siano veramente sette mesi e il conto torna straordinariamente corretto anche a lui - … certo, ma stare insieme è un’altra cosa! Insomma, vuol dire impegnarsi e conoscersi davvero a fondo. Non hai paura che poi … -
- Di cosa dovrei avere timore? Della convivenza, forse? – il tono ironico di Wakabayashi, fa sfuggire un sorriso persino a lui; tutta questa storia continua a sembrargli assurda ma le ragioni del portiere smorzano ogni possibilità di ribattere, almeno per il momento. Così, prende un profondo respiro e porta una mano alla testa, affondando le dita tra i capelli per smuoverli, quasi che con quel gesto possa riordinare pure le sue idee, anche se l’unica che riesce a galleggiare nella confusione che gli si è creata in testa è che Yuki e Wakabayashi stanno insieme.
- Ehi! Ma non sarebbe il caso di cenare? – la voce di Yuki coglie entrambi alla sprovvista; Wakabayashi, ancora fermo nell’ingresso, di fronte a lui, si è voltato a cercarla e solo ora Tsubasa si accorge che lei li ha lasciati soli a battibeccare, rifugiandosi nel soggiorno, pronta a cogliere il primo istante di tregua.
- Arriviamo! - il portiere le risponde subito, certamente più pronto a superare quel confronto che invece, per lui, resta ancora un peso da digerire, ma poi sente la grande mano afferrarlo per una spalla e scuoterlo un poco – Ehi, Tsubasa! Forza, andiamo a mangiare! So che non te lo aspettavi … ma non puoi fare altro che prenderne atto! –
 
Genzo mastica energicamente, in preda ad un inaspettato buon umore, mentre infilza un’altra forchettata di patate e cavolo; osserva di sottecchi Tsubasa che, al contrario, sta sbocconcellando la salsiccia da qualche minuto, chiuso in un ostinato silenzio iniziato quando si sono seduti a tavola per la cena, e alla fine si decide a tentare un avvicinamento - Come ti sembra? -
L’altro solleva un sopracciglio e, dallo sguardo, Genzo intuisce che gli ci vuole qualche attimo per comprendere il significato della domanda che gli ha appena rivolto. Lui annuisce appena e si affretta a rispondere – Niente male. – ma poi lo sguardo affonda di nuovo nel piatto.
Addenta della salsiccia e scambia un cenno di intesa con Yuki, prima di pescare qualche pezzo di carne pure dal suo piatto, perché lei adora il Grünkohl di Amburgo, ma le porzioni sono davvero troppo abbondanti per il suo appetito. Poi si rivolge ancora a Tsubasa – Se ti va, domani mattina andiamo a correre e ti faccio fare un giro verso nord per vedere qualche altro posticino dove potremmo andare a pranzo. Oppure, potremmo andare in auto a Timmendorfer[i], in spiaggia. – gli basta muovere appena la mano sinistra per sfiorare le dita di Yuki e attirare la sua attenzione – Non ti ho ancora portata a vedere il mare del Nord … -
Lei annuisce pronta – Non sarà la spiaggia di Barcellona, ma forse anche Tsubasa si sentirà più a suo agio. –
Lui alza lo sguardo, riesce a sorriderle a labbra tese, ma l’espressione resta comunque assente e Genzo può leggere sul viso di Yuki quanto quella situazione la metta ancora a disagio.
- Se non hai portato un costume, Tsubasa, possiamo recuperarne uno là o passando per Lubecca. Non sarà un problema. – risolve pratico Genzo che riprende a mangiare, puntando questa volta sulle patate di Yuki – Kaltz mi ha detto un sacco di volte che dovremmo andarci a fare un giro e questa mi sembra l’occasione giusta! Cosa ne pensi? –
L’altro annuisce appena – Per me va bene. – e poi si eclissa di nuovo dietro una cortina di pensieri, mentre Genzo scorge chiaramente come il suo sguardo non perda nessuno dei movimenti delle sue mani che continuano a vagare tra il piatto suo e di Yuki, dal tovagliolo alle mani di lei.
- Oppure ti piacerebbe fare qualcosa di diverso? – gli chiede ancora Genzo – Sai, Amburgo offre un sacco di possibilità … -
- Io non … - Tsubasa non si esprime, ma Genzo non molla la presa, intuendo che qualcosa, prima o poi debba uscire dal suo comportamento insolito, perché conosce abbastanza il suo Capitano da aver colto il suo ribollire nascosto.
- Se invece preferisci restare in città, possiamo tornare in centro … Possiamo andare al mare più avanti, io e Yuki. – lo incalza - Non hai che da scegliere. –
Tsubasa porta del cavolo alla bocca, mangia in silenzio e alza le spalle, in un’immagine stranamente opaca che Genzo fatica a sovrapporre a quella che ricorda di lui; gli dispiace vederlo così spento, ma è anche consapevole che lui non abbia ragione di tenere in piedi un atteggiamento così cupo e non intende mollare la presa. Inspira a fondo e poi libera un lungo soffio attraverso le narici, mentre afferra il tovagliolo e lo accartoccia accanto al piatto – Dimmi qualcosa, Tsubasa: non aspetto altro. –
La frase è chiara, l’invito duplice, e Tsubasa, forse senza nemmeno rendersene conto, sputa il rospo – Dico che dovevate farmelo sapere prima! –
Sente Yuki trattenere il fiato ma, tutto sommato, sa di essere lui a dover rispondere e la cosa non lo mette in difficoltà come avrebbe potuto immaginare; e comunque, deve ammetterlo, credeva che far sbottare Tsubasa avrebbe richiesto maggiore impegno.
– Non arrabbiarti con lei, perché la colpa è solo mia. – esordisce insospettabilmente padrone di sé – Sono io che mi sentivo in difficoltà al pensiero di parlartene. –
La reazione di Tsubasa è istintiva – Certo! Capivi tu stesso che era una cosa assurda! –
- Cosa volevi? Un comunicato ufficiale? – lo provoca deliberatamente - O una chiamata tipo … Ehi, Tsubasa! Sai che mi sono innamorato di tua sorella? -
- Ho capito, ma niente di niente? Nessun cenno, nessuna avvisaglia, non una foto insieme … - la voce di Tsubasa assume un tono acuto, il suo viso esprime tutta la sua insofferenza, ma Genzo è pronto a controbattere, per niente intimidito.
- Ehi! Ti ricordo che tu hai ancora sul profilo una foto con lei, invece che con la tua ragazza! –
- E’ diverso. – afferma però sicuro l’altro - Yuki è mia sorella; mettere una foto con Sanae sarebbe come buttare lei in pasto ai giornalisti! –
- Quindi che io ci butti Yuki, invece, va bene! – sbotta allora di rimando, insofferente al comportamento dell’altro, ma anche certo delle proprie ragioni.
Per qualche istante, sulla tavola cala il silenzio. Genzo allunga di nuovo una mano verso Yuki, stringendo la sua nella propria, per poi incrociare il suo sguardo. I suoi occhi gli rivelano presto quanto la discussione la stia mettendo alla prova e, silenziosamente, lo implora di avere pazienza; Tsubasa, resta sempre suo fratello, anche se in questo momento Genzo vorrebbe davvero prenderlo a schiaffi.
Chiude gli occhi, riordina le idee e infine torna a parlare, imponendosi di mantenere la calma.
- Devo dirla tutta, Tsubasa: io mi facevo problemi perché siamo amici e mi imbarazzava il fatto che potessi pensarmi così … vicino a lei. –
Tsubasa inarca le sopracciglia ma resta zitto, le labbra serrate in una linea orizzontale, così Genzo si schiarisce la voce e si fa coraggio.
- Non mi piacciono i discorsi da spogliatoio e le battute idiote sui nostri compagni che frequentano qualche ragazza. So che non sei il tipo che alimenta certi discorsi … ma insomma, già il fatto che tu potessi fare due più due, mi metteva a disagio. –
Le sopracciglia di Tsubasa si muovono e l’arco cambia forma; i suoi occhi scuri cercano Yuki per un istante e poi rimbalzano attorno, mentre le mani sfregano nervose sulle cosce. Quando i due si incrociano di nuovo, Yuki si alza, stringe per un attimo la mano sul braccio di Genzo e si allontana con la scusa di andare a prendere qualcos’altro da bere. Solo allora, quando rimangono soli, Tsubasa si decide a chiedere, vagamente sospettoso – Non è perché … era una cosa da una botta e via, vero? – e allora Genzo, in un attimo, si sente esplodere.
Morde la lingua, chiudendo gli occhi, perché l’idea dello schiaffo torna prepotente mentre la pressione nelle vene schizza alle stelle, tanto da fargli rimbombare le orecchie. Si sente scottare, probabilmente ha pure cambiato colore e il riflesso nella finestra che gli sta di fianco gli dà ragione. Vorrebbe urlare e prende fiato per liberare i peggiori insulti che abbia mai esploso contro qualcuno, dentro e fuori dal campo … ma quando riapre gli occhi su Tsubasa, gli è chiaro che l’altro abbia già tratto le proprie conclusioni.
- Ti sembro il tipo, Tsubasa?! – il ringhio con cui si esprime è talmente basso che dubita che Tsubasa possa averlo udito, eppure la sua espressione si fa ancora più mesta e la sua voce arriva in un sussurro.
- Scusami, Wakabayashi. E’ che io … -
- Mi conosci, Tsubasa. Dimmelo: ti sembro il tipo?! – insiste, alzando il tono, forse ora riconoscendosi più ferito che arrabbiato, e l’altro scuote il capo evidentemente sconsolato.
- Non sei il tipo. – ammette – E io dovrei essere felice per voi, eppure questa cosa in qualche modo … mi spiazza. –
- Non te lo aspettavi? – chiede a mezza voce, cercando di capire – Ma il problema sono io oppure … -
- Il problema sono io, credo. – precisa allora Tsubasa – Perché per me lei è la mia sorellina … e mi sembra impossibile che possa … -
- … innamorarsi? O stare bene con me? – cerca di completare Genzo e Tsubasa solleva le spalle come se, per quanto assurda, l’idea possa essere corretta.
- Me la sono persa: questa è la verità. – cerca di spiegare e forse il fatto di essere rimasti soli lo aiuta a vuotare il sacco e anche a guardare meglio dentro se stesso, dando una forma a quella sorta di malessere che lo aveva attanagliato vedendo il bacio tra loro – L’ho lasciata che aveva appena iniziato le scuole medie, l’ho vista solo nelle pause durante le vacanze e … e forse non mi va giù il fatto che abbia passato più tempo con te in questi mesi, che con me negli ultimi anni. Non so come l’abbia vissuta lei, ma mi sento … responsabile per lei. Mi sentivo così ogni volta che la rivedevo e che la portavo con me alle nostre uscite … –
- Ti senti tradito? Ti fidavi di me, perché l’ho accolta qui, ma poi … -
- Mi vergogno ad ammetterlo, ma forse è qualcosa del genere. O forse … - il suo sguardo resta basso e le parole sembrano più una riflessione personale, che una confidenza, che Genzo accoglie in silenzio – Sono suo fratello maggiore: avrei dovuto occuparmi di lei e magari anche … preoccuparmi di come stesse vivendo certe cose, insomma. –
Il silenzio che segue invita Genzo a venire in aiuto di Tsubasa - Su questo, sul tuo essere lontano, non posso darti torto: più o meno indirettamente, l’ho colto in tante occasioni nelle sue parole. Anche se non lo ammetterebbe mai, perché ti appoggia nella tua scelta di vita, le sei mancato immensamente. – Le sue parole sono un fluire tranquillo, la tensione di poco prima sembra essersi tramutata in un lucido tentativo di arrivare al punto della questione – Eppure, ti ricordi la sua reazione di questa mattina, non appena ti ha visto? Non l’hai persa, Tsubasa: ha solo bisogno di sentire che ci sei, per lei, in qualche modo. Fosse anche solo con la tua … approvazione. -
Tsubasa accenna un sorriso e i suoi occhi si assottigliano – Ehi, Wakabayashi, stai cercando di corrompermi? E’ così che cerchi di convincermi di non averla presa alla leggera? – ma Genzo, nonostante il tono leggero delle sue parole, coglie uno spunto che non vuole lasciar cadere nel silenzio.
– Se l’avessi presa alla leggera, o se lo avesse fatto lei … non ci avremmo impiegato quasi cinque mesi a renderci conto dei nostri sentimenti e a … muoverci. –
Tsubasa solleva il capo, la sua espressione velata di sorpresa, vira presto in una smorfia canzonatoria, ma Genzo è veloce a riprenderlo – Non dire una parola, Tsubasa! Non tu che ci hai messo anni a deciderti … -
Lo scambio di sguardi che segue scioglie l’imbarazzo di uno nell’espressione saccente dell’altro, fino a che la tensione accumulata non si stempera in una risata dal tono caldo ed è allora che Genzo sente davvero di aver superato quello che per tanto tempo aveva considerato uno scoglio insormontabile. Nella pacca bonaria che Tsubasa gli molla sulla schiena, riconosce l’amico e soprattutto il Capitano con la sua benedizione; con il pugno sulla spalla con cui risponde, Genzo firma un accordo silenzioso, una sorta di promessa perché mettere Yuki tra di loro diventi il sigillo di un sodalizio ancora più forte.
Quando lei li raggiunge, evidentemente richiamata dalle loro risate, Genzo non può che allungare le braccia per attirarla a sé e baciarla, non come sfida, né come provocazione, ma finalmente come la dichiarazione d’amore di cui sente impellente la necessità.
 
[i] Selezionata tra le dieci migliori spiagge della Germania, si trova vicino a Lubecca ed è comodamente raggiungibile da Amburgo

Angolo dell'autrice: periodo che va di male in peggio, per me, e che sta minando fortemente il mio umore già fragile. Per ora, cerco di tener duro e di rifugiarmi in questo angolo di leggerezza che vorrei restasse davvero tale, nonostante tutto.
Con questo capitolo, l'incontro temuto da Genzo ha il suo sviluppo rivelando quel malessere che ha impedito a Tsubasa di aprire davvero gli occhi su quello che gli stava di fronte e che forse, proprio grazie alle parole di Genzo, sarà più facile da superare.
Ringrazio chi ancora legge e mi fa compagnia dopo tanti capitoli... 
A presto
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** ... naturalezza ***


25. … naturalezza
 
Li raggiunge in soggiorno, ristorato dalla doccia e finalmente rilassato; pensare a loro come a una coppia gli provoca ancora un leggero brivido alla nuca, ma trovarli insieme sul divano ormai arrangiato a letto, lui semi sdraiato e lei seduta nel suo abbraccio, con la schiena appoggiata al suo petto, mentre guardano insieme il pc che lei tiene sulle ginocchia, lo induce istintivamente a sorridere. Sono belli, insieme, deve ammetterlo; esprimono una sintonia che non ha nulla di sdolcinato e appare come il legame più naturale che abbia mai visto. Niente a che vedere con la timidezza di Yayoi accanto a Misugi, né con il fare sempre un po’ distaccato di lui; nulla che faccia pensare al legame burrascoso tra Ryo e Yukari. Sono anche diversi da come si vede con Sanae, perché, ora se ne è reso conto, Yuki e Wakabayashi hanno un equilibrio differente e i loro modi di fare sembrano compenetrarsi, mentre lui si sente completato da Sanae. Sono affascinanti, non può negarlo, e comprende quanto lui tenga a lei anche ripensando a come la sua indole irruenta apparentemente sopita con gli anni si sia risvegliata per difendere proprio il loro legame. Poterli osservare in questo frangente è un privilegio che forse avevano riservato solo a Kaltz e incredibilmente si accorge di non sentirsi di troppo, chiuso in questo appartamento insieme a loro, perché ora li vede così calmi e affiatati e non può che sorridere e sentire che non avrebbe potuto essere altrimenti, tra loro.
- Lavorate alla tua tesina? – conosce la risposta, ma ritiene doveroso introdursi in qualche modo, perché ha visto come siano assorti entrambi nella lettura e ha ragione di credere che nessuno dei due abbia notato la sua presenza.
Lei resta con l’attenzione al pc, mentre Wakabayashi si volge a lui per rispondergli – Già. E’ l’ultimo elaborato da presentare prima di concludere lo stage e lei ci sta lavorando ormai da settimane. -
- Come farete quando Yuki dovrà rientrare? – la domanda gli sfugge spontanea e un po’ si pente di aver messo in tavola un argomento certamente spinoso.
- Non lo so. – ammette Genzo e il tono è mesto, mentre si piega un po’ in avanti per sfiorare la guancia di Yuki con la propria e la stringe un po’ di più nel suo abbraccio – Intanto, speriamo che possa rimanere ancora qualche mese ad Amburgo; poi ... –
- Il Giappone è lontano. – sussurra Tsubasa, quasi tra sé e sé – Non mi era mai sembrato così lontano come adesso. –
- Allora sai bene che in qualche modo dovremo organizzarci: quando non potrò viaggiare io, cercherà di raggiungermi lei. Anche se so che non sarà facile, in questo modo. –
- Sarà difficile per entrambi, a meno che lei non si cerchi un lavoro qui, terminati gli studi. – osserva con un’alzata di spalle.
Wakabayashi sembra sorpreso nel sentirlo formulare una simile ipotesi; forse non aveva immaginato che potesse già spingersi tanto avanti nel tempo, nell’immaginarli insieme o, piuttosto, a spiazzarlo è il fatto che lui stia pensando a soluzioni perché possano continuare a stare vicini.
- Mi piacerebbe stabilirmi qui: Amburgo è molto accogliente. – concorda lei che non distoglie lo sguardo dal pc ma evidentemente non si è persa una sola parola del loro scambio – E’ la città di Genzo e la sento già un po’ anche mia. –
- Oppure, potrei spostarmi io. – il portiere esprime il suo pensiero con una tale leggerezza che per qualche istante nessuno sembra fiatare, fino a quando Tsubasa, per primo, realizza quello che lui ha detto.
- Cosa faresti, tu?! –
- Ho detto che potrei spostarmi io: niente mi ha mai fatto davvero considerare la possibilità di lasciare Amburgo, nonostante io abbia ricevuto più di una proposta allettante … ma per lei, potrei anche considerare di tornare in Giappone. Sono il portiere della Nazionale: non credo che avrei difficoltà a trovare un ingaggio, se dovessi esprimere il desiderio di rientrare in patria. – spiega con naturalezza.
Yuki drizza le spalle, lascia persino la tesina per girarsi a cercare Wakabayashi – Non sarebbe la stessa cosa, Genzo, e tu lo sai benissimo: qui giochi a un livello molto superiore a quello della JLeague! Non devi nemmeno pensare di sacrificare la tua carriera per me. –
- Nemmeno tu devi sacrificare la tua carriera, per me. – le risponde pronto lui, ma Yuki è veloce a ribattere, come se avesse già avuto modo di riflettere sulla questione.
- Io non devo sacrificare niente perché la mia eventuale carriera è tutta da costruire: devo solo decidere dove iniziare. Tu invece hai una posizione invidiabile che ti sei guadagnato con anni di determinazione, impegno, fatica e dedizione assoluta che io posso a mala pena intuire! -
- Quanto a determinazione … anche tu non scherzi, Hälfte. – Wakabayashi se la ride, ma nel suo sguardo è palese l’ammirazione che muove i suoi sentimenti. Poi improvvisamente distende le braccia sopra il capo, stiracchiandosi e soffocando uno sbadiglio – Ad ogni modo, si è fatta mezzanotte e non credo che sia il caso di risolvere adesso questioni così importanti. – La sua mano chiude il pc davanti a Yuki per sfilarlo dalla sua presa e sistemarlo sul tavolino poco distante – Direi invece che sia il caso di andare a dormire. –
- Ben detto, Wakabayashi! – concorda Tsubasa sollevandosi dal divano letto e raggiungendo il suo trolley abbandonato in un angolo del soggiorno, per poi piegarsi e mettersi a rovistare al suo interno – Prima, però, dovrei mettere in carica il telefono … altrimenti domani sarò proprio a secco e chi la sente, poi, Sanae! – Affonda le mani tra i vestiti, ribalta più volte tutto il contenuto della valigia e tenta una ricerca anche nelle tasche laterali, prima di lasciarsi sfuggire un – Oh, cazzo … -
- Fammi indovinare: non hai portato il carica batteria. – Yuki l’ha raggiunto e se ne sta con i pugni puntati sui fianchi e un sorrisetto storto.
- Ehm … esatto. – ammette Tsubasa con un sospiro – Devo averlo lasciato davvero a casa … forse nel borsone, o nella valigia; o magari … - Cerca di recuperare quando sia l’ultima occasione in cui l’ha utilizzato; immagina che sia la scorsa notte, in vista della partenza per Amburgo, ma non riesce a ricordare meglio dove possa essere rimasto il cavetto incriminato.
Lei si limita a scuotere il capo; avrebbe tutte le ragioni per infilare una serie di rimproveri e prese per i fondelli, ma smuove appena le spalle soffocando una risata, mentre si allontana verso il disimpegno - Dai, vieni con me: dovrebbe andare bene uno dei miei. –
Così Tsubasa la segue fino alla camera, dove lei si siede sul letto mentre Wakabayashi, dall’altro lato della stanza, si sta sfilando la maglia e poi, rimasto a dorso nudo, si sistema dalla sua parte del materasso, distendendosi e godendosi la scena. Yuki afferra un cavetto già collegato alla presa, mettendo in carica il proprio telefono – Dovrebbe essercene un altro, di scorta, da qualche parte … -
- Credo nel tuo cassetto, Yuki: era quello che avevi perso … salvo poi ritrovarlo non appena ne abbiamo comprato uno nuovo. – Wakabayashi lo precisa sorridendo e scambiando un’occhiata con Tsubasa – Buon sangue non mente: avete un certo feeling con i cavetti … -
Lei non pare aversene a male, gli indirizza una smorfia e poi tira il cassetto, smuovendo tutto il suo contenuto e trovando finalmente quello che cerca; tuttavia Tsubasa, che ha seguito ogni suo gesto, sperando di essere di aiuto, non può che soffermare la sua attenzione su qualcosa d’altro, che dentro a quel cassetto fa bella mostra di sé e non distoglie lo sguardo da quella scatola di preservativi nemmeno quando Yuki agita il cavetto sotto al suo naso.
Ecco, a quello non aveva proprio pensato; o forse, ci aveva pensato ma aveva preferito non soffermarsi troppo sui dettagli. Loro stanno insieme, lei evidentemente dorme nel suo letto ormai da tempo … e a questo punto non può che avere la certezza che qualche tappa sia già stata bruciata anche sotto il profilo intimità. A cosa si riferisse Wakabayashi dicendo che lo imbarazzava il fatto che lui potesse pensarlo così vicino a lei, ora è fin troppo chiaro. Due più due. Deglutisce, sente un leggero fastidio arrampicarsi dalla base della schiena fin sulle spalle in un formicolio che lo mette a disagio e lo lascia sospeso, incapace di muoversi, e in un attimo il pensiero corre a se stesso, ai momenti trascorsi insieme a Sanae, alla voglia irrefrenabile di spremere ogni istante dei giorni che avevano da trascorrere insieme per legarsi in modo sempre più stretto, quasi per prendere fiato prima della lunga apnea che li avrebbe tenuti separati dopo il ritorno in Europa. Non riesce a scacciare quelle immagini, né le sensazioni che tornano a galla al solo pensare a Sanae, e il brivido che corre sulla pelle prende una forma completamente diversa, spingendo dall’imbarazzo al bisogno …
Si riprende solo quando Yuki gli afferra la mano per lasciargli tra le dita il carica batterie e lo apostrofa decisa – Sveglia, Tsubasa! E soprattutto, non fare quella faccia: gira voce che tu sia intenzionato a cercare un appartamento tutto per te, per poter stare in santa pace con Sanae ogni qualvolta lei avrà la possibilità di raggiungerti. Sappiamo che non sei innocente come vorresti farci credere! –
Tsubasa si riscuote, spalanca gli occhi e li fissa in quelli della sorella – E tu come …? –
- Io ho le mie fonti. Tu, invece, organizzati! – taglia corto lei indicando il contenuto del cassetto con un cenno del capo, per poi afferrarlo per i fianchi inducendolo a voltarsi e infine dargli una leggera spinta proprio sul sedere – Buona notte, Tsu. –
Quando si allontana per raggiungere il suo letto, in soggiorno, con la mente che rimbalza tra i preservativi e quel riferimento alle sue intenzioni, rivelate solo a Sanae, si sente parecchio in imbarazzo … ma poi non può che scuotere il capo, divertito, ridendo anche di se stesso.
– Buona notte, ragazzi! – li saluta, mentre si sistema sotto le lenzuola e l’unica cosa che ottiene in risposta è la lunga risata di Wakabayashi che si interrompe solo quando facendo eco alle parole di Yuki gli grida – Sogni d’oro, Tsu! -
 
Kaltz aveva ragione: le spiagge di Timmerdorfer sono davvero attrezzate in modo superbo e loro non hanno avuto nessuna difficoltà a trovare un lido adatto alle loro esigenze. Oltre ad un paio di sedute imbottite con una curiosa struttura ombreggiante[i], hanno ottenuto una cabina, servizi e un bar rifornito a completa disposizione, su una spiaggia ampia, pulita e relativamente poco affollata.
Dopo un primo bagno nell’acqua limpida e fredda del Baltico e una fin troppo lunga sessione di asciugatura sotto il sole arrogante della tarda mattinata, Yuki si solleva dall’asciugamano, si calca sulla testa il cappello rubato a Genzo, che se ne sta placidamente steso al suo fianco a pancia in giù, e si guarda attorno, scrutando per qualche attimo la spiaggia – Basta, mi sento completamente arrostita: io vado a rifugiarmi all’ombra. –
Genzo punta i gomiti per sollevare le spalle, strizza gli occhi per la luce forte – In effetti sei già stata fin troppo al sole, Yuki. Nonostante la crema, rischi di scottarti … -
- Io invece rischio di rompermi le palle. – il commento di Kaltz fa girare anche Tsubasa che pareva essersi appisolato – Non fa per me starmene steso ad abbrustolire sotto il sole. Tiriamo fuori il pallone? –
Tsubasa, incuriosito, si mette a sedere, mentre Genzo rotola su un fianco per cercare di seguire i movimenti Kaltz che si allontana da loro per andare a frugare nella sua sacca e poi fa ritorno con un pallone colorato sotto braccio. Yuki vede il fratello sollevarsi dall’asciugamano annuendo – Per me va bene! Ma non dite che è stata una mia idea … – e al suo fianco, Genzo si copre il viso con una mano, lanciando un leggero lamento, prima di tirarsi in piedi.
- Non ci credo … anche in spiaggia! Kaltz! Ma cosa ti viene in mente? –
Lei ride divertita nell’osservare lo scatto con cui Tsubasa ha raggiunto il tedesco che già sta tracciando segni sulla sabbia fine, arrangiando una metà campo, ma poi vede che Genzo si china davanti a lei.
- Questo mi serve … - le sussurra, lasciandole un leggero bacio sulle labbra e sfilandole il cappello dal capo – Non posso certo tirarmi indietro davanti ad una sfida di calibro internazionale! - per poi allontanarsi con passo tranquillo, il fisico asciutto ben in vista e la pelle appena lucida che ancora porta i segni dell’ultimo bagno.
Solo allora, dallo stadio improvvisato, Kaltz si agita come colto da una illuminazione – Ho un’idea! Non potete dirmi di no! Senti, Tsubasa, abbiamo il SGGK da battere e un buon motivo per tenerlo sull’attenti: dieci minuti di gioco, tutti contro tutti e chi gli segna, prende un bacio dalla principessa! – il suo indice punta su Yuki e la sua voce aggiunge secca - Un bacio come si deve! –
Yuki, che sta arrivando alla sdraio, si blocca e si gira di scatto urlando – Kaltz! Ma cosa stai ...? – mentre Tsubasa, che aveva già preso posto sulla linea di metà campo, si guarda attorno cercando Genzo con espressione stranita.
– Ma è mia sorella! – si lamenta fingendosi scandalizzato e chiedendo sostegno in Genzo che, da parte sua, conoscendo il tedesco, si limita a borbottare qualcosa scuotendo il capo.
- E’ un idiota, Tsubasa, cosa vuoi che ti dica? – ma in fondo la sua espressione è divertita e probabilmente conosce abbastanza bene il tedesco da sapere che nonostante le sue idee bislacche, quando vuole, sa essere di compagnia come nessun altro.
- Vorrà dire che se segna Tsubasa, il premio lo ritiro io. – taglia corto Kaltz che nel frattempo ha piazzato il pallone a terra, ai piedi dell’altro in attacco, e poi mima una linea orizzontale con un movimento del braccio disteso – Hälfte, tu controlla la traversa un metro sopra la testa del tuo bello! –
- Ma che un metro sopra la mia testa? – Genzo protesta, anche se sta ancora ridendo – Al massimo possiamo fare la porta del calcio a sette: due metri in tutto, niente di più! –
- Gen, sei tu due metri … che gusto ci sarebbe? – si lamenta Kaltz, mentre alle sue spalle Tsubasa osserva lo scambio sempre più divertito e alla fine, in un batti e ribatti, la coppia dell’Amburgo riesce a trovare un accordo, quando Kaltz cede con un gesto ampio del braccio – Ok! Due metri e non se ne parla più, ma la larghezza è quella che ho segnato in terra. -
Quando si mettono a giocare, nonostante le risate, la loro indole combattiva viene a galla e persino Yuki resta affascinata di fronte ai movimenti rapidi, alla precisione degli scatti e alla forza dei tiri con cui sia Kaltz che Tsubasa cercano di sfondare quella specie di porta difesa da Genzo. Sono svelti, quando corrono, e benché tengano il capo basso, scorge i loro sguardi attenti, pronti a cogliere i minimi movimenti dell’altro, anche in quelle nuvole di sabbia che sollevano ad ogni passo. La sfida tra Kaltz e Tsubasa è uno spettacolo che in pochi minuti attira qualche curioso a bordo campo. Gli spettatori si improvvisano raccattapalle e quando Yuki si avvicina, mischiandosi con i presenti, coglie qualche commento qua e là. Si trovano a poca distanza da Lubecca, i tifosi dell’Amburgo non mancano, e qualcuno ha riconosciuto Kaltz e Genzo, oltre ad aver notato la classe del terzo in campo, ipotizzando immediatamente di chi possa trattarsi e trovando conferma in rapide ricerche sul web. Lei segue il gioco, scorge l’espressione concentrata di Genzo ed è letteralmente rapita dal suo modo di piazzarsi tra i pali immaginari … Non l’ha mai visto giocare a calcio così da vicino e nonostante la situazione, che è tutto fuorché ufficiale, non può che restare senza parole, ammaliata da ogni suo movimento, dal suo mantenere la posizione e dalla potenza che sprigiona quando si lancia per afferrare la palla o quando avanza per anticipare i rivali. I tentativi di tiro si susseguono, i tifosi si scaldano e la spiaggia si trasforma in uno vero stadio quando Tsubasa scarta Kaltz, alza la palla e salta per tentare una rovesciata; la sfera è un proiettile dalla traiettoria inusuale, gli spazi ravvicinati non giocano a favore di Genzo che si lancia di lato in uno scatto repentino e qualcuno sta già festeggiando il goal, quando, malgrado tutto, lui riesce a raggiungere la palla e a tirarla a sé in una stretta sicura.
I dieci minuti stabiliti da Kaltz sono più che trascorsi e Genzo, nonostante gli innumerevoli tiri dei due in campo, ha difeso la sua porta, mantenendo fede alla sua fama.
- Hai vinto, Gen! – esclama Kaltz rassegnato correndo sulla sabbia per raggiungerlo, sudato e piuttosto affannato – Dovevo immaginarlo che mettendo in palio un bacio di Hälfte non ci avresti lasciato neanche un millimetro scoperto! – e poi gli tende la mano per aiutarlo a rialzarsi.
Tsubasa, alle spalle del tedesco, li osserva mentre con un polso toglie il sudore dalla fronte e poi si smuove i capelli, liberandoli dalla sabbia – Resti sempre il migliore, Wakabayashi … e anche tu, Kaltz, non sei niente male! -
- In realtà, la sabbia fa la differenza più per voi, che per me … - minimizza Genzo scuotendosi la sabbia di dosso - … ma comunque vi ho battuto! – conclude puntando l’indice sugli avversari per poi farsi largo tra la piccola folla di presenti, raggiungendo Yuki e chiedendole diretto - Il mio premio? -
E’ davanti a quel pubblico di tifosi da spiaggia, che ormai stanno attorniando i giocatori per un selfie e un autografo, che Genzo con un sorriso colmo di soddisfazione si prende il suo premio, travolgendo Yuki in un abbraccio e in un meritatissimo bacio; Kaltz, sempre pronto a cogliere le occasioni migliori, urla – E bravo Gen! – e passa un braccio attorno alle spalle di Tsubasa sostenendosi a lui proprio mentre questo si porta pollice e indice alle labbra per un lungo fischio di approvazione che accende di rimando l’ilarità di tutti i presenti in un bonario caos di urla sguaiate e commenti soddisfatti gridati a gran voce.
 
Quando scioglie l’abbraccio di Yuki, Tsubasa sente uno strano nodo in gola e deve passarsi un palmo sugli occhi per scongiurare una figuraccia da sentimentale.
- Sono felice di essere riuscito a raggiungerti, Yuki … non puoi immaginare quanto. – riesce a dirle a mezza voce, e nei suoi occhi scuri legge tutta la sua felicità per quella ammissione – Ho fatto scoperte importanti … cose che proprio non mi aspettavo, ma questo mi rende ancora più orgoglioso di te. –
- Ti voglio bene Tsu … - è l’unica cosa che si lascia sfuggire, perché anche lei ha gli occhi lucidi e trattiene a fatica le lacrime - … Fammi sapere come vanno le cose … E con Sanae, mi raccomando! – e poi gli posa il palmo aperto sul petto, prima di stringerlo ancora una volta in un abbraccio.
Si lasciano quando l’altoparlante chiama per la seconda volta i passeggeri del volo per Barcellona e Tsubasa, prima di partire, sa di avere ancora un conto in sospeso. Si rivolge a Wakabayashi, apre le braccia in un cenno di invito e in attimo si trova in un nuovo abbraccio, stretto e fraterno, come solo un amico sincero potrebbe dargli.
- Buon viaggio, Tsubasa, e grazie per la visita … - lo saluta ma lui, prima di allontanarsi dal portiere, sente il bisogno di dirgli ancora qualcosa.
- Grazie, Wakabayashi. E … - con un cenno leggero, indica Yuki, appena discosta da loro, ora impegnata con Kaltz - … io sono … contento. Per voi. Davvero. –
- Meglio così, perché non ho nessuna intenzione di farmela scappare! – sdrammatizza il portiere in quella che sembra una battuta, ma che dal suo sguardo capisce essere intento più che serio.
Il silenzio tra loro dura solo un istante, ma lo sguardo che si scambiano è eloquente e diretto, fino a che lui non torna a spiegare un sorriso furbo, mormorando un - Non strapazzarla troppo, però … Intesi? – che riesce evidentemente a spiazzare Wakabayashi.
- Fammi salutare il tuo Capitano, Gen! Perché la prossima volta che ci vedremo non potrò essere così amichevole, con lui! – Kaltz si intromette, afferrando la mano di Tsubasa con una stretta potente e una energica pacca sulla spalla, allontanando malamente Wakabayashi, ancora zitto – Stai tranquillo, Tsubasa: questo qui te lo tengo d’occhio io! -
- A presto, Kaltz! E grazie anche a te! – lo saluta annuendo e in quella stretta sincera percepisce ancora una volta tutta la genuina amicizia che il tedesco condivide con il compagno di squadra.
Quando si allontana, cammina a ritroso, per qualche passo, fermando lo sguardo su Yuki stretta a Wakabayashi e su Kaltz, che dalle loro spalle li abbraccia entrambi, come uno strambo spirito custode, e in quel momento si sente pronto davvero ad andare, trattenendo nella memoria quell’immagine impagabile di amicizia e fiducia.
 
[i] Dalle immagini recuperate nel web, ho potuto constatare che su queste spiagge vanno per la maggiore dei curiosi trabiccoli ombreggianti con divanetto integrato


Angolo dell'autrice: pubblico con qualche ora di anticipo sul ritmo classico, ma perchè no? 
Tengo a ringraziare tutti gli amici che mi hanno lasciato le loro dimostrazioni di affetto e il loro sostegno: purtroppo, per me sono state due settimane molto difficili e tristi che però hanno segnato una svolta, oltre la quale non posso che reagire, in qualche modo. Il racconto, invece, passa da una pagina molto serena che mi auguro abbia portato anche a voi il calore che, sono convinta, hanno sentito i nostri protagonisti.
Grazie a tutti e ...  a presto.
maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** ... realtà ***


26. … realtà
 
- Sei la solita piaga, Kaltz! Abbiamo ripreso gli allenamenti da due giorni e ti stai già lamentando del mister? – Genzo passeggia per il soggiorno, il cellulare all’orecchio e l’espressione divertita.
- Non mi sto lamentando del mister, sto specificando che mi fa male tutto e che probabilmente quello che ho fatto durante le vacanze non mi è bastato per rimanere in forma e … - riprende il tedesco e lui se la ride, allontanando il telefono da sé per abbassarlo un istante alla portata di Yuki che seduta sul divano con il pc sulle ginocchia aggrotta la fronte all’udire lo sproloquio dell’altro.
Poi ricomincia a muoversi, allunga una mano e prende un salatino dalla ciotola sulla penisola - Abbiamo entrambi corso quasi ogni giorno e fatto gli esercizi di mantenimento che ci erano stati suggeriti; adesso riprendiamo gli allenamenti regolari e, come sempre, nel giro di poco … -
- Non mi freghi Gen: si vedeva lontano un miglio che tu sei il più in forma e nessuno mi toglie dalla testa che la tua ginnastica notturna sia al di sopra di quella di tutti noi messi insieme. Vecchio porco che non sei altro! – insinua Kaltz, provocando la sua immediata reazione.
- E tu sei il solito pervertito! Io penso che a me sia andata bene perché la panchina mi ha fatto arrivare a fine stagione meno tirato. – spiega, più ragionevole, pur senza riuscire a convincere il compagno di squadra.
- Mettila come ti pare, ma non credo di avere le forze per una serata in giro per locali … - ammette Kaltz quasi rassegnato – Forse mi devo adattare ad un sabato sera davanti alla tv, tipo quelli che ti fai tu da qualche mese a questa parte! –
Gli scappa da ridere, vorrebbe che Yuki sentisse anche questa sparata del tedesco, ma lei sembra essersi improvvisamente interessata al proprio cellulare e Genzo torna dall’amico.
- Ci fai compagnia? – butta lì una proposta e cerca Yuki con lo sguardo per chiederle un parere, ma lei sembra ancora assorta nella lettura di qualcosa, china con il suo telefono in mano, e quindi procede – Potresti venire qui a lamentarti in diretta dei tuoi dolori … -
- Cucini tu o prepara qualcosa Hälfte? – chiede l’altro sospettoso – Perché non ho intenzione di passare direttamente dal mal di gambe al mal di stomaco … -
- Forse potremmo … - Genzo cerca ancora Yuki, prima di avanzare proposte di menu, ma quando posa lo sguardo su di lei, le parole gli sfuggono e il respiro inciampa, prima di trovare un briciolo di razionalità e chiudere la chiamata con un secco – Kaltz, scusa: ti richiamo io. –
Molla il telefono facendolo sparire nella tasca dei pantaloni sportivi, tenendo la sua attenzione fissa su Yuki che improvvisamente si è fatta pallida e con lo sguardo perso. La osserva mentre lascia il pc sul divano, si alza lentamente e il telefono scivola sul cuscino, prima di finire a terra con un tonfo sordo, senza che lei se ne curi. Si muove appena e quando dischiude le labbra, sembra cercare aria, come se non riuscisse a trovarne a sufficienza, mentre ciondola sul posto, lì in piedi tra divano e tavolino.
- Yuki, stai bene? – Genzo si precipita da lei, preoccupato e teso, le afferra una mano mentre la accompagna a voltarsi per poterla osservare meglio – Yuki? – Eppure lei sembra che non lo senta nemmeno, il suo viso resta senza espressione e lo sguardo vaga ancora nel vuoto, così la chiama ancora – Yuki?! – e porta le mani al suo viso, cercando di risvegliarla con maggiore convinzione – Yuki! –
Quando lei solleva il viso, Genzo finalmente scorge il tremore delle sue labbra e il gesto teso con cui socchiude gli occhi, ora lucidi; lei inumidisce le labbra e la sua voce è appena udibile – Non potrò restare, Genzo. –
Per un attimo non comprende ma coglie lo sforzo con cui mormora ancora – Lo stage. Finisce tra dieci giorni. –
Allora tutto gli è chiaro e si sente sprofondare nello stesso vuoto che pare averla inghiottita da quando deve aver appreso la notizia – No … Non è possibile … -
Lei scuote il capo, mentre lo appoggia al suo petto e cerca rifugio nel suo abbraccio, soffocando le parole sulla sua maglia – Non sono nell’elenco, Genzo. Me lo hanno inoltrato poco fa … -
- Hai controllato …? - prova a ipotizzare, sperando in una svista, ma lei non lo lascia nemmeno proseguire.
- Ho già chiesto conferma al tutor: non ci sono. – spiega – Io non … -
Non riesce a risponderle, perché lui stesso realizza solo ora che tutte le speranze che avevano riposto in quel nuovo stage sono crollate in un solo istante e niente potrà fermare le lancette dell’orologio, rallentando il tempo e ritardando la sua partenza. Sa che i corsi, in Giappone, riprenderanno presto e che a mala pena riuscirà a riprendersi dal viaggio di rientro già fissato, che avrebbe volentieri rimandato; sa che entrambi avevano sperato in un nuovo stage e che nonostante le possibilità che lei avesse di rimanere ad Amburgo fossero poche, ci avevano investito tutta la loro capacità di restare lucidi in attesa della risposta che, purtroppo, non è stata quella che speravano.
Dal leggero sussulto tra le braccia, riesce a intuire che Yuki non ha potuto fermare le lacrime e allora la stringe di più, mentre anche lui deglutisce per controllare il suo respiro, e trattiene il fiato per non cedere.
- Abbiamo fatto il possibile, Yuki: sapevamo che sarebbe stato difficile … - prova a consolarla ma lei non risponde e lui cerca ancora di sostenerla – Devi … dobbiamo essere forti e pensare a come organizzarci. –
Si muove appena, avverte il respiro teso dal pianto silenzioso e quando lei porta una mano al viso per scacciare le lacrime ne approfitta per cercare il suo sguardo – Saranno poche settimane e poi potremo vederci di nuovo, a Nankatsu: pensa solo a questo … Io farò in modo di rientrare non appena mi sarà possibile … -
Con gli occhi arrossati, Yuki non riesce a reggere il suo sguardo; si nasconde ancora, si aggrappa a lui e si sostiene circondandogli le spalle con le braccia, finché Genzo non la solleva, prendendola in braccio e avanzando fino al divano, dove si adagia, tenendola stretta.
Sapeva che avrebbe potuto accadere ma, deve ammetterlo, nemmeno lui era pronto alla notizia. Appoggia la schiena al divano, reclina il capo all’indietro e trattiene Yuki a sé, cercando di non aggiungere altro, per il momento. Si sente perso e vuoto, un dolore sordo gli stringe il petto e gli chiude la gola; si sente fragile e non riesce a trattenersi, quando anche sul suo stesso viso sente scivolare le lacrime che fino a quel momento era riuscito a contenere.
 
Non sa quanto tempo abbiano trascorso lì, stretti, in silenzio, sul divano, ma quando il telefono inizia a vibrare dentro la sua tasca, Genzo immagina di chi possa trattarsi e la foto del mittente gliene offre la conferma - Kaltz, ci sono: ti avrei chiamato … -
- Inizio a preoccuparmi, Gen: cosa sta succedendo? – il tono del tedesco tradisce davvero preoccupazione; Genzo prende fiato e si accinge a dare spiegazioni.
- Tranquillo, davvero. E’ che … al momento, stiamo facendo i conti con la fine dello stage di Yuki: la notizia è arrivata un po’ tra capo e collo. –
L’altro sbuffa ed è chiaro che abbia capito al volo – Cazzo, questa non ci voleva, davvero! – Resta in silenzio per qualche attimo e poi riprende, consapevole che non sia il caso di intromettersi oltre – Mi dispiace Gen. Sono sincero: ci avevo sperato anche io … -
- Senti … ti va se ci vediamo domani, per la cena? – la voce è sufficientemente mesta da rendere superflue troppe spiegazioni - Stasera non saremmo troppo di compagnia, temo. –
- Tranquillo, tranquillo, ci mancherebbe altro! Ma … facciamo che me ne occupo io. Voi pensate a tirarvi su! Domani ci inventiamo qualcosa. – Kaltz chiude la chiamata senza nemmeno dargli il tempo di rispondere e Genzo non può che essergli grato per la sua incredibile capacità di comprendere quando lui abbia bisogno di riflettere.
 
Il tavolo sembra un campo di battaglia, tra i vuoti delle birre che si è scolato Kaltz e le scatole accatastate di tutto quello che ha portato per la cena. Anche tutto attorno al divano ci sono i resti della serata, bicchieri e cartocci vari, perché il dopo cena ha visto Kaltz sfoderare tutto un assortimento di dolci tedeschi da far impallidire una pasticceria. Deve ammetterlo: lui sa come sollevare il morale, quando ce n’è bisogno e questa sera il suo amico deve aver dato fondo a tutto il suo repertorio di stupidaggini e figuracce per essere riuscito nell’intento di raddrizzare persino l’umore di Yuki. Vederla finalmente ridere di gusto, sentirla sussultare e divertirsi nell’ascoltare il tedesco, ha fatto bene anche a Genzo, tutto sommato, perché lui stesso faticava a risollevarsi e a reagire alla notizia del giorno precedente, nonostante avesse fatto di tutto per prepararsi ad ogni evenienza. Sa che i giorni a seguire non saranno per niente semplici, ma è anche consapevole che nessuno dei due possa permettersi di abbandonarsi alla tristezza e adesso, in tre sullo stesso divano, con Yuki tra le braccia e Kaltz che, dal lato opposto al loro, si agita nei suoi racconti strampalati, Genzo riesce davvero a godersi la serata.
- Quindi non sei tornato indietro a controllare esattamente cosa fosse successo? – Yuki è curiosa e il suo tono è finalmente leggero. Genzo sogghigna alle sue spalle perché ricorda l’aneddoto raccontato dall’altro, ma non vuole certo rubargli la scena e gli lascia campo libero. Abbraccia Yuki e prende a sfiorarle il braccio con la punta delle dita, mentre Kaltz riprende il racconto.
- Oh, certo che no. – conferma impassibile sottolineando quanto detto con un gesto secco del braccio, la mano mossa a mostrare il palmo – Ma ad ogni modo, il preside il giorno seguente sembrava aver ricostruito tutta la vicenda alla perfezione, visto che a casa mia è arrivata una lettera di richiamo per raccomandata e che poi sono stato sospeso dalla scuola per una intera settimana! –
- Senza contare il risarcimento dei danni … - suggerisce Genzo all’orecchio di Yuki e Kaltz, che ha comunque sentito tutto, sbuffa platealmente, muovendo il capo con disappunto e cogliendo l’occasione per rimarcare un dettaglio.
- Hanno colto la palla al balzo per mettere sulle groppe di mio padre i costi di ripristino del laboratorio di chimica, ma quella robaccia era tutta vecchia come il mondo! Se non avessi dato fuoco io al bancone, avrebbero comunque dovuto cambiare tutto di lì a poco … -
- Quindi la chimica non faceva per te, giusto? – Yuki si informa, scambiando un’occhiata anche con Genzo, prima di tornare al tedesco.
- L’unico che ci capiva qualcosa era Schneider: io e Genzo abbiamo campato con i suoi suggerimenti fino all’ultimo anno! –
Genzo non nega di fronte all’espressione esterrefatta di Yuki e quando le risate sfumano, se la ritrova finalmente rilassata e sorridente, adagiata al suo fianco, che tira un lungo sospiro; la stringe ancora un po’ e con la guancia sfiora quella della ragazza lasciandole un bacio alla base del collo, indugiando sulla sua pelle per un istante più di quanto avrebbe creduto di fare – D’altra parte, non si può essere bravi in tutto … - e l’attimo di silenzio che segue è così denso da profumare già di tutt’altro.
Kaltz scorge chiaramente il brivido che increspa la pelle della ragazza, sorride tra sé e butta un occhio all’orologio per poi alzarsi, stiracchiandosi con mala grazia.
- La mezzanotte è passata da un pezzo, gente: credo che sia meglio liberare il campo, perché il mister domani mattina riuscirà a stimare le mie poche ore di sonno già solo valutando la profondità delle mie occhiaie! –
Raccoglie telefono e portafogli, abbandonati su un ripiano e poi strizza gli occhi guardandosi attorno e puntando l’indice verso i vuoti - Raccattate voi tutta questa baraonda, vero? –
Yuki si solleva dal divano lasciando di malavoglia l’abbraccio caldo di Genzo – Certo, certo … domani mattina avrò modo di ripulire quando sarò sola. –
Lui e il tedesco si incrociano ad un passo dal divano mentre Genzo avanza verso il disimpegno e l’altro coglie l’occasione per girargli un’espressione maliziosa – Capisco perfettamente quando sono di troppo, Gen: qui adesso tira aria di cose che non prevedono la mia presenza … -
Genzo spalanca gli occhi ma non può nemmeno replicare perché l’amico torna al tono tenuto fino a poco prima - Quindi posso davvero andarmene così, senza nemmeno fare finta di … - Kaltz si sta già dirigendo verso il disimpegno, ma tergiversa per un attimo, cercando sornione la conferma di Genzo che non si fa attendere.
- Vattene, Kaltz! – intima lui indicandogli il disimpegno con un cenno del capo e un ammiccamento; si affretta ad aprirgli l’uscio e a spingerlo praticamente fuori nel corridoio comune – Ci vediamo domani, buona notte! – Da oltre il battente, riesce a sentire la voce dell’altro che, tra le risate, gli grida – So benissimo cosa hai in mente, Gen! Ti ho visto! – altri sghignazzi alticci, prima dell’affondo finale – Domani le tue occhiaie saranno molto più profonde delle mie! –
Genzo, dando le spalle alla porta, se la ride, mentre Yuki dal soggiorno si sporge incuriosita dal trambusto, distogliendo per un attimo l’attenzione dal cellulare – Ma cosa sta succedendo? L’hai veramente buttato fuori di casa? Non l’ho nemmeno salutato … –
Lui per tutta risposta, solleva le spalle, mentre pensa che l’amico abbia perfettamente colto nel segno; quando lascia il disimpegno e raggiunge Yuki, facendosi largo nel disordine del soggiorno, ha ben chiaro cosa fare. Sotto il suo sguardo stupito, le sfila il telefono dalle mani e la prende tra le braccia, sollevandola da terra quasi fosse una piuma e stringendosela addosso, facendo sì che lei gli possa incrociare le caviglie dietro i lombi. Allungando un gomito, spegne le luci del soggiorno e nella penombra che improvvisamente li avvolge, non servono parole perché anche lei possa leggere il riflesso del suo sguardo; Genzo si china sulle sue labbra per un bacio delicato che presto rivela la sua vera intenzione e poi prende la via della loro camera, senza nemmeno il bisogno di staccare le labbra dalle sue.
 
Quando atterra sul letto, Yuki si trova sovrastata da Genzo che, carponi sopra di lei, lascia le sue labbra per disegnare la linea della mascella e poi il collo con un sentiero di baci. Gli porta le mani dietro la nuca, lo trattiene e segue il suo incedere che, pur senza parole, racconta di un bisogno che non è solo desiderio, ma vera necessità. Lascia che lui si possa muovere, accoglie ogni suo gesto e ne fa tesoro, quasi come se stesse già immaginando che quelli potrebbero essere gli ultimi baci di Genzo sulla sua pelle. Accarezza le sue spalle, afferra la stoffa leggera della maglia che indossa e la fa scivolare sulla sua schiena, fino ad incastrarla sotto le sue braccia, e allora lui sembra riaversi, si solleva per un solo istante e sfila l’indumento senza curarsene minimamente. Non cerca nemmeno i suoi occhi, Genzo, ma ritorna affamato alla sua pelle, scende lungo il suo braccio e poi risale per sorprenderla e saltare alla pelle liscia attorno all’ombelico. Ha sollevato la sua maglia, la arriccia fin sopra al suo seno, e si insinua sotto la stoffa, incessante, con baci caldi che risvegliano in lei un istinto che pareva sopito. Lo ferma, ad un tratto, e lo induce a guardarla negli occhi, mentre da sola si sfila la maglia; assottiglia lo sguardo, quasi lo volesse sfidare sullo stesso terreno sul quale lui l’ha condotta; si osservano, si scrutano, come predatori che sanno di essere anche prede. Un lungo sospiro sfila dalle labbra di Yuki e le mani salgono lente lungo le cosce di Genzo sfiorando la pelle e trascinando per un poco la stoffa dei pantaloncini corti che indossa, ma lui non si lascia sorprendere e con un gesto secco la afferra per i fianchi e la fa girare a pancia in sotto; poi comincia ad armeggiare con il gancetto del suo reggiseno, mentre si china su di lei e riprende a baciarla sulle spalle, sulla nuca e giù lungo la schiena, seguendo la linea che ha appena liberato.
Yuki inspira profondamente, il tocco delle sue labbra è caldo e la scia che lascia sulla pelle le provoca un brivido che è tutto, fuor che di freddo. Allarga le braccia e poi le distende sopra il capo, vuole godersi i suoi baci, abbandonarsi alle carezze con cui ora lui accompagna il tocco delle labbra, scende fino ai fianchi e poi si ferma alla cintola dei suoi shorts. Infila le dita sotto la stoffa, tira un poco valutando il da farsi e poi è Yuki a venirgli in soccorso, infilando una mano sotto la propria pancia e sbottonando rapida la chiusura; e allora lui riprende il suo viaggio, sfila i pantaloncini senza fatica, li fa scivolare lungo le sue gambe e poi oltre le caviglie mentre frenetico lascia carezze inquiete sulla sua pelle.
Lui non parla e Yuki avverte però il suo respiro tirato, il soffio teso che la sfiora ogni volta che lui le si fa più vicino; lo sente ancora, segue le sue mani che sembrano volerla studiare tutta, palmo a palmo, quasi dovesse memorizzare ogni dettaglio attraverso le labbra e il tocco delle dita e lei si lascia accarezzare, godendo del piacere che le sue mani sanno donarle, fino a che non si muove, voltandosi dentro la sua presa. Al suo girarsi, Genzo si ferma e i loro sguardi si incontrano restando legati, mentre Yuki scorge la piega nuova che tende le sue labbra la luce decisa che anima i suoi occhi. Non lo teme, anzi, lo desidera ancora di più riconoscendo nel suo animo il bisogno che muove ogni suo gesto, e allora si solleva, lo induce ad arretrare e a mettersi a sua volta seduto, porta le mani alla sua cintola e slaccia rapidamente la coulisse interna, prima di spingere la stoffa verso il basso.
Non si sorprende, Genzo, e si muove per agevolarla, mentre i pantaloncini scivolano lungo le cosce, ma trattiene il fiato quando lei punta decisa anche ai boxer, tirando verso il basso anche quelli. Ha il fiato corto, quando torna a cercarla con lo sguardo e lei è spavalda mentre sfila le gambe da sotto le sue e lo lascia lì, sollevato sulle ginocchia, per mettersi lei stessa in ginocchio davanti a lui e prendere a baciargli il collo, il petto e poi scendere, veloce sempre più giù, fino ad arrivare le ventre. Non immagina cosa possa vedere lui, ma lo sente vacillare nell’esatto istante in cui le labbra sfiorano la pelle più sensibile e le sue grandi mani si posano sul suo capo, per trattenerla, o guidarla o forse semplicemente perché lei è l’unico appiglio che gli resta con la realtà.
- Yuki … - è il suo nome, a indurla a dargli tregua dopo qualche istante, soffiato in un ringhio che sembra una richiesta di aiuto, e lei si solleva, ma in un attimo si trova tra le sue braccia, con le labbra imprigionate dalle sue.
- Così non vale … - le sussurra, prima di spingerla a distendersi ancora e non le dà il tempo nemmeno di pensare, che anche i suoi slip sono spariti e Genzo lega il sorriso torbido che gli piega le labbra in un bacio sfuggente, prima di scendere rapido fino al suo ventre, in una vendetta che non le lascia scampo.
Yuki non avverte più il suo peso, non lo sente a sovrastarla, il suo corpo parrebbe libero, e invece è soggiogato dai suoi baci e ogni gemito che le sfugge sembra dargli nuovo vigore, suggerirgli di insistere in quella follia.
- Genzo! - quando lo chiama, Yuki soffia tutta l’urgenza che tiene in corpo muovendosi e sfuggendo dal contatto con lui, per afferrargli le spalle e tirarlo a sé, per fargli capire che niente potrà più distrarla da ciò di cui sente davvero il bisogno. Lui allora si sostiene con le braccia, si china di nuovo per cercare le sue labbra e in quel bacio lento lei ritrova il fiato e lentamente anche il ritmo del suo stesso respiro.
– Ti amo, Genzo … - si porta una mano al viso, quasi la potesse aiutare a riordinare le idee – ma è una cosa talmente … Insomma, tu … - ansima confusa, l’imbarazzo a spezzare le parole, e cerca aria, mentre ancora il fiato non è tornato regolare.
Genzo tuttavia la bacia ancora – Sh … - e la zittisce con insospettabile dolcezza, sfiorando la sua fronte con le labbra e sussurrando in un sorriso – Siamo noi e non c’è niente che non vada bene, se sta bene a noi … - si muove ancora, le sue labbra si fermano sulla tempia– E io vorrei sapere tutto, di te, vorrei ricordare tutto; se immagino quando non ti avrò qui, voglio pensare di poter chiudere gli occhi e sentirti ancora … - socchiude lo sguardo e poi tende di nuovo le labbra in un sorriso irresistibilmente sfacciato – E poi, diciamo la verità: io ti ho lasciata fare, Yuki, almeno finché non … -
Spalanca gli occhi, Yuki, comprendendo le sue parole e dischiudendo appena le labbra sorpresa, quasi che ripensare ai suoi stessi gesti potesse farle ripescare ancora dettagli rimasti a galleggiare nel limbo della coscienza, e poi si perde nell’espressione con cui le si avvicina di nuovo, incredibilmente sensuale e deciso, mentre scrutando il suo sguardo, allunga il braccio per raggiungere il cassetto del comodino.


Angolo dell'autrice: doveva accadere ... il passagio di Tsubasa da Amburgo ha distratto Genzo e Yuki per qualche giorno, ma ora non c'è altra scelta ed è necessario fare i conti con la realtà. La lunga parabola di avvicinamento incontra la prima grande prova di coraggio.
Da parte mia, torno a ringraziare davvero tantissimo tutt* voi che leggete e che mi tenete compagnia: vi sono grata per il vostro supporto e per l'aiuto che mi avete dato nel superare queste settimane difficili. Un abbraccio sincero.
A presto
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** ... attesa ***


27. … attesa
 
Lascia il campo tra i primi, sfilandosi rapidamente i guanti per poi fermarli in un gesto usuale, sotto al braccio sinistro, mentre pesta i piedi a terra per scrollare lo sporco dagli scarpini. Non vuole perdere tempo e cerca di evitare le solite chiacchiere tra compagni, perché sa che molto probabilmente Yuki è già arrivata al centro sportivo e non vuole farla attendere inutilmente. Così raggiunge gli spogliatoi e velocemente prepara il necessario per lavarsi, poi si avvia a viso basso in direzione delle docce e si infila nella prima libera, bloccando il fiato sotto il primo getto ancora gelato.
- Qualcuno oggi sembra avere molta fretta … - dal box accanto, la voce di Kaltz giunge tinta di un tono insinuante - Devo dedurre che lei ti aspetti qui fuori? –
- Qualcuno oggi sembra non riuscire a farsi gli affari suoi … - commenta piatto Genzo, che però conosce bene il compagno e non si tira certo indietro, non più – Comunque, sì: doveva tenere la discussione della tesina e molto probabilmente mi sta già aspettando all’ingresso. –
Kaltz però non è soddisfatto; il rumore del getto dell’acqua, evidentemente troppo calda, viene sovrastato da un suo lamento colorito che poi si tramuta in un – Quindi? – che Genzo non può che raccogliere come invito a spiegarsi meglio, anche se l’arrivo di altri compagni non lo mette certamente a proprio agio.
- Sono gli ultimi giorni, Kaltz: ti sembra strano che io non voglia perdermi in chiacchiere a bordo campo, preferendo invece lo stare un po’ con lei? – Si friziona i capelli, mentre altri grugniti rispondono da oltre la paratia, seguiti da tonfi e colorite imprecazioni; si insapona velocemente e poi si risciacqua, finendo per infilarsi l’accappatoio quando già è mezzo fuori dalla doccia e Kaltz gli si materializza alle spalle.
- Vi serve un passaggio in aeroporto, giusto? Mi piacerebbe accompagnarvi. – tutto gocciolante, con il solo asciugamano trattenuto alla bene e meglio sui fianchi, appoggia una spalla agli armadietti puntando Genzo deciso – Dimmi quando e io mi organizzo. –
Lui lo osserva sorpreso, interessato all’offerta dell’amico, ma anche consapevole di non potergli chiedere di saltare un allenamento – Partirà in tarda mattinata, dopo domani: io ho dovuto chiedere mezza giornata di permesso e non so se sia il caso che tu … -
- Stronzate. – il tedesco muove una mano per minimizzare, mentre l’asciugamano non più trattenuto prende la strada del pavimento e con uno scatto viene riportato al suo posto; Kaltz non si scompone e precisa – Farò in modo di esserci: mi piace fare un giro in aeroporto, ogni tanto. –
Genzo tende le labbra, infilandosi la maglia pulita, e scambia un’occhiata con l’altro – In realtà, avrei un favore da chiederti, per domani, se hai un po’ di tempo dopo l’allenamento. – Scorge appena un pollice alzato e annuisce di rimando, ringraziando l’insperata discrezione di Kaltz che, tra le molteplici orecchie dello spogliatoio, non chiede dettagli. Poi inarca un sopracciglio, tornando a cercare l’altro, ripescando le parole udite poco prima.
 – Ti piace fare un giro in aeroporto, eh? – chiede poco convinto, ottenendo in risposta un’alzata di spalle.
 - Già. Hai qualcosa in contrario? – chiede Kaltz di rimando e poi sparisce, ciabattando fino al suo armadietto, senza aggiungere altro, mentre Genzo non può che scuotere il capo, restando a fissare la schiena dell’amico che si allontana, con la certezza assoluta che anche lui, dopo la partenza di Yuki, ne sentirà la mancanza.
Quando presta attenzione al resto dei compagni, si accorge che tutto attorno, gli altri si stanno organizzando per un’uscita di gruppo; riempie la borsa rapido e chiude la zip per poi avviarsi verso l’uscita quando una voce lo chiama – Ehi, Genzo, nemmeno questo pomeriggio sei dei nostri? –
Genzo prende fiato e scuote il capo cercando il modo di sfuggire all’appuntamento – Mi dispiace, Johannes[i], ma oggi … - eppure il compagno insiste.
- Ma dai, oggi è il compleanno di Friedrich e tu è un secolo che non esci con noi! Così inizio a preoccuparmi … -
- Io … in verità … - Genzo si guarda attorno, è l’unico già vestito e in procinto di lasciare lo spogliatoio, parecchi compagni lo scrutano curiosi e Friedrich attende speranzoso, con le sopracciglia sollevate; tuttavia la soluzione viene ancora da Kaltz.
- Lasciatelo stare, ragazzi: Gen non potrà mai preferirvi a seine bessere Hälfte. Quindi, fatevene una ragione per oggi e domani … e poi potrete torturarlo come vorrete! –
Il brusio soddisfatto e curioso che accoglie la spiegazione di Kaltz permette a Genzo di disimpegnarsi rapidamente in direzione dell’uscita, tra risolini e battute, non prima di aver puntato l’amico lanciandogli un - Questa me la paghi … - a denti stretti; tuttavia, in un attimo l’umore torna solare, quando, abbandonato il complesso degli spogliatoi, scorge Yuki impegnata a chiacchierare con il custode, a ridosso del varco di accesso al centro sportivo.
- Yuki! – la chiama, prima di accennare una corsa, per raggiungerla in pochi istanti, curioso di avere notizie – Quindi? –
- E’ andato tutto bene: - lo tranquillizza subito lei - ho ricevuto un sacco di complimenti per il lavoro svolto … e per il taglio specifico che abbiamo dato alla tesina. – La soddisfazione è palese, i suoi occhi sembrano brillare – Da sola non avrei potuto fare niente del genere! –
- Oh, su! Non fare la modesta! – Genzo la attira a sé, stringendole le spalle e poi si rivolge direttamente al custode – Non darle retta, Peter: io ho solo dato una mano con il tedesco … -
L’uomo annuisce allegro – Mi ha spiegato anche questo, non temere! Anche se ho l’impressione che sappia il fatto suo … -
- Yuki dovrebbe restare. – afferma sicuro – Non ho mai visto nessuno così portato con il tedesco ed è dannatamente in gamba con gli studi! –
- Vedrai che non ti lascerà da solo troppo a lungo: sei troppo importante per lei … - lo consola il custode, e Yuki, a quelle parole, reagisce con un sospiro, piegando le labbra in un sorriso rassegnato - … anche se adesso è meglio che ve ne andiate voi due … - aggiunge l’uomo, indicando con un gesto del capo il gruppo dei giocatori che stanno lasciando gli spogliatoi – Ho l’impressione che quelli là non vi lasceranno andare tanto facilmente, se vi raggiungono! -
A Genzo basta un attimo per comprendere le parole del custode; con pochi convenevoli, lui e Yuki si congedano e si avviano a passo svelto verso la piazza, mentre alle loro spalle, con qualche fischio e dei commenti a gran voce, il gruppo di calciatori li saluta da lontano.
 
Yuki allunga le braccia distendendo la maglia sul pavimento, prima di piegarla con attenzione, perché occupi meno spazio possibile, e disporla insieme alle altre; poi afferra i due costumi e non può che rimanere imbambolata a fissarli, con la stoffa lucida stretta tra le dita. Sospira e li porta alle labbra, perché le è sempre piaciuta la sensazione setosa della lycra e il profumo peculiare di quella stoffa, e perché questi costumi rappresentano molto più di quello che sembra a prima vista e continueranno a riportarla a Costanza, ai giorni della loro vacanza e al gioco di acquisti con cui si sono presi cura l’uno dell’altra, in un rimando di attenzioni.
Così la trova Genzo, inginocchiata ai piedi del divano e con la grande valigia spalancata di fronte a lei, e quando si accorge di averlo alle spalle, Yuki si affretta a nascondere i costumi infilandoli di lato, tra il beauty case e i pacchetti regalo per le amiche.
Afferra un’altra maglia dalla pila che ha appoggiato al tavolino e si mette a piegarla, ma anche questa le blocca il respiro, perché è la maglia di Genzo, quella che lei aveva preso in prestito per la notte e lui ha insistito perché lei la tenesse.
- E’ già molto piena … - osserva lui chinandosi a terra, dietro di lei - … e nell’armadio c’è ancora qualcosa di tuo. –
Yuki prende fiato, gonfia e le guance e poi libera un lungo sospiro – E’ difficile comprimere questi sette mesi in una valigia. – lui le si avvicina, le passa le mani sui fianchi, incrociando le braccia sulle sue costole e poi la tira indietro, portandola ad adagiarsi sul suo petto – Sarebbe come pensare di poter raccontare tutto con un paio di frasi o insistere con il definirci amici. –
Lui la stringe un po’ di più, posa il mento sulla sua spalla e poi nasconde le labbra nella piega alla base del collo; soffia appena, seguendo con le labbra l’incresparsi della pelle e tende su di essa il suo sorriso – Ti serve un’altra valigia? – la provoca.
- No. – risponde diretta, quasi rifiutando quell’invito a prenderla con leggerezza – Mi servono altri mesi … che non ho. – conclude rassegnata e chiude gli occhi, godendo ancora il contatto leggero delle sue labbra sul collo, su fino all’orecchio e poi lento a scendere ancora verso la spalla.
- Lascia qui qualcosa di tuo, per favore, perché ogni volta che vedrò i tuoi abiti, sul ripiano, avrò la certezza che tornerai qui. Conterò le settimane, Yuki; i giorni, le ore … - Genzo muove appena le mani, ancora incrociate davanti a lei e le insinua sotto la stoffa – Cercherò il tuo profumo in ogni angolo di questa casa e ripescherò un ricordo di noi ogni volta che il mio sguardo si poserà su qualcosa … - poi arretra, anche lui con le ginocchia puntate a terra, e spinge un poco il tavolino per farsi spazio mentre la sua presa si fa più salda e induce Yuki a voltarsi, sistemandola sopra di sé e poggiando la schiena contro il divano - … e ti troverò dovunque, Yuki: qui dentro, come in giro per la città, non potrò che pensare a te … -
Il suo sguardo è scuro, alla luce fioca del soggiorno, l’espressione decisa, mentre afferra i lembi della sua maglia e la sfila lento, inducendola a sollevare le braccia – E mi sentirò solo, - poi accarezzandole la schiena in punta di dita raggiunge il fermaglio del reggiseno e lo sgancia – solo come non sono mai stato, ma non vorrò nessuno in questa casa, perché sarà meglio essere solo, ma poter pensare a noi, piuttosto che nascondermi dallo sguardo di altri, mentre la mia mente si rifugia nei ricordi … - Le mani scivolano sulle spalle, insieme alle parole, e le spalline scendono, accompagnate dal suo sguardo, prima che labbra raggiungano la pelle e che i baci tornino a distrarla dal suo spostarsi alla cintola, giocando appena con l’elastico, prima di infilarvisi sotto, per nascondervi carezze più decise.
Yuki si lascia cullare da lui, dai suoi gesti, dalle sue parole, dai suoi baci; gli cede le redini del gioco, lo segue, si abbandona a lui seguendo il filo dei suoi desideri e riconoscendoci i propri, ma quando si muove appena, per accomodarsi meglio, una fitta di piacere la attraversa nel contatto che il suo ventre ha su quello di Genzo. Morde le labbra, si muove ancora, conosce la forma del suo corpo, sa come chiamarlo e come rispondere ai suoi movimenti perché il suo viso non mente, la sua fronte si aggrotta appena quando lei muove i fianchi e le sue labbra si tendono e si dischiudono, in un sorriso che sa di piacere, e mentre lui solleva le mani fino al suo seno, è lei a piegarsi su di lui, lambendo il collo e giocando con il suo respiro. Gli afferra la maglia e se ne disfa, perché la pelle di Genzo è liscia e far scorrere le labbra sul di essa è un gioco sensuale che anche lei adora, accende i suoi gemiti leggeri e tende i suoi muscoli, uno ad uno, tanto che può riconoscerli, quasi contarli e seguirne il profilo quando lui si muove.
Il divano cede un poco sotto la spinta di Genzo che, prima appoggiato ad esso, finisce a terra, rovesciando il capo all’indietro in un invito che Yuki non manca; sono ancora baci, carezze di labbra e lingua che disegnano il suo corpo, le spalle e il petto, e poi morsi leggeri che cercano i punti più sensibili e ne tastano la forma leggendone la reazione, finché le labbra non si sostituiscono di nuovo in un gioco di morbidi contatti che sono un dialogo continuo e sussurrano il piacere che entrambi si regalano e scambiano, in un rimando continuo. Quando Genzo si muove, spingendola appena perché possa sollevarsi, cercando di sfilarle del tutto ciò che ancora ha addosso, Yuki comprende che niente può intromettersi e placare il desiderio che li unisce; si impone di fermarsi, solo per un istante, con lo schiocco di un bacio alla base del suo collo.
- Aspettami … - gli sussurra mentre si alza e le sue labbra si distendono, perché sa perfettamente quanto sia necessaria quella breve pausa.
Quando Yuki torna in soggiorno, Genzo è semi sdraiato, con le spalle appoggiate alla base del divano, le gambe allungate e le braccia rilassate, le mani a terra e le dita che giocano appena con il bordo dei pantaloncini abbassati. Si china su di lui e gli tende la bustina, ma lo sguardo con cui lui le risponde è fuoco nero che si fa sottile e le toglie il fiato in una proposta silenziosa che lei legge nel moto leggero con cui muove i fianchi. Sente la gola farsi secca, deglutisce e prende fiato, rigirando la bustina tra le dita e respirando profondamente, prima di rispondergli di rimando sollevando appena un sopracciglio; il cenno con cui reagisce getta una scintilla nel suo ventre, accende un’urgenza che la sorprende per quanto a fatica si riconosca nell’istinto con cui sposta l’attenzione sulla sigillatura e nella determinazione con cui apre e sfila il preservativo per saggiarlo sotto i polpastrelli, mentre un brivido lungo la schiena le ricorda che tutto accade sotto i suoi occhi. Genzo allora la osserva soddisfatto e approfondisce il cenno di sorriso che gli aveva teso le labbra e che poi sparisce nel gesto con cui rovescia il capo all’indietro, restando in attesa.
E’ con il fiato corto e le labbra appena sporte che Yuki si avvicina a lui, gli si sistema di fronte e si appresta ad accettare la sua sfida, ma mentre lo accarezza, sfiorandolo appena e preparandosi a vestirlo, un’idea accantona ogni altra ed è lei a sorprenderlo, con il tocco umido delle sue labbra che si sostituisce a quello che lui si aspetta. Il gemito con cui reagisce è roco, profondo quanto il piacere che lei sa di avergli dato, perché ormai lo conosce abbastanza da saper bene come far crollare le sue difese e togliergli il fiato con un unico gesto; non può vederlo in viso, ma conosce la piega che si disegna sulla sua fronte quando si lascia trasportare dai sensi, quando lo accarezza e lui sente di non poter fare altro che abbandonarsi a lei e le si consegna corpo e anima, fiducia assoluta e resa di fronte al sentimento di cui non sa e non vuole fare a meno. E’ un rito, è il loro modo di appartenersi, la firma di un patto che va oltre il sangue, ma lega ogni respiro, ogni sussurro, e che negli ultimi giorni li ha travolti, trascinandoli ogni volta più a fondo per poi sollevarli sopra l’orizzonte del loro stesso tempo, regalando l’illusione di poter scongiurare lo spettro della partenza ubriacandosi l’uno dell’altra. E’ il torbido che brucia sotto pelle quando sono separati e esplode non appena si sfiorano, è la linfa che li tiene vivi e che al contempo rischia di far sfumare anche l’ultimo barlume di lucidità, fino al momento in cui cedono, rinunciando a tutto e, nello stesso istante, vincendo ogni barriera …
Lo scatto con cui lui solleva il capo è immediato e il suo corpo si tende quasi che non possa resistere oltre, dopo che già così vicino al limite si sono spinti prima che Yuki si allontanasse. Si sono cercati e rincorsi entrambi, conducendosi l’un l’altra sul filo di un piacere che non può più attendere e Yuki ha la certezza che se solo insistesse ancora un poco di certo lui …
La presa di Genzo sul suo capo, tuttavia, è salda e lei sente tirare i capelli per quanto lui stia stringendo le dita tra di essi, nel tentativo di allontanarla; cede solo perché lo comprende, legge nel suo lamento, in bilico tra piacere e resistenza, il desiderio che tutto avvenga in un altro modo e quando lo lascia, lo fa solo per cercare le sue labbra, rubandogli un gemito che si mischia con il proprio.
Eppure, nonostante il bisogno di quelle labbra, Yuki scioglie il bacio, perché ha ancora ciò che occorre tra le dita e si ritrae per occuparsi di lui, per prepararlo con una concentrazione che non credeva di poter recuperare, in un frangente simile; poi cala sul suo corpo lentamente, con lo sguardo puntato in quello di Genzo, seguendo ogni sfumatura di quegli occhi profondi e lucidi che sembrano morderla, per quanto sono voraci. Le labbra si muovono appena, sussurrando un – Ti amo … - che lei stessa riesce appena ad udire, mentre le sue mani le artigliano i fianchi e, con un gemito di soddisfazione, il suo corpo cede al bisogno di muoversi nel ritmo incalzante con cui insegue il piacere, uno solo, quello che condividono e che, ne è certa, non potrà mai legarla a nessun altro.
 
[i] I nomi dei compagni sono solo ipotesi mie, senza alcun riferimento al manga.

Angolo dell'autrice: il tempo scorre veloce, i giorni ad Amburgo sfumano e volontariamente spezzo l'intervallo di due settimane tra le pubblicazioni proprio per seguire questo intensificarsi degli eventi nella storia di Genzo e Yuki con questo capitolo che crea la continuazione ideale del precedente sotto tanti aspetti (nel ritmo, nella struttura dei momenti e nell'intensificarsi del loro modo di viversi).
Spero che la sorpresa sia gradita... e come sempre, un ringraziamento a chi mi accompagna in questo percorso.
Un abbraccio a tutt*
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** ... tempo ***


28. … tempo
 
Non apre gli occhi e china il capo, stringe un po’ di più le braccia e la tiene stretta, in silenzio, perché la sente tremare e teme che qualunque parola possa far tracimare quello che si sta forzando a nascondere. Sapeva che non sarebbe stato semplice per nessuno dei due, tuttavia la realtà è anche peggio di come l’avesse immaginata e non può che chiudersi ancora su di lei, soffiando appena tra i capelli e poi appoggiandovi le labbra in un muto invito a resistere. La culla appena, si muove lento e le accarezza la schiena, il palmo aperto sopra il tessuto della maglia ufficiale dell’Amburgo che le ha regalato proprio prima della partenza, tanto leggera che gli permette di leggere ogni vertebra e ogni suo brivido, e quando comprende che lei sta sollevando il capo dal suo petto, lascia un poco la presa, cercando i suoi occhi.
Il suo sguardo è cupo e lucido, le labbra tese in una linea sottile che cerca di ingoiare il moto con cui l’angolo trema, fuori controllo, eppure riesce a leggere tutta la determinazione con cui lei lo cerca e poi abbozza un sorriso, che sa bene essere velato di tristezza, ma pur sempre un sorriso resta.
- Devo essere forte. – la sua voce vibra, ma ha quella sfumatura decisa che gli regala la certezza che lei possa davvero farcela e quando solleva il capo, Genzo non può che rispondere con un cenno che vorrebbe essere rassicurante.
- Lo saremo; ricorda quello che abbiamo detto: è solo questione di tempo … qualche settimana e poi ci rivedremo. Saranno molte meno di quelle che hai trascorso qui e che ti sembrano volate. –
- Saranno interminabili … - si lamenta, ma lui non lascia che quella piega prenda il sopravvento.
- No, invece. – la riprende sicuro, portando le mani al suo viso in una carezza calda – Saranno solo giorni, uno dietro l’altro; una catena di giorni, di lezioni e allenamenti; una scala che ci porterà di nuovo insieme. Il peggio è adesso, è lasciarti andare, perché dal momento in cui oltrepasserai quel varco, e solo da quel momento, dovremo iniziare a pensare che presto ci vedremo di nuovo. –
Lei prende fiato, non sembra convinta e l’espressione ancora scura vela il suo viso, mentre si morde le labbra ma alla fine preferisce non ribattere e allora Genzo controlla l’orario muovendo il polso in un gesto nervoso prima di riprendere - Possiamo sentirci spesso: conosci i miei orari meglio di me e non ti permetterò certo di andare a dormire senza mandarmi nemmeno un messaggio … -
- Il fuso orario del Giappone è pessimo: scomodo per qualunque altro luogo sensato del mondo. – osserva accigliata – Sanae dice che … -
- Sanae se la vede con Tsubasa. – precisa immediatamente Genzo, certo che quello dovrebbe bastare a farle comprendere quanto diversa sarà la loro situazione, e il mezzo sorriso che le strappa gli regala moto di soddisfazione – Tu, invece … con il sottoscritto. Modestia a parte … -
- Oh, beh … come darti torto! – è il suo commento e in quel momento la sua voce gli giunge davvero leggera.
Restano ancora ad osservarsi, tra carezze e baci leggeri, Genzo cerca di imprimere nella memoria ogni più piccolo dettaglio, quasi che non conosca ancora tutto di lei: la linea morbida dei suoi occhi, la piega delicata delle sue labbra quando sorride, la loro consistenza di velluto …
- Ti porterò a casa mia … - le sussurra su una guancia e lei si ritrae appena, sorpresa.
- Alla villa? – chiede, inducendo la sua sorpresa.
- Certo. Dove vorresti che ti portassi? – le chiede quasi per provocarla, per poi fermarsi a pensare lui stesso – Anche se, in effetti … non è l’unica casa di famiglia, in Giappone: potremmo andare anche a … -
Lei nega con il capo, puntando ancora la fronte sul suo petto – So che non resterai in Giappone abbastanza perché possiamo permetterci di fare viaggi chissà dove, Genzo: non azzardare programmi che non potremo mai nemmeno iniziare! – e lui non può che drizzare la schiena.
- Hei! Stai diventando tu la più razionale dei due? Vuoi smontare in partenza tutti i miei piani per rapirti e tenerti insieme a me fino all’ultimo minuto di vacanza? –
- Non hai bisogno di rapirmi … lo sai bene senza che te lo dica io. – Yuki lo precisa, sollevando le sopracciglia in due archi per sottolineare l’ovvio - Ti basterà darmi un orario e un luogo … per trovarmi puntuale ad aspettarti. – e lui non può che concederle di aver ragione, perché comprende bene che entrambi faranno del loro meglio per sfruttare la prima occasione disponibile per vedersi.
Porta una mano alla sua nuca, le dita aperte a ventaglio sfilano tra i capelli sciolti e poi tornano a giocare con le ciocche – Non hai mai tagliato i capelli da quando sei arrivata qui? –
Lei corruga la fronte, sorpresa da quella domanda, e poi nega con un’alzata di spalle – In effetti, credo di non averci nemmeno pensato: di solito vado in un salone vicino a casa. Ma gli Ozora non sono davvero dei buoni clienti! –
Le sorride di rimando, convenendo che, per quanto può ricordare delle occasioni di incontro con lui, nemmeno Tsubasa sembra essere uno fissato con il proprio aspetto o del proprio look, come invece sembra fare qualche compagno di squadra; poi però torna a concentrarsi su di lei. - Sono lunghissimi … - Genzo avvolge una ciocca scura attorno all’indice e poi lascia che i capelli sfuggano alla sua presa - … e mi affascinano. In casa mia nessuno li ha mai portati così lunghi … -
- Siete tre fratelli maschi, Genzo: di cosa ti sorprendi? – Yuki riesce a rispondergli; tuttavia poi sembra venirle in mente qualcosa in particolare – Anche se, in effetti, qualche fissato per i capelli, si trova sempre … -
Genzo solleva un sopracciglio, in attesa, e lei non lo fa attendere – Hai mai notato la chioma di Izawa? Chissà quanto li cura, per tenerli così lucidi e sempre impeccabili! Probabilmente fa la piega prima di scendere in campo … - il tono è leggero, e per un attimo gli sembra di essere a casa, sul divano o sul letto, in uno di quei momenti in cui il tempo pareva fermarsi e lasciare che loro semplicemente si assaporassero attraverso carezze e piccoli racconti.
D’altra parte, è quello che stanno facendo anche ora: parlare di tutto e di niente, in un rimando senza un vero filo logico, per il puro gusto di essere insieme, perché quando il tempo a disposizione è poco, e il momento della separazione vicino, a volte è più semplice lasciarlo sfumare in discorsi senza senso, piuttosto che stare a controllare ogni singolo scatto della lancetta, struggendosi per aver visto un secondo sfumare senza aver fatto nulla. Sanno che il tempo sarà il loro peggiore nemico e che non potranno fare altro che imbottirlo di qualunque cosa possa allontanarli dal realizzare quanto saranno distanti, perché quando spazio e tempo saranno alleati contro di loro, potranno accorciare le distanze e vedersi o chiamarsi, ma non potranno fare nulla contro il tempo che ancora li terrà distanti.
Sospira, tornando ad abbracciarla, perché teme tutto questo: la separazione, la distanza, l’impossibilità di avere contatti veri per un lungo periodo, ma è anche consapevole di quanto ormai siano legati e non può che affrontare la situazione con il coraggio che da sempre lo contraddistingue.
Non si accorge nemmeno di aver chiuso di nuovo gli occhi, godendosi per qualche momento ancora il contatto stretto con il suo corpo, e quando li riapre, porta di nuovo il polso davanti a sé per l’ennesima verifica all’orario.
- Sono quasi le undici, Yuki: è meglio che tu vada ai controlli … - commenta con una smorfia e poi si decide a sciogliere l’abbraccio e a guardarsi attorno, riemergendo dalla bolla dentro la quale gli pareva di essersi isolato insieme a lei.
La hall dell’aeroporto è tranquilla, animata dal consueto via vai, e ora riesce persino a notare il brusio di sottofondo che fino a quel momento aveva ignorato, dimenticando quasi dove si trovassero. D’istinto, verifica di nuovo l’ora sul grande orologio sopra il tabellone delle partenze e poi trae un profondo respiro, prima di chinarsi a baciarle la guancia e muovere un passo verso la zona della security, lasciando l’angolo un po’ defilato in cui si erano sistemati e cercando la sua mano con la propria. Yuki lo segue, ma di malavoglia; la sente trascinare i piedi sul pavimento lucido e lui la conduce fino a pochi metri dalla coda dei passeggeri in attesa di controllo, poi, d’un tratto, devia di lato e si ferma, facendola sistemare davanti a sé.
- Genzo? … - la sua espressione interrogativa non gli facilita il compito; sa di aver atteso anche troppo, continuamente in bilico tra il doverlo fare e il non poterselo permettere, ma davvero non è riuscito a incastrare slancio e circostanze ed ora che ha preso la sua decisione definitiva è consapevole di non poter perdere altro tempo.
- Aspetta ancora un attimo, ti prego. – le dice cercando di mantenersi calmo e guardandosi un po’ attorno, quasi a controllare di non dare troppo nell’occhio – Devo darti una cosa. –
Yuki solleva le sopracciglia, sorpresa; le labbra dischiuse lasciano sfuggire un – Devi darmi …? – appena udibile e Genzo si affretta ad annuire, mentre affonda la mano nella tasca, chiudendo le dita su ciò che vi ha tenuto nascosto fino ad ora.
 
Si accorge di Genzo quando inquadra la sua sagoma, di spalle, con la schiena un po’ curva e le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni della tuta; lo ha superato in silenzio e si è fermato a pochi passi da lui, rimanendo a fissare il movimento delle auto nel parcheggio che ha davanti a sé. E’ sicuro che Genzo l’abbia visto, perché lui si è sistemato esattamente dove avevano stabilito che l’avrebbe aspettato, e che si sia piazzato lì deliberatamente, evitando di chiamarlo, probabilmente in attesa del momento migliore per lasciare insieme l’aeroporto.
Comprende quanto l’amico possa essere in difficoltà; lo conosce abbastanza da sapere che per lui questa separazione sia un’esperienza nuova, perché sa che Genzo è un tipo indipendente, che si è abituato presto alla lontananza da casa e che ha spiccato il volo anche grazie al suo carattere forte, alla sua determinazione e alla fermezza con cui ha sempre posto allenamento e carriera prima di qualunque legame affettivo con la famiglia. Sono cresciuti insieme, adolescenti e poi uomini dalle grandi doti sportive, e sa che Genzo non si è mai concesso il tempo di distrarsi, riconoscendo le priorità della vita e gestendo con intelligenza ogni sfida; per questo è certo che se si è concesso di vivere il legame con Yuki è solo perché ci ha trovato qualcosa di vitale, che va oltre qualunque altro legame e che non è distrazione, ma impegno e motivazione ad andare avanti. Lo stesso impegno che nonostante lei, o grazie a lei, ha continuato a mettere negli allenamenti; quello che lo ha portato di nuovo al suo meritato ruolo di portiere titolare e a esaltarsi in risultati straordinari in campo. Sa che Genzo saprà trovare il modo di rimettersi in sesto, di affrontare anche questo con il piede giusto; è solo questione di … tempo.
Deve ammettere che ha faticato lui stesso a salutarla, prima che si allontanasse insieme a Genzo verso la hall, perché ci si è affezionato e sa già che mancherà pure a lui. Le ha promesso che lo terrà d’occhio … ma è consapevole che più che controllarlo, dovrà essere lì quando lui dovrà fare i conti con la sua mancanza. E magari sarà pure la volta buona che gli farà imparare a bere seriamente!
Dal moto delle spalle, intuisce il suo profondo sospiro; il gesto inquieto con cui oscilla appena, spostando il peso da una gamba all’altra, lo induce ad avvicinarsi a lui, quasi intuendo che presto potrà affrontarlo.
Lo raggiunge silenzioso, si ferma poco indietro, e l’unica cosa che può fare è puntare su un argomento sicuro - Allora? Glielo hai dato? –
Scorge il movimento di Genzo che si porta una mano al viso, medio e pollice poggiati agli angoli esterni degli occhi, quasi volesse nascondersi, o nascondere le proprie emozioni, per poi voltarsi appena, con una piega a sollevare di un poco l’estremità delle labbra.
Kaltz resta in attesa, curioso e impaziente, ora che ha stabilito un primo contatto, e quando Genzo, senza nemmeno girarsi del tutto, sfila qualcosa dalla tasca e glielo lancia, lui reagisce d’istinto, allungando le mani per afferrare l’oggetto al volo e portarselo davanti al viso.
- Non ci credo! – esclama con gli occhi sbarrati, rigirando la scatolina tra le mani – Gen! Non le hai dato l’anello? – chiede poi quasi strozzandosi con la sua stessa voce – Mi hai trascinato per le gioiellerie di mezza città per trovare quello perfetto … e ora te lo riporti a casa?! –
Non riesce a comprendere l’alzata di spalle dell’amico e rimane ancora più spiazzato quando lui inizia a muovere il capo in un gesto indecifrabile, per poi bloccarsi.
- No, aspetta … - Kaltz è impietrito, le dita si stringono sul velluto e lui stesso ha un brivido mentre un’idea si delinea nella sua mente – Non lo ha voluto? –
Di nuovo, la reazione di Genzo è criptica e la sua mano ora spazza il viso in un gesto in cui Kaltz legge l’assoluto bisogno di nascondere una improvvisa debolezza e che lo induce a mormorare, incredulo - Gen, te lo ha rimesso in mano veramente? –
Non ottiene subito una risposta, ma quando l’altro si volta, intravede una espressione incerta che nella tristezza, fa sperare in qualcosa – Quindi? –
- Aprila. – gli suggerisce Genzo con un cenno alla scatola e lui non può che forzare il meccanismo, per farlo scattare, e sollevare il coperchio, puntando gli occhi sul raso bianco.
- Dov’è l’anello? – è la domanda idiota che si lascia sfuggire e che libera la piega delle labbra dell’amico in un sorriso meno malinconico.
- E’ dove deve stare, Kaltz: al suo dito. – spiega finalmente, inducendolo di rimando a sorridere, sollevato per aver male interpretato l’accaduto, ma ancora spiazzato.
- E tu cosa ci fai con la scatola, allora? – gli chiede, curioso, masticando lo stecchino e spingendolo di lato.
Genzo allunga una mano sulla scatola sfilandola dalla sua presa e poi abbassa lo sguardo, cercando rifugio nella trama del marciapiede e mordendosi il labbro, per prendere a spiegarsi – Ha detto che non era giusto che lei avesse l’anello al dito … e io niente. Con la scatola, invece, mi ricorderò sempre di averglielo dato. -
- Teme davvero che tu possa dimenticarla? – scherza Kaltz, portandogli una mano alla spalla e inducendolo a voltarsi del tutto, fino a sistemarlo davanti a sé – Perché mi sembra davvero una cosa poco probabile, sai? –
- E’ il suo modo per dirmi che non lo toglierà, Kaltz; e questo mi basta per lasciarla andare … nonostante io mi senta come … come … - scuote il capo, fatica a spiegarsi, ma alla fine cerca di farlo come meglio gli può – … come se mancasse una parte di me. La mia parte migliore. –
Nemmeno lui riesce a rispondergli, all’udire quelle parole, perché sa bene quanto siano vere e profonde, nonostante riprendano la cantilena con cui si è preso gioco di lui e di Yuki per settimane; anzi, in quella precisa scelta di parole, Genzo si è dimostrato ancora una volta lucido e determinato e non può che ammirarlo, per questo suo essere fedele a se stesso.
Lo è anche adesso che sta lì fermo, con il capo piegato su un lato e un mezzo sorrisetto che si è fatto strafottente ad aspettare la sua reazione che tarda, perché Genzo sotto quel residuo di scorza controllata del Giapponese che si inchina e ringrazia per tutte le cazzate, nasconde ancora l’animo pungente del ragazzino che è atterrato con il cappellino rosso calcato in testa, i guanti da portiere stretti tra le dita e un sogno enorme nascosto nel cuore. Genzo è tosto; Genzo innamorato, ora che ammette apertamente di esserlo, lo è ancora di più.
Kaltz assottiglia lo sguardo e coglie l’istante in cui il sorriso di Genzo si approfondisce su di un lato e la voce gli arriva con quella sfumatura pungente che riesce a sorprenderlo e che è alla base delle discussioni con cui si punzecchiano da anni, rimpallandosi provocazioni – E, per essere onesti, avevi ragione tu, Kaltz: ha detto che con quella forma sottile e il bordo sagomato, potrà portarlo anche massaggiando. –
Un sopracciglio si muove rapido con un moto di orgoglio e lo stecchino punta in alto con uno scatto, mentre d’istinto Kaltz chiude le dita sul palmo in un pugno serrato che resta sospeso davanti al suo volto, celebrando la sua vittoria - Ah! Lo sapevo che era così! Le hai detto che è stata una mia idea, vero? –
- Certo che no. – Genzo gli volta le spalle e riporta le mani nelle tasche; controlla attorno a sé e poi si avvia in direzione del parcheggio, attraversando la strada – Forse, però, potrai dirglielo tu, un giorno o l’altro. -


Angolo del'autrice: solo per salutarvi, ringraziarvi e lasciarvi un abbraccio.
Non aggiungo altro... perchè scrivere questa parte della storia mi ha provata davvero.
Quindi... a presto. Almeno per noi ...
Maddy

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** ... forza ***


29. … forza
 
Il sole di ottobre sa essere crudele anche in una città del nord come Amburgo: si staglia nel cielo senza nubi e illude di essere ancora lontani dall’autunno, regalando una carezza tiepida sulla pelle che diventa schiaffo, quando, distratti, si finisce in ombra e un brivido si insinua sotto gli indumenti. Lui non affretta il passo, quando si trova inghiottito dal grigiore proiettato dai palazzi del centro, né solleva lo sguardo da terra nel tentativo di intuire quando questo avrà fine, ma procede regolare, mettendo in fila un metro dopo l’altro, lasciando che vetrine e portoni sfilino al suo fianco, senza curarsi di loro. Non si chiede nemmeno perché si sia inoltrato per le vie del centro, visto che non deve fare acquisti e non ha alcun appuntamento con Kaltz o con altri compagni in questo giorno di riposo, ma cammina e niente altro, lasciandosi guidare da qualcosa che dentro al petto preme e scalpita, nascosto dal suo umore cupo. Svolta facendosi largo tra la gente che passeggia tranquilla, procede lungo vie di cui nemmeno ricorda il nome e non incontra altro che altri passi, scarpe e stivali che cioccano sull’asfalto in un martellare disordinato.
Affonda le mani nelle tasche del giubbotto, le dita che giocano con un pezzo di carta dimenticato lì chissà quando e sfregano sulla superficie stropicciata fino ad attirare la sua attenzione. Si ferma, qualcuno alle sue spalle si lamenta, perché ha ostruito la strada, e poi lo evita malamente passando oltre, e lui si porta davanti agli occhi quello che scopre essere un vecchio scontrino di Starbucks; lo distende tra le dita, socchiude lo sguardo per leggere tra i caratteri sbiaditi … finché non riesce a decifrare qualcosa: dodici aprile, due tazze di tè … Sospira, ricacciando quello scampolo di passato nella tasca, il ricordo preciso di quel pomeriggio a definirsi in ogni dettaglio nella memoria: la visita al campo degli allenamenti e poi la passeggiata e la merenda in centro insieme a lei, quando ancora tutto era sospeso e i contorni del loro essere vicini completamente sfumati, mentre le barriere cadevano una dopo l’altra, giorno dopo giorno, e senza pianificare nulla le loro giornate si intrecciavano in un legame sempre più saldo.
E’ ancora in ombra, ma sente le guance pervase da un tepore leggero e le labbra si distendono ripensando a quante confidenze e quanta fiducia si siano concessi, senza chiedersi nulla in cambio, senza mai temere di sbagliare nell’affidarsi l’uno all’altra, segnando un percorso lungo e tortuoso che li ha avvicinati inesorabilmente.
Cammina ancora, si lascia trasportare dalla gente e quando solleva lo sguardo si sorprende nello scoprire davanti a sé quella stessa grande vetrina dove lei amava cercare tra le novità, quella in cui aveva subito trovato delle scarpe blu per Tsubasa: senza nemmeno rendersene conto, sta ripercorrendo il filo delle loro passeggiate, in una costante ricerca di quello che ora non ha più al suo fianco, ma che ritrova negli scorci della città dove si sono incontrati davvero.
Istintivamente, controlla l’ora, riflette per qualche istante e poi afferra il telefono; è notte inoltrata, in Giappone, perciò non è il caso di chiamarla, ma potrebbe comunque mandarle un messaggio. E’ difficile trovare un incastro perfetto tra gli orari di Amburgo e Nankatsu … perché le pause di uno si scontrano con gli impegni dell’altra; riescono ad incrociarsi davvero solo quando lei si alza, la mattina, mentre lui tira tardi in attesa che si svegli. Qualche volta è sfinito dalla stanchezza e la chiama in anticipo, temendo di addormentarsi prima di aver potuto sentire la sua voce, mentre nel suo letto troppo grande chiude gli occhi e tutto, proprio tutto, parla di loro. Allora sentirla diventa anche più difficile, perché lui, in quella stanza, vorrebbe molto più che la sua voce …
Il pomeriggio, invece, dopo gli allenamenti possono chiamarsi prima che in Giappone sia troppo tardi; a lui basta qualche scambio per riprendere fiato, per aggrapparsi a quei pochi minuti condivisi e tenere duro fino alla prossima occasione, fino a quando potrà davvero averla vicina di nuovo.
A dire il vero, solitamente la trova pronta a rispondere anche quando le scrive attorno alla mezzanotte giapponese, ma non si è mai azzardato a farlo oltre quell’ora e adesso che il soleggiato pomeriggio di Amburgo sta cedendo il passo all’imbrunire, teme di esagerare. Sospira, ci riflette ancora per qualche istante e infine digita rapidamente il suo messaggio, convincendo se stesso che alla peggio, lei potrebbe leggerlo domani.
- Amburgo non è più la stessa, senza di te. Mi manchi, Yuki. –
Muove qualche passo, non sa nemmeno se ora si senta più leggero o ancora più malinconico, e poi si ferma, per orientarsi e avviarsi a rientrare a casa, ormai stanco anche di passeggiare per il centro; le dita sono strette al telefono nascosto nella tasca e, come in fondo si aspettava, la vibrazione della risposta non tarda ad arrivare.
- Anche tu mi manchi. Ma come dicevi? Dobbiamo essere forti. –
Sospira, con lo sguardo fisso sullo schermo, ma poi un dubbio gli fa drizzare la schiena e controlla di nuovo l’orario, ripetendo mentalmente i suoi calcoli e ottenendo conferma ai suoi dubbi.
- Ma cosa ci fai sveglia? Sono le due di notte … -
La risposta è quasi immediata - Sto studiando. E speravo di sentirti ancora, in realtà. –
- Adesso puoi dormire tranquilla, allora? –
- Lo sai che non dormirò tranquilla ancora per parecchio tempo, vero? –
Non le risponde; qualunque cosa dovesse scriverle, nello stato d’animo in cui si trova, peggiorerebbe la situazione. Lei evidentemente comprende il silenzio e il messaggio successivo è di nuovo suo.
Adesso posso andare a riposare, Genzo. A domani. Ti amo. – e per lui, invece, il tempo torna a scorrere, lento, verso una nuova sera e una nuova notte da trascorrere nel suo appartamento, da solo, facendo i conti con quello che è stato.
 
Lascia Kaltz senza parole quando, nonostante l’aria gelida che spazza Amburgo da qualche giorno, rifiuta il suo passaggio verso casa farfugliando qualcosa di incomprensibile anche a se stesso, mentre infila la sua roba alla rinfusa dentro il borsone, evitando accuratamente il suo sguardo.
- Cosa ti prende, Gen? – il tono del tedesco è preoccupato e la sua voce, strano a dirsi, è quasi un mormorio, che a fatica lo raggiunge, in mezzo al ribollire di voci dello spogliatoio – Ti stai ammazzando di lavoro, non ti dai tregua e spesso ti fermi oltre l’orario canonico, da solo. E ora, nonostante gli allenamenti extra, ti imponi di rientrare a piedi. Si può sapere cosa succede? -
- Niente. – chiude più brusco di quanto avrebbe voluto – Non succede niente, ma ho bisogno di fermarmi a parlare con il Mister e poi con … con il medico. –
- Quindi non stai bene? – indaga Kaltz, la voce colorata da una punta di preoccupazione e la spalla appoggiata all’armadietto – A maggior ragione, allora, forse sarebbe meglio che tu … -
- No. – risponde perentorio chiudendo secco lo sportello davanti a sé – Me la cavo da solo. Anzi, magari non c’è nemmeno bisogno che ci parli oggi, in realtà; comunque sia, tu puoi andare, davvero. Ho … ho proprio voglia di fare quattro passi. –
Le dita tamburellano un poco sulla sacca e poi stringono il cursore della cerniera, indugiando qualche attimo di troppo, prima di farlo scorrere fino a riaprire il borsone; Genzo ci affonda una mano e ripesca dal groviglio di stoffa il cappello bianco, per poi calcarselo sul capo. La confusione dentro il borsone sparisce di nuovo, nascosta dal gesto secco con cui richiude la zip, per poi riaprire lo sportello e spingere il tutto dentro l’armadietto – Anzi, adesso vado a vedere se il Mister è ancora in campo e poi … -
Non ha nemmeno bisogno di terminare la frase, perché sente distintamente il lungo sbuffo di Kaltz che poi si solleva dal suo appoggio e si allontana, scuotendo il capo e borbottando qualcosa senza capo né coda e lui non può che rimanere a fissare la sua schiena, che sfila tra gli altri compagni fino a scomparire oltre la porta dello spogliatoio.
Dovrebbe ringraziarlo; sa perfettamente che Kaltz, in condizioni normali, gli avrebbe esploso in faccia una fila di improperi e di insulti e che ne avrebbe tutto il diritto, perché ormai sono settimane che la storia va avanti con lo stesso andazzo e nonostante tutto, lui tenta ancora di stargli accanto. Vorrebbe rincorrerlo, ma poi, una volta raggiunto, non saprebbe come spiegarsi, e allora volta le spalle al mobile e si siede sulla panchina davanti ad esso, piegando la schiena e rimanendo per qualche istante a fissare lo specchio della porta attraverso la quale i suoi compagni stanno lasciando lo spogliatoio uno dopo l’altro. Qualcuno scherza, altri si spintonano come ragazzini prendendosi per i fondelli con battute di cattivo gusto, e per un attimo si sente catapultato lontano nel tempo e nello spazio, e le voci del battibecco diventano quelle di Izawa e Taki che bisticciano per questioni di centrocampo e lo chiamano in causa, voce autorevole di Capitano, per avere il suo parere definitivo …
Soffia un lungo sospiro tra le labbra e si alza di scatto, afferrando il piumino dall’attaccapanni e infilandolo mentre già si avvia verso il corridoio con passo svelto, quasi in fuga, fino a quando non raggiunge il campo dell’allenamento e, senza nemmeno pensarci, la porta più lontana.  I piedi si fermano ad un soffio dalla linea bianca che separa l’area di gioco da quel ritaglio di erba che lui dovrebbe proteggere, quello in cui il pallone non deve mai entrare; resta a fissare il segno di calce, mentre tutto attorno il cielo di Amburgo si fa cupo, e l’illuminazione del centro sportivo viene ridotta al minimo, come se un sipario scuro scendesse a coprire il suo mondo. Si sente pesante, piega le gambe e finisce per sedersi a terra, le ginocchia sollevate e i gomiti poggiati su di esse, il capo piegato sugli avambracci. Serra gli occhi, cerca conforto nell’unico angolo del mondo che lo sappia strappare dai suoi problemi, ma nonostante tutto, l’eco lontano dei ricordi torna inesorabile. Lascia che il tempo e i pensieri scorrano, accavallando il passato più lontano con quello recente in un contrasto che ancora una volta gli mostra il suo percorso quasi fosse un film, un crescendo che non sembra poter trovare compimento fino a … a …
Si muove appena, porta i palmi al viso, le mani premute sugli occhi, quasi a scacciare le immagini che, anche lì, nel suo minuscolo regno personale, lo insidiano, perché sebbene essere il SGGK sia sempre stata una priorità e una missione, oltre che un privilegio, ora questo non gli basta più, e fare i conti da solo con questa realtà diventa ogni giorno più difficile soprattutto adesso che la questione si è fatta ancora più complicata.
Nel silenzio ovattato del campo deserto, la voce di Tsubasa torna alla memoria con il suo riflesso di urgenza e preoccupazione, insinuando un pensiero che lui, troppo occupato a non soccombere alla fatica della lontananza da Yuki, non è riuscito formulare in autonomia.
- Non l’hai notato, Genzo? Yuki è spenta … C’è qualcosa che non va, ma con me non fa che negare e cercare di tranquillizzarmi … -
Tsubasa, pur lontano da lei, da quando si sono visti è stato forte e ha saputo mantenere fede ai suoi propositi di fratello maggiore; Tsubasa, nonostante tutto, con le sue parole, gli ha aperto gli occhi. Genzo non ci ha messo molto a comprendere cosa stia accadendo a Yuki … perché lui stesso sta scivolando nello stesso gorgo scuro e gli è bastato osservarla meglio durante le loro ultime chiamate per riconoscere quella stanchezza mista a tristezza che aveva sempre finto di non riconoscere, ma che è la stessa che anche lui si porta dentro e che insegue inesorabilmente, nascondendo nello sfinimento fisico, quello dell’anima.
Quando sente il cappello sollevarsi dal capo, permettendo al freddo di insinuarsi tra i capelli con la sua carezza gelida, per poi tornarci, al contrario, lasciando la fronte scoperta, irrigidisce le spalle d’istinto. Non lo ha sentito arrivare; in realtà era convinto che tutti avessero già lasciato il campo e che anche lui si fosse stancato di rincorrere i suoi malumori; forse questa volta lo ha davvero sottovalutato.
- Hai voglia di parlare, Gen? –
Per un istante, vorrebbe mandarlo a quel paese; poi la sua mano calda si posa sulla nuca in un tocco fraterno e inaspettato, stringendo appena. Genzo scuote il capo, serra le labbra, e per qualche istante resta lui stesso in sospeso, fino a che non si lascia sfuggire solo un flebile – Devo fare qualcosa. Essere forti, non basta più. -
 
- Quella che ci ha risparmiato a ottobre, ce la sta rovesciando addosso con gli interessi[i]. Ma non potevamo andarci un altro giorno? –
La voce di Kaltz giunge come un ringhio alle sue spalle, disturbata dal fruscio fastidioso del traffico sul bagnato e lui si limita a proseguire la propria marcia, incurante della giacca sportiva che ormai gli sta addosso come una seconda pelle, da tanto si è inzuppata, e delle scarpe da ginnastica che sembrano incollate ai piedi.
A causa di imprevisti e impegni vari, rimanda questa spedizione ormai da tempo e si è imposto di non tergiversare oltre, perciò non ha nessuna intenzione di dare corda al tedesco e, per tutta risposta, scuote appena il capo, allunga ulteriormente il passo e si limita a un secco – Ho un appuntamento. -
- Proprio oggi che non ho preso l’auto … - riprende a borbottare Kaltz - Cazzo! Potevi anche prenderti un ombrello, no? -
- Non ho ombrelli, a casa: sono un calciatore, io, e sono abituato a stare in campo anche quando piove, senza l’ombrello. – lo zittisce accompagnando le parole con un secco gesto della mano che poi porta al proprio capo – Forse potresti iniziare a considerare di portare anche tu il cappello, però. –
- Mi fa e orecchie a sventola. – grugnisce il tedesco – E mi rovina i capelli. –
Genzo si volta a fissarlo, strizzando gli occhi sotto la visiera gocciolante per metterlo a fuoco mentre attendono che l’omino verde del semaforo pedonale si illumini davanti a loro, e soffoca un commento acido nel constatare che la capigliatura di Kaltz sia perfettamente ritta sulla testa nonostante la pioggia. D’istinto, solleva il proprio cappello, passando le dita umide tra i capelli per districarli e poi riaccomoda il copricapo, tornando a fissare l’amico – Potevi evitare di seguirmi: ce l’avrei fatta anche da solo. –
- Mai e poi mai! – sbotta il biondo, mentre solleva l’indice verso il semaforo illuminatosi di verde e poi spinge Genzo sulle strisce pedonali – Sai che quando fai una cazzata voglio esserci e questa non me la perderei per niente al mondo. Anche se non mi hai spiegato cosa hai in mente, io ho un fiuto infallibile per le cazzate! –
Sbuffa, in bilico tra una risata trattenuta e una lamentela, ma deve ammettere che la sua presenza riesce a sollevargli il morale e stemperare la tensione che trattiene ormai a stento - Comunque, siamo quasi arrivati. – Genzo si affretta attraverso lo slargo antistante il grande edificio e supera i gradini con un salto per cercare rapidamente rifugio sotto il fitto colonnato che si snoda lungo la facciata dell’imponente Rettorato dell’Universität Hamburg; poi si rivolge all’amico, immediatamente serio, mentre un brivido gli attraversa la schiena - Vuoi aspettarmi qui o entri con me? –
Kaltz, come sempre, è pronto e sostiene il suo sguardo; ha colto il suo tono teso ma non ha nessuna intenzione di lasciarlo solo nel momento cruciale - Ho sopportato fino ad ora l’acqua che mi cola tra le chiappe … e, secondo te, adesso mi perdo lo spettacolo vero? -
 
Ha già infilato il giubbotto e le scarpe, ma deve fare ancora un controllo in tutta la casa per assicurarsi di aver lasciato ogni cosa in ordine. Accomoda le lunghe tende del soggiorno e sistema una sedia infilandola a fondo sotto al tavolo da pranzo, allinea i pochi attrezzi appesi al sostegno sopra il piano cottura e dà ancora un’occhiata nel frigorifero e nel freezer, dove come sempre ha fatto in modo di lasciare solo l’essenziale.
- Non ti preoccupare, se ci è rimasto qualcosa di buono, non lo ritroverai al tuo rientro. – la voce di Kaltz giunge divertita dal divano dove si è sistemato in attesa che lui fosse pronto, prendendo mentalmente nota di ogni sua raccomandazione.
- Quindi passerai ogni tanto a verificare che sia tutto a posto? – chiede per l’ennesima volta, pur sapendo perfettamente che non potrebbe lasciare l’appartamento, e tutti i suoi affari, in mani migliori – Ti lasco i documenti qui sulla penisola. -
- Certo! Ho ancora la mia copia delle chiavi: non verrò qui a togliere la polvere dalle mensole, ma passerò. E non appena mi darai il segnale convenuto, verrò a prendere le scartoffie. – muove il capo e indica la penisola, sa esattamente di cosa si tratti e a chi consegnare il tutto, in caso di necessità - Puoi stare tranquillo, tanto non ci sono piante da far annegare … Anzi, vuoi che ti faccia trovare fiori freschi e cioccolatini, al rientro? -
Genzo sbuffa e si allontana, sa di avere ancora un’ultima cosa da fare, prima di andarsene, ma non intende dare nell’occhio, così raggiunge la camera da letto e, senza nemmeno accendere la luce, raccoglie dal comodino la piccola scatola di velluto, facendola sparire dentro ad una tasca interna del giubbotto. Poi torna in soggiorno, afferra la maniglia regolabile della valigia e inclina il bagaglio, pronto a partire – Andiamo? –
L’altro risponde con un lamento stiracchiandosi tra i cuscini del divano sul quale aveva finito per stendersi, ma poi si solleva, tra un grugnito e uno scrocchiare di dita.
– Comunque, avrei potuto prendere un taxi … - commenta Genzo aprendo la porta e spegnendo le ultime luci, per poi lasciargli lo spazio per passare all’esterno. Richiude il battente, infilando le chiavi nella serratura e Kaltz però non gli lascia il tempo di proseguire.
- Scherzi? Ormai l’ho presa come una missione. Come la mia professione alternativa. – il tedesco scherza e sottolinea quanto detto afferrando la valigia e invitandolo a fare strada lungo il corridoio; Genzo muove un passo ma appena supera l’amico sente il suo braccio circondargli le spalle e stringere forte in un gesto fraterno.
Percorrono il corridoio in silenzio e in silenzio rimangono mentre l’ascensore li porta fino al piano terra; Genzo scivola tra le porte scorrevoli e si affretta a far scattare la chiusura dell’accesso al palazzo, per poi muoversi verso l’esterno. Tuttavia, quando lascia il piccolo atrio di ingresso e si trova sulla pubblica via, Genzo muove solo pochi passi, prima di fermarsi a fissare il suolo per qualche istante. Le labbra si tendono e lui d’istinto rovescia il capo sulle spalle, volgendo il viso al cielo per accogliere sulla pelle i primi fiocchi di neve di quello strano inverno insolitamente avaro di precipitazioni. Socchiude gli occhi e inspira il profumo gelido dell’aria costellata dal nevischio, qualche fiocco si ferma tra le ciglia ed è un piacere sentirlo sciogliersi e poi restare lì, come una curiosa lacrima fredda, uno strano sollievo per il suo umore in subbuglio. Il cielo è un tetto grigio scuro, piatto e senza alcun riflesso del giorno che sarà, e Genzo rimane incantato nell’osservare il gioco dei fiocchi che fluttuano leggeri, danzando sul silenzio ovattato che anticipa il risveglio di Amburgo, brillando appena sotto il cono di luce del lampione più vicino. Allarga le braccia e resta in sospeso, con le mani aperte come a raccogliere la neve sui palmi, per imprimere il suo tocco lieve sulla pelle in un ricordo che rimanda ad altro …
- Tutto bene, Gen? – la voce di Kaltz tradisce sorpresa e lui non può che scuotere il capo, dischiudendo le labbra e lasciando che qualche fiocco gelato si sciolga sulla lingua.
- Gen? – incalza l’altro e lui non può che cedere.
- Va tutto bene, Kaltz. – lo rassicura cercando le parole giuste per spiegare quella strana sensazione che tutto d’un tratto lo ha preso, sciogliendo la strana inquietudine che da giorni pesava dentro al petto – E’ solo che … aspettavo un segno, qualcosa che mi parlasse; e ora è arrivato. –
Kaltz inarca le sopracciglia, sorpreso e quasi incredulo – Aspettavi la neve? –
- Probabilmente sì. – conferma Genzo immediatamente di buon umore, pronto ad affrontare il suo viaggio - Perché in questo momento ho l’assoluta certezza che tutto andrà per il verso giusto.[ii] -
 
[i] Da quel che ho letto, Amburgo è una città molto piovosa, in ogni stagione. Si salvano appena i mesi estivi, che spesso però regalano copiosi rovesci.
[ii] Neve, in giapponese, è yuki: non potevo evitare di giocarci, dopo aver letto che gli inverni di Amburgo sono spesso generosi di neve!

Angolo dell'autrice: nonostante i tanti impegni, eccomi di passaggio, davvero in corsa, per l'aggiornamento. Sono in ritardo con qualche risposta, chiedo solo un po' di pazienza. Nel frattempo, grazie a chi legge e apprezza.
Buona Pasqua e dintorni.
Maddy

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** ... risposte ***


30. … risposte
 
Si è fatto lasciare a due isolati di distanza dalla sua meta e ha coperto l’ultimo tratto di strada a piedi, le mani affondate nelle tasche del giubbotto scuro, le dita strette sul velluto e lo sguardo che accarezza la serie di villette che sfilano, una dopo l’altra, ai lati della via. Conosce l’indirizzo, anche se non ha un ricordo ben preciso dell’abitazione a cui è diretto, e nella mente si sovrappongono solo immagini confuse, ritagli di video chiamate in cui lo sfondo era per lo più una camera da letto ricolma di libri di testo e appunti, tuttavia quando giunge di fronte all’edificio giusto, si ferma senza nemmeno aver bisogno di controllare che il civico sia quello corretto, perché i dettagli vengono a galla e si sovrappongono con l’immagine curata e tranquilla dell’abitazione degli Ozora.
Sfila gli auricolari e li fa scomparire in tasca, si guarda attorno e quando preme il tasto del campanello, il cicalino che ne segue si unisce ad un brivido che lo percorre dal collo fino alla base della schiena. Chiude per un istante gli occhi, stringe i pugni nelle tasche e poi solleva lo sguardo sul cielo incolore che sovrasta la città con la sua coltre fredda mentre inspira profondamente cercando di governare quella strana inquietudine che sembra essersi impossessata di lui.
Attende questo momento da settimane; non ha annunciato il proprio arrivo per regalarle la sorpresa di un rientro anticipato, ha cercato di immaginare il loro incontro più e più volte, senza riuscirci, mentre le idee diventavano confuse e le sensazioni si accavallavano, in un misto di desideri, bisogni e … timori; timori per quel disagio che lei non gli ha mai espresso, che intuiva e viveva lui stesso e che solo grazie alle parole di Tsubasa era divenuto qualcosa di reale e riconoscibile nei suoi modi a volte schivi e nella piega triste dei sorrisi con cui lo salutava ogni notte. Timore che qualcosa gli sia davvero sfuggito …
Quando la porta d’ingresso si muove, Genzo trattiene il fiato; il sorriso appena comparso sulle labbra muta in una espressione incerta e il respiro si spezza mentre dall’ombra del piccolo portico emerge una figura da cui non si aspettava di poter essere accolto. Serra le labbra, deglutisce; mentalmente, cerca di arrangiare alla meglio delle parole di cortesia mentre, immobile sulla soglia di casa propria, è l’altro a rompere gli indugi.
- Genzo Wakabayashi. – la voce è ferma e non sembra tradire nessuna emozione; Genzo riesce a sostenere lo sguardo con cui l’uomo lo scruta dopo aver pronunciato il suo nome, mentre di rimando accenna un leggero moto di conferma con il capo e l’altro riprende a parlare incrociando le braccia al petto – Immaginavo che prima o poi ci saremmo incontrati; come immagino che tu non sia qui per una rimpatriata tra compagni di Nazionale. –
Prende fiato, per un attimo sposta lo sguardo sul selciato regolare e lucido del breve vialetto che lo divide dall’ingresso dell’abitazione, e poi torna a puntarlo sul padrone di casa – Non posso darle torto, Capitano Ozora: sono qui per sua figlia, per Yuki. –
L’espressione del Capitano Ozora è imperscrutabile ma Genzo sente impellente il bisogno di resistere, di non mostrare incertezza di fronte a quell’uomo di cui riconosce il carattere forte anche nel silenzio che rimane in sospeso tra loro; sa di non essere atteso e, in un certo senso, teme pure di non essere il benvenuto, visto il modo con cui l’uomo ha prontamente tracciato i contorni della sua visita, tuttavia ha bisogno di arrivare a Yuki e, vista la situazione, non può che tentare di aprire un varco nella cortina che pare avere di fronte a sé, perciò azzarda – Yuki è in casa? Non sa del mio arrivo e io avrei voluto farle una sorpresa; se lei è d’accordo. –
Intuisce appena il moto con cui le dita della mano destra tamburellano sull’avambraccio sinistro mentre il Capitano sembra considerare il da farsi; poi Genzo lo vede annuire lentamente e arretrare di un passo, riaprendo il battente alle proprie spalle – Seguimi, forza. –
 
Lasciate le scarpe nel genkan[i], Genzo segue il Capitano Ozora in soggiorno e poi si siede sul divano che gli viene indicato, proprio di fronte alla poltrona dove prende posto il padrone di casa; non si guarda attorno, resta concentrato sull’altro e attende che sia lui a parlare.
- Mia figlia non è in casa. – esordisce infine il Capitano e Genzo intuisce immediatamente il fatto che sia stato fatto accomodare proprio per questa ragione – Tsubasa e Sanae l’hanno convinta a lasciare i libri da parte per una mattinata, per accompagnarli in un giro di acquisti. Sono riusciti in una impresa che ha dell’incredibile. – Asciutto e dritto al punto; anche nel sottolineare il fatto che Tsubasa si muova ufficialmente con Sanae, nonostante in questo caso si tratti di questioni che non riguardano direttamente lui.
Genzo soffia un leggero sospiro e annuisce appena, portando lo sguardo basso, sulle proprie dita intrecciate, sulle mani sospese tra le ginocchia; non sa esattamente come gestire il confronto con il padre di Yuki, né si era mai preparato alla possibilità di un colloquio diretto, eppure in questo momento si sente semplicemente come se attendesse questo incontro da tempo. Niente a che vedere con l’inquietudine con cui aveva immaginato di rivelarsi a Tsubasa, quando probabilmente l’incertezza era solo dentro il suo stesso animo, né con l’urgenza con cui poi lo ha realmente affrontato; ora non ha nulla da nascondere e sente solo il bisogno di fare chiarezza e di mostrarsi al Capitano per quello che è realmente e per quello che prova.
 – Capisco. So che Yuki sta dedicando tutta se stessa agli studi e … -
- E questo sarebbe un aspetto lodevole, - riprende il Capitano, deciso – se non la stesse letteralmente consumando. –
Istintivamente, Genzo solleva lo sguardo dalle proprie mani per incrociarlo con quello dell’uomo; le sue parole lo hanno colpito e non ha nessuna intenzione di fingere di essere estraneo ad una situazione che, al contrario, lo tocca da vicino – Sono qui anche per questo, Capitano: mi sento responsabile per quello che sta accadendo e vorrei davvero … aiutare sua figlia. –
- Voglio essere chiaro, ragazzo: io non ti sto dicendo che ti ritengo responsabile del comportamento o delle scelte di mia figlia ma piuttosto che non credo che questa situazione possa essere sostenuta ancora a lungo. – si ferma, tende le labbra e sembra riflettere, prima di riprendere a parlare, e Genzo non può che restare in silenzio, di fronte all’autorevolezza con cui il Capitano si esprime – Certo, non posso nascondere il fatto che la sua esperienza ad Amburgo l’abbia cambiata profondamente; ma questo non sarebbe motivo di preoccupazione se nei suoi occhi vedessi ancora l’entusiasmo e la felicità che ci vedevo fino a prima del suo rientro. -
Genzo trattiene un sospiro, si morde le labbra e non può che convenire – Credo che lei stia davvero chiedendo troppo a se stessa. -
– In realtà, so che anche tu stai vivendo un periodo impegnativo. - il Capitano coglie l’occasione prontamente - Secondo le indiscrezioni delle riviste sportive tedesche, segui allenamenti massacranti e dall’inizio del campionato sembri diventato inarrestabile, come se volessi sfidare il mondo intero. Come se tu stesso non trovassi pace. –
- Beh, io … - Genzo non può negare che ciò che hanno riportato i giornali sportivi sia vero, sebbene nessun cronista abbia avuto la possibilità di interpretare la vera ragione del suo dedicarsi anima e corpo agli allenamenti, ma è sinceramente sorpreso del fatto che il Capitano sia così informato in merito a ciò che lo riguarda e questo lo colpisce – E’ vero: non è un momento semplice nemmeno per me. -
- Non ci vuole molto a comprendere come stiano le cose: mia figlia sta dando l’anima nel tentativo di terminare gli studi il prima possibile; tu non fai altro che riempire ogni istante delle tue giornate fino a stordirti di allenamenti.  – di nuovo lucido; quasi crudele – La domanda è una sola: perché? –
Tuttavia il Capitano non aspetta una risposta, si alza e si allontana, lasciando Genzo a riflettere in solitaria. E’ fin troppo chiaro il fatto che l’uomo abbia già tratto le proprie conclusioni in merito e lui non può che considerare il fatto che probabilmente avere la possibilità di confrontarsi con il padre di Yuki, prima ancora che con lei, possa essere una opportunità da cogliere al volo; perché nonostante la fermezza con cui il Capitano si esprime e il rispetto assoluto che gli ispira, Genzo ha colto e apprezzato la totale franchezza con cui l’uomo gli ha parlato e non si sente minimamente intimorito dalla sua autorevolezza, ma al contrario, ora avverte di essere affrontato con grande considerazione.
Si guarda attorno, scorge qualche dettaglio del soggiorno che non si era ancora dato modo di osservare e lo sguardo scivola rapido lungo il perimetro di un locale ampio ed essenziale, dove dettagli e proporzioni tradizionali si fondono con una struttura dalle linee decisamente occidentali arredata con il gusto attuale, in assoluta armonia. Riesce appena a scorgere su una mensola una raccolta di oggetti, ricordi di viaggio e qualche fotografia, in cui riconosce attimi rubati alle occasioni in cui la famiglia ha potuto riunirsi: devono rappresentare una sorta di punto fermo per la signora Ozora che ha abitato questa casa quasi sempre senza il marito e ora, sempre più spesso, senza nemmeno i suoi ragazzi.
Quando fa ritorno, il Capitano tiene tra le mani una ciotola con dei crostini rettangolari che Genzo trova vagamente famigliari; l’uomo torna ad accomodarsi sulla poltrona e spinge la ciotola verso il divano.
- Togli il giubbotto e prendi qualche crostino: è quasi ora di pranzo, ma non so quando i ragazzi faranno ritorno. Mia moglie stava cucinando quando improvvisamente è uscita per recuperare qualcosa che si è accorta di aver terminato. Uno spuntino non può che farci bene. –
Genzo si allunga per afferrare un crostino e portarlo alle labbra sotto lo sguardo del Capitano che riprende con fare leggero – Questi sono tedeschi: dovrebbero piacerti. In casa ci sono degli alcoolici ma non credo che sia … -
- Non si preoccupi, - si affretta a rassicurarlo masticando un po’ mentre riconosce il retrogusto amaro dei crostini alla birra a cui è avvezzo[ii] – non sono abituato all’alcool. Non ne bevo nemmeno a casa. – per poi precisare – A Amburgo, intendo. -
- Oh, già … in effetti, ripensandoci, questo dettaglio non mi è nuovo. – osserva il Capitano, mentre prende a sgranocchiare e aggiunge - Anzi, non appena rientrerà Natsuko, le chiederò di prepararci del tè: ho un ottimo tè nero da offrirti; da quando è rientrata da Amburgo, Yuki beve solo quello e ne ha fatto scorta. Immagino che abbia imparato da te. - per poi chiedere, quasi a bruciapelo – Quando sei arrivato? –
- Sono atterrato questa mattina[iii]. – Genzo risponde subito e nota il gesto appena accennato con cui l’uomo di fronte a sé controlla l’orologio al proprio polso – Sono arrivato con un taxi dall’aeroporto, ho lasciato i bagagli alla villa e mi sono fatto accompagnare qui. –
Il Capitano porta un altro crostino alle labbra, senza distogliere lo sguardo da lui, e solleva le sopracciglia in un gesto a metà tra la sorpresa e la velata provocazione – Quanta fretta … -
- Non avevo altra ragione di rientrare in Giappone, Capitano, se non il bisogno di parlare con Yuki. Di parlarle … direttamente. – tiene a precisare.
- Capisco. Beh, sarà certamente felice di vederti. – osserva lui senza scomporsi, per poi aggiungere – E, sebbene non dovrei essere io a suggerirti niente, mi auguro che tu possa distrarla un po’ in questi giorni … credo che le farebbe bene. So che … tiene molto a te. –
E’ incredibile come, nonostante intuisca una personalità completamente diversa da quella di Tsubasa, nello sguardo diretto del Capitano Genzo riesca a riconoscere il piglio che anche suo figlio mostra nei frangenti critici delle sfide che affronta. Sa che l’affermazione del Capitano non è stata casuale; quelle parole lasciano intendere che i sentimenti di Yuki nei suoi confronti non siano un segreto, ma lasciano in sospeso molto altro.
- Capitano, vorrei che sapesse che quando era a Amburgo, il fatto che stesse con me, non costituiva una distrazione. Lei studiava con ottimi profitti, questo lo saprà bene, senza … senza i problemi che ha ora. –
- Lo so bene, Genzo. – lo rassicura il Capitano, annuendo appena – Natsuko la chiamava abbastanza spesso, vedeva quanto fosse felice, impegnata e gratificata, nonostante tutto. Il problema è ora. E’ … qui. –
Genzo coglie perfettamente il non detto in quelle parole e azzarda - Capitano, lei crede in sua figlia … -
- Io credo ciecamente nelle capacità dei miei ragazzi – riprende l’uomo con tono deciso - e ho sempre desiderato che potessero avere le migliori opportunità per seguire la strada per cui si sentono destinati. Per questo ho compreso il desiderio di Tsubasa di partire per il Brasile e quello di Yuki di cogliere l’opportunità di uno stage in Europa … –
- Amburgo è stata una grande opportunità, per Yuki, e … potrebbe esserlo ancora. Ne sono convinto. – non perde l’occasione per chiarire il suo pensiero, consapevole che non possa lasciar correre, ora che la questione è sul tavolo.
- Ma lei tornerebbe ad essere dall’altra parte del mondo a studiare senza la sua famiglia, lontana da casa, e io mi chiedo per quanto tempo potrebbe continuare a sentirsi bene, nonostante la distanza da Nankatsu. –
Il Capitano non si sbilancia, sebbene sappia come farsi comprendere, e nelle sue parole Genzo coglie una sorta di sfida; è chiaro che si tratti di un uomo deciso, estremamente determinato, in cui riconosce ancora l’origine dell’indole inarrestabile e combattiva di Tsubasa, così come di Yuki, tuttavia non ha intenzione di farsi intimorire e torna ad argomentare – Capitano, tutti abbiamo una famiglia, quella d’origine, che ad un certo punto abbiamo il coraggio di lasciare. Lei mi ha detto che il problema è qui, ora, e io credo che tutto dipenda da noi … da dove noi ci sentiamo lontani e dove no, che sia nella nostra casa natale, oppure … altrove. –
Il Capitano aggrotta la fronte, è evidente che abbia colto il significato delle sue parole, ma non voglia dargli la partita vinta così facilmente – Tsubasa aveva Roberto, una squadra e un ambiente, il calcio, che per lui era tutto. La situazione di Yuki è differente: lei sta frequentando l’università; il suo futuro professionale è molto diverso da quello che si prospettava per Tsubasa e non deve in nessun modo passare in secondo piano. –
Sostiene lo sguardo fermo del Capitano, mentre riflette sulle sue parole, deglutisce e risponde, pacato - Lei viaggia molto ed è comprensibile che qui si senta a casa, dove ha la sua famiglia, sua moglie, i suoi affetti … i suoi ricordi migliori. Per lei il lavoro è il lontano mentre la famiglia, la casa, è qui. Per me, invece, tornare a casa significa tornare ad Amburgo dove sono cresciuto, vivo e lavoro. Sono certo che Tsubasa si senta a casa quando torna qui e ci trova Sanae, ma riesco perfettamente ad intuire il fatto che si senta diviso tra il Giappone e Barcellona. Ognuno di noi ha dei riferimenti che ritiene importanti e tra questi può trovare un equilibrio tra casa, affetto e opportunità di lavoro. –
Silenzio, anche il Capitano riflette e Genzo riprende - Yuki può ancora scegliere dove lavorare e probabilmente ora lei ha bisogno di tornare là dove è stata davvero bene. Forse anche Yuki vorrebbe tornare dove si sente a casa. –
Il Capitano resta pensieroso, sembra ponderare le parole, per rispondergli, ma quando dischiude le labbra, un rumore dall’ingresso lo lascia in sospeso.
Sono voci allegre e un po’ confuse, quelle che giungono dal genkan e poi si fanno più vicine; Genzo riconosce il tono vivace di Tsubasa un istante prima che lui compaia nello specchio della porta che si apre sul disimpegno e non può che sorridere, quando lo sguardo incrocia quello dell’amico che è pronto nel soffocare il moto di sorpresa con cui risponde al suo cenno e nel reagire spostandosi verso il soggiorno.
- Ragazze, ci scaldiamo con un tè? – chiama Tsubasa diretto oltre l’ingresso e subito ne spunta Sanae che sembra volergli rispondere, ma quasi si strozza puntando gli occhi su Genzo e portandosi una mano davanti alle labbra.
- Io preferirei recuperare un po’ di studio … - la voce di Yuki, dall’ingresso, gli giunge mesta e gli provoca una stretta al petto, soprattutto quando le prosegue – Tsu, me lo porti in camera, per favore? –
 
- No. Non te lo porto in camera. –
La risposta di Tsubasa la spiazza, di solito lui è molto accomodante, tuttavia non ha tempo né voglia di mettersi a discutere con suo fratello, perché ha davvero intenzione di recuperare il tempo perso in centro e dedicarsi al più presto possibile allo studio lasciato in sospeso. Prende un profondo respiro, scuote il capo un po’ contrariata, sfila le scarpe meccanicamente, senza nemmeno controllare di riporle in ordine, e poi torna sulla soglia di casa perché solo un attimo prima ha intravisto sua madre in arrivo.
- Ti aiuto, mamma? – si affretta a chiederle, ma in realtà Natsuko, sta già negando con il capo mentre sale i gradini del portico e la raggiunge.
- Tranquilla, Yuki: ho solo queste due. – spiega gentile e solleva un poco le braccia per mostrarle la spesa, per poi aggiungere con un cenno a ciò che ha scorto lasciato nell’ingresso – Tu, invece, hai già le tue borse … -
Yuki annuisce, raccoglie la spesa e si affretta in soggiorno, per andare a sistemare quello che deve essere lasciato in cucina, pronta a rifugiarsi in camera.
In soggiorno, tuttavia, si blocca. Dischiude le labbra, sbatte le palpebre più volte e si accorge a mala pena del tonfo con cui le borse che teneva in mano cadono a terra, rovesciando sul pavimento parte di ciò che contenevano.
Stenta a credere a ciò che vede, il respiro si fa teso e lo sguardo segue il gesto con cui lui si solleva dal divano, muovendo poi un passo per avvicinarsi. E’ davvero lui … anche se non i spiega come e quando sia arrivato.
- Yuki … - anche la voce è la sua, calda e inconfondibile; suo il gesto con cui allarga appena le braccia per invitarla ad avvicinarsi[iv] e suo lo sguardo con cui la chiama, quella piega tenera e innamorata con cui solo lui la sa guardare.
- Genzo … – mormora a fior di labbra, ancora sorpresa, ma già udire la propria voce rende tutto ancora più reale e il sorriso con cui lui le risponde le muove un brivido lungo la schiena che la scuote e la spinge, finalmente, tra le sue braccia.
- Genzo! – lo chiama convinta mentre lo raggiunge, di corsa, appoggia la fronte al suo petto e stringe tra le dita la stoffa della sua camicia; serra gli occhi perché non ha più bisogno di guardarlo, per essere sicura che lui sia davvero lì, perché lo sente, fermo con il suo abbraccio forte e caldo che la avvolge e la culla, la accarezza con il suo profumo e la trattiene a sé mentre lei sussulta, il respiro ormai spezzato dalla tensione di un’attesa che non sembrava potesse aver fine. Trattiene un singulto, a fatica cerca di controllare le emozioni che la investono in una tempesta che è esasperazione, frustrazione, impotenza, cocciutaggine e rabbia, e che si scioglie nelle lacrime che la liberano, finalmente, da quello che ormai era diventato una specie di incubo.
– Gen … Gen-zo … - Lascia che tutto fluisca attraverso quel pianto, si libera del peso che ha portato dentro di sé per settimane e non sente il bisogno di dire o di chiedere nulla, né di spiegarsi, perché nelle carezze che avverte sulla schiena e nel contatto caldo delle sue labbra sul capo riconosce che lui ha capito, che sa già tutto, perché ha attraversato lo stesso calvario anche lui e niente e nessuno meglio di lui potrebbe comprendere.
Sono voci lontane, quelle che intuisce sullo sfondo, oltre la coltre che ora la separa dal resto del mondo, e l’ha inghiottita nella bolla in cui ha ritrovato se stessa, ma riesce a riconoscerle quel tanto che è sufficiente per comprenderne i toni famigliari, il brio di qualche scambio di battute e quel – Direi che puoi preparare per sei, Nastuko! – con cui suo padre sembra chiudere la questione prima ancora che possa essere aperta.
 
[i] Mi sono divertita ad approfondire un pochino il tema dell’architettura abitativa giapponese contemporanea che, in molti casi, fonde elementi tradizionali quasi irrinunciabili, come il genkan, con tecnologia e dettagli di avanguardia. Beh, la casa del Capitano la vedo così.
[ii] Tra una gran varietà di zuppe e di crostini per accompagnarle che prevede la cucina tedesca, mi piacevano quelli alla cipolla; tuttavia, con un occhio di riguardo all’alito di Genzo, non ho osato e ho ripiegato su quelli alla birra…
[iii] Quando mio marito viaggia verso Cina e Giappone, i suoi voli arrivano sempre là di prima mattina (tipo tra le 6 e le 7) e ho voluto riprendere questo dettaglio; tra l’aeroporto Narita e la prefettura di Shizuoka ci sono circa tre ore di viaggio (il treno è un poco più veloce, ma ho preferito il taxi, per Genzo), quindi, se non ha perso tempo, è verosimile che Genzo sia giunto a casa Ozora in tarda mattinata.
[iv] E’ lo stesso gesto che Genzo compie parecchi capitoli fa … al momento del loro primo abbraccio.

Angolo dell'autrice: finalmente in Giappone... finalmente di nuovo insieme, anche se solo per un attimo, prima di potersi riunire davvero.
Tiriamo insieme un sospiro di sollievo?
Grazie ancora a tutti voi che leggete ... un abbraccio e a presto!
Maddy


 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** ... casa ***


31. … casa
 
- Quando mio padre ti ha chiesto cosa avessi intenzione di fare durante questi giorni a Nankatsu e tu gli hai risposto che avresti semplicemente rapito Yuki per tenerla con te finché non fosse arrivato il momento di partire per Amburgo, per poco non mi soffocavo con quello che stavo bevendo! –
Tsubasa guida agile tra le vie dei quartieri residenziali di Nankatsu e lancia un’occhiata di traverso a Genzo, seduto al suo fianco, provocandolo bonariamente.
- Ho voluto essere chiaro. – Genzo si spiega e assottiglia lo sguardo in una espressione furba –   Gli avevo già detto che sono qui per lei e lui stesso ha ammesso che Yuki ha bisogno di distrarsi dallo studio: mi sembrava un’ottima occasione per ottenere quello che volevo. Se si fosse opposto, avrebbe rimangiato quello che mi aveva detto poco prima che arrivaste. –
- La mamma però non sembrava esattamente dello stesso parere … - Yuki si sporge in avanti sostenendosi al sedile di Genzo - … non credo che ne avessero parlato prima, né che avessero anche solo considerato la questione, ma probabilmente non ha voluto contraddire papà. –
- Non l’hai lasciata nemmeno fiatare! – si intromette Sanae con un’alzata di spalle – Ti sei fiondata a preparare i bagagli senza nemmeno sapere dove esattamente sareste andati, ringraziando tuo padre che aveva a mala pena annuito come se non stessi aspettando altro che fuggire, senza lasciare a tua madre il tempo di dire nulla, ma ti sei persa le occhiate che lei ha dato poi a me, come a verificare che io ne sapessi qualcosa di più. –
- Non ne sapevo di più nemmeno io, – ammette candidamente Genzo, provocando l’ilarità di Tsubasa e l’incredulità di Sanae – ma non potevo lasciarmi sfuggire il momento propizio: adesso abbiamo tutto il tempo che vogliamo per organizzare qualche giorno di vacanza insieme. –
Yuki osserva il suo profilo soddisfatto e allunga un braccio fino a sfiorargli la spalla richiamando la sua attenzione – La tua famiglia è alla villa? –
- I miei genitori dovrebbero arrivare attorno al 26[i], mentre Eiji[ii] e la sua famiglia vivono lì ma trascorreranno questa settimana dai parenti di sua moglie, a Sapporo, perciò noi avremo qualche giorno di pace e potremo andare in centro a fare passeggiate e acquisti, rilassarci … insomma, siamo liberi. Oppure potremmo andare a Saiko, sul lago: conosco abbastanza bene la zona. –
Tsubasa ferma la marcia di fronte ad un semaforo rosso, smanetta un istante con la radio e poi si volta verso l’amico – Non dimenticatevi l’uscita Nankatsu: credo che Ishizaki stesse organizzando per il 28 nel solito locale. –
- Mi basta riuscire a passare almeno Natale in pace con Yuki[iii]. – la cerca con lo sguardo e trattiene la sua mano sulla propria spalla, stringendola appena e trovando subito la sua approvazione – Se anche dovessimo optare per il lago, per il 28 saremmo di ritorno. -
L’auto riparte e svolta per costeggiare una recinzione chiusa da una siepe imponente e ben curata, fino a fermarsi in prossimità di una cancellata oltre la quale Yuki riconosce il profilo elegante della villa di famiglia di Genzo.
– Eccovi a destinazione. – annuncia Tsubasa voltandosi a cercare Yuki, mentre Genzo sta già aprendo lo sportello per scendere dall’auto – Mi raccomando: niente libri! –
Lei gli sorride di rimando, scuotendo il capo – Ho portato solo qualche appunto per un po’ di ripasso e il romanzo che sto leggendo, ma … -
- … ma penserò io a distrarti, Yuki. – termina Genzo aprendo la portiera posteriore, invitandola a scendere, e poi passa al bagagliaio per occuparsi del suo trolley – Non sono certo volato qui da Amburgo per stare a guardarti china sui libri. –
Stringe la sua mano per accompagnarla mentre lascia l’auto e si china a salutare gli amici che li hanno accompagnati – Grazie, Tsubasa. E grazie anche a te, Nakazawa. Ci sentiamo presto. -
Yuki segue ogni suo gesto, in silenzio; nonostante lui sia comparso da alcune ore e lei abbia trascorso con lui, con la famiglia e con Sanae l’intero pomeriggio, ancora fatica a capacitarsi del fatto che Genzo sia veramente di nuovo al suo fianco. Si lascia condurre per qualche passo, avverte il suo braccio circondarle le spalle e risponde quasi meccanicamente ai saluti di Sanae e Tsubasa, osservando senza parlare la piccola auto ripartire e allontanarsi lungo la via, fino a sparire oltre l’incrocio in fondo alla strada.
Solo quando sente l’abbraccio farsi più saldo sulle sue spalle, Yuki realizza davvero di essere rimasta con lui, finalmente insieme dopo tante settimane di separazione, e allora si volta, cerca il suo sguardo e trova il suo sorriso, le labbra morbide tese in una espressione di una dolcezza unica, solo sua, che poi si muovono in un invito che non può rifiutare.
- Entriamo? –
 
Osserva il parco attraverso una delle grandi finestre aperte sulla proprietà di famiglia e lo sguardo scivola sull’erba curata, un tappeto morbido che diventa imperfetto in prossimità della struttura metallica della porta dove Genzo si allenava da ragazzino. Il metallo smaltato di bianco brilla sotto la luce calda dei lampioni che corrono lungo la recinzione e nel cono d’ombra riesce appena a scorgere i sostegni che certamente portano lampade ben più potenti, destinate agli allenamenti serali di cui ha sentito parlare in passato. Ha un vago ricordo dei discorsi di Tsubasa e dei compagni in cui si faceva cenno al fatto che Genzo non si allenasse solo con la Shutetsu, ma soprattutto con il suo mentore, ma non aveva mai realizzato cosa significasse veramente quel dettaglio che ora invece si è concretizzato sotto i suoi occhi. Genzo deve essere cresciuto tra quei pali dedicando ore e ore della sua vita al suo ruolo, in un intreccio dove determinazione, talento naturale e spirito di sacrificio hanno realizzato la struttura portante di ciò che è diventato. Riesce quasi ad immaginarlo, ripensando agli scorci di quella famigerata partita con la Nankatsu e si lascia sfuggire un sorriso di fronte all’idea di quel ragazzino inavvicinabile per il quale Tsubasa aveva solo parole di assoluta ammirazione, che ora è cresciuto nell’uomo che ama e del quale non può fare a meno.
Il rumore del getto dell’acqua, oltre la porta della stanza da bagno, richiama la sua attenzione; resta come in attesa, giocando con i capi della cintura dell’accappatoio e poi, quando le giunge la voce di Genzo che prende a cantare sotto la doccia, soffia un lungo sospiro, quasi commossa nel riconoscere un dettaglio che la riporta direttamente a lui, al ragazzo che ha conosciuto, a cui si è legata in modo viscerale durante le settimane trascorse insieme, di cui si è innamorata senza nemmeno rendersene conto e che, deve ammetterlo, aveva temuto di non poter ritrovare.
E’ frastornata dagli avvenimenti della giornata, dall’arrivo inatteso di Genzo, dal pomeriggio trascorso con Tsubasa e Sanae, dalla sua proposta di fermarsi alla villa per poi spostarsi sul lago; tuttavia, ora che è sola con lui si sente come catapultata ad Amburgo. Non riesce a spiegare la ragione della propria sensazione, ma da quando si sono ritirati in camera, ha come l’impressione di essere tornata a casa, perché tutto, attorno a lei, ora parla di lui.
Deve ammettere di essere rimasta intimidita, in principio, dalla grande residenza della famiglia Wakabayashi, dall’immenso atrio a doppia altezza, dalla scala con la ringhiera in bronzo decorato, dalle dimensioni assolutamente inconsuete di ogni ambiente che ha attraversato, se paragonate all’idea che ha sempre avuto di spazio abitativo. Dai salotti alla sala da pranzo, fino alla stanza da letto di Genzo che, riflette, ha più o meno la stessa dimensione dell’intero appartamento di Amburgo, tutto di questa dimora elegante e curata la lascia senza parole; dopo il primo impatto, tuttavia, accompagnata per mano da Genzo stanza dopo stanza, ha iniziato a guardare la villa con occhi diversi, fino a restare affascinata da ciascuno dei suoi elementi: il bianco delle boiseries e dei soffitti che crea ambienti luminosi e puliti, pervasi da una calma avvolgente, o i toni chiari, pur sempre caldi, dell’arredo, pezzi moderni e dalle forme lineari, come gli imbottiti, accostati a mobili antichi perfettamente integrati tra loro in una armoniosa miscellanea di stili che rimanda all’occidente in ogni dove, ma che, nel sussurro di dettagli dal sapore giapponese, riesce a mantenersi ancorata alla realtà in cui è immersa. Ha notato le sete dipinte e i quadri dai colori neutri che decorano i salotti, ha riconosciuto persino qualche tela dai tratti famigliari, forse ricordi delle immagini dei libri di arte delle scuola superiori …
Soffia un leggero sospiro mentre si volta e si guarda attorno; più che in una abitazione, si sarebbe immaginata di trovarsi in una sorta di museo e invece … di nuovo Genzo e il suo mondo sono riusciti a sorprenderla e a farla sentire incredibilmente a proprio agio. Muove qualche passo, lo sguardo abituato alla luce calda degli abat-jour, e supera il salotto, sfilando alle spalle del divano e accarezzandone la sommità, per avvicinarsi alla grande scrivania dove Genzo certamente studiava da ragazzino; alle sue spalle, su una libreria a giorno, tra volumi scolastici e non, sono in bella mostra una serie incredibile di trofei, targhe e riconoscimenti di ogni tipo. Si avvicina, incuriosita, perché quando sono arrivati in camera li ha intravisti, ma era troppo occupata a realizzare quanto fosse spazioso e incredibile l’ambiente, per potersi soffermare su certi dettagli. Allunga un braccio, sfiora appena una targa dove, strizzando un po’ gli occhi riesce a decifrare l’incisione in tedesco …
- Che guardi? – la voce di Genzo, ad un soffio dalla sua spalla, la fa trasalire ma poi l’abbraccio in cui lui la stringe, chiudendola contro il proprio petto, la induce a rilassarsi.
- Curiosavo tra i tuoi cimeli: ora ho compreso perché ad Amburgo non ce ne siano, nonostante tu ne abbia meritati chissà quanti. – Yuki si volta appena verso di lui, cercando il suo viso oltre la propria spalla e poi reclinando il capo all’indietro – Li raccogli tutti qui … -
- Non mi piace averli sotto il naso, a casa. – lascia un bacio sulla sua guancia, il suo profumo, quella nota inconfondibile, fresca e sensuale, la avvolge ancora più pungente, e poi prosegue – Se li vedessi ogni giorno, avrei l’impressione di aver già vinto abbastanza; ma abbastanza non fa per me. Io ho bisogno di traguardi sempre nuovi … -
- Di una mensola vuota da riempire? – azzarda lei mentre lui sta già annuendo lentamente, sfiorando la sua guancia con la propria in un movimento inconsapevolmente sensuale.
- Forse anche di quella, ma soprattutto di guardare avanti, a ciò che può essere, e non solo a quello che è stato. – la sua voce è calda e Yuki chiude gli occhi, lasciandosi cullare dalle sue parole appena sussurrate.
- Non ti accontenti mai, vero? – gli chiede appoggiandosi un poco di più a lui, che soffia leggero sulla guancia per poi scendere fino ad appoggiare le labbra alla base del suo collo, in un gesto che lei riconosce all’istante e che adora, portando brividi leggeri lungo la schiena.
- Mi piacciono i grandi progetti. – bisbiglia sulla sua pelle, le labbra che scivolano lente, appena trascinate –Mi piace ciò che è solido, ho bisogno di certezze … - fino a percorrere il filo della spalla, spingendo appena il tessuto mentre le mani percorrono la cintola e si fermano dove è annodata.
Yuki si lascia condurre dalla sua voce, dalla carezza delle sue labbra e dal tocco gentile delle mani che giocano con la stoffa senza slegarla; ha ancora gli occhi chiusi, il suo respiro lento segue il ritmo di quello di Genzo, e il capo si piega di lato quando lui risale dalla spalla al collo, fermando un bacio leggero dietro il suo orecchio. Le labbra indugiano, sfiorano la pelle e poi si muovono, seguono il filo della mascella e risalgono lente alla tempia, fermandosi leggere, fino a svanire. Lo sente, avverte il suo abbraccio e il movimento con cui piega il capo poggiando la propria guancia sui suoi capelli, e lo conosce abbastanza da intuire una nota dissonante in quel muoversi a ritroso fino a lasciare in sospeso quel filo di baci …
Aspetta, governa il respiro nell’attesa che Genzo si scopra, ma percepisce solo il soffio del suo respiro che, d’un tratto, si è fatto teso e allora dischiude gli occhi, assottigliando lo sguardo sui quei trofei allineati, cercando di comprendere cosa stia davvero accadendo.
- Genzo? – lo chiama, la voce che certamente tradisce un principio di preoccupazione e lui per un attimo si irrigidisce, quasi colto in fallo – Genzo, tutto bene? –
Avverte il movimento con cui annuisce ma sa perfettamente che sia solo una risposta di cortesia, perché continua a cogliere una stonatura, nel suo modo di fare. Prende fiato, tenta di muoversi, ma lui stringe un poco la presa e non le permette di voltarsi, dandole la conferma che cercava.
Un brivido la percorre, il dubbio che qualcosa, nonostante tutto, non vada per il verso giusto si insinua strisciando nell’animo, macchiando la pace in cui si era adagiata e riaccendendo quel pensiero che a lungo l’ha resa fragile, nei giorni passati e durante l’intero pomeriggio. Non si incontrano da settimane, sulle labbra trattiene ancora il bacio che si sono concessi in aeroporto, appena prima della sua partenza, e per tutto il pomeriggio non hanno potuto restare davvero soli nemmeno per un istante; dopo l’abbraccio in cui si è rifugiata quando lo ha trovato, al rientro dal giro di acquisti con Tsubasa e Sanae, non hanno avuto modo di concedersi altro che pochi contatti furtivi, le dita a sfiorarsi e intrecciarsi quasi di nascosto, gli occhi a cercarsi per regalarsi un sorriso imbarazzato. Tutto in sospeso, quasi in attesa, in un continuo rimandare il momento in cui avrebbero potuto essere finalmente di nuovo soli e ora che lo sono … ha la netta sensazione che ancora qualcosa sia rimasto indefinito, perché Genzo è strano, lui non torna indietro, come ha fatto poco prima; lui si ferma, se qualcosa gli impone di farlo, ma non percorre a ritroso i suoi passi, non per disfare ciò che un attimo prima ha fatto intendere.
- Genzo, c’è qualcosa che non va? – non riesce ad impedirsi di insistere, perché la preoccupazione è troppa per poter lasciar correre, e allora forza la sua stretta e si volta nel suo abbraccio, fino ad averlo di fronte a sé, anche se il suo sguardo è rivolto lontano, verso il giardino; lo vede, mentre si morde le labbra e poi le inumidisce, e subito comprende cosa stia cercando di fare.
– Genzo, devi dirmi qualcosa? – gli chiede preoccupata e la sua reazione è immediata; lui scatta e punta gli occhi nei suoi.
- Devo chiederti una cosa. – ammette tutto d’un fiato – Una cosa importante. – e Yuki si blocca, cercando di nascondere la preoccupazione crescente nel movimento distratto con cui porta la mano al risvolto del suo accappatoio, annuisce e resta a fissarlo, in attesa.
- E’ una cosa a cui penso da tempo … ma non potevo parlartene prima. – si inumidisce di nuovo le labbra e il suo viso perfetto appare teso, il profilo disegnato dalla luce calda della stanza sottolinea ancora di più la piega grave della sua fronte.
Lei resta in silenzio, attende che lui prosegua; annuisce appena mentre un brivido risale lungo la schiena e le mani si chiudono sulla stoffa morbida del suo accappatoio.
- Yuki, noi abbiamo sperato in un nuovo stage … io ci ho sperato davvero, ci ho creduto, ma poi hai dovuto tornare qui e non abbiamo fatto altro che aspettare, aspettare che io potessi raggiungerti. – Genzo parla a fatica, forse vorrebbe dire molto altro, ma i pensieri sembrano accavallarsi – Ecco … prima di partire, prima di lasciare Amburgo, io … io ho pensato a lungo a cosa fosse giusto fare. –
Yuki dischiude le labbra, vorrebbe intervenire, ma lui le porta una mano al viso, la accarezza e la ferma – Aspetta; ascoltami, ti prego. – e attende il suo cenno di assenso.
- So che non è stato facile, Yuki. Tu non ne hai mai parlato apertamente e io … io non me ne sono reso conto subito, non ero in gradi di farlo … ma poi l’ho capito. – la sua mano grande si muove leggera sulla guancia, il pollice sfiora un sopracciglio, disegna un arco lungo il filo esterno del viso e poi si ferma poco sopra la guancia – Sei provata, Yuki; porti i segni di ogni minuto di sonno perso a causa mia … e di ogni minuto rubato alla notte per nasconderti nello studio … -
- Non prenderti colpe, Genzo! – reagisce allora negando con il capo – Io volevo solo … -
- Lo so. – la anticipa ancora, posando il pollice sulle sue labbra – Lo so, Yuki, perché anche io ho cercato di ubriacarmi al campo, di stordirmi per non sentire la stretta che mi soffocava quando ero fuori dai pali, quando la mente non aveva un rifugio in cui scappare dal pensiero fisso dei giorni che ci separavano ancora … -
Lei china il capo, sporge le labbra per sfiorare le sue dita in un bacio leggero e chiude gli occhi, mentre l’eco delle parole che ha appena udito le insinua un dubbio che è appena un germoglio, ma è anche gramigna da estirpare immediatamente – Ce la posso fare, Genzo! Fidati, per favore! Io … -
- Aspetta: non tirare conclusioni affrettate e, ti prego, ascoltami davvero. – prende fiato, cerca i suoi occhi per poi riprendere – Dimmi solo una cosa, lascia perdere tutto il resto e pensa solo a questo: se fosse possibile, tu prenderesti in considerazione l’idea di tornare ad Amburgo? Di … stabilirti là con me? –
Per un attimo, non crede di aver compreso la sua domanda; Yuki fissa lo sguardo nel suo, affonda nell’ombra inquieta con cui lui la osserva, in attesa, e comprende di dovergli una risposta – Genzo, io partirei anche ora ma … -
- Yuki hai capito davvero cosa ti ho chiesto? – incalza lui, il tono preoccupato a incrinare la sua voce – Io non ti sto chiedendo se ti piacerebbe fare un nuovo stage, né una vacanza ad Amburgo: io ti sto chiedendo di trasferirti, di venire a vivere con me. Ad Amburgo. Noi due insieme. Per tutto il resto … una soluzione si trova. –
Non riesce a trattenere la sorpresa, aspira a vuoto, le labbra dischiuse e il respiro strozzato nascosto dalla mano che porta d’istinto alle labbra e Genzo ritrae la mano dalla sua guancia, il timore di essere andato troppo oltre lo induce a mordersi le labbra mormorando – Scusami … - e nel frattempo accarezza le dita che lei trattiene sulle labbra, sfiorando con le proprie l’anello che ancora indossa, la stessa fedina che lui le ha regalato il giorno della sua partenza – Scusami, davvero. Io … -
- Genzo, - lo ferma, allora, comprendendo che lui abbia frainteso - tu mi stai chiedendo di venire con te stabilmente. Come … - ma poi non osa continuare e anche Genzo, ora, sembra aver capito che lei non si sta tirando indietro ma, semplicemente, stenta ancora a crederci; così prende coraggio.
- Come coppia: noi, a vivere la nostra vita insieme ad Amburgo. – conclude con maggiore decisione, le dita che si fermano sull’anello di Yuki, stringono appena per muoverlo sulla sua pelle, e lo sguardo che cerca il suo, in attesa di una risposta.
– Vieni a vivere con me. – ribadisce ancora.
L’istante sospeso in cui Yuki distende le labbra in un sorriso che diviene presto molto di più porta anche Genzo a riprendere fiato, l’espressione che vira verso la gioia assoluta, gli occhi lucidi e il respiro che poi incespica nel bacio con cui, rapido, coglie le sue labbra. 
 
E’ davvero questione di un attimo: Genzo la stringe, chiude le braccia fino a sentirla contro di sé, mentre il bacio che si scambiano diventa salvezza dal timore che lo aveva colto e insieme ristoro per la sete che ha di lei, delle sue labbra e del suo corpo. Le mani corrono veloci ai fianchi, l’accappatoio è morbido tra le dita e non nasconde la curva della schiena che sotto il suo tocco si tende, vibra e sfugge quasi, mentre lei solleva a sua volta le braccia per sorreggersi a lui. Genzo sfiora ancora la stoffa, percorre la schiena dalla base fino al collo e sorride del fatto di non trovare ostacoli.
– Nessun fermaglio, nessun indumento … - sussurra sporgendo le labbra ad un soffio dal suo orecchio prima di cercarla con maggiore foga. Porta le mani alle cosce e la solleva arretrando un poco finché non si appoggia e poi si siede sulla scrivania dove Yuki punta le ginocchia fino quasi a sovrastarlo; affonda il viso tra i lembi di stoffa, li separa cercando la pelle e tra i baci che nasconde ritrova il suo profumo, quella seta morbida che lo stordisce ad ogni nuovo contatto e al muoversi disordinato del suo sterno, spinto da respiri sempre più affannati. Si sente ubriaco, la testa gira e quando chiude gli occhi poggia la fronte al suo petto, cercando di governare il respiro; le mani di Yuki affondano tra i suoi capelli, le sue carezze lo riportano con i piedi per terra e quando solleva il capo e la cerca, i suoi occhi sorridono, rivelano ancora l’emozione rimasta in sospeso quando lui l’ha travolta, senza nemmeno darle modo di rispondere, né di porre le domande che, immagina, vorrebbe fargli.
- Le … altre cose? – azzarda lei con l’espressione incerta e un po’ colpevole, per averlo interrotto, le guance arrossate, e la fronte aggrottata. Genzo sa di doverle delle spiegazioni, cerca riprendere fiato e lascia un bacio delicato sul suo seno, prima di parlare sulla sua pelle.
- Puoi trasferirti all’Università di Amburgo, Yuki: ho parlato con il rettore e con chi di dovere. – sostiene il suo sguardo sorpreso e prosegue – Forse non avevi nemmeno osato pensarci … ma si può fare[iv]: devi chiudere quello che hai in sospeso e fare richiesta di trasferimento entro fine anno. Mi hanno promesso che si potrà trovare un modo per ottimizzare la riconversione dei crediti; credo che tu possa rifletterci. –
Yuki, soffia un lungo sospiro, sembra ponderare la proposta, forse è spiazzata da una possibilità che non aveva davvero mai considerato e Genzo allora si allontana dal suo seno, la accompagna a scendere fino a far sì che si appoggi sulle sue cosce, e poi torna a muovere le mani sulla sua schiena, sorreggendola – Ricordi? Mi dicesti che non volevi che io mi trasferissi in JLeague e, in questo modo, non dovrei farlo, ma non dovremmo nemmeno rinunciare a noi. Tu avrai la laurea che meriti, io sarò in Bundesliga e … saremo insieme. –
La osserva, mentre socchiude gli occhi, e si accorge del punto in cui il suo sguardo si è fissato, proprio sull’anello con cui lui stesso ha voluto dare un prima forma visibile al loro legame. Quando lei solleva il viso, i suoi occhi brillano e Genzo ci affonda, leggendovi il senso del sorriso che riflettono; le sue mani sottili tornano tra i capelli, le sente sfilare e muoversi lente in una carezza che poi scende fino al collo e lungo le spalle, scoprendo la pelle fino ad incastrare la stoffa nell’incavo dei gomiti. Resta a fissarla, mentre sente le sua mani muoversi ancora, percorrere la cintola e infilarsi tra i lembi stretti nel nodo fino a scioglierlo e trattiene il respiro quando le sue dita si infilano sotto la stoffa, sfiorando la pelle e percorrendola fino a che lei non posa i palmi poco sotto le scapole.
Sospira, Genzo, al contatto fresco delle sue mani, e ancora quando lei si china su di lui, le sue labbra raggiungono la base del collo e il tocco delicato delle sue labbra diventa solletico umido e caldo che scivola lento, lentissimo come una dolce tortura, fino a mordere, sfiorare e stuzzicarlo ancora. Trattiene il fiato, la lascia fare, reclina il capo all’indietro e cerca aria, quando alle labbra lei aggiunge il tocco delle dita, dolce e insistente, che poi scende lento sulla pelle ormai scoperta in una carezza sempre più insinuante. La sostiene ancora, quando lei si solleva dalle sue cosce per farsi più spazio, ma poi deve lasciarla, perché Yuki lo spinge a distendersi sul ripiano, fino ad appoggiare la schiena ad esso e sollevare le braccia sopra il capo, mentre lei lo sovrasta, e sono ancora baci, morsi, e una scia che sfiora l’ombelico, prima di tornare a scendere …
E’ il rumore sordo di qualcosa che Genzo si accorge di aver spinto con le braccia fino a farlo cadere a terra, a risvegliarlo per un attimo dal vortice in cui si è lasciato cadere; allora si solleva sui gomiti, osserva per un istante Yuki, a mala pena coperta dall’accappatoio che ancora porta legato in vita, ma di traverso sulle spalle, e la vista della sua pelle, del suo riflesso d’avorio sotto la luce calda della stanza, lo induce a muoversi deciso.
Si mette seduto, cattura le sue labbra con un nuovo ardore, le cerca, le dischiude e le morde, mentre le mani percorrono ancora le sue cosce e poi la sorreggono.
- Non qui … - mormora sulla sue labbra e stenta a riconoscere la sua stesa voce mentre si solleva dalla scrivania e induce Yuki ad ancorare le gambe ai suoi fianchi. E’ deciso e in pochi passi raggiunge il letto, ci sale e adagia Yuki sul morbido piumone, chinandosi su di lei, cogliendo di nuovo le sue labbra e poi scendendo sul collo, sul seno e verso la cintola che stringe tra i denti, allentandone il nodo fino a scioglierlo, per poi sollevare il capo e puntare lo sguardo in quello di Yuki.
Lei ha il fiato spezzato, si sorregge sui gomiti e lo osserva con gli occhi stretti in due fessure e le labbra rosse, tese in un sorriso che è fame, desiderio che vuole essere soddisfatto il prima possibile … che lo investe di riflesso con la stessa prepotenza. In un attimo le mani frugano tra la stoffa, il corpo di seta finalmente scoperto e la pelle sotto le labbra, morbida e dolce come il sapore che ricorda, che ha sognato per settimane e che desidera oltre ogni limite.
Sfila quasi con stizza il suo stesso accappatoio, si piega sulle sue labbra e la mente si annebbia, insegue i gemiti con cui lei risponde ai suoi baci e si perde sulla pelle che accarezza, scendendo lungo i fianchi e piegando verso quello che desidera più di ogni altra cosa. La sente, sotto le dita, avverte il movimento insinuante con cui lei solleva appena i fianchi e insegue le sue carezze, un invito per il suo desiderio che ormai sembra non poter più aspettare oltre, perché le settimane sono sembrate infinite e il bisogno di averla supera ogni altro pensiero e diventa vitale … Si solleva di scatto, il fiato corto che sibila tra i denti stretti; si sorregge ancora e la sovrasta, incrocia il suo sguardo per un attimo e poi fa per allontanarsi, come rinsavito, ricordando che deve …
Eppure non riesce a sollevarsi, perché Yuki lo trattiene, le mani strette alle sue braccia in una presa salda, e allora non può che tornare a lei, cercando di capire.
- No. – il suo sguardo è deciso, la presa non ha perso fermezza; Genzo non si muove, inumidisce le labbra, un dubbio rimasto in bilico e lei, ancora più decisa a ripetere – Non serve, Genzo. Non … -
Gli basta il suo sguardo per comprendere, per essere certo che lei sappia quello che sta dicendo; la fiducia, assoluta e immediata, rende il respiro lento, per qualche istante, mentre la consapevolezza si fa strada nel petto, un calore che si diffonde insieme al pensiero che rimbalza nella testa, quello di poterla avere davvero, di sentire la sua pelle e il suo calore senza nessuna barriera e di essere finalmente un corpo solo, umore, passione e piacere assoluto.
Si insinua lento tra le sue ginocchia, i fianchi che scendono mentre lei lo accoglie, e il primo contatto lo stordisce, mentre ancora punta i gomiti sul letto e si sostiene; i fili dei ricordi rimasti sotto pelle si stringono in un'unica percezione di completezza, nell’immagine di loro insieme che sfuma nella mente e perde i contorni quando cerca di metterla a fuoco, troppo anche per lui, per la sua mente esausta e per il suo corpo che urla il bisogno di lei.
Socchiude gli occhi, la sensazione che lo investe annulla ogni pensiero coerente. Non c’è nessuna coscienza nel modo in cui il suo corpo si muove, nella risacca istintiva con cui la cerca, si ritrae e ancora la insegue, mentre il corpo si tende e sa di non poter scegliere, perché è l’istinto a muoverlo, a spingere e scavare, a stringere e percorrere senza scampo. La bacia e sente i suoi denti affondare nelle labbra, i suoi gemiti attraversare la sua mente dando ancora più vigore; le sue mani stringono, le unghie graffiano la schiena e il moto impudico dei suoi fianchi lo fa precipitare ancora più a fondo in quel torbido gorgo che sono diventati. Per un attimo, fatica a riconoscersi, crede davvero di aver perso la ragione e che niente potrà mai riportarlo a terra, perché il corpo trema, incontrollato, ma non può rallentare la sua corsa. Si sente folle, incapace di comprendere cosa gli stia accadendo, e l’oblio lo avvolge, quando comprende che a guidarlo è un istinto che ha la voce flebile del suo piacere e realizza che sta accadendo, che sono insieme, davvero, e che lo saranno ancora … sempre.
 
E’ uno strano ronzare insistente a disturbare il suo sonno e quando realizza che possa trattarsi della suoneria silenziosa suo telefono, Genzo apre gli occhi e si guarda attorno, nella penombra che avvolge la camera, individuando immediatamente il bagliore proveniente dal comodino. Allunga il braccio per afferrare il cellulare, fissa per un istante il display e si lascia sfuggire un grugnito di disappunto, prima di aprire la comunicazione e di venire immediatamente investito dalla voce proveniente dall’altro capo.
- Cazzo Gen! Ma dove sei finito? Possibile che sei partito ieri mattina e ancora non ti fai sentire? – Kaltz è decisamente su di giri e, ora che ci pensa, gli aveva promesso di tenerlo aggiornato.
- Non gridare, Kaltz, è la una e mezza di notte … - cerca di riportarlo alla calma, mentre si mette a sedere, sistemandosi un cuscino dietro la schiena – Stavo dormendo e … -
- Allora? Cosa ti ha risposto? – evidentemente meno annebbiato dal sonno, Kaltz punta dritto a quello che gli interessa - Torna con te? –
- Calma, calma … in realtà le ho solo accennato qualcosa, ma non abbiamo ancora avuto modo di parlarne davvero, di definire quei dettagli. – lo ferma lui, mentre l’altro sgrana gli occhi, incredulo.
- Ma come sarebbe a dire?! – tuona il tedesco provocando l’immediata reazione di Genzo.
- Abbassa il tono! – intima controllando la propria voce - Sta dormendo e … credo che abbia bisogno davvero di recuperare parecchie ore di sonno … - aggiunge, muovendo per un attimo la videocamera ad inquadrare la parte di letto alla propria sinistra dove, tra la stoffa morbida del copripiumino e quella delle federe, si intravede appena qualche ciocca di capelli scuri; – Si è infilata lì sotto e si è addormentata in mezzo secondo! – aggiunge poi, allungando una mano per accarezzarle il capo al di sotto delle coperte.
- Ma … ma in tutto il giorno non sei riuscito a parlarle?! – realizza ancora più sconvolto – Te lo dico io come devi fare, Gen: tu devi tenerti addosso dieci minuti di fila le mutande e importi di parlare con lei, cazzo! –
- Siamo stati a casa sua tutto il giorno: non potevo di certo mettermi a parlare di certe cose davanti a suoi … o con Tsubasa! Dammi il tempo di discutere con calma con lei e poi potrai fare quello che devi. – cerca di farlo ragionare, controlla il tono della voce e abbassa al minimo la luminosità della schermo, ma al suo fianco avverte qualche movimento, sotto il piumone.
- Quelli non aspettano, Gen: Amburgo è in Europa e tra pochi giorni qui sarà tutto chiuso per Natale; le scartoffie vanno portate al più presto! –
- Quali scartoffie? – la voce di Yuki, tra l’assonnato e il curioso, giunge a confermare il fatto che lei sia ormai sveglia, mentre le coperte si smuovono e fa capolino, con un polso a riparare gli occhi dalla luce.
- Buongiorno Hälfte! – il saluto di Kaltz spazientisce Genzo che lo zittisce immediatamente.
- Adesso sei contento, immagino. Hai ottenuto quello che volevi … -
Kaltz si immusonisce, ma si rasserena appena un poco quando Yuki lo saluta, allungando un braccio nudo oltre le coperte per agitarlo davanti al display, cercando di ammorbidirlo – Salutami Amburgo, Kaltz … e fai il bravo! –
- Per fortuna che hai lei presente, altrimenti ti avrei già … - Kaltz però si blocca, assottiglia lo sguardo e sembra che stia cercando di vedere meglio cosa ci sia alle spalle di Genzo. – Ma … sei alla stamberga? – chiede di punto in bianco – Hai già inaugurato il talamo imperiale? –
Genzo sbuffa e scuote il capo, prima di confermare – Sì, siamo a casa, ma domani, ammesso di riuscire a riposare stanotte, pensavamo di andare al lago. Così avremo tempo di discutere … anzi, mi appunto di chiamarti esattamente quando sarai nel cuore della notte, per darti maggiori delucidazioni! –
Non attende repliche dal tedesco, ma chiude la chiamata – Stammi bene, Kaltz! - e lancia il telefono sulle coperte con un gesto liberatorio – E’ pazzo … ma resta pur sempre un buon amico: è davvero preoccupato per te … -
In un attimo avverte Yuki muoversi e il suo braccio sfiorargli la pancia, prima di chiuderlo in una sorta di abbraccio, mentre lei gli si accoccola accanto. Genzo scivola di nuovo sotto le coperte, lasciandosi cullare dal contatto morbido con il suo corpo di seta, chiude gli occhi, si rilassa e posa una mano su quella di lei, stringendola appena, per poi lasciarsi cullare dal buio e dal calore della loro notte, fino a che la sua voce non spezza l’incantesimo.
- Di quali scartoffie parlava, Kaltz? –
 
[i] 26 dicembre, naturalmente; non avendo gra che da festeggiare, ho programmato il loro rientro dopo Natale, ma per le feste di fine anno.
[ii] Prendo per buona la coppia Suichi e Eiji per i due fratelli maggiori di Genzo, così come trovati su https://captaintsubasa.fandom.com/wiki/Wiki su cui mi capita di spulciare…
[iii] Tra le curiosità che mi hanno fatto sorridere, a proposito dei giapponesi, il fatto che festeggino il Natale come una specie di festa per innamorati è quella che mi ha più sorpreso. Sorvolo sul fatto che a quanto pare mangino il pollo fritto in questa occasione…
[iv] Almeno per gli atenei europei, si può ottenere il trasferimento ad altro ateneo inoltrando la richiesta entro il 31 dicembre; da quanto ho potuto verificare, si perdono le tasse universitarie, ma si evita di perdere l’intero anno. Ho deciso di farlo funzionare anche per gli atenei giapponesi.

Angolo dell'autrice: mi scuso tantissimo per il ritardo... ieri non sono riuscita a trovare un attimo per l'aggiornamento consueto ma spero di farmi perdonare oggi. In realtà volevo dedicare il capitolo al lettore affezionato che compiva gli anni domenica (e sarei stata già in ritardo) ma il ritardo ora è pure raddoppiato. Vale lo stesso?
Comunque, ci siamo quasi... ormai le carte sono tutte scoperte e l'epilogo molto vicino.
A proposito della villa della famiglia Wakabayashi, in bilico tra immagini degli anime e ricerche online, ho definito una possibile villa tra le costruzioni vittoriane effettivamente esistenti in Giappone, valutando immagini di interni in stile, dettagli delle ville vittoriane giapponesi e annunci immobiliari in zona. Alla fine, la villa che ho raccontato è una miscellanea di tutto quello che trovato e che mi sembrava adatto allo scopo. Spero che vi risulti accogliente!
Io ringrazio davvero tanto chi mi accompagna in questo tortuoso cammino... un abbraccio.
Maddy

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** ... un anno ***


32. … un anno
 
Sospira, muovendo la mano lentamente sulla sua schiena, mentre riordina le idee; si era convinto che per i vari dettagli della questione avrebbe potuto attendere il mattino seguente ma evidentemente Yuki non è dello stesso parere e la curiosità ha avuto la meglio sul bisogno di riposo.
- Si tratta dell’Università. – esordisce – Dei documenti che vanno consegnati per l’immatricolazione e per ricominciare a seguire le lezioni; o almeno a sostenere gli esami. –
- Credevo che prima dovessi occuparmi della richiesta di trasferimento da consegnare qui. – ammette lei con una leggera di preoccupazione – Ma forse è bene che mi sbrighi a definire tutto, altrimenti rischio di non fare più in tempo a occuparmi di quello che occorre a … -
- Il grosso del lavoro è già stato fatto, in realtà. – precisa Genzo con un po’ di imbarazzo – Quando sono andato ad informarmi, nonostante fosse necessaria la tua presenza e le tue firme … diciamo che ho trovato il modo di spingere un po’ sulla questione e anticipare tutto quello che poteva essere portato avanti, come una previsione concreta per convertire il piano di studi, ad esempio. –
La schiena di Yuki si tende sotto le sue dita, per un attimo lei resta immobile e poi si solleva, allungandosi per accendere l’abatjour del suo comodino. Si volta verso di lui, lo sguardo che tradisce preoccupazione – Cosa hai fatto? Ti sei esposto tu, perché mi aiutassero in qualche modo? –
- Tranquilla, Yuki: non ho fatto niente che non fosse perfettamente legale, ma avevo evidentemente bisogno del loro aiuto per essere certo che tutto fosse perfezionabile entro le scadenze, senza che tu perdessi tempo prezioso. – le sorride, le accarezza una spalla e aggiunge, cercando di coprire l’imbarazzo che lo ha colto – E poi … c’erano anche delle questioni mie … -
Lei resta per un attimo spiazzata, con lo sguardo sbarrato – Quanti abbonamenti in tribuna ti è costato imbastire il mio trasferimento? –
Genzo si trattiene, non ride della sua idea perché, in effetti, la sua presenza negli uffici del rettorato ha suscitato un certo scompiglio, tuttavia si affretta a negare deciso – Nemmeno uno, in realtà, - per poi precisare - … anche se credo che qualche foto autografata finirò per lasciarla, perché dovrò tornare ancora in quegli uffici. –
- Non la bevo, Genzo: tu mi nascondi qualcosa e la fretta di Kaltz ne è la prova. – insiste Yuki, mentre trattiene il copripiumino perché non possa scivolarle dalle spalle scoperte – Io comincio a credere che davvero tu abbia dovuto anticipare dei soldi … forse addirittura pagare tasse o … -
Genzo però nega ancora, le sorride e torna a circondarle le spalle con un braccio, tirandosela vicina e puntando lo sguardo nel suo – Yuki, le scartoffie di cui ha parlato Kaltz sono mie, sono i documenti per riprendere gli studi. –
Lei per un attimo resta immobile, spalanca lo sguardo e dischiude le labbra, incredula, ma lui non le permette di dire nulla, perché solleva le spalle come a minimizzare e poi riprende – Sono andato a chiedere la ricognizione della mia carriera universitaria per vedere come riprendere il mio corso, ma avevo chiaramente avvisato che lo avrei fatto solo se tu fossi tornata a Amburgo a condizioni accettabili. –
Lei sembra riflettere, poi assottiglia lo sguardo e mormora - Non mi ha i mai detto che anche tu … -
- Non è certo una cosa di cui vado fiero: ero in crisi, con i corsi e con la squadra, ho deciso di sospendere gli studi all’inizio dello scorso anno accademico. Parecchio prima che tu arrivassi. –
- Sei stato coraggioso, comunque: -  osserva lei mentre gioca con la sua pelle, facendo scivolare le dita sul suo petto - non deve essere semplice studiare ed essere un calciatore professionista … -
- Non posso certamente frequentare le lezioni … non tutte, almeno, ma non pretendo neanche di stare al passo con i ritmi degli altri studenti; tuttavia, mi piacerebbe riprendere e ora che so che ci sarai tu … sono certo di potercela fare. – afferma sicuro.
- Ecco perché eri così bravo con le tesine! – esclama lei e il cono di luce calda proveniente dal comodino rivela il riflesso lucido che ha reso il suo sguardo ancora più bello – Sei incredibile, Genzo … sei davvero speciale e ti ammiro ancora di più adesso che ho scoperto questo tuo lato … intellettuale! –
Ride, imbarazzato, la stringe e le bacia, per stemperare la tensione che ha accumulato; non le aveva rivelato di essere stato uno studente dell’Universität Hamburg perché considerava la sua esperienza di studio chiusa e poi aveva sinceramente temuto il momento in cui le avrebbe dovuto confidare la sua volontà di riprendere, ma ora che lo ha fatto, si sente davvero più leggero e forse anche la stizza provata nei confronti di Kaltz e della sua chiamata inopportuna si è completamente stemperata.
- Cosa studi, esattamente? – gli chiede discostandosi dalle sue labbra quanto basta per scrutarlo in viso e lui distoglie per un attimo lo sguardo, prima di rivelarle la sua passione.
- Computing in science[i]. – osserva la sua reazione, lei sembra sorpresa e poi la sua espressione muta in curiosità e Genzo si affretta a dare qualche dettaglio – E’ un corso particolare … ma mi affascinava l’idea di approfondire i temi della tecnologia al servizio degli studi scientifici, soprattutto nel campo dell’analisi delle prestazioni degli atleti. –
Lei annuisce lentamente, le sue labbra si tendono ancora e lo raggiungono, per un nuovo bacio e per ribadire – Sei incredibile. – e poi un altro contatto, più deciso, mentre le sue mani gli si fermano dietro la nuca e le dita affondano tra i capelli - Una forza della natura. – fino a che le labbra non lo lasciano più e lei si muove per trascinarlo su di sé, in un abbraccio che non gli lascia scampo.
- Mi aiuterai? – le chiede a fior di labbra, gli occhi stretti in due fessure e la sua risposta non tarda, mentre le mani riprendono a vagare sulla schiena, inquiete, e il sonno sembra aver lasciato il posto ad altri pensieri.
- Sempre. -
 
Il contatto con le lenzuola morbide è un abbraccio piacevole che la accompagna mentre riemerge dal riposo della notte per affacciarsi al nuovo giorno. Si volta sul fianco e inarca la schiena, infila il braccio sotto il cuscino, lo stringe e affonda il viso inspirando a fondo quel profumo famigliare che da tempo non avvertiva al risveglio, inducendola a sorridere.
Quando apre gli occhi, riconosce immediatamente i tratti e l’atmosfera della enorme camera di Genzo e allungando un braccio sull’altro lato del materasso si stupisce un poco di non trovarlo al proprio fianco; resta per qualche minuto a godere del tepore delle coperte e intanto scruta tutto attorno a sé, fino a fissare l’attenzione sul bagaglio che ha lasciato poco lontano dal letto. Allora si mette a sedere, stirando le braccia sopra il capo, e si allunga per afferrare un accappatoio abbandonato sopra le coperte la sera precedente; quello di Genzo sembra scomparso, come lui del resto, e così Yuki si infila l’indumento stringendoselo addosso, perché l’aria del mattino è fresca, nella stanza, e l’idea di scaldarsi sotto la doccia le pare davvero accattivante.
Lascia il letto e si chiude nella stanza da bagno, sporgendosi oltre la chiusura vetrata della grande doccia per aprire il getto dell’acqua, in modo che si possa scaldare; non si è ancora abituata ai grandi spazi della villa e resta ad ammirare quello che non riesce a definire semplicemente bagno, perché le sembra riduttivo persino chiamarla stanza da bagno … Con questa atmosfera ovattata, i colori eleganti dei rivestimenti e di ogni dettaglio, le forme ricercate di sanitari e arredi e le piante verdi curate in modo esemplare, le parrebbe più consono definirlo salotto da bagno.
Si scruta per qualche istante nello specchio: nonostante le interruzioni del sonno deve ammettere di aver riposato molto meglio di quanto non riuscisse a fare nel suo letto nelle ultime settimane. Poi lava i denti e quando scorge alle proprie spalle la nuvola di vapore che proviene dalla doccia, torna a chiudere il getto e si accinge a raccogliere i capelli, realizzando di non avere a disposizione un elastico; si guarda attorno, anche se sa che difficilmente Genzo possa tenere a disposizione fermagli o lega capelli, perciò scuotendo il capo si risolve a tornare in camera. China sul bagaglio, rovista nel beauty case fino a trovare quello che le occorre e nel frattempo tra spazzole e accessori, si trova tra le mani la confezione della sua compressa mattutina; con un sospiro, si solleva e sfila il blister, estrae la compressa e la porta alle labbra.
- Non stai bene? – la voce di Genzo, alle sue spalle, la fa sussultare, non l’ha sentito arrivare e non si aspettava che lui fosse in camera; Yuki chiude gli occhi e si lascia abbracciare, mentre lui si sporge oltre la sua spalla per curiosare ancora, tradendo un poco di preoccupazione – Mal di testa per il poco sonno? –
- No, affatto. – lo tranquillizza lei, voltandosi nel suo abbraccio – E’ tutto a posto, davvero. - e lui allunga un braccio, sfilandole il blister dalla mano e restando a fissarlo e sollevando un sopracciglio, per poi prendere ad annuire, sporgendo le labbra in una espressione indecifrabile.
- Scusa, non te ne ho parlato, ma avrei dovuto farlo … - esordisce allora lei; si sente in difficoltà, ma vuole essere chiara con lui che, tuttavia, non la lascia proseguire.
- Ho gradito la sorpresa, Yuki. – ammette deciso, mentre lei realizza che la forma del blister deve aver chiarito ogni cosa anche a Genzo e la piega con cui solleva l’angolo destro delle labbra gli conferisce un fare così ammaliante che resta a bocca aperta ad osservarlo – L’ho gradita molto. Non l’hai notato? –
Leggere il suo sguardo, intuire il non detto e intrecciarlo con il ricordo della notte ancora caldo sotto la pelle, spazza via in un istante tutte le incertezze che lei aveva sotterrato in attesa che il dettaglio venisse a galla e anche per lei, ora, diventa più semplice confidarsi – Mi sembrava doveroso organizzarmi; ne sentivo il bisogno. Era come se mancasse qualcosa … Ammetto che non è stato semplice parlarne a mia madre e mettermi in moto per ottenere quello che volevo, però … ne valeva la pena, insomma. – conclude infine sentendosi improvvisamente le guance andare a fuoco.
Dal canto suo, Genzo non sembra imbarazzato – Io capisco che non sia stato facile; tuttavia … - riflette, pondera le parole adatte e poi riprende - … ha un grande significato, per me. –
Yuki resta in ascolto, intuisce che lui sia giunto esattamente al suo stesso sentire, ma inarca le sopracciglia e lo invita a spiegarsi meglio, perché ascoltare le sue parole è sempre una scoperta.
- E’ un dono, un’altra barriera che cade; fiducia, legame … siamo noi e niente altro. –
La sua voce è calda, il tono serio e l’espressione concentrata, mentre serra le labbra e lo sguardo torna a cercarla; c’è una nota soddisfatta nel modo in cui annuisce lentamente, prima che la fronte si aggrotti e un pensiero sembra attraversare la sua mente. In un attimo, Genzo socchiude gli occhi e i lineamenti del viso si tendono mentre evidentemente lui stenta a trattenere una risata, sbuffando un po’ attraverso le labbra.
– Ora però capisco le occhiatacce di tua madre! – sbotta alla fine, cedendo poi ad una mezza risata – Se lo avessi saputo prima, forse avrei evitato di presentarmi a casa tua così, alla leggera! – e anche Yuki si lascia andare un po’ di più, scuotendo il capo.
- Diciamo che … ci ha messo un po’ a digerire la faccenda, anche se non credo di averla colta alla sprovvista: di certo si era già posta il problema e la mia richiesta ha solo dato conferma del fatto che non volessi essere sprovveduta. Dovrebbe esserne contenta; dovrebbe comprendere quanto sia importante per me stare con te. – riflette infine, mentre lui torna serio, le lascia un bacio sulla guancia e poi scende fino alla base del collo, dove si ferma e indugia per qualche istante, prima di prendere fiato per sollevarsi da lei, accarezzandole le spalle attraverso la stoffa dell’accappatoio, e tornare a parlare.
- Stavi per fare la doccia? – con un cenno del capo indica la porta del bagno e la nuvola di vapore che ancora aleggia nell’ambiente; attende che lei annuisca e poi si spiega – Sono sceso per chiedere alla governante di farci preparare la colazione ma avevo dimenticato di quanto fosse fissata con le regole della buona etichetta e … diciamo che non era esattamente soddisfatta di come ho gestito il nostro arrivo ieri sera. –
Solleva gli occhi al soffitto e Yuki resta in attesa di spiegazioni che presto le concede – La signora Rin[ii] sostiene che in trent’anni a capo della gestione della dimora della rispettosa famiglia Wakabayashi non si sia mai visto che un’ospite non abbia a disposizione una stanza propria. –
Genzo resta impassibile, ma questa volta è Yuki a non trattenere le risate di fronte alla sua espressione corrucciata – Quindi ti sei beccato pure la ramanzina da parte della governante? Come se fossi un ragazzino di dodici anni? –
- Ha detto che sembra che io abbia completamente dimenticato anni e anni di buona educazione. – sospira, prima di allargare le braccia ammettendo – Mi ha gentilmente dato del depravato. –
- E’ ufficiale: - sentenzia alla fine Yuki – siamo una coppia senza pudore. – per poi sollevarsi fino a lasciare un bacio alla base del suo collo, un bacio che diventa presto altro, una carezza calda e umida, una sorta di insinuazione che fa increspare la pelle di Genzo sotto al suo tocco, appena prima che lei si separi da lui per spostarsi a cercare le sue labbra.
E’ difficile sorprenderlo, Genzo sembra non aspettare altro che quel bacio e ci affonda deciso, affamato, con la stessa brama che in un attimo annebbia la mente ad entrambi; le sue labbra sono calde, lui cerca e ottiene, esplora e poi sfugge, sorride nei tocchi più morbidi e poi piega di lato scendendo al collo, saggiando la pelle mentre il suo respiro diviene sempre più teso …
- Hai messo il mio profumo[iii]? – le chiede d’un tratto con le labbra alla base del suo collo – Sulla tua pelle è ancora più buono … - e la bacia ancora, trattiene la carne e poi Yuki avverte la carezza umida con cui pare voglia assaggiarla, mentre lei nega appena, aggrottando la fronte.
- Non ho usato il tuo profumo, Genzo; ma di certo l’hai messo tu ieri sera e dopo la scorsa notte mi sorprenderei se non l’avessi addosso almeno un po’ pure io … -
Lo sente sussultare appena, mentre si trattiene per soffocare l’istinto di ridere e solleva il capo per tornare a baciarle le labbra – Beh, mi piace lo stesso: sarà il nostro profumo, allora. –
Lei scuote il capo, per qualche istante lo sguardo rimane legato a quelle labbra perfette, tese in un sorriso che sa toglierle il fiato, tanti sono i ricordi che sanno evocare; le osserva, le segue mentre si rilassano e finiscono strette dagli incisivi in un gesto che le scalda il sangue e allora prende fiato, si riscuote e si allontana appena da lui, perché non le sembra il caso di lasciarsi andare oltre.
- Vado a farmi la doccia. – annuncia muovendosi verso la stanza da bagno cercando di darsi un contegno, ma Genzo è pronto, la sua mano le afferra il polso e lei non può che girare su se stessa e ritrovarsi di nuovo tra le sue braccia.
- Davvero vuoi andarci da sola? – la sua voce è bassa, la sfumatura roca con cui le parla accompagna la piega dei suoi occhi, quel modo tutto suo di assottigliare lo sguardo e corrugare la fronte quando non ammette repliche.
In realtà non vuole nemmeno rispondergli, l’attenzione di nuovo catalizzata dalle sue labbra, dal modo con cui le vuole per sé, dalla pressione con cui le fa sue senza lasciarle il tempo di fiatare, mentre anche le mani si muovono, risalgono lungo i suoi fianchi, premono, frugano e artigliano, come si lei potesse svanire da un momento all’altro. Sente tutto, del modo in cui la cerca e la trattiene a sé; legge nei suoi gesti la brama di chi sembra non averne abbastanza e di nuovo scopre di amare questo suo lato istintivo, quello che è sempre nascosto dalla corazza razionale del portiere senza cedimenti, si rende conto di quanto bisogno lui abbia di lasciarsi andare all’istinto e sente di essere la sua crepa, l’incrinatura nella sua vita perfetta che lo fa sentire vivo e reale. Si sorregge a lui quando la solleva da terra, al contatto diretto con la sua pelle si accorge che lui ha tolto la maglia e che l’accappatoio le è scivolato dalle spalle; sotto le dita avverte il battito accelerato del suo cuore, sente il pulsare della vena alla base del collo e segue il respiro che si è fatto pesante. Ha bisogno delle sue labbra, non può più farne a meno, le morde e poi ne disegna il contorno, cercando il segno che ha appena lasciato; le gira la testa, si accorge che lui si sta allontanando dal letto e a mala pena riconosce il rivestimento grigio e bianco della stanza da bagno mentre il tepore che inonda l’ambiente la avvolge con la sua nuvola umida.
Non le importa cosa possa pensare la governante, né la cuoca che non li vedrà scendere tanto presto per la colazione, né il maggiordomo che li osservava da lontano durante la cena, ieri sera … Non le importa se dovrà lasciare il Giappone, l’università e la sua famiglia, perché se lo stage in Germania un anno fa le sembrava una parentesi nel suo percorso di studi, ora, tra le braccia di Genzo e sotto il l’assedio della sue carezze più decise, sa che Amburgo custodiva per lei la più importante delle svolte, perché quella che le sembrava una vita soddisfacente e piena, ora fa parte del passato e la sua vera opportunità la aspetta invece di nuovo in Europa, al suo fianco e con nuove sfide da affrontare.
 
Tsubasa ha attraversato il parcheggio, confabulando fitto con Sanae, e Genzo resta ad osservarli, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e il capo piegato di lato, fino a quando si fermano davanti all’ingresso del locale, lei che apre la borsetta scuotendo il capo e lui che ci infila qualcosa svuotandosi le tasche, raggiante e vittorioso, per poi passarle un braccio attorno alla vita e stringerla a sé per un casto bacio sulla guancia. Sorride tra sé, perché dopo i racconti con il doppio filtro di Yuki e Sanae, finalmente riesce a vedere Tsubasa alle prese con lei ufficialmente in versione coppia al di fuori da casa propria e soffermarsi a scorgere le sfumature del loro legame che in passato non avevano mai avuto modo di emergere. Lei lo ha sempre seguito come un’ombra e anche se Genzo li ha visti insieme solo ai tempi della prima gloriosa Nankatsu, i pettegolezzi di Ishizaki e degli altri compagni di Nazionale non hanno mai risparmiato il Capitano e la prima manager, insinuando che ci fosse dell’altro tra loro. Tuttavia, è evidente il fatto che ora le cose siano davvero cambiate, perché le distanze sono ridotte al minimo e persino Sanae si concede di varcare la soglia del locale al braccio di Tsubasa …
- L’ho trovato! – l’esclamazione di Yuki lo distoglie dai suoi pensieri; si volta e la vede raggiante che agita davanti a sé il guanto che pareva essersi dissolto nel nulla – Era finito nella fessura tra sedile e portiera. Accidenti! –
- Bene, ora che li hai trovati entrambi, puoi metterli via! – Genzo attende che lei li faccia sparire nelle tasche del cappotto e poi le prende una mano, insinua le dita tra le sue e porta le loro mani unite alla tasca del suo giubbotto – Ecco: qui stai al caldo … -
E’ un gesto che fa spesso, lei ha sempre le mani fredde e a lui piace trattenerne una nella propria, al caldo in tasca, mentre sono insieme; è un modo per tenerla accanto a sé senza dare troppo nell’occhio, che gli permette di accarezzarla, di sentire la sua pelle e di sentirla sua anche durante una semplice passeggiata. Questa volta, tuttavia, qualcosa la blocca – Cosa ti porti in giro? – e lui lascia che lei sfili la mano dalla tasca, insieme all’oggetto che ha attirato la sua attenzione e che riconosce non appena lo vede.
- La porti ancora con te? – gli chiede sorpresa rigirando la scatola di velluto tra le dita.
- A casa la tenevo sul comodino. L’ho messa in tasca prima di partire e … non l’ho più tolta da questo giaccone. - spiega con un’alzata di spalle – Mi ha aiutato il fatto di averla sempre con me. –
Yuki abbassa lo sguardo sulla propria mano, con due dita prende a far girare la fedina attorno al proprio anulare – Non la toglierò nemmeno quando tornerò con te in Germania. –
Lo cerca, gli sorride e poi piega il capo – Mi piace vederla lì. Mi piace che la vedano tutti, in realtà. – e lui annuisce convinto.
- Devi portarla anche a Amburgo altrimenti Kaltz … - si ferma interrotto dal vibrare del telefono dalla tasca; solleva le sopracciglia e sfila il cellulare, controllando la chat e commentando – Parli del lupo … -
Legge rapidamente i messaggi, digita velocemente una risposta, poi allunga un braccio mentre con l’altro stringe a sé Yuki per scattare un selfie dicendole – Saluta il crucco, Yuki. – e infine invia.
Lei si sporge per sbirciare sul display e Genzo le lascia il tempo di leggere qualche riga, prima di riporre il telefono in tasca e spiegarle – Ha consegnato le scartoffie, ora non resta che sistemare le cose qui e formalizzare il tuo trasferimento a Amburgo. –
- E la foto? – domanda lei ancora più curiosa – Quella cosa c’entra con i documenti? –
- Niente. – risponde candidamente – Quella è perché gli ho detto che stiamo uscendo con la Nankatsu e lui deve starne fuori! – e poi riprende la mano di Yuki, se la infila in tasca e le lascia un bacio leggero sulle labbra – Altrimenti continuerà a mandarmi messaggi chiedendomi cosa stiamo facendo noi due! – precisa ad un soffio da lei, prima di risollevarsi per incamminarsi – Allora, andiamo? –
 
Il locale, come ogni locale in questo periodo, è piuttosto affollato e il gruppo Nankatsu occupa sempre lo stesso angolo della sala, quello con i tavoli un poco nascosti; Ishizaki, come da tradizione, fa gli onori di casa, stuzzica a dovere Sanae e Tsubasa, richiama l’attenzione degli amici via via che fanno il loro ingresso. Tutto nella norma, almeno apparentemente.
Perché lui, seduto in silenzio accanto a Yuki, è consapevole di quanto diversa sia questa serata rispetto a quelle del passato. Sa bene che è la prima volta che non partecipa da solo al raduno della Nankatsu ed è pure la prima volta che, anziché cercare un posto a sedere defilato, in fondo al tavolo, si è sistemato sul lungo divanetto, in mezzo ai compagni, preoccupandosi solo di avere Yuki al proprio fianco. Ha volutamente ignorato le occhiate furtive che gli ha lanciato Ishizaki e con disinvoltura ha scelto dalla lista unendosi addirittura nel primo giro di ordini. Ha seguito i discorsi degli amici, i battibecchi della difesa e i racconti di Tsubasa con estrema naturalezza ed un certo interesse, restando volutamente ai margini, come sempre del resto; ha osservato Yuki chiacchierare con Sanae e sporgersi verso Yukari, mentre tutte e tre conversavano di film in uscita e di titoli attesi per l’anno a venire, e ha sorriso nello scoprirla interessata a qualche nuova e facile ricetta da provare … Eppure qualcosa ha attirato la sua attenzione, anche se fatica a definire esattamente cosa ci sia di strano questa sera; i toni sono inspiegabilmente pacati, anche negli scambi di battute e tutto sembra essere insolitamente in ordine, senza le consuete uscite ad effetto e le provocazioni a cui assisteva ad ogni occasione buona; fino a che l’uscita di Taki, arrivato tra gli ultimi e seduto di fronte a Tsubasa, non arriva a generare un attimo di stallo.
- E tu, allora, te la sei spassata con il Capitano? – punta verso Yuki e la sua voce si insinua acuta tra i rumori di fondo del locale, copre per un istante le parole degli altri e sembra creare il silenzio assoluto nel gruppo, mentre la risposta tarda e genera una situazione precaria, in bilico tra la domanda innocente e quella che tocca un tabù.
Genzo, che se ne stava rilassato a fare da osservatore, con una gamba accavallata sull’altra a dondolare il piede sotto al tavolo, d’istinto si blocca e si guarda attorno; il braccio sollevato, con il gomito poggiato allo schienale alle spalle di Yuki e la mano che si muoveva distrattamente a sfiorarle la base del collo, per un attimo focalizza palesemente l’attenzione di tutti i presenti.
Kisugi molla una gomitata nel fianco all’amico, ma a quanto pare il danno è fatto.
- Cazzo Teppei, cosa ti prende? Ho detto qualcosa di male? – chiede ancora Taki che inizia a guardarsi attorno, senza comprendere, mentre Ishizaki si porta una mano alla fronte e se la passa sul viso.
Kisugi mastica un ammonimento – Non si commentano i fattacci privati del Capitano, idiota! Ti sei ammattito?! – e Taki, spiazzato, si passa una mano nei capelli, trattenendo il ciuffo, prima di farlo scivolare di nuovo a coprire la sua espressione inebetita.
- Di cosa stai parlando? – chiede rivolto all’amico seduto al proprio fianco, mentre tra i presenti l’imbarazzo è palpabile e tutti cercano di fingere di essere interessati ad altro.
Genzo, fermo ad osservare la scena, tende le labbra, mentre Yuki si volta a cercarlo per scoprire come la stia prendendo; solleva le sopracciglia e a fatica controlla la propria espressione, mentre davanti ai suoi occhi si definiscono i contorni di ciò che in quella serata sembrava non tornare, e che invece ora si rivela come una sorta di tacito accordo di omertà, finché la sua risata non esplode, genuina e impossibile da trattenere.
Sposta il braccio dallo schienale, circonda le spalle di Yuki e se la tira più vicina, ma ancora non riesce a smettere di ridere, si piega in avanti e deve strofinare un palmo sugli occhi per togliere le lacrime che gli offuscano la visuale …
- Che cazzo ha da ridere Wakabayashi? – è ancora la voce di Taki a farsi sentire e sembra dare il via libera anche agli altri, perché Genzo sente che alla propria destra Izawa sbotta in una fragorosa risata, finendo per chinare il capo sul tavolo. Izawa è solo il primo: anche gli altri, uno dopo l’altro, chi riuscendo a contenersi meglio, e chi meno, si lasciano andare all’ilarità generale, mentre si diffondo i commenti più svariati in merito a quanto Hajime sia stato sveglio.
Persino Tsubasa, che fa del proprio meglio per controllarsi, si lascia sfuggire una mezza sghignazzata, Genzo intercetta il suo sguardo e scuote il capo perché è chiaro ad entrambi quanto le notizie abbiano potuto rimbalzare dalla Germania al Giappone e, soprattutto, che effetto abbiano fatto sul gruppo di amici.
Quando gli animi si placano, Genzo raddrizza la schiena mostrandosi ferito – Quindi vuoi sapere se Yuki se l’è spassata?! – chiede rivolto a Taki, prima stringere un po’ la presa attorno alle spalle della ragazza e di riprendere – Beh, evidentemente sì! Se l’è proprio spassata, visto che l’ho convinta a tornare con me a Amburgo. –
Così diretto, senza giri di parole; probabilmente non ha mai confidato niente di così personale ai suoi compagni di squadra; forse non ha proprio mai parlato di niente di personale con loro, eppure l’effetto della sua dichiarazione è quello suscitare un immediato genuino interesse da parte dei presenti e mentre Ishizaki sta ancora rielaborando la cosa, imbambolato, con la bocca aperta, Yukari, che probabilmente è meglio informata perché più vicina a Yuki, le si rivolge direttamente chiedendo conferma – E’ vero, Yuki? Torni davvero a Amburgo per stare con lui? –
Yuki si limita ad annuire ed è chiaro quanto il discorso, e la situazione che ha generato, la mettano in imbarazzo; con il suo gesto, prima risponde a Yukari e poi si rivolge anche in direzione di Tsubasa e di Sanae, che già sanno, ma di cui evidentemente cerca ancora il sostegno – Io … mi sto organizzando per ripartire. –
- Segui un nuovo stage? – Morisaki, con un tono gentile che smorza un po’ la tensione, si sporge per superare Izawa al proprio fianco, cerca Yuki, ma incrocia lo sguardo di Genzo e lui ne anticipa la risposta, deciso.
- No, niente stage: si trasferisce proprio. Viene a vivere con me. – la sente tremare, nell’abbraccio in cui la stringe ancora e dall’altra parte della compagnia qualcuno reagisce alle sue parole con qualche colpo di tosse – Cosa c’è di tanto strano? –
L’unico che ha il coraggio di parlare, a quanto pare, è Ishizaki – Suvvia, Wakabayashi! – esordisce mettendosi impettito – Le voci giravano, sul vostro conto, ma così ci hai un po’ spiazzati! L’ultima volta che ci siamo visti ti sei offerto di farle da guida della città per fare un favore a Tsubasa, che manco la conoscevi, e adesso te la porti via e … tanti saluti? Se non è un colpo di scena questo … E ti chiedi pure cosa ci sia di strano? – e poi sposta la sua attenzione altrove – Tsubasa, tu davvero non dici niente? –
Accanto a Ishizaki, Yukari è rimasta immobile, lo sguardo è quasi sognante e il sorriso va da un orecchio all’altro, mentre lo afferra per la maglia agitandogli una mano davanti al viso e gli intima di tacere.
- E’ passato un anno, Ishizaki, un intero anno: sono accadute molte cose … - si intromette Sanae che, con un gesto gentile, posa una mano sul braccio di Yuki, avendo certamente compreso il suo disagio, e Tsubasa annuisce, dandole ragione.
- Yuki deve partire di nuovo perché la sua strada passa per Amburgo: non ho dubbi. Avrà grandi opportunità per i suoi studi, per il lavoro … per tutto. – conferma lui – E soprattutto, sarà davvero felice. –
Genzo avverte come Yuki sia sollevata all’udire le parole di supporto del fratello, coglie la sua tensione sciogliersi appena e sente il suo respiro tornare più rilassato. Con la mano libera cerca le sue, nascoste sotto il tavolo e le stringe nella propria.
 Gli dispiace che la sorpresa degli amici e i loro modi poco felici, abbiano finito per mettere in difficoltà Yuki, anche se avrebbe potuto immaginare che il fatto che nessuno dei suoi contatti avesse mai accennato a nulla, durante gli scambi di messaggi e le chiamate degli ultimi mesi, potesse costituire un campanello d’allarme di questa strana situazione. Non ha mai avuto occasione per scambiare confidenze con i suoi amici in Giappone e forse l’unico che potesse aver intuito qualcosa era Morisaki, che però è troppo educato e a modo per potersi lasciar sfuggire un qualunque commento, e forse proprio per questo, agli occhi del gruppo, il suo avvicinarsi a Yuki sembra qualcosa capitato da un giorno all’altro, senza nessun fondamento. Storce il naso riflettendo su questo dettaglio: non vuole assolutamente permettere che il suo legame con Yuki passi per una avventura da poco.
La stretta sulle sue mani lentamente diventa una carezza, le dita si insinuano tra le sue e poi accompagnano una mano a sollevarsi; Yuki, docile, lo lascia fare e Genzo, senza pensarci un istante, si porta la mano alle labbra, indugiando sull’anello e lasciandoci un bacio tutt’altro che nascosto.
- Sono felice che lei abbia scelto di accettare la mia proposta, ma a questo punto tutto diventerà ancora più impegnativo. – afferma, lasciando volutamente intendere quante sfumature possa avere il termine impegnativo, e poi torna a sporgersi cercando il collega portiere.
- Morisaki! – chiama l’amico spingendo di lato Izawa – Ti ricordi le dritte che mi hai dato quella volta per cucinare il pollo? –
Il portiere, che pare aver intuito il suo bisogno di alleggerire l’atmosfera, annuisce pronto - Certo: mi hai tenuto al telefono mezza mattinata per una preparazione di difficoltà a livello principiante … -
- Già! E poi ti ho mandato ancora foto e messaggi nel cuore della notte … - completa Genzo, certo che l’altro abbia mangiato la foglia – Ecco: credo che avrò bisogno di altro supporto, altrimenti addio cenette romantiche! –
Izawa, a quelle parole sbarra lo sguardo – Ma dai, Yuzo! Non mi hai raccontato che il Capitano si fa dare le dritte da te per conquistare le ragazze! – e Morisaki, per tutta risposta nega con il capo.
- Ma ti pare che vengo a raccontarti queste cose? Saranno fatti suoi, no? E poi … lo ha fatto una volta sola da quando ci conosciamo! –
- Io però Wakabayashi ai fornelli non ce lo vedo proprio … - commenta Takasugi dall’altro capo del tavolo e imbeccando Ishizaki che non si lascia sfuggire l’occasione.
- Deve avere certamente altre qualità nascoste! – suggerisce provocando una nuova reazione sguaiata da parte di Izawa che Morisaki si affretta a soffocare prontamente tappandogli la bocca con due mani.
- Ma quindi, riparti con il nuovo anno … – si intromette Yukari, lo sguardo ancora lucido, quasi che il trasferimento fosse un fatto suo personale, e che poi si fa coraggio a chiedere dettagli - … e quindi ti rivedremo solo la prossima estate? –
Yuki, finalmente più rilassata e sorridente, annuisce – Beh sì! Devo occuparmi dei documenti, forse non riuscirò a tornare ad Amburgo subito con Genzo ma … lo farò appena possibile e credo che poi potremmo rientrare per le vacanze estive … - e si volta a chiedere conferma a lui che invece la osserva sornione, pronto a sorprenderla.
- A dire il vero, non ne sarei così sicuro, Yuki. – la lascia in sospeso per un istante, prima di inarcare un sopracciglio – Io avrei un’idea migliore, per la prossima estate: con i documenti a posto, direi che … si potrebbe andare in Italia. – punta lo sguardo nei suoi occhi e la osserva mentre lei li spalanca e si illumina di un sorriso che mostra molto più del semplice entusiasmo per un viaggio in programma.
- In Italia?! – la voce di Sanae giunge un po’ strozzata, mentre Genzo vede la manager sporgersi dietro le spalle di Yuki, per poi cercare il viso dell’amica – Proprio in Italia? –
Yuki, che per qualche istante è rimasta a bocca aperta scambia appena un’occhiata con Sanae, prima di assottigliare lo sguardo lasciando intendere a Genzo di aver perfettamente compreso le sue intenzioni e di azzardare – Sicuro che sia il caso? -
Genzo, soddisfatto, annuisce lentamente e in questo momento gli sembra che tutto il resto della sala sia scomparso, gli amici, il locale e i suoi avventori, con l’attenzione tutta focalizzata su di lei e sulla sfumatura che le ha imporporato le guance.
– Mai stato più sicuro di così. – conferma senza distogliere lo sguardo da lei – Questione di un anno … e torneremo qui a raccontare il nostro primo viaggio in Italia. -
 
 
E così, siamo arrivati alla fine di un racconto che giunge qui dove speravo di riuscire a portarlo, per chiudere un doppio cerchio ampio come nemmeno io avrei immaginato potesse diventare. Con Genzo e Yuki il viaggio è stato impegnativo, lo ammetto, perché le questioni da sondare si sono moltiplicate, così come i dettagli che mi è stato necessario approfondire, ma la soddisfazione di essere giunta al termine del progetto che mi ero prefissata è davvero tanta.
Segnalare la storia come "completa" mi fa un certo effetto: è davvero completa? Ci sono ancora refusi da sistemare, lo so, e non escludo di riuscire a revisionare tutto, un po’ per volta, ma soprattutto il racconto lascia aperti un sacco di scenari (almeno ai miei occhi): dall’arco narrativo appena intuito che riguarda Tsubasa e Sanae, alle tante scene tagliate dal racconto, momenti perduti che magari troveranno luce altrove.
Io, al mio debutto in questo fandom, non posso che ringraziare chi ha letto e chi mi ha accompagnata nella stesura della storia e nella pubblicazione, nella ricerca di dettagli e negli approfondimenti necessari, come nell’affrontare i momenti difficili.
Per chi ha apprezzato i miei sforzi, semplicemente, GRAZIE.
Maddy
 
[i] Corso triennale realmente presente nell’offerta formativa dell’Universität Hamburg, fa parte del corso di Matematica, informatica e scienze naturali
[ii] Scelto amorevolmente perché significa Fredda, Dignitosa, Severa.
[iii] Dopo attenta valutazione di mercato, posso dichiarare che il mio Genzo usa Acqua di Giò.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3913229